Dire, fare, combaciare

di Mave
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Numeri ***
Capitolo 2: *** Mia ***
Capitolo 3: *** Genitori e figli ***
Capitolo 4: *** Amore fraterno ***
Capitolo 5: *** Tensioni ***
Capitolo 6: *** Scambio di ruoli ***
Capitolo 7: *** Perla ***
Capitolo 8: *** Festa di compleanno ***
Capitolo 9: *** Guarigione ***



Capitolo 1
*** Numeri ***


Biopsia del midollo.

Un esame che faceva paura solo a pronunciarlo. Per Lisa restare accanto a suo figlio durante il prelievo era una delle prove più dure che una mamma potesse sopportare.

Aveva distolto lo sguardo mentre Romeo si spogliava dei jeans e della t-shirt, lasciando in bella mostra i lividi che erano effetti collaterali dei farmaci che era costretto ad assumere, e indossava il camice monouso dell’ospedale.

Fino ad allora il ragazzo aveva avuto un piglio marziale, facendo il duro. Dopo essersi steso sul lettino in posizione fetale, però, il suo coraggio aveva cominciato a vacillare.

Il dottore gli aveva scoperto il fondoschiena e aveva iniziato a spalmare il gel anestetico e quando Lisa lo aveva visto tremare come un bambino, si era avvicinata a Romeo senza più esitazioni.

“Adesso rilassati!”

Aveva ordinato il medico con voce calda. Ma soltanto stringere forte la mano di sua madre, fino a farle male, aveva in parte calmato il ragazzo mentre un ago penetrava nella sua cresta iliaca e ravanava alla ricerca di cellule malate.

“Adesso puoi rivestirti. Ti terremo in osservazione per qualche ora!”

Era la frase che metteva fine al supplizio e mentre tutta la tensione si allentava sul viso contratto di Lisa, su quello di Romeo era spuntata prepotente una lacrima.


“Io i numeri li odio!”

Il piccolo Antonio, otto anni da compiere a maggio, aveva spezzato in due la matita perché quel problema di aritmetica lo stava facendo impazzire, rivelandosi più problematico del previsto.

Aveva sbirciato il risultato sul libro di scuola e, poiché non corrispondeva a quello che aveva ottenuto, si era lasciato andare a quello scatto di nervi.

“Non è vero, i numeri sono belli! Soprattutto quelli che fanno i maghi!”

Lo aveva contraddetto Giuseppe, il fratellino poco più piccolo di un anno, sbeffeggiandolo con un sorrisetto da piccola canaglia con quei suoi denti a finestrella.

“Perla tu a chi dai ragione?”

La loro stravagante babysitter, intenta a ripassarsi il rossetto stando attenta a non creare sbavature seguendo la linea delle sue labbra a cuore nello specchietto che portava sempre in borsa, in realtà si era poco interessata a quelle scaramucce tra i bambini.

“Beh i numeri sono molto importanti…Soprattutto quelli di uomini che potrebbero migliorarti la vita!”

La sua battuta da persona grande era passata quasi del tutto inosservata tra i fratellini che stavano già cercando qualche altro argomento su cui azzuffarsi. Si erano interrotti all’istante quando la chiave aveva girato nella toppa d’ingresso.


“Mamma, mamma!”

Lisa era stata travolta dall’abbraccio di quel piccolo uragano di Giuseppe.

“Oh ecco qui il mio maghetto!”

Si era sforzata per mantenere una facciata allegra con i figli più piccoli.

“Mamma, Antonio dice che lui i numeri li odia. Invece sono bellissimi, vero?”

Con la sua voce cantilenante aveva subito cercato l’appoggio della donna ma la leggerezza dei suoi sette anni si era spenta di colpo quando, dietro a Lisa, era comparso Romeo.

Il fratello maggiore era pallido e camminava piegato a schiena d’asino. Fino ad allora aveva ostinatamente e orgogliosamente rifiutato qualsiasi appoggio sua madre volesse offrirgli e aveva persino affrontato da solo le scale sorreggendosi al corrimano.

Adesso però era stato costretto a mostrare le sue défaillance perché aveva rischiato di perdere l’equilibrio ed era stato costretto a sostenersi al bracciolo del divano.

Antonio dinnanzi alla vulnerabilità di Romeo si era irrigidito e anche Perla era rimasta senza parole.

“Tesoro perché non vai in camera tua a stenderti un po'?”

Lisa gli si era rivolta con tono conciliante e Romeno non aveva protestato, accogliendo il suggerimento come una via di fuga.

“Lo spettacolo è finito!”

Prima di congedarsi aveva sibilato quella frase cattiva ai fratelli minori, che in quel momento lo avevano detestato con tutti loro stessi.


Non era stato facile far tornare il sorriso e il buon umore ai bambini ma Lisa ci aveva messo tutto il suo impegno: aveva aiutato Antonio con i compiti di matematica, aveva preparato loro una super merenda e gli aveva concesso un permesso per restare del tempo extra a giocare a pallone in cortile.

Lei aveva soltanto bisogno di sfogarsi e la sua fidata amica era lì pronta ad ascoltarla.

“Ha ragione Antonio, sai? I numeri sono odiosi!”

“E lo dici a me? Non riesco a ricordare a memoria un solo numero di telefono, neanche il mio! In terza media venni addirittura bocciata per colpa della matematica!”

Perla aveva cerca di sdrammatizzare. Aveva riempito due coppette di gelato perché c’era un disperato bisogno di dolcezza e al diavolo le calorie di troppo!

“E poi le percentuali sono le peggiori di tutto. Le odio da quando su di esse si basano le possibilità di vita di mio figlio!”


Quando Enrico era rientrato a casa quella sera era così tardi che già tutti dormivano.

In salotto sua moglie si era addormentata sul divano con la televisione accesa, il telecomando in mano e i capelli sparsi sul cuscino che al mattino avrebbe lasciato un bel segno sulla sua guancia.

L’uomo le aveva allungato una carezza leggera e poi l’aveva coperta con un plaid.

Si era allontanato in punta di piedi e, allentando il nodo della cravatta, si era diretto verso la cameretta dei figli più piccoli.

I bambini erano di una tenerezza disarmante nella loro posizione a stella marina, abbandonati fiduciosi nei loro sogni.

Sarebbe rimasto a guardarli dormire per ore, anche fino all’alba, soprattutto per sottrarsi al compito più difficile che si era lasciato per ultimo.

Avrebbe fatto volentieri a meno di affacciarsi nella camera del figlio malato. Poi si era convinto che a quell’ora avrebbe trovato sicuramente Romeo addormentato e dargli un’occhiata avrebbe messo a tacere la sua coscienza.

Non era preparato ad una scena che lo aveva spiazzato e lo aveva fatto sentire maledettamente inadeguato come padre.

Romeo non dormiva. Era sdraiato a pancia in giù perché era l’unica posizione che non lo facesse soffrire troppo, il cuscino attutiva ma non soffocava completamene i suoi singhiozzi.

