Imposters

di Cara93
(/viewuser.php?uid=905809)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prologo 2.0 ***
Capitolo 3: *** Prologo 3.0 ***
Capitolo 4: *** Fatti non foste per lavorare in squadra, ma vi tocca-Selezione OC ***
Capitolo 5: *** Assestamento ***
Capitolo 6: *** Arte salvifica ***
Capitolo 7: *** Oscurità ***
Capitolo 8: *** Colpe e potere ***
Capitolo 9: *** Di mondi nuovi e attese ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Londra, Inghilterra

Marcus Rosier si mise le mani nei capelli, disperato. Tutta la sua fortuna, il suo conto alla Gringott, la proprietà del castello nel Gloucestershire, le azioni di un'importante azienda farmaceutica, insomma, tutto, era svanito. Ellaria gliel'aveva portato via.

-Oh, mi scusi!- la bellissima giovane donna bruna, in evidente imbarazzo, abbasò gli occhi, evitando il suo sguardo.
-Non ha alcuna importanza, signorina- rispose affettato. Era in ritardo. Il Primo Ministro non poteva aspettare. Marcus, le cui doti diplomatiche erano molto famose ed apprezzate nell'aristocrazia britannica, concorreva alla nomina di Ambasciatore in Israele, posizione resa vacante dal ritiro del vecchio Fell, Mago del Primo Ordine ed eroe di guerra ormai anziano e, si sussurrava, completamente fuori di testa.
-Oh, non vorrei arrecarle ulteriore disturbo, ma non sono di queste parti e temo di essermi persa...- ricominciò a parlare lei, quasi balbettando.
-Non credo di poterle essere d'aiuto- tagliò corto lui, piuttosto sgarbatamente.
Con sorpresa, poche ore dopo, alla riunione con i delegati di Tel Aviv, eccola davanti a lui. Marcus trattenne un'imprecazione, mostrando il sorriso più falso e affabile del suo repertorio.

Non fosse stato per la propria ambizione, sicuramente non l'avrebbe mai incontrata. E non si sarebbe innamorato perdutamente di lei. Nonostante la differenza d'età piuttosto importante, Marcus era davvero convinto che l'avesse sposato per amore. Fino al giorno in cui non solo era caduto in disgrazia, ma era diventato lo zimbello di tutti. E le sue ambizioni e speranze svanirono insieme ad Ellaria.
La decisione era ovvia e immediata: doveva ritrovarla. E alla svelta.


Danae McKenna sfoggiò il suo sorriso migliore, davanti alle guardie che presiedevano le Passaporte per i viaggi Intercontinentali. Sperava veramente che nessuno si accorgesse della sua somiglianza con Ellaria Segel, coniugata in Rosier. Certo, ora aveva capelli rossi e pelle bianchissima, totalmente diversi dalla carnagione scura e dai capelli neri del suo alter ego. Ma non poteva esserne certa. Sapeva che Marcus Rosier poteva essere pericoloso, data la sua posizione sociale. In più, era stata costretta a fuggire più velocemente del solito. I file che le aveva dato Archie all'inizio del lavoro, erano risultati completamente sbagliati, almeno per quanto concerneva la descrizione caratteriale dell'uomo. In sei mesi di frequentazione e due settimane di matrimonio, Danae/Ellaria aveva capito che poteva essere pericoloso, per lei. Non vedeva l'ora di lasciare il paese e riunirsi con i suoi soci nel punto di ritrovo stabilito.


Minsk, Bielorussia

Archer Griffiths attendeva seduto a un tavolo di formica di una tavola calda nella parte babbana della città. L'impazienza lo rodeva. La gatta persiana di Danae, nel suo argenteo splendore, l'aveva avvertito che c'erano stati dei problemi ai controlli. Sperava che fosse solo una seccatura facilmente risolvibile, non aveva alcuna intenzione di scomodare il Master, se non per problemi davvero gravi. Non solo per una certa forma di orgoglio, che gli impediva di chiedere aiuto, ma anche perché il Master gli faceva paura. No, non proprio paura, Archer Griffiths non aveva e non aveva mai avuto paura di niente e nessuno; solo che il Master aveva la straordinaria abilità di farlo sentire nervoso e all'angolo. Archer odiava non avere scappatoie. Si portò la tazza alle labbra, sorseggiando lentamente il tè annacquato, lanciando di quando in quando occhiate alla porta.

Adrienne De Foix varcò per prima la porta, con la sua classica camminata sfrontata. Si sedette a poca distanza da lui accavallando le belle gambe, spostando i capelli con un elegante colpo della testa. Un penetrante profumo speziato e persistente giunse alle narici di Archer. Riaggiustandosi gli occhiali, prese nota della presenza della donna.

Danae arrivò più tardi, sbuffando e chiaramente irritata. Ordinò seccamente un caffè e si sedette al tavolo più lontano da Archer, rimanendo però nella sua visuale.

Terminata la tazza di tè e dopo aver pagato il conto, nell'uscita dal locale, fingendo di scontrarsi con Adrienne, Archer le fece scivolare un pacco in una tasca del cappotto. 

Dieci minuti più tardi, Adrienne si diresse alla toilette, svolse il pacchetto, prese la busta a lei destinata e, con un movimento secco della bacchetta, trasfigurò la seconda busta presente nell'involto, destinata a Danae, in un piattino di porcellana. Lo appoggiò con cura, in modo che solo un occhio attento potesse capire che non faceva parte dell'arredamento e uscì.

Tre ore più tardi, dopo aver visitato la città, Danae ritornò alla tavola calda, trovò il piattino di porcellana e pose fine all'incantesimo. Nella busta a lei destinata, trovò ciò che le serviva: una carta di credito babbana a suo nome e un indirizzo. Ora doveva solo aspettare, come gli altri. Il Master li avrebbe contattati al momento giusto.




ANGOLO DELL'AUTRICE:
Salve, popolo di EFP!
Ho riflettuto a lungo, prima di buttarmi in questa avventura, ma dopo varie indecisioni, sospiri e patemi ho deciso di tentare. Trovo le interattive adorabili e mi piaceva l'idea di scriverne una, per una volta.
Come da titolo, questa interattiva prende spunto dalla serie televisiva "Imposters", andata in onda nel 2017 e terminata l'anno scorso. Non occorre averla vista per partecipare. Ma in cosa consiste questa storia, in soldoni?
"Un gruppo di truffatori, che prendono ordini dal misterioso Master, derubano dei bersagli precisi. Un gruppo ristretto di truffati li/la/lo cerca per riprendersi i propri soldi. Parallelamente, un gruppo di Auror indaga su queste truffe, nel tentativo di consegnare alla giustizia il Master."
Tutto chiaro, no?

Ecco cosa vi propongo:
-Potete inviarmi 3 OC, purché siano di sesso e categoria diversa. Potranno avere qualunque età e provenienza, mi basta solo che abbiano più di 20 anni.
-Non accetto Mary Sue e Gary Stu
-Non accetto vampiri, licantropi e creature varie nelle categorie "Vendicatori" e "Bersagli", mentre li accetto in quella Auror.
-Richiedo una presenza costante, fatevi vivi almeno ogni 2/3 capitoli e rispondete alle domande che man mano vi invierò.

In base al numero delle schede che riceverò, vedrò come regolarmi sulla lunghezza di storia e capitoli; in generale, ho intenzione di scegliere 2/3 "Vendicatori" e Auror, mentre non ci sono limiti per i "Bersagli".
Al momento della selezione degli OC, il giorno dopo la scadenza, due al massimo, presenterò solo "Vendicatori" e Auror, mentre avviserò via mp gli autori/le autrici dei "Bersagli", che compariranno nel corso della storia.
Ma c'è un'altra cosa. Tra gli OC scelti, estrarrò il Master (che rimarrà segreto fino alla fine) al cui autore/autrice invierò le schede "Bersagli" e li sceglierà di volta in volta. Quindi vi invito, nella sezione "Altro" a darmi una motivazione per cui il vostro OC/potenziale Master fa quello che fa. 
Non so quanto sia stata chiara, nel caso, fatemi pure tutte le domande che ritenete opportune.
Credo sia tutto, per ora. Vi aspetto!
 

OC Presentati (ho avuto problemi con l'HTML, quindi al posto delle immagini, mi limito ad inserire il nome dei prestavolto. Spero di riucire ad inserle al momento della selezione)

Marcus Rosier, 38 anni, Ex Serpeverde: Matthew Rhys

Danae McKenna, 26 anni, Ex Corvonero, Metamorfomagus: Eleanor Tomlinson

Adrienne De Foix, 34 anni, Ex Studentessa di Beauxbatons: Keri Russell

Archer Griffiths, 56​ anni, Ex Grifondoro, Legilimens: James Pickens Jr
 



Schede "Vendicatori"

Nome e cognome:
Età:
Stato di sangue:
Orientamento sessuale:
Ex Casa:
Aspetto fisico:
Prestavolto:
Carattere:
Storia personale:
Percorso scolastico:
Bacchetta:
Amortentia:
Molliccio:
Patronus:
Hobby/Passioni:
Paure/Debolezze:
Segreti:
Amicizie:
Inimicizie:
Relazioni:
Come è stato truffato e come ha reagito:
Famiglia e rapporto con essa, in particolare come ha reagito alla truffa:
Altro:


Schede "Bersagli":

Nome e cognome:
Età:
Stato di sangue:
Orientamento sessuale:
Ex Casa:
Aspetto fisico:
Prestavolto:
Carattere:
Storia personale:
Percorso scolastico:
Famiglia e rapporto con essa:
Bacchetta:
Amortentia:
Patronus:
Molliccio:
Hobby e passioni:
Paure e debolezze:
Aspettative e speranze:
Amicizie e inimicizie:
Perché un truffatore potrebbe prenderlo di mira:
Altro:


Schede Auror:

Nome e cognome:
Età:
Stato di sangue:
Orientamento sessuale:
Ex Casa: 
Storia personale:
Famiglia e rapporto con essa:
Percorso scolastico:
Hobby e passioni:
Paure e debolezze:
Amicizie:
Inimicizie:
Relazioni:
Perché ha scelto di diventare Auror:
Come e perché gli è stato assegnato il caso:
Altro:


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prologo 2.0 ***



Dex Morgan affrontò con passo marziale il corridoio lungo e lucido che trovò di fronte a lui. Al suo passaggio, il cicaleccio delle segretarie si spense e occhiate furtive e curiose lo accompagnarono fino alla sua destinazione finale. Dex ne era abituato e se un tempo queste attenzioni indesiderate potevano infastidirlo, soprattutto l'insistenza quasi maniacale e morbosa con cui venivano guardate le sue cicatrici, ora non ci faceva quasi più caso. Bussò alla porta e, senza attendere una risposta, entrò nell'ufficio del funzionario del Primo Ministro che aveva il compito di supervisionare l'operato degli Auror dal punto di vista legale. Quello di più simile ad un magiavvocato che quel dipartimento potesse tollerare. Come tutte le strutture pubbliche, risentiva pesantemente del cambio delle varie legislature. Aveva visto di tutto: da maghi e streghe talentuosi a raccomandati dell'ultima ora. In questo periodo in particolare, sembrava che al Ministro della Magia piacesse riempire gli uffici di giovani sprovveduti, completamente ignari della posizione che sarebbero andati a ricoprire.  Con ogni probabilità, non solo l'occupante di quell'ufficio non aveva un'idea chiara sul come dovessero operare gli Auror, ma la sua idea di duello, sempre che ne avesse una, era data dalle scaramuccie tra Case nei corridoi di Hogwarts. Un affronto alla sua professione, a suo modesto parere. Anche qui, le sue reazioni, rispetto a quelle di un tempo, erano molto diverse: non provava alcun timore o rabbia, nessun senso di impotenza, verso quell'ingerenza nel suo lavoro. Solo stanchezza. Assoluta e profonda.

Al suo ingresso, il funzionario, un ometto piccolo e dalla faccia liscia e rotonda, dai capelli laccati e dagli abiti alla moda, gli riservò lo stesso trattamento che gli avevano riservato le segretarie in corridoio. Sapeva come doveva sembrargli, con le sue cicatrici da ustione, la mano destra mezza bloccata, i capelli bianchicci troppo lunghi e una gobba incipiente, che cercava in ogni modo di dissimulare; ma non aveva nessuna importanza. Perché Dex Morgan aveva chiuso.
Qualcosa gli disse che era stato chiamato in quell'ufficio, non troppo grande, piuttosto buio e arredato con gusto filo babbano, per una ragione ben precisa e che non si sarebbe discusso del suo pensionamento. E aveva ragione.
-Auror Morgan, che piacere! Si sieda la prego... no? Sicuro? Si chiederà il perché di questa convocazione improvvisa, ma sappia che non è nulla di spiacevole. Anzi. Il Ministro della Magia in persona ha avuto modo di apprezzare il suo lavoro e le sue teorie e quindi le offre l'incredibile opportunità di guidare una squadra tutta sua- declamò l'ometto tutto d'un fiato, pomposamente, come se gli stesse proponendo l'affare della vita.
-No-
-No? Come? Aspetti!- quasi urlò, nella fretta di trattenerlo. Non poteva credere che qualcuno osasse rifiutare una promozione. Se si fosse giocato bene le sue carte, Dex Morgan si sarebbe potuto sistemare a vita.

"Non ho più l'età per queste stronzate" pensò Dex, tornando lentamente verso la sedia dirimpetto a quella visibilmente più comoda del funzionario, appoggiandovici pesantemente.
-Ascolti, non ho nulla contro di lei, davvero. Solo che è troppo tardi. Sono vecchio, come può vedere e, cosa ancora peggiore, mi sento vecchio. Voglio andare in pensione, prendere i miei nipotini sulle ginocchia e portare la mia signora a fare quella crociera che rimandiamo da decenni. Ho sputato sangue, per questo dipartimento. Non mi sembra di chiedere la luna- tuonò, la voce graffiante e fastidiosa. Alcune delle sue ferite al viso, non solo erano piuttosto evidenti, ma avevano compromesso indelebilmente alcune parti del suo corpo. Come le corde vocali, ad esempio. O la spiacevole impossibilità di riuscire a sentire gli odori.
-Ma la sua capacità di risolvere problemi...-
-Gli unici problemi che voglio risolvere sono i bernoccoli sulla testa di mio nipote, quando cade dalla scopa e l'ansia di mia moglie ogni santa volta che c'è una riunione di famiglia. Niente di più-
-Questo ci pone di fronte ad un problema delicato- riuscì a dire l'altro, dopo un colpetto di tosse secca e irritante -vede, le sue idee, visionarie, assolutamente, sul collegamento di quella serie di truffe sono...- ma non riuscì a continuare, perché Dex, la cui pazienza era ormai giunta agli sgoccioli lo interruppe in malo modo.
-Non me ne frega un cazzo, Non voglio più avere niente a che fare con questa merda! Voglio andare in pensione e ci andrò, con o senza l'approvazione del Ministro della Magia e, lo giuro sui Quattro Fondatori, non ho alcuna intenzione di voltarmi indietro, neppure se Morgana in persona mi pregasse in ginocchio e Merlino mi venisse a prendere a calci in culo!- sbottò, rudemente.
-Se non vuole guidare la squadra, almeno la formi e la istruisca- gemette l'ometto, allo stremo. Stava sudando copiosamente e aveva gli occhi fuori dalle orbite. Non solo era abituato a quel genere di linguaggio, ma non era preparato ad un rifiuto. Temeva per la propria carriera e il turbinio interiore si rifletteva sul corpo del pover'uomo. L'effetto generale non era esattamente dei più piacevoli, specie quando Dex si avviò verso la porta borbottando sottovoce: -Istruire, come se ci fosse qualcosa di concreto da dire-
-Auror Morgan...-
-E va bene!-sbottò Dex, ormai allo stremo, la mano buona sul pomello della porta, dando quasi completamente la schiena all'ometto, per poi voltarsi all'improvviso, come se si fosse dimenticato qualcosa di essenziale.
-Non appena quel branco di idioti sarà in grado di trovare da solo ognuno il suo stesso culo, l'esatto secondo, non solo me ne andrò da questo fottuto posto, ma io e la mia signora, per la sottana impestata di Priscilla e il doppiomento di Tosca, partiremo alla volta di quelle fottute piramidi, sono stato chiaro?-
Sbattendo le palpebre, completamente confuso dalla piega che aveva preso quella riunione; il funzionario, con il pomo d'Adamo che andava su e giù, rispose, quasi senza voce:-Cristallino-



Angolo dell'autrice:
Ehilà!
Nelle mie intenzioni originarie, un prologo 2.0 non era assolutamente previsto, ma non ho saputo resistere, tanto più che anche gli Auror meritano un loro angolino, che caspita! 
Dex, come avrete potuto notare, prende ispirazione da Malocchio, con qualche piccola differenza. Comunque, niente paura: come ha esposto con grazia, ha tutte le intenzioni di fare quel viaggio post pensionamento, perciò non occorre che i vostri OC lo conoscano.
Sto prendendo in considerazione di alzare leggermente il rating, per ora è solo un'idea, ma giuro che vi avviserò, se dovesse succedere. 
Grazie a tutti e ricordo a chi volesse iscriversi che le iscrizioni sono ancora aperte. Aggiungo che gradirei una recensione in cui mi dite che volete iscrivervi e che le schede vanno inviate tramite mp; so che anche se mi sono dimenticata di scriverlo alcune di voi l'hanno già fatto, ma una parvenza di serietà la voglio dare, orsù
Vi ringrazio e a presto!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Prologo 3.0 ***



Danae concluse la corsa con uno scatto, fermandosi poi alla fine della strada, piegata in due, le mani sulle ginocchia, inspirando ed espirando lentamente. I due ragazzi che aveva superato arrivarono giusto mentre lei stava finendo di fare stretching, prima di concludere quella sessione d'allenamento.
-Sono sicura che quest'anno gli facendo il culo, a quelli, con tu in squadra- disse Dasha, appena riuscì a riprendere fiato. Danae sorrise, amara. Non sapeva per quanto tempo si sarebbe fermata, ma sicuramente non abbastanza per entrare nella squadra di basket del quartiere.
-Vedremo, Dash- le rispose.
-Posso io accompagnare te?- propose Andrej, visibilmente speranzoso, arrossendo, quando sembrò loro fosse giunta l'ora di tornare. Danae annuì.

Arrivata finalmente nei pressi dello squallido appartamento che abitava da quando erano giunti a Minsk, Danae congedò il timido ragazzo, aprì il portone principale, salì le tre rampe di scale che la separavano dalla sua dimora, cercando di distrarsi da pensieri spiacevoli. Le piaceva quel posto, in fondo. Le piaceva lo squallore e il grigiore di quel quartiere di periferia. E le piaceva quel gruppetto di ragazzi, di età eterogenea, che si riunivano quasi ogni pomeriggio nel campetto scalcagnato poco lontano e che stavano cercando di arginare il degrado cittadino con iniziative di vario genere, dallo sport alle gite fuori porta ai corsi di lingue. Le piaceva persino l'inglese fortemente accentato, secco e sgrammaticato, chiaramente frutto di corsi fai da te che pubblicizzano gli inserti dei quotidiani, spesso di difficile comprensione, con cui parlavano.
"Forse mi sto preoccupando troppo" pensò. Sì, a Danae sarebbe davvero mancato quel posto. Mentre si stava togliendo i vestiti matidi di sudore, un ticchettio attirò la sua attenzione. Con un enorme sforzo di volontà, fece entrare il gufo reale di Archie, che, dopo averle porto un biglietto, volò via in fretta, senza degnarla di ulteriori attenzioni.
"Ok, è finita. Sempre avanti, senza rimpianti. Concentrata, per essere pronta a tutto."


-Come siamo sobrie...- commentò Danae, rivolta alla sua compagna, una volta raggiunto il punto d'incontro. Di solito, Archie propendeva per luoghi pubblici fuori mano o vecchi magazzini abbandonati, per quei briefing improvvisi. Ma non questa volta. Con finta contrizione, sistemando la pelliccia bianca dal collo viola acceso, Adrienne si chinò sulla lapide piuttosto vecchia, dalle lettere consunte, lasciando un mazzo di rose. Danae le si avvicinò ulteriormente, fingendo di pregare presso la tomba più vicina a quella a cui stava aspettando l'altra.
-Qualcuno deve pur portare un po' di colore in queste città dell'Est così meste e cupe. E di certo quel qualcuno non sei tu, chérie- commentò Adrienne, con indifferenza, dopo aver lanciato uno sguardo eloquente alla ragazza, che, non solo portava una tuta nera che si intravedeva sotto un bomber dello stesso colore, ma aveva nascosto i capelli rossi sotto uno stazzonato berretto grigio.
-Sai com'è, dovremmo tenere un profilo basso- rispose, facendo un cenno discreto alla mise dell'altra. Oltre alla pelliccia bicolore, Adrienne era truccata pesantemente, il rossetto color porpora che spiccava con violenza sul viso bianco e che faceva a pugni con l'ombretto blu elettrico sulle palpebre. Calzava stivali al ginocchio bianchi, un vestito che non si intravedeva da quanto era corto e pesanti calze color borgogna.Non era difficile notarla, in quel cimitero completamente privo di colore, simbolo della pesante industrializzazione di quelle zone. Su una donna normale, un simile accostamento di colori e capi sarebbe risultato pacchiano, per non dire volgare. Invece, per uno strano scherzo del destino, Adrienne riusciva ad apparire eccentrica ed elegante allo stesso tempo. Danae non riusciva a capire come facesse e con quella naturalezza, poi.
-Ah, chérie, quando imparerai che il miglior modo di nascondersi è proprio quello di non nascondersi affatto?- dal tono affettato e leggero con cui pose la domanda, Danae capì che non si aspettava affatto una risposta. Sembrava passato un secolo, dalla prima volta che l'aveva incontrata, ormai più di cinque anni prima. In cinque anni, non era cambiata neppure di una virgola. Anzi, forse era pure peggiorata.

- Io con quella non ci lavoro!- esclamò a denti stretti, furibonda. Quando Archer aveva avanzato la proposta di lavorare per il Master, che avrebbe fornito loro protezione e il capitale iniziale, si era dimenticato di riferirle che non sarebbero stati solo loro due.
-Un lavoro soltanto, Dany. Se va male, non ne riparleremo più, te lo prometto- rispose lui, con calma, impostando la sua voce profonda nel tentativo di renderla più rassicurante possibile.
-Giura!-
-Te lo giuro, croce sul cuore, potessi morire- rispose lui. Faceva sempre una certa impressione vedere un uomo ormai non più nel fiore degli anni, incrociare le dita sul petto, come avrebbe fatto un ragazzino.
-Tutta questa ingenuità, questa tenerezza sono così... stucchevoli- commentò la loro nuova partner, con il suo spiccato accento francese, distaccata. Adrienne De Foix parlava sempre con distacco, come se niente la potesse toccare. Era in grado di parlare di temi importanti come se stesse parlando del tempo.
-Mi fido di Archie- sentenziò Danae, duramente.
-Come credi, sono affari tuoi- scacciò quelle parole con un gesto lezioso della mano, come se tutta quella conversazione fosse tremendamente noiosa.
-Siamo d'accordo, allora? Un lavoro prima della decisione definitiva?- intervenne Archer. Danae annuì.
-Oh, ma belle, dammi solo qualche giorno e ti chiederai come tu sia riuscita a sopravvivere finora con quei quattro trucchetti pacchiani del tuo repertorio- concluse Adrienne.
-Sì, certo- sbuffò la ragazza, le braccia incrociate sul petto, grondando sarcasmo.
 -Vedrai. Non potrai più fare a meno di me. Creo dipendenza-  e con un gesto seducente ed elegante al contempo la donna si lisciò l'elegante tailleur pantalone che indossava, prima di sedersi in punta della seduta del lercio divano nell'appartamento di Archie, il loro quartier generale. 

-Potremmo chiedere ad Archér- propose Adrienne, a mezza voce.
-Sono sicura che la pensa come me. L'ha sempre detto, che l'anonimato è nostro alleato-
-Certo, chérie. Anche se credo che il tuo concetto di anonimato non sia lo stesso del nostro amico- commentò, indicando pigramente verso una figura che era appena comparsa ai margini del cimitero. Una sagoma maschile, alta e robusta. Con un cappello a lesa larga scuro, come quello dei cattivi nei film noir, un bastone da passaggio e una sciarpa scarlatta. Danae gemette piano.
-Vai prima tu, chérie. Inutile infierire- concesse Adrienne, con finta magnanimità, lasciando trasparire la soddisfazione dal tono di voce. 


