Res Derelictae

di Crudelia 2_0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
 
 

Tornare a Rivombrosa ti trasmette, ogni volta, malinconia. Non solo i ricordi dei tuoi genitori, dell’infanzia tornano alla mente, ma la gentilezza di Elisa ti ferisce. È troppo gentile, con te, che non lo meriti. Sorridi tirata a tutti, a disagio, e rimproveri Emilia con forse troppa acredine. Te ne sei pentita non appena ti ha voltato le spalle chine, lo sguardo basso.

E adesso questa lettera. Non sai come ti sia finita tra le mani, a quante pulizie è sopravvissuta per arrivare adesso tra le tue dita tremanti, ma  è qui, nero sbiadito su bianco ingiallito. Gli anni sono stati impietosi sulla carta come le parole che scrivesti lo sono adesso per te.
 

Non voglio essere come lei. Quando sarò madre non commetterò gli stessi errori che mi stanno facendo subire. Terrò alto il nome della famiglia, ma a quale prezzo! Non lo sanno, loro, come sono viscide le sue mani, come mi tocca quando siamo soli. Che ne sarà di me quando sarò sua sotto gli occhi degli uomini e di Dio, quando non potrò più ribellarmi? Io…
 

Si interrompe così, non ricordi ormai cosa avresti voluto aggiungere. Lo stomaco si stringe fino a farti venire la nausea, le lacrime ti chiudono la gola. Stai facendo ciò che ti eri ripromessa?

No.

Emilia soffre dei tuoi rimproveri troppo bruschi e troppo frequenti. Non vorresti rubarle la libertà, ma imponendole le rigide regole del protocollo reale sai di farlo.

Sospiri per sciogliere il groppo che ti appesantisce e ripercorri la strada a ritroso, i tacchi echeggiano sul marmo al ritmo dei tuoi rapidi passi. Continui alla stessa velocità anche all’esterno, ti fermi dopo pochi passi quando Amelia ti viene incontro, le gonne tra le mani per non impicciare la
corsa.

Ti raggiunge. “Contessa.” Una lieve riverenza, una mano posata sul petto a cercare di regolarizzare il respiro affannato. Apre la bocca per continuare, ma viene interrotta dalla persona che stavi cercando.

Emilia corre sorridente, si guarda alle spalle ridendo. Immagini stia scappando da qualcuno- da Martino- i capelli spettinati e le guance arrossate. Si interrompe bruscamente quando ti vede, il petto si muove veloce e gli occhi sgranati. Pensa che la sgriderai, come fai sempre, e sai che dovresti farlo. Senti invece nascere un sorriso sulle tue labbra, la lettera che ancora rimbomba nella tua mente.  Il silenzio si protrae e tu sai che dovresti parlare. E lo fai, ciò che dici, però, sorprende tutte e tre.

Te, tua figlia, la cameriera.

“Fa’ attenzione a ripettinarti, prima di cena.”

Il volto della bambina si illumina di un sorriso ampio, tutto denti e fossette. Annuisce mentre viene verso di te e ti abbraccia. Si lancia sulla tua vita, a dire il vero, ti stringe tra le braccia premendo il bustino rigido. Dovresti riprenderla anche per quella dimostrazione d’affetto troppo aperta, ma la lasci andare con una carezza sui boccoli spettinati.
Non voglio essere come lei…   

La guardi correre con le gonne alzate e i capelli al vento, la bella acconciatura caduta sulle spalle. Pensi che forse sei ancora in tempo a recuperare, ad essere migliore. La guardi finché l’ultimo lembo di stoffa sparisce dietro l’angolo ignorando lo sguardo di Amelia su di te. Il tuo nome è macchiato dalle azioni di tuo marito, se per una volta parleranno di te perché hai fatto un atto di gentilezza non sarai tu a correggerli.

Per una volta.

Ti volti verso la donna al tuo fianco, indugiando con lo sguardo agli angoli della bocca increspati in un sorriso.

“Ebbene?” La riporti ai suoi doveri, sei più curiosa che impaziente, adesso.

Amelia apre la bocca per parlare, ma ne esce un rantolo. Sgrana gli occhi, porta una mano al petto e inizia a batterlo, forsennatamente.

“Amelia!” Fai un passo verso di lei, allarmata. La prendi per un gomito e l’accompagni alla fine sedia bianca vicino a voi. Non ti curi dell’abito pregiato e ti inginocchi davanti, le fai aria con il ventaglio mentre chiami a gran voce i soccorsi.

Amelia continua a boccheggiare e l’unica cosa che fai, senza pensare, è toglierle la cuffia e aprirle il corsetto oltre la decenza. Smetti di allentare i lacci quando ormai la stoffa pende in due lembi abbandonati contro i fianchi, la camicia rivela il solco tra i seni provati dagli anni.

Ricominci a farle aria mentre qualcuno di cui scorgi solo la mano le porge un bicchiere d’acqua. La vedi afferrarlo e quasi metà del contenuto cade tanto sono forti i tremori delle sue dita.

Beve qualche sorso, riprendendo un po’ di colore sulle labbra. Ti guarda e un fugace sorriso passa nei suoi occhi, poi perde i sensi.
 


 
“Solo un mancamento, dovuto al caldo e all’affaticamento. Dobbiamo essere grati alla Contessa Ristori per essere intervenuta così prontamente.”

Non ti volti a quelle parole, continui a guardare la lieve brezza che scuote gli alberi fuori dalla finestra. Lasci che sia Elisa a rispondere, mentre quell’accennato complimento ti scivola dentro e si ferma nel tuo petto.

“Bene, se è tutto allora…” lasci la frase in sospeso, camminando verso la porta. Eviti ogni sguardo, vuoi solo lasciare quella stanza. L’aria è troppo pesante, se la condividi con lui

“In verità, Contessa, vorrei parlarvi.” Ti ferma. Stringi le labbra con disappunto. Il tuo primo istinto è negare, scappare  e mettere quanta più distanza fra te e quegli occhi troppo chiari che ti guardano con una celata supplica.

Quindi annuisci, secca, e aspetti mentre istruisce Elisa sui sali da somministrare ad Amelia e chiude la valigetta di cuoio. Lo accompagni al calesse in silenzio, sentendo crescere dentro te l’ansia ad ogni passo. Quando arrivate al piccolo carro posa la valigia e ti fa cenno con un braccio verso i giardini. Lo assecondi, come se fosse lui il padrone di casa, ma soltanto perché non riesci a sentire nient’altro se non il cuore che, furioso, ti pulsa nelle tempie.

Fate un po’ di strada in silenzio quando, il cappello tra le mani, decide di parlare.

“Ho visitato vostro marito, qualche tempo fa.”

“Alvise?” Ti senti un po’ sciocca a ripetere il nome di tuo marito con così tanta sorpresa, ma immaginarti i due uomini in tale contesto ti destabilizza.

“Se posso permettermi, Contessa.” Esita, umettandosi le labbra. Quel gesto, quel guizzare di lingua, ha il potere di farti dimenticare il lieve fastidio che ti suscita quando si rivolge a te con quel titolo. Per tutti sei la Marchesa Radicati, non per lui. “Avete adempiuto ai vostri doveri coniugali, ultimamente?”

Ti fermi, gli occhi sgranati. “Ma come vi permettete?” Avresti voluto suonare indignata, ma sembrava uno sconcerto strozzato.

I suoi occhi limpidi ti guardano di rimando, calmi e tranquilli, in attesa.

“Devo saperlo, Contessa.”Riprende serafico, portando le mani dietro la schiena.

Deglutisci. Sbatti le palpebre, cercando una risposta che al momento proprio ti è inarrivabile. Poi riprendi il controllo e apri il ventaglio, iniziando a farti aria con stizza. “Ciò che faccio con mio marito non sono affari vostri, dottore.” Rimarchi sull’ultima parola.

Lui non si scompone, tradito solo da un lieve sospiro. “Contessa, vi prego…”

“Ditemi, allora, perché lo volete sapere.” Lo sfidi con lo sguardo. Lui, che ha avuto l’ardire di tale domanda, che almeno ti dia una spiegazione.

Questa volta prende fiato, guardandoti attentamente. “Vostro marito è malato.” Una pausa. “Ha la sifilide.”

Le parole cadono tra voi e attraverso di te. Un pugno nello stomaco. Ti manca il fiato e quella domanda, tanto sfrontata, ora appare velata di preoccupazione.

“Io… Lui…” Boccheggi. “Noi-“ Ti interrompi, il fiato ti si mozza in gola.

Ciò che vorresti dirgli è che non ti è permesso sottrarti a quei doveri che devi assecondare ogniqualvolta tuo marito li richiede. Vorresti dirgli che adesso capisci i rapporti dell’ultimo periodo: più violenti, più veloci,più rabbiosi. Vorresti gridare che è un egoista. Te l’aspettavi, vista la quantità di donnette che frequenta, ma pensavi avesse la grazia di tenertene fuori. E ad Emilia, non ha pensato? Rimarrà sola se anche tu…

Non riesci neanche a finire il pensiero mentre un gemito sale alle tue labbra.    

Riporti gli occhi su di lui e lo trovi più vicino di quanto sia lecito. Nei suoi occhi c’è preoccupazione, ma , ne sei sicura, anche pietà. Non riesci a sopportarla.

Vorresti dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma ti anticipa. “Quanto rimarrete a Rivombrosa?”

“Tre giorni.” È un sussurro.

“Lasciate che venga dopodomani, allora. A visitarvi.”

Ancora una volta provi l’impulso di contestare, porre il veto ad ogni sua richiesta solo per il gusto di non assecondarlo, ferirlo. Ma la preoccupazione nella sua voce ha il sopravvento, e cedi. Annuisci senza guardarlo, senza energia.

Quando ti passa accanto, mettendosi il cappello con un inchino e congedandosi, rimani immobile, lasciando che le sue gambe sfiorino le tue gonne indugiando in una fugace carezza.
 




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 


Il giorno seguente l’hai passato in attesa, perennemente distratta. Questa mattina il sole ti ha trovata già sveglia e hai ricominciato- non hai mai smesso- ad aspettare. Quando senti il calesse schiacciare la ghiaia del cortile il cuore ti batte ad un ritmo così forsennato che temi possa uscirti dal petto.

Bussa alla tua porta dopo quelli che ti sono sembrati secondi troppo, troppo brevi.

Vi scambiate saluti e formalità privi di importanza, inudibili sotto il rombo nelle tue orecchie. Poi un’affermazione infrange quel vetro, l’ultima tua protezione.

