Friendship

di Mave
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ex migliore amico ***
Capitolo 2: *** Blackout ***
Capitolo 3: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 4: *** (In)cancellabile ***
Capitolo 5: *** Il terzo tempo ***
Capitolo 6: *** Living Will ***
Capitolo 7: *** La giornata perfetta ***
Capitolo 8: *** Aquilone ***
Capitolo 9: *** Adagio ***
Capitolo 10: *** Orizzonte ***



Capitolo 1
*** Ex migliore amico ***


Non è quel taglio, che pulsa e sanguina all’altezza del sopracciglio a fare più male. Quello che gli ha lacerato il cuore è lo sguardo smarrito che Colin gli ha rivolto dopo: i suoi occhi color perfezione privi di nulla, quasi come il colore della morte.

Era il suo migliore amico. Era il suo migliore amico perché lo voleva ovunque, perché non c’era luogo in cui non lo cercasse e dimensione in cui non attendesse, con impazienza, il suo arrivo.

Colin non fa più parte della vita di Bright da molto tempo prima di questa sera.

Eppure nei quattro mesi in cui era in coma, nei cinque successivi in cui non si ricordava di lui, gli è sempre mancato. Tanto.

Gli sono mancate le risate, le cazzate, quella voglia di sentirsi bambini anche se non lo sono più.

Stasera lo ha lasciato andare via. Per sempre.

La consapevolezza che la loro amicizia si è incrinata in modo indelebile si pianta nello stomaco di Bright, togliendogli il fiato.

Li dove mezz’ora addietro si è assestato il destro rabbioso di Colin.

Un pugno nello stomaco e un colpo al cuore . Bright ha incassato i cazzotti del suo ex migliore amico troppo sbalordito anche solo per pensare di reagire.

E quando l’altro si è allontanato barcollando, la verità finalmente gli è apparsa in tutta la sua nitidezza e crudeltà: Colin è ancora malato.


Alla cieca apre il freezer e trova una busta di surgelati arrivata stamattina dal supermercato. Il ghiaccio a contatto con il gonfiore gli dà un immediato sollievo e lo riscuote da quel torpore sordo nel quale è sprofondato durante il tragitto di ritorno dal Mama’s Joy verso casa.

“Bright?”

Amy si stropiccia gli occhi, avvolta da un velo di sonno. Si accorge immediatamente del volto tumefatto del fratello e, con una nota di apprensione e di premura, gli solleva il viso con le dita in modo da poterlo guardare negli occhi.

“Cos’hai combinato?”

Anche l’ingenuità di sua sorella, il suo aggrapparsi disperatamente ad un’illusione perché ormai non ha altre speranze, è un ulteriore fardello da sopportare per il giovane Abbott.

“Bright? Allora chi è stato a ridurti così?”

Continua a fissarlo e ad incalzarlo con decisione e allora accetta l’ingrato compito di essere lui il designato ad aprirle gli occhi.

Non può proteggerla, non questa volta.

“Colin! Colin!”


Bright ripete quel nome per due volte, come un bambino che continua a masticare senza inghiottire e come se volesse assaporare un ricordo ormai diventato una pietra d’inciampo nel loro presente.

È sufficiente tuttavia per dar vita nell’animo di Amy ad un profondo sconvolgimento, ad una catastrofe annunciata che presto travolgerà tutti loro.

Sa che è inutile negare la realtà ma lei è testarda e non vuole ancora rassegnarsi all’ovvio. Non vuole accettare che ci siano delle falle nel miracolo, nella storia perfetta che ha tanto faticato per ricostruire.

Una parte di lei però sa che Bright ha ragione.

“Non dire niente a papà! Diremo che sei scivolato sul ghiaccio…”

Al momento mentire, soprattutto a sé stessa, le sembra la soluzione migliore.

Bright è incredulo. Il suo tono di voce si abbassa mentre inveisce velocemente contro sua sorella: lui non vuole più essere complice di questa bugia.

“Hai capito chi mi ha ridotto in questo stato? Colin!”

“È il tuo migliore amico. Lui ha bisogno di te, di noi…”

“Il mio ex migliore amico. È finita Amy, io mi tiro fuori!”


Colin si siede di schianto sulla veranda fuori casa sua. È una notte buia e disperata e lui vorrebbe soltanto svegliarsi e scoprire che la sua vita, negli ultimi nove mesi è stata un brutto incubo.

È un fantasma nelle vite degli altri e non riesce più a sopportare di essere una copia sbiadita del ragazzo che tutti pretenderebbero che lui fosse.

Non può credere di aver preso a pugni Bright!

Lo sa: gli ha voluto bene come ad un fratello. Era un amico: il suo migliore amico!

Pallido come uno straccio, annientato da sintomi che si fanno ogni giorno sempre più pressanti e difficili da nascondere, cade in ginocchio sui ciottoli del vialetto.

“Non è più possibile!”

Una corrente fredda attraversa i suoi pensieri febbrili, dal sapore di resa, mentre lui resta così, immobile in quella posizione, con le lacrime che gli scivolano lungo le guance e si confondono con un’impercettibile acquerugiola che lava via le sue angosce.

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Capitolo 2
*** Blackout ***


“Bambino mio!”

Quella sensazione di impotenza è rimasta cucita addosso a Sharon come un vestito troppo stretto e la paura le ha impedito di respirare per alcuni secondi.

Non aveva ben chiaro cosa stesse accadendo quando è entrata in cucina, ma fin da subito ha saputo che era qualcosa di grave: la fine del loro mondo storto.

Le ha spezzato il cuore trovare Colin caduto a terra che continuava a contorcersi con smorfie orribili e la bava alla bocca.

Non si è lasciata prendere dal panico tuttavia e il suo spirito pratico ha avuto la meglio: si è inginocchiata accanto al figlio, che continuava a tremare con una violenza tale da farla piangere, gli ha slacciato la cintura perché respirasse meglio e ha fatto scivolare una gamba sotto di lui per attutire i colpi della testa.

