Ki no tatakai - The Great Battle

di ElizabethBennett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un altro strano tipo arrivato dalla Cina ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PRESENTE 
 
Il sole stava per tramontare, e un altro giorno di fine estate giungeva al termine. 
Akane, seduta alla sua scrivania, chiuse il libro di matematica. Per la prima volta si ritrovava a dover finire ancora i compiti estivi. All’inizio del nuovo anno scolastico mancava poco più di una settimana. Sbuffò e si allontanò dalla scrivania spingendosi con le mani. Come ogni giorno pensò a lui. Le mancava terribilmente. Alle volte la nostalgia era così forte da sentire una dolorosa fitta alla bocca dello stomaco. La prima volta non si rese nemmeno conto di cosa fosse, il dolore era così forte da farle lacrimare gli occhi. Kasumi si spaventò molto, tanto da voler chiamare il dottor Tofu, che ovviamente fu sul posto in breve tempo. Nabiki si assicurò di allontanare la sorella maggiore prima del suo arrivo, non volendo causare ancora più dolore alla sua sorellina. Il dottore visitò Akane, e informò poi la famiglia che non era nulla di grave, ma solo un attacco di panico causato dallo stress. Gli episodi furono diversi, tuttavia dopo il primo, sapendo di cosa si trattava, Akane
fece attenzione a non farsi vedere o sentire dai familiari. Non voleva certo causare loro sofferenze inutili. Era una stupida, farsi venire attacchi di panico perché lui non c’era. Immaginava che se lui l’avesse saputo, avrebbe di certo riso di lei, ne era sicura. Uscì dalla stanza e si avviò verso il bagno. Quello che le serviva era proprio immergersi nell’acqua calda e rilassarsi. 
Mentre attraversava il corridoio, Kasumi la vide dal fondo delle scale. 
“Akane, fra poco sarà pronta la cena!”
Akane sospirò “Si Kasumi, faccio prima un bagno veloce!”, senza aspettare risposta dalla sorella si infilò nell’anticamera del locale e cominciò a spogliarsi. Ripose con cura gli indumenti nel cesto dei panni sporchi. Avanzò verso il lavello e, si guardò allo specchio mentre scioglieva i capelli dalla piccola coda. Li stava facendo crescere, di nuovo, il perché non lo sapeva. Però le piaceva poterseli legare. Adesso le arrivavano qualche centimetro sotto alle spalle. Sorrise alla sua figura nello specchio, pensando che lui sarebbe tornato fra poco. 
Entrò nella vasca e cominciò a far scorrere l’acqua calda per riempirla. Si appoggiò alla finestra.
I colori del cielo stavano cambiando, passando dai caldi arancio e rosso, ai più freddi viola e blu. Era uno spettacolo il cielo al tramonto. 
Akane inspirò a fondo il profumo di quella sera d’estate e si lasciò cadere a mollo nell’acqua calda che ormai riempiva la vasca. L’unico pensiero era che finalmente l’avrebbe potuto rivedere.
 
 
5 MESI PRIMA
 
“Ma caro, così perderà gli ultimi mesi di scuola!” “Nodoka! Mi sorprendo di te, questo allenamento è di fondamentale importanza per il nostro ragazzo. Il maestro più famoso della Cina, conosciuto in tutto il mondo per il suo abile utilizzo del Ki, gli dà la possibilità di allenarsi con lui. È un’offerta che non possiamo assolutamente rifiutare. Ne va della virilità di nostro figlio!” 
Le parole di Genma colpirono il punto giusto della donna con la katana, se si trattava della virilità del suo ragazzo, lei non avrebbe di certo obiettato. Certo le dispiaceva molto doversi nuovamente dividere da lui per così tanto tempo, e soffriva per il fatto che sarebbe stato lontano dalla scuola, dalle sue amicizie e dalla sua fidanzata. Pensò alla povera Akane, chissà come avrebbe reagito lei alla notizia. Chissà come avrebbe reagito Ranma, che era ancora ignaro di tutto.
 
La campanella suonò segnando la fine delle lezioni. Ranma si mise in spalla la cartella e si avviò verso Akane. Entrambi salutarono i compagni di classe e si incamminarono verso casa. Appena raggiunsero il canale, Ranma saltò con facilità sulla ringhiera e proseguì il suo tragitto da la sopra, rimanendo sempre qualche passo indietro rispetto alla sua fidanzata. Akane si era chiesta più volte del perché lo facesse, preferiva quando le camminava a fianco, ma non avrebbe mai dato voce ai sui desideri. 
“Stai facendo crescere i capelli?” La sua voce la strappò ai suoi pensieri. 
“Come…?”
“Sembrano un po’ più lunghi.” Disse il ragazzo. Akane annui lievemente ma non disse nulla. Poi riprese dicendo “Non è che per caso ti interessa di nuovo il Dottor Tofu?” 
Akane si fermò all’improvviso, causando l’arresto automatico anche del ragazzo alle sue spalle. Si girò e guardò negli occhi blu di lui. Come gli era venuta in mente una cosa simile? Dopo tutto il tempo passato insieme, dopo tutte le cose vissute insieme, come poteva pensare che a lei piacesse ancora il Dottor Tofu?! Eppure, era così dannatamente chiaro come fosse gelosa di lui, come le desse fastidio ogni volta che una delle sue mille fidanzate o pretendenti gli giravano attorno. Vide il viso di Ranma arrossire e contorcersi in una smorfia. Fece per dire qualcos’altro ma lo sguardo della sua ragazza era così serio che le parole gli morirono in bocca. 
“Sbrighiamoci a tornare a casa, sono stanca.” Così dicendo Akane si voltò e riprese a camminare verso casa a passo svelto, lasciando il poveretto imbambolato sulla ringhiera. 
 
