From the surface

di SherlokidAddicted
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dean Winchester ***
Capitolo 2: *** Spara al tuo tenente ***
Capitolo 3: *** Tu mi credi, vero? ***
Capitolo 4: *** La partita di poker ***
Capitolo 5: *** Metatron ***



Capitolo 1
*** Dean Winchester ***


Dean Winchester

- Mancano pochi metri. Il radar dice che c’è stata un’esplosione. - Gabriel tenne le mani ben salde sul volante della jeep. Continuava a guidare assottigliando lo sguardo per riuscire a vedere meglio attraverso l’improvvisa nube di polveri che gli si parò davanti agli occhi, segno che si stavano avvicinando al loro obiettivo. Castiel si sistemò meglio il caschetto sulla testa, stringendo il fucile con l’altra mano e controllando attentamente dal finestrino e dagli specchietti retrovisori. C’era il via libera, non poteva capitargli una situazione diversa dopotutto, ma con un’esplosione nei paraggi non era mai un male guardarsi le spalle.

- Come può esserci stata un’esplosione? - Chiese Castiel confuso.

- Non lo so, è per questo che Shurley ci ha mandati a controllare, non pensi? - Il moro emise un sospiro profondo, ma più Gabe si inoltrava nella nebbia di ceneri, più era impossibile riuscire a vedere dove fossero diretti. - Cazzo, Cassie, devo fermarmi qui, non riesco a vedere a un palmo dal mio naso. - Il motore della jeep si spense e Gabriel sospirò esasperato, ringraziando il cielo e qualunque cosa esistesse di superiore per il fatto che quella vettura fosse stata fatta appositamente per mantenere aria respirabile all’interno.

- Allora scendiamo, dove sono le maschere? - Gabriel indicò i sedili posteriori con il pollice mentre recuperava il suo fucile e si allacciava il caschetto sotto al mento. Castiel si allungò e le afferrò. Ne passò una al fratello maggiore, poi indossò la sua e nello stesso preciso istante i due attivarono i microfoni all’interno, così da poter comunicare senza dover urlare. - Mi senti? -

- Forte e chiaro. - Castiel fece un cenno all’altro, poi entrambi scesero dalla vettura. Gabe non si risparmiò una smorfia disgustata e scettica allo stesso tempo. - Non si vede nulla. - La nube di fumo era fitta e se non avessero avuto le maschere antigas probabilmente sarebbero morti soffocati in pochi secondi. Si riuscivano a vedere perfino i piccoli granelli di cenere. Erano le tre del pomeriggio, ma immersi in quella nube sembrava stesse già calando il buio. - Attento a dove metti i piedi, Cassie. - Iniziarono a camminare lentamente, le armi tese e in allerta mentre cercavano di non inciampare contro un qualunque ostacolo sul terreno.

- Sembra un po’ lo scenario del tuo bagno quando fai la doccia. - Scherzò Castiel, sentendo il fratello fare uno sbuffo esasperato.

- L’acqua calda mi rilassa. -

- Sicuro sia acqua e non lava? - La risata di Castiel spezzò il silenzio di Gabe, che come sempre si ritrovò a dover inveire contro le battute che il più piccolo era solito rivolgergli quando cercava di smorzare la tensione durante una missione, quando non sapevano cosa si sarebbero trovati davanti. Erano in pochi quelli che potevano uscire in superficie, dopotutto. Le missioni all’esterno erano pericolose, il generale Chuck Shurley le assegnava solo a quelli che riteneva abbastanza forti e coraggiosi. E i fratelli Novak rientravano in quegli standard.

- Smetti di fare il coglione e dimmi se vedi qualcosa, piuttosto. - Castiel non poté trattenere un’ultima risata, poi osservò davanti a sé, l’arma tesa e un occhio a osservare nel mirino in attesa di qualcosa, finché non notò delle ombre più scure sul terreno man mano che si facevano più vicini.

- Hai visto anche tu? - Chiese Castiel, per chiedere conferma di ciò che aveva notato e per assicurarsi che non fosse solo un miraggio. Gabe abbassò il fucile per un attimo e cercò di osservare con i suoi stessi occhi.

- Sembrano delle macerie. - I due accelerarono il passo finché i resti di quell’edificio non si fecero più evidenti. - Se non ricordo male questo era un bar ai suoi tempi. Ti ricordi? C’era un bar qui una volta. - Castiel annuì, poi si ricordò della nebbia attorno a lui e che probabilmente Gabriel non lo avrebbe visto, quindi decise di rispondergli a voce alta.

- Mi ricordo. - Aveva affrontato tante spedizioni all’esterno con Gabriel e con altri colleghi, ma mai era stato mandato da quelle parti. Si ricordava però di essere passato davanti a quel bar mentre percorreva la strada con la loro jeep, di aver intravisto quell’insegna colorata che ora giaceva accanto ai suoi piedi completamente distrutta. - Ma come diavolo ha fatto a esplodere? - Sentì il fratello maggiore sospirare.

- Provo a vedere quello che è rimasto all’interno, tu controlla fuori. -

- Ricevuto. - Sentì i passi di Gabriel farsi più lontani e meno rumorosi. Solo dopo Castiel si accovacciò accanto all’insegna per rimuovere un po’ di cenere dall’enorme scritta che la denominava. Immagini nitide dell’edificio ancora intatto riaffiorarono nella sua mente. Rimase abbassato e cominciò a guardarsi intorno. Le macerie lo circondavano, alcune erano ancora ricoperte dalle fiamme, ma non abbastanza da farlo diradare in tutta la costruzione. Si sollevò e cominciò a percorrere il perimetro visibile, cercando un possibile indizio che potesse suggerirgli cosa fosse successo qualche ora prima. Rischiò di inciampare diverse volte mentre si arrampicava letteralmente sui resti delle pareti distrutte, ma di tracce non sembrava essercene l’ombra, o perlomeno non era possibile trovarne con quel fumo soffocante.

Come poteva essere successa una cosa del genere? La Terra non era più vivibile già da qualche decennio ormai. Non era possibile stare fuori senza le maschere, l’aria tossica avrebbe ucciso chiunque nel giro di pochi minuti. La gente rimasta nella loro area geografica viveva tutta nello stesso bunker dalle dimensioni adatte per ospitare gli inquilini di un grande grattacielo di New York. In pochi avevano l’autorizzazione di uscire e i radar potevano rivelare attività sospette all’esterno che poi loro stessi avrebbero dovuto verificare di persona. Molte volte si era trattato di falsi allarmi, ma quell’esplosione era inspiegabile. Chi poteva essere stato a provocarla se in superficie non c’era più nessuno?

- Mi senti, Gabe? -

- Sì, ti sento. -

- Non vedo nulla di strano, ma questa cenere non mi aiuta, dovremmo ripassare domani quando si sarà dispersa. Tu hai trovato qualcosa? - Chiese mentre continuava a dare uno sguardo in giro, seppure fosse del tutto inutile.

- Solo macerie e macerie, qualche tazzina rotta, un bancone distrutto, tante sedie accese come fiammiferi e… dannazione! -

- Gabe? -

- Sono quasi inciampato su un vecchio frigorifero. - Gli rispose il maggiore con uno sbuffo spazientito. Il moro scosse esasperato la testa.

- Niente di strano? -

- Niente che non sia solo un bar che è esploso. - Castiel sospirò pesantemente.

- Va bene, torna indietro. Diremo a Shurley che torneremo domani e… -

- Porca puttana! - Esclamò a un tratto Gabriel, facendo quasi sobbalzare il fratello minore per l’enfasi con cui lo aveva detto.

- Cosa è successo? - Ci fu silenzio per un momento, si sentì solo il rumore delle macerie che venivano spostate e degli sforzi di Gabe che probabilmente stavano compiendo quella determinata azione. - Gabriel! -

- Devi venire subito qui, Cassie. - Castiel esitò. Non aveva idea di cosa suo fratello avesse potuto trovare lì dentro, e lui era sempre stato un tipo curioso, soprattutto se si trattava di fatti inspiegabili. Non rispose, si limitò a girarsi verso quello che rimaneva dell’edificio e a incamminarsi. Superò delle pareti diroccate, fondamenta scoperte e pezzi di soffitto crollati, immergendosi sempre di più nella cenere e cominciando a scovare con lo sguardo gli elementi che poco prima aveva descritto Gabiel, finché non lo vide accovacciato e ancora intento a spostare qualcosa. Castiel non si chiese del perché ma si affrettò a raggiungerlo per aiutarlo. Quando con un ultimo sforzo quel masso fu ribaltato lontano da ciò che Gabriel aveva trovato, rimase completamente senza parole, non riusciva a credere ai suoi occhi.

Un uomo era steso lì a terra, la mascherina ben salda sul volto e del copioso sangue che usciva dalle sue ferite.

- Ma cosa… - Come poteva esserci qualcuno lì?

- Probabilmente abbiamo trovato chi ha provocato l’esplosione. - Disse Gabriel, poi portò due dita sul collo dello sconosciuto. - Il povero bastardo è ancora vivo. -

- Portiamolo fuori di qui, dobbiamo capire chi è e come ha fatto a uscire dal bunker. - Gabe storse le labbra, Castiel riusciva a vedere il disappunto da dietro la sua maschera, ma poi lo sentì sospirare contro il microfono, rischiando di farlo diventare sordo dall’orecchio in cui teneva l’auricolare.

- Agli ordini… - Mormorò il maggiore dei due, e poco dopo stavano già facendo di tutto per spostare il malcapitato senza peggiorare le sue condizioni, per portarlo fuori dall’edificio. Fu abbastanza complicato. I loro fucili erano ingombranti, così come lo erano alcune macerie sparse per il tragitto verso la jeep. Arrivarono alla vettura, sudati e completamente alla cieca. Lo sistemarono sui sedili posteriori e Castiel si sfilò il caschetto per posizionarsi accanto all’uomo e valutare le sue condizioni. Gabriel rimase fuori dalla macchina e tutta la sua attenzione sembrava rivolta al viso del “nuovo arrivato”. - A me questo qui sembra una faccia nuova. - Disse infatti poco dopo, mentre Castiel si premurava di pulire la sua ferita alla testa con il kit d’emergenza.

- Siamo in tanti, Gabe. Forse non lo hai mai visto. - Rispose l’altro facendo storcere il naso al fratello. - Mi dai una mano o resti lì impalato? - Gabriel alla fine sbuffò e lasciò andare il fucile per aiutare Castiel a rimettere superficialmente in sesto il malcapitato. In fondo loro erano soldati, non dottori, conoscevano solo le basi in caso d’emergenza, quelle che insegnavano solitamente in addestramento. - Mi chiedo da quale area provenga, di che categoria sia. - Disse Gabriel a un certo punto mentre gli fasciava la testa. Castiel controllò che non ci fossero altre ferite evidenti. Sapeva per certo che avesse qualche osso rotto, probabilmente qualche slogatura, poi si rese conto grazie a Gabriel che se avessero saputo la sua categoria sarebbe stato più facile capire la situazione.

Tutti quanti, dopo la maggiore età, venivano “marchiati” con un tatuaggio identificativo sul braccio destro, all’altezza del polso, composto da un numero e due lettere. Il numero indicava l’area di provenienza del bunker, ed essendo il bunker più grande mai costruito nella storia, di aree ce n’erano anche parecchie. Le lettere indicavano invece la categoria.

La prima lettera che seguiva il numero indicava l’iniziale del cognome della famiglia, mentre la seconda lettera veniva tatuata in seguito, quando quella persona veniva indirizzata dal Consiglio alle mansioni che erano destinati a compiere. Non era però una scelta casuale, il Presidente sottoponeva tutti gli “appena maggiorenni” a delle prove fisiche e mentali, poi affidava loro dei compiti di diverso tipo da svolgere. Il risultato di quelle prove definiva il futuro di un uomo o di una donna.

Castiel ricordava ancora l’intera settimana delle sue prove. Era il quarto della fila, si era preparato per mesi e mesi a quel giorno. Il suo obiettivo era ben prefissato nella sua mente, sapeva esattamente in cosa doveva essere assolutamente perfetto e in cosa doveva dare invece il peggio di sé. Fallire in qualche prova era fondamentale se si voleva finire in una determinata categoria. Se non avesse avuto la sua forza e la sua infallibile mira e precisione nell’utilizzo delle armi, probabilmente adesso non sarebbe dove avrebbe voluto essere da sempre: l’esercito. Voleva farne parte fin da piccolo, ed ebbe una spinta in più quando anche Gabriel prima di lui aveva deciso di intraprendere quella strada.

Era come una specie di smistamento. Le prove che andavano meglio erano quelle che alla fine ti classificavano nel tuo futuro. C’era chi veniva ritenuto adatto per lavorare nei campi sotterranei, c’era chi veniva smistato nel settore operaio che si occupava dell’ampliamento del bunker, o degli scavi alla ricerca di acqua da poter riutilizzare e rendere potabile, c’era chi veniva ritenuto più adatto a intraprendere la carriera medica, o chi sembrava più adatto all’insegnamento, e molto altro ancora.

Ma c’era chi non era idoneo a nessuno di questi compiti, come i criminali, i disabili e chi purtroppo scarseggiava in qualunque prova. E in quel caso il loro tatuaggio identificativo restava incompleto.

14NS era il codice che Gabe e Castiel condividevano sul polso destro.

14, l’area dove Castiel era nato e cresciuto, N come Novak, e poi S, la lettera che indicava la categoria di coloro che difendevano il Paese… o gli abitanti del bunker, nel loro caso.

Gabriel era nato in superficie, era troppo piccolo quando il caos era accaduto e l’aria della Terra era diventata tossica, non si ricordava nulla del momento in cui il Consiglio e l’allora Generale dell’esercito avevano ordinato il trasferimento permanente e definitivo di ciò che era rimasto del genere umano negli Stati Uniti, e seppure sembrassero tanti all’interno di quella struttura, paragonata alle milioni di persone nel Paese, quelli che erano sopravvissuti erano solo una manciata, un granello di sabbia in un vasto deserto.

Lo sconosciuto sdraiato sui sedili posteriori della jeep indossava una maglietta a maniche lunghe, Castiel faticò a tirare su la manica del braccio destro per via della cenere. Il braccio era ricoperto di fuliggine, ma riuscì comunque a ripulirlo per bene con le dita. Fu lì che si accorse di ciò che lo lasciò ancora più sconcertato del previsto.

- Quella è una faccia che non mi piace, Cassie. - Gli disse Gabriel, piegando leggermente la testa da un lato. Castiel però non rispose, o almeno non lo fece sul momento. Era troppo scosso da ciò che i suoi occhi increduli avevano appena notato. - Castiel! - Quando richiamò la sua attenzione, il minore si limitò a mantenere gli occhi sbarrati e a fare un cenno a Gabriel per dirgli di avvicinarsi e controllare lui stesso, e a quel punto non poté biasimare la reazione di Castiel.