Quando la crisi è passata, lo ha voltato su un fianco e gli è rimasta affianco cercando di rassicurarlo come meglio poteva.

Poi ha telefonato immediatamente al Dottor Brown.


È stato un dolore per il quale non esistono parole, una sofferenza senza nome che la mente si rifiuta di registrare.

“Vuoi parlare con me?”

La voce di Sharon trema quando trova la forza di interagire con lui, quasi cantilenando, mentre la mano continua ad accarezzare, con dolcezza e con fermezza, i capelli di Colin.

“No!”

Replica lui con voce strozzata. Per un’istante riesce a guardare sua madre: i suoi occhi esprimono una supplica inequivocabile.

La donna capisce e rimane come paralizzata.

“Non puoi chiedermi questo…Non puoi arrenderti!”


Per Colin è come essere sull’orlo di un precipizio e avere qualcuno, impalpabile e invisibile, che da dietro piano ma inesorabilmente, lo stia spingendo verso il vuoto.

È una sensazione terribile non sapere quando cadrai ma avere la certezza che succederà.

Il suo cervello è stato colpito da un blackout. L’ultimo baluardo della sua roccaforte di bugie è crollato come una piramide di fiammiferi.

Resta a fissare il soffitto, sdraiato sul divano, con sua madre accanto a lui in ginocchio.

Lentamente il respiro diventa meno affannoso e la fronte si spiana.

È pallido e appare esausto.

Sharon si china ad accarezzargli una guancia delicatamente, con timore.

“Va tutto bene.”

Gli sussurra cercando di sorridergli, ma non riesce ad impedirsi di piangere.

“Ora devi solo riposare!” Aggiunge, asciugandosi gli occhi.

“Lasciami da solo, per favore!”

Gli occhi di Colin sono due pozzi di amarezza senza fondo e Sharon non prova neppure a ribattere.

Rimasto da solo, il ragazzo compie il passo più coraggioso: ingoia l’orgoglio, afferra il cellulare e digita il secondo numero sulla rubrica.


La suoneria improvvisa del cellulare interrompe Bright nel bel mezzo delle pulizie extra a cui sta dedicando l’intero pomeriggio, chiuso in camera sua.

La sua intenzione era quella di sbarazzarsi di regali, bigliettini e cimeli vari ma ha tentennato quando ha ritrovato quella speciale scatola dei ricordi.

È il collage di un patto fraterno, foto di un’amicizia tradita, pezzetti di un passato remoto.

Anche la copia del Denver Post della settimana scorsa, quello con una tiratura straordinaria e la foto di sua sorella e del suo (ex) migliore amico in copertina, finirà al macero insieme ad un numero imprecisato di vecchie riviste sportive.

Afferra il cellulare soltanto al terzo squillo.

Esita un momento quando legge il nome sul display, si sente infantile e vorrebbe seppellire tutti i rancori ma alla fine la stizza ha la meglio.

Scaraventa il telefono sul morbido coprimaterasso e si allontana con le spalle alte.

Ha ottenuto una vendetta che lo appaga e lo svuota al tempo stesso.

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Capitolo 3
*** Punto di non ritorno ***


“No grazie, Dottor Brown!”

Con la stessa semplicità con cui rifiuterebbe un cioccolatino, Colin è ostinato nella sua decisione di negarsi anche quell’ultima possibilità di essere salvato.

A che scopo combattere una battaglia già persa?

Alla fine ha vinto quella bomba ad orologeria che gli pulsa in testa con cattiveria e lui è così stanco, impaurito e sfiduciato da accettare il suo destino di essere un miracolo a scadenza .

Stringe i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani e si morde le labbra fino a sentire il sapore del sangue ma non cede.

“Vi aspetto in auto!”

Si alza di scatto, con lo sguardo fiero e rabbioso, senza lasciarsi corrompere dalle flebili proteste del Dottor Brown o farsi intenerire dall’intensità sconvolgente del dolore dei suoi genitori.

Questo è il punto di non ritorno, quello in cui il futuro si allontana sempre più divenendo sfocato.


Pigramente, Everwood si sta svegliando dal lungo sonno invernale.

Dopo le ultime nevi del disgelo, si respira una fragranza umida, le nubi vagano dietro i monti e un tiepido e timido sole è l’unico segno di una primavera ancora troppo indecisa.

Con un sospiro, il respiro diventato cemento, Colin si appoggia al cofano della station-wagon di famiglia.

È l’ora dell’uscita delle scuole e, ad un tratto, lo stradone si popola di liceali che si scambiano segreti, fatti ed esperienze nel loro brusio allegro.

Bright, lo zaino gettato su una spalla, si ferma a mezzo metro da Colin.

Per un breve momento esita: sulla destra c’è il rustico edificio riabilitato dal Dottor Brown, sulla destra c’è il caratteristico e colorato studio medico di suo padre: praticamente una via di fuga.

Il ragazzo però non si muove e l’altro, avendolo notato, cerca di assumere una posizione dritta, dignitosa.

Adesso i due amici si fronteggiano, come due rette parallele che non si incontrano mai.


È Colin a cedere per primo, vinto dal suo corpo difettoso. All’improvviso la vista gli si offusca e, prima che riesca a ritrovare l’equilibrio, ci sono già le braccia solide di Bright pronte a sorreggerlo.

È un momento imbarazzante. Basterebbe poco ai due amici per aprirsi i loro cuori ma la paura, insieme all’insicurezza, li porta a mantenersi sulla difensiva e a perdere l’occasione di chiarirsi.

Sullo sfondo compaiono gli Hart, lo sguardo sperduto nel vuoto e l’espressione asciutta di chi, al contrario, vorrebbe soltanto abbandonarsi alla disperazione.

