Oh, thinking ‘bout all our younger years (We were young, wild and free)

di D a k o t a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


 

La prima volta che parlano hanno sette anni, e si incontrano ad una festa in maschera che la madre di Alice ha organizzato per Halloween. Lui la nota subito perché l’ha già vista qualche volta nel quartiere e lei sta seduta in disparte come sempre, con un’espressione imbronciata e le mani sulle guance; i suoi capelli sono insolitamente biondi e lisci e una frangetta incornicia perfettamente i suoi occhi luminosi e verdissimi; FP pensa che, con quel grazioso vestito bianco, potrebbe essere una fata o una principessa.

“Fatina dei denti?” azzarda con una spavalderia un po’ impacciata, un po’ studiata ad arte, sedendosi accanto a lei. La ragazzina si sistema la frangetta bionda, prima di fulminarlo con lo sguardo. E’ davvero arrabbiata, perché sua madre le aveva detto che nessuno avrebbe riconosciuto quel costume, che poteva benissimo travestirsi da principessa, ma lei non poteva fare a meno di trovare le principesse così noiose. Quando si metteva qualcosa in testa, nulla avrebbe potuto dissuaderla – e questo FP l’avrebbe imparato presto. Perché Alice ha sette anni, ma ha già deciso che non si lascerà mai salvare da un principe, che si salverà da sola.

“Non sono una fatina” protesta sbuffando.

Lui inarca le sopracciglia, e non può fare a meno di pensare che sia proprio carina così – con le guance rosse, le braccia conserte sul petto e quel guizzo negli occhi verdissimi.

“Kim Boggs” ammette con frustrazione la ragazzina, spostandosi una ciocca ribelle sfuggita alla sua perfetta pettinatura. “Mia madre diceva che non l’avrebbe mai riconosciuta nessuno. Tu invece da cosa sei vestito?”

FP si guarda per un attimo i vestiti di seconda mano che ha addosso prima di dare una risposta, mentre sente gli occhi inquisitori di Alice su di sé. Non avrebbe mai osato chiedere a suo padre un costume di Halloween, e non gli era sembrato il caso di far preoccupare sua madre, non sarebbe neanche andato a quella stupida festa se il papà di Fred non avesse insistito così tanto per portarlo. “E’ solo un bambino” aveva detto il Signor Andrews a sua madre – ed FP si era ricordato di tutte le volte in cui aveva dimenticato di esserlo.

“Edward Scissorhands, se vuoi” e FP può vedere una parte della bambina essere quasi sul punto di strillargli contro che non è vero, che non ha nessun costume, che la sta prendendo in giro, ma non lo fa. Sorride, invece. Sorride, sta al gioco e decide di credergli.


 

***

Hanno dieci anni, quando Alice comincia a parlare di FP come di un amico. Un giorno sua madre le chiede se FP le piace e lei ribatte con un’espressione disgustata “Non-in-quel-senso!” - eppure ha scoperto che la sua compagnia non le dispiace poi così tanto. Con FP corre in bicicletta, corre a perdifiato, e lui non la fa mai vincere solo per farla contenta o perché è una ragazza. Con FP si sente libera, libera perché è semplicemente sé stessa. E’ proprio durante queste corse, proprio mentre è lei ad essere in testa, che si gira ed urla ad FP “Non mi raggiungerai mai!” ma non vede una buca nell’asfalto e -

Quando FP la vede a terra, non pensa nemmeno per un attimo a quella stupida gara e non può fare a meno di lasciare la sua bici e precipitarsi da Alice perché è stata davvero un’idiozia, quella di assecondarla in questa corsa suicida.

Quando finalmente la raggiunge, la ragazzina è seduta sull’asfalto, ha un graffio da cui esce un po’ di sangue sul mento, ma è ancora tutta intera e FP non può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Appena lo vede arrivare, lei si alza in piedi e comincia a cercare nervosamente i cerotti che sua madre le mette sempre nel cestino della bici.

“Maledizione” impreca Alice, nel tentativo di trovarli.

FP sorride, perché eccola là, la sua Alice. Alice che era forte, sicura di sé, coraggiosa e impeccabile. Alice che doveva necessariamente vincere anche quando perdeva. A volte si chiedeva se mai quel diavoletto biondo gli avrebbe permesso di prendersi cura di lei. Se mai sarebbe stato in grado di prendersi cura di lei.

“Siediti, Alice” le dice, mentre lei armeggia ancora con cerotti, disinfettante e fazzoletti – è in momenti come quello che si chiede perché Alice esca con lui e pensa a come, nonostante venga anche lei dal Southside, la sua famiglia sia bella. Non riesce proprio ad immaginare il suo di padre mettergli dei cerotti nel cestino della bici – non può fare a meno di tradire un filo di amarezza e pensare a come sarebbe ironico se lo facesse, essendo lui la causa della maggior parte dei suoi lividi. Suo padre non era una bella persona, e sua madre, beh – FP non la odiava. Non la odiava per essersene andata, la mattina seguente al suo ottavo compleanno – non più di quanto aveva odiato quel verme di suo padre ogni volta che le aveva messo le mani addosso. Avrebbe voluto solo che lo portasse con sé o che avesse avuto almeno il coraggio di dirgli addio.

Alice lo guarda, incrociando le braccia sul petto – odia che le si dica cosa fare, e obbedisce solamente quando lui le lancia un’occhiataccia.

“Smettila, FP” si lamenta appena, ma mentre lui si avvicina e spazza via la terra da quel graffio e vi applica un cerotto, non può fare a meno di chiudere gli occhi. Quando li apre, si trova davanti un sorriso sghembo e divertito, che le dice “La tua reputazione è al sicuro con me, Alice” e lei è sul punto di tirargli un calcio negli stinchi mentre è ancora seduta per terra, quando improvvisamente pensa che no, non sarà mai una principessa che si fa salvare dal principe, ma in fondo FP, con quel suo sorriso ironico e gli occhi di un bambino costretto a crescere troppo in fretta, non è un principe. E lei non è una principessa.


 

***

 

Hanno appena quattordici anni, la prima volta che si baciano – beh, non proprio – ma è a quell’età che FP comincia a guardarla come una ragazza vera. Non è più la bambina travestita da Kim Boggs che aveva conosciuto tanti anni prima: è una giovane donna adesso, con forme morbide e invitanti fasciate da un chiodo nero, le labbra atteggiate in un sorriso ostinato e quegli occhi sempre verdissimi, che risplendono come smeraldi. Sono alla festa di compleanno di un’amica comune, una del quartiere, quando una ragazzina propone di giocare ad Obbligo e verità e anche se Alice non ha proprio voglia di giocare – è un gioco stupido, dice, con una smorfia sprezzante – finisce per cedere e lasciarsi coinvolgere.

