Phobophobia

di time_wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Megalophobia ***
Capitolo 2: *** Xylophobia ***
Capitolo 3: *** Arachnophobia ***
Capitolo 4: *** Mastigophobia ***
Capitolo 5: *** Agoraphobia ***
Capitolo 6: *** Astraphobia ***
Capitolo 7: *** Phonophobia ***
Capitolo 8: *** Laliophobia ***
Capitolo 9: *** Pyrophobia ***
Capitolo 10: *** Achluophobia ***
Capitolo 11: *** Electrophobia ***
Capitolo 12: *** Philophobia ***
Capitolo 13: *** Lysiphobia ***
Capitolo 14: *** Algophobia ***
Capitolo 15: *** Thermophobia ***
Capitolo 16: *** Selenophobia ***
Capitolo 17: *** Glossophobia ***
Capitolo 18: *** Cryophobia ***
Capitolo 19: *** Atychiphobia ***
Capitolo 20: *** Eosophobia ***



Capitolo 1
*** Megalophobia ***


1 - MEGALOPHOBIA
paura delle cose grandi

 



“Everything you want is on the other side of fear.”
Jack Canfield

 
 
Gli occhi brillanti rilucevano di consapevolezza mentre si chinava verso di lui e gli posava un bacio bagnato sulle labbra, disdegnandole un attimo dopo e prendendo ad occuparsi del suo collo. Gli stava facendo uno strano effetto. Sentì il suo stesso respiro aumentare come mai prima d’ora, mentre la pelle sensibilissima rispondeva con un’ondata di brividi nei punti in cui si posavano le mani callose e rinforzate dagli allenamenti. Non aveva idea di cosa fosse quella sensazione nuova, ma sapeva che era esattamente così che avrebbe voluto sentirsi ogni giorno della sua vita. Intanto il ragazzo gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo, quasi preoccupato, ma il desiderio nelle sue pupille non lasciava molto spazio ad altre emozioni. Gli stava chiedendo qualcosa. Non conosceva la risposta a quella domanda silente, ma il suo istinto lo portò ad annuire, intimamente consapevole di quello a cui stava acconsentendo. Fu tutto ciò di cui l’altro ragazzo aveva bisogno. Scese con le labbra sul suo petto, lasciando una scia di baci umidi che contribuirono ad un’altra ondata di pelle d’oca nei punti in cui la saliva era ancora fresca. Sospirò impaziente, davanti alla lentezza del compagno che, arrivato all’elastico dei pantaloncini, proseguì infilando la lingua oltre il bordo e mordendo inaspettatamente una porzione di pelle. Prevedibilmente, gli strappò un gemito. Notò che la voce roca e spezzata dal desiderio non sembrava neanche la sua. Lo sguardo dell’altro, divertito e decisamente stravolto dall’eccitazione, fu abbastanza da fargli perdere la testa ed alzare il bacino, chiedendo un contatto più diretto e soddisfacente. Averlo lì, finalmente davanti a lui, su di lui, sembrava un sogno.
 

La notizia aveva colto tutti di sorpresa. Un silenzio tombale era sceso sulla classe 1-A per alcuni secondi, ma la magia durò poco. Qualche attimo dopo una cascata di chiacchiere, commenti ed esultanze scoppiarono nell’aula come fuochi d’artificio.
“Le vostre famiglie sono già state informate, ma vedete di non farmene pentire.” Esalò il professor Aizawa, che riuscì, solo con la sua aura intimidatoria, a superare gli schiamazzi e a farsi sentire forte e chiaro. Qualcuno potè giurare di averlo sentito borbottare, tra sé e sé, qualcosa che si avvicinava molto ad un rassegnato ‘chi me l’ha fatto fare?’
“Hai sentito cos’ha detto? Ci faranno passare l’estate in un resort di lusso!” Esclamò Ashido, dando un colpetto al gomito di Uraraka, che le regalò un sorriso non molto convinto: “Che c’è? Non sei felice?” Le domandò ancora, inalberandosi alla vista dell’espressione per nulla scoppiettante dell’amica: “Certo che sono felice, ma questa storia non ti puzza un po’?”
“Che vuoi dire?” Le domandò incredula Mina. Possibile che la sua amica fosse sempre così sospettosa?
“Voglio dire che mi sembra assurdo che non ci sia un secondo fine.”
“Guarda che è un campo di allenamento. Sarà sicuramente durissimo, ma almeno potremo rilassarci grazie ai servizi del resort.” Esclamò entusiasta Ashido, che già pregustava il ritmo irregolare e rilassante delle bollicine della jacuzzi, dopo un’intensa giornata di fatiche.
“Non è mai successo che ci premiassero per il duro lavoro.” Considerò Uraraka. Non voleva certo passare per la guastafeste di turno. In cuor suo, infatti, sperava davvero che l’amica avesse ragione e che le sue fossero solo paranoie infondate.
“Nah, proprio per questo abbiamo bisogno del nostro meritato riposo.”
“In effetti quella SPA mi incuriosisce.” Momo si inserì nel discorso, sorridendo alle amiche.
“Professore,” La voce risoluta di Iida fece abbassare di parecchi toni quella dei compagni. Lo sguardo inspiegabilmente ironico di Aizawa si posò sul ragazzo: “quando partiremo?”
“Direi non appena finirete di fare le valigie, operazione che non deve superare l’ora.” Rispose, sorridendo appena e allontanandosi dalla classe, lasciando che i suoi alunni schizzassero fuori dall’aula, in preda al panico e in direzione dei dormitori, come se fossero stati caricati a molla. Un’ora per preparare le valigie? Sembrava già la prima delle torture!
 
“Ehilà, Midoriya!” Salutò Kaminari, sbirciando nella stanza dell’amico.
“Sei pronto?” Domandò Kirishima, sbucando alle spalle del biondo, con il suo inconfondibile sorriso solare.
“Direi di sì.” Considerò Deku, una mano sotto il mento e le sopracciglia aggrottate, in segno di riflessione. Aveva impacchettato i suoi quaderni per prendere appunti e aveva portato il suo costume da eroe, nel caso in cui si fosse ritrovato a fare allenamenti specifici e simulazioni molto realistiche. Si era addirittura ricordato di prendere qualche asciugamano, nel caso in cui il resort non ne avesse avuti abbastanza, giusto per precauzione: “Sì, sono pronto!” Trillò infine Midoriya, raccogliendo il borsone rosso che aveva depositato a terra e raggiungendo i suoi amici alla porta della stanza. Nonostante la sua pignoleria era riuscito a far entrare lo stretto necessario (e anche di più) in quell’unico borsone. In fondo era sempre stato abile ad incastrare tutto in valigia, senza sprecare spazio.
I tre si diressero raggianti nella sala comune del dormitorio, raggiungendo il resto dei loro compagni, ancora in attesa dei ritardatari. Si respirava un’eccitazione generale nell’aria. Certo, non era la prima volta che andavano in gita assieme, ma questo era decisamente diverso! Avrebbero passato ciò che restava del mese di luglio in un resort dall’aria lussuosa che i ragazzi avevano da subito cercato sul web. Il Lotus resort affacciava sul mare. Musutafu, infatti, la città che ospitava la U.A., non distava molto da Tokyo. Dopo aver attraversato la capitale si sarebbero diretti a sud, a pochi chilometri da Yokohama. Sembrava un sogno. Anche solo l’idea di un viaggio in pullman con la sua classe emozionava Midoriya oltre l’inverosimile, figuriamoci la gita in sé. Non vedeva l’ora che Aoyama, Momo e Ashido fossero finalmente pronti per partire.
“Scusate!” Gridò piano Momo, scendendo le scale del dormitorio proprio in quel momento e raggiungendo il resto della classe, con Ashido al seguito: “Mi stava dando una mano a far entrare… ecco, tutto in valigia.” Disse Mina vaga, trascinando un grande trolley al centro della sala comune.
“Oh, beh, sembra che manchi solo Aoyama…” Considerò Iida, inforcando gli occhiali da sole con fare teatrale e consultando la lista che aveva tra le mani. I bermuda con le palme azzurre che indossava rendevano difficile prenderlo effettivamente sul serio.
“Eccomi, il meglio arriva alla fine.” Aoyama fece il suo ingresso, strizzando l’occhio a Iida e trascinando una valigia grande su per giù la metà di lui. Kaminari fischiò, visibilmente sorpreso: “Ma cosa ti porti dietro?”
“Tutto ciò che serve per non smettere di brillare.” Rispose serenamente il ragazzo, come se la sua risposta fosse a tutti gli effetti una spiegazione esaustiva. Kaminari scrollò le spalle: non era certo di voler davvero sapere cosa aveva in valigia il compagno di classe.
Uno sbuffo annoiato si levò dalla calca di studenti che affollava la sala comune. Bakugo Katsuki si diresse verso la porta a vetro dell’edificio con passo pesante: “Avete intenzione di passare tutta la mattina qui?” Domandò, un sopracciglio inarcato ad accentuare il solito cipiglio infastidito. A quanto pareva anche lui non stava nella pelle all'idea di partire.
“Assolutamente no!” Trillò Kirishima, raggiungendo il biondo e passandogli un braccio sulle spalle: “Andiamo.” Disse poi, riuscendo a trascinare entusiasta l’amico e il resto della classe verso l’uscita. Ashido li osservò con inaspettata attenzione.
“E tu levati di dosso, capelli di merda.” Brontolò Bakugo, liberandosi dalla stretta dell’amico con uno strattone. Kirishima non si offese.
“A-aspettate!” Balbettò Iida, finito in fondo alla fila. Stava avendo qualche difficoltà a reggere il block notes con l’appello, la penna e la valigia contemporaneamente, ma alla fine riuscì a riscuotersi e a riguadagnare il suo solito contegno: “Aspettate, vi dico, sono il capoclasse, devo guidare la fila!” Gridò, prima di correre avanti e sperare che i suoi compagni non pensassero di lui che fosse un irresponsabile.
 
Era già trascorsa un’oretta da quando avevano messo piede nel pullman che li avrebbe condotti al Lotus resort, ma Midoriya si sentiva già al settimo cielo. In quel momento, infatti, stavano attraversando Tokyo, come se stessero spaccando in due la capitale e Deku non riusciva a staccare la guancia dal finestrino: non voleva perdersi alcun dettaglio della città. Ci era stato solo un paio di volte in vita sua e solo per sbrigare faccende troppo rapide perché potesse visitarla a tutti gli effetti. Per quanto il viaggio non prevedesse una gita turistica nella capitale, quel finestrino gli stava comunque offrendo più visuale di quanta ne avesse mai vista in vita sua: “Non sei mai stato a Tokyo?” Domandò Todoroki, occupando momentaneamente il sediolino accanto al suo, visto che Iida era impegnato a parlare con i professori.
“No!” Replicò entusiasta Deku, girandosi a guardare l’amico solo allora: “È bellissima, non trovi?”
“Troppo caotica.” Si limitò a rispondere il ragazzo a metà, distogliendo lo sguardo. Lui, al contrario, aveva passato molto tempo a Tokyo, trascinato dal padre, di tanto in tanto, convinto che potesse essere ‘un passatempo costruttivo’, così l’aveva definito, per il suo futuro. Lo sguardo di Todoroki si velò improvvisamente di rammarico e di amarezza, mista ad un pizzico di rabbia, che continuava a tormentarlo.
“Ma… Ohhh!” Esclamò Midoriya, spalancando i grandi occhi verdi per la sorpresa: “Quella è la Tokyo Tower!”
Todoroki abbozzò un sorriso: “Quello è un ripetitore bianco e rosso.” Lo corresse poi, vedendo lentamente svanire la meraviglia dagli occhi di Midoriya, poi prontamente sostituita da una fragorosa risata.
“Bene, ragazzi, ascoltate! Ho un importante annuncio per voi.” Iida richiamò l’attenzione dei compagni di classe e le chiacchiere ed i mormorii cessarono all’istante, tutti troppo disperati di avere informazioni in più riguardanti la loro gita.
“Oh, bene.” Borbottò Iida, che non era mai riuscito ad attirare l’attenzione della classe in così poco tempo: “Ho appena parlato con i professori in viaggio con noi. All Might e Aizawa mi hanno detto di dirvi che le stanze del resort saranno tutte doppie. Iniziate ad accordarvi per le coppie.” Un colpo di tosse risuonò nel pullman, non appena Iida ebbe finito di parlare: “Oh, e… All Might ci tiene a precisare che le camere miste sono vietate.” Aggiunse poi, voltandosi in direzione dell’eroe, che ricambiò alzando il pollice.
Un tumulto di schiamazzi si levò dai sediolini.
“Ehi Kirishima!” Gridò Kaminari, dal lato opposto del mezzo: “Vuoi stare in stanza con me?”
“Sto già con Bakugo!” Strillò di rimando il rosso, girandosi verso il ragazzo accanto a sé e sorridendo raggiante, un attimo prima di ricevere uno spintone, che per poco non lo fece cadere dal sediolino.
“Con chi hai detto che stai?”
“Beh, con chi altro vorresti stare tu?” Domandò sorridendo ironico Kirishima, tornando a sedersi compostamente: “Se vuoi ti lascio a Midoriya.”
“In stanza con quel nerd di merda non ci andrò mai. Voglio stare da solo.”
“Non puoi stare da solo. Ormai Kaminari sarà già andato a chiederlo a Sero.” Considerò Kirishima. Bakugo sbuffò e tornò ad osservare il paesaggio scorrere al finestrino. Quello per Kirishima significava solo una cosa: aveva accettato.
“Ehi, Jiro, posso averti tutta per me?” Domandò Ashido, dando un colpetto all’amica, che ricambiò con un sorriso complice ed annuì: “Ma certo.” Nonostante le due ragazze fossero enormemente diverse, c’era da dire che nell’ultimo periodo avevano legato molto.
“Restiamo solo noi quattro.” Osservò Momo, non appena Tsuyu e Uraraka si furono avvicinate a lei, seguite da Hagakure.
“Per me è lo stesso.” Ribattè Uraraka, che sapeva che avrebbero avuto modo di passare tantissimo tempo insieme in ogni caso.
“Anche per me, cra.” Considerò Tsuyu, dopo averci riflettuto per un po’, poggiando una mano sotto il mento.
“Beh, anche per me.” Rispose Hagakure, senza riuscire a sbloccare la situazione.
“Oh, avanti, Momo, evoca una monetina e lanciala.” Si inserì Ashido, poggiando le ginocchia sul sediolino, per vedere ciò che accadeva una fila più avanti.
“Non posso,” replicò Momo, alzando gli occhi al cielo: “non è eticamente corretto.”
“Non ci credo.” Commentò ironica Jiro, che non era sicura che avrebbe mantenuto tutta questa integrità morale, nei panni di Momo: “Ecco.” Disse poi, porgendo una moneta da cinque yen alle ragazze. Qualche secondo dopo la sorte smistò le amiche: Uraraka avrebbe condiviso la stanza con Tsuyu e Hagakure con Momo.
Intanto, dall’altra parte del pullman, Sato e Kota si erano accoppiati, lasciando Ojiro e Shoji a condividere la stanza.
Ormai i posti liberi iniziavano ad esaurirsi e nessuno, per quanto il ragazzo ci avesse provato, sembrava voler stare nella stessa camera di Mineta, che continuava a lamentarsi del fatto che le ragazze, invece, avrebbero accettato senza batter ciglio, se avessero potuto.
“Oh, Midoriya!” Si avvicinò Iida, poco dopo aver dato l’annuncio: “Ti andrebbe di stare in stanza insieme?”
“Ma certo!” Replicò entusiasta il ragazzo, lanciando un veloce sguardo in direzione di Todoroki, accanto a lui, al quale aveva un po’ troppa paura di fare una richiesta. Non sapeva bene perché, ma in qualche modo la cosa gli suonava diversa. Il ragazzo a metà ricambiò lo sguardo, ma Midoriya non riuscì a leggervi né gioia né risentimento.
“Io sono in camera con Tokoyami!” Gridò all'imrpovviso Mineta, dal fondo del pullman, riferendosi al ragazzo addormentato accanto a lui, che, per il baccano, si svegliò, aprendo un occhio, leggermente infastidito: “Ti va bene?” Domandò ancora. Metà della classe si girò a guardarlo, sicura che l’avrebbe elegantemente mandato a quel paese, ma il ragazzo scrollò le spalle e, con somma sorpresa di molti, confermò: “Mi va bene.” I ragazzi non seppero mai se Tokoyami avesse effettivamente capito a cosa aveva appena acconsentito.
“Questo lascia un’ultima coppia.” Dichiarò Iida, consultando il suo taccuino e scribacchiando velocemente qualcosa: “Todoroki, sei in camera con Aoyama.” Lo informò il capoclasse, mentre i presenti non poterono che domandarsi che razza di coppia formassero i due.
Il resto del viaggio passò relativamente in fretta. Coprirono la distanza che rimaneva tra qualche battuta di Kirishima, prontamente distrutta da Bakugo, qualche pezzo accuratamente scelto ed amplificato da Jiro e qualche nozione assolutamente inutile che Iida si premurava spesso di segnalare, ogni qual volta incappassero in una delle ‘meraviglie’ (così le chiamava lui) descritte sulla piccola guida che teneva in mano, dal nome Il meglio del Giappone. Anche solo arrivare al resort era stata una grande prova di nervi, per molti.

Il Lotus resort, in effetti, si avvicinava molto di più ad un campeggio modernizzato. Originariamente, infatti, era stato un luogo di ritrovo di campeggiatori, gestito dal signor Lotus. Il figlio, però, dopo aver ereditato il terreno, l’aveva reso un resort, aprendo una SPA e creando incantevoli strutture per le stanze. Nonostante ciò, aveva lasciato intatto il boschetto dei campeggiatori che conduceva al mare, rendendo la struttura nel complesso selvaggiamente lussuosa.
“Non…” Iniziò Ashido, non appena ebbe messo piede sul selciato che conduceva all’ingresso della struttura.
“Posso crederci.” Continuò per lei Uraraka, osservando il cancello in ferro battuto decorato da spire di rampicanti, che convergevano in un punto in cima, dove una L ed una R si intrecciavano, imitando l’andatura delle foglie. Superato il cancello, un viale alberato li condusse ad una struttura futuristica ed elegante. In lontananza il rumore della risacca del mare donava al luogo un’atmosfera pacifica, ideale per chiunque bramasse un po’ di sano relax.
La hall del resort era lontanissima da qualunque fantasia dei ragazzi. “Kirishima?” Chiamò Kaminari, muovendo qualche passo incerto e lasciandosi scappare un ‘oh’ sorpreso, non appena ebbe notato la cascata d’acqua alla parete che aveva di fronte.
“Mh?” Rispose distratto il rosso, guardandosi attorno con l’aria spaventata ed insicura di chi sa che basterebbe poco più di un pizzicotto per essere ridestato dal suo sogno.
“Che ci fanno due come noi qui dentro?” Domandò il biondo, che, come in trance, non riusciva a staccare gli occhi dalla vista che aveva davanti.
“Ottima domanda.” La voce annoiata di Aizawa risuonò in qualche modo inadatta alla situazione. I professori, infatti, avevano lasciato i ragazzi nella hall a guardarsi intorno e avevano recuperato le chiavi delle loro stanze: “Questo posto era l’unico disposto ad ospitare degli allenamenti estivi.” Spiegò il professore con un ghigno, ancora una volta inadatto alla situazione, dipinto in volto.
“Ha delle strutture perfette per non essere distrutte dalle vostre Unicità e, per di più, insonorizzate.” Continuò All Might, che invece guardava i ragazzi con gli occhi ironici e paterni di chi ha appena fatto uno scherzo geniale ma infantile ad un amico. Midoriya, per quanto lo idolatrasse, lo trovò inadatto alla situazione.
“Purtroppo, però…” Iniziò Aizawa, ghignando ancora e guardando alcuni ragazzi negli occhi, in una pausa che gustò a fondo, ancora una volta dannatamente inadatta alla situazione: “non ce lo possiamo permettere.”
Dei mormorii iniziarono a farsi strada tra le bocche degli studenti. E questo cosa diavolo significava?
“Per questo motivo, parte del vostro allenamento includerà un lavoro qui.” Concluse All Might, sorridendo raggiante. Un silenzio perplesso calò sulla classe.
“Eh?” Commentò poi Kirishima, con un sopracciglio alzato, dando finalmente voce ai pensieri di tutti.



Note di El: Il titolo è cacofonico, lo so io, lo sapete voi, facciamocene una ragione. Ooooh, sì, un'altra fanfic su My Hero Academia. Questa volta abbiamo una long che dovrebbe, in teoria, avere 20 capitoli. 11 di questi sono già pronti, quindi dovrei (non dirlo) riuscire a (sei ancora in tempo per fermarti) non rimanere indietro (ti stai rovinando) e pubblicare regolarmente (ecco, l'hai detto. Bella mossa).
Beeeene, avrete notato un paio di citazioni che mi diverto sempre ad inserire, come il ripetitore scambiato per la Tokyo Tower di Haikyuu e i cinque yen di Yato. Se li avete scovati entrambi bravi, ma non ho premi per voi :(
La parte iniziale è uno spoilerone dei capitoli successivi (o forse no) ehehe
Nonostante non possa dire molto su questo capitolo, senza spoilerare i prossimi, vi dirò che sarà una storia nel complesso leggera, in cui i problemi di maggiore rilevanza saranno in ogni caso realtivi alle emozioni e ai dilemmi interiori dei protagonisti. Spero di avervi convinti!
ULTIMA COSA (mi ero ripromessa di non dilungarmi troppo con le note (come al solito), ma questa volta ho una buona scusa), arriviamo alla parte più importante di queste note!
Questa storia è cresciuta, è nata, è esistita, è stata scritta, QUESTA STORIA È grazie alle idee, al consiglio, al supporto, a quello che vi pare, del mio caro Bakugo
ran_senpaiuccio, che ascolta scleri (ma ne fa anche) da mesi e che mi ha intimato (non molto gentilmente) di pubblicare presto.
Bien, è tutto.
Ci vediamo la settimana prossima
 (devo smetterla di fare la gradassa ora che ho i capitoli) e, mi raccomando, commentate che fa sempre piacere.
Adieu, 

El.

P.S. Il titolo, comunque, anche se è brutto, signfiica "paura della paura" (Come? Devo smetterla di spiegare i titoli nei post scriptum? Lo so)

 

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Capitolo 2
*** Xylophobia ***


2. XYLOPHOBIA

paura degli oggetti di legno o dei boschi

 

La vita si restringe o si espande in proporzione al nostro coraggio.
Anais Nin



Che cosa? Avrebbero dovuto lavorare? Uraraka stentava a crederci, eppure se lo sentiva che il resort di lusso e la vacanza erano un sogno troppo luminoso per venire ripagato con dell’ordinario allenamento, quello potevano anche farlo alla loro scuola, dopotutto! Nonostante ciò, la notizia l’aveva colta di sorpresa: l’idea di lavorare per il resort non le era neanche passata nella mente quando aveva pensato ci fosse qualcosa sotto.
“Un eroe deve responsabilizzarsi.” Iniziò solenne All Might, rispondendo allo sgomento generale: “Anch’io ho fatto la mia gavetta e sono sicuro che il vostro amato professore, qui, abbia fatto lo stesso.” Concluse l’eroe, dando una manata in mezzo alle scapole di Aizawa. Giusto per enfatizzare. Il professore alzò lo sguardo su di lui leggermente infastidito, ma si astenne dal commentare.
“Questo vuol dire che il nostro allenamento consisterà nel lavorare qui?” Domandò Kaminari, che non si era ancora ripreso del tutto dallo shock della notizia e aveva iniziato ad emettere, quindi, qualche getto incontrollato di elettricità. Il professore Aizawa sembrò ritrovare il suo ghigno divertito: “Ma certo che no.” Replicò calmo, infatti. Alcuni sospiri di sollievo si levarono dal gruppo, ma ci fu comunque qualche sguardo diffidente: “Questo vuol dire che vi allenerete parallelamente al lavoro.” Precisò il professore e l’espressione di Kaminari si tramutò in qualcosa di molto simile a quella che assumeva quando incanalava troppa elettricità contemporaneamente, mandando il suo cervello in black out: “Troverete affisse le vostre mansioni nella sala comune dell’edificio in cui risiederete.” Continuò Aizawa, godendosi con leggero sadismo le espressioni attonite dei suoi allievi.
 
“Questa mappa è illeggibile.” Si lamentò Kirishima, a cui Sero aveva preferito lasciare l’arduo compito di decifrare la mappa del labirintico resort. I ragazzi erano stati, per così dire, lasciati liberi di trovare la strada per il loro edificio, il che significava che erano più che altro stati abbandonati. Il resort, infatti, immerso nel verde di una pineta, era organizzato in edifici che comprendevano ognuno un numero limitato di stanze. L’edificio E-7 era quello destinato alla 1-A, che rientrava perfettamente nei numeri tranne che per una stanza, lasciata fuori dal resto della classe. Come se il dover condividere la camera con Aoyama non fosse stato abbastanza tragico, infatti, Todoroki aveva anche scoperto di dover alloggiare nell’edificio E-5, non molto distante da quello del resto della classe, ma pur sempre diverso. L’E-5 era già stato battezzato dai ragazzi come ‘il tugurio’, dato che aveva una capienza di sole due stanze.
“Secondo me dobbiamo girarla in questo verso…” Iniziò Kirishima, armeggiando con il foglio che teneva fra le dita, come se fosse stato il modo più veloce per cavarne un ragno dal buco. Bakugo sospirò, decisamente afflitto: “Siete tutti degli idioti.” Commentò strappando la mappa dalle mani del compagno e ruotandola nel verso corretto. Il rosso, dal canto suo, dopo un momento di confusione, scrollò le spalle con un sorriso, pronto a seguire il suo amico: “È di qua.” Comandò, infatti, il biondo. L’ultima cosa che il resto della classe voleva, in quel momento, era essere guidato da Bakugo e la sua aggressività, ma non era certo il caso di lasciarsi andare a simili capricci.
“Grande Kacchan!” Gridò entusiasta Midoriya, trascinando il suo borsone con un pizzico di speranza in più.
“E tu zitto, nerd di merda.” Brontolò il biondo, andando dritto come un treno per la sua strada, senza preoccuparsi se i suoi compagni riuscissero a stare al passo o meno.
 
Grazie al senso di orientamento di Bakugo, però, i ragazzi riuscirono a cavarsela tra i sentieri alberati, proseguendo finché un grosso cartello in legno si parò loro davanti. Un’enorme ‘E’ bianca troneggiava solitaria sullo sfondo verde scuro. Subito dopo, otto vialetti di mattoni chiari si dividevano in due. A destra i numeri pari e a sinistra i numeri dispari, quattro edifici bianchi per lato erano disposti saltuariamente nello spazio. Tra questi, il 7 era decisamente il più grande.
“Ma è…” Iniziò estasiata Uraraka, mentre i ragazzi si dirigevano verso il grosso edificio, il cui candore era contaminato dalle rampicanti che scendevano qua e là per la struttura. Una volta arrivati davanti all’edificio Todoroki e Aoyama si diressero qualche metro più avanti, nell’ombra del 7, dove una seconda struttura, di dimensioni decisamente minori, ospitava due stanze, disposte in verticale.
Su una grossa porta in legno troneggiava, invece, un numero 7, dipinto di rosso. Non appena ebbe varcato la soglia della porta, la classe non riuscì a reprimere un urlo di sorpresa.
“E noi dovremmo stare qui?” Chiese Kaminari, lasciando il suo piccolo trolley giallo all’ingresso e fiondandosi sul divano rivestito di verde che occupava il centro della stanza. Quattro porte di legno grezzo si trovavano ai quattro angoli della stanza e, sulla parete di fronte l’ingresso, una scala a chiocciola di ferro battuto portava al piano superiore, che ospitava, invece, cinque camere. La sala comune era arredata in stile alpino, con travi di legno scuro sul soffitto e tavolacci dello stesso materiale, che davano alla stanza, che comprendeva anche un accogliente camino, un aspetto nel complesso rustico, ma al tempo stesso lussuoso.
“Avanti, ragazzi, non sostate all’ingresso.” Li incitò Iida, che pure non era rimasto indifferente all’attenzione ai dettagli dell’edificio, ma che avvertiva un’ondata di fastidio generale all’idea di non aver ancora iniziato a disfare i bagagli. Così il capoclasse si diresse verso la prima stanza sulla destra, quella segnata dal codice E-71 ed infilò la chiave nella toppa, facendo strada a Midoriya, che si era finalmente riscosso dallo stupore iniziale e adesso non vedeva l’ora di continuare ad esplorare il luogo.
 
Lentamente, tutti i membri della classe si diressero nelle loro stanze e ad Ashido per poco non venne un colpo, quando varcò la soglia di quella che condivideva con Jiro: “È incredibile!” Esclamò, lasciando la valigia alla porta e correndo verso la grande finestra di fronte a lei. Spostò le tende e la la luce calda del tramonto filtrò attraverso le veneziane. Un tappeto di striscioline dorate si estese all’improvviso sul pavimento in legno scuro, risalendo i cuscini del letto dalle lenzuola rosa e immacolate. La vista le fece scintillare gli occhi: “Ehi Jiro, posso dormire io accanto alla finestra?” Domandò la ragazza, entusiasta.
Kyoka fece vagare lo sguardo con noncuranza sul letto che Ashido aveva scartato: “C’è la presa per il caricabatterie?” Domandò, avvicinandosi facendo lo slalom tra le valigie lasciate in giro dalla sua compagna di stanza.
“Sì.” Confermò Mina, facendole notare la presa con la cornice di legno alla sinistra del letto: “Allora per me va bene.” Replicò Jiro, sistemando la valigia di lato al muro, sdraiandosi sul copriletto e chiudendo gli occhi.
“Com’è?” Domandò Ashido, senza smettere di guardarsi intorno.
“Comodissimo.” Esalò in un sussurro la ragazza, aprendo un occhio, in direzione dell’amica.
Mina non perse tempo e si stravaccò a sua volta sul letto, riuscendo solo allora a capire cosa intendesse la compagna. Quel letto sembrava fatto apposta per lei!
“Dici che quando parlavano di lavorare intendevano farci pulire un po’ la sala comune e la palestra la sera?” Domandò Ashido, dopo un po’ di rilassante silenzio.
“Mhh, secondo me sì, non vedo cosa altro potremmo fare, qui. Sarà un po’ come a scuola.”
“Uraraka crede che ci sia qualcosa sotto.” Ribatté Ashido, che non riusciva a togliersi quella pulce dall’orecchio sin da quella mattina, che adesso le sembrava così lontana.
“Lo penso anch’io.” Rispose Jiro, chiudendo la conversazione e riportando il silenzio nella stanza. Poi Kyoka percepì Mina girarsi verso di lei e non poté che ricambiare lo sguardo. Non appena si guardarono, però, entrambe scoppiarono a ridere, pensando a che magnifico mese avessero davanti.
“Avanti, vediamo di eliminare il problema valigie il prima possibile.” Jiro prese l’iniziativa, tra una risata e l’altra e, con un colpo di reni, si alzò dal letto. L'altra grugnì e mormorò qualcosa che pareva tanto un: “Non adesso, ti prego”, ma fece comunque per alzarsi. Prima che Jiro potesse ribattere, però, un tonfo preoccupante, proveniente dalla camera accanto, le impedì di proseguire. Le due ragazze si fissarono; un misto di rassegnazione e sorpresa a illuminare le pupille, prima che Jiro alzasse gli occhi al cielo e si dirigesse al muro che confinava con la stanza accanto, battendo tre colpi decisi: “Ma che vi salta in testa?” Gridò, prima di collegare i jack e cercare di captare altri rumori molesti. Due colpi alla porta, però, le impedirono di continuare ad ascoltare. Scambiò un altro sguardo d’intesa con Mina, prima di dirigersi all’entrata. “Se avete intenzione di iniziare a fare casino da adesso basta dirlo, perché sono pronta a lanciarvi dalla finestra anche subito.” Minacciò la ragazza, prima ancora di scoprire chi avesse bussato.
Come previsto, Kaminari le fece un sorriso timido, passandosi una mano sulla nuca, ma ignorando la sua minaccia: “Ehm, Mina!” Chiamò il biondo, entrando nella stanza per raggiungere la ragazza.
“Ehi.” Protestò Jiro. Insomma, non solo Kaminari stava disturbando l’intero secondo piano dell’edificio E-7, ma la stava anche bellamente ignorando!
“Ehi, Denki!”
“Per caso hai un po’ di fondotinta?” Domandò imbarazzatissimo Kaminari, guardandosi attorno come a sottolineare la serietà della sua richiesta. Le ragazze si scambiarono uno sguardo interrogativo.
“A che ti serve?” Domandò sospettosa Jiro, sedendosi sul letto. Kaminari incrociò i suoi occhi per un momento, prima di distogliere lo sguardo e puntarlo sul soffitto, fingendo indifferenza: “Ma, sai, cose da ragazzi.” Tentò, guardando poi le ragazze e testando l’effetto della sua mezza-bugia. Pessimo.
“Oh, beh, sì.” Esalò Ashido, alzandosi dal letto e frugando nella sua valigia. Nei brevi attimi di silenzio che seguirono, Kaminari cercò di far finta di niente sotto gli occhi indagatori di Jiro: “Oh, mitico, avete le lenzuola rosa! Noi le abbiamo nere, ma Bakugo dice che le vuole lui. Non è stato affatto cordiale, quindi io e Sero ce le terremo strette, sai com'è...” Jiro alzò un sopracciglio e Kaminari si interruppe, deglutendo rumorosamente. Davvero voleva parlare di lenzuola e credere di poterla fare franca?
“Ma davvero, che dovete farci?” Mina si riinserì nel discorso, tornando con un tubetto di fondotinta beh… rosa.
“Ecco, diciamo che io e Sero abbiamo fatto cadere una certa cosa mentre io stavo facendo una certa operazione e gli ho lasciato una certa cicatrice.” Replicò vago Kaminari, gesticolando teatralmente ad ogni ‘certa’ che pronunciava e accettando il trucco, senza badare troppo al colore.
“Fammi capire, tu e Sero fate…”
“Che cosa? NO!” Quasi gridò Kaminari, imbarazzato dall’equivoco. Ashido per poco non scoppiò a ridere per la sua reazione: “No, ecco… Promettete di non dirlo in giro, se ve lo dico?” Domandò Denki. Le ragazze annuirono.
“Ecco, metà della mia valigia era occupata da…”
“Cazzo, cazzo, cazzo.” Una voce proveniente dalla sala comune raggiunse il piano superiore, forte e chiara e… decisamente conosciuta. I tre ragazzi scattarono sull’attenti e si fissarono negli occhi per qualche secondo, prima di fiondarsi contemporaneamente fuori la porta della camera E-77.
Discesero le scale che portavano al piano terra in tutta furia e si ritrovarono davanti una scena a tratti esilarante, ma per lo più confusa. Bakugo vagava per la sala comune, lasciandosi andare a imprecazioni a mezza voce (talvolta anche più di mezza), mentre il resto della 1-A, un po’ per curiosità, un po’ perché gli era preso un colpo, si riuniva nella stanza.
 
“Ehi, ehi, che sta succedendo?” Domandò Iida, superando la folla che, lentamente, si riuniva attorno ad una lavagnetta di sughero, posta accanto al camino. Ciò che vide davanti a sé per poco non lo fece svenire, per ben due ragioni. La prima era che, a quanto pareva, era venuto meno ad uno dei suoi primi compiti, ovvero memorizzare le indicazioni dei professori e ricordarle alla classe, di tanto in tanto. La seconda era che l’indicazione che avrebbe dovuto ricordare alla classe, una volta messo piede nell’edificio E-7, era tutt’altro che secondaria e le sue aspettative, che comprendevano qualche faccenda domestica come ‘lavoro estivo’, erano appena state fatte a brandelli.
La lavagnetta di sughero, infatti, presentava una tabella che sbatteva in faccia ai ragazzi, con la massima chiarezza, che si sarebbero dovuti fare non in quattro, ma in otto, per superare quella vacanza tra lavori e allenamenti. Accanto a ciascuno dei loro nomi e cognomi, infatti, svettava un riquadro contenente una mansione giornaliera, un altro con gli orari dei turni e un altro ancora con un giorno libero, diverso per ciascuno di loro.
Ciononostante, Iida non riuscì a reprimere un’ondata d’orgoglio quando vide che il lavoro che gli toccava svolgere quell’estate era quello di supervisore e coordinatore degli altri. Certo, gli sarebbe toccato essere di turno a tempo pieno, per lui non erano previsti giorni di riposo, ma tutta quella fiducia lo riempiva di gioia e di terrore simultaneamente. Non poté che augurarsi di dimostrarsi all’altezza.



Note di El: Olè buondì, cari!
La verità è venuta fuori in tutto il suo sadismo. Bene, che questo High School Musical dei poveri abbia inizio! (questi punti esclamativi sono inquietanti, dovrei farla finita)
Piccola infromazione: i primi capitoli sono abbastanza corti, ma aspettatevi un'improvvisa aggiunta di dettagli, più avanti. Sono decisamente prolissa, quindi sì. Come gestiranno il lavoro in team? Che mansioni vi aspettate spetteranno ai personaggi? Ma, soprattutto, che ha in valigia il nostro giovane Kaminari? C'è solo un modo per scoprirlo: chiedermelo! continuare a leggere (inserire punto esclamativo)
Scusate le note nonsense, ma sono stressata. Addio.

Scherzo. Volevo ringraziare tantissimo chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite, è stato inaspettato e mi ha riempito il cuore di gioia. Grazie davvero di cuore anche a chi ha lasciato (e lascerà) una recensione, mi riempie proprio l'animo di gioia. E dopo essere stata accuratamente riempita di gioia vi saluto e ringrazio anche te, lettore silente, sì, non mi sono dimenticata di te.
Adieu,

El.

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Capitolo 3
*** Arachnophobia ***


ARACHNOPHOBIA

paura dei ragni
 


"Il coraggio è resistenza alla paura e dominio della paura, ma non assenza di paura."
Mark Twain
 

Una scolaresca che fa il suo ingresso trionfale nella sala della colazione non doveva essere stata una bella presentazione per i clienti del Lotus resort. Neanche un po’. Neanche per caso. Affatto. Molti degli alunni della 1-A, infatti, non avevano dato tanto peso alla faccenda delle mansioni. Un po’ perché erano stati abituati per un anno intero alle sorprese del professor Aizawa ed il resto dei professori, un po’ perché l’unica opzione disponibile era rassegnarsi e sperare di trovare comunque un po’ di tempo per stare insieme e godersi il resort, esclusa chiaramente la notte. Purtroppo, però, quando si parla di ‘maggior parte degli alunni’ raramente si parla anche di Bakugo. Per il biondo, infatti, l’opzione ‘rassegnazione’ non era contemplata. La questione principale girava attorno al fatto che i suoi colleghi in questa avventura sarebbero stati quel bastardo a metà e l’irritante amica-rana di Deku, che, in realtà, non aveva nulla di irritante se non la sua amicizia con quel nerd. Ecco perché quando quella mattina Bakugo si era recato nella sala della colazione aveva bellamente ignorato l’ambiente circostante e le parole di Kirishima (al quale avrebbe presto mollato un pugno, di prima mattina) e aveva indossato un broncio innaturale per qualunque bocca umana, preparandosi ad imprecare contro qualsiasi coglione avesse anche solo avuto in mente di rivolgergli la parola.
“Jiro, a che ora sei al bar della spiaggia?” Domandò Tsuyu, accanto a lui, che, dopo aver esaminato con attenzione il cartellino che aveva al collo, con su scritto a caratteri cubitali ‘staff’, sperava tanto di avere una piacevole compagnia femminile, mentre svolgeva il suo lavoro da bagnina.
“Nel pomeriggio.” Rispose Jiro, di fronte a lei. Uraraka, seduta accanto a Kyoka, scoccò una veloce occhiata in direzione di Bakugo, per poi tornare con lo sguardo su Tsuyu, osservandola tristemente come a mostrarle il suo supporto. La ragazza scrollò le spalle: “In realtà non abbiamo niente da dirci, cra.” A Tsuyu, infatti, la presenza di Bakugo non faceva granché differenza. Non aveva paura di lui e dei suoi modi di fare. Avrebbe solo voluto avere a sua volta un turno di pomeriggio, per passare un po’ di tempo con l’amica.
“A me non dispiace stare con Ashido e Tokoyami.” Si intromise Uraraka, con un sorriso timido: “Spero solo che Mina riesca a controllare la sua Unicità, servendo ai tavoli.” Aggiunse. Qualche metro più in là l'amica, sentendosi chiamare in causa, alzò il pollice, come a rassicurare Uraraka del fatto che avesse tutto sotto controllo. Questo accade prima, però, che si lasciasse scappare di proposito una goccia di acido, che prontamente liquidò, ma che fece scoppiare a ridere i presenti al tavolo e inorridire Uraraka, che solo poco dopo si lasciò scappare una risatina.
 
Un allenamento mattutino non era il tipo di cosa a cui Todoroki era abituato. Non che stesse avendo particolari problemi, ma si può dire che anche un tipo generalmente tranquillo come lui si era lasciato un po’ trasportare dagli eventi. Aoyama aveva insistito per accaparrarsi l’unica camera lontana da quella dei suoi compagni, perché sosteneva che ‘una stella brilla di più in un cielo buio’. Todoroki non era sicuro di averne compreso appieno il significato, ma non aveva mosso particolari obiezioni. Certo, nell’ultimo periodo aveva legato con Midoriya ed il suo gruppo, ma non era sicuro di potersi dire parte integrante della loro comitiva. Si sentiva costantemente diviso a metà, sotto ogni punto di vista.
“Todoroki!” Parli del diavolo e spuntano le corna. Deku stava venendo verso di lui, accelerando il passo sulla sabbia dorata della spiaggia e prendendo a correre al suo fianco, una volta che lo ebbe raggiunto: “Com’è stato ieri?”
Todoroki si lasciò scappare un respiro pensante per l’affanno. La sabbia rendeva la corsa decisamente più faticosa: “Credo bene.” Si limitò a rispondere, con una scrollata di spalle.
“Non dirmi che ha riempito la stanza di strass, come ha fatto al dormitorio.” Scherzò Midoriya, che voleva davvero capire cosa passasse per la testa del suo amico, visto che si aspettava che fosse esaltato almeno quanto lui all’idea del viaggio. Purtroppo, però, non lo sembrava affatto.
“No, no, ha passato la maggior parte del tempo al terrazzo. Sono andato a dormire prima di lui.”
Midoriya sgranò gli occhi, sorpreso: “Cosa? Che terrazzo?”
“Quello che abbiamo al posto del balcone, con le sedie a sdraio e tutto il resto.” Si limitò a rispondere Todoroki, cercando di risparmiare più fiato possibile: “Sono stati furbi a pensare di farci correre sulla sabbia.” Osservò, prima di rendersi conto che il suo interlocutore era rimasto fermo a fissarlo, qualche metro indietro. Todoroki inarcò un sopracciglio, senza capire bene dove avesse sbagliato.
“NOI NON ABBIAMO NULLA DEL GENERE!” Tuonò Midoriya, che sembrava aver ritrovato un’energia del tutto nuova, iniziando infatti a correre con rinnovata decisione, una volta che ebbe raggiunto il suo amico: “Ma com’è? Sentite il rumore della risacca più di noi? C’è il sentiero per arrivare al mare? Oh, perché qualche volta non facciamo una festicciola? Credi che ad Aoyama dispiacerebbe?”
Da quando Midoriya aveva iniziato a parlare Todoroki aveva afferrato più o meno un paio di parole, nonostante fosse certo che il suo amico dai capelli verdi ne avesse dette decisamente di più. Non seppe bene perché, ma quell’entusiasmo gli fece venir voglia di ridere, cosa che si guardò bene dal fare, perché sarebbe senza dubbio risultata fuori luogo. Lasciò vagare lo sguardo sulla vastità del mare alla sua destra, chiedendosi dove portasse l’orizzonte. Non sapeva davvero come comportarsi e la situazione lo metteva sempre più a disagio. Una parte di lui voleva lasciar andare l’incredibile quantità di rabbia e frustrazione che si portava dietro, per avere rapporti normali con i suoi compagni di classe, ma un’altra parte di lui preferiva davvero stare a guardare gli eventi da lontano, lasciarli scorrere, fluire come uno spettatore notturno che osserva le onde del mare. D’altra parte, sciogliere il suo fitto strato ghiacciato era da sempre una delle sue più grandi paure.
“Deku!” Gridò all'improvviso una voce affannata dietro di loro, interrompendo il suo flusso di pensieri. Uraraka li stava raggiungendo agitando una mano, col fiato corto.
“Oh, ehi, parlavamo del fatto che Todoroki e Aoyama hanno un terrazzo enorme in camera.” Replicò solare Midoriya. Per lui sembrava così facile coinvolgere tutti e farsi voler bene: “Che ne diresti se venissimo a trovarvi?” Dannato Midoriya e la sua naturalezza. I pensieri di Todoroki, però, si tradussero in un’incoerente scrollata di spalle, alla quale i due risposero con un’esultanza corale.
Si sentì inspiegabilmente di troppo.
 
Jiro non era del tutto un tipo aperto e disponibile al dialogo. Diciamo che le veniva decisamente più facile spiegarsi con la musica. Con le parole non ci sapeva proprio fare. Per questo, quando aveva scoperto di dover lavorare al bar della spiaggia, lo spettro del contatto fisico e verbale si era affacciato alla sua realtà e adesso si ritrovava sotto un ombrellone di paglia e tutt’attorno a lei correva un bancone circolare dietro il quale doveva stare con Sero. Nonostante ciò, però, non poté fare a meno di constatare che i professori avevano messo in campo tutte le loro doti sadiche, per arrivare a concepire un’accoppiata improbabile come Kirishima e Kaminari, davanti a lei, alle prese con i bambini del resort. Qualche metro più avanti, infatti, Kirishima stava indurendo i suoi bicipiti, lasciando a bocca aperta un gruppetto di mocciosi e ridacchiando allegramente con loro. Kaminari, invece, ce la stava mettendo tutta per prendere le pallonate che altri marmocchi gli lanciavano, cadendo rovinosamente e riempiendosi la schiena di sabbia. Jiro sbuffò ironica.
“Sembra che si divertano, eh?” Domandò Sero, seguendo il suo sguardo e scoccandole un’occhiata divertita, per poi allentare per il caldo il papillon che portava al collo. La ragazza non seppe bene a cosa fosse dovuto quello sguardo, ma qualcosa le diceva di non indagare.
“A me sembrano due idioti.” Commentò, raccattando una lattina di coca-cola dal mini-frigo, posto al di sotto del bancone, e stappandola per una cliente accaldata.
“Naaah, lo dici solo perché tu sei qui, al caldo, costretta ad indossare un grembiule.”
“Beh, credimi, meglio un grembiule che il sole.” Ribatté la ragazza, che continuava a sentire di dover stare sulla difensiva, come se la voce di Sero malcelasse un qualche tipo di scomoda insinuazione alla quale non voleva pensare: “E i bambini.” Per fortuna, però, la loro chiacchierata fu interrotta dall’arrivo di Kaminari, che, con una corsetta, aveva raggiunto il bancone in legno e vi si era accasciato per metà, stremato dal sole scottante.
“Ehi, barista, un bicchiere d’acqua.” Ordinò con un sorriso ironico, riferendosi a Jiro molto più che a Sero. La ragazza inarcò un sopracciglio: “Come, scusa?” A chiunque altro quello sguardo avrebbe fatto paura, ma Kaminari la conosceva ormai abbastanza da sapere che non avrebbe fatto nulla di più che qualche battuta sarcastica… forse.
“Fa un caldo infernale, qui, è normale avere sete.” Si lamentò il biondo, strizzando l’occhio a Sero, dietro di lei, che si lasciò scappare una risata.
“Beh, sono sicura che troverai un po’ d’acqua da solo.” Ribatté la ragazza, indicando con la testa il mare, qualche metro più in là.
Kaminari seguì la direzione del capo di Jiro con lo sguardo, prima di alzare gli occhi al cielo e tornare a guardarla: “Molto divertente.” Commentò lui, che era caduto stupidamente nella sua trappola.
“Ecco a te.” Replicò Jiro, con un sorriso vittorioso, poggiando un bicchiere d’acqua sul bancone. Kaminari la guardò offeso, anche mentre mandava giù l’acqua in un sorso solo: “Grazie.” Rispose, prima di lasciare il bancone per correre da Kirishima, dandogli una pacca su una spalla. Sero non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, battendo il cinque a Jiro, che ricambiò un po’ indifferente.
 
Quando Iida era tornato nella sua stanza, quella sera, dopo cena, poteva dire di essere stremato sotto ogni punto di vista. Così, quando Midoriya gli aveva domandato come fosse andata la sua giornata, il ragazzo aveva deciso di lanciarsi in una dettagliata descrizione, un po’ per sfogarsi, un po’ perché scambiarsi i racconti giornalieri gli era sembrato un buon modo per rilassarsi con un amico.
“È stato come un allenamento potenziato della mia Unicità.” Commentò fiero Iida, quando Midoriya si dimostrò disponibile ad ascoltarlo: “Ho dovuto correre letteralmente da una parte all’altra del resort per seguire tutti e adesso ho appena finito di fare un allenamento durissimo.” Raccontò, senza lamentarsi: “Mineta voleva allontanarsi dalla reception di continuo, per sbirciare le clienti della SPA e Aoyama spariva ogni tanto, misteriosamente, per poi tornare dopo un po’, offrendo consigli di stile sui costumi da bagno dei clienti. Spero proprio di aver fatto un buon lavoro e di aver ristabilito l’ordine efficacemente.” Commentò il ragazzo, con fare deciso. Midoriya si chiese con orrore che cosa intendesse con ‘ristabilire l’ordine’, ma non ebbe il tempo di porre la sua domanda, perché Iida aveva ripreso a raccontare: “Per non parlare di Kirishima e Kaminari, che hanno ben pensato che costruire trappole e ingaggiare lotte fosse un modo costruttivo per intrattenere i bambini.” Midoriya per poco non scoppiò a ridere. Non si sarebbe mai sognato di fare una cosa del genere e la sola idea gli fece sperare che i genitori di quei bambini allontanassero i loro figli da una simile coppia di casinisti, ma immaginare i suoi amici alle prese con idee strampalate e folli non poté che metterlo di buonumore.
Un tonfo proveniente dal piano di sopra, però, interruppe il racconto di Iida, che si mise sull’attenti all’istante, alzando lo sguardo come un segugio quando individua la sua preda: “Che cosa è stato?” Domandò, continuando a studiare le travi di legno del soffitto, come se avessero potuto davvero rispondergli.
“N-non lo so…” Rispose Midoriya, seguendo lo sguardo del compagno di stanza: “Saranno Bakugo e Kirishima, di sopra.”

Qualche stanza più in là, infatti, Jiro inserì i suoi jack nel pavimento di legno e si mise in ascolto.
“Dite che Bakugo e Kirishima stanno litigando?” Tentò Uraraka, guardando le sue compagne di classe, che avevano pensato di indire delle riunioni serali in camera di Momo ogni giorno, per fronteggiare e commentare le stupidità giornaliere dei loro compagni di classe.
“Shh.” La zittì Jiro, guardando negli occhi le sue amiche, una per una, mentre cercava di captare ogni minimo rumore.
“Secondo me sarà solo…” iniziò Ashido.
“Ho sentito uno scoppio.” Sussurrò Jiro e un’ombra di terrore s’impadronì del viso delle altre ragazze. Seguì un grido terrorizzato e, questa volta, lo sentirono tutte. Di comune accordo, senza scambiare una parola, le sei si alzarono dal pavimento su cui si erano sedute in cerchio e si affrettarono alla porta della camera di Bakugo e Kirishima, bussando insistentemente. Poco dopo vennero raggiunte da Iida e Midoriya.
“Fermi tutti, sono il capoclasse.” Si fece largo il compagno, con un braccio teso e la mano a paletta, come se avesse appena annunciato l’arrivo della polizia in un film americano di basso livello. Nonostante la ridicola entrata in scena, però, le ragazze fecero spazio.
Fu Kirishima ad aprire la porta con uno sguardo confuso, alla vista di tutti quei compagni sulla soglia: “Ehm… Vi serve qualcosa?” Domandò, accennando un sorriso mezzo imbarazzato, mezzo divertito.
“Ma che cazzo vogliono?” S’intromise Bakugo, avvicinandosi alla porta con la mano destra fumante. Gli ospiti sgranarono gli occhi: “Ma siete cretini?” Domandò ancora, visto che nessuno rispondeva, ma tutti continuavano a fissarlo.
“Oh,” esclamò Kirishima ridacchiando, dopo aver notato solo allora dove lo sguardo di tutti si fosse posato: “ecco… vedete…”
Bakugo seguì a sua volta lo sguardo del rosso, che ora era puntato sulla sua mano. Alzò gli occhi al cielo e sbuffò: “Questo coglione ha paura dei ragni.”
“Non c’era bisogno di dirlo a tutti.” Si lamentò Kirishima dopo qualche secondo di imabarazzato silenzio, non riuscendo comunque a nascondere un sorriso… strano. Bakugo lo studiò per qualche secondo, poi parve rassegnarsi e abbandonò gli ospiti al rosso, mentre si lasciava cadere annoiato sul letto che condivideva con lui.
“E c’era bisogno di farlo esplodere?” Domandò Ashido, inarcando un sopracciglio, dopo qualche secondo di generale confusione.
“Assolutamente no.” Convenne Kirishima, che passava troppo tempo con Bakugo, ormai, per rendersi conto di quanto le sue reazioni fossero esagerate, certe volte. Forse più che 'certe'.
“Ehm… Allora perché…” Iniziò Uraraka.
“Bakugo!” La interruppe Iida, deciso: “Non fare esplodere mai più ragni nella stanza!” Ordinò, come se fosse stata un’attività praticata giornalmente dal biondo.
“Come ti pare.” Rispose Katsuki, prima che Kirishima scrollasse le spalle e congedasse gli altri con un sorriso: “Mi raccomando, non fatelo sapere a Koda.” Li salutò infatti, un attimo prima di richiudere la porta.
“Ma che vai dicendo?” Domandò Bakugo, a voce decisamente più bassa, ma non meno irritata del solito, non appena furono tornati soli.
“Io? Tu hai detto che ad avere paura dei ragni ero io!” Ribatté Kirishima, lasciandosi andare a peso morto sul letto e costringendo Bakugo a farsi un po’ più in là, controvoglia. Nonostante ciò, non obiettò: “Comunque era curioso quel gridolino virile.” Lo prese in giro il ragazzo, girandosi di scatto verso di lui, con un sorriso furbo in volto. No, quel grido non era affatto stato virile. Neanche un po’.
“Attento.” Lo mise in guardia Bakugo, rifilandogli un’occhiataccia, alla quale il rosso rispose ridendo, non mostrando la minima paura: “Il prossimo ad esplodere potresti essere tu.” Lo avvertì ancora il biondo.
“Ma insomma, questi ragni cosa potrebbero mai farti?”
“Se lo dici a qualcuno ti faccio saltare in aria la testa, capelli di merda.” Kirishima scoppiò a ridere, indurendo il braccio appena in tempo per incassare un pugno scoppiettante da parte di Bakugo.
“MA QUANTI RAGNI CI SONO IN QUELLA DANNATA STANZA?” I ragazzi sentirono la voce di Mina raggiungerli dalla camera di Momo.



Note di El: Buonasera, buonasera, miei giovani amici. Ecco a voi il terzo capitolo di questa storia. Qualche mansione è già uscita fuori, ma resta ancora qualche incognita.
Tanto per cominciare Bakugo, Tsuyu e Todoroki a fare i bagnini mi sembravano assolutamente fuori luogo... Ed è esattamente per questo che lo faranno!
In più, come l'avrà preso Todoroki questo sottospecie di autoinvito di Uraraka e Midoriya? Cosa proverà? Ma, soprattutto, conoscendolo, proverà qualcosa? Lo scorpiremo presto.
Ora, finalmente, è importante che voi sappiate che è stata proprio quella brevissima scena KiriBaku nel film a far nascere l'idea di una fanfic con un hotel, le camere ed i lavori estivi. Ovviamente col tempo si è modificata, ma, amici, ora capirete da cosa è nata questa malattia.
Utlima cosa. So che non c'è scritto da nessuna parte che Bakugo è aracnofobico, ma io ce lo vedo troppo e non lo rinnegherò.
Infine graaaazie davvero a tutti quelli che stanno seguendo la storia e anche a quelli che la stanno commentando. Davvero, davvero grazie. Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi piace, se la odiate, se sono prolissa (beh, sì).
E grazie anche a te, lettore silente.
Alla prossima!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 4
*** Mastigophobia ***


MASTIGOPHOBIA
paura di essere puniti

 


Conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri.
Carl Gustav Jung

 


Todoroki non era certo di essere riuscito ad identificare il momento preciso in cui il terrazzino della sua stanza si era trasformato in una terrazza, né, successivamente, dell’altro momento preciso in cui quella terrazza si era trasformata in un attico. Restava il fatto che quella mattina, prima che gli allenamenti iniziassero, Uraraka, Momo e Ashido l’avevano raggiunto sulla spiaggia, dove stava trasportando assieme a Tsuyu degli ombrelloni, combattendo contro il caldo grazie al suo lato destro. Quella T-shirt azzurra con su scritto Lotus resort sul davanti e ‘STAFF’, in rosso, sul trapezio, era leggera, questo sì, ma non era invisibile.
“Ehi, ciao, cra!” Le salutò la ragazza, posando l’immenso ombrellone blu sulla sabbia e asciugandosi una goccia di sudore dalla fronte con il dorso della mano.
“Porto questi al 23 e al 24.” L’avvertì Todoroki, che non aveva assolutamente intenzione di immischiarsi in una conversazione tra ragazze. Tsuyu annuì e il ragazzo fece per proseguire, quando la voce flebile di Momo lo bloccò: “In realtà volevamo parlare con te.” Disse la ragazza. Suonava più come una richiesta che come un’affermazione, ma Todoroki aggrottò le sopracciglia, confuso: “Oh, sì.” Esalò, poggiando i due ombrelloni che stava trasportando sulla sabbia.
“Ci chiedevamo…” Iniziò Uraraka, tenendo lo sguardo basso: “noi e le altre…”
Ashido guardò le amiche esasperata. Ma cos’erano diventate? Sceme? Un paio di occhi eterocromatici facevano loro questo effetto? Che deboli.
“Possiamo venire tutte sul vostro attico, stasera?” Sputò fuori con la sua solita schiettezza.
“Sai, per passare un po’ di tempo insieme.” Aggiunse Momo, con un sorriso timido, per aggiustare il tiro.
“Oh, la vostra stanza ha un attico?” Domandò Tsuyu, ponendo un dito sotto al mento, genuinamente curiosa.
“Beh, a dire il vero non…” Todoroki scoccò un’occhiata in direzione delle ragazze, che lo guardavano ansiose, certamente non interessate all’entità dello spazio esterno della sua stanza. Scrollò le spalle: “Okay. Chiedo ad Aoyama, ma non penso rifiuterà.” Fece giusto in tempo a rispondere, prima che Kaminari piombasse letteralmente sulle spalle di Ashido, facendole quasi perdere l'equilibrio: “Che succede qui?” Domandò, seguito da Kirishima, che si avvicinava correndo, a petto nudo.
“Stasera ci troviamo sull’attico di Todoroki.”
“Veramente…” Iniziò il ragazzo a metà, che non aveva certo acconsentito ad una festicciola, piuttosto a una visita veloce.
“E non ci avete detto niente?”
“Ehi, ehi, cos’è questo casino?” Domandò Kirishima, poggiando un braccio sulle spalle di Kaminari.
“Ma voi non dovreste controllare i bambini?” Domandò Momo, le sopracciglia aggrottate in uno sguardo preoccupato.
“Che bambini?” Domandarono i due interrogati in coro. Il resto dei ragazzi si scambiò un veloce sguardo terrorizzato, prima che Kirishima scoppiasse a ridere: “No, sono lì che fanno castelli di sabbia… Credo.” Aggiunse pensieroso.
Uraraka sospirò: “A te andrebbe bene se venisse tutta la classe?”
Ancora una volta Todoroki scrollò le spalle per evitare di mostrare il minimo nervosismo: “Okay.” Ripeté congedandosi, raccogliendo gli ombrelloni e allontanandosi per posizionarli, lasciando Tsuyu alle amiche.
Kirishima e Kaminari, dal canto loro, non avevano più nulla da contrattare e si allontanarono dalle ragazze velocemente, perché due dei bambini a cui dovevano badare avevano appena iniziato a fare a botte: “E se li lasciassimo decretare chi è il più forte?” Aveva proposto Kaminari, prima che Ashido spingesse entrambi, urlando loro contro qualcosa sulle responsabilità. Era incredibile che fosse proprio lei a fare certe ramanzine.
“Ma l’avete visto?” Domandò Mina, dopo un po’, fissando il mare. Le ragazze seguirono il suo sguardo, senza capire granché.
“C-cosa?” Domandò Uraraka, che sentiva, percepiva, captava nell’aria la stupidaggine che Ashido avrebbe esternato di lì a poco.
“Il suo sedere.” Disse ammiccando, in direzione di Todoroki, più precisamente del suo costume rosso. Le quattro ragazze si girarono nella direzione in cui Mina puntava adesso il dito, intimandole, però, di abbassare subito il braccio. Uraraka alzò gli occhi al cielo. Ecco, aveva detto una stupidaggine, per l’appunto. Sapeva che avrebbe dovuto fermarla prima.
“Mina!” la riprese Momo, arrossendo, ma seguendo comunque lo sguardo delle sue amiche.
Intanto Todoroki, dall’altra parte della spiaggia, si voltò, in cerca del motivo di quell’improvviso baccano. Le sue quattro compagne di classe lo stavano fissando... per qualche strana ragione. Si girò di scatto e tornò a issare l’ombrellone che aveva appena impalato, arrossendo. Ma che avevano?
 
“Ciao!” Una voce senza proprietario si affacciò alle orecchie di Midoriya, che scoccò una veloce occhiata interrogativa in direzione di Jiro, da qualche parte dietro di lui. La ragazza alzò le spalle.
“Si?” Domandò, un po’ confuso e sentendosi anche un po’ stupido. Certo, ormai era quasi l'ora del tramonto, ma era incredibile che la stanchezza gli stesse giocando allucinazioni tanto vivide.
“Sono qui.” Chiamò la voce. In effetti il bancone circolare del chiosco era piuttosto alto e, per un bambino come quello che lo stava chiamando, doveva essere davvero frustrante richiamare l’attenzione dei baristi.
“Oh, ehi.” Salutò Midoriya, sporgendosi sul legno scuro. Parlare con i bambini lo metteva sempre a disagio, soprattutto se il bambino in questione era così simile a Kota, una sua vecchia conoscenza: “D-dimmi.” Balbettò, come se anche lui avesse potuto rifilargli un calcio nei testicoli di lì a poco.
“Posso avere una Sprite?” Domandò semplicemente il non-Kota. La domanda bastò comunque a metterlo in crisi: “U-una… Una Sprite, dici?” Midoriya ridacchiò, passandosi una mano sulla nuca, incasinandosi i capelli, come se non fossero già abbastanza disordinati: “Certo!” Sorrise smagliante: “Jiro.” Sussurrò, cercando di attirare la sua attenzione: “Jiro!” Dio, possibile non sentisse? Proprio lei?
“Mh?”
“Cos’è una Sprite?” La ragazza lo guardò come se le avesse appena chiesto di materializzare un elefante.
“Sei serio?” Domandò, guardandosi attorno. C’erano sicuramente delle telecamere e quello doveva essere uno scherzo. Il ragazzo, però, annuì terrorizzato, spostando continuamente gli occhi verso il bambino. Jiro sospirò e si abbassò nel mini-frigo, a prendere una bottiglia verde.
“Ecco.” Esalò poggiandola sul bancone. Il bambino la guardò male per un attimo, prima che lei si sporgesse per mettergliela in mano con una risata. Midoriya la guardò come se avesse appena preso in giro il diavolo in persona.
“Devi davvero darti una calmata. Sei teso come una corda di violino.” Lo prese in giro la ragazza, che di violini ne capiva. Midoriya si allentò il nodo alla cravatta nera della divisa, come se fosse appena riuscito a scappare da morte certa. Jiro non poté fare a meno di chiedersi come facesse ad essere tanto coraggioso e determinato in battaglia e sembrare al contempo così indifeso e spaventato.
“Scusa.” Sussurrò il ragazzo, come se avesse davvero fatto qualcosa di male. Jiro gli regalò un sorriso ironico, scuotendo la testa e tornando a lavare delle tazzine.
“Sono morta!” Ashido fece il suo ingresso all'improvviso, stravaccandosi a metà tra il seggiolone del bar ed il bancone e richiamando l’attenzione dell’improvvisata coppia di baristi.
“A chi lo dici…” Sospirò Hagakure, che, dal rumore del legno, doveva aver poggiato i gomiti sul bancone, reggendosi la testa. Midoriya capì che doveva aver appena finito l’allenamento pomeridiano, perché indossava ancora i pantaloni della divisa: “Oggi Mineta, alla reception, non ha fatto altro che chiedermi di spogliarmi.” Sospirò abbattuta. Mina aggrottò le sopracciglia: “Ma… ma sei invisibile!” Considerò.
“Dice che l’effetto vedo non vedo è eccitante. Se non ci fosse stato Ojiro sarei qui vittima di un completo esaurimento.” Confessò la ragazza, con voce stranamente trasognata. Midoriya, a disagio, prese ad asciugare dei bicchieri. Un silenzio stanco calò sulla comitiva e tutti ne approfittarono per prendere fiato dai ritmi martellanti della loro vacanza.
“È la golden hour.” Sussurrò Jiro, spezzando il silenzio e guardando il sole tramontare sul mare.
“Che cosa?” Domandò Midoriya, smettendo di lucidare nervosamente un bicchiere decisamente già lucido da un po’.
“La golden hour.” Ripetè Ashido, sollevando la testa dal braccio, per la prima volta senza un sorriso furbo dipinto in volto, solo sognante: “È il momento del tramonto in cui il cielo si tinge di un colore dorato. Alcuni la chiamano anche ‘ora magica’.” Spiegò la ragazza, godendosi lo spettacolo.
Midoriya non riuscì a dire altro che un semplice ‘oh’ quando si voltò per guardare. I raggi dorati si riflettevano come saette sulla superficie del mare, facendola brillare a tal punto che guardarla per troppo tempo faceva quasi male agli occhi. Alcuni raggi rossi che sfuggivano alla superficie attraversavano il chiosco di legno scuro del bar per tuffarsi tra le foglie del boschetto che delimitava la spiaggia. Era scesa un’atmosfera magica, che aveva il potere di ricaricare i corpi stanchi dei ragazzi, come una doccia rigenerante a fine allentamento, o una lunga dormita dopo ore di veglia. Midoriya la trovò bellissima, ma non riuscì a fare a meno di pensare che mancasse qualcosa che non riusciva del tutto ad identificare. Questa emozione ignota sembrò sgualcire il momento, come una nota stonata in una sinfonia melodiosa.
Il suo flusso di pensieri, però, fu interrotto da un nuovo arrivato turbolento.
“Vi è presa una paresi?” Domandò Kirishima, snudando i denti appuntiti in un sorriso ironico.
“Sei spoetizzante.” Lo prese in giro Mina, alzando lo sguardo verso il rosso, ma scoppiando comunque a ridere.
“Ma sei sempre nudo?” Gli domandò Jiro, squadrandolo, riferendosi alla solita assenza di una maglietta a coprirlo.
“La domanda è…” Kirishima si prese una pausa ad effetto: “Perché non lo siete anche voi?”
Midoriya era sicuro che se Hagakure non fosse stata invisibile, in quel momento si sarebbe tinta dello stesso colore dei capelli di Kirishima: “Ne ho abbastanza, per oggi!” Quasi gridò la ragazza, frustrata per le sevizie di Mineta.
“Intendevo che abbiamo il mare a disposizione e voi ve ne state qui come delle femminucce a guardare il tramonto!” Si spiegò Kirishima, che indossava già un costume rosso che gli arrivava sopra le ginocchia.
Gli occhi di Mina brillarono: “Che stupidi. Ha ragione!” Sentenziò, liberandosi della camicia bianca che indossava per fare da cameriera ai tavoli e restando in reggiseno e pantaloncini di tuta. Jiro alzò gli occhi al cielo: “Io passo.”
“Ma il vostro turno è finito, state solo riordinando!” Cercò di convincerla Ashido.
“In realtà non ci è permesso farlo, dopo la chiusura della spiaggia.” Iniziò Midoriya.
“E poi se Iida ci vede…” Continuò Hagakure.
“Iida non è qui e non ci vedrà… soprattutto te.” Taglio corto Kirishima.
“E va bene.” Sentenziò Jiro, cogliendo tutti di sorpresa: “Dai, non succederà nulla.” Aggiunse, lanciando un’occhiata in direzione di Hagakure. La ragazza invisibile sospirò e poi prese a spogliarsi. Kirishima si lasciò scappare un sorriso vittorioso: “Avanti, manchi solo tu.” Disse infatti, guardando Midoriya speranzoso.
“Non lo so, non dovremmo…”
“Lasciati un po’ andare, qualche volta.” Kirishima si fece strada all’interno del chiosco, tirando letteralmente Midoriya per la manica della camicia e trascinandolo fuori dal bar: “Okay… Okay.” Balbettò Deku, un po’ sopraffatto dalla rapidità degli eventi: “Solo cinque minuti.” Concesse, liberandosi della camicia con un sospiro sconfitto.
“Sì!” Esultò Kirishima, battendo il cinque ad Ashido per il bel lavoro e porgendole, poi, la mano con un sorriso furbo, che non lasciava intendere nulla di buono. Mina, dal canto suo, ricambiò con la stessa moneta, un sorriso obliquo, afferrando la mano del rosso. I due corsero verso il mare gridando come dei pazzi e tuffandosi nel frastuono dorato della risacca. Gli altri tre li seguirono con molto più contegno, ma non meno emozione.
“Ma è freddissima!” Si lamentò Hagakure dopo essersi finalmente abbandonata all’abbraccio marino. Midoriya, dal canto suo, tremò in assenso. Erano rimasti sulla riva, dove le onde si frantumavano sul bagnasciuga, risolvendosi in una distesa di candida schiuma bianca.
“Ma che cazzo state facendo?” Una voce aggressiva piombò improvvisamente sulla loro tranquillità fatta di freddo ed emozione, superando prepotente il baccano della risacca: “La spiaggia è chiusa e io devo staccare, coglioni.” Bakugo piantò i piedi nella sabbia e portò le mani ai fianchi, tipicamente arrabbiato con i suoi compagni e col mondo, ma, in quel momento, nonostante stesse facendo la ramanzina a tutti, gli unici occhi su cui stava sfogando la sua frustrazione erano quelli divertiti di Kirishima: “Ehi, rilassati, non affoghiamo mica in due centimetri d’acqua.” Lo provocò il rosso.
“Ah, no? Ti ricordo che ieri era proprio in questi due centimetri d’acqua che stava annegando un moccioso idiota che, per giunta, avresti dovuto controllare tu.” Sputò fuori Bakugo, tagliente. Kirishima si passò, colpevole, una mano sulla nuca. I capelli rossi, di solito alzati, adesso gli ricadevano sulla fronte in lunghe ciocche scure: “Ops, colpa mia.”
Ashido guardava la scena da un po’ e, a dire il vero, notò che c’era uno strano luccichio di sfida negli occhi cremisi dei due, molto diverso da quello che si accendeva nel biondo, quando lottava contro Midoriya. Era quasi… d’intesa. Aggrottò le sopracciglia, confusa. Doveva essere stata la luce del tramonto a giocarle brutti scherzi.
“Adesso uscite di qui.” Era incredibile quanto una frase semplice come quella, se detta da Bakugo, potesse far venire i brividi: “Altrimenti?” Lo provocò ancora Kirishima, che non sembrava lasciarsi influenzare dalle minacce.
“Ehm, forse faremmo meglio a uscire.” Suggerì Midoriya, che voleva evitare una catena di esplosioni in mare.
“Altrimenti…” Iniziò Bakugo, ignorando il commento per di più del tutto appropriato di Deku. Purtroppo, però, il biondo non concluse mai la frase, perché Kirishima si fece scivolare sulle dita un po’ d’acqua e la indirizzò verso il naso di Bakugo che, prevedibilmente, si bagnò. Seguì un momento di gelo, in cui i quattro spettatori sgranarono gli occhi ed il sorriso di Kirishima si spense lentamente, mentre quello di Bakugo cresceva in un ghigno che non lasciava presagire nulla di buono.
“Io ti ammazzo, capelli di merda!” Accadde tutto in una frazione di secondo. La magia si ruppe e Bakugo piombò nell’acqua, affondando Kirishima, che tentava invano di proteggersi, indurendo il suo corpo, mentre volavano schizzi e schiamazzi.
“Non vanno molto d’accordo, vero?” Domandò preoccupata Hagakure, avvicinandosi a Mina. La ragazza scambiò un’occhiata veloce con Jiro, poi scrollò le spalle: “Io, invece, penso proprio che vadano molto d’accordo.” Sentenziò, prima che Kirishima riemergesse tossicchiando e ridendo insieme, mentre Bakugo cercava in tutti i modi di sfogare la sua rabbia nel tentativo di farlo annegare: “Ehi, calmo…” Tentò il rosso, senza successo.
“Ehi, voi!” Iida entrò improvvisamente nel campo visivo dei bagnanti, mentre correva disperato verso il mare: “Uscite subito dall’acqua. Non vi è permesso!”
“Adesso ci parli tu.” Sussurrò in un ringhio Bakugo, emergendo nervoso e strizzando la base del costume arancione, per liberarsi dall’acqua in eccesso.
“Io…” Iida sembrava dispiaciuto, ma sapeva di dover svolgere i suoi doveri egregiamente, se voleva diventare un buon eroe, sapeva di non poter fare favoritismi solo perché si trattava dei suoi amici: “Io…” Ripetè con più fermezza, accompagnando la voce con uno sguardo austero. Midoriya lo guardò con determinazione: “Va bene, Iida, scusaci, non accadrà più… Fai ciò che devi.” Jiro per poco non scoppiò a ridere. Al massimo li avrebbero fatti restare un po’ di più al bar a riordinare, non c’era bisogno di farla così nera: “Io dovrò punirvi.”
“Che cosa?” Sbottò Bakugo, voltandosi di scatto verso il capoclasse, guardandolo come se volesse farlo esplodere da un momento all’altro… previsione che, in fin dei conti, non era mai troppo azzardata, quando si trattava di Bakugo.
“Sì, esatto, avete capito bene.”
Midoriya sentì Kirishima, alla sua destra, prendere un bel respiro: “In realtà è stata tutta colpa mia.” Esalò il rosso, pensando al suo grande idolo, che non avrebbe mai permesso che i suoi amici finissero nei guai per colpa sua. Non che l’idea che gli si era formata in testa lo allettasse più di tanto, ma era una questione di onore, di determinazione, di coraggio e soprattutto di virilità: “Punisci me soltanto.”
“Cosa? Assolutamente no.” Si oppose Ashido, che non voleva certo che il suo amico pagasse il quadruplo del prezzo, ma Kirishima fermò l’avanzata della ragazza con un braccio, impedendole di farsi avanti. Sorrise, triste e sicuro insieme: “Posso farlo, davvero.”
“Ma… Kirishima…” Tentò Midoriya.
“No.” L’interruppe ancora il rosso, facendosi avanti, fino a trovarsi di fronte a Iida. Lo guardò fisso negli occhi, in attesa del verdetto.
“Ma la finite con questa tragedia greca?” Domandò incredulo Bakugo, come se in ballo ci fossero la vita ed i sogni di Kirishima e del mondo: “Col cazzo che prendi la mia punizione, poi.” Aggiunse, dopo aver ragionato sulle conseguenze.
“Guarda, che non è colpa tua, è…”
“Non ti lascerò essere più coraggioso e più eroico di me.” L’interruppe ancora il biondo, che non voleva assolutamente essere trattato dal suo amico come una principessa da salvare, no, aveva raccolto il guanto di sfida e intendeva farlo esplodere. Letteralmente: “Iida, dammi una punizione più dura della sua.”
“Aspetta… Cos…”
“No, sono pronto a tutto.” Insorse Kirishima al quale non importava tanto il fatto di poter essere superato, quanto più quello di non riuscire a dimostrare il suo valore e la sua virilità.
“Ti dico che…”
“E va bene.” Li fermò Iida: “Per la prossima settimana riordinerete, ogni sera, dopo i turni, la cucina in cui lavorano Sato e Shoji.”
I ragazzi guardarono Iida terrorizzati. Ne era valsa la pena? Era molto peggio di ciò che si aspettavano: “Ci sto.” Sentenziò Bakugo, guardando Kirishima come a sfidarlo a tirarsi indietro.
“Ci sto.” Replicò quindi il rosso, ridendo di gusto.