“Vattene a casa, Bright!”

È l’unica cosa che Colin può fare. Allontanare le persone a cui vuole bene, impedire che quella bomba ad orologeria , causi danni anche a loro.

A lui non resta altro da fare che sgranare i giorni come i grani di un rosario.

Vivere ore, giorni, settimane che non gli appartengono perché, comunque, sono preferibili al nulla.


Bright si stupisce di quanto stia diventando bravo nel fingere che vada tutto bene.

Con Amy non parla più da quasi una settimana. Però non lesina apprezzamenti sulle abilità in cucina di Rose per ingraziarsela e non risparmia frecciatine sulle cravatte di dubbio gusto con cui il Dottor Abbott esce di casa al mattino.

Le sue risate però spesso finiscono in un rantolo, una patina cupa gli offusca lo sguardo e un sentimento saturnino gli gela il cuore.

Poi quella sera qualcosa si smuove.

Amy rientra con gli occhi gonfi di pianto, logorata da quell’amore ad intermittenza che rischia di fulminarla, e riesce a confidare al suo fratellone che Colin l’ha mandata via.

È la goccia che fa traboccare il vaso.

Perché se è vero che fratello e sorella male si dicono e bene si vogliono , Bright Abbott non lascerà di certo impunito quel capriccioso ragazzo che continua a spezzare il cuore alla sua sorellina.


Non c’è altro che la memoria (a senso unico) a proteggere i ricordi di un’amicizia sulla quale è arrivato davvero il momento di porre la pietra tombale.

L’impulsivo Abbott si sente un po' ridicolo nel presentarsi a casa Hart con quello scatolone di cartone tra le braccia.

Lo lascia cadere a terra con un tonfo, proprio vicino ai piedi di Colin. Lui non fa una piega, anche se la tensione lo sta risucchiando dentro di sé come in un buco nero.

“Questo potevo anche perdonartelo…”

Esordisce allora Bright, indicando il livido violaceo sullo zigomo. Anche lui ha raggiunto un certo livello di frustrazione.

“Amy però lasciala fuori. Non merita di essere trattata così, dopo tutto quello che ha fatto per te.”

Ogni punto di attrito è amplificato dalla stanchezza di una situazione ingestibile e, alla fine, come un fiume in piena vomita fuori parole velenose dette al solo scopo di ferire Colin.

“Tu non la meriti. Tu non ci meriti!”

Colin non replica, mentre richiude la porta dietro a Bright permette soltanto che una lacrima gli rotoli lungo la guancia.

Ormai ha oltrepassato il punto oltre il quale è impossibile tornare indietro.

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Capitolo 4
*** (In)cancellabile ***


È lo sguardo concreto e realista di Amy a far vacillare l’orgoglio di Bright.

Quelle iridi, di solito cangianti come un’opale, diventate lucide sfere nere come la notte.

Appena ha colto un’esitazione, la ragazzina ha puntato i piedi decisa a parlargli con schiettezza.

“Colin sta peggiorando.”

Quelle parole lo trafiggono, lasciandolo ammutolito. Resta senza fiato, avvolgendosi il corpo con le braccia.

“Io resto!”

Il tono di Amy è così risoluto che suo fratello sembra leggermente colto di sorpresa. Ammira questa eroica giovane donna che, caparbiamente, difende la fragilità del suo vero amore.

Lo prende per mano e il calore della sua pelle lo calma più di qualsiasi parola.

“Vai da lui, Bright! Non restare troppo a lungo in questo spazio d’ombra tra l’affetto e il rancore!”


La storia miracolosa di Colin Hart sembra uno di quei mandala tibetani costruiti per poi essere distrutti.

Questa verità lo colpisce come una freccia avvelenata.

Dopo aver ostentato per giorni una forza che non ha, finalmente cede ad un pianto forte e rude, al culmine della disperazione.

È una crisi di pianto così convulsa che a Sharon si stringe il cuore quando lo trova accasciato sul pavimento del bagno, con lo stomaco sottosopra, i denti che gli battono rumorosamente e gli occhi arrossati.

Sua madre gli bagna i polsi e il viso con acqua fredda, poi preme la sua fronte contro quella di Colin.

“Sono stanco. Sono così stanco!”

Quelle parole mormorate sanno di resa incondizionata agli eventi. Con le ultime energie, si avvinghia al petto di Sharon con dita tremanti e si lascia guidare da lei, come uno sbandato senza meta.

Inghiottito da un vuoto spaventoso crolla sul letto e, con un certo sollievo, dopo poco si addormenta.


Si sveglia di soprassalto ed è subito attratto da quella sagoma nera che si insidia nella panoramica del suo sguardo obliquo.

È Bright che sfoggia un sorriso a metà. Tra torto e ragione.

Nonostante un tremendo mal di testa, Colin scatta in piedi in preda ad un moto d’orgoglio.

Ma è così fiaccato che deve lasciarsi scivolare a pochi centimetri, vicino alla scrivania, sostenendosi con la schiena alla parete.

“Cosa vuoi?”

Cerca di modulare un tono sprezzante ma la sua voce si è abbassata di qualche grado dopo il pianto prolungato.

Bright sembra aver ritrovato la sua spigliatezza e non si lascia intimorire. Con decisione si avvicina allo scatolone di ricordi, nel quale sembra che l’orologio si sia fermato alle ore felici della loro infanzia: gagliardetti di diverse squadre dell’NBA, matite smozzicate, un paio di Muppet dalla bocca grande e dagli occhi sporgenti…

“Rivoglio indietro la mia gomma-pane!”

Fruga nella chincaglieria, fino ad esibire con un sorriso trionfante quel pezzo da cancelleria a forma di spugna di mare, dall’espressione felice e di surreale entusiasmo.

Anche le labbra di Colin si piegano in un sorriso appena accennato.