Quando una ragazzina rossa e lentigginosa – FP scoprirà poi da un imbarazzatissimo e balbettante Fred che ha un nome, e quel nome è Mary – sfida Alice a baciarlo, FP non può fare a meno di sentirsi piccolo, ma indossa la sua migliore faccia di bronzo perché è un leader e i leader non hanno mai paura. Si sporge verso di lei, e si chiede se le sue labbra abbiano il sapore del burrocacao al lampone e more che mette sempre, ma nel farlo trova solo il vuoto. Riapre gli occhi e la trova distante, che sta con gli altri.

“Non avrai pensato che ti avrei baciato davvero, FP?”

Alice ha quattordici anni, i riccioli ribelli a incorniciarle il viso e tanta voglia di affermarsi, ed è la prima volta che lo rifiuta, la prima volta che FP la vede ridere di lui, e non con lui. Alza le spalle e alza il mento, sperando che i suoi occhi non tradiscano la delusione e il suo tono di voce non sembri falso e ferito alle orecchie di Alice come lo è alle sue.

“Come se mi importasse. Ti avrei baciata solo perché ti avevano sfidata a farlo” dice infine – ma può sentire il serpente del rifiuto strisciargli lungo la schiena.

(Entrambi fingono, quel giorno. Fingono di non vedere l’espressione ferita sul volto dell’altro, e Alice, per la prima volta, non può fare a meno di chiedersi se essere una tipa dura deve necessariamente comprendere il confrontarsi con quell’espressione negli occhi castani di FP.)


 

***


 

A sedici anni hanno da poco iniziato il secondo anno al liceo ed è la prima sera che si ferma a casa di Alice, quando i suoi non ci sono per motivi di lavoro. FP la vede armeggiare e armeggiare con il frigorifero alla ricerca di qualcosa, per poi girarsi verso di lui con un sorriso trionfante e vagamente ribelle e mostrargli due birre. Il giovane, sdraiato sul divano di casa Smith, non può fare a meno di sorridere, quando Alice gliene porge una e si siede accanto a lui.

“Sogni mai di scappare dal Southside, Alice?” le chiede, senza sapere il perché di quella domanda che però gli è comunque in testa da quando ha iniziato il liceo.

Alice, con il chiodo nero e una criniera di riccioli biondi, in netto contrasto con la giacca dei Bulldogs che ha addosso lui e che a volte sembra proprio non gli appartenga, sembra essere l’immagine di tutto ciò da cui, in quel momento, vorrebbe scappare. Ma non ce la fa, perché in fondo scappare dal Southside non è scappare da Alice, non quando lei incrocia le braccia sul petto e comincia a guardarlo storto.

“No. Perché dovrei?” gli risponde, con un piglio irrequieto. Sembra così offesa che FP non riesce a trattenersi dallo scoppiare al ridere.

“Cosa c’è di così tanto divertente?” Alice si chiede se FP la stia per lasciare, per voltarle le spalle, perché alcuni sguardi fra lui e Hermione non le sono certo passati inosservati, e detesta così tanto il modo in cui lui stia rinnegando tutto, ultimamente. E non importa neanche un po’ il fatto che si conoscano da anni, non vi è stato nulla fra di loro se non qualche bacio rubato e –

Lui le fa l’occhiolino.

“Nulla. Non avevo dubbi”

Gli molla una spinta, a cui lui risponde alzando un sopracciglio e inchiodandola al divano – desidera ancora scappare dal Southside, ma quell’uniforme da Bulldog gli sta un po’ più stretta - e Alice se la ride. Mentre le blocca i polsi, intrappolandola e impedendole di spingerlo ancora, capisce che no, non è da Alice che vuole scappare.

( Rimane a casa sua quella sera. Non era previsto, non era programmato, ma si trovano ben presto sul letto di Alice a ridere e a parlare dal futuro e a desiderare di restare così per sempre. I loro corpi sono nudi, quando FP le chiede se è sicura di ciò che vuole fare - perché tutte le sue di incertezze invece sembrano essere finite sotto la giacca dei Bulldogs nell’angolo della stanza di Alice, non troppo lontano dal suo chiodo nero. E’ vulnerabile come non l’ha mai vista, quando si gira verso di lui; lo guarda, tace e pensa ad Hermione, prima di dirgli “Non restare, non se domani mattina, quando mi sveglio, non ti troverò qui” - la sua giacca nera è a terra e il serpente dell’insicurezza sembra essere pronto a saltarle alla gola.

Alice si sveglia, la mattina seguente, ed apre appena gli occhi, assicurandosi che sia accanto a lei – ma prima che possa farlo, è lui ad accorgersi che lo sta cercando. Lo vede ghignare compiaciuto, e lo redarguisce con un “Adesso non ti montare la testa!”. Non può fare a meno di tirargli contro un cuscino, quando si guardano e scoppiano a ridere perché è così assurdo e imbarazzante e si conoscono da anni e - )

***

A diciassette anni, Alice si accorge che è vero che il liceo cambia le persone. Lei e FP non si vedono più così tanto, eppure non può fare a meno di pensare ancora una volta a come, per tanto tempo, ogni sillaba del suo nome le abbia fatto stringere lo stomaco, come alla ricerca di qualcosa. Quando lo vede, si limita ad osservarlo da lontano, mentre parla di una casa sua che non è davvero casa sua e porta una giacca da Northsider uguale a quella di Fred Andrews, che è forse l’unico, insieme a lei, a sapere la verità sul suo conto e sul luogo da cui FP viene davvero. Quando lo vede mano nella mano con Hermione, quando lo vede rinnegare il Southside non può fare a meno di chiedersi come abbia potuto tradire il posto in cui sono cresciuti, e lei. Come ha potuto tradire lei? Lo confronta un giorno, in un modo un po’ rude.

Lui ha un’espressione impenetrabile, quando lei gli dice che sta mandando tutto al diavolo per delle amicizie comprate al prezzo della rinuncia alla sua identità. “Non voglio finire ad avere sessant’anni e a fissare il vuoto mentre muoio di cirrosi, Alice. Mi dispiace” le dice, e improvvisamente Alice capisce: non è dal Southside che scappa e nemmeno da lei, è dall’ombra gigantesca che pende su di lui come un’incudine, quella di suo padre – quel padre che Alice conosce di vista e con cui si è scontrata una volta e di cui, comunque, FP non parla mai senza nascondersi e abbassare gli occhi.

“E questo cosa c'entra con me?” gli dice, con le braccia incrociate sul petto. “O forse c'entra con Hermione?”