Enrico gli aveva scostato i capelli appiccicati sulla fronte e aveva acceso l’abat-jour: quel viso così giovane e bello congestionato dal pianto gli aveva provocato una stretta al cuore.

“Stai bene?”

Era una domanda stupida ma non aveva potuto evitare di porgliela.

“Ho la leucemia, secondo te come sto?”

Quell’ironia gratuita però non aveva fatto in tempo a mortificare suo padre perché il ragazzo, sempre più sofferente, immediatamente dopo gli aveva rivolto un accorata richiesta d’aiuto.

“Brucia da matti, papà! Ti prego fa qualcosa!”

Allora Enrico, facendo attenzione a non svegliare il resto della famiglia, si era dedicato completamente alla cura del figlio: gli aveva preparato una borsa del ghiaccio, aveva sollevato la t-shirt con cui suo figlio dormiva e gli aveva spalmato sulla schiena una pomata a base di arnica.

Ed era stato un sollievo quando, a notte fonda, finalmente anche Romeo si era addormentato.

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Capitolo 2
*** Mia ***


Le mattine a casa Vinci si andava sempre di corsa.

Litigare con la sveglia, lottare per ottenere il proprio turno in bagno, bere un caffè al volo era ormai una routine per Lisa che, prima di uscire da casa, aveva già mille cose da fare.

Ogni giorno era un’impresa disinnescare le scaramucce tra Antonio e Giuseppe che, appena alzati, sprizzavano energia da tutti i pori.

“Maaammaaa! Giuseppe si è chiuso in bagno da più di mezz’ora e non ha nessuna intenzione di uscire!”

Antonio continuava a bussare insistentemente alla porta e non ottenendo risposta, si innervosiva sempre di più. L’ennesimo imprevisto aveva costretto Lisa a correre in corridoio ancora semisvestita per cercare di persuadere il suo figlio minore con doni dolci, prima che l’altro buttasse giù la porta.

“Giuseppe, tesoro, cosa stai combinando?”

“Sto cercando di aprire la porta con la forza del pensiero!”

A quella risposta innocente e assurda aveva fatto da eco una risata. Lisa si era voltata verso il soggiorno dove Romeo era sdraiato su un fianco, sui morbidi cuscini del divano.

Per una frazione di secondo la donna aveva pensato che avrebbe preferito una di quelle mattine in cui il suo primogenito, prima di uscire di casa, sembrava in trance e si muoveva come un bradipo.

Poi il problema da risolvere aveva spazzato via tutte le sue recriminazioni.

Alla fine, convinto dalla forza di persuasione della mamma, il piccolo di casa era sbucato fuori, avvolto in morbidi asciugamani e teli da bagno.

“Sembri un salsicciotto!”

Lo aveva preso in giro Romeo, girandosi sulla schiena e mascherando una smorfia di dolore. Il fratellino aveva risposto con una linguaccia.

“Accompagno queste due pesti a scuola e torno a casa a farti compagnia!”

Romeo si era accigliato. Le giornate stavano tornando a scorrere regolari ma lui faceva fatica a trovare un equilibrio e ad accettare tutte quelle premure che riteneva eccessive.

“Non c’è bisogno! Prenditi del tempo per te, vai dal parrucchiere, a fare la spesa, in ufficio da papà…Io me la caverò bene. Non sono mica moribondo. Perlomeno non ancora!”

Si era reso conto da solo che quell’ultima precisazione avrebbe potuto benissimo evitarsela e si era sentito un verme quando un’espressione ferita si era dipinta sul volto Lisa. Anche Giuseppe, con la sensibilità dei bambini, aveva capito che suo fratello era stato cattivo con la mamma.

“Non preoccuparti mamma…Appena divento un mago famoso, lo faccio sparire io questo rompiscatole!”

Lisa aveva avvertito un brivido sinistro attraversargli la schiena come una scarica elettrica ma aveva ugualmente arruffato i capelli del bambino mentre Romeo aveva sorriso amaro: Giuseppe non aveva la più pallida idea che non c’era bisogno di nessun numero di magia perché quella sinistra profezia si avverasse per davvero!


Era stato un sollievo poter restare finalmente da solo e perdersi nei suoi pensieri.

Nemmeno quel giorno sarebbe potuto andare a scuola e non si era meravigliato quando il telefono aveva iniziato a squillare.

Mia!

Sicuramente quella ragazzina, così antipatica quanto bella, era in pena per lui.

Il loro primo incontro era stato un po' burrascoso, infatti Romeo l’aveva quasi investita con la sua moto, ma da quando erano diventati compagni di banco si erano conosciuti sempre di più.

Adesso la ragazza che adorava il gusto di gelato che faceva schifo a tutti gli altri – il puffo- era diventata la sua migliore amica.

“Se mi vedessi in questo momento rideresti come una pazza!”

Romeo aveva risposto alla chiamata e prima che lei potesse anche solo salutarlo si era sforzato di mostrarsi allegro, facendo battute sulla sua condizione.

“Perché?”

Poteva quasi vederla mentre si mordeva il labbro inferiore, come faceva ogni qualvolta era nervosa. Mia aveva perso il papà in un incidente stradale, appena sei mesi prima, e venuta a conoscenza della malattia dell’amico gli aveva detto a chiare lettere che non le piacevano le persone che sarebbero potute morire .

“Sono sdraiato da due giorni con il sedere per aria e una borsa del ghiaccio tra i pantaloni e il fondoschiena. Il didietro mi fa un male pazzesco e, ogni volta che cerco di muovermi, sembro Fantozzi con la panciera!”

Era il suo modo di esorcizzare la sofferenza e combattere la paura e sembrava funzionare anche con gli altri. Sapeva che Mia avrebbe riso.

La sua risata era così cristallina e contagiosa che, suo malgrado, si era messo a ridere anche Romeo nonostante il dolore.

“Come ci sei finito in quella posizione?”

Il ragazzo aveva esitato qualche istante ma poi aveva capito di aver bisogno di uno sfogo e magari spiegare anche a Mia quello che stava passando li avrebbe aiutati a sfatare il tabù della malattia.

“I medici hanno voluto ripetere degli esami che non facevo da dicembre scorso!”

“E allora?”

“Allora mi hanno fatto un doppio tagliando: biopsia e midollo. Praticamente mi hanno prelevato del sangue dall’osso iliaco infilzandomi con un ago simile ad uno stuzzicadenti…”

“Mi viene la pelle d’oca solo a pensarci”

“E a te come va?”

Romeo adesso voleva dimenticare, sentire parlare di vita, delle attività normali di una ragazza di sedici anni.

“Devo studiare due capitoli di storia per domani. E pomeriggio ho gli allenamenti di nuoto. Ordinaria amministrazione, insomma!”

Il ragazzo aveva sospirato e si era mosso sul divano riuscendo a spostarsi di appena un millimetro prima che il bruciore alla schiena lo facesse desistere da ulteriori tentativi.

“Già, ordinaria amministrazione!”

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Capitolo 3
*** Genitori e figli ***


Antonio l’aveva fatta grossa!