- È uno scherzo? - Il moro scosse la testa in risposta e Gabe esitò per un momento prima di cercare una spiegazione che avesse avuto un nesso logico. - Forse non hai pulito bene la cenere e… -

- Gabe, non neghiamo l’evidenza adesso. Lo hai visto anche tu! - Quello sconosciuto malconcio e ferito, trovato nelle macerie di un vecchio bar in superficie, svenuto e che probabilmente aveva provocato un’esplosione, non aveva alcun tatuaggio identificativo.

- Prova l’altro polso. - Il minore fece come gli era stato detto, ma nemmeno lì riuscì a vedere l’ombra di un marchio, di qualcosa che lo avrebbe classificato come qualunque essere umano ancora in vita dopo il disastro.

- Non c’è niente… - Castiel non ebbe il tempo di dire altro perché fu distratto dai movimenti della testa dello sconosciuto e dai suoi versi di dolore. Il moro sollevò subito le mani per evitare di toccarlo ancora, mentre Gabriel non esitò a puntargli contro il fucile come se all’improvviso, da quell’ammasso di dolore e di ossa rotte, quello potesse alzarsi per attaccarli da un momento all’altro. - Mi sembra eccessivo puntargli il fucile contro, sai? In queste condizioni non potrebbe fare niente. - Disse Castiel, ma Gabe non abbassò il fucile, si limitò ad aspettare che quello aprisse gli occhi. L’uomo sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco, poi corrugò appena la fronte e non appena vide il fucile di Gabriel puntato verso di lui, si sollevò di scatto con il busto e cercò inutilmente di allontanarsi dalla traiettoria che avrebbe fatto il proiettile nel caso in cui avesse sparato. - Ehi, ehi, calmati! Gabriel non ha intenzione di spararti. - Disse Castiel, poi lanciò un’occhiataccia al fratello che sbuffò e abbassò subito dopo l’arma. Nel vederlo abbassare la guardia, l’uomo si lasciò andare contro i sedili con una smorfia di dolore.

- Che cavolo... - Lo sconosciuto si agitò ancora, tanto che fece per togliersi la maschera dal volto, ma Castiel fece in tempo a fermarlo per impedirgli di morire soffocato.

- Ma sei pazzo, amico? L'aria è tossica, dovresti saperlo. - Disse Gabe, guardandolo come se quello disteso nella sua jeep fosse un alieno. Lui parve sorpreso, ma lasciò comunque andare la maschera e si fece sfuggire un gemito di dolore per un movimento troppo repentino. Si portò una mano alla spalla e strinse i denti, e per Castiel fu abbastanza per spingerlo a controllare le sue condizioni in quel preciso punto dolorante. Iniziò a tastare la sua spalla con attenzione. - Eri sommerso dalle macerie di un edificio, come mai? Lo hai fatto esplodere tu? - L'uomo guardò Gabe con aria smarrita e confusa, tanto che il soldato si ritrovò costretto a ripetere la domanda.

- Io non... Non lo so. -

- D'accordo, trauma cranico, comprensibile. - Commentò Gabriel. - Perché non hai un tatuaggio identificativo? - Il soldato si sorbì per l'ennesima volta quell'occhiata smarrita, tanto che alla fine gettò l'arma all'interno del veicolo e si sollevò la manica della divisa, scoprendo il lembo di pelle marchiato dall'inchiostro. Lo sconosciuto osservò quell'elemento come se non avesse mai visto nulla del genere. - Come questo, hai presente? - Ma quello scosse la testa, turbato, causando in Gabriel un sospiro spazientito. - Fantastico... - Mormorò mentre si tirava giù la manica.

- Come ti chiami? - Stavolta fu Castiel a parlare, ma perfino a lui lo sconosciuto riservò quegli occhi confusi.

- Un trauma cranico coi fiocchi. - Commentò Gabe. Castiel cominciò a frugare nelle tasche del tizio, e quello sembrò talmente paralizzato dalla situazione che non reagì, forse perché si stava rendendo conto che in effetti non ricordava nulla. Castiel tirò fuori dalla tasca dell'uomo una striscia di plastica bianca. Sembrava uno di quei braccialetti che i dottori mettevano ai neonati dopo la nascita. Con una calligrafia nervosa vi era scritto un nome.

- Dean Winchester. È il tuo nome? - Gabriel si avvicinò curioso e strappò letteralmente dalle mani del fratello quel nuovo reperto, forse per capire se lo avesse riconosciuto.

- Credo di sì, non lo so... - Castiel sospirò.

- Finché non ricorderai qualcosa ti chiameremo così. - Dean deglutì ma non disse nulla. - Hai una spalla lussata, Dean. Devo metterla a posto. - Gli comunicò con voce calma e pacata. Gabe nel frattempo conservò il braccialetto di plastica in tasca. - Farà male, ma conterò fino a tre, d'accordo? - Dean non rispose, ancora sconvolto. - Hai capito, Dean? - Lui parve risvegliarsi da un sonno profondo e annuì velocemente. Castiel portò entrambe le mani sulla sua spalla e attese un suo cenno per andare avanti, che non tardò ad arrivare. Gabriel nel frattempo aveva preso dai posti anteriori il suo palmare e aveva iniziato a far scorrere le dita sullo schermo, alla ricerca di chissà che cosa. - Bene, uno... - Castiel iniziò a contare, ma ancora prima di arrivare al due, con un gesto repentino fece tornare l'osso di Dean al suo posto. Quest'ultimo urlò di dolore.

- Cazzo! -

- Le parolacce se le ricorda. - Castiel fulminò il fratello per quella sua battuta inappropriata, ma in risposta ebbe solo un'alzata di spalle.

- Avevi detto che avresti contato fino a tre! - Si lamentò lui, reggendosi la spalla malandata con una mano. Castiel non rispose e Gabriel lo osservò per un attimo come se ritenesse che suo fratello fosse all’improvviso impazzito.

- Non ti ricordi nemmeno da dove vieni, vero? - Gli chiese invece il minore dei Novak. Dean scosse la testa e guardò i due con curiosità, forse per cercare di capire cosa ne avrebbero fatto di lui. Castiel puntò lo sguardo verso suo fratello. I suoi occhi azzurri e cristallini gli stavano chiedendo in silenzio cosa avrebbero dovuto fare. Gabriel in risposta emise un sospiro. Probabilmente stava pensando a tutte le possibilità.

Non potevano lasciarlo lì, Dean sarebbe morto nel giro di qualche ora. L’aria sarebbe diventata troppo tossica perfino con le maschera sul viso. Ma se lo avessero portato con loro, cosa avrebbe detto l’impaziente e severo generale Shurley? Lo avrebbe fatto uccidere? In fondo era uno sconosciuto, senza tatuaggio identificativo, senza alcuna memoria, che poteva probabilmente rivelarsi un pericolo. Non era facile fidarsi se Dean possedeva tutte quelle caratteristiche. Oppure Shurley avrebbe cercato di capire semplicemente cosa ci facesse uno come lui in superficie, uscito dal bunker senza alcuna autorizzazione. Non potevano di certo mentire all’autorità più alta lì dentro. Dovevano anche raccontare dell’edifico esploso, e del fatto che forse Dean era coinvolto. Non avevano altra scelta, di certo. Nasconderlo avrebbe portato a una punizione severa per entrambi, e loro erano dei soldati modello, avevano sempre rispettato gli ordini e le regole. Dovevano portarlo al bunker con loro e doveva ricevere delle cure mediche decenti, quello che aveva fatto Castiel non sarebbe bastato. E che dire della sua memoria? Aveva davvero quell’amnesia retrograda totale o stava solo fingendo?

- Dobbiamo portarlo al bunker. - Disse il maggiore, poi passò a Castiel il palmare. Lui lo afferrò e la schermata bianca con su scritto “Nessun risultato trovato” gli fece sollevare confuso un sopracciglio. - Non esiste nessun Dean Winchester sui registri. Questo qui non è mai stato nel bunker. - Gabe poté vedere perfettamente la gola di Castiel andare su e giù nervosamente.

- Allora da dove diavolo… -

- Già, bella domanda. - Castiel passò nuovamente il palmare a suo fratello, poi lanciò uno sguardo a Dean. La sua espressione era delle più confuse che avesse mai visto nella sua vita. Se volevano davvero sapere cosa era successo in quell’edificio, dovevano tenerlo costantemente sotto controllo, sperando che prima o poi avrebbe ricordato il suo passato.

- Bene, sali e metti in moto. - Gabe annuì, poi si accomodò sul sedile anteriore e si assicurò che le portiere fossero chiuse ermeticamente prima di premere il pulsante accanto al volante. Le ventole cominciarono ad azionarsi e Dean sobbalzò, osservando quel processo come un cerbiatto abbagliato. Fecero un rumore assordante finché, dopo qualche secondo, finalmente si fermarono. - Potete toglierle. - E detto ciò, Gabriel si sfilò la maschera, e lo stesso fece Castiel. Dean li imitò titubante, usando il braccio ancora sano. Tirò su con il naso un paio di volte. L’aria era pulita e rinfrescante per i suoi polmoni.

Il veicolo partì con uno scossone, che causò una smorfia di dolore al nuovo arrivato. Castiel sapeva lo avesse fatto apposta, conosceva troppo bene suo fratello.

- Gabe! -

- Oh, andiamo! - Disse lui ridendo, mettendosi a guidare con più attenzione, senza distogliere gli occhi dall’esterno. - Era uno scossone di benvenuto. - Castiel scosse esasperato la testa mentre guardava gli occhi del più grande riflessi nello specchietto retrovisore. Poi passò a osservare Dean, se almeno quello fosse davvero il suo nome. Stringeva i denti come se mille coltellate lo stessero colpendo all’altezza del petto. Quelle ferite dovevano fare davvero male.

- La dottoressa Masters ti rimetterà in sesto. - Gli disse, Dean però si limitò a incrociare il suo sguardo, come se fosse scettico, ma Castiel fu sicuro di vedere anche un briciolo di gratitudine. - Te lo prometto. -


Note autrice:
SOOOOO, e ci siamo con una storia completamente nuova.
Come avete visto dalla trama, è ambientata in un lontano futuro e la Terra è inabitabile.
Tutti gli esseri umani vivono in un bunker sotterraneo e nessun altro essere vivente esiste all'infuori di esso. Quindi questo Dean è proprio un mistero, o sbaglio?
Cosa accadrà quando Dean conoscerà Shurley?
Io spero che questo incipit possa piacervi, è un esperimento che, se andrà bene, sarò felice di continuare.
Per quanto riguarda gli aggiornamenti, li farò in base agli orari delle mie lezioni, quindi vi chiedo di avere pazienza.
Baci grandi, ci vediamo presto per il prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Spara al tuo tenente ***


Spara al tuo tenente

Gabriel aveva avvertito via radio che stavano tornando con “un bottino consistente”, almeno così aveva detto, facendo roteare gli occhi a suo fratello. La voce dall'altra parte aveva solo detto un veloce “ricevuto”, poi la linea era caduta.

Quando arrivarono, Dean si rese conto che erano proprio nel posto giusto. C’era una grande saracinesca che si azionò con un tasto premuto su un piccolo telecomando. Si alzò con una lentezza disumana, e nel frattempo quello che secondo Dean era il fratello maggiore fra i due soldati, stava tenendo il tempo con le dita sul volante, di una canzone mai sentita prima che stava canticchiando a bassa voce. Quando la saracinesca si fermò, finalmente la jeep entrò in quella che sembrava un’anticamera, perché un’altra enorme saracinesca li divideva da chissà cosa ci fosse dall’altra parte. Ci fu lo stesso procedimento per cui aveva sobbalzato all’interno dell’auto qualche minuto prima, solo che questa volta le ventole dell’anticamera erano più grosse e più rumorose. Finalmente anche ciò che li separava dall’interno del bunker si sollevò, e un gruppo di altri soldati guardarono in loro direzione come se un alieno fosse appena atterrato alla loro base con la sua navicella spaziale.

Gabriel abbassò il finestrino.

- Papino è tornato, bellezze! - Annunciò, sollevando le sopracciglia, poi si sfilò il caschetto e scese dalla macchina.

- Dove cazzo siete stati? - Un uomo alto e biondo si avvicinò, la stessa divisa militare addosso e uno sguardo omicida costantemente dipinto in volto. - Siete stati via un’eternità. - Continuò, mentre dietro di lui si facevano avanti altri due soldati. Uno un po’ più basso di quello che stava parlando, lo stesso colore di capelli e uno sguardo divertito probabilmente dalla reazione del più alto, l’altra invece era una donna con lunghi capelli rossi legati in una coda bassa, ma con un’aria autoritaria che non aveva visto addosso a nessuno di loro.

- Stai calmo, Lucy, non c’è bisogno che ti scaldi così tanto! - Mormorò Gabriel esasperato. Castiel sospirò, era una reazione rassegnata la sua, quasi come se quella non fosse la prima volta a cui assisteva a una scena del genere. Forse non era la prima volta che quei due là fuori litigavano.

- Non chiamarmi Lucy. - Castiel cercò di ignorare il battibecco, poi si voltò verso il povero Dean, ancora dolorante e immobile.

- Credi di riuscire a scendere? - Il biondo balbettò un attimo e provò a muoversi con scarsi risultati.

- Non lo so… - Castiel aprì la portiera e scese dall’auto, non curante degli altri soldati presenti che lo guardavano curiosi, lasciando in secondo piano la discussione che quel “Lucy” stava avendo con Gabriel. Fece il giro della vettura e raggiunse la portiera dal lato in cui era seduto Dean. La aprì e porse una mano al malcapitato. Dean esitò per qualche momento, poi la afferrò con il braccio buono e si fece forza per scivolare sui sedili. Non appena, però, fece un singolo movimento, un dolore allucinante partì dalle ossa fino a farlo mugolare infastidito. Castiel non si perse d’animo e portò un braccio attorno a lui per aiutarlo a scendere con più facilità. Fu comunque un’agonia per Dean, ma alla fine riuscì a mettere i piedi a terra, nonostante zoppicasse maledettamente mentre si allontanavano dalla vettura.

- Tutto bene? - Chiese Castiel mentre richiudeva la portiera.

- Oh, tutto bene, certo… Non vedi? Sto alla grande! - Castiel non rispose e si limitò a camminare al suo fianco, reggendolo per quanto potesse riuscirci. Il suo scopo era raggiungere la porta e il corridoio, poi portarlo in infermeria, che per fortuna non era molto distante dal garage. Il soldato però non ne ebbe il tempo, perché l’interlocutore di Gabriel aveva totalmente perso interesse per lui e adesso stava adocchiando Dean come un lupo affamato adocchierebbe un pezzo di carne fresca.