FP pensa alla ragazza con i capelli mori, pensa a quella sua ambizione fervente e a come, quando gli ha raccontato di sua madre, abbia capito quanto in fondo fossero simili, loro due – due ragazzini con la testa piena di casini e le mani piene di mosche. Eppure Hermione non è Alice, con Hermione non sarà mai sé stesso, non come lo è con Alice. La guarda e i suoi occhi verdi sono ridotti a due fessure, e gli appare come incapace di rispondere, per un lungo istante.

“Fai quello che devi fare” gli dice, gli occhi pieni di lacrime che non permette a sé stessa di lasciar sfuggire – FP è sempre stato l’unico in grado di infiltrarsi nelle sue difese ed ora questo è un motivo in più per odiarlo.”Ma non sarò qui ad aspettarti, quando ti scaricherà per qualcuno con un conto in banca migliore”
Ed è in quel momento, mentre se ne sta andando, che la ferma afferrandola per un braccio, e lei si ribella perché non ci cascherà questa volta e -

“Lasciami” gli grida contro, cercando di liberarsi e di sfuggire alla sua stretta.

FP alza gli occhi al cielo, perché, davvero, che bisogno c’è di essere così drammatici?

“Non ti lascio finché non sarai pronta ad ascoltare quello che ho da dire” la ammonisce e poi le scompiglia i capelli biondi con l’altra mano, solamente per il gusto di farla arrabbiare. “Quando ti metterai in quella piccola testolina che mi sono innamorato di te?”

FP non ha la minima idea di quando sia cominciata quella storia, se è stato quando l’ha vista davvero la prima volta, e non soltanto guardata. O quando lei si è accorta di un livido sulla sua spalla, e ha voluto a tutti i costi affrontare a testa alta suo padre e urlargli contro che fosse un vigliacco – e non importa davvero che non sia cambiato nulla, perché lui non ha mai avuto il coraggio di farlo. O forse è stata la notte della loro prima volta, quando l’ha abbracciato stretto, come se non volesse più andarsene – perché sì, Alice è stata ed è il suo primo bacio, la sua prima volta ed anche il suo primo amore.

 

NDA. 

Ecco il primo capitolo della mia minilong sui Falice. E' già completa e sarà composta da tre capitoli, che credo pubblicherò settimanalmente. Fatemi sapere cosa ne pensate ^^
 


 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

A diciassette anni, all’ultimo anno di liceo, si lasciano e si rimettono insieme almeno sei volte – almeno tre prima dei Serpents e due dopo.

Quando FP si unisce ai Serpents, dopo così tante resistenze, Alice gli chiede il perché di quella scelta; e lui, come sempre, si toglie la maschera e gli dice “Tutti abbiamo bisogno di una famiglia, Ally”- e la ragazza non gli parla del segreto appena scoperto, quello che cresce dentro di lei. Annuisce convinta, senza storcere il naso, e risponde che comunque sia lui ne ha già una - e lui sorride appena, sfiorandole un ricciolo, mentre lei abbassa lo sguardo.

FP non glielo dice, ma è quel giorno che la accetta tacitamente come sua co-leader e come complice.
 

***
 

Alice incontra un ragazzo, un giorno. E’ biondo, ha gli occhi azzurri e un sorriso buono ed è l’esatto contrario di FP – non le era mai capitato di guardare qualcuno che non fosse FP in quel modo prima di quel momento.

Non succede nulla, ma quando lui insiste per pagare il suo frullato da Pop’s e le dice di chiamarsi Hal, per la prima volta Alice non pensa a nessuno che non sia lì.

 

***

 

Un giorno, quando il segreto non è ancora evidente, si trova a parlare con FP del futuro e del college. Vorrebbe dirgli del bambino, vorrebbe renderlo partecipe, ma sa che scapperebbe e non lo fa – o forse, è semplicemente ciò che si dice la notte, quando i rimorsi di coscienza la assalgono. Alice ha diciassette anni, e mentre guarda la pancia in modo ansioso, non si rende conto di quello che sta facendo: gli sta togliendo una scelta. Gli sta togliendo, per sempre e senza alcun diritto, la possibilità di essere un padre – di provare ad essere un padre migliore del suo, come le aveva detto di voler essere una volta. Improvvisamente capisce e realizza: non è solo che FP possa non volerlo che la spaventa, ma il fatto che lui possa, al contrario, volerlo. Non è il futuro che ha sognato per loro, né tanto meno per sé stessa.

(C’è una parte di lei che vuole quel bambino, che immagina di crescerlo nel Southside e regalargli comunque un’infanzia migliore di quanto entrambi abbiano mai avuto. Per la prima volta ha paura – ha paura di quella parte di lei che rischierebbe tutto, per quel bambino e per FP.)

Quando dice a FP che vuole andare al college e le parla di quella fantastica scuola di giornalismo che ha visto su un depliant con gli occhi sognanti, lui la guarda e non dice nulla. Passa qualche giorno, prima che lui riprenda il discorso, mentre sono seduti in una panchina, a pochi metri da casa di Alice.

“Stavo pensando ad una cosa” FP cambia espressione, e la guarda seriamente. “Penso che dovresti andartene”

“Prego?” Alice alza un sopracciglio, perché non ha la minima idea di cosa stia parlando. O forse sì? Lui si gira, esala un sospiro triste e la guarda negli occhi, come fa sempre quando sta per parlare di cose serie, cose che stanno a cuore ad entrambi.

“Sì, dovresti andartene. Andare al college, intendo.” Esala un sospiro, prima di continuare “Alice, i tuoi genitori si sono spezzati la schiena tutta la vita per permetterti di studiare, e ti hanno lasciato abbastanza soldi perché tu possa farlo.”

Il giovane abbassa appena lo sguardo e nemmeno per un momento le ricorda la reazione di suo padre quando gli aveva espresso lo stesso desiderio. Nemmeno per un momento pensa che farla sentire in colpa sia la strada giusta. Alice abbassa gli occhi a sua volta, guardandosi la pancia, prima di rispondere. Pensa a quel bambino un attimo di troppo – non è pronta, non è pronta, non è-

“Non lo so, FP” mormora, stringendosi le braccia al petto. “Non lo so”

Lui sospira, stringendole la mano.

“Sapevo che l’avresti detto. Ma dovresti pensarci. E’ quello che tua madre vorrebbe. E’ quello che tuo padre avrebbe voluto” Alice lo vede aggiungere un sorriso sghembo e vagamente malinconico, prima di finire. “E poi ho sempre saputo che alla fine avresti lasciato il Southside prima di me”

(La ragazza sta in silenzio e non gli dice che, la prima volta che ha pensato di lasciare il Southside è stata quando lui, appena sedicenne, aveva desiderato di farlo e gliel’aveva confidato. Non glielo dice. E FP fa finta di non saperlo.)