“Sono tornata!” Annunciò Akane sulla porta, togliendosi le scarpe.
“Oh cara!” Nodoka le corse incontro e l’abbracciò forte, lasciando la ragazza di sasso. Pochi secondi dopo Ranma fu sull’uscio e ricevette esattamente lo stesso benvenuto da parte di sua madre. 
“Mamma, è successo qualcosa?” Chiese un po’ stranito dal comportamento della donna.
Nodoka scosse la testa e invitò entrambi ad andare a sedersi nel salotto.
Quando arrivarono trovarono tutti intorno al tavolino. Kasumi era intenta a versare il tè nelle tazze e al centro del tavolo aveva ordinatamente posizionato un piatto con dei dolcetti e dei tovaglioli. Nabiki prese uno dei biscotti e cominciò a sgranocchiarselo, il viso annoiato da quella imminente riunione di famiglia, che non dubitava sarebbe stata l’ennesima stupidaggine. Soun Tendo sedeva composto, la pipa in bocca e le braccia incrociate sul petto, teneva gli occhi chiusi, non si capiva se stesse meditando o se si fosse semplicemente addormentato. Nodoka andò a sedersi di fianco a suo marito, il Sig. Genma era stranamente nella sua forma umana, e il suo sguardo severo si era posato su suo figlio nel momento stesso in cui aveva varcato la soglia del salotto. Anche il vecchio Happosai era presente alla riunione, sedeva su tre cuscini, nel lato del tavolo dove normalmente prendevano posto i due ragazzi. 
“Ranma, siediti!” Ordinò Genma al ragazzo.
“Anche tu Akane.” Aggiunse in tono morbido suo padre Soun. Sedettero ai lati opposti del vecchietto. 
“Che diavolo sta succedendo!?” Sbottò Ranma innervosito dalla insolita situazione. Suo padre lo fulminò con uno sguardo. 
Happosai tirò dalla pipa, rilasciò una nuvola di fumo e si schiarì la voce prima d’iniziare a parlare. “In Cina, ogni 15 anni si svolgono delle importanti olimpiadi delle arti marziali asiatiche. Lo scopo di tali olimpiadi non è la vincita di una medaglia, ma la possibilità di allenarsi con i più grandi maestri dei nostri tempi. Il mio vecchio e caro amico Shi Long, nonché artista marziale di altissimo livello, mi ha contattato recentemente per informarmi che è stato scelto fra i maestri che…” 
“Che cos’ha che fare con noi tutto questo?” Sbottò Ranma annoiato mordendo un biscotto. Seguirono pochi secondi di silenzio, poi Nodoka prese la parola. 
“Ranma caro, interrompere una persona più anziana e saggia di te non è assolutamente un comportamento da uomo virile.”Accarezzò con la mano destra l’impugnatura della katana “devi portare rispetto!” 
“Si si si! Scusa mamma! Eh… io…”
Akane spostò lo sguardo da un Ranma paonazzo alla sua tazza di tè. La portò alle labbra e bevve un sorso. Avvertì una strana sensazione, e per un momento desiderò non essere tornata a casa così presto. Happosai riprese il discorso, e informò il ragazzo con il codino che essendo un grande amico del maestro Shi Long, era riuscito ad ottenere da lui l’autorizzazione a presentare un suo discepolo al grande torneo che si sarebbe tenuto in poco più di una settimana. Ranma era rimasto senza parole, quando suo padre e sua madre lo pressarono per dire qualcosa, riuscì solo ad alzarsi e annunciare che avrebbe dovuto pensarci. Se si fosse fatto notare a queste olimpiadi e avesse ottenuto la vittoria, avrebbe potuto allenarsi con grandi maestri, ma la durata dell’allenamento non sarebbe stata breve. Happosai aveva parlato di anni, senza specificare quanti effettivamente ne avrebbe trascorsi in Cina lontano dal Giappone. 
Man mano tutti lasciarono il proprio posto a tavola. Happosai si ricordò di un importante impegno, probabilmente la solita caccia ai completini intimi del vicinato, Soun e Genma si allontanarono con la scusa di una partita a shoji in giardino, Nabiki doveva vedere Kuno a cena, per vendergli qualche nuova foto della sorellina minore e della ragazza col codino, e Kasumi si avviò in cucina per preparare la cena. Sedute al tavolo rimasero solamente Akane e Nodoka. Akane fissava la tazza di tè che teneva in mano, ancora mezza piena. Nodoka capì subito che la ragazza era turbata dalla notizia. Avrebbe voluto consolarla, ma quando fu sul punto di aprire bocca, Akane parlò velocemente interrompendola sul nascere. 
“E’ un’occasione imperdibile per Ranma, diventerà ancora più virile, e mentre sarà in Cina, chissà, magari riuscirà a trovare un modo per tornare ragazzo per sempre. Sono molto co-…” La voce le morì in gola. 
“Oh Akane...”, la madre di Ranma strinse forte a sé la katana, “Anche io sono contenta per lui.” Disse infine. 
Akane salutò la donna con un cortese inchino e poi si congedò. 
Nodoka sospirò, si chiese se fosse la cosa giusta da fare, provò una stretta al cuore. Poi disse a sé stessa che qualunque cosa Ranma avesse deciso di fare, lei lo avrebbe appoggiato.
 