- Non così in fretta! - Disse, puntando per un attimo l’arma scarica contro Castiel, il quale si fermò con un sospiro esasperato. Dean fece una leggera smorfia di dolore, ma il suo sguardo curioso puntava negli occhi di quel Lucy che aveva tutta un’aria da gradasso, di qualcuno che aveva intenzione di scatenare un putiferio. - Chi diavolo è questo? -

- Lo abbiamo trovato in superficie. - Intervenne Gabriel, come se sapesse che quel tipo non avesse delle buonissime intenzioni, quasi come a calmare le acque. - Qualcuno di bassa categoria uscito senza permesso, Lucifer, non ti preoccupare. - Dean sollevò le sopracciglia sorpreso. Gabe lo stava… coprendo?

L’uomo accennò un sorrisetto quasi diabolico, poi squadrò il nuovo arrivato come se fosse della buona merce in vendita e lui fosse l’acquirente.

- Ha un fisico da operaio dei bassifondi. - E poi rise divertito, anche se Dean non ci trovava nulla di divertente in quell’affermazione. - Da dove viene? -

- Ha un’amnesia. - Disse Castiel, cercando di reggere il peso di Dean meglio che potesse, evitando che scivolasse e peggiorasse quindi le sue già critiche condizioni. Lucifer rimase sovrappensiero e in silenzio per un attimo, poi con un gesto repentino afferrò il polso di Dean e sollevò l’orlo della manica, e accadde tutto così in fretta che Gabriel e Castiel non poterono fare nulla per evitarlo. Dean poté vedere sugli occhi di tutti lo scalpore e lo stupore di quella novità, del fatto che un tizio senza tatuaggio aveva appena fatto il suo ingresso in quel bunker. Lucifer lasciò andare immediatamente il braccio di Dean, poi afferrò la sua arma e la puntò subito verso di lui senza pensarci due volte. Gli altri sussultarono e Dean deglutì rumorosamente.

- Sergente, abbassa subito il fucile! - Esclamò Gabriel allarmato, con un tono di voce diverso, uno che non ammetteva un no come risposta, adesso sembrava un vero e proprio leader.

- Perché non è marchiato? - Chiese Lucifer, tenendo l’arma puntata verso un punto ben preciso della testa di Dean.

- Ci senti, Lucifer? Amnesia. - Intervenne Castiel, la voce incrinata dal nervosismo del momento e dallo sforzo. Dean si sentì quasi in colpa di esserne la causa. Avrebbe voluto intervenire, avrebbe voluto dire qualcosa per calmare le acque, ma non aveva idea di cosa fare. Lui non sapeva nulla di tutta quella storia. La sua testa era come un buco nero in cui tutti i ricordi passati erano stati risucchiati via. Non aveva modo di difendersi. Perché lo consideravano tutti un pericolo? La mancanza di quel misero tatuaggio sembrava identificarlo già come un criminale, senza sapere se in effetti lo fosse davvero.

- Lucifer, forse dovresti abbassare il fucile. - Disse l’altro soldato biondo accanto a lui.

- Sta’ zitto, Balthazar! - Rispose Lucifer con rabbia, facendo indietreggiare di qualche passo il collega che si era azzardato a richiamarlo.

- Sergente, abbassa quel dannato fucile o giuro su Dio che… -

- Cosa, Gabriel? Chiami il generale? Bene, fallo! Questo non può stare qui, è difettoso. - Gabe si impuntò, sul suo viso comparve un ghigno autoritario che Dean non gli aveva ancora visto addosso, sembrava perfino arrabbiato, e anche tanto.

- Sono il capitano, posso darti ordini e faccio le veci di Shurley quando non c’è. Tu sei solo un sergente. Abbassa quel cazzo di fucile prima che ti penta amaramente di aver solo provato a sparare. - Lucifer non parve affatto impressionato da quella minaccia e rimase in silenzio. - Sergente! - Ancora nulla. - Il generale non vorrebbe che morisse, dobbiamo prima capire la situazione, abbassa l’arma. - Nel frattempo Dean notò la donna dai capelli rossi sollevare la pistola verso Lucifer per tenerlo sotto tiro.

- Ascolta il capitano, Lucifer. -

- Non peggiorare la situazione, Anna. - Rispose Lucifer, poi fece ciò per cui Castiel deglutì rumorosamente e per cui tutti gli altri si allarmarono ancora di più. Caricò l’arma e la avvicinò pericolosamente alla fronte di Dean, il quale rimase a fissarlo con occhi sbarrati e confusi, se non terrorizzati a tal punto da pietrificarlo. - E se stesse mentendo per ingannarci? Potrebbe ricordare tutto, potrebbe essere uno sporco trucco, e Shurley a quel punto sarebbe d’accordo con me. -

- Dannazione, Lucifer, abbassa il fucile! - Continuò Gabe a voce più alta. Castiel lanciò uno sguardo omicida al sergente, poi senza distogliere lo sguardo, afferrò il braccio di suo fratello e lo costrinse ad avvicinarsi. - Che stai facendo? - Gli sussurrò confuso il maggiore.

- Reggilo. - Gabe lo guardò confuso, ma non ebbe il tempo di chiedergli a cosa si riferisse, che Castiel lasciò andare la presa su Dean. Crollò addossò a Gabriel come un oggetto inanimato, poi con un gesto repentino Castiel afferrò la canna del fucile di Lucifer e se la puntò contro la fronte. Quest’ultimo lo guardò sorpreso, ma ciò non sembrò bastare per fargli abbassare la guardia, nonostante stesse tenendo sotto tiro questa volta proprio Castiel, che lo guardava con rabbia.

- Avanti, spara! - Gli urlò.

- Castiel, che cazzo stai facendo? - Urlò il maggiore dei Novak, mentre cercava di non far cadere rovinosamente sul pavimento il povero e malandato Dean.

- Spara al tuo tenente, vediamo cosa ne penserà Shurley. - Continuò Castiel, stringendo con forza le dita attorno alla canna del fucile.

- Tirando in ballo i vostri titoli non concluderete nulla. Io sto solo cercando di evitare che questo qui si riveli una minaccia. Capitano, tenente, sergente, chi se ne frega! -

- Guardalo! - Lucifer puntò per un momento lo sguardo su Dean. I suoi occhi erano sbarrati fino all’inverosimile, erano verdi e confusi, vuoti, non capivano cosa stesse succedendo, e soprattutto non capivano del perché Castiel avrebbe rischiato la sua stessa vita per lui, per uno che probabilmente si sarebbe rivelato una minaccia, o che praticamente non conosceva affatto. - Non vedi che non capisce di che cazzo stiamo parlando? Ti sembra una minaccia? Non ricorda nemmeno il suo nome! - Lucifer non distolse lo sguardo dagli occhi di Dean, forse per cercare di individuare qualche piccolo segnale che confermasse le parole del tenente. - Coraggio, spara! Fallo! Ma io, come te, come Balthazar, Anna e Gabriel, facciamo questo lavoro per salvare delle vite e per proteggere chi non può difendersi, quindi se lo fai andrai incontro al tuo dovere e manderai a puttane la tua preziosa carriera. -

Lucifer era entrato nell’esercito insieme a Gabriel, ma le sue azioni irascibili e la sua poca pazienza avevano fatto in modo che quel titolo di sergente gli restasse cucito addosso per anni e anni, mentre Gabriel e perfino Castiel che era arrivato dopo, continuavano la loro scalata ben meritata. Lucifer voleva andare in superficie, le sue azioni avventate e non studiate erano mirate al privilegio che Gabe e Castiel avevano ottenuto con tanto sforzo e lavoro di squadra.

L’invidia stava consumando Lucifer come una suola di scarpa vecchia.

- Vuoi andare in superficie e vedere il sole, sergente? Continua a fare le tue cazzate allora. - Lucifer non si mosse, ma quelle parole lo colpirono come uno schiaffo a palmo aperto. Dean riusciva a vederne l’effetto su quel viso sorpreso e arrabbiato allo stesso tempo. - Spara! -

- Castiel, smettila! - Urlò Gabriel, sopraffatto da quella scena. Il dito di Lucifer sul grilletto tremò appena, ma una voce alle sue spalle sembrò far crollare ogni sua convinzione.

- Qui nessuno sparerà a nessuno. - Lucifer abbassò l’arma lentamente e deglutì. Tutti i presenti si misero sull'attenti. Dean lesse per un momento il terrore negli occhi di Lucifer.
Un uomo in divisa di servizio si avvicinò con le mani dietro la schiena, un portamento sicuro di sé e autoritario. Aveva i capelli e un accenno di barba quasi grigi, ma sul suo viso spiccavano due occhi azzurri come il cielo, contornate da piccole rughe. Non ci volle un genio per capire che quell'uomo, con tutte quelle medagliette appuntate sulla divisa, altri non era che il generale in persona.
Avanzò ancora di qualche passo, finendo con il viso rivolto verso quello teso di Lucifer.

- Chi le ha dato l'ordine di prendere iniziative, sergente Vaught? - Quello deglutì nervosamente, poi si leccò appena le labbra.

- Nessuno. - Shurley stesso si premurò di abbassare del tutto l'arma del sergente e di scaricarla, sotto i suoi occhi quasi mortificati, ma forse era la rabbia repressa che emergeva maggiormente da quello sguardo.

- Quando io non ci sono la parola dei Novak è legge. La loro posizione glielo permette. - Lucifer strinse i pugni come un bambino che stava subendo in silenzio le sgridate del padre, ma non disse nulla. - Se vuole migliorare la sua condotta le converrà ascoltare e tacere. - Dean si girò un attimo a guardare il viso di colui che stava ancora subendo il peso del suo corpo. L'espressione di Gabriel sembrava quella di uno che aveva assistito a scene del genere già un miliardo di volte, mentre quella di Castiel, poco più avanti, dettava un evidente nervosismo. Per poco quella vena sul collo non rischiò di esplodere come in uno di quei vecchi cartoni animati che ormai nessuno produceva più. - Andate via tutti quanti, meno i Novak. - Anna poggiò una mano sulla spalla di un Lucifer ancora pietrificato, poi lo spinse quasi di forza fuori dal garage, seguita da Balthazar, che invece sembrava abbastanza divertito da quella situazione, e dal resto dei soldati.
Il generale attese di sentire il rumore della porta che si chiudeva dietro di loro prima di girarsi verso i protagonisti della vicenda, ignorando completamente la presenza di Dean.

- Rapporto. - Disse semplicemente. Gabriel si schiarì la voce, raddrizzando la schiena nonostante il peso del nuovo arrivato lo mantenesse leggermente curvo.

- L'esplosione proveniva da un edificio, un vecchio bar. Stavamo per rinunciare, la cenere ci aveva offuscato la vista, ma poi abbiamo trovato lui sotto le macerie. - Lo indicò con un cenno della testa. - Ferito e con un'amnesia retrograda totale. - Shurley lo squadrò senza alcuna espressione in volto. - In tasca aveva questo. - Con il braccio libero, Gabriel tirò fuori dalla tasca il braccialetto di plastica e lo porse al generale, che invece di afferrarlo lo guardò come se fosse avvelenato, il tempo necessario per leggervi il nome scritto sopra.

- Che categoria? - La domanda del generale fece irrigidire Gabriel per un momento. Castiel intervenne e scoprì il polso destro di Dean dalla manica della maglietta, e subito dopo fece la stessa cosa anche sull'altro. Shurley cercò di non avere alcuna reazione a ciò che aveva appena "non" visto, ma un barlume di stupore fu inevitabile. Finalmente il suo sguardo celeste incontrò quello di Dean per la prima volta e quest'ultimo non riuscì a non deglutire per il nervosismo.

- Ora capisco perché il sergente Vaught ti teneva sotto tiro. - Mormorò pensieroso.

- Il fatto che io non sia marchiato... è un male? - Fu la prima volta che Dean parlò. Nella sua testa frullavano un sacco di domande, ma quelle che prevalevano di più riguardavano la sua sorte. Cosa accadeva ai non marchiati? E ce n'erano mai stati altri prima di lui? O meglio ancora... perché non aveva anche lui un tatuaggio come tutti gli altri? Cosa lo rendeva diverso e per quale motivo? A nessuna di queste sapeva dare una risposta. La sua mente era un vuoto totale.
Shurley tolse le mani da dietro la schiena e si prestò ad abbassare nuovamente le maniche di Dean. Sapeva non lo stesse facendo per premura, piuttosto sembrava un modo indiretto per studiarlo di più.

- Sei il primo che vedo senza marchio. Non è un male, è strano e inspiegabile. - Dean deglutì quando il generale si prese la libertà di afferrare il suo mento per girare la testa del malcapitato da una parte all'altra, come se stesse analizzando ogni suo particolare. - La diversità spaventa, e Lucifer ha paura che tu possa essere una minaccia. - Gli si avvicinò ancora di più, arrivando a un palmo dal suo naso. - Stai fingendo di non ricordare? - Quel sussurro gli parve perfino minaccioso.

- No... no, io non ricordo... ho battuto la testa e... -

- Chi me lo assicura? - Dean deglutì di nuovo. - Potrebbe essere un tuo piano. - A quel punto il malcapitato emise una leggera risata nervosa e scosse la testa spazientito.

- Andiamo, non vorrà credere davvero che io sia qui per farvi fuori tutti, io non sono un figlio di puttana. - Ci fu un silenzio di tomba che sembrò durare un'infinità. Forse Dean aveva sbagliato qualcosa, magari nel modo in cui si era rivolto a un'autorità come lui? Aveva esagerato e ora che se ne rendeva conto non riusciva nemmeno ad aprire bocca per balbettare delle scuse. Poi però Shurley sollevò un angolo delle labbra in un mezzo sorriso divertito, infine fece qualche passo indietro.

- Tenente! - Castiel fece un cenno con la testa. - Voglio che porti il signor Winchester dalla dottoressa Masters. Voglio sapere cosa lei abbia da dire riguardo a questa... amnesia, e alle sue condizioni generali. -

- Sì signore. - Disse Castiel, poi Shurley si rivolse a Gabriel, che ancora teneva Dean in modo che non crollasse sul pavimento.

- Capitano, voglio che lei cerchi informazioni sul braccialetto che mi ha mostrato. Voglio sapere ogni schifoso particolare, cerchi delle impronte digitali, confronti la calligrafia, il tipo di inchiostro, ogni maledetta cosa che riesce a trovare. - Gabriel annuì. - E organizzi una squadra per domani. Le ceneri si saranno disperse già al sorgere del sole, voglio indizi. Porti Lucifer con sé, faccia in modo che si renda utile. -

- Sì signore. - Risposero in coro i due fratelli.

- Non lei, tenente. - Castiel si ritrovò a corrugare confuso le sopracciglia.