 

***

Passa un mese, quando a casa sua arriva una lettera che le dice che la sua domanda per quella prestigiosa Scuola di Giornalismo, fatta quasi per scherzo, è stata accolta. E’ sua madre ad aprirla ed è sempre sua madre a dirle con voce rotta dall’emozione che ce l’ha fatta – e Alice rabbrividisce, mentre legge quella lettera e neanche per un istante pensa di rifiutare. Dirlo a FP è difficile ed è difficile sia per ciò che sa di star omettendo, sia perché sanno entrambi che è la fine – che lascerà il Southside, che Seattle è lontana, che sta per prendere una strada, dove lei sarà, dove lui non sarà, dove loro non saranno.

“Non posso dire di no a un’opportunità del genere, FP” ammette, mordendosi un labbro.

“Finiscila, Alice” dice, asciugandole con un gesto delicato quella singola lacrima che le solca il volto. “Sai che non ti chiederei mai di rifiutare”

C’è solo una punta di sconfitta a tingere la morbidezza eccessiva della voce del ragazzo, solo una punta di resa nel modo in cui distoglie lo sguardo per posarlo sulle sue mani, che stringono un lembo della giacca nera tra le dita bianche.

“Cosa farai, adesso?” le chiede la giovane, con un filo di voce.

“Non lo so”

Tutto quello che lui vorrebbe dirle rimane bloccato fra la lingua e i denti, come immobile, mentre resta a fissarla in silenzio. Lei si alza sulle punte prima di posargli un bacio sulla guancia, e lui si accontenta di stringerla a sé, ma è un abbraccio effimero, troppo breve rispetto a quanto vorrebbe che durasse.

“Spero che ci rincontreremo” FP la sente mormorare sul suo collo, prima di staccarsi. Gli lancia un ultimo sguardo, prima di andare via ed allontanarsi.

E lui resta là, solo con il suo dolore, solo con i suoi pensieri, solo con il suo sogno, così simile al suo, con un destino così diverso.

Si dice che quando ami qualcuno, devi lasciarlo andare, ed è esattamente ciò che ha appena fatto. Lascia andare Alice. La lascia andare, soprattutto perché la ama.

(Nessuno dei due pronuncia la parola “fine”, quel giorno.

Ma entrambi la riconoscono.)


 

***

Hal le chiede per tre volte di uscire e lei per tre volte lo rifiuta, prima di arrendersi e accettare. Quel giorno la mette all’angolo, mentre sono fuori da scuola, e le chiede una chance; lei suppone che, se dopo tutti i suoi rifiuti, se dopo tutte le rispostacce, lui è ancora lì, allora forse vale la pena tentare.

La prima volta che escono, Alice confessa – gli confessa che dietro ai suoi rifiuti c’è il bambino, il bambino che cresce dentro di lei e che, anche se non lo ammetterebbe mai e non lo ammette tanto meno ad Hal, non può fare a meno di immaginare con gli occhi di FP. Quando gli confessa la verità, non può fare a meno di immaginarsi di vederlo scappare a gambe levate da un momento all’altro; invece la fissa e basta, per un lungo momento.

Quando Hal non scappa, Alice pensa che gli piace e che un giorno, forse, potrebbe persino amarlo – cerca di ingoiare e di rifiutare il senso di ingiustizia che l’idea di aver raccontato la verità ad un completo sconosciuto e non al padre di quel bambino le provoca.

Per un lungo momento, Hal la fissa, senza dire una parola. Poi, finalmente, spezza il silenzio.

“Non penso che tu sia pronta per essere una madre, Alice”

Alice annuisce senza storcere il naso perché, in fin dei conti, è ciò che ha sempre saputo. Nemmeno per un secondo permette a sé stessa di pensare che FP non le avrebbe mai detto una cosa del genere.

***


FP la osserva da lontano per un pochino, prima di decidere di confrontarla. Osserva lei, osserva cosa sta crescendo dentro di lei e si chiede come abbia potuto fare questo a lui, dopo così tanto tempo. Come ha potuto tradire lui? Come ha potuto fare questo a lui? Può sentire il tradimento graffiargli lo stomaco ed inebriare ogni suo buon senso, quando la costringe ad entrare in un’aula vuota.

“Il college. Piani per il futuro.” FP le parla, le parla guardandole la pancia e senza trattenere la rabbia, il dolore e l’emozione. Le parla come se ogni parola fosse macinata e sputata fuori, come un pesante macigno che sente il bisogno di espellere.“E’ davvero questo che intendevi?”

Quando pensa a FP, quando lo vede girare per i corridoi in cui entrambi sono cresciuti, Alice si convince che sarebbe dovuta andare così, che non vi era altro modo – che se avesse detto a FP la verità, le avrebbe comunque spezzato il cuore. Incrocia le braccia sul petto e abbraccia il vuoto davanti a sé, mentre lo guarda negli occhi prima di abbassarli nuovamente e tornare a guardarsi la pancia – a volte non può fare a meno di chiedersi a chi dei due assomiglierà.

“Non è più un tuo problema” gli risponde e fa per andarsene, quando lui la fronteggia e, preso dal nervosismo, dalla rabbia e dalla delusione, gli dice qualcosa di cui si pente con un solo fottutissimo secondo di ritardo.

“Da quanto tempo andava avanti questa storia, Alice? Da quanto?”

L’insinuazione, così sottile e così velata, è come un coltello che le trapassa la schiena, perché davvero, dopo tutti questi anni, come osa? Come osa accusarla, in maniera neanche troppo velata, di averlo tradito? Una lacrima sola le solca la guancia, e FP non può fare a meno di interpretarla come un’ammissione di colpa.

“Va’al diavolo, FP” gli dice prima di fronteggiarlo, di guardarlo con quei suoi occhi da gatta che un tempo l’avevano osservato con amore, prima di uscire e sbattere la porta. Sa che gli sta spezzando il cuore, ma davvero, non le importa. Un’Alice diciassettenne pensa che il silenzio sia comunque una scelta più facile rispetto alla verità.

(Quando Alice esce, FP non la segue e non la rincorre, ma quando sente la porta sbattere, non si può non chiedere se è quello il rumore che il suo cuore fa, rompendosi in mille pezzi.)

 

***

 

Non passa qualche mese da quella conversazione, che una sera, mentre torna a casa, si ritrova Alice seduta in una panchina a pochi passi da casa sua. Ha le ginocchia strette al petto e i riccioli biondi a coprirle il volto.