“Te l’ho regalata in quarta elementare. Avevi fatto un compito che era un disastro e io ti passai le risposte corrette, sottobanco. Accludendo anche la gomma di SbongeBob, l’idolo di un bambino di otto anni!”

Serra le dita e si rialza in piedi, ingoiando il magone che ha in gola.

Sono frammenti che, messi insieme, permettono ad entrambi di ritrovare il sapore di quei giorni lontani.

“La rivoglio perché se è vero che occorrono dieci anni per imparare a scrivere bene, non basta una vita a cancellare un’amicizia come la nostra!”

Sono parole dette con il cuore, profonde e non banali, per un tipo di solito spiritoso come Bright. Adesso però è estremamente serio.

“Non volevo dirti tutte quelle brutte cose. Perdonami, Colin.”

Per un momento Colin sembra sul punto di cedere, poi la somma della disperazione e dell’incertezza che gli gravita intorno ha la meglio.

“È troppo tardi. Io non ho più niente. Niente da perdonare. Niente da perdere!”

Sono di fronte e, per un attimo infinito, è solo quello scatolone foriero di passato a dividerli finché Bright allunga la mano ad afferrare il polso dell’amico.

“Hai me. Hai noi!”

Colin arretra come se avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco, cercando una distanza di sicurezza.

Deve voltargli le spalle prima di pronunciare quelle parole che colpiscono come una coltellata alla schiena.

“Sto morendo, Bright!”

È come essere risucchiato in un buco nero e qualcosa, disormeggiato da una grande profondità, risale la gola di Bright in un fiotto aspro.

Non riesce a camuffare il suo terrore mentre la voce stanca di Colin scandisce quel crudele spelling.

“Sto. Morendo.”

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Capitolo 5
*** Il terzo tempo ***


“Non ci credo!”

Negare l’evidenza è un meccanismo di difesa ma Bright ha un tale tono risoluto e convinto che incrina, in maniera straziante, il cuore di Colin.

Non sa come gestire il netto rifiuto dell’amico nell’accettare la sua condanna ormai scritta.

“Io non ci credo che tu butti la spugna così facilmente!”

Immobile, a braccia conserte, con la sua posa da atleta il giovane Abbott sembra sicuro del fatto suo. Da ottimista qual è vuole cercare un appiglio, un’opportunità anche dove c’è soltanto pericolo concreto.

“Te lo ricordi quell’ Alley-oop nell’ultima partita della scorsa stagione?”

Una giocata spettacolare. Una buona coordinazione e affiatamento tra compagni.

Bright aveva lanciato la palla in una parabola alta verso il canestro, Colin era saltato a raccogliere e schiacciare .

Scuote la testa perché non ricorda.

Non ricorda lo slang della pallacanestro, frammenti di passato che non gli appartengono più, aneddoti incoerenti.

Bright però non si lascia scoraggiare.

“Vincemmo quella partita e il campionato grazie a quel tiro in corsa allo scadere. Due appoggi di piede, un salto e depositasti direttamente nel canestro per i Miners!”

Colin chiude gli occhi cercando di focalizzare le azioni di quella telecronaca accoratamente appassionata.

L’ultimo palleggio.

Lo stacco di piede sinistro.

Il salto finale.

Il tiro con la mano destra mentre la sinistra è lievemente sollevata a proteggersi dagli avversari.

Canestro !

“Il terzo tempo!”


Bright annuisce con un sorriso di sollievo quasi penoso e si lascia scivolare accanto all’amico.

“Quello che voglio dire è che non ti sei mai tirato indietro in campo, Colin. Non ti sei mai preoccupato troppo di un tiro importante perché, come diceva Michael Jordan, quando pensi alle conseguenze pensi sempre ad un risultato negativo!”

Dopo settimane passate in quel limbo di incertezze a Colin sembra di rifiatare ma basta riappropriarsi della consapevolezza della sua condizione perché venga risucchiato nell’abisso.

“Sono condannato. In ogni caso.”


Bright non crede alle favole e non è un ingenuo: capisce quanto la situazione sia disperata e proprio per questo niente potrà peggiorarla.

Deve riuscire a creare uno spiraglio di speranza anche se le ragioni per fallire sono infinite, anche se la paura del pericolo è molto più pericolosa del pericolo stesso.

Inaspettatamente è lo stesso Colin ad avallare una possibilità, per quanto remota sia.

“Potrei permettere che mi operino di nuovo. Le garanzie di successo però sono minime.”

Gli tremano le labbra. Come può spiegare la sua più grande paura?

Morire dentro mentre continua a vivere fuori .

“In questi ultimi cinque mesi ce l’ho messa davvero tutta per ricostruire, costruire daccapo, fare ordine in una vita che mi era sconosciuta. E quando ci ero quasi riuscito…Vengono a dirmi che c’è ancora un coagulo di sangue che renderà tutte quelle piccole conquiste inutili. A che è servito allora soffrire tanto, eh Bright?”

Le lacrime mettono a disagio perché sono difficili da consolare.

E lo scoraggiato Abbott non sa davvero come trattare questo Colin stanco, tormentato, spaventato. Costretto a fare una scelta che sconterà e che sconteranno per tutta la vita.

Si aggrappa disperatamente a quella microscopica possibilità tra infinite probabilità di insuccesso.

E se il miracolo accadesse davvero?


“In questo momento le statistiche ti servono come un lampione servirebbe ad un ubriaco, non per illuminare ma semplicemente per appoggiarsi!”

Cerca la mano di Colin e la stringe guardandolo ostinato: gli occhi spaventati dell’uno sono specchio di quelli dell’altro.

“Non arrenderti Colin. Rischi di farlo un momento prima che il miracolo si compia!”

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Capitolo 6
*** Living Will ***


“Cosa può promettermi?”

“Niente!”

Nella sincerità del Dottor Brown sono racchiuse, in realtà, mille possibilità una più spaventosa dell’altra.