 
Il sole era tramontato. Ranma era rimasto sdraiato sul tetto del dojo, per qualche tempo. Minuti, ore, non avrebbe saputo dirlo, non era cosciente del cambiamento di colore del cielo, le stelle cominciavano a brillare, ma pur con lo sguardo fisso in alto era come se fosse cieco. La sua mente era presa da un vortice di pensieri. La Cina, la possibilità di migliorarsi nelle arti marziali, le sorgenti di Jusenkyo… Erano tutti ottimi motivi per essere l’uomo più felice al mondo. La possibilità, non solo di diventare ancora più forte, ma anche quella di tornare a essere normale. L’opportunità di non temere mai più l’acqua fredda. Quanto sarebbe durato il torneo? Sicuramente fra un allenamento e l’altro, una volta conquistato il titolo, perché lo avrebbe certamente fatto, sarebbe riuscito a trovare il tempo di risolvere il suo problema. Qualche mese, forse un anno. Un anno. Dodici mesi. Cinquantadue settimane. Trecentosessantacinque giorni. Ottomila settecento sessanta ore. Lontano dal Giappone, da Nerima, dal dojo… Da lei. Il viso di Akane comparve nei suoi pensieri. Chissà cosa pensava lei di questa storia. Era triste, oppure indifferente? Avrebbe voluto parlarle ma non osava. Già, ma poi per dirle cosa? ‘Akane, chiedimi di non andare e resterò’ formulò la sua mente. Ranma scacciò subito quel pensiero imbarazzante. Ma che andava pensando?! Figuriamoci se quel maschiaccio privo di sex-appeal gli avrebbe mai detto una cosa simile. Sicuro alla fine si sarebbero ritrovati a litigare, per un motivo o per un altro. Si tirò su a sedere, e appoggiò il viso sulle braccia incrociate sulle ginocchia flesse. Ma perché così poco preavviso? Perché Happosai non lo aveva informato prima? Per avere il tempo di abituarsi all’idea di un imminente viaggio. La rabbia gli bollì dentro, col cavolo che sarebbe andato in Cina. Non aveva certo bisogno di partecipare a quella stupida olimpiade delle arti marziali per provare al mondo che era il più forte artista di arti marziali indiscriminate. Sarebbe rimasto a casa, e se fosse servito avrebbe anche raddoppiato, anzi triplicato gli allenamenti. Preso dai suoi mille pensieri non si rese conto della presenza alle sue spalle, fin quando quest’ultima emise un respiro profondo. Ranma si girò di scatto, vide Akane, seduta sul tetto, qualche passo dietro a lui. Si era tolta la divisa, e ora indossava una maglietta nera a maniche corte, ed un pantaloncino giallo. Il viso appoggiato ai palmi delle mani. 
“…ah sei tu.” Furono le parole migliori che uscirono di bocca al codinato. 
Akane assottigliò gli occhi, ‘ecco che ci risiamo adesso cominceremo a litigare’ pensò lui. Lo sguardo di Akane però, tornò rilassato dopo pochi secondi, lasciando Ranma incredulo. Tornò a guardare davanti a lui, dandole di nuovo le spalle. Rimasero in silenzio per qualche minuto.
“Sono contenta per te Ranma. Questa è una grande opportunità. Sono sicura che…” 
“Certo che lo è! Chiunque accetterebbe di andarsene in Cina per chissà quanto tempo pur di allontanarsi da un maschiaccio come te!” La interruppe brusco lui. Ma nell’esatto momento in cui quelle parole uscirono dalle sue labbra si maledisse. Come gli fosse venuto in mente di dire una cosa del genere non se lo spiegava. Era l’esatto opposto di quello che voleva. Istintivamente si portò le braccia a coprirsi il viso, perché sapeva che stava per essere colpito dalla ragazza. Ma aspettò inutilmente, Akane non si mosse dal suo posto. Aveva lo sguardo basso, nessuna aura minacciosa la circondava. Ranma abbassò lievemente la guardia e provò a rimediare, ma senza riuscire nell’impresa: “A-Akane… io non, non...”, Akane alzò il viso e i suoi occhi andarono a incontrare quelli blu del ragazzo con il codino. Ranma rimase incantato dallo sguardo della ragazza, non vi era ombra di ostilità, anzi gli parve di vedere un velo di tristezza, ma nello stesso momento in cui quel pensiero lo trovò, le labbra di Akane si curvarono in un sorriso, semplice e caldo. 
“In bocca al lupo per il torneo… Anche se già so che vincerai tu.”.
Fu dopo queste poche parole che si alzò e lasciò il codinato di nuovo da solo con i suoi pensieri. Che cos’era quella fitta al petto? Si era comportato da perfetto idiota, aveva ferito per l’ennesima volta Akane, e lei di rimando invece aveva perfettamente capito che la situazione richiedeva da entrambe le parti una maggiore maturità. Se è vero che sarebbe partito per la Cina, chissà per quanto tempo non si sarebbero rivisti. 
Quella notte Ranma non avrebbe chiuso occhio, così come quelle a seguire.
 
 
LA PARTENZA
 
Happosai e Ranma avrebbero lasciato il Giappone quella notte. Sarebbero salpati dal porto di Tokyo a bordo di una vecchia nave cinese costruita in legno, con tre grandi vele rosse che facevano pensare ad ali di drago. La nave aveva raggiunto le coste del Giappone già dal mattino, ma non sarebbe salpata fino alle prime luci dell’alba del giorno dopo. 
Quella settimana era volata, senza che Ranma riuscisse a trovare un’occasione per parlare con Akane una sola volta. Lui era stato molto preso dai preparativi della partenza, mentre lei aveva continuato a seguire le lezioni, rientrando a casa solo la sera giusto in tempo per la cena, e subito dopo si era sempre ritirata in camera sua. 
Ranma ogni sera era andato fin davanti alla camera della ragazza, ma la sua mano, chiusa a pugno, si era sempre fermata ad un paio di centimetri dalla targhetta a forma di paperella sulla porta della fidanzata. E quel giorno sembrava impossibile anche solo incrociarla. 
Casa Tendo era piena di gente venuta a salutare il ragazzo e ad augurargli buona fortuna, bé non proprio tutti. Shan-pu, Ukyo e Kodachi si erano subito buttate in cucina ai fornelli, pronte a preparare un’ultima cena al loro amore. Obaba era seduta in giardino a fumare una pipa insieme al suo vecchio amore Happy. C’erano anche Mousse e Kuno, felici di poter assistere alla partenza del codinato. Erano pure venuti i suoi compagni di scuola, Hiroshi, Daisuke e Gosongugi, persino il preside era presente, e anche in quell’occasione aveva provato più volte nell’impossibile impresa di tagliargli il codino, con il pretesto che in Cina fosse di moda la testa rasata. Persino lui aveva ‘marinato’ la scuola quel giorno per salutare, seppur a suo modo, il ragazzo. Mentre Akane non c’era. Con la scusa di una verifica importante che non poteva saltare, e col fatto che sarebbero partiti tardi nella notte, non c’era, a suo avviso, alcun bisogno che rimanesse a casa da scuola.
 