Con l’ardire dei suoi otto anni, si era presentato in uno studio legale chiedendo di poter parlare con l’avvocato Diego Venturi.

La segretaria dell’uomo aveva inarcato un sopracciglio a quella richiesta bizzarra anche perché era la prima volta che le capitava di avere a che fare con un ometto che si atteggiava ad adulto.

L’avvocato non l’aveva di certo presa bene quando era entrato nello studio e scoperto che il suo nuovo cliente era poco più alto di cinquanta centimetri.

“Cos’è uno scherzo?”

“I miei genitori sono indifferenti e si preoccupano solo di mio fratello!”

“Queste cose dovete vedervele in famiglia, bambino!”

Antonio si era fatto piccolo, piccolo sulla grande poltrona dove lo avevano fatto accomodare e aveva proseguito con la voce titubante che si abbassava di qualche tono.

“Mio fratello è malato e vogliono convincermi a dargli il mio midollo…”

“Nessuno può costringerti a farlo contro la tua volontà!”

“Nemmeno i miei genitori?”


Diego Venturi si era reso conto di essersi cacciato in una situazione spinosa quando i due genitori in questione erano entrati nel suo studio a rotta di collo.

Era stata una sorpresa scoprire che si trattasse di Enrico e Lisa.

Enrico Vinci : collega e amico di scorribande ai tempi dell’università.

Lisa Marcelli: sua ex fiamma.

Dopo l’imbarazzo e lo smarrimento iniziale, la principale preoccupazione dei due genitori era stata convincere Antonio che nessuno lo considerava un figlio di serie B e che volevano lo stesso bene a lui e a Romeo.

Il bambino era molto combattuto e provato e Lisa gli aveva promesso che avrebbero ascoltato anche il suo punto di vista, ora meglio tornare a casa e, sul tragitto del ritorno, gli aveva promesso un bel gelato tre gusti.

Diego invece aveva invitato Enrico a prendere un caffè insieme nel Bar vicino al vecchio palazzo, sede del suo ufficio.

“Lisa ricorre sempre al vecchio trucco di un bel gelato per calmare i nostri figli. Però ci sono promesse che non sempre si possono mantenere…”

L’avvocato Vinci aveva strappato la bustina contenente lo zucchero e lo aveva versato a pioggia sul suo cappuccino.

“Chi lo avrebbe mai detto che un giorno ti avrei ritrovato, sposato con la più bella del nostro corso di giurisprudenza e per giunta con due figli! E pensare che una ventina d’anni fa eri lo scapolo d’oro più ambito!”

Enrico aveva sorriso, rimestando con il cucchiaino il suo caffè-latte.

“Tre. Tre figli!”

Aveva rettificato.

“Addirittura?”

“Romeo è stato il frutto del nostro amore incosciente e folle; eravamo così giovani quando è nato! Per otto anni è stato il nostro raggio di sole, poi si è ammalato di leucemia. Né io, né Lisa eravamo compatibili per poterlo far guarire e così i medici ci hanno suggerito di mettere al mondo un altro figlio. Antonio, brutto da dire, è quasi la ruota di scorta di suo fratello. Appena nato, le sue cellule staminali sono state usate per aiutare Romeo. E poi c’è Giuseppe, concepito proprio in quell’anno di caos, di incertezze e di grandi cambiamenti…”

Per qualche secondo Diego non aveva saputo cosa dire, poi si era stretto nelle spalle sorseggiando il suo caffè lungo.

“Sembra quasi la trama di quel romanzo di Jodi Picault!”


“Custode di mia sorella ” era stato anche una trasposizione televisiva che tutti in famiglia avevano guardato quando era stato trasmesso sullo schermo piatto del soggiorno, una sera di qualche settimana prima.

L’idea allora era venuta a Romeo…

E aveva subito trovato in Antonio un collaboratore entusiasta. Il piccolo era stufo di andare in ospedale anche se era sano come un pesce, di tutti quei prelievi e quelle punture dolorose…

I genitori avevano iniziato a sospettare di quella strana alleanza. Che Romeo fosse la mente lo aveva scoperto, accidentalmente, Enrico qualche sera dopo.

Il ragazzo stava facendo la doccia e, contrariamente al solito, aveva lasciato socchiusa la porta della sua camera. Per suo padre la tentazione di entrare era stata troppo forte.

Il pc era acceso, incautamente aperto sulla pagina facebook di Romeo.

Enrico vi aveva letto un post che lo aveva allarmato.

Piuttosto soffrire che morire è il motto degli uomini.

La morte è passare soltanto in un’atra stanza.

La grande, tremenda, verità è questa: soffrire non serve a niente !


Enrico aveva deciso di parlare a quattrocchi con suo figlio perciò il pomeriggio seguente lo aveva portato con sé, al club che frequentava sin da ragazzino.

Romeo aveva inspirato a pieni polmoni l’aria di mare: le sue narici filtravano quell’odore salmastro, sentiva il sale sulla pelle.

“Sono fortunato ad essere nato al sole. Il mare ce l’ho dentro!”

Enrico aveva sorriso nel vedere suo figlio così sereno, poi il pensiero di quel lato oscuro della sua vita l’aveva punto come uno spillo.

Il golfo che racchiude Napoli è come se la custodisse e la proteggesse e anche per lui, per tanto tempo, è stato casa.

“Io e tuo zio Tommaso venivamo spesso qui!”

Romeo si era irrigidito di colpo.

Tommaso era sempre stato un fantasma troppo ingombrante, un ricordo troppo doloroso perché potesse anche solo essere menzionato.

“Il giorno che è morto affogato, io lo ricordo benissimo. Ed è così vivido ancora il dolore dei miei genitori, della mia famiglia. Perdere un figlio è disumano, la cosa peggiore che possa capitare nella vita…”

Romeo aveva distolto lo sguardo a disagio, fissando la linea d’orizzonte che separava mare e cielo.

Suo padre sapeva tutto!

“Io non voglio più far soffrire nessuno papà, soprattutto Antonio. Li vedo i sacrifici che fate tu e mamma, le torture che deve subire Antonio, le lunghe giornate che Giuseppe è costretto a vedere soltanto il viso di Perla. Posso anche accettarlo di dover morire ma sono stanco di essere un peso per la mia famiglia!”

“Hai pensato che senza di te cesseremo di essere una famiglia? Se le ragioni per vivere ti sembrano così scadenti, almeno non cercarne una per arrenderti!”

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Capitolo 4
*** Amore fraterno ***


L’amore fraterno ci lascia spesso senza parole.

Antonio non ci aveva pensato due volte. Quando Romeo era peggiorato, aveva deciso, con coraggio, di entrare in sala operatoria per donare il suo midollo al fratello maggiore.

Anche se aveva soltanto otto anni si stava comportando con la consapevolezza che il suo gesto sarebbe servito non solo a far guarire Romeo, ma a salvargli la vita.