“Alice? Che ci fai qua?” domanda, e in quel momento lei alza la testa e lui si rende conto che sta piangendo. E’ ancora arrabbiato con lei – come può non esserlo? - eppure vederla piangere per la prima volta non può che creargli un buco allo stomaco e gettarlo nello sconforto più totale, perché è pur sempre Alice quella che ha davanti, Alice che avrebbe preferito morire piuttosto che piangere di fronte a lui, specialmente dopo il loro ultimo litigio, dopo che l’aveva accusata di averlo tradito con Hal.

Sospira, prima di sedersi accanto a lei e cingerle le spalle.

“Ehi, va tutto bene? Che è successo?”

Lei non lo guarda nemmeno – non ha nemmeno il coraggio di guardarlo, non dopo avergli mentito a viso aperto per così tanti mesi sul bambino, né dopo averlo dato in adozione, senza che lui sapesse anche solo della sua esistenza. Non lo guarda, perché non ha il coraggio di confrontarsi con i suoi occhi, non in quel momento.

“Mi dispiace essere venuta qui, è solo che non volevo vedere nessuno e non volevo tornare a casa” singhiozza lei “Non sapevo dove altro andare”

Una Alice quasi diciottenne si era convinta che Hal non avrebbe capito, che non era il caso di caricare sua madre di nuove preoccupazioni e che solo FP, nonostante le bugie, nonostante i silenzi, nonostante i litigi, avrebbe potuto comprendere.

“Ehi, non ti preoccupare” le dice, attirandola ancora di più a sé “Ti va di raccontare cosa è successo?”

FP si trova a pensare che nei film o nei libri, c’è sempre un momento di illuminazione, un momento in cui il mondo si ferma e il protagonista si rende conto di essersi innamorato della sua migliore amica quella volta in cui l’ha vista da ragazzina, con i capelli arruffati e in sella a una bici, o quella volta in cui lei se n’è andata, sbattendogli una porta in faccia dopo un litigio, con il volto pieno di lacrime e privo di trucco e lui l’ha trovata comunque bellissima. FP può assicurare a chiunque voglia saperlo che nella sua vita non c’è mai stato un momento del genere; Alice, che lo guarda a malapena, nascosta fra i suoi riccioli spettinati, ha sempre fatto parte della sua vita, sempre.

“Il bambino” mormora, a voce così bassa che FP a stento riesce a sentirla. “L’abbiamo dato in adozione”

FP sente il panico assalirlo, perché non importa davvero che tutto ciò che riguarda quel bambino, insieme a quell’”abbiamo” - come se non ci fosse bisogno di dire che è di Hal che sta parlando, perché il significato di quel verbo è evidente e sotto gli occhi di tutti –, gli crei un buco nello stomaco; non può abbandonare Alice così, non adesso che stringe la sua giacca fra le dita e proprio non ce la fa a lasciarlo andare.

“Hal non l’ha mai voluto” continua fra i singhiozzi, e sa che non può fargliene una colpa, che nessuno a diciotto anni vorrebbe un bambino non suo “E non dovrei piangere, come se io avessi mai voluto avere un figlio a diciassette anni. Non so nemmeno perché sto piangendo, sono così stupida”

“Alice” mormora FP, senza sapere bene cosa dire – sa così poco di cosa significhi essere e avere un genitore, alla fine.

Alice si ritrae di scatto, rannicchiandosi ancora di più su sé stessa, nella sua mente non c’è spazio per altro che la consapevolezza che FP sta provando a consolarla e lei le sta mentendo comunque, mentendo a viso aperto e Mary le aveva detto che era una pessima idea e -

“In fondo, che madre avrei mai potuto essere? Ho diciassette anni, starà sicuramente meglio senza di me e non ho il diritto di...”

“Alice” ripete, chinandosi verso di lei e facendo attenzione a evitare qualsiasi parola brusca e fuori posto, qualsiasi cosa che possa ferirla.

“FP?” sussurra contro la stoffa della maglietta dell’uomo, fra un singulto e l’altro.

“Sì?”

Sì.
Sanno entrambi che non c’è bisogno che nessuno aggiunga altro; sì, sono io, sì sono qui.

Alice esala contro il suo collo un singhiozzo, che è solo parzialmente di sollievo, e gli avvolge le braccia intorno all’addome. Ormai non può far altro che stringerlo a sé.
Solo allora FP se la preme contro il petto.

(Quella notte, FP sa che suo padre non c’è – sono già diverse notti che non rientra a casa e non è che la cosa lo preoccupi poi più di tanto -, quindi decide di portare Alice nella sua roulotte. La bacia sulla fronte, prima di cederle il letto e mettersi a dormire sul divano – in silenzio, perché sono entrambi troppo provati per dire altro. La mattina seguente, trova una tazzina di caffè sporca nel lavabo e Alice non c’è già più. Al suo posto, dietro a un volantino, c’è un appunto in quella scrittura frettolosa che la contraddistingue e che dice, strilla, urla, implora “Non.mi.aspettare”. FP non piange perché solo i deboli piangono e lui, quando aveva visto la schiena di sua madre mentre chiudeva la porta di casa e se ne andava, aveva promesso che non sarebbe mai più stato debole.)

NDA. 
Spero abbiate apprezzato anche questo secondo capitolo. Manca uno solo (con un finale abbastanza aperto) ^^ Fatemi sapere cosa ne pensate. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Alice dimentica – dimentica la sua voce, le corse in bicicletta nel Southside, il numero di gradini che portavano alla casa della sua infanzia e le rughe che si formavano sul volto di suo padre quando sorrideva. Alice dimentica e la vita va avanti. Non dimentica i suoi occhi e non dimentica il suo volto, non può farlo perché lui è ancora vivo, ma non ricorda più come il solo sentirlo nominare le facesse venire i brividi alla schiena e le farfalle nello stomaco, come se fosse alla ricerca di qualcosa.

E’ semplice, è semplice davvero: è la vita – sono infinite le scelte che Alice ha preso e infinite quelle di fronte a cui ha voltato il capo.

A ventitré anni compiuti si laurea e quando Hal la bacia sulle labbra, lei ride davanti al suo sogno che si realizza, davanti allo sguardo commosso di sua madre, e dimentica, lo dimentica perché è felice.

(E’ rassicurante pensare che forse, con quel tocco sulla testa, abbandonati il chiodo, le borchie e i vestiti neri, FP potrebbe non riconoscerla più – ma Alice non lo pensa e non ci crede, non davvero)

A volte vede ancora Mary e Fred, che ridono complici come facevano al liceo, ma i rapporti cambiano, mutano quando la vita corre così veloce, quando gli unici volti che vedi, quando parli dei vecchi amici, sono quelli di ragazzini così lontani nel passato da essere già uomini. Così i contatti si sono fatti più radi, almeno durante il suo tirocinio, e Alice si dice che non importa, non importa davvero, che avranno l’eternità per recuperare, che riprenderanno a vedersi quando il ricordo di FP, di quel bambino e di tutti gli altri che si è lasciata indietro sarà ancora più sbiadito, quando il tempo avrà fatto il suo corso e avrà sanato le ultime ferite – ma una parte di lei sa già che non accadrà.