Promesse che non si possono mantenere.

Fiabe apocrife.

Scambiare il nulla con la possibilità del tutto .

Il tutto, la vita, un nuovo miracolo dipende da quell’intervento chirurgico che è un gioco d’azzardo.

E Colin ha deciso di giocare.

Rischierà come un giocatore che ha in mano una carta rigata, segna tutti i punti, ma alla fine punta e perde come chi gioca senza calcolare niente.

O forse vince.

“Sono dentro!”

È la sua decisione definitiva. C’è solo un pericolo da scongiurare, una possibilità peggiore della morte stessa: restare in quello spazio di mezzo tra il nulla e il tutto .

Colin vuole delle certezze, vuole essere lui a decidere come affrontare le incognite di un futuro spaventosamente incerto e in bilico.

Si concede un lungo respiro davanti alla pagina bianca di Word e quando inizia a battere sulla tastiera con dita tremanti, paura, consapevolezza, fragilità e sicurezza danzano nel suo spirito ancora bambino.

Sta scrivendo le parole più importanti della sua vita.

Una lettera d’addio.

Un testamento.

Una volontà solo sua .


Quando arriva fuori dalla porta-finestra di casa Abbott avverte un senso di vuoto, come se le ultime ore avessero risucchiato ogni residuo di energia e fa ancora più male la scena che gli si dipana davanti.

Una normalissima scenetta familiare, la routine rassicurante di un nido solido e protettivo: due fratelli che hanno abbassato la guardia e apparecchiano insieme la tavola, punzecchiandosi come due adolescenti qualsiasi.

La tentazione di fare un passo indietro è forte. Che diritto ha di rovinare anche quell’attimo di spensieratezza di Amy e Bright dopo che li ha trascinati anche nel suo personale inferno?

È Rose a notarlo. Si strofina le mani umide sul grembiule e non perde tempo a farlo accomodare, con quei suoi modi cordiali e materni.

Amy è la prima a sapere. Perché chi ti ama capisce i tuoi silenzi, il dolore dietro un sorriso abbozzato.

Non ha bisogno delle parole di Colin, si rifugia tra le braccia di lui, in un abbraccio concreto che, per qualche secondo, pare l’unica difesa contro le sabie mobili che rappresentano il futuro.

Bright resta immobile, paralizzato dagli eventi finché il suo amico non ritrova la voce.

“Posso parlare con te un momento?”


Il giardino, agli albori della primavera, profuma di menta e di narcisi belli e vanitosi.

Qualche ciuffetto d’erba è spuntato anche sotto il canestro dove i due ragazzi hanno giocato qualche settimana fa, in un revival stonato della loro infanzia.

Colin prende la ruvida palla tra le mani e la osserva come se si trattasse di una sfera magica, di quelle che possono indovinare il futuro.

“Spero tu non abbia impegni per mercoledì prossimo. Sicuramente io sarò in ospedale, probabilmente sotto i ferri, e un po' di tifo mi farebbe bene!”

“Oh!”

Difronte all’audacia, alla sfrontatezza di Colin difronte al pericolo imminente, al suo parlar chiaro, Bright non riesce ad emettere altro che quel verso di meravigliato stupore.

Non ha nemmeno il tempo di elaborare quelle parole perché l’amico rincara, mettendo in tavola una probabilità che nessuno vuole nemmeno prendere in considerazione.

“Giovedì prossimo potrei non esserci più.”

La sua voce è serena, quasi rassegnata, se è terrorizzato non lo lascia a vedere.

“Se le cose andranno male vorrei che fossi tu a fare l’elogio funebre!”

Parlare della morte fa sempre paura e i toni macabri che ha assunto il soliloquio di Colin agiscono su Bright come una sveglia.

Come una furia gli fa rotolare via il pallone e lo fronteggia con uno sguardo dardeggiante.

“La smetti di dire stupidaggini? Tra una settimana quest’incubo sarà finito, tra qualche mese starai bene, tra un anno prenderemo il diploma insieme!”

“Oh Bright!”

Come fa a dirgli che la vita non va sempre come vorresti?

Inaspettatamente sente il robusto braccio di Bright sulla sua spalla, in un goffo abbraccio fraterno.

“L’unica promessa che posso farti è che stavolta non sarò troppo codardo per non starti vicino. Ci sarò sempre per te, Colin. Qualsiasi cosa succeda!”

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Capitolo 7
*** La giornata perfetta ***


Vivi come se dovessi morire domani.

Colin ne ha fatto il suo mantra e il giorno prima dell’operazione si è svestito di ogni paura e angoscia.

Oggi è soltanto una promessa a sé stesso, per dar senso alla propria vita.

È stata una giornata a dir poco perfetta, un’armonia tra passato e presente.

L’alba: una carezza e un bacio dai suoi genitori.

Il viaggio nei ricordi: musica e parole a tempo con il suo cuore .

Il fresco tepore delle prime luci: il momento giusto per assolvere Bright davanti ad un pancake e ribadirgli che saranno sempre e per sempre migliori amici.

Il primo pomeriggio profumato di fiocchi di neve alla rosa e di Amy: lo scopo ultimo, l’uscita di scena più difficile. L’abbraccio e la promessa che vincolano più di qualsiasi altra cosa.

Questa giornata così strana, fatta di mani intrecciate, canzoni stonate, amarcord e prospettive, è un equilibrio tra inferno e paradiso.


Bright è stordito da tutte le emozioni che gli ballano in corpo e non riesce ad addormentarsi.

Ben più forte del sollievo di aver riavuto indietro il Colin che conosce da sedici anni è la consapevolezza che quel momento spartiacque che sembrava così lontano è già adesso.

“Posso restare un po' qui con te?”