Prima di arrivare a quel miracolo d’amore, al fatidico giorno zero, la strada era stata tutta in salita. Il ragazzo era stato ricoverato in ospedale e sottoposto ad una chemioterapia a dosi massicce per distruggere completamente il suo midollo osseo e il maggior numero possibile di cellule maligne presenti nel suo corpo.

Erano stati giorni difficilissimi.

Con l’infermiera di turno che gli infilava l’ago nel braccio senza troppi complimenti e lo informava che a sinistra c’era il catino in cui vomitare. E lui mentalmente la ringraziava ironico perché gli aveva immobilizzato il braccio destro, quello che gli serviva per sottolineare il libro che stava studiando, un corso accelerato assurdo per imparare lo swahili.

Conoscere quella lingua bantu, infatti, era uno dei desideri che Romeo aveva annotato nella sua bucket list.

Di cose da fare prima di morire ce n’erano ancora tante! Pensava mentre non gli restava altro da fare che guardare la flebo: cadeva goccia a goccia e dilatava il tempo per liberarsi da quel supplizio.

Quando gli effetti collaterali di quel pesante trattamento avevano cominciato a farsi sentire, quando tutto lo infastidiva anche le voci e la luce, quando era costretto a rintanarsi a letto e a fare la spola con il bagno ogni cinque minuti, c’era Lisa a tenergli la mano e a massaggiargli la schiena.

Per Enrico era stato più difficile vedere suo figlio stare ogni giorno peggio, con febbri alte e privo di forze, ma ogni sera arrivava con una spremuta di arance fresche.

Persino Pera, l’eccentrica amica di sua madre e baby sitter occasionale dei suoi fratellini, era venuta meno al suo motto mi occupo ma non mi preoccupo . La donna, dopo una delle sedute di chemio che lo avevano debilitato ancora di più, era arrivata in ospedale con un ghiacciolo per lui.

“L’ho visto fare in Sex and the City quando Samantha aveva il cancro!”

Nonostante tutto, Romeo aveva sorriso e, finalmente, aveva trovato la forza di esternare a voce alta un pensiero che lo logorava da anni.

“Sono convinto che chi mi sta accanto, chi mi vuole bene, soffre più di me. Se non fisicamente, sicuramente moralmente!”


Invece la serenità di Antonio dava a tutti loro la forza e la speranza di continuare a pensare positivamente, di cercare di accettare e superare tutto ciò che la loro famiglia stava affrontando.

Intanto il Romeo che si apprestava a ricevere il più grande dono dal fratellino era molto cambiato. Il ragazzo dal ciuffo ribelle, dal sorriso ironico e con un luccichio malizioso negli occhi aveva lasciato il posto ad un essere umano informe, con la testa pelata, gli occhi stanchi, il viso scavato e le cicatrici di quella battaglia senza fine.

La mattina del trapianto, la paura, l’incertezza e il senso d’impotenza nel sapere che in quel momento Antonio stava entrando in sala operatoria a causa sua, lo avevano messo in un tale stato di frustrazione e agitazione che, mentre si sforzava di ingoiare qualcosa per colazione, le mani gli erano tremate talmente tanto che il barattolo gli era scivolato, finendo in mille pezzi sul pavimento schizzando marmellata dappertutto.

“Adesso ti sistemo io!”

Gli aveva detto il caposala con un sorriso, accorso immediatamente e rendendosi conto dello stato d’agitazione del giovane paziente.

Aveva preparato una siringa e Romeo si era lasciato fare l’ennesima iniezione senza protestare.


Era ancora rincretinito dal Valium quando Enrico era entrato nella stanza, bardato di mascherina, camice e soprascarpe, tradendo una certa emozione.

Fino ad allora Enrico e Lisa erano stati con Antonio, lo avevano coccolato e atteso fuori dal blocco operatorio ma, in quella fase delicata della giornata, avevano deciso di dividersi il difficile compito di essere genitori.

Poi era successo tutto così in fretta che a Romeo era sembrato di trovarsi in un mondo parallelo o in un film di fantascienza.

Ancora un ago nel braccio e quel liquido rosso, linfa vitale, aveva iniziato a scorrergli nelle vene.

A fatica aveva focalizzato l’attenzione su suo padre che stava smanettando sul cellulare: Lisa infatti, dall’altro lato dell’ospedale, gli stava inoltrando una video chiamata.

“C’è qualcuno che vuole salutarti!”

Enrico aveva ricacciato indietro la commozione e aveva aiutato il figlio a sollevarsi sui cuscini per poi passargli il suo telefonino. Sulla piccola schermata era comparso il visetto tondo e ancora mezzo intontito di Antonio.

“Allora com’è il mio midollo?”

Aveva chiesto, con la voce ancora impastata dall’anestesia.

“Ha l’aspetto di una salsa di pomodoro molto liquida!”

Romeo aveva guardato la sacca alla sua destra, sull’asta porta-flebo, e aveva trovato la voglia di sdrammatizzare.

“Sei il solito coglione!”

Anche il fratellino dall’altra parte aveva sorriso debolmente, consapevole che in una situazione del genere i genitori non lo avrebbero rimproverato per quell’espressione troppo colorita.

“Come ti senti? Hai molto male?”

Romeo era tornato subito serio, nel ruolo di fratello maggiore. Anche Antonio era sdraiato a letto ed era pallido, con le occhiaie.

“No, non fa molto male. È successo tutto così in fretta che non ho fatto in tempo a rendermene conto. Adesso mi terranno in ospedale altri due giorni, vero mamma?”

I modi semplici con cui il bambino stava affrontando quella grande prova avevano scaldato il cuore degli altri tre.

E in quel momento Romeo si era reso conto di una cosa importante: conosceva il suo nemico, ce l’avrebbe fatta.

E ancora non aveva rivolto a suo fratello la parola più semplice ma più importante di tutte.

“Antonio, grazie!”

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Capitolo 5
*** Tensioni ***


Finalmente, dopo giorni passati in quel reparto blindato, dopo aver visto per la prima volta suo padre con gli occhi rossi, per Romeo era arrivato il momento di tornare a casa.

Antonio, al colmo della felicità, si era fatto aiutare da Rocco, il fidanzato di Perla, per accogliere il fratello con uno striscione di bentornato.

Giuseppe invece era rimasto scettico e frastornato: quello che era sceso dai sedili posteriori dell’auto di famiglia, infatti, non era il suo Romeo.

Era un ragazzo calvo, così debole da essere costretto ad appoggiarsi al braccio di suo padre, con una mascherina sulla bocca che gli lasciava scoperti soltanto gli occhioni azzurri e stanchi.

“A cosa ti serve quella?”

Era stato proprio quel triangolino di tela, la novità più evidente, ad attirare l’attenzione del bambino e ad aiutarlo a rompere il ghiaccio.

“È una mascherina come quella che usano i cinesi per proteggersi dallo smog. Ancora non sappiamo se il midollo che mi ha dato Antonio starà bene nel mio corpo e fino ad allora anche io dovrò proteggermi!”

Era stato proprio Romeo ad accoccolarsi all’altezza del fratellino per cercare di spiegargli la situazione nel modo più semplice possibile.