 

 

 

***

FP mantiene la promessa, non la aspetta e soprattutto non la chiama, e se non fosse per le voci che lei sente (non che chieda mai di lui!), non saprebbe che è appena diventato padre di un bambino. Mentre stringe Betty e Polly a sé, si dice che non le importa.

Lo incontra per caso poco dopo, lei spinge la carrozzina e Hal le mette, premuroso – è premura o gelosia? Alice non se lo chiede e non le interessa – , un braccio sulle spalle, mentre tiene Polly per mano. Quando la guarda e la riconosce, c’è una piega sul volto di FP dall’altro lato dell’affollato centro commerciale, e forse è dolore o forse solo sorpresa; qualunque sia la verità, ha una donna mora al suo fianco – è davvero Gladys, quella? - che tiene suo figlio in braccio, e lei si stringe più forte ad Hal, come colpita da quella immagine.

(Gli aveva fatto promettere di non aspettarla e lui, Alice lo vede, ha mantenuto la promessa, non l’ha aspettata.)

Quella sera chiama Mary – cosa c’è di strano? Erano pure sempre state amiche un tempo e presto sarebbe diventata la sua vicina di casa, no? - e le racconta della sua luna di miele in Australia, le parla dei canguri, di Betty e di quel viaggio che ha fatto con Hal e in cui ha avuto anche la possibilità di prendere in braccio un koala, e non dice nulla di FP. Si dice che è perché non ha nessuna importanza.

Una parte di lei, Alice Smith, attualmente Alice Cooper, vorrebbe darsi una pacca sulla spalla.


 


 

 

 

***

Jughead, a dieci anni, ha sentito parlare di Alice Cooper – ovviamente ha sentito parlare di Alice Cooper, è la mamma di Betty – ma non era mai stato suo padre a nominarla, non all’inizio almeno. All’inizio erano state le battute taglienti di sua madre, sibilate nel buio della loro roulotte vuota quando suo padre usciva per tornare ubriaco; poi era stata qualche fotografia, rinvenuta fra i cassetti e la polvere in vecchi scatoloni abbandonati, di cui solo ora – quando Alice viene a prendere Betty a scuola – può ricordare la spaventosa somiglianza degli occhi, della piega delle labbra, dei capelli, del volto con quelli dell’originale.

A sette anni non aveva ancora compreso che Alice Cooper – Alice Smith? - fosse il nome di qualcuno di importante, qualcuno di reale e non un personaggio con cui sua madre si divertiva ad insultare e a maledire suo padre, quando faceva fatica a reggersi in piedi per l’alcol. Quando aveva chiesto per la prima volta chi fosse la bionda che era stata più fortunata e se l’era scampata di cui sua madre parlava sempre, suo padre aveva digrignato i denti così forte e Gladys era scoppiata a ridere.

“Guarda cosa hai fatto” aveva grugnito suo padre verso sua madre.

Gladys aveva alzato gli occhi al cielo senza degnarlo di uno sguardo, per poi rivolgersi a suo figlio, mentre FP si era chiuso in camera sua.

“Solo una sciocca ragazzina che hai rischiato di avere come madre. Come se questa famiglia non fosse già abbastanza complicata”

Jughead aveva corrugato la fronte, fino a quando sua madre l’aveva preso da parte con un sospiro e aveva affermato:

“Era una ragazza che non sopportavo. Ma tuo padre...” Gladys si era interrotta per umettarsi le labbra, come se fosse incerta di avere davvero il diritto di andare avanti, poi aveva scosso il capo come se il solo pensiero fosse una sciocchezza e aveva ripreso a parlare, abbassando la voce, in modo che FP non sentisse. “ Tuo padre aveva un debole per lei. Fred è convinto che ne fosse innamorato”

“E poi?” aveva inquisito il bambino, con un pigolio.

“E poi ha conosciuto me, tesoro” aveva tagliato corto.

Jughead nemmeno per un secondo aveva pensato che vi potesse essere un’altra verità - e quella foto di suo padre, giovanissimo, in sella ad un motorino con una ragazzina bionda stretta a lui era ben presto finita nel dimenticatoio.
 

***
 

Negli anni, FP ha sempre tenuto conto dei suoi spostamenti; aveva saputo della sua laurea, della morte di sua madre, della nascita di Polly e di Betty – beh, insomma, era sempre stato un piccolo Jughead a raccontargli di Betty -, aveva saputo tutto, ma c’era Gladys, c’era Jughead, c’era Jelly Bean, c’era il desiderio di essere un padre e un marito diverso da quello che era stato suo padre, e nemmeno per un secondo si era permesso di guardarsi alle spalle – del resto, ne era sicuro, Alice non l’aveva mai fatto.

Non è che non gli importi più di Alice, anzi; il pensiero di Alice – di cosa facesse, di come stesse – non l’ha mai abbandonato, ma c’è Gladys, c’è Jughead, c’è Jelly Bean e l’immagine della ragazzina bionda era, progressivamente, passata in secondo piano nella sua mente – era finita insieme a quella loro vecchia foto, in mezzo a qualche scatolone.
 

***
 

Non c’è motivo, non c’è uno straccio di ragione per cui Alice dovrebbe trattare male o essere scontrosa con Jughead, la prima volta che Betty, appena sedicenne, glielo presenta come suo ragazzo; non ha assolutamente nessuna ragione, anche perché lui è educatissimo e la chiama “Signora Cooper”, ma i suoi occhi sono così verdi e simili a quelli di Gladys e ha la gestualità di FP e anche se non ha nessuna ragione per essere scortese, lo è lo stesso – rabbrividisce nel notare come l’espressione ferita che si dipinge nei suoi occhi sia così dannatamente simile a quella di FP, quando gli aveva voltato le spalle.

Quando Alice apre la porta, qualche giorno dopo, c’è un uomo, ha i capelli scuri e gli occhi castani e un brivido le scorre lungo la schiena a pensare che quello sia FP e che siano passati tutti quegli anni.

“A cosa devo questa visita, FP?” ringhia fra i denti, ma non è un ringhio vero: è il ringhio di chi si disprezza per abitudine, perché non sa parlarsi in altro modo, più che per vero astio.

Lui sembra insolitamente irritato e Alice si chiede se abbia ancora il diritto, se possa ancora rivolgersi a lui con quella confidenza, ora che c’è Hal, ora che c’è Gladys, ora che ci sono troppe bugie e nulla è stato detto.