Ranma salì in camera sua, si inginocchiò per terra di fronte al suo grande zaino da viaggio, e cominciò a riempirlo con indumenti ed attrezzi vari che aveva deciso di portare con sé. Silenziosamente alle sue spalle arrivò Shan-pu - “Lanma caro!” disse gettandogli le mani al collo e abbracciandolo con ardore. “Vorrei tanto partire con te, ma la bisnonna dice che è un torneo troppo importante, e che la mia presenza potrebbe distrarti” nel dire questo si strusciò a lui in modo suadente. 
Ranma cercò di scansarla, “Shan-pu così mi strozzi. Spostati, non vedi che sto cercando di finire di preparare la mia valigia?” 
“Oh Lanma, ma non potremo vederci per chissà quanto tempo… Se vuoi puoi avermi ora così avrai un bel ricordo e vorrai tornare da me il prima possibile.” Questa volta gli si gettò praticamente in braccio, e mostrò con disinvoltura la generosa scollatura sul suo prosperoso seno. Ranma alla vista divenne fucsia e cominciò a balbettare parole sconnesse, tuttavia tenne salda la presa con le mani sulle spalle della cinesina cercando di spingerla via da lui.  
“EH NO MIA CARA!” La spatola gigante di Ukyio per poco non gli sfiorò il viso mentre calava come un fulmine fra di loro, Shan-pu si scostò con agilità dal futuro marito e si mise in posizione da combattimento di fronte alla spatolona. Inutile dire che di lì a poco si aggiunse anche quella pazza di Kodachi. In pochi minuti lo scontro a tre si spostò dalla camera del ragazzo al giardino del dojo, lasciando Ranma in una stanza mezza distrutta e cosparsa di cento petali neri. 
Riprese a fare la valigia, si alzò da terra per andare alla cassettiera, tirò fuori degli indumenti e li lanciò verso lo zaino. Fu così che mentre spostava casualmente la roba all’interno di un cassetto, ritrovò la foto di Akane, quella costudita all’interno del portadocumenti di Ryoga, quello che durante la loro avventura in Cina aveva custodito tanto gelosamente, dopo che si era ritrovato la metà con quella ritraente la sua fidanzata fra le mani. Era sporco e rovinato, ma non lo aveva buttato. Quanto successo in Cina quella volta, gli aveva fatto provare la paura più grande. Quella di perdere Akane. Ciò nonostante, anche se aveva davvero avuto paura di perderla, non era comunque riuscito a trovare il coraggio di dichiararsi a lei. Era un codardo. Non c’era altra spiegazione. Depose con cura la foto di Akane in una tasca interna dello zaino, poi terminò di infilare le altre cose e lo chiuse. 
Erano le 19 passate, fra poco la cena sarebbe stata pronta, e Akane sarebbe tornata a casa. L’avrebbe vista un’ultima volta prima di partire. Poi avrebbe avuto solo più la sua foto, per chissà quanto tempo. 
 
“È permesso?” Una voce familiare lo riportò alla realtà. Ryoga era in piedi appoggiato allo stipite della porta. Ranma emise un ghigno soddisfatto. 
“Non avrei mai creduto che saresti arrivato in tempo per salutarmi p-chan” 
“Prendimi pure in giro, in tanto sarò io qui a consolare Akane quando tu sarai via.” Disse spavaldo il ragazzo con la bandana. 
“Te ne sarei grato.” Ryoga rimase qualche momento a bocca aperta, incredulo delle parole uscite da quella del suo avversario. “Sei l’unico di cui mi possa fidare… Per favore Ryoga, prenditi cura di Akane, della sua e della mia famiglia mentre sarò via.”
Ryoga arrossì, non era abituato a sentirsi fare discorsi del genere da Ranma. 
“Ma c-cosa stai…” 
Ranma lo interruppe, con un gesto della mano. 
“Tornerò Ryoga, e mi riprenderò tutto.” Così dicendo sferrò un pugno in direzione dell’amico, che schivò in tempo. Era ovviamente un colpo lento atto solo a smorzare la situazione. “Sarà meglio scendere, la cena sarà quasi pronta… ti conviene seguirmi se non vuoi rischiare di perderti.” 
Così dicendo Ranma si avviò verso le scale e, Ryoga sorridendo sotto i baffi lo seguì.
 
Quando Akane arrivò al dojo, già dalle mura esterne poté sentire il baccano che proveniva dall’interno. Sembrava che migliaia di persone stessero festeggiando, si sentivano risate, musica e tanta allegria. Le lacrime le salirono agli occhi in pochi attimi. Come potevano essere tutti così allegri? Cosa avevano esattamente da festeggiare? 
Varcò il portone che dava sul cortile, una volta in casa si tolse le scarpe e corse silenziosamente su per le scale fino a raggiungere la porta della sua camera, entrò e se la chiuse alle spalle, cercando di non emettere alcun suono. Rimase al buio. Voleva esser certa che nessuno si accorgesse della sua presenza. Le lacrime ormai le rigavano il viso copiosamente. Non voleva essere vista così. Aveva cercato di essere forte tutta la settimana passata. Si era obbligata ad andare a scuola, lottando contro l’impulso di stare a casa quanto più tempo vicino a Ranma. Ma sarebbe stata d’impiccio, lui era stato molto chiaro qualche sera prima sul tetto del dojo. Non vedeva l’ora di partire proprio per evitare di doverla vedere ancora, è così che aveva detto. Si lasciò cadere per terra, la schiena sempre appoggiata alla porta. Con le braccia si strinse quanto più possibile in un abbraccio, cercando di contenere il tremore del suo corpo causato dal pianto. Al piano di sotto i festeggiamenti continuarono. Nessuno venne a cercarla quella sera, nessuno venne a cercarla quella notte. O almeno così credette il mattino dopo quando si svegliò sdraiata sul suo letto, con il viso ancora rigato dalle sue lacrime e gli occhi rossi di chi sembra aver pianto una vita. Si alzò dal letto e scostò la tenda della finestra. La luce del sole entrava prepotentemente nella stanza accecandola. 
Una nuova mattina era sorta su Nerima. Akane aprì la finestra e respirò a fondo l’aria fresca che entrò nella stanza, fino a quando un dolore la colpì forte al petto, bloccandole il respiro improvvisamente. 
La realtà. 
Era mattina, Ranma era partito e lei non lo aveva salutato. 
Era mattina, Ranma era partito e lei lo aveva evitato tutta la settimana. 
Era mattina, Ranma era partito e lei non lo avrebbe rivisto o sentito per chissà quanto tempo. 
Era mattina, Ranma era partito e lei non poteva tornare indietro. 
Era mattina, era già quella dannatissima mattina.   

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Fine primo capitolo. Chiunque l'abbia letto, spero possa lasciarmi una recensione/critica costruttiva. O anche solo due parole per farmi sapere se vi è piaciuto o meno questo primo capitolo. Grazie mille a tutti. Lizzy.

[29/12/2019] Aggiornato capitolo per risolvere errori vari :)
 

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Capitolo 2
*** Un altro strano tipo arrivato dalla Cina ***


Ciao a tutti, ecco il secondo capitolo. Sono un pò in ansia perchè dentro la mia testa c'è già tutta la storia ma sto facendo fatica a metterla nero su bianco. 
Fatemi sapere che ne pensate e soprattuto non abbiate timore di consigliarmi dove e come potrei migliorarla. 
Grazie a tutti e buona lettura.
Lizzy
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CAPITOLO 2.
   
PRESENTE
 
La sveglia suonò anche quella mattina. Akane si alzò dal letto stiracchiandosi.
“Buongiorno p-chan!” disse dolcemente sorridendo al maialino nero che era ancora mezzo addormentato sul suo cuscino.
Stranamente da quando Ranma ed il maestro Happosai erano partiti, P-chan era sempre rimasto al suo fianco, senza allontanarsi di frequente per lunghi periodi come faceva prima. Fu grata di questo. La sua presenza rendeva un po’ meno dolorosa la sua solitudine. E adesso che ci pensava, anche Ryoga era venuto spesso a trovarla in quei mesi. Ma diversamente da prima non portava più alcun souvenir dai suoi viaggi, non che le importasse.
Akane andò alla scrivania, dopo un breve istante il suo sguardo cercò come ogni mattina la cartolina appoggiata alla lampada. L’immagine raffigurava un piccolo tempio cinese circondato dal verde. La prese delicatamente fra le mani. Rilesse per la millesima volta il messaggio scritto dal vecchio Happosai sul retro della cartolina: “Ranma è stato scelto fra i tre discepoli di Shi-Long! Ci rivedremo alla fine dell’estate.”.
La cartolina aveva il timbro postale di invio di fine giugno. Due mesi dopo la partenza dei due. Ormai era arrivato settembre, chissà quando esattamente sarebbero tornati. Ogni giorno da qualche settimana, Akane si alzava con la speranza di poterlo rivedere, ma ogni giorno terminava in delusione. Ranma non era ancora tornato.
Sospirò e riposò la cartolina al suo posto. Anche quel giorno avrebbe fatto del suo meglio per impegnarsi la giornata, a cominciare dai suoi allenamenti.
 
Infatti, negli ultimi mesi Akane aveva deciso di allenarsi con più dedizione. Era un ottimo modo per scacciare i pensieri e per controllare gli attacchi di panico che l’avevano accompagnata per tutto quel periodo. Era persino andata a chiedere aiuto alla vecchia Obaba. Dapprima la vecchia le aveva riso in faccia, dicendole che i suoi insegnamenti non erano per tutti. Un conto era allenare artisti marziali del calibro del futuro marito di Shan-pu o di Ryoga, o ancora meglio le giovani e forti amazzoni del suo villaggio, ma in Akane non vedeva alcuna promessa. La ragazza però non si diede per vinta e per circa due settimane andò a pregarla di diventare la sua sensei. Ogni mattina si presentava al ristorante Neko Hanten e si prostrava con la massima serietà e solennità ai suoi piedi. Il giorno in cui Obaba finalmente accolse la sua richiesta, Akane continuò a ringraziarla fra le lacrime. Certo non era forte come Ranma ragazza o come Shan-pu, ma della sua forza di volontà certo non poteva dirsi diversamente. Se voleva una cosa avrebbe lottato fino ad ottenerla, a qualsiasi costo. 
Anche quella mattina, approfittando del fatto che la scuola non era ancora iniziata, indossò il suo karategi, si diede una veloce occhiata allo specchio, legò i capelli in un piccolo codino e si avviò verso il luogo dell’incontro, il parco di Nerima.
 
Era ancora presto, e per strada non c’era nessuno. Per questo percepì facilmente la presenza di qualcuno alle sue spalle. Si arrestò all’improvviso e si guardò attorno, ma una volta ferma quella sensazione di essere seguita svanì. Forse si era semplicemente sbagliata. Riprese la sua corsa, ma pochi minuti dopo, avvertì nuovamente la sensazione di essere seguita. Aumentò, allora, la velocità della sua corsa, fino a quando non si sentì nuovamente sola. 
“Qualcosa non va?” La voce di Obaba la riportò alla realtà. Senza accorgersene era arrivata al parco. 
“uhm... no. E’ che…” diede uno sguardo alle sue spalle e si girò nuovamente verso la sua maestra. “Buongiorno Obaba-sama!” disse inchinandosi con rispetto. 
“Devo ammettere che sebbene il livello del futuro marito sia molto più alto del tuo, la tua ottemperanza è decisamente migliore.”
Akane arrossì, ma non disse nulla. 
“Akane, stai migliorando. Ma la strada per raggiungere i livelli di artisti marziali come Ranma è molto lunga, se non impossibile per te.” Akane strinse i pugni. “Ciò nonostante, credo che al tuo livello attuale potresti benissimo essere considerata al pari delle giovani amazzoni del mio paese. Direi che forse… forse potresti anche battere la mia nipotina.” 
A quelle parole Akane alzò lo sguardo e guardò dritta negli occhi Obaba. Sentì le lacrime pungerle gli occhi. Quello era senz’altro il miglior complimento che potesse ricevere. Conosceva benissimo anche lei i suoi limiti, sapeva che non sarebbe mai stata all’altezza di Ranma, ma voleva comunque dimostrare a se stessa, ed anche a lui che era una buona combattente, e che se fosse servito, avrebbe saputo aiutarlo veramente, non come tutte le volte in cui si era dovuta far salvare. 
Akane s’inchinò nuovamente e ringraziò caldamente la sua sensei.
Cominciarono poi l’allenamento. Obaba le aveva insegnato a muoversi con più grazia e più agilità, ad intercettare i movimenti dell’avversario prima ancora che quest’ultimo si muovesse, ed a schivare i colpi. Si era fatta anche raccontare, più nello specifico, delle olimpiadi asiatiche alle quali stava partecipando Ranma. Obaba le conosceva molto bene, pur non avendo mai partecipato. 
 
Spiegò alla ragazza che artisti marziali da tutta l’asia accorrevano per partecipare ad una preselezione, che Ranma aveva avuto la fortuna di saltare. Una volta fatta una grande prima scrematura, solo 100 accedevano al vero e proprio torneo. Di questi solo sei venivano poi scelti per l’ultima grande prova, fino ad avere in ultimo 3 vincitori. Questi avrebbero ottenuto così, il grande onore di allenarsi con il grande maestro Shi-Long, amico di Happosai. 
L’addestramento che avrebbero ricevuto i tre prescelti, consisteva in un duro ed estenuante percorso di allenamenti del corpo e della mente. Egli gli avrebbe anche insegnato le vie del Ki. Akane ascoltò tutto con estrema attenzione, da come era strutturato il torneo agli insegnamenti sul Ki. Quest’ultimo argomento in particolare, l’affascinava molto. 
Obaba le spiegò di come il Ki, altro non fosse che l’energia cosmica che sostiene ogni cosa, dagli umani, alle piante agli oggetti inanimati. Notando inoltre, il grande interesse della ragazza, le diede anche degli esercizi per cercare di entrare in sintonia con quella energia. 
Akane provava ogni sera nel dojo di casa sua, ma sembrava qualcosa di molto complicato, per il quale era necessaria la massima concentrazione e pace interiore. Cosa che per lei, sembrava alquanto impossibile ottenere, da quando Ranma se n’era andato. Solo una volta l’era parso di entrare in contatto con quell’energia, ma era stato un momento così breve, che arrivò a pensare di esserselo sognato. 
Al termine dell’allenamento, Akane si accomodò su una panchina per riposarsi. 
Fu solo allora che, dopo essersi accesa la pipa ed essersi gustata a pieni polmoni un primo tiro, Obaba parlò: “E’ stato di tuo piacere lo spettacolo?”, Akane si voltò a guardarla, non capendo cosa intendesse – “…Come?” chiese incerta, ma la vecchia non sembrò darle retta e riprese: “Non pensare che non mi sia accorta dei tuoi occhi puntati addosso. Vieni allo scoperto.”. 
Akane cominciò a guardarsi attorno. Che fosse la presenza che aveva percepito anche lei poche ore prima? 
Ci furono un paio di minuti di silenzio, e poi, senza che potesse capire da quale parte arrivasse, una figura alta e snella comparve dinnanzi a lei.
Indossava scuri abiti cinesi e stivali alti di pelle. Sulla casacca spiccava il ricamo di una grande fenice rossa, che dalla manica sinistra saliva su fino al petto. Assicurata alle sue spalle, da una cintura in pelle, incrociata sul petto, aveva un’alabarda in legno che terminava con una lunga lama ricurva monofilare, più larga verso l’esterno. Uno scialle di seta nera, circondava il suo collo e gli nascondeva il viso fin sopra al naso. Portava uno strano copricapo, anch’esso nero, dal quale un ciuffo di capelli ribelli, color del rame, scendeva sulla parte destra del suo viso, celandolo quasi interamente. Solo il suo affusolato occhio sinistro era espèosto, ed il color verde smeraldo intenso, inchiodò lo sguardo di Akane.
La ragazza rimase immobile sulla panchina, non riusciva a muovere un muscolo. Si accorse troppo tardi del movimento dell’altro. 
Si sentì un clangore. Il pugno destro del nuovo arrivato era stato bloccato dal bastone di Obaba, a pochi centimetri dal viso di Akane. 
“eh, eh. Lo spettacolo mi è piaciuto, ma sembrava più agile di quanto non sia in realtà.” disse il nuovo arrivato, senza distogliere l’occhio verde da Akane.
Dopo un primo momento di stupore, la ragazza si ravvide e scattò in piedi.
“Come ti permetti?! Sono pronta a battermi con te anche adesso! Non mi fai certo paura!”.
Il suo viso era rosso, dalla rabbia e dalla vergogna che provava per se stessa. Tutti quei duri allenamenti, e poi si era bloccata come niente di fronte a quel tipo. La rabbia le ribollì dentro, Obaba la invitò a calmarsi, ma lei cominciava a sentire la frustrazione di quei mesi impossessarsi del suo essere. Il suo avversario avverti l’aura della ragazza crescere e farsi minacciosa e, come se leggesse ogni suo minino pensiero, si mosse nell’esatto momento in cui Akane si buttò su di lui all’attacco. Ogni colpo andava a vuoto, e più mancava il bersaglio più la sua concentrazione nello sferrare i suoi colpi andava scemando, fino a perdere l’equilibrio e cadere a terra per l’ennesimo colpo a vuoto. 
“AAAHRGH!!” l’urlo di frustrazione arrivò direttamente dal fondo del suo petto, sbatté i pugni in terra con forza. Obaba guardò la sua discepola con uno sguardo di rimprovero e pietà allo stesso tempo. Nessuno si mosse o disse nulla per qualche minuto. 
Lo strano tipo, si avvicinò alla ragazza a terra, inclinandosi leggermente verso di lei.
“Ranma mi aveva detto che eri testarda, ma aveva omesso di dirmi che eri anche così carina.” Tu-tum – Il cuore di Akane perse un battito – Tu-tum – sentir pronunciare quel nome le tolse il respiro – Tu-tum.
Alzò lo sguardo e vide la mano del tizio allungata verso di lei, dopo un attimo di esitazione allungò la sua  e la raggiunse. Lui la tirò con presa salda e l’aiutò a rialzarsi da terra. 
“Ma tu… chi sei?” chiese infine guardandolo di nuovo per la prima volta. 
 
