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Ecco una nuova storia a capitoli,
di genere ancora una
volta guerresco! (lo so, sta diventando una fissazione, ma non dipende
da me,
leggere testi sulla storia della Cina ha effetti deleteri sulla mia
psiche!)
Non ci sono particolari premesse, a parte il fatto che è
ambientata una decina
di anni dopo l’inizio delle vicende di Slayers, e quindi Lina
ha circa
venticinque anni (mi sono sempre interrogata
sull’età di Gourry, quindi non mi
esprimo a riguardo…) Lina e Gourry sono sposati da circa
quattro anni.Gli
avvenimenti salienti antecedenti alla
vicenda sono contenuti nella mia altra fic,
“Gourry”, ma non è strettamente
necessario leggerla per comprendere la storia. Come sempre,
sarò felice di
ricevere commenti o critiche di qualsiasi tipo. Buona lettura! ^^
Il cielo invernale incombeva cupo su
Sailarg. Nuvole basse e
grigie, foriere di tempesta, coloravano di una tonalità
cenere le colline
spoglie e le rovine della metropoli, un tempo fiorente crocevia dei
traffici
che attraversavano le desolate steppe di Elmekia. La città,
ora, sembrava poco
più di un villaggio di contadini. I viaggiatori si
accalcavano in locande
ricavate da edifici malmessi e trattavano spasmodicamente i costi di
finiture
per cavalli, cibo e vino con mercanti resi avidi dal ricordo
dell’antica
ricchezza. La tappa in quello scenario spettrale era necessaria, per
chi si
accingeva ad affrontare miglia e miglia di terra spoglia e desertica, e
forse
solo questo aveva accelerato la ricostruzione di un luogo il cui nome a
molti
suonava ormai maledetto. Le mura erano di nuovo in piedi ed offrivano
un
inutile baluardo a case povere e provvisorie, a palazzi signorili
sventrati
dalle fiamme, ad un tempio che ben poco aveva dell’antico
splendore. Un’ampia
distesa di terra umida e nuda si apriva là dove un tempo si
era trovato
l’albero sacro, ricordandomi come quella città
fosse stata protagonista per ben
due volte di eventi che avevano segnato tanto essa quanto la mia
esistenza.
Distolsi lo sguardo dalla finestra,
con un sospiro. Se quel
paesaggio era deprimente, non si poteva dire che l’interno
della stanza
risollevasse l’animo. Un letto che somigliava più
ad un pagliericcio, un tavolo
spoglio con una sedia, un camino annerito e ricoperto di polvere. Dando
fondo
ad ogni nostra risorsa, non eravamo riusciti a trovare di meglio. Avevo
vissuto
anche in condizioni peggiori, ma mai ad un prezzo così caro,
e da due giorni a
quella parte il mio spirito da mercante fremeva. Questo, quando non
consideravo
le condizioni dei bagni. Perché allora era il mio istinto di
maga distruttrice
che rischiava di prendere il sopravvento…
Abbassai lo sguardo, ed emisi un
grugnito stizzito. C’era qualcuno
che non appariva minimamente turbato dalle condizioni misere della
stanza.
Qualcuno che in quel momento russava felice, difeso da una semplice
coperta dal
freddo pavimento di pietra. Con una espressione talmente appagata che
mentre lo
osservavo la mia stessa irritazione diveniva irritante.
E non ditemi che non è
legittimo, ogni tanto, trovare
fastidiosa la serenità altrui.
Mi avvicinai e con la punta dello
stivale gli pungolai il
fianco.
“Mmph…
Lina…” Lo sventurato mugugnò qualche
parola
sconnessa, e non ebbe bisogno di aprire gli occhi per riconoscere chi
lo
tormentasse.
“Hai intenzione di poltrire
sul pavimento per tutto il
giorno?” Incrociai le braccia al petto, incombendo su di lui.
Gourry aprì un
occhio e mi fissò dal basso in alto, infastidito dalla luce
che penetrava dalla
finestra.
“Ma
Lina…” Mugugnò. “Non posso
dormire su quel letto. E’
infestato da quelle bestie disgustose.”
Mi piegai sulle ginocchia,
squadrandolo storto. “Non è
questo che intendevo. Tu e la tua fisima per gli insetti.”
Gourry levò un
sopracciglio, al di sopra dello sguardo
assonnato. “Non credo che la signora
‘c’è una lumaca nella vasca’
possa
permettersi di protestare per la mia avversione alle
cimici…”
Il ricordo della terrificante
esperienza che avevo vissuto
in bagno non migliorò il mio umore. “Vuoi che ti
riservi lo stesso trattamento
che ha ricevuto il locandiere per avermi presa in giro,
Gourry?”
Lo spadaccino, a dispetto di tutto,
sorrise. Si levò a
sedere, e cercò la mia mano con le dita. “Direi di
no.” Mi baciò la punta del
naso. “Mi illudevo che come tuo marito avrei ricevuto un
trattamento
preferenziale, una volta tanto.”
Non mi piegai alle lusinghe, e lo
guardai storto. “Il
trattamento preferenziale bisogna guadagnarselo.”
Gourry si limitò a
ridacchiare, e ad abbracciarmi. Io
sospirai, vinta, e gli accarezzai i capelli con la mano. “Ci
manca solo che la
temperatura si abbassi ancora, e cominci a nevicare.”
Mormorai, dopo qualche
istante di silenzio, tornando a scrutare all’esterno.
“Vorrei sapere che fine
ha fatto Sylphiel. Ammetto che quella ragazza è un
po’ strana, a volte, ma non
è da lei farci arrivare fin qui per poi non presentarsi
affatto. C’è mancato
poco che ci facessimo arrestare, per colpa sua.”
“Veramente è
stata colpa di qualcuno che si è messo a
minacciare le guardie…” Obiettò Gourry,
ridacchiando. “E il fatto che tu dica
che Sylphiel è quella strana è un tantino
paradossale…”
“Ci aveva detto di cercarla
al tempio!” Sbottai,
allontanandolo bruscamente. “Per quanto sapevamo avrebbero
anche potuto tenerla
in ostaggio!”
Gourry scosse la testa, divertito.
“Tenerla in ostaggio? I
sacerdoti di Sailarg?”
“Non fingerti
improvvisamente una persona ragionevole…”
Intimai, in tono minaccioso.
Gourry rise, e si fece schermo con le
mani. “Ok, ok. Quindi,
cosa proponi di fare…?”
Mi strinsi nelle spalle.
“Possiamo aspettare, per qualche
giorno. Non abbiamo molto da fare, in fondo. Forse Sylphiel si trovava
a
Sailune dai suoi parenti e deve ancora raggiungere la
città.” Gourry tornò a
sdraiarsi, trascinandomi con sé nel movimento, e
accarezzandomi senza preciso
scopo la schiena. “Chi lo sa. La sua lettera era strana, di
sicuro. E poi erano
mesi che non ci giungevano sue notizie…”
Gourry san, Lina san,
spero che questo messaggiopossa arrivarvi, ovunque
vi troviate. Ho bisogno di parlarvi di
una questione urgente. Vi chiedo di incontrarci al termine del decimo
mese, a
Sailarg. Chiedete di me al tempio.
Queste poche righe ci erano state
recapitate misteriosamente
un mese prima, in una locanda di uno sperduto paesino nel nord del
continente.
Gourry ed io ci stavamo muovendo per conto della Gilda di Zephilia, una
storia
di testi trafugati da una celebre biblioteca di un regno del nord, su
cui più o
meno legittimamente i maghi di Zephilia avevano messo gli occhi. La
questione
era inevitabilmente passata in secondo piano, però, di
fronte a quella lettera
sbrigativa, senza una firma, senza una espressione di affetto. Gourry
sama era
già da tempo diventato Gourry san, per Sylphiel…
almeno da quando le avevamo
annunciato il nostro matrimonio. Ma, da quando avevamo cominciato a
tornare a
Zephilia più di frequente, la sacerdotessa ci aveva spesso
scritto, lettere
lunghe e cordiali, in cui ci raccontava della sua vita nella nuova
Sailarg e
del suo impegno per rimettere in piedi una città ridotta ad
un’ombra spettrale
del passato. Quella era la prima volta che una lettera ci giungeva
mentre eravamo
lontani da casa, ed era la prima volta che le parole della nostra
giovane amica
suonavano tanto sbrigative. La grafia era nota, con quelle sue lettere
morbide
e allungate, ma nient’altro di familiare colorava quelle
righe. All’inizio
avevo esitato di fronte ad una richiesta così improvvisa, ma
sapevo di dovere
molto a Sylphiel. La sua amicizia nei miei confronti non era scontata,
per più
di una ragione. In più, Gourry non aveva avuto dubbi sulla
necessità di andare,
ed io non avevo intenzione di lasciarlo partire da solo. Se
c’era una persona
che non avrei mai abbandonato al suo destino, quello era lo spadaccino.
E
quella stessa visione di desolazione che era Sailarg non faceva che
rammentarmene il motivo.
“Ciò che mi
convince meno in questa faccenda è che al tempio
non sapessero nulla del nostro arrivo.” Mi levai nuovamente a
sedere,
scostandomi gentilmente dall’abbraccio di mio marito.
“Se Sylphiel aveva
intenzione di incontrarci laggiù, è strano che
non abbia fatto recapitare anche
ai sacerdoti un messaggio, nel caso avesse tardato.” Scrutai
fuori dalla
finestra, in cerca di una risposta nascosta fra le basse nuvole.
Anche Gourry si sollevò.
“Stai dicendo che qualcosa potrebbe
averglielo impedito…?”
“Sto dicendo che non mi
piace.” Mi alzai, e tornai alla
finestra, le dita appoggiate ai vetri. Quasi simultaneamente, grosse
gocce di
pioggia presero a picchettare sulla sottile lamina. In lontananza, una
saetta
illuminò il cielo plumbeo, accompagnata dal cupo rombo di un
tuono.
Gourry si avvicinò alle
mie spalle, e mi cinse con le
braccia. “Odio le tue premonizioni.”
Sussurrò, in tono leggero. “Il più
delle
volte sono azzeccate.”
Sorrisi, a dispetto della sottile
ansia che quei discorsi
avevano risvegliato in me. La mia mano raggiunse il suo braccio, e lo
strinse
lievemente. “E questo non ci rassicura granché
sulla attuale situazione, eh?”
Mio marito non rispose. Ma da anni,
per noi, il silenzio era
eloquente quanto le parole.
Sospirai, rassegnata.
Cominciavo ad odiare la
città di Sailarg.
***
Dolore. Luce accecante. Vestiti
gelidi, appiccicati alla
pelle. Le dita strette su una poltiglia fredda e dall’odore
nauseante. In bocca
il sapore del sangue.
Dolore.
Dolore.
Dolore.
“Gourry!”
“Correte, è
ancora vivo!”
“Sir Gabriev, vostro figlio
è…”
“Un sacerdote! Mandate a
chiamare un sacerdote!”
“Gourry, apri gli
occhi!”
“Gourry!”
“GOURRY!”
Spalancai gli occhi, sussultando a
quella voce nota. Dovetti
battere le palpebre più volte, prima di acquisire nuovamente
cognizione del
mondo che mi circondava. La luce piena del mattino inoltrato filtrava
fra le
foglie ancora umide di pioggia, ed un freddo vento sferzava le fronde,
facendole gocciolare sul mio viso. Io non sedevo piùsulla roccia su cui mi ero
poggiato inizialmente, ma ero
scivolato all’indietro, verso il tronco dell’albero
che mi riparava
parzialmente dall’aria pungente, la testa reclinata in avanti
e le dita
affondate nella fanghiglia.
Lina, di fronte a me,
sospirò. “Vorrei sapere cos’hai in
questi giorni. Addormentarti in un posto del
genere…”
Battei nuovamente le palpebre, e
lanciai uno sguardo al sole
pallido. Quasi di riflesso, il mio stomaco gorgogliò.
“E’ già mezzogiorno?”
Domandai, incredulo. Mi ero seduto su quella roccia quando il sole era
sorto da
poco meno di due ore…
Mia moglie assunse
l’espressione colpevole che vestiva
quando mi trascinava in qualcuna delle nostre consuete odissee.
“Bé, immagino
di essermi lasciata un po’ prendere la mano dalla
trattativa.” Si grattò la
guancia, con una delle sue dita sottili. “Ad ogni modo, il
carovaniere ha
accettato di darci un passaggio in cambio di una delle gemme che ho
recuperato
da quei banditi. Partiamo nel primo pomeriggio, quindi sbrigati, se
vuoi
mangiare qualcosa nel frattempo.”
La fissai per un momento, cercando di
fare mente locale su
ciò di cui stava parlando. Quindi, rinunciandovi, mi levai
in piedi
barcollando, le gambe indolenzite per la lunga immobilità e
per il freddo di
quell’inverno gelido. Lina mi squadrò con fare
perplesso. “Tutto ok? Mi sembri
un po’ frastornato…”
“Ho fatto un lungo
sogno.” Replicai, in sincerità. “Ma non
ricordo bene che cosa accadesse. Ricordo solo…” Mi
fissai le mani. “… fango…”
Lina batté le palpebre e
fissò a sua volta le mie dita,
ancora coperte di melma grigia. Fece un sospiro. “Ci credo.
Guarda che hai
combinato.” Estrasse un fazzoletto da una delle tasche del
mantello, e vi
avvolse gentilmente le mie mani. Io sorrisi fra me e me. Anche un gesto
semplice come quello anni prima le sarebbe costato imbarazzo.
Godetti per qualche istante in
silenzio del movimento
leggero delle sue dita sulle mie. Quindi levai lo sguardo sul gruppo
dei
mercanti, sul ciglio della strada alle spalle di mia moglie, intenti a
caricare
pacchi sulle carovane. “Ehi, Lina… ma
dov’è che stiamo andando, esattamente?”
Mia moglie fece un sospiro, e mi
guardò con l’aria di chi
non ha nemmeno la forza di arrabbiarsi. “Non hai ascoltato
una parola di quello
che ti ho detto stamattina, vero?”
“Ehm…”
Era il momento di stare attento a ciò che
rispondevo…
Gli occhi di Lina si strinsero.
“Risulta difficile credere
che tu abbia premuto tanto per aiutare Sylphiel, quando ora fingi in
modo così
convincente che la cosa non ti riguardi…”
Oh. Giusto. Sylphiel.
“Intendi la
città del sovrano ribelle. Potevi dirlo subito.”
Il volto di Lina assunse un
interessante colorito violaceo.
“Quindi quei carovanieri
devono portarci laggiù?”
Il violaceo mutò in rosso
acceso.
“Gourry!” Il
palmo della sua mano mi colpì direttamente fra
gli occhi. Cominciavo a chiedermi se non ci fosse un qualche segno
sulla mia
fronte che le indicasse dove mirare, per centrare sempre lo stesso
punto… “E
dove DIAVOLO dovrebbero portarci??? Ti pare che mi addentrerei nel
NULLA delle
steppe di Elmekia per il gusto di complicarci la vita???”
“Bé…”
Esitai.
Non era la risposta che mia moglie si
aspettava.
Eravamo rimasti a Sailarg per oltre
una settimana, in
paziente attesa. Le locande agibili non erano molte, e ci auguravamo
che
Sylphiel ci avrebbe in qualche modo rintracciati, appena le fosse stato
possibile raggiungere la città.
Eravamo ottimisti.
Tuttavia, quando alla nostra porta si
erano presentate le
guardie del tempio, armate fino ai denti, era sorta in me qualche
ragionevole
preoccupazione.
Non è che non abbia
fiducia in mia moglie. Solo che quando
Lina è costretta senza far nulla per giorni la sua energia
repressa tende a
sfogarsi in modi non necessariamente legali. Nel momento in cui avevo
iniziato
a chiedermi di quanto fosse, stavolta, la taglia sulla nostra testa, i
Paladini
mi avevano però stupito, limitandosi ad invitarci
formalmente al tempio. Il
Gran Sacerdote voleva scusarsi con noi per la pessima accoglienza che
ci aveva
riservato qualche giorno prima, ci era stato detto. Era ovvio che la
motivazione
non si limitava a questo, ed era altrettanto ovvio che i Paladini non
avrebbero
approfondito la questione in una locanda dalle pareti di carta velina.
Volenti
o nolenti, li avevamo seguiti. E la sorpresa era stata ancora maggiore
nello
scoprire che, nella sala del Gran Sacerdote, riflesso in una cangiante
sfera di
luce bluastra, ci attendeva il volto teso di Sylphiel.
“Lina san, Gourry
san, vi chiedo perdono per i fastidi
che vi ho causato.”
La voce della sacerdotessa era
frettolosa, priva delle
consuete note calde e riverenti. Al di là della luce
innaturale
dell’incantesimo che ci permetteva di comunicare, il suo
volto mi appariva
stranamente pallido.
“Credevo davvero di
riuscire a partire in tempo, ma una
serie di problemi mi ha bloccata a Sailune. Solo ora riesco ad
avvisarvi.
Scusatemi, scusatemi infinitamente.”
Lina ed io ci eravamo scambiati
un’occhiata perplessa.
Sylphiel aveva proseguito con fare
stanco. “Si tratta
dell’erede al trono di Elmekia e di suo fratello. Da diversi
mesi sono entrati
in conflitto.”
Ne avevo sentito parlare. Il sovrano
di Elmekia era morto
all’improvviso, qualche mese prima. E il figlio che il padre
favoriva per la
successione, il minore, aveva rivendicato, con l’appoggio
dell’entourage del
padre, un trono che le tradizioni del regno assegnavano per diritto al
fratello. Una storia comune. Ma ne era scaturita una contesa che,
nonostante il
trono da mesi vacante, non si era ancora sedata, e che con tutta
probabilità
sarebbe presto sfociata nel sangue. Del resto, è storia
vecchia. I capricci fra
fratelli litigiosi generano scompiglio in casa, ma i capricci fra reali
danno
vita alle guerre.
“E noi cosa
c’entriamo, in questo?” Lina appariva perplessa.
Io ero inquieto. Le questioni di successione al trono di Elmekia
risvegliavano
in me ricordi spiacevoli.
Lo sguardo di Sylphiel si era fissato
per un momento sul
mio, come se avesse colto i miei pensieri. La sacerdotessa, tuttavia,
aveva
proseguito in tono neutro. “Direttamente, nulla.
Purtroppo, però la corte ha
cessato da mesi di inviare a Sailarg i fondi per la ricostruzione. Il
tempio
non ha risorse, e i lavoratori sono inquieti. Gli abitanti di Sailarg
che sono
ancora in città danno una mano, ma per lo più
abbiamo dovuto assoldare dei
mercenari, che minacciano di abbandonarci. Non possiamo permettercelo,
capite?
Con una guerra civile incombente, ed una città che ha tutte
le probabilità di
non rifiorire mai, la gente prenderebbe di nuovo ad andarsene,
valicherebbe il
confine verso Sailune. Sailarg tornerebbe ad essere una
città fantasma.” Il
tono di Sylphiel ora si era fatto stanco. Potevo comprenderlo. La
ricostruzione
di Sailarg significava per lei più di quanto avrebbe mai
potuto esprimere a
parole. D’altra parte, il suo sguardo era determinato. Mi ero
reso conto già da
tempo di come gli anni la avessero fortificata, di come fosse diversa
dalla
ragazza ingenua e fragile che avevo incontrato in quella stessa
città, tanti
anni prima. E la sua fermezza, ora, non faceva che confermarmelo. “Ho
inviato vari messaggeri alla corte ma Samon, il figlio maggiore del re,
non mi
ha mai dato ascolto. Il fratello Eriol ha dalla sua la famiglia della
madre,
che ha il controllo su Talit, la città nota come la Perla di
Elmekia.
Possederla significa avere in pugno tutta la parte meridionale del
regno. Con
avversari così potenti e ricchi, l’erede legittimo
al trono è intenzionato a
concentrare ogni sua risorsa nella guerra imminente, per questo non ho
altra
scelta se non rivolgermi ad Eriol. Non ho molte speranze, ma DEVO
almeno
cercare di convincerlo prima che scoppi la guerra e la sua attenzione
si
concentri su altre priorità. Tuttavia, non posso inviare
un’ambasceria
ufficiale. Farlo significherebbe riconoscere la sua autorità
e non quella della
corte, significherebbe schierarsi, e non posso permetterlo. Sailarg non
ha
bisogno di altro sangue.”
Lina si era accigliata. “E
quindi… vuoi che ci rechiamo noi,
laggiù, e cerchiamo di convincerlo?” Sapevo
perfettamente cosa pensava mia
moglie in quel momento, e lo condividevo. Quella faccenda era fuori
dalla
nostra sfera d’azione. Un conto era lottare con i demoni, un
conto era
occuparsi di questioni diplomatiche in un regno estraneo.
Avevo ricacciato nel fondo della mia
mente la voce
strisciante che mi suggeriva che quel regno in fondo era anche casa
mia.
Sylphiel aveva scosso la testa,
l’aria contrita. “Lo so
che cosa state pensando. Che vi sto chiedendo qualcosa che non vi
compete. Ma
questa non era la mia intenzione iniziale, ve lo assicuro.” Il
suo tono di
voce si era fatto supplichevole. “Avrei voluto
essere io a partire, e ciò
che desideravo era solo la vostra protezione fino a destinazione. Il
viaggio
fino a Talit è troppo lungo e pericoloso, in tempi come
questi, e non sapevo di
chi altri fidarmi… Ma ora non posso davvero muovermi da qui,
mio zio…” Si
era bloccata. “E’ una questione troppo
lunga da spiegare ora. Lina san,
Gourry san, vi prego. Dovrete solo recapitare la mia missiva. Inviando
due
persone esterne a tutta la faccenda, in segreto, Sailarg non
risulterà
compromessa. E’ troppo vicina alla capitale, è un
bersaglio troppo facile. Vi
assicuro che sarete compensati adeguatamente. Il tempio non
può fornirvi di
grandi risorse, ora come ora, ma ero venuta a Sailune proprio per
chiedere un
aiuto ai miei parenti per il viaggio, quindi quando tornerete vi
rimborserò di
ogni cosa e vi pagherò tutto quello che vi è
dovuto. Vi PREGO.”
Lina ed io ci eravamo scambiati
un’occhiata. Lo sguardo di
mia moglie era ancora poco convinto, ma il tono disperato di Sylphiel
era già
riuscito ad ammorbidire me. Sapevo che la sacerdotessa non ci avrebbe
contattati se non in caso di assoluta necessità, e sapevo
anche che se io mi
fossi trovato nei guai lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarmi.
Era
accaduto, in passato.
E in fondo, si trattava solo di
recapitare un messaggio.
Avevo lanciato un’altra
occhiata a Lina, e lei aveva
sospirato. Io le avevo sorriso. Sapevo che avrebbe capito.
Molto meno propensa a comprendere,
però, mi pareva mia
moglie in quel momento, mentre mi fissava con l’aria di una
lince pronta ad
avventarsi sulla preda. La fronte mi doleva, là dove mi
aveva appena colpito
per la seconda volta.
“E dai, Lina.”
Cercai di sdrammatizzare. “Scherzavo.”
“Mi spiace che questo non
sia un ingaggio come buffone di
corte, avresti avuto un grande successo…”
Sibilò la maga, gli occhi stretti per
l’irritazione. “Ora vogliamo concentrarci sulla
nostra attuale situazione,
invece di perdere tempo? Dobbiamo andare a recuperare le nostre cose da
quel
tugurio di locanda.” Il suo sguardo si accese per un momento.
“Non riesco a
credere che sarà l’ultima volta che
mangerò la loro brodaglia insipida per
pranzo.”
Scossi la testa, sospirando.
“Prega che il carovaniere non
abbia intenzione di servirti zuppa al veleno, appena saremo usciti
dalla città.
Non ha un’aria particolarmente raccomandabile, e le nostre
armi e le tue gemme
farebbero gola anche all’ultimo degli onesti, se circondato
da una steppa priva
di occhi per testimoniare.”
Lina mi rivolse un sorriso furbo, lo
stesso che sempre
vestiva quando elaborava uno dei suoi malefici piani. “Oh, lo
ho messo in
conto.” Replicò, con fare allegro, agitando il
dito nell’aria. “Ma non è giusto
giudicare dalle apparenze, no? E poi…”
“E
poi…?” Chiesi, temendo la risposta.
Lina esibì un ghigno degno
di un cattivo delle fiabe. “E poi
una trappola potrebbe rendere il viaggio… più
interessante. Ci fornirebbe una
giustificazione inattaccabile per reclamare il
carro ed il suo contenuto
come nostri, tanto per cominciare.”
Scossi la testa, con fare rassegnato.
Davvero avevo pensato
che avesse agito ingenuamente? ‘Se non la conoscessi,
forse.’ Mi risposi
immediatamente. E mi volsi, pregando che mia moglie non si accorgesse
che
sorridevo stupidamente.
Ma, presto, la sua voce mi raggiunse
nuovamente. “Il reale
problema sarà all’arrivo.” Tornai a
fissarla, mentre scrutava il grigio striato
di azzurro del cielo, l’aria assorta. “Sylphiel
pensa che recapitare una
missiva per noi sarà semplice, ma io non la vedo allo stesso
modo. Dal momento
che non gli portiamo nuovi alleati, perché Eriol dovrebbe
ascoltarci?”
Piegai il capo, studiando la sua
espressione. “Abbiamo il
sigillo del tempio di Sailarg…” Azzardai.
Lina si accigliò.
“Appunto.” Si volse verso di me. “Il
sigillo di Sailarg, portato da due emeriti sconosciuti. Eriol
penserà che i
sacerdoti vogliano prendersi gioco di lui.”
Incrociò le braccia al petto. “Ci
concederà udienza, ma non accetterà di aiutare
una città che non acconsenta a
sostenerlo in cambio. Non conta, ora, il fatto che essa faccia parte
del regno
su cui vuole acquisire il controllo.” Tacque, per un istante.
“Partirò
comunque, ma sinceramente sono convinta che questo sarà un
viaggio a vuoto. La
ricostruzione di Sailarg dovrà attendere la fine della
guerra, come qualsiasi
altro problema che non riguardi direttamente la contesa fra i due
principi.”
Aggiunse, dopo qualche secondo di silenziosa immersione nei suoi
pensieri.
Mi avvicinai, e le strinsi la spalla
con la mano. “Magari
Eriol vorrà compiere un atto di
generosità.” Replicai. “Per
impressionare
eventuali nuovi sostenitori, ed evitare di vincere solo con le
armi.”
Lina mi rivolse un’occhiata
scettica. “Il tuo problema è che
hai troppa fiducia nella gente.”
“Devo compensare qualcuno
che ne ha troppo poca.”
Ci scambiammo un breve sorriso.
Da Nord il vento freddo parve
temporaneamente placarsi.
Troppo tardi. Le nuvole che fino a qualche ora prima si addensavano
all’orizzonte avevano già raggiunto la
città, ricoprendola di un manto scuro e
minaccioso. L’aria era pregna di umidità, e
l’azzurro era un pallido ricordo,
scolpito nei pochi brandelli di cielo scoperto che ancora lottavano con
il
temporale incombente.
“Ancora pioggia.”
Commentai, involontariamente, in tono
pensoso.
“Ti mancherà,
fra qualche giorno.” Sorrise Lina.
Lo sapevo. Nelle terre in cui ero
nato non pioveva mai. La
vita scivolava su di esse, senza mai porvi radici. Solo sterpaglie e
cielo, e
le testarde costruzioni degli uomini. E quegli alberi isolati, quegli
alberi
alti e rigogliosi, che ancor più crudelmente della
desolazione ricordavano il
destino con cui ogni essere vivente è costretto a
misurarsi…
“Gourry?” Lina,
ora, mi fissava perplessa. Io ricambiai lo
sguardo, assorto. Quelli che mi aspettavano erano luoghi che da anni
ripercorrevo solo nei miei sogni, e l’idea di solcarli al suo
fianco risvegliava
in me quella sensazione di torpore che al ricordo dei sogni si
accompagna. “Che
c’è?” Incalzò mia moglie.
“Pensavo che è
meglio sbrigarsi a rientrare.” Replicai,
semplicemente, non dando voce a quelle che anche per me erano solo
sensazioni
confuse. “Prima di trovarci zuppi di pioggia.”
Lina inarcò un
sopracciglio. “Quell’aria assente è il
segno
che stavi elaborando questa perla di saggezza?”
Dovetti sorridere, alla mal celata
ironia della sua voce.
“No.” Dichiarai, con leggerezza, mentre
un’idea maligna catturava la mia mente.
“In effetti stavo pensando che mi devi ancora la
rivincita.”
Lina levò le sopracciglia,
perplessa. Ma quando realizzò
cosa intendessi era troppo tardi. Ero già scattato in
avanti, ed in vantaggio.
“Ricorda, chi arriva ultimo paga il pranzo!”
“Ehi!” Sentii
gridare alle mie spalle. “Questo è
SLEALE!!!”
Il tono di voce di Lina mi precludeva
già in partenza quel
pranzo, ed era foriero di inquietanti promesse di vendetta…
ma in fondo ciò che
mi importava era solo il gusto della sfida. Perciò corsi a
perdifiato, il viso
sferzato dall’aria fredda e dalle prime gocce di pioggia.
Era strano. A causa del tempo,
trascorso inesorabile, i
paesaggi e le vie note che mi attendevano risvegliavano in me lo stesso
senso
di ignoto che avevo avvertito percorrendole per la prima volta,
innumerevoli
anni prima. Allora avevo avvertito quella sensazione come opprimente.
Ma ora
che potevo godere di piccole, stupide consuetudini come i litigi con
Lina la
paura dell’ignoto si colorava di familiarità, e il
senso di attesa diveniva
piacevole.
Ecco un nuovo capitolo. ^^ So che non è particolarmente
denso di avvenimenti, ma sto preparando un po’ il terreno per l’azione
principale. Ringrazio chi ha letto e commentato il precedente, spero che avrete
la pazienza di continuare! (comunque, Daydreamer, non preoccuparti, il
romanticismo arriverà…XD -> SonLinaChan sventola la sua bandiera
Lina/Gourry) Buona lettura! ^^
“Davvero una giornata gradevole, no?”
Sospirai. Il cielo, azzurro cupo, si stagliava all’orizzonte
contro una superficie di terra spoglia e giallastra. Le solitarie macchie di
vegetazione si piegavano sotto la gelida frusta del vento, che fischiava
minaccioso, sollevando alte nubi di polvere. La mia gola ardeva, e i miei occhi
lacrimavano in modo incessante, irritati dalle particelle di terra.
Non era esattamente una giornata ‘gradevole’.
Lina reggeva con una mano le redini del cavallo, con l’altra
il cappuccio della veste, che continuava a ricaderle sulle spalle a causa del
vento. Gli spessi guanti di lana grezza parevano insufficienti a ripararle le
dita, e mia moglie continuava a strofinarle al di sotto delle ampie maniche del
mantello ogni volta che una tregua alla violenza del vento gliene offriva la
possibilità. Ciò che normalmente la avrebbe innervosita, tuttavia, quella
mattina non sembrava turbarla. Lina continuava a spronare la nostra
cavalcatura, sorridendo e canticchiando vagamente fra sé.
“A volte mi spaventi un po’.” Borbottai. “Ti amo, ma mi
spaventi un po’.”
“Che ci posso fare se le mie capacità di previsione sono
così meravigliosamente superiori alla norma?” Replicò mia moglie, in tono
allegro. “Non posso credere di avere ottenuto tutto quel cibo per nulla. E ho
anche riavuto la mia gemma! ♥”
Sospirai, nuovamente. Dopo una settimana di viaggio, i miei
timori si erano avverati. Dopo aver scrutato i nostri movimenti con più
attenzione del necessario per giorni, gli uomini che avevano accettato di
trasportarci sino a Talit avevano cercato di sorprenderci nel sonno. Inutile
dire che quello che se la era cavata meglio avrebbe avuto problemi a
riconoscersi allo specchio per diverse settimane… e che mia moglie aveva voluto
uscirne con in mano il suo piccolo trofeo di vittoria. Tuttavia, per quanto
tutto fosse nella norma, non avrei mai creduto di vedere Lina tanto felice di
avere fra le mani casse e casse di carne e frutta essiccate, legumi e pesce
sotto sale. “Credo che basteranno due giorni perché quel cibo ci disgusti…”
Lanciai un’occhiata poco convinta all’interno del carro, e distolsi lo sguardo,
infastidito dall’odore.
“Oh, smettila di fare la principessina, in fondo è il
principio che conta!” Gli occhi di Lina si illuminarono per un momento. “Questo
è il vero spirito del mercante!”
“La principessina…?” Potei solo mugugnare. Mi guardai bene
dall’osservare che più che un comportamento da mercanti il nostro era stato un
comportamento da briganti. Lo spirito critico tende ad essere confuso, dopo
aver visto in volto diversi uomini agonizzanti.
“Il fatto è che la gente è così prevedibile…” Proseguì Lina,
ignorandomi. “Voglio dire, prendi il capo carovaniere… come poteva sperare
nella fiducia del prossimo un tizio con un sorriso del genere? Con quei capelli
unti, e con una fascia nera sull’occhio? Pareva gridare, ‘Ehi, sono qui e
voglio rapinarti’!”
Soppressi un sorriso. Mai giudicare dalle apparenze, eh?
Scossi la testa, e le presi le briglie dalle mani. “Da’
qua.” Strattonai per sbaglio i finimenti, ed il cavallo, un pezzato di uno
smorto color crema che fino a quel momento non aveva mostrato grande
tolleranza, nitrì, infastidito. Lina mi rivolse un’occhiata perplessa, ma io mi
limitai a sorriderle. “E’ il mio turno.” Spiegai. Lina mi sorrise a sua volta,
e ritrasse le dita. Soffiò sui guanti, in una vana ricerca di calore.
Scrutai l’orizzonte, e non potei evitare un nuovo sospiro.
Quel paesaggio sembrava non cambiare mai. “Sei certa di sapere dove stiamo
andando, vero?” Le avevo rivolto quella domanda decine di volte. Era la stessa
sensazione che avevo provato quelli che sembravano mille anni prima, viaggiando
verso la guerra. La sensazione di non muovermi, di non andare da nessuna parte.
Ora che ci pensavo, la steppa non mi piaceva per niente.
Lina emise un sospiro esasperato. “Te l’ho già detto,
Gourry, l’ho chiesto al carovaniere mentre tu legavi i suoi compagni, e lui mi
ha detto di puntare sempre a sud. Ti assicuro che non era motivato a mentirmi…”
Io levai le sopracciglia. “Glielo hai ‘chiesto’? Gentilmente
e con un sorriso sulle labbra, suppongo…?” Stavolta ero io a non riuscire a
mascherare l’ironia della mia voce.
Lina mi rivolse un mezzo sorriso. “Devo ricordarti che ti
avrebbe volentieri tagliato la gola?”
Scossi la testa, rassegnato.
“Hai già pensato a cosa fare una volta arrivati a Talit?”
Chiesi, tanto per distogliere l’attenzione dal paesaggio. “Credi che Enron o
come si chiama concederà udienza?”
“Eriol.” Mi corresse mia moglie, automaticamente. “Suppongo
gli convenga ascoltare chi gli chiede udienza, se vuole raccogliere alleati.”
Mi grattai la guancia, perplesso. “Sempre che ne abbia
bisogno.” Non ricordavo i dettagli del discorso di Sylphiel, ma mi pareva di
capire che fosse l’uomo che avremmo incontrato a godere di una posizione di
forza, nella guerra imminente.
“Nuove braccia per combattere fanno sempre comodo.” Lina
sbadigliò. “E comunque, se vuoi saperlo, ho intenzione di consegnargli la
missiva e di filarmela il prima possibile. Non ho alcuna voglia di trovarmi a
viaggiare nel mezzo di una guerra.” Si stiracchiò, e si levò per ritirarsi nel
più riparato spazio fra le cortine tirate del carro.
Io sorrisi. “Lina Inverse che evita i guai. Questo sarà un
giorno da ricordare negli annali.”
Mia moglie mi rivolse un’occhiataccia. “Ah, ah. Guarda che
io i guai non me li cerco, mi capitano e basta.”
Avrei avuto qualcosa da obiettare, a riguardo. E lo avrei
fatto, l’ironia ancora una volta aperta nella mia voce. Ma quando feci per
parlare, la frase mi morì in gola.
Qualcosa all’orizzonte aveva attirato la mia attenzione. Le
mie labbra tremarono per un momento, e mi parve quasi di avvertire il mio volto
impallidire.
Lina sembrò accorgersene, perché levò lo sguardo, seguendo
la direzione dei miei occhi. “Che c’è?” Domandò, vagamente. Per qualche istante
fissò semplicemente la nuvola di polvere che schermava il paesaggio, senza
capire. Ma prima ancora che io potessi rispondere, le sue labbra si schiusero,
e i suoi occhi si spalancarono. “Che diavolo…?”
Mia moglie non poté terminare. Improvvisamente, quella che
pareva una raffica di vento innaturalmente violenta scosse il carro, che si
inclinò e si raddrizzò nuovamente con violenza, facendola crollare a gambe
all’aria. Il cavallo si impennò e prese a nitrire furiosamente, mentre io
tiravo disperatamente le redini, per fermarlo, evitando che prendesse a correre
senza controllo.
“Che cosa…?” Lina si sollevò a sedere, reggendosi il
cappuccio, e fissando esterrefatta il cielo. “Che cos’era quel coso???”
La bestia nell’aria virò e percorse nuovamente in picchiata
il cielo sopra di noi. Ci sorvolò a quota talmente bassa che rischiò di
scoperchiare il carro con gli artigli.
La mano di Lina strinse convulsamente il mio braccio. “Un
drago nero!” Sibilò, rispondendo alla sua stessa domanda.
La bestia prese a disegnare rapidi cerchi nell’aria, dando
l’impressione di voler atterrare. Lina si alzò nuovamente in piedi, e mi parve
quasi di avvertire l’attività convulsa della sua mente mentre cercava di
decidere come difendersi. Avrei dovuto aiutarla, forse. Ma in quel momento non
potevo pensare proprio a nulla.
“Lina! Dammi una mano!” Il cavallo sembrava impazzito per il
terrore. Continuava a scalpitare e ad emettere folli nitriti, rischiando di
sfuggire al mio controllo. Mi calai giù dal carro, e afferrai la briglia,
cercando disperatamente di calmarlo.
Mia moglie parve rendersi conto solo in quel momento della
mia lotta. In un balzo fu al mio fianco e posò una mano sul muso della bestia,
recitando una sommessa cantilena. L’animale la fissò per un momento con occhi
terrorizzati. Nitrì, sbuffò attraverso le narici dilatate, si dimenò come se
avesse avuto intenzione di investirla. Quindi si bloccò, con innaturale
rapidità. Rimase immobile, lo sguardo fisso, perso in qualche strana, diversa
dimensione.
“Cosa…?”
“E’ una variante dello Sleeping.” Tagliò corto mia moglie,
ed io non ebbi il tempo di domandare altro. Il drago aveva spiegato le sue
grandi ali, e si era abbassato nel cielo, pronto ad atterrare di fronte a noi.
Istintivamente, mi posi di fronte a Lina, e sguainai la spada. Lina stessa
aveva fatto fabbricare per me quell’arma magica alla Gilda di Zephilia, in
occasione delle nostre nozze, ed ormai anch’essa aveva - nel suo piccolo- una
sua storia gloriosa. Si era dimostrata efficace con creature dalla pelle
piuttosto resistente, compresa una lumaca gigante dalla corazza squamata (un
incontro che meriterebbe una descrizione a sé, posso assicurarlo). Tuttavia,
parve cogliermi solo in quel momento l’inquietante consapevolezza che non la
avevo mai testata contro un drago nero…
La bestia posò le zampe al suolo, sollevando una montagna di
polvere, ed emise uno spaventoso ruggito. Io indietreggiai di un passo e col
braccio libero dalla spada mi schermai dalle particelle di terra impazzite,
mentre i miei occhi prendevano a bruciare in modo terrificante.
In quelle condizioni, non potei accorgermi immediatamente di
ciò che si nascondeva fra le squame del drago. Quando la polvere prese a
depositarsi, tuttavia, mi resi conto che, avvolto da un’armatura di scaglie
nere, arrampicato sulla sella color mogano che pesava sul possente dorso della
creatura, si ergeva un uomo. Il suo elmo scuro riluceva nel freddo sole
invernale, con la stessa sfumatura metallica della schiena del drago. Sembrava
un tutt’uno con la bestia che cavalcava. “Sir Gabriev.” Chinò la testa in segno
di saluto, e rimosse l’elmo. Doveva avere non più di quarant’anni. Folti e crespi
ricci di un biondo pallido, senza alcuna striatura di castano, si
accompagnavano ad una pelle così chiara da apparire trasparente. Una ampia
cicatrice gli solcava la guancia destra. Ma nonostante questo, nonostante i
lineamenti duri, i primi segni dell’età sulla fronte, la mascella vagamente
squadrata, quel pallore, tanto in contrasto con l’oscurità che pareva
inghiottire la sua figura, gli conferiva una strana, peculiare eleganza.
“Sir Gabriev, vi stavo cercando. Speravo che steste seguendo
questa rotta.”
‘Sir Gabriev’?
“Ho un messaggio urgente per voi. Mi dispiace se la mia
apparizione improvvisa vi ha spaventato.”
Feci per aprire bocca e chiedere spiegazioni, ma non ne ebbi
il tempo. Qualcosa di incandescente ed incredibilmente rapido sfrecciò vicino
al mio orecchio, in direzione del cavaliere misterioso, facendomi sobbalzare.
Il drago ruggì, scostandosi, ma la freccia di fuoco non lo avrebbe comunque
colpito. Atterrò a diversi metri dalla creatura, sulla terra arida.
Era quello che Lina chiamava ‘colpo di avvertimento’.
Mi volsi. Sul volto di mia moglie era dipinta un’espressione
di puro furore.
“Che diavolo vi salta in mente???” Lina scattò, i pugni
serrati ed il volto livido. “Vi pare il caso di piombare addosso alla gente con
un drago??? UN DRAGO!!! Potevamo finire disarcionati!!!”
Il cavaliere si accigliò. Con un movimento agile, scese
dalla schiena della sua cavalcatura, e la blandì con un cenno della mano. La
creatura sbuffò, ma l’ostilità che avevo avvertito irradiare da essa fino ad un
istante prima si placò. Si attorcigliò su se stessa, e si stese al suolo,
continuando a fissarci con i suoi penetranti occhi gialli.
L’uomo tornò a rivolgerci la sua attenzione. Il suo sguardo
si soffermò deliberatamente su mia moglie, e vi lessi una complessa commistione
di sentimenti. Timore, diffidenza, uniti ad una vaga punta di disprezzo.
“Credevo che una persona in grado di fare tale sfoggio di
arte magica non potesse temere un drago.” Il suo tono di voce era freddo, ma
tutt’altro che neutro. Il sarcasmo traspariva chiaramente dalle sue parole.
Lina doveva essersene accorta, perché le sue labbra ora
erano una linea sottile. Scelsi di intervenire, prima che l’ostilità repressa
degenerasse in qualcosa di peggio. “Chi siete?” Chiesi, mantenendo piatto il
mio tono di voce. “E come ci avete trovato? Nessuno sapeva dove ci stavamo
dirigendo, tranne i sacerdoti di Sailarg…”
Lina mi riservò una gomitata nel costato. Sapevo che cosa
stava pensando. Se si trattava di un inviato della corte ufficiale, avevo rivelato
qualche informazione di troppo. D’altra parte, per qualche motivo avevo
l’impressione che quell’uomo conoscesse già su di noi tutto quello che c’era da
sapere…
“Mi chiamo Bastian, Bastian della casata dei Vindicei, e
servo il signore di Talit. Sono stato incaricato di scortarvi fino alla Perla.
Vi verrà spiegata ogni cosa al vostro arrivo.”
“Scortarci?” Fu Lina a parlare. Notai che il suo sguardo
vagava verso il drago, che la fissava con quieto interesse. Le sue pupille
erano linee sottili, e i suoi occhi scintillavano nel riflesso delle sue
scaglie. “Dal modo con cui ci siete venuti incontro, voi e questa creatura,
avrebbe più l’aria di un sequestro.”
Il cavaliere la ignorò deliberatamente. “Questa strada
attualmente non è sicura, per voi.” Si rivolse a me, con fare austero.
“L’usurpatore sa che siete in viaggio verso Talit.”
Lina inarcò un sopracciglio, decisa a non mollare le redini
della conversazione. “L’usurpatore? Mi risulta che proprio a Talit viva chi sta
cercando di usurpare il trono.”
Il cavaliere le rivolse un’occhiata gelida. “Non discuterò
con una maga della legittimità del potere del mio signore.” Il termine
‘maga’ doveva chiaramente suonare come un insulto.
Lina si accigliò ulteriormente. “Non mi interessa cosa farai
o non farai, grand’uomo. E se anche il tuo ‘usurpatore’ in qualche
imperscrutabile modo è venuto a sapere che stiamo viaggiando verso Talit, cosa
di cui a quanto pare l’intero modo è ora a conoscenza, non vedo perché la cosa
dovrebbe turbarmi. Io non c’entro nulla nei vostri stupidi giochi di potere.”
Il disprezzo del nostro interlocutore parve acuirsi. Quando
parlò, dalle sue labbra si riversò la collera fredda di chi non ottiene
l’obbedienza che gli spetterebbe di diritto. “Bene, allora potrai spiegarlo
alle sue guardie, appena ti raggiungeranno, maga. Ma dubito che saranno così
propense a ragionare con voi, considerando che c’è una taglia di mille monete
d’oro sulle vostre teste.”
A quelle parole, sia Lina che io spalancammo gli occhi. Una
taglia? UNA TAGLIA?
“Non escludo che siano già sulle vostre tracce. Dei
guerrieri a cavallo si muovono molto più velocemente di un carro. Ve l’ho
detto, non siete al sicuro qui. Giunti alla Perla saremo in grado di
proteggervi.”
“Un momento!” La voce di mia moglie era alterata. Era segnata
da quella punta di isteria che assumeva quando Lina avvertiva di stare perdendo
il controllo. “Noi non abbiamo fatto nulla! Non siamo di questo regno, nonvogliamo intrometterci nei suoi affari! Non
hanno alcun diritto di…”
“Non è questione di diritti!” Il cavaliere aveva alzato la
voce, ora. Il drago, alle sue spalle, sbuffò e batté la coda al suolo,
infastidito. “Tu non capisci, maga, che è quell’uomo, attualmente, a decidere
ciò che giusto e ciò che è sbagliato in questo regno! Ed è deciso a rimuovere
dalla sua strada ogni ostacolo verso il potere! Non starà a sentire le vostre
ragioni!”
“Ma noi non vogliamo ostacolarlo proprio in nulla!” Lina era
esasperata. Ma per quanto ragionevoli, sentivo che i suoi argomenti non
contavano. Il tono del cavaliere di fronte a noi era brutale, ma l’uomo non
aveva l’aria di chi stesse mentendo.
“In ogni caso, siamo in grado di difenderci…” Azzardai. Il
cavaliere parve ricordarsi solo in quel momento che anche io ero presente. Si
ricompose, con eccezionale velocità, e quando replicò il suo tono di voce era
tornato alla normalità. “Mi permetto di dissentire, Sir Gabriev. Quell’uomo
sta… sta facendo ricorso alla magia…” Instillò tanto disprezzo in quella
parola che per un momento mi stupii che Lina non lo avesse aggredito per quella
semplice frase. “Una nostra squadra in ricognizione è stata spazzata via
proprio su queste steppe, mio signore, da uno solo dei suoi maghi. Non lo si
può sottovalutare.”
Lina ed io ci scambiammo un’altra occhiata. Un’intera
squadra, da un solo mago. Samon doveva avere al suo servizio degli esperti di
magia nera.
Mi accostai a mia moglie, inquieto. “Lina.” Sussurrai.
“Forse faremmo bene a seguirlo. Quanto meno fino a quando non avremo capito che
cosa sta succedendo…”
“No!” Sibilò mia moglie. “Non capisci? Non sappiamo se ci
stia dicendo la verità! E a maggior ragione, se fosse vero, seguirlo ora
sarebbe come affermare la nostra alleanza con Eriol! Io non voglio…”
Ma Lina non poté terminare. In quell’istante, il ruggito del
drago si levò alto nell’aria. Ci volgemmo entrambi. La bestia si era sollevata
sulle massicce zampe, e stava fiutando il vento. Dalle sue narici uscivano
sbuffi di fumo.
Il cavaliere di fronte a noi si accigliò. Schioccò la
lingua, richiamando l’attenzione del drago, e ne scrutò le pupille ridotte ad
impercettibili fessure. La bestia batté ancora una volta la coda al suolo,
inquieta. C’era qualcosa che non andava.
“Sono già qui.” Sibilò il cavaliere. Quindi, si volse verso
di noi, con un tono autoritario che non ammetteva repliche. “Ho l’ordine di
farvi arrivare sani e salvi a Talit. Lasciate perdere il carro. Montate su quel
cavallo, e proseguite verso Sud, più velocemente che potete. A mezza giornata
da qui troverete un nostro avamposto. Io nel frattempo cercherò di depistarli.”
Lina ed io ci fissammo. Cosa dovevamo fare? Seguire alla
cieca le richieste di un uomo che non conoscevamo, o restare, per finire
coinvolti in una battaglia con cui non desideravamo avere a che fare?
Gli occhi di mia moglie si strinsero, e la sua fronte si
aggrottò. Quindi, con fare stizzito, prese a slegare il cavallo dai finimenti
che lo tenevano fissato al carro. Feci per domandarle le sue intenzioni, ma la
maga si limitò a rivolgermi un’occhiata che diceva chiaramente ‘a dopo le
spiegazioni’. Le mie labbra si richiusero, così come si erano aperte.
Il cavaliere non attese di vederci obbedire. Si era già
issato sulla schiena del drago, che con le ali spiegate si preparava a spiccare
il volo. “Ricordate. Eriol garantisce tutta la propria protezione a chi lo
sostiene.” Ci ammonì. Quindi ci volse le spalle, e con un balzò si levò nel
freddo cielo invernale.
Lina finse semplicemente di non aver sentito. La osservai
legare le nostre borse al dorso del cavallo, con un’ultima occhiata irritata al
carro abbandonato.
“Lina…” Azzardai. La maga mi zittì semplicemente con un
gesto.
“Per ora, andiamocene di qui.” Affermò. Io sospirai, ma non
mi opposi. In effetti, era la cosa più saggia da fare.
Montai a cavallo dietro di lei, e afferrai le redini. Lina
sussurrò qualcosa, forse un contro-incantesimo. La bestia parve ridestarsi. Un
momento dopo, schizzavamo sul terreno secco e duro della steppa, muovendoci in
direzione del sole.
“Che cosa credi significhi questa storia?” Gridai, quando
fui ragionevolmente certo che mia moglie si fosse calmata a sufficienza per
parlare.
Lina si appoggiò a me, sul cavallo. Anche attraverso le
spesse vesti che ci separavano, mi parve di avvertire quanto il suo corpo fosse
teso per l’irritazione. “Credo che qualcuno stia cercando di incastrarci per
coinvolgerci in questa battaglia.” Sibilò. La sua voce era lontana. Sapevo che
mentre mi parlava il suo cervello stava vagliando ogni ipotesi.
“Pensi che quell’uomo stesse mentendo per darci un motivo
per sostenere Eriol?”
“Può essere.” Replicò, con freddezza. “Ma questo comunque
non spiega come sapesse chi siamo, e come fosse a conoscenza del fatto che ci
trovavamo qui.” Mi posò la mano sul braccio, ed io feci rallentare il cavallo,
in risposta. Non spiegava nemmeno perché quell’uomo si rivolgesse a me con un
titolo che non sentivo pronunciare da anni, pensai. Ma Lina nella rabbia pareva
non essersi accorta della cosa, ed io decisi di lasciar perdere la questione,
almeno per il momento. “Peraltro, non capisco perché dovrebbe desiderare
un nostro coinvolgimento…” Proseguì mia moglie, ignara dei miei personali
dubbi. “In più…” Tacque per un istante, come incerta su come porre la
questione. “… un drago nero. Comandava un drago nero. Cosa può significare?”
“Eh?” Battei le palpebre. Sinceramente, non mi ero posto
quel problema. Non era la cavalcatura più ortodossa del mondo, certo… ma da
quando viaggiavo con Lina, avevo imparato a non stupirmi più di nulla.
Ricordavo di quel monaco, Rezo o come si chiamava… anche lui era a capo delle
creature più disparate, e la cosa non era mai parsa come una grande fonte di
turbamento, per Lina…
Mia moglie scosse la testa, alla mia perplessità. “Non
capisci, Gourry? Un drago nero non è un drago blu!”
Levai le sopracciglia, confuso. Bé, ok. QUESTO anche io
potevo dirlo.
Lina emise un grugnito esasperato, rendendosi conto che non
la stavo seguendo. “Gourryyyy…” Si volse sul dorso del cavallo, squadrandomi
storto. “Intendo dire che i draghi blu non sono creature indipendenti. Se li
addestri a dovere, puoi ottenere la loro fedeltà e la loro obbedienza, proprio
come potresti fare con un cane.” In realtà, dubitavo che mi sarebbe piaciuto
tenere un drago in giardino, ma mi guardai bene dal farlo notare a Lina in quel
momento… “I draghi neri sono tutto un altro discorso, però! Sono creature
intelligenti, e schive, ed è raro persino che vengano avvistati dagli
uomini, figurati trattati come delle cavalcature!”
Io inclinai la testa, perplesso. “Però di fronte a
quell’uomo non ti sei mostrata particolarmente stupita…”
“E dargli quella soddisfazione???” Lina strinse i denti per
l’irritazione. “Quel grosso idiota non aspettava altro! ‘Ehi, sono un
cavaliere, e guardate com’è grosso il mio drago’! Compensazione, ecco come si
chiama!”
Tossii violentemente, per soffocare una risata.
“E comunque, per quanto ne so io, gli ultimi esemplari di
drago nero vivono tutti insieme ai draghi dorati sui monti Kataart.” Lina
proseguì, accigliandosi. “Mi chiedo se quello non sia un fuori casta, o
qualcosa del genere. Si sa così poco sulla società dei draghi neri… c’è una
infinita controversia fra gli studiosi riguardo al fatto che siano o meno in
grado di assumere forma umana, tanto per cominciare… Sicuramente non si hanno
testimonianze di trasformazioni da almeno due millenni, così come non ci sono
resoconti attendibili di persone che li abbiano sentiti parlare in linguaggio
umano…” Lina levò un dito nell’aria, con l’espressione acuta che assumeva
quando era in procinto di impartire una lunga lezione di magia. “La mia
professoressa di storia, a Zephilia, diceva sempre che gli antichi scritti a
riguardo riflettono solo la stupida presunzione umana che creature nobili e
antiche come i draghi neri possano desiderare assumere la nostra stessa forma…
D’altra parte rimane il fatto che i loro remoti cugini, i draghi dorati, sono
notoriamente dei muta-forma, e a mio modesto parere…”
“Ehm, Lina…” La interruppi. “… dubito che rispolverare
millenni di storia della società dei draghi al momento risolva la nostra
situazione…”
Sapevo che sarebbe volentieri andata avanti per un’ora
buona, e normalmente sarei stato più che felice di lasciarla parlare (senza che
ciò implicasse la mia attenzione…), ma in quel momento avevamo esigenze più
pressanti. Stando a quanto ci aveva detto quel cavaliere, fra noi e Talit si
interponeva un gruppo di uomini di Eriol, che ci stava aspettando. Quello era
il momento di decidere se proseguire o tornare sui nostri passi.
Lina, alla mia intromissione, assunse un’aria vagamente
delusa, ma non si irritò. Conclusi che, dopotutto, doveva essere giunta alla
mia stessa conclusione. La mia testa sarebbe rimasta attaccata al collo ancora
per un po’. “Suppongo che se decidiamo di proseguire verso Talit tanto valga
mantenere la rotta e non cercare di aggirare gli uomini di Eriol. Dovremmo
comunque affrontarlo, prima o poi, e in questo modo l’accesso alla città per
noi sarebbe decisamente più semplice…”
“Magari se ci mostriamo pronti a collaborare Eriol prenderà
in considerazione anche la lettera che stiamo portando…” Considerai, pensoso.
Lina si accigliò. “Non sono certa che sarei disposta a
vendermi per Sailarg. Anche se non voglio pensare che Sylphiel c’entri in
questa storia.”
Io levai le sopracciglia, colto di sorpresa da quella
affermazione. “Sylphiel? Come potrebbe c’entrare Sylphiel?”
“Pensaci.” Replicò Lina, in tono pratico. “Non sono certa
del motivo per cui Eriol dovrebbe avere bisogno di noi… ma supponiamo che sia
solo perché necessita a sua volta di un esperto di magia nera, un’informazione
che tutti potrebbero facilmente dedurre… o che comunque il fatto che ci stava
cercando sia in qualche modo trapelato, e sia noto nelle varie città del regno.
Cosa potrebbe essere più utile a Sailarg, per ottenere l’aiuto finanziario che
le serve, che stringere accordi con lui, e farci arrivare direttamente nella
sua roccaforte?”
Non seppi cosa rispondere. Avrei dovuto pensarci anch’io.
Non ero uno sprovveduto, per quanto Lina dicesse che mi fidavo troppo delle
persone. D’altra parte… come potevo anche solo concepire che Sylphiel ci stesse
usando a quel modo?
Lina colse la mia espressione e mi sorrise, senza più
traccia di irritazione. “Te l’ho detto, anch’io la penso come te.” Annuì. “Non
posso pensare che Sylphiel c’entri qualcosa.” Avvertii le sue dita sulla mia
mano, e per quanto gelide in quel momento mi parvero estremamente calde.
“Pensi che i sacerdoti di Sailarg abbiano agito alle sue
spalle?”
Lina tornò alla serietà. “E’ un’ipotesi.” Si volse,
scrutando la strada che si dipanava lentamente davanti a noi. “D’altra parte,
questo potrebbe spiegare la taglia sulle nostre teste. Se anche Samon sa che
Eriol ci sta cercando, non importa per lui conoscerne il motivo. Noi due siamo
comunque una minaccia.” Si appoggiò lievemente a me, pensosa. “Anche se non
sono certa che voglia ucciderci. Può essere che voglia semplicemente averci
dalla sua parte, a sua volta.”
Rigirai le briglie fra le dita. Continuavo a non capire che
valore potessimo avere noi due in una guerra come quella. “E quindi, cosa
facciamo?” Domandai. La curiosità di scoprire di più si mescolava in me al
desiderio irrazionale di andarmene, il più in fretta possibile.
Lina sembrava mossa da sentimenti simili. “Da un lato credo
che la cosa migliore da fare sarebbe cercare di uscire dai confini di Elmekia
senza essere coinvolti, e mettere quanti più chilometri possibile fra noi e
tutta questa faccenda.” Dichiarò, pensosa. “D’altra parte, so perfettamente che
se lo facessi continuerei per mesi ad avvertire il peso di qualcosa di lasciato
incompiuto. Continuerei a chiedermi se non ci sia ancora qualcuno sulle
mie tracce. Senza parlare della curiosità, che credo mi ucciderebbe.” Fece un
breve sospiro, come rassegnata ai suoi stessi impulsi. Io sorrisi fra me.
“A parte questo, non è detto che sarebbe facile andarsene,
non è così?” Aggiunsi. “Con draghi ed esperti di magia nera al seguito,
potrebbero braccarci fino all’ultimo metro prima del confine.”
“Se non oltre.” Lina sbuffò. “Non so se hai presente quando
siamo stati inseguiti dai cacciatori di taglie di mezzo mondo, per colpa di quel
pazzo di Rezo.”
Sì, lo avevo presente. Non credo che avrei mai scordato
quell’orribile vestito rosa e Bolan, non nei miei peggiori incubi.
“Suppongo che la cosa più saggia da fare sia raggiungere
Eriol, e fargli capire chiaramente che non abbiamo intenzione di collaborare
con lui.” Lina strinse il pugno, con un fare minaccioso che avrebbe spaventato
anche il cacciatore di taglie più assetato di denaro.
“E se Eriol non accettasse un rifiuto?” Domandai, col
sentore di conoscere la risposta.
“Bé, combatteremo.” Lina lo disse in tono leggero. Io
sospirai.
Una vita tranquilla sarebbe stata una bella prospettiva per
la vecchiaia, in fondo.
Se fossi arrivatoalla vecchiaia.
Talit, con
gli edifici bianchi e argento a cui doveva il suo soprannome, era una versione
meno antica ed austera della città di Sailune. Ampia e vitale, aveva quell’aria
di infinità possibilità che è propria di ogni città in via di sviluppo. Il
pallore delle case e dei palazzi era scalfito solo laddove la salsedine ne
aveva intaccato i muri. Ma il burrascoso mare invernale non scandiva il tempo
unicamente con la sua azione distruttrice. Il suono incessante della risacca
accompagnava il susseguirsi dei minuti, inesorabile, a mano a mano che le onde
si infrangevano contro le alte scogliere su cui la città si ergeva. Quel
pomeriggio, il candore delle mura si tingeva nel riverbero rosa pallido del
sole calante, creando un alone diffuso che si levava a meridione, visibile in
lontananza. Alle spalle del palazzo dei duchi, rese scure e minacciose dalla
sera incombente, le imponenti catene montuose che da Elmekia si dipanavano
verso il sud del continente prendevano forma in morbidi rilievi, erosi nei
secoli dalla furia del mare. Mare e montagne, un connubio di difese naturali
che spiegava la fama di inespugnabilità di cui quel luogo godeva nel regno.
Rimasi a
fissare quel panorama maestoso, incantata. Era strano come dopo mille viaggi ci
fossero ancora paesaggi in grado di accendere la mia immaginazione a quel modo.
Probabilmente incidevano sulla mia percezione quelle due lunghe settimane di
viaggio nel nulla. Negli ultimi giorni, ero arrivata a pensare che non avrei
incontrato altro che terra arida per il resto dei miei giorni…
Gourry, al
mio fianco, sonnecchiava appoggiato alla parete del carro. Avevamo deciso di
darci il cambio, nel rimanere vigili, tanto per assicurarci che gli uomini di
Eriol non tentassero qualche scherzo. In realtà, ormai cominciavo a sperare
che facessero qualcosa. L’ultima settimana era stata di una noia mortale. Dopo
un paio di giorni la pelle irritata delle mie gambe e la mia schiena
indolenzita mi avevano impedito di continuare viaggiare a quel modo, per dieci
ore al giorno, sul dorso del cavallo. Da quel momento, seduti sul carro insieme
a selle ed armi, non avevamo fatto altro che dormire, mangiare e montare la
guardia. Non potevamo nemmeno discutere liberamente fra noi, circondati come
eravamo da profili minacciosi di soldati. Nessuno ci rivolgeva la parola, tutti
parevano troppo impegnati a scrutare il nulla di fronte a loro in cerca della
improbabile avanzata di una qualche armata nemica. Il risultato era che l’ansia
era montata anche in me, cosa che trovavo estremamente irritante. Era
difficile, in quello stato di tensione, continuare a convincere me stessa che
gli affari di Elmekia non mi riguardavano.
Ad un
sobbalzo del carro, Gourry aprì gli occhi di colpo. Avevamo intrapreso la
salita che conduceva, in un tortuoso percorso sterrato, alle mura bianche della
città. Le ruote del carro sollevavano sassi e polvere al loro passaggio, e lo
stretto abitacolo oscillava pericolosamente ad ogni metro di avanzata.
“Buongiorno,
raggio di sole.” Ridacchiai, al suo sguardo spaesato. “Non ci crederai, ma
siamo quasi arrivati.”
Gourry mi
sorrise, con fare sonnolento. “Non ero io a salutarti con quella frase, di
solito?” Mugugnò, attirandomi a sé, e riservandomi un bacio in fronte. “Questo
carro oscilla tremendamente.” Si lamentò. “Ti giuro che mi sono svegliato
pensando di essere in mare.”
“Gradirei non
rivedere il tuo pranzo di oggi sul mio mantello pulito.” Gli rivolsi un ghigno.
Mentre mi abbracciava, notai il suo sguardo vagare verso il mare grigio che si
intravedeva fra le cortine di tessuto grezzo, alle mie spalle. La Perla
compariva e scompariva, seguendo il ritmo dei ripidi tornanti percorsi dal
carro, lasciando a spazio a lontane visioni delle sconfinate lande che ci
eravamo lasciati alle spalle.
“Non ero mai
stato a Talit.” Commentò, dopo qualche istante, assorto. “Ma mio padre è venuto
qui in visita. Fu quando il passato signore della città, il padre della regina
di Elmekia, morì, e il fratello della regina venne nominato Duca dei
Possedimenti del Sud. Ero ancora bambino, ma me lo ricordo bene. Mio padre
faceva parte della scorta del sovrano di Elmekia, che si era recato qui con la
moglie per il lutto, e, quando tornò, a casa mia se ne parlò per giorni interi.
I cavalieri del suo seguito erano rimasti entusiasti di questa città, ed io me
la immaginavo come una specie di paradiso in terra. Mi ripromisi di visitarla,
un giorno, ma poi negli anni me ne sono dimenticato…”
“Non è una
novità…” Sussurrai, malignamente. All’occhiataccia di Gourry scoppiai a ridere.
“Se ti può consolare, anch’io avevo dimenticato per un momento che questo è
anche il tuo regno.” Gourry si limitò a rivolgermi un mezzo sorriso, e non fece
commenti. Io non insistei. Il discorso sulla sua famiglia lo avevamo chiuso,
ormai da molti anni.
“Laggiù!
Fatevi identificare!”
Una voce si
levò, lontana, oltre la parete di assi alle spalle di Gourry. Mi scostai
dall’abbraccio di mio marito e mi sporsi dalla cortina sul lato opposto per
vedere cosa stesse succedendo, ma dal retro del carro potevo solo scorgere
soldati e polvere. Il cavaliere biondo che ci aveva sorpresi, piombandoci
addosso con un drago, ora era fermo, in sella ad un cavallo bianco.
Nell’istante in cui il mio sguardo lo intercettò, levò un braccio a mo’ di
silenzioso segnale, ed anche il nostro carro si arrestò.
Bastian dei
Vindicei ci aveva raggiunti sul suo drago qualche ora dopo che avevamo incontrato
l’avamposto di Eriol, una settimana prima. Doveva essere lui a capo delle
truppe, perché solo allora, e solo al suo ordine, gli uomini del sovrano
ribelle si erano decisi a rimettersi in viaggio verso Talit. Con mio scorno, il
drago nero non ci aveva accompagnati. Era volato via prima della nostra
partenza, impedendomi di vivacizzare la mia settimana cercando di scoprire
qualcosa di più a suo riguardo. Da allora il cavaliere dai capelli biondi aveva
sempre cavalcato a pochi metri dal carro, non risparmiandomi occhiate torve
ogni volta che incrociavo il suo sguardo. Avrei giurato che mi stesse tenendo
d’occhio.
“Sono
Bastian, Rodrick. Abbiamo condotto con noi Sir Gabriev e la maga.”
“Bastian.”
Giunse una voce in risposta. “Eccoti, per gli dei, quel dannato drago si è
presentato qui da solo giorni fa!!! Io e te dovremo scambiare due paroline su
come devi gestire quella bestia!!!”
“Non è il
momento, Rodrick.” Intimò semplicemente il cavaliere, scuro in volto. Il suo
interlocutore si zittì, e si avvertì un pesante cigolio di cardini, mentre i
portali della città venivano aperti per noi.
Quasi
simultaneamente, il carro si rimise in movimento. Io ritirai la testa, e tornai
a sedermi, sbuffando.
“Ci siamo,
eh?” Commentò Gourry, con la consueta, pacata noncuranza.
“Spero che il
biondo là fuori non decida di mostrarsi troppo tronfio di fronte a Eriol per il
fatto di averci condotti da lui.” Mi limitai ad osservare, acidamente. “Non mi
sorride molto l’idea di essere la fonte di un suo successo.”
Gourry sorrise
vagamente, ma non replicò nulla. Il carro proseguì ancora per diversi minuti,
in una lieve salita, quindi altri portali vennero spalancati per noi, e la
processione ancora una volta si arrestò. Una mano guantata separò le cortine
all’ingresso del carro, facendo penetrare nell’abitacolo la luce ormai spenta
del tramonto.
“Scendete.”
Intimò la voce di Bastian, dura. “Fra poco incontrerete il legittimo sovrano di
Elmekia.”
Avrei avuto
qualcosa da dire riguardo a quel ‘legittimo’, ma per una volta mi morsi la
lingua ed evitai di creare discussioni. Se gli dei lo volevano, quella sera
avrei consegnato la missiva ad Eriol, e poi non avrei più dovuto vedere
l’irritante faccia di Bastian per il resto dei miei giorni.
Gourry mi
precedette fuori dal carro, e mi porse la mano per aiutarmi a scendere gli
stretti gradini in legno, resi più impervi dall’oscurità incombente. Fino ad un
momento prima ero stata intorpidita dalla lunga immobilità, ma il vento gelido
del tardo pomeriggio bastò a svegliarmi. A quella quota, vicino al mare, era,
se possibile, ancora più freddo che sugli altopiani al centro del regno. Anche
lì, al riparo delle mura, giungeva l’odore della salsedine, accompagnato dal
rumore ossessionante delle onde. Il vento correva fra le file di pini sulle
pendici delle montagne, producendo un cupo scroscio, simile al rumore della
pioggia. L’aria era frizzante, e carica di umidità. Quella notte minacciava
tempesta.
“In effetti
al buio il panorama non appare così ridente…” Sussurrai. Il mio fiato si
condensò in sottili nubi di fronte al mio viso, ed io rabbrividii, stringendomi
nel mantello. Ora non mi sembrava più così spesso come era apparso mentre
viaggiavo riparata da un tetto di assi. Avrei dovuto toglierlo finché ero a
bordo del carro, ma il mio amore per il caldo aveva avuto il sopravvento.
Gourry mi
circondò le spalle con un braccio, forse per scaldarmi, forse anch’egli in
cerca di calore. Lo vidi osservare curiosamente il cortile in cui ci trovavamo,
lastricato di bianco, che si apriva ai lati su ampi giardini, ora avvolti nelle
tenebre. Un largo viale centrale correva dai portali sino alle bianche mura del
palazzo, dalle cui finestre filtrava la luce di fiamme che promettevano cibo e
calore. Potevo immaginare i servitori muoversi nei corridoi alla luce delle
torce, allestire tavole, approntare le cucine. Improvvisamente, mi resi conto
di essere terribilmente affamata.
Bastian
affidò il suo cavallo ad un giovane scudiero, apparso dall’oscurità sulla
nostra sinistra. Gli uomini che ci avevano accompagnati presero a disperdersi,
trasportando spade e scudi, presumibilmente in direzione dell’armeria, e di un
rinfrancante boccale di birra. Il cavaliere biondo invece, si allineò di fronte
a noi, e con un gesto sbrigativo ci fece cenno di seguirlo.
Ci incamminammo
per il viale, e quindi sulle gradinate che conducevano all’ingresso. Non
entrammo dal portale principale, ma attraverso una porta sulla sinistra, che si
apriva su una sorta di guardiola, ora vuota. Forse si trattava di un luogo in
cui normalmente agli estranei era imposto di abbandonare le proprie armi, ma
fui lieta che quella sera tale consuetudine non ci fosse richiesta. Io avevo
sempre la magia, ma mi sentivo più al sicuro sapendo che Gourry portava la sua
spada, nel fodero.
“Il mio
signore vorrà godere della vostra compagnia durante la cena, suppongo.” Bastian
si fermò nell’ampio atrio, illuminato solo debolmente dalla luce delle torce, e
si liberò con noncuranza del mantello. Un servitore tanto esile da apparire
quasi ridicolo, a confronto con il massiccio cavaliere, si fece avanti, e fu
pronto ad afferrare la pesante veste prima ancora che Bastian potesse
domandarglielo. “Conducili da lui, senza indugiare.” L’uomo si rivolse al
gracile sottoposto, con solo un breve cenno. Il servitore si inchinò, e si
affrettò ad aiutarci a rimuovere anche i nostri mantelli. Brian ci studiò per
qualche lungo istante. “Sono certo che il mio signore vi attende con ansia.”
Affermò poi, asciutto. Il suo tono di voce era neutro, e non riuscii a leggervi
alcun accenno di soddisfazione. Se era compiaciuto del suo lavoro, non aveva
intenzione di mostrarlo apertamente.
Rimase per
qualche istante in silenzio, forse attendendo una nostra reazione, che non
giunse. Quindi, con mio grande stupore, ci rivolse un breve inchino. Prima
ancora che avessimo realizzato il suo gesto, tuttavia, si era già levato. Lo
osservammo affrettarsi, e scomparire in uno dei corridoi laterali.
Gourry ed io
ci scambiammo un’occhiata, ma non ci fu tempo di fare commenti. Il servitore si
era già avviato, in uno spedito trotto, lungo uno dei corridoi sul lato
opposto, stringendo ancora fra le dita il mantello del nostro accompagnatore.
Ci affrettammo al suo seguito, passando arazzi e ritratti, e pareti di grigia
pietra, fino a giungere ad un più piccolo atrio, in cui alle torce si
accompagnava il vivace scoppiettare di un camino. Il servo si chinò, e ci
apostrofò con voce impostata ad un neutro rispetto. “Il sovrano ha scelto di
disertare la sala grande, per questa sera, miei signori. Vi riceverà nella sua
stanza da pranzo privata.” Fece un cenno verso un grande portale ad arco, e si
inchinò nuovamente. Quindi, senza attendere una nostra replica, trottò
nuovamente via, ripercorrendo i suoi passi verso l’ingresso.
Gourry ed io,
finalmente soli, potemmo scambiarci un’occhiata perplessa. Cos’erano tutte
quelle formalità? E quella ostentazione di fiducia? Ci lasciavano entrare nel
palazzo completamente armati, senza una scorta di guardie a tenerci d’occhio, e
potevamo cenare al cospetto del sovrano?
“Non sono
solo io a trovarlo strano, vero?” Sussurrò Gourry, squadrando la porta dietro
cui, presumibilmente, Eriol ci attendeva.
“Si può dire
che Eriol voglia metterci a nostro agio sin dall’inizio.” Replicai. Non mi
piaceva per niente. Sentivo puzza di coinvolgimento forzato, e non avevo
voglia, non avevo la minima voglia di essere manipolata come una stupida
pedina. “Suppongo che non abbiamo grande scelta.” Sospirai, comunque. Ormai
eravamo arrivati fin laggiù, e dubitavo che ci sarebbe stato permesso di
andarcene prima di essere ricevuti.
Levai il
pugno, e battei sul solido legno. Quasi simultaneamente, una voce compiaciuta
si levò dall’interno. “Avanti. Avanti, siete i benvenuti.”
Spinsi il
portale di fronte a me, e avanzai nella luce soffusa della stanza.
La sala era
piuttosto ampia, ma calda, e accogliente. Un tappeto rosso ricopriva il
pavimento in pietra per quasi tutta la sua superficie, frenando il gelo, e
torce la rischiaravano su ogni parete, accompagnandosi ad un ampio camino sul
muro a settentrione. Di fronte a noi, una parete di finestre si apriva sullo
scenario buio dell’esterno. In quella direzione doveva esserci il mare, ma
trovandoci al piano terra supponevo che di giorno si avesse semplicemente una
visuale dei giardini.
Poltrone e un
tavolo da scacchi riposavano di fronte al camino, e sulla parete opposta una
enorme carta geografica avrebbe normalmente attratto la mia attenzione, ma in
quel momento i miei occhi si concentrarono sull’elemento più vistoso della
sala, la tavola riccamente apparecchiata che troneggiava al suo centro. Sei
posti erano stati approntati. Dopotutto, Eriol non aveva intenzione di
riceverci da solo.
I nostri
ospiti occupavano già la stanza. Un uomo attraente ci attendeva in piedi
davanti alla porta, il volto sorridente incorniciato da capelli folti e scuri,
e illuminato da penetranti occhi verdi. Doveva avere circa trent’anni, e
supposi che si trattasse dell’erede al trono. Per qualche motivo, il suo bel
viso e il suo fisico asciutto mi colsero di sorpresa. Probabilmente ero stata
influenzata dalla mia scarsa simpatia per i suoi cavalieri, ma lo avevo
immaginato di aspetto decisamente meno gradevole.
Seduti
accanto al camino si trovavano un uomo e una donna, apparentemente di una
ventina d’anni più anziani. Rimasi colpita dalla loro somiglianza. Capelli
castani, e gli stessi occhi verdi del principe. I loro lineamenti erano
straordinariamente affini. Volti appuntiti e un naso vagamente arcuato, che
conferiva loro un profilo aristocratico. Anche seduta, la donna appariva particolarmente
alta, e aveva un’aria austera, nella sua veste di velluto verde ed argento. Mi
chiesi se fosse la madre di Eriol. Non sapevo quanto più anziano del fratello
fosse Samon, ma doveva avere partorito i suoi figli quando era ancora piuttosto
giovane…
L’uomo che doveva essere il suo gemello si alzò. Notai che
camminava a fatica, per una protesi di legno che gli sostituiva la metà
inferiore della gamba destra. Un tempo anche lui doveva essere stato attraente,
ma la sua aria arcigna e le rughe stranamente marcate non giocavano a favore
del suo aspetto. Ci squadrò a lungo, con una ostilità che non mi piacque, ma
quando parlò lo fece in modo inaspettatamente pacato. “Accomodatevi.” Una voce
profonda, raschiante. “Non ha senso discutere a stomaco vuoto.”
Si sedette a capotavola, senza attendere che il principe lo
precedesse. Il suo sguardo vagò verso una sedia in angolo, e seguendolo mi resi
conto che c’era un’altra persona nella sala. Era stata tanto silenziosa ed
immobile che la mia mente non aveva registrato la sua presenza.
“Livia!” Gracchiò l’uomo. “Stupida ragazzina! Cerca di
renderti utile una buona volta, c’è il vino da servire!”
La giovane sussultò. Doveva avere al massimo quindici anni,
e la sua pelle aveva lo straordinario candore di chi ha passato la maggior
parte della sua esistenza lontano dalla luce del sole. I suoi capelli corvini,
lasciati ricadere in morbide onde sulle spalle, ricordavano quelli del
principe, ma erano i suoi occhi verdi a rivelare il suo legame di parentela con
gli altri occupanti della sala. Mi chiesi se si trattasse della figlia di
Eriol. Sembrava così spaventata che, pur non conoscendo la sua situazione, non
potei evitare di provare un impeto di compassione, nei suoi confronti.
“Georg.” La madre di Eriol posò una mano sulle spalle della
ragazza, che aveva preso ad alzarsi, e la indusse a rimanere al suo posto. “Non
spaventare tua nipote. E’ già abbastanza difficile, per lei.”
L’uomo chiamato Georg eruppe in una risata senza gioia. “Non
parlarne come se fosse colpa mia, Erianna. Non sono stato io a portarla QUI.”
Il volto della donna si indurì. “Starebbe benissimo, QUI, se
tu la trattassi in modo consono al suo rango. In quanto a voi…” Mi scoccò
un’occhiata che bastò a farmi scendere un brivido lungo la schiena. “Come vi è
stato detto, potete accomodarvi.”
Gourry ed io ci scambiammo uno sguardo, prima di procedere
lentamente verso i due posti più vicini. Eriol si sedette vicino a me,
fissandomi con un’insistenza sufficiente ad imbarazzare me e a infastidire
Gourry, almeno a giudicare dall’espressione che mio marito vestiva in quel
momento.
La tensione si rilasciò momentaneamente per l’arrivo dei
servitori con il cibo. A quanto pareva, ci attendeva una cena a base di carne.
Il cinghiale era stato tagliato in grosse fette sugose, che emanavano un aroma
di miele e succo di limone. Spesse salsicce erano state disposte su un ampio
vassoio, attorniate da pomodori cotti e cosparsi d’olio. Fette di quello che
poteva essere cervo, ricoperte di spezie, e fette di prosciutto scottato alla
griglia erano circondate, su un diverso piatto, da verdure di ogni tipo. Pane
bianco abbrustolito venne disposto al centro della tavola, e insieme ad esso
pane nero, cosparso di un sottile strato di burro giallo pallido.
Quella che si dice una modesta cena in famiglia.
I nostri bicchieri vennero riempiti. Avvicinai il mio al
naso, e odorai. Un vino rosso dal sentore talmente intenso da farmi girare la
testa ancora prima di assaggiarlo. Mi chiesi se anche quello fosse stato
deliberatamente scelto per aiutarci a ‘metterci a nostro agio’…
“Onorate la tavola, vi prego.” Eriol mi rivolse un lungo
sorriso. “So che questo banchetto non è nemmeno degno di esservi presentato, ma
il vostro arrivo ci è stato annunciato solo poco fa… Domani rimedieremo, ma ora
non fate complimenti, fatelo per compiacermi.” Mi fissò, intensamente, e
improvvisamente mi resi conto che non era semplicemente un uomo attraente. Era
un uomo attraente, e consapevole di esserlo.
Le mie labbra si strinsero. Dopo il trattamento freddo da parte
dei soldati di Eriol, non mi ero aspettata un atteggiamento diverso da parte di
nessuno, a Elmekia. Era risaputo che la nobiltà del regno, pur trattando con
rispetto la magia sacerdotale, non vedeva di buon occhio quella nera e
offensiva. Anche l’ignoranza di Gourry a riguardo era per molti aspetti dovuta
a questo. La sua famiglia apparteneva alla piccola aristocrazia, la più
tradizionalista e chiusa, e non gli erano stati impartiti nemmeno i fondamenti
di un’arte in cui io, provenendo da Zephilia, ero stata immersa sin dalla prima
infanzia. In effetti, la tolleranza che lo spadaccino aveva sempre dimostrato
anche verso gli aspetti più oscuri del mio mondo non era affatto scontata, con
la famiglia che aveva alle spalle.
Sotto la tavola, strinsi per un momento le dita di mio
marito. Gourry mi guardò con fare interrogativo, ma in quel momento non c’era
modo di parlare fra noi. La tavolata aveva già preso a mangiare
silenziosamente. Georg ingollava lunghe sorsate di vino ad ogni boccone, e
Livia gli lanciava continue occhiate impaurite, sbocconcellando prosciutto
insieme ad una fetta di pane. Gli occhi della regina e del principe, invece,
erano tutti per me. La donna sorseggiava vino e mi fissava con sguardo gelido,
una fetta di cinghiale ancora intatta nel piatto. Il figlio si portava alle
labbra piccoli bocconi di salsiccia, continuando a lanciarmi sorrisi
incoraggianti.
Con un sospiro, mi servii di una porzione di carne. Se
l’erede al trono mangiava con tutto quell’entusiasmo, supponevo che non fosse
avvelenata. Gourry mi imitò, e per qualche istante solo il rumore delle posate
spezzò il silenzio della sala.
“Immagino che i miei soldati vi abbiano illustrato la
situazione.” Fu la regina ad intraprendere la conversazione, in tono
controllato. “La situazione per voi, intendo. Le storie su di voi mi fanno
supporre che non siate tanto sprovveduti da esservi inoltrati nel regno senza
sapere nulla della guerra incombente.”
Mi accigliai. A quanto pareva, la regina non aveva
intenzione di giocare a carte scoperte. Immaginavo di dover fare lo stesso. “In
effetti, ad un certo punto qualcuno deve avere accennato ad una taglia…” Cercai
di mascherare il mio sarcasmo, con scarsi risultati. Gourry, al mio fianco,
parve improvvisamente sul punto di strozzarsi con un boccone di salsiccia, e
dovette bere un lungo sorso di vino.
Anche la regina si concesse un sorriso, non compresi se di
circostanza o di reale apprezzamento. Quando parlò, tuttavia, nella sua voce
non c’era traccia di allegria. “Temo che la colpa della taglia sia nostra.”
Dichiarò, in tono conciliante. “Il mio figlio maggiore ha assoldato un esperto
di magia nera, fra le sue truppe. Lui non gode come i miei cavalieri
dell’appoggio di tre draghi neri, ma quelle creature non usano la magia, e i
maghi veramente bravi ad Elmekia sono perle rare. Per questo, abbiamo offerto
una grossa ricompensa a qualunque esperto di magia voglia essere assoldato come
mago di corte, per la difesa del castello.” La regina parlava col raziocinio di
un comandante consumato. I ‘suoi’ cavalieri, a quanto pareva, avevano una ferma
guida.
“Samon deve avere saputo che ci stavamo dirigendo qui, e
avere pensato che eravamo una minaccia per lui.” Conclusi per lei, cauta.
La regina annuì. “La vostra fama, in fondo, è nota nel
regno.” La sua voce era bassa, quasi suadente.
Mi accigliai. C’erano diversi aspetti del suo discorso che
non mi convincevano… e, sinceramente, non ero così certa che i draghi neri non
praticassero magia… “Immagino che ora che siamo qui nulla potrà convincerlo che
non ci muoviamo al vostro servizio.”
La regina sorrise. Il discorso stava seguendo esattamente il
corso che desiderava. “Non dovete preoccuparvi. A prescindere dal fatto che
accettiate o meno di lavorare per noi, ci impegniamo a garantirvi la nostra
protezione.” Se ci avesse messo un po’ più di calore, la sua sollecitudine nei
nostri confronti avrebbe quasi potuto apparire reale. “Potrete rimanere a
palazzo fino alla fine della guerra, se lo desiderate. Dubito comunque che quel
momento sia molto lontano…” La sua sicurezza mi fece pensare che ne fosse
realmente convinta.
“E’ molto onorevole da parte vostra.” Dichiarai, senza
pensarlo realmente. Sapevo cosa la regina aveva in mente. Se il palazzo fosse
stato attaccato mentre noi ci trovavamo al suo interno, non avremmo potuto fare
a meno di difenderci comunque.
“E’ un nostro dovere, considerando che i vostri problemi
nascono da noi. Scoprirete che i sovrani di Elmekia tengono sempre fede ai
valori cavallereschi a fondamento del regno.” Il suo sguardo si soffermò per un
momento su Gourry. “Lealtà e Giustizia.” Recitò, con scarso entusiasmo.
“Comprendo.” Mi accigliai. “Tuttavia…” Non sapevo nemmeno io
come terminare. Non sapevo ancora a cosa ci avrebbe condotti un rifiuto.
“Oh, no, non rispondetemi ora.” La regina si affettò a
interrompermi. “Non lasciamo che pensieri e decisioni turbino questa serata.
Mangiate e riposatevi, per oggi. Suppongo che non possa dispiacervi una notte
in un comodo letto.”
“Suppongo… di no…” Replicai, con prudenza. Gourry mi rivolse
un’occhiata curiosa, forse chiedendosi cosa avessi in mente, ma in realtà
nemmeno io lo sapevo con certezza. Supponevo che una notte di tempo per capire
come tirarci fuori da quella faccenda, in fondo, non sarebbe guastata.
“Sono felice che mia madre vi abbia persuasi.” Eriol ci
apostrofò, in tono compiaciuto. “L’ospitalità di Talit è proverbiale. Scommetto
che una notte basterà a farvi desiderare di rimanere qui per sempre…” Mi fissò,
intensamente.
Vicino a me, Gourry si agitò, a disagio. “Ad ogni modo, non
ci avete detto come sapevate che saremmo giunti qui…” Parlò, per la prima volta
da quando eravamo entrati nella stanza. La sua domanda solo all’apparenza era
innocente. Il sospetto circa i sacerdoti di Sailarg ci aveva tormentati per
l’intera settimana.
“E’ stata una scoperta casuale, in realtà.” La risposta
della regina fu tanto pronta da far pensare che quelle parole fossero state
preparate in precedenza. “Un nostro esploratore ha saputo da dei mercanti di
Sailarg della taglia, e ha sentito che eravate stati visti unirvi ad una
carovana diretta a Talit. La nostra è stata solo una deduzione.”
I sospetti assunsero sempre più la forma di certezza.
“Curioso.” Dichiarai, senza riuscire a tenere a freno la lingua. “Sapevate che
ci stavamo dirigendo qui, ma non ne conoscevate il motivo. Eppure avete dato
per scontato che non ci muovessimo attratti dall’incarico che offrite, e non ci
avete nemmeno chiesto il motivo del nostro viaggio…”
Le labbra della regina ora erano strette in un sorriso
venato di irritazione. Era chiaro che non eravamo degli sprovveduti, ed era
chiaro che avevamo mangiato la foglia. La vidi ingaggiare una breve lotta
psicologica con se stessa, chiedendosi come rispondere alle nostre
provocazioni. Alla fine, parve risolversi per il mantenimento di un atteggiamento
conciliante. “Stavo appunto per chiedervelo.” Dichiarò, con falsa cortesia. “A
cosa dobbiamo l’onore della vostra visita?”
“Portiamo una missiva da parte del tempio di Sailarg.”
Replicai, estraendo la busta sigillata da una delle tasche della mia tunica.
“Suppongo di potervela consegnare e considerare concluso il mio compito senza
recare la risposta. Sono certa che i vostri canali di comunicazione e
trattativa con Sailarg sono più che efficaci.” Ancora una volta, non fui abile
nel mascherare il mio sarcasmo.
“In effetti sì.” La voce della regina tradiva rabbia, ora.
Il gelo dei suoi occhi si era trasferito alle sue labbra.
Non molte altre parole vennero scambiate nel corso della
cena.
Diverse ore dopo, stavamo risalendo i gradini della torre in
cima alla quale erano stati preparati i nostri alloggi. A detta di Eriol, le
nostre stanze erano uno dei punti del castello dai quali la visuale era più
suggestiva. Tuttavia, dubitavo che quella sera avremmo potuto apprezzare
appieno la vista. Al di fuori delle strette finestre della torre, tutto ciò che
era visibile era il fitto muro di oscurità di una notte senza stelle. L’unico
suono che giungeva alle nostre orecchie era il rumore incessante
dell’infrangersi delle onde. Mi stupii che si sentisse anche da lassù. Non
sapevo se fosse per l’atmosfera calata sulla città dalla guerra incombente, ma
la notte di Talit appariva straordinariamente silenziosa.
“Lina…” Gourry mi apostrofò, per l’ennesima volta da quando,
lasciati soli dai nostri ospiti, avevamo intrapreso quella scalata. “Si può
sapere che cosa pensi di fare?”
La realtà era che non lo sapevo. Solo qualche ora prima
avrei risposto che il giorno successivo ce ne saremmo andati, e che non avrei
sentito ragioni… tuttavia, in quel momento, non ero più tanto sicura di ciò che
fosse giusto fare. Non era tanto per la ricompensa promessaci, che dopo la cena
Eriol aveva quantificato, e che era effettivamente ricca. Piuttosto,
l’atteggiamento della regina e di suo figlio mi aveva lasciata… disarmata. Non
so dire che cosa mi ero aspettata esattamente… probabilmente, che usassero la
loro autorità per cercare di convincerci a restare… E invece, se come era
prevedibile dopo cena il discorso era tornato sulla questione del nostro
ingaggio, come non era prevedibile avevamo finito col congedarci come
vecchi amici ritrovatisi per una cena. Nessuna pressione, nessuna minaccia.
Sembrava che, se avessimo desiderato andarcene, avremmo dovuto semplicemente
ringraziare per l’ospitalità, e dire arrivederci.
Eppure, a quel punto era ovvio che la regina aveva promesso
qualcosa a Sailarg in cambio di quella messinscena sulla missione, e dubitavo
che si sarebbe presa il disturbo di farlo se non avesse avuto la certezza che
ci saremmo fermati. Forse lei e suo figlio ritenevano che per noi la scelta
migliore fosse ovvia? Che non fossimo tanto sciocchi da rifiutare denaro e
protezione, quando ci venivano offerti su un piatto d’argento? E se era così…
non era possibile che avessero ragione…? Per quanto mi sentissi in trappola fra
quelle quattro mura, per quanto fermarmi mi sembrasse una perdita di tempo, se
c’era davvero una taglia sulla nostra testa non era meglio sopportare per
qualche settimana che venire perseguitata da cacciatori di taglie fino alla
fine della guerra? Il mio orgoglio si ribellava all’idea che la regina ci
manipolasse, ma il mio buon senso cominciava a suggerirmi che decidere sulla
base del mio primo impulso poteva non essere la scelta migliore… Potevo sempre
tornare a Sailarg una volta finita la guerra, e pretendere comunque la mia
ricompensa. In quel modo, forse, non mi sarei sentita così fastidiosamente usata.
“Tu che cosa pensi?” Rigirai la domanda, sperando che
l’opinione dello spadaccino potesse chiarirmi le idee.
“Bé…” Gourry
parve esitare. “Per la cifra che ci hanno offerto, parrebbe un lavoro
facile…Voglio dire, non dobbiamo nemmeno scendere in battaglia, non è così?
Dovremmo solo difendere la città in caso di attacco, e non è detto che le
truppe della capitale giungano fino a qui…” Il suo tono di voce non era
convinto.
Le mie labbra si strinsero. “E non ti infastidisce l’idea di
agire esattamente come la regina e suo figlio si aspettano da te?”
Gourry sospirò. “Non è tanto questo il problema…” Replicò,
incerto. “E’ che… sono stupide questioni di potere. Non sono certo di voler
combattere una battaglia del genere.” Il suo tono di voce era stanco, come se
fosse stata una vecchia questione di cui non aveva più voglia di sentir
parlare.
Mi arrestai, tanto all’improvviso che Gourry fu sul punto di
travolgermi. Mi volsi a fronteggiarlo. “Forse dovremmo davvero rifiutare.”
Dichiarai. “In fondo noi non siamo comuni mercenari, giusto? Voglio dire,
possiamo scegliere per chi lavorare…”
Ci fu un istante di silenzio, mentre Gourry mi esaminava in
volto. “La regina… non ti piace, non è così?”
Mi accigliai. “Non è questione di piacere o non piacere.”
Scrutai il buio all’esterno di una delle finestre. “Erianna è un generale al
comando del suo esercito. E’ chiaro che Eriol si limita a seguire le sue
direttive. E sarei pronta a scommettere, invece, che Samon le si è contrapposto
apertamente dopo la morte del padre.” Il mio sguardo si soffermò su una luce
lontana, forse la lanterna all’ingresso di una locanda, che oscillava al vento.
“Non so esattamente perché la abbia intrapresa, ma questa è la sua guerra, non
quella di Eriol. E il punto è che vuole usare anche noi come sta facendo con
suo figlio. E’ questo che non riesco ad accettare.”
Gourry si limitò a tacere. Seguì il mio sguardo, e anche lui
per qualche istante rimase fermo, a fissare l’oscurità. Quindi, emise un
sospiro, e mi pose una mano sulla spalla. “Dicono che la notte porti
consiglio.” Dichiarò, gentilmente. “E’ stata una lunga giornata, Lina, e non
possiamo ragionare lucidamente. Magari domattina le cose ci sembreranno più
chiare.”
Dovetti sorridere, a quel semplice suggerimento. In fondo
aveva ragione. La stanchezza a volte rendeva insormontabili i problemi più
banali.
Mi levai in punta di piedi, e gli baciai brevemente le
labbra. “Cosa farei, senza di te?” Mormorai. Gourry mi fissò con l’aria di
chiedersi se stessi scherzando, ma io gli rivolsi un sorriso, e l’espressione
dello spadaccino si rilassò. Le sue labbra si schiusero, e parve sul punto di
dire qualcosa, ma all’improvviso la sua fronte si aggrottò. La sua mano, ancora
poggiata sulla mia spalla, strinse con più forza.
Seguii la direzione del suo sguardo. “Cosa…?”
“C’è qualcuno.” Sussurrò, secco.
Me ne resi immediatamente conto anch’io. Un rumore di passi
scendeva lentamente verso di noi dall’oscurità dei piani superiori della torre.
Qualche istante dopo, una debole luce di torcia comparve dietro l’angolo della
gradinata.
Non feci in tempo a chiedermi se dovevo allarmarmi. Una
figura esile fece la sua apparizione in cima alla scala, pallida come un
fantasma, alla luce del fuoco. Quando si accorse che c’era qualcuno, sussultò,
e nascose frettolosamente qualcosa al di sotto del mantello.
“Livia?” Feci un passo avanti, ed evocai una sfera di luce,
in modo da renderci visibili. La ragazza la osservò con stupore. Quindi, i suoi
occhi incrociarono i miei e una comprensione mista a meraviglia si disegnò nel
suo sguardo. Il suo volto riacquistò diverse tonalità di colore.
“Oh.” Disse semplicemente, con voce flebile. “Scu…
scusatemi.” Fece per sorpassarci, ma io mi spostai lievemente a lato, e la
bloccai. Non seppi perché lo feci. Forse solo per la curiosità di sapere cosa
ci faceva in giro per il palazzo, in piena notte, una ragazzina che qualche ora
prima era sembrata felicissima di essere spedita nelle sue stanze dalla voce
autoritaria della regina.
Livia mi fissò con timore, ma io le rivolsi un sorriso. Non
avevo intenzione di spaventarla. “Cosa ci fai, qui?” Le domandai, gentilmente.
Colsi, in un movimento del suo mantello, una fugace visione del misterioso
oggetto che stava nascondendo… un libro, di un insolito color rosso acceso,
rilegato con finiture dorate.
Nonostante la luce debole, ebbi l’impressione di vederla
arrossire… “In… in cima alla torre… sopra gli appartamenti… c’è una
biblioteca…” Abbassò lo sguardo. Evidentemente, a suo avviso, quella
constatazione doveva spiegare ogni cosa…
Aggrottai la fronte. “Ma che bisogno hai di andarci a
quest’ora della notte?”
La ragazza sembrava incerta su come reagire al mio
interrogatorio. Parve risolversi ad un atteggiamento più dignitoso, però, e
levò la schiena, costringendosi a guardarmi negli occhi. “Lord… Georg…” Parve
trovare difficoltoso pronunciare quel nome… “Lui… non approva che io legga…
dice che è… una perdita di tempo…”
Mi accigliai. Questo Georg cominciava ad apparirmi
decisamente ottuso…
“Però…” Livia proseguì, continuando a sostenere il mio
sguardo. “A casa, mia madre faceva arrivare a palazzo libri da ogni regno nel
continente… storie di dame, cavalieri e maghi…” I suoi occhi si illuminarono
lievemente. “E durante le feste, mio padre faceva suonare per me e per mia
sorella dei musici, e assumeva dei cantastorie…”
Per qualche motivo, non riuscivo a figurarmi Eriol dare
sfoggio di tale amore paterno. E poi, ora che ci pensavo… se Livia aveva una
sorella, perché non aveva partecipato anche lei alla cena, quella sera? E la
moglie di Eriol, che fine aveva fatto? “Ma… tua madre… è…”
Il volto di Livia si incupì. “E’ alla capitale. Con il resto
della mia famiglia.”
Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata stupita. Ma… ma
allora…?
“Mi manca, casa mia.” Livia sospirò. “Lord Georg mi fa
paura. So di non piacergli. In realtà, credo che ben poco gli piaccia, tranne
il suo palazzo e le sue vecchie carte geografiche. Sostiene mia nonna perché
disprezza mio padre, e perché lei è la sua famiglia e sapete… Lealtà e
Giustizia.” Concluse, come se quella formula fosse la logica giustificazione ad
ogni azione.
“Mi stai dicendo che tu sei la figlia di Samon?” Era fin
troppo chiaro cosa era successo. Erianna era riuscita ad andarsene dalla
capitale portando con sé in ostaggio la sua stessa nipote. Non sapevo se essere
ammirata dalla sua capacità tattica, o disgustata dal modo in cui minacciava la
vita di una ragazza innocente, sangue del suo sangue, per controllare le mosse
di suo figlio.
Livia annuì, silenziosamente, e il suo sguardo tornò ad
abbassarsi, come le se fosse stato faticoso mantenere ancora le spalle ritte.
“Ma la nonna è buona, con me… dice che se mio padre mi ama si arrenderà, ed io
tornerò a casa… so che mente, perché la guerra non è così semplice… ma cerca di
confortarmi, e non credo che mi farebbe mai del male…” Nemmeno lei pareva del
tutto certa delle sue parole. Avrei voluto rassicurarla a mia volta, ma le
parole non presero forma nella mia gola. Ora comprendevo di avere realmente
motivo di provare compassione, per lei…
“Certo che no…” Fu Gourry a parlare, alle mie spalle. Gli
lanciai un’occhiata, e notai che la sua espressione era vagamente scossa. “Non
importa il motivo della battaglia… Lealtà e Giustizia, ricordi? Non ci si fa
del male fra parenti…” La sua voce era dolce. Riconoscevo quel tono di
conforto, venato di un sottile turbamento. Me lo aveva rivolto innumerevoli
volte, per calmare i miei incubi dopo la faccenda di Phibrizo.
Livia arrossì lievemente. “E’ vero… dimenticavo che anche
voi siete di Elmekia, signore…”
La osservai con nuova curiosità, e la ragazza emise una
lieve risatina fanciullesca, che le colorì le gote, in contrasto col pallore di
poco prima. “Ho… letto di voi…” Il suo sguardo vagò da Gourry a me. “Il
guerriero di luce, e la celebre maga…” I suoi occhi si illuminarono,
nuovamente. “Voi siete una leggenda ad Elmekia, signore. Come la vostra spada.
Si dice che la abbiate brandita contro ogni genere di creatura, e…” Il suo sguardo
si spostò a me. “Si dice che la abbiate perduta lottando contro il Signore
degli Inferi. Il Signore degli Inferi. E voi, signora, siete addirittura
stata posseduta da…”
“D’accordo, d’accordo.” La interruppi. “Mi fa piacere che tu
non conosca solo le solite voci su di me, ma ora non esageriamo…” Gourry
mi lanciò un’occhiata scettica, a cui risposi con un ghigno. Mio marito sapeva
perfettamente che ero più che suscettibile alle lusinghe.
“Ma ogni voce su di voi è assolutamente fantastica.”
L’entusiasmo di Livia non si spegneva facilmente. “Esistono persino delle ballate
su di voi. Quando mi hanno detto che sareste giunti qui, io…”
La giovane principessa si interruppe. Un rumore era
risuonato sul fondo della scala. Forse si trattava semplicemente di una delle
ronde notturne, ma bastò a mettere nuovamente Livia in allarme. Il pallore
catturò nuovamente le sue gote.
“Io… scusatemi, ma ora è meglio che torni nelle mie stanze…
Lord Georg si arrabbierà se scopre che sono tornata qui…” Levò il cappuccio del
mantello, e si affrettò lungo le scale. La osservammo scomparire nell’oscurità.
“Delle ballate?” Domandai, incredula. “Sarei proprio
curiosa di sentire una cosa del genere…”
Gourry fece un mezzo sorriso. “Povera ragazza…” Commentò, a
mezza voce.
“Già… Dopo averla sentita parlare, sono sempre meno convinta
di voler rimanere a disposizione della regina…”
Gourry mi prese la mano. “Lo decideremo domani.” Mi sorrise,
trascinandomi lievemente verso la cima della scala. “Ma, per ora, pare che ci
siamo guadagnati un’ammiratrice.”
Gli lanciai un’occhiata maliziosa. “In realtà, temo sia
molto più interessata a te… Tutti quei discorsi sulla tua spada…”
Ora che ci pensavo, Livia aveva più o meno l’età che avevo
io, quando avevo conosciuto Gourry. Ma la nostra storia doveva essere un po’
diversa da quelle di dame e cavalieri di cui la principessa sognava, leggendo
nei suoi libri.
La mano di Gourry salì alla mia testa, e mi scompigliò
malamente i capelli. “Attenta a come parli.” Intimò. “Potrei replicare con
pessime battute su Eriol.”
Scoppiai a ridere. “Ormai sei troppo vecchio per essere
geloso, Gourry.”
“Non parlare come se fossimo sposati da quarant’anni.”
Ridacchiai. In effetti, dubitavo che qualsiasi ballata su di
noi fosse davvero veritiera.
Non c’è nessuna particolare
premessa, quindi… buona lettura! XD
Eriol si rivelò un uomo di parola. Lo spettacolo che ci
attendeva al nostro risveglio nell’ampia sala in cima alla torre aveva poco da
invidiare ai paesaggi fantastici descritti nei romanzi amati da Livia. Il mare
in burrasca ruggiva contro gli scogli, una massa grigia sconvolta dagli spruzzi
di schiuma bianca, stagliata contro un minaccioso cielo nero. Le grosse gocce
di pioggia piegavano ogni cosa sotto la loro furia, alberi, carri, persone. Le
montagne rimanevano alle nostre spalle, ma da quella posizione privilegiata
potevo ammirare uno scorcio di Talit, i suoi edifici bianchi sparsi a diverse
altitudini sulle scogliere, fuori e dentro le mura. Immaginai quello spettacolo
alla piena luce del sole, l’alone argentato che doveva circondare le case
pallide, e il riflesso blu e dorato del mare. Associato a quell’immagine, il
soprannome La Perla mi pareva più che calzante.
Gourry dormiva ancora, il corpo reclinato in una posizione
innaturale, il braccio proteso verso la metà vuota del letto. Ero scivolata via
dal suo abbraccio temendo di svegliarlo, ma lo spadaccino si era limitato ad un
lieve mugugno di protesta, e si era riaddormentato senza nemmeno mutare
posizione. Sorrisi, osservandolo mormorare qualcosa fra sé e sé, mentre
stringeva inutilmente il cuscino. Per qualche motivo, da qualche anno, aveva
cominciato a parlare nel sonno.
Decisi di non svegliarlo, e mi dedicai ad accendere il
fuoco. Doveva essersi spento da ore, e le braci, raffreddandosi, avevano
portato via ogni barlume del calore presente nella stanza. Mi avvolsi in una
coperta caduta ai piedi del letto, attendendo che le fiamme catturassero la
legna secca, e rimasi immobile per qualche minuto, osservandole danzare. In
quella inattività, avvertii il senso di indecisione della sera prima catturarmi
nuovamente. Purtroppo, una notte di sonno non aveva risolto i miei dubbi.
Dovevo muovermi, e schiarirmi le idee. Contemplai la
possibilità di prepararmi un bagno caldo. Forse la norma voleva che mi
rivolgessi a qualcuno dei servitori, ma, in sincerità, volevo attendere di
essere completamente sveglia e di aver fatto colazione, prima di essere
circondata da persone addestrate appositamente per persuadermi a restare…
Cercai di fare mente locale, e ricordarmi quale porta
imboccare. Eriol non ci aveva assegnato una semplice stanza ma dei veri e
propri appartamenti, con un bagno privato ed un guardaroba ricolmo di abiti, la
cui quantità era di per sé un invito ad una lunga permanenza. Un’altra porta si
apriva su una stretta e pericolante scalinata in legno, che Gourry ed io
avevamo supposto essere l’accesso alla biblioteca. Un luogo che avrei
volentieri visitato, prima di andarmene, ma prediligendo i più solidi gradini
in pietra al centro della torre…
Fui fortunata. La porta che avevo scelto al primo tentativo
si aprì sui bagni. Fui stupita di incontrare calore ad attendermi, ed un
intenso profumo di sapone. Solo allora notai che si poteva accedere alla stanza
anche attraverso una piccola porta che si apriva sul corridoio all’esterno.
Qualcuno doveva avermi preceduta e aver preparato la sala per me, per poi
ritirarsi discretamente attraverso quell’uscita.
Non riuscii a non esserne grata. Mi spogliai velocemente e
mi calai con un sospiro nell’acqua calda, lasciandomi avvolgere dalla schiuma.
Dovevo ammettere che Eriol, o sua madre per lui, sapeva come prendere i suoi
eventuali alleati. Fuori, sentivo il vento fischiare, e la pioggia scrosciare
contro i vetri. Calore e comodità si contrapposero nella mia mente a settimane
a cavallo nel gelo. Se ci fossimo fermati a sufficienza, il mese più freddo
dell’anno sarebbe trascorso. Persino gli elementi parevano cercare di indurmi a
restare.
Sentendomi in colpa per la debolezza in cui indugiavano i
miei pensieri, mi affrettai a terminare il mio bagno. Potevo scommettere che
qualcuno, dietro la porta, fosse in paziente attesa, pronto ad allestire la
sala per il suo successivo ospite. Occhieggiai la veste da notte abbandonata al
suolo, e mi resi conto che non avevo portato con me nulla per cambiarmi. Ma i
miei ospiti avevano pensato anche a questo. Su uno degli sgabelli, a debita
distanza dalla vasca in legno e dalle pozze di umidità che la circondavano,
riposava un abito, di un velluto verde smeraldo che prometteva morbidezza e
calore. Non era nel mio stile, ma non potevo dire che non fosse di un
ragionevole buon gusto. Esitai per qualche istante, quindi mi convinsi ad
indossarlo. In fondo, approfittare delle comodità che mi venivano offerte non
era in sé una dichiarazione di alleanza. Non si dice forse che è consigliabile,
per l’ambasciatore, accettare il cibo del nemico?
Mi scrutai nello specchio sulla parete oltre la vasca.
Quella era la visione che la regina si aspettava di incontrare quella mattina?
Un’ospite appagata e ammorbidita a sufficienza da accogliere le sue richieste
senza porsi troppe domande? Ero ansiosa di un nuovo confronto. Ero curiosa di
scoprire quali altri assi nella manica i nostri ospiti avessero in serbo per
noi…
Occhieggiai a lungo la porta che dava sul corridoio, e alla
fine mi risolsi ad imboccarla. Gourry avrebbe potuto raggiungermi appena si
fosse svegliato. In fondo, l’approccio cauto dei nostri ospiti mi impediva di
cedere eccessivamente alla prudenza.
Scesi i gradini di pietra, rabbrividendo nel freddo dei
corridoi. Diversamente da quanto mi ero aspettata, la torre sembrava essere
deserta. Nulla mi circondava, se non cupo silenzio. Per un momento, per qualche
strana ispirazione, pensai che forse, in fondo, era il caso di attendere Gourry.
Che avrei potuto semplicemente dedicarmi all’esplorazione della biblioteca,
mentre mio marito si godeva gli ultimi istanti di sonno. Ma quando quella
sensazione vaga cominciò a prendere la forma di un istinto, ero già giunta al
termine della scalinata. Lì, ad attendermi, c’era il servitore che ci aveva
accolti la sera precedente.
“Mia signora.” Mi rivolse un breve inchino. “Vi attendevo.
Sono stato incaricato di condurvi dal Lord mio sovrano, per la colazione.”
Mi accigliai. “Mio marito deve ancora svegliarsi.”
“Lo vedo, mia signora.” Il senso di ovvietà che il suo tono
di voce esprimeva era quasi irriverente. “Ma avrò cura di accompagnarlo da voi
non appena sarà pronto. Ora seguitemi, se vi compiace.” La sua non suonava come
una richiesta.
Irritata da quei modi rigidi, mi accodai a lui senza dire
una parola. Con mia sorpresa, non ci muovemmo verso i piani inferiori del
palazzo, dove avevamo cenato la sera precedente, ma percorremmo un lungo
corridoio che conduceva nel cuore del palazzo. Dopo una serie di tortuose
svolte, sbucammo alla luce di ampie finestre, in un atrio che si apriva sul
lato del castello dirimpetto alle montagne.
Il servitore mi rivolse un altro inchino. “La porta di
fronte a voi, mia signora.” Ancora una volta senza attendere risposta, si
risollevò, e si allontanò con la fretta di chi teme di essere colpito alle
spalle. Emisi un sospiro. A quanto pareva, persino fra i servitori, ad Elmekia,
la mia fama non era particolarmente lusinghiera.
Mi avvicinai al portale, e bussai. Mi aspettavo di
incontrare la medesima compagnia della sera precedente, ma, quando avanzai
nella sala, mi resi conto con un certo disagio che ad attendermi c’era solo
Eriol. La stanza era una sorta di salottino, con morbide poltrone ed un divano
raccolti attorno ad un basso tavolino, su cui era stata allestita una ricca
colazione. Un’altra carta geografica e un tavolo da scacchi la rendevano simile
alla sala da pranzo del piano inferiore e, anche qui, un fuoco allegro
scoppiettava nel camino. Tuttavia, la stanza era più piccola, e più calda.
Probabilmente, era parte degli appartamenti privati del principe stesso. Un
luogo un po’ troppo intimo, per un incontro con un’ospite appena conosciuta.
Eriol mi rivolse un ampio sorriso. “Lina! Posso chiamarti
per nome, non è vero? In fondo ho più o meno l’età di tuo marito…”
Evitai di rispondere. “Vostra madre non ci terrà compagnia
per la colazione?”
Eriol si avvicinò, e mi spinse lievemente verso le poltrone,
con una familiarità che non mi piacque. “Dammi del tu, Lina. Non vedo lo scopo
di eccessive formalità, con ospiti tanto graditi.” Si sedette di fronte a me, e
poggiò il mento sulle dita, studiandomi. “Mia madre ha già consumato la sua
colazione in sala, insieme a mio zio. Sono entrambi molto più mattinieri di me.
Ma sarà felice di sapere del tuo interessamento.”
Felicissima, fino alle lacrime, non avevo alcun dubbio.
“Allora comincerò col ringraziare voi… cioè, te, per la generosa accoglienza
che ci hai accordato.” Il mio tono di voce era cauto. “Le nostre stanze erano
impeccabili.”
La mia replica neutra fu sufficiente a risvegliare
un’espressione di pura soddisfazione sul viso del mio ospite. “Oh, sono io che
devo ringraziarti per avere accettato il mio invito per la colazione. Sono un
futuro sovrano, ma persino per me è insolito godere della compagnia di una
leggenda vivente.”
“Mi confondi, Eriol.” La mia voce suonava lievemente
disgustata.
“Ogni complimento è meritato.” I suoi occhi brillarono
lievemente. “E sono felice che tu abbia accettato il mio piccolo omaggio.”
Accennò al vestito che indossavo. “Mi sono permesso di pensare che quel colore
si sarebbe intonato perfettamente ai tuoi capelli, e vedo che non mi
sbagliavo.” Mi sorrise, nuovamente. “Le decorazioni dorate sulle maniche sono
la firma più tipica di uno dei nostri migliori sarti di corte. Mostrale ad un
qualsiasi mercante di Elmekia, e farà carte false per acquistare quell’abito.
Che ora è tuo, ovviamente.”
Ok. Dovevo riconoscere che quell’argomento era più
convincente delle lusinghe.
Distolsi lo sguardo da lui, cercando freneticamente un modo
per cambiare discorso. Scrutai il panorama all’esterno, le montagne grigie che
sparivano nella fitta coltre di nubi. “Il clima è sempre così piovoso, a
Talit?” Chiesi, puntando al più banale degli argomenti.
“In questo periodo dell’anno sì. “Replicò pacatamente Eriol.
“Quando non gela. In effetti, l’inverno non è ancora davvero iniziato.”
Mi accigliai, prestando solo in parte attenzione alle sue
parole. Qualcosa nel profilo scuro di un monte aveva catturato la mia
attenzione. “E laggiù? Ci sono degli edifici?”
Eriol seguì il mio sguardo. Da dove ci trovavamo, ciò che
avevo scorto non era perfettamente distinguibile, ma una macchia di un grigio
più chiaro di quello della parete della montagna spiccava lievemente contro la
massa scura dei pini. Il principe vestì un vago sorriso. “Oh, si tratta
semplicemente della città vecchia. Un tempo, prima che la famiglia di mia madre
la portasse alla prosperità, Talit era un semplice borgo di montagna. Difficile
a credersi, vero?” Al mio silenzio, Eriol proseguì. “Ora lassù è tutto in
rovina. Un panorama molto suggestivo, per la maggior parte dell’anno, ma in
questa stagione la neve sulle cime rende impervio il percorso. Mi rincresce che
non sia il periodo più adatto, o ti ci accompagnerei di persona.” Allungò una
mano, e la punta delle sue dita sfiorò le mie. “Le dame del palazzo dicono che
non esista luogo più romantico, da contemplare in un bel tramonto d’estate.”
“Immagino che la visiterei volentieri con mio marito, allora.”
Ritrassi la mano, e afferrai un cucchiaino. Tanto per evitare commenti più
acidi, concentrai la mia attenzione su un uovo alla coque. Il principe non
parve turbato dal mio rifiuto. Si limitò ad osservarmi con insistenza mentre
mangiavo, rendendo insopprimibile la mia irritazione.
“Più tardi sono certo che mia madre gradirà conferire ancora
con te riguardo alla vostra permanenza qui.” Eriol riprese, con la smania di
chi è infastidito dal silenzio. In effetti, non appariva tipo da cogliere il
sottile piacere di una quieta colazione. “Immagino che potremo
arrangiare un pranzo insieme. Ma, per questa mattina, sentiti libera di
ambientarti nel palazzo. Se c’è qualche luogo dove vuoi che ti accompagni, non
devi fare altro che dirmelo.”
Addentai una fetta di pane tostato, ritardando
deliberatamente la mia risposta. “Non saprei.” Replicai quindi, con
insofferenza. “Vorrei aspettare che mio marito si svegli per discutere con lui
riguardo alla risposta da dare a tua madre, prima di dedicarmi ad altro.”
Eriol sorrise. “Comprensibile. Ma confido che i miei
servitori saranno abbastanza solerti da condurre tuo marito da noi non appena
lui lo desidererà.”
Terminai il pane, e bevvi un sorso di tè. “Immagino che qui
ci troveranno prima che in altre parti del castello.” Conclusi, secca,
poggiando la tazza sul tavolo. Non sapendo che altro aggiungere, afferrai un
altro uovo.
Eriol mi imitò, senza smettere di sorridere. “Allora, che ne
dici di unirti a me in una partita di scacchi, dopo la nostra colazione?
Immagino che anche un marito geloso possa considerarlo un passatempo
innocente…”
Il pensiero che il principe credesse che le mie resistenze
fossero dovute al temperamento di Gourry mi fece sorridere. Anche se lo
spadaccino non fosse stato, come era, l’uomo più pacifico del mondo, Eriol non
era particolarmente brillante nel mascherare l’interesse materiale dietro le
sue lusinghe. Dubitavo che mio marito non se ne fosse reso conto.
“Immagino di sì.” Non mi preoccupai di mascherare la
sfumatura divertita nella mia voce,ma accettai di buon grado la sfida a
scacchi. Forse il gioco lo avrebbe distratto dalla sua adulazione. “Hai
imparato a giocare a scacchi da tua madre, Eriol?”
Il principe mi parve confuso. “In effetti sì. Da cosa lo hai
dedotto?” Chiese, curioso.
“Oh, ha l’aria di essere abile in questo genere di cose.”
Terminai il pasto, cercando di evitare lo sguardo fisso e
colmo di attesa del mio ospite, che pareva cercare freneticamente un nuovo
pretesto di conversazione. Non glielo diedi. Serrai le labbra con ostinazione,
e fui attenta a non soffermare lo sguardo su qualsiasi cosa sufficientemente a
lungo da far pensare che mi aspettassi una spiegazione a riguardo. Quando ebbi
terminato la terza porzione di uova e pane imburrato (l’aria fredda del mattino
mette appetito, non trovate?), Eriol si affrettò ad alzarsi prima che potessi
afferrare altro. Seccata (anche la marmellata di fragole e le salsicce avevano
un’aria invitante, dopotutto…), accettai la sua mano e mi lasciai guidare al
tavolo da scacchi. Scelsi le figure nere, e attesi la sua mossa, scrutando
annoiata la pioggia all’esterno. Era prima mattina, ma ero già stanca. Mi
auguravo che, se avessimo effettivamente deciso di fermarci, Eriol avrebbe
smesso di sentirsi in dovere di ricordarmi della sua esistenza ogni singolo
istante che trascorrevamo insieme…
L’erede al trono si rivelò, come avevo previsto, un
giocatore un po’ goffo. Tuttavia, una partita potenzialmente breve venne
prolungata all’infinito dal fiume delle chiacchiere del mio interlocutore, che
trovò necessario elencarmi, misteriosamente ispirato da ogni mossa, ogni pregio
della città e del castello di suo zio. Continuai ad indirizzare occhiate
speranzose verso la porta, in attesa che Gourry giungesse a salvarmi, ma
dovetti constatare con scorno che la mia guardia del corpo quella mattina aveva
intenzione di fare la preziosa. Dopo circa un’ora, lo scorno si trasformò in
aperta irritazione. Ero proprio curiosa di sapere dove era andato a cacciarsi
mio marito.
“Scacco matto. Parola mia, Lina, sei ancora più abile di
quanto avessi immaginato.”
Spostai lo sguardo sulla scacchiera, senza vederla
realmente. La mia regina era andata in scacco alla mossa precedente,
intrappolando il mio avversario in una mossa inevitabile. Al mio turno
successivo, avevo spostato la pedina vincente senza quasi rendermene conto.
Mi affrettai ad alzarmi. “Ehm. Direi che si è fatto tardi.
Immagino che come futuro sovrano la tua mattinata sarà ricca di impegni.”
Eriol si levò a sua volta, e si affrettò a prendermi la
mano. “Il mio principale impegno, oggi, consiste nell’assicurarmi del benessere
dei miei ospiti.” Baciò le mie dita. “Mio zio si occupa delle questioni del
ducato, e mia madre può tranquillamente dedicarsi ai progetti di guerra. Io ho
un animo sensibile, Lina. Sono più interessato alla dolce compagnia di una
fanciulla, che a queste questioni veniali…”
I miei denti avrebbero potuto cariarsi e cadere tutti in
quell’esatto momento. Iniziai a sudare freddo, alla prospettiva di un intera
mattinata col Signor Galanteria, e cercai disperatamente un modo per tirarmi
fuori da quella situazione senza guadagnarmi mesi di carcere nelle segrete del
castello. Fui salvata dall’imbarazzo quando la porta della sala si spalancò di
colpo. Sobbalzai, e ritrassi di scatto la mano che il principe teneva ancora
poggiata alle labbra. Sulla soglia, si stagliava la figura imponente di Gourry.
Il suo sguardo era innaturalmente cupo.
“Lina.” Il suo tono di voce aveva una strana urgenza. “Devo
parlarti.”
Alle sue spalle, comparve il servitore gracile che mi aveva
accompagnata poco prima. Era evidentemente affannato. Le sue gote erano di un
colore rosso vivo. “Mio signore.” Riuscì a biascicare, fra un ansito e l’altro.
“Sir Gabriev le chiede udienza.”
Supposi che Eriol se ne fosse già reso conto da solo.
“Gourry.” Il principe, almeno apparentemente, non si lasciò
scomporre. “Posso chiamarti per nome, vero? Lina ed io ti stavamo aspettando.
Stavamo giusto conoscendoci meglio, e la tua presenza non potrà che illuminarmi
ulteriormente sugli innumerevoli tratti di fascino della tua dolce compagna…”
Lo avrei volentieri preso a schiaffi. Mio marito, però,
parve a malapena notarlo. “Sì, sì, d’accordo.” Mormorò, in tono vago. “Ho
bisogno di parlare per un momento con mia moglie. Da soli.” L’ultima fu un’aggiunta
frettolosa, pronunciata quando Eriol parve sul punto di invitarlo ad
accomodarsi.
Gourry non attese replica. Mi afferrò per un braccio, con
una foga innaturale, per lui, e mi condusse verso la porta. Lo seguii, senza
opporre resistenza, limitandomi a squadrarlo curiosamente. Non mi faceva male,
ma quei modi bruschi non gli appartenevano. Qualcosa, quella mattina, doveva
averlo turbato.
“Gourry…” Iniziai, una volta giunti in corridoio. Mi sentivo
stupida per le supposizioni sorte nella mia mente, ma ero incapace di giungere
ad una diversa conclusione. “Se è per Eriol, guarda che io e lui stavamo
soltanto…”
Gourry scosse velocemente la testa. “Lo so.” Si limitò a
replicare. Mi trascinò nella prima porta aperta del corridoio, e se la richiuse
alle spalle. Apparentemente, si trattava di una sala di servizio. Scope ed
utensili erano ammucchiati lungo le pareti in umide file di scaffali, e un
odore di polvere lungamente accumulata impregnava l’aria.
“Lo sai?” Ripetei, non del tutto convinta.
Gourry annuì. “So che non ti lasceresti raggirare da Eriol,
Lina. E poi, mi fido di te.” La sua espressione si fece più tesa. “Ma abbiamo
un altro problema.”
Quell’espressione di fiducia suonava un po’ più tipica di
lui. Mi accostai a lui, la mia curiosità risvegliata. “Che genere di
problema?”
Gourry parve esitare. “La mia famiglia è qui.” Dichiarò poi,
distogliendo velocemente il viso, come se quell’ammissione potesse colpirmi in
volto e ferirmi.
“Chi è qui?”
“Quando mi sono svegliato, non ti ho trovata. Ho pensato che
mi avessi preceduto a colazione, e non sapendo dov’eri ho percorso alla cieca
il corridoio ai piedi della torre… a quel punto ho incrociato il servitore che
mi ha indicato la strada, ma prima di andarmene… ho sentito chiaramente la voce
di mio fratello, provenire da dietro una delle porte.”
I miei occhi si spalancarono lievemente. “Tuo fratello? Ne
sei sicuro?”
“La sua voce potrebbe essere la mia. Non posso sbagliarmi.”
“Ma… per quale motivo dovrebbe essere qui?”
Mio marito si incupì. “Avrei dovuto pensarci prima. Mio
padre era legato da un rapporto di fedeltà estremamente stretto con il vecchio
re. E’ normale che ora accordi la sua lealtà all’erede che lui avrebbe scelto.”
Improvvisamente, la comprensione mi colpì in volto con la
violenza di un getto d’acqua gelata. Gourry ed io eravamo alleati comodi, per
Talit, non solo per la nostra abilità e per la nostra fama, sufficiente ad
intimorire i nemici. Eravamo alleati comodi perché il denaro e le lusinghe non
erano l’unico strumento che la regina aveva in mano per manovrarci.
“Lealtà e Giustizia.” Mi limitai a mormorare. Lo sguardo di
Gourry mi mostrò, per una volta, piena comprensione. Come era consueto, non ci
servivano le parole, per capirci.
La mia mascella si serrò, e la rabbia mi catturò. Improvvisamente,
l’atteggiamento conciliatorio di Eriol generava in me più di un vago fastidio.
Improvvisamente, mi resi conto di come tutto ciò che riguardava la nostra
presenza in quel luogo fosse strettamente pianificato, e ogni sua singola
parola mi apparve non come un ingenuo tentativo di ottenere la mia alleanza, ma
come un filo in più nella intricata trama tessuta dalla regina.
“Non importa.” La voce di Gourry era stranamente
spassionata. “Non si sono nemmeno presentati al nostro matrimonio. Ormai è
chiaro a entrambi che non esiste più un legame.”
Mi resi conto che era scosso. Mi avvicinai, e gli strinsi
con forza la mano. “Se vuoi, possiamo lasciare il castello in questo istante.”
Mormorai. Gourry mi lanciò uno sguardo, e dopo qualche istante parve riacquistare
la calma. “No.” Sussurrò. Si chinò, e mi trasse lievemente a sé, come in cerca
di coraggio. “Abbiamo deciso di scegliere secondo la nostra convenienza, no?
Non ho cambiato idea.”
Mi resi conto che non era la completa verità. Ma apprezzai
la sua determinazione.
“Allora non ha senso rimandare l’inevitabile.” Dichiarai.
Gourry si limitò ad annuire, e si scostò dalla porta. La
aprii per lui, e feci per tornare sui miei passi lungo il corridoio, ma mi
bloccai, colta di sorpresa, nel trovarmi a fronteggiare il volto ostile della
regina.
Feci un passo indietro, squadrandola con stupore. La sua
espressione seccata si tramutò velocemente in una di fredda condiscendenza, ma
non mi sfuggì la piega rabbiosa della sua fronte corrugata. Anche Erianna aveva
l’aria di aver trascorso un inizio di mattinata poco gradevole. “Mio figlio mi
ha detto che vi eravate ritirati qui.” Esordì, con quieto gelo. “Vengo a
comunicarvi che questa mattina un nuovo vassallo è giunto a garantirci il suo
sostegno. Un vassallo che è strettamente legato a voi, cavaliere.” Il suo
sguardo si soffermò su Gourry. Io mi sforzai di mantenere neutro il tono della
mia voce. “Si da il caso che lo sappiamo.” Replicai. Tanto valeva mettere le
carte in tavola. “Mio marito ha inavvertitamente colto uno stralcio di
conversazione che glielo ha rivelato.”
“Trovo bizzarro il fatto che non si sia immediatamente
prodigato ad accogliere i suoi amorevoli familiari, allora.” La voce della
regina era piatta, ma le pieghe della sua fronte si erano per un istante
accentuate. “Ad ogni modo, mio fratello ha insistito per intrattenerli, dal
momento che il Lord Gabriev sembra sentirsi più a suo agio nella solida
compagnia di un uomo in arme che in quella di una dama.” Una sottile vena di
sarcasmo attraversò le sue parole. “Perciò ha pensato che potessi rendermi
utile venendovi a chiamare.”
Non attese la nostra replica. Ci volse le spalle e si avviò
per il corridoio, supponendo evidentemente che la avremmo seguita. Ci
scambiammo una breve occhiata, e ci accodammo a lei silenziosamente.
Percorremmo a ritroso il percorso che un paio di ore prima mi aveva condotta da
Eriol, e presto giungemmo in prossimità di una porta che pareva celare una
animata discussione. Una voce profonda e autoritaria rispondeva ad una tonalità
gracchiante, che riconobbi essere di Georg. Ma il silenzio parve cadere
all’interno non appena la mano ferma di Erianna batté sulla porta.
“Avanti, sorella.” Giunse la replica, dall’interno. “Ti
attendevamo.”
La regina sospinse il pesante portale, e la nostra visione
si aprì su una stanza spoglia. Un lungo tavolo circondato da sedie e arazzi che
decoravano le fredde pareti. Non molto altro la distingueva dal magazzino da
cui la regina ci aveva prelevati. Calici e una caraffa colma di vino giacevano
abbandonati in un angolo, lasciati intonsi dalla maggior parte dei presenti in
sala. Solo Eriol, che evidentemente ci aveva preceduti, pareva approfittare del
ristoro, seduto in disparte rispetto al gruppo di uomini in piedi di fronte
all’ingresso. Questi ultimi si erano raggruppati in una austera cerchia, con
l’aria di predatori pronti a circondare la preda.
Un uomo biondo, più vicino ai sessanta che ai cinquanta ma
ancora eretto ed imponente, si fece avanti al nostro ingresso. Il taglio dei
suoi occhi era incredibilmente simile a quello di Gourry, e la sua carnagione,
al di sotto della barba folta, emanava un simile pallore. Tuttavia, la forma
del suo viso era più spigolosa, e l’acceso color grano dei capelli di mio
marito era sostituito da una sfumatura più chiara, che sotto una luce più
intensa avrebbe potuto apparire di bianco. Il colore degli occhi non era
l’azzurro cielo che mi era familiare, ma un grigio metallico che avrebbe potuto
ricordare la lama di una spada. E altrettanto penetrante appariva il suo sguardo.
Quando feci il mio ingresso, si soffermò su di me a lungo, con il piglio sicuro
di chi è certo di aver catturato un’intera natura con una semplice occhiata.
“Figlio.” Parlò con la stessa inespressività con cui avrebbe
potuto rivolgersi ad un ambulante incrociato per strada. “Non ci incontriamo da
parecchio tempo.”
“Ma avete ricevuto la mia lettera riguardo al matrimonio,
non è così?” Potevo avvertire la tensione di Gourry. Credevo di conoscere
quella sensazione. Ansia, e un sottile desiderio di compiacere. Anch’io provavo
qualcosa di simile, di fronte a mia sorella. Il problema era però che in
quell’incontro non c’era traccia di familiarità. Si poteva diventare estranei,
anche fra padre e figlio, dopo anni di lontananza?
“Se il matrimonio si fosse svolto ad Elmekia, e se la sposa
fosse stata approvata dai membri della tua famiglia, suppongo che avrei potuto
pensare di prendervi parte, a dispetto di tutto.” Rabbrividii, sotto la sua
occhiata. “Ma immagino che tu non ti sia stupito della nostra assenza, date le
circostanze.”
“In effetti no.” La voce di Gourry tradiva stanchezza.
“Padre. Non è il momento di rivangare queste questioni.”
Prestai attenzione per la prima volta alla figura alle spalle del Lord. Capelli
corti e lisci di un biondo opaco ed occhi grigi si stagliavano su un viso più
scuro e duro di quello di Gourry, un viso che appariva precocemente
invecchiato.
“Un saggio rimprovero, Derek.” L’uomo indietreggiò, e indicò
il tavolo. “Siediti, figlio. E’ tempo di discutere di responsabilità.”
Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata. Di fronte a noi,
Lord Georg non fece grandi sforzi per mascherare la sua soddisfazione. “Credo
che sia tempo per gli intrusi di ritirarsi.” Dichiarò, in tono
inappropriatamente allegro. “I nostri ospiti non desidereranno intromissioni
nelle loro questioni familiari.”
Notai Erianna lanciargli un’occhiata colma di sufficienza,
ma la regina non replicò. “Vieni, Eriol.” Si limitò ad intimare al futuro
sovrano, che stava assaporando quello che poteva essere il terzo bicchiere di
vino da quando eravamo entrati. Da figliolo obbediente, il principe non la
contraddisse.
“Immagino che anche tu possa andare, Bastian.” La voce del
padre di Gourry risuonò nuovamente, e solo allora mi resi conto, non senza
stupore, della presenza del cavaliere. Doveva essere rimasto per tutto il tempo
nella sua posizione eretta, nello spazio fra due delle grandi finestre. La luce
cupa della stanza mi aveva impedito di cogliere il riflesso della sua armatura
nera.
“Ne siete certo, mio signore?” L’uomo mi lanciò un’occhiata
piena di diffidenza. “La maga è di certo pericolosa.”
“Confido che mio figlio riesca a tenere a bada sua moglie a
sufficienza per impedirle di attentare alla mia vita.” Tenere a bada? “E
ad ogni buon conto, non temo la magia.” Mi lanciò uno sguardo di sfida, con i
suoi occhi penetranti.
Non gli diedi soddisfazione. I miei occhi si fissarono sulla
schiena di Bastian, che usciva dalla stanza. Dunque, in fondo, il cavaliere era
al servizio del padre di Gourry. Se era così, da quanto tempo i Gabriev
attendevano il nostro arrivo a Talit?
Il barone seguì il suo stesso consiglio e si accomodò alla
tavola. Gourry, invece, non si mosse dalla sua posizione eretta. Rimasi al suo
fianco, studiando il loro silenzioso confronto, il mio stomaco stretto per il
disagio.
“Devo supporre che tu sia venuto qui per compiere il tuo
dovere, Gourry?” Il tono del lord era tranquillo, la calma di chi sa di essere
nel giusto. “Non vedo altri motivi per cui un uomo sposato dovrebbe volersi
allontanare dalla sua dimora.”
“Attualmente non ho una casa fissa.” La risposta di Gourry
fu secca. “E sono costretto ad ammettere che dopo molti anni non sono ancora
certo di quale tu ritenga essere il mio dovere, padre.”
Lord Gabriev si accigliò. “Sono consapevole di non essere
mai riuscito ad inculcarti un concetto semplice come la lealtà alla tua
famiglia, Gourry. Ma speravo che l’età ti avesse portato consiglio.” Si volse,
e mi scrutò. “E trovo singolare il fatto che tu non abbia una dimora fissa.
Sposarsi vuol dire costruirsi una casa e avere dei figli. Degli eredi.” La
lunga occhiata che mi scoccò non aveva certo la sfumatura benevola del suocero
indulgente. “Sempre che si abbia una moglie in grado di assumersi le proprie
responsabilità.”
Sentii Gourry fremere, al mio fianco. Raramente lo avevo
visto tanto irritato. “Già. So bene che per te è in questo che consiste un
matrimonio.”
Il padre levò le sopracciglia. Per qualche istante, un
opprimente silenzio calò sulla stanza.
“Ad ogni modo…” L’uomo più anziano riprese, in un tono
forzatamente neutro. “Anche se tu avessi sposato un Signore dei Demoni, la cosa
non mi riguarderebbe più. Ma ciò che devo chiederti, come padre, è di
raccogliere quel briciolo di lealtà che ti rimane verso il tuo regno, e
sostenere l’erede scelto dal nostro defunto sovrano nel corso di questa
guerra.”
Sapevamo entrambi che questa richiesta sarebbe arrivata.
Gourry mi prese la mano, forse cercando il coraggio per contrapporsi
apertamente a suo padre. “Devo capire se è la scelta giusta, prima di acconsentire
alla tua richiesta, padre.”
L’irritazione parve catturare Lord Gabriev. L’uomo si levò
dalla sedia, incombendo minaccioso su di noi. “La scelta giusta? Per il regno o
per te, figlio?”
“Per me, padre. Non conosciamo a sufficienza le parti in lotta
per giudicare ciò che è meglio per il regno.”
“E la mia parola non ti basta? Non ti bastano i tuoi
doveri?” Il nostro interlocutore aveva alzato la voce, ora. I suoi occhi
promettevano tempesta.
“Abbiamo una diversa scala dei doveri, padre.”
“Su questo non c’è alcun dubbio.” Fu la voce del fratello di
Gourry, stavolta, a risuonare. Anche il suo sguardo era cupo. “Una persona che
ritiene giusto rubare al suo stesso sangue qualcosa che non gli spetta di
diritto solo per soddisfare la sua vanagloria chiaramente ha chiuso gli occhi
di fronte a qualsiasi remora dettata dall’onore e dalla lealtà famigliare.” Fui
ammirata. Riuscì a pronunciare l’intera frase senza prendere fiato nemmeno una
volta.
Il volto di Gourry si imporporò. Avrei potuto giurare che quello
era un argomento andato a segno. “Io… non l’ho fatto per il mio interesse… L’ho
fatto per…”
“Non osare dire che lo hai fatto per noi, FRATELLO!” Anche
Derek si alzò. Ebbi l’impressione che attendesse quella discussione da anni.
“Ho sentito delle tue grandi gesta! Il nuovo cavaliere di Luce! Tu e
quella tua maga avete giocato a disseminare leggende mentre nostro padre ed io
lottavamo per non perdere prestigio agli occhi dei nostri cavalieri!” Fece un
passo avanti. “Quella spada era di nostro padre e spettava a ME! Tu non hai mai
accettato il fatto di essere il secondogenito, di non avere un futuro grandioso
ad attenderti, ecco perché ti atteggiavi continuamente a vittima!”
“No!” Gourry scattò. Aveva l’espressione di chi sta vivendo
il suo incubo ricorrente. “Derek, stammi a sentire! E’ vero che ero preoccupato
per il mio futuro, ma questo non c’entra con…”
“Sta’ zitto!” Il fratello non gli permise di terminare. “Non
sei nemmeno riuscito a custodirla, quella dannata spada! L’hai perduta in una
delle tue mirabolanti avventure, come ad Elmekia nessuno si stanca di
ripetere! Ed eccoti qui, a mani vuote, che osi ancora opporti alla volontà di
tuo padre!”
“Adesso basta.”
Il Lord Gabriev intervenne, prima che Gourry potesse
replicare. Si pose di fronte al figlio maggiore, placandolo, l’espressione
cupa. “Questo non ha importanza, ora. Il punto è, Gourry, che da quando la
spada è andata perduta a causa tua, siamo rimasti comunque nelle grazie del re
per la nostra lunga amicizia.” Il nobile si incupì. “Dopo la sua morte, Samon
ha preso le distanze da ogni sostenitore di suo padre. Ciò significa che, se
lui vince questa guerra, la nostra famiglia cadrà in disgrazia.”