“Anche io sono pericoloso per te? È per questo che non mi hanno mai portato a trovarti in ospedale?”

Il ragazzo non aveva risposto. Si era rimesso in piedi, distogliendo lo sguardo, e si era allontanato celando una punta di dolore nel cuore.


Lo aspettavano ancora altri giorni da malato. Tra fiale, blister, contagocce, sdraiato a letto e costretto ad osservare le nuvole rincorrersi nel cielo da dietro una finestra sigillata.

Alla fine Romeo non ce l’aveva fatta più a tenersi tutto dentro. Aveva trovato l’immagine di una moto ridotta ad un rottame: si sentiva esattamente inservibile e deteriorato come quelle lamiere e aveva condiviso il pensiero su facebook.

Senza preoccuparsi che i compagni di scuola avrebbero potuto geolocalizzarlo e scoprire che scriveva da casa sua.

Mia era arrivata tre giorni dopo le sue dimissioni dall’ospedale.

Aveva suonato con insistenza al campanello e aveva messo alle strette Lisa.

“Voglio vedere Romeo, lo so che è a casa!”

La donna non sapeva come comportarsi ma era stato proprio il ragazzo a trarla d’impiccio.

“Falla salire!”

In fondo gli era mancata da morire quella ragazzina premurosa che, la sera prima del ricovero, si era presentata a strimpellare una chitarra sotto casa sua e che gli aveva strappato un bacio e la promessa di non morire!

Ed è uno schiaffo in pieno viso vederla adesso qui, ammutolita, a fissarlo con quella faccia triste e piena di compassione.

“Eccomi qui, in tutto il mio splendore!”

Beh forse Mia si aspettava di trovarlo con i jeans strappati, il ciuffo pieno di gel e il piercing all’orecchio e invece lui l’ha accolta nel suo pigiama rosso, pelato e sollevato sui cuscini!

“Devo andare!”

Biascica la ragazza prima di correre via.

Romeo è troppo stanco per sentirsi ferito da questo comportamento. Chiude gli occhi e, dopo qualche minuto, si assopisce.


Sono voci concitate provenienti dal piano di sotto a ridestarlo. Sembra in atto una discussione e, su tutte, spicca la vocina squillante di Giuseppe.

“Ma questa è un’ingiustizia! Domenica è il mio compleanno! Perché non posso invitare i miei compagni di classe e festeggiarlo insieme a loro, come fanno tutti i miei amichetti? Come fanno tutti i bambini normali?”

“Lo sai, tesoro! Sarebbe troppo pericoloso affollare la casa con bambini che potrebbero avere anche un semplice raffreddore e attaccarcelo!”

Lisa aveva cercato di rabbonirlo. Sapeva quanto era frustrante per i bambini sentirsi sempre ripetere di lavarsi bene le mani e per lei disinfettare tutto e cuocere i cibi alla perfezione.

“E allora? Abbiamo paura di un semplice starnuto?”

“Te lo abbiamo spiegato: Romeo non può correre nessun rischio, nemmeno quello di una banale influenza!”

Aveva rincarato Enrico, in realtà più concentrato a riordinare le carte da portare in ufficio che a prestare davvero attenzione ai capricci del figlioletto.

“Romeo, Romeo e sempre Romeo. Quella mammoletta. Beh lui non è invitato alla mia festa…Problema risolto!”

Giuseppe si era infervorato, battendo il piede per terra come il più pestifero dei bambini.

“Non parlare con quei toni di tuo fratello!”

Era rimasto sordo ai richiami dei genitori ed era schizzato via, venendo intercettato però a metà corridoio.

Attirato dalla discussione, Romeo aveva trovato l’energia per buttarsi giù dal letto e scendere le scale, seppur a fatica. Si sorreggeva al corrimano ed era fermo sull’ultimo gradino, quando il fratellino gli si era scagliato contro come una furia.

“Ti odio, ti odio, ti odio! Devi sempre rovinarmi la vita…Sparisci!”

Lo aveva strattonato ed era scappato via.


Quella giornata aveva contribuito a seppellire definitivamente la scarsa stima che Romeo aveva di sé stesso.

Al solito orario, Lisa era salita in camera sua per fargli assumere le pastiglie di immunosopressori. Lo aveva trovato steso sul fianco e non si era voltato quando lei gli si era avvicinata.

Gli aveva accarezzato la schiena e aveva cercato di prenderlo con dolcezza.

“Chi è questo ragazzo così triste?”

Allora lui si era voltato di scatto, rivelandole gli occhi dalle lunghe ciglia umidi di lacrime.

“Sono Romeo, ho diciassette anni e ho il cancro!”

Quella frase aveva tolto il respiro a Lisa ma non aveva fatto in tempo a consolarlo perché il ragazzo si era abbandonato completamente al suo sfogo.

“Sono un mostro, mamma. A Mia faccio schifo, per papà ogni scusa è buona per scappare da me, ai miei fratelli riesco a procurare solo dolore!”

Per la prima volta, da quando erano ripiombati nel calvario, lo aveva visto abbandonarsi ad un pianto di quelli con i singhiozzi che ti sconquassano.

“Zitto. Non pensarle nemmeno queste cose…Tutti abbiamo paura perché tutti ti vogliamo bene!”

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Capitolo 6
*** Scambio di ruoli ***


“Tommy!”

Intorno tutto era nero, buio e scuro. Anche la voce veniva assorbita da quelle tenebre.

Gridava ma non sentiva nulla. Era cieco, sordo e muto?

Forse no ma era come se lo fosse. Si trattava del solito incubo.

Lo aveva fatto così spesso negli ultimi tempi che aveva iniziato ad abituarcisi.

Enrico si era svegliato all’alba, madido di sudore e incatenato alla tristezza: da quando suo fratello Tommaso era morto in mare, molti anni prima, lui non era più stato lo stesso.

Facendo attenzione a non svegliare Lisa che dormiva al suo fianco, si era alzato barcollando nell’oscurità.

Aveva sorpassato la libreria del soggiorno, piena di volumi intonsi e di soprammobili costosi e aveva preso al volo penne, matite e il fascicolo del caso a cui stava lavorando.

In poco meno di mezz’ora il tavolo della cucina era diventato un’isola rettangolare di disordine nella pulizia impeccabile della stanza.

Concentrarsi sul lavoro lo aveva distratto dai ricordi dolorosi di suo fratello e dal pensiero di suo figlio.

Ad un certo punto gli era venuta fame, aveva preso la dispensa e si era messo a sgranocchiare i cereali dei bambini.


“Colazione sana, stamattina?”

Era così preso dalle sue carte da non essersi accorto che erano già le sette e che, in due ore, aveva fatto fuori mezza scatola di corn flakes.

La giornata di Lisa iniziava sempre con un sorriso ma, di quei tempi, nessuno in casa era troppo sereno.

Si era avvicinata con disinvoltura ai cestini della raccolta differenziata, dove smaltire la siringa usata e il batuffolo di cotone pregno di disinfettante che teneva in mano.