“Dovreste togliervi la veste.”

Deglutisci, prima di annuire. Le mani incontrano i primi lacci e tremano, speri lui non se ne accorga, ma i suoi occhi su di te bruciano. Lo guardi di sfuggita e ti sembra di cogliere un lampo, nelle iridi chiare, un lampo che sembra desiderio. Solo una volta ti ha guardato così, prima.
 


Dal balcone i rumori della festa arrivano ovattati. Ti stai rifugiando un momento nell’angolo più buio, non raggiunto da aloni di candele coraggiose. Solo per un po’, pensi, il tempo di allentare quel corsetto troppo stretto e respirare. Una sagoma ti si avvicina mentre il primo laccio ti scivola tra le dita, sussulti.

“Non volevo spaventarvi, Contessa. Perdonatemi.” Fa un lieve cenno con il capo, ma i denti biancheggiano in un sorriso beffardo.

“Non mi avete spaventata, Conte.” Menti con disinvoltura, una mano inizia a giocare con il pendente della collana per dissimulare l’intento di poco prima.

“Vi stavo cercando.”

“E mi avete trovata, siete un ottimo cercatore.” Sorridi, assecondandolo.


“Oppure voi una pessima occultatrice.”

“Così mi offendete.” Affermi, senza riuscire a smettere di sorridere.

“Permettetemi di farmi perdonare, allora.” Ti porge un braccio, che accetti di buon grado. Iniziate a camminare verso i giardini, in silenzio. La musica ancora non troppo lontana fa da sfondo ai vostri passi. Vi fermate in prossimità di un piccolo piazzale, una fontana zampilla allegra al centro del cerchio delimitato da panchine e cespugli di rosa.

Vi allontanate mentre tu ti accomodi sulla fredda  pietra e lui si avvicina alla fontana.

“Così tanto lusso, così tanti sprechi.” Lo senti sospirare, pare rivolgersi più a se stesso che a te.

“Suvvia, non adombratevi.” Cerchi di consolarlo. “È una festa, dopotutto.”

Si volta e, per un attimo, i suoi occhi tanto profondi ti fanno mancare il fiato. Sembrano blu in quella notte senza luna. Sono illuminati da un breve lampo, poi in due rapide falcate ti raggiunge e ti prende le mani. È seduto accanto a te, ora. Molto vicino, troppo vicino. Non riesci a smettere di guardarlo mentre si avvicina. Senti la sua mano sulla guancia- è calda- e il suo pollice leggero sulle tue labbra. Socchiudi gli occhi, reclinando  la testa all’indietro.

“Anna.” È un sussurro sulla tua bocca. Hai il tempo di sentire il suo fiato fresco prima che annulli la distanza tra voi e faccia incontrare le vostre labbra. È morbido e gentile, e subito il cuore inizia a correrti nel petto. Lo senti battere sulle costole e dei sicura che lo senta anche lui, la mano appoggiata sulla tua vita.

Quando ti cattura il labbro inferiore senti di non avere più certezze, quando incontri la sua lingua sei sicura di non aver mai saputo niente. Della vita, dell’amore, di te, di lui.

E mentre la sua mano si sposta dai tuoi capelli ai fianchi e ti aggrappi alle sue spalle senti un calore nascerti dentro. Sono i suoi baci a provocarlo, le sue mani che ti accarezzano, che senti scottare anche attraverso i vestiti. Ansimi, quando la sua bocca scende sul mento e sulla gola. Il calore cresce, si diffonde nel petto, sulle guance e alle gambe, che tremano.

Posi una mano sulla sua nuca, tra suoi capelli neri, lo avvicini a te. Ti sembra ancora troppo distante, nonostante il tuo seno sia premuto sulla sua camicia.

“Ti desidero, Anna, ti desidero.” Sussurra al tuo orecchio mentre le mani si fanno più audaci,ardite.


 
“Volete che chiami qualcuno per aiutarvi?”

Sbatti le palpebre, riportata bruscamente alla realtà. Scuoti la testa e ti volti, dandogli le spalle. Ti vedrà comunque, dopo, ma se non è lui a mostrare la giusta dose di pudore lo farai tu. Non puoi permettere che rimanga a guardarti, sfacciato.

Quando la veste cade a terra, tuttavia, non hai più nulla a cui appigliarti. Ti volti a testa alta e decisa, trovandolo più vicino di un passo.     

Ti porge la mano, che ignori, e con due passi scavalchi la pozza di stoffa scura ai tuoi piedi. Vedi la sua mano indicarti la poltroncina a lato del letto e ti dirigi con passo spedito e fiero. Se è toccato dalla tua scontrosità non lo da’a vedere, anzi, sei sicura che sia passato un sorriso sulle labbra sottili prima che la maschera da dottore calasse a rendere il volto inespressivo.
Ti accomodi sul bordo, rigida e composta. Non puoi evitare di rabbrividire nonostante l’inizio di primavera piuttosto mite. 
“Avete freddo?” Ti chiede prima di voltarsi e aprire la sua borsa.

Scuoti la testa prima di accorgerti che non può vederti e decidi di parlare. “No.” Ti esce soltanto. Stringi le labbra sentendo la tua voce leggermente tremante  e velata di timore.

Quando ti si avvicina fai un grosso respiro, cercando di controllare il cuore che, traditore, ha deciso di battere più in fretta. Si siede accanto a te e avvicina le mani alle tue spalle. Abbassi lo sguardo e ti ritrovi ad osservare i suoi avambracci pallidi e tonici lasciati scoperti dalle maniche arrotolate ai gomiti. C’è una piccola cicatrice, sul braccio sinistro, lunga pochi centimetri. Sei sicura di non averla mai vista, prima, e ti chiedi se abbia sofferto. Le dita quasi tremano mentre senti l’impulso di accarezzarlo in quel punto.

Fa scendere di qualche centimetro la tua sottoveste e le spalle scoperte, toccate dalla fresca brezza, ti fanno nuovamente rabbrividire. Ti manca un battito quando si avvicina e posa il capo sul tuo petto, una mano sulla tua schiena a fermare la tua spontanea reazione a retrocedere.  Sei sicura se ne sia accorto, quindi ti impegni a regolarizzare il respiro. Non sarebbe così difficile se ad ogni tuo inspiro i seni non sfiorassero la sua bocca.

Quando si stacca ti sembra di emergere alla superficie come un annegato, rischiavi di soffocare.

“Voltatevi.” La sua voce ti sembra leggermente più roca, ma poi si schiarisce la voce.

Mentre ubbidisci non manchi di notare come la sua mano, prima appoggiata sulla tua schiena, rimanga immobile, lasciando che il tuo busto, voltandosi, la accarezzi. Trovi così le sue dita aperte contro lo stomaco, il pollice alla fine dello sterno.

La veste scende ancora, scoprendoti la schiena e ogni vertebra. Non fosse per la sua mano saresti nuda fino alla vita.

Senti i suoi capelli solleticarti in mezzo alle scapole e stringi le mani sulle ginocchia. Questa volta controllarti è meno difficoltoso, forse perché non lo vedi.

“Come vi siete procurata questo?” Sussulti alla breve fitta di dolore. Pur essendo stato delicato il livido bluastro sul tuo fianco protesta a gran voce. Potresti dirgli che è il corsetto, troppo stretto, sarebbe facile, mentirgli.  Ma c’è una voce, dentro di te, che grida di non farlo, di mostrargli come sia sofferta la tua vita, quanto le sue scelte continuino a ripercuotersi su di te ancora oggi.

Deglutisci, cercando le giuste parole. “Mio marito è un amante… appassionato.”

E lasci che il sospiro sull’ultima parola renda chiaro che intendi bramoso, pretenzioso, violento. Quello in particolare te l’ha causato sbattendoti con troppa foga su un tavolo.

Ci sono state volte peggiori. Volte in cui doleva respirare, volte in cui le costole premevano contro le stecche del corsetto e parlare era un’agonia, volte in cui arrivavi a metà giornata costretta a nascondere le lacrime.

Non dici niente di tutto questo, lasci che lo immagini. Che immagini come hai dovuto passare le tue notti mentre sua moglie stava accucciata sul suo petto, tra le sue braccia. Al solo pensiero senti la rabbia invaderti.

Ti alzi di scatto, coprendoti con gesti secchi e rapidi. Inizi a rivestirti in modo affettato, senza degnarlo di uno sguardo, come se fossi sola.

È la sua voce, ancora una volta, a rendere chiara e forte la sua presenza. “Avete altri segni, piaghe?”

“No.” Rispondi brusca.

“Vorrei tornare a controllarvi fra una settimana, spesso queste malattie si manifestano dopo giorni.” Continua imperterrito.

“Sarò a Torino, chiederò ad altri medici.” Tiri i laccetti del corpetto con troppa forza, ma è l’unico modo per stringerlo quando le dite continuano, testarde, a tremare.

“Se dovesse venirvi febbre, o mancamenti, vorrei che mi chiamaste.”

“Non sarà necessario, starò bene.”

“Ma se-“

“No.” Lo interrompi. Possibile che non capisca quanto ogni sua azione, sua parola si ripercuote su di te per giorni? Le sue carezze ti tormenteranno, già ti mancano e ancora è nella tua stessa stanza.

Sospira. “Anna…”

“Il denaro è sul comodino.” Lo interrompi nuovamente. Impieghi più tempo del necessario con l’ultimo nodo pur di non voltarti. Indugi per la terza volta sulle pieghe impeccabili della gonna per nascondere l’affanno che il tuo nome, sulle sue labbra, ti ha procurato.

“Non ce n’è-“

“Grazie per essere venuto, dottore.” Ti avvicini alla porta e la spalanchi in un chiaro e sgarbato invito ad andarsene.  Tieni gli occhi puntati sul muro di fronte.

Mentre ti passa davanti, accennando un inchino, fingi un interesse smisurato per il vaso ornato sul tavolino che ti sta di fronte. Vaso, probabilmente, che occupa quella posizione da quando sei nata, ma può forse impedirti di trovarlo interessante proprio ora?

Senti già un sospiro di sollievo tremarti sulle labbra quando fai un passo per chiudere la porta alle sue spalle. Intento sgarbato e maleducato, da pessima padrona di casa, e speri che lo colga al pieno.

Saresti soddisfatta di quella tua uscita di scena se una voce non ti bloccasse, trasformando il sollievo in ansia. Chiudi gli occhi, esasperata.