Una luce di burro filtra sul poster raffigurante la squadra dei Miners della passata stagione ed Amy avanza in punta di piedi, da perfetta ballerina classica, con gli occhi gonfi di paure e il peluche del suo intramontabile amico blu stretto al petto come una bambina svegliata da un incubo.

Si siede sulla sponda del letto e Bright vorrebbe dirle quanto è orgoglioso di lei: la sua sorellina che ha combattuto come una leonessa, che non si è lasciata fermare da niente e da nessuno, non dalla medicina, non dalla scienza, non da chi le diceva di arrendersi. È una sognatrice che crede l’amore vinca su tutto.

“Oggi abbiamo avuto dei momenti fantastici, vero? Come se questa giornata fosse stata fatta apposta per noi. E poi Colin…”

Amy ha un sussulto.

Colin era proprio Colin!”

Conclude d’un fiato Bright per poi avvolgerla nel suo plaid, nel suo plaid finché la ragazza non smette di tremare.

Vorrebbe dirle qualcosa di incoraggiante, prometterle che andrà tutto bene ma non può prevedere un futuro incerto per tutti loro.

Di una cosa però è certo: non gli importa se perderanno di nuovo il loro passato, è pronto a costruire qualcosa di nuovo.

“Tornerà Amy. Deve tornare!”


La visita appena fatta al Dr Brown inaspettatamente è stata un balsamo per Colin. Finalmente quel caos distillato nel quale sta vivendo sembra sbrogliarsi e dargli delle certezze.

Il principio delle probabilità segue delle logiche imprevedibili ed è questa risposta a rilassarlo e a dargli ancora una piccola speranza.

“Benvenuti allo show finale. Forse dovevo indossare i miei vestiti migliori!”

Esordisce con una battuta pietosa degna di un anchorman di bassa lega. Le uniche parole che gli permettono di restare lucido mentre si appresta a sfidare l’ignoto, a valicare dimensioni oltre il conosciuto.

Vedere suo figlio in balia di eventi più grandi di tutti loro e non poter far nulla, strazia il cuore di Jim. Non può fare altro che attirare Colin a sé e pronunciare parole che un genitore non vorrebbe mai mettersi in bocca.

“Togliti dalla testa l’idea che non ce la farai, mi hai capito? Lo so che ci saranno giorni in cui starai peggio di come stai adesso ma so anche che ne uscirai. Tu lotterai Colin. E non ti staremo accanto. Qualsiasi cosa accada domani!”

Il ragazzo ha gli occhi lucidi, come se fosse sull’orlo del pianto, quando finalmente con voce spezzata rivela tutte le sue fragilità.

“Credo che stanotte non riuscirò a dormire. Puoi dire a mamma se mi da qualcosa che mi aiuti a riposare un po'?”

Jim riesce addirittura ad abbozzare un sorriso mentre asciuga un residuo di lacrima dalla gota del figlio. Quando si allontana, una vibrazione sul cellulare di Colin notifica l’arrivo di un sms.

Come farei senza di te, rompiscatole? Grazie per le emozioni senza freni di oggi, grazie per avermi costretto a crescere negli ultimi otto mesi, grazie per essere un fratello da molti anni. E domani non fare scherzi! Non ci provare nemmeno !!!

In fondo questo è Bright: riesce a farlo scoppiare a ridere anche quando è l’ultima cosa che vorrebbe fare.

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Capitolo 8
*** Aquilone ***


L’emisfero destro del cervello, quello che controlla le emozioni, è soverchiato da un misto di disorientamento ed agitazione.

Tutto va troppo veloce: l ’arrivo in ospedale, gli esami di routine, persone che gli si affaccendano intorno come api ballerine…

È il Dottor Brown a fermare quella girandola vorticosa e, sedendosi a parlare con Colin, mitiga quella paura che va e viene, sale e scende ritmicamente come un’onda.

“Farà male?”

Quella del ragazzo è una domanda consapevole, adulta. Coraggiosa. Da risposta secca.

“Sì!”

Basta questa verità a convincerlo che morire non è niente, non vivere sarebbe spaventoso.


Il neurochirurgo ha fatto del suo meglio per tranquillizzare questo caparbio e giovane sbandato che sta per affrontare l’ignoto eppure, tra rasoi elettrici, creme depilatorie e saponi neutri, i pensieri di Colin sono disordinati e la ragione annebbiata.

Il rombo di colore sgargiante con cui fa il suo ingresso Bright è intenso e chiassoso come lui.

Una nota di allegria fragile come carta velina che stona in tutto quel grigiore.

Bright era impreparato a questo contrasto che lo colpisce come un pugno nello stomaco: lui sano con i riccioli biondi ed elastici e la giacca con i colori sociali dei Miners difronte ad un Colin turbato nel suo informe e monocromatico camice ospedaliero, con il cranio rasato a sottolineare la sua condizione di malato.


“Ehi!”

Non basta lo sforzo di quell’interiezione a nascondere la mano ghiacciata che sembra essersi posata sul cuore di Colin e nemmeno il disappunto che gli si può leggere in viso perché Bright ha appena infranto una promessa.

“Lo so che preferivi salutare me ed Amy ieri. Mia sorella è abbastanza forte da rispettare la tua volontà ma io volevo darti questo!”

Quel foglio di carta, filo e cannucce è il regalo particolare ed originale dell’amico di una vita.

Un escamotage per vincolare Colin al futuro.

“Quando questo fantasma sarà sconfitto, quando ti sarai ripreso abbastanza ci sono tante cose folli che dovremmo fare insieme. Sì, anche lanciarci con il parapendio!”

Questo è Bright un po' folle e spiritoso ma così speciale da riuscire ad alleggerire Colin da un peso insopportabile tanto che le sue paure si trasformano inaspettatamente in una risata.

Una risata che immediatamente si trasforma in un pianto disperato. E che contagia, di riflesso, anche l’altro.

Paradossalmente è il ragazzo che dovrebbe essere consolato a consolare.