Quel particolare e la scia di alcol che aveva lasciato dietro avevano serrato in una morsa lo stomaco di Enrico.

“Ci starebbe bene una bella tazza di latte!”

Lisa aveva continuato con quel suo tono giocoso additando i cereali ma suo marito non era in vena per risponderle a tono.

La donna si era allontanata ed era tornata, poco dopo, con un vassoio su cu teneva in equilibrio tazze e piattini. Le aveva appoggiate con cura sul tavolo.

“Resti in piedi?”

Le aveva chiesto Enrico con un’indifferenza che mostrava che per lui poteva fare come voleva, tanto era uguale. Il sorriso che lei gli rivolse lo fece sentire così stupido che gli montò la rabbia.

“Di che caso ti stai occupando?”

“Di un ex modella sfigurata dopo un intervento di chirurgia estetica. Come suo avvocato voglio presentare un’istanza per accelerare i tempi del processo penale…”

Un sorriso malinconico si era dipinto sul viso di Lisa. Lei era un’avvocatessa brava, preparata e sensibile e spesso si era rivelata un’ottima collaboratrice per lo studio Vinci. Peccato che la famiglia adesso assorbisse tutte le sue energie!

“Senti avvocato Marcelli perché non te ne occupi tu?”

“Di cosa?”

Aveva chiesto con l’espressione di chi cade dalle nuvole.

“Di questo caso. Siamo soci, giusto? Invertiamo i ruoli per questa settimana: tu vai in ufficio e io resto a casa!”

Era seguito un periodo di silenzio e poi Enrico aveva visto le labbra di sua moglie distendersi in una smorfietta che adorava.

“Perché sorridi?”

“Non avrei mai pensato che un giorno l’irreprensibile Enrico Vinci finisse a fare il mammo! La tua filosofia di un tempo era: soltanto i deficienti si sposano e mettono al mondo dei figli. I figli sono delle seccature: fanno le recite, li devi sfamare…Si ammalano!”

L’ultima parola era stata come toccare un nervo scoperto ed entrambi erano tornati seri. Enrico aveva tossicchiato per schiarirsi la voce e dissimulare il suo disagio.

“Come sta stamattina?”

“Tuo figlio? Quello a cui ho dovuto dare il buongiorno con l’ennesima puntura? Che tra prelievi e iniezioni ha le braccia e le natiche ridotte ad un colabrodo? Che è così sfinito da tutta questa situazione che si è riaddormentato quasi subito?”

“Lisa ti prego, basta!”

“Sapresti che Romeo ha bisogno anche di te se soltanto facessi lo sforzo di passare un po' di tempo insieme a lui!”


Romeo, Antonio e Giuseppe sono i suoi cuccioli d’uomo e vorrebbe dar loro solo le cose migliori, invece finisce per fare errori su errori .

In quel momento Antonio era arrivato in cucina quatto quatto, sfregandosi gli occhietti ancora assonnati.

“Dormito bene, amore?”

“Ho fatto un brutto sogno. C’era un mostro gigantesco e si portava via Romeo!”

Enrico lo aveva lasciato sedere sulle sue gambe per coccolarselo un po'. Dopo il dolore dei primi giorni, la cosa più bella dopo l’operazione a cui lo avevano sottoposto erano quelle razioni di coccole extra che i genitori non gli lesinavano.

“Nessun mostro, nemmeno uno piccolo così, ce lo porterà via!”

Intanto era arrivato anche Giuseppe che era andato di filata all’altro capo del tavolo e, dopo aver tirato indietro una sedia con troppa foga, vi si era seduto con le braccia incrociate e gli occhi socchiusi in due fessure minacciose.

Era il suo modo di sfidarli.

Lisa gli aveva avvicinato una tazza di latte ma il bambino l’aveva ignorata.

“Io non faccio colazione!”

“Fai lo sciopero della fame?”

Lo aveva preso in giro Antonio. I genitori però non avevano per nulla voglia di scherzare.

“Giovanotto sei ancora in punizione!”

Il piccolo aveva sbuffato e si era andato a chiudere in camera sua.

“Ci pensi tu a farlo uscire da lì e ad accompagnare lui ed Antonio a scuola? Io vado a prepararmi per la mia giornata in ufficio…Buona fortuna amore!”

Lisa aveva fatto l’occhiolino e salutato Enrico con un bacio a fior di labbra.

Faceva bene sua moglie ad augurargli buona fortuna! La giornata si preannunciava decisamente impegnativa e molto, molto lunga.

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Capitolo 7
*** Perla ***


Il bloody Mary era classificato da Perla come uno dei migliori drink morning glory con cui iniziare la giornata. Di primo mattino esibiva il suo look annoiato e sorseggiava un flûte, contemplando la vista mozzafiato di Napoli e dal Vesuvio: uno spettacolo per cui valeva la pena affacciarsi sul terrazzo di casa!

“Ti ubriachi già a colazione? Affoghi le tue pene nell’alcool?”

Una voce giovane e irriverente, proveniente dal balcone confinante, l’aveva fatta sorridere. Si era avvicinata e aveva guardato Romeo, appoggiato alla ringhiera con una macchina fotografica in mano.

“Perla e gli alcolici: una storia d’amore che non conoscerà mai litigi! Tesoro, il mondo è un bicchiere di vodka e io ci affogo dentro!”

L’esuberante vicina di casa aveva sorseggiato e tracannato il resto del suo drink, poi aveva indicato la macchina fotografica del ragazzo: praticamente un pezzo da museo per la sua generazione!

“Cosa ci fai con quella?”

“Cerco di immortalare qualcosa di diverso che non siano fiale, ospedali, medici o infermieri!”

“Sono contenta che tu stamattina sia riuscito a trascinarti come un pavone ferito fin qui a prendere un po' d’aria e di sole, nonostante questa tua aria da moribondo!”

Ridere della malattia per vincerla! Quel tabù da sfatare con l’arma dell’ironia era l’atteggiamento di Perla che metteva a proprio agio anche Romeo.

“Finalmente una donna che mi apprezza anche nella mia forma peggiore! Sai, ad altre così rasato e pallido faccio proprio schifo!”

C’era una punta di autocommiserazione ma soprattutto la mortificazione nel sapere che Mia aveva paura nel vederlo così cambiato fisicamente, in quella puntualizzazione.

“Tesoro non esistono uomini brutti ma soltanto cocktail troppo leggeri!”


Dopo aver accompagnato Antonio e Giuseppe a scuola, Enrico era tornato a casa trovando il figlio maggiore a giocare alla playstation sul divano.

“Perché hai lasciato che tuo fratello dormisse in camera tua, stanotte?”

L’avvocato Vinci era partito subito all’attacco, per evitare di sentirsi a disagio. Il bambino gli aveva raccontato l’accaduto in auto e lui ne aveva approfittato per trasformare quella confessione in un rimprovero.

“Perché ha avuto un incubo ed era molto spaventato!”