Archer si era diretto verso la zona più antica del cimitero, dove si trovavano le lapidi più antiche e ricercate. Aveva scelto quel cimitero non solo per una questione di riservatezza, ma anche perché ne apprezzava l'atmosfera e il senso di calma che vi regnava. Amava i cimiteri proprio per quell'aspetto, soprattutto i cimiteri babbani. Lo scricchiolare della ghiaia lo avvertì dell'arrivo di una delle sue socie, Danae, a giudicare dall'attenzione con cui cercava di fare meno rumore possibile.
-Sai, mi sono sempre piaciuti gli epitaffi. Li trovo poetici- parlò per primo, la voce profonda bassa e pacata.
-Sai cosa c'è scritto?- Danae. Aveva ragione.
-No, purtroppo. Mi piacerebbe, però-
Rimasero in silenzio per qualche piacevole istante.
-Mi dispiacerà lasciare questo posto. Mi sono anche fatta degli amici, pensa-
-Sei sempre stata una giovane molto socievole. Specie con i babbani, mi par di ricordare- commentò. Si guardarono sorridendo.


 -Mmm, cappotto blu, a circa due metri alla tua destra. Quello che sta entrando in quel negozio-
Erano seduti ad un tavolino esterno di un locale, a Diagon Alley. Era il finesettimana prima del ritorno ad Hogwarts, la folla era considerevole, orde di genitori accompagnati dai propri figli si apprestavano a fare le ultime compere prima dell'inizio delle lezioni. Avevano scelto quel momento con cura. La ragazza, che appariva molto più giovane dei suoi vent'anni,  si arrotolava una ciocca di capelli scuri su un dito dalla pelle ambrata. Potevano tranquillamente passare per un padre e una figlia, mentre si godevano una pausa nella frenesia dello shopping. Archer ancora non si capacitava della sua fortuna. Era raro trovare un metamorfo in grado di cambiare così drasticamente il proprio aspetto e con la naturalezza con cui lo faceva Danae.
-Facile. Rendo invisibile quello che voglio rubare e lo appello. Due Incantesimi non verbali ed è fatta- gli espose il suo piano. Era un pigro pomeriggio estivo, faceva caldo e nessuno prestava loro particolare attenzione. Era il momento perfetto per un esercizio.
-Non credi che qualcuno potrebbe accorgersene? Siamo circondati da maghi e streghe, dopotutto-
-E allora cosa proponi?-
-Un borseggio alla babbana-
Danae alzò un soppracciglio, scettica. Per esperienza personale, sapeva che dai babbani non poteva provenire nulla di buono.
-Anche noi siamo maghi. Abbiamo una bacchetta. E siamo piuttosto bravi a maneggiarla- protestò, parlando come se si trovasse di fronte un bambino. Archer sospirò, appoggiò i gomiti al tavolino, le mani sotto il mento con i polpastrelli che si toccavano. Danae la chiamava "la sua posa concentrata".
-Ci sono almeno due vantaggi, nel borseggio alla babbana. Primo: come dicevo, siamo circondati da maghi. Non se lo aspettano. Ricordati, Dany, che la maggior parte dei nostri clienti fa parte di quella fetta di aristocrazia Purosangue snob e con ogni probabilità completamente estranea alle tecniche babbane. Credono di essere al sicuro da tutto, non si aspettano sorprese, specie da quella che considerano una razza inferiore. Secondo: sono tecniche e abilità che vale la pena conoscere, non si può mai sapere. Potresti rimanere senza bacchetta per qualsiasi ragione e, se non ti sai muovere, potresti trovarti nei guai-
Al mago più anziano non servì usare la legilimanzia, per capire che il suo discorso non aveva fatto effetto. Si leggeva chiaramente sul viso della sua interlocutrice.
-D'accordo, qui ci vuole una dimostrazione- sospirò. -Giacca a righe di fronte a noi, a circa mezzo metro, pieno di pacchi. Gli prenderò l'orologio da polso senza usare la bacchetta e senza che se ne accorga. Ci vediamo all'incrocio con Nocturn Alley tra dieci minuti-
Detto ciò si alzò. Finse di guardare il proprio orologio e, con decisione, si diresse verso la vittima designata. Con studiata casualità, gli passò vicino, facendogli cadere un pacchetto.
-Sono mortificato, mi scusi- fingendo un imbarazzo che non provava, si piegò per raccogliere il pacco caduto, continuando a scusarsi e a fingersi contrito. Al momento della restituzione, con un gesto fluido e delicato, sfilò l'orologio dal polso del malcapitato continuando a scusarsi come se avesse compiuto un'azione terribile, facendo irritare l'altro, tanto che, ad un certo punto, questo si congedò sgarbatamente. Archer si allontanò con un pigro sorriso.

-Ok, avevi ragione. Il borseggio alla babbana non è poi così male- gli  concesse, laconica, quando Archer le sventolò davanti l'orologio d'oro. Archer sapeva che sotto quell'apparenza così fredda, la ragazza fremeva di entusiasmo e  che moriva dalla voglia di sapere come ci fosse riuscito. La sua mente glielo urlava, da quanto lo desiderava.
-Se vuoi, posso insegnarti a farlo-
Danae sorrise, le guance rosse e gli occhi lucidi per l'eccitazione.
-Allora, quando si comincia?- 

-Vediamo di sbrigarci, la mia sfolgorante bellezza e il mio carisma innato hanno bisogno di essere circondati da persone, per dare il loro meglio. Un po' come i girasoli necessitano del sole, ?-
Archer alzò gli occhi al cielo. Nonostante il tono volutamente civettuolo, sentiva che Adrienne, che nel frattempo li aveva raggiunti, era veramente irritata. Non le piaceva nulla di quella città e non vedeva l'ora di ricevere quel lavoro, di qualunque cosa si trattasse, solo per potersene andare.
-Tecnicamente...- cominciò, non era nella sua natura punzecchiare o irritare le persone, ma con Adrienne non poteva farne a meno e sapeva che la stessa cosa succedeva a Danae. Quella ragazza cominciava ad assomigliargli, forse un po' troppo, per i suoi gusti.
-Persone vive, Archér. Non credevo ci fosse bisogno di specificare- sospirò Adrienne, con fare teatrale -dimmi che questa volta andremo in un posto caldo, ti prego- 
-Spiacente di deluderti- disse, distribuendo le cartelline che il Master gli aveva fatto avere. Lui ne conosceva già il contenuto.
-A mio parere, un "mantide religiosa" standard. La modalità lo sapete, aprirete le buste contenenti le vostre nuove identità con il solito modo, dopodiché avremo tre settimane per studiare l'obbiettivo e per accordarci sul da farsi. Se non ci sono obiezioni, Dany avrai circa quattro mesi di tempo per agganciarlo, due per convincerlo a sposarti. Fa in modo di farlo con il nuovo rito, non possiamo permetterci un'altro contrattempo come con Rosier, non a così breve distanza. Usa qualsiasi mezzo. Se avete delle idee migliori o qualcosa non vi convince, mandatemi i vostri Patroni prima della scadenza delle tre settimane e vedremo di inventarci qualcosa, d'accordo?-
-Sembra quel che appare. Non come quel bastardo di Rosier- commentò Dany, critica, mentre scorreva il file. Arrivata a metà, che di solito conteneva informazioni utili all'aggancio, si bloccò, l'inizio di una frase le morì sulle labbra. Se ne accorse solo Archer, che finse di non vedere e non sapere cosa la turbasse.
-Non vedo perché non possa agganciarlo io, non sembra abbia particolari... esigenze estetiche-
-Prima di muovere qualche obiezione, dovresti prima finire di leggere, Addie- la canzonò Archer.
La donna non si prese neppure la briga di rispondere e questo cominciò a preoccuparlo. Un po'. Preoccupazione che cominciò ad aumentare quando si accorse che Adrienne aveva cominciato a schermare i suoi pensieri.
-Oh, capisco- Anche Adrienne si irrigidì e, con una dolcezza che sorprese sia Archer che Danae, posò una mano su una spalla della ragazza, comprensiva -sei sicura di voler continuare, chérie?-
-Va tutto bene. Sto bene- cercò di contenere la voce, sapendo benissimo che sia Archer che Adrienne si sarebbero preoccupati, se avesse mostrato il suo reale turbamento.
-Allora, continuiamo- Archer cercò di riprendere il controllo della riunione, ma un cenno di Adrienne lo fece tacere.
-Ti assicuro, chérie, che quando avremo finito con quest'uomo, non gli resterà neppure un cappello per la questua- affermò, lapidaria e decisa.
-Ma il Master..-
-Niente "ma", Achér. O così o non se ne fa niente, è una questione di principio. Spero tu capisca-
Ad Archer non restò altro da fare se non tacere. Senza sapere esattamente a cosa stesse pensando Adrienne e senza poter fare appello a Danae, i cui pensieri al momento erano troppo confusi per poterne dare un'interpretazione, aveva capito che non poteva fare altro che assecondarle.
-E tabula rasa sia. Signore, ci vediamo nel gioco- concluse, toccandosi la tesa del cappello a mo' di saluto. Davanti a lui si presentava un problema complesso, potenzialmente letale. Avvertire il Master della novità e convincerlo che la modalità tabula rasa fosse una buona idea, sperando per il meglio e scervellarsi nel tentativo di fregare le sue socie, nel caso contrario. Non credeva di essere abbastanza furbo per provarci con il Master. Oltre al non trascurabile dettaglio che aveva cara la pelle.
"Merda, merda, merda" pensò. Se le sue compagne avessero potuto leggergli nella mente, si sarebbero sorprese, nel sentigli usare, anzi, pensare, un tale linguaggio.
-Ci vediamo nel gioco-
-Rendez-vous dans le jeu-   




Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti, di nuovo.
Altro prologo non programmato, che ho voluto scrivere come una sorta di "scusa". Infatti, mi sono accorta di aver deciso di pubblicare quest'interattiva in un periodo un po' complicato, non solo per me. Per questo, dato che probabilmente non sarei riuscita a presentarvi un capitolo con la selezione degli OC in tempi brevi, oltre a questo nuovo prologo, probabilmente troppo lungo, in cui ho cercato di farvi capire il rapporto che lega i truffatori, almeno un po', vi annuncio che ho "prorogato" la scadenza di iscrizioni e consegna delle schede al 22/03.
Grazie a chi mi ha già inviato le schede.
P.s. I miei ricordi di francese sono abbastanza fumosi, se doveste notare degli errori, fatemelo pure sapere
A presto!


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fatti non foste per lavorare in squadra, ma vi tocca-Selezione OC ***


 
Stoccolma, Svezia
Esu sfogliava svogliatamente le pagine della Gazzetta del Profeta, unica piccola eccentricità che Adele, che la ospitava ormai da un paio di mesi, si concedeva. Non solo il tracollo finanziario che aveva subito e che solo Sonne sapeva con esattezza da cosa era stato causato l'aveva portata sull'orlo di un esaurimento nervoso, ma era stata costretta a vendere il proprio appartamento e buona parte dei suoi averi per potersi concedere un po' di respiro. La prima cosa che aveva fatto Sonne, dopo averla trovata accoccolata in posizione fetale sul pavimento del soggiorno, la stanza mezza distrutta e lei completamente apatica e insensibile ad ogni richiamo, era stata chiamare Adele. Con l'efficienza che la contraddistingueva, la strega aveva rimesso a posto il caos che imperava nella stanza, spostato con tutta la delicatezza possibile l'amica su una superficie più morbida e, dopo essersi fatta una vaga idea del problema, aveva stilato una lista semplice e immediata delle cose da fare. Non fosse stato per Adele e la sua prontezza, Esu si sarebbe trovata sotto un ponte. Pian piano, mentre con il passare dei giorni lo choc si trasformava in rabbia, l'unico pensiero in grado di sostenere Esu verteva su Francis Mnadake e su come trovarlo. Nel lindo e pratico appartamento di Adele si sentiva fuori posto, tutta la sua vita inscatolata in poche valigie. Il disagio di quella situazione così atipica per lei, l'aveva portata a sviluppare una maggiore dipendenza dalla nicotina e una serie di idiosincrasie che assottigliavano ancor di più lo scarso controllo che aveva di sè, rendendola, se possibile, ancora più instabile ed insicura. Con uno scatto secco, spense la sigaretta sul fondo della tazza di caffè che aveva appena vuotato, concentrando la sua attenzione sulle immagini, più che sulle parole. E proprio una di quelle le era saltata subito all'occhio. Si trattava di un banchetto, probabilmente. I soggetti al centro della foto erano un mago e una strega. La strega era molto più giovane di lui e piuttosto attraente. Erano presenti altre persone, più defilate e per questo quasi sfocate. Continuò a osservare la fotografia, tormentandosi capelli, pellicine e piccole croste, aspirando nervosamente una sigaretta dopo l'altra; infine, con un gesto secco, allontanò da sè il quotidiano, eccitata. Ora doveva solo trovare conferma al suo sospetto. E trovare il modo di recarsi a Londra. Se non si sbagliava, anche l'uomo della fotografia, tale Marcus Rosier, si trovava nella sua stessa situazione.

Milano, Italia
Olimpia chiuse la porta del proprio appartamento con forza, stizzita. L'organizzazione del matrimonio dell'erede dei Mandelli stava prendendo una piega che non le piaceva per nulla. Abituata ad avere sempre il controllo, non accettava di buon grado le intromissioni, anche se era stata costretta ad ingoiare il rospo, almeno quella volta. Se fino ad allora era stata in grado di manipolare la sposa con relativa semplicità, ora che la vera matrona della famiglia era tornata dalla propria crociera annuale, la situazione era drasticamente cambiata. La donna, una raffinata ed energica quanto anziana signora, non si fidava di quella straniera, non aveva importanza quanto il suo nome ed il suo buongusto fossero sulla bocca di tutta la Milano magica bene. Perciò, dopo una giornata infernale, non era certo dell'umore adatto per aprire la lettera quotidina del padre, che, dopo "La Disgrazia" non aveva fatto altro che mettere alla prova i suoi già logorati nervi. Non fosse stato per l'educazione impartitole soprattutto dalla mardre, avrebbe già dato di matto, portando disonore e disgrazia, quelli veri, sulla famiglia. Dopo aver gettato nel camino la lettera paterna, si concentrò su quella, sicuramente più piacevole, di Orion. Doveva alla protezione e all'intervento del fratello, che si occupava di coprire le sue spese, se ancora poteva sostenere il suo abituale tenore di vita e Olimpia non l'avrebbe mai ringraziato abbastanza.

"Devi tornare a casa, subito. Immagino tu non abbia mai aperto una delle lettere di papà, altrimenti saresti già corsa qui senza indugio. Papà è sul punto di firmare un contratto matrimoniale per te, sto temporeggiando, per quanto possibile. Sembra che il tuo potenziale fidanzato sia del mio stesso avviso, ma se non rientri entro la prossima settimana, le cose potrebbero precipitare e papà potrebbe firmare un contratto senza la mia supervisione.
Orion"

Inorridita, chiamò a gran voce Christine, la sua elfa domestica. Non aveva tempo da perdere.

Londra, Ministero della Magia; Inghilterra
Nonostante avesse preso la propria decisione, Dex non riusciva a togliersi di dosso la spiacevole sensazione di star commettendo un errore fatale. Come sua abitudine, era in netto anticipo rispetto ai colleghi e, dato che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno, voleva essere sicuro della propria scelta. Analizzando attentamente tutta la documentazione riguardante i candidati, una sorta di disagio, forse una premonizione, lo colse, tanto che fu quasi sul punto di annullare il proprio pensionamento e rimanere a supervisionare la situazione. Lo fermò solo la reazione che Heed avrebbe potuto avere. Sua moglie non avrebbe dato in escandescenze, no. Era molto più furba di così. Lo avrebbe assecondato e riempito di complimenti, rassicurandolo. Per poi partire da sola, mandandogli di tanto in tanto cartoline criptiche dal tono passivo aggressivo. Se si sentiva troppo vecchio per continuare il proprio lavoro, che aveva sempre sentito come una parte di lui, sicuro come l'oro non si sentiva più in grado di sostenere i maneggi della moglie. Doveva andare in pensione e, se possibile, sistemare le questioni in sospeso. Cercando di mettere a freno quel tarlo che non se ne voleva andare, si concentrò sul modo più semplice per evitare che proprio la squadra di Auror da lui scelta si trasformasse in una bomba ad orologeria. Anche solo sulla carta, sembrava un compito titanico.

Tenuta dei Rowle, Inghilterra
Malachai aspettava con impazienza l'arrivo della sua potenziale promessa sposa nel salone del maniero dei Rowle, una villa imponente quanto gelida. In un certo senso, gli ricordava la casa di famiglia, quando ancora apparteneva ai suoi genitori. Era stato accolto con gelida cortesia, intrattenuto per un breve momento dalla signora Rowle, o almeno credette fosse lei dato che non si era neppure presa la briga di presentarsi; per poi essere lasciato solo ad aspettare, con un banchetto pantagruelico di fronte a sé che non poteva neppure sfiorare per non sembrare maleducato. Non era stata propriamente una sua idea. O meglio, certo che lo era. Un rapporto d'affari gli era sembrato un modo come un altro per poter avvicinare Olimpia Rowle, colei che il misterioso M sosteneva, nella lettera anonima che aveva trovato sopra il suo cuscino, "aveva dei punti in comune con la sua persona". Incuriosito, se non proprio dalla prima missiva, quanto dalle successive, che continuavano ad arrivare a cadenze imprevedibili e che contenevano più o meno lo stesso messaggio, aveva ripreso i contatti con Jared Rowle, fratello della suddetta e suo vecchio compagno di Casa. Da Jared aveva saputo la storia, mentre da una gitarella agli archivi del Ministero aveva appreso il resto. M aveva ragione, a quanto pareva. La sua natura machiavellica lo aveva indotto alla prudenza, perciò, invece di presentarsi alla porta della giovane donna, aveva preferito compiere un percorso più tortuoso, che l'aveva portato a quella mattina: Olimpia aveva imposto al padre un incontro preparatorio, in cui, con molta probabilità avrebbe dato il peggio di sé per dissuadere il potenziale futuro sposo. Per Malachai non era un problema, anzi. Ciò che lo preoccupava, piuttosto, era ciò che aveva trovato sulla porta di casa, quella mattina stessa: una copia della Gazzetta del Profeta con una fotografia cerchiata in rosso e l'esortazione a mostrarla ad Olimpia. Non sapeva cosa pensare.

-Spero di non averti fatto attendere troppo- esordì la rossa, un falso sorriso di circostanza sulle labbra. Malachai si prese un momento per osservarla: era bellissima, con ogni probabilità, si trattava di una delle donne più belle che avesse mai visto. Si sforzò di ascoltare le facezie che la ragazza cercava di propinargli, pensando a come presentare la questione.
-Tu non vuoi sposarti- affermò con decisione, interrompendo all'improvviso una lamentela sul costo di non sapeva quale borsa di pelle di drago. Il suo intento era quello di spiazzarla, ma non ci riuscì. Olimpia appariva come quando si era seduta a tavola: impenetrabilmente cortese.
-Non vedo da cosa potresti dedurlo-
Malachai non poteva non provare una qualche forma rispetto, per quella giovane, che era riuscita in un'impresa che aveva sempre creduto impossibile: metterlo in difficoltà. Decise di essere franco con lei: -So cos'è successo e credo di poterti aiutare-
-Non so di cosa tu stia parlando- si alzò, sprezzante e a testa alta, colma d'orgoglio. Kai non potè non ammirarla, per questo. Ancora.
-Aspetta. Guarda questo- e le porse il giornale. Inizialmente, Olimpia sembrava non capire, poi aggrottò la fronte, fissando con insistenza la fotografia. Lentamente, visibilmente più pallida, si risedette.
-Ti ascolto-   

Londra-Paiolo Magico; Inghilterra
L'arrivo in Inghilterra era stato piuttosto traumatico, nonostante le raccomandazioni che aveva ricevuto da Ulrich. Tra i suoi amici, Ulrich era l'unico a sapersi muovere nel mondo magico inglese, avendo un contatto in Scozia. Di quale tipo di contatto si trattasse, Esu non era certa di volerlo sapere. Comunque, grazie al suo intervento, ora aveva una seppur vaga idea di come muoversi. Per prima cosa, aveva appreso che, a differenza della comunità magica svedese, più precisa e compatta, non esisteva un archivio pubblico e nemmeno una biblioteca. Solo i cittadini britannici, con previa autorizzazione, potevano accedere a registri e a documenti vari. La delusione era stata enorme. Era convinta che avrebbe trovato tutto ciò che le sarebbe servito negli archivi del Ministero della Magia, salvo poi scoprire che, in quanto cittadina svedese non poteva accedervi; oltre al non trascurabile dettaglio che non ci fosse nulla da scoprire su Marcus Rosier. Ciò che aveva scoperto attraverso giornali e riviste di gossip rasentava solo la superficie e, se voleva trovarlo, avrebbe dovuto impegnarsi molto, molto di più.

Per risparmiare tempo e denaro, dato che i suoi visti non erano propriamente nella norma, era stata costretta a prendere un aereo e a seguire le indicazioni vaghe e imprecise di Ulrich per entrare nella Londra Magica attraverso quella babbana. Avrebbe dovuto trovare un locale, successivamente un muro e, dopo aver picchiettato sui mattoni una data sequenza, sarebbe potuta entrare senza intoppi e domande scomode. Le sembrava una follia. Effettivamente, tutta quella storia le sembrava una follia. Ma aveva il potere di farla sentire viva, perciò non poteva certo avere troppi lati negativi, no?
L'uomo che l'aveva accompagnata alla camera era l'essere più brutto su cui avesse posato lo sguardo. Era stanca per il viaggio, aveva dormito pochissimo e desiderava ardentemente una sigaretta. Dopo la prima esaltazione iniziale, il suo consueto nervosismo e l'ondata di panico che era sopraggiunta non appena si era resa conto di quello che aveva fatto, aveva avuto il potere di sfinirla. Si era messa in gioco completamente. Aveva abbandonato la calma e rassicurante bottega di Folke, tutti i suoi contatti, persino quel perdigiorno di Kenny per rincorrere un fantasma, una sensazione. Probabilmente, era impazzita di colpo dopo "il Fatto" o forse era sempre stata pazza e se ne rendeva conto solo in quella situazione in cui si era volontariamente imbarcata. Cominciò a frugare istericamente in ogni anfratto dei suoi due borsoni, alla ricerca delle sigarette. Rovesciò tutte le tasche, ormai nel panico. Così trovò il biglietto.   

Londra-Diagon Alley; Inghilterra
Marcus Rosier marciava spedito per le vie costeggiate dalle vetrine dei negozi senza vederle. Era preoccupato. Da settimane riceveva lettere e messaggi anonimi per lui completamente incomprensibili. Ma il misterioso mandante prometteva che solo così avrebbe ritrovato Ellaria. Ritrovarla e renderle tutto il dolore che gli aveva causato era diventata un'ossessione. Non riusciva a pensare lucidamente, concentrato com'era verso quell'unico scopo. Non aveva mai provato nulla del genere e ciò lo spaventava come non mai.

Il Respiro del Drago era quel tipo di locale in cui non sarebbe mai entrato di sua spontanea volontà. Troppo losco e ambiguo. Per un uomo che ambiva ad una carica politica, mostrarsi in un ambiente simile avrebbe rappresentato, con ogni probabilità, la fine. Questo, al momento, non rappresentava un problema, dato che la sua carriera era finita. Altro punto a cui Ellaria avrebbe dovuto rispondere. Era immerso in pensieri cupi e malsani, ma questo non gli aveva impedito di captare dei rumori dietro di sé. Qualcuno lo stava seguendo. E se si fosse trattato dell'autore dei biglietti? Una furia cieca si impossessò di lui. Non si sarebbe rassegnato ad essere il burattino di nessuno. Con una mossa fluida e repentina, disarmò e impastoiò l'inseguitore.
Esu si accasciò all'indietro, andando a sbattere contro un bidone dell'immondizia. Non un gemito uscì dalle sue labbra. Era sorpresa e terrorizzata. Gli incantesimi erano stati talmente rapidi e precisi da non lasciarle neppure il tempo di pensare ad una difesa. L'uomo si avvicinò a lei con lentezza, apparentemente calmo e tranquillo. La strada era deserta, il locale ancora chiuso. Le si mozzò il respiro. Sarebbe morta in terra straniera o, peggio, sarebbe finita come i propri genitori, in un limbo che la terrorizzava.