“Non piangere Bright: è vero, è finita ma sorridi di quello che abbiamo avuto. E quando parlerai con me, perché so che lo farai, non usare nessun tono solenne. In fondo io sono sempre io e tu sei sempre tu!”

A questo punto gli battono i denti e le ginocchia cedono costringendolo ad appoggiarsi al letto.

Sembra una canna al vento.

“Smettila! Non ne posso più di sentirti parlare in maniera così morbosa della fine. Di là ci sono oltre mezza dozzina di persone per te e con te. Vuoi deluderci tutti così, eh Colin? Senza nemmeno provare a combattere?”

Lo sfogo di Bright suona la sveglia ma non c’è il tempo di una replica perché è il momento della preanestesia.

Sdraiandosi, Colin rivolge a Bright uno sguardo implorante.

“Resto qui con te. Non vai da nessuna parte senza di me!”


Mentre l’effetto dei farmaci comincia a fare effetto, Bright attorciglia la cordicella dell’aquilone sul dito di un finalmente rilassato Colin.

Insieme tengono quel filo esile che si dipana nelle loro mani.

Nuvole e cielo si confondono dentro.

Un vento gelido può trasformarsi in un alito caldo .

“Gli aquiloni sono come gli aerei: per levarsi in volo hanno bisogno del vento contro e non a favore!”

Sussurra Bright.

“Sarai con me anche dopo?”

La mano da cestista stringe quella immobilizzata dall’ago-cannula.

“Sarò la tua ombra!”


Quando è il momento, Bright fa un passo indietro con il suo aquilone, mescolandosi al gruppo di persone con le sue stesse ansie e aspettative.

Stringe forte Amy mentre il grazie con cui l’ha congedato il suo migliore amico gli rimbomba nelle orecchie in questo giorno fatto di momenti che significano tutto.

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Capitolo 9
*** Adagio ***


La sala d’attesa con il suo arredamento essenziale è stato concepito per essere uno spazio comodo che aiuti ad allentare le tensioni ma nessuno riesce veramente a rilassarsi, assillato dal pensiero martellante di quanto potrebbero perdere con un solo, sbagliato, movimento del bisturi.

A Bright la poltroncina impilabile di un autunnale marrone-russet sembra all’improvviso troppo dura e scomoda mentre i pensieri torbidi e bui che gli annebbiano la mente si fondono in un’unica preghiera che si ripete per ore, come una litania.

Essere circondato dal silenzio, da pensieri taciuti e così simili ai suoi, diventa troppo da gestire.

Si alza di scatto, forse con troppa foga, tanto da attirarsi un paio di occhiate interrogative ma non ha voglia di parlare, non deve spiegare e allora si allontana con sicurezza verso i corridoi illuminati dal neon, nel labirinto che conduce ai giardini terapeutici.


Deve strizzare gli occhi un paio di volte prima di abituarli alla luce del sole di mezzogiorno che penetra tra le fronde degli alberi e gli dà un senso di calore e di pace.

È bello essere fuori da quegli interni freddi e asettici.

Fuori la natura è esplosa nella sua armonia e nella bellezza di pianticelle appena sbocciate, di colori e profumi che riescono a trasformare le peggiori paure in pensieri positivi.

“Bright?” Amy è un’esplosione di blu con la sua maglietta oltremare e il peluche dal quale non riesce a separarsi da stamattina.

È uno strano equilibrio tra ghiaccio e cielo.

Rivolge al fratello un mezzo sorriso che sottintende pretese di protezione d’istinto lui la prende per mano.

“Vorrei avere una bacchetta magica e cambiare l’ultimo anno. Vorrei essere stato meno codardo e prendermi subito le mie responsabilità perché guidavo io. Vorrei che la paura non avesse avuto il sopravvento tenendomi lontano dal mio migliore amico in quei quattro mesi in cui lottava in ospedale e, dopo, non avrei mai dovuto respingere Colin!”

C’è l’amaro profumo del rimpianto nell’accorato sfogo di Bright e la sua voce è rotta da un singhiozzo. Ma è anche l’input perché finalmente guardi in faccia il presente e il futuro con tutto il realismo di cui è capace.

“È vero, niente potrà più essere come un tempo. Sappiamo entrambi che, in ogni caso, Colin non sarà mai più quello dei nostri ricordi, quello insieme al quale siamo cresciuti.

Non sarà perfetto ma non importa, Amy. Ho capito che questo Colin tormentato, sfuggevole, con tante zone d’ombra è comunque il mio migliore amico. Sempre.”

Come una forza transitiva, Amy annuisce come se assorbisse ogni parola di quel discorso così adulto.

“Noi tre, insieme, siamo una cosa bella. Siamo come la luna piena di crateri o il mare salato. Le cose belle non sono perfette…Sono speciali!”

Bright lascia un bacio sulla fronte alla sua coraggiosissima sorellina.


È Harold, con una punta di disagio, ad interrompere quello scambio così intenso tra i figli.

I ragazzi lo accolgono con un sussulto spaventato, stringendosi l’uno all’altra come se in questo modo potessero erigere una barricata di difesa contro qualsiasi notizia.

“Avete saputo qualcosa?”

Il dottor Abbott si tira su i pantaloni eleganti, che gli lascia scoperto un polpaccio, mentre si siede tra di loro. In un’altra occasione forse lo prenderebbero in giro per quei calzettoni a righe che stonato in maniera inequivocabile.

Adesso, però, gli occhi carichi di aspettative dei suoi cuccioli chiedono soltanto rassicurazione.

“No, è troppo presto. Sono passate appena quattro ore. Ce ne vorranno altrettante se andrà tutto bene.”

Si morde le labbra perché forse doveva evitare quella puntualizzazione finale e, per rimediare, allarga le braccia perché i suoi ragazzi si rifugino nella sua stretta granitica.