- Ma... -

- Mi serve qualcuno che lo controlli. - Posò lo sguardo su Dean. - Costantemente, e voglio venire informato se dovesse riacquistare qualche ricordo. Gli trovi una sistemazione e non lo perda di vista. - Castiel sbatté le palpebre per una manciata di secondi, confuso da quel nuovo compito che probabilmente lo avrebbe sottratto dalle sue solite mansioni, quelle per cui lui aveva guadagnato il suo ben meritato titolo. Non voleva occuparsi di lui, voleva fare il suo lavoro, aiutare suo fratello in quella prossima spedizione in superficie.

- Perché proprio io? - Shurley lo guardò per una manciata di secondi prima di rispondergli.

- Si è fatto puntare un fucile alla testa per quell’uomo, Novak. - Castiel lanciò una veloce occhiata a Dean.

- Lucifer non avrebbe mai sparato. -

- Non ne sia troppo sicuro. Mi è bastato averla vista rischiare. Si è dato da solo questo compito. - Il generale non disse altro. Riportò le mani dietro alla schiena, poi si voltò e lasciò il garage così come era arrivato, richiudendosi la pesante porta di metallo alle spalle. Solo dopo, Gabriel si lasciò andare a un sospiro e Dean si ritrovò a fare una leggera smorfia di dolore per via della spalla ancora malandata.

- Senti, Cassie… se vuoi ci scambiamo i ruoli, puoi andarci tu sul luogo dell’esplosione domani. - Castiel fece roteare lo sguardo. Senza degnare il fratello di una risposta, si avvicinò a Dean e fece in modo che si aggrappasse a lui. Gabriel lo osservò con sguardo confuso, e quando fu libero dal peso del suo corpo, sollevò le sopracciglia nel vederlo camminare verso l’uscita, trascinandosi dietro un Dean zoppicante. - Lo dicevo per te, eh! Non mi sembri molto contento. - Castiel non si voltò.

- Non rinuncerò a questa cosa solo perché va contro alle mie volontà. Farò quello che ha detto Shurley. - Castiel si aggrappò alla maniglia con una mano, poi con una spallata la spinse e spalancò letteralmente la porta. - Io non sono come Lucifer. -

- Siete entrambi due enormi teste di cazzo, però. - Disse Gabriel rassegnato, restando fermo sul posto mentre si rigirava il braccialetto di plastica fra le mani. Castiel ignorò le parole di Gabriel, poi la porta si chiuse da sola alle sue spalle.

L’infermeria della dottoressa Masters si trovava qualche piano più in basso. Gli sarebbe bastato prendere l’ascensore più vicino per raggiungerla.

- Non dovevi rischiare di farti sparare in testa per me. - Mugugnò Dean mentre Castiel premeva il tasto per chiamare l’ascensore.

- Lucifer non avrebbe sparato. - Dean lo guardò incerto, perfino il suo tono risultava insicuro, perché Castiel sapeva quante cazzate avesse combinato il suo “amico”, se così lo si poteva chiamare. Si ricordò di quella volta in cui aveva pestato a sangue uno dei caporali perché non lo aveva ascoltato, in quanto fosse di grado superiore a quel povero ragazzo. Ciò non gli dava ovviamente il permesso di arrivare a tanto, ma sapeva che quel caporale non poteva protestare e che doveva subire per via della sua posizione. Lucifer lo aveva fatto senza esitare, probabilmente avrebbe sparato davvero se non avesse tirato in ballo i trascorsi che avevano peggiorato la sua condotta lavorativa.

Dean decise di non insistere su quel discorso. Si poggiò allo specchio che ricopriva una delle pareti dell’ascensore e osservò il soldato che con espressione seria stava dritto sulla schiena e guardava le porte chiudersi.

- Perché l’aria è tossica in superficie? - Castiel si girò a guardare Dean come se quello in ascensore con lui fosse un pazzo, ma poi si ricordò della sua amnesia e deglutì, tornando a fissare le porte ormai chiuse di fronte a sé. - Cosa diavolo è successo in questo dannato pianeta? - Castiel sospirò, poi incrociò le braccia al petto.

- È una storia lunga. -

- Ho tempo. - Castiel si leccò le labbra.

- Prima andiamo dalla dottoressa Masters. -


Note autrice:
So che è passata un'eternità, ma la sessione maggio-giugno in università è da suicidio.
Vi chiedo di perdonarmi. La storia non la abbandono, ma per avere aggiornamenti costanti dovrete aspettare che mi levi di mezzo questi quattro dannatissimi esami.
Sooooooo, che ne pensate di questo capitolo? Qui presentiamo due personaggi che dovrete tenere bene a mente per il resto della storia.
Per chi se lo chiedesse e non lo sapesse, Vaught è il cognome di Nick (il tramite di Lucifer).
Ci vediamo al prossimo capitolo, cercherò di postarvelo quanto prima but... dipende tutto dallo studio.
Baci!

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Capitolo 3
*** Tu mi credi, vero? ***


Tu mi credi, vero?

- Direi un bel trauma cranico, è un miracolo che tu sia ancora vivo. - La dottoressa Masters tornò nella stanza con le lastre che Dean aveva fatto poco prima.
Era una donna che Castiel poteva definire al pari di suo fratello per quanto riguardava il suo carattere. La prima volta che l'aveva vista era stato dopo una ferita durante l'addestramento. Aveva cercato di vincere un corpo a corpo quella volta, con l'allora sergente Michael. Era troppo forte rispetto a lui, che era soltanto una recluta. Gli aveva slogato un polso e fatto un occhio nero, per non parlare della costola incrinata. Si ricordava che in infermeria Meg aveva parlato per tutto il tempo, per distrarlo diceva lei, con tanto di battutine che però lui non era riuscito a cogliere per il più delle volte... e poi Meg lo aveva accusato di essere troppo serio, in un modo non proprio consono:

"Sei proprio un palo in culo"

Gli aveva detto, lasciandolo di stucco. Gabriel lo aveva avvertito, dopotutto. Gli aveva raccontato tutto quello che c’era da sapere sull’esercito, e del caratterino della dottoressa Masters, arrivata in quell’infermeria solo poco dopo l’arruolamento di Gabriel.
Meg aveva notato una certa somiglianza con Gabriel la prima volta, e quando Castiel aveva confermato quel legame di parentela, sia di sua spontanea volontà, sia per il tatuaggio perfettamente identico con quello del maggiore, Meg aveva riso, perché convinta che entrambi fossero come il giorno e la notte: Gabriel era sempre stato quello divertente, quello estroverso, quello più convincente, sapeva farsi valere. Castiel era più spigliato e si lasciava andare a determinate battutine solo quando era con lui, con gli altri era più chiuso, preferiva starsene nelle sue. Ma rispetto a Gabe, lui era un soldato forte, autoritario, sapeva farsi ascoltare da chiunque.
Castiel si staccò dalla parete e Dean sollevò la testa dal letto. Sembrava quasi volesse scappare da lì, che non gli piacesse restare immobile senza fare nulla. Probabilmente prima di quel “piccolo” incidente, Dean era abituato a muoversi molto. Lo capiva dal tic nervoso al dito della mano destra, che non faceva altro che picchiettare fastidiosamente sulla sbarra metallica del lettino. Castiel non aveva assistito alla visita, aveva preferito rimanere fuori e rispettare la sua privacy.

- La spalla è a posto, ma per la gamba avrai bisogno di riposo. Le costole non sono fratturate come credevi, Clarence. - Castiel corrugò confuso la fronte, ignorando il modo in cui lo aveva chiamato. Gli aveva affibbiato quel nomignolo già dalla prima volta che si erano visti, giustificando tutto ciò con il fatto che secondo lei Castiel somigliava a un angioletto. I suoi occhi azzurri scesero sulla gamba sulla quale Dean zoppicava fino a qualche ora prima, come a cercare di individuare lui stesso il problema, poi salì al busto, ora coperto dalla maglietta in cotone, dove immaginava le ecchimosi violacee dovute a delle fratture che invece, a quanto sembrava, non c’erano affatto.

- Credevo che la gamba fosse rotta. Non riusciva a camminare, né a muoversi. - Meg lo guardò per un attimo in silenzio, poi tirò fuori le lastre e le passò a Castiel. La sua espressione divenne ancora più confusa quando si rese conto che la gamba di Dean era intatta, come se non avesse mai subito dei traumi, così come il resto delle ossa, comprese quelle che Castiel aveva intuito fossero rotte. - Non capisco... -

- Possibile che la cenere ti abbia confuso un po’ le idee, Clarence. Sicuro che quella maschera fosse a prova di aria tossica? - Castiel lanciò uno sguardo a Dean, sembrava più confuso di lui mentre lo vedeva portarsi una mano sulla fronte, dove un enorme cerotto bianco copriva dei punti di sutura. Probabilmente avvertiva del prurito, era normale. Castiel si era fatto rattoppare un migliaio di volte da Meg.
Gli occhi di Castiel scesero di nuovo a quella gamba, e si chiese se non fosse il caso di ripassare qualche nozione di pronto soccorso. Gabriel sarebbe stato deluso dal sui fratellino minore, era forse il primo a volere che Castiel fosse preparato su certi argomenti. I Novak dovevano essere perfetti per lui.
Eppure ricordava perfettamente la scena, e ricordava il peso del masso che lui e suo fratello avevano dovuto scansare con un bello sforzo solo per liberare Dean.

- Ha preso una bella botta, è normale non riuscisse a muoversi, ma non ha causato fratture. -

- Che mi dici dell'amnesia? -

- Dico solo che siete tutti degli idioti. - Dean e Castiel la guardarono come se fosse pazza, lei invece sollevò gli occhi al cielo. - Ha sbattuto forte la testa, l'amnesia era un'ipotesi assolutamente ovvia, non capisco perché abbiate bisogno di una conferma. -

- Il generale Shurley lo ha voluto e io ho semplicemente eseguito. - Castiel mise a posto le lastre dentro la busta dalla quale Meg le aveva tirate fuori quando era entrata nella stanza, poi rivolse un'occhiata incuriosita a Dean. - Non ha il tatuaggio identificativo. Si chiedeva se fosse il caso di fidarsi o... -

- Già, quello non ce l'ha, eh? - Meg parve scambiarsi un'occhiata che la diceva lunga con Dean, il quale reagì semplicemente distogliendo lo sguardo su qualunque altro oggetto nella stanza. A Castiel parve sospetto. - Beh, dì a Shurley che vorrei proprio vederlo dopo che un grosso masso gli cadrà in testa... sempre se si ricorderà come si chiama! - La dottoressa Masters incrociò le braccia al petto, poi si poggiò contro la parete dietro di sé e posò lo sguardo su Dean, che sembrava invece voler evitare il contatto visivo con chiunque in quella stanza.

- Credi che recupererò i miei ricordi? - Chiese il biondo, guardando un punto fisso del pavimento poco dopo essersi messo semi seduto. Poggiava perfettamente il peso del corpo sul braccio che poco prima Castiel gli aveva rimesso a posto, dove aveva avuto la spalla lussata.

- Questo non posso prevederlo. Ma puoi andare adesso, cerca solo di non sforzarti troppo. - Castiel corrugò la fronte, lasciando le lastre sul letto ai piedi di Dean mentre raggiungeva Meg che stava andando via dalla stanza come se niente fosse. Fece in tempo a oltrepassare la porta. La vide intenta a girare l’angolo. Castiel la richiamò e lei si fermò proprio in mezzo al corridoio, girandosi verso di lui per sentire cosa avesse da dirle.

- Che vuoi dire con “puoi andare”? Non ha bisogno di essere ricoverato? - Meg sospirò, poi lo raggiunse, stringendosi la cartellina al petto

- Non posso tenerlo qui, Castiel. - Disse a bassa voce, come se non volesse che altri oltre a lei sentissero quello che si stavano dicendo. - Lui sta bene, non ne avrebbe davvero bisogno, ma oltre a questo… - Meg guardò Dean attraverso il vetro. Si era messo seduto, aveva appena controllato all’interno della maglietta e ora se la stava abbassando per coprire quei centimetri di pelle scoperta, dove i suoi lividi erano solo di un giallo ocra leggero, quasi come sul punto di sparire del tutto. - Ho altre persone ricoverate qui, la voce si sta spargendo e se non è così lo sarà. Tutti verranno a sapere che non è marchiato e scoppierà il caos. Potrebbero fargli del male, e non parlo solo dei pazienti, parlo degli altri medici, degli infermieri. Qui non sono tutti dei santi quando si sentono minacciati. - Castiel rimase in silenzio per una manciata di secondi, cercando di riflettere su quello che la dottoressa Masters aveva appena detto. Non aveva tutti i torti. Gli era stato affidato il compito di proteggerlo e quello di certo non era il modo migliore per farlo.

- Quindi che dovrei fare? - Meg si raddrizzò sulla schiena. Gli passò una mano sulla divisa militare, quasi come a stirare le pieghe e a sistemarlo con cura.

- Gli potresti prestare il tuo letto. - Castiel spalancò gli occhi e scosse la testa.

- Farlo dormire alla base? Lucifer vuole già farlo fuori. Lo ha minacciato. - Meg rise, e Castiel si chiese il perché di quella reazione fuori luogo. La donna fece scivolare la mano dalla sua spalla, dove stava spazzolando via della polvere che probabilmente nemmeno era presente sui vestiti di Castiel. Tornò a stringere la cartellina e fece spallucce.

- Non è la prima volta che Lucifer fa lo stronzo, giusto? - Fece una breve pausa prima di riprendere a parlare. - Lo avresti sempre vicino, non lo perderesti mai di vista. Non è questo il tuo compito? - Castiel sospirò. Per la seconda volta dovette ammettere a sé stesso che Meg aveva ragione. Era un ottimo pretesto per osservare i suoi sviluppi, ma questo voleva anche dire che doveva “costringere” suo fratello a usare un’altra delle stanze della base. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto per convincerlo.

- Porto Dean via di qui. - Meg accennò un sorriso divertito, poi gli diede una leggera pacca affettuosa sulla guancia.

- Meg… -

- Che c’è? -

- Sono sicuro… assolutamente sicuro. Aveva qualche osso rotto, mentre adesso… - La donna lo zittì, sollevando un dito, proprio nel momento in cui uno dei medici le passava accanto e poi spariva oltre l’angolo. Non voleva che delle orecchie indiscrete sentissero della loro conversazione, forse per lo stesso motivo per cui non voleva che Dean restasse ricoverato al suo ambulatorio.

- Gli ho prelevato un campione di sangue. - Spiegò lei in sussurro, poco dopo. - Non credo avesse delle fratture, sarebbe impossibile visti i risultati delle lastre. Ma se fosse come dici tu… un’analisi del sangue potrebbe darmi ulteriori spiegazioni. - Castiel annuì, Meg in risposta si limitò a sistemarsi il camice, poi accennò un sorriso.