Belvedere House; Inghilterra
Marcus si ritrovò a occhieggiare alla volta della sua inaspettata compagna di viaggio, una donna che non riusciva a classificare. Il tremore nella voce, quando le aveva chiesto spiegazioni; l'immobilità quasi innaturale, quando aveva messo fine all'incantesimo, quasi come se pensasse che così non le sarebbe successo nulla di male, lo avevano stranamente scosso. L'empatia non faceva parte del suo carattere, anche se era perfettamente in grado di riconoscere bisogni e sentimenti e piegarli al proprio bisogno. Ora che gli camminava al fianco, più tranquilla, poteva osservarla con calma: bionda, piccola e ben proporzionata. Aveva i capelli arrufati e non troppo puliti, occhiaie molto evidenti, pelle secca e poco curata. In generale, tutta la sua persona si poteva descrivere come "poco curata", dal vestiario raffazzonato e di almeno una taglia in più del necessario, alle unghie smangiucchiate.  Al momento, stavano obbedendo alle richieste del loro misterioso tormentatore: infatti, una volta che i due si erano scontrati e parlati, avendo mostrato all'altro il biglietto che li aveva condotti al Respiro del Drago, due parole erano comparse al di sotto: "Belvedere House". Ed era lì che stavano andando, nonostante la ritrosia di Marcus.

La reazione dell'uomo l'aveva incuriosita. In generale, tutto, in Marcus Rosier, la incuriosiva. Era uno di quei rari maghi che non riusciva ad inquadrare. La fiancheggiava in silenzio e la soppesava, come se la stesse valutando. In un certo senso, lo poteva capire, dato che lo stava facendo anche lei. Non si poteva certo dire che si fidasse di lui, dato che l'aveva letteralmente aggredita. Ma solo attraverso di lui poteva sperare di capirci qualcosa. Perché, a quanto pareva, Belvedere House era casa sua.


Il primo a notare le due figure che sbucarono sul vialetto del giardino incolto fu Marcus. Si avvicinò con circospezione. Si aspettava la presenza di altre persone, perché M non avrebbe certo attirato lì lui ed Esu per guardarsi negli occhi. L'incantesimo che lo mancò per un soffio lo colse di sorpresa.

Esu si mise a quattro zampe, cercando di evitare le scintille e gli incantesimi che i tre contendenti si stavano furiosamente lanciando. Aveva avuto modo di intravedere le due persone con cui Rosier si stava scontrando e aveva notato che era stata la giovane donna a cominciare, lanciando una Crociatus potente, anche se imprecisa. Lo scontro era entrato nel vivo, furioso e senza esclusione di colpi; quasi si sentì in colpa, per essere scappata così, ma lei non era una duellante  né per indole né per capacità magiche, mentre per esperienza, aveva potuto accertare che Rosier, da quel punto di vista, se la cavava molto bene. Raggiunse un cespuglio e si accoccolò dietro di esso, aspettando.

Lo scontro sembrò durare ore e ogni scintilla, ogni gemito soffocato, ogni scricchiolio o schianto le diventò insopportabile, ogni minuto di più. Proprio quando ebbe l'impressione che i suoi nervi stessero cedendo, silenzio. Non si era allontanata molto, perciò, quando sbirciò dal suo nascondiglio improvvisato, li potè scorgere abbastanza nitidamente. Tutti e tre sembravano stanchi, ma determinati a riprendere la battaglia quanto prima, a giudicare dalle posizioni difensive che avevano assunto. Decise di avvicinarsi, approfittando di quel momento di calma. Non sembrava che nessuno avesse riscontrato danni gravi, anzi, a parte uno sbaffo di terra sulla guancia della ragazza dai capelli rossi e uno strappo ad una manica della camicia del ragazzo più giovane. Rosier sembrava fresco come una rosa. Al confronto, era lei che sembrava reduce da uno scontro all'ultimo sangue. Ciò la fece impazzire.
-Voi siete pazzi, malati- esplose, quando fu abbastanza vicina. I tre la guardarono stralunati, come se si trattasse di una creatura mistica spuntata da chissà dove. Questo la fece irritare ancora di più. Non era abituata a tutte quelle emozioni, così forti e confuse, così, istintivamente, indirizzò tutta la sua irritazione contro di loro.
-Allora? Avete finito di comportarvi da idioti?-
-E tu adesso di cosa ti impicci, codarda?- replicò la rossa, secca.
-Continuate pure allora! Chissenefrega- sbottò, allontanandosi a grandi passi.
-Ehi, dove stai andando?- le gridò Rosier
-Dentro- rispose, senza voltarsi
-Ma è casa mia!
-Affatturami!-

Con uno sbuffo, Kai si tolse un ciuffo di capelli dagli occhi, assistendo al breve scambio, in silenzio.
-Sapete che vi dico?- disse, rinfoderando la bacchetta, una volta che Esu ebbe raggiunto la casa -la bionda squilibrata non ha tutti i torti-

Tremava, non sapeva se per l'indignazione, la paura o l'eccitazione. Esu mise le mani in tasca, alla ricerca delle sigarette, dimentica di aver già tentato prima una ricerca simile. Aprì la porta, accigliata e si accasciò sui gradini di una scalinata imponente, che dominava il vestibolo, dopo aver acceso le luci con la magia. Non credeva di avere le forze per fare altro, al momento. Poco dopo, la porta che aveva chiuso dietro di sé si aprì. Si trattava del giovane con la manica stracciata.
-Probabilmente, per quei due ci vorrà un po'. Spero che Rosy abbia una buona scorta, in questo tugurio- ammiccò. La casa non poteva certo essere definita un tugurio, ma erosione e incuria la facevano da padrone, quello era certo. L'impressione era che Belvedere House fosse chiusa da molto tempo.
-Scorta?-
-Non so tu, ma io ho bisogno di un drink. Tranquilla, non ho intenzione di avvelenarti-

Londra, Ministero della Magia; Inghilterra
Nessuno dei candidati che aveva selezionato aveva il suo stesso concetto di puntualità, che si potrebbe riassumere in "prima arrivo, meglio è", ma ciò non preoccupava Dex. Non sarebbe stato lui a doversi occupare delle piccole mancanze degli Auror. Il primo ad arrivare era anche l'Auror più giovane. Jessie Aarons si presentò nell'ufficio che era stato assegnato alla nuova squadra con un sorriso cordiale e bendisposto, già dal suo atteggiamento si poteva notare una rilassata apertura, una sorta di fiducia cosmica. Dex lo accolse con uno dei suoi peggiori cipigli, ma l'uomo non solo non battè ciglio, ma si prodigò nel chiedere all'Auror più anziano come stesse e se ci fosse qualcosa che potesse fare per lui. Tutta quella premura e quell'interesse, la bontà innata ed il sorriso fiducioso, per Dex furono troppo. I sette anni che aveva trascorso in mezzo ai suoi compagni Tassorosso, quasi tutti così disgustosamente carini e disponibili, lo avevano portato a provare una sorta di rigetto verso persone di questo tipo. Come Jessie.
-Sono sicuro che durerà meno di qualche giorno, in pensione. Tornerà da noi più vigoroso e deciso a catturare i cattivi- stava commentando il giovane. Si capiva che stava cercando di essere gentile e propositivo. Non conosceva molto Dex, quindi immaginava che il suo fosse un ritiro forzato.

"Merlino, salvami da questa piaga." E Merlino, per una volta, si decise ad ascoltare le sue preghiere, a quanto sembrava. Il secondo Auror, di una decina d'anni più vecchio di Jessie, entrò con passo spavaldo e sicuro. Dal suo atteggiamento sfrontato ed estremamente famigliare, sembrava si sentisse il padrone della stanza. I suoi abiti, costosi e di buon gusto, stridevano con quelli più modesti di Jessie, così come i loro modi. Se Aarons aveva occupato sistematicamente la prima scrivania disponibile, l'altro si spaparanzò sulla prima sedia, i piedi sul tavolo, in una posa rilassata. Non chiese nulla a Dex, si limitò a lanciargli un cenno del capo ed un sorriso affascinante. "Sbruffone era e sbruffone morirà, sempre che ci sia qualche masochista a questo mondo disposto a mettere fine alle sue sofferenze", pensò, piccato. Non aveva mai lavorato con Rhett Montague, ma ne aveva sentito parlare. Era un Auror capace, anche se il suo modo di fare non era certamente consono. Ma l'ufficio Auror era pieno di individui poco consoni, tanto che, anche se con ogni probabilità Rhett Montague credeva di essere un'eccezione, di eccezionale aveva ben poco, almeno secondo Morgan. Era più preoccupato per l'uomo che entrò successivamente. Come Montague, possedeva un carisma magnetico, ma a differenza dell'altro, non così chiassoso. Guardandolo, si aveva l'impressione di osservare un felino in gabbia, una creatura magnifica e feroce, abbagliante e pericolosa. E, come un predatore, poteva attaccare in qualsiasi momento. Aveva acconsentito a che Bas si unisse alla squadra più per affetto che per mero buonsenso. Certo, sapeva che si trattava di un Auror capace, come gli altri due, dato che non avrebbe mai accettato soggetti meno che meritevoli, ma più che il suo carattere, era la sua essenza che lo preoccupava. "Morgana mi perdoni, ma Rachel aveva bisogno di un po' di respiro", pensò, osservando l'uomo sedersi con grazia quasi innaturale all'ultima sedia rimasta libera, la sua espressione una maschera di rilassata indifferenza.

Ora che li aveva davanti tutti e tre, quella sensazione di disagio si ripresentò, simile al brivido di fastidio che provoca lo stridore delle unghie sul vetro e al freddo che si prova quando una fosca premonizione si avvera, nonostante si abbia fatto tutto il possibile per evitarlo. Ma ormai era fatta. Tanto più che, ne era sicuro, nessuno, dagli Auror ai burocrati, avrebbe preso in considerazione le sue sensazioni. I tre candidati erano Auror eccezionali. Cosa mai sarebbe potuto succedere, di brutto?

Belvedere House; Inghilterra
Marcus non riusciva a capire l'accanimento della giovane, che, anche dopo che il suo compagno si era arreso, aveva ricominciato scagliare incatesimi che si era limitato a parare o a schivare. Non voleva duellare, ma solo capire, ormai.
-Senti- esordì dopo un po', mentre la ragazza riprendeva fiato, i rossi capelli fiammeggianti, gli occhi smeraldini brillanti di furia a stento repressa -è ora di finirla, va bene? Raggiungiamo gli altri e cerchiamo di capire cosa succede- Era convinto di aver usato un tono pacato e ragionevole, ma così non era, a quanto sembrava, dato che uno Schiantesimo lo colpì, facendolo quasi cadere. Sospirò rumorosamente, reprimendo a fatica l'impulso di ricambiare la cortesia.
-Avanti, riponiamo le bacchette ed entriamo. Vai avanti tu-
-Certo, così puoi colpirmi alle spalle da emerito stronzo quale sei- rimbeccò l'altra. Nonostante la risposta acida, la giovane appariva compassata e altezzosa, perfettamente controllata. Soltanto dallo sguardo e da una certa rigidità nelle spalle, si poteva intravedere la sua agitazione. Sospirò di nuovo. Non aveva tutti i torti. Se qualcuno gli avesse fatto una proposta del genere nel bel mezzo di un duello, anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo.
-Entriamo insieme, allora-

Impiegarono più tempo del previsto, dato che erano troppo impegnati a valutare con circospezione le mosse e le intenzioni dell'altro. Alla fine, però, giunsero alla casa e all'interno trovarono i loro due compagni intenti a giocare una partita a scacchi magici su una scacchiera consunta, due bottiglie, una vuota, l'altra a metà, davanti a loro.
-Ah, eccovi- salutò il bel giovane bruno, passandosi una mano sui capelli.
-Chi cazzo siete, cosa volete e perché siamo qui riuniti a casa mia?



Selezione OC:

Vendicatori:

Else Svea Ulla "Esu" Nesbø
31 anni, Ex studentessa di Durmstrang, Mezzosangue
Emma Stone (Maniac)

Olimpia Margaery Rowle
22 anni, Ex Serpeverde, Purosangue
Sophie Turne

Malachai "Kai" Hawthorne
26 anni, Ex Serpeverde, Purosangue
Chance Crawford

Auror:

Jessie Aarons
30 anni, Ex Grifondoro, Mezzosangue
Jessie Eisenberg

Rhett Montague
45 anni, Ex Serpeverde, Purosangue
Jeffrey Dean Morgan

Baptiste Damien "Bas" LeFevre
43 anni, Ex Tuono Alato, Mezzosangue
Vincent Cassell
 
 
Angolo dell'Autrice:
Eccoci, con la selezione, finalmente! Ho impiegato più tempo del previsto, ma spero comunque che il capitolo vi piaccia e di non aver stravolto i vostri OC, cosa che non vorrei mai. Sto prendendo confidenza con i personaggi che mi avete affidato, perciò questo, come credo sarà  il capitolo successivo, è un capitolo piuttosto introduttivo, anche se ho cercato di metterci un po' d'azione, perché dai, ci sta.
Come avrete potuto notare, non ci sono Auror donne, purtroppo e non per mia scelta. Praticamente tutte le schede Auror che mi sono arrivate erano schede maschili (belle schede maschili, eh), ma praticamente nessuna femminile. Pazienza. Già che siamo in argomento Auror, vorrei scusarmi, dato che ho dimenticato molte voci delle schede. La maggior parte di voi le ha inserite lo stesso in qualche modo, quindi non mi resta che ringraziarvi tantissimo ancora e ancora.
Ultima nota di servizio: avendo ricevuto pochi Bersagli (comunque più delle Auror donne), non ci sarà l'estrazione del Master. O meglio, c'è, ma rimarrà segreta anche all'autrice/autore del personaggio scelto a ricoprire questo ruolo; mentre la scelta dei Bersagli resta una mia esclusiva.
Se avete consigli, obiezioni, lamentele o qualunque cosa, io sono qui.

P.s. Dato che il mio rapporto con l'editor è quello che è, intenso e tormentato come tutti i grandi amori, per sicurezza ho inserito anche i nomi dei prestavolto. Spero di non aver combinato danni.
Al prossimo capitolo!  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Assestamento ***


 
Londra, Ministero della Magia

Aspettavano tutti che Dex parlasse. Si trattava di una pura formalità, naturalmente.
-Signori, come sapete, lo scopo di questa squadra è mettere fine alla serie di truffe che crediamo siano state perpetrate nel corso degli ultimi cinque anni. Dico "crediamo", intendendo non solo che lo credo io; ma anche che i presunti crimini non sono mai stati denunciati alle autorità, quindi il legame che li accomuna non balza propriamente all'occhio. Come potrete notare, solo la tempistica e alcune stranezze nel comportamento delle presunte vittime ci, anzi, mi ha portato a credere che ci fosse uno schema più grande. Ora, come tutti voi saprete, il mio lavoro è finito. Tocca a voi-
Silenzio. Disinteressato, da parte di Rhett Montague. Indifferente, da parte di Baptiste Lefevre. Cordiale, da parte di Jessie Aarons. Evidentemente, non avevano domande.
-Un'ultima cosa: devo incaricare uno di voi a capo della squadra- Ora era certo di avere la loro attenzione. "Bastardi. Sì, anche il finto amicone lì", pensò.
-Aarons non creare casini-
E con quell'ultima battuta, uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.

Belvedere House

-Quindi, ricapitolando: questo tizio...- cominciò Kai.
-O tizia- lo interruppe Olimpia, con fare petulante. Era innegabile che la Rowle cercasse ogni pretesto per mostrare la propria superiorità in ogni campo. E irritarli.
-O tizia, certo. Insomma, questa persona vuole che troviamo i truffatori che presumibilmente hanno fregato tutti e quattro- riuscì finalmente a finire Kai, lanciando un'occhiata assassina alla volta della rossa, che sorrise candidamente.

Dal momento in cui Marcus Rosier e Olimpia Rowle avevano fatto il loro ingresso, portando nella stanza tutta la tensione che ancora c'era tra loro, questa si era come propagata nella stanza, diradando gli effetti benefici dell'alcol. Esu aveva i nervi a fior di pelle. Fremeva dalla voglia di fare qualcosa, qualunque cosa. Non riusciva a stare ferma: continuava a tormentarsi i capelli, a muovere ritmicamente i piedi, ad accavallare e scavallare le gambe. Si rendeva conto che c'era qualcosa che non andava in lei, era troppo nervosa. O almeno, più del solito e lo manifestava troppo apertamente. Non era il suo abituale modo di comportarsi, specie di fronte a dei perfetti sconosciuti. In un recesso del suo cervello, un campanello d'allarme cercava di avvertirla, doveva essere cauta e stare attenta, anche se non ci riusciva.
-Bene. E non è quello che vogliamo tutti?- chiese Marcus.
-Forse- rispose Kai, prudentemente. -Tu cosa vuoi?-
-Vedere morta quella troia. Possibilmente per mano mia- rispose, iroso.
-Un ottimo modo per finire i tuoi giorni ad Azkaban- commentò Kai, come se non si stesse parlando della vita di una persona. Non sembrava particolarmente impressionato o adirato, sembrava che ci avesse già riflettuto e fosse giunto alla conclusione che non valeva la pena commettere un omicidio. Non per scrupolo, ma per convenienza.
-Animale! Sei una bestia! Ci credo che è scappata non appena ha potuto- la voce di Olimpia era un po' più alta rispetto al normale e si era rivolta a Rosier con un'aggressività esagerata.
-Dimmelo tu allora! Se tua moglie scappasse, lasciandoti e prendendosi tutto, cosa faresti?-
-Di certo non la ucciderei! Non potrei mai fare una cosa del genere ad una persona che ho amato- rispose, la voce rotta. -E che amo- aggiunse sottovoce. In quella frase si sentiva tutta la passione e la forze dei sentimenti che animavano la giovane -Certo, gliela farei pagare. La priverei di tutto e la obbligherei a tornare da me strisciando. Sarei pronta allo scontro con chiunque l'abbia ferita. Un duello. Tipo quello che si è appena concluso in parità. Ma che non resterà così a lungo- Quasi ruggì l'ultima frase.
-Queste allusioni mi hanno stancato. Parla chiaro- sputò Rosier, secco. Olimpia non se lo fece ripetere due volte. Estrasse dalla tasca della giacca di velluto che indossava una fotografia piuttosto sgualcita, come se fosse stata guardata troppe volte e per troppe volte rimessa al suo posto. Rappresentava due donne. Una era un'Olimpia un poco più giovane, sorridente e affascinanate; l'altra era una donna leggermente più vecchia, dai capelli scuri e  dalla pelle chiarissima. La cosa più notevole erano gli occhi grandi ed espressivi. Entrambe erano vestite da sposa. La fissò per qualche istante, senza capire. Non gli sembrava di conoscere la donna, anzi, era sicuro di non averla mai vista. Poi lo vide. Era lo stesso movimento della testa, lo stesso sorriso sfuggente che  aveva indotto Esu a precipitarsi a Londra e che aveva fatto impallidire Olimpia. Lentamente, profondamente scosso, prese la bottiglia ancora piena e ne bevve un lungo sorso prima di accasciarsi sul divano più vicino, sotto gli occhi freddi di Olimpia, l'espressione di sconcerto di Esu e quella quasi compassionevole di Kai. Aveva appena scoperto che sua moglie era già stata sposata, prima. Con Olimpia Rowle.

Londra, Ministero della Magia

Jessie non ci poteva credere. Sbattè gli occhi, cercando di darsi un tono. Era il più giovane dei tre e sicuramente non il più indicato per guidare una squadra, almeno a parer suo.
-Ma guarda, guarda. Chissà che cosa hai dato per arrivare a questo risultato, eh, Lupetto?- la voce roboante e schietta di Rhett Montague si fece sentire in tutta la sua potenza. Era indispettito ed irritato, non poteva credere che Dex potesse mettere al comando un ragazzino. Era convinto di essere la scelta migliore. Le sue gesta erano conosciute da almeno metà delle persone che bazzicavano quotidianamente il Ministero, a differenza di quelle di Jessie, Auror che non conosceva e che prima di allora non aveva mai sentito nominare. Era logico pensare che il vecchio fosse impazzito o che Aarons gli abbia offerto qualche incentivo. Lui l'avrebbe fatto, al suo posto.

Jessie trattenne il respiro per un secondo, umettendosi le labbra, a disagio. Montague non poteva certamente essere a conoscenza... no, non aveva un grado abbastanza alto, per poter accedere al suo fascicolo personale. Rhett Montague non poteva certo sapere del suo piccolo problema. Dal canto suo, Rhett scambiò per incredulità lo sguardo intenso che il neo leader della squadra gli aveva rivolto. "Chi l'avrebbe mai detto, pure prevenuto, il boy scout.", pensò irritato. Da un lato, quel pensiero era piacevole: amava sconcertare le persone. Dall'altro, lo irritava essere preso per uno snob ignorante. Uno dei piaceri della sua esistenza era sicuramente quello di mostrarsi anticonformista a tutti i costi, soprattutto con la propria perfetta famiglia.

Rhett Montague non era il solo a provare irritazione per quella situazione. Ignorando smaccatamente i due, Bas si alzò e si diresse mollemente, quasi sensualmente, verso la porta, senza nulla da dire, sordo ai richiami di Aarons. Il gesto fece sorridere Montague. Non era nel suo stile, ma non si poteva certo dire che fosse una cattiva idea.
-Buon lavoro, Lupetto- disse sorridendo, facendo un coreografico inchino a mo' di congedo.

Belvedere House

Esu era assorta nei propri pensieri, ignorando la discussione imbastita da Olimpia e Kai. I due stavano battibeccando animatamente sulla prossima mossa. Anche Esu ci stava pensando, anche se non era ancora pronta ad esternare la propria opinione. Non solo perché credeva di non avere idee abbastanza buone, ma anche perché queste erano abbastanza confuse.
"Cos'è che direbbe Adele? Un problema alla volta." Il loro problema principale, come stava dicendo anche Kai, era capire chi fosse M. Non sembrava un compito facile, ma forse, se avessero agito come suggeriva Olimpia, cioè trovando prima i truffatori, avrebbero potuto raggiungere quello allo scopo. Gettò un'occhiata a Marcus, poco lontano. Non sembrava ancora in condizione di pensare ad altro che a ciò che aveva scoperto da poco. Ad un certo punto, i toni della discussione tra Olimpia e Kai si alzarono, rischiando di degenerare. Quella scena le fece cambiare idea: il primo problema da risolvere erano proprio loro.
-Abbiamo bisogno di un accordo- esclamò automaticamente, senza pensare, spezzando a metà una frase dal tono tra il paternalistico e l'accomodante di Kai.
-Un accordo?- chiese Marcus, riprendendosi. Nonostante lo choc, il suo cervello lavorava alacremente, in silenzio. Più che decidere cosa fare, Marcus era intento a cercare di capire le motivazioni recondite di M. Era sicuro solo di una cosa, che aveva imaprato a caro prezzo molto tempo prima: tutte le azioni, anche quelle apparentemente più innoque avevano una ragione. E non sempre portava a qualcosa di buono. Stava appunto cercando di ipotizzare cosa avesse spinto M a raggrupparli prima e poi ad unirli lì, a casa sua, quando la voce di Esu aveva fatto irruzione nei suoi pensieri.
-Ma che cazzata- commentò Olimpia.
-Mi dispiace contraddirti, cara, ma potrebbe essere un inizio- concluse Kai.

Londra, Ministero della Magia

Jessie era sconvolto. Era accaduto tutto così in fretta... prima la sua nomina a capo della squadra, poi la defezione dei suoi colleghi. Era la sua occasione. Da una parte, si sentiva terrorizzato, dall'altra lusingato dalla fiducia che gli era stata accordata. Fiducia che era già stata messa alla prova a poca distanza dalla nomina. Sapeva di non avere l'indole del capo: era troppo accomodante, troppo incline a giustificare gli altri e a chiudere un occhio sulle loro mancanze. Si rendeva conto da sé che rapportarsi con Montague e LeFevre in questo modo poteva solo portare ad un esito disastroso. Sperava di riuscire a far capire loro che poteva essere un buon leader, se l'avessero accettato: era incline ad ascoltare, a cambiare la propria opinione in base alle esigenze e ad ammettere i propri errori. Sì, sentiva che avrebbe fatto un buon lavoro, se gliene sarebbe stata data l'occasione. Doveva solo fare in modo che anche Montague e LeFevre lo capissero. Per prima cosa, però, doveva trovarli. LeFevre, data la sua natura piuttosto ambigua, al momento era fuori della sua portata. Avrebbe dovuto cominciare da Rhett Montague.