“Papà cosa pensi che stia succedendo? Voglio dire, lui sta soffrendo?”

Di certo la schiettezza è una caratteristica che suo figlio ha ereditato da lui ed Harold è la persona più qualificata per dare una risposta sincera.

“No, tesoro. Colin non sta soffrendo!”


I gesti impersonali e meccanici delle ore successive sembrano appartenere al nastro di una vita vissuta dal di fuori. Per il resto della sua vita Bright ne serberà nella mente solo dei frammenti disordinati: il panino sbocconcellato nella mensa dell’ospedale, la mentina offerta dal signor Hart, la copertina di un mensile sportivo con una trionfante immagine dei Nuggets, l’alone di succo di frutta sulla maglietta di Amy.

E poi la visione nitida che non dimenticherà mai più: il verde chirurgico, il verde giustizia e speranza del camice indossato dal Dottor Brown.

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Capitolo 10
*** Orizzonte ***


Non è stato facile per Bright stamattina, il primo giorno del suo ultimo anno di scuola, restare attaccato ala coda del suo sogno più colorato.

All’orizzonte sembra essere nato un giorno al contrario, con il cielo color lavagna gonfio di nuvoloni e un vuoto nel cuore che non riesce a riempire.

Gli manca Colin.

Amy, nell’incompiutezza e nello smarrimento che li accomuna, si stringe solidale e comprensiva a lui perché sa che devono essere uniti come non mai per farcela davvero.

Soltanto la voce gracchiante, anonima ma di compagnia, di una frequenza radio a caso rompe il silenzio del viaggio verso scuola.

“Andrò alla Notre-Dame. In ogni caso!”

Bright la butta lì dal nulla, epilogo di una riflessione lunga tutta un’estate.

Propositi che ha messo nero su bianco durante le notti insonni. Un sogno da portare avanti.

Afferra saldo il volante come se fosse un salvagente e tiene lo sguardo dritto sulla strada per non far trasparire nessuna emozione ma le dita di Amy gli sfiorano il bicipite.

“È una notizia fantastica.”


I limiti che si è imposto di superare e la solitudine nella quale è sprofondato si ingigantiscono appena mette piede nell’aula profumata di ardesia con agli attaccapanni le sgargianti giacche Letterman sfoggiate, con orgoglio, da tutti i compagni della squadra di basket.

Bright risponde con mugugni o scrollate di testa ai cenni di saluto degli altri ragazzi e si isola nel suo banco per rendersi invisibile, sperando che questo basti a placare la marea di emozioni che gli si agitano dentro.

È costretto ad allontanare, con scuse poco credibili, un paio di ragazzi che chiedevano di avere il posto vicino a lui.


“Ehi Abbott posso sedermi qui?”

Una voce, un tono del passato e per la prima volta, dopo mesi difficilissimi, sembra che le cose siano davvero ritornare nel loro ordine naturale.

Non è un’allucinazione quel ragazzo smagrito che si sostiene ad una stampella nel suo fragile equilibrio e tiene con il braccio debole un aquilone rosso dalla lunga coda azzurra.

Forse un nonsense ma la felicità non ha niente di razionale! È come l’orizzonte che si allontana ogni volta che si cerca di avvicinarlo.

Bright scatta in piedi senza esitazioni e, senza imbarazzi, Colin si appoggia a lui.

“Non credevo fossi pronto per il ritorno a scuola!”

La risata silenziosa, con la bocca aperta e gli occhi luccicanti, è stata la grande assente negli ultimi cinque mesi, drammatici e precari fatti di giorni pieni di scoramento ma anche pieni di tanta forza di volontà.

“Devo tenerti d’occhio!”

Colin, un Colin finalmente sereno ma profondamente cambiato, allunga il rombo di carta verso l’amico di sempre: sa che per volare un aquilone ha bisogno di un legame.

“È soltanto una prova!”

Gli handicap, le barriere, le diffidenze…Tutto può essere superato se sono insieme.


Di riflesso, Bright estrae dall’astuccio la gomma pane.

“Questa è tua: avevo scordato di restituirtela. Cancellerà tutte le cose che ancora ci sono di sbagliate nelle nostre vite e si assottiglierà sempre di più finché non ci saranno più errori a cui rimediare!”

Basta uno sguardo profondo, carico di significati, a suggellare quel patto fraterno.

La mano di Colin si arriccia sul foglio di un quaderno.

“Domani mattina passi tu a prendermi? Otto meno un quarto?”

È un modo per riappropriarsi della normalità e Bright replica con una scrollata di spalle irriverente.

“Facciamo sette e mezzo!”

Colin esita: forse il suo senso dell’orientamento è ancora un po' sballato?

“Ma gli altri anni non siamo sempre partiti alle sette e quarantacinque?”

Bright aggrotta un sopracciglio e poi si lascia andare ad una risata spavalda, tornando il ragazzo di un tempo.

“Sì ma gli altri anni non dovevamo dare lezioni di guida ad Amy!”

L’aquilone che si alza da terra è libero ma impegnato a domare il vento. Soltanto quando l’aria inizia a sollevarlo si può mollare la presa, continuando a correre mantenendo il filo corto.

Questo è il momento più difficile: quello determinante per la riuscita del volo.


**** *****

Finalmente conclusa la revisione di questa storia di amicizia che ha un posto speciale nel mio cuore.

Non sarei arrivata fin qui senza l’aiuto di un’amica davvero speciale, un alter ego del quale non posso più fare a meno: un grazie grandissimo a reggina che ha messo la sua firma in diverse parti di questa rivisitazione!

Alla fine ha prevalso il lieto fine perché sono un’ottimista ed è, poiché nella realtà spesso ci si deve adeguare alle scelte del destino, è bello avere il potere di dare una possibilità ai personaggi tramite la scrittura.

Infine un grazie di cuore a chi ha letto fin qui e a DAlessiana per le sue recensioni.

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