 
5 MESI PRIMA – IL VIAGGIO
 
Akane non si era fatta vedere a cena. Lui non si era degnato di andare a cercarla. 
Quando sua madre provò a consigliargli di fare diversamente, lui rispose che non gliene importava minimamente se quel maschiaccio privo di sex appeal non era presente. E nel momento stesso, in cui insultava la sua fidanzata, una morsa dolorosa gli stritolò il  cuore. 
Ma non poteva fare diversamente, perché più soffriva, meno voleva dare a vedere che gli importava. Quanto era difficile convivere con quel lato del suo carattere così orgoglioso. 
Nodoka tentò ancora una volta ma il ragazzo con il codino la zittii con un gesto. La paura di far vedere che gli importava, non solo lo rendeva orgoglioso, ma lo trasformava anche in un figlio privo di rispetto. Mentre questi sentimenti di vergogna lo assalivano, il getto d’acqua fredda lo colpì in pieno cosi come la catinella di ferro che seguì pochi istanti dopo. 
“RANMA! FIGLIO INGRATO! COME OSI PARLARE COSì A TUA MADRE?!!”.
Genma si avventò sul figlio dopo avergli lanciato addosso la catinella di acqua fredda. 
“Aargh maledetto! Lasciami in pace!” così dicendo schivò un paio di calci e pugni del padre per poi contraccambiare a sua volta. Il signor Genma finì poco dopo nello stagno delle carpe. Dall’acqua emerse un panda arrendevole, con un cartello con su scritto “mi hai fatto male… sigh!”. 
Ranma ragazza sbuffò e fece per allontanarsi, ma i guai sembravano non essere finiti là. 
“Ragazza col codino!! Che gioia rivederti qui!” Kuno abbracciò, o meglio stritolò Ranma ragazza fra le sue braccia, non mancando di palparle per bene il seno. 
“Ma come mai anche tu qui? Non dirmi che sei venuta anche tu per dare il tuo addio a quel maledetto di Ranma Saotome! Oh ragazza col codino che gio-“ il pugno lo colpì potente sul viso, impedendogli di dire altro. Aristocrat Kuno cadde all’indietro svenuto. 
La sera proseguì nel caos totale. Tutte le ‘fidanzate’ non persero occasione per cercare di accollarsi a lui. Tutti i ‘rivali’ lo festeggiavano con eccessivo furore, contenti che presto si sarebbe tolto dai piedi, e loro avrebbero avuto più facile accesso alle loro amate. I compagni di classe trasformarono l’evento nel solito karaoke. Kasumi si preoccupava di riempire piatti e bicchieri di tutti gli ospiti. Nabiki si faceva i fatti propri, ma non mancava di scattare una foto ogni tanto, da poter utilizzare per un futuro acquirente. Soun e Genma si misero, come loro solito, a fare una partita a shoji. Obaba e Happosai parlavano dei vecchi tempi in Cina (stranamente il vecchio maniaco si stava comportando bene). 
Pian piano le ore passarono, e gli ospiti lasciarono il Tendo dojo.
La partenza si fece imminente, ed Happosai avvisò Ranma di andare a prendere i propri bagagli. Ranma salì al piano superiore, andò verso la sua camera ma prima di raggiungerla, come ogni volta quella settimana, si fermò davanti alla porta della camera di Akane. Rimase fermo là davanti per qualche minuto, incapace di fare altro. Perché quella stupida non si fosse fatta vedere tutto il giorno, proprio non lo comprendeva. Davvero non le importava che partisse? … i suoi pensieri vennero interrotti dal rumore di passi provenienti dalle scale. Preoccupato d’esser visto di fronta alla stanza di Akane, si allontanò dalla porta e si infilò in camera sua. 
Si mise lo zaino in spalla pronto per tornare di sotto, ma sua madre Nodoka entrò in quel momento in camera sua, per salutarlo privatamente. 
“Ranma, figlio mio…” la donna abbracciò forte il suo ragazzo, e gli augurò il meglio. Rimasero per un po’ in silenzio, a godere di quell’intimo abbraccio fra madre e figlio. Nodoka fu sul punto di dire qualcos’altro, ma dalle labbra non uscì suono. Sorrise al suo ragazzo e lo accompagnò giù all’ingresso. 
Sull’uscio del dojo tutta la famiglia, ad eccezione di Akane, salutò i due in partenza. 
Ranma ed Happosai si congedarono e si avviarono verso il porto. 
 
Quando Ranma si fermò ad un passo dalla porta della sua camera, Akane fece lo stesso. Lentamente si avvicinò, la sua mano tremante raggiunse la maniglia, ma non l’aprì. 
Era come se al suo interno due diverse forze stessero combattendo l’una contro l’altra. Una parte di lei voleva tremendamente aprire quella maledetta porta ed abbracciarlo forte, come quella volta che lo sorprese in bagno al ritorno dal suo combattimento con Herb. 
L’altra parte invece, non ne voleva sapere, se qualcuno doveva fare il primo passo quello era proprio Ranma, e se lui non l’avesse fatto, allora al diavolo lui e quel dannatissimo torneo delle olimpiadi cinesi.
Ebbe la meglio il suo orgoglio. 
Sentì Ranma allontanarsi.
È così allora che si lasciavano, senza uno sguardo, senza un saluto.
Qualche minuto più tardi le voci di commiato giunsero dal cortile, si fece forza e si avvicinò alla finestra, doveva vederlo almeno un’ultima volta. Ma il fato le fu avverso. La visuale dalla sua stanza era limitata da un albero di ciliegio in fiore. Riuscì a vedere il maestro Happosai per via della sua bassa statura, e solamente le gambe del ragazzo Una volta varcate le mura del dojo, sparirono anche quelle dalla sua vista. 
Quella notte, si addormentò piangendo in silenzio.
 