Quando la porta di spalancò sulla sua camera da letto, Rhett Montague non era solo. Aveva approfittato del momento per dedicarsi ad una delle sue attività preferite: sedurre e godere della compagnia di donne avvenenti e disponibili. Ed era proprio quello che si accingeva a fare, prima di essere interrotto da Jessie Aarons. La ragazza, visibilmente imbarazzata, emise un grido acuto, si coprì alla bell'e meglio con le lenzuola del letto matrimoniale ed uscì più in fretta che potè, lasciando soli i due uomini. Uno nudo e chiaramente spazientito, l'altro che tentava di mascherare il proprio imbarazzo.
-Che diavolo... che cazzo ci fai qui, Aarons?- ruggì, aggressivo.
-La domanda giusta sarebbe perché tu sei qui in orario di lavoro, Montague- rispose con finta disinvoltura Jessie. Sentiva che il momento era delicato: non avrebbe dovuto essere troppo duro, ma neppure lasciar correre. Il futuro della squadra si sarebbe giocato in quei pochi attimi. Lentamente, prese dal pavimento la camicia di Rhett e gliela gettò.
-Vestiti, è ora di cominciare a lavorare e sul serio-

Il rapace li seguì dall'alto. Se avessero alzato lo sguardo, probabilmente avrebbero trovato strano che un gheppio li seguisse a così breve distanza e in pieno giorno, ma non lo fecero. In genere, gli uomini non alzavano quasi mai gli occhi da terra. Non avevano la lungimiranza necessaria per capire che tutti i problemi venivano sempre dall'alto. Per questo, aveva scelto di trasformarsi in un volatile. E, data la sua indole, un rapace elegante e letale era quanto di più vicino alla sua anima potesse esistere in natura. Bas aspettò che fossero entrati al Ministero, prima di trovare il vicolo in cui si era trasormato. Lasciare la stanza dopo la nomina di Aarons era stato un gesto di sfida. Non avrebbe mai accettato di prendere ordini da chiunque. Se le circostanze fossero state diverse, non si sarebbe neppure abbassato a tanto. Avrebbe fatto da solo, come sempre. Si sarebbe messo sulle tracce dei truffatori e li avrebbe puniti a modo suo. C'era un problema, però: non poteva permettersi altri attriti con gli altri Auror, non dopo la scorsa volta. Già il suo passato non era propriamente immacolato e con l'ultima indagine la sua carriera era pericolosamente in bilico. Doveva solo a sua madre, che aveva pregato il suo vecchio mentore di dargli un'altra possibilità, se aveva ricevuto quella nuova opportunità di riscatto. E non poteva sprecarla. Lo spettro di Azkaban era ancora troppo vivido e vicino, così come era concreta la possibilità di tornarci, se non prestava attenzione.
 
Belvedere House

In lontananza si sentivano i borbottii della dama che era stata sfrattata dalla cornice del suo quadro, trasfigurato per l'occasione in una sorta di bacheca. Foglietti, pergamene e fotografie erano state appuntate su di essa. Su tutto, svettava un foglio bianco intitolato "Il Codice", composto da poche righe, visibili da un capo all'altro della stanza, scritte in una calligrafia nervosa e a stento comprensibile:

1. Nessuno uccide nessuno
2. Le risorse di uno sono le risorse di tutti-materiali e no
3. Nessuno si muove da solo
4. Niente sesso tra noi o con i truffatori

-Scusami, tesoro, non credo che ci saranno problemi, per quanto riguarda l'ultimo punto- esclamò Olimpia, dopo aver letto "Il Codice". Come gli altri, aveva firmato la pergamena in bianco, anche se con molta più riluttanza. Kai rideva sotto i baffi, più interessato alle reazioni degli altri, piuttosto che a ciò che avrebbe effettivamente sottoscritto; mentre per Marcus tutto ciò sembrava tremendamente puerile. Pensiero un po' ipocrita, dato che aveva aderito all'idea di Esu solo perché Olimpia ne era contraria.
-Quindi volete dirmi che se la nostra Jane Doe, cioè vostra moglie, quando l'avremo trovata vi proponesse di andare a letto con lei, voi due rifiutereste?- domandò Esu, polemica. Per esperienza, sapeva riconoscere delle relazioni disfunzionali non appena ne incrociava una. Il fatto che lei stessa non fosse in grado di evitarle, era un dettaglio trascurabile.
Marcus deglutì vistosamente, mentre Olimpia alzò un sopracciglio, come offesa. Chiaro segnale che la svedese aveva avuto ragione.
-Ecco, appunto-


-Bene, ora possiamo pensare a come procedere- dichiarò alla fine Esu, soddisfatta.
-Per trovare M dovremmo trovare i truffatori; per trovare i truffatori, dobbiamo capire come pensano- disse Kai, attirando l'attenzione degli altri. -Propongo di confrontare le nostre storie, alla ricerca di differenze o qualsiasi cosa che le accomuni-
-Mi sembra sensato- commentò Olimpia, lanciando uno sguardo eloquente a Marcus. -E finalmente, quando li avremo trovati, questo M ci lascerà in pace-
-Sempre se è questo il suo scopo- finì Marcus, incupendosi.

Londra, Ministero della Magia

La prima cosa che fece Jessie non appena lui e Rhett ritornarono in ufficio, fu incaricarlo di mettere insieme tutto il materiale sul caso, mentre lui sarebbe andato in cerca di LeFevre. Jessie vedeva chiaramente che Rhett lavorava di malavoglia, probabilmente più concentrato sul come fargliela pagare che sul suo lavoro. Per il momento, aveva intenzione di lasciarglielo fare, era fiducioso di fargli cambiare idea sul suo conto. Aveva intenzione di cominciare subito, ma non poteva, senza LeFevre. Non gli sarebbe sembrato giusto. Per sua fortuna, non dovette cercarlo a lungo: lo incontrò nell'atrio del Ministero.
-Ho sentito che sei stato trascinato fuori dal letto, Montague- commentò per prima cosa Bas, con fredda ironia.
-Cosa ci vuoi fare, LeFevre, il Lupetto qui è un po' pudico- scherzò Rhett, intimamente infastidito. Se l'altro Auror aveva saputo la notizia così in fretta, significava che questa era già circolata. Doveva correre ai ripari. Non poteva permettere che la sua reputazione venisse compromessa da Aarons.
-Signori- li interruppe Jessie -dobbiamo capire come procedere-
-Immagino tu abbia un'idea- lo blandì Bas, condiscendente.
-In effetti sì- rispose Jessie, ignorando il tono dell'altro -per trovare i i truffatori dobbiamo analizzare i dossier dei truffati. Così potremmo scoprire prima quanti sono e poi, forse, la loro identità. Alla, quando lo avremmo capito, potremmo tender loro una trappola-

Rhett e Bas lo osservarono attentamente per la prima volta. Il progetto di Aarons, al momento, sembrava piuttosto sensato. Forse Morgan non era completamente impazzito, quando aveva deciso di affidargli la squadra.
-Per analizzare tutti quei dossier ci vorrà una vita- osservò Montague, in tono pratico.
-Potremmo cominciare con quelli più... particolari, inusuali- propose Jessie, allegro. Aveva capito che i suoi colleghi lo stavano prendendo sul serio e ne era contento. Era troppo ottimista e aveva troppa fiducia nelle persone per sospettare dei secondi fini, nell'atteggiamento degli altri due.
-Mmm... secondo questa logica, dovremmo partire da lui- Rhett aprì una cartellina ed estrasse una fotografia di Marcus Rosier -Dopotutto, tutta questa storia è cominciata da questo qui. Non si sa precisamente come sia successo, ma Rosier è stato costretto al ritiro e si è cominciato a parlare di complotto e truffa-
-Ottimo. E su questa scia, anche questo caso presenta delle stranezze. Orion Rowle ha fatto di tutto per nascondere vari ammanchi nel patrimonio di famiglia e si è davvero prodigato perché tutti i suoi sforzi venissero insabbiati. In effetti, è difficile parlare di truffa se non si sa cosa cercare- aggiunse Jessie, assecondando l'ipotesi di Rhett.
-Parlando di anomalie- la voce di Bas, calma e monocorde, sembrava persa, come se l'uomo stesse riflettendo tra sé -queste due sembrano belle grosse.-
Porse ad Aarons due cartelle e proseguì, mentre Jessie estraeva le fotografie dei due interessati: -La ragazza non sembra la tipica vittima di questi raggiri, ma proprio per nulla. Mentre l'altro... beh, cosa può esserci di più anomalo di un cadavere?-
 




Angolo dell'autrice:
Rieccomi qui, con il nuovo capitolo. Come preannunciato, è un capitolo di passaggio (sì, forse un po' lunghetto per essere considerato tale, ma vabbè). Non ne sono molto convinta, ma era necessario. Per il prossimo capitolo, finalmente, vi chiedo di esprimere una preferenza. Tramite voto (via recensione o mp, come preferite) potrete scegliere 2 OC; 1 tra i Vendicatori e 1 tra gli Auror. Nei prossimi capitoli, oltre ad inserire flash back e anche tutti gli altri OC, torneranno anche i nostri cari truffatori, alle prese con il loro Bersaglio. Quindi, da qui in poi, i capitoli saranno necessariamente più corposi e, se necessario, divisi in due parti (si spera omogenee). I tempi di pubblicazione potrebbero allungarsi di un po', ma spero comunque di rimanere nelle 2 settimane, 3 al massimo.
Vi ringrazio davvero tanto, spero di non deludervi.
Alla prossima.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Arte salvifica ***


New York, Stati Uniti d'America
Adrienne fremeva di rabbia, anche se cercava di nasconderlo il più possibile. Non avrebbe mai permesso che i suoi sentimenti interferissero con il lavoro, anche se, forse, in quel caso sarebbe stato d'aiuto. Il quadro che stava realizzando al momento, si differenziava dagli altri proprio per questo, a suo avviso. La sua tecnica, a mano a mano che si era interessata all'arte magica, era notevolmente migliorata. Nelle sue opere più "mature" si poteva notare una profondità e una perfezione magica invidiabile, ma non era certa che questo potesse bastare. Quella mostra si doveva fare e al più presto. Era il metodo con cui avrebbe attratto il loro obbiettivo su cui si erano accordati. Non che un suo eventuale fallimento avrebbe impedito ad Archer di continuare il proprio piano, avrebbero solo cambiato metodo di approccio.

-Non sono convinta, Archèr. Non credo di essere la più adatta...- ovviamente, Archer sapeva già a cosa stava alludendo Adrienne. Il loro nuovo bersaglio non era esattamente nelle sue corde. Specie perché, questa volta, avrebbe recitato lei la parte dell' "esca".
-Mi hai detto tu stessa che Dany è ancora molto provata dai nostri ultimi lavori...- Era vero. Aveva suggerito una pausa proprio per questo motivo. Danae non aveva ancora la freddezza necessaria per i ritmi serrati che il loro mestiere imponeva, specie ora che dovevano rispondere al Master e forse non l'avrebbe avuta mai. La richiesta di Adrienne non era stata ascoltata, anzi, sembrava che sia Archer sia il Master fossero decisi a farle capire che avrebbe dovuto rimanere al suo posto.
-Appunto per questo sarebbe meglio prenderci una vacanza-
-Lo sai che non possiamo. E chissà, magari tu e questo tipo potreste avere delle passioni in comune-
-Ne dubito fortemente- rispose, torva. Lancelot Selwyn aveva tutte le caratteristiche che proprio non riusciva ad apprezzare in un uomo, oltretutto, per suo sommo orrore, amava sia la montagna che gli sport estremi. No, probabilmente Danae sarebbe stata più adatta.
-Mi spiace, Addie. In questo momento Dany è molto fragile. Non vogliamo correre alcun rischio-
Archer la guardava fisso, aspettando un suo cenno. Adrienne, per l'ennesima volta, maledisse le capacità "altre" di quell'uomo. Si era ripromessa di occludergli la propria mente per quanto le fosse stato possibile senza allarmarlo, ma non era ancora riuscita a trovare una via di mezzo. Sapeva che la stava manipolando. L'aveva sempre fatto. Esserne consapevole, però, non alleviava l'amarezza.
-Sta bene. Vediamo cosa si può fare-


Ministero della Magia, Londra
-Un cadavere? Ma qui non c'è nessun riferimento ad un cadavere o niente che faccia pensare...- Jessie era frastornato ed allibito. Proprio non si aspettava che la sua indagine si complicasse già prima di cominciare. Perché, lo sapeva, in caso di morti sospette, il caso gli sarebbe stato tolto alla velocità della luce. Più per una questione di gerarchie e uffici che di vere competenze.
-La ragazza è scomparsa da due anni, Aarons. Non è difficile immaginare che sia morta. E la vittima della presunta truffa è stata segnalata come possibile sospetto- Bas rispose laconicamente alle lievi obiezioni di Jessie, impassibile come sempre. Poteva quasi sentire il senso di frustrazione profonda che quel suo modo di fare provocava nell'Auror più giovane, ma non solo non gli importava, ma non aveva alcuna intenzione di modificare il proprio comportamento per compiacerlo.
-Come lo sai? Tra i rapporti che abbiamo a disposizione, nessuno parla di...- continuò Jessie, guardando nella direzione di Rhett, come in cerca di appoggio.
-Come capirai anche fin troppo presto, Lupetto- interloquì Rhett -ognuno di noi ha i propri metodi e nessuna intenzione di condividerli. Limitati ad essere grato di aver ricevuto l'informazione.- Nonostante il tono duro e di superiorità, anche Montague era curioso di sapere come LeFevre avesse potuto apprendere quelle cose. In molti casi, non solo il suo grado, ma anche il suo nome risultavano inutili, in alcuni ambienti e in certi archivi. Tecnicamente, LeFevre avrebbe avuto anche meno possibilità di accedervi. Si ripromise che avrebbe fatto qualche indagine sul collega.

-Ok- l'affermazione di Jessie, così umile e condiscendente li spiazzò. Si erano aspettati una dura protesta, magari una sorta di braccio di ferro con il loro giovane capo, ma sicuramente non quella resa così spontanea. -Mi basta solo esserne informato. Ah, e sapere se la fonte è legale... in caso di un processo, ovvio-
Rhett inarcò un sopracciglio, sorpreso. Bas sorrise lentamente. Aveva capito la strategia dell'altro e, per il momento, l'avrebbe assecondato. Da ciò che aveva potuto notare, Montague ancora sottovalutava il loro capo, nonostante il tiro mancino che gli aveva tirato e questo, a suo avviso, era sintomo di mancanza di perspicacia. Dote essenziale, a suo avviso, per un Auror. Se all'inizio Rhett Montague gli era parso un compagno di lavoro congeniale, ora non ne era più così certo.



Tra Stoccolma e Belvedere House
Aveva la sensazione che i suoi colleghi cercassero di liberarsi di lui, in caso contrario, non gli avrebbero certo affidato di controllare l'unica vittima "speciale" non britannica. Nonostante avesse studiato il fascicolo di Miss Nesbø prima di partire per Stoccolma, Rhett si sentì in dovere di dargli un'ultima occhiata, prima di incontrare la sua controparte svedese. Non credeva che le autorità locali avessero grandi rivelazioni in serbo per lui e così fu. Avrebbe dovuto condurre una sua indagine non autorizzata in terra straniera. Non si sentiva così vivo dall'ultima volta che si era portato a letto la moglie di Roscoe, non tanto per mero desiderio della donna, quanto in sfregio del fratello. Quell'incarico gli avrebbe portato enormi soddisfazioni, se avesse giocato bene le proprie carte.

La sua prima mossa sarebbe stata, sicuramente, quella di controllare le finanze della donna. Gli risultava che prima della truffa, la sua fosse una situazione stabile, e che non avesse grandi spese da sostenere, a parte un esoso conto alla Stockholm Magikal Kliniken. Gli parve poi curioso che, oltre al conto alla filiale della Gringott locale, Miss Nesbø ne avesse aperto uno, successivamente chiuso dopo la truffa, in una banca babbana. In definitiva, niente di sospetto e niente che potesse allettare un delinquente. Sì, sembrava proprio che l'unica sfortuna di Else Nesbø, o come aveva cominciato a chiamarla tra sé, la cara Elsie, fosse stata quella di aver ereditato una grossa somma. Eredità che, date le circostanze, non poteva neppure appurare. Per quanto gli fosse dato sapere, la cara Elsie avrebbe potuto benissimo essere una truffatrice a sua volta.


-Se dobbiamo portare avanti questa stronzata, propongo che cominci lei- esplose Olimpia, indicando la bionda davanti a sé. Essere costretta a firmare un accordo ridicolo era un affronto gravissimo, che Esu avrebbe pagato con l'imbarazzo. Tutti si erano accorti della ritrosia e degli strani scatti della loro compagna di sventura, ma nessuno di loro si sarebbe mai sognato di fare commenti a riguardo. Non erano fatti loro dopotutto. In più, Olimpia si sentiva particolarmente offesa dalla mancanza di cura personale dell'altra. Non c'era da stupirsi che avrebbe cercato di fargliela pagare e allo stesso tempo punzecchiarla, in modo tipicamente Serpeverde.
Esu cercò freneticamente l'appoggio di Kai e Marcus, che scrollarono le spalle con indifferenza. Non voleva essere lei a cominciare. Aveva bisogno di un certo lasso di tempo per riordinare i propri pensieri e radunare il coraggio necessario a parlarne. D'altra parte, però, guardando nervosamente i suoi compagni, sapeva che loro avevano vissuto un'esperienza spaventosamente simile alla sua e che probabilmente sarebbero stati gli unici a poterla capire fino in fondo.

La proposta di Olimpia l'aveva messa profondamente a disagio, Marcus se ne accorse subito. Esu faceva certamente parte di quel tipo di persone incapaci di pensare a sé stesse con razionalità e perciò provavano enorme disagio nell'esporsi. Normalmente, avrebbe registrato quell'informazione per poi usarla a proprio vantaggio. Peccato che nella sua vita non ci fosse più nulla di normale. Perciò fece una cosa che non solo sorprese Esu e fece alzare più di un sopracciglio, ma che gli risultò tanto strana da portarlo a credere di non essere stato lui a farlo: prese una delle mani screpolate e fredde dell'altra tra le sue e la strinse per qualche secondo. Si riscosse velocemente e, imbarazzato, si affrettò ad andare a prendere un'altra bottiglia. Ce ne sarebbe stato bisogno.   
 
                                                                                                                     ***
Devo cominciare dall'inizio. Se mi limitassi solo alla truffa, la mia storia risulterebbe inutile. Come una bacchetta ben levigata, ma senza nucleo magico all'interno. Sarebbe solo un bell'oggetto da collezione e nulla più.

Ma sarò breve, non ho alcuna intenzione di tediarvi più del necessario.

La mia infanzia si può riassumere in una locuzione: "sensi di colpa". Il loro peso mi ha schiacciata e non mi ha permesso di vivere una vita allegra e spensierata. Perché non sono stata una figlia desiderata, ma solo frutto del caso. Non sono stata una gioia per i miei genitori, ma un peso. Capite, non potevano più svolgere il loro lavoro come un tempo, almeno finché non sarei stata abbastanza autonoma da poter essere lasciata sola. Forse è stata questa la loro punizione, alla fine.

La scuola ha cercato di mettere una pezza ad una situazione già burrascosa, in più, non si poteva certo dire che fossi una studentessa brillante. Ero irrequieta, però. E ciò mi permise di circondarmi di ogni sorta di teppisti o scapestrati; ragazze e ragazzi, in particolar modo ragazzi, incuranti del proprio destino e delle regole, spesso troppo annoiati o feriti per comportarsi diversamente. Non sono stata espulsa e sono riuscita a sopravvivere. Con ogni probabilità, tutto ciò non sarebbe accaduto senza l'intervento di Adele.


Chi è Adele? Il mio angelo custode, oserei dire. L'unico punto fermo della mia esistenza.


Rhett uscì dall'appartamento della donna, o almeno quello che un tempo lo era. Dopo il disastro finanziario, non c'era da stupirsi se Elsie avesse optato per una sistemazione più economica. Non che l'affitto di quel bilocale in periferia non lo fosse, ma parlando con il proprietario, Rhett si era fatto una certa idea. Sembrava che l'uomo non si fidasse abbastanza della sua inquilina o del compagno della sua inquilina e aveva usato ogni mezzo, nei limiti della legalità, per poterla cacciare. Alla fine, alzare la pigione lo aveva ripagato. Non era stata una visita del tutto inutile, però: aveva scoperto che Elsie aveva una sorta di fidanzato, un mezzo delinquente, a quanto pareva ed il nome dell'ultima persona che aveva pagato la mensilità: Adele Lindgren.

-Ho intenzione di andare a vivere da sola, papà- disse Cloe. La reazione di Marcus Montague si rivelò essere tremendamente simile a quella che aveva avuto alcuni anni prima, a seguito dello stesso annuncio da parte sua e, in seguito, a quello ben più grave, almeno dal punto di vista del capofamiglia: il figlio prediletto, la luce dei suoi occhi, non aveva alcuna intenzione di donare alla famiglia un erede. Anzi. Per un certo periodo di tempo, si era addirittura divertito a lasciar credere al vecchio di avere preferenze "altre". Come aveva previsto, Roscoe, quella noiosa piaga che si ritrovava come gemello, gli aveva rimproverato aspramente quel tiro mancino, mentre Cloe, che lo idolatrava, da brava adolescente ribelle, rideva con lui delle preoccupazioni dei genitori, in parte ammirata ed invidiosa, consapevole che l'asticella delle possibili provocazioni da sottoporre ai genitori si era alzata ulteriormente. Solo la sottile manipolazione di Reuben, che aveva giocato sul suo amor proprio, l'aveva convinto a dire la verità al padre. Niente e nessuno avrebbe mai potuto rubare la sua libertà e quello sarebbe successo, se si fosse sposato. Il suo lussuoso appartamento, infatti, a differenza della casa colonica di Reuben e della villa di Roscoe, non si sarebbe mai riempito di grida, pianti e risate infantili. Fin dalla più tenera giovinezza, Rhett non riusciva a vedere se stesso come ad un bravo casalingo.


La vita da adulta non faceva per me. Non riuscivo a trovare nulla che mi soddisfasse, sembrava quasi che io fossi destinata ad un enorme vuoto cosmico. Ciondolavo tra un lavoro precario all'altro, in attesa di una rivelazione. Ed in un certo senso è arrivata. Come un calcio ben piazzato o uno "Stupeficium" troppo vigoroso. I miei genitori non sarebbero più stati gli stessi. Qualcosa li aveva attaccati, portandoli al coma.

Tutte le mie certezze di sono erose, non avevo più nulla di stabile. Ho capito in quel momento quanto l'idea stessa di mamma e papà fosse importante per me, non mi importavano più gli abbracci mancati e i regali sbagliati, frutto del loro disinteresse. Se prima avevo ancora la speranza di poter diventare parte di loro, un giorno, questa mi era stata tolta. "Sono sola al mondo, questa volta per davvero", continuavo a pensare ossessivamente.

Tutta la mia eredità, compresa la casa, è diventata funzionale ai loro bisogni. O meglio, a pagare la clinica che si occupava di loro. Anche per questo voglio trovare quei bastardi: per non sconvolgere la loro attuale pace.


Controllare la clinica si rivelò una seccatura facilmente superabile grazie al suo innato fascino. Infatti, bastò sedurre una delle infermiere, per sua fortuna estremamente loquace, soprattutto dopo aver consumato un rapporto più che soddisfacente, a suo dire. Scoprì così che la generosa somma di denaro che Elsie versava regolarmente serviva alla cura e degenza dei genitori, Niklas e Ylva Nesbø, rinomati magizoologi colpiti da una misteriosa malattia. Sembrava che non ci fosse nessun altro oltre Elsie, anzi Esu, come le piaceva essere chiamata, ad occuparsi di loro.

-Siete cattivi, diabolici e ingrati. La vostra stupidità è superiore anche alla vostra testa dura!- ricordava ancora i rimproveri tremanti e le lacrime che minacciavano di scendere copiose sul viso di sua madre quando i suoi genitori vennero immediatamente convocati ad Hogwarts. Non si era trattato di un banale litigio, questa volta. Si trattava di una rissa pura e semplice: feroce, ferina e senza esclusione di colpi. Inevitabile.

Era nella loro natura, troppo dicotomica, così netta e alla ricerca ossessiva di un annullamento reciproco. A poco sarebbero serviti i rimproveri e l'affetto dei genitori; che nessuno di loro avrebbe mai giuticato imparziale, anche se Marcus non avesse mostrato una netta preferenza nei confronti di Rhett, che incarnava il suo ideale di maschio purosangue.  A nulla servivano i fratelli che a modo loro facevano da cuscinetto e contraltare a quell'eterna disputa.

Rivalità che, nel corso del tempo, si era diversificata. Roscoe si era adoperato per portare via al fratello tutto il prestigio familiare e, nel contempo, trovare il suo posto nel mondo prendendo quello di Rhett. Da parte sua, Rhett aveva preferito ritagliarsi la sua tela perfetta, che nessuno avrebbe mai potuto cambiare.



Folke si è rivelato la mia salvezza. Ricordate quando parlavo di bacchette? Beh, non è stato un esempio casuale, è quello che faccio, si potrebbe dire la mia vocazione. Amo sentire il legno delle bacchette tra le dita, capire come questo si debba sposare al nucleo e poi scolpirlo, seguendo nervi e screpolature naturali, finché la bacchetta stessa non mi sussurra che è tutto perfetto. Amo ogni aspetto del mio lavoro. Amo la segatura, la ruvidezza del legno e la cura maniacale che serve per ottenere il risultato che cerco.


Dopo una pausa ristoratrice, che gli servì non solo per fare il punto della situazione, che gli sembrava ancora alquanto nebulosa, Rhett decise di scoprire di più sul lavoro di Elsie. Nel rapporto che era arrivato al Minsitero della Magia inglese, gli accenni all'attività di Elsie erano sporadici e poco approfonditi. Al contrario, Jan Gustafsson, l'enorme vichingo che l'aveva accolto, si era rivelato riservato e utile al contempo. Non solo non sembrava intenzionato a nascondere informazioni, ma sembrava quasi indifferente alla sua inchiesta. Come se per l'Auror locale il caso fosse già bell'e archiviato. Si era aspettato di essere sommerso da ipotesi e teorie folli, invece, l'unico ambito che sembrava aver scalfito lo svedese era stata la cattiva pubblicità che la bottega di Folke ne aveva ricavato e che probabilmente non avrebbe potuto evitare in futuro. Secondo Jan, il buon artigiano non meritava altre grane, soprattutto non dopo l'inchiesta a cui era stato sottoposto. Infatti, dopo aver scoperto che Folke era un rinomato fabbricante di bacchette famoso in tutta la Scandinavia, praticamente una sorta di Ollivander dell'aspro Nord, era stato messo al corrente di alcune voci prima e di un paio di denunce poi che riguardavano il fabbricante di bacchette. Sembrava che, per ragioni ignote ancora da appurare, alcune delle bacchette vendute da Folke si ribellassero al proprietario, spesso provocando dei danni ingenti. La summa di tutte quelle chiacchiere gli venne chiarita quando, finalmente, Jan si prese la briga di informarlo che la donna su cui aveva chiesto di vedere il fascicolo, era stata prima apprendista e poi collega dell'artigiano.

La bottega di Folke era piccola ed ombrosa, in un certo senso, gli ricordava molto il negozio di Ollivander. Per una strana traslazione, entrare in quella bottega gli fece rivivere quei momenti di eccitazione e paura che aveva rappresentato l'acquisto della sua bacchetta. L'eccitazione correlata al fatto che, finalmente, agli occhi della società e dei genitori era grande abbastanza da poter padroneggiare la magia; la paura di non trovare la sua bacchetta, o peggio, scoprire che fosse stata tutta una sua fantasia, che in realtà lui non fosse un mago, ma un inutile magonò. Più o meno come nel negozio di Ollivander, anche qui, c'era qualcosa di inesprimibile nell'aria, un fremito che forse sarebbe passato inosservato a chi non fosse avvezzo a sporcarsi le mani, ma non a lui.

-Uff, fa veramente caldo, qui dentro. Non capisco come tu riesca a sopportarlo- Cloe l'aveva scovato, chissà come. Non ne era allarmato, in fondo, la sorella era una magigiornalista talentuosa. Fin dalla più tenera giovinezza si era scoperto affascinato da come alcuni oggetti prendevano vita, sotto le abili mani dei fabbri. Anzi, la prima cosa che aveva fatto, una volta entrato ad Hogwarts, era stata fondare e partecipare alle riunioni di un Club dedicato alla ceramica e alla creazione di oggetti in argilla. Non era stato particolarmente soddisfacente, ma era un inizio. Solo in seguito, dopo Hogwarts aveva cominciato ad interessarsi ai metalli e alla loro forgiatura. Gli sembrava di essere un piccolo demiurgo, con il potere di plasmare oggetti a suo piacimento. Era stata una passione folgorante, che rappresentava una parte importante della sua vita. Rifugiarsi nel suo scantinato, che aveva modificato appositamente e battere sul metallo incandescente fino a forgiare ninnoli o gioielli originali che avrebbe poi regalato alle sue conquiste o sparso per casa o ancora buttato via, era quasi terapeutico, per lui.
-Cosa vuoi?- Cloe era l'unica donna con cui non si sforzava minimamente di sembrare affascinante, forse perché con lei non aveva mai sentito il bisogno di fingere. La sua sorellina lo conosceva meglio di chiunque altro, forse meno di Roscoe, ma con la fondamentale differenza che lo capiva e accettava completamente.
-Capire perché non vuoi venire alla serata di Isobel. Prima che tu me lo dica: sì, so che è un evento noiosissimo, quasi una perdita di tempo, ma uscire un po' ti farà bene- azzardò la più giovane.
-Sto bene così- 
-La mamma ne sarebbe sollevata. Vive nel terrore che ti capiti qualcosa e saperti allegro e spensierato a bere e flirtare con le sue amiche, non le farebbe certo male. Anzi, fugherebbe per un attimo il sospetto che tu ti senta solo e abbandonato, non so come le sia balzata in mente una simile idea, tra parentesi- cinguettò, fintamente allegra. Cloe si guardò poi intorno, consapevole che il fratello non la stava ascoltando, non del tutto. Come al solito, la stanza era piuttosto disordinata, c'erano pezzi di metallo abbandonati ovunque, stampi e disegni sparpagliati su ogni superficie. Uno schizzo in particolare attirò l'occhio acuto della magigiornalista. Si trattava di un bracciale in ferro battuto, se aveva interpretato giustamente i simboli che ne indicavano fattura e tempo di lavorazione. Nonostante la pesantezza ed il costo risicato del materiale, dalla leggerezza delle linee sembrava molto più prezioso di quanto in realtà sarebbe mai stato. Aveva visto un oggetto simile appena il giorno prima, sul polso di Isobel. La moglie di Roscoe. Questo, finalmente, sembrava spiegare molte cose.
-Oh, Rhett. Proprio non riesci a stare lontano dai guai- mormorò tra sé, consapevole che qualsiasi suono si sarebbe perso nel martellio costante che, non capiva come, cullava suo fratello.


Proprio il mio amore per la bottega di Folke, unita ad una serie di circostanze fortuite, mi ha portata al disastro. Mia madre è di origini babbane. Sì, sono una mezzosangue e la maggior parte dei parenti della linea materna non li ho mai neppure sentiti nominare. Per questo, quando sono stata informata da un notaio babbano che sarei entrata in possesso di una cifra favolosa, almeno per i miei standard, non sapevo cosa pensare. Ero confusa, ma questo non giustifica nulla. Insomma, passo gran parte della mia esistenza nella più totale confusione. Ero spiazzata. Ero sopraffatta. Per questo, dopo giorni, se non settimane di angosce, mi sono rivolta all'unica persona nella mia vita di cui potessi fidarmi e che mi avrebbe aiutata a raggiungere il mio obbiettivo, per quanto nebuloso esso sembrasse: incrementare il denaro in modo tale che bastasse a rilevare la bottega di Folke e nello stesso tempo mettere da parte la somma necessaria ad avviare una sperimentazione che potesse aiutare i medimaghi a capire cosa fosse successo ai miei genitori. Non pretendevo una cura, quanto, piuttosto, una spiegazione.

Conosco Sonne da tutta la vita e per questo, a volte, descriverlo è difficile. Come voi, Sonne è di buona famiglia. Come buona parte, se non tutti i miei amici, è avventato, spensierato, affamato. Ed è meraviglioso. Riesce come nessun altro a fugare tutti i miei dubbi e le mie ansie. Per questo, è stato la prima persona a cui ho pensato di chiedere aiuto.

                                                                                                                        ***
Danae non aveva capito come Archer era riuscito ad entrare in possesso di tutte quelle informazioni e in così poco tempo. Non che lei fosse un'esperta in materia di cose babbane, ma non credeva fosse tutto così facile. Inoltre, si era chiesta perché avessero puntato proprio quella giovane donna e perché proprio del denaro che era a tutti gli effetti alieno al mondo che erano soliti combattere e minare. Le piaceva pensare che fossero una sorta di giustizieri, che frodassero quella fetta di popolazione ingorda e sporca che infettava la società magica come forma di protesta, anche se così non era. Adrienne gliel'aveva detto più e più volte, nel corso del tempo. A differenza di Archer, che aveva alimentato il suo idealismo e tutt'ora continuava a farlo, Adrienne si era impegnata ad ancorarla alla realtà. Era grata ad entrambi e sapeva che senza di loro la sua vita sarebbe stata molto più difficile. Sicuramente più difficile di impersonare Hanne Handersen, spigliata e affascinante esperta alle pubbliche relazioni e nuova ossessione amorosa del rampollo di casa Skogmann. E contemporaneamente Lise, il contatto di Kenny. In quel lavoro, aveva solo due compiti: influenzare Sonne quanto bastava per convincerlo che l'uomo per cui lavorava, Francis Mnadake, fosse degno di fiducia e distrarre la loro vittima il più possibile. Aveva quindi deciso di agire su più fronti: innanzitutto, indebolire la relazione di Else con quel piccolo criminale borioso e crearle qualche grattacapo riguardo certi piccoli, loschi e rischiosi affari che il giovane mago pretendeva di chiamare "lavoretti", poi avrebbe pian piano minato la sua autostima. Su quest'ultimo punto, non credeva ci fosse molto da fare, dato che Else stessa era la sua alleata migliore. Ma sbatterle in faccia la felicità di coppia di Sonne non avrebbe certo fatto male.

Pochi giorni dopo, con la falsa identità di Lise Funkel, contattò Kenny Haig, spacciatore e contrabbandiere che intratteneva con Else una sorta di relazione. Relazione che si potrebbe definire eufemisticamente tossica da entrambe le parti, a voler esser generosi. Lo convinse a procurarle degli specifici aggeggi babbani, che Archer aveva chiamato "personal computer" e due chili di funghi magici. Risultato: Kenny aveva derubato la fidanzata, ne era sociata una lite furiosa che aveva costretto l'intervento degli Auror. Kenny era stato trovato in possesso di sostanze illegali ed Else era stata interrogata e convocata più volte in tribunale.

Chi, sottoposto ad una simile pressione, si sarebbe curato delle manovre del proprio consulente finanziario? 



Sonne mi procurò, attraerso la mediazione della sua fidanzata, il contatto di un consulente finanziario. Se non mi fosse bastata la parola della ragazza, forse la testimonianza di una sua fedele cliente, la contessa Ushakova, che si trovava a Stoccolma come ospite del Primo Ministro e che avrei incontrato ad un evento benefico a cui Sonne mi avrebbe gentilmente invitata, sarebbe stata più convincente.  

Hanne era un memento costante di quello che non sarei mai stata: spigliata, divertente, civettuola e baldanzosa. Era la prova vivente che Sonne non avrebbe mai potuto amarmi, non nello stesso modo in cui lo amavo io. Con queste premesse, potete immaginare come sia andata la serata.

Else sembrava un pesce fuor d'acqua, Adrienne provava una profonda compassione per quella giovane donna. Infatti, nelle vesti di un'anziana nobildonna si prodigò per rendere meno evidenti l'imbarazzo e lo spaesamento dell'altra. Cercò, per quanto possibile, di distrarla e renderle meno penosa la presenza di Danae che stava svolgendo anche fin troppo bene il proprio compito, monopilizzando l'attenzione di Sonne. Adrienne poteva immaginare cosa passesse per la testa di Else: perché in fondo, lei ed Hanne erano fisicamente molto simili, forse Hanne era giusto più alta. Sonne le era totalmente precluso perché Else era così Else... Sì, quei pensieri le si leggevano sul viso stravolto. In un certo senso, la dinamica che Danae era riuscita a creare, quella sorta di triangolo spezzato, era molto più interessante della serata in sé. Per il ruolo che era stata costretta ad interpretare, era come relegata sullo sfondo, una semplice osservatrice, una complice convincente. Aveva palesato la propria antipatia verso Hanne, guadagnandosi l'attenzione e la complicità di Else. Infine, sfruttando tutte le proprie doti attoriali, aveva fatto capire alla ragazza di essere uscita da un periodo di crisi finanziaria solo grazie al "buon Francis". Era stato molto semplice e di questo doveva ringraziare Danae. Non era sicura di cosa avesse fatto in concreto per portare Else a quel punto, ma ne era impressionata. Forse tutta la preoccupazione che da sempre nutriva nei confronti della socia era eccessiva. Ma Adrienne non era esattamente il tipo di persona incapace di smettere di preoccuparsi: sapeva che quello che Danae stava facendo ad una persona fragile come Else le sarebbe pesato, forse non durante quel lavoro o quello dopo ancora. E sarebbe successo prima o poi.


Francis Mnadake comparve in un momento particolare della mia vita, si presentò come un salvatore, riuscendo a convincermi che, piano piano, tutto si sarebbe rimesso in sesto. Per delle faccende personali che non c'entrano nulla con quello che poi è successo, ho seguito molto marginalmente le manovre finanziarie che mi aveva proposto. Non ho saputo di aver perso tutti i miei soldi fino al momento in cui il folletto della Gringott non mi ha mostrato il loro registro. Solo pochi giorni prima Hanne aveva lasciato Sonne, perciò il suo tempismo mi ha convinto che fosse coinvolta con la sparizione dei miei soldi. E avevo ragione, perché Hanne è la donna nella fotografia della Gazzetta del Profeta.

                                                                                                                      ***

Nella stanza calò il silenzio. Esu aveva finito di raccontare la propria storia ed era in attesa. In attesa di cosa, ormai non lo sapeva neppure lei.
-Saresti in grado di descrivere questo Francis?- chiese Marcus, piano. E mentre la ragazza parlava, armato di pergamena, inchiostro e piuma, cercò di farne uno schizzo.
-Wow... è piuttosto somigliante- mormorò Esu, studiando attentamente il disegno. Aveva cercato di celare la propria sorpresa, ma non doveva esserle riuscito proprio bene, perché Marcus si riprese la pergamena borbottando, con la chiara intenzione di gettarla via.
-Aspetta- lo fermò Kai -Jane Doe al momento è l'unica traccia che abbiamo. Se non lavora da sola, magari riusciamo a trovarla tramite questo nuovo attore-
Con uno scatto, Marcus gettò il disegno sul tavolo.
-Ma lo conosco, è Dominick!- esclamò Olimpia, quando vi posò distrattamente lo sguardo.
 







Angolo dell'autrice: Ce l'abbiamo fatta! Dato il ritardo cosmico, ho cercato di stringere i tempi il più possibile, spero di non aver fatto errori o strafalcioni assurdi e che il tutto sia leggibile.
Spero che questo lunghissimo capitolo vi piaccia e che non sia troppo confuso, anzi, se avete consigli in questo senso, sono tutt'orecchi. Come sono pronta ad accogliere quasiasi teoria e/o suggerimento.
Per il prossimo capitolo vi chiedo di votare 2 OC: 1 Vendicatore (tra i 3 rimasti) e 1 Auror.
Alla prossima!  

        

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Oscurità ***


La “vacanza” di Rhett a Stoccolma era agli sgoccioli. E, finalmente, dopo un assurdo carteggio e corteggiamento che aveva portato la pazienza di Rhett al limite, quel pomeriggio avrebbe incontrato Adele Lindgren. Con l’orgoglio ferito dello stallone respinto, Rhett aveva intenzione di sedurre e abbandonare con un certo sprezzo la potenziale preda che aveva osato rendergli la vita difficile. Prima, però, doveva raggiungerla. Adele abitava in una tranquilla via della capitale, estremamente pulita e borghese. L’edificio era solido e moderno, la divisione degli appartamenti funzionale e pratica. Se l’aspetto della casa rispecchiava anche solo minimamente il carattere della proprietaria, gli avrebbe dato del filo da torcere.
-Ah, lei è l’Auror inglese. Si accomodi- commentò la donna, monocorde. L’aspetto di Adele Lindgren era totalmente differente da come si fosse immaginato: non era la tipica svedese alta, bionda, sorridente e dal fisico perfetto; praticamente la descrizione superficiale di tutte le donne che aveva avuto il piacere di intrattenere in quella parentesi pagata dal Ministero. Adele aveva capelli di un rossiccio slavato, occhi scuri e il viso tondo puntellato di lentiggini. Non era molto alta, per gli standard teutonici, ma non la si poteva definire bassa. Come non la si poteva definire grassa, ma sicuramente non era né filiforme nè dal fisico scolpito. Non aveva nessun tratto interessante che potesse attrarre un dongiovanni impenitente come lui. -Le sono arrivati i miei messaggi, Miss Lindgren?- La donna annuì con indifferenza, cosa che fece infuriare Rhett. Sembrava che nessuno, in quel paese del cazzo prendesse sul serio il suo lavoro. -E quindi?- ribadì, spazientito.
-Quindi non capisco perché Esu le interessi tanto. È una donna sfortunata. Punto-
-E appaga il suo ego, tirarla fuori dai guai?- chiese, provocatorio.
-No, Auror Montague. È solo la mia migliore amica e, come i rapporti sociali a stampo paritario comportano, cerchiamo di aiutarci a vicenda-
-Anche se sembra che sia Miss Nesbø a beneficiare di questo “rapporto sociale paritario”?-
-Il punto cruciale è “sembra”, Auror Montague. Ha detto bene- lo freddò. Rhett si sentiva frustrato. Quella donna, che sulla carta sarebbe dovuta essere grata di ricevere attenzioni di ogni tipo da parte di un uomo come lui, sembrava invece decisa ad ignorarlo.
-Sa dove si trova ora Miss Nesbø?-
-Non dovrebbe saperlo, dato che è il suo lavoro?-
Rhett esibì un sorrisino di circostanza, decidendo di soprassedere su quella domanda impertinente.
-Ha avuto contatti recenti con Mister Haig?-
-Nessuno con un briciolo di autoconservazione vorrebbe avere dei contatti volontari con Kenneth Haig-
Quell’informazione poteva essere interessante. Adele stava forse insinuando che Else non ci stesse con la testa? Provò a porre altre domande, più o meno innocenti, ma dalla reazione della donna, Rhett era giunto alla conclusione che non avrebbe tratto altro.
-So che abita o ha abitato da lei, per un certo tempo. Posso esaminare le sue cose?-
-Prego. Anche se non troverà niente di particolare-
-Ah, e verrebbe a cena con me stasera?- La donna lo ignorò completamente, inconsapevole di aver risvegliato nell’Auror quel gusto della sfida che lo aveva convinto a scegliere proprio quella professione. Aveva ancora un paio di giorni da passare in Svezia e, che Merlino lo fulminasse, si sarebbe portato a letto Adele Lindgren prima di tornare a casa. Questa lo accompagnò in silenzio nella stanza degli ospiti, dove c’erano ancora molti degli effetti personali di Esu, lasciandolo solo. Come gli aveva anticipato, non c’era nulla che saltasse particolarmente all’occhio. C’erano vestiti spiegazzati, documenti incomprensibili in svedese, aggeggi metallici presumibilmente babbani e una quantità smisurata di album fotografici, che, in mezzo a tutto quel marasma, sembravano essere la cosa più ordinata nella stanza. E, in mezzo all’ordine maniacale delle fotografie, una pagina di pergamena in cui venivano elencati nomi ed indirizzi utili del Regno Unito magico. Tutto portava a credere che Else si trovasse in Inghilterra, presumibilmente a Londra.

 

 

-Chi sarebbe questo Dominick?- chiese Kai, interessato.
-Quello che credevo essere mio suocero- rispose Olimpia, blandamente. Sorseggiò il suo drink, acciambellandosi meglio sul divano su cui era seduta. -Bene, perché il nostro ospite non comincia a raccontarci qualcosa?- chiese, cambiando argomento, con civetteria crudele.
-Tutto quello che c’è da sapere l’ha già scritto la “Gazzetta del Profeta”- cercò di tagliare corto Marcus. Calò un silenzio colmo di disagio, spezzato pochi secondi dopo sempre da Olimpia, decisa a ricevere una risposta.
-Non vuoi darci la tua versione, co-marito?-
-Prego?-
-Io sarei piuttosto interessata a sapere come tu abbia incontrato mia moglie-
-Olimpia...- cercò di intervenire Kai.
-Statene fuori, voi! È un mio sacrosanto diritto!-      

 

 

Bas si aggirava per gli uffici con furia trattenuta. Non era riuscito a scoprire nulla di più sul suo “protetto”, Marcus Rosier. A niente era servito intrufolarsi nelle aree top secret, approfittando del suo status di Animagus non registrato. Non gli piaceva quella pulsazione che avvertiva alla base delle tempie, una sorta di battito regolare e tormentoso, a memento del proprio fallimento. Avrebbe preferito essere ovunque, tranne che al Ministero della Magia, sottosezione Auror. Invece, per sua sfortuna, era suo dovere essere lì. Dal messaggio sbrigativo e poco chiaro che Aarons gli aveva fatto pervenire, sembrava che Montague non avesse fatto chissà quali passi avanti, ma quei pochi si stavano rivelando di qualche interesse per l’indagine. Se possibile, la pulsazione aumentava, più ripensava a Montague: non riusciva a concepire che un cialtrone come lui avesse trovato delle informazioni rilevanti, quando lui, con le sue capacità e la sua motivazione, si era trovato in un’impasse tremenda. Strinse i denti, rallentando il passo. Doveva rimediare e alla svelta.
-Oh, eccoti!- esclamò Jessie, con il suo solito frustrante e nauseante entusiasmo. Come Dex, anche se non lo avrebbe mai saputo, condivideva una sorta di fastidio di fondo per quella sfumatura del carattere di Aarons. Ma, a differenza di Dex, riusciva a mascherare meglio l’esasperazione. E Bas aveva più di un generico senso di avversione verso la naturale tendenza di Jessie a trovare il buono ed il lato positivo di ogni cosa. Gli ricordava Cornelia e non poteva permettersi debolezze, non in quella fase delicata della sua vita.

 L’ossessione paterna per l’Europa e la cultura continentale era sempre stato uno dei perni delle discussioni dei suoi genitori. Rachel Zabini, cittadina inglese e strega Purosangue discendente di una famiglia particolarmente agiata, non riusciva davvero a capire il fascino che in suo marito, Pascal LeFevre, canadese che fino allo sbocciare della sua carriera da diplomatico non era mai uscito dai confini del suo paese se non per frequentare la scuola, esercitasse l’idea stessa di “cultura europea”. Per lei, che aveva avuto modo di viaggiare fin dalla più tenera età, non rappresentava chissà quale traguardo, anzi, dal suo punto di vista, un viaggio in Asia o in Africa, alla scoperta delle culture magiche più nascoste ed insidiose poteva essere uno sprone per il figlio turbolento. Magari, se fosse stato costretto a sfruttare tutte le sue doti, e Rachel era più che sicura che Baptiste ne avesse, si sarebbe dato una calmata. Non era servita a nulla la rigida disciplina e la blanda, ma costante supervisione di Rachel per prepararla alle continue lettere del Preside di Ilvermorny. Il ragazzino che aveva cresciuto, il bambino che aveva cercato di plasmare e contenere, recava ancora quelle tracce oscure ed inquietanti che tanto l’avevano spaventata. Più di una volta, era stata costretta ad implorare e corrompere il personale della scuola per evitargli l’espulsione; evento che grazie alla sua propensione alle risse e alla sistematica uccisione e tortura di Ricciocorni e piccoli mammiferi che Bas non si curava neppure di nascondere, sembrava più che mai prossimo. Era preoccupata Rachel e quella sorta di sesto senso che l’aveva guidata in tutta la sua carriera di Auror l’avvisava che da quel viaggio che Pascal aveva tanto insistito che il suo secondogenito facesse non sarebbe scaturito nulla di buono.

 A differenza di Margot, “la Principessina”, a suo avviso affetta da una patologica condiscendenza verso i desideri paterni e che non solo aveva insistito per frequentare Bauxbatons, tormentando la madre, ma si era pure imbarcata in una sorta di riscoperta delle tradizioni dei paesi dell’Europa centrale; Bas aveva iniziato e terminato la sua esperienza giovanile in Europa in Inghilterra, più precisamente in Cornovaglia. Inizialmente, si sarebbe dovuto limitare ad una breve settimana, ospite della residenza dello zio materno, però per qualche strana ragione, aveva deciso di cambiare i suoi piani. Una ragione con un nome ed un cognome: Cornelia Zabini. All’inizio, quella ragazzina così delicata e fragile, poco più giovane di lui, lo metteva a disagio. Chissà come, quella superiorità nei confronti del resto del mondo, che lo aveva portato a disprezzare e a guardare con alterigia il prossimo, non scalfiva minimamente Cornelia. Non solo la ragazza sembrava non accorgersene, ma più passava il tempo, più il suo atteggiamento nei confronti della cugina diventava sempre più una posa. Provava una strana attrazione, che non riusciva a spiegare razionalmente: certo, Cornelia era bella, di una bellezza quasi malata, mefitica; di sicuro non la tipica bellezza che lo attirava fin da quando aveva scoperto quella particolare scorciatoia per sfogare i suoi istinti. Scorciatoia che gli aveva permesso in più di un occasione di ricattare i suoi insegnanti, perlomeno con quelli con cui aveva intrapreso una consapevole, soddisfacente, quasi diabolica relazione sessuale. Grazie al suo intuito, unito ad una certa tendenza machiavellica, aveva trovato in quelle relazioni la compensazione ideale alla sua indole più crudele e sadica. Con Cornelia, niente di tutto questo sarebbe mai stato possibile. Una relazione carnale era esclusa, era troppo americano per poter anche solo concepire di scoparsi sua cugina. Per contro, Cornelia mitigava i suoi istinti peggiori ed era in grado di portarlo a credere che il suo disgusto per il mondo intero non fosse del tutto giustificato. Anche quando trovò il suo gatto in fin di vita e dopo aver intuito che Bas c’entrasse qualcosa, aveva cercato di scusarlo in ogni modo. Per quanto avesse cercato di ferirla, Cornelia gli avrebbe sempre riservato quella dolcezza e quella compassione che erano insite nel suo carattere. Era disarmante. Era la prima anima pura che aveva avuto il privilegio di incontrare.