Note di El: Ueeeeeeeelà signori e benvenuti alla fine del quarto capitolo!
So bene che sono abbastanza introduttivi, ma questa storia deve ancora spiccare il volo (ammesso che lo faccia) e ci sono delle cose che vanno ancora messe in chiaro. A poco a poco capirete cosa è toccato fare ad ogni personaggio.
Questo capitolo si svolge interamente sulle spiagge dorate del Lotus Resort, solo che l'inizio accade di mattina ed il resto al tramonto!
Povero Todoroki disadattato!
Citazione, citazione, citazione! "Non vanno molto d'accordo, vero?" "Io penso vadano proprio d'accordo" è ispirato ad una serie (A "LA" SERIE) anime Steins;gate, di cui sono ossessionata da ormai sei mesi. Ran ve lo potrà confermare.
Che altro? Boh, niente, chissà cosa combineranno Bakugo e Kirishima da ora in poi tralala.
Va bene, addio, alla prossima settimana, ci vediamo, cià!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 5
*** Agoraphobia ***


AGORAPHOBIA
paura degli spazi aperti o dei luoghi affollati

 

 
 

Non abbiate paura del dolore. O finirà o vi finirà.
Seneca

 


“Che cosa avete fatto?” Domandò Momo, mentre legava i capelli nella solita coda alta. Si fermò con le mani a mezz’aria per lanciare un’occhiata sconvolta in direzione di Ashido, Jiro e Hagakure.
“Be’, ma alla fine è andato tutto bene.” La rassicurò quest’ultima, posandole una mano sulla spalla. Momo sospirò sollevata e riprese a sistemare i capelli.
“Questo perché Kirishima si è preso la colpa.” Puntualizzò Mina, puntando i piedi nel materasso e stringendo le ginocchia al petto, pronta a godersi la reazione di Momo, che non tardò ad arrivare: “Che cosa?”
“Che cosa?” Esordì Uraraka curiosa, entrando in quella che doveva essere ufficialmente la camera di Momo e Hagakure, ma che, in pratica, si era trasformata in una sorta di sala riunioni.
“Jiro, Ashido e Hagakure hanno rischiato una pesante punizione per aver fatto il bagno dopo l’orario di chiusura, cra.” L’aggiornò Tsuyu, che l’aveva preceduta in camera di Momo e che, adesso, sedeva accanto a Mina, osservando la scena con attenzione quasi scientifica.
“Oh, vero, lo so.” Commentò la ragazza, arrossendo leggermente in zona orecchie e sistemandosi a disagio la maglietta bianca, quando passò davanti allo specchio, poco più indietro di Momo. Trovò posto sul poggiapiedi della poltrona di stoffa bianco panna su cui era seduta Jiro: “Che succede?” Domandò terrorizzata, quando alzò lo sguardo e notò che aveva gli occhi delle compagne puntati addosso, compresi quelli di Hagakure, con ogni probabilità.
“Come lo sai?” Indagò Ashido, alzandosi dal letto e camminando dritto davanti a sé, fino a trovarsi davanti alla castana, che abbozzò un sorriso nervoso: “E-ecco, prima ero nella sala comune e ho incontrato Deku che rientrava e…” Iniziò Uraraka arrossendo, sempre più intimorita dallo sguardo sicuro di Ashido, supportato da quelli pungenti delle altre: “E?” La incalzò Momo, che non voleva pressarla troppo, ma era davvero curiosa.
“E nulla, gli ho chiesto perché fosse bagnato.”
Un sorriso furbo si dipinse sul volto di Ashido, che prese fiato per parlare.
“No.” La fermò Jiro, che aveva intuito la frase successiva dell’amica e voleva evitare di vedere Uraraka fluttuare in aria in preda ad una perdita di controllo.
“C-cosa?” Domandò infatti l’interrogata, che aveva Jiro alle spalle e Ashido davanti e si sentiva tra due fuochi.
“C’è una cosa che ci chiediamo da un po’.” Esordì Mina, allontanandosi da Uraraka e regalandole qualche secondo di respiro, nonché la possibilità di scambiare uno sguardo terrorizzato con Tusyu. La ragazza, però, scrollò le spalle come a dire che lei, di quella storia, non sapeva niente.
“Oh, avanti, non vorrai…” Iniziò Jiro, che aveva quasi voglia di collegare i jack al suo iPod per scappare da quella conversazione.
“Ce lo dirà lei quando vorrà.” S’intromise Momo, capendo al volo le intenzioni di Mina.
“Ti piace Midoriya?” Sputò fuori Ashido, girandosi di scatto verso Uraraka e ignorando gli avvertimenti. Una serie di reazioni variegate s’impossessò della stanza. Jiro si limitò ad alzare gli occhi al cielo, leggermente rassegnata alla schiettezza di Mina, mentre Momo sgranò gli occhi, portando una mano alla bocca e guardando Uraraka dispiaciuta, come se a fare la domanda fosse stata lei. Hagakure sembrava definitivamente scomparsa e Uraraka era come pietrificata. Fu Tsuyu a spezzare il silenzio, spostando lo sguardo da una ragazza all’altra, aspettandosi che succedesse qualcosa: “Cra.” Esalò infatti, a disagio.
“No!” Gridò quasi Uraraka, riprendendosi dallo shock e ridacchiando nervosa: “N-no, oh, c-cosa ve lo fa pensare?” Domandò con un sorriso plastico e gli occhi semichiusi.
“La tua faccia dice tutt’altro.” Commentò Ashido, che voleva tanto che Uraraka si confidasse con loro, per iniziare ad aiutarla a cavare un ragno dal buco.
“Io… Io, ma no, no, siamo amici.” Regalò uno sguardo sicuro alle sue compagne: “Solo amici.” Ripeté, per enfatizzare, quando si accorse che nessuna apriva bocca.
“Solo amici?” Jiro inarcò un sopracciglio. A quel punto tanto valeva che lo dicesse, no? L’imbarazzo non si sarebbe protratto a lungo.
Uraraka era alle strette e trovò un po’ di sicurezza nello sguardo incoraggiante di Momo, che la incitò a parlare annuendo.
“Okay, forse un po’ mi piace, ma…”
Salvata dalla campanella. Nello spazio di qualche secondo un rumore poco incoraggiante di elettricità risuonò per i corridoi e, un attimo dopo, il buio calò nella stanza. Un’ondata di versi sorpresi si riversò nell’edificio. In qualche minuto le ragazze avevano raccolto le loro cose nel buio e si erano dirette non senza qualche difficoltà nella sala comune, per cercare di capirci qualcosa. A quanto pareva avevano avuto tutti la stessa idea.
“Ma che succede?” Iida si aggirava per la stanza confuso.
“Ma che cazzo fate?” La voce di Bakugo si unì al coro.
“La centralina per attivare la luce d’emergenza dovrebbe essere da qualche parte qui intorno.” Considerò Midoriya, avviandosi alla cieca verso la porta di ingresso dell’edificio, dove aveva individuato due giorni prima una scatola al muro.
“Uiiiiiiii!” La voce di Mineta sembrava provenire da nessuna e tutte le direzioni: “Col buio potrò toccare le…”
In quel momento una luce bianca inondò la stanza, rivelando Mineta con le mani a mezz’aria pronto ad attaccare (e anche pericolosamente vicino a Momo) e Kaminari, sorretto da Sero, in preda ad uno dei suoi sovraccarichi elettrici.
“Che ha fatto?” Domandò Kirishima, mostrando i denti appuntiti nel suo tipico sorriso ironico.
“Ecco, ehm…” Iniziò Sero, guardando l’amico come a cercare una risposta nei suoi versi sconnessi: “Ma noi non dovevamo andare a vedere la stanza di Aoyama e Todoroki?” Cambiò discorso il moro, mentre Iida lo osservava come Sherlock Holmes osserva un indizio cruciale: “Entro un’ora dovrebbe tornare tutto normale.” Aggiunse, sperando di essere stato convincente.
 
Lo era stato. Miracolosamente il resto della 1-A si era diretto nell’edificio E-5 senza che Sero si fosse ritrovato costretto a rivelare alcun particolare sul motivo del black out nell’edificio. Dopo aver bussato al campanello della stanza dovettero aspettare un po’ perché Todoroki aprisse loro la porta con uno sbadiglio che, unito alla tuta grigia e la maglietta spiegazzata che indossava, lasciava bene intendere cosa stesse facendo fino a qualche minuto prima: “Cos… Ma quanti siete?” Domandò il ragazzo a metà, sgranando gli occhi e scrollandosi di dosso gli ultimi barlumi di sonno rimanenti.
“Siamo… tutti.” Improvvisò Kirishima, con un mezzo sorriso imbarazzato.
“Purtroppo.” Aggiunse Bakugo, che aveva tutta l’aria di uno che era stato costretto con la forza a scomodarsi dalla sua confortevole stanza.
“Oh.” Esalò semplicemente Todoroki, che quando quella mattina aveva sentito ‘tutta la classe’ non si aspettava certo che Uraraka intendesse proprio tutta la classe. Già, forse se lo sarebbe dovuto aspettare. Colto alla sprovvista e abituato a mantenere una certa cordialità, si scostò quel tanto che bastava per permettere a tutti di entrare, celando, sotto il solito sguardo indifferente, un misto di fastidio e confusione.
“Ehi, ma… dov’è Aoyama?” Domandò Uraraka, una volta che tutti furono entrati nella stanza. Todoroki scosse appena la testa: “Non lo so.” Si limitò a rispondere, non sapendo bene cosa fare.
“Ma è fantastico!” Esclamò d’un tratto Midoriya, poggiando il viso sul vetro della porta-finestra sulla destra: “Si vede il mare ed è a due passi da qui!” Continuò esaltato Deku, questa volta girandosi e puntando lo sguardo dritto negli occhi eterocromatici di Todoroki. A quest’ultimo non sfuggì l’interesse con cui Uraraka seguì quel dialogo prettamente unilaterale, perché Todoroki si limitò ad alzare le spalle a quell’osservazione.
“Possiamo uscire?” Domandò Midoriya con sguardo implorante. Lo trovò un po’ buffo, ma riuscì comunque a strappargli il fantasma di un sorriso, mentre annuiva.
 
La classe si riversò su quello che a lungo aveva considerato un attico, ma che, in fin dei conti, era davvero solo un terrazzo. Nonostante ciò, però, l’arredamento bastò a far dimenticare a tutti quali fossero le dimensioni necessarie per considerare uno spazio ‘attico’ e si concentrarono sulla coppia di sedie a sdraio ed il tavolino in ferro battuto gialloo, posizionato all’affaccio sul mare. Il suono della risacca regalava all’ambiente un’atmosfera pacifica e sospesa nel tempo. Bakugo inspirò a fondo e Kirishima lo guardò di sottecchi, felice di averlo spinto a visitare ‘quel bastardo a metà’, se quello era il risultato.
Purtroppo per lui, però, Bakugo aprì gli occhi prima del previsto e indirizzò lo sguardo verso di lui, inarcando un sopracciglio, nervoso: “Questo posto mi ha già rotto il cazzo.” Esalò infatti, poggiando i gomiti sulla ringhiera e lasciando vagare lo sguardo infuocato sul mare. Kirishima poggiò la schiena alla balaustra e osservò i suoi amici, intenti a prendere posto dove potevano e a parlare del più e del meno: “Dai, secondo me ci stiamo divertendo!”
“A divertirmi sarò io, quando romperò la testa a quel bastardo a metà.”
“Todoroki non ce l’ha con te.” Rispose Kirishima, voltandosi a guardarlo con un sorriso furbo.
“Perché fa finta di essere superiore.” Bakugo sgranò gli occhi, come se stesse spiegando a un idiota come ci si lava i denti: “Non lo sopporto.” Aggiunse in un ringhio.
“Fa’ come vuoi.” Kirishima scrollò le spalle e, con un leggero colpo di reni, si allontanò dalla ringhiera per raggiungere gli altri.
Bakugo pensò che fosse un cretino.
“Ehi, aspetta, dove vai?” Gli gridò dietro, arrendendosi, però, a seguirlo.
 
“Il cuore ti palpita?” Insinuò Ashido, avvicinandosi ad Uraraka quel tanto che bastava per metterla a disagio. Come previsto la ragazza arrossì violentemente, raggiungendo una gradazione di rosso che a Jiro sembrò piuttosto inquietante. Subito dopo, però, Uraraka sembrò ricordarsi dove si trovava e soprattutto con chi. Si guardò intorno furtiva, prima di tornare a guardare le sue amiche, sedute in cerchio con lei sulle sdraio, e tirare un sospiro di sollievo: “S-sapevo di aver fatto un errore a dirvelo.” Sussurrò terrorizzata. Mina si lasciò scappare una risata.
“Io non credo. Vogliamo aiutarti.” Replicò Tsuyu, accertandosi a sua volta che il gruppo fosse lontano da orecchie indiscrete. Vide Midoriya, in piedi davanti al tavolino colorato, intento a parlare con Iida, Todoroki e Kaminari, un attimo prima che anche Sero si aggiungesse alla comitiva.
“Jiro potrebbe ascoltare qualche conversazione per noi!” Propose Momo, cercando di alleggerire la tensione e sorridendole.
“Assolutamente no.” Ribattè la ragazza, che non voleva certo finire a fare l’altoparlante del gruppo.
“Perché?” Domandò Hagakure con tono sorpreso.
“Per…” Tentennò Jiro, guardando le ragazze ad una ad una, come ad enfatizzare le parole successive: “Per lo stesso motivo per cui Momo non può materializzare dei contanti.” Yaoyorozu arrossì.
“Oh, andiamo, da quando in qua l’etica ti frena?” La rimbeccò Ashido, alzando le braccia al cielo e chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritare delle amiche così mosce.
“Non è che…”
“Non fa niente.” S’intromise Uraraka, stroncando sul nascere ogni possibile dibattito: “Non lo vorrei in ogni caso.” Confessò poi.
“Che cosa? Potresti scoprire in un attimo…” Iniziò Ashido.
“Davvero, no.”
“Be’, ci sono altri modi, potrei minacciarlo con l’acido e costringerlo…”
“Grazie, Mina, ma va bene così, non m’interessa.” La rassicurò Uraraka, sotto lo sguardo attonito della combriccola. Sì, andava bene il non voler imbrogliare, ma da qui a non essere proprio interessati…
“Sei sicura?” Domandò Ashido, ritrovando la solita espressione furba di chi sta per fare una marachella. Uraraka, ingenuamente, annuì: “Perché in questo momento ti sta guardando.” La canzonò Mina, godendosi la reazione sperata. Le sei ragazze si voltarono simultaneamente verso il tavolino. Midoriya, però, stava tranquillamente parlando con Iida e non sembrava aver notato tutti quegli occhi che lo fissavano, il che smentiva la teoria di Ashido. Ridacchiò esclamando un vittorioso: “Allora un po’ t’interessa!”
L’attenzione di Uraraka, però, era stata catturata da un altro strano dettaglio. Lo sguardo di Todoroki si era posato su di loro, freddo e calcolatore come al solito. Doveva fare attenzione a lui: era un grande osservatore e avrebbe capito in poco tempo l’argomento principale della comitiva, se non avessero smesso di essere tanto indiscrete: “Ragazze, basta parlarne, Todoroki ci sta guardando.” Sussurrò quindi, dando voce ai suoi pensieri.
“Anche lui è un gran figo.” Se ne uscì dal nulla Jiro, facendo voltare tutto il gruppo: “Che c’è?” Domandò, come se avesse fatto un apprezzamento su Mineta e non su Todoroki.
“È strano detto da te.” Commentò Momo, dando voce ai pensieri di tutte.
“Già, perché sappiamo bene che hai un debole per Kaminari.”
“Cosa? Assolutamente no, cosa te lo fa pensare?” Domandò Jiro, sulla difensiva, condendo il tutto con un’espressione alquanto disgustata.
Assolutamente no, cosa te lo fa pensare?” Le fece il verso Ashido.
“Dai, se dice di no le credo.” S’intromise Uraraka, trovando d’accordo anche Tsuyu e Momo. Forse una parte di lei lo faceva solo perché avrebbe desiderato a sua volta un po’ di tregua dalle insinuazioni irriverenti di Mina.
“Vedremo.” Fu l’unica risposta di Ashido, prima che tutte scoppiassero a ridere per la regalità del suo tono. Tutte meno che, come solo Mina notò, Jiro stessa. Ashido si congedò dalle altre, sciogliendo la riunione, ed intercettando Kirishima, che in quel momento stava raggiungendo gli altri.
 
“Ehi, di che state parlan…” Kirishima non finì mai quella frase, perché Mina gli piombò alle spalle, letteralmente, proprio come aveva fatto lui quella mattina: “Aaah.” Gridò il ragazzo, non riuscendo a trattenersi dal ridere comunque e trascinando tutti nelle risate. Tutti tranne Baukugo, che si lasciò scappare uno sbuffo annoiato e Todoroki, che preferì limitarsi ad osservare la scena.
“Di che parlate?” Ashido concluse la frase che Kirishima non era riuscito a finire in tempo, mentre Uraraka si avvicinava, senza riuscire ad ignorare un’occhiata d’intesa che le riservò la ragazza dalla pelle rosa e che solo lei avrebbe potuto capire: “Oh, ehi!” La salutò Deku, vedendola arrivare accanto a lui e regalandole un sorriso a trentadue denti che lo rendeva anche più adorabile del solito. Uraraka non seppe bene se godersi il momento o desiderare di sprofondare nel suo mare d’imbarazzo.
“Parlavamo degli allenamenti di oggi.” Deku aggiornò i nuovi arrivati.
“Sono stati spietati!” Piagnucolò Kaminari e Sero pensò bene di enfatizzare la gravità della situazione esalando un lamento disperato. Uraraka sorrise.
“Oh, ma siete proprio una noia.” Li riprese Kirishima, che voleva dimenticare le dure fatiche della giornata, non certo ripercorrerle in un tour di sofferenza e stanchezza.
“Concordo.”
“E di cosa vi andrebbe di parlare, allora?” Domandò Iida, come se davvero il loro unico argomento in comune fossero gli allenamenti.
“Jiro trova che il mestiere di bagnino ti calzi a pennello.” Esordì Ashido, guardando dritto negli occhi di Todoroki. Se non fosse stato appoggiato alla ringhiera si sarebbe girato a controllare se la ragazza si stesse riferendo a qualcuno dietro di lui.
Faceva sul serio? Arrossì appena, senza dire una parola. Il buio della sera inghiottì la sua reazione.
“Oh, ma per favore.”
“Che cosa ha detto?”
Le risposte rispettivamente di Bakugo e Kaminari arrivarono simultaneamente e quasi immediatamente. Ashido annuì, come a rimarcare le sue ultime parole.
Uraraka prese un bel respiro: “Iopensocheanchetustiabenedabarista.” Esalò, in un sussurro, richiamando l’attenzione di Midoriya. Il gruppo, intanto, aveva iniziato a mettere in dubbio la veridicità dell’affermazione di Ashido, che continuava a ripetere che non se l’era affatto inventato.
“Che?” Deku arrossì violentemente. La sua faccia sembrava quella di uno che aveva appena ricevuto un’esplosione di Bakugo in pieno viso, più che un complimento: “Oh, ehm… G-grazie.” Esalò: “Anche tu stai bene da cameriera.” Si ricordò di dire con orgoglio, un attimo dopo. Bisognava comportarsi da gentiluomini in questi casi! Riuscì quasi a sentire la voce di All Might.
“G-grazie.” Si affrettò a rispondere Uraraka, non riuscendo a sfuggire allo sguardo indagatore di Todoroki. Davvero, le stava simpatico, ma proprio non capiva perché si trovasse sempre tra i piedi, pronto a studiarla.
“Midoriya…” Iniziò Todoroki, con grande sorpresa di Uraraka.
“Noooooooooooo!” Gridarono Sero e Kaminari insieme, facendo sobbalzare Midoriya e Todoroki e, di conseguenza, anche Uraraka.
“Che?” Domandò Iida, cercando di bilanciare con la sua calma la follia dei suoi compagni.
“Noooooo!” Si aggiunse Kirishima, seguendo lo sguardo dei suoi amici.
“È quello che credo?” Domandò Ashido, sporgendosi dalla ringhiera e guardando anche lei nel punto che indicavano i ragazzi.
“Ma che cazzo vi prende?” S’intromise Bakugo, con la sua solita finezza.
“È un passaggio segreto che porta al mare!” Spiegò Kirishima a Bakugo, ignorando completamente il fatto che più che una domanda, quello del biondo si avvicinasse in realtà a un insulto.
“Siete quattro fumati.” Commentò Bakugo, con un ghigno ed una pacca sulla spalla di Kirishima.
“Non credo sia saggio sfruttarla per intrufolarci durante la notte.” Fece notare Midoriya: “Assolutamente no!” Tuonò Iida, frapponendo un braccio con tanto di caratteristica mano a paletta tra i quattro casinisti e la ringhiera, come se avessero potuto saltare da lì da un momento all’altro. Il baccano richiamò l’attenzione del resto della classe, che si avvicinò chiedendo il perché di tanto rumore.
“Shh, se Aizawa ci scopre siamo finiti.” Commentò Momo, avvicinandosi comunque alla mischia.
Todoroki, al contrario, si allontanò dalla novità e si andò a sedere su una delle sdraio lasciate libere dagli altri. C’era troppa gente, il che non faceva affatto per lui. Midoriya lo seguì con lo sguardo e fu tentato di avvicinarsi. Mosse un passo verso di lui, ma Uraraka gli picchiettò la spalla: “Dici che saltano davvero?” Domandò terrorizzata, senza staccare gli occhi dalla scena.
“Cosa? Ehm… Spero di no.” Considerò Midoriya, tornando per un attimo alla realtà e sporgendosi per osservare il passaggio e quanto fosse in basso. Ma che gli prendeva?
Si voltò di nuovo, voleva assicurarsi che Todoroki stesse bene, solo questo. Nonostante ciò, però, si riscoprì un po’ deluso, quando notò che adesso stava tranquillamente parlando con Tokoyami, anche lui poco incline a ritrovarsi nelle grandi folle. Sentiva quasi di aver… Di aver perso un’occasione. Scosse la testa, come se avesse potuto aiutarlo a tornare in sé. Un’occasione per fare cosa? Si concentrò di nuovo sulla scoperta di Kaminari e Sero, rinunciando una volta per tutte all'idea di raggiungerlo e, magari, iniziare una conversazione che non vertesse su allenamenti e costumi da bagno.
Ciò che Midoriya non seppe mai, però, era che proprio in quel momento Todoroki aveva smesso di ascoltare ciò che Tokoyami gli stava dicendo, per volgere lo sguardo nella sua direzione. Una parte di lui si chiese, capricciosa, perché non l’avesse neanche notato allontanarsi.
Era così invisibile?
 
“Nulla, non succede nulla!” Alzò la voce Iida, che non voleva che sempre più persone avessero la brillante idea di esplorare il passaggio segreto. Purtroppo, però, la sua opera di censura non stava funzionando granchè bene.
“Fatevi i cazzi vostri!” Tuonò Bakugo, riuscendo invece, con i suoi modi bruschi, a sortire un debole effetto sulla classe: “Andate a rompere il cazzo da un’altra parte.” Continuò, riuscendo effettivamente a far disperdere qualche curioso.
“E tu, capelli di merda…” Iniziò ancora, riferendosi a Kirishima: “Hai già un’altra punizione, quindi smettila di fare il coglione con i tuoi amici.” Sbraitò, afferrandolo per il collo della maglietta nera che portava su un vecchio paio di pantaloncini da basket e tirandolo verso la porta a vetro del terrazzo. Kirishima lo guardava sorpreso e confuso insieme, senza sapere nemmeno perché si sentisse così: “Che cazzo è quella faccia da demente?” Chiese, a denti stretti, senza averlo nemmeno guardato effettivamente in viso. Kirishima sembrò svegliarsi dalla confusione e si lasciò scappare una risata cristallina, che ebbe il solo effetto di far andare il biondo su tutte le furie: “Ehi, ehi, calma, non ci saremmo buttati.” Si giustificò, lanciando uno sguardo implorante in direzione di Kaminari, il quale, invece che regalargli uno sguardo complice, inclinò la testa di lato confuso e aggrottò la fronte, come se stesse cercando di risolvere un difficile problema di matematica.
Lasciò perdere un attimo dopo: lui in matematica non era per nulla una cima.
“Ehi, ma dove andate?” Chiese Sero, lasciando cadere le braccia ai lati del corpo, esasperato.
“La festa è finita.” Annunciò Aoyama – ma quando era rientrato? – facendo fermare Kirishima e Bakugo sull’uscio della porta-finestra.
“Una stella come me ha bisogno di un sonno lungo e ristoratore per continuare a brillare.” Specificò, come se fosse una scusa valida per cacciare tutti. Il suo comando, però, sembrò sortire l’effetto sperato, perché tutti, un po’ per l’ora, un po’ perché Iida e Bakugo erano i soliti guastafeste, si convinsero a tornare all’edificio E-7.

“Beh, allora ciao, Todoroki.” Salutò per ultimo Midoriya, sull’uscio della porta, voltandosi verso il ragazzo a metà. Ormai erano già usciti tutti.
“Oh, ciao, Midoriya.” Salutò serio Todoroki. Deku, però, non mosse un muscolo e continuò a guardarlo negli occhi, come se stesse cercando di capire qualcosa. Che fosse su di lui o su se stesso, questa cosa da capire, però, non lo sapeva affatto. Todoroki alzò un sopracciglio e si voltò a disagio, come se stesse controllando qualcosa di improvvisamente interessante nella cornice della porta del bagno. Lo sguardo di Midoriya iniziava ad essere troppo invadente e gli sembrò che, se avesse aspettato ancora un po', avrebbe potuto scavargli l’anima.
“Già.” Esalò il ragazzo a metà, dopo quelli che erano solo un paio di secondi, ma che gli erano sembrati una vita. Aoyama si sporse dal letto per sbirciare e non riuscì a trattenere il sorriso consapevole di chi la sa lunga: “Ciao, Midoriyaaaa!” Salutò, aspirando la ‘r’ nel suo cognome, in perfetto stile francese.
“Oh, ciao, Aoyama!” Si riscosse lui, infilando la porta in un attimo con lo sguardo basso e le guance in fiamme.
“E chi se lo sarebbe mai aspettato?!” Commentò Aoyama, poco dopo che Todoroki ebbe richiuso la porta.
“Cosa?”
Rien, rien…” Replicò Aoyama, con un sorriso sornione, infilandosi regalmente sotto le coperte. Todoroki non conosceva a fondo il francese, ma il suo tono non gli era parso affatto coerente con il ‘nulla’ che aveva pronunciato. Quello doveva essere totalmente fuori di testa.


Note di El: giooovani adolescenti, così fragili e così complessi!
Il capitolo dell'amore.
Uraraka ha ovviamente un debole per un certo futuro eroe e Mina è più decisa che mai ad esserle di supporto, con la speranza che non combini un casino!
Cosa avrà causato il black out? Perchè Kaminari è così stupido? Ma, soprattutto, che abilità retoriche nascondeva Sero?
Il terrazzo era davvero un terrazzo, mi spiace avervi delusi.
Jiro non ha peli sulla lingua (ovviamente) e Todoroki è il vostro grande fratello: vi osserva.
Strani momenti accompagnano Bakugo e Kirishima e altre atmosfere ambigue si creano tra Todoroki e Midoriya.
La mia cara Ran lo sa bene, ma ci tengo che lo sappiate anche voi. Aoyama è la mia chicca, in questa storia, sappiatelo.
Bene, ci sono varie "cose sospese" in questo capitolo e piccoli messaggi.
Vi ringrazio davvero per il seguito e per le recensioni e spero di trovarvi presto anche qui!
Alla prossima!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 6
*** Astraphobia ***


ASTRAPHOBIA
paura dei tuoni e dei fulmini

 

 


Pedibus timor addidit alas.
(La paura aggiunse ali ai piedi.)
Publio Virgilio Marone
 
 

Il terzo giorno di permanenza al Lotus Resort, per Tokoyami, non era iniziato granché bene. Di norma era un tipo tranquillo e pacato. D’altro canto, con la sua Unicità, sbraitare e cedere all’ira era un lusso che non poteva assolutamente concedersi. Generalmente, quello era tipico di Bakugo.
Eppure c’era una cosa, una cosa sola sulla quale assolutamente non transigeva e quella cosa erano i suoi calzini. Sì, perché per motivi che non amava affatto diffondere i suoi calzini erano, appunto, suoi e non voleva assolutamente che venissero toccati. Peccato che Mineta, per sua grande sfortuna, avesse ben pensato di far ingelosire le ragazze, almeno a detta sua, ponendo un calzino sulla maniglia della porta della loro stanza, per far credere loro che avesse ‘passato una notte di follie’. Tra i tanti, il calzino incriminato apparteneva proprio a Tokoyami. In effetti, Mineta una notte di follie l’aveva avuta eccome e, per questa ragione, quella mattina il suo silenzio contribuì a donare al resto della 1-A una pacifica colazione.
“Perché Mineta ha quella faccia?” Domandò Sero e Kirishima scrollò le spalle.
“Non lo so…” La frase di Kaminari fu interrotta da uno sbadiglio: “Ma oggi ho ben altro a cui pensare.” Continuò, sorridendo furbescamente. Kirishima gli regalò un sorriso compiaciuto ed uno sguardo d’intesa: “Lo fai oggi?”
“Sì, è il mio giorno libero, vuol dire che dovrei riuscire a prendermi il tempo necessario per non provocare un altro black out o, in quel caso, far ritornare la corrente prima che se ne accorgano tutti.”
“Già, non so se riuscirò ancora a cambiare discorso senza che Iida se ne accorga.”
“Senza che Iida si accorga di cosa?” S’intromise Ashido, di ritorno con un bicchiere colmo di succo d’arancia ed un vassoio.
“Niente!” Risposero in coro i tre, mentre Mina alzava un sopracciglio. A quanto pareva non se l’era bevuta.
“Kirishima, tu faresti meglio…”
“A non finire di nuovo in punizione, lo so, lo so.” Il rosso alzò gli occhi al cielo: “Però non è così male, alla fine.” Considerò. Ashido scambiò uno sguardo veloce con Kaminari e con Sero, per poi tornare a guardare Kirishima: “Perché?” Domandò, fingendosi confusa.
“Ci sarà anche Bakugo.” Replicò semplicemente Kirishima, tornando con lo sguardo sui suoi amici, che non mossero un muscolo. Al rosso venne istintivo arrossire: “Cioè, una punizione con il tuo migliore amico non è davvero una punizione, dico bene?” Si spiegò, passandosi una mano sulla nuca e sforzandosi di sorridere, anche se non riuscì a non lasciar trapelare un'incomprensibile punta di nervosismo. Lanciò uno sguardo in direzione di Bakugo, qualche sedia alla sua sinistra: non sembrava star ascoltando. Non sapeva bene perché, ma i suoi amici lo stavano mettendo a disagio.
“Vero, ci può stare.” Convenne Ashido, con un’alzata di spalle, come se stesse ponderando la credibilità della sua scusa. E con ciò, girò i tacchi e si diresse verso le amiche, poggiando il suo vassoio a tavola. Kirishima non smise di guardarla neanche per un secondo: si sentiva studiato, attaccato, come se fosse stato colto con le mani nel sacco. Un sacco colmo di cosa? Questo non lo sapeva.
“Allora, mi coprite?” Kirishima tornò con lo sguardo su Kaminari, emergendo finalmente da quella bolla tossica che erano diventati improvvisamente i suoi pensieri.
“Ovvio.” Confermò, dando il cinque ai suoi amici.
 
“Sei giù di morale senza il tuo amicone?” Domandò Jiro, sporgendosi sul bancone, per poggiare la limonata ghiacciata che Kirishima le aveva chiesto. Il sole era ancora alto nel cielo, segnando le dieci e non accennando a lasciarsi coprire da nuvole fresche. Il rosso sospirò, passandosi una mano sul ponte del naso e bevendo un primo sorso ghiacciato, che per poco non gli gelò il cervello.
“È solo molto stancante stare da solo.” Commentò, non appena ebbe mandato giù la limonata gelata, poi poggiò il bicchiere momentaneamente sul legno scuro.
“Sono davvero così terribili?” Si intromise Midoriya, con un paio di bicchieri in mano da pulire con uno straccio.
“Sono vivaci.” Si limitò a replicare stremato Kirishima, rialzando il bicchiere, sotto il quale si era creata ora una pozza di acqua fredda, dovuta alla condensa.
“Beh, sono stati davvero ironici a farti fare l’animatore.”
“Guardiano dei bambini, grazie.” La corresse Kirishima, alzando un dito con fare teatrale e alzando poi gli occhi al cielo: “E poi cosa vorresti dire, scusa?” Il suo tono cambiò radicalmente. Si girò con tutto il busto verso la ragazza, guardandola mezzo offeso.
“E cosa vorrebbe dire ‘Guardiano dei bambini?’” S’informò Jiro, scimmiottando la sua voce.
“Non hai risposto alla domanda!” La incalzò Kirishima e fu il turno di Jiro di alzare gli occhi al cielo: “Che sei un pazzo irresponsabile.” Gli concesse, schioccando la lingua e sorridendo ironica.
“Come osi!” E, detto ciò, Kirishima ebbe la brillante idea di raccogliere con un dito l’acqua caduta dal bicchiere e schizzarla negli occhi della ragazza.
A dire il vero, era da un po’ che Midoriya non prestava attenzione ai battibecchi dei due amici. Per prima cosa non voleva intromettersi in quelli che erano chiaramente scherzi tra loro. Sarebbe stato inopportuno e non avrebbe saputo che dire. In realtà questo era il mitico alibi che si era raccontato per evitare di affrontare la verità. Sì, perché, ad essere onesti, il vero motivo per cui si era improvvisamente distratto o, per meglio dire, per cui era stato improvvisamente distratto era totalmente, innegabilmente ed irrimediabilmente collegato al fatto che Todoroki avesse deciso in quel momento che faceva decisamente troppo caldo per tenere la maglietta blu che il Lotus resort aveva gentilmente concesso ai ragazzi. Midoriya fu rapito dai gesti lenti del ragazzo a metà, che aveva preso ad alzare i lembi inferiori della maglia, lasciando che sempre più porzioni di pelle venissero direttamente esposte ai raggi cocenti del sole delle dieci. I muscoli guizzavano sotto la pelle, rivelando un glorioso fisico scolpito, interrotto, ahimè, dall’elastico del costume rosso che, secondo il modestissimo parere di Midoriya, era posizionato decisamente troppo in basso perché potesse sentirsi a suo agio.
“Midoriya?”
“EH?” Il ragazzo sobbalzò e, il bicchiere che reggeva, ancora sporco, da qualche minuto volò per un attimo, prima che lo riacciuffasse in modo tutt’altro che fluido. Kirishima e Jiro si scambiarono uno sguardo confuso.
“Stavi di nuovo borbottando.”
“EH?” Quasi gridò Midoriya, di nuovo, raggiungendo una tonalità di rosso brillante che i capelli di Kirishima speravano da anni di conquistare.
“Beh, allora?” Lo incalzò Jiro.
“Allora cosa?”
“A te Kaminari l’ha detto cosa sta architettando?” Midoriya scosse la testa, ancora troppo provato dall’imbarazzo, per elaborare frasi più complesse.
“Rassegnati, non te lo dirà mai.” La canzonò Kirishima, con aria scherzosamente superiore.
“Ah, si? Io oggi smonto presto, magari vado a vedere che combina.” Ribatté tagliente la ragazza.
“Cosa? E perché smonteresti presto, tu?” Kirishima poggiò entrambe le mani sul bancone, avvicinandosi col viso a quello di Jiro.
“Lo scoprirai domani.” Rispose lei, reggendo il suo gioco: “Anche io ho i miei segreti.”
“Oh, avanti.” La incitò il rosso.
“Rassegnati, non te lo dirà mai.” Ripetè Midoriya, tornando a lucidare il bicchiere e guardando la scena con un pizzico di ironia.
“Dekuuuuuu!” Bakugo camminava verso il chiosco del bar con un’aria decisamente più esplosiva del solito. Kirishima inarcò un sopracciglio e tornò ad accasciarsi sullo sgabello, lanciando una veloce occhiata in direzione dei piccoli: grazie a Dio non si erano ancora stancati di costruire castelli di sabbia. Non che odiasse i bambini, anzi, solo che lì poteva godersi un po’ di freschezza concessa dalla leggera brezza che l’ombra donava al chiosco. L’odore tipicamente marino del sale gli pizzicava il naso e la sua bevanda ghiacciata rischiava davvero di rilassarlo oltre l’inverosimile.
Midoirya, invece, sembrava tutt’altro che rilassato: “Kacchan, è successo qualcosa?” Domandò, preoccupandosi nel vedere il suo amico fumare letteralmente.
“Direi di sì.” Sentenziò il biondo, sedendosi sullo sgabello accanto a quello di Kirishima con la sua tipica grazia, ovvero quella che rasentava quella di un elefante in crisi di mezza età: “Quel bastardo a metà mi fa girare le palle. Versami della limonata.” Si lamentò. Il suo ginocchio toccò involontariamente quello di Kirishima, con un leggero strofinio, pelle contro pelle. Kirishima abbozzò un sorriso, mentre ascoltava le assurdità di Bakugo, ma una parte irrazionale di lui continuava a ripetergli che la sua contentezza non era affatto dovuta all’ironia della situazione. Beh, allora a cosa? Si domandò ingenuamente il ragazzo.
“Che ha fatto, scusa?” Gli Midoriya, affrettandosi ad esaudire i desideri del biondo, ma interessandosi alla questione. Jiro alzò gli occhi al cielo e si tirò fuori da quella ridicola situazione, decidendo che era arrivato il momento giusto per rifornire il frigo di bevande gasate che, grazie a Dio, doveva andare a prendere alla reception. Almeno così sarebbe potuta passare a salutare Hagakure.
 
Erano le undici e mezzo e Kaminari non poteva credere di essere ancora bloccato nella sua stanza. Aveva in programma di completare l’opera in un paio d’ore e poi passare il resto del suo giorno libero ad infastidire banalmente i suoi amici e magari fare anche un tuffo, perché no? Invece il suo obiettivo gli stava dando del filo da torcere. Sospirò, abbandonandosi con la schiena contro il muro di legno. Era seduto a terra eppure faceva troppo caldo per riuscire a godere del minimo refrigerio. Fissò il soffitto per qualche secondo, chiedendosi quanto ne valesse effettivamente la pena: “Maledizione.” Sussurrò avvilito. Stava per gettare la spugna, ma tre colpi alla porta lo distolsero dai suoi pensieri.
“Cosa è maledetto?” Jiro entrò nella stanza senza aspettare una risposta.
“Che fai, origli?” Domandò Kaminari, un braccio appoggiato mollemente sul ginocchio piegato e lo sguardo che riacquistava lentamente irriverenza. Jiro, con somma sorpresa di Kaminari, arrossì e distolse lo sguardo: “T-ti avrebbe sentito chiunque.”
“Ho sussurrato.”
“Che stai combinando?” Jiro cambiò discorso, puntando gli occhi su uno strano aggeggio elettronico abbandonato sul pavimento, accanto al ragazzo. Kaminari si riscosse del tutto, saltando in piedi, e ricordandosi che quello che stava facendo non era propriamente legale.
“Mh, niente, studiavo.” Improvvisò, ben consapevole del fatto che la ragazza non se la sarebbe bevuta, ma sperando comunque di strapparle un sorriso, buttandola sull’ironia. Jiro, però, non sembrava dello stesso avviso: “Come no, cos’è?” Domandò schietta, forte del fatto che Kaminari fosse un terribile bugiardo.
“Tu che ci fai qui?” Ribatté il biondo, sulla difensiva.
“Ho il resto della mattina libera, perché domani sera faccio un extra. Cos’è?” Ripeté Jiro, insistente.
“Se te lo dico prometti che non lo andrai a dire in giro?”
“Se non me lo dici andrò certamente a dirlo in giro.” Rispose la ragazza, con un sorriso furbo. Kaminari sospirò.
“Bene.” Annunciò solenne. Si schiarì la voce, alzò un dito con un gesto degno di un direttore d’orchestra e: “Benvenuta nel CVS.” Esalò, come se l’acronimo fosse valido e famoso.
Seguirono dei momenti di imbarazzante silenzio, in cui Kaminari mantenne la sua posa teatrale, sperando in un’esultanza o in un qualche tipo di reazione della sua amica, mentre lei, al contrario, non poteva fare a meno di guardarlo come se fosse il più esperto degli idioti.
“Eh?” Jiro stroncò sul nascere ogni tentativo di sorpresa che Kaminari aveva intenzione di strapparle. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si arrese: “Covo Videoludico SeKaKi.” Jiro lo guardò dritto negli occhi: “Non dirmi che…”
“Sì.” L’interruppe il biondo: “Sta per Sero, Kaminari e Kirishima.”
“Cioè, stai installando una consolle sfruttando la connessione dell’edificio?” Domandò, spoetizzando, pratica come sempre.
“Beh, sì…” Replicò mesto Kaminari: “Ma manca il cavo adatto, quindi sono io ad adattarmi.” Esalò, mostrandole una quantità miracolosa di fili e cavi collegati tra loro alla bell’e meglio, ricchi di tagli, unioni e scotch nel quali lo zampino di Sero era decisamente facile da rintracciare.
“Per questo stai provocando black out più o meno ogni minuto da quando sei qui?” Kaminari si passò imbarazzato una mano sulla nuca, scompigliandosi i capelli: “Più o meno.”
“Se la tua valigia era occupata da questo allora… A che serviva il fondotinta di cui hai parlato il primo giorno?”
“Oh, beh, Sero si è graffiato con un filo di rame e dovevamo occultare le prove.”
Jiro distolse lo sguardo, puntandolo sul muro al lato, come se vi fosse improvvisamente qualcosa di molto interessante. Sospirò, sapendo che se ne sarebbe presto pentita: “Avanti, fammi vedere qual è il problema.” Kaminari sgranò gli occhi e la guardò come se si fosse appena trasformata in una dea: “Cosa? Mi aiuterai?”
Oh, no, non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce: “Fammi vedere qual è il problema.” Ripeté, collegando i jack alla consolle, pronta a individuare la frequenza perfetta e, possibilmente, a non farsi investire dalle scariche elettriche di Kaminari.
 
Passarono svariati minuti, durante i quali i due ragazzi si concentrarono sulle loro Unicità e sul modo migliore per metterle a frutto. Nonostante gli innumerevoli tentativi, la rete di cavi che Sero, Kamianari e Kirishima avevano costruito sembrava non condurre corrente o, per lo meno, non riuscire a farla rimanere stabile abbastanza a lungo da potersi dire funzionante e sicura. Jiro stava in ascolto, percependo ogni volta in che punto la connessione tra cavi si ostruisse. Era strano. In un certo senso sentiva l’elettricità di Kaminari fluire nella rete. Era quasi come entrare in contatto con lui. Un paio di volte si girò a guardarlo, il labbro inferiore tra i denti e gli occhi serrati, attento a incanalare correttamente la potenza. Era buffo, ma Jiro si ritrovò ad ammettere, almeno a se stessa, che non era solo buffo. Scosse la testa, all’ennesimo pensiero intrusivo. Non voleva neanche pensarci. Per fortuna la situazione la salvò.
“Fermo!” Gridò infatti. Kaminari spalancò gli occhi all’improvviso: “Funziona?” Chiese, con l’ingenuità di un bambino.
“Non lo so, ma penso che se colleghiamo questi…” Jiro si protese verso due cavi neri e a Kaminari venne la brillante idea di fare lo stesso. Sfiorò le mani della ragazza, ritraendole un attimo dopo e arrossendo violentemente. Jiro, per grande sollievo di lui, non lo vide mai, troppo occupata a gestire il suo, di imbarazzo. Che diavolo le stava succedendo? Perché era così strano? La stanza sembrava improvvisamente troppo piccola e le ginocchia le tremavano.
“Prova ora.” Disse, allontanando le mani dalla strampalata torre di fili aggrovigliati.
Kaminari trasse un respiro profondo, poi chiuse gli occhi e lasciò fluire l’energia. Quando, qualche secondo dopo, aprì un occhio, spaventato all’idea di veder crollare il suo castello di speranze, Jiro sorrideva ed il monitor che avevano collegato alla consolle brillava di un trionfante blu cobalto. Le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione si distesero in un’espressione di pura gioia ed incredulità: “HA FUNZIONATO!” Gridò, fiondandosi su Jiro e trascinandola sul pavimento di legno, stando attento a non farle troppo male alla schiena. I due ragazzi scoppiarono a ridere, uno addosso all’altra.
“Che squadra!” Gridò Kaminari nell’orecchio di Jiro, alzando finalmente la testa e puntando per la prima volta gli occhi dorati in quelli scuri di lei, che lo scrutavano dal basso. Il riso gli morì in gola. Si schiarì la voce, decisamente a disagio, ma non riuscendo ad emettere alcun suono o a interrompere quel contatto magnetico, che si riscoprì totalmente incapace di tenere sotto controllo. Jiro, dal canto suo, lo fissava in risposta. Un misto di confusione e paura nel suo sguardo. Per la prima volta notò delle pagliuzze più scure negli occhi del ragazzo. Le ha sempre avute? Si ritrovò a domandarsi. Kaminari non seppe bene quanto tempo stesse passando, ma era sicuro che fosse tantissimo. Nonostante ciò, però, avrebbe voluto rimanere così per sempre. C’era qualcosa, nella sua testa, che non era paragonabile nemmeno alla solita vocina di cui parlano nei film, no, più che una vocina era un istinto. Un istinto che gli intimava in modo tutt’altro che delicato di avvicinarsi ulteriormente. Anzi, gli urgeva di avvicinarsi al punto che non ci fosse più modo di andare oltre. Il suo istinto gli stava dicendo di fondersi con le sue labbra, adesso addirittura più magnetiche dei suoi occhi. Jiro perse un battito quando lo sguardo di Kaminari si posò più in basso e sentì il respiro del ragazzo farsi più irregolare. Quasi non sentiva il suo peso, ma allo stesso tempo era addirittura piacevole sentirlo addosso.
Din
Il suono della consolle spezzò l’incantesimo, ricordando ai ragazzi che era perfettamente funzionante e che non vedeva l’ora di essere usata. Kaminari esitò ancora per qualche secondo tra i suoi occhi e le sue labbra, più come a imprimere quei dettagli per sempre nella sua testa, che per speranza di fare qualcosa di concreto. Il biondo si alzò, liberando la ragazza del suo peso e spazzolandosi i vestiti nervosamente, mugugnando qualche scusa imbarazzatissima. Jiro lo imitò, guardando lo schermo in un mix contrastante di odio e soddisfazione.
Kaminari non sopportava più quella pesante aria. Non era affatto da lui non dire idiozie per più di cinque secondi. Cosa gli prendeva?
Un’ide geniale gli balenò in testa: “Jiro.”
“Mh?” La ragazza distolse a fatica lo sguardo dallo schermo.
“Ti va di fare una partita?”
Si sedettero sul letto di Kaminari, un joystick a testa in mano e le ginocchia che si sfioravano.
“Ti distruggo.” Fu la dichiarazione di guerra di Jiro, che gli scoccò un’occhiata che trasudava sfida da tutti i pori.
“Provaci.” La provocò Kaminari, con un sorriso furbo.
Possibile che… Si ritrovò a pensare il biondo, mentre le dita volavano frenetiche sul joystick.
Mi piaccia? Si chiese Jiro, pensando all’unisono con lui, a qualche metro di distanza.


Note di El: è un miracolo signori.
Vi scrivo senza uno straccio di Wi-Fi e sfruttando la connessione del mio telefono sul computer. Sono paragonabile al CVS di Kaminari.
Bene. Praticamente è un capitolo tutto Kamijiro, ma è abbastanza di passaggio.
La storia di Tokoyami è palesemente un mio viaggio mentale, ma mi faceva piacere inserirlo (e magari usarlo di nuovo più avanti, chissàààà)
Bene, io devo scappare, spero riuscirete a leggere queste righe, il mio cellulare farà del suo meglio.
Grazie ancora a tutte le persone che stanno commentando e inserendo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
E grazie anche a te, lettore silente!
A martedì!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 7
*** Phonophobia ***


PHONOPHOBIA
paura dei suoni


 

I pazzi osano dove gli angeli temono d'andare.
Alexander Pope

 


Gli occhi brillanti rilucevano di consapevolezza mentre si chinava verso di lui e gli posava un bacio bagnato sulle labbra, disdegnandole un attimo dopo e prendendo ad occuparsi del suo collo. Gli stava facendo uno strano effetto. Sentì il suo stesso respiro aumentare come mai prima d’ora, mentre la pelle sensibilissima rispondeva con un’ondata di brividi nei punti in cui si posavano le mani callose e rinforzate dagli allenamenti. Non aveva idea di cosa fosse quella sensazione nuova, ma sapeva che era esattamente così che avrebbe voluto sentirsi ogni giorno della sua vita. Intanto il ragazzo gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo, quasi preoccupato, ma il desiderio nelle sue pupille non lasciava molto spazio ad altre emozioni. Gli stava chiedendo qualcosa. Non conosceva la risposta a quella domanda silente, ma il suo istinto lo portò ad annuire, intimamente consapevole di quello a cui stava acconsentendo. Fu tutto ciò di cui l’altro ragazzo aveva bisogno. Scese con le labbra sul suo petto, lasciando una scia di baci umidi che contribuirono ad un’altra ondata di pelle d’oca nei punti in cui la saliva era ancora fresca. Sospirò impaziente, davanti alla lentezza del compagno che, arrivato all’elastico dei pantaloncini, proseguì infilando la lingua oltre il bordo e mordendo inaspettatamente una porzione di pelle. Prevedibilmente, gli strappò un gemito. Notò che la voce roca e spezzata dal desiderio non sembrava neanche la sua. Lo sguardo dell’altro, divertito e decisamente stravolto dall’eccitazione, fu abbastanza da fargli perdere la testa ed alzare il bacino, chiedendo un contatto più diretto e soddisfacente. Averlo lì, finalmente davanti a lui, su di lui, sembrava un sogno.

Kirishima si svegliò di colpo, col fiato corto.
Quella notte aveva a stento chiuso occhio ed il fatto che Bakugo stesse dormendo accanto a lui, senza mostrare alcun segno di nervosismo, lo stava facendo dubitare ancora di più della sua sanità mentale. Un raggio di luna evaso dall’impedimento della veneziana illuminava la stanza, allungandosi verso il letto e colpendo il piede nudo di Bakugo. Questi, infatti, aveva malamente spinto il lenzuolo alla base del letto, decidendo che faceva decisamente troppo caldo per tenerlo addosso.
Kirishima sospirò insofferente, allungandosi verso il comodino alla sua sinistra e dando le spalle al biondo. La luce del display del cellulare gli inondò la faccia, accecandolo. Non appena riuscì a mettere nuovamente a fuoco, un terribile 4:10 svettava sullo sfondo di Crimson Riot, ma neanche il suo eroe preferito riuscì a rilassarlo. Non era stato tanto il suo sogno a disturbarlo, quanto più il fatto che l’avesse fatto proprio quella sera. Continuava a ripensare a quanto era stato strano Bakugo durante le loro ore di detenzione. Tanto per cominciare, il biondo era stato tranquillo, efficiente, gentile e decisamente poco rumoroso. Ora, per una persona comune queste erano tutte cose perfettamente normali, ma qui si parlava di Bakugo! Kirishima non smetteva di pensare al fatto che l’idea di poter assistere alla visione di un Katsuski non filtrato da maschere arroganti e distaccate lo faceva sentire in un certo senso onorato. Certo, non era la prima volta che Bakugo gli dimostrava quanto lo considerasse suo pari e non era neanche la prima volta che Kirishima si sentisse lusingato e sorpreso da tutto ciò, ma la verità che il rosso stentava ad ammettere era un’altra. Ovvero che quel giorno, in quella cucina, in quel contesto, aveva percepito un’atmosfera diversa da quella del giorno prima e dalla solita che scorreva tra loro da quando erano amici e ne aveva avuto la piena conferma nel momento in cui le loro mani si erano sfiorate quando Kirishima aveva passato un piatto appena lucidato nelle mani di Bakugo.
In tutta franchezza era convinto che il fatto che lo ammirasse e, parallelamente, il fatto che la loro amicizia si stesse consolidando ogni giorno di più stessero contribuendo enormemente al suo buon umore ed era probabilmente quella la causa del suo strano sogno.
Il buon umore, solo il buon umore.
Eppure, nonostante le infinite logiche spiegazioni, una sola domanda gli martellava a quel punto in testa: se era così sereno e felice, ebbene, perché non riusciva a chiudere occhio?
Kirishima agguantò ancora una volta il cellulare, che adesso segnava le quattro e mezzo, e compose rapidamente un messaggio da inviare ad Ashido: Dobbiamo parlare.
Ripose il telefono, poggiando lo schermo verso il basso e lasciandosi cullare dal distante rumore della risacca e delle cicale. Mina avrebbe saputo come aiutarlo.
Con questo pensiero in testa, il sonno lo accolse finalmente nelle sue braccia rigeneranti.
 
Il sole era alto nel cielo di quel sabato pomeriggio e i clienti del Lotus Resort avevano tutti pensato bene di rilassarsi tra SPA e spiaggia, compresi Aizawa e All Might, che si stavano godendo un drink fresco preparato sotto gli sguardi terrorizzati di Midoriya e Sero che avevano obbedito alla richiesta del professore con più timore del previsto. Dalla parte dei due, infatti, tutto taceva e nessuno si faceva mai vedere, se non per gli allenamenti quotidiani. Alcuni credevano stessero usando la scusa dell’allenamento speciale per godersi una vacanza di lusso, ma altri temevano che da un momento all’altro si sarebbe abbattuta su di loro l’ira del professor Aizawa, sotto lo sguardo divertito di All Might. La spiaggia era caotica oltre ogni limite e a Todoroki pareva di impazzire.
“Bakugo, porta questi lettini all’11.” Gli ordinò con un po' troppa arroganza, il petto madido di sudore che gli chiedeva disperatamente di abbandonare i lettini che stava trasportando all’istante e di concedersi un tuffo a mare per rinfrescarsi.
“Col cazzo, ho da fare.” Ringhiò in tutta risposta Bakugo, che aveva a stento accettato di lavorare con quel bastardo a metà, figuriamoci se avrebbe preso ordini da lui.
Todoroki sospirò, ripetendosi di stare calmo e di non rispondere, per evitare spiacevoli risvolti, soprattutto davanti agli occhi attenti professori. Tuttavia, quando passò davanti all’affollatissimo chiosco del bar, non poté trattenersi dal sussurrare ai due baristi un flebile: “Stronzo” a denti stretti.
Non seppe bene se Bakugo avesse un’Unicità nascosta che gli regalava un udito sovrumano o se avesse semplicemente voglia di attaccar briga, ma, dall’altra parte della spiaggia, il biondo strillò alle ampie spalle di Todoroki: “Che dici, eh, bastardo a metà?”
Todoroki si girò verso di lui con aria indifferente, poi scrollò le spalle con noncuranza e tornò alle sue mansioni.
Era un grande errore, lo sapeva anche lui, ma provocarlo con la sua indifferenza era uno dei modi che preferiva per non farsi sottomettere: “Che cazzo fai? Mi ignori? Ti credi tanto superiore?” Bakugo continuava a gridare dall’altro lato della spiaggia e adesso piccole esplosioni scoppiettanti fuoriuscivano dai suoi palmi. Nonostante l’afa, i bagnanti più vicini si congelarono terrorizzati.
Aizawa, osservando la scena, prese un sorso rumoroso del suo drink, le palpebre semichiuse e lo sguardo annoiato. “Però,” commentò All Might con un sorriso smagliante, dandogli una leggera gomitata, sicuramente poco gradita: “se la cavano bene, eh?”
 
Jiro si sentiva un po’ a disagio. Le era stata gentilmente concessa una giornata senza lavorare e, perciò, si era solo allenata nel pomeriggio, nella pulitissima e solitaria palestra del resort. Dopo aver passato tre ore di intenso allenamento fisico unito a qualche perfezionamento della sua Unicità, la ragazza si era diretta nella sua stanza per una doccia rigenerante e aveva preso a fissare il percorso che le gocce scappate al soffione seguivano sul vetro appannato dal calore. Solo in quel momento un leggero nervosismo, fino ad allora ben stipato in una regione remota ed irraggiungibile della sua mente, fece capolino nei suoi pensieri. Ma perché ho accettato? Continuava a ripetersi la giovane, preda del rimorso, lo scorrere delle gocce ora dimenticato. Lasciò che l’acqua calda le scivolasse sulla schiena, coprendola come un mantello rassicurante, poi respirò a fondo un paio di volte, trattenne il fiato e interruppe il getto, decidendosi ad uscire dalla doccia. Un vento fresco le fece venire la pelle d’oca, mentre si avvolgeva un lungo asciugamano sul corpo.
Era pronta.
 
“Questo Lotus Resort inizia a piacermi.” Commentò Mina, per metà stesa e per metà seduta su un lettino bianco di plastica, levando il suo drink… beh, sì, analcolico, ma pur sempre drink.
Questo Lotus Resort, come dici tu, era meraviglioso fin dall’inizio!” Le fece notare con una risata Uraraka, che aveva preso posto accanto ad Ashido.
“Vero,” Convenne Midoriya, seduto sul lettino posto di fronte: “ma ciò che è davvero meraviglioso è che i drink che stiamo bevendo non li abbiamo fatti noi!” Esclamò, alzando uno sguardo verso la luna e prendendo un sorso dal suo bicchiere, come a enfatizzare la portata della faccenda.
“E tu questi li chiami drink? È già tanto se ci hanno messo del succo di frutta.” Brontolò Bakugo, seduto scompostamente accanto a Midoriya e Iida, perché non c’erano altri posti liberi e non ci pensava proprio a sedersi sulla sabbia come Kirishima e Kaminari. Il rosso, però, a quella frase scoppiò a ridere: “Ma dai, fai tanto il duro, ma alla fine sei uno fissato con le regole.” Lo prese in giro Kirishima. Non importava quanto spesso fosse inappropriato con Bakugo, i ragazzi tremavano sempre in quei pochi secondi prima che il biondo esplodesse.
Con grande sorpresa dei presenti, però, Bakugo sospirò rumorosamente, rasentando quasi un ringhio, ma replicò con calma e con un semplice: “Ma che cazzo dici?”
Kirishima inarcò un sopracciglio e gli scoccò un’occhiata veloce, alla quale seguì un sorriso sghembo, dal quale sbucavano i canini appuntiti: “Quello che ho detto. Sei un precisino.” Lo provocò, sghignazzando. Kaminari avrebbe voluto fare lo stesso, ma riuscì solo ad abbozzare un sorriso. Era sicuro che se si fosse comportato come Kirishima gli sarebbe toccata una sorte di gran lunga più atroce. In effetti, ora che ci pensava, aveva già avuto qualche giorno prima la sensazione che il rapporto che c’era tra Bakugo è Kirishima fosse strano. Non sapeva bene perché, ma qualcosa non gli tornava. Fece spallucce: qualunque cosa fosse, era certo che Kirishima gliene avrebbe parlato.
“Che cosa hai detto?” Bakugo si alzò. Eccolo, il tono glaciale, il gorgoglio in una pentola prima che l’acqua inizi a bollire, il ticchettio del timer prima che la bomba esploda, investendo tutto. Midoriya conosceva bene quella sensazione, ma Kirishima ghignava. C’era qualcosa di decisamente singolare nel loro rapporto, constatò Deku. Sì, doveva ammettere che da un po’ di tempo a questa parte, stando a contatto con loro molto più del solito, iniziava a credere che tra di loro scorresse più che una semplice amicizia.
“Ho detto…” Ripetè Kirishima, il ghigno ormai totalmente trasformato nel sorriso sicuro di chi se la sta spassando: “che sei un…”
“PROVA, PROVA!” La combriccola si coprì le orecchie, il suono fortissimo che rischiava di fare esplodere i loro timpani: “Oh, accidenti, ci sieteeeee?” Todoroki era a qualche passo dal gruppo ai lettini, ma si arrestò, piantando i piedi nella sabbia fresca della sera e alzando lo sguardo verso le scale di legno che conducevano alla spiaggia, dove era stata impiantata una postazione dj.
“Present Mic?!” Esclamò sorpresa Uraraka, alzando a sua volta lo sguardo e rimanendo a bocca aperta.
“Oh, buonasera 1-A, come ve la passate? Vi hanno messo sotto, eh?” Chiese l'eroe, mettendosi una mano davanti alla bocca come a impedire che qualcuno leggesse il labiale e abbassando la voce di qualche tono, ma senza effettivamente sussurrare, visto che aveva amplificato la voce. Midoriya rise e alzò un pollice. Todoroki non si perse nemmeno un attimo di quel movimento.
“Non ci credo. Sei crudele, Aizawa!” Lo accusò Mic, scoccandogli un’occhiata divertita. Per tutta risposta il professore alzò gli occhi al cielo e mosse la mano come a scacciare una mosca.
“E va bene, ricevuto. Passiamo alle novità.” Annunciò e tutti i presenti focalizzarono l’attenzione sullo scoppiettante eroe. C’era da dire che non importava di cosa parlasse di preciso Present Mic, eroi, studenti, semplici clienti del resort, tutti lo stavano a sentire e non solo perché era obiettivamente impossibile non sentirlo, ma perché sapeva come catturare l’attenzione del pubblico. Midoriya si riscoprì felice della sua improvvisa presenza: avrebbe sicuramente reso gli allenamenti meno noiosi e sfiancanti.
“Novità?” Todoroki apparve improvvisamente, poggiando le mani sulle spalle di Deku e facendolo sobbalzare.
“Oh, ehi.” Lo salutò Midoriya, ringraziando il cielo per essere così scuro, perché sentì chiaramente il viso andargli a fuoco. Ritirò subito questo ringraziamento, però, non appena si girò a guardare l’amico, perchè non fu in grado di affermare con certezza se Todoroki stesse davvero abbozzando un sorriso come credeva o se fosse solo colpa di qualche ombra. Tornò a concentrarsi su Present Mic, ma gli riuscì incredibilmente difficile. I suoi sensi si erano improvvisamente acuiti, senza che riuscisse effettivamente a spiegarsi perché. Era a disagio e percepiva ogni punto in cui le mani di Todoroki entravano in contatto con la stoffa della sua T-shirt formicolare. Riuscì nettamente a distinguere la minima differenza di temperatura delle sue mani e provò un primitivo istinto di aggrapparsi al suo lato sinistro per sentire altro calore, nonostante fosse luglio e facesse un caldo infernale. Possibile che…
“Ebbene la brutta notizia è che stasera non sarò io il vostro DJ. Lo so, è terribile, ma non disperate.” Continuò costernato Present Mic, nonostante non ci fosse una singola persona che sembrasse anche solo minimamente toccata dalla notizia: “Ma la buona…” Proseguì il professore, con rinnovato entusiasmo: “È che il motivo è che c’è una mia degna sostituta! Date un caloroso saluto a D-JIRO!”
Kyoka salì alla postazione dj con un’espressione contrariata e atratti nervosa e accese il microfono che, chiaramente, il professore non aveva avuto bisogno di utilizzare: “Non mi chiami così.” Si limitò a dire, spegnendo col suo tono piatto tutti i fronzoli da ottimo presentatore che Present Mic aveva meticolosamente costruito.
“Così mi ammosci gli spettatori!” Si lamentò scherzoso al suo orecchio: “Ebbene, DIVERTITEVI!” Si congedò poi, rivolgendosi al pubblico e raggiungendo gli altri professori.
Jiro era tesa, per qualche strana ragione. Lasciò vagare lo sguardo tra gli spettatori. A dire il vero non sembravano tanto interessati alla musica, anzi, pareva più che dovesse fare da sottofondo al loro drink serale in spiaggia. La cosa, per quanto rude e antipatica potesse sembrare, ebbe un effetto calmante su di lei. O almeno, questo è quello che pensò prima che il suo sguardo si allacciasse a quello di Kaminari, come attratto da un campo magnetico. Jiro lasciò vagare il dito sulla console e la traccia partì esattamente come da programma, ma i suoi occhi non si spostarono di un millimetro da quelli del ragazzo, che aveva inclinato la testa e la fissava come in trance.
Dopo qualche secondo di magica e inspiegabile attrazione, però, si riscosse e, come se non fosse successo nulla, alzò entrambi i pollici e le regalò un sorriso che Kyoka si ritrovò a giudicare tristemente amichevole. Non le fu chiaro perché lo trovasse triste, ma decise che non era affatto il momento di pensarci.
 
“Ehi, ragazzi, qualcuno ha visto Aoyama?” Domandò Sero, seguito da Tokoyami, avvicinandosi a ciò che rimaneva del gruppo ai lettini. Iida guardò i nuovi arrivati confuso: “No, pensavo fosse con voi.” Todoroki e Midoriya si scambiarono uno sguardo veloce, prima di unirsi al capoclasse, scuotendo il capo.
“Ma c’era a cena?” S’informò Midoriya, che era piuttosto sicuro di ciò che aveva visto e la situazione gli pareva del tutto insolita.
“Sì e mi è anche sembrato di vederlo venire qui con noi.” Si aggiunse Todoroki, avvicinandosi ulteriormente col viso a quello di Midoriya, per far sentire meglio la sua voce a Sero e Tokoyami, a causa della musica.
“Ehi, ehi, la serata non vi pare più luminosa, adesso?” S’intromise Aoyama, facendo il suo misterioso ingresso in scena con una naturalezza che proprio non si addiceva alla sua recente scomparsa.
“Ma dov’eri?” Domandò attonito Sero, che aveva ben pensato di non fare domande sul quando e perché il ragazzo avesse deciso di procurarsi una giacca cosparsa di paillettes.
“A indossare questo gioiellino.” Esclamò, come se fosse una risposta capace di fugare ogni dubbio.
“Oh.” Esalò semplicemente Todoroki.
“Accecante.” Commentò Midoriya, con un sorriso tutt’altro che ironico, quanto più sorpreso e genuinamente colpito.
“Kirishima, Kaminari e Ashido?” Domandò Sero, ora che il suo compito era finito.
“Sono da Jiro.” Gli indicò Iida: “Certo che è stata una sorpresa vedere la nostra Kyoka lì. Non ne sapevo niente, eppure avrebbero dovuto avvertirmi, avrei…” Ma Sero non ascoltò mai la fine dello sproloquio di Iida, perché si diresse immediatamente dai suoi amici, salutando i compagni con la mano.
“Vai fortissima!” Esclamò infatti, gridando per superare la musica. Peccato che Jiro scelse proprio quel momento per far sfumare la traccia nel silenzio, mettendo in imbarazzo Sero all’instante e facendo scoppiare a ridere i presenti.
“Sei sempre il solito!” Lo prese in giro Kaminari, levando il bicchiere con fare austero, come se lui non fosse ugualmente un combinaguai cronico.
“Beh, detto da te…” Scherzò infatti Kirishima, prima che Sero e Kaminari iniziassero una discussione su chi fosse il campione di figuracce tra i due, chiedendo spesso l’opinione della povera Jiro, che però non si faceva problemi ad ignorarli e a servirsi di battute sarcastiche.
“Volevi parlarmi?” Ashido colse l’occasione per sussurrare questa frase all’orecchio di Kirishima. Il rosso si guardò attorno per un attimo: “Non qui.” Rispose, guidandola verso un lato della spiaggia decisamente più tranquillo e adatto per parlare. I due presero posto sulla sabbia, dove le onde si infrangevano dolcemente ai loro piedi, creando un’atmosfera rilassata e adatta ad una chiacchierata. Kirishima fissò il mare. Il suo sguardo aveva improvvisamente perso ogni traccia di gioia, lasciando posto a tanta confusione e stanchezza.
Mina si preoccupò e pensò che parlare per prima potesse rivelarsi un'ottima mossa: “Allora?” Lo incitò infatti, spingendogli leggermente la spalla con la sua e regalandogli un sorriso dolce. Era incredibile quanto il suo carattere esuberante fosse capace di adattarsi e mutare all’occorrenza.
Kirishima provò un’ondata di affetto nei suoi confronti.
“Ecco… Stanotte non ho dormito molto.” Confessò il ragazzo, disegnando cerchi con le dita nella sabbia. Mina seguì i suoi movimenti con lo sguardo, attendendo il continuo della storia.
“Non so bene perché, ma… Ecco, Bakugo ultimamente è un po’ strano.” Ora che era arrivato il momento, Kirishima si era improvvisamente reso conto di non sapere bene cosa dire, né quali implicazioni potesse avere questa storia. In fin dei conti aveva solo pensato di confidarsi con un’amica, ma non aveva la minima idea di cosa volesse in effetti confessare.
“Che intendi con strano?” Domandò cauta lei.
“Ieri, la detenzione… Non lo so, era gentile, non gridava, io… Non so perché, ma c’era una strana atmosfera, capisci?” I cerchi nella sabbia si fecero più frenetici, più ansiosi.
“Intendi felice?”
“No, intendo tesa.” Concluse Kirishima, alzando lo sguardo su Ashido per la prima volta da quando si erano seduti. Seguì un lungo silenzio, ma poi Mina sembrò trovare le parole giuste.
“Io vi osservo da un po’.”
“Oh, lo sapevo che avresti saputo cosa dirmi!” Esultò Kirishima, sorridendo raggiante. Il suo sorriso si spense, però, quando incontrò lo sguardo serio di Ashido: “Sicuro che vuoi sapere cosa penso?”
“Cosa? Certo che sì.” Kirishima era visibilmente entusiasta, ma Mina sospirò e si perse ad osservare il mare per un attimo, prima di puntare gli occhi dalle sclere nere in quelli dell’amico.
“Ti piace Bakugo.”
Seguirono degli attimi di imbarazzante silenzio in cui Ashido si pentì della sua sincerità. Non voleva che il suo amico entrasse in crisi a causa sua, ma, d’altro canto, lui le aveva chiesto di essere sincera e la schiettezza era uno dei tratti che bisognava imparare ad accettare se si voleva essere amici di Mina. Kirishima, intanto, la fissava con sguardo vuoto e Ashido era sicura al cento per cento di aver toppato. O almeno, questo era quello che la ragazza pensò fino a quando il viso pietrificato di Kirishima non si aprì in un sorriso, che proseguì fino a diventare una vera e propria risata.
Mina sembrava confusa, ma una parte di lei era sollevata, più che altro perché almeno adesso era consapevole di aver evitato al ragazzo una lotta interiore, visto che non sembrava minimamente colpito dalla sua insinuazione.
“Che? Mi prendi in giro? No, no, no, no, sei fuori strada, stavolta. Siamo ottimi amici, ma niente di più. Il fatto che Bakugo non abbia altri amici oltre me non deve confonderti.” Chiarì Kirishima. Era perfettamente rilassato. Mina aveva toppato in pieno, quella volta. Certo, c’era qualcosa di diverso nel modo in cui Bakugo si comportava con lui, nel modo in cui si sentiva quando erano insieme, ma è perfettamente normale quando c'è di mezzo un’amicizia tanto consolidata, no?
“Beh, allora se non ti dispiace vado a guidare la rivoluzione delle ragazze.” Esordì Mina, alzandosi in piedi e spazzolandosi la sabbia dai pantaloncini azzurri. Kirishima alzò lo sguardo verso di lei, chiudendo un occhio e parando con una mano la luce dei faretti sulla spiaggia per vederla meglio: “Che cosa state architettando?” Domandò il ragazzo, con un sorrisetto curioso.
Mina si guardò attorno con un’aria falsamente innocente: “Segreto!” Esclamò, stringendosi nelle spalle.
Kirishima tornò con lo sguardo sul mare: “Io resto qualche altro minuto qui.” Dichiarò e Mina mormorò in assenso.
Prima di girare i tacchi, però, non poté fare a meno di lanciare un ultimo sguardo alle spalle di Kirishima. Non credeva ad una sola parola di ciò che aveva detto, ma non l’avrebbe forzato, non se neanche lui se n’era ancora reso conto.
 
“Grande Jiro!” Gridò Momo, levando il bicchiere e ricevendo un cenno felice da parte della dj, a qualche metro di distanza.
“Poco spazio alle chiacchiere.” S’intromise Hagakure. Si vedeva che l’intera faccenda stava facendo uscire il suo lato pratico. Ashido sorrise.
“Hai creato un mostro.” Commentò ilare Tsuyu e Mina annuì, come una madre fiera della sua prole, prima di scoppiare a ridere, trascinando le altre. Uraraka sembrava l’unica confusa del gruppetto. Perfino Jiro, lontana metri, sembrava più informata di lei che era lì.
“Scusate, ma di che state parlando?” Chiese infatti, generando un’altra ondata di risatine.
“Beh, vedi, il piano…” Momo fu interrotta dall’arrivo di Sero che, imbarazzato, si inserì nella conversazione. Ashido lo guardò con l'aria tipica di chi la sa lunga: “Terzo incomodo con i piccioncini?” Domandò furba, con un cenno del capo in direzione di Kaminari e Jiro. Il biondo, infatti, rideva mordicchiando la cannuccia nera del suo drink, mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo, senza, però, riuscire a trattenere un sorrisino che certamente sperava di nascondere (invano) con una battuta tagliente.
“Purtroppo è una conversazione privata.” Lo liquidò Hagakure. Il ragazzo alzò teatralmente le braccia al cielo e si allontanò come un’anima in pena, facendo ridere tutti coloro che avevano seguito lo scambio.
“Oh, amico, allora dove ti eri cacciato?” Domandò poi Sero, appoggiando un braccio sulle spalle di Aoyama e trascinandolo in direzione di Midoriya, Todoroki e Iida, sui lettini di plastica posti al lato opposto della spiaggia.
“Insomma, il piano si chiama ‘OAD’.” Spiegò pratica Ashido e, prima che Uraraka potesse chiederle spiegazioni Hagakure tradusse l’acronimo: “Operazione Accalappiamento Deku.”
Tsuyu e Momo la guardarono come a giurarle che loro, in quella storia (e soprattutto in quel titolo), non avevano avuto molta voce in capitolo: “Tranquille, non c’è bisogno. Ho già tutto sotto controllo.” Prese dopo un po’ la parola Uraraka, con una determinazione negli occhi simile a quella che aveva alla vigilia di un imminente scontro: “Ho intenzione di dirglielo in questi giorni.”
Gli sguardi che le rivolsero le ragazze (sicuramente anche quello di Hagakure) furono impagabili.
 
“Ragazzi miei, devo chiedervi un parere!” Esclamò Kaminari, poggiando le braccia sulle spalle di Sero e Kirishima, finalmente liberi di scorrazzare per la spiaggia.
Il rosso lo guardò incuriosito, ma con un sorriso furbo che gli piegava le labbra. Sero alzò gli occhi al cielo, sicuro che l’amico ne avrebbe detta una delle sue.
“Spara.”
“Che ne pensate di Jiro?” Domandò, buttando lì la domanda come se niente fosse. I tre si voltarono furtivi (o almeno così credevano) in direzione della postazione da dj.
“Suona bene.” Si limitò a rispondere Sero, con un sopracciglio alzato e una scrollata di spalle. Ma che accidenti di domanda era?
“Perché?” Rispose Kirishima, sorridendo raggiante.
“Beh, ecco, diciamo che potrei…” Mollò la presa sulle spalle degli amici, per guardarli negli occhi come se fosse stato pronto a rivelar loro le sorti della Terra: “potrei, eh, in linea teorica, intendo, non c’è niente di certo…”
“Kaminari, sputa il rospo.” Incalzò Sero, iniziando a capire.
Il biondo ridacchiò, passandosi una mano sulla nuca a disagio: “Sì, ecco, potrei avere una leggerissima cotta per Jiro.” Confessò, alzando le spalle come se, improvvisamente, le sorti della Terra non fossero più un argomento di cui valesse la pena discorrere.
Seguirono dei momenti di religioso silenzio, durante i quali la festa e la musica non si preoccuparono di adattarsi al momento, isolando così i tre ragazzi in una bolla di sorpresa. Poi Sero ruppe l’incantesimo ed i rumori e la confusione ripiombarono nelle loro orecchie d’un tratto disabituate: “Tu?”
“Una cotta?” Kirishima si accodò.
“Tu?” Ripeté Sero.
Kaminari incrociò le braccia al petto, non era facile capire dal suo sguardo se fosse offeso o divertito: “Sì, io, che c’è di male?”
Kirishima scoppiò a ridere, appoggiando un braccio sulle sue spalle e trascinandolo verso di sé: “Niente, niente, siamo solo sorpresi.”
“Perché, pensate che non abbia speranze?” Lo sguardo del biondo si riempì di speranza, mentre studiava gli occhi pensierosi dei suoi amici.
“Assolutamente no, ma è una tipa difficile.” Confessò Sero. Kirishima annuì.
“Magari prova a sondare il terreno e vedi come reagisce.” Consigliò, poi, il rosso, che non sapeva bene quale fosse la tattica giusta da adottare, ma cercò di spremersi le meningi per trovare qualcosa di utile da dire al suo amico.
“E non fare il cretino.” Lo avvertì Sero.
“Io non sono un cretino.” Si lamentò Kaminari, ma i suoi amici alzarono un sopracciglio all’unisono, prima che Kirishima alzasse una mano, in segno di resa: “Avanti, torniamo dagli altri, prima che Ashido ci veda e ci tempesti di domande.” Esclamò e Sero lo seguì. Kaminari rimase per qualche secondo indietro, cercando di decifrare i gesti dei suoi amici: “EHI, non sono un cretino!” Ripeté, poi, correndo loro dietro non appena si fu reso conto che sì, si erano appena presi gioco di lui.
 
Il resto della serata lo passarono tutti a ballare insieme, tra Todoroki che, nonostante le preghiere, aveva insistito per starsene in disparte e Bakugo, che invece, sebbene avesse protestato con quanto fiato aveva in gola, aveva dovuto rinunciare per via dell’insistenza di Kirishima, Sero, Kaminari e Ashido. Jiro poteva dirsi soddisfatta della serata, una volta tornata nella sua camera con Mina, tra qualche risata sottovoce e qualche scarpa fatta volare stancamente per terra. La sua coinquilina stava già dormendo da un po’, ma Kyoka era rimasta a fissare il soffitto, con le orecchie che ancora le ronzavano per la musica ed una strana sensazione di gioia che le correva nello stomaco. Gli occhi le si erano iniziati a chiudere per intervalli di tempo sempre maggiori, mentre il sonno iniziava a stringerla in un abbraccio caldo ed irrinunciabile.
Il ronzio della vibrazione del suo cellulare, però, la costrinse, con un sospiro, ad allungare un braccio in direzione del comodino, per afferrare a tentoni la causa di tanto baccano.
Un messaggio si stagliava solitario sulla chitarra che aveva come sfondo.
Riuscì quasi a sentire la voce di Kaminari pronunciare: “Sei stata fantastica stasera.
Una strana sensazione le invase lo stomaco. Che diavolo era? Cosa le stava succedendo? Perché le faceva così piacere? La sua confusione le diede improvvisamente fastidio e digitò velocemente, come se il cellulare scottasse, un semplice quanto tagliente: “E tu estremamente fastidioso.”
Inutile dire che se ne pentì nell’instante stesso in cui inviò. Nonostante la scarsa gentilezza, però, Kaminari rispose quasi un secondo dopo, con un gloriosissimo: “È la mia specialità”.
“Sei uno scoppiato.” Lo prese in giro lei.
Non chiamarmi così :(
Kyoka si lasciò scappare una risatina. Se qualcuno l’avesse sentita in quel momento sarebbe rimasto sorpreso e lei estremamente imbarazzata, ma nessuno sembrò accorgersi di quella reazione così spontanea e la ragazza ripose il cellulare, mentre la gioia nel suo stomaco veniva acuita dai recentissimi e incomprensibili risvolti.