 
PRESENTE
 
Kasumi servì del thè e dei biscotti agli ospiti appena arrivati. 
Al tavolo del salotto della famiglia Tendo sedevano in silenzio la vecchia Obaba, lo strano individuo incontrato al parco, Akane, il signor Tendo, il signor Saotome e la signora Nodoka ed infine la dolce Kasumi, l’unico viso sorridente, in mezzo a tutti quelli tirati dei presenti. 
La tensione che riempiva l’aria era palpabile. Un grugnito attirò l’attenzione di Akane e del nuovo arrivato. P-chan raggiunse la sua padroncina, ed emise una specie di ringhio in direzione dell’estraneo, mentre la ragazza lo prese gentilmente in braccio e lo strinse con protezione al suo petto.
Un mezzo sbuffo uscì dalle labbra dell’individuo. Emise due colpi di tosse per schiarirsi la gola, e allungò una mano al piatto contenente i biscotti. Ne prese uno, se lo portò alla bocca, ma prima di riuscire a dare un morso, fu assalito da un altro colpo di risate, questa volta riuscì a trattenerle a stento. 
“Si può sapere cos’è che trovi così divertente ragazzo?”. La voce di Soun Tendo suonò minacciosa sebbene la sua testa rimase di dimensioni normali, senza trasformarsi come suo solito, in una specie di spirito indemoniato dalla lingua biforcuta. 
“Mi scusi molto Signor Tendo. È che Ranma mi ha parlato molto di tutti voi. Mi sembra di conoscervi da sempre… E quando ho visto Ryog- ehm volevo dire P-chan…” diede un morso al biscotto.
Il maialino nero per poco non ebbe un infarto, quel dannato di un mezzo uomo! Che gli era saltato in mente di raccontare i fatti propri a questo sconosciuto! Gliel’avrebbe suonate di santa ragione al suo rientro.
Akane invece, continuava a guardarlo come se fosse un fantasma, non gli aveva tolto gli occhi di dosso da quando, al parco, aveva pronunciato il nome di Ranma. Il ragazzo si era rifiutato di dare spiegazioni se non una volta a casa della ragazza, con la scusa di aver fatto un lungo viaggio e di essere stanco.
Nodoka non mancò di notare lo sguardo della sua futura nuora. La preoccupazione nei suoi occhi e anche quella voglia di sapere di Ranma. D’altra parte lei stessa provava quegli stessi sentimenti, come madre. “Come ti chiami giovanotto?” Chiese la donna guardandolo. 
Soun fece un cenno con il capo in segno di assenso.
Il ragazzo si alzò in piedi, era alto forse quanto Ranma, ma più esile e snello, aveva una figura molto slanciata e tuttavia robusta. Si inchinò rispettosamente e si presentò.
“Mi chiamo Ji-Woo Choi, vengo da un piccolo paese di montagna della Corea del Sud.
Ho partecipato al grande torneo delle Olimpiadi marziali cinesi con Ranma. Piacere di conoscervi.” 
Rimasero tutti piacevolmente sorpresi dalle sue buone maniere. Soun lo invitò a riaccomodarsi, ma il ragazzo rimase in piedi, il capo ancora chino. Anzi, si inchinò ancora di più.
“Sono venuto a chiedere il vostro aiuto… Ranma ed il maestro Happosai sono in grave pericolo…” 
 
 
 
 
PRESENTE – Cina, provincia del Chinhai, catena montuosa Bayankara
 
La ferita sembrava superficiale, ma il sangue che ne sgorgava non sembrava volesse arrestarsi. Rimase a guardare quelle donne darsi da fare con garze e qualsiasi altra cosa riuscivano a trovare, per tamponare la ferita del giovane steso a terra. Il buio della grotta rendeva difficile il loro compito. Eppure non le aveva viste riposarsi un attimo da quando erano stati costretti alla ritirata. Tirò via il sudore che gli imperlava la fronte con il dorso della mano destra. L’umidità in quel posto era pesante. Mentre fuori l’aria era gelida. Seppur era ancora estate, a quelle altitudini il freddo dell’inverno cominciava a farsi sentire. 
Appoggiò la schiena alla roccia alle sue spalle e inspirò a fondo chiudendo gli occhi. 
L’immagine di lei apparì come ogni volta, nella sua mente. Era l’unico modo che conosceva per cercare di rilassare la sua mente e riprendere il controllo delle sue emozioni. 
 
Il suo viso era imbronciato, perché non aveva voluto assaggiare i biscotti che aveva preparato apposta per lui. 
 
Le sue labbra si curvarono in un sorriso. 
Ogni volta era un’immagine diversa. Lei imbronciata, lei sorridente, lei arrabbiata, lei annoiata, lei triste… Come gli mancava. Cosa avrebbe dato per tornare indietro e non essere mai partito alla volta di quello stupido torneo… Attorno a lui ora, c’era solo caos. 
Riaprì gli occhi e fu come essere catapultato di nuovo in quell’incubo.
Si guardò un po’ attorno, e si accorse allora che il maestro Happosai stava facendo ritorno. Lo raggiunse saltando da una roccia all’altra, con un’agilità invidiabile per la sua veneranda età. 
Il capo fasciato, a causa di un colpo ricevuto in un precedente scontro. 
Si salutarono reciprocamente con un cenno del capo. Happosai prese poi a sedersi a fianco del suo allievo. Rimasero per qualche minuto in silenzio. Ad osservare l’interno di quella grotta. Avevano allestito un vero e proprio rifugio. Da un lato c’era l’area dedicata ai feriti, di cui si prendeva cura un gruppo di donne e uomini di diversa età, che avessero un minimo di conoscenza medica. C’era poi un’area notte ed una per i pasti. I bambini, perché ce n’erano molti, rimanevano sempre limitati a queste due aree, per evitargli traumi non necessari. E poi c’era anche un’area dedicata alle salme. Ogni volta che il suo sguardo cadeva in quell’angolo buio, il suo cuore sembrava smettere di battere. Nella notte, a turno cercavano di portare fuori i corpi e di dargli una degna sepoltura, ma purtroppo non sempre ci riuscivano. Le ronde notturne non cessavano. Erano continuamente braccati. Strinse forte i pugni, fino a far diventare le nocchie bianche.
 
“Vecchietto, sono giorni che non ho più visto…” 
 
“Sta bene. Le ho affidato una missione.” 
 
“Di che missione stai parlando? Perchè non ne sapevo niente?”
 
Happosai, tirò fuori dalla tasca la sua pipa, la portò alla bocca e l’accese utilizzando un fiammifero già usato in precedenza. Tirò lentamente, per assaporare fino in fondo il gusto del tabacco, gli occhi chiusi. Rimase per un pò così a soppesare se dire o meno al ragazzo quello che aveva deciso di fare, o meglio quello che già aveva fatto. Pur sapendo che lui non ne sarebbe stato sicuramente contento.
 
“Vecchiaccio mi vuoi rispondere?” 
 
Happosai fece un altro tiro. “L’ho mandata a chiedere rinforzi a Nerima.”

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