- Vieni a trovarmi più spesso, Clarence. - Gli disse, e se ne andò sui suoi passi, salutando i colleghi infermieri durante il tragitto.
Castiel si ritrovò da solo in quel lungo corridoio. Il silenzio tombale era riempito solo dai passi delle altre persone che gli passavano accanto, o dal rumore delle porte che si chiudevano.
Tornò nella stanza dove Dean si era ormai già alzato. Era davanti allo specchio, teneva la maglietta sollevata e si controllava, sembrava che stesse guardando quel corpo per la prima volta.

- Possiamo andare. - Dean non si era accorto che Castiel fosse tornato, infatti sussultò e lasciò andare la stoffa che subito ricoprì la pelle leggermente martoriata. Si portò una mano al petto, spaventato.

- Cristo, mi hai fatto prendere un colpo! - Disse lui. Castiel lo osservò meglio, non sapendo più cosa pensare sull’uomo che aveva di fronte, non dopo le scoperte fatte con quelle dannate lastre. Non riusciva più a togliersele dalla testa, né riusciva a darsi una spiegazione plausibile. - È successo qualcosa? - Castiel scosse prontamente la testa, poi gli fece cenno di uscire da quella stanza.

- Riesci a camminare? - Dean si guardò per un momento, come se non sapesse effettivamente come il suo corpo avrebbe funzionato dopo quella visita.

- Credo di sì. - L’altro deglutì, poi gli fece spazio e lasciò che Dean uscisse dalla stanza. Lo guardò camminare fino agli ascensori pensando che per arrivare lì aveva dovuto trascinarlo, mentre adesso si limitava solo a una leggera zoppia. E la cosa che più lo preoccupava era il fatto che dovesse fare rapporto a Shurley di quella visita, e non voleva immaginare la sua reazione. Seppure non conoscesse affatto Dean, Castiel non voleva gli si torcesse un capello, odiava che venisse fatto del male a un altro essere umano solo perché diverso.
Lui di certo ne sapeva qualcosa.
Quando furono di nuovo in ascensore, Castiel premette il numero del piano dove lui e i suoi colleghi vivevano, mangiavano, dormivano e passavano le giornate quando non avevano compiti da eseguire. Era lì che Dean sarebbe dovuto rimanere.

- Ti sto portando alla base. Ti sistemerai nella mia stanza e non ti muoverai di lì senza il mio consenso. - Gli comunicò, le braccia dietro alla schiena dritta. Dean lo guardò tramite lo specchio, poi incrociò le braccia al petto.

- Vuol dire che adesso sono prigioniero? - Castiel non si scompose.

- Non sei prigioniero. Voglio solo evitare che Lucifer provi a ucciderti. - Dean non rispose. Rimase a osservare il soldato che gli stava davanti, come se ne stesse studiando a fondo il volto e le espressioni.

- Cosa è successo al pianeta? - Gli rivolse nuovamente quella domanda, e stavolta sembrava non ammettere cambiamenti di discorso o che Castiel non si premurasse di spiegargli. Fu a quel punto che il suo sguardo incrociò quello di Dean dallo specchio. Il soldato sospirò, poi si leccò nervosamente le labbra.

- Quasi quattro decenni fa, le potenze mondiali erano in continuo conflitto. I Paesi erano governati da leggi dittatoriali e puoi immaginare quante volte la gente si sia ribellata. - In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono. Castiel iniziò a camminare e Dean lo seguì in silenzio e a testa bassa. - C’erano continue rivolte, e continue incomprensioni. Si partiva da semplici guerre a veri e propri putiferi. Avevamo previsto che le cose avrebbero preso una piega ingestibile. Si costruirono dei bunker sparpagliati per il pianeta. La gente iniziò a trasferirsi lì in attesa dell’inevitabile. -

- Tutta… la gente? - Chiese Dean, confuso. Castiel si fermò nel bel mezzo del corridoio. Fu a quel punto che il biondo si rese conto che erano di fronte a una porta di metallo. Il soldato tirò fuori da una delle tasche una tessera magnetica. Gli bastò adagiarla accanto alla serratura e quella si aprì. La stanza oltre a essa era una semplice camera anonima. Due letti occupavano lo spazio striminzito della camera. Poi vi era un grande armadio scuro a fronteggiarli, mobili dal colore neutro, perlopiù le pareti erano piene di foto di soldati, di medaglie e attestati. Una piccola porticina portava a quello che sicuramente era il bagno. Castiel si tolse la giacca e la lasciò ricadere su una sedia. Indossava una maglietta verde oliva, stretta. Dal collo pendeva la sua medaglietta. Dean si soffermò a guardarla per fin troppo tempo, tanto che si costrinse da solo a non fissarla.

- No… non tutti credevano che sarebbe successo qualcosa del genere. - Castiel si sedette sulla sedia dove poco prima aveva lasciato la sua giacca mimetica, poi si passò una mano sulla guancia e la grattò distrattamente. Fissava un punto indefinito del pavimento, come se quelle scene stessero scorrendo davanti ai suoi occhi in quel preciso momento, anche se probabilmente non le aveva nemmeno vissute di persona. - E quella convinzione fu fatale. I primi bombardamenti furono quasi del tutto innocui, erano come degli avvertimenti. Ma poi la situazione degenerò. La notte in cui accadde tutto, quelle che piovvero dal cielo non erano semplici bombe. Avevano creato una sostanza tossica in laboratorio, non pensavano fosse così distruttiva, ma la gente iniziò a morire non appena quella schifezza gli entrava nei polmoni. - Ci fu silenzio, solo per qualche secondo. - Alcuni riuscirono a scappare e a rifugiarsi nei bunker, altri si salvarono come per miracolo, ma l’ottanta percento della popolazione mondiale fu spazzata via come polvere. -

- Cazzo… - Mormorò Dean, sconvolto da quelle parole, poi si grattò la nuca e scosse la testa.

- Adesso i nostri scienziati stanno studiando un modo per tornare in superficie, purificare l’aria… ma fin’ora non ci sono mai stati dei risultati positivi. - Dean si avvicinò alla porta già chiusa che conduceva al corridoio, vi si poggiò contro con la schiena.

- Non è possibile che io provenga da… da un altro bunker? - Castiel sollevò lo sguardo verso di lui.

- È alquanto improbabile. Questo è l’unico bunker in America, gli altri sono oltreoceano e la durata dell’ossigeno nelle maschere è di circa due ore. -

- Ma avevo una maschera! Da qualche parte devo averla presa, giusto? - Castiel non rispose. Lo guardò in silenzio, rendendosi conto con più sicurezza che Dean non aveva la più pallida idea di chi fosse. Adesso gli credeva con più fermezza. Non gli sembrava affatto un bugiardo o una potenziale minaccia, era solo un uomo spaventato con un buco nero nella testa, e Castiel voleva aiutarlo.

- Non lo so. - Dean si morse il labbro, passandosi una mano fra i capelli, forse nel tentativo di far riemergere qualche ricordo. Un tentativo futile, visto che la sua mente sembrava fluttuare lontano dalla realtà, incapace di atterrare.
Calò il silenzio. Castiel cercava di capire chi o cosa fosse l’uomo che si trovava lì con lui, mentre Dean si domandava se era il caso mostrargli cosa Meg aveva scoperto mentre lo visitava. Non poteva fidarsi di molte persone lì dentro, soprattutto se gli altri soldati potevano avere la stessa mentalità di Lucifer, anche se non pensava la stessa cosa di Gabriel, che sembrava più che altro qualcuno che non voleva immischiarsi in cose più grandi di lui. Suo fratello Castiel sembrava invece qualcuno di cui avrebbe potuto fidarsi, sembrava credergli ed era stato il primo a non dubitare della sua amnesia. Da una parte voleva rischiare, ma dall’altra non voleva caricare quella che sembrava una brava persona di un peso troppo grande da sopportare. Non voleva mentisse per lui, ma si era quasi fatto sparare alla testa per difenderlo, qualcosa doveva pur significare.
Sì, glielo avrebbe detto.
Chiuse la porta, facendo girare la piccola maniglia due volte, in modo che fosse ben chiusa e che nessuno potesse entrare per sbirciare. Castiel parve confuso da quel gesto, e lo fu ancora di più quando Dean lo fronteggiò, titubante.

- Tu mi credi, vero? - Gli chiese il biondo.

- Ti credo, certo. - Gli bastarono quelle semplici parole. Dean afferrò i bordi della maglia e se la sfilò. Rimase a petto nudo, ma invece di rimanere a fissarlo, Castiel si voltò dalla parte opposta, improvvisamente imbarazzato da quella sua iniziativa. - Che cazzo stai facendo? -

- Non fare l’idiota! Non ti sto provocando. - Disse il biondo. Castiel allora lo osservò con la coda dell’occhio, finché non notò qualcosa fuori posto, qualcosa che in realtà non ci sarebbe dovuto essere. Mise da parte l’imbarazzo della situazione e rivolse tutta la sua attenzione all’uomo di fronte a sé.
Dean poteva non avere il tatuaggio che lo categorizzava come tutti gli altri, ma in compenso aveva uno strano tatuaggio sul petto, proprio sulla parte sinistra. Castiel si alzò in piedi, un’espressione stralunata dipinta in volto, la fronte corrugata mentre inclinava leggermente la testa da un lato e studiava con lo sguardo le linee nere che componevano quel simbolo che mai prima d’ora aveva visto.

- Che diavolo è? - Chiese Castiel, e fu allora che Dean sollevò un sopracciglio.

- Perché continui a chiedermi cose di cui non so ovviamente la risposta? Ho una cazzo di amnesia, Castiel. - L’altro non rispose a quella provocazione, continuò a tenere lo sguardo fisso su quell’immagine. Portò una mano alla sua spalla, raddrizzandola in modo da avere una visuale più completa. - La dottoressa Masters lo ha visto mentre mi visitava. Mi ha guardato come se fossi un mutaforma o una creatura disgustosa. - Iniziò il biondo. - All’inizio non sono riuscito a capire il motivo di quella reazione, ma poi ho abbassato lo sguardo e… ed eccolo qua. - Castiel si allontanò da Dean, il tempo giusto per aprire un cassetto della scrivania e tirare fuori un foglio e una penna. - Ha detto che altri tipi di “marchi” sono vietati. Che potrei… finire nei guai se solo qualcuno lo vedesse. - Il soldato poggiò il foglio sulla parete, poi cominciò a copiare quel simbolo per filo e per segno. Iniziò da quella stella a cinque punte, poi passò alla corona di “fiamme” che la circondava.

- Per questo eravate così circospetti quando abbiamo parlato del tatuaggio identificativo? - Dean annuì, rimase immobile mentre prendeva la maglietta che si era sfilato, aspettando che Castiel finisse di copiare quello che vedeva. - In breve, l’unico tatuaggio permesso è quello identificativo. Averne uno sconosciuto potrebbe metterti davvero in cattiva luce. -

- Che cazzo devo fare, Cas? - Chiese il biondo mentre si rimetteva la maglietta. Castiel mise il tappo alla penna, poi ripiegò il foglio su sé stesso un paio di volte e lo infilò in tasca.

- Non devi fare nulla. Tieni per te questa cosa, io indagherò. -

- Lo dirai a qualcuno? - Castiel lo guardò, ci pensò su per un bel po’. Parlarne a Gabriel sarebbe stato utile? Non lo sapeva, si era sempre confidato con lui, e nascondergli quello sembrava come tradirlo. Ma Dean aveva paura, e doveva evitare facesse cazzate, mantenerlo tranquillo per evitare che Lucifer o qualcun altro mettesse in repentaglio la sua vita. Poteva nasconderglielo.

- Solo al generale Shurley. Farò in modo che non lo dica a nessuno. - Dean rimase immobile per un momento, poi annuì poco convinto e si lasciò ricadere a sedere su uno dei due letti, deglutendo nervosamente. - Non posso nasconderglielo. -

- Va bene, ho capito. - Le mani di Dean tremavano leggermente. Castiel avrebbe voluto tranquillizzarlo, ma in quel preciso momento un continuo bussare interruppe le sue intenzioni.



Note autrice:
Dopo una vita, rieccoci qui con un nuovo capitolo!
So che è passato fin troppo, ma come ho spiegato nelle note di "Brother mine", studio e sessioni estive/autunnali insieme sono un vero inferno.
Comunque, cosa ne pensate di questo capitolo?
Avrei una richiesta da farvi, prima che lasciate le vostre recensioni. Avete delle teorie su Dean? Sono proprio curiosa di sapere quali siano le vostre idee. Fatemele sapere, anche perché come avrete notato, qui si scopre qualcosina in più su di lui.
Tornerò presto, promesso. Un bacione!

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Capitolo 4
*** La partita di poker ***


La partita di poker

- Castiel! Perché diavolo questa porta è chiusa? - La voce di Gabriel arrivò forte e chiara alle orecchie del minore dei Novak. Castiel prese Dean per le spalle e lo costrinse ad alzarsi dal letto, poi lo spinse letteralmente verso il bagno. Dean dapprima protestò, poi sbuffò e si lasciò trascinare.

- Apri il getto dell’acqua. - Gli disse Castiel, poi chiuse la porta del bagno e, dopo essersi dato una sistemata alla maglietta, si recò verso la porta d’ingresso. Mentre poggiava la mano sulla maniglia sentì lo scroscio dell’acqua battere sul piatto della doccia. Lo fece per due motivi in particolare: Il primo era che Gabriel aveva una mente maliziosa, trovarlo lì insieme a Dean, con la porta chiusa a chiave avrebbe destato in lui chissà quale assurdo sospetto. Il secondo invece riguardava il fatto che Dean era abbastanza turbato, dai suoi occhi confusi si poteva notare quanto quello che era appena successo lo avesse scombussolato ancora di più. Poi era preoccupato per quel dannato tatuaggio, e sapeva che a un possibile interrogatorio di Gabe probabilmente non avrebbe saputo rispondere in modo adeguato.
Quando aprì la porta, Gabriel si palesò davanti ai suoi occhi. Il suo volto era stranito, ma poi si limitò a scuotere la testa e a entrare nella stanza, lasciandosi ricadere sul letto a peso morto, come se fosse terribilmente esausto.

- Già, a proposito di questo… - Cominciò Castiel. Gabriel sollevò la testa dal cuscino e corrugò la fronte.

- È il rumore della doccia quello che sento? - Chiese confuso. Castiel non rispose, ma a Gabriel non serviva una risposta, era capace di leggerla negli occhi di suo fratello come se fosse un libro aperto e scritto anche a caratteri cubitali. - Winchester è qui? - Un’altra domanda, ma stavolta il suo tono era sorpreso. - Che cazzo ci fa qui? - Castiel sospirò, si sedette proprio sull’altro letto e si passò le mani fra i capelli, come a cercare di riordinare le idee, perché doveva decidere bene da dove doveva iniziare con quel racconto, evitando ovviamente il discorso del tatuaggio sconosciuto. Gabriel nel frattempo si tirò su, reggendo il suo peso con i gomiti.

- Ho paura che dovrai dormire in un’altra stanza. - Gabe accennò una risata nervosa, dapprima rumorosa, poi pian piano sempre più affievolita, soprattutto perché si rese conto che Castiel non stava ridendo insieme a lui e che quindi non stava affatto scherzando come sperava.

- Oh, quindi sei serio! - Castiel si leccò nervosamente le labbra e sospirò. - Cassie, noi due dormiamo nella stessa stanza da quando eri in fasce. E poi… il belloccio qui non dovrebbe essere ricoverato? -

- Non è una mia decisione. La dottoressa Masters ha detto che sarebbe pericoloso per lui tenerlo lì. Le voci si sono sparse, la gente già sa. È diverso da noi e può correre rischi, soprattutto se Lucifer è in giro. - Gabriel sospirò, poi si passò una mano fra i capelli per scompigliarli e si tirò del tutto su a sedere. - Zoppicava, ricordi? Ho dovuto sistemargli la spalla quando eravamo in superficie e… - Allungò un braccio e recuperò la busta contenente le lastre che Dean aveva fatto, poi le passò al fratello. Lui dapprima guardò la busta senza capire, ma dopo un incitamento di Castiel si decise a tirare fuori il contenuto, osservando le lastre controluce per capire meglio di cosa il suo fratellino si stesse preoccupando.

- Sono le sue? - Gli chiese stupito. - Queste non sono le ossa di uno che è rimasto vittima di un’esplosione. -

- Capisci perché è meglio che resti qui? - Gabe controllò di nuovo le lastre, poi sospirò pesantemente e le rimise a posto all’interno della loro busta di carta. Non disse nulla però, e questo di certo non tranquillizzò il povero Castiel che voleva soltanto che Gabriel lo tranquillizzasse, o che semplicemente gli dicesse qualcosa per fargli capire cosa ne pensava. - Tu… non credi sia una minaccia, vero? - A quel punto il maggiore sollevò lo sguardo verso di lui e fece una smorfia pensierosa.

- Certo che no! - Rispose lui, e sembrava completamente convinto della cosa, ma allo stesso tempo un’altra preoccupazione lo rendeva più titubante. - Ma visto quello che è Dean… potresti finire anche tu nelle grinfie di Lucifer solo perché lo difendi. -

- So gestire Lucifer. -

- E come, facendoti sparare alla testa? - Castiel deglutì. Sapeva fin troppo bene che quel gesto aveva spaventato quasi a morte suo fratello, tanto che per un attimo sentì il senso di colpa divorarlo, e dovette deglutire per mandarlo giù e farlo sparire almeno in parte. Gabe scosse la testa e si alzò dal letto. - Non voglio parlarne, lascia stare. - Gli disse, portando entrambe le mani sui fianchi mentre ancora lo scrosciare dell’acqua della doccia riempiva la stanza. - Vedrò se Raphael può trovarmi una sistemazione momentanea. - Castiel smise di trattenere il fiato, fu come un sospiro di sollievo mentre annuiva alle parole di Gabriel.

- Hai scoperto qualcosa… del braccialetto? - Cambiò completamente discorso, forse per alleggerire quella lieve tensione.

- No, ma lo stanno analizzando. Cercano impronte, corrispondenze con la calligrafia, legami con quel nome. - Castiel annuì nuovamente, distogliendo per un momento lo sguardo dal fratello maggiore. - Non faccio che pensare al fatto che domani dovrò includere Lucifer nella squadra per la missione. - Per poco Castiel si era quasi dimenticato quel particolare. Shurley gli aveva ordinato esplicitamente di portarlo in superficie, forse per tenerlo a bada per quanto possibile. Il sogno di colui che lo aveva minacciato di sparargli in testa si stava avverando.

- Quindi… lo farai? Lo porterai di sopra? - Gabe corrugò la fronte e incrociò le braccia al petto.

- Non vorrei ma è un ordine di Shurley. Solo che dovrò trattenermi dal prenderlo a schiaffi. - Castiel sollevò di poco l’angolo delle labbra. Nel frattempo il rumore dell’acqua della doccia si arrestò. Entrambi i Novak si voltarono d’istinto a osservare la porta del bagno, poi attesero qualche secondo prima di continuare con quel discorso. - Ma so già quale sarà il suo compito. Starsene buono buono in auto mentre noi facciamo il lavoro. - Concluse, poi Gabriel guardò le sue cose sparse per la stanza e sbuffò. - Verrò a prendere la mia roba più tardi, o domani… o quando mi andrà di farlo. - Il maggiore si avvicinò al fratello, gli scompigliò i capelli, poi gli fece un occhiolino prima di dirigersi verso la porta.

- Aspetta, dove stai andando? -

- Devo organizzare la squadra per domani e… c’è la partita di poker oggi. - Castiel sollevò un sopracciglio. L’ultima partita era stata solo due settimane prima, di solito ci si organizzava per una volta al mese, sotto lo sguardo attento del generale che si limitava a controllare gli esiti. Non era una semplice partita di poker, era “la” partita di poker. Il premio era tra i più agognati fra i membri dell’esercito. Castiel e Gabriel non ci giocavano da un sacco di tempo ormai, perché quel premio che tutti speravano di ottenere era uno dei privilegi della loro posizione. Si limitavano quindi a scommettere su chi avrebbe vinto quel giorno, a incitare i loro favoriti o a guardare semplicemente.

- È oggi? Non è un po’ presto? - Chiese Castiel.

- Beh, dopo la rissa che Lucy ha scatenato per aver perso, Shurley ha deciso di organizzarne un’altra. Dovrei passare nel suo ufficio per avvertirlo. - Castiel si alzò dal proprio letto portando entrambe le mani sui fianchi. Guardava il fratello che si allontanava verso la porta, e proprio nell’esatto momento in cui la aprì non si curò di trattenere qual commento.

- Shurley lo sa già, perché dovresti avvertirlo? - Gabriel si fermò, rimase immobile sull’uscio di quella stanza dando le spalle a Castiel, poi però sospirò e lanciò una lunga occhiata al fratello, prima di sbuffare.

- Fatti i cazzi tuoi. - Castiel ridacchiò mentre la porta si chiudeva alle spalle di Gabriel. Nella sua testa si chiese quanto ancora doveva passare prima che Gabriel si rendesse conto che Castiel lo conosceva fin troppo bene. Se suo fratello cercava di attirare l’attenzione di Chuck non era di certo per motivi di lavoro.
La porta del bagno si aprì di un leggero spiraglio, da esse fece capolino la testa di Dean, che si guardò attorno prima di rivolgere l’attenzione a Castiel. I suoi capelli erano bagnati e gocciolavano sul pavimento. Alla fine quella doccia l’aveva fatta davvero.

- È andato via? - Chiese Dean a bassa voce, poi Castiel annuì e l’altro aprì la porta del tutto. Indossava solo i pantaloni, un paio di pantaloni di Castiel che Dean aveva sicuramente trovato in uno dei cassetti in bagno. In effetti i suoi vestiti non si potevano definire in ottime condizioni. Erano logori, sporchi, quindi in ogni caso Castiel stesso si sarebbe premurato di dargli un cambio. E fu quello che fece infatti, tirando fuori una delle proprie magliette dal suo armadio per permettere a Dean di coprirsi del tutto. Lui lo ringraziò con un mezzo sorriso, poi la indossò. - Di che partita di poker stavate parlando? -

- Stavi origliando? - Dean fece spallucce.

- Pareti sottili. - Castiel accennò un leggero sorriso. - Che cosa si vince? -

- Un paio di ore nel Giardino. - Dean corrugò la fronte, confuso. - Abbiamo un giardino all’ultimo piano del bunker. È l’unico posto dove è possibile vedere il cielo, dove si può avere un assaggio della superficie, nonostante il vetro spesso che ci impedisce di morire soffocati. - L’altro annuì pensieroso. - Non tutti possono andarci, devi avere un’autorizzazione speciale o avere qualche grado più alto. I sergenti hanno deciso di organizzare queste partite per poterne avere il privilegio ogni tanto. -

- Immagino tu abbia vinto molte volte. -

- In realtà no… non so giocare a poker. - Dean incrociò le braccia al petto. Era come se non si aspettasse quella risposta. - Ottenuto il mio grado da tenente mi sono stati concessi i privilegi. A volte mi capitano alcuni turni di guardia nel Giardino. - Il biondo annuì, poi si guardò intorno, osservando le foto appese alle pareti, forse per vedere se in qualcuna di quelle immagini ci fosse quel famoso Giardino. Ma il più delle foto appese alle pareti erano in compagnia di altri soldati all’interno del bunker, oppure fuori, in superficie durante le missioni. - Hai fame? -

- Da morire. - Castiel annuì, poi prese la sua giacca e incitò Dean a seguirlo fuori dalla propria stanza.
I soldati avevano una loro mensa su quello stesso piano. Era lì che si riunivano tutti per assaporare i piatti di Ellen, serviti dalla figlia Jo. Erano due donne che Gabe definiva “con le palle”, e in effetti non aveva alcun torto. Riuscivano perfino a calmare le acque se qualcuno, tipo Lucifer, si azzardava ad alzare la voce con un collega o era sul punto di cominciare una rissa. Ellen e Jo erano così determinate e autoritarie che ogni volta lì regnava solo il rispetto reciproco e la pace più assoluta. Era fuori da quel posto che iniziavano i problemi.
Quando Castiel e Dean entrarono in quella grande mensa, Dean la scoprì vuota. Non c’era nessuno, a parte una ragazza bionda che si premurava di mettere via i vassoi dal bancone. Castiel fece in tempo a fermarla per poter far mangiare sia lui che Dean. Aveva preferito aspettare che gli altri soldati avessero già finito di mangiare prima di portarci Dean. Voleva che per il momento le acque si calmassero, che nessuno guardasse il nuovo arrivato come uno scarto. In un certo senso, Dean riuscì a intuire quella sua premura senza nemmeno farglielo presente.
Mangiarono in silenzio per un po’. Non avevano molti argomenti… o meglio, era Dean a non averne. Non poteva raccontargli nulla di lui visto la sua condizione, ma poteva chiedergli informazioni su quel posto, e quindi fu quello che fece. Castiel gli parlò dei tatuaggi, delle prove, del Consiglio e di Shurley che ne era un membro ufficiale, così che Dean potesse avere le idee più chiare di come funzionassero le cose.
Solo dopo, quando finirono di mangiare, la porta della mensa si spalancò, palesando la presenza di Gabriel. In mano aveva un berretto militare, e dietro di lui gli altri soldati lo seguivano, o quasi tutti, ma Dean distolse lo sguardo quando si rese conto che tra di loro c’era anche Lucifer, che di certo non gli stava riservando un’occhiata amichevole. Shurley entrò per ultimo, col solito portamento autoritario e le mani dietro alla schiena. Dean trovò buffo il fatto che fosse così basso rispetto agli altri.
Gabriel attese che gli altri accerchiassero uno dei tavolini, mentre solo in pochi restarono in piedi a guardare da una certa distanza, poi iniziò a girare tra quelli in piedi allungando il berretto verso di loro, i quali al suo interno mettevano qualche banconota sgualcita.

- Che sta facendo? - Chiese Dean, curioso. Castiel nel frattempo aveva iniziato a mettere in un unico vassoio i resti del loro pasto, stava mettendo in ordine.

- Piazza scommesse sul vincitore. - Rispose lui con naturalezza, mentre riponeva l’ultimo tovagliolo accartocciato sul vassoio. - Non può giocare visto che ha i privilegi, quindi preferisce gestire la parte… economica del gioco. - Castiel si alzò in piedi, il vassoio ben stretto fra entrambe le mani. Dean osservò la situazione, deducendo che tutti quelli in piedi e in disparte fossero i soldati che avevano l’accesso garantito al Giardino. - Aspetta qui, devo fare rapporto a Shurley. - Dean non ebbe il tempo di rispondere. Castiel si era già allontanato, aveva posato il vassoio e si era diretto a passo spedito verso il Generale. Quando li vide parlare, Dean deglutì. Sapeva perfettamente che il “rapporto” riguardasse lui, il suo tatuaggio, le sue ossa miracolosamente guarite. Cosa avrebbe detto Shurley riguardo alla cosa?

- Sembri terrorizzato, amico. - Quella voce lo fece sussultare. Quando Dean si voltò alla sua destra, accanto a lui dove poco prima c’era Castiel, adesso c’era Balthazar. Da quanto tempo stesse lì e perché, non ne aveva minimamente idea. - Se ti preoccupi di Lucifer, sta tranquillo. La partita è il suo unico pensiero al momento. - In mano Balthazar reggeva un contenitore di cartone pieno di patatine fritte ancora calde. Sicuramente Dean avrebbe di buon grado accettato di mangiarle quando Balthazar fece per offrirgliele, ma aveva lo stomaco pieno.

- Sei uno dei pochi che ha già i privilegi? - Gli chiese Dean, cercando con quella conversazione di non pensare a quello di cui Castiel e Shurley stavano parlando. Gli sembrava un buon pretesto. Balthazar lo guardò in silenzio per un momento.

- No, purtroppo no. -

- Allora perché non stai giocando? -

- Ho vinto il mese scorso per la prima volta. Devo lasciare spazio agli altri. - Gli rispose semplicemente mentre masticava senza vergogna una manciata di patatine. - Lucifer si è incazzato come una belva. - A quel pensiero il soldato emise una risata divertita, scuotendo la testa. - Ha vinto solo un paio di volte ma non è mai contento. -

- Si comporta così con tutti, allora. - Balthazar osservò il diretto interessato. Lucifer teneva fra le mani le carte appena distribuite dal mazziere. Le guardò alla ricerca di una strategia di gioco, poi tirò fuori la sua migliore “faccia da poker” mentre il gioco iniziava e gli altri soldati cominciavano a puntare.

- Non lo so, l’ho conosciuto quando è entrato nell’esercito. Ma ho saputo… girano voci… - Il tono di Balthazar si fece più basso mentre si avvicinava di più a Dean per mantenere la segretezza della loro conversazione, seppure da quella distanza non avrebbero potuto sentire. - Si dice abbia avuto una relazione con una donna, che lei sia rimasta incinta e che il figlio sia morto appena nato. - Dean non ebbe una reazione che ci si aspettava da uno a cui quella situazione dispiaceva. Certo, era sicuramente un duro colpo da mandare giù, ma perché sfogare rabbia e frustrazioni addosso agli altri? Il viso di Dean era completamente indifferente.

- Bene, dolcezze, quanto puntate? - Il soldato accanto a Dean si ritrovò la visuale coperta proprio da Gabriel, che porgeva loro il cappello già ricolmo di banconote come se fosse un vassoio di dolci. Lo vide svuotarsi le tasche e mettere a disposizione per la scommessa più di qualche banconota e qualche monetina.

- Per Anna. - Gli disse, più sicuro che mai sulla sua decisione. Gabriel sollevò un sopracciglio.

- Nessuno ha puntato per lei. -

- Lo so. - Rispose Balthazar. - Ma le ho dato qualche dritta in queste settimane. Lei vincerà. - Gabriel lo guardò come se stesse dicendo un’assurdità. Forse pensava che non era possibile che solo con qualche dritta qualcuno sarebbe riuscito a vincere, però non disse altro, si limitò a fare spallucce e ad allontanarsi, pronto a seguire quella partita, anche se Dean non aveva proprio voglia di vedere come sarebbe andata a finire, soprattutto perché sentiva ancora lo sguardo di Lucifer addosso.

- Dean! - Da lontano, Castiel lo stava chiamando, distraendolo da quel peso che sentiva addosso. Shurley era sparito, constatò mentre il soldato gli faceva cenno di alzarsi e seguirlo. Il biondo obbedì senza fiatare, non si risparmiò nemmeno di salutare Balthazar, anche perché sembrava piuttosto concentrato sulla partita che su di lui. Mentre attraversava la stanza, Dean non si risparmiò di prestare una leggera attenzione ad Anna. I suoi capelli rossi risplendevano e spiccavano in mezzo a tutte quelle divise monocromatiche, erano rilegate in una coda bassa, ricadevano sulla spalla sinistra, vi poggiavano delicatamente come morbida seta. Un sorriso sicuro era dipinto sulle sue labbra. Forse anche lei era convinta di farcela.
Castiel camminava davanti a lui, e solo quando lo vide raggiungere il corridoio e anche Dean fu fuori dal campo visivo degli altri soldati, si decise a chiedergli ciò che più lo premeva.

- Hai fatto rapporto su di me? -

- Sì. - Gli rispose l’altro con tono tranquillo e pacato. Dean si aspettò che continuasse la frase, ma quando non lo sentì parlare si affrettò a incitarlo.

- E quindi? - Castiel voltò lo sguardo verso di lui, poi tornò a guardare davanti a sé.

- Mi ha solo detto “ottimo lavoro”, e che si sarebbe occupato lui di fare delle ricerche sul tuo tatuaggio. - Dean sollevò le sopracciglia stupito.

- Davvero? - Castiel ridacchiò, per un momento fu come camminare accanto a uno sconosciuto. Non lo aveva mai sentito ridere.

- Cosa ti aspettavi? Che ti gettasse nei sotterranei? - Nel frattempo Castiel tirò fuori la chiave elettronica della “loro” stanza e se la rigirò fra le mani più volte, come se la stesse toccando per la prima volta.

- Beh… sì, come minimo. -

- Siamo già nei sotterranei. - Si fermarono davanti alla porta. Castiel lo guardò con un sorriso divertito. Dean ci mise un po’ a rielaborare quella battuta, e un sorriso riaffiorò sulle sue labbra quando si rese conto che Castiel di riferiva proprio al bunker, che era appunto sotterraneo. Solo dopo aver ricevuto in cambio quella reazione, Castiel aprì la porta con la tessera e la consegnò nelle mani di Dean, che lo guardò confuso. - Prima o poi dovrò farne una copia per te. - Disse il moro. - Scegli uno dei letti, rilassati e cerca di dormire. Non fare entrare nessuno, solo Gabriel e me. Se ti viene un languorino o un po’ di sete c’è un mini frigo nell’armadio. Ci sono anche dei libri che potresti leggere, insomma… cerca di ambientarti. Domani la sveglia obbligatoria è alle sei, quindi ti conviene addormentarti presto. - Dean si era quasi perso in mezzo a tutte quelle spiegazioni, lo guardò come se fosse un alieno che cercava di interloquire con lui ma con una lingua extraterrestre che non conosceva.

- Aspetta… tu dove vai? Non dormi qui? -

- Certo, ma… devo fare un’ultima cosa e non so quanto ci impiegherò. - Dean non osò chiedere, non voleva nemmeno sapere se quest’ultima cosa riguardasse lui, voleva solo chiudere gli occhi e riposarsi. Probabilmente era solo qualche dovere da soldato, qualche ordine da eseguire, non voleva trattenerlo. - Buonanotte, Dean. - Un altro sorriso raro per cui il biondo rimase incantato per un momento, poi anche lui rispose con un sorriso titubante.

- Buonanotte, Cas. - Non gli diede il tempo di aggiungere altro, Castiel chiuse la porta e si diresse a passo deciso verso gli ascensori.
Quando raggiunse il piano dell’infermeria e del pronto soccorso, la prima persona che vide in corridoio fu proprio la dottoressa Meg Masters, e nessun altro. Il corridoio sembrava deserto. C’era anche un silenzio inquietante.

- Buonasera, Clarence. - Disse la donna a gran voce, con un sorriso sgargiante. Lui fece fatica a ricambiarlo, era troppo preso dalla voglia di sapere i risultati di quel dannato test del sangue. - Non immagini che cosa ho scoperto, dolcezza. - E Castiel deglutì.


Note autrice
Vi lascio il capitolo oggi, gente. Fino a mezz'ora fa stavo ancora finendo un progetto al pc per l'accademia e ne ho approfittato, visto che non so quanto tempo mi prenderà il prossimo. Fatemi tornare al primo anno...
Ciancio alle bande, che ne pensate di questo capitolo? Lo so che come al solito lascio il capitolo con un cliffhanger ma... che gusto c'è se no?
Comunque ho letto le vostre teorie su chi sia Dean in realtà. Qualcuno ci si è avvicinato di molto, altri sono andati completamente fuori strada. Ma non dirò chi, perchè it's a secret.
Ci vediamo molto preso, gente!

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Capitolo 5
*** Metatron ***


Metatron

Quando Castiel lasciò il corridoio buio e inquietante del pronto soccorso, e si infilò spedito nell’ascensore, il suo sguardo era fisso allo specchio. Si guardava, ma era come se vedesse un’anonima parete bianca mentre ripensava alle parole di Meg.

Niente di strano, Clarence. Le sue analisi erano nella norma.

E per l’ennesima volta si chiedeva come diavolo quello fosse possibile. Non riusciva a trovare una spiegazione. Aveva constatato in prima persona i danni di Dean, aveva visto Dean zoppicare e gemere di dolore a ogni passo. Che stesse fingendo? Che fosse tutta una farsa per arrivare a chissà quali scopi? Forse quello che a volte gli diceva Gabriel non era poi così sbagliato… forse era davvero troppo ingenuo, probabilmente gli scopi di Dean erano altri, ma a questo punto come spiegare la diagnosi di Meg sulla sua amnesia?

Forse, pensò, ciò che rendeva Dean così diverso non era possibile constatarlo da un semplice test del sangue.

Le porte dell’ascensore si aprirono e un coro di vittoria lo accolse, ma quello non era rivolto a lui, bensì ad Anna, che in mezzo a tante facce felici e fiere camminava a testa alta con un sorriso sgargiante sul volto. Doveva aver vinto la partita. Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano alle sue spalle, i soldati gli passarono davanti in fila, ognuno diretto alla propria stanza, mentre in fondo, in disparte e con la faccia di uno che non era molto contento di aver perso anche quella volta, Lucifer lo guardava di sottecchi, una scintilla di minaccia nei suoi occhi che non lo faceva stare per niente tranquillo.

Ho bisogno di scaricare questo stress.

Invece di raggiungere la camera dove Dean probabilmente stava già riposando, svoltò dalla parte opposta. In fondo al corridoio, lontano dalle camera, c’era la sala dove tutti i soldati si allenavano. Non era consentito entrare oltre il coprifuoco, ma Castiel ogni tanto eludeva quella regola. Si avvicinò alla porta, accanto sulla parete vi era un piccolo display. Gli bastò poggiarci sopra una mano. Venne riconosciuto come autorizzato e la serratura scattò. Quando entrò in quella stanza milioni di ricordi e di scene all’interno di quella stanza lo investirono come un treno in corsa.

Lì, nell’angolo accanto alla panca per i sollevamenti, Castiel aveva dato il suo primo bacio a una donna e poi l’aveva respinta con gentilezza. Hannah era il suo nome, e nella loro ultima missione insieme avevano legato tantissimo. Lei aveva dei pensieri totalmente differenti dai suoi, credeva che i traditori dovessero pagare con severe punizioni, e in qualche modo Castiel le aveva insegnato ad avere un po’ di compassione nei loro confronti. Hannah era cambiata, era diventata un sergente in gamba. Si era invaghita di lui, glielo aveva confessato e si era buttata. Un bacio, un lungo bacio a stampo che lo lasciò a occhi spalancati. Ci era voluto un po’ per trovare le parole giuste e dirle che i suoi gusti erano ben differenti da quello che lei credeva. Hannah aveva capito, erano rimasti amici, poi era stata promossa, poteva uscire in superficie. Castiel non faceva parte di quella spedizione, ma quando da quella missione erano tutti tornati tranne lei, lui aveva smesso di parlare per due settimane.

Quando era solo una recluta, quel sacco da boxe veniva colpito ripetutamente da un Castiel inesperto, mentre suo fratello cercava di motivarlo, di suggerirgli le migliori mosse, di addestrarlo e aiutarlo a migliorarsi.

Poi lì, alla sbarra dei sollevamenti, si era invaghito di un caporale, e mai aveva confessato i suoi sentimenti per lui. Quel peso era ancora sul suo petto a schiacciargli il cuore e mai se lo sarebbe tolto da lì, perché poi quel caporale, un po’ ribelle e temerario, era uscito di nascosto dal bunker con una maschera, ma poi l’ossigeno era finito, era rimasto lassù per troppo tempo.

E per finire in quell’angolo accanto al tapis roulant, Lucifer gli aveva quasi spezzato un braccio per una sfida, e se Gabe non fosse intervenuto in tempo probabilmente sarebbe finita peggio.

Castiel si sfilò la maglietta e la gettò sulla panca, si avvicinò al sacco e lì scaricò tutto lo stress. Pensò a Dean e a ciò che Meg gli aveva detto, alle analisi completamente normali, poi pensò a Chuck Shurley, al modo freddo e neutro con cui aveva reagito quando gli aveva parlato del tatuaggio, a Gabe che si era convinto di lasciargli la stanza e di trasferirsi momentaneamente da un’altra parte, a Lucifer e ai suoi sguardi minacciosi, e al fatto che stesse quasi per piantargli un proiettile in fronte.

Ogni pugno su quel sacco sembrava una liberazione.

Quella sera Dean si addormentò in una stanza solitaria.

L’indomani, Gabriel portò in superficie la sua squadra come promesso, Lucifer compreso, che non sembrò tanto contento di dover restare a fare la guardia alle jeep. Ma doveva redimersi da ciò che aveva fatto il giorno prima e non aveva altra scelta che obbedire al capitano Novak.

Castiel era rimasto al garage ad attendere il loro ritorno per tutto il tempo, Dean lo aveva seguito, ma non voleva sembrare il suo cagnolino e far arrivare la sua reputazione sotto ai piedi, quindi mentre lui chiacchierava con gli altri soldati, Dean si era messo da parte e aveva iniziato a curiosare in giro. Non gli sfuggì il fatto che tutti lo additassero mentre passava, o che sussurrassero qualcosa al compagno vicino che sicuramente riguardava lui. Non ci si abituava presto a una cosa del genere, Castiel era stato chiaro, perfino suo fratello Gabriel: doveva tenere gli occhi aperti e non fidarsi di nessuno, perché era diverso, e quindi un bersaglio. Il fatto che poi fosse guarito a vista d’occhio non lo aiutava a passare inosservato, visto che fino al giorno prima a stento riusciva a camminare. Ma cosa poteva farci se non aveva la più pallida idea di chi o cosa fosse? I soldati che erano lì, comunque, non sembravano volerlo aggredire, quindi si aggirò indisturbato. Il garage era enorme, c’erano così tante jeep che si perdevano a vista d’occhio, e le pareti accoglievano i ganci per le maschere d’ossigeno, e poi armi, più di quante Dean ne avesse mai viste in vita sua, sistemate dietro una parete di vetro, chiusa da un qualche codice che lui non conosceva. Dall’altra parte invece vi erano due porte, entrambe richiedevano l’accesso con una carta magnetica, proprio come la stanza in cui Castiel e tutti gli altri soldati dormivano. Fu un po’ deluso dal fatto che proprio per questo Dean non poteva andare a curiosare anche lì, per capire cosa si nascondesse in quelle stanze.

Osservò Castiel da lontano. Era in piedi accanto a Balthazar, le braccia incrociate al petto e lo sguardo rivolto al grande ingresso da cui era arrivato lui il giorno prima, aggrappato al tenente che aveva rischiato una pallottola in fronte pur di proteggerlo. Si chiese per un momento cosa sarebbe successo se a salvarlo fosse stato qualcun altro. Sarebbe stato clemente come lo era stato Castiel o lo avrebbe gettato in pasto a Lucifer senza problemi? O peggio… giustiziato direttamente in quel bar distrutto per paura che fosse chissà quale pericolo per l’umanità?

Mentre pensava a tutto quello, fece scivolare di nuovo lo sguardo verso quelle due porte e si rese conto che una era aperta. Quando era successo? Possibile che non si fosse accorto del fatto che qualcuno aveva aperto un varco alle sue possibilità di dare una sbirciatina? Non badò agli sguardi curiosi degli altri e si avvicinò con passo disinvolto. Ebbe timore solo quando arrivò a dare uno sguardo a quella stanza. Era un altro garage, ma decisamente più piccolo e meno organizzato. Le auto questa volta non erano jeep militari.

Curioso varcò del tutto la soglia e cominciò a camminare in mezzo ai veicoli, guardandole con attenzione una per una. Non erano messe in fila e in ordine, ma sembravano essere state messe lì alla rinfusa, come capitava, come in uno sfasciacarrozze. Una in particolare attirò la sua attenzione: nera, lucida, dai sedili in pelle, decisamente un auto d’epoca marcata Chevrolet. Si avvicinò come attirato da una calamita finché non riuscì a poggiare una mano sulla carrozzeria ricoperta in alcuni punti da una leggera patina di polvere.

- Ti piace? - Quando udì quella voce ritirò la mano sobbalzando e si girò. Dietro di lui, in fondo alla stanza, Anna lo guardava con un sorriso, tenendo i capelli raccolti in una coda sulla spalla destra. Non sapeva se essere sincero o semplicemente giustificarsi della sua presenza lì, ma dal suo viso non sembrava arrabbiata del fatto che l’avesse seguita.

- Sì… sì, è proprio bella. - Disse Dean mentre la donna si avvicinava fino ad affiancarlo.

- È una Chevy Impala del 1967. - Il biondo accennò un fischio sorpreso mentre guardava l’auto che, ancora quasi in buone condizioni, si trovava in mezzo a tutte quelle altre, decisamente più recenti dall’aspetto.