Note di El: Questa settimana sono una tipa negativa. Il capitolo non mi piace e ho avuto poco tempo per rifinirlo al meglio, quindi mi scuso per eventuali errori, giuro che ce l'ho messa tutta.
Beh, bene così. Note finite.
SCHERZINOOOOO.
Quasi.
Vabbè, amici, c'è poco da dire, in fin dei conti. Siamo entrati nell'era dei capitoli lunghi!
L'inizio era familiareeeee? Tutto inizia e finisce con un messaggino assonnato :)
Kirishima è nel pieno delle sue turbe, ma anche Jiro non scherza.
Kaminari, invece, è un tipo semplice e non ci pensa due volte a raccontare le novità ai suoi amici non appena le comprende anche lui.
Aoyama misterioso as always e Midoriya che sobbalza per il contatto fisico è praticamente l'unica cosa carina di tutto ciò.
Ashidooooooooo, dallo sguardo amico. Ci vedi lungo, non è così? Acciderboli, povero Kirishima.
Bakugo banalmente dorme e urla in questo capitolo. Bene così.
Tralasciando il fatto che siete dei lettori meravigliosi a dare a questa storia più amore di quanto meriti, vi ringrazio per tutto.
Grazie anche per tutte queste dolci recensioni, impazzisco per poco.
E grazie a te, lettore silente, misterioso come Aoyama e diligente come Iida.
Ci vediamo martedì prossimo (indovinate chi sta iniziando a non avere più tanti capitoli da parte? IO, mannaggia. Per ora state tranquilli che arriverete al 15 indenni).
Adieu,

El.

 

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Capitolo 8
*** Laliophobia ***


LALIOPHOBIA
paura di parlare

 
La paura di innamorarsi non è forse già un po' d'amore?
Cesare Pavese

 


Tsuyu atterrò sulle gambe, accovacciandosi per contrastare la forza del salto e non spezzarsi la schiena per l’impatto. Trasse un respiro profondo e puntò una mano davanti a lei, per rialzarsi; poi volse lo sguardo in direzione di Midoriya, annuendo con determinazione.
Partirono all’attacco. Scariche di adrenalina verdi si aggrovigliarono a spirale sui polpacci di Midoriya e, in un battito di ciglia, Tsuyu lo vide atterrare su Sero, che attaccò alla cieca. Volarono nastri di scotch e la ragazza ne approfittò per arrestare qualunque tentativo da parte di Todoroki di mettere i bastoni fra le ruote di Midoriya. Tsuyu, infatti, schioccò la lingua, prima di indirizzarla velocissima verso il ragazzo a metà, bloccandogli il braccio a mezz’aria e costringendolo a stringere la mano e inibire il flusso di ghiaccio che era pronto a lanciare. Si girò in direzione di Tsuyu e fu tutto quello che vide prima che la ragazza, con uno strattone, lo facesse cadere dalla colonna di cemento su cui stava avvenendo lo scontro.
Prima che Tsuyu potesse esultare, però, il familiare rumore del ghiaccio che veniva evocato raggiunse le sue orecchie. Todoroki l’aveva prodotto in caduta, evitando di finire a terra e riuscendo a perdere meno centimetri di quota possibili.
“Vado io da lui, tu occupati di Sero.” Ordinò Midoriya, lanciandosi dalla colonna a sua volta e atterrando sul ghiaccio con un tonfo sordo.
“Ricevuto, cra.” Gridò di rimando Tsuyu, fiondandosi sulle spalle di Sero con un balzo.
“Serve una mano?” Domandò Uraraka, subentrando nello scontro, con Kirishima al seguito. Il ragazzo corse immediatamente ad aiutare Tsuyu, che era finita per rimanere con la lingua bloccata al cemento a causa dello scotch e adesso poteva solo contare sul corpo a corpo.
Uraraka, intanto, cercò Midoriya con lo sguardo e lo trovò appena in tempo per salvarlo dall’attacco di Todoroki, facendo fluttuare le schegge ghiacciate che correvano nella sua direzione ed affiancandolo, spalle contro spalle. Modificò la traiettoria delle spine, puntandole su Todoroki: “E loro da dove spuntano fuori?” Si lamentò l'avversario, sciogliendo con la mano sinistra le sue stesse schegge.
“Siete voi che avete perso gli alleati.” Scherzò Uraraka, radunando i detriti di cemento ammonticchiati ai piedi della colonna, reliquie dello scontro di Bakugo di quella mattina, e indirizzandoli verso il ragazzo a metà.
Midoriya, intanto, si preparava all’ennesimo attacco.
Si accovacciò, puntò il piede, pronto a scattare e fissò gli occhi in quelli guardinghi di Todoroki, ma prima che potesse muovere un solo muscolo, Uraraka gli sussurrò all’orecchio: “Oggi dobbiamo parlare.”
“EH?” Midoriya arrossì vistosamente e perse ogni barlume di concentrazione per girarsi a guardarla sconvolto.
Accadde tutto in un attimo. Todoroki caricò ed un’ondata di ghiaccio investì in pieno viso i due, facendoli crollare dalla costruzione e facendoli cadere rovinosamente a terra. Uraraka aveva appena fallito nella sua specialità: la gravità, non riuscendo a frenare in aria la caduta per via della sorpresa. Intanto Tsuyu era rimasta completamente bloccata dallo scotch di Sero. La voce di All Might risuonò possente nella struttura, annunciando che lo scontro di allenamento era appena terminato.
Kirishima si sporse confuso dalla colonna di cemento, inarcando un sopracciglio alla vista di Todoroki, sulla sua colonna di ghiaccio, con gli occhi spalancati e puntati in basso, in direzione di Uraraka e Midoriya: “Per fortuna che eravamo in maggioranza numerica.” Commentò Kirishima ridendo. Deku alzò un pollice da terra, in risposta.
 
La doccia era stata un toccasana, doveva ammetterlo. Preferiva di gran lunga un allenamento mattutino, che stirasse per bene i muscoli e lo caricasse per la giornata ed un turno al bar pomeridiano, per godersi il tramonto dalla spiaggia. Gli allenamenti pomeridiani avevano il solo risultato di stancarlo ulteriormente e fargli solo desiderare di chiudersi nella sua stanza e non uscirne mai più. Faceva un caldo infernale e Midoriya pensò che il modo più rapido per godere del refrigerio fosse uscire fuori al balconcino della camera e godersi un po’ di quella freschezza tipica delle pinete. L’asciugamano, poggiato sulle spalle, era ormai praticamente zuppo, mentre i ricordi dell’allenamento di qualche ora prima si facevano brutalmente spazio nella sua testa.
Dobbiamo parlare.
Lo sanno tutti che non c’è frase peggiore di questa! Cosa diavolo significava ‘Dobbiamo parlare’? Midoriya non sapeva davvero cosa aspettarsi da lei. Erano sempre stati ottimi amici, si erano sempre detti tutto, cosa ci poteva mai essere di tanto serio che non sapesse già? Qualcosa di così difficile da gestire da averle addirittura fatto perdere la concentrazione durante lo scontro? Midoriya iniziò a pensare a tutte le possibili cause di tanto nervosismo, senza nemmeno rendersi conto del fatto che avesse iniziato a dare voce ai suoi pensieri in forma di mormorii, come al solito.
“Magari ha deciso che tipo di eroina sarà!” Considerò: “No, non c’è nulla di segreto in questo.” Eppure da qualche parte doveva cominciare: “Magari ha litigato con qualche amica.” Eppure Midoriya la ricordava distintamente parlare fitto fitto con le ragazze, la sera precedente sulla spiaggia e doveva ammettere che, ora che ci pensava, si giravano spesso nella sua direzione.
“Oh, no.” La consapevolezza della verità lo investì in pieno viso. Lo sguardo gli si posò fisso su un ramo a caso del pino che aveva di fronte, come se ci fosse stato qualcosa di estremamente importante da tenere d’occhio su di esso: “Oh, no,” Ripetè, sconvolto, gli occhi sbarrati: “deve piacerle qualcuno.” Esalò in un sussurro, convinto che stesse semplicemente pensando e non parlando.
Sì, sicuramente Uraraka si era presa una cotta per un ragazzo e aveva scelto Midoriya come candidato perfetto per confidarsi. Avrebbe senza dubbio tenuto la bocca cucita.
Eppure la faccenda lo incuriosiva. Come si faceva effettivamente a capire di essere innamorati? Non era per niente una domanda scontata e, per rispondervi, provò a cercare di decifrare i pensieri della sua amica. Come si doveva sentire in presenza di questo misterioso ragazzo?
“Sicuramente deve trovare i suoi occhi magnetici, come se, al loro cospetto, non avesse più il pieno controllo dei suoi muscoli e delle sue azioni.” Considerò, in un mormorio indistinguibile a chiunque se non a lui. Non seppe bene perché, ma l’immagine di Todoroki sulla soglia della porta della sua stanza nella E-5 che lo salutava, qualche sera prima, gli balenò nella mente. Ripensò a come le sue gambe si fossero bloccate, a come i suoi occhi si fossero incollati ai suoi, a come ricordasse ogni pagliuzza e ogni sfumatura di colore delle sue iridi, come se le avesse avute davanti proprio in quel momento.
“Oh, senza dubbio toccarlo deve provocarle una strana scossa di calore, come se fosse nel posto giusto, nel momento giusto.” Continuò a mormorare, mentre la sua mente si riallacciava di nuovo al ricordo della sera prima, quando Todoroki aveva poggiato le mani sulle sue spalle ed un’ondata di calore aveva investito il suo corpo senza permesso, facendolo sentire come a casa.
“Sì, è così che si deve sentire.” Considerò, prima che una verità ancora più traumatizzante lo investisse come uno stormo di uccelli, inghiottiti dai motori di un aereo: “Oh mio… È così che mi sento.”
“Midoriya!” La voce di Iida si insinuò nella sua testa: “Tutto bene? Giornata stancante, eh? Io oggi…” Le parole del compagno di stanza si confusero con il canto delle cicale, nascoste tra gli alberi, invisibili. Il suo sguardo era ancora fisso su quel ramo di pino: “Mi piace Todoroki.” Mormorò. Le parole gli si formarono nette nella testa, le lettere fluttuavano inarrestabili finendo a comporre la stessa frase, ignorando tutti i suoi tentativi di rimescolarle.
“Non ti ho sentito, potresti ripetere?” Domandò gentilmente Iida.
Midoriya si voltò nella sua direzione ed incrociò lo sguardo dell’amico e la terza improvvisa rivelazione di quei minuti lo investì in pieno, di nuovo.  Sgranò gli occhi. Ma certo! Era ovvio di chi fosse innamorata Uraraka.
Midoriya ripensò a come le ragazze si voltassero di continuo nella loro direzione, la sera prima. Ecco che tutti i pezzi tornavano a posto.
“Iida! Sei tu!” Esclamò il ragazzo.
Il capoclasse si fermò, il mazzo di chiavi della stanza ancora in mano ed uno sguardo interrogativo. Midoriya tornò a dargli le spalle e si perse nei suoi ragionamenti.
 
“Il noto eroe Best Jeanist, affiancato dalla famosissima Mount Lady, dà la caccia al criminale che vedete in sovrimpressione.” La voce della giornalista riempiva la camera E-75, illuminando le mura di legno a intervalli regolari, restando la sola fonte di luce, assieme a quella fievole della lampada sul comodino. Il rumore dell’acqua della doccia che scorreva era la sua unica variante: “Pare che le indagini proseguano a meraviglia, a detta dell’eroe, che ci assicura una cattura nei prossimi giorni.” Bakugo sospirò rumorosamente e si allungò per raggiungere il telecomando, posto alla base del letto. Non appena lo ebbe agguantato, si affrettò a cambiare canale, imprecando qualcosa riguardo la ripetitività dei telegiornali. Una voce squillante e altissima pubblicizzava una soda alla fragola di bassa qualità. Grugnì frustrato, prima di lanciare il telecomando sul pavimento e tornarsene sui cuscini del letto, controllando le notifiche del cellulare. Il televisore si spense e, assieme a lui, anche lo scroscio dell’acqua.
“Tutto bene?” La voce di Kirishima risuonò ovattata attraverso la porta, un attimo prima che uscisse dal bagno, con un asciugamano in vita ed i capelli bassi, che gli negavano qualcuno dei suoi soliti centimetri. Un’ondata di fumo di condensa si riversò nella camera da letto. Bakugo alzò gli occhi sul suo amico per qualche secondo, prima di tornare a concentrarsi sul cellulare.
“Che hai fatto alla TV?” Domandò Kirishima, chinandosi per raccogliere il telecomando ed esaminandolo accuratamente, per accertarsi che non fosse rotto. Bakugo alzò ancora gli occhi dal telefono, osservando il rosso piegarsi, l’asciugamano bianco di spugna che aderiva perfettamente ai fianchi muscolosi: “Rettifico. Che ti ha fatto la TV di male?”
“Mi ha fatto girare le palle.” Borbottò il biondo, dandogli le spalle e girandosi su un fianco, distendendo le braccia davanti a sé, fino a sfiorare la testiera del letto. Kirishima gli lanciò un’occhiata divertita; poi alzò gli occhi al cielo e lasciò cadere di nuovo il telecomando a terra.
“Ottima trovata.” Lo prese in giro, sdraiandosi a sua volta sul letto, atterrando con un balzo. Il nodo sui fianchi si allentò, mentre Kirishima raccoglieva il cellulare, finito ai piedi del letto per chissà quale ragione. Bakugo, abbassò le braccia e rinunciò una volta per tutte a prestare attenzione allo schermo del telefono. Vedeva distintamente il punto in cui il bacino del suo amico si riuniva alle gambe toniche ed il fatto che l’asciugamano coprisse mollemente l’interno coscia del rosso, impedendogli di guardare oltre, sortì un effetto su di lui che non si seppe affatto spiegare. Reagì alla situazione come faceva tutte le volte che non capiva qualcosa: con l’irruenza.
“Vèstiti, capelli di merda, sei imbarazzante.” Kirishima si voltò a guardarlo, per un attimo la sorpresa vagò nei suoi occhi, poi ridacchiò, muovendo i fianchi e aiutandosi con una mano per riportare l’asciugamano a posto: “E tu non guadare.” Fu la risposta del rosso. Come se non bastasse, continuò a restare concentrato sul cellulare, il che fece andare Bakugo su tutte le furie.
“Guarda che…”
“Stasera andiamo in camera di Kaminari e Sero?” Annunciò Kirishima, con una nota di speranza nella voce. La minaccia di Bakugo vagò nell’aria per un attimo, prima di perdersi.
“Non ci penso proprio.”
“Dai! Hanno finalmente installato una playstation clandestina!” Insisté Kirishima, avvicinandosi a Bakugo per dargli una leggera gomitata amichevole nelle costole.
“Non m’importa.” Kirishima lo fissò per qualche istante, prima di stringersi nelle spalle, l’ombra di un sorriso sul viso: “Beh, vorrà dire che il prossimo ragno lo affronterai da solo.”
Bakugo gli lanciò un’occhiata carica di odio, ma poi scrollò le spalle.
“Oh, andiamo, ti prometto che torniamo presto!” Continuò Kirishima.
“Dammi una buona ragione per cui dovrei voler stare con i tuoi amichetti del cazzo. Quegli idioti non ci hanno neanche dato le lenzuola nere.” Lo incalzò Bakugo: “E poi non ho più calzini.” Aggiunse, come se fosse una scusa decisamente incontestabile.
Kirishima si alzò di scatto dal letto, gli occhi di Bakugo viaggiarono alla stessa velocità verso i fianchi del rosso per accertarsi che quell’idiota non si fosse dimenticato l’asciugamano sul letto, ovviamente, non per altro. Questi attimi di distrazione gli furono fatali. Un paio di calzini caddero dal cielo sulla sua faccia. Li raccolse con due dita per esaminarli e, dopo essersi accertato del fatto che fossero puliti, roteò gli occhi e si alzò dal letto con un grugnito.
Kirishima esultò.
 
“Benissimo, la prima fase può dirsi completa.” Considerò Ashido, mimando il gesto di una penna che scrive in aria.
“Non è che ci sia questo gran numero di fasi da completare.” Replicò Momo, alzando un sopracciglio, quasi seria.
“Oh, ci sono eccome. Dico bene, Jiro?” Mina inserì l’amica nel discorso, visto che la vedeva alle prese con il cellulare da un po’ troppo tempo, per i suoi oggettivi gusti.
Jiro, infatti, sentendosi chiamata in causa, alzò gli occhi dallo schermo per una frazione di secondo: “Tu dici tutte sciocchezze.” La prese in giro, tornando a concentrarsi sul cellulare.
“Con chi parli? Perché sei così distratta?” La interrogò Ashido, sporgendosi sul letto per sbirciare: “E tu perché sei così ficcanaso?” Rispose prontamente l’altra, con una domanda, premendo il tasto di blocco appena in tempo per impedire ai veloci occhi di Mina di correre sul display ancora acceso.
“Perché è raro vederti sorridere al telefono.” Replicò con noncuranza Ashido, per poi tornare a fissare Uraraka, davanti a lei: “Hai già in mente cosa mettere?” Le domandò, infatti.
“Aspetta, che? Non sto sorridendo!” Si lamentò Jiro, riportando l’attenzione delle amiche su di sé non senza una discreta quantità di imbarazzo, ma decisa a farsi valere al massimo.
“Invece sì. E sei anche tutta rossa.”
“CHE?” Il cellulare di Jiro trillò per l’ennesima volta. Mina alzò un sopracciglio, come ad attendere la sua prossima mossa, come a sfidarla a controllare le notifiche. Kyoka alzò il capo, tenendole testa. Riusciva ad intravedere con la vista periferica lo schermo illuminato ed un nuovo messaggio svettare sullo sfondo. Sapeva che anche solo uno sguardo le sarebbe costato caro, ma se qualcuna avesse letto il nome del mittente? Se il contenuto del messaggio fosse stato troppo ambiguo? Jiro alzò gli occhi al cielo, prima che saettassero per un secondo verso il basso, per poi tornare a fissarsi in quelli dell’amica. Troppo tardi. Ashido si lasciò andare ad una sonora risata vittoriosa: “Be’, dicevamo… Secondo me basta un po’ di questo lucidalabbra.” L’attenzione di Mina, vittoriosa, tornò completamente su Uraraka e Jiro fu libera di dedicarsi al cellulare, sbuffando sonoramente.
Mi piacerebbe sentirti suonare. Recitava il messaggio di Kaminari che le era costato tanto caro. Kyoka si guardò attorno per un attimo. Sembravano tutte concentrate su Ochaco. Si lasciò scappare un piccolo sorriso.
“Be’, buona fortuna, allora.”
“Secondo me dovresti mettere questa fascia per capelli.” Propose Hagakure.
“Oh, sì!” Convenne Mina, entusiasta.
“Cosa? No, è imbarazzante!” Si lamentò Uraraka. Non era proprio nel suo stile.
“A me piace, cra.”
“Secondo me ti sta bene.” Commentò Momo, con un sorriso incoraggiante.
“Secondo me stai benissimo.” Si unì Mina.
“Secondo me stai benissimissimo.” Trillò Hagakure, chiudendo la questione e costringendo Uraraka a farsela piacere.
“Secondo me siete due scoppiate.” S’intromise Jiro, prima di tornare con l’attenzione sul suo cellulare.
“Oh, andiamo, solo una canzone.”
“Magari una sì.” Non sapeva neanche lei perché gli stesse concedendo tutte quelle piccole vittorie, né perché non riuscisse mai davvero a dirgli di no, ma il calore che le inondava il petto ogni volta sembrava valere qualunque sua domanda senza risposta.
“Davvero?” Riusciva quasi a sentirlo, la voce sorpresa e allegra.
“Sì.”
“AAAAAH, non vedo l’ora!”
“Ehi, giovane innamorata!” la richiamò Ashido: “Abbiamo bisogno del tuo parere, qui!”
“Non aspettarti niente di che.” Digitò velocemente Jiro, prima di mettere il cellulare da parte per dedicarsi alla fase più delicata del piano.
“Fase 4…” Annunciò Hagakure, lasciando vagare lo sguardo sulle compagne, la palese eccitazione nella voce.
“Dirglielo.” Sussurrò Tsuyu, alzando lo sguardo sulla sua amica, cercando di apparire quanto più incoraggiante possibile.
Uraraka aveva l’espressione di una prigioniera prossima alla decapitazione, ma annuì con determinazione, a testa alta, decisa e sicura di sé.
“Allora vado.” Annunciò, avviandosi verso la porta, senza esitazione, nonostante la paura le intimasse ogni secondo di scappare lontanissimo da se stessa e dal mondo. Le amiche la seguirono, accerchiandola, ma senza soffocarla.
“Vai.” La incoraggiò Ashido. Momo e Jiro annuirono, come a sottolineare le sue parole.
Uraraka poggiò una mano appena umida di sudore sulla maniglia della porta, lo scatto che produsse quando la abbassò sembrava distante chilometri da lei.
“Vado.” Ripetè aprendo la porta e cercando di farsi coraggio. Uraraka si voltò e si diresse verso le scale che conducevano al piano di sotto senza girarsi verso le amiche neanche una volta. Scese i primi gradini e le altre tornarono in stanza non appena uscì dal loro campo visivo.
Tutti gli uccellini lasciano il nido, alla fine. Pensò con nostalgia Ashido, prima che un pensiero improvviso la strappasse alle sue inquietanti trasformazioni nella versione imbarazzante della nonnina dei Looney Tunes.
“NO!” Tuonò infatti all’improvviso, sgranando gli occhi e facendo sobbalzare tutte: “Ha dimenticato il lucidalabbra. Devo correre a portarglielo!” Esclamò, raccogliendo dal letto la scatolina abbandonata e dirigendosi verso la porta.
“Lascia stare.” La bloccò Hagakure con una mano sull’avanbraccio e con tono solenne.
“E ora che si fa?” Domandò Momo. Giocherellando con le punte dei capelli, un po’ a disagio.
“Vi va di vedere una playstation installata clandestinamente?” Propose Jiro, ripensando all’invito di poco prima di Kaminari.
“Che?” Chiese spiegazioni Tsuyu.
“CERTO!” Gridò Ashido, facendo scoppiare a ridere tutte.
 
Le dita di Sero e Kirishima volavano leste sui joystick della playstation e i leggeri sbuffi insoddisfatti di Bakugo risuonavano di tanto in tanto nella stanza, mentre Kaminari esultava o giudicava le mosse degli amici tifando ora per uno, ora per l’altro, ma dedicando qualche secondo di troppo anche al suo cellulare.
“Non ti azzardare a spararmi!” Gridò Kirishima, girando il volto verso Sero, senza, però, staccare gli occhi dallo schermo.
“Guarda che è questo il suo obiettivo.” Commentò Bakugo, che preferiva non perdere mai l’occasione di lasciarsi scappare un insulto da rivolgere al suo amico.
“Grazie mille…” Replicò Kirishima, assottigliando lo sguardo per concentrarsi: “ma…” Continuò, riscoprendosi pietoso nel multitasking: “perché non provi tu a battermi, visto che ti piace tanto giudicare?” Continuò facilmente, dopo aver sparato una raffica di colpi che avrebbe tenuto a bada il suo avversario per un po’ e concedendosi dunque un’occhiata in direzione del biondo. Fu in quel momento che Sero, frustrato, lasciò saettare un paio di nastri isolanti in direzione di Kirishima, incollandogli i pollici al joystick.
“Che?” Il rosso tornò a concentrarsi sul gioco, abbassando lo sguardo sulle sue mani.
“Mai abbassare la guardia.” Sero scrollò le spalle.
“Ma così non vale!” Si lamentò Kirishima, guardando sconsolato lo schermo, sul quale una cascata di proiettili si era appena abbattuta sul suo avatar, uccidendolo.
Tre colpi improvvisi alla porta costrinsero Kaminari ad alzarsi dalla sedia dalla quale seguiva la partita, non rinunciando, però, a dare la sua completa attenzione agli amici.
“Concordo. Voglio del fair play in questo…” Ma la frase gli morì in gola, quando, dopo aver aperto la porta da qualche secondo, si decise a guardare il suo nuovo ospite: “CVS…” Concluse, dimenticando totalmente la frase che aveva appena completato, privandola di ogni intonazione o precedente enfasi: “Jiro, che ci fai qui?” Un sorriso genuino si dipinse sul suo volto e gli occhi presero a brillargli.
“Ma quanto puzza questa stanza?” Domandò la ragazza, storcendo il naso. Poi si riscosse, ricordandosi il motivo della sua visita: “Ho portato qualche ospite!” Annunciò, stringendosi nelle spalle, mentre le altre compagne di classe si facevano avanti.
“Woaaaah, non ci credo, l’hai installata tu?” Domandò Ashido, facendosi spazio nella stanza proprio nel momento in cui Kirishima sferrava un colpo micidiale all’avatar di Sero.
“Diciamo che ho avuto un piccolo aiuto.” Kaminari scrollò le spalle.
“Ma certo, sei troppo stupido per farlo da solo, in effetti.” Lo prese in giro l’amica.
“Ehi!” Fece finta di offendersi il biondo, prima che Mina entrasse ridacchiando nella stanza, sfuggendo alla sua ira: “Fallo piangere, Sero.”
“Guarda che siamo amici anche io e te.” Si lamentò Kirishima, muovendo velocissimo le dita ora libere sul joystick.
“Appunto.”
“Permesso, cra.” Tsuyu entrò, guardandosi attorno sorpresa.
“Spero che non siamo di troppo disturbo.” La seguì Momo, prima che Kaminari negasse ogni sua preoccupazione, schiacciandosi sulla porta per lasciarla passare e scuotendo la testa.
“Wow…” Commentò Hagakure.
“Prego, principessa.” Scherzò Kaminari, invitando l’ultima rimasta ad entrare, con un gesto teatrale.
“Non chiamarmi così.” Replicò seria Jiro: “Piuttosto, fammi giocare una partita.”
“Nah, non mi va di umiliarti.” La ragazza inarcò un sopracciglio.
“Ti distruggo.” Rispose lei, tanto tagliente da non sembrare neanche lontanamente la Jiro miracolosamente dolce con cui stava scambiando dei messaggi fino a qualche minuto prima.
“Va bene, ma se vinco io lascerai che ti chiami ‘principessa’.”
“E se vinco io lascerai che ti chiami ‘scoppiato’.”
“Andata.”
Inutile dire che, quella sera, Kaminari guadagnò un nuovo soprannome.
 
Toc toc.
Due colpi alla porta salvarono il povero Midoriya dalle grinfie di Iida. Sull’uscio trovò, come previsto, Uraraka, evidentemente pronta a confessargli il misterioso segreto.
“Oh, ehm…” La ragazza arrossì, abbassando per un secondo lo sguardo sul petto nudo di Midoriya per poi tornare immediatamente a guardarlo negli occhi: “se sei impegnato passo dopo.”
“Ciao, Uraraka!” Salutò Iida, seduto compostamente sul letto. La ragazza gli sorrise nervosa, alzando una mano per ricambiare.
“Che?” Deku si ricordò di avere ancora un asciugamano sulle spalle ed un pantaloncino da ginnastica come unico abbigliamento: “Oh, no, aspetta…” Disse recuperando una maglietta gialla da una sedia ed infilandosela velocemente. Non voleva assolutamente far aspettare la sua amica. La presenza di Iida doveva averla appena messa a disagio: “Andiamo a farci un giro.” Concluse, salutando il compagno di stanza con una mano e richiudendosi la porta alle spalle. Qualche goccia sfuggiva ancora dai capelli bagnati, inumidendo la maglia nella fresca aria estiva.
 
“Allora? Di che volevi parlare?” Camminavano nella pineta da un po’, parlando del più e del meno ed incappando di tanto in tanto in altri blocchi di edifici, ma Uraraka pensò che fossero molto distanti tra loro e che non inquinassero troppo l’atmosfera magica del boschetto.
Midoriya sembrava estremamente a suo agio. Possibile che non avesse immaginato nulla?
“Ecco, è un po’ difficile da spiegare senza creare equivoci…” Midoriya aggrottò le sopracciglia, leggermente confuso.
“Ma no, ti basterà spiegarmelo.” Replicò semplicemente.
“Diciamo che…” Uraraka odiava tutta quell’esitazione. Era abituata a prendere una decisione e seguirla a testa alta. Quindi annuì con determinazione, mettendo finalmente un punto al suo conflitto interiore. Non c’era più tempo per i ripensamenti.
“Diciamo che c’è una persona che mi piace.” Ripetè con una sicurezza che non era neanche sicura di avere, ma che a quanto pareva era riuscita a fingere meravigliosamente.
“Mh.” Non è che Midoriya non le sembrasse attento. Più che altro pareva essere immerso in una spirale di ragionamenti che non si addicevano affatto ad una persona che stava per ricevere una notizia di cui non sapeva ancora nulla. Uraraka si avvilì: possibile che sapesse già tutto? Evidentemente si era appena persa a pensare un po’ troppo, perché il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e annuì, come ad invitarla a continuare.
“Sì, ecco…” Midoriya tornò a fissare il suolo che calpestavano: “la persona che mi piace…” Uraraka non ne poteva più. Ormai che importanza aveva la sua reazione? L’importante era dirglielo, togliersi quel peso e liberarsi di un rapporto in fin dei conti falso. Tanto che differenza faceva? A quanto pareva lui lo sapeva già.
Ecco, a proposito di questo… Perché non diceva niente? Voleva forse sentirselo dire? Voleva forse che morisse di imbarazzo? Vederla così in difficoltà lo divertiva? Era davvero così diverso da come credeva? Un moto di fastidio e rabbia improvviso superò ogni altra emozione, cancellando ogni più nascosta forma di esitazione: “La persona che mi piace sei tu.” Sputò fuori con un tono che si avvicinava più ad un insulto, uno sfogo. La voce non le sembrò neanche la sua.
Midoriya si arrestò. Tutti i pensieri in cui sembrava immerso un secondo prima si risolsero in un unico, improvviso e velocissimo sguardo attonito: “Aspetta, che?”
Tutta la rabbia scivolò via dai lineamenti contratti di Uraraka, prosciugandola da qualsiasi emozione che non fosse la stanchezza: “T-tu mi piaci, Deku.” Ripeté in un sussurro e alzò lo sguardo su di lui. Superato l’immotivato sgomento di qualche secondo, il suo volto le avrebbe rivelato finalmente la sua vera reazione.
“Io…” Quella era la faccia di un clamoroso ed imminente rifiuto. Uraraka lo vide arrivare. Eppure… Eppure c’era qualcosa, in quello sguardo colmo di sconforto e dispiacere che si avvicinava vagamente ad un’emozione che stonava totalmente con quelle che avrebbero dovuto dipingerglisi in viso.
Era paura, quella riflessa sul volto di Midoriya?
“Io…” Ripetè il ragazzo e Uraraka scosse la testa e rise piano, muovendo infastidita quella fascia improvvisamente così inutile nei suoi capelli: “Non devi per forza dire qualcosa.”
“No, tu sei fantastica e…” Lei arrossì: “io vorrei spiegarti perché…”
“Non devi giustificarti.” Lo interruppe Uraraka, scuotendo le mani.
“No, davvero io…” Midoriya alzò lo sguardo e lo puntò lontano, tra i rami che filtravano la fioca luce del tramonto. La sua amica meritava una spiegazione esaustiva.
“S-sai mantenere un segreto?” Domandò poi, arrossendo come se il turno di dichiarare qualcosa fosse, a quel punto, il suo.



Note di El: "Laliophobia" sembra una canzone.
Acciderboli, sono forse capace di creare un minimo d'attesa a fine capitolo? Ce l'ho fatta? Come dite? Miseramente? Dite bene.
Che dire?
Boh, non so, mentre lo revisionavo mi sono venute cose in mente da dire al riguardo, ma al momento non mi sovvengono. Acc...
Bakugo, occhio lesto, cosa mi combini? Guarda i cellulari, non gli uominih (ma chi voglio prendere in giro? Guarda pure).
Okay, basta parlare con i personaggi.
Come mi diverte dipingere Mina come una mamma orgogliosa che numera le fasi dei suoi piani! E povero Midoriya, che non impara a stare zitto quando pensa... La prossima volta potrebbe non andargli così bene, dico bene?
La "dichiarazione" di Uraraka è liberamente ispirata a *coff* *coff* pezzi di vita quotidiana, per così dire.
Vabbè, non mi ricordo che dovevo dire, basta prendere tempo.
Ringrazio tutti come al solito ecc ecc (no, però davvero, cari, siete gentilissimi a seguire questa barca bucata)
E grazie anche a te, lettore silente! (Mi sento molto All Might "ora tocca a te")
Alla prossima settimana!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 9
*** Pyrophobia ***


PYROPHOBIA
paura del fuoco

 
Ricordò che aveva paura di innamorarsi proprio per questo struggente dolore dell'attesa.
Orhan Pamuk

 


 

Kirishima rimpiangeva amaramente il momento in cui aveva accettato la sfida di Bakugo. La detenzione si stava rivelando un vero incubo. Passò lo straccio sulla superficie di alluminio, che riportava disgustose tracce di sugo incrostato. Storse il naso e distolse lo sguardo dalla piattaforma, limitandosi a percepire il contatto ruvido tra la macchia ed il sottile strato dello strofinaccio.
“Ehi, capelli di merda,” La voce di Bakugo risuonò chiara tra rubinetti soffocati dal calcare e piastrelle bianche: “non dimenticare la cappa.”
“Guarda che non puoi lasciare tutto a me.” Si lamentò Kirishima, scoccando l’ennesima occhiata all’orologio alla parete. Iniziava a chiedersi se fosse rotto.
“Questo pavimento è un cesso. Non mi pare che mi stia grattando la pancia.” Ruggì Bakugo, mollando il mocio all’improvviso e avvicinandosi al rosso a grandi falcate. Kirishima, però, sobbalzò non appena sentì il rumore della mazza di legno che si scontrava con la ceramica del pavimento.
“Ehi, ehi,” Si difese Kirishima, mostrando i palmi delle mani in segno di resa, mentre Bakugo lo afferrava per il colletto della camicia: “la verità è che sono stanco morto!” Si lamentò ancora il rosso e, non appena Bakugo allentò la presa, si lasciò andare ad un piccolo sfogo, scivolando sulla cucina appena lucidata e sedendosi a terra: “Non ne posso più. Non solo ci fanno lavorare e allenare, ma dobbiamo fare anche…” Kirishima si indicò, con gesti piuttosto teatrali e sconclusionati: “questo.”
Bakugo alzò gli occhi al cielo, poi sospirò, come se stesse ponderando un’idea; infine si decise a sedersi accanto a Kirishima, poggiando i gomiti sulle ginocchia e lasciando che la struttura in acciaio sostenesse il peso della sua schiena: “Guarda che è tutta colpa tua, con quelle stronzate sul bagno al tramonto.”
“Ti ricordo che anche tu non hai esitato a buttarti a mare.”
“Perché tu mi hai schizzato, idiota!” Si difese Bakugo.
“Tipo così?” Kirishima raccolse il flacone di ‘sgrassatore infallibile per superfici in metallo’ (che invece falliva eccome) poggiato sul pavimento alla sua sinistra e ne spruzzò una piccola quantità sulla camicia di Bakugo.
“MA CHE CAZZO FAI?!” Tuonò il biondo, condendo il tutto con un’esplosione che fu prontamente schivata da Kirishima, che scoppiò a ridere.
“Devo ammettere che Sato e Shoji ci stanno proprio dando dentro in questa cucina, eh?” Commentò Kirishima, non appena riuscì a riprendersi dalle risate.
Bakugo si guardò attorno, constatando che, in effetti, non importava quanto tempo passassero a pulirla, quella cucina, il giorno dopo sembrava sporca da intere settimane: “Secondo me ci meritiamo una ricompensa.” Propose Kirishima all’improvviso, lo sguardo tipico di chi sta per fare l’errore più grande della sua vita.
“Che vuoi fare?” Domandò Bakugo sospettoso, che conosceva quello sguardo e sapeva che non lasciava presagire nulla di buono.
“Aspetta qui.”

E fu così che, qualche minuto dopo, i due ragazzi si ritrovarono seduti per terra come prima, ma con un contenitore colmo di dolci avanzati dalla cena della sera prima tra le gambe.
“Se ci beccano…” Iniziò Bakugo, addentando un brownie: “ti ammazzo.” Concluse semplicemente, ma bastò a Kirishima per farlo scoppiare a ridere: “Non avevo dubbi.” Commentò, servendosi con un cupcake alla fragola.
“Comunque stasera abbiamo in mente una cosa…” Iniziò Kirishima, sondando il terreno.
“No.”
“Ma non ti ho neanche detto cosa!” Si lamentò il ragazzo, staccando stressato un altro morso del suo cupcake.
“Perché già so che sarà un’altra stronzata dei tuoi amici dementi.”
“Ehi, ma chi ti dice che sono dementi?” Inquisì Kirishima, sempre pronto a difendere Sero e Kaminari.
“Mah… non lo so,” Iniziò il biondo, fingendosi in profonda riflessione: “il fatto che siano amici tuoi, forse?”
“Ah, sì? E perché mai io sarei demente?” Lo incalzò Kirishima.
“Perché non sei capace di mangiare neanche un cupcake senza imbrattarti di crema alla fragola.” Rispose semplicemente Bakugo, con una scrollata di spalle.
“EH?”
“Proprio qui, cretino.” Ribatté il biondo, poggiando il pollice sull’angolo della bocca di Kirishima e ripulendolo della sostanza rosa e viscosa, ma indugiando qualche secondo di troppo con lo sguardo sulle sue labbra. Kirishima trattenne il respiro. Quando si era avvicinato così tanto? E, soprattutto, perché era così a disagio? Perché le mani gli sudavano e i sensi gli si intorpidivano? Gli sembrò quasi che si stessero avvicinando ogni secondo di qualche millimetro, gli sembrò quasi che…
“Avete finito?” La porta della cucina si spalancò ed il professore Aizawa si fece spazio nella stanza. Bakugo e Kirishima cercarono di nascondere le tracce e fingersi impegnati, ma ci riuscirono a malapena, in un lasso di tempo tanto breve. A dirla tutta Kirishima fu l'unico che si adoperò per insabbiare il delitto, perchè Bakugo lo osservava dall'alto come se fosse un idiota.
“Bene, bene,” Iniziò infatti il professore, con il tipico sorriso distaccato e quasi incurante: “cosa abbiamo qui?”
“Ci… Ci assicuravamo che i dolci fossero ancora buoni da mangiare.” Inventò Kirishima. Bakugo lo guardò annoiato, poi alzò gli occhi al cielo.
“Oh, in tal caso, immagino possiate continuare a rendervi utili qui, prolungando la vostra permanenza di una settimana.” Commentò, con sguardo vuoto: “D’altro canto, mi sembrate davvero dediti alla causa.”
Kirishima deglutì rumorosamente, vedendo la luce in fondo al tunnel farsi sempre più lontana ed inafferrabile: “M-ma mancavano due giorni alla fine della punizione!”
“Adesso ne mancano nove. Ripulite e uscite di qui.” Concluse duro Aizawa, prima di lasciare la stanza con i due ragazzi ancora in piedi, tesi, con lo sguardo fisso davanti a loro.
“Ti avevo avvisato;” Iniziò Bakugo, senza muovere un muscolo o spostare lo sguardo sull’amico: “scappa.”
 
“Cosa?” Uraraka era confusa. Quasi come se ad aver paura di un rifiuto, più che lei, fosse Midoriya.
“Sai mantenere un segreto?” Ripetè il ragazzo, con sguardo serio.
“S-sì.” Si limitò a rispondere Uraraka, con un filo di voce. Non ci stava capendo nulla, tanto valeva rispondere alle domande che le venivano poste con sincerità, senza cercare di leggervi chissà quale significato nascosto.
“Ecco, ultimamente ci ho pensato molto.” Iniziò, torturandosi le dita e alzando gli occhi sui pini secolari, di tanto in tanto: “E sono arrivato alla conclusione che…” Uraraka attendeva in silenzio: “che anche a me piaccia qualcuno.” Si limitò a dire Midoriya, con un filo di voce. La ragazza non capiva. Non era poco carino parlare di un’altra ragazza a lei, che era appena stata rifiutata? Tuttavia non disse una parola e rimase in ascolto; aveva capito che Midoriya non aveva ancora finito di parlare.
“E questo qualcuno è Todoroki.”
Uraraka schiuse appena le labbra, sorpresa, mentre il ragazzo alzava timidamente lo sguardo su di lei, inalberandosi un attimo dopo: “So che probabilmente ti faccio schifo,” Tutta la calma e la compostezza che aveva cercato di mantenere si sciolsero come neve al sole. Il suo tipico nervosismo si fece spazio nella voce, spezzandogli le parole ed i pensieri e facendolo tremare e sudare al tempo stesso: “è che… Non è qualcosa… Non posso controllarlo. È successo e basta e non sai cosa farei… Non sai cosa darei per farlo smettere,” Il ragazzo si prese la testa tra le mani, affondando le dita nei capelli verdi ribelli, ai quali non riusciva a dare una forma, specchio dei suoi pensieri: “per farlo stare zitto, ma proprio non ci riesco. Forse penserai che è… sbagliato, sai che… che è innaturale, ma io…”
“Va tutto bene.” Uraraka gli prese le mani e lo guardò fisso negli occhi preoccupati: “Non c’è nulla che non vada bene in te.”
Midoriya la guardò come se fosse l’unica salvezza in un mare di terrore. Le si strinse il cuore: “Davvero?” Domandò genuinamente il ragazzo. A Uraraka scappò una risata leggera: “Certo. Ascolta…” Si prese una pausa, per ponderare bene le parole: “Tu sei la persona più forte e determinata che conosca.” Midoriya sgranò gli occhi.
“Ma sei anche dolce e gentile con tutti e sono sicura che diventerai un grande eroe. Il più grande di tutti e…” A queste parole Midoriya rise piano, rendendosi conto solo allora che qualche lacrima gli bagnava la base degli occhi, bruciando in attesa di poter essere lasciata libera di scorrere sulla sua guancia: “è da superficiali pensare che sia questo a definirti e mi sorprende che uno coraggioso come te si stia davvero nascondendo così.”
“Lo so, è che…”
“E poi…” Lo interruppe Uraraka: “questo non cambierà in alcun modo quello che penso di te, perché io sono dalla tua parte. Il tuo segreto è al sicuro con me, fino a quando vorrai mantenerlo tale.”
Midoriya non resse e la abbracciò forte, facendola quasi cadere sull’erba fresca: “Grazie.” Sussurrò sincero.
“Non si ringrazia mai un’amica per essere un’amica.” Uraraka tornò a guardarlo negli occhi: “Poi, ecco…” Iniziò, alzando gli occhi al cielo: “devo ammettere che Todoroki è un gran figo e in più… spesso ti guarda per qualche secondo di troppo.”
“Ma dai…” Midoriya la guardò scettico, ridendo nervoso: “Davvero?” Chiese poi e Uraraka scoppiò a ridere, costringendolo a prendersi meno sul serio.
Fu costretta però ad ammettere, almeno a se stessa, che un sapore amaro le invadeva ormai la bocca.
 
“Okay, fate silenzio. Non dobbiamo farci scoprire.” Sussurrò Sero, voltandosi per assicurarsi che i suoi amici fossero ancora alle sue spalle, ma tutto ciò su cui posava lo sguardo sembrava essere inghiottito da un buio soffocante.
“La vedo dura, visto che avete in mente di fare un falò.” Constatò Jiro, qualche metro più in là, riuscendo a distinguere solo vagamente la forma di qualche foglia illuminata dalla luce della luna.
“Abbiamo trovato una rientranza nella spiaggia;” Spiegò Kaminari: “questo vuol dire che gli alberi bloccheranno la luce.”
“Senza contare che abbiamo fatto un gran baccano, calandoci dal balcone della camera di Todoroki e Aoyama.” Continuò imperterrita la ragazza.
“La smetti di fare la guastafeste?”
“I-io… Non voglio altra detenzione.” La voce preoccupata di Kirishima si unì alla conversazione.
“Oh, andiamo, sarà divertente.”
“La prossima volta che mi trascini da qualche parte ti faccio saltare in aria la testa.” Minacciò Bakugo, riferendosi chiaramente a Kirishima e condendo il tutto con una leggera esplosione, che, più che a scopo dimostrativo, gli servì per illuminare momentaneamente il passaggio ed evitare una radice che l’avrebbe sicuramente messo KO.
“Che novità.”
“Attento, capelli di merda,” Lo mise in guardia Bakugo: “perché oggi ho una gran voglia di farti nero.”
“La smettete, piccioncini?” S’intromise Kaminari.
“CHE CAZZO HAI DETTO, MEZZO PIKACHU?”
“Vacci piano…”
“Shh Kacchan, ho sentito un rumore di passi.” Midoriya pose fine alla conversazione, mettendo tutti in ascolto.
“Saranno i tuoi, stupido nerd.” Riprese il biondo, dopo qualche secondo di confortevole silenzio.
Per fortuna i ragazzi arrivarono indenni alla spiaggia, facendosi luce di tanto in tanto come poterono, o, nel caso di Jiro, riconoscendo gli ostacoli grazie alla riflessione delle onde sonore.
“Bene, poggiate la legna qui.” Comandò Sero, non appena si fu assicurato che quello fosse il posto giusto.
“Ora, Todoroki, potresti accendere un fuoco?” Chiese Ashido, girando il viso un po’ a caso, dato che non aveva la più pallida idea di dove fosse.
“Oh, ecco…” Il ragazzo a metà esitò: “Sì.”
“Faccio io, polacco di merda.” Una grossa esplosione incenerì metà della legna che avevano raccolto, ma, miracolosamente, il fuoco si accese, illuminando finalmente qualche viso.
“Ma perché l’ha chiamato ‘polacco’?” Domandò confuso Kaminari, alzando un sopracciglio.
“Credo sia per la bandiera.” Precisò Kirishima, confuso quanto il suo amico.
“Oh, ma certo, tutto chiaro.” Replicò ironico Sero, lasciandosi scappare una risata.
“Ma dove si è cacciato Aoyama?” Chiese Uraraka, guardandosi attorno.
“Era qui un attimo fa.” Midoriya aggrottò le sopracciglia, evidentemente confuso: "Ecco di chi dovevano essere quei passi."
“Bene, prendete posto, signori.” S’intromise Ashido, sedendosi per prima sulla sabbia e osservando gli altri fare lo stesso.
Iida, intanto, si massaggiava le tempie, cercando di calmarsi e convincersi del fatto che non ci fosse niente di male o di sbagliato nel fare qualche scorribanda notturna con i suoi amici. Poteva farcela. Cos’altro sarebbe mai potuto andare storto, d’altronde?
“Abbiamo portato qualcosa per tirarvi su.” Cominciò Sero, cacciando dalla tasca un sacchetto di plastica contenente quella che era marijuana a tutti gli effetti.
“NO!” Iida per poco non fu colpito da un fulmineo arresto cardiaco: “Come vostro capoclasse devo ricordarvi che non…”
“C’è niente di male nel rilassarsi un po’.” Continuò la frase Kaminari, circondando con un braccio le spalle larghe del ragazzo con un sorriso sornione. I compagni risero.
“Per chi non ha voglia di fumare ho qui delle…”
“ASSOLUTAMENTE NO!”
“carte da gioco…” Continuò Mina, guardando confusa il capoclasse, che trasse un sospiro di sollievo quando constatò che, in effetti, il pacchetto che Ashido tirò fuori dalla tasca conteneva un innocuo mazzo di carte francesi.
“Oh, scusa.”
“Bene, chi è il primo?” Chiese Sero, non appena ebbe finito di rollare la canna.
“Io.” Si propose Kaminari, accettando il sottile cilindro che gli stava porgendo l’amico e concedendosi un lungo tiro, prima di passarla a Jiro, seduta accanto a lui.
La ragazza esaminò l’oggetto con diffidenza, prima di scrollare le spalle e prendere una boccata di fumo. Tossì un po’, mentre Denki rideva bonario. L'occhiataccia se l'era andata praticamente a cercare.
“Oh, no, no.” Commentò Momo, passando subito la canna a Midoriya, seduto accanto a lei.
“Ehm, ecco… Non lo so, non sono sicuro che sia una buona idea.”
“Guarda che un tiro non ti fa niente.” Gli disse Kirishima, scrollando le spalle.
Deku sospirò, poi strinse gli occhi e fece un breve tiro, che non gli risparmiò comunque dei sonori colpi di tosse, ai quali si accompagnarono le immancabili battute di Bakugo che suonavano vagamente come “cretino” o “nerd di merda”. Deglutì sofferente e aprì un occhio per sondare il terreno.
Todoroki, invece, prese una lunga boccata di fumo sotto lo sguardo attonito di Midoriya: “Ehi, ehi, il ragazzo di ghiaccio si sta sciogliendo!” Lo prese in giro Mina. Todoroki non rispose, ma si lasciò cadere più comodamene sulla sabbia soffice, non appena ebbe passasto la canna alla vicina.
Tsuyu declinò l’invito, al contrario di Hagakure, che volle provare almeno una volta prima di decidere che no, non faceva decisamente per lei.
Sato e Shoji si guardarono per un attimo, prima di convenire sul fatto che non avessero alcuna voglia di cimentarsi in tale impresa, cosa su cui si trovò pienamente d’accordo anche Koda, che passò la canna, con fare preoccupato, a Ojiro.
Il ragazzo, invece, fece un tentativo con una scrollata di spalle.
Tokoyami, poi, decise che aveva già molto poco controllo del suo corpo per via di Dark Shadow e non voleva certo ritrovarsi in spiacevoli situazioni, così passò la canna a Mineta, al quale fu tolta un secondo dopo da Ashido: “Ehi!”
“Sei già un maniaco senza fumare.” Spiegò Mina prendendo un tiro e facendo scoppiare a ridere tutta la comitiva.
Kirishima era appoggiato con la schiena sulla coscia piegata di Bakugo, quando gli arrivò la canna e Ashido notò, con sua somma sorpresa, che il biondo non se l’era ancora scrollato di dosso.
“Grazie.” Sussurrò allegro Kirishima, prima di fare un tiro veloce e passare la canna a Bakugo, ma questi scosse la testa, rifiutandosi addirittura di toccarla.
“Ma dai, tu fumi sempre!” Lo prese in giro Kaminari, sporgendosi appena per studiare la reazione confusa di Bakugo, seduto oltre Sero.
“E questo che vorrebbe dire?”
“Si riferisce alla tua Unicità.” Spiegò Kirishima, ridendo.
“Andiamo, ce l’hai nel sangue! Sei nato il 20 aprile!” Continuò a scherzare Sero.
“Ma siete coglioni? Che cazzo andate blaterando?”
Kirishima scoppiò a ridere, prima di spiegare, ancora una volta: “4/20. È il numero dell’erba.”
“Ma che cazzo…”
“Non l’hai mai fatto, eh?” S’intromise Ashido. Era una banale e innocua domanda, ma era sicura che Bakugo si sarebbe messo comunque sulla difensiva.
“Ma che stronzata. Da’ qua.” Disse poi, strappando la canna dalle mani di Kirishima e facendo un tiro decisamente troppo lungo.
“No, direi di no.” Si rispose da sola Mina con una risata, non appena Bakugo iniziò a tossire, intervallando ogni colpo con un’imprecazione creativa o un insulto che finiva, inspiegabilmente, sempre diretto a Kirishima.
Bakugo porse la canna al compagno successivo senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, impegnato com’era a tossire ed ingegnarsi per trovare nuovi insulti.
Iida fissò la mano scossa dai colpi di tosse del biondo come in trance. Sapeva che non era una buona idea, aveva letto recentemente in un libro quanto il consumo di marijuana incidesse sul cervello ancora fragile di un adolescente, provocando cali di concentrazione e scatti d’ira. Aveva anche letto, però, che, in fondo, un singolo tiro non l’avrebbe ucciso, né trasformato in una Kaminari versione black out a vita.
Ma non avrebbe dato il cattivo esempio, in qualità di capoclasse?
“Lascia stare, Iida non vuole provare.” Disse Sero, sporgendosi per raccattare la sigaretta speciale, ma si fermò con la mano a mezz’aria, quando il capoclasse parlò.
“Io… In realtà…”
“Non ci credo.” Kirishima smise di prendere a cazzotti la schiena di Bakugo, tanto non lo stava aiutando a fermare i colpi di tosse, per concentrarsi su Iida.
Questi raggiunse la mano di Bakugo e si portò la canna alle labbra, traendo un tiro tremante. Il fumo gli raschiò la gola e per un secondo fu convinto di non riuscire più a respirare, ma poi il bruciore passò, lasciando posto ad un placido sorriso. Questo non l'aveva letto nel suo libro.
Si rese conto solo in quel momento di quanti nervi, fino ad un secondo prima all’erta, si stessero a quel punto concedendo il loro meritato riposo. La mente gli si liberò in un attimo e gli venne quasi naturale avvicinare la sigaretta per un secondo tiro.
“Mi raccomando, lasciacene un po’.” Scherzò Sero, strizzandogli l’occhio.
“Oh, scusate.”
Dopo circa mezz’ora e una manciata di partite a carte Sero, Kaminari, Kirishima, Iida e Todoroki sembravano aver sbloccato l’accesso ad una nuova dimensione dell’esistenza, in cui Iida gridava al mondo che avrebbe voluto far fare ad Aizawa un triplo carpiato fuori dalla finestra, ogni volta che gli impartiva nuovi ordini. Midoriya l’aveva momentaneamente raggiunto per dargli qualche piccola pacca di conforto sulle spalle, accompagnando il gesto con un ripetitivo: “Lo so, lo so, è difficile.”
Sarebbe stato anche carino da parte sua, se non avesse speso tutte le sue forze per trattenere le risate. Uraraka li osservava a debita distanza, sorridendo appena.
Fu allora che Ashido decise di infierire con una proposta a dir poco scandalosa: “Ehi, avete mai giocato ad ‘Aspira e Soffia’?” Domandò, dopo l’ennesima e noiosissima partita che Tsuyu aveva stravinto.
“Cos’è?” Domandò curiosa Momo, che non ne poteva più di giocare a carte mentre Kaminari delirava in sottofondo.
“Io ci sto.” Si intromise Sero, con fare solenne.
“Non sai nemmeno cos’è.” Lo prese in giro Kirishima, ridacchiando in modo tutt’altro che lucido.
“No, ma ci sto comunque.”
Ashido alzò gli occhi al cielo: “Ad esempio io prendo questa carta e aspiro, in modo che si attacchi alle labbra, così…” Iniziò Mina, prendendo un asso di picche e dimostrando alla classe quanto aveva appena detto: “Poi la devo soffiare sulle labbra di un’altra persona, che a sua volta dovrà aspirare per evitare che la carta cada. E se cade…” Ashido lasciò la frase a metà, regalando un’occhiata furba ai compagni in cerchio.
“Io passo, sono stanco.” Tokoyami si tirò fuori dal gioco, decidendo che per lui era arrivato il momento di tornare in stanza.
“Anche noi. Abbiamo il turno presto, domani, per la colazione.” Si unirono Sato e Shoji, assicurandosi di saper trovare la via del ritorno con un’occhiata al sentiero buio. Koda scosse la testa e le mani, facendo capire a tutti che il gioco non faceva affatto per lui.
“Chi vuole tirarsi indietro lo faccia ora.” Annunciò solenne Kaminari, con un dito alzato.
“Facciamolo col due di picche.” Propose Todoroki, senza che nessuno gli avesse chiesto di intervenire.
“Io non me lo perderei per nulla al mondo.” Mineta si sfregò le mani, pregustando la gioia della carta che avrebbe fatto accidentalmente cadere, giocando con una pulzella.
“Mina, sono valide le squalifiche?” Domandò Kaminari, lucidissimo. Ciò che lo tradì, però, fu una scossa elettrica improvvisa, che fece saltare Sero il più lontano possibile da lui: “Ehi, amico, ma che ti è preso?” Domandò, sgranando gli occhi.
“Oh, scusami, non l’ho fatto apposta.”
“Ma è… TROPPO FORTE! Rifallo!”
“Iniziamo!” Tuonò Ashido, che voleva evitare che Sero finisse abbrustolito da Kaminari prima dell’inizio del gioco. E, così dicendo, aspirò il due di picche e si avvicinò a Tsuyu. La ragazza le sorrise timida, prima che Mina la incoraggiasse con lo sguardo, come a dirle che, in fin dei conti, non stavano facendo nulla di che. Tsuyu sorrise e si avvicinò ad Ashido. Non ebbe problemi ad aspirare la carta, ma il soffio di Mina non fu precisissimo, il che provocò una cascata di “OOOOOH!” maschili, ai quali Ashido rispose con un’occhiataccia.
Tsuyu rispettò i turni, passando la carta a Uraraka. La sfida si fece complicata quando si trattò di passare il due di picche a Hagakure, ma Ochaco riuscì a superare l’ardua impresa, sotto gli occhi attoniti di tutti.
I primi problemi arrivarono quando la carta cadde per la prima volta, a causa di una scarsa coordinazione tra Ojiro e Hagakure.
“Ah! Scusa!” Il ragazzo sgranò gli occhi, rompendo subito quel contatto.
“Ehm… Ma no, fa niente.” Hagakure lo rassicurò, poggiandogli una mano sulla spalla, con fare amichevole. Ojiro arrossì violentemente e si affrettò a riaspirare la carta e passarla a Kirishima, saltando bellamente Mineta.
“Tanto non è voi che voglio baciare.” Si difese il ragazzo, quando notò che era stato rifiutato da Ojiro, il quale se ne stava, adesso che era certo di non avere più i riflettori puntati addosso, con un sorrisetto confuso dipinto in viso. Se qualcuno fosse piombato lì dal nulla avrebbe detto che il meno lucido, in quel cerchio, era senza dubbio lui.
“Sei fatto.” Constatò Bakugo, quando Kirishima si voltò verso di lui, un braccio mezzo indurito senza un motivo valido che non fosse strettamente legato all'assunzione di sostanze stupefacenti. Il rosso alzò gli occhi al cielo; se avesse potuto parlare avrebbe sicuramente esordito con un ironico: 'Ma davvero?'
“Intendo che se la fai cadere ti faccio saltare in aria la testa.” Kirishima alzò ancora una volta gli occhi al cielo, ma in modo decisamente più esasperato e plateale. Bakugo sospirò, poi avvicinò il viso al suo, mantenendo comunque una certa distanza col resto del corpo. Kirishima si guardò attorno, come a cercare sostegno nei volti divertiti dei suoi amici, poi si portò le mani alla bocca e staccò la carta: “Ma sei serio? Devo mandarti un piccione viaggiatore?”
“Se la fai cadere…” Ripetè Bakugo.
“Sì, mi fai saltare in aria la testa, ho capito.” Lo prese in giro Kirishima: “Aspira.” Comandò e, con un movimento fluido riportò la carta alla bocca, portò una mano alla nuca di Bakugo e lo avvicinò a sé, soffiando infine la carta. Il biondo ebbe troppo poco tempo per elaborare l’ordine e aspirò decisamente in ritardo.
Un angolo delle sue labbra collise con quelle di Kirishima e Bakugo si allontanò di scatto, facendo cadere la carta.
Nacque, com’era prevedibile, un’accesa discussione di cui Sero si proclamò giudice. La questione girava attorno alla caccia del vero responsabile della vicenda, perché Bakugo sosteneva di sentirsi violato.
“Ma non fanno prima a baciarsi?” Domandò Todoroki ad Ashido. Ormai era praticamente stravaccato sulla sabbia e chiunque avrebbe potuto dire che non era affatto abituato a fumare.
“Sono giorni che dico la stessa cosa.” Replicò la ragazza con una scrollata di spalle, certa del fatto che il ragazzo a metà avrebbe dimenticato quella conversazione nel giro di qualche secondo.
Il gioco proseguì più o meno tranquillamente, finchè la carta non arrivò a Kaminari. Era da un po’ che il ragazzo non stava dimostrando di reggere troppo bene questo genere di sostanze, ma nessuno si sarebbe aspettato che una semplice canna sarebbe bastata a renderlo una sorta di sfrontato don Giovanni. Il biondo, infatti, senza batter ciglio, si avvicinò alle labbra di Jiro come da programma, ma quando fu troppo vicina perché avesse anche solo il tempo di capire cosa Kaminari avesse in mente, lui soffiò la carta di lato e si piegò sulle sue labbra, rubandole un bacio veloce, tra gli Ooooh sorpresi degli spettatori. Jiro sgranò gli occhi dalla sorpresa e si prese qualche attimo per registrare l’accaduto. Esitò qualche secondo, quasi rispondendo al bacio, ma poi realizzò che Kaminari era totalmente andato e, a conferma di ciò, una serie di scariche elettriche di intensità sempre maggiore minacciarono l’incolumità della ragazza.
Jiro si allontanò delusa, attenta a non farlo notare troppo dal suo sguardo, ma gli occhi rilfettevano indubbiamente una luce delusa.
Poi si reimpossessò della carta e la passò a Momo. Accadde tutto troppo velocemente: la distrazione le giocò un brutto scherzo, la carta cadde ed il terzo bacio della serata sancì una nuova coppia.
Momo rise allo sguardo sorpreso di Jiro. Kyoka non ne aveva per nulla voglia, era ancora scossa dal bacio con Kaminari, ma rise a sua volta, per non destare sospetti.
Per fortuna, il passaggio tra Momo e Midoriya passò liscio come l’olio.
Uno strano strato di ghiaccio, però, ricopriva il braccio destro di Todoroki, che cercò di mettersi dritto come meglio poté, sporgendosi appena con il collo per ricevere la carta. Midoriya aggrottò le sopracciglia, alla vista del sorriso furbo di Todoroki.
Scosse la testa, come a chiedergli a cosa fosse dovuto, ma lui scrollò le spalle e lo invitò con un cenno del capo ad avvicinarsi. Solo quando fu sicuro che Deku fosse l’unico a poterlo sentire gli sussurrò sulle labbra: “E se la facessi cadere?” Lo sguardo un po’ perso per via dell’erba, ma vispo abbastanza da sapere cosa stava dicendo e soprattutto a chi.
Midoriya sgranò gli occhi e per poco non fece cadere il due di picche dalla sorpresa.
Doveva essere più fatto di quello che credeva. Si avvicinò tremante e trattenne il fiato quando Todoroki aspirò per impossessarsi della carta.
Il passaggio fu pulito e senza intoppi e Shoto si girò verso Ashido, senza batter ciglio, pronto a ricominciare il giro.
Midoriya rimase lì, come un pesce lesso, a guardare la sua nuca bicolore, come se questa avesse potuto dargli più spiegazioni della sua gemella anteriore.
Prima che Mina potesse ripartire, però, Jiro sorprese tutti, alzandosi in piedi con un sospiro: “Io sono troppo stanca. Vado a dormire. Ti lascio le chiavi sotto lo zerbino.” Annunciò infatti, con un piccolo sbadiglio e riferendosi direttamente a Mina, nell’ultima parte della frase.
“Ma no, dai!” Si lamentò Ashido, liberandosi momentaneamente della carta, ma l’amica non sembrava disposta a scendere a compromessi.
Infatti Jiro scosse la testa e si avviò mesta verso le stanze. Kaminari la osservò allontanarsi finchè gli alberi glielo consentirono.
“Vado anch’io.” Si aggiunse inaspettatamente Todoroki, alzandosi in piedi a sua volta e spazzolandosi i vestiti per scrollarsi di dosso la sabbia. Fallì miseramente, però, per colpa di un improvviso (e assolutamente sorprendente, nella sua condizione) giramento di testa.
Midoriya ebbe i riflessi pronti e riuscì a sorreggerlo… in qualche modo.
Deku non seppe bene come accadde, ma l’ennesima sorpresa della giornata si affacciò alla sua realtà, mettendo a dura prova i suoi poveri nervi: “Mi accompagni?” Gli sussurrò infatti Todoroki, che da quella posizione aveva facile accesso al suo orecchio, poi lanciò una velocissima occhiata in direzione di Uraraka, che li osservava in silenzio. Il tono era abbastanza indecifrabile. O, almeno, lo fu per i primi venti secondi in cui Midoriya registrò le sue parole.
Dopodiché ne fu certo: era suadente.
Midoriya deglutì a vuoto e non riuscì a fare altro che annuire terrorizzato. Da cosa, poi, a nessuno dei presenti al falò fu chiaro.


Note di El: Questo lo chiamiamo il capitolo dei clichè (olè!)
Pensavate che mi fossi dimenticata della scena di Uraraka e Midoriya eeeeeeh?
Invece no, ma prima dovevano avere un po' di spazio Kirishima e Bakugo. Altri nove fantastici giorni di punizione li attendono e altri nove fantastici (magari) capitoli avete letto, ormai (e solo altri 6 mi restano di copertura. A I U T O !)
Il falò è già abbastanza trash di suo.
La canna pure.
Il gioco anche di più.
Dai, me lo dico da sola, vi risparmio tempo. Almeno non hanno giocato a obbligo o verità! Che passo avanti, signori, che novità che porto!
Niente, le Unicità fuori controllo per il fumo e Todoroki mi dà subito la scusa per essere OOC.
Vi rendete conto di quanto sarebbe più facile se Todoroki non fosse com'è? Beh, immagino perderebbe tutto il senso! La smetto di lamentarmi. Li amiamo per questo.
Non ho più nulla da dire (tranne che ho amato scrivere di Todoroki che dice a Mina "Ma non fanno prima a baciarsi?" Mi diverto con pochissimo)

Allora? Sono riuscita a far passare inosservato il fatto che è mercoledì e ho aggiornato oggi?
Come? L'ho appena fatto notare?
ALLA PROSSIMA!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 10
*** Achluophobia ***


ACHLUOPHOBIA

paura del buio


 

Non ho paura delle tempeste, perché sto imparando a guidare la mia nave.
Louisa May Alcott





Il tempo sembrò dilatarsi agli occhi di Ashido, mentre l’oggetto scivolava via dalle mani del suo compagno di classe, giù, nell’oblio, nelle tenebre della notte. Fu nell’arco di quei pochi millisecondi che non poté che domandarsi come diavolo avesse fatto a finire in quella situazione. E, purtroppo per lei, sapeva benissimo come era accaduto.

Il tragitto per arrivare al tugurio si stava rivelando più insidioso del previso, soprattutto se si considerava il fatto che la sabbia non offrisse una superficie stabile e sicura per uno che barcollava.
“Ehi, Todoroki, ti dispiacerebbe farmi un po’ di luce?” Domandò cauto Midoriya, rinforzando la presa sul fianco del compagno.
Da quando avevano superato il piccolo golfo che avevano scelto come rifugio la luce del falò era stata bloccata da una manciata di alberi che, se prima rappresentavano la loro copertura, ora rappresentavano a tutti gli effetti la seccatura di Midoriya.
Todoroki annuì impercettibilmente e si lasciò scappare una fiammella tra le dita, illuminando fiocamente la sabbia umida di sera.
“Vuoi vedere un’altra cosa che so fare con la mia Unicità?” Propose il ragazzo a metà.
Ecco, arrivato a quel punto della serata se Midoriya aveva ancora qualche dubbio sulla sua presunta cotta, adesso Todoroki glieli stava gentilmente risolvendo tutti. Le parole del ragazzo, infatti, oltre che essere estremamente equivoche, venivano anche spesso e volentieri pronunciate con un tono tutt’altro che ingenuo e le gambe di Midoriya tremavano ogni volta che la sua voce si abbassava di qualche tono.
“Forse è meglio se non…”
“Tranquillo, ce la faccio.” Lo interruppe Todoroki, liberandosi dalla sua presa e avvicinandosi a passo ciondolante al mare, per poi chinarsi e mettere una mano a mollo.
“Ma che stai facendo?” Domandò confusissimo Midoriya, quando vide che l’amico stava letteralmente assaggiando l’acqua.
“Non è molto salato.” Constatò Todoroki, illuminandosi ancora la mano. Midoriya notò che aveva gli occhi rossi quando lo guardò e il contrasto che faceva con il turchese acceso di quello sinistro era strabiliante: “Il mare, intendo.”
“M-mi fa piacere per lui.” Rispose in imbarazzo Deku, conscio del fatto che, a quel punto, non aveva senso essere ragionevoli.
“No,” Todoroki ridacchiò, voltandosi verso l’amico, che era ancora in piedi. Midoriya per poco non svenne: lo sguardo che gli regalò era così puro che gli fece venir voglia di piangere: “intendo che, in questo caso, posso fare una cosa.” Continuò il ragazzo a metà, che sembrava non essersi accorto del tumulto di emozioni che si agitavano nel giovane animo di Midoriya.
“Oh, ma certo.” Replicò lui, sentendosi, tra i due, quello che più aveva perso la testa.
E ne fu pienamente certo quando Todoroki eseguì una magia in piena regola davanti ai suoi occhi.
“La salinità…” Cominciò a spiegare Shoto, poggiando una mano sulla superficie dell’acqua: “è inversamente proporzionale alla temperatura di congelamento.” Concluse ed un sottile strato di ghiaccio si formò sull’acqua.
“In parole povere, meno sale c’è…”
“Più sarà facile congelare l’acqua, ma certo!” Concluse per lui Midoriya. Ed eccolo di nuovo: Todoroki gli regalò l’ennesimo sorriso spensierato. Perché non ne faceva mai di così sinceri quando era lucido?
“Che te ne pare?” Domandò Todoroki, dopo aver congelato già un metro d’acqua davanti a lui.
“Mi piace tantissimo!”
“Allora testiamolo.” Propose con leggerezza lui, poggiando un piede sull’acqua, continuando a ghiacciarne altra attorno a sé.
“Cosa? No!” Gridò Midoriya, ma era troppo tardi. Todoroki l’aveva già afferrato per i polsi e l’aveva trascinato sul ghiaccio.
Deku guardava con orrore lo strato gelato che aveva tutta l’aria di essere decisamente troppo fragile, ma Todoroki non sembrava preoccupato e Midoriya era stanco di pensare sempre così tanto.
Era con lui. Erano insieme e tutto quello che voleva era godersi il momento. Midoriya alzò esitando gli occhi sul viso di Todoroki, che gli teneva ancora le mani, e non poté fare altro che sorridere, quando incontrò il suo sguardo.
“È divertente.” Si ritrovò costretto ad ammettere.
“Vero?” Domandò Todoroki, con una curiosità quasi infantile. Midoriya annuì.
“L’ho sempre voluto fare, ma… Non lo so, mi sembrava da stupidi.” Todoroki sorrise e scosse la testa e Deku trovò che ci fosse una quantità di tristezza immane in quel sorriso accennato. Avrebbe tanto voluto vederlo sempre così... debole: “Ci sono così tante cose che vorrei fare.”
Una strana tensione si diffuse nell’aria. Midoriya si sentì quasi elettrico: “E allora falle.”
Todoroki fissò lo sguardo nel suo, penetrante. Midoriya ebbe paura che potesse leggere le sue emozioni, vedere i suoi pensieri, ma non gli importava. Dovevano essersi avvicinati ogni secondo di più perché adesso sentiva il suo soffio caldo sulle labbra e gli sembrava impossibile.
E infine accadde. Midoriya, d’altro canto, se lo aspettava da tempo.
Il ghiaccio si crepò ed un secondo dopo i due ragazzi caddero nell’acqua con un sonoro splash. Ci fu un attimo di silenzio, in cui constatarono che, sì, erano già fradici, ma poi non ressero e scoppiarono a ridere contemporaneamente.
“Io te l’avevo detto!” Riuscì a stento a dire Midoriya, tra una risata e l’altra.
“Mi sono distratto!” Provò a giustificarsi Todoroki: “Stai sciogliendo il mio ghiaccio.” Aggiunse il ragazzo con leggerezza, uscendo dall’acqua e spazzolandosi invano i vestiti fradici.
“Che… Che cosa hai detto?” Esalò Midoriya, attento a non farsi sentire e ancora in acqua.
“Esci da lì? Credevo che qui fossi tu l’adulto responsabile.”
“Cosa? Oh, sì, arrivo!” Si riscosse Midoriya, uscendo dall’acqua rapidamente: “Scusa.” Aggiunse, come se davvero avesse avuto bisogno di dirlo.
 
Tutto era iniziato un paio d’ore prima, quando Mina aveva visto Todoroki e Midoriya abbandonare la spiaggia. Non era certo a causa loro che adesso guardava sconsolata il punto in cui se ne erano andati, ma piuttosto per via di Jiro, che aveva preso quella strada una manciata di secondi prima di loro.
Ashido, infatti, era tantissime cose, ma non era stupida. Aveva capito che l’umore della sua compagna di stanza si era incrinato in seguito al bacio con Kaminari e, per quanto lei negasse di provare qualsiasi sentimento nei confronti del biondo, era ovvio, limpido e cristallino che ci fosse qualcosa di grosso in ballo.
Improvvisamente si sentì svuotata di qualsiasi voglia di fare. Non aveva alcun senso giocare, se poi nessuno si divertiva.
“Andiamo avanti?” La incitò Hagakure, riportandola sulla Terra e facendola uscire dalla bolla di pensieri che la teneva ancorata con lo sguardo ad un punto indeterminato della spiaggia, con il due di picche ancora tra le mani.
“Scusate, ragazzi, ma neanch’io ho più voglia di giocare.” Esalò la ragazza.
“Sì, tanto questo gioco faceva schifo comunque.” Si lamentò Mineta, alzandosi e spazzolandosi i vestiti con gesti secchi e irritati.
“Mi rimangio tutto. È stata una pessima idea.” Iida sentiva la testa vorticare e non riusciva a reggersi in piedi.
“Mi occupo io di lui,” Annunciò Hagakure, sorreggendo il capoclasse: “tu va’ da Jiro.” Aggiunse la ragazza, sottovoce, facendo in modo che solo Ashido potesse sentirla. Mina fu investita da un’ondata di affetto nei confronti dell’amica e le regalò uno sguardo carico di gratitudine per aver capito, senza bisogno di parole.
“Sto volando?” Si chiese confuso Iida, sorretto da mani invisibili.
“Ti do una mano.” Si aggiunse Ojiro.
“Davvero? Cioè… ehm… Grazie.” Si affrettò a rispondere Hagakure.
“Oh, ecco…” Ojiro arrossì violentemente: “Figurati.”
Ashido osservò, con un sorriso consapevole, i due allontanarsi, seguiti da Tsuyu, Uraraka e Momo, che cercavano di scrollarsi di dosso Mineta. Il ragazzo, infatti, voleva approfittare del buio per allungare le mani. Purtroppo per loro, ahimè, non c’era Todoroki a fare luce e Momo, per la disperazione, fu costretta a usare tutte le forze che le restavano dall’allentamento giornaliero per evocare una torcia rudimentale.
Mina finì di raccogliere le carte e salutò velocemente gli ultimi rimasti, imboccando la strada per tornare alle camere. Una mano si poggiò però sulla sua spalla, impedendole di proseguire.
“Posso parlarti?” Domandò Kirishima, la luce del falò, qualche metro più in là, proiettava ombre lunghe sul suo viso, del quale la ragazza riuscì a stento a riconoscere i lineamenti. L’indecisione vagò per qualche attimo nei suoi occhi. Avrebbe voluto correre da Jiro, ma anche con una così scarsa fonte di luce riuscì a vedere l’indecisione e la vergogna oscurare gli occhi tristi dell’amico.
Sospirò. Avrebbe sicuramente trovato Jiro sveglia, al suo ritorno e, conoscendola, in quel momento le avrebbe comunque chiesto un po’ di tempo da sola.
“Va bene.” Esalò, con un sospiro: “Ma allontaniamoci un po’.”
E, così dicendo, lo trascinò al buio sotto un albero sulla strada di casa.
 
“Io vi precedo. Devo fare una cosa.” Annunciò Kaminari, barcollando e allontanandosi dal falò senza degnare i due rimasti seduti di uno sguardo.
Sero e Bakugo guardavano fisso davanti a loro, i volti contratti in una smorfia di regale calma e pacatezza che celava emozioni tutt’altro che calme e pacate. Poi si decisero a voltarsi l’uno verso l’altro.
“Beh, allora torniamo?” Propose Sero, con falsa disinvoltura.
“Se apri ancora bocca ti…”
“Sì, mi fai saltare in aria la testa, eh?” Lo interruppe Sero, con un sorriso sornione che non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgere a Bakugo se non fosse stato per l’effetto della marijuana.
“No, quello è un trattamento che riservo solo a Kirishima.”
“Che carini.” Commentò l’altro, alzandosi e dirigendosi verso il viale di sabbia buio.
“Che cazzo hai detto?” Gli urlò dietro Bakugo: “Almeno vieni a spegnere questo cazzo di fuoco!” Si lamentò ancora il biondo, quando il compagno lo ignorò.
Sero si voltò verso di lui: “Come si dice?”
Bakugo lo fissò. Era uno sguardo di sfida. Spaventoso, sì, ma di sfida. Sero raccolse tutto il coraggio che il suo esile corpo fatto gli riuscì ad offrire e sostenne il suo sguardo come se ne fosse valso della sua vita, o peggio, della sua reputazione. Seguirono dei secondi interminabili, il fuoco scoppiettante come unico suono a squarciare quello che altrimenti sarebbe stato un silenzio assordante. Poi un singolo pensiero attraversò la mente di Bakugo, come un dardo: Inutile ragionare con uno nelle sue condizioni. Tanto domani se lo dimenticherà.
“Per favore.” Esalò infine, con un tono che rasentava più quello di una minaccia.
“Non ho capito.” Scherzò Sero, con un sorriso divertito.
“Vieni qua o giuro che ti ammazzo.”
“Okay.” Concesse il ragazzo, spaventato a morte dall’ultima affermazione di Bakugo.
 