 Anche per questo, voleva preservarla ad ogni costo. Si disse che era per quello che continuava la sua relazione con Kevin Teller. L’affascinante e giovane mago che gli aveva fatto girare la testa e che, per sua sfortuna, era il promesso sposo di Cornelia. I folti e ricciuti capelli scuri del giovane, che creavano un affascinante quanto strano contrasto con i suoi magnetici occhi verdi; il suo corpo scolpito, il viso finemente cesellato e la pelle bronzea erano come una droga per lui.
“Cornelia deve sapere con chi ha a che fare”, pensava, istintivamente facendo di tutto per mostrare al mondo quanto Teller lo affascinasse e quanto ascendente avesse su di lui. Ma questo sembrava non importare né a Cornelia, che ne sembrava del tutto ignara, nè allo zio Prometheus, deciso a mantenere la propria facciata ipocrita il più a lungo possibile. Importava però alla sua famiglia: nel giro di poco tempo, ricevette una selva di lettere irose dai suoi genitori e da Margot, ancora più ipocrita di loro zio, se possibile, data la situazione famigliare della stessa, intrappolata in un matrimonio d’interesse condito da un mare di tradimenti da ambo le parti. La sua storia con Teller era partita da un capriccio, ma si stava rivelando sempre più importante, tanto che, per la prima volta nella sua giovane vita pensava davvero di aver capito cosa fosse quello che tutti definivano “amore”. Come avrebbe potuto, la dolce ed innocente Cornelia comprendere a fondo la complessità del carattere di Kevin? Il suo fascino carismatico ed esuberante, la baldanzosità strisciante e pericolosa. E la ferocia. Soprattutto la sua ferocia, che sfociava in una carnalità istintiva e distruttiva. Come avrebbe potuto sopravvivere a tanto, Cornelia? No, solo lui era degno di Kevin Teller.

 

 

-Sapete cos’è successo: ho incontrato una giovane donna e l’ho sposata. Lei non solo mi ha derubato, ma mi ha pure distrutto la carriera- rispose Marcus, laconico. Non aveva alcuna intenzione di raccontare loro proprio tutto. Non solo non era nella sua natura, ma molte delle implicazioni avrebbero rivelato molto dei suoi rapporti famigliari e delle conseguenze che questi avevano avuto sulla sua vita privata.
-Mi sembra che, per quanto riguarda la tua carriera, ci avessi messo del tuo, derubando il Ministero e usando quello stesso denaro per corrompere maghi influenti nell’area mediorientale- interloquì Olimpia, fortemente polemica. Marcus strinse i denti, senza commentare oltre, anche perché era tutto vero. Ma nessuno avrebbe mai scoperto i suoi loschi maneggi, se Ellaria non l’avesse derubato e ricattato. Non avrebbe mai ammesso la sua colpa: aver sottovalutato la serità della situazione. Non aveva mai veramente creduto, non fino in fondo, che Ellaria se ne fosse andata davvero e avesse fatto quello che aveva fatto. Anche per questo, aveva denunciato la scomparsa della moglie e, pochi giorni dopo, era stato convocato al Ministero. Tecnicamente, stava scontando una pena piuttosto esigua, se comparata all’entità del suo crimine: revoca della bacchetta, divieto assoluto di uscire dal paese e arresti domiciliari. Pena che non aveva alcuna intenzione di scontare, almeno finché non avesse trovato Ellaria.

 

La preparazione a quel colpo era stata più lunga e impegnativa di quanto pensasse. Non bastava un’identità fittizia credibile, doveva essere anche accreditata, proprio perché l’uomo che avrebbero truffato era un politico in ascesa e c’era il rischio, certo calcolato, che il suo staff facesse un controllo approfondito su chiunque gli si avvicinasse. Anche per questo, nonostante Adrienne rappresentasse la scelta più ovvia per età, capacità ed istruzione Archer era stato costretto ad optare per Danae. Ellaria Segel esisteva davvero, era una ventiquattrenne timida, che viveva una vita tranquilla e, casualmente, apparteneva ad un ramo abbastanza defilato di una famiglia purosangue piuttosto influente nel suo paese. La nuova identità di Danae avrebbe sicuramente retto ad un esame preliminare e questo avrebbe garantito alla squadra un certo margine di tempo per organizzarsi, nel tentativo di prevenire qualsiasi imprevisto.
Al momento, l’unica cosa che stava rallentando l’operazione era la scarsa collaborazione di Danae stessa che sembrava trovare troppo noioso studiare la sua parte.
-Ecco qui, chérie, altri due nuovi libri per te: “Storia e cultura della magia mediorientale-l’influenza della diaspora degli ebrei nella cultura magica mondiale” e “Usi e costumi delle nazioni nuove: Israele, Australia, Nuova Zelanda e altre”. Non ti sembrano interessanti?- cinguettò Adrienne, nel tentativo di invogliare Danae almeno a sfogliare uno dei tomi rilegati in pelle.
-Pff, ancora? Non sono bastate tutte quelle poesie e le lezioni di etichetta dell’altro lavoro?-
-No, perché non stiamo parlando di interpretare una sciocca capricciosa con più soldi che cervello, ma di una giovane donna che sta cercando di scalare il successo in una società oppressiva e in una cultura diversa dalla nostra. Rosier non dovrà neanche minimamente sospettare di stare per sposare una metamorfa Nata babbana di Glasgow- la pazienza di Adrienne stava per esaurirsi: d’altra parte erano quasi due mesi che si stava impegnando per addestrare Danae per quel particolare lavoro. Archer non poteva escludere che Addie fosse un po’ gelosa della più giovane, ma non erano pensieri che si poteva permettere, non con l’arrivo imminente della delegazione da Tel Aviv.
-Quanto odio questa parte del lavoro-borbottò la più giovane, attirando a sé “Storia e cultura della magia mediorientale”. Archer non ricordava di aver mai incontrato un Corvonero meno propenso allo studio di Danae. In sua difesa, aveva un’intelligenza vivace, ma sembrava odiare la sola idea di aprire un libro, preferiva di gran lunga attività più creative e stimolanti.
-Ah, chérie, almeno tu non devi provvedere a procurarti rare e pericolose pozioni Invecchianti, eseguire complicati Incantesimi estetici e usare quelle odiosissime lenti babbane per alterare il colore degli occhi- in effetti, Adrienne avrebbe dovuto impersonare la madre di Danae/Ellaria e la parte le avrebbe richiesto un certo trasformismo ed impegno magico.
-Ma Addie non hai bisogno di usare pozioni Invecchianti per sembrare mia madre!- la canzonò Danae. Adrienne inorridì come se le avesse rivelato un segreto osceno.
-Che scherzo di cattivo gusto, chérie. O almeno spero sia uno scherzo, perché vedere rughe dove non ci sono è un sintomo preoccupante- borbottò Adrienne, riacquistando il proprio consueto aplomb.
-Signore non è il caso di perdere tempo. Abbiamo un lavoro complicato da fare-

 

 

Montague aveva davvero fatto una scoperta interessante, soprattutto se messa in relazione con quella che aveva fatto lui ancora agli inizi della sua parte d’indagine: Rosier sembrava svanito nel nulla, i due Auror addetti alla sua sorveglianza sembravano Confusi durante l’interrogatorio a cui li aveva sottoposti. Con ogni probabilità, Rosier e la Nesbø erano insieme e, forse, stavano complottando qualcosa, forse una vendetta. E non poteva certo biasimarli. Anche per Bas la giustizia aveva una sua soggettività, che non poteva essere compresa fino in fondo dalla gabbia convenzionale delle leggi magiche. Trovarli sembrava essere la priorità e la scelta più logica era cercare di comprendere a fondo Rosier, cioè quello che tra i due aveva una certa conoscenza del territorio. Perciò, era giunto alla conclusione che doveva scavare nel passato di Marcus Rosier, marito fregato e politico fallito accusato di frode e corruzione. Secondo tutti gli articoli che aveva visionato e i dossier censurati che gli erano stati forniti, entrambi i genitori di Rosier erano morti almeno un decennio prima. Conduceva una vita particolarmente ritirata, composta più di conoscenti che di amici. Marcus Rosier era un solitario, probabilmente paranoico, come tutti gli uomini influenti che aveva avuto modo di conoscere ed estremamente schivo. Bas sospettava che tutta quella riservatezza nella documentazione derivasse anche da un accordo precedente e vincolante, oltre che dal comprensibile imbarazzo del Ministero. Però c’era un barlume di speranza, in quella marea di carte che sembravano dire tutto, ma in realtà non dicevano nulla: nessuno si era preso la briga di controllare l’adolescenza di Marcus. Probabilmente non avrebbe portato a niente, ma sembrava un vuoto piuttosto intenzionale, come se volontariamente giornalisti e burocrati avessero omesso quelle informazioni.
“L’omertà delle famiglie Purosangue inglesi”, pensò sprezzante.


New York, Stati Uniti
L’esca per il loro bersaglio erano i biglietti di una mostra di giovani talenti dell’arte contemporanea con annessi corsi e seminari per gli interessati. Casualmente, Lancelot Selwyn e chi gli gravitava attorno, aveva ricevuto dei biglietti omaggio, il resto invece era stato venduto o offerto come moneta di scambio tra i piccoli criminali e truffatori del loro mondo; infatti, gli altri due artisti che esponevano con Adrienne erano un falsario del luogo ed un ricettatore con la passione per l’arte e avevano accettato di partecipare come contorno solo se avessero potuto condurre anche i loro traffici. Praticamente, metà dei presenti era composta da truffatori che si conoscevano e tacitamente rispettavano il proprio ruolo e l’altra dalle loro prede ignare. Adrienne, annoiata e nervosa, dopo ore spossanti in cui era stata costretta a sorridere ed inventare delle castronerie che avessero un che d’intellettuale, non vedeva l’ora di andarsene. E poteva farlo solo se avesse abbordato il loro uomo. Si guardò attorno, individuando subito il ragazzino di un’età imprecisata, probabilmente tra gli otto e i dieci anni che Archer le aveva preannunciato sarebbe stato il cardine del loro piano. Infatti, sembrava che Lancelot provasse un affetto incondizionato per quel bambino. Affetto che poteva essere usato come metodo di approccio. Il ragazzino fissava un quadro all’apparenza concentrato. Tutto quel circo era stato organizzato perché Anther, le sembrava si chiamasse così, aveva espresso il desiderio di visitare New York, la città dove il suo meraviglioso padrino abitava, e tutte le sue attrattive, soprattutto artistiche. Attraverso quei biglietti omaggio e una convenientissima offerta che combinava diverse Passaporte e un viaggio via camino, avevano attirato in città Giae, la migliore amica di Lancelot ed il figlio.
Adrienne si affiancò al bimbo, guardando critica uno dei suoi quadri peggiori: una chiazza di colore verde che cercava di sopraffarne un’altra, di un rosso vermiglio, senza riuscirci.
-Troppo rosso- sentenziò il ragazzino, compito.
-Forse hai ragione, piccolo- rispose lei, condiscendente. Anther, da parte sua, continuò supponente:-L’autore non è molto bravo, mi sembra. Le tracce di magia si vedono tanto, avrei potuto farlo anch’io- Adrienne si trattenne dal dargli una rispostaccia: che ne poteva sapere un bambino di arte?
“Calma, è solo un énfant.”
-Ah, sì? E come avresti fatto?- chiese, tentando di modulare la voce, per non sembrare troppo polemica. Non le piacevano i bambini e neppure gli adolescenti, tra l’altro; si sentiva a disagio in loro presenza. Anzi, non era nemmeno sicura di essere in grado di approcciarsi a loro nella maniera corretta. Il bambino cominciò a raccontarle, con un entusiasmo stancante, come avrebbe dipinto un quadro come quello. Era appena arrivato all’uso del rosso, che avrebbe smorzato con delle linee nere irregolari, quando Giae, imbarazzata accorse in suo aiuto, seguita dal suo uomo.
-Oh, mi dispiace signorina! Spero che non la stia disturbando, a volte Anther sa essere molto pressante- si scusò.
-Ma si figuri. Anzi, la sua visione è interessante. Ne prenderò nota in futuro- le sorrise.
-Aspetti... lei è Mona Reddick?- chiese Lacelot, interessato. I quadri di quella donna erano gli unici che gli avessero risvegliato un certo interesse, anche se non erano esattamente di suo gusto. Anther sgranò gli occhi e si illuminò, tutto in una volta.
-Sì. Lloyd è stato così gentile da esporre i miei lavori. È stato un sogno meraviglioso, per un’anonima insegnante d’arte come me-
-È un’insegnante? Davvero? Che combinazione, speravo di trovare qualcuno che potesse guidare Anth, mentre siamo qui. Sa, è molto interessato all’arte magica- Adrienne le fornì tutte le indicazioni necessarie per avvelersi delle sue competenze in forma privata.
-Sono veramente contento- pigolò il ragazzino -voglio tanto diventare un’artista bravissimo come quelli che hanno fatto i dipinti dei musei-  
-Sono certa che lo diventerai- disse mielosa Adrienne, salutandoli con un sorriso luminoso.
“Oui, soprattutto nei tuoi sogni piccolo mostro”

 

-Cosa vuoi sapere in particolare? Quanto tempo passavamo a letto? Molto, te l’assicuro-Marcus aveva ritrovato la sua consueta fredda e crudele compostezza. Proprio quell’atteggiamento e quelle provocazioni che avevano il potere di far infuriare Olimpia, al pari di un drappo rosso sventolato davanti ad un toro. La ragazza si alzò con uno scatto, pronta a saltargli addosso, cosa che avrebbe sicuramente fatto, se Kai non fosse intervenuto e l’avesse sbalzata fuori dalla sala, seguendola a ruota.
-Quindi? Qual è lo scopo di questa recita? Farti ammazzare?- gli domandò Esu, impassibile. Non che lo credesse realmente: nonostante l’apparenza era quasi certa che Olimpia non si sarebbe azzardata ad un’azione così estrema. Almeno non davanti a testimoni. Marcus non le rispose, preferendo tornare alla compagnia dell’alcool, che era diventato, nel giro di poche ore, il suo migliore amico.
-Senti- ritentò Esu, decisa ad ottenere almeno qualcosa, dal compagno -siamo tutti sulla stessa barca, ma soprattutto tu e Olimpia avete qualcosa in comune: siete stati fregati due volte. Dovreste collaborare, non azzuffarvi. E tu non dovresti provocarla. Non troppo.-
L’uomo sembrò riflettere a lungo sulla questione. Probabilmente, l’ansiosa biondina aveva ragione.
-Mi sono fidato completamente di lei. Le ho raccontato cose che non avevo mai detto a nessuno- cominciò, lentamente -cose anche peggiori di... quello che ho fatto-
-Non hai niente da rimproverarti, anzi. Se ami una persona ti affidi completamente- commentò l’altra, acciambellandosi sul tappeto, a pochi passi dalla poltrona su cui giaceva prostrato Rosier. “O è quello che si dovrebbe fare” aggiunse mentalmente. No, non era affatto la persona adatta per consolare Marcus. Sicuramente non lei, che aveva passato tutta la sua vita nascondendosi dalla persona che amava, nel terrore costante di essere respinta e che, proprio per quella sua mancanza di coraggio, l’aveva persa. Se fosse stata la persona adatta, forse, gli avrebbe detto che lo ammirava per essersi messo in gioco, anche se la conclusione era stata così tragica. Ma non lo era.

 

-Non capisco. Proprio non ci riesco- Danae camminava in tondo, nella stanza della loro base operativa. Teoricamente, non si sarebbero dovuti incontrare se non durante la truffa, ma il piano sembrava non procedere. E quello stallo imposto era dovuto alla ritrosia di Rosier.
-Non sono abbastanza... insomma... attraente?-
-Qual è il problema, Dany?- Archer non aveva alcun bisogno di chiederlo, Danae era talmente agitata e confusa che leggere la sua mente era facile come guardare uno di quei film babbani, una volta capito il meccanismo.
-Lui non... maledizione... non ci prova neanche!- sbottò, arrossendo. Nella sua esperienza, erano pochi gli uomini che non avevano mai tentato di approcciarsi a lei in quel modo. Era più facile quando poteva vedere i loro bersagli come degli esseri disgustosi e squallidi, come si rivelavano quasi sempre.
-Dagli tempo, chérie. Non tutti gli uomini sono così... disinvolti? Si può dire così?- intervenne Adrienne.
-Addie ha ragione. Ma non metterci troppo, però- borbottò Archer, uscendo dalla stanza, a disagio. Nonostante il suo rapporto con Danae, almeno da parte sua, non era poi così stretto, provava un certo imbarazzo nel venire a conoscenza di certi dettagli. Meglio lasciare che se ne occupasse Adrienne.

 

-Così non va Marcus. E lo sai- Stava rischiando e lo sapeva. Se Rosier l’avesse respinta, tutto sarebbe finito in fumo. Però il suo istinto, quella comprensione naturale di ciò che gli altri avevano bisogno le diceva che Rosier avrebbe fatto di tutto per tenerla al suo fianco.
-È colpa mia?- gli chiese allora. Marcus la guardò terrorizzato. Forse, finalmente, sarebbero arrivati al punto. Durante la prima lezione di Archer aveva appreso che le persone, una volta raggiunto un certo livello di intimità, erano estremamente vulnerabili. La cecità che derivava da un rapporto di questo tipo era l’essenza stessa del loro lavoro. Stava al truffatore, come il più sensibile degli artisti, trovare la giusta via. Finora, il sesso aveva sempre rappresentato il punto di arrivo. Di solito, dopo due o tre appuntamenti in cui la sensazione d’imbarazzo decresceva esponenzialmente, la preda veniva raggirata e confusa al punto da credere di essere onnipotente ed irresistibile. La sua finta vulnerabilità li spingeva ad aprirsi e a rilassarsi, facilitando l’inganno.

È tutta una questione di caccia, sempre.

 


-Non abbiamo mai... io ed Ellaria... noi...non...prima del matrimonio...- Marcus non riusciva a proseguire, paralizzato dall’imbarazzo. Esu si immobilizzò, quasi trattenendo il respiro. Non era certa di capire perché Rosier volesse condividere quell’informazione con lei.
-Io... non ci sono riuscito. Non... è difficile- si interruppe, espirando rumorosamente. -Mio padre è sempre stato il mio eroe. Tutte le mie scelte, dalla politica a ciò che mangio di solito, tutto, l’ho sempre fatto pensando “a papà questo farebbe piacere? Lo troverebbe appropriato?”-
Nonostante la confusione, Esu lo stava ascoltando con attenzione. Poteva capirlo, era un discorso che aveva già sentito prima, da tutti i suoi amici purosangue. Ciò che non le era chiaro, però, era cosa c’entrasse con il suo rapporto con Ellaria.
-Aveva una sua visione di uomo, sai. Forte, virile. Capace di far capitolare le donne ai piedi. E voleva che fossi così. E ci ho provato, fin da quando mi portò da una donna che mi avrebbe insegnato come fare. Ma io non ero capace. Lei non voleva deludere mio padre. Nessuno voleva delude mio padre. Così... anche se non riuscivo... volevo...-
“No” pensò Esu “non lo sto sentendo davvero. Non... non è giusto”
-Da allora non... con nessuna. L’ho raccontato ad Ellaria. E lei... beh, lei ha detto che andava tutto bene. Che non era colpa mia. Per la prima volta, non mi sono sentito sbagliato. Che c’era tempo. Lei è stata così... gentile, paziente. Ero davvero convinto che...-
Esu si alzò, esitante. Marcus aveva il volto girato, nel tentativo di non guardarla. Poteva capire perché fosse così restio a raccontare loro cos’era successo. Il tradimento di Ellaria era molto più profondo di quanto avessero anche solo potuto immaginare.
-Non è colpa tua- gli sussurrò, posandogli esitante una mano su una spalla.


Manchester, Inghilterra
Scoprire dell’esistenza di Atia è stato uno choc per Bas. Niente di quello che aveva saputo fino a quel momento faceva sospettare l’esistenza di un’altra Rosier. Non gli piaceva dove quell’indagine lo stava portando, sia a livello metaforico che a livello letterale: Manchester, soprattutto la parte babbana, era troppo caotica e fumosa per i suoi gusti. Le invenzioni babbane lo facevano diventare matto, era costretto a concentrarsi al massimo, per evitare di mettersi nei guai. Conosceva la sua natura, anche se Rachel, almeno finché aveva ritenuto necessario mantenere i contatti con lui, gli ripeteva costantemente che solo le persone che si mettevano costantemente in discussione sapevano conoscersi a fondo. Gli era sembrata un’emerita cazzata.

 Il cadavere di Keller appariva stranamente vivo, come se ci fosse più umanità in quel corpo senza vita che in tutta l’anima dell’estinto. Rachel non poteva credere che il figlio avesse fatto una cosa del genere. Certo, aveva sempre saputo del suo lato violento, che, combinato con la sua presunzione e intransigenza, soprattutto in ambito morale, avrebbero potuto causare dei guai.
“Ma anche lui è un assassino. Anche lui è cattivo, oscuro. Perché quei parametri non valgono allo stesso modo?” si era ritrovata a pensare. “È colpa mia? Sono stata io, con le mie pretese di giustizia e di bene superiore a renderlo così?”, si macerava. Rachel si era sentita in colpa per tutta la vita, senza ammetterlo però con sé stessa. Ora qualcosa doveva cambiare.
Nonostante sapesse che Keller era un poco di buono, con il solo obbiettivo di racimolare più soldi, possibilmente umiliando la sua famiglia, Rachel fece di tutto affinché Bas scontasse la sua pena, per quanto ridotta. Forse, un soggiorno ad Azkaban gli avrebbe giovato.


Belvedere House
Il giorno successivo, nel salotto di Belvedere House, le tensioni sembravano essere state temporaneamente accantonate. Olimpia si sforzava di ignorare Marcus, il quale rimaneva in disparte, silenzioso. Kai cercava di riportarli al loro obiettivo comune, ma sembrava che per i suoi compagni non rappresentasse più una priorità. Neppure Esu gli era d’aiuto: anche se fissava con intensità la “bacheca” di indizi, si notava chiaramente che aveva lo sguardo perso. Perciò, quando lo interruppe, la fissò stranito.
-Cos’è quello?-
-Cosa, tesoro?- le domandò Kai, seccato.
-Guardate, c’è una differenza enorme tra i due fogli e l’inchiostro. Come abbiamo fatto a non notarlo prima?- disse, come se ciò che aveva visto fosse ovvio. Esu teneva in mano due pergamene e le sventolava come se tutto il succo della loro indagine risiedesse lì.
-Pff, come se io avessi una vita così triste da notare carta e inchiostro- ironizzò Olimpia.
-Questo- disse sventolando uno dei biglietti di M arrivati a Kai -è più leggero e il tratto è meno marcato rispetto agli altri. Sembra quasi... ma non è possibile- borbottò, alla fine.
-Sembra quasi cosa?- la incalzò Olimpia, impaziente.
-Sembra scritto con marteriale babbano-

E si scatenò il putiferio.

 

Manchester, Inghilterra
Aveva passato parte della giornata pedinando Atia Williams: una noia mortale. La mattina, la donna aveva accompagnato la figlia all’asilo ed era andata presumibilmente al lavoro. Non era uscita dalla “Public Library” fino all’ora di pranzo, dove si era comprata uno di quei disgustosi panini in un chiosco poco lontano. Era rientrata nell’edificio per altre due ore, infine era andata a riprendere la bambina. Bas si stava talmente annoiando che, per ingannare il tempo, aveva deciso di mettersi alla prova con dei ritratti a memoria: prima disegnò Atia, traendone un ritratto piuttosto somigliante: aveva gli stessi colori di Marcus, ma tratti molto più lunghi e delicati. Poi passò a soggetti più remoti, prima Cornelia, poi Keller o almeno quello che ricordava dei due. Non vedeva Cornelia da anni, mentre l’ultima volta che aveva sfogliato il suo archivio era stato subito dopo la scarcerazione. Si era trattato di un periodo di stallo terribile, tanto che aveva quasi temuto di finire sotto un ponte. Magicamente, però, gli era stato assegnato un incarico, ovviamente supervisionato. A poco a poco, aveva riguadagnato la fiducia dei superiori, tanto che poteva tornare ad esercitare i suoi metodi meno ortodossi, che usava sempre prima di Keller.


-Sei un Auror ora, eh. Bene- borbottò Prometheus, palesemente stanco di ospitare quel nipote così strano.
-Oh, Bas! Sono così contenta per te!- esclamò Cornelia. La sua felicità, così genuina e sincera lo commossero per un istante, prima di smorzarlo con un’osservazione tagliente, che Cornelia incassò con garbo ed un sorriso triste. Il campanello della tenuta degli Zabini suonò, stemperando gli animi.
-Sarà Kevin. Aveva accennato che sarebbe passato per salutare Cornelia-

Il mago che l’elfo domestico introdusse, con sommo orrore di Bas, era il ragazzo con cui si era intrattenuto per tutta la settimana. Lo aveva conosciuto in una discoteca magica, durante una delle sue spedizioni alla ricerca di sesso facile e veloce. E Kevin Teller era stato quello, per i primi due giorni. Ma c’era qualcosa, in lui, che aveva spinto Bas ad approfondire la conoscenza. Scoprire che Teller avrebbe sposato Cornelia, rappresentava uno sgarbo ed un’ingiustizia nei suoi confronti, che doveva assolutamente correggere: Cornelia non poteva avere l’unico ragazzo che aveva attirato la sua curiosità, così come Teller non poteva avere l’unica ragazza che era stata in grado di rischiarare la sua anima oscura.                     

 

Avevano passato il resto della giornata e le due successive a cercare di accordarsi sulla mossa successiva: le implicazioni della scoperta di Esu erano troppe per prendere una decisione con leggerezza. Si erano creati due schieramenti contrapposti e una sorta di “sottoschieramento”. Esu e Marcus premevano per seguire solo quella pista, mentre Kai e Olimpia erano convinti che ci fosse uno schema ulteriore, che avrebbe permesso loro di individuare la prossima vittima e con essa le loro prede. Dopo estenuanti ore di discussioni, dove ciclicamente venivano riproposte le stesse cose; erano giunti ad un compromesso: ognuno dei due schieramenti avrebbe portato avanti la propria indagine, mantenendo i contatti con l’altra parte per far sì che le decisioni importanti potessero essere discusse da tutti. A questo punto, erano già sorte delle divergenze all’interno delle due coppie: Marcus, che non aveva alcuna intenzione di perdere più tempo del necessario nel mondo babbano, con l’appoggio di Kai, aveva proposto un’indagine veloce con l’utilizzo della magia; piano a cui Esu si era opposta con fermezza, non volendo attirare né l’attenzione del Ministero nè quella dei babbani. Olimpia si era dichiarata favorevole all’approccio di Esu, probabilmente più per dispetto che per vera convinzione. Dal lato opposto, Olimpia aveva proposto di avvalersi di un aiuto esterno o di utilizzare tutti i loro contatti e conoscenze per stilare una sorta di elenco di potenziali polli da spennare. Kai si era subito detto contrario più o meno per la stessa motivazione di Esu: non aveva alcuna intenzione di attirare l’attenzione del Ministero. Marcus, che inaspettatamente aveva preso le parti di Olimpia, credeva che fosse possibile sfruttare gli Auror per i loro scopi.

Ad interrompere la discussione, ci pensò la comparsa improvvisa di una bocca nel camino, che Marcus aveva assicurato inattivo da anni. Una voce femminile aveva lasciato un breve messaggio, prima di sparire. “Auror in arrivo, non so in che guaio ti sia cacciato, Marcus, ma sai che ci sono. Scappa.” Più o meno nello stesso momento, un trillo lacerò l’aria; Esu estrasse un apparecchio, forse metallico, quadrato e grigio, pigiò su dei tasti invisibili, dato che l’oggetto sembrava liscio quanto uno specchio ed esclamò: -Gli Auror mi stanno cercando e sanno anche dove sono. Merda!-





Angolo dell’Autrice: eccomi riemersa con un nuovo capitolo, che spero vi piaccia. Non ho sfruttato proprio tutte tutte le informazioni che avrei potuto dare, ma mi riservo di inserirle più avanti, eh eh. Inoltre, spero davvero di aver reso giustizia a tutti gli OC e alle tematiche a loro vicine (leggerissime eh, quasi impalpabili oserei dire)
Grazie ancora per l’interesse che (ancora) dimostrate, non immaginavo davvero una cosa del genere, oltre a non aver ben capito appieno quanto un’interattiva sia impegnativa, oltre che stimolante. Non so come ringraziarvi, a parte garantirvi che la storia avrà una conclusione (e si spera, riuscire a rispondere alle vostre recensioni in tempi umani. O rispondere e basta, a questo punto).

Ora, più che chiedervi una scelta fra OC, che non ci sarà: essendo la creatrice di Kai scomparsa, questo non sarà approfondito più del necessario. Questo vorrà dire che i personaggi principali del prossimo capitolo saranno Olimpia e Jessie? Sì e no. Quello che vi chiedo è un feedback riguardo alla storia e su come vorreste che proseguisse. Nello specifico, vi chiedo di rispondere a poche domande: quale delle linee narrative preferite (Auror, truffatori o truffati)? Vi interesserebbe un approfondimento sul passato di Archer, Danae ed Adrienne? Nel prossimo capitolo, preferireste un capitolo “canonico”, in cui si alterna trama e background degli OC o in questo caso vorreste un capitolo che si concentra più sulla truffa attuale (Adrienne/Lancelot)? Insomma, fatemi sapere. Preferibilmente tramite mp, ma non disprezzo una risposta “pubblica”, per così dire.

 Alla prossima!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Colpe e potere ***


Olimpia era come paralizzata. Non l’aveva neppure sfiorata l’idea di stare facendo qualcosa di illegale o sbagliato. E, in effetti, l’unico che stava infrangendo la legge era solo Rosier. Eppure. Eppure la sola idea di avere a che fare con veri Auror la terrorizzava. Fissava come intontita quello che le succedeva intorno: Esu che spiegava a Kai, con parole semplici e una veloce dimostrazione, come usare l’aggeggio babbano che aveva in tasca e come caricarne la batteria, qualsiasi cosa fosse, tramite la magia. Rosier che radunava tutto ciò che riteneva sarebbe stato loro utile nel mondo babbano, oltre a duplicare il materiale che avevano a disposizione. Non si sentiva sé stessa.

 -Non ti sembra di essere stata troppo dura con quella ragazzina, Olly?- le chiese James, spaparanzato su uno dei divanetti, pouf e cuscini che la Stanza delle Necessità aveva fatto comparire appositamente per l’indolente Corvonero, probabilmente l’unico amico che poteva considerare tale in tutta la scuola. Il loro era stato un rapporto decisamente tormentato, ma reale. Non come tutte le smancerie che riceveva dalla maggior parte dei suoi compagni di casa, spesso esasperanti.
-Tu che ne pensi?- chiese, anche se non aveva proprio voglia di sentire la risposta. Sapeva che Jenny Ault rappresentava un punto debole per l’amico: aveva “salvato” la piccola Grifondoro fin dal suo primo giorno, senza una ragione apparente, se non “come puoi anche solo pensare di farle del male, Olly? È così piccola e morbida... indifesa”. E in effetti era così: dall’espressione angelica al sorriso perenne, passando per i lineamenti esotici, Jenny era irresistibile. La maggior parte dei ragazzi la corteggiava spudoratamente, la maggior parte delle ragazze la detestava. Poi c’era lei, che cercava in tutti i modi di umiliarla, principalmente per il suo sangue babbano, passando poi dai testi di seconda mano e dalla divisa troppo grande.
-L’hai sfidata a duello solo perché ti è venuta addosso, Olly- cercava di farla ragionare. Non c’era verso. Jenny aveva qualcosa che la disturbava e niente le avrebbe fatto cambiare idea.

 -Ecco, hai visto?? Siamo in punizione per un mese e forse anche di più, mentre Jenny è quasi morta... ha rischiato di finire molto male... sai che ti voglio bene, Olly, ma certe volte mi fai paura- borbottò James, al suo fianco. Erano diretti verso l’Ufficio di Gazza. Se non fosse intervenuto il padre di Olimpia, sicuro come l’amore per l’oro dei folletti, sarebbero stati espulsi. Lo scontro sembrava un normale duello, niente di trascendentale. Dopo uno scambio di Incantesimi non particolarmente duro, ma che aveva prostrato Jenny, com’era giusto, dato che la piccola Grifona era solo al quarto anno, mentre Olimpia e James erano studenti del sesto, la ragazza si era arresa. Ma non era bastato. Olimpia l’aveva attaccata duramente alle spalle, Jenny si era accasciata al suolo e sembrava non essere nella condizione di alzarsi. James aveva dato di matto, poi, tra insulti ed imprecazioni, aveva raccolto il piccolo corpo di Jenny e l’aveva portata in infermeria. Madama Chips aveva subito allertato i direttori delle Case e la Preside, che aveva promesso pesanti provvedimenti. Che non erano stati presi. Perché la famiglia Rowle era in grado di far accadere qualsiasi cosa. Era quella la vera magia: il solo intervento del padre di Olimpia poteva cambiare in meglio o in peggio la sua vita e quella degli altri. E non esitava a farlo. Olly desiderava ardentemente avere un simile potere, un giorno.

 
La scoperta di LeFevre aveva finalmente portato ad una svolta nelle indagini. Jessie ne era orgoglioso e felice. Era certo che i suoi compagni avessero le capacità necessarie a svolgere un lavoro eccezionale. Per questo, ancora, non si sentiva a suo agio all’idea di essere il loro capo. Come non si era sentito a suo agio nel coordinare ed organizzare l’irruzione nella villa dei Rosier, o meglio, della villa appartenente ad Atia Willias. Aveva trovato curioso che Rosier e forse anche gli altri truffati su cui stavano indagando si trovassero lì. Non fosse stato per un cavillo legale, ovvero che quello specifico terreno era stato donato dallo stesso Marcus alla sorella, date le tempistiche, probabilmente per la nascita della figlia della stessa; Belvedere House sarebbe finita come tutti i beni dell’uomo: venduta ed il ricavato sarebbe finito in mano dei truffatori. Come i suoi colleghi, anche Jessie sentiva il brivido della caccia, quella sensazione quasi fisica, quella certezza animale che il centro di quella parte della loro indagine si trovasse lì. Ma, a differenza dei suoi colleghi, era una sensazione che doveva reprimere, specialmente in quella parte del mese. Nonostante avesse cominciato in anticipo ad assumere la pozione, sembrava che questa, specie quando il suo lavoro diventava così intenso, non facesse più effetto. E Jessie avrebbe fatto tutto ciò che fosse stato in suo potere, per evitarne le conseguenze, qualora questa avesse realmente smesso di funzionare.

 
Il panico non l’aveva ancora liberata dalle sue spire, quando Esu e Rosier se n’erano andati, smaterializzandosi in fretta appena varcata la soglia della grande casa. Olimpia non sapeva cosa fare. Si era sempre reputata una persona pratica e razionale, capace di affrontare le difficoltà con fredda meticolosità; eppure, in quel frangente si stava dimostrando inutile. E Kai non aiutava. Il ragazzo, vedendola persa e ciondolante, quasi il fantasma di sé stessa, aveva pensato bene di trovare il modo di spronarla. Però qualunque approccio tentasse non sembrava funzionare: aveva provato con gli insulti, a blandirla con dolcezza, a spiegarle ciò che andava fatto con parole semplici e misurate. Alla fine, le aveva persino consigliato di sedersi e di contare fino a mille, gli occhi chiusi ed il respiro regolare. Sapeva che stava cercando di farla rinsavire e gli era grata per questo, ma, paradossalmente, l’idea stessa di deludere Kai la paralizzava ancora di più.
“Si sentirà tutti i giorni così, Esu? Merlino che strazio.”
-Dobbiamo andarcene da qui- la voce di Kai ruppe l’instabile bolla di sicurezza nella quale si era momentaneamente rifugiata, rifiutando il pensiero del pericolo imminente. Giocherellò con la catena che portava sempre, l’indecisione che la rodeva e consumava. Rispetto ai loro compagni, che avevano un piano, a quanto sembrava, data la risolutezza con cui Rosier aveva letteralmente trascinato fuori Esu, lei e Kai non sapevano dove andare.
-Potremo cominciare con l’andare a Diagon Alley, poi si vedrà- riprese Kai, cercando di nascondere l’insicurezza. Non si aspettava che proprio Olimpia avesse una reazione del genere, davanti alla prima difficoltà.
“Olimpia, ti prego riprenditi. Ho bisogno di te” continuava a ripetersi il ragazzo, la disperazione che smussava la maschera di perfezione che era solito portare.
-No. C’è un posto migliore- Olimpia lo guardò, finalmente decisa. Era il momento migliore per utilizzare il suo nascondiglio segreto, un posto di cui neppure i suoi famigliari erano a conoscenza.
“James lo sa. Ma James non mi tradirà mai, ne sono sicura.”

 
-Aspetta cara, mi stai dicendo che hai quasi tentato di uccidere Jenny perché in realtà vuoi andare a letto con lei?-
James era sgomento. Tutto si era aspettato di sentire da Olimpia, tranne quello. Eppure, più ci pensava e più la cosa aveva senso: Olimpia era davvero così contorta ed era stato anche l’aspetto che li aveva avvicinati. Aveva passato i primi due anni a metterlo alla prova, perché non era da Olimpia Rowle concedersi il lusso di riporre la propria fiducia in qualcuno. E ce l’aveva fatta, dato che quello che gli stava confidando non era esattamente semplice da ammettere, specie per una ragazza di buona famiglia come lei. L’anno prima, messo alle strette ed esasperato fino allo sfinimento da velenose accuse e insulti solo perché aveva osato fare amicizia con una ragazzina nata babbana, lo stesso James aveva ammesso la propria omosessualità, prima di tutto con sé stesso, poi con quella personcina complicata ed intrattabile che era Olimpia.
-Sì- ammise -anzi, per quel che ne so potrei averlo anche fatto- aggiunse a mezza bocca, talmente piano da far dubitare a James di averlo sentito per davvero.

Era stato un impulso improvviso, quello che l’aveva portata a baciare Jenny. L’aveva incontrata nel bagno delle ragazze, dapprima aveva pensato bene di evitarla, ma non se l’era sentita, non dopo averla vista in lacrime appoggiata ad uno dei lavandini, nel tentativo di darsi un contegno. Era rimasta incantata dalla sua bellezza e dalla sua forza, desiderava ardentemente prenderla tra le braccia. Certo, aveva spesso provato l’impulso di abbracciare una sua amica, dopo una delusione di qualche tipo. Spesso si soffermava a guardare delle ragazze particolarmente attraenti. Trovava particolarmente affascinanti tutti quei piccoli movimenti e vezzi tipicamente femminili e spesso inconsapevoli, come sistemarsi una coda, il movimento delle labbra per spandere meglio il burrocacao oppure ancora, lisciare le pieghe di una gonna appena sedute. Ma quello era normale, no? Lo facevano tutte, no? Ma quello che Jenny le provocava non semprava normale, sembrava qualcosa di diverso. Qualcose che non le era mai capitato prima e sicuramente non con quella potenza. Quindi l’aveva fatto, alla fine. L’aveva baciata. E, inaspettatamente, Jenny l’aveva ricambiata.

 
Non era da Jessie farsi aspettare, ritardare una missione importante per i propri fini personali. Si sentiva in colpa, concetto che i suoi colleghi semplicemente non sembravano conoscere, ma che aveva sempre permeato buona parte della vita di Jessie Aarons e ancora la ammantava e avvolgeva, come una coperta leggera ed inconsistente, ma sempre presente, a tratti rassicurante. Nonostante tutto, però, non avrebbe cambiato una virgola della sua esistenza, per quanto dolorosa o tormentata potesse sembrare ad un occhio esterno.
“Beh, i miei colleghi si sono fatti gli affaracci loro più di una volta, cosa potrà mai succedere, se per una volta, sono io a farmi i miei?”
Era tornato a casa, soprattutto per accertarsi che Ally, la ragazza maganò che aveva ingaggiato come babysitter, fosse ancora tutta intera. Logan, il suo secondogenito, aveva sviluppato un’insana passione per gli insetti magici, creature non sempre facili da trattare e che aveva spinto la povera ragazza a minacciare di licenziarsi almeno tre volte a settimana. Non poteva biasimarla, molte di quelle creature le aborriva pure lui, ma sembrava non riuscire a rifiutare nulla al suo bambino, non ora che mancava così poco al suo primo anno ad Hogwarts. Dall’altra parte, però, non poteva permettersi di perdere Ally, non con sua madre perennemente in bolletta e che aveva meno tempo libero di lui, due figli da accudire, un incarico stressante e un piccolo problema cronico che non poteva permettersi di trascurare. Insomma, la sua vita era un casino e una buona parte di quei sensi di colpa vertevano sui suoi figli e sulla promessa che aveva fatto ad Olivia, prima che morisse.
“Ci sto provando, amore mio, ma è dura. Più dura di quanto credessi, non so se potrò andare avanti ancora per molto, da solo.”
-Papà, papà guarda, Bobby ha avuto altre acromantoline!- lo accolse il grido acuto di Logan. Prima ancora di correre ad abbracciarlo, lo informava che la coppia di ragnacci che gli aveva avventatamente comprato, non era più solo una coppia.
-Tesoro, ma non è ora di andare a dormire?- lo rimbrottò bonariamente Jessie. Erano da poco passate le nove, mentre l’irruzione a Belvedere House era prevista circa due ore dopo. Non poteva permettersi di tardare, non con Montague ancora in Svezia e senza rinforzi, dato che i fondi destinati alla loro indagine sarebbero stati dimezzati.
“Forse ho esagerato un po’ con Rowle.” Altro senso di colpa, perché non credeva si trattasse di una coincidenza che il taglio alle loro risorse fosse avvenuto giusto due giorni dopo il suo spiacevole colloquio con il padre di Olimpia Rowle.
“Problemi, problemi e ancora problemi. Ma sono a casa, per ora. Posso metterli da parte, almeno per un po’”  
-Come? Ah già- sospirò Logan, deluso, il faccino roseo oscurato da un broncio che non era stato in grado di trattenere. Logan sapeva che il suo papà si impegnava molto, che era un eroe e che era il papà migliore del mondo, ma a volte era difficile da mandare giù. Specie in momenti come quelli, quando avrebbe solo voluto passare più tempo con lui.
-Credi che Bobby si sia lavata i denti?- gli chiese Jessie, con noncuranza -sai, se l’ha fatto, forse potremmo giocare a gobbiglie per qualche minuto, prima che ti metta a letto-
Il cuore di Jessie scoppiò vedendo un sorriso rischiarare il volto del figlio. Sì, gli sarebbe mancato moltissimo, quando sarebbe partito per Hogwarts.

 
Lo strappo dato dalla Passaporta li aveva spossati, Kai piegato in due dalla nausea, Olimpia in preda alle vertigini. Era stata una decisione improvvisa, quella della ragazza. Forse fatale. Ma ora come ora, di chi si sarebbe potuta fidare, se non dei suoi compagni?

 -Mi piacciono le ragazze- aveva confessato, tutto d’un fiato. Non riusciva a guardare in faccia suo fratello, l’unico che potesse in qualche modo contrastare le ire paterne. Era stato difficile quanto necessario, dopo tutto quello che era successo ad Hogwarts, i due anni precedenti. Fortunatamente, la sua relazione con Jenny non era stata scoperta da nessuno, soprattutto perché la piccola Grifondoro, aiutata dallo scarso tatto con cui le aveva annunciato che non intendeva approfondire ulteriormente il loro rapporto, se n’era vergognata talmente tanto da cominciare una relazione con un suo compagno di casa, onde evitare qualsiasi fraintendimento. Probabilmente dirle che l’aveva solo usata per “sperimentare qualcosa di diverso dai soliti, noiosi Sanguesporco” aveva giocato a suo favore. Jenny era troppo orgogliosa per sopportare di essere stata presa in giro, tanto meglio per lei. Faceva ancora male, però. Un male necessario. Era una Rowle e non poteva permettersi di macchiare l’onore della sua famiglia, non così. Perciò ci aveva provato, ci aveva provato davvero. Fino a quando non aveva deciso di parlarne con Orion, perché sapeva che alla lunga non ce l’avrebbe fatta. La sola idea di sfiorare un uomo le faceva accapponare la pelle ed era quello che sarebbe capitato, se fosse stata zitta e buona, lasciandosi travolgere dal destino. Un destino sottoforma di un contratto matrimoniale, un futuro da incubo.
-Beh, abbiamo un problema- aveva risposto il fratello, dopo un attimo di silenzio. Olimpia si era sentita mancare, un vuoto orribile e terrificante le aveva afferrato il petto. Avrebbe potuto sopportare tutto, dalle battutine di cattivo gusto alle offese ben più pesanti, se avesse avuto Orion al suo fianco. E non l’avrebbe avuto.
-Non possono esserci due sciupafemmina, in famiglia, Olly, ti pare?-
Dopo un attimo di sconcerto, Olimpia gli si gettò tra le braccia, piangendo di gioia. Orion era dalla sua parte, Orion l’aveva accettata quindi sarebbe andato tutto bene. Poche settimane dopo, lei e James erano in partenza per gli Stati Uniti, dove, in pochissimo tempo Olimpia si era affermata all’interno della cerchia dell’elite magica come organizzatrice d’eventi. Dove avrebbe incontrato Constance.

 
La sua etica non gli avrebbe mai permesso di sottrarsi a quello che vedeva come un dovere inderogabile. E non farsi carico della sua parte dell’indagine avrebbe significato non fare il suo lavoro. Se da una parte il caso di Kai sembrava essere ad un punto morto, dall’altra il fascicolo dei Rowle sembrava una forma di formaggio svizzero, da quanto era piena di buchi. E il buco più grande era proprio il punto centrale: c’era stata una truffa, ma chi ne era stato vittima? Di certo non il patriarca e con ogni probabilità neppure i tre figli maschi, tutti ben inseriti nella società magica e apparentemente intoccabili. Riguardo alla figlia, però, c’era il vuoto. Il patrimonio famigliare era praticamente intonso, eppure Orion Rowle aveva riscattato molti favori e liquidato azioni e possedimenti, chiaro indice di guai, almeno per delle famiglie di quel rango. Aveva trovato singolare il modo in cui era spartito il denaro di famiglia: nonostante fosse Orion ad occuparsene, data la sua professione, nessuno dei figli sembrava possederlo veramente. Certo, avevano tutti le mani bucate, ma la maggior parte delle spese individuali cadeva sulla loro professione. Non c’erano dote o lasciti, neppure per i matrimoni. A Jessie era sembrato ingiusto e ai limiti della legalità, ma probabilmente l’utilizzo di quel sistema arcaico aveva salvato la famiglia dalla rovina. Per sua sfortuna, però, i Rowle erano e sarebbero rimasti inattaccabili e Jessie sospettava che senza il loro apporto non sarebbero andati da nessuna parte. Le prospettive erano nere. Ecco ciò che avevano al momento: un gruppo di truffatori a piede libero, alcuni tra i presunti truffati dispersi e irrintracciabili e nessuno disposto a condividere o quantomeno ad ammettere ciò che aveva subito. Non si era mai sentito così incapace e frustrato. Senza che potesse controllarlo, un ringhio gli fece tremare le labbra.
“Per Godric non adesso, ti prego”  

 
-Dove siamo?-
Kai si guardò attorno, affascinato. L’abitazione in cui erano arrivati era piccola ed elegante, calda e confortevole. Chiaramente di lusso, a giudicare dai mobili costosi.
“Olimpia ha un posto segreto, chi l’avrebbe mai detto.”
-È di un amico- mugugnò lei a mezza voce. Da come studiava l’arredamento e le pareti dello chalet, sembrava che Kai non fosse mai stato in un posto simile. Anzi, sembrava quasi ubrico e stordito allo stesso tempo. Come se il costo di quel luogo, tutto quel lusso, lo sopraffacesse. Avrebbe riconosciuto ovunque quel timore unito indissolubilmente all’eccitazione, Olimpia, perché l’aveva provato anche lei. Sapeva quanto poteva essere esaltante, anche se per motivi del tutto differenti.
“Eppure di sicuro non è così... insomma, è stato truffato anche lui, dev’essere stato per forza ricco.” Tentò di ricordare quale fosse stata la reazione del ragazzo quando si era recato nel maniero di famiglia, per quel loro primo incontro.
“Non sembrava... sì, sembrava tutto normale, no? E poi, casa nostra è molto più grande e sfarzosa rispetto ad altre tenute simili... sicuramente è molto più bella di quella di Rosier. Un po’ di sorpresa e ammirazione ci sta, no? Sempre che non fosse troppo eccessiva... e se lavorasse con loro? Ma allora perché? E poi, no, non può lavorare con loro... non sembra così... abile” Non avrebbe mai potuto metterci la mano sul fuoco, però. Il dubbio di aver commesso un errore, di essersi fidata della persona sbagliata le piombò addosso, contorcendole le viscere.
“No, tesoro. È tutto nella tua testa. Puoi fidarti di Kai. Siete parte della stessa squadra.”
Eppure... qualcosa le diceva che sarebbe stato meglio tenere la guardia alzata e, alla prima occasione, condividere i propri dubbi con Esu e quell’orribile Rosier. Sicuramente loro avrebbero saputo cosa fare.

 
L’assalto alla villa era andato male. Il posto era vuoto e, ad una rapida analisi, sembrava che le persone che erano all’interno si fossero smaterializzate non molto tempo prima. Come se fossero stati avvisati. Bas se n’era andato senza dire una parola, la rabbia repressa chiaramente visibile dalla contrattura delle spalle e dal viso tirato. Jessie rabbrividì, quasi compatendo Atia Williams, da cui LeFevre stava probabilmente tornando in cerca di risposte. E, a proposito di risposte, sembrava che quella casa ne avesse poche, da offrirne. Sospirò, rassegnato. Doveva richiamare Montague e compilare il rapporto dell’irruzione, lambiccandosi il cervello nel tentativo di giustificare quello spreco di tempo e soldi.
“Non ce la faremo mai. Abbiamo bisogno d’aiuto, anche se Montague e LeFevre non lo ammetteranno mai. E ne abbiamo bisogno soprattutto adesso, perché senza risultati concreti, non andremo da nessuna parte, visto che sono già decisi a tagliarci fuori. Forse è il caso di avvisare Dex. Sì, Dex saprà cosa fare.”

 
Olimpia si era stancata di discutere e, permeata da quella nuova diffidenza nei confronti di Kai, aveva deciso di agire per conto proprio. Aveva contattato James, dandogli appuntamento nei dintorni del paese ai piedi delle Alpi più vicino. Erano passati due giorni dalla loro fuga precipitosa e aveva bisogno di notizie dall’esterno. Possibilmente, qualcosa di diverso da ciò che i vari giornali e le riviste di gossip potevano raccontare. E James era esattamente la persona giusta. Ripensò con amarezza che un tempo sarebbe stata lei il centro della vita mondana magica. Dopo aver fatto coming out in modo subdolamente teatrale, James aveva sdoganato e in parte abbracciato lo stereotipo dell’amico gay affidabile, dolce e comprensivo. Una volta che aveva capito che il suo desiderio di vivere di musica non era realizzabile e non perché gli mancasse la determinazione necessaria, quanto perché era totalmente privo di un talento oggettivo, James aveva deciso di sfruttare le sue qualità migliori: pazienza, arguzia e la fiducia istintiva che gli altri, soprattutto le donne, sembravano riporre in lui. Era diventato una sorta di vaso di Pandora per quanto riguarda i pettegolezzi, i segreti e le manie della comunità magica mondiale e allo stesso tempo ne era diventato il risolutore. Olimpia non sapeva definire con esattezza il lavoro dell’amico, ma sapeva che era delle sue conoscenze che avevano bisogno.

 Dopo ore di chiacchiere inutili, in cui Olimpia aveva guidato la conversazione sulle notizie più scabrose del mondo magico, la sua attenzione era stata richiamata da due scandali in particolare: il primo riguardava Lacelot Selwyn, fotografo, che era stato denunciato da alcune modelle. Si ricordava di Selwyn, era stato coinvolto insieme ad Ermes in una certa faccenda, durante il penultimo anno ad Hogwarts del fratello. Olimpia non aveva mai saputo i particolari solo che ad Ermes non piaceva. Se non ricordava male, Selwyn era scapolo e molto ricco, malgrado l’abitudine di circondarsi di poveracci. Il secondo, era un classico caso di corna. Herman Szymankowski, un ricchissimo imprenditore polacco, era stato lasciato dalla moglie, una Yaxley particolarmente vendicativa perché beccato con l’amante. Niente di strano, se non che la Yaxley e la ragazza avevano cominciato a uscire insieme, presumibilmente come coppia, dopo il risarcimento milionario che la donna aveva ricevuto.
Sembrava, in entrambi i casi, proprio il modus operandi dei loro truffatori.  

James sapeva che Olimpia si trovava in guai seri. Lei non gli aveva detto nulla, anzi, la loro ultima conversazione seria risaliva ad un anno prima, quando Olly gli aveva confessato di essersi innamorata e che era decisa a sposarsi a qualunque costo. Un campanello d’allarme era risuonato nella sua mente, nel sentire quelle parole. La giovane donna che parlava in quel modo, così incurante della propria famiglia, così pronta a sballarsi e a fare festa ad ogni occasione, avventata e stupida non era la Olly che lui conosceva. C’era qualcosa che non andava e aveva ragione. Non conosceva i particolari, ma da Orion aveva saputo tutta la storia. Il suo principale-ombra, che casualmente era il fratello maggiore della sua migliore amica, lo aveva assunto anche per quello, non solo per le sue innate doti investigative. Orion sapeva che Olimpia gli avrebbe chiesto aiuto e gli aveva già dato istruzioni. James avrebbe obbedito, ovviamente. Non solo perché aveva imparato ad amare quello che faceva, ma perché si fidava di Orion Rowle: sapeva che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere la sua famiglia. E Olly era anche la sua.   

 
Rhett attraversò l’atrio del Ministero della Magia con passo sicuro, un sorriso apparentemente rilassato sul viso. In realtà, aveva ben poco di cui essere allegro. Non era riuscito nella sua campagna di conquista e incolpava Aarons del suo fallimento, dato che lo aveva richiamato in patria un po’ prima rispetto al previsto. Non che si fosse arreso, questo no, ovviamente. Anche se non si era unito alla disastrosa irruzione nella villa di Rosier, aveva carpito tramite sussurri e pettegolezzi che questo contrattempo non avrebbe comportato nulla di buono. Prima di partire per la Svezia, sarebbe stato più che felice di un fallimento di tale portata da parte di Aarons, perché pensava che gli avrebbe servito su un piatto d’argento la possibilità di mettere in risalto le proprie capacità. Però, durante tutte le ore vuote, che a casa avrebbe certamente occupato in altri modi, certo che il proprio nome avrebbe ovviato al problema rappresentato da burocrazia e liste d’attesa, aveva avuto modo di riflettere. Era arrivato alla conclusione che non poteva assolutamente continuare così. Avrebbe cambiato radicalmente il suo modo di vivere o almeno ci avrebbe provato. Il punto di partenza più ovvio era senz’altro il suo luogo di lavoro. L’epifania era giunta proprio grazie ad Adele: Jessie non rappresentava necessariamente un nemico da battere; con ogni probabilità, se lui avesse fallito, anche lui e LeFevre avrebbero condiviso la sua sorte. Pensare ad Adele lo fece ritornare all’unica cena che era riuscito ad ottenere, un appuntamento molto rigido, quasi formale (tipico di Adele) in cui si era sentito stranamente a proprio agio e libero di essere sé stesso, senza dover dimostrare nulla a nessuno. Era stato stranamente piacevole e anche se la serata non era terminata come era nelle sue intenzioni, ne era stato pienamente soddisfatto. Non vedeva l’ora di ricevere notizie da Adele, sapere come stava e come si sentiva; non vedeva l’ora di raccontarle tutto, di vantarsi, se l’indagine fosse finita bene o di farsi consolare da lei se si fosse rivelata un disastro completo. Fremeva dalla voglia di rivederla e non necessariamente per spassarsela.
“Mah, mi sto rammollendo, forse è l’età. Forse dovrei andare in pensione come quella carogna di Morgan.”

 Come se l’avesse evocato, lo spettro del vecchio lo accolse in ufficio. Non era esattamente una visione, Dex Morgan, in bermuda, camicia hawaiana, sandali e i capelli bianchi legati, a scoprire il viso mutilato. Stava berciando contro Jessie, reo di aver disturbato la sua vacanza da sogno, anche se, dal sollievo e dall’eccitazione che la sua voce raschiante e lontana lasciavano trapelare, non era certo una colpa così grave. Rhett si sedette composto, in silenzio, ascoltando i resoconti dei suoi colleghi. Sembrava che LeFevre avesse fatto fruttare al meglio la sua parte, soprattutto dopo l’irruzione. Jessie sembrava soddisfatto, anche se appariva estremamente provato e sbattuto, come se non avesse dormito per almeno tre notti di fila. Dex, invece, sembrava un predatore pronto a scattare sulla preda. Rhett scartabellò le proprie carte in silenzio, sfogliando le buste quasi distrattamente, finché l’occhio non si imbattè nella calligrafia regolare e quadrata di Adele. Il suo cuore prese a battere un po’ più forte. Mise da parte la lettera, cercando di concentrarsi sul proprio lavoro.
-Una volta che saremo riusciti ad identificare i nostri truffatori, dovremo pensare ad una trappola- stava dicendo Dex.
-Avevamo pensato a qualcosa del genere- intervenne Jessie -pensavamo di attirare i truffatori con la promessa di lauti guadagni e di arrestarli non appena avessero messo mano al denaro-
-Geniale, per fortuna che ho affidato il comando ad un piccolo prodigio della lotta al crimine- commentò Dex, acido -ovvio che è questo l’unico modo per prendere quei bastardi-
Jessie arrossì, ma non ribattè.
-Sono sicuro che uno di voi signorini, dopo un piccolo accorgimento alla storia personale, sarà perfetto per interpretare la parte del pollo. Dico bene, Romeo?- riprese Dex.
Nessuno rispose. Nel silenzio che seguì, Rhett finalmente capì che l’anziano ex-Auror intendeva indicare proprio lui. Borbottò un “sì” poco convinto, che fece aggrottare le sopracciglia di Morgan e sorgere un sorrisetto irritante sul viso di LeFevre.
-E come si incastrerà questo piano con la linea d’azione di LeFevre?- chiese Jessie, forse un po’ più duramente di quanto volesse. Montague e LeFevre gli lanciarono uno sguardo incuriosito.
-Finalmente Godric ci ha fatto la grazia di farti fare una domanda intelligente, Aarons- e, infervorato, Dex prese a sviluppare l’idea appena abbozzata, cercando di prevedere tutti gli imprevisti e le contromosse degli avversari.
-C’è ancora un problema, Dex- lo interruppe ad un certo punto Jessie, contrito -io potrei... insomma, Rowle ci ha tagliato i fondi-
L’anziano Auror tacque, accigliandosi. Si erano aspettati che l’uomo sbottasse in una delle sue famose sfuriate, ma quel silenzio sembrava quasi peggio.
-E allora, Aarons? Non mi pare che sia questo grande problema. Quindi...-
Prima che potesse continuare, una voce di donna, in lontananza, ma chiaramente minacciosa, lo interruppe.
-Cosa? Ma ti pare che abbia voglia tornare ad inseguire criminali, mio pasticcino alla crema?- lo sentirono dire, zuccheroso, rivolto a qualcuno che non potevano vedere.
-Mentirti? Ma come ti viene in mente mio... Signori, non so come vi sia venuto in mente di disturbarmi, ma che questa sia la prima e l’ultima volta- Dex non sembrava particolarmente convinto -Ecco, visto mio pudding? Niente di... Heed! Quella era la riproduzione di una Firebolt del ‘38, Tosca laida! Heed!-

 

Angolo dell’Autrice: Ci è voluto un bel po’ per finire questo capitolo, anzi, l’ho ricominciato e riscritto talmente tante volte che temevo di essermi trasformata in una sorta di Penelope, ma senza un motivo valido a farmi procrastinare. Comunque, eccomi qui, sana, salva e mezza liquefatta. Ma non sono qui per lamentami di questo caldo assassino e di quelle bestie di satana delle zanzare.
Vi avviso che il prossimo sarà un capitolo di transizione, in cui l’azione (cercherò di non perdermi via, lo prometto) avrà una parte preponderante. Da quello dopo, avevo intenzione di cominciare ad esplorare il passato dei nostri cari truffatori, se per voi va bene.
Alla prossima!

  

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Di mondi nuovi e attese ***


Le strade babbane gli davano il mal di testa, questo Marcus l’aveva imparato dopo appena cinque minuti. Erano sporche e rumorose, piene di persone perennemente di corsa. Ed erano stranamente grigie e colorate allo stesso tempo e si chiedeva come fosse possibile, dato che tutto, a parte i mostri di metallo e la gente, era immobile. O comunque meccanico, come le luci dell’insegna luminosa del locale notturno davanti al motel in cui lui ed Esu alloggiavano. Non gli piaceva il mondo babbano. Per niente. Al contrario, la sua compagna vi si trovava stranamente a proprio agio. Esu era meno nervosa immersa tra i babbani. Sembrava più sicura. Certo, aveva ancora l’irritante tendenza a preoccuparsi troppo, a fumare troppo, ma per il resto, si stava dimostrando una compagnia sopportabile. Inoltre, senza di lei era sicuro che non sarebbe sopravvissuto in quella bolgia.
 

Adrienne si stava controllando le unghie, annoiata. Stava aspettando che Selwyn arrivasse, puntuale come un orologio, al suo angolo preferito di Central Park. Era irritata. Archer, senza interpellarla, aveva messo in moto il piano di emergenza e questo non le andava affatto giù.
“Cosa crede, che non sia in grado di gestire questo dupe*?”
Quando, il pomeriggio precedente, Giae, che le si era aggrappata in modo pateticamente ossessivo, le aveva confidato di essere preoccupata per la salute di Lancel dopo tutte le voci che erano circolate sul suo conto, Adrienne aveva capito. In teoria, Danae si sarebbe dovuta occupare di Giae, tenendola il più lontano possibile dal loro bersaglio. Adrienne aveva avuto il sentore che qualcosa non stesse andando per il verso giusto quando aveva cominciato a ritrovarsi l’amica dell’uomo che avrebbe dovuto sedurre e quella piaga di suo figlio perennemente fra i piedi. Poi, di punto in bianco, Selwyn aveva cominciato ad allontanare tutti. Infine, con qualche sforzo, era riuscita a capire il perché: un gruppo di modelle, a detta sua delle complete sconosciute, lo aveva accusato di molestie. E lì Adrienne aveva capito.
“Ma se pensa che mi metta da parte, buona buona, non ha proprio capito niente”
 

Kai le stava mettendo i bastoni tra le ruote volutamente, Olimpia ne era certa, ormai. Da quando avevano delle piste, che aveva trovato lei, il ragazzo non aveva fatto altro che mettere in discussione tutto. Ogni sua idea, ogni sua inizitiva. Non gli era andata giù, la sua piccola, proficua, indagine personale. Kai pensava che l’intrusione di terzi in quella storia potesse portare solo guai: ma senza le capacità di James, dove credeva che sarebbero andati? Fino a prova contraria, nessuno dei due era in grado di ottenere un determinato tipo di informazioni.
“Non siamo dei supercriminali, per Merlino! Di sicuro, io non lo sono”
Così, passava le giornate ormai: in una eterna lotta con il suo compagno, tentando di capire come funzionasse l’apparecchio babbano di Esu, quando Kai dormiva. Era certa che Kai nascondesse qualcosa, un segreto peggiore di ognuno dei loro, e avrebbe fatto di tutto per scoprirlo. Per prima cosa, aveva perquisito le sue cose. Nessun risultato. Si era procurata del Veritaserum attraverso la sua elfa domestica, ma anche qui, aveva fallito: Kai doveva aver capito che qualcosa non andava, nel suo drink, così si era tenuto lontano da lei per almeno quarantotto ore. C’era riuscito, anche se l’impresa sembrava impossibile, in quello spazio così ristretto.
“Bisogna ammetterlo, sa il fatto suo. E poi, come poteva sapere del Veritaserum?”
 

Jessie aspettava angosciato e allo stesso tempo preoccupato nell’atrio del palazzo dei Rowle. Si trovava lì su invito (o forse ordine) di Orion Rowle. Inizialmente, non aveva alcuna intenzione di andare, ma i suoi due compagni lo avevano dissuaso. Solo in questo modo avrebbe potuto fare luce sul mistero di quella famiglia, aveva detto Bas. Non ha alcun senso inimicarseli più di quanto già non lo fossero, era stato il consiglio di Rhett. Suggerimenti che Aarons aveva prontamente accolto, nonostante il suo perenne ottimismo latitasse, in quel caso. Provava un senso di inquietudine e di rabbia che non riusciva a placare e che non aiutavano a tenere a bada il suo problema: benché la luna piena fosse, finalmente, passata; Jessie era più che consapevole che i suoi strascichi non scomparivano tanto presto, soprattutto se non aveva avuto modo di sfogare la bestia che era in lui. E non lo faceva da tempo, troppo tempo.
 
 
-Potresti spegnere quella, per cortesia?- Esu lo ignorò, come faceva da quando se n’erano andati da Belvedere House. All’inizio, Rosier l’aveva intimorita. La sua assurda pretesa di scomparire nel nulla e di sbucare all’improvviso nel mondo babbano le aveva messo addosso un’ansia feroce. Sotto di essa, però, con sua somma sorpresa, c’era eccitazione.
 
Aveva convinto Marcus ad accompagnarla al “Paiolo Magico” a prendere le sue valigie.
-Figuriamoci! Le avranno prese e venduto il contenuto. Sempre che ci fosse qualcosa da vendere- aveva aggiunto, dopo averla squadrata disgustato. Esu era arrossita, ma non aveva ceduto, anzi.
-In quelle valigie ci sono delle mappe babbane. E non solo di Londra... anche di altre città- era riuscita a mormorare. Un’esclamazione poco signorile, che normalmente non avrebbe sconvolto Esu, se non che questa proveniva proprio dalle labbra di Rosier, che non sembrava particolarmente propenso a dare del porco e del ladro a Merlino, le venne in risposta.
-E andiamo, allora!- sbottò, prendendola rudemente sottobraccio e smaterializzandosi piuttosto lontano dai pressi del locale, in una zona particolarmente insidiosa di Diagon Alley, piena di svincoli e vicoli ciechi. -Non posso credere che tu sia capace di incantare un coso babbano senza battere ciglio, mentre pare che tu non riesca a fare un semplicissimo incantesimo di riduzione... roba da matti!-
Come aveva predetto Rosier, la sua valigia era stata venduta al mercato delle pulci più vicino, Tom il locadiere, grazie alle premure minacciose del suo compagno, aveva dato loro l’indirizzo e assicurato che, se avessero fatto il suo nome, sarebbero riusciti a ricomprare le sacche ad un prezzo conveniente.
-Non ho intenzione di sborsare neppure uno zellino per le tue valigie- era stato il suo unico commento, soprattutto dopo aver scoperto che il “prezzo conveniente” superava i dieci galeoni.
-Beh, è l’occasione perfetta per farmi vedere come si fa un semplice incantesimo di riduzione- ribattè Esu, sarcastica. Rosier la fissò, preso in contropiede. Si guardò attorno: il negozietto era deserto e poco pulito, stipato fino all’orlo di mobili vecchi e scricchiolanti, scatole di cartone, bauli, chincaglierie e cianfrusaglie di seconda mano. Il negoziante, un mago enorme e grigio, sembrava essere l’unico deterrente per i furti.
-Tra un’ora. Prima è il caso di capire come poterlo fare senza ripercussioni-
La ragazza lo fissò ad occhi sgranati. Non avrebbe mai pensato che Marcus Rosier l’avrebbe presa sul serio.
-Cosa stai facendo?- gli domandò, incuriosita. Sembrava che Rosier stesse infilandosi nel polsino destro della camicia un oggettino di legno. Ancora, non le rispose. Uscirono. Non successe nulla.
  
 
Con una delle sue borse opportunamente ridotta nella tasca del giaccone, Esu si guardò intorno, estasiata. C’era voluto un po’ di tempo per arrivare al punto indicato dal poliziotto, ma ne era valsa la pena. Non poteva credere che una schiera di automobili potesse apparirle così meravigliosa ed imponente. Marcus le arrancò dietro, un po’ meno entusiasta, trascinando l’altra valigia di malagrazia.
-E adesso?- le chiese, assomigliando sempre più ad un anatroccolo che avesse perso di vista la sua mamma. Esu non poteva biasimarlo: la metropolitana poteva risultare un po’ indigesta a chi non è abituato a viaggiare sottoterra, su un mezzo trainato da una forza invisibile ed inspiegabile.
-Adesso devo pensarci un attimo-
-Cosa serve per noleggiare una tomobile?
-Automobile. Non saprei... soldi. Documenti. Credo-
-Non abbiamo né l’uno né l’altro-
-Fammici pensare-
-Imperiarli?-
-Sei impazzito? È illegale!-
-Ah, beh, perché quello che stiamo facendo è legalissimo- commentò.
-Ma sei sicura di saper usare una di quelle cose?- aggiunse Marcus poco dopo, con una punta di scetticismo nella voce.
-Sono o non sono io l’esperta, tra i due?-
-Se lo dici tu...-
 
-No, no, no. I babbani si insospettiranno se non vedono delle valigie. Devi farne tornare almeno una della grandezza normale- gli aveva spiegato concitatamente nel vicolo sul retro del Paiolo Magico, una volta entrati nel mondo babbano. Rosier la guardò con sospetto, mentre la sua ansia aveva cominciato a prendere il sopravvento, portandola a gesticolare vistosamente e a mordicchiarsi tutto il mordicchiabile.
-Sembriamo strani, siamo strani per loro, ma lo sembreremmo molto di più senza valigie- concluse, come se fosse ovvio.
-Adesso, mia cara, mi devi proprio spiegare come la presenza di un borsone possa farci passare inosservati. Voglio proprio sentirla-
-Tu quante volte sei stato nel mondo babbano? Nessuna? Allora si fa come dico io- disse, cercando di mostrarsi più sicura di quanto non si sentisse. Per strada, una volta convinto il riluttante Rosier a cederle il comando, aveva aperto la mappa della città, studiandola da cima a fondo, disperata. Le opzioni che avevano di fronte non erano certo rosee. Non avevano soldi babbani, o meglio, non ne avevano abbastanza. Lei aveva ancora qualche sterlina in tasca, mentre Marcus, ovviamente, ne era sprovvisto. Per raggiungere Manchester, avrebbero dovuto prendere almeno un treno. Che però non avrebbero potuto pagare.
“Maledetta Morgana, se non dovessimo preoccuparci della Traccia, sarebbe tutto più facile”. Solo dopo la smaterializzazione, Rosier si era premurato di avvisarla: essendo di fatto un criminale, ora che probabilmente gli Auror sapevano della sua fuga, sarebbe stato Tracciato. Aveva risolto il problema della bacchetta, anche se non aveva voluto dire come, così come non aveva voluto dire perché volesse recarsi proprio a Manchester, ma rimaneva quello della smaterializzazione. Nel mondo babbano, avrebbero fatto meglio a muoversi come babbani.
“E se noleggiassimo un’auto? No, pessima idea. Costerebbe quanto il treno, se non di più... però sarebbe più funzionale... insomma, una volta a Manchester, come ci muoveremmo? Ma non abbiamo soldi. Però, se ne rubassimo una...”, i pensieri di Esu erano senza capo né coda, antitetici e scollegati tra loro. Doveva prendere una decisione e doveva farlo da sola: Rosier si era riparato in un angolo, travolto dal rumore e dal trambusto di quel posto per lui così insolito. Non poteva fare affidamente su di lui.
Con passo deciso, si avvicinò al primo poliziotto che vide, mappa alla mano, facendo cenno a Marcus di seguirla. Calcando il suo accento straniero, in maniera talmente naturale che fece inarcare un sopracciglio al suo compagno, chiese all’agente le informazioni che le servivano. Pochi minuti dopo, stava guidando uno sconvolto Marcus oltre i tornelli della metro.

 
 

Angolo dell’Autrice: capitolo sudatissimo di transizione, avrei voluto inserire tutti, ma le disavventure di Esu e Marcus nel mondo babbano hanno avuto il sopravvento, scusate scusate scusate. Nel prossimo capitolo, una parte dei nostri eroi riuscirà, finalmente a raggiungere, se non riconoscere, i nostri bravi criminali. Quindi, la richiesta è una sola: di quale truffatore vorreste sapere di più?
 
Adrienne
Archer
       Danae        


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3824399