Enrico aveva ripensato alle parole che Lisa gli aveva rivolto quella mattina e perciò aveva cercato di instaurare in dialogo con Romeo.

“Lo sai che è un rischio lasciare che tu e i bambini dormiate nella stessa stanza, perfino che respiriate la stessa aria!”

Il ragazzo aveva lasciato cadere il joystick sui cuscini del divano, concedendosi un lungo sospiro.

“Io sono stanco. Lo sai come mi sono sentito, per settimane, a non poter avere nessun contatto, nessuna stretta di mano? Non mi abbracciate, state a distanza di sicurezza da me perché tutti avete paura che possa prendermi qualche infezione. Per tutti sono soltanto il figlio malato…Soltanto Antonio mi tratta da persona normale, mi fa sentire importante come fratello maggiore.”

“Se ci comportiamo così è perché ti vogliamo bene, Romeo!”

“Beh io non ne posso più di essere il figlio difettoso ed avere in Antonio la mia ruota di scorta! Per colpa mia in questa casa non sono più importanti il Natale, le pagelle, i compleanni…”

Enrico avrebbe tanto desiderato che Lisa tornasse in quel momento. Lui non era abituato ad ascoltare sfoghi così profondi e di certo lei avrebbe trovato le parole giuste.

“Dov’è mamma?”

Aveva chiesto all’improvviso Romeo, come se gli avesse letto nel pensiero.

“È andata in ufficio. Ho per le mani un caso che credo possa risolvere brillantemente lei.”

Il ragazzo aveva abbozzato un sorriso e aveva tirato giù le maniche della felpa fino a coprirsi le mani, quasi che volesse coprire i suoi lividi.

“Hai avuto una bella idea. Sono contento che sia tornata a lavoro!”


Poi Romeo si era assopito senza nemmeno accorgersene e, quando si era svegliato poco più tardi, aveva trovato Perla seduta sulla poltroncina all’altro lato.

“Ben tornato tra noi bell’addormentato!”

“Grazie sue Maestà. Devo essere uno bello spettacolo mentre dormo se te ne stai qui a contemplarmi da chissà quanto tempo!”

“E mentre russi…Lex Luthor!”

Questa era Perla. Ci si fidava di lei perché parlava per sentenze letali, caustiche e spietate. Romeo si era raddrizzato a sedere e aveva deciso di alleggerirsi di un peso che aveva sul cuore.

“Sai all’inizio è stata dura. Dopo aver perso tutti i capelli mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Avevo smarrito i miei lineamenti. Come se qualcuno mi avesse cancellato come un disegno venuto male!”

La vicina di casa, un breviario di saggezza e di metafore à la page, per una volta non aveva saputo cosa dire.

“Mio padre se l’è già svignata?”

“Si con la scusa di andare a fare la spesa. Secondo me è tutta una scusa per andare a controllare come se a cava tua madre. Uomini! Non avete ancora capito che voi siete la testa ma siamo noi donne a farvi girare il collo!”

“Nemmeno io ho tanto ben capito questa storia che si sia messo a fare il mammo ma tanto meglio…Ho bisogno del tuo aiuto!”

“Beh tesoro per quanto bene ti voglia, come infermiera sono proprio negata!”

“Non ho bisogno di un’infermiera ma di un’organizzatrice di eventi!”

Perla si era data un tono.

“Event organizer…Suona bene!”

“Devi aiutarmi ad organizzare la festa di compleanno per Giuseppe!”

Perla era sbiancata. Per lei che viveva in un mondo privo di pargoli quello era sempre stato un dolce evento naif senza conseguenze, ma ora che veniva chiamata in causa si accorgeva che sarebbe stato un semi- incubo, un’impresa titanica.

“Sex and the stress? Cioè tu vorresti invitare la nonna decrepita, la zia seccatrice e un’orda di compagni di classe?”

“Soltanto l’orda di compagni di classe!”

“A tuo rischio e pericolo?”

Per un momento Romeo si era accigliato, poi si era stretto nelle spalle ostentando indifferenza.

“Tanto io non sarei invitato in ogni caso. Giuseppe non mi vuole tra le scatole!”

Perla aveva cercato di sbrogliare quel rompicapo.

“Certo come location potremmo optare per il centro anziani vicino alla scuola elementare ma ha un certo alone di tristezza. Il parco lo escludiamo perché per il fine settimana il meteo mette pioggia…”

“La faremo qui, a casa. Mi occuperei io di ordinare la torta e tutto il resto…Ma come sai sono confinato in queste quattro mura. Mi serve che tu sia il mio braccio! Per favore!”

L’aveva guardata con quegli occhi da cucciolo ferito e Perla aveva capitolato definitivamente.

“E va bene. Saremo come il Mignolo col Proff.!”

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Capitolo 8
*** Festa di compleanno ***


La festa a sorpresa per Giuseppe si basava su due pilastri infallibili: l’avevano organizzata soltanto due persone e avevano mantenuto l’assoluta segretezza.

Romeo non ne aveva fatto parola neppure con i genitori, consapevole che suo padre odiava le sorprese. Enrico infatti era una di quelle persone che vogliono avere tutto sotto controllo.

Al ragazzo aveva fatto bene sentirsi utile e occuparsi di telefonare ai genitori dei compagni di Giuseppe, uno per uno, era stato un piacevole diversivo durante le sue giornate da recluso.

Perla si era occupata della gestione pratica e aveva addirittura organizzato una caccia al tesoro in giardino, con una pignatta con dentro golosi regali come premio finale.

Non era stato poi troppo difficile, la domenica mattina, convincere la famiglia ad andare in chiesa senza di lui.

Il sabato pomeriggio Romeo lo aveva passato in ospedale per proseguire le cure e, in effetti, si sentiva ancora fiacco.

Era rimasto a casa a riposare, mentre Enrico e Lisa accompagnavano Antonio e Giuseppe a Messa e poi al catechismo.


Giuseppe era rimasto senza parole.

La sorpresa era stata così inaspettata e meravigliosa che gli occhi gli brillavano quando, al ritorno a casa, aveva trovato ad aspettarlo tutti i suoi amichetti.

Era stato un pomeriggio indimenticabile.

Avevano fatto una partita a calcio, si erano dilettati al tiro alla fune a cui, inaspettatamente, aveva partecipato anche Enrico e poi si erano dedicati alla caccia al tesoro.

Ovviamente avevano mangiato tante golosità: pizzette, panini e dolciumi vari.

Lisa aveva guardato in disparte i suoi figli più piccoli divertirsi insieme agli altri bambini e aveva sorriso nel vederli così spensierati.

“Tutti dovrebbero avere diritto a delle giornate così belle!”

Aveva commentato a voce alta quando Perla le si era avvicinata sorseggiando un cocktail analcolico.

“Magari con dei drink adatti a persona adulte!”

Le due amiche si erano sedute sui gradini esterni che affacciavano sul giardino.

“È inutile che fai la dura, tanto lo so che c’è anche il tuo zampino. Romeo è testardo ma anche furbo, immaginavo avrebbe chiesto il tuo aiuto!”