Jiro sbatté furiosa la porta della camera E-77 e prese a fare avanti e indietro come se una forza oscura si fosse impadronita della sua mente, impedendole di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse la sua rabbia. Alzò lo sguardo sulla finestra, le veneziane davano filo da torcere al passaggio della luce lunare, che risultava essere spezzata da sottili striscioline d’ombra.
Jiro si impose di regolare il respiro e di darsi un contegno. Non importava che fosse sola, non voleva farsi vedere così fragile neanche davanti al suo stesso sguardo. Trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Una parte di lei si chiese se tutta quella rabbia, più che essere indirizzata verso Kaminari, non fosse invece causata dalla sua indecisione, o meglio, dalla crescente e sempre più confermata paura che lui le piacesse sul serio.
In quel momento arrovellarsi su simili questioni era l’ultimo dei suoi desideri, ma non era neanche sicura che sarebbe stata capace di addormentarsi in quelle condizioni, quindi fece ricorso alla sola cosa da sempre in grado di farla stare bene: la musica.
Estrasse la chitarra dalla custodia e si beò della sensazione ruvida delle dita che scontravano con le corde. Sospirò e suonò un paio di accordi. Un sorriso rilassato le comparve sul viso.
A rovinare la perfetta atmosfera furono un paio di colpi secchi alla porta, che la riscossero dallo stato di tranquillo intorpidimento in cui era consapevolmente piombata.
“Avanti.” Rispose annoiata, certa del fatto che Ashido fosse venuta a parlarle, ma un colpo di tosse conosciuto la costrinse a ricredersi sull’identità del suo visitatore.
“Ehm… ciao.” La salutò Kaminari, la testa che sbucava dalla fessura aperta della porta.
“Che c’è?” Gli domandò lei, cercando di mostrarsi quanto più indifferente possibile. Anche solo arrabbiarsi avrebbe tradito un qualche tipo di emozione.
“Ecco, io…” Kaminari sembrò pensare alla frase che stava per pronunciare e poi sembrò anche cambiare idea: “Non mi avevi promesso di farmi sentire qualcosa?” Disse invece, facendo cadere lo sguardo sulla chitarra, con una nota di speranza nella voce.
“Non stasera.” Sospirò esausta la ragazza, poggiando lo strumento sul letto e stringendosi nelle spalle.
“Mi metto in un angolo e ti ascolto.” Tentò ancora lui, con un sopracciglio alzato. Era divertito, ma non sbeffeggiante.
“È tardi, Kaminari, va’ a dormire.” Lo congedò lei, in tono triste, consapevole del fatto che, per quanto si stesse visibilmente sforzando, non fosse ancora in condizioni mentali adeguate per fare qualsiasi cosa che non fosse dormire o ridere stupidamente.
“Mi prometti che domani mi suoni qualcosa?”
“Va’ a dormire.” Ripeté lei, adesso fredda e sicura.
Kaminari percepì tutto il gelo nella sua voce.
“Anche solo ‘tanti auguri a te’?”
Jiro rise. Non seppe bene se per puro divertimento o per nervosismo. “Solo ‘tanti auguri a te’.” Concesse, sicura del fatto che il giorno successivo lui avrebbe dimenticato quella promessa. Kamianrì annuì soddisfatto, poi le diede la buonanotte e richiuse la porta.
Jiro sospirò e decise di mettere a tacere qualunque istinto che le intimasse di correre da lui e qualunque pensiero che la incitasse a fare i conti con i suoi sentimenti. Afferrò di nuovo la chitarra e le note di una versione malinconica di ‘tanti auguri a te’ riempirono la stanza, senza che se ne rendesse davvero conto.
Kaminari, con un orecchio incollato alla porta, sorrise raggiante.
 
“Io sono un po’ fatto.” Ridacchiò Kirishima, sedendosi scompostamente accanto ad Ashido. Per poco non le cadde addosso.
“Lo vedo.” Replicò seccata la ragazza, che aveva paura che fosse troppo andato per riuscire ad elaborare qualunque pensiero di senso compiuto.
“Bene, bene, bene, bene.” Esordì il ragazzo.
Ashido non resse e ridacchiò: gli voleva troppo bene, in fin dei conti: “Bene.” Scherzò la ragazza.
“Bene.” Ripeté lui, ma questa volta il suo tono era decisamente più teso e… serio?
“Io… Credo di aver capito una cosa mooolto importante.” Iniziò il ragazzo, la voce stanca e spezzata.
“Buon per te.”
“Ecco… Rimarresti sorpresa se ti dicessi che potrei…” Iniziò Kirishima, esitando e prendendosi strane pause: “Sì, beh, ecco, che potrei… in linea teorica…” Ci stava decisamente mettendo troppo, per i gusti di Mina: “essermipresounacottamegagalatticaperBakugo?” Sputò fuori il ragazzo tutto d’un fiato.
“Sì, rimarrei sorpresissima.” Esordì Ashido, senza esitare neanche un secondo.
“Beh, allora credo rimarrai sorpresa del fatto che mi sono preso una cotta megagalattica per Bakugo.” Confessò Kirishima, con tono solenne. Mina non lo vedeva al buio, ma era certa che avesse alzato un dito con fare austero.
“Ero ironica.” Lo rassicurò la ragazza, ridacchiando.
“Cosa? Lo sapevi?”
“Certo che no, ma non c’è comunque da stupirsi.” Ashido scrollò le spalle.
“Che vuoi dire?”
“Ecco… Non so come dirtelo, ma…” Mina si sentì un po’ a disagio, d’un tratto: “Diciamo che è da un po’ che ho la sensazione che si rendano conto tutti di quanto il vostro rapporto sia… singolare, ma manchiate solo voi a notarlo.”
“Oh.” Kirishima annuì, come a metabolizzare la notizia: “Ma l’hai visto, no? A me non sembra che lui sia, ecco… interessato a me in quel senso.”
“Ecco, parlando di questo...” Kirishima percepì un movimento: Ashido si era certamente voltata nella sua direzione, come se avesse voluto guardarlo negli occhi: “ma perché, tra tutti, proprio Bakugo?” Domandò la ragazza, un attimo prima di scoppiare a ridere, trascinando anche Kirishima nelle risate.
“Guarda che non è così male.”
“Oh, sono sicura che quando non urla, non ti insulta e non ti fa saltare in aria dev’essere una gran bella persona.” Replicò ironica Ashido. Kirishima ridacchiò.
“Davvero, non è così male. Si preoccupa, è intelligente e gli insulti fanno parte del suo fascino.”
“Se lo dici tu…”
Passò qualche minuto di rilassato silenzio. Erano al buio, senza fiatare, eppure Kirishima si sentì pienamente a suo agio con lei. E se ne rendeva conto solo in quel momento.
Ora che una tensione invisibile che da qualche giorno vagava fra loro due si era appena frantumata, grazie alla semplicità di una risata. Sentì che un macigno che non aveva notato neanche lui depositarsi lentamente sul suo petto, si era appena dissolto in una nuvola di rilassatezza.
Sorrise.
“Senti…” Riprese Ashido, con un po’ di nervosismo nella voce. Kirishima si agitò. Forse lei non la pensava come lui? “Hai intenzione di dirlo agli altri?”
“Chi sono gli altri?” Kirishima lo sapeva benissimo chi erano gli altri, ma sentì l’urgenza di prendere tempo. Ashido doveva essersene accorta, perché rispose con pazienza e dolcezza: “Kaminari e Sero.”
Già, Kaminari e Sero. Un conto era dirlo ad Ashido (e c’erano voluti giorni di conflitto interiore ed una bella dose di erba, per sputare il rospo), ma dirlo a Kaminari e Sero era tutta un’altra storia. Cos’avrebbe dovuto fare? Urlare all’improvviso: ‘Ehi, mi piacciono i ragazzi, ma, tranquilli, ho occhi solo per Bakugo’? Era fuori discussione e la loro reazione lo terrorizzava.
“Certo che sì. Lo farò prestissimo. So già quando.” Dammi solo il tempo di prenotare una bara ed una band rock che suoni al mio funerale, ma questo pensiero preferì non esternarlo.
Il suo tono non doveva essere stato disinvolto come avrebbe voluto, perché Mina replicò con la voce di una che, invece, aveva capito proprio tutto: “Non voglio pressarti, ma… Che ne diresti di farlo dopo lo scherzo?”
Kirishima annuì, poi si ricordò che Ashido non poteva vederlo: “Va bene.” Esalò. Avrebbe voluto usare un tono deciso, quasi militare, ma tutto ciò che riuscì a conquistare fu uno squittio spaventato.
Oh, no, questo non era stato affatto virile.
Si maledisse.
 
“Shhh.” Uraraka si arrestò di colpo, costringendo anche gli altri a fermarsi. Adesso il buio li avvolgeva e non avevano più il rumore dei loro passi sulla sabbia a tener loro compagnia.
Momo ebbe paura.
“Che cos’è stato?” Domandò Ojiro dopo qualche secondo. Le ragazze lo stavano aiutando, ma sorreggere Iida per lo più da solo si stava rivelando un compito più difficile del previsto.
“Non ne ho idea, ma proveniva dal mare.” Esalò Uraraka. Le tremavano le ginocchia dalla paura. Avevano affrontato supercriminali e creature terrificanti, eppure quello scenario buio e tetro era degno di un film horror.
“Bene, voi rimanete pure qui a scovare i cattivoni, io me la squaglio.” Disse Mineta.
Ojiro si era quasi dimenticato della sua presenza. Il che era tutto dire, considerato che tra loro c’era una ragazza invisibile che notava comunque più di lui.
“Che si fa?” Domandò Momo, non appena Mineta se ne fu andato.
“Odio doverlo dire, ma forse dovremmo seguire l’esempio di Mienta e…”
Delle voci costrinsero Uraraka ad interrompersi, poi una fiammella diede un’improvvisa speranza al gruppo: “Aspettate, ma quelli sono…”
“Todoroki, Deku!” Gridò Uraraka, correndo verso il punto in cui aveva visto il fuoco qualche secondo prima. Gli altri non poterono far altro che seguirla.
Al suono di quelle parole, un’altra fiammella, decisamente più grande, si accese nelle mani di Todoroki, che si accigliò: “Che ci fate qui?”
“Accompagniamo Iida in stanza.”
“Oh mio Dio, sta bene? Gli avete dato un po’ d’acqua? Forse dovrebbe…” Ecco, a questo punto c’era una sola cosa che si poteva fare, quando Midoriya si preoccupava fino a quel punto: “Ha solo bisogno di dormire, cra.” Tagliò corto Tsuyu, rassicurandolo.
Midoriya sospirò, sollevato.
“Voi perché siete fradici?” Domandò Momo, confusa.
I due sembrarono rendersi conto solo in quel momento di essere coperti d’acqua dalla testa ai piedi. Si scambiarono uno sguardo veloce, poi si voltarono di nuovo verso i loro amici: “È una lunga storia.” Spiegò Todoroki, in modo decisamente esaustivo, grazie alle sue sopraffine abilità retoriche.
“Già, ecco…” Midoriya sembrava più a disagio e decisamente più sull’orlo di snocciolare tutti i suoi segreti e Uraraka si sentì in dovere di correre in suo aiuto: “Ehm, vogliamo iniziare ad andare verso il tugurio?”
“Ottima idea.” Gracchiò Deku, non molto convincente, le iridi verdi che sembravano urlare ‘grazie’ da ogni pagliuzza. Uraraka lo trovò divertente.
“Andiamo.” Convenne Ojiro, che non ne poteva più di trascinarsi dietro Iida.
 
Fu quando Aoyama sentì bussare alla porta della sua stanza che la situazione iniziò a precipitare.
Se non avesse aperto lui, molte cose sarebbero andate diversamente.
Momo aveva lasciato Ojiro, Hagakure, Uraraka e Tsuyu da soli a portare Iida in camera e si era decisa a dare una mano a Midoriya, certa del fatto che tutto sarebbe andato liscio e sarebbe presto tornata nella comodità del suo letto.
Si sbagliava.
“Avete spostato la festa qui?” Aoyama li accolse con il sorriso vittorioso di chi la sapeva lunga.
Indossava un completino coperto di paillettes viola che creavano uno strano gioco di luci nella stanza. Il soffitto e le pareti, infatti, sembravano quelli di una discoteca.
“In realtà abbiamo accompagnato Todoroki in stanza.” Spiegò Momo, con un cipiglio confuso.
“Dove sei stato? Sei scomparso all’improvviso.” Domandò Midoriya, ricordandosi in quel momento che avevano perso l’amico, sulla via del falò.
“Avevo una commissione importante da sbrigare.” Replicò vago Aoyama.
Momo inarcò un sopracciglio: “A mezzanotte?”
“Le stelle brillano di più la sera.” Ribatté il biondo, come se quella fosse la spiegazione esaustiva e adatta che Momo stava cercando.
“Vado a prendere un po’ d’aria. Fa caldissimo.” Annunciò Todoroki, facendo del suo meglio per camminare dritto fino alla portafinestra e beandosi della leggera brezza notturna. Poi, con un gesto veloce, si liberò della giacca e della maglietta fradicie che indossava.
Aoyama storse il naso, osservandolo dalla testa ai piedi come per assicurarsi che avesse tutti gli arti al posto giusto.
“Ha fumato.” Spiegò Midoriya, lasciandosi scappare uno sguardo in direzione dell’amico, per assicurarsi che stesse bene (o per guardarlo a petto nudo, chissà).
Aoyama replicò con un Ooooh tipico di chi sembrava saperla lunga.
A quanto pareva Aoyama la sapeva lunga su tutto.
Poi accadde.
Todoroki aveva davvero in testa di fare la bella lavanderina, ma col buio ed i riflessi rallentati era inevitabile che dalla giacca che tentava di stendere scappassero le chiavi della stanza e che, ahimè, cadessero nella terrazza degli ospiti al piano di sotto del tugurio.
I tre ragazzi si precipitarono fuori, sporgendosi dalla ringhiera e guardando in basso, assieme a Todoroki.
“Tranquilli, ho tutto sotto controllo.” Disse il ragazzo a metà, preparandosi a calarsi dal terrazzo.
“Assolutamente no.” Lo dissuase Momo, con una mano sul petto e lo sguardo puntato lontano, tra i pini dormienti, pensando a cosa fare.
“Wow, l’erba ti ha fatto trasformare in Mr. Hyde?” Domandò Aoyama, un angolo della bocca sollevato in un sorriso ironico. Lui non sembrava particolarmente toccato dalla vicenda, più che altro pareva divertito. Fin troppo.
“Dobbiamo recuperarle al più presto o i professori si insospettiranno.” Si aggiunse Midoriya, con la determinazione che ardeva nel petto, per impedire che si trasformasse in panico. Iniziò a ponderare le varie possibilità. Calarsi da lì era fuori discussione: sarebbero dovuti scendere di almeno tre metri.
Lo chiamavano tugurio, ma era tutt’altro che una casetta fatiscente, dopotutto.
“Ho un’idea.” Momo ruppe il silenzio e i tre ragazzi si voltarono a guardarla. Arrossì.
“Ci metterei troppo tempo ad evocare una corda abbastanza lunga, ma, ecco… Ricordate che ho aiutato Ashido a preparare la valigia, prima di partire?”
“Ce ne avete messo di tempo, in effetti.” Considerò Aoyama, che era stato l’ultimo a farsi vivo a quell’incontro. Tre paia d’occhi si puntarono su di lui, inquisitori.
“Comunque sia,” Riprese Momo: “L’ho aiutata a far entrare una cosa che… Ecco, non mi ha voluto dire perché l’abbia portata, ma datemi qualche minuto. La vado a chiamare, sarà tornata in stanza, ormai.”
E, detto ciò, Momo lasciò tre ragazzi confusi su una terrazza, alle due del mattino.
Il che, si sa, non è mai una buona scelta.
“Vado a prepararmi del ramen istantaneo.” Annunciò Todoroki dopo qualche secondo di generale confusione, rientrando nella stanza sotto lo sguardo attonito di Midoriya.
 
Mina e Kirishima avevano incontrato Bakugo e Sero sulla via del ritorno, ma, prima che avessero avuto anche solo il tempo di darsi la buonanotte, Momo era corsa verso di loro, spiegando a grandi linee e con il fiatone il motivo di tanta fretta.
Ed ecco come Ashido si era ritrovata con la canna da pesca che aveva faticato tanto ad infilare in valigia al tugurio, dopo aver convinto Bakugo, Kirishima e Sero a seguirla in quell’avventura.
L’amo era stato difficilissimo da gestire, soprattutto se si consideravano le continue folate di vento, che vanificavano in una manciata di secondi il lavoro di minuti di concentrazione.
D’un tratto, Bakugo si era riscosso dal muro su cui si era appoggiato e aveva strappato la canna da pesca dalle mani di Midoriya, dato che toccava a lui provare.
“Spostati, nerd di merda, fai fare a me.” Sentenziò perentorio, ordinando a Sero di applicare una pallina di scotch all’amo, per facilitare la presa e per avere un peso che contrastasse meglio quel vento irritante.
“Bene. Ora state a vedere.” Bakugo prese la canna da pesca tra le mani e iniziò a calare l’amo. Tutti rimasero col fiato sospeso e non osarono proferir parola, mentre osservavano il filo snodarsi fino alla terrazza dei vicini. Il biondo inspirò profondamente, preparandosi per un’ultima manovra, che gli avrebbe consentito di ancorare le chiavi all’amo e chiudere quella storia ridicola una volta per tutte.
Purtroppo per lui le cose non andarono come previsto.
Un prurito leggero si impossessò del dorso della sua mano. Gli occhi gli caddero involontariamente sull’arto, in cerca della causa di tanto fastidio.
E poi lo vide.
Un ragno, grande più o meno la metà della sua unghia, camminava indisturbato tra le sue nocche.
“CAZZO!” Gridò il biondo mollando la presa sulla canna da pesca ed incendiandola sulla parte del manico.

Ed ecco come il tempo sembrò dilatarsi agli occhi di Ashido, mentre l’oggetto scivolava via dalle mani del suo compagno di classe, giù, nell’oblio, nelle tenebre della notte. La canna giaceva sulle mattonelle lussuose della terrazza, con l’amo ancorato con successo alle chiavi del tugurio.
Seguirono degli attimi di silenzio imbarazzante.
“Se non fossi stato fatto avrei fatto di meglio.” Lo provocò Todoroki, masticando i suoi noodles.
“Ti strozzo con quegli spaghetti falsi, bastardo!” Gli urlò dietro Bakugo.
“E ora noi come facciamo?” Domandò Kirishima, guardando incredulo Ashido e Sero negli occhi.
“Non ne ho idea. A Kaminari che diciamo?” Esalò sconsolata Mina.
“Beh, è ovvio.” Sero guardò gli amici ad uno ad uno, con determinazione: “Dobbiamo recuperarla ad ogni costo.”
A quel punto gli occhi di tutti erano puntati sui tre, per cercare di capire a cosa diavolo si riferissero e perché la perdita di una canna da pesca sembrasse paragonabile a quella della morte del loro animale domestico.
“Ehm, ragazzi, scusate…” Iniziò Midoriya, cercando di farsi spazio come poteva nella loro disperazione.
Bakugo si impossessò della domanda di Deku e, pragmatico come sempre, pose una sola, semplice e cordiale domanda: “Perché cazzo vi siete portati dietro una canna da pesca?”




Note di El: Omataseshimashita, lettori!
So bene che è tardissimo, ma è stata una settimana lunga e piena di impegni, in cui una fanfiction di compleanno (per di più ancora in corso) era la priorità.
E quindi ecco come mi sono ritrovata ad aggiornare ad orari improbabili.
Beh, che dire.
Todoroki si scioglie un po'... letteralmente (minchia, come sono simpatica) ed è ampiamente OOC. Uso la fattanza un po' come scusa, un po' perchè ce lo vedo davvero a fare queste cose sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.
Kirishima capisce di avere una cotta clamorosa (oh, acciderboli, caro, sei stato velocissimo! Sono sarcastica, comunque) e Ashido è lì per fargli sapere che SHE KNEW, BITCH. Wow.
Io lo so che sono un po' scontata e clichè, ma, andiamo ragazzi, vi aspettavate qualcosa di diverso quando avete aperto questa storia che aveva la parola TRASH scritta tra le righe di ogni pagina?
Il senso è farci una risata e mettere in imbarazzo i nostri cari personaggi. Per le turbe adolescenziali c'è tempo, orsù, tra qualche capitolo!
Oh, tranne per la KamiJiro. Ohibò, che faranno?
E poi vabbè, la storia della canna da pesca. Vi giuro che ha senso, è già stata scritta, aspettate e vedrete!
Bene, è l'una e mezzo, quindi se ci sono errori ditemelo che sicuro mi sono persa qualcosa.
Vi ringrazio per star seguendo (ma si può dire "per star seguendo"?) ancora questa storia folle alla deriva (Cioè, davvero, ho notato un incremento di viuz all'ultimo capitolo, negli ultimi giorni, come a dirmi 'OHHHHHH, TI MUOVI?')
(Ma davvero le leggete tutte, queste stupide parentesi? Beh, scusate)
A martedì [O venerdì prossimo (ma è già sabato! Gnè gnè), non lo so, devo pensare se ce la faccio con i capitoli di scorta].
Scusate lo sclero notturno!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 11
*** Electrophobia ***


ELECTROPHOBIA

paura dell'elettricità


Il più grande sbaglio nella vita è quello di avere sempre paura di sbagliare.
Elbert Hubbard


 

“Ecco cosa faremo oggi!” Kaminari era fuori di sé, il che non era certo una novità. D’altronde era una condizione latente nella personalità del biondo, ma quel giorno era particolarmente fuori di sé.
“Assolutamente no.” Replicò perentoria Ashido, lasciandosi andare ad un lungo sbadiglio, poco dopo: “Ho dormito a stento cinque ore. Sono esausta.” E, a scopo certamente dimostrativo, si lasciò cadere col busto sul bancone del bar.
Jiro sbatté un bicchiere sul ripiano di legno con molta più forza di quanto fosse necessaria e prese a versare il contenuto di una lattina di tè alla pesca nel bicchiere.
“Ehi.” Ashido sobbalzò, facendo ridere le ragazze.
“Ad ogni modo, signori, oggi noi usufruiremo dei servizi lussuosi di questo resort.” Annunciò Kaminari, come se gli fosse stato dovuto in qualità di sceicco.
“Non voglio smontarti subito,” Iniziò Kirishima, dovendosi interrompere a sua volta per uno sbadiglio improvviso: “ma oltre agli allenamenti e alle prove dello spettacolo, ho anche due ore di detenzione.”
“Ma non erano finite?”
“Ehm, no, ce le hanno rinnovate.” Kirishima si passò una mano sulla nuca, a disagio, ma cercando comunque di mantenere un tono disinvolto. Come se l’aumento improvviso della sua punizione non fosse affatto un fatto insolito.
“Adesso sì che ti riconosco!” Replicò raggiante Kaminari: “Mi pare di capire che sei stanco.” Aggiunse poi, parlando come un attore di una pubblicità di basso livello.
“Mh-mh.” Si limitò a rispondere Kirishima, annuendo e appoggiando la testa sulla mano. Kaminari passò in rassegna con lo sguardo tutti i suoi amici.
“Non sarebbe fantastico se potessi concederti qualche ora di puro relax nella SPA dell’hotel?”
“Amico, è una pessima idea.” Ma Kirishima snudò già i denti appuntiti in un sorriso complice ed era chiaro come il sole che avrebbe finito per appoggiare l’idea dell’amico.
“È per questo che deve passare da idea a realtà.”
Ashido si voltò a guardarlo, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo di una che ha appena sentito uno dei suoi migliori amici pronunciarsi a favore dell’aborto di marmotte, il che non era tanto lontano dalle sue solite proposte: “Non è questo il percorso che dovrebbe seguire una pessima idea.”
“Oh, andiamo, non mi direte che volete andarvene di qui senza aver mai provato quella SPA.”
Le ragazze, fatta eccezione per Ashido e Jiro, si scambiarono degli sguardi veloci.
Volevano decisamente provare quella dannatissima SPA, ma dare ragione ai due casinisti per eccellenza della classe sembrava un peso troppo grande da portare.
“Beh, io ci lavoro e devo ammettere che non è male.” Iniziò Momo, timorosa di essere la prima a pronunciarsi a favore di un’idea tanto folle: “Oggi sarebbe anche il mio giorno libero…”
Mina guardò prima lei, attonita, e poi Kaminari, come se l’avesse appena portata sulla cattiva strada. Il biondo alzò le mani, come a scrollarsi di dosso ogni accusa.
“Se Momo è d’accordo non vedo perché no.” Colse l’occasione Uraraka e Ashido si girò a guardarla, incredula.
Non era possibile.
“Io vorrei provarla, cra.” Mina era sul punto di esplodere: “SUL SERIO?” Strillò, rasentando l’isterismo, conscia del fatto che ben presto avrebbe dovuto cedere e accettare.
“Anch’io.” Confessò Hagakure e Ashido perse ogni speranza.
“Tu che dici?” Kaminari si voltò a guardare Jiro, l’emozione che gli brillava negli occhi, mentre si preparava all’ennesima battutina acida, alla quale avrebbe dovuto rispondere in maniera altrettanto provocatoria. Era pronto, ce l’avrebbe fatta anche quella volta.
Kaminari, però, fu costretto a ricredersi, perché Jiro esitò solo un attimo sui suoi occhi, prima di tornare a pulire un bicchiere senza dare alcun segno di aver sentito la domanda. Solo dopo qualche secondo si degnò di scrollare le spalle, come a dire che la cosa le era totalmente indifferente.
Kirishima esultò, saldando una presa ferrea sulle spalle dell’amico e scuotendolo tutto: “Avanti, Ashido, che ci dici tu?”
“Siete terribili.” Ribatté la ragazza con un sorriso, acconsentendo implicitamente alla proposta.
Kaminari, però, non stava esultando, né sembrava particolarmente partecipe ai festeggiamenti di Kirishima. Era rimasto con gli occhi fissi nel punto in cui Jiro si trovava qualche secondo prima e proprio non riusciva a togliersi un dubbio dalla testa.
Si era spezzato qualcosa e tutta la gioia e l’esaltazione che aveva provato fino a quel momento si spensero. L’aria gli sembrò improvvisamente afosa e soffocante e in essa percepì la familiare puzza di bruciato che gli riempiva le narici quando si serviva di troppa elettricità tutta insieme. Sembrava quasi la sua definizione di… tristezza.
 
“Midoriya.”
Deku si liberò delle ultime lattine da depositare in frigo e spuntò da dietro il bancone, un sorriso raggiante, anche troppo per essere spontaneo. Poi dedicò la sua completa attenzione allo sconosciuto che l’aveva appena chiamato e la curva sul suo viso assunse tratti decisamente più genuini: “Oh, Todoroki, dimmi tutto, io…” Il tono di Deku si fece improvvisamente teso mentre i ricordi della sera precedente si facevano prepotentemente spazio nella sua testa.
Si lisciò nervosamente le pieghe del grembiule sulle gambe: “Ecco, come stai?” Domandò poi, sinceramente preoccupato per la sua salute. Da quando si era confidato con Uraraka il ragazzo a metà lo metteva a disagio.
I suoi pensieri sembravano essere diventati più reali, più concreti e quindi più pericolosi.
“Sono venuto per dirti che mi dispiace.”
E qui c’era da esaminare momentaneamente la scena, perché era vero che Midoriya aveva ufficialmente perso la testa, ma era anche vero che Todoroki stava facendo del suo meglio per confonderlo. Il ragazzo per il quale aveva ormai capito di avere una cotta si era avvicinato al chiosco del bar in cui lavorava in costume da bagno, trasportando un lettino che, nonostante avesse appoggiato sulla sabbia, gli richiedeva di flettere i muscoli del braccio per essere sorretto. In più non gli aveva neanche dato il tempo di abituarsi alla sua presenza.
Ciliegina sulla torta, aveva anche deciso di essere criptico.
Ovviamente Midoriya alzò confuso un angolo della bocca e aggrottò le sopracciglia, a disagio: “P-per cosa?”
Todoroki si guardò attorno velocemente: “Per ieri. Volevo solo provare e mi sono comportato da immaturo.”
La consapevolezza si dipinse negli occhi di Midoriya: “Cosa? Oh, no, no, no.” Ecco, stava di nuovo farfugliando. Si maledisse: “No. Nessun disturbo, è stato divertente.” Un sorriso purissimo gli inondò il viso.
Todoroki distolse lo sguardo, come se avesse potuto rimanerci secco, poi giocherellò con qualche filo di tessuto plastificato che era scappato alle maglie del lettino: “No, io ho… ti ho detto delle cose strane. Non avrei dovuto.”
Midoriya lo fissò, indeciso su cosa dire.
Poco dopo Todoroki alzò lo sguardo su di lui. Rimasero a fissarsi per qualche minuto, spaventati dalle parole sospese e non del tutto sicuri del fatto che le vedessero entrambi, o che fossero le stesse.
Poi Midoriya si ricordò che toccava a lui parlare: “Oh, io…” Rise a disagio: “Nessun problema, anche se poi… Hai detto qualcosa di strano? Non ricordo, non direi.” Si grattò il capo, fingendo di rispolverare i ricordi.
Todoroki non mosse un muscolo: “Mh, senti, tu devi…” Midoriya sospirò, facendosi serio, come se le parole che stava per pronunciare rappresentassero un macigno troppo pesante da trasportare da solo: “A volte devi concederti di perdere il controllo.”
Todoroki indietreggiò, colpito da delle parole tanto semplici quanto incisive. Era così che si sentiva con Midoriya, sin dal festival sportivo; era come se il ragazzo avesse improvvisamente avuto accesso ad un angolo remoto di lui che preferiva seppellire, riuscendo a trovare sempre delle parole semplici, ma tipiche di chi ha capito qualcosa di superiore, di inaccessibile.
“Lo terrò a mente.” Esalò, congedandosi così e voltandosi di scatto, ancora un po’ scosso, concedendosi solo allora di arrossire. Riprese il suo cammino, per consegnare finalmente quel lettino al suo ombrellone. Il sole delle quattro batteva furente sul suo collo diafano mentre i piedi affondavano nella sabbia rovente ad ogni passo.
 
Era vero che Kaminari era esplosivo quel giorno, se ne rendeva conto anche lui, ma era anche vero che tentava di mascherare, in realtà, un’inquietudine che lo assaliva da quando si era svegliato quella mattina. Sì, perché al contrario di quanto pensava la maggior parte della sua classe, Kaminari non era stupido. O, almeno, gli piaceva credere di non esserlo così tanto.
Certo, a scuola non era una cima, ma molti grandi eroi non erano dei fenomeni con la matematica e l’inglese. Eppure non era il suo quoziente intellettivo a riempirlo di dubbi, in quel momento, quanto più la sua ultima pessima mossa con Jiro. Aveva optato per una disinvoltura tipica del suo carattere per far credere alla ragazza che avesse magicamente dimenticato gli eventi della sera precedente.
Ahimè, quel bacio rubato se lo ricordava benissimo e, ancor meglio, ricordava la sua reazione e l’atteggiamento freddo di quella mattina. Nonostante l’universo intero gli stesse ricordando continuamente quanto avesse sbagliato i suoi calcoli e le sue previsioni, un’ultima speranza gli permetteva ancora di galleggiare. Col naso a pelo d’acqua, certo, ma senza annegare.
Jiro era abbastanza intelligente da capire che Kaminari non sarebbe mai potuto sparire nel nulla, dopo essere stato cacciato dalla sua stanza, eppure aveva, a modo suo, suonato per lui. Possibile che fosse un modo contorto per dirgli che, in fondo, le piaceva? Kaminari non ne era affatto sicuro.
Ed ecco perché in quel momento si trovava a camminare con una lentezza disarmante nella pineta, in direzione delle terme, dove aveva convinto la sua classe a introdursi subito dopo le mansioni (o gli allenamenti, per alcuni) pomeridiane. Kaminari aveva paura, questo sì, ma aveva anche un piano e niente e nessuno gli avrebbe permesso di sabotarlo. Doveva solo creare… la giusta atmosfera.
Proprio in quel momento una manata tra le scapole lo costrinse a tornare bruscamente alla realtà: “Ma che fai?” Domandò, colto alla sprovvista, voltandosi verso quello che sapeva per certo essere Sero.
“Salvo il mio migliore amico dal rischio che il cervello gli si sciolga nel cranio, colando poi dal naso.”
Kaminari lo fissò, aggrottando le sopracciglia: “Ma che immagine è?!” Replicò, dopo qualche secondo di confusione, lasciandosi andare ad una risata cristallina, che gli distese lo sguardo corrucciato.
“Quella che sto cercando di evitare!” Scherzò il ragazzo, poggiandogli un braccio sulle spalle e guidandolo a passo più spedito verso il centro benessere.
“Allora? Aggiornami sui dettagli del PCJ.”
“Non abbiamo nessun…”
“Piano di Conquista di Jiro.” Spiegò svelto il corvino, che non voleva perdersi in chiacchiere.
“Aspetta, ma tu che…”
Ancora una volta, Sero lo interruppe, desideroso di arrivare al sodo: “Amico, quello sguardo languido e combattuto non può passare inosservato a me e sono certo che anche Kirishima abbia fiutato qualcosa. Per chi ci hai presi? Sapevamo che avessi una cotta, ma non ti ho mai visto guardare una ragazza così e, per giunta, ho assistito al tuo… spettacolo di ieri, se così possiamo definirlo. Pessima mossa, lasciatelo dire.” Lo prese in giro, puntando, però, lo sguardo su di lui, in attesa di una risposta.
Kaminari era impressionato. Sapeva di poter contare sui suoi amici quando si trattava di organizzare uno scherzo anche complesso e ben strutturato, ma questa era tutt’altra storia. Ricambiò lo sguardo di Sero con uno sorpreso, poi abbassò gli occhi e sorrise colpevole: “Ho in mente qualcosa e spero vivamente funzionerà.” Si limitò a rispondere poi. Sero lo studiò per qualche secondo, poi annuì e non fece altre domande.
“Oh, parlando di Kirishima…” Iniziò Kaminari, dopo qualche minuto di confortevole silenzio, arrestandosi davanti alla porta bianca che dava accesso alla SPA. Sero aveva già una mano poggiata sulla maniglia, ma alzò lo sguardo su di lui: “Sì, lo so, è un po’ lento.” Ridacchiò il corvino, trascinando anche Kaminari, un attimo prima che annuisse come a dire che potevano entrare, adesso.
 
“Ehi ragazzi!” Mina salutò i due nuovi arrivati, alzando un braccio come se una folla le avesse impedito a lungo di segnalar loro la sua posizione in maniera decisamente più discreta. Indossava un semplice bikini azzurro che faceva risaltare la pelle rosa ed il fisico asciutto.
“Ce ne avete messo di tempo.” Considerò Jiro, squadrandoli a dovere.
Kaminari si passò una mano sulla nuca, colpevole: “Abbiamo elaborato un PDF per non farci scoprire dai professori.”
“Un PDcosa?” Domandò Hagakure, della quale si vedeva solo il bikini bianco che levitava nell’ingresso.
“Un Piano Di Fuga.” Spiegò Sero, alzando gli occhi al cielo scocciato, come se la scarsa capacità degli altri di decifrare i loro acronimi fosse estremamente incresciosa.
Uraraka aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta dal suono della porta bianca di legno che si apriva con un tonfo, rivelando un Kirishima con l’affanno e la fronte imperlata di sudore: “Scusate…” Annaspò, piegandosi sulle ginocchia per prendere fiato: “Ho dovuto…”
“IO TI AMMAZZO!” Si sentì tuonare Bakugo. Dalla voce era evidente che si stesse avvicinando.
“Ho dovuto elaborare un PDF per i professori e… gestire Bakugo.”
“Ma che problemi avete con questi acronimi?” Domandò confusa Ashido, rendendosi improvvisamente conto di quanto sapessero essere stupidi i suoi amici, prima di ricordarsi di avere a sua volta un problema con gli acronimi.
“Ecco, in realtà…” Tentò ancora di prendere la parola Uraraka.
Poi Bakugo piombò nell’ingresso, agguantando il collo di Kirishima, incastrandolo nel suo gomito e cercando di prenderlo a pugni nei fianchi con la mano libera: “Ahi, ahi, ahi, ahi, ahi.” Si lamentò il rosso divincolandosi.
“In realtà!” Uraraka gridò, per farsi sentire, ma quando gli sguardi di tutti le si posarono addosso arrossì di colpo e balbettò qualche scusa: “In realtà…” Ripeté guardando Momo e le sue amiche, a bassa voce: “non c’era bisogno di ingannare i professori.”
Sero, Kaminari e Kirishima alzarono di scatto lo sguardo su di lei, increduli: “Ah, no?” Chiese conferma Sero.
La ragazza scosse il capo: “Abbiamo proposto a Iida di chiedere un permesso per la classe.”
“Oh.” Esalò Kaminari, con la faccia di uno che scopre dopo anni di studi che la verità universale si era sempre celata ad un passo dal suo naso: “Beh, non fa una piega.”
“Siete troppo abituati ad essere dei teppisti.” Li prese in giro Ashido.
“Come vostro capoclasse, mi sento in dovere di invitarvi ad abbandonare ogni atteggiamento vagamente illegale.” Si aggiunse Iida, mentre Midoriya rideva genuinamente felice.
“Avanti, sono curioso di vedere queste terme!” Gridò poi, mettendosi in testa alla fila ed esplorando l’interno della struttura.
“Sì!” Trillò Uraraka, aggrappandosi alla spalla di Deku, mentre lui ridacchiava cingendole i fianchi e addentrandosi nell’edificio. Ashido sorrise vittoriosa, scambiando uno sguardo più che ovvio con le amiche.
Todoroki le osservò confuso, prima di seguire il loro sguardo e comprendere il perché di tanto baccano. Si cacciò le mani nelle tasche del costume a disagio, abbassando gli occhi, prima che Iida gli si affiancasse: “Todoroki, buonasera.” Lo salutò regale: “Come procede questo campo scuola?”
“Uhm, bene, a te?” Replicò assente il ragazzo a metà.
“Bene, ma sono molto impegnato. Il lavoro che mi è stato dato è piuttosto sfiancante, sai, mi farebbe comodo un’Unicità che mi desse il dono dell’ubiquità. Non che mi lamenti della velocità, assolutamente, ma sembra non bastare neanche quella!” Todoroki si perse il resto del discorso del compagno di classe. Si riscoprì improvvisamente incapace di rimanere concentrato. Il pensiero gli cadeva continuamente sulle mani di Midoriya e sui ricordi della sera precedente. Un velo di malumore calò sul suo stato d’animo e si sentì incredibilmente fuori posto.
 
“È. Un. Sogno.” Asserì Ashido, immergendosi fino alle spalle nell’acqua calda e tirando un sospiro di sollievo. Avevano scelto di provare le terme per prime ed erano usciti su quello che sembrava un balconcino incastonato nella roccia grezza.
Attorno a loro c’era solo una distesa apparentemente infinita di pini e abeti, il che giustificava la lontananza dell’edificio dal resto delle strutture del resort. L’acqua densa e profumata sgorgava piano da alcuni ciottoli sulla sinistra, impilati a formare delle cascate artificiali, che facevano zampillare l’acqua in ogni direzione, producendo un suono incessante e rilassante al tempo stesso. L’aria frizzante della sera creava sulle spalle un piacevole contrasto con il caldo dell’acqua.
“E ci hanno anche dato accappatoi e ciabattine!” Trillò Hagakure, la cui gioia sembrava incontenibile.
“Già, non è male.” Convenne Jiro, poggiando la testa sul cornicione di pietra e respirando a fondo l’aria fumosa delle terme.
“Non è male? Direi che è meraviglioso!” Si aggiunse Momo.
“Concordo, cra.”
“BOMBAAAAAAA!” Kaminari atterrò nell’acqua termale con un tuffo, facendola fuoriuscire dai bordi non senza una bella dose di schizzi.
“Ma sei scemo?” Ashido ridacchiò, con i capelli irrimediabilmente bagnati, aggredendolo e tentando di affogarlo.
“Pietà! Pietà!” Le tenne il gioco il ragazzo, mentre Kirishima e Midoriya si facevano largo nella vasca, seguiti da Iida, Ojiro e Todoroki e, più dietro, un Bakugo già fumante, prima ancora di avvicinarsi all’acqua.
“Questa sì che è vita.” Esalò Kirishima, rilassandosi con i gomiti sul bordo di pietra, non appena si furono placati i bollenti spiriti.
Bakugo gli lanciò un’occhiata veloce, grugnendo in un angolo remoto della vasca. Non fu chiaro se fosse in segno di assenso o di fastidio.
Midoriya, invece, seguì l’esempio di Jiro e alzò lo sguardo al cielo, che iniziava ad assumere dei toni dolcemente più scuri, come a preparare i ragazzi all’arrivo della sera, passando per ogni sfumatura per rendere il cambiamento quasi impercettibile.
Una luna precoce faceva già capolino dal muro d’alberi, i cui aghi e rami si confondevano ogni minuto di più, accogliendo le prime ombre notturne.
Per un po’ il silenzio cullò le menti stanche dei ragazzi, rigenerandoli.
“Non so voi…” Iniziò Ashido, squarciando quella bolla di calma irreale: “ma io da Todoroki e Iida non me lo aspettavo!” Scherzò la ragazza, riferendosi chiaramente alla scorribanda della sera precedente.
“EH? Cosa?” Ribatté veloce come il vento Tenya. Se avesse potuto, sarebbe arrossita anche la montatura dei suoi occhiali.
Todoroki puntò uno sguardo glaciale in direzione della ragazza. In realtà avrebbe solo voluto annegare nelle miracolose acque termali.
“Ma dai, non metterli in imbarazzo.” Replicò Uraraka, senza riuscire a nascondere un risolino.
“Non capisco, da me te lo aspettavi?” Si aggiunse offeso Kaminari, regalandole un’occhiataccia che stonava alla perfezione con il mezzo sorriso tipico di chi è consapevole di star dicendo la cosa più ovvia del mondo.
“Beh… Sì!” Esalò Momo, leggermente in imbarazzo.
“Solo perché loro sembrano vagamente responsabili?” Ribatté lui, rivendicando il suo diritto ad essere il tipo di ragazzo con la testa sulle spalle.
“Io sono responsabile.” Precisò Iida, attento sempre alle parole.
“Oh, avanti, quel bastardo a metà sarebbe responsabile?” Intervenne Bakugo.
Kirishima lo guardò di sottecchi: “Sicuramente più di te.”
“Scegli come vuoi morire.” Lo minacciò il biondo, la voce che si avvicinava pericolosamente a un ghigno.
“Ci risiamo.” Sospirò Sero.
“Di vecchiaia, grazie.”
“Guarda che ha ragione.” S’intromise Todoroki, ancora troppo innervosito dalla conversazione che stavano avendo per tornare in pieno possesso dei suoi infiniti filtri.
Ora, Shoto di gelo e freddo se ne intendeva, ma l’occhiata che gli riservò Bakugo fu a dir poco congelante e l’aria si elettrizzò di tensione, anche se Kaminari giurò di non averci messo lo zampino: “Che cosa hai detto?”
“Ho detto che ha ragione.” Ribatté il ragazzo a metà, la cui sicurezza non sembrava essere stata affatto scalfita dagli occhi minacciosi del biondo, anzi, pareva al contrario aver subito un notevole incremento.
“Ascoltami bene, io ti sto sopportando da settimane, trattenendomi dal farti esplodere ogni volta che ti ho tra i piedi. Ho addirittura accettato la tua sparata da giovane ribelle che fuma le canne come un uomo vissuto, ma sei solo un bastardo egoista e hai costretto tutti a stare dietro a te, alle tue stronzate, a quelle inutili chiavi, forzando Deku a seguirti come un cane. E sei talmente stupido che hai avuto bisogno di me per salvare la situazione, mentre ora sei qui a sparare sentenze. A questo punto direi che il vero uomo sono io.” Bakugo era praticamente a un palmo dal suo naso, mentre gli vomitava addosso tutto il risentimento che pareva covare da giorni.
Se non avesse urlato tanto avrebbe sentito i mormorii terrorizzati dei suoi compagni di classe.
“Ehm, grazie per aver preso le mie parti, Kacchan, ma non mi ha forzato a…”
“Chiudi quella bocca, tu.”
Eppure, in quella situazione, per la prima volta, gli sguardi terrorizzati di tutti non erano minimamente puntati su Bakugo, che era abituato a far esplodere cose, quanto più su quello, tra i due, che paradossalmente sembrava nascondere la bomba più pericolosa, soprattutto quando si parlava di orgoglio. Poi arrivò il colpo di grazia.
“Avanti, adesso vieni a dirmi che è colpa del tuo padre tiranno se sei così. Comportati da uomo, cazzo, e non piangerti sempre addosso urlando al mondo la tua sfortuna. A nessuno importa da dove vieni. Sei solo un asociale di merda, che non ha le palle per fare un cazzo.”
“Io non avrei palle, qui?” Todoroki assottigliò lo sguardo, la voce bassa e decisamente inquietante, mentre gli strilli di Bakugo riverberavano nella sua testa, in onde che parevano prepararlo ad esplodere di rabbia per riversargli contro tutto l’odio che teneva impacchettato segretamente sotto uno stato di placida calma e confortante riservatezza.
“Sì, tu.”
I ragazzi notarono distintamente quanto la temperatura dell’acqua si fosse abbassata, mentre un sottile strato di brina si poggiava leggero sui ciottoli da cui sgorgava piano l’acqua termale. Mina si guardò attorno e prese un lungo respiro, prima di aprir bocca: “Okay, okay, adesso basta giocare a chi ce l’ha più lungo.”
Todoroki si voltò verso di lei di scatto, come se si fosse appena ricordato di non essere da solo nella sua testa, lo sguardo ancora iniettato di folle odio. Ashido ebbe per un attimo paura di essere attaccata, ma presto l’ira cedette il posto alla consapevolezza e l’acqua riprese a scorrere senza impedimenti: “Come vuoi.” Si limitò a rispondere Shoto, allontanandosi da Bakugo quel tanto che bastava per rientrare nell’ambiente chiuso della SPA e lasciarsi alle spalle la vasca d’acqua termale.
Uno ad uno i ragazzi lo seguirono, lasciando Bakugo solo a rimuginare nella piscina: “Mi ha preso per il culo, eh? Fa tanto il superiore, ma non è meglio di nessuno.” Rifilò una manata ben assestata all’acqua, ma si rese presto conto che non bastò a placarlo. Kirishima si bloccò sulla soglia: “Secondo me ci sei andato giù troppo pesante.”
“Ma che vai dicendo?”
Kirishima sospirò e tornò nella vasca: “Dico solo che è stato divertente fumare insieme, recuperare le chiavi… Non c’era bisogno di farne un dramma.”
Bakugo puntò uno sguardo… strano su di lui. Kirishima non sapeva se fosse arrabbiato per via delle sue parole o semplicemente incuriosito dal fatto che potesse davvero esistere qualcuno in grado di pensarla diversamente da lui.
Decise di scegliere la seconda opzione per interpretarlo. Uno strano silenzio era calato su di loro, rotto solo, di tanto in tanto, dal suono continuo dell’acqua e dal verso di una tortora di passaggio, che preannunciava l’arrivo della sera. Le prime stelle si stagliavano già sul manto cobalto del tramonto e Kirishima si rese improvvisamente conto del fatto che fossero soli in una piscina dagli odori inebrianti.
Si sentì in imbarazzo.
“E fammi capire, il tuo costume con le papere è in coppia con i tuoi capelli di merda?”
“Sì, collezione estate.” Scherzò il rosso: “E poi non sono papere, sono anatre.”
“Ah, certo.”
“Sempre meglio del tuo monocolore arancione.” Lo prese in giro Kirishima.
“Non è monocolore.”
“Oh, certo, dimenticavo la banda nera.” Replicò sarcastico il rosso, artigliando il bordo del costume di Bakugo e, nel farlo, attirandolo inevitabilmente verso di sé.
Kirishima si rese improvvisamente conto di avere letteralmente un dito nel costume di Bakugo, mentre il sangue affluiva velocemente alle sue guance.
Uno strano calore si impossessò del suo petto. Guardò il biondo negli occhi, come a giustificarsi, ma Bakugo aveva ancora lo sguardo fisso sulla sua mano, con le sopracciglia aggrottate. Poi alzò gli occhi a incontrare i suoi e Kirishima notò solo allora quanto fossero vicini. Sfiorò la punta del naso di Bakugo con il suo e gli venne naturale inclinare il viso, mentre gli occhi gli ricadevano sulle sue labbra.
“C-che stai facendo?” Il biondo fece un passo indietro, la voce sfigurata dal panico che rasentava un sussurro.
Kirishima si riscosse, mentre il calore che gli aveva invaso il petto fino a poco prima sfumava velocissimo in un gelo fatto di rimorso e di terrore: “No, io…”
“Ehi, ragazzi, non la provate la SPA?” Kaminari e Sero si affacciarono alla porta.
“Ora arrivano, ragazziiii!” Mina li raggiunse correndo. Era evidente che avesse passato gli ultimi secondi a tentare di dissuadere i due dal disturbarli.
“Cosa? Certo!” Kirishima schizzò fuori dall’acqua e seguì di corsa gli amici nei meandri dell’edificio.
Bakugo si sentì… profondamente infastidito, sì. Non capiva perché il rosso avesse provato tutto questo entusiasmo all’idea di lasciarlo lì da solo. Una vocina nella sua testa, che si impegnò immediatamente a zittire, lo portò a chiedersi se non fosse geloso.
“Kirishima, aspetta!” Lo chiamò invano il biondo, seguendo il suono delle voci di quegli squilibrati, mentre Mina camminava accanto a lui, con uno sguardo che lo mise decisamente a disagio.
 
“Ma cos’è questa musica?” Domandò Ashido, non appena ebbe raggiunto i suoi amici, immergendosi in quella che era la prima di un percorso guidato di piscine. Il faretto posto sul soffitto proiettava una luce sull’acqua che la tingeva di magenta.
“Musica d’atmosfera.” Commentò Kaminari, camminando verso la vasca successiva.
“A me sembra più soft porn.” Ribatté Jiro, rifilandogli un’occhiataccia.
“A me piace.” Si limitò ad osservare Bakugo, con una scrollata di spalle ed una calma nella voce decisamente strana.
“Forse ti piace il soft porn.”
“Io di soft non ho niente.” Ringhiò il ragazzo.
Oh, ora sì che lo riconoscevano!
“Bakugo è più il tipo da musica classica, secondo me.” Si aggiunse Uraraka, affiancando il biondo con un sorriso.
“Che? Assolutamente no.”
“Strano, secondo me la sinfonia numero 12 di Beethoven ti piacerebbe.” Commentò la ragazza, alzando le spalle.
“Non esiste la sinfonia numero 12. Ne ha scritte 9.”
“Ah-ah!” Gridò vittoriosa Uraraka, beccandosi uno sbuffo disperato, in risposta. Bakugo sembrava decisamente fiacco, in quanto a insulti.
“A te che musica piace ascoltare, Todoroki?” Gli domandò Iida, un po’ più avanti nella processione.

“Ehi, aspetta un attimo.” Kaminari afferrò Jiro per il polso e lasciò che gli amici avanzassero e svoltassero l’angolo.
Presto il continuo zampillare dell’acqua sui loro corpi divenne l’unico accompagnamento allo sguardo interrogativo della ragazza. Non sapeva neanche lui perché l’avesse fermata o cosa volesse dirle di preciso, sapeva solo che a quel punto gli toccava inventarsi qualcosa per colmare il silenzio, badando bene che non fosse troppo stupida, perché non avrebbe sopportato un altro rifiuto, con tanto di sguardo al cielo annoiato: “Ecco… Grazie per aver suonato, alla fine.”
Jiro lo studiò: “Non capisco di che parli.”
Oh, no. Kaminari si agitò. Non poteva averlo sognato, vero? L’erba avrebbe dovuto rilassarlo, non certo procurargli delle allucinazioni grosse quanto una casa! Poi, però, uno strano luccichio negli occhi della ragazza lo tranquillizzò. In effetti quello era uno sguardo d’intesa.
Sorrise, facendo un passo avanti e realizzando improvvisamente che lei non si era ancora liberata della presa ormai debole sul suo polso: “Certo,” Esalò con un sorriso asimmetrico: “e scusami per ieri sera.”
Jiro si irrigidì, ma non si allontanò: “Sei stato un cafone.” Osservò la ragazza, alzando un sopracciglio.
“Sono stato un cafone.” Convenne Kaminari, con un tono che non sembrava affatto costernato, quanto più suadente.
“E anche un incapace, a dirla tutta.”
“Però posso rimediare.” A quelle parole Jiro arrossì praticamente fino alla punta dei capelli e si guardò attorno a disagio.
Maledetta musica e maledette lucine: “Ehi, vuoi vedere qualcosa di elettrizzante?” La ragazza portò di nuovo lo sguardo su di lui: “Non l’hai detto sul serio.”
“E non è neanche la più divertente.”
“Ma non mi dire.” Replicò scettica lei, facendosi mentalmente i complimenti per essere riuscita a rimanere in sé anche in una situazione simile.
“Dico davvero, ci sono molti modi in cui potrei prenderti in Jiro.” Kaminari soppresse una risata, mentre lei ebbe da sopprimere qualcosa di decisamente più incombente: il bisogno di cancellarlo dalla faccia della terra, ad esempio.
“Sero dovrebbe sigillarti la bocca.”
“Basta meno di un pezzo di scotch per farmi stare zitto.” Sussurrò Kaminari.
Jiro si sorprese della sua intraprendenza. Era stato piuttosto abile, da parte di uno come lui, avvicinarsi così tanto senza che lei se ne rendesse conto, eppure una parte di lei era ancora risentita ed era certa che Kaminari non avesse capito affatto il motivo della sua reazione.
Nonostante ciò, non poté trattenersi dal chiedere: “Ad esempio?”
Il biondo sorrise vittorioso e si chinò in avanti, coprendo la distanza che li separava in un attimo e baciandola un po’ impacciato. Jiro sussultò, un po’ indecisa sul da farsi, ma Kaminari prese ad accarezzarle le labbra con la lingua e decise che, per una volta, almeno quella, avrebbe lasciato momentaneamente da parte tutti i dubbi e le incertezze. La musica non sembrava più imbarazzante, anzi quasi non la sentiva più, sovrastata da una sinfonia decisamente più armonica, che si ripeteva leggera nella sua testa.
Kaminari, in un momento di folle coraggio, lasciò finalmente il suo polso, per risalire lungo il braccio e scivolare sul suo fianco, fasciato dal costume nero intero. Jiro sospirò e quello fu tutto il permesso di cui lui ebbe bisogno per iniziare ad esplorare la sua bocca. La ragazza gli andò incontro, facendo aderire i loro corpi, mentre la mano di Kaminari si poggiava sulla sua guancia, prima di iniziare a scendere verso il mento e lungo il collo, in direzione del suo petto.
La musica si spense, i colori dietro le sue palpebre chiuse sbiadirono e un filtro grigio calò sulle sue emozioni. Jiro sentì improvvisamente una forte sensazione di disgusto, verso qualunque cosa, verso tutto e tutti, come se qualunque risvolto coinvolgente nella sua storia avesse improvvisamente perso di interesse. La situazione perse ogni coinvolgimento emotivo un tempo evidente, lasciando il posto ad un insano disinteresse che, in fin dei conti, avrebbe tanto voluto scacciare.
Si allontanò, confusa, come se non sapesse davvero il motivo di un cambiamento tanto repentino, più simile ad un sortilegio spezzato che ad un vero e proprio ripensamento graduale.
Kaminari le chiese spiegazioni con lo sguardo, domandandosi intanto dove avesse sbagliato: “Se ho fatto qualcosa di…”
“No, ecco… Ti va se torniamo dagli altri?”
Lo sguardo di Kaminari si spense: “Sì, certo, andiamo.”
Il biondo la guidò nel labirinto di idromassaggi che conduceva alle saune in un silenzio che sembrava urlare confusione e imbarazzo.

Bonsoir e benvenuti. Lasciate che i nostri fumi di benessere vi regalino pace e relax, assieme allo scrosciare miracoloso dell’acqua divina delle nostre docce.” Aoyama era comparso da un pezzo nel bel mezzo del percorso, quando Kaminari e Jiro ebbero raggiunto il resto della classe.
“Ma il turno non è finito?” Domandò confuso Midoriya.
Oui, ma per voi questo ed altro.”
“Perché ho la netta sensazione che lo stia facendo per un qualche tipo di tornaconto personale?” Si aggiunse Kirishima.
“Oh! Mi offendi!”
“Ma, soprattutto, il percorso è uno solo…” Iniziò Uraraka, aggrottando la fronte: “da dove spunti fuori?”
Kaminari avrebbe riso della situazione, in circostanze diverse, ma in quel momento tutto ciò su cui riusciva a soffermarsi era il vapore che si respirava nella stanza e che, più che rigenerarlo, sembrava ben intenzionato a soffocarlo, appiccicandosi alla pelle, senza volerne sapere di sollevarsi.
Cercò di trarre un respiro profondo, ma anche i suoi polmoni sembravano focalizzarsi solo sulle mani di Jiro e su quanto fossero dannatamente lontane dalle sue.
Kaminari scelse la sola via di fuga che era sicuro avrebbe funzionato: sorrise divertito sotto lo sguardo di Jiro.
La ragazza scosse la testa, convincendosi definitivamente della sua scelta.
Peccato, però, che i suoi jack non avessero rilevato la frequenza cardiaca decisamente insolita che si era impossessata del petto del biondo.



Note di El: CHE GIORNATA UGGIOSA!
Partiamo da subito. Bakugo che ascolta musica classica è un mio headcanon. Fateci pace.
Uelààààà, miei cari, siete stati attivissimi questa settimana, ohibò.
No, davvero, in questi giorni ho avuto più del numero di viuz del SECONDO CAPITOLO. Ma ci rendiamo conto? Che ansia, acc, vi giuro che sono qui, non vi abbandono, volevo solo tornare a pubblicare il martedì.
No, scherzo, invece sono felice e vi ringrazio tantissimo per la passione!
Bien, capitolo lunghissimo per farmi perdonare.
Kaminari sbaglia, poverino, brancola nel buio.
Uuuuuuuu, mezza rissa tra Bakugo e Todoroki, giustamente Kirishima pensa bene che infilare un dito nel costume di Bakugo sia un buon modo per distrarlo. Well, mica male.
In realtà è tardi, ci ho messo una vita a revisionare questo capitolo e sono troppo stanca per farlo un'n-esima volta (vabb, vi lascio "n-esima" scritto così e non lo correggo per farvi capire la quantità di algebra che sto studiando in questi giorni), quindi mi scuso infinitamente. Tutto questo seguito mi sta mettendo un po' di pressione e ad ogni capitolo temo sia giunto il momento di un inarrestabile e inevitabile declino. Spero vivamente di non avervi delusi questa volta (nè le prossime), perchè questo capitolo mi piaceva un sacco nella mia testa e adesso mi pare un grandissimo scherzo della natura (oh, MA SONO IO!)
Bene, volevo commentare altre cose, ma le ho dimenticate.
Ringrazio tantissimo tutti voi, dal profondo del cuore, questa storia mi sta dando una marea di soddisfazioni e i vostri commenti mi provocano ogni volta una serie di urla mute che mi fanno apparire una cretina in pubblico. Grazie davvero e spero di rivedervi ancora, mi va benissimo sembrare cretina in pubblico se questa è la ricompensa.
E ricordate... Team Aoyama, sempre!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 12
*** Philophobia ***


PHILOPHOBIA

paura d'innamorarsi


 

Fears are educated into us and can, if we wish, be educated out.
Karl A. Menninger



Ashido, Sero e Kirishima non avevano certo dimenticato lo spiacevole evento che aveva portato alla perdita della loro preziosissima canna da pesca.
Per questo motivo non avevano perso tempo, quella mattina, quando avevano scoperto che la fortuna era stata clemente. Si erano ritrovati, infatti, tutti e tre a condividere lo stesso turno di allenamento e avevano deciso di sfruttare quel tempo utile per mettere a punto le ultime mosse dell’imminente e segretissimo GSH.
“Credete che ce la farà?” Sussurrò Ashido, mentre tirava su la zip della tuta di allenamento e si avviava a passo spedito all’interno della palestra.
“Certo che sì, guarda che Kaminari ci sa fare.” La rassicurò Sero, con un sorriso obliquo.
Mina, però, alzò un sopracciglio, decisamente scettica.
“Ma gliel’avete detto?” S’informò Kirishima, dopo essersi guardato attorno con fare sospettoso ed essersi assicurato di non avere nessun compagno di classe a portata d’orecchio.
“Del fatto che abbiamo perso il nostro strumento della vittoria?” Cercò di chiarire Sero, mentre Kirishima annuiva e ridacchiava per il modo in cui l’aveva chiamato.
“Intendi la canna da pesca?” Domandò Ashido, alzando gli occhi al cielo, come a maledire il giorno in cui aveva scelto quegli squilibrati come complici.
“Shh!” La riprese Sero, voltandosi come se avesse potuto trovare un orecchio bionico alle sue spalle, pronto a spiarlo e a vendere i suoi segreti alle organizzazioni criminali di tutto il mondo.
Mina gli rivolse un’occhiata esasperata. “No, non lo sa, ma abbiamo elaborato un piano, modestamente, geniale che ha funzionato a meraviglia.” Spiegò Sero, prima di lanciarsi in una descrizione dettagliata del modo in cui, all’alba del giorno precedente, lui e Mina avevano salvato la povera canna dispersa da una fine infelice.
Il piano era stato semplice, ma efficiente.

Erano sgattaiolati nella stradina segreta che conduceva alla spiaggia e avevano trovato un punto particolarmente vicino al tugurio. Purtroppo per loro, però, era impossibile accedervi senza un sistema per superare il muretto che separava il sentiero nascosto dal terrazzo privato della camera al piano di sotto dell’E-5. In un primo momento Sero aveva proposto di servirsi dell’acido di Mina per fondere la parete, ma i segni sarebbero stati permanenti e, soprattutto, avrebbe dato modo a chiunque di individuare i colpevoli di quell’atto vandalico mal organizzato.
“Perché non sali sulle mie spalle e tenti di scavalcarlo?” Propose all’improvviso Sero. Mina lo guardò come se fosse stupido, poi sgranò gli occhi: “Oh, ma certo! Perché non ci ho pensato prima?”
“Davvero?”
“No, ero sarcastica.” Ashido ritornò a rifilargli un’occhiataccia sincera e che veniva dal cuore: “Non lo vedi che è troppo alto anche per noi due impilati?”
In effetti Sero non voleva diventare una lattina.
“Oh, ho un’altra idea!” Trillò all’improvviso il ragazzo. Lo sguardo stranamente assottigliato, in evidente segno di concentrazione. Peccato che Mina fosse troppo occupata a guardare con sufficienza il muro invalicabile che la separava dal tugurio perché potesse notarlo in tempo: “Mh-mh.” Mugugnò assente, continuando a pensare.
“Qui attorno ci sono dei massi, no? Prendiamone uno, facciamo un buco con l’acido, lo leghiamo allo scotch e lo lanciamo dall’altra parte, così avremo una specie di corda e tu potrai arrampicarti, superarlo, prendere le chiavi e la canna da pesca e tornare indietro.” Spiegò semplicemente lui, guardandosi ora la punta delle scarpe, in imbarazzo.
“Certo e come…” Ashido si bloccò, mentre ragionava, poi un sorriso orgoglioso le si dipinse in viso, mentre si voltava a guardare l’amico: “Ma è un’idea geniale! Bravissimo!” Si complimentò la ragazza, visibilmente sorpresa e mettendosi immediatamente alla ricerca di un masso adatto ai loro bisogni.
“Che te ne pare di questo?” Domandò infatti, dopo qualche minuto di attenta ricerca nel boschetto accanto al viale: “Un po’ grosso, ma dovrebbe andare.” Giudicò Sero, che era diventato ormai il leader indiscusso di quella missione di salvataggio.
Ashido praticò un foro che tagliava il masso da parte a parte, non troppo lontano dal suo lato superiore. Un attimo dopo Sero, come da programma, evocò lunghe strisce di scotch che sovrappose perché diventassero più spesse e resistenti, finché non si ritrovarono con una quantità di metri di scotch rinforzato pressoché infinita ammonticchiata sul masso selezionato con cura da Ashido.
“Sei pronta?” Domandò il ragazzo, mentre sosteneva il peso del fardello con l’aiuto di Mina. Lei annuì e contò fino a tre, poi l’oggetto volò in aria, restando sospeso per quelli che furono, agli occhi dei ragazzi, secondi di interminabile panico, vissuti col fiato mozzato, prima di atterrare con il tonfo della vittoria dall’altra parte del muretto.
Tonfo della vittoria, si fa per dire, dato che, assieme al rumore del masso che impattava con il pavimento, udirono anche quello di una serie di mattonelle di ceramica che si spezzavano; il che li portò a constatare, con sommo rammarico di Sero, che, in effetti, ci aveva visto lungo e che la pietra scelta era decisamente troppo pesante.
I due amici si guardarono terrorizzati per qualche minuto, Ashido con il nastro già tra le dita, Sero con le mani davanti a sé, come se stesse ancora sostenendo il peso della pietra: “Facciamo in fretta, prima che i clienti si sveglino e vengano a controllare.” Sussurrò Ashido testando la resistenza della corda improvvisata con qualche leggero strattone e procedendo a puntare i piedi sul muro color pesca per iniziare la scalata.
Qualche minuto dopo Mina aveva già recuperato la canna da pesca e le chiavi, tirando la corda quel tanto che bastava per far capire a Sero che era giunto il momento di spostarsi tra gli alberi per permetterle di lanciare nuovamente la pietra dall’altro lato.
Ashido sfruttò ancora la sua Unicità per corrodere appena il masso, in modo che fosse più leggero, poi fece ricorso a tutta la forza che possedeva in quelle apparentemente esili braccia tinte di rosa e lanciò la pietra dall’altra parte del muretto, sul sentiero sterrato che conduceva al mare.
Quando fu nuovamente in cima si decise a saltare, mentre il filo trasparente della canna da pesca la seguiva, qualche metro al di sopra della sua testa.

“Cosa? L’avete già fatto ieri mattina?” Domandò incredulo Kirishima, non appena Sero ebbe finito di parlare.
I ragazzi annuirono orgogliosi: “Alle cinque e mezzo, di preciso!” Specificò il ragazzo, ancora reduce dall’euforia causata dal fatto che il suo piano avesse funzionato davvero.
“Non male!”
“Ciò che farà male,” Esordì Aizawa, che sembrava essersi materializzato accanto a loro dal nulla: “saranno i vostri muscoli in seguito all’allenamento speciale che vi rifilerò, se non vi sbrigate a mettervi al lavoro.” Li minacciò.
I ragazzi si scambiarono un’occhiata terrorizzata, prima di balbettare in coro un imbarazzatissimo “Sì, signor Aizawa” e correre al lavoro.
Non poterono che chiedersi se il professore avesse ascoltato qualcosa del loro discorso.
Sarebbe stato complicato giustificarsi.
 
L’aria fresca del tardo pomeriggio risollevò un po’ il morale dei ragazzi.
Essere costretti a preparare la sala lussuosissima del Lotus Resort, in attesa della cena, era a dir poco sfiancante, se si consideravano anche le uniformi decisamente pesanti imposte dalla direzione. Indossare una camicia e una cravatta in piena estate comportava una quantità di sudore che i ragazzi non vedevano dai tempi inquieti delle battaglie contro la League of Villains.
Uraraka sospirò, passando la scopa negli angoli infimi della sala, dove si annidava la maggiore quantità di sporco e di polvere.
“La sera è una benedizione!” Commentò Mina, mentre Tokoyami, intento ad apparecchiare un lungo tavolo qualche metro più in là, annuiva insofferente. Nell’aria si respirava la tipica atmosfera elettrizzata dei minuti che precedono l’arrivo dei clienti, quella in cui si è soliti correre a fare le ultime cose prima dello sforzo finale.
Proprio in quell’istante, però, un cliente in inaspettato anticipo turbò la tensione di quei momenti.
Jiro piombò nella stanza enorme con uno sguardo perso e confuso, mentre i tre camerieri si voltavano a guardarla senza capire bene qual buon vento la portasse in un covo infernale come quello. La ragazza richiuse la porta con un colpetto dello stivale, poi sbuffò visibilmente a disagio, prima di trovare il coraggio di proferir parola.
“Posso parlarti un attimo?” Domandò, fissando lo sguardo in quello di Ashido, mentre la voce rimbombava tra le pareti semivuote della grande sala da pranzo.
Mina alzò confusa un sopracciglio: “Ora?”
Jiro annuì, con la fronte aggrottata.
Non l’aveva mai vista così persa. Nessuna battuta pronta si affacciava alle sue labbra, nessuno sguardo sarcastico o commento sprezzante lasciava intendere qualsiasi forma di ironia. L’unica emozione nettamente riconoscibile nei suoi lineamenti era la sola che si poteva solitamente trovare nascosta dietro un fitto strato di espressioni distaccate e disinteressate: l’insicurezza.
L’improvvisata cameriera si preoccupò.
“Ragazzi, vi andrebbe di andare a chiedere a Sato e Shoji come procedono i preparativi delle salse?” Domandò Ashido, continuando a studiare l’amica. Uraraka guardò le ragazze con apprensione, poi annuì e si diresse a passo spedito verso la cucina, con Tokoyami al seguito.
Il ragazzo, però, mentre spingeva le porte dotate di oblò della cucina si guardò per un attimo alle spalle, che fosse per sbirciare o per assicurarsi che Jiro stesse bene a nessuno fu chiaro.
“Siediti.” La invitò poi Mina, allontanando una sedia dal tavolo più vicino e facendo lo stesso con quella accanto, in modo da esserle di fronte: “Ebbene?”
Jiro si rigirò un plettro che teneva fra le dita, visibilmente a disagio: “Ecco…” Iniziò, dopo una pausa che sfruttò per mettere in ordine i pensieri: “Ricordi la sera dell’OAD?”
Mina inarcò un sopracciglio confusa: “E cos’è?”
“Maledetti voi e i vostri acronimi. L’Operazione di Accalappiamento Deku.” Spiegò, alzando gli occhi al cielo. Ashido ridacchiò: “Allora te li ricordi, i nomi!”
Jiro sorrise appena e Mina gridò vittoria internamente, ricambiando poi con un sorriso caldo, prima di continuare: “Sì, ricordo che scrivevi a qualcuno al cellulare.”
“Era Kaminari.” Andò dritta al sodo Jiro.
“Che ti ha anche baciata ad Aspira e Soffia.” Continuò per lei Ashido.
“Vedo che hai già capito tutto.” Sussurrò Jiro, che in ogni caso si aspettava che l’amica avesse seguito tutti i suoi movimenti con precisione.
Mina annuì orgogliosa: “Saprai anche che ieri ci siamo baciati.”
Lo sgomento nello sguardo di Ashido fu impagabile: “C-che cosa? Quando? Come?”
Jiro non poté godere della reazione attonita di Mina, troppo occupata a gestire l’imbarazzo che si faceva largo sul suo viso sotto forma di una macchia che le imporporava le guance: “Te l’ho detto, ieri.”
“Sì, ma quando?” Ashido si era sporta verso di lei, il che non stava contribuendo a far diminuire il suo imbarazzo: “Quando voi ci avete preceduti, alle piscine soft porn.” Spiegò Jiro, come se ‘piscine soft porn’ fosse un pezzo d’informazione chiaro ed elegante.
Tuttavia Mina comprese lo stesso: “Oh, e com’è stato? Non mi sembri molto rilassata.”
Kyoka si decise finalmente ad alzare lo sguardo sull’amica. Era venuta lì per parlare, no? Tanto valeva farlo subito: “No, infatti. Ne ho parlato anche con Momo, ma non abbiamo saputo bene interpretare le sue azioni. Così ho pensato di chiederlo a te, visto che sei sua amica.” Ashido annuì, invitandola con lo sguardo a proseguire: “All’inizio mi è…” Jiro si bloccò. È che non ce la faceva proprio a dirlo ad alta voce: “mi è piaciuto, ecco.” Si fece forza. Doveva essere determinata: “Solo che è da un po’ che lasciarlo avvicinare troppo mi spaventa. Insomma, perché ho…”
“Hai paura di prenderti una sbandata per lui.” Concluse per lei Mina, con lo sguardo di una che sembrava saperla lunga. Kyoka annuì, felice che l’amica le fosse venuta in aiuto con le parole: “E che c’è di male, scusa?”
“C’è che lui si sta certamente solo divertendo. Nessuno cercherebbe… Insomma io non sono come voi e quando siamo tutti insieme lui non sembra più tanto… Ecco, tanto interessato come quando siamo soli.”
Mina sorrise teneramente, ma Jiro non seppe cosa farsene di quel sorriso.
Era stato già abbastanza difficile esporsi fino a quel punto, non voleva la sua pietà.
“Ma, scusa, queste cose te le ha dette lui?”
Jiro sospirò, ma poi si ritrovò costretta a scuotere la testa: “Secondo me sei solo insicura, anche se non ne hai motivo! Sei simpatica, talentuosa e anche molto carina!”
Jiro alzò gli occhi al cielo: “Smettila. Non è questo il punto… e non sono insicura.” L’ultima frase suonò come una bugia alle sue stesse orecchie: “E comunque questo non spiega perché si comporti come un cretino.”
“Okay, okay.” Mina alzò le mani davanti a sé: “Chiariamo una cosa. Kaminari è un cretino.” Specificò. Jiro rise: “Ma, ad ogni modo, non sono nella sua testa, per fortuna, aggiungerei.” Jiro ridacchiò ancora e Ashido fu felice di averla messa finalmente a suo agio: “Però una cosa la so.” Sentenziò, tornando seria.
Jiro inarcò un sopracciglio: “Ovvero?”
“Ovvero che ha paura di te.”
“Di me?”
“Sì.” Spiegò Ashido, sconvolta davanti alla cecità dei giovani amori: “Di te. Sei abbastanza acida nei suoi confronti, o sbaglio? Per di più gli dai segnali contrastanti. Già vive con poco più di un neurone, poi tu lo confondi ulteriormente! Non si sta solo divertendo, sicuramente gli piaci davvero, ma non sa come fartelo capire senza essere ferito.”
Jiro non disse niente, si limitò a guardare l’amica con titubanza. Non aveva tutti i torti, in effetti. Forse Kaminari aveva paura di essere chiaro con lei. Temeva che iniziasse a prenderlo in giro? Che lo trovasse pazzo? Che si prendesse gioco di lui davanti ai suoi amici?
“Forse hai ragione.” Concesse alla fine, pensierosa.
“Come al solito.” Jiro alzò gli occhi al cielo, tornando quella di sempre.
“Ci resta qualche minuto.” La testa pennuta di Tokoyami fece capolino dalla porta delle cucine e Mina annuì.
“Allora ci vediamo più tardi?” Domandò Jiro, afferrando al volo e alzandosi dalla sedia, dirigendosi verso la porta.
“A più tardi.” Trillò Ashido, tenendola aperta per lei.
“Mh, ecco… Grazie.” Esalò l’amica, puntato lo sguardo su uno dei costosissimi quadri che adornavano le mura altrimenti scarne del corridoio che conduceva alla sala da pranzo.
“Quando vuoi.” La congedò, mentre Kyoka le dava le spalle: “Oh, Jiro, un’ultima cosa.”
Mina si prese una pausa ad effetto, mentre l’amica si voltava curiosa a guardarla: “È da ieri sera che Kaminari non si toglie il broncio dalla faccia, il che sta rovinando molto lo… I nostri piani, ecco. Fossi in te andrei a dare un’occhiata.” Buttò lì, mentre Jiro la osservava confusa: “Aspetta, che…”
“Devo andare, arrivano i clienti, ciaaaao!” Salutò con una mano, richiudendo la porta, mentre Jiro cercava in tutti i modi di trattenerla e farsi spiegare le cose per bene.
Quando il silenzio calò nel corridoio improvvisamente buio sospirò, ma poi si ritrovò costretta a sorridere. Era felice di essersi sfogata. Certo non aveva messo a nudo proprio tutti i suoi sentimenti e timori, ma ogni cosa a suo tempo, no?
 
“La sapete l’ultima su Leonardo di Caprio?” Domandò Hagakure. Dalla posizione della rivista di gossip volante era facile indovinare che la ragazza fosse stesa supina, con la testa che penzolava dal bordo del letto.
“Ricordami perché ho accettato di partecipare a un pigiama party.” Si lamentò Jiro, sussurrando nell’orecchio di Momo. La mora ridacchiò: “Perché è nella tua stanza, immagino.”
“Mina mi ha incastrata.”
“A nessuno importa di Leonardo di Caprio.” S’intromise Ashido, richiamando l’attenzione di tutte, mentre si sedeva sul parquet di legno grezzo, facendo cenno alle altre di fare lo stesso.
“Io resto qui.” Si oppose Hagakure, prendendola in giro e osservando le altre dal letto. Mina ridacchiò.
“Allora,” Esordì inaspettatamente Momo: “Qual è il motivo di questo incontro serale improvviso?”
Jiro deglutì rumorosamente. Si fidava di Ashido, ma aveva paura che l’amica avesse intenzione di tirarla in ballo. In effetti non aveva specificato che avrebbe preferito che la loro conversazione rimanesse, ecco, loro, appunto.
È solo che credeva non ce ne fosse bisogno.
Inspirò tesa.
“Ma non è ovvio? Abbiamo lasciato in sospeso l’OAD!” Rivelò inaspettatamente Ashido, strizzando l’occhio a Jiro. Doveva aver percepito la sua ansia.
“E cosa sarebbe, cra?” Domandò Tsuyu, bucando il silenzio confuso di tutte.
Jiro sospirò rassegnata, sorridendo: “L’operazione accalappiamento Deku.” Spiegò, poi.
“Che sorpresa vedere che te lo ricordi!” Osservò Ashido, in uno sfottò che avrebbe potuto capire solo Kyoka.
“EH?” Sul viso di Uraraka si poté notare un alternarsi di un cospicuo numero di tonalità di rosso. Fenomeno decisamente singolare, visto il ridotto intervallo di tempo in cui si era verificato.
“In effetti non ci hai più detto niente.” Commentò Hagakure, con fare inquisitorio.
“E cosa avrei dovuto dirvi?” Rispose Uraraka, con un tono decisamente più acuto del normale. Poi si abbandonò ad una breve risatina nervosa.
“Beh, cos’è successo?” Ashido era, invece, relativamente tranquilla, mentre muoveva una mano come ad invitarla a continuare, ma a Jiro non sembrò altro che una buffa psicologa del gossip improvvisata: “Ho notato che ieri andavate molto d’accordo.”
“Sì, ecco, è perché noi andiamo effettivamente d’accordo." Spiegò Uraraka a disagio. Sapeva che avrebbe dovuto trovare qualcosa da dire alle ragazze e sapeva anche che aveva avuto tempo a sufficienza per pensarci, ma, visto che il fatto era ormai successo da un po’ e ancora non le era mai stato chiesto qualcosa, aveva finito per convincersi che, semplicemente, non gliel’avrebbero mai più chiesto.
“Sì, ma spiegaci cos’è successo.” Incalzò Hagakure, che, al contrario di Ashido, non riusciva a contenere l’eccitazione.
“Niente di speciale. Abbiamo parlato nella pineta.” Temporeggiò Uraraka, nel disperato tentativo di farsi venire in mente qualcosa alla svelta.
“Che gli hai detto?”
Ochaco arrossì ancora: “Beh, che provavo qualcosa per lui.”
“Sei stata molto coraggiosa, cra.” Si complimentò Tsuyu. Uraraka le sorrise con gratitudine.
“E lui che ha detto? Com’è andata?” Domandò Momo, cercando di sembrare ficcanaso il meno possibile. Peccato che non sapesse quanto Uraraka temesse quella domanda.
“Ecco, è andata bene.” Si limitò a dire la castana. Insomma, era pur sempre una verità. Era obiettivamente andata bene, solo che non era il tipo di ‘bene’ che si aspettavano le altre.
Inaspettatamente, in quel momento, nella stanza si affollarono una quantità di voci che sembrava nettamente superiore al numero di persone presenti.
“OH, LO SAPEVO!” Gridò Ashido, balzando in piedi. Hagakure la seguì a ruota: “Hai visto che il lucidalabbra non si è rivelato necessario?”
“Aspettate, che…” Uraraka le guardò dal basso, in un attimo di confusione, prima che la consapevolezza delle sue parole la investisse in pieno: “No, non intendevo…”
“L’OAD è andata a buon fine. Ripeto, l’OAD è andata a buon fine.” La interruppe Ashido, ponendo le mani a mo’ di megafono, per amplificare il suono.
“Smettila, sei irritante.” La riprese Jiro, tirandola giù.
“Oh, sono così felice per te.” Disse Momo, appoggiando dolcemente una mano sulla spalla di Uraraka, guardandola con gioia. A Ochaco venne da piangere. Come avrebbe potuto smontare la felicità delle sue amiche in quel momento? E, soprattutto, come avrebbe spiegato loro cosa era successo davvero senza tradire Midoriya?
Una sola via d’uscita si fece strada nella sua mente.
Ma certo! La soluzione era semplice. Avrebbe lasciato le cose com’erano per un po’, giusto il tempo di elaborare una scusa valida e, in più, avrebbe avvertito Midoriya della situazione, per evitare che le compagne scoprissero qualcosa. Odiava mentire, ma tradire un amico era fuori discussione.
Sì, sarebbe stata la fidanzata di Deku per qualche tempo, d’altronde, cosa sarebbe potuto andare storto?
“Grazie mille ragazze.” Uraraka si aspettava che il piano avrebbe alleggerito il peso sul suo cuore, eppure, inspiegabilmente, pronunciare quelle parole sortirono l’effetto opposto. Un macigno si cementò nel suo petto e la sua voce gioiosa le sembrò distante ed estremamente falsa. Non seppe spiegarsi perché.
“Beh, vorrà dire che in classe nostra restano solo gli stupidi, per noi.” Scherzò Ashido, scoccando un’occhiata ironica in direzione di Uraraka, che ricambiò con un sorriso forzato.
“Ma dai, non dire così!” Si aggiunse Tsuyu, che credeva ci fosse qualche membro maschile della classe ancora meritevole.
“Mineta è un malato.”
“Dai, avrà le sue qualità.” Cercò invano di difenderlo Momo.
Non ci credeva neanche lei.
“Ti ricordo che una volta ha provato a toccarti le tette.” S’intromise Jiro, pratica e diretta come sempre: “Certo, non lo biasimo.”
“Solo una volta?” Domandò ironica Ashido, con un sopracciglio alzato.
“Sì, ma Iida è un ragazzo intelligente!” Convenne Momo, che aveva sempre una parola buona per tutti.
“Sì, ma pensa solo alle regole!” Si lamentò Hagakure: “Però Todoroki è un gran figo, con quella cicatrice.” Commentò, poi, con voce sognante. Uraraka per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
“Hai una specie di fetish?” La prese in giro Mina, ridacchiando e Hagakure sbuffò: “No, ma che c’entra?”
“Sì, ma chissà quante ragazze gli vanno dietro.” Rispose seriamente Ashido, alzando una mano in segno di resa.
“In effetti in spiaggia si girano in molte a guardarlo, cra.” Osservò Tsuyu, con una mano sul mento, come se stesse analizzando una particolare specie d’insetto, più che una futile e leggera discussione sui suoi compagni di classe.
“L’ho detto allora e lo ripeto: ha un gran bel sedere.” Si aggiunse Jiro, alzando le spalle come se la cosa non la riguardasse poi tanto.
“Però è sempre così riservato. Secondo voi ha una ragazza? Uraraka, che dici?”
“Eh? Oh, sì, è carino…” Doveva pensare alla svelta. Ah, era così difficile mentire: “E di Bakugo che pensate? Non è male.”
“No, è un pazzo isterico.” Sentenziò Jiro, come se bastasse a chiudere il discorso.
“Ha un bel fisico.” Tentò Momo.
“Ma urla troppo.” Disse Hagakure e tutte annuirono: “Kirishima è un santo.”
“Lui è uno carino.” Convenne Jiro.
“Ed è anche molto simpatico.” Si unì Uraraka, mentre Tsuyu annuiva.
“No, non ce la faccio, siamo troppo amici, non riesco a dare un giudizio.” Concluse Ashido scuotendo la testa, cercando di scacciare quel pensiero, mentre Momo ridacchiava.
“Sempre meglio di Kaminari.” Disse Hagakure.
Bomba lanciata.
Mina cercò di contenersi, ma non riuscì ad evitare che si formasse uno strano sorriso sul suo viso.
“Ma dai, perché?” Si aggiunse Uraraka, felice che la conversazione si fosse finalmente allontanata da Midoriya.
Ma, come d’altronde si sa bene, la fortuna di alcuni è la sfortuna di altri. Momo rivolse un’occhiata tesa a Jiro, che osservava le ragazze parlare come se niente fosse.
“Kaminari è un po’ scemo, ma può piacere.” Insinuò Ashido, divertita.
“Chissà cosa direbbero di noi i ragazzi, invece!” Momo tentò di deviare l’attenzione del gruppo su altri argomenti.
“Sì, in effetti è un discorso stupido. Se i pigiama party sono così, questo è l’ultimo a cui partecipo.” Sentenziò Jiro, risultando comunque disinteressata e annoiata come al solito.
Momo pensò che avesse un talento.
“E va bene.” Concesse Ashido: “A chi va di sentire una storia horror?” Propose, mentre Jiro le riservava un’occhiataccia in HD: lei odiava i racconti di paura.
“Sì, che bell’idea!” Trillò Hagakure, alzandosi per spegnere la luce.
Una mano invisibile raggiunse l’interruttore e la stanza piombò nel buio. Jiro tremò: “Ti odio.” Sussurrò nell’orecchio di Ashido, prima che l’amica accendesse la torcia del cellulare e la puntasse su di sé. Rise piano: "Perchè? Ti ho fatto un favore!"
“Bene.” Mina abbassò la voce di parecchi toni, come se fosse stata in procinto di rivelare un segreto impenetrabile: “Avete mai sentito parlare della storia del fantasma di Yokohama?”
“Che? Ma è qui vicino.” Notò Uraraka, incuriosendosi.
Mina annuì: “Proprio così. È la storia di una ragazza che infesta le coste di Tokyo e di Sagami.” Le informò, poi.
“Ma è dove siamo noi adesso!” Osservò Hagakure, con orrore nella voce.
“Esattamente.” Confermò ancora la ragazza.
Jiro si rassegnò: quella serata sarebbe stata una tortura!



Note di El: Uelà, anche se non ho quasi più i capitoli continuo imperterrita a pubblicare il martedì!
Dai, se non finisco il 15 entro questa settimana pubblicò di venerdì. Vi giuro, l'ho praticamente finito, quindi è un'eventualità rara.
Bien, torniamo a noi, chè di 'sta roba giustamente non v'importa niente.
CAPITOLO DI PASSAGGIO. Ah, che bello, adesso lo dico anch'io. Come se il resto dei capitoli fosse di incredibile utilità, poi. Vabbè.
La canna da pesca è stata recuperata, yuppie, a cosa servirà, beh, lo scorpirete presto. Mi ha fatto molto ridere dire che Sero non voleva diventare una lattina.
Su Jiro sappiamo qualcosa in più, yabadabadoo, non ricordo chi mi disse nei commenti che avrebbe tanto voluto vederla confidarsi con Mina, mi pare, non sono sicura, comunque io SAPEVO SAREBBE ARRIVATO QUESTO MOMENTO, spero di averti accontentata.
E poi vabbè, l'ultima parte è tutta un trash, cliché e luoghi comuni. Un po' mi fa ridere, un po' mi faccio schifo, uau, la storia della mia vita.
Ah, fun fact, Jiro che odia gli horror non è un mio headcanon, è prorpio canon, ho studiato, yay, ora potete andare a dirlo a tutte le persone che volevano assolutamente saperlo. *inserire civetta*
Comunque non ho capito perchè vi dico cosa succede nel capitolo a fine capitolo. No, davvero, perchè lo faccio?
Ok, basta.
Adieu,

El.

 

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Capitolo 13
*** Lysiphobia ***


LYSIPHOBIA

paura di lasciare delle questioni in sospeso

 
 

Fear is only as deep as the mind allows.
Proverbio giapponese


 


“Buongiorno, ragazzi!” Salutò raggiante All Might, osservando i volti stanchi e assonnati dei suoi alunni.
“Che ci facciamo svegli così presto?” Si lamentò Kirishima, passandosi una mano sugli occhi che proprio non volevano saperne di restare aperti.
“Beh,” All Might si lasciò andare ad una sonora risata: “qualcuno di voi non ha problemi a svegliarsi a quest’ora, a quanto pare.” Ashido e Sero si scambiarono una veloce occhiata allarmata.
“Abbiamo una comunicazione.” Li informò il professore Aizawa. A giudicare dalla voce anche lui sembrava essere stato malamente cacciato dal letto più o meno una manciata di secondi prima: “Si dà il caso che i clienti al piano di sotto dell’edificio E-5 abbiano riscontrato, ecco… dei problemi.” Iniziò, osservando negli occhi i suoi alunni, ad uno ad uno, con una lentezza estenuante. Si soffermò per qualche secondo su Aoyama e Todoroki, gli unici due inquilini dell’edificio menzionato.
“Che genere di problemi, professore?” Domandò Iida alzando una mano, come a prenotarsi. Non fu chiaro perché, dal momento che a nessuno era venuta improvvisamente voglia di intromettersi nella conversazione.
Mina, Sero e Kirishima si scambiarono delle occhiate veloci, a disagio. Midoriya non riuscì a trattenersi e finì per tradirsi, deglutendo rumorosamente. Per sua fortuna, però, sembrava sempre sull’orlo di una crisi mentale, quindi nessuno diede tanto peso alla sua manifestazione di nervosismo.
Bakugo ringhiò, rifilando un’occhiataccia a Kirishima e Todoroki, al contrario, continuò impassibile a guardare dritto davanti a sé. Evidentemente ci sapeva fare con le bugie.
Kaminari, invece, era confuso.
“Pare che alcune delle mattonelle della pavimentazione del terrazzo siano state divelte e fatte a pezzi. In più i clienti, dopo aver sentito il fracasso, si sono precipitati a controllare, ma tutto ciò che hanno visto è stata una canna da pesca volare via, oltre il muro divisorio.” Spiegò, con tono assonnato, ma non per questo meno minaccioso: “Se veniamo a sapere che quella canna da pesca è di uno di voi, com’è ovvio, non saremo clementi.” Concluse il professore, chiudendo così il discorso: “Ora preparatevi per le vostre attività.”
“Oh, giovani Kirishima e Bakugo?” Li richiamò All Might, mentre la classe si disperdeva tra mormorii curiosi: “Spero vivamente che non abbiate nulla a che fare con questa storia. Una terza infrazione ci costringerà a farvi espellere dalla struttura.” Li avvertì, congedandosi.
Mentre si allontanavano Kirishima riuscì solo a sentire una serie di imprecazioni indistinguibili di Bakugo.
 
“Ragazzi, cosa diavolo avete combinato con la canna da pesca?” Sussurrò Kaminari, non appena riuscì ad avvicinarsi ai suoi complici senza farsi sentire dai compagni di classe.
“Nulla, sta’ tranquillo, troveremo un modo.” Lo rassicurò Ashido risoluta. Kaminari le regalò un sorriso asimmetrico: “Allora agiamo nonostante il rischio?”
I tre ragazzi annuirono.
“Avanti, Kaminari, stiamo aspettando te!” Gridò all’improvviso Hagakure, riportando i complici alla realtà. Era stata, come al solito, una giornata estenuante e la classe aveva deciso di usufruire del televisore della sala comune per vedere un film, prima di andare a dormire. D’altronde la loro vacanza, se così si poteva definire, sarebbe finita presto e c’erano delle cose che tutti volevano proprio fare, prima di tornare a casa.
“Eccomi!” Annunciò il ragazzo, trasportando il computer che teneva tra le braccia fino al televisore e collegandolo ad esso con un cavo: “Direi che ci siamo.” Li informò, girandosi a guardare la schiera di ragazzi seduti dove potevano, divisi tra il sofà, i tappeti e i cuscini.
“Che ci proponi?” Si informò Ojiro, sfiorando casualmente una mano di Hagakure e trasalendo un attimo dopo.
“Mh, ecco, non pensavo che avremmo avuto la possibilità di vedere un film, quindi ho solo quelli che ho scaricato tempo fa e sono un po’ patito dei generi horror e thriller.” Spiegò, mostrando la lista, nella quali figuravano, come previsto, tutti titoli che nessuno vorrebbe mai vedere riferiti alla propria vita.
“Tu?” Domandò sconvolta Ashido, che tutto si sarebbe aspettata tranne che Kaminari avesse una passione per questo genere di cose. Il biondo annuì, sorridendo a disagio.
“Che ve ne pare di Shining?” Propose Midoriya, leggendo i titoli leggermente confuso. Ne conosceva solo un paio e quello non rientrava nella sua cultura: “Sembra… luminoso?” Tentò, insicuro.
Kirishima arricciò il naso divertito e sorrise: “Oh, lo è.” Commentò, scuotendo però la testa.
“Andata.” Si aggiunse Sero, mentre Kaminari faceva partire il film e si posizionava ai piedi del divano. Shoji allungò un braccio per spegnere la luce nella stanza.
Kaminari girò il collo e alzò lo sguardo sulla persona seduta sul divano, proprio dietro di lui. Sorrise genuinamente: “Ciao.”
Jiro lo guardò dall’alto: “Sei un cretino.” Lo insultò, poi, battendo piano un pugno sulla sua testa.
“Ahi!” Si lamentò il ragazzo, prendendo a massaggiare il punto in cui era stato colpito: “E adesso che ho fatto?”
“Hai messo un film horror, ecco che hai fatto.”
“Hai paura?” Le chiese lui, genuinamente sorpreso. Jiro gli rifilò un’occhiataccia: “Ehi, non c’è niente di male.” La difese lui, alzando le mani in segno di resa: “Se hai paura, puoi, mh, tenermi la mano.”
Jiro lo studiò sorpresa ed un piccolo sorriso le piegò gli angoli della bocca. Kaminari riuscì a distinguerlo anche al buio ed il petto gli si riempì d’orgoglio e di gioia: “Zitto e guarda il film. È nell’altra direzione.” Lo riprese lei, indicando con un cenno del capo la TV davanti a sé. Kaminari alzò le sopracciglia, sorridendo di rimando: “Preferisco guardare te.”
“Io no.”
“Ma a te gli horror non piacciono!” Le fece notare Kaminari, ridacchiando.
“Appunto.” Jiro chiuse il discorso ed il biondo si concentrò finalmente sul film. Non si sorprese, però, quando, poco dopo, la ragazza appoggiò incerta una mano sulla sua testa, massaggiando i capelli nel punto in cui poco prima l’aveva colpito. Kaminari sorrise caldamente, davanti ad un fotogramma di Jack Nicholson, mentre a malincuore si decideva ad alzarsi dal suo posto sul pavimento.
“Dove vai?”
“Devo dire una cosa a Kirishima.” Sussurrò e vide nettamente i lineamenti di Jiro cospargersi di delusione.
 
“Non lo conosci?” Domandò Todoroki, sporgendosi dalla sedia, oltre il limite del bracciolo, per farsi sentire da Deku.
“Eh?” Midoriya trasalì, rendendosi conto del fatto che le labbra di Todoroki fossero letteralmente a qualche centimetro dal suo orecchio. Sperò con tutto il cuore che il buio lo aiutasse a mascherare le guance irrimediabilmente rosse: “Mh, no, è grave?” Domandò poi, genuinamente curioso. Cercò di regolarizzare il respiro, in modo che il ragazzo non notasse quanto era nervoso.
“No, ma è un tradizionale film horror.” Spiegò Todoroki, ridendo piano.
Ecco, pensò Midoriya. Lui ci aveva provato davvero a rimanere tranquillo, con tutte le sue forze, ma la sua risata leggera, emessa direttamente nel suo orecchio, gli fece vibrare le membra, sciogliendolo come neve al sole.
“Tu lo conosci?” Domandò, poi, Deku, voltandosi verso l’amico.
Pessima decisione. La sua intera visuale fu occupata dagli occhi di Todoroki, dei quali, al buio, distingueva solo un vivace luccichio e qualche ombra di colore. Shoto si allontanò per metterlo a fuoco: “Sì, ma non è un genere che amo.”
Midoriya deglutì a vuoto, senza riuscire a staccare gli occhi dalle sue labbra, mentre Todoroki poggiava una mano sul bracciolo, per bilanciarsi meglio.
“Neanche a me, devo ammettere che…”
Midoriya fu interrotto da una consistente quantità di cose che accaddero nello stesso momento.
Un sonoro pop risuonò nella stanza, facendo notare a tutti che il televisore si era spento in seguito ad un malfunzionamento. Il computer lo seguì a ruota e le luci all’ingresso, fievoli ma efficaci, si spensero a loro volta facendo piombare la stanza nel buio.
Ci fu un secondo di silenziosa confusione, prima che il malcontento e le lamentele esplodessero nello stesso momento. Todoroki balzò in piedi e Midoriya fece lo stesso, ma, preso dalla confusione generale, afferrò una mano del ragazzo a metà, stringendola saldamente.
“Cos’è successo?”
“È un calo di tensione?”
“Kaminari, mettici le mani.”
“Vado a vedere cosa posso fare.”
“Oddio, ma lo vedete?” Esclamò inorridita Uraraka, all’improvviso, portando l’attenzione di tutti sul dettaglio spaventoso che aveva notato.
“Che cos’è?” Domandò Hagakure, voltandosi, come il resto della classe, verso il punto indicato da Ochaco.
La finestra sul lato dell’edificio era stata spalancata e le tende strappate, o meglio, consumate in un lampo.
“AAAAAAAAAAAH mon Dieu!” Strillò all’improvviso Aoyama: “Au secours!”
“E tu da dove spunti fuori?” Chiese Ojiro, lasciandosi momentaneamente distrarre dall'arrivo del compagno.
“Guardate!” Momo indicò sconvolta uno strano oggetto non molto distante dalle scale che conducevano al piano superiore.
“Ma che cosa…” Midoriya allentò la presa sulla mano di Todoroki, ma il ragazzo glielo impedì, costringendolo a rimanere accanto a lui.
Qualcosa di vagamente illuminato dalla luce della luna, che filtrava attraverso la finestra, ruppe la continuità dell’oscurità. Una sagoma indistinta si stagliava nelle tenebre con abbastanza chiarezza da essere senza dubbio identificabile come umana.
“Ma quello è…” Iniziò sconvolta Hagakure.
“Il fantasma di Yokohama, cra.” Convenne Tsuyu, che sembrava più incuriosita dal fenomeno che propriamente traumatizzata.
“Oh, andiamo, che sciocchezza.” S’intromise Jiro. Nessuno poté vederla, ma si esibì in un’impressionante e completa rotazione degli occhi. Sarebbe stato uno spettacolo strabiliante, se solo non ci fosse stato il buio a nasconderla.
Peccato, però, che fosse null'altro che una copertura, perché in realtà il suo stomaco aveva preso a tremare e le sue mani si erano ghiacciate dalla paura.
“Voi sapete di cosa si tratta? Possiamo attaccarla?” Si aggiunse Todoroki, già pronto a colpire, ignorando l’osservazione di Jiro.
“Non saprei. Pare che abbia il potere di apparire solo davanti a coloro che stanno per morire, ma che, in effetti, sia inconsistente.” Momo era risoluta come al solito e la sua capacità di analizzare la situazione non era affatto stata smentita, ma la voce le tremava considerevolmente, per la prima volta dopo tanto tempo.
“C-che cosa? Ma la vediamo tutti, non è così?”
Ci fu un verso tremante e impaurito proveniente dal retro del gruppo.
“E voi coglioni sareste degli eroi? Un messaggero della morte? Ma fatemi il piacere!” Una seconda folata di vento fece ondeggiare il mantello dello spirito. Molti dei presenti avrebbero più tardi negato di essere trasaliti come se a toccarli fosse stata la mano stessa della Morte, ma Bakugo fece un passo avanti, a metà tra un gesto coraggioso e impavido o solamente stupido. Lo stivale colpì il pavimento di legno ed il tonfo risuonò nel silenzio spaventato che era calato nella stanza.
Poi, con uno scoppio, la mano del biondo si illuminò fievolmente.
“Bakugo, non farlo!” Lo avvertì Uraraka, saldando una presa ferrea sul suo braccio, nel vano tentativo di dissuaderlo dal partire all’attacco.
“Farò esplodere questa comparsa di merda!” Gridò, strattonando il braccio e liberandosi così dalla presa della compagna di classe.
Partì all’attacco, avvicinandosi e studiando il suo immobile avversario, mentre tutti tenevano il fiato sospeso. Poi un’idea terribile si concretizzò in realtà dal posto in prima fila che occupava Bakugo. Un gruppo folto di ragni si fece strada nella stanza, illuminato dalla sinistra e fredda luce della luna.
“Quelli sono…” Kirishima, più che spaventato, pareva genuinamente confuso.
“NOOOO!” Bakugo incespicò all’indietro, cadendo lungo disteso. Vide le bestie infernali avvicinarsi e puntò subito i gomiti.
“Fermi, ragazzi, ma che avete…” Il rosso si fece sentire ancora una volta, un attimo prima che un’esplosione illuminasse a giorno l’edificio, bruciacchiando gran parte della sagoma del fantasma di Yokohama, che era, a ben vedere, nient’altro che un lenzuolo, insieme a gran parte delle piante che adornavano la sala.
“Kaminari!” Gridò Ashido. La sua voce proveniva stranamente dall’alto.
“Sì.” Il suono dei passi del biondo che si allontanavano fu tutto ciò che i ragazzi sentirono prima che la luce artificiale tornasse a illuminare l’edificio. I danni erano ora molto più evidenti.
Tanto per cominciare, il tappeto che conduceva alla rampa di scale in ferro battuto era stato integralmente bruciato, insieme a una porzione minima di legno del parquet, che Todoroki si era immediatamente preoccupato di spegnere, sotto lo sguardo adirato di Bakugo. I ragni erano misteriosamente scomparsi, sostituiti, invece, da macchie scure di plastica sciolta, incollate al pavimento. Ashido era in cima alle scale, che reggeva una canna da pesca dal manico bruciato, che un tempo sorreggeva il fantasma di Yokohama. Le tende della finestra erano, ora, più che strappate, visibilmente corrose.
Come se non bastasse, il bracciolo del sofà era misteriosamente cosparso di… ghiaccio?
“Ecco…” Sero si guardò la punta delle scarpe e una dozzina di paia d’occhi si puntarono su di lui, attente. Persino Bakugo si era rialzato e, dopo essersi spazzolato i vestiti, si era dedicato al compagno in un inusuale silenzio imbarazzato: “Diciamo che non avevamo previsto che sarebbe finita così.” Tentò, alzando un sopracciglio, come a testare l’effetto che le sue scuse avevano sortito sugli animi traumatizzati degli amici.
“Che vorrebbe dire?” Domandò Todoroki, assottigliando lo sguardo.
“Che io, Sero, Kirishima e Kaminari vi abbiamo organizzato uno scherzo.” Concluse Ashido, dopo aver ridisceso le scale ed essere tornata tra i suoi amici.
“Voi avete fatto cosa?” Replicò incredula Hagakure.
“Sì, la storia horror ieri sera, il film di paura, il black out e infine il fantasma e i ragni.”
Alla parola ‘ragni’ Bakugo sembrò riscuotersi… e indirizzare la sua infinita e per la prima volta giustificata collera verso un unico bersaglio: “SEI MORTO, CAPELLI DI MERDA!” Gridò il biondo e Kirishima capì che era arrivato il momento di darsela a gambe. Scappò verso la porta, gridando qualcosa di simile a “Giuro che non lo sapevo!” e scomparve nella pineta, seguito a ruota dal biondo.
“Beh, è vero, Kirishima non lo sapeva.” Lo difese Ashido, alzando le spalle e facendo riscuotere tutti dalla distrazione dello scambio momentaneo tra i due.
“Quindi non esiste il fantasma di Yokohama?” Domandò Uraraka, incuriosita.
Kaminari sorrise: “Non che io sappia.”
“Non è che tu sappia molte cose.” Jiro parlò per la prima volta dopo svariati minuti. Sembrava incurante come al solito, ma era stranamente pallida.
“E l’avete organizzato per…”
“Per settimane, già.” Replicò soddisfatto Sero, annuendo raggiante.
“E la parte più bella è stata…” Iniziò Ashido, ridacchiando: “Ehm, Iida, tutto bene?”
Il capoclasse teneva gli occhi fissi sul disastro provocato dall’esplosione di Bakugo e sembrava afflitto oltre ogni limite. Alzò lentamente lo sguardo sui complici, guardandoli come solo il fantasma di Yokohama avrebbe potuto fare.
“Tranquillo, Iida, riusciremo a risolvere la situazione.” Midoriya prese l’iniziativa, intercettando lo sguardo dell’amico, che ricambiò con gratitudine, ma con il cervello troppo in panne per ragionare: “Bene, prendiamo questo tappeto bruciato e portiamolo via. Non mi sembra antico, né di valore. Seppelliamolo.” Todoroki lo studiò mente parlava, intimamente sorpreso dalla sua risolutezza. “Poi prendiamo il tappeto ai piedi del sofà e mettiamolo al posto del vecchio. Deve coprire la bruciatura sul legno.” Continuò, abbassando il tono ogni secondo di più, iniziando già a borbottare.
Iida, però, sembrava già stare meglio.
“E con la tenda che facciamo?” Domandò Uraraka, facendolo tornare alla realtà e ricordandogli che doveva pensare ad alta voce.
Midoriya gettò uno sguardo veloce e pratico alla finestra: “Ma cosa le è successo?”
“Ehm, l’acido mi è sfuggito di mano…” Iniziò Ashido: “letteralmente.” Aggiunse, come se la cosa potesse aiutare a capire più velocemente il gioco di parole. Midoriya annuì: “Tiriamola via e… beh, speriamo nessuno la noti.” Tentò e Iida sembrò agitarsi di nuovo.
“Ecco, per la canna da pesca?” Tentò Ashido, mostrando l’arma del delitto che fino ad allora aveva tenuto nascosta dietro la schiena: “Ma è quella…”
Mina annuì a disagio: “Mineta, ti piace pescare?”
“EHI!”
“È un problema vostro.” Sentenziò secco Todoroki, con freddezza. Lo infastidiva il fatto che la classe combinasse guai e poi costringesse Midoriya a risolverli, ma Deku non sembrava affatto altrettanto irritato e annuì con la sicurezza di chi ha già una soluzione: “Seppelliamo anche quella.”
Iida sembrò ritornare a respirare e la classe intera si adoperò per seguire il piano.
La folla si dissipò in un battibaleno.
“E poi, ecco… Todoroki?” Lo richiamò Midoriya, poco dopo che il ragazzo a metà gli ebbe voltato le spalle per mettersi all’opera: “Ehm, che ne diresti di… ecco, sai…” Deku arrossì vistosamente, abbassando lo sguardo: “Sì, insomma, che ne diresti di sciogliere il tuo ghiaccio sul bracciolo?”
Oh.
Il volto di Todoroki attraversò una quantità di tonalità di rosso degne di un camaleonte, ma, per fortuna, si voltò in tempo per dirigersi verso il sofà, mugugnando un “Certo” tra i denti.
 
“Alla fine non è andata tanto male.” Esalò esausto Kaminari, stravaccandosi sul letto dalle lenzuola nere, con i gomiti dietro la testa.
“Scherzi?” Ribatté Ashido, chiudendo la porta e accomodandosi su una sedia: “Non poteva andare peggio!”
“Quella dei ragni non è stata una grande idea.” Convenne Sero, con la fronte aggrottata.
“E chi lo sapeva che Bakugo avesse una sottospecie di fobia per i ragni? Io pensavo che ce l’avesse Kirishima, per questo non gliel’abbiamo detto, no?”
“Avremmo dovuto capirlo. Dev’essere stato un ragno a fargli cadere la canna da pesca dal terrazzo dell’E-5.” Considerò Sero.
Ashido si stupì. Quel ragazzo si rivelava tutt’altro che stupido quando si parlava di deduzioni logiche.
Kaminari si alzò sui gomiti: “Ma di che parlate?”
Mina e Sero si scambiarono un veloce sguardo d’intesa: l’avevano appena fatta grossa: “Oh, ehm… Ecco, abbiamo avuto una disavventura.”
“Sì, noi…”
Salvati dalla campanella!
Kirishima fece il suo ingresso nella stanza, richiudendo la porta velocissimo e concedendosi qualche attimo per riprendere fiato.
A giudicare dall’espressione sul suo viso e, perché no, anche dall’odore, gli amici non poterono che intuire che avesse corso per tutto il Lotus Resort per scappare dalle grinfie di Bakugo.
“Bentornato!” Lo accolse Ashido, con un sorriso.
“Bakugo dice che se non volete morire ammazzati, testuali parole, dovete cedergli le lenzuola nere.” Riferì il rosso, non appena riuscì a proferir parola. I due ragazzi annuirono terrorizzati. Non si sarebbero messi per nessuna ragione contro quel pazzo.
“Oh, a proposito di Bakugo…” Iniziò Mina, riservando un’occhiata incoraggiante a Kirishima. Il ragazzo, però, deglutì a vuoto, ricominciando a sudare, sì, ma questa volta freddo.
“O-ora?” Alzò un sopracciglio, implorante, ma Ashido annuì perentoria, sicura che quello fosse il momento giusto. Lo sguardo di Kirishima, allora, si fece determinato, mente traeva un respiro profondo: “Ragazzi, io… devo dirvi una cosa.”
“Spara.” Kaminari si mise a sedere, concedendo all’amico la sua più totale attenzione.
Kirishima ebbe un deja-vù della volta in cui fu lui a rispondergli così, quando il biondo aveva dichiarato agli amici di avere una cotta per Jiro.
Era grato ai due di essere così attenti, ma non poté che sentirsi ancora più schiacciato dalla pressione delle parole che di lì a poco avrebbe pronunciato. Per di più, se all’inizio era convinto che la presenza di Mina l’avrebbe tranquillizzato, ora era proprio questo a procurargli la maggiore quantità di stress: la consapevolezza, in fin dei conti, che il solo fatto che Ashido fosse lì lo costringesse, in un certo senso, a non potersi tirare indietro, a dover parlare chiaro. Sentì le ginocchia tremare, mentre il respiro seguiva il loro esempio.
“In questi giorni ci ho pensato molto e…” Kirishima volse lo sguardo in direzione di Mina, che annuì incoraggiante: “è da un po’ di tempo che ho capito una cosa.”
Sero alzò un sopracciglio: “Okay.” Il rosso non accennava a voler continuare, quindi l’amico si sentì in dovere di incalzarlo con lo sguardo.
“Sì, ecco, diciamo che c’è una persona che mi piace.”
Kaminari e Sero non avevano mai visto Kirishima così imbarazzato in tutta la loro vita.
Aveva affondato le mani nelle tasche della tuta e aveva abbassato lo sguardo, puntandolo fisso sulle sue scarpe, come se avessero avuto qualche nuovo dettaglio che non poteva assolutamente esimersi dall’analizzare. Quando aprì bocca la voce gli uscì fuori tremante. Rasentava quasi un sussurro e Mina lo guardò con apprensione.
“E quindi? Non ci vedo nulla di male! Chi è?” Domandò Sero, guardandosi attorno. Anche Kaminari si era rabbuiato. C’era forse qualcosa che non vedeva? Perché i suoi amici erano così strani?
“Bakugo.”
Sero a stento riuscì ad afferrare le parole: “Ah.” Esalò poi, in un momento di realizzazione.
Il silenzio calò nella stanza, mentre Ashido guardava i due incredula.
Le venne naturale serrare i pugni. Davvero non avevano intenzione di appoggiarlo? Se non si fossero dati una mossa a dire qualcosa li avrebbe fatti a pezzi personalmente.
Kirishima alzò per la prima volta lo sguardo su Sero.
Era… deluso. Sì, era deluso perché le sue speranze erano appena state fatte a brandelli e riversò tutta la sua preoccupazione negli occhi dell’amico, che si addolcirono all’istante, afferrando al volo l’equivoco: “E pensavi davvero che la cosa potesse essere un problema?” Si affrettò ad aggiungere il corvino e un sorriso genuino gli inondò il viso, mentre Kirishima traeva un sospiro sollevato.
Anche Mina si rilassò.
“Davvero non…”
“Non dirlo neanche. In realtà era chiaro un po’ a tutti, solo, non pensavamo ci fossi arrivato anche tu.” Ridacchiò il ragazzo.
Detto da lui faceva quasi ridere. Il sorriso di Kirishima si allargò e Sero non poté che esserne felice: “Dico bene, Kaminari?” Chiese, non guardandolo neanche e stampandosi in faccia il solito sorrisetto obliquo.
Il silenzio che seguì, però, lo costrinse a voltarsi: “Kaminari?”
Il biondo alzò lo sguardo spento sui tre amici, scuro in volto. Accennò un sorriso, ma non raggiunse gli occhi, apparendo poco convincente. Poi scosse il capo e Kirishima notò con orrore che non era stato affatto un sorriso amichevole, quanto più amareggiato.
Kaminari sembrava in tutto e per tutto disgustato.
“Vado a prendere una boccata d’aria.” Annunciò, dirigendosi verso la porta senza guardarsi indietro e richiudendola un attimo dopo con un tonfo.
“Non posso crederci!” Gridò Mina, incredula, dopo qualche secondo di silenzio confuso. Sero sembrava condividere i suoi stessi pensieri: “Non ho idea di cosa gli sia preso, dico sul serio.”
“È un idiota, ecco cosa gli è preso!” Ribattè Ashido aggressiva: “Appena lo vedo, giuro, lo sciolgo con l’acido. Anzi vado subito!”
"Lascia stare."
“Mi sembra assurdo. L’altro giorno, prima di entrare alla SPA credevo anche che ci fossimo capiti…” Sero guardò Mina come a cercare una risposta nei suoi occhi, ma le iridi della ragazza non lasciavano posto a nessuna emozione che non fosse il risentimento.
Ma Kirishima non li ascoltò.
Il suo cervello era rimasto ancora bloccato al momento in cui aveva posato lo sguardo su quello che considerava da tempo il suo migliore amico.
Avvertì uno strano bruciore alla bocca dello stomaco, mentre fissava come in trance la porta d’ingresso della stanza.
Era ferito.




Note di El: Ho deciso, amiche e amici!
Niente più riassuntazzi nelle note, solo vere comunicazioni!
Bien, so che questo scherzo è un po' fuori dalle righe, ma tutta questa storia è una caricatura. Quindi quando la mia cara Ran mi ha dato l'idea, beh, ovviamente mi ci sono catapultata in nome del trash!
Tutto quel tempo a far tremare di paura Bakugo per via dei ragni finalmente ha avuto un senso, insieme alla canna da pesca, il GSH (che adesso posso dire stare per "grande scherzo horror") e nulla. Se fosse uscito ad Halloween sarebbe stato più bello, ma pazienza.
Questo capitolo è un po' fuori il resto della storia, ovviamente, un po' una cosa a parte, ma all'inizio e alla fine getta le basi per lo sviluppo dei prossimi capitoli.
Ovviamente sono curiosa di sapere cosa pensate della questione Kaminari/Kirishima (e anche un po' della Tododeku! <3)
Per i curiosi egoistozzi che temono che non abbia finito il 15, in questa settimana, gnè gnè, dovete imparare a fidarvi di me *prego, leggere con voce di Dazai*
Ma certo che l'ho finito, amiconi miei! *questo un po' meno. Se non sapete chi sia scopritelo*
Va bene, grazie sempre a tutti per l'attenzione, ancora mi chiedo quando capirete di esservi imbarcati in una storia terribile, perchè non mi spiego tutto questo amore, ma davvero GRAZIE, ci tenevo a dirlo perchè vi tratto sempre male.
Adieu,

El.

 

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Capitolo 14
*** Algophobia ***


ALGOPHOBIA

paura di provare dolore

 

I'm not afraid of death; I just don't want to be there when it happens.
Woody Allen



La notte, si sa, porta consiglio.
Per questo motivo l’unica ragione per cui Kirishima era riuscito a prendere sonno, la sera prima, era la magra, ma incrollabile speranza che, dormendoci su, le cose si sarebbero messe a posto. O, per lo meno, credeva che la luce del sole gliele avrebbe mostrate con più chiarezza.
“Svegliati, capelli di merda.” Bakugo gli tirò via le lenzuola di dosso e alzò la veneziana. Che meravigliosa ricompensa!
La luce del sole non gli pareva più tanto un toccasana.
Kirishima afferrò con un grugnito il cuscino e seppellì la testa sotto di esso: “Ascoltami bene, non importa se hai fatto le ore piccole per quel tuo scherzo del cazzo. Tu adesso ti alzi. Oggi abbiamo solo mezza giornata.”
Che voce melodiosa con cui alzarsi la mattina!
“Magari tu. Oggi inizia il week-end dello sport.” Mugugnò in risposta, ricoprendosi di nuovo alla bell’e meglio e usando i piedi per riagguantare le lenzuola. Non aveva alcuna intenzione di alzarsi ed essere costretto a lavorare a stretto contatto con Kaminari.
Forse era da codardi, ma tutto ciò che desiderava era di non rivedere quello sguardo disgustato di nuovo. I suoi ricordi, d’altronde, si stavano già adoperando per piantarglielo davanti agli occhi ogniqualvolta sbattesse le palpebre: “Kirishima.” Lo riprese Bakugo, chiamandolo miracolosamente con un appellativo diverso da ‘capelli di merda’. Doveva essere parecchio irritato… o vagamente in pensiero per lui.
A riprova di ciò, lo privò ancora delle lenzuola e gli strappò con violenza il cuscino dalla testa, lanciandolo da qualche parte nella stanza. Kirishima aprì gli occhi e si mise lentamente a sedere con un sospiro, fissando un punto imprecisato del parquet.
“Tu avviati a colazione. Io vengo dopo.” Annunciò il ragazzo, senza interrompere la sua contemplazione delle assi piatte di legno.
“Ma che ti prende?” Bakugo alzò un sopracciglio, titubante. Kirishima alzò lo sguardo su di lui e il biondo arrossì, colto in un atteggiamento lontanamente simile all’apprensione.
“Niente. Avviati.” Quel giorno non aveva tempo da sprecare nell’analisi dei segnali. O meglio, non ne aveva voglia.
“Ma sei cretino? Ti ho chiesto…” Eccolo di nuovo, aggressivo come sempre.
“Bakugo.” Lo ammonì. Kirishima sembrava esausto.
Un suono che potrebbe essere approssimato al celebre tsk scappò dalle labbra del ragazzo, mentre poggiava una mano sulla maniglia e si voltava un’ultima volta a controllare l’amico.
“Ricomponiti, perché sembri un cretino.” Lo offese Bakugo, prima di aprire la porta e avviarsi a fare colazione: “E anche una femminuccia.” La porta si richiuse con un tonfo.
Kirishima sorrise debolmente. A quanto pareva il biondo non passava poi così poco tempo ad osservarlo, perché aveva toccato le giuste corde. Con un colpo di reni si alzò dal letto e andò a rinfrescarsi, cercando dentro di sé il coraggio che solo un vero uomo avrebbe avuto per affrontare la giornata che lo attendeva.
 
“Ehm… salve?”
Un paio d’occhi dorati si posarono incuriositi su Midoriya. Era seduto a terra, accanto al mini-frigo del chiosco del bar e sembrava del tutto intenzionato a non alzarsi da lì per un bel po’. Il nuovo arrivato lo scrutò confuso. Lo stava ascoltando? Si schiarì la voce e parlò ancora: “Ti disturbo?”
Questa volta la voce del ragazzo sortì l’effetto opposto. Midoriya lo sentì eccome, anzi, saltò sul posto, andando a sbattere la testa sul ripiano di legno sopra di lui.
“Ahi.” Si lamentò il ragazzo, poggiando una mano sulla superficie del bancone e tentando di nuovo di alzarsi. Purtroppo, però, mise la mano in fallo, o meglio, su un vassoio, che si capovolse non appena vi si appoggiò. Il contenuto gli cadde in testa, costringendolo ancora una volta a restare seduto.
“Ehm, hai bisogno di una mano?” Il cliente non sapeva che pesci pigliare. Il cameriere sembrava avere un momento la situazione in mano, quello dopo aver preso un abbaglio.
“No, no, tranquillo.” Midoriya fece leva sulle braccia e si alzò, spazzolandosi i vestiti e massaggiandosi la testa. Il ragazzo dagli occhi dorati non poté che guardare i cocci dei bicchieri rotti con una punta di ironia. Midoriya seguì il suo sguardo e trasse un respiro profondo: “Scusa.” Esalò guardandolo come se fosse stato il proprietario di quelli che adesso erano solo frammenti di stoviglie: “Che ti servo?”
“Solo una coca-cola.” Rispose, quasi temendo che il barista potesse farsi ancora male, esaudendo la sua richiesta.
Midoriya annuì, pregando che Jiro facesse in fretta a tornare, perché, a quanto pareva, di gestire il chiosco da solo per cinque minuti proprio non gli riusciva. Consegnò la lattina e incassò le monete.
Prima che potesse mettere a posto il pasticcio che aveva combinato, però, la sua collega tornò al bar della spiaggia reggendo un paio di casse di bibite.
“Cos’è successo?” Domandò la ragazza, guardando Midoriya con un sopracciglio alzato. Lui sospirò, passandosi nervoso una mano sul retro del collo, decisamente in imbarazzo: “Ero sovrappensiero, io… Scusa, non volevo.” Jiro lo guardò come se fosse pazzo. Aveva una costernazione nella voce decisamente fuori luogo. Aveva rotto due bicchieri, in fin dei conti, non certo commesso un omicidio, se non si contava l’occultamento di canne da pesca e tappeti.
Jiro sorrise e mosse le mani davanti alla sua faccia: “Tranquillo, capita, non è un problema.” Lo rassicurò. Una parte di lei sarebbe voluta scoppiare a ridere per quanto la scena era ridicola, ma c’era una vocina nella sua testa che le gridava di essere gentile: “Piuttosto…” Aggiunse, quindi, osservandolo per un attimo raccogliere i cocci con mani tremanti: “perché sei così teso?”
Midoriya alzò uno sguardo composto unicamente da grandi occhi verdi e imploranti. Jiro sorrise: era un libro aperto anche per lei, che non lo conosceva poi così bene. Era chiaro come il sole che ci fosse qualcosa che non andava: “Oh, ehm… Niente, sto bene. Non sono teso.” Negò, le sopracciglia alzate e contratte in un’espressione che non indicava nient’altro che inquietudine.
“Ah, no?”
Midoriya si alzò di nuovo in piedi: “No, no.” Esalò, sfuggendo però allo sguardo della ragazza e muovendolo quasi automaticamente in direzione di Todoroki. Bakugo stava urlando alla sua schiena, come ogni volta in cui avevano lo stesso turno. Jiro seguì il suo sguardo velocemente e tornò un attimo dopo a guardare confusa Midoriya, che adesso fissava il mare.
“Va bene se non vuoi parlarne, ma smetti di pensare così tanto, ché finisci per bucarti il cervello.” Lo prese in giro dolcemente la ragazza. Deku si voltò in un lampo verso di lei, come a chiederle come avesse fatto a smascherare la sua menzogna.
Che ingenuo.
“I-io…” Jiro alzò un sopracciglio: “Sì, hai ragione. Sono teso.” Convenne Midoriya, abbassando lo sguardo. Proprio in quel momento, però, la sua attenzione fu attirata da Uraraka, che camminava a passo svelto verso di loro.
“Ehi!” La salutarono i baristi in coro, mentre la ragazza li raggiungeva col fiatone.
“Sei qui per lui, immagino.” Esordì Jiro, non appena Uraraka si fu seduta allo sgabello del bancone. La nuova arrivata annuì: “Te lo lascio. Oggi non lo capisco.” Concluse, slacciandosi il grembiule e lasciandolo sulla superficie di legno. Poi fece per allontanarsi dal bar a passo spedito, ma un pensiero semplice e divertente le attraversò la testa: timidi com’erano, non ci sarebbe stato gusto ad andarsene di lì senza metterli un po’ in imbarazzo: “Mi raccomando, però…” Aggiunse infatti, voltandosi per metà, in modo che i ragazzi potessero scorgere il sorriso furbo ad alzarle gli angoli delle labbra: “niente cose sporche dietro il bancone!” Li ammonì, abbandonandoli così.
Uraraka, se possibile, raggiunse un colorito che un pomodoro avrebbe potuto solo invidiare, mentre Midoriya aggrottò la fronte confuso, non dimenticandosi, però, di arrossire appena anche lui. Giusto per precauzione, insomma: “Ecco, era di questo che volevo parlare.” Iniziò la ragazza, cercando di riportare la sua faccia ad una sfumatura per lo meno umana.
“Asp… Avevi intenzione di…” Midoriya indicò con un pollice il suo lato del chiosco. Uraraka sgranò gli occhi, rinunciando una volta per tutte al suo antico rosa carne: “NO, NO!” Gridò, agitando le mani davanti alla sua faccia, mentre una strana voglia di avere la permeazione, come Unicità, si impossessò di lei, facendole desiderare di sprofondare nel terreno: “No,” Ripeté, cercando di mantenere la calma: “ho… ho fatto un pasticcio.” Si arrese, cercando conforto nello sguardo confuso del suo amico.
“Posso aiutarti a risolverlo?” Tentò Midoriya, deciso adesso a darle una mano a tutti i costi.
“Sì, ecco, diciamo che l’altra sera le ragazze mi hanno chiesto come fosse andato il nostro, sai…” Uraraka esitò, alzando lo sguardo su di lui: “incontro.”
Midoriya sembrò afferrare al volo, perché distolse lo sguardo a disagio e arrossì, tanto per cambiare: “Mi dispiace di averti messa in difficoltà.” Si scusò, poi. Uraraka desiderò praticamente di morire.
“No, no affatto, è che… Non sapevo come rispondere alle loro domande e allora…”
Deku sgranò gli occhi terrorizzato e tornò a guardare la sua amica con il panico nella voce: “T-t-tu… gliel’hai detto?”
“Che? No!” Si difese la ragazza, stremata da quella conversazione fatta di imbarazzo e ansia: “No, io… No, ma hanno capito male. Ho provato a fermarle, ma…”
Midoriya adesso la guardava incuriosito. Cosa potevano aver mai capito?
“Adesso credono che tu… Insomma, che noi stiamo insieme.” Sputò fuori chiudendo un occhio come se temesse che Deku potesse decidere di tirarle un pugno. Deku. Insomma Deku. Lo stesso che era arrossito almeno una ventina di volte in cinque minuti. Deku.
Oh.
“Ah.”
“Già.” Uraraka guardava in basso, come se si vergognasse delle sue azioni e del fastidio che stava procurando al suo amico: “Voglio pensare a una scusa plausibile e dir loro la verità al più presto, ma… Insomma per il momento…”
“Beh, va bene.” Il ragazzo alzò le spalle, sorridendole timidamente.
“Che?”
“Sì.”
“Ma se lo vengono a sapere tutti Todoroki penserà…”
“Non fa niente. Non è che mi vedrà mai in quel senso, in ogni caso.” Specificò Midoriya, rinsaldando il suo sorriso. Uraraka lo guardò confusa: “Ma… Ma tu non ti arrendi mai.” Lo contestò lei. Non poteva credere al fatto che lei, che aveva trovato la forza per confessargli i suoi sentimenti ispirandosi proprio al suo coraggio, lo sentisse adesso parlare così.
Midoriya scosse la testa, un po’ affranto, un po’ rassegnato: “Penseremo insieme ad una mezza verità.” Rispose invece.
Uraraka annuì, lasciando cadere la questione. Lui gliene fu grato.
Iniziò a chiedersi se non fosse più semplice accontentarsi, innamorarsi di lei, in qualche modo e vivere felice. Si chiese dove avrebbe potuto trovare quell’interruttore, mentre un barlume di fuoco inestinguibile ardeva in un angolo remoto del suo petto, così nascosto da essere a tratti invisibile.
Gli ricordò che Midoriya Izuku non si arrendeva mai; poi si assopì.
 
“Che ci fai tu qui, lobi lessi?”
Jiro guardò Bakugo confusa, alzando gli occhi al cielo un attimo dopo: “Questo sarebbe un insulto?”
Bakugo ringhiò e la ragazza lo guardò stranita. Che cosa aveva in testa che non andava? “Ho lasciato loro un po’ di privacy per parlare.”
“Di cosa dovevano parlare?” Si interessò Todoroki, tornato dall’ennesima consegna di ombrelloni che Bakugo si era rifiutato di fare.
Jiro lo guardò confusa. Da quando in qua domandava qualcosa che non lo riguardasse in qualche modo?
“Ma che cazzo te ne frega?” Il biondo diede voce ai suoi pensieri… solo, con un po’ più di irruenza.
Todoroki alzò gli occhi al cielo, ma non replicò. La cosa fece andare comunque Bakugo su tutte le furie.
“Non lo so, cose da coppie diabetiche, immagino.” Esalò la ragazza, stringendosi nelle spalle.
Jiro notò lo sguardo di Todoroki spegnersi lentamente. Non che normalmente non lo fosse (spento, s’intende), ma in quel momento sembrava quasi essersi liberato di ogni emozione, come se si stesse preparando per uno dei suoi soliti attacchi glaciali. Qualcosa nella testa di Kyoka scattò, i pezzi si misero a posto e milioni di frasi e gesti le sembrarono improvvisamente chiari.
Possibile che…
“Da coppie?” Domandò atono il ragazzo.
“DA COPPIE?” Ripetè Bakugo, con la voce pregna di tutte le emozioni di cui Todoroki mancava.
Jiro annuì: “N-non lo sapevate?” Tentennò, indecisa sul da farsi.
“Nerd di merda.” Mugugnò Bakugo, decidendo che era arrivato il momento giusto di mettersi al lavoro e lasciando i due ragazzi da soli. Agguantò borbottando un paio di lettini come se fossero stati la causa di tutti i suoi mali e si avviò a passo svelto verso un ombrellone, piantandoli nel terreno con una forza decisamente poco necessaria. I clienti vicini saltarono sulle loro sdraio, sorpresi da tanta irruenza.
“Io torno… al chiosco.” Esalò Jiro congedandosi e Todoroki annuì.
Quando giunse dai due ragazzi, che adesso erano finiti a parlare del più e del meno, non poté che rivolgere a Uraraka uno sguardo che le sembrò decisamente strano. Aveva la fronte aggrottata e le labbra ridotte ad una linea, come se volesse metterla in guardia. Ma da cosa?
Con questo pensiero in testa, Uraraka salutò i baristi e si allontanò. Era felice che Midoriya avesse deciso di supportarla, ma aveva uno strano presentimento.
 
Quando Kirishima aveva capito di essersi preso una cotta per il suo migliore amico aveva adottato l’unica tattica che conosceva in un mare di pericoli ignoti: confidarsi. Dopo averne preso coscienza il passo più naturale era stato quello di mettere le cose in chiaro, affrontare se stesso e, per fortuna, aveva avuto Ashido dalla sua parte.
Per questa ragione quando, quella mattina, lui e Kaminari avevano avviato una partita a calcio tra i bambini, Kirishima non era riuscito a trattenersi e, ancora una volta, il desiderio di mettere le cose in chiaro aveva attivato un’impulsività che formava già una parte importante del suo carattere. Per farla breve, insomma, sputò fuori il suo malessere non appena ebbe suonato il fischietto rosso che si era procurato. D’altro canto, i veri uomini prendevano le situazioni di petto, giusto?
“Allora, qual è il problema? Non sono abbastanza uomo?” Cominciò, osservando il campo da gioco come se non avesse appena iniziato un discorso che gli pesava.
Kaminari lo guardò con un misto di confusione e risentimento nello sguardo: era ovvio che Kirishima non fosse stato vittima di un malinteso. Era chiaro come il sole che non fosse pimpante come al solito, quella mattina.
Kaminari scosse la testa e sorrise amaro: “No, amico, sei fuori strada.”
Kirishima si voltò per la prima volta verso di lui. Ma perché era così criptico? Che senso aveva? Non poteva, semplicemente, dirgli che lo disgustava? Avrebbe fatto meno male.
Si accasciò sulla panca, senza staccargli gli occhi di dosso. Kaminari, allora, scivolò più lontano da lui e qualcosa, nello sguardo di Kirishima, si ruppe: “Ti sei allontanato? Sul serio? Credi che possa mischiartelo, che sia una sorta di epidemia? Oppure pensi che sia attratto da te, che ti guardo il culo quando cammini solo perché sei un ragazzo?” Gli occhi gli lampeggiavano e ad ogni domanda che gli poneva l’ira nella voce cedeva il posto al dolore, alla vergogna e all’imbarazzo. Gli stava facendo quelle domande come se una parte di lui si fidasse ancora del suo amico, come se un miracolo avesse potuto ancora fargli credere che no, Kaminari non pensava quelle cose. Non poteva.
Il biondo alzò uno sguardo altrettanto offeso su di lui, gli occhi dorati illuminati da una luce che Kirishima non gli aveva mai visto, neanche durante un combattimento. Sembrava ferito, deluso: “È questo che credi?” Gli domandò, poi, come una bomba di elettricità pronta ad esplodere. Qualche volt gli si posò sulle punte delle dita, come pronto ad attaccare.
“È quello che ho visto.” Kirishima indurì in riflesso una mano, avvicinandosi al viso del biondo col suo. Poi lo vide tremare.
“Io mi fidavo di te! Sei il mio migliore amico!” Proruppe Kaminari, alzandosi in piedi di scatto, mentre un braccio si caricava.
“Questo dovrei dirlo io. Mi stai facendo sentire un rifiuto.” Kirishima seguì i suoi movimenti, mentre con la vista periferica si accertava che la partitella andasse avanti senza intoppi.
“Tu mi hai fatto sentire così, idiota!” Gridò Kaminari, mentre deviava l’ondata di elettricità che aveva accumulato verso l’alto, evitando di colpire Kirishima e stravaccandosi esausto sulla panca.
Lasciò andare la testa tra le gambe, mentre i capelli biondi ricadevano spenti verso il basso e gli occhi abbandonavano ogni vitalità: “Sono il tuo migliore amico e non mi sono accorto di quello che stavi passando. Come se non bastasse vengo a sapere che avevi addirittura paura di dirmi cosa provavi. Come se avessi davvero potuto rifiutarti, abbandonarti e voltarti le spalle. Hai idea di come mi sia sentito? Io, che ti ho confidato i miei dubbi, che ti ho detto come mi sentivo quando mi sono accorto di provare qualcosa per Jiro.” Kirishima si sedette timoroso sulla panca, mentre guardava sconvolto la sua nuca: “Come se non bastasse arrivi a credere che potessi trovarti una specie di umano mutante? Che una cosa del genere avrebbe potuto cambiare le cose tra noi?” Kaminari alzò la testa e tornò a guardarlo, mente un sorriso puro, ma anche un po’ triste gli distorceva i lineamenti. Scosse il capo, deluso, ma i suoi occhi rilucevano ancora di speranza: “Allora non hai capito niente, amico.”
Kirishima si rese conto in quel momento di avere ancora la pelle indurita e i muscoli tesi. Si rilassò ed una nuova consapevolezza bucò la bolla di amarezza in cui si era rintanato, mentre il senso di colpa si faceva strada in lui ed un’ondata di affetto nei confronti del suo amico gli riscaldava le viscere: “Davvero è questo che… che…”
“Certo.” Kaminari rise e alzò gli occhi al cielo (atteggiamento che gli era stato gentilmente prestato da Jiro e di cui non si rese nemmeno conto), prima di rivolgere ancora lo sguardo verso di lui.
“Io… Non avevo capito, dico davvero, è che avevo così paura di quello che avreste potuto pensare che non mi sono concentrato su altro.”
Kaminari annuì comprensivo: “Non ce l’avevo con te per quello che sei, amico, ero solo deluso del fatto che non fossi corso a dirmelo, quando io l’ho fatto con te poco tempo fa. Mi sono sentito tradito. Credevo potessimo dirci tutto. Scusa se non sono stato un buon amico, se ti ho fatto pensare che non ti avrei appoggiato.”
Kirishima lo guardò triste: “No, non è così, ho frainteso io, ecco… Sono io che ti chiedo scusa.”
“Non fa niente, ma… la prossima volta sii diretto, okay? So che sono abbastanza stupido, ma non c’è niente che mi farebbe mai cambiare idea su di te.” Kaminari sorrise e lo coinvolse in un abbraccio aggressivo che Kirishima non poté che ricambiare con una sonora risata e qualche pacca virile sulle spalle.
“Su una cosa hai ragione, però.” Iniziò poi, non appena ebbe sciolto la stretta. Kaminari alzò un sopracciglio curioso: “Sei abbastanza stupido.” Sentenziò scoppiando a ridere e coinvolgendo anche il biondo.
“Ti va di giocare?” Domandò poi Kaminari, dopo qualche secondo di confortevole silenzio.
Kirishima lanciò uno sguardo veloce in direzione del campetto e alzò un sopracciglio divertito. Kaminari ricambiò con uno di quegli sguardi complici che si scambiavano ogni volta che erano sul punto di combinarne una delle loro.
“Ovvio che sì.” Sentenziò Kirishima alzandosi e invadendo il campo, seguito a ruota dal suo amico.
 
“Buonasera telespettatori, abbiamo qui un’ufficialissima sfida partecipante al week-end dello sport. Il fine settimana, in parole povere, in cui si lascia posto alla competizione e al fair play, alla vita e alla morte, al divertimento!” La voce di Present Mic risuonò nella pineta, dove era stato posizionato un tavolo da ping pong e qualche sedia di plastica che fungeva da spalti rudimentali.
“Non c’è nessun televisore. Non abbiamo telespettatori.” Lo corresse Aizawa, che sembrava essere stato messo lì per ricatto più che per volontà. La risata di All Might riempì la platea di cui, per il momento, era il solo membro, fatta eccezione per una vecchietta il cui viso sembrava portare più rughe che anni.
Kaminari, per di più, stava correndo in direzione del campo con una sacca ricolma di racchette e palline.
“Eccomi, ci siamo!” Esalò a stento, sfiancato dalla corsa.
Jiro prese posto non troppo distante dalla vecchia signora e ridacchiò sotto i baffi. Kaminari le regalò un’occhiataccia, fingendosi offeso.
“L’hai presa la rete?” Gli domandò Kirishima, non appena il biondo ebbe posato il bottino sul terreno.
“Eh? Dovevo?”
Kirishima si batté una mano sulla fronte e annuì: “Corro.” Garantì il biondo, allontanandosi nella pineta.
“Ebbene, si parte!” Tuonò la voce di Present Mic, non appena Kaminari fu tornato dalla sua seconda e rilassante corsetta per il resort: “A quanto pare oggi c’è anche un torneo di atletica.” Scherzò poi, quando posò gli occhi sul povero Denki, sudato e affannato.
“I primi volontari a sfidarsi sono Ochaco Uraraka e Yaoyorozu Momo! Una sfida tutta al femminile che vedrà le nostre donzelle battersi fino a rinfacciarsi anche i respiri più fastidiosi, anche le…”
“Piantala.” Intervenne Aizawa, smontando la verve del collega.
“Oh, avanti, mi sto solo divertendo un po’. Mi raccomando, date il meglio di voi!”
Uraraka guardò l’amica con un pizzico di ilarità e tensione. La 1-A e qualche curioso scrutavano il campo da gioco con estrema attenzione. Non perché fosse propriamente interessante, ma più che altro perché non c’era nient’altro da guardare. Momo sorrise e sollevò la pallina per qualche secondo, poi la colpì, prima che toccasse il campo da gioco, spedendola nella metà avversaria del tavolo. Uraraka ebbe i riflessi pronti, ma era sempre stata una frana negli sport poco dinamici, quindi impresse più forza del necessario e la pallina non colpì il tavolo.
Il gioco andò avanti così per un po’, con Uraraka che a stento riusciva a reggere il gioco di Momo, che, al contrario, aveva iniziato a giocare a ping pong nel suo giardino in tenera età e non aveva mai smesso.
“Forza Urarakaaaaa!” La voce di Deku risuonò nella pineta e allora quella che Present Mic amava definire una telecronaca si accese improvvisamente di entusiasmo: “Abbiamo dei sostenitori. Riuscirà il tifo del giovane Midoriya a ribaltare la sit… OOOOH PERBACCO, abbiamo una svolta!” Incalzò il professore. In quel momento, infatti, Uraraka fece levitare l’ennesima pallina che aveva spedito con troppa forza nella metà avversaria, facendola decelerare, poi cadde piano sul tavolo, sotto gli occhi sbalorditi di Momo. Ochaco scoppiò a ridere e alzò le mani: “Non hanno detto di non usare le Unicità.”
“Non l’abbiamo detto?” Domandò confuso Present Mic ad Aizawa, che scosse la testa: “Non l’abbiamo detto, signori, non l’abbiamo detto! Come reagirà la giovane avversaria, ripagherà con la stessa moneta o…”
Momo sorrise divertita, poi prese la pallina tra le mani, spostando lo sguardo in alto a destra, in riflessione. A quel punto altre cinque palline fuoriuscirono dai palmi delle sue mani e, in un attimo, le mise in gioco.
“CHE?”
“Gioca, gioca!” Ancora una volta la voce di Deku incitò l’amica, Uraraka gli rivolse una veloce occhiata complice e di nuovo le palline levitarono, mentre Momo ne generava già altre.
Todoroki si voltò a guardarlo fare il tifo, mentre si aggiungeva anche Iida. Poi spostò lo sguardo su Ochaco.
Sembravano entrambi così innocenti, così puliti, così puri e, soprattutto, così dannatamente perfetti insieme. Si sentì in colpa per avere, negli ultimi tempi, anche solo pensato di immischiarsi, di rovinare la loro felicità, soprattutto in quel momento, che sapeva che non era qualcosa che fiutava solo lui, ma qualcosa che avevano iniziato a diffondere, qualcosa di vero che non si limitava ad essere solo una sua paranoia.
Midoriya e Uraraka adesso erano una coppia e gli parvero così felici, così completi da farsi ribrezzo per aver avuto in mente, anche solo per un attimo, di sporcare quella luce con le sue tenebre, di rompere quell’equilibrio permanente con le sue altrettanto permanenti incongruenze. Come aveva sperato, immaginato e sognato di trovare il collante che lo spaccava in due in Midoriya, che era già così soddisfatto?
Osservò Kirishima e Kaminari prendere il posto delle ragazze.
“E tu non fai il tifo per me?” Domandò il biondo a Jiro, avvicinandosi con una corsetta agli spalti… si fa per dire.
“Perché dovrei?” Domandò la ragazza, con un cipiglio ironico. Era ovvio che avesse capito, ma preferiva di gran lunga prenderlo in giro.
Kaminari si strinse nelle spalle: “Midoriya ha fatto il tifo per Uraraka.”
“Loro sono una coppia.” Puntualizzò Jiro, alzando un sopracciglio scettica e Kaminari abbassò lo sguardo a disagio, storcendo la bocca di lato e alzando le spalle fingendo noncuranza.
Dopo aver deciso, grazie all’aiuto di Ashido, di dare una possibilità a Kaminari, Jiro si era ritrovata piuttosto delusa e abbastanza confusa dal suo comportamento. Durante il film horror, infatti, il biondo si era fatto audace e aveva apertamente flirtato con lei, accendendo un briciolo di speranza nel cuore della ragazza. Dopo pochissimo, però, era scappato.
Ora, la logica le suggeriva che l’aveva fatto per dare il via allo scherzo (stupido e infantile, in aggiunta), ma la parte più irrazionale di lei si chiedeva se in realtà non avesse affatto intenzione di portare il loro strano rapporto ad un livello più serio. Continuava a volerci andare coi piedi di piombo.
“Ehi, capelli di merda!” La voce soave di Bakugo si fece strada tra gli alberi, mentre il ragazzo sbucava nello spiazzo, per assistere alla partita.
“Oh, sei venuto a fare il tifo?” Domandò Kirishima, che, nonostante la concentrazione, trovò il tempo per concedersi un sorrisino ironico. Kaminari cercò di sfruttare la sua distrazione, ma non ebbe successo.
“Assolutamente no.” Precisò il biondo: “Me la prendo con te perché non hai le palle di affrontare un degno avversario.”
“Io sono un degno avversario.” Lo corresse Kaminari, squadrandolo e, proprio in quel momento, la pallina atterrò sulla sua fronte, facendolo cadere lungo disteso.
“Spostati, stupida comparsa.”
“Sono in classe tua da un anno. Un anno.” Si lamentò Kaminari, mentre Bakugo gli strappava la racchetta dalle mani e si posizionava al suo posto.
“È anche il mio migliore amico.” Aggiunse Kirishima.
“Hah? Quello sono io.” Strillò furente Bakugo, raccattando la pallina da terra e lanciandola con il triplo della forza necessaria dritta nel petto già indurito di lui. Era evidente che Bakugo non fosse aggiornato sulle recentissime novità della vita sentimentale di Kirishima.
“Abbiamo una… ehm, una sostituzione. A quanto pare nelle regole non si vieta a un giocatore di scaraventarne un altro a terra e prendere il suo posto!” Trillò Present Mic, che ribolliva di entusiasmo in modo decisamente eccessivo: “Non l’abbiamo detto?” Domandò ancora, inarcando un sopracciglio e voltandosi verso Aizawa, che, come da copione, scosse la testa.
“Non l’abbiamo detto, signori, non l’abbiamo detto!” Ripeté raggiante il telecronista.
All Might rise di gusto dalla sua sedia di plastica.
“Lei sembra proprio un bell’eroe.” Considerò la vecchietta, osservando da capo a piedi il professore, che da un po’ non era in forma smagliante, a detta di molti, ma non di tutti.
“Lei crede?”
“Oh, sì. Se le va, alloggio nell’edificio E-1, camera E-17. Sono curiosa di scoprire la sua Unicità.” Tentò lei, strizzandogli l’occhio con un sorriso talmente puro da cozzare con le parole che aveva pronunciato qualche attimo prima.
All Might alzò le sopracciglia, comprendendo fin troppo bene, poi ridacchiò: “Grazie mille, signora, ma declinerò l’invito.”
“Peccato.”
“Dopo ci sfidiamo noi?” Domandò Midoriya, giocando nervosamente con le dita delle mani e sporgendosi di lato per farsi sentire meglio dal suo interlocutore. Era evidente che fosse nervoso, ma, a dire il vero, anche lui si stava facendo mille domande. La sera prima Todoroki aveva perso il controllo del suo ghiaccio mentre gli sussurrava parole all’orecchio. Non voleva illudersi. Quando aveva detto a Uraraka che non aveva speranze era esattamente per questo motivo, ma quel comportamento era stato strano ed era per quella ragione che quella mattina era stato così teso.
Così, prima di perdere definitivamente le speranze, pensò che valesse la pena tentare.
Todoroki lo guardò a lungo, mentre una scintilla di sfida nello sguardo prendeva il posto del solito distacco, che quel giorno appariva anche così triste: “Sì, va bene, ammesso che tu riesca a battermi.” Lo provocò con superiorità e strafottenza.
Midoriya gli rivolse un altro lungo sguardo determinato, prima di sorridere appena e annuire: “Ci puoi scommettere.”
 
Todoroki chiuse la porta della sua stanza nell’edificio E-5 dopo mezzanotte e trasse un respiro tremante, serrando gli occhi e tentando di non pentirsi di ogni singolo battito di ciglia compiuto nell’arco dei venti minuti precedenti.
Nulla da fare. C’era da aspettarselo.
Sbatté frustrato la testa contro la porta e grugnì, tradendo un leggero segno di conflitto interiore.
“Bentornato.” Lo salutò una voce proveniente dal letto.
“Aoyama?” Domandò il ragazzo, incredulo. Raramente tornava in stanza e lo trovava già sotto le lenzuola verdi. Generalmente i ruoli erano invertiti.
“Serata impegnativa?” Domandò il biondo, alzandosi a sedere e scrutandolo sotto la luce fioca della lampada all’ingresso.
“Più o meno.” Rispose Todoroki, biascicando per fingersi quanto più assonnato possibile per chiudere quella conversazione alla svelta.
Non gli piaceva il sesto senso di quel ragazzo. Per niente.
Si gettò sul materasso ancora vestito e finse di dormire.



Note di El: Uelà!
Questo lo chiamiamo "il capitolo in cui ho paura dell'OOC". In breve i personaggi fanno cose e io ho paura.
First of all, gestire un Kaminari dispiaciuto e offeso è stata dura. Ce l'ho messa tutta, spero che nelle vostre teste rispecchi il modo in cui reagirebbe in una situazione del genere, since non ci sono casi simili (almeno nell'anime. No spoiler sul manga, grz).
Ovviamente Kirishima che non scoppia di gioia è stato un altro guaio e farlo scontrare con Kaminari... Non ne parliamo proprio.
Todoroki dispiaciuto AH AH AH e Jiro che capisce cose pure mi ha messa in difficoltà.
Cosa salviamo? Oh, ma ovviamente lo stacchetto della vecchia signora. Io mi sono divertita, almeno.
Detto ciò vorrei liberarmi di tutte le colpe.
La colpa è tutta di 
Ran (lo scrivo in rosso, così si vede bene) che ha detto "secondo me fai che Kaminari ci resta male" e io le ho dato pure ascolto e ho fatto un macello.
Bien, ora passiamo alle
***INFORMAZIONI DI SERVIZIO, PREGOOO***
Sto pensando di aggiornare tra dieci giorni/due settimane. Ho da parte solo il 15 e non vorrei diventare incostante. Con un po' di tempo in più dovrei concludere il 16 e mantenere un certo ritmo. La cosa potrebbe cambiare anche se scrivo 4 capitoli in una settimana (alla fine siamo in dirittura d'arrivo), spero che la cosa non sia un problema.
Detto ciò, bah, veramente GRAZIE, questa storia scema sta superando i miei wildest dreams e non so perchè, ma accetterò quest'inconsapevole gioia e cercherò di restituitvela con tutte le cose ciotte e folli che aspettate da 14 capitoli e per le quali vorreste ammazzarmi (leggi: p0000rn)
Se proprio non ce la fate ad attendere ***SPOT PUBBLICITARIO*** Ho scritto una Tododeku rossa un anno fa. Non è il massimo, ma è scritta per il p0rn Fest.
Wow... faccio pena a pubblicizzarmi.
Non mi odiate, sono note lunghissime aaaaaa
Adieu,

El.


 

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Capitolo 15
*** Thermophobia ***


THERMOPHOBIA

paura del calore

 
In skating over thin ice our safety is in our speed.
Ralph Waldo Emerson



“Tutto è bene quel che finisce bene, insomma. Non avevo dubbi.”
“Ma se sei stata tu a dire che era un cretino e che meritava la morte!”
“CHE? Guardate che mi offendo!”
“In realtà” Puntualizzò la ragazza: “minacciavo di scioglierlo con l’acido.” Ashido si resse con le braccia sul muretto, mentre incrociava le gambe.
“Ora sono decisamente offeso!” Ribatté Kaminari, con il gomito che poggiava sulla coscia e la mano che reggeva il viso.
“Ma era ovvio che ci fosse sotto qualcosa, Sero. Ho un buon fiuto per queste faccende.” Concluse Mina ignorandolo e levando un dito. Il moro alzò le sopracciglia scettico, non nascondendo un sottile sorriso.
“Ho sbagliato io a sottovalutarlo.” S’intromise Kirishima con lo sguardo basso e un po’ colpevole.
“Ormai è acqua passata, amico.”
“Piuttosto…” Esordì Sero.
“Non resta forse un’ultima persona che dovrebbe saperlo?” Lo tagliò Ashido, osservando Uraraka, Midoriya, Iida e Tsuyu lisciare la sabbia e montare la rete, qualche metro più in là. Kirishima osservò gli amici timoroso.
“È quello che ho detto anch’io!” Aggiunse Kaminari, dandogli di gomito.
“Lo so, lo so. È che non ne sono sicuro. Cioè, lui è ambiguo e io ho… beh, ho fatto una cazzata l’altro giorno, nelle piscine idromassaggio, ma…” Esalò abbassando lo sguardo e sentendosi leggermente oppresso dalle tre paia di occhi che lo fissavano in attesa. Scelse di lasciar vagare senza meta le parole successive al suo ‘ma’ e smise di parlare.
“C’è ancora il week-end dello sport. Oggi siete esonerati dalla punizione, dico bene?” Suggerì Ashido, che aveva notato il disagio di Kirishima e avrebbe davvero voluto risparmiarglielo. Nonostante ciò, però, una parte di lei sapeva bene che la cosa migliore, per il suo amico, era affrontare la realtà e smettere di rintanarsi nella sicurezza del suo silenzio.
Come previsto, infatti, Kirishima alzò uno sguardo implorante su di lei: “Sì.” Mormorò, consapevole di starsi consegnando al nemico di sua iniziativa.
“Però,” Continuò sorprendentemente Mina e una rinnovata attenzione si posò sulle sue parole in sospeso: “è vero anche che devi volerlo tu. In questi casi la scelta giusta non esiste. Si tratta della scelta che ti farà stare bene e sei il solo a conoscerla.”
Kirishima annuì con decisione. Che decisione, però, non gli fu chiara. In fin dei conti lui non aveva deciso proprio niente, ma a quanto pareva c’era una parte di lui che, da un po’, aveva trovato una soluzione a quel grattacapo. Non gli restava altro compito che decifrarla ed, eventualmente, starla a sentire.
“Certo, per stasera potrei organizzare qualcosa che potrebbe aiutarti ad accelerare i tempi, sai…”
Kirishima sgranò gli occhi, inquietato: “Aspetta, che?”
“Lascia fare a me. Ho un piano.”
“Mina, io li conosco i tuoi piani e…”
“Possiamo iniziare, professore!” Iida interruppe il flusso preoccupato di pensieri di Kirishima ed il silenzio di Mina, ma il ragazzo tornò indubbiamente di buon umore. Pensò che se si fosse lasciato almeno un po’ andare tutto sarebbe andato per il verso giusto. All Might alzò i pollici e fece segno a Prest Mic di iniziare.
Kaminari si alzò di scatto, pronto a coinvolgere i clienti del Lotus resort nelle attività speciali del week-end dello sport che, a quanto pareva, quel giorno proponeva una partita a beach volley sotto il sole ancora cocente del pomeriggio.
 
Non molto tempo dopo, infatti, Kirishima e Kaminari si trovarono ai lati opposti del campo improvvisato a fare da arbitri della partita che vedeva coinvolti due giovani padri contro i loro figli agguerriti. La voce squillante e incalzante di Present Mic avrebbe fatto venire loro il mal di testa più irritante della storia!
Todoroki, invece, si era già rassegnato al baccano. L’idea di lavorare come bagnino era stata piuttosto sadica, a detta sua. Già relazionarsi con il genere umano gli risultava complesso, in genere, in più avere a che fare con Bakugo era quasi una tortura. Le loro personalità si scontravano in tutto e per tutto ed era certo che i professori l’avessero notato praticamene subito. Trasse un sospiro rassegnato, cercando di gestire la noia che s’impossessava del suo corpo. Poi, però, l’imbarazzo lo salvò… per così dire. Gli tornarono alla mente i fatidici venti minuti della sera precedente.

Si era messo in testa di essere più… aperto al dialogo.
Se quel lavoro estivo gli aveva fatto credere di star avendo qualche effetto benefico sulla sua personalità, mentre si dirigeva alla sua meta, venti minuti dopo, sulla strada del ritorno, l’imbarazzo aveva spazzato via qualunque orgoglio di essersi messo in gioco. Era cerebralmente morto, oppresso da una quantità di parole che l’avevano sommerso come un’onda maligna.
Lui l’acqua la preferiva decisamente solida.
Avrebbe dovuto girare i tacchi e smettere di combattere la sua voglia di rimanere nell’ombra, avrebbe dovuto fermarsi prima dell’inizio della fine.
E invece no, Todoroki aveva bussato sul legno scabro della camera E-78.
Il suono gli parve così distante e così spaventosamente udibile allo stesso tempo. Annuì deciso, improvvisamente consapevole di aver fatto la scelta giusta, mentre il coraggio e l’adrenalina gli fluivano nelle vene come un antidoto rigenerante.
L’uscio si aprì appena, rivelando l’occhio curioso di Momo, che sbirciava al di là della porta. Quando riconobbe il suo ospite l’aprì del tutto, osservandolo sorpresa e confusa: “T-todoroki?” Balbettò, cercando nei suoi occhi il motivo di quell’inaspettata visita.
“Buonasera, Momo e… buonasera ragazze.” I suoi calcoli si erano rivelati accurati, dopotutto.
“Entra, dimmi tutto.” Si riscosse Momo, lasciandogli lo spazio necessario per entrare e osservandolo muovere dei timidi (o erano solo incuranti?) passi all’interno della stanza.
“Volevo parlare.”
“Oh, no, mi dispiace che tu mi abbia trovata con…”
“No, intendevo con tutte voi.”
Le ragazze si scambiarono una serie di sguardi interrogativi. Todoroki le studiò tutte, prendendo posto su una sedia che Momo si era immediatamente preoccupata di procurargli. Sembrava di stare in tribunale: “Ho pensato che avreste saputo aiutarmi su… questa questione.” Tentò, riscoprendosi quasi leggero nell’introdurre l’argomento. Quasi. La sua calma e pacatezza, però, vacillò non appena Jiro si sistemò sul tappeto, passando da una posizione stravaccata e rilassata ad una seduta e attenta. Un po’ troppo attenta, per i gusti di Todoroki.
“Che genere di questione?” Si informò Ashido, portavoce delle anime in pena. Todoroki si concentrò su di lei, per scacciare dalla testa quello strano presentimento.
“Di cuore.” Sentenziò il ragazzo a metà, con il tono austero e teso di chi sta dichiarando guerra a una nazione.
“Oh, wow…” Esalò Hagakure, incuriosendosi.
“Inaspettato, cra.” Notò Tsuyu, con una certa ironia. Uraraka distolse lo sguardo e Jiro le riservò un’occhiata attenta. Di nuovo, un po’ troppo attenta, per i gusti di Todoroki.
“Spara.” Rispose Ashido, invitandolo a continuare. Todoroki, a quella parola, storse il naso, domandandosi se fosse stata effettivamente una buona idea. Sospirò, aveva già scoperto le sue carte, ormai, ed era troppo tardi per tirarsi indietro.
“Ecco, c’è una persona che mi piace… credo.” Si limitò a spiegare, sicuro del fatto che quel numero di parole sarebbe bastato.
A quanto pareva non lo era, perché qualcuna alzò un sopracciglio.
“Volevo dei consigli…” Gli stava costando tutto il suo autocontrollo: “per provarci e capire...” Sputò fuori. A Jiro venne quasi da ridere. Sembrava stesse declamando un passo tragico di un’opera teatrale.
“Oh.” Comprese Ashido, guardandolo pronta a sommergerlo con l’entusiasmo delle sue domande: “Capire se le piaci?”
Todoroki sembrò sul punto di dire qualcosa, di correggerla, poi ci rinunciò e annuì.
“Mh, okay, immagino che dirglielo sia fuori discussione.” Tentò lei, studiandolo. Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, ma non disse una parola: “Già, ecco…”
“Potresti portarla al cinema!” Tentò Hagakure, congiungendo le mani emozionata.
“No, macché, dove lo trova un cinema qui?” La smontò subito Ashido, che era chiaramente un’esperta in amore.
“Una gita in barca, cra.”
“Costruiscile una casa sull’albero!” Propose Momo.
“Ragazze, dove la prende una barca o un’ascia?” Replicò Mina, incredula. Todoroki si sentiva leggermente frastornato. Seguirle si stava rivelando un compito arduo.
“Perché non organizzi un incontro sulla spiaggia, dopo l’orario di chiusura?” Propose Uraraka, aprendo bocca per la prima volta da quando era arrivato. Sembrava piuttosto… dispiaciuta, come se l’argomento della discussione le stesse portando un qualche tipo di dolore fisico.
“Ecco, questa è una buona idea!” Esclamò Ashido, che ormai era diventata la conduttrice di quella specie di show: “Magari al tramonto, sarebbe così romantico!”
“Sì, poi potresti prenderle la mano.” Aggiunse Hagakure.
“Ma assicurati sia il momento perfetto.” S’intromise Momo, alzando il dito indice. Todoroki annuì, appuntandosi mentalmente le informazioni.
“Se lei non si ritrae falle un complimento. Qualcosa che pensi davvero.”
“E poi… beh…” Mina sorrise, allargando le braccia.
“Poi baciala.” Esalò Jiro, con tono gelido. Todoroki la guardò. Non sembrava un consiglio, ma più una sfida, una minaccia. Gli venne naturale distogliere lo sguardo.
“Okay. Spiaggia, tramonto, mano, complimento e… Ho capito.”
Ashido rise di gusto: “Guarda che non stai organizzando un attacco a una base nemica. Sii te stesso, alla fine non hai di che preoccuparti. Hai tutte le carte in regola per piacere a una ragazza. Anche Jiro pensa che tu sia carino.” Gli confessò, strizzandogli l’occhio.
Todoroki arrossì: “Okay, disinvolto, ce la posso fare.” Rispose poi, decidendo di ignorare le ultime frasi della compagna di classe.
Jiro scoccò un’occhiataccia a Mina, prima di tornare con lo sguardo sul ragazzo a metà: “Oh e non dimenticare. Assicurati che non sia fidanzata.” Gli suggerì, trascinando le altre in una risata.
Ma Todoroki non riuscì a ridere. Jiro gli era sembrata aggressiva per tutto il tempo e quell’affermazione sembrava lontana anni luce da una battuta. Si alzò, spazzolandosi i vestiti per l’imbarazzo di aver richiamato improvvisamente l’attenzione di sei ragazze su di sé. Facevano un po’ paura.
“Grazie per i consigli.” Parlò, inchinandosi in maniera decisamente formale. Mina gli poggiò una mano sulla spalla con fare amichevole e lui non poté che fissare per qualche secondo la sua mano rosa su di lui: “Figurati, quando vuoi.” Gli disse poi, con un sorriso solare: “Ma sciogliti un po’, va bene?”
Todoroki annuì e si liberò dalla mano della ragazza, poi si diresse alla porta in silenzio e parlò ancora solo per congedarsi, un attimo prima di chiudere l’uscio e separarsi dagli sguardi curiosi e ancora un po’ sorpresi delle ragazze.
Mentre camminava sul vialetto che dall’edificio E-7 portava al tugurio, il disagio che gli avevano procurato gli occhi indagatori e critici di Jiro iniziò ad assillarlo, facendolo in parte pentire della sua scelta. C’era, però, una vocina nella sua testa, almeno, che gli sussurrava all’orecchio che a quel punto aveva un piano e che non era affatto il tipo che si sarebbe lasciato intimorire così facilmente.

Questi erano i pensieri che giravano vorticosamente nella testa di Todoroki anche il giorno successivo. Per questa ragione il gesto che compì qualche attimo dopo fu del tutto dettato dal punto centrale attorno a cui girava l’intera questione. Si voltò di scatto, infatti, quasi fosse stato indotto da una forza superiore, verso il muretto su cui sapeva essersi seduto Midoriya. Inaspettatamente, però, lo trovò nel bel mezzo di una profonda conversazione con Uraraka. Li osservò per qualche secondo e, per l’ennesima volta, si sentì di troppo, anche solo a guardarli.
Eppure non riuscì a staccare gli occhi da quella scena. Midoriya sembrava sconvolto, quasi timoroso delle parole della ragazza, come se avesse appena ricevuto una notizia meravigliosa… o terribilmente tragica. Uraraka era rivolta verso di lui e non riusciva a vederla in viso, ma gesticolava molto e le sue parole si traducevano in reazioni piuttosto eloquenti sul viso del ragazzo di fronte a lei. Midoriya sembrava, adesso, quasi rassegnato e sorrideva incredulo, ma con una fievole luce nello sguardo a smentirne lo scetticismo.
“E chi se lo sarebbe mai aspettato?” Una voce nuova stonò nella sinfonia di confusione e curiosità malsana in cui era immerso Todoroki. Quella frase non gli era nuova. Prima che una nuova e sofferta consapevolezza si facesse spazio nella sua coscienza, infatti, quella stessa persona gliel’aveva già detto.
Todoroki incontrò lo sguardo di Aoyama per un secondo, poi lo distolse fingendo noncuranza: “A volte basta solo smettere di combattere l’amour.” Sentenziò il ragazzo, fissando il campo da gioco come se avesse appena fatto un commento sportivo.
Todoroki alzò lo sguardo sul ragazzo, fingendosi confuso, ma Aoyama gli sorrise come uno che, come al solito, la sapeva lunga, poi scrollò le spalle e si alzò con eleganza: “Devo andare via. Ho faccende importanti di cui occuparmi.”
Todoroki non aveva idea di cosa diavolo avesse avuto da fare Aoyama per tutto il campo scuola, ma lui, al contrario di qualcuno, non era certo il tipo che si impicciava degli affari degli altri. Nonostante le mille domande, però, la leggerezza delle parole del biondo si tradusse in una pesante e incombente necessità.
Guardò ancora una volta la coppia seduta sul muretto, chiedendosi se non stesse facendo un grande errore.
 
Il sole era già basso, accennando a calare il sipario del giorno, quando il torneo di beach volley del week-end dello sport terminò. Eppure restava ancora un’ora buona di luce e Kaminari pensò che fosse proprio un peccato sprecarla così.
Trotterellò veloce verso il muretto che faceva da spalti, asciugandosi qualche goccia di sudore scappata alla sua fronte col dorso della mano: “Giocate?” Propose alle ragazze, non riuscendo però a distogliere lo sguardo da quello di Jiro. Come al solito la stava sfidando.
“Perché no.” Rispose Mina, sorridendo e saltando giù dalla sua seduta di pietra. Uraraka scrollò le spalle e la imitò.
“Ci sto, cra.” Tsuyu annuì, dopo averci ragionato un po’ su, ma Momo scosse la testa: “Preferisco stare a guardare.”
“Oh, avanti.” La incitò Ashido, mentre il movimento del berretto di Hagakure faceva capire che aveva accettato la proposta anche lei.
“Io non posso, devo servire l’aperitivo di fine attività con Sero.” Li informò Jiro, che non sembrava poi così dispiaciuta all’idea di dover declinare l’invito.
“Ha paura di perdere contro di me.” Annunciò Kaminari, fingendo un sussurro e indicandola con il pollice, come se fosse stato un segreto tra lui e le ragazze.
“No, sarebbe in effetti la prima volta che vinci.” Gli tenne testa Jiro, consapevole di essere una schiappa a pallavolo e decidendo che cambiare discorso fosse la tattica migliore per avere la meglio su di lui.
Kaminari snudò i denti in un sorriso sfrontato, rassegnato all’idea di dover sorbire ogni battuta tagliente della ragazza. Semplicemente, non riusciva mai ad avere l’ultima parola. Jiro alzò gli occhi al cielo, infastidita dal tentativo di Kaminari di puntare sul fascino per ribattere. Intimamente, però, imprecò. Quel sorriso aveva avuto eccome il suo effetto: “Vi guardo nei primi minuti, però.”
“E va bene, va bene.” Concesse Momo, non riuscendo a combattere l’insistenza delle ragazze.
“Grande!” Tuonò entusiasta Ashido, liberandosi della maglietta gialla per restare in pantaloncini di jeans e bikini: “Kirishima, siamo in squadra insieme?” Strillò, per farsi sentire. Il rosso si voltò di scatto, vedendola avvicinarsi, poi sorrise e gridò di rimando: “Ci puoi contare!”
“Ehi, e a me chi resta?” Si lamentò Kaminari, inseguendo la combriccola.
Jiro si maledisse, quando si riscoprì a fissare il distacco tra la pelle abbronzata dell’addome del ragazzo e quella chiara che era sfuggita al costume giallo per via dei movimenti. Scosse il capo come a scacciare una fastidiosa mosca, poi si concentrò sulle squadre.
“Io non gioco con quel Pikachu di merda.” Sbottò Bakugo, incrociando le braccia al petto come un bambino molto arrabbiato.
“Amico, siamo rimasti solo noi, avanti.” Lo pregò Kaminari, con una punta di noia, all’idea di dover contrattare proprio ora, che era così impaziente di giocare.
“Sei pronta?” Domandò Kirishima, prendendo Ashido per le spalle e scuotendola per fomentarla.
“Sono nata pronta.” Rispose la ragazza fissandolo negli occhi e lasciandolo fare, caricandosi.
“Li distruggiamo.” L’aizzò lui, poggiando la fronte sulla sua come un coach con il suo pugile.
“Li annientiamo.” Ribatté lei, spingendo a sua volta la fronte, a mo’ di bufalo.
“Li facciamo a pezzi.”
“Li cancelliamo.”
“Li faccio esplodere.” S’intromise Bakugo con insofferenza e Kaminari non riuscì a sopprimere una risata: “Tu che cazzo ridi, idiota?”
“Siete in squadra insieme?” Si meravigliò Kirishima, quando ebbe spostato l’attenzione su di loro. Kaminari si guardava attorno disperato, ancora convalescente dalla risata di qualche secondo prima e Bakugo sembrava ristagnare nel suo brodo di rabbia.
“Così pare.”
Ashido ridacchiò, ma Bakugo sembrò riscuotersi: “Neanche per idea.” Ringhiò infatti, strillando.
Kirishima alzò gli occhi al cielo, per nulla impressionato, poi puntò uno sguardo annoiato su di lui: “Bakugo…”
“E tu che vuoi, capelli di merda?” Improvvisamente aveva assunto l’espressione di un bambino che è appena stato scoperto a commettere una marachella. Sembrava un cane bastonato: “Gioca con Kaminari.” Gli ordinò dolcemente, mentre i due spettatori osservavano quello scambio col fiato sospeso, non certi di quanto fosse ridicolo o quanto fosse, al contrario, strabiliante.
Bakugo alzò uno sguardo infervorito su di lui, minacciandolo: “E prova a battermi.” Lo provocò poi Kirishima, per nulla disturbato dall’atteggiamento dell’amico.
Il biondo gli resse lo sguardo per qualche altro secondo, come a misurare la quantità di credibilità che gli sarebbe rimasta se si fosse piegato così pubblicamente. Sbuffò e si voltò di scatto: “Zitto e muoviti, sfolgorato.”
Kaminari spalancò la bocca in estasi: “C-come hai fatto?” Domandò a Kirishima, guardandolo come se fosse il dio del nuovo mondo. 
Ma lui si strinse nelle spalle con un sorriso timido.
“HO DETTO ZITTO E MUOVITI.” Ripeté Bakugo, artigliando il polso di Kaminari e tirandolo verso il bordo del campo.
“Ahi, ahi, ahi.”
 
Il primo round del mini-torneo della classe vedeva come protagonisti Todoroki e Uraraka, trovatisi insieme per ragioni matematiche e Kaminari e Bakugo, che, a giudicare dalle facce, non sembravano neanche formare una vera e propria squadra.
“Quel bastardo a metà lo faccio a fette.” Gridò Bakugo, rigirandosi il pallone tra le mani, assaporandone la consistenza con i polpastrelli. Kaminari alzò un sopracciglio scettico: il suo compagno sembrava parlare letteralmente e lui non poté che chiedersi se non avesse qualche rotella fuori posto, visto quanto sembrava considerare seria la sfida. Il che era quanto dire, visto che a pensare che Bakugo fosse pazzo era Kaminari. Kaminari che si dilettava in installazioni clandestine di play station… Proprio lui.
“Provaci.” Anche Todoroki non sembrava da meno. Ma cosa diavolo prendeva loro?
“Ragazzi,” S’intromise Uraraka, che, a quanto pareva, condivideva gli stessi pensieri di Kaminari: “non siamo al festival sportivo, rilassatevi.”
“FACCIO A PEZZI ANCHE TE!” Sbraitò Bakugo, che sembrava aver dimenticato anche lui il senno sulla luna.
“Iniziamo!” Tuonò Sero, offertosi di fare da arbitro prima di essere costretto a lavorare al chiosco per il rinfresco: “Vi ricordo, niente Unicità e tanto fair play!” Poi fischiò.
Bakugo fece librare la palla in aria per qualche secondo, prese una breve rincorsa e saltò, colpendola con forza con la mano destra ben tesa e mandandola nel campo avversario in una parabola a dir poco perfetta.
“Bravissimo Kacchan!” Gridò Deku, seduto a bordo campo.
Uraraka, però, la recuperò con un bagher senza troppi problemi: “Zitto, nerd di merda.” Lo ringraziò senza neanche guardarlo: “Sfolgorato.” Chiamò poi, alzando la palla a Kaminari.
Il ragazzo saltò con agilità, mandando la palla nel campo avversario con una schiacciata non proprio poderosa. Nonostante ciò, però, la indirizzò talmente bene da finire quasi sulla linea di fortuna che delimitava il campo, per questo motivo Todoroki e Uraraka non corsero subito a recuperarla, certi del fatto che sarebbe uscita.
Accadde in un secondo. Todoroki previde l’esito dell’attacco e si gettò sulla sabbia, flettendo, nel farlo, una quantità di muscoli che mettevano in risalto tutti, ma proprio tutti, gli anni passati ad allenarsi. Inutile dire che Midoriya non si preoccupò di invidiarlo, quanto più di rimirarlo. Nonostante ciò non riuscì a rimandare la palla in gioco.
Quando Todoroki ebbe finito di dare spettacolo, si alzò lasciandosi scappare un’imprecazione a mezza voce, mentre si scrollava di dosso la sabbia accumulata durante il salvataggio. Si voltò verso Midoriya, come a cercare nei suoi occhi un barlume di rassicurazione. Non che gli servisse, assolutamente, era adulto e vaccinato e con la delusione aveva sfamato tutta la sua infanzia, ma sì, insomma, per scrupolo pensò sarebbe stato astuto dare un’occhiata. Peccato che tutto ciò che riuscì a ottenere fu vedere gli occhi di Midoriya salire rapidamente dal suo petto ai suoi occhi, mentre le guance gli si tingevano di un rosso preoccupante ed un sussulto gli scuoteva il corpo, mentre una mano gli si poggiava nervosamente alla nuca.
Todoroki sentì le guance andargli a fuoco di rimando. Tutta colpa dei neuroni specchio, ovviamente.
“Tutto bene? Ti sei fatto male?” Gli domandò Uraraka, avvicinandosi con apprensione.
Todoroki si riscosse dal momentaneo stato di intorpidimento, mentre una rabbia più gelosa che razionale gli iniziava ad offuscare il cervello. Che diavolo di domanda era? Si allenava per combattere criminali e un tuffo nella sabbia era sufficiente a mandarlo in ospedale? Certo che no.
“Sì, sto bene.” Rispose secco e con un pizzico di arroganza gratuita, voltandosi e dandole le spalle, per prepararsi a giocare.
“Oh, va bene.” Percepì una leggera punta di offesa nel tono di Uraraka, mentre sentiva la rabbia montare ogni secondo di più.
Era difficile ammettere anche solo a se stesso che la causa principale del problema era lui; che la gentilezza di Uraraka lo faceva soffrire per ben più di un motivo. Il primo era che lei era esattamente ciò che Midoriya meritava: una ragazza gentile e affettuosa, pronta a preoccuparsi per lui anche quando non ce n’era bisogno. Il secondo era che la sera prima era andato a chiedere alle sue compagne di classe quale fosse il modo migliore per conquistare il suo ragazzo e, ironia della sorte, era stata proprio lei ad avere l’idea perfetta. Si voltò per un attimo a guardarla, assalito dai sensi di colpa e lei gli sorrise incoraggiante. Non riuscì a chiederle scusa, mentre un senso di tristezza ed un principio di sconfitta iniziavano a divorarlo come non gli era mai accaduto prima di allora.
“Ehi, Jiro, ammettilo: non sei riuscita a staccare gli occhi da Todoroki.” Scherzò Ashido, dando di gomito alla ragazza seduta sulla sabbia accanto a lei. Ovviamente il suo occhio furbo e veloce registrò in un secondo lo sguardo discreto di Kaminari che si posava su di loro, come se avesse potuto aiutarlo ad ascoltare meglio la conversazione.
“Ma la smetti?” Rispose Jiro, dopo qualche secondo. Era ovvio che avesse guardato, insomma chi non l’aveva fatto, dopotutto? Questo non voleva dire niente.
“Non hai negato.”
“Io vado a preparare il rinfresco.” Cambiò discorso l’interrogata, alzando le mani come a liberarsi di ogni colpa e facendo leva sulle braccia per alzarsi.
“Todoroki?” Chiamò Ashido, con un principio di risata a modulare la voce.
“Mina!”
“Dai, lo dico anch’io che ha un bel sedere.”
“A dopo!” La salutò Jiro, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.
“Ehi, ehi, aspetta un attimo.” Kaminari le afferrò il polso mentre passava dietro di lui, attirandola a sé con il solito sorriso obliquo ad illuminargli il viso: “Dove vai?”
“A preparare il rinfresco.” Rispose lei alzando un sopracciglio e guardandosi attorno come se gli ombrelloni e i bagnanti potessero spiegarle il motivo dello strano comportamento di Kaminari: “L’ho appena detto, comunque.”
“Ah, sì?” Domandò, abbassando un po’ il tono e poggiandole una mano sul fianco tonico.
“Sì.” Ribatté con tono leggermente interrogativo e alzando le sopracciglia, come ad invitarlo a spiegarle il motivo di quest’improvviso e ingiustificato teatrino.
“Allora ci vediamo dopo.” Promise lui, non lasciandola andare prima di averle posato un leggero bacio sulle sue labbra, come a ricordarle che sapore avevano.
Jiro si allontanò per dirigersi verso il chiosco, salutando tutti con una mano e affiancandosi a Sero, che l’aveva raggiunta: “Oh e… la prossima volta sii un po’ più discreto quando origli, scoppiato.” Lo prese in giro lei, mentre Kaminari spalancava sorpreso la bocca, colto con le mani nel sacco.
Jiro lo trovò stupidamente buffo e odiosamente carino e avrebbe voluto tagliarsi le vene per averci anche solo pensato.
 
Todoroki ci aveva rinunciato. No, stava davvero cercando di essere una persona migliore, di aprirsi agli altri. Certo, i risultati di questo suo sforzo non si vedevano affatto, neanche col binocolo, ma non si poteva passare dall’essere una silenziosa ombra nella classe al re dei casinisti in un battito di ciglia. C’erano degli step e delle tappe da conquistare.
Quindi no. La risposta definitiva era ‘no’. Un grazie speciale alle ragazze della 1-A che gli avevano donato i venti minuti più imbarazzanti della storia… per nessun motivo in particolare, dal momento che aveva mandato all’aria i suoi piani. Non che avesse paura, assolutamente. Non aveva temuto i supercriminali durante l’attacco alla USJ, una sciocchezza come quella non era nulla in confronto.
No, lui lo faceva perché nonostante spesso sembrasse antipatico come Bakugo, ciò che lo distingueva dal biondo era uno spiccato e sincero senso del dovere, un’etica, insomma. Non ferrea come quella di Iida, magari, diciamo flessibile, ma pur sempre un’etica tutta sua.
“Ci vediamo a cena, allora, cra.” Lo salutò Tsuyu, smontando ciò che restava della rete di pallavolo e salutandolo con un leggero cenno della mano.
Todoroki appallottolò la rete tra le braccia e le rivolse un sorriso debole e stanco, guardandola allontanarsi per raggiungere gli ultimi componenti della classe, illuminati in controluce dall’arancione soffuso del tramonto.
Ultimi componenti eccetto…
“Todoroki?”
Il ragazzo a metà aggrottò la fronte, momentaneamente confuso dal proprietario della voce sconosciuta che aveva udito.
Poi si voltò, la rete ancora tra le mani, e incontrò lo sguardo timido di Midoriya, testardamente puntato sulle sue dita, che si ricorrevano tra loro in una danza nervosa.
Todoroki deglutì a vuoto, deciso più che mai a mantenere i nervi saldi: “Midoriya.” Esalò atono, mentre sotto quelle note calme e spensierate si agitavano tempeste di parole.
Il ragazzo alzò finalmente uno sguardo teso su di lui. Nel riflesso dei suoi occhi verdi Todoroki riusciva a scorgere i colori caldi del sole che si tuffava nel mare alla sua destra in un contrasto mozzafiato: “Oh, ecco, mi chiedevo… Per caso ti andrebbe di… Ecco di guardare il tramonto?” Tentò Midoriya, con un sorriso smagliante e gli occhi spalancati che avevano preso a viaggiare in ogni direzione tranne quella che li avrebbe portati a incrociare il suo sguardo.
“Il tramonto?” Ripeté Todoroki.
Midoriya annuì, prendendo l’asciugamano che teneva sul braccio e alzandolo in aria a scopo dimostrativo. Todoroki lo adocchiò titubante, mentre l’altro lo studiava nervoso.
“O… oppure non fa niente, eh,” Midoriya, ridacchiò, alzando gli occhi al cielo con noncuranza: “cioè, era una proposta priva di ogni fondamento, d’altro canto, né per giunta di utilità alcuna.”
“Va bene.”
“Poi, voglio dire, ti ho anche disturbato, stavi mettendo in ordine…” Midoriya si fermò un attimo a guardarlo, confuso: “Aspetta, hai detto che va bene?”
Todoroki distolse lo sguardo, vagamente riluttante, ma annuì.
“Oh, grandioso, fantastico, va bene qui?”
Todoroki si guardò attorno con titubanza: “Allontaniamoci un po’, non dovemmo essere qui dopo l’orario di chiusura della spiaggia.”
 
“Beh, ecco, come sono andati gli allenamenti oggi?” Midoriya ruppe il ghiaccio, letteralmente, perché un’inspiegabile e sottile strato di brina si era formato sulla superficie vellutata dell’asciugamano su cui si erano seduti.
“Bene.” Todoroki annuì, alzando lo sguardo al cielo. I colori del tramonto avevano iniziato a virare verso toni più caldi. Il sole calante gettava adesso raggi bassi e dorati sulla spiaggia e le increspature del mare brillavano con la stessa accecante intensità delle paillettes di Aoyama.
Midoriya annuì di riflesso, seguendo il suo sguardo e riuscendo a darsi mentalmente dello stupido più volte di quanto fosse effettivamente in grado di contare.
Così si decise a darsi un contegno. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, sentendo la brezza marina inondargli le narici e ricaricarlo. Todoroki gli lanciò un veloce sguardo di sottecchi, poi tornò ad osservare il cielo.
Midoriya espirò e tentò di passare quegli istanti godendosi il paesaggio e la compagnia e lasciando il nervosismo da parte: “Questo tramonto mi fa pensare ad una delle prime sere.” Parlò poi, guadagnandosi la silenziosa attenzione di Todoroki.
Gli tornarono in mente le parole di Jiro e quasi non se ne accorse, quando le pronunciò ad alta voce: “È la golden hour.”
“Che cosa?” La voce di Todoroki lo tradì, spezzandosi come se fosse stata impastata dal sonno. Ma Midoriya sembrò non rendersene conto.
“Il momento del tramonto in cui il cielo è dorato. Alcuni la chiamano ‘ora magica’ e se ci pensi, beh…” Spiegò lui, ricordando vividamente le parole di Ashido.
Todoroki deglutì a vuoto, smettendo di prestare attenzione alle digressioni di Midoriya e preparandosi mentalmente a ciò che avrebbe fatto nei secondi successivi. Non poteva credere di star davvero seguendo i consigli delle sue compagne di classe. Non poteva credere di essere sul punto di fare una cosa del genere. Inspirò a fondo, poi spostò lo sguardo in basso e lasciò casualmente scivolare una mano verso quella di Midoriya, sfiorandogli il mignolo con il suo.
Deku si interruppe a metà frase, qualunque cosa stesse dicendo gli morì in gola e lo sguardo gli cadde automaticamente in basso, dove la mano gelata di Todoroki si confondeva con la sua, mentre disegnava sul suo palmo piccoli cerchi col pollice.
Il tramonto e il mare e la risacca e il cielo e gli uccelli sparirono.
“Oh.” Esalò semplicemente Midoriya. Avrebbe voluto uccidersi, in quel momento. Oh? È tutto quello che ti viene in mente? Sei un caso perso.
“Scusa, stavo…” E poi successe una cosa che Midoriya credeva che non avrebbe mai visto in vita sua. Todoroki arrossì. E di brutto, per giunta! Ritrasse la mano e Midoriya fece l’unica cosa che ritenne più tardi geniale e patetica al tempo stesso. “NO!” Gridò, mentre Todoroki alzava uno sguardo sorpreso su di lui: “Voglio dire, no, ehm… Va bene.”
“No, stavo solo…”
“Davvero.”
“Okay.”
I secondi che seguirono furono decisamente imbarazzanti. Un silenzio soffocante scese tra loro, interrotto dalla risacca inarrestabile del mare che scandiva ogni minuto passare con una lentezza disarmante: “Todoroki…” Midoriya parlò all’improvviso, aggrottando la fronte: “M-mi… Ecco, mi stai gelando la mano.”
Todoroki sgranò gli occhi e la ritrasse di colpo da quella di Midoriya: “Scusa.”
“No, tranquillo.” Midoriya sorrise nervoso, tornando a guardare il lento sopraffare della sera sul giorno distruggere quel momento perfetto.
“Midoriya.”
“Sì?” Replicò lui immediatamente e con una punta di speranza di troppo nella voce.
“Comunque ti volevo dire che… Ecco, che non sei male quando combatti.” Esalò Todoroki, guardando una nuvola di passaggio sopra le loro teste.
Midoriya lo fissò sbigottito per un attimo: “Eh?”
‘Eh’? È tutto quello che ti viene in mente? Pensò Midoriya, per la seconda volta in dieci minuti.
“C’è competizione in classe, ma sono sincero. Certo, dovresti lavorare sulle ossa che ti spezzi.” Considerò Todoroki. Midoriya trasalì.
“EH?”
“Però, ecco, hai la stoffa per diventare un grande eroe, tu…”
“Lo pensi davvero?” Tagliò corto Midoriya, la confusione che cedeva il passo alla gratitudine: “Ho lasciato il mio quaderno in stanza, ma cercherò di appuntare mentalmente ogni consiglio che vorrai darmi. Sono tutto orecchie.”
Todoroki lo guardò un po’ disorientato. Non era esattamente lì che voleva andare a parare. Maledetto il giorno in cui aveva deciso che chiedere consiglio fosse una buona idea. Aveva sempre fatto tutto da solo, se l’era sempre cavata e, con un pizzico d’arroganza, poteva anche dire di essersela cavata più volte anche egregiamente.
“Il fatto è che ho capito di essere sempre stato troppo attento allo stile di All Might e non ho mai cercato uno stile tutto mio. Quindi adesso sto cercando di scindere la mia ammirazione per lui dalla mia formazione, capisci che intendo?”
Todoroki sospirò. Restava un ultimo consiglio da mettere in pratica. Non sapeva davvero cosa aspettarsi visto che i suoi ultimi tentativi non avevano portato a nulla di più che un buco nell’acqua, ma a quel punto non aveva molto da perdere. Se solo Midoriya si fosse deciso a smettere di blaterare…
“Però grazie per i tuoi consigli, farò certamente in modo di metterli in pratica, anzi, se in futuro avessi voglia di darmene altri sarò pronto ad ascoltarti per migliorare!” Midoriya chiuse le dita a pugno con determinazione.
“In realtà avrei un altro consiglio.” Ribatté il ragazzo. Il suo viso non lasciava trasparire alcuna emozione e Midoriya ebbe paura che si fosse stancato di ascoltarlo parlare.
“Q-quale?” Tentò infatti, timoroso della risposta del suo interlocutore: “Mi impegnerò a metterlo in…”
“Stai zitto.”
Prima che Midoriya avesse anche solo il tempo di offendersi e seppellire il suo esile e inutile corpo sotto strati e strati di imbarazzo Todoroki lo baciò.
Deku sgranò gli occhi mentre una nuova e stranissima sensazione si faceva largo nel suo stomaco.
Todoroki aveva serrato con forza gli occhi, come se si fosse aspettato uno schiaffo da un momento all’altro, ma si rilassò non appena Midoriya ricambiò il bacio, spingendosi con trasporto verso di lui, come a richiedere un abbraccio.
La naturalezza di quel gesto lo colpì in pieno, la facilità con cui si era lasciato andare, con cui si era affidato totalmente a lui stava rischiando di farlo crollare a pezzi. Un’ingenuità ed una tenerezza che non si era mai concesso di mostrare, che non gli avevano mai permesso di liberare. Ne ebbe irrazionalmente paura.
Una paura, però, così stimolante che lo portò a volerne sapere di più, a volerla conoscere meglio, a lasciarsi divorare dai suoi fumi invitanti.
Gli venne voglia di lasciarlo senza fiato.
“Wow.” Commentò, inopportuno come al solito, Midoriya, cercando di regolarizzare il respiro: “Pensavo fossi più goffo.”
Todoroki inarcò un sopracciglio: era una frana con l’ironia: “Che vuoi dire?”
Midoriya rise, una risata cristallina in cui non v’era traccia di scherno: “Niente.”
“Torniamo, prima che ci trovino qui?” Propose Todoroki, con una punta di invisibile rammarico nella voce.
“Sì, però…” Midoriya esitò, con lo sguardo basso: “magari prima lo rifacciamo?”
 
Jiro era senza fiato mentre correva veloce verso la sala da pranzo. Le parve quasi un miraggio quando afferrò il pomello della grande porta di legno e lo abbassò svelta e incredula: “Uraraka.” Chiamò col fiatone, mentre anche Tokoyami e Ashido sospendevano momentaneamente le loro mansioni da camerieri per dedicarsi alla nuova arrivata, che sembrava essersi specializzata nell’irrompere in quella stanza agli orari più improbabili.
“Ti devo parlare.”





Note di El: Is this the real life? Is this just fantasy? Caught in a landslide, no escape from realityyyyy
(Se l'hai letta cantando dieci punti alla tua casa di Hogwarts. Se non sai cosa sia... DOCUMENTATI, DANNAZIONE)
No hate.
Ah, io avevo un commento serio da fare!
Il fatto che Todoroki vada dalle ragazze a farsi dare un consiglio, oltre che essere imabarazzante e folle di suo (grazie sempre a Ran per averlo suggerito), NON sottintende una sorta di maschilismo di qualche tipo, della serie "le femmine sono frivole e danno consigli d'amore e i maschi non ci sanno fare", questa storia è trash, piena di clichè ed è nata ed esiste per farci una risata, vi prego di non leggerci particolari significati offensivi di qualunque tipo. Io per prima sono una ragazza e non ci so fare, quindi pace.
Altra cosa da sottolineare, spero si sia capito il dilemma interiore di Todoroki. Quel tipo è complicato da scrivere, quindi volevo farlo sembrare egoista e preoccupato per la felicità di Uraraka e Midoriya allo stesso tempo, il che è difficile da fare quando il massimo di parole che può dire in un capitolo senza essere OOC sono 3 in croce. Si scherza. Tivibi.
Come dite? Non sono riuscita a farvi dimenticare che oggi è venerdì/sabato e la storia doveva essere aggiornata martedì?
Avete ragione, ma è stata una settimana infernale, vi giuro che è per questo, il 16 è pronto da più di una settimana.
Penso, però, che ci vedremo qui tra dieci giorni, così mi porto avanti.
Grazie per essere ancora qui dopo 15 capitoli e spero di essermi fatta perdonare con queste 15 pagine di trash. In una sera ho pubblicato angst e demenzialità in una sola botta. Se questo non è bipolarismo...
Come al solito il vostro entusiasmo destabilizza una povera anima come me incapace di provare emozioni normalmente. Grazie davvero per il supporto e spero di leggere presto cosa ne pensate qui sotto.
Adieu,

El.


 

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Capitolo 16
*** Selenophobia ***


SELENOPHOBIA

paura della luna

 

Anything I've ever done that ultimately was worthwhile... initially scared me to death.
Betty Bender



“Ti devo parlare.” Esalò Jiro, poggiando le mani sulle ginocchia per la stanchezza e alzando lo sguardo su Uraraka.
Ashido inarcò un sopracciglio: “La smetti di portare i tuoi drammi adolescenziali nella sala da pranzo?”
“Adesso.” Aggiunse però la ragazza, ignorando il commento di Mina.
“A… a me?” Domandò titubante Uraraka, indicandosi confusa.
Jiro annuì: “Vi raggiungo tra poco, ragazzi.” Replicò decisa, poi, non appena ebbe incontrato lo sguardo sicuro dell’amica.
Varcarono la soglia delle grandi porte della sala da pranzo e si diressero verso il giardino sul retro, mentre il fresco pungente della sera in arrivo le avvolgeva placido.
 
“Che volevi dirmi?” Domandò Uraraka, non appena si fu assicurata che fossero lontane da orecchie indiscrete.
Jiro la guardò indecisa per qualche secondo, chiedendosi se fosse la scelta più giusta o se fosse solamente da ficcanaso. Poi inspirò: “Non mi piace immischiarmi, mi conosci, ma restare in silenzio è da codardi, da viscidi.” Cominciò, come se una parte di lei volesse giustificare agli occhi di quella restante il motivo di tanta preoccupazione.
Uraraka alzò un sopracciglio: “Di che parli?”
“Ecco io… Ho notato una strana tensione, ma prima ne ho avuto conferma. È da stupidi fare la spia, ma sarebbe ancor più da stupidi non dire la verità a un’amica.”
“Non devi nascondere il fatto che tu sia stata carina.” Uraraka sorrise rilassata e Jiro la fissò per qualche secondo, paralizzata dalla sincerità disarmante delle sue parole. Arrossì, rendendosi improvvisamente conto di quanto avesse ragione: “Beh, comunque sia non era di questo che volevo parlare.” Esalò con lo sguardo basso e Uraraka rise.
Jiro si sentì ancor più in colpa quando pensò a come quella risata si sarebbe spenta, di lì a qualche secondo.
Pensò, quindi, che fosse meglio levarsi il dente subito.
“Ho visto Midoriya baciare Todoroki.”
Ora, Jiro sapeva benissimo che un corso per compensare la sua immensa mancanza di tatto non le avrebbe fatto male. E, a dirla tutta, sapeva benissimo anche di non essere una cima quando si trattava di stabilire legami o intrattenere conversazioni con il prossimo.
Sebbene la sua esperienza non fosse varia e ampia, però, qualcosa sulle reazioni umane la conosceva e la comprendeva anche! Il fatto che Uraraka non avesse sgranato gli occhi al culmine della sorpresa, che nel suo viso di solito così trasparente non si fosse palesata alcuna traccia di dolore, le sembrò parecchio strano. Persino per lei!
“Oh.” Si limitò a rispondere Uraraka, infatti, negli occhi null’altro che un’ombra di rassegnata delusione.
Jiro alzò un sopracciglio: “La cosa… ti sta bene?” Non era certo lì per giudicare, assolutamente, ma era confusa.
Uraraka sorrise a disagio e si portò imbarazzata una mano dietro la testa: “Ecco…” Iniziò, roteando gli occhi per non guardare quelli della sua interlocutrice: “credo di dovervi delle spiegazioni.”
 
“Dici sul serio?” Kaminari osservò la scatola col capo inclinato, come se stesse analizzando un interessantissimo eppure incomprensibile fenomeno fisico.
“Ma come ti è venuto in mente?” Domandò Kirishima, seguendo i movimenti dell’amico inconsapevolmente.
Formavano decisamente un bel quadretto, a detta di Mina.
“Già davvero, come?” Si aggiunse Sero, unendosi a quei due scoppiati e alzando le sopracciglia, come se qualcuno gli avesse cacciato in bocca uno spicchio di limone.
Ashido ridacchiò, osservando gli amici increduli guardare quell’innocua scatola di cartone. Avevano ritenuto perfettamente normale architettare uno scherzo che coinvolgeva canne da pesca, lenzuola e acido e secondo loro quello era il marchingegno più strano che Mina aveva fatto entrare a forza in valigia? Davvero?
“Ragazzi, non è niente di speciale, è…”
Qualcuno bussò alla porta della stanza che Kaminari condivideva con Sero e Mina alzò gli occhi al cielo e lasciò i ragazzi in profonda contemplazione, certa del fatto che non si sarebbero mossi di lì per svariati minuti: “Sono arrivato troppo in anticipo?” Domandò Midoriya, lanciando uno sguardo attraverso la fessura della porta e osservando preoccupato i tre ragazzi che fissavano il pavimento: “C’è anche Iida.”
Ashido aprì loro la porta e li fece accomodare.
“Oh, wow, è quello che penso?” Midoriya sgranò gli occhi. Era difficile dire se fosse strabiliato o spaventato, ma Mina preferì non indagare.
“Capisco.” Commentò Iida, riposizionando gli occhiali sul ponte del naso, in riflessione.
“Cosa cazzo state facendo lì impalati, idioti?” Bakugo fece irruzione nella stanza attraverso la porta che Mina aveva lasciato aperta e si diresse a passo spedito, sicuro e anche un po’ arrogante verso l’epicentro del caos: “Buonasera anche a te, Bakugo.” Scherzò Ashido, che continuava a non capire cosa ci trovasse di interessante in lui Kirishima.
“Ma perché cazzo siete così sconvolti?” Bakugo si agitò, guardandosi attorno come in cerca della sua prossima preda.
“Per una volta devo dare ragione al pazzo. Siete fusi.” Commentò Mina.
“Hah? Chi hai chiamato pazzo?”
“È qui la festa?” La voce di Hagakure si fece largo nella stanza, seguita da Uraraka e Jiro. In mezzo a loro, Ojiro e Todoroki sembravano essere stati portati lì contro la loro volontà: “Momo e Tsuyu non sono potute venire.” Li informò Uraraka: “Momo aveva la serata nella SPA e Tsuyu era stremata.”
“La serata alla SPA non suona affatto male.” Considerò Ojiro, in riflessione.
“Jiro, lo devi assolutamente vedere!” Chiamò Kaminari all’improvviso e la ragazza, prevedibilmente, alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi a passo annoiato al suo fianco: “Beh?”
“BEH?” Ripeté Kaminari: “Ragazzi, ha detto ‘beh’!”
“Sì.” Replicò Jiro confusa, osservando i volti attenti dei ragazzi attorno a lei: “Perché tutte queste storie per un Twister?” A quel punto finì per chiedersi se fosse lei a non capire qualcosa o se fossero loro gli idioti: “Ragazzi?” Jiro alzò un sopracciglio, voltandosi a guardare Mina, che alzò le spalle rassegnata: “Ma vi siete drogati di nuovo?”
“NO!” Tuonò Iida, riscuotendosi dal suo momentaneo stato di trance. I ricordi della serata sulla spiaggia gli balzarono in testa, facendolo rabbrividire: “Non ci pensate neanche!”
Mina lo osservò al culmine della confusione, poi sospirò decidendo che no, non aveva intenzione di cercare di capirlo: “Va bene, che ne dite se la smettiamo di guardare la scatola del Twister e componiamo…”
“NO!” Iida la interruppe: “Non vi permetterò di fumare ancora quell’intruglio!”
“… il tappeto da gioco.” Concluse Ashido, rassegnata all’assurdità della situazione.
“Ah. Scusami, non avevo inteso.”
Mina alzò una mano come a scusarlo, decidendo che il modo migliore per affrontare i ragazzi risiedesse nell’assecondare le loro manie, nei limiti del possibile: “Tranquillo, sei perdonato.”
“Va bene, qui siete tutti molli.” Commentò Bakugo, strafottente: “Ketchup, Maionese, ricomponetevi se non volete che vi faccia…”
“Saltare in aria la testa, lo sappiamo.” Risposero in coro Kaminari e Kirishima, per nulla toccati dai soprannomi che Bakugo aveva appena affibbiato loro.
“Kacchan? Davvero li hai chiamati…”
“E tu stai zitto, nerd di merda!” Ringhiò, poi, mentre afferrava la scatola del Twister e ne strappava lo scotch con i denti, sotto lo sguardo inorridito di Ashido.
“Ma io non ho detto…”
“È il fatto che parli, il problema.” Ribatté Bakugo.
“È il fatto che non ti abbiano ancora cucito la bocca, il problema.” Parlò per la prima volta Todoroki, in tono aggressivo.
“Fatti i cazzi tuoi, una buona volta.”
L’aria già iniziava a caricarsi dell’antico rancore e risentimento che i due, orgogliosi com’erano, non volevano proprio saperne di lasciarsi alle spalle.
“Va bene, che ne dici di scartare questo pacco e iniziare a giocare?” Kirishima si accovacciò accanto a Bakugo, poggiandogli un avambraccio sulla spalla e osservando il misterioso cartone contenente il Twister: “Aprilo.” Continuò poi, con un cenno della testa in direzione della scatola del gioco.
Bakugo alzò un sopracciglio: “E tu non provare a darmi ordini, capelli di merda.”
 
Una manciata abbondante di minuti dopo il tappeto da Twister era stato disposto in tutti i suoi colori sgargianti sul pavimento della camera E-76, ma a Bakugo era costato qualche scoppiettante esplosione e una cascata di insulti più o meno coloriti sull’inettitudine dei suoi compagni di classe.
“Bene,” Sospirò Ashido, dopo quella che era sembrata una battaglia, più che i preparativi per un gioco di gruppo: “credo sia tutto pronto.”
Bakugo grugnì dalla sua posizione scomposta ai piedi del letto. Se fosse in assenso o meno, però, a nessuno fu chiaro: “Io girerò la lancetta e vi dirò cosa fare. Mi raccomando, fate di tutto per non cadere. Sero mi darà una mano.”
“Io voglio del fair play da parte di Hagakure.” Obiettò Kaminari, alzando una mano come se si fosse trattato di un interessantissimo e pertinente intervento didattico.
“Io voglio del fair play da parte tua.” Scherzò acida Jiro e Kaminari le riservò un sorriso obliquo, accompagnato prontamente da un occhiolino. Jiro sbuffò, a metà tra noia e ironia.
“Non ci contare.” Ebbe l’audacia di rispondere Kaminari e la ragazza alzò le sopracciglia con aria di sfida.
“Kaminari, meno chiacchiere e più fatti!” Lo riprese Ashido, muovendo la lancetta sul tabellone di cartone: “Mano destra sul blu.”
“Niente di più facile.”
“Bakugo, mano sinistra sul rosso.”
“Col cazzo che giocherò al vostro stupido gioco!” Si oppose lui e Kirishima alzò gli occhi al cielo: “Ma se sei corso ad aprire la scatola.”
“Solo perché siete degli incompetenti.”
“Allora mostraci com’è che si fa.” Qualcosa nello sguardo di Kirishima cambiò. Abbassò il capo e assottigliò lo sguardo, mentre un sorriso di sfida si faceva strada sul suo viso ad illuminargli gli occhi. Bakugo lo imitò e si umettò le labbra, in riflessione: “Arrapati del cazzo.” Sussurrò, poi, tra sé, obbedendo finalmente al comando di Mina, mentre Kirishima esultava. Si posizionò in fondo allo striscione, il più lontano possibile da Kaminari. Meglio, pensò, non mischiarsi con certa gente.
“Todoroki, piede sinistro sul verde.”
“Sul verde, signori!” Gridò Sero, come se fosse particolarmente rilevante.
“Grazie.” Ironizzò Mina.
Todoroki si guardò attorno, chiedendosi se non fosse il caso di lasciar perdere, poi sospirò e si avvicinò a Kaminari, poggiando distaccatamente un piede sul tappeto. In cuor suo sapeva di dover almeno iniziare a sembrare più partecipativo.
Una volta ogni dieci secondi rimpiangeva quella scelta, ma questo era un altro paio di maniche.
“Kirishima, mano destra sul giallo.” Kirishima si avvicinò con un sorriso a Bakugo, posizionato lontano da tutti e poggiò la mano proprio accanto alla sinistra del ragazzo. Bakugo sbuffò, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi e rivolse un’occhiataccia a Kirishima. Lui rise di gusto.
“Hagakure, piede sinistro sul verde.”
Seguì qualche minuto di confortevole silenzio.
“Ehm… hai fatto?”
“Sì!” Trillò la ragazza, accanto a Kirishima.
“Perfetto!” Gridò in risposta Ashido, come se il fatto di non vederla necessitasse che alzasse la voce: “Uraraka, piede sinistro sul verde.”
“Vado!” Trillò la ragazza, poggiando un piede al lato opposto di Todoroki.
“Jiro, piede sinistro sul blu.”
Fatta eccezione per Kaminari, la fila dei blu era ancora tutta libera, ma quando il ragazzo le strizzò l’occhio, accovacciato con una mano sul grosso cerchio brillante, Jiro pensò bene che sbuffare e posizionarsi a un posto di distanza e di spalle fosse un’idea grandiosa. Peccato che un giro più tardi se ne sarebbe pentita amaramente.
“Iida, mano destra sul giallo.”
“Oh, no, no, io devo supervisionarvi, assicurarmi che nessuno si faccia male. Non posso assolutamente partecipare a questa… ammucchiata.” Il capoclasse arrossì all’idea di aver pronunciato quella parola.
“Chiamala di nuovo così e ti stampo gli occhiali in faccia!” Ringhiò Bakugo, che riuscì a farsi sentire magnificamente anche dall’altra parte del tappeto da gioco, con la voce ovattata dalla scomoda posizione.
“Beh,” Ashido lo ignorò e fece girare ancora la lancetta: “Midoriya, piede sinistro sul giallo.” Il ragazzo sobbalzò e scandagliò velocemente il tappeto da gioco. Secondo i suoi calcoli, se si fosse messo vicino a qualcuno, le probabilità di dover fare del contorsionismo si sarebbero ridotte drasticamente. Si piazzò esattamente tra Kaminari e Todoroki, con un sospiro.
“Ojiro…”
“Oh, no, no, finirei per tranciare qualcuno con la coda.” Ridacchiò il ragazzo, scuotendo la testa e accomodandosi sul letto, in attesa che la lancetta di Ashido si muovesse ancora.
“Per piacere fa’ prestooo!” Gridò sofferente Kaminari.
“Ma hai solo una mano sul tappeto.” Obiettò giustamente Mina, alzando un sopracciglio. Era incredibile come quel ragazzo fosse capace di polemizzare e lamentarsi di ogni cosa: “Ad ogni modo, Kaminari, piede destro sul giallo.”
Il ragazzo alzò uno sguardo sconcertato su Ashido, che scosse la testa e scrollò le spalle con una risata, come a dirgli che non avrebbe fatto favoritismi, soprattutto per lui. D’altronde era lì per divertirsi anche lei: “Non ci credo.” Commentò Kaminari, mentre, con uno sforzo, si esibiva in un affatto leggiadro salto all’indietro, atterrando sulla postazione vicina a quella in cui Jiro aveva il piede e stando bene attento a non lasciar scivolare la mano dal tappeto.
“Bakugo, piede destro sul blu.”
Il ragazzo ringhiò contrariato, facendo lo stesso saltello che era toccato fare a Kaminari e pregando che non succedesse nulla di strano da lì in avanti. Evidentemente, qualunque Dio avesse invocato, sembrò non ascoltare le sue richieste.
“Todoroki, piede destro sul blu.”
“Ma lo stai almeno girando, quello scarto di lancetta?” Domandò Bakugo, mentre anche Todoroki si ritrovava costretto ad attraversare il tendone, finendo quasi in spaccata dal verde al blu.
Mina alzò gli occhi al cielo, approfittando del fatto che Bakugo fosse troppo impegnato a non cadere per guardarla e, conseguentemente, insultarla.
“Kirishima, piede destro sul blu.”
“NON È POSSIBILE. È il terzo!” Tuonò Bakugo. Era incredibile che non fosse ancora caduto, per quanto si stava dimenando: “Non è un problema.” Lo rassicurò Kirishima, facendo un comodo saltello all’indietro e godendosi la fortuna.
“Hagakure, piede destro sul giallo.” Comandò l’impassibile Mina, mentre il quarto piede destro del gioco veniva chiamato a rapporto.
“Ehm… Ci sei?”
“Sì.” Replicò imbarazzatissima Hagakure, mentre Mina distingueva finalmente la sagoma di una divisa in mezzo a quel putiferio di arti davanti a lei. Ojiro, inosservato, sorrise.
“Uraraka…”
“Piede destro, immagino.”
“Proprio così!” Tuonò Sero, alzando un dito, sempre pronto a disturbare e commentare, sulle orme splendenti di Present Mic.
“Si fa interessante.” Commentò Iida, mentre osservava la lancetta di Mina con attenzione scientifica, da dietro la sua spalla. La ragazza sobbalzò: “Scusa, ma… Da quanto sei qui?”
“Abbastanza. Davvero curioso.”
“Ciò che sarà curiosa sarà la vostra testa quando l’avrò…”
“Jiro,” L’interruppe Ashido, pratica e concreta: “mano destra sul rosso.”
Jiro esitò, osservando il cerchio rosso più vicino e calcolando le distanze con un cipiglio preoccupato: “Kaminari…”
“Sì, lo so, faccio il bravo.” Le sorrise lui, scostandosi con un soffio un ciuffo dagli occhi e alzando la testa per incontrare il suo sguardo. Jiro sospirò, domandandosi quando e soprattutto perché avesse acconsentito ad un’idea tanto stupida, poi la sua sciagurata memoria le ricordò che, forse, ma solo forse, c’era una minima possibilità che l’entusiasmo di Kaminari l’avesse influenzata e trascinata senza che se ne accorgesse in quella stupidaggine di gioco. Si posizionò specularmente a lui, con una mano non troppo lontana dalla postazione in cui era poggiata la sua e gli sorrise. Kaminari ricambiò.
“Midoriya, mano sinistra sul verde.” Il ragazzo adocchiò l’ultimo posto libero della fila verde e si guardò attorno: “Ehm, come…”
Sentì Todoroki imprecare, certo che nessun altro fosse riuscito a sentirlo.
“C’è qualche problema?” Domandò Mina, ridacchiando, mentre Iida sgranava gli occhi: “Oh, forse abbiamo il primo perdente.”
“Quando si tratta di Deku non è una novità.” S’intromise ancora Bakugo, cercando di osservare la situazione dalla scomoda posizione in cui si trovava.
Lo sguardo di Midoriya cambiò, si voltò ancora una volta a guardare il cerchio verde, ma con una nuova e brillante determinazione negli occhi: “Scusa, Todoroki.” Esalò poi, superandolo e raggiungendo il suo obiettivo.
La situazione era diventata improvvisamente imbarazzante. Lui e Todoroki si erano incrociati e, a dirla tutta, oltre ad avere un braccio incastrato letteralmente sul suo bacino e la spalla che gli sfiorava l’attaccatura della coscia, Midoriya era anche più che consapevole di non essere in una posizione del tutto rilassata, vista dalla prospettiva di Todoroki. Si potrebbe infatti dire che il compagno di classe, in fin dei conti, non vedesse più molto di lui, tranne il suo sedere. Sentì il ragazzo inspirare a fondo e trattenere il fiato, mentre stendeva il collo a guardare in alto.
Uraraka voltò lo sguardo verso Hagakure, dando loro le spalle ed un sapore amaro le invase la bocca.
“Beh, interessante davvero.” Ridacchiò Mina, mentre faceva girare per l’ennesima volta la lancetta sulla tavoletta di legno: “Kaminari, mano sinistra sul rosso.”
Sorprendentemente il ragazzo non disse una parola. A lamentarsi, infatti, non fu lui, quanto più…
“Hai voglia di scherzare?! Assolutamente no!” Si oppose Jiro, prima che Kaminari potesse anche solo muovere un muscolo: “Così noi…”
“Allora lascia una mano e perdi.” La interruppe Kaminari, con un sorriso obliquo a rallegrargli i lineamenti.
“Scordatelo.”
“In tal caso, se permetti…” Kaminari lasciò la frase in sospeso, mentre si protendeva verso il cerchio rosso libero e poggiava una mano accanto a quella di Jiro. Si trovarono faccia a faccia e lui cercò i suoi occhi.
La ragazza si voltò a sinistra, mezzo infastidita e mezzo timorosa di distrarsi, ma sentiva lo sguardo di Kaminari pressante sul suo volto. Arrossì, maledicendosi e chiedendosi casualmente proprio in quel momento se non avesse qualcosa di sbagliato in faccia, se non le fosse rimasto incastrato tra i denti un pezzo di insalata che non aveva mangiato, se non si fosse dimenticata di avere un terribile pelo nel naso, se…
“Sei carina, oggi.” Commentò Kaminari, sorridendole in un’espressione di pura sincerità. Così pura da sembrare quella estasiata di un bambino che vede per la prima volta una farfalla.
“Stai dicendo che non lo sono sempre?” Domandò lei, concedendosi di guardarlo per una frazione di secondo… giusto il tempo per un’occhiataccia.
Kaminari alzò gli occhi al cielo e rise: “Sai cosa voglio dire.”
“Ci stai provando con me?” Jiro si concesse di sorridere.
“E io sarei quello stupido?”
“Oh, no.” Commentò Ashido, osservando costernata la lancetta puntare su un infausto esito.
“COSA?” Gridò Bakugo, consapevole che fosse il suo turno: “Piede destro sul giallo.” Sentenziò Mina nel silenzio.
Durò qualche secondo, poi un’imprecazione di Bakugo a mezz’aria fece riprendere fiato al mondo che s’era fermato: “Col cazzo che perderò contro quella schiappa di Deku!”
“Guarda che non è una sfida tra te e… EHI, EHI, CHE STAI…” Kirishima non sapeva come muoversi per facilitare i movimenti dell’amico. Bakugo si era voltato all’improvviso, reggendosi con la mano e i due piedi finalmente in posizione. Peccato che per farlo aveva fatto in modo di trovarsi a pancia in su, reggendosi solo grazie al peso che scaricava sulle braccia. Nel farlo, però, aveva rischiato di tirare un calcio in faccia a Kirsihima.
“Zitto, capelli di merda. Batterò anche te.” Esalò a fine opera, determinato ad avere successo come al solito.
“Todoroki, ehm… mano sinistra sul verde.” Ashido inarcò un sopracciglio. Tutta la fila verde era già occupata. L’unica cosa che avrebbe potuto fare era…
“Ti dispiace se…”
“Oh, no, no.” Esalò Midoriya, non riuscendo a non arrossire fino alla punta dei capelli.
Todoroki poggiò la mano sulla sua, costretto a condividere lo stesso spazio sul tappeto di Midoriya.
“È quella calda.” Notò Deku con un sorriso e Todoroki voltò il viso verso il suo. L’ombra di un sorriso calò sul suo volto, prima che si rendesse conto che erano a quel punto davvero vicini e in una posizione quasi sconveniente. Poi si voltò quasi automaticamente a guardare Uraraka e il senso di colpa gli invase lo stomaco.
“Kirishima, piede sinistro sul rosso.”
“Ashido, ma qui…” Iida, obiettò. A detta sua la lancetta non puntava affatto lì.
“Zitto.” Lo interruppe però Mina, osservando la scena con occhi quasi orgogliosi.
“Ma la lancetta.”
“Iida…” La ragazza lo fulminò con lo sguardo ed il capoclasse parve convincersi che oh, che sorpresa la lancetta puntava miracolosamente in direzione del grande cerchio rosso!
“Scusami, amico.” Sussurrò Kirishima, alzando una gamba e raggiungendo l’obiettivo.
Finì, però, per sedersi praticamente sul bacino di Bakugo e posare una gamba tra le sue, sfiorandogli l’inguine.
“Ma che cazzo…” Bakugo imprecò fra i denti, tremando sulle braccia.
“Hagakure, mano destra sul verde.”
“Kirishima…” Il ragazzo serrò gli occhi, consapevole, e gli venne naturale trattenere il fiato, come se avesse potuto aiutarlo a fermare l’eccitazione che, inevitabilmente, iniziava a crescergli tra le gambe.
“Lo so.” Lo so. Si maledisse. Non riesci a pensare a nient’altro a parte ‘lo so’?
Il respiro di Bakugo vacillò, lo sentì chiaramente. Gli venne voglia di gridare, mentre sentiva il sangue affluire unicamente tra le sue gambe e sulle guance. Non sapeva dove ce ne fosse di più.
Pensò che mai in vita sua avesse vissuto un momento tanto imbarazzante eppure poteva dirsi navigato nel campo delle figuracce.
Non osò guardare Bakugo negli occhi, ma era certo che fosse arrabbiato, disgustato, negativamente sorpreso.
Si diede dello stupido.
“Hagakure, ci sei?”
“Al diavolo.” Esalò Kirishima, lasciando che la mano cedesse e dichiarando la sua sconfitta.
“Ehi, ma com’è successo?” Chiese Ojiro, alzandosi dal letto per osservare meglio la scena.
“Ops.” Un commento ironico, che Kirishima preferì esternare con una mano sulla nuca, come a darsi dello sbadato.
Jiro fu la prima a fidarsi e lasciarsi cadere a terra esausta, mentre Kaminari si sedeva accanto a lei e si massaggiava le braccia doloranti.
Todoroki, dal canto suo, strinse per un attimo la mano di Midoriya, come ad imprimere nella sua mente quel momento perfetto, prima di lasciare che la Terra riprendesse a girare, riportandolo alla realtà e Deku non poté che lasciarglielo fare, paralizzato da sensazioni che non gli parevano sue, emozioni che non si sentiva in posizione di reclamare.
Uraraka si allontanò dal tappeto.
Bakugo, invece, scaricò a terra il peso che portavano le braccia e le gambe e si sedette lì, sul tendone, ginocchia al petto e sguardo fisso su Kirishima, che sembrava avere una giustificazione per tutti tranne che per lui, che più la necessitava. Continuò ad osservarlo, aspettando che si girasse verso di lui anche solo per sbaglio, per reclamare una misera spiegazione, ma Kirishima non sembrava intenzionato a dare udienza a quello sguardo così penetrante e che non poteva non aver percepito su di sé.
“Dai, non ci credo!” Kaminari rifilò una pacca sulla spalla dell’amico: “Come hai potuto proprio tu?”
“Amico, questa non me l’aspettavo.” Sero ridacchiò, regalandogli anche lui un’altra poderosa pacca sulla spalla: “Proprio tu che sei un duro!”
“Oh, su questo non c’è dubbio.” La voce insolitamente calma di Bakugo si fece spazio nella conversazione e Kirishima per poco non soffocò con la sua stessa saliva, poi chiuse gli occhi e inarcò le sopracciglia: “Già, mh, si è fatto tardi, non trovate?”
“Detto da te non è credibile.” Lo prese in giro Kaminari e Kirishima rise, ma era inquieto, impaziente di andare.
Sero si concesse un attimo per osservare la scena dall’esterno e capirci qualcosa. Aveva fiutato il pericolo: “Già,” Gli resse infatti il gioco: “è proprio ora, in effetti.”
Kirishima si voltò in un attimo verso di lui, con una gratitudine negli occhi che rischiava di volare via dalle pupille.
“Avete voglia di scherzare? Mi deludete, amici miei.”
“Sero ha diritto a metà delle decisioni, in questa stanza.” S’intromise Mina, che anche a distanza aveva compreso più di tutti, si direbbe anche più di Kirishima.
“E visto che l’altra metà spetta a me…” Kaminari colse la palla al balzo.
“No, spetta a me, perché tu hai la comprensione di un’acciuga e non meriti di prendere decisioni.” Lo interruppe Ashido e Kaminari boccheggiò come il pesce che era.
“Vado anch’io.” Annunciò Todoroki, indisturbato, prendendo la via del tugurio senza che nessuno obiettasse. Lo sguardo deluso che gli riservò Midoriya, però, non lo vide mai.
“Lascio la porta aperta. Mi avvio.” Kirishima si voltò per la prima volta in direzione di Bakugo, ancora seduto sul tappeto, come se l’arrivo improvviso di un meteorite gli avesse fatto mancare la terra sotto i piedi e l'avesse costretto a restar lì ad accertarsi che fosse ancora tutto in regola: “Buonanotte ragazzi.” Salutò, poi, nella voce nient’altro che un’insolita leggerezza dai toni inspiegabilmente sbagliati.
“A domani!” Salutarono in coro Hagakure e Ojiro, con la voce distorta da uno sbadiglio comune. Uraraka, Midoriya e Iida seguirono il loro esempio.
“Io mi fermo un po’ qui a mettere a posto con Sero.” Annunciò Ashido, rivolgendosi a Jiro, in attesa di un cenno dell’amica.
Lo sguardo di Kaminari saettò da Mina a Jiro in una frazione di secondo, mentre il primo neurone si attivava ad un’occhiata veloce di Ashido: “Ti accompagno in stanza.” Parlò, ancor prima di pensare e Mina annuì soddisfatta.
“Oh, okay.” Sussurrò Jiro, rigirandosi le chiavi della stanza tra le mani e lasciandosi condurre da Kaminari fuori dalla E-76, per dirigersi verso quella… letteralmente accanto.
“Oh, Kaminari,” Mina lo fermò sulla soglia, raggiungendolo con una veloce corsetta. I due ragazzi si girarono, in attesa: “mi raccomando, fai il bravo.” Gli intimò, lasciando scivolare indisturbata qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans.
Lui sgranò gli occhi, guardandola come se la sua intera serata dipendesse da lei: “Mi stai dicendo che secondo te posso…”
“Fai il bravo.” Ripeté soltanto la ragazza, spingendolo fuori e richiudendo la porta.
“Che ti ha dato?” Gli domandò Jiro, sospettosa, adocchiando le tasche dei suoi pantaloni.
Kaminari alzò teso le sopracciglia, come ridestandosi da una quantità per lui ingestibile di pensieri: “Solo una spinta.”
 
“E insomma? Hai intenzione di restare seduto qui tutto il tempo?”
Esordì Ashido, a braccia conserte, osservando Bakugo seduto sul tappeto del Twister, con lo sguardo perso tra un cerchio verde e uno giallo: “Scartine…” Commentò a denti stretti, alzando gli occhi cremisi su Mina.
“Alzati, dobbiamo risistemare. Sarebbe carino se ci dessi una mano.”
Bakugo fece leva sulle braccia e si alzò con un ringhio: “Non lo faccio per voi.” Ci tenne a specificare e Ashido non poté credere ai suoi occhi, quando lo vide iniziare ad aggirarsi per la stanza, seriamente disposto a rendersi utile.
“Ah no?” Chiese Sero, ripiegando il tappeto da Twister e cercando la sua scatola in giro per la stanza con lo sguardo: “E per chi, allora?”
Ashido non fu sicura di aver sentito bene, ma il mugugno incomprensibile di Bakugo le parve suonare molto simile a ‘Per Kirishima’.
 
“Buonanotte.” Salutò Ojiro, riuscendo nell’intendo di sfiorarle timidamente un braccio con la mano.
Hagakure sobbalzò al contatto: “Oh, buonanotte. A domani.”
“A domani.” Sorrise caldo lui, trovando dentro di sé un’audacia che non si aspettava di avere per sporgendosi verso di lei e rubarle un bacio sulle labbra.
Quando si allontanò desiderò di saper diventare invisibile.
 
“Beh, grazie a Dio mi hai accompagnata. Mi sarei potuta perdere.” Jiro inarcò un sopracciglio, inserendo le chiavi nella toppa e voltandosi appena a guardarlo ironica. Kaminari non sembrava in vena di scherzare: “Già.” La distrazione gli striava la voce.
“Buon per me.” Lo prese ancora in giro la ragazza, aprendo la porta e rivelando il buio pesto della stanza che condivideva con Ashido: “Buonanotte.” Lo salutò, tornando seria e cercando il suo sguardo, ma Kaminari sembrava averlo perso sulla cornice della porta: “Ehi.”
Il ragazzo la guardò, i nervi a fior di pelle, un’inquietudine che non sapeva gestire, un turbine di emozioni che non pensava un essere umano solo fosse in grado di provare tutte insieme.
E poi la baciò, con trasporto, ma aspettando che si abituasse al cambio di programma, aspettando che, in un certo senso, gli desse il permesso di continuare.
Jiro gli poggiò istintivamente una mano sul petto e Kaminari la lasciò andare. Lei non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi e preferì restare a fissare le sue mani su di lui, in attesa di capire cosa fosse giusto, cosa volesse e cosa la fermasse.
“V-vuoi entrare?”
Kaminari sgranò gli occhi: “Davvero?”
Jiro alzò gli occhi al cielo, poi lo guardò: “Ti pare una risposta da dare?”
“E io che ne so? Mi sembrava carino.”
“Era stupido.”
Kaminari fu sul punto di rispondere, ma finì per ridacchiare: “Ci stiamo davvero punzecchiando anche su questo?”
Jiro rise divertita, prima che il ragazzo la spingesse più o meno bruscamente nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
“Beh…” Iniziò lei, una volta che furono immersi nel buio, con la fievole luce lunare che filtrava insufficiente tra le veneziane.
Si stavano studiando.
Occhi negli occhi non vedevano che il debole riflesso della tenue luce a illuminare le pupille, a lucidare le labbra.
“Già…” Prese tempo Kaminari, non riuscendo però a interrompere quello scambio. La voce arrochita dal timore, instabile per la tensione, spezzata dall’emozione.
“Ti va… un tè?” Domandò lei, inarcando un sopracciglio.
“No.” Una risposta imbarazzata, la delusione malcelata: “A te?”
“No.”
Kaminari annuì: “Ti va un po’ di TV?” Tentò poi, senza neanche volerlo.
“No, a te?”
Kaminari scosse la testa e si avvicinò ulteriormente a lei: “No.” Sussurrò, sulle sue labbra.
“Vuoi ascoltare un po’ di musica?”
Kaminari mosse qualche passo in avanti, costringendola ad arretrare verso il letto.
“No, tu?”
“No.” Ma a Jiro tremò la voce e il panico la assalì.
Era una questione che la tormentava. La costante paura di non essere abbastanza. Il timore che andasse bene, ma niente di più, che fosse un ripiego, che non fosse semplicemente all’altezza.
Kaminari la baciò, intimandole con i gesti di indietreggiare sempre più.
La paura di lasciare che le cose cambiassero effettivamente e non solo nella sua testa. Un’improvvisa paura che l’unica parte emozionante e bellissima della faccenda si limitasse al corteggiamento, che nel momento in cui i suoi desideri si fossero realizzati, tutto avrebbe perso d’interesse e di trasporto.
Il retro delle sue ginocchia si scontrò con il materasso ed il cuore le salì in gola.
Il terrore di affrontare le sue paure, quei problemi che riteneva nient’altro che futili, ma che in fin dei conti spesso la congelavano, la bloccavano, la facevano sentire vulnerabile.
Trovò naturale sedersi e indietreggiare verso il centro, mentre Kaminari la seguiva a filo.
La consapevolezza che avrebbe potuto vivere quell’esperienza in modo nient’affatto sereno, che si sarebbe estraniata, a un certo punto, che avrebbe deciso che, semplicemente, quel genere di cose non facevano per lei, confermando la teoria che aveva sempre avuto paura di dimostrare.
Eppure, nonostante tutto, un’insolente e insistente curiosità le pervadeva lo stomaco e il petto; un senso di calore le offuscava i pensieri, impedendole di sottrarsi al suo tocco, anzi finendo per bramarlo.
Kaminari si fermò. La luce della luna adesso li colpiva più direttamente e poté incastrare lo sguardo al suo: “Ti sento pensare da qui.”
Jiro rise nervosa: “Davvero divertente.”
“Non sto scherzando.” Replicò infatti serio e guardandola preoccupato.
“Smettila di essere così carino con me.”
Una difesa di cui non riusciva a spogliarsi.
Credeva che l’ironia l’avrebbe protetta dalla delusione. Credeva che le avrebbe concesso di non cascarci e invece la stava soffocando.
“Sono carino e basta.” Rispose spigliato Kaminari.
“Cosa ti ha dato Ashido, prima?”
La domanda vagò sospesa nel silenzio imbarazzato.
“Te l’ho detto, una spinta.”
Jiro lo guardò male, aspettando che si decidesse a rispondere.
“Un preservativo.” Rispose poi, abbassando lo sguardo e preparandosi ad essere invitato non molto cordialmente ad uscire per sempre da quella stanza e dalla sua vita.
“Okay.” Rispose invece Jiro, inspirando a fondo e non riuscendo a fare a meno di aggrottare la fronte, preoccupata: “E hai intenzione di… insomma, di usarlo?”
Kaminari la guardò a disagio: “Solo se vuoi.”
Jiro annuì, in attesa di qualcosa, qualunque cosa.
“Se ti può rincuorare, me la sto facendo sotto anch’io.”
Jiro rise di cuore e sentì una parte di quelle pesantissime emozioni polverizzarsi in una nube di rilassatezza. “Lo voglio.” Sentenziò poi, con una naturalezza che non sapeva di possedere.
Kaminari annuì e inspirò ad occhi chiusi, prima di coinvolgerla in un innocente quanto inaspettato abbraccio.
Lentamente il ragazzo le accarezzò la schiena, trovando il coraggio di sfiorarle la pelle accaldata appena sotto la maglietta. Jiro si irrigidì: “Se faccio qualcosa che non ti piace fermami.” La avvertì lui, ma la ragazza si sforzò di rilassarsi, di lasciarsi andare, almeno per una volta.
La paura di Kaminari, adesso, le sembrava più sua, era felice di percepirla, aveva avuto un effetto rassicurante e le aveva fatto capire che, in fin dei conti, avrebbe potuto mettere da parte le sue insicurezze per una volta.
Jiro lo toccò, scendendo con mani inesperte lungo lo sterno e poi l’addome, fino ad alzargli i lembi della maglietta, in un timido invito a liberarsene.
Kaminari obbedì e lei notò distintamente quanto le sue pupille si fossero dilatate per l'eccitazione.
Si sentì improvvisamente lusingata e decisamente più sicura.
“Posso?”
Kaminari sfiorò l’elastico della tuta comoda che indossava e deglutì a vuoto quando lei annuì. Gli parve di essere prossimo alla morte quando la sfiorò e la sentì sospirare sorpresa, incoraggiandolo inconsapevolmente. E pensò che fosse decisamente un songo quando, dopo poco, la sentì gemere sotto di sé.
Tutto quello che, in un attimo di lucida consapevolezza, a Jiro venne in mente di fare, fu lasciare che i jack ai suoi lobi si incastrassero al materasso, riuscendo a sentire, affatto metaforicamente, due cuori battere all’impazzata all’unisono.





Note di El: Buon anno, amici, un buon 2020 a tutti i cari lettori di questa storia alla deriva!
Allora, io avevo tutti i motivi del mondo per tagliare questo capitolo da SEDICI pagine in due (non due pagine, due capitoli, s'intende). Primo fra tutti perchè sono sedici. In più perchè il 17 non esiste ancora.
...
Dai, avanti, tornate alle note del primo capitolo, fate un sacco di skrinnn e fatemeli mangiare.
Avevate ragione voi :(
Mi impegnerò e, a proposito di questo, abbiate pietà perchè sarò un tutt'uno con la follia tra due settimane, perchè la sessione invernale esiste anche per me. Farò di tutto per scrivere il capitolo e farlo uscire tra una settimana, perchè non so quanto tempo potrebbe passare altrimenti :(
In ogni caso sul mio profilo Efp è linkato un profilo Facebook. In caso di ritardi vi aggiornerò lì (how professional of me)
Quindi avevo tutti i motivi del mondo per dividere questo capitolo in due.
MA
C'era il p0rn.
No, scherzo, è che sarebbe stato cattivissimo farvi sorbire 2 ore di Twister e nient'altro.
A proposito del Twister, ho un disegnino, funziona, a quanto pare la regola dell'andare a destra nei labirinti funziona pure qua perchè Bakugo di piedi destri ne ha avuti abbastanza.
Un po' di OjiroxHagakure che non era assolutamente prevista quando è iniziata questa storia, ma vabb.
"Kaminari boccheggiò come il pesce che era" è cattivissima, ma mi faceva ridere. Tivibi, Kaminari. C'è il narratore onnisciente e poi c'è il narratore cattivo.
La fobia e la citazione iniziale sono particolarmente legate al contenuto e il momento in cui Kaminari e Jiro si ABBRACCIANO è stata la cosa più dolce che abbia mai scritto in ambito arancione/rosso, mi fa quasi schifo.
Mi piace pensare che fosse il letto di Ashido, comunque.
Ovviamente scrivere tutti i pensieri di Jiro è stato difficilissimo perchè la scrittura è un'arma vile e non dico di più.
Bakugo ci sta facendo penare (anche a me, tranquilli).
Ah, poi sono abbastanza sicura che tutte quelle domande quando Jiro e Kaminari sono soli del tipo "Vuoi del tè? Vuoi guarare la TV?" ecc siano più o meno tratte da qualcosa che ho visto, credo un film vagamente stupido e adolscenziale. Insomma, non mi pare farina del mio sacco, ma ci stava bene e l'ho messo, aw.

Eh, adesso ci tengo un attimo, in occasione del nuovo anno (a caso), a ringraziare veramente tantissimo tutte le persone che stanno seguendo/preferendo/ricordando e anche solo leggendo questa storia (I see you) e a prostrarmi ai piedi di tutti quelli che stanno recensendo questa follia, davvero, grazie.
Scappo, ce la metterò tutta per darvi la Kiribaku che necessitate nel 17.
Adieu,

El.

 

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Capitolo 17
*** Glossophobia ***


GLOSSOPHOBIA

paura di parlare in pubblico

 

Nothing in life is to be feared, it is only to be understood.
Now is the time to understand more, so that we may fear less.
Marie Curie

 



“Sto aspettando.”
Mina Ashido era troppo allegra per essere una che era tornata a dormire nel suo letto alle tre del mattino.
“Cosa?” Jiro alzò gli occhi al cielo, facendo scivolare del ghiaccio in un bicchiere e preparandosi a versare dell’aranciata.
“Come cosa?” Mina sorrise sornione e prese a tamburellare con un dito sul ripiano di legno grezzo del bar: “Che mi racconti della tua notte di…”
“Okay, va bene.” Jiro per poco non vuotò il contenuto del bicchiere sui vestiti da mare della cliente, nel tentativo di chiudere la bocca all’amica: “Ma abbassa la voce.” Sussurrò, congedando l’accaldata cliente con un cenno della mano ed un invito a tornare. Mina sorrise e incrociò le braccia al petto, attendendo con soddisfazione: “È stato… Abbiamo…” Jiro abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle stoviglie improvvisamente interessanti che galleggiavano nel piccolo lavello del chiosco.
“Avete?” La incalzò furba Ashido e Jiro le riservò un’occhiata delle sue: “Hai capito.”
“Non credo, no.” Mina scosse la testa, fingendosi pensierosa.
“Sei impossibile!” Jiro rise di gusto, mentre notava una coppia pericolosissima di idioti avvicinarsi al chiosco.
“Buongiorno, donzelle. Anche oggi il sole è alto in cielo.” Esordì Kaminari, poggiando i gomiti sul bancone e osservando il suo compagno di crimini fare lo stesso. Era innegabile come evitasse in tutti i modi di incrociare lo sguardo di Jiro. Lei, al contrario, poteva dirsi momentaneamente risparmiata dall’interrogatorio di Mina proprio per mano dell’oggetto del loro discorso.
“Ciao.” Salutò Kirishima, non riuscendo a rinchiudere nel petto lo sbadiglio trattenuto: “Come va la vita?” Domandò poi, osservando prima Ashido, poi Jiro.
“Uno schifo come sempre.” Ribatté lei secca sotto lo sguardo deluso di Kaminari e Mina sorrise guardandoli, decidendo di intromettersi nella conversazione proprio in quel momento: “Ora che ci sei tu una meraviglia.” Aggiunse infatti, rivolgendosi a Kirishima.
Il ragazzo le sorrise divertito: “Vale lo stesso per me, zuccherino.”
“Ma che state facendo?” Domandò disgustata Jiro, alla vista dell’insolito scambio di battute tra Kirishima e Ashido.
“Ma non è ovvio?” Rispose Mina, con un’altra domanda.
“Un’uscita a quattro.” Concluse per lei Kirishima, scoppiando a ridere.
I due complici poterono godere della rarissima vista di Kaminari che arrossiva fino alla punta delle orecchie, prendendo a liberare inavvertitamente qualche microscopica scarica elettrica; mentre Jiro si limitò a sgranare gli occhi e ad osservare piccata Kaminari come se, in effetti, fosse stata la causa diretta e incontestabile di quella situazione imbarazzante.
“Ehi, ehi, amico.” Kirishima avvicinò la mano alla spalla carica dell’amico: “Non ti emozionare troppo. C’è un luogo per ogni cosa.”
“E questo non è quello giusto!” S’intromise spazientita Jiro, che non sapeva come fosse finita in quella gabbia asfissiante, sapeva solo di volerne uscire, dato che Kaminari sembrava essere rimasto intrappolato in una spirale d’imbarazzo e non accennava a volerla spalleggiare: “Piuttosto, voi stasera ci sarete?” Kirishima cambiò discorso, con infinita felicità di Jiro e Kaminari sembrò riprendersi.
“Dove?” Domandò curiosa Mina, sporgendosi verso di loro.
“Amico, ti pare il caso di andare a dirlo in giro?” Lo riprese Kaminari, divenuto improvvisamente pudico riguardo le sue faccende personali.
“Adesso chiaramente devo saperlo.” Si intromise Jiro, l’ombra di un sorriso ad arricciarle appena le labbra.
“No, no, Kirishima…”
“Stasera…”
“No, ehi, giuro che…” Kaminari tentò di tappargli la bocca, ma Kirishima pareva essere sempre in grado di parare i suoi colpi e divincolarsi dalle sue prese: “Siamo in scena per lo spettacolo con i bambini.” Confessò poi, mentre Kaminari tornava sconsolato a sedersi sullo sgabello, in un ennesimo silenzio riflessivo.
“Imperdibile.” Sentenziò Ashido, battendo una mano sul bancone come a prenotare una sedia tutta per lei.
“Assolutamente imperdibile.” La imitò Jiro, annuendo solenne sotto gli occhi imploranti di Kaminari.
La sua vita stava certamente per finire.
 
La piazzetta centrale brulicava di persone e Uraraka si guardava attorno con occhi grandi di divertimento ed un po’ di curiosità.
La pineta era avvolta da un’atmosfera magica e le luci natalizie posizionate con maestria sui rami dei pini che accerchiavano lo spiazzo rendevano il luogo ancor più caldo e accogliente. Pareva che la vastità della pineta soffocasse i rumori forti e le grida degli spettatori, rinchiudendoli in una bolla di leggerezza e calma.
Pensò che tra combattimenti inaspettati, dormitori affollati e strade asfissianti, quella fosse veramente una manna dal cielo, a cui non era assolutamente abituata e per questo ancor più gradevole. Iniziò a pensare che nonostante mansioni estenuanti e allenamenti continui, quella non potesse essere del tutto esclusa dalla sua idea di vacanza.
“Ragazze, mi raccomando, preparate binocoli e videocamere perché ci sarà da divertirsi!” Trillò al massimo della gioia Ashido, prendendo posto su una delle sedie di plastica della prima fila e invitando le compagne a fare lo stesso… giusto per mettere in imbarazzo Kaminari e Kirishima più del necessario.
Uraraka si sedette accanto alle amiche, passandosi le mani sulle braccia per alleviare il fresco dell’aria frizzante della sera.
Era tesa.
Avrebbe voluto con tutta se stessa passare la serata a ridere e scherzare con le sue amiche; d’altronde era la tipica occasione che si prestava esattamente a questo, ma sentiva, nonostante tutto, di non riuscire a liberarsi del cipiglio preoccupato che da qualche tempo le si era stabilito sulla fronte e che sembrava non volerne sapere di distendersi.
Un peso fastidioso le si era posato sul cuore e, sebbene non fosse immane e insostenibile, aveva la peculiarità di esser scomodo come cento pietre ardenti, come un sassolino nella scarpa incastrato sulla soffice pianta del piede.
Nonostante tutto, però, la sua unica rassicurazione risiedeva nella sorprendente consapevolezza di avere ancora un vago controllo sulla situazione. La sua più grande fortuna era stata proprio Jiro, che tra le varie compagne di classe pareva proprio la più affidabile e riservata.
Un moto di fiducia che in fin dei conti era costretta a provare nei confronti della ragazza, si espanse improvvisamente nel suo petto, congelando l’effetto letale di quel peso fastidioso.
Un sorriso genuino le spuntò sul volto.
 
“Buonasera!” La voce di Midoriya piombò improvvisamente nelle chiacchiere del gruppo. Le ragazze salutarono il compagno con una mano, facendo posto anche a Iida, Todoroki, Bakugo e Sero, al suo seguito.
“Questo spettacolo si prospetta la cosa migliore che vedremo in questo resort!” Esclamò entusiasta proprio Sero, sedendosi alle spalle di Mina e poggiando i gomiti invadenti sullo schienale della sua sedia.
“Oh, parla per te.” Iniziò Jiro, un sopracciglio alzato ad anticipare la coltellata sarcastica che di lì a poco avrebbe sferrato. Uraraka mandò al diavolo tutta la sua razionalità e non poté che tremare, mostrando un sorriso plastico che il resto della comitiva non poté comprendere: “Io non ho ancora dimenticato la faccia di Iida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.” Commentò infine la ragazza, risolvendo la tensione di Uraraka in nient’altro che un sospiro di sollievo.
Okay, pensò poi, forse la questione non è così sicura.
“C-c-c-c-cosa?” Iida sembrava esser diventato improvvisamente un disco graffiato di un rapper di basso livello: “N-non mi sembra affatto il caso di rivangare antichi ricordi.” Esclamò irrigidendosi e provocando un’assolutamente imprevista serie di risate, che contribuirono al suo raddrizzarsi sulla sedia come un fusto ancor di più.
“E per te, Todoroki? Qual è stata la tua esperienza preferita di questo viaggio?” Domandò Hagakure, che sembrava voler coinvolgere tutti nella conversazione.
Il ragazzo scoccò una velocissima e ai più incomprensibile occhiata in direzione di Midoriya, che ovviamente trasalì, infine scrollò le spalle: “Il tramonto dal mare.”
Bakugo lo guardò come se avesse avuto voglia di vomitare, ma, stranamente, non proferì parola.
Midoriya, invece, ebbe una reazione diametralmente opposta a quella del suo amico di infanzia.
Le guance gli si imporporarono inevitabilmente e, se in quel momento avesse avuto un cocktail tra le mani e ne avesse da poco preso un sorso, con ogni probabilità avrebbe finito per sputarne a fontana il contenuto.
“Per te, Midoriya? Il tuo momento preferito?”
“L’idromassaggio.” Rispose, assolutamente a caso, troppo occupato a non farsi venire un attacco di panico.
Todoroki lo studiò per qualche istante, poi distolse lo sguardo.
Stranamente Ashido non prese troppo parte a quella conversazione, certamente coinvolgente, non c’erano dubbi, ma non tanto quanto il peculiare silenzio di Bakugo a cui nessuno era abituato, ma che non sembrava essere stato sottoposto all’attenzione del gruppo.
Mina lo studiò con gli occhi ridotti a due fessure, domandandosi se lo sfortunato incidente della sera precedente non avesse portato con sé qualche interessante sorpresa.
In effetti dopo il momento assolutamente imbarazzante che aveva condiviso con Kirishima e di cui nessuno sembrò essersi reso conto, Bakugo sembrava essersi chiuso in un mutismo a dir poco inquietante. Se questo, poi, fosse indice di buone notizie non riusciva affatto a capirlo.
Ciò che sapeva era che, senza alcun dubbio, qualcosa era successo, un meccanismo era stato azionato, spegnendo ogni parolaccia e ogni insulto di Bakugo.
Quando il ragazzo, perso con lo sguardo in un punto imprecisato della piazza e la mascella contratta, si era voltato verso di lei, gli occhi rossi si erano illuminati di allarme, eppure nessuna parola gli era sfuggita dalle labbra. Si era limitato a ricomporsi, come se fosse stato punto sul vivo dagli occhi indagatori della ragazza, e poi aveva distolto lo sguardo, tornando ai suoi affari.
Tutto ciò non contribuì affatto allo scioglimento del mistero.
Prima che Ashido potesse elaborare qualsiasi teoria, però, delle note leggere e vagamente umilianti si diffusero piano nell’aria della piazza in fermento.
“Buongiorno spettatori!” Una voce proveniente dalle quinte del palchetto montato su un lato si levò forte e sprizzante gioia. Qualche attimo dopo Kaminari sbucò con un sorriso apparentemente abbagliante e spiritoso che tradiva un’inadeguatezza di fondo che chi lo conosceva poteva identificare in immane imbarazzo.
Passare giorni e giorni a scherzare spontaneamente in classe era un conto, ma tentare di far ridere un pubblico di genitori ansiosi era un altro paio di maniche, che Kaminari non sembrava troppo disinvolto nell’indossare.
“Guarda che è sera, socio.” S’intromise una seconda voce pimpante e Kirishima fece il suo ingresso con le braccia incrociate ed uno sguardo ironico.
Kaminari si grattò il capo fingendosi disorientato e la platea scoppiò a ridere, fatta eccezione per Bakugo, che fissava la scena stravaccato sulla sedia a braccia conserte, un sopracciglio biondo alzato e la testa inclinata su un lato.
Gli occhi tesi gli si erano posati sulle braccia di Kirishima, lasciate in bella mostra dalla canotta nera che indossava.
Seguì con gli occhi il contorno ben delineato dei bicipiti, per poi spostare lo sguardo appena più in là, sui pettorali ben visibili appena sotto lo strato spesso della canottiera. Finì per chiedersi con sdegno se fosse consono vestirsi in maniera così provocante durante uno spettacolo per mocciosi irritanti.
Poi una nuova consapevolezza lo investì in pieno con la forza disarmante della semplicità. Gli sembrò di sentire la voce irritante di Deku impartirgli una lezione e la sua nuova presa di coscienza gli parve così ancor più insostenibilmente seccante.
La verità, dunque, non era forse che quella canotta e quei muscoli non fossero affatto fuori luogo, ma risultassero provocanti solo ai suoi occhi? Tutto ciò per via senza ombra di dubbio del modo in cui la luce li colpiva e non affatto per il vago e sempre più pressante dubbio che fosse irrimediabilmente attratto dal suo migliore amico e che avesse preso coscienza della cosa quando aveva letteralmente sentito il suo pene premergli indisturbato sulla coscia, la sera precedente.
Ovviamente non affatto.
Senza ombra di dubbio.
Innegabilmente no.
Merda, pensò il ragazzo, serrando la mascella così forte da pensare che i suoi molari rischiassero di schizzare via dalla sua dentatura, ma che stronzo.
E, com’era ovvio per uno che si è appena reso conto di provare qualcosa per il suo migliore amico, Bakugo fissò Kirishima con odio.
“Oh, beh, è proprio sera, in effetti.”
“Che ore sono?”
È l’ora che ti levi dai coglioni, capelli di merda.
“Le otto.” Lo informò Kaminari, spalancando gli occhi con sorpresa, facendo scoppiare a ridere la prima fila dei solidali compagni di classe.
“Ma… ma allora sta per iniziare lo spettacolo!” Gridò Kirishima, stralunato, provocando un’altra reazione divertita nella platea.
Lo sguardo, però, nonostante tutte le risate, gli cadde sull’unica sedia buia su cui era seduto Bakugo. Lo sguardo fisso, assassino, gli occhi duri e le labbra serrate, ridotte a una fessura, gli provocarono un brivido che partì dalla base della schiena, scuotendogli le viscere.
Il sorriso gli morì sulle labbra, mentre lo guardava come ferito, il cervello scollegato dalla realtà ed una sola brezza fastidiosa a farlo rabbrividire, fischiandogli nelle orecchie.
“Dico bene?” Kaminari alzò il tono di voce, vagamente allarmato, mentre lo fissava intensamente.
“Oh, sì!” Riprese Kirishima, voltandosi a malincuore a guardare l’amico e sfoggiando un sorriso che voleva essere smagliante e che invece risultò solo forzato. Per fortuna conosceva benissimo quelle battute, ma tutta l’energia che aveva in corpo e che avrebbe dovuto portare al pubblico sembrava averlo abbandonato tutta d’un colpo.
I ragazzi presero posto su due sedie poste ai lati del palco ed una serie di bambini si esibì tra battute semi-comiche e schiamazzi fieri dei genitori. Di tanto in tanto Kirishima e Kaminari intervenivano per salvare imprevisti e vuoti mentali con improvvisazioni realmente brillanti e provocatorie, riuscendo magistralmente a gestire le improvvise idee dei bambini più piccoli facendole passare per calcolate e previste parti dello spettacolo.
Quello fu il momento in cui un’altra consapevolezza altrettanto spaventosa invase inaspettatamente la mente di Bakugo.
Si rese infatti conto che il grande problema che aveva con lui non si limitava solo a bicipiti e pettorali fasciati, ma era ingigantito e reso ancor più spaventoso dal fatto che, per quanto lo insultasse giorno e notte, era incantato dal suo entusiasmo, dalla sua capacità di trascinare gli altri nella sua positività, dal modo in cui affrontava i problemi con una determinazione che non aveva mai visto a nessuno, neanche a quel nerd di Deku, che era fragile e dannatamente piagnucoloso.
Kirishima soffriva, gioiva, si struggeva ed esultava con la stessa forza d’animo incrollabile, degna di un vero eroe, degna di un vero uomo.
E una persona del genere, in fondo, era l’unica che meritasse il suo rispetto.
Un sorriso appena accennato gli alzò gli angoli della bocca, assomigliando più a un ghigno, ma quando lo sguardo di Kirishima vi si posò Bakugo poté notare distintamente quale nuova energia avesse iniziato a scorrergli nelle vene in un’iniezione di buon umore, che finì per contagiare anche un brontolone come lui.
Pensò che quella fosse quella cosa incomprensibile che chiamavano intesa.
Oh, avrebbe fatto esplodere la faccia, a quel dannato.
 
“Ehm, Todoroki?” Midoriya deglutì a vuoto, tenendo gli occhi incollati alla scena, dove un bambino impacciato tentava in tutti i modi di far ridere i suoi genitori, fissandoli negli occhi.
“Mh-mh?” Il ragazzo, a sua volta, continuò a tenere gli occhi fissi sul palco.
“Per caso… Ecco, per caso ti riferivi ad un particolare tramonto sulla spiaggia?”
Todoroki inspirò a fondo, per poi liberare i polmoni poco alla volta, respirando col diaframma, in un tentativo goffo di mascherare il nervosismo: “Secondo te?” Tentò, facendo ricorso a tutto il suo coraggio per lasciar scivolare una mano su quella di Midoriya, che trasalì appena, colto alla sprovvista.
“Ecco, diciamo che potresti riferirti a vari tramonti. D’altronde a te è stata assegnata la mansione di bagnino, il che ti ha permesso di stare sulla spiaggia spesso quasi quanto me.” Midoriya prese fiato e alzò gli occhi al cielo: “Già, quanto me. In effetti ci siamo incrociati spesso, non trovi? Cioè, io ti ho notato. Voglio dire, come non notarti? D’altronde quel costume rosso ti sta davvero bene, se posso dire, non che fosse esattamente quello su cui mi concentravo quando ti guardavo.”
Todoroki credette di non aver sentito bene. Midoriya stava facendo quel discorso sussurrando, eppure gli parve di aver sentito distintamente…
“Non posso crederci… Che cosa ho detto?”
Todoroki si voltò verso di lui vagamente a disagio, ma in un certo senso rassicurato dalle lusinghe e dai complimenti appena ricevuti: “Oh. Ecco… comunque sì, mi riferivo a quel tramonto.”
“Oh.” Tutte le parole di Midoriya sembravano improvvisamente sfumate al cospetto della sintetica confessione di Todoroki.
“Fammi capire una cosa, però.”
Midoriya si voltò a guardarlo sorpreso. Per parlare con tono così duro ci doveva essere qualcosa di davvero importante sotto. Stette in silenzio, in attesa, mentre Todoroki lo studiava con il suo penetrante sguardo eterocromatico: “Cosa c’è tra te e Uraraka?”
Midoriya abbassò lo sguardo, mentre ripensava con dispiacere a quando le aveva confessato che in ogni caso non avrebbe mai avuto speranze con Todoroki: “Nulla.” Scosse la testa, mentre il peso delle sue colpe lo investiva improvvisamente, timoroso dei malintesi che aveva costruito ovunque: “Davvero, io e lei non siamo… mai stati insieme.” Continuò in un sussurro, a corto di parole.
Il ragazzo annuì, vagamente insicuro, ma incapace di proseguire quella conversazione. Midoriya sembrò percepire la sua titubanza, perché si sporse appena nella sua direzione e, rosso in viso, gli posò un leggero e casto bacio sul collo.
Percepì il pomo d’Adamo di Todoroki alzarsi e abbassarsi a disagio e trovò con sua grande sorpresa che fosse anche meglio che vederlo in costume da bagno.
 
“Davvero?”
Uraraka annuì, sicura e fiera nell’affrontare ciò che più la perseguitava da giorni: “Sì.” Confermò: “Non siamo mai stati insieme.”
Jiro annuì incoraggiandola, senza sapere come fosse finita in quella situazione, ma più che mai decisa a darle sostegno.
“Allora perché ci hai mentito?”
“Perché…” Eccola, la domanda più complicata a cui dare una risposta che non fosse né una verità, né tantomeno una bugia: “Perché a lui piace un’altra persona e aveva bisogno di me.”
Ashido scosse la testa, inspirando per prendere per la prima volta la parola in quel discorso: “E, sentiamo, quanto cara ti è costata questa cortesia?”
Uraraka abbassò lo sguardo, colpita dalle parole di Mina come da cento dardi infuocati. Quanto cara le era costata questa bugia? Quanto salato era stato il conto di questo invidiabile aiuto?”
“Già, come immaginavo.” Concluse per lei Ashido: “A te piace ancora, nonostante tutto?”
“Noi siamo prima di tutto amici. Era in difficoltà, era mio compito dargli una mano.”
“Non ti ho chiesto questo.”
Le altre ragazze osservavano quello scambio col fiato sospeso. L’interrogatorio di Mina non era affatto aggressivo, sembrava che ad ogni parola le stesse mostrando la verità con la forza delicata di una carezza ed era una sensazione che percepiva anche Uraraka.
“Sì.” Esalò, con un filo di voce: “Mi piace ancora.”
Mina sorrise solidale: “L’amarezza deve averti divorata viva. Mi spiace che tu abbia dovuto sopportare tutto questo da sola.”
“È vero, mi dispiace, cra.” S’intromise Tsuyu, avvicinandosi all’amica: “Io sono sempre stata in camera con te eppure…”
Uraraka la interruppe, coinvolgendo le ragazze in un abbraccio, mentre il cuore le pareva traboccare di gratitudine e gli occhi le pizzicavano per le lacrime commosse che stava trattenendo.
Non riuscì a non pensare di essere davvero fortunata ad avere delle amiche così.
 
“La tua faccia è stata impagabile,” Sero si teneva la pancia come se le risate rischiassero di squarciargliela e ucciderlo: “davvero, Kirishima, stavo per…”
“Vieni un attimo, capelli di merda.”
“Aspetta, cos…” Kirishima non ebbe neanche il tempo di afferrare le coordinate della sua realtà, mentre Bakugo lo trascinava per un braccio, dandogli caparbiamente la schiena. Tutto ciò che riuscì a vedere, prima che la piazza dello spettacolo scomparisse dalla sua vita, furono i pollici in su che gli stavano riservando Kaminari e Sero, poco più in là.
 
“Posso sapere dove stiamo andando?” Si oppose Kirishima, quando notò che il passo di Bakugo non accennava a fermarsi neanche quando passarono in prossimità del vialetto che li avrebbe condotti all’edificio E-7.
Al contrario Bakugo svoltò repentino nel viale che conduceva al tugurio e poi si fermò davanti ad una rete alta due metri o giù di lì.
Kirishima la squadrò per qualche istante, poi si voltò confuso in direzione del suo compagno di stanza, gli occhi che brillavano nella luce fioca del vialetto sdrucciolato: “Che dovrei fare?”
“Scavalcarla, idiota.” Borbottò Bakugo, cacciandosi a disagio le mani in tasca e distogliendo lo sguardo da quello incuriosito di Kirishima.
“Che cosa? E perché?”
“Che ne so, voi volevate arrivare alla spiaggia con questo stupido modo.”
Gli occhi di Kirishima brillarono sotto la luce dell’improvvisa presa di coscienza che gli attraversò la testa: “Aspetta, tu… Che intenzioni hai?” Domandò, poi, cercando di contenere l’entusiasmo e pensando al modo migliore che avesse in quel momento per non cadere vittima della ragnatela delle illusioni.
“Ti muovi a scavalcare questa rete o dobbiamo stare qui tutta la notte?”
“Agli ordini!” Esclamò il ragazzo con una risata e Bakugo alzò gli occhi al cielo, unendo le mani e piegandosi per dare lo slancio a Kirishima.
Con un salto davvero degno di tutte le ore passate ad allenarsi, Kirishima atterrò dall’altro lato della rete con un solo tonfo sordo, poi espirò e si voltò in un attimo verso l’amico: “Come posso…”
“Sta’ zitto, capelli di merda.”
Nel buio Kirishima riuscì a distinguere solo un sorriso obliquo, prima che l’improvvisa luce di un’esplosione lo accecasse giusto il tempo di ritrovarsi Bakugo accanto.
“Bene, adesso?” Domandò il ragazzo, alzando un sopracciglio e mettendo le mani sui fianchi, attendendo una risposta qualunque.
I fili d’erba che gli pizzicavano fastidiosamente le caviglie non riuscirono comunque a minare il suo entusiasmo e il leggero nervosismo che gli attaccava la bocca dello stomaco sembrava più deciso che mai ad aumentare gradualmente.
“Adesso andiamo.” Riprese Bakugo, continuando a camminare e a farsi luce nel buio con piccole esplosioni.
Quando il sentiero pietroso sotto di loro venne sostituito dalla soffice sabbia, fresca di sera, Kirishima si sentì stranamente appaciato. Il suono ritmico della risacca del mare gli riempiva i polmoni di contentezza e una tranquillità irreale gli invase lo stomaco prima così teso. Gli sembrava impossibile sentirsi in qualunque altro modo che non fosse calmo e quell’effetto fu così forte e inarrestabile che arrivò a pensarsi incredulo all’idea di essersi mai imbattuto in un qualunque altro stato emotivo.
Respirò a fondo l’odore del sale marino e poi si voltò calmo verso Bakugo: “Adesso vuoi dirmi che c’è?”
Le dita del ragazzo si rincorsero l’un l’altra e, tutta quella tranquillità che Kirishima sembrava così sicuro di percepire, lui non la riusciva neanche a immaginare.
Il ragazzo non sembrava volerne sapere di aprir bocca, bloccato da qualcosa che Kirishima temeva di intuire anche solo lontanamente, per paura di rimanere schiacciato da una seconda emozione che si ricordò in quel momento di poter provare: il dolore di un’illusione spezzata.
Kirishima sentì l’improvvisa necessità di difendersi: “Okay, senti, è da ieri che non insulti nessuno, a stento apri bocca e se lo fai non ti sento dire neanche una parolaccia. Non è sano, amico. Se vuoi parlare di quello che è successo ieri… Beh, ti chiedo scusa, dico davvero. È molto imbarazzante anche per me, soprattutto per me! Però è stato un caso, non me lo so spiegare, non devi pensare niente, perché io…”
“Io ti giuro…” Iniziò Bakugo, la voce minacciosa e lo sguardo affilato che Kirishima percepiva su di sé anche al buio: “Che se non chiudi quella bocca in questo preciso istante ti do un pugno che ti riassesta i pensieri.”
“Io…”
Bakugo si lasciò scappare un velocissimo scoppio sulle dita, ma fu abbastanza per permettere a Kirishima di notare lo sguardo davvero minaccioso che gli stava rivolgendo.
“Okay sto zitto.”
“Bene, ti ho portato su questa spiaggia merdosa perché ho pensato fosse una di quelle cose idiote che ti piacciono.”
Kirishima alzò un sopracciglio, confuso, mentre dimenticava con disinvoltura quello stato di tranquillità imbattibile che lo aveva avvolto giusto un attimo prima che Bakugo iniziasse a parlare in modo strano.
“Che mi piacciono?”
“Quale parte di ‘stai zitto’ non hai capito, dannazione?”
Kirishima serrò le labbra e finse di chiuderle ermeticamente a mo’ di cerniera, poi trattenne il fiato come se respirare avesse potuto contribuire al disturbo che stava procurando alla calma di Bakugo.
“Bene.” Il ragazzo gonfiò il petto e, con sguardo solenne, puntò un dito contro il petto di Kirishima: “Sono sentimentalmente interessato a te anche se mi fai schifo nove volte su dieci, ma quell’unica volta credo che tu sia forte per essere un ragazzo. Hai dieci secondi per rispondere, altrimenti ti lancio in mare e mi dimentico di avvertire qualcuno del fatto che stai annegando.”
Bakugo pronunciò quelle parole nello spazio di sei secondi netti e Kirishima credette più volte di star vivendo un sogno con il retrogusto di un incubo.
“Tre, due, uno…”
“NO! No, okay, okay, io…”
“Troppo tardi. Le tue ultime parole?” Bakugo illuminò il suo viso per riversargli contro un’esplosione, ma Kirishima notò distintamente uno strato rosso a colorargli inequivocabilmente le guance. Se ne sentì lusingato.
Non disse niente, si limitò a ricordarsi che era un uomo vero, lui, gliel’aveva detto anche Bakugo. E gli uomini veri avevano coraggio e spirito di iniziativa.
Si sporse verso di lui, afferrandogli la mano nello slancio e intrecciando le dita alle sue, mentre lo baciava con irruenza. Sentì Bakugo borbottare qualcosa nel bacio e usare la mano libera per poggiargli goffamente una mano sulla guancia. Kirishima tremò al contatto.
Non l’aveva mai fatto in vita sua, tantomeno con un ragazzo, ma aveva letto qualche guida, per quanto lo imbarazzasse l’idea, e sapeva che sarebbe stato carino se lui a quel punto avesse provato lentamente a dischiudere le labbra e lasciarci passare in mezzo la lingua.
Sentì Bakugo sussultare appena, ma, quando un attimo dopo gli afferrò forte la nuca per sentirlo più vicino, se ne compiacque e ricambiò il gesto con entusiasmo.
Kirishima non avrebbe voluto interrompere quel contatto per nulla al mondo, ma fu Bakugo a poggiare stancamente la fronte contro la sua, rimanendogli estremamente vicino, ma provocando un moto di delusione nell’animo di Kirishima.
“Tu prova a dirlo a qualcuno…” Ansimò senza fiato Bakugo, poggiando un dito sul suo petto e premendo affinché si sentisse minacciato: “E io ti…”
“Mi fai saltare in aria la testa.” Concluse lui e ridacchiò. Nel tono neanche l’ombra di scherno.
“Vedo che cominci a capire.”
“Però…” Commentò Kirishima, alzando un sopracciglio e strofinando piano il naso contro quello di Bakugo: “Se adesso ci attaccasse un supercriminale saresti imbattibile!”
“Che vuoi dire?”
“Che hai la mano fradicia.” Commentò con un sorriso Kirishima, che aveva ancora la mano destra intrecciata a quella di Bakugo.
Il ragazzo si ritrasse, grato alla luce della luna per essere troppo fioca da illuminargli il viso.
“Sei morto, Kirishima.”
“Oh, ma dai, un bacio e hai già abolito ‘capelli di merda’?”
“MORTO!” Gridò il ragazzo, prima che Kirishima lo baciasse di nuovo, ridendo.
Se qualcuno li avesse beccati in quel momento sarebbero decisamente stati in guai seri, ma con Bakugo così vicino e delle sensazioni così forti a martellargli nel petto, Kirishima non poté fare a meno di mandare al diavolo tutto ciò che non rientrasse in quel momento perfetto.



Note di El: Eh, già! Questo è un aggiornamento!
Come come? Non ci credete?
Come? Nessuno lo aspettava con ansia e sono una dannatissima scoppiata?
Avete proprio ragione.
La Kiribaku è qui, sembra impossibile anche a me. Finalmente rendiamo utile questo passaggio segreto/illegale. So che avete una scarsa considerazione di me, ma vi giuro che questa cosa era prevista, mi sono attenuta ai piani!
Bene, allora. Mo' mi fate parlare, non m'importa, perchè io sono stressata e non scrivevo note trash da troppo tempo.
Prima di tutto state calmi, nel prossimo capitolo c'è Aoyama, non mi sono dimenticata di lui perchè le SCIP hanno SCPIKKATO il volo (mamma mia, sono imbarazzante)
Aoyama deve arrivare nel momento giusto, non può essere buttato lì a piacere. Orsù, un po' di pazienza.
Allora c'è una cosa da specificare. Mia mamma dice sempre: "Hai voluto la bicicletta? E mo' pedala!" (a voi l'arduo compito di capire la provenienza di questa meraviglia di detto)
A quanto pare ci sono autori in giro che odiano dei personaggi perchè ostacolano delle ship (questa cosa ha un nome, ma non me lo ricordo) e quindi quando scrivono li fanno soffrire e li trattano male. Non è una bella cosa e non voglio che venga vista male questa cosa di Uraraka. Il fatto che shippi la Tododeku non mi invoglia affatto a prendermela con lei perchè nel canon (diciamocelo) c'è del tenero tra lei e Deku. A me semplicemente serviva che le cose andassero così e nella scena che avete letto qui sopra c'è un sacco di ragionato, per quanto corta e stupida essa possa sembrare. Le voglio bene, abbiamo tutti sofferto come lei e ce la sto mettendo tutta per farlo capire.
La mia arringa è conclusa.
Per quanto riguarda Bakugo e Kirishima.
LO SO CHE SIETE DELUSI, perchè 'sto bacetto è un po' amaro e inutile, però OH, non mi dovete stare col fiato sul collo, ok? Ci sto arrivando, un attimo e mamma mia, come siete pretenziosi.
Dio mio, sono proprio imbarazzante (spero si capisca che queste note non vanno MAI, in nessun modo, prese sul serio, tranne quando vi ringrazio).
Che altro? Ah, sì, lo spettacolino è stato così trash. Domani (che per voi è tra un po') i nostri ragazzi lo commenteranno.
Se dopo 20 giorni siete ancora qui bacio la terra che calpestate.
Grazie grazie grazie, veramente.
Spero di leggere qualche vostro pensiero perchè più vado avanti più divento paranoica.
A presto, amici (sempre su facebook gli aggioramenti)
Adieu,

El.

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Capitolo 18
*** Cryophobia ***


CRYOPHOBIA

paura del freddo, del gelo, del ghiaccio

 
 
 
Do one thing every day that scares you.
Eleanor Roosevelt

 


Todoroki non aveva avuto un risveglio meravigliosamente tranquillo come da giorni sperava di ottenere. Un tonfo tutt’altro che sordo gli si insinuò tra le orecchie con la delicatezza di un elefante che si aggira in un cunicolo, strappandolo brutalmente al suo sonno sereno.
Contrasse le sopracciglia e strizzò gli occhi, rassegnandosi alla realtà e passandosi una mano sul viso: “Che hai fatto?” Domandò, con la voce ancora impastata dal sonno e gli occhi socchiusi.
“Ciò che andava fatto.” Replicò semplicemente Aoyama, con tono solenne.
Todoroki inspirò a fondo, poi puntò i gomiti sul materasso per alzarsi col busto e controllare meglio la situazione. Solo allora si degnò di aprire gli occhi completamente e la luce del sole, che entrava prepotente per via delle veneziane alzate, lo accecò per un attimo.
Lo scenario che gli si parò davanti, quando riuscì a mettere a fuoco la situazione, però, fu di gran lunga più apocalittico: “Perché ci sono tutti quei cocci?” Domandò, osservando i pezzi di ceramica disposti alla rinfusa sul pavimento. Non sembrava troppo turbato dalla faccenda, il tono era rimasto calmo.
“Te l’ho detto. Andava fatto.” Ribatté ancora Aoyama, facendogli l’occhiolino.
Todoroki inclinò la testa di lato, come a guardare quel disastro sotto un’altra luce, per trovarci un lato positivo. Purtroppo per lui questa tecnica non funzionò: “Mettili in una busta, seppelliamo anche quelli.” E, con questo, Todoroki tornò a poggiare la schiena sul letto, stanco come se avesse corso la maratona.
“Oh?” Aoyama sgranò gli occhi e un sorriso furbo gli strisciò sulle labbra: “Il tuo ragazzo ti influenza negativamente? Cosa ne penserà tuo pa…”
“Come scusa?” Todoroki non si era neanche ancora alzato dal letto, ma la sua giornata era già partita col piede sbagliato.
Aoyama non rispose e lui inspirò: “Non me ne importa niente di quello che pensa… lui.” Parò poi, con tono aspro, prima di aggiungere qualcosa: “E Midoriya non è il mio ragazzo.”
Arrossì.
“Forse dovremmo rompere anche l’altra.” Osservò Aoyama, con sguardo perso, cambiando totalmente discorso e mettendo quindi Todoroki a disagio.
“Fai quello che ti pare.” Ribatté infatti, perché non aveva assolutamente voglia di discutere con quel pazzo brillantinato. Infine si scoprì del lenzuolo e toccò terra con un piede. Era freddina.
“Oh, un’altra cosa.” Todoroki alzò lo sguardo su di lui, in attesa: “Quando l’ho rotta, un pezzo è caduto sulla tua sveglia, quindi…”
Todoroki si voltò di scatto verso l’orologio e sgranò gli occhi, praticamente spiccando il volo.
Quella giornata era iniziata decisamente uno schifo e, visto il programma che gli toccava rispettare, non riusciva a vedere come potesse risollevarsi.
 
Il sole era alto in cielo e faceva un caldo infernale, ma Midoriya quasi non lo sentiva. Era troppo impegnato a voltarsi verso l’ingresso ogni tre per due per controllare se Todoroki si fosse fatto vivo, assicurandosi, per di più, di non venir scoperto.
“Sì, trovo anch’io che sia strano che Todoroki non sia ancora arrivato in spiaggia.” Lo sorprese Sero, finendo di asciugare l’ultimo bicchiere e affiancandosi a lui. Midoriya trasalì: “C-cosa? Non me ne sono accorto, perché, non è ancora arrivato?” Domandò, alzando le sopracciglia fin quasi a farle scomparire sotto l’attaccatura dei capelli e guardandosi attorno come ad assicurarsi che l’amico avesse ragione.
“Strano che tu non te ne sia accorto,” Considerò Sero, poggiando i gomiti sul bancone, accanto a lui: “perché con tutte le volte che ti sei voltato in quella direzione come minimo puoi fare un identikit di tutti i clienti arrivati.” Sero alzò un angolo della bocca in un sorriso divertito, mentre Midoriya si irrigidiva tutto come un fusto e si voltava lentamente e innaturalmente verso di lui. Sero non si trattenne e rise: “Tranquillo, amico.” Gli batté una mano su una spalla e Midoriya lo guardò come se invece lo stesse pugnalando: “Arriverà.” Continuò poi, con lo stesso sguardo determinato e le stesse mani decise sulle spalle di un coach che carica il suo pugile.
“E infatti siamo arrivati.” Ashido fece il suo trionfale e stanchissimo ingresso sedendosi esausta sullo sgabello del bar, seguita a ruota da Kaminari e Kirishima.
“Ma tu non lavori e non ti alleni mai?” Domandò Sero, alzando un sopracciglio.
“Io ti servo il pranzo, idiota. E questi due hanno il giorno libero perché a quanto pare ieri si sono stancati troppo.” Ribatté Mina, sottolineando con la voce l’ultima frase e quindi negandola col tono.
“Mi spieghi che hai combinato ieri sera?” Domandò Sero, cambiando discorso e guardando Kirishima. Il ragazzo sorrise a disagio e si grattò la nuca: “Ehm, ecco…”
“Cos’è successo?” Domandò Midoriya, decidendo che un po’ di conversazione l’avrebbe finalmente distratto dal suo pensiero fisso.
“Kirishima è di nuovo in punizione. Per la terza volta. Secondo me Aizawa ti fa nero quando torniamo.” Lo aggiornò Kaminari, mentre Ashido e Sero ridevano sotto i baffi.
“Non è colpa mia, io…”
“Ah, no? E sulla spiaggia dopo l’orario di chiusura ci sei arrivato per un guasto al teletrasporto?” Lo interruppe Ashido, alzando un sopracciglio.
Kirishima prese fiato per ribattere: “No…”
“E all’edificio E-5 ci sei arrivato perché ti sei perso?” Kaminari rincarò la dose.
“Veramente…”
“Ovviamente la rete l’hai scavalcata perché ci sei inciampato, vero? Tipico delle reti.” Mina non gli diede il tempo di dire di più, mentre Sero sgranava gli occhi e Midoriya ridacchiava pur non capendo un’acca del discorso.
“Non è stata colpa mia!” Riuscì finalmente a dire Kirishima, trattenendo a stento una risata: “Ero con Bakugo.”
“Ah, beh…” Mina abbassò il capo e mostrò le mani con innocenza e Sero e Kaminari decisero di stare al gioco.
“Allora sicuramente…”
“Sei stato rapito.”
“Ma alla terza infrazione la pena non era l’espulsione?” Domandò Mina, improvvisamente curiosa.
“Hanno detto che possiamo non andarcene se diamo i nomi dei responsabili della canna da pesca.”
Sero, Kaminari e Ashido sgranarono gli occhi e Midoriya li fissò: “E tu che hai fatto?”
“Ho preso tempo, ovvio, se riusciamo ad aspettare domani ce ne faranno tornare con voi.”
“Altrimenti? Ci tradirai?” Il tono di Mina era vagamente ironico, ma non al punto tale da non apparire minaccioso.
Kirishima alzò gli occhi al cielo e sorrise: “Non intendevo questo.”
“Intendeva che vi dovete fare i cazzi vostri.”
Midoriya sobbalzò. Bakugo era stato veloce e silenzioso come un gatto e non l’aveva assolutamente visto arrivare. Sembrava più arrabbiato del solito e quell’insolita macchia di colore sulle sue guance sembrava irritarlo ancor di più.
“Fine come al solito.” Si complimentò Kaminari, con un sorriso che scomparve nell’istante stesso in cui Bakugo si voltò a guardarlo: “Tu faresti meglio a stare zitto, visto che sei un attore imbarazzante.”
“EHI!”
“Ha ragione, però.” Mina si ritrovò costretta a dire quelle parole e Sero scoppiò a ridere.
“Dammi dell’acqua, nerd di merda.” Continuò Bakugo come se nulla fosse successo, perentorio.
“Ho fatto del mio meglio, davvero, poi abbiamo avuto poco tempo per provare e…”
Le giustifiche di Kaminari furono interrotte da un ringhio. Un ringhio vero e proprio che proveniva dalle fauci acuminate e terrorizzanti di Bakugo, che aveva rivolto gli occhi alla scalinata di legno che portava alla spiaggia come un segugio che punta una preda.
“Si mette male…” Riuscì solo a commentare Kirishima, prima che tutto, attorno a lui, diventasse un gran pentolone di confusione.
“Bastardo a metà!” Gli diede il benvenuto Bakugo, andandogli in contro a grandi falcate con la sicurezza di uno sceriffo dei film western: “Mentre ti prendevi il tuo caffè mattutino ti ho conservato una matassa di lavoro.”
“La sveglia si è…”
“Non me ne fotte un cazzo della tua sveglia, brutto stronzo, non puoi aspettarti che faccia tutto io mentre ti gratti la pancia.” Bakugo non la stava prendendo troppo bene dal momento che aveva afferrato Todoroki per il colletto della maglietta e non sembrava intenzionato a lasciarlo andare prima di avergli dato una testata sul naso. Testata che Todoroki, dal canto suo, non sembrava affatto impaziente di ricevere senza prima un po’ di spazio alla polemica.
Il ragazzo, infatti, scrollò le spalle come a divincolarsi e voltò il viso da un lato come a palesare il suo enorme fastidio nel ritrovarsi così vicino a Bakugo: “Scusa,” Sibilò, poi: “ma mi pare di capire che uno sbruffone come te non vedesse l’ora di mostrare a tutti la sua forza e la sua capacità di gestire tutto il lavoro da solo. Ti ho accontentato.”
Midoriya, Ashido, Sero e Kaminari sgranarono gli occhi e si pietrificarono come quattro gufi su uno scaffale: “Ah? Che cosa hai detto? Ripetilo, se hai le palle.”
Todoroki alzò le sopracciglia, sfidandolo apertamente: “Ho detto,” Gli diede corda: “che fai lo spaccone e urli tanto perché sai che sono migliore di te.” Ripeté tagliente Todoroki e Midoriya poté vedere distintamente le mani di Bakugo fumare e una vena ingrossarsi sul suo collo: “Ehm, Kacchan?”
I ragazzi non ebbero neanche il tempo di registrare la reazione di Bakugo che già un muro di ghiaccio fumava della sua esplosione arginata.
Kirishima, al contrario di Midoriya, preferì l’azione ai fatti, perché si fiondò tra i due prima che potessero attaccare di nuovo e li separò indurendosi abbastanza da risultare perentorio. La scarica di ghiaccio successiva, infatti, fu mandata in frantumi sul nascere dalla pelle del ragazzo.
“Kirishima, giuro che è la volta buona che ti faccio saltare in aria.” Lo minacciò Bakugo, sgomitando per scacciarlo: “Levati dalle palle, perché lo devo fare nero.”
Todoroki emise un ringhio basso e assottigliò lo sguardo: “Ti stai mettendo in ridicolo.”
Bakugo gridò e sembrava proprio essere sul punto di accettare di sgretolare Kirishima se la ricompensa fosse stata distruggere il suo avversario.
Fu in quel momento che i tre spettatori muti si riscossero dal loro intorpidimento e si gettarono nella mischia, tra schiamazzi e parole per gelare gli animi.
“Se non ti calmi ti giuro che ti sciolgo, dannazione.” S’intromise Ashido, che non riusciva neanche a capire se fosse terribilmente annoiata o, al contrario, assolutamente divertita dalla situazione: “Concordo con lei, amico, raffreddati, andiamo.” Si aggiunse Kaminari, avvicinandosi a Todoroki. La sua faccia, però, pareva più quella di qualcuno che tenta di rabbonire un leone solo con una mano tesa e tanta buona volontà. Si vedeva lontano un miglio che un solo scatto del ragazzo avrebbe fatto correre Kaminari anche in Cina, per sfuggirgli.
“Le punizioni dei bambini, vi ci vogliono.” Parlò Sero, facendo saettare due strisce di scotch in direzione degli sfidanti, legando i loro polsi con scarsi risultati ma innegabile caparbietà.
“Kacchan!” Gridava invece Midoriya, a intervalli regolari, come se non sapesse che chiamarlo sortiva esattamente l’effetto opposto.
Così Deku, che in fin dei conti era buono, ma non stupido, si diresse senza troppe esitazioni da Todoroki, tentennando per offrire anche lui una mano a Kaminari, evidentemente in difficoltà: “Non penso porterà a qualcosa fare a botte con lui. Credimi, ne so qualcosa.” Ridacchiò il ragazzo, passandosi nervoso una mano sulla nuca. Todoroki puntò gli occhi spalancati di rabbia su Midoriya, che però sostenne il suo sguardo come fosse stato il solito. Todoroki si liberò con uno strattone dalla presa inutile di Kaminari, che prevedibilmente se la diede a gambe levate. Il ragazzo, però, espirò, tornando al solito sguardo vuoto e vagamente disinteressato, tradito solo dal respiro irregolare.
“Io vado.” Iniziò, poi, parlando a Bakugo: “Ci stanno guardando tutti. Calmati e torna a lavorare.” Gli intimò, allontanandosi.
“Calmarmi?” Gli urlò dietro lui, ma Todoroki non rispose.
Mina alzò un sopracciglio: “Certo che ha ragione. Non è che lui fosse propriamente rilassato.”
 
“IO NON NE SAPEVO NIENTE!” Gridò Jiro e Ashido fu sicura che l’avessero sentita anche nel tugurio.
“Ma ci hanno avvertiti prima di partire!”
“Non credevo parlassimo di una cosa così seria.” Mina alzò un sopracciglio, scettica.
“Scusa, quale sarebbe la cosa poco seria a cui hai pensato?”
Jiro le rifilò un’occhiataccia, consapevole che non l’avrebbe passata liscia, soprattutto se era Mina a giudicarla. Poi fece spallucce e puntò lo sguardo da qualche parte alla sua sinistra, per evitare gli occhi dalle sclere nere dell’amica: “Una maglietta dei Guns ‘n’ Roses.” Esalò, poi, con un fil di voce.
“Questa sarebbe la tua idea di eleganza?”
Jiro alzò entrambe le sopracciglia, vagamente annoiata, riportando lo sguardo su Ashido: “Sì?”
“No.”
“Beh, okay.”
“Andiamo da Momo, avrà sicuramente qualcosa.” Suggerì pratica Ashido, già dirigendosi a passo spedito verso la porta.
“Come quattro taglie in più di seno, per esempio.” La fermò subito Jiro, stroncando sul nascere ogni entusiasmo dell’amica. Mina si voltò verso di lei solo con la testa, alzando un angolo della bocca come a cercare una risoluzione pratica e veloce a quel piccolissimo inconveniente.
“Oh.”
“Già.” Jiro chiuse gli occhi e sorrise, come nel bel mezzo di una fase zen, felice di essersi risparmiata quella tortura. Fu per questa ragione che, alla frase successiva dell’amica, perse ogni speranza di poter avere voce in capitolo: “Troveremo un modo. Kaminari impazzirà.”
“Oh, no.”
 
Midoriya varcò la soglia delle grandi porte della sala da pranzo vittima di un fastidio inspiegabile praticamente a tutto il corpo. Il vestito gli pizzicava qualsiasi superficie su cui si posasse, fatta eccezione per i punti in cui la camicia gli fasciava il torace. Desiderò di potersi grattare.
“Stai bene.” Esalò Todoroki, passandogli accanto e cogliendolo di sorpresa, gli occhi bassi e il tono che non tradiva alcuna emozione. Midoriya trasalì, guardandolo addentrarsi nella sala con la rilassatezza di chi partecipa a dei galà tutti i giorni. Lo sguardo, però, gli cadde inevitabilmente in basso. Il costume non era male, ma un uomo vestito bene era tutta un’altra cosa e Midoriya lo capì nell’istante stesso in cui vide quei pantaloni.
“Chiudi la bocca, entrano le mosche.” Scherzò Mina, poggiandogli una mano sul mento e tirandoglielo su. Poi ridacchiò e passò oltre, già, anche oltre al fatto che il viso di Midoriya aveva raggiunto l’esatto colore dei capelli di…
“Kirishima, dannazione, fallo bene!”
Kirishima armeggiava con una cravatta in attesa di capirci qualcosa e, nel mentre, salutò Midoriya come se non fosse stato sull’orlo di esplodere come una bomba divenuta troppo calda.
“Non capisco perché non l’abbiamo fatto in camera.”
“Cosa?” Domandò Kirishima, le sopracciglia che si alzavano e si riabbassavano velocemente, in una chiara allusione a ciò che Bakugo sapeva da sempre essere collegato al matrimonio e, tendenzialmente, a una donna.
“Idiota. Mettermi la cravatta.” Replicò, poi, rischiando questa volta di essere lui quello in procinto di esplodere. Le guance gli si colorarono di un rosso appena accennato che Kirishima non si lasciò sfuggire: “Perché eravamo in ritardo.”
“Questo perché tu hai passato mezz’ora in bagno!” Lo rimproverò Bakugo, facendolo ridere ma rendendogli il già arduo compito di fare il nodo alla cravatta ancora più difficile.
Un fischio, però, impedì a Kirishima di rispondergli a tono: “Però! Sembrate sposati.” Scherzò Kaminari, addentrandosi anche lui nella sala con un papillon a pois terribile che lo faceva sembrare un pinguino ammaestrato.
“Che cazzo hai detto, brutto…”
“Perché non vi fate un giro, ragazzi?” Lo interruppe Kirishima, fiutando il pericolo e sventolando una mano come a congedare Kaminari e Sero, pronto a non ammettere repliche.
“Fermiamoci un attimo, non riesco a fare niente.”
Kirishima lo condusse in un angolo della sala, costringendo Bakugo ad alzare il viso per lavorare con più calma.
“Hai finito?”
“No, abbi pazienza.” Ridacchiò Kirishima, che sembrava avere problemi con il numero di rotazioni esatte per assicurare a Bakugo una cravatta invidiabile.
“E adesso?”
Kirishima si fermò, ridendo davvero e alzando lo sguardo su di lui. Bakugo lo sbirciò dall’alto e si lasciò scappare un sorrisetto compiaciuto. Poi il suo schiavetto tornò all’opera, lasciando passare qualche altro secondo di silenzio.
“Sì, okay, adesso mi hai rotto il cazzo.”
“Ho finito, ho finito.” Si difese Kirishima: “Manca un’ultima cosa, però.” E, senza dire una parola, si sporse appena verso di lui, lasciandogli un leggero morso sul collo e baciando subito la porzione di pelle segnata dai suoi denti appuntiti.
“Ma che cazzo?”
“Sei stato così per almeno due minuti. Era impossibile resistere.”
Bakugo abbassò lo sguardo e ringhiò arrabbiato e forse un po’ timido: “Forse potremmo rifarlo.”
“Tipo stasera?”
Bakugo alzò gli occhi al cielo come se un’enorme agenda gli si fosse dispiegata sull’estremità superiore della testa: “Sì, tipo.”
“Bel piano.”
 
Il galà, a quanto pareva, era una serata elegante che veniva organizzata verso la fine dell’estate per ringraziare il personale che ci aveva lavorato.
Quell’anno, però, erano previste due di queste serate, dato che di lì a poco gli ospiti della U.A. avrebbero lasciato la struttura per tornare a casa.
I soffitti della sala erano alti e le voci si diffondevano quindi rimbalzando da una parete all’altra sotto la luce brillante di candele e lampadine. Sembrava un gioiello di parole nel deserto silenzioso della sera e, per quanto Sato e Shoji si fossero impegnati, erano stati chiamati degli chef degni di questo nome.
Ohmddo…” Farfugliò Kaminari con la bocca piena e uno sguardo estasiato simile a quello che assumeva quando canalizzava troppa elettricità contemporaneamente. Jiro, finita per volere di Mina accanto a lui, lo guardò vagamente disgustata.
“Che hai detto?”
“Oh, mio dio.” Ripeté il ragazzo, dopo che ebbe deglutito con successo il raviolo al vapore che aveva in bocca: “È paradisiaco!” Esclamò, mentre Sero annuiva energico di fronte a lui.
“Anche a Bakugo sembra piacere.” Osservò Ashido, gettando un veloce sguardo in direzione del ragazzo che stava letteralmente divorando il suo piatto di ravioli. A quanto pareva aveva ragione, perché Bakugo non replicò nemmeno, troppo concentrato sulla pietanza.
Kirishima, poi, era chiaramente del suo stesso avviso, perché alzò gli occhi al cielo in estasi: “La farcia è strepitosa.”
“Ma come parli?”
“È linguaggio tecnico.” Ribatté il ragazzo, con tono ironicamente superiore e Mina scoppiò a ridere, decisa più che mai a dargli corda.
Kaminari, intanto, si ripulì la bocca con il tovagliolo di cotone che aveva già imbrattato di salsa di soia e si sporse verso Jiro in modo che fosse l’unica a sentirlo: “Posso dirti la verità?”
Jiro lo osservò con un cipiglio infastidito: “Ti costerà un pugno?”
Il ragazzo fece spallucce e decise di prenderlo per un sì: “Questo vestito…”
Iniziò, dando un’ultima occhiata per poi tornare a guardare Jiro: “Oh, no, ti prego, non dirlo.” Lo fermò subito lei, alzando una mano sull’orlo di una crisi di nervi: “Fa seriamente schifo.” Continuò poi e Kaminari scoppiò a ridere annuendo: “Non volevo essere cattivo, ma… Perché?”
In effetti era terribile, Jiro lo odiava. Era stato pensato per qualcuno con almeno due taglie in più di lei e la faceva sembrare la bomboniera brutta del matrimonio pacchiano di una principessa. Ashido aveva fatto il possibile per renderlo più adatto a lei con qualche spilla qua e là, giurando che non si sarebbero viste.
Jiro non se l’era sentita di dirle che si vedevano eccome.
“Mina ci teneva.” Si limitò però a rispondergli lei, lasciandosi trascinare dalla risata di Kaminari e scuotendo la testa stentando a crederci anche lei: “Blaterava sul farti impazzire.”
“Tu mi fai impazzire sempre.” Fu l’unica risposta di Kaminari, prima che iniziassero a guardarsi negli occhi con fare decisamente troppo serio. Jiro spezzò la tensione simulando un conato di vomito: “Non dirlo mai più.”
Lui alzò gli occhi al cielo e sorrise.
“Non vedo l’ora di togliermelo.” Si lamentò poi Jiro, con ingenuità e Kaminari ridacchiò: “Non vedo l’ora anch’io.”
Inutile dire che gli fu rifilata un’occhiataccia coi fiocchi e quel pugno che gli aveva promesso.
 
“Mi concedi questo ballo?”
Kirishima aveva piegato la schiena e la testa in maniera davvero buffa. Un sorriso ironico gli piegava le labbra e a stento riusciva a trattenere gli sbuffi di riso che di tanto in tanto gli sfuggivano di bocca.
“Non so se te lo meriti.” Disse Ashido, accettando però la sua mano.
Il ragazzo non perse tempo e se la trascinò addosso e poi al centro della sala, dove tutti i tavoli erano stati spostati per fare posto alla pista da ballo. Una musica lenta e romantica risuonava calma nell’aria, con l’intento di creare atmosfera. Kirishima, però, rideva e ballava goffamente con Ashido, che gli saltellava attorno come in una specie di danza tribale.
“Sono fantastici.” Commentò Uraraka, ridendo di gusto nel guardare i due amici divertirsi in maniera così evidente.
“Ti va di seguirli?” La invitò Midoriya, alzandosi per cederle una mano. Uraraka lo guardò dal basso con occhi grandi di confusione alla vista delle gote rosse dell’amico: “Certo.” Rispose, poi, con un sorriso, come a tranquillizzarlo.
“I-io volevo chiederti scusa per… Sai, per la situazione strana in cui ti ho messo.”
Iniziò Deku, cingendole la vita con sguardo basso e osservandosi la punta delle scarpe lucide. Si mosse appena tentando di ballare, ma era un tronco di legno.
Lei lo guardò con la bocca semiaperta e gli occhi dolci: “Non devi scusarti. Sono stata io a chiederti di farlo.”
Midoriya scosse la testa: “Non avrei mai dovuto accettare. Tu stavi cercando di difendere me e… Io non sono riuscito a renderti felice.”
Uraraka gli sorrise e aspettò che ricambiasse il suo sguardo, poi lo fissò bene negli occhi, forte delle nuove consapevolezze che aveva acquisito in quei giorni: “Non devi salvare sempre tutti. Non è colpa tua se ho scelto di aiutarti, io sono tua amica.” Midoriya la ascoltava attentamente: “Lo sarò sempre.”
Il ragazzo sorrise e alzò un braccio, costringendo quello di lei a seguirlo. Lo sguardo interrogativo della ragazza valeva più di mille parole: “Gira.” Esalò poi timidamente Midoriya, come se quello potesse esser chiamato ballare.
Uraraka, però, rise e girò su se stessa. Deku sorrise a sua volta rendendosi conto di che amica incredibile il cielo gli aveva mandato. Non avrebbe potuto chiedere di meglio ed era più deciso che mai a starle vicino per sempre, a sostenerla e sorreggerla, per quanto imbarazzanti potessero essere le conseguenze.
La serenissima e positiva atmosfera che si era creata nella bolla calda della pista da ballo fu spezzata da due voci concitate che passavano lì accanto, o meglio, da una decisamente concitata e una praticamente atona.
“Tua madre ha fatto un brutto lavoro, dannazione, ti doveva accecare!”
Midoriya vide distintamente Kirishima voltarsi verso la fonte di quell’insulto piuttosto pesante con la rassegnazione tipica di chi ha già capito tutto. Anche Mina lo seguì con lo sguardo, improvvisamente presa dal battibecco. Uraraka notò che sembrava preoccupata. Era la tipica ragazza capace sempre di farsi una risata e quel cipiglio era un brutto segno.
Todoroki stava camminando e dirigendosi verso le porte della sala, ma si bloccò sul posto, voltandosi lentamente con un sospiro: “Senti, se mi stai provocando per fare a botte e perdere miseramente tanto vale dirlo subito.”
“Io ti faccio esplodere, altro che perdere.”
“Hai questo bisogno continuo di mettermi i piedi in testa perché in fondo sai che sono meglio io.”
“Arrogante del cazzo.” Ringhiò Bakugo, mentre affondava le unghie nei palmi delle mani. Todoroki alzò appena il viso in uno scatto, sfidandolo, il tono piatto e lo sguardo freddo: “Lo ammetti?”
“Perché non ci facciamo una chiacchierata fuori di qui?”
E, detto ciò, Bakugo lo spinse malamente fuori dall’edificio, il respiro pesante e gli occhi iniettati di sangue.
Nella sala da pranzo la musica lenta e romantica continuava a fare da sottofondo a una scena adesso desolata. Nessuno dei lavoratori del resort pareva essersi accorto delle battute che si erano scambiati i due marmocchi aspiranti eroi, ma i compagni di classe si erano irrigiditi tutti e incontrati al centro della sala.
“Dite che dovremmo andare a dare un’occhiata?” Domandò Uraraka, con tono titubante.
“Certo che sì, come minimo vorranno uccidersi!” Mina gesticolava animatamente, come se questo potesse aiutarla a convincere tutta la classe.
“Ma se ce ne andiamo tutti in massa faremo insospettire i professori. Per fortuna non sembrano essersi accorti di niente.” Fece notare Kirishima e Sero si unì alla conversazione: “In effetti potremmo metterci nei guai.”
Kaminari piombò all’improvviso nella comitiva con l’eleganza che solo l’ignoranza può dare a un uomo: “Che succede?” Il tono spaesato e la confusione negli occhi sarebbero stati innegabilmente divertenti se solo la concentrazione di tutti non fosse stata puntata su Bakugo e Todoroki.
“Non è difficile. Andrà una squadra di soldati scelti.” Propose Kirishima, sorprendendo Mina. Si rendeva sempre più conto di quanto sottovalutasse l’intelligenza dei suoi amici… Tranne quella di Kaminari, su di lui non si era mai sbagliata.
“È una buona idea.” Convenne Momo.
“Midoriya tu hai un certo ascendente su Todoroki.” Iniziò pratica Ashido, facendo sobbalzare e arrossire il diretto interessato: “C-cosa? No, io…”
“Stamattina sei stato tu a evitare la rissa.”
“No, io non sono…”
“Fallo.” S’intromise Uraraka, poggiandogli sicura una mano sulla spalla e fissandolo negli occhi con determinazione.
“E va bene, ma deve venire anche Kirishima.”
“Ovviamente.” Ribatté pronto il ragazzo, strizzandogli l’occhio con un sorriso sicuro.
“Momo e Ashido, andate anche voi.” Suggerì Jiro, che invece non aveva avuto problemi a inserirsi in ritardo nella conversazione: “E non ditelo a Iida.” Si premurò di aggiungere, mentre i quattro ragazzi si dirigevano a passo spedito fuori dalla sala.
 
La situazione era già precipitata. Erano arrivati con un ritardo di almeno due minuti e tre montagne di ghiaccio erano già state bucate al centro e ridotte a brandelli da delle esplosioni: “Non prendermi per il culo!” Gridò Bakugo, lanciandosi in avanti per l’ennesimo attacco: “Stai alzando muri per farmi giocare? Abbi coraggio e affrontami a viso aperto, bastardo a metà!”
Todoroki non fiatò e alzò l’ennesima barriera gelata, sospirando annoiato e guardando il suo avversario come si guarda un innocuo ma arrabbiatissimo chihuahua.
Bakugo vi si fiondò contro, scartando di lato per evitare uno spuntone di ghiaccio.
“Bell’allenamento, ma perché non ci date un taglio?” La voce di Kirishima fece voltare i due avversari. Il ragazzo se ne stava a braccia conserte ostentando un’invidiabile calma. Aveva il sopracciglio alzato e lo stesso sguardo di rimprovero di un qualunque genitore che invita il figlio a mettere a posto le costruzioni lego. Bakugo lo osservò con odio e Todoroki si voltò proprio verso il biondo per studiare la sua reazione. Quando vide che non aveva intenzione di coinvolgerlo nella loro lotta ne approfittò, scagliandogli contro una spina di ghiaccio a tradimento.
“Brutto bastardo!” Gridò Bakugo, ignorando totalmente il commento di Kirishima e riconcentrandosi sul suo avversario.
“Non è molto leale giocare sulla difensiva.” Considerò ancora Kirishima, deciso a spostare almeno l’attenzione di Bakugo su di sé. Todoroki lo guardò con disprezzo, avvicinandosi pacatamente alla sua nuova colonna di ghiaccio e sciogliendola proprio mentre Bakugo le andava contro. Questi cadde a terra imprecando: “Ha ragione.” Considerò Todoroki, inclinando il viso di lato e studiando Bakugo dall’alto.
“Che vorresti fare? Prendermi a pugni?” Il ragazzo rise sprezzante, alzando un angolo della bocca in un sorriso di scherno, ma Todoroki annuì.
“Ma che gli ha detto per farlo arrabbiare così?” Ashido si girò verso i suoi amici confusa, ma tutti scossero il capo perplessi. Non ebbero molto altro tempo per elaborare teorie, perché Bakugo aveva già trascinato Todoroki a terra con lui e aveva deciso di mettere in pratica tutte le promesse che gli aveva fatto: “Sei cresciuto in una reggia? Combatti come una femminuccia.” Lo insultò Bakugo, condendo il tutto con un gancio destro che arrivò dritto sulla guancia dell’avversario. Le nocche già rosse per l’intensità dell’impatto.
“Ehi, ehi, ehi, ma siete seri?” Kirishima si avvicinò relativamente tranquillo e Mina gli andò dietro. Momo non sembrava avere grandi idee per impedire quello scontro e Midoriya si era perso in un bicchier d’acqua. Di tanto in tanto tentava di essere persuasivo dicendo “Basta Kacchan”, ma la cosa non pareva sortire alcun effetto benefico.
Kirishima si lanciò al salvataggio e gli altri tre sembrarono riscuotersi e decidersi a dargli una mano. Con un po’ di difficoltà li costrinsero ad allontanarsi e si chinarono su di loro a gruppi per un veloce bilancio dei danni.
“Sto benissimo, capelli di merda, adesso levati dalle palle, devo distruggerlo.”
“No, no, no, è esattamente questo il punto.” Kirishima rise, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle e costringendolo a rimanere a terra. Mina sembrava leggermente più preoccupata e aveva deciso di minacciarlo di scioglierlo con l’acido, come se la cosa avesse potuto far tentennare uno come Bakugo: “Amico, devi darti una calmata, mi sembri una bestia.”
“Kirishima, io ti rovino.”
“Bella promessa, ma ne parliamo dopo, ora ti va di tornare dentro?”
“Col cazzo.”
“Perfetto.”
Ashido scoppiò a ridere.
Dall’altra parte di quella che era sembrata per qualche istante un’arena antica e che adesso era uno spiazzo che puzzava di pipì di cane, Todoroki restava in silenzio, con gli occhi puntati in direzione di Bakugo e il fiato corto.
“Stai sanguinando.” Lo informò Momo, accovacciandosi accanto a lui e invitando con un cenno Midoriya a fare lo stesso.
“I-io vado a prendere del ghiaccio.”
Todoroki alzò lo sguardo verso di lui e inarcò un sopracciglio, Momo lo imitò e, in un istante, il viso di Midoriya raggiunse una tonalità di rosso a dir poco imbarazzante: “Oh, beh, in effetti non ne hai bisogno.”
Momo sorrise: “Torniamo dentro? Così bevi un po’ d’acqua per calmarti.”
“Sono calmo.”
“Allora ci limitiamo a tornare dentro?” Propose Midoriya, alzando un sopracciglio. Todoroki aprì e chiuse la bocca senza emettere alcun suono.
“Oppure no, mh, vuoi che ti riaccompagni al tugurio?”
Il ragazzo annuì e, senza accettare la mano che Midoriya gli porse, si alzò e si diresse lontano dalla sala da pranzo.
“Midoriya!” Lo richiamò Momo, generando una serie di cerotti e dell’ovatta: “Occupatene tu.” Concluse, poi, lanciandoglieli e osservandolo prenderli al volo, poi i due ragazzi scomparvero nel buio.
“Bastardo!” Gli gridò dietro Bakugo, sputando a terra.
“Che finezza.” Commentò Ashido, che fu costretta ad allontanarsi un attimo dopo per uscire dal raggio d’azione del ragazzo.
“Ci avevo messo una vita per quella cravatta.” Si limitò invece a commentare Kirishima, sconsolato.
 
“Non devi fare niente, sto benissimo.” Esalò Todoroki, seduto sul letto con le mani in grembo e lo sguardo puntato in un punto imprecisato della stanza immersa nel buio. L’unica fonte di luce era quella fioca del bagno della stanza, in cui Midoriya stava trafficando alla ricerca di qualcosa e non sembrava starlo ascoltando.
“Spero proprio che nessuno si sia accorto dell’inconveniente, Bakugo potrebbe avere problemi per questa storia e anche Kirishima, di conseguenza. Ma poi mi spieghi che ti ha detto di così terribile? Non hai mai risposto alle sue provocazioni. Capisco che a volte possa essere irritante, credimi, ne so qualcosa, ma in fondo non pensa davvero quello che dice, sai, una volta…”
“Midoriya.”
“Una volta mi ha detto che ero inutile e che se fossi entrato alla U.A. mi avrebbe ucciso di botte. Come vedi non faceva sul serio, perché sono ancora tutto intero, anche se all’inizio ci ha provato un paio di volte.”
“Midoriya.”
“Eh?” Il volto di Deku fece capolino dalla porta del bagno e Todoroki lo trovò davvero buffo. Un ciuffo di capelli verdi gli ricadeva dolcemente sul naso.
“Ho detto che non devi fare niente, sto bene, puoi tornare dagli altri.”
Midoriya tornò a trafficare nel cassetto del bagno: “Non è che mi vada molto di stare a quella cena elegante, in realtà.”
“Sembrava che ti stessi divertendo.”
Midoriya non rispose mai a quell’affermazione, perché spense la luce in bagno e si diresse a passo spedito verso il letto: “Che hai in mano?”
“Alcol e cotone.”
Todoroki alzò gli occhi al soffitto e sospirò: “Non mi serve il tuo aiuto.”
“Sta’ fermo.” Sussurrò il ragazzo, non dandogli affatto ascolto, e poggiando con fare deciso un batuffolo d’ovatta imbevuto di alcol sulla sua guancia escoriata.
Todoroki sibilò tra i denti e si costrinse a non fiatare più. Midoriya posò in un attimo lo sguardo sui suoi occhi, chiedendogli senza parlare se gli facesse troppo male. Todoroki scosse la testa e osservò Midoriya tamponare la ferita.
“Come sai cosa fare?”
Midoriya sorrise e scrollò le spalle: “Mi faccio male spesso.” Si limitò a dire, continuando in silenzio il suo lavoro. Todoroki non lo spezzò.
“Hai un bel livido.” Commentò però all’improvviso Deku.
Il ragazzo grugnì appena perché, poco più su, Midoriya aveva di nuovo fatto pressione con l’ovatta: “Scusa.”
“Non mi ha fatto niente.”
“Non direi,” Midoriya mosse il capo a desta e a sinistra, palesando la sua titubanza e concentrandosi sul cerotto sottile che teneva in mano: “ci è andato giù pesante.”
“Non è vero, non è così forte.”
“Sei sicuro? Perché…”
“Ho detto che non mi ha fatto niente.” Ribatté Todoroki, in tono decisamente più aggressivo.
Midoriya non ebbe molto tempo per reagire o per dire granché, perché si trovò le labbra impegnate in un bacio stranamente più urgente e decisamente meno timido. Todoroki si spinse in avanti, come a cercare un contatto più profondo e Midoriya sospirò di sorpresa, facendo ricadere le braccia e abbandonandosi quasi del tutto alle sensazioni.
Quasi, già, perché un pensiero lo sfiorò prima che potesse lasciarsi del tutto andare: “Aspetta, il cerotto.” Provò a dire, ma Todoroki scosse la testa: “Non importa.”
Ora, Midoriya era un ragazzo intelligente e capace di trovare spunti di ragionamento anche in un filo d’erba, ma quella risposta parve bastargli, perché lasciò cadere il cerotto che aveva tra le mani per toccargli le spalle mentre lo baciava con crescente bisogno.
“Aoyama è scomparso all’improvviso dall’evento.” Ragionò Midoriya, osservando il mare che si vedeva attraverso il terrazzo, mentre Todoroki gli baciava il collo: “E quindi?” Rispose lui con tono strascicato e un po’ di irritazione perché non aveva la sua completa attenzione.
“Quindi magari rientrerà presto.”
Todoroki scosse la testa con decisione: “Ha capito tutto, per quanto ne so ci sta guardando con una telecamera nascosta.” Sussurrò, riprendendo il suo lavoro.
Midoriya se lo staccò di dosso per guardarlo negli occhi: “EH?”
Todoroki lo fissò per qualche secondo, contrariato, poi rise piano: “Sto scherzando.”
“Tu?”
“Già, io.” Affermò, ridacchiando e costringendolo con un gesto a farlo stendere sotto di lui.
E, dopo questo impensabile sfoggio di intimità concretizzato in una risata, Midoriya fu certo, sicuro, convinto di aver perso ogni barlume di ragione. Alzò appena il busto per liberarsi della giacca, senza interrompere un nuovo bacio, e la poggiò di lato. Iniziava a fare caldo.
Trovò naturale allargare le gambe in un inconscio tentativo di sentirlo più vicino e fu in quell’esatto istante che capì quanti e quali benefici comportasse entrare nell’intimo con un ragazzo.
 
Kirishima chiuse la porta della camera E-75 con un tonfo e si lasciò cadere sul letto limitandosi soltanto ad allentare il nodo alla cravatta. Non si tolse nemmeno le scarpe.
Sentì soltanto Bakugo, dietro di lui, andare verso il bagno e chiudersi la porta alle spalle.
Quando ne uscì non aveva più né la giacca né la camicia e si stese accanto a Kirishima con uno sguardo strano: “Ehi, capelli di merda.” Pronunciò, con la voce un po’ tesa. Quando non lo sentì rispondere si fece coraggio e andò avanti: “Cos’è che mi dicevi di fare una volta in camera?”
Ancora una volta, Kirishima non rispose e Bakugo si accorse con orrore che il suo respiro era innaturalmente regolare: “Ehi, idiota.”
Silenzio.
“Non ci credo.” Si lamentò Bakugo, stravaccandosi di fianco a lui e appoggiando l’avambraccio sulla fronte in evidente frustrazione. Poi si voltò a guardare Kirishima, gli occhi chiusi e i lineamenti distesi dal sonno: “Fanculo.” Sussurrò, dandogli le spalle e chiudendo gli occhi.
 
Non troppo lontano da lì, invece, Todoroki si stese con un sospiro soddisfatto di fianco a Midoriya, cercando disperatamente il respiro che gli era rimasto bloccato in gola per tutti quei minuti.
Sentì un fruscio accanto a sé, seguito da un leggero tonfo: “Ma cosa…”
“Che c’è?” Biascicò, puntando i gomiti nel materasso e voltandosi verso la voce di Midoriya.
“Dov’è l’abat-jour?”
Todoroki si lasciò cadere di nuovo sul letto e sospirò: “Aoyama l’ha rotta stamattina.”
“Perché?” Riuscì praticamente a vedere il sopracciglio alzato nella voce di Midoriya.
“Ha detto che niente può brillare più di lui.” Esalò infine.
Seguirono dei secondi di pensieroso silenzio, poi Midoriya si lasciò cadere di nuovo accanto a lui, contorcendosi dal ridere. Todoroki lo fissò.
“Davvero l’ha fatto per questo?”
“Sì.”
Midoriya scoppiò ancora a ridere: “Ha detto che andava fatto.” Spiegò semplicemente Todoroki, riuscendo a nascondere il sorriso inconsapevole che gli era spuntato improvvisamente sulle labbra.
“E che ne avete fatto?”
“Seppellita.” Sentenziò secco e Midoriya gli si strinse accanto con un’altra risata. Era un rumore inedito e assolutamente bellissimo e Todoroki se ne scoprì bisognoso.
Quella mattina, il ragazzo se ne ricordava benissimo, la sua giornata era iniziata davvero male. La sveglia non era suonata e per questo aveva litigato con Bakugo. Come se non bastasse, poi, Aoyama aveva rotto la lampada della camera per un motivo incredibilmente stupido.
Eppure non poté fare a meno di notare che, senza quei due piccoli e noiosissimi incidenti, Todoroki non si sarebbe mai trovato da solo con Midoriya, non avrebbero mai fatto quello che avevano fatto e non avrebbe mai sentito quel suono celestiale e bellissimo che era la sua risata.
In fin dei conti, si rese conto, non gli era andata troppo male.





Note di El: Attenzione, telespettatori: mi dicono dalla regia che il contagio può avvenire anche attraverso dispositivi elettronici. Se avete letto questa storia siete a rischio. Dopo un mese c'ho un sacco di cose da dire. Spazio, spazio al vero capitolo!