Tra lo stipite della porta e la spalla di Antonio si concretizza il corpo di tuo fratello, le sopracciglia aggrottate come segno della sua confusione.

“Antonio?” I suoi occhi si abbassano sulla tua figura e ti scrutano, attenti. “Anna, stai male?”

Riesci solo a scuotere la testa, forse un po’ troppo vigorosamente perché vedi la sua espressione scurirsi ancora, il solco tra gli occhi più pronunciato.

“Solo una visita di controllo, Fabrizio, nulla di grave.” La voce mite di Antonio ti salva, al momento, ma sai che arriveranno altre domande. Ne hai la certezza dal lampo malizioso che attraversa gli occhi di tuo fratello.

Quasi avresti preferito fosse rimasto zitto. Stringi le labbra, contrariata.

“Perfetto.” Fabrizio sorride, strofinandosi le mani, e senti lo stomaco stringersi in un presagio. “Allora puoi cenare con noi.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



Una piccola nota prima di iniziare. Per prima cosa ringrazio chi legge, recensisce e ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate: se tutto questo va avanti è soprattutto grazie a voi.
In seguito, per chi, come me, si dovesse chiedere la pertinenza della sua presenza in questa storia, ho scoperto che l’orologio a pendolo è stato brevettato nel 1656, quindi prima che si svolgesse la storia.
Dopo questa curiosità, buona lettura.
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Capitolo 2
 
 

Non un invito, ma avrebbe potuto rifiutare ugualmente. Invece ti ritrovi a guardare le pacche che tuo fratello gli da sulle spalle con fraterna amicizia e giustificazioni come "rassicurare Elisa sulla gravidanza" ti scorrono attraverso senza depositarsi nella tua mente.

Ti accorgi di avere ancora la mano poggiata sul pomello della porta quando diventa l'unico sostegno per le tue gambe tremanti. Ti aggrappi, quasi, e scuoti la testa alla domanda di tuo fratello.

Domanda che, tra l'altro, non hai sentito.

"Sei sicura?"

Li guardi più attentamente, ignorando volutamente gli occhi di Antonio, e li vedi più distanti, voltati solo per metà nella tua direzione. Capisci allora che non ti hanno chiesto se stai bene, ma se volevi unirti a loro.

Sbatti le palpebre confusa da tanta assurdità: come potresti mai camminare al suo fianco senza sentire il peso di tutto ciò che è trascorso fra voi, passato e recente?

Prima che il silenzio si dilati tra voi tanto da rendere necessario riempirlo con un'altra domanda prendi una decisione: il suono della porta che sbatte echeggia nella tua stanza fino a sera.

O forse è solo nella tua mente.
 
 

L'orologio a pendolo non ha ancora finito di suonare il primo rintocco che sei già scattata in piedi e uscita dalla porta. 

Non hai salutato il precetto, sai già che questa mancanza di buone maniere ti verrà rimproverata, ma, invece di tornare indietro e scusarti come una buona signorina dell'alta nobiltà, acceleri il passo fino a correre. Puoi già sentire i rimbrotti di tua madre: il suo preferito -smettila di leggere e sistemati il vestito- ti sta già attraversando la mente. Sei ancora più incentivata, quindi, a rimandare il momento.

Rallenti solo quando vedi la porta della biblioteca.

Ti fermi il minimo necessario per riprendere fiato ed entri.

Il sorriso che ti era nato spontaneo per la tua vittoriosa fuga ti si congela sulle labbra. Le guance, già rosse per la corsa, ti bruciano di quello che ha tutto il sapore dell'imbarazzo.

"P-perdonatemi, pensavo non ci fosse nessuno."  Accenni un piccolo inchino sperando che il galateo ti salvi da una figura tanto pessima.

"Figuratevi, è casa vostra." Il ragazzo seduto sul divanetto- il tuo preferito- ti sorride.

Chiude il libro che ha tra le mani con un piccolo tonfo di cui sei grata, perché lo stesso suono l'ha fatto il tuo cuore quando hai incontrato i suoi occhi.

"Anna, devo dedurre." Annuisci, incapace di fare altro mentre si avvicina a te.

"Antonio Ceppi." Deglutisci quando le sue labbra sfiorano la tua mano. È molto più alto di te, eppure pare non curarsi di star rivolgendo un gesto tanto galante a te che sei poco più di una bambina.

"Aspettavo vostro fratello Fabrizio." Ti dice, la sua voce sembra adulta per un ragazzo che potrebbe avere al massimo quattordici anni. O forse sono i suoi modi, così composti, a farlo già sembrare un uomo.

Apri la bocca per dirgli che non deve preoccuparsi, che può stare nella tua biblioteca, sul tuo divanetto preferito, ad aspettare tutto il tempo che vuole, anche in eterno.

Non fai in tempo a dire una sillaba che la porta alle tue spalle si apre e la voce di tua madre ti interrompe.

"Anna, eccoti finalmente." E puoi sentire tutta la sua stizza in quelle poche parole. "Ti presento il Conte Ceppi. E immagino tu abbia già conosciuto suo figlio, Antonio."

Ti inchini all'uomo mentre senti l'irritazione nascere nei confronti del ragazzo che sorride al tuo fianco. Ti ha taciuto un dettaglio così importante e sorride.

Di nuovo, ti senti arrossire.

"Fabrizio è sotto la quercia, si sta allenando." Senti dire tua madre mentre continui ad osservarlo di sottecchi.

"Grazie, lo raggiungo subito. Contessa." Accenna un baciamano prima di girarsi nella tua direzione. "Contessina." E sorride.
Gli angoli della bocca costantemente alzati.

Cortesia? Divertimento?  Derisione?

Non capisci. E guardi le sue spalle magre allontanarsi con la consapevolezza di veder uscire da quella porta anche il primo soggetto per cui il tuo cuore ha battuto.

"Anna." Lo sguardo di tua madre indugia sui tuoi capelli spettinati prima di fermarsi sul vestito. Per un attimo ti chiedi se riesce a sentire i palpiti accelerati che ancora ti scuotono il respiro. "Sistemati. I Conti Ceppi ceneranno con noi."
 
 

"Signora Marchesa, non avete più fame?"

Lasci cadere il cucchiaio in quella minestra che pare non finire. Ignori la domanda di Giannina, portandoti una mano a massaggiare una tempia. Ultimamente tendi a rifugiarti nei tuoi pensieri più spesso e più profondamente di quanto dovresti.

Forse perché sono migliori del tuo presente.

Ti sforzi di sorridere solo perché incontri gli occhi preoccupati di Emilia di fronte a te.

"Mio marito ha mangiato?" Chiedi, invece.

È una domanda che ripeti sempre. A volte ti rispondono affermativamente, a volte che è ubriaco. A volte, quelle che ti fanno sentire meschina, ti viene detto che dorme. E tu speri sempre che non si svegli.

"Un po', signora Marchesa."

Un po'. Il modo più gentile per dirti che dopo il primo boccone ha scagliato l'intero vassoio contro chi glielo ha portato.

Vedi Giannina abbassare gli occhi. Come se non fossi avvezza ai suoi scatti di rabbia.

"Perdonatemi, non ho più appetito." Ti alzi, rivolgendo un unico saluto a tua figlia, ed esci senza indagare a chi appartengano gli occhi che senti perforati la schiena.

Esci dalla sala e raggiungi il primo balcone, bisognosa d'aria.

Quel ricordo improvviso ti ha lasciata senza energie: quanti anni avevi, dieci? Com'è possibile che dopo tutto quel tempo ancora i suoi occhi ti facciano lo stesso effetto?

Ti appoggi alla balaustra osservando il cielo sopra di te. Il tempo è stato clemente: non una nuvola intacca il manto nero.

Per un attimo quell'immensità ti fa girare la testa.

"Non dovreste prendere freddo, Contessa."

E in effetti rabbrividisci, ma non per il freddo. È il contrasto tra la formalità delle sue parole e la familiarità dei gesti con cui ti ha appoggiato uno scialle sulle spalle.

La sua voce così vicina al tuo orecchio ti costringe ad appoggiarti più pesantemente alla fredda pietra che hai davanti.

"Perché non mi lasciate stare?" Sembravi più decisa, nella tua mente.

"State male?"
Odi quando non rispondono alle tue domande. O peggio, quando rispondono facendotene delle altre.

"Mi avete visitato, mi sembra."

"Non come avrei dovuto."

Questa volta ti giri a guardarlo, un po' esasperata e un po' sorpresa dalla velocità con cui ti ha risposto.

"Ma cosa volete?" Le parole quasi ti sfuggono di bocca.

"Vorrei potervi aiutare."

Alzi le sopracciglia, ritrovando tutto d'un tratto i modi superbi con cui eri solita rivolgerti a lui. "E come pensate di fare? Siete forse in grado di offrirmi il denaro per saldare i debiti di mio marito, darmi la garanzia che mio fratello non stia nutrendo un'illusione verso un matrimonio e un figlio destinato a fallire o, ancora, assicurarmi che non abbia la stessa, sudicia malattia di Alvise, che potrò ancora veder crescere mia figlia, che non la lascerò sola! Come pensi di aiutarmi, Antonio, come?" Ti fermi ansimante, costretta a chiudere gli occhi brucianti di lacrime.

Non ti eri accorta di aver iniziato a gridare, nemmeno di averlo colpito sul petto con i pugni chiusi. Te ne rendi conto solo ora che senti le sue dita sulle tue nocche e il battito del suo cuore sotto le mani.

Per un attimo sei tentata di appoggiarti a lui, al petto che ti sembra e ricordi tanto accogliente e dimenticare tutto ciò che è passato per lasciarti confortare dalle sue braccia.

Per un attimo, appunto, prima che l'orgoglio dei tuoi sentimenti feriti ti faccia allontanare con un respiro tremulo.

"Non puoi nessuna di queste cose, dunque vattene." E ti maledici per il tono supplicante della tua voce.

Supplicarlo di cosa, poi?

"Anna, ti prego..." Senti il calore della sua mano, ma una voce lo ferma prima che riesca a toccarti.

"Mamma!" Non sei mai stata così grata di essere interrotta, sai che se ti avesse sfiorata saresti crollata.

"Madre, state bene?" Ti si avvicina scrutandoti con occhi preoccupati, e non puoi fare a meno di accarezzarla.

"Certo, Emilia." Poi noti la sagoma di Giannia dietro di lei. "Vai a dormire?"