Intanto era arrivato il momento di scartare i regali.

Un momento di suspence e Giuseppe aveva iniziato a strappare le carte colorate: risiko, la nave dei fantasmi e…un Kit di magia!

Raggiante, era corso verso i genitori per ringraziarli.

“È la festa di compleanno più super che abbia mai avuto. Mi dispiace di essere stato cattivo con voi e di avervi detto tutte quelle cose brutte. Invece era tutto un trucco per farmi la sorpresa. Io adoro le feste a sorpresa!”

Enrico aveva tossicchiato a disagio.

“Tesoro, non siamo stati io e la mamma ad organizzare tutto questo! Forse dovresti ringraziare qualcun altro!”

Il suo sguardo si era levato verso le finestre del secondo piano e, istintivamente, anche il bambino aveva seguito quella direzione.

Dietro uno dei vetri, la figura di Romeo si era tirata indietro come un’ombra.


Giuseppe si era fiondato in casa, salendo le scale di corsa, con una fetta di squisita torta alla fragola che traballava nel piattino in precario equilibrio tra le sue mani.

Aveva bussato alla porta della stanza di suo fratello ma non aveva ottenuto risposta.

Aveva sentito il rumore dello sciacquone e, dopo pochi secondi, Romeo pallido e malfermo sulle gambe era uscito dal bagno.

Il fratellino aveva capito che stava male e si era chiuso come un riccio.

“Hai vomitato di nuovo?”

Gli aveva infine chiesto, trovando il coraggio di essere schietto e diretto.

“Beh sentire tutto il pomeriggio il Ballo del Qua- qua ha degli effetti collaterali!”

Aveva scherzato Romeo. Aveva cercato di retrocedere reggendosi sulle gambe malferme ma aveva sentito la calda manina del fratello stringere la sua, sudaticcia, e non aveva protestato quando Giuseppe lo aveva guidato fino alla cameretta dove aveva passato tutto il pomeriggio.

Le sue labbra si erano dispiegate in un mezzo sorriso quando aveva visto il piattino con la torta ma la nausea gli impediva di avvicinare qualsiasi cibo.

Voleva mantenere la sua facciata impassibile, da duro, ma aveva un disperato bisogno di stendersi. Quella necessità non era sfuggita nemmeno a Giuseppe.

“Perché non ti sdrai?”

“Perché non torni a giocare a nascondino con i tuoi amichetti?”

Aveva chiesto, di rimando, Romeo adagiandosi però sui cuscini. Il bambino gli si era seduto di fianco tenendo lo sguardo rivolto verso il pavimento.

“Mi dispiace di essere stato così cattivo con te. Ti ho detto delle cose bruttissime che…beh…non le penso davvero!”

“Hai ragione. Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me…Ti sto rovinando l’infanzia!”

“Non è vero. Ho avuto la festa di compleanno più bella che potessi desiderare grazie a te. Grazie anche per il Kit di magia…Perché lo so che me lo hai regalato tu!”

“Ah quello. Beh puoi provare a far sparire il tuo fratellone rompiscatole piccolo Houdini!”

Romeo aveva cercato di mantenere un tono disinvolto ma, inaspettatamente, Giuseppe aveva tirato su con il naso e si era rifugiato contro il petto ossuto del ragazzo.

“Io non voglio perderti. Non voglio che ti succedano cose brutte. E mi dispiace di aver detto che non ti avrei mai invitato alla mia festa…Perché sì è stata bellissima ma mancava qualcuno di importante. Mancavi tu!”

Il bambino era scosso dai singhiozzi e anche Romeo non era riuscito a trattenere qualche lacrima. Aveva tenuto il fratellino stretto a sé finché non si erano calmati un po' entrambi, poi aveva sorriso.

“Adesso però ho il privilegio di avere il festeggiato tutto per me. Perché non mi passi quella fetta di torta? Sembra squisita!”

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Capitolo 9
*** Guarigione ***


Erano stati giorni difficili per Romeo quelli in cui era stato costretto a stare in isolamento, sempre stanco e svogliato, a rasentare la depressione, in quella quarantena di quasi cento giorni.

Finalmente, però, c'era di che festeggiare!

Dopo l'ennesimo controllo in ospedale a cui, quella mattina lo aveva accompagnato Lisa, dopo l'ennesimo ago a punzecchiargli il braccio, la vista del suo sangue a fluire nelle provette in un rituale che ormai gli dava la nausea, era arrivata la notizia più bella di tutte.

Il midollo di Antonio aveva attecchito nel suo corpo.

La produzione di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine era tornato ad un livello normale. Anche lui era un ragazzo sano ormai.

Quasi.


I prossimi mesi sarebbero rimasti un periodo di guarigione e riacquistare le proprie forze avrebbe richiesto tempo.

"Il mio corpo sta nascendo di nuovo!"

Aveva commentato Romeo, ancora frastornato dalla notizia dopo il colloquio con l'oncologo. Si trovavano nell'atrio dell'ospedale e aveva abbracciato sua madre in pubblico con un trasporto che non ci metteva più da quando era bambino.

"Beh direi che la fine dell'incubo va festeggiata!"

Aveva risposto Lisa con la voce rotta dall'emozione, il viso sereno rotto da una piccola smorfia che sembrava un sorriso e le lacrime di gioia da nascondere mentre teneva il figlio stretto a sé.


La scena che li aveva accolti, di ritorno a casa, era più comica che tragica.

Enrico sembrava un orso grande e grosso vestito di un grembiule con la pettorina. Antonio e Giuseppe gli si affaccendavano intorno e se la sghignazzavano della grossa nel vedere il loro papà nell'insolita veste di massaia.

Anche perché fino all'altro ieri Enrico Vinci aveva insegnato ai figli che il papà porta i pantaloni e la mamma il grembiule e che cucinare è una cosa da femmine .

Eppure Lisa era una donna che aveva stravolto tutti quei cliché e gli ultimi tempi avevano tirato fuori lati nascosti dell'uomo che amava.

"Se fossi io il loro papà andrei a comprargli la pizza!"

Aveva commentato Romeo entrando in cucina e sedendosi sullo sgabello da bar. Un'idea che aveva fatto storcere il naso persino ai suoi due famelici fratellini: buona la pizza ma magari a colazione meglio di no!

"Si vede che il digiuno ti dà alla testa!"

Antonio aveva obiettato con quel tono da abbasso i tabù ed Enrico si era avvicinato ad esaminare, quasi con occhio clinico, il suo primogenito.

"La mamma ti ha fatto fare colazione?"

"In caso contrario papà ha preparato delle frittatine bruciacchiate che vuole spacciarci per pancake!"

Giuseppe aveva sogghignato e quindi aveva puntato la sua bacchetta magica verso il piatto e, con la massima concentrazione, aveva pronunciato e rimaneggiato a modo suo una formula magica estrapolata chissà da dove.

"Pane e nutella

vieni qui e prenditi questa frittatina

falla più bella

di come era prima!"

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