- Quasi tre secoli di auto. E va ancora? - Anna accennò una leggera risata, era proprio una bella risata, pensò Dean.

- Ovviamente no. È troppo vecchia, quindi la piccolina resta qui a prendere polvere. - Dean storse le labbra contrariato. - Come la maggior parte delle auto qui. -

- Cosa sarebbe questo, una specie di magazzino? Ci tenete i ferri vecchi? - Anna sorrise mentre si sedeva sul cofano della macchina. Poco dopo anche Dean fece lo stesso.

- Una specie. - Disse lei portando le mani sulle ginocchia. - Sono tutte le auto che abbiamo trovato in superficie nel corso degli anni. Le portiamo qui e le teniamo da parte. Quelle che sono ancora salvabili le sistemiamo, quelle che invece sono completamente fuori uso le teniamo qui, magari per un pezzo di ricambio o… semplicemente a prendere polvere e a diventare antiquariato, pezzi da museo di un pianeta che non esiste più. - Dean non rispose. Guardò un punto fisso davanti a sé nel sentire la voce assorta e quasi triste di Anna. Certo che doveva essere proprio bella la Terra prima di quel disastro! E forse lei nemmeno lo sapeva, visto che sicuramente era nata in quel bunker e non aveva assaporato come si deve la superficie. Era stupido avere a disposizione un pianeta e non poterci camminare sopra senza rischiare di morire. - Ma tu che ci fai qui? Non dovresti essere attaccato al culo di Castiel? - Dean la guardò sorpreso, poi scoppiò a ridere.

- Non voglio sembrare il suo cagnolino. - Si limitò a dire Dean. - In realtà mi annoiavo, volevo capire bene come fosse questo posto. -

- Sei fortunato che ci sia io in questa stanza, non stai simpatico a molti. -

- A te sì? - Lei gli sorrise, poi si alzò dal cofano di quell’auto e si spolverò i pantaloni con entrambe le mani.

- Diciamo che non mi sembri affatto una minaccia. E mi fido del giudizio di Castiel. Se a lui piaci allora piaci anche a me. - Dean fece per dire qualcosa, ma l’inconfondibile rumore delle saracinesche che si alzavano li fece voltare verso la porta. - Sono tornati. - Disse lei, e poi insieme si recarono al garage principale.

Tutti sembravano aver perso interesse nei suoi confronti, adesso si erano avvicinati all’ingresso. Le jeep erano ferme nell’anticamera, poi fecero il loro ingresso e si fermarono poco più avanti. I soldati scesero uno dopo l’altro, rimuovendo le maschere dell’ossigeno. L’ultimo a scendere fu Gabriel. Castiel sorpassò la calca di soldati e si fece avanti rispetto a tutti gli altri, e così fece anche Dean, perché quella questione lo riguardava in prima persona. Gli occhi dei due Novak si incrociarono, quelli di Castiel erano speranzosi, ma Gabriel si limitò a sospirare e a scuotere la testa rassegnato. Non avevano trovato niente, non un singolo indizio, non una singola traccia, né un piccolo particolare che avrebbe potuto svelar loro chi o cosa fosse Dean in realtà. Il disappunto sul volto di Dean era evidente, poco lo era invece su quello di Castiel. Era sembrato anzi leggermente dispiaciuto all’inizio, ma poi aveva indurito l’espressione ed era tornato il soldato di sempre. Poggiò quindi una mano sulla spalla di Dean, come a volergli dare il suo appoggio morale, come se gli stesse dicendo che avrebbero capito prima o poi qualcosa del suo passato. Dean guardò i suoi occhi azzurri in silenzio, poi lo guardò allontanarsi. La folla si disperse e ognuno tornò alle proprie mansioni.

Dean non riuscì a prendere sonno quella notte. Il letto era comodo, la stanza tranquilla, l’atmosfera buia e confortevole, ma i suoi occhi erano aperti e indugiavano su particolari futili delle pareti, come quella piccola crepa sul soffitto accanto al lampadario, o la carta da parati leggermente rovinata vicino alla porta, piccole imperfezioni che la prima volta erano sfuggite ai suoi occhi. Nel frattempo pensava, si sentiva messo alle strette ora che quella missione era fallita miseramente. Avevano detto che se ci fossero state delle prove, erano sicuramente andate perse con l’esplosione. Sul conto di Dean non c’era assolutamente niente, avrebbe voluto prendersi a sberle fino a farsi tornare la memoria.

Per non parlare del fatto che anche quella sera Castiel non era lì, dopo il ritorno dalla missione in superficie della squadra di Gabriel non lo aveva più visto. Cercò di non farci molto caso e provò a chiudere gli occhi per dormire, ma un rumore lo destò da quel letto. Che fosse stata la sua immaginazione? No, quel rumore si ripeté ancora e poco dopo sentì le porte delle altre stanze spalancarsi e delle voci, alcuni gridavano, altri correvano per il corridoio come forsennati. Dean si tolse le coperte di dosso e aprì la porta di un piccolo spiraglio. Vide i soldati accerchiati, altri puntavano pistole e armi. Lucifer era uno dei primi a tenere un fucile puntato verso qualcosa, o meglio… qualcuno che probabilmente era caduto sul pavimento. Non ci volle molto prima che Gabriel raggiungesse la folla, e Dean decise di uscire dalla stanza per cercare di capire.

- Che sta succedendo qui? - Disse Gabriel, tirando fuori il suo grado da capitano che fece aprire un varco tra i soldati per farlo passare. A quel punto anche Dean riuscì a vedere contro chi tutti si stavano impuntando. Era un uomo, forse sulla cinquantina o di più, i capelli erano ricci e castani, qualcuno bianco spiccava in mezzo alla capigliatura scombinata, e una leggera barba ricopriva il mento e la mascella. I suoi occhi chiari spiccavano più di ogni altra cosa, era di bassa statura, la sua corporatura non era di certo quella di un soldato, e le mani erano alzate davanti a tutte quelle armi puntate. C’era solo un sorrisetto sulle sue labbra che stonava con tutto il resto. - Tu? - Disse Gabriel stranito. A quel punto Dean vede sbucare anche Castiel, non si era nemmeno accorto che fosse arrivato, né da dove.

- Metatron? - Anche Castiel sembrava stupito di vederlo, ma soprattutto sembrava che lo conoscessero benissimo.

- Mi aspettavo dormiste tutti, soldatini. Un pover’uomo non può fare una passeggiata nei corridoi? - Disse quello, mentre si alzava dal pavimento con cautela, forse per paura che qualcuno premesse il grilletto, tenendo le mani sollevate quando fu del tutto in piedi.

- Non dopo il coprifuoco, e non nei piani in cui non sei autorizzato a stare. - Gli disse Gabriel che nel frattempo aveva incitato Lucifer ad abbassare il fucile. Lui lo aveva guardato contrariato, ma alla fine aveva obbedito, forse perché ne aveva già combinate abbastanza.

- Oh, devo essere sonnambulo allora. - Dean si avvicinò, non curante di essere praticamente estraneo alla faccenda, ma per evitare che lo allontanassero, si posizionò accanto a Balthazar, l’unico elemento dei soldati con cui aveva interloquito di più oltre a Gabriel, Anna e a Castiel. Anche Metatron era marchiato, ma da lì non riuscì a notare la sua categoria. Istintivamente portò entrambe le mani dietro alla schiena. Non voleva che quell’uomo scoprisse che era lui il tipo di cui tutti parlavano, l’unico uomo a non avere un tatuaggio identificativo.

- Che ci facevi qui? - Fu Castiel a parlare stavolta. Dean lo guardò meglio, era sudato fradicio, anche la sua maglietta era ricoperta da aloni. Ma che diavolo aveva fatto?

- Ve l’ho appena detto. -

- Sta sparando un sacco di stronzate. - Disse Lucifer. - L’ho visto mentre cercava di aprire la porta della stanza dei monitor, voleva dare una sbirciata alle telecamere di sicurezza? Rubare qualche registrazione? -

- È vero, Metatron? - Chiese Gabriel, guardando l’uomo che in tutta risposta aveva solo accennato un sorriso nervoso misto a rabbia. Per il capitano Novak quello fu abbastanza. - Rinchiudete questo imbecille. - Non ci fu bisogno di aggiungere altro, poco dopo due dei soldati stavano trascinando via Metatron. E il fatto che più fece incuriosire Castiel di quella faccenda era lo strano sguardo che Metatron aveva lanciato a Dean. Gli sorrideva in un modo che aveva già visto solo nel volto di chi stava nascondendo qualcosa. Che sapesse dettagli che potevano risultare utili? Dean, diversamente da lui sembrava stranito da quell’occhiata, era come se anche lui si stesse chiedendo cosa diavolo avesse da guardare di così interessante. - Bene, tornate tutti nelle vostre stanze, non c’è niente da vedere! - Annunciò Gabriel, incitando gli altri a rientrare. Quando il corridoio fu quasi svuotato, Gabe si avvicinò al fratello. - Devo parlare subito con Shurley. - Gli disse a bassa voce. Dean accanto a lui riusciva comunque a sentirli. - Non mi piaceva l’atteggiamento di Metatron, secondo me… -

- Nasconde qualcosa. - Castiel finì la frase di Gabriel e in risposta lui annuì. - Teniamolo in cella per la notte, fissiamo un interrogatorio per domani mattina e scopriamolo. -

- D’accordo. - Disse il maggiore dei Novak. - Bene, andate. Non dobbiamo restare oltre il coprifuoco, soprattutto lui, è già abbastanza nei guai per quello che è. - Gabe indicò Dean con la testa, quest’ultimo corrugò leggermente la fronte, poi Castiel annuì e, senza dire o aggiungere altro, afferrò Dean per un braccio e lo trascinò nuovamente nella loro stanza. Il soldato si richiuse la porta alle spalle, poi sospirò e osservò il biondo che si stringeva appena nelle spalle.

- Ti conosceva. - Mormorò Castiel d’un tratto. Dean sollevò lo sguardo verso di lui, fino a quel momento lo aveva tenuto abbassato al pavimento, come se lì avesse potuto trovare delle risposte.

- Come faccio a saperlo? - Castiel scosse appena la testa.

- Non era una domanda. Ti conosceva. Ti guardava come se ti conoscesse. - Dean rimase in silenzio, poi si grattò la nuca confuso.

- Può darsi. - Solo in quel momento Dean si accorse che la maglietta che indossava Castiel era bagnata in alcuni punti dal sudore. Perfino la sua pelle era ancora lucida, ma non chiese nulla a riguardo, non era quella la questione in quel momento. - Ma voi conoscete lui. -

- Metatron. - Disse Castiel. - Era l’assistente personale del generale Shurley. -

- Era? - Castiel annuì. Forse cominciò a sentire la maglietta fastidiosa e se la sfilò, lanciandola in un angolo, non curante del fatto che fosse finita sul pavimento. La medaglietta adesso ricadeva sul suo petto lucido di sudore e Dean scostò quasi involontariamente lo sguardo.

- Lo è stato fino a un certo punto. Sembrava un tipo a posto, ma poi ha iniziato ad avere le sue manie di protagonismo. Prendeva decisioni senza il consenso di Shurley, seminava zizzania tra i soldati, diffondeva ordini che a detta sua erano del Generale. Alla fine Chuck lo ha cacciato. Adesso vive da escluso. - Gli spiegò mentre iniziava a cercare nei cassetti qualcosa da mettere per la notte. - E non ha più l’accesso a questo settore, quindi è strano che fosse qui, capisci? -

- Guarda caso, dopo che sono sbucato fuori io. - Castiel richiuse il cassetto velocemente, tenendo i vestiti fra le mani come un ragazzino che si era appena reso conto di essere troppo esposto agli occhi di uno sconosciuto. Infatti il soldato abbassò lo sguardo sul proprio corpo, come a verificare se fosse davvero lui quello senza la maglietta. Si morse l’interno della guancia ma preferì non aggiungere nulla a riguardo.

- Potrebbe… ecco, visto il modo in cui ti guardava, potrebbe sapere qualcosa di te, forse riusciamo a capire perché sei qui, come mai sei così, che ci facevi sotto le macerie di un vecchio locale. - Non disse altro, Castiel si passò una mano fra i capelli, poi si avvicinò alla porta del bagno. - Lo scopriremo domani, adesso… dovresti dormire. - Dean lo guardò aprire la porta, ma poco prima che la richiudesse, lo richiamò. Castiel allora incrociò il suo sguardo, in attesa.

- Voglio esserci anche io, mentre viene interrogato. -

- Dean, potrebbe non dire nulla se ti vedesse. -

- No, Cas. Ho bisogno di sapere. - Il soldato lo guardò in silenzio, indeciso, come se ci stesse pensando su. - Voglio davvero sapere chi sono, e se lui lo sa… - Ancora silenzio. - Ti prego. - Castiel sospirò e si leccò le labbra.

- Va bene. Ma adesso dormi. - Dean annuì, lo sguardo pieno di gratitudine, gli occhi quasi lucidi mentre guardava l’uomo che lo aveva salvato e che in qualche modo, nonostante tutto, stava cercando di aiutarlo a riscoprire se stesso, letteralmente.

La porta si chiuse, Dean si stese sul letto e si sistemò sotto il lenzuolo, giocando con l’angolo del cuscino. Aveva paura, perché se l’indomani avesse scoperto di sé una verità che non gli sarebbe piaciuta, cosa avrebbe fatto dopo? Poteva anche non scoprire niente, quel Metatron forse li stava semplicemente prendendo in giro, poteva non sapere di lui e quell’interrogatorio avrebbe potuto rivelarsi un enorme buco nell’acqua. E anche in quel caso, se non avesse avuto dei risultati concreti, cosa avrebbe fatto dopo?

Castiel raggiunse il proprio letto dopo qualche minuto. Dean si era girato dalla parte opposta, non voleva vedesse che era ancora dannatamente sveglio. Il rumore del materasso che si abbassava, poi della stoffa del lenzuolo che veniva distesa. Non disse nulla, ma lo sentì sospirare un paio di volte, finché il suo respiro non divenne calmo e regolare, e a quel punto anche Dean prese sonno.



Note autrice
Lo so, è passato un sacco di tempo, l'unico modo che ho per giustificarmi e spiegarmi: esami e accademia, un anno pesantissimo, il "coviddi", il lockdown e tutto, capite che è stato un periodo molto stressante per me e non mi va di dilunguarmi a riguardo, spero soltanto che capiate, e che comunque continuerete a seguirmi.
Riprenderò a pubblicare, con i miei ritmi, anche perché fra poco mi spetta un'altra sessione di esami e non vi posso assicurare nulla. Ma come ho sempre detto, non lascio mai nulla incompleto, dovessero passare secoli.
Spero che il capitolo vi piaccia.
Ci vediamo sicuramente per un prossimo!

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