FP lancia uno sguardo fugace al posto vuoto dove di solito parcheggia Hal, prima di entrare e farsi sentire.

“Come diavolo ti è saltato in mente di prendertela con un ragazzino, Alice? Come diavolo ti è saltato in mente di prendertela con mio figlio?”

Non c’è scherzo, non c’è quella solita punta di indulgenza che tradisce un po’ anche quando è arrabbiato, anzi furioso, a mitigare il suo tono; dare la colpa a Jughead, dirgli che suo figlio è un maleducato sembra troppo poco, quindi Alice decide di azzardare un’illazione più sottile, più crudele.

“Forse invece di preoccuparti di cosa gli ho detto, dovresti preoccuparti di più di dove passa la notte”

FP inarca appena un sopracciglio e Alice quasi si sorprende di quanto bene, nonostante tutto, abbia imparato a incassare i colpi – si chiede se sia stata lei oppure Gladys, quando se ne è andata, ad insegnarglielo.

Si avvicina, e Alice trasale appena: non è che avere FP intorno la faccia poi sentire così a disagio, è che la fa proprio sentire in trappola, come se non vi fosse aria e dovesse andarsene. Ma quella è casa sua, non deve andarsene da casa sua, non è giusto, quindi cerca di far andare via lui.

“Ascoltami attentamente, Alice” dice e le si avvicina pericolosamente, come per guardarla negli occhi “Mio figlio può non avere un’ottima opinione di me, può pensare che io sia un pessimo padre, può preferire dormire per strada che a casa nostra, ma qualsiasi cosa è successa fra me e te, resta fra me e te. Lasciamo fuori i ragazzi”

Non le dà il tempo di rispondere – Alice sente la porta sbattere ed improvvisamente realizza: è così che si è sentito FP quella volta che l’ha lasciato.

(Per un attimo, per un lunghissimo attimo si chiede se FP avrebbe protetto il loro bambino nello stesso modo ruvido, complicato e un po’ rude in cui cerca di proteggere Jughead – ma è solo un attimo, un’insignificante frazione di secondo.)

(Qualche giorno dopo, FP trova un biglietto nella cassetta delle lettere: non è firmato, c’è scritto solo “Scusa”. Sospira e lo getta sul tavolo - a volte è difficile ricordarsi di non avere più diciassette anni, ricordarsi che non è più così facile perdonare.)
 

***

 

E’ seduta davanti al camino, quando Betty si siede sulla poltrona davanti a lei e la scruta – Alice capisce subito che le vuole chiedere qualcosa che riguarda l’assassinio di Jason Blossom su cui lei e Jughead stanno indagando e sa bene che dire a sua figlia di smetterla di ficcanasare è fruttuoso quanto conversare con i mulini a vento. La domanda che le pone però la prende in contropiede.

“Come fai a essere certa che FP non abbia ucciso Jason Blossom? Come fai a sapere che possiamo fidarci?” le domanda e ha la voce così piena di stanchezza, la voce di chi non ce la fa più a portare avanti quella battaglia da sola.

“Betty, eravamo amici” le dice, scuotendo il capo.

Non c’è davvero molto altro che lei possa aggiungere. Non c’è davvero molto altro che qualcuno oltre a lei e a FP possa capire.
 

***
 

Quando confessa, FP ricaccia indietro le lacrime e nessuno dei suoi pensieri è rivolto a Jason o a Gladys o a Cliff Blossom o ad Alice – pensa a Jughead. Lo sceriffo Keller gli chiede di confessare e FP pensa a Jughead. Pensa che così facendo sta perdendo ogni diritto di esserci, di stringerlo, consolarlo, sgridarlo, ma che nonostante ciò, non vuole perderlo. Per tutto il breve tempo che dura la sua confessione, FP fissa lo sceriffo Keller negli occhi, ma vede Jughead.

(La cosa che fa più male non è confessare, non sono nemmeno quelle foto del corpo straziato di quel ragazzino rosso buttate sulla scrivania, non è l’idea di passare gli ultimi anni della sua vita in una cella: è quell’espressione distrutta che si dipinge sul viso di Jughead quando gli dice di quanto era stato felice di vederlo leggere il suo manoscritto, di quanto sia stato un’errore dargli un’altra chance; la cosa che fa più male è spingerlo via, spaventarlo quando vorrebbe solo rassicurarlo. E’ dirgli di non tornare mai più, quando vorrebbe solo abbracciarlo – FP si dice che non importa, che va bene che lo odi, va bene non vederlo mai più e che prima o poi verrà a patti con l’idea che suo padre sia un assassino. FP si dice che va bene mentire anche su una cosa del genere, va bene che la sua foto finisca su tutti i quotidiani e che venga chiamato “Il mostro di Riverdale” perché se è quello il prezzo da pagare per la vita di suo figlio, è giusto che sia così.)
 

 

***
 

Quando FP confessa, Alice è l’unica che non gli crede – ovviamente non gli crede, sa quando mente e, andiamo, lo conosce da quando avevano sette anni. Ci mette un po’ a decidere di andarlo a trovare; ci vuole di vedere Betty e Archie distrutti nel tentativo di consolare un Jughead così confuso nel percorrere le numerose strade che si trovavano davanti a lui, senza suo padre – quel ragazzino non le è mai piaciuto e si dice che l’unico motivo per cui una di quelle sere, quando Hal è fuori per lavoro, permette a Betty di lasciarlo dormire a casa sua è perché è sconvolto e non perché FP non avrebbe mai voltato le spalle a sua figlia in quel modo.

Quando decide di andare a trovare FP, lo fa dando un nome falso e quando insistono che solo suo figlio e sua moglie possono interagire con lui, Alice storce appena il naso, prima di infrangere due o tre leggi e dare come nome Gladys Jones – ma davvero, chi glielo ha fatto fare?

Quando se lo ritrova davanti, FP ha gli occhi così pieni di tristezza, rabbia e odio, e così poco da FP – perché FP odiava suo padre, ma non era mai riuscito ad odiare lei. Alice lo guarda, pensa a quel primo bacio e a quel primo amore che non è mai stato facile.

Lui la guarda e ci vuole un minuto, prima che prenda parola, prima che realizzi che lei è davvero lì, che non è il dolore ad averlo reso cieco e a farlo vaneggiare – non ancora, almeno.

“Sei venuta a ballare sulle macerie, Alice?” le chiede e spera che se ne vada, che lo lasci stare, che sia facile persuaderla e spaventarla, come lo era stato con Jughead.

Alice non si scompone, perché, davvero, il giorno in cui sarà FP a incuterle paura deve ancora venire. Non è FP a farle paura, infatti, è l’immagine di quel FP disperato a disturbarla; può affrontare la sua rabbia, il suo odio, la sua impulsività – erano tutte cose che aveva già visto - eppure l’idea di un FP disperato la terrorizza come nulla al mondo.