"Sì, madre." Annuisce. "Buonanotte." E ti mostra il sorriso che ha illuminato la tua vita in questi dieci anni.

"Buonanotte, bambina mia."

“Emilia.” È quasi rientrata quando la richiami. "Non dimentichi qualcosa?"

Lei si volta del tutto e fa vagare gli occhi sulla figura al tuo fianco prima di accennare una riverenza e un sorriso. "Buonanotte, dottor Ceppi."

"Buonanotte, Emilia." Lo senti rispondere, poi rimanete immobili a guardarla allontanarsi.

Continui a osservare l'angolo dietro cui è scomparso l'ultimo lembo della gonna di tua figlia più del necessario, finché non senti il bisogno di cedere allo sguardo che senti sulla pelle.

Quasi.

"È tardi." Ti giustifichi, iniziando a camminare.

Ti porti una mano alla fronte, colpita dall'ennesima vertigine causata da tanta fissità.

"State male?" È subito al tuo fianco.

"Solo un capogiro." Dici sbattendo le palpebre, mentre le macchie nere che ti offuscano la vista iniziano a diradarsi.

"Dovreste mangiare di più."

Se n'era accorto, allora, che ti limiti ad ingoiare quel tanto che basta a farti stare sveglia.

"È tardi." Ripeti. Quell'affermazione ti ha colpita più di quanto sei disposta ad ammettere, significa che durante il pasto ti ha osservata, e ha tratto le sue conclusioni.

Giuste, per inciso.

Fai qualche passo barcollando prima che la sua mano sia sul tuo polso per voltarti.

"Anna-" Ritrai con un grido la mano e subito lo vedi retrocedere, spaventato di averti ferita.

I suoi occhi sgranati ti feriscono, aprì la bocca sotto l'impulso di spiegare l'origine del tuo dolore, ma non ti esce che un sospiro prima che il buio ti avvolga.



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 

"Anna? Anna!"

La voce ti sembra sempre più lontana, vorresti aggrapparti a lei, ma senti un calore che sai dovresti conoscere avvolgerti.

E lasciarti andare è facile.
 


"È così tragica, madre. Non pensavo l'amore potesse far soffrire così tanto."

"Sei ancora giovane, figlia mia."

Non trovi nulla da ribattere all'affermazione così vera di tua madre: sei ancora così estranea ai sentimenti che non c'è da stupirsi se quell'opera ti ha tanto colpita.

Continui a ripensare alle parole che hai letto mentre cammini tra le siepi e i prati curati. In fondo una parte di te desidera una storia tanto intensa, ma saresti disposta ad affliggerti così tanto?

Ancora non lo sai. Forse no.

"Tuo fratello passa molto tempo con la giovane Van Necker, ultimamente." Inizia tua madre, incoraggiata dalla piega che, involontariamente, hai dato al discorso.

"Me ne sono accorta." Ti limiti a rispondere, secca.

"E posso sapere la tua opinione?" Arrischia un'occhiata nella tua direzione, che eviti, spostando l'ombrellino sull'altra spalla.

Sei lusingata che il tuo parere venga richiesto, ma sai che se dicessi ciò che pensi diventerebbe un'esclusiva.

Prendi tempo giocando con un filo del leggero guanto di pizzo.

La verità è che quella ragazza non ti piace: non solo è parecchio più grande di tuo fratello, ma il suo sorriso ti lascia sempre una sensazione amara addosso. Come se fossi costantemente giudicata, e, puntualmente, mai ritenuta all'altezza.

"È molto bella." Finisci per dire.

"E questo è d'aiuto, certo. Ma penso che tu non ti faccia ingannare da un bustino troppo stretto come tuo fratello." Il tono vagamente allusivo ti fa capire che le tue impressioni sono condivise.

Concorderesti se non vedessi la sagoma di Fabrizio avvicinarsi dall'estremità del sentiero.

Imponi al tuo cuore di non accelerare quando noti da chi è accompagnato.

Fallisci.

Deglutisci e cerchi di seguire il discorso. I suoi occhi hanno sempre l'effetto collaterale di farti dimenticare in quale punto preciso della terra ti trovi.

Dovresti smetterla di trovarlo così elettrizzante.

"Mi dispiace, Contessa, purtroppo ho promesso a mio padre di rientrare. Spero di poter accettare il vostro invito la prossima volta." Ti riscuoti per sentire quelle parole e guardarlo mentre accenna un inchino a tua madre. 

"Anna." A te bacia la mano, come se foste soli,come sempre. Senti le guance bruciare mentre impieghi tutti i tuoi sforzi per non sorridere troppo.

"E così per Antonio Ceppi sei diventata Anna." Se possibile il sorriso di tua madre ti fa arrossire ancora di più.

"Lo fa solo per farmi dispetto." Borbotti, senza riuscire a smettere di guardare la sua schiena allontanarsi.

"Da quando sei tornata passate molto tempo insieme."

"Studia medicina, mi aiuta con il latino. È molto bravo." Ti senti in dovere di giustificarti.

"Spero che la sua bravura rimanga limitata ai libri, non vorrei dover organizzare un matrimonio in meno di nove mesi."

"Madre!" Le guance quasi ti fanno male da quanto pizzicano.
 


"Anna! Dio mio, cos'è successo? Anna?"

Alzare le palpebre ti costa una fatica immensa. I tuoi sforzi vengono ricompensati da uno sprazzo di iridi azzurre, poi continui a farti cullare da quel moto tanto famigliare. E quella voce, che pure dovresti conoscere, viene sommersa dalle onde.
 


Le luci delle candele illuminano l'ingresso battuto dalle carrozze. I primi nobili stanno iniziando a ritirarsi. 

Nascosta dalla tenda che continua a gonfiarsi spinta dal vento ti limiti ad osservarli mentre la musica arriva ovattata alle tue orecchie.

Non dovresti mancare alla tua festa, ma non provi che nausea. Lasci che sia il tuo fidanzato a godersi tutte le attenzioni.

"Anna, sapevo di trovarti qui." Sobbalzi prima di riconoscere tuo fratello.

La divisa dell'esercito cade sulle sue spalle in modo impeccabile, ma pensi non riuscirai mai ad abituarti allo sferragliare della spada al suo fianco.

Si avvicina a te, e per un po' vi limitate a continuare quel passatempo silenzioso che hai scelto per non pensare. Senti l'impulso di parlare quando i Conti Sturani sfilano sontuosamente sotto di voi.

"E così hai deciso di partire." Più di un'affermazione, meno di una domanda.

"È impossibile continuare a stare qui."  Il tono amaro è nuovo nella voce di Fabrizio, ma non ne sei sorpresa. Se solo potessi, anche tu andresti il più lontano possibile: sopporteresti il dolore di mille lame pur di far cessare almeno per un poco la stretta costante che senti nel petto.

"Ti capisco." Sospiri.

E lo capisci davvero, non sono parole vuote per colmare lo spazio di una battuta che ti spetta nella conversazione.

"Mi lasci anche tu." Non vorresti suonare così debole, ma non puoi impedirlo.

"Tornerò per il matrimonio, sono solo un paio di mesi."

Un'altra coppia raggiunge l'ingresso sotto di voi. Li guardi mentre si stringono nei mantelli in attesa della carrozza.

Un paio di mesi, certo, in cui ti mancherà l'appoggio dell'unico supporto che ti era rimasto.

Per un attimo non puoi fare a meno di odiarlo, perché ha la possibilità di andarsene e ha scelto di farlo.

Di odiare tuo padre, che ti ha costretto a quell'unione.

Odiare tua madre, che non si è opposta.

Odiare te stessa, che non fai altro che accettare passivamente quelle decisioni e trattenere il dolore nello stomaco.

Ma soprattutto odiare Antonio, che ti ha lasciata senza lo straccio di una spiegazione per una donna che non hai mai sentito nominare, che non vuoi sentir nominare e che sai migliore di te. Perché l'avrebbe scelta, altrimenti?

E odi Alvise, tuo futuro sposo, che ancora non conosci del tutto, ma già troppo; tanto da aver già compreso i suoi eccessi e le sue sregolatezze.

"Lo odio, Fabrizio." Ti senti dire con astio, i pensieri hanno lasciato la tua bocca senza il tuo permesso, ma con qualcuno dovevi condividere quel peso. "Alvise." Senti il dovere di puntualizzare. Perché ti stai riferendo a lui, ovvio.

"Non lo conosci ancora, la prima impressione può essere sbagliata." Cerca di rassicurarti, una carezza sulla spalla lasciata scoperta dall'elegante abito.

Può essere, certo. Non ne è sicuro nemmeno lui.

L'hanno capito tutti che è interessato a te solo per la tua dote e le tue terre, che poi ti trovi piacevole è un valore aggiunto. Per lui.

"Cos'ho fatto di sbagliato?" Cambi discorso all'improvviso. Hai tenuto quella domanda dentro di te così a lungo che sentirla adesso sulla lingua è una liberazione.

Eppure fa male, hai la gola stretta in un groppo.

"Non hai sbagliato nulla, Anna." C'è il tuo stesso dolore, in quelle parole. Se l'adolescenza vi ha allontanati la tortura di un cuore spezzato vi fa avvicinare come se foste ancora bambini.

Lo guardi negli occhi: così azzurri, così profondi e così sofferenti. Senti i tuoi farsi umidi.

"Forse i miei modi l'hanno stancato. Sono troppo altera, troppo viziata, troppo-" la voce ti manca in un singhiozzo e non sei mai stata più felice di scontrarti contro il petto di tuo fratello.

Senti un braccio stringerti la vita e affondi il viso nella sua camicia, bagnandola.

"Non è colpa tua." Ti sussurra all'orecchio, accarezzandoti i capelli.

Rimani tra le sue braccia a tremare e per la prima volta da tempo ti senti al sicuro. Anche se il dubbio continua a roderti: non ti sei mai accorta di quanto fosse insoddisfatto. Come puoi dire di amare una persona e non accorgerti del suo dolore?

Sei sempre stata troppo presa da te stessa, troppo egoista anche nell'amore.

Con un sospiro lasci il caldo rifugio che è l'abbraccio di tuo fratello e rassetti le pieghe della sua camicia con le mani.

Ti offre un fazzoletto con cui tenti di sistemare il pasticcio che le tue lacrime hanno combinato con il trucco che ti hanno sapientemente applicato. Ti senti un po' goffa, e ti scappa un sorriso.

"Anna? Anna, dove sei? Anna!" La voce di vostra madre vi giunge sempre più vicina dal corridoio. Ti rimprovererà quella mancanza di buone maniere, lo sai, e per una volta non ti importa.

Vorresti congedarti da Fabrizio con qualche parola, ma, come sempre nei momenti opportuni, ti sfuggono.

Vorresti ringraziarlo, ma ti manca il coraggio; implorarlo di non partire, ma ti sembra infantile; chiedergli di scriverti durante il soggiorno in Francia, ma l'orgoglio te lo impedisce.

Allora condividete un sorriso e un'occhiata, un po' esasperata e un po' complice, come quando eravate bambini.

Gli stringi una mano tra le tue e mentre senti che ricambia la stretta capisci che una crepa, in quel tuo cuore martoriato, ha iniziato a ricucirsi.
 


"Avete bisogno di altro, Marchesa?"

Reclini la testa contro la poltrona con gli occhi chiusi e scuoti il capo, sospirando di piacere. Il sole batte contro il vetro scaldandoti attraverso la sottile sottoveste.

Senti Giannina congedarsi, ma all'improvviso cambi idea e la richiami, sperando che non sia troppo tardi.

È subito al tuo fianco, e un fiotto di sollievo ti invade.

Eccessivo, poi, perché puoi alzarti anche da sola.

"Passami il libro, per cortesia." Chiedi indicandolo.

Dopodiché si allontana e lascia la stanza. Davvero, questa volta, e non la richiami.

Accarezzi la trama della copertina mentre ti godi il primo vero sole primaverile.

Una tragedia. L'ennesima, di nuovo, che adori.

Tuo marito ti ha sempre accusata di essere melodrammatica, ma in nessun altro modo i sentimenti si fanno così vivi, crudi, intensi.

E tu lo sa bene, anche se hai passato la vita cercando di non farti travolgere da essi e uniformarti all'etichetta che ti è consona.

Sfogli le pagine ingiallite prima di immergerti nel primo atto.

Non hai neanche letto una pagina che la porta si riapre. Subito sbuffi, infastidita da quell'interruzione.

Quando scorgi chi è entrato senti un sorriso stanco ed esasperato nascerti sulle labbra. Dovevi aspettartelo, che si sarebbe presentato quando non hai modo di scappare.

"Ve l'ho già detto una volta e ve lo ripeto, dottore: pensavo odiaste questa casa, eppure siete sempre qui." Non puoi fare a meno di accoglierlo con frasi velenose.

Anche se quelle parole più che dell'astio hanno il sapore della rassegnazione. Vorresti dire che è la stanchezza ad averlo stemprato, ma non è così: lo vedi abbattuto, i capelli e la camicia scompigliati.

Probabilmente ha passato la notte alla tenuta, probabilmente non ha dormito.

"È sempre lo stesso motivo a portarmi qui, lo sapete."

"Curare i malati?" La tua voce gronda sarcasmo.

"Siete malata?" Ti scocca un'occhiata e ci leggi divertimento.

"No." Ti accorgi di aver risposto troppo in fretta dal suo sorriso e ti compiaci di come ancora riesci a capirlo.

Assurdo, ti scuoti mentalmente, stai delirando.

In ogni caso il tuo vaneggiare passa in secondo piano quando lo vedi avvicinarsi.

Ti posa una mano sulla nuca, sui tuoi capelli sciolti, e si abbassa su di te. Pensi voglia baciarti e subito il cuore ti salta in gola.

Invece posa le sue labbra sulla tua fronte. Non un bacio, solo una carezza leggera. Un modo per accertarsi se ancora scotti.

Avrebbe potuto usare le mani, tuttavia continua a riservarti attenzioni troppo intime che travalicano il rapporto che dovreste avere: quello tra medico e paziente.

Aristocrazia e popolo.

Donna sposata e vedovo.

Che dici, poi: voi non dovreste neppure averlo, un rapporto. Di qualsivoglia natura.

"La febbre si è abbassata. Come state?" Ti chiede mentre si allontana da te e si inginocchia per prenderti il polso tra le mani.

"Meglio." Rispondi sinceramente, sorpresa dai suoi gesti.

Senti la pressione delle sue dita e il cuore battere contro i suoi polpastrelli. È lo stesso polso che ti ha afferrato la scorsa notte: la chiazza verdastra spicca sulla tua pelle bianca come un'accusa pronta a dividervi.

"Quando sareste dovuta partire per Torino?" Ti chiede mentre con il pollice, leggero, ti accarezza i bordi dell'ecchimosi.

"Questa mattina." Ti senti rispondere con tono distante, distratta dal movimento del suo viso che si sta avvicinando al tuo braccio.

"Mi dispiace." Ti sussurra sulla pelle, che rabbrividisce.

Che non sei partita? Non capisci, troppo presa dalla sensazione delle sue labbra sulla tua pelle.

"Per cosa?" Chiedi in un soffio. Sussurri, perché non riusciresti a fare la stessa domanda un po' più forte, sottraendovi a quella bolla d'intimità che senti propria dei vostri momenti.

"Per tutto." E questa volta è proprio un bacio quello che finisce sul tuo polso, contro i battiti impazziti del tuo cuore.

Cosa dovresti dire, adesso, che non importa più, che non è successo nulla?

Eppure di cose ne sono successe, e a te sono importate tutte.

Che lo perdoni?

Ancora sbagliato. Non c'è nulla su cui ti senti così divisa come il suo perdono.

Una parte di te l'ha già assolto, ma l'altra...

"Mi diresti le stesse cose se Lucia fosse ancora viva?"

Ti maledici non appena ti scontri con i suoi occhi stupiti, ma devi sapere. Devi capire se ti considera la donna che, in fondo, non ha mai smesso d'amare o solo una sciocca che capitola ai suoi piedi non appena si dimostra pentito.

Perché tu, alla fine, un po' sciocca ti sei sempre sentita: incapace di smettere di pensare a lui, che una vita se l'era rifatta.

Con un'altra.

Lo vedi chinare la testa e sei costretta a sfilare la mano dalla sua per stringerla con forza sulla copertina rigida che riposa sul tuo grembo per impedirti di passarla fra i suoi capelli.

Ti sforzi di regolarizzare il respiro e cerchi di deglutire, ma hai la gola secca. Aspetti la sua risposta con la sola compagnia del tuo cuore che batte contro lo sterno con straordinaria chiarezza.

Chiarezza che ti permette di cogliere con precisione l'unico battito che salta quando la sua mano si posa sul tuo ginocchio e, lenta, inizia a risalire la tua coscia, scaldandoti attraverso la sottile veste che ti scorre sulla pelle.

E più lui guadagna centimetri, più tu perdi lucidità, sotto una strana legge di proporzionalità inversa.

Il calore che senti non è residuo della febbre che ti ha colta la notte passata, ne acquisisci consapevolezza quando la sua mano si ferma in prossimità del tuo fianco e diffonde il suo ardore che arriva in vampate fino al tuo basso ventre e, lì, si ferma, formicola.

Chiudi gli occhi cercando di convincerti che ti stai sbagliando: è un'illusione, un miraggio, un delirio frutto del tuo malore.

Distrugge il tuo insicuro convincimento spostando il suo corpo di fronte a te, più vicino, e non puoi evitare di stringerlo con le ginocchia.

Non ti resta che reclinare il capo all'indietro cercando di non cedere, di non baciarlo. Non ti eri neanche accorta che l'altra sua mano si fosse spostata sulla tua vita per avvicinarvi ancora di più.

"Antonio." Ansimi respirando il suo profumo. "Sono una donna sposata." Cali la tua ultima difesa.

"Me l'hai già detto una volta." Sorride, prima di posare la sua bocca sulla tua.




 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 
 
 
"Te lo ripeto, sono una donna sposata, Antonio. Vattene." Cerchi di accelerare il passo per distanziarlo, ma le gonne ti impicciano e le sue gambe sono più agili.

"No, non lo sei." Ribatte svelto, toccandoti un braccio per fermarti.

"Lo sarò fra una settimana, è come se già lo fossi." Cambi strada all'improvviso.

"Ma non lo sei ancora."

"E comunque chi ti ha fatto entrare? Avevo dato precise disposizioni, non voglio più vederti in questa casa. E lasciami!" Costeggi il muro della tenuta, ancora poco e sarai sulle scale.

"Amelia. L'ho supplicata, come adesso prego te-"

"Bene, almeno saprò con chi prendermela." Hai già il fiato corto.

"Ti prego, Anna." Ti afferra per la vita e ti imprigiona tra il muro e il suo corpo. "Non è colpa sua, avrei buttato giù la porta a suon di pugni se non l'avesse aperta."

"Colpa tua, quindi. Dovevo immaginarlo." Incroci le braccia al petto cercando di riprendere fiato. Vederlo così vicino è una tortura.

"Allora, cosa vuoi?" Mai una resa è stata più furente.

"Stai facendo un errore."

"Non so di cosa parli." Fingi una sicurezza che non provi, con le sue mani sui tuoi fianchi.

"Del tuo matrimonio." In barba a tutte le regole del galateo vorresti tirargli uno schiaffo. Alla sua faccia tosta, ai suoi occhi così limpidi, al suo coraggio.

"Il matrimonio con il Marchese di Magliano è un ottimo accordo. Andrò a vivere a Torino: lontano da qui, lontano da te."

"Da quando vuoi sposarti per convenienza?" La sua prontezza sta iniziando a irritarti. La risata che esce dalla tua bocca ti fa sembrare un'altra donna: crudele, cinica, disillusa.

"Ma guarda, il dottore che ha rinnegato le sue origini torna al nido." Quasi ti compiaci del dolore che vedi nei suoi occhi in seguito alle tue parole.

Quando allontana le mani da te per poggiarle al muro però ti senti mancare l'aria.

Anche se non dovresti, anche se non è più tuo, anche se tu sei di un altro.

"Dio, Anna, non puoi pensarlo davvero." Dice passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli.

"Non so più cosa pensare, Antonio. Torno dal collegio e ti trovo sposato, mentre io aspettavo una risposta alla mia ultima lettera da sei mesi!" Il tono di voce si è fatto più alto man mano che parlavi, e non sai se sentirti più irritata per la tua totale mancanza di controllo o quanto questa significhi quanto tu stia soffrendo.

La stessa sofferenza che vedi riflessa nei suoi occhi, sempre così empatici ed attenti ad ogni tuo gesto, e senti la rabbia stringerti lo stomaco. Che diritto ha, lui, di soffrire?

Con una moglie al fianco che si è scelto.

"Era l'unico modo." Scuote la testa, abbassando lo sguardo.

Mai l'hai visto così abbattuto, le spalle curve.

"Potevi andartene." Il tuo tono arrabbiato non lo smuove, sembra assorbirlo come terra arida alla prima goccia d'acqua.

Scuote un'altra volta la testa, gli occhi ancora abbassati. "Mio fratello erediterà tutto."

Quelle parole ti colpiscono, forte. Quello che ti era parso un gesto impulsivo e sconclusionato adesso lo vedi come premeditato. Ha riflettuto molto, prima di quella scelta: avrebbe potuto lasciare Rivombrosa, ma il peso della sua eredità sarebbe sempre tornato a cercarlo.

"Potevi chiedermelo, potevamo andarcene insieme." È un tremito quello che ti scuote la voce?

"Non potevo chiederti questo!" Risponde con veemenza e tu sussulti. Non ti ha mai parlato così prima, neanche quando lo esasperavi con la tua petulanza.

Ma forse più che il tono sono gli occhi ad averti spaventata. Li ha inchiodati ai tuoi e li vedi arrossati, stanchi. Spenti.

Era per mancanza di coraggio o per nasconderti il suo tormento che non ti guardava?

"Non potevo." Riprende, lentamente. "Non potevo farti rinunciare alla vita che hai sempre desiderato." Stringe le labbra, come se stesse combattendo contro parole troppo desiderose di uscire.

"Potevi chiedermelo." Riesci solo a sussurrare, ripetere.

Perché a te cosa sarebbe importato di lavorare, rovinarti le mani e faticare se anche avessi avuto lo stomaco vuoto, ma il cuore pieno di voi?

"Avresti finito con l'odiarmi, e odiare te stessa per avermi scelto."

Perché, adesso?

Lo odi ugualmente, lo odierai sempre.

"Hai detto bene, avrei scelto." Drizzi le spalle allontanando te stessa dal muro e lui da te con una spinta.

Ritrovi tutta la tua compostezza da nobildonna e ti pulisci le mani sulla gonna, come se il solo fatto di averlo toccato ti procurasse disgusto.

"Adesso andatevene, prima che chiami la servitù per scortarvi fuori, dottore." Lo guardi altezzosamente ancora una volta, poi gli giri le spalle e te ne vai, lenta, come si confà alla tua posizione.

Non ti volti finché non arrivi alla tua camera.
 

 

 
"Sì." Lo senti sussurrare al tuo orecchio e subito non capisci a cosa si riferisce. "Ti direi le stesse cose." Le sue labbra ti accarezzano il collo mentre continua a parlare. Cominci a riemergere, ancora smarrita: da troppo tempo non vieni toccata da un uomo  che lo fa per passione e non per dovere. "Ti direi le stesse cose, tutto: che sono stato uno stupido, che ho sbagliato, che l'ho rimpianto e lo rimpiango ogni giorno." Ti posa una bacio sulla spalla nuda prima di poggiarci la fronte.

Che si era abbassata la veste neanche te n'eri accorta.

"Non me lo perdonerò mai e non pretendo che tu lo faccia, ma se dovessi andartene..." Si interrompe. Forse deglutisce, ma tu senti solo un sospiro, poi ricomincia in un mormorio sommesso. "Se dovessi andartene non sopporterei l'idea di non aver colto l'occasione di amarti."

A deglutire adesso sei tu. Perché non sai cosa dire, perché non te lo aspettavi.

Non chiede il tuo perdono, solo la possibilità di offrirti l'amore che dieci anni fa ha rifiutato.

Dovevi essere in un probabile punto di morte perché se ne accorgesse?

Ma no, sei ancora una volta ingiusta. Sei sempre stata cosciente di quel desiderio sopito nei suoi occhi ad ogni vostro casuale incontro in cui tu lo torturavi abusando della superiorità della tua posizione, sapendo che non avrebbe mai potuto rispondere senza mancarti del rispetto che ti era dovuto. E che non l'avrebbe fatto comunque.

Allora decidi di essere indulgente, con il tuo cuore e con lui.

Concedi alle tue dita di passare fra i suoi capelli, scompigliandoli ancora di più e facendogli incontrare il tuo sguardo. Vedi rispecchiata nei suoi occhi la tua commozione.

Gli accarezzi una guancia, indugiando sulla pelle leggermente ispida di barba.

"Potrei contagiarti." Parli con un filo di voce, ancora non ci credi che quella conversazione non sia frutto della tua fantasia.

"Non m'importa." Volta il capo per baciarti il palmo in un gesto che ha il potere di riportarti indietro di anni, a giorni che sapevano di corsetti allentati, baci rubati e occhiate complici in un mare di merletti e candele.

"Non ti chiederei mai di sacrificare la tua vita per la mia."

"Ed è per questo che sei una persona migliore di me."

Continui a guardarlo in silenzio, senza sapere cosa rispondere e aggiungere a quell'ammissione così vera.

Lasci ricadere la mano sul tuo grembo.

Che la colpa era sua lo sai tu e lo sa lui.

Che ha sbagliato.

Che hai sofferto.

No, che avete sofferto. Adesso lo capisci.

"L'hai amata?" Se dev'essere una confessione che lo sia fino in fondo. "Mi hai tradita? Prima di scegliere lei al mio posto."

"No, non ti ho mai tradita." I suoi occhi si velano di durezza al solo accennare alla possibilità che abbia infangato i suoi ideali. "E amarla..." Distoglie lo sguardo, fissandolo oltre la finestra perso in ricordi lontani e a te non accessibili. "Rappresentava tutto ciò che desideravo: la libertà."

"E non eri libero?" Con me, vorresti aggiungere.

Per quanto lui continui a parlare di principi per te rimarrà sempre un confronto sul pisno personale.

"Nessuno di noi lo è." Riporta a te gli occhi. "Viviamo in queste gabbie dorate, schiacciati da convenzioni e regole che ci impongono anche come salutarci. Non ne potevo più."

Ora capisci a fondo, lui aveva sempre visto oltre.

Ricordi di averlo accusato di non avertelo chiesto, ma la tua immaturità ti avrebbe accecata. Se non avesse fatto lui quella rottura l'avresti fatta tu, decisa a seguire quella vita.

Che poi, guarda dove ti ha portata.

Ma adesso capisci cosa significa sentirsi prigionieri: non solo perché tuo marito ti ha rinchiusa fisicamente nella tua stanza, ma per anni sei stata schiava di quella mentalità rigida e inflessibile che portavi cucita sul petto per mantenere alto l'onore della famiglia, dei Ristori.

Ti alzi di scatto, obbligandolo a indietreggiare, e inizi a camminare per la stanza tormentandoti le mani e tormentata dai tuoi pensieri.

Hai sempre dato per scontato che la colpa fosse sua, ma quanto hai contribuito tu a quella scelta?

Ogni volta che lo rimproveravi, ogni volta che non ti lasciavi andare troppo legata all'etichetta, ogni volta che ti supplicava con gli occhi e con le mani per un momento in più, una carezza, un sorriso.

Se non avessi conosciuto tanta sofferenza, se Alvise non fosse stato l'uomo che è, se Fabrizio non ti avesse buttato in faccia i tuoi errori, te ne saresti mai accorta?

Lasci cadere le braccia lungo i fianchi, stremata.

Posi gli occhi sulla sua figura: in piedi, al centro della stanza. Ti aspetta.

Aspetta te e la tua decisione, pronto ad andarsene in caso di rifiuto.

Ti soffermi su tutte le cose che ami di lui e che ti sono mancate negli anni: i suoi occhi, così limpidi e adesso cerchiati; le sue mani, grandi e premurose, sempre calde; il punto in cui la guancia lascia posto alla mascella più squadrata, e le labbra sottili, capaci di farti ridere o piangere con una sola parola, bacio o sospiro.

Potresti stare giorni ad elencare le cose che ami di lui.

"Antonio." Sussurri, e senti un sorriso nascerti sulle labbra. Quasi ti eri dimenticata come si fa.

In un attimo è al tuo fianco e non esiti un secondo ad abbracciarlo, colmare la distanza tra i vostri corpi per stringerlo a te e sentirti stretta fin quasi a mancare il respiro.

Senti che dice il tuo nome nell'incavo del tuo collo, e ti sembra così dolce quella litania sulla sua bocca, sulla tua pelle.

Ti allontani lentamente, cercando il suo sguardo per trovarlo già nel tuo.

Le sue mani scivolano sulle tue braccia, ma si fermano ai gomiti. Come se non riuscisse a staccarsi da te, come se anche lui dovesse accertarsi che sei vera, concreta, reale.

Senti che dovresti riempire quel vuoto, ma le parole ti sfuggono e ti limiti a guardarlo.

Poi sei felice di non aver rotto quel silenzio perché qualunque cosa avreste iniziato, discorso o effusione, sarebbe stata interrotta dal bussare frenetico alla porta e la conseguente entrata di Bianca nella stanza.



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
 
 
 
"Dottore, siete qui?" La voce velatamente preoccupata di Bianca vi raggiunge, ma voi siete già voltati nella sua direzione.

I suoi occhi attraversano le vostre figure fino a fermarsi alle mani di Antonio che ancora ti stringono i gomiti. "Signora Marchesa, non vi sentite bene?"

"Sto bene." Dici, facendo un passo indietro, sottraendoti al suo calore, ma noti che la sua attenzione è già ritornata sull'uomo al tuo fianco.

"Dottore, dovete venire. Il Marchese..." Stringe le labbra, tormentandosi le mani. I suoi occhi saettano nella tua direzione carichi di significati.

Senti che borbotta qualcos'altro, ma non lo cogli, troppo impegnata a scrutare nello sguardo che Antonio ti ha rivolto.

Capisci all'istante i suoi dubbi, ma ti ritrovi comunque ad annuire.

Contraria o meno, lo curerà ugualmente, anche se significa prolungare la tua tortura.

Un cenno con la testa ed è già scomparso dietro la porta, mentre tu ancora ti senti scombussolata dall'intensità delle parole silenziose che sono intercorse tra di voi.

Non ti rendi neanche conto che Bianca ti sta aiutando a vestirti finché non la costringi anche ad acconciarti i capelli. Potresti farne a meno, vista la probabile gravità, ma certe abitudini sono troppo radicate.

Quando giungi davanti alla camera di tuo marito saranno passati appena una decina di minuti, dalla porta chiusa senti arrivare rumori indistinti e frammenti di parole ordinate con la voce conciata di Antonio.

Ti siedi per un momento sul divanetto a ridosso del corridoio per poi alzarti subito, incapace di stare ferma un secondo di più.

Non sono tanto le condizioni di Alvise a preoccuparti, anche se mai prima d'ora sono state tanto gravi da richiedere un intervento così tempestivo, quanto più la presenza di Antonio al suo fianco.

Infondata, perché tuo marito non può sapere cos'è successo tra voi.

Inizi a camminare avanti e indietro con il suono dei tuoi tacchi come unica compagnia.

Mentre passi tra un quadrato di sole e una zona d'ombra non puoi fare a meno di lasciarti sfuggire un sorriso, gli angoli delle labbra leggermente incurvati, pensando all'assurdità delle tue emozioni.

Alzi lo sguardo quando il corridoio inizia a risuonare di passi affrettati e vedi tuo fratello macinare metri di piastrelle candide per venirti vicino, seguito da Elisa che si sforza di stargli dietro, le labbra serrate e una mano sul ventre.

"Anna, stai bene?" Il tuo campo visivo si riempie degli occhi di Fabrizio.

"Io..." Esiti, indecisa.

"Ci hanno detto che il Marchese sta male." Volti lo sguardo verso la donna e senti le labbra tendersi in una linea.

Così preoccupata per chi, Alvise?

Ne dubiti.

Per te?

Tanto meno.

Abbassi gli occhi fino ad incontrare la sua mano che ancora continua ad accarezzare la pancia, e capisci che tutto quel trambusto non può farle del bene.

Una parte di te, quella non ottenebrata dall'istinto materno che hai provato e la preoccupazione per l'uomo al di là della porta, non può fare a meno di notare il suo costante egoismo malcelato.

Volti le spalle ad entrambi, senza rispondere, leggermente irritata.

Scosti la tenda della finestra ignorando lo sguardo che li vedi rivolgersi alle tue spalle nel riflesso e, mentre la tua vista si perde tra le siepi curate, la tua mente si perde in un'altra perla di ricordi dimenticata nella tua memoria.
 



Accetti la mano del cocchiere che ti aiuta a scendere dalla carrozza e osservi la facciata di quella che è stata casa tua finché non senti la mano riempirsi con quella calda di tua figlia.

"Andiamo dalla nonna?" Abbassi gli occhi su quelli luminosi di Emilia e annuisci, sorridendo.

Siete appena all'inizio della scalinata che venite fermate da una voce, dall'alto, che vi chiama.

"Signora Marchesa, siete arrivata!" L'urgenza con cui Elisa ti ha parlato e ti si avvicina ti fa soprassedere sul modo in cui vi accoglie.

"Mi avete fatta chiamare." Rimarchi con ovvietà, alzando le sopracciglia.

"La Contessa..." Esita, rivolgendo uno sguardo eloquente ad Emilia, attenta al tuo fianco.

"Emilia, vai a giocare." Che si trattasse di tua madre non ti era stato detto.

"Ma..." Prova a contestare.

"Vai a giocare." Ripeti, spiccia.

"Ebbene?" Richiedi l'attenzione dopo che tua figlia si è allontanata, cercando di non dare peso all'espressione dispiaciuta con cui vi ha voltato le spalle.

"Vostra madre..." Si tortura le mani, le labbra strette. "Vostra madre ha avuto una crisi." Si decide a parlare.

"Una crisi?" Inizi a salire le scale, svelta.

"Sì, non riusciva a respirare. Il dottore la sta visitando e-"

"Il dottore?" La interrompi.

"Sì, ha detto-"

"La sta visitando adesso?" Ti volti a guardarla e la tua insofferenza cresce quando la vedi esattamente al tuo fianco.

"Sì." Si limita ad annuire, forse iniziando a capire che il tuo stato d'animo sta passando da progressivamente preoccupato a ragionevolmente irritato.

"E tu l'hai lasciata sola?" Chiedi, pur sapendo quale sarà la risposta.

Tentenna un momento prima di rispondere. "Dovevo venire ad accogliervi." Si giustifica.

"Ed immagino ci sia solo tu in questa casa." Non puoi fare a meno di farle notare.

Riprendi a camminare, voltando le spalle a qualsiasi altra parola abbia da dire a sua discolpa.

Ancora non ti capaciti di come quella ragazza possa pensare di potersi comportare come una nobile quando è evidente che la più piccola difficoltà la metta in crisi.

"Sei la dama di compagnia di mia madre, è evidente che il tuo compito sia rimanerle accanto." Continui il tuo rimprovero.

Non ti risponde, ma sai che  è ancora al tuo fianco perché il rumore dei suoi passi si accompagna secco a quello dei tuoi.

Arrivi davanti la porta di tua madre e non esiti un secondo ad aprirla.

Ti blocchi come paralizzata, la mano sulla maniglia e il fiato in gola.

Un paio di occhi azzurri ti scavano dentro, sorpresi come i tuoi.

Il dottore la sta visitando, certo, ma non avevi capito quale dottore.

"Anna." È la voce di tua madre a salvarti da quel gioco di sguardi in cui, involontariamente, ti eri incastrata.

"Madre." Ti avvicini al letto prendendole la mano che ti sta tendendo. "Come state?"

"Oh." Sbuffa, facendo un gesto vago con la mano libera. "Solo un po' di affanno."

"Elisa mi ha parlato di una crisi." Puntualizzi, cercando di ignorare la presenza dell'uomo dall'altro lato del letto.

"Nulla di grave. Non è vero, dottore?" Distoglie lo sguardo da te per portarlo a lui, costringendoti a fare lo stesso per sentire la risposta.

"Certo, Contessa." Incroci brevemente i suoi occhi e il cuore ti salta in gola. Ti eri dimenticata com'è rassicurante il suo sorriso appena accennato sulle labbra sottili.

"Bene." Riporti gli occhi a tua madre, abbassando la testa per impedirgli di notare le tue guance arrostire. "Vi lascio continuare allora." La saluti con un sorriso ed esci scambiandoti uno sguardo eloquente con Elisa. Che non la lasci sola ti sembra inutile rimarcarlo, sei tu la padrona di casa e, come tale, assolverai i tuoi doveri.

Aspetti che esca camminando per il corridoio, incapace di star ferma e quando la porta si apre senti i polmoni svuotarsi.
Per un attimo state immobili entrambi, a studiarvi.

Sono passati troppi anni da quando l'hai visto, una vita intera, pare.

Fai un cenno con la mano invitandolo a seguirti. Dove hai trovato il coraggio non te lo sai spiegare.

"Come sta?" Inizi a camminare, non lo guardi.

"Non era nulla di grave."

"Come sta veramente." Gli lanci un'occhiata di sottecchi e sussulti quando trovi i suoi occhi già su di te.

"Deve cercare di non fare sforzi, riposare e bere molto." Sta invecchiando, leggi tra le righe quello che non ha il coraggio di dirti.

Noti con sollievo che quelle poche battute sono bastate per accompagnarvi in biblioteca.

Ti avvicini risoluta alla grande scrivania, decisa a porre fine in fretta a quell'incontro.

Per lo meno prima che ti venga la tachicardia.

"Non ce n'è bisogno." Senti la sua voce alle tue spalle.

"Non dite assurdità." Già stai frugando nel cassetto.

Quando gli porgi il sacchetto sei costretta ad incrociare i suoi occhi.

Dolorosamente azzurri.

Deglutisci.

"Sono troppi." Dice. Solo a te è sembrato eterno, quel guardarsi?

Sospiri, un po' esasperata. "Dovete sempre contestare." Inizi a contare le monete quando ti rendi conto dell'implicazione della tua frase.

Prima contestava sempre, ora che ne sai?

Cosa sai di cosa ha passato la persona davanti a te per trasformarsi da ragazzo intelligente, allegro e a volte malizioso nell'uomo pacato, tranquillo e sicuro di sé che adesso guardi?

Ti accorgi che anche lui ha capito il rimando al vostro passato dal modo in cui il suo sorriso educato si vela di tristezza.

Ti schiarisci la voce. "Ecco." Fai letteralmente cadere le monete sul suo palmo, pur di non toccarlo.

"Mamma." Emilia sta sulla porta, bloccata come tu lo eri su quella di tua madre.

"Emilia, vieni." La incoraggi. Ti si avvicina continuando a lanciare occhiate valutative all'uomo al tuo fianco.

È strano, per lei, vederti, sola, in compagnia di un uomo che non sia suo padre.

"Questo è il dottor Ceppi, è venuto per la Contessa tua nonna." Fa una piccola riverenza che ti rende oltremodo orgogliosa.

Antonio fa un passo nella sua direzione e, come ha fatto con te molti anni prima, accenna un baciamano inginocchiandosi ai suoi piedi.

"È un piacere conoscervi, Contessina." Sorride.

Emilia ridacchia divertita. "Dottore, vi sbagliate." Ti lancia un'occhiata un po' complice e un po' birichina. "Non sono una contessa." Scuote i capelli sulle spalle, dandosi importanza. "Sono la Marchesina Emilia Radicati Ristori di Magliano." Inarca le sopracciglia, guardandolo per un attimo superiore.

"Oh, perdonatemi." Antonio non ha mai smesso di sorridere. "Quanti anni avete?"

"Sei."

Sei. Sei.

Sei anni.

Tanti quanti il tempo per cui non vi siete visti.

"Siete bella come la vostra mamma quando aveva la vostra età, sapete?" E tu arrossisci, imbarazzata per quel complimento e con il cuore stretto per come si sta approcciando a tua figlia pur essendo la prima volta che la vede.

Tua figlia.

La figlia che hai fatto con un altro.

La figlia che avresti voluto fare con lui.

"Avete conosciuto la mamma da bambina?" Sgrana gli occhi, sorpresa, e sussurra la domanda come fosse un segreto tra loro due soli e tu incapace di udirli.

Antonio annuisce, alzandosi mentre ricambia il sorriso complice e lusingato che la bambina gli sta donando.

"Adesso devo andare." Dice esitante, sfiorandoti con lo sguardo. Forse si accorge di essersi spinto troppo oltre.

"Marchesina." Accenna un inchino che tua figlia ricambia, mettendo in mostra le fossette.

Si volta verso di te e ti prende la mano. "Contessa." Occhi e labbra ti accarezzano, procurandoti brividi che si radicano nello stomaco.

Sei troppo interdetta per rispondere, quasi sconvolta per aver sentito la sua pelle a contatto con la tua dopo così tanto tempo, così rimani a guardarlo mentre esce.

Ancora sovrappensiero ti avvicini alla finestra e sposti la tenda per osservarlo.

"Madre, il dottore ha sbagliato di nuovo." Dice Emilia accostandosi al davanzale per seguire la direzione del tuo sguardo. "Vi ha chiamata contessa."

"Il dottor Ceppi mi ha conosciuta prima che sposassi il Marchese tuo padre." Spieghi mentre lo guardi salire agile sul calesse.

Spiegazione che non giustifica il modo troppo confidenziale con cui ti si è rivolto, ignorando deliberatamente il tuo nuovo titolo e, così, tuo marito.


Emilia non risponde, ma vedi dal suo riflesso che annuisce.

Continui a guardare Antonio che percorre il sentiero verso il cancello finché una carrozza che conosci fin troppo bene cattura la tua attenzione.

"È arrivato mio padre." Ti dice Emilia, improvvisamente seria, mentre la carrozza si ferma sotto di voi.  "Aveva detto che sarebbe arrivato stasera." Continua con tono fra l'ingenuo e il maturo.

Le accarezzi i capelli sulla nuca e la spalla, per confortarla, e cerchi di ignorare l'ansia che ha iniziato a stringerti lo stomaco.

Aveva detto che vi avrebbe raggiunte in serata, speravi anche dopo la cena. Vederlo così presto né ti rallegra né ti fa presagire qualcosa di buono.

Rimani ferma mentre tuo marito scende e si guarda intorno impettito e tronfio, iniziando subito a sbraitare ordini come se fosse il padrone indiscusso della tenuta.

Ma tuo fratello non potrà trattenersi in eterno nell’esercito francese.

"Andiamo, Emilia, vorrà trovarci ad accoglierlo." Lasci ricadere la tendina e ti concedi un respiro profondo. Poi prendi la mano di tua figlia e, insieme, vi avviate verso il cortile.
 



La porta si apre con un leggero cigolio. Se non fosse per la voce di Elisa che chiama Antonio probabilmente non ti saresti voltata, troppo presa dai tuoi pensieri.

Incroci subito il suo sguardo e, anche se fra voi si concretizzano i corpi di tuo fratello e la sua futura sposa, lui non lo distoglie, annullando la distanza dei vostri corpi con le iridi chiare.

Annuisce leggermente, forse per rispondere ad una domanda che non hai sentito. "Vuole vedere l'avvocato Sorbelloni."

Le ginocchia cedono e sei fortunata ad accasciarti su una poltrona. Non sai se il gemito che senti in gola sia dovuto al sollievo che una buona moglie dovrebbe provare alla notizia della mancata morte del marito oppure perché la sua morsa continua, imperterrita, a non lasciarti andare.



 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



Capitolo breve e di passaggio, ma ogni tanto bisogna tirare una boccata d’aria.
Spero vi piaccia ugualmente,
 
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Capitolo 6
 
 
 
 

La ceramica tintinna quando posi la tazza sul tavolo.

Non sai bene come sei arrivata in biblioteca, ma avevi la tazza tra le mani e intorno a te parlano tranquillamente, quindi presumi di esserci arrivata con le tue gambe, semplicemente troppo assorta per essertene accorta.

Una parte di te sta iniziando a preoccuparsi per questi continui momenti di buio dell'ultimo periodo, l'altra ti ricorda che ti sei sempre estraniata per fuggire dalla realtà che ti circonda, dalla tua vita, da tuo marito.

Ti alzi ed avvicini alla finestra, anche se sai che non vedrai nessuno: Angelo è andato a Torino a chiamare l'avvocato, ma non arriverà prima di sera. Non sai se l'intenzione di Alvise sia fare testamento, anche se lo pensi. In ogni caso non ti preoccupa: come vedova sai che dovrebbe essere tenuto a lasciarti qualcosa, ma speri soltanto si ricordi di Emilia.

"Stai bene?" Antonio ti si accosta e parla con naturalezza. È incredibile come ogni barriera- titoli, formalità, anni di rancore- tra voi sia caduta, lasciando semplicemente Anna e Antonio.

"Mi fate tutti la stessa domanda." Quasi sbuffi, sminuendo la situazione. Puoi vedere la ruga tra le sue sopracciglia farsi più profonda.

"Sei pallida."

"Lo sono sempre." Riporti lo sguardo all'esterno, come se privarlo dei tuoi occhi potesse farlo desistere o non fargli comprendere i tuoi pensieri.

Ti volti, di scatto e un po' sorpresa, quando lo senti ridacchiare.

Incapace di trattenerti sorridi. "Perché ridi?"

Già è strano vederlo al tuo fianco, figurarsi vederlo al tuo fianco ridere.

"Stavo pensando..." Si interrompe distogliendo lo sguardo, forse pensa che non guardandoti sarà più facile smettere di ridere. "Ti ricordi la prima volta che ci siamo abbracciati?"

E allora capisci, e ridi anche tu.
 



Scuoti le sbarre e loro si limitano a cigolare, deridendoti.

"Fabrizio, torna subito indietro!" L'unica risposta è la sua risata, sempre più lontana.

"Fabrizio!" Incurante delle scarpe di lusso tiri un calcio all'inferriata, frustrata, e adesso al cigolio si unisce il tuo gemito dolorante.

"È insopportabile." Constati, sbattendo un piede a terra. Non ti interessa di sembrare una bambina viziata.

"È solo uno scherzo, non vi arrabbiate." Schiudi le labbra e lo guardi con esasperato stupore.

"Oh, dimenticavo che voi siete suo amico, lo difendete." Fai in fretta a riprenderti.

Lui non risponde, incrocia le braccia al petto e sorride. Sorride.

Imiti il suo gesto stringendo le labbra e voltandoti. Stai iniziando ad odiare quel sorriso, sempre così inopportuno, così saccente, così ostinatamente accattivante.

In ogni caso, vuoi solo uscire da lì. Di come tuo fratello si sia procurato le chiavi delle cantine ti preoccuperai di scoprirlo quando sarai tornata in un ambiente più abitabile, magari a cena, magari in compagnia dei vostri genitori.

"Avevo lezione di francese, mia madre mi ucciderà." Il veleno ha lasciato la tua voce, lasciando posto ad una pacata rassegnazione.

"State tranquilla, non lo farà."

"Dite così perché non conoscete mia madre."

"E perché non ho lezione di francese."

Alzi gli occhi al cielo e rimani in silenzio, ingoiando l'unica possibile replica a quella risposta, ovvero che è insopportabile.

Ma già lo sai, in fondo ci sarà un motivo se è così amico di tuo fratello.

In mancanza d'altro inizi a guardarti attorno: non c'è neanche una finestra, l'aria è umida e pregna dell'odore di muffa che emanano mobili e cianfrusaglie ammassate alle pareti.

Rabbrividisci, nonostante siate lì da pochi minuti.

Finito il tuo esame rimani ferma al centro della stanza, le braccia attorno al busto mentre continui a cambiare peso da un piede all'altro senza sapere cosa fare. Così inizi ad osservare l'unico altro essere vivente oltre a te: Antonio.

"Cosa state facendo?" Quasi lo dici contro la tua volontà non appena sfiori la sua figura con gli occhi.

"Se dobbiamo aspettare tanto vale farlo comodi." Allunga le gambe il più possibile, sistemandosi sulla poltrona polverosa.

Lo fissi allibita. Incredula.

"State scherzando." Era una domanda? Il tono strozzato non da certezze neanche a te. Eppure sei stata tu a parlare.

"E cos'altro dovrei fare?" Chiede, ingenuo.

Ingenuità del tutto fittizia, la costante ombra di sorriso agli angoli delle labbra.

"Non so." Alzi le sopracciglia, saccente. "Forse trovare un modo per farci uscire."

"La serratura è troppo arrugginita per forzarla."

"Allora cercate qualcosa con cui romperla."

"Non c'è nulla, qui, in condizioni così buone da rompere del ferro."

"Avete già visto tutti gli oggetti presenti?"

"No, ma lo so." Un lampo negli occhi. "Se non vi fidate, comunque, accomodatevi, cercate qualcosa voi stessa."

Apri la bocca per ribattere, ma la richiudi, a corto di parole. Apri le braccia e le lasci ricadere lungo i fianchi, esasperata. "Siete insopportabile."

"E voi siete bellissima, specialmente quando siete arrabbiata."

Senti le guance avvampare e gli volti le spalle, sperando che non se ne accorga.

Sei quasi sicura sia una speranza vana, nonostante la semioscurità della stanza.

Ti ritrovi ad osservare un vecchio quadro che rappresenta la tenuta. Lo studi a lungo, soffermandoti su ogni dettaglio per combattere il lento protrarsi dei minuti. Ad ogni dettaglio che cogli, tuttavia, capisci perché è stato rilegato in una cantina e non esposto in uno dei molti corridoi. Foss'anche uno in disuso.

"Avete freddo?" La sua voce ti arriva vicino all'orecchio. Quasi sussulti, non ha fatto un solo rumore nel muoversi.

Hai la pelle d'oca, ma ti scosti. "No."

"Non siate offesa." Ti si avvicina e ti poggia la sua giacca sulle spalle.

Mastichi un ringraziamento tra i denti, troppo imbarazzata per parlare. Senti il calore del tessuto avvolgerti, insieme al suo profumo.

"Non voglio che vi ammaliate per colpa mia."

"Non è colpa vostra." Alzi lo sguardo e sgrani gli occhi nel vederlo così vicino.

Deglutisci. E lui sorride.

"Io..." Ti dimentichi immediatamente cosa volevi dire quando le sue mani si avvicinano al tuo collo per avvicinare i lembi del suo colletto tra loro, un ulteriore tentativo per scaldarti. Scuoti impercettibilmente il capo. "Volevo scusarmi. Non lo penso davvero, non siete insopportabile."

Che scuse goffe. Il tuo precettore di buone maniere sarebbe inorridito da tanta mancanza di controllo, lo puoi vedere stringere le labbra e guardarti con disappunto.

"Io ero serio, invece." La sua voce non tentenna. "Siete bellissima." Non sai come siete arrivati a sussurrare con i volti a così pochi centimetri di distanza.

E adesso non sai dove nasconderti per mascherare l'improvviso affluire di sangue alle tue guance, che senti bollenti. