La figlia di Georgie

di Francyzago77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorni ***
Capitolo 2: *** La piccola principessa ***
Capitolo 3: *** Natale ***
Capitolo 4: *** Il dubbio ***
Capitolo 5: *** Uno spiacevole incontro ***
Capitolo 6: *** Un addio ***
Capitolo 7: *** La nostra fattoria ***
Capitolo 8: *** Gita al fiume ***
Capitolo 9: *** Una sconvolgente rivelazione ***
Capitolo 10: *** La decisione di Abel ***
Capitolo 11: *** Tormenti, inganni e tentazioni ***
Capitolo 12: *** La trappola ***
Capitolo 13: *** Figlia dell'amore ***
Capitolo 14: *** Incubi dal passato ***
Capitolo 15: *** La vendita del terreno ***
Capitolo 16: *** Pericolo alla fattoria ***
Capitolo 17: *** Speranze ***
Capitolo 18: *** Ricominciare ***
Capitolo 19: *** Per amore di Sophie ***
Capitolo 20: *** Come una fiaba ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ritorni ***


Il sole illuminava ormai tutta la valle, era una giornata serena e un carro era pronto, davanti alla fattoria Buttman per dirigersi al porto.
-Bene – esordì Arthur rivolgendosi a sua moglie uscendo di casa – credo di ritornare nel pomeriggio.
-Non vedo l’ora di riabbracciarli tutti quanti! – disse Maria con le lacrime agli occhi – Ma Eric che fine ha fatto? Non viene a salutarti?
-Starà giocando al fiume! – rispose Arthur – Lascia stare, quando ritornerò con loro vedrai che gioia sarà anche per lui!
-Tornando vi fermerete da zio Kevin? – domandò Maria accompagnando il marito verso il carro.
-Non credo – rispose lui – staremo tutti insieme il giorno di Natale. Ora vado che è già tardi.
Si salutarono poi Arthur partì tranquillamente.
Tutto intorno vi era quiete, lungo il sentiero si udiva soltanto il cinguettio di alcuni uccelli, alla vista solo alberi e poi la prateria sconfinata. Il cavallo andava sicuro, tante e tante volte aveva percorso la medesima strada e Arthur, rilassato alla guida, poteva permettersi di avere per la testa mille pensieri. Finalmente avrebbe ritrovato Abel e Georgie. Quattro anni erano passati. Troppi. Mesi e mesi ad attendere e a scrivere lettere, affidare a un foglio di carta i sentimenti, le emozioni, i fatti. Ed ora li avrebbe rivisti, riabbracciati di nuovo, per sempre. Suo fratello, che aveva la passione per il mare ed era riuscito a realizzare il suo sogno di navigare assieme a Georgie.
Georgie, dolce, cara, bella Georgie, quei grandi occhi verdi e quella nuvola di capelli d’oro, chissà cosa gli avrebbe detto rivedendolo … E Abel Junior?  Ormai aveva dodici anni, un ragazzino in gamba sicuramente. Poi Sophie. Chissà com’era? L’aveva lasciata un piccolo batuffolo in braccio alla sua mamma ed ora era una signorinetta dell’età del suo Eric. Sarebbero andati d’accordo? Lo sperava. Anche perché avrebbero frequentato entrambi la scuola di Maria e sarebbero cresciuti insieme proprio come lui con Georgie ed Abel.
Mentre pensava e s’immaginava quell’amato incontro in lontananza si intravedeva il mare, limpido e chiaro gli stava riportando a riva quelli che erano i suoi affetti più cari.
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 2
*** La piccola principessa ***


Seduto sotto l’ombra di un albero, sul ciglio della strada, Eric attendeva il padre osservando le formiche che, in fila ordinate, portavano le provviste in un piccolo buchino. Era stato tutta la mattina a pescare al fiume, poi dopo aver pranzato con la madre ed averla aiutata nelle faccende domestiche, era uscito di nuovo e si era messo ad aspettare Arthur che avrebbe riportato a casa zio Abel e zia Georgie. Aveva un vago ricordo di loro, li aveva conosciuti soltanto nei racconti dei suoi genitori e nelle lettere che arrivavano dall’America che la mamma gli leggeva sempre. Era felice perché avrebbe avuto dei cugini con cui giocare e confrontarsi e con Sophie sarebbe andato anche a scuola insieme.
Attendeva con ansia il rumore del carro e i suoi grandi occhi azzurri guardavano in lontananza la strada. Finalmente ecco arrivare dalla curva Thor, il loro cavallo marrone, che trainava il carro con sopra Arthur e accanto a lui Abel. Il piccolo Eric, a quella visione, gli corse incontro sbracciandosi e gridando a squarciagola. Arthur, nello scorgere suo figlio, rallentò l’andatura del cavallo e il bambino potè salire sul carro facilmente.
-E tu sei Eric? – gli disse Abel sorpreso mentre il piccolo si sedeva in mezzo a loro.
-Ciao zio Abel! – gli disse lui – Sono contento di vederti, sono giorni e giorni che ti aspettavo!
-Guarda guarda che ometto! – rispose Abel accarezzandogli la testa – Sei un vero Buttman!
-Sono fiero di essere un Buttman! – dichiarò il ragazzino – Ma dove sono gli altri?
-In carrozza con il conte Gerald – rispose Arthur – arriveranno fra poco.  
-Io – disse Abel – ho preferito venire con mio fratello, immagina quante cose dovevamo dirci!
-Cose da Buttman?! – domandò il bimbo.
Abel e Arthur risero di cuore, intanto erano arrivati alla fattoria.
-C’è mamma sulla porta! – urlò Eric.
Maria era uscita nel sentire il rumore del carro, Abel saltò giù e corse ad abbracciarla.
Ora attendevano tutti la carrozza del conte.
Erano ancora nel cortile a parlare e a ridere gioiosamente quando finalmente arrivò la carrozza. Il cocchiere fermò il bianco cavallo davanti alla staccionata e scese per aprire la porta. Subito balzò giù dalla vettura un ragazzetto alto, moro, magro. Scavalcò lo steccato e corse verso la fattoria. Maria nel vederlo gli andò incontro a braccia aperte, era Abel Junior, il suo primo studente oramai cresciuto.
-Fatti vedere come sei diventato grande! – esclamò Maria – Sei più alto di me! Sembra ieri che eri piccolino al primo banco.
Intanto Eric li aveva raggiunti, era curioso di conoscere quel cugino grande che gli avrebbe raccontato tante cose sull’America, posto lontano e a lui sconosciuto. Mentre si salutavano, dalla carrozza scese il conte con Georgie.
-Maria! – gridò lei – Che gioia essere di nuovo qui!
Abbracci, baci, sorrisi. Erano nuovamente tutti insieme sotto il cielo d’Australia.
-Sophie! – chiamò Georgie – Scendi e vieni giù a salutare.
Tutti vi voltarono verso la carrozza. Abel si avvicinò ad essa e dalla portiera fece capolino un’esile figura intimorita che attendeva una mano sicura per poter scendere. Si aggrappò al braccio di Abel e fece i due scalini della vettura lentamente, per paura di cadere. 
-Ecco la mia principessina – esclamò Abel orgoglioso come un re che presentava al mondo il suo più grande tesoro.
La bimba indossava un vestitino blu e delle scarpette bianche nuove, aveva lunghi capelli chiari e due occhi azzurri limpidi come il cielo.
-Georgie, è una meraviglia! – sussurrò Maria incantata – Vieni piccolina, vieni ad abbracciarmi.
Sempre tenendo stretta la mano di Abel, Sophie si avvicinò alla zia che si chinò per accarezzarle la chioma fluente.
-Vieni – le disse dolcemente Arthur – vieni a vedere la fattoria, ci sono tante cose nuove che ti aspettano. Eric vieni a farle compagnia!
Si diressero tutti verso casa e la piccola Sophie, seppur timidamente, lasciò la mano di Abel per seguire Arthur ed Eric. Allora Arthur la prese in braccio dicendo:
-Andiamo a vedere i cavalli nella stalla, scommetto ti piaceranno!
Sorrisero entrambi e Georgie, mentre osservava gli occhi di sua figlia accanto a quelli di Arthur, iniziò a provare una profonda inquietudine.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Natale ***


Fu un Natale indimenticabile quello, la famiglia Buttman era nuovamente riunita dopo quattro anni di separazione ed ognuno di loro aveva talmente tante cose da raccontare agli altri che le ore sembrava non bastassero mai.
Andarono tutti alla messa di mezzanotte nella piccola chiesa del paese, la chiesetta dove si erano sposati qualche anno prima. Maria aveva preparato una sorpresa, come direttrice del coro dei bambini, aveva organizzato in accordo col parroco una semplice rappresentazione natalizia.
Erano tutti seduti sui banchi in attesa dell’inizio della funzione quando l’organista cominciò a suonare. Dal fondo della navata entrarono alcuni bimbi vestiti da pastorelli con un agnellino, poi due bambine vestite da angioletti ed infine un ragazzino con una ragazzina che impersonavano San Giuseppe e la Madonna. Si posizionarono tutti davanti all’altare e, sulle note di “Silent Night” cantata dal coro, entrò il giovane parroco portando la statua di Gesù Bambino.
La piccola Sophie osservava estasiata e canticchiava la canzone accanto a Georgie la quale era felice e sperava vivamente che sua figlia si ambientasse bene in quella nuova realtà. Vicino a lei c’era Abel, poi suo padre ed Arthur con Abel Junior nel banco dietro. Eric era con Maria nel coro e cantava anche lui assieme agli altri bambini.
Al termine della messa si ritrovarono tutti nel piazzale antistante alla chiesa.
-Spero vi sia piaciuto – disse Maria arrivando con Eric trafelata – abbiamo cercato di ricreare una serena atmosfera natalizia. Credo che per Sophie questo sia un Natale strano, al caldo! A me un po’ manca la neve che caratterizzava il Natale inglese.
-Anche a New York c’era la neve! – esclamò Sophie con gli occhi pieni di gioia.  
-Grazie Maria – disse Georgie – hai preparato una bella cerimonia con tutti i bambini che, sono sicura, accoglieranno la mia Sophie a braccia aperte.
La bimba sorrise e, mentre tornavano a casa, intonarono tutti insieme “Deck the Halls” canto tipico della tradizione natalizia.
Il giorno dopo, condivisero il pranzo di Natale insieme alla fattoria. C’era anche lo zio Kevin con loro, molto malandato ma felice di rivedere Abel e Georgie con i bambini. Dopo mangiato gli uomini si misero a parlare di politica, il conte era candidato alla Camera e Abel volle sapere tutta la situazione per filo e per segno. Georgie uscì fuori per controllare dove fossero i bambini che si erano precipitati nel prato subito dopo il pasto. Maria la raggiunse, aveva in mano una scatola incartata.
-Georgie mi sono permessa di fare un piccolo regalo a Sophie – disse – è un nastro per capelli, credo le stia bene, è rosa e bianco. 
Georgie ringraziandola chiamò la figlia che scartò il pacchetto e fu molto contenta di quel dono.
Maria le fissò il nastro nei capelli e Sophie si sentiva imbarazzata sotto gli occhi di suo fratello e di Eric che la guardavano estasiati.
-Le sta molto bene – sospirò Maria mentre osservava la piccola che si allontanava contenta – mi piace pettinare i capelli delle bambine!
-Vedrai – rise Georgie – il tuo prossimo figlio sarà una femminuccia così potrai sistemarle tutti i nastri che vorrai!
Maria cambiò espressione e non disse nulla, si mise seduta e abbassò lo sguardo. Georgie capì che qualcosa non andava e le si avvicinò lentamente.
-Georgie – esordì Maria – io non potrò mai più avere figli…
-Ma che dici?! – gridò l’altra – Perché?
-E’ successo tutto circa un anno dopo la vostra partenza – rispose lei in lacrime – ora ti racconterò.
Sospirò poi si fece coraggio e iniziò a sfogarsi con Georgie. 
-Eric era ancora piccolino, io insegnavo e mi occupavo un poco anche della fattoria, era un periodo difficile perché il raccolto non era andato bene e mi sentivo molto stanca. Andai dal dottor Dawy in paese per farmi visitare e mi annunciò con mio stupore che ero incinta. Arthur accolse la notizia con grande gioia, eravamo al settimo cielo, sognavamo una famiglia numerosa. Continuai ad insegnare, non mi affaticava, Eric era buono ed io mi sentivo bene. Un giorno però, ero a scuola, iniziai ad avvertire dei dolori fortissimi. Andammo di corsa dal dottore il quale mi mandò subito all’ospedale di Sydney. Arrivammo troppo tardi, avevo perso il bambino. Lì mi operarono per salvarmi la vita ma, a seguito di quell’intervento, mi dissero che non potevo più avere figli. Avrei preferito morire che sentirmi dire quelle parole. Ero distrutta, Arthur mi è stato tanto vicino, continuava a ripetermi che non gli importava, che avevamo Eric con noi, ma so che non è così Georgie. Arthur sognava tanto una bambina ed io mi sento una donna così inutile!
Georgie la strinse forte a sé ma non riusciva neppure lei a trattenere le lacrime.
-Sono così contenta che siete tornati! – le sussurrò Maria con gli occhi ancora bagnati dal pianto.
-Devi essere felice di avere accanto un bel bimbo come Eric e un uomo come Arthur – rispose Georgie guardando Sophie che correva nel prato mentre pensava intensamente a quelle parole “Arthur sognava tanto una bambina”. Fu pervasa da un forte senso di colpa.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Il dubbio ***


Da quando era tornata in Australia, Georgie era spesso presa da un profondo tormento che, in realtà, l’aveva sempre accompagnata da quando era nata la sua bambina, ma si era accentuato nel rivedere Arthur e nello stare con lui in semplici situazioni quotidiane. L’atroce dubbio che Sophie fosse in realtà la figlia di Arthur l’attanagliava sempre di più. L’essere venuta a conoscenza, poi, del dramma di Maria la faceva soffrire immensamente. Quel pomeriggio d’amore che lei e Arthur avevano deciso di dimenticare era invece nel suo cuore più presente che mai.
Sophie aveva iniziato ad ambientarsi bene nel nuovo contesto, frequentava la scuola volentieri ed aveva cominciato a farsi degli amici. Era spesso con Eric perché le due famiglie vivevano praticamente in simbiosi: i bambini erano con Georgie o con Maria indifferentemente e Sophie si era subito affezionata ad Arthur per il suo carattere dolce e generoso. Abel Junior si era trasferito a Sydney dal nonno per proseguire gli studi e la bambina, che risentiva molto la mancanza del fratello, aveva trovato in Eric e soprattutto in Arthur dei nuovi affetti su cui contare.
Abel aveva intuito che in Georgie era maturato un cambiamento ma credeva fosse dovuto alla separazione dal suo figliolo.
-Georgie – le disse una domenica mentre tornavano da Sydney – come vedi possiamo andare a trovare nostro figlio tutte le settimane. Con tuo padre sta bene e i nuovi studi gli piacciono. Hai sempre tenuto alla sua istruzione e lui si impegna con profitto. Non devi essere così preoccupata.
Georgie era silenziosa, non parlava ed era pensierosa.
-Cosa c’è che ti tormenta cara?  - domandò lui – E’ da quando siamo ritornati qui che sei cambiata, ti vedo poco serena. 
-No Abel – rispose lei – ero in ansia per i nostri figli, soprattutto per Sophie.
-A me pare stia benone – sorrise suo marito – la trovo anche meno timida del solito. Georgie ora hai anche ricominciato il tuo lavoro in sartoria, mi sembra tu abbia tutto ciò che hai sempre desiderato!
Georgie lo guardò negli occhi e gli prese la mano.
-Sì, sono felice, scusami, sono solo una madre troppo ansiosa.
-E io ti amo ancora di più anche per questo – rispose Abel.
Lei sorrise poi chiese di fermarsi un po’ dallo zio Kevin, non stava molto bene e così andarono a trovarlo. Era invecchiato tanto e doveva accompagnarsi sempre ad un bastone per camminare.
-Verrò quasi tutti i giorni – promise Georgie – prima di andare alla sartoria passerò qui a prepararti il pranzo zio Kevin.
-Grazie Georgie, sai che mi fa sempre piacere vederti – rispose il vecchio.
-Sai quanto ti vogliamo bene – continuò Abel – noi ci saremo sempre per te.
Kevin aveva le lacrime agli occhi, disse:
-Avete fatto la cosa più giusta a ritornare, questa è la vostra terra, la vostra vita è qui. Anche Arthur aveva bisogno di voi, il vostro è un legame troppo forte.
Georgie ebbe un sussulto, l’anziano continuò:
-Arthur ha sofferto molto in questi ultimi anni, la fattoria non ha reso sempre come sperava e poi la condizione di Maria non l’ha certo aiutato a risollevarsi.
-Perché? – domandò Abel stupito – Cos’ha Maria? 
-Credevo tu lo sapessi – rispose Kevin.
Allora Georgie raccontò ciò che le aveva confidato Maria. 
-Povero Arthur – continuò il vecchio – veniva da me a piangere per non farsi vedere da sua moglie. I primi tempi Maria non riusciva ad accettare la situazione e lui, seppur addolorato, faceva di tutto per consolarla. Il tempo, si sa, risana le ferite, io gli ho sempre detto di ringraziare il Signore per il dono di Eric, è un bambino eccezionale, come avrete constatato anche voi.
Abel annuì ma preferì non parlare, Georgie era sempre più angosciata.
-Sai – le disse Abel tornando a casa – credo dovremmo lasciare più spesso Sophie da Arthur e Maria, li aiuterà, ne sono sicuro.
Georgie non rispose ma aveva una gran voglia di piangere in solitudine.    
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Uno spiacevole incontro ***


Abel, oltre a lavorare al porto presso lo studio dell’ingegner Murray, aiutava il fratello alla fattoria. Era la terra dei suoi genitori e, da quando era ritornato, sentiva questo legame ancora più forte. La lontananza aveva rinforzato il loro rapporto proprio perché erano uniti da un filo indissolubile che le peripezie e le difficoltà non avevano mai reciso.
-Arthur – disse un giorno Abel mentre erano intenti a sistemare la stalla – se Fritz riuscisse ad essere eletto, sono sicuro porterà alla Camera tutte le problematiche degli agricoltori della zona. Ottenendo delle sovvenzioni potrà essere più facile svolgere il lavoro quotidiano.
-Ho molta fiducia in Gerald – rispose Arthur – ha una visione aperta della società, non crede più in una netta suddivisione in classi sociali e in questi anni si è speso molto in difesa delle fasce più deboli.
-Domani ci sarà questo pranzo a Sydney per presentare la sua candidatura, sono curioso di ascoltare il suo discorso – continuò Abel.
Il giorno dopo, infatti, erano tutti in città per sostenere il conte nella sua avventura in politica.
Gerald teneva moltissimo alla presenza della sua famiglia a quell’evento e, quando arrivarono al palazzo, li accolse subito assieme ad un uomo brizzolato e ad una signora di mezz’età.  
-Georgie – disse Fritz rivolgendosi alla figlia – vorrei presentarti un mio caro amico, il marchese Barker e sua moglie. Anche loro si sono trasferiti qui dall’Inghilterra. 
La coppia salutò con gentilezza Georgie e la marchesa si dilungò lodando la piccola Sophie che, per mano alla mamma, era spaventata ma bellissima in un abitino tutto nuovo. Abel, Arthur e Maria con Eric li raggiunsero subito dopo.
-Molto piacere – disse la marchesa rivolgendosi ad Arthur – è il marito di Georgie, vero? Sua figlia ha i suoi stessi occhi!
Georgie imbarazzatissima fece le giuste presentazioni spiegando che suo marito somigliava molto al fratello poi si dileguò andando in cerca di suo figlio. Era lì soltanto per vedere il suo bambino e perché suo padre aveva insistito tanto, non amava quella gente, quel mondo non lo aveva mai sentito suo.
Quello di Gerald fu un discorso basato sui diritti, sull’uguaglianza, sulla cooperazione. Fu apprezzato dai presenti che, seppur nobili, erano di larghe vedute come Fritz e poi tra gli invitati c’erano anche rappresentanti della borghesia del luogo.
Dopo il brindisi, mentre tutti si complimentavano con il conte, furono raggiunti da un uomo alto, imponente, accompagnato da una giovane donna bellissima ma procace al braccio di un ragazzo moro elegante.
-E bravo il nostro Gerald – esordì in tono canzonatorio l’uomo più vecchio – è così dalla parte delle classi sociali più basse che ha permesso che la sua bella figlia ne sposasse un rappresentante. Davvero complimenti!
Abel si alzò di scatto per rispondergli ma Fritz lo fermò prendendo lui in mano la situazione:
-Non ho il piacere di conoscerla, lei invece vedo sa molte cose su di me.
-Sono il duca di Bowden – rispose quello – e questa è mia figlia Gladys con suo marito il conte Kerr. Abbiamo lasciato Londra, l’Australia ha terre e possedimenti molto molto interessanti.
Si voltò e notò Maria che era impallidita e stringeva forte il braccio di Arthur. 
-Ma noi ci conosciamo – disse il duca rivolgendole la parola – Gladys hai visto chi c’è?
-Maria Dangering – disse aspramente la ragazza – credevo fossi sparita per sempre come tutta la tua famiglia!
Fritz, a questo punto, rispose bruscamente:
-Maria è come una figlia per me e in mia presenza dovete portarle rispetto!
-Interessante – continuò Bowden – il conte Gerard che si mette in casa una Dangering.
-Io sono Maria Buttman e basta! – replicò la donna fermamente.
Il duca allora si rivolse a Fritz:
-Ci vedremo presto, queste elezioni interessano anche a me, Gerald.
E se ne andò con superbia, seguito da figlia e genero.
-Ma chi è? – chiese Georgie a Maria trepidante – E’ un arrogante e presuntuoso!
Maria strinse ancora più forte la mano di Arthur e disse:
-Il duca di Bowden, grande amico di mio zio, il duca Dangering.
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Un addio ***


L’incontro con il duca di Bowden aveva contribuito a rendere Georgie ancora più inquieta ed ansiosa.
Era un uomo ambizioso, come aveva raccontato loro Maria, che sicuramente aspirava ad alte cariche politiche per soddisfare la sua fame di potere e non certo per aiutare la povera gente come invece avrebbe voluto fare Gerald.
Mentre era da Kevin a preparargli il pranzo, Georgie rifletteva in silenzio angosciata.
-Non pensarci – disse lo zio – tuo padre sa benissimo come difendersi e gli elettori sapranno fare la giusta scelta.
-Il solo pensiero che ci sia qui un uomo della stessa pasta di Dangering mi terrorizza – rispose lei.
-Oh Georgie, Georgie – sospirò Kevin – tu hai troppe preoccupazioni da quando sei ritornata, te lo leggo in volto.
Georgie scoppiò in pianto, il vecchio andò a consolarla.
-Bambina mia – le disse – è per Sophie, vero?
Lei rimase sorpresa:
-Come lo sai? – disse singhiozzando.
-Ti conosco troppo bene – rispose Kevin – e posso immaginare la tua sofferenza.
-Ti sei fatto un’idea negativa di me zio Kevin? – domandò tra le lacrime.
-Certo che no! – ribadì lui – Non potrei mai. 
-Perché – riprese Georgie – la mia vita è sempre stata un’eterna indecisione tra Abel e Arthur?
-Ma tu la tua scelta l’hai fatta – rispose Kevin – Abel è tuo marito.
-E se Sophie fosse … - sussurrò lei – se fosse la figlia …
-E’ figlia dell’amore – sentenziò Kevin – e i bambini sono un dono di Dio, ricordalo.
Georgie si quietò un poco poi, mentre porgeva la minestra all’anziano zio, lo ringraziò per le belle parole.
-Se vuoi tornare domani – le disse Kevin – io sono qui per parlare. Più tardi devo ricevere una persona ed ora ho bisogno di riposare.
-Ti voglio bene – disse Georgie abbracciandolo.
-Anch’io – rispose lui.
Lo salutò più serena e sicura che l’indomani avrebbe trovato dei buoni consigli dal caro zio Kevin ma il vecchio si spense serenamente nella notte nel suo letto.
La notizia della morte di Kevin rattristò non solo i Buttman ma anche gli abitanti del piccolo paese; tutti volevano bene a quell’anziano signore, sempre gentile, onesto e generoso con chiunque.
Il giorno del funerale la chiesa era gremita, anche Gerald era venuto da Sydney per dare l’ultimo saluto al buon vecchio Kevin che era stato per la sua Georgie un punto di riferimento sempre.
Al cimitero, quando la folla si era ormai diradata, ed erano rimasti solo pochi intimi, Abel, Arthur e Georgie furono avvicinati da un distinto signore, alto, con gli occhiali che si presentò pacatamente:
-Scusate se mi avvicino in un momento così triste ma avrei bisogno di parlarvi. Sono il notaio Evans, il vecchio Kevin mi aveva affidato il suo testamento, voi siete i suoi eredi. 
I tre rimasero stupiti, il notaio continuò:
-Kevin non aveva figli né parenti prossimi ed ha voluto nominare voi come suoi eredi. Dovete venire nel mio studio per leggere il testamento.
Con grande sorpresa presero appuntamento con il notaio e, il giorno dopo, erano seduti di fronte a lui per ascoltare le ultime volontà di Kevin.
-Procediamo con la lettura – esordì Evans – vi ometto tutti i dati iniziali ed arrivo al dunque. Io sottoscritto Kevin Mills lascio ad Abel Buttman la mia fattoria con il terreno annesso, ad Arthur Buttman il terreno con l’edificio adibito a scuola e a Georgie Gerald la mia casa in paese dove tuttora abito.
Ci fu un momento di silenzio poi il notaio continuò:
-Come vedete dalla data, questo foglio è stato scritto e consegnatomi da Kevin il mese scorso; poi proprio tre giorni fa il vecchio mi ha richiamato per far aggiungere una postilla. Ve la leggo. “Cara Georgie i legami di sangue non sono i più importanti”. Io ho concluso.
-Perché ha fatto aggiungere questa frase? – domandò Georgie – Proprio il giorno della sua morte …
-Forse – disse Arthur – lo zio voleva sottolineare che anche se non siamo suoi parenti ci ha sempre considerato tali.
-Molto probabilmente, - rispose il notaio riponendo le carte – io mi limito solo al mio lavoro burocratico.
-Zio Kevin ci ha sempre voluto bene – aggiunse Abel – ed ha diviso le sue proprietà in maniera intelligente perché a me ha lasciato la sua fattoria dove vivo con Georgie, ad Arthur il terreno e la scuola dove lavora Maria e a Georgie la sua casa di città, vicino alla sartoria.
Uscirono dallo studio con i cuori pieni di gratitudine per il caro zio Kevin che non soltanto in vita ma anche in punto di morte aveva avuto un pensiero solo per loro. 
 

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Capitolo 7
*** La nostra fattoria ***


-Georgie cosa ne farai della casa che hai ereditato dallo zio Kevin? – chiese Arthur mentre erano tutti a cena alla fattoria.
-Ora la sistemerò un po’ – rispose lei – poi vedremo, è vicina alla sartoria potremo ricavarne un nuovo laboratorio.
-Nessuno di voi – domandò Maria – sapeva del testamento di Kevin?
-No – rispose Abel – certo lo zio era ormai anziano e aveva capito che la salute non lo avrebbe più sorretto. Non avendo figli ha fatto la cosa che gli è parsa più ovvia.
-Già mi manca – sospirò Georgie – i suoi consigli saggi erano luce sul mio cammino.
-Mancherà a tutti noi – disse Abel con tristezza.
-A me mancherà tantissimo – aggiunse Eric mentre terminava il suo pasto – perché le persone muoiono?
-Forse da lassù possono guidarci meglio ed illuminarci la via – gli rispose Arthur con dolcezza.
Allora Sophie si adagiò fra le braccia di Arthur che era seduto accanto a lei e si mise a piangere. Tutti tentarono di consolarla ma, ad un certo punto, sentirono bussare alla porta.
Era Sam Carter, un agricoltore che aveva una fattoria lì vicino.
-Scusate il disturbo – esordì vedendo le persone sedute a tavola – Arthur ho urgentemente bisogno di parlarti, si tratta dei terreni.
-Entra Sam – lo incoraggiò Arthur – siamo in famiglia, lui è mio fratello e sua moglie, non preoccuparti, puoi parlare liberamente. 
Maria gli portò una sedia e, dopo le presentazioni, quello iniziò a parlare:
-E’ venuto da me un certo duca di Bowden, si è detto interessato alla mia fattoria e mi ha offerto una buona somma per vendergliela. Sono rimasto un po’ spiazzato, è vero che non è un buon periodo questo per noi agricoltori della zona, ma cosa faccio io senza la mia terra? Allora mi ha offerto di lavorare per lui, come salariato, non è un’idea malvagia, continuerei a fare il contadino ed avrei uno stipendio. È andato anche da Steve Cooper che ha accettato. Io volevo un tuo parere Arthur, sono sicuro verrà anche da te.
-Io non venderò mai la mia fattoria – disse con fermezza Arthur – è la terra di mio padre, ho giurato fin da bambino che me ne sarei occupato con dedizione, per sempre.
-Sam – continuò Maria andando accanto al marito – il duca di Bowden non è una persona affidabile, lo conosco da anni, è cattivo e approfittatore, non vendergli la tua terra. Mi meraviglio come Cooper abbia fatto ad accettare!   
-Ma siamo messi male! – esclamò Carter – La siccità di quest’anno ci ha distrutto, non si riesce più a vendere i prodotti al mercato in città come prima.
-Ascolti – s’intromise Georgie – mio padre, il conte Gerald, è il candidato alla Camera per queste zone, vi aiuterà sicuramente come so ha già fatto in passato.
-E’ vero – continuò Abel – darà delle sovvenzioni per gli agricoltori. Con il suffragio universale maschile ogni uomo può esprimere la propria opinione per mezzo di  un voto, abbiamo questa opportunità non dobbiamo sprecarla.
-Ma Gerald mi promette una sovvenzione – rispose Carter – il duca mi dà subito dei soldi e un lavoro.
-Non accettare di essere un dipendente di quell’individuo! – lo supplicò Arthur – Io non lo sarò mai.
Sam Carter andò via dubbioso, aveva fiducia in Arthur ma la proposta del duca lo allettava molto.
-Georgie – esclamò Abel – dobbiamo far venire qua tuo padre, deve parlare con i contadini ed ascoltare le loro problematiche.
-Sì - aggiunse Arthur preoccupato – deve assolutamente venire.
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Gita al fiume ***


Il conte arrivò il sabato sera, avrebbe girato per le campagne la domenica mattina e parlato con gli agricoltori dettagliatamente, Arthur lo avrebbe accompagnato. Portò con sé Abel Junior, felice di rivedere i genitori e tutta la famiglia. Georgie era un po’ più serena, la vista del figlio la rallegrava e quella sera poi c’era un gran fermento: i bambini avrebbero fatto una scampagnata al fiume ed erano talmente eccitati che non la smettevano più di parlare.
-Lo sai nonno che quella di domani sarà la mia prima gita al fiume? – esclamò Sophie tutta orgogliosa di sé.
Fritz era molto attento ed ascoltava con interesse la nipotina.
-Sono stato io che ti ho permesso di venire – disse Eric con aria da saccente – saremo quattro maschi e due femmine, cioè tu e Beth, la sorella di Peter. Noi pescheremo e voi bambine potrete portarci il pranzo.
-Chi ti ha messo in testa queste idee? – lo rimproverò Arthur ma sorridendo – Non credi che anche le bambine abbiano il diritto di pescare come voi?
-Guarda – esclamò Georgie rivolta al nipote – che quando ero bimba e andavo al fiume con tuo padre ed Abel ero io quella che pescava più di tutti!
-E va bene – disse Eric a malincuore a Sophie – ti presterò la mia canna da pesca.
Risero, l’atmosfera era serena ed allegra, solo Abel sembrava più serio, infatti, ad un certo punto disse:
-Fate attenzione domani, quel fiume non mi piace! Tanti anni fa ha fatto morire mio padre e anni dopo stava per portarsi via anche Georgie. Abel Junior perché non vai con loro? Mi sento più sicuro se so della tua presenza.
Il ragazzino accettò la proposta e l’indomani mattina partirono allegramente per la gita al fiume.
Erano sei bambini, quattro maschi e due femmine, tutti felici ed orgogliosi di avventurarsi sulle rive del fiume come i grandi. Abel Junior era con loro per sorvegliarli ma, non essendo un adulto, era stato accolto con molta gioia.   
Portavano con loro dei cestini pieni di vivande, delle canne da pesca e tanta allegria e spensieratezza. Salutarono le famiglie incamminandosi verso il fiume che non era molto distante dalle loro case ma, ai loro occhi, sembrava lontano chissà quanto. Sophie era la gioia fatta persona, teneva per mano la sua amica Beth ed era pronta ad imparare a pescare, Eric le avrebbe prestato la sua canna e suo fratello l’avrebbe aiutata. Lungo il tragitto osservava ogni cosa, ogni dettaglio, ogni particolare, non voleva perdere un minuto di quella domenica al fiume.     
Gerald, invece, andò a visitare con Arthur le fattorie della zona tornando solo nel primo pomeriggio.
Stavano ascoltando i racconti di Fritz inerenti ai colloqui con gli agricoltori quando sentirono delle urla concitate.
-Aiuto! Aiuto! – era Eric con il suo amico Peter che venivano giù velocemente dalla collinetta dietro la fattoria – Sophie è caduta nel fiume!
Subito corsero tutti sul posto e videro la piccola che era stata trascinata via dalla corrente ma era rimasta impigliata tra i rami di un albero che adagiava le sue fronde sull’acqua. Abel Junior stava cercando di afferrarla per la mano sotto gli occhi degli altri bambini impauriti e preoccupati. Nel vedere gli adulti si sentirono tutti un po’ più sollevati, Abel si gettò immediatamente nel fiume mentre Arthur provò a prendere la mano della bimba aiutando il nipote che era stremato e stanco. Riuscirono a tirarla fuori ma subito si accorsero che perdeva molto sangue dalla gamba destra.
-Presto, alla mia carrozza! – urlò Fritz – Dobbiamo portarla in ospedale, non c’è tempo da perdere. 
Georgie era disperata, salì sulla vettura con Abel che teneva in braccio la piccola che stava perdendo i sensi mentre il conte alla guida frustava a più non posso il cavallo.
 Arthur e Maria, intanto, avevano condotto i bimbi alla fattoria per tranquillizzarli.
Era una corsa contro il tempo.    
Arrivarono in ospedale con Sophie che era svenuta, Fritz trovò il suo amico dottor Campbell, il primario, che prese subito in cura la bambina.
La situazione si mostrò grave fin dall’inizio, c’era il rischio di amputare la gamba.
Georgie, Abel e il conte erano nella piccola sala d’attesa, quella fu una delle notti più lunghe della loro vita. Georgie era seduta con gli occhi chiusi e la testa appoggiata sulla spalla di Abel, si facevano forza a vicenda e nei loro pensieri c’era soltanto la piccola Sophie. Gerald, in piedi, camminava lentamente guardando ora il pavimento, ora il soffitto. Tutti e tre, spesso, volgevano lo sguardo verso quella porta chiusa sperando si aprisse per dare loro buone notizie. Uscì di fretta un’infermiera ma non potè parlare, Georgie ora pregava, pregava intensamente.
Finalmente quella porta si aprì mostrando il dottor Campbell serio ma calmo e tranquillizzante.
-Allora – disse subito Fritz – dimmi come sta.
Il dottore parlò chiaramente:
-Siamo riusciti a salvarle la gamba, non dovrà essere amputata.
Al sentire quelle parole tutti tirarono un sospiro di sollievo, il medico continuò:
-Ma ha perso molto sangue, la situazione è ancora critica forse ci sarà bisogno di una trasfusione.
Si guardarono spaesati, il dottor Campbell spiegò:
-Devo valutare domani mattina, dipende da come passerà la notte comunque se sarà necessaria la trasfusione – e si rivolse ad Abel – avrò bisogno del suo sangue. 
-Il mio? – lo interruppe immediatamente Abel – Ma certo, sono qui, quando vuole dottore.
-Sì, è preferibile il sangue di un familiare – continuò il primario – in Europa, quando ero medico sui campi di battaglia, durante i moti rivoluzionari che imperversavano nel Vecchio Continente, ho visto troppi soldati morire dopo trasfusioni sbagliate. La scienza ancora non se lo spiega ma è meglio prendere il sangue di un familiare stretto.
-Può prendere anche il mio! – disse Georgie con impeto.
-No signora – rispose lui – le donne non devono perdere troppo sangue, quello del padre della bambina andrà benissimo.
E si congedò richiudendo la porta.
-Andrà tutto bene – disse Fritz abbracciando entrambi – è un luminare della medicina, siamo in buone mani. La gamba è salva e, se ci sarà bisogno, Abel donerà il suo sangue.
Ma Georgie guardava fissa nel vuoto, immobile.
-Andrà tutto bene – ripetè Abel prendendole la mano.
-Serve il sangue di suo padre – disse meccanicamente Georgie – andate a chiamare Arthur!
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Una sconvolgente rivelazione ***


Le parole di Georgie furono per Abel come una fucilata. Si voltò verso sua moglie che in lacrime lo guardava tremando.
-Sophie non deve morire – sussurrò lei – la mia piccola …
-Io sono morto in questo istante! – gridò Abel strattonandola con veemenza – Gli spari del duca non mi ferirono così forte come hai fatto tu adesso! Come avete potuto …
-Io non so chi è il padre della bambina – continuò Georgie piangendo mentre Abel, dopo averla spinta contro il muro, correva via in lacrime.
Fritz, che fino ad allora era stato in disparte, le si avvicinò.
-È tutta colpa mia – singhiozzò lei.
-Non ti giudico, spero solo che Sophie si salvi – la rassicurò il conte abbracciandola.
Rimasero lì, insieme, in silenzio, quando un’infermiera li avvisò che potevano vedere la bambina. Entrarono nella stanza dove Sophie era distesa sul letto con la gamba fasciata e dormiva. Georgie la vegliò per tutta la notte, accarezzandole le mani e il volto mentre Fritz rimase fuori nella piccola sala d’attesa.
Dalla finestra Georgie vedeva la luna, bianca, grande, quasi piena. Non sapeva che sotto quella finestra, fuori, al chiarore di quella stessa luna c’era Abel che vegliava anche lui la piccola dolce Sophie.
Le prime luci dell’alba destarono Georgie che, stremata, si era addormentata accanto a sua figlia. 
Trovò il dottor Campbell ai piedi del letto che, col suo fare pacato, le comunicò:
-Ha superato la notte, è fuori pericolo, non c’è bisogno neppure della trasfusione.
-Grazie dottore, con tutto il cuore – rispose lei sorridendo finalmente.
Appresa la notizia, Fritz uscì nel giardinetto dell’ospedale, doveva scaricare le tensioni accumulate e decise di passeggiare un po’ all’aria aperta. Mentre camminava per il vialetto scorse Abel sotto la finestra della stanza che, seduto pensieroso, guardava in alto come per apprendere qualche notizia. Gerald lo raggiunse.
-Come sta? – chiese subito Abel appena lo vide.
-È fuori pericolo – sorrise il conte.
-Sia ringraziato il cielo! – esclamò Abel con le lacrime agli occhi.
-Sali su? – domandò Fritz.
-No – rispose lui fermo – prendo un cavallo e torno a casa.
-Credo che tu e Georgie dobbiate parlare – iniziò con calma Gerald.
-Ora non voglio sentire nessuno – disse Abel allontanandosi – l’importante è che Sophie stia bene.
Andò via e Fritz non lo fermò. Cavalcò portandosi dentro rabbia e tormento, ira e dolore. Inizialmente non voleva tornare a casa, si fermò al mare che quel giorno era agitato, le onde s’infrangevano sugli scogli con impeto, a lui sembrava si rompessero come i suoi sentimenti si erano frantumati in quella lunga notte. Scappò via anche da lì, neppure la spiaggia riusciva a placarlo, decise allora di ritornare a casa.
Arrivò stremato passando accanto alla scuola dove i bambini e Maria erano fuori al cortile. Appena lo videro tutti iniziarono a chiamarlo per sapere notizie della loro cara compagna di classe e di giochi. Maria uscì e lo raggiunse. Abel nel vederla provò un sentimento misto a compassione e tenerezza, Arthur e Georgie avevano tradito anche lei. 
Le si avvicinò e con dolcezza la rassicurò:
-Va tutto bene Maria, è fuori pericolo.
-È meraviglioso – disse lei con gli occhi pieni di gioia – vado subito a dirlo ai bambini. Ma tu sei distrutto, vai a riposare! In casa c’è Abel Junior.
Entrò e trovò suo figlio che gli corse incontro:
-Papà, papà, come sta Sophie?
-Meglio – e sorrise – si salverà.
-Eravamo tutti in pena – disse il ragazzino – come sono felice ora! Che angoscia essere qui senza poter far niente e senza comunicare con voi. 
Abel se lo abbracciò forte poi se ne andò in camera per non farsi veder piangere dal suo figliolo. 
 
 



 

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Capitolo 10
*** La decisione di Abel ***


La notizia che Sophie si era salvata rese felici tutti, dai bambini agli agricoltori della zona. Abel si era chiuso in casa e non voleva vedere nessuno, soltanto Maria riusciva a parlarci, non gli faceva molte domande perché credeva che questa sua chiusura fosse una reazione dovuta alla forte paura di aver potuto perdere la bimba.
-Abel, vieni a pranzare da noi? – gli chiedeva spesso Maria terminata la lezione a scuola.
Ma le risposte erano sempre le stesse: o doveva andare al lavoro oppure era stanco per uscire.
-Vai da Georgie e Sophie oggi? - domandava altre volte Maria.
-No – rispondeva – c’è Fritz con loro e ormai anche Abel Junior è tornato in città e va tutti i giorni a trovarle. Io ho iniziato un progetto per l’ingegnere, è molto importante, in ospedale è tutto sotto controllo e fra poco torneranno a casa.
Maria non insisteva, la sua riservatezza la portava a rispettare le scelte altrui anche se vedere Abel solo e turbato la intristiva fortemente. Era passata una settimana dall’incidente al fiume e lui se ne stava in casa tra mille pensieri e preoccupazioni.
Le poche volte che Abel usciva era per andare al porto, allo studio dell’ingegnere dove lavorava, evitava accuratamente di vedere Arthur e a Maria non aveva detto nulla della paternità di Sophie, non voleva vederla ferita come lo era lui.
Arthur non riusciva a capire questo comportamento del fratello ma, conoscendone il carattere, non aveva insistito più di tanto. E poi era turbato per la storia della fattoria, il duca di Bowden era andato anche da lui per cercare di acquistare la terra ma l’aveva mandato via in malo modo. Altri fattori, invece, avevano già firmato la vendita nonostante le rassicurazioni di Gerald circa le sovvenzioni. Non riuscivano ad aspettare le elezioni e il duca li aveva convinti con una manciata di denaro. Questa situazione preoccupava non poco Arthur ma, l’aver saputo che Sophie sarebbe stata dimessa dall’ospedale, lo rendeva felice.
Il conte si era offerto di ospitare Georgie e la piccola al suo palazzo per la convalescenza ma la bimba volle tornare alla sua casetta immersa nel verde australiano. Arrivò con la carrozza del nonno e fu accolta da Arthur con Maria e tutti i bambini della scuola. Camminava appoggiandosi a delle grucce ma molto presto, avevano detto i medici, le avrebbe abbandonate. Tra tutti quei baci e quei sorrisi la bimba non scorse quelli di Abel. Erano giorni che non lo vedeva e moriva dalla voglia di abbracciarlo.
Mentre parlava contenta con i suoi compagni vide uscire Abel dalla porta di casa. Non poteva corrergli incontro ma lo chiamò forte. Lui arrivò, la prese in braccio e la condusse con sé nell’abitazione. Maria allora ritornò a scuola con tutti i bimbi mentre Georgie disse ad Arthur di non entrare in casa, avevano bisogno di riposare e di parlare fra loro. In realtà lei avrebbe voluto confessare tutto ad Arthur ma aveva paura della reazione di Abel e non voleva assolutamente assistere a uno scontro tra fratelli proprio sotto gli occhi della bambina. E poi aveva bisogno di chiarirsi con suo marito. Entrando lo vide in cucina che rideva e scherzava con Sophie, sembrava allegro o forse era soltanto una maschera. La bimba volle andare nella sua cameretta che trovò piena di fiori colorati, erano un regalo di Abel. I due coniugi fingevano serenità e quando Sophie disse che voleva riposare la lasciarono sola chiudendo la porta. Scesero al pianterreno, Georgie tesa e nervosa era pronta a riprendere il discorso di quella notte ma Abel aveva preparato una valigia e la stava portando verso l’uscio.
-Dove vai? – chiese Georgie disperata.
-Via – rispose lui secco – alloggerò allo studio dell’ingegner Murray. Alla bambina ho già detto che devo allontanarmi per lavoro.
-Non puoi andartene – lo supplicò lei tentando di fermarlo – devo spiegarti.
Ma Abel era già in cortile, si voltò solo per dirle:
-Non c’è niente da spiegare, mi dispiace soltanto per quella povera Maria.
Il suo sguardo era freddo, salì sul cavallo e partì lasciando Georgie a piangere sul prato.


 

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Capitolo 11
*** Tormenti, inganni e tentazioni ***


La scusa di Abel, di essere andato per un periodo a vivere allo studio dell’ingegnere per lavoro, era plausibile e tutti credettero fosse l’unica verità. Soltanto Arthur era dubbioso e si domandava spesso il perché di quella scelta così netta.
-Non lo comprendo – disse una mattina a Maria – proprio ora che Sophie e Georgie erano di nuovo qui. Capisco il lavoro al porto ma almeno la domenica potrebbe tornare! Non sono più riuscito a parlarci dal giorno dell’incidente e adesso  avrei bisogno di lui per la storia della fattoria! Il duca sta diventando il proprietario di tutti i terreni circostanti, sembra che molti abbiano ceduto alle sue lusinghe.
-Non angosciarti – lo consolò Maria – io ho fiducia in Abel. È solo un periodo impegnativo per lui, sono sicura che appena terminato questo lavoro al porto tornerà.  
-C’è qualcos’altro – disse Arthur pensieroso – lo conosco troppo bene.
Comunque Abel si era veramente immerso nel lavoro. L’ingegnere lo mandava tutti i giorni al porto a seguire degli operai al cantiere navale e la sera si chiudeva nello studio a leggere e a consultare delle carte.
-Puoi tornare a casa qualche volta – gli diceva il suo capo vedendolo sempre tra fogli e progetti.
Ma lui, quando aveva dei momenti liberi, andava in spiaggia o sugli scogli. Se il mare era calmo, invidiava la sua quiete, se era agitato, lo sentiva dentro come tempesta. 
 A volte si recava in città, sempre per conto dell’ingegnere, per svolgere delle commissioni. Incontrava persone nuove, parlava di affari, riusciva a distrarsi e non pensava più alla sua situazione.
Un pomeriggio era lì, in città, dopo aver sbrigato alcuni incarichi si era fermato ad un parco per riposarsi un poco e osservava delle bambine correre, giocare, una di loro sembrava Sophie con i capelli lunghi e gli occhi chiari, aveva voglia di piangere ma si sentì chiamare e si voltò.
Una donna elegantissima, raffinata, con un parasole in mano lo guardava attentamente. Era Gladys Bowden, la figlia del duca.
Abel Buttman, giusto? – domandò – Il marito di Georgie.
-Così dicono – rispose lui seccato.
-Come mai da queste parti? – chiese lei – Non sei alla tua amata fattoria?
-Io lavoro al porto – disse lui meccanicamente.
-E’ vero, è tuo fratello quello che ha la fattoria – si corresse lei sedendo accanto a lui.
-Veramente anch’io ho della terra – precisò Abel – ma il mio lavoro è nello studio di un ingegnere navale al porto.
-Interessante – sottolineò lei – e quando sei libero passi le tue giornate in questo posto? Non torni da tua moglie?
-Non ora – disse Abel sempre più nervoso.
Gladys lo osservò con interesse, era proprio un bell’uomo, affascinante e con uno sguardo triste ma magnetico. Si capiva che era sofferente e lei era il tipo di donna che sapeva giocare con le debolezze di un uomo.
-Mio padre sta tentando in tutti i modi di comprare la fattoria di tuo fratello – continuò lei – ma lui è irremovibile. Siete testardi voi Buttman!     
-Non ho più nulla a che fare con lui! – esplose Abel stanco.
Lei intuì subito che c’era tensione fra i due e capì all’istante che poteva guadagnarci qualcosa.
Intanto Abel si era alzato e stava per andar via quando Gladys lo afferrò per un braccio dicendogli:
-Mi spiace vederti così, fossi tua moglie non ti lascerei per tutto questo tempo da solo.
-Lasciami in pace! – rispose Abel – Non ho bisogno di nessuno!
-Aspetta! – continuò lei – Sei così triste e solo, ti ho capito sai? Puoi confidarti con me.
E intanto gli accarezzava il braccio, poi la spalla. Aveva degli occhi scuri che si contrapponevano ai capelli chiari, le labbra rosse come delle ciliegie fresche e soprattutto la capacità di far perdere la testa ad un uomo.
-Andiamo in un posto tranquillo – gli propose prendendolo sotto braccio – ho capito che hai bisogno di confidarti.
-Non ho voglia di parlare – disse Abel – sono stanco.
-Da me puoi riposare – rispose Gladys – non c’è mio padre in casa e neppure mio marito. Non sarà mica gelosa la tua Georgie se sa che sei venuto al mio palazzo!
-Georgie non esiste più per me! – dichiarò lui con lo sguardo fisso in avanti.
-Quindi – incalzò lei – oltre che con tuo fratello hai rotto anche con Georgie?
-Quella che credevo mia figlia – ammise Abel – è in realtà la figlia di mio fratello.
Gladys lo guardò con stupore, poi gli accarezzò il volto, poteva guadagnarci tanto da quella storia, veramente tanto.  
Era sera inoltrata quando tornò suo padre il duca, la trovò nel salottino, seduta su una poltroncina che lo attendeva. Indossava una bellissima vestaglia ricamata con pizzi e merletti ed aveva lo sguardo di chi aveva ottenuto qualcosa.
-Che fai qui? – chiese il padre vedendola.
-Ti aspettavo – rispose candidamente lei.
-Come hai passato il pomeriggio? – domandò lui.
-Benissimo – disse Gladys raggiante mentre si alzava per andargli incontro.
-Giovedì – continuò lei – abbiamo appuntamento dal notaio Evans per comprare la terra di Abel Buttman.
Il duca la guardò interessato:
-Come hai fatto? – chiese stupito.
-Sono una donna papà – rise lei – e so come ottenere qualcosa da un uomo!
-Sei bella e spregiudicata – ammise il duca compiaciuto – proprio come tua madre.   
-E sono ambiziosa come te – continuò lei sorridendo – vedrai che presto avrai anche la fattoria di Arthur, puoi contarci!
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** La trappola ***


Il mattino dopo un’elegante carrozza si fermò accanto al cortile della scuola dove insegnava Maria. Scese Gladys in abito verde e con i capelli raccolti, si rivolse al padre che era rimasto sulla vettura.
-Ci vediamo più tardi papà.
-Bene – rispose lui – io vado a fare un giro per le fattorie cercando di ottenere qualcosa. Mi raccomando. Voglio assolutamente la terra di quell’Arthur, è una delle più vaste della zona e lui ha molta influenza sugli agricoltori limitrofi. E poi è vicino a Gerald e tu sai quanto non sopporti quell’uomo. Lui ha fatto terminare lo strapotere di Dangering e per noi è iniziata la rovina.
Il suo sguardo era teso e preoccupato, fissò di nuovo sua figlia dicendole:
-La storia di quella bambina può tornarci utile. Se tutto va in porto diventerò il proprietario dei terreni ancor prima delle elezioni e quel giorno poi avrò il voto unanime dei contadini. Quel giorno Gerald sarà già sparito.
-Tranquillo – sorrise lei – mi basterà poco per imbastire il mio piano. Il topolino cadrà facilmente nella trappola.
La carrozza ripartì e Gladys rimase a passeggiare all’ombra degli alberi.
Era l’ora dell’intervallo e i bambini uscirono a giocare festosi, erano allegri e facevano un grande baccano. Gladys si avvicinò alla staccionata e raggiunse Maria che stava osservando i suoi alunni mentre correvano e aveva accanto Sophie che ancora non era in grado di muoversi liberamente.
-Allora – diceva Maria a due bambine – mettetevi sedute con Sophie sui gradini e giocate tranquille. 
Le due piccole l’accompagnarono e insieme si sedettero a parlare.
-Buongiorno Maria – esordì Gladys con fare amichevole.
-Gladys – disse l’altra stupita – come mai qui?
-Ho accompagnato mio padre – rispose – è sempre in giro par affari tra le fattorie, ero curiosa di vedere questi paesaggi bucolici.
Maria la fece entrare nel cortile della scuola, era ancora un po’ sorpresa per quella visita così inaspettata.
-Come sei cambiata da quando ti conoscevo a Londra – le disse Gladys – avresti mai immaginato di diventare una maestra di campagna?
-Sono molto felice qui – rispose lei con calma – non mi manca nulla e non rimpiango la mia vita da nobile in Inghilterra.
-Certo sei stata molto sfortunata con la tua famiglia – disse Gladys osservandola dall’alto in basso – hai perso tutto in poco tempo, i soldi, l’onore, il titolo nobiliare …
-La mia famiglia ora è qui – disse Maria serenamente – non desidero altro.  
-Ti ammiro – continuò la figlia del duca – accettare quella bambina non sarà stato facile per te.
-Quale bambina? – domandò meravigliata Maria.
-La figlia di Georgie – rispose Gladys indicandola – suo padre è Arthur e tu l’hai accolta con amore e affetto.
Maria spalancò gli occhi:
-Ma che dici Gladys, è la bimba di Abel!
-Non nasconderti con me – incalzò lei – lo sanno tutti in paese che il padre è Arthur. Le voci corrono. 
E fissava Maria che visibilmente turbata ribatté:
-Ma non è vero! Questa è una grossa cattiveria, è una calunnia!
-Come sei ingenua – rise Gladys – Sophie è la figlia di Arthur e non dirmi che non lo sapevi!
Si allontanò salutandola continuando a passeggiare serenamente mentre Maria era assalita da un dubbio enorme.
Arthur era il padre di Sophie? Non era possibile, era solo una cattiveria di quella strega. Si voltò a guardare la bimba che seduta sulle scale con le compagne rideva felice. La osservò per lungo tempo incredula poi iniziò a chiamare tutti i bambini dicendo loro di rientrare in classe. Corse in aula e li mise a sedere nei banchi.
-Riprendete il compito precedente – ordinò mentre sedendosi ripensava a quelle parole.
Ora osservò di nuovo la piccola Sophie che leggeva in silenzio, era la figlia che Arthur aveva sempre desiderato e che lei non aveva potuto dargli? Si sentiva soffocare, era pervasa da un senso di nausea e di smarrimento.
-Ecco perché Abel – pensò – è andato via, troppo dolore per lui.
Doveva sapere, doveva avere una conferma. Parlare con Georgie? No, doveva affrontare Arthur, lui era suo marito, era lui che le doveva una spiegazione.
-Tutti a casa! – disse agli alunni – Oggi si esce prima.
I bambini sbalorditi si guardarono stupiti.
-Sì andate – continuò lei - io non posso fermarmi, ci vedremo domani.
Corsero fuori allegri, Eric la raggiunse.   
-Mammina perché finiamo prima la lezione? 
-Vieni dobbiamo tornare a casa – rispose al figlio mentre chiudeva la porta.
-Non ci fermiamo da zia Georgie? E Sophie? – chiese il bimbo.
-No, non andiamo da Georgie oggi, devo parlare con tuo padre – fu la risposta.
Salirono sul calesse per tornare alla fattoria mentre Sophie entrava in casa sorridente. 
 
 

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Capitolo 13
*** Figlia dell'amore ***


Arrivata a casa Maria mandò suo figlio a giocare fuori, non voleva ascoltasse i discorsi tra lei e Arthur.
Suo marito era in paese, sarebbe giunto alla fattoria più tardi, per non pensare si mise a rassettare la cucina ma la mente andava sempre lì, alla piccola Sophie. Asciugava i piatti e piangeva, preparava la tavola e piangeva, non riusciva a trattenere le lacrime.
Ad un certo punto sentì il nitrito di un cavallo, era Arthur con il carro che rientrava, doveva affrontarlo. Uscì di casa, suo marito le corse incontro.
-Devo parlarti – esordì lei.
-Non ora – disse Arthur di fretta – devo andare immediatamente al porto. Ho incontrato il notaio Evans, giovedì deve vedersi con Abel e il duca di Bowden per il contratto. Mio fratello venderà la sua terra a quell’individuo! Devo assolutamente parlare con lui e dissuaderlo, non capisco cosa gli sia preso!
-Arthur, devi ascoltarmi – lo supplicò Maria.
-Non posso amore mio – rispose lui mentre sellava l’altro cavallo – devo scappare subito. Devo convincere Abel a non vendere.
E salito in groppa a Thor partì per il porto mentre Maria rimase a piangere sull’uscio.
Allo studio, l’ingegner Murray gli disse che suo fratello era al cantiere con dei clienti, lo raggiunse, attese con pazienza che questi se ne andassero e finalmente dichiarò la sua presenza. 
-Abel – gridò – sono venuto qui, non evitarmi.
-Cosa vuoi? – rispose il fratello con ira.
-Ho saputo dal notaio Evans – iniziò Arthur – che venderai la tua terra al duca, ti sei impazzito? Perché fai questo?
-Non sono affari che ti riguardano – fu la risposta.
-Invece – incalzò Arthur – sono anche affari miei, il duca vuole diventare il proprietario di tutta la zona, tu stavi collaborando con me e Fritz per evitare tutto questo. Ora mi sento tradito!
-Tu ti senti tradito? – urlò Abel dandogli una spinta – Vattene o ti butto a mare!
-Si può sapere cos’hai? – chiese Arthur.
-Se c’è qualcuno che è stato tradito, qui, quello sono io! – continuò Abel – Tu e Georgie …
-Che c’entra Georgie? – domandò immediatamente il fratello con vigore.
-Sophie è tua figlia! – esclamò Abel con la rabbia negli occhi – E adesso vattene altrimenti ti uccido.
Arthur rimase fermo in silenzio, Abel continuò ad incalzarlo:
-Vattene, non posso vederti!
Ma lui rimaneva sempre lì, immobile, Abel gli diede un pugno, lui rispose, iniziò la rissa. Alcuni marinai accorsero e li divisero. Arthur, sconvolto, corse al cavallo e scappò via.
Fece una lunga galoppata, con le lacrime agli occhi. Giunse alla prateria, scese da cavallo e si gettò nell’erba. Sdraiato, con lo sguardo rivolto al cielo, osservava le nuvole che si muovevano lentamente.  
Sophie era sua figlia, sua e di Georgie, nata da quel caldo pomeriggio d’amore. Non pensava più a nulla, né alla fattoria, né al duca, né ad Abel. Solo a Georgie e a Sophie. Risalì sul cavallo e dopo aver galoppato, questa volta felice, arrivò a casa di Georgie.
Lì trovò la bambina, seduta in cucina, intenta a leggere un libricino. Appena la vide il cuore iniziò a battere all’impazzata.
-Ciao – disse la bimba – mamma sta per tornare, io l’aspetto leggendo.
Arthur le andò vicino, le accarezzò i capelli, osservandola senza dire una parola. Aveva gli occhi bagnati dal pianto, la figlia che aveva sempre desiderato era lì, accanto a lui e gli sorrideva. Entrò Georgie, appena li vide capì che Arthur sapeva.
-Georgie – disse lui alzandosi – dobbiamo parlare.
-Andiamo fuori – rispose lei.
Nel cortile, in realtà, non parlarono affatto, si abbracciarono e basta. Quell’abbraccio valeva più di mille parole. Mentre le accarezzava i morbidi capelli biondi, Arthur ripensava a quel pomeriggio caldo, aveva promesso di dimenticarlo per sempre ma ora era più vivo e più presente che mai.
-Ho parlato con Abel – disse lui ad un certo punto – mi ha detto di Sophie, era disperato.
-Io non riesco a vederlo – rispose Georgie – mi evita, mi odia.
Arthur l’abbraccio di nuovo, poi, dopo un po’ di silenzio domandò:
-Georgie, ma sei sicura che Sophie è mia figlia?
-La certezza non me la darà mai nessuno – rispose lei – ma dentro il mio cuore io so che è così. 
Lui la strinse forte al suo petto poi rientrarono in casa.
Sophie continuava a leggere serena, Georgie disse piano:
-Ha i tuoi stessi occhi Arthur.
Lui tornò accanto alla bimba che gli disse:
-Ho quasi finito il racconto! Sono diventata brava a leggere anche zia Maria lo dice.
Arthur guardò Georgie e sembrava voler sprofondare in un baratro. La gioia di aver saputo di essere il padre della bambina gli aveva fatto dimenticare gli amori più grandi della sua vita, Maria ed Eric.
Si alzò e andò nell’altra stanza, Georgie lo raggiunse.
-Maria ne soffrirebbe troppo – disse lui – come posso essere così egoista.
-Abel sta soffrendo – disse Georgie – Maria morirebbe di dolore, cosa abbiamo fatto Arthur?
-Come hai fatto a tenerti tutto dentro Georgie? – chiese lui – Io sto già impazzendo. Devo andare da mia moglie, dovrà saperlo.
Georgie iniziò a piangere coprendosi il volto mentre Arthur usciva a prendere il cavallo. 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Incubi dal passato ***


Alla fattoria vide una carrozza davanti all’entrata, non era quella di Gerald, Arthur s’insospettì. Entrò in casa e non trovò nessuno, sentì delle voci che provenivano da dietro la stalla. Andò lì e vide Maria sconvolta che abbracciava Eric mentre parlava con il duca e sua figlia.
-Carissimo – esordì Bowden col suo fare sarcastico – aspettavamo proprio te, intanto facevamo un giro per la fattoria. Maria non ci ha fatto entrare in casa, che scortese nei nostri riguardi e pensare che ci conosciamo da anni!
-Ha fatto bene – rispose Arthur serio – le avevo già detto, duca, che non doveva insistere, la fattoria non è in vendita.
-Domani ho appuntamento con tuo fratello dal notaio per acquistare la sua terra. Lui sì che ragiona! – rise Bowden.
-Diciamo che l’ho fatto ragionare io! – aggiunse Gladys con malizia.
-Papà – intervenne Eric – ma è vero quello che ha detto questo signore?
-Che cosa gli avete raccontato? – domandò Arthur con la rabbia negli occhi.
-Oh, nulla – rispose il duca – con Maria ricordavamo i vecchi tempi di quando suo zio era la persona più influente a Londra e suo fratello si faceva portare dei bei ragazzi a palazzo!     
Non fece in tempo a terminare la frase che Arthur gli si avventò contro dicendo:
-Vigliacco, davanti a un bambino! 
Eric scappò via mentre il duca strattonò Arthur urlando:
-Come ti permetti a mettermi le mani addosso!
-Andate via dalla mia fattoria – disse Arthur con decisione.
-Ti faccio l’ultima proposta – continuò il duca con superiorità – vendimi la tua terra.
-Piuttosto mi ammazzo – rispose lui con ancora più fermezza – ma la fattoria non la cedo.
-Te ne pentirai – tuonò Bowden andando via.
-Ormai la tua famiglia è distrutta – disse Gladys seguendo il padre.
Finalmente salirono in carrozza, Arthur si avvicinò a sua moglie che si era accasciata a terra piangendo.
-Maria, cosa hanno detto?
-Il duca ha iniziato a raccontare di Londra – singhiozzò lei – di te, di Abel, di mio fratello, di tutti gli intrighi con Eric presente. Era sconvolto il mio piccolino, ora è scappato, devi raggiungerlo.
-Certo, ci parlerò io – rispose lui mentre l’aiutava a rialzarsi.
Era così fragile Maria, fragile ma forte allo stesso tempo. Arthur la strinse a sé. Doveva parlarle di Sophie e di Georgie ma ora, tutta questa nuova situazione, non gli consentiva di affrontare l’argomento. Invece fu Maria ad iniziare:
-Stamattina Gladys mi ha detto di Sophie. È vero Arthur, è tutto vero?
Lui si sentì morire, non riusciva neppure a guardarla negli occhi.
-Ho capito tutto – continuò Maria – ora, per favore, vai da Eric e rassicuralo.
Lei si avviò verso casa lentamente, Arthur la guardò con malinconia poi corse a cercare suo figlio. 
Lo trovò su di un albero, dietro il fienile, che imbronciato osservava le foglie sui rami.
-Scendi giù! – gli gridò forte.
-No – rispose subito il bimbo – tu e la mamma siete due bugiardi.
-Ti ho detto di scendere – ripetè Arthur con un tono che il piccolo conosceva bene – vieni giù!
Scese e si trovò faccia a faccia con il padre.
-Vieni qua – disse Arthur sedendosi sotto l’albero – vicino a me.
Eric si sedette poi scoppiò a piangere.
-Quel duca è un malvagio, vero papà? Però ha detto la verità …
-Ci sono molte persone cattive al mondo – iniziò Arthur – purtroppo dovrai abituarti.
-Ma ha detto – continuò Eric piangendo – che a Londra il fratello di mamma ti faceva del male, che zio Abel l’ha ucciso e che doveva essere fucilato.
-Sì – lo interruppe il padre – è tutto vero.
-È per questo – chiese allora il bambino – che tu e la mamma non parlate mai di Londra?
-Sì, è per questo – rispose fermamente lui. 
Rimasero in silenzio poi Arthur continuò:
-Non vuoi che la mamma soffra, vero Eric?
-Certo che no! – rispose prontamente il bimbo.
-E allora non farle domande – lo rassicurò Arthur. 
Eric annuì poi disse:
-Posso chiederti se tu hai sofferto?
-Sì ho sofferto molto – rispose Arthur – ma è passato.
-Perché zio Abel vuol vendere la sua terra a quell’antipatico di duca? – chiese il bimbo cambiando discorso.
-Vedrai che lo convinceremo a non venderla! – sorrise suo padre – Ora vai dalla mamma, ha bisogno di te.
-Grazie papà! – disse abbracciandolo forte – Vado!
Mentre suo figlio s’allontanava Arthur pensava che era stata una giornata lunga e piena di emozioni contraddittorie. Doveva ancora parlare con Maria, la giornata non era ancora finita.      
 
 
 

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Capitolo 15
*** La vendita del terreno ***


Gli uccellini annunciavano l’alba, un timido raggio di sole entrava dalla finestra svegliando Arthur che subito cercò la mano di Maria, addormentata accanto a lui. Avevano parlato per tutta la notte, della loro storia, del passato e del futuro, delle sofferenze e dei loro sogni. E di Sophie.
Arthur si alzò lasciando Maria nel letto, era molto stanca e provata, lui uscì dalla stanza e si preparò per iniziare un’altra lunga giornata. Doveva fermare Abel, non poteva vendere il terreno al duca e soprattutto dovevano chiarirsi tra fratelli. Chiamò Eric e lo esortò a prepararsi per la scuola.
-Ascolta – disse al figlio – vai dalla sorella di Carter e dille che oggi vi farà lezione lei. Mamma deve riposare e non può venire in classe.
-Ma sta male? – domandò il piccolo preoccupato.
-No, ma è meglio che riposi oggi – rispose Arthur. 
Eric uscì e fece come il padre gli aveva detto, poi, prima di andare a scuola, passò da Georgie.
-Così ci sarà la signorina Carter come insegnante? – chiese Sophie visibilmente delusa.
-Sì, mamma deve riposare – ribadì Eric.
-Vedrete che domani tornerà – li rassicurò Georgie – era solo molto stanca, vero?
Eric annuì poi disse:
-Perché zio Abel vuole vendere il terreno al duca? 
Georgie rimase in silenzio poi rispose:
-Non lo venderà, tranquillo, anche lui sta passando un periodo difficile. Ora andate a scuola.
Lasciò andare i bambini e poi si chiuse in casa. Maria aveva sicuramente saputo ed era disperata, Abel voleva vendere la terra per fare un torto ad Arthur. Doveva assolutamente parlare con suo marito prima della firma dal notaio. Attese che i bimbi uscissero da scuola ingannando il tempo cucendo e ricamando poi caricò sul calesse Eric e Sophie e si diresse verso la fattoria. Soltanto Arthur poteva aiutarla a convincere Abel a non vendere. Arrivò e subito i bambini scesero e iniziarono a giocare sul prato, fu felice così non avrebbero ascoltato tutti i loro discorsi.
Entrò in casa dove Arthur e Maria avevano appena terminato di mangiare.
-Aiutami a parlare con Abel – disse rivolgendosi a lui in lacrime.
-Certamente – rispose Arthur tranquillizzandola – l’appuntamento con il notaio è nel tardo pomeriggio, possiamo ancora farcela.
Georgie guardò Maria che intanto sparecchiava la tavola senza dire nulla. Da fuori provenivano le vocine di Eric e Sophie che giocavano allegri. Maria scostò la tendina della finestra e osservò la piccola seduta tra l’erba.
-È veramente bella! – sospirò con gli occhi bassi.
Georgie le si avvicinò titubante ma Maria le disse solamente:
-Cerca di convincere Abel a non vendere, questo è l’importante ora.
Intanto Abel era in carrozza con il duca e sua figlia, lo erano passati a prendere e si stavano dirigendo verso il terreno per vederlo meglio, poi sarebbero andati dal notaio Evans. 
-La scuola è sul terreno di tuo fratello, vero? – chiese Gladys osservando fuori dal finestrino.
-Sì – rispose laconico Abel.
-Avremo anche quella vedrai – rise il duca.
Ma Abel guardava gli alberi e il prato, la sua casa che era stata di zio Kevin e pensava a Georgie, a suo figlio e a Sophie.
Sophie, la sua adorata principessina, così mite e dolce, così graziosa e buona.
Erano giorni e giorni che rifletteva, pensava, dubitava e meditava su tutta quella situazione e non si dava pace.  
Cosa ci faceva lui nella carrozza con quella gente? Erano persone che aveva sempre disprezzato ed ora doveva concludere un affare con loro? Come aveva potuto cedere alle moine di quella Gladys, così superba e provocante? E Georgie? Provava ancora qualcosa per lei? La sua Georgie, la donna della sua vita che aveva amato da sempre. E Arthur? Il suo adorato fratello. Era giunto il momento di ascoltare le loro spiegazioni, inutile nascondersi o scappare, doveva parlare con loro.
-Fermate la carrozza! – urlò al cocchiere – Io scendo qui.
-Dove vai? – chiese il duca stupito.
-Non vendo più, non posso venderle il mio terreno – disse con sicurezza Abel finalmente sorridente.
Scese e iniziò a correre dicendo:
-Devo andare dalla mia famiglia, devo risolvere una questione importante.
-Abel, Abel! – gridò Gladys – Cosa gli è preso?! 
-Me la pagheranno questi Buttman! – disse Bowden con rabbia – Me la pagheranno cara!
Abel correva sempre più veloce, voleva arrivare presto alla fattoria e affrontare Arthur e Georgie. Doveva ascoltarli e trovare una soluzione. Non voleva perdere la felicità e sapeva che la felicità soltanto lì poteva stare.     
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Pericolo alla fattoria ***


Corse a perdifiato per arrivare al più presto alla fattoria, sapeva che Georgie era lì, doveva ascoltarla ed affrontare Arthur. Non si fermò mai, quando giunse a destinazione vide sulla porta suo fratello pronto ad uscire, Georgie era con lui. Nel vederlo furono stupiti ma felici.
-Non vendo più – annunciò lui andando loro incontro – non posso mettermi in affari con il duca.
-Hai fatto la cosa più giusta – disse sorridendo Arthur – sono contento tu abbia riflettuto.
-Ma noi dobbiamo parlare – disse Abel serio.
-Sì – ammise Georgie – ma devi ascoltarci.
-Andiamo sulla collinetta dietro la stalla – consigliò Arthur – i bambini sono altrove e Maria è in casa, è ancora turbata e sta riposando.
-Non dirmi che ha saputo? – chiese Abel meravigliato.
-Gladys Bowden – rispose Arthur – è stata lei.
Abel si sentì in colpa, quella vipera l’aveva ammaliato non solo per ottenere la terra ma anche per mettere zizzania e distruggere le loro vite. Era caduto facilmente nella sua trappola e il pensiero che Maria stava soffrendo lo rendeva inquieto. 
Stavano andando verso la collinetta quando videro un carro arrivare veloce, era Sam Carter. 
-Arthur – gridò dal carro – il duca è riuscito a comprare un altro terreno ma io il mio non ho voluto venderglielo! Ora è in paese e sta sbraitando contro di voi e vuole vendicarsi. Sono corso qui a dirtelo.
-Sei un amico Sam – rispose Arthur – anche mio fratello non ha venduto, il duca non ci fa paura.
-Dobbiamo fare attenzione – disse Abel – è una persona subdola, ora ci porterà rancore e vorrà farci del male.
-Non vedo l’ora che arrivi il giorno delle elezioni – dichiarò Sam rivolgendosi a Georgie – darò il mio voto al conte Gerald, il mio primo voto!
-Grazie – sorrise Georgie stringendogli la mano – mio padre si sta adoperando per migliorare le condizioni di tutti gli agricoltori, non dovrete lasciare le vostre terre ma con l’aiuto delle sovvenzioni potrete continuare a svolgere il vostro lavoro rimanendo i proprietari delle fattorie.
-È quello che spero – ammise Carter – la terra è la mia vita, mia e della mia famiglia e non permetterò a nessuno di togliermela.
L’ottimismo di Sam aveva contagiato tutti, lo ringraziarono più sereni poi si diressero su alla collina, ora dovevano parlare tra loro ed ognuno doveva aprire il proprio cuore agli altri.
Sam stava per andarsene quando videro due uomini a cavallo avanzare velocemente verso la fattoria. Fu un attimo, lanciarono qualcosa contro il fienile e si dileguarono rapidamente. Dalla collinetta scorsero il fuoco, quei due avevano appiccato un incendio. Abel, Arthur e Georgie corsero giù immediatamente mentre Sam urlava:
-Sono gli uomini del duca, erano con lui in paese!       
Sentirono delle grida, erano i bambini, Eric e Sophie stavano giocando accanto al fienile. Anche Maria, avendo udito le urla, era uscita di casa e si era precipitata da loro. Il fuoco si stava propagando facilmente, Maria fece scappare i bimbi ma lei rimase intrappolata tra le fiamme. Arrivati sul posto i tre uomini cercarono immediatamente di tirare fuori Maria mentre Georgie si occupava dei bambini terrorizzati. Riuscirono a salvarla ma respirava a fatica, Arthur la prese fra le sue braccia e la portò sul carro di Sam pronto a dirigersi verso l’ospedale.
Georgie – riuscì solo a dire Maria con un filo di voce – ti affido il mio Eric.
Disperata Georgie era a terra in lacrime mentre vedeva il carro andar via velocemente.
-Presto! – urlò Abel concitato – Dobbiamo domare l’incendio, ho mandato i bambini a cercare aiuto.
Iniziarono a prendere l’acqua ma il fienile era ormai tutto in fiamme. Arrivarono gli altri contadini in soccorso, tutti collaborarono velocemente per cercare di spegnere l’incendio. Georgie ed Abel si passavano i secchi d’acqua senza mai fermarsi, le loro mani si erano di nuovo unite per sostenersi a vicenda, per salvare ciò che poteva essere salvato. Non c’era tempo per i discorsi, i rancori, le gelosie, ora si pensava soltanto a salvare la fattoria.
Tutto finì che era notte, l’incendio era cessato ma intorno era distrutta ogni cosa. Il fienile, la stalla, l’ovile tutto era bruciato, non c’era rimasto nulla. Soltanto la casa si era salvata ma della fattoria Buttman restava soltanto cenere.
Abel era a terra stremato, Georgie lo aiutò ad alzarsi. Rimasero lì, in piedi, ad osservare quello sfacelo in lacrime.
-Ci dispiace – disse un contadino costernato – ce l’abbiamo messa tutta.
Abel ringraziò con gli occhi lucidi.
-Speriamo – aggiunse un altro – ci siano almeno buone notizie da Sydney, per Maria.
Lentamente, andarono via tutti gli agricoltori, tristi, a testa bassa, Abel disse a Georgie:
-Prendi i bambini e andiamo a casa nostra.
Lei andò verso Eric e Sophie che erano stanchi e sconvolti. 
-La mia mamma si salverà? – chiese Eric.
-Lo spero tanto – rispose Georgie piangendo mentre lo prendeva in braccio e lo stringeva forte come fosse figlio suo.   
 
 

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Capitolo 17
*** Speranze ***


A casa Georgie faticò a mettere al letto i bambini, Eric era disperato, Sophie spaventata e nessuno dei due voleva dormire. Quando, finalmente, presero sonno Georgie scese in cucina dove c’era Abel, seduto con i gomiti appoggiati sul tavolo che piangeva. Lei lo raggiunse e lo accarezzò sulle spalle.
-È finito tutto – disse lui – tutto! È solo colpa mia, sono un egoista, se vi avessi ascoltato ora non sarebbe successo questo.
-No Abel – sussurrò Georgie   - non addossarti tutte le colpe.
-Se Maria dovesse morire – continuò Abel – io andrò via. Tu vivrai con Arthur, Eric, Sophie ed Abel Junior. Io andrò via per sempre, per mare.
-Non lo dire – urlò Georgie – Maria vivrà e tu resterai qui.
-Voglio morire io al posto suo! – gridò Abel distrutto.
Erano lì entrambi, tristi e angosciati, mano nella mano e rimasero così fino alle prime luci dell’alba.
Quando i bambini si svegliarono era ormai giorno fatto, Georgie sistemava la tavola ed Abel era fuori.
-È tornato papà? – chiese Eric ansioso.
-No piccolo mio – rispose Georgie – ancora no. Ora sedetevi e mangiate qualcosa.
Mentre i bimbi facevano colazione Georgie raggiunse Abel che camminava per il cortile nervoso.   
-Che tormento! – disse lui – Stare qui e non poter sapere nulla. Ho paura Georgie, ho paura per Maria.
Georgie lo osservava, era così sofferente e pieno d’ansia, così inquieto, avrebbe voluto abbracciarlo e stringerlo forte ma non lo fece. Non dissero niente, ma erano lì, insieme, a sperare per Maria. Maria, quella ragazza che aveva per prima salvato i bambini a costo della sua stessa vita e aveva poi affidato a Georgie il suo bene più caro, il suo adorato figlio Eric.
Speravano Abel e Georgie, speravano e pregavano insieme, ancora una volta uniti nonostante tutto.
Ad un certo punto videro arrivare un carro, era il carro di Sam con Arthur.
-Georgie – urlò Abel – vai in casa e non far uscire Eric. Non voglio che senta se la notizia è la peggiore.
Georgie corse subito dentro mentre Arthur saltò giù dal carro ringraziando Sam per raggiungere Abel sulla soglia.
Arthur era distrutto, avanzava lentamente verso l’uscio, Abel gli andò incontro ma non riusciva a proferir parola. Si guardarono negli occhi e Arthur piangendo disse:
-È salva, ce la farà!
Erano lacrime di gioia, tutte le tensioni erano scomparse ormai.
-Eric! – urlò Abel – Vieni fuori c’è il papà! La mamma sta bene.
Il bimbo corse subito fra le braccia di Arthur e Georgie, con le lacrime agli occhi, teneva stretta Sophie.
Maria era riuscita a salvarsi, ora era in ospedale e vi sarebbe rimasta per un po’ di tempo. Fritz e Abel junior erano con lei per permettere ad Arthur di tornare alla fattoria.
 
Abel raccontò al fratello di come avevano domato l’incendio, di quanto tutti i contadini della zona si erano adoperati per spegnerlo, tutti uniti, insieme. Ma quando giunsero alla fattoria per Arthur fu un dolore immenso.
Non c’era più nulla, tutto distrutto, tutto il lavoro e la fatica di anni bruciati via in una notte. S’inginocchiò, prese in mano un po’ di terra e pianse tenendola stretta. Abel e Georgie non avevano il coraggio di avvicinarsi, fu Eric che corse da lui e con l’entusiasmo tipico dei bambini gli disse:
-Ricostruiremo tutto papà. Ti aiuterò anch’io, sono un Buttman!
Allora Abel li raggiunse e tese la sua mano al fratello dicendo:
-Sono qui, per ricominciare.
Arthur si alzò e disse:
-La fattoria Buttman tornerà quella di una volta. Sarà un lavoro lungo ma insieme ce la faremo.
-Sì, insieme – sottolineò Abel.
Georgie, con in braccio Sophie, piangeva in silenzio. Questa volta erano lacrime di speranza. 
 

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Capitolo 18
*** Ricominciare ***


Il lavoro di ricostruzione iniziò quasi subito. Arthur e Abel decisero di ripartire insieme per far rinascere la fattoria Buttman. Sapevano che il cammino sarebbe stato lungo e faticoso ma il sostenersi a vicenda era uno stimolo per andare avanti. Avevano poi l’appoggio e l’aiuto degli altri agricoltori che facevano a turno per dare una mano e collaborare insieme. Dopo l’incendio si erano ribellati al duca e non avevano più trattato con lui, ormai tutti avrebbero votato per Gerald con convinzione. L’unico modo per sconfiggere il duca era il voto, inutile vendicarsi, l’odio avrebbe portato soltanto altre sciagure e sofferenze.
Fritz era tornato nelle campagne, aveva elogiato i contadini per la solidarietà dimostrata ai Buttman e apprezzato molto l’aiuto materiale che ogni famiglia di agricoltori stava portando ad Arthur.
-L’aiuto dei fattori – disse il conte ad Abel che lo riaccompagnava alla carrozza – è stato determinante. La fattoria può rinascere con l’unità e la cooperazione, Bowden deve essere sconfitto con le elezioni e basta.
Abel annuì, Fritz gli mise le mani sulle spalle e disse guardandolo negli occhi:
-Deve essere stato difficile per te riavvicinarti ad Arthur, apprezzo enormemente il tuo gesto.
-In quella fattoria ci sono nato – rispose Abel con fermezza – è la terra di mio padre, della mia famiglia. 
Gerald salì sulla vettura e ripartì per Sydney portando con sé l’immagine degli occhi sicuri di Abel che riflettevano l’amore per quella terra e per la piccola Sophie. Fritz sapeva quanto Abel amasse quella bambina e sapeva anche quanto aveva amato Georgie. Guardando fuori dal finestrino sperava ci fosse un lieto fine per la famiglia Buttman e la serenità di sua figlia e della bambina era il suo primo pensiero, ancor prima delle imminenti elezioni.
Anche Georgie lavorava sodo: aiutava alla ricostruzione, badava ai bambini e si occupava della casa. Arthur ed Eric si erano trasferiti momentaneamente da lei ed erano tutti quanti sotto lo stesso tetto con l’unico obiettivo di risistemare la fattoria. Maria sarebbe presto uscita dall’ospedale e avrebbe passato la convalescenza nella casa in paese che Kevin aveva lasciato a Georgie, era vicino allo studio del dottor Dewy e lei aveva ancora bisogno di cure. A scuola c’era la sorella di Sam che la sostituiva e i bambini attendevano con ansia il suo ritorno collaborando anche loro alla ricostruzione. Capeggiati da Eric andavano alcune volte, dopo le lezioni, ad aiutare Abel, Arthur e gli altri fattori e portavano una ventata di ottimismo che faceva sempre bene agli adulti.
Georgie sistemava la sua casetta in paese per renderla accogliente quando sarebbe arrivata Maria. Con Abel non aveva più affrontato l’argomento di Sophie, lui era ritornato a casa ma la priorità ora era la fattoria. Tra i due fratelli sembrava esser tornata la pace, dalla mattina al tramonto erano al lavoro per ricostruire tutto e quella terra, la terra dei loro genitori, era come avesse risaldato il loro rapporto.
Georgie, in realtà, non sapeva cosa i due si erano detti, se si erano confidati, se erano tornati a parlare della paternità di Sophie. Sapeva soltanto che lei e Abel non riuscivano ad aprirsi, a comunicare, a dichiararsi i loro sentimenti. Lui era spesso scostante, nervoso e la sera, quando tornava dalla fattoria con Arthur, Georgie si occupava della cena e dei bambini che dormivano con lei. Eric era molto provato dalla mancanza della mamma, quindi con Abel non aveva mai neppure l’occasione di chiarirsi e parlare.   
Da quando avevano cercato di spegnere l’incendio insieme, Georgie sentiva di nuovo dentro quel forte sentimento che la legava ad Abel da sempre, era lui l’uomo che voleva accanto ma la questione di Sophie l’aveva così ferito che lei non sapeva come uscirne fuori.
Mentre spazzava la cucina pensava e non riusciva a trovare una soluzione.
-Quanto mancano i tuoi consigli zio Kevin! – disse tra sé e sé riordinando le stoviglie – Ora avrei proprio bisogno delle tue sagge parole!
Quella casa le ricordava il vecchio zio e l’ultima volta che l’aveva visto, quel caloroso abbraccio e la promessa di tornare a confidarsi il giorno dopo. Ed invece Kevin era morto proprio quella notte dopo aver chiamato il notaio Evans per far aggiungere quella postilla al testamento. Perché? Georgie non aveva mai avuto il tempo di riflettere sulla questione ma l’essere tornata in quella casa l’aveva fatto ricordare quel particolare. Quel messaggio era per lei: “Cara Georgie, i legami di sangue non sono i più importanti”. Cosa aveva voluto dire lo zio con quelle semplici parole? Tutti avevano pensato al fatto che loro non erano veri parenti di Kevin ma la frase era rivolta solo a Georgie. Perché? Stava ripensando all’ultimo pomeriggio passato con lo zio Kevin quando le cadde una scodella dalle mani rompendosi in mille pezzi.
-Certo! – pensò – Ecco cosa voleva dire con quelle parole! Erano rivolte a Sophie. Non erano importanti i legami di sangue, Sophie era cresciuta con Abel e per lei era Abel suo padre.
Georgie lasciò i cocci in terra, si tolse il grembiule, chiuse la porta e prese il calesse per raggiungere Abel. Era giunto finalmente il momento di parlare a cuore aperto.   
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Per amore di Sophie ***


Tornò a casa ma Abel non c’era, forse era ancora alla fattoria con gli altri. Georgie lasciò il calesse e prese soltanto il cavallo, iniziò a galoppare veloce quando, passando accanto al fiume, le sembrò di scorgere Abel. Rallentò la corsa e capì che non si era sbagliata, era proprio lui. In piedi, con la schiena appoggiata al tronco di un albero, osservava il cielo ed aveva uno sguardo assorto e triste. Georgie lo chiamò mentre scendeva da cavallo.
-Cosa fai qui? – le chiese lui.
-Venivo da te – rispose sorridendo lei.
-Non eri alla casa in paese? – domandò Abel.
-Sì – rispose Georgie – ma ho capito che devo parlarti e non ce la faccio più a tenermi tutto dentro.
Lei prese le sue mani e lo guardò negli occhi dicendo:
-Io ti amo Abel, ti prego ricominciamo tutto da capo. Perdonami. Non riesco ad immaginare un futuro senza di te. Tu per Sophie sei il padre che ha sempre amato, che l’ha cresciuta con amore e dedizione. Questo è l’importante.
-Non è facile per me, Georgie – disse lui con vigore – sapendo che la bambina può essere la figlia di Arthur.
La fissò intensamente e dopo una pausa sottolineò:
-Non di uno qualunque ma di mio fratello! 
Georgie scoppiò in pianto e sussurrò:
-Io amo solo te Abel, ho sempre amato solo te. Quel pomeriggio con Arthur…
-Non parlare più, ti prego – la zittì lui – so tutto!
Le asciugò le lacrime e le disse:
-Arthur mi ha raccontato ogni cosa. Avrei dovuto ucciderlo? No, mai…anzi più passa il tempo e più ho voglia di ritornare ad essere una famiglia con te, Sophie e Abel Junior. Non ce la faccio ad odiarti Georgie, anch’io non amo che te.
Si baciarono con passione dopo tanto tempo ma poi Abel voltandosi verso il fiume disse:
-Arthur ha diritto all’amore di Sophie, non sarò io a negarglielo, non me la sento. Se lui è il padre io devo farmi da parte.
-Ti prego – disse Georgie – andiamo da lui e chiariamo tutta la faccenda insieme, io non riesco più a vivere così.
Corsero al cavallo e galopparono verso la fattoria, come ai vecchi tempi, Georgie con i capelli al vento ed Abel che con le redini in mano sentiva dentro di sé l’amore scoppiare fortemente.
Trovarono Arthur che assieme a Sam e ad altri due agricoltori stava ricostruendo l’ovile.
-Abel, sei di nuovo qui? – gli domandò il fratello.
-Sì – rispose lui – io e Georgie volevamo parlarti.
Arthur lasciò gli attrezzi a terra e propose loro di andare di nuovo sulla collinetta, questa volta con tranquillità e senza alcun pericolo.
Arrivati lì si sedettero sull’erba e Georgie annunciò:
-Io e Abel vogliamo riprovare ad essere una famiglia.
-È una bellissima notizia - disse Arthur sorridendo.  
Abel era in silenzio poi, ad un tratto, disse al fratello:
-Non voglio toglierti la gioia di essere il padre di Sophie, mi farò da parte, se vuoi.
-Tu l’hai cresciuta – disse Arthur – tu sei suo padre.
-Ma sai che non è vero! – rispose Abel con impeto – Molto probabilmente il padre sei tu.
-E cosa dovrei fare? – esclamò Arthur – Non credi che per Sophie sia un cambiamento troppo drastico? Ne soffrirebbe molto. E poi dovrei dare un dispiacere enorme a Maria ed è l’ultima cosa che voglio.
Nominando Maria ad Arthur si riempirono gli occhi di lacrime, guardò Georgie e le disse:
-Come potrei lasciare Maria? L’unica donna che mi ha sempre compreso, accettato, confortato e amato come nessuno al mondo. Ha già sofferto tanto! Nell’incendio ho temuto di perderla ed ho capito che voglio soltanto stare con lei.
-Mi ha affidato il suo bambino – disse Georgie – nonostante si sia sentita tradita Maria ha ancora fiducia in me.
Allora Abel prese la parola:
-Siamo una grande famiglia, ora cercheremo di far ripartire la fattoria e di aiutarci gli uni gli altri anche per il bene dei nostri figli.
-Sono d’accordo – riprese Arthur – lasciamo le cose come stanno e non soffrirà più nessuno.
-Arthur – disse Abel – la tua è una grande rinuncia.
-Non la vivo come una rinuncia – rispose il fratello – ma come un atto d’amore.
-Sì – disse Georgie – Sophie è figlia dell’amore e di amore attorno ne ha veramente tanto.
E guardando verso la fattoria strinse forte le mani di Abel e di Arthur sapendo che non si sarebbero lasciati mai più.       
 

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Capitolo 20
*** Come una fiaba ***


La piccola Sophie aveva messo i fiori in un bel vaso al centro del tavolo e stava sistemando la tovaglia assicurandosi che non fosse troppo lunga da un lato e troppo corta dall’altro.
-Sei stata molto brava – le sorrise Georgie – proprio brava.
-Voglio che zia Maria trovi tutto perfetto qui – disse la bimba contenta.
Tra poco infatti sarebbe arrivata Maria, finalmente aveva lasciato l’ospedale ed avrebbe alloggiato nella casetta al paese. Aveva bisogno di riposo assoluto e quell’abitazione era l’ideale, vicino allo studio del dottore e abbastanza tranquilla e silenziosa.
Georgie aveva preparato tutto con cura ma era tesa e pensierosa. Lei e Maria non avevano avuto mai l’occasione di parlare e, seppur tra Abel e Arthur era tornata la serenità, non aveva capito fino in fondo quali fossero i veri sentimenti della cognata. Osservava Sophie e si chiedeva come Maria potesse rapportarsi alla bambina, dentro sentiva ancora un forte senso di colpa.
Un rumore la distolse dai suoi pensieri, erano Abel ed Eric che rientravano in casa.
-Quanto ci mettono ad arrivare? – chiese il bambino impaziente, si riferiva infatti ai suoi genitori.
-Tra poco dovrebbero essere qui – rispose Abel – l’attesa sarà breve.
-È tanto che aspetto il ritorno della mamma! – sospirò Eric.
Abel era commosso mentre guardava il nipote che si metteva alla finestra trepidante. 
-Maria me lo ha affidato – disse piano Georgie – ha ancora fiducia in me.
-Certo – rispose Abel – devi stare tranquilla.
Ma Georgie tranquilla non lo era e sobbalzò nel sentire il nitrito di un cavallo e la frenata delle ruote di una carrozza.
-Sono loro! – urlò Eric correndo veloce fuori casa.
Abel, Georgie e Sophie si fermarono sulla porta perché avendo visto Eric che dopo giorni e giorni finalmente riabbracciava la sua mamma preferirono non spezzare quell’incanto.
Maria entrò in casa tenendo il suo bambino per mano e accompagnata da Arthur. Subito Sophie le corse incontro per salutarla e la zia le accarezzò dolcemente la testa bionda. Georgie era in disparte, Abel si avvicinò dicendo:
-Bentornata Maria, siamo tutti molto felici di rivederti qui e in salute.
-Grazie – rispose lei – mi sento meglio soprattutto perché sono tornata dalla mia famiglia.
-Io e la mamma – disse Sophie – abbiamo preparato la tua stanza e io ho sistemato quei fiori.
E indicò il vaso sul tavolo.
-Bentornata – esordì Georgie avvicinandosi.
Maria la salutò con un cenno del capo ma non disse nulla.
-Riposati ora – le suggerì Arthur – il viaggio è stato comunque faticoso per te.
Maria annuì e andò a sedersi sul piccolo divano accanto al tavolo. 
-Mammina – le disse Eric sedendosi anch’egli – voglio rimanere qui con te.
-No – disse Arthur - ti ho già detto che andrai a casa con gli zii, c’è la scuola domani, potrai stare dalla mamma tutti i pomeriggi.
-Non m’importa più della scuola! - sbuffò il bimbo.
-Non farmi stare in pena – disse Maria.
-Quando tornerai in classe? – domandò Sophie andando accanto a loro sul divano.
-Adesso basta – li rimproverò Abel – Maria deve prendersi tutto il tempo per riposare e voi andrete a scuola, dalla signorina Carter!
--Non è lo stesso! – ribatté Sophie.
-La signorina Carter è noiosa – piagnucolò Eric.
-Sciocchezze – disse Abel – basta coi capricci!
-Ma – continuò Sophie – non ci racconta mai le fiabe prima d’iniziare la lezione!
-È vero – aggiunse Eric – solo compiti su compiti.
-E voi quello dovete fare! – ribadì Arthur.
-Mamma, raccontaci una fiaba ora – gridò Eric.
-Sì, sì – disse Sophie con gioia – quelle storie che inventi tu zia.
Abel spazientito stava per condurre fuori i bambini ma Maria sorridendo guardò Georgie e disse:
-Bene, vi racconterò questa fiaba.
Ed iniziò. Tutti ascoltarono in silenzio.
“C’era una volta, in un regno lontano, un re ed una regina che vivevano in un grande castello ed avevano una figlia bellissima. Era una bambina con i capelli d’oro e gli occhi azzurri come il cielo, dolcissima e buona. 
Una mattina la regina era con la figlia presso un laghetto, la bimba iniziava a camminare e la mamma la seguiva passo passo lungo la riva. Nel laghetto c’erano dei cigni bianchi e la piccola con la mamma tiravano loro delle molliche di pane per farli mangiare. Erano felici e serene ma, ad un certo punto, arrivò un cigno nero che afferrò la bimba e volando la portò via. La regina disperata in lacrime vedeva la sua piccola che spariva lontano nel cielo. In realtà il cigno era una strega nera che, invidiosa della felicità dei reali, abbandonò la bambina in un bosco lontano convinta che lì sarebbe morta di stenti. Invece la bimba fu trovata da un povero taglialegna che la portò a casa sua. La principessina crebbe felice con il taglialegna e sua moglie che, anche se non erano ricchi, diedero tanto amore a quella bambina così dolce e bella. Intanto il regno era sprofondato nella miseria più assoluta perché i reali, dopo la scomparsa della figlia, non erano più felici ma tristi e sconsolati. Un giorno il taglialegna era nel bosco con la moglie e la bambina e, camminando camminando, giunsero al laghetto dove c’era un cigno nero. Intorno tutto era in rovina: il castello, la vegetazione, le case. Il cigno, appena vide la bambina, le si avventò contro ma il taglialegna lo uccise mozzandogli la testa. Tutto improvvisamente rifiorì, le piante, gli uccellini ricominciarono a cinguettare e nel laghetto tornarono i cigni bianchi. Il re e la regina uscirono dal castello stupiti e videro la loro amata figlia accanto al laghetto. La riconobbero e l’abbracciarono con amore.  Il taglialegna e la moglie, avendo capito che la bimba aveva ritrovato i suoi veri genitori, stavano per andar via ma il re li fermò dicendo:
-Anche voi siete i genitori della bimba, l’avete cresciuta con amore incondizionato. Vivremo tutti insieme al castello per sempre, come una grande famiglia.
E così fu.”
-Grazie per la fiaba! – gridarono i bimbi in coro.
-Di nulla – rispose Maria – l’ho inventata ora.
Eric baciò la sua mamma poi, insieme a Sophie, seguì Abel e Arthur che andavano a preparare il carro e il cavallo fuori. 
Georgie, con le lacrime agli occhi, abbracciò Maria dicendole con un sorriso dolce, un po’ da bambina, solamente:
-Grazie, ti voglio bene!
-Siamo una grande famiglia – le sussurrò Maria sorridendo.
E Georgie pensò che ora poteva essere finalmente felice e contenta.
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Finalmente arrivò il giorno delle elezioni, tutti dalle campagne si diressero a Sydney per eleggere i membri della Camera. Georgie, Maria e i bambini erano davanti al Municipio e aspettavano Abel ed Arthur che erano entrati per apporre il proprio voto.
Maria ormai si era completamente ristabilita, era tornata a casa e aveva ripreso il suo lavoro di insegnante. La fattoria stava rinascendo grazie all’impegno di tutti anche se lentamente e con alcune difficoltà. La vittoria di Gerald poteva rappresentare una grande svolta per gli agricoltori e quel giorno in tanti si erano recati in città per il voto.
Quando Abel ad Arthur uscirono dal Municipio c’era Fritz con loro, i bambini corsero subito a salutarlo.
-Venite – disse il conte allegro – andiamo nel cortile dietro il palazzo, c’è un bel verde ed oggi è proprio una buona giornata di sole.
-Allora papà – esordì Georgie – hai buone notizie?
-I risultati non si sapranno prima di domani ma sono molto ottimista – rispose Gerald sorridendo.
Il cortile era circondato da un muro e al di là di esso si vedeva il mare, i bambini corsero subito a sedersi lì, contenti e felici.
-Bene – comunicò Fritz – tra poco andremo a pranzo tutti insieme, siete invitati da me.
Allora Sophie seduta sul muretto accanto a Eric disse guardando Georgie:
-Mamma, ma tu e zia Maria non andate a votare per il nonno?
-Non possiamo – rispose Georgie - siamo donne e le donne non votano.
La bimba era incredula e chiese il perché di questo divieto.
-È la legge – le spiegò Maria – le donne non hanno diritto di voto, soltanto gli uomini possono eleggere e farsi eleggere.
Sophie, un po’ delusa, disse:
-Quindi quando saremo grandi Eric potrà votare e io no?
Eric iniziò a prenderla in giro e Fritz avvicinandosi cominciò a dirle:
-Vedi Sophie, prima soltanto i nobili potevano esprimere le proprie opinioni, scegliere i loro rappresentanti, decidere le leggi, poi si è esteso questo diritto a tutti gli uomini di qualunque estrazione sociale, senza distinzione. Il mondo sta cambiando, ognuno di noi deve avere stessi diritti e stessi doveri ed io sono sicuro che un giorno, quando tu sarai grande, anche le donne potranno votare per migliorare il futuro di questo paese. E potranno anche essere elette per governare insieme agli uomini. Ci vorrà tempo ma sarà realtà.
-Quando sarò grande? – domandò Sophie.
-Certo, voi siete il futuro di questo Paese! – disse forte Fritz.
-Io da grande sarò un ingegnere navale – disse Abel Junior sicuro.
-E io un agricoltore come papà – affermò Eric fiero.
-E io – disse Sophie – sarò eletta come il nonno e governerò bene il mio Paese.
Tutti risero e Georgie aggiunse:
-Hai sogni ambiziosi, piccola mia!
-Sono una Buttman mamma – rispose lei – non te lo scordare.
E certamente lo era.
    
 
Fine
 
E siamo così giunti al finale, all’epilogo di questa mia seconda storia su Georgie.
Volevo innanzitutto ringraziare chi mi ha seguito, chi ha letto tutti i capitoli, chi ne ha letto solo qualcuno, chi si è soffermato anche solo per poco tempo, siete stati veramente tanti.
Ringrazio chi ha recensito sempre o alcune volte, Sissi1978, Vento di Luce, Tetide, Rebecca_lily, CarSav, Alarnis, Galadriel78, Kika777, Basileia90, le vostre parole sono state preziose e mi hanno stimolato a migliorare, mi piacciono i confronti costruttivi e propositivi, è da poco che scrivo e tutto mi è utile per progredire.
Non so se questo era l’epilogo che vi aspettavate, spero sia stato di vostro gradimento…questi personaggi mi sono entrati un po’ nel cuore, come degli amici inaspettati con cui ti trovi bene fin dal primo istante. Vorrei continuare a scrivere di loro, dei bambini divenuti adolescenti con i sogni e gli amori tipici di quell’età, ho delle idee che mi piacerebbe sviluppare e vorrei buttare giù un altro racconto, se ci riesco vorrei condividerlo con voi…scrivere mi fa stare bene, tra gli impegni di lavoro e le incombenze della vita quotidiana è una dolce e tranquilla evasione.
Francesca
 

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