Alice vorrebbe dirglielo – dirgli che è lì per lui, dirgli che sa che ha detto a Jughead di non tornare mai più, che ricorda il modo in cui l’ha sempre difesa e che sa, lo sente come una certezza inossidabile che ha dentro, che è Jug che sta cercando di proteggere. Che non è un genitore perfetto, ma che darebbe la sua vita per proteggere suo figlio. Vorrebbe dirglielo, ma c’è Hal ed è pur sempre una giornalista.

“Sono venuta a sentire la tua confessione” gli chiede, e non si scompone, ha le labbra atteggiate in una smorfia che tradisce una malinconia imparata con gli anni.

“Non hai sentito abbastanza storie sul mostro di Riverdale, Alice?”

Tanti anni prima, Alice ci aveva provato – davvero ci aveva provato a raccontargli il suo dolore, a raccontargli del ciclo che non arrivava ma lui non aveva capito e aveva ammiccato verso una delle Vixen e da lì, lei non aveva mai provato a parlargli di nuovo. Ma FP, mentre la guarda, comprende che invece Alice ha capito lui.

“Non mi piace il Gossip” dice con nonchalance, stringendosi le spalle, prima di inchiodarlo con i suoi occhi verdi “E poi sappiamo entrambi che sono solo stronzate”

Alice ha capito lui: Alice capisce il suo di dolore senza margine d’errore, riconosce immediatamente il battere sordo del suo cuore spezzato; e non per questo lo giustifica, ma neanche lo giudica ed è un’esperienza strana e disarmante, come imparare a camminare una seconda volta. C’è qualcosa di bello nell’avere qualcuno che ti guarda ancora con lo sguardo fra il premuroso e l’irritato con cui ti guardava a diciassette anni – FP può sentire il petto riempirsi di calore.

“Forse hai solo paura di essere stata per anni con un mostro senza saperlo riconoscere” osserva lui, ed ha un’espressione indecifrabile negli occhi.

“Smettila di mentire, FP” gli risponde, corrucciando appena il labbro inferiore. “Non sono tuo figlio, non sono così facile da convincere”

FP la guarda appena e mentre lo fa, ha quel lampo nuovo negli occhi, un lampo di speranza che illumina i suoi occhi color cioccolato, segnati da notti di lacrime mute e soffocate. E’ che è così bello, si ripete, avere qualcuno che crede in te, dopo giorni passati ad essere guardato come un mostro che uccide ragazzini.

“Come sta?” le chiede sottovoce, mentre si stringe le braccia.

Alice sa che non c’è bisogno che chieda lui di chi stia parlando, che tutto il dolore dietro quegli occhi scuri è evidente, parla da sé ed è come se la sua importanza fosse sotto gli occhi di tutti.

“E’ a pezzi” confessa, e non può fare a meno di notarlo mentre abbassa gli occhi.

“Mi odia” ammette lui fra i denti, come se il peso di quelle parole fosse tutto sulla sua schiena e gli spezzasse la voce. “Tu non hai visto come mi guardava, Alice… Non hai visto la delusione nei suoi occhi...”

“Devi dirgli la verità, FP” risponde dolcemente lei.

“Non posso”

Alice non parla, non dice nulla. Lo guarda e pensa ad Hal – Hal può essere la sua vita felice. Hal è bellissimo, nobile e affascinante. E’ tutto ciò che un’Alice diciassettenne aveva sognato, tutto ciò che FP non poteva essere.

Hal può essere la sua vita felice.

Ma lei si accende solo con FP. Le cade la maschera da superdonna, diventa vulnerabile e umana, si sgretola sotto le sue mani.

Si dice che il sorriso grato che FP le rivolge prima di andar via non significhi nulla. E se davanti ad esso, gli stringe la mano un po’ più forte, si dice che è solo per ricordargli che è lì per lavoro, che la stretta di mano è un saluto formale, che non lo fa per affetto, né per conforto.


 

***

Passa un anno – un anno in cui Alice vede Betty, sua figlia Betty, diventare sempre più intima con Jughead, un anno in cui FP perde per un periodo la libertà, ma recupera suo figlio – prima che Alice confessi ed espelli ogni parola come se fosse un macigno tenuto nascosto in maniera maldestra per troppo tempo, come se fosse altro da sé.

“Ho avuto tuo figlio. L’ho chiamato Charles, l’ho dato in adozione. Ed ora è morto, è morto a causa mia” Alice piange mentre parla e la sua testa è appoggiata alla parete e FP, per un solo lunghissimo momento, vorrebbe cacciarla via, vorrebbe dirle di andarsene e di smettere di camminare in casa sua come se fosse ancora casa anche per lei. Vorrebbe fare tutto ciò, vorrebbe ferirla nel modo in cui lei ha ferito lui, eppure la stringe più saldamente a sé stesso, fermandosi prima che sia troppo perché lei possa ancora sopportarlo, e Alice pensa che gli piacerebbe sparire in quell’abbraccio, che sarebbe persino giusto.

“Mi dispiace” gli sussurra contro la stoffa della maglietta “Sono un mostro”

“Alice, guardami” le dice e lei ci mette un attimo ad alzare gli occhi, un attimo che racchiude tutta la colpa e la vergogna che si era tenuta dentro a diciassette anni “Sono qui. Non è stata colpa tua”

Alice chiude gli occhi e immagina cosa sarebbe accaduto se avesse portato Charles via da Riverdale, se l’avessero cresciuto come se fosse loro, come se fosse normale.

A volte Alice guarda FP e si chiede cosa sarebbe accaduto se avesse osato amare un uomo diverso da Hal.


NDA
Well, eccoci a un capolinea, con un finale aperto, che immagino possa essere anche deludente. La verità è che, nonostante sia felice di vedere come vanno le cose nella S4, in questa FF ho voluto rappresentare i Falice come quel primo amore fatto di rimpianti, di cose non dette, di occasione non colte che è stato fino alla S2. Quel primo amore che, beh, forse leggendolo ricorda anche un po' il nostro. Ecco perché il finale è problematico, perché non risponde al quesito centrale e lascia ancora tutte le strade aperte - Alice tornerà a casa da Hal oppure smetterà di vivere nel rimpianto e nel rimorso? Lo show ci ha dato la risposta, io ho voluto approfondire i Falice bellissimi, fieri e con quella tenerezza arruffata che avevano a 17 anni, e che si portano dietro ancora, nonostante i diciassette anni non li abbiano più.
Vi ringrazio tantissimo, soprattutto Daffodil, che legge sempre i miei lavori in questo fandom. 

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