Lo sguardo di Gourry passò dal volto del fratello a quello
del padre. “Non credo che il mio sostegno sarà determinante per la guerra.”
Il Lord Gabriev, sbuffò, spazientito. “Sei ottuso come al
solito, figlio. Il tuo sostegno non è determinante per l’esito della guerra, il
tuo sostegno è determinante per noi.” Lo fissò, come avrebbe fissato un
bambino indisponente. “Ho promesso ad Eriol che tutta la mia famiglia si
sarebbe impegnata al suo fianco. E ho intenzione di mantenere le mie promesse,
Gourry. Dato che probabilmente ne andrà del nostro futuro dopo la guerra.”
In altre parole, il sostegno dei Gabriev sarebbe valso loro
un titolo. Ordinaria amministrazione bellica.
“Io… non vi devo nulla.” Gourry tentò, ma la sua voce era
incerta.
Il padre si accigliò. “Con la spada, probabilmente, il
nostro sostegno sarebbe stato pagato oro sonante da entrambe le fazioni. Tu ci
devi TUTTO, Gourry. Faresti bene a ricordartelo.”
“E’ una minaccia?”
“Vedila come preferisci. Come compenso al tuo sostegno,
comunque, terminata questa faccenda sarò più che felice di dimenticarmi della
tua esistenza.” Il nobile ci superò, e raggiunse la porta. Si soffermò sulla
soglia. “Mi aspetto che tu comunichi la tua decisione ai nostri ospiti entro
l’ora di pranzo.” Si volse a guardarci un’ultima volta. “Non mi sfidare,
figlio, perché ti pentiresti di averlo fatto. In questa circostanza, non sono
disposto ad accettare insubordinazioni.”
Uscì, chiudendo con violenza la porta alle sue spalle.
Derek non si mosse. Gourry rimase fermo a fissare la porta
da cui il padre era sparito. Aveva tutta l’aria di temere di volgersi a
fronteggiarlo.
“Nostro zio… si è unito ai sostenitori di Samon.” Il
cavaliere più anziano prese la parola per primo, in tono più calmo, ora, ma
ostile. “Cosa speravi di fare portando via la spada, Gourry? Farci tornare
magicamente uniti? Credevi davvero che fosse realmente ciò per cui stavamo
lottando?”
“La spada… era quello il punto, no?” La voce di mio marito
era ancora una volta stanca. “Pensavo che… fossimo stati tutti corrotti dal suo
fascino.”
“Già… tu per primo, vero, fratello?” Derek si avvicinò, e
costrinse Gourry a voltarsi. Quando lo afferrò per la collottola provai
l’impulso ad accorrere in suo aiuto, ma i miei piedi per qualche motivo mi
parvero incollati al suolo. “Dimmi soltanto una cosa. Come hai potuto perderla?
Come?”
“Non la ho persa. La ho ceduta.” Il tono di Gourry era
piatto. Come se fosse rassegnato a quella conversazione.
“In cambio di COSA, per gli dei???”
“Non… non lo capiresti.”
Il fiato mi si strozzò in gola, quando un pugno colpì con
violenza il viso di mio marito. Avanzai di un passo, ma un’occhiata iniettata
di disprezzo di Derek mi gelò sul posto. Gourry cadde al suolo, reggendosi la
guancia. Derek incombette su di lui per un istante, prima di aprire la porta da
cui il lord Gabriev era sparito. “Acconsenti alla richiesta di nostro padre.”
Intimò. “Fallo, o ti giuro che ti seguirò in ogni parte del continente, finché
uno di noi due non avrà ucciso l’altro.”
Il padre di Gourry era un uomo freddo e razionale. Si
serviva di armi psicologiche sottili, e non avrebbe messo in gioco la propria
vita per vendicarsi del figlio.
Ma Derek era molto diverso da lui.
Con un fremito, me ne resi conto. E capii che non stava
scherzando.
Ecco un nuovo capitolo, in cui si entra un po’ nel vivo della storia…^^
Come sempre, grazie ha chi ha avuto (e ha) la pazienza
Ecco un nuovo capitolo, in cui
si entra un po’ nel vivo della storia…^^ Come sempre, grazie ha chi ha avuto (e
ha) la pazienza di leggere e di commentare! Buona lettura!
***
Sussultai, quando la pezza incandescente venne a contatto
con la mia pelle.
Lina esitò. Per un momento, rimase con la mano sospesa a
mezz’aria, guardandomi negli occhi.
“E’ imbevuta nel mio infuso. Non ti lascerà scottature.”
“Lo so.” Replicai, la voce lievemente alterata. “Mi ha solo
colto di sorpresa.”
Lina tornò a premere delicatamente l’impacco sul mio viso.
Questa volta, strinsi i denti ed evitai di reagire.
Era pieno pomeriggio. La pioggia non accennava a diminuire,
e ci lasciava scarse speranze di riuscire almeno in una passeggiata
all’esterno, prima dello scendere del buio. Lina aveva continuato a percorrere
a grandi passi la stanza, per tutto il giorno, come un topo in trappola. Alla
fine, in un disperato tentativo di distrarla, le avevo chiesto se poteva fare
qualcosa per il segno del pugno di Derek sulla mia guancia.
“Se fosse stata solo un’ecchimosi, non ci sarebbe stato
bisogno di tutto questo. Certo che tuo fratello, quando vuole fare un danno, si
impegna fino in fondo.” Non sapevo che cosa Derek avesse sotto al guanto, ma
era duro, e tagliava. Sospettavo che avesse ‘scordato’ di togliersi l’anello
col sigillo di mio padre, in onore del nostro toccante rincontro.
“Se ti ha impressionato questo, immagino che sarà meglio che
tu non assista mai ad un nostro allenamento con la spada. Tende a prenderli sul
serio.”
Lina fece un mezzo sorriso, il primo del pomeriggio. “Non
fatico a crederlo. Ora reggi qui.” Guidò la mia mano sull’impacco, e allontanò
le dita. “Tienilo per una decina di minuti, e il segno dovrebbe sparire del
tutto. La ferita che ti ho guarito non brucia più, vero?”
Scossi la testa. “Il tuo incantesimo ha funzionato. Sarebbe
perfetto, se non rimanessero cicatrici.”
La mano di Lina si posò sulla mia. “Parli delle cicatrici
esterne, o di quelle interiori? Perché temo che le mie erbe siano efficaci solo
per le prime.”
Sorrisi, lievemente, e strinsi le sue dita per un istante.
Ma troppo presto il loro calore sfuggì al contatto della mia mano. Lina si
alzò, e mi volse le spalle per riporre le sue cose.
Mi chiedevo se fosse arrabbiata. Non pareva irritata, ma era
insolitamente taciturna, e, in fondo, avrebbe avuto motivo di avercela con
l’intero casato Gabriev. Il comportamento di mio padre e di mio fratello nei
suoi confronti era stato inqualificabile. In più, si era trovata prigioniera in
tutta quella faccenda a causa mia.
Quella mattina, avevo piegato la testa di fronte alla
richiesta di mio padre. Avevo dovuto farlo. Mio fratello non mentiva, lo
sapevo, e io non potevo pensare di affrontare le conseguenze di un rifiuto. A
modo nostro, ci eravamo rispettati, io e Derek. Ci eravamo persino voluti bene.
In fondo mi ero aspettato che non mi avesse perdonato il fatto di essere
fuggito con la spada… Ma anche se la sua reazione non mi aveva sorpreso, le sue
accuse mi avevano lasciato l’amaro in bocca… Sapevo di non aver preso la spada
in cerca di gloria… all’epoca, quell’arma mi era parsa semplicemente un peso di
cui liberarmi… ma forse Derek aveva ragione nel pensare che il mio non fosse
stato semplicemente un gesto altruistico. Forse ero solo stato codardo. Forse
avevo desiderato semplicemente fuggire dalla mia famiglia e dall’angoscia, e
avevo portato la spada con me per placare il mio senso di colpa.
“Lina…” Squadrai il profilo chino di mia moglie, mentre
sciacquava la ciotola in cui aveva preparato il composto di erbe, nel catino
sulla specchiera. “Tu… non devi restare per forza, se non lo desideri. In
fondo, la mia famiglia può imporsi solo a me.”
Mia moglie si limitò a rivolgermi una breve occhiata,
attraverso lo specchio. Non ebbe nemmeno bisogno di parlare. Seppi da solo di
aver detto una cosa molto stupida.
“Ritieni che io voglia prendere e andarmene felicemente in
giro per il mondo mentre tu stai qui a combattere una guerra?” La replica di
Lina fu secca. La maga si asciugò le mani e andò a riporre erbe e ciotola in
una delle tasche del suo mantello. Non avevo ancora capito che razza di
incantesimo avesse lanciato su quell’indumento, ma pareva in grado di contenere
centinaia di oggetti.
Feci un breve sospiro. “D’accordo… era una proposta idiota.”
“Mi fa piacere che tu lo riconosca.” Ripiegò la veste,
poggiandola su una delle sedie.
Dovetti sorridere. Non avrei ricevuto parole di compassione,
da Lina. E non le desideravo. La sua presenza costante al mio fianco contava
più di qualsiasi frase di conforto.
Mi levai dal bordo del letto, e mi avvicinai a lei. Mia
moglie aprì la bocca, forse per chiedermi che intenzioni avessi, ma io la
precedetti. Mi chinai su di lei, e semplicemente la abbracciai. Lina rimase
immobile per un momento, probabilmente colta di sorpresa, ma dopo qualche
istante avvertii la stretta delle sue dita calde sul mio braccio. Non dissi
nulla. In fondo, non ce n’era bisogno.
“Gourry…” Dopo forse un minuto, mia moglie si allontanò, con
un sospiro. “Ti ho detto di tenere quelle erbe contro la guancia per un po’.
Vuoi o no che quel segno se ne vada?” Mi resi conto solo in quell’istante che
avevo lasciato cadere l’impacco a terra. Lina si piegò al suolo per
raccoglierlo, e me lo premette di nuovo sul viso. Ancora una volta mi studiò
per un momento in volto, con espressione pensosa. Quello sguardo mi lasciò
perplesso.
“Lina?”
La fronte di mia moglie si aggrottò. Io sospirai, e attesi
pazientemente che si decidesse a parlare. Pazienza. Era spesso l’unica
soluzione, considerando come mia moglie potesse essere complicata.
“Stavo solo ripensando a ciò che ha detto tuo padre.” Sbottò
infine, con un mezzo sospiro, come se le avessi estratto quelle parole con la
forza.
“Riguardo a cosa?”
“Riguardo al nostro matrimonio. La maggior parte della gente
penserebbe che ha ragione.”
Battei le palpebre. Ora cominciavo davvero ad essere
confuso. “In che senso?”
Lina mi squadrò storto, irritata dalla mia mancata
comprensione. “Sveglia, Gourry! Parlo di una casa stabile! E dei figli!”
“Vuoi una casa e dei figli?”
“Non io! Non ora, almeno! Oh, dei, Gourry!” Lina sbottò,
definitivamente. “Tuo padre! Sto parlando di quello che ha detto tuo padre!”
“Ma tu non hai sposato mio padre, no?”
Ci squadrammo per un momento, in un silenzio surreale. Ciò
che stavo dicendo aveva un senso, lo leggevo nello sguardo di Lina, ma mia
moglie non sembrava ancora del tutto convinta.
Scosse la testa, cercando freneticamente, lo capivo, un modo
diverso per porre la questione. “Voglio dire… in genere, quando pensi ad un
matrimonio, è a QUESTO che pensi, giusto? Tu… davvero non… non mi hai chiesto
di sposarti perché desideravi una vita del genere…?”
“Veramente… io l’ho fatto perché desideravo una vita con te…”
Replicai, in sincerità. Era questo, credo, che mio padre non capiva. L’amore
coniugale non aveva un grande posto, nella sua scala dei valori. “Non dico di
escludere a priori che giunga altro. Ma… con i nostri tempi. Come al solito.”
Feci una pausa, cercando le parole per spiegarmi. “Mio padre diceva che il
matrimonio è prima di tutto una responsabilità… e so che è un modo di dire
comune, ma io non riesco a vederla allo stesso modo. Ti amo, e sei la mia
migliore amica. Sto sinceramente bene con te. Lo so che è semplice… banale,
probabilmente. Ma… davvero non ho bisogno di altro.”
Lina rimase in silenzio per un momento. “Semplice.” Parve
assaporare quella parola. “Già. Lo è. E tu sei una persona davvero candida,
Gourry.”
Quel commento mi fece esitare. Sapevo che da anni ero un
libro aperto, per lei. Ancora prima del nostro matrimonio, ancora che il nostro
rapporto superasse la barriera della semplice amicizia, non avevo mai pensato
di frenarmi dal manifestarle il mio affetto nei suoi confronti. D’altra parte,
Lina aveva un indole molto più complessa della mia. Era riservata al di sotto
della sua apparenza aperta, la sua sicurezza mascherava un intrico di luci e
ombre da cui, sapevo, a volte lei stessa era inquietata. E la sua sete di
novità era inesauribile. Durante la lotta con Fibrizo, in preda alla
disperazione, le avevo gridato che il suo posto era al mio fianco. E lo avevo
creduto, perché anche così, anche sopraffatta da ciò che di più oscuro si
annidava in lei, lei rimaneva Lina, la stessa Lina che ero certo avrebbe saputo
vincere su se stessa. La stessa Lina da cui sentivo di non essere capace di
allontanarmi, perché fare a meno anche di un solo aspetto della sua
meravigliosa complessità avrebbe significato perdere un pezzo della mia anima.
Tuttavia, mi rendevo conto di essere assurdamente semplice, a suo confronto. A
volte, mi chiedevo se IO fossi abbastanza interessante, per una persona come
lei.
“E’ lo stesso per me.”
“Eh?” Battei le palpebre. Cercai nel suo tono di voce
un’ironia che non riuscii a trovare.
Scoppiò in una breve risata, di fronte alla mia espressione.
Una risata vera, non sarcastica o fredda, come quelle con cui talvolta si
faceva sprezzo dei suoi interlocutori. “Ci crederesti? E’ così semplice, anche
per me. A volte non riesco ancora a credere di avere avuto la fortuna di
incontrarti.” Rise nuovamente, con allegria. “C’è chi direbbe che non me la
merito.”
Il calore mi invase, a quelle parole. La mia mano, ancora
ferma sulla sua spalla, la strinse istintivamente. “In fondo, si sa che non c’è
giustizia, al mondo.”
Lina ridacchiò, coprendo brevemente le mie dita con le sue.
“Non dirlo ad Amelia.” Scosse la testa. “Anche se, ad onor del vero, anche io
ho i miei problemi, a causa tua.”
Battei le palpebre. “Vale a dire?”
“Bé… mi spiace essere io a darti questa notizia… ma credo di
non piacere granché alla tua famiglia.”
Non si preoccupò di mascherare il suo sarcasmo. Io soffocai
una risata.
Lina sospirò. “Ma il mio problema più urgente è che, se non
troviamo un modo per passare queste settimane, morirò di noia.” Si allontanò
lievemente da me, e fissò il soffitto, come in cerca di una soluzione dal
cielo.
“L’aspetto positivo è che quanto meno Eriol ora smetterà di
farti la corte.”
Mia moglie mi guardò storto. “Sei un po’ troppo pronto a
pensare che lo facesse solo per interesse, Gourry…”
Ridacchiai. “E’ ovvio. Sono pochi quelli che come me hanno
una perversione per il seno piatto!”
Avevo appena oltrepassato la linea (sottile, per chi ha a
che fare con Lina) fra vita pacifica e morte violenta. Mia moglie stava
socchiudendo le labbra, il segnale che qualcosa di non meno potente di un Mono
Volt stava appunto per abbattersi sulla mia esistenza, quando un lampo di
genio, di quelli che solo l’istinto di sopravvivenza è in grado di generare,
giunse a posticipare la mia sofferenza.
“Ehi, Lina. Dato che non c’è altro da fare, perché non
chiedi ad Eriol di farti accedere a qualcuna delle biblioteche di Talit?”
Mia moglie mi studiò con la fronte aggrottata, evidentemente
ancora incerta sulla sorte da riservarmi. “E quest’idea da dove ti viene
fuori?”
“Stavo ripensando a Livia, la sera scorsa. E mi è venuto in
mente che mia nonna mi diceva che a Talit sono custoditi volumi provenienti da
ogni parte del continente.”
Lo sguardo di Lina tradì improvvisamente interesse. “In
effetti può essere. I libri sono un bene di scambio prezioso, e i testi celebri
possono portare prestigio tanto quanto le spade magiche. Anche se qui non c’è
una Gilda dei Maghi interessata a raccoglierli, in fondo si tratta pur sempre
di una città mercantile…” Il suo volto si incupì, brevemente. “Certo che non
riesco ad immaginare quello zotico di Georg che accumula volumi come uno
studioso consumato…”
“Ma
ci sono stati i suoi predecessori…”
Lina
si strinse nelle spalle. “Questo sì. La stessa Erianna non è una stupida. E in
effetti Livia aveva accennato al fatto che Georg è appassionato di
cartografia…” Si scostò lievemente da me. “Anche se dubito che troverò volumi
di magia, in un regno come Elmekia. Al massimo qualche testo sulle armi, o
opere di strategia militare…”
“O
romanzi.” Suggerii, con una mezza risata. Per qualche motivo, avevo idea che il
genere non interessasse Lina.
Mia
moglie mi lanciò un’occhiata divertita. “Ho superato da un po’ l’età per le
storie di dame e cavalieri.”
“Ciò
significa che da piccola le leggevi?”
Lina sbuffò. “Il mio era un interesse scientifico.
Pianificavo di sposare un principe, dovevo pur documentarmi da qualche parte.
Poi un villano qualsiasi ha ben deciso di togliermi dalla piazza, e ha rovinato
ogni mia prospettiva di nobiltà.”
“Chi
è il villano?” Ridendo, cercai di afferrarla, ma Lina mi sfuggì senza sforzo e
afferrò il mantello verde abbinato al suo vestito.
“Devo
andare in biblioteca.” Se lo avvolse attorno alle spalle, e mi guardò
accigliata. “Sei libero di venire con me, se vuoi, ma vedi di non addormentarti
come tuo solito mentre io leggo, o ti ci chiudo dentro fino a domattina.”
Scuotendo
la testa, mi limitai a seguirla mentre usciva nel corridoio. Quell’ultima
minaccia doveva essere la vendetta per i miei commenti sul suo seno, e avevo
l’impressione che avesse intenzione di tenervi fede. Ma ero felice che i
pensieri sul nostro soggiorno forzato fossero momentaneamente accantonati.
Con
mia sorpresa, Lina prese a salire i gradini, invece di muoversi verso la base
della torre. Mi accodai di corsa a lei, e la fissai perplesso. “Non chiedi ad
Eriol il permesso, prima di salire in biblioteca?”
“Sinceramente,
Gourry…” Lina si strinse nel mantello. “… Eriol in questo momento è l’ultima
persona che ho intenzione di vedere, come qualsiasi membro della sua assurda
famiglia. Se ci ha piazzati nella stessa torre della biblioteca, suppongo che
non abbia nulla in contrario se andiamo a dare un’occhiata…”
Quella
logica non mi appariva così stringente, ma non mi opposi. Dopo anni di piani di
battaglia, avevo imparato bene in quali circostanze potevo convincere Lina, e
in quali neanche un esperto oratore ne sarebbe stato in grado. Mi limitai a
seguirla lungo la scala, che in quell’ultimo tratto si restringeva troppo per
camminare affiancati, e scrutai al di sopra delle sue spalle la massiccia porta
in legno che ci veniva incontro, dalla cima delle scale. Per qualche motivo,
quella barriera aveva l’aria di invitarci a tornare sui nostri passi, e non
impicciarci di ciò che non ci riguardava.
Quasi
a conferma delle mie sensazioni, quando Lina tentò di aprire, si ritrovò a
scuotere la maniglia senza risultato.
“Diavolo.”
Provò a spingere e tirare, senza smuoverla di un millimetro. “E’ chiusa a
chiave.”
“Immagino
che questo possa significare che il padrone di casa non è poi così felice di avere
estranei che vagano per la torre senza il suo permesso…”
Lina
sbuffò, irritata. “Livia ieri sera è entrata senza problemi, ricordi? E
sinceramente non riesco a immaginarla mentre cerca di rubare le chiavi sotto il
naso a Georg. E’ più probabile che ieri notte la abbiano scoperta, e da allora
il padrone di casa abbia deciso di bloccare le biblioteche al suo accesso…”
In
effetti, quel giorno la ragazzina non si era vista da nessuna parte… Quale
poteva essere la punizione per avere cercato accesso ad un po’ di cultura che
esulasse dagli insegnamenti dei propri istitutori? Quella ad Elmekia era
normalmente considerata una stravaganza, per una ragazza. E il mio regno natale
non era precisamente un luogo tollerante verso le ragazze stravaganti.
“Credi
che Georg permetterà a noi di entrare?”
“Sinceramente…
non mi importa niente di ciò che Georg permette o non permette di fare.”
Lina
allungò la mano verso il chiavistello, e pronunciò sommessamente una formula.
Sentii uno scatto, come se un’invisibile chiave avesse appena girato nella
toppa, e stavolta, alla spinta di Lina, la porta si aprì.
Mia
moglie vestì un breve sorriso di trionfo, e avanzò nella stanza. Io la seguii,
senza riuscire a frenare il mio disagio.
“Lina…”
Sussurrai. “Non mi sembra una buona idea… lo sai cosa ne pensano, qui, della
magia… se ci scoprono…”
“Se
vogliono una maga a difendere il palazzo, devono accettarne le conseguenze.”
Lina richiuse la porta alle mie spalle. “E poi, non ci scopriranno. Scommetto
che nessuno mette mai piede qui dentro.”
“Mmm…”
Non ero particolarmente convinto, ma evitai di discutere. Sapevo che non sarei
riuscito a portare Lina via di lì, e non avevo intenzione di lasciarla da sola.
Meno avessimo discusso, e prima ce ne saremmo andati, riducendo il rischio che
mio padre trovasse un altro motivo per gridarmi in faccia che ero la vergogna
della famiglia.
Lina
mi rivolse un sorriso. “Rilassati, Gourry. Cosa potrebbero mai farci? Hanno
bisogno di noi.” Con questo, la sua attenzione si rivolse alla stanza. A me
venivano in mente un sacco di cose che avrebbero potuto farci, un
campionario che andava dal carcere alla frusta, ma cercai di non pensarci, e di
distrarmi scrutando l’ambiente che mi circondava. La sala non era
particolarmente grande, ma era letteralmente stipata di volumi, raccolti su
alti scaffali. Il mobilio ricopriva interamente le pareti, ad eccezione dello
spazio di una seconda porta e di quello delle ampie finestre, che si aprivano
sul panorama del mare in tempesta. La quantità di polvere lasciava pensare che
la sala non fosse più frequentata da tempo.
La
luce che pervadeva la stanza era grigia, come ogni cosa all’esterno. Il sole
non era visibile, ma non doveva mancare molto al crepuscolo. Avevamo forse un
paio d’ore prima che venisse servita la cena.
“Come
pensavo… solo stupidi testi sull’arte della guerra… sarebbe l’ambiente ideale
per Erianna.”
Lina
aveva evocato una piccola sfera di luce, e stava scorrendo i titoli dei volumi
nascosti fra le ombre degli scaffali. Pregai che non trovasse altro, così ce ne
saremmo andati in fretta. Ma poi il mio sguardo cadde su una serie di volumi
dall’aspetto familiare, e la mia lingua si mosse prima che il mio cervello
potesse frenarla.
“Ehi,
Lina… questi non sono uguali al testo che Livia stava portando via ieri notte?”
Mia
moglie si volse verso di me, e scrutò la fila di volumi che stavo indicando. Il
suo sguardo si mosse con interesse sull’intero scaffale, e un lieve sorriso si
disegnò sulle sue labbra. “Testi di storia.” Mormorò. “Certo. Suppongo che in
mancanza di romanzi abbia dovuto ripiegare su questi.”
I
sei volumi rilegati in rosso, scoprimmo, erano una storia onnicomprensiva del
regno di Elmekia, redatta da qualche sconosciuto sacerdote una cinquantina di
anni prima. Ogni volume aveva finiture di un diverso colore, e anche il tomo
con decorazioni in oro che avevamo visto in mano a Livia faceva mostra di sé in
mezzo agli altri. Evidentemente, come Lina aveva supposto, qualcuno doveva
avere scoperto Livia e averla privata del testo, per restituirlo alla sua posizione
originaria.
Mia
moglie estrasse il volume e prese a sfogliarlo, con fare curioso. Anch’io lessi
da sopra le sue spalle, chiedendomi cosa potesse risvegliare l’interesse di una
ragazza come Livia nella storia di un regno governato da una aristocrazia
guerriera.
“Il
volume arriva fino ad un paio di secoli fa.” Commentò Lina, sfogliando le
pagine rese fragili dal tempo. “Guarda, parla anche della costruzione della
nuova Talit, sotto la casata dei Darland… è la famiglia della regina, no? Eriol
mi ha detto che furono loro a portare questa città alla ricchezza, dopo che per
secoli era rimasta un semplice borgo di montagna.”
Annuii.
“Anche se in realtà Talit era una roccaforte piuttosto potente anche prima
della costruzione della città nuova, e i Darland la dominavano già da un pezzo.
Certo da un paio di secoli è cresciuta notevolmente, ma questo è successo a
tutte le città commerciali, da quando Elmekia ha firmato l’alleanza con Sailune
e gli altri regni del sud del continente…” Le nozioni della storia di Elmekia
erano probabilmente le uniche che ricordavo con facilità. Mio malgrado. Mi
erano state impresse a suon di cinghia, durante la mia infanzia… “Però non ho
mai capito perché abbiano ricostruito interamente Talit, invece di limitarsi ad
espanderla come le altre città sulla costa…”
“Potrebbe
essere per la conformazione del territorio… Anche se personalmente sospetto che
la spiegazione sia molto più banale. Semplice ostentazione.” Lina sbuffò,
sbrigativamente, cambiando capitolo. “Oh, guarda. Credo di aver trovato quello
che cercava Livia.”
Mi
sporsi lievemente su di lei, per leggere, e il nome ‘Sailarg’ catturò
immediatamente il mio sguardo.
“Che
cos’è?”
“La
storia dello Spadaccino di Luce.” Lina si volse verso di me, con un ghigno.
“Suppongo che, dato che questa raccolta è troppo datata per parlare del suo
degno successore, Livia abbia dovuto ripiegare sull’originale.” Ammiccò
lievemente, mettendomi a disagio.
“Io…
non sono il suo ‘successore’…”
“Non
fare il modesto, Gourry. Lo ha detto lei stessa che ormai anche tu sei una
leggenda, ad Elmekia. E hai combattuto contro Shabranigdu, contro Rezo, contro
Garv e il Signore degli Inferi, quindi direi che non è un titolo immeritato.”
Il sorriso di Lina era sincero, ma per qualche motivo quelle parole, in quel
momento, non riuscivano a lusingarmi.
“Lina…”
Esitai, per un momento. “Tu… mi credi quando ti dico che non era questo quello
a cui pensavo, quando… quando ho rubato la spada, vero?”
La
mia espressione seria dovette coglierla di sorpresa, perché improvvisamente
ogni traccia di giocosità scomparve dal suo sguardo. “Che dici, Gourry? Come
potevi immaginarlo, allora?”
Improvvisamente, i miei dubbi mi parvero estremamente
sciocchi. Ma avevo bisogno di conferme, almeno da lei. “Voglio dire… davvero,
non la ho presa per… per tenerla per me… ma poi ho pensato che poteva anche
nascere qualcosa di buono da quell’arma, anche se fino a quel momento aveva
causato solo guai…”
“E
lo ha fatto?”
Non
capii. “Cosa?”
“Qualcosa
di buono.”
La
fissai per un momento in silenzio. “Ti ha difesa.” Non aggiunsi altro. Quelle
tre parole bastavano a spiegare il valore che la Spada di Luce aveva avuto per
me.
Lina
mi sorrise. “Non ti sei disperato quando la hai perduta, Gourry. Mentre altri
la avrebbero tenuta stretta a sé, pagando qualsiasi prezzo. Credo, e lo dico
sinceramente, che questo ti qualificasse come la persona migliore per portarla.
E ti conosco abbastanza bene per sapere che non puoi averla rubata mosso da
cattive intenzioni.”
Un
sorriso sorse spontaneo alle mie labbra. Lina tornò al volume, appoggiandosi
lievemente a me mentre scorreva le pagine. Io sentii la tensione rilasciarmi,
forse per la prima volta in quella lunga giornata. Anche quel modo casuale di
volgere le spalle aveva un significato, con Lina. Perché i suoi sensi di
combattente si rilassavano davvero solo in presenza di chi aveva la sua fiducia
incondizionata. E non era qualcosa di semplice da ottenere, la fiducia di Lina.
“Sai,
anche il tuo antenato aveva viaggiato fino a qui…” Mormorò dopo qualche istante,
il tono di voce acceso dall’interesse. “Pare che fosse in rapporti di amicizia
con uno dei figli dell’allora duca… che però è morto di malattia, quando era
ancora piuttosto giovane…”
“Davvero?”
Battei le palpebre. Non avevo mai sentito quella storia.
“Mm.
Qui dice che…”
Lina
si bloccò di colpo. La vidi volgersi verso la porta, lo sguardo improvvisamente
allarmato.
“Cosa…?”
Lina
mi zittì con un gesto. Mi afferrò per un braccio e mi condusse verso la piccola
porta in legno su uno dei lati della stanza. Sussurrò qualcosa, e anche quella
malmessa serratura scattò. Mi spinse dentro, senza dire una parola.
“Lina…”
Iniziai, ma mia moglie scosse la testa, zittendomi nuovamente. Serrò la porta,
e la vidi sparire sul lato opposto, mentre il buio si richiudeva su di me.
Avrei voluto seguirla, o chiederle dove mi trovavo, ma sapevo che aveva in
mente qualcosa di preciso. Così, rimasi nascosto nell’oscurità, su gradini di
legno ammuffiti, per secondi che mi parvero ore. Quando finalmente la porta si
aprì di nuovo, Lina rientrò frettolosamente, e non mi lasciò il tempo di fare
domande. Evocò una nuova sfera di luce, illuminando una ripida scala, che
spariva nel buio. La riconobbi. La sera prima la avevamo scoperta, dietro una
porta accanto a quella del guardaroba, nella nostra stanza. E avevamo
unanimemente concluso che era troppo pericoloso percorrerla.
Scendemmo
cautamente, e quando raggiungemmo la nostra camera fui felice di constatare che
il fuoco scoppiettava ancora nel camino. In quel percorso di pochi minuti,
l’umidità mi era penetrata nelle ossa.
“E
allora?” Domandai, strofinando le mani per scaldarle.
“Qualcuno
stava salendo le scale.” Replicò semplicemente mia moglie. “Ho sentito i passi.
Poteva essere un servitore, ma non era il caso di rischiare.”
“Ma
che cosa hai fatto prima di venire via?”
Lina
mi rivolse un sorriso furbo. Con un movimento felino, estrasse un volume da
sotto il mantello. Lo stesso tomo rifinito d’oro che aveva sfogliato fra le
fredde pareti della biblioteca.
“Co…?”
Rimasi senza parole. Cosa sarebbe successo quando chiunque stesse salendo alla
biblioteca si fosse accorto del volume mancante?
Lina
rise, di fronte al mio volto impallidito. “Non ti preoccupare, Gourry. Ho
lanciato un incantesimo di illusione che ha proiettato un’immagine immateriale
del volume sullo scaffale. Nessuno si accorgerà di nulla, ed io rimetterò a
posto il libro appena avrò finito di leggere ciò che ho lasciato a metà.”
Non
avevo capito esattamente cosa fosse quell’immateria… qualcosa. Però, sapevo
bene cosa implicavano normalmente le iniziative di Lina.
Guai.
“Per
favore, Lina. Che ci può essere di interessante in quel testo?”
“Non
lo so. Ma per qualche motivo ho una strana sensazione, a riguardo.”
Grandioso.
Indovinate un po’ a cosa portano normalmente, tanto per cambiare, le
‘sensazioni’ di Lina.
“Ti
ho detto di rilassarti, Gourry.” Lina rise, nuovamente. “Non ho detto che penso
che il mondo stia per finire, o qualcosa del genere.”
Io
mi sedetti sul letto, sconfortato. “Sto diventando troppo vecchio, per questo
genere di cose.”
Lina
ridacchiò di nuovo, e mi si sedette accanto. Si aggrappò al mio braccio e mi
stampò un lungo bacio sulla guancia, prima di raggiungere le mie labbra con le
sue. Per un momento cominciai a considerare l’ipotesi di dedicarmi ad un
passatempo pomeridiano meno pericoloso del girovagare per le biblioteche
altrui. Tuttavia, ogni mio progetto venne infranto da un energico bussare alla
porta.
“Miei
signori. La cena sarà servita nel giro di un’ora. Il mio signore vi invita a
prepararvi.”
Odiavo i nobili e la loro vita
programmata.
Molte
ore più tardi, navigavo nel mondo ovattato fra il sonno e la veglia. Era notte
fonda. Il fuoco nel camino si era spento, svanito in tremule braci.
All’esterno, la furia della tempesta aveva ceduto il passo ad una fine pioggia,
gettando sul nostro riposo un’atmosfera di quiete. Questo, però, non bastava a
farmi prendere sonno. Normalmente, cadevo addormentato non appena la mia testa
toccava il cuscino, ma quella notte le immagini della serata appena trascorsa
si rifiutavano di lasciare andare la mia mente.
L’atmosfera
era stata surreale. Ancora una volta avevamo cenato nella sala da pranzo
privata, accompagnati da Georg ed Eriol. Né Erianna né Livia erano apparse, ma,
in compenso, mio padre aveva consumato il pasto con noi. Aveva trascorso
l’intera serata in fitta discussione con il padrone di casa, senza degnarmi
nemmeno di uno sguardo. Non che non ci fossi abituato. Era così che ci si
comportava, per lui, con una questione già sistemata. A casa mi additava spesso
come il figlio distratto, ma quella definizione mi era sempre parsa
estremamente ingiusta, da parte sua, dal momento che quando discutevamo la sua
mente sembrava sempre imprigionata da mille altri pensieri.
Eriol,
al contrario, era stato più che felice di dispensarci le sue attenzioni.
Sembrava avere dimenticato di smettere, o non avere mai saputo di doverlo fare,
ora che il nostro sostegno alla sua causa era assicurato. La teoria di Lina,
che mia moglie mi aveva esposto sbuffando, mentre risalivamo i gradini della
torre, era che il principe semplicemente era cresciuto con la nozione di essere
al centro dell’universo, e che godeva troppo nel catalizzare l’attenzione
altrui per rinunciarvi ora che la cosa non era più necessaria. Ad ogni modo, mi
era sembrato molto più interessato alla parte femminile della tavolata che non
a quella che considerava, credo, una necessaria appendice. Avevo idea che non
vedesse l’ora di trovarsi di nuovo faccia a faccia con Lina, e questo bastava
perché un sotterraneo senso di fastidio mi catturasse la base dello stomaco.
Supponevo che avrei dovuto precederla, da quel giorno in avanti, nel prepararmi
per la colazione. Anche se avevo idea che sarebbe stata più che capace di
tenere al suo posto un tipo del genere.
“Stupido
libro!”
Un’imprecazione
soffocata mi fece aprire gli occhi. Non ero stato vigile come mi era parso di
essere. Quel sussurrato richiamo alla realtà mi aveva frastornato molto più di
quanto avrebbe fatto se fossi stato ben sveglio.
Battei
ripetutamente le palpebre. Una debole luce proveniva da qualche punto al di
sotto delle coperte e un quieto fruscio rompeva a tratti il silenzio della
stanza, quasi impercettibile, confondendosi con il mio respiro accelerato per
la sorpresa. Mia moglie non era visibile, e al suo posto si trovava una scura
sagoma che avrei potuto scambiare per uno spettro, se anche solo l’ipotesi di
avere ragione non mi fosse sembrata ridicola (voglio dire, quante volte vi
siete svegliati con un fantasma seduto a fianco? Di quelli coperti da un
lenzuolo?). Mi ci volle un po’ per capire che si trattava semplicemente di
Lina, seduta sul letto, e totalmente sepolta sotto alle coperte. Per un
momento, mi chiesi se non fosse semplicemente uno strano sogno.
“Lina?”
Bisbigliai. Stupidamente, perché la prima persona nei paraggi doveva trovarsi
diversi piani sotto di noi.
Il
fruscio si fermò, e la luce vacillò lievemente. La testa di mia moglie fece
capolino da sotto il lenzuolo. “Oh. Gourry.” Anche lei bisbigliò, in risposta
al mio mormorio. “Che c’è?”
“Che
stai combinando?”
“Leggevo.
Non volevo svegliarti, quindi ho cercato di schermarti dalla luce.” Rifletté un
secondo. “Anche se, in effetti, suppongo che inveire contro il libro non sia
stata una buona idea, da quel punto di vista.” Pronunciò quella frase con la
stessa aria di ineluttabilità con cui avrebbe potuto dichiarare che Shabranigdu
era nuovamente risorto.
Sollevai
il lenzuolo, e sbirciai al di sotto. Il grosso testo di storia era aperto,
vicino alle gambe incrociate di mia moglie.
Tornai
a guardarla. “Lina.” Il mio tono cercava di suonare ragionevole. “La mezzanotte
dev’essere passata da un pezzo. Domani hai tutta la giornata a disposizione.
Perché ti sei messa a leggere ora?” Il fatto che nel farlo avesse
svegliato il sottoscritto sarebbe stato un buon argomento a favore della mia
posizione, ma evitai di aggiungere nuovi tasselli ad una conversazione che
speravo di mantenere semplice. La logica di Lina poteva diventare molto
contorta, a quell’ora di notte.
Lina
rise, come se le avessi fatto una domanda ovvia. “Perché è interessante,
Gourry.” Fece scorrere le braccia attorno al mio collo, e mi baciò la guancia.
“Non riuscivo a prendere sonno, e così ho pensato di leggere qualche pagina, ma
il tempo è passato senza che me ne accorgessi.”
Sospirai. Non potevo obiettare, quando mi abbracciava a
quel modo.
“Tu sei una maledetta manipolatrice.” Mi limitai a
borbottare. E Lina comprese benissimo cosa intendevo, perché soffocò una
risata. “E’ davvero un peccato che tu abbia ceduto la Spada di Luce.” Mormorò,
baciandomi alla base del collo. “Scommetto che ora come ora sarei riuscita a
farmela regalare senza troppi sforzi.”
“Credo che quella ti sarebbe costata un po’ di più di
qualche abbraccio.”
“Sono sacrifici che una ragazza deve essere pronta a
fare.”
Finii per ridere, insieme a lei. La strinsi per un momento
a me, e al di sopra della sua spalla scorsi il volume, che sbucava fra le
coperte scomposte.
“Ehi, Lina…” Domandai, scrutando le pagine ingiallite. “A
parte tutto… Che cosa aveva, il libro, che non andava…?”
“Eh?” Lina allontanò il viso dal mio collo, per guardarmi
negli occhi.
“Prima… ‘stupido libro’… è questo che hai detto, no?”
Lina parve riportata alla realtà da quella affermazione.
Emise un sospiro. “Oh… già.” Lanciò un’occhiata in tralice al tomo. “In realtà
non è nulla di particolare, ma… è che… ho l’impressione che ometta
deliberatamente alcune informazioni…”
“Uh?”
“Riguardo alla città vecchia.” Si protese lievemente verso
il volume, e lo attirò a sé. “Vedi?” Mi indicò la pagina a cui era rimasto
aperto. “Tutto il capitolo sulla costruzione della nuova Talit è costellato di
riferimenti ad un fantomatico ‘incidente’, che a quanto pare fu fra le cause
dell’abbandono della vecchia città… Ma pensi che venga spiegato in cosa consiste?”
Mi guardò per un secondo, forse per rendere più efficace la sua domanda
retorica. “No! Ho riletto il capitolo tre volte, e non c’è nessuna glossa o
nota a riguardo, nessun riferimento ad altri testi che ne parlino. Ho persino
passato un’ora a sfogliare il glossario riguardante la magia sacerdotale e le
descrizioni delle armi, ma niente, niente di niente.”
Ora capivo in che modo quella lettura era andata avanti
per ore. Dare un motivo simile per incaponirsi a Lina e poi pretendere che si
mettesse a dormire era come presentare una montagna di foraggio ad un mulo e
spronarlo a partire senza averla toccata.
Ok, ammetto che le mie metafore non sono molto raffinate,
nel cuore della notte.
“Ma… non può essere semplicemente una svista del
compilatore?”
Mia moglie scosse la testa con energia. “Lo cita troppe
volte!” Chiuse il volume, e me lo agitò di fronte al naso. “Ti dirò come penso
che sia andata… Io credo che il compilatore abbia trovato una fonte che citava
una qualche informazione non particolarmente lusinghiera riguardante i signori
della città, e la costruzione della nuova Talit. Ha voluto inserire nel testo
il racconto dei fatti per intero, ma il volume è stato revisionato, e la
stesura così com’era è stata rifiutata… perciò l’autore è stato costretto a
rivedere il capitolo, eliminando la narrazione dei fatti considerati scomodi
dai duchi…”
Mi girava la testa, solo dopo quella spiegazione. Lina
aveva una insana passione per le ipotesi azzardate.
“Eh… ehi, Lina… siamo ancora sul terreno delle supposizioni,
non è così?”
“Sì.” Fece un mezzo sorriso. “Ma con una ragionevole
probabilità che siano fondate.”
“Ma a distanza di così tanti anni, in ogni caso, come è
possibile verificare…?”
Lina si accigliò, e scrutò per un istante la copertina del
libro. “L’autore si chiama Lorac Maulander. Chissà se è ancora vivo.”
Esitai. “Pensi che la famiglia di Eriol lo sappia?”
Lina si accigliò. “Dubito che sarebbe una buona idea
tentare di scoprirlo. Implicherebbe una lunga e dettagliata spiegazione circa
un certo volume trafugato. Potrebbe rivelarsi imbarazzante, non pensi…?”
Mi grattai la guancia. “In effetti i duchi non sarebbero
molto felici della nostra sortita in biblioteca.”
Lina sospirò. “Trovi?” Chiese, sarcasticamente. “No,
probabilmente la cosa più utile da fare sarebbe consultare i registri dei
sacerdoti del tempio… certo, se se ne fosse andato di qui non ci sarebbe modo
di rintracciarlo, ma se fosse ancora vivo e ancora a Talit lo sapremmo
immediatamente…”
“E non credi che sarebbe un tantino sospetto presentarci
al tempio e chiedere di vedere i registri di cinquant’anni fa?”
“Lo so, lo so, era solo un’ipotesi.” Lina mi guardò
storto, come se fosse stata la mia osservazione a rendere impraticabile quella
via.
“E comunque, anche se riuscissimo a sapere cosa è successo
realmente a Talit duecento anni fa, a cosa ci servirebbe, ora?”
Lina mi fissò. Evidentemente, quello era un aspetto che
non aveva considerato. “Bé…” Esitò. “… suppongo che potrebbe soddisfare la mia
curiosità.”
Sospirai.
“E quel sospiro cosa dovrebbe essere?”
“Rassegnazione.” Mi abbandonai sul cuscino, cercando di
mascherare un sogghigno. “Io ho sonno, ora, tu no?” Improvvisamente, sentivo
che ero pronto a crollare come un sasso. “Se davvero questa faccenda ti
interessa, domani penseremo a qualcosa.”
“Mmm…” Lina mi fissò pensosa per qualche istante. “In
realtà credo di avere già un’idea…”
“Non quella di cercare ancora in biblioteca, mi auguro.”
Lina sorrise. “Tranquillo. Se l’informazione è stata
cancellata da un volume, è improbabile che si trovi su altri, almeno nelle
biblioteche di questa città. In realtà ho in mente qualcosa di diverso.”
“Vale a dire?”
“Bé…” Tornò ad abbracciarmi. Pessimo segno. “Dicono che i
tramonti visti dalla città vecchia siano così romantici…”
“Lina…”
“E scommetto che lo sono più che in ogni altro momento
dell’anno, sotto un gelido cielo invernale.”
“Vuoi salire alla vecchia capitale con questo tempo?”
“Le nostre giornate saranno così noiose, nelle prossime
settimane… magari lassù si potrà trovare qualcosa di interessante da scoprire…”
“Ci sarà… la neve… non credi che sarà pericoloso
arrampicarsi sin lassù…?”
“Tu dimentichi una cosa fondamentale.”
“Vale a dire?” Avevo un pessimo presentimento.
“Che noi possiamo volare.” Lo affermò in tutta allegria.
Sentivo già le vertigini.
***
A dispetto dei miei progetti, i giorni successivi ci videro
bloccati al castello. I temporali proseguirono ininterrotti, una fitta cascata
che si abbatteva con furia su scogliere scivolose e su pini piegati dal vento.
Potevo pensare di sorvolare ripidi sentieri imbiancati di neve in una giornata
di sole, ma non mi sarei azzardata ad addentrarmi fra le cime innevate nella
furia di una tempesta. Così, dopo la nostra prima piccola avventura in
biblioteca, trascorsi gran parte delle mie giornate rubando libri, e cercando
di evitare Eriol e i suoi insistenti tentativi di attaccare discorso. Gourry
rinunciò, dopo qualche blando tentativo, a tenermi lontana dalla sala in cima
alla torre. Si limitò a restarmi alle costole, e, con mio sommo divertimento, a
lanciare occhiate torve al futuro sovrano ogni volta che si avvicinava. Dopo
qualche giorno, il principe smise di invitarmi a pranzare nei suoi appartamenti
ed io smisi di ostinarmi a consumare i pasti chiusa in camera. Da allora,
cenammo nella affollata sala comune, il calore, l’odore di sudore e il
frastuono delle chiacchiere dei Lord una scusa sufficiente a limitare al minimo
la conversazione con i presenti al nostro tavolo. Se non fosse stato per il
senso incombente della loro presenza, avremmo potuto facilmente non accorgerci
della famiglia di Gourry. Il Lord Gabriev ignorava sia me che suo figlio,
mentre Derek si premurava di comparire di fronte a noi solo in occasione dei
pasti, e si limitava a fissarci in silenzio, dal suo posto accanto a Livia.
Anche la principessa non ci aveva più rivolto la parola. Per lo più, la sua
conversazione era monopolizzata da Erianna, che ogni giorno si informava
minuziosamente sulla sua giornata, e sull’andamento delle lezioni con
l’istitutore che le era stato assegnato. Ogni tanto, però, la sorprendevo a
lanciare lunghe occhiate a me e a mio marito. Con il passare dei giorni mi
convinsi che desiderasse dirci qualcosa, ma la giovane veniva sempre
accompagnata nelle sue stanze sempre prima di chiunque altro, e certamente
prima che potessi pensare ad un modo per trovarmi faccia a faccia con lei da
sola.
Quella mattina, una settimana e mezzo circa dopo il nostro
arrivo, mi ero svegliata con un fastidioso cerchio alla testa, e con addosso un
senso di fiacchezza che nemmeno un bagno ed una tazza di tè nero forte erano
riusciti a placare. ‘Quei giorni’ erano arrivati, insolitamente dolorosi,
togliendomi l’ultimo barlume di buon umore, e privandomi persino dell’appetito
che avrebbe potuto restituirmelo. Eliminata l’idea di fare colazione, me ne
stavo seduta su una delle poltrone di fronte al camino, un libro aperto da
lunghi minuti alla stessa pagina, scrutando il panorama alla caccia di visioni
che mi distogliessero dal mio malumore. Tuttavia, persino la pioggia aveva il
potere di infastidirmi. Né forte né sufficientemente leggera da darmi la
speranza di uscire, cadeva lenta su un paesaggio grigio e immobile, gettando
una luce cupa su ogni dettaglio dell’ambiente che mi circondava. Le coperte
scomposte, il crepitare delle fiamme, il respiro leggero di Gourry che dormiva
erano cose normalmente familiari, piacevoli. Ma la mia insofferenza, quella
mattina, le tramutava nelle complici di una sorda irritazione.
Ad un movimento di Gourry nel sonno, decisi di alzarmi. Mio marito
era probabilmente vicino a svegliarsi, e dubitavo che avesse commesso
sufficienti colpe nella sua ancora giovane vita per meritarsi di trattare con
me, quella mattina. Mi infilai il mantello, con l’intenzione di avventurarmi
per i corridoi del palazzo, ed eventualmente di cercare di scoprire dove
alloggiava la principessa. Era un’idea che cullavo da qualche giorno, ma, priva
di una giustificazione diversa dalle mie semplici sensazioni, non mi ero ancora
decisa a metterla in pratica. Appena messo piede fuori dalla camera, tuttavia,
mi ricordai di Eriol, con la sua inquietante abilità di comparire di fronte a
me ogni volta che mi trovavo da sola. E quel giorno non potevo pensare di
incontrarlo senza usare le mie dita per l’unica attività costruttiva che
riuscivo a pensare di mettere in pratica con lui senza la magia: torcergli la
gola, e guardarlo soffocare in una delle sue pompose frasi adulatorie.
Finii per girare sui miei passi e dirigermi, per l’ennesima
volta, verso la cima della torre. Sapevo che Gourry non sarebbe stato felice
quando gli avessi detto che ci ero salita da sola. Se proprio dovevamo farci
cogliere a frugare nei beni della famiglia reale, tanto valeva che lo facessimo
in due, era solito ripetermi. Tuttavia, in quel momento, salii i gradini senza
nemmeno pensarci. Volevo solo essere circondata dall’odore della carta, e dalle
sagome polverose dei libri. Sapevo che un’ora in silenzio e solitudine là
dentro avrebbe potuto calmarmi come altrimenti solo uscire da quel dannato
castello avrebbe potuto fare.
Con un gesto ormai automatico, feci scattare il chiavistello
–uno dei pochi incantesimi che i miei poteri limitati mi permettevano di
lanciare- ed avanzai nella stanza. Le imposte sbattevano contro i davanzali a
causa del vento, e la sala era avvolta in una piacevole penombra. Mi richiusi
la porta alle spalle e mi scrutai intorno, percorrendo con lo sguardo gli
scaffali ormai familiari, alla ricerca di un volume o di un gruppo di libri che
mi tentasse. Ero così assorta che per un momento non misi a fuoco la sagoma
scura che si annidava nell’ombra. Fu solo quando avanzò alla luce di una delle
finestre che con un sussulto registrai la sua presenza.
“Lina.” Un sussurro compiaciuto spezzò il silenzio. “Speravo
che saresti salita qui.”
Il sangue mi si gelò nelle vene, nel riconoscere quella
voce. Compresi immediatamente di essere in grossi guai.
Una lieve risata parve smentire le mie preoccupazioni.
“Lina, Lina. Quell’espressione di chi è messo all’angolo non ti si addice. E
non è necessaria. Mio zio avrebbe certamente qualcosa da ridire riguardo alla
tua presenza qui, ma nessuno di noi ha interesse a fargliene parola.”
Eriol avanzò, e il suo volto pallido venne investito da un
debole fascio di luce. Io arretrai di un passo, non ancora certa di potermi
fidare. “Nessuno di ‘noi’?”
“Mia madre mi ha suggerito che potevi frequentare questa
biblioteca. Livia le ha confessato di avertene parlato la sera del tuo arrivo,
e lei meglio di chiunque altro, qui a palazzo, sa che una serratura
difficilmente può fermarti. E’ una delle tue maggiori ammiratrici, fra i nobili
del regno.” L’atteggiamento freddo di Erianna tendeva a suggerirmi tutt’altro.
Ma immaginavo che a quella donna bastasse poco per convincere il figlio di
qualcosa.
“Non credevo che tua madre si interessasse delle gesta di
una maga. La mia arte in genere non riscuote grande successo, qui ad Elmekia.”
Eriol sorrise. “Ti ammira soprattutto perché sei una donna
intraprendente. E’ stata lei a volere con forza la tua presenza qui a palazzo.”
L’erede al trono stava implicitamente –e con tutta
probabilità inconsapevolmente- confermando le mie supposizioni riguardo alle
macchinazioni con cui la regina ci aveva condotti in quel luogo. Ma in quel
momento non feci particolarmente caso alla cosa. Mi sarebbe interessato
maggiormente comprendere perché persino al figlio Erianna avesse mascherato le
reali motivazioni per cui aveva scelto me e Gourry -quelle che avevo dedotto e,
probabilmente, quelle che ancora dovevo comprendere- dietro ad improbabili
dichiarazioni di ammirazione nei miei confronti. Perché non potevo pensare che
Eriol mi stesse mentendo deliberatamente, in quel momento. Non era nemmeno
lontanamente sufficientemente acuto per farlo.
“Stamattina, è stata lei ad invitarmi a cercarti qui, quando
non sei scesa a colazione.” Eriol proseguì, incurante dei miei dubbi. “Ed io ho
accettato di buon grado. Non voglio mancare di farti comprendere quanto tu sia
un’ospite gradita, Lina. Da oggi più che mai.”
La mia fronte si aggrottò. “Da oggi? Che cosa è cambiato,
oggi?”
L’espressione di Eriol si tinse per un momento di stupore.
“Non lo hai saputo?”
Era difficile che avessi saputo qualcosa, dal momento che
per sua stessa ammissione non mi ero presentata a colazione. Scossi la testa,
in segno di diniego.
“Eppure ne parlano tutti.” Eriol fece un altro passo verso
di me. “Sailune è entrata in guerra a fianco di mio fratello.”
Improvvisamente, la bocca mi si seccò. Sailune? Che diavolo
stava dicendo?
“Sailune… stai parlando del Regno di Sailune?”
Eriol sospirò. “Sì, so a cosa stai pensando. Devo ammettere
che anch’io ho l’impressione che questo tenderà a complicare le cose…” Dei,
quanto volevo prenderlo a schiaffi. “Ma mia madre dice che in fondo non è
grave… le ultime volontà di mio padre ci danno ragione, in questa guerra, e
l’intervento di Sailune è totalmente privo di giustificazione. Mia madre è
certa che i regni confinanti troveranno quanto noi preoccupante questa
iniziativa, e mossi da giusta ira giungeranno immediatamente in nostro aiuto…”
Bé, ero profondamente dispiaciuta di non trovarmi d’accordo con mammina…
ma io trovavo la cosa davvero, davvero grave.
“Sailune… a favore di Samon…” Il mio cervello aveva preso a
lavorare in modo frenetico. Che cosa poteva significare un intervento di Amelia
e Philionel in una questione come quella? Erianna aveva ovviamente ragione
riguardo ai regni dell’alleanza degli stati del sud… fra coloro che già erano
avversi a Sailune, chi non avrebbe approfittato di una occasione tanto ghiotta
per rompere la neutralità e cercare di ridurre l’influenza di Sailune?
Philionel era dotato di un discutibile senso dell’umorismo ed era oggettivamente
brutto, ma tutto si poteva dire di lui tranne che non fosse un re saggio.
Doveva esserci una ben precisa ragione per il suo intervento. E, conoscendo i
principi del sovrano, cominciavo a chiedermi con maggiore serietà a CHI avessi
accettato di accordare la mia alleanza. Che cosa cercava di fare, davvero,
Erianna? Cosa, di tanto enorme da spingere Philionel a mettere in discussione
gli equilibri politici che lui stesso aveva contribuito tanto faticosamente a
stabilire, pur di impedirlo?
“Non volevo turbarti, Lina…” Nella mia confusione, non mi
accorsi che Eriol si era avvicinato nuovamente. Mi trovai a sussultare, quando
la sua mano afferrò con un gesto sinuoso la mia. “Le voci su di te raccontano
di una tua amicizia con la principessa di Sailune… mi auguro che questa
situazione non ti metta a disagio…”
Lottai con tutte le forze per ricacciare in gola la mia
replica sarcastica.
“Ho bisogno di parlare con tua madre.” La mia voce era dura.
Ero stanca dei giochetti. Erianna avrebbe dovuto permettermi di inviare una
missiva a Sailune e chiarire quella faccenda, altrimenti nessuna intimidazione
dei Gabriev avrebbe potuto impedirmi di lasciare quel palazzo.
L’espressione di Eriol era costernata. “Non vorrai negarci
la tua alleanza proprio ora, Lina… Sailune ha di certo agito per imporci il
rispetto della legge di successione… ma tu mi hai conosciuto, e so che in cuor
tuo comprendi perché mio padre mi abbia scelto come suo successore al trono…”
“Ho bisogno di capire.” Sibilai in risposta, ignorando la
sua boria. Cercai di ritrarre la mano, senza risultato. La stretta dell’erede
al trono era ferrea.
“Non hai bisogno di mia madre per capire.” La voce di Eriol
si fece suadente. “Ti puoi fidare di me, Lina.”
E con questo, il suo volto si avvicinò al mio.
Farò notare una cosa, a mia discolpa. A mio marito sono
serviti anni di conoscenza, anni di convivenza quotidiana, di confidenza e
reciproco sostegno, per poter cercare di baciarmi senza rischiare la vita.
E mio marito mi piaceva.
Osservai impassibile mentre Eriol indietreggiava e cadeva,
sbilanciato dal mio pugno. Ero troppo rabbiosa per essere davvero consapevole
di aver appena colpito un reale. “Non riprovarci.” Sibilai, reggendomi le
nocche doloranti.
Il principe, per la prima volta da quando lo avevo
conosciuto, parve perdere il controllo. Le sue guance si imporporarono, ed
un’espressione di incredulità mista ad orgoglio ferito trasfigurò i suoi
lineamenti delicati, già alterati dal labbro inferiore tumefatto. Lentamente,
si alzò e avanzò verso di me. “Mia madre saprà di tutto questo!”
Feci del mio meglio per evitare di ridergli in faccia.
Lasciai che mi superasse, e lo sentii scendere rumorosamente
le scale. Quando si fu allontanato a sufficienza, lo seguii fuori dalla stanza.
Presto la regina avrebbe preso a cercarmi, e c’erano alcune cose che dovevo
sbrigare prima che mi trovasse.
Aprii la porta della camera che condividevo con Gourry, venendo
immediatamente invasa dal tepore. La stanza era deserta. Il letto era ancora
disfatto, e la porta del bagno era aperta, la stanza pervasa dall’odore degli
oli da bagno che i servitori avevano messo a disposizione per noi. Mio marito
non doveva essere uscito da molto. Mi mossi velocemente all’interno,
cambiandomi nei miei consueti abiti da viaggio. Nel caso la regina fosse stata
più alterata del previsto, riguardo al mio piccolo alterco con suo figlio, o
nel caso le sue risposte riguardo a Sailune non fossero state soddisfacenti,
supponevo che sarebbe stato il caso, per Gourry e per me, di levare le tende in
fretta.
Affibbiandomi il mantello al collo, mi chiusi la porta alle
spalle, e presi nuovamente a scendere le scale. Avevo bisogno di trovare Gourry
e illustrargli i nuovi sviluppi della situazione prima che la regina trovasse
me. Avanzai nei corridoi, intenzionata a dirigermi nella grande sala comune del
piano terra, con la speranza di trovarlo mentre faceva colazione. Mentre
attraversavo l’atrio che conduceva alle scale, una rapida occhiata all’esterno
mi rivelò che fuori la pioggia era cessata. Quasi con stupore, osservai l’ombra
di un pallido sole lottare per emergere dalla fitta coltre di nubi che ancora
incombeva sulla città. Era il preludio alla tanto sospirata giornata di sereno?
O era solo la quiete prima di una nuova tempesta?
Sulla via non incontrai nessuno, se non qualche servitore
intento a distribuire lenzuola pulite nelle stanze dei Lord in visita. Le
mattinate nel castello erano sempre innaturalmente quiete. I servitori
gestivano silenziosamente le esigenze dell’orda dei fedeli di Eriol, nobili e
mercenari giunti a Talit a garantire la propria alleanza alla causa del
principe. I soldati si allenavano stoicamente negli ampi cortili, incuranti
della pioggia che rendeva le loro vesti pesanti e confondeva i loro sguardi.
Percorsi due rampe di scale deserte, e feci il mio ingresso
nell’ampio atrio cui si accedeva dall’ingresso principale del castello. I
portali erano aperti e lasciavano entrare il gelido vento dell’esterno, che
portava con sé l’odore pungente di pioggia e salsedine. Dalla sala delle
udienze, dirimpetto all’ingresso, e dalla sala grande, che la affiancava, non
proveniva nessun rumore. Aprii lentamentela porta della seconda, scrutando all’interno. All’apparenza era
deserta. I tavoli erano già stati sgomberati, ma il fuoco ardeva ancora nel
camino, facendo danzare la luce sugli arazzi alle pareti e sul baldacchino dai
colori caldi che sovrastava il seggio del duca. Feci diversi passi all’interno,
prima di accorgermi della presenza di una figura, di spalle, davanti ad una
delle finestre. Con disagio, mi resi conto che si trattava del padre di Gourry.
Il Lord Gabriev parve realizzare nello stesso istante che
qualcuno era entrato nella stanza. Si volse lievemente, e quando il suo sguardo
incrociò il mio i suoi occhi si strinsero.
Per un momento, ebbi l’impressione di avere perso la
capacità di muovermi. Quante volte Gourry aveva fronteggiato quello sguardo?
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che avesse potuto conservare il suo
equilibrio, sostenendolo per anni. Pareva in grado di scavare ogni pensiero, di
leggere le motivazioni più profonde di ogni animo. Pareva in grado di
rivoltarti le viscere.
Il padre di Gourry non sembrò nemmeno accorgersi
dell’effetto che la sua semplice occhiata aveva avuto su di me. Si volse,
tornando a concentrarsi sul panorama all’esterno, come se alle sue spalle si
fosse appena presentata una persona che non aveva nulla a che fare con lui. E
invece, io e quell’uomo eravamo parenti, ora. Quella consapevolezza mi colpì
improvvisamente, come una secchiata di acqua fredda in viso.
Mordendomi le labbra, rimasi ferma all’ingresso della sala.
Per una volta nella vita, non sapevo risolvermi su come comportarmi. Dovevo
andarmene con la coda fra le gambe? O dovevo intavolare come se nulla fosse la
conversazione col mio suocero?
“Se cerchi mio figlio, è là fuori.”
Rimasi nuovamente gelata sul posto. Il Lord Gabriev non si
era nemmeno volto a guardarmi. Ma la sua voce profonda mi aveva scosso come un
incantesimo. Non mi ero aspettata che fosse lui a rivolgermi la parola per
primo.
Esitai per qualche istante, ma alla fine, prendendo un
respiro, mi decisi ad avvicinarmi. Non era da me lasciarmi mettere tanto in
soggezione da qualcuno.
Raggiunsi cautamente la finestra, e scrutai all’esterno.
Gourry si trovava effettivamente nel cortile, e non era solo. Derek era di
fronte a lui. I pugni levati, e il collo della tunica imbrattato di sangue.
Ancora una volta mi immobilizzai, le labbra spalancate. Per
un momento ipotizzai che i due fratelli si stessero semplicemente allenando, ma
il loro sguardo non comunicava sfida. Solo rabbia, rabbia a malapena contenuta.
Mi volsi verso il padre di Gourry, alla silenziosa ricerca
di una spiegazione, ma il Lord Gabriev non ricambiò il mio sguardo. Si limitò a
continuare a fissare i suoi figli, la fronte corrugata, attraversata da una
linea profonda che aggiungeva severità alla sua espressione.
“Continuo a non capirlo.” Dichiarò, in tono grave. Le sue
mani si giunsero sulla sua schiena e la sua mascella si serrò. “Cosa sia
passato nella testa di mio figlio. Ho sentito persino che la figlia del Gran
Sacerdote di Sailarg aveva una predilezione per lui. Era quanto di meglio
potesse sperare di ottenere, con la sua posizione.” Il suo sguardo tornò a
fulminarmi. “E invece ha scelto te.”
Il mio intestino parve torcersi, al suo tono duro. Non mi
ero aspettata la benevolenza della famiglia di Gourry, ma quell’aperto
disprezzo aveva la forza di uno schiaffo in viso. Se si fosse trattato di
chiunque altra persona, non la avrebbe passata liscia. E invece, nonostante non
lo conoscessi, nonostante non desiderassi conoscerlo, ogni cosa, con
lui, era dannatamente più complicata.
“E’ a causa mia… che stanno lottando, non è così?” La mia
voce rimase fredda, neutrale. Anche se le mie viscere stavano ardendo.
“In parte.” Il Lord Gabriev tornò ad accigliarsi. “Tuo
marito non ha gradito alcune affermazioni di mio figlio a tuo riguardo. E non
ha gradito nemmeno i suoi progetti per l’immediato futuro, a quanto sembra.”
Le mie sopracciglia si levarono. “Quali progetti?”
Il Lord non rispose. Volse le spalle alla finestra, e avanzò
lentamente verso uno dei tavoli. Io rimasi immobile, incapace di allontanarmi
dalla visione dei due fratelli in lotta. In quel momento, tuttavia, Gourry
gridò qualcosa di inintelligibile, e volse le spalle al fratello, scomparendo
verso l’ingresso del palazzo. Avrei voluto andare da lui, ma quando mi volsi
per farlo mi trovai a fronteggiare la figura imponente di suo padre, che mi
ostruiva la strada. Il nobile afferrò una sedia, e vi si lasciò ricadere
pesantemente, incrociando le dita al di sotto del mento. “Parlo della
ricompensa che la mia famiglia riceverà in cambio della sua fedeltà ad Eriol.
Il matrimonio di mio figlio con la figlia di Samon.”
I miei occhi si spalancarono. Non potevo aver capito bene.
“Stai parlando… di Livia?”
Il padre di Gourry mi lanciò un’occhiata insofferente. “E’
ovvio che sto parlando di Livia. Chi altri?”
Sentii la rabbia catturarmi la base dello stomaco. “Ma ha
solo quindici anni!”
L’uomo mi fissò, accigliato, e seppi con il suo semplice
sguardo che considerava la mia obiezione estremamente sciocca. “Che rilevanza
ha, questo? Apparterrà anche ad un ramo di traditori, ma è sempre un membro
della famiglia reale. La nostra famiglia acquisirà finalmente il grado che le
spetta.” La sua fronte si aggrottò. “Non riesco nemmeno a concepirti come
membro del mio casato, ma suppongo che a questo punto questioni del genere
dovrebbero interessare anche te. Una maga figlia di mercanti dovrebbe
approfittare di ogni occasione, per guadagnare un minimo di prestigio.”
Le sue parole non erano che un’altra stilettata al mio
orgoglio, ma in quel momento a malapena le udii. Ora capivo cosa aveva provato
mio marito. Gourry non parlava molto di sua madre, ma sapevo che anche lei
aveva subito un destino simile. Sposata giovane, ad un uomo che a malapena
conosceva.
“Il vostro prestigio vive di titoli acquisiti a spese
altrui.” Quelle parole presero forma da sole, insieme alla mia consapevolezza
che io e il padre di Gourry non ci saremmo mai rispettati. “Gourry, il suo, se
lo è guadagnato con il coraggio e l’abilità con le armi. Immagino che sia
questo che tu e Derek non riuscite a digerire.” Non mascherai il mio disprezzo.
Non ne vedevo il motivo.
Gli occhi del Lord Gabriev sistrinsero. Il nobile si alzò, e in un istante la sua figura
imponente mi sovrastò. Per la prima volta, le mie parole parevano aver
intaccato la sua corazza di autocontrollo. “Non mi lascerò insultare dalla
meretrice che ha sedotto mio figlio.” La sua voce si ridusse ad un sibilo. “Se
lui è stato abbastanza idiota da lasciarsi manipolare da te, non significa che
con me avrai la vita altrettanto facile, strega.”
Non sapevo se considerare più crudeli le sue parole, o la
gelida calma con cui le aveva pronunciate. Restammo a fissarci, e per un
momento fui certa che avrebbe cercato di alzare le mani su di me. Tuttavia, la
porta si aprì prima che ciascuno di noi potesse fare una mossa.
Derek fece il suo ingresso, lo sguardo cupo, i capelli
fradici. Mi resi conto solo in quel momento che la pioggia aveva già ripreso a
cadere.
“Dov’è Gourry?” Prima ancora che il guerriero potesse
accorgersi della mia presenza, scansai il Lord Gabriev, e avanzai verso di lui.
Quelle persone, tutti quelli che popolavano quelle mura, mi parevano
improvvisamente pericolosi folli. Ma non era tanto questo, a turbarmi. Stare lì
mi metteva tanto a disagio perché sapevo di non poterli giudicare. Io ragionavo
esattamente come loro. Con il calcolo, il sotterfugio e le strategie. Mi vedevo
in loro come in uno specchio, e questo non mi piaceva. Mio marito ed io,
insieme, venivamo spesso considerati persone bizzarre. Ma io mi piacevo, quando
mi trovavo con lui. E in quel momento volevo solo vederlo, e sapere che
esisteva ancora qualcosa, al mondo, che funzionava come doveva.
“Che diavolo vuoi che ne sappia?” La voce di Derek era dura.
Il sangue gli colava sul mento, e un grosso livido gli deturpava la guancia
sinistra. “E’ rientrato prima di me.”
“Hmpf!” Urtandolo deliberatamente, superai anche lui, e
avanzai nell’ingresso avvolto dal gelo. Impronte di fango si confondevano
all’ingresso, e si dividevano in due tracce distinte, una che si muoveva verso
di me, l’altra verso lo scalone che conduceva ai piani superiori. Lì si
disperdeva, suggerendomi tuttavia la direzione che mio marito doveva aver preso
rientrando. Con ogni probabilità, quella delle nostre stanze, alla mia ricerca.
Mi affrettai sulle sue tracce, con un mezzo sospiro. Quella mattina, sembravamo
destinati a non incontrarci.
Arrivai alla torre affannata. Quel palazzo era inutilmente
grande, ancora di più per qualcuno che non poteva muoversi servendosi della
magia. Aprii la porta e, con un moto di irritazione, trovai la mia camera
esattamente come la avevo lasciata. Calda, disordinata, e irreparabilmente deserta.
Mi appoggiai allo stipite della porta, ansimando. D’accordo. Gourry non mi
aveva trovata, e… Occhieggiai le scale. Poteva essere salito in biblioteca? Mi
augurai che Erianna non avesse fatto lo stesso per cercarmi, o probabilmente
tutto ciò che avrei trovato di mio marito sarebbe stato uno scarno mucchio
d’ossa.
Facendo violenza a me stessa, salii di corsa gli ultimi
gradini, fino alla sala che in quella settimana era stata il mio rifugio.
Abbassai la maniglia e mi preparai a sbloccare il lucchetto, ma mi resi
immediatamente conto che la porta era aperta. Dovevo avere dimenticato di
chiuderla scendendo. E in effetti, altrimenti, come avrebbe potutoGourry
riuscire ad entrare?
Scivolai all’interno. Le imposte si erano definitivamente
chiuse, ed il vento che ululava all’esterno era solo un sordo richiamo. La sala
era avvolta in un buio quasi completo. Avanzai di qualche passo, attendendo di
riprendere fiato a sufficienza per illuminare la stanza con la magia. Tuttavia,
a meno di un metro dall’ingresso, inciampai in qualcosa, e finii direttamente
con il viso al suolo.
Rimasi a terra, il corpo dolorante per la caduta, troppo
stanca per rimettermi in piedi. Lottai per liberare le gambe da ciò che le
aveva impicciate, una massa morbida e pesante che si allungava ai piedi della
porta d’ingresso. Per un istante mi chiesi chi diavolo avesse abbandonato dei
sacchi pieni lassù, ma mi bastò tastare con la mano una massa di capelli per
capire che no, di sacchi davvero non si trattava.
Ecco un nuovo capitolo! ^^ Non so quanto i miei
aggiornamenti saranno rapidi, d’ora in poi, perché per qualche mese sarò nel
pieno del lavoro con la tesi, ma farò del mio meglio per andare avanti…XD Nel
frattempo, ringrazio sempre chi legge e commenta! ^^ Buona lettura!
Tastai la soffice massa di capelli, incapace di prestare
fede ai miei sensi. Solo per un momento. Poi, stupore e angoscia mi
catturarono, in pochi, infiniti istanti.
Allungai dita tremanti, per saggiare i lineamenti della
persona che era a terra di fronte a me. Le ritrassi immediatamente. La pelle
era gelida. Un panico sordo prese ad attanagliarmi le viscere. Un nodo mi si
formò alla gola e la formula del Lighting morì sulle mie labbra. Sapevo che era
un uomo, la sua corporatura massiccia era sufficiente a rivelarlo. Ma temevo di
scoprire altro. Temevo di avvertire, al di sotto delle mie dita, una curva, una
imperfezione, una cicatrice, che mi rendesse improvvisamente quel volto
familiare.
Rimasi immobile, il respiro accelerato. La mia vista si
stava progressivamente abituando all’oscurità, ma non potevo abbassare lo
sguardo. Rivoli di sudore freddo mi scendevano lungo la fronte, e la mia nuca e
la mia schiena erano gelide. Chiusi gli occhi, lottando per riacquisire il
controllo. Uno, due, tre e quattro. Era questo che mi insegnava Luna, quando
qualcosa mi terrorizzava.
Chiudi gli occhi e conta.
Perché diavolo quando Gourry era coinvolto diventavo così
vulnerabile?
Mi morsi il labbro inferiore, e mi costrinsi ad evocare una
sfera luminosa. Aprii gli occhi di scatto, ed abbassai lo sguardo.
Per un momento rimasi confusa. I miei timori erano troppo
concreti per essere smentiti da un semplice sguardo. Ma i capelli neri e la
elegante veste divennero presto realtà altrettanto tangibili. Lentamente, il
sollievo mi investì.
Arretrai, strisciando, e mi trovai con la schiena premuta
contro una parete. Attesi immobile che il mio respiro si calmasse, scostandomi
la frangia dalla fronte madida di sudore. Anche il principe di Elmekia era
fermo in una immobilità innaturale. Non aveva ferite evidenti, ma il suo corpo
aveva una posa rigida, contorta, come se fosse morto fra atroci dolori. I suoi
occhi verdi erano aperti, vitrei. Sorpresi. Qualsiasi cosa lo avesse ucciso, lo
aveva anche terrorizzato.
Chiusi gli occhi nuovamente, concedendomi qualche attimo per
riprendermi. Dopo anni di battaglie, si pensa sempre di essersi abituati alla
morte. Invece, la sua immensità è in grado di metterti all’angolo in ogni
istante e toglierti la capacità di reagire. E la visione del cadavere di Eriol
era tanto irreale che non riuscivo nemmeno a pormi le domande che a chiunque
sarebbero venute in mente in quel momento.
Chi, e perché lo aveva ucciso?
La porta si aprì con uno scatto. Io spalancai gli occhi,
colta di sorpresa. Non mi ero accorta che qualcuno stesse risalendo le scale.
Una figura familiare fece il suo ingresso. Gli occhi azzurri che avevo temuto
di incontrare qualche istante prima vagarono dal corpo al suolo a me, con fare
stupito, interrogativo. Io espirai. Mi sarei trovata nei guai, se si fosse
trattato di chiunque altro. Ogni evidenza sarebbe stata contro di me.
“Perché vi siete fermato, Sir Gabriev?”
Ogni mia speranza di segretezza si infranse in un istante,
quando anche la regina entrò nella sala. Il suo sguardo si soffermò un momento
su di me, e poi cadde sul figlio. E le iridi verdi dei suoi occhi parvero
inghiottire le sue pupille.
“ERIOL!!!” Fece qualche passo in avanti, e inciampò sui suoi
stessi passi. Cadde a fianco del figlio, il volto terreo, pallido come quello
del giovane che giaceva morto accanto a lei. Ebbi a malapena il tempo di
considerare che doveva aver incontrato Gourry e avergli riferito del mio
scontro con suo figlio. In un istante, Erianna esplose, rabbia e dolore
combinati in un grido che pareva risucchiare in sé qualsiasi altro rumore
prodotto fra quelle mura. “ERIOL! ERIOL, ERIOL!” Levò lo sguardo sul mio, con
occhi che parevano ciechi, velati dalla rabbia. “COSA HAI FATTO A MIO
FIGLIO???” Volse le spalle, rivolgendo lo sguardo ai portali aperti della
biblioteca. “GUARDIE! GUARDIE!”
Vidi il panico catturare il viso di Gourry, riflettendo
quello che probabilmente aveva rimosso ogni colore dal mio. La regina attirò il
corpo del figlio fra le braccia. Ma il suo sguardo ricolmo d’odio era tutto per
me. Non ebbe bisogno di parlare. Il suo messaggio di morte era scandito lettera
dopo lettera nelle sue pupille infuocate.
Mi alzai, cercando freneticamente di pensare a qualcosa, ma
le voci delle guardie si sentivano già risuonare lungo le scale della torre. La
scorta della regina doveva essere rimasta ad attenderla vicino alle nostre
stanze. Gourry superò la donna e mi si pose di fronte, la mano all’elsa della
spada. Mi afferrai al suo braccio prima che potesse estrarla.
“Non farlo.” Intimai, frettolosamente. “Non metterti nei
guai anche tu.”
Gourry non si volse a guardarmi. “Tu non capisci.” L’ansia
rendeva roca la sua voce, e quasi inintelligibili le sue parole. “E’ il futuro
re. E’ come se ti avessero già condannata a morte.”
“Non sono stata io.” Fu la prima replica che mi venne in
mente. Feci pressione sul suo braccio, e lo costrinsi a guardarmi. “Dico sul
serio, Gourry. Quando sono entrata nella biblioteca era già morto.”
“Bugiarda.” La regina si era alzata, e mi fissava con odio.
La sua voce era rotta, ma nemmeno una lacrima le rigava il volto. Non avrei
saputo dire se stesse esercitando il suo autocontrollo, o se il suo dolore
fosse semplicemente frenato dal suo desiderio di vendetta. “Mio figlio mi ha
detto che lo hai aggredito, dopo che ti ha raccontato della entrata in guerra
di Sailune. Mi ha detto che hai alzato le mani su di lui. Scommetto che hai
immaginato che questo ti sarebbe costato il carcere, e che l’omicidio di mio
figlio e la fuga ti sarebbero valsi la protezione di Samon.”
Scossi la testa, con foga. “Lo avete detto voi che sapevo
che Sailune è entrata in lotta a fianco di Samon! La principessa di Sailune è
mia amica, non avrei avuto bisogno di un omicidio per ottenere la sua
protezione!”
L’espressione della regina si fece ancora più cupa. “Ciò
forse significa che lo hai fatto a sostegno della tua amica. O addirittura che
premeditavi già da tempo questo atto. Forse sei una spia di Sailune.”
Non ebbi il tempo di replicare. Le guardie di Erianna fecero
il loro ingresso in quel momento. I loro sguardi caddero sul corpo inerme del
sovrano, e quindi si fissarono su di me, sbigottiti. Gourry si parò
disperatamente di fronte a me, ma c’era poco da fare. Era troppo rischioso
cercare di farsi strada fuori dal palazzo con le armi, e fuggire col rischio di
trovarci con tre draghi neri alle calcagna. In quel momento, non avevo nemmeno
a disposizione i miei poteri al massimo della loro forza. Non avrei permesso a
mio marito di compromettersi insieme a me.
Lo superai, e mi feci avanti. “D’accordo.” Allungai le
braccia di fronte a me perché le legassero, in segno di resa. “Non ho
intenzione di scappare. Cerchiamo di chiarire in modo civile questa faccenda.”
Le guardie mi afferrarono molto più bruscamente di quanto il
mio atteggiamento di collaborazione avrebbe richiesto. Gourry, alle mie spalle,
gridò. “No! Ha detto che è innocente!”
Il mio sollievo per il fatto che almeno mio marito paresse
credermi fu offuscato dalla nota di disperazione che colsi nel suo tono di
voce. In quel momento non mi rassicurava molto sapere che Gourry conosceva la
giustizia di Elmekia molto meglio di me.
Soffocai un grido di dolore, quando le braccia mi vennero
torte bruscamente dietro la schiena. Strette corde le bloccarono, e con spinte
e strattoni venni trascinata fuori dalla biblioteca, e lungo le scale. Quando
raggiungemmo il piano terra, la notizia di quanto era accaduto pareva già
essersi diffusa. Una piccola folla si era radunata all’ingresso del palazzo,
servitori e nobili, e membri della famiglia reale. Fra i presenti, riconobbi il
padre di Gourry. Mi fissava impassibile, come se ciò che vedeva non lo stupisse
particolarmente.
Venni trascinata con malagrazia attraverso la pioggia nel
cortile, e all’ingresso dei sotterranei. Ci fermammo in una stretta guardiola
senza finestre, che si apriva sull’atrio delle prigioni, e lì venni costretta a
sedere su una panca corrosa dalle infiltrazioni. Mentre un gruppo di guardie si
radunava attorno a me, ripresi fiato, inalando tanfo di umidità a sporcizia.
“Erianna. Si può sapere che diavolo sta succedendo? Perché
hai mobilitato metà del mio esercito per portare qui la nostra ospite?”
Mi resi conto che Georg ci aveva seguiti. Arrancando sulla
sua gamba di legno, avanzò alla luce delle torce, e squadrò la sorella e le
guardie senza degnarmi realmente di uno sguardo. Alle sue spalle, notai farsi
avanti nell’ombra il Lord Gabriev. Quei due parevano essersi scoperti anime
gemelle.
“Tuo nipote è morto.” Erianna lo dichiarò senza preamboli,
con un sangue freddo che in altre circostanze le avrei invidiato. I suoi occhi
erano cerchiati, e scuri di emozioni represse. Mi chiedevo quando sarebbe
esplosa.
Le sopracciglia di Georg si levarono, ma poco più di una
blanda sorpresa emerse dalla sua espressione. “Morto? Che diavolo stai dicendo,
Erianna? Lo ho visto parlare con te meno di due ore fa.”
“Lei lo ha ucciso.” Erianna mi indicò, e alla sua
fulminea occhiata fui percorsa da un brivido che non aveva nulla a che fare con
le mie vesti e i miei capelli fracidi di pioggia. “Questo è alto tradimento.”
Georg attese per qualche istante, come aspettandosi che
qualcuno contraddicesse la regina. Quindi, mi studiò con una lunga occhiata.
Nel suo sguardo non c’era molto dell’emozione che trapelava da quello della
sorella. D’altra parte, per lui Eriol non doveva essere molto più che un
conoscente, considerando che aveva sempre vissuto a centinaia di chilometri di
distanza. “L’alto tradimento è ripagato con la morte.” Dichiarò, con lo stesso
tono con cui avrebbe potuto invitarmi ad un tè pomeridiano.
“E’ innocente!” Il grido di mio marito rimbombò fra le
pareti di pietra. Lo vidi lottare a mani nude contro le guardie che lo stavano
trattenendo a forza, bloccandolo lontano da me. Ad un certo punto del percorso,
qualcuno doveva avergli sfilato il fodero con la spada.
Georg lo ignorò, così come ignorò Erianna, che fissava
Gourry con occhi di fuoco. “Come è morto il principe?” Si rivolse ad una delle
guardie, quella che mi stringeva dolorosamente la spalla, tenendomi premuta
contro la panca.
“Non lo so, mio signore. Non ho visto sangue. Deve essere
stato veleno, o stregoneria.” Mi lanciò un’occhiata, ed ebbi l’impressione che
mi avrebbe volentieri torto il collo sul posto. Per poi correre a lavarsi le
mani.
Georg mi rivolse una lunga occhiata. “Non sono in molti a
conoscere queste arti, a Talit.” Il suo sguardo arcigno non mutò. Pareva più
seccato per quei disordini fuori programma, che turbato dalla scomparsa
dell’erede al trono.
“Io… non posso usare la magia, in questi giorni.” Mi
costrinsi ad affermarlo, nonostante tutti gli sguardi fossero puntati su di me.
A dispetto della situazione, avvertii le mie guance avvampare. “Problemi di
donne.”
“Oh, davvero?” Georg non si lasciò scomporre. “Già, ne ho
sentito parlare… il motivo per cui le sacerdotesse al tempio della corte vivono
diversi giorni al mese in totale clausura…” Fece un passo verso di me. “Ma
nulla ti impedisce di servirti della tua conoscenza di erbe e veleni, non è
così? Si dice che tu sia alquanto competente, in materia.”
“Il principe era più forte di me. Somministrargli del veleno
avrebbe significato lottare con lui, un lusso che non avrei avuto il tempo di
prendermi. Mio marito e la regina mi hanno raggiunta solo pochi minuti dopo il
mio arrivo sulla biblioteca in cima alla torre.” Esitai. “E’ lì che è avvenuta
ogni cosa.”
Georg si accigliò ulteriormente, ma non fece commenti
riguardo al mio ingresso senza autorizzazione nella sala. “Non hai prove di
quello che dici.” Si limitò ad osservare, asciutto. “E temo che la tua parola
non sia sufficiente.”
“Sì che ne ho. Fino a qualche minuto prima mi trovavo al
piano di sotto, nella sala comune.” Il mio sguardo si soffermò su quello del
padre di Gourry. “Il Lord Gabriev può confermarlo.”
Tutti gli sguardi si volsero immediatamente verso il nobile,
i cui occhi, sottili fessure, erano fissi sui miei. Georg aggrottò la fronte.
“Confermi quello che afferma la maga, Edward?” Notai, scioccamente, che era la
prima volta che sentivo pronunciare il nome del padre di Gourry.
Ci fu una lunga pausa, prima che il Lord Gabriev parlasse.
E, quando lo fece, la sua voce era assolutamente priva di sentimento. “Non ho
motivo di ritenere che sia innocente.”
“Bugiardo!” Scattai in piedi, vincendo la pressione del
braccio del soldato. “Abbiamo parlato! Abbiamo visto i tuoi figli lottare!”
“Ferma!” La guardia cercò nuovamente di bloccarmi, ma io le
morsi la mano, con tutte le mie forze. Ero già stanca di fare la brava ragazza.
Prima che le guardie riuscissero a fermarmi, avevo già
raggiunto il padre di Gourry. Le mie mani legate mi impedirono di fare qualcosa
di diverso dal guardarlo negli occhi, ma il mio sguardo rivaleggiava con quello
che la regina mi aveva rivolto scoprendo della morte del figlio. Rigurgitava
tutto il disprezzo che provavo nei confronti dei suoi valori, e della loro
ipocrisia.
“Non sono un bugiardo.” Sibilò Edward, squadrandomi con
spassionato odio. “Tu non sei innocente, strega. E pagherai per ogni
cosa.”
Feci per avventarmi su di lui, ma due paia di braccia mi
afferrarono con violenza. Mi divincolai, con la forza della disperazione.
Nessuno avrebbe messo in dubbio la parola di un Lord, contro la mia. Di certo
nessuno in quella stanza avvertiva la necessità di interrogarsi ulteriormente
su quell’omicidio. Forse, il vero colpevole era lì al mio fianco e covava
silenziosamente la soddisfazione di vedere qualcuno accusato al suo posto. La
replica del padre di Gourry mi aveva condannata a morte.
“Ferma, dannazione!” Un violento pugnò fu sferrato contro il
mio stomaco. La pancia già mi doleva, e quel colpo mi lasciò momentaneamente
senza fiato. Non ebbi il tempo di riprendermi. Un'altra mano guantata si
scontrò contro la mia guancia, ed improvvisamente il mondo esplose di fronte a
me.
“LINA!”
Avvertii solo vagamente il grido di mio marito, e i rumori
della colluttazione sull’altro lato della stanza. Cercai affannosamente di
riprendere cognizione della realtà attorno a me, ma quando levai la testa in
cerca di aria, un nuovo colpo si abbatté sulla mia nuca.
E il mondo divenne nero.
***
Dovevano essere trascorse ore, quando acquisii nuovamente
coscienza. Una fitta di dolore mi attraversò il cranio non appena aprii gli
occhi, e di riflesso strinsi le palpebre, nella speranza di poter perdere
nuovamente i sensi. Tuttavia, il gelo del pavimento di pietra su cui giacevo,
prona, mi tenne ancorata alla realtà. Da qualche parte, l’umidità filtrava dal
soffitto, e gocce d’acqua scivolavano ad intervalli regolari in una pozza sul
pavimento. Quel semplice rumore aveva l’effetto di un chiodo che mi perforava il
cervello. Cercai di portare le mani alle orecchie, per ripararle, ma mi resi
conto che erano ancora bloccate dietro la mia schiena. E anche se così non
fosse stato, non era detto che ne sarei stata in grado. Ogni parte del mio
corpo doleva terribilmente.
Mi forzai a riaprire gli occhi. La mia palpebra sinistra
fece resistenza, a causa del sangue coagulato accumulatosi a seguito del colpo
del soldato. Gemetti lievemente, e solo allora mi resi conto che un bavaglio
era stato forzato fra le mie labbra. Evidentemente, il Duca non si era fidato
delle mie affermazioni riguardo all’uso della magia.
Venni colta dal panico. Cosa era stato deciso? E che ne era
stato di Gourry?
“Ti sei svegliata.” Una voce risuonò di fronte a me, al di
là dell’entrata della cella. Sussultai, e cercai affannosamente di sollevare lo
sguardo, per osservare il volto della persona che mi parlava. Rinunciai presto.
Mi limitai a fissare un paio stivali neri, e gli insetti e la sporcizia che si
interponevano fra quelle calzature e me. “Ho diverse comunicazioni da
rivolgerti.” Riconobbi improvvisamente il mio interlocutore. Si trattava di
Bastian, il generale al servizio del Lord Gabriev. Al solo ricordo
dell’espressione soddisfatta del nobile mentre mi mandava al patibolo, venni
travolta da una scarica di velenoso odio.
“I funerali del sovrano avranno luogo dopodomani, in
mattinata.” Proseguì Bastian, incurante della mia rabbia. “Le celebrazioni
inizieranno domattina, ad iniziare dalla tua esecuzione, che avverrà all’alba.
Non ti sarà permesso di incontrare tuo marito, prima di allora. Non ti sarà
permesso di parlare con nessuno, se non con le guardie adibite alla tua
sorveglianza. Fra qualche ora ti sarà concesso di lavarti, e di consumare un
ultimo pasto. Ad Elmekia non si nega a nessuno una morte dignitosa.” L’ultima
frase venne pronunciata con sprezzo. Evidentemente, Bastian era convinto che in
alcuni casi sarebbero state legittime delle eccezioni.
Non avevo modo di replicare, imbavagliata, e non avevo la
forza di reagire in altro modo. Mi limitai ad appoggiare la guancia al
pavimento, mentre i passi di Bastian si allontanavano. Mi chiesi se il Lord
Gabriev, dall’alto del suo sodalizio con Georg, lo avesse posto personalmente a
guardia della sua pericolosa nemica. Ma anche se così non fosse stato, che
importanza aveva? Di certo all’ingresso delle prigioni era di stanza un piccolo
esercito di guardie. Ero in trappola. Chiusi nuovamente gli occhi. Avrei solo
voluto vedere Gourry. Se doveva finire così, volevo almeno poterlo abbracciare
un’ultima volta.
Scossi la testa, cercando di riscuotermi da quei pensieri.
No. Non ero ancora morta. Dovevo concentrarmi su come uscire di lì, e farlo in
fretta, perché a quanto pareva i miei carcerieri non avevano intenzione di
concedermi tempo. Presi a divincolarmi. Forse avrei potuto cercare di segare le
corde in qualche modo. Se fossi riuscita a togliermi il bavaglio, avrei potuto
servirmi di quel poco di magia che mi restava per aprire la porta della cella,
e… e poi? E poi che speranze avrei avuto, con decine di guardie alle calcagna?
E Gourry? Lo tenevano rinchiuso da qualche parte nel palazzo? La mia fuga si
sarebbe ritorta contro di lui?
Smisi di lottare. Era assurdo, come quello che era il mio
più grande sostegno fosse anche la mia più grande debolezza. Il mio respiro si
fece corto, e la mia gola si strinse a causa del panico. Non riuscivo a pensare
lucidamente, in quelle condizioni. E non avevo tempo. Tempo. La mia ora si
avvicinava inesorabilmente, ad ogni minuto che passava, ad ogni goccia che cadeva
sulla pietra umida e gelida.
Rimasi immobile, lasciando scivolare via i minuti. Dopo un
po’, persi totalmente la cognizione del mondo che mi circondava. Sentivo solo
le mie braccia intorpidite, e il freddo, e la vaga impressione che centinaia di
insetti camminassero sul mio corpo. Avrei voluto sapere che ore erano. Avrei
voluto avere la certezza di quanto mi separava dalla mia morte.
Caddi in un dormiveglia inquieto. Mi svegliai di
soprassalto, quando avvertii dei passi attorno a me. Tre paia di piedi mi
circondarono. Per un momento, pensai che fossero venuti a prendermi per
l’esecuzione, e mi odiai per avere perso le mie ultime ore nell’incoscienza.
Poi, mi ricordai delle parole di Bastian.
Riuscii solo a gemere, quando venni sollevata sulle mie
gambe. Barcollai, ma la stretta serrata dei soldati mi impedì di crollare
nuovamente al suolo. Qualcuno mi parlò. Non capii, le mie orecchie attraversate
solo da un sordo ronzio. Uno schiaffo mi colpì in volto. La coscienza calò sul
mio capo, con la stessa sensazione dolorosa della circolazione che torna a
percorrere arti da tempo inutilizzati. Una mano raggiunse le mia labbra, e
rimosse rudemente il bavaglio che le imprigionava.
“Vedi di rispondere agli ordini, strega. Abbiamo il compito
di renderti presentabile per la tua esecuzione. E non abbiamo tempo da
perdere.”
“Quanta clemenza… vi manca solo la presunzione di innocenza,
per diventare un paese civile…” Riuscii a costruire una frase coerente. La voce
mi uscì come un rantolo.
“La feccia meriterebbe solo di essere lasciata in pasto ai
topi.” Il tono della guardia rivaleggiò con quello che Bastian mi aveva rivolto
qualche ora prima. Il cavaliere dei draghi avrebbe avuto un numeroso seguito,
se avesse deciso di candidarsi come successore di Eriol. “Nessuno voleva venire
qui. La regina ci ha detto di fare di te ciò che volevamo, ma nessuno ha
nemmeno tanto sangue freddo da toccarti.”
“Sono davvero affranta.”
Il soldato mi riservò un nuovo schiaffo. “Se non vuoi che ti
tagli la lingua, tienila a freno. E vedi anche di non tentare scherzi, a meno
che tu non creda di non averne avuto abbastanza. Nessuno vuole toccarti, ma
credo che nessuno si farebbe dei problemi a insegnarti di nuovo la buona
educazione.”
Strinsi le labbra, e ricacciai in gola la mia replica. A
quanto pareva, la commedia dell’ospite gradita era già terminata.
Venni afferrata per gli avambracci, e trascinata nuovamente
nella guardiola. Una vasca in legno era stata approntata, ricolma di acqua che
avrei scommesso essere fredda. Una forma di sapone era abbandonata ai suoi
piedi. Arrancai, spinta dai soldati. Mi sentivo debole. Era dalla sera
precedente che non toccavo cibo.
“Dov’è… la mia cena?”
“La stanno portando. Prima di tutto lavati.”
“Cos’è, avete paura che mi venga una congestione, e muoia
prima del tempo?”
Un nuovo schiaffo mi azzittì. Mi risolsi ad obbedire,
malgrado la rabbia. Volsi lo sguardo verso la sala, e notai che nessuno aveva
pensato di lasciarmi vestiti puliti. Tuttavia, le guardie avevano lasciato
abbandonato sulla panca il mio mantello. Al solo vederlo, la speranza mi si
riaccese in petto. Probabilmente era stato perquisito, ma nessuno poteva essere
a conoscenza dell’incantesimo che mi permetteva di nascondervi i più disparati
oggetti all’interno. Non sapevo cosa potesse esserci di davvero utile, ma se
avessi trovato qualche erba che potesse causare un’esplosione, qualcosa che
potesse anche solo aiutarmi a creare un diversivo…
“Cosa aspetti?” Mi intimò la guardia, dandomi una nuova
spinta verso la vasca.
“Non posso lavarmi con le mani legate.” Replicai, come dato
di fatto. “E non posso nemmeno farlo con un gruppo di uomini che mi guarda.”
Il soldato mi strattonò per i capelli. “Non sei in
condizione di patteggiare, strega.” Il suo volto si avvicinò minacciosamente al
mio. “Se preferisci morire assediata dalle pulci fa’ pure. Ma decidi in fretta.
Hai dieci secondi per infilarti in quella vasca.”
Il mio piano cominciò a sgretolarsi velocemente di fronte ai
miei occhi. Non avevo considerato l’idea che i miei carcerieri non volessero
concedermi un minimo di decenza. E sinceramente, piano a parte, avrei
volentieri preferito restituire il bottino a dieci bande di banditi piuttosto
che accettare di spogliarmi di fronte a chiunque di loro.
“Posso restare io con lei.” Una voce debole risuonò alle
spalle dei soldati. Alzai lo sguardo, colta di sorpresa. Quel tono delicato era
l’ultimo che mi sarei aspettata di sentire, laggiù.
Livia si trovava in piedi vicino all’ingresso. La sua figura
esile era avvolta in una veste bianca, i capelli neri raccolti da fibbie dorate
in una alta ed elaborata coda. Alcune ciocche ribelli le erano scivolate sulla
fronte, e le piccole gocce di pioggia che le imperlavano ricadevano ad ogni suo
movimento sul suo mantello di lana bianca, e lungo le sue spalle esili. Il suo
volto era tanto pallido che mi chiedevo se non stesse per perdere i sensi.
“Principessa. Che cosa fate quaggiù?”
Livia avanzò di un passo, e levò le braccia. Fra le mani,
reggeva un piccolo fagotto. “Ho portato i vestiti puliti per la prigioniera. E
anche la sua cena, e la vostra birra calda.” Fece un cenno alle sue spalle.
“Mia nonna aveva incaricato una delle servitrici, ma le ho chiesto di scendere
io, al suo posto. Volevo vedere in volto la donna che ha ucciso mio zio.”
“Principessa, questo non è luogo per voi. Questa donna è
pericolosa e…”
“Con il bavaglio e le mani legate non può farmi del male. La
aiuterò semplicemente a lavarsi. Non sarebbe consono, se fosse uno di voi a
farlo. Se temete per me, lascerò le porte aperte.”
I soldati si scambiarono occhiate incerte, ma alla fine il
desiderio di liberarsi dell’incombenza loro affidata parve prevalere. Uno di
loro mi strattonò, e costrinse nuovamente il bavaglio fra le mie labbra. Gli
altri indietreggiarono, lasciando spazio alla principessa.
Cercai lo sguardo di Livia, ma la giovane non mi guardò
negli occhi. Si limitò a posare la veste che aveva portato per me sulla panca,
e a slegare le fibbie del suo mantello. Di primo acchito avevo pensato che la
principessa credesse alla mia innocenza e fosse venuta per darmi sostegno, ma
la sua espressione neutra e il suo mutismo mi fecero improvvisamente temere il
contrario. Avrei voluto parlarle, ma il bavaglio mi rendeva impossibile
chiederle qualsiasi cosa.
Livia si rimboccò le maniche, e mi spinse a sedere sulla
panca. Prese a rimuovere il mio stivale sinistro, ostinandosi a non guardarmi
in volto. I soldati persero presto interesse in noi. Raggiunsero la piccola
botte e i boccali poggiati sul tavolo nell’atrio e presero a discutere
animatamente fra loro, ingurgitando copiose sorsate.
Livia rimosse anche il mio secondo stivale, quindi esitò per
qualche istante. E levò finalmente lo sguardo su di me.
Rimasi per un attimo interdetta. Mi ero attesa rabbia, o
accusa. E invece nei suoi occhi trovai solo paura. Insieme ad una strana, ferma
risolutezza.
“Vedete i soldati, signora?” Bisbigliò. Io levai lo sguardo
sulle guardie, concentrate sulla birra, e felicemente inconsapevoli del nostro
scambio di battute. Feci un cenno di assenso con la testa.
“Hanno qualcosa di strano?” Feci per negare. Ma in
quell’esatto momento, una delle guardie, un uomo alto e dai capelli grigio
topo, che durante la mia conversazione con il suo capo non aveva fatto che
sogghignare, ingollò una sorsata troppo abbondante, e prese a tossire con
violenza. I due compagni gli batterono con forza sulla schiena, ma il soldato
divenne sempre più paonazzo, e non cessò di rantolare. All’improvviso una
seconda guardia fu contagiata dal morbo della tosse. Presto tutte e tre furono
piegate dagli spasmi.
E si accasciarono, una dopo l’altra, al suolo.
Fissai Livia, esterrefatta. La giovane si limitò ad
arrossire, con lo stesso fare infantile che aveva assunto la prima sera, sulle
scale in cima alla torre, nel rievocare le mie imprese. “E’ solamente un
sedativo.” Sussurrò, timidamente. “Ma temevo che non funzionasse. Non ero molto
certa delle dosi.”
Attesi che mi liberasse dal bavaglio, mentre centinaia di
domande affollavano la mia mente. Tutto mi sarei attesa da lei, tranne una cosa
del genere. “Si può sapere dove diavolo hai imparato a fare una cosa del
genere???”
Colsi Livia arrossire nuovamente, mentre si piegava a
slegarmi i polsi. “Non lo ho fatto io. Lord Georg, nel suo studio privato, ha
un mobiletto in cui tiene dei medicamenti. A volte la gamba gli fa male, e ha
delle difficoltà ad addormentarsi, e si serve di cose del genere.” Raccolse i
miei stivali. “Ho dovuto chiedere aiuto ad una servitrice, perché si
intrufolasse nelle stanze di Lord Georg. Fortunatamente ho stretto amicizia con
alcune di loro, da quando sono qui.”
“Ma… perché…?”
Livia esitò per un istante. “Perché non è giusto che voi
paghiate per una colpa che non avete commesso.” Sussurrò poi, volgendo lo
sguardo al suolo. Girò le spalle, e raggiunse le guardie. Estrasse un sacco di
tela dal mantello, e prese a radunarvi i boccali sparsi al suolo.
Io rimasi seduta a massaggiarmi i polsi, l’aria perplessa.
“Non ti metterai nei guai? Quando si sveglieranno, verrai accusata di avermi
aiutata a fuggire.”
Livia si sollevò. Il suo sguardo si soffermò per un momento
sui soldati abbandonati al suolo. Il suo volto parve impallidire ulteriormente.
“Con la dose che ho messo nei bicchieri, verranno trovati prima di svegliarsi,
e con tutta probabilità non ricorderanno nulla. Ma anche se così non
fosse…”Si volse verso di me. “… anche
se così non fosse, cosa cambierebbe? Non possono farmi nulla di peggio di
quanto hanno già in mente di fare.”
Non potei replicare. Ero io la prima a dare più valore alla
libertà che alla mia stessa vita. Se fossi stata nei suoi panni, avrei
preferito qualsiasi prospettiva ad un matrimonio con un uomo di almeno
vent’anni più anziano, e con il carattere di Derek.
“Ad ogni modo, non è questo il momento di pensarci.” Livia
assunse un tono pratico che stonava vagamente con la sua espressione scossa.
“Adesso ascoltatemi bene, signora, perché non abbiamo molto tempo.” Levò il
fagotto che aveva portato, e me lo pose fra le mani. “Mi spiace, ma in effetti
non avrete il tempo per lavarvi, e nemmeno per mangiare. Vi ho preparato queste
vesti da viaggio, e un po’ di pane e di carne essiccata per quando vi sarete
allontanata. Cambiatevi appena ne avrete il tempo. I vostri vestiti daranno
nell’occhio, qui a Elmekia.”
Aveva perfettamente ragione. In un regno come quello, una
veste da maga non mi avrebbe aiutata a nascondermi.
“Vi mostrerò come arrivare ad una delle vie d’uscita
secondarie, quelle da cui i servitori scendono al fiume. Sono già d’accordo con
una persona, che vi aiuterà ad andarvene. Fate molta attenzione. Lord Georg ha
detto che… che non dovreste essere in grado di usare la magia, in questi
giorni.” Arrossì, lievemente. “So che questo complica le cose. Ma se vi
scoprono, non sarò più in grado di fare nulla, per voi. E con vostro marito
tenuto segregato, non avreste altre possibilità di fuggire.”
“A… aspetta un momento.” La bloccai, prima che il suo fiume
di parole riprendesse. “Mi stai dicendo che Gourry… Gourry non sa nulla di
questa fuga…? Non è lui, la persona che mi aspetta là fuori?” Il mio stomaco
tornò a stringersi. Avevo dato per scontato che ce ne saremmo andati insieme.
Livia scosse la testa, con fare grave. “Non ho avuto la
possibilità di comunicare con lui.” Raggiunse il mio braccio con le dita e
strinse, lievemente. “Ma sarà al sicuro. E’ un Gabriev, non gli verrà fatto del
male. Sono certa che vi raggiungerà alla capitale non appena gli sarà
possibile.”
“Alla capitale?”
Livia scostò il proprio mantello e sfilò il medaglione
dorato che pendeva dal suo collo esile. Lo strinse per un lungo momento, quindi
me lo porse, con fare vagamente riluttante. “Prendete.” Intimò. “Questo è un
regalo che mio padre mi ha fatto in occasione del mio dodicesimo compleanno,
quando sono stata incoronata principessa. Mostratelo a mio padre. Ditegli che
il giorno in cui me lo regalò mia sorella pianse così tanto che non potemmo
portarla alla cerimonia finché non ricevette un pendaglio simile.” Arrossì
nuovamente. “Siamo in pochi a conoscere questa storia. Saprà subito che ve l’ho
dato spontaneamente, e vi accorderà la sua protezione.”
Strinsi il pendaglio fra le dita per un momento. Aveva la
forma di una piccola cornice ovoidale, finemente intagliata, e al centro era
incastonata una piccola formella decorata con simboli legati a Cheipied. Non ci
avrei messo la mano sul fuoco, perché soprattutto ad Elmekia era difficile
vederne, ma ero quasi certa che il materiale incastonato nell’oro fosse
Ohrialcon… Quel manufatto doveva avere un valore immenso. Per non parlare del
valore affettivo. Livia stava dimostrando nei miei confronti una notevole
fiducia, considerando che ero stata appena accusata di aver ucciso suo zio.
“Livia… come puoi essere certa che io sia davvero innocente?
In fondo qui chiunque è convinto del contrario…” Sapevo che quella domanda
andava contro ogni mia convenienza, ma non potei impedirmi di darle voce.
L’ammirazione che quella ragazzina provava per me non poteva bastare a
giustificare la sua opposizione all’intera famiglia, la sua negazione di quelle
che per chiunque altro erano prove schiaccianti.
Livia abbassò lo sguardo, e per un momento mi parve
combattuta. Quando finalmente si risolse a parlare, la sua voce era ridotta ad
un sibilo. “Perché io so chi è il vero colpevole.”
I miei occhi si spalancarono. Per un momento, lo stupore
cancellò il freddo, il dolore alle articolazioni e l’urgenza di scappare. “Lo
SAI?” Potei solo boccheggiare. “E allora perché non…”
“Perché nessuno mi crederebbe.” Mi precedette, in tono
mesto. “Nessuno crederà mai che sia stato Lord Georg.”
Improvvisamente, provai la necessità di tornare a sedermi
sulla panca. Lord Georg? Avevo pensato a qualche vassallo di Eriol vendutosi
alla fazione opposta, ma… Lord Georg? Lui, che aveva tutto da guadagnare dalla
salita al trono del nipote?
Livia mi fissò, evidentemente conscia della tempesta di dubbi
che aveva risvegliato in me. “Lo so, anche io non potevo crederci. Mentre
cercavo di accedere ad una delle biblioteche, qualche tempo fa, mi sono trovata
ad origliare per caso una sua conversazione. Parlava di Eriol, e di veleno, e
della rivendicazione del trono. Purtroppo mi hanno scoperta prima che potessi
sentire altro…” I suoi occhi si fecero vitrei, ed ebbi l’impressione che stesse
rivivendo la paura di quegli istanti. “Lord Georg si è adirato come non mai, ma
credo, spero non sia al corrente di quanto sonoriuscita a sentire… d’altra parte, al
momento non sapevo nemmeno se dare realmente credito a quello che avevo udito…
ma, alla luce dei fatti, credo non ci sia molto spazio per i dubbi.” Fece un
breve sospiro.
“A… aspetta un momento… hai detto che hai udito una
conversazione? Quindi Georg stava parlando con qualcuno dei suoi progetti…”
Livia annuì, lentamente. “Sì. Si trattava del Lord Gabriev.”
A quelle parole, la gola mi si fece improvvisamente roca.
Edward Gabriev… sapeva tutto? E nonostante questo…
“L’unica motivazione che mi viene in mente è che Lord Georg
ambisca a proporsi agli uomini di mio zio come nuovo re, dopo la sua
uccisione.” Proseguì Livia. “Forse Lord Gabriev lo ritiene più adatto al trono
di quanto non fosse zio Eriol.”
Strinsi i pugni. La rabbia mi invase, con una violenza quasi
insopportabile. Mi costrinsi ad abbassare lo sguardo al suolo, per non
esplodere. Già… Cosa aveva convinto il padre di Gourry a rendersi complice? Il
fatto che giudicasse Lord Georg più adatto a governare di un giovane inetto,
manovrato da una donna? Sì, probabilmente… E probabilmente, insieme a questo,
la promessa che, grazie a quel delitto, un certo scomodo errore di suo figlio,
una fastidiosa macchia sulla gloriosa pagina della storia della famiglia, sarebbe
stata eliminata…
“Signora Lina… Mi spiace, ma davvero non c’è più tempo.”
Livia mi incalzò, ed io tornai ad alzare lo sguardo su di lei. Presi un
profondo respiro. Aveva ragione. Preoccuparmi di Edward Gabriev e della sua
crociata per uccidermi non mi avrebbe salvato la vita.
“Sì. Dimmi dove devo dirigermi per uscire di qui.”
“Fuori dall’ingresso delle prigioni costeggiate il muro
sulla sinistra, e passate dietro le stalle. Lì troverete qualcuno ad
attendervi. Vi farà nascondere in uno dei carri con i panni da portare al
fiume. Andate avanti voi, io vi seguirò dopo un po’ di tempo, in modo da non
rischiare che ci vedano insieme.”
Annuii, brevemente. Esitai, solo un istante, sull’ingresso.
“Livia… sai che… io non combatterò a fianco di tuo padre, vero…?”
La principessa mi fissò per un momento in silenzio. Quindi
abbassò lo sguardo, e annuì lievemente. “Lo so.” Replicò, in un sospiro. “Cioè,
me lo aspettavo. Non prenderete le armi contro Talit, finché vostro marito si
troverà qui.”
Colsi la punta di delusione nel suo tono di voce, e mi
sentii una perfetta ingrata. Ma il senso di colpa non era sufficiente a farmi
cambiare idea. Non mi sarei schierata col rischio di trovarmi a combattere
contro Gourry. Questo era fuori da ogni discussione.
“Mi dispiace.” Mormorai frettolosamente, improvvisamente
imbarazzata. “Ti prego, di’ a Gourry…” Esitai, brevemente. “…digli che lo sto
aspettando.” Lo spadaccino avrebbe capito. Quando eravamo lontani, lui era il
mio luogo a cui tornare. E allo stesso modo, se lo avessi atteso, sapevo che
sarebbe giunto da me.
Livia annuì silenziosamente, e silenziosamente ci scambiammo
un ultimo sguardo. Quindi, senza voltarmi, imboccai l’ingresso delle prigioni,
e mi addentrai nell’oscurità delle scale che conducevano in superficie.
Percorsi i gradini a due a due, stringendo al petto il
fagotto con le mie vesti e la mia misera cena. Le gambe mi facevano male per la
lunga immobilità, e il mio mantello continuava a impigliarsi nelle impalcature
metalliche delle torce ancora spente e nella ruvida pietra delle pareti. Quando
giunsi alla cima, ero già affannata. Mi guardai intorno. All’esterno,
l’oscurità era già calata e la pioggia si era trasformata in tempesta. Le torce
nei cortili erano spente, impossibile tenerle accese. Le uniche luci a
rischiarare il cammino erano i bagliori diffusi dei lampi.
Mi strinsi nel mantello, cercando di ricordare le parole che
mi aveva rivolto Livia. Aveva detto a sinistra, mi pareva. Ma quel muro mi
sembrava orribilmente esposto. Mi chiesi se fosse davvero il caso di fidarsi
della capacità di giudizio di una ragazzina, che ben poco doveva aver avuto a
che fare, fino a quel momento, con la strategia e la fuga.
‘Le stalle… ha detto di arrivare alle stalle.’
Cercai di scrutare oltre il muro di pioggia, e scorsi in
lontananza la massiccia struttura in legno. Potevo girare attorno all’ingresso
delle prigioni, e arrivarci costeggiando il boschetto di querce alle mie
spalle. Oppure potevo fidarmi di Livia, invece che del mio istinto, e gettarmi
a testa bassa verso il centro del cortile. Mi volsi verso la direzione che più
mi tentava, lasciandomi per un momento lacerare dall’indecisione.
Furono proprio quegli istanti ad essermi fatali.
“Dove diavolo credi di andare, Lina Inverse?”
Quella voce gelida, alle mie spalle, ebbe lo stesso effetto
che avrebbe avuto una pugnalata fra le scapole. Mi irrigidii per un istante, la
mascella contratta. Mi volsi, ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Avevo già
riconosciuto perfettamente quella tonalità sprezzante.
La testa di Bastian era celata da un cappuccio nero, ma
alcuni dei suoi riccioli dorati erano scivolati all’esterno, e gli si erano
appiccicati al volto, fradici di pioggia. I suoi occhi scuri mi scrutavano e
promettevano tempesta, come il cielo dello stesso colore che si stagliava alle
sue spalle.
Avrei voluto accecarli con la magia. Avrei voluto reagire in
qualsiasi modo. E invece mi limitai a rimanere a bocca aperta, troppo sorpresa
anche solo per cercare di scappare. Che ci faceva il cavaliere dei draghi
ancora lì? Il Lord Gabriev lo aveva lasciato per tutto il giorno a mio
presidio? O lo aveva inviato da me nuovamente per qualche preciso scopo?
Non ebbi tempo di chiedermi altro. Una delle mani rivestite
di cuoio di Bastian salì a coprire la mia bocca.
E l’altra si strinse attorno al mio collo.
Mentre lentamente perdevo i sensi, l’incomprensione e la
paura si mescolarono nel mio petto al rimpianto. Avrei voluto lasciare a Gourry
qualcosa di più di quelle poche, ormai insignificanti parole.
Ecco un nuovo capitolo, per inaugurare il nuovo anno
Ecco un nuovo capitolo, per inaugurare il nuovo anno! XD
Grazie, come sempre, a chi legge e commenta!
***
L’elsa della spada era gelida nella mia mano. La pioggia mi
inzuppava i capelli. Attorno a me scorrevano fiumi di sangue.
‘Perché?’
‘Non spetta a te conoscere i motivi.’
‘Ma spetta a me combattere.’
‘Perché questa è la guerra.’
‘Ho bisogno di un mio scopo.’
‘Non ne hai la forza.’
Aprii gli occhi. Le mie dita stringevano lenzuola fredde. I
miei sensi erano intorpiditi. Non riuscivo a ricordare cosa avessi sognato.
Levai il capo per un istante, per poi tornare a poggiarlo
sul cuscino. Volevo alzarmi, ma non avevo la forza di lasciare il calore delle
coperte. Il fuoco nel camino era spento. Quella stanza sembrava immensa e
gelida, senza Lina.
Dovevo aver dormito non più di un’ora. La mia gola era
secca, per quanto avevo gridato contro la porta dei nostri appartamenti,
chiedendo che mi lasciassero uscire. Avevo rinunciato solo quando ormai la
notte era inoltrata, e non ero riuscito a prendere sonno che alle prime luci
dell’alba. Nessuno mi aveva detto cosa sarebbe successo. Ero stato chiuso là
dentro, all’oscuro di qualsiasi cosa, subito dopo essere stato trascinato via
dal luogo in cui Lina era stata imprigionata. Ripensare alle percosse dei
soldati mi faceva fremere di rabbia. Avrei preferito mille volte essere
rinchiuso in quei sotterranei gelidi insieme a lei e accertarmi che stesse
bene, piuttosto che trovarmi in una stanza confortevole, condannato a quel
solitario tormento.
Levai lo sguardo dal cuscino solo quando sentii il
chiavistello della porta scattare. Mi sollevai a sedere, immediatamente vigile,
e rimasi deluso quando vidi avanzare la figura arcigna di Derek. Avrei
preferito fossero state delle guardie. Almeno avrei avuto qualche possibilità di
essere condotto da Lina.
Mio fratello avanzò, e lanciò sul letto il fodero con la mia
spada. “Alzati. Nostro padre vuole vederti.” Intimò semplicemente, senza un
cenno di saluto. Io non diedi segno di aspettarmi convenevoli. Non ci eravamo
più parlati dal nostro litigio del giorno precedente, ed entrambi portavamo
ancora segni troppo evidenti della colluttazione per considerarla acqua
passata. Per di più, ripensare a come Lina aveva guarito ferite simili meno di
due settimane prima non contribuiva a migliorare il mio umore.
“Che ne è stato di Lina?” Domandai, senza muovermi. Le
sopracciglia di Derek si levarono.
“La sua esecuzione era fissata per un’ora fa.”
Lo stomaco mi si contrasse, e l’orrore mi investì, con una
violenza inaudita. Ricaddi con la schiena contro il cuscino, incapace di dare
forma e concretezza a quella notizia. Non era vero. Non potevo crederlo.
Perché non avrei potuto pensare di alzarmi nuovamente da quel letto, se fosse
stato così.
“Puoi anche aspettare ad atteggiarti a vedovo affranto.”
Derek troncò ogni mia emozione sul nascere. “Non è saltata nessuna testa. Tua
moglie è riuscita a scappare.”
Levai gli occhi su di lui, ancora una volta incapace di
credergli. Derek vestiva un’espressione assolutamente indecifrabile.
“Hai detto che è scappata?”
“Già. E dalla tua reazione di poco fa deduco che tu non
c’entri nulla con questo. Avrei creduto di poter giurare il contrario.”
L’aria tornò lentamente a circolare all’interno delle mie
narici. Rilasciai le coperte, che avevo stretto convulsamente fra le dita, e mi
abbandonai per un momento al sollievo. Avrei voluto chiudere gli occhi e
lasciare scivolare via la paura. Ma non ero sufficientemente a mio agio, di
fronte a mio fratello. Mi limitai a deglutire, e a domandare nel tono più
neutro che riuscissi a produrre. “Come ci è riuscita?”
“Nessuno ne ha idea. Le guardie che erano a suo presidio
sono scomparse. E anche uno dei nostri generali, che nostro padre aveva
personalmente incaricato della sua sorveglianza, pare svanito nel nulla.” Il
volto di Derek si incupì. “Ma il reale problema è un altro. Anche la figlia di
Samon, la mia futura moglie, è scomparsa. Hanno ritrovato il suo mantello nei
cortili, in mezzo alla pioggia. Pensiamo che tua moglie, dopo aver eliminato le
guardie, la abbia portata con sé come merce di scambio per Samon.”
Quella replica non mi convinse. Se davvero Lina non poteva
usare la magia, come poteva essere riuscita a far sparire quattro sorveglianti
nel nulla? E la principessa… potevo capire che mossa a compassione Lina avrebbe
potuto desiderare di condurla via con sé, ma… arrivare davvero a
rischiare così tanto, per una ragazzina che conosceva appena? C’era qualcosa di
decisamente sbagliato.
“Lord Georg ha scelto di non perdere tempo e di decidere
oggi i piani di battaglia, nonostante il lutto.” Proseguì Derek. “Nostro padre
vuole che tu sia presente. Ha detto che la questione di tua moglie non ti
esonera dal prestare la dovuta assistenza alla tua famiglia.” Evitò
deliberatamente il mio sguardo.
“Cosa gli fa pensare che accetterò di collaborare con voi
dopo che ha mentito pubblicamente e ha fatto condannare a morte mia moglie?”
Domandai, freddamente.
“E tu come puoi essere tanto convinto che abbia mentito?”
Derek mi rimbalzò la domanda. Ma il suo tono di voce non era fermo come lo era
stato nelle altre occasioni in cui aveva preso posizione a fianco di mio padre.
Derek non era mai stato capace di mentire. Avevo tutta l’impressione che mi
stesse nascondendo qualcosa.
“Se Lina fosse stata colpevole, a me avrebbe detto la verità.”
Replicai, semplicemente. “E in ogni caso, mi accorgo di quando mente.” ‘Almeno
quando non cerca di mentire a me’. Aggiunsi mentalmente, ma mi guardai bene dal
pronunciare quelle parole ad alta voce.
Derek rimase in silenzio, il suo volto una maschera
imperscrutabile. Per un momento mi parve tentato a dire qualcosa, ma nel
barlume di un secondo le sue labbra tornarono a serrarsi e mi volse le spalle.
“Questo non riguarda me.” Dichiarò, gelido. “Se hai qualcosa
da obiettare a nostro padre, potrai parlarne direttamente a lui.” Mi lanciò
un’occhiata da sopra la spalla. Ma, prima che io potessi replicare qualsiasi
cosa, uscì dalla stanza, senza preoccuparsi di attendere che lo seguissi.
Rimasi immobile per diversi istanti, fissando i muri in
pietra del corridoio. La porta era aperta e io ero tecnicamente libero di
muovermi. Ma dove potevo andare? Non potevo credere che Lina si fosse
allontanata senza lasciarmi nemmeno un messaggio. Si aspettava che la cercassi?
O che restassi a palazzo e attendessi che si mettesse in contatto con me?
Scivolai fuori dal letto. Mi ero addormentato con i vestiti
del giorno precedente e il mio aspetto doveva essere trasandato, ma non mi
preoccupai di cambiarmi. Mi limitai a sciacquarmi il viso e a raccogliere le
mie cose in fretta, per incamminarmi lungo i gradini della torre. La mia unica
certezza era che non potevo muovermi da quel luogo fino a che le cose non mi
fossero state chiare. Non ero bravo ad indagare, ma avrei dovuto ingegnarmi in
qualche modo. Se Lina aveva cercato di lasciarmi qualche messaggio per
ritrovarla, avrei dovuto saperlo leggere.
Raggiunsi la sala delle udienze. Non mi servì aprire la
porta, per cogliere quanto concitata fosse la discussione all’interno. Grida
violente si sovrapponevano le une alle altre in una indistinta cacofonia,
accompagnata a tratti dall’acuto tintinnio dei boccali. Esitai per un momento
di fronte agli spessi portali in quercia. Quando li aprii, venni immediatamente
investito da un’ondata malsano calore.
Lord Georg era seduto sullo scranno del duca, e gli altri
Lord erano radunati attorno a lui, alcuni in piedi, i volti rossi e gli sguardi
accesi, altri seduti ai tavoli sui lati della sala. Solo questi ultimi si
accorsero del mio ingresso e si volsero ad osservarmi. Non tutti mi riconobbero,
ma in alcuni volti vidi il sospetto disegnarsi insieme alla comprensione.
Essere il marito di Lina bastava a rendermi degno di scarsa fiducia.
A disagio, volsi lo sguardo verso la parte centrale della
sala. Solo allora mi resi conto che a fianco di Georg si trovava anche Erianna.
Era in piedi, avvolta in un lungo abito nero, lo sguardo fisso in avanti,
iniettato di sangue. Pregai che non mi notasse. I suoi occhi bastavano a farmi
gelare il sangue nelle vene.
“La realtà è che l’unica soluzione è l’aggressione!” Stava
urlando con foga il duca. “Io credo, io SO che questa uccisione fa parte di un
piano strutturato! Rimanendo barricati qui lasciamo solo che mio nipote faccia
il suo gioco! E’ tempo di avanzare contro di lui e di spezzare i suoi piani sul
nascere!”
Numerosi nobili applaudirono al duca. Mio padre era fra
questi. Lo vidi annuire silenziosamente dalla sua posizione in prima linea, di
fronte a Georg.
Mi sentii soffocare.
Tirai il collo della mia tunica, in cerca di respiro, e mi
appropriai di una sedia. Avevo assistito ad una riunione simile, quelli che
sembravano mille anni prima, una assemblea che aveva dato vita ad una lotta
sanguinosa. Avevo un pessimo presentimento.
“Samon deve capire che, con o senza Eriol, quel trono non
gli spetta di diritto! Il nostro defunto sovrano non lo avrebbe voluto, e io,
noi ce lo riprenderemo! E la ricchezza e la gloria di Talit si estenderanno a
tutto il regno!”
Un boato di approvazione si levò fra i presenti. Cominciavo
a capire da cosa derivasse l’autorità di Georg a Talit. La voce del duca era
gracchiante, il suo aspetto sinistro, ma aveva la capacità di trascinare che è
necessaria ad un capo.
“I piani di battaglia verranno poi! Ciò che importa ora è la
convinzione! Siete con me?”
Il ruggito dei Lord mi investì. Solo Erianna era immobile e
silenziosa, il suo volto teso, la sua bocca stretta in una piega rabbiosa. La
mia fronte si aggrottò, e l’agitazione mi strinse lo stomaco. Lord Georg
continuò a parlare, ma io smisi di ascoltarlo. I rumori della sala si
trasformarono in un sordo ronzio. Ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato
andarmene da quel luogo al più presto. Ma non ero certo che mi sarebbe stato
possibile. Non ero certo nemmeno di volerlo, prima di sapere che ne era stato
di Lina.
I nobili nella sala presero a disperdersi, ma io rimasi
seduto, in attesa. Intercettai lo sguardo di mio padre mentre avanzava verso
l’uscita della sala, e lui e mio fratello si avvicinarono a me lentamente,
fermandosi al mio fianco.
“Vieni, Gourry.” Intimò mio padre, nel suo consueto tono
gelido e quieto. “Dobbiamo discutere in privato di una serie di questioni con
il nostro nuovo signore.”
Mi alzai. Mio padre non si fermò ad attendere che lo
facessi. Era abituato all’obbedienza e qualche anno prima non gliela avevo mai
negata. In quel momento il suo atteggiamento giocava a mio favore. Non sapevo
ancora se desiderassi davvero oppormi, o se per me fosse meglio assecondarlo.
In tutta verità, non avevo la più pallida idea di dove cominciare a cercare
Lina.
Avanzammo verso la sala comune, che a quell’ora era deserta.
Georg ed Erianna dovevano averci preceduti attraverso qualche altro ingresso,
perché ancor prima di entrare udimmo le loro voci risuonare all’interno. Mio
padre spinse i portali, e sostammo per un momento all’entrata, osservando i due
fratelli che si fronteggiavano dalla parte opposta del tavolo. Nessuno dei due
parve accorgersi del nostro ingresso.
“Sì, ma non era questo ciò che intendevo!” La regina stava
gridando. Il suo volto era terreo e irato. Scrutava il fratello direttamente
negli occhi, alta quasi quanto lui, e altrettanto autoritaria nei modi.
Georg pareva più calmo, ma la sua voce tradiva irritazione.
“Allora credo che non mi sia dato capirti, Erianna. Mi hai chiesto vendetta, ed
è esattamente mia intenzione ottenerla.”
“Non così!!!” La regina sbottò, il volto nero di furore.
“Tutto ciò che stai facendo è sostituirti a lui!!!”
“Oh, e questo non va bene, non è così, Erianna? Perché la
più degna sostituta sei tu, non è vero, sorella?”
Le dita di Erianna si strinsero attorno alle sue gonne, le
nocche pallide quanto il suo volto. Fece per rispondere nuovamente, ma fu
allora che mio padre si fece avanti, schiarendosi la voce.
I volti dei due sovrani si volsero in nostra direzione,
quelli di Georg determinati, quelli di Erianna vitrei e cerchiati. Fu il duca a
prendere la parola, con una calma che stonava con l’atmosfera concitata che ci
aveva accolti nella sala.
“Edward, mio buon amico. Attendevo che ci raggiungessi. Sarò
da te immediatamente. Mia sorella si stava giusto ritirando nelle sue stanze.”
L’ultima frase venne pronunciata in tono gelido. Con la coda dell’occhio,
osservai la mascella di Erianna serrarsi.
La regina riuscì comunque a ritirarsi dal fratello e ad
inchinarsi a noi con una dignità invidiabile. “Vogliate scusarmi.” Sibilò, a
denti stretti. Non sembrava particolarmente desiderosa di essere scusata.
La osservai mentre ci superava con stizza, e si dirigeva
verso la porta. Ma la mia attenzione venne presto catturata dal duca. Il nobile
si sedette e fece cenno a mio padre di accomodarsi.
“Gradisci un bicchiere di vino, Edward? E’ stata una nottata
folle. Folle. Senza contare che quell’isterica di mia sorella non mi ha
lasciato tregua.” Ingollò una lunga sorsata. “Suo marito ha sempre lasciato
correre, e ora si comporta come se fosse lei a portare i pantaloni in questo
dannato palazzo. Ma se perdiamo questa guerra su chi ne ricadrà il peso? Su
chi?”
Mio padre declinò l’offerta di vino, ma si sedette. Poggiò
il mento sulle mani, scrutando il suo interlocutore. “Non credo che la cosa
debba preoccuparti seriamente, al momento. Immagino che una certa dose di
irrazionalità faccia parte della natura femminile. Ma tua sorella non avrà modo
di crearti problemi, ora che sia suo marito che suo figlio sono morti.” Non
riuscii nemmeno ad arrabbiarmi per le parole di mio padre. Erano scontate
persino per lui, ed era ciò che il duca voleva sentirsi dire. Potevo quasi
visualizzare Lina mentre levava gli occhi al cielo, udendole. Ma il solo
pensiero di mia moglie assente peggiorava il mio umore. Spostai il peso da un
piede all’alto, inquieto. Ero stanchissimo. I miei nervi si stavano mio
malgrado calmando e il peso di quella notte quasi insonne cominciava a farsi
sentire.
“Bé, grazie al cielo. Voglio dire, non per la morte dei due
sovrani, che Chiepied mi guardi dall’affermare questo… ma ho davvero troppi
problemi, al momento, per dovermi preoccupare anche di mia sorella e della sua
smania di giocare al re…”
“Precisamente riguardo a questi problemi…” Lo interruppe mio
padre. “Se desideri che il mio figlio maggiore sia messo alla ricerca di Lina
Inverse e della principessa Livia, non devi fare altro che ordinarmelo, mio
signore, e provvederò immediatamente ad inviarlo in tuo nome.”
Georg si affrettò a scuotere la testa. “No, no, ho bisogno
di ogni uomo valido qui a Talit, non posso sprecare un ufficiale dietro a due
donne. Ci penseranno i cacciatori di taglie a trovarle. Ho già disposto che
venga diffusa la notizia e che venga stanziata una lauta ricompensa per chi
sarà in grado di ricondurre qui la maga, viva o morta. Tu e i tuoi figli
troverete ottimo impiego a capo dei miei soldati, invece.”
Mio padre chinò la testa. “Come preferisci, mio signore.”
“A questo proposito…” Georg si avvicinò lievemente, poggiando
un gomito sul tavolo. “Ti ho chiamato qui perché voglio che tu sappia che sarai
fra i miei generali, in questa battaglia. Viaggerete nella mia divisione, ed
insieme andremo all’attacco. So che il rango della tua famiglia non è elevato,
ma non mi importa cosa diranno gli altri Lord. Non ho dubbi sulla tua fedeltà,
e la certezza su chi mi affianca è esattamente ciò di cui ho bisogno in questo
momento.”
“Mi garantisci un grande onore, mio signore.”
“Onore e molto altro, non appena questa battaglia sarà vinta.”
Assicurò Georg. “Il che avverrà presto, posso affermarlo con ragionevole
certezza.” Il suo sguardo si levò e io sussultai, quando i suoi occhi
incontrarono i miei. “Voglio solo augurarmi che tutta la tua famiglia mi
dimostri la stessa fedeltà che tu mi prometti, al di là di ogni suo precedente
legame.”
“Lo farà.” Mio padre rispose per me, senza lasciarmi il
tempo di replicare. “So essere persuasivo, specie col sangue del mio sangue.”
“Sono lieto di sentirlo.” Georg si alzò. Estrasse una
pergamena dalla tasca e la porse a mio padre. “Ho raccolto qui i miei piani di
battaglia. Ti prego di leggerli prima della serata. Dopo cena, avremo molto
altro di cui discutere. Ora devo pregarti di scusarmi, ma molti impegni mi
attendono, prima dell’ora di pranzo. Ci sono i preparativi per i funerali a cui
attendere e voglio che la partenza delle truppe non avvenga più tardi
dell’inizio della prossima luna.”
Mio padre si limitò ad annuire. Georg lasciò la stanza, con
silenziosa foga.
Tacemmo, per diversi istanti. Ora che la folla nella stanza
adiacente si era dispersa, a circondarci restava solo il rumore della pioggia.
Mio padre non si alzò. Rimase a scrutare il vuoto di fronte a lui, il legno
decorato delle panche e il fuoco che danzava nel camino. Lanciai un’occhiata a
Derek. Sembrava a disagio. Avrei giurato che stesse evitando volontariamente il
mio sguardo.
“Non ho intenzione di combattere.” Mi decisi a dichiararlo,
sopprimendo un sospiro. Sapevo che mio padre attendeva quella mia obiezione ed
ero troppo stanco per cercare di capire come avesse in mente di sedarla. Ero
poco abile nelle strategie. In momenti come quelli avrei avuto bisogno di Lina.
“Davvero, figlio?” Replicò il mio genitore, con calma.
“Eppure non conosci ancora le mie condizioni.”
“Condizioni?” Non capivo. Erano anni che non dipendevo più
dalla mia famiglia. C’era ben poco di cui mio padre potesse minacciare di
privarmi, a quel punto della mia vita.
Mio padre si alzò. Con un lento, quieto movimento si volse a
fronteggiarmi, la testa inclinata, gli occhi stretti. “Ero convinto che lo
avresti capito da solo. Che tua moglie dopotutto non sarebbe stata in grado di
fuggire da sola.”
Spalancai gli occhi. Una morsa parve catturarmi
improvvisamente lo stomaco. “Cosa… cosa le avete fatto?”
“Niente, Gourry.” La replica di mio padre fu controllata. “E
niente le accadrà, se tu collaborerai. Sai che uno dei miei generali è sparito
con lei.” Arretrò, e si poggiò al tavolo. “E’ stato lui a portarla via, sotto
mio ordine. La condurrà in un luogo sicuro, fino alla fine della guerra. Dopo
che tutto sarà finito, sarete liberi di andarvene. Dubito che a quel punto
Georg si prenderà la briga di cercarla. E, anche se cercasse di farlo, potrei
impegnarmi io a dissuaderlo.”
I miei occhi si strinsero. Non capivo se potevo fidarmi.
“Chi mi assicura che tu stia dicendo il vero?” Cercai lo sguardo di Derek, e mi
stupii di trovarlo sorpreso. I suoi occhi erano spalancati, il suo volto
pallido. A quanto pareva, anche lui era stato tenuto all’oscuro dei piani di
mio padre.
“Puoi anche decidere di non credermi, se preferisci. Non ho
intenzione di pregarti. Ma nel caso io stessi dicendo la verità, sappi che in
questo modo condanneresti definitivamente a morte tua moglie.”
Feci un passo in avanti. Mio padre non si lasciò intimorire,
e si limitò a fissarmi con gelida calma, mentre mi trattenevo a stento
dall’aggredirlo. Il suo sangue freddo mi irritava, ma mi indusse anche a
frenarmi. Mio padre era un uomo controllato e intelligente. Non era semplice
trattare con lui. Dovevo cercare di ragionare con lucidità, come avrebbe fatto
Lina al mio posto. “E Livia? Che ne è stato realmente di Livia?”
“Non ne ho idea.” Mio padre incrociò le braccia al petto.
“Io non c’entro, in questo. Ma in tutta franchezza trovo la sua scomparsa seccante.
Speravo che lei e Derek potessero quanto meno fidanzarsi ufficialmente prima
che mio figlio partisse per la battaglia.”
Tacqui, nuovamente, assimilando quella informazione e
chiedendomi se fosse reale. Troppi misteri si stavano combinando negli avvenimenti
di quelle poche ore.
“Dove stanno portando Lina?”
“Dovrei dirtelo perché tu accorra da lei? Non credo proprio,
Gourry. Non dovresti reputarmi tanto ingenuo.” Mi volse le spalle, e afferrò il
bicchiere di vino che aveva in precedenza rifiutato. “Non ho più niente da
dire. Scegli come meglio credi, figlio. Ma decidi ora e non tornare indietro.
Ci sono dei piani di battaglia da mettere in piedi.” Ingollò una sorsata.
Potei solo sospirare. Non ero convinto, ma c’era poco da
fare. “D’accordo.” Mi forzai a rispondere. “Combatterò come desideri.” Non
potevo vedere l’espressione di mio padre, volto verso il tavolo. Ma in fondo ne
fui grato. Raramente si lasciava andare alle emozioni, ma se in quella
particolare circostanza avessi scorto un sorriso di trionfo sulle sue labbra,
difficilmente avrei potuto sopportarlo.
Avevo bisogno di pensare, da solo. Senza aggiungere un’altra
parola, uscii dalla sala, verso l’atrio. A quell’ora del mattino era
completamente deserto. Se così non fosse stato, se Lina avesse incontrato
qualcuno in grado di accertare la sua innocenza, il giorno precedente, in quel
momento non mi sarei trovato in quel guaio. Non avevo avuto il coraggio di
chiedere a mio padre della sua falsa testimonianza. Non credevo di voler sapere
se avesse pianificato sin da quando aveva saputo dell’uccisione di servirsi di
Lina per manipolare me.
Mi appoggiai ad una finestra, osservando la pioggia cadere.
In lontananza, scorgevo le sagome scure delle montagne. Lina, solo qualche
giorno prima, era stata convinta della necessità di arrampicarsi lassù, alla
prima giornata di sole, per scoprire la soluzione a qualche strano enigma
trovato in uno dei testi della biblioteca in cima alla torre. In quel momento
avrei voluto non averle mai suggerito di entrare in quella sala. Avrei voluto
essermi attardato a cena, la prima sera, evitando di scoprire grazie a Livia
della sua esistenza. Avrei voluto non avere acconsentito alla richiesta di
Sylphiel, tanto per cominciare, e non essermi trovato coinvolto in tutta quella
situazione. Ma il rimorso portava a poco. Lo sapevo bene io, che solo qualche
anno prima avevo imparato a vivere per il presente. Come mia moglie usava dire,
ciò che era fatto non si poteva cambiare. Dovevo fare del mio meglio per
trovarvi rimedio.
Cercai di concentrarmi. La prima cosa da capire era dove mio
padre potesse aver condotto Lina. Se lo avessi scoperto, avrei potuto
approfittare della prima occasione per defilarmi dalle truppe, e andare a
cercarla. Lord Georg aveva posto una taglia sulla sua testa, ma in qualche modo
ce la saremmo cavata, se solo fossimo riusciti ad allontanarci dal regno. Però,
non riuscivo ad escludere nessun luogo, non riuscivo a trovare un angolo di
territorio ad Elmekia che mi paresse più adatto degli altri a nascondere una prigioniera.
E se fossero stati in continuo movimento? No, improbabile. Lina poteva essere
pericolosa. Io lo sapevo meglio di chiunque altro. Se avessi cercato di tenerla
prigioniera, lo avrei fatto relegandola in un luogo dove potessi concentrarmi
unicamente sulla sua sorveglianza, senza farmi notare troppo da altre persone.
Ok.
Ok.
E questo, a cosa poteva portarmi?
Mi parve di figurarmi mia moglie che mi urlava di
concentrarmi, e di capire. Scommettevo che, in quel lasso di tempo, lei sarebbe
già stata in grado di elaborare un piano di battaglia. Mi adirai con me stesso.
Per me era facile ormai prevedere le mosse di Lina, ma era difficile farlo con
quelle di mio padre, che ai miei occhi era sempre apparso come un uomo
totalmente imperscrutabile. Cercai di mutare prospettiva. In guerra ero stato
abituato ad elaborare strategie, per la mia stessa sopravvivenza. Dovevo
entrare in quell’ottica. Dovevo capire quali mosse potessero valere al mio
nemico la vittoria, e studiare come contrastarle.
In realtà, in fondo, solo due soluzioni erano realmente
possibili. C’era una sola fortezza in cui un generale di mio padre avrebbe
potuto rimanere nascosto, nella più totale segretezza, dai cacciatori di taglie
e dagli uomini del duca: la nostra tenuta di famiglia. D’altra parte, portare
Lina laggiù avrebbe comportato seri rischi. Si trattava pur sempre di mia
moglie, e della nuora di mio padre. Una fuga di notizie, anche minima, avrebbe
rischiato di fare apparire il mio genitore come un traditore, che aiuta una
condannata a morte unicamente a beneficio del proprio figlio. Un’etichetta di
cui altri padri sarebbero andati fieri, ma non certo il mio. E ciò portava
all’altra soluzione che avevo concepito. Che Lina fosse stata condotta dal
generale di mio padre in un luogo isolato dal mondo, un luogo riparato e al
contempo difficilmente raggiungibile. C’erano mille esempi di vecchie fortezze
o cittadelle abbandonate nel regno che avrebbero potuto essere utili al caso,
ma per qualche motivo in quel momento solo una mi appariva la ovvia soluzione.
Levai nuovamente gli occhi alle montagne. Da laggiù non erano visibili, ma
sapevo che da qualche parte, fra i boschi alle mie spalle, sorgevano gli
edifici abbandonati della città vecchia. Era difficile raggiungerli, con la
tempesta, ma da lassù poteva essere relativamente veloce la comunicazione con
la città. E inoltre, chi avrebbe mai pensato di cercare una fuggitiva in un
luogo tanto vicino a quello da cui desiderava scappare?
Improvvisamente, quelle che erano di fatto solo supposizioni
assunsero la forma di certezze. La nebbia che aveva catturato la mia mente sin
dalla nostra separazione parve improvvisamente dissiparsi. Lina era lì, divisa
da me solo da pochi chilometri di rocce e boschi. Mi sembrava quasi di poter
uscire dai portali d’ingresso, e correrle incontro. Ma all’inizio della
successiva luna io sarei partito per la guerra, e avrei messo sempre più strada
fra mia moglie e me. Dovevo raggiungerla, prima di allora. Dovevo raggiungerla immediatamente
e andarmene con lei.
Mi guardai le spalle per un momento. La sala era ancora
vuota, le pietre scure e silenziose le uniche testimoni dei miei movimenti. Mi
diressi ai portali e incoscientemente mi gettai nella pioggia battente. Gli
allenamenti delle guardie erano stati sospesi in occasione del lutto e nei
cortili si muovevano solo le ronde e i servitori. Chiunque camminava a testa
bassa, in faccia al vento gelido. Nessuno mi fermò. Mio padre, evidentemente,
confidava nel fatto che le sue minacce fossero sufficienti a impedirmi di fuggire.
Procedetti verso i portali di accesso. Un gruppo di guardie
vi era radunato di fronte, e controllava i carri che lentamente sfilavano verso
il castello, portando le vivande necessarie alle commemorazioni del giorno
successivo. Feci un breve cenno di saluto ai soldati, che lo ricambiarono, con
fare annoiato. Nessuno fece particolarmente caso a me, nel viavai di uomini che
approfittavano del giorno di permesso presso la guardia per raggiungere le loro
famiglie, in città. Uscii dai portali e aggirai le mura interne, raggiungendo
il retro del palazzo. La città vecchia era là e mi scrutava dall’alto,
invitandomi a cercare il modo per raggiungerla, a sfidare la sorte e gli
elementi per dare risultato alla mia ricerca. Supponevo che un tempo esistesse
una strada lastricata per arrivare lassù e che seguirla sarebbe stata la
soluzione più prudente da adottare anche allora. Restava il problema di dove
cercarla. Di certo il tempo aveva agito su di essa, come su ogni cosa. E,
muovendomi a caso fra le colline, non sarebbe stato semplice imboccarla.
Percorsi il viale che dal retro del castello si dipartiva
verso le mura. Imboccai una delle porte e mi addentrai nei percorsi sterrati
che scendevano alla strada principale, quella che da valle congiungeva alla
città. Dal palazzo, la si vedeva proseguire verso l’alto, perdendosi dietro il
profilo di una collina. Se l’avessi seguita, forse, mi avrebbe condotto al
percorso verso la città vecchia.
Quando raggiunsi il mio obiettivo, i miei stivali erano
coperti di fango e il mio mantello era ormai zuppo di pioggia. Le mie vesti si
erano fatte pesanti, ma poter camminare su solide pietre invece che nella melma
mi aiutò ad aumentare il passo. La pioggia si era fatta più fina e nell’affanno
della salita quasi non avvertivo il freddo. Presto mi trovai circondato da alti
abeti. Il cielo plumbeo gettava ovunque un alone grigio sul panorama, ma
all’ombra di quelle svettanti sentinelle sembrava quasi che stesse già per
calare la notte. La cappa di vegetazione sulla mia testa era tanto fitta che la
pioggia laggiù non mi raggiungeva. La coscienza del rischio che correvo sotto a
quegli alberi nel temporale mi fece accelerare il passo. Cominciai a sentirmi
stupido, e incosciente. Non avevo la certezza di trovare Lina, ma mi ostinavo a
procedere alla cieca, sulla base di un impulso. In quei giorni la notte
scendeva in fretta. Rischiavo di farmi sorprendere dal buio sulla via prima
ancora di riuscire a trovare la strada per la città vecchia. Ma quella
consapevolezza non era sufficiente ad imporre alle mie gambe di smettere di
avanzare. Una specie di incantesimo fatto di speranza e disperazione mi
imponeva di non rinunciare. Avevo bisogno di uno scopo, se non c’era Lina con
me. Avevo bisogno di uno scopo, per non sentirmi perduto.
Mi fermai ai piedi di una parete di roccia, per riprendere
fiato. La strada si era ristretta tanto da diventare quasi un sentiero.
Continuava a procedere in salita, attraverso un tratto brullo, e poi ancora
all’interno di un fitto sottobosco. In alto, molto più in alto, la vedevo
sparire nuovamente fra gli alberi, le pietre sconnesse invase dall’erba e da un
manto di foglie cadute che la rendeva umida e scivolosa. Sembrava rischioso, ma
sembrava anche la direzione giusta. Dalla posizione in cui mi trovavo, la
antica Talit era di nuovo scomparsa alla vista, ma il sentiero era diretto
esattamente nella direzione in cui la avevo vista sparire, alla precedente
curva. Forse la via che stavo percorrendo era la stessa che un tempo veniva
quotidianamente battuta per raggiungerla.
Mi rimisi in cammino, più lentamente, ora, e con maggiore
prudenza. La pioggia cessò, momentaneamente, e l’aria si fece pungente, pregna
dell’odore acido delle foglie bagnate. Sulle cime, visioni di distese candide
promettevano ghiaccio e gelo. Persi il senso del tempo e della stanchezza.
Mantenevo unicamente la coscienza del mio obiettivo. Giunsi alla neve, e
dovetti arrampicarmi faticosamente su sentieri imbiancati e nudi di qualsiasi
traccia umana. Cercai inutilmente qualche segno di passaggio, ma la sua
mancanza non bastò a scoraggiarmi. La neve era fresca e probabilmente anche
impronte molto recenti, per quanto evidenti, sarebbero risultate cancellate. Mi
chiesi se Lina avesse cercato di lasciarmi volontariamente qualche segno. Se la
conoscevo come credevo, non doveva essere stato semplice trascinarla fin lassù.
Forse era stata ridotta all’incoscienza. Forse si era svegliata in un luogo
sconosciuto, senza nemmeno conoscerne il motivo.
Dovetti fermarmi. Non avevo idea di quanta strada avessi
percorso, ma la milza mi doleva e il mio fiato si faceva più corto ad ogni
passo. Il mio stomaco cominciava a brontolare per la fame. Il sole non era
visibile, oltre la coltre di nubi, ma ero conscio che il mezzogiorno doveva
essere passato da tempo. Mi chiesi se al palazzo qualcuno mi stesse cercando.
In quel momento, scioccamente, non riuscivo a preoccuparmene. Non riuscivo a
contemplare l’ipotesi di tornare indietro senza aver trovato Lina.
Da qualche parte, in lontananza, sentii il richiamo di un
falco. Quel rumore mi ridestò. Ripresi a camminare, a fatica, incurante del
fatto che sottili fiocchi di neve ora avevano preso a volteggiare attorno al
mio capo. I miei occhi si fissarono sui miei piedi, e sugli ostacoli del
percorso. Superai una curva, e poi un’altra. E poi Talit era là.
Rimasi per un momento a fissare la lapide annerita posta
all’ingresso della città, incredulo di essere arrivato. La vegetazione aveva
preso il sopravvento sulle costruzioni umane. Gli alberi avevano invaso
l’abitato con tale impeto che non mi ero accorto dell’avvicinarsi della città
prima di essermela trovata di fronte. Avanzai di qualche passo, sulle sconnesse
pietre che un tempo dovevano costituire la via principale della città.
L’abitato aveva un aspetto spettrale. Molte delle case non erano più in piedi,
e i segni di devastazione erano troppi per far pensare ad una naturale
decadenza delle costruzioni. Sembrava quasi che, prima di allontanarsi, la
popolazione avesse appiccato un incendio alle proprie vecchie abitazioni. Solo
il palazzo, per qualche misterioso incanto, sembrava ancora solido sulle
proprie fondamenta. Si ergeva a nord del piccolo abitato, ben visibile anche
dal suo limitare meridionale, una costruzione non particolarmente imponente, ma
che in quella desolazione appariva quasi maestosa.
Avanzai verso di esso, ipnotizzato dall’atmosfera irreale di
quei luoghi. Se Lina e il suo rapitore erano nascosti lassù, non c’era dubbio
che l’unico rifugio possibile per loro fosse la residenza signorile. Qualsiasi
altra abitazione era troppo allo scoperto, o offriva un’evasione troppo
semplice ad una prigioniera scaltra come Lina. Il palazzo, poi, arroccato
com’era sull’orlo di un dirupo, offriva una visuale privilegiata sia sulla
cittadina che sulla vallata. Mi resi immediatamente conto di essere stato
stupido. Se il generale di mio padre era stato abbastanza intelligente da
rimanere di vedetta, camminando sulla via principale gli avevo offerto decine
di occasioni per avvistarmi e prepararsi al mio arrivo. Per scrupolo più che
per convinzione, deviai dalla strada principale e avvicinai il palazzo
muovendomi a zigzag fra i detriti e gli scheletri delle vecchie abitazioni. Ma,
ormai, ogni mia pretesa di segretezza era svanita nell’aria fina. Arrancai
nella neve alta fino ad una porta laterale di accesso al palazzo e la aprii con
facilità, accedendo ad un gelido camminamento interno. Uno stretto e lungo
corridoio scoperto si apriva di fronte a me, terminando in una ripida rampa di
gradini in pietra, che saliva verso il secondo e ultimo piano del palazzo,
perdendosi nel buio al si sotto di un soffitto di pietra. Avanzai verso le
scale, tenendo d’istinto la mano al fodero della spada. A mano a mano che
salivo i gradini, fui stupito nell’avvertire il gelo recedere, e lasciare
spazio ad un tepore quasi confortevole. Giunsi ad un’altra porta, ed il mio
cuore ebbe un sussulto. Una torcia era appesa sul muro vicino a quell’ingresso,
ed era evidentemente stata spenta di recente. Il legno era caldo e una sottile
linea di fumo si disperdeva nel freddo dell’aria circostante. Mi fermai per un
momento, assimilando quell’informazione, e quasi di riflesso mi trovai ad
estrarre la spada. Le mie orecchie parevano intercettare ogni singolo,
insignificante rumore. Il battito nel mio petto mi rimbombava miei timpani,
gettandomi in preda allo stordimento. Un calore innaturale mi risaliva dalla
base del collo al viso, creando un aspro contrasto con i brividi che mi
correvano lungo la spina dorsale, dando vita a sottili rivoli di sudore che mi
imperlavano la fronte. Spinsi la porta, e avanzai in un altro corridoio. La
stanza si allungava di fronte a me fino ad una alta finestra, aperta
sull’immensità grigia della vallata. Alla mia sinistra c’era una parete, cieca
salvo per una scala interna in marmo, che, dal suo centro, si dipartiva verso
il buio dei piani inferiori. Alla mia destra tre porte si aprivano su
altrettante camere da letto, ancora arredate, ancora piene di oggetti che
testimoniavano la vita che al loro interno si era consumata. Una stanza dei
bambini, con vestiti e giocattoli abbandonati su pavimenti e negli alti armadi
dalle ante rose dal tempo. Due stanze con grandi letti a baldacchino, colme di
suppellettili e oggetti per la toletta. Una piccola porta in una di esse si
apriva su una latrina, un’altra dava accesso ad una stanza a torretta da cui si
dominava l’intero panorama della valle, fino al mare. La mia mente continuava a
lanciarmi segnali. Candele per metà consumate, libri aperti, spazzole e panni
abbandonati su lavabi. Quel luogo aveva l’aria di un posto ancora abitato. Ma
non da un generale fuggiasco e dalla sua prigioniera… a mano a mano che la mia
speranza di trovare Lina si affievoliva, acquisiva forza, in me, la convinzione
che qualcuno avesse percorso quei pavimenti prima che lo facessi io, da lungo
tempo e con frequenza decisamente abituale. Qualcuno doveva aver usurpato
quelle stanze abbandonate, e averle fatte sue. E molta della mia sicurezza, al
momento, dipendeva dall’identità della persona che aveva scelto di fare una
cosa del genere…
Non abbassai la spada. Scesi le scale, mentre nella mia
mente si accavallavano decine di ipotesi. Un bandito o una banda di banditi,
che aveva fissato in quel luogo la propria base. Un ricercato, che doveva
tenersi lontano dalla città e dai cacciatori di taglie. Un infiltrato del
nemico che voleva tenere monitorata la situazione a Talit. O, e questa idea non
era manifesta, ma latente in qualche angolo della mia mente, qualche antico
abitante del maniero, che dopo la morte non aveva saputo trovare la sua pace. Nessuna
di queste ipotesi giovava particolarmente al mio umore. Non potevo venire
aggredito e ucciso in quel luogo dimenticato dagli dei, lasciando Lina,
lasciando chiunque privo di notizie riguardo alla mia sorte. Avanzai in un
atrio, scarsamente illuminato dalla luce che proveniva dalle stanze confinanti.
Mi guardai intorno, indeciso su quale porta imboccare. Alla fine optai per la
più imponente, un’alta entrata ad arco che accedeva a quello che aveva l’aria
di essere stato un salone per i ricevimenti. Divani, sedie e poltrone si
radunavano attorno ad un camino spento, coperto di clessidre dalle forme più
bizzarre. Le pareti erano costellate di quadri e, soprattutto, di specchi. Non
ci si poteva volgere senza incontrare la propria immagine riflessa. Per qualche
motivo, l’insieme aveva un che di inquietante. Avanzai verso il centro della
sala e quando ebbi appurato che era deserta rinfoderai lentamente la spada. Mi
sentivo idiota, continuando a brandirla contro l’aria. Notai con disagio che la
polvere depositata sui mobili e sui quadri pareva non aver attecchito sui parte
dei divani e delle poltrone. Qualcuno doveva essersi seduto di recente. Nel
camino, sbuffi di cenere si sollevavano all’aria che filtrava dalle finestre.
Una porta si apriva su una pericolante terrazza in legno, sospesa sul dirupo.
Mi bastava occhieggiare da lontano il panorama che si vedeva da lassù, per
avere le vertigini.
Mi avvicinai al focolare, incerto su cosa cercare, ma sempre
più motivato ad allontanarmi al più presto da quel luogo. Il mio sguardo fu
catturato dal grosso specchio dalla cornice dorata appeso qualche centimetro
sopra il ripiano del camino, e non mi accorsi della coperta appoggiata al suolo
finché non ci inciampai sopra. Riguadagnai l’equilibrio a stento, e abbassai lo
sguardo su di essa. Era un semplice copriletto in lana rossa, abbandonato a
terra apparentemente con la noncuranza di chi ha intenzione di allontanarsi
solo per qualche istante. Forse, qualcuno aveva riposato seduto lì a terra,
vicino al camino, cercando calore nelle sue morbide spire. Mi piegai a
raccoglierla, un gesto istintivo, e quando la sollevai qualcosa scivolò da essa
al suolo. Battei le palpebre. Si trattava di un libro. Era rimasto nascosto al
di sotto della coperta, anch’esso abbandonato a future letture, accuratamente
chiuso con la fibbia di cuoio purpureo che era stata affissa alla copertina.
Sopra di essa, era stato apposto un sigillo sovrastato da un elaborato marchio
dorato. Era usato per fissare i due lembi della fibbia e, apparentemente, evitare
aperture accidentali.
Incuriosito, sollevai il tomo e me lo rigirai fra le mani.
Era un volume piuttosto compatto, rispetto a quelli che osservavo normalmente
in mano a Lina. Dava l’idea di non essere un vero e proprio manoscritto, ma
piuttosto una scrittura privata, o un diario. Per qualche motivo, risvegliava
in me una curiosità quasi viscerale, tanto che dovetti trattenermi dall’impulso
di slegare immediatamente la fibbia per accedere al suo contenuto. Lo maneggiai
per qualche istante, fino a che non riuscii a convincermi che in fondo non ci
sarebbe stato nulla di male nel dare un’occhiata. Esitai solo un istante,
mentre le mie dita indugiavano sul marchio dorato. Quindi, sganciai il sigillo,
e tirai i due lembi della fibbia, aprendo il volume.
Provai la stessa sensazione che si prova risvegliandosi da
un incubo particolarmente reale. Solo, la provai al contrario. L’aria gelida mi
riempì improvvisamente i polmoni. Potevo solo inspirare, il normale corso del
mio respiro interrotto. Il mondo attorno a me divenne un’esplosione dorata.
Scorgevo i contorni delle cose, ma sapevo di essere cieco. Ero conscio di me
stesso, ma quella coscienza era cupa desolazione. Ero solo, e non lo ero più.
C’era qualcosa dentro di me. C’era ogni cosa dentro di me.
Le mie guance erano rigate di lacrime.
Non ero più solo all’interno della stanza. Levai lo sguardo,
e nella confusione dorata riuscii a scorgere un’altra figura, oltre a me,
riflessa nello specchio che mi fronteggiava. Una figura dai lunghi capelli
dorati, dalla pelle bianca e dallo sguardo gelido. Un terrore cupo e profondo
mi catturò le viscere.
“Il sapere ha un prezzo.”
La sua voce era solenne, e profondamente triste. Era una
voce che conoscevo.
Il suono esplose nella mia mente e all’improvviso non vidi
più nulla. Indietreggiai, barcollando, fino a che non avvertii l’aria fredda
dell’esterno pungermi il viso. Non potevo frenarmi. Continuai la mia corsa
folle verso l’abisso, e sull’orlo del dirupo le mie ginocchia cedettero.
Avvertii lo scricchiolare del legno che cedeva, e poi ci fu solo il vuoto.
Dedicato alle ragazze del forum… un capitolo che non finisce troppo in
sospeso, in modo da non essere gettata nel Canal Grande
Dedicato alle ragazze del forum… un capitolo che non
finisce troppo in sospeso, in modo da non essere gettata nel Canal Grande
quando ci vedremo…XD Grazie, come sempre a chi legge e commenta! ^^ Buona
lettura!
***
Ero irritata.
Non era una novità. Ma per una povera ragazza senza un
briciolo di magia, con le gambe coperte di melma fino alle ginocchia e con il
collo tumefatto, c’era qualche nota di merito nel riuscire a soffocare lo
sconforto nella rabbia. Credetemi, la rabbia è estremamente sottovalutata.
La vallata al di sotto di me,
grigia e fredda, non offriva particolari distrazioni al mio sguardo. Ormai mi
ero stancata di contemplare il cielo, bianco ed immobile. Sostavo sotto i rami
spogli di quell’albero da quella che poteva essere un’ora, continuavo a
rabbrividire al vento gelido e stavo cominciando a contemplare l’ipotesi di
girare sui miei tacchi e andarmene, prima che lo psicopatico tornasse.
Lo dico sempre, che dovrei seguire
di più il mio istinto.
“Lina Inverse!”
Mi volsi. La figura di Bastian arrancava verso di me,
trascinando gli stivali nel fango. Il guerriero vestiva la consueta espressione
truce e la sua andatura goffa, al di sotto della pesante armatura, rendeva il
suo incedere vagamente ridicolo. Ma non riuscii, in quel momento, ad abbandonarmi
al divertimento.
“Fai con calma, cavaliere.” Sibilai, stizzita. “Non ti
preoccupare per me. Sono stata benissimo, qui, queste labbra blu non sono
assolutamente il segno di un principio di congelamento.”
“Sono lieto di sentirlo.” Mi raggiunse, e lasciò cadere
pesantemente la sua borsa da viaggio al suolo. “Del resto, non fa così freddo,
oggi.” Mi chiedevo se ad Elmekia il gene dell’ironia si fosse mai diffuso.
Sospirai e lasciai cadere la discussione. Non avevo la forza
di arrabbiarmi. “E allora? Contento del sopralluogo? Hai trovato una locanda
che fosse di tuo gradimento?”
“Io continuo a sostenere che sarebbe più prudente dormire
all’addiaccio.” Si lamentò, come un bambino a cui si nega una caramella.
“Comunque, c’è un posto nella periferia della città dove credo che potremo
camuffarci a sufficienza. Ho già pagato per una stanza.”
“UNA stanza?”
“Sei la mia servetta. Sarebbe strano che ti pagassi una
stanza tutta per te.”
Mi parve che gli occhi dovessero uscirmi dalle orbite.
“ASPETTA UN MOMENTO! QUANDO esattamente noi due abbiamo deciso che io dovrei
recitare la parte della tua servetta???”
“E’ stata la prima scusa che mi è venuta in mente di fronte
al locandiere.” Si strinse nelle spalle. “Ho chiesto di aggiungere alla camera
una branda, per te.” Tornò a caricarsi la borsa sul dorso e mi volse la
schiena. Prese ad avviarsi verso il paese, senza attendere altre obiezioni.
Io dovetti levare gli occhi al cielo. E resistere alla
tentazione di ucciderlo alle spalle.
Mi accodai a lui di corsa, dal momento che la sua falcata
decisa minacciava di seminarmi. “Senti, Bastian… Ti posso chiamare per nome,
vero?” Dalle sue labbra non mi giunse risposta. Scrollai le spalle, esasperata,
ed evitai di porgli nuovamente la domanda. “Bé, cavaliere, stammi a sentire un
momento. Apprezzo quello che stai facendo per me. Davvero.” Quella frase venne
pronunciata a denti stretti. “Ma penso che ora sia proprio il caso che ognuno
vada per la sua strada. Ti assicuro che so cavarmela BENISSIMO da sola.” Il mio
tono di voce era vagamente isterico. Era da quando avevo ripreso i sensi,
quella mattina all’alba, che stavo cercando di far passare quel messaggio. Con
pessimi risultati. In più, mi sentivo ancora incredibilmente frastornata dagli
eventi di quelle ultime ventiquattro ore.
Bastian mi aveva aiutata a scappare. All’inizio, avevo
faticato a crederci. Quando mi ero svegliata, in un piccolo accampamento di
fortuna, con la figura imponente del cavaliere che incombeva su di me, mi ero
preparata a lottare con le unghie e con i denti per liberarmi. Tuttavia, mi
erano bastati pochi istanti per rendermi conto che ero assolutamente libera di
muovermi. Il guerriero, come se nulla fosse accaduto, mi aveva porto mantello e
spada e aveva proceduto nel raccontarmi la più romanzesca delle storie. Era lui
la persona con la quale Livia si era accordata per aiutarmi a fuggire. Dal
momento che ci avevo messo più tempo del previsto ad uscire dai sotterranei e
raggiungerlo, si era convinto che qualcosa fosse andato storto e mi era venuto incontro.
Quando mi aveva visto puntare alla direzione sbagliata rispetto a quella
concordata con Livia, era stato colto di sorpresa. E l’unica soluzione che il
grande gentiluomo era riuscito ad elaborare era stata quella di stordirmi, per
evitare discussioni e portarmi via da lì prima che qualcuno si accorgesse di
noi.
Quello che non ero ancora riuscita a farmi spiegare era il
perché del suo gesto. Dopo che avevo ripreso i sensi, Bastian mi aveva lasciato
a malapena il tempo di mangiare qualcosa e di dare sfogo alle mie necessità
corporali primarie. Quindi, ci eravamo affrettati lungo le vallate che
dall’area di Talit avanzavano verso la steppa, camminando affannosamente e
silenziosamente su sentieri invasi dal fango e attraverso prati coperti di
brina. Fortunatamente aveva smesso di piovere, ma sul paesaggio era calata una
nebbia gelida, che ci penetrava vesti e mantelli ad ogni passo e schermava alla
nostra vista la linea dell’orizzonte. Avevo seguito Bastian senza pormi troppe
domande, nell’attesa che mi venisse in mente un piano migliore. Dal momento che
non potevo usare la magia, mi faceva comodo muovermi con una persona che
potesse difendermi, all’occorrenza. Certo, nella mia mente era più che chiara
la possibilità di essere sulla strada di qualche elaborata trappola. Ma
supponevo che, in questa ipotesi, Bastian mi avrebbe comunque impedito di
allontanarmi con la forza, se ci avessi provato. Tanto valeva attendere che la
mia magia tornasse, e nel frattempo fingere di avergli accordato la mia
fiducia.
Questi erano i miei piani iniziali. Ma, con l’avanzare della
giornata, ero diventata sempre più insofferente alla presenza cupa del
cavaliere. Il fatto che sulla strada non avessimo incontrato anima viva era
bastato a rendermi ragionevolmente certa che il clima calato sul regno dalla
guerra mi avrebbe aiutato a nascondermi fino a che non avessi riacquistato i
miei poteri, anche senza l’aiuto di quella ingombrante guardia del corpo. E,
anche se il cavaliere non aveva detto o fatto nulla di apertamente provocatorio
nei miei confronti (e per dirla tutta aveva parlato molto poco nel corso della
nostra fuga), la sua sola presenza bastava a ricordarmi l’assenza della ben più
gradita compagnia a cui ero avvezza. Volgermi e vedere Bastian al mio fianco mi
deprimeva.
“Ammetto di non conoscere le tue reali capacità, Lina
Inverse.” Bastian replicò, in tono lontano. “Ma non ho comunque intenzione di
lasciarti viaggiare per il regno da sola.”
Trovavo estremamente irritante il modo in cui pronunciava il
mio nome. Nome e cognome assieme, inseparabili, come se invece che di un nome
proprio si fosse trattato di una specie di titolo.
“Perché?” La mia voce era apertamente esasperata, ora. “Ti
sei già esposto a dei rischi aiutandomi a fuggire. Se ci trovassero insieme,
verresti condannato a morte anche tu. Che motivo hai di correre un pericolo del
genere per una donna che conosci appena?”
“Una donna che conosco appena e che rispetto ancora meno.”
Precisò Bastian, brutalmente, come se non si fosse trovato a parlare di me, ma
di una persona assente. “Ma non è per te che lo sto facendo, Lina Inverse. Sto
saldando un debito d’onore.”
“Un debito d’onore?” Probabilmente solo la curiosità
risvegliata da quell’affermazione mi frenò dall’impulso di onorare IO il
piccolo debito che sentivo di avere circa i lividi attorno al mio collo.
“Con Sir Gabriev.” Annuì Bastian, solenne. “E’ per lui che
sto rischiando l’accusa di tradimento e il disonore del mio casato.”
Io sarei rimasta più prosaicamente al fatto che stava
rischiando il collo, esattamente come me. Ma non era il momento per discutere
di forme di espressione. “Quando dici Sir Gabriev, intendi mio marito?”
Domandai. “Ma come puoi essere in debito con lui, se lui prima di due settimane
fa nemmeno ti conosceva?”
L’espressione di Bastian si fece grave. “Sir Gabriev ha
fatto molto per la mia famiglia, senza esserne consapevole.” Replicò, senza
volgersi. Lo vidi scrutare in lontananza, come se potesse ancora contemplare
gli eventi di fronte a sé. “Lo ha fatto, quando ha liberato la mia città,
Sailarg, dall’uomo che aveva cercato di usurpare il titolo di Gran Sacerdote.”
Battei le palpebre. Non ero a conoscenza di quella storia.
Poteva trattarsi della fantomatica vicenda in cui Gourry aveva conosciuto
Sylphiel e salvato la sua città? Mio marito non parlava volentieri di quegli
avvenimenti, e in generale di quel periodo della sua vita. Sia lui che Sylphiel
erano stati incredibilmente vaghi nel raccontarlo, la prima volta che si erano
rivisti, a Sailarg. Ricordavo ancora come lo avessi trovato seccante, allora,
senza nemmeno capirne il motivo. A posteriori, mi rendevo conto di quanto
quella segretezza, l’impressione che avessero condiviso qualcosa da cui io ero
esclusa, mi avesse ingelosito. Forse era stato allora che mi ero resa conto per
la prima volta dell’attaccamento che provavo per Gourry.
“Gourry ha combattuto… un usurpatore?” Domandai, senza
potermi trattenere. Mi seccava lasciare intendere a Bastian che Gourry non mi
avesse raccontato tutto del suo passato, ma la voglia di sapere era troppo
forte.
Il cavaliere si volse ad osservarmi da sopra le spalle,
l’aria sorpresa. “Non sai del nobile gesto che Sir Gabriev ha compiuto per
Sailarg?”
Quello stupore, per quanto fondato, fu sufficiente ad
irritarmi. Nei suoi confronti, e anche nei confronti di Gourry. Perché non mi
aveva mai detto una cosa così semplice, e perché in quel momento non si trovava
lì, con me, a spiegarmene il motivo. Nervosismo ed una strana ansia mi
catturarono lo stomaco. “Lo sto chiedendo a te.” Replicai, fredda. “Mio marito
ed io all’epoca ancora non ci conoscevamo.”
Bastian tacque per un istante, l’aria poco convinta, ma non
insistette. “Si trattava di un vecchio concorrente al titolo di Gran Sacerdote,
che era stato esiliato dalla città.” Si limitò a replicare. “Anche allora era
in corso una guerra, ad Elmekia. Quell’uomo approfittò dei disordini che
sconvolgevano il regno per prendere d’assedio Sailarg. Raccolse mercenari di
ogni sorta fra gli sbandati che avevano cercato di accodarsi alle truppe dei
due eserciti in lotta. Se avesse espugnato la città, avrebbe fatto catturare,
probabilmente uccidere, tutti i sostenitori del Gran Sacerdote, compresi i miei
familiari. Ma non era solo questo che ci spaventava. In città avevamo compreso
bene di che razza fossero gli uomini al suo servizio. Quell’uomo era convinto
di controllarli, ma una volta entrati a Sailarg, una volta sentito l’odore del
sangue, non si sarebbero fermati. Avrebbero sterminato tutti, uomini, donne e
bambini, e avrebbero saccheggiato la città. Quel pazzo non aveva compreso che
si sarebbe trovato a controllare un cumulo di macerie. ” Fece una pausa. Tornò
a darmi le spalle, ma, per un momento, colsi nel suo sguardo un barlume della
paura che doveva averlo catturato in quei giorni. Quello sguardo conteneva più umanità
di quanta me ne avesse mostrata da quando lo avevo conosciuto, poche settimane
prima. Ma durò solo un istante. Quando proseguì, la sua voce era ferma. “Le
truppe del sovrano stanziate nei pressi di Sailarg uscivano da una dura
battaglia. Non avevano i mezzi e le forze per combattere ancora. In più,
nemmeno il sovrano aveva realmente compreso cosa ci aspettava. Quella che ci
coinvolgeva, agli occhi della corte, era solo una lotta intestina.” Bastian,
forse senza rendersene conto, si fermò. Rimase a fissare la città al termine
del pendio, l’aria assorta. “Non avevamo sufficienti forze per difenderci. Se
Sir Gabriev non fosse intervenuto, sarebbe stata una tragedia. Ma lui lo fece,
di sua iniziativa. Lui, insieme ad un gruppo di uomini che spontaneamente
decise di seguirlo, a dispetto degli ordini e a dispetto dei rischi che tutto
ciò comportava.”
Potevo davvero immaginare Gourry fare una cosa del genere.
Un Gourry più giovane, forse, e più incosciente. Ma mio marito era disposto,
certamente molto più disposto di quanto non fossi io, ad accordare il suo aiuto
a chi ne aveva bisogno, senza chiedere nulla in cambio. Era stato lo stesso
anche con me, quando aveva deciso di accompagnarmi fino ad Atlas, credendomi
una bambina incapace di badare a se stessa.
Chissà se anche allora, quando aveva aiutato Sailarg, era
stato alla disperata ricerca di uno scopo.
“E così… col suo aiuto siete riusciti a vincere…”
Bastian annuì. “Fu una battaglia cruenta. I nemici
riuscirono ad irrompere in città e si combatté nelle strade. La figlia del Gran
Sacerdote fu presa in ostaggio. Se non fosse stato per Sir Gabriev,
probabilmente sarebbe rimasta uccisa. Ma alla fine fummo noi ad avere la
meglio.” Mi lanciò un’occhiata. “Sir Gabriev è ricordato con grande
gratitudine, a Sailarg. Il Gran Sacerdote lo accolse come uno dei suoi
favoriti, all’interno della sua stessa casa. Tutti davano per scontato che Sir
Gabriev e sua figlia si sarebbero sposati. Ma alla fine il nostro difensore
partì insieme al resto delle truppe, quando lasciarono Sailarg.”
Avevo già ricevuto più informazioni di quante non ne
desiderassi realmente. Lottai contro la tentazione di approfondire quel
discorso e deviai la conversazione. “Hai detto che l’usurpatore era stato
esiliato da Sailarg… per quale motivo?”
I lineamenti di Bastian si indurirono. Improvvisamente,
avvertii risorgere in lui tutto il disprezzo che la nostra convivenza forzata
pareva aver temporaneamente sedato. “Era un rinomato esperto di Magia Bianca.
Venne accolto fra i candidati alla nomina di Gran Sacerdote, come molti altri.
Con l’avvicinarsi della elezione, però, una misteriosa catena di incidenti
iniziò a minare la tranquillità di Sailarg. Facoltosi sostenitori di altri
candidati sparirono in circostanze macabre, e presto la scia di sangue divenne
troppo evidente per essere imputata alla casualità. Si pensò ad una maledizione
lanciata dall’esterno. Finché non si scoprì che quell’uomo praticava anche la
Magia Nera.” I suoi pugni si strinsero. “Anche mio zio ci rimise la vita, prima
che quel pazzo sanguinario fosse smascherato. E quando questo accadde, fu
troppo rapido a fuggire perché potessimo imprigionarlo. Il neo nominato Gran
Sacerdote giurò che sarebbe stato messo a morte nell’istante stesso in cui
avesse cercato di varcare nuovamente la soglia della città. Allora non
immaginava che avrebbe cercato di farlo come conquistatore.”
Il gelo più totale aveva catturato la sua voce. Potevo
comprendere i suoi timori. La forma di magia a cui aveva fatto riferimento,
quella delle maledizioni, godeva di cattiva fama persino fra la maggioranza dei
praticanti della Magia Nera. Me compresa. Si trattava di magia imprecisa,
subdola e dagli effetti potenzialmente devastanti. Ma quella di Bastian non era
solo naturale diffidenza. Non capivo se la Magia Nera suscitasse in lui odio o
piuttosto una paura viscerale. Forse le due cose erano combinate, legate l’una
all’altra in modo inscindibile. Non ebbi il coraggio di indagare oltre. In quel
momento sperai solo che fosse davvero dalla mia parte, e non intenzionato ad
uccidermi. Una ostilità così ferma e cieca sarebbe stata pericolosa da
affrontare.
“Dopo che Sir Gabriev si è allontanato da Sailarg, sono
stato a lungo combattuto sul da farsi. Avevo degli obblighi nella mia città, ma
nessuno mi sembrava profondo come quello che avevo nei confronti dell’uomo che
la aveva salvata. Non ero il primogenito, non avevo terre da ereditare. Perciò
mi decisi a partire per la tenuta della sua famiglia, e offrirgli i miei
servigi come suo uomo di fiducia.” Riprese a camminare, all’improvviso, come se
l’incanto dei ricordi fosse terminato. “Tuttavia, quando giunsi sui terreni del
Lord Gabriev, scoprii che era già partito.” Proseguì. “Non sapevo come
rintracciarlo, e così decisi di fermarmi al servizio del Lord Gabriev, e
cercare lì una mia posizione, nell’attesa che le circostanze mi offrissero la
possibilità di sdebitarmi. Ebbi fortuna, e riuscii a fare carriera. E, anche se
ero a conoscenza dei dissapori che Sir Gabriev aveva avuto con la sua famiglia,
sperai che prima o poi si sarebbe messo in contatto con loro.”
“Quindi è questo che stai facendo… mi porti in salvo per
aiutare lui…”
L’espressione di Bastian si indurì. “In realtà temo che gli
avrei fatto un favore migliore lasciando che la tua condanna venisse eseguita.”
Sentenziò, bruscamente. “Ma ho immaginato che non fosse questo ciò che lui
desiderava.”
Il mio stomaco si strinse, per la rabbia. Cominciavo a
essere stanca di ricevere insulti. “Sembra che tutti a Elmekia siano
ferratissimi su ciò che sarebbe meglio per mio marito.” Osservai, cupamente.
Bastian mi rivolse un’occhiata penetrante. “Cosa ti
aspettavi?” Domandò, freddo. “Ho udito ogni genere di voci su di te. Molti
dicono che la distruzione di Sailarg sia stata in qualche modo legata a te. E
che Sir Gabriev, che allora era con te, sia stato stregato da qualche tuo
strano incantesimo.” La sua mascella si serrò. “Sylphiel Nels Rada, l’attuale
Sacerdotessa Madre, ha continuato a smentire ogni cosa. Le credo, solo per il
rispetto che ho per lei e per la sua famiglia. Ma c’erano anche i miei parenti
laggiù, quando Sailarg è esplosa. Non riesco a fronteggiarti facilmente, Lina
Inverse. E sono sinceramente convinto che Sir Gabriev meriti qualcosa di meglio
che essere legato per la vita ad una donna il cui nome è associato ad ogni
genere di fatto di sangue.”
“Io non sono solo il mio nome.” Sibilai. Avrei voluto
gridare, invece. Aveva toccato una corda a cui ero davvero sensibile, da
qualche anno a quella parte.
“Davvero?” Bastian si accigliò. “Quanti sarebbero disposti
ad affermare lo stesso?”
‘Gourry lo sarebbe.’ Quel pensiero si formò immediatamente,
ma le mie labbra parvero incapaci di darvi voce. Perché Gourry non era lì a
confermarlo, in quel momento. E la sua assenza e il mio stato d’animo confuso
parevano in grado di far vacillare anche le mie più solide certezze.
Ci fu una lunga pausa di silenzio. “Devo cambiarmi d’abito.”
Mi trovai quindi ad osservare, la voce atona. “Lo stavo dimenticando. E’ bene
che lo faccia ora, prima che entri in città e mi veda qualcuno.”
Bastian mi rivolse un’occhiata insofferente. “Lina Inverse,
non ha senso pensare a futilità del genere, in un momento come questo. Vuoi
dormire al coperto, e te lo concedo, ma temo proprio che dovrai rassegnarti
all’idea che la gente ti veda anche con quegli abiti luridi addosso.”
Il suo tono di superiorità bastò ad irritarmi nuovamente.
“Queste non sono futilità, cavaliere.” Sbottai. “Chi mi cerca si aspetta
una fuggitiva. E, per via della guerra, pochi si avventurano fuori dai villaggi
dopo il crepuscolo. E’ più prudente dormire al chiuso, che in una vallata dove
chiunque può avvistarci da lontano.” Aprii le braccia, additando
significativamente il nulla che ci circondava. “E se ho bisogno di cambiarmi, è
perché i miei vestiti tendono a dare un tantino nell’occhio in un
dannato regno senza altri dannati esperti di magia nera. E direi che non è
esattamente il momento più adatto per dare nell’occhio, tu che ne dici,
cavaliere?”
Bastian mi squadrò, poco convinto. “Cos’hanno di così strano
i tuoi vestiti? Potrebbero sembrare un’uniforme da cameriera, no?”
CHE RAZZA DI PROBLEMA AVEVA, LA GENTE, AD ELMEKIA???
Mi portai la mano alla fronte. Persino la mia rabbia era
scemata. “No. No, non potrebbero essere un’uniforme da cameriera, cavaliere.
Credimi.”
Bastian incrociò le braccia al petto, evidentemente non
comprendendo il motivo della mia esasperazione. “Se lo ritieni necessario
fallo, allora. Ma sbrigati. Qui siamo troppo esposti.”
Il che era esattamente quello di cui avevo cercato di
convincerlo fino ad un’ora prima. Ma non avevo la forza di obiettare.
“Andrò dietro all’albero. Rimani voltato.”
Vidi le sua labbra arricciarsi, alla mia richiesta, ma
illuminato da qualche divinità ebbe il buon senso di evitare commenti. Io
ripercorsi velocemente i miei passi e sparii dietro lo spesso tronco. Mi
cambiai in fretta, indossando la semplice tunica bianca e il mantello di lana
che Livia aveva preparato per me. Erano caldi, fortunatamente, e
sufficientemente simili a quelli di una comune viaggiatrice. Estrassi una borsa
da viaggio dal mio mantello nero e appallottolai al suo interno i miei vecchi
abiti, quindi mi legai i capelli in una stretta crocchia, in un tentativo di
renderli meno appariscenti. Meno avessi dato nell’occhio, più possibilità avrei
avuto di evitare di trovarmi con un branco di cacciatori di taglie alle
calcagna.
Quando raggiunsi Bastian, lo trovai che batteva
impazientemente i piedi al suolo. Il generale non dava l’impressione di essere
particolarmente tollerante, di fronte alle esigenze di un compagno di viaggio.
O forse ero io ad essere viziata. Con Gourry, anche nelle più semplici
abitudini della vita quotidiana, l’intesa era stata sempre naturale.
“Possiamo andare, cavaliere.” Lo esortai. Il suo sguardo
cadde su di me, e la curva delle sue labbra si piegò in una smorfia ancora più
pronunciata.
“Bianco.” Osservò. “Non sempre l’aspetto esteriore
rispecchia la natura del proprio animo, non è vero, Lina Inverse?”
Sospirai. Mi attendevano lunghe,
difficili giornate.
***
Il sentimento del dolore giunse prima di ogni altra
sensazione. I miei occhi erano chiusi, non avevo idea di dove mi trovassi, non
ero nemmeno certo di essere ancora vivo. Ma ciò che sapevo era che ogni singolo
centimetro del mio corpo doleva in modo insopportabile.
“Uhn…” Gemetti. Cercai di muovere gli arti, nonostante le
mie membra fossero incredibilmente pesanti. Le gambe risposero, e così il mio
braccio sinistro, masembrava che
qualcuno mi avesse separato il braccio destro dal resto del corpo. Cessai di
insistere. Avevo l’impressione che mi stessero trapanando le tempie con degli
spilloni.
“Fermo… fermo… va tutto bene…” Una voce femminile risuonò
vicino alle mie orecchie e un tocco delicato sfiorò il mio braccio sinistro.
Aprii gli occhi di colpo, investito da una improvvisa ondata di speranza.
“Lina…?”
“Non sono Lina.” Sussurrò la voce, in un tono dolce e
vagamente triste. Cercai di identificarla, ma il volto della sua proprietaria
si confondeva con le ombre della stanza. “Non cercare di alzarti, Gourry- san.
Sei ancora molto debole.”
Abbandonai la testa all’indietro, su quella che riconobbi
come la superficie soffice di un cuscino. Cercai di capire dove mi trovavo, ma
ero troppo stordito e confuso dalla luce per riconoscere realmente qualcosa.
Non capivo nemmeno se fosse l’alba, o il tramonto.
“Gourry- san, il tuo braccio della spada è piuttosto
malridotto.” Continuò la voce. “Lo ho curato con la magia, ma credo che sia
meglio che tu non lo sforzi, almeno per qualche giorno. Devi restare a letto e
riposare.”
“M… ma… ma chi…?”
“Sylphiel. Sono Sylphiel, Gourry- san.”
Tornai a guardarla. A poco a poco, i miei occhi si
abituarono al buio e i suoi lineamenti assunsero finalmente tratti familiari.
Era pallida come quando l’avevo vista l’ultima volta, attraverso l’incantesimo
del tempio di Sailarg. E il suo sguardo, se possibile, era ancora più esausto.
Rimasi fermo, ad osservarla, in silenzio. C’era un infinità di cose che non
capivo, eppure non avevo la forza di formulare nemmeno una domanda coerente.
“Sono arrivata questa mattina.” Proseguì la sacerdotessa,
forse comprendendo il mio smarrimento. “Sono settimane che sono in viaggio per
raggiungervi, in realtà, ma con la guerra in corso è terribilmente complicato
muoversi. Al mio arrivo ho annunciato che vi stavo cercando e mi è stato riferito
quello che è successo. E’ davvero terribile. Terribile, Gourry- san. Mi chiedo
che cosa abbia spinto Lina- san a farlo… Se solo fossi arrivata qui prima,
forse… ”
“Lina è innocente.” La mia voce uscì più fredda di quanto
non desiderassi realmente. In fondo, non avrei dovuto biasimare Sylphiel per
avere creduto il contrario. Lina non era una santa, sarebbe stato ipocrita
sostenerlo. Ma era proprio questo il problema. Mia moglie era capro espiatorio
troppo semplice.
Le sopracciglia di Sylphiel si levarono, per la sorpresa.
“Ne sei certo?” Domandò, trattenendo il fiato. “Ma allora dobbiamo dirlo
immediatamente al duca! Mi hanno detto che c’è una taglia sulla sua testa,
rischia di essere uccisa! Dobbiamo…”
“Non ci sono prove, Sylphiel.” Troncai la sua frase, in tono
mesto. “Solo la sua parola.” Più ripensavo a quell’omicidio, più il solo
pensiero che Lina lo avesse commesso mi sembrava assurdo. Lina aveva ucciso, in
passato. Ma non così, non a sangue freddo, e senza apparente motivo. Almeno non
da quando la conoscevo io. Avrei solo voluto che chiunque la accusava e
minacciava la sua vita sapesse di lei tutto quello che sapevo io.
“Oh…” Sylphiel esitò per un istante, come se volesse
obiettare qualcosa, ma alla fine non replicò nulla. Ebbi la netta impressione
che non sapesse a cosa credere realmente.
Distolsi lo sguardo. Ero così confuso… avevo vaghi ricordi
di quella giornata… di come avevo consumato voce e forze contro la porta delle
mie stanze, di come avevo parlato con Derek e lui mi aveva detto che Lina era
fuggita, del ricatto di mio padre… e poi…
Mi portai la mano sinistra alla fronte, frastornato.
“Sylphiel…” Esordii, volgendo a fatica la testa verso di lei. “Che cosa mi è
successo?”
La sacerdotessa mi rivolse un sorriso stanco. “Non lo
sappiamo esattamente. Al mio arrivo, in tarda mattinata, nessuno è stato in
grado di trovarti. Ho… conosciuto la tua famiglia, però.” Esitò per un momento.
“Tuo fratello mi ha detto che avevate avuto una discussione, e che
probabilmente eri in giro da qualche parte a sbollire la rabbia.” Mi parve
imbarazzata. “Però, quando per pranzo non ti sei presentato, tuo padre ha
mandato degli uomini a cercarti. Ti hanno trovato solo un’ora fa, ai piedi di
una delle scogliere, a meno di un chilometro dalla capitale. Probabilmente sei
scivolato per colpa della pioggia. Per fortuna non era molto alto, e ti sei
ferito seriamente solo al braccio.”
Potei solo restare fermo, a fissarla. Era davvero andata
così? La mia testa era leggera, le informazioni sembravano semplicemente non
poter trovare una forma al suo interno. Cercai di concentrarmi, ma il mal di
testa mi impediva di focalizzarmi davvero su qualsiasi ragionamento. Finii per
desistere.
“Dovè… mio padre…?” Non seppi perché lo domandai. Forse mi
attendevo di vederlo giungere rabbioso, e attaccarmi perché mi ero allontanato
dal palazzo senza il suo consenso.
“C’era una riunione con gli altri ufficiali, questa sera.”
Esitò. “Sono… certa che verrà ad accertarsi delle tue condizioni domattina,
Gourry- san…”
Sospirai. In realtà, ci speravo poco. Ma non avevo
particolare voglia di incontrarlo. In fondo, la nostra discussione di quella
mattina mi era bastata.
Rimasi in silenzio, fissando il soffitto. Anche Sylphiel,
per qualche istante, non disse nulla. Ma sentivo il suo sguardo fisso sul mio
volto. Seppi anche senza guardarla che voleva parlarmi di qualcosa.
“Gourry- san…” Esordì, finalmente. La sua mano coprì
improvvisamente la mia, ed io mi volsi a guardarla. Il suo sguardo era teso, ma
stranamente imperscrutabile. “C’è… qualcosa che non vi ho detto, quando vi ho
chiesto di venire qui, a Talit. Non so come mi giudicherai, quando lo saprai…
ma sento che devo parlartene, ora. Te lo devo a maggior ragione, visto tutto
quello che è successo.”
Non ebbe bisogno di aggiungere altro. Sapevo già
perfettamente cosa stava per rivelarmi. “Quando ci hai mandato qui sapevi già
che la regina aveva intenzione di assoldarci.” Dichiarai, senza particolare
sentimento. Le mie emozioni, per quella giornata, erano già state ampiamente
consumate.
Sylphiel impallidì e un’espressione colpevole si dipinse sul
suo volto. “Go… Gourry- san…
come…?”
“Lina.” Mi limitai a replicare. “Sospettava che il nostro
coinvolgimento nella guerra fosse stato pianificato fin dall’inizio.” Chiusi
gli occhi. Lina. Chissà dov’era in quel momento. Avrei voluto avere più forze,
per cercare di pensare ad un modo per rintracciarla.
“Gourry- san…” Sylphiel mi riscosse da quel pensiero,
pronunciando il mio nome in un singulto. “Intendi dire che Lina sospettava che io
lo avessi pianificato?”
“No.” Per qualche motivo, la domanda di Sylphiel mi irritò.
Quando avevo conosciuto Lina, mi ero accorto in fretta che era sufficientemente
sospettosa e, sì, anche sufficientemente cinica da aspettarsi il peggio da
chiunque. Eppure, rimanevano persone a cui garantiva la sua fiducia
incondizionata. Io ero fra queste. E credo avrei accettato di subire qualsiasi
cosa, al costo di non tradirla. Il pensiero che qualcun altro lo facesse,
servendosi della sua amicizia, mi disturbava più di quanto riuscissi ad
esprimere. “In realtà era convinta che i sacerdoti di Sailarg avessero agito
alle tue spalle. E anche io lo ero.” La fissai. “Cosa avete ottenuto, in
cambio? Aiuto per Sailarg?”
A quella domanda, Sylphiel parve entrare in agitazione.
Impallidì ulteriormente e scosse la testa, energicamente. “No! No, Gourry- san,
non devi nemmeno lontanamente pensare che… voglio dire, io non vi avrei mai
coinvolti in una situazione pericolosa per un mio scopo personale! Lo ho fatto
perché… perché mi sembrava la cosa giusta da fare.”
“La cosa giusta da fare?” Non seppi fare altro che ripetere
le sue parole. Ero un po’ stanco di vedermi imposto ciò che gli altri
ritenevano giusto.
Sylphiel annuì. “A
prescindere dall’interesse di Sailarg.” Sussurrò. Le sue dita si allontanarono
dalle mie. “Inizialmente, vi avevo chiamati davvero perché mi scortaste sino a
qui. Sapevo che a Talit cercavano esperti di magia nera, ma non volevo
coinvolgervi in questa questione, non ne avevo la minima intenzione. E al di là
di qualsiasi mia personale opinione sulla guerra, ero convinta che nemmeno
Sailarg avrebbe dovuto prendere le parti di una delle due fazioni.” Distolse lo
sguardo, fissandolo sul paesaggio all’esterno della stanza. “Mi ero davvero
recata a Sailune per chiedere aiuto finanziario ai miei zii. Ma è stato allora
che è successo qualcosa… qualcosa che ha rivoluzionato completamente la
situazione.” Si levò e mi diede le spalle, avvicinandosi alla finestra. Tacque,
come raccogliendo le idee per spiegarmi.
“Di cosa parli, Sylphiel?”
La sacerdotessa emise un sospiro. “Mio zio… è rimasto
vittima di una imboscata.”
Mi levai a sedere, di riflesso, per lo stupore. Un dolore
lancinante attraversò tutta la parte superiore del mio corpo, dal mio braccio
destro alla mia colonna dorsale, ma in quel momento riuscii ad ignorarlo. “Tuo
zio…” Rantolai. “… tuo zio è stato ucciso?” Sapevo che a Sylphiel rimanevano
ben poche persone, al mondo, al di là dei suoi parenti di Sailune.
Sylphiel si volse e mi indirizzò un mesto sorriso. “No. Ma
la sua sorte, purtroppo, è ancora incerta. E’ stato attaccato, e preso in
ostaggio.”
D’accordo, ora ero confuso. Con tutto il rispetto per lo zio
di Sylphiel, non riuscivo ad immaginare chi potesse avere interesse a prendere
in ostaggio un anziano sacerdote. E non avevo idea di che cosa potesse
c’entrare, questo, con la guerra in corso ad Elmekia.
“Scusami, Gourry- san. Vedo che non comprendi e mi rendo
perfettamente conto che hai ragione di non farlo.” Fece un sospiro e tornò a
sedersi sulla sedia accanto al mio letto. “In realtà avevo promesso di non
parlare a nessuno di questa storia, ma non posso spiegarti senza raccontarti
tutta la verità. E in fondo te lo devo, a te e a Lina- san. Ma devi assicurarmi
che, Lina- san a parte, quello che ti dirò non uscirà dalle mura di questa
stanza.”
Annuii, debolmente. Sylphiel strinse le labbra per un
momento e si guardò alle spalle, come se temesse che qualcuno potesse udire
quanto stava per rivelarmi.
“Amelia… è stata catturata.” Dichiarò poi, in un sussurro
affrettato.
Io mi limitai a fissarla, a bocca aperta. Non ero certo di
avere ben compreso ciò che mi aveva appena rivelato.
Sylphiel mi fissò di rimando, con una punta di
rassegnazione. “Gourry- san… Amelia.
Amelia, la principessa di Sailune.”
Mi avvicinai ulteriormente a lei, ignorando il dolore. Ero
troppo sorpreso per frenarmi. “Ho… ho capito di chi parli. Ma…”
“Come sai, mio zio serve la corte come sacerdote del tempio.
Si trovava con Amelia, quando è successo. Lui, ed un gruppo di altri
sacerdoti.” Abbassò ulteriormente la voce. “Sei fra i pochi a essere a
conoscenza di questa informazione. Persino io so molto poco della reale
dinamica dei fatti. Nulla è trapelato al di fuori della corte.”
“A… aspetta solo un momento, Sylphiel. Chi ha
catturato Amelia? E cosa c’entra tutto questo con la guerra di Elmekia?” Lina
avrebbe detto che era normale, ma non capivo assolutamente dove quella
conversazione stesse andando a parare.
Sylphiel si
incupì. “Devi sapere che Samon aveva inviato ripetuti appelli a Sailune
perché intervenisse a sostenerlo nel conflitto.” Abbassò lo sguardo sulle sue
mani, raccolte in grembo. “Il re, Philionel, aveva sempre rifiutato di
coinvolgere il suo regno. Tuttavia, poco più di un mese fa, aveva accettato di
inviare la principessa Amelia alla corte di Elmekia, come ambasciatrice di
Sailune, perché aiutasse a mediare la pace fra i due principi in lotta.” Fece
un breve sospiro. “Io mi trovavo già a Sailune, quando accadde. Una scorta
avrebbe dovuto accompagnare Amelia fino al confine, dove sarebbe stata
prelevata dalle guardie di Elmekia, insieme ad una piccola delegazione. Anche
mio zio faceva parte del seguito della principessa.” Tornò a fissarmi,
l’espressione inquieta. “Ma quel gruppo di uomini non ha mai raggiunto la sua
destinazione.”
“Aspetta un momento.” La mia voce uscì in un roco sibilo.
“Chi? Chi li ha attaccati? ”
“E’ proprio questo il punto.” Replicò mestamente Sylphiel.
“Una settimana dopo l’assalto, una rivendicazione è giunta da Talit. A quanto
pare, il secondo erede al trono temeva che quella ambasceria significasse che
Sailune aveva scelto di schierarsi a favore della legittima corte di Elmekia.”
Si appoggiò allo schienale della sedia, abbassando lo sguardo.
Io spalancai gli occhi. “Talit??? Vuoi dire che Amelia ora
si trova qui???”
“Non lo so.” Replicò la sacerdotessa, in un sibilo. “Per
quanto ne sappiamo, potrebbero tenerla ovunque. Purtroppo Talit non ha ancora
avviato nessuna trattativa per il suo rilascio.” Il suo volto si incupì.
“Philionel ha atteso, saggiamente, ma alla fine temo che l’ansia abbia preso il
sopravvento su di lui. Ha garantito la sua alleanza alla corte, per mostrare
che Sailune non è ricattabile.”
“Vuoi dire che Sailune ora è in guerra contro Talit?”
Sylphiel annuì. “Ero convinta che lo sapessi. La comunicazione
ufficiale è stata data giorni fa.”
Scossi la testa, sentendomi improvvisamente schiacciato da
eventi molto più grandi di me. “Però…” Esordii, nuovamente. “… continuo a non
capire perché tu ci abbia chiesto di venire quaggiù, Sylphiel…” Tornai ad appoggiare
la schiena al bordo del letto, ancora stordito dalla storia che mi aveva
raccontato. “Voglio dire… capisco che potessi ritenere utile un nostro aiuto,
ma che cosa potevamo fare noi, qui a Talit, all’oscuro di tutto?”
Sylphiel sospirò. “Il problema è che non ho avuto la
possibilità di parlarvi chiaramente, quando ho chiesto il vostro aiuto. Sapevo
che Erianna cercava esperti di magia nera, per la difesa del proprio palazzo.
Vista la fama di Lina- san, ho pensato che nessuno meglio di voi avrebbe potuto
infiltrarsi qui e tenere gli occhi aperti, per capire se Amelia potesse essere
effettivamente ostaggio di Talit.” Prese a giocherellare nervosamente con le
dita. “Ma non potevo chiedervelo apertamente, né davanti ai sacerdoti di
Sailarg, né tramite un messaggero. Non sapevo dove potessero nascondersi
alleati di Talit. Avrei avuto bisogno di parlarvi di persona, ma era necessario
che tutto si svolgesse il più velocemente possibile, prima che la situazione
nel regno precipitasse. Perciò ho portato avanti con il Gran Sacerdote di
Sailarg la messinscena degli aiuti da parte di Talit, e gli ho chiesto di
mettersi in contatto con la regina e dirle che le avremmo inviato Lina Inverse
in cambio di denaro. E poi ho raccontato a voi la storia della missiva da consegnare,
per fare sì che vi recaste quaggiù. Sapevo che sareste stati accolti con ogni
onore e ho sperato con tutto il cuore che decideste di fermarvi. Puntavo a
raggiungervi qui il prima possibile, per spiegarvi ogni cosa e chiedervi il
vostro aiuto per il reale motivo per cui ne avevo bisogno…”
Sylphiel mi parlò con foga, e quando ebbe terminato di
raccontare ebbi l’impressione che fosse rimasta priva di ogni energia. Rimase
semplicemente a fissarmi, titubante, con uno sguardo che richiedeva chiaramente
perdono e comprensione. E io glieli avrei accordati senza esitazione, senza
alcun dubbio, in qualsiasi altra circostanza. Ma l’incontro con la mia famiglia
e la condanna e il rapimento di Lina bruciavano su di me come ferite ancora
troppo recenti. Non era con uno stato d’animo semplice, che avevo ascoltato la
sua confessione.
“Sylphiel…” Iniziai, in tono cauto. “Tu non sapevi che mio
padre si sarebbe trovato a Talit, giusto…?”
Solo l’accusa parve bastare a gettare la sacerdotessa in
preda all’ansia. “No!” Gridò, quasi. “Gourry- san, ero a conoscenza dei tuoi
problemi con la tua famiglia! Se solo avessi immaginato che si trovavano qui,
che avrebbero esercitato pressioni su di te per farti restare, io…”
“Tu non ci avresti chiesto di venire fin qui?” La mia era
una domanda, ma avevo il sentore di sapere già che risposta avrei ricevuto.
Sylphiel esitò, per qualche istante. Quindi emise un lieve
sospiro. “Ti mentirei, se assentissi.” Sibilò, la voce piena di colpa.
“Probabilmente, la cosa non mi avrebbe fermato. Perché sapevo di agire nel
giusto.” Levò lo sguardo sul mio. “Ma ti giuro, ti giuro Gourry- san, che non
ho scelto consapevolmente di sfruttare la cosa. Non vorrei mai arrecarti un
dolore.” Mi prese nuovamente la mano. “Non a te. Lo sai perfettamente.”
Non replicai nulla.
Agire nel giusto. Trovare il reale colpevole
dell’aggressione a Philionel, per il bene di Elmekia e per il bene di Sailune.
Aveva senso. Ma per qualche motivo, in quel momento non riuscivo a pensare in
quei termini. Riuscivo solo a pensare al fatto che Lina era prigioniera da
qualche parte lontano da me, e che, che Amelia fosse ostaggio di Erianna o
meno, avrei dovuto combattere per Talit, se desideravo rivederla.
Feci scivolare lentamente le dita lontano da quelle di
Sylphiel. La sacerdotessa vestì immediatamente un’espressione ferita ed io
rimasi per un momento incerto su come reagire. Quindi, decisi semplicemente di
non farlo affatto. Sollevai le coperte e feci per alzarmi.
Sylphiel mi fissò, allarmata. “Gourry- san, no! Devi riposare, non
puoi…”
“Voglio solo sciacquarmi il viso.” Replicai, stancamente.
“Mi sta scoppiando la testa.”
La sacerdotessa continuò a fissarmi con preoccupazione, ma
non insistette. Io barcollai verso la specchiera e mi resi conto per la prima
volta che mi trovavo ancora una volta nella stanza che avevo condiviso con
Lina, in cima alla torre. Cominciavo a detestare quelle quattro mura.
Mi piegai sul catino e sollevai fra i palmi una manciata di
acqua fredda. Vi affondai il volto, trovando momentaneo refrigerio e sollievo
dal dolore. Poggiai le mani sui bordi della specchiera e rimasi a lungo piegato
sul lavabo, osservando le gocce scivolare lentamente dalla mia fronte e dai
miei capelli e infrangere in ipnotici cerchi la superficie cristallina
dell’acqua. Mi sembrava che lo stomaco mi fosse risalito alla gola. Avevo
l’impressione che se mi fossi mosso anche di un millimetro la nausea avrebbe
avuto la meglio su di me.
“Gourry- san… ti senti bene?”
La voce di Sylphiel risuonò, preoccupata, alle mie spalle.
Io levai lo sguardo, per incontrare il suo volto, riflesso nello specchio.
E all’improvviso, un’ondata di terrore, puro e viscerale,
calò sul mio capo, come una cascata d’acqua gelida.
Occhi dorati, capelli dorati, una figura in uno specchio. I
ricordi mi investirono con la forza di realtà tangibili, e ogni sensazione che
avevo provato prima di precipitare nell’abisso mi si ripropose con violenza
rinnovata. Incomprensione, paura, dolore. Le lacrime che mi avevano sorpreso
qualche ora prima tornarono a pungermi gli occhi.
Indietreggiai, e urtai una sedia. Barcollai e rischiai di
crollare al suolo, e dovetti aggrapparmi alla sponda del baldacchino per
recuperare l’equilibrio. Sylphiel si affrettò al mio fianco. “Gourry- san!”
Non le diedi il tempo di cercare di sorreggermi. Mi afferrai
alla sua spalla e la strinsi con una violenza che non credevo le mie dita
tremanti potessero possedere. “Sylphiel.” Sibilai, lottando con ogni forza per
mantenere il controllo. “Dove mi hanno ritrovato. Fammi vedere dove mi hanno
ritrovato.” Il mio braccio destro, ora, pulsava in modo orribile.
“Co… come?” La sacerdotessa fu evidentemente colta alla
sprovvista da quella richiesta. “Ma… che importanza ha, ora, Gourry- san…?”
Non avevo l’autocontrollo necessario per fronteggiare delle
obiezioni. “Ne ha.” Rantolai, sforzandomi di non alzare la voce. Il mio braccio
destro stava esplodendo di dolore. “Portami laggiù, Sylphiel.”
“Gourry- san…” La voce di Sylphiel si fece supplichevole.
“Non puoi uscire dal palazzo ora. Non sei in condizione di…”
“Portami laggiù!!!” Non era la rabbia a farmi
gridare, ma la paura. Una paura tanto più terribile, in quanto priva di una
motivazione apparente.
La sacerdotessa mi fissò, evidentemente senza capire.
Probabilmente, persino spaventata dal mio comportamento. Ma non potevo
spiegarle, in quel momento. Non potevo spiegarle qualcosa che nemmeno io
comprendevo, quando ogni briciola della mia energia era impiegata nel mantenere
il mio autocontrollo.
Alla fine, Sylphiel parve desistere. Mi afferrò per il
braccio sinistro e lentamente, gentilmente, mi condusse nuovamente al letto.
Raccolsi il mio mantello e i miei stivali, senza dare realmente peso ai miei
gesti. Scendemmo le scale, un gradino alla volta, ma la mia mente non registrò
il percorso. Il braccio destro mi tormentava, la mia mente era focalizzata
sullo sforzo di respingere la paura. Uscimmo dal palazzo e poi dalla città, e
immediatamente mi resi conto che c’era qualcosa di sbagliato. Non stavamo
andando nella giusta direzione.
“Sylphiel…” Le strattonai il braccio. “… non è di qua.
Stiamo scendendo verso il mare. Dobbiamo aggirare la città, andare verso le
montagne.”
Sylphiel mi fissò, con l’aria di cominciare a considerarmi
pazzo. “No, Gourry- san, te l’ho detto. Sei stato ritrovato ai piedi di una
delle scogliere.”
“Non è possibile!” Tornai a gridare. “Ti dico che io non ero
sceso verso il mare! Io… io ero andato…” Sollevai lo sguardo. Al buio non
scorgevo le rovine della antica Talit, ma sapevo che era là. Era là, incombeva
su di me in lontananza. Non poteva essere stato un sogno, un delirio generato
dal dolore della caduta. No. Avvertivo ancora quelle sensazioni sul mio corpo,
sensazioni forti, reali. Ma non c’era modo che precipitando dalle mura
dell’antico palazzo io fossi giunto al mare. Nessun modo.
“Gourry- san, rientriamo, ora.” La voce di Sylphiel aveva il
tono di una preghiera. “Tu… non ti senti bene. Hai bisogno di riposare.”
La guardai, senza vederla realmente. “Io ero andato… a
Talit.” Mormorai, fissando lo sguardo oltre i suoi occhi preoccupati, oltre il
suo volto, sull’immagine confusa che danzava nel retro della mia mente. Una
donna dai capelli dorati. Dove… dove l’avevo già vista, prima di quel giorno?
“Gourry- san… ti prego… vieni dentro…” Sylphiel continuò ad
implorare. Io la ignorai. Un libro. Ora ricordavo anche un libro. Ricordavo di
averlo aperto, e di avere colto un barlume del suo contenuto. Ma non riuscivo…
non riuscivo a ricordare…
Un’altra fitta, lancinante, mi attraversò il braccio destro.
Ebbi un sussulto, e lo afferrai, non potendomi impedire di gridare. Caddi in
ginocchio. Sylphiel accorse subito per aiutarmi, ma non riuscii a prestarle
attenzione. Mi ero appena ricordato qualcos’altro. Un sigillo. Un sigillo con
un marchio dorato.
Levai il palmo della mano destra. Là, dove prima avrei
giurato non esserci nulla, l’immagine che aveva fatto mostra di sé sul sigillo
bruciava impressa sulla mia carne, come una cicatrice, o un marchio impresso a
fuoco. Un segno contorto, incomprensibile, un confondersi di linee curve che
parevano strisciare e avvolgersi su se stesse. La nausea tornò ad assalirmi,
alla sua sola visione.
“Gourry- san…” Sylphiel inspirò profondamente, prima di
parlare, e la sua voce tradì disgusto e confusione. “… che cos’è quello?”
Avrei tanto voluto saperle
rispondere.
***
Mi svegliai, di soprassalto. La camera attorno a me era
avvolta in una quiete che non rispondeva al mio stato d’animo. La mia fronte
era madida di sudore, le mie membra preda della tensione. Non ricordavo di aver
sognato, ma avevo aperto gli occhi con la stessa ansia con cui di solito si
affronta il buio dopo aver vissuto un incubo.
‘Un presentimento.’
Volsi la testa verso la finestra che sovrastava la mia
branda. La notte di Elmekia era silenziosa, buia e indifferente alle mie preoccupazioni.
Potevo scorgere la luce lunare di un cielo stranamente terso brillare sul manto
di brina che ricopriva i prati sui declivi attorno al piccolo villaggio. Era
uno spettacolo incantevole, ma non bastò a calmarmi. Il mio pensiero era
rivolto a Gourry. Quel giorno ero stata tranquilla, pensando a lui, mi ero
ripetuta le rassicurazioni di Livia sul fatto che i Gabriev non avrebbero fatto
del male ad un membro della propria famiglia. Ma per qualche motivo, al buio,
ogni cosa mutava prospettiva.
Mi colse l’improvvisa smania di giungere alla capitale.
Livia avrebbe detto a Gourry di raggiungermi laggiù, e laggiù avrei dovuto
arrivare per attenderlo, al più presto. Così, almeno, quell’ansia si sarebbe
tramutata in senso d’attesa, e avrei avuto l’impressione che la mia impotenza
fosse funzionale a qualcosa. La sola idea di mancare il suo arrivo mi
tormentava. Non ero abituata a stare a lungo lontana da lui e non volevo
pensare di dover affrontare una lunga ricerca per ritrovarlo. In quel momento,
provavo la stessa fastidiosa sensazione di incompiutezza che mi colpiva quando
trascuravo di fare qualcosa di estremamente importante.
Mi sollevai a sedere. Bastian, apparentemente, dormiva
ignaro di ogni cosa. Per la prima volta, in quella lunga giornata, mi domandai
dove intendesse condurmi. Quel giorno avevamo pensato solo a fuggire, ma se gli
avessi proposto di andare alla capitale e lui si fosse opposto, non avrei avuto
modo di fronteggiarlo, fino a che la mia magia non fosse tornata. E anche se si
trattava di una questione di un giorno o due, ormai, detestavo porre una
persona potenzialmente pericolosa per me in una simile condizione di potere.
Il mio presentimento si acuì. Dovevo andarmene, per qualche
motivo dovevo andarmene, quella notte stessa, e raggiungere al più presto la
mia meta.
Scivolai fuori dalle coperte. Avevo ancora addosso gli abiti
della giornata. La mia veste da notte era rimasta a Talit, e l’idea di dormire
con solo una maglia addosso in presenza del cavaliere non mi sorrideva per
niente. Afferrai il mantello, appeso al bordo del letto, e feci per alzarmi. Ma
non feci nemmeno in tempo a poggiare i piedi sul pavimento freddo della camera.
Al mio repentino movimento, anche la massa scura che occupava il letto a fianco
del mio si levò di colpo. Una lanterna si accese e mi trovai a fronteggiare il
volto serio e cupo di Bastian.
“Vai da qualche parte, Lina Inverse?” Domandò, in tono
acido.
Il mio cuore accelerò improvvisamente. “Credevo stessi
dormendo.”
“Scoprirai che dormo solo lo stretto necessario, e che mi
distraggo ancora meno, Lina Inverse.”
Ancora il mio nome, usato a quel modo.
“Una vita stressante, la tua.” Non mascherai il mio
sarcasmo.
“La mia vita non è affar tuo. E ora rispondi alla domanda,
Lina Inverse. Dove stai andando?”
Quei toni bastarono ad irritarmi. La paura fu scacciata in
un istante, dalla rabbia. “In bagno.” Replicai, secca. “Che c’è, ad Elmekia
qualche legge morale vieta di farlo?”
“No.” Mi concesse, in tono brusco. “Ma nei corridoi bui
delle locande, a queste ore della notte, si rischiano brutti incontri. Immagino
non vorrai essere molestata da qualche ubriaco. Sarà meglio che ti accompagni.”
Avvampai, pervasa dall’irritazione. “Cavaliere, potrei
essere la donna più indifesa di questo mondo, e troverei comunque più fastidioso
essere seguita fino in bagno da un idiota in armatura che avere a che fare con
dieci ubriachi!”
Lo sguardo di Bastian si fece pericoloso. “Bè, ti ci dovrai
abituare, Lina Inverse. Perché io ho intenzione di agire per la tua difesa come
più mi aggrada.”
“Per due giorni.” Precisai. “Perché quando non sarai più in
una posizione di forza, dubito che potrai ancora permetterti di ignorare la mia
opinione.”
“Dubito che tu potrai ignorare la mia. Sempre che tu non
voglia perdere i vantaggi che ti porta la mia presenza.”
“QUALI vantaggi?” Dovetti fare del mio meglio, per non
gridare. “Spiegami che cosa ci guadagnerò, ad averti al mio fianco, una volta
che avrò di nuovo la mia magia, cavaliere!”
“La mia conoscenza del territorio. E un’ottima copertura.” Si
limitò a replicare Bastian, con fare pratico. “I cacciatori di taglie si
aspettano una donna sola, non una ragazza accompagnata da un guerriero. Con me
vicino darai molto meno nell’occhio di quanto non faresti muovendoti in
solitudine, a maggior ragione con una guerra in corso.”
Quella replica mi azzittì. Non avevo mai considerato la
questione da quel punto di vista. “E dove avresti intenzione di andare, con
me?” Domandai, cauta.
“Non ne ho idea.” Replicò il cavaliere. “Fuori dal regno,
suppongo. A Sailune, se preferisci. A quel punto potrò considerarti
ragionevolmente al sicuro e giudicare saldato il mio debito.”
“Io ho bisogno di giungere alla capitale di Elmekia.” Decisi
di mettere le carte in tavola. Forse ponendo in chiaro i nostri progetti fin
dall’inizio e giungendo ad un accordo quella convivenza avrebbe guadagnato un
senso. “Lì mi ha detto di indirizzarmi Livia, e lì mio marito mi raggiungerà,
non appena riuscirà a lasciare Talit. Pensi di essere disposto a scortarmi fin
laggiù?”
Bastian non esitò nemmeno per un istante. “Per me non
cambia. Decidi la tua destinazione, ed io ti ci accompagnerò.”
Esitai. Mi pareva tutto troppo facile. Per qualche motivo,
Bastian mi era parso troppo rapido ad accettare, troppo prono a compiacermi.
“E quando io avrò raggiunto la mia meta, tu che cosa farai?”
Cercavo di capire. Mi vantavo di avere un buon occhio nel giudicare le persone,
e Bastian di certo non mi ispirava simpatia, ma faticavo stranamente a cogliere
le sue motivazioni. Potevo avere di fronte l’uomo più onesto del mondo o il più
spudorato mentitore, le sue parole e il suo sguardo erano specchi che mi
impedivano di scandagliare le sue vere intenzioni.
“Non lo so, ancora.” Replicò Bastian, quieto. “Forse tornerò
dal mio signore, e gli confesserò il mio crimine. In fondo mi ha garantito la
sua protezione per tutti questi anni. Suppongo di doverglielo.”
Non lo capivo. Davvero non lo capivo. Per saldare un debito
se ne creavano mille altri, in una spirale che forse lo avrebbe condotto
all’accusa di tradimento e alla morte. E da quanto avevo capito di lui, Bastian
avrebbe potuto facilmente accettare la seconda punizione, ma non la prima.
Dovevo fidarmi delle sue buone intenzioni? O c’era qualcos’altro dietro tutta
quella ostentataproclamazione di
rigore morale?
“Suppongo che si possa fare.” Mi trovai comunque ad
affermare. Era vero che mi offriva una copertura, e se c’era una cosa che
desideravo in quel momento era muovermi in fretta, senza rischiare che un
cacciatore di taglie, individuandomi, mettesse sulle mie tracce la totalità dei
suoi colleghi. Mi sarei sentita sciocca a rifiutare un aiuto che mi veniva
offerto su un piatto d’argento. D’altra parte, chi mi assicurava che Bastian
non mi avrebbe comunque seguita? Preferivo che restasse dove potevo tenerlo
sotto controllo. Mi bastava dormire sempre con un occhio aperto e guardarmi le
spalle. Bastian era un avversario solo, un avversario che potevo battere,
dovevo solo mantenere il controllo della nostra rotta ed evitare di essere
condotta in qualche trappola. “Certo… sarebbe stato un viaggio molto più
semplice e veloce se avessi portato con te il tuo drago.” Azzardai. La faccenda
di quel drago era un altro aspetto su cui ero più che desiderosa di ottenere
maggiori informazioni.
“Non è il mio drago.” Replicò tuttavia il cavaliere,
secco. “E’ stata Erianna a condurre quelle bestie a Talit, quando è giunta
insieme alla sua corte. Uno di loro è stato affidato a me semplicemente perché
avevo mostrato di riuscire a controllarlo. Presso il Lord Gabriev svolgevo il ruolo
di falconiere.”
Le mia sopracciglia si levarono. “Accidenti, cavaliere. Per
fortuna non avevi scelto di allevare un gattino, altrimenti alla corte di Talit
avresti rischiato di trovarti ad ammaestrare tigri.”
Bastian mi fissò, inespressivo, evidentemente non trovando
il mio sarcasmo degno di essere preso in considerazione. Per una volta, però,
non prestai attenzione alla cosa. Ero troppo impegnata a risolvere i dubbi che
le sue affermazioni avevano risvegliato in me. Erianna. E come diavolo era venuta
in possesso di tre draghi, Erianna?
“Ad ogni modo… non dovevi andare in bagno, Lina Inverse?”
Lo fissai. Il suo volto non aveva mutato espressione, ma a
quanto pareva anche il cavaliere aveva voglia di fare dell’ironia, quella
notte.
Non lo ritenetti degno di ricevere una risposta. Sbuffando,
gli volsi le spalle, e tornai ad avvolgermi nella coperta. Tuttavia, la luce
della lanterna non si spense. Continuai ad avvertire il suo sguardo fisso sulla
mia schiena, insistente e penetrante come quello di un giudice.
“Che cosa c’è, cavaliere?” Domandai alla fine, seccata, non
risparmiandomi un sospiro.
Ci fu una breve pausa di silenzio. “Non capisco.” Replicò
quindi, semplicemente, la sua voce fredda. “E’ tutto il giorno che me lo
chiedo, e ancora non capisco.”
“Cosa
c’è da capire, cavaliere?”
“Tu.” Rispose. “E Sir Gabriev. Insieme. Non riesco davvero a
spiegarmelo.”
Tornai a volgermi verso di lui, stavolta davvero esasperata.
“Complimenti, cavaliere, hai appena vinto la palma per l’affermazione più
scontata!” Sbottai. “Puoi spartirtela con il Lord Gabriev, se vuoi, e con le
mille persone che mi hanno fatto questa osservazione prima di te!” Il mio tono
era tagliente, derisorio. “E ora è finalmente assodato che nessuno al mondo sa
cosa ci abbia visto mio marito in me! Chissà, probabilmente lo ho stregato con
un filtro d’amore, dato che avrebbe potuto avere… rullo di tamburi… la figlia
del Gran Sacerdote di Sailarg! Ma comunque sia andata si è scelto la maga
distruttrice, invece, e suppongo che se la debba tenere!”
Lo avevo appena inondato di parole, ma l’espressione di
Bastian riuscì a non mutare di un millimetro. “Non stavo parlando di Sir
Gabriev.” Replicò semplicemente, in tono quieto. “Stavo parlando di te. Lui è
completamente diverso da te. Perché hai scelto di stare con lui?”
Quella domanda mi spiazzò. Nessuno pareva essersi mai posto
quel problema, in quelle settimane. Avrei dovuto rispondergli che non erano
affari suoi. E invece mi trovai a riflettere sulle sue parole, come
ipnotizzata. Già. Perché avevo scelto Gourry? Me lo ero davvero mai chiesto?
“Non siamo poi così diversi.” Replicai, cauta. “Eravamo entrambi mercenari. Ci
siamo trovati a viaggiare insieme e semplicemente abbiamo cominciato a provare
attaccamento l’uno per l’altra e…”
“Sai che non è questo quello di cui sto parlando.” Mi
interruppe, le sue parole percorse da uno strano fervore. “Sto dicendo che tu
ricerchi il potere. Lo so, lo leggo nei tuoi occhi.” Quella affermazione mi
disturbò. Non avrei creduto, prima, che il cavaliere si fosse preso la briga di
guardare i miei occhi, nel corso di quella lunga giornata. “Sir Gabriev è
quanto di più lontano c’è dal tuo mondo.” Proseguì Bastian, incurante del mio
imbarazzo. “E allora cosa mai ti affascina in lui?” Mi fissò, intensamente.
“Non ti spingerebbe più avanti nella tua ricerca qualcuno di più simile a te?”
Non capivo dove desiderasse andare a parare. “Sono… due cose
diverse.” Replicai, semplicemente. “Io posso procedere da sola sulla strada del
potere. Non voglio qualcuno che mi sospinga. Voglio solo qualcuno che accetti
di camminare al mio fianco, e…” Esitai. “E Gourry… lui è… innocente.” Le mie
mani strinsero il cuscino, al di sotto delle coperte. Ero così abituata a
dormire al suo fianco… mi sembrava strana anche una notte passata lontana da
lui, ormai… “Non voglio dire che è ingenuo… Bè, forse a volte lo è, ma… ha
combattuto per anni, ha vissuto la guerra, ha vissuto esperienze che avrebbero
indurito qualunque altra persona, spesso anche per causa mia… ma è riuscito a
mantenere la sua innocenza. Io lo trovo… meraviglioso.” Lo stavo fissando, ma
non era realmente lui che stavo osservando. Il mio sguardo era rivolto a
Gourry. Parlare di lui acuiva il senso della sua mancanza in modo quasi
insopportabile. Mio marito contribuiva al mio equilibrio più di quanto non
avessi mai realmente ammesso. “A volte succede qualcosa che mi convince di
quanto sia meschino e assurdo questo mondo… a volte mi sento autorizzata a
essere cinica e priva di scrupoli… e in quei momenti, regolarmente, Gourry fa o
dice qualcosa che mi fa tornare in pace col mondo. Che mi rivolga un gesto di
gentilezza, o un atto di fiducia o un semplice sorriso, ha sempre lo stesso
effetto. Non lo so che cosa gli permetta di farlo… ma stare con lui, per me… è
come… come…”
“… come una forma di redenzione.” Bastian terminò per me, in
un sibilo. Ci fissammo, per un momento. Non era esattamente la parola che avevo
cercato, ma per un istante ebbi l’impressione che il cavaliere mi comprendesse,
mi comprendesse perfettamente. Quel senso di condivisione mi disturbò e mi
imbarazzò. Non sapevo davvero cosa rispondergli.
Bastian mi tolse dall’imbarazzo. “Dormiamo, ora. Domani sarà
una lunga giornata di marcia.” Il suo tono di voce era tornato inespressivo.
Spense la lampada all’improvviso, troncando ogni mia possibile replica.
Ed io mi trovai, ancora una volta, sola con la mia ansia.
In una fase di particolare ispirazione… ho finito un nuovo capitolo
stranamente in fretta
In una fase di particolare ispirazione… ho finito un nuovo
capitolo stranamente in fretta! XD Grazie, come sempre a chi legge e commenta!
Buona lettura! ^^
***
Il richiamo del falco risuonò, per l’ennesima volta.
Levai lo sguardo. Le nubi sottili si muovevano velocemente
verso nord, sfilando leggere nel cielo azzurro cupo che sovrastava la steppa.
Era la prima volta che notavo quanto il suo colore fosse intenso, quella
mattina. Faceva freddissimo, a causa del forte vento, ed il mio compagno di
viaggio ed io avevamo proceduto sin dall’alba a testa bassa, senza scambiare
una parola.
Individuai quasi immediatamente la bestia. Ci seguiva a
distanza, sempre discreta, sempre presente. Non ci avevo fatto caso, prima che
Bastian mi rivelasse di essere un falconiere, ma da qualche giorno avevo
cominciato a registrare il suo grido stridulo, e a rendermi conto che, come una
specie di sentinella, il volatile studiava ogni passo del nostro percorso. A
volte spariva per intere giornate, forse per procacciarsi il cibo, ma poi,
perennemente, tornava, sorvolando le nostre teste in rapidi cerchi e segnalando
la sua presenza con lunghi richiami. Bastian non ne aveva parlato, né lo avevo
mai visto interagire con l’animale. Mi chiedevo se non ritenesse necessario
informarmene, o se stesse deliberatamente cercando di impedire che me ne
accorgessi, per potermi tenere a mia insaputa sotto controllo.
Mi chiedevo anche se quei lunghi giorni di marcia silenziosa
non mi stessero facendo diventare paranoica.
Con un sospiro, evocai una fiamma e me la rigirai fra le
mani. Era più un modo per tenermi impegnata che un reale strumento per
scaldarmi. E ogni tanto mi piaceva ricordare, e ricordare a Bastian, che potevo
usare la magia. Trovandomi persa in mezzo al deserto con un potenziale nemico,
si trattava di una constatazione rassicurante.
Bastian mi lanciò l’ennesima occhiataccia, ma mi limitai ad
ignorarlo. Feci danzare il fuoco fra le dita, osservando i riflessi caldi
proiettare le ombre sottili delle mie mani sul suolo polveroso.
“Puoi smetterla, per favore?” La voce di Bastian risuonò
cupa, sovrastando il rumore del vento. Io lanciai la fiamma verso l’alto, e la
feci scomparire. “Non rifiuterei qualcosa a chi me la domanda tanto
gentilmente.” Replicai, con una vaga sfumatura di sarcasmo. Il cavaliere non
era particolarmente di buon umore, da quando avevo riacquistato i miei poteri.
Bastian non rispose, ma lo udii emettere un breve sbuffo, al
di là del cappuccio sollevato.
Emisi un sospiro. “Anche io avrei qualcosa da ‘chiederti
gentilmente’.” Esordii, tanto per mantenere viva, una volta tanto, la
conversazione. “Sei davvero certo di dove stiamo andando? Mi sembrava che si
fosse detto di muoverci verso nord…”
“E a nord stiamo andando, Lina Inverse.”
“Nord- est.” Precisai.
“Non sono stupida, cavaliere, e nemmeno cieca. Lo vedo dove sorge il sole. Oggi
stiamo deviando rispetto alla rotta concordata.”
Bastian scrollò le spalle, con irritazione. “Stiamo finendo
i viveri. Prima di inoltrarci ulteriormente nella steppa dobbiamo fermarci a rifornirci.
E dobbiamo anche trovare dei cavalli.”
Continuò ostinatamente a non guardarmi in volto, mentre
parlava. Presa dall’irritazione, lo superai, e mi parai di fronte a lui. “Bé,
sarebbe carino informarmi di questi piccoli dettagli, cavaliere, invece di
prendere queste iniziative da solo.” Mi portai le mani ai fianchi. “E poi, si
può sapere DOVE hai intenzione di andare a prenderle queste provviste? Credevo
che nella steppa non ci fossero zone abitate.”
“Ci sono le città fortificate di diversi signori locali.”
Replicò Bastian, con scarso sentimento, limitandosi a scansarmi. “Anche la
tenuta del Lord Gabriev si trova da queste parti.”
Lo osservai da sopra la spalla. Ok. Pensava di avere a che
fare con una perfetta idiota?
“Credi davvero che mi farò trascinare nella tenuta di
qualcuno dei tuoi amici nobili? O peggio, del Lord Gabriev stesso?”
Bastian si volse, e mi guardò come avrebbe guardato una
bambina capricciosa. “Ovviamente no.” Il suo tono si fece petulante. “Ci
arresterebbero, Lina Inverse, mi pare evidente.”
Dei, quanto era irritante. “E allora? Ti spiacerebbe
informarmi dei tuoi piani in anticipo, una buona volta???”
“Stiamo andando ad un villaggio Enu.” Bastian sospirò. “E,
prima che tu possa ricominciare ad obiettare, ti informo che si sono sempre
mantenuti neutrali in questo genere di questioni. Se abbiamo denaro da offrire,
non ci faranno nulla.”
“Enu?” Battei le palpebre. E chi diavolo erano, ora, questi
Enu?
“Si tratta della popolazione che abitava le steppe, prima
che Elmekia si espandesse in queste aree. Prima erano nomadi, ma i nostri avi
hanno insegnato loro le tecniche agricole e li hanno integrati nella
popolazione del nostro regno. Ora per lo più vivono nelle aree coltivabili sui
limitari della steppa, o nelle aree vicine alle falde acquifere. Uno dei loro
capo-clan è stato nominato dal sovrano governatore per questa parte di regno.
E’ nel suo villaggio che ci stiamo recando.”
Assimilai quelle informazioni, pensierosa. Era strano che
non avessi mai sentito parlare di questo popolo. Essere ferrata nella storia
del nostro continente era uno dei miei vanti.
Mi affrettai, per raggiungerlo nuovamente. “E sei davvero
certo che questi Enu non ci consegneranno su un piatto d’argento a Talit, per
incassare la taglia?”
“Bé, considerando il florilegio di taglie che ci sono sulla
tua testa, potrebbero consegnarci anche alla capitale. In fondo è lì che vuoi
andare, no?”
Lo fissai. Era completamente serio. “Mi auguro che tu stia
scherzando.”
“Infatti sì.” Per poco non crollai al suolo. “Rilassati,
Lina Inverse, ti ho detto che gli Enu di solito si tengono fuori da queste
questioni. Non si immischieranno nei nostri affari.” L’umorismo della gente di
Elmekia era alquanto perverso, se volete il mio parere.
Bastian si arrestò, scrutando l’orizzonte. “Mi pare sia
laggiù.”
Seguii il suo sguardo. In lontananza, si intravedeva la
sagoma confusa di un abitato. Quegli spazi sconfinati confondevano la mia
percezione delle distanze, ma doveva trovarsi forse ad un paio d’ore di cammino
verso est.
Mi strinsi nel mantello, guardandomi nervosamente attorno.
Mi seccava deviare così tanto dalla mia meta, e in un territorio così esposto.
Ma non c’era molto da fare. Bastian non aveva torto nell’affermare che avessimo
bisogno di rifornimenti. Tuttavia, dovermi affidare così tanto alla sua
conoscenza del territorio, mi faceva sentire, irrazionalmente, in svantaggio
rispetto a lui.
Tornammo ad incamminarci, in silenzio. Ora il vento soffiava
dalle nostre spalle, facilitandoci la camminata, ma nessuno di noi pareva comunque
propenso ad allietare il percorso con le chiacchiere.
Quando fummo sufficientemente vicini per distinguere
chiaramente le abitazioni, ad accogliere il nostro sguardo fu un ammasso di
case in pietra dalla forma cilindrica, circondato da una palizzata. Sparsi nel
paesaggio, campi dall’aspetto trascurato lottavano contro la siccità dei
territori circostanti, popolati unicamente da cavalli lasciati liberi al
pascolo. Di esseri umani nemmeno l’ombra. Il silenzio pareva strisciare fra le
foglie d’erba, sulla scia del vento. Il senso di desolazione era opprimente.
“A me sembra che non ci sia anima viva. A quest’ora non
dovrebbero essere al lavoro nei campi? Si saranno tutti rifugiati da qualche
parte per sfuggire alla guerra…”
“Siamo vicini all’anno nuovo.” Si limitò a replicare
Bastian.
Sospirai. Cominciavo a capire come doveva sentirsi Gourry
quando gli parlavo di magia. “E questo dovrebbe spiegarmi che…?”
“Saranno impegnati in qualcuna delle loro cerimonie.” Il
cavaliere aveva assunto un’aria vagamente disgustata.
“Cerimonie?”
“Lo vedrai con i tuoi occhi, maga. Adesso seguimi. E,
qualunque cosa accada, non parlare, non obiettare, non mettere in discussione
le loro abitudini. Tuo marito non apprezzerebbe che gli restituissi la tua
testa appesa ad una picca.”
Dovetti deglutire. Avevo già appurato che l’umorismo di
Bastian era distorto, e sospettavo vagamente che l’ultima frase fosse stata
aggiunta per tenermi buona. Ma non ero certa di voler testare il suo spirito
mettendo in gioco il mio collo.
Varcammo i portali d’accesso aperti e ci addentrammo nella
larga strada polverosa che si apriva verso il centro del villaggio. Nonostante
l’aspetto povero, le abitazioni cadenti e le strade non lastricate, la
struttura del villaggio era quasi forzatamente regolare. Le vie si
intersecavano ad angolo retto, come quelle di Talit, ed ero pronta a
scommettere che quella strada larga e diritta conducesse, nell’estremità a nord
del villaggio, alla residenza del governatore. Un aspetto speculare ad ogni
città di Elmekia. Ma in fondo sempre di Elmekia si trattava. Per quanto lontane
fossero le spesse pareti di pietra e l’imponenza del palazzo ducale.
“Ecco. Laggiù.”
Seguii lo sguardo di Bastian e dovetti battere le palpebre
per la sorpresa. Distratta dalle facciate delle abitazioni, non mi ero accorta
che avevamo quasi raggiunto il centro dell’abitato. Lì, una folla di persone si
ammassava nello spazio circolare aperto fra le case. Doveva essere presente
l’intero villaggio, ma un perfetto silenzio saturava l’aria. Nemmeno una sola
voce si levava, nemmeno un bisbiglio sfidava il sibilo del vento che fischiava
fra le assi smesse delle abitazioni. La folla sembrava come ipnotizzata.
“Ma cosa…?”
“Ssst.” Mi interruppe Bastian, secco, portandosi un dito
alle labbra. Mi precedette e mi fece strada fra le persone, fino a che non
raggiungemmo una posizione privilegiata fra le prime file. Laggiù, finalmente,
potei scorgere ciò che tutti osservavano con tanta fremente attenzione.
Una donna sedeva al centro del cerchio che si apriva fra la
folla. Una bassa recinzione fatta di semplici pali di legno uniti da cordoni
bianchi la circondava. Ai suoi piedi, quattro candele bianche erano state poste
agli angoli di un immaginario quadrato e, accese, emanavano una sottile linea
di fumo. Un uomo con una lunga veste purpurea da sacerdote incombeva su di lei,
in piedi, la mano stretta sulla sua spalla. Ma in quel momento prestai solo
un’attenzione fugace a quei particolari. La mia attenzione era completamente
catturata dalla figura al centro di quella bizzarra scena.
Non riuscivo a capire quanti anni avesse. Aveva i capelli
completamente bianchi, ma la sua pelle era liscia, come quella di una giovane
donna. Il suo volto era allungato e pallido, troppo spigoloso per apparire
bello. Aveva il mento reclinato in avanti, sulla sua veste bianca, come se il
suo corpo troppo magro stesse per ripiegarsi su se stesso e accasciarsi al
suolo. I suoi occhi erano di un azzurro intenso, ma il suo sguardo era vacuo,
come perso in qualche mondo lontano. Osservarlo mi trasmetteva inquietudine.
Infastidita dall’irrazionalità di quella sensazione, mi
decisi a scorrere lo sguardo sugli altri astanti. Per lo più si trattava di
uomini e donne comuni, ma, a qualche distanza da me, scorsi anche un gruppo di
armati. Ritti nelle loro armature, gli sguardi arcigni rivolti in avanti,
sorvegliavano con cupa attenzione la folla. Fra di loro, al centro, si ergeva
un uomo basso e tozzo, dalla pelle olivastra e dai folti capelli neri. Era
coperto da una armatura completa, con l’eccezione dell’elmo, e ricche insegne
decoravano il suo mantello e i suoi guardia-spalle. Le spesse sopracciglia
erano arcuate, il suo sguardo attento era fisso sulla donna dai capelli
bianchi. Doveva trattarsi del governatore e, in qualsiasi cosa consistesse, quella
cerimonia doveva essere rivolta a lui.
Un grido spezzò improvvisamente quell’atmosfera sospesa.
Sussultai, colta di sorpresa, e mi volsi di scatto verso la proprietaria di
quella voce. La donna dai capelli bianchi si era alzata. Aveva le mani sugli occhi,
la testa reclinata all’indietro e gridava, gridava, come se un fuoco la stesse
consumando. Riconoscevo la sua voce come femminile, ma non sembrava una
tonalità umana. Era stridula, gracchiante, folle. Era al contempo disperata e
colma di euforia.
Inizialmente pensai che il suo fosse un urlo di dolore, ma,
quando il suo tono di voce bruscamente si abbassò, mi resi conto che erano
parole quelle che stava pronunciando, e non suoni privi di senso. C’erano
pause, tonalità. La donna stava intonando una specie di cantilena.
La mia curiosità fu immediatamente risvegliata. Che si
trattasse di un incantesimo che non conoscevo? Ma non poteva essere così. Non
comprendevo la lingua in cui stava parlando, e se si fosse trattato di magia ne
sarei stata certamente in grado. D’altra parte, quel suono, quelle parole,
avevano anche un che di familiare…
Mi volsi verso Bastian. “Ehi, cavaliere. Tu capisci cosa…”
Non feci nemmeno in tempo a finire. L’occhiataccia di
Bastian si sommò a quella di altre quattro delle persone che mi affiancavano.
Con un sospiro, mi decisi a tenermi per me le mie domande e a tornare a
guardarmi intorno. La folla pareva completamente rapita, ora. Seguiva ogni
passo, ogni sussulto della donna come se fosse il proprio. Il governatore, in
particolare, sembrava fremere ad ogni suo respiro. Conclusi che dovessi essere
io l’unica a non capire. Un indistinto cantilenare non poteva essere l’oggetto
di tutta quella attenzione.
La scena si protrasse per qualche minuto, con tutta la forza
ipnotica dei suoi gesti ripetitivi. Quindi la donna volse lo sguardo in aria ed
emise un ultimo, gutturale grido. Il sacerdote in rosso fu immediatamente al
suo fianco. Aveva monitorato ogni suo gesto in ogni istante, frenandola ogni
volta che nella sua foga minacciava di rompere la recinzione. Ora la afferrò,
all’ultimo, proprio prima che si accasciasse al suolo.
La donna si aggrappò a lui, e gridò di nuovo, un urlo di
liberazione, e, ne ebbi l’impressione, colorito da una punta di rabbia. Quindi,
prese ad ansimare vistosamente e si accasciò totalmente contro il suo
soccorritore. Aveva l’aria totalmente esausta.
Rimasi immobile, attendendomi che qualcosa di altrettanto
spettacolare seguisse, ma nulla accadde. Il sacerdote, che fino a quel momento
aveva seguito con cura quasi ossessiva ogni movimento della donna, parve
improvvisamente felice di disfarsene. Due degli armati si fecero avanti, e
l’uomo la consegnò alle loro mani. La donna non oppose resistenza. Venne
afferrata per entrambe le braccia, e i due presero a condurla in nostra
direzione.
La folla intorno a noi prese improvvisamente a disperdersi,
come se nulla fosse accaduto. Anche Bastian, al mio fianco, parve
improvvisamente scuotersi.
“Possiamo andare.” Intimò, atono, superandomi e avviandosi
verso il centro del cerchio. Io battei le palpebre, colta di sorpresa, e feci
per accodarmi a lui e riprendere la domanda che ero stata sul punto di
rivolgergli qualche minuto prima, ma non ne ebbi il tempo. Una morsa si serrò
improvvisamente attorno al mio avambraccio ed io sussultai. Volsi lo sguardo, e
per un terribile istante, incontrando il volto di un armato, pensai che le
guardie di Talit mi avessero trovata. Ma mi resi conto presto che si trattava
della stessa guardia che avevo visto prendere in consegna la donna. E che non
era sua la mano che mi tratteneva.
“Nella mia casa. ” Sibilò la donna dai capelli bianchi,
stringendomi il braccio con tanta forza da farmi quasi gemere di dolore. “Ora.”
Incontrai i suoi occhi, vitrei e ossessionati, e un groppo mi catturò la gola.
Non mi diede tempo di replicare. Si aggrappò nuovamente alla guardia, e
scomparve in mezzo alla folla.
“Lina Inverse!”
Sussultai, per l’ennesima volta, ora alla voce irritata di
Bastian. Mi volsi, ad incontrare il volto spazientito del cavaliere. “Non so se
tu la vedi come una vacanza e pensi di poter passare il tempo a sognare ad
occhi aperti, ma io no, e, credo di poter scommettere, nemmeno il governatore.”
Mi afferrò per il braccio. “Ci ha già notati, e sarebbe salutare per noi, ti
assicuro, fargli sapere che anche noi abbiamo notato lui, prima che decida che
siamo abbastanza scortesi per mandarci contro le sue guardie senza
incontrarci.”
Prese a trascinarmi verso il governatore. Io lo seguii,
troppo frastornata per irritarmi di fronte al suo comportamento. E anche
vagamente stupita. Mister autocontrollo pareva avere una certa soggezione del
governatore. O forse, come qualsiasi gesto o evento al di fuori della sua
comprensione, anche quella apparentemente innocua cerimonia era bastata a
disturbarlo?
Ma non avevo tempo di fare domande. La figura del
governatore incombeva già su di me. Approfittai della vicinanza per studiarlo
meglio. Non era un uomo particolarmente imponente, ma capivo perché potesse
incutere timore, con la sua aria arcigna e la sua postura ferma. Ne avevo
passate troppe, nella mia vita, per lasciarmi mettere in soggezione
dall’aspetto di chiunque, ma in ogni caso decisi di tenere la bocca chiusa. Se
potevamo andarcene da quel villaggio senza troppo clamore, andava tutto a
nostro vantaggio.
“Bastian dei Vindicei.” Esordì l’uomo, in tono quieto. “Era
da un pezzo che non ti si vedeva da queste parti. Sono rimasto stupito nel
vederti comparire così all’improvviso. Mi dicono che ora ti occupi di draghi
alla corte di Talit.”
Bastian si esibì in un breve inchino. “Non è del tutto
esatto, mio Signore.” Replicò, controllato. “Quella è solo parte del mio
incarico. Attualmente mi trovo impegnato in un diverso genere di missione…”
Volse lievemente il capo verso di me.
Le sopracciglia del governatore si sollevarono lievemente, e
l’uomo mi fissò a lungo. Io risposi allo sguardo, incuriosita, chiedendomi se
avesse capito chi ero, o se avessi qualche speranza di tenerglielo nascosto.
Ottenni immediatamente una risposta.
“Lina Inverse, suppongo.” Inclinò lievemente il capo.
“Ottimo travestimento. Non ti avrei riconosciuta, se non avessi saputo che ti
trovavi ospite di Eriol.”
Io mi morsi il labbro, chiedendomi se dovessi preoccuparmi.
Cercai lo sguardo di Bastian, ma il cavaliere non mi stava guardando. Anche lui
fissava il governatore, pensieroso.
“Come devo interpretare tutto questo, cavaliere?” Proseguì
il governatore, tornando a fissare lo sguardo sul mio compagno di viaggio.
“Stai forse tradendo il tuo signore? Ho sentito parlare della taglia. E’ sulla
bocca di tutti i viaggiatori che passano da queste parti.”
Osservai la fronte di Bastian aggrottarsi ed ebbi la vaga
impressione che si stesse imperlando di sudore. Il cavaliere attese per qualche
istante, come soppesando le parole con cui rispondere. Quando replicò, lo fece
in tono estremamente cauto. “Diciamo… che sto portando a termine un incarico
segreto. Non posso essere eccessivamente specifico, mio signore. Non voglio
coinvolgere voi ed l’area sotto la vostra giurisdizione in faccende che possano
mettere in discussione la vostra autorità, qualunque sia l’esito di questa
guerra.” Mi chiesi se volesse apparire cortese, o piuttosto mostrarsi
minaccioso. “Perciò vi chiedo semplicemente il permesso di trattare con la
vostra gente per l’acquisto di cibo e cavalli. Ce ne andremo oggi stesso e
nessuno saprà che abbiamo avuto a che fare con voi.”
Il governatore sorrise. “Con calma, Bastian. Con calma.
Suppongo di poter essere io a decidere quanto desidero essere
coinvolto.” Incrociò le braccia al petto. “E suppongo che noi due potremo
discutere per trovare un accordo.”
Bastian mi parve colto alla sprovvista. Questa volta mi
indirizzò una breve occhiata, ma non feci in tempo ad intercettare il suo
sguardo. In un momento, i suoi occhi tornarono sul governatore. “Immagino… di
sì.” Replicò quindi, con solo una breve esitazione. Lasciò andare il mio
braccio e solo allora mi resi conto che lo stava ancora stringendo. “Lina
Inverse, perché non vai a chiedere a qualcuno se può venderci un paio di
cavalli? Mi dicono che sei piuttosto abile con le trattative.”
Mi accigliai, immediatamente. “Ma…”
“Tanto vale velocizzare i tempi.” Mi lanciò un’occhiata, da
sopra le spalle. “Hai fretta di arrivare a destinazione, giusto?”
Potei solo rimanere a fissarlo, irritata. Tanto valeva dirmi
chiaramente che non avrebbero discusso delle condizioni del governatore di
fronte a me. Improvvisamente, mi sentii come una stupida merce che Bastian si
portava appresso per i propri scopi personali. Ma c’era poco da fare, in quel
momento. Alla peggio, avrei cercato di cavare fuori la verità al mio compagno
di viaggio in un momento successivo.
“Già.” Replicai, in tono cupo. “Tanto vale velocizzare i
tempi.”
Bastian annuì, brevemente. Si accodò al governatore e prese
ad allontanarsi verso l’area nord del villaggio, scortato dagli armati. Come
una povera idiota, rimasi a fissarli fino a che non scomparvero. Quando mi
riscossi, ero ormai completamente sola al centro della piazza.
Con un sospiro, presi a ripercorrere lentamente i miei passi
verso l’ingresso del villaggio. Ero irritata. Ero stanca di avanzare alla
cieca, senza avere parte in nessuna decisione. E poi, a chi mai avrei dovuto
chiederli, io, due cavalli? Tanto per cominciare, non avevo la certezza che
quella gente si sarebbe messa a trattare con una perfetta sconosciuta. Non
avevo idea delle loro usanze o di quanto potessi cercare di tirare sul prezzo
senza che, come Bastian aveva gentilmente suggerito, cercassero di trasformare
la mia testa nell’ornamento di una picca…
Mi bloccai sui miei passi. Al diavolo. Chi stabiliva che io
dovessi mettermi ad obbedire come un cagnolino ad ogni intimazione del mio
compagno di viaggio? Mi ricordai delle parole che mi aveva rivolto la donna dai
capelli bianchi. Anche quello, per essere precisi, era suonato come un ordine.
Ma approfondire quella faccenda mi pareva molto più allettante che mettermi a
litigare con qualche rugoso contadino per ottenere uno dei suoi purosangue ad
un buon prezzo. Pur nel suo delirio, anche la donna, come il governatore,
doveva avermi riconosciuta. Quale altro motivo avrebbe potuto spingerla a
parlarmi? Ero decisamente curiosa di scoprire cosa sperasse di ricavare
incontrandomi…
Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcuno a cui chiedere
indicazioni. Il villaggio, tuttavia, appariva nuovamente deserto. La gente
doveva essere tornata ai campi, o essersi chiusa nelle case per il pranzo. Ora
che ci pensavo, anche io cominciavo ad avere fame. Ormai il mezzogiorno doveva
essere passato da almeno un’ora.
Mi aggirai per qualche minuto alla cieca, fra le case
smesse. Stavo cominciando a pensare di bussare a qualche porta, quando
finalmente quelle che sembravano risate infantili mi indicarono la presenza di
qualcuno. Provenivano dal retro di una casa. Mi avvicinai, cautamente, e mi
trovai di fronte a due bambini, un maschio e una femmina. Stavano giocando
vicino ad una fonte dall’acqua ghiacciata, rincorrendosi a vicenda. Dovevano
avere entrambi una decina d’anni e i loro capelli color crema e i loro occhi
nocciola li accomunavano tanto da farmi concludere che si trattasse di gemelli.
Un grosso cane meticcio di colore bruno si aggirava con fare felice fra di
loro, scodinzolando ed abbaiando, intrufolandosi ad ogni passo fra le loro
gambe e rischiando di farli finire con il volto al suolo. Ma i due bambini
parevano più esilarati dal gioco che preoccupati della loro incolumità. Dovetti
sorridere. Avrei voluto essere altrettanto priva di pensieri, in quel momento.
Mi feci avanti e mi schiarii la voce. Immediatamente i due
si bloccarono. Il cane si mise ad abbaiare fragorosamente contro di me, ma i
bambini non parvero particolarmente intimoriti. Piuttosto, incuriositi dalla
mia presenza.
“Ehm… salve.” Esordii, messa vagamente a disagio dai loro
sguardi fissi. “Posso chiedervi un’informazione?”
La ragazzina si piegò per tenere a bada il cane, ma non
allontanò lo sguardo dal mio volto. Il bambino, invece, prese a scalciare un
sasso, senza prestarmi più attenzione. Immagino che ogni sua aspettativa fosse
stata delusa dalla mia banale battuta.
“Ecco…” Proseguii. “Avrei bisogno di sapere dove abita…”
Come potevo definirla…? “… la sacerdotessa della cerimonia di poco fa. Avrei
bisogno di parlarle.”
La bambina batté le palpebre e mi parve stupita. Anche il
fratello tornò a levare lo sguardo su di me, a quelle parole. “Parli di mia
sorella.” Osservò la piccola, cogliendomi di sorpresa. Quella donna doveva
essere più giovane di quanto non mi era apparsa, se aveva due fratelli di
quell’età. “Ma ne sei sicura? Sybil di solito non parla molto con la gente…”
“Ehm… in realtà… in realtà è stata proprio lei a dirmi di…”
“Dea, Martin!” Una voce femminile risuonò alle mie spalle,
facendomi sussultare. Volsi lo sguardo, ad incontrarne la proprietaria. Una
donna esile, non particolarmente alta, i capelli biondi striati di bianco che
ricadevano sciolti sulle sue spalle in crespi boccoli. Probabilmente era più
vicina ai cinquant’anni, che ai quaranta, ma si muoveva con un’agilità che mi
fece immediatamente pensare a una persona addestrata a combattere. “E’ l’ora
della meditazione! Il fatto di essere consanguinei della profetessa non vi
autorizza a scorrazzare come bestie per la città quando tutti gli altri
adempiono al proprio dovere!”
La donna ci raggiunse e mi superò, per pararsi di fronte ai
due bambini, le mani poggiate ai fianchi. “E non vi autorizza nemmeno ad
importunare i forestieri. Che cosa vi diceva sempre vostro padre riguardo ai
petti di scaglie?” Li squadrò, con fare austero. Io mi domandai se ‘petto di
scaglie’ volesse essere un nuovo, colorito, termine dispregiativo nei confronti
del mio –sottovalutato- seno.
“Ma madre!” Esordì la ragazzina, in tono di protesta. “Era
la signora ad avere bisogno di un’informazione! Ha detto che doveva parlare con
Sybil!”
“Con Sybil?” Anche la donna assunse un’aria stupita. Si
volse a guardarmi e, ne ebbi la netta impressione, mi considerò realmente per
la prima volta. “E cosa avete a che spartire voi con mia figlia?”
Sospirai. “Veramente sono la prima a non averne idea. Dopo
la cerimonia di poco fa mi ha fermata e mi ha chiesto di raggiungerla in casa
sua.”
Lo sguardo della donna si fece improvvisamente sospettoso.
“Voi siete la giovane arrivata qui con il cavaliere dei Vindicei, giusto?”
Afferrò le spalle dei due figli e li attirò a sé, con fare protettivo. “Le due
corti e la loro stupida guerra. Mia figlia deve essere tenuta fuori da faccende
del genere.” Il suo tono di voce era aspro. Ebbi l’improvvisa impressione che i
governanti di Elmekia non fossero particolarmente benvoluti, in quel villaggio.
“Se è per questo, sarei felice di esserne tenuta fuori
anch’io.” Precisai. “Sono solo di passaggio, qui a Elmekia. E in ogni caso,
come vi ho detto, non sono stata io a chiedere di parlare con vostra figlia.”
La donna assunse un piglio ostinato. “Sempre che sia la
verità…” Dichiarò, ostile. “In ogni caso, Sybil ora deve riposare. Ogni seduta
la debilita terribilmente. Per oggi, dubito che sarà in grado di parlare con
chiunque.” Tagliò corto, apparentemente non disposta a sentire ragioni.
“Madre.”
Una flebile voce femminile interruppe la nostra discussione.
Ci volgemmo entrambe. La sacerdotessa dai capelli bianchi era emersa dalla
porta posteriore della casa e ci stava fissando, poggiata allo stipite della
porta. Indossava ancora la veste candida che aveva portato durante la
cerimonia, il cui colore rivaleggiava con quello pallido della sua pelle. Vista
in quel modo, sembrava incredibilmente fragile.
“Sybil!” La donna lasciò gli altri due figli e le si
avvicinò, come per sorreggerla. “Che ci fai in piedi? Ora dovresti…”
La giovane donna la allontanò, con lo stesso fastidio con
cui avrebbe potuto scacciare una mosca insistente. “Decido da sola quando devo
riposare, madre.” Replicò, in tono aspro. “Lascia passare la mia ospite.”
L’espressione della donna più anziana si fece allarmata.
“Sybil… sai cosa avevamo detto riguardo a…”
“Falla passare, ho detto, stupida donna!!!” Sussultai,
quando la strattonò, minacciando di farla cadere al suolo. La madre mi parve
più ferita che sorpresa da quel comportamento. Sybil non doveva essere
precisamente il tipo della figlia amorevole.
La madre si ritrasse, rossa in volto. “Come… come
preferisci, figlia.” Arretrò, lasciandomi spazio. Ma non potei fare a meno di
cogliere l’occhiata ostile che mi rivolse, ritirandosi.
“Tu. Muoviti.” La sacerdotessa si rivolse a me. “Sono stanca
e voglio sbrigare questa faccenda per potermi mettere a riposare.”
Come ipnotizzata da quell’ordine perentorio, non riuscii a
reagire in altro modo che assecondandola. Varcai la soglia, e la sacerdotessa
si lasciò superare, per chiudere la porta alle mie spalle.
L’ambiente in cui mi trovai era avvolto in una cupa
penombra. Nonostante fosse pieno giorno, le imposte delle finestre erano
completamente sigillate e l’unica fonte di luce era la flebile fiamma di un gruppo
di candele sparse per la stanza. I miei occhi dovettero abituarsi all’oscurità,
prima che potessi cogliere i contorni del mondo attorno a me. Una stanza
dall’aspetto umile, con un tavolo, un camino, alcune mensole. Probabilmente,
una cucina. Istintivamente, mi trovai a pensare a Gourry. Mio marito aveva una
vista particolarmente acuta, anche quando un luogo era avvolto quasi totalmente
nell’oscurità. Ma maledissi la mia mente, per quell’involontario collegamento.
Ogni volta che pensavo a Gourry, il mio cervello mi riproponeva tutto ciò che
era andato storto dall’inizio di quella dannata faccenda e tutto ciò che avrei
potuto fare per evitarlo. Ogni volta che ci pensavo, la mia mente restava
attanagliata per ore dalla preoccupazione per la sua sorte.
“La luce solare mi infastidisce, dopo una seduta. Mi sembra
che la testa mi debba scoppiare.” La voce della sacerdotessa, nel buio, mi fece
rabbrividire. Non ci avevo fatto caso in precedenza, ma era diversa da quella
che era risuonata dalle sue labbra durante la cerimonia. Forse si trattava
semplicemente del fatto che la impostava in modo differente, ma aveva perso la
sua tonalità stridula e gracchiante e suonava più roca.
Mi volsi a fronteggiarla. Ci studiammo a lungo, ma alla fine
fu nuovamente lei a prendere la parola. “Siediti.” Mi intimò. “Preparo del tè.”
Era l’offerta che meno mi sarei aspettata da lei in quel
momento. Per qualche motivo, non riuscivo ad immaginare la donna folle che
un’ora prima gridava frasi incomprensibili contro il cielo ricevere un ospite
secondo le norme della buona educazione…
Ad ogni modo, ancora una volta obbedii senza fare domande.
Presi posto sul lato del tavolo opposto al camino, in modo da non darle le
spalle, e la osservai recuperare un bollitore già pieno d’acqua da un angolo
del tavolo e metterlo sul fuoco. Senza guardarmi, la sacerdotessa, si mise a
cercare fra le mensole e ne trasse due contenitori di ceramica, che poggiò sul
tavolo. Per un istante, quando lo fece, ebbi modo di osservarla attentamente in
volto e mi resi conto che, sì, in fondo non poteva avere molto più di
trent’anni. Era stata la sua aria esausta, insieme al colore dei suoi capelli,
a trarmi in inganno. Quella donna sembrava avere vissuto già più di quanto una
persona comune sarebbe stata in grado di sostenere… non potei fare a meno di
pensarlo, osservandola da vicino, e, per un momento, provai uno strano senso di
affinità, nei suoi confronti.
“Ecco.” Poggiò il bollitore sul tavolo e vi versò delle
foglie di tè dal più grande dei due contenitori. “Quello è miele, per
addolcirlo, se lo vuoi.” Occhieggiò l’altro recipiente. “Io ne ho bisogno.” Ne
versò copiosamente in una tazza con l’aiuto di un cucchiaio e quindi si servì
del tè, senza nemmeno attendere che rimanesse per qualche minuto in infusione.
Si sedette e bevette una lunga sorsata. Chiuse gli occhi e rimase a lungo in
silenzio, respirando a lunghi sospiri e ingollando sorsi di tè fino a che non
ebbe svuotato la tazza. Le sue mani tremavano lievemente, notai, ma a poco a
poco quel riflesso svanì, e quando si versò la seconda tazza le sue dita erano
ormai completamente ferme.
Rimasi immobile ad osservarla per un po’, prima di
realizzare che potevo infastidirla. Per distrarmi, mi servii anche io del tè,
addolcendolo con un po’ di miele. Era bollente, ma ottimo. Una varietà dal
colorito chiaro e dal vago retrogusto agrumato, che non mi era mai capitato di
assaggiare.
“Lo… coltivate voi, questo?” Mi trovai stupidamente a
chiedere, senza sapere in che modo intavolare una conversazione.
La sacerdotessa mi squadrò per un momento in silenzio ed
ebbi la netta impressione che trovasse la mia domanda fuori luogo. “Sì.”
Replicò, freddamente. “In scarsa quantità, ormai. I miei avi si spostavano e
sceglievano da sé cosa produrre per il proprio sostentamento. Ma ora le tasse
le paghiamo in prodotti della terra, perciò il nostro sovrano ha il diritto di
scegliere per noi cosa è meglio coltivare.” Il suo tono di voce era aspro e
tinto da più di una sfumatura di sarcasmo.
Abbassai lo sguardo. “Ehm… magari la guerra vi porterà
maggiore autonomia…” Osservai, cercando di uscire dal baratro della
conversazione imbarazzante in cui io stessa mi ero gettata.
“Il problema non è non avere autonomia, Lina Inverse.”
Sussultai, quando pronunciò il mio nome completo. “Il problema è non avere una
storia.” Poggiò la tazza di tè, e mi lanciò uno sguardo penetrante. “Che vinca
la capitale, che vinca Talit, che il governatore riesca a conquistarsi un suo
spazio di autonomia, non cambierà nulla. La nostra storia è quella di Elmekia, ormai,
nella mente di chiunque, nella mente del governatore stesso. Non abbiamo una
storia nostra, perché essa non ha abbastanza importanza da essere raccontata.
E’ questo il reale problema. E’ questo che rende irrisolvibile ogni
discriminazione nei nostri confronti.”
Osservai la curva amara, quasi rabbiosa, delle sue labbra,
non certa di capire pienamente di cosa stesse parlando. La sacerdotessa rispose
al mio sguardo con occhi febbrili, per un istante, ma quasi istantaneamente la
sua espressione tornò ad essere neutra. “Ma non è di questo che noi due
dobbiamo parlare oggi.” Concluse. “Queste faccende ormai non mi riguardano più.
Credo che se anche il governatore ci portasse tutti al mattatoio, in questa
guerra, non me ne importerebbe assolutamente nulla.”
Battei le palpebre. “Aspetta un momento… vuoi dire che il
governatore ha deciso di intervenire nella guerra?” Se il villaggio aveva
deciso di allearsi con Talit, allora Bastian ed io potevamo trovarci in seri
guai, in quel luogo.
“No, Lina Inverse. Non lo ha semplicemente deciso, è già
intervenuto. Ha preso una posizione mesi fa, appena gli è giunta notizia che il
vecchio sovrano si trovava sul letto di morte.”
Sbarrai gli occhi e mi levai in piedi, di riflesso. “Ma
allora… ma allora con quale dei due principi…?”
“Siediti. Non hai nulla per cui agitarti.”
Non ne ero convinta, ma tornai comunque ad appoggiarmi allo
schienale della sedia. Per qualche motivo, non riuscivo a disattendere alle sue
intimazioni. Quella donna emanava una strana autorità. “Con chi?” La incalzai,
ancora una volta. “Con chi siete alleati? Con Talit o con la corte?”
“Sai, Lina Inverse… il mio popolo tradizionalmente è sempre
stato dedito all’arte della guerra, alla cavalleria e alla caccia. Alleviamo
cavalli per combattere e falchi e cani per cacciare.”
Cominciai ad irritarmi. “E questo cosa mai dovrebbe
rivelarmi???”
“Tutto, se saprai osservare.” Mi guardò negli occhi, quieta.
“Ascoltami. Tu hai conosciuto i draghi che vivono sui monti Kataart.” Colta di
sorpresa da quel repentino cambio di discorso, mi scordai di assentire. Ma, del
resto, la sua non era una domanda. “Ti hanno detto di essere fra gli ultimi
esemplari di draghi neri e dorati rimasti in questa parte di continente, dopo
lo sterminio operato dai Mazoku, non è così?” Aprii la bocca, incerta se
confermare o tempestarla di domande, ma la sacerdotessa non mi diede il tempo
di parlare. “Bé, ciò non significa che siano i soli. Te ne sei già resa conto
da sola. I draghi dei monti Kataart hanno deciso di tagliarsi fuori completamente
dalle vicende degli esseri umani. Eppure tu, a Talit, hai avuto modo di vedere
dei draghi neri che hanno scelto di vivere a contatto con gli uomini, di
servirli, addirittura.”
“Sì, questo aveva risvegliato dubbi anche in me, ma…”
“Quei draghi neri non vengono dai monti Kataart.” Proseguì
la donna, senza lasciarmi il tempo di terminare. “Vivono qui, sulle steppe. Li
chiamano i rinnegati.” Si alzò in piedi e afferrò il bollitore, ormai quasi
vuoto, per abbandonarlo in un secchio colmo di stoviglie in attesa di essere
lavate. Ora sembrava molto più in forze di quando mi aveva ricevuta. Si muoveva
senza esitazioni e il suo volto aveva ripreso colore. “Non sono precisamente
stati cacciati dagli altri draghi. Vedi, fra draghi neri e draghi dorati non è sempre
corso buon sangue. I draghi neri hanno accusato per secoli i draghi dorati per
la loro arroganza, per il modo in cui cercavano di affermare la loro supremazia
sugli altri e si arrogavano il diritto di affermare ciò che era giusto e ciò
che era sbagliato.” Tornò a sedersi di fronte a me. “Quando si costituì la
società sui monti Kataart, non tutti scelsero di aderirvi. Un gruppo di draghi
neri si allontanò e si stabilì in quest’area.” Bevve un altro sorso di tè.
“Erano lande pressoché disabitate, ma meno riparate. Le condizioni di vita
erano molto più difficili. Per questo il numero dei draghi si è molto ridotto.
All’inizio erano diverse decine. Ora, pochi esemplari solitari. Si stanno
lentamente estinguendo.”
“Ma questo cosa c’entra con voi?”
La sacerdotessa si accigliò. “Anche noi abitiamo queste
terre da secoli. Abbiamo convissuto con questi draghi come con i nostri
cavalli, i nostri cani e i nostri falchi. In un rapporto di reciproco rispetto.
Spesso abbiamo fornito loro cibo e loro ci hanno fornito protezione. Capisci
ora dove voglio arrivare?”
“Vuoi dire che è stato il governatore a donare quei tre
draghi a Talit???” Tornai ad alzarmi in piedi. Non potei farne a meno.
“Suppongo che anche il governatore ti esporrebbe la cosa in
questi termini.” La sacerdotessa mi fissò dal basso in alto, cupa. “In realtà,
credo, si è trattato più di un’alleanza fra il governatore e i rinnegati per
portare avanti i propri reciproci scopi. Ad ogni modo, la sostanza non cambia.”
“Ma… ma allora…?”
“Non ti preoccupare.” La donna precedette la mia domanda.
“Non verrai consegnata a Talit.”
“E tu come fai a saperlo?”
Per la prima volta, osservai il barlume di un sorriso
comparire sulle labbra della mia interlocutrice. “Mi chiamano profetessa.
Immagino di conoscere qualcosa del mondo che mi circonda.”
“Profetessa?” Domandai, cauta. Ero molto scettica riguardo a
quel genere di cose. “Tu… sei capace di vedere il futuro?”
“Io non vedo il futuro.” Replicò tuttavia la donna. “Io vedo
solo la realtà per come essa è veramente.”
Continuavo a non capire. “Ma che cosa hai detto, oggi,
davanti a tutte quelle persone? Era una profezia, quella?”
La sacerdotessa si alzò, a sua volta. “Ho descritto loro la
realtà, come faccio ogni volta. Ma se è ciò che loro hanno udito ciò che vuoi
sapere, lo scoprirai stasera, quando il sacerdote interprete rivelerà a tutti
la traduzione delle mie parole.”
“Aspetta un momento… vuoi dire che nessuno ha realmente
capito quello che hai detto?”
La donna mi squadrò con supponenza, come se le avessi rivolto
una domanda estremamente stupida. “Credi davvero che la verità possa esprimersi
nel linguaggio comune?”
Scossi la testa. “Ma allora non è possibile nemmeno
tradurla, non è così?”
“Tu non capisci.” Mi incalzò la profetessa. “Quel sacerdote
non sa e non è interessato a scoprire il senso profondo delle mie rivelazioni.
Quel sacerdote dirà alla gente ciò che deve sentire. Rivelerà loro che
il nuovo anno che ci aspetta sarà un anno duro. Rivelerà loro che i raccolti
saranno poveri. Rivelerà loro che troveranno la loro gloria nella battaglia.
Per questo deve essere lui a farlo, per questo non posso essere io. Sarebbe un
bel problema se le mie parole mettessero in discussione i poteri del
governatore, giusto?”
“Ma… ma il governatore, oggi, sembrava credere a…”
“Oh, lui ci crede, e anche il sacerdote interprete ci crede,
esattamente come il resto della popolazione. Ma la loro è anche una
manipolazione. Le forme in cui il potere si esercita non sono mai semplici.”
Cominciavo ad essere confusa. Ma la cosa che più non
comprendevo era per quale motivo, realmente, mi avesse chiamata al suo
cospetto. Mi aveva rivelato un dettaglio importante su quella guerra, ma aveva
anche dichiarato che i combattimenti e il loro andamento non le interessavano.
E allora, che senso aveva tutta quella conversazione?
“So che ti stai chiedendo perché sei qui.” Mi stupì,
leggendomi nel pensiero, anche se probabilmente più interpretando la mia
espressione che non applicando fantomatici poteri di divinazione. “In effetti,
questa conversazione ha deviato da quello che doveva essere il suo scopo
principale. E’ di te, non di me, che dobbiamo parlare.”
“Di me?”
La profetessa annuì. “Ci sono alcune cose che devi sapere,
Lina Inverse. Cose che ho visto, su quanto sta per accaderti.”
I miei pugni si strinsero, mentre tornavo ad essere preda
dell’inquietudine. Non mi piaceva l’idea di ascoltare previsioni sul mio
futuro, anche se non credevo alle profezie. Non volevo che le mie scelte
fossero condizionate da ciò che credevo potesse accadermi. “Io… io non…”
La sacerdotessa si fece avanti, e mi afferrò nuovamente per
il braccio, una morsa ferrea. “Ascoltami bene, Lina Inverse, perché sono
informazioni importanti. C’è un assassino sulle tue tracce.”
“Un… un assassino?” Non era una grande notizia, considerando
che metà della popolazione di Elmekia non vedeva l’ora di uccidermi.
“Non devi preoccuparti delle altre persone. Devi
preoccuparti di lui. E’ un professionista, il gioiello della
corporazione degli assassini di Rolan, nell’ovest. Presto la guerra si
estenderà anche laggiù, sulla costa. Ma tu devi tenerti lontana da lui. E’
pericoloso. Non si fermerà finché non ti avrà uccisa.”
“M… ma chi è? Chi lo ha ingaggiato?”
“Ascoltami. Non devi preoccuparti di questi particolari.
Sta’ lontana da Rolan. Vattene da Elmekia appena puoi. Lui può ucciderti. E
questo non deve ancora accadere.”
“Perché? Perché vuoi salvarmi la vita?”
“Perché lei ha ancora dei progetti, per te.”
“Lei?”
“Vattene da Elmekia, Lina Inverse.” La sacerdotessa non mi
rispose. Si limitò ad afferrarmi per le spalle e scuotermi. “Vattene e basta.”
“Io… io non posso andare via ora. Devo ritrovare mio marito,
prima.”
A quella affermazione, la donna si zittì. Rimase a lungo a
fissarmi negli occhi, l’aria accigliata. “Tu… sei simile a me, Lina Inverse.”
Esordì, alla fine, in un sibilo. “O quanto meno, molto vicina ad esserlo.
Perciò ti dirò anche questo. Tu tradirai la persona che ti è più cara, se
rimarrai in questo regno. E verrai tradita a tua volta, da qualcuno che si era
conquistato la tua fiducia.” La sua presa su di me si fece serrata e dovetti
sopprimere un gemito. “Lo sai cos’è il tradimento, Lina Inverse? Lo sai che
quanto più profonda è la fiducia che ti lega ad una persona, tanto più esso
sarà devastante?” La voce si ridusse ad un sibilo. “Lo so a cosa stai pensando,
ma devi frenare il tuo scetticismo. Io non ti sto predicendo il futuro, ora. E’
tutto qui, nei tuoi occhi.” Mi lasciò andare all’improvviso e mi trovai a
barcollare. “Ci sono persone che possono diventare estremamente pericolose se
perdono il controllo sulle proprie emozioni, Lina Inverse, e tu sei una di
queste. Vattene. E’ meglio per tutti.”
Si fece indietro e tornò a sedersi al tavolo. Era nuovamente
pallida, ora, e sembrava aver perso tutto il vigore che aveva riacquistato dal
mio ingresso in quella casa. Io rimasi immobile, incapace di trovare un modo
per risponderle. Non sapevo se considerarla completamente pazza, o se essere
terrorizzata dalle sue parole.
“Io… credo di dover andare, ora.” Riuscii a balbettare alla
fine. Il buio e il chiuso di quella stanza si stavano facendo soffocanti.
Feci per volgermi, ma la voce della sacerdotessa ancora una
volta mi bloccò, con la sua voce autoritaria. “Lina Inverse.” La guardai in
viso. Le sue labbra erano ridotte a due pallide linee, ora. Mi parve
combattuta. Il suo pugno, chiuso sul tavolo, aveva preso a tremare vistosamente
ed ebbi l’impressione che fremesse per aggiungere qualcosa. Ma qualunque cosa
fosse, il suo autocontrollo alla fine ebbe evidentemente la meglio. “Hai
ragione, è meglio che tu vada, ora.” Dichiarò, la voce roca, e mentre
pronunciava quelle parole parve quasi essere sul punto di ripiegarsi su se
stessa. “Ho davvero bisogno di riposare.”
Non me lo feci ripetere due volte. Senza più azzardarmi a
guardarla in volto, aprii la porta e uscii nella luce del primo pomeriggio.
Rimasi per un momento appoggiata alla porta, accecata momentaneamente dal sole
pallido, e dovetti emettere diversi profondi respiri, prima di riuscire a
tranquillizzarmi.
I due bambini, all’esterno, erano spariti. Ora si vedevano
diverse persone muoversi nelle strade, tutte affaccendate e indifferenti alla
mia presenza. L’ora della preghiera, o del pranzo, doveva essere finita. Ma
anche a me, ormai, era passato l’appetito.
Mi avviai verso la strada principale, senza nemmeno essere
certa di dove mi stavo dirigendo. Stavo per raggiungere nuovamente il centro
della città, quando una presa ferrea mi bloccò nuovamente il braccio.
“Dove diavolo ti eri cacciata???”
Mi volsi, ad incontrare il volto irritato di Bastian. Il
cavaliere pareva affannato, come se si fosse affrettato alla mia ricerca.
“Ti vedo nervoso, cavaliere. Temevi che scappassi?” ‘Avrei
avuto motivo di farlo?’ Avrei voluto domandarglielo, e vedere la sua
espressione in risposta. Ma per quel poco che avevo imparato a conoscere di
lui, sapevo già che non mi avrebbe dato modo di capire nulla. “Andiamo a
cercare questi dannati cavalli.” Aggiunsi invece, in tono spassionato,
liberandomi dalla sua presa e avviandomi per la strada prima che potesse
rispondermi.
“Vuoi dirmi che in tutto questo tempo non lo hai già fatto?
E che diavolo stavi facendo, allora?”
“Non parliamo di me, parliamo di te.” La mia voce ora aveva
una sfumatura di sfida. Studiai il suo volto, mentre gli ponevo la mia domanda.
“Che cosa ti ha chiesto, il governatore, in cambio della sua collaborazione?”
Bastian, tuttavia, non mostrò nemmeno il minimo segno di
esitazione. “Mi ha chiesto di portare con noi un suo messaggero diretto alla
corte.” Rivelò, con mia sorpresa. “Dato che saremo di certo ricevuti dal
sovrano, muoversi con noi è come avere un lasciapassare per entrare a palazzo.”
Mi accigliai. “E perché avrebbe bisogno di consegnare un
messaggio al sovrano?”
“Non me lo ha detto.” Replicò semplicemente Bastian. “Non ha
nemmeno considerato la mia proposta di portare personalmente il suo messaggio,
per timore che lo leggessimo prima di consegnarlo. Ha detto che sono affari
riservati riguardanti il territorio sotto il suo controllo.”
“E tu hai accettato così, a scatola chiusa?”
“Non avevo grande scelta, ti pare? E poi, date le
circostanze, avere con noi una persona in più addestrata a combattere può
rivelarsi utile…”
‘Sempre che quella persona non stia cercando di ucciderti a
sua volta…’ Ma mi tenni per me questo pensiero. Non sapevo se fra Bastian e il
governatore ci fosse stato qualche altro tipo di accordo di cui il cavaliere
non aveva intenzione di parlarmi, ma la storia del protettore che deve saldare
il suo debito mi convinceva sempre meno. Per il momento, decisi che era il caso
di non raccontargli quanto la sacerdotessa mi aveva detto dei draghi neri. Non
ero certa di quanto già fosse a conoscenza, ma il fatto che non fosse al
corrente che io sapevo mi dava certamente un vantaggio su di lui.
“Ad ogni modo… il governatore ha detto che in cambio del
nostro favore si occuperà personalmente dei nostri approvvigionamenti e delle
nostre cavalcature.” Proseguì il cavaliere. “Quindi suppongo che per il momento
possiamo anche mangiare qualcosa e riposarci per qualche ora.” Deviò su uno
spiazzo coperto da uno rado materasso d’erba e si sedette. “Il governatore ci
ha accordato il permesso di accamparci all’interno del villaggio, stanotte.”
Offrirci una stanza nella sua residenza sarebbe stato un
onere troppo grande, immaginavo… Sospirai, ma finii per sedermi a mia volta.
Ero già stanca di dormire all’addiaccio, ma dubitavo che a qualcuno fosse mai
venuto in mente di aprire una locanda, in quel luogo sperduto. “Mi sta bene
anche fermarmi, ma non si era detto di velocizzare i tempi?” Domandai. “E’ solo
primo pomeriggio, potremmo quanto meno recuperare i chilometri che abbiamo
perduto con questa deviazione, prima che scenda il buio…”
“Il governatore mi ha chiesto questa mezza giornata per
procurarci il necessario per viaggiare e per permettere al suo messaggero di
prepararsi. Questa sera ci sarà un’altra cerimonia e parte dei suoi servitori è
impegnata nella sua preparazione, perciò non ho voluto mettergli fretta.”
“Mmm…” Non mi mostrai convinta, ma in realtà la prospettiva
di riposarmi per qualche ora mi sorrideva. In quei giorni non avevamo fatto che
camminare e con Bastian avevo avvertito molto di più il peso della stanchezza
che non quando mi trovavo al fianco di Gourry. Lo spadaccino trovava sempre il
modo di distrarmi.
Il languore che in quei giorni continuavo a provare, per la
mancanza di mio marito, tornò a catturarmi lo stomaco. Cercai di scacciarlo,
concentrandomi su qualcosa che distogliesse la mia attenzione. E la prima cosa
che mi venne in mente furono, mio malgrado,le parole della sacerdotessa. “A proposito di cerimonie…” Azzardai. “Tu…
sembri conoscere questo posto. Che mi dici della profetessa? Che tipo è?”
Bastian mi parve sorpreso a quella domanda. “Perché mi
chiedi una cosa del genere?” Il suo tono di voce, per qualche motivo, si era
tinto di sospetto.
“Niente di particolare.” Mi affrettai a rispondere. “E’ che
oggi vederla alla cerimonia mi ha incuriosito. Non capisco se sia una brava
attrice, o se abbia davvero delle capacità da veggente.”
“Mi stupisce questo scetticismo da parte di una maga.”
Bastian distolse lo sguardo, ma riuscii a cogliere fugacemente la sua
espressione. Mi parve infastidito.
Io mi accigliai. “Non c’è nulla di irrazionale nella magia.
Ad una azione corrisponde una reazione, come per qualsiasi altra cosa. Ma la
divinazione… bé quello è tutto un altro discorso.” Strappai un filo d’erba, e
presi a rigirarmelo distrattamente fra le dita. “Personalmente, credo che il
futuro non sia già scritto e che le variabili siano troppe per fare delle previsioni
certe. Però credo anche che ci siano persone abbastanza sensibili o abbastanza
sagge da captare la direzione che gli eventi prenderanno un attimo prima che il
filo della storia si dipani.” Spezzai il filo d’erba fra le dita e lo lasciai
cadere. “Razionalmente, questa è l’unica idea di veggenza che riesco ad
accettare.” Un’idea che, purtroppo, mi sembrava calzare su Sybil. Ma cercai di
non ripensare, in quel momento, a quanto minacciose erano suonate le sue
parole.
Bastian sbuffò. “Per quanto mi riguarda, queste cerimonie
sono solo stupide illusioni. Quella sacerdotessa insegue le proprie
allucinazioni, mentre il governatore la tiene in catene perché ogni anno gli
dia i responsi che più gli sono utili per mantenere la presa sul suo popolo.”
Il suo tono aspro mi disturbò. Era lo stesso che mi riservava quando criticava
la mia magia. “In ogni caso, non si tratta di un mio problema.” Cercò
all’interno della borsa ed estrasse della carne secca. “Mangiamo qualcosa,
invece che pensare a queste assurdità.”
“Non sono assurdità.” Non seppi perché mi impuntai. Forse,
mi ero solo stancata di sentire continuamente messo in discussione ciò su cui
io avevo fondato la mia vita. “Fa parte della realtà, che tu voglia accettarlo
o meno. Faresti bene a cercare di conoscere le cose invece che ignorare la loro
esistenza, o prima o poi finiranno per rivoltarsi contro di te.”
Il volto di Bastian si fece scuro. “E tu che cosa ne sai,
maga, di quello che io conosco o non conosco? Risparmiami le tue banalità.”
Banalità? Banalità??? “Io vorrei solo sapere perché
diavolo detesti tanto la magia nera!” Mi levai in ginocchio, incombendo su di
lui. “A Elmekia tutto il mondo pare essere diffidente nei confronti della mia
arte, ma tu ti candidi come presidente del comitato anti-magia, cavaliere! Mi
sono stancata di ricevere occhiatacce o commenti sarcastici ogni volta che
provo anche solo a iniziare a pronunciare una formula!”
“Non mi è stato necessario essere un mago per appurare che
la magia nera è infida e difficilmente controllabile!” Anche Bastian alzò la
voce, in risposta al mio tono alterato. “E poi, non riesco a capire come un
umano possa voler trarre la propria energia da un Mazoku! I demoni voglio
distruggere gli uomini! Le formule a loro legate portano morte e disperazione! Cosa
ti rende tanto diversa da loro, quando usi i loro incantesimi, Lina Inverse?”
“Questa è la più grande successione di idiozie che io abbia
mai sentito!” Finii per alzarmi in piedi, le mani che mi prudevano. Bastian
stava camminando su un terreno più pericoloso di quanto potesse realizzare.
“Anche una spada porta morte e distruzione, se è male utilizzata! Nella magia
non c’è nulla di diverso! E poi, vorrei tanto che la gente evitasse di parlare
a vanvera, quando non conosce le cose!!! Ci sono MILLE differenze fra il modo
di combattere di un mago e quello di un demone!”
Bastian assunse un’aria scettica. “Cosa, Lina Inverse? I
buoni sentimenti?”
Colsi il sarcasmo nella sua voce e questo non fece che
alimentare la mia irritazione. Nonostante questo, cercai di moderare il tono di
voce. La gente che ci passava accanto aveva cominciato a guardarci come se
fossimo stati squilibrati. “Al di là dei sentimenti umani, c’è qualcosa di noi
umani che ai Mazoku non è concesso avere…” Mi indicai la tempia con il dito. “Ed
è qui, nel cervello. E’ l’istinto di sopravvivenza.” Tanto per rimarcare che
non mi ero calmata, gli strappai di mano il pezzo di carne che stava per
addentare, e lo ingoiai in un solo boccone, con un certo, sprezzante gusto. “Un
demone vive migliaia di anni, e agisce in rapporto agli ordini, in una rigida
gerarchia.” Proseguii, ignorando la sua occhiataccia. “E’ un avversario
pericolosissimo. Ma al di là di ogni strategia, a volte proprio la prontezza di
risorse di un istante può diventare la chiave per batterlo. Perché è qualcosa
che non comprende.” Mi sedetti, lentamente. “Lo ho imparato lottando contro il
Demone Drago Garv. Lui aveva qualcosa di umano, in sé, e combatteva,
esattamente come me, per la propria sopravvivenza. E’ stata l’unica volta che ho
davvero avvertito di avere una motivazione comune con un demone. Perciò non mi
venire a dire che io e i Mazoku siamo simili, cavaliere. Dubito sinceramente
che tu abbia incontrato tanti demoni quanti me, nella tua vita.” Vidi Bastian
impallidire lievemente, a quella affermazione. Evidentemente, quella era una
delle ‘terribili voci’ sul mio conto che non gli erano giunte.
“Tu stai mentendo, Lina Inverse. Garv? Garv, uno dei cinque
re dei demoni?” Drizzò la schiena e mi osservò con stupore. L’irritazione di
poco prima pareva dimenticata. “Come si può lottare con un demone con la magia
che da lui stesso deriva?”
“Ovviamente un Mazoku non presterà mai la propria magia per
essere distrutto.” Replicai, in tono pratico. “Ma qualsiasi altro incantesimo
può funzionare. L’esito di una magia dipende per lo più dall’uso che se ne fa e
non dalla magia in sé. Quasi tutti i demoni con cui ho lottato li ho battuti
con i miei incantesimi. Ma prima che tu cambi improvvisamente idea su di me e
cominci a considerarmi la paladina della giustizia, sappi che per lo più lo ho
fatto per ragioni di autodifesa. Non sono così sciocca da andare a caccia di
esseri che potrebbero uccidermi con uno schiocco di dita solo per liberare il
mondo dalla loro presenza.”
Bastian mi rivolse uno sguardo incerto. “E perché diavolo
dei demoni avrebbero dovuto attaccarti? Che hanno a che fare i Mazoku con le
vicende di noi umani?”
Gli rivolsi un sorriso impertinente. “Chissà, magari anche
loro avevano una cattiva opinione di me. Attento, cavaliere, forse siete tu ed
i Mazoku ad avere più punti di somiglianza di quanto immagini.”
Ma Bastian non si irritò come avevo pensato, a quella
battuta. “Tu… sei uno strano tipo, Lina Inverse.” Si limitò a dichiarare,
squadrandomi con fare sospettoso.
Levai le sopracciglia. “‘Strano tipo’ è meglio di ‘pazza
assassina’. Direi che stiamo facendo dei miglioramenti.”
Il cavaliere sbuffò. “Una cosa non esclude l’altra.”
Sentenziò, semplicemente.
Nessuno dei due parlò più. Ci dividemmo il cibo e restammo
in silenzio, sbocconcellando carne, immersi ciascuno nelle proprie riflessioni.
Nessuno dei due pareva avere particolare appetito. Mi trovai a ripensare con
nostalgia alle lotte per l’ultimo pezzo di carne che ero solita ingaggiare con
Gourry.
Alla fine, Bastian emise un sospiro. “Comunque, ora è meglio
che ci riposiamo per qualche ora. Quando saremo fuori dalle mura di questo
villaggio avremo poche occasioni di dormire una notte intera.” Lo osservai
mentre estraeva due delle sue coperte dallo zaino e ne stendeva una al suolo.
Ripiegò l’altra a mo’ di cuscino, si strinse nel mantello e vi si appoggiò,
chiudendo gli occhi.
Restai ferma a guardarlo ripetendomi che dovevo imitarlo, ma
ero ben consapevole che in quel momento non potevo riuscire ad addormentarmi.
Il mento poggiato sulle ginocchia, fissai un punto nel vuoto e continuai a
riflettere per ore. Cercando di convincermi della fallacità dell’arte
profetica.
***
‘Decisamente… non va bene.’
Fissai la spada abbandonata al suolo, sconsolato. Avevo
pensato che avrebbe funzionato, ma… come Lina mi ripeteva spesso, le
supposizioni tendono a essere poco affidabili, quando non si ha idea di quello
che si sta facendo…
Sospirai. Mi piegai a raccogliere l’arma con la mano
sinistra e la rinfoderai. Quindi rimossi la fasciatura dalla mano destra.
L’aspetto del marchio era ancora peggiore di come lo ricordassi. La pelle era
arrossata non solo lungo i contorni, ora, ma su tutto il palmo. Formicolava
lievemente, a contatto con l’aria. Avevo pensato che con la fasciatura sarei
riuscito a reggere la spada senza che bruciasse in quel modo orribile, ma non
c’era niente da fare. Ogni volta che la imbracciavo, ero costretto a mollare la
presa dopo pochi istanti, sopraffatto dal dolore. Eppure, per quanto faticassi
a stringere il pugno, riuscivo ad impugnare le armi che erano date in dotazione
agli altri soldati… Se anche fossi riuscito a riabituarmi a combattere con
quella mano, pareva che avrei dovuto rinunciare a servirmi della spada magica
che avevo ricevuto da Lina, proprio in un momento in cui quell’arma così
maneggevole sarebbe stata in grado di facilitarmi le cose…
Dannazione. Se ci fosse stata Lina, con me, in quel momento,
di certo avrebbe trovato una soluzione.
“Gourry- san.”
Sussultai, al suono della voce di Sylphiel. Perso nella mia
concentrazione, non la avevo sentita arrivare. Mi volsi e la occhieggiai,
mentre scendeva cautamente il gentile declivio che conduceva al luogo in cui mi
ero ritirato per allenarmi. Il limitare di un boschetto, fuori dalla portata
dello sguardo di tutti i soldati che si erano radunati per l’addestramento nei
cortili.
“Gourry- san, dovresti rientrare a riposarti.” Mi pregò la
sacerdotessa, raggiungendomi. “E’ tutto il pomeriggio che sei in cortile ad
allenarti… e sei ancora convalescente, dopo la caduta…” La preoccupazione era
palese sul suo volto. Mi sentii immediatamente in colpa. Quei giorni non ero
stato molto in me, e Sylphiel aveva dovuto subire il mio cattivo umore, per
quanto non avesse colpa di quanto mi stava succedendo.
“E’ che devo trovare il modo di combattere anche con la mano
ridotta in questo modo…” Replicai, con un sospiro, tornando a fissarmi il
palmo. “Non so quando mio padre riceverà l’ordine di partire, ma potrebbe
avvenire presto. E io non sono assolutamente pronto a scendere in battaglia,
ora come ora.”
Sylphiel si morse il labbro, e mi afferrò delicatamente il
polso destro. Rigirò la mano, studiandone il palmo arrossato, e la
preoccupazione si incise ancora più profondamente sui suoi lineamenti. “Recovery.”
Mormorò, per l’ennesima volta da quando avevo scoperto il segno sulla mia mano.
Io la lasciai fare, ma con scarse aspettative. Nessun incantesimo pareva in
grado di funzionare, su quel marchio.
“Io credo che dovresti dirglielo.” Dichiarò, a mezza voce.
“A mio padre?” Replicai, cupo. “E come potrei? Potrebbe fare
del male a Lina.”
Sylphiel lasciò andare il mio polso. “Ma non è una cosa che
dipende da te! Non gli sarai di alcuna utilità, se non riuscirai a combattere!”
Provai ad aprire e chiudere la mano, ma la situazione non mi
pareva mutata. Scossi la testa, avvilito. “Si vede che non lo conosci. A mio
padre non interessano le giustificazioni. A lui importa il risultato.” Tornai a
legarmi la fasciatura attorno alla mano. “E comunque, alla peggio, posso sempre
cercare di usare la mano sinistra.”
“Ma, Gourry- san…”
“Lo so anch’io, Sylphiel, che non è la stessa cosa. Ma c’è
poco da fare.” Le lanciai un’occhiata. “Per favore, non dire nulla ai miei. Se
vedrò che non posso farcela, ti prometto che cercherò io un modo per parlare
con loro.” Non avevo certo intenzione di lanciarmi in una lotta suicida. Lina
mi aveva insegnato molto, a riguardo.
La sacerdotessa esitò per un momento, ma alla fine annuì.
“Però, ora vieni dentro, Gourry- san. Sta scendendo il buio, non concluderai
nulla restando qui a congelarti…”
“Temo che tu abbia ragione.” Sospirai. La fine di un’altra
giornata e nulla era cambiato. Lina non c’era, la guerra continuava ad
incombere. Solo l’aspetto del segno sulla mia mano peggiorava di giorno in
giorno.
Ci avviamo per la lieve salita che dai giardini del palazzo
conduceva all’entrata frontale. Stavamo raggiungendo il viale principale, il
sole al tramonto che, in fronte, ci accecava con la sua luce intensa, quando
udii qualcuno gridare il mio nome.
Aguzzai la vista. Sulla cima della salita, una figura si
muoveva di corsa verso di noi. Non potevo scorgerne il volto, ma identificai
immediatamente la voce come quella di mio fratello.
“Gourry!” Ripeté, affannandosi verso di noi. In pochi
istanti ci raggiunse, deviando dal viale e affondando con gli stivali nel fango
del prato.
“Che succede?” Domandai, sorpreso dalla sua foga.
“Guai.” Tagliò corto Derek. “Un messaggero è appena arrivato
dall’ovest. Non so cosa ci fosse scritto nella missiva che portava, ma ho visto
Lord Georg in volto dopo che la aveva letta, e la sua espressione non
prometteva nulla di buono. Nostro padre ha detto che ci vuole immediatamente
tutti e due al suo cospetto.”
Dovetti trattenere un sospiro. Non c’era un attimo di pace.
Mi accodai a lui e silenziosamente varcammo l’ingresso del
palazzo, verso la sala delle udienze. Sylphiel si affrettò dietro di noi nel
tragitto, ma quando mio fratello mi cedette il passo per chiudere il portale
della sala alle nostre spalle rimase indietro, ferma nell’atrio. Colsi il suo
volto pallido e il suo sguardo preoccupato, un attimo prima che la porta si
chiudesse. Non ebbi bisogno di domandarmi il motivo della sua ansia. Se
qualcosa si stava muovendo, al fronte, probabilmente anche il nostro
coinvolgimento nella battaglia non era lontano.
Nella sala trovai mio padre e Georg in piedi, silenziosi.
Alcuni altri vassalli del duca li circondavano, ma, notai, non era stato
convocato il concilio al completo. Se ci attendeva il coinvolgimento in qualche
missione, essa non riguardava comunque la totalità delle truppe.
“Ci siamo tutti, vedo.” Esordì Georg, non appena fummo
entrati. “Bene. Si tratta di una questione di una certa urgenza.”
Tutti si accomodarono lentamente negli scranni. Solo il duca
evitò di sedersi e continuò a percorrere a grandi passi lo spazio vuoto al
centro della sala, mentre parlava.
“Mi è appena giunto un messaggio dal governatore di Rolan.”
Affermò, senza tanti preamboli, quando ognuno fu al proprio posto. “La zona
costiera dell’ovest è sotto attacco.”
“Sotto attacco, mio signore?” Intervenne uno dei nobili. “Da
parte del principe Samon?”
Lord Georg sospirò. “Probabilmente lo preferirei.” Dichiarò,
arcigno. “Ma no, non si tratta di lui. Si tratta di nuovo del Re dei Pirati.”
Fra i presenti si levò un mormorio. Io, evidentemente, fui
l’unico a non capire. “Il Re dei Pirati?” Sussurrai a mio fratello. “E’ il
personaggio di una qualche saga romanzesca?”
Derek mi rivolse uno sguardo allucinato. “Come fai a non
conoscerlo??? Sei o non sei di Elmekia???”
Gli avrei risposto che in effetti da qualche anno non
frequentavo Elmekia con tutta quella assiduità, ma la voce di Georg,
sovrastando il vocio che si era diffuso nella stanza, troncò la mia replica sul
nascere. “Miei signori. Calma, per favore. Come vi ho detto, mi preme risolvere
la questione al più presto.”
Il mormorio si zittì. Georg indietreggiò e si sedette su
quello che era stato lo scranno di Eriol. “Questo inevitabilmente complica le
cose. Come sapete, il governatore di Rolan è un nostro importante alleato. Non
credo che i pirati abbiano preso accordi con la capitale, mio nipote non
avrebbe trattato con un fuorilegge. Piuttosto, ritengo che cerchino di
approfittare della guerra per rafforzare il proprio controllo su quella
regione. Ma se le forze militari del governatore saranno impegnate localmente,
il nostro alleato non potrà intervenire nella guerra fra le due corti. Non
possiamo assolutamente sottovalutare la cosa.” Incrociò le dita sotto il mento,
e si appoggiò al tavolo davanti a lui. “Il fronte occidentale rischia di
trovarsi scoperto di fronte ad un eventuale assalto di Samon. Dobbiamo
risolvere la cosa prima che la capitale abbia il tempo di mobilitarsi. Perciò
ho deciso di inviare delle truppe a Rolan, per aiutare il governatore a sedare
la ribellione dei pirati.” Levò il mento e fissò lo sguardo su mio padre. “Il
Lord Gabriev sarà il comandante a capo della spedizione. Gli altri Lord che ho
convocato saranno i suoi generali.” Alcuni dei volti dei presenti si
rabbuiarono, a quella notizia. Potevo immaginare perché. Il titolo di mio padre
non sarebbe stato sufficientemente elevato per consentire una simile gerarchia,
in condizioni normali. D’altra parte, la mia famiglia contava proprio sul fatto
che lo stabilirsi di una nuova corte portasse anche a ridefinire i gradi e le
alleanze fra i nobili e il sovrano…
Ad ogni modo, nessuno protestò apertamente. Tutti avevano
solo da guadagnare, nel dimostrare la propria fedeltà. E poi, se si trattava di
una missione davvero così importante, ciascuno dei presenti doveva essere
consapevole di essere nella cerchia di nobili che più godevano della stima del
nuovo pretendente sovrano…
“Il viaggio fino a Rolan richiede una decina di giorni. Ciò
significa che sarà necessario approntare le truppe al più presto, in modo da
raggiungere il governatore nel giro di due settimane. Nel frattempo gli invierò
un messaggero, comunicandogli la nostra intenzione di intervenire.” Si volse
verso mio padre. “Lord Gabriev, mi avete detto di avere un piano, per la
battaglia. Ritengo opportuno discuterne con voi immediatamente, in modo da
istruire al più presto i soldati. In quanto a voi…” Percorse con lo sguardo gli
altri Lord. “… vi prego di preparare le vostre truppe al più presto. Se
possibile, partirete fra due giorni, all’alba.”
Il piccolo gruppo si sciolse in pochi istanti. Solo mio
padre rimase al fianco di Georg, fino a che anche l’ultimo dei nobili non si fu
allontanato dalla sala.
“Edward.” Esordì l’aspirante sovrano, senza troppi
preamboli. “Mi dicevi dell’opportunità di creare delle barricate lungo la
costa…”
“Sì, mio signore.” Assentì mio padre. “Se il governatore ha
già cercato di contrattaccare via nave…”
“Ehm…” Mio fratello si schiarì la voce, interrompendoli. I
due si volsero verso di noi. “Col tuo permesso, padre, chiediamo di congedarci.
E’ consigliabile che anche i tuoi uomini vengano informati della mobilitazione,
prima di essere sommersi dalle voci provenienti dagli altri soldati.”
Mio padre si limitò ad annuire, sbrigativamente. “D’accordo.
Ci vediamo nella sala grande, per la cena.”
Mio fratello annuì e si precipitò fuori dalla sala. Io mi
affrettai dietro di lui. All’esterno, Sylphiel era in piedi vicino alla
scalinata e ci stava aspettando. Non appena ci vide si fece avanti, ma Derek
non le lasciò il tempo di fare domande.
“Gourry!” Si volse, di scatto, e mi trovai faccia a faccia
con i suoi lineamenti rabbiosi. “Non posso credere che tu non avessi idea di
quello che stavano dicendo!” Mi aggredì. “Non hai proprio il minimo interesse
per il tuo paese??? Ho dovuto trascinarti fuori di lì con una stupida scusa!
Hai idea di come avrebbe reagito nostro padre, se ti avesse interrogato davanti
al nostro futuro sovrano e tu avessi mostrato di non sapere di cosa stava
parlando???”
Io mi schermai con le mani, cercando di calmarlo. “Ehm…
Derek… ti… ti ringrazio per il pensiero, ma…”
“Non è un ‘pensiero’, Gourry!” Sibilò, in risposta,
evidentemente trattenendosi dal gridare. “E’ sempre così! Tu fai qualcosa di
sbagliato, e IO devo placare gli animi di nostro padre, IO devo essere il
figlio modello che lo ripaga di ogni aspettativa che va perduta con te!”
Strinse i denti. “Ma nonostante questo, nonostante tutti i miei sforzi, io
rimango unicamente ‘quello che fa solo il suo dovere’, mentre tu… tu entri
nelle leggende, tu diventi il ‘nuovo spadaccino di Luce’! Al diavolo!” Batté il
piede sulla dura pietra. “Sono stanco! Nostra madre ti adorava, nostro nonno ti
riteneva l’unico vero erede della Spada di Luce, persino nostro padre ha
trascorso gli anni a odiarti, senza accorgerti di quello che nel frattempo io
facevo per lui! Ma adesso basta! Basta!”
Frastornato dalle sue accuse, non riuscii nemmeno a
replicare. Lo osservai fissarmi con rabbia, girarmi le spalle e sparire, in una
porta che conduceva agli alloggi dei soldati.
Chinai il capo e rimasi in silenzio. Che cosa potevo dire?
In fondo, non aveva detto nulla di falso. D’altra parte, non avevo
deliberatamente scelto di inseguire la gloria. In tutta sincerità, avrei fatto
a meno di essere attaccato da signori dei demoni, di rischiare la vita in lotte
quasi senza speranza, di temere ogni giorno per coloro che amavo. Avrei molto
volentieri barattato quelle giornate di angoscia con qualche momento in più
trascorso girando il mondo insieme a Lina, senza altri pensieri per la testa.
Ma il rischio era il prezzo da pagare per restare al fianco di Lina, e questo
sì, lo avevo scelto, e lo desideravo. Ed era una decisione che nessun senso di
colpa mi avrebbe mai fatto rinnegare.
“Gourry… san?” Mi volsi verso Sylphiel. Pareva spaventata.
“Sylphiel.” Esordii, glissando sul discorso di mio fratello.
“Sai dirmi chi è il Re dei Pirati?”
La sacerdotessa esitò per un istante, evidentemente colta
alla sprovvista da quella domanda. “Il Re dei Pirati?” Chiese, di rimando.
“Intendi… Meghar, il mercante?”
Anche Sylphiel pareva sorpresa, di fronte alla mia
ignoranza. Mi grattai la guancia, sentendomi improvvisamente un perfetto
idiota. “Immagino… di sì. Se è così che si chiama…”
“Perché vuoi saperlo, Gourry- san? Anche lui è stato
coinvolto nella battaglia?”
“Pare… che abbia attaccato le città costiere dell’ovest.”
Sylphiel si incupì. “La cosa non mi stupisce. Per quanto ne
so, erano anni che attendeva un’occasione del genere…”
“Ma chi è?”
“Credo che sia
l’uomo più ricercato di Elmekia. Persino più di Lina- san.” La sacerdotessa mi
rivolse un debole sorriso. Si avviò verso lo scalone, e io mi mossi al suo
fianco, attendendo ulteriori spiegazioni. “Anni fa era un mercante regolarmente
iscritto alla Gilda.” Proseguì. “Uno dei più facoltosi dell’intero regno, in
effetti. Ma poi ha avuto dei guai con la legge. Ha eluso i massimali della
merce fissati dalla Gilda ed è stato condannato a un’ammenda. Che non ha mai
pagato.” Arrivata in cima allo scalone, Sylphiel deviò a sinistra, verso i
gradini che conducevano alla torre. “Ovviamente è stato espulso. Ma ormai era
troppo potente per essere liquidato. Si è costruito una flotta personale, e da
allora contrabbanda merci pregiate lungo tutta la costa.” Sylphiel si arrestò,
alla fine della seconda rampa di scale. In quel corridoio si trovava la sua
stanza. “Negli ultimi anni, pare che abbia stretto un sodalizio con i potenti
capi clan che infestano con atti di pirateria i mari di quella zona. Da questo
deriva il suo soprannome.” Si appoggiò alla parete, pensierosa. “Da quando si è
creata quest’alleanza le scorribande dei pirati si sono fatte molto più
organizzate. Molti pensano che Meghar miri a riunire tutta la zona costiera in
uno stato indipendente. E se è davvero così, nessuna occasione può essere più
propizia di questa guerra, per portare a termine il suo progetto.”
“Se davvero quest’uomo ha alle spalle una flotta di pirati,
si può dire che anche lui disponga di una specie di esercito…”
“Di certo non si tratta di un nemico che Talit possa
permettersi di sottovalutare.” Confermò Sylphiel. “Anche perché, per quanto ne
so, la flotta di Rolan ha un ruolo strategico piuttosto importante, per Lord
Georg.” Syphiel mi rivolse uno sguardo preoccupato. “La tua famiglia è stata
coinvolta nella lotta contro di lui, non è vero, Gourry- san? Allora è vero…
che dovrai partire presto…”
Sospirai. “Almeno finalmente farò qualcosa di concreto.
Forse, dopo questa battaglia, mio padre si deciderà a dirmi dove si trova
Lina.”
La sacerdotessa tacque, per qualche istante. Quando parlò,
la sua voce suonava determinata. “Allora verrò anch’io con voi.”
“Sylphiel…”
“Non potrei restare qui con l’ansia di non sapere cosa sta
succedendo. Non ho un ruolo qui. Insieme alle truppe almeno potrò aiutare gli
altri guaritori.” Mi si avvicinò, e la sua voce si ridusse ad un sibilo. “Senza
contare che non è detto che Amelia e mio zio non siano tenuti prigionieri
proprio a Rolan. C’è una prigione, laggiù, su una delle isole vicine alla baia.
Se Georg e Erianna volessero tenere nascosta ai propri sostenitori la notizia
del sequestro, sarebbe più sicuro nasconderli laggiù che tenerli a Talit.”
Ci avevamo pensato molto, in quei giorni. Al motivo per cui
a Talit la notizia del rapimento della principessa di Sailune non era passata.
Una delle possibili spiegazioni era che i duchi volessero mantenere il silenzio
su un’azione che, compiuta su una reale che non aveva ancora ufficialmente
preso parte alla guerra, si trovava al limite della legittimità. In quel caso,
effettivamente, era probabile che Amelia fosse tenuta prigioniera in qualche
luogo lontano da Talit. Immediatamente, il mio pensiero andò a Lina. Che anche
lei si trovasse laggiù?
“Non ho nulla in contrario.” Replicai, quietamente. “Solo…
non sarà semplice, Sylphiel. Già dal primo giorno di combattimenti. Lo so per
esperienza personale.”
Sylphiel strinse le labbra. “Lo so. Io… ricordo quando hanno
attaccato Sailarg. Quando mi hai salvato.” Mi fissò intensamente, come le era
capitato di fare un tempo, e per un momento mi trovai a disagio. Ma il suo
sguardo riacquistò presto compostezza. “So che sarà ancora peggio. Ma sento di
dover fare qualcosa.”
Annuii. La sacerdotessa si allontanò da me, con un sospirò.
“E’ meglio che vada a prepararmi per la cena, ora.” Fissò la mia mano, con aria
preoccupata. “Ed è meglio che dopo cena ti cambi quella fasciatura. Cerchiamo
almeno di evitare che peggiori.”
Le rivolsi un debole sorriso. “D’accordo. Grazie, Sylphiel.”
Anche la sacerdotessa mi sorrise, brevemente. La osservai
sparire nel buio del corridoio. Anche dopo che fu entrata nella sua stanza,
rimasi immobile per diversi istanti, reggendomi senza rendermene conto la mano.
E così… nuovamente guerra. Cercai di stringere il pugno, ma le mie dita furono
restie a chiudersi. Sospirai. Quando avessi trovato Lina, di certo tutto
sarebbe tornato a posto. Non era stato così, come per magia, anche quando la
avevo incontrata per la prima volta?
Continuai a ripetermelo, salendo i ripidi gradini verso la
cima della torre.
Ecco un altro capitolo! ^^ Mi rendo conto che questa
storia sta diventando la storia infinita, quindi ringrazio chi ha la pazienza
di continuare a leggere…XD Prima di procedere, ho alcune piccole note…
Per Daydreamer: mi ero scordata di risponderti, la volta
scorsa, ma per il momento Zel non è previsto…^^ (anche se non escludo nulla per
il futuro, visto che ho già cambiato alcune cose rispetto al piano originario e
che al momento questa storia pare scriversi da sola…XD)
Per DragonSlave: ho letto la tua recensione all’Assedio,
e non sapevo dove risponderti, quindi lo faccio qui…XD Innanzitutto grazie per
i complimenti (^__^)! Per i romanzi, esiste una traduzione ufficiale in inglese
dei primi otto, realizzata da una casa editrice americana. Ci sono diverse librerie
on line che li distribuiscono anche in Italia… non so se posso metterti i link
qui (forse sarebbe considerato spam), ma se mi contatti tramite il mio profilo
e mi mandi il tuo indirizzo e- mail, te li invio volentieri lì…^^
Per Fren (mia cugina/ gemella separata alla nascita…XD):
non preoccuparti, credo che tutte noi fan di Gourry abbiamo un po’ la sindrome
da Sylphiel…XDDD
E con questo è tutto! ^^ Buona lettura!
***
Albeggiava. All’orizzonte, il cielo aveva assunto la
sfumatura rosa pallido di una mattinata serena. Il cielo, ancora scuro e
tappezzato delle luci tremolanti delle stelle, era totalmente libero dalle
nuvole. Nel giro di un’ora, il sole sarebbe stato alto e un azzurro intenso ci
avrebbe sovrastati. Grazie al cielo. Non ne potevo più di stare di guardia,
tremando di freddo.
Dorak, il corpulento messaggero degli Enu, russava senza
ritegno, vicino al fuoco ormai spento. Era sdraiato supino, in posizione
sbracata. La sua mascella squadrata lasciava dischiuse le sue labbra carnose e
un filo di saliva gli scendeva dall’angolo della bocca. Lanciandogli l’ennesima
occhiata, feci una smorfia, e gli riservai un lieve calcio nel costato. Il
guerriero mugugnò e chiuse la bocca, cessando di russare. Ma questo non aumentò
la mia benevolenza nei suoi confronti. Quell’uomo batteva persino Bastian, nel
provocare la mia irritazione. Per fortuna ci trovavamo a meno di un giorno di
viaggio dalla capitale. Nel giro di ventiquattrore, se gli dei volevano, mi
sarei liberata di Bastian e di quel peso morto.
“Ehi, piccola… se mi fissi a quel modo, penserò che ti sei
finalmente innamorata di me.”
Sbuffai. Il peso morto in questione aveva appena deciso di
dare inizio al suo tormento quotidiano.
“Buongiorno, Dorak.” Dichiarai, atona, fissando lo sguardo
sul fuoco. Se gli avessi dato corda in qualsiasi modo non me ne sarei
più liberata.
“Certo che è un buon giorno chérie. Quale giorno
potrebbe essere migliore di uno passato a fianco di una ragazza tanto carina?”
Si levò a sedere, e mi passò il braccio attorno alla spalla. Ora, non
fraintendetemi. Non è che mi dispiaccia essere chiamata carina. Ma il braccio e
tutto il contorno erano piuttosto fastidiosi. In più, avevo come l’impressione
che l’unico requisito per essere “carine” agli occhi di quell’individuo fosse respirare.
Afferrai la sua mano e la rimossi lentamente dalla mia
spalla. “Dorak.” Esordii in tono pericoloso. “Ti hanno mai detto che dovresti
stare attento a dove poggi le dita, se non hai intenzione, prima o poi, di
perderle?”
Il guerriero vestì immediatamente il suo sorriso languido.
“Piccola, questo tono acido non si addice al tuo bel faccino…”
Anch’io gli sorrisi, un sorriso che a chi mi conosceva
avrebbe causato profondi brividi lungo la spina dorsale. “Vogliamo provare con
un incantesimo?” Mormorai. “Le formule, normalmente, hanno un suono molto
musicale…”
Il guerriero non ebbe il tempo di rispondere, e nemmeno di
spaventarsi. Una voce autoritaria si levò alle nostre spalle, rivelandomi che
la mia pace, per quel giorno, si era definitivamente trasformata in un pallido
ricordo.
“Dorak!” Bastian si avvicinò, e mi scostò bruscamente dal
guerriero, rischiando di mandarmi a gambe all’aria. Si interpose fra di noi, e
fece sollevare il messaggero in piedi, reggendolo per la collottola. “Quante
volte ti ho detto di lasciare stare la ragazza?” Sibilò. “Conosco fin troppo
bene le tue abitudini! Ma questa non è roba tua!”
‘Roba?’
“Bastian, Bastian, speravo che gli anni ti avessero tolto un
po’ della tua boria, ma vedo che sei ancora rigido come quando ti ho conosciuto.”
Sorrise, scostandosi dalla sua presa. “Forse farebbe bene anche a te
appropriarti un po’ della ‘roba’ altrui…”
Ok. Il consueto scambio di invettive. E ora sarebbe seguito…
“Maledetto bastardo!” Sibilò Bastian, estraendo la spada.
Mi portai la mano alla fronte. Lo sapevo. Se a ogni minaccia
di morte avessimo guadagnato un giorno di viaggio, saremmo già arrivati a
destinazione da un pezzo.
Con un sospiro, mi feci avanti, interponendomi fra i due
litiganti. “Rinfodera il testosterone, per favore, cavaliere.” Intimai, senza
nemmeno avere la forza di arrabbiarmi. “Non è successo nulla di grave.”
“Nulla di grave???” Bastian si volse verso di me, gli occhi
iniettati di rabbia. “Quanto pensi che manchi prima che questo essere
allunghi le mani? Il governatore sa perfettamente di che razza di bestia
viscida si tratta! Sarei pronto a scommettere che me lo ha accollato proprio
perché sa quanto lo detesto!” Bastian non parve preoccupato che l’oggetto del
suo odio venisse a conoscenza della sua opinione.
Sospirai, nuovamente. “Cavaliere, apprezzo il tuo impegno
nel ‘difendere il mio onore’, ma…”
“Onore un accidente!” La rabbia di Bastian, ora, si rivolse
verso di me. “Credi che Sir Gabriev si meriti che tu faccia la civetta col
primo idiota che passa?”
E chi diavolo faceva la civetta???
“Stammi a sentire, cavaliere!” Puntai il dito verso Dorak.
“Se anche questo individuo non fosse, come è, simpatico quanto un brufolo, e io
fossi perdutamente innamorata di lui la cosa non dovrebbe riguardarti!” Lo
fronteggiai, a denti stretti. “Ma se può consolarti, l’idea che sto cullando al
momento è quella di spedirlo in orbita con un Dragon Slave, e poi mandarti a
fargli compagnia…”
Il cavaliere impallidì, come sempre quando lo minacciavo con
la magia. Dorak, alle mie spalle, scoppiò in una sonora risata. “La ragazzina
sa metterti al tuo posto, eh, Bastian?” Si batté la mano sullo stomaco. “Da
morire, il grande cavaliere azzittito da una maga! Lina, tesoro, hai tutto il
mio sostegno!”
O dei. Un uomo con l’espressività di un cubo di porfido da
un lato, e il re degli idioti dall’altro. Che cosa avevo fatto di male, nella
mia vita, per meritarmi una punizione del genere?
D’accordo, non rispondete a questa domanda.
Anche Bastian aveva assunto un’aria rassegnata. “E’ il caso
di mettersi in marcia.” Dichiarò alla fine, in tono spassionato. “Speriamo di
raggiungere la capitale in giornata.”
Era una delle poche volte in cui mi trovava nel più completo
accordo.
Silenziosamente, radunammo le nostre cose. Quando
terminammo, il sole si era ormai levato all’orizzonte e la luna, in lontananza,
era impallidita fino a sparire. Ci avviamo deviando lievemente a ovest, il sole
alle spalle. Di fronte a noi si aprivano le prime distese verdeggianti, dopo
giorni e giorni di cammino nel nulla.
“Certo che, per esserci una guerra in corso, finora il
nostro viaggio è stato incredibilmente tranquillo.” Commentai, vagamente,
scrutando la quieta desolazione del panorama.
“Nella parte centrale del regno, c’è poco da conquistare.”
Replicò Bastian. “E comunque, per il momento non è ancora scoppiato un
conflitto aperto. Entrambi gli schieramenti stanno radunando le proprie forze.”
Si strinse nelle spalle. “Non durerà a lungo, in ogni caso. Lord Samon è
prudente quanto sua madre, ma il Duca di Talit non è altrettanto propenso ad
aspettare. Potrei scommettere che in questo momento le sue truppe si stiano
preparando a muovere verso nord.”
“Mm.” Mi limitai a commentare, tenendo ogni altra
considerazione per me. Se le cose stavano davvero a quel modo, speravo
sinceramente che anche Gourry in quel momento si stesse trovando già in viaggio
per la capitale, e che non rischiasse di trovarsi al centro della battaglia.
Non avevo ancora progettato esattamente cosa fare una volta che ci fossimo
ritrovati, ma avevo in mente un paio di opzioni. Quella che mi attirava di più,
al momento, era quella di allontanarmi dal regno e raggiungere Sailune. Non
avevo certo intenzione di essere coinvolta oltre in quella battaglia, ma ero
ancora curiosa di capire cosa avesse spinto Phil e Amelia a dichiarare guerra a
Talit. Sinceramente, anche la questione dell’assassino assoldato per uccidermi
mi incuriosiva. Sempre che la profetessa stesse dicendo la verità, mi chiedevo
se chi lo aveva ingaggiato lo avesse fatto semplicemente per via del mio
coinvolgimento in quella battaglia, o non ci fosse piuttosto qualcos’altro
sotto (l’ipotesi del ‘qualcos’altro sotto’ tende a essere sempre inclusa nelle
mie riflessioni, considerando che i tre quarti delle volte è più che
azzeccata). D’altra parte, non avevo la benché minima intenzione di avvicinarmi
a Rolan per scoprirlo. Sono forse tipo da fare deliberatamente qualcosa che mi
è stato rivelato essere pericoloso?
Per semplice informazione, anche questa era una domanda a
cui non rispondere.
“Per quanto mi riguarda, spero solo che la tregua duri per
un altro paio di settimane.” Dichiarò Dorak, avvicinandosi a me più di quanto
non trovassi opportuno. “Avrò ancora un altro viaggetto da compiere, dopo aver
portato a termine questa missione, prima di poter tornare a casa.”
Come se potesse interessarmi in qualsiasi modo quali fossero
i suoi progetti per il futuro.
“E tu, chérie, che farai, poi?” Le sue dita tornarono
a protendersi verso la mia spalla. “E’ un tale peccato che un uccellino come te
rimanga bloccato nella gabbia di suo marito…”
Senza nemmeno più arrabbiarsi, Bastian si fece strada fra di
noi, con un sospiro, bloccando la strada al braccio di Dorak. “Cautela, ora.”
Dichiarò, atono. “Stiamo entrando nel territorio della capitale.”
In lontananza, seguendo il suo sguardo, avvistai un
villaggio, certamente il primo degli abitati sotto la diretta giurisdizione del
sovrano. In silenzio, proseguimmo in quella direzione, e nel raggiungerlo
iniziammo ad incontrare segni sempre più frequenti dell’insediamento di
persone. All’orizzonte, ora, si intravedevano ampie zone coltivate. Dopo un
paio di chilometri, incontrammo la prima, larga strada lastricata. Nonostante
ci stessimo avvicinando alla civiltà, però, non c’era nemmeno l’ombra dei
viaggiatori che normalmente battevano le arterie commerciali. In parte
contribuiva anche la stagione invernale, certo, perché in quel periodo i
mercanti tendevano a non avventurarsi in rotte eccessivamente lontane o
impervie. Ma era evidente che quella desolazione dipendeva anche dal clima
della guerra. La maggioranza dei volti che incontrammo sulla via appartenevano
a mercenari in viaggio, come noi, verso la capitale. E non avevo dubbi che
percorrere quello stesso tragitto subito dopo il tramonto avrebbe significato anche
fare la conoscenza di buona parte delle bande di banditi della regione. Con i
soldati impegnati a preparare l’offesa verso Talit, quello era il momento
ideale per le loro scorribande. Per un momento, quando ci pensai, fui quasi
tentata ad attardarmi sulla via. Far saltare in aria un po’ di fuorilegge
sarebbe stato un ottimo rimedio allo stress del viaggio.
Purtroppo, però, avevamo l’espressa necessità di muoverci
evitando di essere notati. Per questo avanzammo inesorabilmente, per lo più in
silenzio (non che fosse un male, data la gaiezza della compagnia in cui mi
trovavo), mantenendo i cappucci dei mantelli sollevati e cercando di sparire
agli occhi delle poche, minacciose figure che ci si accompagnavano sulla
diritta strada verso la capitale. Una tattica che si rivelò vincente, almeno
finché, dopo diverse ore di cammino, non entrammo in vista delle mura della
città.
La capitale di Elmekia, che condivideva il nome con il suo
regno, aveva la stessa aria imponente di Talit. Era ovviamente più grande della
città ducale, ma, estendendosi in una ampia vallata, non trasmetteva, alla
prima occhiata, lo stesso senso di vertiginosa maestosità che colpiva l’ignaro
viaggiatore di fronte alla Perla. Gli edifici erano bianchi e grigi e
riflettevano la luce intensa del sole di quella limpida giornata invernale. A
prima vista, sembrava una tranquilla città in una qualsiasi mattinata
d’inverno.
“Il popolo di Elmekia è estremamente disciplinato.” Dichiarò
Bastian, come in risposta ai miei pensieri, mentre, da una delle basse colline
circostanti, scrutavamo la capitale, consumando in piedi il nostro breve pasto
di mezza giornata. “Non attenderti isteria per la guerra incombente. Se è come
immagino, coprifuoco a parte, in città chiunque sarà dedito alle sue normali
attività.”
“Gli abitanti della capitale, quindi, sostengono il loro
legittimo sovrano…” Osservai, soprappensiero, non pensando al fatto che Bastian
apparteneva, al di là di tutto, alla fazione opposta.
Il cavaliere mi rivolse un’occhiata indecifrabile. “Non posso
entrare nelle coscienze di chiunque, Lina Inverse.” Dichiarò, in tono acido.
“Ma suppongo che chi fra i nobili della capitale avesse intenzione di
appoggiare Talit se ne sia andato insieme alla regina. E che per quanto
riguarda la popolazione comune, le cose non cambino particolarmente. Il vecchio
sovrano era piuttosto amato. Samon era stato educato per anni da suo padre alla
gestione del trono. Il fatto che il re abbia dichiarato sul letto di morte la
preferenza per il figlio minore non cambia le leggi di successione, senza
contare che molto probabilmente hanno avuto un grosso peso le pressioni della
regina. Credo che alla gente questa lotta appaia ancora una banale questione
interna alla corte.” La sua voce si abbassò. “Anche se temo che le cose cambieranno,
una volta che avranno inizio i combattimenti veri e propri.”
Mi accigliai. “Per uno che qualche tempo fa sbandierava la
sua assoluta fedeltà alla causa di Talit, mi sembri improvvisamente sin troppo
ragionevole, cavaliere.”
“Io eseguo gli ordini del mio signore, il Lord Gabriev.
Perciò SONO fedele alla causa di Talit.” Replicò il mio interlocutore,
stizzito. “La mia opinione personale sulla faccenda non ha la minima
importanza.” Per un momento ebbi quasi pietà di lui. Io non mi sarei sentita
particolarmente orgogliosa di me, sminuendo le mie idee a quel modo.
“Se la taglia sulla tua testa prevede la clausola del ‘viva
o morta’, piccola, non ti sarà tanto semplice arrivare tutta intera di fronte
al sovrano.” Commentò Dorak, interrompendoci. Stava fissando pensieroso i
portali della città, dove un gruppo di guardie ispezionava chiunque entrasse o
uscisse dalle mura. “Non mi hai ancora spiegato come hai intenzione di farti
ricevere dalla corte.”
“Ho i miei mezzi.” Tagliai corto. Non sapevo se Bastian sapesse
del pendaglio che mi aveva affidato Livia, ma, alleati o non alleati, non avevo
certo intenzione di confessare ai miei compagni di viaggio, mentre ci trovavamo
in mezzo al nulla, che viaggiavo con indosso un medaglione di Ohrialcon,
presumibilmente di notevole valore.
“Non irritarti, tesoro.” Dorak mi rivolse uno dei suoi
sorrisi accondiscendenti. “Cercavo solo di appurare se la mia testa sarebbe
rimasta attaccata al collo, ancora per oggi.”
‘Se davvero sei così indifferente al fatto di perdere la testa,
grand’uomo, posso darti io una mano in quel senso.’
“In effetti, Lina Inverse, a questo punto sarebbe una buona
idea cominciare ad elaborare un piano. C’è la seria possibilità che le guardie
alle porte ci attacchino prima di ascoltare qualsiasi nostra ragione.” Nota al
lettore: l’unica cosa che poteva mettere Bastian in accordo con Dorak era il
fatto che Dorak mi rivolgesse qualche obiezione.
“Smetterla di chiamarmi a gran voce con il mio nome e
cognome sarebbe un buon inizio, cavaliere.” Sbottai. “Manca solo che tu ti
metta a recitare tutti i soprannomi con cui sono conosciuta, perché tutta
Elmekia sappia chi sono veramente.”
Bastian assunse un’espressione piccata, ma non replicò E’
brutto avere torto, eh, Mister ‘La Verità E La Giustizia Sono Sempre Dalla Mia
Parte’?
“E comunque…” Aggiunsi, in tono vittorioso. “Ho detto che ho
i miei mezzi. Fidati di me, una buona volta.”
Bastian mormorò fra i denti qualcosa che fui lieta di non
aver sentito. Con fare altezzoso, gli volsi le spalle, e presi a scendere lungo
il declivio della collina.
In realtà, mi sentivo un po’ in colpa, nel presentarmi di
fronte a Samon con il medaglione di sua figlia, senza però riportarla a lui
sana e salva. D’altra parte, tutte le volte che avevo ripensato a quella
questione, durante il viaggio, avevo finito per concludere di aver compiuto la
scelta più prudente. Livia non era di certo abituata a viaggiare come una
comune mercenaria, e averla con noi non solo ci avrebbe rallentati, ma avrebbe
certamente significato avere oltre ai semplici cacciatori di taglie anche parte
degli uomini di Talit alle nostre calcagna. Sapevo di essere egoista, ma non
avevo avuto grandi alternative. Se ci avessero catturati, uccidendo noi e
riportando indietro la principessa, la cosa non avrebbe di certo giovato a
Livia.
‘Erianna non le farà del male.’ Provai a ripetermi, per
sedare il mio senso di colpa. ‘Al di là di qualsiasi questione bellica, è pur
sempre sua nipote, non si è ribellata a lei e non c’entra nulla in tutta questa
questione. Non oserà.’
Purtroppo, non ero particolarmente abile
nell’auto-persuasione.
Persa in quelle riflessioni, quasi non mi resi conto che
avevamo ormai raggiunto le mura della città. Una lenta processione di carri
attendeva di essere ispezionata di fronte ai portali, la folla più folta che
avessimo incontrato da quando ci eravamo avventurati in quel viaggio.
“Lina In… Lina. Sei sicura di quello che stai facendo,
vero?” Mi domandò il cavaliere, scrutando la folla nervosamente.
“Cerca di rilassarti, Bastian.” Calcai sul suo nome,
lieta che finalmente il giochetto degli appellativi fosse finito. “Intrufolarmi
di soppiatto in una città non è certo una novità, per me.”
Il cavaliere mi guardò con l’aria di chiedersi che diavolo
di vita avessi vissuto fino a quel momento. Ignorai la sua occhiata. Dovevo
concentrarmi su questioni più urgenti.
Avanzai verso i soldati, a mano a mano che la fila di gente
di fronte a noi si sfoltiva. Quando giunse il nostro turno, mi feci avanti,
prima che qualsiasi fra i miei compagni di viaggio potesse parlare.
“Dichiarate gli scopi per cui richiedete l’ingresso nella
capitale.” Intimò una guardia con fare annoiato, senza cessare nel frattempo di
studiare, con attenzione ammirevole, le proprie unghie luride.
Io sospirai. Tanto valeva sfoderare da subito la carta del
pendaglio. Se avessi cercato un diverso stratagemma e mi avessero scoperta,
sarebbe stato molto più complicato, poi, dimostrarmi degna di fiducia.
“Siamo messaggeri. Inviati a corte dalla principessa Livia.”
“Mm. Scrivete i vostri nomi sui registri e consegnateli a…”
La guardia si bloccò, con l’espressione di chi aveva visto la sua unghia
prendere vita e improvvisare uno spettacolo di tip tap. Il suo sguardo si levò
finalmente su di me. “Che cosa hai detto?”
Era interessante, quel suo modo di recepire le cose in
differita. In qualche modo, mi ricordava mio marito.
“Ho detto che ci manda la principessa Livia.” Ripetei,
lentamente, come rivolgendomi a un bambino. “Abbiamo un messaggio per il
sovrano.”
La guardia indietreggiò di un passo, e mi fissò con stupore
e sospetto. “Non è possibile. La principessa è…”
“Ostaggio a Talit” Terminai per lui. “Lo sappiamo. Ma è una
storia un po’ lunga da spiegare. Se potessimo presentarci direttamente al
sovrano…” Bastian, al mio fianco, pareva allibito. Sapevo di avere una grande
faccia tosta. Ma a volte l’effetto sorpresa ha risultati sorprendenti, nel
disarmare il proprio interlocutore.
“Ma… ma…” Balbettò la guardia.
“Ho le prove, ovviamente.” Tirai fuori il medaglione di
Livia, con fare noncurante. “Questo mi è stato affidato dalla principessa. Sono
certa che Lord Samon lo riconoscerà.”
Le altre guardie si erano ormai accorte che stava accadendo
qualcosa di strano, e avevano formato un piccolo gruppo alle spalle del soldato
che ci aveva accolti, scambiandosi occhiate indecise. Fra la folla in coda alle
nostre spalle, si stava progressivamente levando un curioso mormorio.
“I… io… io non ho ricevuto direttive, riguardo a casi di
questo genere…”
Direi che era abbastanza ovvio. Dubitavo che Samon avesse
prospettato l’eventualità che una ricercata si presentasse alla sua porta con
un messaggio della sua figlia rapita.
“Lina… sei sempre sicura di quello che stai facendo,
vero?” Mormorò per l’ennesima volta Bastian, fissando con aria preoccupata i soldati.
Si vedeva che non era abituato come me e Gourry all’idea che esistesse sempre
l’opzione b.
Vale a dire, far saltare in aria tutto e darsela a gambe.
“Allora andate a chiamare un vostro superiore.” Replicai,
con calma, rivolgendomi al soldato. “Noi non abbiamo alcuna fretta.”
“Però…”
“Lina Inverse!”
Sussultai, quando sentii il mio nome pronunciato a gran
voce. Avevo evitato deliberatamente di rivelarlo, fino a quel momento. Il
fattore ‘pericolosa maga ricercata in tutto il regno’ poteva andare decisamente
al nostro svantaggio, nella trattativa.
Levai lo sguardo e, oltre il muro di guardie, individuai
immediatamente un volto noto.
“Gray???”
Si trattava di uno dei sacerdoti di Sailune. Uno fra i più
importanti, in effetti. Mi era capitato di approfittare delle sue cure, quando
ero stata coinvolta in qualche disavventura nel palazzo di Philionel. Ora si
trovava a pochi metri di distanza da me, in abiti da viaggio. Circondato da un
drappello di armati con le insegne di Sailune.
“Lina Inverse?” Ripeté la guardia, osservandomi con nuovi
occhi. Per un istante mi aspettai che cercasse di attaccarmi, ma
inaspettatamente, dopo solo un momento, il soldato si fece da parte insieme al
gruppo di armati che lo spalleggiava.
“Mia signora!” Gray si fece strada fra le guardie, fino a
raggiungermi. “Non posso credere di vederti qui! Il re Philionel sperava di
contattarti in qualche modo!”
“Philionel?” Ripetei, confusa. “Ma… la taglia sulla mia
testa…”
“La taglia è stata revocata.” Gray esitò per un istante,
pensieroso, quindi si volse verso il gruppo di soldati che lo accompagnava.
“Proseguite senza di me.” Dichiarò, con fare autoritario. Si sfilò dalla cinta
un rotolo di pergamena e lo affidò a quello che pareva il capo dei soldati.
“Pensate voi a consegnarlo al sovrano. Io tornerò a Sailune presto, insieme a
un’altra ambasceria. Il re deve sapere dei nuovi fatti.” Il soldato si limitò
ad annuire. Gray si volse nuovamente verso di noi e mi rivolse un breve
inchino. “Vi prego di seguirmi. Sarò io a condurvi a palazzo.”
Rivolsi uno sguardo ai miei compagni di viaggio. Bastian
pareva incredulo, Dorak divertito. Sospirai. Non avrei ricevuto grandi
contributi, da nessuno dei due.
“Ti ringrazio.” Mi limitai a replicare. Non avevo motivo di
non avere fiducia in un rappresentante della corte di Sailune. E, sinceramente,
vedere un volto amico era piacevole, dopo tutti i guai che avevo passato in
quelle ultime settimane.
Ancora lievemente stranita dal fatto che nessuno cercasse di
fermarci, mi avviai al suo seguito. La folla si aprì per farci strada, ed ebbi
l’impressione che il mio nome viaggiasse velocemente di labbra in labbra,
seguendoci nel cammino verso il palazzo.
Quello si prospettava di certo come un pomeriggio
interessante.
***
Al costo di suonare pessimista… continuava a non andare
affatto bene.
Eravamo giunti a Rolan da un paio di settimane. Appena messo
piede nel palazzo del governatore, mio padre aveva ordinato di innalzare delle
barricate sulle spiagge, in tutti i punti d’approdo dell’area sotto la giurisdizione
della città. In nave non avremmo potuto tenere testa ai nostri nemici,
sosteneva, ma in quel modo avremmo potuto impedire loro di portare avanti le
loro scorribande nell’entroterra.
Il problema era che, oltre alle numerose piccole isole che
costellavano la baia di Rolan, anche alcune aree in prossimità della costa si
trovavano già sotto il controllo dei pirati. Il governatore aveva impegnato i
suoi armati per impedire gli attacchi da terra, ma in quel modo ci eravamo
trovati improvvisamente stretti fra due fuochi, in una situazione di completo
stallo.
Questo, fino alla mattina della tempesta.
Si era abbattuta sulle coste con una violenza inaudita,
pochi giorni dopo che avevamo completato le barricate. Avevamo resistito,
temporaneamente, ma alla fine era stato inevitabile ritirarsi verso la città,
nell’attesa che il tempo placasse la sua furia.
Gran parte delle nostre attrezzature era andata distrutta, o
necessitava di essere riparata. Le nostre barricate erano state spazzate via
dal vento e dalle onde. Mio padre, però, si dichiarava ancora tranquillo. Anche
le navi nemiche avevano di certo subito dei danni, ci aveva assicurato. Non
c’era il rischio di un attacco imminente. Perciò Derek ed io avremmo dovuto
recarci immediatamente sulla spiaggia, per ripristinare la difesa, mentre lui
si sarebbe occupato della riorganizzazione delle truppe in città. Sembrava un
buon piano.
Immaginate quindi la nostra sorpresa, nel trovare sulla
spiaggia un plotone di truppe nemiche pronte alla nostra esecuzione.
La battaglia si era scatenata immediatamente e si era presto
trasformata in una accozzaglia confusa. Non era la flotta nemica al completo,
ma erano comunque in troppi. Qualcuno dei nostri era riuscito a fuggire per
dare l’allarme, ma nessun rinforzo era ancora giunto dalla città. Stavamo
perdendo. Avremmo dovuto ritirarci, ma da tempo avevo perso di vista mio
fratello, impegnato a gridare ordini frenetici nel tentativo di dare un senso
al nostro sconclusionato contrattacco. E le truppe di mio padre non avrebbero
sicuramente dato ascolto a me.
Frenai l’attacco di un soldato, facendogli perdere
l’equilibrio. Cadde di schiena, e venne trafitto da un mio compagno prima di
riuscire a rialzarsi.
Mi feci indietro, ripulendomi la fronte dal sudore. Dovevo
pensare a qualcosa, ma in quel momento non ero in grado di ragionare. Il
braccio destro mi pulsava in modo terrificante.
“Gwaaaaah!”
Gridando furiosamente, un corpulento guerriero si scagliò
contro di me. La luce del sole brillava sulla lama della sua spada e sulla sua
testa calva e madida di sudore. I suoi occhi erano iniettati della furia cieca
e inconsapevole scatenata dall’istinto di sopravvivenza.
Schivai il suo primo assalto con una certa facilità, ma
persi l’equilibrio sulla sabbia umida, e fui costretto a parare il secondo.
Solo l’adrenalina riuscì a permettermelo. Quando la sua lama impattò contro la
mia, assestando un violento colpo al mio braccio della spada, mi trattenetti a
stento dal gridare di dolore.
‘Non riuscirò a parare un’altra volta.’
Un panico cieco mi catturò le viscere. Quando ci separammo
ricaddi all’indietro. Inalai una boccata d’aria pregna dell’odore dell’umidità
e della salsedine, osservando il mio avversario che caricava, preparandosi a
piantarmi la spada nel petto.
Senza nemmeno pensare a quello che stavo facendo, raccolsi
una manciata di sabbia, e, nell’attimo in cui si preparò ad affondare, la
lanciai contro i suoi occhi. L’uomo gridò, abbandonando l’attacco e portandosi
la mano al volto. Ne approfittai per fare leva sul terreno, e riacquistare
l’equilibrio. Non gli lasciai nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto
stava accadendo. Impugnando la spada con la mano sinistra, affondai e gli
perforai il costato.
Il guerriero gridò di dolore, e ricadde all’indietro. Io
strisciai sulla sabbia, portandomi a qualche metro di distanza da lui. Il
sangue mi pulsava ancora nelle tempie, ribollendo della mia paura di perdere la
vita. Ma, strisciante, al terrore si aggiunse presto la vergogna per il gesto
che avevo compiuto. Non mi piaceva barare in battaglia. Ma un momento prima, di
fronte al rischio di essere ucciso, avevo scordato ogni mia regola.
Avevo dimenticato cosa volesse dire trovarsi al centro della
mischia. Agire unicamente in base all’istinto di sopravvivenza, senza valutare
le proprie mosse, perché il pensiero di un secondo poteva significare trovarsi
con una spada piantata nel fianco, o una freccia conficcata nella schiena.
Avevo odiato e odiavo, odiavo ancora con tutte le mie forze, quel genere di
battaglia. In quel momento ero terrorizzato come da anni non mi capitava di
essere.
Ma non avevo nemmeno il tempo per avere paura. Un altro
guerriero nemico si era già fatto avanti per attaccarmi. Dovevo rispondere al
suo assalto.
Stavolta mi rassegnai a reggere la spada con la mano sinistra.
Mio nonno mi aveva insegnato a maneggiarla anche in quel modo, quelli che
sembravano mille anni prima, quando aveva assunto il compito di addestrarmi
all’uso delle armi. Ma avevo meno forza nel braccio sinistro e in quel modo i
miei movimenti erano più lenti e goffi. Dovetti tenermi sulla difensiva,
limitandomi a parare gli attacchi del mio avversario, pregando che nessuno
attorno a me decidesse di venire a dargli man forte.
“Gourry!”
Una voce nota sovrastò le grida della battaglia. Prima che
potessi individuarne la fonte,
l’uomo che stavo affrontando cadde al suolo, colpito alle
spalle. Derek emerse da dietro di lui, il volto e le vesti sporche di sabbia e
di sangue che non gli apparteneva.
“Diavolo!” Gridò mio fratello. “Che stai combinando qui???
Avresti dovuto restare al mio fianco, nelle retrovie!”
“Retrovie?” Potei solo domandare, di rimando. Sinceramente,
mi pareva che quella battaglia avesse perso ogni struttura dal momento stesso
in cui era cominciata.
Mio fratello non ebbe tempo di rispondermi. Un armato grosso
almeno il doppio di lui lo caricò di lato, calando la spada dall’alto, mirando
al suo collo. Ma era avanzato così incautamente che bastò un mio fendente di
sinistro per metterlo fuori gioco.
“Derek!” Gridai, approfittando del fatto che la grossa mole
del guerriero caduto si interponeva fra me e i combattenti più vicini,
garantendomi una momentanea pausa dalla lotta. “Devi ordinare la ritirata! Ci
faremo massacrare!”
Mio fratello atterrò un armato che avanzava verso di lui dal
fianco, colpendolo di piatto al viso. “Non posso fare una cosa del genere!”
Ringhiò, di rimando. “Significherebbe aprire loro la strada verso Rolan!”
“Succederà lo stesso, se ci facciamo sbaragliare!” Tirai un
fendente disperato a un tozzo soldato che mi trovai di fronte all’improvviso,
riuscendo per puro caso a colpirlo al fianco. “Derek, non capisci che nostro
padre non verrà a salvarci? Sta certamente approfittando del fatto che noi
siamo qui a frenare i nemici per armare Rolan in modo che possa resistere all’assalto!”
“E allora dobbiamo fare in modo che abbia più tempo
possibile per farlo!” Replicò mio fratello, irremovibile. “Se vuoi salvare
l’intero corpo, devi rassegnarti all’idea di amputare la gamba malata!”
“Un intero gruppo di uomini mandato a morire non è una gamba
malata!!!” Gridai, atterrando l’ennesimo nemico, in preda a una rabbia
insostenibile. La cosa peggiore era che capivo le sue ragioni. Mio padre voleva
portare a termine la missione, e per farlo doveva vincere quella battaglia. Ma
io non volevo riuscire in nessuna dannata missione. Non avevo idea di dove
stesse la ragione, non sapevo se gli uomini che stavamo combattendo avessero
più diritto di Talit ad acquisire il controllo sulla città. Volevo solo che si
evitasse un massacro. E volevo salvarmi la vita, o Lina non me lo avrebbe mai
perdonato. Non potevo avere sprezzo della morte come mio fratello. Avevo una
motivazione troppo forte per continuare a vivere.
Derek parò l’assalto di un soldato che stava per colpirmi
alle spalle. Il suo viso si trovò a pochi centimetri dal mio, e per un istante
ebbi l’impressione di leggere nei suoi occhi gli stessi sentimenti, la stessa
paura e la stessa incomprensione che mi catturavano in quel momento. “E’ necessario,
Gourry.” Si limitò tuttavia a sibilare, il suo volto distorto in una
smorfia.
Non mi avrebbe ascoltato. Quella consapevolezza parve
scivolare come un liquido freddo all’interno del mio corpo, bloccandosi nel mio
stomaco. Non mi avrebbe ascoltato, anche se questo avesse significato la fine
di tutti noi.
“Derek, non…”
“Molto bene…” Una voce profonda mi interruppe, troncando
ogni mia possibile risposta. Levai lo sguardo. Un uomo alto e massiccio, dai
capelli rossastri e dalla pelle ambrata, si stava lentamente avvicinando a noi.
Non era più giovane, ma mi resi conto immediatamente, dal modo in cui si
muoveva, che si trattava di un combattente ancora agile. Camminava in mezzo ai
soldati in lotta come mosso da un sovrannaturale sesto senso, che gli
permetteva di evitare di essere trascinato nella mischia. “I fratelli Gabriev.”
Commentò, parandosi con sicurezza di fronte a noi ed estraendo la spada.. “Era
esattamente voi che stavo cercando.”
Io rivolsi lo sguardo a Derek, confuso, cercando di capire
se conoscesse il nostro interlocutore. Mio fratello era improvvisamente
impallidito.
“Derek?” Cercai di richiamare la sua attenzione, esitante.
“Sai chi è quest’uomo?”
Il guerriero vestì una strana smorfia. “Giusto.” Assentì,
con fare seccato. “Ho scordato di presentarmi. Sono Meghar, meglio noto come il
Re dei Pirati. Suppongo sappiate chi sono, visto che vi siete presi la briga di
arrivare fino a qui.”
Derek, per qualche ragione imperscrutabile, mi rivolse
un’occhiataccia. “Sappiamo chi sei.” Confermò, tornando a fissare il nostro
interlocutore. “Quello che mi chiedo è come tu faccia a sapere chi siamo noi.”
“Io sono solito informarmi sui nemici che sto per
affrontare.” Replicò il pirata, asciutto. “Soprattutto considerando che, se io
e i miei alleati vogliamo superare la fase della guerra e mettere a punto un
governo stabile in questa regione, dobbiamo costruirci una base su cui
trattare.” Avanzò di un passo. “E’ per questo che voi due, ora, verrete con me.
Sono certo che il Lord Gabriev comincerà a riconsiderare la sua tattica, quando
alla posta in gioco, per lui, si aggiungeranno un paio di ostaggi.”
“Al diavolo!” Anche Derek brandì la spada di fronte a sé,
affrontando il pirata. “Non siamo delle marionette che puoi pensare di
manovrare a tuo piacimento!”
“Derek!” Cercai di frenarlo. Mio fratello aveva raccolto la
provocazione con eccessivo entusiasmo, per i miei gusti. Non avevo potuto fare
a meno di notare che un gruppo di armati ci stava stringendo su due lati, e che
parevano attendere solo l’ordine di Meghar, per attaccarci. Il pirata doveva
essere un bravo combattente, e credo che si sarebbe volentieri confrontato da
solo in duello sia con me che con Derek, in altre circostanze. Ma evidentemente
non era un uomo avventato. Non ci avrebbe offerto l’opportunità di un
combattimento alla pari, in quel momento, e nemmeno una possibilità di fuga.
“Posso affrontarlo da solo!” Sibilò mio fratello. “Stai
indietro, Gourry!”
Ma io avanzai di un passo, senza abbassare la spada. “Temo
che non sia una sfida quello che sta cercando…”
Meghar mi rivolse un’occhiata, e per la prima volta un
barlume di interesse nei miei confronti balenò nel suo sguardo. “Sembri avere
un istinto del tutto peculiare, spadaccino.” Levò la mano sinistra, e i suoi
guerrieri presero improvvisamente a stringersi attorno a noi. “Purtroppo, in
questo momento non posso onorare la tua abilità con un combattimento leale. Ci
sono troppi interessi in gioco.”
Ci ritrovammo accerchiati su tutti i fronti. Anche Derek
parve rendersi conto di quanto stava accadendo, perché prese a indietreggiare
lentamente, fino a trovarsi con la schiena premuta contro la mia.
“Vedo che avete compreso la situazione.” Dichiarò Meghar,
senza particolare sentimento. “Vi prego di considerare il fatto che la vostra
resa faciliterà le cose sia a me che a voi.” La sua voce assunse una sfumatura
di minaccia. “Soprattutto in considerazione del fatto che non potrei
rimproverare i miei uomini se, nella foga della lotta, accadesse qualche
spiacevole incidente… in fondo, all’occorrenza, posso accontentarmi anche di un
solo ostaggio…”
Battei le palpebre. “Cioè, lascerai andare uno di noi?”
Il palmo della mano di mio fratello mi colpì sulla nuca.
“Idiota!” Sibilò. “Intende dire che ucciderà uno di noi, se ce ne sarà
bisogno!”
Ahi. Mio fratello aveva ancora meno senso dell’umorismo di
mia moglie, in quelle situazioni…
“Puoi anche minacciarti con il tuo intero esercito, per
quanto mi riguarda!” Proseguì Derek, rivolto al nostro avversario. “IO non mi
farò certo catturare vivo!”
Meghar sorrise. “Allora devo solo sperare che tuo fratello sia
più ragionevole di te.” Mormorò, con fare vagamente divertito.
Mi morsi il labbro. Non ero particolarmente entusiasta dei
programmi di mio fratello, per la verità. Cercai freneticamente di vagliare le
nostre possibili scelte. Se avessimo fatto breccia fra gli uomini di Meghar per
allontanarci, certamente il pirata ci avrebbe attesi al varco, con la sua
spada. Il che significava che avevamo una sola possibilità: che uno di noi
cercasse di tenere a bada il capo, mentre l’altro si faceva strada fra i suoi
armati e fuggiva da quel luogo. Chi fosse rimasto sarebbe quasi certamente
stato catturato… ma, come Meghar aveva precisato, c’era bisogno di almeno un
ostaggio. Il che significava che, almeno per il momento, chi fosse finito nelle
mani dei nostri nemici avrebbe avuto salva la vita.
Ma come potevo comunicare la mia idea a mio fratello senza
che anche i nostri nemici ci sentissero?
‘Non c’è grande scelta.’
Sospirai. E pensare che, dall’inizio, io non avrei voluto
avere niente a che fare con tutta quella faccenda.
“Derek.” Sibilai. Mio fratello volse la testa, con fare
seccato, forse aspettandosi un’altra domanda stupida. Io indietreggiai di un
passo e gli posi una mano sulla spalla. “Se vuoi davvero aiutare nostro padre…
togliti di qui!”
E aiutandomi con un piede, lo spintonai verso i guerrieri
che lo fronteggiavano.
Incomprensione, stupore e puro terrore si dipinsero
successivamente sul viso di Derek. Mio fratello saltellò e barcollo, agitando
le braccia, ma non riuscì a fermarsi. Lo spinsi con tale violenza che soldati,
colti di sorpresa, non poterono fare altro che scansarsi.
Fino a che Derek si trovò fuori dalla loro cerchia.
Era una “tattica” particolarmente amata da mia moglie, e di
cui per lo più ero io la vittima. Dal momento che si era rivelata efficace in
tante occasioni, non vedevo perché non avrei potuto provare a sfruttarla anche
io, una volta tanto.
Meghar capì immediatamente le mie intenzioni. Con un grido
di rabbia, fece per scagliarsi in direzione di Derek, ma, prima che potesse
superarmi, intercettai la sua lama con la mia.
“Scappa!” Gridai nuovamente, rivolto a Derek, stringendo i
denti per l’impatto delle braccia possenti del guerriero sulla mia spada. “Da
nostro padre!”
Derek era troppo stranito dal mio gesto per obiettare.
Avvertii il suo sguardo sulla mia nuca per un momento, ma poi mio fratello
scattò verso gli alberi che, dal limitare della sabbia, torreggiavano sulla
spiaggia.
“Fermatelo!” Ruggì Meghar, tirando un altro fendente, nel
tentativo di farmi sbilanciare. Ma anche gli uomini del pirata erano stati
colti troppo di sorpresa per reagire prontamente. Quando scattarono verso mio
fratello, Derek era già stato risucchiato dalla mischia dei combattenti.
“Dannazione!” Meghar colpì la mia lama con tanta violenza
che dovetti parare con due mani, e rischiai a mia volta di precipitare
all’indietro. Il braccio destro, prima dolorante, ora era percorso da uno
strano formicolio. L’elsa pareva pronta a sfuggirmi dalle dita ad ogni istante.
Indietreggiando di un passo, fronteggiai il mio avversario.
Il suo volto, ora, era una maschera di rabbia.
“La sua fuga non cambia le cose.” Sibilò. “Un ostaggio, come
ho detto, è più che sufficiente.”
“Non ho molta altra scelta se non cercare di difendermi,
allora…” Osservai, con rassegnazione, sforzandomi di levare la spada. Non mi
serviva volgermi per sapere che i suoi uomini, alle mie spalle, stavano
avanzando verso di me. Ma forse avevo qualche possibilità di vincere.
Forse.
Sospirai. Avrei dovuto ascoltare con più attenzione, mentre
Lina mi parlava dell’importanza dell’ottimismo in battaglia.
***
“E così… anche Amelia è stata presa in ostaggio…”
Sedevamo tutti e quattro, Gray, Bastian, Dorak ed io,
attorno a un tavolo, in uno dei salotti privati del palazzo reale di Elmekia.
Il servitore che ci aveva accolti era sparito in uno dei corridoi che
conducevano agli appartamenti reali, in cerca del sovrano.
Mi rigirai la tazza di tè fra le mani, inquieta. Migliaia di
ipotesi si stavano accavallando nella mia mente.
“Appena il re Philionel ha saputo che Lord Samon aveva posto
una taglia sulla tua testa, ha immediatamente dato ordine che venisse
revocata.” Proseguì Gray, in tono grave. “Lord Samon sosteneva che averti come
avversaria, a difesa di Talit, sarebbe stato estremamente pericoloso… ma il mio
sovrano gli ha assicurato che, qualsiasi cosa fosse accaduta, non ti saresti
mai alleata con chi minacciava sua figlia…”
Mi accigliai. C’era qualcosa che non mi quadrava, in tutta
quella faccenda. “Ma siete certi… che Amelia sia realmente nelle mani di
Talit…?” Non riuscivo a capacitarmi che Gourry ed io, in due settimane di
permanenza alla Perla, non ci fossimo resi conto di nulla…
Le labbra di Gray si strinsero e, forse inconsciamente, il
sacerdote abbassò la voce. “In verità anche il mio signore ha dei dubbi.”
Dichiarò, cogliendomi di sorpresa. “In fondo, gli uomini incaricati di ricevere
la principessa erano i soldati della capitale. Sarebbe stato semplice per loro
più che per chiunque altro cogliere di sorpresa la mia signora e la sua
scorta…”
Battei le palpebre. “Intendi dire… che potrebbero avere
ordito una messinscena per attrarre Sailune dalla propria parte???”
Alzai involontariamente la voce. Bastian mi rivolse
un’occhiata nervosa, mentre Dorak continuò ad aggiungere zucchero al suo tè,
ostentando indifferenza. In realtà, non avevo capito esattamente che ci facesse
ancora con noi. Pensavo che una volta superati i portali del palazzo, se ne
sarebbe andato immediatamente per la propria strada. Ma, presa dalle
spiegazioni di Gray, non avevo pensato di rivolgergli obiezioni.
“Il re Philionel sospetta qualcosa di simile…” Replicò il
sacerdote, con calma. “Non ha certezze, ovviamente, e per dire la verità
nemmeno indizi. Lord Samon sa che re Philionel gli ha promesso la sua alleanza
solo per via di sua figlia, per questo al momento non sta tirando troppo la
corda, con lui.”
“E Phil accetta di combattere al fianco di Elmekia pur
avendo di questi sospetti?” Ero stupita. Philionel non era certo tipo da mezze
misure. In circostanze come quelle, lo immaginavo dichiarare apertamente i suoi
sospetti, piuttosto che accettare di venire manipolato.
“C’è la vita di sua figlia in gioco, mia signora.” Replicò Gray, cupo. “Avere
dei messi in pianta stabile qui alla capitale è il mezzo più efficace per fare
delle indagini senza essere notato.” Il sacerdote levò la tazza e bevve un
sorso di tè. “Senza contare che per il momento la battaglia sembra ancora
lontana.”
Lontana? Lo fissai, accigliata. Voleva dire che la notizia
della morte di Eriol non era ancora giunta alla capitale?
“Ad ogni modo, mia signora…” Proseguì Gray, prima che
potessi rivolgergli qualsiasi domanda. “Sono convinto che re Philionel sarebbe
felice di averti alla sua corte, in un momento come questo. Nel giro di qualche
giorno dovrò raggiungerlo a Sailune, e se vorrai accompagnarmi nel mio viaggio
sarai più che bene accetta.” Mi studiò per un momento. “Anche tuo marito,
ovviamente, se è previsto che ti raggiunga. Anzi… mi stavo chiedendo come mai
non si trovasse al tuo fianco, come al solito…”
“Lina Inverse.”
Una voce profonda, dalle mie spalle, interruppe la nostra
conversazione, impedendomi di rispondergli. Mi volsi. Un uomo aveva fatto il
suo ingresso nella stanza. I suoi profondi occhi verdi mi rivelarono
immediatamente la sua identità.
Mi levai in piedi. “Lord Samon, suppongo.”
Il nobile si fece avanti, e mi strinse la mano. “Samon.”
Replicò. “E dammi del tu. Non siamo davvero in un momento adatto alle
formalità.”
Ironicamente, Samon somigliava molto di più alla madre
rispetto al fratello. Aveva ereditato i suoi capelli castani, insieme ai
lineamenti marcati e al naso aquilino che conferivano a Erianna un aspetto
tanto austero. Non si poteva dire che fosse un brutto uomo, ma il suo volto non
possedeva di certo il medesimo fascino pulito di quello del fratello.
“Samon…” Ripetei “Credo di doverti ringraziare per…”
“Mia figlia.” L’erede al trono non mi diede il tempo di
terminare. “Come sta mia figlia?”
Rimasi per un momento interdetta, di fronte a quello sfoggio
di amore paterno. Con un breve gesto, estrassi nuovamente il medaglione da
sotto il mio mantello. “Sta bene.” Replicai, cauta. “Mi ha chiesto di darti
questo, per farmi riconoscere come amica, qui a palazzo.”
Samon afferrò il medaglione, e se lo rigirò fra le dita.
“Livia…” Sussurrò, la voce densa di preoccupazione. “Lei… capisce sempre al
volo questo genere di cose. Sarebbe un’ottima regina.”
Spostai il peso da un piede all’altro, a disagio. Quella
reazione non leniva certo il mio senso di colpa.
“Qual è il tuo scopo qui alla capitale, Lina Inverse?”
Domandò l’erede al trono dopo qualche istante, riacquistando compostezza. Levò
lo sguardo dal medaglione e mi fissò attentamente negli occhi. “Per quale
motivo mia figlia ti ha inviata qui?”
“Ecco…” Mi resi conto in quel momento che, in effetti, mi
ero presentata come messaggera di Livia. “… tua figlia, in realtà, ha
semplicemente agito per salvarmi la vita… Anche Talit ha posto una taglia su di
me perché… perché mi sono rifiutata di collaborare con loro.” Decisi di
glissare sull’accusa di omicidio. Livia o non Livia, dubitavo che Samon potesse
trovare felice l’idea di ospitare una potenziale regicida… “Livia mi ha detto
che qui mi avreste garantito protezione. Non chiedo tanto, in realtà. Volevo
appurare che la taglia sulla mia testa venisse rimossa, ma a quanto pare il
problema non sussiste più.” Feci una pausa. “Ho solo bisogno di attendere una
persona qui in città, e poi toglierò immediatamente il disturbo.”
“Capisco.” L’erede al trono mi parve deluso. “E… non c’è
altro, suppongo…?”
‘Sì, c’è qualcos’altro.’ Me ne resi immediatamente conto.
Forse non era solo per assicurare la mia salvezza che Livia mi aveva chiesto di
recarmi alla capitale. Se la notizia dell’assassinio del secondo erede al trono
non era davvero trapelata al di fuori di Talit…
“In realtà…” Deglutii, incerta sulla reazione che avrei
incontrato, e gli rivolsi una lunga occhiata. “… in effetti c’è anche qualcosa
di cui Livia probabilmente desiderava che veniste a conoscenza.” Già. C’era
una notizia utile che potevo riportare alla corte. Una notizia che di certo
avrebbe mutato l’aspetto di quella guerra. “Tuo fratello Eriol… è morto, Samon.
Ucciso all’interno del palazzo di Talit.”
Gli occhi dell’erede al trono si spalancarono. Lo vidi
vacillare, e per un momento temetti seriamente che sarebbe crollato al suolo.
Raggiunse con la mano il retro di una sedia, e la attrasse a sé per
sorreggersi.
“Eriol…” Ripeté, incredulo. “… morto…?” Si portò la mano
alla fronte. “Non… non riesco a crederci… Ma come… chi…?”
Anche io arretrai verso la sedia, e tornai a sedermi.
Cercando qualcosa per distrarmi, afferrai la mia tazza di tè ormai fredda e mi
concentrai sul movimento circolare che infrangeva la superficie del liquido.
Dovevo dirgli di Lord Georg? Livia era stata piuttosto
sicura delle sue parole… ma dovevo davvero prendermi la responsabilità di
rivelargli qualcosa del genere, quando non lo avevo visto con i miei occhi?
“Non so come siano andate realmente le cose.” Dichiarai, alla fine. In fondo,
non era una completa bugia. “Sono fuggita dalla capitale prima di poter
appurare i fatti.”
Ma Samon parve non udire nemmeno le mie parole. “Questo…
cambia ogni cosa…” Mormorò, rivolgendosi più a se stesso che alla nostra
compagnia. “Mia madre… perché diavolo stiamo ancora combattendo…?”
Non avrei voluto deluderlo, ma avevo idea che la morte di
Eriol non avrebbe frenato i combattimenti… anzi, Bastian probabilmente aveva
ragione nell’affermare che li avrebbe accelerati. Ma, in fondo, io non avevo
titolo per mettere becco nelle questioni belliche. Ed ero certa che l’erede al
trono avrebbe saputo compiere valutazioni più appropriate, ragionando da solo e
a mente fredda.
“So che non è un buon momento per avere degli estranei in
giro per il palazzo.” Azzardai, dopo qualche istante di silenzio, levando gli
occhi dalla tazza. “Perciò troverò un alloggio in città. E ce ne andremo di qui
il prima possibile.”
Ma l’erede al trono si affrettò a scuotere la testa. “Non se
ne parla.” Dichiarò, fermamente. “Gli amici di mia figlia sono anche miei
amici. Non so chi stai attendendo, Lina, ma le porte del mio palazzo rimarranno
aperte per te finché non ti avrà raggiunto. Per lo più, so che sei una buona
amica del re Philionel. Farei un torto al mio alleato, mettendoti alla porta
dopo un viaggio tanto lungo.”
Quella generosità mi mise immediatamente sulla difensiva.
Mio marito avrebbe detto che ero troppo diffidente, ma l’esperienza, purtroppo,
tendeva a darmi ragione. D’altra parte, non mi trovavo nella posizione di
rifiutare. Avevo davvero bisogno di restare a Elmekia, finché Gourry non mi
avesse raggiunta. Non era un buon momento per inimicarmi il futuro sovrano.
“Grazie… infinite.” Replicai alla fine, cauta.
Samon annuì. Si levò in piedi e attese fino a che tutti non
lo avemmo imitato. “Seguitemi.” Ci invitò. “Vi affiderò tutti alle cure di uno
dei miei servitori.”
Cercai con lo sguardo Bastian e Dorak, incerta su quali
fossero le loro intenzioni a quel punto. Tuttavia, prima che riuscissi a
cogliere la loro espressione, un’altra figura fece il suo ingresso nella
stanza.
E un improvviso, involontario brivido mi scese lungo la
schiena.
A giudicare dalle vesti, si trattava di un mago. Un uomo
apparentemente normale, alto, dal naso aquilino e dai lineamenti sottili. Il
volto esile era incorniciato da lunghi capelli neri, che gli oscuravano
parzialmente lo sguardo, conferendogli un’aria dimessa. Ma alla sua semplice
vista, il mio istinto iniziò a gridare.
“Mio signore.” Esordì l’uomo, la voce bassa, quasi un
sibilo. “Chiedo scusa per l’interruzione. Il messaggero che è giunto poco fa…
sono venuto a riferirvi il contenuto della sua missiva…”
Samon si arrestò sui suoi passi e batté le palpebre di
fronte al nuovo venuto, quasi, perso nei suoi pensieri, stentasse a
riconoscerlo. “Oh… già, avevo finito per dimenticarmene.” Ci lanciò
un’occhiata. “Bé… attendi solo che io disponga dei miei ospiti, e…”
“In realtà, mio signore…” Lo interruppe il mago. “Credo che
la notizia che devo riportarvi possa interessare anche ad alcune delle persone
qui presenti.” Il suo sguardo si spostò su Gray, ma, nel percorso, si soffermò
per un istante su di me. Dovetti deglutire. Era una sensazione assolutamente
irrazionale, ma… quell’uomo mi dava l’idea di essere estremamente potente… e
pericoloso. Doveva trattarsi di uno degli esperti di magia nera di cui Bastian
aveva parlato a Gourry e me, all’inizio del nostro viaggio.
Anche Samon si volse verso il sacerdote di Sailune, come
realizzando improvvisamente la sua presenza. “Già…” Assentì. “Qualsiasi notizia
sulla guerra riguarda anche re Philionel.”
“Notizie positive, in questo caso, mio signore.” Proseguì il
mago, atono. “A quanto pare, le truppe del nemico hanno subito una sconfitta.”
“Una sconfitta?” Samon parve stupito. Evidentemente, di
qualunque battaglia si fosse trattato, i suoi soldati non ne avevano avuto
parte.
“Da parte della flotta di Meghar, mio signore. Nell’ovest.”
Avevo sentito parlare di Meghar. Bé, ovviamente. Sono figlia
di mercanti, e il pirata era noto, fra la gente del mestiere (dovrei aggiungere
che è un personaggio famoso a Elmekia, e che mio marito è di Elmekia.
Ma, conoscendo Gourry, se gli avessi menzionato Meghar mi avrebbe chiesto se
era il protagonista di qualche saga romanzesca…). In ogni caso, se un
personaggio potente come lui era implicato nella guerra, significava che la
situazione si stava decisamente complicando…
“Mio signore?” Proseguì il mago, di fronte al silenzio
dell’erede al trono. “Ritenete che sia il caso di approfittare del momento per
portare avanti l’offensiva?”
Il volto di Samon era scuro, la sua fronte luccicava di
sudore. “Fa’ radunare il concilio, Mardoc.” Dichiarò infine. “Ho appena appreso
anche di altri importanti cambiamenti nell’andamento della guerra. Ho bisogno
di consultarmi con i miei lord.”
L’uomo chiamato Mardoc si inchinò brevemente. “Come mi
ordinate, mio signore.”
Ma prima che il mago potesse uscire dalla stanza, il
principe lo bloccò. “Aspetta, Mardoc.” Intimò, grave. “Il messaggero ti ha
detto chi guidava l’offensiva?”
“Sì, mio signore.” Replicò l’uomo, asciutto. “Il Lord
Gabriev, della roccaforte di Lyria. Insieme ai suoi due figli.”
Mi parve che lo stomaco mi risalisse improvvisamente alla
gola. I suoi due figli? I suoi due figli?
Gli occhi di Bastian cercarono immediatamente i miei, ma ero
troppo atterrita per volgere lo sguardo verso di lui. Continuai a fissare il
mago, incapace anche solo di aprire le labbra per espirare. Non era possibile.
Gourry doveva essere in viaggio verso la capitale. Che diavolo ci faceva in
battaglia, dall’altra parte del regno?
“Capisco.” Replicò Samon, con inopportuna calma. “A quanto
pare, i pesci piccoli sono stati mandati allo sbaraglio.”
Quell’affermazione di certo non contribuì a migliorare il
mio umore. Mi affrettai a farmi avanti di un passo, prima che il mago uscisse
dalla stanza.
“Dove?” Sibilai. “Dove ha avuto luogo la battaglia?”
Sulle labbra di Mardoc si disegnò un breve sorriso.
“A Rolan.” Replicò, in un sussurro.
Sapevo la risposta ancora prima di avergli rivolto la
domanda.
***
Diverse ore dopo, mi trovavo su una delle terrazze che si
aprivano sul fianco del palazzo reale e dominavano l’intera città. Il sole era
già calato, e della sua luce restava solo una sottile striscia arancio, che
infiammava l’orizzonte. Il vento freddo mi sferzava il volto, fastidiosamente.
Ma non era sufficiente a indurmi a rientrare. Avevo bisogno della sua forza,
perché mi tenesse sveglia. Era stata una lunga giornata, ma avevo ancora
bisogno di pensare.
“Allora, hai deciso che cosa fare?”
La voce di Bastian risuonò alle mie spalle. Mentre Dorak era
sparito da ore, il cavaliere mi era rimasto appresso tutto il pomeriggio, come
un’ombra. Avevo cercato rifugio su quel balcone, dopo la cena, ma evidentemente
non era stato sufficiente a liberarmi dal suo tormento.
“Che cosa vuoi che faccia?” Replicai, secca. “Ho forse
scelta?”
Rolan era il posto in cui meno avrei avuto voglia di recarmi
in quel momento. Lontano dal confine, nel cuore della guerra, con un assassino
pronto ad accogliermi a braccia aperte… Ma non potevo abbandonare Gourry.
Quello era fuori da ogni discussione.
Bastian mi si affiancò. “Andare fino a Rolan, con la
ribellione dei pirati in corso… Sir Gabriev non vorrebbe che tu compissi un
gesto tanto avventato.”
“Mio marito sarà libero di comunicarmi tutti i suoi voleri,
una volta che sarò andata a tirarlo fuori dai guai.” Gli rivolsi un’occhiata in
tralice. “Ti conviene non sprecare fiato per fermarmi, Bastian. E men che meno
cercare di farlo con la forza. Potresti pentirtene.” Ero troppo preoccupata per
mio marito per essere anche arrabbiata con lui per il pasticcio in cui era
andato a cacciarsi. Almeno in quel momento. Ma nessuno mi impediva di rifarmi
su Bastian.
Il cavaliere si limitò a emettere un sospiro. “Non sono
tanto sciocco da provare a fermarti, Lina. Sto solo pensando che mi toccherà
venire con te.”
No.
No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no!
“Bastian…”
“Non ho intenzione di lasciare il mio lavoro a metà.”
Sentenziò il cavaliere. “Non posso pensare di aver fatto tutta questa fatica
solo per mandarti a essere uccisa sul campo di battaglia.”
“Ma io mi muovo meglio da sola!”
“Non ho intenzione di intralciarti in alcun modo.” Mi
affrontò, con irritante calma. “E in ogni caso, il Lord Gabriev si trova
laggiù. Perciò è lì che mi dovrei recare, anche se avessi concluso il mio
compito con te.”
Il cavaliere sembrava irremovibile. Io potei solo emettere
un sospiro. “Fai come preferisci.” Replicai, in un sibilo irritato. “Ma dovrai
attenerti alle mie decisioni. Se mi sentirò frenata in qualsiasi modo
dalla tua presenza, ognuno se ne andrà per la sua strada.”
Bastian si strinse nelle spalle. “Mi sta bene.” Acconsentì.
“Tutto quello che mi interessa è poter considerare saldato il mio debito.”
Restammo in silenzio per alcuni lunghi istanti. Quindi,
Bastian si avvicinò cautamente alla balaustra cui ero appoggiata. “Lina…”
Esordì, con un po’ di titubanza.
“Mm.”
“Temi… che Sir Gabriev sia… morto?”
Mi volsi verso di lui, stupita di quella domanda. Stava…
cercando di imbastire un discorso consolatorio? Perché, se era così, andava
tanto contro la sua natura da farmi quasi venire i brividi…
“No!” Risposi, senza nemmeno pensarci. “Che ti salta in
mente???”
Bastian fu evidentemente colto di sorpresa dalla mia
sicurezza. Indietreggiò di un passo, e mi guardò come se si aspettasse, da un
momento all’altro, che scoppiassi in una crisi isterica. “Bé…” Esordì. “Quel
mago non ha saputo dirci nulla della sorte degli ufficiali degli sconfitti…
immagino che…”
“Gourry è perfettamente in grado di badare a se stesso.” Lo
interruppi, ferma. “Non può essersi lasciato uccidere in una stupida battaglia
con uno stupido pirata. Non lo crederei nemmeno se quel Mardoc mi avesse dato
la sua parola che è accaduto.” Sapevo che Gourry era vivo e mi stava
aspettando. Non potevo spiegarlo esattamente a Bastian. Era una sensazione
quasi viscerale.
“Ma…”
“QUESTO è lo spirito giusto, piccola.” Una voce sgradevole
interruppe la nostra conversazione. “Ecco perché pendo costantemente dalle tue
labbra…” Fantastico. Mancava solo lui, per rendere definitivamente orribile la
mia serata.
“Dorak…” Sospirai. “Pensavo che ti fossi tolto
definitivamente dai piedi…” Tornai a fissare il panorama, cercando di ignorare
gli occhi di Bastian, che sprizzavano scintille.
Il messaggero degli Enu avanzò dall’ombra, e mi rivolse un ampio
sorriso. “Come sei crudele, piccola… e io che mi sono affrettato a portare a
termine i miei doveri qui alla capitale, fremendo per tornare dalla luce dei
miei occhi…” Protese le dita, cercando di raggiungere ancora una volta la mia
spalla.
Scivolai lontano dalla balaustra, e dalle sue mani
invadenti. “Grandioso.” Replicai, in tono piatto. “Ora beati di questa visione,
guerriero, dal momento che sarà l’ultima volta che potrai goderne.”
Feci per rientrare, ma Dorak scoppiò in una sonora risata e
intercettò i miei passi verso la sala da pranzo.“So di darti una gioia, tesoro,
nel dirti che in realtà vedrò il tuo bel visino ancora molto a lungo.”
Dichiarò. “Anch’io sto andando nell’ovest.”
“Nell’ovest?” Fu Bastian a rispondere per me, sospettoso. “E
che affari dovresti mai portare a termine, laggiù?”
Dorak assunse un’aria misteriosa, che poco gli si addiceva.
“Vi avevo pur detto che il mio viaggio non si sarebbe fermato alla capitale.”
Replicò, semplicemente.
Al nostro silenzio, il guerriero vestì l’ennesimo, ampio
sorriso. “Rallegratevi.” Intimò. “Tre persone sono meglio di due quando c’è da
combattere, giusto?”
Il volto di Bastian si oscurò ulteriormente. Io levai gli
occhi alle luci delle stelle che cominciavano a tempestare il cielo, cercando
di scordarmi per un momento dei miei compagni di viaggio. Non meritavo anch’io
un po’ di pace, una buona volta?
Avete indovinato: un’altra domanda a cui non è il caso di
rispondere.
Dopo BEN due mesi, ho partorito questo nuovo capitolo…XD
E’ stato un periodo un po’ impegnativo e la mia ispirazione alla scrittura
rasentava lo zero (o forse mi sentivo in colpa per ciò che dovevo
scrivere…XDDD), ma finalmente eccomi qua! Spero ricordiate ancora la storia, e
soprattutto che abbiate ancora voglia di andare avanti…^^’ In ogni caso, i
commenti sono come sempre graditi! ^^
Buona lettura, e (speriamo XD) a
presto!
Dei.
Esisteva forse qualcosa di più simile alla morte?
Mi sollevai dalla mia posizione riversa sul pitale, la bocca
ricolma di quell’orribile sapore acido, gli occhi lucidi per le lacrime
involontarie procurate dai conati.
Avevo scoperto di non essere il tipo di persona adatta alla
vita sul mare.
“Mio giovane guerriero… mi deludi immensamente. So che voi
delle steppe non siete gente di mare, ma ridursi in queste condizioni per un
paio di onde mi pare davvero degno di una donnicciola.”
“Un paio… di onde…?”
Erano SEI GIORNI che la tempesta proseguiva ininterrotta. E
viverla interamente sottocoperta, in una cabina di due metri per due, non era
precisamente il metodo migliore per combattere la nausea.
“In alto mare accade molto di peggio. Devi ritenerti
fortunato a trovarti vicino alla costa.”
Meghar incombeva su di me, e sembrava assolutamente
imperturbato dalla violenza dei movimenti che anche in quel momento scuotevano
la nave. Io avevo le mani libere, e avrei potuto gettarmi all’attacco in quel
preciso istante, se lo avessi desiderato, ma in quelle condizioni il corpulento
pirata non avrebbe avuto nemmeno bisogno di estrarre la spada. Mi avrebbe
spezzato il collo a mani nude come un fuscello, e avrebbe gettato il mio corpo
deperito in pasto ai gabbiani.
“Non mi stupisce che tuo padre non abbia fretta di riaverti,
assistendo a questo spettacolo.” Infierì il pirata. “Abbiamo deciso di
trasferirti in una carcere in terraferma, prima che tu decida di morire di
inedia e di seppellirci sotto le tue secrezioni corporee.” Fece un passo in
avanti. “Quindi su con la vita, giovane. Da oggi il mondo ti sembrerà più
bello.”
“Perché non mi uccidete e basta?” Riuscii a mormorare, la
voce impastata. “Ormai mi sembra chiaro che mio padre non ha intenzione di
trattare. E quindi a che scopo tenermi ancora prigioniero?”
Il signore del mare si accigliò. “Non essere sciocco,
Gabriev. E non trattare me come un predatore assetato di sangue e senza
cervello. Ho prestato le mie navi nelle guerre che si sono combattute una
decina di anni fa qui a Elmekia e so perfettamente come vanno queste cose. Non
si cede mai alla prima offerta, per la liberazione di un ostaggio.” Si avvicinò
a me, e mi afferrò con violenza per il braccio. “In più, non è detto che tu non
possa essere una fonte di guadagno sotto altri fronti.” Mi trascinò in piedi,
sorreggendomi con tutto il mio peso, mentre avanzavo barcollando.
“Che… che cosa vuoi dire?” Riuscii a balbettare.
“Voglio dire che ho preso qualche informazione su di te e ho
scoperto in effetti che le tue frequentazioni sono piuttosto interessanti…”
Non capivo, ma non avevo la forza di porre ulteriori
domande. Il braccio destro mi pulsava, e la mia mente era annebbiata. Non avevo
ricevuto un cattivo trattamento, ma erano giorni che il mio stomaco non
riusciva a trattenere più nulla di quello che ingoiavo. Vivere in quelle
condizioni avrebbe messo fuori gioco un leone.
Fuori dalla cabina, trovai due armati ad attendermi.
Sorretto da entrambi e preceduto da Meghar, raggiunsi il ponte della nave, il
vascello lungo e snello chiamato ‘Folgore’, che il pirata in persona guidava
nel corso delle sue scorrerie. Il cielo all’esterno era plumbeo e il mare
appariva tempestoso. Per un momento, non fui nemmeno certo dell’ora esatta del
giorno in cui ci trovavamo.
“Attraccheremo a Isbam.” Spiegò Meghar, scrutando
l’orizzonte. “Si tratta di una delle isole che da più tempo si trovano sotto il
mio controllo. Non c’è fortezza più sicura, qui sul mare.”
Non replicai. Mi appoggiai al parapetto, godendo del
sollievo portatomi dall’aria gelida, e osservando la terra che progressivamente
si avvicinava. Aggirammo l’isola, affrontando le alte onde, sino a raggiungere
una baia riparata. Laggiù si stendevano i moli di un piccolo porto. Numerose
navi erano attraccate, al riparo dalla tempesta. Nonostante il vento freddo, e
le pungenti raffiche di pioggia che sferzavano la costa a ogni folata,
l’insenatura sembrava brulicante di persone. Mentre i marinai di Meghar
gettavano l’ancora, ebbi il tempo di far scorrere lo sguardo sul porto, e
intravidi un’umanità varia di cui nei miei viaggi con Lina avevo quasi scordato
l’esistenza. Mercanti che esponevano pesce e molluschi sui loro carretti e
bancarelle, prostitute, scaricatori a caccia di ingaggi presso le numerose navi
dei trasportatori, pescatori e cacciatori di mammiferi marini fermi ai moli
nell’attesa che la tempesta si placasse. Ripensai a quando avevo viaggiato in
quelle terre nel corso della guerra, ai mercenari della mia squadra, che
nell’assolata estate di Elmekia avevano percorso simili moli e cercato la
compagnia di simili prostitute, mentre veleggiavamo verso il nord. Mi sembrava
che fossero trascorsi mille anni, da allora.
Mentre attendevamo di sbarcare, il mio stomaco
progressivamente si assestò. Tuttavia, non ebbi la forza di oppormi, quando gli
uomini di Meghar mi legarono le mani dietro la schiena, e presero a spingermi
verso la terraferma. Mi lasciai trascinare sul molo, temendo che trovarmi in
mezzo alla folla avrebbe risvegliato il mio malessere. Fortunatamente, non ce
ne fu il tempo. Una carrozza di nero mogano ci attendeva ai piedi della nave. Venni
premuto dentro a forza, seguito a ruota da Meghar. E la corsa iniziò, prima che
potessi realizzare realmente di essermi trovato nuovamente all’aria aperta.
“Dove… dove stiamo andando?” Ebbi la forza di domandare,
abbandonandomi in un angolo della scomoda panca in legno che occupava
l’abitacolo. Le cortine erano tirate, e ci trovavamo avvolti da una cupa
penombra. Nonostante il freddo dell’esterno, l’atmosfera era vagamente
soffocante.
“Non è necessario che tu lo sappia.” Meghar si appoggiò allo
schienale della panca dirimpetto alla mia, traendosi il fodero della spada in
grembo, come a monito nei miei confronti. “E ora rilassati. Ci vorrà un po’ di
tempo.”
Sospirai, rassegnandomi a non porre altre domande. Poggiai
la mia testa dolorante alla parete della carrozza e chiusi gli occhi,
lasciandomi cullare dall’oscillare dell’abitacolo in risposta al rapido
sfrecciare delle ruote sul terreno sconnesso. Presto, persi la cognizione del
tempo che passava. Poteva essere trascorsa un’ora quando ci fermammo. Fui risvegliato
dal mio torpore dal vento gelido, che mi sferzò la pelle, non appena Meghar
tirò le cortine della carrozza. Fuori, l’oscurità del tramonto stava lentamente
avendo la meglio sul grigiore diffuso del pomeriggio. Le nuvole si addensavano
nere all’orizzonte, schermando alla vista il rosso del sole calante.
Rabbrividii, al vento freddo. Un tempo avevo indossato il
pesante mantello bianco delle guardie di mio padre, ma dopo la mia cattura era
andato perduto, forse rivenduto dai pirati, insieme alla mia spada. No, non la
mia spada. La spada che mi aveva regalato Lina era da qualche parte, nei miei
appartamenti, a Rolan. Stupidamente, continuavo a preoccuparmi del fatto che
non avrei più potuto recuperarla, se la città fosse caduta.
“Muoviti.” Un soldato mi venne incontro, afferrando la
manica della mia tunica logora e trascinandomi fuori dalla carrozza. Battei le
palpebre, spaesato di fronte al mutamento nel panorama. Ci trovavamo su
un’altura, da cui si dominava il mare per chilometri. In lontananza, intravedevo
il porto a cui eravamo attraccati, circondato da un modesto abitato, ma il
territorio dell’isola era per la maggior parte ricoperto da vegetazione
selvaggia. Alle mie spalle, oltre la carrozza, si ergeva una fortezza dalle
mura massicce e dall’aspetto sinistro, con le finestre tanto strette da
sembrare feritoie.
“Un tempo era usata come carcere.” Spiegò Meghar, uscendo
dalla carrozza al mio seguito. “Ora è una delle nostre basi. Ma,
all’occorrenza, può tornare utile per il suo scopo originario.”
Rimasi a bocca aperta, osservando la tetra maestosità di
quella costruzione. Un luogo del genere era pressoché inavvicinabile, per un
estraneo. Per quanto tempo sarei dovuto rimanere in quel luogo?
“Non preoccuparti, signorino, avrai delle stanze confortevoli.”
Meghar mi spinse verso gli spessi portali in legno, che si stavano lentamente
aprendo di fronte a noi. “Non siamo abituati a fare prigionieri, ma i pochi
ostaggi che abbiamo sono preziosi, e vengono trattati degnamente.”
Mi lasciai trascinare all’interno delle mura, osservando a
bocca aperta i camminamenti e gli spalti, ricolmi di armati. Vivendo recluso in
una nave non me ne ero reso pienamente conto, ma Meghar aveva un vero e proprio
esercito a propria disposizione. Re dei pirati… non si trattava di una
definizione vuota…
“Mi sembri stupito, Gabriev.” Mi apostrofò il pirata, mentre
percorrevamo, scortati da due guardie, l’ampia via lastricata che dalle mura
conduceva all’edificio delle carceri. “Un uomo del continente non si sarebbe
mai aspettato nulla del genere, immagino…”
No, non me lo sarei aspettato. Mi chiesi se mio padre avesse
realmente idea di contro chi stesse combattendo. Se non si illudesse ancora di
trovarsi con un gruppo disorganizzato di razziatori, che ambivano unicamente al
controllo dei mari.
‘Mi toglierò mai da questo pasticcio?’
Lina mi sembrava così assurdamente lontana, in quel momento…
che cosa avrebbe ordinato mio padre per lei, ora che io non potevo essergli
utile?
“Appena sarai nei tuoi appartamenti, potrai dormire e darti
una ripulita. Ma prima, c’è qualcuno che sono certo sarà estremamente felice di
vederti.”
Lo fissai, con fare interrogativo, ma non ottenetti altre
spiegazioni. Il pirata mi fece condurre all’interno dell’edificio, e lungo una
infinita serie di gradini al suo interno. Le mie ginocchia erano molli, e
salire livello dopo livello mi sembrava una tortura. Fra spinte e imprecazioni,
venni trascinato a quello che doveva essere il terzo o quarto piano, e da lì
attraverso un dedalo di corridoi spogli e corrosi dalle infiltrazioni, in cui
persi completamente l’orientamento. Attraverso le finestre prive di vetri, mi
resi conto che all’esterno era ormai calata la notte. Ma, in fondo, sarebbe
bastato il mio corpo ad avvertirlo. Non ero affamato, non mi ero ancora ripreso
a sufficienza per esserlo. Ma tutto ciò che desideravo in quel momento era
abbandonarmi al suolo, e dormire per giorni.
“Ci siamo, Gabriev.” Meghar e i suoi soldati mi bloccarono
di fronte a una tarlata porta di legno scuro. Un armato si piegò a liberarmi le
mani, mentre l’altro avanzò, ed estrasse un grosso mazzo di chiavi dalla
propria cappa. Lo rigirò per qualche istante, cercando evidentemente la chiave
giusta, quindi prese ad armeggiare con la serratura arrugginita. All’interno
della stanza, udii il rumore di una sedia che veniva bruscamente spostata.
Chiunque la abitasse, doveva essersi accorto che qualcuno stava per entrare.
La porta si aprì, e io venni spinto in avanti. Prima ancora
di poter registrare l’ambiente che mi circondava, venni investito da una
piacevole ondata di calore. Nei corridoi, le finestre aperte lasciavano entrare
il vento gelido dell’esterno, ma nella stanza un fuoco vivo scoppiettava nel
camino, proiettando le sue ombre cremisi sul baldacchino, sul ricco mobilio e
sugli arazzi consumati dal tempo. A terra, morbidi tappeti si allungavano a
coprire l’intera superficie del pavimento, schermandolo dal gelo della dura
pietra.
Una sistemazione decisamente adatta a una principessa.
“Gourry- san???”
La stanchezza improvvisamente parve sparire dal mio corpo,
sopraffatta dallo stupore. Amelia e io restammo immobili a fissarci per diversi
istanti, prima che uno di noi due si decidesse a reagire. E mentre la
accoglievo fra le mie braccia, nella foga del suo abbraccio, mi scordai persino
delracconto di Sylphiel, e di
chiedermi cosa ci facesse la principessa in quel luogo. In fondo, potevo
perdermi per qualche istante nella gioia di trovare un volto amico.
Anche se, in quel momento, erano color rubino gli occhi che
avrei tanto voluto incontrare.
***
L’aria sapeva di salmastro, fra i pini umidi di pioggia. Il
percorso era impervio, ogni passo intralciato dagli arbusti che avevano invaso
lo stretto sentiero acquitrinoso. Camminavamo lenti, fermandoci a ogni metro
per liberare i mantelli dai rami o per aggirare le pozze d’acqua che
intralciavano la via.
Purtroppo, si trattava dell’unica strada praticabile. Oltre
le alte dune al di là dei pini, la marea si stava progressivamente alzando e la
sabbia era ridotta a una scura fanghiglia, una potenziale trappola per il
viaggiatore incauto. E muoversi nell’entroterra poteva rivelarsi ancor più
pericoloso. Nell’area della capitale la guerra sembrava non essere mai
scoppiata, ma in quella regione i segni dei combattimenti erano più che evidenti.
I signori del mare avevano trasformato in fortezze le città in cui si erano
insediati e fatto terra bruciata di tutti i terreni intorno. I gruppi di
soldati battevano incessantemente le strade principali, abbandonate dalla
popolazione civile a un rapido e inesorabile decadimento. Nella campagna, si
incontravano solo abitazioni sventrate, filari di alberi da frutto devastati,
granai smessi. Le saline normalmente brulicanti di lavoratori erano un panorama
di desolazione e le alte case su palafitte dei pescatori erano vuote dei propri
abitanti, le barche ridotte a un cumulo di assi inutilmente tirate in secca, le
reti divelte e abbandonate alla furia degli elementi. La Strada delle Perle,
legata al celeberrimo artigianato di Elmekia, era solo un susseguirsi di
botteghe vuote, di porte e finestre lasciate aperte e scosse dalla furia del
vento.
Avevamo scelto di percorrere sentieri secondari per evitare
di essere fermati e interrogati dai guerrieri di Talit, ma ne avevamo ricavato
l’assillo dei gruppi di banditi. Eravamo stati aggrediti tante di quelle volte
che avevo perso il conto dei capobanda sbruffoni che avevo fatto saltare in
aria. I miei due compagni di viaggio ormai avevano rinunciato a intervenire in
quel genere di penosi teatrini quotidiani. Non che non ci avessero provato. Ma,
da quando avevo inavvertitamente appiccato fuoco al mantello di Bastian, i due
guerrieri parevano aver concluso che fosse sufficientemente virile e onorevole
restare a osservarmi combattere a distanza di sicurezza…
Sospirai, scrollando il mantello. Era pesante e bagnato,
nonostante da diverse ore avesse cessato di piovere. L’umidità permeava l’aria,
condensandosi in sottili gocce che dal cappuccio mi ricadevano sulla frangia,
arruffandola e appiccicandola alla mia fronte.
“Dorak…” Sibilai, soffocando un’imprecazione nello schivare
l’ennesimo ramo sul mio percorso. “Sei certo che stiamo andando nella direzione
giusta?”
Già. DORAK. Ecco chi era la grande mente a cui ci stavamo
affidando per raggiungere la nostra destinazione.
“Rilassati, piccola. Ho la situazione pienamente sotto
controllo.”
‘Grandioso. Ora sì che sono terrorizzata.’
Quel giorno ci eravamo persi per ben tre volte. In tutti e
tre i casi dopo che Dorak aveva pronunciato quelle esatte parole.
Bastian, di fronte a me, sbuffò. “Hai almeno deciso cosa
fare una volta arrivati alla città?” Mugugnò, senza voltarsi.
Anche quella domanda, quel giorno, mi era stata rivolta in
più e più occasioni. Ma, per l’ennesima volta, finsi di non aver sentito.
Sulla via verso Rolan, ci eravamo fermati in diversi
villaggi e fattorie, per raccogliere informazioni sull’andamento della guerra.
A quanto pareva, le truppe guidate da Edward Gabriev avevano subito una grossa
sconfitta sulla costa a nord di Rolan, ma la città aveva resistito all’assalto.
Questo da un lato mi confortava. Mi auguravo che il padre di Gourry non avesse
mandato il proprio stesso figlio allo sbaraglio, e che mio marito in quel
momento si trovasse al sicuro fra le mura della città, insieme agli armati che
stavano riorganizzando le truppe di Talit. D’altra parte, se le cose stavano
davvero a quel modo, non avevo la più pallida idea di come avrei fatto a
raggiungerlo. La taglia sulla mia testa non era ancora stata cancellata, e, se
davvero era stato complice della morte di Eriol, Lord Gabriev era fra le
persone che più avevano da guadagnare dalla mia eliminazione. Se avesse avuto
modo di mettermi le mani addosso, non avrebbe commesso per la seconda volta
l’errore di attendere una esecuzione formale.
Bastian pareva molto meno incerto di me sul da farsi. Dopo
una breve discussione, il cavaliere era giunto alla conclusione di dovere
entrare a Rolan da solo, per cercare di mettersi in contatto con Gourry. Se
fossimo riusciti a imbastire una storia sufficientemente credibile per
giustificare le sue settimane di assenza, il cavaliere probabilmente sarebbe
stato in grado di muoversinella
cerchia degli uomini di Talit senza destare sospetti e di convincerlo a
raggiungerci al di fuori delle mura cittadine.
Più pensavo a quel piano e più mi sembrava sensato. Ma più
lo trovavo sensato e meno ero convinta di volerlo attuare. Lasciare che Bastian
entrasse a Rolan da solo avrebbe implicato mettermi totalmente nelle sue mani.
Se il cavaliere mi avesse denunciata, mi sarei ritrovata accerchiata dai
soldati di Lord Gabriev prima ancora di poter pensare a una via di fuga. E se
anche fossi riuscita a scappare da un eventuale attacco, in quel modo avrei
compromesso definitivamente ogni possibilità di raggiungere Gourry senza
rendere nota la mia presenza nella regione. Continuavo a ripetermi che Bastian
non sarebbe arrivato sino a quel punto se non avesse avuto realmente intenzione
di aiutarmi. Ma se ci fosse stato uno schema dietro il suo comportamento,
qualche insospettabile piano che non ero stata in grado di calcolare? Sentivo
di viaggiare sul ciglio di una china estremamente ripida. Come potevo fidarmi
di lui in un momento così delicato?
“Lina… sii ragionevole, non c’è altra scelta.” Il tono di
Bastian era pedante. Il cavaliere non pareva contento della mia titubanza. Non
a giudicare dall’insistenza con cui tornava sulla questione.
“Non sono convinta che sia una buona idea separarci, ecco
tutto.” Tagliai corto. Certo, per una che fino a due settimane prima insisteva
per muoversi da sola, si trattava di una scusa credibilissima.
Bastian si degnò di rivolgermi una breve occhiata. “Non mi
dire. Devo dedurre che dopo l’ultima banda di banditi sterminata hai deciso che
ti senti insicura delle tue capacità, oppure che ti sei improvvisamente
innamorata perdutamente di me?”
Meraviglioso. Evidentemente la mia compagnia potrebbe
infondere il senso dell’umorismo a una pietra.
Ma Bastian non stava sorridendo. Incassò la mia occhiataccia
senza battere ciglio. Se non lo avessi conosciuto, avrei potuto pensare che
fosse seccato dalla mia diffidenza.
“Dammi una buona ragione per fidarmi.” Replicai alla fine,
irritata.
“Non posso.” Replicò il cavaliere, secco. “Chi è poco sicuro
della propria onestà inevitabilmente dubiterà di quella altrui.”
La mia mascella si strinse. “Non rigirare la frittata,
Bastian!” Sibilai. “Qualsiasi persona sana di mente eviterebbe di
fidarsi! Devo ricordarti che il tuo ex capo aspetta solo che io metta piede in
città per farmi la pelle???”
Il cavaliere levò un sopracciglio. “Seriamente, Lina, tu ti
reputi sana di mente?”
D’accordo. Evidentemente Bastian non desiderava vedere
l’alba del giorno successivo.
“Lina, tesoro.” Una voce giunse dalle mie spalle, frenando
momentaneamente i miei istinti omicidi. “Nessuno più di me gradirebbe assistere
all’esecuzione del signor senza macchia, qui, ma ho idea che dovresti dare
un’occhiata di fronte a te.”
Battei le palpebre. Discutendo con Bastian, avevo
momentaneamente perso la cognizione del paesaggio. Lanciai un’occhiata oltre le
spalle del cavaliere, sul sentiero che si dipanava di fronte a me. A qualche
decina di metri di distanza, i pini si aprivano, permettendo allo sguardo di
allargarsi, in lontananza, sul panorama di una ampia baia, popolata di navi. Il
porto di Rolan.
Mi fermai sui miei passi, e dovetti deglutire. Al di là dei
moli e del fitto agglomerato degli edifici, si intravedeva l’altura su cui era
arroccata la parte alta della città, lievemente spostata nell’entroterra e
stagliata contro il cielo plumbeo. La cittadella era circondata da mura grigie
e solide, e sui suoi quattro angoli svettavano come sentinelle torri
dall’aspetto squadrato e minaccioso, da cui certamente si dominava il paesaggio
circostante per chilometri.
“Lo vedi perché ti dico che non c’è altra soluzione?”
Mormorò Bastian, intuendo i miei pensieri. “Ora che nessuno viaggia più per via
della guerra, non c’è modo che tre estranei si avvicinino alla città, da
qualsiasi direzione, senza venire avvistati prima di raggiungere le mura.”
Dorak ci si affiancò. “Non che la cosa mi riguardi, tesoro,
ma mi sa che stavolta ha ragione lui.”
Incrociai le braccia al petto, e gli rivolsi
un’occhiataccia. “Già. Mi piacerebbe davvero capire cosa ti riguarda in
tutta questa faccenda, faccia di bronzo.” Dorak, in quel momento, aveva l’unica
colpa di avere ragione. Ma il guerriero incassò l’accusa col consueto
sorrisetto.
Bastian si schiarì la voce. “In ogni caso.” Intervenne,
secco. “Da qui anche tu te ne accorgeresti, se qualcuno si avvicinasse dalla
città. Se anche meditassi di tradirti, non sarei in grado di sorprenderti.”
“Mmm.”
“Se Dorak e io ci muoviamo ora, posso essere qui entro il
tramonto. Se non ci vedrai tornare, vorrà dire che è accaduto qualcosa, e che
devi pensare a un piano alternativo per raggiungere la città.”
“Dorak e io?” Il messaggero degli Enu intervenne,
aggrottando la fronte. “Cosa ti fa pensare che abbia intenzione di venire con
te, cavaliere?”
A quella domanda, il volto di Bastian si fece scuro. “Avevi
detto di avere degli affari da sbrigare a Rolan.” Replicò, in tono duro.
“Ho detto di avere degli affari da sbrigare qui nell’ovest.
Ma queste questioni non devono necessariamente riguardare Rolan, ti pare?”
Bastian fece un passo in avanti, trovandosi faccia a faccia
con Dorak. “Credi davvero che ti lasci giocare con me?” Lo afferrò per il
mantello, attirando il suo volto a pochi centimetri dal proprio. “Non mi fido
di te.” Sibilò.
Mi accigliai. “Ehi, ehi.” Mi avvicinai, cercando di
interpormi fra i due uomini. “Non mi pare il momento più adatto per fare
sfoggio della vostra virile propensione alla rissa.”
(E no, io non sono propensa alla rissa, d’accordo???)
Bastian non si mosse. “Se vuole restare qui, è perché ha in
mente qualcosa. Quest’uomo finge di essere un idiota solo perché gli conviene
farlo.”
Oh, grazie, Bastian, per avere illuminato sulle vie del
mondo questa povera ingenua che si fida ciecamente degli altri.
“Non ha detto che vuole fermarsi qui.” Replicai, con un
sospiro. “E per quanto questo individuo si trasformi in una sanguisuga in
presenza di qualsiasi essere di sembianze femminili, dubito che la mia presenza
sia sufficiente ad allontanarlo dai suoi scopi originari.”
“Eh?” I miei due compagni di viaggio, per una volta,
parlarono all’unisono. Entrambi si volsero a guardarmi, Dorak con fare
perplesso, Bastian fissandomi come se fossi improvvisamente impazzita.
Io sospirai, nuovamente. “Ci ho pensato molto, durante il
viaggio. Intendo al motivo per cui ha deciso di seguirci.” Occhieggiai Dorak,
incrociando le braccia al petto. “Inizialmente credevo che fosse diretto dal
governatore di Rolan, dal momento che il suo Signore ha offerto la propria
alleanza a Erianna…” A quella frase, gli occhi di entrambi i miei interlocutori
si spalancarono. “… Ma non riuscivo a capire a che scopo inviarlo quaggiù, a
meno che ovviamente voi due nemici giurati, qui, non foste segretamente alleati
per fregare la sottoscritta…” Bastian aprì la bocca per protestare, ma io non
gliene diedi il tempo. “Per cui… l’unica conclusione alternativa a cui sono riuscita
a giungere è che sia venuto sin qui per ottenere un’udienza con Meghar… in
fondo, visto l’amore che i suoi concittadini hanno manifestato nei confronti di
Talit, non mi stupirei più di tanto se gli Enu stessero facendo il doppio
gioco…”
L’espressione Bastian divenne una maschera di stupore.
Dorak, invece, sembrava semplicemente divertito. Il sorriso che lo aveva
accompagnato lungo tutto il tragitto si allargò per l’ennesima volta sul suo
volto squadrato. “Dove hai avuto tutte queste informazioni?” Domandò, in tono
curioso.
Sorrisi, a mia volta. “Ho aguzzato un po’ le orecchie qua e
là.”
“Mm.” Dorak annuì. “E lo sai vero, piccola, che dovrei
ucciderti, ora, per assicurarmi del tuo silenzio?”
Bastian tornò a fissarlo con rabbia, a quelle parole. Io, però,
non mi allarmai eccessivamente. “Se lo desideri, non hai che da provarci. Ma
considerando che non c’entro nulla, con la vostra stupida guerra, e che non ho
la minima intenzione di lasciarmene coinvolgere ulteriormente, suppongo che
sarebbe saggio per entrambi andare ognuno per la propria strada, senza inutili
spargimenti di sangue.”
Dorak sorrise, nuovamente. “Suppongo di sì.” Fece un passo
indietro, scrollandosi dalla presa di Bastian. “Mi spiace, tesoro. Avrei
volentieri viaggiato ancora con te. Ma non è detto che non ci si riveda, prima
o poi.”
Mi sorpassò, avviandosi verso la baia. Io sospirai. Mi
chiedevo se l’ultima frase dovesse suonare come una minaccia.
La rabbia di Bastian, di fronte a me, mutò in sconcerto.
“Non riesco a credere che tu lo abbia lasciato andare così!!!” Sibilò, quando
Dorak fu sparito, al di là degli alberi.
“E che cosa avrei dovuto fare?” Replicai, aggrottando la
fronte. “Tu potrai anche avere qualche questione personale in sospeso con lui,
ma io no, e che tu ci creda o meno preferisco evitare di venire alle mani, se
non è necessario. Soprattutto se farlo significa inimicarmi anche gli Enu.”
Sbuffai. “Ci sono già troppe persone che hanno un buon motivo per uccidermi, in
questa faccenda.”
Bastian si accigliò. “Immagino che sia superfluo farti
notare che talvolta il proprio onore vale più del proprio tornaconto
personale…”
“Onore, eh?” Lo squadrai, irritata. “E lasciarlo andare
sarebbe disonorevole perché…? Perché mi ha omesso la verità, forse? Bé,
cavaliere, sono anni che ho a che fare con gente che mi omette la verità, e se
il mio orgoglio ne risultasse ferito ogni volta a questo punto non sarei più in
grado di guardarmi allo specchio.” Bastian cercò di replicare, ma ancora una
volta non glielo permisi. “Oppure dovrei fermarlo perché lui e il suo popolo
stanno tradendo Talit? Perché se non lo avessi capito, Bastian, non me ne
importa un fico secco di Talit e di che ne sarà di questa guerra. E, per quanto
ne so, gli Enu non hanno subito dai tuoi signori un trattamento tale da
essergli debitori di imperitura lealtà.”
“CREDI FORSE CHE NON LO SAPPIA???” Bastian fece un passo in
avanti, rosso in volto per una rabbia che trovai del tutto immotivata. “Non è
di questo che stavo parlando!!! Se per una dannata volta scendessi da quel tuo
piedistallo di saccenza e arroganza forse lo capiresti anche da sola!!!”
Co…? “SACCENZA???” Avanzai anch’io di un passo, sino a
trovarmi faccia a faccia con lui. “CHI è saccente? Chi, signor ‘tutto ciò che
non conosco e mi spaventa è il male supremo’???”
“Stai insinuando che sono spaventato dalla magia???”
“Sì!!! E ti dirò che tutta questa ostilità repressa nei miei
confronti comincia a stancarmi!!!”
“Ma se sto solo cercando di aiutarti!!!”
Restammo in silenzio per qualche istante, squadrandoci con manifesto
odio. Per diversi secondi, fui certa che Bastian sarebbe esploso e avrebbe
cercato di strozzarmi. Ma, alla fine, fu proprio lui ad arretrare.
“Non ha importanza.” Dichiarò, la voce ancora tremante di
rabbia. “Se quell’uomo ti creerà dei problemi, un giorno, allora ti renderai
conto che avevo ragione io.” Arretrò, bruscamente, e mi diede le spalle.
“Stiamo perdendo tempo. Se non mi muovo, scatterà il coprifuoco, e non riuscirò
più a entrare in città.” Si avviò verso la fine del sentiero, senza lasciarmi
il tempo di ribattere.
Scrollai le spalle, rassegnata ad affidarmi al suo piano.
“Hai pensato a cosa dire al Lord Gabriev per giustificare la tua presenza?”
Domandai, cercando di produrre un tono pacato.
Bastian non si voltò. “Gli dirò la verità.” Replicò,
asciutto. “Che ho assistito alla tua fuga… e che per tutto questo tempo ti sono
rimasto alle costole.” Senza aggiungere altro, uscì dalla macchia di alberi, e
si avviò lungo il sentiero che conduceva alla città.
Con un sospiro, mi abbandonai su un vecchio tronco a lato
del sentiero, e rimasi ad osservare la sua sagoma che rimpiccioliva in
lontananza. Mi innervosiva rimanere ferma senza far nulla, mentre altri agivano
per me. L’immobilità mi faceva pensare a tutto quello che poteva andare storto,
a come quel piano facesse effettivamente acqua da tutte le parti. Ma c’era poco
da fare.
‘Fa’ che ritorni con Gourry, e che questa dannata faccenda
finisca.’
Da quando eravamo partiti dalla capitale, un’ansia
insostenibile era cresciuta giorno dopo giorno nel mio stomaco. Non era solo la
preoccupazione nei confronti di Gourry. La presenza dei miei compagni di
viaggio per qualche motivo mi innervosiva. E non ne potevo più di trascorrere
giorno e notte a guardarmi le spalle.
Mi strinsi nel mantello e, non potendo fare altro, attesi.
Attesi, fino a che non ebbi l’impressione che le dita delle mie mani e dei miei
piedi stessero per sgretolarsi a causa del gelo. Quando cominciai ad avere
troppo freddo per rimanere seduta, iniziai a percorrere a grandi passi lo stretto
spazio del sentiero, tenendo costantemente d’occhio il panorama. Quando il
cielo oltre le nubi prese a farsi scuro, mi chiesi se Bastian sarebbe mai
tornato. Se quel luogo era pericoloso di giorno, lo diventava mille volte di
più di notte. In più, avrei avuto difficoltà ad avvistare qualcuno che si
muoveva verso di me, una volta calato il buio.
La campagna era ormai quasi totalmente avvolta
nell’oscurità, quando scorsi finalmente le figure che si avvicinavano. Non le
distinsi immediatamente, fra le lunghe ombre che si contorcevano, in risposta
al vento, sul panorama della baia. Solo quando furono sufficientemente vicine
da trovarsi a portata della mia voce, riconobbi la chioma bionda di Bastian,
che si stagliava nel buio.
Il mio cuore, fino a un istante prima stretto nell’attesa,
prese improvvisamente a rimbalzarmi in gola. Mi riparai dietro a un tronco,
cercando di inquadrare chi lo accompagnava. Insieme a lui parevano esserci
altre due persone, ma entrambe le figure erano incappucciate, e non riuscivo a
distinguere i loro lineamenti. Uno di loro era mio marito? Lord Gabriev aveva
voluto inviare qualcuno a sorvegliare il suo sottoposto?
O era semplicemente tutta una trappola?
‘Al diavolo!’
Ero troppo tesa per essere anche prudente. Uscii allo scoperto,
scivolando oltre la protezione degli alberi, e andando loro incontro sul
sentiero.
Le tre figure si arrestarono, non appena sbucai alla loro
vista. Per qualche istante, restammo immobili a fissarci, l’aria satura del
suono del vento e del rumore lontano della risacca. La luna era alta alle mie
spalle, e riuscii a distinguere più chiaramente le sagome delle due figure
incappucciate. Una era esile, e rimaneva in disparte, quasi timorosa di
affrontarmi. L’altra era massiccia quanto quella di Bastian e precedeva i due
compagni, con una baldanza quasi arrogante.
Non avevo bisogno di vederli in volto. Nessuno di quegli
uomini era Gourry. Quando lo realizzai, fui investita da un’ondata cupa di
delusione.
“Lina Inverse?” La figura incappucciata, dalle larghe
spalle, fece un altro passo in avanti. “Sei tu, laggiù?”
Anche io avanzai, lentamente. “E questo come devo
interpretarlo, Bastian?” Ignorai la domanda, rivolgendomi al cavaliere. “Perché
hai condotto qui proprio lui?”
Derek. Invece di Gourry, il mio compagno di viaggio aveva
evidentemente pensato che fosse saggio presentarmi di fronte suo fratello.
Peccato che quell’uomo detestasse mio marito, e che avesse mentito insieme a
suo padre per farmi arrestare, quando ero stata accusata dell’uccisione di Eriol.
“Lina, aspetta prima di…” Bastian cercò di spiegarsi, ma non
ebbe il tempo di terminare. La figura che sino a quel momento era rimasta in
disparte si fece avanti, e con uno scatto improvviso si gettò verso di me.
“Cos…???”
“Lina- san!!!”
La giovane donna gettò le braccia attorno al mio collo,
prima che io potessi reagire in qualsiasi modo. Il cappuccio le scivolò dalle
spalle, spargendo al vento i suoi lunghi capelli color mogano.
“Sylphiel???”
“Lina-san!” La sacerdotessa mi strinse, sino quasi a strozzarmi.
“Lina-san, grazie al cielo stai bene! Ma è terribile! Gourry-san…”
Il cuore mi balzò improvvisamente in gola. La allontanai,
stringendola per le spalle, per cercare il suo sguardo. “Cosa gli è successo?”
“E’ stato catturato.” Fu Bastian a rispondere, quieto,
raggiungendoci insieme a Derek. “E’ vivo, però, perciò non allarmarti. Ti
spiegheremo non appena ci saremo tolti di qui. Questo posto è decisamente
troppo esposto per darsi alle chiacchiere.”
Ma io non mi mossi. “Non vado da nessuna parte, se non sono
certa di potermi fidare.” Osservai, fredda, occhieggiando Derek. “Spiegami che
ci fa lui qui.”
Bastian emise un sospiro. “Se dobbiamo attendere la tua
piena fiducia, Lina, ho idea che non ci muoveremo di qui prima della prossima
luna.” Replicò, caustico. “Se ti basta una ragionevole rassicurazione, posso
dire che anche lui è deciso a collaborare con te per aiutare tuo marito,
esattamente come tutti gli altri presenti.”
Mi accigliai. “Non mi dire.” Rivolsi a Derek un’occhiata
sprezzante. “Facendo le scarpe al paparino?”
Il fratello di Gourry fece una smorfia, e mi diede
l’impressione di essere sul punto di rispondermi a tono. Sylphiel, tuttavia, lo
precedette. Si afferrò con fermezza alle mie braccia e mi fissò con fare
supplichevole. “Dice la verità.” Mi assicurò, la voce tremante. “E’ vero che
fra lui e Gourry-san non corre buon sangue, ma… fidati di me, Lina-san. Per
favore.”
“Mio fratello si è fatto catturare a causa mia.” Intervenne
Derek, scuro in volto. Sembrava che faticasse, a pronunciare quelle parole.
“Mio padre non vorrebbe che mi trovassi qui… ma questa faccenda riguarda solo
me e Gourry. Non voglio avere debiti con lui.”
Inutile dire che non ero convinta. Mi fidavo di Sylphiel, ma
temevo che, con la vita di Gourry in gioco, la sua capacità di giudizio non
fosse la stessa di sempre.
‘Non le rendo giustizia. In realtà, l’ultima volta che
Gourry si è trovato nei guai, l’unica a perdere la testa sono stata io.’
Mi accigliai. “E sia. Troviamo un posto in cui accamparci, e
poi mi spiegherete meglio che cosa sta succedendo.”
Ebbi la netta impressione di
scorgere Bastian tirare un sospiro di sollievo.
Scovammo una radura sufficientemente riparata nel bosco di
pini che avevamo attraversato. Accendemmo un piccolo falò, per creare un
cerchio di luce che ci difendesse dagli animali selvatici e dagli agguati dei
banditi. C’era il rischio che il fumo venisse avvistato dalla città, ma
confidammo nella notte, che ormai si era fatta scura attorno a noi,
trasformando il cielo in un nero lago di inchiostro. In alto, lontana fra le
cime degli alberi, si intravedeva la sagoma sfocata della luna piena. Il manto
delle stelle, tuttavia, era totalmente ricoperto dalle nubi.
Scoprii, grata, che Derek e Sylphiel avevano portato con
loro delle provviste. Nelle fattorie lungo la strada eravamo stati in grado di
procurarci uova, formaggio e latte, e talvolta persino pane, carne sotto sale e
pomodori. Da quando eravamo entrati nella zona dei combattimenti, però, quei
beni erano diventati più rari dell’oro. Le locande erano abbandonate, e nei
villaggi saccheggiati dai signori del mare non restava più nulla di
commestibile. Dorak, Bastian ed io avevamo esaurito le scorte portate dalla
capitale in breve tempo, e da allora eravamo sopravvissuti pescando, e
preparando insipide zuppe con i prodotti che ci offriva il sottobosco. A detta
di Bastian, avrei dovuto provare il rancio che gli veniva servito di solito
quando era in viaggio con le truppe del Lord Gabriev, prima di lamentarmi. Ma
io non ero decisamente un soldato, e se quella sera mi fossi trovata di fronte
un altro piatto di pesce arrostito probabilmente mi sarei messa a urlare.
“Quindi… Gourry sarebbe nelle mani dei signori del mare…”
Osservai, cupa, rigirandomi fra le dita uno spiedino di carne semi-consumato.
Derek mi aveva raccontato della battaglia sulla spiaggia, e
del modo in cui Gourry lo aveva tolto dai guai, facendosi catturare. Dopo
essere sfuggito a Meghar, Derek aveva ordinato immediatamente la ritirata, e
gli uomini che erano sopravvissuti al massacro avevano riparato a Rolan,
pressati alle spalle dalle truppe del pirata. Il signore dei mari, però, non
aveva attaccato la città. Forse era consapevole che le truppe di Lord Gabriev
arroccate laggiù avrebbero resistito, e aveva ritenuto, per quel giorno, di avere
ottenuto vittorie sufficienti. Da quel momento, comunque, aveva tentato
pressantemente di dare via a una trattativa con Rolan. Ma Edward Gabriev era
stato sordo a ogni richiesta. Derek temeva che la vita di Gourry ci sarebbe
andata di mezzo per causa sua. Per questo, aveva accettato di seguire Bastian
per cercare di aiutare il fratello.
“Ho avuto la fortuna di incontrare Bastian fuori dalle
mura.” Dichiarò Derek, scuro in volto. “Stavo uscendo dalla città insieme a un
gruppo di esploratori, per andare a controllare come procedeva la manutenzione
delle fortificazioni sul tratto di costa che è ancora sotto il nostro
controllo. Credevo volesse conferire con mio padre in merito a…” Esitò. “Bé, a
qualche missione che gli era stata affidata. Per questo, sono rimasto stupito
quando mi ha domandato dove si trovasse mio fratello. E il mio stupore è
aumentato di fronte al suo sconcerto, quando gli ho detto che era stato
catturato.” Scagliò un pezzo di corteccia umida nel fuoco, osservandola mentre
prendeva lentamente fuoco, sollevando una piccola nube di fumo. “Non lo so
nemmeno io perché lo ho fatto. Ho mandato avanti gli esploratori da soli, e gli
ho chiesto se voleva aiutarmi a salvare Gourry. E’ una assurda iniziativa
personale, e mio padre si infurierà quando lo scoprirà. Ma in fondo non sto
mettendo in pericolo nessuno, salvo me stesso. E’ una decisione che spetta
unicamente a me.”
“A quel punto ho dovuto raccontargli di te, Lina.” Si
intromise Bastian. “Se avesse minacciato di denunciarti, sarei stato costretto
a combattere contro di lui. Ma alla fine siamo giunti a un compromesso.”
Mi accigliai. “Vale a dire?”
Il cavaliere fissò lo sguardo sul fuoco. “Vale a dire che
manterrò i miei propositi originari. Finita questa faccenda, mi presenterò di
fronte al mio signore, rimettendomi alla saggezza del suo giudizio. Il mio
signore potrà trovare soddisfazione con me, e Sir Gabriev potrà proseguire per
la propria strada, giusta o sbagliata che sia.” Scandì quelle parole
lentamente, senza guardarmi in volto.
Il suo atteggiamento sprezzante riuscì per l’ennesima volta
a irritarmi. Mi rivolsi a Derek, il tono della mia voce tagliente. “Ma non mi
dire. E il Lord Gabriev non si irriterà quando scoprirà che proprio il suo
fidato figlio ha impedito che la mia condanna a morte venisse eseguita?”
Il guerriero mi parve disturbato da quella domanda. “Ero
presente quando hai parlato con mio padre, mentre Eriol veniva ucciso. Mio
padre ne è consapevole, ed è consapevole degli insegnamenti che lui stesso ha
scelto di inculcarmi.” Replicò semplicemente, in tono nervoso. A quanto pareva,
quella doveva essere una spiegazione sufficiente.
Esitai, per un istante. “Capisco.” Concessi alla fine, con
un sospiro. “Ma Sylphiel cosa c’entra in tutto questo?”
“Mi trovavo anch’io a Rolan, presso le truppe dei Gabriev.”
Fu la sacerdotessa a rispondermi, in tono pacato. “Derek- san mi ha fatta
chiamare prima di muoversi. Bastian-san pensava che non ti saresti fidata, se
loro due fossero venuti sino a qui da soli.” Tacque, per un istante. “Ma, a
prescindere da questo, voglio dare il mio contributo per aiutare Gourry- san.
Puoi contare sul nostro aiuto, Lina-san. Conoscevo la famiglia di Bastian-san,
era una delle più onorate e rispettabili della aristocrazia di Sailarg. E ti
posso assicurare che le intenzioni di Derek- san sono sincere. In questi giorni
era preoccupato quanto me.”
“Non è questione di preoccupazione.” Tagliò corto Derek.
“Non mi fraintendere, Lina Inverse. Se speri che questo gesto sia una
dichiarazione di benevolenza nei tuoi confronti, o un segno di perdono verso
mio fratello, ti sbagli di grosso. Ho vissuto anni di rabbia, per colpa sua, e
a prescindere dalla volontà di mio padre tutto ciò che desidero ora è che se ne
vada con te e non si presenti più di fronte ai miei occhi.” Esitò, per un
istante. “Gli devo la vita, e un Gabriev onora i suoi debiti. In più, non
potrei sopportare che il sangue del mio sangue morisse per causa mia. Ma se
dopo averti ritrovata deciderà, come credo, di rinunciare a ogni legame con i
Gabriev, non potrò dirmi che sollevato. Anche se mio padre non lo accetterà
mai.”
Lina Inverse. Quasi mi mancava, il mio nome pronunciato a
quel modo. Mi chiedevo se Bastian non avesse imparato a ricordarmi a quel modo
proprio presso i Gabriev… “Immagino che conti il risultato, più delle
intenzioni.” Dichiarai, cauta. “Almeno per me.” Gourry sarebbe stato meno
felice di quelle dichiarazioni. Il tono di Derek non era stato quello di
qualcuno che cerca di negare l’evidenza. La sua voce era colma di spassionato
risentimento nei confronti di Gourry. Ma dovevo salvare la vita di mio marito,
prima di pensare ai suoi sentimenti. “Bè, suppongo che domani mattina potremo
pensare a un piano per cercare di tirare Gourry fuori dai guai.” Sospirai. “Ora
però voglio solo dormire per qualche ora. E’ stata una lunga giornata.” Mi
levai in piedi, per preparare il mio giaciglio.
“Monto io la guardia per primo.” Annuì Bastian, alzandosi a
sua volta.
Derek lo imitò. Solo Sylphiel non si mosse. Continuò a
fissarmi dall’angolo in cui era seduta, l’aria incerta, come se considerasse
quella conversazione ancora sospesa.
Per un po’, semplicemente la ignorai. So che può suonare
freddo, ma dopo giorni di cammino con i piedi nel fango e con i nervi a fior di
pelle trovavo vagamente angosciante l’idea di una discussione introspettiva e
melodrammatica come quelle a cui spesso la sacerdotessa mi costringeva. Avevo
voglia solo di cercare riparo dall’umidità al di sotto di una coperta, e di
fingere per qualche ora di dormire in un letto caldo, a fianco di Gourry.
Con un sospiro, mi avvicinai al fuoco, e mi accinsi
distrattamente a radunare nella mia borsa da viaggio gli oggetti che avevo
abbandonato lì accanto. Le gemme e le monete che avevo portato via ai banditi
pesavano nella sacca, perciò presi lentamente a trasferirle nel mio mantello,
per lasciare spazio al coltello, alla tazza e a tutti gli altri oggetti di cui
avrei avuto un più immediato bisogno durante il viaggio. Feci del mio meglio
per svuotare la mente e annullarmi in quanto stavo facendo. Dopo un paio di
minuti, tuttavia, lo sguardo della sacerdotessa si fece troppo insistente per
essere evitato.
“Dovresti prepararti anche tu per la notte, Syplhiel.”
Osservai, stancamente, senza levare gli occhi dal lavoro.
“Non mi hai chiesto perché ho raggiunto Gourry-san.” Mormorò
la sacerdotessa, abbassando finalmente lo sguardo.
Mi arrestai, la mano affondata nella borsa, e tacqui.
Sylphiel attese per qualche istante, quindi riprese, in un basso sibilo.
“Cercavo entrambi, in verità. Sono giunta fino a Talit e poi ho seguito
Gourry-san sino a qui.” Tornò a sollevare lo sguardo su di me. “Dopo che vi ho
coinvolti in tutto questo, pensavo che desiderassi almeno conoscere…”
“Sylphiel.” La interruppi. Levai il viso, per incontrare il
suo volto pallido. “Tu… senti il bisogno di darmi questa giustificazione?”
La sacerdotessa batté le palpebre. “N… non è che ne senta il
bisogno… ma credevo che…”
“Bé, nemmeno io. Quello che è stato è stato. Ora pensiamo a
salvare Gourry, d’accordo?”
Le dita di Sylphiel si strinsero attorno al suo mantello.
“M… ma… quella lettera che vi ho inviato… Gourry- san mi ha detto che tu
sospettavi che…”
“Sylphiel, non ha importanza. Ti conosco. So che qualsiasi
cosa avessi in mente era fatta a fin di bene.”
Lo sapevo. Lo sapevo che c’era una buona ragione. C’era
SEMPRE una buona ragione, quando si trattava di Syplhiel. Ero io quella che
agiva senza pensare, in base unicamente ai propri desideri e impulsi.
La sacerdotessa tacque. Io continuai a ordinare le mie cose,
senza più guardarla in volto. Solo quando ebbi terminato di svuotare la borsa
tornai a levare lo sguardo, e mi resi conto che i suoi occhi non mi avevano
ancora abbandonato.
Quando i nostri sguardi si incontrarono nuovamente, la
sacerdotessa parve esitare. Ma, dopo un istante, mi rivolse un debole sorriso.
“Questa risposta mi ha un po’ sorpreso.” Mormorò. “Un tempo mi avresti
sottoposto a un terzo grado. Però in fondo è normale. Sei cresciuta. E anche
Gourry- san.” Abbassò lo sguardo. “Io invece ho l’impressione di essere sempre
la stessa di quando ti ho incontrata. Continuo a comportarmi allo stesso modo,
e a desiderare le stesse cose. Siete tutti più forti di me. Forse la mia
debolezza mi farà annaspare fra le mie ambizioni irrealizzabili per tutta la
vita.”
Rimasi a osservarla, colpita dal suo tono di voce
rassegnato. Abbassai lentamente la mia sacca da viaggio al suolo,
dimenticandomi in un istante degli oggetti che fino a un attimo prima avevo
tanto alacremente pensato a sistemare. “Non dire sciocchezze, Sylphiel.” Replicai,
ferma. “Tu non sei affatto debole. Hai dovuto affrontare esperienze che
avrebbero potuto distruggerti,e invece ne sei uscita fortificata.” La fissai in
volto. “Guardati. Stai portando avanti la ricostruzione della tua città da
sola. Se io fossi stata al tuo posto, probabilmente, sarei fuggita il più
lontano possibile da Sailarg, per evitare di pensare al passato.”
“Il motivo per cui cerco di ricostruire Sailarg, Lina- san,
è precisamente che non riesco a staccarmi dal passato.” La replica di
Sylphiel fu amara. “Mi illudo che anche la mia vita di un tempo tornerà,
insieme agli edifici di quella città morta. Ma ovviamente questo non potrà mai
accadere. E probabilmente sarebbe più saggio desistere da questo progetto
assurdo. In fondo a nessuno importa più di Sailarg, tutti la considerano solo
una città maledetta.”
Tacqui, non sapendo cosa risponderle. Alle mie spalle, Derek
sbadigliò sonoramente, e prese a stendere il proprio giaciglio al limitare del
cerchio di luce del fuoco. Bastian sedeva dalla parte opposta del piccolo
accampamento, apparentemente intento a scrutare nella notte.
“Forse… ciò che conta è che sia importante per te.”
Replicai alla fine, a mezza voce. “Io non ho proprio idea di quale sia la
strada giusta da percorrere per vivere, Sylphiel. Sempre che ci sia una
sola strada. Io vado avanti giorno per giorno, e probabilmente se mi fermassi a
chiedermi dove tutto questo mi sta portando sarei priva di risposte esattamente
quanto lo sei tu.” Mi morsi il labbro. “Ciò che so è che per essere felice ho
bisogno della mia magia… che e ho bisogno di Gourry. Ma mi ci sono voluti anni
anche solo per ammettere una cosa così semplice.” Mi torsi le mani in grembo,
sentendomi improvvisamente stupidamente imbarazzata. “Forse in questo momento
ciò di cui tu hai bisogno è un progetto, come la ricostruzione di
Sailarg. Se occupartene ti da forza, chi può permettersi di giudicare le tue
motivazioni?”
Abbassai gli occhi. Ero una codarda. Sapevo perfettamente a
cosa Sylphiel si riferiva, quando diceva che i suoi desideri erano gli stessi
del passato. Ma non potevo affrontare quel discorso, in quel momento. Non
potevo sentirmi in colpa per il fatto di avere Gourry, anche se avevo ottenuto
senza far nulla ciò che qualcun altro tanto disperatamente desiderava… e anche se
quel qualcuno lo meritava probabilmente più di me.
La sacerdotessa dovette rendersi conto del mio imbarazzo,
perché venne in mio soccorso. “Forse hai ragione, Lina- san.” Dichiarò, in un
sibilo. “Scusami, io…” Esitò. “… io ti ho tenuta sveglia con i miei discorsi,
quando è evidente che sei stanca e preoccupata. Andiamo a dormire. Sono certa
che domani riusciremo ad aiutare Gourry- san.” Il suo tono di voce era neutro.
Ma era evidente che non era ciò che avrebbe voluto dire.
“Mi… mi sembra una buona idea.” Mi levai in piedi, e mi
trovai a rabbrividire al vento gelido che soffiava fra gli alberi. “Finirò
domattina di radunare queste cose. Ora ho solo bisogno del mio giaciglio.” Mi
resi conto, con la coda dell’occhio, che Bastian mi stava fissando. Tuttavia,
per qualche motivo, in quel momento non avevo voglia di incrociare il suo
sguardo.
Raggiunsi un angolo dell’accampamento in cui una coltre di
aghi di pino forniva un riparo dal terriccio umido, e vi stesi la spessa
coperta di cui mi servivo come materasso. Mi tolsi velocemente gli stivali e mi
rannicchiai al riparo dal freddo, dall’umidità e dallo sguardo dei miei
compagni di viaggio.
E fui grata alle tenebre del sonno,
quando calarono a catturarmi.
Non doveva essere trascorso molto tempo, quando mi ridestai.
Aprii gli occhi lentamente, e mi trovai, disorientata, a fronteggiare un
diffuso bagliore. Battei le palpebre per qualche istante, prima di rendermi
conto che stavo fissando il fuoco. Appena me ne resi conto, come per un
incanto, l’odore di legna bruciata mi permeò le narici, mischiandosi al sentore
di umidità che ristagnava nell’aria.
Rimasi immobile, fissando le fiamme, e chiedendomi che cosa
mi avesse svegliato. Dovevo aver sognato, ma in quel momento non riuscivo a
ricordare cosa. Non un incubo, piuttosto un sogno bizzarro. Mi sentivo
stordita, e l’ansia che mi aveva attanagliato lo stomaco durante il giorno era
come ovattata.
“Ssst. Buona. Sveglierai tutti.”
Aggrottai la fronte, confusa e infastidita dal suono di
quella voce. Avrei voluto riaddormentarmi, cullata dai miei pensieri, e invece
mi trovai a levare lo sguardo dal fuoco, per capire chi li avesse interrotti.
La prima cosa che colsi, al di là delle fiamme, fu una
chioma bionda. Dovevo essere ancora confusa dal mio sogno, perché ci misi qualche
istante a elaborare quanto i miei occhi avevano registrato. Ma quando lo feci,
il mio cuore ebbe un tuffo. Mi levai a sedere di scatto, improvvisamente
completamente sveglia.
“Gou…!?!”
Mi bloccai a mezza frase, trovandomi a fronteggiare
l’espressione perplessa di Bastian. La sorpresa era stata tanta, che per un
momento potei solo restare immobile, rispondendo al suo sguardo, con un’aria
che doveva apparire estremamente idiota.
“Lina?”
La luce del fuoco mi aveva giocato uno scherzo. I riflessi
dorati delle fiamme avevano creato un alone attorno alla figura del cavaliere,
che aveva dato vita per un momento all’illusione che mio marito si trovasse di
fronte a me.
Le aspettative scemarono, lasciando spazio alla delusione e
a un irrazionale sentimento di collera. Avrei voluto dare sfogo a quei
sentimenti, ma li ricacciai a forza in fondo alla gola. Non volevo apparire
ancora più sciocca di quanto mi sentissi in quel momento.
“Lina… ti senti bene?”
Il cavaliere era seduto sul tronco d’albero su cui lo avevo
lasciato quando mi ero addormentata. Era avvolto nella sua cappa scura, e un
pesante guanto di cuoio da falconiere era stretto attorno al suo braccio
destro.
Evitai di rispondere alla sua domanda. “Non lo avevi mai
fatto avvicinare…” Osservai. “… non durante il giorno, almeno.” La mia voce
suonava roca.
Il falco mi fissava, dal braccio del cavaliere. I suoi occhi
penetranti erano attenti a ogni mia mossa.
“Non sono io che non la faccio avvicinare.” Replicò Bastian.
“E’ che non le piacciono gli estranei, soprattutto quando è lontana dal suo
solito ambiente.”
“Le?” Quindi, doveva essere un falco femmina. Non avevo idea
di come si facesse a capire la differenza, in effetti.
Scivolai fuori dal mio giaciglio, levandomi lentamente in
piedi. Sylphiel e Derek si trovavano agli angoli dell’accampamento, e
sembravano profondamente addormentati. La notte era un pozzo di buio silenzio.
“E non puoi coprirle gli occhi con quella specie di
cappuccio che usano i falconieri?” Chiesi, avvicinandomi con cautela, per non
spaventarla.
Le labbra di Bastian si inarcarono lievemente. Mi resi conto
che non mi era capitato spesso di vederlo sorridere.
“Non ho interesse a perdere un dito.” Dichiarò, in tono
stranamente quieto. “Questa bestia è una testa calda.”
“Eppure sembra tranquilla.” Mi sedetti al fianco del
cavaliere e, senza pensarci, allungai le dita ad accarezzare la testa
dell’animale. La bestia non reagì. Continuò a studiarmi, gli occhi intelligenti
che muovevano rapidamente dai miei occhi alla mia mano.
Bastian si accigliò. “Una testa calda e infida.” Sibilò. “Io
ci ho messo giorni prima di riuscire ad accarezzarla.”
Per qualche motivo, quell’osservazione mi divertì. “Si vede
che non sei granché come addestratore.” Osservai, in tono leggero, ritirando la
mano.
Bastian levò il braccio, e il falco si alzò nel buio,
scomparendo fra i rami dei pini. “Non l’ho addestrata.” Replicò,
tranquillamente. “Non è come con i falchi che mi affidava il Lord Gabriev. Lei
mi segue solo perché desidera farlo.”
Rimasi in silenzio per qualche istante, fissando il luogo in
cui la bestia era sparita e ponderando le sue parole. “Un po’ come i draghi.”
Mi trovai a osservare infine, abbassando distrattamente gli occhi sul fuoco.
Bastian, il cui sguardo avevo avvertito sul mio volto sino a
un istante prima, distolse velocemente gli occhi. “Ti intendi di draghi?”
Domandò, in tono neutro, fissando a sua volta le fiamme.
“Me ne intendo abbastanza da sapere che non sono esseri
propensi a piegarsi ai capricci degli esseri umani.” Feci una pausa. “E poi… da
quanto ho sentito in giro al villaggio degli Enu, i draghi che si sono alleati
con Erianna vivevano nelle steppe da secoli, nella più totale indipendenza.
Difficile, quindi, che si siano trasformati improvvisamente in docili animali
domestici. Ma non c’è bisogno che te lo dica, giusto?”
Il corpo di Bastian, a pochi centimetri dal mio, si irrigidì
all’improvviso. “Non so di che parli.” La sua voce, che quella sera mi era
apparsa stranamente calda, era tornata improvvisamente distaccata.
Mi accigliai. “Andiamo, Bastian.” Lo incalzai. “Quando ci
siamo fermati al villaggio, sembravi conoscere bene le usanze degli Enu e il
loro governatore. E tutto l’astio che provi per Dorak… Non mi venire a dire che
non hai frequentato assiduamente quel luogo, in passato:” Cercai il suo
sguardo. “Sentendoti parlare di quel falco, ne ho avuto la conferma. Mi pareva
di risentire Sybil mentre parlava del rapporto che gli Enu hanno con i loro
falchi e i loro cani da caccia”
“Sybil.” Mormorò Bastian, lanciandomi un’occhiata sfuggente.
“E’ come pensavo, quindi. Ecco dov’eri sparita, quel pomeriggio.” Spezzò un
rametto abbandonato al suolo con il piede, e lo calciò verso il fuoco. “E’
stata lei a dirti dell’alleanza che gli Enu hanno proposto a Erianna, immagino.
Se il governatore lo sapesse, si arrabbierebbe a morte.” Il suo sguardo si
abbassò sulle punte dei propri stivali, affondate nel terriccio umido.
“Non è una notizia di grande importanza, nelle mie mani.”
Replicai, come dato di fatto. “Ma dal tuo stupore di oggi pomeriggio devo
dedurre che anche tu non ne sapevi nulla.”
Bastian si accigliò.“E’ da un po’ che non ho a che fare con
gli Enu. Non ho idea di quali siano i loro progetti.” Esitò, per un istante.
“Il fatto è che il loro villaggio si trova vicino alla tenuta del mio signore.
Lord Gabriev è uno fra i vassalli incaricati della riscossione dei loro tributi
e del controllo sull’operato del governatore e sui commerci condotti dal
villaggio. Perciò capitava di frequente che mi recassi presso di loro, o che
qualcuno di loro fosse accolto a udienza nella tenuta del mio signore.”
Raggiunse con le dita i lacci del guanto di cuoio, e se lo sfilò lentamente.
“Dorak era inviato di frequente da noi come messaggero, e talvolta gli è
capitato di svolgere degli incarichi per il Lord Gabriev come mercenario. E’
stato persino il suo boia..” Mosse il braccio, stirandolo. “Quello è un
mestiere che qui a Elmekia è visto come impuro. Solo i reietti se ne occupano.
Ma gli Enu non hanno molte risorse di sopravvivenza. E gli scrupoli non fanno
guadagnare più del più infimo degli incarichi.”
Aggrottai la fronte, incuriosita. “Ed è per questo che non
ti piacciono?”
Bastian si volse a osservarmi, accigliato. “Di cosa parli?”
“Non mi parevi particolarmente felice di tornare al
villaggio degli Enu. Forse un integerrimo cavaliere come te era degradato dalla
loro compagnia?”
Il volto di Bastian, che fino a quel momento mi era apparso
stranamente disteso, si fece improvvisamente scuro. “Se il mio dovere è
trovarmi accanto una compagnia degradante, Lina Inverse, non mi tiro certo
indietro. Il fatto che io ora mi trovi qui con te ne è la chiara
dimostrazione.”
Mi accigliai. “Complimenti. Vedo che, quando ti vengono
poste così su un piatto d’argento, cogli al volo le occasioni per dare sfoggio
della tua ottusità, cavaliere.”
“Io ottuso?” Mi afferrò per il polso, attirandomi a
sé. “Guardami, Lina Inverse. Chi è ottuso? Chi è che continua a sparare
giudizi senza conoscere nulla della realtà dei fatti???”
Cercai di liberarmi, ma la sua presa era ferrea. “Io giudico
quello che vedo, cavaliere.” Sibilai, rabbiosa. “E non mi sembra che tu ti
sforzi di darmi un’impressione diversa!”
“Sforzarmi???” Il viso di Bastian si avvicinò al mio,
tanto che avvertii sul mio volto il suo respiro tagliente. “Tu… tu non hai idea
di quanto io… costantemente… mi sforzi!” La sua presa divenne così
ferrea da farmi quasi male. “Sembra una maledizione… io… io sono condannato a
lottare contro me stesso… e tu mi accusi di non fare abbastanza???”
Bastian aveva improvvisamente alzato la voce. Io battei le
palpebre, e cessai istantaneamente di cercare di liberarmi. L’atmosfera si era
improvvisamente trasformata. Non era più quella rilassata dell’inizio della
nostra conversazione, ma nemmeno quella concitata e rabbiosa di pochi istanti
prima. Era… diversa. Per la prima volta da quando avevo conosciuto Bastian,
ebbi la netta impressione di non avere idea di cosa stesse succedendo.
“Bastian…”
“Basta.” La voce del cavaliere era roca. Il suo respiro,
caldo sul mio viso. “Adesso basta.” Ripeté, in un sibilo. Il suo volto si
avvicinò ulteriormente al mio. E il fiato mi si mozzò in gola.
No.
Il mio corpo… il mio corpo era come paralizzato…
Non così… non così…
… vicino…
“Mmm.”
Entrambi sussultammo.
Ci ritrovammo immobili, incapaci di volgerci, di parlare,
persino di respirare.
Derek si era mosso nel sonno. Forse, disturbato dal nostro
non precisamente silenzioso alterco. Aveva emesso un sordo mugugno, senza
apostrofarci, senza nemmeno aprire gli occhi. Ma lo strano incantesimo che aveva
gelato l’atmosfera un momento prima era stato brutalmente spezzato.
Abbassai gli occhi, sentendo il sangue salirmi
improvvisamente alla testa.“Io… io credo di dover tornare a dormire, ora.”
Sibilai, cercando con scarsi risultati di scostarmi. Ero imbarazzata, stupita,
confusa, irritata. Maledettamente irritata. Perché diavolo ero andata da lui,
tanto per cominciare? Dovevo proprio alzarmi per vedere quel dannato falco???
“Probabilmente dovresti.” Il tono di Bastian aveva
riacquisito compostezza. Non era più febbrile come un istante prima, anzi era
divenuto quasi freddo. Ma la sua stretta era ancora ferrea, attorno al mio
polso.
La mia bocca era secca, ogni traccia di saliva scomparsa.
“Allora… dovresti lasciarmi.” Anche la mia voce risuonò dura, stranamente
graffiata.
L’espressione di Bastian si fece per un momento smarrita.
Quindi, il suo sguardo si abbassò sulle nostre braccia intrecciate, e la
comprensione si disegnò nei suoi occhi.
Mi lasciò andare all’improvviso, quasi con foga. Non
risollevò lo sguardo, e gliene fui grata. Là dove le sue dita avevano stretto
il mio polso, un istante prima, la mia pelle pareva bruciare.
Mi levai in piedi, senza parlare, reggendomi il polso.
Attraversai il campo quasi di corsa, non volgendomi, non degnando di uno sguardo
né Derek né Sylphiel.
Soprattutto Sylphiel.
Mi nascosi al di sotto le coperte, fuggendo irrazionalmente
dai loro sguardi, nonostante fossero profondamente addormentati.
Ma non potevo fuggire anche da me stessa.
Rimasi sveglia, a lungo. Cercando, per la prima volta da
quando era iniziato quel viaggio, di scacciare dalla mia mente l’immagine di
Gourry.
Della serie… a volte ritornano!
XD Finalmente mi sono laureata, e, anche sulla scia di Slayers Revolution, ho
trovato il tempo e l’ispirazione per finire questo interminabile capitolo…^^ So
che sono passati mesi, e spero che qualcuno abbia ancora interesse a leggere il
seguito di quello che ho scritto… d’ora in poi dovrei essere in grado di
aggiornare con più regolarità…^^ Come sempre, grazie mille a tutti quelli che
hanno letto e commentato lo scorso capitolo! ^^ (ah, e piccola nota… il Raugnut
Rushavna è disgustoso, lo so, ma non l’ho inventato io… è in effetti un
incantesimo del mondo di Slayers…XD) Buona lettura!
***
“Gourry-san!!!”
Non
riuscivo a fare altro che fissare stranito Amelia, che gridava di gioia, il
volto affondato nel mio petto.
“Ero certa che mio padre vi avrebbe assoldato per
cercarmi!!!” La principessa sollevò gli occhi sui miei, lo sguardo acceso e
speranzoso. “Dov’è Lina-san? Dobbiamo muoverci di qui! Lei deve…”
“Temo
che abbiate frainteso, principessa.” Prima che Amelia potesse terminare, anche
Meghar avanzò nella stanza. Alle sue spalle, i suoi armati si fermarono ai lati
della porta, le mani minacciosamente poggiate sui foderi delle spade.
“Purtroppo il giovane Gabriev non si trova qui in veste di vostro salvatore. E
in effetti temo che entrambi sarete impossibilitati ad andare in qualsiasi
luogo.”
Amelia
batté le palpebre, colta di sorpresa, e spostò diverse volte lo sguardo da me
al pirata. Quando la comprensione finalmente calò su di lei, le sue
sopracciglia si aggrottarono tanto da trasfigurare i suoi lineamenti.
“Gourry-san… mi stai dicendo che TI SEI FATTO CATTURARE???”
Indietreggiai
di un passo, improvvisamente intimidito, conscio che il disappunto di Amelia
stava per prendere forma in una accorata arringa.
“A…
Amelia… io…”
“TU!” La principessa non mi permise di terminare. Si
rivolse al pirata, il volto sfigurato in una maschera di sdegno. “Tu,
spregevole fuorilegge, non solo hai preso in ostaggio una ambasciatrice di
pace, ma hai osato anche imprigionare un onesto e valoroso guerriero che si
accingeva ad aiutare una sua vecchia amica senza esigere nulla in cambio!!!”
Battei le palpebre. Amelia in pochi secondi aveva già dedotto tutte le
motivazioni per cui mi trovavo in quel luogo… sbagliando, ovviamente, ma dovevo
riconoscerle una certa inventiva. “Tu non hai idea di cosa ti aspetta!!! La
giustizia divina e la giustizia di mio padre non ti lasceranno scampo! TU sei
destinato a soccombere, come ogni altro malvagio i cui indegni passi solcano il
terreno di questo mondo, tu, tu…” Amelia evidentemente non trovò parole
sufficientemente ingiuriose per continuare. Ma avevo l’impressione che il
messaggio fosse passato comunque. Le guardie di Meghar erano impallidite, e
parevano pronte a fuggire in ogni istante dalla stanza. Solo il pirata aveva
stoicamente accolto le invettive senza mutare di espressione.
‘Pare che il fervore per la giustizia Amelia sia un
ottimo strumento per testare il sangue freddo di un uomo.’
Meghar emise un mezzo sospiro. “E’ da quando
l’abbiamo presa prigioniera che fa così.” Dichiarò, quasi la principessa non
fosse presente. “All’inizio la tenevo sulla mia nave, ma faceva talmente tanto
chiasso che temevo che i miei uomini esasperati cercassero di ucciderla. Mi
confermi che è normale, o devo temere che suo padre non la rivoglia più, perché
la sovreccitazione la ha fatta impazzire?”
Il volto di Amelia mutò diverse tonalità di
violaceo. Per qualche istante temetti seriamente che si sarebbe gettata al
collo del pirata e avrebbe cercato di strozzarlo.
“Ehm.” Mi feci avanti, interponendomi fra Meghar e
la principessa, prima che la situazione precipitasse. “Amelia, ti senti bene?
Non ti hanno fatto del male, vero?”
“Non le è stato torto un capello.” Fu il pirata a
rispondere per lei. “E invece di ripagarci per la nostra gentilezza, la
principessa qui ha continuato a darci problemi. Solo una settimana fa, ha
cercato di aggredire il soldato che le portava il cibo. E ha tentato
innumerevoli volte di scappare. Io sono un uomo paziente, ma sto sinceramente
cominciando a seccarmi.” Arretrò verso la porta. “Dal momento che la conosci,
vedi di farla ragionare. Ti do dieci minuti, poi verrai condotto nella tua
cella.” Mi volse le spalle, senza lasciarmi il tempo di replicare. Sparì nello
scuro corridoio, e le guardie chiusero la porta alle sue spalle, continuando a
fissarci arcigne dalla loro posizione all’ingresso della stanza.
Cercando di ignorarli, mi avvicinai ad Amelia. “E’
davvero tutto a posto?” Domandai, sottovoce, messo a disagio dagli sguardi
degli armati puntati sulla mia schiena.
La principessa annuì, sbrigativamente. “Perché fanno
questo?” Domandò. “Non capisco perché ti hanno condotto qui. Non era più
conveniente per loro che non sapessimo di trovarci nello stesso posto?”
Non avevo considerato la cosa, e la sua domanda mi
lasciò spiazzato per un secondo. Ma poi ripensai alle parole che mi aveva
rivolto Meghar prima di uscire. “Forse… è una velata minaccia di ritorsione…”
Amelia batté le palpebre. “Vuoi dire che… pensano di
tenerci buoni minacciando di fare del male all’altro???” Il suo sguardo
rabbioso si volse alle guardie. “Oh, questo è…”
“Amelia.” Cercai di calmarla. Dubitavo che un nuovo
discorso sulla giustizia avrebbe migliorato la nostra situazione. “Abbiamo poco
tempo. Puoi spiegarmi perché ti trovi qui? Pensavamo che fossi prigioniera di
Talit.”
“Pensavate?” La principessa mi guardò spaesata.
“Perché, non è così…?”
Le mie sopracciglia si levarono. “Mi vuoi dire che
non hai idea di quello che sta succedendo fuori di qui?” Domandai, in tono
incredulo.
Il volto di Amelia si oscurò. “Non so niente di
niente. Ricordo l’aggressione, ricordo che mi hanno stordita prima ancora che
potessi realizzare che cosa stava succedendo… e poi il vuoto più totale. Non so
nemmeno come mi abbiano trasportata fino alla nave di quel pirata… via mare,
probabilmente, ma quando ho ripreso i sensi mi trovavo già a bordo.” Sospirò.
“Da allora sono sempre rimasta rinchiusa, e nessuno si è degnato di dirmi nulla
su quanto stava accadendo. Alla fine, ho persino perso il conto dei giorni.
Conoscevo Meghar di fama, e sapevo che portava avanti i suoi affari in questa
zona della costa di Elmekia, perciò ho dato per scontato che stesse agendo come
mercenario per conto di Talit… ma erano solo ipotesi vuote. Non ho la più
pallida idea di cosa abbia in mente.”
“In realtà pare che lui e il duca di Talit siano in
guerra.” Replicai, incerto. “Ma se devo essere del tutto sincero… anche io ho
perso un po’ il filo di quanto sta succedendo.” Mi grattai la guancia.
Amelia mi rivolse un breve sorriso. “In questo caso
non sei il solo, Gourry-san.” Indietreggiò di un passo, come per studiarmi
meglio. “Ma hai un aspetto orribile. Che cosa ti è accaduto?” Mi fissò negli
occhi e il suo sguardo si tinse di preoccupazione. “E Lina-san?”
L’abbozzo di sorriso che era stato sul punto di
comparire sulle mie labbra si distorse in una smorfia. “Non è con me.”
Replicai, brevemente. “Ma è una lunga storia, e non credo che avrò il tempo di
raccontartela ora.” Lanciai un’occhiata fugace alle guardie alle mie spalle, e involontariamente
abbassai la voce. “Amelia, come riescono a trattenerti qui? Non potresti usare
la magia per andartene?”
La principessa scosse la testa, cupa. “Da quando
sono nelle loro mani, la mia magia è più debole. Credo che stiano usando un
qualche tipo di incantesimo di schermo per i luoghi in cui mi tengono
prigioniera…” Il tono di voce di Amelia era rassegnato. Non avevo idea di cosa
fosse un incantesimo di schermo, ma supponevo significasse che non avevamo a
che fare con gente sprovveduta, in termini di magia.
“Capisco.” Sussurrai, in tono piatto. “Sono
informati su di noi, a quanto pare.” Le rivolsi uno sguardo preoccupato. “Ma
non dovresti esagerare con loro, Amelia. Mercenari, pirati e gente del genere
non sono tipi con cui scherzare. Ci ho già avuto a che fare e… non vanno per il
sottile. Soprattutto con le prigioniere.”
La principessa si strinse nelle spalle. “Oh, se
avessero voluto farmi qualcosa di male lo avrebbero già fatto, Gourry-san.
Evidentemente conviene anche a loro trattarmi bene, almeno per il momento.” Mi
rivolse un ampio sorriso. “Ma grazie di preoccuparti per me.”
Non ero del tutto convinto delle sue parole, ma non
ebbi il tempo di replicare. I guerrieri alle mie spalle si fecero avanti, e mi
afferrarono per un braccio. “Il tempo delle chiacchiere è finito.” Dichiarò uno
di essi, in tono raschiante. “Vieni via, Gabriev.”
Non opposi resistenza. Il mio malessere era passato,
ma mi sentivo ancora troppo debole per lottare. Lanciai un’ultima occhiata ad
Amelia, mentre venivo trascinato fuori dalla stanza, ma il suo volto sparì
dietro la porta prima che potessimo scambiarci qualsiasi genere di messaggio.
Rassegnato, mi lasciai condurre attraverso il
corridoio, e lungo una ulteriore rampa di scale a chiocciola, che culminava in
uno stretto pianerottolo. Su di esso si apriva un’unica porta, che conduceva a
una stanza piccola e tetra. Evidentemente, quello era il “confortevole
alloggio” che mi era stato promesso.
Venni spinto all’interno. Non sembrava precisamente
una cella, piuttosto il vecchio alloggio di uno dei guardiani. La stanza sapeva
di muffa e di stantio, nonostante l’unica finestra, una feritoia vicina al
soffitto e troppo stretta persino per sporgersi, fosse priva di vetri come
quelle dei corridoi. Il pavimento e le pareti erano in pietra grigia e
incrostate di umidità e salsedine. In un angolo della parete sulla destra, una
bassa porta tarlata era chiusa su quello che doveva essere l’accesso alla
latrina. Per il resto, ben poco spezzava la monotonia dell’ambiente. Sulla sinistra
era stato allestito un pagliericcio, vicino al quale erano state accatastate
delle coperte. Abbandonati a terra c’erano un secchio d’acqua, alcuni oggetti
per la toletta e una cassa tarlata ricolma di ceppi di legno. Al centro della
stanza, troneggiava un tavolo con una sedia, spoglio salvo che per una candela,
una brocca d’acqua con un bicchiere e un vassoio ricoperto da un liso telo
bianco. Nella camera non c’era altro mobilio. Nella parete esterna, però, era
scavato un piccolo camino in pietra, in cui qualcuno aveva già acceso un fuoco.
L’aria non era satura di calore come nella stanza di Amelia, ma dopo aver
percorso i corridoi gelidi, trovarmi al caldo era comunque una sensazione
piacevole.
La guardia mi spinse verso il tavolo. “Laggiù c’è la
tua cena Sir.” Dichiarò, sprezzante. “Buona permanenza.” Si fece indietro, e
chiuse con violenza la massiccia porta alle mie spalle. Mentre tirava il
catenaccio che mi imprigionava lì dentro, io rimasi per qualche istante a
fissare lo squallore in cui avrei abitato per quelli che forse sarebbero stati
i mesi a venire. Per un momento fui tentato di mettermi a gridare, o rifiutarmi
di mangiare, tanto per complicare un po’ la vita ai miei catturatori.
Probabilmente Lina lo avrebbe fatto, al mio posto. Ma dubitavo che la cosa
avrebbe condotto a grandi miglioramenti.
Sospirai, e mi decisi ad avanzare nella stanza. Mi
sedetti al tavolo, e sollevai il telo che copriva la mia cena. Uno stufato
denso e oleoso, in cui galleggiavano pezzi di carne grassa dalla dubbia provenienza.
E ad accompagnarlo, formaggio duro come la pietra e pane raffermo.
‘Grandioso. Suppongo di non essere considerato
nemmeno un ostaggio degno di un pasto decente.’
In realtà, sapevo di non potermi lamentare. Amelia
poteva anche essere trattata da principessa, ma la guerra non era esattamente
il momento adatto per sprecare risorse sfamando i prigionieri con pasti
luculliani.
E in fondo, normalmente, i pirati non facevano prigionieri.
Affondai il cucchiaio nello stufato e presi a
rimestarlo, sperando che questo potesse migliorare il suo aspetto. Inutile dire
che non lo fece. Ma dopo le prime cucchiaiate, mi scoprii a divorarlo quasi
avidamente. La fame, evidentemente, poteva farmi scordare persino il disgusto.
Dopo giorni di nausea, il mio stomaco trovava appetibile anche quella
brodaglia.
Terminai lo stufato e pulii il piatto con il pane,
quindi divorai il formaggio. Aveva un vago retrogusto stantio, ma quando lo
ebbi finito mi trovai a desiderarne ancora. Provai a bere qualche bicchiere
d’acqua, per riempirmi lo stomaco,ma non bastava. Il mio corpo continuava a
reclamare cibo.
‘Al diavolo.’ Mi sollevai in piedi, nella speranza
di distrarmi dalla fame. Trasportai il secchio dell’acqua vicino al fuoco, mi
svestii della mia tunica ormai logora, e presi a lavarmi, liberandomi dello
sporco che mi aveva incrostato il corpo e i capelli. Quando ebbi terminato,
usai il sapone che mi era rimasto per lavare la tunica e la maglia di lana che
indossavo sin da quando ero stato catturato. Supponevo che non avrei avuto
altri vestiti a disposizione a breve.
Abbandonai le vesti sullo schienale della sedia,
vicino alle fiamme, e raggiunsi il mio giaciglio. Non mi accertai nemmeno che
fosse pulito. Mi gettai addosso tutte le coperte che trovai e mi ci abbandonai
supino, lo sguardo fisso sul soffitto spoglio della stanza. Quella notte non
avevo la forza di dormire sul pavimento.
‘Ma non è male, in fondo. A onor del vero, ho
dormito in locande peggiori.’
Ripensai alla stanza che avevo condiviso con Lina a
Sailarg, prima che venissimo coinvolti in tutta quella faccenda, e un sorriso
affiorò involontario alle mie labbra. Avevo sinceramente creduto che mia moglie
avrebbe fatto saltare in aria l’oste, quando ci aveva chiesto tre monete d’oro
per una stanza che era lussuosa quanto la reale porcilaia. E quella lumaca
nella vasca da bagno… dopo anni di convivenza, trovavo ancora assolutamente
inspiegabile come una donna che aveva guardato la morte in volto e aveva
fronteggiato alcune delle creature più potenti del nostro mondo potesse essere
terrorizzata da un essere non più grande del suo mignolo. Ma in fondo questa
era Lina. Una contraddizione vivente.
‘Vorrei che fosse qui.’
Levai la mano destra. Avevo rimosso le bende per
lavarmi e ora l’immagine della mia pelle martoriata mi fronteggiava dal palmo.
L’intera mano era arrossata, ora. Era come se la mia ferita si stesse
lentamente espandendo.
Le mie labbra si strinsero. E se quel marchio fosse
stato un segno di morte? Fino a qualche anno prima, non avevo avuto paura di
morire. Quando avevo perso mia madre avevo dodici anni, ed era stato allora che
avevo capito che nessuno poteva sfuggire a quella sorte. Lo avevo accettato,
non me ne preoccupavo. Ma da quando avevo conosciuto Lina, quella prospettiva
era tornata a spaventarmi. Cosa avrebbe provato, se mi fosse successo qualcosa?
Avrebbe vissuto nella stessa cieca disperazione che aveva colto me, ogni volta
che avevo temuto per la sua vita? Quando ero stato rapito da quel demone, anni
prima, aveva accettato coscientemente il rischio di perdere se stessa, pur di
salvarmi. E se fosse accaduto ancora?
Abbassai il braccio. Non volevo preoccuparmene, in
quel momento. Chiusi gli occhi, cercando di combattere l’ansia. E lasciai che
il sonno, gradualmente, mi catturasse.
***
Avevo incontrato ogni genere
di persona nella mia vita.
Ma mai qualcuno che avesse
altrettanta faccia tosta.
“Vi dico che è la soluzione migliore.” Dichiarò
Bastian, asciutto. “Non ha senso andare tutti. Se la mia signora Sylphiel si
sbagliasse e Sir Gabriev non si trovasse nella prigione sull’isola,
rischieremmo di farci catturare tutti inutilmente. Qualcuno deve restare per
cercare una soluzione alternativa, nel caso il piano andasse storto.” Cercai il
suo sguardo, ma gli occhi del cavaliere sorvolarono il mio viso senza
soffermarsi, e si fissarono ostinatamente su Derek.
Lo trovai infinitamente irritante.
Era tutta la mattina che cercavo di parlargli, ed
era tutta la mattina che Bastian mi ignorava. Ma se a lui stava bene inscenare
quello stupido teatrino, e ostentare il suo disprezzo come se nulla fosse
successo, io ritenevo che ci fossero un bel po’ di cose da mettere in
chiaro prima di tornare al nostro sano odio reciproco. In primo luogo, il fatto
che se avesse tentato di mettermi di nuovo le mani addosso, lo avrei spedito in
orbita così velocemente da non permettergli nemmeno di accennare con quel suo
tono sprezzante le sillabe del nome ‘Lina Inverse’.
“Non mi fido abbastanza né di te né di Derek per
decidere di lasciarvi andare avanti da soli in questa cosa.” Replicai, aspra.
“Dite quello che vi pare, ma io questa mattina andrò su quell’isola. Restateci
voi qui a marcire nelle paludi, se davvero ci tenete.”
Sylphiel continuava a lanciarmi occhiate curiose. Io
la ignorai pesantemente. Quella notte non avevo chiuso occhio e la rabbia, il
senso di colpa e la stanchezza parevano essersi accumulati sul fondo del mio
stomaco in un groviglio inestricabile. Stringevo fra le dita uno spiedino
infilzato in una delle salsicce sugose che avevamo appena cotto sul fuoco per la
colazione, ma, per come la trovavo appetibile in quel momento, avrebbe anche
potuto trattarsi di un blocco di melma.
Bastian sospirò e replicò fissando il fuoco. “Né
Derek né io saremmo in grado di infiltrarci in una delle città controllate da
Meghar per cercare informazioni, se il tentativo alle vecchie carceri si
rivelasse un fiasco. Siamo troppo riconoscibili. Voi due, invece…”
Mi levai in piedi, impedendogli di terminare. “Voi
due siete riconoscibili??? E immagino che la taglia sulla mia testa non
voglia dire nulla, giusto??? Dovreste ricordarvela bene, dal momento che
l’integerrimo Lord Gabriev ha commesso il veniale peccato di coprire un
omicida, perché fosse mantenuta!” ‘Sempre ammesso che l’omicida non sia davvero
lui’. Ma mi guardai bene dal dare voce a quel pensiero, di fronte al fratello
di Gourry.
Derek sibilò fra i denti qualcosa che fui lieta di
non aver udito. Bastian, invece, mantenne stranamente la calma, nonostante il
mio tono acido. “E’ Lord Gabriev
che ti sta cercando, non Meghar. E comunque con la tua magia te la caveresti
certo meglio di noi, nel cammuffarti.” Derek parve contrariato, all’ultima
affermazione, ma ebbe il buon senso di tacere. Ma non serviva certo una sua
reazione, per irritarmi. La tranquillità di Bastian era più che sufficiente a
farlo. Non aveva dannatamente il diritto di essere tranquillo.
“Vedi, Bastian…” Sibilai, quasi dolcemente. “…
pianificare in questo modo le cose implicherebbe che noi quattro stiamo
lavorando come una squadra. Ma non è così. Il fatto che io tolleri la vostra
presenza…” E spostai lentamente lo sguardo fra lui e Derek. “… non significa
che io sia disposta ad accettare consigli strategici da voi. E tanto meno
ordini.”
Bastian finalmente levò lo sguardo su di me, ma la
sua espressione rimase totalmente indecifrabile. Le mie viscere si torsero con
ancora maggiore violenza, per la rabbia.
“A me sta bene finirla qui.” Derek si levò in piedi,
con fare insofferente. “Questa collaborazione era destinata a essere
fallimentare sin dal principio. Se ognuno se ne andrà per la propria strada
sarà molto…”
“Derek-san.” Sylphiel lo interruppe, mordendosi il
labbro. Sembrava inquietata dal nostro scambio di invettive. “Aspetta, ti
prego.” Il suo sguardo si posò su di me. “Io… credo che Lina-san si sia lasciata
trasportare dall’agitazione, nell’usare parole così dure… ma penso anche che
abbia ragione, riguardo al fatto che è meglio restare uniti. Abbiamo un comune
obiettivo, e se Meghar ha a sua disposizione dei maghi, la nostra presenza
potrebbe esservi utile. Senza contare che Lina-san e io conosciamo poco questi
territori, e se voi due non doveste tornare avremmo comunque difficoltà a
muoverci da sole…”
La notizia dell’esistenza delle vecchie carceri mi
era stata rivelata da Sylphiel, quella mattina al suo risveglio. La
sacerdotessa mi aveva raccontato del rapimento di Amelia e della sua scorta, e
dei suoi iniziali sospetti riguardo al fatto che fossero tenuti prigionieri dal
Duca di Talit proprio in quelle isole. Tuttavia, la sacerdotessa, come me, non
conosceva particolarmente quei territori. Quando era giunta a Rolan, aveva
scoperto con un certo disappunto che le isole che credeva sotto il controllo
del Duca si trovavano di fatto nelle mani dei pirati ormai da anni. Ciò
significava, però, che Meghar poteva averle scelte come luogo per tenere
rinchiuso Gourry. Un’isola sarebbe stata più riparata dagli attacchi delle
truppe di Rolan rispetto alle città lungo la costa, senza contare che, per come
Derek ci aveva descritto le vecchie carceri, la loro posizione isolata e
protetta da un’altura le rendeva una preda difficilmente espugnabile. Ma non mi
importava. A costo di far saltare in aria mezza isola, la mia priorità rimaneva
togliere Gourry dai guai.
Derek parve stranamente placato dalle parole di
Sylphiel. Tornò a sedersi, pur continuando a gettarmi lunghe occhiate
circospette. Bastian rivolse invece uno sguardo pensoso alla sacerdotessa, ed
ebbi l’impressione che lottasse per cercare una ragione valida per
contraddirla. “Più siamo, più sarà difficile non farci notare.” Obiettò alla
fine. Ma ormai c’era una traccia di resa nella sua voce.
“Ci fingeremo mercanti, saltimbanchi, quello che vi
pare.” Replicai io, asciutta. “Una volta giunti sull’isola, basterà avviarci a
piedi attraverso il bosco, e anche dall’alto della prigione nessuno ci noterà.”
“Il problema non sarà attraccare sull’isola, il
problema sarà superare la sorveglianza all’ingresso delle prigioni.” Sbuffò il
cavaliere. “Non ti illudere che il buio o uno dei tuoi trucchetti magici
possano bastare. E se anche riuscissimo a entrare, non ho idea di come potremmo
fare a uscirne.”
“Bé, quando saremo lì, ci inventeremo qualcosa.”
Tagliai corto. Ero impaziente di muovermi. Lanciai un’occhiata alla salsiccia
ancora stretta nella mia mano, ormai fredda, e mi decisi ad addentarla. In
fondo, mi attendeva una lunga giornata.
Un silenzio cupo calò sull’accampamento. Per motivi
diversi, ciascuno sembrava uscire insoddisfatto da quella discussione. Ma alla
fine, i miei compagni di viaggio mi imitarono e si alzarono. Bastian e Derek
cominciarono a radunare con movimenti bruschi i propri oggetti personali. Io,
che quella mattina mi ero levata dal mio giaciglio quando ancora il cielo era
scuro e avevo già ammonticchiato nel mantello i miei averi, rimasi ferma a
guardarli, masticando con poco entusiasmo la mia colazione.
Sylphiel mi rivolse un’occhiata ansiosa. “Lina-san…
va tutto bene? Stamattina mi sembri un po’…”
“Avremo bisogno di una barca.” La interruppi, senza
guardarla in volto.
“Cosa…?”
“Una barca. Non possiamo certo arrivare all’isola a
nuoto.”
Sylphiel
batté le palpebre. “Oh… Bé, immagino che potremmo pagare per averne una
al porto…”
“Non è una buona idea.” Intervenne Bastian, che
evidentemente aveva origliato la nostra conversazione. “Entrare a Rolan,
intendo. Secondo me dovremmo tornare indietro attraverso la palude e cercare
qualche villaggio di pescatori. Abbiamo visto parecchie barche abbandonate,
mentre venivamo qui..”
Avrei persino potuto trovare divertente il fatto che
un tipo come lui suggerisse di rubare una barca a un ignaro pescatore, in altre
circostanze. Quella mattina, però, avevo poca voglia di scherzare. “Immagino
che sia la cosa migliore da fare.” Replicai, in tono tetro. “Se ci aggirassimo
per Rolan rischieremmo di essere riconosciuti, anche rimanendo nella parte
bassa della città.” ‘Senza contare che laggiù un fantomatico assassino potrebbe
essere sulle mie tracce.’ Non avevo riferito le parole di Sybil a nessuno,
nemmeno a Sylphiel. Mi sarei sentita estremamente stupida ad ammettere che ero in
ansia per le profezie di una sacerdotessa fuori di testa.
Nessuno trovò nulla da obiettare, per cui terminammo
di liberare l’accampamento in silenzio. Quando ci incamminammo, il sole era
ormai a metà della sua ascesa mattutina al cielo, e la luce azzurrina tipica
delle ore successive all’alba saturava l’aria. Il vento aveva spazzato via le
nubi della serata precedente, prospettandoci una giornata fredda ma limpida. La
brezza che soffiava da ovest portava con sé l’odore del mare, più intenso che
mai, e sferzava via i residui della umidità stagnante dei giorni precedenti. La
palude appariva decisamente meno minacciosa, quel giorno. Questo contribuì
almeno parzialmente a calmarmi.
“E’ davvero desolato, qui attorno…” Commentò
Sylphiel, lievemente ansante, quando riemergemmo dai pini, raggiungendo
finalmente un tratto di costa rocciosa. “Quando sono partita da Sailarg, non
avevo idea… la situazione sembra più grave di quello che pensassi…”
Derek avanzò davanti a tutti noi, e prese a
guardarsi intorno con fare nervoso. Sapevo a cosa stava pensando. Quella zona
sembrava terribilmente esposta. Ma mi confortava il fatto che mentre viaggiavo
con Bastian e Dorak non avessimo incrociato anima viva.
“Proseguiamo per un po’.” Suggerii. “Più avanti
c’era un canale, se non ricordo male.”
Non mi sbagliavo. A poco più di un chilometro verso
Nord, incontrammo il largo corso d’acqua, che si immetteva placidamente nel
mare aperto. Se avessimo risalito il suo corso, avremmo incontrato l’ormeggio
dei traghettatori che trasportavano merci e persone da un lato all’altro del
canale, ora deserto. All’andata avevamo scorto la loro chiatta abbandonata
sugli argini melmosi, ma era apparsa troppo malmessa per servire ai nostri
scopi. Allora avevo usato il Raywing per trasportare i miei compagni di
viaggio sul lato opposto del canale (nonostante lo scarso entusiasmo dimostrato
da Bastian per quella opzione), ma purtroppo non era pensabile giungere in volo
anche sull’isola dove speravamo di trovare Gourry. Avremmo dato troppo
nell’occhio.
“Ci sono delle case.” Indicò Derek. “Andiamo a dare
un’occhiata.”
Un piccolo gruppo di edifici su palafitte si
ammucchiava sul nostro lato del canale, poco lontano dalla sua foce.
Discendemmo cautamente gli argini scivolosi, e ispezionammo a una a una le
povere abitazioni in cerca di qualcosa di utile per il nostro viaggio. Molte,
tuttavia, erano state saccheggiate, e le imbarcazioni tirate in secca o legate
sotto di esse non avevano decisamente l’aria di essere pronte ad affrontare il
mare aperto.
“Dannazione.” Sibilò Bastian, fra i denti, scalfendo
con un calcio il bordo della barca più integra che eravamo riusciti a trovare
(che presentava un vistoso buco nella parte anteriore dello scafo). “Hanno
portato via qualsiasi strumento utile. E se anche avessimo i mezzi per
ripararne una, ci vorrebbe un sacco di tempo prima di prendere il mare.”
“Non necessariamente.” Replicai. Mi era appena
venuta un’idea. Levai lo sguardo su Sylphiel, che parve cogliere dal mio
sguardo quello che intendevo.
“Non sono certa di riuscirci.” Mi ammonì. “E’ magia
piuttosto avanzata, più o meno l’equivalente del Resurrection… ma non mi è
capitato altrettanto spesso di provarla.”
Mi strinsi nelle spalle. “Io di certo non so
come fare. Come ben sai, mi riesce meglio distruggere, che riparare.”
Sylphiel si lasciò sfuggire un sorriso. “E va bene,
Lina-san. Farò un tentativo.”
Mentre Bastian e Derek la scrutavano con fare
interrogativo, si avvicinò alla barca, protese le mani e prese a recitare
sommessamente una formula. Quasi istantaneamente, una intensa luce bianca
avvolse la sagoma della barca. Si trattava di un incantesimo che avevo visto
scagliare una volta dal Monaco Rosso e che aveva riportato esattamente al suo
precedente aspetto una stanza in cui avevo appena lanciato una Palla di Fuoco.
Un semplice oggetto non richiedeva nemmeno lontanamente il livello di potere
necessario per operare la stessa magia su un ambiente, per lo più ricolmo di
mobilio, ma si trattava comunque di magia sacerdotale di alto livello.
Incrociai le dita, attendendo speranzosa di osservare il risultato ottenuto da
Sylphiel, e quando la luce bianca svanì non potei impedire a un ghigno
soddisfatto di dipingersi sul mio viso. La barca pareva appena uscita dal
laboratorio in cui era stata costruita.
‘E non ha nemmeno assunto la forma di nessun
ortaggio.’
Gli incantesimi di Sylphiel avevano un po’ questa
tendenza, sapete.
Le espressioni dei nostri compagni di viaggio si
fecero all’istante stupefatte. “Con la magia… si può fare una cosa del genere?”
Domandò Bastian, con l’aria di chi sta lottando per mantenere la mascella
attaccata al resto del cranio.
Dovetti reprimere un sogghigno. “Esistono un sacco
di incantesimi adatti a faccende pratiche di questo genere.” Levai lo sguardo,
e scoccai un’occhiata divertita alla sacerdotessa. “Ben fatto, Sylphiel.”
La giovane donna sorrise, e si terse dalla fronte il
sudore generato dallo sforzo dell’incantesimo. “Ti ringrazio, Lina-san.”
“E ora muoviamoci.” Presi a spingere la barca verso
il canale, sdrucciolando sul terreno malfermo. “Non vedo l’ora di avere fra le
mani un po’ di pirati, per mostrarvi cos’altro può fare la magia.”
Notai Bastian e Derek scambiarsi un’occhiata
terrorizzata, a quelle parole, e questo migliorò lievemente la mia disposizione
nei loro confronti. Adoravo impressionare i miei compagni di viaggio, quasi
quanto adoravo maltrattare i fuorilegge.
L’imbarcazione era poco più grande di una scialuppa,
e bastava appena per quattro persone. Due paia di remi erano disposte alle due
estremità. “Ci penso io.” Si affrettò a dire Derek, afferrandone uno. Sospettai
che temesse che volessimo ricorrere alla magia anche per fare avanzare la
barca.
“Aspetta.” Obiettai. “Se davvero vogliamo spacciarci
come mercanti, non siamo granché credibili.” Li occhieggiai. Io indossavo una
semplice tunica nera, che avevo acquistato alla capitale prima di partire, ma
nessuno di loro aveva l’aria del comune viaggiatore. Sylphiel vestiva la sua
consueta veste violetta da viaggio con le insegne da sacerdotessa, Derek
indossava una cotta di maglia, insieme alla tunica e al mantello candidi con
l’insegna verde chiaro dei Gabriev (già, un vero maestro del viaggio in
incognito) e Bastian portava la consueta armatura di cuoio e gli abiti scuri
che gli avevo visto indossare sin da quando avevamo intrapreso il viaggio.
Passavamo inosservati come un orso bruno in abito da sera.
I miei compagni di viaggio parevano avere raggiunto
la mia stessa conclusione. Restammo a fissarci per qualche istante, a corto di
soluzioni.
“Forse potremmo cercare un altro po’ nelle
abitazioni… per vedere se troviamo qualche abito…” Suggerì Sylphiel.
“Hanno portato via tutto.” Tagliai corto,
togliendomi il mantello. “Vediamo un po’ che cosa ho qui…” Estrassi un’ampia
borsa da viaggio da una delle tasche, di fronte agli occhi sbigottiti di Derek.
“E’ stregato.” Spiegai, sbrigativa. Anche Dorak e Bastian avevano avuto la
stessa reazione, la prima volta che mi avevano visto estrarre i miei oggetti
per il viaggio da lì dentro.
Recuperai una vecchia tunica consunta di Gourry (che
non ricordavo nemmeno di avere stipato lì dentro) e il vestito bianco che avevo
ricevuto da Livia e li porsi a Sylphiel e Derek. “Qui. Mettetevi questi.”
Intimai, pratica. “Bastian, penso che i tuoi vestiti vadano bene, ma è meglio
se vi togliete le armature. Darete meno nell’occhio, ed eviterete di andare a
fondo nel caso cadiate in acqua.” Il cavaliere fissò prima me, poi i vestiti
che reggevo fra le mani, poi l’acqua scura del canale. Le sue labbra si
strinsero lievemente.
Lasciai che si allontanassero per cambiarsi. Ne
risultò che la veste bianca stringeva vistosamente a Sylphiel sul davanti (si
prega di non commentare, grazie), mentre la tunica di Gourry cascava lievemente
a Derek, che era altrettanto massiccio, ma meno alto del fratello. Nel
complesso, tuttavia, avevamo un aspetto vagamente più convincente di prima. In
compenso, il mio mantello pareva pesare un quintale, dopo che ci avevo stipato
dentro le due armature. Dovetti piazzarmi al centro della barca, per evitare di
sbilanciarla.
Derek riprese in mano i remi, sbuffando nel tirarsi
indietro le maniche troppo lunghe. Bastian si sedette in silenzio all’altra
estremità della barca, imitandolo. Non obiettai. Tanto valeva che i due
grand’uomini mettessero un po’ a frutto la loro forza bruta.
Discendemmo lentamente lungo il canale. Sul mare, il
vento soffiava ancora più forte che sulla terraferma e le onde si gonfiavano al
largo, facendo oscillare pericolosamente la barca. Mi strinsi nel mantello,
reggendomi al bordo, e presi a scrutare l’orizzonte in cerca di altre
imbarcazioni che potessero avvistarci. Il mare, però, sembrava sgombro.
“Comincio a pensare che non sia stata una buona
idea.” Commentò Bastian. Alla luce pallida del sole, il suo volto appariva
tinto di un vago colorito verdognolo. “In fondo una barca del genere potrebbe
anche non reggere un viaggio in mare aperto.”
Lo fissai. I suoi occhi scuri dardeggiavano a tratti
verso le onde, per poi tornare a fissarsi nervosi sul fondo della barca.
Inclinai la testa, perplessa.
“Bastian…” Mormorai, studiandolo con nuovo
interesse. “Tu… sai nuotare, vero?”
Fu come se lo avessi schiaffeggiato. Le sue orecchie
si tinsero di rosso, in un bizzarro contrasto con le sue guance mortalmente
pallide, e sul suo volto si disegnò un’espressione talmente piccata che per un
momento mi sembrò di aver scovato un bambino con le dita nella marmellata.
Aprì la bocca per un istante, come per rispondermi,
ma alla fine la richiuse, e distolse lo sguardo. Io ebbi la dignità di non
ridergli in faccia.
“Sai cavalcare un drago e non hai mai imparato a
fare una cosa così semplice?”
“Non sono affari che ti riguardino.”
“E magari ti fa anche paura l’acqua, non è così?”
“Stai zitta, Lina Inverse.”
Oh, non biasimatemi. Si meritava che sfogassi su di
lui un po’ del mio sadismo, giusto?
Ci volle forse un’ora per raggiungere a remi il
porticciolo a cui intendevamo attraccare. Fui grata della brevità della
traversata, perché, a dispetto di tutte le mie previsioni, il cielo stava
tornando a farsi plumbeo. Le nuvole si addensavano velocemente, trasportate dal
vento che soffiava dal mare e saette minacciose rilucevano in lontananza,
donando un aspetto pericoloso al mare in burrasca.
La minaccia della pioggia non sembrava comunque
sufficiente a far desistere il vario popolo del porto dalle sue numerose
attività. Quando attraccammo, nessuno parve fare caso a noi, nel viavai di
barche che si muovevano da un punto all’altro del fitto arcipelago di isolette
che costellava la baia. La cittadina appariva in realtà poco più che un
villaggio, e non doveva essere lì da molto più di un secolo. Supponevo che
fosse abitata per lo più da fuorilegge e contrabbandieri di varia sorta, che si
tenevano alla larga dai mercati regolati da confraternite della terraferma.
C’era la concentrazione più ampia di brutti ceffi che avessi mai visto (e vi
assicuro, ne avevo visti, nella mia vita). Mi chiesi quanti di loro fossero
uomini al servizio di Meghar, incaricati di pattugliare i moli.
Pagammo l’attracco a un vecchio sdentato e dalle
sopracciglia innaturalmente folte e ci avviammo fra i banchi di pesce, verso la
zona del mercato. Ora che eravamo sbarcati, l’ansia era tornata ad attanagliare
il mio stomaco. Mi guardai intorno, più per ostentare interesse che per reale
curiosità. Le bancarelle sembravano accatastate alla rinfusa, senza una precisa
logica. Carri ricolmi di casse di sardine e tonni, freschi e sotto sale, erano
affiancati a banchi di stoffe e ceramiche. I mercanti continuavano a scrutare
il cielo, preoccupati di ritrovarsi con i propri averi completamente zuppi di
pioggia.
“Fermiamoci a comprare qualcosa per il pranzo.”
Suggerii, con noncuranza, avviandomi verso un carro che esponeva un disparato
assortimento di dolciumi.
“Ti pare il momento?” Sibilò Bastian, scrutandosi
attorno con fare nervoso.
“E’ esattamente il momento per fingere di essere
comuni viaggiatori.” Replicai, secca. “E i comuni viaggiatori vanno al mercato
per comprare, Bastian.”
Il cavaliere mi lanciò un’occhiata scettica, ma non
obiettò. Acquistammo del croccante al miele da una venditrice con un marcato
accento del sud e del tonno salato da un mercante che continuò per tutta la
trattativa a scoccare occhiate laide in direzione di Sylphiel. Il fatto che una
delle sue orbite fosse colmata da un lucido occhio di vetro non le rese meno
sgradevoli.
La sacerdotessa si strinse nel mantello, mentre ci
allontanavamo verso l’estremità della banchina del porto. Sembrava a disagio, e
non potevo biasimarla. Nel corso dei miei viaggi io ne avevo viste di tutti i
colori, ma Sylphiel non doveva essere particolarmente abituata a quel genere di
ambiente.
“Credete che possiamo allontanarci senza dare troppo
nell’occhio?” Mormorò, dopo aver sbocconcellato per qualche minuto una porzione
di pesce, continuando a guardarsi nervosamente attorno.
“Direi di attraversare il centro abitato come se
fossimo in cerca di una locanda.” Replicai. “Se tirassimo dritti verso la
foresta da qui qualcuno ci noterebbe di certo. C’è troppa gente in giro.”
Per una volta, fui lieta di sbagliarmi. Non feci in
tempo a finire di parlare, che il cielo venne in nostro soccorso, risolvendo
ogni nostra necessità di circospezione. Il boato di un tuono scosse l’aria e
una pesante goccia d’acqua si infranse sul mio naso. Nel giro di pochi istanti,
il ticchettio della pioggia iniziò a rimbombare sui tetti dei carri e i
venditori di pesce presero a coprire frettolosamente con dei teli la propria
merce. I mercanti di stoffe si affrettarono a radunare i propri oggetti, per
fuggire in qualche luogo riparato, e la ressa che affollava i moli prese
progressivamente a disperdersi, mentre le gocce isolate si trasformavano in uno
scroscio sempre più violento. La gente ora procedeva a testa bassa, superandoci
di corsa e dirigendosi verso le osterie allineate alle spalle delle bancarelle,
o sparendo nei vicoli che si addentravano nella città.
“Approfittiamone.” Sibilò Derek. Senza lasciarcelo
ripetere due volte, ci affrettammo al suo seguito, verso il limitare della
banchina. Nel tumulto generale, nessuno parve fare caso a noi mentre scivolavamo
barcollando attraverso un gruppo di scogli, e raggiungevamo la spiaggia. La
sabbia si era trasformata in un enorme pantano, ma in qualche modo riuscimmo ad
avanzare arrancando verso una macchia d’alberi, nel punto in cui la vegetazione
attecchiva sul terreno fangoso. Lì ci soffermammo a riprendere fiato e io mi
gettai velocemente un’occhiata alle spalle, per verificare se qualcuno ci
avesse seguito. Il tratto di spiaggia che ci separava dall’ultimo molo, però,
pareva deserto.
La pioggia ora scrosciava tanto forte che l’alone
grigio calato sul panorama sembrava quasi preannunciare il crepuscolo. I miei
vestiti erano talmente zuppi che mi sembrava di essere caduta in mare. Mi
guardai attorno, cercando freneticamente di ignorare la sensazione di gelo che
mi stringeva le ossa e di ragionare su dove dirigerci. Mentre fissavo il cielo
che sovrastava il mare, una saetta lo illuminò, scaricandosi con violenza sulla
massa d’acqua. Mare e alberi erano una pessima combinazione, nel mezzo di una
tempesta. In ogni caso, dovevamo muoverci di lì.
“Di qua!” Gridai, per sovrastare il rumore
assordante della pioggia. Imboccai un sentiero che si allontanava dalla città,
addentrandosi fra la vegetazione. Costeggiammo la spiaggia per un tratto,
quindi deviammo verso l’entroterra. I miei stivali si erano riempiti d’acqua, e
a ogni passo sentivo i miei piedi affondare nel gelo. Arrivai a chiedermi se le
celle dei pirati avessero un camino, e se non fosse il caso di farmi catturare.
Il pensiero della resa divenne ancora più allettante
quando iniziò la salita. Gli effetti della pendenza erano peggiorati dal fango,
che rendeva il terreno scivoloso, e dagli insidiosi rivoli d’acqua che
correvano lungo i fianchi della collina. Procedevamo praticamente alla cieca,
zigzagando nelle piste da conigli, la nostra unica certezza il fatto che
dovevamo continuare a salire, dal momento che le carceri erano arroccate nel
punto più alto dell’isola.
Per le due o tre ore successive, nessuno di noi si
sognò di parlare. Dopo solo mezz’ora di salita, avevo già il fiatone, e la
milza aveva preso a dolermi. Continuavo a scivolare e ad atterrare con le mani
nel fango, e i miei guanti e i miei pantaloni all’altezza delle ginocchia erano
completamente incrostati di melma. A tratti la pioggia ci diede sollievo, ma le
nuvole non si diradarono. Quando raggiungemmo la cima, il cielo era già buio,
anche se non doveva essere più tardi delle cinque di pomeriggio. In effetti,
era difficile capirlo, non potendo vedere il sole.
Le carceri entrarono nel nostro campo visivo quasi
all’improvviso, sbucando fra gli alberi. Ci arrestammo, ansanti, a un centinaio
di metri al di sotto di esse, riparandoci nella vegetazione fitta. Anche dalla
nostra posizione nascosta, potevo scorgere le sentinelle sulle mura, che scrutavano
truci nell’oscurità della foresta, immobili sotto la pioggia.
“Non avete qualche incantesimo che renda invisibili,
o roba del genere?” Domandò Derek, in un acido sussurro. Io mi trattenetti a
stento dal levare gli occhi al cielo. “Roba” era esattamente il termine che
avrebbe usato anche Gourry. Almeno nell’ignoranza riguardo alla magia, lui e
mio marito erano simili.
“Esistono oggetti magici che possono farlo, ma sono
molto rari… e purtroppo non esiste magia umana conosciuta che permetta di
ottenere un simile risultato, Derek-san.” Replicò Sylphiel, in tono paziente.
In realtà non era proprio esatto. Esisteva un incantesimo adatto a quello
scopo, ma il punto era che era talmente complesso che una volta riusciti a
diventare invisibili non si poteva fare altro che rimanere immobili a
concentrarsi, perché qualsiasi forma di interazione con il mondo esterno
avrebbe interrotto gli effetti della magia… il che rendeva l’incantesimo
abbastanza inutile, in effetti. Avrei dovuto provare a lavorare a una qualche
modifica, un giorno o l’altro. “Lina-san, credi che volando potremmo…”
Scossi la testa, ancora prima che terminasse.
“Sarebbe già difficile per una persona da sola non farsi notare, figuriamoci
per quattro, e con due pesi morti.” Occhieggiai con molto poco garbo i due
cavalieri, che mi restituirono occhiate torve.
“Se ci separassimo, però…” Azzardò la sacerdotessa.
Arricciai le labbra, riflettendo. “Certo, voi tre
potreste restare qui…” Riflettei dopo qualche istante. “Ti ricordi, Sylphiel,
di quella magia che usasti con la tua sfera per indicarci la strada nel
laboratorio di Rezo? Su tu riuscissi allo stesso modo a suggerirmi in che zona
delle carceri si trova Gourry…”
La sacerdotessa ebbe un lieve sussulto. “Ma
Lina-san… è troppo pericoloso per te andare da sola fino a…”
“E’ una buona idea, invece.” La interruppe Bastian,
secco. Mi volsi a osservarlo, stupita che mi desse ragione. “Da sola ha buone
probabilità di trovare Sir Gabriev prima di essere scoperta.” Spiegò, in tono
pratico. “E poi, eventualmente, lei e Sir Gabriev potranno farsi strada fuori
dalle carceri combattendo.” Estrasse la spada, con un gesto fluido. “Sir
Gabriev sarà disarmato. Offrigli questa, Lina Inverse.” Dichiarò, porgendomela.
“Mi basterà che tu mi lasci la tua spada corta per difendermi, all’occorrenza.”
Io scrutai prima lui e poi la spada, sospettosa.
“Che cosa hai in mente?” Domandai, senza afferrarla. Per qualche motivo, avevo
idea che il suo piano non fosse semplicemente restare fermo ad aspettarmi.
“Creeremo un diversivo.” Replicò, calmo. “Se ci
facciamo rincorrere dalle guardie fra gli alberi, le mura delle carceri saranno
abbastanza sguarnite da farti passare inosservata.”
Battei le palpebre, colta alla sprovvista da quel
suggerimento. Dovevo ammettere di non averci pensato. Sarebbe stato pericoloso
per tutti, ma… non era una cattiva idea.
“Aspetta un momento!” Sibilò Derek, irritato. “Io
non ho intenzione di essere una stupida esca! E poi come la metti con
Sylphiel-san? Non vorrai abbandonarla qui da sola!”
“Ma io voglio partecipare!” Obiettò Sylphiel,
determinata. “Posso confonderli, con la magia! E se ci dividiamo, li faremo
sparpagliare in diverse direzioni!”
Derek non sembrava convinto. Io emisi un sospiro,
esasperata. Ero troppo vicina al mio obiettivo e troppo impaziente per avere
voglia di discutere. “Beh, Derek, io non ho intenzione di portarti con me. Se
non ti va bene aiutarci, restatene semplicemente qui nascosto, ma bada bene di
evitare di intralciarci.” Afferrai la spada dalle mani di Bastian con eccessiva
foga, e per poco non finii ribaltata al suolo per il suo peso.
Derek vestì un broncio che ricordava pateticamente
quello di uno scolaretto testardo, ma non replicò. Mi beai nell’idea che fosse
stato frenato dal mio tono perentorio, ma probabilmente stava solamente
cercando di evitare una rissa sotto gli occhi delle guardie.
Decidemmo brevemente che era il caso di attendere
che fosse completamente buio. Io mi sfilai il fodero dal fianco per lasciarlo a
Bastian e mi assicurai alla meglio la sua spada alla cinta, con le cinghie
rimaste penzolanti. Quindi, discendemmo di nuovo brevemente lungo il fianco
della collina, in modo da essere meglio nascosti alla vista dei soldati.
Rannicchiati fra gli alberi, attendemmo in silenzio
che facesse buio, rabbrividendo nei nostri abiti zuppi nonostante la
vegetazione ci offrisse un parziale riparo dal vento e dalla pioggia. Quando il
sole fu scomparso dietro la cima della collina, rivolsi un breve cenno a
Sylphiel. La sacerdotessa annuì nervosamente, ed estrasse il suo bastone con la
sfera. Chiuse gli occhi, e si concentrò silenziosamente sulla sua predizione.
In realtà, ero sempre stata scettica su quel genere
di incantesimi. Ma se con il tesoro di Rezo aveva in qualche modo funzionato…
Sylphiel
aprì gli occhi e li fissò su una delle torri. “Ho la sensazione… che Gourry-san
sia lassù.” Dichiarò, incerta. Subito dopo aver pronunciato quelle parole,
parve riacquistare sicurezza. “Sì. Sì, ne ho la netta sensazione.”
“Vale la pena di provare, allora.” Dichiarai,
sbrigativa. “Siete pronti?”
Sylphiel e Bastian annuirono. Derek si limitò a
sbuffare.
Fissai gli occhi sulle carceri, e presi a recitare
sommessamente una formula. Alle mie spalle, sentii le figure dei miei compagni
di viaggio indietreggiare e svanire nella vegetazione. La pioggia ora si era
fatta più leggera, e mi sfiorò il viso con sottili dita gelide mentre mi
nascondevo fra i rami di un albero, per osservare la situazione dall’alto. Non
dovetti attendere molto. Dopo forse un paio di minuti, un lampo di luce balenò
improvvisamente sul lato opposto delle carceri e in un attimo le grida di
avvertimento delle sentinelle risuonarono nell’aria. Il diversivo era
cominciato.
Sgusciai fuori dalla vegetazione, superai volando il
fossato che correva attorno alle carceri e strisciai di corsa fino a una delle
massicce pareti. Lì, mi appiattii contro la dura pietra, attendendomi che da un
momento all’altro qualcuno gridasse in mia direzione.
Non accadde. Le mura umide sopra la mia testa
sparivano nel buio e, nonostante le urla sull’altro lato dell’edificio, sia la
foresta che le carceri parevano immobili.
“Levitazione.”
Mi portai lentamente all’altezza della torre. Non
potevo aggirarla, o avrei rischiato di essere vista. Rimasi sul lato in cui mi
trovavo, e studiai per qualche istante le finestre prive di vetri. Alcune erano
sbarrate da inferriate, ma nella maggioranza dei casi le sbarre d’acciaio erano
crollate, e nessuno pareva essersi preoccupato di rimetterle in piedi. In
effetti, da vicino, viste da vicino, le carceri parevano essere state lasciate
in stato d’abbandono per anni… supponevo che i pirati non si fossero presi la
briga di ripararle, quando avevano assunto il controllo dell’isola. In fondo,
quando mai a un pirata capita di prendere prigioniero qualcuno?
La torre aveva un aspetto longilineo, e non appariva
massiccia come quelle del palazzo di Talit. Poteva esserci lo spazio per una
piccola stanza sulla cima, però. Una stretta feritoia appena sotto i merli, da
cui proveniva un sottile filo di luce, sembrava suggerirlo. Non avrei potuto
entrare di lì, però. Era troppo stretta per scivolarci dentro, e se avessi, per
dire, abbattuto la parete con una magia da lì fuori tanto sarebbe valso
mettermi a gridare ai soldati dove mi trovavo.
‘Sarebbe un’entrata in grande stile, però.’
Rimasi per qualche istante a fissare il muro,
tentata di agire in un modo che fosse all’altezza della mia reputazione. Ma
alla fine mi riscossi e mi risolsi a cercare un’altra soluzione. Oltre a
sentirmi idiota, nel restare lassù appesa, la pioggia che mi batteva sul naso
cominciava a farsi fastidiosa. Mi intrufolai in una delle finestre prive di
sbarre nella parte alta della torre e mi ritrovai sui gradini di una stretta e
buia scala a chiocciola di pietra. Sul lato interno, la mia via era sbarrata da
una parete cieca e priva di torce, che emanava un forte odore di muffa. Ma
potevo scendere o salire. Rivolsi uno sguardo verso la cima della torre,
chiedendomi se potessero esserci delle guardie in agguato. I miei vestiti
grondavano acqua sui gradini ripidi e gli spifferi che risalivano la scalinata
mi stavano facendo gelare. Mi sarei stupita, se il giorno dopo non fossi stata
febbricitante.
‘Al diavolo.’
“Lighting.” Recitai, a bassa voce, e mi
decisi a salire. Fortunatamente, non incontrai nessuno sulla mia via. Quando
giunsi alla piccola porta in legno che doveva immettere nella sala in cima alla
torre, e la trovai sguarnita di sorveglianza, ero ormai convinta che Sylphiel
avesse preso una decisa cantonata. Non aveva senso che non ci fosse nemmeno una
guardia, giusto?
‘Ma un tentativo non costa nulla.’
Estrassi un pugnale dalla manica, e mi appellai a
quello che Gourry definiva il mio ‘spirito da scassinatore’. Dopo pochi
secondi, la serratura scattò.
Avanzai nella stanza. Era piccola e squallida, ma
più calda della gelida scalinata della torre. Battei le palpebre un paio di
volte, prima di poter distinguere bene che cosa conteneva, abbagliata dalla
luce diffusa del camino sulla parete opposta. Ma quando vi riuscii, mi sentii
gelare.
Gourry era lì. Ma era… non sembrava… vivo.
Il fiato mi si strozzò in gola. Mi avvicinai al
giaciglio su cui era riverso, studiando il suo pallore innaturale, e il cuore
parve minacciare di rimbalzarmi fuori dal petto.
“Go… Gou…”
Feci un sobbalzo. Il cadavere di Gourry si era
appena rigirato sul pagliericcio. Indietreggiai di due passi e rischiai di
caracollare al suolo.
Mio marito si volse sulla schiena, un braccio levato
per ripararsi dalla luce, e strizzò gli occhi per mettermi a fuoco. Quindi
batté le palpebre, e rimase a fissarmi con l’espressione di chi ha appena visto
un fantasma.
“Li… LINA?”
Il suono della sua voce mi riscosse. Il fiato parve
improvvisamente tornare a colmarmi i polmoni e il sollievo di vederlo sano e
salvo prese forma nella espressione che era più consona al mio carattere…
“Pezzo di idiota!!!”
Gourry non ebbe modo di parlare. A malapena era
riuscito ad alzarsi a sedere. Si limitò a sussultare, terrorizzato, mentre lo
afferravo per la collottola e lo fronteggiavo, i denti digrignati. Non lo
biasimavo. In effetti, se mi fossi trovata di fronte me stessa, gocciolante di
pioggia e con le occhiaie di una notte insonne stampate su un volto cadaverico,
probabilmente mi sarei spaventata anch’io.
“Che cosa sei, la principessa nella torre???” Presi
a gridare, incoscientemente incurante di essere sentita. “Hai la più pallida
idea di quanto mi hai fatto preoccupare??? E di quanto è stato complicato
arrivare fino a qui??? Almeno nelle fiabe la damigella in pericolo è abbastanza
utile da lanciare la treccia fuori dalla finestra!!! Dovresti imparare a
mettere a frutto i tuoi lunghi capelli biondi… Lala!!!”
Gourry mi fissò sconcertato per qualche istante,
rischiando con ogni probabilità una sincope, a causa delle mie dita strette
attorno alla sua collottola. Ma dopo aver aperto e richiuso la bocca un paio di
volte, come un pesce troppo cresciuto, ebbe la reazione che meno mi sarei
attesa da lui in quel momento.
Scoppiò a ridere.
“Non è un sogno.” Dichiarò, con un tono divertito
che trovai assolutamente inappropriato alla situazione. “Dei, dovrebbe essere
davvero bizzarro, perché tu mi chiamassi Lala!”
Le mie dita tremolarono e lasciarono la presa sul
suo collo. Lo fissai per un momento, indecisa se prenderlo a schiaffi per
essersi concentrato su una idiozia del genere in un momento come quello. Ma,
mio malgrado, mi resi conto che il suo nonsenso mi aveva calmata. Era proprio
Gourry. Era Gourry, e stava bene. Andava tutto bene.
Levai un sopracciglio. “Non mi dire. Avrei giurato
che pizzi rosa e cavalieri di nome Bolan fossero protagonisti ricorrenti dei
tuoi sogni.” Le mie mani avevano raggiunto le sue spalle, ora, e le stringevano
quasi convulsamente.
“No.” Gourry ridacchiò, nuovamente. “E poi, nei miei
sogni tu di solito sei meno piatta.”
‘Ok, Gourry. Ora stai davvero per morire.’
Ma non ebbi davvero modo di ucciderlo. Mi aveva già
trascinata fra le sue braccia.
Mi trovai a rispondere al suo abbraccio, con tanta
forza da temere di stritolarlo. Non mi ero resa conto di quanta ansia avevo
accumulato in quelle settimane, prima di sentirla scivolare via da me, ad ogni
respiro di Gourry, come le gocce di pioggia che mi colavano dal mantello. Mio
marito sembrava dimagrito, ma la sua presa era ancora forte. Questo mi rincuorò
ulteriormente. Supponevo che fosse abbastanza in forma per riuscire a fuggire.
“Ma come puoi essere qui, Lina?” Mi domandò dopo
qualche istante di silenzio, senza allontanarmi da sé. “Io credevo che fossi
prigioniera a…”
“Prigioniera?” Lo interruppi, confusa. Mi accigliai
e levai il viso dal suo collo per guardarlo negli occhi. “Cosa ci fai tu qui,
piuttosto? Ti aspettavo alla capitale! Come ti è saltato in mente di farti
trascinare nell’ovest?”
Dal suo sguardo dedussi che uno o due passaggi del
mio ragionamento dovevano essergli sfuggiti. Non che fosse una novità. Ma
conclusi che avremmo avuto tempo dopo, per spiegarci.
“Non importa.” Dichiarai, sbrigativa. Mi allontanai
di un passo da lui, e gli porsi la spada di Bastian. “Prendi questa. Dobbiamo
muoverci di qui.”
Gourry studiò l’arma perplesso. “Sembra provenire
dalle armerie di mio padre. Ma dove…?”
“Ti spiego dopo. Tieniti pronto, ora sfondo il muro.
Se ce ne andiamo volando, non ha senso preoccuparsi della segretezza.”
Mi ero già rimboccata le maniche per lanciare una
formula, ma Gourry mi bloccò. “A… Aspetta, Lina! Non possiamo andarcene di qui
così! Anche Amelia è tenuta prigioniera qua dentro!!!”
Mi bloccai a metà formula, e per poco non mi
strozzai. Amelia?
“Co…?”
“E’ stata presa in ostaggio!” Mi spiegò Gourry,
dicendomi in realtà quanto già sapevo. “La ho vista prima che mi portassero
quassù!”
“Dannazione.” Imprecai. “Allora avevo ragione a
pensare che non si trovasse a Talit…”
Gourry
batté le palpebre. “Uh, quindi lo sapevi già?”
“E’ una lunga storia.” Mi rivolsi alla porta aperta,
alle nostre spalle. “Ma non possiamo lasciarla qui. Credi di riuscire a
ritrovare il posto in cui è tenuta prigioniera?”
Gourry esitò per un istante, ma alla fine annuì.
“Non è lontano.” Imbracciò la spada, preparandosi a precedermi, e mi accorsi
che barcollava lievemente. Lo occhieggiai preoccupata. Forse avrei dovuto
portarlo fuori di lì e tornare ad occuparmi di Amelia da sola…
Gourry evidentemente indovinò i miei pensieri,
perché scosse la testa. “Sto bene.” Si limitò a osservare. “E la cosa meno
saggia da fare è separarci di nuovo.”
Sospirai. Non aveva tutti i torti.
Mi affiancai a lui, e insieme discendemmo le scale
della torre. I gradini erano ancora deserti e bui, ma quando raggiungemmo
l’ultima svolta prima della base della torre intravidi una luce di torcia
provenire dal corridoio su cui si apriva l’ingresso. Rallentai, e mi affacciai
con circospezione sullo stretto ambiente. Sembrava deserto.
“In questo posto non ci sono guardie?” Sussurrai,
quasi irritata dall’assurda facilità con cui ci stavamo muovendo.
“Oh, sì, ci sono, davanti alla cella di Amelia.”
Rispose Gourry, con la solita imperturbabile tranquillità per cui a volte lo
avrei preso a schiaffi. “Erano anche di fronte alla mia in effetti, ma c’è
stato un gran caos, all’esterno, prima che tu arrivassi. Credo siano scese a
vedere cosa stava succedendo.”
Questo è il bello dei fuorilegge. Così dannatamente
facili da ingannare.
Scivolammo lungo il corridoio, che procedeva
attraverso una serie di svolte, ma senza deviazioni. Fuori dalle finestre si
scorgeva solo il buio, e lo scompiglio di poco prima sembrava essersi chetato.
Mi chiesi cosa ne era stato dei miei compagni di viaggio, e se le guardie non
stessero correndo a controllare lo stato dei loro prigionieri.
Dopo pochi minuti di marcia spedita nei corridoi in
penombra, Gourry mi pose una mano sulla spalla per arrestarmi. “Oltre
quell’angolo.” Sussurrò. Mi stupii per un istante della sua insolita memoria,
ma mi resi conto presto che non doveva essersene semplicemente ricordato.
Avvertii la presenza di delle persone, nel corridoio a fianco.
Non ci fu bisogno di parlare. Ci appiattimmo contro
la parete, all’unisono, e io iniziai un mentale conto alla rovescia. Al mio
‘tre’, entrambi scattammo in avanti. Le guardie ebbero appena il tempo di sussultare.
La prima crollò sotto il mio Sleeping, mentre la testa della seconda
emise un sonoro botto contro il piatto della spada di Bastian, imbracciata da
mio marito. Senza emettere un fiato, si accasciò pesantemente al suolo.
Tirai un sospiro di sollievo. Non che avessi dubbi
sul fatto che avremmo sistemato le guardie, ma averlo fatto prima che
riuscissero a dare l’allarme risolveva un sacco di problemi.
Gourry occhieggiò la serratura. “Ci pensi tu?”
Gli rivolsi un mezzo sorriso. “C’è bisogno di chiederlo?”
Con un breve gesto, la feci scattare. Spinsi la porta in avanti e procedetti
nella penombra della stanza, interdetta. Sembrava deserta.
“Aaaaaaaaaaaaaaah!”
Avevo appena fatto in tempo a pensarlo. Una furia
dalle voluminose vesti bianche e dai capelli corvini sbucò all’improvviso da
dietro la porta. Il fiato mi si strozzò in gola, e per qualche istante tutto
ciò di cui fui consapevole fu che il soffitto vorticava sopra la mia testa, e
che un braccio era stretto attorno al mio collo.
“Amelia!!!” Sentii la voce di mio marito gridare.
“Amelia, lasciala andare! E’ Lina!”
Amelia non parve particolarmente pronta ad allentare
la presa sul mio collo. Il suo braccio si allontanò solo dopo quelli che
parevano secoli. Quando l’aria tornò finalmente ai miei polmoni, riuscii a
volgermi e a mettere a fuoco il suo viso. I suoi occhi erano fissi sui miei, e
sembrava atterrita.
“Li… Lina- san!” Indietreggiò di scatto, con fare
terrorizzato. “Credevo fosse una delle guardie! Non uccidermi, ti prego!!!”
Vorrei tanto sapere che razza di opinione può avere
la gente di me, se i miei amici hanno questo genere di reazioni
incontrandomi.
Oh, bé… dimenticavo che la gente non ha una
buona opinione di me.
Mi scostai, reggendomi il collo, e decisi di
mantenere un atteggiamento contegnoso. “Non importa.” Dichiarai. “Togliamoci di
qui e basta, d’accordo?” Colsi con la coda dell’occhio Amelia e Gourry
scambiarsi un’occhiata scettica. Dei, ragazzi, che cosa sono, un mazoku?
“M… ma… Lina-san… voi due, come…?”
“Temo che dovremo rimandare a dopo le spiegazioni.”
La voce di Gourry si era fatta improvvisamente cupa. Levai lo sguardo, e lo
vidi avvicinare la mano all’elsa della spada. Pessimo segno.
Bastò un istante perché mi rendessi conto del motivo
dell’improvvisa tensione. Qualcuno stava avanzando nel corridoio. E se aveva
scorto le due guardie al suolo e la porta aperta, doveva aver già tratto le
ovvie conclusioni.
“Fatevi da parte!” Intimai ai miei due compagni. Mi
rivolsi verso la parete, pronta ad abbatterla con la magia per fuggire, ma
prima che potessi dare voce a una formula una voce imperiosa mi bloccò.
“Se fossi in te eviterei di provarci, Lina Inverse.”
Mi volsi. Una imponente figura dai fiammeggianti
capelli rossi incombeva su di noi dall’ingresso della stanza. Il suo sguardo
passò dal mio volto a quello di Gourry e le sue labbra si arricciarono in un
sorriso di soddisfazione.
“E’ Meghar.” Osservò Gourry avanzando lentamente,
con la spada in mano.
“Non mi importa chi sia.” Replicai, acidamente,
fissando il pirata con occhi dardeggianti ostilità. “Chiunque mi dia ordini
quando ho una formula sulla punta delle labbra è solo uno che cerca una forma
originale di suicidio.”
Il sorriso di Meghar, stranamente, si allargò.
Sembrava più divertito che spaventato dalla situazione. Non sapevo se perché
era molto più forte, o se perché era molto più stupido di quanto non
apparisse.
“Ho un ottimo argomento per convincerti a
rinfoderare le tue formule, Lina Inverse.” Si scostò dalla porta. Dalle sue
spalle, un gruppo di armati fece il suo ingresso. E io mi trovai a imprecare
fra le labbra.
Sylphiel, Bastian e Derek si trovavano nelle loro
mani. Tutti e tre erano fradici e coperti di fango, e sembravano piuttosto
pesti. Avevo idea che i guerrieri di Meghar non avessero avuto mano leggera,
con loro.
“Devo ammettere che la trovata del diversivo era
interessante, ma non mi ci è voluto molto per mangiare la foglia.” Li
occhieggiò. “Hanno lottato bene. Solo, eravamo troppi, per loro.”
“Derek e
Sylphiel?” Gourry batté le palpebre, e mi rivolse un’occhiata
interrogativa. Ma non avevo tempo di spiegargli, in quel momento.
“Che cosa vuoi?” Domandai, stupidamente. Supponevo
fosse ovvio che Meghar volesse aggiungere qualche succoso elemento alla sua
lista di ostaggi, ma stavo cercando di farlo parlare e intontire col suono
della sua stessa voce. Quale cattivo da cliché non adora farlo, in fondo?
Dovevo guadagnare tempo per pensare.
“Oh, ma che domande.” Meghar fece un cenno ai suoi
uomini, che spinsero di malagrazia i miei tre compagni di viaggio nella stanza.
“Voglio invitarti a cena, Lina Inverse, come qualsiasi buon ospite farebbe al
mio posto.”
“Eh?” Cinque paia di occhi si puntarono su di me. Io
mi limitai a battere le palpebre.
“Sono invitati anche i tuoi compagni di viaggio,
ovviamente. Ma ho una proposta da rivolgere a te personalmente.” Meghar mi
volse le spalle e uscì dalla stanza in tutta tranquillità, evidentemente
assolutamente persuaso che lo avrei seguito. Troppo inebetita da quel
rivolgimento inaspettato persino per rispondere, fissai con assoluto stupore i
suoi uomini, mentre liberavano Sylphiel, Bastian e Derek e si scostavano in
modo da farci uscire dalla stanza.
“Uh… che sta succedendo?” Chiese Gourry ad alta
voce, riassumendo quelli che dovevano essere i pensieri di tutti i presenti.
“Non ne ho la più pallida idea.” Ammisi. “Comunque,
sentiamo quello che ha da dire.” Mi accodai a Meghar, ma prima ancora che
potessi mettere piede fuori dalla stanza una voce sibilò da sopra la mia
spalla.
“Che hai intenzione di fare? E’ ovvio che è una
trappola!” Volsi il viso. Uno degli occhi di Bastian era pesto, e del sangue
gli colava da un angolo della bocca. Continuava a lanciare occhiate nervose
agli armati.
“Se avessero voluto ucciderci non vi avrebbero
liberati.” Bisbigliai, di rimando, senza smettere di camminare. “E comunque
ormai sono troppo curiosa di ascoltare per andarmene.”
“Ma…”
“Ehi, tu.” Gourry intervenne, dal mio altro fianco.
Per qualche motivo, sussultai. La sua espressione era stranamente accigliata.
Bastian fissò lo sguardo sul suo. Mi parve
innervosito. “Sì?”
“Ehm… Scusa, ma chi sei, esattamente?”
Per poco non caracollai al suolo. Bastian, invece,
parve colto totalmente alla sprovvista. Come si vedeva che non conosceva bene
Gourry.
“E’ Bastian!” Sibilai, di rimando. “Il
cavaliere che ci ha accompagnati a Talit! Lo hai conosciuto solo poche
settimane fa, testa vuota!!!”
Gourry si rivolse a me, con fare perfettamente
calmo. “Oh, è vero. Bé, non è che io abbia avuto molto a che fare con lui, dopo
quell’occasione.” Inclinò la testa, e mi studiò. “Tu sembri conoscerlo bene,
però. Ma cosa è successo nelle ultime settimane?”
Quello era un argomento che non avevo decisamente
voglia di affrontare in quel momento. Ma fortunatamente Meghar pareva averci
condotto alla nostra destinazione. Il nostro piccolo corteo si bloccò davanti a
una porta, e la nostra conversazione si interruppe bruscamente.
“Prego.” Invitò con fare compiaciuto il pirata,
facendoci cenno di accomodarci nella stanza. Lanciai un’occhiata ai miei
compagni. Derek vestiva un’espressione truce, al di sotto dei biondi capelli
fradici, mentre Amelia e Sylphiel parevano perplesse. Bastian manteneva la sua
aria ostile, ma Gourry era all’apparenza calmo. La sua aria quieta
tranquillizzò anche me. Mio marito normalmente aveva un ottimo istinto per il
pericolo.
Volsi avanti lo sguardo, e avanzai nella stanza.
Quando fu chiaro che non ero stata risucchiata in qualche improbabile
dimensione parallela, mi azzardai a guardarmi attorno con un po’ più di
attenzione. Sembravano delle comuni stanze private. La sala in cui mi trovavo
era arredata in modo piuttosto semplice, quasi rozzo, e, per il poco che avevo
avuto il tempo di vedere là dentro, sembrava decisamente meno confortevole
della stanza in cui era stata rinchiusa Amelia. Diverse porte dovevano condurre
a sale adiacenti, ma al momento erano chiuse. Due tizi, con un’aria poco
raccomandabile che tutto li faceva sembrare tranne che servitori, stavano
allestendo frettolosamente una tavola per sette al centro della stanza.
“Accomodatevi.” Invitò il nostro ospite, sedendosi a
capotavola e afferrando il suo bicchiere già colmo di vino. Prendemmo posto con
fare diffidente e per un istante restammo tutti in silenzio, in un’atmosfera
surreale. Quattro di noi erano ancora fradici e infangati e Gourry aveva
decisamente l’aria di un morto vivente.
La prima a spezzare il silenzio fu proprio la
persona che sembrava meno fuori posto a una tavola imbandita. “Che cosa
significa tutto questo?” Amelia era accigliata, e il suo tono di voce aveva una
sfumatura autoritaria che mi ricordava quella di Philionel, e che fuori da
Sailune raramente le avevo sentito vestire. “Prima mi prendete prigioniera
coinvolgendo mio padre in una guerra e ora mi invitate a cena come se nulla
fosse successo…”
Meghar vestì un mezzo sorriso. “Significa
semplicemente che siete libera, principessa. Non abbiamo più interesse a
tenervi qui.” Posò il bicchiere, e la fissò intensamente, mentre i due
“servitori” ci distribuivano piatti ricolmi di pesce cotto alla griglia. “Anzi,
potete anche riferire a vostro padre che Talit non c’entrava nulla nel vostro
rapimento. E’ stata una nostra iniziativa. Tanto, dubito che re Philionel oserà
spingere il suo esercito in terra straniera per ottenere la sua vendetta in
tempi come questi, in cui il destino del regno è tanto incerto. Mi è giunta
voce che sia un uomo saggio.”
Il volto di Amelia, se possibile, si incupì
ulteriormente. “Che cosa ne è stato della scorta che mi stava accompagnando a
Elmekia?”
Meghar si accigliò. “Non sono stato io personalmente
a catturarti, ma avevo dato disposizioni per avere solo te. Non so che cosa ne
sia stato degli altri, ma se hanno opposto resistenza e non sono fuggiti è
probabile che siano rimasti uccisi.”
Un po’ di colore abbandonò il volto di Amelia, la cui
determinazione parve dissolversi nel senso di colpa. Il mio sguardo scivolò su
Sylphiel. A Elmekia mi avevano detto che uno dei suoi zii di Sailune si era
trovato insieme alla scorta, al momento dell’imboscata. La sacerdotessa aveva
le labbra serrate ed era più pallida del solito, ma non ebbe altre reazioni.
Avvertii un impeto di compassione nei suoi confronti. Ne aveva già passate a
sufficienza, senza che si dovesse aggiungere anche questo.
“Ma perché?” Intervenni, una sfumatura di rabbia
nella voce. “Voi avevate preso in ostaggio Amelia per far sì che Sailune
entrasse in guerra contro Talit, non è così? Volevate che Samon vincesse,
perché la capitale è lontana da queste terre e così il vostro controllo sulle
regioni costiere si sarebbe rafforzato, non ho ragione? E allora che senso ha
rilasciarla ora?”
I miei compagni di viaggio mi rivolsero sguardi
stupiti. Non avevo parlato di quella mia ipotesi con nessuno di loro,
semplicemente perché aveva appena preso forma nella mia testa. Sin da quando
Gourry mi aveva detto che Amelia si trovava in quel luogo, il mio cervello
aveva preso freneticamente a riflettere su quale potesse essere la ragione. Mi
era sorto anche il sospetto che Meghar fosse in effetti d’accordo con
Samon, per essere sincera, ma data la situazione supposi che non fosse il caso
di mostrarmi eccessivamente perspicace…
Il sorriso di Meghar si allargò. “Mi era giunta voce
anche che tu fossi un tipo intuitivo, Lina Inverse, e vedo che quelle dicerie
ti rendevano giustizia.”
Ah, ah, se credi di distogliere la mia attenzione
con i complimenti, mio caro, non sai proprio con chi hai a che fare.
“Ma cosa è cambiato, ora? Talit non ha ancora perso,
giusto?”
“Talit non ha perso, ma sono mutati i nostri piani.”
Tagliò corto Meghar. “Ma non è di questo che voglio parlare con te, Lina
Inverse.” Mi studiò, accigliato. “Sinceramente, speravo che arrivassi fin qui.
Soprattutto da quando ho saputo di aver catturato tuo marito. Per questo non mi
sono liberato di lui, anche dopo che è diventato chiaro che il Lord Gabriev non
aveva alcuna intenzione di trattare con me.”
I miei pugni si strinsero. “E che cosa vuoi da me?”
La mia voce suonava gelida.
“Non lo immagini?” La fronte di Meghar si aggrottò.
“Voglio la tua alleanza, Lina Inverse. In questo regno la magia è temuta e
disprezzata, ma io ho viaggiato a sufficienza per imparare a comprenderne il
valore. E tu sei una leggenda persino qui. Con le tue capacità a disposizione,
insieme a quelle degli altri maghi che sto radunando, i miei progetti
potrebbero realizzarsi molto più velocemente.”
Amelia balzò in piedi. “Lina- san non si alleerebbe
mai con dei criminali come voi!!!” Il suo sguardo si volse verso di me. “Non è
così, Lina-san? Non è così?”
Sospirai. A parole sembrava convinta, ma la vaga
sfumatura isterica della sua voce suggeriva tutt’altro.
“Se hai sentito le voci su di me, saprai anche che
normalmente non lavoro per il puro gusto di fare favori agli altri.” Replicai,
in tono piatto, rivolta a Meghar. “Cosa ti fa pensare che io abbia interesse a
combattere le tue battaglie?”
“Non lo penso, infatti.” Meghar si portò un boccone
di pesce alle labbra, e mi sorrise. “Ma se i miei piani andranno in porto, avrò
i mezzi per ricoprirti di ricchezze, Lina Inverse. E poi, con tutta questa
storia dell’omicidio e della taglia, anche tu hai qualche motivo di attrito nei
confronti di Talit, non è così?” Il suo sorriso si allargò. “Senza contare che
recentemente mi è giunta voce che tu e tuo suocero non siete precisamente in
buoni rapporti…”
Mmm, avrei tanto voluto sapere chi era che andava in
giro per Elmekia a spargere tutte quelle informazioni sul mio conto…
Mi accigliai. “Bé, mi spiace, Meghar, ma ho una
rigida politica di non alleanza con i criminali.” Risposi, ferma. “E anche se
credo sia chiaro a entrambi che non è per atti di pirateria che vorresti il mio
aiuto, non ho la minima intenzione di farmi coinvolgere ulteriormente in questa
guerra.” Erano settimane che ripetevo quella solfa, ma evidentemente era
prerogativa della gente di Elmekia essere un po’ dura di comprendonio…
Mi aspettavo che Meghar ordinasse di attaccarci, a
quel punto. E di certo, se lo aspettavano anche i miei compagni, perché alle
mie parole diverse mani erano scattate verso le rispettive else delle spade. Ma
il pirata si limitò a sorridere.
“Capisco.” Osservò, con una calma assolutamente
inadeguata alle mie aspettative. “Bé, in fondo me lo aspettavo. Di te dicono
anche che sei piuttosto restia a metterti al servizio di qualcuno.
L’indipendenza si sposa male con una posizione in un esercito.” Il suo quieto
interesse mi disturbò. Era un qualche tipo di trappola?
“E il mio rifiuto non avrà conseguenze? Non hai
intenzione di costringermi, attaccarmi… o qualcosa del genere?” Mi azzardai a
domandare, alla fine.
“Di che utilità sarebbe mai un’alleata costretta a
combattere con la forza e pronta a tradirti appena volti le spalle?” Rispose
Meghar, come un dato di fatto. “E in quanto all’attaccarti… in molti hanno già
provato a ucciderti, non è così? Dati i risultati ottenuti dalla maggioranza di
quelli che lo hanno fatto, non voglio decisamente essere il prossimo a tentare
l’impresa… a meno di non essere costretto.”
Un criminale saggio. Quella
era una piacevole novità.
Terminammo quella surreale cena in silenzio. Quando
ci fu permesso di uscire, la notte era ormai scura, e la foresta all’esterno
era avvolta in una gelida tenebra. Non sapevo dire che ore fossero, ma dovevamo
aver trascorso almeno un paio d’ore all’interno delle carceri. Nei villaggi del
piccolo arcipelago, i viaggiatori dovevano ormai essere accalcati nelle
locande. Le mie membra gelate fremevano al pensiero di un letto caldo. Nella
mia testa si accavallavano mille pensieri riguardo alle vicende di quella
giornata, ma nessuno riusciva a prendere forma in modo coerente.
“Lina-san… che facciamo ora?” Fu Sylphiel a
fronteggiarmi, l’aria esausta, i lunghi capelli neri, normalmente lisci e
lucenti, appiccicati in una matassa scomposta al viso.
“Che intendi dire?” La squadrai sospettosa. Ora più
che mai temevo mi chiedesse di essere in qualche modo coinvolta ulteriormente
in quella situazione. Avrei faticato a rifiutarglielo, dopo che aveva appena
perso una persona cara, dopo che aveva messo in gioco la sua vita per aiutare
Gourry.
“Voglio dire… che non abbiamo idea di quello che sta
succedendo. Meghar ha in mente qualcosa, e Talit vi sta cercando, e non
sappiamo ancora chi abbia realmente ucciso Eriol.” Fissò lo sguardo su Amelia.
“Se Philionel-san vi accogliesse ora verrebbe accusato di fraternizzare con
l’assassino di uno dei reali di Elmekia, e anche se Talit perdesse la guerra
Samon non potrebbe far passare liscia una cosa del genere. In più…”
“Sylphiel.” Fu Gourry a intervenire, in tono pacato.
“Siamo tutti stanchi. Non ha senso discuterne ora. Dobbiamo ripulirci, dormire,
e ragionare con calma sul da farsi domani mattina.” Il suo sguardo si fissò su
Derek. Il guerriero non aveva ancora detto nulla, da quando eravamo usciti
dalle carceri. Mio marito parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma alla fine
scosse impercettibilmente la testa, e concluse. “Non c’è un villaggio a valle?
Forse possiamo trovare una locanda…” Gli fui infinitamente grata per quella
proposta. Era tutto ciò a cui potevo pensare in quel momento.
“Non credo sia una buona idea, Sir Gabriev.”
Intervenne una voce alle mie spalle. Immediatamente, la tensione tornò a
catturarmi. Bastian era stato talmente silenzioso, fino a quel momento, che mi
ero quasi scordata della sua presenza. “Vedi, in queste settimane abbiamo
evitato le locande e i luoghi affollati. La taglia…”
“Gourry ha ragione.” Intervenni, secca, senza
volgermi. “Da queste parti non troveremo di certo uomini di Talit. Una dormita
al caldo farà bene a tutti. Domattina dovremo essere lucidi per decidere il da
farsi, anche se è già chiaro che tu e Derek dovrete tornare presso le truppe di
Edward Gabriev al più pre…”
“Aaaaaaaah!” Gourry eruppe in una esclamazione tanto
veemente che mi trovai a barcollare. Lo fissai, certa che, per sconvolgerlo
così tanto, dovesse aver visto qualcosa come un maiale selvatico librarsi leggero
nell’aria, ma il suo sguardo, e il suo dito, erano puntati contro Bastian. “Sir
Gabriev… Sir Gabriev… ora ricordo! Tu sei il generale che era sparito assieme a
Lina! Quello a cui mio padre aveva affidato l’incarico di tenerla
prigioniera!!!”
Eh?
Mi volsi verso Bastian, colta alla sprovvista, ma il
cavaliere sembrava altrettanto stupito di quelle parole.
“Sir Gabriev… mi spiace, ma non so di cosa tu stia…”
“Mio padre ha detto che ti aveva affidato Lina in
ostaggio perché la tenessi lontana da Talit, in modo che io collaborassi con
lui!!!”
“Gourry.” Fu la voce di Derek a intervenire, ferma.
Tutti ci volgemmo verso di lui. “C’è la possibilità che nostro padre abbia
mentito, per approfittare della sparizione di tua moglie e farti combattere per
Talit. Non sarebbe la prima volta, in questa vicenda.” C’era amarezza, nella
sua voce. Per un istante, mi sentii quasi ben disposta verso di lui… “Questo è
l’effetto che avere gente come Lina Inverse attorno ha su di lui, devo
supporre. Sarò decisamente felice quando voi due ve ne sarete andati per la
vostra strada.” Ok. Decisamente posso conservare la mia compassione per
soggetti migliori.
Gourry non sembrava convinto, ma decisi che avremmo
potuto riparlarne con più calma una volta che fossimo stati soli. Non avevo
molti dubbi sul fatto che Derek avesse ragione. Bastian aveva tutti i difetti
di questo mondo, ma supponevo che si sarebbe strozzato con i suoi scrupoli e
buoni principi prima di poter mentire tanto a lungo a una persona cui viaggiava
costantemente a fianco.
Riguardo alla capacità di mentire del Lord Gabriev,
invece, avevo ben pochi dubbi
“Discuteremo anche di questo domani mattina.”
Conclusi. Avevo freddo, e cominciava a farmi male la testa. “Ora non abbiamo
più bisogno di nasconderci, giusto?” Allargai le braccia, e presi a pronunciare
la formula della Levitazione. Non avevo intenzione di scendere a valle lungo
sentieri ripidi e scivolosi nel buio più totale.
“Oh, quindi quaggiù non funziona il Rune Breaker?”
Osservò Amelia, fissando i miei piedi che si staccavano dal suolo.
“Rune
Breaker?” Domandai. Per chi non lo sapesse, si tratta di un incantesimo
di schermo, che limita la potenza degli incantesimi lanciati nell’area su cui
viene imposto.
Amelia annuì. “Nella mia stanza, alle carceri, non
riuscivo a usare la magia a piena potenza. E’ per questo che non sono riuscita
a fuggire.”
Mi accigliai. Dunque, Meghar stava davvero
raccogliendo esperti di arti magiche. E piuttosto abili, anche. Non tutti i
maghi che operavano al di fuori delle Gilde conoscevano tecniche come gli
incantesimi di schermo. “Evidentemente il campo d’azione dell’incantesimo era
piuttosto limitato.” Forse perché Meghar necessitava di servirsi della magia
qui attorno, per qualche motivo.
Un altro tassello, un altro interrogativo.
Dei, avevo davvero bisogno di un letto.
“Datemi una mano.” Domandai, stancamente. Sylphiel e
Amelia annuirono, e io afferrai un non del tutto entusiasta Gourry,
sollevandolo dal suolo, mentre le due sacerdotesse pronunciavano la mia stessa
formula e trasportavano gli altri due cavalieri. Ci trascinammo a valle, sotto
una pioggia leggera, per trovare le strade del piccolo villaggio deserte, e le
locande gremite di gente dall’aria poco raccomandabile. Riuscimmo a recuperare
tre stanze in una sorta di tugurio che mi ricordava in modo inquietante la
locanda da cui eravamo partiti, a Sailarg. Ma per una volta, ero pronta a
pagare qualsiasi somma mi fosse stata richiesta, per qualsiasi stanza che fosse
appena più accogliente di una stalla.
Salii al piano di sopra, troppo stanca perfino per
salutare propriamente i miei compagni di viaggio, e mi infilai nel primo bagno
che mi capitò a tiro. Quando ne uscii, mi sentivo rinata. Col calore dell’acqua
avevo anche ritrovato la sensibilità della mia pelle e, apparentemente, la mia
capacità di ragionare. Mi sentivo un po’ più essere umano e un po’ meno mostro
delle paludi, quanto meno.
Quando entrai in camera, vi trovai Gourry intento a
fasciarsi la mano destra. Sembrava anche lui un po’ più in forze, dopo essersi
ripulito, ma era sempre più pallido e dimagrito di quando lo avevo lasciato a
Talit. Mi sedetti al suo fianco, e occhieggiai preoccupata la sua mano bendata.
“Ti sei ferito? Lascia che…”
“Non è niente.” Gourry mi rivolse un sorriso. Con la
mano bendata, raggiunse il mio viso, e si chinò a baciarmi il volto. Mi
rilassai al suo tocco e lasciai che raggiungesse le mie labbra. Il suo respiro
sul mio mi faceva sentire stupidamente sollevata.
“Lina…” Sussurrò, contro le mie labbra, quando si
allontanò. “Mi spieghi che cosa è successo dopo che te ne sei andata da Talit?
Io credevo davvero che fossi prigioniera. Se avessi saputo dov’eri, avrei
cercato di raggiungerti…”
Mi scostai lievemente da lui, e gli rivolsi
un’occhiata perplessa. “Ma Livia non ti ha detto nulla? E’ stata lei ad
aiutarmi a fuggire. Le avevo detto che ti avrei aspettato alla capitale…”
Il volto di Gourry si accigliò. “Livia è sparita.”
Dichiarò, con mio stupore. “Lo stesso giorno in cui sei scomparsa anche tu.”
“Hai detto sparita? In che senso sparita? La hanno
rapita?”
Gourry scosse la testa. “Nessuno ne ha idea. Hanno
ritrovato il suo mantello, nel cortile, completamente fradicio e infangato. La
hanno cercata ovunque, ma sembra che si sia volatilizzata.” Inclinò la testa.
“Credi che qualcuno la abbia scoperta? Che sia perché ti ha aiutata a
scappare?”
Mi morsi le labbra. “Non lo so…” Mormorai. “Se è
così, perché quel qualcuno non la ha semplicemente denunciata? Era pur sempre
un ostaggio, in fondo… a meno che…”
“A meno che?”
“A meno che non volesse metterla a tacere.” Lo
guardai negli occhi, incerta per un momento su quanto rivelargli, ma alla fine
decisi di dire la verità. Anche se si trattava di suo padre, preferivo essere
completamente sincera con lui, piuttosto che mentire per cercare di indorargli
la pillola. Sospirai brevemente, e gli raccontai tutto quello che mi aveva
detto Livia nel sotterraneo, prima di farmi fuggire.
“Lord Georg e mio padre sarebbero… gli assassini di
Eriol?”
Annuii. “O almeno, questa è una possibile versione
dei fatti. La versione che accetterei se mi fidassi totalmente di Livia.”
“Non credi a Livia?” Gourry mi fissò, perplesso.
“Che ragione avrebbe avuto di mentire? Lei è solo…”
“… una ragazzina, lo so. Ma non è tanto di lei che
non mi fido… piuttosto, mi chiedo se qualcuno non la abbia manovrata per
raggiungere i propri scopi.”
Gourry rimase in silenzio per un momento. “Parli di
Erianna, non è così?”
Battei le palpebre, colta di sorpresa. “Come hai
fatto a indovinare?”
Gourry sorrise. “Non ti ha convinto sin dall’inizio.
Ormai conosco il tuo modo di ragionare, Lina.”
Sorrisi a mia volta. “Direi.”
“Credi che Erianna la abbia usata per liberarti? Ma
che motivo ne avrebbe avuto? Se ti credeva davvero l’assassina di suo figlio…”
Sospirai, e mi aggrappai gentilmente al suo braccio,
poggiando la testa sulla sua spalla. “Ho diverse ipotesi, ma… e se in effetti
ci fosse Erianna dietro all’uccisione di Eriol?” Cercai il suo sguardo.
“Potrebbe aver cercato di assumere il potere ad ogni effetto. Forse temeva
l’influenza di Georg su Eriol, e mi ha invitata a Talit sin dal principio per
avere un facile capro espiatorio su cui scaricare la colpa del suo omicidio.”
Gourry assunse un’espressione perplessa. “Ma… perché
avrebbe dovuto scegliere proprio te per un compito del genere? Non poteva
cercare di accusare un semplice servitore… o qualcosa del genere? E poi…
insomma, Lina, era suo figlio…”
“Lo so.” Ammisi. “Ma Erianna non ha precisamente
l’atteggiamento della madre amorevole. Ha dichiarato guerra al suo figlio
maggiore, non è così?”
“Lo so, ma…”
“Ascolta. E’ stata lei a insistere perché mi
conducessero a Talit, no? Io ero il soggetto perfetto per il suo piano.”
Allontanai la testa dalla sua spalla e lo fronteggiai, improvvisamente
infervorata dalle mie stesse ipotesi. Le mie idee stavano assumendo sempre più
senso a mano a mano che gliele esponevo. “Sono notoriamente amica di Amelia, la
figlia dell’alleato di Samon. Questo forniva un movente perfetto all’omicidio
di Eriol, non trovi? E poi sono tua moglie, e questo mi rendeva facilmente
manovrabile. E sono abbastanza potente da costituire un pericolo per Georg.
Potrebbe avermi fatta liberare in modo che, esasperata dai cacciatori di
taglie, io torni a Talit per vendicarmi del vero colpevole… farmi raccontare la
storia di Georg e del Lord Gabriev da Livia è certamente stata la ciliegina
sulla torta. Tuo padre, che mi ha fatta condannare, il vero colpevole.
Conoscendo il mio temperamento, come avrei potuto resistere alla tentazione di
fargli avere il fatto suo? Che li avessi uccisi o che li avessi smascherati,
Erianna avrebbe ottenuto comunque il proprio scopo, ovvero di assumere una
posizione di predominio a Talit.”
Gourry continuò ad apparirmi poco convinto. “Però…
aspetta un momento, Lina… quando Erianna ha insistito per farti convocare a
Talit non sapeva ancora che Sailune si sarebbe alleata con Samon, non è così?”
“A meno che non avesse a che fare con il rapimento
di Amelia.” Replicai, pronta. Ormai, ogni cosa sembrava chiara nella mia mente.
“Ma… ma…”
“Pensaci. Erianna fa rapire Amelia servendosi di
uomini fidati, e poi la affida ai pirati dell’ovest, promettendo loro il
controllo di Rolan una volta che sarà diventata regina incontrastata dell’area
di Talit. Anzi, i pirati agiscono come suo esercito, impadronendosi della regione
per lei e indebolendo le forze fedeli a Georg. Ecco perché Amelia è stata
rilasciata insieme a te, oggi. Perché potesse riferire a suo padre che il
rapimento non dipendeva da Talit, e fermare l’offensiva di Sailune, dato che
ormai era servita al suo scopo.” Mi accigliai. “Scommetto che Erianna aveva
chiesto a Meghar di convincermi a diventare sua alleata in modo da poter
controllare meglio i miei movimenti. Ma al mio rifiuto non ha cercato di
uccidermi, perché rimango comunque utile agli scopi della sua signora. Tutto
quadra, se ci ragioni bene.”
Gourry emise un sospiro. “Ti diverti da matti, eh? A
elaborare teorie.”
Gli rivolsi un ampio ghigno. “Bé, non è detto che
sia tutto esattamente come lo ho descritto, ma… devi ammettere che sarebbe un
ottima trama per un libro.”
“Ma non dobbiamo scrivere un libro, non è così?” Si
lamentò Gourry, anche se pareva vagamente divertito. “Dobbiamo pensare a cosa
fare ora.”
Aveva ragione, purtroppo. Mi imposi di tornare alla
serietà. “Se ho ragione riguardo a Erianna, la cosa più saggia da fare sarebbe
tenersi lontani da Talit, per evitare di essere manovrati da lei. Credo che
dovremmo tornare alla capitale e spiegare a Samon la mia ipotesi. Che sia vera
o no, devo almeno convincerlo della mia innocenza, anche per evitare di
compromettere Sailune. Poi, una volta lì, decideremo il da farsi.”
Gourry annuì. “Mi sta bene. Ma gli altri cosa
faranno? Voglio dire, Amelia verrà con noi per ritrovare suo padre, ma…
Sylphiel, Derek e Bastian… ti hanno detto quali sono i loro piani? E come vi
siete trovati a viaggiare insieme, tanto per cominciare?”
Mi accigliai. Non avevo voglia di parlare di Bastian
e degli altri, in quel momento. Non avevo voglia di parlare di quelle settimane
di distanza. Volevo solo godere della presenza di Gourry, di quel senso di
sollievo che, dopo un mese di tensione, pareva avere reso la mia mente
improvvisamente attenta e lucida.
“Non ha importanza.”
“Non ha importanza?”
“Non ora.”
Gourry stava per obiettare, ma non glielo permisi.
Coprii le sue labbra con le mie, e dopo solo un istante le sue braccia mi
cinsero e le sue dita raggiunsero la mia nuca. Evidentemente, era giunto alla
mia stessa conclusione.
Per diverse ore a seguire, sospetti e piani di
battaglia furono quanto di più lontano dalle nostre menti.
***
Non seppi
perché mi svegliai. Non avevo sognato, né qualche rumore mi aveva disturbato.
Dovevano essere le ore immediatamente prima dell’alba, e la notte fuori dalla
finestra era ancora buia e silenziosa. L’oscurità era così fitta che pareva
potersi tagliare con un coltello, ma non avvertivo segni di pericolo attorno a
me. L’atmosfera era quieta, e sentivo il calore del corpo di Gourry contro il
mio, e il suo respiro mescolato al sussurro del vento all’esterno, e allo
sfrigolio delle braci nel camino.
Mi districai gentilmente dal suo abbraccio per
liberare il mio braccio destro indolenzito, e mi appoggiai sul gomito, fissando
l’indistinta oscurità dove doveva trovarsi il suo volto.
“Lighting.” Mormorai. Il viso di Gourry
emerse dalle tenebre. Mio marito stava dormendo della grossa, apparentemente
imperturbato dal mio incantesimo e dai miei movimenti importuni.
Mi trovai a sorridere. Era strano, svegliarmi di
nuovo al suo fianco. La presenza di Gourry mi era familiare, familiare in un
modo piacevole e confortante. Stare con lui era come adeguarsi al naturale
corso delle cose, era come sdraiarsi nell’acqua di mare, e lasciarsi
trasportare dolcemente dalla corrente. La mia vita somigliava spesso a un
vortice incontrollato, ma lui rimaneva il mio punto fermo, la persona che
riusciva sempre a farmi trovare a mio agio.
Vorrei sapere che diavolo mi è saltato in mente,
ieri sera…
Provavo rabbia verso me stessa, al pensiero di non
aver reagito a Bastian. Era stato perché mi aveva colto di sorpresa, ma… non
era stato solo quello. C’era stato un momento, mentre mi stringeva il braccio e
mi guardava fisso, un momento mentre il suo viso si avvicinava al mio, in cui
mi era quasi sembrato di specchiarmi nei suoi occhi. Avevo avvertito una
affinità, fra noi due. Non era attrazione, e men che meno amore, ma era solo…
solo…
… non ero in grado di spiegarmelo. Era assurdo.
Bastian e io non eravamo simili. Eravamo quanto di più lontano esistesse al
mondo. Non aveva senso che mi rivedessi in lui, non aveva senso che io… io…
Che io mi senta dispiaciuta per lui?
Lo realizzai in quel momento, e fu come ricevere uno
schiaffo in viso. Il senso di colpa, la frustrazione… non erano per Gourry. Non
erano per Gourry, semplicemente perché non avrebbero avuto ragione di esistere.
Io amavoGourry, e non lo avrei tradito. Ma mi sentivo in colpa nei
confronti Bastian, per qualche assurdo, irrazionale motivo.
Semplicemente, ho cominciato a considerarlo
qualcosa di simile a un amico. Mi suggerì una parte del mio cervello, quella
saggia e razionale, votata a risolvere ogni mio dubbio. Era un’ipotesi
plausibile? Decisi di supporre di sì. Mi ero posta già troppe domande, per
quella sera.
Tornai a poggiare la testa sulla spalla di Gourry,
assonnata e al contempo poco propensa a dormire. Dal giorno successivo saremmo
stati di nuovo in viaggio e braccati. Volevo godermi quella quiete. Volevo
godermela, fino a che…
Che diavolo???
Il fiato mi si strozzò improvvisamente in gola. Lo
sguardo mi era caduto sulla mano destra di Gourry, abbandonata sul cuscino
vicino alla sua testa, e mi ero resa conto che la fasciatura si era allentata e
sciolta. Mi ero scordata della sua ferita, per essere sincera, ma non fu il
fatto che fosse ferito a cogliermi di sorpresa. Avevo scorto le piaghe sulla sua
mano, e…
… e le avevo riconosciute.
“Gourry!” Scattai a sedere, il cuore pronto a
rimbalzarmi fuori dal petto, ogni traccia di sonno improvvisamente scomparsa.
“Gourry, svegliati!”
“Li… Lina…” Gourry aprì gli occhi e mugugnò il mio
nome, cercando di scostarsi. Lo avevo afferrato per le spalle, e lo stavo
scuotendo selvaggiamente, senza pietà per il suo ovvio stato di confusione.
“Lina… che… che succede?”
“Come ti sei procurato quel marchio???”
A quelle parole, Gourry parve finalmente
riguadagnare coscienza di sé. Mi afferrò per i polsi, perché smettessi di
scuoterlo, e mi spinse a forza a distanza, per potermi guardare in viso.
“Lina…Lina, calmati, per favore…”
“Come te lo sei procurato, Gourry??? E’
importante!!!”
“I… io… ho toccato uno strano libro, e poi… è
successo. Sono svenuto, e quando mi sono ripreso era sulla mia mano.”
“E dov’è ora quel libro???” Ero così agitata che lo
stomaco mi si era stretto. Avevo voglia di vomitare. Non poteva… non poteva
essere come pensavo…
“Io… credo… a Talit…” Rispose, Gourry, evidentemente
terrorizzato. “Ero alla città vecchia quando è accaduto, ma quando mi sono
svegliato mi avevano già riportato al palazzo, perciò… dei, Lina, sei
pallidissima! Spiegami che cosa sta succedendo! Come posso aiutarti?”
“Raugnut… Rushavna…” Lasciai la presa su di lui, le
mani tremanti, e ricaddi all’indietro, a sedere sul letto. Cercavo di
pensare, ma tutto ciò su cui riuscivo a focalizzarmi era la paura. Mi nascosi
il volto fra le mani, combattendo il groppo che mi si era formato alla gola e
lottando per concentrarmi. Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? E se
fosse stato già troppo tardi?
“Lina?” Gourry si avvicinò, e cercò di farmi
scoprire il viso. “Io… io non capisco…”
“Perché non mi hai detto prima di quel marchio?”
Sibilai.
Gourry arretrò lievemente, al mio tono vagamente
isterico. “I… io… tu eri così stanca… non volevo farti preoccupare ancora,
stasera… insomma, ci sarebbe stato tempo per…”
Presi un profondo sospiro e mi imposi di
riguadagnare la calma. “Quel marchio…” Esordii, la voce roca e al contempo
incredibilmente ferma. “… è con ogni probabilità una maledizione.”
“Una maledizione? Ma Sylphiel non lo ha…”
“E’ ovvio che non lo abbia riconosciuto!” Scattai,
ma feci del mio meglio per trattenermi. Gourry sembrava già abbastanza
spaventato, senza che io mi abbandonassi all’isteria. “Bé… in effetti sapeva
del Giga Slave, ma… quella è magia della più oscura che possa esserci Gourry…
Un… un essere umano che pratichi qualcosa del genere… è un reietto, persino fra
gli esperti di magia nera. Ci sono persone che mi additerebbero come una
criminale solo per fatto di conoscere queste informazioni.”
“Ma…”
“Ascolta. Il Raugnut Rushavna… è una maledizione
eterna. Chi ne è vittima muore, e muore, e muore, tra atroci dolori, in un
circolo che non può essere spezzato se non dalla distruzione di chi ha lanciato
la maledizione.” A quelle parole, il colore scomparve all’improvviso dal viso
di Gourry, ma io non mi fermai. Dovevo continuare a spiegare. Dovevo capire io
stessa, perché nulla mi era ancora chiaro. “A quel punto, anche la vittima
dell’incantesimo muore. Ma la fine non è che una liberazione… si narra…”
Deglutii, ma la mia bocca era priva di saliva. “…si narra di un re, diversi
secoli fa… che è stato vittima dell’incantesimo… e si dice che viva tutt’ora
nelle segrete del suo palazzo, pregando incessantemente i suoi soldati di
ucciderlo.”
Le mani di Gourry tremavano, ora. “E questo… questo
marchio è…”
“Quelle piaghe… sembrano le stesse che affliggono le
vittime dell’incantesimo. Di certo è una maledizione lanciata da qualcuno che
conosce il fatto suo, perché quel segno che ti è rimasto impresso sulla mano è
legato a magia antica, e… ma… ma questo non ha importanza, ora. Il punto è che
la forma completa del Raugnut Rushavna può essere lanciata solo da un Mazoku.
Nessun essere umano ha un potere del genere. Ma questa maledizione… non è
completa. È quasi sicuramente opera umana.”
Il sollievo si dipinse sul volto di Gourry. “Ma… ma
allora…”
“Non c’è nulla di cui stare tranquilli!” Feci del
mio meglio per non gridare. “Non ho mai visto gli effetti dell’incantesimo
lanciato da un essere umano, non ho idea di cosa possa succedere se si è
colpiti dalla versione incompleta! Non sapevo nemmeno che potesse accadere una
cosa del genere, dannazione!!! Forse la maledizione si espanderà lentamente
dalla tua mano al resto del tuo corpo, forse a un certo punto diventerà
irreversibile, e spezzarla equivarrà ad ucciderti! Forse è già così! Dei,
Gourry!” Sentii qualcosa pungermi agli angoli degli occhi, e mi resi conto che
stavo per piangere. “Che diavolo ti è saltato in mente??? Dopo tutti i nostri
viaggi, dopo tutti gli anni insieme… quante volte ti avrò ripetuto che i testi
di magia sono spesso protetti da rune maledette???”
Gourry sembrava più preoccupato per me che per se
stesso, e la cosa non fece che accrescere la mia rabbia. Scivolò verso di me, e
avvicinò cautamente una mano al mio viso, per accarezzarmi la guancia. “Non
sembrava un testo di magia… sembrava piuttosto… un diario…” La sua voce era rotta,
come se stesse lottando per restare calmo. “Lina, ti prego, calmati. Andrà
tutto bene. Risolveremo anche questa cosa.”
“Puoi scommettere che la risolveremo.” Balzai giù
dal letto, in preda all’agitazione. “Domattina… no, ora,immediatamente,
partiremo per Talit. Troveremo quel libro, troveremo chi ha lanciato quella
maledizione, e lo uccideremo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio nella mia
vita.” Non mi importava più di Erianna, né di Eriol, né di quella stupida
guerra. Volevo solo salvare la vita di Gourry. A qualsiasi costo.
“Lina.” Il braccio di Gourry mi cinse la vita, e mio
marito mi bloccò. Mi serrò in una morsa gentile, impedendomi di continuare a
raccogliere le mie cose. “Ascoltami. Due o tre ore non faranno la differenza.
Ormai è quasi l’alba, devi calmarti e dormire per qualche ora. Non puoi
rimetterti in viaggio in questo stato. E comunque, non possiamo fuggire nel
cuore della notte, senza dire nulla agli altri. Amelia e Sylphiel si
preoccuperanno da morire.”
Presi un profondo respiro. Aveva ragione, dovevo
riprendere il controllo di me stessa. Se non ragionavo e agivo lucidamente, non
sarei venuta a capo di nulla.
“Va bene.” Risposi, senza guardarlo in volto.
“Dormiremo per qualche ora, e poi scenderemo a colazione e spiegheremo la situazione
agli altri. Amelia potrebbe tornare a Sailune e chiedere la consulenza dei suoi
sacerdoti, in fondo. E Sylphiel potrebbe conoscere qualche sistema per
ritardare l’effetto delle maledizioni.” L’impulso a piangere era passato, ma mi
sentivo ancora terrorizzata. Ogni mago di Zephilia era addestrato a temere gli
effetti delle maledizioni. Ma subirle sulla propria pelle, o su quella di una
persona cara, era molto diverso dalla semplice teoria.
Gourry mi trascinò nuovamente, quasi di peso, sul
letto. Mi cinse con le braccia, e prese a sussurrarmi parole sconnesse,
accarezzandomi i capelli con le dita. Io non riuscivo a prestargli attenzione,
la mia mente persa nell’abisso del compito che ci aspettava. Ma il quieto
ronzio delle sue rassicurazioni in qualche modo riuscì a vincere le grida delle
mie preoccupazioni.
Dopo qualche minuto, caddi preda di un sonno
inquieto.
Eccomi finalmente qua, con un nuovo capitolo.^^ Due
piccole note: la storia dell’assassino nel capitolo è un po’ ridondante
rispetto alla storia di Zuuma in Slayers Revolution (*_*), lo so, ma è stata
una cosa involontaria… la avevo in mente da un sacco, e ormai era troppo tardi
per cambiarla…XD In più, in una recente intervista Kanzaka ha rivelato che in
realtà il fratello maggiore di Gourry è morto… per cui Derek in effetti non
esiste più! XD Ma non potevo saperlo prima, quindi fingerò di non averlo mai letto
e andrò avanti come se nulla fosse…*_*’ (ecco cosa succede quando uno sceglie
di scrivere una fic in concomitanza con una nuova serie…XDDD)
Per Sherlock, il finale dell’Assedio in effetti non è un
vero finale, nel senso che non tutto si risolve… al momento non ho ancora in
mente un seguito, in realtà, ma magari in futuro penserò a qualcosa…^^
Buona lettura!
***
Rimestai
con poca convinzione il tè nella tazza.
Era mattina presto, e la sala comune al piano terra
della locanda era ancora deserta. Io avevo aperto gli occhi poco dopo il
sorgere del sole e dato che rimanere a letto a macerare nei miei pensieri non
si era mostrato particolarmente produttivo, avevo deciso di scendere, e
programmare il da farsi con calma nell’attesa che gli altri si svegliassero.
Anche Gourry si era svegliato, quando ero scivolata via dal
suo abbraccio, ma sembrava aver colto dal mio sguardo che stavo riflettendo, e
non aveva cercato di intavolare una conversazione. Mi aveva semplicemente
seguita al piano di sotto e aveva ordinato la colazione per entrambi,
attendendo silenziosamente che io raccogliessi le idee.
“Penso che dovremmo andare da soli.” Conclusi alla fine,
poggiando la tazza e levando lo sguardo per fronteggiarlo. Gourry, che stava
portandosi un pezzo d’uovo alle labbra, abbandonò la forchetta a mezz’aria, e
mi fissò. Mi aveva lasciato un’apertura così ampia che per un momento fui
seriamente tentata dall’idea di rubargli il resto del cibo dal piatto, ma feci
violenza a me stessa e per una volta mi trattenetti. Non era davvero il
momento.
“In due ci muoveremo senza dare nell’occhio.” Proseguii. “In
più… Amelia deve davvero tornare da suo padre, in modo che Philionel possa
tirarsi fuori dalla guerra. E credo che Sylphiel farebbe bene ad andare con
lei. Non voglio essere dura, ma sinceramente non posso preoccuparmi anche per
lei. Al momento ho altro a cui pensare.”
Gourry si accigliò lievemente. “Ma credi che sia prudente
lasciarle andare da sole? Voglio dire, entrambe sanno cavarsela, ma Amelia è la
principessa di Sailune, e…”
“… e se si scoprisse che si trova a Elmekia avrebbe metà dei
fuorilegge del regno alle sue calcagna.” Terminai per lui. “Lo so. In più,
Philionel ci ucciderebbe se sapesse che la abbiamo lasciata nel bel mezzo di
una guerra senza una scorta.” Sospirai. “Vorrei tanto sapere dov’è Zelgadiss.
Questo sarebbe un lavoro per lui, mai che si degni di essere dove dovrebbe
quando dovrebbe.” Ero sinceramente indispettita. Ma Gourry fece un mezzo
sorriso.
Gli rivolsi un’occhiataccia. “Non c’è proprio nulla di
divertente.” Sibilai. “Se tu non andassi a ficcare il naso dove non dovresti
non saremmo in questa situazione.” Indicai la sua mano.
Gourry si strinse le dita bendate. “Se due mesi fa mi
avessero detto che TU su tutti mi avresti rimproverato per aver ficcato il naso
dove non dovevo ne avrei riso di cuore.” Dichiarò, solennemente.
“E questo cosa vorrebbe dire???” Ringhiai, scattando
in avanti. “Comunque, ci toccherà assoldare dei mercenari come scorta.” Tornai
a poggiarmi allo schienale della sedia, pensosa. “Ma di chi potremmo fidarci in
un momento del genere? Degli estranei potrebbero sempre avere cattive
intenzioni. A meno che…” L’idea mi balenò in mente, ma la trovai quasi
immediatamente fuori luogo.
“A meno che…?”
“Stavo pensando… che potremmo chiedere a Bastian di
accompagnarla.” Pronunciai quelle parole con una certa riluttanza.
Sinceramente, ero convinta che il cavaliere avrebbe accettato, se fosse stato
Gourry a chiederglielo, e indubbiamente sarebbe stata una soluzione comoda… ma
non volevo abusare dell’aiuto di Bastian. Voglio dire, non che io mi facessi
molti scrupoli normalmente… e in effetti poteva essere semplice
approfittare di lui, con tutte le sue storie sull’onore e sul ripagare i
debiti, ma… la situazione era già abbastanza complicata. E, sì, anche io ero
capace di accorgermi di qual era il limite, una volta tanto.
“Lina…” La voce di Gourry si abbassò lievemente. “… quindi
quel tizio è degno di fiducia?”
Levai il viso, e lo fissai negli occhi per un
momento. “Sì.” Ammisi alla fine, abbassando lo sguardo. “ Ne sono piuttosto
sicura. Vedi, lui prova molto rispetto per te. E’ per questo che mi ha aiutata
a fuggire da tuo padre. Sono certa che non farebbe nulla che possa attirare il
tuo odio o il tuo disprezzo.”
Avvertii, senza vederlo, che mio marito mi fissava. “Mi fido
della tua opinione.” Dichiarò alla fine, in tono gentile. “Però non capisco che
legame abbia lui con me. Sinceramente, non mi pare di averlo mai conosciuto
prima di questa faccenda.” Esitò per un istante. “Anche se ammetto che potrei
averlo dimenticato.”
Sbuffai, e stavo per sputargli contro una replica
pungente, quando una voce impastata risuonò alle mie spalle. “Non mi conosci,
in effetti, Sir Gabriev. Ma io ho un debito d’onore nei tuoi confronti.”
Sussultai, e mi volsi di scatto. Bastian stava emergendo dall’ombra della
tromba delle scale. Aveva un aspetto orribile. I suoi capelli erano una matassa
di riccioli spettinati e la sua tunica nera, stropicciata, emanava un
fastidioso puzzo d’alcol. I suoi occhi erano gonfi e parevano iniettati di
sangue. Doveva aver alzato il gomito, la sera precedente. Ma per quanto fosse
normale, per un mercenario a cui viene concessa una serata di svago, quella
immagine si addiceva poco all’idea di cavaliere senza macchia che Bastian
cercava di trasmettere per i tre quarti del tempo.
“Che ti è successo?” Sibilai. “E da quanto sei lì ad
origliare?”
Bastian mi ignorò, e si sedette al tavolo. L’unica cameriera
già al lavoro nella sala deserta, una ragazza esile e lentigginosa dagli opachi
capelli biondicci, che stava risistemando le sedie che erano state accatastate
sui tavoli la sera precedente, gli lanciò una fugace occhiata. Quando ebbe
appurato che il cavaliere non aveva intenzione di chiedere nulla riprese il suo
lavoro, con fare vagamente sollevato. In effetti, Gourry ed io le avevamo già
dato un bel daffare, con la nostra colazione tripla, considerando che il fuoco
in cucina avrebbe dovuto essere ancora spento.
“La mia famiglia veniva da Sailarg.” Proseguì Bastian,
rivolto a mio marito. “Dopo che hai salvato la città anni fa avrei voluto
ripagarti, e per questo mi sono aggregato alle truppe di tuo padre, nella
speranza che prima o poi tu tornassi a Elmekia. Le accuse a Lina Inv…” Esitò.
“… cioè… a tua moglie… mi hanno offerto l’occasione per saldare quel debito,
aiutandola al tuo posto. E’ una storia piuttosto semplice, in effetti.”
“Oh.” Gourry mi parve vagamente a disagio, nell’udire quella
spiegazione, come sempre quando veniva tirato in ballo il suo passato di
mercenario. “Uh… capisco. Beh… grazie.”
“Non devi ringraziarmi. Sono io che dovrei.”
“Uh… no… davvero…”
Sul tavolo cadde improvvisamente un silenzio imbarazzato.
La cameriera ne approfittò per intrufolarsi al mio fianco.
“Gradite qualcosa per colazione, signore?” Lanciò a me e Gourry un’occhiata che
diceva chiaramente ‘voi due non avrete altro’.
“Acqua calda e limone.” Replicò Bastian, secco. “E uova
strapazzate. E un bicchiere di gin.”
La cameriera annusò il tanfo di alcol nell’aria e gli scoccò
uno sguardo colmo di disapprovazione. Con un grugnito stizzito, ci volse le
spalle, e si diresse verso le cucine.
“Postumi di una sbornia?” Domandò Gourry, in tono neutro.
Bastian esitò per un momento. “Ho… un po’ esagerato, ieri
sera. Non ero più abituato a bere.”
“Un po’ di alcol a stomaco vuoto la mattina dopo aiuta. Lo
avevano detto anche a me, ai tempi in cui viaggiavo con le truppe di Elmekia.”
“Già.”
“Già.”
Uhm… ok. Quell’atmosfera di falso cameratismo si stava
facendo un tantino surreale. Dovevo introdurre un qualsiasi argomento di
discussione, prima di strozzarmi nel mio stesso imbarazzo.
“Uhm… e così, ora tornerai da Edward Gabriev, Bastian?”
Domandai, giocherellando con un pezzo di pane sbocconcellato. Non avevo la
minima intenzione di dirgli di Gourry e della maledizione. Nemmeno un po’.
Bastian tacque per qualche istante. Il tempo per la
cameriera di sbattergli di fronte il bicchiere di gin.
Ne bevve un sorso. “Voi cosa farete ora?” Chiese poi,
entrando per l’ennesima volta nella mia “top ten degli atteggiamenti irritanti”,
in cui “rispondere a una domanda con una domanda” si trovava in veloce
risalita.
“Non sono affari che ti riguardino.”
“Ci stiamo dirigendo a Talit.”
Io e Gourry avevamo risposto all’unisono. Ci fissammo.
“Oh, scusa.” Replicò mio marito, confuso, alla mia
espressione furibonda. “Ma non avevi detto che ci dovevamo fidare?”
“Questo non vuol dire raccontare ogni cosa,
Gourry!!!”
“Ma se di solito ti diverti un mucchio a spiegare per filo e
per segno ogni situazione. Mi ricordo quando abbiamo affrontato quel demone,
Shab- qualcosa…”
“Io dispenso informazioni quando serve, testa
di rapa!!! E soprattutto, non a gente che conosco da mezza giornata!!!”
“Uh, Lina, sai che affannarsi a quel modo di prima mattina
fa male alla circolazione? Seriamente, dovresti cominciare a preoccupar…”
“E DI CHI E’ LA COLPA SE IO MI AFFANNO???”
“Ehm.” Un lieve tossicchiare mi riportò alla realtà. Mi
volsi, ancora rossa in viso. Bastian ci stava fissando, con un’espressione
indecifrabile dipinta sul volto. “Se mi permettete, Talit non è precisamente la
meta più sicura, per voi, al momento. Non so quali affari vi conducano lì, ma…”
“SO che è pericoloso! Mi credi un’idiota???” Dei! Perché la
mia vita doveva essere resa più complicata di quanto non fosse già???
“Non ti credo un’idiota. Ma il punto è…”
“… che Lina è un’incosciente.” Terminò Gourry per lui, in
tutta tranquillità. “Sono pienamente d’accordo con te su questo. Nessuno
potrebbe contestartelo. Ma stavolta purtroppo non possiamo fare diversamente. E
in effetti la colpa in questo caso è mia.”
Ok, ora davvero cominciavo a essere inquietata da
come quei due sembravano intendersela.
“Colpa tua, Sir Gabriev?”
“Se ti spiegassi perché, Lina probabilmente mi strozzerebbe
nel sonno. Quindi suppongo che dovrò lasciare a lei la decisione se dirtelo o
no.”
‘Ti strozzerò nel sonno comunque, Gourry!!!’
Fortunatamente, la cameriera scelse proprio quel momento per
mollare bruscamente sul tavolo le uova e l’acqua e limone di Bastian. I secondi
che occorsero per quel breve gesto furono sufficienti a farmi calmare tanto da
impedirmi di saltare sul tavolo e prendere entrambi a calci.
Bastian parve incerto se prendere o meno le parole di Gourry
come uno scherzo, ma alla fine si limitò a scuotere cautamente la testa. “Hai
tutto il diritto di non dirmi le vostre ragioni.” Inchinò lievemente il capo.
“Ma la mia spada rimane al tuo servizio finché lo desidererai, Sir Gabriev. Per
qualsiasi cosa.”
Gourry cercò il mio sguardo, forse per chiedermi se dovevamo
domandargli di Amelia, ma io evitai il suo. Non avrei saputo cosa rispondergli.
Stavo pensando freneticamente a un modo per deviare il discorso, quando la
porta esterna della locanda si spalancò.
Tutti e tre (quattro, contando la cameriera) ci volgemmo. E,
stagliata contro la luce azzurrina dell’alba, mi trovai a contemplare la figura
che meno mi sarei attesa di incontrare in quel luogo.
“Ehi, zuccherino! Tu non sei in vendita? No, eh? Portami una
pinta di birra, allora! Ahr, ahr, ahr!”
Ugh. Avevo detto che Bastian puzzava di alcol? Bé, ancora
non sapevo cosa significasse davvero puzzare di alcol. Dorak si trovava a
diversi metri da noi, e già da quella distanza riuscivo ad avvertire il suo
fetore.
Il mercenario Enu fece vagare lo sguardo per la stanza, e
quando ci individuò i suoi lineamenti si contorsero ridicolmente per la
sorpresa. Fece un paio di passi indietro, e per un momento fui seriamente
convinta che sarebbe finito con le chiappe al suolo.
“Chérie!!!” Gridò, in mia direzione. “E’ una
visione, forse? Gli dei non possono essere stati tanto generosi da farci
rincontrare in questo grande mondo!!!”
Affondai la testa
fra le mani, ufficialmente disperata. Gourry batté le palpebre, e mi rivolse
uno sguardo perplesso. L’espressione di Bastian, invece, era di aperto
disgusto.
Dorak avanzò
barcollando fra i tavoli, e ribaltò numerose sedie, prima di riuscire a
raggiungerci. Parve studiare per diversi istanti un modo per sedersi vicino a
me, ma dal momento che il mio lato del tavolo era troppo stretto, e che i miei
due compagni di viaggio occupavano i due posti al mio fianco, si limitò a
stringersi nelle spalle, a raccogliere la sedia di fronte a me (che aveva
appena fatto precipitare al suolo) e a sedersi a cavalcioni su di essa. Anche i
suoi occhi erano lucidi e arrossati, ma se non altro la sua sbronza sembrava
decisamente più allegra di quella di Bastian.
“E allora,
tesorino?” Mi chiese, emanando zaffate d’alito al sentore di rhum. “Sei
riuscita a portare a termine la tua missione?”
Evidentemente, la
presenza di Gourry non era una sufficiente risposta.
Emisi un sospiro.
“Posso presentarti mio marito, Dorak?” Dichiarai, in tono piatto. “Gourry
Gabriev. Gourry, lui è… oh, è troppo lungo da spiegare. Ci siamo trovati a
viaggiare insieme per un po’, mentre venivo a salvarti.”
“Non ti
preoccupare.” Dorak scosse la testa, veementemente. “Non abbiamo fatto nulla di
male! Non da sobri, almeno!”
“Uh… mi fa piacere
saperlo.” Gourry mi rivolse un’occhiata, decisamente più perplessa che
preoccupata per la mia “virtù”. Scossi la testa, esasperata, e gli promisi con
lo sguardo che gli avrei spiegato più tardi.
“Che diavolo ci
fai, tu qui?” Sibilò Bastian, dal mio fianco. Gli vidi portare la mano alla
cinta, verso l’elsa della mia spada corta, e mi resi conto che la sera prima mi
ero scordata di rendergli la sua arma.
Dorak, comunque,
non parve nemmeno notare il suo gesto ostile. “Che domande! Laggiù sulla terra
ferma, con tutto il caos della guerra, non si riesce nemmeno a rimediare una
buona pinta!” Fece una sonora risata da ubriaco. “E me la meritavo, una pinta,
dopo tutto il mio duro lavoro! Non è così, zuccherino?” Dorak cercò di
afferrare per la vita la cameriera, che era appena comparsa col suo boccale, ma
la ragazza sfuggì facilmente alla sua presa malferma, e ne approfittò per
fulminarci nuovamente tutti con lo sguardo, quello che sembrava essere
diventato il suo sport preferito.
‘Ragazza, non è colpa mia se la tua locanda è un ricettacolo per buzzurri.’
“E poi…” Ridacchiò Dorak, del tutto indifferente al
non troppo velato rifiuto della cameriera. “Quest’isola è rinomata per le sue
prostitute! Io torno proprio ora da un posticino, che… Non ditemi che voi due
non le avete provate, non sapete cosa vi siete persi!”
Per un altro, surreale secondo, Gourry e Bastian si
scambiarono uno sguardo di reciproca, inspiegabile comprensione.
Mi portai le dita alle tempie. “Sentite…” Sospirai. “Questa
riunione è commovente, e io starei qui a chiacchierare amabilmente con voi per
tutto il giorno, davvero, ma il sole si sta alzando nel cielo, presto questa
sala sarà piena di idioti ubriachi, e gradirei decidere il da farsi prima che
il mio mal di testa peggiori.”
Gourry si levò stancamente in piedi. “Andrò a chiamare
Amelia e gli altri, allora. Così potremo discutere con loro.” Mi strinse
lievemente la spalla con la mano, prima di allontanarsi. Gli rivolsi un breve
sorriso di riconoscimento.
“E allora, chérie… dove ti dirigerai, ora che il
maritino è salvo? Possiamo fare un tratto di strada insieme?”
Sospirai, tornando a volgere lo sguardo dalla schiena di
Gourry ai due uomini seduti al mio tavolo. “Direi di no, Dorak, a meno che tu
non disponga di qualche mezzo utile come una nave diretta a sud. Nel qual caso,
potrei anche decidere che in effetti sopporto la tua presenza.”
Dorak stava per replicare, ma la voce tagliente di
Bastian lo interruppe. “Lina Inverse.” Ringhiò, nel suo tono altero. “Io voglio
venire con voi.”
Mi
volsi verso di lui, colta di sorpresa. “Non avevi detto che saresti tornato dal
tuo signore?” Domandai, in un tono esasperatamente nervoso.
“Non
avevo idea che aveste in mente una cosa tanto avventata come tornare a Talit.”
Sibilò. “Avete bisogno di qualcuno che conosca il territorio, e che possa
coprirvi se venite catturati. Potremmo fingere che siate miei prigionieri, se
sono con voi. Se vi trovassero le truppe di Lord Gabriev mentre siete da soli,
la tua sentenza verrebbe eseguita seduta stante. Lo sai questo, vero?” Mi
fissò, intensamente, e mi trovai a distogliere lo sguardo.
“Gourry
ed io sappiamo badare a noi stessi.” Replicai, bruscamente. “Siamo tutto
fuorché comuni combattenti.”
“Lo
so!!!” Il tono di Bastian era così
esasperato, ora, che mi spinse a tornare a guardarlo. “Insomma, conosco la tua
fama, e ho visto Sir Gabriev mentre combatteva! Ma non posso…
non potrei tornarmene a Rolan così, come se niente fosse, sapendo che voi vi
state esponendo a un rischio del genere! Come fai a non capirlo???”
I miei pugni si strinsero, al di sotto del
tavolo. Le mie nocche, al di sotto dei guanti, dovevano essere ormai bianche.
“In ogni caso, dubito che il
signorino, qui, potrebbe tornare a Rolan, chérie.” Intervenne Dorak, in
tono del tutto tranquillo, inghiottendo un sorso di birra. “Considerando che è
stata data alle fiamme.”
“Cosa???”
Bastian ed io volgemmo la testa verso di lui, e gridammo all’unisono. Fui certa
di aver sentito male. Solo due giorni prima, Rolan ci era apparsa sicura, e
inespugnabile!
“Ieri
sera.” Spiegò Derek, con fare indifferente. “E’ stata una battaglia piuttosto
cruenta, in effetti. Solo una minima parte delle truppe è riuscita a riparare
verso Talit.”
La
sera precedente? Quindi, mentre noi parlavamo con Meghar, le sue truppe…
“Tu
menti!!!” Bastian era scattato in piedi. I pochi avventori che avevano
cominciato a riempire la sala lo fissarono, con l’aria di chiedersi da dove uscisse
tutta quell’energia di prima mattina. “Come diavolo faresti a saperlo, se hai
trascorso la notte qui???”
Dorak
non si lasciò scomporre. Si pulì l’orecchio con un dito, e ne esaminò con fare
assente il contenuto. “Stanotte, in giro per l’isola, non si parlava d’altro.”
Replicò, pacato. “Se ti degnassi di mischiarti alla plebaglia, di tanto
in tanto, lo avresti sentito anche tu.”
Bastian
strinse i pugni, e un puro furore gli si dipinse sul volto. Parve imporsi a
fatica di non aggredirlo, mentre sibilava. “E che ne è stato del Lord Gabriev?”
Dorak
inclinò la testa e fece un mezzo sorriso. “Ho sentito che era fra quelli che
sono fuggiti verso Talit. E’ prerogativa di quelli come voi abbandonare tutto e
tutti quando più conviene, non è così, cavaliere?”
Bastian
spinse via la sedia, e in meno di un secondo raggiunse con le dita la
collottola di Dorak. Io scattai in piedi, colta di sorpresa da quel movimento
repentino, troppo lenta per essere in grado di impedirlo. Ma, fortunatamente,
il risuonare di una voce autoritaria gelò Bastian sul posto.
“Che
diavolo sta succedendo?”
Derek
stava scendendo i gradini della scala, seguito da Gourry, Amelia e Sylphiel. Le
due sacerdotesse avevano l’aria assonnata, ma Derek sembrava già ben sveglio.
Aveva già indosso armi e armatura (anche se aveva avuto l’accortezza di
tralasciare la tunica con le insegne) e stringeva la sua borsa da viaggio nella
mano destra.
“Tu…
tu non sei Dorak, il mercenario degli Enu?” Domandò, sorpreso. “Che succede?
Porti qualche messaggio per me dai nostri territori?” Non potei fare a meno di
notare la sfumatura di disprezzo con cui gli si rivolse. Sembrava seccato dalla
sua presenza, se non addirittura vagamente ripugnato.
Il
volto Dorak si oscurò per un momento, ma il mercenario parve riacquistare
velocemente la sua compostezza. “No.” Replicò, in un tono deferente che non gli
avevo mai sentito vestire, ma che suonava vagamente falso. “In realtà ci
incontriamo qui per caso, mio signore. Sono stato inviato qui dal capo
villaggio per trattare l’acquisto di delle partite di sale. Per conservare la
carne, sapete.”
Derek
si accigliò. “Mi auguro per te che mio padre ne sia al corrente, o passerete
dei guai.” Replicò, con sprezzo. “Non avete alcun diritto di muovervi dai
vostri territori e intavolare trattative di alcun genere, senza il nostro
permesso. Il fatto che ci sia una guerra in corso non esime voi marmaglia dai
vostri obblighi nei nostri riguardi.” Con questo, la sua attenzione abbandonò
completamente il mercenario. Dorak mi stava cordialmente antipatico, ma in quel
momento avvertii una vampata di irritazione per l’atteggiamento del fratello di
Gourry nei suoi confronti. Che diavolo voleva significare quell’aria di
superiorità? Sembrava che si stesse rivolgendo a un suo animale domestico, piuttosto
che a un essere umano. “Bastian, che cosa sta succedendo?” Derek si rivolse al
cavaliere, ora. “Perché ti pieghi ad attaccare briga con un Enu? Lo sai che è
nella loro natura essere doppi e malevoli…”
Bastian
lasciò il colletto di Dorak, e parve riacquistare il suo autocontrollo. “Mio
signore…” Sibilò. “Stando a quanto quest’uomo mi ha appena riferito… a quanto
pare, purtroppo, le truppe di tuo padre sono state sconfitte. Sembra che il
Lord Gabriev stia riparando a Talit.”
Derek
impallidì visibilmente. Indietreggiò di un passo e si appoggiò al tavolo. “Che
hai detto?” Sibilò. “Sei certo che dica la verità?”
Bastian
chinò lievemente il capo. “Se mentisse lo scopriremmo presto.” Dichiarò, in
tono umile. “Per questo, non vedo la ragione di una sua menzogna.”
I
pugni di Derek si strinsero. “E io…” Balbettò. “Io non stavo facendo il mio
dovere… E per cosa? Per salvare lui!!!” Lanciò a Gourry uno sguardo
colmo di rinnovato odio. “Che cosa penserà di me nostro padre, ora???”
Mio
marito parve non sapere cosa dire. Fissò il fratello con aria impotente,
restando a distanza di sicurezza, all’imbocco delle scale.
“Signori.”
Intervenne la cameriera, in tono stizzito, avvicinandosi. “Non so cosa stia
succedendo, ma state disturbando gli altri clienti.” Additò i quattro o cinque
avventori dall’aria poco raccomandabile che avevano preso posto ai tavoli della
sala. “Se dovete azzuffarvi, andatevene fuori di qui.”
“Diamoci
tutti una calmata, d’accordo?” Intervenni io, rivolgendole una breve occhiata
di assenso, perché si allontanasse. Abbassai la voce. “Dubito che le vostre
questioni personali interessino a tutta l’isola.”
Ricevetti
per lo più sguardi ostili, in risposta. Ma, quanto meno, la crisi passò.
Lentamente, nervosamente, tutti si sedettero.
“Ora…”
Esordii. “Gourry ed io abbiamo degli affari da portare a termine in questo
regno.” Tacqui sui dettagli. La sera precedente avevo avuto intenzione di
chiedere a Sylphiel se sapeva qualcosa della maledizione che aveva colpito mio
marito, ma durante la notte avevo cambiato idea. La sacerdotessa non aveva
riconosciuto i segni sulla mano di Gourry, e dubitavo che conoscesse un
rimedio, se non aveva idea di quale fosse il male. Sapevo che se le avessi
detto tutta la verità si sarebbe allarmata e sarebbe voluta venire con noi, e
questo, in tutta sincerità, non mi andava. La mia idea era di raccontare tutto
ad Amelia e chiederle di cercare qualche rimedio a Sailune, mentre io e Gourry
indagavamo a Elmekia. Potevamo tenerci in contatto con la magia. E una volta
là, anche Sylphiel avrebbe potuto aiutarla. Ma per quanto riguardava Talit e la
città vecchia, dovevamo sbrigarcela da soli. “Non mi interessa cosa voi altri
grand’uomini avete intenzione di fare, ma Amelia ha bisogno di tornare a
Sailune da suo padre, e se tu, Sylphiel, potessi accompagnarla, forse dovremmo
solo…”
“No,
Lina-san.”
‘Eh?’
Di
tutte le persone che avrei potuto prevedere come ostili al mio piano, l’ultima
era decisamente Amelia. Pensavo che fosse la prima a voler tornare a casa, per
risolvere la questione della guerra.
“Come
no? Amelia, tuo padre è…”
“So
in che situazione si trova mio padre, e so che vorrebbe rivedermi, ma ho il mio
anello con il sigillo, Lina-san, e posso comunicargli che sto bene attraverso
un messaggero. Il mio posto è qui a Elmekia, ora. Voglio scoprire il vero
motivo per cui sono stata rilasciata. Lo sai anche tu che quel pirata non la
raccontava giusta.” Si sporse verso di me, sul tavolo. “In più, se non si saprà
in giro che sono di nuovo libera sarà più semplice anche per mio padre indagare,
alla capitale.”
“M-
ma…” Cercai disperatamente un modo per spezzare la sua risoluzione. Il mio
piano perfetto si stava velocemente sgretolando di fronte ai miei occhi. “Non
abbiamo un messaggero sufficientemente fidato, a disposizione. Se venissimo traditi…”
“Questo
non è un problema, in effetti.” Intervenne Bastian. Da quando gli avevo detto
chi era Amelia, la sera precedente, le aveva parlato in un tono di rispetto
molto diverso da quello che aveva rivolto a me all’inizio. “Posso usare il mio
falco per voi, principessa. Non ha mai mancato di portare a destinazione un
messaggio, quando la ho utilizzata per questo.” Per la cronaca, il falco di
Bastian non si era più fatto vedere dalla sera incriminata. Non che fosse una
novità.
“Visto
Lina-san?” Amelia batté il pugno sul tavolo. “Una soluzione viene sempre
incontro agli alleati della giustizia!!!”
“Ma
quali sono gli affari che dovete portare a termine tu e Gourry-san, Lina-san?”
Intervenne Sylphiel. “Dato che Amelia è salva e la sua scorta ormai non può più
essere aiutata…”
“Oh…
ehm…” Balbettai. “Volevamo precisamente scoprire cosa c’è dietro al rapimento
di Amelia.” Inventai, su due piedi. “Sapete, ormai siamo coinvolti, e… uhm,
spero che Philionel almeno ci ricompensi per questo, dopo tutti i guai che
abbiamo passato.” La sacerdotessa non mi parve convinta. Ma forse concluse che
non volevo discutere delle mie motivazioni davanti a tutti, perché ebbe la
buona creanza di non fare domande.
“Non
mi importa di ciò che volete fare voi.” Intervenne Derek, stizzito. “Io devo
raggiungere la terraferma e trovare un cavallo per riunirmi alle truppe di mio
padre al più presto.” Si levò in piedi. “Non so nemmeno perché resto qui a
perdere tempo con voi. Bastian, vai a recuperare le tue cose. Ci muoviamo ora.”
Ma
il cavaliere non si alzò.
Derek
gli rivolse uno sguardo stizzito. “Bastian, ho detto che partirò
immediatamente. Se hai intenzione di riunirti alle truppe di mio padre…”
“Non
ho intenzione di farlo.” Bastian lo interruppe, in tono ardito. Chinò il capo, assumendo
per un momento un atteggiamento di umile esitazione, ma Derek parve troppo
sorpreso per rispondergli. “Ti ho confessato il mio tradimento, quando ci siamo
incontrati a Rolan, e ti ho spiegato quali fossero le mie motivazioni.”
Proseguì il cavaliere. “Perdonami, ma è per le stesse motivazioni che ora devo
disobbedire al tuo ordine, mio signore. Il mio compito qui non è ancora
concluso. Mi ricongiungerò alle truppe a Talit, una volta che lo avrò portato a
termine, e allora non mi opporrò a ricevere la giusta punizione per il mio
comportamento.”
Avevo
voluto intervenire per fermarlo, ma quella frase mi zittì. Bastian conosceva i
rischi e le conseguenze, e stava volontariamente mettendo la sua vita in gioco.
Che cosa dovevo dire? Era un uomo adulto, in fondo.
Derek,
da parte sua, parve farsi livido di rabbia. Ma la sua voce era controllata,
quando replicò. “Fai come preferisci. Ma sappi che a mio padre non piacerà. Non
mi hai chiesto di coprirti di fronte a lui, e io non lo farò. Ma non mi sentirò
responsabile se la tua testa salterà, Bastian. Avrebbe potuto perdonarti, se mi
avessi seguito ora, ma così ti giochi l’ultima possibilità di redimerti ai suoi
occhi. E io non me lo inimicherò certo per te.” Volse lo sguardo a Gourry. “In
quanto a te, considero saldato il mio debito. Perciò non ti aspettare che
parteggi per te, se deciderai di ripresentarti di fronte a nostro padre.” Volse
le spalle, per andarsene, ma la mia voce lo bloccò. Parlai ancora prima che il
mio cervello lo realizzasse.
“Aspetta,
Derek! Porta Sylphiel con te!”
Le
teste di tutti i presenti al tavolo si volsero verso di me, le espressioni
stupite e confuse (beh, a parte quella di Dorak, che era ormai apparentemente
del tutto intento alla sua birra). Sylphiel quasi si alzò sulla sedia, per la
sorpresa. “Lina-san!”
“Se
non puoi tornare a Sailune, allora è meglio che tu vada a Talit.” Spiegai. “La
città ha mura solide, e non ci sono grosse probabilità che cada a breve.” Mi
avvicinai, e sussurrai in modo che solo lei potesse sentirmi. “Sylphiel, anche
io e Gourry dobbiamo dirigerci a Talit, ma io sono ricercata, e se ti vedessero
con me l’immagine di Sailarg ne sarebbe compromessa.” Mi auguravo che fosse un
argomento abbastanza convincente. “Ascoltami, quando questa faccenda sarà
finita, ti prometto che Gourry ed io ti scorteremo a casa. Per ora…” Trassi una
delle mie gemme magiche da una tasca del mantello. “Tu conosci il Vision Spell,
giusto? Lancialo su questa e su uno dei tuoi oggetti. Così potremo contattarti
se ce ne sarà la necessità.”
Afferrai
il polso di Sylphiel e le posi la pietra sul palmo della mano, ma la
sacerdotessa mi parve incerta. Gettò uno sguardo ad Amelia e Gourry, mordendosi
il labbro come se si attendesse un loro intervento.
Derek,
alle sue spalle, batté i piedi con impazienza. “Ha ragione, per una volta.”
Sibilò. “Mia signora, con me sarai di certo più al sicuro che con questa
gentaglia. E in ogni caso è meglio che tu non ti faccia vedere con persone
simili.” Lanciò deliberatamente un’occhiataccia a Dorak, nel parlare. “Ma
dobbiamo muoverci. I soldati in fuga hanno già una notte di vantaggio su di
noi.”
“Io…
d’accordo.” Sylphiel sembrava ancora poco convinta, ma la mia sicurezza e
l’urgenza nel tono di Derek dovettero spingerla a risolversi. “Aspetta, Derek-
san, vado a prendere le mie cose.” Strinse la gemma nel palmo, e fuggì al piano
di sopra. Avevo idea che avesse già addosso i pochi oggetti che si era portata
per il viaggio, e che volesse semplicemente allontanarsi da occhi indiscreti
per recitare la formula. Saggia scelta. Non sapevo ancora se io e Derek ci
saremmo trovati contro come nemici, ma non era il caso che lui fosse a
conoscenza del nostro contatto con Sylphiel. In fondo, la sacerdotessa poteva
essere una ottima fonte di informazioni su quanto stava accadendo alla corte.
Dopo
pochi minuti, Sylphiel scese le scale. Fingendo di allacciarsi il mantello,
lasciò cadere la gemma stregata nella mia mano, e si avviò alla porta, dove
Derek la attendeva silenzioso. La locanda ormai si era riempita, e nessuno
degli avventori parve fare caso alla separazione del nostro piccolo gruppo.
“Lina-san, Gourry-san, Amelia-san… state attenti, vi prego.” Ci rivolse un
breve inchino, prima di affiancarsi a Derek. Lanciandoci un’ultima occhiata
preoccupata, uscì dalla locanda.
“Aaaah,
peccato.” Commentò Dorak, vago. “La sacerdotessa era proprio un bel
bocconcino.”
Strinsi
i denti, esasperata. “Dato che essere due in più del previsto ci rallenterà
considerevolmente, sbrigatevi a finire di mangiare.” Intimai a Gourry, Amelia e
Bastian. “Ci muoviamo di qui fra mezz’ora.”
“Tre.”
Puntualizzò Dorak, posando il boccale ormai vuoto.
“Tre
cosa?”
“Saremo
tre più del previsto.” Il mercenario sorrise. “Mi hai detto che mi avresti
preso con te se ti avessi procurato una nave per arrivare a Sud. E una nave è
esattamente ciò che ho da offrirti.” Il suo sorriso si allargò. “Chérie.”
***
Beh… per essere una nave era una nave. Una di quelle snelle e
lunghe, che sembrano più adatte a navigare su un fiume che in mare aperto. Il
problema era che nessuno sembrava essere mai stato particolarmente preoccupato
della sua manutenzione. Alcune delle assi del ponte erano evidentemente smesse
e le vele erano sbiadite e parevano doversi sfaldare al minimo tocco. E non
c’era molto spazio, a bordo, solo per noi cinque e per quattro membri
dell’equipaggio. Ma navigando vicino alla costa probabilmente sarebbe riuscita
a portarci a destinazione. Probabilmente.
Almeno,
così sosteneva il capitano. Non sembrava precisamente degno di fiducia, con
quel volto sfregiato e quei denti marci, ma aveva quanto meno l’aria di chi
conosce il fatto suo.
“Ricordami
come ti sei procurato questa nave esattamente.” Domandò Lina al mercenario
chiamato Dorak, occhieggiandolo con sospetto, per l’ennesima volta da quando
eravamo saliti a bordo. Eravamo solo noi tre, sul ponte. Amelia era
sottocoperta, intenta a scrivere a suo padre, e il cavaliere, Bastian, aveva
accettato di rimanere di guardia fuori dalla sua cabina, mentre noi davamo
un’occhiata alla nave. In realtà c’era scarso rischio che ci fosse qualche
assassino nascosto dietro l’angolo – non c’era lo spazio per
nascondersi, in effetti – ma tanto valeva andare sul sicuro.
“Te
l’ho detto, il capitano è un pescatore, un mio vecchio amico. Dato che doveva
andare a Sud ha accettato di darci un passaggio per pochi soldi. Che fortuna,
eh? Con qualche moneta d’oro e un paio di giorni di viaggio arriverete a
destinazione.”
Non
ebbi bisogno nemmeno di guardare Lina in volto, per sapere cosa pensava. NON
era normale che una nave si muovesse liberamente per mare, di quei tempi. E se
quello era un pescatore, noi due eravamo una coppia di saltimbanchi.
Ma
mia moglie non diede voce ai propri pensieri. “Mmm. E sei sicuro che non
finiremo per farci avvistare da Talit, giusto?”
“Tranquilla,
tesorino, ci fermeremo almeno a un giorno di viaggio da Talit. Se arrivassimo
fin lì mi allungherei troppo la strada fino a casa.”
Non
avevo una gran simpatia per il mercenario (sebbene avesse un’aria vagamente
familiare), ma dovevo riconoscergli che aveva un certo fegato a chiamare Lina
“tesorino” e non temere per la sua vita. Avevo visto banditi compiere lo stesso
errore e fare una fine molto, molto, molto dolorosa.
“E
ora, chérie… vi ho mostrato la nave. Per cui, se vuoi scusarmi, il
capitano mi aspetta per un bicchiere di rhum…” Ci volse le spalle, agitò la
mano, e sparì verso la bassa porta che conduceva sotto coperta.
Udii
Lina sospirare. “Sempre che serva rimarcarlo…” Borbottò. “… di lui non
ci si può fidare.”
Feci
un mezzo sorriso. “Non mi dire.”
Anche
mia moglie mi sorrise brevemente, ma poi il suo volto si oscurò. “Ehi, Gourry.
Come va la mano?”
Mi
strinsi nelle spalle. “Sempre lo stesso. Ho l’impressione che il rossore si
stia estendendo, effettivamente, ma è comunque un processo molto lento.”
Lina
si morse un labbro, ma annuì. “Credo sia un bene che si stia estendendo.”
Mormorò. “Credo che significhi che l’incantesimo sta ancora facendo il suo
effetto. Forse vuol dire che è ancora reversibile.”
Mi
dispiaceva vederla così in ansia per colpa mia. E la sua preoccupazione era
aggravata dal fatto di essere all’oscuro della effettiva entità del problema.
Conoscere cosa dovevamo combattere la avrebbe aiutata, ma il fatto, per una
volta, di non avere risposte, doveva apparirle terribilmente frustrante. “Che
cosa ti ha detto Amelia? Lei ha qualche idea su come guarirla?” Sapevo che ne
avevano parlato, prima di salire a bordo della nave, ma dall’espressione di
Lina quando quel colloquio era finito temevo di non poter presagire nulla di
buono.
Mia
moglie confermò i miei timori, scuotendo la testa. “Non conosceva nemmeno
l’incantesimo. Però mi ha promesso di scrivere una nota a suo padre nel
messaggio, chiedendogli di rigirare la domanda ai sacerdoti di Sailune… spero
lo facciano senza problemi. Quel genere di magia gode di una pessima
reputazione, ma in fondo sto chiedendo loro un rimedio, non il modo di
lanciarla.” Sospirò. “Deve esistere una magia umana in grado di
funzionare. Quell’incantesimo non è opera di un Mazoku, quindi di certo non
servono poteri superiori per spezzarlo.” Stava ragionando ad alta voce, e io la
lasciai fare. Non avevo idea di come funzionasse quel genere di cose, ma ero
certo di una cosa: se c’era una persona in grado di trovare una soluzione,
quella era Lina. Quel pensiero mi rendeva, a dispetto di tutto, stranamente
tranquillo.
“E
Amelia cosa ha intenzione di fare, ora?”
“Ha
detto che vuole aiutarci con le indagini alla città vecchia.” Rispose Lina,
pensierosa. “Inizialmente pensava di introdursi in qualche modo a Talit, ma
sono riuscita a farla desistere dall’idea con la scusa che Sylphiel studierà la
situazione lì per noi.” Mi lanciò un breve sorriso, e mi prese il braccio. “Le
ho raccontato quello che è accaduto e le ho rivelato i miei sospetti su
Erianna, ma ho fatto malissimo. Ho risvegliato la sua sete di giustizia, e
quella ragazza può diventare terribilmente persistente, quando questo accade. A
volte ho l’impressione di vedere i suoi occhi offuscarsi come quelli di uno
zombie, quando inizia uno dei suoi discorsi.” Esitò. “Anche se è più saggio non
farglielo notare. Gli zombie sono creature estremamente malvagie.”
Ridacchiai.
“Ogni creatura è recuperabile al bene, anche gli zombie.” Replicai. “Chiedilo a
Philionel.”
“Oh,
ottimo argomento, davvero. Hai intenzione di provare tu a convincerla?” Mi
lanciò uno sguardo giocoso. “Ti offrirò una cena, se ce la farai.”
“Sarebbe
interessante farlo solo per vedere come tu ti tireresti fuori dalla promessa
della cena.”
“E
questo cosa vorrebbe dire? Io mantengo sempre la parola data!”
“Oh,
certo.” Levai un sopracciglio. “E i maiali volano. E tu hai effettivamente
delle tette.” Lo dissi di proposito, pur presagendo la mia morte. Il volto di
Lina era adorabile, un momento prima che procedesse all’omicidio.
“Sai
che tra un secondo desidererai profondamente non aver mai aperto bocca, vero?”
Annuii,
saggiamente. “E’ il destino di noi rivelatori di verità.”
Parai
il suo affondo un momento prima che raggiungesse il mio volto. Un attimo dopo,
ci stavamo azzuffando come due gatti selvatici, e io stavo ovviamente perdendo.
Ma mi stavo divertendo un mondo.
Fui
salvato dall’essere sfigurato dal risuonare della voce di Amelia. “Lina-san!”
La
principessa stava emergendo da sotto coperta, agitando la mano in segno di
saluto. Alle sue spalle, veniva il cavaliere di mio padre, che stava fissando
me e Lina, scuro in volto. Perplesso, mi resi conto che mia moglie mi aveva
lasciato andare all’improvviso.
“Amelia!”
Rispose Lina. “Hai terminato di scrivere?”
La
principessa annuì, sorridendo. “Avete già finito il vostro giro di ispezione?”
Domandò. “Beh, in effetti non è che ci sia molto da visitare.” Aggiunse poi,
lanciando un’occhiata mesta a un’asse marcia e giungendo evidentemente alle mie
stesse conclusioni sulla nave.
Alle
sue spalle, Bastian levò il braccio guantato ed emise un fischio. Un grido
stridulo risuonò dall’alto, e il falco, che sin da quando eravamo saliti a
bordo era rimasto appollaiato sull’albero maestro, scese in picchiata verso di
noi.
Mi
aspettavo di vederlo planare sul braccio proteso di Bastian, ma
inaspettatamente, dopo aver girato attorno al cavaliere, la bestia lo evitò, e
andò a posarsi sul parapetto della nave, a fianco di Lina. Battei le palpebre.
Non ero in grado di interpretare le reazioni di un falco, chiaramente, ma si
era mosso con un fare che in un essere umano avrei definito altezzoso.
Il
cavaliere, di fronte a me, strinse i denti. “Dannata bestia testarda.” Lo udii
sibilare. Quasi lo avesse compreso, l’animale rispose con un richiamo stridulo.
Lina
mi parve immensamente divertita dalla cosa. Allungò le dita, e accarezzò la
testa del falco, che con lei si comportò in modo del tutto docile. “Sei certo
che porterà il messaggio a destinazione?” Domandò, senza preoccuparsi di
mascherare la sua ilarità.
“E’
addestrata a farlo.” Replicò il cavaliere, secco, in un tono che, avrei
giurato, cercava di nascondere la sua irritazione. “Per quanto evidentemente
ami scordarsene.”
Il
falco volse la testa in sua direzione, e con calma, impassibilmente, si levò
nuovamente in volo, spingendosi sul parapetto. Raggiunse finalmente il suo
braccio, e si piegò a mordicchiargli le dita, con fare affettuoso. Il cavaliere
emise un sospiro. “A Sailune.” Intimò, legandogli il messaggio alla zampa. “Mi
hai capito? E torna qui, dopo, portandoci la risposta. Niente deviazioni.”
La
bestia si limitò a fissarlo, con occhi intelligenti, e quando il cavaliere
protese nuovamente il braccio verso il mare, spiccò in volo. In pochi secondi,
stava sparendo in lontananza.
Bastian
sospirò nuovamente, osservandola svanire. Non sembrava particolarmente certo
del risultato.
“Beh…
dal momento che questa faccenda è sistemata…” Lina volse le spalle al mare, e
prese a dirigersi sotto coperta.
“Dove
stai andando?”
“A
dormire.” Mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Non ho riposato granché
stanotte, e qui non c’è nient’altro da fare. Tu vieni con me?” Era più o meno
metà pomeriggio. Non eravamo partiti da molto, perché quella mattina avevamo
perso tempo a trovare un’imbarcazione per raggiungere la nave, attraccata su
una delle isole vicine a quella delle carceri, dal momento che Derek se ne era
andato con la barca con cui Lina e gli altri erano giunti lì il giorno
precedente. Erano state due lunghe giornate, e anch’io ero stanco, in effetti,
e avrei volentieri sonnecchiato un po’ prima di cena. Però, non me la sentivo
molto di scendere sotto coperta. Dovevo ancora abituarmi a stare su una nave, e
temevo che stando al coperto mi tornasse la nausea.
Scossi
la testa. “Preferisco prendere un po’ d’aria.” Le sorrisi. “Sarò qui, comunque,
se hai bisogno di me.”
Lina
mi rivolse un mezzo sorriso, annuendo, ma non replicò nulla. Sparì giù per le
scale, e la udii imprecare sonoramente contro un gradino marcio, verso metà
della rampa. Repressi una risata.
“Gourry-san.”
Amelia mi si rivolse, in tono allegro. Non aveva più il vistoso vestito
ufficiale che aveva indossato mentre si trovava prigioniera, ma si era cambiata
in un più semplice abito da viaggio: una corta tunica bianca a maniche lunghe,
lievemente scollata, corredata di pantaloni e mantello bianchi. Non portava
insegne, ma al di sotto delle maniche intravedevo i suoi soliti braccialetti, e
al collo aveva un collare simile a quello che indossava di solito, decorato con
pietre magiche. Per qualche motivo, anche se era una principessa, quella tenuta
semplice pareva più adatta a lei. “Lina-san mi ha detto tutto.” Disse,
semplicemente. “Non preoccuparti, vedrai che risolveremo ogni cosa. Chiunque
abbia compiuto un atto così malvagio verrà punito e tu sarai libero.” Non disse
altro, presumibilmente perché ci trovavamo in presenza di Bastian, ma le fui
comunque grato del suo tentativo di rassicurazione.
“Non
sono preoccupato.” Assicurai, con un sorriso. “Sei certa che tuo padre capirà?”
Amelia
annuì con veemenza. “Sono certa che lui avrebbe fatto lo stesso, per cui
capirà. Non è detto che approvi, ma questo è tutto un altro discorso.” Dovetti
trattenere un sorriso. Passavano gli anni, ma certe cose non sarebbero mai
cambiate.
“Penso
che andrò a riposarmi un po’ anche io, comunque.” Si stiracchiò. “Stanotte ho
dormito come un sasso, ma mi sento ancora esausta. Dopo tutte quelle settimane
di inattività, e frustrazione…” Rabbrividì lievemente. “Beh, ci vediamo a cena,
Gourry- san.” Levò la mano in segno di saluto. Bastian fece un passo avanti,
come per seguirla, ma la principessa lo bloccò.
“Oh,
no, non occorre, Bastian- san. Lina- san e Gourry- san hanno appurato che non
ci sono pericoli immediati sulla nave, e in più nessuno sa chi sono realmente.
E in ogni caso so difendermi da sola.” Gli rivolse un ampio sorriso. “Non ti
sentivi molto a tuo agio sotto coperta, non è così? Rimani pure qui fuori. E’
una così bella giornata…”
Le
labbra di Bastian si strinsero, ed ebbi l’impressione che si sentisse a
disagio. Osservò Amelia sparire nei recessi della nave, senza volgersi a
guardarmi, e fra noi cadde immediatamente il silenzio.
In
effetti, anche io mi sentivo un po’in imbarazzo. Quel cavaliere sembrava
davvero deferente nei miei confronti (il che bastava a mettermi a disagio), ma
al contempo il suo comportamento aveva un che di ambiguo. Oh, sembrava un tipo
a posto, e Lina a quanto pareva aveva stretto amicizia con lui. Però…
“Uhm…
quindi hai detto di essere di Sailarg?” Domandai, vagamente, per cercare di
intavolare una conversazione.
Bastian
strinse ulteriormente le labbra e si appoggiò al parapetto della nave, sul chi
vive. “La mia famiglia faceva parte della piccola nobiltà cittadina. Mio
fratello maggiore aveva ereditato la nostra proprietà di famiglia, a nord della
città, e mia sorella faceva parte delle sacerdotesse del tempio.” Replicò,
fissando il mare. “Purtroppo, sono entrambi venuti a mancare nell’incidente
accaduto qualche anno fa alla città, e così anche mia madre, la moglie di mio
fratello e suo figlio. Ormai le proprietà di tuo padre sono diventate la mia
unica casa.” Rimasi colpito dall’apparente sangue freddo con cui pronunciò
quelle parole. Era un po’ simile a quello che sembrava avere sviluppato
Syplhiel, negli anni. La città fantasma… tutte quelle morti sembravano così
assurde che persino il dolore delle persone che le avevano subite aveva un che
di irreale…
Un
brivido mi attraversò. Alla mia mente si era affacciata l’immagine di quel
demone bambino, e di Lina, avvolta in una luce dorata, che spariva sopra le
rovine di Sailarg. Ogni volta che me ne ricordavo, mi pareva che un pugno mi
stringesse lo stomaco.
“Si
dice in giro che sia stata Lina Inverse.” Proseguì Bastian, troppo assorto nei
suoi pensieri per accorgersi del mio sussulto. “Entrambe le volte. Sia quando
la città è crollata la prima volta, sia quando è misteriosamente risorta, per
poi svanire nel nulla.”
Mi
volsi verso di lui, senza capire dove volesse arrivare. Il suo sguardo era
ancora fisso sul mare, e non mi diede indizi sul suo stato d’animo. “Eravamo
presenti, entrambe le volte.” Assentii. Non so perché lo dissi. Avrei potuto
semplicemente negare il coinvolgimento di Lina, ma per qualche motivo dalle mie
labbra sembrava voler uscire tutta la storia. “Ma non è stata colpa sua. La
prima volta siamo stati aggrediti da un uomo che godeva della stima di tutti i
cittadini, ma che era molto diverso da ciò che dichiarava di essere.” Non
riuscivo mai a ricordare il suo nome… “E’ stato lui a distruggere la città. E a
ricostruirla è stato un Re dei Demoni. Lui mi ha rapito, per costringere Lina a
lanciare un incantesimo estremamente pericoloso. E Lina ha ceduto al suo
ricatto, ma alla fine lo ha ucciso.” Mi incupii. “Allora l’incantesimo che
teneva in piedi Sailarg si è spezzato. Ma non è stata colpa di Lina. Lei non ha
avuto scelta.”
Stavo
cercando di impressionarlo? Perché stavo raccontando quelle cose? Volevo
dimostrargli cosa avevamo attraversato Lina e io insieme? Per qualche motivo,
non mi sentivo particolarmente fiero di me stesso.
Il
volto di Bastian era vagamente impallidito, ma il cavaliere non eruppe in
esclamazioni stupefatte, come forse ci si poteva aspettare. Si limitò a
stringere con forza il parapetto della nave fra le dita. “Beh, sì.” Disse, con
voce lodevolmente ferma. “Non pensavo che fosse stata lei. Cioè… non più. Ne
ero convinto, una volta. Ma ora non penso che sia tipo da sacrificare vite
innocenti senza motivo. Anche se forse ne avrebbe le capacità.” Aggiunse, a
mezza voce.
Per
qualche motivo, un sorriso affiorò alle mie labbra. “A volte fa paura, eh?” Il
mio sguardo si perse sul mare, e sulle nuvole che al largo parevano addensarsi
nuovamente. “Quando la ho conosciuta… non avevo idea di chi fosse. Pensavo
fosse una ragazzina qualunque. Ma poi ci siamo trovati contro un avversario
terribile, e… la ho vista combattere. Ed era così scaltra, e determinata. Non
avevo mai conosciuto una forza del genere.” Scossi la testa. “E allora ho
cominciato a desiderare di conoscerla veramente per quello che era. Ed era una
mercante, era una scassinatrice, era una folle cacciatrice di banditi. Era
sarcastica e spaccona, e per lei le regole non esistevano.” Abbassai la voce.
“Ma era anche dolce, a modo suo, anche se non lo dava a vedere. La mia fiducia
nei suoi confronti era incondizionata.” Il mio sorriso si allargò. “Ho
cominciato a capire quello che pensava anche senza che me lo dicesse. E lei ha
iniziato a fare affidamento su di me… non solo per la mia spada. Come un amico,
e come un appoggio.” Sospirai. “Mi ha attirato in tanti di quei guai che
sinceramente trovarmi nel bel mezzo di una guerra, ora, mi sembra il male
minore.”
“Non
è un tipo che si incontra facilmente.”
“Ci
puoi giurare.”
Ci
fu un attimo di silenzio. Poi, avvertii lo sguardo di Bastian posarsi su di me.
Mi volsi a fronteggiarlo. La sua espressione aveva un che di solenne. “Credo di
aver preso la decisione giusta.” Dichiarò. “Scegliendo di ripagare il mio
debito salvando la vita a Lina Inverse.” Mi rivolse un lieve inchino. “Ti
prometto che farò quanto è in mio potere per farvi arrivare vivi alla fine di
questa faccenda.”
Non
sapevo cosa replicare. “Il tuo debito è già saldato.” Esitai. “Voglio dire… non
avresti dovuto nemmeno preoccupartene, sin dall’inizio. Davvero. Ho aiutato
Sailarg, ma ho fatto quello che la maggior parte delle persone avrebbe fatto al
mio posto. Non… Insomma, sono già stato ripagato ampiamente dalla vostra
ospitalità, quella volta.”
Bastian
scosse la testa. “Ripagarti, Sir Gabriev, è stato il mio scopo fino ad oggi. Lo
ammetto, all’inizio è stata forse una scusa per allontanarmi da casa, e trovare
la mia strada… ma da quando mi trovo presso tuo padre… ho preso molto
seriamente questo impegno. Permettimi di adempierlo.”
Scopo…
anche io ero stato in cerca di uno scopo, quando avevo conosciuto Lina. In un
certo senso, capivo quello che intendeva…
O
c’era dell’altro?
“Uhm… ok, non c’è problema.” Mi grattai la
testa. “In fondo, non ho diritto di impedirti nulla e… il tuo aiuto può
servirci. Quindi grazie.”
Bastian
levò il capo e mi studiò con espressione seria, ma non aggiunse nulla. Stavo
pensando a cos’altro avrei potuto aggiungere, per spezzare quel clima
impacciato, quando in qualche punto sotto di me risuonò un urlo, e si sentì un
rumore di vetri infranti.
“Che
diavolo?!?”
Abbassammo
entrambi lo sguardo. Era la voce di Lina?
Un’ondata
di panico mi attraversò, e mi lanciai verso la scala che portava alle cabine.
Saltai il gradino marcio, e mi avviai per lo stretto e lungo corridoio su cui
si apriva la stanzetta in cui eravamo stati relegati, la prima sulla destra
dando le spalle al ponte. Spalancai la porta.
Il
nostro letto, che occupava i tre quarti della stanza, era sommerso da uno
scheletro di metallo, e cosparso di cristalli e vetri. Alcuni frammenti avevano
raggiunto il pavimento, frantumandosi in mille schegge, schizzate nelle
direzioni più disparate. Mi ci volle qualche secondo per capire cosa era
successo. Il grosso lampadario che pendeva al centro della cabina era
precipitato. Le sue punte acuminate si erano piantate sulle lenzuola come degli
artigli.
“Lina!!!”
Gridai.
“Sono
qui…” Una voce giunse dal pavimento, sull’altro lato del letto. Dopo un
secondo, una mano affusolata sbucò alla mia vista e mia moglie, aiutandosi con
la sponda del letto, si sollevò in ginocchio.
La
raggiunsi di corsa, calpestando i frammenti di vetro, e mi inginocchiai al suo
fianco. “Stai bene???”
“Sì…
ahia!” Aveva spostato il ginocchio su una scheggia di vetro, e lasciato una
scia di sangue al suolo. Anche le sue mani sanguinavano. Doveva essersi mossa
con eccessiva foga, per sollevarsi, a causa del panico e della sorpresa.
Lasciai
che il sollievo mi invadesse, al pensiero che le sarebbe potuta andare molto
peggio. Mi levai in piedi, e la aiutai a rialzarsi, scrutando con
preoccupazione le sue mani coperte di tagli.
“Bastian!”
Mi rivolsi al cavaliere, che mi aveva seguito, e ora si trovava in piedi di
fronte alla porta, il volto terreo. “Chiama Amelia, per favore! Abbiamo bisogno
della sua magia!”
Bastian
annuì, e spari velocemente nel corridoio. Lo sentii bussare con veemenza alla
porta della principessa.
“Maledetta
nave!” Imprecò Lina. “Me lo sentivo che sarebbe caduta a pezzi prima del nostro
arrivo!”
Le
presi il volto fra le mani. “Sei certa di stare bene?” Ripetei. Aveva le guance
pallide, e la fronte coperta di sudore, dopo lo spavento. “Ma come è successo?”
“Non
ne ho idea!” Replicò, poggiando il dorso delle mani ferite sul mio petto.
“Dormivo e… non lo so! Devo aver sentito qualcosa, o aver semplicemente
avvertito il pericolo. Sono saltata giù dal letto senza nemmeno rendermene
conto.” Lanciò un’occhiata al lampadario. “Per fortuna. Un secondo di più, e…”
Non
terminò la frase, e gliene fui grato. Un secondo dopo, Amelia fece irruzione
nella stanza. “Lina- san! Stai bene???” Era pallidissima. Spostò lo sguardo
ripetutamente dal lampadario a noi due, e si coprì la bocca con le mani.
“Starò
bene dopo che mi avrai guarito le mani, perché potrò usarle per strozzare Dorak
e il capitano.” Sibilò mia moglie. Io sospirai. Se aveva voglia di fare del
sarcasmo, doveva essere in via di ripresa.
Indietreggiai,
e lasciai che Amelia si avvicinasse per curarla. Mi guardai intorno, perplesso.
A proposito del capitano… dove era finito? Non era nella sua cabina? Non aveva
sentito il grido di Lina, da lì vicino?
Bastian
pareva essersi posto la mia stessa domanda. “Vado a chiamarli.” Ringhiò, in un
tono di voce basso e pericoloso.
Prima
che potessi replicare qualunque cosa, era già sparito nuovamente nel corridoio.
Con un sospiro, rivolsi la mia attenzione al lampadario infranto. Una spessa
fune pendeva sciolta dalla sua cima. Doveva essersi spezzata, lasciando
crollare il pesante oggetto dal soffitto. Ma come? Era grossa, e non sembrava
particolarmente corrosa dal tempo.
Una
risposta giunse dopo qualche istante, e non fu per nulla rassicurante.
Individuai l’estremità della corda. Sembrava tranciata di netto.
“Lina.”
Chiamai. Mia moglie levò lo sguardo dalle mani di Amelia, e lo spostò sul mio.
Non ebbi bisogno di parlare. I suoi occhi scivolarono verso il punto in cui i
miei erano fissi, e si spalancarono di silenziosa comprensione. Quando i nostri
sguardi tornarono a incrociarsi, le sue labbra erano strette in una linea
sottile.
“Devo
parlarvi.” Mormorò. “Ora che siamo soli.”
Amelia
levò gli occhi dal suo lavoro, inconsapevole. L’incantesimo si interruppe, ma i
tagli sulle mani di Lina erano ormai spariti.
Mia
moglie si accigliò. “Probabilmente… c’è un assassino sulle mie tracce.”
Amelia
cercò il mio sguardo.
“Un
assassino, Lina-san?” Mi fissò, come per cercare il mio sostegno. “Credo che
sia stato solo un incidente…”
“Non
lo è stato.” Fui io a rispondere. “Guarda la fune che reggeva il lampadario. E’
stata tagliata.”
“Da
una flare arrow, a giudicare dalle bruciature.” Aggiunse mia moglie. “Chiunque
lo abbia fatto, conosce la magia.” Volse la testa verso la piccola finestra che
dava sull’esterno. “Avevo lasciato la finestra aperta. Devo aver facilitato
loro le cose. La levitazione è uno degli incantesimi più semplici che esistano,
chiunque poteva utilizzare le due magie contemporaneamente.”
Amelia
era impallidita ulteriormente. “Oh, Lina- san… ma allora qualcuno su questa
nave…”
“…
vuole uccidermi. Già.” Lina pareva straordinariamente calma, tutto considerato.
Ma anche il suo volto era pallido.
“Da
come ne parli sembra che la cosa non ti stupisca, però.” Intervenni io.
“Conosci qualcosa che noi non sappiamo?”
Lina
si morse il labbro. “Si tratta… di una predizione.” Mi parve esitare. “E’ una
storia un po’ lunga. In ogni caso, è probabile che la Gilda degli Assassini di
Rolan sia stata ingaggiata da qualcuno per togliermi di mezzo.”
Amelia,
vicino a me, sussultò. Entrambi ci volgemmo verso di lei.
“La
Gilda… degli Assassini di Rolan? Oh, Lina-san, ne sei sicura?”
Lina
batté le palpebre. “Ne hai sentito parlare?”
Amelia
deglutì. “E’… piuttosto famosa. Vedete, quando mia madre fu…” Esitò. “Beh,
molti indizi portavano a loro, ma… non è facile individuarli. Non hanno
identità note, sapete, e…” Le sue mani tremavano. “Puoi torturarli a morte, ma
non rivelano i loro mandanti. Sono addestrati alla magia. Se… se nemmeno le
guardie di un palazzo possono fermarli…” Si bloccò. Lina le si avvicinò, e le
posò una mano sulla spalla.
“Terremo
gli occhi aperti.” La sua voce era ferma, ma gentile. “Ma dobbiamo capire chi
su questa nave può essere affiliato a loro, o lavorare per loro.”
Amelia
la fissò con occhi spaventati. “Credi che sia qualcuno a bordo? Non potrebbe
averci seguito in volo, o qualcosa del genere?”
Lina
scosse la testa. “E’ possibile, certo. Ma in mare aperto, con molta probabilità
lo avremmo avvistato. E’ molto più semplice pensare che sia qualcuno a bordo
con noi. Qualcuno dell’equipaggio… o qualcuno del nostro gruppo.”
Cadde
il silenzio. Mi chiesi se Lina sospettasse solo di Dorak, o anche di Bastian.
La sua espressione, in quel momento, era stranamente indecifrabile.
“Sir
Gabriev.” Levai lo sguardo, colto di sorpresa. Il cavaliere, come evocato dai
miei pensieri, era ricomparso all’ingresso della stanza.
“Sono
ubriachi fradici.” Sputò, con disprezzo. “Non sono nemmeno riuscito a
svegliarli.”
Lo
seguimmo nel corridoio, e verso la cabina del capitano. I due uomini erano
riversi sul tavolo, e dormivano della grossa. Diverse bottiglie erano
abbandonate fra loro, e due bicchieri vuoti troneggiavano ancora fra le loro
dita. I miei sospetti sulla scarsa affidabilità del capitano trovavano sempre
più inquietanti conferme.
“L’assassino
è inutile, dubito che questa nave arriverà mai a destinazione.” Mormorò Lina,
con un mezzo sospiro, quasi mi avesse letto nel pensiero. Le rivolsi un
sorriso.
“Lo
sveglierò con la forza e gli intimerò di restituirci le nostre monete d’oro.”
Bastian fece un passo avanti verso Dorak, la spada corta di mia moglie (a
proposito, che ci faceva con la spada corta di mia moglie?) levata, ma Lina lo
bloccò.
“Lascia
perdere.” Intimò. “Per quello che abbiamo pagato, dovevamo aspettarci che le
condizioni della nave non fossero ottimali. Domattina arriveremo a
destinazione, tanto vale non sollevare problemi inutili.” Ci volse le spalle e
si avviò nel corridoio, lasciandoci tutti allibiti. “Gourry ed io ci
trasferiremo nella cabina di Dorak, e lui potrà scegliere se passare la notte a
ripulire la nostra, o restare qui con il suo amico di bevute. ” Con questo,
sparì verso le scale.
Mi
affrettai a raggiungerla. “Lina, cosa…”
“Non
voglio sollevare un litigio.” Spiegò frettolosamente lei, a bassa voce. “Potrei
anche far saltare in aria la nave e non pensarci più, ma questo risolverebbe
solo temporaneamente il problema.” Mi fissò. “Voglio capire con certezza chi mi
minaccia, ed estorcergli il nome del suo mandante. Nessuno deve sapere che
abbiamo capito che non si è trattato di un incidente. Devo fare da esca.”
L’allarme
mi catturò immediatamente a quelle parole, ma non ebbi il tempo di ribattere.
Bastian ci aveva raggiunti insieme ad Amelia, e Lina mi intimò con uno sguardo
di tacere. La seguimmo verso il ponte della nave, e io ne approfittai per
cercare di pensare. Se Bastian si era trovato con me al momento
dell’aggressione, era molto improbabile che lui c’entrasse qualcosa. E anche
Dorak non mi era sembrato in condizione di muoversi, poco prima. Certo, Dorak
aveva ingaggiato l’equipaggio della nave, quindi se il colpevole era uno
di loro poteva essere che il mercenario c’entrasse qualcosa… però…
Aaaah,
non ne avevo idea. Avrei voluto chiedere a Lina che cosa pensava, ma finché non
ci fossimo trovati da soli la maga pareva risoluta a non sollevare l’argomento.
“Lina,
io non ti capisco.” Sbottò Bastian, quando fummo sul ponte. “Hai rischiato di
restare schiacciata! Che significa questo comportamento???”
“E’
un comportamento ragionevole.” Replicò Lina, secca. “Voglio arrivare a
destinazione, non perdere tempo in idiozie.” Si sdraiò su un ammasso di vecchie
vele abbandonate vicino al parapetto, e incrociò le braccia dietro la testa. “E
ora, se volete scusarmi… ho intenzione di riprendere quello che ho interrotto
poco fa.” Sbadigliò vistosamente, e chiuse gli occhi.
Amelia
mi rivolse uno sguardo perplesso e preoccupato, ma io mi strinsi nelle spalle.
“Immagino che non ci sia molto altro da fare, per ora…” Mi sedetti a fianco di
Lina, e mi appoggiai al parapetto. Scrutai per un attimo i membri
dell’equipaggio muoversi attorno a noi, dediti alle loro faccende, e
apparentemente inconsapevoli di quanto era accaduto. Forse, tra loro c’era un
assassino.
“Come
sarebbe a dire ‘non c’è altro da fare’, Gourry- san? Ma se abbiamo appena
scoperto che…” Amelia si bloccò, evidentemente consapevole della presenza di
Bastian.
“Fareste
meglio a tornare a riposare anche voi.” Suggerii, fingendo di non aver capito.
“Domani sarà una lunga giornata.”
Amelia
sospirò. “Voi due siete incoscienti come sempre.” Si lamentò. La vidi esitare,
ma alla fine si strinse nelle spalle, e si avviò nuovamente verso le cabine.
Dopo qualche secondo, anche Bastian la seguì, scoccandomi un’ultima cupa
occhiata mentre spariva sottocoperta.
Levai
gli occhi, incontrando gli sprazzi di azzurro che, sopra di noi, chiazzavano il
cielo plumbeo.
“Che
cosa hai intenzione di fare, esattamente?”
Lina
non aprì gli occhi, ma sapevo che era ancora sveglia. “Attendere la loro
prossima mossa.” Mormorò dopo qualche istante. “La prossima volta, saremo
pronti a ricevere il loro attacco. Sempre che ci provino ancora prima della
fine del viaggio.”
“Potrebbero
non farlo?” Chiesi, perplesso.
“Se
più di un uomo si trova sulle mie tracce, o se ad aggredirmi non è stato un
membro dell’equipaggio, non ci sarebbe motivo di affrettare eccessivamente i
tempi.” Abbassò la voce. “Certo… a meno che non stiano cercando di impedirmi di
arrivare a Talit…”
Inclinai
la testa, confuso. “E chi avrebbe interesse a farlo?”
“Qualcuno
che conosce i piani di Erianna e vuole ostacolarli, probabilmente.”
“Erianna?”
Mi sollevai, per osservarla. I suoi occhi erano semi aperti, ora, e intenti a
scrutare il ponte. “Lina, non abbiamo ancora la certezza che le tue ipotesi su
di lei siano esatte.”
Lina
non si smuoveva facilmente dalle sue idee. Il che spesso significava guai.
“Lo
so.” Sbottò mia moglie. “Ma se fossero esatte allora potremmo pensare
che chi vuole uccidermi lo stia facendo per ostacolarla… che si tratti di Lord
Georg? O di tuo padre?”
Strinsi
le labbra, a disagio. Mio padre non aveva esitato a far condannare a morte
Lina. Ma arrivare al punto di ingaggiare degli assassini contro di lei? Poteva
davvero odiarla così tanto?
Lina
volse lo sguardo verso di me e, forse notando la mia espressione, mi rivolse un
sorriso. “Ehi, non preoccuparti.” Dichiarò, in tono leggero. “Anche mia sorella
è una psicopatica, in fondo posso capirti.”
Levai
un sopracciglio. “Questo dovrebbe tirarmi su il morale?”
Mi
rivolse un ampio sorriso. “Mal comune mezzo gaudio.” Dichiarò, con
inappropriata allegria.
“Comunque… ho davvero bisogno di dormire, dato che temo che
questa notte dovrò restarmene ben sveglia.” Poggiò la testa alla mia spalla.
“Svegliami per cena.” Mugugnò, con un mezzo sbadiglio.
“Non
è il caso di scendere nella nostra cabina? O, ehm, nella cabina di Dorak, a
questo punto?”
“Gradirei
tenermi lontana dai restanti lampadari di questa nave, grazie.” Levò un
sopracciglio. “E poi ho l’impressione che tu preferisca l’aria fresca, cara
guardia del corpo.”
“Beh,
su questo devo darti ragione.”
Lina
ridacchiò, e chiuse nuovamente gli occhi. Dopo qualche minuto, la sentii
respirare pesantemente contro il colletto della mia maglia.
I
membri dell’equipaggio continuarono nelle loro faccende, ignorandoci. Tenni
d’occhio i loro movimenti, stringendomi nel mantello contro il freddo pungente,
finché il giorno non cedette il passo alla notte.
***
“Merda!”
Non
sono abbastanza fine per essere una dolce, candida ragazza? Beh, provate a
svegliarvi con una freccia di fuoco a due centimetri dal naso, e vedrete come
vi sentirete ispirati a declamare versi.
Dopo
cena, eravamo scesi nella nostra nuova cabina. Dorak si era mostrato
(falsamente) costernato per quanto era successo, e ci aveva lasciato il suo
posto, dichiarandosi ben felice di ritagliarsi un angolino nella stiva, insieme
alle botti di vino. Il capitano non si era mostrato altrettanto accomodante.
Aveva minacciato di farci ripagare i danni, e solo dopo che avevo menzionato
l’opportunità di far saltare in aria il resto della nave, in modo da sentirmi
realmente colpevole, eravamo giunti alla conclusione che era il caso di
dimenticare entrambi quel piccolo incidente…
Mi
ero appoggiata al letto con l’idea di rimanere vigile, ma a un certo punto sia
Gourry che io dovevamo esserci addormentati. Finita quella faccenda, avrei
dormito per settimane, immaginavo. Sempre che una freccia di fuoco non mi
avesse fatta saltare in aria prima.
Balzai
giù dal letto, inciampando nelle lenzuola, e finendo faccia al suolo. Un
secondo dopo, un braccio mi afferrò per la vita, e vidi il pavimento
allontanarsi, esattamente nell’istante in cui un’altra freccia di fuoco lo
colpiva. Di fronte a me, le assi di legno esplosero in mille scintille.
“Lina!
Tutto ok???”
“Gourry!!!
Gra…”
Non
potei terminare. Gourry barcollò per evitare un’altra freccia, e finimmo a
domino sul letto semiavvolto dalle fiamme.
Dovevano
essere pazzi! Non si erano accorti che eravamo su una nave???
Senza
nemmeno rendermene conto, dalla mia posizione supina, evocai la formula per
estinguere le fiamme. Una luce bluastra illuminò istantaneamente la stanza, e
nel suo riflesso scorsi una figura schizzare fuori dalla stanza.
‘Oh,
ti piacerebbe!!!’
Mi
districai dall’ammasso di membra e lenzuola in cui ero imprigionata, e mi
lanciai immediatamente all’inseguimento. Gourry mi si accodò, ma non feci in
tempo a mettere piede nel corridoio, che il mio compagno mi investì, e fu
costretto ad afferrarmi per le spalle per evitare che precipitassi al suolo.
Avevo appena rischiato uno scontro frontale con Bastian.
“Che
diavolo succede, ancora???” Domandò il cavaliere, la spada estratta,
occhieggiando l’ennesima stanza semidistrutta alle mie spalle.
“Via
di mezzo!” Gridai, cercando di superarlo, ma anche Amelia, l’aria assonnata,
aveva fatto capolino nel corridoio, ostruendomi il passaggio.
“Lina-san,
cosa…?”
Dannazione!
Se l’uomo in fuga arrivava al ponte, lo avrei perso, e non avrei mai saputo di
chi si trattava!
Ma
in quel momento, una voce maschile imprecò, da una imprecisata posizione sulle
scale. Levai la mano, evocando un lighting, e ne individuai con esultanza la
fonte. La figura in fuga aveva messo il piede sul gradino marcio e vi era
affondata, restando incastrata.
Evitai
Bastian e Amelia, e schizzai in avanti. L’uomo si volse di scatto, estraendo un
pugnale, ma io avevo già una formula pronta sulla punta delle dita.
“Io
non tenterei scherzi, se fossi in te.” Intimai, in tono pericoloso, tenendolo
sotto tiro. Alle mie spalle, Gourry mi aveva raggiunto, e aveva in qualche modo
recuperato la sua spada.
“Al
diavolo.” Ringhiò l’uomo, gettando a terra il pugnale. Lo vidi in volto per la
prima volta, e lo riconobbi. Era il mozzo che ci aveva mostrato le nostre
cabine quel pomeriggio. “Dovrai uccidermi prima di sapere qualcosa da me, Lina
Inverse.”
“A
questo possiamo lavorare.” Replicai, gelidamente. Non avevo grande pazienza,
con chi cercava di uccidermi.
Un
lampo di paura attraversò il volto del mio avversario. Evidentemente, non era
un professionista. Il che significava che, se lo torturavo a sufficienza,
potevo riuscire a estorcergli qualche informazione. E che potevo anche
divertirmi un po’.
Le
mie labbra si inarcarono in un sorriso. “Il punto però, amico, è quanto tempo
impiegherai a morire. E dopo quanto inizierai a desiderarlo.”
Alle
mie spalle, Amelia sussultò. “Lina-san! Questa è una frase da malvagio!” Ma il
volto del marinaio era impallidito. Il mio sorriso si allargò. Oh, quanto ero
brava in quel genere di cose…
“E
dire che qualche tempo fa si è impegnata a spiegarmi quanto erano differenti
gli esseri umani dai demoni.” Sentii la voce di Bastian, piatta, commentare
alle mie spalle.
“Chi,
Lina?” Replicò Gourry, con fare sapiente. “Lei è quanto di più vicino a un demone
io abbia mai conosciuto.”
Mi
volsi di scatto, agitando il pugno. “Guarda, Gourry, che ti ho sentito!!!”
Stava sorridendo, quel maledetto. “Finitela, voi due, o più tardi faremo
i con…!”
“Lina-san!”
I
commenti idioti dei miei due idioti compagni di viaggio avevano distolto la mia
attenzione dal mio prigioniero, ma il singhiozzo di Amelia mi riportò
bruscamente all’attenzione. Mi volsi di scatto. Gli occhi dell’uomo di fronte a
me apparivano vuoti. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca.
“Che
diavolo…” Indietreggiai, mentre l’uomo cadeva faccia in avanti, sulle scale, la
gamba imprigionata nel legno piegata in un angolo innaturale.
“Un
inconveniente risolto.” Giunse una voce dalla cima delle scale. Levai lo
sguardo, e incontrai quello del capitano della nave. Ci fissava dalla cima
delle scale, gli occhi scuri cupi di determinazione. “Quell’idiota avrebbe
parlato. E la mia signora ha detto che se qualcuno avesse rivelato il suo nome
avremmo avuto di che pentircene.” Sorrise. “Questa è l’etica dei pirati. Nella
lotta, chiunque è sacrificabile.” Nella schiena dell’uomo riverso di fronte a
me era piantato il pugnale dall’elsa di bronzo che avevo visto legato alla
cinta del capitano. Mi chiesi se con la sua mira avrebbe potuto colpire con
altrettanta facilità… diciamo, la corda sospesa che reggeva un lampadario.
“Hai
detto pirati? E la tua signora… chi sarebbe la tua signora?”
“Non
ha importanza, Lina Inverse.” Il capitano levò la mano. “E’ tempo di morire.”
Osservai
con orrore una luce rosso intenso formarsi fra la punta delle sue dita. La
scala era troppo stretta per schivare. Dovevo parare il colpo.
“Flare
arrow!”
“Wind
shield!”
Le
frecce di fuoco esplosero contro il mio scudo, e il contraccolpo mi fece
rimbalzare indietro, direttamente fra le braccia di mio marito. Le assi sopra
le nostre teste presero fuoco, e in un attimo il corridoio si riempì di fumo.
Imprecai,
cercando di riguadagnare l’equilibrio. Ma ci era andata bene. Se il capitano
avesse scelto un incantesimo più potente, saremmo stati tutti topi in trappola.
“Lina!”
Gourry gridò, tanto vicino al mio orecchio da rischiare di assordarmi. “Il
fuoco!”
“Lo
so!” Gridai, di rimando. “Amelia!”
“Ci
sono!”La principessa avanzò da qualche parte dietro la cortina di fumo.
“Ext
ball!” Recitammo in coro, estinguendo le fiamme. Quando riguadagnammo
visuale della cima della scala, il pirata era sparito. Raccolsi da terra il
pugnale del mozzo morto e mi lanciai all’inseguimento. Appenamisi il naso all’esterno, nell’aria della
notte, un’altra pioggia di frecce di fuoco piombò su di me, ma stavolta ero
pronta a reagire.
“Freeze
arrow!” Gridai. I due incantesimi si annullarono nell’aria, e un secondo
dopo… “Shadow snap!” Recitai, lanciando il pugnale verso il capitano.
Purtroppo,
però, a quanto pareva quel trucco non gli era nuovo. “Lighting!” Lo
sentii gridare. Lo avevo bloccato solo per un istante. Quello successivo stava
già fuggendo, e i due restanti marinai si stavano gettando su di me.
“Non
te lo permetto!” Gourry, emerso dalla scala, si interpose fra me e il primo dei
due, respingendolo con la spada. Alle mie spalle, il clangore di un’altra spada
mi rivelò che Bastian si stava occupando dell’altro.
“Non
uccideteli!” Gridai. “Abbiamo bisogno di interrogarli!”
Ma
le mie furono parole vane. Non feci nemmeno in tempo a terminare la frase,
prima che Bastian piantasse la sua spada corta nel petto del suo avversario. E
per quanto riguarda l’ultimo membro dell’equipaggio, la velocità con cui Gourry
lo aveva intercettato era stata sufficiente a indurlo alla fuga. Mio marito gli
si accodò, ma il suo piede finì su un’asse marcia, e caracollò al suolo con
tutto il suo peso. In meno di un secondo, il marinaio in fuga aveva raggiunto
il capitano, su una delle scialuppe.
“Non
vi lascerò scappare!!!” Mi rimboccai le maniche, e feci per invocare un Dolf
Zook, ma prima che potessi terminare la formula la voce di Amelia mi fermò.
“Lina-
san! Attenta!”
Mi
volsi. La figura di Dorak era emersa dal buio, alle mie spalle, e incombeva su
di me. Le sue grosse mani stringevano una spada dalla lama ampia.
‘Dannazione’.
Piegai
le ginocchia, pronta a schivare, certa che in meno di un secondo la lama
sarebbe calata su di me.
E
completamente in errore.
“Che
c’è?” Chiese il mercenario, la voce impastata dal sonno e dall’alcol. “Si
combatte?”
Feci
del mio meglio per non caracollare al suolo.
“T…
tu che ne dici, Dorak??? Ti sembra che ci stiamo divertendo???”
“Non
arrabbiarti a quest’ora della notte, tesorino, o ti verranno le rughe
prematuramente.”
Aaaaaaaaaah!!!
“Lascia
stare!!!” Gridai, stizzita. “Ora devo… uh?” Mi ero volta nuovamente, e mi ero
trovata a fronteggiare l’ennesima pioggia di frecce di fuoco.
Era
troppo tardi per parare. Schivai di lato, ma le frecce colpirono in pieno le
assi del ponte, che esplosero in una moltitudine di schegge.
“Lina!”
“Lina
–san!”
Venni
sbalzata contro una piccola piramide di casse, che crollò sotto il mio peso.
L’impatto per un momento mi tolse il fiato, e la mia vista si annebbiò. Attorno
a me si levò quasi istantaneamente un muro di fiamme.
Un
istante dopo, qualcuno mi stava trascinando in piedi, e lontano dal fuoco.
Quando il fumo si disperse, riconobbi il profilo accigliato di Bastian.
“G-
Gourry…” Balbettai, cercando con lo sguardo mio marito sul ponte devastato dal
fuoco. Un istante dopo, con sollievo, lo vidi trascinarsi fuori dalla cortina
di fumo. Sembrava intero, anche se zoppicava lievemente.
“Lina!”
Gridò, pallido in volto, raggiungendomi. “Stai bene?”
Annuii,
debolmente. Bastian mi lasciò istantaneamente andare, tanto che rischiai di
caracollare al suolo. Mi volsi verso di lui per ringraziarlo, ma aveva già
distolto lo sguardo.
“Dov’è
la principessa?” Sibilò, scuro in volto.
“Sono
qui!” Anche Amelia emerse, insieme a Dorak, dal muro di fumo. “Lina- san!
Dobbiamo andarcene immediatamente!”
“Dove
sono finiti quei dannati pirati?” Replicai, guardandomi cupa attorno.
“Ormai
saranno fuggiti, Lina.” Fu Gourry a rispondermi. “Tu e Amelia potete usare la
magia per portarci tutti via di qui?”
Scossi
la testa. “Siete troppo pesanti.” Occhieggiai Dorak. “Dorak, mi spiace, ma tu
dovrai nuotare. Stiamo costeggiando la terra, la riva non è lontana.”
“Ma
io non SO nuotare, tesorino.” Replicò il mercenario, con calma del tutto
inappropriata alle circostanze. “Ti ricordo che sono cresciuto nel bel mezzo
del deserto.”
AAAAAH,
perché tutte a ME???
Ero
sinceramente tentata di abbandonare Dorak al suo destino, ma sapevo già che
Amelia, con la sua maledetta etica, non me lo avrebbe permesso. E non potevo
pensare di trascinarmi dietro da sola Gourry e Bastian fino a riva, NE’ avrei
abbandonato mio marito da solo in mezzo al mare, anche se sapevo che sapeva
nuotare perfettamente.
“D’accordo,
ci sarà un’altra dannata scialuppa su questa dannata nave!!!”
“Sull’altro
lato della nave.” Annuì Amelia. “L’ho vista oggi pomeriggio, ora che ci penso.
Venite con me!”
Pregai
ogni divinità che conoscevo perché la barca non avesse già preso fuoco. Le
innumerevoli buone azioni del mio passato (non dite niente) dovevano aver
finalmente trovato la loro giusta ricompensa, perché quando la raggiungemmo
sembrava ancora integra. Balzammo a bordo e slegammo le corde che la tenevano
unita alla nave, precipitando quasi a picco in mare. Temetti sinceramente che
saremmo affondati per il peso dei tre guerrieri, ma la barca in qualche modo
resse il colpo. Gourry afferrò i remi, e mise a frutto la sua forza bruta per
allontanarci dalla nave in fiamme. Ormai se ne intravedeva solo lo scheletro,
avvolto in un incandescente lucore. Dei pirati che ci avevano attaccati, nemmeno
l’ombra.
“Lina.”
Ringhiò la voce di Bastian, vicino al mio orecchio. Si stava stringendo
convulsamente al parapetto della barca. “Che significa tutto questo? Perché
quegli uomini volevano ucciderti?” Lo disse come se la colpa dell’essere
obiettivo di degli assassini fosse stata mia.
“E
io come faccio a saperlo???” Replicai, in tono brusco. “Li hai sentiti anche
tu, no? So solo che qualcuno, una donna, li ha ingaggiati per farlo!”
“Ah,
l’invidia femminile è davvero una cosa terribile…” Commentò Dorak, mancando
totalmente il punto della questione. Lottai con tutte le forze per resistere
all’impulso di gettarlo a mare.
“E
quindi credi che subiremo altri attacchi?” Insistette Bastian.
“Non
lo so!!!” Sbraitai. “So solo che se c’è un posto in cui non voglio essere
attaccata quello è il mare aperto, quindi sbrighiamoci ad arrivare a riva!!!”
In
accordo con i miei desideri, Gourry accelerò il ritmo dei remi. La notte
attorno a noi era buia, ma in lontananza si intravedeva la massa scura delle
scogliere che lungo la costa risalivano fino alla città di Talit. Dell’altra
barca non si vedeva nemmeno l’ombra. Mi chiesi se sarebbe stato più saggio
evocare un lighting, o se invece indicare la nostra posizione con una qualsiasi
fonte di luce magica ci avrebbe resi più vulnerabili a chiunque potesse essere
in agguato all’ombra delle scogliere, pronto a coglierci di sorpresa.
“Lina
– san, come facciamo ad arrivare a riva?” Domandò Amelia, in tono ansioso,
spezzando il corso dei miei pensieri. “Non c’è spiaggia, solo scogli. Rischiamo
di andare a sbattere se ci avviciniamo troppo con questo buio.”
Non
aveva tutti i torti. Il mare non era particolarmente mosso, ma era comunque
rischioso avventurarsi troppo vicino alle scogliere.
“Trasporterai
Dorak a riva in volo.” Decisi. “E poi scenderai di nuovo giù e penserai a
Bastian, mentre io porterò Gourry.” Mi seccava dividerci, anche solo
temporaneamente, ma non vedevo altre soluzioni. Avrei voluto aiutare Amelia a
portare via Dorak di persona, ma volevo che almeno una di noi restasse sulla
barca per fare luce, se si fosse rivelato necessario. Fermi in mezzo al mare,
saremmo stati un obiettivo semplice.
“Ho
capito.” Annuì Amelia. “Levitazione!” Afferrò Dorak da sotto le braccia,
e iniziò lentamente a sollevarsi in volo. Mi morsi il labbro. Le sue vesti
bianche spiccavano anche al buio contro lo sfondo scuro della scogliera.
“Dark
mist.” Sussurrai, protendendo le dita verso di lei. Istantaneamente,
un’oscurità magica avvolse le loro figure. Non potevamo più scorgerla, ma lo stesso
valeva per un eventuale assalitore che avesse tentato di prenderla di mira da
lontano. Rimasi a fissare il buio, chiedendomi quanto le ci sarebbe voluto per
risalire la parete rocciosa e tornare indietro. Stavo quasi per rilassarmi,
quando la voce di Gourry risuonò, talmente colma di allarme da farmi gelare il
sangue nelle vene.
“Lina.”
Rivolsi lo sguardo verso di lui. Aveva lasciato i remi, e messo mano alla
spada.
‘Oh,
no, e ora cosa…’
Non
ebbi il tempo di terminare il mio pensiero. In un secondo, il mare che fino a
un istante prima era stato piatto attorno a noi prese a ribollire. Prima ancora
che potessi rendermi conto di cosa si trattava, una serie di fiotti d’acqua
concentrici si mossero verso di noi, abbattendosi sulla nostra barca da ogni direzione.
Emisi
un grido strozzato. La barca si frantumò, implodendo, e proiettandoci verso
l’alto con una violenza inaudita. Era stato un Dolf Zook, e ci aveva colpito in
pieno. Chi lo aveva lanciato doveva annidarsi nelle vicinanze, e con ogni
probabilità era già pronto a sferrare un nuovo attacco.
“Ray
Wing!!!” Recitai, lo stomaco stretto in una sensazione che non mi capitava
spesso di provare, nonostante la mia vita pericolosa. Terrore. Era buio, non
sapevo chi ci stesse attaccando, ed eravamo in un terreno sfavorevole alla
battaglia. In più, dovevo preoccuparmi per la vita dei miei compagni di viaggio
oltre che per la mia. E non aiutava il fatto che uno di loro sarebbe
probabilmente colato a picco non appena avesse toccato la superficie
dell’acqua.
Mordendomi
il labbro, mi gettai nella direzione in cui avevo visto volare Bastian. Gourry
se la sarebbe cavata, sapevo che lo avrebbe fatto. Dovevo avere fiducia
in lui, e non permettere che il mio istinto costasse la vita al cavaliere.
Afferrai
Bastian per le spalle, mentre arrancava per rimanere a galla. Lo sentii sputare
e tossire, mentre lo sollevavo a distanza di sicurezza dalle acque scure.
“Lina!”
Rantolò, non appena riprese fiato. “Sir Gabriev…!”
Non
c’era bisogno che me lo ricordasse. “Gourry!!!” Gridai, con tutta la voce che
avevo. “Gourry, dove sei???”
“Lina!!!”
Sentii rispondere, da oltre i resti della barca. Mi gettai in picchiata verso
di lui, e lo trovai aggrappato ad una tavola di legno.
“Gourry!
Stai bene???”
“Lina…”
Ansimò, lottando per parlarmi senza ingoiare acqua. “Vedo un’insenatura fra le
rocce, dritto davanti a te. Io nuoterò fino a lì, tu porta Bastian in cima alla
scogliera. C’è la possibilità che anche Amelia e Dorak siano stati attaccati,
dovete andare a vedere!”
“Non
se ne parla!” Gridai, di rimando. “C’è un assassino in giro, non ti lascio qui
da solo!”
“Lina,
non…”
“Attenta!!!”
La voce di Bastian, sotto di me, mi mise in allarme ancor prima che avvertissi
il pericolo. Dal nulla, alle mie spalle, un’oscurità magica, simile a quella
con cui avevo cercato di proteggere Amelia, ci avvolse. Non capii più nulla, e
mi restò solo l’istinto. Schivai di lato, prima che un colpo magico dalla
natura sconosciuta mi colpisse in pieno stomaco. Ma poi qualcosa mi sferzò il
braccio, con tanta forza da farmi lasciare la presa su Bastian. Arrancai, e
cercai di recuperarlo, ma dovetti schivare un altro colpo, che esplose da
qualche parte sotto di me. L’onda d’urto mi scagliò lontano, contro la
scogliera. Battei la schiena, e il colpo mi tolse totalmente il fiato.
“Lina!!!”
Udii gridare, senza capire quale fosse la fonte di quella voce. Mi accasciai,
scivolando su una solida base di roccia, senza più riuscire a muovermi. Da
qualche parte di fronte a me si udirono un tonfo, e altre grida.
Bastian
era caduto in acqua? Lui… lui non sapeva…
Il
panico mi catturò. Presi fiato, a rantolai per qualche secondo, prima di
riuscire a formare le parole della formula. “P… palla di fuoco!!!” Levai
una mano verso l’aria, e scagliai l’incantesimo. Il fuoco squarciò le tenebre,
e per un momento il mare di fronte a me fu come illuminato a giorno. Avevo
colpito l’assassino? L’avevo messo in fuga? La notte era deserta. Anche Gourry
e Bastian erano spariti.
“Co…
co…?” Mi alzai di scatto, ma un dolore lancinante alla gamba mi assalì, feroce
come una bestia selvatica che si avventa sulla preda. Doveva essere rotta.
Delle lacrime istintive mi annebbiarono la vista. Ricaddi sul mio peso, e mio
il volto incontrò le rocce, e quando il dolore fu tanto forte da schermarmi totalmente
alla realtà la mia coscienza scattò, e io precipitai nel buio.
Non credete ai vostri occhi, eh? XD Nemmeno io (XDDD), ma
stavolta ho aggiornato in modo straordinariamente veloce, per i miei
standard!XD Sarà l’autunno che mi da ispirazione…*_* (io amo il freddo…*_*)
Ah,
il discorso che fa ad un certo punto Gourry, riguardo al fatto di voler
condividere ogni fardello di Lina, me lo ha ispirato uno dei fumetti usciti di
recente in concomitanza con Revolution, “The hourglass of Falces”, in cui
Gourry dice a Linapiù o meno la stessa
cosa…^^ (in questa bellissima scena: http://img171.imageshack.us/my.php?image=hg29rg9.jpg*_*) Sono rimasta subito colpita quando ho
letto il riassunto del fumetto, perché la frase di Gourry ben si adatta alla
mia visione del personaggio in generale e al ruolo che avevo pensato per
luinella mia storia…^^
Grazie
come sempre a chi legge e commenta! ^^ (e tu, Fren, smettila di azzeccarci
sempre con le previsioni! XD) Buona lettura!
“Lina.
Lina, apri gli occhi.”
Mugugnai,
disorientata. Mi trovavo su una superficie rigida, e le mie membra erano
assurdamente pesanti. La mia gamba destra pulsava.
“Avanti, Lina, svegliati. Ho bisogno che ti svegli.”
Battei le palpebre, mettendo a fuoco il mondo
intorno a me. Le rocce nere della scogliera incombevano su di me, e davanti ad
esse si stagliava un volto pallido, incorniciato di biondi capelli fradici, la
fronte aggrottata per la preoccupazione. Quando il mio sguardo incontrò il suo,
il sollievo si disegnò istantaneo nei suoi occhi azzurri.
“Grazie al cielo.” Mormorò. Si chinò e mi sollevò
delicatamente la schiena, prendendomi fra le braccia. “Ora ti appoggio alla
parete, così sarai più comoda. Credo che tu abbia la gamba rotta, quindi cerca
di non muoverti.”
“Gourry… cos’è successo…?”
“Hai messo in fuga chiunque ci stesse attaccando col tuo
incantesimo, ma poi hai perso i sensi per qualche minuto. Per il dolore,
credo.” Mi lasciò andare contro la solida roccia, in modo che potessi tenere la
schiena eretta. “Ascoltami, devo andare a vedere che fine ha fatto Amelia. Non
è normale che con tutto quel caos non sia tornata ad aiutarci. Puoi guarirti la
gamba da sola?”
Scossi la testa. “Se è davvero rotta, ho bisogno dei suoi
poteri. Non basterà un Recovery.”
Gourry annuì brevemente. “Un motivo in più per sbrigarmi a
cercarla.” Mi posò la mano sulla guancia. “Ho visto un passaggio per salire
fino in cima alla scogliera, e con la luce della luna dovrei riuscire ad
arrampicarmi. Credo che tu sia abbastanza nascosta, qui.” Ci trovavamo in una
specie di grotta scavata nella scogliera, quasi totalmente sgombra dall’acqua,
forse grazie alla bassa marea. Gourry doveva avermi trasportata lì di peso
mentre ero priva di sensi.
Pensare agli eventi che mi avevano trascinata lì fece
scattare qualcosa nella mia mente. Mi afferrai alla maglia fradicia di mio
marito. “Gourry!” Sibilai. “Bastian è…”
Mio marito non disse nulla. Si scostò lievemente di lato,
permettendomi di scorgere il pavimento della grotta alle sue spalle. Lì,
sdraiato supino e immobile, c’era il corpo del cavaliere.
“Sta…”
“Sta bene.” Confermò Gourry. “Dato che ti eri gettata a
salvarlo, ho immaginato che non sapesse nuotare nemmeno lui. Per cui, quando lo
hai lasciato, ho cercato lui, prima di venire a riva da te. Ha bevuto un po’,
ma si riprenderà.”
Era così, dunque. Quando li avevo cercati con lo sguardo,
poco prima, Gourry doveva essere stato sott’acqua, a recuperare il cavaliere.
Lanciai a mio marito uno sguardo strano. “Mica gli avrai fatto la respirazione
bocca a bocca, vero?” Quella era un’immagine che non volevo contemplare.
Mio marito fece una
smorfia. “Gli ho premuto lo stomaco col piede fino a che non ha sputato
l’acqua.” Levò un sopracciglio. “Sai, Lina, ci sono cose che anche per te non
sarei disposto a fare.”
La sua voleva essere un’affermazione scherzosa,
probabilmente, ma io battei le palpebre, e lo fissai per un momento con nuovi
occhi. Per me? Aveva salvato Bastian perché sapeva che a me importava?
‘Che sciocchezze. Lo ha fatto perché è Gourry, e Gourry è
una persona di buon cuore.’
Ma per qualche motivo, in quel momento, sentii l’impulso di
abbracciarlo.
“Devo andare.” Affermò tuttavia, prima che potessi muovermi.
“Mi raccomando…”
“Starò attenta.” Terminai per lui. Afferrai la sua mano,
ancora premuta contro la mia guancia, e prima che potesse allontanarla ne
baciai il palmo. “Anche tu.” Sussurrai, rivolgendogli un sorriso caldo.
Gourry rispose al mio sorriso, e mi parve quasi di sentire i
suoi muscoli rilassarsi, attraverso la punta delle sue dita. “Sì.” Si chinò in
avanti, e mi baciò la fronte. “Sarò qui in un attimo.”
Si levò, e si avviò verso l’uscita della grotta. Rimasi a
fissare la sua schiena, mentre spariva nel buio. Mi portai la mano alla
guancia. Le sue dita erano umide e fredde, ma il suo tocco mi aveva lasciato
addosso una indescrivibile sensazione di calore.
“Mi ha salvato.” Una voce stentorea risuonò dal suolo, a
qualche metro da me. Sussultai, e volsi il capo. Bastian giaceva ad occhi
aperti, lo sguardo fisso sul soffitto della grotta. Mi chiesi da quanto tempo
fosse sveglio.
“Co…?”
“Per la seconda volta.” Proseguì il cavaliere, senza
lasciarmi terminare. “Mentre io non ho fatto altro che intralciarvi per metà
del tempo.”
Mi morsi il labbro. “Non dire sciocchezze.” Replicai, in
tono forzatamente freddo. “Mi hai accompagnata da lui, ricordi? E stanotte hai
combattuto per difenderci.”
Bastian volse il capo. Il suo sguardo penetrò il mio con
tanta intensità che dovetti lottare per non distogliere gli occhi. “Chi vuoi
prendere in giro, Lina Inverse?” Domandò. Il suo tono duro mi ricordò quello
del nostro primo incontro. Ma stavolta, realizzai, non lo stava rivolgendo a
me. Era indirizzato a se stesso. “Tu, tuo marito, persino quella principessa…
voi non siete persone comuni. Per voi quello che è successo stanotte è
‘normale’.” Da critico, il suo tono divenne improvvisamente derisorio. “Oh, io
ho combattuto, certo. Ho combattuto in stupide guerre fra signorotti locali, e
contro i malefici, malefici villici ribelli che si rifiutavano di pagare le
tasse al mio signore. Sono un decente spadaccino, un decente falconiere, un
decente servitore. Ho trascorso metà della mia esistenza pienamente felice del
fatto di non vedere due centimetri oltre il mio naso.” Mi fissò, con furia. “Di
che reale utilità potrei essere io a persone come te e Sir Gabriev?
Rischiare di annegare ed essere salvato. Ecco tutto quello che posso fare.”
Mi agitai, muovendo la gamba sana, a disagio. “Non so che
idea ti sei fatto di noi…” Esordii. “… ma se ci vedi come due specie di
creature mitologiche che se ne vivono sul loro piedistallo di perfezione ho
paura che ti sbagli. Siamo entrambi molto poco perfetti.” Il mio tono di voce
era molto più diretto e sincero del solito, e io stessa me ne stupii. Mi piace
vantarmi, sapete. Non è così usuale che io sprechi un’occasione per farlo.
Bastian eruppe in una risata amara. Si levò a sedere così di
scatto che per un momento pensai che volesse gettarsi verso di me. “Perfetti?”
Sibilò. “So bene che non lo siete. Voglio dire, guardati.”
‘Uhm… ok, e questo cosa dovrebbe significare?’
“Sei una maga, una maga oscura.” Proseguì Bastian, ignorando
la mia espressione piccata. “Sei tutto ciò che mi hanno insegnato a odiare e a
temere sin dalla mia infanzia. E sai essere cinica, e spietata, e calcolatrice,
e…” La sua voce si affievolì. “Le ballate ci insegnano come dovrebbe essere
l’amore, ma se osservo te e Sir Gabriev vedo qualcosa di decisamente diverso.
Vi ho visti bisticciare come due ragazzini, vi ho visti ridere di cose stupide,
vi ho visti…” Sospirò. “Vi ho visti scambiarvi degli sguardi che dicevano più
di mille parole.” I suoi pugni stretti si rilasciarono, e tutta la sua rabbia
parve scemare in un istante. “Le ballate sono una marea di idiozie. Avrei
preferito continuare a immaginarvi così per tutta la vita, piuttosto che
vedervi, vedervi davvero, insieme. Perché quello che ho visto è dannatamente
più reale di qualsiasi stupido racconto.”
Abbassai lo sguardo. Per diversi secondi, il silenzio ci
avvolse come un manto in una giornata troppo calda.
Mi morsi il labbro. “Bastian, senti…”
“Scusami.”
Levai lo sguardo, colta di sorpresa. Non era una parola che
gli avevo sentito pronunciare spesso.
Il cavaliere distolse lo sguardo. “Ciò che ho detto era del
tutto inappropriato.” Il suo tono di voce ora era distante. Non c’era nulla del
calore e dell’intensità di qualche istante prima. “Sono solo scosso per quanto
è successo oggi. Lasciami perdere.”
Non lo capivo. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a
comprendere per quale motivo in ogni istante, continuamente, non si desse
tregua nel reprimersi e controllarsi. Sembrava agire sempre secondo un qualche
schema prefissato, secondo un qualche astratto ideale di buon comportamento.
Non potevo capirlo. Noi due eravamo così diversi… come il giorno e la notte.
Eppure…
“Perché hai scelto di aiutare Gourry?” Le mie labbra si
mossero da sole, ancora prima che il mio cervello elaborasse quanto dovevano
pronunciare.
Bastian mi rivolse uno sguardo perplesso. “Non te l’ho già
detto mille volte? Il mio debito…”
Le mie labbra si strinsero. “No, Bastian. Intendo il vero
motivo.”
Ci fissammo per un momento. Quindi il cavaliere si accigliò.
“Se stai insinuando che vi ho mentito…”
Scossi la testa, irritata dalla sua incomprensione. “Non sto
dicendo questo. Sto dicendo che ci deve essere qualcos’altro
sotto. Non…” Scossi la testa. Mi raddrizzai, per quanto la mia gamba mi
permetteva. “Tenere fede a una promessa che avevi fatto a te stesso, al punto
di tradire il tuo signore e aiutare una donna che odiavi? Eroico, direi,
ma io credo poco agli eroismi. Perché dovresti aver accettato di rovinare la
tua vita con tutto questo disinteresse? Chiamami cinica, ma io non lo capisco
assolutamente.”
La mascella di Bastian si contrasse così tanto che per un
momento pensai di poterla sentire schioccare. “Non chiamarmi eroe!”
Ringhiò. “Tutto ciò che sto cercando di fare è…” Si bloccò. Ancora una volta,
parve imporsi di riacquistare la calma. “…tutto ciò che sto cercando di fare… è
espiare i miei errori del passato.” Concluse, in tono lugubre.
“I tuoi… errori?”
Bastian parve esitare. Ma alla fine emise un sospiro, come
vinto da una forza che non era più in grado di contenere. “Quando me ne andai
da casa mia per ripagare il mio debito… non ero che un piccolo, presuntuoso
bastardo.” Fui colpita dal gelido disprezzo che trapelava dalle sue parole. Lo
aveva rivolto anche a me, quelli che sembravano ormai secoli prima. “Mio
fratello era il futuro erede e capofamiglia, mia sorella una sacerdotessa
rispettata. La storia del debito era solo forma. Volevo semplicemente andarmene
da una città in cui non potevo costruire nulla di mio, in cui sarei stato
sempre messo in ombra dai risultati ottenuti dai miei fratelli.”
Battei le palpebre. Erano… le stesse motivazioni che avevano
spinto me ad andarmene di casa, non era così?
“Certo, in parte la mia motivazione era sincera. Ripagare il
debito era quello che un cavaliere avrebbe fatto. E io non avrei potuto essere
altro che un cavaliere, un uomo potente, rispettato e famoso.” Il suo tono di
voce divenne amaro. “Era tutto ciò per cui ero stato cresciuto.”
Le sue spalle si incurvarono, e parve come ripiegarsi su se
stesso. Per la prima volta, mi trovai a domandarmi quanti anni realmente
avesse, Bastian. Gli avevo attribuito forse trentacinque, quarant’anni, ma avevo
idea che apparisse più vecchio di quanto non era.
“Ma non mi feci molti problemi, fermandomi dal Lord Gabriev.
Non mi allettava rincorrere tuo marito, vivendo la vita del guerriero errante.
Tutto ciò a cui aspiravo era riuscire a distinguermi in battaglia, e ottenere
un giorno un titolo e un mio territorio da governare. Questa era la sostanza
dei miei grandi ideali.”
“Non c’è nulla di male, in questo.” Mormorai. Mi rendevo
conto che era turbato, e per qualche motivo le sue parole turbavano anche me.
“Bastian… tutti gli esseri umani sono mossi, almeno in parte, da motivazioni
egoistiche. Anche chi vive solo per aiutare gli altri in un certo senso lo fa
per soddisfare il proprio io. E’ semplicemente la natura umana.”
Bastian mi fissò, intensamente. “Ma fino a che punto ci si
può spingere, per soddisfare le proprie ambizioni?” Rimasi in silenzio. Io non
ero certo la persona più adatta a rispondere a quel genere di domanda.
Bastian si accigliò. “Nei primi tempi in cui mi trovavo al
servizio di Lord Gabriev… mi innamorai di una ragazza.”
Battei le palpebre, colta di sorpresa da quel repentino
cambio di argomento. “Una ragazza…? Vuoi dire una delle donne alla corte di
Lord Gabriev?”
Bastian scosse il capo. E, inspiegabilmente, sulle sue
labbra affiorò un sorriso amaro. “Sarebbe stato molto più semplice, se fosse
stato così. Ma la realtà non lo è mai, non è vero?” Sospirò. “La conosci anche
tu, comunque. Si tratta di Sybil.”
“Sybil???” Rischiai di strozzarmi, nello sforzo di non
mutare eccessivamente di espressione. Non volevo essere maleducata, ma… Sybil?
Non mi sembrava esattamente il tipo da storie d’amore clandestine.
“So a che cosa stai pensando.” Disse Bastian, squadrandomi.
Per qualche motivo, una vampata di calore mi risalì al volto. “Ma ti assicuro che
Sybil non è sempre stata com’è ora.” Abbassò la voce. “E’ sorprendente, in
effetti, quanto le persone possano cambiare.”
“E tu… tu e lei…”
“Sybil era nipote della precedente sacerdotessa, e pareva
aver ereditato il suo dono. E di certo non lo rifiutava. Amava tutto ciò che
riguardava la magia sciamanica, e la predizione del futuro. Era semplicemente
parte di lei.” Bastian sospirò. “Ciò che non accettava, però, era che le sue
capacità dovessero essere asservite agli scopi del suo villaggio. Voleva vivere
per se stessa, e vedeva più lontano dei confini ristretti in cui era stata
costretta a crescere. Vedeva anche molto più lontano di me, probabilmente, ma
per qualche motivo parve attratta dalla mia presenza. Fu lei ad avvicinarsi a
me per prima. Forse, semplicemente, era affascinata dal fatto che io provenissi
da un luogo che a lei, che era vissuta sempre nel villaggio, appariva
straordinariamente lontano.”
Bastian tacque, per qualche istante. Lo osservai
rabbrividire, nei suoi vestiti fradici. “Non era inusuale che gli uomini del
Lord Gabriev avessero un’amante all’interno del villaggio.” La sua mascella si
contrasse, ed ebbi l’impressione che si stesse estremamente vergognando delle
sue parole. “Tutti sapevano, ma l’importante era non pubblicizzare la cosa. Le
donne Enu… erano considerate meno di niente, da tutti noi. Potevamo
semplicemente divertirci, finché non ci fossimo stancati di loro.”
I suoi pugni si strinsero. “Anche per me iniziò così, ma…
poi divenne diverso.” Mi guardò negli occhi. “Io l’amavo… l’amavo davvero,
Lina.” Ripeté, come se oltre ad assicurarlo a me, volesse assicurarlo anche a
se stesso. “E’ stata lei a regalarmi il mio falco. Mi ha insegnato ad allevarla
come lei avrebbe fatto, e mi ha detto di portarla via dal villaggio, di farla volare
in un cielo più ampio. E io le ho promesso che avrei portato via anche lei. Che
avrebbe visto il mondo.” Distolse lo sguardo.
Mi accigliai. Cominciavo a presentire quello che era
accaduto …
“E poi… cosa è successo?”
Bastian sospirò. “La sacerdotessa del villaggio… non si può
sposare. Non può avere una famiglia, né dei figli. E’ di proprietà esclusiva
del capovilaggio, come qualsiasi altra cosa.” Si slegò il mantello fradicio dal
collo, e lo lasciò scivolare al suolo. “Non sapevano dei miei piani, ma il
fatto che insistessi incoscientemente ad andare da lei ogni volta che ne avevo
l’occasione era sufficiente ad allarmare le autorità del villaggio. Non
eravamo… molto discreti.” Sospirò. “E alla fine Dorak venne inviato presso il
Lord Gabriev, per richiedere in via ufficiosa che io venissi ammonito a non
recarmi più nel villaggio.” Bastian strinse i denti. “Io feci finta di niente,
sperai che l’orgoglio del Lord Gabriev gli imponesse di non ascoltare la
richiesta di uomini che tanto disprezzava, ma Dorak continuò a insistere, a
dire che ormai ero stato stregato da quella donna e che l’avrei voluta sposare,
e che lui sarebbe diventato lo zimbello dei Lord vicini, perché uno dei suoi
sottoposti si era fatto incantare da una Enu.” Sospirò. “La realtà è che Dorak
mi odiava. Avrebbe voluto avere Sybil, ma si era sempre trattenuto con lei, per
il suo ruolo. E il primo straniero arrivato al villaggio era riuscito a
portargliela via.” Tracciò con le dita la cicatrice che aveva sul volto.
“Comunque, alla fine, ricevetti l’ordine di allontanarmi da lei. Pena, il
disonore e la rimozione della mia carica.”
“E obbedisti.” La mia non era una domanda.
“Ebbi paura.” Replicò Bastian. “Avrei potuto rinunciare a
tutto per lei e portarla via di lì, ma ebbi paura. Di perdere tutti i miei
privilegi, di vedere infranti i miei sogni. O forse, semplicemente, fui troppo
orgoglioso per ammettere che avrei potuto farlo per una Enu. Obbedii al mio
signore.” Ogni parola sembrava infliggere una pugnalata a Bastian. Il suo
volto, ora, era una maschera di rimorso. “Dorak ovviamente riferì quello che
avevo risposto, ma non seppi più nulla dal villaggio. Provai ad andare avanti
con la mia vita, ma mi sembrava di impazzire. La avevo tradita, capisci? Avevo
tradito la mia promessa, e quello che provavo per lei.” Levò nuovamente lo
sguardo a fissarmi. I suoi occhi erano scavati e vuoti. “E allora tornai da
lei. Tornai, con l’intenzione di portare a termine ciò che prima avevo avuto
troppa paura di realizzare.”
Spalancai gli occhi. “Tornasti da lei? Ma allora…”
Bastian scosse la testa. “Quando sono arrivato al villaggio,
lei non c’era più. Mi dissero che si era recata da qualche parte nelle steppe,
insieme a sua madre, per affrontare il suo addestramento come sacerdotessa. Fui
uno stolto, ma credei a quello che mi era stato riferito. Credei che fosse il
suo modo per dimostrare che non aveva bisogno di me. E quindi scelsi di
attendere che tornasse di sua volontà, e scoprii la verità troppo tardi.”
“La verità?”
“Non se ne era andata per terminare il proprio
addestramento, se ne era andata per nascondersi. Perché se la gente del
villaggio avesse saputo lei sarebbe stata abbandonata anche da loro, e si
sarebbe trovata definitivamente sola.”
“Saputo? Saputo co… oh.” Mi bloccai, di fronte allo sguardo
eloquente di Bastian. Ripensai ai due bambini, i due gemelli, che avevo
incontrato fuori dalla casa di Sybil, prima di parlarle. E improvvisamente
tutto fu chiaro.
I miei occhi si spalancarono.
“Nessuno mi ha mai detto esplicitamente la verità.” Proseguì
Bastian, come parlando a se stesso, ora. “Ma mi è bastato guardarli, per
capirlo.”
“Ma tu eri tornato al villaggio, giusto? Insomma, dopo il
suo ritorno, non avresti potuto…?”
“Avrei voluto.” Replicò Bastian. “Ho pregato Sybil di
prendermi con sé, di permettermi di riconoscerli, e di andarcene insieme. Ma
lei… lei ormai non era più la stessa persona che era prima, e ogni traccia di
quello che aveva provato per me era sparita. Lei mi odiava, Lina. E aveva ogni
ragione per farlo.” Si prese la testa fra le mani. “Che cosa avrei dovuto fare?
Quei bambini sarebbero cresciuti felici e inconsapevoli di chi erano i loro
reali genitori, se avessi lasciato perdere. Se invece mi fossi intestardito,
avrei rischiato di rovinare la loro vita, e di compromettere ancora di più
quella di Sybil. Nella migliore delle ipotesi, la avrei privata di altre
alternative se non il restare completamente sola con due figli, o accettare la
vita a fianco di un uomo che ormai detestava. Aveva fatto la sua scelta, e io
non potevo più intervenire. Anche se era stata una scelta a cui io la
avevo costretta.”
Tacemmo entrambi, per alcuni lunghi istanti. Provai
l’impulso di pronunciare qualche parola di conforto. Dirgli che non aveva avuto
colpe sarebbe stata una ovvia bugia, ma di certo io non ero la persona giusta
per condannarlo. Semmai, ero la persona giusta per comprenderlo.
“Bastian…” Mormorai. “Se io dovessi raccontarti tutti
gli errori che ho commesso nella mia vita, ne avremmo per giorni. Perciò non ti
aspettare il mio biasimo, perché non lo avrai.”
I suoi occhi tornarono a incontrare i miei, e ancora una
volta sentii l’impulso a distogliere lo sguardo. Gli occhi di Gourry avevano
un’intensità diversa da quelli di Bastian. Mio marito sapeva scandagliare la
mia anima, ma non avevo mai la sensazione che invadesse i miei pensieri. Il
cavaliere, invece, aveva la insana capacità di mettermi a disagio.
“Lina…” Bastian mormorò il mio nome con una strana, nuova
dolcezza. “… so bene che anche tu lotti costantemente con la tua ambizione. Ma
il fatto è che tu… in qualche modo riesci a controllarla. Io ogni giorno devo
lottare per riuscire ad essere una persona di cui io possa avere stima, mentre
tu… tu hai una forza che io non ho mai posseduto. E’ ironico … tutto ciò che
odio in me stesso credevo di odiarlo anche in te, e invece…” Esitò. “E’ lui,
non è così? E’ perché c’è lui al tuo fianco, che riesci a vivere così…
serena…?”
Abbassai lo sguardo. La voce di Bastian si ridusse a un
sibilo. “Hai bisogno di lui, per essere ciò che sei. Se anche io… se anche io
potessi…” Esitò. “Non c’è via d’uscita.” Aggiunse, in poco più di un sussurro.
Non replicai. Rimasi in silenzio, fissando le rocce nere, e
ascoltando il rumore della risacca contro gli scogli.
“Non so perché ti ho raccontato queste cose.” Concluse
Bastian. “Non ne avevo mai parlato con nessuno, prima.”
Mi morsi il labbro. “E sei…” Esordii, alla fine, in un
sibilo. “… sei ancora innamorato di Sybil, Bastian?”
Sentii il suo sguardo fisso sul mio viso. “Sybil… ha
esercitato sulla mia vita più influenza di chiunque altro.” Sussurrò. “Io la ho
condannata a essere ciò che non avrebbe mai voluto… asservita al potere, e
indifferente a ogni cosa. Mentre lei…” Esitò. “Il mio modo di agire ora…
dipende da lei. Non abbandonerò mai più qualcuno che amo.” Tenni lo sguardo
risolutamente puntato verso il basso. “Anche per questo, non potrò mai
dimenticarla… Ma no, non la amo più. Sono cambiate troppe cose.” Sospirò.
“Anche se questo mi fa sentire ancora più in colpa nei suoi confronti.”
E Sybil, aveva smesso davvero di amarlo? Ripensai alla sua
espressione, nella sua casa, quando mi aveva congedata. Sembrava aver
desiderato disperatamente dirmi qualcosa. Non sapevo risolvermi a parlarne a
Bastian, però. Se avessi sollevato in lui il dubbio, sarebbe tornato da lei? E
lei lo avrebbe davvero accettato, o lui avrebbe visto i suoi sforzi respinti,
ancora una volta?
Non riuscii a levare lo sguardo. Anche solo guardare
Bastian, in quel momento, mi trasmetteva un senso infinito di solitudine. Cosa
sarei stata, io, se non avessi incontrato Gourry, anni prima, in quella radura
infestata di banditi? Anche io avrei finito per lottare incessantemente con
quei lati di me che mio marito era così abile nel placare?
Forse Bastian e io non eravamo diversi come all’inizio avevo
immaginato.
“Lina.”
Sussultai. Per un momento, avevo scordato che c’era un
mondo, al di fuori di quella grotta. Ma il risuonare della voce di Gourry mi
riportò alla realtà.
Levai lo sguardo. “Gou…” Iniziai, ma mi bloccai. “Amelia!!!”
Per la sorpresa, mi mossi di scatto, procurandomi un dolore
lancinante alla gamba. Ma in quel momento quasi non ci feci caso. La mia
attenzione era tutta rivolta alla figura di Amelia, che giaceva priva di sensi,
poggiata alla schiena di mio marito.
“Sta bene.” Mi rassicurò Gourry, posandola delicatamente al
suolo a fianco a me. “Credo che le abbiano dato una botta in testa, o qualcosa
del genere. E’ meglio che tu la guarisca, Lina.”
Annuii, e mi affrettai a lanciare un Recovery. Lo sguardo di
mio marito si rivolse a Bastian. “Voi state bene? Non ci sono stati altri
attacchi, vero?”
Gli occhi di Bastian si abbassarono. “No, Sir Gabriev. Non è
accaduto nulla.”
Le mie labbra si strinsero, ma continuai a curare Amelia
senza dire nulla. Dopo qualche istante, la principessa mugugnò qualcosa, e i
suoi occhi si aprirono lentamente. “Lina… san?”
“Amelia. Come ti senti?”
La principessa mi fissò come se non capisse dove si trovava.
“Ma cosa… cosa è successo…?”
Mi accigliai. “Speravamo fossi tu a dircelo. Gourry ti ha
trovata in cima alla scogliera, priva di sensi.”
“Io… io non…”
“Sir Gabriev.” La voce di Bastian risuonò nuovamente, come
se il cavaliere fosse stato colpito da una improvvisa illuminazione. “Che ne è
stato di Dorak?”
Gourry scosse la testa. “Lo ho cercato per svariati minuti,
ma non sono riuscito a trovarlo da nessuna parte. Alla fine ho lasciato
perdere, non volevo che restassimo separati troppo a lungo.” Mi rivolse una
lunga occhiata, il volto teso. Io gli rivolsi un debole sorriso di
rassicurazione, in risposta.
“Dorak…?” Amelia batté le palpebre. Avvertii il suo corpo
tendersi all’improvviso.
Abbassai lo sguardo su di lei. “Ti sei ricordata di
qualcosa?”
Amelia scosse il capo. “Io… non ne sono sicura, ma… Ricordo
di aver portato Dorak fino in cima alla scogliera, e poi… gli ho voltato le
spalle per scendere da voi, poi…” Abbassò gli occhi. “… tutto… è diventato
nero.”
Mi accigliai. “Quindi sarebbe stato Dorak? E’ stato lui a
stordirti?” Ed era stato lui ad attaccarci? Ma Dorak… non conosceva la magia,
giusto? O mi aveva ingannata fino a quel momento?
Amelia scosse la testa. “Non posso esserne sicura, però…” Mi
rivolse un’occhiata, e parve notare per la prima volta le miei vesti sfregiate
“Lina- san, ma tu sei ferita!” Si affrettò a levarsi, indirizzando lesue attenzioni alla mia gamba, gonfia e
dolorante. La saggiò con la punta delle dita, facendomi sussultare.
“Credi che sia rotta?” Domandai, reprimendo un gemito.
Amelia scosse la testa. “No, non mi sembra. Ma servirà
comunque un Resurrection.” Protese le dita per guarirmi. Una piacevole
sensazione di sollievo mi attraversò quasi istantaneamente le membra. In fondo,
non era un male che Amelia fosse venuta con noi.
Dopo qualche istante di silenzio, Gourry sospirò, e si
abbandonò sulla parete al mio fianco. “Ad ogni, modo, comunque sia andata,
credo che per stanotte sia meglio fermarci qui. Devi riposare quella gamba,
Lina.” Mi rivolse uno sguardo preoccupato. Lo sentii rabbrividire, nelle sue
vesti ancora umide.
“Amelia.” Mi rivolsi alla principessa. “Te la senti di andare
a recuperare un po’ di legna per accendere un fuoco?”
La principessa sorrise. “Sicuro, Lina- san.” Terminò
l’incantesimo, e si levò in piedi. “Mi raccomando, non muovere la gamba per un
po’.”
La vidi sparire nella notte. Noi tre restammo nel più totale
silenzio. Bastian si levò in piedi e si tolse gli stivali e la tunica, che
abbandonò sul mantello, ma non parve ottenere grandi risultati, dal momento che
la sua maglia di lana e i suoi pantaloni parevano fradici come il resto. Mio
marito si limitò a stringere le braccia attorno al corpo, e io mi appoggiai a
lui, nella speranza di trasmettergli calore. Fortunatamente, Amelia tornò
presto, una massa di rametti umidi avvolta nel mantello. A fatica, riuscimmo a
fare attecchire una fiamma. Ci accalcammo attorno ad essa, e presto la
sonnolenza catturò tutti noi.
“E’ meglio che restiamo svegli a turno, per fare la
guardia.” Mormorai, trattenendo uno sbadiglio. “Iniziamo Gourry ed io, ok?”
Amelia già sonnecchiava, e si limitò a mugugnare qualcosa.
Bastian non rispose, il che probabilmente doveva essere un assenso. Lo osservai
mentre ci volgeva la schiena, dando le spalle al fuoco, e fronteggiando la
parete della grotta. Ripensai al suo racconto, e lo stomaco per qualche motivo
tornò a stringermisi. In un certo senso, ero lusingata del fatto che avesse
scelto di parlarmi. Ma provavo anche un opprimente senso di impotenza.
Levai lo sguardo verso Gourry. I suoi occhi erano puntati
verso le fiamme, e il suo sguardo era stranamente indecifrabile. “Gourry.”
Chiamai, in un sussurro.
Mio marito batté le palpebre, e parve riscuotersi. Abbassò
lo sguardo su di me, e mi rivolse un sorriso improvvisato, e vagamente forzato.
“Sì…?”
Le mie dita scivolarono sul suo braccio, e mi aggrappai a
lui, rannicchiandomi nel suo calore. “Grazie.” Mormorai, chiudendo gli occhi.
“Di essere sempre qui per me.”
Il corpo di Gourry si rilassò istantaneamente. Mio marito si
piegò, e un istante dopo le sue labbra raggiunsero le mie. La mia mente si
azzerò. E quando fece per allontanarsi, le mie braccia si strinsero attorno
alle sue spalle, e lo bloccarono. Non volevo più parlare, quella sera. Volevo
solo godere della sua presenza al mio fianco.
Restammo abbracciati, finché la notte non cedette il passo
alla luce dell’alba.
***
Quando aprii gli occhi, il mio collo e la mia schiena
erano talmente indolenziti per la troppa umidità che per un momento pensai che
non avrei più potuto muovermi. Non aiutava il fatto che il mio braccio sinistro
fosse stretto nella morsa della presa di Lina, che dormiva della grossa (e
russava lievemente), la testa poggiata alla mia spalla.
Percorsi con lo sguardo il nostro piccolo
accampamento, e scorsi Amelia. Si era seduta in una posizione decisamente
scomoda contro la parete, forse nel tentativo di rimanere sveglia, ma doveva
essere crollata durante il turno di guardia.
Bastian era sveglio, invece. Era in piedi
all’ingresso della grotta, e ci dava le spalle, scrutando all’esterno. La sua
figura era avvolta nel riverbero della luce del mattino, che si rifletteva sulla
superficie piatta del mare.
Non avevo dubbi che sarebbe stato vigile. Non
conoscevo Bastian da molto, ma avevo già capito che non era tipo da
addormentarsi durante un turno di guardia. Mi ricordava gli ufficiali che erano
stati al servizio di mio padre quando ero ancora a casa, così impeccabili e
ligi al dovere. Per nessuno di loro sembrava possibile sbagliare, né in
missione né in nessuna altra circostanza.
D’altra parte, il cavaliere aveva dimostrato di
essere passibile di fallimento, la sera precedente, quando era quasi affogato
nelle acque scure fuori dalla grotta. Ripensai a quei momenti, e una strana,
fastidiosa sensazione, che in quei giorni continuava a tormentarmi ma a cui non
ero ancora stato in grado di dare un nome, tornò a stringermi il petto.
Quando lui e Lina erano scomparsi in quella
oscurità magica, il mio primo pensiero era stato per mia moglie. Avevo
avvertito la sua presenza, oltre il buio, sulla scogliera, ed ero stato pronto
ad accorrere da lei. Ma qualcosa aveva preso a pungolarmi la mente,
fastidiosamente, ricordandomi il cavaliere. Ricordandomi Lina che dichiarava
che potevamo fidarci di lui, Lina che lo teneva per le spalle, in volo, come
tanto spesso aveva fatto con me (e io lo avevo sempre detestato: ironico,
vero?). Lina avrebbe pianto, se lui fosse morto? Mia moglie non piangeva
spesso, ma a me era capitato di vederla triste, addirittura disperata. Mi era
capitato di vederla smarrita, o impaurita. E quanto avevo cercato di farle
capire, in quei momenti, era che non era sola. Che ci sarebbe sempre stato
qualcuno disposto a condividere con lei ogni tipo fardello. Come avrei potuto
convincerla di questo, se in quel momento avessi mancato deliberatamente di
prestare fede a quel proposito?
Non è che fossi pentito di aver salvato il cavaliere…
voglio dire, in circostanze diverse, se Lina non fosse stata in pericolo,
probabilmente avrei aiutato chiunque, senza troppi pensieri… ma il fatto che la
sua sicurezza avesse dovuto saltarmi subito alla mente, in connessione a Lina,
in un momento del genere, mi disturbava. Mi disturbava tremendamente.
“Mmm…” Lina mugugnò, e nascose il volto nel mio
colletto, riparandosi dalla luce che, insistente, aveva preso di mira il suo
viso.
Abbassai il volto, e, a dispetto di tutto, un
sorriso affiorò alle mie labbra. “Buongiorno, raggio di sole.” Mormorai.
“Sarebbe un buon giorno se il giorno si spegnesse.”
Brontolò, senza levare la testa.
“Sarei piuttosto preoccupato se succedesse.”
Dichiarai, in tono solenne. “Conoscendoti, la causa probabilmente saresti tu.”
Lina levò uno sguardo acido su di me. “E questo
cosa vorrebbe dire?”
Ridacchiai. Le baciai la cima della testa,
stringendola per qualche istante, e godendo del suo calore. Il fuoco
scoppiettava ancora, ma il mattino era decisamente freddo.
“Faremmo meglio a metterci in viaggio.” Giunse la
voce di Bastian, dall’ingresso della grotta. Istintivamente, mi preparai a
lasciare andare mia moglie, ma lei non si mosse. Si irrigidì lievemente, ma si
limitò ad annuire.
“Sì. E’ già quasi mattino pieno, a quanto vedo. E’
il caso di svegliare Amelia.” Fece una lieve pressione sul mio braccio, e mi
rivolse un sorriso. Con riluttanza, la lasciai andare.
Muovendo le spalle per sgranchirmi, mi alzai, e
feci per raccogliere le nostre cose, solo per rendermi conto che le nostre
borse erano rimaste sulla nave. Lina mi notò con la coda dell’occhio, e si
sfilò il mantello dalle spalle, per lanciarmelo. Lo afferrai, e presi a cercare
nelle tasche. Da uno dei suoi meandri, recuperai un po’ di frutta secca, una
borraccia e un pentolino. Misi a bollire un po’ d’acqua sul fuoco, per
preparare del tè.
Bastian si avvicinò, squadrandomi con una strana
espressione. Feci del mio meglio per ignorarlo, e attesi a disagio mentre Lina
cercava di svegliare Amelia. Il compito si stava rivelando più arduo del
previsto. Evidentemente, la povera principessa era piuttosto provata dagli
eventi.
Beh, lo sarei stato anch’io, se fossi stato rapito
e poi preso a botte in testa.
Ma alla fine, mezz’ora dopo, avevamo tutti
consumato una magra colazione e risalito il ripido passaggio che conduceva in
cima alla scogliera. Di Dorak non c’era l’ombra, ma non ci attardammo a
cercarlo con troppo impegno. La nostra priorità era raggiungere Talit. E
inoltre, forse, il problema non era più se noi avremmo ritrovato lui.
Piuttosto, quando lui avrebbe ritrovato noi.
Muoversi a piedi richiedeva più tempo, ma il
percorso verso Talit non fu troppo complicato. Ci tenemmo lontani dai centri
abitati e seguimmo la costa, in aree per lo più spoglie e desolate. Il freddo
era sempre intenso, ma almeno le piogge che ci avevano tormentati al nostro
primo arrivo in quella regione parevano essersi placate. Nelle ore più calde
della giornata, muoversi era quasi gradevole, e se non fosse stato per
l’urgenza pressante di arrivare a destinazione, avrei potuto persino illudermi,
per un momento, di essere tornato a viaggiare senza meta con Lina.
Ma sarebbe bastata un’occhiata alla mia compagnia,
per spezzare quell’illusione. Non eravamo decisamente l’immagine del gruppo
compatto e affiatato. Bastian continuava a guidarci sapientemente sul
territorio e a comportarsi con l’efficienza del perfetto soldato, ma sin dalla
notte nella grotta si era chiuso in un mutismo cupo e impenetrabile. Amelia,
che normalmente era allegra e vitale, sembrava essere stata resa fiacca dalla
fatica, e si limitava alla conversazione strettamente necessaria, restandosene
silenziosa in coda al gruppo per la maggior parte della giornata. E persino
Lina, che ostentava il suo consueto atteggiamento sicuro, mi chiedeva più
spesso del dovuto della mano, e lasciava trapelare tensione da ogni sfumatura
del suo atteggiamento. C’erano momenti in avevo l’impressione che fosse sul
punto di saltare e spezzarsi, come un filo troppo teso.
Almeno, non subimmo altri attacchi. Mi chiedevo se
chiunque stesse minacciando Lina ci avesse persi di vista dopo l’attacco alla
scogliera, o stesse semplicemente attendendo che abbassassimo la guardia. Non
avevo intenzione di rilassarmi e permettere che accadesse qualcosa a mia
moglie, ma la mia stessa ansia non faceva che aggiungere pressione al calderone
in cui ribolliva la nostra tensione. Mi sembrava di trovarmi all’interno di una
grossa bolla, pronta ad esplodere.
La mattina del terzo giorno dall’incidente della
nave, avvistammo Talit. Ci muovevamo da qualche ora in salita, lungo un
percorso scosceso che preludeva ai picchi montuosi attorno alla Perla, quando
la città comparve, lontana sul suo alto piedistallo di roccia, splendida e
imponente come la prima volta che ci aveva accolti.
Ora arrivava il difficile.
“Come facciamo a salire senza essere avvistati?”
Domandò Amelia, in tono lievemente affannato, poggiandosi per un momento a una
grossa roccia a lato del sentiero. La vidi fissare a bocca aperta le mura
bianche, splendenti sotto la luce del sole.
“Ci sono numerosi sentieri riparati dalla
vegetazione che conducono dalle scogliere alle montagne, anche senza imboccare
la strada principale.” Replicò Bastian, in tono quieto. Lanciò uno sguardo
penetrante a Lina. “Siete certi di voler salire alla città vecchia? Circolano
strane storie a riguardo. Dicono persino che sia infestata.”
Non compresi se il suo tono fosse sarcastico. Mia
moglie non gli aveva detto cosa dovessimo fare, ma il cavaliere ci aveva
comunque guidati fino a lì. Ma quando gli avevamo rivelato la nostra vera
destinazione, aveva reagito in modo piuttosto scettico.
“Se hai paura, Bastian, puoi sempre rimanere
quaggiù.” Lo schernì Lina, inarcando un sopracciglio. Il cavaliere sbuffò. Io
mi guardai la punta dei piedi, innervosito.
“Uhm… anche a me sembra di aver sentito qualche
strana storia sulla vecchia Talit.” Considerò Amelia in tono pensoso, cercando
lo sguardo di Lina. “Se ben ricordo, era stata abbandonata dopo un qualche tipo
di tragedia…”
“Tragedia?” Io e Lina ci scambiammo un’occhiata.
Non era stato semplicemente in seguito all’espandersi delle attività
commerciali della città?
“Ah!” Un lampo di comprensione attraversò
improvvisamente gli occhi di mia moglie. Si aggrappò alla mia manica, tirandola
lievemente, come per risvegliare la mia attenzione. “Ora ricordo!!! Gourry, sai
quel libro che avevamo rubato dalla biblioteca di Talit? Quello in cui si
parlava di quel fantomatico ‘incidente’?”
“Ehm…” La mia risposta non le sarebbe piaciuta. Ma
per fortuna Lina parve troppo presa dalla curiosità per insistere. Tornò a
rivolgersi alla principessa.
“Amelia! Hai idea di che cosa fosse questa
‘tragedia’? Oh, non posso credere di essermene scordata, dopo che il tarlo mi
aveva così tormentata!”
Amelia parve presa alla sprovvista da quella foga.
“Ehm… non conosco i dettagli, Lina-san… avevo sentito parlare di un incendio, o
qualcosa del genere…” Le lanciò un’occhiata esitante. “Ma perché ti interessa
così tanto?”
“Eh?” Lina batté le palpebre. Evidentemente, non
riteneva che ci dovesse essere un motivo preciso. “Uh… niente. Semplice
curiosità.” Rifletté per un istante. “Anche se in fondo, non è detto che questa
informazione non possa essere in connessione con quello che stiamo cercando.
Più scopriamo sulla città vecchia meglio è.”
Amelia si strinse nelle spalle. “Se lo dici tu,
Lina- san.”
Bastian, che aveva seguito la conversazione in
silenzio, si schiarì la voce. “Ad ogni modo, è bene muoverci.” Pareva
accigliato. “Ci vorranno diverse ore per salire, e non è il caso di lasciarsi
sorprendere dal buio per strada.”
“Hai ragione, Bastian- san.” Assentì Amelia,
rivolgendo un sorriso a me e Gourry. “Vedrete che presto risolveremo questa
faccenda.”
“Ci puoi scommettere.” Replicò Lina. Ora che
eravamo vicini all’obiettivo, la sua determinazione pareva essersi rafforzata.
Riprendemmo a salire. Aggirammo Talit, e ci
addentrammo nei boschi che ricoprivano le montagne circostanti la città, gli
stessi in cui mi ero avventurato io, una piovosa mattina di qualche settimana
prima, alla ricerca di Lina. A quel ricordo, l’inquietudine mi catturò.
Ricordavo la figura femminile apparsa alle mie spalle quando avevo aperto il
libro. Quella creatura dimorava lassù? Era uno degli spettri che infestavano la
città? Temevo di rincontrarla. Non ero certo che avesse cattive intenzioni nei
miei confronti, non ero nemmeno certo di non essermela semplicemente
immaginata. Però…
Cercai di non pensarci, e di concentrarmi sul
cammino. Dopo qualche ora, come la prima volta, avanzare divenne quasi
automatico. Ci fermammo soltanto qualche decina di minuti, verso mezzogiorno,
per riposarci e mettere qualcosa sotto i denti. Per il resto, continuammo a
marciare senza tregua, fra la vegetazione prima, e poi nel ghiaccio e nella
neve, finché non giungemmo in vista dell’arco attraverso cui si accedeva al
piccolo ammasso di case devastate che una volta era stata Talit.
Il cielo si stava già scurendo, il sole basso
all’orizzonte, e l’aria era rarefatta e gelida. Il nostro fiato si condensava
in nubi sottili.
“Che posto lugubre…” Amelia, al mio fianco,
rabbrividì lievemente.
“Sembra effettivamente che ci sia stato un
incendio.” Osservò Lina, studiando l’ammasso annerito e ricoperto di neve che
era sopravvissuto al lento logorio attraversato dalla vecchia città. “Chissà
cos’è successo davvero in questo posto.” Spostò col piede uno dei ciottoli
smessi che lastricavano la via principale.
“Non ha importanza, ora, giusto?” Domandò Bastian,
in tono nervoso. Continuava a guardarsi attorno, evidentemente inquietato da
quel luogo. “Dov’è che dovete andare?”
“Al palazzo.” Indicai l’edificio, che si stagliava
nella penombra a nord della città. L’oscurità lo faceva apparire più imponente
di quanto in realtà non fosse, e decisamente più minaccioso. Nessuno dei miei
compagni pareva particolarmente entusiasta all’idea di entrarvi.
Fu Lina a risolversi. “Non ha senso tergiversare.”
Dichiarò, superandomi. Si avviò con fare audace lungo la via principale, prima
che chiunque potesse obiettare.
Mi affrettai al suo seguito. Quando le fui vicino, mi
afferrò per il braccio, e mi sussurrò all’orecchio. “Senti, come prima cosa
portami dove hai trovato il libro. Trovarlo è la nostra priorità. Daremo anche
un’occhiata in giro, però non subito. Se qui dentro sono racchiuse magie tanto
pericolose, preferisco muovermi da sola. Quando gli altri dormono, ad esempio.”
I miei occhi si spalancarono. “Vuoi fermarti qui
per la notte?” Supponevo che dormire nel palazzo fosse più comodo che dormire
per strada, ma… insomma, non era precisamente una calda e confortevole locanda.
“Non avremmo scelta, in ogni caso.” Replicò Lina.
“Fuori in mezzo alla neve geleremmo, ma è pericoloso scendere dalla montagna al
buio. E non mi fido a usare il Ray Wing e a viaggiare allo scoperto, con un
assassino alle mie calcagna.”
Non ero molto convinto, e probabilmente Lina se ne
rese conto. “Tranquillo, faremo in modo di non separarci.” Mi strizzò l’occhio.
“E finché siamo insieme, sfido persino un fantasma a cercare di sorprenderci
senza scappare dopo tre secondi con la coda fra le gambe.”
Dovetti sorridere. Spesso ero io a parlarle a quel
modo. E in fondo aveva ragione. Ne avevamo passate di peggiori, che dormire per
una notte in un castello che aveva fama di essere infestato.
“Entriamo dall’ingresso principale?” Domandò
Amelia, studiando i portali con fare timoroso.
“Di qua ce n’é uno secondario.” Indicai, deviando
per la strada che avevo percorso la prima volta. Non so perché lo feci. Non
c’era differenza pratica fra l’irrompere e lo sgattaiolare di nascosto, dato
che il posto era disabitato. Ma per qualche motivo sentivo comunque la
necessità di muoverci con segretezza.
Ci avventurammo per il corridoio in pietra e per le
scale. Le torce sulle pareti erano spente e gelide, e l’ambiente, stavolta,
aveva tutto l’aspetto dell’abbandono. La porta era chiusa, ma non sprangata
(l’avevo chiusa alle mie spalle, l’ultima volta? Non riuscivo a ricordare…), e
ci permise di avanzare nel freddo corridoio interno senza incontrare
resistenza. Non mi soffermai a osservare le stanze sui lati, timoroso di
trovarvi nuovamente tracce di vita. Mi mossi direttamente verso lo scalone, e,
sceso al piano di sotto, avanzai nel grande salone, colmo di spifferi.
Rabbrividii, alla vista del semidistrutto balcone in legno aperto sulla valle,
da cui la volta precedente avevo avuto la sensazione di precipitare.
Mi morsi il labbro, e dovetti impormi a forza di
abbassare lo sguardo sul pavimento di fronte al camino. E il libro era là.
Trasalii, quando catturò il mio sguardo. Mi resi conto solo in quel momento che
non ero stato del tutto convinto che lo avrei trovato dove lo avevo lasciato.
“Sarebbe quello?” Domandò Lina, seguendo il mio
sguardo. Notai solo allora che il sigillo che avevo aperto era nuovamente
chiuso.
“Hai ragione. In effetti somiglia a un diario.” Mia
moglie fece per avvicinarsi, protendendo le dita verso la vecchia copertina del
libro, e mille campanelli d’allarme si accesero all’improvviso nella mia mente.
“Non toccarlo!” Sibilai, afferrandola per un
braccio. “Lina, non…”
Lina posò la mano sulla mia, per placarmi.
“Tranquillo.” Mi sorrise. “Normalmente non c’è pericolo, se non lo apri.”
“Che cos’è quel libro?” Domandò Bastian. Il suo
tono di voce ora appariva lievemente alterato. “E tu, Sir Gabriev, come fai a
conoscere così bene questo posto? Che diavolo sta succedendo?” L’ansia
trapelava chiaramente dalla sua voce, e sinceramente ne capivo il motivo. Quel
luogo dava i brividi. Compresi che non avremmo potuto tenerlo all’oscuro ancora
per molto.
Lina non si volse a guardarlo, e si piegò invece a
osservare il libro. “Gourry è stato qui dopo che noi due ci siamo allontanati
da Talit.” Replicò, in tono calmo. “Per cercarmi. Ha trovato questo libro e lo
ha aperto per sbaglio, però la protezione magica che c’era sopra lo ha ferito
alla mano. Niente di irrisolvibile, ma avevo bisogno del libro, per guarirlo
prima che si aggravasse.”
“E perché non me lo hai detto prima, se era una
cosa così semplice?” Il volto di Bastian era sospettoso.
Lina sospirò, con eccessiva enfasi. “Non volevo
allarmare più gente di quanto fosse necessario.” Replicò, sbrigativamente.
Mi chiesi se Lina stesse minimizzando la cosa per
evitare che Bastian si sentisse ancor più responsabile della mia sicurezza.
Chissà se gli aveva taciuto tutto sin dal principio proprio per quel motivo.
Osservai la schiena di mia moglie, mentre, la mano
sul mento, studiava il diario come avrebbe fatto con un astuto avversario, e il
peso pressante, insostenibile dell’ansia prese ad abbattersi ancora una volta
sulle mie spalle. Pregai che si voltasse. Solo un momento, per guardarmi negli
occhi. Ero un idiota. Che cosa avrebbe potuto esserci in quello sguardo, di cui
io non avevo già la certezza? Da anni non avevo mai avuto dubbi su quello che
mi legava Lina. Al di là di tutto quello che ci era accaduto, quella era stata
la mia sotterranea certezza, e la mia forza. Facevo un torto a entrambi, con
quelle stupide paure. Però…
“Amelia… vieni qui un momento, per favore.” Chiamò
Lina, inconsapevole di quanto mi passava per la testa. “Pensi di poter capire
se è pericoloso toccarlo?”
La principessa si avvicinò, e le due presero a
confabulare in quel linguaggio imperscrutabile che erano per me i discorsi
sulla magia. Bastian non aveva l’aria sentirsene molto più coinvolto, comunque.
Teneva lo sguardo fisso su mia moglie, i lineamenti contratti per la tensione.
Alla fine, Lina parve risolversi. Allungò le dita, e sfiorò la copertina del
libro. Quando non accadde nulla, lo afferrò per la costa, con maggiore
sicurezza, e se lo rigirò fra le dita.
“Preferisco non cercare di aprirlo, per il
momento.” Dichiarò, con apparente noncuranza, infilandosi il libro in una tasca
del mantello. “Che ne dite di sistemarci nel salone, per la notte? Il nostro
lavoro qui è finito, per quanto mi riguarda. Domattina possiamo anche andarcene.”
Esitò per un istante. “Amelia, Bastian, che ne dite di preparare i nostri
giacigli sui divani? Gourry ed io andiamo a recuperare un po’ di legna per il
fuoco.”
Capii che voleva parlarmi da sola, e la seguii
senza fare obiezioni. Quando raggiungemmo l’atrio, e Lina spalancò la porta
principale, mi piegai verso di lei, per mormorare. “Che cos’hai in mente?”
Mia moglie mi lanciò una breve occhiata. “Secondo
Amelia, il sigillo che tiene chiuso il diario contiene la forza di una
maledizione molto potente.” Sussurrò, in risposta. “Purtroppo, non c’è modo di
capire chi è l’autore di quel diario senza aprirlo. Ma chi l’ha scritto è anche
presumibilmente chi l’ha maledetto, ed è quella la persona che dobbiamo
trovare, per capire come spezzare il tuo incantesimo.” La sua fronte si
aggrottò. “In realtà, forse basterebbe distruggere il libro, ma non ne abbiamo
la certezza, e non voglio privarmi alla leggera del nostro unico indizio.”
Esitò. “Senza contare che non è detto che lo stesso tipo di incantesimo che lo
protegge dall’essere aperto non lo protegga dall’essere strappato, o bruciato,
o qualsiasi cosa del genere. Provare a liberarsene potrebbe significare
incorrere in una fine molto dolorosa.”
Mi accigliai. “Ma Lina… e se provassi IO ad
aprirlo?” Inclinai la testa. “In fondo, ho già subito gli effetti della
maledizione. Che altro potrebbe capitarmi?”
Lina si morse il labbro, e parve contrariata
all’idea che fossi giunto a quella conclusione. “Anche io ci avevo pensato, ma
non voglio rischiare. Potresti sempre peggiorare le cose.”
“Ma così facendo non raggiungeremo comunque nessuna
soluzione.” Insistei. “Che cosa ce ne facciamo del libro, se non possiamo
aprirlo?”
Ma non era semplice smuovere Lina dalle sue
posizioni. “Non voglio decidere nulla, per ora.” Replicò, con testardaggine.
Avevamo raggiunto una piccola macchia di alberi sempreverdi, e mia moglie si
piegò a raccogliere alcuni rametti caduti. “Stanotte faremo un giro di
perlustrazione della casa, e vedremo se c’è qualche indizio che possa
suggerirci chi sia l’autore di quel diario, e perché lo abbia abbandonato in un
posto del genere. A seconda di quello che troveremo, decideremo il da farsi.”
Mi accigliai. “A proposito, Lina…” La sua frase mi
ricordò che non le avevo ancora detto tutto, della mia precedente visita in
quel luogo. “L’ultima volta che sono venuto qui, ho avuto l’impressione che
vivesse ancora qualcuno, in quel palazzo. Credi che potesse trattarsi
dell’autore del diario?”
Lina si bloccò, a quelle parole. Si volse a
fissarmi, una massa di rametti semi innevati avvolta fra le braccia. “Parli sul
serio?” Domandò. “Allora… mi chiedo se…” Esitò.
“Cosa, Lina?”
Aggrottò la fronte. “Sul libro, e nel mobilio lì
attorno… c’era molta meno polvere che sul resto degli oggetti sparsi nel
palazzo, per quanto ho potuto vedere.” Mi fissò negli occhi. “Credevo
dipendesse dal fatto che TU lo hai toccato, ma… Mi chiedo se qualcun altro non
lo abbia maneggiato, altrettanto di recente.”
“Qualcun altro?”
Annuì brevemente.“Pensaci un momento. Mettiamo che
un abitante di Talit abbia qualcosa da nascondere ai suoi concittadini… quale
posto migliore di questo, per custodire un segreto? In mezza giornata si può
arrivare qui dalla città, ma se girano leggende inquietanti su questo luogo,
probabilmente non sono in molti ad avventurarsi fin quaggiù.” Si accigliò. “E
di certo non ci si può mettere a sperimentare magie del genere alla luce del
sole, soprattutto in un regno come Elmekia. Ma chi sarà mai a convivere con un
segreto del genere? Un membro della corte? Un sacerdote del tempio? Chi diavolo
può essersi dedicato a studiare magie simili?”
Io battei le palpebre. “Chiunque sia, comunque,
deve essere una persona non particolarmente furba, o troppo sicura di sé.
Perché ha abbandonato il diario a quel modo, senza nemmeno sforzarsi di
nasconderlo, se era una cosa che necessitava di tutta questa protezione?”
Le labbra di Lina si strinsero. “A meno che non gli
importasse, o che in fondo non sperasse che qualcuno lo ritrovasse.”
Ringhiò. “Da un pazzo che si mette a sperimentare cose del genere, ce lo si
potrebbe aspettare.” Levò lo sguardo su di me. “Quando lo hai preso fra le
mani, hai provato l’impulso irrefrenabile di aprirlo, non è così?”
Battei le palpebre. E lei come faceva a saperlo?
“E’ capitato anche a me.” Continuò Lina, come
leggendomi quel pensiero. “Ho resistito solo perché ci sono abituata, con tutto
l’allenamento mentale a cui ho dovuto sottopormi per imparare a controllare il
Giga Slave. Ma molte persone, anche maghi abili, avrebbero ceduto, come è
accaduto a te. Chiunque sia il bastardo che ha creato questa cosa, lo ha fatto
con il preciso intento di ferire. Chi vi si fosse avvicinato, avrebbe dovuto
pagare per la propria impudenza. E, magari, funzionare come test per la sua
dannata maledizione.” La sua voce era ridotta a un sibilo. Raramente la avevo
vista così arrabbiata. Sapevo che era perché io ero coinvolto… ma anche perché,
nel profondo del cuore, la turbava il pensiero di comprendere così bene le
motivazioni di chi aveva creato quella cosa. Era così, Lina, da quando la avevo
conosciuta. Viveva costantemente in bilico sull’abisso.
Ma un attimo prima di cadere, avrebbe sempre
trovato la mia mano, a sorreggerla.
“Lina.” Avanzai di un passo, e le posi le mani
sulle spalle. “Ascolta, non ha senso prendersela ora. Troveremo questo tizio, e
insieme a lui troveremo anche una soluzione. D’accordo?”
Lina non replicò nulla. Si fece semplicemente
avanti, fra le mie braccia, e affondò il volto nel mio petto, la legna
gocciolante umidità ancora stretta al corpo. Le accarezzai la nuca con le dita,
in silenzio. Sotto il mio tocco, il suo corpo parve rilassarsi.
Dopo qualche istante, si allontanò lentamente da
me. “Ho intenzione di chiedere a Sylphiel di fare qualche indagine sulla città
vecchia. Potrebbe rintracciare l’autore di quel vecchio libro che avevamo
trovato, ad esempio.” Il suo tono di voce si era calmato, e il sorriso che mi
rivolse, parlando, era chiaramente di gratitudine. “Se lei penserà a quello, e
a tenere d’occhio la situazione a Talit, noi, dopo aver esplorato il palazzo,
potremo concentrarci sul diario.” Come colta da un’improvvisa ispirazione, Lina
mi mollò nelle mani la massa di rametti, ed estrasse nuovamente l’oggetto dal
mantello. Da quella distanza ravvicinata, la copertina rossa mi parve così
invitante che mi trattenetti a fatica dall’allungare le dita per sfilarlo di
mano a mia moglie.
“Ne avverto costantemente la presenza anch’io,
anche da dentro al mantello.” Confessò Lina, ancora una volta intuendo i miei
pensieri. Lo levò in alto, e prese a studiarlo, nella luce fioca del tramonto.
“Stavo pensando… La rilegatura è ottima, e deve essere piuttosto costoso.
Chissà se è stato realizzato appositamente da un artigiano di Talit.” Si
accigliò. “Forse se risalissimo alla bottega che lo ha creato potremmo scoprire
di più anche su chi è il proprietario. O magari… eh?” Si bloccò. “E questo
cos’è?” Abbassò il diario, e sul retro della copertina, in basso a sinistra,
scorsi ciò che aveva attirato la sua attenzione. Sembrava un segno araldico,
l’immagine stilizzata di un pugnale ondulato e un fiore incrociati, impressi
sul cuoio in una decorazione dorata. E al di sotto, erano incise tre lettere: E
E D. Erano così piccoli, che la prima volta che avevo maneggiato il diario non
li avevo nemmeno notati.
Ma che diavolo significava?
“Questo non è il simbolo dei duchi di Talit, la
casata Darland? Il kris e il garofano?” Osservò mia moglie, accigliata.
“Davvero?”
Mia moglie annuì. “Era miniato sulla prima pagina
di quel libro che avevamo preso in biblioteca.”
Non ricordavo quel dettaglio, ma Lina aveva
maneggiato quel volume molto più di me. E, in effetti, l’araldica non era mai
stata particolarmente il mio forte. “Allora questo vuol dire che il diario
appartiene a uno di loro…?”
Mia moglie, esitò, il volto teso per la concentrazione.
“E’ possibile.” Mormorò. “E E D… E E D… che cosa può voler dire? Erianna
Darland? Potrebbe essere lei? O Eriol, magari? Oh, no, giusto, Eriol non
userebbe il cognome e il simbolo della casata della madre…”
“Uhm, Lina, ma come fai a essere certa che queste
siano iniziali?”
“Non ne sono certa, ma è una deduzione
ragionevole.” Mi fissò. “E comunque, è un punto di partenza per le nostre
indagini. Dobbiamo scoprire se Erianna ha un secondo nome che inizia con la E.
Se fosse così, sarebbe una coincidenza troppo grande per poter essere
ignorata.” Rimise in tasca il libro. “E se i miei si sospetti si riveleranno
fondati, sta certo che riuscirò ad arrivare a lei e farle sputare una cura per
la tua mano. Insieme a qualche dente, se necessario.” La sua voce si abbassò, e
si fece più minacciosa che mai. “Non importa di quante guardie si circonderà.”
Sospirai, prevedendo grossi guai. “Cerchiamo di
evitare di essere troppo avventati, per una volta.” La squadrai in volto,
scorgendo oltre le tenebre il suo cipiglio rabbioso, e scossi la testa. “Oh, ma
che lo dico a fare…”
Lina ridacchiò. “Dammi una mano a raccogliere un
altro po’ di legna, invece di sprecare il fiato a lamentarti. E’ buio, ormai si
staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.”
Accumulammo rami e ceppi a sufficienza per
mantenere il fuoco acceso durante la notte, e rientrammo nel salone. Trovammo
Amelia, che aveva già raccolto le coperte polverose sparse nella stanza, e
preparato dei giacigli di fortuna sui divani. Bastian, però, non si vedeva da
nessuna parte.
“Che fine ha fatto il cavaliere?” Domandai,
guardandomi attorno. “E’ andato in bagno?”
La principessa scosse la testa. “Ha detto che
voleva dare un’occhiata al palazzo e ai cortili. Per assicurarsi che fosse
sicuro dormire qui.”
Scoccai un’occhiata a Lina, a quelle parole, e la
vidi accigliarsi. Ma non fece commenti. Si limitò ad abbandonare la sua catasta
di legna accanto al camino, e a evocare una fiamma magica, cercando di farla
attecchire. Mi inginocchiai al suo fianco, e le lasciai accanto la mia parte di
rami, studiando la sua espressione corrucciata.
“Posso… uhm… aiutarti?”
“Prendi il mio calderone per le pozioni e vallo a
riempire di neve, per favore.” Replicò lei, in tono distratto. “Stiamo finendo
l’acqua, e non è il caso di usare quella delle borracce per cucinare. Ma se
sciogliamo un po’ di neve possiamo preparare della zuppa.”
Annuii, e allungai senza pensarci le mani verso il
suo mantello. Un istante prima che potessi toccarlo, però, qualcosa parve
scattare nella mente di Lina, che fece un balzo, e si ritrasse.
“Aspetta!” Sibilò. Estrasse il libro dal mantello.
“Dannato diario. Mi ero scordata che era lì, e tu stavi quasi per…” Scosse la
testa. “E’ meglio che non ti avvicini. E nemmeno tu Amelia.” Si rivolse alla
principessa, che stava studiando perplessa la scena. “Lo poso qui, sul bordo
del camino. Se lo terrò ancora nel mantello impazzirò. E’ come se dovessi
sempre lottare per non estrarlo.”
In quel momento, anche Bastian rientrò. Aveva le
guance arrossate, e sembrava infreddolito. “Non sembra esserci nessuno, né in
casa né qui attorno.” Dichiarò. “Però ho preso questo.” Trasse qualcosa dalle
proprie spalle, e lo abbatté pesantemente al suolo. Un maiale selvatico, di
piccole dimensioni. Era stato ucciso da un colpo netto di spada. “Mi è
praticamente venuto addosso. Forse fuggiva dai lupi.”
Amelia rabbrividì. “Queste foreste devono esserne
infestate.” Guardò fuori dalla finestra, nel buio oltre la balconata. “Per
fortuna che non ci è venuto in mente di tornare indietro stanotte.”
Lina sbuffò. “Sarebbe stato davvero idiota.” Ritirò
la mano dal fuoco, che aveva finalmente attecchito sulla legna umida, e emise
un sospiro. “Almeno per una sera non dovremo sorbirci quella disgustosa carne
essiccata.”
Alla fine, riuscimmo a ricavare una dignitosa zuppa
dalle erbe che Lina teneva in borsa, e ci godemmo i tagli morbidi del maiale,
che arrostendo sul fuoco aveva riempito la stanza di un piacevole profumo di
carne abbrustolita. Lina ed io litigammo fino all’ultimo morso, e quando la cena
fu terminata ero talmente distrutto, e al contempo appagato dal cibo e dal
calore del camino, che avrei potuto addormentarmi anche in piedi, e continuare
a riposare per giorni.
Ma Lina aveva un’altra idea in mente.
“Allora Gourry ed io iniziamo il turno di guardia
come al solito, eh?” Dichiarò, con affettata allegria. “Voi altri dormite il
vostro sonno di bellezza, mi raccomando!”
Bastian le rivolse un’occhiata scettica, ma né lui
né Amelia obiettarono. Entrambi si strinsero nelle coperte, il più vicino
possibile al fuoco. Dopo qualche decina di minuti, quando furono apparentemente
addormentati, decisi di parlare.
“Qual è il piano?” Mormorai.
“Non possiamo lasciare Amelia e Bastian senza
protezione, per cui tu te ne resterai qui a fare la guardia. Io invece andrò a
dare un’occhiata alle altre stanze.”
A quelle parole, entrai immediatamente in
agitazione. “Ma Lina!” Protestai, a voce più alta di quanto non avrei voluto.
“Non mi sembra affatto una buona idea separarci qui dentro!”
“Ssst!” Mi intimò Lina, in tono nervoso. “Mi ci
vorrà al massimo un’ora, Gourry, non allarmarti per così poco.”
Non mi piaceva per niente. “Lina…”
“Niente ‘Lina’, Gourry!” Mi posò una mano sul
braccio. “Ascolta, se ti fa sentire più tranquillo fermati nell’atrio, così
potrai tenermi d’occhio. Ma se vuoi saperlo, secondo me prenderai freddo per
niente.”
“Non mi importa del freddo.” Dichiarai, cupo. La
seguii con scarsa convinzione nell’atrio, fissando nervosamente le stanze e le
scale, che sparivano nel buio.
Lina intercettò la mia occhiata ansiosa, e levò gli
occhi al cielo. “Gourry…”
Le feci la lingua. “Va bene, va bene, ma fai in
fretta per favore.”
Lanciandomi un mezzo sorriso, mi volse le spalle, e
trottò verso una libreria, una delle altre tre stanze cui si accedeva dall’ingresso.
Con un sospiro, mi appoggiai all’arco, gettando ora un’occhiata alla stanza in
cui dormivano i nostri compagni, ora un’occhiata alla sagoma di Lina, che, un
Lighting alla mano, stava scorrendo le coste dei libri raccolti sugli scaffali.
Dalla sua espressione impaziente, dedussi che non era particolarmente
soddisfatta di quanto stava trovando. Sperai che non si intestardisse troppo, o
la sua presunta ora di ricerca si sarebbe trasformata in metà della notte. Ma
in fondo forse era meglio che me ne stessi lì in piedi. La cena abbondante mi
aveva lasciato talmente sonnolento che se mi fossi seduto di certo mi sarei
addormentato.
Lina uscì dalla libreria sbuffando dopo una decina
di minuti, e esplorò le cucine e la sala da pranzo, nonché i numerosi ripostigli,
prima di convincersi che a quel piano non c’era nulla che potesse interessarle.
Con scorno, mi superò, dirigendosi alle scale.
“Faccio un giro di sopra.” Mormorò. “Anche se
comincio a dubitare che ci sia qualcos’altro qua dentro, oltre alle ragnatele.”
Annuii, silenziosamente. Ora che nessun mostro o
spirito vendicativo era sbucato dall’ombra per inghiottire Lina, ero un po’ più
tranquillo. Quel posto mi aveva suggestionato. E in fondo era probabile che
avessimo davvero seminato l’assassino, chiunque egli fosse.
Tornai a poggiarmi alla parete, chiedendomi se
davvero Dorak c’entrava qualcosa. Non è che mi piacesse particolarmente, ma,
considerandolo a posteriori, non sembrava un uomo così pericoloso. Forse
qualcuno era stato in agguato sopra quella scogliera, e aveva stordito sia lui
che Amelia, ma il mercenario aveva avuto meno fortuna della principessa, ed era
precipitato in mare. Chi lo sapeva. Finché l’assassino non si fosse mostrato
nuovamente, non avremmo mai scoperto la verità.
Con un sospiro, volsi lo sguardo verso le figure
addormentate di Amelia e Bastian, entrambi tanto rannicchiati nei loro giacigli
da sparire totalmente sotto alle coperte. Io rabbrividii, fra gli spifferi
dell’atrio. Decisamente, era il momento di andare ad attizzare il fuoco.
Mi mossi dalla parete gelida, e avanzai di qualche
passo nella stanza. Prima che potessi avvicinare il camino, tuttavia, un altro
brivido mi attraversò. Un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo.
L’istante successivo, le fiamme si spensero.
Tutti i miei sensi furono immediatamente all’erta.
L’oscurità in cui mi trovavo era liquida, densa. Impenetrabile. Bloccava la
luce della luna e delle stelle, e il riverbero pallido che emanava dalla neve,
fuori dalla finestra. Il mio cuore, per un momento, cessò di battere.
‘Lina.’
Feci per volgermi e correre verso le scale, ma
incespicai in qualcosa, e crollai al suolo. Ignorando il dolore feci per
alzarmi. Ma prima che potessi rimettermi in piedi, il grido di una voce, una
acuta voce femminile che conoscevo fin troppo bene, risuonò dal piano di sopra,
e parve perforare la mia coscienza.
“Lina!!!” Gridai, con angoscia. Barcollai in
ginocchio e poi in piedi, cercando a tentoni l’uscita dalla stanza.
“Gourry- san!”
“Sir Gabriev!”
Le voci dei miei due compagni, che dovevano essersi
svegliati per il caos della mia caduta, o per il sentore del pericolo,
risuonarono alle mie spalle. Non potevo fermarmi a spiegare, però.
“E’ qui!” Mi limitai a gridare, continuando ad
avanzare, le braccia protese, finché non trovai la sagoma dell’arco che
conduceva all’atrio. “Lina è in pericolo!”
“Dov’è Lina, Sir Gabriev???”
“Al piano di sopra!”
“Lighting!” Gridò Amelia. La luce spazzò le
tenebre magiche attorno alla principessa, come la palla di fuoco di Lina aveva fatto
qualche giorno prima alla spiaggia.
“Bastian- san!” Ordinò la mia amica, in quel tono
autoritario che normalmente riservava alle guardie, a Sailune. “Resta qui a
fare la guardia al diario, ma non toccarlo! Io accompagnerò Gourry- san per
fargli luce!”
Bastian assunse una espressione contrariata, a quel
suggerimento, ma, da bravo soldato, si bloccò dove si trovava senza fare
obiezioni. Amelia invece scattò in avanti, e mi precedette lungo le scale. Mi
affrettai al suo seguito, incespicando per restare all’interno del sottile cono
di luce che emanava dalle sue dita. La voce di Lina non era più risuonata, da
quando avevo udito il suo grido. Il mio era cuore stretto nell’angoscia
“Lina!” Presi a urlare. “Lina, dove sei???”
Quasi svenni per il sollievo, quando udii una voce
rispondermi, seppur lontana e un po’ stentorea. “Sono qui, Gourry! Va tutto
bene!”
“Lina- san!” Amelia girò l’angolo in cima alla
scala, dirigendosi verso la voce. “Lina- san, stiamo… aaaaaaah!” Non seppi cosa
aveva procurato quel grido, perché istantaneamente la luce si spense.
“Amelia!”
“Gourry!” Giunse la voce di Lina, ancora lontana.
“Gourry, che è successo???”
Ma non avevo tempo di risponderle. Mi gettai a
terra, vicino alle scale, cercando freneticamente il corpo di Amelia, sperando
che qualunque cosa fosse in attesa dietro l’angolo la avesse solo tramortita.
Ma prima che potessi avanzare di un metro, avvertii acutamente, sulla pelle, il
senso penetrante di ostilità che precedeva un colpo che mirava ad uccidere.
D’istinto, schivai di lato, e avvertii qualcosa di gelido e appuntito
sfrecciarmi a fianco, mancandomi per un soffio. Una freccia di ghiaccio,
probabilmente.
In un attimo, estrassi la spada, cercando di
individuare la presenza del mio nemico, come ero stato addestrato a fare anche
al buio. Ma chiunque fosse, sapeva il fatto suo. Nel momento in cui sfoderai la
lama di fronte a me, qualsiasi senso di ostilità che potessi avvertire attorno
a me scomparve. Il mio avversario era fuggito.
“Amelia!” Gridai. “Amelia!” Avanzai nel corridoio,
e inciampai in qualcosa. Caddi, nuovamente, e quando allungai le mani per
capire cosa fosse mi trovai a stringere un corpo, ancora caldo. Preso dal
panico, lo scossi. “Amelia!”
“Go… Gourry- san…”
Tirai un sospiro di sollievo. “Amelia. Stai bene?”
“Mi fa… male la testa…” Esitò. “Io… non è
possibile, ma io credo di aver visto…”
“Devo andare da Lina!” La interruppi. “Ascolta,
Amelia, fatti luce, e se riesci ad alzarti scendi immediatamente da Bastian.
Noi due arriviamo!”
“Ma… no, Gourry- san, aspetta!”
La ignorai, e scattai in avanti. Da qualche parte,
Lina continuava a chiamare il mio nome, e il fatto che la sua voce suonasse
lontana, nonostante le dimensioni ridotte di quel palazzo, mi allarmava. La
seguii, in ogni caso, e mi ritrovai in una delle stanze da letto con il
baldacchino matrimoniale che avevo esplorato la prima volta che ero entrato in
quel luogo. Anche lì era buio, ma un buio normale, rischiarato dalla luce della
luna che sbucava fra le nubi e si rifletteva nel nevischio che fuori aveva
preso a fluttuare nell’aria. L’oscurità magica, se mai era giunta in quella
stanza, si era ormai dissipata.
“Lina! Dove sei?”
“Gourry!” Mi rispose la sua voce, e mi stupii di
sentirla provenire da qualche parte sotto di me. “Cerca nel camino, c’è un
passaggio nascosto! Non so bene cosa lo faccia scattare, l’ho urtato per
sbaglio quando è sceso il buio, e ci sono caduta dentro!”
Mi affrettai verso il focolare, e presi a tastare
qua e là, senza una logica precisa. Spostai l’attizzatoio e premetti diverse
pietre, ma non accadde nulla. Poi, per caso, mi appoggiai al rivestimento
interno alla canna fumaria, e qualcosa scattò. Una lastra, alla base del
camino, scivolò via sotto di me, lasciando spazio ad uno stretto cunicolo, che
precipitava nel buio. Comprendevo perché Lina fosse caduta. Se non mi fossi
aspettato qualcosa del genere, e se mi fossi trovato nel buio completo,
probabilmente avrei perso l’equilibrio anch’io.
“Bingo, Gourry!” Giunse la voce di mia moglie, ora
più chiara. “Per fortuna, non ero certa di riuscire a riaprirlo dall’interno!”
Una flebile luce proveniva dal fondo,
probabilmente, un incantesimo di mia moglie. Sulla parete di fronte a me, degli
appigli erano stati scavati sulla parete, ma erano coperti di muschio, e
parevano decisamente scivolosi. Mi chiesi come potessi raggiungerla.
“Non scendere, rischi di farti male!” Mi precedette
Lina, intuendo le mie intenzioni. “Finisco di curarmi la gamba, e risalgo io
con la magia!”
“Di nuovo la gamba???”
“Che cosa ci posso fare, io, se continuo a caderci
sopra???” Si lamentò. “Comunque non era niente di grave, il muschio ha attutito
la caduta. Ora arrivo.” Esitò. “Anzi, aspetta un secondo, voglio controllare
una cosa.” Sentii un rumore, come di una porta che si apriva, e la luce che
proveniva dal fondo del cunicolo si attenuò.
“Lina…?”
“Ci sono!” Replicò, la voce ora un po’ più lontana.
“E finalmente ho trovato qualcosa di interessante!”
“Eh?” Chiesi, stupito. “E cosa?”
“C’è una specie di laboratorio, quaggiù.” Replicò.
“Alcuni testi antichi di cui avevo sentito solo parlare, e… oh, cielo, guarda
qua, questo lo ho letto anch’io! Chiunque abbia portato qui tutta questa roba
sapeva il fatto suo!”
Sospirai. “Lina.” Esordii, rassegnato. “Un
assassino ha appena fatto irruzione nel palazzo, e gli altri ci stanno ancora
aspettando.”
“Oh… ehm… sì, sì, certo, lo so bene anch’io.”
Sentii il rumore di una porta che si chiudeva, la formula della levitazione, e
dopo qualche secondo vidi Lina emergere dal camino. Le porsi la mano, e la
aiutai a scivolare fuori ed alzarsi. Aveva i guanti, il mantello e i pantaloni
umidi e coperti di muschio, ma sembrava tutta intera. Tirai un sospiro di
sollievo.
“Dovremo tornare là sotto.” Dichiarò. “Domattina
farò un giro di esplorazione prima di ripartire, per vedere se possiamo trovare
qualche indizio. Quella sigla, E E D, era presente su alcuni altri oggetti,
calamai e cose simili. Il nostro amico, chiunque sia, deve essere un bel
megalomane, per farsi fare tutti gli oggetti su misura.”
La squadrai scettico. “Scommetto che, se fossi
nobile, saresti la prima a fare stampare il tuo nome e la tua casata ovunque.”
Lina mi lanciò un’occhiataccia. “Non vado in giro
esponendo un cartello che dice che sono Lina Inverse, mi sembra!”
Repressi un sogghigno. “Solo perché faciliteresti
la vita ai tuoi innumerevoli nemici.”
Il sorriso di Lina si fece pericoloso. “Gourry, se
hai voglia di attaccar briga ti avviso che stasera…”
“Lina- san! Gourry- san! Venite, presto!”
Sobbalzammo entrambi, al risuonare della voce di
Amelia. Che diavolo c’era, ancora?
Scattammo verso il corridoio, e quando appurammo
che la principessa non si trovava più lì, ci precipitammo giù dalle scale, e
nell’atrio. Amelia era in piedi, vicino all’ingresso del salone, e si reggeva
all’arco, le gambe traballanti. Sembrava essersi letteralmente trascinata fin
lì.
“Amelia! Cos’è successo???” Gridò Lina,
avvicinandosi a lei e affrettandosi a sorreggerla.
La principessa indicò il salone. “Bastian- san…
Bastian- san è…”
Continuiamo con il trend degli aggiornamenti veloci… anche se stavolta
con un capitolo breve
Continuiamo con il trend degli aggiornamenti veloci…
anche se stavolta con un capitolo breve. ; P Grazie come sempre delle letture e
delle recensioni! E, Dragonslave, grazie anche per il commento al manifesto
L/G! ^^ (tra parentesi, se conosci lo Slayers Again Site, perché non ti iscrivi
anche al forum? Ci circolano molte persone che scrivono anche qui, ed è bello
attivo, soprattutto da quando è uscita la nuova serie…^^)
Buona lettura e (si spera) a presto!
Sono una persona facile all’ira. Datemi retta, lo sono. Ma
non avevo mai avuto idea che i miei pensieri potessero diventare tanto velenosi
anche nei confronti di me stessa. Ero un’idiota. Avevo abbandonato il diario
come una povera stupida, dando per scontato che nessuno dei miei compagni
avrebbe cercato di portarlo via. Ma che assicurazioni avevo davvero su Bastian?
Che assicurazioni, a parte la mia stupida fiducia?
Eppure, nonostante mi rendessi
conto della mia stupidità… riuscivo ancora a essere incredula.
Ostentai calma. Nell’attimo di confusione e panico
che seguì la nostra scoperta, mi imposi immediatamente di assumere il controllo
della situazione, come ero tanto abituata a fare. Ma mi sembrava che le viscere
avessero preso ad ardermi nello stomaco.
“Gourry, Amelia.” Intimai, ai miei due compagni
ancora confusi da quel rivolgimento inaspettato. “Dividiamoci. Uno di noi
cercherà se si è rintanato da qualche parte in casa, due vedranno se c’è
qualche impronta fresca nella neve all’esterno.”
“Lina… pensi che sia scappato col libro?” Il tono di
Gourry era così incerto e incredulo che mi trovai a chiedermi quanto di ciò che
provavo trapelasse realmente dal mio viso.
“Qualcuno può averlo aggredito e avergli portato via
il diario con la forza. Ma che sia fuggito di propria volontà o che sia sulle
tracce di qualcuno, ciò che noi dobbiamo fare è raggiungerlo.” C’erano
alternative, giusto? Non dovevo subito saltare alla conclusione peggiore.
“Verrò io fuori con te, Lina-san!” Si fece avanti
Amelia. “Se troviamo una traccia e usiamo il Ray Wing…”
“No.” La voce di mio marito era perentoria. “Nessuno
di noi andrà più solo da nessuna parte, stanotte.”
Mi volsi, piccata. “Gourry…”
“No, Lina. Ti starò appiccicato come un francobollo,
a costo di dovermi imporre. Ci siamo separati una volta, e guarda cos’è successo.”
“Fai come ti pare.” Sibilai, in modo molto poco
garbato, precedendolo all’esterno. La realtà era che non volevo stare con
Gourry, in quel momento. Non volevo che mi vedesse in volto, ora che riuscivo a
malapena a controllarmi.
All’esterno, la neve aveva preso a cadere con
maggiore intensità, in grossi fiocchi, che rilucevano bluastri, alla luce della
luna. Qualunque impronta sarebbe stata cancellata in fretta.
“Lina –san…” Intervenne Amelia, studiando la mia
espressione con una strana cautela. “Ma allora Bastian –san potrebbe essere il
responsabile anche degli attacchi che hai subito?” Esitò. “Perché io… io potrei
anche essermi ingannata, ma…”
Mi volsi verso di lei, con aria impaziente. “ ‘Ma’
cosa, Amelia?”
La principessa abbassò gli occhi. “Prima, nel
corridoio, un attimo prima di essere colpita… io credo di aver visto Dorak, di
fronte a me.”
Mi bloccai sui miei passi. “Dorak?” Mi sforzai di
suonare sorpresa. Ma in realtà, un irrazionale sollievo parve immediatamente
gettare acqua sulle fiamme che mi incendiavano lo stomaco.
Amelia si morse il labbro. “Ma non può averci
preceduti qui, vero Lina-san? Non conosceva la nostra reale meta…”
“Sapeva che ci stavamo dirigendo a Talit. E non è
detto che non conosca più di quanto immaginiamo.” Raccolsi le idee, per un
momento. “Non è detto nemmeno che ci abbia preceduti, comunque. Può essersi
intrufolato in casa dopo di noi, dalla nostra stessa entrata. Forse ci ha
spiati e ha atteso che fossimo divisi, per cercare di aggredirci. Magari ha
sorpreso Bastian, e ora lui è sulle sue tracce.”
Gourry si accigliò. “Ma perché ha mirato al diario,
e non a te? Tu saresti stata un bersaglio semplice, intrappolata com’eri.”
“Non è detto che io sia il suo unico obiettivo. La
mia idea è che chiunque sia sulle nostre tracce abbia ordini ben precisi, e
poca libertà di azione. Non ha ucciso Amelia, anche se gli sarebbe convenuto
farlo, per ben due volte. Ma ha provato a uccidere te, e quando si è reso conto
che eri troppo pericoloso per affrontarti direttamente, forse ha cercato un
altro modo per colpirti.”
Nemmeno io ero del tutto convinta della mia teoria.
Aveva una parvenza di logica, e mi permetteva di pensare che Bastian non
c’entrasse, per cui mi ci abbandonai con forzata convinzione. Ma nella mia
testa continuavano a risuonare tetre le parole di Sybil. ‘Verrai tradita da
qualcuno di cui ti fidi.’ Perché non mi era venuto in mente, quando avevo
subito il primo attacco sulla nave? La profetessa aveva indovinato, per quel
che riguardava l’assassino. E se avesse avuto ragione anche per quello? Perché
mi ero rifiutata di contemplare quella possibilità?
‘Perché sono una stupida. Stupida, stupida,
stupida.’
Le labbra di Gourry si strinsero, ma se voleva dire
qualcosa fu abile nel trattenersi. Gliene fui estremamente grata.
Cercammo in silenzio qualche traccia, ma forse per
il buio, forse per la neve, non trovammo nulla. Mi ritenetti fortunata ad avere
Gourry ed Amelia al mio fianco. Se fossi stata da sola, probabilmente mi sarei
gettata alla cieca nella notte, pur di scoprire la verità.
E invece, come era ragionevole fare, rientrammo.
Perlustrammo nuovamente il palazzo, ma con poca
convinzione. Quando fu chiaro che non c’era nascosto nessuno, concordammo che
ci saremmo mossi di lì all’alba.Avremmo dormito a turno per qualche ora, e quindi avremmo contattato
Sylphiel, avremmo dato un’occhiata al laboratorio sotterraneo, e saremmo
ripartiti. Per dove, dovevo ancora deciderlo. Ma il piano pareva così
perfettamente delineato che potevo fingere, almeno per quella notte, di non dovermelo
chiedere.
Continuai a ripetermelo, fissando le maglie consunte
del tessuto che ricopriva la spalliera del divano. Cercai di svuotare la testa
per dormire. Concentrai l’attenzione sull’odore del fuoco, sul respiro di
Amelia che dormiva, sui movimenti lievi di Gourry che montava la guardia, sulla
stessa spossatezza di cui ero caduta vittima dopo che l’urgenza di cercare
tracce si era spenta. Non funzionò. La mia frustrazione, apparentemente, non si
metteva a tacere facilmente.
Trasalii, quando avvertii il peso di un corpo
poggiarsi sul divano al mio fianco, e il tocco di una mano sfiorare la mia
schiena. Finsi di dormire, ma ero conscia che Gourry sapeva perfettamente che
ero sveglia. Temevo che intavolasse una conversazione, che mi chiedesse qualcosa,
e mi preparai a prolungare ostinata la mia recita, ma lui mi sorprese, e
tacque. Le sue dita calde si mossero piano lungo la mia spina dorsale, fra le
mie scapole, sulla mia nuca. Non capii cosa intendeva fare, se non a
posteriori. In quel momento, il mio corpo si rilassò automaticamente, molto al
di là di quanto pensavo che la mia mente mi avrebbe permesso di fare quella
notte.
Ero già nel dormiveglia, e avevo totalmente
abbassato la guardia, quando Gourry si decise a parlare. “Lina.” Mormorò,
semplicemente. Io sussultai vistosamente, gettando al vento ogni possibilità di
fingere ulteriormente di dormire.
“Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo? Veramente,
intendo.”
Mi irrigidii. Mi aveva colta totalmente di sorpresa.
Degno di Gourry.
“Non capisco cosa intendi.” Sussurrai, senza
volgermi.
“Sì che lo capisci.” Replicò.
La sua voce era dolce, e questo rendeva tutto più
complicato. In quel momento, avrei preferito sentirlo urlare.
Girai su me stessa, ad incontrare il suo sguardo.
C’era poco da dire, che non potesse capire leggendomi negli occhi, o che non
avesse già capito. Ma mi costrinsi comunque a parlare.
“Bastian… mi ha fatto capire che il suo interesse
per me andava oltre la semplice necessità di ripagare il suo debito.” Mi stupii
di quanto facilmente quelle parole potessero uscire dalle mie labbra. Lo
sguardo di Gourry era uno specchio limpido.
Mio marito parve esitare. Chiuse gli occhi per un
istante, e prese un respiro. Mi chiesi se per controllarsi. Normalmente capivo
perfettamente cosa pensava, ma quella situazione era del tutto diversa dal
solito, e per molti aspetti non ci apparteneva. Insomma, eravamo Gourry ed io.
Gourry ed io. Potevamo affrontare un esercito di signori dei demoni, potevamo
attraversare l’inferno, tenendoci per mano, e uscirne indenni. Da - quanti
erano, dieci anni, ormai? – se c’era una cosa di cui potevo dire di non
dubitare era che il nostro posto era in qualsiasi luogo, l’uno accanto
all’altra. Ed era bella, quella certezza. Non… strana, come tutta quella
situazione.
“Sì, questo lo avevo capito.” Concluse mio marito,
come costringendosi a non chiudere lì la conversazione. “Ma quello che vorrei
conoscere, Lina… è la tua posizione nei suoi confronti.”
Il suo tono di voce non era mutato. ‘Arrabbiati.’
Pensai. ‘Permettimi di negare tutto, e di dirti che sei un idiota.’ Ma
Gourry si limitò a riaprire gli occhi e a fissarmi quieto, in attesa. Non
riuscii a distogliere lo sguardo dal suo.
“Non è semplice.” Mormorai. Mi stupii di constatare
che era la risposta più sincera che avrei potuto dargli in quel momento. “Non
è… una questione fisica, se capisci cosa intendo. Voglio dire, questo posso
controllarlo, ma…” Esitai. “… è che siamo diversi… ma simili. Io… in qualche
modo, mi rivedo in lui. E ogni volta… ogni volta che parliamo, che si svela di
più a me, è sempre peggio. E’ come se… come se ci trovassimo sulla stessa
lunghezza d’onda.”
Sapevo che le mie parole erano state confuse, perché
io ero confusa. Mi chiesi se Gourry avrebbe capito. Quelli non erano
discorsi sulla magia, eppure in qualche modo erano mille volte più complicati.
“Non ti sei… innamorata dilui.” Gourry era
esitante.
Io aggrottai la fronte. “Come puoi pensarlo?”
Domandai, duramente.
Mio marito abbassò lo sguardo. “Scusa.” Disse,
semplicemente.
Io esitai, mordendomi il labbro. “Gourry… lo sai che
non c’è niente al mondo che venga prima di te, per me. Lo sai perfettamente.”
Mi sentii vagamente imbarazzata, nell’incontrare lo sguardo caldo, intenso, di
Gourry, in risposta a quelle parole. Non mi capitava spesso di dare voce a quei
pensieri, nemmeno da quando la lotta contro Fibrizo li aveva resi palesi.
Davamo importanza ai gesti, più che alle parole, sia Gourry che io. Ma quella
notte era diverso. Ora che avevo iniziato a essere sincera, non volevo più
fermarmi. “E lo sa anche lui. Ma…” Le mie dita si strinsero attorno al tessuto
della coperta. “… sarebbe facile concludere, in queste circostanze, che abbia
preso il diario per liberarsi di un rivale. Ma… non lo farebbe. So che le cose
non sono così semplici.” Mi sentii arrossire. “E non posso essere certa della
mia intuizione… ma fino a questo momento sono sempre stata convinta della sua
lealtà. E non posso pensare di essermi ingannata a questo modo… voglio dire,
non sono un’ingenua. Non mi capita spesso di abbandonare le mie riserve su una
persona.” Presi un respiro. “Credevo… credo che continuerebbe a
difendermi fino alla morte, se glielo permettessi. E io non voglio permetterglielo
ma…” Mi coprii il volto con le mani. “Al contempo non ho fatto niente perché si
allontanasse. Vorrei dire che è perché la sua determinazione mi ha convinta che
questo è l’unico modo in cui posso permettergli di essere in pace con se
stesso. Ma non sono certa, in fondo, di non essere solo un’egoista. In fondo,
lui è quello che più ha da perdere, dalla nostra vicinanza.” Mi sentivo ancora
più in colpa, nel trovarmi a cercare di spiegare quel mio assurdo comportamento
a Gourry. Io mi stavo scaricando la coscienza, ma come mi sarei sentita, al suo
posto? Nel suo atteggiamento non c’era mai stata traccia di ambiguità. Ogni
volta che le circostanze mi avevano dato occasione di essere gelosa di lui,
Gourry aveva sempre messo bene in chiaro quali erano le sue priorità. D’altra
parte, come potevo non essere franca? Con lui, che mi capiva con uno sguardo?
‘Tu sarai tradita e tradirai.’ Le parole di
Sybil avevano dato vita a una tormentosa eco, che sottendeva a ogni mio
pensiero.
Gourry mi prese le dita fra le mani, e le allontanò
dal mio volto. “Lina.” Mormorò. Si piegò su di me, finché non avvertii il suo
respiro sulle mie guance. Si chinò a baciarle, e quando si rialzò mi trascinò
con sé, e fra le sue braccia. Mi abbandonai, vilmente. Il suo abbraccio era
caldo e rassicurante. “Ascoltami. Io credo in te.” Quasi avesse letto nei miei
pensieri, Gourry pronunciò le parole che avevo bisogno di sentire. “E se tu
credi in Bastian, nonostante tutto, allora probabilmente non ti sbagli. Abbi
fede in questo.”
Levai lo sguardo a osservarlo. Il suo volto era
stanco, ma il suo sorriso era pacato, come al solito. “Io non sono certo di
comprendere del tutto quello che ti tormenta, ma quando ritroveremo Bastian,
non mi intrometterò fra voi due. Tu di certo capirai come risolvere la
situazione.” La sua voce si abbassò ad un sussurro. “Mi fido di te.” Ripeté. Le
sue parole sembrarono trovare posto in qualche luogo recondito del mio essere.
Era come se avessi inghiottito una bevanda molto calda, e dolce.
Affondai il volto nel suo petto. Per qualche
istante, fummo avvolti dal completo silenzio. Sentii l’ansia scivolare via da
me lentamente. La fiducia di Gourry, come al solito, sembrava spianare la
strada di fronte a me, indicandomi la strada giusta da percorrere.
Sentivo che Bastian non mi aveva mentito. Dovevo
trovarlo, vivo, e dovevo cercare di fare qualcosa per lui. Quello che avrei
voluto venisse fatto per me, se mi fossi trovata al suo posto. Forse, gli avrei
detto semplicemente l’impressione che avevo ricevuto da Sybil, quando la avevo
incontrata. Perché era possibile tornare indietro, giusto? Non c’era nulla di
irrimediabile…
‘Non la amo più.’
Le parole di Bastian mi bruciarono improvvisamente
in testa, come un marchio a fuoco. Per un momento, l’immagine di un finale
felice - un finale in cui io non dovessi essere tormentata dalla colpa- mi
balenò davanti agli occhi: Sybil e Bastian che iniziavano a crescere i loro
figli, e io e Gourry che andavamo a trovarli da buoni amici. Senza ambiguità,
senza rimpianti. Mi sembrò così assurdamente irreale che l’inquietudine e
l’ansia minacciarono di tornare ad afferrarmi lo stomaco. Il mio cervello
iniziò disperatamente a cercare un’altra, introvabile, alternativa. Provai un
senso di vertigine, e mi aggrappai a Gourry. La sua stabilità mi ridiede
equilibrio, ma io mi sentii improvvisamente estremamente irritata con me stessa.
“Lina?” Domandò Gourry, confuso. Io mi morsi le
labbra, per riacquisire padronanza di me stessa.
“Peccato.” Mormorai, forzando l’ironia nella mia
voce. “Mi sarebbe piaciuto assistere a un virile duello per conquistare il mio
cuore. Sai, quelle belle scene tutte sudore e sangue al cui termine il
cavaliere vincente fugge con in sella l’amata.”
Non potevo vedere Gourry in volto. Nel lungo
silenzio che seguì, avrei pagato mille monete d’oro per conoscere la sua
espressione.
“In realtà…” Lo spadaccino esitò. “… progettavo di
calciare Bastian giù dalla scogliera, appena scesi a valle. Perché sai, la
parte del sudore e sangue non mi sorride particolarmente.”
Levai lo sguardo, colta alla sprovvista. I miei
occhi incontrarono i suoi, e vi colsi un lampo giocoso. “Salirai lo stesso in
sella con me?” Domandò. “O esiste qualche penalità per le vittorie scorrette?”
Non avrei mai detto che sarebbe successo, pochi
istanti prima… ma dovetti soffocare una risata. “Esiste.” Replicai, in un
sussurro. “Ti guadagni una moglie che non coincide precisamente con lo
stereotipo della perfetta dama.”
Gourry fece un mezzo sorriso. “Posso sopravvivere a
questo.” Si piegò su di me, e sfiorò le mie labbra con le sue. Gli ultimi
residui di ansia lasciarono il posto a un diffuso, sonnolento calore. Se non
avessi avuto Gourry su tutti a fianco, avrei pensato che mi avesse appena
lanciato un incantesimo.
“Scusami.” Mormorò, accarezzandomi la nuca. “Per
averti estorto questa confessione con l’inganno.”
Nascosi il volto nel suo collo. “Penserò ad una
punizione.” Mormorai. Dopo qualche minuto, mi trovai nuovamente a cullarmi
nella incoscienza ovattata in cui si naviga quando ci si trova fra il sonno e
la veglia. Mi resi conto vagamente che ero tornata sdraiata sul divano. Cercai
una delle sue mani con le dita e la strinsi, chiudendo gli occhi. Accarezzando
il suo palmo ruvido, lasciai che l’oscurità mi catturasse.
La mattina successiva, la nevicata era cessata. Il
cielo era parzialmente sgombro dalle nuvole, e un sole pallido si rifletteva
sui candidi cristalli al di fuori delle mura fredde del palazzo, creando un
riverbero che illuminava di tonalità nuove gli edifici bianchi di Talit, in
lontananza. Il mare dall’aspetto gelido e scuro, oltre le scogliere, creava un
bizzarro contrasto con quel lucore. Lo spettacolo dalla balconata semidistrutta
della stanza mozzava il fiato.
Rabbrividii, stringendomi nel mantello, mentre
Amelia e Gourry finivano di raccogliere i nostri oggetti. Nella mano, reggevo
il rubino che avevo fatto stregare a Sylphiel prima della nostra partenza.
Avevo contattato la sacerdotessa un’ora prima, appena sveglia, ma avevo avuto
il tempo solo per esporre brevemente le mie domande, prima che troncasse la
nostra conversazione. Ora, attendevo una sua risposta.
“Lina- san.” Sussultai, al tono trafelato della sua
voce. Abbassai lo sguardo. Nel luminoso rossore della pietra, vidi riflesso il
suo volto, al posto del mio, che sulla superficie lucida avrebbe dovuto
apparirmi come in uno specchio.
“Non posso parlare per molto. Sono ospite nei
dormitori delle sacerdotesse, ora, e non ho molte occasioni di rimanere da
sola.”
Annuii, chiedendomi solo a posteriori se anche lei
potesse vedermi. Ma che avesse scorto il mio segno, o si fosse limitata a
interpretare il mio silenzio come un assenso, la sacerdotessa si limitò a
proseguire. “Ascoltami, ho controllato per la faccenda di Erianna, ma a quanto
pare qui a Elmekia il secondo nome per le casate nobiliari è un privilegio
accordato unicamente al primogenito maschio. Viene assegnato al compimento dei
dodici anni, a colui che è destinato a succedere al controllo della famiglia.
Nel caso di morte del primogenito, un secondo nome viene assunto dall’erede
maschio successivo. Lord Georg, ad esempio, porta come secondo nome Gabriel.”
Fece una pausa, come per riprendere fiato. “A quanto ho capito, Eriol ha rotto
la tradizione assumendo come secondo nome Emar, dopo la sua ribellione,
nonostante Samon fosse ancora vivo. E’ scritto sulla sua tomba. Ma non ho
potuto indagare più di tanto. Ogni volta che si fanno domande su di lui, qui,
la gente pare subito insospettirsi.”
Annuii, nuovamente. “Hai fatto quello che potevi,
Sylphiel.”
“C’è dell’altro.” La sacerdotessa troncò i miei
ringraziamenti, frettolosamente. “Non so cosa stiate cercando, esattamente, ma
ho scorso le genealogie della casata Darland, e sappiate che sono almeno
duecento anni che le iniziali EED non si ripetono per qualche membro della
famiglia ducale. L’ultimo è stato un tale Erian Ergon Darland, che peraltro è
morto di malattia ancora prima di salire al potere.”
Oh, ora che ci pensavo, doveva essere quello di cui
avevo letto nel libro. All’epoca non avevo fatto particolarmente caso al suo
nome. Però… “Aspetta. Erian come Erianna?”
Sylphiel annuì. “Non è il solo nome a essere ripreso.
Più o meno sono sempre gli stessi, e anche le accoppiate si ripetono. Ci sono
state altre due Erianna, negli ultimi due secoli.”
“Mmm.” Non ero molto soddisfatta delle informazioni
che avevo ricevuto. Non avevano aggiunto granché alla gamma di indizi di cui
disponevamo. Il nostro uomo misterioso poteva essere Eriol, che per qualche
motivo aveva scelto di servirsi del cognome della madre e non di quello del
padre. Ma Eriol era morto senza che l’incantesimo sul diario si spezzasse, e
dunque presumibilmente non era stato lui a lanciarlo. Oppure chissà, forse
Erianna, sprezzante delle tradizioni, aveva scelto di assegnarsi da sola un
secondo nome? In fondo, si era mostrata piuttosto insofferente verso le
tradizioni maschiliste del suo regno.
E c’era sempre la possibilità che EED non fosse una
sequenza di iniziali. Ma al di là di quello non avevo contemplato altre piste,
e di conseguenza continuavo a brancolare nel buio. “Grazie, Sylphiel.” Mi
limitai comunque a replicare, senza esprimere le mie perplessità. “E per il
resto, a Talit va tutto bene?”
Sylphiel annuì frettolosamente. “Per ora, sembra
tutto nella norma. Da quanto ho capito da Derek-san, le truppe si stanno
riorganizzando. Non so quale sia la strategia, però.” Sospirò. “Derek-san non è
stato accolto molto bene dal Lord Gabriev. Pare che alla fine lo abbia
perdonato, ma lui ora usa molta cautela, anche con me. E non ho molte altre
fonti di informazione, qua dentro. Sono pur sempre un’estranea.”
Annuii. Non c’era molto da replicare. “Lina – san,
ora devo andare.” Proseguì Sylphiel. “Sono chiusa nei bagni della biblioteca
del tempio, e non vorrei destare sospetti. Se scoprirò qualcosa di nuovo, te lo
farò sapere.” Esitò. “State attenti.”
Non ebbi il tempo di assentire. Un istante dopo, il
volto di Sylphiel era scomparso.
Amelia avanzò alle mie spalle. “Nessuna novità, eh,
Lina –san?”
Scossi la testa, pensierosa. Restava solo il
laboratorio. Pregai che mi offrisse una pista, perché in quel momento non avevo
davvero idea di dove sbattere la testa. Avevo sperato che almeno Bastian si
facesse rivedere nel corso della notte, ma non era tornato. Ero preoccupata. Se
Dorak ci aveva mentito ed era davvero in grado di usare la magia, al cavaliere
poteva anche essere successo qualcosa di grave.
Con un sospiro, mi volsi, e osservai Gourry smuovere
le braci ormai spente con l’attizzatoio arrugginito, per cancellare le ultime
tracce della nostra presenza. Levò la schiena e ci scambiammo una silenziosa
occhiata, prima di avviarci allo scalone. Sapevamo entrambi che il laboratorio
era la nostra ultima spiaggia. Oltre a quello, ci restava solo l’impasse: una
prospettiva persino peggiore che viaggiare costantemente minacciati da un
assassino invisibile.
“Preferisco che tu non entri nel laboratorio,
Gourry.” Dichiarai, una volta che fummo in cima alle scale. Il corridoio e le
stanze apparivano molto meno lugubri, nella luce del mattino. “Non ci
separeremo.” Lo rassicurai, alla sua occhiata contrariata. “Ma dovrai fermarti
all’ingresso. Ho paura che ci siano oggetti pericolosi. Amelia se ne
accorgerebbe, ma tu non sapresti riconoscerli.”
Gourry annuì, lentamente. “Allora resterò fuori dal
passaggio, a fare la guardia.” In effetti, sarebbe stato complicato anche farlo
scendere nel tunnel. Il passaggio era decisamente scivoloso, e c’era spazio
solo per una persona. Portandolo giù con la magia avrei rischiato di far
rompere l’osso del collo a entrambi.
Precedetti Amelia nella stanza del passaggio, e
tastai nel camino sino a far scattare l’apertura. Vedendo quanto era stretto e
buio il tunnel, anche alla luce del giorno, un leggero brivido percorse la mia
spina dorsale. Non potevo credere di essere precipitata là dentro, la notte
prima, senza avere avuto come minimo un infarto. Presi un respiro, e mi calai
nell’oscurità, venendo immediatamente avvolta dal tanfo di chiuso e umidità.
Atterrai con leggerezza sulla pietra dura del fondo, aiutandomi con la magia.
Là sotto la luce non arrivava, e quando mi trovai di fronte alla porta da cui
si accedeva alla stanzetta rettangolare che avevo scovato la notte precedente
dovetti evocare un Lighting, prima di far scattare la serratura. Attesi che
Amelia mi raggiungesse, e aprii lentamente la porta.
Lasciai scivolare la sfera di luce fino al soffitto
in modo che illuminasse gli scaffali che ricoprivano le pareti, e la stanza
emerse dalle tenebre, in una cupa penombra. Alla nostra vista comparvero file
di libri dai titoli più disparati, e per lo più assurdamente antichi. Qua e là
troneggiavano ampolle e pugnali e altri oggetti utili a compiere esperimenti.
Al centro della stanza era posizionato un tavolo, e un altro era poggiato alla
parete opposta alla porta, sul lato corto della stanza. Nella fretta, la sera
precedente non l’avevo nemmeno notato.
Amelia tossì lievemente. “Quanta polvere.” Si lamentò,
infastidita.
Era vero. Alcuni scaffali sembravano intonsi da
secoli, per quanto erano ricoperti di sporco e ragnatele. Altri sembravano
essere stati praticati più di recente, e sul tavolo centrale avrei potuto
passare un dito, e ritrarlo quasi completamente pulito. Di certo, qualcuno
aveva messo piede lì dentro di recente. Ma quel laboratorio, da quanto
esisteva? Era stato allestito da poco in quella che originariamente era solo
una stanza nascosta? O esisteva già nella vecchia residenza dei duchi?
“Cosa cerchiamo?” Domandò Amelia, guardandosi
attorno. Sembrava terribilmente in agitazione.
“Cosa c’è?” Domandai, accigliandomi.
“Non lo so.” Replicò, rabbrividendo. “In questo
posto c’è qualcosa di… inquietante. E’ solo istinto, ma…”
Ma Amelia ormai era una sacerdotessa esperta, e di
solito il suo istinto non sbagliava.
Istintivamente, rabbrividii a mia volta.
“Concentriamoci su quelli che sembrano oggetti
personali. Qualunque cosa possa suggerirci a chi appartengano queste cose.”
Feci violenza a me stessa, con quella replica. Molti dei testi raccolti là
sotto mi allettavano, e avendo ore a disposizione mi sarei dedicata a
sfogliarli. Ma eravamo di fretta, e dovevamo concentrarci su quanto ci serviva
realmente. Mi chiesi se fosse il caso di portare via i libri più rari, ma
immediatamente scacciai quell’idea. Ero avventata, sì, ma non mi sorrideva
particolarmente l’idea di mettermi a rubare nel laboratorio di un esperto in
malefici.
Purtroppo, non trovammo altri testi redatti a mano,
o simili palesi indizi su chi potesse aver scritto il diario. Sulla maggior
parte degli oggetti le iniziali EED erano incise in eleganti caratteri dorati,
con ostentazione sufficiente a rendermele irritanti dopo un paio di occhiate.
Rabbiosa, priva di risorse, dovetti, malgrado ogni
mia intenzione iniziale, concentrarmi sui titoli dei libri. Come la sera
precedente, ne riconobbi molti, e notai che si trattava soprattutto di testi
che parlavano delle forme di magia più elementari. La magia demoniaca, la magia
dei draghi. Numerosi testi su maledizioni spesso ai limiti delle capacità
magiche umane. Chiunque avesse raccolto quella montagna di informazione doveva
essere interessato ai poteri superiori.
Oppure…
Un nuovo brivido mi attraversò, quando la mia mente
elaborò un’ipotesi che era spaventoso anche solo contemplare come possibile.
Amelia dovette accorgersi del mio sussulto, perché
volse la testa in mia direzione. “Lina-san?”
Non le risposi. Con foga, mi avvicinai agli scaffali
e rilessi i titoli dei testi, realizzando per la prima volta perché così tanti
fra di essi, nonostante fossero tanto rari, mi risultassero familiari. Non era
una semplice coincidenza. La persona che li aveva raccolti stava seguendo lo
stesso percorso di ricerca che io avevo adottato… quando avevo appreso
dell’esistenza del Giga Slave.
La magia del Caos. Qualcosa di puro, ed elementare.
Qualcosa che fondeva in sé l’aspetto più grezzo e fondamentale delle diverse e
opposte forme di magia. Il potere che comprendeva tutti gli altri, e al
contempo li trascendeva…
Una persona che si era rivelata così pericolosa…
stava conducendo ricerche su quel genere di potere?
“Lina- san?” Il tono di Amelia si era fatto
preoccupato, ora. Mi resi conto che mi stavo sorreggendo inconsciamente a una
delle sedie che circondavano il tavolo. Non potevo vedere il mio volto, ma
sapevo che dovevo essere impallidita.
“Lina?” Sentii la voce di Gourry, debole, provenire
dall’apertura del caminetto. “Amelia? Che sta succedendo?”
“Comincio a sospettare…” Replicai, in tono flebile.
“… quale sia il contenuto di quel diario.”
Amelia batté le palpebre. “Lina-san?” Ripeté,
evidentemente senza comprendere.
“Lina? Lina, è tutto a posto?” La voce di Gourry
continuò a chiamare, dall’alto. Evidentemente, non era riuscito a sentire la
mia replica sussurrata.
“Usciamo di qui.” Intimai. L’aria nel laboratorio si
era fatta improvvisamente soffocante.
Amelia mi parve perplessa, ma non obiettò. Mi
diressi allo stretto passaggio, ed evocai la Levitazione senza voltarmi
indietro. Quando emersi nella luce del mattino, dovetti prendere alcune lunghe
boccate di aria fredda, prima di riuscire a parlare nuovamente.
“Lina… sei, uhm, verdognola.” Commentò mio marito,
col solito (scarso) tatto. A dispetto di tutto, riuscii a rivolgergli
un’occhiataccia.
“Sospetto che quel diario non sia uno scritto
personale.” Dichiarai, senza degnarlo di una risposta. “Piuttosto, il resoconto
di una lunga serie di esperimenti e ricerche.” Scrutai con la cosa dell’occhio
Amelia, che stava emergendo dal camino, le sue vesti bianche chiazzate di
verdognolo, là dove aveva sfiorato le umide pareti del passaggio.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che chi sta conducendo esperimenti,
laggiù, ne abbia di certo bisogno. Sta indagando una materia decisamente
complicata. Parlo per esperienza personale.”
Come prevedibile, Gourry batté le palpebre, senza
capire. Ma dopo avermi fissata per un momento con espressione confusa, Amelia
parve essere colpita dalla comprensione con la forza di uno schiaffo in viso.
“Lina- san! Vuoi dire che…?”
Annuii. “Sì. Penso stia facendo ricerche sulla magia
che fa appello a Lord of Nightmares.”
Quella spiegazione era sufficientemente esplicita
anche per Gourry, evidentemente, perché mio marito sussultò. “Lord of… aspetta
un momento! Vuoi dire quell’incantesimo?”
Amelia e Gourry si scambiarono uno sguardo
terrorizzato. Io, che avevo già metabolizzato l’idea, mi limitai a sospirare.
“Grandioso, eh? Mancava all’appello uno psicopatico con la passione per lo sperimentare
che sta studiando come mettere in atto un incantesimo che può distruggere
l’intero universo.”
“Beh… detta con quel tono qualsiasi prospettiva
apparirebbe terrificante.” Disse Gourry esitante, provando a sdrammatizzare.
Era degno solo di ricevere un’altra occhiataccia.
Amelia non sembrava altrettanto in vena di
minimizzare. Il suo sguardo era acceso di rabbia e determinazione. “Una cosa
del genere… non posso permetterlo. Come principessa e paladina della giustizia,
non posso permetterlo. Come se non bastasse già Lina a brandire quell’arma in modo
del tutto privo di coscienza.”
‘Uhm… Amelia, ti ricordo che sono proprio davanti
a te.’
Sospirai, nuovamente. “Comunque, sospetto che il
misterioso studioso non sia ancora giunto a grossi risultati. Per quanto ho
potuto vedere della sua libreria, gli mancano alcune informazioni
fondamentali.” Di certo non sapeva recitare la forma completa dell’incantesimo,
a meno che non avesse consultato una copia della Claire Bible. E probabilmente
non aveva messo mano nemmeno ad alcuni dei testi necessari per apprendere la
forma incompleta del Giga Slave che io ero stata in grado di lanciare prima del
mio viaggio sui monti Kataart. Si trattava di opere di cui probabilmente non
esistevano altri esemplari, dopo che io avevo distrutto le mie copie. Sì, le
avevo distrutte. Dopo che incautamente avevo provato l’incantesimo su una
spiaggia vicino al mio paese natale, privandola totalmente della sua
vegetazione e della sua fauna. Per quel che ne sapevo, era ancora completamente
brulla. E ci erano volute settimane prima che io mi riprendessi
completamente. Se ci ripensavo ora, mi venivano i brividi nel rendermi conto di
fino a che punto ero stata folle. Ma anche allora avevo provato la mia
bella dose di paura, rendendomi conto di quanto esattamente fosse potente
quella… cosa. In parte per gelosia della mia conoscenza, in parte per una forma
di recondito intuito, avevo deciso di compiere l’unico gesto che fosse in mio
potere mettere in atto per evitare che qualcun altro arrivasse a padroneggiare
quella formula.
E ora, pensare che qualcuno, probabilmente privo di
senno quanto, se non più di quanto lo ero stata io, stesse tentando lo stesso…
fui percorsa da un brivido. Mi tornarono in mente le immagini che Aqua mi aveva
mostrato attraverso il monolite nero, nel tempio di sabbia, prima che Garv
venisse allo scoperto. Una voragine nera, che inghiottiva tutto ciò a cui
tenevo… Se avessi avuto la certezza che qualcuno fuori dal mio controllo era in
potere di causare qualcosa del genere, probabilmente non sarei più riuscita a
chiudere occhio per il resto dei miei giorni.
E dire che non avrei avuto diritto di indugiare in
quei timori. Non io, che una volta avevo accettato di sacrificare il mondo
intero, perché ai miei occhi aveva meno valore dei miei personali desideri…
Levai lo sguardo su Gourry, che lo ricambiò,
preoccupato. Diritto o no, dovevamo fare qualcosa. Se anche mio marito non
fosse stato colpito da quella maledizione…
“Dovrei scrivere di nuovo a mio padre, e informarlo
anche di questo.” Mormorò Amelia. “Se è un membro della famiglia reale di
Elmekia a condurre queste ricerche… questa questione diventa anche una
questione di stato.”
Volsi la testa verso di lei. Era vero. Non avevo
pensato alle cose in quella prospettiva, ma c’era una guerra in corso. E se
quegli studi fossero stati sviluppati come un’arma? Se in realtà fossero state
più persone a essere coinvolte?
Ma noi non eravamo in grado di metterci in contatto
con Phil, in quel momento. Non avevamo nemmeno fatto in tempo a ricevere la sua
risposta, prima che Bastian sparisse. E allora, qual era la cosa più giusta da
fare? Dovevamo andare a Sailune? In fondo a Elmekia non avevamo più una pista
precisa da seguire. Però, il pensiero di allontanarmi da lì, dove ero tanto
vicina a ciò che stavo cercando, quando Gourry ancora non era guarito…
“Sarebbe utile sapere cosa esattamentel’autore
del diario abbia scoperto.” Osservai. “Anche per farlo sapere a Philionel. Se
anche non ha raccolto informazioni sufficienti per lanciare il Giga Slave, la
maledizione che ha utilizzato è il segno del fatto che è entrato in possesso di
conoscenze pericolose, che anche a me sfuggono. Ci sono… limiti che io non ho
valicato, nelle mie ricerche, nonostante mi sia spesso spinta vicino ai confini
di quanto sia comunemente considerato lecito. Ma non tutti condividono
l’opinione ufficiale delle Gilde su quanto sia eticamente accettabile per un
mago… nemmeno all’interno delle Gilde stesse.” Scrutai in volto i miei due
compagni, pensierosa.
“Ma se non sappiamo nemmeno chi sia
l’autore…” Incalzò Amelia.
“Forse la cosa più utile da fare sarebbe proseguire
le indagini a Talit.” Dichiarai, dopo un istante. Chi aveva creato quel diario
poteva essere la stessa persona che aveva messo sulle nostre tracce
l’assassino. E probabilmente il luogo in cui avremmo potuto trovare entrambi
era proprio la Perla. “Ma come potremmo entrare in città, ora come ora? Se
anche io non fossi ricercata, e Gourry non fosse il figlio di uno dei generali,
e tu non fossi la principessa di Sailune… i controlli saranno triplicati, in
tempi come questi. Mi chiedo se Sylphiel, dall’interno, potrebbe aiutarci…”
Gourry storse il naso. “Tanto per informazione…”
Esordì, in tono scontroso. “… qualunque cosa accada, io non mi vestirò
da donna.”
Soppressi una risata, la prima della mattinata. “Che
malfidente. Non avevo ancora nemmeno menzionato l’idea di camuffarci.”
Gli occhi di Gourry si ridussero a fessure. “Con te
è sempre il caso di mettere le mani avanti.”
Emisi un sospiro. “In ogni caso, suggerirei come
prima cosa di andarcene di qui. Se chi frequenta questo posto non si è reso
conto che qualcuno è venuto qui a ficcare il naso, vuol dire che abbiamo un
vantaggio. Non è il caso di rischiare di farci sorprendere.” Riflettei per un
momento. “Una volta giunti a valle, potrei provare a ricontattare Sylphiel.
Tanto per capire se esiste un modo per intrufolarci in città senza essere
scoperti.” E se la risposta fosse stata un no categorico, Sailune avrebbe
potuto essere un’alternativa da contemplare.
Uscimmo da dove eravamo entrati, muovendoci silenziosamente
fra le fredde mura. Giunti all’imboccatura del corridoio in pietra, allungai la
mano verso mio marito, che la afferrò, squadrandomi perplesso.
“Lina…?”
“Ray Wing!” Recitai, senza dargli il tempo
aggiungere altro. Emise solo un grido strozzato, mentre lo trascinavo
attraverso gli edifici diroccati, verso il muro d’alberi ai margini della
vecchia città. Evitai un paio di tronchi, prima di atterrare, soddisfatta, in
un piccolo spiazzo coperto di neve.
“Niente impronte nelle vie della città!” Dichiarai,
in tono allegro. “Devo dire che sono davvero un genio.”
Mio marito emise un gemito strozzato, prima di
sibilare, a voce più acuta del solito. “Non puoi avvisare prima di lanciare
quel coso?”
Ridacchiai, mentre Amelia atterrava al nostro
fianco, e sospirava. Ormai era abituata a quel genere di scene. “Che strada
prendiamo, per scendere? La stessa dell’andata?”
“Direi di sì.” Replicai. “La strada principale è
troppo esposta.” Avremmo dovuto muoverci in fretta, per non rischiare di essere
sorpresi dal buio. Bastian ci aveva guidati con sicurezza, all’andata, ma io
non ero certa di non perdermi. Avremmo avuto bisogno di più cautela.
Mi rabbuiai, al pensiero del cavaliere. Chissà dove
era finito. Quando guardavo Gourry in volto, e ricordavo le sue parole della
notte precedente, i miei sentimenti si placavano temporaneamente. Ma bastava un
dettaglio che mi ricordasse il cavaliere, e la mia mente cominciava ad
altalenare schizofrenica fra la certezza della sua fedeltà, e la conseguente
preoccupazione, e il dubbio del suo tradimento, e la conseguente rabbia livida
nei confronti di me stessa.
Avanzai, in modo da precedere Gourry e Amelia ed
evitare che mi vedessero in volto. Rimasi nel perimetro del bosco, aggirando la
città in direzione dell’arco di accesso attraverso cui eravamo entrati la notte
precedente. Non pensavo realmente alla strada, persa nelle mie riflessioni.
Forse per questo, non mi resi conto del cumulo di neve e stracci, prima di
rischiare di inciamparci sopra. Incespicai, stupita, urtandolo.
“Co…?” Abbassai lo sguardo, indietreggiando
d’istinto, e andando a sbattere contro Gourry. Mio marito mi afferrò per le
spalle, e si sporse per vedere cosa mi avesse tanto sorpresa. Lo sentii
trasalire, all’unisono con Amelia. Il cumulo – o meglio il corpo- aveva appena
emesso un gemito.
La mia mente prese a vorticare con un ritmo tanto
frenetico che il mio raziocinio mi lasciò per un istante. Associai
immediatamente quell’ammasso irriconoscibile, abbandonato al riparo di un
tronco e parzialmente coperto di neve, a capelli biondi, occhi scuri e
penetranti, e morbide vesti nere. Solo quando udii un nuovo gemito, roco,
raschiante, provenire da labbra troppo carnose mi resi conto che non si
trattava della persona che avevo temuto di vedere. Si trattava di Dorak.
Rimasi sbigottita, per un istante. Quindi il fiato
tornò a circolare nei miei polmoni. “A… Amelia!” Riuscii a biascicare.
La principessa annuì, e si fece immediatamente
avanti. Non capivo cosa stesse succedendo, ma non sapevamo ancora con assoluta
certezza che Dorak fosse nostro nemico. Di certo, lasciarlo morire non ci
avrebbe aiutati a scoprirlo.
“Dovete aiutarmi a girarlo!” Sibilò la principessa.
Il gigantesco corpo del mercenario era prono al
suolo, e non c’era nessuna ferita visibile sulla sua schiena. Ma alle sue
spalle si intravedeva una scia di sangue, solo parzialmente ricoperta dalla
neve che era caduta nella notte. Doveva essersi trascinato fin lì, ed essere
rimasto sdraiato per ore, incapace di avanzare oltre. Mi chiesi come potesse
essere ancora vivo. La sua pelle era bluastra e gelida, i capelli folti erano
zuppi e appiccicati alla sua testa squadrata. A meno che non fosse un incrocio
con un troll, o qualcosa del genere (il dubbio non mi aveva mai sfiorata,
prima, ma improvvisamente lo trovai possibile), lo spesso manto di pelliccia
che indossava e il suo fisico possente dovevano avergli, incredibilmente,
permesso di sopravvivere anche in quelle condizioni.
In tre, e con notevoli sforzi, riuscimmo a girarlo
sul dorso. I suoi occhi erano vuoti, persi in qualche delirio generato dal
dolore. Sul suo stomaco era aperto un orribile squarcio, una ferita che non
poteva essere stata generata da una spada. Sembravano … artigli. Gliela aveva
procurata un essere umano? Sembrava piuttosto che fosse stato aggredito da un
animale selvatico…
Con lo spirito pratico del guaritore, Amelia si
inginocchiò immediatamente su di lui, senza lasciarsi impressionare. Nonostante
il sangue si fosse mischiato alla neve, il suo odore metallico giunse lo stesso
alle mie narici. Era una cosa che dopo anni di battaglie continuava a
disgustarmi… come era normale e sano che fosse. Anche mio marito si coprì bocca
e naso col dorso della mano.
Amelia si morse il labbro. “Non sono certa di poter
fare ancora qualcosa per lui.”
Non me ne intendevo quanto lei, ma non era difficile
pensarlo. Certo, il Resurrection era in grado di recuperare per i capelli anche
persone che si trovavano a un passo dalla morte. Lo aveva fatto con me, una
volta. Ma una operazione del genere avrebbe ridotto allo stremo delle forze il
più esperto dei sacerdoti. E Amelia non aveva concentrato i suoi studi
unicamente sulla magia di guarigione.
La principessa scelse comunque di provare. La udii
recitare in tono sommesso una formula, le dita protese verso il corpo
martoriato del guerriero, e dalle sue mani fluì una soffusa luce bianca. Prima
che potesse iniziare a rimarginare il taglio, tuttavia, Dorak parve
parzialmente riaversi. I suoi occhi si spalancarono, ed emise un gutturale
gemito. Le dita della sua mano destra si strinsero convulsamente attorno al
polso di Amelia.
“No… non…” Sibilò, le parole intrise di dolore. “Non
fidatevi di… aaaaargh!!!” Il suo viso si contrasse in una smorfia. Lasciò il
braccio di Amelia, e si coprì il viso con le dita rattrappite per il gelo, ogni
suo respiro denso di un’agonia indescrivibile.
Mi sentii impallidire. “Che… che gli succede?”
Amelia si limitò a scuotere la testa, terrorizzata.
Dorak prese qualche respiro e parve riaversi, momentaneamente. “Il cavaliere,
Bastian… lui è…” Gemette. “… con i draghi…”
“Dorak- san, non sforzarti di parlare.” La voce di
Amelia, ora, lasciava trapelare la sua paura. Pareva lottare per non ritrarre
le mani, tremanti. “Lascia che…”
Ma il mercenario prese ad agitarsi convulsamente, in
preda a un nuovo accesso di dolore. Rischiò di colpire Amelia, e io la afferrai
all’ultimo, trascinandola indietro, prima che una delle sue enormi mani le
spezzasse il collo. Incespicai, e entrambe capitombolammo a sedere al suolo. La
principessa si afferrò a me, con foga. “Lina- san, cosa… cosa possono avergli…”
Non ebbe il tempo di terminare. Dorak parve
improvvisamente strozzarsi nel suo stesso grido. I suoi occhi tornarono ciechi,
la sua schiena si inarcò, e ognuno dei suoi muscoli possenti parve contrarsi
contemporaneamente. Un istante dopo, aveva cessato di muoversi.
Il silenzio tornò a saturare la foresta, troppo
all’improvviso. Era stato tutto assurdamente… inaspettato. Continuai a
stringere, convulsamente, il braccio di Amelia. Dorak… non mi piaceva. Ma trovarmi
di fronte il suo corpo senza vita… lui, che con quel suo “tesorino”, con i suoi
modi noncuranti, aveva sempre avuto l’aria di uno di quegli uomini che potevano
attraversare qualsiasi cosa senza esserne distrutti…
In quella faccenda, poteva accadere di perdere la
vita. Due uomini che avevano incrociato il mio cammino erano già morti, e una
maledizione terrificante pendeva sulla testa della persona che mi era più cara.
Me ne ero resa conto veramente, prima di quel momento?
Certo che me ne ero resa conto. Ero stata
terrorizzata, scoprendo quel marchio sulla mano di Gourry. Però… però…
Anche Gourry ai miei occhi, fino a quel momento, era
stato, in un certo senso, indistruttibile.
“Cosa è stato?” Sibilò Amelia, la prima, fra noi, a
riprendere fiato. “Aveva del veleno in corpo? Cosa poteva farlo soffrire… a
quel modo?” Le sue mani tremavano ancora.
Non potevo risponderle. Tutti i miei sensi erano
catturati dalla visione degli occhi spenti di Dorak.
“Lina.” La
voce di Gourry, quieta, mi richiamò alla realtà. Sentii la sua mano sulla mia
spalla, e, come di riflesso, lasciai andare la principessa. Amelia non parve
nemmeno accorgersene.
“Lina.” Ripeté mio marito, in tono forzatamente
calmo, afferrandomi di peso per farmi rialzare. “Guarda quelle ferite.”
Dovetti farmi violenza, per riportare lo sguardo
sullo squarcio nello stomaco di Dorak. La mia impressione iniziale venne
riconfermata. Artigli, assurdamente spessi. Nessun’arma maneggiata da un essere
umano avrebbe potuto dilaniarlo a quel modo.
Il mio sguardo incrociò quello di Gourry, sopra la
mia spalla, e non ebbe bisogno di dirmi quello che pensava. I miei ricordi
focalizzarono l’immagine di Bastian che ci veniva incontro, nelle steppe di
Elmekia, in sella a un drago nero.
“Cosa intendeva dire…?” Amelia proseguì, incurante
di quello scambio, ma come in accordo con i miei pensieri. “Non dovremmo
fidarci di Bastian? Io credevo che fosse lui a seguirci per…” Scosse la
testa. “E poi, cosa c’entrano i draghi?”
Mi portai le mani al viso, mentre una nuova ipotesi
prendeva forma nella mia mente. “Non può essere.” Mormorai, la voce strozzata.
Amelia riuscì per la prima volta a distogliere lo
sguardo dal mercenario. “Cosa?” Chiese, nervosamente.
“Noi…” Deglutii. “Noi abbiamo sempre dato per
scontato che un assassino ci stesse seguendo… ma…”
“Ma cosa, Lina-san?”
“Chi ci dice che in realtà… non fossero due?”
Gourry mi lanciò un’occhiata, senza capire. “Due?”
Annuii, la bocca semi nascosta dalle mani. “Mettiamo
che Derek e Bastian fossero d’accordo, sin dall’inizio.” Sibilai, stupendomi di
quanto riuscissi a mantenere calma mia voce. “Per qualche motivo non hanno
cercato di aggredirmi che dopo che ti ho liberato, ma lasciamo perdere le loro
motivazioni, per il momento. Il loro comportamento avrebbe senso. Una volta
visto che non era semplice sorprenderci, hanno deciso di depistarci, facendo
sparire Dorak e spostando i sospetti su di lui, in modo da poter continuare a
colpirci, uno dall’interno e uno dall’esterno del gruppo. Un piano
intelligente.” Abbassai gli occhi. Non riuscivo nemmeno a essere stupita. Gli
indizi erano lì, tanto evidenti da farmi avvertire unicamente il peso della mia
stupidità. Bastian, che si era accordato col capovillaggio a mia insaputa,
accettando di accollarsi il peso di Dorak. Il fatto che Dorak si fosse trovato
proprio sull’isola di Meghar, la mattina in cui eravamo partiti… non capivo il perché,
non conoscevo i dettagli… ma ora tutto sembrava straordinariamente chiaro.
“Stai dicendo che per tutto questo tempo hanno finto
ostilità, mentre in realtà collaboravano segretamente?” Il tono di Gourry era
incredulo, al limite dello scetticismo. Ma non era precisamente quello che
intendevo.
Volevo dire, forse Bastian non aveva nemmeno
mentito. Forse lui e Dorak si detestavano sinceramente, forse il cavaliere mi
aveva raccontato realmente la storia della sua vita, mentre mi parlava di sé,
nella grotta. Forse si era trovato ad agire a quel modo per adempiere a un
obbligo, o per qualche altro motivo pressante, contro i suoi stessi desideri.
Ma anche se era andata così… il risultato comunque non cambiava.
“Ma… Lina-san, se erano alleati… perché Dorak
sarebbe qui… così? E, insomma, ci ha persino messi in guardia contro
Bastian…”
“Chissà, forse Dorak è stato tradito da Bastian,
all’ultimo.” Replicai, in tono piatto. “Lui, o il drago che era con lui. Perché
questo di certo non l’ha fatto il cavaliere.” Lanciai un’occhiata al corpo
senza vita del mercenario. “Forse se ne sono liberati perché non era più utile,
o per qualche dissidio personale…” Io conoscevo perfettamente alcuni dei
possibili motivi. “Chissà dove lo hanno colpito, perché noi non ci accorgessimo
di nulla. Deve essersi trascinato fin qui per avvisarci, dopo essere stato
ferito a morte… ed è arrivato così avanti, probabilmente,spinto solo dall’odio per chi lo aveva
tradito.” La mia voce era ancora innaturalmente calma. “Chissà dove sarà
Bastian, ora. Chissà se immagina che Dorak è sopravvissuto e ci ha messi in
guardia.” I miei occhi si strinsero. Mi auguravo che non cercasse di
raggiungerci nuovamente, fingendo che nulla fosse successo. Non avrebbe trovato
l’accoglienza che si aspettava.
Il mio tono di voce era neutro, ma incrociando gli
occhi di Gourry colsi immediatamente il significato del suo sguardo. Non lo
stavo ingannando.
“Ad ogni modo… ormai è certo che Bastian-san abbia
il diario, giusto?” Puntualizzò Amelia. Nessuno le rispose. Il nostro assenso
si fuse col silenzio.
“Dobbiamo seppellirlo.” Concluse la principessa,
forse rendendosi conto che l’atmosfera non era quella più giusta per discutere.
Normalmente avrei obiettato che non c’era tempo, ma in quel momento mi limitai
ad annuire, grata. Avevo bisogno di concentrarmi su un’attività che mi
permettesse di svuotare la mente, e sapevo già che camminare non sarebbe stato
sufficiente.
Trascinammo il corpo di Dorak addentro agli alberi,
sudando e ansimando nonostante il gelo, e scavammo il terreno ghiacciato con
l’aiuto della magia. Persi il senso del tempo, ma la mattina doveva essere già
inoltrata, quando terminammo il nostro lugubre compito e iniziammo la discesa
verso la valle. Mentre incespicavamo fra rami, sassi e lastre di ghiaccio, la
mia mente riuscì miracolosamente a trovare spazio per la riflessione. Non
parlammo, e ignorai testardamente ognuna delle occhiate ansiose e indagatrici
di mio marito. Ma quando infine giungemmo a valle, le mie intenzioni erano
finalmente chiare… cristalline, come l’acqua del mare che rifletteva la luce
gelida del sole pomeridiano.
Ci fermammo, ansimanti, su una spiaggia sassosa ai
piedi di una scogliera. Al riparo degli alti massicci bianchi, nessuno dalla
Perla avrebbe potuto scorgerci. Estrassi dalla tasca il rubino magico, e mi
concentrai sui suoi riflessi rossastri. Sperai che Sylphiel potesse parlarmi
immediatamente.
“Allora hai intenzione di chiedere a Sylphiel- san
un modo per entrare in città, Lina- san?” Chiese Amelia, reggendosi a una
roccia, e lanciando occhiate nervose al cielo sgombro di nubi. Aveva gli occhi
cerchiati, e l’aria esausta.
“No.” Replicai, secca. “Non sono più certa che andare
a Talit sia la soluzione migliore.”
Gourry inclinò la testa, perplesso. “Lina…” Iniziò,
cauto. “Non pensi che Bastian sia tornato con il diario in città?”
“Forse.” Esitai. “O forse no. E’ quello che voglio
scoprire ora.”
Restammo in silenzio, in attesa. Dopo qualche
minuto, la voce di Sylphiel emerse dalla pietra. Sembrava nervosa. “Lina- san,
mi dispiace, ma in questo momento non ho il tempo di…”
“Ho bisogno solo di sapere una cosa.” La interruppi,
brusca. “Bastian, il cavaliere… è tornato a Talit, che tu sappia?”
Sylphiel parve spiazzata dal mio tono sbrigativo.
“Uh… no, che io sappia no, Lina- san… ma lui non era con voi? Cosa…?”
“Sarebbe lunga da spiegare.” Tagliai corto. “Se lo
vedi in città, non riferirgli nulla del fatto che siamo in contatto, ma fammelo
sapere appena puoi. D’accordo?”
“V… va bene, Lina- san.”
Annuii. “Grazie, Sylphiel.”
“Lina – san.” La sacerdotessa si affrettò a
richiamarmi, come se temesse che troncassi la conversazione all’improvviso.
“E’… è tutto a posto?”
“Stiamo tutti bene. Vai, Sylphiel, prima che ti
scoprano.”
La sacerdotessa era evidentemente riluttante, ma,
forse per cause esterne, forse perché aveva capito che non ero in vena di
lunghe spiegazioni, si limitò ad annuire frettolosamente. Il suo volto
scomparve, e dopo un attimo la superficie lucida tornò a rimandarmi la mia
immagine.
“Ma allora… allora dove…?” Mio marito era
evidentemente confuso.
“Io… credo che dovremmo andare nelle steppe.”
Dichiarai, con solo un filo di esitazione. Nuovi tasselli si stavano
velocemente posizionando nel puzzle che aveva iniziato a prendere forma nella
mia mente. Forse, in fondo, il mandante degli omicidi non c’entrava con
l’autore del diario. Forse Bastian non lo aveva portato via per riportarlo al
suo creatore e toglierlo dalle nostre mani, ma per motivi diversi… o forse il
creatore del diario non era in effetti un membro della aristocrazia di Talit,
come avevamo inizialmente pensato (anche se ancora non mi spiegavo il perché
recasse il simbolo dei Darland, in quel caso). Non avevo ancora risposte certe,
riguardo a quel punto, ma sapevo che entrambi gli uomini che avevano minacciato
la mia vita erano legati in qualche modo al villaggio degli Enu, e che la loro
sacerdotessa aveva esplicitamente cercato mettermi in guardia contro il
pericolo in cui ero incorsa durante il mio viaggio. Cominciavo a pensare che
non fossero state le capacità profetiche a ispirare a Sybil quell’avvertimento,
ma conoscenze ben più concrete. Cominciavo a pensare che, per qualche assurdo
motivo, il capovillaggio che la sacerdotessa sembrava tanto detestare fosse
dietro alla misteriosa caccia all’uomo in cui mi trovavo coinvolta da qualche
giorno a quella parte. E probabilmente anche la comunità di draghi che
risiedeva nel suo territorio aveva qualcosa a che fare con quanto stava
accadendo. Se era così, ero decisa a scoprire il perché.
Volevo come prima cosa parlare con Sybil. Se le
autorità del villaggio volevano la mia morte, di certo non sarei stata accolta
fra gli Enu a braccia aperte. Avremmo avuto grossi problemi ad avvicinarci alla
sacerdotessa, forse saremmo stati aggrediti non appena fossimo stati avvistati…
ma era necessario fare un tentativo. Mi sarei presa a schiaffi, ora, per non
averle prestato maggiore attenzione al nostro primo colloquio. Ma oltre al mio
scetticismo, mi aveva frenato il fatto di essere stata colta così di sorpresa
dai suoimodi bruschi e imprevedibili.
Stavolta però sapevo cosa attendermi. E forse, per quanto spiacevole potesse
rivelarsi, sarei riuscita a strapparle qualche informazione in più riguardo
alle motivazioni che muovevano Bastian, e a quale fosse esattamente il suo
legame con la comunità dei draghi. Perché se davvero “era con i draghi” come
Dorak ci aveva detto, tutti i discorsi del cavaliere sul fatto di essere bravo
con quelle creature solo in quanto bravo falconiere assumevano i chiari
contorni di una bugia. Mi chiedevo se era grazie alla magia dei draghi che
Bastian era stato in grado di portare via il diario senza cedere alla sua
magia. Esisteva un modo per restarne immuni? Forse poteva essere quella la
chiave per trovare una cura alla maledizione di mio marito…
Chissà se Bastian in persona sarebbe stato al
villaggio. In sella a un drago, sarebbe arrivato là nel giro di nemmeno una
giornata. O forse avrebbe portato il diario a chiunque lo avesse ingaggiato, e
sarebbe tornato indietro a cercarmi, per finire il suo lavoro. In ogni caso,
non mi sarei tirata indietro di fronte a lui. Avrebbe dovuto rivelarmi dove si
trovava il diario, consegnarmelo, o subirne le conseguenze. C’era la vita di
Gourry di mezzo… e qualsiasi altra ragione non aveva significato, per me.
Bastian doveva saperlo bene. Come lui aveva dichiarato di essere, anche io ero
il tipo di persona disposta a qualunque mezzo, pur di proteggere le persone che
amava.
“Nelle steppe?” La voce di Gourry emerse dal vortice
dei miei pensieri. Evidentemente, non era convinto. Mi fissava come se fossi
improvvisamente impazzita. “E cosa andiamo a fare nelle steppe?”
Levai lo sguardo, a fissare il cielo. “Andiamo a
caccia di draghi.”
D’accordo… getto la spugna. XD Stavo scrivendo un super
capitolo, pieno di scottanti rivelazioni…e mi sono accorta che mi sarebbero
uscite pressappoco cinquanta pagine! XD Per cui ho ceduto alla violenza, e lo
ho diviso in due… anche perché è passato un TANTINO dallo scorso aggiornamento,
e mi chiedo se chi legge abbia ancora un’idea della storia…XD (della serie, a
volte ritornano…XDDD) Comunque, se il finale del capitolo vi pare un tantino
inconcludente non preoccupatevi, il secondo pezzo dovrebbe arrivare nel giro di
pochi giorni! ^_^ (care cuginette, avete visto che nonostante le tormente di
neve e i treni bloccati rispetto le consegne?)
Grazie come al solito a chi legge e commenta! (a
proposito… che opinioni contrastanti per lo scorso capitolo! Vedrete chi ha
indovinato, eheh…) Buona lettura!
Per
una volta nella vita, non avevo la più pallida idea di cosa Lina avesse in
mente.
Gettarsi fra le braccia degli Enu (così li aveva
chiamati, giusto?) con la quasi totale certezza che volessero ucciderci era un
piano avventato, persino per gli standard di mia moglie. Non avrei dovuto
lamentarmi, considerato che l’alternativa era andare immediatamente alla caccia
dei fantomatici draghi con cui Bastian si trovava (non che Lina avesse escluso
l’idea: chiaramente, il secondo tentativo di suicidio sarebbe seguito a un
eventuale – e improbabile – fallimento del primo), ma mi lasciava perplesso il
fatto che a Lina premesse parlare con una profetessa. Non era da lei dare peso
alle visioni di una veggente.
Forse era solo impaziente di fare qualcosa. Da
quando avevamo parlato, un paio di giorni prima, al palazzo della vecchia
Talit, il suo atteggiamento nei miei confronti era apparentemente più disteso
(fatto salvo per la mia mano; stavo cominciando a pensare di tenerla esposta
all’aria, così che dovesse smettere di chiedermi ogni due minuti se il rossore
si era esteso ancora). Ma la sua ansia di scoprire la verità era cresciuta di
minuto in minuto, facendosi tangibile a mano a mano che ci avvicinavamo ai
territori delle steppe. Persino Amelia, meno sensibile di me agli stati d’animo
di Lina, sembrava essersene accorta. Anche la principessa si era fatta più tesa
e guardinga, e aveva persino osato sfidare la determinazione di mia moglie,
avanzando un paio di volte la proposta di tornare indietro (e nessuno che non
abbia mai tentato di convincere ragionevolmente Lina a fare qualcosa può
realmente capire quanto questo sia pericoloso…).
Ma nonostante l’istinto mi gridasse che rischiavamo
di cacciarci in un grosso guaio, nonostante non riuscissi a comprendere
pienamente le scelte di mia moglie, io non mi ero opposto al suo piano. Per
dirla tutta, anche io ero impaziente di trovare Bastian. Ero impaziente di
trovarlo, e fargli capire esattamente come la pensavo sui voltafaccia e i traditori.
Non ero felice che si fosse rivelato un nostro nemico. No, a dispetto di tutto,
non lo ero. Perché per quanto questo potesse apparentemente facilitare le cose,
per me, in effetti le rendeva più complicate. Ero stupito e risentito per il
nostro grossolano errore. Lina aveva davvero un buon occhio nel
giudicare le persone, e anche il mio istinto nei confronti di Bastian non mi
aveva messo in guardia. Ma non era quello il reale problema…
Squadrai il profilo di Lina, e la osservai
rabbrividire nel mantello. Faceva freddo, quel giorno, ma ci eravamo comunque
fermati all’aria aperta, seduti all’ombra di uno smunto albero per ripararci
dal vento. Avevamo inviato Amelia, debitamente camuffata, a comprare qualche
abito e un po’ di cibo in una delle ultime fattorie che avevamo incontrato,
dando fondo alle gemme che Lina si era “procurata” dai banditi prima che
partissimo da Sailarg. Non ci saremmo propriamente travestiti, ma cambiarci ci
avrebbe resi comunque meno riconoscibili nei territori esposti delle steppe.
Soprattutto per qualcuno che ci avesse cercati dall’alto.
Lina intercettò il mio sguardo, e una punta di
preoccupazione si disegnò nei suoi occhi. “Che c’è?” Domandò, tesa. “Ti fa male
la mano?”
Mio malgrado, sorrisi. “Lina… perché se ti guardo
dovrebbe farmi male la mano?”
Mia moglie si morse il labbro. “Non scherzare.”
Mormorò. Per qualche motivo, da quando aveva visto Dorak morire, sembrava poco
propensa a sdrammatizzare la questione della mia maledizione.
Sospirai, e la strinsi fra le braccia. “Lina… sto
bene. Come ti ho detto, non mi sembra che si sia allargato, ultimamente. O
almeno, lo fa molto più lentamente.”
“Potrebbe essere un cattivo segno.” Lina poggiò la
testa alla mia spalla, e avvertii la tensione correre attraverso le sue membra
come un fluido. “Quanto meno, se Bastian ha preso il diario, probabilmente chi
lo comanda sa di cosa si tratta. Una informazione che estorceremo, in un modo o
nell’altro.”
Cercai in fretta un modo per cambiare argomento. Non
faceva bene all’umore di nessuno, pensare alla maledizione. “Senti, Lina… mi
spieghi perché esattamente ti interessa parlare con questa Sylib? Insomma… non
eri scettica su cose come la lettura del futuro?”
“Sybil.” Mi corresse mia moglie, distrattamente. “Il
fatto è che finora tutto quello che mi ha predetto si è avverato. E che abbia
realmente capacità profetiche, o che sappia più di quanto non mi ha rivelato,
mi sembra comunque una fonte di informazioni da non sottovalutare.” Mi lanciò
una breve occhiata. “In più… l’altro giorno, nell’ansia di partire, mi sono
scordata di dirvelo, ma lei e Bastian sono stati insieme, in passato. Hanno due
bambini. Di certo conosce qualcosa di lui che noi non sappiamo.”
La guardai, stupito. “Davvero?” Beh, certo che era
possibile. Ero forse convinto che Lina fosse stata l’unica a interessare mai il
cavaliere? Anche se per me era strano pensare di innamorarmi di qualcuno
di diverso, dopo avere conosciuto lei.
Lina annuì. “Me lo ha detto Bastian prima di
andarsene. Ancora non mi è chiaro perché mi abbia fornito tutte queste
informazioni su di sé, nonostante fossimo nemici.” Si accigliò. “Per qualche
motivo, non ho l’impressione che mi abbia mentito.”
“A meno che non volesse farsi rintracciare.”
Lina mi rivolse uno sguardo stupito. Evidentemente
non aveva preso in considerazione quella ipotesi. “Intendi una trappola?” Parve
considerare la cosa. “Non lo so… forse.” Scosse la testa. “Mi sento veramente
idiota, a pensare di poter interpretare ancora le sue azioni. In fondo, tutto
ciò che pensavo di lui si è rivelato sbagliato.” Abbassò lo sguardo.
Io la squadrai, mentre sprofondava nei suoi
pensieri, chiedendomi se avrei dovuto replicare. Avrebbe potuto apparire
strano, a un estraneo, ma non ero geloso di Bastian. Non lo ero ora, che le
azioni del cavaliere non lasciavano spazio a complicazioni in quel senso… ma
non lo ero stato nemmeno, non realmente, quando Lina mi aveva confessato della
loro strana relazione.
Nei primi anni della nostra conoscenza, mia e di
Lina, mi era capitato, sì, di provare gelosia. Mi era capitato spesso.
Ricordavo ancora quando un bellimbusto, un piccolo nobile di provincia, aveva
chiesto a Lina di mettere in scena con lei un finto matrimonio … dei, quanto mi
era salito il sangue alla testa, quando aveva cercato di baciarla. Più tardi, nel
corso della battaglia che era seguita alla finta cerimonia, lo avevo spinto
deliberatamentein mezzo alla lotta,
per fargliela pagare. Mentre io correvo a salvare Lina. La mia Lina.
E dire che allora non mi ero ancora nemmeno reso
conto di essere innamorato di lei. Solo quando Rezo la aveva colpita, a
Sailarg, rischiando di ucciderla, quella coscienza mi aveva investito, talmente
ovvia da lasciarmi allibito per la mia cecità. Quel concentrato di guai, in
qualche modo inspiegabile, era diventato il mio mondo. Le parole che mi erano
risuonate nella mente, vedendola precipitare al suolo dopo il colpo di Rezo,
erano ancora impresse come un marchio nella mia memoria.
‘Non Lina.’
Chiunque altro del mio gruppo sarebbe andato bene,
al suo posto. Me compreso. Volevo bene a Sylphiel, ma avevo dovuto
controllarmi, per evitare di prendermela con lei per il fatto di essersi messa
di mezzo. E avevo odiato Rezo. In quel momento, quella che fino ad allora era
stata solo una lotta per la sopravvivenza si era trasformata in una questione
personale. Sapevo che lo avrei fermato. A ogni costo.
Da quel giorno non avevo nemmeno più tentato di
negare. Ed era così che era iniziato il mio personale, irrinunciabile tormento.
Non potevo impedirmi di essere geloso, e al contempo non potevo permettermelo.
Lina era straordinaria. La gente non la considerava bella (per me lo
era), ma con il suo carisma sembrava attirare naturalmente l’attenzione delle
persone. Zelgadiss, benché fosse così cupo e restio ad avvicinarsi al prossimo,
aveva stretto con lei un’amicizia tanto solida da farmi sospettare, all’inizio,
che ci fosse sotto qualcosa di diverso. Persino Xellos, che per natura aveva
scarsa empatia con gli umani, sembrava interessato alle sue capacità. E io?
Cosa ero io, al confronto di persone del genere? Cos’ero, al confronto di Lina?
Io potevo solo ammirarla, e offrire le mie capacità per proteggerla. Godere
della nostra amicizia, della nostra vicinanza, dei nostri scherzi. Era più di
quanto avrei mai osato desiderare. La mia fonte di interesse ai suoi occhi era
la Spada di Luce, e dunque non la avrebbe mai avuta. La avrei tenuta legata a
me servendomene e in cambio le avrei regalato la mia vita, se fosse stato
necessario. Le sarei stato amico, fratello, compagno, guardia del corpo. Qualunque
cosa, purché non si allontanasse da me. Dovevo solo tenere a bada le mie
emozioni, come avevo imparato a fare con i sentimenti verso il mio passato e la
mia famiglia. Anche se scacciare i brutti ricordi era un’inezia rispetto al
celare i miei sentimenti per lei: quale memoria negativa non sarebbe
impallidita da sola, di fronte al mio presente con Lina?
Sarebbe potuta andare avanti così per sempre. Ma
poi, in un momento, tutto era cambiato.
‘Ha sacrificato tutto ciò che era… tutto, per
salvare la vita di quell’uomo.’ Era stata una semplice frase, pronunciata con
occhi freddi e in tono inespressivo, da una creatura sovrannaturale che non era
più Lina. Ma dopo averla udita, il mio mondo si era come capovolto. Non avrei
privato Lina del credito dei suoi sentimenti nei miei confronti, non dopo
quello che aveva fatto per me in quella occasione. Ero rimasto stupito,
sconcertato, nel sapere del suo gesto. Ma non lo avrei scordato. Su tutto,
quella era la cosa che non avrei mai dimenticato. Da allora avevo capito che
tanto quanto il mio posto era accanto a Lina, il suo posto era accanto a
me. Non c’era niente di più naturale. Eravamo semplicemente fatti per stare
l’uno al fianco dell’altra.
Ne avevamo parlato, rimasti soli, vinto il timore di
quello che era accaduto. Avevamo dato voce a quanto ormai era diventato chiaro
a entrambi. Il nostro rapporto non era cambiato bruscamente. Non era mutato
quasi nulla, in effetti, al di là dello strano incantesimo che sembrava averci
avviluppati, e aver reso un po’ alla volta insopprimibili istinti che
reprimevamo da troppo tempo. Ma c’era stata una nuova consapevolezza fra di
noi. Una consapevolezza che si esprimeva fugace, nel nostro sorriso, ogni volta
che il nostro sguardo si incrociava. In ogni nostro scherzo, risata o
battibecco.
Da quel momento, non avevo più potuto provare
gelosia. Non seriamente. Sapevo che Lina avrebbe continuato ad attrarre su di
sé l’attenzione del prossimo. Ma sapevo anche che qualunque relazione avesse
stretto nel corso dei nostri bizzarri viaggi sarebbe stata qualcosa di diverso
da ciò che io e lei condividevamo. Quando due notti prima mi aveva accusato,
‘come puoi pensarlo?’, avevo capito perfettamente cosa intendeva. Eravamo stati
lontani a lungo, e a lungo mi erano mancate le conferme che in ogni istante,
quando eravamo insieme, ricevevo dai suoi occhi. Ma in quel momento leggevo la
verità nel suo sguardo, lo stesso che io vestivo ogni volta che la
osservavo. Non provava amore per Bastian, e nemmeno una normale infatuazione.
La conoscevo meglio di chiunque altro, conoscevo i suoi desideri e i suoi
affetti, ed ero conscio che nel loro numero il primo posto spettava a me, a me
e a nessun altro.
Ma la presenza di Bastian mi preoccupava, comunque,
in un senso diverso. Nessuna delle persone con cui Lina aveva stretto forti
legami, né Zel, né Amelia, né Xellos la aveva mai turbata a quel modo. Quelli
erano stati tutti rapporti “sani”, mentre con Bastian… qualcosa non andava
nello sguardo di Lina, quando parlava del cavaliere. Non ero certo che lei lo
avesse compreso pienamente, ma doveva averlo intuito, a giudicare da quanto
faticoso aveva trovato raccontarmi del cavaliere. Avevo l’assurda impressione
che si sentisse in colpa, o in dovere di qualcosa nei suoi confronti… il che
avrebbe potuto essere comprensibile, per certi aspetti… la reazione di chi si
rende conto di essere amato, ma non corrisponde … eppure… eppure… avevo idea
che ci fosse qualcosa di più, sotto. Qualcosa che sembrava sconvolgere Lina più
di quanto volesse dare a vedere.
Ma non ce la avevo fatta a scavare in quel discorso.
Era stato più semplice rassicurarla momentaneamente, fingere che il problema
non esistesse. Oh, non le avevo mentito. Era vero che mi fidavo di lei.
Completamente. Mi sarei gettato nel fuoco, se lei mi avesse detto che non
bruciava. Ma sapevo che qualcosa premeva per venire a galla, e io avevo avuto
paura di farlo affiorare. Io sapevo bene come placare lo spirito di Lina. Ed
era molto più semplice stringerla a me e fingere che non ci fossero problemi,
che scoprire cosa la turbava, e affrontarlo insieme a lei.
A volte ero ottimista, riguardo alla maledizione che
mi aveva colpito. Pensavo che quel viaggio ci avrebbe portato a una soluzione e
che tutto sarebbe andato bene. Ma c’erano momenti, come due sere prima, in cui
mi colpiva la consapevolezza che poteva rimanermi davvero poco tempo da
trascorrere insieme a Lina. Il pensiero di non toccarla più, di non baciarla
più, di non provare più nessuna sensazione generata dal suo contatto, in quei
momenti mi soffocava. Un tempo ero stato un mercenario che in battaglia si
scordava della sua vita e della sua coscienza. Ma ora, ogni volta che impugnavo
una lama, lo facevo con un motivo ben preciso. Ora la mia mente era sempre
limpida, chiara, in ogni momento di veglia. Ora non volevo morire. Perché la
mia vita era Lina.
Tutte le volte che la paura di quanto avrebbe potuto
accadermi mi catturava, volevo solo abbracciare Lina, e scordarmi di ogni altra
cosa. Volevo solo trascorrere sereno, a modo nostro, quel poco di tempo che
poteva restarmi. Ma sapevo anche che affondare la testa nella sabbia non
sarebbe servito a nulla. E se davvero doveva… succedere, volevo almeno essere
certo che lei stesse bene. Sapevo che sarebbe stata devastata dalla mia
assenza. Come avevo detto, non davo così scarso credito ai suoi sentimenti da
non pensarlo. Ma se almeno fosse stata serena, sotto ogni altro aspetto…
Maledetto.
Maledetto, maledetto Bastian.
Inconsciamente, strinsi con più forza il braccio
attorno alle spalle di Lina. Mi chiesi se non fosse il momento di risollevare
l’argomento.
“Lina –saaaan!”
Sussultai. Perso nei miei pensieri, non mi ero reso
conto che Amelia si stava avvicinando. Giunta a portata d’orecchio, prese ad
agitare il braccio, per attirare la nostra attenzione. Le parole che avevo
voluto pronunciare mi si bloccarono in gola, e imprecai contro il mio scarso
tempismo.
Mia moglie mi rivolse un breve sorriso. “Pare che i
nostri maltrattati fondoschiena non debbano congelarsi, almeno per oggi.” Si
sollevò in piedi, e mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. La afferrai, e
una volta in piedi, invece di lasciarla, intrecciai le mie dita con le sue. Mia
moglie rispose alla stretta, e mi sorrise nuovamente. Ogni mia volontà di
discutere di infranse magicamente. Avrei voluto solo abbracciarla di nuovo, e
fissare in qualche modo quella espressione distesa sul suo volto, e nella mia
memoria.
Amelia ci raggiunse, e si fermò al nostro fianco,
ansimando. “Ho preso tutto, e me ne sono venuta via in fretta, come mi avevi
detto.” Abbandonò al suolo un enorme sacco ricolmo. La quantità minima di cibo
necessaria per un giorno di viaggio, per me e Lina.
Lanciai un’occhiata a mia moglie. “Esattamente,
quanto tempo ci vuole da qui per arrivare al villaggio?”
Lina scosse la testa, avvicinandosi al sacco per
estrarre i nostri nuovi mantelli. “Non ne sono del tutto certa, ma credo che
potremmo arrivare lì al tramonto. Quando ho viaggiato con Bastian è stato
l’ultimo posto in cui ci siamo fermati prima di avventurarci nelle steppe, per
cui in linea d’aria non deve essere molto lontano. Quella volta ci eravamo
mossi più a est, però. Credo che dovremmo puntare tutta a est ed evitare di
deviare troppo a sud, per non mancarlo.” Fece una pausa, esaminando il
contenuto del sacco. “Oh, non ci posso credere, salsicce! Non ti ringrazierò
mai a sufficienza, Amelia!”
Levai un sopracciglio, per una volta non distratto
dal cibo. “Non è che ci stiamo muovendo senza sapere dove dirigerci
esattamente, vero?”
Lina levò lo sguardo e mi riservò un’occhiataccia.
“Ecco tutta la fiducia che hai nel mio talento come viaggiatrice.”
Sospirai. “Meglio che facciamo colazione, prima che
il tuo umore da stomaco vuoto diventi una minaccia per la mia salute.” Rivolsi
lo sguardo alla principessa. “Ti senti bene, Amelia? Sembri stanchissima.”
Amelia parve riaversi da un sogno a occhi aperti, e
mi rivolse un sorriso. “Sì, grazie, Gourry- san. Quel sacco era davvero
pesante.” In effetti, era enorme. A volte mi stupivo di come quella ragazza
apparentemente gracile avesse ereditato la forza erculea del padre.
“Mangia qualcosa anche tu, ti sentirai meglio.” La
incitò Lina. “Mi spiace di averti lasciata andare da sola, ma Georg o Erianna
potrebbero aver fatto distribuire dei manifesti con le nostre taglie. Finché
siamo così vicini a Talit, è meglio non correre rischi.”
Amelia rabbrividì. “Per fortuna non siamo braccati
come quando era Rezo a darci la caccia. E’ stato davvero esasperante.”
Sorrisi, al ricordo. Oh, sì, lo era stato, davvero.
Ma a posteriori non riuscivo a ricordarlo come spiacevole. Nessuno dei miei
viaggi con Lina lo era stato.
Io e mia moglie demmo il via alla nostra consueta
lotta. Mangiammo in fretta, e ci rimettemmo in cammino verso metà della
mattinata. L’aria era frizzante ma non fredda in modo fastidioso, almeno finché
continuavamo a camminare. E con lo stomaco pieno riuscivo a vedere le cose
sotto tutta un’altra prospettiva. In fondo, forse sarebbe andato tutto bene.
E in effetti, il viaggio proseguì senza intoppi. Non
era ancora sceso il crepuscolo, quando avvistammo il villaggio. Riposava
pacifico nella polverosa brezza del tardo pomeriggio, e aveva l’aria di essere
il luogo più sicuro ed accogliente del mondo.
“Cosa facciamo adesso?” Domandò Amelia, scrutando
con nervosismo visibile le case silenziose.
“Avanziamo nel villaggio e cerchiamo la
sacerdotessa. E se ci attaccano, facciamo saltare tutto per aria.” Il tono di
Lina suonava tutt’altro che rassicurante.
Trattenendomi dallo scuotere la testa, la precedetti
verso l’ingresso del villaggio. Per proteggere gli abitanti da lei, piuttosto
che il contrario.
Le strade sterrate all’interno sembravano deserte.
Le gente non si trovava al lavoro nei campi – per quanto strano fosse a
quell’ora – e dalle abitazioni non giungevano i consueti rumori e profumi che
accompagnavano la preparazione della cena. Ma mentre avanzavamo lungo la strada
principale, un brusio vago si diffuse nell’aria, e si trasformò in un coro di
voci sempre più distinto. Ne scoprimmo la fonte non appena raggiungemmo la
piazza principale. Quella che poteva essere l’intera popolazione del villaggio
era radunata laggiù, in una sorta di assemblea, di fronte a un seggio in legno
rialzato coperto da un baldacchino. Da lì, un uomo dall’aspetto tozzo e dalla
pelle olivastra stava parlando a una donna di mezza età, dai lunghi capelli
biondi, tenuta ferma per le braccia da due armati. Non comprendevo chiaramente
le sue parole, nascoste dal vociare dei presenti, ma la scena aveva tutta
l’aria di una specie di processo.
Cercai lo sguardo di Lina, e fui stupito di trovarla
con gli occhi sbarrati. Fissava la donna sottoposta a giudizio come se la
conoscesse.
“Lina?” Mormorai.
“Quella è la madre di Sybil.” Mi informò brevemente,
in un sussurro nervoso. “Che diavolo sta succedendo, ancora?”
Ne sapevo quanto lei. Scuotendo la testa, le presi
la mano e cercai di aprirmi la strada nella folla. A quel punto, in ogni caso,
non ci sarebbe comunque voluto molto prima che qualcuno ci notasse.
Fu quando raggiungemmo le prime file, fra le
imprecazioni dei presenti che avevamo urtato per passare, che uno degli armati
si accorse di noi. La sua fronte si aggrottò, e senza smettere di guardarci si
avvicinò all’uomo tozzo che presiedeva l’assemblea, per sussurrargli qualcosa
all’orecchio. La stretta di Lina sulla mia mano aumentò.
L’uomo sul seggio si volse a guardarci. “Lina
Inverse.” Risuonò la sua voce, stranamente profonda, nonostante il suo aspetto
poco imponente. I suoi occhi trovarono il volto di Lina e lo scrutarono,
sospettosi.
“Governatore.” Lo salutò mia moglie, chinando
nervosamente la testa. “Ho l’impressione di essere capitata in un brutto
momento.” Il suo sguardo saettò verso la donna prigioniera, e mi stupii nel
notare che gli occhi di quest’ultima la scrutavano velenosi.
“In effetti la nostra comunità sta attraversando
una… piccola crisi.” Anche il governatore scrutò la donna. “Non mi aspettavo di
vederti ricomparire qui, in ogni caso. Stavi fuggendo da questo regno, o
sbaglio? Non si direbbe, considerando che ti sei ripresentata ancor prima del
messo che avevo inviato in missione al tuo fianco.”
Supponevo si riferisse a Dorak. E il suo tono era
seccato, ma non particolarmente ostile. Sapeva della sua uccisione? E se aveva
davvero intenzione di vederci morti, non era il momento di intimare ai suoi
uomini di estrarre le armi?
“Lei sa!!!” Gridò all’improvviso la donna
prigioniera, prendendo a divincolarsi fra le braccia degli armati. “Ne sa più
di me, e se è qui scommetto che è colpa sua!!! Lei era con quell’individuo!”
Tutti i presenti all’assemblea parvero tacere all’unisono.
Gli occhi di decine di persone si posarono sul volto di Lina, per poi deviare
verso la donna, e ancora verso mia moglie. Amelia, al mio fianco, deglutì.
“Ehm…” Mia moglie tentennò, con l’aria di chi
avrebbe volentieri tagliato la corda. “Che… sta succedendo, esattamente?”
La voce del governatore rimase ferma, quasi
cordiale. “Succede, Lina Inverse, che la nostra sacerdotessa è sparita
improvvisamente dal villaggio, questo pomeriggio. Dopo una nottata inquieta, a
quanto mi riferisce sua madre.” Annuì, in direzione della donna. “E in effetti,
considerati i suoi trascorsi e il fatto che tu viaggiavi con un uomo da cui
Sybil avrebbe dovuto tenersi ben lontana, è una strana coincidenza, la tua
presenza in questo luogo proprio oggi.”
“E’ stato lui!” Gridò la donna prigioniera, irosa.
“Lo sapevo! Deve averla portata via! Lui voleva corromperla, sin da principio!”
“Aspettate un momento.” Mia moglie intervenne,
cauta. “Mi state dicendo… che Sybil se ne è andata?” Mi volsi ad osservarla. La
sue sopracciglia erano piegate un arco perfetto, che per qualcuno avrebbe
potuto esprimere stupore. Ma io sapevo che stava elaborando quelle
informazioni, che quella espressione significava comprensione. E come a
conferma delle mie supposizioni, impercettibilmente, i suoi lineamenti si
rilassarono. Chissà a quali conclusioni era giunta.
“Portata via, probabilmente.” Precisò il
governatore, la fronte aggrottata. “Deduco che non lo immaginassi. E dimmi,
cosa eri venuta a cercare, qui, oggi?”
“Non devi ascoltarla!” Gridò la donna prigioniera.
“Lei mente! E’ alleata con lui!”
“Volevo parlare con Sybil.” Rispose Lina,
sinceramente, ignorandola. “Volevo chiederle informazioni proprio sull’uomo di
cui state parlando. Lui… doveva aiutarmi, ma mi ha tradita. Mi ha rubato qualcosa
di estremamente prezioso.” Sentii la sua stretta sulla mia mano farsi ancora
più forte, a quelle parole.
“E hai ragione di ritenere che dopo questo furto lui
possa essere tornato qui? Essere in qualche modo venuto in contatto con Sybil?”
“Non lo pensavo. Ma alla luce di quanto ho scoperto
ora, penso sia possibile, sì.”
Il silenzio più totale pervadeva l’assemblea. Il
governatore fissava Lina, che lo fronteggiava di rimando. Persino la madre di
Sybil si era azzittita, e si limitava a squadrarci con rabbia. Amelia, al mio
fianco tratteneva il fiato.
“E hai idea di dove… Bastian potrebbe aver costretto
Sybil ad andare, Lina Inverse?”
“Ho qualche sospetto a riguardo.”
Il governatore rizzò la schiena, e lanciò una breve
occhiata all’uomo in piedi accanto a lui, alto e dal naso adunco, con strane
vesti rosse simili a quelle di un sacerdote. Quello rispose, annuendo
impercettibilmente.
“Lina Inverse… posso chiederti di seguirmi, insieme
ai tuoi due compagni? Vorrei conferire con te in privato.” Un boato di protesta
esplose dalla folla, a quelle parole, ma un’occhiata del sacerdote in rosso
bastò a zittirla. Lina si irrigidì. La sua mano prese a giocare nervosamente
con la mia.
Il governatore scese dal suo seggio e ci precedette
lungo la strada principale, verso quello che sembrava una specie di fortilizio
in legno. Lina esitò qualche istante, ma alla fine si risolse a seguirlo. Il
sacerdote ci si affiancò, insieme ad un gruppo di armati, e alle nostre spalle
sentii il brusio della folla alzarsi, nuovamente, sovrastato dalla voce acuta
della madre di Sybil. Nessuno la considerò. Ci avvicinammo in silenzio alle
porte del fortilizio, e mi attesi che venissero aperte per noi, ma non accadde.
Ci ritrovammo bloccati, il governatore, il sacerdote e le pareti di legno di
fronte e un gruppo di armati alle spalle. Resistetti alla tentazione di portare
la mano all’elsa della spada.
“No, grazie. In effetti preferiamo non accomodarci.”
Dichiarò Lina, in tono tagliente.
Il governatore la fissò, cupo. “Il mio palazzo non è
luogo da streghe.” Spiegò, in un tono che tutto pareva tranne che di
giustificazione. “E in ogni caso, questa sarà una conversazione breve. Dove
ritieni che Sybil sia fuggita, insieme a Bastian?”
Le labbra di Lina si strinsero. “Non era ‘portata
via’? Mi pareva di aver capito che le concedeste il beneficio del dubbio.”
Il governatore sbuffò. “Sua madre la ha tenuta
d’occhio per tutta la notte e per tutto il giorno. Sybil la ha drogata, per
riuscire a scappare. Dovrei vergognarmi se fossi tanto ingenuo da ‘concederle
il beneficio del dubbio’, non trovi anche tu, maga?” Lina non rispose. Il suo
volto era inespressivo, ma i suoi occhi accesi, come se le parole del
governatore fossero state un’ennesima conferma.
“E ora, Lina Inverse, rivelami quello che sai.”
“No.” Lina scosse la testa, ferma. A quelle parole,
le mani di tutti gli armati scattarono automaticamente verso la spada, ma prima
che potessi imitarli un gesto del governatore li bloccò. “Perché no?”
“Penserò io a trovare lei e Bastian.” Dichiarò mia moglie.
“Non voglio interferenze. Se sarà possibile convincerla a tornare, lo farò. E
se non lo volesse, perché dovreste costringerla? Renderebbe nota a tutti la sua
ribellione, e sareste comunque costretti a esiliarla.”
“Il villaggio ha bisogno della sua veggente. La sua
erede non ha ancora affrontato la dovuta formazione.”
Lina rabbrividì lievemente, a quelle parole.“La sua erede sarebbe sua figlia?”
Il governatore si accigliò. “Tu parli troppo e a
sproposito, Lina Inverse.”
Mia moglie esitò. “Ma dovrete sottostare alle mie
condizioni. Non ho intenzione di permettervi di seguirci. Userò la forza per
impedirlo, se necessario.”
Il governatore parve incerto. Doveva conoscere
quanto meno di fama le capacità di Lina. “Ci assicuri che farai quanto è in tuo
potere per farla tornare?”
“Credo che ci siano ottimi argomenti, qui, per farla
tornare. La sua erede e il suo gemello, ad esempio.”
“Non ne sarei così sicuro, Lina Inverse. Perché se
ne sarebbe andata, altrimenti?”
“Forse perché aveva motivi altrettanto validi per
farlo.” Quello di Lina fu solo un sussurro. Nemmeno io fui certo di averlo
udito. “Ti assicuro che farò quanto in mio potere per convincerla.” Aggiunse
poi, a voce più alta.
“Suppongo di dovermi fidare della tua parola.” Il
governatore fece un altro cenno, e gli armati arretrarono. “Uscite dal retro
del palazzo, non passate dal villaggio. Mi inventerò qualcosa per giustificare
la situazione. Che Sybil è stata rapita e che vi ho ingaggiati per liberarla,
suppongo. Se non tornerà, potremo sempre piangere la sua tragica morte.”
Lina annuì, le labbra strette. Ci avviammo al suo
seguito, diretti all’esterno del villaggio, senza scambiare una parola. Quando
fummo sufficientemente lontani feci per parlarle, ma Amelia mi precedette.
“Lina-san… che sta succedendo?”
“Lo ha fatto per lei.” Mormorò lei, quieta, in
replica.
“Lei?” Io e Amelia ci scambiammo un’occhiata.
Lina annuì. “Pensateci. Bastian muove verso i
draghi, e Sybil scappa improvvisamente. Sospettavo che qualcuno presso gli Enu
fosse d’accordo con lui, e ha ancora più senso, se si tratta di lei.”
Non avevo idea di cosa stesse parlando. “Lina… come
avrebbe fatto Sybil a convincere il governatore a mandare Dorak con noi, se c’è
lei dietro a ogni cosa? E perché lei dovrebbe volerti uccidere?”
“Non lo so.” Lina scosse la testa, come rifiutandosi
di riconoscere il senso delle mie obiezioni. “Non so cosa motivi lei. Ma
so che pensare che Bastian abbia agito per lei è l’unica soluzione plausibile.
Deve essere ancora innamorato per lei, o farlo per i loro figli. E’ l’unico
modo in cui questa assurdità assume un senso.” Lina doveva essere impazzita.
Sembrava quasi sollevata nel pensare che Bastian ci avesse voltato le
spalle perché era innamorato di un’altra donna. Supponevo che la cosa avrebbe
dovuto confortarmi ulteriormente, ma… che senso aveva?
“Lina- san… sei certa di stare bene?” Amelia pareva
condividere i miei dubbi. Ma mia moglie si limitò ad annuire, veementemente.
“Sybil, l’ultima volta, mi ha detto che i draghi non
vivono lontano da qui. Dobbiamo trovarli, e sono certa che troveremo sia lei
che Bastian. E con loro la soluzione a questa faccenda.”
Non la contraddissi. Che potevo dirle? I piani di
Lina erano sempre folli, ma in fondo, il più delle volte, portavano a una
soluzione. E andare dai draghi, in ogni caso, era stato il nostro obiettivo sin
dal principio. Non avevamo molte altre soluzioni, se volevamo trovare Bastian,
e con lui la mia cura.
“Ma come pensi che possiamo fare per rintracciarli,
Lina-san?”
“Proseguiamo verso est.” Replicò mia moglie. “Ho
l’impressione che presto o tardi saranno loro a trovare noi.”
Le sue parole suonavano tanto simili a una minaccia
da non poter non avverarsi. E infatti avanzavamo da circa un’ora, il sole già
quasi completamente scomparso alle nostre spalle, quando un inconfondibile
ruggito squarciò l’aria. Non potevamo vederne la fonte, contro il cielo nero
costellato di stelle, ma al suo risuonare un brivido mi corse lungo la schiena.
“Lina.” Ammonii.
Mia moglie annuì brevemente. “Non ti muovere. Appuriamo
prima se vuole attaccarci.” Un’idea saggia. Mi chiesi se dovessi iniziare a
preoccuparmi realmente.
Il ruggito si fece progressivamente più vicino. E
all’improvviso, come da una dimensione parallela, la creatura prese forma dal
buio della notte. Era enorme, più grande del drago che Bastian aveva cavalcato
quando ci era venuto incontro da Talit, e nessuno sedeva sul suo dorso. Non
sapevo leggere la sua espressione come avrei fatto con quella di un umano, ma
non sembrava avere intenzioni ostili. Si fermò a qualche metro da noi e ci
studiò, senza dare segno di volerci attaccare. Ma Amelia, a pochi passi da me,
emise un singulto strozzato. Le lanciai un’occhiata e la vidi atterrita, molto
più spaventata di quando ci eravamo trovati per la prima volta di fronte a un
drago dorato, nel nostro incontro con Milgazia. Mi chiesi se fosse un
presentimento, uno da sacerdotessa. Portai d’istinto la mano alla spada.
“Lina Inverse.” Pronunciò il drago, con voce
metallica. Fui stupito di sentirlo parlare.
Lina, invece, si esibì in un breve sorriso. “Dunque
non sapete solo ruggire.” Commentò. “Il vostro compagno, la volta scorsa, si è
esibito in un scenetta davvero credibile.”
“Non è l’unico a saper recitare.” Il drago fece un
passo indietro. Una luce nera lo avvolse, fluida come inchiostro, e la sua
sagoma, avvolta da scaglie lucide che riflettevano la luce della luna, tornò a
fondersi con la notte. Pensai che fosse scomparso, come a volte i Mazoku
usavano fare, prima di rendermi conto che al suo posto un’altra figura ci
fronteggiava, dal fisico slanciato ma apparentemente umana. Si fece avanti,
nella tenebra della sua lunga veste nera, e alla luce della luna emerse un
volto affilato, dal naso aquilino, incorniciato da lunghi capelli scuri. Al mio
fianco, sentii mia moglie sussultare.
“Mi hai riconosciuto?” Chiese l’uomo-drago, in una
voce nuova, più bassa e sibilante.
“Sei… il mago che ho incontrato alla corte di Samon?
Ma che significa?” Il tono di voce di Lina era stupefatto.
“Mardoc.” Replicò il nostro interlocutore. “Ti
avevano detto il mio nome, ma è chiaro che tu non lo ricordi, con tutto quello
che è accaduto nel frattempo.”
“Ma… come…? Perché…?”
“Se volete seguirmi.” Invitò il drago, in tono
quieto. “Vi spiegheremo ogni cosa. Vi aspettavamo, e i miei compagni ed io
abbiamo una richiesta da farvi.”
La mascella di Lina si contrasse. “Richieste?
Richieste? Io pretendo una spiegazione qui e ora.” Sibilò, con un atteggiamento
spavaldo che – inutile dirlo – è davvero poco consigliabile tenere di fronte a
una creatura dotata di artigli. “E poi,chi ci assicura che non siate pronti ad
ucciderci tutti, una volta raggiunti i vostri territori?”
“Siete già nei nostri territori, e se vi avessimo
voluti morti ora lo sareste.” Il mago si accigliò. “Ma non ho tempo da perdere a
convincervi.” Volse lo sguardo verso Amelia, al mio fianco, e io la avvertii
sussultare. Mi girai verso di lei, e vidi che il suo intero corpo aveva preso a
tremare convulsamente.
“Vieni avanti, principessa.” Le intimò il drago, in
un tono che si era fatto caldo e profondo. E Amelia obbedì. Stupito com’ero,
non feci nemmeno in tempo ad afferrarla. Avanzò verso il drago, e si fermò al
suo fianco, lo sguardo terrorizzato. Una lacrima sottile le stava scendendo
lungo la guancia destra.
“Amelia???”
“Mi basta una parola, per ucciderla.” Dichiarò il
drago, così pacatamente che non sembrava nemmeno rivolgerci una minaccia.
“Seguitemi, e non le accadrà nulla di male.”
Cercai lo sguardo di Lina, e la trovai sbigottita,
come me. Aveva lanciato un incantesimo alla principessa? Non sembrava aver
fatto altro che chiamarla a sé… ma ora la nostra amica ci fissava, senza
muoversi, e sembrava desiderare disperatamente parlare senza però riuscirci.
Lina esitò. Il sudore le imperlava la fronte e i
suoi pugni, abbandonati sui fianchi, erano serrati. “Va… bene.” Sospirò alla
fine. “Non toccarla. Verremo con te.” Cercò il mio sguardo, e io mi limitai ad
annuire impercettibilmente. Lasciai riposare la mano sull’elsa della spada.
Ci avviammo in silenzio. La notte era ormai scesa
del tutto, e il terreno stava cessando di rilasciare il calore del giorno,
lasciandoci alla mercé dell’aria gelida. Dopo una mezz’ora di cammino, entrambi
già rabbrividivamo nei nostri mantelli e continuammo ad avanzare a fatica,
perdendo totalmente il senso del tempo. Deviammo decisamente a sud, e
raggiungemmo un muro di alture, forse un prodromo della catena che si dipanava
da Talit. La loro fiancata era costellata da grotte, ampie voragini nere nella
superficie rocciosa, che spiccavano minacciose contro le pareti chiare, anche
nella debole luce della luna. Le costeggiamo, senza imboccare nessuno dei
ripidi sentieri che si inerpicavano fra di esse, fino a che non giungemmo in
vista di un picco che scendeva a strapiombo sul sentiero, e sotto cui si apriva
un’ampia rientranza della roccia. Al suo interno danzava la luce vivace di un
fuoco e avvicinandoci potemmo scorgere le figure che lo attorniavano, cinque in
tutto, tre uomini e due donne all’apparenza umani. Ma seppi d’istinto che la
loro natura era simile a quella dell’essere che ci accompagnava.
“Se usciremo vivi da questa faccenda, farò fortuna
confutando la tesi secondo cui i draghi neri non sono mutaforma.” Mormorò mia
moglie, che evidentemente era giunta alla mia stessa conclusione. Feci in tempo
a rivolgerle un debole sorriso.
“Vi trovate di fronte al nostro Concilio.” Dichiarò
Mardoc, solenne, mentre ci introduceva nella cerchia di uomini-drago. “E oltre
ai miei compagni, credo possiate individuare alcune vostre conoscenze.”
Percorremmo entrambi il piccolo gruppo con lo
sguardo, perplessi a quella affermazione, e dopo qualche istante avvertii Lina
trasalire. Non ebbi il bisogno di chiederle il motivo. Riverso al suolo accanto
alla parete di roccia, fuori dal cerchio di luce delle fiamme, giaceva Bastian,
seminascosto nella penombra. Sembrava tramortito, ma sul suo corpo non
apparivano segni di ferite evidenti. Al suo fianco, il suo falco riposava
immobile, gli occhi attenti che saettavano da un membro all’altro della nostra
strana assemblea. Seduta non lontano da lui, vigile e tesa, c’era una ragazza
dall’età stranamente indefinibile, pallida, il viso incorniciato da lunghi
capelli bianchi. Anche lei, mi resi conto, era umana. Non sapevo chi fosse, ma,
fidandomi dei sospetti di Lina, potevo intuirlo. Teneva fisso su mia moglie uno
sguardo cupo e ossessionato, che mi diede i brividi.
La voce di Lina si mantenne forzatamente calma,
quando prese la parola. “D’accordo. Siamo arrivati qui. Ora lascia Amelia,
qualunque cosa tu le abbia fatto.”
Mardoc sorrise. Lanciò un’occhiata alla principessa,
e disse qualcosa sottovoce. La nostra amica tremò visibilmente e scivolò in
ginocchio, al suolo, come troppo stanca tenersi in piedi. Quindi si volse verso
di noi, lo sguardo esausto e confuso. Sembrava sapere dove si trovava, ma non
essere del tutto certa di come ci era arrivata.
“Amelia… stai bene?” Lina si inginocchiò al suo
fianco, e studiò il suo volto con la fronte aggrottata.
Lei scosse la testa di rimando. “Lina- san…” Una
lacrima prese di nuovo a rigare le sua guancia. “Io non… perdonami…”
“Perdonarti? Perdonarti di cosa, Amelia?”
Ma la principessa scosse nuovamente la testa. “Non…
non lo so… io…” La sua voce si spezzò in un singhiozzo, e cessò di parlare.
“Che le prende?” Ringhiò mia moglie, in direzione di
Mardoc, che era avanzato in mezzo agli altri draghi. “Che cosa le hai fatto?”
L’uomo-drago sorrise. “Non ti preoccupare, la sua
mente sta rimuovendo velocemente il ricordo di ciò che ha fatto, come accade
ogni volta. Fra poco si sentirà esausta, ma avrà dimenticato tutto nuovamente.”
“Che vuol dire, ‘come accade ogni volta’?” Mia
moglie strinse con rabbia le spalle di Amelia, che piangeva silenziosamente, e
sembrava incapace di parlare. “Volete decidervi a spiegarci cosa sta
succedendo? Che cos’è accaduto a Bastian? Che ci fa qui Sybil, e dov’è il
diario???”
Mardoc si accigliò. “Oh, il diario. Stavo quasi per
dimenticarmene.” Amelia, improvvisamente, sussultò di nuovo. Smise di
singhiozzare tanto istantaneamente che per un istante temetti che avesse cessato
di respirare. Ma poi la osservai mentre si alzava, per raggiungere nuovamente
il suo incantatore. Scrollò la presa di Lina con tanta violenza che mia moglie
finì al suolo.
“Amelia!” Gridammo io e Lina, all’unisono. Ma la
principessa era già entrata nella cerchia dei draghi, e stava estraendo un
oggetto dal suo mantello. Rimasi senza fiato, nel riconoscerlo. Era il diario.
Amelia lo stava porgendo a uno degli uomini-drago anziani.
“Lo aveva preso… lei?” La voce di Lina uscì
in un singulto. “Ma come… come…?”
“Ogni cosa ha una spiegazione.” Dichiarò Mardoc,
impassibile. Gesticolò verso Amelia, e lei indietreggiò fino alla parete di
roccia, dove si sedette. I suoi occhi si spalancarono per un istante, emise un
sospiro, e quindi si accasciò all’indietro, perdendo i sensi. Resistetti
all’impulso di correre a soccorrerla. “Perché non vi accomodate con noi?
Suppongo desideriate anche voi ascoltarci, a questo punto.” Suonava più come un
ordine che come un invito.
Lentamente, raggiungemmo Amelia e ci sedemmo al suo
fianco. Mi piegai su di lei, per sincerarmi delle sue condizioni, e mi resi
conto che stava semplicemente dormendo. Lina lasciò scorrere lo sguardo dalla
principessa, ai draghi che ci scrutavano severi, alla veggente che sedeva a un
metro da noi, a Bastian privo di sensi, e si torse le mani in grembo. Avrei
voluto stringere le sue dita fra le mie, ma Amelia si interponeva fra noi.
“Credo che non vi offenderete se sarò io a
rispondere ai vostri quesiti.” Dichiarò Mardoc, in tono pacato. “Sono colui che
normalmente tratta con gli Enu, e i miei compagni sono meno avvezzi di me ad
interagire con gli umani. E’ per questo che la scelta di chi dovesse recarsi
alla capitale è ricaduta su di me.”
“Ma Amelia…”
“Starà bene.” Il drago interruppe mia moglie, secco.
“Se avete domande da rivolgermi, fareste meglio a farlo ora. La vita umana è
breve. Ogni momento va sfruttato.”
Lina si morse il labbro. “D’accordo.” Acconsentì,
secca. “E allora tagliamo corto. Tanto per cominciare, perché tu ti trovavi
alla capitale, e tre dei tuoi compagni erano a Talit? Che c’entra la vostra
comunità con questa guerra?”
Mardoc sorrise, e rivolse lo sguardo a Sybil. La
sacerdotessa tremò in risposta, non compresi se per la rabbia o per la paura.
“La veggente mi ha detto di avertelo spiegato. Di averti detto che il
governatore degli Enu ci ha chiesto di favorirlo.”
“Mi ha detto che tre di voi si trovavano a Talit, e
che avevate acconsentito alla richiesta del governatore per il vostro stesso
interesse.” Precisò Lina. “Ma non so quale sia questo interesse, e per quale
motivo tu ti trovassi all’altra corte.”
“E’ molto semplice.” Mardoc si sedette sul lato
opposto del fuoco, e vestì uno sguardo beffardo. “Il governatore ci ha chiesto
di vegliare temporaneamente affinché la lotta fra le due corti restasse
equilibrata. Il suo piano era far sì che la guerra si prolungasse e entrambi i
fronti si indebolissero, e cercare l’alleanza di Meghar nell’ovest per
condurre, con il nostro sostegno, un attacco combinato contro Talit. A quel
punto il potere degli Enu e quello degli uomini di mare dell’Ovest si sarebbe
consolidato al sud. Il governatore intendeva stipulare un accordo con la corte
di Samon, una volta raggiunto questo obiettivo. Le terre del Sud-Est e del
Sud-Ovest in concessione a lui e a Meghar, in cambio della sconfitta di Talit.
Samon è lontano, e sperava che a quel punto sarebbe stato già troppo indebolito
dalla guerra per potersi permettere di rifiutare.” Il drago sorrise,
nuovamente. “Ma il piano prevedeva anche che io rimanessi alla corte di Samon,
camuffato da mago insieme ad alcuni miei compagni, e che la attaccassi
dall’interno, nel caso qualcosa nel piano fosse andato storto.”
Quei discorsi avevano un senso, anche per me. La
strategia militare era un campo che mi era familiare, per quanto ci fossero di
mezzo creature lontane dal mio mondo, come i draghi. Ma doveva esserci
qualcos’altro, sotto, qualcosa che io non riuscivo a cogliere. Lo sguardo
perplesso e contrariato di Lina bastava a rivelarmelo.
“Siete stati voi draghi ad attaccare Rolan.”
Ragionò. “Dorak si è recato da Meghar e gli ha proposto l’alleanza degli Enu e
lui ha accettato, non è così? Ecco perché si trovava sull’isola. Ci ha detto
che Rolan è andata a fuoco… è grazie a voi che è stata espugnata tanto
facilmente, ho ragione?”
Mardoc sorrise. “Il piano di Meghar, inizialmente,
era semplicemente quello di far intervenire Sailune nel conflitto, perché Talit
si indebolisse e perdesse il controllo sui territori dell’ovest. Da questo è
dipeso il rapimento della principessa Amelia, e proprio per condurre il proprio
attacco contro Talit nell’ovest il capo dei pirati ha continuato a raggruppare
nuove truppe. Ma Meghar non progettava di agire per rovesciare Talit, solo per
impadronirsi dei territori che riteneva gli spettassero di diritto.” Incrociò
le mani, sotto le lunghe maniche. “Sono stati gli Enu a ispirargli progetti più
ambiziosi. Ma Meghar tutt’ora non sa che fra i maghi mercenari che aveva
assoldato per la sua causa, ci sono anche alcuni di noi, gli stessi che hanno garantito
la sua vittoria immediatamente dopo che ha accettato la proposta del
messaggero, Dorak. Se avesse rifiutato l’offerta degli Enu, invece, avremmo
agito in modo da controllarlo dall’interno.” Fece una pausa. “Un’idea che per
il governatore sarebbe prudente non dimenticare, in ogni caso. Ha rilasciato la
principessa, in modo da far ritirare Sailune dal conflitto, come gli Enu gli
avevano chiesto… ma mi risulta che abbia cercato di guadagnarsi la tua alleanza
a loro insaputa, o sbaglio? Sospetto che abbia in mente di continuare ad
alimentare le proprie forze, nel caso gli Enu decidano di rivoltarsi contro di
lui, una volta ottenuto il suo aiuto…”
Allora era per questo che aveva evitato di
attaccarci dopo il rifiuto di Lina, quella notte? Voleva evitare di sollevare
troppo clamore sulla sua ricerca di nuovi alleati?
Lina tamburellava le dita al suolo, lo sguardo
sospettoso. “Se è come mi hai detto, allora perché tu non ti trovi più presso
la capitale, come era previsto dal piano?” Domandò, dopo qualche istante di
esitazione. “E quanto ancora avete intenzione di procrastinare l’attacco contro
Talit? Non credete che l’improvvisa vittoria di Meghar abbia quanto meno
insospettito Lord Georg?”
“Io credo che tu abbia già indovinato la risposta a
queste domande, Lina Inverse.” Il sorriso del drago aveva lasciato posto a una
nuova espressione, più grave e solenne. “Nessuno meglio di te, fra gli umani,
può comprendere quanto i vostri disegni siano irrilevanti per gli esseri
superiori che reggono i destini di questo mondo. Non ci saremmo impegnati in
una semplice guerra fra uomini, se non avessimo avuto ragioni più pressanti del
rispondere alla vostra ambizione. Per quanto legittime potessero apparire, a un
occhio umano, le rivendicazioni dell’uomo a cui abbiamo offerto il nostro
sostegno “
“Cioè… il motivo del vostro coinvolgimento è
cessato, e avete ritirato la vostra alleanza con gli Enu?”
“Sei molto perspicace, Lina Inverse.”
“Mente.” Intervenne Sybil, la voce roca. I suoi
occhi fiammeggiavano, alla luce del fuoco. “Non si sono ritirati. Il
governatore non sa nulla della loro defezione, è convinto che si trovino ancora
a palazzo.”
“Avevamo questioni più urgenti di cui occuparci, che
avvisarlo. E in ogni caso, tutto ciò a cui avevamo acconsentito era seguire
Erianna alla corte, fingendo di essere ai suoi ordini. Nessuno di noi ha mai
detto che avremmo assecondato i suoi piani fino alla fine.”
“Il governatore affermava di controllarvi.” Sibilò
la sacerdotessa. “Credo avesse finito per crederlo davvero. Quello stolto.”
Il drago distolse lo sguardo, noncurante. Ma Sybil
continuò a fissarlo, apparentemente divisa fra rabbia, terrore e una sorta di
febbrile ammirazione. I suoi occhi dardeggiarono per un istante verso Bastian,
e il falco che riposava al suo fianco la fissò di rimando, emettendo un basso
lamento.
Lina la osservò in silenzio per qualche secondo,
prima di tornare a rivolgersi al drago. Quando lo fece, la sua voce era
incerta. “Qual è allora il motivo che vi ha spinto ad intervenire in queste
vicende? Non… c’è di mezzo una nuova guerra con i Mazoku, vero?” Mazoku?
Stavamo per essere trascinati per l’ennesima volta in una lotta disperata come
quella contro Fibrizo?
“No, non esattamente.” Replicò tuttavia Mardoc. “O
meglio, c’è una ragionevole probabilità che i Mazoku sottovalutino la faccenda,
come del resto stanno facendo i nostri compagni dei monti Kataart… dal momento
che tutto riguarda una predizione compiuta da un’umana.” Il suo sguardo si
volse a Sybil, a quelle parole. Il volto della profetessa appariva come una
maschera impenetrabile.
“Non avevate mai creduto alle mie predizioni.”
Replicò lei, in tono rassegnato.
Il drago si accigliò. “Non avevamo mai creduto a
quelle pagliacciate che il tuo governatore spaccia per esperienze estatiche.”
Le rispose. “Ma abbiamo chiesto al vostro sacerdote di riferirci ogni singola
parola che tu scambi con lui. Perché tu hai decisamente il dono della
predizione, ragazza. E lo hai per tua scelta. Ti sei impicciata di conoscenze
da cui voi umani fareste meglio a tenervi ben lontani.” Volse lo sguardo a
Lina, mentre parlava. La durezza dei suoi occhi mi mise a disagio.
“Ciò che la sacerdotessa ha predetto, qualche mese
fa…” Proseguì. “… era il ‘risveglio di un antico e pericoloso potere presso la
corte di Elmekia’. Il governatore lo ha interpretato come la conferma della
sollevazione imminente di Talit nei confronti della capitale…. Ma noi pensiamo
che il significato delle sue parole sia un altro.” Si volse verso Sybil. “Ma
interpretare il significato di una predizione non è semplice. Per questo ora la
profetessa si trova qui.”
“Non riguarda me come tu o il governatore
interpretate le mie parole.” Protestò Sybil, in tono flebile. “Potete usare le
informazioni che vi do come meglio preferite. Sono già la vostra marionetta.
Che altro volete, da me?”
“Inizialmente ci siamo limitati a inviare dei nostri
rappresentanti alle due corti, per tenere d’occhio la situazione.” Continuò il
drago, ignorandola. “Quando abbiamo saputo dagli informatori di Samon che tu,
Lina Inverse, ti stavi muovendo verso Elmekia, credevamo di aver capito cosa
stesse per succedere. Abbiamo seguito quella pista, eravamo certi di aver
risolto il problema… ma alla fine la nostra intuizione si è rivelata errata.
Quindi abbiamo usato il cavaliere come esca per attrarre la sacerdotessa da
noi, e carpirle qualche altra notizia utile. Conoscevamo il loro legame. Il
falco vi stava raggiungendo, quella notte, perciò ci siamo serviti della bestia
per inviare alla sacerdotessa un messaggio, dicendo che se non ci avesse raggiunti
il cavaliere sarebbe morto. E come pensavamo, si è piegata alle nostre
richieste.”
Lanciai un’occhiata a Sybil. Aveva abbassato lo
sguardo sui propri pugni chiusi, e serrato le labbra.
Anche Lina la osservò, e la sua mascella si
contrasse. “Ma che cos’è, questo ‘antico potere’ di cui andate parlando? E cosa
c’entro, io? Perché mi avete collegata alla predizione di Sybil?” Mia moglie
sembrava non avere la più pallida idea di dove quella conversazione stesse
andando a parare, e stava chiaramente iniziando ad irritarsi. Da parte mia, non
tentai nemmeno di intervenire. Dire che ero confuso sarebbe stato poco.
“Credo sia il caso di partire dall’inizio.” Mardoc
si avvicinò al membro del concilio che reggeva il diario fra le mani, e glielo
prese dalle dita. “La risposta a ogni tua domanda, Lina Inverse, ha a che fare
con l’autore di questo manoscritto.”
Mia moglie strinse gli occhi, e il suo sguardo si
fece febbrile. “Voi… sapete chi è il proprietario di quell’oggetto?”
Il drago annuì. “Certamente. Si tratta di un nobile
di Talit. Erian Ergon Darland.”
Battei le palpebre, perplesso. Quel nome mi suonava
completamente nuovo. A meno che la mia memoria non avesse ulteriormente perso
colpi, non si trattava di qualcuno che avevamo incontrato alla corte di Talit.
Ma mia moglie non sembrava confusa quanto me. La sua
fronte era aggrottata, come se quel nome le dicesse qualcosa, ma non fosse in
grado di ricordare esattamente cosa. Nel giro di pochi istanti, com’era
consueto per lei, l’illuminazione giunse. Si volse verso di me, gli occhi
spalancati. “Gourry!” Scosse la testa, incredula. “Erian… Erianna… non si
tratta della stessa persona di cui ci parlava Sylhpiel? L’ultimo membro della
casata Darland ad avere le iniziali EED, quello di cui avevamo letto anche nella
biblioteca a Talit?”
“Ehm…” Non è che propriamente potessi ricordarmene…
non ero stato interessato quanto Lina al tomo sulla storia di Talit, e mentre
Sylhpiel ci parlava, qualche giorno prima, per dirla tutta ero stato troppo
occupato a pensare a elaborati modi per farla pagare a Bastian per prestarle
realmente attenzione…
Lina mi rivolse un’occhiata esasperata, una di
quelle che promettevano terribili punizioni. Ma per mia fortuna, tornò a
rivolgere la sua attenzione al drago. “Ma non è possibile che sia lui l’autore!
L’incantesimo sul libro è ancora attivo, e sono passati duecento anni! Lui è
sicuramente…”
“Morto?” Mardoc annuì. “Oh, sì, lo è. In qualsiasi
libro sulla storia di Talit vi diranno che è deceduto per malattia. Anche se in
effetti la sua fine non è stata così tranquilla.”
Mia moglie scosse la testa. Il suo volto era
impallidito e le sue spalle si erano abbassate, in una posa che esprimeva
sbigottimento, se non puro terrore. Non comprendevo cosa lo scatenasse, però.
Scavalcando Amelia, andai in cerca della sua mano. “Lina? Che ti prende?”
Lei mi guardò quasi mi vedesse per la prima volta.
“Non… capisci, Gourry? E’ morto. L’uomo che ha scagliato la tua maledizione è
morto.”
Continuavo a non capire. “Uh… mi spiace. Lo
conoscevi?”
“Gourry!” Scattò mia moglie, liberando la sua mano
dalla mia, con rabbia. “Non è il momento di dire idiozie! Non lo capisci? Se
lui è già morto… allora la sua maledizione non si potrà spezzare con la sua
morte. I suoi effetti sono… i suoi effetti sono permanenti.”
Sembrava essere lei stessa incredula delle proprie
parole. Io la squadrai, mentre la coscienza di quanto intendeva dire invadeva
progressivamente la mia mente. Se gli effetti della maledizione erano
permanenti… allora io ero condannato.
“Non è possibile!!!” Lina si rivolse al drago, con
furia quasi isterica. “Se un uomo lancia un incantesimo dagli effetti duraturi,
alla sua morte quell’incantesimo si spezza! Non importa quanto è potente!
Nessun essere umano può…”
“Nessun essere umano.” La interruppe Mardoc. “E’
proprio questo il punto. Erian aveva stretto un patto con un demone. E’ questo
che gli ha permesso di avere sufficiente potere per controllare un incantesimo
simile. Il contratto che li legava è andato distrutto causando la sua morte, ma
quel demone è ancora vivo. E finché sarà così, anche l’incantesimo che agisce
sul diario non verrà spezzato.”
Lina si levò in piedi di scatto. “Ho sentito
abbastanza.” Dichiarò. “Dimmi chi è quel demone. Lo troverò, lo distruggerò, e
la faremo finita con questa faccenda.”
Ma il drago si accigliò, e scosse la testa. “Non ho
intenzione di farlo.”
Rabbia feroce si dipinse sul volto di Lina. Avanzò
di un passo, e fui certo che fosse pronta a dichiarare guerra all’intera
comunità dei draghi. Cercai di levarmi per fermarla, ma le mie gambe non
rispondevano. Una voragine mi si era aperta nello stomaco.
“Non agire avventatamente, Lina Inverse.” La ammonì
Mardoc, in un tono di vaga minaccia. “So della maledizione che ha colpito tuo
marito. Ma attaccare ora finirà solo per accelerare la fine sua.. e tua,
probabilmente..”
“E per quale motivo dovrei frenarmi? Avverrà in ogni
caso, a quanto pare.”
“E invece non avverrà nulla, se mi ascolterai.”
Mardoc avanzò di un passo, incombendo minacciosamente su di lei. Di riflesso, i
miei arti finalmente reagirono, e mi levai in piedi. In un istante fui al suo
fianco.
“Idioti.” La voce della profetessa risuonò alle
nostre spalle, derisoria. “Non fareste nemmeno in tempo a progettare un
attacco.”
“Vi conviene darle retta.” Mardoc si arrestò, a
pochi passi da noi. “E comunque… non coinvolgerei per nessun motivo demoni in
questa faccenda, ma anche se vi dicessi il nome del Mazoku non ve ne fareste
nulla. Non avreste tempo a sufficienza per cercarlo.”
Lina fremette, al mio fianco. “Che vuol dire che non
avremmo tempo?”
Mardoc fissò lo sguardo su di me. “Vuol dire che la
maledizione ha ormai acquistato completa efficacia. Nel giro di due settimane,
forse tre, raggiungerà il suo acme, e il dolore per lui diventerà
insopportabile. A quel punto, anche trovando quel demone, potrai solo ottenere
la sua morte.”
Quelle parole mi sferzarono, con la forza di lame.
Due settimane.
Avevo pensato di avere tempo. Avevo quasi osato
sperare, in quei giorni in cui il dolore mi aveva abbandonato, che ci fossimo preoccupati
per nulla. E invece…
Non osai guardare Lina. Ma sentivo che, al mio
fianco, aveva iniziato a tremare.
“Voglio quel nome.” La voce di mia moglie ora era
ridotta a un basso ringhio. “Due settimane saranno più che sufficienti.
Raggiungerò la Penisola dei Demoni e la metterò a ferro e fuoco. Distruggerò
ogni demone presente sulla mia strada, se sarà necessario.”
Mardoc si accigliò. “Non ci sarà bisogno di fare
nulla di tanto stupido.” Incrociò le braccia al petto. “Non ci sarebbe modo di
guarire quella ferita, se fosse stato un demone a provocarla, ma è opera di un
umano. La maledizione ha agito lentamente, e la sua potenza non è nemmeno
lontanamente paragonabile a quella dell’incantesimo di un Mazoku. La magia
bianca umana non è sufficiente contro di essa, ma quella dei draghi è
perfettamente in grado di curarla.”
Sia Lina che io esitammo. Ci stava dicendo che…
“Vuoi dire che voi… potete guarirlo?” La voce di
Lina tradiva sollievo. Ma io avevo la sensazione che fosse presto per cantare
vittoria.
“Avremo la possibilità di guarirlo, fino a che la
maledizione non sarà irreversibile. E lo faremo. Ma a una condizione.”
Lina si irrigidì. Io non riuscii nemmeno a essere
deluso. Era troppo semplice pensare che non ci fosse un prezzo.
“Quale condizione?”
“Una molto semplice.” Mardoc ci scrutò, penetrante.
“Dovrete uccidere una persona per noi.”
Ed ecco la seconda parte del capitolo, come promesso in tempi brevi…^_^
Grazie come sempre ha chi ha letto e commentato il pre
Ed ecco la seconda parte
del capitolo, come promesso in tempi brevi…^_^ Grazie come sempre ha chi ha
letto e commentato il precedente, e in particolare
A Genesis: non ti
preoccupare, con la mia “dichiarazione di resa” non mi riferivo alla storia nel
complesso, ma solo al capitolo… in teoria avrebbe dovuto essere unico, ma
dovevo raccogliere talmente tante informazioni al suo interno che stava
diventando ingestibile, per cui mi sono dovuta rassegnare a spezzarlo in due.
^^ Ma ho certamente intenzione di portare a termine la storia, un po’ alla
volta… anche perché ormai manca davvero poco al termine. =P
A Dragonslave: eheh,
infatti ci avevi preso in molte cose. E per Il Raugnut Rushavna… colpisce solo
chi APRE il diario, e non chi lo maneggia. Anche se l’incantesimo spinge chi si
avvicina troppo al libro a desiderare fortemente aprirlo… (ho pensato fosse
ragionevole che i draghi non ne risentissero, però, dal momento che sono molto
più potenti di un normale essere umano)
A Fren e LadyLina: visto
che efficacia in termini di ispirazione hanno avuto i nostri deliri veronesi,
cugine? E Fren, sii felice, Bastian in questo capitolo ha un ruolo un po’ più
attivo! XD
Spero non ci siano grosse
incongruenze in questo capitolo, ci ho racchiuso metà trama, e ho rischiato seriamente
di incasinarmi da sola…XD
Buona lettura! ^^
“Dovrete uccidere una
persona per noi.”
I draghi, dall’ombra ai margini della luce delle
fiamme, ci osservarono in attesa di una reazione. Le parole di Mardoc danzarono
nell’aria, sospese nel silenzio. Il nostro respiro, il crepitio delle fiamme,
il frusciare delle vesti dei muti membri del concilio dei draghi, tutto per un
istante parve congelarsi. Mi volsi verso Lina. Il suo volto era terreo.
“Uccidere… una persona?” Mormorò infine, la voce
roca. “Di chi parlate?”
“Lascia che ti spieghi la situazione.” Il drago
gesticolò verso il suolo, invitandoci a sederci nuovamente. Lina esitò, ma alla
fine indietreggiò e si rannicchiò sulla dura roccia, in ginocchio, come pronta
a scattare nuovamente in piedi. Io mi accomodai al suo fianco e le poggiai una
mano sulla schiena, per cercare di placarla.
“Innanzitutto, credo vogliate sapere qualcosa di più
sull’autore di questo diario.” Mardoc sollevò il testo e proseguì, senza
attendere risposta. “Era il figlio maggiore del duca di Talit. All’epoca la
Perla era ancora una città in espansione… i traffici dal Sud avevano
contribuito a mutarla in un importante snodo commerciale, e stava crescendo in
modo sproporzionato alle condizioni che la sua posizione arroccata sulle
montagne poteva offrire. Ma se il suo trasferimento presto o tardi sarebbe
stato inevitabile, non fu l’incremento dei traffici a causarlo direttamente. Un
grave incidente colpì la città. E a causarlo fu proprio l’autore di questo
diario.”
Alle nostre spalle, sentii Sybil muoversi. Mi volsi
per un momento a osservarla, e vidi che si era avvicinata a Bastian. Il suo
sguardo, febbrile, dardeggiò fra il drago e il cavaliere, mentre sollevava la
testa dell’uomo, con dita tremanti, per accertarsi delle sue condizioni. Ma
Mardoc, se anche si era accorto di lei, continuò deliberatamente a ignorarla.
“Se avete visitato l’antico palazzo di Talit,
immagino avrete trovato l’accesso al vecchio laboratorio di Erian… laggiù si
trova la chiave delle ricerche che ha condotto.”
“Quel laboratorio apparteneva a lui?” La fronte di
Lina si corrugò. Sapevo a cosa stava pensando. Quando era uscita dal
laboratorio, mi aveva detto di aver avuto l’impressione che fosse stato
utilizzato piuttosto di recente.
Mardoc annuì. “I suoi studi in ambito magico erano
di un genere piuttosto anomalo… non so se immagini a cosa mi stia riferendo.”
Lina sospirò. “Lord of Nightmares.” Dichiarò
semplicemente, in tono piatto.
Mardoc sussultò lievemente, udendo quel nome. Quando
parlò, la sua voce uscì in un mezzo ringhio. “In poche parole sì. In effetti,
il duca era interessato più in generale ad acquisire il controllo di una forma
più pura e indifferenziata di magia, la forma di potere magico accessibile solo
agli esseri superiori. La Magia del Caos, che racchiude e trascende le forme
più avanzate di Magia Bianca e Magia Nera, in questo senso rivestiva un grande
interesse, per lui.” Il drago fece una smorfia. “Un obiettivo pericoloso, a
maggior ragione per un nobile nato in un regno dove la magia è considerata alla
stregua di un trucco da ladro… Ma la sua famiglia aveva sottovalutato ciò che
il duca stava ricercando. La consideravano una stravaganza, che sarebbe stata
abbandonata una volta che il giovane fosse salito al potere.”
“Ed erano in errore, suppongo.”
Il drago annuì, nuovamente. “Erian era decisamente
votato ai propri studi. Tanto votato da giungere fino a noi, per cercare di
carpirci informazioni. E’ così che abbiamo scoperto di lui, e abbiamo iniziato
a renderci conto di quanto pericoloso fosse il terreno in cui si stava
addentrando. E abbiamo iniziato a concepire il progetto di eliminarlo, prima
che potesse realmente nuocere a qualcuno.”
Lina ed io
ci scambiammo un’occhiata. “Quindi… siete stati voi?” Domandò mia moglie,
cauta. “L’avete ucciso, per impedire che completasse qualche tecnica pericolosa
come il Giga Slave?” Non mi piaceva il corso che stava prendendo il discorso.
Non mi piaceva, considerando che anche Lina era perfettamente in grado di usare
quel genere di magia.
“E’ stato lui stesso a causare la propria fine.” Gli
occhi di Mardoc si strinsero. “Quando si è rivolto a noi, purtroppo, era già
protetto dall’accordo con la stirpe demoniaca. Non saremmo stati in grado in
grado di fargli del male a meno di non infrangere la pietra del contratto, e
comprendemmo solo a posteriori cosa quel folle avesse scelto a quello scopo…
Talit stessa. Ogni singolo edificio che circondava il vecchio palazzo avrebbe
dovuto essere distrutto, per assicurare la sua morte. Credo che Erian
progettasse di trasferire la capitale a valle, una volta assunto il potere, e
di trasformare quel luogo in una sorta di santuario per la propria magia.
L’unico edificio a essere escluso dal contratto era il palazzo stesso. Forse,
Erian voleva conservare un luogo che appartenesse solo a lui, e non al demone
con cui si era accordato… e proprio questo moto di orgoglio umano si è rivelato
essere il suo errore fatale.” Il drago fissò Lina, intensamente. “Erian ha
perso il controllo di uno dei suoi esperimenti. Il duca aveva lanciato un
incantesimo di protezione estremamente potente sul proprio laboratorio, che in
qualche modo ha impedito all’area immediatamente attigua di andare a fuoco. Ma
al di fuori delle mura del palazzo, l’intera città è finita in fiamme.
Centinaia di persone sono morte, quella notte, a causa della sua follia. Se
anche sul palazzo fosse stata incisa parte del contratto forse l’accordo
sarebbe persistito comunque… ma in quel modo anche lui ha finito per perdere la
propria protezione.” Fece una pausa. “Potete immaginare cosa ne è conseguito.
Erian è stato costretto a fuggire dall’ira dei suoi familiari e dei cittadini
sopravvissuti. Lo abbiamo trovato, quando era ancora troppo debole a causa
dell’incantesimo lanciato per difendersi… e lo abbiamo finito.” Fece una pausa.
“Nessuno è mai giunto da noi a lamentarsi, per questo.”
Lina scosse la testa. “Non capisco come sia
possibile che una storia del genere non sia stata tramandata… in fondo, sono
trascorsi solo duecento anni…”
“Di certo la famiglia Darland non ha pubblicizzato
la vicenda. Questa è forse la macchia più vergognosa della sua storia. Alcuni
cittadini conoscono la verità, essa è sicuramente nota ai duchi… Ma
ufficialmente il nome di Erian è stato rinnegato per ogni discendente maschio
della stirpe, e la sua memoria è stata sepolta fra le mura della città vecchia.
Quelle vicende sono tabù, per gli abitanti di Talit. Chiunque le sbandieri
viene messo in fretta a tacere.”
Osservai Lina digerire quelle informazioni
silenziosamente, quindi cercare il mio sguardo “Ora capisco.” Commentò, rivolta
probabilmente più a se stessa che a me. “L’incidente, di cui si parlava nel
libro… e poi, ti ricordi cosa avevamo letto, del tuo antenato e della sua
presenza a Talit per un periodo, proprio in quegli anni? Scommetto che Erian
aveva cercato la sua amicizia perché era interessato al potere amplificatore
della Spada di Luce… anche io ne avevo letto per la prima volta proprio mentre
conducevo ricerche su Lord of Nightmares.”
“E infatti è andata così.” Mardoc fissò Lina,
accigliato. “Fra simili ci si comprende, evidentemente.”
Mia moglie gli rivolse uno sguardo rabbioso, a
quelle parole. Il mio senso di allarme non fece che incrementarsi. Quei segni
di ostilità non promettevano niente di buono.
“Bene.” Esordì, Lina in tono freddo. “Ci hai
raccontato una bella storia, Mardoc. Ma dato che entrambi sembriamo più
interessati agli affari che alle chiacchiere… vogliamo passare al punto? Chi è
che dovrei uccidere, per vostro conto?”
Mardoc aggrottò la fronte. “Ci stavo arrivando, Lina
Inverse. Il punto è che qualcuno è tornato a interessarsi agli studi di Erian,
e temiamo che riporti alla luce i segreti contenuti in questo diario e in quel
laboratorio. Segreti che, come tu meglio di chiunque altro sai, se gestiti nel
modo sbagliato possono comportare allarmanti rischi… non solo per una cittadina
di montagna e i suoi abitanti, ma per l’universo intero.” Esitò, per un
istante. “O quanto meno, è così che noi draghi abbiamo interpretato la profezia
della sacerdotessa.” Rivolse un breve sguardo a Sybil, che ora reggeva la testa
di Bastian sulle ginocchia, e aveva smesso apparentemente di ascoltarci. La
profetessa non volse lo sguardo, ma ebbi l’impressione che fosse conscia che
l’attenzione era nuovamente rivolta a lei.
“E pensavate che fossi io quella persona?” Domandò
Lina, lo sguardo fisso su Sybil, stranamente imperscrutabile.
Mardoc annuì. “Eravamo convinti che ti stessi
recando a Talit con un pretesto, con la precisa intenzione di arrivare al
laboratorio. Tu sei già in possesso di informazioni sufficientemente
pericolose, mi pare, Lina Inverse. Nessuno di noi gradirebbe che ampliassi
ulteriormente i tuoi… orizzonti.” Lina volse lo sguardo, e lei e il drago si
squadrarono per un secondo. Ebbi l’impressione che solo il reciproco interesse
a sfruttare l’altro li trattenesse dall’attaccarsi a vicenda.
“Il tuo atteggiamento ci ha convinto che fossimo
sulla pista giusta… ti sei dovuta allontanare da Talit perché costretta, ma
poi, una volta recuperato tuo marito, hai ripreso a dirigerti verso la città,
in cerca del diario… Solo che una volta entratane in possesso non hai cercato
di servirtene. Sembravi interessata unicamente a curare la maledizione che ha
colpito il tuo compagno. E’ stato per questo che abbiamo cominciato a sospettare
di essere sulla pista sbagliata. In effetti siamo stati sciocchi a non chiedere
alla profetessa sin da principio, accecati com’eravamo dalle nostre certezze.
E’ una pecca di noi esseri superiori, evitare il più possibile di fare
affidamento sugli esseri umani.”
Lina si accigliò. “Non capisco come tu faccia ad
avere informazioni così dettagliate sulle mie azioni e i miei spostamenti.
Parli come se mi avessi tenuta d’occhio costantemente nel corso dei miei
viaggi.”
Mardoc sorrise. “Perché ti ho tenuta d’occhio.
Non immagini come?”
Lina mi parve perplessa. Il suo sguardo scivolò
verso Bastian, ma a quel gesto il sorriso del drago si allargò. “Oh, no, Lina
Inverse, sei fuori strada. Il cavaliere non ti ha mai tradito. Lui non sapeva
proprio nulla di questa faccenda.”
Studiai il viso di Lina, a quelle parole, ma mia
moglie si sforzò di mantenere neutra la propria espressione. “Allora… chi?”
“Fino a che ti trovavi a Talit, chiaramente, ci
hanno pensato i nostri tre uomini stanziati laggiù.” Spiegò Mardoc. “Ammetto
che ti abbiamo persa di vista dopo la tua fuga… pensavamo fossi scappata nella
città vecchia, ma come il tuo stesso marito ha appurato si trattava di una
falsa pista. Poi, però, gli Enu ci hanno riferito della tua visita, e del fatto
che ti stavi recando alla capitale. E lì io ti ho incontrata, e ho
riportato di proposito di fronte a te la notizia della caduta delle truppe dei
Gabriev nell’ovest, in modo da appurare se avessi intenzione di recarti a
salvare tuo marito… e così era.” Il drago sorrise, evidentemente compiaciuto di
se stesso. “A quel punto, le cose per noi diventavano più semplici. Certo, il
piano sarebbe stato rischioso se avessimo avuto a disposizione solo tuo marito…
una persona a te troppo vicina, in cui troppo facilmente avresti potuto notare
cambiamenti… ma presso Meghar, dove tu ti stavi recando, era prigioniera anche
la principessa Amelia di Sailune. Una tua cara amica, e qualcuno di cui non
avresti mai sospettato. Perciò ho contattato uno dei miei sottoposti di stanza
nell’ovest, e gli ho chiesto di imporle il Controllo. In questo modo, con un
semplice Vision Spell., avrebbe potuto riferirci ogni informazione di cui
disponeva su di te e al contempo tenerti d’occhio per conto nostro,
permettendoci di non uscire allo scoperto.”
Lina guardò alternativamente il drago e Amelia, lo
sguardo nervoso. “Il Controllo? E cosa diavolo sarebbe?”
“Antica magia bianca. Permette il dominio temporaneo
delle azioni di un altro soggetto. Esiste una versione semplificata
dell’incantesimo accessibile anche agli esseri umani, magia sacerdotale di alto
livello. Ho ragione di pensare che abbiate avuto modo di assistervi, in
passato.”
Lina parve inizialmente perplessa, a quella
affermazione. Ma poi, la comprensione si accese nel suo sguardo. “Rezo.”
Mormorò, fra i denti.
Mardoc si limitò ad annuire. “Chiaramente, il Monaco
Rosso non poteva ottenere che risultati estremamente parziali, a confronto con
le possibilità accessibili a noi esseri superiori. Nella forma perfezionata
dell’incantesimo di cui la vostra amica è caduta vittima, chi è colpito può
essere temporaneamente liberato dal controllo del soggetto che esercita il
dominio su di lui, senza ricordare di essere stato comandato. Una soluzione
estremamente comoda, considerato che nei momenti di lucidità il soggetto si
comporta normalmente, e non attira su di sé i sospetti di chi gli sta intorno.”
Mardoc si strinse nelle spalle. “L’unica pecca è che agire sotto il controllo
di una mente esterna è molto stancante per chi subisce gli effetti
dell’incantesimo. In più, più tempo passa dal momento in cui l’incantesimo
viene lanciato, più è probabile che il soggetto inizi a rendersi conto di ciò
che gli stava accadendo… e la principessa lo aveva già inconsciamente intuito,
credo. Di certo la sua volontà non è stata semplice da domare.”
Ripensai a tutti i momenti in cui avevo osservato
Amelia, nel corso di quel viaggio, e mi era apparsa esausta. Ma chi avrebbe
potuto immaginare che dietro a quella condizione ci fosse una motivazione del
genere?
Osservai Lina fremere di rabbia. Se la conoscevo un
minimo, avrei potuto giurare che in quel momento si stesse rimproverando di non
essersi resa conto di nulla. “D’accordo, lo scherzo è finito.” La sua voce
risuonò, gelida. “Libera immediatamente la mia amica.”
Mardoc la fissò con sufficienza. “Non ci vuole
molto.” Dichiarò, indifferente. “Basta rimuovere il catalizzatore attraverso
cui agisce l’incantesimo.”
“Catalizzatore?” Lina fissò Amelia,senza capire. Ma
la mia mente aveva improvvisamente compiuto una bizzarra associazione, un salto
intuitivo per cui non avevo alcuna conferma, ma che per qualche imperscrutabile
ragione mi appariva sensato. “Lina.” Le strinsi il braccio, per attirare la sua
attenzione. “Il rubino.” La pietra nel girocollo di Amelia splendeva,
riflettendo la luce delle fiamme. Avevo ricordi molto vaghi della lotta con
Rezo, ma… rubini magici… non erano quelli di cui Eris si serviva per imporre
alle altre persone di fare ciò che desiderava?
Lina seguì il mio sguardo, e i suoi occhi si
spalancarono. “Hai ragione!” Si avvicinò ad Amelia, si avventò su di lei,
quasi, e le strappò la pietra dal collo. La principessa emise un singulto, ma
non si svegliò. Lina distrusse il gioiello sotto la suola degli stivali, con
rabbia. “Dannazione!” Imprecò. “Come ho fatto a non rendermene conto???”
E come avrebbe potuto? E dire che avevo notato quel
gioiello, avevo forse persino intuito che qualcosa non andava in esso… ma ero
stato troppo concentrato su Lina, per interrogarmi ulteriormente su quella
questione. Scegliere la principessa era stata davvero una mossa intelligente,
da parte dei draghi. Povera Amelia.
“Chi diavolo vi credete di essere, per giocare a
questo modo con la mente di persone che non c’entrano???” Ora la rabbia di Lina
era manifesta. “Amelia non c’entrava nulla, nulla in questa faccenda! Ne
è stata solo una vittima, fin dall’inizio!”
“E infatti non le avremmo torto un capello, una
volta ottenuti i nostri scopi.” Mardoc si incupì. “E in ogni caso tu non mi
sembri decisamente la persona più adatta alle paternali, Lina Inverse. Per cui
lascia perdere. Sempre che tu voglia ancora conoscere le mie condizioni per
garantire la guarigione a tuo marito, chiaramente.”
Lina fremette di rabbia, e io le strinsi brevemente
la mano, nel tentativo di calmarla. Prese un profondo respiro, prima di
parlare. “E allora dimmi cosa devo fare, e facciamola finita.”
“E’ molto semplice. La profetessa mi ha confermato
che non sei tu, in questa occasione, a costituire una minaccia. Ciò significa
che qualcun altro è interessato al sapere custodito nella antica Talit. Tu
dovrai trovare questa persona, ed eliminarla.”
Lina esitò. “E… di chi si tratta?”
“Curioso… ma dovresti saperlo.” Mardoc la scrutò in
viso, con i suoi occhi penetranti. “La profetessa mi ha detto che ha letto la
risposta nel tuo stesso sguardo. Uno spirito che condivide le tue stesse
aspirazioni, che hai incontrato a Elmekia. Uno spirito curioso, e privo delle
riserve che avrebbero fermato altri esseri umani…”
Lina esitò per qualche istante, in silenzio. Quando
parlò, lo fece con evidente riluttanza. “Stai… parlando di Livia, non è così?”
“Livia?” Ero confuso. “Che cosa c’entra, ora, quella
ragazzina?”
Lina mi rivolse una breve occhiata. “Quel volume che
stava consultando… alla luce di quanto abbiamo scoperto questa sera, mi sembra
una coincidenza troppo grossa che stesse cercando informazioni proprio al suo
interno solo per sapere qualcosa sullo Spadaccino di Luce. In più… non mi
sembrerebbe strano che si interessasse a qualcosa del genere. Al di là dei
modi, ha mostrato curiosità, e una certa spregiudicatezza. E tu mi hai detto
che è scomparsa, la notte in cui io sono fuggita da Talit. Forse ha trovato un
modo per scappare, e ha raggiunto la città vecchia.” Lina fissò Mardoc, a denti
stretti. “Ma è poco più che una bambina. Cosa mai potrebbe riuscire a fare, di
tanto pericoloso da desiderare ucciderla?”
“L’energia fuori controllo è molto più pericolosa di
quella dominata.” Replicò il drago, freddamente. “E non sta a te valutare, in
ogni caso. Ascoltami e basta. Riteniamo che la ragazzina in qualche modo abbia
continuato a visitare la antica Talit per un tempo indefinito prima del vostro
arrivo, e che si sia nascosta laggiù, da qualche parte, dopo la tua fuga. Il
laboratorio di Erian, nel palazzo antico, è protetto da un incantesimo. Per
nessuno, nemmeno per noi, è possibile entrarvi o distruggerlo. Eravamo convinti
che solo il potere del Caos potesse riuscirci… ma nei giorni precedenti alla
tua fuga da Talit, quel laboratorio è stato riaperto. La ragazzina deve
avercela fatta, in qualche modo che non riusciamo a immaginare. E lì deve avere
trovato il diario.”
“Non capisco di che parli.” Lina scosse la testa.
“Amelia non te lo ha riferito? Anche io e lei siamo entrate nel laboratorio
senza problemi, e senza ricorrere ad alcun incantesimo.”
Mardoc si accigliò. “Non mentire, Lina Inverse. La
magia laggiù è ancora attiva. Ho inviato i miei uomini a cercare di
distruggerlo, anche dopo che tuo marito è stato colpito dalla maledizione, e
nessuno è riuscito nell’impresa.”
Lina si morse il labbro e tacque. Mi sorpresi che
non insistesse, perché la avevo vista con i miei stessi occhi mettere piede nel
laboratorio. Dal momento che non pareva voler controbattere, però, mi cucii la
bocca. Doveva avere le sue motivazioni. “Il punto è che non sappiamo se, come
ha aperto la porta del laboratorio, la ragazza sia riuscita a leggere le pagine
del testo senza incorrere nella maledizione…” Proseguì Mardoc, evidentemente
interpretando il silenzio di Lina come una tacita ammissione. “E noi non sappiamo
cosa esattamente contengano quel diario e quel laboratorio. Ora potrebbe
avere in mano strumenti di difesa estremamente pericolosi. E c’è anche la
possibilità che ciò che ha appreso sia troppo, per lei, e le abbia fatto
perdere il controllo. Avvicinarla potrebbe essere molto rischioso, in questo
momento.”
Lina lo fissò con disprezzo. “E così, invece che
presentarvi da lei personalmente, mandate qualcun altro a fare il lavoro
sporco. Molto coraggioso.”
“Non è questa la ragione.” Sibilò il drago,
con ira. Per un istante, mi apparve incredibilmente imponente e fui tentato di
stringere a me Lina, per metterla al riparo. “Il fatto è, sciocca ragazza, che
se qualcuno di noi cercasse di avvicinarla la ragazzina potrebbe reagire per lo
spavento. E se di riflesso lanciasse un incantesimo che non sa controllare, se
rilasciasse l’energia del Caos, potrebbe essere la fine, per tutti.”
“E in che modo dovrebbe essere diverso, con me?”
“Sarà diverso, perché si fida di te.”
Sia Lina che io trasalimmo. Era stata Sybil a parlare.
La sua voce pareva quasi essere sorta dall’oltretomba.
“Lei ti ammira… ti vede simile a lei. Per questo ti
ha aiutata a scappare. Ed è sola, separata dai suoi affetti, a Talit. Se c’è
una persona in cui può essere disposta a confidare in questo momento, quella
sei tu.” Sybil accarezzava ancora con le dita i capelli di Bastian. Non levò lo
sguardo a fronteggiarci, mentre parlava.
“Esattamente.” Confermò Mardoc, in tono privo di
sentimento. “E se confida in te, c’è meno rischio che ti attacchi. E se non
attacca, evitiamo tutti di correre pericoli… sempre che tu sia in grado di
approfittare del momento, per liberarti di lei.”
In altre parole… Lina avrebbe dovuto raggirare
Livia, per riuscire a ucciderla quando meno se lo aspettava. Mi si gelava il sangue
al solo pensiero.
Scossi la testa, inorridito. “Lina. Non…”
“E’ solo una ragazzina!” Mi precedette tuttavia mia
moglie, in un sibilo. “Ha vissuto per tutta la vita imprigionata fra le pareti
di un palazzo, quasi sicuramente non aveva idea di cosa stesse facendo!” Fece
un passo avanti. “Non ho intenzione di farle del male! Mi hai capito??? Non ho
intenzione di uccidere una bambina, tanto meno approfittando della fiducia che
ripone in me!”
Mardoc non si scompose. “E allora tuo marito
morirà.”
“Come potete???” Lina strinse i pugni. “Avete deciso
di lasciare in vita me, nonostante io conosca il Giga Slave, e allora perché
non Livia???”
“Non è così.”
“COSA, non è così???”
“Noi non abbiamo deciso di lasciarti in
vita.” La replica di Mardoc fu gelida. “Anzi, quando abbiamo saputo quello che
era successo con Fibrizo, il nostro primo pensiero è stato quello di
rintracciarti e ucciderti. Ma è stato Milgazia a proibircelo.”
Lina batté le palpebre, colta alla sprovvista.
“Milgazia?”
“Il capo della comunità dei draghi dei monti
Kataart. Ci ha detto di averti conosciuto, e che ti reputava degna di fiducia…
e ci ha intimato di non toccarti.” Il volto di Mardoc si oscurò, e per un
istante il drago celò a malapena la propria ira. “E’ proprio per le nostre
divergenze di visione, che centinaia di anni fa ce ne siamo andati da laggiù.
Ma purtroppo non possiamo fare a meno di ascoltare un suo ordine diretto. Siamo
una comunità troppo poco numerosa, e se ci attaccasse ci schiaccerebbe in un
istante.”
“Grazie al cielo.” Gli sputò contro Lina. “Mi
preoccuperei, se fosse il contrario. Al tuo posto Milgazia ci avrebbe aiutato
senza chiedere nulla in cambio.”
Mardoc si accigliò. “Davvero credi che Milgazia
abbia più giudizio di noi, Lina Inverse? Lui avrebbe permesso che tu
distruggessi il mondo, solo perché i suoi scrupoli gli impedivano di ucciderti
a sangue freddo. Dal tuo punto di vista è stato molto caritatevole, certo… ma
dal punto di vista di tutti gli innocenti le cui vite hai minacciato di
cancellare con il tuo gesto sconsiderato contro Fibrizo… dal loro punto di
vista, dove credi stia il torto?” Il drago scosse la testa. “Credimi, Lina
Inverse, non provo nessun piacere a uccidere un innocente… ma a volte va fatto.
Per un bene più grande.”
“Non sono d’accordo.”
L’espressione di Mardoc si indurì ulteriormente.
“Non mi importa se sei d’accordo o meno. E ti dirò di più… non fosse stato per
il divieto di Milgazia, nemmeno tu saresti sopravvissuta a questa faccenda. Ciò
che davvero avrei dovuto fare, quando sospettavamo di te, sarebbe stato
presentarmi di fronte a te e ucciderti, a titolo di precauzione. E invece ho
dovuto pazientare, ricorrere a stratagemmi…ho dovuto affidarmi a dei comuni
assassini, per cercare di eliminarti… con risultati del tutto fallimentari.”
Sia Lina che io spalancammo gli occhi, a quella rivelazione.
“Sei stato… tu? Tu li hai assoldati???”
“Non a mio nome, chiaramente.” Mardoc si strinse
nelle spalle. “E’ stata la principessa ad agire per noi. La nave che vi stava
conducendo a sud… a guidarla non erano semplici mercanti, come quel mercenario,
Dorak, ha cercato di farvi credere. Erano pirati al servizio di Meghar. Con il
nome e le promesse di denaro della principessa Amelia, non è stato difficile
convincerli ad attaccarvi per noi. Uccidervi in mare sarebbe stato l’ideale.
Avremmo potuto far sparire ogni traccia di voi, e Milgazia non avrebbe mai
avuto alcun elemento per accusarci di essere responsabili della tua morte.”
Lina aggrottò la fronte. “Ma io credevo che…” Si
volse a Sybil. “… non mi avevi detto che era la Gilda degli Assassini di Rolan
a essere sulle mie tracce?”
La profetessa era accigliata. “Così credevo.”
Mormorò. “Un assassino che avrebbe potuto ucciderti… la principessa… ha senso,
ma… una parte della catena deve essere sfuggita alla mia comprensione.”
Lina scosse la testa. “Non capisco.”
“Questo non ha importanza ora, o sbaglio?” Intervenne
Mardoc. “Ciò che conta, direi, è che il nostro tentativo non sia andato a buon
fine.”
Lina si incupì. “Peccato per voi.”
“A posteriori, è stato un bene.” Mardoc la scrutò con aria
di sfida. “Ci ha permesso di scoprire la verità in tempo.”
Un silenzio colmo di ostilità pervase l’aria. Cercai di
convincermi che esistesse una soluzione, ma non c’era. Lina non avrebbe fatto
ciò che il drago le chiedeva… non le avrei permesso di farlo, nemmeno
per salvarmi la vita. Ma Mardoc non ci sarebbe venuto incontro. Eravamo in un
vicolo cieco.
“Ti conviene riflettere bene su quello che ti ho chiesto,
Lina Inverse.” Intimò il drago, in tono pratico. “Quando tornerai qui con la
prova che la ragazza è morta allora io guarirò tuo marito. Non ti impongo
scadenze. Ma credo che tu ti renda conto che, ai fini della ricompensa, è
suggeribile per te agire in fretta.” Volse le spalle e indietreggiò, verso gli
altri draghi.
“Aspetta un momento!” Mia moglie scattò in avanti. “Non
abbiamo ancora finito di parlare!”
“Per quanto mi riguarda, sì.” Il drago la fissò da sopra la
spalla, con fare minaccioso, e Lina si arrestò di riflesso sui propri passi.
“Sai cosa ti chiedo di fare. Non dico che sia semplice, ma… ogni decisione
presa comporta la perdita di qualcos’altro.” Strinse gli occhi. “Scegli bene,
Lina Inverse.”
Levò il braccio, di fronte a sé. L’oscurità parve addensarsi
attorno alle sue vesti, prendendo corpo progressivamente in una forma solida. I
suoi compagni lo imitarono, e presto figure enormi e minacciose si stagliarono
contro il cielo blu profondo, sovrastandoci. Raggiunsi Lina e la afferrai per
le spalle, traendola a me. Un ruggito spezzò l’aria fredda, e una dopo l’altra
le creature spiccarono il volo, sollevando polvere e detriti, e facendo
ondeggiare pericolosamente la luce delle fiamme. In pochi secondi si persero
oltre il profilo del picco, lasciandoci soli con il silenzio. Lina si strinse a
me, con tanta violenza da togliermi quasi il fiato. Non ebbi il coraggio di
guardarla negli occhi. Affondai le dita nei suoi capelli, le labbra serrate.
Che cosa dovevamo fare? Che cosa dovevamo fare, ora?
“Li… Lina- san…”
Trasalimmo, entrambi, e ci volgemmo verso la parete rocciosa.
I ruggiti dei draghi avevano svegliato Amelia, che si stava guardando attorno,
intontita. Individuò Sybil, e Bastian ancora privo di sensi, e i suoi occhi si
riempirono di confusione. Si volse verso di noi, con aria interrogativa.
Lina si scostò lentamente da me, e io la lasciai andare con
riluttanza, perché si avvicinasse alla principessa. “Amelia… ti senti bene?”
Chiese, con voce flebile, inginocchiandosi al suo fianco. Appariva così
pallida, alla luce delle fiamme, che quella domanda suonò inappropriata, sulle
sue labbra. “Ricordi… cosa è successo?”
La principessa scosse la testa. “Non…” Amelia si bloccò, e
deglutì. “Ricordo…” Strinse i pugni, e scosse lievemente la testa, come a
negare un pensiero che le era sorto alla mente. “Io… ho perso i sensi quando
quel drago ci è venuto incontro… non è così?”
Lina si incupì, e le strinse lievemente la spalla con la
mano. “Non… preoccupartene, ora.” Mormorò. “Devi essere esausta. Cerca di
rimanere tranquilla.”
“Cosa hai intenzione di fare, Lina Inverse?” Domandò Sybil,
osservandola dal suo angolo contro la roccia. Sollevò la testa di Bastian dalle
proprie ginocchia e, con una delicatezza che stonava con i suoi lineamenti
contratti e il suo tono duro, lo accomodò nuovamente al suolo. Il falco,
acquattato al fianco del suo padrone, emise un altro, soffuso, lamento.
Lina esitò per qualche istante, ma alla fine eluse la
domanda. “Che cosa gli hanno fatto?” Chiese invece di rimando, occhieggiando
Bastian.
Sybil scosse la testa, a indicare che non sapeva rispondere.
“Quando sono arrivata qui era già privo di sensi.” Spiegò. Lo fissò in volto e
per un istante i suoi occhi si velarono di tristezza. “Ma starà bene. A
dispetto di tutto… dubito che la comunità dei draghi attenterebbe
deliberatamente alla vita di un essere umano, senza una precisa motivazione.”
Lina non rispose. Si limitò a sedersi vicino al fuoco, come
improvvisamente esausta, e si prese la testa fra le mani. La voragine
dell’angoscia tornò a scavare nel mio stomaco, nel vederla in quello stato. Quello
che stava per accadere… era troppo. Lina aveva già ucciso. Non era
un’innocente, nemmeno da quel punto di vista. Ma l’omicidio di Livia avrebbe
avuto un peso del tutto diverso, per lei. Una volta Sylphiel mi aveva rivelato
che mia moglie aveva quasi perso la testa, credendo di avere ucciso un bambino,
durante lo scontro con Fibrizo, e io non stentavo a crederle. Conoscevo Lina.
Scommettere sulla vita delle altre persone per salvarmi in un momento di
disperazione era diverso dal commettere deliberatamente un atto così feroce.
Sapevo che, se avesse acconsentito, non se lo sarebbe mai perdonato. Per questo
non avrei mai potuto permetterle di farlo.
Ma impedirglielo significava imporle di lasciarmi morire.
Significava che avrebbe vissuto non solo con la consapevolezza della mia
perdita, ma con la coscienza di aver consciamente evitato di impedirla. Dei.
Perché avevo preso in mano quel diario? Perché la mattina in cui Eriol era
stato ucciso non mi ero trovato con Lina? Perché avevo chiesto a Lina di
aiutare Sylphiel, sin dal principio? Perché, perché… centinaia di domande, e
nessuna soluzione.
“Lina- san… ti senti bene? Sei ferita?” La voce di Amelia
era allarmata. Si protese verso di lei, per soccorrerla.
Mia moglie scosse la testa, e si ritrasse. “Sono… solo
stanca. Lasciami un momento per riflettere sul da farsi, d’accordo?” La sua
voce era ferma, non c’era traccia del tremore che avrebbe accompagnato delle
lacrime. Ma avevo l’impressione che si stesse trattenendo dall’esplodere.
“Io… però non capisco.” Amelia volse la sua attenzione alla
profetessa e al cavaliere. “Che cosa ci fa, qui, Bastian- san? Perché i draghi
non lo hanno portato via con loro? Non era loro alleato?”
Lina levò lentamente la testa, a quella affermazione.
Indirizzò a Bastian i suoi occhi e una strana determinazione le si dipinse sul
viso. “Non lo ho capito.” Dichiarò. “Al di là del fatto che non ci ha traditi…
continuo a non capire cosa sia accaduto quella notte, nella vecchia Talit, fra
lui e Dorak.” Il suo sguardo si accese. “Amelia… credi di farcela a usare un
incantesimo di guarigione su di lui? Immagino che farlo svegliare e
chiederglielo sia l’unico modo per scoprire la verità.”
Amelia annuì, con un vago disagio. Si avvicinò al cavaliere,
e protese le dita su di lui. Sybil indietreggiò, premendosi contro la parete di
roccia, ed ebbi l’impressione che se avesse potuto sarebbe volentieri scomparsa
al suo interno. Io raggiunsi Lina e mi sedetti al suo fianco, ma la sua
attenzione ora sembrava totalmente, e febbrilmente, concentrata sulla soluzione
dei dubbi che le attraversavano la mente. Se la conoscevo, quello in quel
momento era l’unico modo per lei per evitare di perdere il controllo.
L’incantesimo di Amelia terminò. Bastian per un istante
rimase immobile, ma poi un gemito fuoriuscì dalle sue labbra. I suoi lineamenti
si distorsero, contrasse la mascella, e aprì lentamente gli occhi. Smarrito, si
portò la mano alla fronte, e gli occhi vitrei tradirono una fitta di dolore.
“Bastian.” Lo chiamò mia moglie. Il suo sguardo la cercò,
percorrendo lo spazio illuminato dal fuoco. Non notò Sybil, rannicchiata
nell’oscurità alle sue spalle, ma tradì stupore nell’accorgersi di Amelia.
Quando trovò Lina, la confusione sul suo viso era evidente.
“I… il drago… che cosa?”
“Ti ha lasciato libero.” Rispose mia moglie, in tono quieto.
“Ti senti bene? Deve averti stordito.”
“S… sì… io sì… ma…” Il suo sguardo si riempì improvvisamente
di allarme. Scrutò me e Lina in volto, come temendo di avere di fronte dei
fantasmi. “Voi state bene? I draghi… e… e la principessa… temevo che lei… vi
facesse del male…” Volse lo sguardo verso Amelia. La nostra amica lo fissò di
rimando, con fare confuso e nervoso, ma meno stupito di quanto ci si potesse
aspettare di fronte a una accusa del genere.
Anche Lina spostò lo sguardo su Amelia, ed emise un breve
sospiro. “Avremmo dovuto dirtelo, prima o poi.” Mormorò, in un vago tono di
scusa. “Ma credo che tu abbia già capito da sola di cosa sta parlando.”
Amelia esitò. Ma alla fine, sconfitta, abbassò il capo, e
annuì brevemente. “Il mio desiderio insopprimibile di venire con voi… i vuoti
di memoria… gli strani ricordi di cose che ero certa di non aver mai fatto…”
Fissò Lina, nervosamente, e poi, per qualche motivo, spostò lo sguardo su di
me. “E’ quello che penso… non è così?” Domandò, in tono flebile.
Lina mi afferrò la mano e la strinse nella sua. Quindi
annuì, lentamente.
Amelia non chiese spiegazioni. Si limitò ad abbassare lo
sguardo, l’espressione turbata. “Mi dispiace.” Mormorò Lina, tanto debolmente
che Amelia probabilmente non la sentì. “Lo hanno fatto per colpire me.” ‘Come
sempre’. Non lo disse, ma lo lessi nei suoi occhi. Le strinsi forte la mano di
rimando. Avrei voluto dirle qualcosa, ma il suo sguardo evitò il mio.
“Non… capisco…” Dichiarò Bastian, confuso.
Lina sospirò. “Non so cosa sai o hai visto di Amelia, ma la
nostra amica è stata costretta a compiere quelle azioni contro la propria
volontà.” Gli rispose. “Ti puoi fidare di lei. Te lo posso assicurare.”
Il cavaliere stava fissando la principessa con sguardo nervoso,
ma alle parole di Lina annuì, lentamente. “Mi era… sembrato strano, in
effetti.”
Lina emise un breve sospiro, e parve imporsi determinazione.
“Che cosa è accaduto la notte in cui ci siamo separati?”
Bastian pareva più propenso alle domande, che alle risposte.
Ma dovette cogliere la nota febbrile nell’espressione di Lina, perché replicò
senza obiezioni. “Dopo che l’oscurità magica è calata sulla casa, la
principessa e Sir Gabriev sono venuti a cercarti, e io sono rimasto a
controllare il diario… Ma poi ho sentito delle urla sulle scale, sono uscito
nell’atrio per capire cosa stesse accadendo e lì … mi sono scontrato con
Dorak.”
Lina si accigliò. “Dorak?”
Bastian annuì. “E’ arrivato a palazzo qualche ora dopo di
noi, stando a quanto ho capito. Sul momento non gli ho dato il tempo per
spiegarsi, veramente. Era buio, ho pensato che avesse aggredito la principessa
Amelia e Sir Gabriev, e che ti stesse cercando. Lo ho attaccato senza pensarci,
e lui è fuggito senza rispondere. Credo che fosse troppo esausto a causa
dell’arrampicata nella neve per combattere.” Si portò una mano alla tempia
destra, e la massaggiò lievemente con le dita. “Lo ho inseguito fino
all’interno del bosco. Lui continuava a gridarmi di fermarmi, che non era lui
il nemico, che dovevo lasciargli spiegare. Alla fine, per convincermi, ha
gettato la spada al suolo e si è fermato di fronte a me disarmato. Non avrei
potuto colpirlo a sangue freddo, dopo quel gesto. Dovevo stare ad ascoltarlo.”
“E lui… ti ha detto di Amelia?” Lina sembrava aver
iniziato a capire.
Bastian annuì, nuovamente. “Mi ha detto che si trovava sulle
nostre tracce sin dall’incidente della nave.” Il cavaliere occhieggiò Amelia, a
disagio. “A quanto pare, la principessa… lo ha lasciato cadere in mare, invece
di metterlo in salvo, come gli avevate chiesto. E poi è tornata per
attaccarci.”
Il volto di Amelia si imporporò. Lina, invece, assunse
un’espressione perplessa. “Ma scusa… come ha fatto Dorak a sopravvivere? Non ha
detto di non saper nuotare?”
“Ha mentito.” Replicò Bastian, in tono piatto. “Sapeva che
se ci avesse detto la verità lo avremmo abbandonato in mare da solo, e temeva
che sarebbe stato inerme di fronte a chiunque ci stesse attaccando. Non poteva
immaginare che la sua bugia lo avrebbe messo direttamente nelle mani del nostro
aggressore.” Bastian sospirò. “Purtroppo, non ha trovato la grotta in cui ci
eravamo rifugiati. Ci ha preceduti verso Talit, ma dobbiamo averlo superato a
un certo punto del viaggio. Se ci fossimo incrociati, ci saremmo risparmiati tutto
questo…”
“Ma… sin dall’incidente della nave ci ha seguito solo per
avvisarci?” Lina si accigliò. “Mi sembra… stranamente generoso, da parte sua.”
Per un momento, nella espressione esausta di Bastian
riemerse una scintilla della consueta aria sprezzante. “Gli ho rivolto
esattamente la stessa domanda.” Replicò. “E lui mi ha detto che il suo scopo
principale non era riferirci del pericolo, ma raggiungere e catturare la
principessa, per sapere cosa stesse tramando. Temeva che il suo atteggiamento
derivasse da un qualche tipo di accordo fra Meghar e Sailune, capite. Che le
comunità Enu rischiassero qualcosa.”
“E poi siete stati attaccati dal drago che era giunto a
prendere te.” Tutti trasalimmo. Era stata Amelia a parlare.
Ci volgemmo verso di lei. Il suo sguardo era rivolto al
suolo. “Adesso ricordo.” Mormorò, in tono mesto. “Dopo l’ultimo attacco, nel
palazzo… mi è stato detto che i piani erano cambiati. Di prendere il diario e
di tenerlo in custodia, in attesa di nuovi ordini. Non so come ho fatto a trattenermi
dall’aprirlo. Solo il fatto che la mia mente era già controllata me lo ha
impedito, credo.”
“Ti hanno detto loro… di condurci presso la comunità dei
draghi?”
Amelia scosse la testa. “Immaginavano che sareste giunti lì
da soli, una volta che Bastian e il diario fossero spariti.”
“Hanno attaccato Dorak senza dargli nemmeno il tempo di
imbracciare nuovamente la spada.” Bastian scosse la testa. “Quel drago gli ha
squarciato lo stomaco con un artiglio, e ha afferrato me, senza lasciarmi
contrattaccare.” Si rivolse a Lina. “Ho… anche perso la tua spada, laggiù. Mi
spiace.” Il suo sguardo si fece stranamente intenso, a quelle parole. Non si
stava scusando solo della spada. Si stava scusando di essersi fatto catturare e
di non aver compiuto il suo dovere restandoci accanto. Provai un moto di
fastidio. Avrei voluto ricordargli che era mio compito e non suo,
restare a fianco di Lina. Ma non potevo. Perché nel giro di poche settimane,
con ogni probabilità, avrei abbandonato Lina per sempre, a causa dei miei stupidi
errori. Ero io ad aver fallito, e mi ero privato di ogni diritto di
recriminare.
“Non… ha importanza. Era una spada da poco.” Lina spostò lo
sguardo dal cavaliere a me, stringendo le labbra. L’imbarazzo nell’aria si fece
palpabile.
“Comunque…” Proseguì Bastian, evitando lo sguardo di
entrambi. “… non capisco per cosa avessero bisogno di me… per attirarvi qui? E
perché il drago ha colpito Dorak? Non avrebbe potuto fermarli, in ogni caso. E
i membri della comunità dei draghi non ucciderebbero un essere umano senza
averne motivo.”
Sybil aveva compiuto la stessa considerazione, solo qualche
minuto prima. Cercai con lo sguardo la profetessa, che fino a quel momento era
rimasta talmente immobile da confondersi con la parete di roccia. I suoi occhi
erano fissi sulla schiena del cavaliere, i suoi palmi premuti contro la parete
della montagna, e le sue dita sembravano voler perforare la roccia.
“Volevano impedire che parlasse, e rivelasse di me agli
altri.” Fu Amelia a rispondere, con lo stesso tono quietamente rassegnato di
poco prima. Abbassò lo sguardo, con l’evidente desiderio di sparire ai nostri
occhi. “E in ogni caso… non sono stati loro a ucciderlo.” Chiuse gli occhi.
“Sono stata io.”
Fu un bene che Amelia non stesse osservando la nostra
reazione. Sia Lina che io la fissammo come avremmo osservato un cane a tre
teste.
“Ma… ma scusa…” Obiettò mia moglie. “Non ci siamo mai
allontanati da te, e lo abbiamo trovato che era già in fin di vita…”
Amelia scosse la testa. “Stava morendo, chiaramente.”
Mormorò. “Ma forse un Resurrection avrebbe potuto salvarlo.” Strinse i pugni,
forse per fermare il tremito delle sue mani. “Quando ha iniziato a parlare,
sapevo che mi avrebbe accusato e avrebbe svelato ogni cosa… non so più nemmeno
se sia stato un ordine, o se io stessi cominciando a perdere il controllo della
mia volontà anche nei momenti in cui non ricevevo un comando diretto… ma la
formula che ho recitato… non era un Recovery, era un Mono Volt. Anche se la ho
pronunciata a bassa voce ho pensato che te ne saresti accorta di certo…
quell’uomo gridava di dolore ogni volta che attivavo l’incantesimo, e stava
cercando evidentemente di dirvi di non fidarvi di me… e invece eri troppo
distratta, da chissà cosa, per rendertene conto.” Si coprì gli occhi con la
mano. “Forse ho solo accelerato la sua morte, ma… non posso credere di aver
inflitto tanta sofferenza a un moribondo.”
Il volto di Lina si distorse per il senso di colpa. “Non è
stata colpa tua.” Mormorò, stringendole il braccio con la mano. “Non eri in te,
Amelia.” Esitò. “Ma hai ragione, nel dire che avremmo dovuto capire. Non solo
quello, ogni cosa. Sono stata… davvero cieca.”
La principessa scosse il capo. “No… no. Avevate molti
pensieri per la testa. Non è giusto che io ti accusi.” Sospirò, e abbassò la
mano, per guardarci in volto. “Ma voglio sapere cosa sta succedendo. Tutto ciò
che avrei voglia di fare ora come ora sarebbe tornare a casa da mio padre,
veramente… ma non sarò in pace con la mia coscienza se non capirò prima cosa
c’è dietro a tutta questa storia… se non saprò per cosa sono stata
usata.”
Lina ed io ci scambiammo uno sguardo. Eravamo tornati al
punto da cui quella conversazione era partita… ciò che la comunità dei draghi
ci aveva chiesto di fare. Si trattava di un argomento che non avremmo potuto
eludere a lungo, in ogni caso. Ma mi sembrava quasi che tornare a parlarne
significasse renderlo più reale.
“E’… una lunga storia, in effetti.” Riprese mia moglie.
Torse le mani, nervosamente, come incerta su come proseguire. Fu allora che il
suo mantello si scostò lievemente, e qualcosa catturò il mio sguardo.
Le strinsi lievemente il braccio, per attirare la sua
attenzione. “Lina.” Indicai il suo mantello. “Credo… di aver visto qualcosa che
brillava, in una delle tue tasche.”
Lina batté le palpebre, e seguì il mio sguardo. “E’ la
pietra che uso per tenermi in contatto con Sylphiel.” La estrasse, alla luce
delle fiamme. “Accidenti, mi sono scordata di tenerla controllata, da quando
siamo arrivati al villaggio oggi pomeriggio. Chissà da quanto sta cercando di
contattarmi.”
Mi augurai che non fosse accaduto nulla di grave. Osservai
Lina, mentre pronunciava frettolosamente le parole dell’incantesimo, evocando
dal nulla la figura pallida Della sacerdotessa.
“Lina- san!” Esclamò, senza lasciarci il tempo di parlare.
“Grazie al cielo! Sono ore che tento di mettervi in contatto con voi, stavo
morendo di preoccupazione!”
“Scusaci, Sylphiel, siamo stati coinvolti in un sacco di
guai.” Mia moglie la squadrò, cercando nel suo sguardo qualche segnale di
quanto stesse per dirci. “Tu stai bene? E’ successo qualcosa a Talit?”
“Io sto bene, e qui è tutto tranquillo. Siete voi il
problema.” Strinse i pugni. “Dove vi trovate, in questo momento?”
Lina ed io ci scambiammo un’occhiata, senza capire. “Siamo…
nelle steppe vicino a Talit. Perché?”
“E’ come pensavo.” Sylphiel impallidì, se possibile,
ulteriormente. “Ascoltatemi, oggi pomeriggio un nuovo contingente è partito da
Talit. Non sono riuscita a strappare grandi informazioni a Derek… ma lo ho
sentito parlare di una missione punitiva, e gli ho sentito dire che i soldati
erano diretti proprio alle steppe!” Scosse la testa. “Me lo sentivo! Me lo
sentivo che eravate voi, l’obiettivo!”
“Aspetta un momento, Sylphiel. Hai detto un contingente? Un
intero contingente solo per noi?”
Sylphiel annuì, fissando me e Gourry con ansia. “Dovete
andarvene di lì. Nascondervi sulle montagne, o cercare di raggiungere Sailune.
Non pensate a me. Finché i Gabriev mi accorderanno la loro protezione io sarò
al sicuro, qui.”
Lina scosse la testa. “Anche se avessi la certezza che Talit
sia un luogo sicuro per te non potremmo muoverci comunque. Abbiamo ancora degli
affari da sbrigare a Talit.” Esitò. “Ma ora che lo sappiamo, staremo attenti.
Dovrai tenere le orecchie aperte e informarci di ogni cosa, Sylphiel.”
“Ma Lina- san…”
“Vai, prima che ti scoprano. Non è prudente parlare a lungo,
né per te né per noi. Non possiamo permetterci di perdere il tuo appoggio alla
corte.”
Sylphiel esitò, ma alla fine emise un sospiro sconfitto. “Se
non volete convincervi… immagino di non poter fare altro.” Abbassò lo sguardo.
“Ma fatemi almeno avere vostre notizie regolarmente. Vi prego.”
Lina annuì, con un sorriso debole, che sapeva di falso.
Osservammo la figura di Sylphiel svanire, e l’istante successivo ogni traccia
di distensione scomparvedal suo volto.
“Ci mancava questo, a complicare le cose…” Commentò, a mezza voce.
Io aggrottai la fronte. “Ma scusa, Lina… come fanno a sapere
dove ci troviamo? Nemmeno Derek ne è al corrente.”
Mia moglie mi squadrò, battendo le palpebre. “Stranamente…
hai ragione.” Si limitò a replicare, con stupore che avrei potuto giudicare
offensivo.
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che non accade molto spesso che tu abbia
ragione.”
“Intendo cosa vuoi dire dicendo che ho ragione!”
“Che hai detto una cosa ragionevole, e cosa sennò?”
“Sì, ma su cosa ho ragione nella cosa ragionevole che ho
detto?”
Amelia sospirò. “Lina- san.” Ammonì. “Non è il momento più
adatto per le conversazioni assurde.”
Lina le rivolse un’occhiata esasperata. “Intendo dire
che non è detto che la spedizione punitiva sia diretta verso di noi!”
Lanciò un’occhiata a Bastian, che ci fissava dalla sua
posizione al suolo, con l’aria di essere vagamente sconcertato dal nostro
scambio di battute. E quindi spostò lo sguardo su Sybil, premuta contro la
parete alle sue spalle e ancora immobile.
“Ma cosa potrebbero cercare in mezzo al deserto, se non
noi?”
Lina tornò a fissarmi. “Pensaci. Rolan, una città
apparentemente inespugnabile, viene data alle fiamme e presa in una sola notte.
E subito dopo, i draghi che gli Enu avevano affidato a Erianna spariscono da
Talit. A quali conclusioni saresti giunto tu, se ti fossi trovato al posto di
Georg?”
Prima che potessi rispondere, un gemito sorse dalle spalle
di Bastian. Ci volgemmo tutti, per individuarne la fonte: Sybil, che si era
levata in piedi, l’espressione improvvisamente sgomenta. Bastian rimase tanto
sorpreso nel rendersi conto della sua presenza che strisciò indietro,
incespicando nel mantello e rischiando di finire al suolo.
“Sy… Sybil?”
Ma la profetessa lo ignorò. “Stai dicendo che hanno
intenzione di attaccare il villaggio, Lina Inverse?”
Mia moglie annuì, cupa. “Temo che abbiano intuito il vostro
tradimento. E di certo sono convinti che la comunità dei draghi rimanga vostra
alleata, perciò devono avere inviato un grosso contingente, contro di voi.”
Bastian, udendo quella frase, parve riprendersi dal suo
sbigottimento. “Quelle truppe sono dirette al villaggio?” Sibilò, la voce colma
di allarme. “Se sono partiti questo pomeriggio… saranno lì al più tardi
dopodomani!” Si volse verso la sacerdotessa, il volto terreo. “Sybil… laggiù ci
sono…”
“Lo so!” Ringhiò la profetessa, senza guardarlo in volto. Si
torse le mani in grembo, in preda a una angoscia evidente.
“Devi tornare e dire immediatamente al governatore di
evacuare i villaggi.” Bastian si levò in piedi e la avvicinò, afferrandola per
le spalle. “Mi hai sentito? Dovete prendere i cavalli, raggiungere le montagne
e disperdervi laggiù. Nel vostro territorio non vi troveranno e…”
Sybil cercò inutilmente di liberarsi dalla sua presa,
fissandolo con frustrazione. “Il governatore non accetterà mai di fuggire. Non
lo capisci? Dirgli dell’attacco imminente servirà solo a solleticare il suo
orgoglio. Condurrà tutta la sua gente al massacro, piuttosto che accettare di
subire l’ennesimo smacco da Talit.”
“Farà almeno allontanare chi non è in grado di combattere.”
“Se deciderà di fermarsi non sprecherà cavalli per la fuga!
Che fine farebbero un mucchio di donne e bambini disarmati e appiedati, soli in
mezzo alle steppe e con i nemici alle calcagna?”
“Se tu gli dicessi che hai predetto la sconfitta…”
“Non mi darebbe retta!” Sybil gli sputò contro, con
manifesta rabbia. “Io sono solo una marionetta Bastian! Le mie parole sono
manipolate secondo la convenienza del momento! E tu questo lo sai meglio
di chiunque altro!”
L’espressione di Bastian si contorse in una smorfia.
Lentamente, lasciò andare la profetessa e indietreggiò di un passo, fissandola
febbrilmente in volto. “E allora verrò con te, e vi aiuterò a combattere.”
Sybil scoppiò in una risata sprezzante. “E saresti utile
alla sorte della mia gente, morendo in prima linea sotto i colpi di un
contingente di tuoi alleati? Faresti davvero una gran bella differenza, cavaliere
di Talit!”
Bastian sussultò lievemente, a quell’appellativo. “Che altro
potrei fare?” Chiese in un sibilo, la voce quasi supplichevole.
Lina si agitò al mio fianco. “Sentite…” Cercò di
intromettersi. Ma la voce di Amelia la sovrastò, decisa.
“Verrò io con te.”
Sia Lina che io ci volgemmo verso di lei, stupiti. La
principessa si era alzata in piedi, e stava fissando Sybil, risoluta. “Verrò io
con te…” Ripeté. “… e prometterò al vostro governatore l’appoggio di Sailune
per far valere i vostri diritti, in cambio della sua decisione di ritirarsi in
questa occasione.”
Il silenzio permeò per qualche istante l’aria. “Parli… sul
serio?” Osò poi domandare Sybil, fissando la principessa come una divinità
appena scesa dal cielo per aiutarla.
Amelia serrò le labbra, annuì. “Ho sentito parlare della
situazione di voi Enu, e ritrovo ingiuste le condizioni di vita a cui siete
costretti. Dato che mio padre è stato coinvolto in questa guerra, avrà quanto
meno l’occasione di intercedere per voi, una volta risolto il conflitto.”
“A… Amelia.” Mia moglie scosse la testa, incredula. “Ma…”
“E’ mio dovere come principessa di Sailune intervenire per
evitare uno spargimento di sangue inutile, Lina-san.” La interruppe la
principessa, senza ascoltare la sua obiezione. “In più… se almeno una cosa
positiva uscirà da tutta questa faccenda credo che potrò ritenermi fortunata.”
Le rivolsi uno sguardo preoccupato. “Sarà pericoloso.”
“E’ il genere di situazione pericolosa che spetta a me
affrontare.” Amelia sorrise a entrambi. “Non preoccupatevi per me. Non sarà
tanto peggio che scontrarsi con un signore dei demoni, immagino.”
Lina esitò. Quindi sospirò, debolmente. “Sarei comunque più
tranquilla se potessimo venire con te.”
“Ma qualcosa vi trattiene qui… non è così?” Amelia spostò lo
sguardo da Lina a me, e annuì debolmente. “Io ho il mio compito e voi il
vostro.” Mormorò. “Ci rivedremo a Sailune, quando sarà tutto finito.” Lina
tacque. La principessa si accostò a Sybil, che la stava ancora squadrando con
aria diffidente. “Credi che il governatore sarà disposto a offrirmi un paio di
uomini per accompagnarmi fino al limitare delle steppe, dopo che avrò conferito
con lui?” Le chiese. “Se mi permetterete di usare uno dei vostri falchi per
inviare un messaggio a mio padre, gli chiederò di mandare qualcuno dalla
capitale a prendermi per scortarmi a casa. Se mio padre approverà il mio piano,
come penso farà, potrà essere anche l’occasione per un primo incontro fra i
vostri messi e gli uomini di Sailune.”
Sybil aggrottò la fronte. “Se davvero intendi offrire ciò
che prometti, credo che il governatore non si opporrà. E in ogni caso…” Strinse
le labbra. “… avrai il mio cavallo per fuggire, se non riuscirai a
convincerlo.”
Amelia sorrise e annuì. “Siamo d’accordo, allora.”
“Verrò anche io con voi.” Intervenne Bastian. “E’ mio
dovere…”
“E’ tuo dovere non intrometterti.” Ringhiò Sybil,
concludendo la frase per lui. “Se c’è una persona che non deve farsi vedere al
mio villaggio, quella sei tu. Manderesti il governatore e i sacerdoti su tutte
le furie, e non ascolterebbero più ragioni. Saresti solo un ostacolo, ormai.”
La sua replica suonò secca, e amara. Non ebbi l’impressione di trovarmi di
fronte alla stessa persona che solo mezz’ora prima avevo visto accarezzare in
silenzio i capelli del cavaliere.
“Sybil, sono anche miei…”
“Non sono né miei né tuoi.” Sybil non lo fece
terminare.“Avrebbero potuto esserlo…” Parve voler aggiungere qualcosa, ma si
bloccò, scuotendo la testa. “Non ha più importanza, ora.” Lo fissò, dritto
negli occhi, e l’amarezza lasciò di nuovo posto alla rabbia. “Non voglio che tu
mi segua. E, in fondo, nemmeno tu lo vuoi.”
A quelle parole, i lineamenti di Bastian si gelarono in una
maschera di colpa. Non replicò. Abbassò lentamente lo sguardo e abbandonò le
braccia lungo i fianchi, mentre i suoi pugni, prima stretti, si rilasciavano.
Non poté notare la smorfia sul volto di Sybil, mentre gli
voltava le spalle, e nemmeno il tremore delle sue mani. La voce della
profetessa rimase ferma, mentre richiamava l’attenzione di Amelia.
“Principessa… se siete d’accordo, possiamo partire immediatamente.”
Amelia aveva osservato la scena con fare interrogativo, ma,
per delicatezza, si limitò ad annuire, mascherando la propria perplessità.
Anche io ero confuso, non sapendo esattamente cosa fosse accaduto fra loro. Ma
quella scena dal sapore di un addio mi lasciò comunque l’amaro in bocca. Forse,
perché mi appariva come un presagio oscuro.
“Allora… state attenti.” Amelia si volse verso Lina e me,
per rivolgerci un cenno di saluto.
Io aggrottai la fronte. “Non avevi detto di voler sapere il
motivo per cui sei stata coinvolta in questa faccenda, prima di tornare a
casa?”
La principessa esitò per un istante. “Ho cambiato idea.”
Disse, e mi rivolse un breve sorriso. “Mi racconterete tutto una volta che
sarete tornati. E sarò davvero curiosa di sapere.” Indirizzò lo sguardo a Lina.
“Perciò, qualunque cosa vi attenda, rimanete vivi.”
Lina ed io ci scambiammo uno sguardo. Mia moglie riuscì a
produrre un sorriso, e annuì. “Stai attenta anche tu.”
La osservammo allontanarsi al fianco della sacerdotessa.
Riuscii a individuare le loro ombre per qualche istante, anche quando furono
uscite dal cerchio di luce del fuoco, ma in breve a circondarci rimase solo
l’oscurità. Il silenzio si fece tanto denso che trasalii quando la voce di Lina
risuonò al mio fianco.
“Ti ha mentito. Lo sai, vero?”
Quella frase suonò spettrale. Mi chiesi per un istante a
cosa mia moglie si stesse riferendo, ma poi mi resi conto che non si stava
rivolgendo a me. Stava parlando a Bastian.
Il cavaliere non si volse a guardarla in viso. “Non so a
cosa ti riferisci.”
“Ti avrebbe voluto con sé.” Dichiarò Lina, con fare nervoso.
“Ti avrebbe voluto, eccome. E’ per te che è giunta fin qui. I draghi la hanno
attirata qui perché avevano bisogno della sua capacità profetica, con la
minaccia di ucciderti.”
Mi chiesi cosa Lina avesse in mente. Voleva che Bastian
seguisse Sybil, nonostante il suo rifiuto? Sperava che si rendesse conto di
essere stato cieco, e che la rincorresse implorando il suo perdono? O si sentiva
solo in dovere di dirgli la verità?
Il cavaliere non rispose. Ci volse le spalle, e si diresse
verso il fuoco, le cui fiamme si stavano lentamente consumando. “Hanno
abbandonato della legna.” Dichiarò, in tono piatto. “Devo attizzarlo? Ci
fermiamo qui per la notte?”
Un fremito attraversò mia moglie. “Bastian…”
“Non mentiva.” Dichiarò il cavaliere, freddamente.
“Hai sentito quello che ti ho detto?”
“Ho sentito. E ho capito cosa intendi.” Fece un sospiro, e
le sue spalle si abbassarono.“Ma ciò
non toglie che non mentiva. A prescindere dalla reazione del governatore… non
mi accetterebbe con sé, ormai. Sybil non accetterebbe mai qualcuno che rimane
con lei per dovere, e nemmeno per semplice affetto.” Non potevo vederlo in
volto. Ma quella dichiarazione suonò tanto sconfitta da riuscire a sciogliere
parzialmente la mia ostilità nei suoi confronti.
Lina, al mio fianco, parve esitare. Io agii senza pensare, e
le afferrai la mano. “Per stanotte fermiamoci qui.” Proposi. Avanzai verso il
fuoco, trascinando Lina con me, e mi piegai per raccogliere la legna. Mia
moglie mi fissò con aria interrogativa per un istante, ma poi parve comprendere
le mie intenzioni, e abbassò lo sguardo. “Prepariamo… della carne e un po’ di
uova per cena, d’accordo?” Propose, a mezza voce. Bastian mi parve estremamente
grato del mutamento di argomento.
“Dunque… quale sarà la vostra prossima meta?” Domandò, dopo
qualche minuto di silenzio, con fare forzatamente pratico. “Non ho capito
esattamente cosa i draghi volessero da Sybil e da voi …” Aggiunse, osservandoci
con la coda dell’occhio.
Cercai lo sguardo di Lina, ma mia moglie mi parve troppo
stanca persino per pensare a come rispondere. “Ne parliamo domattina.” La
anticipai, frettolosamente. “Per ora pensiamo a riposare. Monto io la guardia
per primo, d’accordo?”
Lina mi rivolse un breve sorriso di ringraziamento, a cui
risposi, sinceramente. Mi piaceva, il sorriso di Lina. Avrei voluto essere solo
con lei, in quel momento, per godere davvero di esso. Sotto ad un simile cielo
stellato, in qualsiasi altra parte del mondo, perso in qualcuno dei nostri
assurdi viaggi. Pensai a mio padre, alle ambizioni che avrei dovuto avere per
renderlo fiero di me. Nessuna di esse mi parve importante. Non volevo terre o
un palazzo nei territori di Elmekia, non volevo servitori, non volevo gloria
militare. Tutto ciò che desideravo era guadagnarmi da vivere con la mia spada,
e restare al fianco della mia vera e unica famiglia. Lina. Da quando la avevo
conosciuta, non desideravo nulla di diverso da ciò che già avevo. E ora…
davvero quella vita che avevo sempre sognato stava per scivolarmi via dalle
mani?
Feci del mio meglio per non pensarci. Ci dividemmo il cibo e
mangiammo in silenzio, Lina ed io fianco a fianco vicino al fuoco, e Bastian
seduto lievemente in disparte, vicino al suo falco. Il cavaliere consumò solo
qualche boccone, e poi si concentrò sulla bestia, accarezzandola e facendola
abbeverare prima di rilasciarla nella notte per la caccia.
“Posso fare il secondo turno, se volete.” Si offrì poi, in
tono stanco. Non attese risposta. Si avvolse nel mantello, e si rannicchiò
contro la parete di roccia, al riparo dall’aria fredda che soffiava dalla
pianura. Per qualche motivo, mi diede la stessa impressione che avevo ricevuto
da Sybil: sembrava che avrebbe accettato volentieri di fondersi con la roccia
contro cui si premeva.
Rimasi a fissarlo, come ipnotizzato. Solo dopo diversi
minuti mi riscossi, e volsi lo sguardo verso Lina, che lo stava fissando allo
stesso modo, pensierosa. Le avvolsi le spalle col braccio, rivolgendole un
debole sorriso. “Puoi dormire anche tu, se vuoi.” Tentai di suggerire.
Lina si volse e mi guardò negli occhi. Il sorriso mi morì
sulle labbra. Il suo sguardo faceva apparire inappropriata ogni mia espressione
di serenità.
Lina notò il mio mutamento di espressione, e scosse
lievemente la testa. “Dei, come sto diventando musona. I miei fan saranno
delusi, è così fuori dal personaggio.”
Levai un sopracciglio. Lina forzò un sorrisetto, e fece
scorrere le braccia attorno alla mia vita. Con un sospiro, la abbracciai di
rimando. Ci stringemmo l’uno contro l’altro, in silenzio, per alcuni lunghi
minuti. Mi pareva di udire i suoi pensieri, al di sopra del ronzio del vento,
mentre cercava freneticamente una soluzione.
“Che cosa pensi di fare, ora?” Osai sussurrare, alla fine.
Lina esitò, prima di rispondere. Mi catturò la mano e la
premette contro la sua guancia, baciandone lievemente il palmo. “Torneremo a
Talit.” Replicò quindi, velocemente, come sperando che quella risposta passasse
inosservata.
“Lina.”
Mia moglie giocherellò distrattamente con il collo della mia
tunica. “Sì?”
La allontanai lievemente, in modo da guardarla in volto.
“Non avrai intenzione di acconsentire alla richiesta dei draghi, vero?”
L’espressione che mi restituì apparve afflitta. La sua voce
suonò forzatamente noncurante, quando mi rispose. “Non dico… di acconsentire.
Dico solo di andare lì, trovarla, e provare a parlare con lei. Magari potremmo
convincerla a seguirci qui… Forse, se riuscissimo a persuadere quel Mardoc che
non è pericolosa, accetterebbe di curarti comunque.”
Le mie labbra si strinsero. “Lina…” Mormorai, scuotendo la
testa. “… lo credi davvero? O stai solo cercando di convincerti che ci sia una
soluzione?”
Lina mi allontanò, con rabbia. “Di certo c’è una
soluzione!” Sibilò. “E io la troverò! Non mi dirai che hai intenzione di
arrenderti?”
Le presi il volto fra le mani. “Lina… voglio solo che tu non
compia azioni di cui a posteriori ti pentiresti.”
“Come lasciarti morire, ad esempio?”
Ci fissammo. Lina per un momento mi squadrò fiera, come
sempre, ma a poco a poco osservai la rabbia scemare dal suo viso, lasciando
posto a una frustrazione che confinava pericolosamente con la disperazione. Mi
si strinse lo stomaco. Avrei preferito vederla sprizzare fiamme, come al
solito.
Mi chinai su di lei, e premetti le labbra contro la sua
tempia. “Non… potremmo provare ad andare da Milgazia, e chiedere a lui di
guarirmi?” Sussurrai, al suo orecchio.
Ma Lina scosse la testa. “Anche ammesso che si trovi ai
monti Kataart in questo momento, e anche ammesso che gli altri draghi non
cerchino di ostacolarci, in due settimane non riusciremmo comunque ad arrivare
laggiù.” Sentii le sue braccia scorrere attorno alla mia vita, e stringere
convulsamente. “Capisci… perché non posso escludere di cedere al loro ricatto?”
“Ma io… non posso accettare una cosa del genere.”
Lina emise un sospiro stanco. “Per Livia?”
“Per te!” La scossi lievemente, cercando il suo sguardo.
“Lina… Tu ricordi cosa mi dicesti una volta, dopo la lotta con Fibrizo? Mi
dicesti che non volevi che i tuoi lati oscuri, le tue ombre, prendessero il
sopravvento su di te. Se io lasciassi che tu facessi una cosa del genere…”
Scossi la testa. “Non potrei perdonarmi il fatto di vivere a spese di una
ragazzina… ma a maggior ragione non potrei perdonarmi il fatto di vivere a
spese della tua coscienza!”
“Ma è proprio questo il punto!” Fino ad allora la
discussione era stata una sommessa pioggia di sussurri, ma ora Lina alzò
lievemente il tono di voce. Il vento risalì le pareti del picco, portando in
alto le sue parole, e Bastian mugugnò qualcosa nel sonno, in risposta.
“Che… vuoi dire…?”
Lina strinse le labbra. “Voglio dire… che sei tu ciò
che impedisce a quei lati oscuri di emergere, Gourry. Sei tu la mia
ancora.” La sua voce si spezzò, in un rotto mormorio. “Gourry, se tu dovessi
morire… non sono certa che non impazzirei. Che non diventerei davvero quel
nucleo di potere incontrollato che Mardoc e i suoi draghi temono di vedersi
scatenare.”
La fissai, stordito da quelle parole. “M… ma…”
Lina studiò la mia confusione. Inspiegabilmente,
incredibilmente, le sue labbra si inarcarono in un mezzo sorriso. “Non
capisci.” L’esasperazione che normalmente accompagnava quelle parole aveva
lasciato il posto, nel suo sguardo, a un affetto tanto caldo da darmi
l’impressione di liquefarmi al suo interno. “E… non puoi capirlo, Gourry. Sei
una persona troppo limpida. E io ti amo per questo.”
“Lina…”
Le sue dita raggiunsero le mie labbra, per chiedermi
di tacere. La sua voce si abbassò al punto da somigliare a un sibilo.
“Ascoltami… un momento, per favore.” Lasciò scivolare le dita sulla mia
guancia. “Io… avevo fiducia in me stessa, nella mia capacità di controllo,
prima di affrontare Fibrizo. Ma dopo quella faccenda…” Il suo corpo tremò,
lievemente, contro il mio. “Subito dopo, ogni volta che pensavo a ciò che avevo
rischiato, a ciò a cui mi avevano spinto le mie ricerche… mi chiedevo cos’ero
diventata, o cosa rischiavo di diventare, per la mia sciocca, morbosa volontà
di potere.” Levò lo sguardo su di me. “Ma c’eri tu… c’eri tu a ricordarmi che
io ero Lina, e il mio posto era accanto a te, e che non avrei perso me stessa.
Perché tu non lo avresti permesso.” Abbassò lo sguardo. “Confesso che non ci ho
più pensato. Avevo ripreso a fidarmi di me stessa, grazie a te,ma…
ora, al pensiero che tu possa sparire, mi sento soffocare. Sento che tutto ciò
che amo di me morirebbe con te, abbandonando a se stessa quella parte del mio
spirito che per nessun motivo vorrei lasciare incontrollata. I miei stessi
timori… mi hanno tradita, Gourry.” Levò lo sguardo, sulla schiena del cavaliere
addormentato. “Io e Bastian… ci somigliamo, davvero. Tu non puoi capire quanto.
Entrambi lottiamo costantemente con gli aspetti della nostra coscienza che più
ci spaventano. Lui rifiuta la sua ambizione, perché gli è costata troppo cara
in passato, e si aggrappa ferocemente ai suoi ideali, alla missione che deve
compiere, all’amore che prova per me, per non affondare.” Sussultai,
lievemente. Era la prima volta che ammetteva in maniera tanto esplicita i
sentimenti del cavaliere nei suoi confronti. “Mentre io…” Tornò a fissarmi. “…
io ho te.” Chiuse gli occhi, e appoggiò la fronte al mio petto. “Capisci perché
sono disposta a tutto… a uccidere, a morire io stessa… pur di salvarti la
vita?”
Non sapevo cosa rispondere. Era vero che non
comprendevo completamente… Ma provai semplicemente a chiedermi cosa avrei
pensato, cosa avrei provato, come avrei agito se mi fossi trovato al suo posto…
se la vita in pericolo fosse stata la sua, e una alternativa per salvarla, per
quanto orribile, fosse stata posta sul piatto delle offerte di fronte a me. La
mia mente si rifiutò testardamente di rivelarmi la risposta a quella domanda. E
improvvisamente, mi trovai preso in trappola. Nella trappola di un dilemma
senza soluzione.
“Troveremo un modo.” Mormorai. La strinsi a me, con
forza, e affondai il volto nei suoi capelli. “Io… ti prometto che non mi
arrenderò, ma…” Mi allontanai, e la strinsi per le spalle. “Lina, ti prego.
Promettimi che… non farai nulla che ti ponga deliberatamente in pericolo, solo
per salvarmi. Promettimi che discuteremo ogni decisione insieme, prima di
agire.” Avvicinai il suo volto al mio, tanto da sentire il suo fiato sulle mie
labbra. “Per favore.” Insistei, senza darle il tempo di ribattere. “Pensa a ciò
che mi chiederesti, se ti trovassi al mio posto.”
Lina mi parve esitare. Ma alla fine, di fronte al
mio sguardo supplichevole, cedette, abbassando gli occhi. “Va bene.” Mormorò.
“Te lo prometto.”
Non riuscii a sentirmi completamente sollevato. Il
pensiero della maledizione, di Livia, della scelta che ci attendeva,
continuavano a pesare sul mio petto. Ma non aggiunsi altro. Per quella notte,
ogni possibilità di discussione pareva esaurita.
Lina non si scostò da me, e io non la esortai a
farlo per prepararsi un giaciglio. La strinsi fra le braccia, fino a che non la
sentii scivolare in un sonno inquieto.
Non ci credete, eh? Beh, non ci
credo quasi nemmeno io. XD Perciò GRAZIE a tutti quelli che
mi hanno spronata ad andare avanti con questa storia nonostante
l’epico calo di ispirazione (che tutt’ora non mi
spiego. XD) e grazie a quelli che ancora hanno la pazienza di leggere
dopo tutto il tempo che è passato dall’ultimo
aggiornamento. ^^’ Il prossimo capitolo se tutto va bene
sarà l’ultimo, e spero non debbano trascorrere
altrettanti mesi nel frattempo. XD Detto ciò,
buona lettura. ^^
“Non reagite e non vi accadrà nulla.”
Il guerriero dalla lucida fronte pelata si fece avanti, brandendo la
spada. I suoi compagni, lentamente, ci strinsero sui fianchi.
Eravamo circondati.
Sì, sì, lo so. Non è una grande
novità.
“Lina…”
A sussurrare il mio nome, in tono implorante, fu Gourry. Doveva aver
colto il rapido corrugarsi della mia fronte, un’espressione
che non prometteva nulla di buono per i nostri aggressori.
Quelli attorno a noi mi apparivano come comuni cacciatori di taglie, o
mercenari. Uomini che dovevano avere visto i nostri cartelli
segnaletici in qualche città e avere, molto semplicemente,
dato per scontato che fossimo dei criminali. Gourry sicuramente era
giunto alla mia stessa conclusione su di loro, e capivo
perché cercasse di frenarmi dal prenderli a Palle di Fuoco:
non si poteva esattamente dire che avessero delle colpe,
nell’aggredirci.
In quel momento, però, ero troppo frustrata per essere anche
saggia.
Strinsi i pugni ai fianchi e feci un passo avanti, l’aria
risoluta. “Se non reagissi, non vi accadrebbe
nulla.” Replicai, in tono sfrontato. “Immagino che
questo potrebbe essere considerato comunque un buon motivo
per… oh, no, aspetta. Non lo è.”
Avevamo viaggiato per giorni senza quasi fermarci, e quella sera, al
tramonto, eravamo giunti in vista del gelido panorama della vecchia
Talit. Puntavamo sul fatto che Livia potesse trovarsi ancora
laggiù nascosta da qualche parte, ma non ne avevamo la
certezza, e l’ansia di scoprirlo, unita
all’incertezza su cosa avrei fatto una volta che avessi avuto
quella risposta, mi attanagliava lo stomaco. Il mio autocontrollo, in
quel momento, era decisamente labile.
Un rivolo di sudore scese lungo la fronte già madida del mio
interlocutore. A dispetto delle sue parole, non sembrava
particolarmente sicuro di se stesso. Continuava a lanciare occhiate ai
suoi uomini, con l’aria di non essere poi così
convinto che il loro numero fosse sufficiente a disporre di noi.
Sorrisi fra me, di fronte a quell’atteggiamento incerto. Il
fatto che sembrasse conoscere la mia fama e temerla poteva quasi
rendermi bendisposta nei suoi confronti.
Quasi.
“Perciò ho un piccolo suggerimento per
voi.” Proseguii, senza mutare di tono. “Una persona
saggia a questo punto ricorrerebbe a un modo per evitare la mia
reazione… scappare con la coda fra le gambe, ad esempio. E
considerando che mi avete già provocata, un buon momento per
iniziare a farlo sarebbe ora.”
Anche Bastian continuava a lanciarmi occhiate nervose. Aveva portato
mano alla spada, ma in effetti sembrava più preoccupato per
le mie reazioni che per la nostra sicurezza.
Non c’è che dire, aveva imparato a conoscermi.
“D… dico sul serio.” Replicò
l’uomo di fronte a me. “Non abbiamo
l’ordine di aggredirvi. Siamo qui solo per riferirvi un
messaggio.”
“Come no. Davvero, la prima conclusione a cui si giunge
quando si viene circondati da dei tizi con le armi in pugno
è che vogliano fare quattro amichevoli
chiacchiere.”
Il pelato deglutì. Lentamente, con riluttanza,
abbassò la spada. Rivolse un cenno ai suoi uomini e quelli
lo imitarono. Diversi di loro indietreggiarono di qualche passo, prima
di trovare il coraggio di farlo.
“Era… una misura precauzionale. La nostra Signora
ci ha detto che eravate una donna pericolosa… che non ci
conveniva abbassare la guardia finché non vi avessimo
convinta delle nostre buone intenzioni.”
I miei occhi si strinsero. “La vostra Signora?”
“S… sì. La consorte reale, Erianna
Darland.”
Mi ero quasi calmata, ma un nuovo moto di rabbia mi
attraversò, a quelle parole. Chi credeva di prendere in
giro???
“A… aspettate!” Mi implorò
l’uomo, notando il mio mutamento di espressione.
“Dovete credermi! Che ragione avrei di inventare una storia
del genere?” Rinfoderò la spada, velocemente, e al
suo posto estrasse un sigillo. Me lo mostrò, da lontano.
Recava lo stemma della famiglia reale di Elmekia.
La mia fronte si aggrottò. “Non
capisco.” Dichiarai, in tutta sincerità.
“Sono il comandante della guardia personale della Lady. Non
porto insegne perché la mia Signora ci ha chiesto di
muoverci in incognito. Come vi ho detto, dobbiamo riferirvi un
messaggio.”
Mi morsi le labbra, ancora diffidente. “Non ha
senso.” Replicai. “La vostra Signora mi crede
responsabile della morte di suo figlio. L’unica cosa che
desidera da me è la mia esecuzione, perché
dovrebbe cercare di contattarmi?”
“E’ proprio questo il punto. La mia Signora dice
che ha avuto le prove della vostra innocenza. Mi ha chiesto di
riferirvi che, se accetterete di fare qualcosa per lei, si
opererà per fare cadere ogni accusa nei vostri
confronti.”
Scambiai un’occhiata con i miei compagni di viaggio.
Apparivano increduli, tanto quanto me.
“Come e quando ha scoperto che io non c’entravo con
l’uccisione dell’erede al trono?”
Domandai, in tono interdetto. “E che cosa vuole da noi,
esattamente?”
Il pelato scosse la testa. “Non mi sono stati riferiti i
dettagli. Se accetterete di ascoltare ciò che la Lady ha da
dirvi, vi condurremo da lei. Vi attende poco più avanti,
lungo questo stesso sentiero, al riparo della foresta.”
A quelle parole, la mia fronte si corrugò nuovamente.
L’ennesima conferma delle abilità strategiche e
della prudenza di Erianna: aveva ben pensato di mandare avanti i suoi
ambasciatori, invece che presentarsi di persona, nel caso avessi scelto
di far saltare tutti in aria senza ascoltare ragioni. Avevo a che fare
con una donna tutt’altro che stupida, avrei fatto bene a
tenerlo presente.
Riflettei per qualche secondo sul da farsi. Non avevo intenzione di
farmi deviare dalla ricerca di Livia. Anche se avessi dovuto rimanere
braccata dai cacciatori di taglie a vita, dati i nostri tempi ristretti
non avrei accettato di perseguire alcuna altra missione, in quel
momento. D’altra parte, ormai la mia curiosità era
stata risvegliata. E cercare di capire cosa ci fosse sotto, prima di
rifiutare, non solo non mi costava nulla, ma avrebbe potuto persino
venire a nostro vantaggio.
“Inverse.” Sussurrò Bastian,
alle mie spalle, in tono nervoso. “Non mi fido di
loro.”
Levai un sopracciglio. “Ovviamente nemmeno io.”
Cercai Gourry con lo sguardo e incontrai la sua espressione distesa, ma
vagamente rassegnata. Dovetti concedermi un breve sorriso: come al
solito, aveva già intuito perfettamente le mie intenzioni.
“D’accordo.” Mi volsi verso i soldati.
“Portateci da lei.”
“Co…?” Sentii Bastian sussultare.
“Sei impazzita?” Sibilò, nel tono
irritato che tanto di consueto gli avevo sentito rivolgermi.
“Non ho detto che accetterò le sue richieste.
Voglio solo sentire ciò che ha da propormi.”
Sussurrai di rimando. Mi volsi verso di lui e risposi alla sua
espressione contrariata con sguardo determinato. “Seriamente,
credi che potremmo semplicemente ignorare una cosa del genere senza
indagare?”
Il cavaliere strinse le labbra, con fare esasperato, ma non
replicò. Non ci voleva un genio per intuire il motivo che lo
tratteneva: sapeva che, se avesse cercato di convincermi che non era
prudente, gli avrei semplicemente detto di andarsene, per evitare di
correre quel pericolo.
E forse sarebbe comunque la cosa più saggia da fare.
Bastian dovette leggere le mie intenzioni nel mio sguardo,
perché distolse gli occhi e si affrettò a
precedermi, accodandosi ai soldati. Con un sospiro, scambiai uno
sguardo con Gourry, ed entrambi annuimmo, prima di seguirlo.
Erianna ci attendeva all’inizio della salita che si
inerpicava verso le rovine della città vecchia. La intravidi
fra gli alberi, mentre ci avvicinavamo, immobile e rigida come una
statua di marmo, il corpo avvolto in un abito e in un mantello scuri e
il volto seminascosto dal cappuccio sollevato. Il sentiero e le cime
degli alberi attorno a lei erano ricoperti di un sottile strato di neve
e il loro chiarore creava un vistoso contrasto con il nero della sua
figura imponente.
La donna avanzò verso di noi, con passo fermo e postura
altera. Due armati la affiancavano, e fecero per accodarsi a lei, ma la
duchessa li bloccò, con un semplice gesto. Si rivolse al
capo dei soldati che ci avevano condotto in quel luogo, in tono
autoritario.
“Desidero rimanere sola con queste persone.”
Dichiarò. “Parleremo qui, e non sarà
una discussione lunga, perciò semplicemente attendetemi a
valle.”
Il soldato parve interdetto. “Mia Signora…
ritenete prudente che…”
“Se non lo ritenessi prudente non ve lo avrei
ordinato.” Lo interruppe Erianna, seccamente.
“Andate, ora. Vi raggiungerò a breve.”
I soldati obbedirono. Attesi che fossero scomparsi dietro la curva del
sentiero, prima di parlare.
“Sembrate avere fretta, Signora.”
“A palazzo nessuno sa che mi trovo qui.”
Replicò Erianna, semplicemente. “Quando ho
ricevuto il messaggio che mi riferiva che vi trovavate nei pressi di
Talit, ho inventato un malessere per poter uscire al più
presto e riuscire a intercettarvi senza dover restare troppo a lungo
lontana dalle mie stanze. Non mi sarei fidata a consegnare il messaggio
che devo riferirti nelle mani di nessuno dei miei uomini.”
Occhieggiò Bastian e si accigliò brevemente.
“A ragione, vedo. Anche le persone che appaiono
più fidate possono riservare delle sorprese.”
Il cavaliere abbassò lo sguardo, senza cercare in alcun modo
di discolparsi. Erianna aveva già perso interesse in lui, in
ogni caso. Fissò il suo sguardo su di me, intensamente.
“Immagino che i miei uomini ti abbiano riferito la mia
proposta.”
“Mi hanno solo detto che siete pronta a sostenere la mia
innocenza. Non mi hanno detto in cambio di cosa sareste disposta a
farlo, però.” I miei occhi si strinsero.
“Né perché.”
“Per l’unico motivo che in questo momento mi
impedisce di farti aggredire dall’intero corpo dei miei
uomini, Lina Inverse. Perché ho avuto conferma che non sei
effettivamente colpevole.”
“Mi chiedo in che modo.”
Lo sguardo di Erianna mi perforò, da sotto il cappuccio. La
sua pelle già normalmente chiara appariva quasi
innaturalmente pallida, nel riverbero della neve.
“Nel modo più diretto e incontestabile che esista.
Con una confessione da parte del vero assassino.”
Stupita, volsi un breve sguardo a Gourry. Edward Gabriev e Lord Georg
avevano confessato? Mi suonava molto, troppo strano.
“Sembri sorpresa, Lina Inverse.”
Attesi qualche istante, prima di replicare. Non ero certa di quanto
fosse prudente rivelare.
“Diciamo che mi ero fatta un’idea di chi potesse
essere il vero assassino.” Risposi alla fine, in tono cauto.
“E non si tratta di qualcuno che avrei ritenuto propenso a
una confessione.”
“Non so chi avessi in mente, ma dubito che la tua deduzione
fosse corretta. Io di certo sono rimasta sorpresa nello scoprire la
verità.” Aggrottò la fronte.
“L’assassina è Livia.”
Sussultai, inconsciamente, a quella ennesima rivelazione riguardante la
figlia di Samon. La testa mi girava per tutto ciò che avevo
scoperto in quei pochi giorni, ma faticavo a credere a
quell’ulteriore sviluppo. Eriol mi era risultato tanto
antipatico che non mi riusciva difficile pensare che avesse scatenato
gli istinti omicidi di qualcuno, ma… Livia? A dispetto delle
parole dei draghi, quella ragazzina non mi pareva tipo da poter
uccidere qualcuno a sangue freddo…
“Comprendo la tua incredulità, ma ho una lettera
scritta di suo pugno in cui confessa tutto
l’accaduto.” Erianna sospirò e si
poggiò all’albero vicino a cui si trovava, come
per sostenersi. Improvvisamente, mi parve infinitamente stanca. Per la
prima volta, da quando mi aveva sorpreso insieme al cadavere, in
biblioteca, ebbi l’impressione di scorgere sul suo viso un
barlume del dolore di una madre che ha appena perso il proprio figlio.
“Me la ha lasciata la notte in cui è
scomparsa.” Proseguì la nobile. “In
altre parole, la stessa notte in cui ti ha aiutata a scappare. Io la ho
trovata solo qualche giorno dopo, in effetti… era sotto il
mio cuscino, ma per numerose notti dopo la morte di mio figlio, il mio
letto è rimasto intonso.” La sua voce si
abbassò a un sibilo. “Mi ha scritto che era
terrorizzata da ciò che aveva fatto e che sarebbe fuggita da
Talit dopo averti messa in salvo, servendosi di un incantesimo di
levitazione. Ma ha aggiunto che pensava che io avessi il diritto di
conoscere le sue colpe e mi ha chiesto espressamente di non
perseguitarti per un delitto di cui non eri responsabile.”
Scosse la testa. “Ero l’unica realmente interessata
a rintracciarti e ucciderti, in effetti. Mio fratello poteva solo
essere grato all’assassino di Eriol.”
Riflettei sulle sue parole, imponendomi di non lasciarmi condizionare
dall’accenno di compassione che il suo aspetto stremato aveva
iniziato a ispirarmi. Non potevamo essere certi che ci stesse
raccontando la verità. Potevo anche pensare di trovarmi
semplicemente di fronte a un’ottima attrice.
“Hai qui con te la lettera?” Domandai, cauta.
Erianna fissò gli occhi sui miei e scosse la testa.
“E’ in un luogo sicuro, al castello. Se e quando il
contenuto di quella lettera diventerà di dominio pubblico,
ne seguiranno gravi conseguenze. Non sono certo disposta a cederla
tanto facilmente, Lina Inverse, e non sono così stupida da
portarla con me durante l’incontro con una persona che
avrebbe tutte le capacità per rubarla.”
Mi accigliai. Quella risposta rapida e schietta mi fece immediatamente
propendere per l’ipotesi che Erianna fosse sincera. A una
analisi superficiale dei fatti sarebbe potuto apparire il contrario,
dato che ci stava sostanzialmente chiedendo di crederle senza addurre
nessuna prova materiale. Tuttavia, se era nei suoi progetti mentirci
fin dall’inizio, mi sembrava strano che non avesse prodotto
una falsa lettera, in modo da apparire più convincente.
Erianna era furba, non potevo credere che semplicemente non ci avesse
pensato.
Decisi di insistere nel mio botta e risposta. “Come
è avvenuta l’uccisione?” Sapevo che non
era una domanda particolarmente ricca di tatto, ma non era decisamente
il momento di preoccuparmi di non ferire i sentimenti della mia
interlocutrice.
Erianna strinse i denti, ma non obiettò al mio tono freddo e
impersonale. “E’ stato un incidente.”
Spiegò. “Mia nipote si chiudeva spesso in
biblioteca, per leggere i testi e per provare non so quali tipi di
incantesimi. Di solito quasi mai qualcuno si recava lassù,
ma ovviamente quando voi siete arrivati a palazzo le cose sono
cambiate. Livia è stata sorpresa da Eriol, per caso, e si
è spaventata. Ha perso il controllo
dell’incantesimo che stava provando, e quello ha investito in
pieno mio figlio.” Il volto di Erianna si era fatto terreo,
ma la sua voce non tradiva alcun sentimento. Per un momento,
quell’autocontrollo così innaturale mi
ricordò quello di Bastian. Mi chiesi se non facesse parte
della cultura di Elmekia, celare a quel modo i propri sentimenti. Anche
mio marito, in fondo, aveva ereditato qualcosa di
quell’atteggiamento, con il suo frequente fare da finto
ingenuo… e con la sua capacità di mantenere per
anni l’assoluto silenzio su un passato che sulla maggior
parte delle persone avrebbe esercitato costantemente il suo tormento.
“Non sembri particolarmente stupita
dell’accaduto.” Mi trovai a commentare.
“Non lo sono.” Replicò semplicemente
Erianna. “Sapere di dover incolpare Livia mi ha shockato,
ovviamente, ma il fatto che mia nipote fosse interessata alla magia e
il fatto che facesse esperimenti alle nostre spalle non erano certo una
novità, per me. Conosco quella ragazzina da quando
è nata, e la ho osservata molto attentamente nel corso della
sua crescita. E’ sempre stata irrequieta, proprio come lo ero
io alla sua età: cercava altro, oltre alla vita di palazzo.
E nelle storie dei bardi i racconti di magia la esaltavano come niente
altro. Non ho potuto fare a meno di notare l’ammirazione che
provava nei tuoi confronti, Lina Inverse… quando ho deciso
di fare in modo che tu giungessi a Talit, a malapena è
riuscita a non mostrare la propria eccitazione.”
“Capisco.” Annuii.
Gli occhi smeraldo di Erianna mi studiarono, attenti. “Ora
conosci l’accaduto, e sai che ho il potere di provare la tua
innocenza. Perciò immagino tu sia pronta a conoscere la mia
richiesta.”
“Immagino… di sì.”
Erianna annuì. “Ebbene, devi sapere che sospetto
di conoscere il luogo in cui si è rifugiata mia
nipote.” Il suo sguardo si levò alto, verso la
cima della montagna e la città bruciata che da
lassù dominava la valle. “Dubito che avrebbe avuto
il coraggio di avventurarsi nel regno da sola per tornare a casa, con
una guerra in corso… e mi viene in mente un unico posto in
cui avrebbe potuto nascondersi, qui intorno.”
Seguii il suo sguardo, e compresi che i suoi sospetti collimavano
perfettamente con quanto i draghi ci avevano riferito, e con le nostre
aspettative. “Parli… della città
vecchia.”
“Esattamente. Livia mi ha rivolto molte domande a riguardo,
da quando siamo qui. Credo avesse trovato notizie su alcuni fatti
avvenuti lassù secoli fa, in qualche vecchio tomo della
biblioteca.” Si accigliò.
“Onestamente… non potrei nemmeno giurare che non
si fosse già recata laggiù, qualche volta, prima
che il clima qui diventasse così rigido. Per qualcuno che
conosce un modo per volare, non può volerci più
di qualche ora, per andare e tornare.”
“Perché ce lo stai rivelando?” Domandai,
cominciando a presagire quale sarebbe stata la risposta.
“Perché riguarda ciò che voglio
chiederti di fare, Lina Inverse.” Erianna fece un passo
avanti, fino a sovrastarmi. “La mia condizione per
testimoniare sulla tua innocenza è che tu mi riporti
indietro mia nipote.”
Rimasi in silenzio. Fissai il suo sguardo impenetrabile, cercando di
trovarvi la risposta a una domanda a cui non osavo dare voce.
“Per farle cosa, però?” Fu Gourry a
chiederlo, al posto mio. “Se scagionerete Lina, dovrete
incolpare Livia al suo posto.”
Bastian, vicino a me, ebbe un breve sussulto. Anche lui era giunto alla
stessa conclusione che avevamo tratto io e Gourry. Se Livia fosse stata
condannata a morte per il suo gesto, i draghi avrebbero ottenuto
ciò che desideravano senza che io dovessi sporcarmi le mani.
Ma non era vero. Non sarei stata comunque innocente. Livia aveva ucciso
un uomo in un incidente, per questo meritava davvero la morte?
Consegnarla al suo boia non sarebbe stato meschino tanto quanto
ucciderla con le mie stesse mani?
“Non voglio ucciderla.” Erianna risolse
immediatamente il mio dilemma, con la sua dichiarazione atona.
“Non sto dicendo che non debba pagare. Chiederò
che venga privata di tutti i suoi privilegi ed esiliata dal regno per
il resto della sua vita. Ma lotterò perché non
venga condannata a morte.” Abbassò lo sguardo.
“Il punto è che io la capisco…
più di quanto vorrei in questo momento. So cosa significa
crescere come una donna in un regno come questo. Ho osservato
quell’ottuso del mio gemello essere istruito e assurgere a
cariche sempre più importanti, mentre io, con la mia
intelligenza e con tutte le mie ambizioni, venivo tenuta chiusa in una
campana di vetro ed educata ad essere una brava regina
consorte.” Il suo volto era livido, ora. “Sai
perché ero ansiosa di avere proprio te qui a Talit, Lina
Inverse? Perché ti ammiravo e ti invidiavo, sin da quando
avevo udito di te per la prima volta. Perché tu sembri
vivere libera da qualsiasi tipo di costrizione e speravo davvero
saresti stata una ispirazione, per me e per mia nipote
Livia.” Scoppiò in una risata amara. “E
lo sei stata, a quanto pare. Se mio figlio non ci avesse rimesso la
vita, avrei detto che è stato un bene, per lei.”
Un silenzio lugubre cadde sul nostro piccolo gruppo. Sentivo gli
sguardi dei miei compagni di viaggio puntati sulla mia schiena, in
attesa, e sentivo la mia gola stretta in un groppo misto di ansia e
assurdo senso di colpa.
La nobildonna, in ogni caso, ancora una volta non perse il controllo.
Il suo volto era pallido, ma nulla altro nel suo atteggiamento svelava
il suo turbamento. “Sarei andata io stessa a cercare
Livia.” Proseguì. “Ma, in tutta
sincerità, ho paura di farlo. Ormai sono settimane che Livia
si trova là. Credo che sia terrorizzata e
stremata… credo che sia al limite. Se vedendomi arrivare si
sentisse braccata e perdesse nuovamente il
controllo…” Represse un brivido. “Ma
credo che tu possa difenderti e al contempo farla ragionare,
Lina Inverse. Si fida di te, e credo che tu possa comprenderla molto
più di quanto non sarei in grado di fare io, in questo
momento. Non so cosa tu fossi venuta a fare, qui, con i tuoi
compagni… ma io ti offro il mezzo per fare cadere le accuse
su di te e ti chiedo in cambio di convincerla e farla ritornare da me.
Voglio che Eriol ottenga giustizia e… voglio sapere Livia
lontano da qui. La affiderò a un tempio del regno di
Sailune, magari, un qualsiasi luogo in cui debba imparare a provvedere
a se stessa.”
Mi morsi il labbro, incerta. “Ho…
un’ultima domanda, prima di decidere il da farsi.”
Dichiarai. “Voglio sapere chi vi ha riferito che ci stavamo
dirigendo quaggiù.”
Le ombre del cappuccio, unite al buio della sera incombente,
nascondevano parzialmente il volto di Erianna, ma ebbi
l’impressione di vedere i suoi lineamenti indurirsi, a quella
domanda. Esitò qualche istante, prima di rispondere.
“Questa informazione non dovrà essere diffusa al
di fuori del circolo di persone radunato qui ora.”
Ammonì. “Mi sono rivolta alla Gilda degli
Assassini di Rolan.”
Mi accigliai. Capivo bene perché non volesse che la cosa si
sapesse in giro. Non era propriamente lusinghiero, per una regina
consorte, avere a che fare con gente del genere.
“Perché degli assassini? Perché non dei
semplici mercenari?”
“Li avevo contattati quando ancora non sapevo della tua
innocenza. Quando ho trovato la lettera di Livia, ho semplicemente
modificato i miei ordini e ho chiesto loro di ricostruire i tuoi
movimenti e riferirmi dove ti trovavi. Ti hanno rintracciata proprio
mentre eri nelle vicinanze di Talit… ma se non fosse stato
così, ammetto che probabilmente avrei chiesto loro di
catturarti e di portarti da me.”
Ora mi era chiaro… la Gilda di Rolan teneva effettivamente
d’occhio i miei movimenti, così come lo facevano i
draghi, attraverso Amelia. La predizione di Sybil, in fondo, non era
stata del tutto inesatta.
Riflettei per qualche istante, prima di prendere una
risoluzione. “D’accordo.” Conclusi alla
fine. “Accetto di cercare Livia.” Sentii gli
sguardi stupiti dei miei compagni su di me, ma mi limitai a fingere di
non vederli. Avrei spiegato loro in seguito cosa avevo in mente.
Erianna mi penetrò nuovamente con i suoi occhi cerchiati.
Non ero certa che si fidasse di me, ma d’altra parte non
poteva avere cognizione di alcun motivo che mi impedisse di accettare
la sua offerta. Lentamente, con diffidenza, levò la mano
destra. Io allungai la mia, e la strinsi. Il patto era concluso.
“Attenderò tue notizie alla capitale, Lina
Inverse.” Occhieggiò Bastian. “Fammi
inviare il falco di quell’uomo, se Livia scenderà
dalla montagna con te. Verrò con una scorta a prendervi
quaggiù.”
Non replicai nulla. Osservai Erianna mentre ci superava, imboccando la
strada che avevano preso i suoi soldati qualche tempo prima. Rimasi in
silenzio, finché non fui certa che fosse fuori portata
d’orecchie.
“Lina…” Esordì immediatamente
mio marito, non appena ci fu possibile parlare senza essere uditi.
“Che significa tutto questo? Se hai accettato la richiesta di
quella donna allora vuole dire che…”
“No.” Lo interruppi immediatamente. “Non
ho deciso di disattendere alla richiesta dei draghi. Ho solo detto a
Erianna che avrei trovato Livia… ed è
ciò che intendo fare, non è così? Hai
sentito Erianna, è arrivata a rivolgersi agli assassini di
Rolan per trovarci… ho immaginato che fosse meglio fingere
accondiscendenza per evitare di avere complicazioni. Però
non ho ancora deciso cosa farò dopo aver trovato la
ragazzina… per ora so solo che voglio parlare con lei e
capire quanto possono essere effettivamente pericolose le conoscenze
che ha accumulato.”
Lo sguardo di Gourry non mascherò la sua preoccupazione.
Bastian, invece, mi fissava contrariato. Gli avevo spiegato la
situazione e anche lui, come Gourry, non sembrava decisamente a favore
del piano che prevedeva l’uccisione di Livia.
Non mi importa. Non mi importa di cosa pensa lui, non mi importa di
cosa pensa Gourry, non mi importa della mia coscienza e della mia
umanità. Se dovrò scegliere fra lei e
Gourry… l’alternativa sarà solo una.
‘Hai promesso di non agire unicamente di testa tua. Hai
promesso di discutere con Gourry qualsiasi scelta
pericolosa.’ Mi ricordò la voce labile della mia
coscienza.
Feci del mio meglio per ignorarla.
“Forse è meglio se per ora cerchiamo un luogo per
accamparci.” Propose Gourry, scrutandomi con aria apprensiva.
“Non è il caso di arrampicarsi sul dorso della
montagna con il buio.”
Trovammo una rientranza nella roccia che offriva un parziale riparo dal
vento e dal gelo dell’esterno. Non era propriamente una
grotta, e non sarebbe servita a molto nel caso fosse scoppiata una
tormenta, ma fortunatamente il cielo era limpido e sgombro da nubi. La
mia magia fu sufficiente per fare attecchire una fiamma sulla legna
umida e tutti e tre ci stringemmo attorno al fuoco per consumare un
pasto silenzioso.
Dopo la cena, mi avvolsi nella coperta che portavo nella mia borsa da
viaggio e mi premetti contro la parete rocciosa, per il mio turno di
guardia. Nessuno di noi parlò per deciderlo, ma sapevo che
poi avrei svegliato Gourry, e che il turno successivo sarebbe toccato a
Bastian. Il ritmo delle nostre notti si era semplicemente assestato a
quel modo.
Ero abituata a quella sintonia nelle azioni e nei pensieri con Gourry,
ma a pensarci la presenza di Bastian rendeva tutto davvero strano. Ogni
tanto, nei momenti in cui riuscivo a distogliere il pensiero da
ciò per cui con tanta determinazione stavo lavorando,
concentravo la mia attenzione sul cavaliere, e mi rendevo conto di
quanto fosse bizzarra la sua presenza con noi. Avrei voluto discuterne
con Gourry, eppure non ci riuscivo. A volte avrei voluto dirgli di
andarsene, ma non ero in grado di comprendere se quella fosse davvero
la cosa giusta da fare.
Però, quando tutta quella faccenda fosse finita, cosa
sarebbe successo? Ovviamente, Gourry ed io ce ne saremmo andati per la
nostra strada, dopo che lui fosse guarito (non potevo nemmeno pensare
che le cose andassero diversamente), ma Bastian?
Fissai il volto sulla sua schiena, osservandolo stringersi nel suo
giaciglio, a qualche passo di distanza da me. Avvertivo contro il
fianco il calore del corpo di Gourry, che dormiva accanto a me, ma
l’immagine di Bastian steso al di là del fuoco mi
trasmetteva un senso infinito di gelo e solitudine. Provai a
immaginarmi al suo posto. Provai a immaginare di perdere tutto
ciò a cui tenevo. L’angoscia mi strinse con tanta
forza lo stomaco da immobilizzarmi. Fissai il volto di Gourry, che
anche nel sonno sembrava emanare un’aura di
serenità, e provai l’impulso di stringerlo a me e
gridare, o piangere… dare sfogo in qualsiasi modo al senso
di impotenza che mi attorcigliava le viscere.
E invece rimasi immobile, le mani strette a pugno e tremanti.
“Lo farò io.”
Sussultai, volgendomi verso la fonte di quella voce inopportuna.
Bastian si era girato nel suo giaciglio e mi stava osservando, leggendo
probabilmente nel mio volto tutta la frustrazione che vi avevo lasciato
trapelare, credendo di non essere vista.
Mi posi immediatamente sulla difensiva. “Dormi,
Bastian.” Sibilai. “Domani ci aspetta una lunga
camminata.”
“Hai capito cosa ti ho detto?” Insistette il
cavaliere, ignorando la mia intimazione. “Ho detto che lo
farò io. Perciò smettila di
tormentarti.”
Certo che avevo capito. Avevo capito perfettamente.
La rabbia prese improvvisamente il sopravvento su qualsiasi altro
sentimento.
“Non so di cosa parli.”
“Invece hai capito benissimo.” Mi
scrutò, intensamente. “Tu la convincerai ad avere
fiducia in noi, e poi ci penserò io a finirla. A cosa
servirà, salvare lui, se il prezzo sarà perdere
te stessa? Io invece non ho più niente da perdere.”
La mia furia divenne così cieca da rischiare di accecarmi.
Mi trovai con forza a stringere la tunica di Gourry, e fui sorpresa che
non si svegliasse al mio tocco.
“Credi che non sappia combattere da sola le mie
battaglie?” Domandai, controllando a stento i sentimenti
nella mia voce.
Bastian si sollevò lievemente nel suo giaciglio.
“Non intendo dire questo, ma…”
“Bastian.” Sibilai, fra i denti. “Credi
davvero che farebbe qualche differenza, se non fossi io a compiere
materialmente quel gesto? Credi che mi sentirei meno in colpa? Credi
che non mi sentirei in colpa se coinvolgessi te in tutto
questo?”
Il cavaliere tacque. Per qualche istante, semplicemente, ci fissammo.
Il mio stomaco era tanto stretto per la tensione che avevo voglia di
vomitare.
“Come fai…?” Sibilai, spezzando il
silenzio. “Come fai a dire di non avere più nulla
da perdere? Sei ancora vivo, e…” Strinsi i denti e
abbassai gli occhi. “Non posso crederlo. Non posso credere
che provi tutto questo disprezzo per te stesso. Cosa dovrei fare io,
allora? Io che vivo costantemente in bilico fra
l’oscurità e la luce…”
“Una luce che non voglio che tu perda.”
Tornai a fissarlo. Mi stava guardando con un tale disperato desiderio
che faticai a sostenere il suo sguardo.
“Bastian…”
“Ho l’impressione di poter vivere nel suo riflesso,
almeno per un po’.” Insisté lui.
“So che non potrò farlo per sempre… ma
non voglio che scompaia. Anche se lasciarti, lasciarti come sei ora,
forse mi distruggerà definitivamente, voglio lo stesso
salvarti, Lina, perché… ho imparato dal passato.
Anche a costo della mia felicità, non voglio più
avere rimpianti.”
Rimasi in silenzio.
“Lasciamelo fare.” Insistette il cavaliere.
“Non cambierebbe nulla.” Riuscii a replicare.
“E anche se cambiasse qualcosa, non lo vorrei. È
una cosa che non ha ragione di essere, Bastian. A maggior ragione
perché non è reciproca.”
“Credi che non sappia che non lo è,
Inverse?” Ora il tono di voce del cavaliere tradiva
irritazione. “Ma, a maggior ragione, credo di avere ogni
diritto di decidere da solo per me stesso!”
“Non riguarda solo te stesso! Non riguarda per niente te
stesso! Riguarda me e Gourry!”
“Allora dimmi tu cosa posso fare, dannazione!”.
Andartene. Trovare la tua pace, lontano da me. E’
già tutto abbastanza complicato, anche senza aggiungerci
questo.
“Dormi. E lasciami in pace.” Replicai, invece di
dare voce a quel pensiero.
Bastian emise un grugnito irritato. Si rigirò nel proprio
giaciglio, dandomi le spalle, ma sapevo perfettamente che era troppo in
agitazione per addormentarsi, in quel momento.
Abbassai lo sguardo su Gourry e trovai i suoi occhi azzurri aperti e
attenti, fissi su di me. Non disse una parola. Le sue dita cercarono le
mie e io le strinsi di rimando.
Per diverse ore, restammo così, in silenzio, stretti nel
reciproco calore.
***
“Dove pensi che potremo trovarla?”
Il palazzo malmesso della antica Talit sorgeva alto sulla neve
fronteggiandoci, per l’ennesima volta. Gourry mi pose quella
domanda dal mio fianco, osservandolo con aria vagamente intimidita.
Faceva più freddo del solito, quella mattina. Il cielo era
sempre limpido, ma nonostante fosse ormai mezzogiorno il gelo ci
stringeva da ogni lato. Le costruzioni erano pressoché
sommerse dalla neve, e dal tetto del palazzo pendevano irte sculture di
ghiaccio, che osservate dal basso somigliavano a un bizzarro sistema di
difesa, pronto a precipitare su chiunque si fosse avvicinato
incautamente alla struttura.
“Non ne ho idea, in effetti.” Risposi, stringendomi
nel mantello. “L’ultima volta che siamo venuti
abbiamo cercato dappertutto, all’interno del palazzo, e non
la abbiamo vista.” Mi volsi verso Bastian, che se ne stava in
disparte alle nostre spalle, in un cupo silenzio. “E tu avevi
ispezionato il territorio qui attorno, non è
così?” Domandai, in un tono che cercava di essere
il più neutrale possibile. Il cavaliere si limitò
ad annuire.
“Forse il palazzo racchiude qualche altra stanza segreta
simile a quel laboratorio…” Ipotizzò
mio marito.
Io mi morsi il labbro, incerta. “Immagino che la cosa
migliore sia farci trovare da lei, in ogni caso. Non sappiamo come
reagirebbe, se qualcuno le piombasse addosso all’improvviso
dopo che è rimasta qui per tutto questo tempo.
Finché non avrò appurato cosa esattamente ha
scoperto in quel laboratorio, non intendo correre rischi.”
“E allora cosa proponi di fare?”
Presi un respiro. “Una cosa molto semplice.”
Avanzai, arrancando nella neve, fino a giungere all’ingresso
principale. Spinsi avanti i portali ed entrai nell’ampio
atrio da cui si accedeva alla sala del diario e alle scale per il piano
superiore, lo stesso da cui Dorak doveva essere fuggito, inseguito da
Bastian, la notte in cui il drago lo aveva ferito a morte. Mi
portai al centro della sala e presi un nuovo, profondo respiro.
“Livia!” Gridai, con tutta la voce che possedevo.
“Se sei qui, vieni fuori! Siamo tuoi amici! Tua nonna Erianna
ha creduto alla tua lettera e mi ha scagionata da ogni accusa, ma
è anche molto in pena per te. Ci ha mandati qui per
aiutarti!”
Mi sentii un verme, nel pronunciare quelle parole. C’era del
vero in esse, ma al contempo nascondevano anche la più
profonda delle bugie. Non avevo ancora idea di cosa avrei fatto, con
lei, dopo averle parlato. La stavo ammansendo per stanarla.
Rimasi in attesa, ferma dov’ero. Gourry era rimasto sulla
porta, e così Bastian. Il cavaliere scalpitava come un
animale selvatico, ma non avvertii segni di tensione da parte di mio
marito. Una buona notizia, considerato il suo istinto quasi
infallibile. Se Livia era lì, da qualche parte, era
ragionevole pensare che non avesse intenzioni ostili nei nostri
confronti.
“Livia, ti prego! Devi fidarti di me!”
“Lina…” Mi ammonì Gourry,
affiancandosi a me. In quell’esatto istante, una figura esile
e pallida fece la sua apparizione sulla cima delle scale. Si reggeva
alla ringhiera dello scalone, come per evitare che le gambe le
facessero difetto, e mi guardava con sguardo misto di determinazione,
paura e senso di colpa.
Livia.
Sembrava lievemente dimagrita dall’ultima volta in cui
l’avevo incontrata, ma tutto sommato era in condizioni
migliori di quanto mi fossi aspettata. I capelli erano ancora neri come
mogano (avevo avuto il timore di trovarli bianchi e avere
così conferma immediata delle ipotesi dei draghi), stretti
in una treccia disordinata sulla nuca, e la veste e il mantello bianchi
che indossava erano consunti, ma puliti. Solo, era pallida, forse
ancora più di Erianna. E pareva faticare a trovare la
volontà di mettere un piede di fronte all’altro.
“Avete l’ordine… di
uccidermi?” Domandò, con un sangue freddo che mi
lasciò lievemente spiazzata. Anche lei era figlia della
nobiltà di Elmekia, dopo tutto.
“No.” Mi affrettai a rispondere. Feci un passo
avanti, fermandomi alla base delle scale. “Livia, tua nonna
non ti odia per quello che è successo… vuole solo
assicurarsi che tu stia bene e che tu torni a casa. Chiederà
che tu venga allontanata da palazzo, per quello che hai fatto, ma
è perfettamente consapevole che è stato un
incidente.”
Livia si morse il labbro. “Mi… mi
dispiace.” Dichiarò, in tono flebile.
“Avrei voluto dirvi la verità… davvero,
avrei voluto dirvela, quando vi ho liberata, ma ho avuto paura. Mi sono
accorta che odiavate il Lord Gabriev, e quindi mi sono inventata quella
storia, in modo da avere una scusa per il fatto che vi stavo aiutando.
E dicendovi che il colpevole era Lord Georg ero certa che non avreste
cercato di accusarlo formalmente, perché nessuno vi avrebbe
dato credito, contro di lui…”
Salii lentamente le scale, avvicinandomi a lei. “E poi sei
scappata qua.” Aggiunsi, in tono gentile.
Livia annuì. “All’inizio volevo
chiedervi di portarmi con voi… a casa, da mio padre. Ma
sapevo che sareste stata braccata, a maggior ragione perché
dopo la mia fuga vi avrebbero probabilmente incolpata anche del mio
rapimento… e io vi avrei rallentata, e avrei solo fatto
sì che corressimo il rischio di essere catturate di nuovo
entrambe. Allora sono venuta qua. Ho pensato che se avessi passato
l’inverno nascosta qui, studiando i libri che avevo raccolto,
una volta giunta la bella stagione forse avrei avuto le
capacità per partire da sola… per tornare a casa,
o per andarmene da qui, se mio padre avrà la peggio nella
guerra. Io… non voglio sposare quel Derek, né
rimanere sotto il controllo di Lord Georg per il resto della mia vita.
Voglio andarmene di qui.”
La raggiunsi e, cautamente, le posi una mano sulla spalla. Le sue
parole, il fatto che avesse dedicato il tempo trascorso
lassù allo studio, mi ponevano inevitabilmente in allarme.
Cosa aveva già imparato? I draghi avevano detto che non
erano stati in grado di accedere al laboratorio, ma noi indubbiamente
lo avevamo trovato aperto. Aveva a che fare con il potere di Lord of
Nightmares? Livia era riuscita ad aprire il diario senza essere colpita
dalla maledizione e ne aveva appreso qualche tecnica pericolosa?
“E come sei sopravvissuta, qui, tutta sola?”
Domandai, cercando di mantenere il mio tono di voce il più
rassicurante possibile.
“Ero già venuta qui.” Spiegò
Livia. “Prima ancora di essere portata via da casa, avevo
imparato la Levitazione… uno degli incantesimi
più semplici. Avevo letto storie strane sulla vecchia Talit
e mio padre mi aveva parlato di un vecchio erede che qui conduceva
esperimenti di magia… ero curiosa.
Perciò una notte sono fuggita dalla mia finestra e sono
arrivata fin qua. È stato allora che ho trovato il
laboratorio sottoterra… e lì dentro, il
diario.” A quelle parole, Livia rivolse a Gourry
un’occhiata colma di rimorso. “Dato che questa casa
era così piena di libri interessanti, ho cominciato a venire
qui ogni volta che a Talit mia nonna e Lord Georg allentavano il loro
controllo su di me, lasciandomi sola in camera. Mettevo semplicemente a
dormire con un incantesimo la cameriera incaricata di sorvegliarmi, e
volavo fin qui portando candele, coperte, cibo, o qualsiasi altra cosa
che riuscissi a rubare e che mi rendesse possibile sopravvivere
quassù. Avevo già in mente di fuggire
definitivamente a un certo punto, sapete.” Sospirò
e abbassò lo sguardo. “Quello che è
successo, però ha accelerato le cose.”
Il discorso filava. Una cosa non mi era chiara, però. Se il
diario si era trovato dentro al laboratorio, allora Livia non poteva
averlo usato per entrare la prima volta… se era
così, però, allora come…?
“E… non hai avuto problemi a entrare nel
laboratorio?” Chiesi, in tono neutro.
Livia mi scrutò curiosa. “No, con la levitazione
no… il condotto è ricoperto di muschio, ma con la
magia non è stato necessario che mi
arrampicassi…”
Era così, dunque.
“Livia…” Mi appellai a lei, nuovamente,
mentre una ipotesi prendeva velocemente forma nella mia mente.
“Dove ti trovavi quando siamo venuti qui la volta scorsa?
Perché tu ci hai visti, anche se noi non ci siamo accorti di
te, non è così?”
La principessa arrossì lievemente. “Mi…
mi spiace di non essermi fatta vedere, ma non sapevo se steste cercando
me, e che intenzioni aveste. Ero nascosta proprio nel laboratorio.
Durante la notte, quando voi siete caduta dal camino laggiù,
io stavo semplicemente dormendo in uno degli angoli della
sala… mi avreste sicuramente notata, se non foste corsa
immediatamente di sopra al richiamo di vostro marito.”
Fissò nuovamente Gourry, con evidente disagio.
“Quando siete tornata la mattina successiva, insieme
all’altra Signora, mi ero nascosta in una nicchia interna
alla parete. Ce ne sono almeno quattro o cinque, vedete, delle specie
di sgabuzzini in cui sono custoditi materiali da esperimento e alcuni
volumi.” Scosse la testa, mortificata. “Se foste
stata sola forse avrei trovato il coraggio di farmi avanti, ma la
presenza di una sconosciuta mi ha innervosita, e alla fine sono rimasta
dov’ero.”
Perciò, in entrambi i casi in cui noi eravamo stati in grado
di entrare nel laboratorio, c’era già stata Livia,
all’interno. Questo, in effetti, poteva spiegare molte cose.
Sapevo che esistevano degli incantesimi di sigillo a cui era possibile
imporre delle limitazioni… ad esempio, versando un tributo
di sangue si poteva fare in modo che l’accesso a un luogo
fosse vietato a chiunque non condividesse legami di sangue con la
persona che aveva imposto il sigillo stesso. Era possibile che il
motivo per cui Livia era riuscita ad aprire il laboratorio e, a quanto
pareva, a maneggiare il diario senza risentire della maledizione, fosse
il fatto che era discendente dell’uomo che aveva imposto la
magia su quel luogo. Forse, Amelia ed io eravamo riuscite ad entrare
nel laboratorio solo perché in quel momento Livia era
presente, e non aveva voluto fare nulla per impedircelo.
“Anche quando il Signore, Sir Gabriev, è venuto
qui da solo io ero presente.” Livia occhieggiò
nuovamente mio marito, gli occhi vitrei di senso di colpa.
“Lo ho seguito nella sala, dove avevo abbandonato il diario
quella mattina, e lo ho visto mentre si avvicinava e lo
toccava… ma non avrei mai immaginato che avrebbe scatenato
quella reazione, in lui. Ha iniziato ad agitarsi e gridare come se
provasse un dolore insopportabile. Solo a posteriori ho capito che era
stato proprio il diario a fargli questo. ‘Il sapere ha un
prezzo’ è la frase incisa sulla prima
pagina… non avevo mai capito cosa intendesse dire, prima di
vedere quanto leggere quel diario potesse essere
pericoloso…”
Sentii Gourry trattenere il respiro, alle mie spalle. “Quindi
eri tu… eri tu la figura dorata che ho visto alle mie
spalle.”
Livia si morse il labbro. “Ero lì, ma non so se
abbiate visto me, o se piuttosto non siate stato vittima di una qualche
allucinazione, Signore. Di certo stavate delirando. Avete
indietreggiato fino alla finestra, come non accorgendovi del vuoto che
si avvicinava, e il balcone pericolante vi è crollato sotto
i piedi.” Livia sospirò. “Fortunatamente
vi ho afferrato in tempo. Non sapevo come fare, perché voi
avevate perso i sensi e io non potevo correre il rischio di riportarvi
fino a Talit… perciò vi ho trasportato a valle e
vi ho lasciato non molto lontano dalla città, sperando che
vi trovassero. Non sembravate in pericolo di vita, in ogni caso, anche
se avevate quell’orribile segno sulla
mano…”
“E da allora non hai più avuto il coraggio di
toccare il diario.” Intervenni io, in tono quieto.
Livia annuì, mestamente. “Lo ho abbandonato
dov’era, nella sala vicino al camino, senza più
avvicinarmi… ho smesso di leggere anche molti dei testi nel
laboratorio, per la verità… era già la
seconda volta che la magia aveva effetti che non mi ero
aspettata.” Sospirò. “Ormai ho ben
capito che non si tratta di qualcosa con cui scherzare.”
Mi accigliai, a quelle parole. Mi portavano direttamente alla domanda
che più temevo di porle. “Ma cosa
c’è in quei testi e in quel diario, Livia? Si
tratta di qualcosa di effettivamente pericoloso?”
Livia mi fissò, con fare spaesato. “Io…
non saprei dirvelo, mia Signora. Alcuni parlano di incantesimi
semplici, incantesimi che anche io so fare… altri,
però trattano di cose assolutamente incomprensibili. Quel
diario, ad esempio… non fa che citare gerarchie di esseri
superiori, che io non riesco a capire granché. Prima di
venire qui sapevo dei Signori dei Demoni, ma credevo che gli
incantesimi si appellassero principalmente alle forze della natura, e
invece… i vostri poteri derivano da una fonte del tutto
differente, non è così, Signora Lina?”
La fissai, a quella domanda, senza replicare nulla.
Ero un’idiota. Una perfetta, spettacolare idiota.
Come avevo potuto credere che Livia fosse in grado di maneggiare il
potere di Lord of Nightmares? Io ero stata ancora più
giovane di lei quando avevo imparato a gestirlo, certo… ma
io avevo studiato i fondamenti della magia sin da quando ero stata una
bambina in possesso dei primi rudimenti di lettura e scrittura.
Livia era stata cresciuta nella bambagia per tutta la sua
infanzia… le uniche informazioni che aveva avuto sulla magia
erano state le storie dei bardi, e probabilmente qualche manuale base
di incantesimi di tipo sciamanico che era riuscita a procurarsi anche
in un regno come Elmekia. Probabilmente non aveva idea precisa nemmeno
di chi fosse Shabranigdu, come potevo pensare che da autodidatta, in
poche settimane, potesse avere imparato a padroneggiare un potere come
quello di Lord of Nightmares?
Ma soprattutto, realisticamente, come avevano potuto crederlo i draghi
neri?
Fu allora che capii. E quella comprensione mi riempì di
sollievo, per un istante… prima di colmarmi di una rabbia
incontrollata.
“Lina?”
Mi chiamò Gourry, in tono preoccupato. Solo guardandomi in
volto, doveva avere compreso che qualcosa era cambiato. Di certo ero
sbiancata, perché mi pareva di non avere più un
litro di sangue in corpo. E le mie mani tremavano senza controllo.
“Capisco.” Dichiarai, rivolta a Livia, cercando di
mantenere neutro il tono della mia voce.
“Signora?” La ragazzina sembrava spaventata, ora.
Il mio mutamento di espressione non doveva essere evidente solo per mio
marito.
“Ti riporteremo a valle, da tua nonna.” Dichiarai,
con tutto l’autocontrollo di cui fui capace.
“Immediatamente. E’ necessario che ci muoviamo al
più presto di qui.”
Volsi le spalle e feci per imboccare la porta, ma venni bloccata dalla
presa di Bastian, stretta attorno al mio braccio. “Lina. Che
diavolo significa? Tu non volevi…?”
“I piani sono cambiati.” Mi limitai a sibilare.
“Ci limiteremo a portare Livia in salvo.”
“Ch… che succede?” Sentii Livia avanzare
verso di me, dalle mie spalle. “Signora, non
capisco…”
“Va tutto bene.” Intervenne Gourry. Mi volsi, e lo
vidi avanzare e poggiare una mano sulla spalla di Livia.
“Devi fidarti di noi.” Le sussurrò, nel
suo tono più gentile e rassicurante. “Non puoi
rimanere qui da sola fino alla fine dell’inverno, finirai per
impazzire. Vedrai che tua nonna troverà il modo di metterti
in salvo.” Livia tentennò per qualche istante, ma
la pacatezza di mio marito parve infine convincerla. Abbassò
lo sguardo, e annuì debolmente. Io lanciai
un’occhiata di gratitudine a Gourry, che ancora una volta
aveva compreso le mie mutate intenzioni senza che avessi bisogno di
spiegargliele. Mio marito mi rispose con uno sguardo dubbioso e
preoccupato. Sapevo che non comprendeva le mie motivazioni, ma non
potevo spiegargliele, in quel momento. La mia mente era un ammasso
confuso di ansia e terribili sospetti.
“Bastian, manda un messaggio a Erianna con il tuo falco, per
favore.” Chiesi, liberandomi con un gesto meccanico dalla sua
stretta. “Dovrà raggiungerci alla base della
montagna, stasera stessa. Non abbiamo tempo di fermarci a
Talit” Levai lo sguardo oltre la porta, occhieggiando gli
edifici scuri, sepolti dalla neve candida. “Livia, tu vieni
un momento con me.”
La principessa deglutì, ma si fece avanti verso di me. Io la
superai e mi diressi verso l’interno del palazzo, lungo lo
scalone e al piano superiore. Mentre Bastian usciva per richiamare il
suo falco, la giovane e Gourry mi si accodarono. Mio marito continuava
ad apparire perplesso e preoccupato.
Raggiunsi la camera da letto da cui si accedeva al laboratorio, e feci
cenno a Livia di precedermi nel passaggio dentro il camino.
Gourry mi pose una mano sulla spalla, per bloccarmi.
“Lina.” Mi chiamò, perplesso.
“Che cosa hai in mente? Non vorrai metterti a consultare quei
testi proprio ora…”
Scossi la testa. “Quei testi hanno già causato
abbastanza problemi.” Mi rivolsi a Livia. “Livia,
voglio che tu ora faccia una cosa per me. Io non credo di poter agire
in alcun modo contro quel laboratorio, per via
dell’incantesimo di protezione che lo copre. Ma tu
probabilmente puoi. Voglio che tu lanci un incantesimo di fuoco
all’interno della sala. Il più forte che conosci.
Voglio che tu desideri intensamente che il contenuto di questa stanza
vada in fumo.”
Gourry mi fissò, sorpreso. “Vuoi
distruggerlo?”
“Così nessun antico potere potrà
più svegliarsi a Talit. E così questo laboratorio
non potrà più essere usato come uno strumento di
accusa contro di me.”
Gourry tacque. Sembrava ancora preoccupato, ma pareva anche comprendere
le mie motivazioni. Strinsi brevemente la sua mano, ancora contro la
mia spalla, quindi mi liberai e seguii Livia lungo lo scivoloso
passaggio.
La osservai mentre eseguiva i miei ordini, evitando di posare gli occhi
sul laboratorio. Livia sembrava piuttosto sollevata dal compito che le
avevo assegnato, in effetti. Come se bruciare il laboratorio
significasse per lei liberarsi di parte del peso che incombeva sulle
sue spalle.
I miei sentimenti erano più contrastanti. Non potevo dire di
non essere curiosa riguardo alla sapienza contenuta fra le pagine che
avevo dato ordine di distruggere. A dispetto di tutto, a dispetto di
ogni rischio che avevo corso in passato a causa del potere di Lord of
Nightmares, l’ambizione, la sete di potere e di conoscenza
erano lati di me che non si sarebbero mai sopiti.
Ma non ero più la ragazzina sconsiderata di tredici anni,
che credendo di non avere nulla da perdere aveva elaborato un
incantesimo pericoloso e difficile da controllare per qualsiasi essere
umano. Dopo Fibrizo, dopo tutto quello che avevo passato da quando
avevo incontrato Gourry, avevo ormai compreso di avere qualcosa da
proteggere, qualcosa che valeva più di qualsiasi
curiosità soddisfatta: la mia mente, la mia vita e la vita
delle persone che mi erano care.
Risalii il passaggio insieme a Livia, quando le fiamme attecchirono,
per fuggire al caldo soffocante e al fumo. Attesi che il fuoco avesse
compiuto il suo dovere, quindi dall’alto lo estinsi, con la
magia, prima che potesse diffondersi.
Quando tutto fu finito, con un respiro mi volsi verso Gourry e
contemplai il suo viso, in cerca di coraggio.
“E ora torniamo.” Dichiarai, ferma. “Alle
steppe.”