E la mia battuta pseudosociale l'ho fatta. Andiamo avanti.
Credo sia passato esattamente un mese... What a great time to be alive. C'avevo da fare, eh oh, ma tutto bene, la sessione è finita e io ho celebrato scrivendo questo capitolo praticamente in tre giorni. Il mondo mi remava contro, dico davvero, ogni volta che iniziavo a scrivere succedeva qualcosa.
Ma eccomi qui, a sfoggiare le mie conoscenze in fatto di nodi alla cravatta e in fatto di cucina perchè tre puntate di masterchef mi autorizzano a dire "farcia" come se l'avessi inventata io. Ah, poi i ravioli a vapore sono cinesi, lo so (attenti che possono infettare, okay la smetto, mamma mia).
Ah, volevo troppo rendervi partecipi del perchè ci metto una vita a scrivere e revisionare. Quando Sero si arrabbia con Bakugo e Todoroki, all'inizio, e tenta di separarli, prima che lo correggessi, c'era scritto "I metodi di tortura dei bambini, vi ci vogliono" invece di "le punizioni dei bambini". Cioè, vi rendete conto? In che mondo violento vivo per scrivere una cosa del genere? Ah, sì, la Terra (oggi sono molto politico-contestatrice).
Altra cosa. Quell'italianizzato e terribile "Chiudi la bocca, entrano le mosche" di Mina è bruttissimo per chi sa che viene dal più noto e soddisfacente "chiur a vocc, trasn e mosche" (scusate), quindi vabbè, questo è l'originale, ma vi renderete conto da soli che non poteva essere inserito al naturale.
Mi dispiace di aver fatto sputare Bakugo, a volte non so quanto posso spingermi... e mi dispiace pure che non è troppo p0rn, ma mi sentivo in colpa.
Il colpo di scena del capitolo, sì, avete capito bene, era esattamente scoprire cosa avesse fatto Aoyama. Capitano indiscusso della classe.
Ultima cosa, cioè la più importante.
Quando ho deciso di scrivere questa cosa ho deciso anche di scrivere la leggerezza che ne conseguiva, ma col tempo il trash si è fatto spazio dentro di me e mi ha trascinata sul fondo. La colpa è solo di Ran. No, okay, è solo mia, ma in questo capitolo c'è LA trashata. L'ho nascosta perchè messa così sarebbe stata semplicemente troppo, ma, capitemi, non ho neanche seguito Sanremo, Ran mi ha detto che mi regala un manga, quindi l'ho fatto con egoismo (che manga mi regali?)
In ogni caso, se non l'avete vista meglio, se avete notato che certe battute sono un po' strane, ehm, colpevole, se vi aspettate la prova lampante rileggetevi le battute di Kaminari.
Io ora vado, che c'ho un botto di cose da fare (metà quarta stagione non si recupera certo in due minuti) tipo scrivere una Ereri a casissimo.
Cià belli, ci si vede al 19 (spero presto, dannazione)
Adieu, (adoro dire i detti napoletani e "adieu" nelle stesse note)

El.

 

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Capitolo 19
*** Atychiphobia ***


ATYCHIPHOBIA

paura di fallire


The oldest and strongest emotion of mankind is fear, and the oldest and strongest kind of fear is fear of the unknown.
H.P. Lovecraft




Bakugo farfugliò qualcosa, in un verso simile a un ringhio e a un lamento allo stesso tempo. Un sorriso appuntito si fece largo sulle labbra di Kirishima, mentre picchiettava sulla sua spalla.
“Che cazzo vuoi, capelli di merda?” Riuscì finalmente a dire Bakugo, con la voce impastata dal sonno e un diavolo per capello. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma già le sopracciglia erano aggrottate in un cipiglio infastidito. Kirishima rise: “Scusa se ieri mi sono addormentato.”
“Sei un coglione.” Pronunciò Bakugo, voltandosi verso la finestra dannatamente luminosa, ma almeno riuscendo a dare le spalle a quel rompiscatole di Kirishima. Il ragazzo, però, non si perse troppo d’animo, perché reagì immediatamente, abbracciandolo con una mano: “Volevo farmi perdonare.” Esalò e Bakugo sentì distintamente il suo fiato caldo sul collo e una mano impertinente scivolare verso il basso. Continuando imperterrito a tenere gli occhi chiusi, Bakugo sospirò affranto e si adoperò immediatamente a liberarsi di quella manaccia. Kirishima, però, fu più veloce: “Oh.” Esalò, poi, dando una sbirciatina oltre la sua spalla per assicurarsi di non esser stato tradito dai suoi sensi. “Sbaglio o qui qualcuno mi ha rubato l’Unicità?”
Quello fu assolutamente troppo. Bakugo sbarrò gli occhi e la luce del sole gli colpì aggressiva le pupille, lasciandolo disorientato per qualche secondo: “Il mio pugno ha la tua Unicità. Adesso staccati di dosso perché altrimenti te la faccio provare.”
Kirishima pensò giustamente di disubbidire all’ordine di Bakugo e, come se non avesse mai parlato, infilò un dito nei pantaloncini larghi che il suo amico indossava come pigiama.
“Ma che cazzo!” Esclamò contrariato Bakugo, alzandosi di scatto con un colpo di reni e lasciando Kirishima da solo, in un letto troppo grande, steso supino e con un sorrisetto vittorioso in viso: “Cosa diavolo hai da ridere?”
“Niente.”
Bakugo si era ormai avvicinato alla porta del bagno e Kirishima lo guardava fisso negli occhi, con rilassatezza, quasi come a sfidarlo a fare qualcosa di imprecisato e intangibile che si respirava però innegabilmente nell’aria. Bakugo abbassò lo sguardo con un grugnito appena udibile e una leggerissima macchia rossa gli colorò le guance: “Non adesso.”
Kirishima annuì e si stiracchiò, mentre Bakugo entrò in bagno. Evidentemente quest’ultimo aveva fatto male i suoi calcoli, perché quel minuscolo e invisibile sorriso che gli spuntò sul viso Kirishima lo vide eccome, anche se per una frazione di secondo, prima che il muro gli impedisse di indagare.
 
“Okay, la situazione è seria.” Kaminari alzò un sopracciglio, vagamente offeso e volse lo sguardo ai bambini ai quali avrebbe dovuto badare: “Perché mai dovrebbe essere seria?”
“Vedi? Se questa è la tua risposta non solo è seria, è addirittura drammatica!” Mina ribatté teatrale e Kirishima pensò seriamente che se avesse preso parte allo spettacolo dell’animazione avrebbe sicuramente vinto un premio.
“Secondo me non è drammatica.” Si intromise infatti, alzando un sopracciglio ironico e sorridendo a Kaminari, che gli batté il cinque e prese a guardare Ashido come a sfidarla a ribattere. La ragazza, però, sembrava avere sempre un asso nella manica, perché non ebbe problemi a rispondere alla provocazione: “È evidente che non possiamo fidarci di Kirishima: lui è una frana in queste cose.”
“Che cosa? Ma se ho conquistato Bakugo!”
“No, è stato lui a conquistare te.” Gli ricordò Mina e Kirishima alzò un dito pronto a ribattere, prima di ricordarsi che non aveva argomenti per contrastare la lingua lunga dell’amica e finendo per aprire e chiudere la bocca come un pesce lesso.
“Ehi ehi, si respira aria di tensione, qui, di che parlate?” Sero fece il suo ingresso trionfale nella hall del resort, coinvolgendo Kaminari e Kirishima in un abbraccio e guardando Ashido, di fronte a sé: “Allora?”
“Oh, Sero, sarai la voce della verità.” Iniziò Kirishima, osservando Mina che se ne stava con sguardo ironicamente austero a guardare i ragazzi davanti a sé.
“Secondo te Kaminari è in grado di chiedere…” La voce di Kirishima si spezzò al segnale di Mina, che aveva improvvisamente preso a gesticolare senza sosta come se volesse impedire a un enorme dinosauro di avvicinarsi ai suoi amici: “Che c’è?” Domandò Kirishima, voltandosi appena per seguire lo sguardo di Ashido. Sero e Kaminari fecero lo stesso.
“Oh, ehi, Jiro.” Salutò quest’ultimo, appoggiando una mano sulla spalla di Sero a sua volta e fallendo miseramente, risultando semplicemente stupido. La ragazza alzò un sopracciglio confusa e osservò i tre amici negli occhi, come a cercare risposta per la sua stupidità. Purtroppo per lei, però, gli altri tre non sembravano più arzilli: “Che vi prende?” Domandò sospettosa, poggiando la scatola di lattine che reggeva in mano sul pavimento di marmo della hall.
“Niente.” Risposero contemporaneamente tutti i ragazzi, il che smentì prontamente la loro macchinosa risposta corale. Jiro aggrottò la fronte: “Ah sì? Di che parlavate?”
“Beach Volley.”
“Te.”
“Allenamenti.”
“Vacanze.”
Le quattro risposte evidentemente incompatibili arrivarono tutte insieme e Kaminari, Kirishima, Ashido e Sero presero a fissarsi con lo sguardo di chi ha appena ucciso un ragno gigante e non sa come liberarsene: “Ehm…” Iniziò Kirishima, sempre pronto a salvare eroicamente tutti: “Di te che ti alleni a beach volley durante queste vacanze.” Improvvisò il ragazzo e Mina si batté una mano in fronte con la naturalezza di chi sa di essere l’unica persona ad aver capito di essere appena entrata nella tana del lupo. A riprova di ciò, infatti, Kaminari e Sero sorrisero vittoriosi, come se quella risposta li avesse salvati dal più grande dei guai.
Jiro, però, non sembrava dello stesso avviso: “Ah sì?” Domandò, infatti, incrociando le braccia al petto e alzando un angolo della bocca in un sorriso divertito. I tre ragazzi annuirono contemporaneamente e Jiro alzò gli occhi al cielo e si fermò con lo sguardo su Ashido: “Niente da dichiarare.” Esalò la ragazza, senza aggiungere altro.
Jiro raccolse la scatola che aveva poggiato a terra e se la sistemò addosso per gestirne meglio il peso, poi sospirò: “Devo andare al chiosco, ti aspetto lì, Sero.” Esordì poi e si diresse verso la spiaggia.
Proprio prima di imboccare l’uscita, però, si voltò un’ultima volta, fissando lo sguardo su Kaminari, che già aveva il suo su di lei: “Dopo… Ehm, ci sei per una chiacchierata?”
Il ragazzo sgranò gli occhi e sussultò. Spire di elettricità si attorcigliarono subito ai suoi polsi, risalendo le braccia e costringendo Sero a balzare letteralmente via da lui: “C-certo.” Sussurrò appena, boccheggiando.
Jiro annuì seria e gli diede le spalle. Aspettare che se ne fosse completamente andata per iniziare a ridere fu, per Ashido, Kirishima e Sero, una vera impresa.
 
Bakugo se ne stava a braccia incrociate come se non fosse stato nei suoi interessi fingere di provare rispetto o un vago rimorso. Kirishima lo guardava di sottecchi, di tanto in tanto, più per assicurarsi che non facesse qualcosa di plateale e stupidissimo che per curiosità.
“L’avete fatta grossa.” Cominciò All Might che, sebbene ci tenesse a mantenere un’aura austera e cattiva, sembrava comunque vagamente divertito dalla situazione, sottolineando, anche inconsciamente, che in realtà non l’avevano fatta grossa affatto.
Aizawa, invece, sbadigliò genuinamente annoiato, eppure bastò a donare alla situazione quella carica di terrore che All Might da solo non era riuscito ad assicurare: “Tirate fuori il responsabile dell’incidente della canna da pesca,” Esordì pacato l’uomo: “e potrò tornare a dormire.”
Kirishima deglutì rumorosamente e Bakugo alzò prima gli occhi al cielo, poi gli rifilò un’occhiataccia. Kirishima non aveva paura, ci teneva solo a non passare per il casinista di turno. Come se poi non lo fosse, pensò Bakugo, ridacchiando tra sé.
“Non ne sappiamo niente.” Si limitò a rispondere Kirishima e Bakugo non si preoccupò nemmeno di dire la sua.
All Might alzò un sopracciglio e Aizawa sospirò rumorosamente, poi aprì bocca per parlare. Non riuscì a dire niente, però, perché Present Mic fece il suo ingresso veloce e rumoroso nelle cucine ancora sporche del resort: “Confessate, ragazzi.” Li invitò a fare, poi, con una risata: “Perché questa non si spiegherà da sola.” Aggiunse, poi, tirando fuori l’ultimo degli oggetti che Kirishima avrebbe voluto vedere.
Una canna da pesca grondante fango umido si stagliava davanti allo sguardo pericolosamente incredulo di Kirishima. Bakugo, invece, non aveva mosso un muscolo: “Allora?”
Kirishima boccheggiò un paio di volte e Bakugo si voltò appena a guardarlo, come a controllare se il suo compagno di crimini fosse in difficoltà. Notò seccato che lo era eccome: “Cosa volete che ne sappiamo di una canna da pesca sporca di fango? Non è che se ce la fate vedere ce ne ricordiamo.” Prese la parola Bakugo, conscio di dover prendere la situazione in mano.
“Vi avevamo detto di trovare i colpevoli.”
“Oppure ci manderete alla U.A. un giorno prima della partenza? Per me va bene, sono tutti un branco di inutili scansafatiche, qui.” Continuò Bakugo e Kirishima si voltò a guardarlo allarmato. Non è che fosse un modo elegante di farsi valere. All Might, però, rise di gusto: “Il giovane Bakugo non ha tutti i torti.” Sentenziò, poi, alzando un sopracciglio.
“In effetti non ha poi così senso.” Si aggiunse Present Mic, alzando le spalle e guardando Aizawa come se fosse la mente di quel piano geniale. Il professore, però, sembrava semplicemente avere una gran voglia di andare a fare un riposino rigenerante in spiaggia e nulla di più.
Sbadigliò, infatti, coprendosi la bocca e dirigendosi a passo lento e cadenzato verso l’uscita: “Si ripercuoterà su di voi, in ogni caso. Godetevi le vostre ultime due ore qui.” E, con questo, i tre professori li lasciarono soli in una cucina sporca come al solito e felice di accogliere gocce grosse di fango nel regno inclusivo della sua sporcizia!
“Ci fanno neri, è la volta buona, siamo in guai grossi.” Iniziò a parlare Kirishima, non appena se ne furono andati e agguantando la scopa poggiata sulle mattonelle bianche senza davvero curarsi di cosa avesse tra le mani, ma limitandosi a torturare il legno del manico con fare assorto. Bakugo alzò un sopracciglio, osservandolo immobile: “Ma cosa avremmo dovuto fare?” Si domandò ancora Kirishima, guardandosi attorno come se le pareti avessero potuto rispondergli, poi allargò le braccia sconsolato e prese a spazzare a terra sovrappensiero: “Niente. Io non venderei mai i miei amici.” Considerò e il viaggio del sopracciglio di Bakugo verso lo spazio profondo non accennava a volersi arrestare: “Capelli di merda.” Lo richiamò, avvicinandosi a lui con un paio di falcate e bloccandogli la mano con cui reggeva la scopa con la sua, arrestandone il moto: “Siamo fregati, è il caso di dirlo. Siamo proprio fregati!”
“Stai zitto.” Lo ammonì, poi, e Kirishima puntò uno sguardo sconvolto nel suo, poi scosse appena la testa, come a chiedergli cosa avesse: “Mi sembri quel nerd di Deku, stai straparlando come lui.”
Kirishima lo guardò come se fosse pazzo: “Bakugo, noi siamo fritti!”
Per lui era abbastanza. Alzò gli occhi al cielo e si sporse in avanti, catturandogli le labbra in un bacio aggressivo, quasi perentorio, sperando che bastasse a zittirlo una volta per tutte. Lo stupore di Kirishima durò un massimo di due secondi, poi chiuse gli occhi e rispose con entusiasmo, infilandogli le mani sotto la maglietta con un movimento fluido e tastandone il fisico scolpito. Gli sfuggì un verso di approvazione.
Bakugo lo spinse veloce contro le mattonelle del muro e la scopa di legno cadde a terra con un suono secco e alto, ma nessuno dei due sembrò curarsene. Kirishima, anzi, sorrise furbo e alzò di poco il ginocchio, facendo scontrare la coscia con il cavallo dei pantaloni di Bakugo: “Che cazzo fai?” Gli domandò, più in un sussurro che in aggressivo disgusto. Il sorriso di Kirishima si allargò: “Rendo la situazione più… scoppiettante.” Esalò, poi, in un altro sussurro che rimbalzò provocante sulle labbra gonfie di Bakugo.
“Le tue battute a sfondo sessuale fanno veramente pena.” Commentò il ragazzo e Kirishima rise davvero, genuino: “E allora impediscimi di farle.”
Bakugo raccolse il suggerimento e lo baciò ancora, lasciandogli stavolta muovere la gamba come meglio credeva e stupendosi di quanto velocemente fosse riuscito a fargli aumentare il respiro. Anche Kirishima sembrò notarlo, perché all’improvviso non spostò la gamba da dove l’aveva piantata e anzi iniziò a muoverla strategicamente. Bakugo gli morse il labbro inferiore per riflesso e Kirishima gustò a fondo il dolore che ne seguì. Sarebbero andati piacevolmente avanti se solo, di nuovo, Sero, Kaminari e Ashido non fossero piombati dal nulla in quella cucina, ciarlando e ridendo sguaiatamente.
“Oh, ehi, ehi, abbiamo interrotto qualcosa?” Iniziò la ragazza.
Bakugo aveva raccolto quella scopa da terra come se si fosse preparato tutta la vita a quel momento, mentre Kirishima era rimasto spaesato al muro, confuso e vagamente disturbato dall’arrivo degli amici: “Volevamo sapere che vi hanno detto i professori, ma credo che ve la passiate benissimo.” Continuò Kaminari e Kirishima iniziò a temere per la reazione che avrebbe avuto Bakugo e quindi per l’incolumità del suo amico.
“Va tutto bene, non vi abbiamo traditi.”
“Allora noi andiamo, eh.” Disse Sero, la voce striata di risa contenute: “Mi raccomando, non ti dimenticare di quella cosa.”
“Aspetta, che cosa?” Inquisì Mina e Sero si limitò a scuotere la testa, senza darle alcuna risposta. I tre amici si voltarono e, veloci com’erano entrati, si diressero alla porta della cucina. Prima che varcassero la soglia, però, Mina si voltò e sfruttò il fatto che Bakugo fosse di spalle per guardare Kirishima, puntare il pollice in basso come ad avvertirlo e scendere veloce con lo sguardo. Poi mimò con le labbra qualcosa che sembrava tanto un: “Occupati di quella” e se ne andò.
Kirishima guardò velocemente in basso, poi alzò lo sguardo di scatto e poggiò la testa sconsolato contro le mattonelle. Guardò la figura di Bakugo, che mormorava imprecazioni di continuo, spazzare frenetica il pavimento e, con calma, prese parola: “Non hai più intenzio...”
“Puliamo questo schifo per l’ultima volta.” Lo interruppe lui.
Kirishima annuì, sospirò affranto e, per la terza volta in due giorni, si rassegnò acciuffando il flacone di disinfettante.
 
Ashido batté forte una mano sul parquet di legno, per attirare l’attenzione. Infine alzò uno sguardo vivace sulle persone che la circondavano e sorrise di cuore: “Dichiariamo aperta l’ultima riunione tra ragazze di quest’avventura!” Annunciò, poi, e l’intera stanza esplose tra grida e felicità.
Jiro alzò gli occhi al cielo, ma il sorriso appena accennato che le incurvava le labbra la tradì: “Sei davvero apocalittica.” Esalò, infatti, scoccando un’occhiata furba a Mina, che alzò le spalle e rise di gusto.
“Per l’occasione,” Continuò, poi, rivolgendosi a tutte le ragazze nella stanza e guardandole a una a una negli occhi. “grazie all’aiuto di Momo, abbiamo una scatola!” Disse, infine, risultando parecchio teatrale, ma non per questo meno sincera.
Momo aprì un’anta del grande armadio rustico e ne tirò fuori un’ordinaria e comunissima scatola verde. L’unico dettaglio che faceva capire che ci fosse qualcosa di strano era un taglio sul coperchio, lungo qualche centimetro e largo quanto una moneta.
Uraraka alzò un sopracciglio, il che diede a Mina il la per continuare la sua sorpresa.
All’interno della scatola riposavano una pila di fogli di carta e una penna. Momo li tirò fuori tutti e ne distribuì uno a tutte le ragazze: “Abbiamo pensato di esprimere qualche desiderio.” Spiegò, poi, leggermente in imbarazzo all’idea di raccontare un’idea così sentimentale: “Abbiamo legato e condiviso tanto, non sarebbe male fare lo stesso anche con il futuro.” Concluse, poi, alzando un angolo della bocca in un sorriso timido e fissando Jiro negli occhi. La ragazza sgranò gli occhi sorpresa e non se la sentì proprio di prendere in giro anche quella proposta.
“È una bella idea, cra!” Sentenziò Tsuyu, che aveva già capito tutto e aveva quindi poggiato una mano sotto al mento in riflessione. Non aveva intenzione di perdere tempo e voleva pensare a qualcosa di vero e grande allo stesso tempo da scrivere.
Nella stanza c’era una bella atmosfera rilassata. La luce rossastra del pomeriggio filtrava attraverso le finestre, lasciando nell’ombra tutta la stanza eccetto per una striscia alta pochi centimetri di muro e tutto il pavimento. Le ragazze, sedute tutte in cerchio per terra, quindi, osservavano questi fasci tanto belli e forti da permettere loro di distinguere anche i più piccoli granelli di polvere che volteggiavano nell’aria. Si respirava un’atmosfera sospesa, serenissima e l’attività proposta risultava quindi ancor più emozionante.
“I-io ho un’idea.” Parlò all’improvviso Uraraka, interrompendo il silenzio riflessivo che da qualche tempo era sceso nella stanza.
Mina alzò lo sguardo dal suo foglio per guardarla con curiosità e la ragazza ricambiò con un sorriso timido: “Ecco, pensavo che potremmo seppellirla da qualche parte nella pineta, per lasciarla per sempre qui.”
Lo sguardo di Ashido si illuminò, ma fu Hagakure a parlare per prima: “È un’idea fantastica!” Commentò, mentre il foglietto che teneva tra le mani si agitava emozionato: “Sarebbe bellissimo farlo domani, prima di partire!”
“In effetti non è male come idea, cra.” Commentò Tusyu, osservando il punto in cui si trovava il viso di Hagakure e annuendo soddisfatta.
“Sì!” Convennero entusiaste anche Momo e Ashido, all’unisono.
Gli occhi delle cinque ragazze si puntarono tutti su Jiro, che sobbalzò nella sua posizione comodamente rilassata, tendendo i muscoli quasi spaventata: “Oh, ehm, ma sì, certo, perché non…”
La voce della ragazza fu interrotta da una suoneria che i non amanti del genere potrebbero definire senza ombra di dubbio rumorosa e Jiro si alzò a sedere quel tanto che bastava per allungarsi verso i piedi del letto: “Scusate, è il mio.” Annunciò, afferrando il cellulare.
“Non avevamo dubbi.” Commentò con una risata Ashido, riferendosi alla musica, e Jiro le riservò un’occhiataccia.
“Ehi, ti posso chiamare dopo? Sto…” Jiro si interruppe, evidentemente in ascolto, poi gettò una veloce occhiata in direzione delle ragazze, constatando che sì, aveva gli occhi di tutte ancora puntati addosso: “Sì, ma tranquillo, non devo dirti niente di…” Venne ancora interrotta e alzò gli occhi al cielo, prima di tentare di riprendere la parola: “Okay, ci vediamo prima di riunirci con gli altri, va bene?” Jiro abbassò di poco la voce e si voltò per dare le spalle alle ragazze, poi seguì qualche attimo di silenzio, prima che parlasse di nuovo: “Non fare tardi, scoppiato.” Concluse, poi, sorridendo tra sé e chiudendo la chiamata. Infine si voltò di nuovo.
Prevedibilmente, una chiamata fatta nel silenzio più totale non poteva aver goduto di chissà quale privacy e il tentativo di abbassare il volume della voce e dare le spalle al gruppo non aveva sortito alcun effetto se non quello di aumentare la curiosità delle ragazze.
Jiro le guardò tutte negli occhi, cercando di apparire il più incurante possibile, poi, prima che chiunque altro potesse prendere parola, Ashido si intromise in una delle sue maniere da leader: “Bene,” Iniziò, con un sorriso che indirizzò tutto a Jiro: “è forse arrivata l’ora di vuotare il sacco?”
“Ehm…”
La voce di Hagakure arrivò, inaspettatamente forte e chiara, dal nulla: “È Kaminari?”
Jiro sospirò; era stato decisamente più facile del previsto.
 
“Ma… Davvero possiamo farlo?” Domandò Midoriya, inoltrandosi nel buio con la prudenza di un ricercato.
“Sì, assolutamente, ho fatto una richiesta speciale ai professori.” Replicò solenne Iida, sorridendo tra sé per il bel lavoro. Todoroki diede un colpetto con un fianco a Midoriya e, inaspettatamente, gli sussurrò all’orecchio: “L’ultima volta non ti sei mica fatto tutti questi problemi.”
Midoriya ridacchiò a disagio. Non tanto per le sue parole, ma per la maniera in cui erano state pronunciate. Decise di non rispondere, per contenere il nervosismo piacevole che gli si stagnava nello stomaco ogni volta che si trovava in sua presenza.
“Eccoci.” Dichiarò Ashido, in testa alla fila, fermandosi al centro di uno spiazzo ricavato tra gli ombrelloni chiusi della spiaggia: “Todoroki.” Chiamò, poi, mentre disponeva delle candele a formare un cerchio e lasciava che il ragazzo le accendesse una dopo l’altra, quieto e silenzioso come al solito.
I ragazzi presero posto con un po’ di curiosità ad animarli, fatta eccezione per Jiro, che si sedette disinteressata e con un broncio che aveva tutte le carte in regola per arrivare fino alla Luna. Kaminari le lanciò un’occhiata di sottecchi e la ragazza ricambiò veloce come il vento, invertendo i ruoli e fulminandolo letteralmente con lo sguardo. Kaminari sorrise mogio e si voltò a parlare con Kirishima, ridendo sguaiato un attimo dopo.
“Va tutto bene? Com’è andata la vostra conversazione?” Domandò Momo, avvicinandosi a Jiro in maniera che la sentisse solo lei. La ragazza sbuffò ironica e si voltò a guardarla offesa: “Benissimo, una meraviglia, perché non si è presentato.” Confessò e Momo sgranò gli occhi sconcertata: “Ma se è stato lui a tartassarti per accordarvi su un orario!”
“Già, esatto. Non ho neanche più voglia di fargli sapere perché gli avevo chiesto di parlare.” Esalò la ragazza, voltandosi automaticamente a guardarlo e sentendo l’ennesimo moto di rabbia impadronirsi come un brivido del suo corpo.
“Non so che dirti. Non so perché l’abbia fatto, davvero.” Tentò di rispondere Momo, percependo la debolezza della sua solidarietà. Non aveva nulla da dire all’amica, perché quello di Kaminari era un fenomeno che non riusciva a spiegarsi neanche con tutta la fantasia di cui disponeva… e non si poteva dire che fosse poca.
“Bene, ho una sorpresa per voi!” Mina le interruppe, conquistando l’attenzione di tutto il gruppo.
“Che novità.” Scherzò Kaminari e Jiro alzò gli occhi al cielo al solo sentire la sua voce.
“Ho rubato una cosa alla mia compagna di stanza!” Annunciò Ashido e Jiro si voltò di scatto verso di lei, perché proprio non si era resa conto di quel furto e temeva seriamente per la sua incolumità. Di Ashido, s’intende: “Che cosa?”
“Giuro che sono stata attentissima e l’ho trattata come un gioiello.” Annunciò, tirando fuori la chitarra di Jiro e porgendogliela con un sorriso.
“Che cosa…”
“Suonaci qualcosa!” Esclamò Uraraka, sorridendole entusiasta. Jiro la guardò come se le avesse appena chiesto di saltare da un ramo a un altro come una scimmia: “Aspetta, che cosa…”
“Sì, ti prego!”
“È l’ultima sera!” S’intromisero anche Midoriya e Hagakure. Ojiro annuì felice.
“Io non penso che sia…”
“Dai, fallo per noi.” Suggerì Mina, facendole l’occhiolino: “Non è che sia granché…” Jiro tentava di giustificarsi in tutti i modi, ma l’entusiasmo dei compagni pareva incontenibile.
“Un pezzo piccolo.” La implorò Kirishima e lo sguardo della ragazza cadde involontariamente su Kaminari, seduto accanto a lui, che sorrideva soltanto, in religioso silenzio.
Jiro abbassò lo sguardo: “Piccolo.” Accettò, in un sussurro, e la classe esplose in urla esultanti. Sorrise, poi, impercettibilmente e cercò di arginare il tremore alle mani, mentre toccava pigramente le corde, concentrandosi. Kaminari la studiò senza perdersi un movimento.
Lentamente, quasi timidamente, una musica sottile si diffuse nell’aria di sera e la classe intera si ammutolì, concentrandosi su Jiro. La ragazza si limitò a guardare la chitarra, ma non riuscì a evitare di arrossire fino alla punta dei suoi jack. Era dannatamente imbarazzante e aveva questo istinto continuo di tirarsi indietro, mettersi a urlare e scappare lontanissimo. Non lo fece mai, però, e, lentamente, la musica aumentò di volume e le sue dita si fecero sempre più audaci e veloci, a suonare accordi più complessi, sequenze più particolari. Iniziava dimenticare tutto. I compagni, Kaminari, l’imbarazzo. Iniziava a perdersi in quel mondo.
Fu un effetto a catena. Lentamente gli sguardi di tutti si persero, tra i suoni della chitarra e quelli della risacca. Le stelle li coprivano calorose e una coltre di nubi prese a disporsi quasi magicamente a formare un cerchio, un anello gassoso che incorniciava quei punti brillanti e così lontani.
Midoriya espirò estasiato, incapace di dare un nome a quel fenomeno così emozionante. Poi due dita che riconobbe senza neanche abbassare lo sguardo raggiunsero le sue, intrecciandosi saldamente e rendendo l’atmosfera più familiare di quanto già non fosse. Todoroki aveva smesso da un po’ di guardare le stelle: aveva scoperto che guardarle specchiate negli occhi di Midoriya aveva tutt’altro sapore e non aveva intenzione di cambiare visuale.
Kaminari, invece, non era un tipo romantico. Le stelle, il mare, le onde non gli importavano un fico secco. Aveva una strabiliante chitarrista da guardare. Fu l’unico a non lasciarsi distrarre dall’atmosfera.
Kirishima si sdraiò con un sospirone, accomodandosi con la testa per puro caso sulle cosce di Bakugo. Poi alzò lo sguardo su di lui, quella luce negli occhi che gridava sfida continuamente, che lo esasperava come a chiedergli di scrollarselo di dosso, di resistergli. Bakugo sbuffò e, seccato, gli poggiò una mano tra i capelli bassi, beandosi del contatto non rovinato dal solito gel. Erano soffici e la cosa lo fece annuire soddisfatto: “Io me ne fotto delle stelle, capelli di merda.” Lo avvertì Bakugo, con un sussurro. Kirishima rise piano: “Non è nei miei piani.” Replicò lui, calmo, sistemandosi meglio sulle sue gambe con un sorriso soddisfatto.
Indubbiamente, però, c’era una bellissima atmosfera.
 
Era abbastanza tardi quando Jiro smise di suonare e i ragazzi, a poco a poco, iniziarono ad avviarsi verso le loro stanze. Jiro si adoperò tranquillamente a rimettere a posto la chitarra. Non aveva fretta: l’aria era fresca, la brezza rilassante e la chitarra andava trattata bene.
Kirishima diede una leggera pacca accompagnata a uno sguardo d’intesa all’ultimo rimasto e Kaminari gli sorrise, prima di vederlo scomparire oltre l’ingresso della spiaggia. Jiro era di spalle e non poté vedere arrivare il pericolo.
“Ehi.” Kaminari l’avverti della sua presenza e fu in quel momento che lei si girò contrariata, scandagliando velocemente la zona e rendendosi improvvisamente conto di essere assolutamente sola con lui. Kaminari le sorrise appena, ma Jiro si voltò di nuovo ad assicurare la chitarra nella sua custodia. Quando ebbe finito fece per prendere la via del ritorno anche lei, senza dire una parola, ma Kaminari le sbarrò la strada: “Devo chiederti una cosa.” Si giustificò e Jiro alzò irritata gli occhi al cielo: “Potevi chiedermela quando ci siamo dati appuntamento, invece hai preferito non presentarti proprio.” Replicò tagliente, senza mostrare però sul suo viso alcuna traccia di quell’irritazione. Kaminari alzò un sopracciglio, vagamente spaventato, poi scosse la testa come a cercare il coraggio che gli stava venendo meno: “Stavo organizzando una cosa.” Spiegò, poi, non riuscendo affatto a mettere a posto le cose, perché Jiro aprì la bocca per parlare e non sembrava essere particolarmente soddisfatta: “Per te.” Aggiunse quindi Kaminari, prima che lei potesse dire alcunché.
“Cosa?” Domandò infatti Jiro, sospendendo momentaneamente gli insulti che aveva pronti già da qualche ora.
“Sì, ecco, io avevo paura che volessi vedermi per dirmi qualcosa di irrimediabile, come, boh, che non volevi più vedermi… in quel senso.” Jiro alzò un sopracciglio divertito a quel ‘boh’.
“Quindi ho pensato di anticiparti.” Annunciò e Jiro non ebbe il tempo di chiedergli in che modo che una spirale di elettricità si attorcigliò alla caviglia di Kaminari, strisciando sulla sabbia fino a perdersi nel buio. La ragazza gli riservò una delle sue occhiate diffidenti, ma c’era della curiosità a renderla meno credibile.
Kaminari sorrise orgoglioso e, un attimo dopo, dei fuochi d’artificio esplosero nel cielo. Jiro sobbalzò e si voltò a guardarli, vagamente sorpresa. Non passò molto prima che tornasse a guardare Kaminari, che intanto aveva guadagnato parecchi centimetri e adesso era a un palmo dal suo naso: “Mi chiedevo se ci fosse qualche speranza di… sai, di stare con te.”
Jiro non rispose, lo guardò vagamente sconcertata: “Intendo una relazione, capisci? Una di quelle cose che fanno le persone.” Si spiegò Kaminari, che sentiva lentamente di avere assolutamente e innegabilmente sbagliato tutto.
Jiro lo guardò fisso negli occhi per qualche altro, interminabile, secondo, poi successe una cosa che Kaminari non si sarebbe mai aspettato di vedere accadere: Jiro scoppiò a ridere, davvero, così tanto da ritrovarsi costretta a tenersi la pancia. Kaminari semplicemente non resistette e la seguì a ruota: “Sei uno scoppiato!” Esclamò la ragazza, cercando il suo sguardo.
“È quello che ho fatto, in effetti.” Considerò, tra le risate, alzando lo sguardo sui fuochi d’artificio che ancora scoppiettavano in cielo.
“Quanto del tuo genio ci è voluto per organizzare questa cosa stupidamente romantica?”
“Tutto il mio e quelli di Sero e Kirishima.”
“Non ci posso credere.” Esclamò divertita Jiro, avvicinandosi di nuovo a lui. Kaminari non se la lasciò scappare e le poggiò le mani sui fianchi: “Allora?”
“Allora sì.” Ribatté lei, distogliendo lo sguardo e sentendo le guance prendere fuoco. Alzò gli occhi a incontrare quelli di Kaminari: “Non vorrai baciarmi come in una di quelle commedie di basso livello, spero.”
Kaminari distolse appena lo sguardo, messo nel sacco, e sorrise colpevole: “Oh, sì.” Ammise, poi, chinandosi a baciarla.
 
Fu difficile.
Fu veramente difficile. Un’impresa ardua. Un’impresa titanica. Un’impresa degna del più emozionante dei poemi epici.
Quest’impresa, che sarebbe passata alla storia della vita di Kirishima con il nome di ‘il ritorno alla camera E-75’, fu particolarmente stressante. Sì, perché erano più di ventiquattro ore che non riusciva a ottenere quello che voleva e la cosa stava diventando psicologicamente deleteria. Rischiava, dannazione, rischiava seriamente di impazzire!
Per questo motivo gli parve di sognare quando tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il calzino che aveva precedentemente portato con sé, lo applicò alla maniglia della porta, la spalancò e la richiuse con un tonfo impaziente.
“Che stai…”
Kirishima non perse tempo, afferrò a pugno la maglietta smollata di Bakugo e gli fece sbattere violentemente la schiena contro la porta. Il ragazzo non si lamentò più di tanto, perché comprese al volo e si sporse veloce verso Kirishima, catturandogli le labbra in un bacio bagnato, impaziente, assolutamente scomposto. I loro denti cozzarono e la vibrazione fece tremare l’intero corpo di Kirishima.
Bakugo, che non aveva preso nel migliore dei modi questa storia dell’essere sbattuto al muro come se fosse una specie di ragazzina, poggiò una mano sul petto di Kirishima e lo spinse indietro senza troppe cerimonie, rifiutandosi categoricamente di interrompere il bacio.
Kirishima non perse tempo e indietreggiò senza proteste, tirandogli inutilmente verso il basso la maglietta: “Idiota, cosa speri di ottenere così?” Lo prese in giro Bakugo, scrollandosi le sue mani di dosso e occupandosi da solo dei suoi indumenti. Lo sguardo che gli riservò Kirishima, nella penombra, acceso di qualcosa che non aveva mai visto prima, lo ricordò per sempre. Lo stava guardando senza ritegno, umettandosi le labbra e boccheggiando in cerca d’aria.
Bakugo alzò gli occhi al cielo e tornò su di lui, diminuendo il ritmo e spingendolo ora lentamente verso il letto. Kirishima vi si accomodò senza proteste, tirando Bakugo con sé e poi puntando i gomiti nel materasso, per tenere su il busto. Il ragazzo si sistemò tra le sue gambe e lo baciò ancora, reggendosi con il braccio sinistro a superargli le spalle. Con la mano destra, invece, scese a toccare Kirishima più in basso e rimase seriamente colpito e vagamente orgoglioso del gemito alto che gli strappò… prima che un altro pensiero lo distogliesse dai suoi pensieri positivi, costringendolo per istinto a togliere immediatamente la mano da lì: “Ma che cazzo fai, idiota?! Abbassa la voce.”
“Scusa.” Esalò Kirishima, senza fiato, che proprio non ce la faceva a mettersi a discutere.
Bakugo esitò con lo sguardo, improvvisamente impensierito: “Tu… sai come si fa?” Domandò, poi, aggrottando la fronte.
“Cosa?” Kirishima alzò un sopracciglio confuso, perché aveva chiaramente troppo poco sangue in corpo per lasciarne un po’ al cervello.
Bakugo sospirò nervoso: “Questo, idiota, questa roba.”
“Ah, intendi il sesso?”
Bakugo alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se Kirishima fosse seriamente così stupido da non riuscire a capire che, forse, non aveva voglia di essere così esplicito. Quando il ragazzo lo incalzò con lo sguardo a rispondere, Bakugo fu sicuro della sua tesi: era un vero idiota.
“Sì.” Mormorò, iniziando ad arrabbiarsi: “Sì, il sesso.” Concesse, evitando il suo sguardo.
“Mh, credo di sì, ho letto qualche guida.”
“Hai letto qualche guida?”
Kirishima annuì, chiaramente non percependo la vena fortemente scettica nella voce di Bakugo: “Ha letto qualche guida.” Ripeté il ragazzo, in una specie di ringhio: “Io ti faccio esplodere la testa, altro che guida.” Replicò, poi, calmissimo, come se gli avesse promesso di comprargli un gelato.
Kirishima rise e si sporse per baciarlo: “Non ci pensare.” Gli suggerì, poi, e non fu troppo difficile dargli retta quando sentì la mano di Kirishima toccarlo audace e sicura.



Note di El: Non ho fatto passare un mese e poi febbraio era di 29!
Nessuno mi ha chiesto di giustificarmi, I know.
Ragazzacci miei, questo era il penultimo capitolo, sigh.
Non ho molte cose da dire (disse, prima di stilare la lista della spesa), quindi i primi commenti riguardano il fatto che questo capitolo è praticamente tutto "Bakusquad", mi dispiace, ma dovevo esasperare un po' Kirishima. Mi sono riscoperta sadica e interromperli è stato una delizia :P
Poi ho lasciato due tre cosette in sospeso perchè questo ventesimo capitolo lo dobbiamo pur rendere un vero capitolo!
Comunque friendly reminder che abbiamo superato le duecento pagine totali! Se penso che vi ho fatto leggere duecento pagine di idiozie mi vien da piangere :( scusate, amici, non volevo.
Attenzione: questa spiaggia ha sabbia che contiene ferro. Inoltre, essendo proprio una spiaggia presenta acqua salata. NON MI DOVETE CONTESTARE.
Mi è servita una (not yet) laurea in fisica per dire che questa sabbia conduce corrente, grazie a Dio, altrimenti io come li facevo sparare i fuochi a distanza? Mi raccomando, non vi confondete, la sabbia non conduce, è il ferro che contiene a contatto con l'acqua a farlo. La smetto.
Scusate se li ho fatti ridere e rompere l'atmosfera, ma sinceramente sarebbe stata una scena pietosamente romantica (tra l'altro scritta anche un po' così), guardiamoci in faccia e poi mi piace rovinare queste cose. Poche storie.
U L T I M A   C O S A
Le nuvole che accerchiano il cielo esistono, è una roba che può succedere. Non lo dico perchè so perchè (chiedete troppo), ma perchè le ho viste. Ran, questo è il messaggio che aspettavi! Tu quelle nuvole non le hai viste e mi è sempre un po' dispiaciuto, quindi te le ho messe qqqqua.
Ci tengo davvero a prendermi un altro paio di righi per ringraziare chi sta ancora seguendo questa cosa scema dopo ben diciannove capitoli. Non me l'aspettavo davvero e niente, GRZ amici.
Spero vi stia/sia piacendo/piaciuto. Ci vediamo presto, perchè tanto che ho da fare?
;)
Adieu,

El.

 

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Capitolo 20
*** Eosophobia ***


EOSOPHOBIA

paura dell'alba

 
 

Fear doesn't shut you down, it wakes you up.
Veronica Roth


 


Il sole, quella mattina, sorse filtrando pigro tra i rami dei pini. Sembrava esitare anche lui, sembrava volersi godere gli ultimi scroscianti attimi della notte prima di una giornata di fatiche.
Uraraka alzò lo sguardo e un raggio giallo e caldo le colpì un occhio, come a voler superare tutte quelle barriere solo per imporre la sua presenza.
Alzò un braccio a coprire la luce per liberarsi la visuale. Poi sospirò stanca, mentre un ciuffo di capelli si alzava con la forza del suo soffio, tornando un attimo dopo a poggiarsi sul suo viso: “Ci siamo.” Annunciò, trafiggendo il terreno umido di mattina con la punta della pala, per poi poggiarci stancamente una mano sopra, a sorreggere il suo peso.
“Ci siamo, cra.” Le fece eco Tsuyu, ripulendosi le mani sul pantalone del pigiama.
“E adesso?” Intervenne Momo, ancora accovacciata, alzando lo sguardo sulle ragazze. Un sorriso accennato le illuminava il viso.
“Adesso aspettiamo che si realizzino.” Si limitò a rispondere Ashido.
Un mucchio di terreno nudo, troppo geometrico per risultare naturale, era circondato da fili d’erba umidi di sera. Sotto, al buio, riposava la scatola che aveva evocato Momo la sera prima e, proprio all’interno, erano stati stipati i progetti futuri delle ragazze della 1-A.
Jiro deglutì, imprecando mentalmente. Quell’idea era semplice, infantile e stupidamente romantica, ma adesso, col sole dell’ultimo giorno che filtrava calmo tra i rami dei pini, le sembrava improvvisamente coinvolgente ed emozionante.
Gettò un’occhiata in direzione di Ashido e la ragazza le fece un cenno col capo, un angolo della bocca alzato in un sorriso compiaciuto. Jiro alzò gli occhi al cielo e rise, dandole tacitamente ragione: in fondo era stata una grande idea.
 
Todoroki si sedette a gambe incociate e in religioso silenzio sulla spiaggia dorata del Lotus Resort. Osservò il mare per qualche minuto. Un bagliore caldo si rifletteva sulla superficie vagamente increspata, allargandosi di minuto in minuto, al tempo del sole che si faceva lentamente valere sulla notte. Inspirò a fondo, sentendo la brezza marina solleticargli la gola, poi rabbrividì e si sporse lentamente in avanti, sfiorando l’acqua con due dita e portandosele lentamente alle labbra. Non era molto salata, lo sapeva bene, fin troppo bene e il ricordo di lui e Midoriya che camminavano su una sottile lastra di ghiaccio gli invase la mente, mentre un sorriso appena accennato gli piegava le labbra.
“Ma che cazzo fai?”
Una voce che cozzava in maniera quasi strabiliante con l’atmosfera distolse Todoroki dai suoi pensieri. Si voltò con un sopracciglio alzato e occhieggiò la figura già arrabbiata che lo osservava qualche metro più indietro, coprendosi gli occhi con una mano per schermare la debole luce del sole: “Perché bevi acqua di mare?”
Todoroki sospirò e si voltò di nuovo verso l’orizzonte, ignorandolo.
“Ehi, bastardo a metà!” Lo richiamò Bakugo, avvicinandosi però lui al compagno e osservandolo dall’alto.
Todoroki gli gettò una veloce occhiata infastidita: “Che vuoi?” La vena seccata nella sua voce, in condizioni normali, sarebbe bastata a far scattare Bakugo. Invece il ragazzo fece un verso a metà tra un ringhio e un sospiro, poi adocchiò la sabbia come se avesse potuto attaccarlo e infine si sedette accanto al suo compagno di classe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e osservando a sua volta il mare.
Todoroki si voltò verso di lui un po’ confuso, la fronte aggrottata come a chiedersi cosa diavolo stesse facendo.
“Che cazzo guardi?” Inquisì Bakugo, non staccando gli occhi dalla linea dell’orizzonte.
Todoroki non ribatté e rivolse di nuovo lo sguardo al mare: “Sono stato avventato a fare a botte con te.” Disse, poi, l’espressione che non lasciava trasparire alcuna emozione se non una vaga riluttanza.
“Puoi dirlo forte.” Bakugo si lasciò scappare uno sbuffo divertito.
“Era come farti credere che potessi vincere.” Aggiunse, poi, Todoroki, mentre un sorriso vittorioso gli si formava lentamente sulle labbra.
“Bastardo, ti…” Bakugo si voltò verso di lui e si sporse come a volerlo colpire.
“Sto scherzando.” Lo interruppe Todoroki, semplicemente, non facendo niente per scostarsi perché era certo che Bakugo non avrebbe attaccato. Quando il ragazzo si bloccò con una mano scoppiettante a mezz’aria e le sopracciglia inarcate in maniera quasi innaturale, Todoroki sorrise con fare superiore. Bakugo l’avrebbe fatto esplodere volentieri anche solo per quella reazione sfrontata, se non avesse avuto una domanda più urgente e aggressiva da porgli: “Tu stai scherzando?”
Todoroki lo guardò offeso: “Sì.” Esalò, poi, mentre il ragazzo accanto a lui scoppiava a ridere sguaiatamente.
“Ma fai letteralmente schifo!”
“Non è che tu sia un campione di comicità.” Ribatté Todoroki, tagliente, scrollando le spalle e tornando tranquillo a fissare il mare.
“Io volevo stare un po’ per fatti miei…” Borbottò Bakugo rialzandosi e spazzolandosi i vestiti: "Ma a quanto pare è impossibile."
Todoroki alzò gli occhi su di lui, sospirando per i granelli di sabbia che gli stavano finendo addosso. Poi il suo non gradito compagno di solitudine si allontanò verso l’uscita della spiaggia: “Ehi, bastardo a metà.” Lo richiamò da lontano. Il giorno aveva ormai già spazzato via ogni traccia di buio e Todoroki pensò che fossero più o meno le sette, a giudicare dalla posizione del sole: “Non ti aspettare che da ora in avanti ti tratterò bene solo perché non ti ho fracassato la testa adesso.”
Todoroki alzò un sopracciglio: “Perché, adesso sei stato gentile?”
“Non ci sarà una seconda volta!” Ripetè irritato Bakugo: “Vuoi che venga adesso a fartela pagare?” Todoroki sventolò una mano e si voltò di nuovo a guardare il mare: “Bastardo.” Mormorò Bakugo, mentre si dirigeva verso la SPA del resort, certo che quel cretino di Kirishima gli avrebbe fatto fare tardi all’appuntamento con il resto della classe.
Non riuscì a trattenersi dall’imprecare.
 
Kaminari mormorò qualcosa, poi sorrise appena, prendendo Jiro per le mani e attirandola a sé. La baciò piano, tenendola occupata il più possibile per impedirle di protestare ancora: “Davvero, non abbiamo tempo.” Esalò lei, già senza fiato, poggiandogli una mano sul petto per allontanarlo. Kaminari fu comunque in grado di divincolarsi abbastanza per sporgersi di nuovo a baciarla, spingendola verso il letto con una risata e costringendola a sdraiarsi: “E poi se Sero ha bisogno di qualcosa…”
“Non ha bisogno di niente.” Tagliò corto Kaminari, stendendosi su di lei e facendo scontrare con urgenza i loro bacini. Sospirò tra i denti al contatto.
Jiro sorrise per la disperazione del ragazzo e si sporse con la testa a lasciargli un bacio sul collo, mentre Kaminari mormorava qualcosa con soddisfazione. Jiro era sicura che se avesse avuto una coda avrebbe iniziato a scodinzolare. Rise e lasciò scivolare una mano in basso, godendosi i gemiti che vibravano sulle sue labbra, mentre continuava a baciargli il collo.
“Potrebbe aver bisogno di prendere comunque qualcosa.” Lo prese in giro la ragazza, che non aveva alcuna intenzione di smettere, solo di esasperarlo un po’: “D’altronde…” Continuò, arrossendo al sentire il suo stesso tono suonare così… suadente? Ancora non ci aveva fatto l’abitudine: “non avete neanche fatto le valigie.”
Kaminari, che aveva preso ad alzarle la maglietta, si bloccò sul posto, gli occhi sgranati che fissavano la testiera del letto.
“Potrebbe entrare in qualunque momento e…” Jiro si interruppe per dare un’occhiata: “Ehi, ho fatto qualcosa che non va?”
“Cazzo.” Esalò Kaminari, fissando adesso lo sguardo in quello della ragazza.
Jiro alzò un sopracciglio confusa: “La playstation clandestina.” Si limitò a dire, ma fu abbastanza per far sgranare gli occhi a Jiro.
Entrambi i ragazzi si voltarono verso la consolle incriminata ancora perfettamente montata, fissandola come se fosse stata il loro più grande incubo, poi tornarono a guardarsi negli occhi e Jiro poté giurare di non aver mai visto le rotelle di Kaminari girare più velocemente di quel giorno.
“Corro a chiamare Kirishima e Sero, tu…” Kaminari si alzò di scatto dal letto e si diresse verso la porta, prendendo a gesticolare come un pazzo: “tu cerca di… Dobbiamo far entrare tutto in…”
“Fermo, fermo.” Jiro lo imitò, gettando occhiate continue alla playstation come se avesse potuto dare la risposta a tutti i suoi problemi: “Vado io a chiamarli, tu metti le mani sui fili, io torno…” La ragazza lo superò e aprì la porta, ma la sua attenzione fu catturata da una cravatta gialla che troneggiava sulla maniglia come se fosse il posto più giusto in cui lasciarla: “Che ci fa questa qui?” Domandò, alzando l'accessorio fino ad allinearlo al suo sguardo: “Devono sapere tutti cosa facciamo?!”
Kaminari scrollò le spalle, già vagamente concentrato sulla rete intricata di fili collegati alla consolle: “L’ha fatto anche Kirishima.”
“Ah, e dovete giocare a chi fa più…” Jiro si interruppe per un attimo: “Aspetta, Kirishima?” Domandò, poi, incontrando lo sguardo del suo ragazzo e chiedendo spiegazioni con gli occhi.
“Sì, lascia stare.” Ribatté Kaminari, tornando a concentrarsi sui cavi: “Cose tra uomini.” Aggiunse, poi, ridacchiando tra sé per il doppio senso.
Jiro scosse la testa e sospirò, lanciando la cravatta sul letto: “Siete due scoppiati.” Commentò, infine, richiudendosi la porta alle spalle.
 
Un’ombra nera si materializzò nella sala comune dell’edificio dove alloggiava la maggior parte dei ragazzi.
Ashido, occupata a scendere le scale con una valigia grandissima per lo più vuota dopo lo scherzo, osservò il fenomeno con un sopracciglio alzato, mentre Uraraka e Momo, dietro di lei, sgranavano gli occhi dalla sorpresa. Erano certe che Hagakure stesse avendo la stessa reazione.
“Cosa sta succedendo, cra?” Tsuyu diede voce ai pensieri delle ragazze, poggiando una mano sotto il mento in riflessione e alzando gli occhi al soffitto come se la cosa avesse potuto aiutarla a pensare.
“Cos’è tutto questo trambusto? Sono il capo… Oh.” Le quattro ragazze, ferme ormai sulle scale da qualche secondo, sentirono distintamente la voce di Iida cercare di ristabilire un ordine che non aveva chance di imporre.
“Da lì riesci a vedere cosa sta succedendo?” Domandò Uraraka, cercando di farsi sentire oltre la coltre di fumo denso.
“No, ma sembra provenire da…” Iida non ebbe il tempo di concludere la frase che la porta della camera E-73 si aprì con uno schianto e un grido acuto e femminile si diffuse nella sala comune, stonando momentaneamente i curiosi spettatori.
“Mineta!” Iida corse dal ragazzo che sembrava, incredibilmente, essere l’emittente di quel grido e lo afferrò per le spalle, scuotendolo per farlo riprendere. La vittima puntò uno sguardo vuoto da qualche parte alle spalle del capoclasse, che, non casualmente, non era troppo distante dalla porta della sua stanza.
L’ombra scura che aveva preso a uscire dalla camera E-73 si sarebbe infittita di parecchio se, al contrario, non fosse scomparsa in un attimo, come se non fosse mai esistita. Sulla soglia della stanza, al suo posto, comparve Tokoyami, che non sembra indossare nessuna particolare emozione sul viso da pennuto.
“Ti avevo già detto di non toccare i miei calzini.” Annunciò solenne, avvicinandosi a Mineta e parlandogli come se gli avesse voluto raccontare i suoi sogni di bellezza.
“S-s-s-s-scusa!” Balbettò Mineta in risposta. Iida lanciò un’altra veloce occhiata a Tokoyami e infine lasciò andare il ragazzo che teneva ancora per le spalle. Non ebbe neanche il tempo di guardarlo in faccia che Mineta era già corso alla porta dell’edificio E-7 e l’aveva aperta per darsela a gambe con un altro grido.
I sette ragazzi rimasero per qualche secondo a guardare l’uscio semiaperto, senza alcuna emozione dipinta in viso, poi Ashido ruppe quel silenzio: “Beh,” Iniziò, infatti, riprendendo a scendere le scale con la valigia alle calcagna e un’estrema fatica: “non so cosa tu gli abbia fatto, ma hai fatto bene.” Commentò, rivolgendosi a Tokoyami.
Il ragazzo alzò uno sguardo curioso su di lei, probabilmente chiedendosi da quanto fosse lì, poi scrollò le spalle.
Sul volto di Iida, invece, si dipinse il terrore più puro.
“Mina, corri!”
Prima che chiunque potesse aprire bocca Jiro piombò in cima alle scale, col fiatone di chi sa già che dovrà correre e faticare: “Trova Kirishima e Sero. È un’emergenza.” Spiegò sintetica, ricevendo in cambio un sopracciglio alzato da parte di Ashido.
“Un’emergenza?” Tuonò Iida, che aveva udito tutto dal piano terra e non poteva accettare che si venisse consultato qualcuno che non era il capoclasse per qualunque tipo di problema.
“Il CVK.” Continuò Jiro, sperando vivamente che Ashido afferrasse al volo.
“Eh?”
“Covo videoludico…” La ragazza grugnì frustrata: “Sentite, sono i vostri stupidi acronimi, non ricordo come…”
“Aaah!” Gridò Mina, alzando un dito, come illuminata: “Il CVS.” La corresse, poi e Jiro alzò gli occhi al cielo.
“Come ti pare. Dobbiamo smontare.”
Ashido annuì determinata e piantò la valigia lì dov’era sulle scale per correre al fianco della sua amica.
“Se non vi è di troppo disturbo…” Iniziò Iida, il viso che sembrava minacciare di esplodere e uno sguardo serissimo che doveva essere minaccioso: “Dovrei essere messo al corrente di questa emergenza!” Dichiarò, infine, con una vena che pulsava pericolosamente sulla sua fronte.
Ashido gli rivolse solo un’occhiata costernata, prima che sfrecciasse davanti a lui e sparisse nella pineta con Jiro.
 
Kaminari alzò lo sguardo sulle tre persone davanti alla sua porta e inarcò un sopracciglio: “Kirishima?” Domandò, poi, troppo concentrato sulla sua domanda per non notare il paio di fili di rame che reggeva in mano e che si scontrarono producendo scintille.
“Non si trova.” Esalò esausta Mina, poggiando una mano sullo stipite della porta per riprendersi dalla corsa.
“Da nessuna parte.” Aggiunse Sero, grondante sudore, entrando nella stanza e avvicinandosi all’amico.
Jiro scrollò le spalle e si fece largo nella camera, prendendo subito a raccattare vestiti dal parquet: “Kaminari deve occuparsi della playstation, quindi noi tre faremo in modo di fare le valigie in… un’ora.” Ordinò la ragazza, fissando gli occhi in quelli di Ashido e Sero. I due ragazzi annuirono e si adoperarono a esaudire i suoi desideri senza batter ciglio, nonostante la stanchezza. Quello sguardo sembrva volerli uccidere.
Kaminari alzò un angolo della bocca in un sorriso compiaciuto, prima che un paio di mutande vecchie giorni gli venissero amabilmente tirate in faccia dalla sua ragazza: “E tu vedi di non ridere, scoppiato. Ti stiamo salvando la pelle.”
“Non mi pare che vi siate mai lamentati del CVS. Siete innocenti quanto me.” Ribatté lui, scrollando le spalle e tornando ai suoi fili.
“Oh, ehi!” Chiamò Sero, andando in contro a Mina: “Quella roba è di Kaminari, non metterla nella mia valigia.”
“Necessità, amico, fai spazio e lascia correre.” Rispose, ancora voltato, l’altro ragazzo, imitando la voce di un grande saggio e risultando solo assolutamente stupido.
 
“Allora…” Iniziò Kirishima, alle spalle di Bakugo, guidandolo nel corridoio.
“Tutto ciò è stupido.” Ribatté l’altro, mentre un po’ di nervosismo gli striava innegabilmente la voce. Kirishima se ne nutrì: “Credimi, non lo è affatto.” Ribatté, infatti, portandolo sull’orlo della vasca: “L’ultima volta non ti sei divertito granché, se non erro.”
“Bastardo.”
“Sicuro di volermi insultare adesso?” Kirishima ridacchiò, scivolando con la mano destra sul petto di Bakugo.
“L’ultima volta mi hai infilato un dito nel costume, ecco cosa.” Puntualizzò il ragazzo, in un ringhio.
“Già.” Esalò sconfortato Kirishima, prima di lasciar scivolare la mano ulteriormente e far passare un dito oltre l’elastico del costume di Bakugo: “È stata proprio una bravata.” Concluse, ridendo davvero.
Bakugo alzò gli occhi al cielo e si voltò di scatto, afferrandogli il braccio e stringendo. Gongolò nel vedere lo sguardo assolutamente interrogativo che Kirishima gli rivolse: “Quanto altro tempo vuoi perdere, capelli di merda?” Gli domandò, prima di spingerlo nella vasca idromassaggio della SPA del resort e seguirlo un attimo dopo, senza troppe cerimonie.
Le grandi bolle scoppiettanti fecero spazio ai ragazzi, mentre Kirishima finiva al lato opposto della piccola piscina e rideva genuinamente divertito. Bakugo inclinò il viso da un lato, chiedendosi cosa ci fosse di tanto divertente in quella situazione, poi si avvicinò a Kirishima e poggiò le mani sull’orlo della vasca, proprio ai lati della sua testa.
“Ehi, aspetta, che stai facendo?”
Bakugo trasalì, perdendo tutta la sicurezza che aveva guadagnato a suon di disagio e terribile imbarazzo: “Sto…”
“È un idromassaggio, mica un love hotel.” Gli fece notare Kirishima, scostandolo e invitandolo a sedersi accanto a lui, immergendosi fino alle spalle.
Kirishima inspirò a pieni polmoni e chiuse gli occhi, lasciando andare la testa sul cornicione della vasca e beandosi della brezza della pineta che gli passava tra i capelli. Bakugo lo guardava con un sopracciglio alzato e una voglia immane di strangolarlo.
Kirishima sorrise come per riflesso, tenendo ancora gli occhi chiusi: “Che c’è?”
“Sei più irritante di quel nerd di Deku, lo sai?”
Il ragazzo rise e lo invitò semplicemente a rilassarsi. Bakugo sospirò rumorosamente, per palesare il più possibile quanto fosse contrariato, ma poi si sistemò accanto a Kirishima e lasciò andare la testa come lui, chiudendo gli occhi ma non distendendo affatto il cipiglio che da qualche minuto gli si era ufficialmente stabilito tra le sopracciglia.
Lui in quella SPA non ci voleva neanche andare. Era una cosa da femminucce e le bolle lo stavano disturbando oltre l’inverosimile, aveva quasi voglia di alzarsi, di far esplodere qualcosa, per lo meno di cambiare un po’ posizione perché il collo iniziava a fargli male e le bolle gli martellavano i fianchi in una maniera insopportabile, ma qualcosa glielo impedì. Qualcosa di umido e caldo gli accarezzò una clavicola ed era assolutamente sicuro che non fosse l’acqua dell’idromassaggio.
Kirishima gli mordicchiò la pelle appena inumidita e risalì lentamente fino alla porzione di pelle proprio dietro l’orecchio: “Ma che cazzo fai?” Domandò Bakugo, schiudendo un occhio irritato, ma non riuscendo proprio a nascondere un sorriso che lentamente aveva preso a incurvargli le labbra.
“Rompo le regole.” Rispose divertito Kirishima, baciandolo sulle labbra e premendosi sul suo fianco. Bakugo riuscì a inspirare tra i denti, quasi aggredendolo nel ricambiare il bacio un attimo dopo.
“Avevi in mente questo fin dall’inizio, eh, idiota?”
Kirishima si strinse nelle spalle, ma un sorriso colpevole gli illuminò gli occhi. Bakugo lo afferrò per il costume rosso e vi si intrufolò con una mano.
“Ehi! Questa è la mia mossa.”
“Non c’è mica un brevetto, capelli di merda.” Lo prese in giro Bakugo, anche se sembrava più irritato da qualcosa di non ben definito che altro: “Per quanto sai trattenere il fiato?” Domandò, poi, con tono imperioso.
“Eh?” Kirishima alzò un sopracciglio, profondamente confuso. Quando capì che Bakugo non avrebbe risposto sospirò, passandosi una mano tra i capelli ormai bassi per il fumo, in riflessione: “Non lo so, un minuto?”
“Femminuccia.”
Kirishima contrasse le sopracciglia e ridusse le labbra a una fessura, osservandolo offeso, nonostante avesse una mano nel suo costume: “Uno e mezzo.” Sentenziò, poi, secco e Bakugo lo guardò con diffidenza.
“Uno e mezzo?”
“Uno e mezzo.” Assicurò Kirishima.
“Io ci riesco per due.” Buttò lì, Bakugo, un luccichio di sfida saettò nelle sue pupille e Kirishima ricambiò alla stessa identica maniera, se non più evidente: “Due minuti.” Annunciò infine e Bakugo arricciò il labbro superiore soddisfatto.
“Allora dovrai essere abbastanza bravo da farmi venire in due minuti.”
 
“Si può?” I capelli disordinati di Midoriya spuntarono da dietro il legno scuro della porta.
Todoroki si voltò a dare un’occhiata e annuì, tornando subito a disporre alcuni oggetti nella sua valigia.
“Wow, quello sì che è essere ordinati.” Commentò Midoriya, avvicinandosi a lui e osservando quel bel lavoro: “Io ci riesco solo all’andata. Sono venuto con un borsone pieno di cose incastrate e… beh, prima ho buttato tutto alla rinfusa, a stento sono riuscito a far entrare tutto.”
Todoroki alzò lo sguardo su di lui, quasi vuoto: “Ti serve una mano?”
Midoriya scosse la testa e si guardò attorno, quasi senza rendersi conto del fatto che lo sguardo del ragazzo si fosse ormai fissato su di lui e non sembrava prossimo a essere distolto: “No, alla fine ci sono riuscito.” Midoriya tornò a guardarlo: “Grazie comunque!” Esalò allegro, lasciandosi scappare un sorriso a denti scoperti.
Todoroki mugugnò qualcosa e arrossì, distogliendo lo sguardo e allontanandosi con la scusa di una felpa lasciata fuori posto. Si sentiva praticamente minacciato dalla sua allegria.
Non che non la volesse o che non la trovasse carina, semplicemente non sapeva come reagire, come accettare che il solo vederlo così faceva venire voglia di sorridere ed essere spensierato anche a lui.
Ed era incredibile come sentisse costantemente il corpo fremere ogni volta che Midoriya era nel raggio di due metri, come provasse uno strano nodo allo stomaco, come se qualcuno lo avesse preso a pugni invisibili, come se non avesse voglia di fare nient’altro che…
“Non dovevi prendere una felpa?” Domandò Midoriya, con un sopracciglio alzato, quando lo vide tornare a mani vuote e con uno sguardo quasi determinato in volto.
Todoroki non parlò, si limitò a sporgersi verso di lui e poggiare le labbra sulle sue in un tocco veloce e fuggevole. Midoriya sgranò gli occhi, poi lo sguardo gli si addolcì e un sorriso nacque sulle sue labbra: “Pensavo che, una volta tornati a scuola, potremmo, sai…” Midoriya esitò, il sorriso sereno di poco prima era stato ormai rimpiazzato da uno tirato: “andare a farci un giro, qualche volta.”
Todoroki si accigliò: “Intendi uscire?”
“Beh, è la stessa cosa.” Considerò Midoriya, portandosi una mano dietro la testa e sorridendo a disagio. “Certo, forse non del tutto, perché tu ti rifacevi a un’accezione più specifica del termine, quindi…”
“Va bene.” Tagliò corto Todoroki, cercando di apparire il più disinvolto possibile.
Midoriya annuì soddisfatto e un po’ in imbarazzo sotto il suo sguardo, quindi si voltò casualmente in direzione del bagno e un solo, stupido ma impellente pensiero gli balenò in testa: “Ehm, Todoroki?”
“Mh-mh.” Mugugnò il ragazzo, che ancora lo guardava aspettando una risposta.
“Ma Aoyama dov’è?”
Todoroki inspirò come avvilito, tornando a occuparsi della sua valigia e alzando le spalle rassegnato: “Non ne ho idea, ma non ho intenzione di aspettarlo.”
 
Kirishima sentì distintamente qualche paio di voci che si agitava concitato dietro la porta della camera E-76, mentre correva verso di lei.
La spalancò, infine, raggiungendola in un paio di falcate e lasciandosi andare col busto sullo stipite, fissando il parquet e cercando disperatamente di riprender fiato: “Dobbiamo…” Ansimò, chiudendo gli occhi e alzando la testa per poggiarla contro il muro: “Dobbiamo smontare il CVS, l’autobus parte tra poco.” Concluse, infine, decidendosi ad alzare lo sguardo sui suoi amici.
Ashido lo guardava con un sopracciglio alzato che gridava rimprovero da ogni pelo: “Oh, che fortuna averti come amico! Non ci avremmo mai pensato, senza di te.” Ironizzò la ragazza e Kirishima lasciò vagare lo sguardo per la stanza praticamente vuota, se non per un paio di valigie poste di fronte ai letti. La scrivania solitamente cosparsa di fili elettrici era, oramai, rivestita solo da qualche pulviscolo di polvere: “Oh, quando l’avete…”
“Mentre tu eri a divertirti.” Lo interruppe di nuovo Ashido, incrociando le braccia al petto.
“Ti abbiamo cercato ovunque, amico, ma eri come scomparso.” Si aggiunse Kaminari, che invece si strinse nelle spalle e gli sorrise furbo.
“In realtà abbiamo temuto che perdessi l’autobus.” Gli comunicò Jiro, che non sembrava comunque troppo preoccupata.
“Avevo tutto sotto controllo.” Kirishima sorrise, ma Ashido per poco non lo strozzò: “Ah, sì? Da come correvi non si direbbe.”
“Oh, andiamo, sei arrabbiata?” Iniziò il ragazzo, avvicinandosi a Mina con un sorriso obliquo davvero pericoloso: “So che non puoi resistermi.” Kirishima allargò le braccia e la coinvolse in un caldo abbraccio, dal quale Ashido si divincolò in tutti i modi, ma invano. Kirishima mosse una mano e Sero e Kaminari si unirono.
Jiro si guardò intorno assolutamente in imbarazzo, ma poi un fischio le raggiunse le orecchie e si voltò a guardare Kirishima, che le sorrise e le fece cenno di avvicinarsi: “Oh, no, fa caldo.” Protestò la ragazza, alzando gli occhi al cielo, ma sorridendo appena. Poi Kirishima alzò gli occhi come a dirle che non se l’era affatto bevuta e il sorriso di Jiro si allargò, mentre non riusciva a trattenersi e si avvicinava timidamente per lasciarsi abbracciare.
“Profumi.” Considerò Ashido, rivolgendosi a Kirishima, la voce soffocata dall’abbraccio.
“Grazie, sono felice di sentirlo.”
“No, idiota, profumi di sali ed essenze. Io ti ammazzo.” Concluse Ashido e il gruppo scoppiò a ridere sonoramente.
 
“Beh, ci siamo tutti!” Trillò All Might, osservando le facce afflitte dei suoi studenti con un sorriso allegro.
“Manca solo Aoyama, pare.” Ribatté annoiato Aizawa, vagliando i nomi sull’elenco: “Mentre aspettiamo, abbiamo un importane annuncio.” Aggiunse l’uomo, alzando gli occhi sui ragazzi seduti e quasi godendo del ritardo del compagno di classe. Da una delle prime file tirò fuori un oggetto lungo e incrostato di fango: “Sono sicuro che molti di voi riconosceranno questa canna da pesca.” Iniziò e sulla classe piombò il silenzio: “Visto che abbiamo due gentilissimi eroi dei crimini che hanno voluto proteggere i responsabili o negare apertamente la loro colpevolezza,” Continuò, gettando un’occhiata d’intesa a Bakugo e Kirishima: “abbiamo deciso di…”
“Darvi una punizione sonante!” Lo intercettò Present Mic, ridendo divertito e osservando ironicamente la classe.
“Da domani vi occuperete del bosco attorno alla scuola, tutti quanti, ogni giorno. Sapete, non c’è nessuno che se ne prenda cura, quindi non c’è da preoccuparsi: c’è abbastanza lavoro per tutti.” Riprese la parola Aizawa e versi di protesta presero ad alzarsi dalla classe.
“Se non ci sono colpevoli che hanno sentito un’improvvisa voglia di farsi riconoscere, non ho lamentele da ascoltare.” Rispose a tutti il professore, dando le spalle ai ragazzi, con sguardo annoiato.
“Beh, almeno sono una classe unita.” Considerò All Might, posando lo sguardo al di là del finestrino. “Qualcuno di voi ha idea di dove si sia cacciato quel ragazzo?”
“Professore, non si vede da…”
“Le stelle si fanno attendere!” Una voce leggiadra si diffuse nel pullman e la testa pettinata di Aoyama spuntò a poco a poco, mentre saliva le scale.
“Oh, giovane Aoyama, prendi posto, ci siamo tutti.” Lo accolse All Might, dirigendosi verso il muso dell’autobus e facendo segno all’autista di partire.
Il motore rombò e il pullman partì verso la soglia in ferro del Lotus Resort.
“Ma questo qui viene da una fiaba di merda?” Domandò Bakugo, già del tutto irritato.
“Ottima ipotesi, Bakugò.” Ribatté il ragazzo, strizzandogli l’occhio e accomodandosi finalmente sul suo sedile.
Bakugo grugnì un insulto in risposta, mentre l’autobus prendeva a sfrecciare troppo veloce sulla strada del ritorno.
Midoriya, seduto ancora una volta accanto al finestrino, si voltò appena per osservare la sua classe. In particolare il suo sguardo si posò su Uraraka, che percepì il richiamo e gli sorrise, serena.
Midoriya ricambiò e tornò a osservare la strada, in una tacita intesa.
Una luce calda e gialla li colpiva da dietro, come a incitarli a lasciare tutto e andar via, illuminando l’interno dell’autobus in una maniera quasi malinconica.
La macchia verde della pineta prese a farsi via via più distante fino a dissolversi in un puntino.
 
 

Note di El: Prepariamo i fazzoletti, qui c'è da fare! Non è la prima volta che concludo una long, ma questa volta sono più emotional, non so perchè.
Cliccare su quel quadratino che segna "completa?" è stato, eeew!
Mo' che abbiamo finito vi svelo finalmente il big mistero, rispondo a quella domanda che nessuno mi ha mai fatto ma che so che vi siete posti, una volta o due durante la lettura.
Perchè non ci sono tutte le u? Tipo Bakugou, Jirou e fatti vari? Ma ve lo dico subito, che ci sto a fare qua a piangere?
Semplicemente, miei cari, perchè spezza la lettura, in my humble opinion, e rende il suono nella nostra testa un po' distorto. Nessuno legge "Bakugou", ma a me dà l'idea che quella "u" dia un po' fastidio e mi faccia leggere il nome tipo "Bakugeou".
...
Vabbè, sentite, mi piaceva di più, facciamoci paceh.
Poi okay, citazione. "Non ci sarà una seconda volta" è Chuuya, è sua, la frase gli appartiene, la scena con meno senso di tutto l'anime, ovviamente l'ho presa e l'ho messa qua.
Un'altra cosa che volevo dire è che finalmente mi posso liberare della mappa delle stanze, io vi giuro, andarla a cercare ogni volta era una crisi.
Ah, poi mi prostro un attimo ai piedi vostri perchè ci sono delle differenze di stile (si dice così?) tra i primi capitoli e gli ultimi. Nell'arco di un anno ho cambiato un po' di fatterelli, ma siccome molte sono piccolezze, cose che in effetti non si notano e altre invece non le ho modificate proprio per questo motivo, ho pensato di non ripubblicare tutto e continuare. Chiedo scusa se si è notato qualcosa in modo un po' evidente.
*** I RINGRASSSSSIAMENTI ***
Allora, iniziamo da cabin13 che ha recensito ogni capitolo da agosto io davvero AAAAAA, non me lo spiego, non lo farò mai, ma davvero, grazie grazie grazie, è stato un piacere trovarti ogni volta, non so che diree!
Poi niente, c'è stata anche Juriaka che si è letta una roba come sette capitoli in un giorno, non so se arriverà mai fin qui, ma GRAZIE, è stato assurdo!
Raaaaaan? Ran, mi senti?
Vabbè, gente, le idee più belle erano sue, gli scleri, la trama (c'è una trama?), le chicche, le volte in cui mi ha rotto il cazzo che dovevo pubblicare. E pensare che all'inizio non volevo dirle il mio nome su efp. Non ti ringrazio perchè non sono sentimentale (duecento pagine di note, ma ok), però una che si trasformerebbe in un cane per te non si trova tutti i giorni, quindi è giusto che tutti sappiano che se questa storia esiste e se la sono filata più persone del previsto è tutto merito suo, gentagliaaah.
BAST.
Scherzino, ringrazio davvero tanto anche tutta la gente che non ha mai commentato o che ha trovato il tempo per farlo qualche volta. Vi vedo, eheheh, so che ci siete, lettori silenti. Davvero grazie per essere stati dietro a questo trash a capitoli che è stata "phobophobia".
Adieu,

El.
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Okay, se siete arrivati fin qui vi siete assolutamente guadagnati la scena bonus. Scorrete, miei belli, che Phobophobia ha un'altra chicca per voi. Ve l'ho detto che c'è sempre stato un solo grande protagonista.
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Kirishima rise ansimando, per poi abbassare eccitato la maniglia della porta e rischiare quasi di slogarsi un polso, così schiacciato sulla sua superficie.
“Veloce.” Gli intimò Bakugo, lasciando scivolare una mano sul suo sedere con fare quasi possessivo.
“Ci sto provando.” Esalò Kirishima, soffiandosi via un ciuffo dal viso. I capelli non avevano ancora ripreso una forma accettabile dopo la deviazione alla SPA di quella mattina.
“Non ci stai provando abbastanza intensamente, idiota.”
La porta si aprì con uno scatto e i due ragazzi si fiondarono nella stanza di Kirishima. Bakugo non perse troppo tempo e prese a baciargli avidamente il collo, mentre il respiro del ragazzo aumentava quasi esponenzialmente.
Indietreggiò verso il letto del dormitorio, pronto a trascinarsi dietro anche Bakugo, quando un suono spaventosamente conosciuto lo gelò sul posto.
Oh là là.” Una voce soave costrinse Bakugo e Kirishima a voltarsi nella sua direzione, rigidi.
Sul letto di Kirishima, vestito con una tutina argentata intera a paillettes, c’era Aoyama. Aveva un braccio piegato a reggergli la testa e per il resto era comodamente disteso obliquamente. Kirishima spalancò la bocca sgomento.
“Ma che cazzo ci fai tu qui?” Inquisì Bakugo, con tutte le intenzioni di farlo esplodere.
“Ehm, usciresti, per piacere?” Domandò Kirishima, il cuore che ancora gli galoppava in gola dall’eccitazione e un principio di sorriso gentile ad alzargli gli angoli della bocca: “Adesso?” Aggiunse, poi, per rendere l’idea.
“Oppure ti faccio esplodere quella testa paillettata che ti…”
Va bien, va bien.” Concesse il ragazzo, alzandosi dal letto e mostrando entrambe le mani come durante un controllo della polizia. Poi si diresse verso il balcone e uscì dalla camera, attirando la luce della luna sui suoi lustrini e proiettandola in mille direzioni. Kirishima si preoccupò immediatamente di chiudere l’anta del balcone.
“Ma come diavolo è entrato?” Si domandò, poi, osservando gli infissi come se gli avessero potuto rispondere.
“Guarda, non lo so, ma non me ne frega un cazzo.”

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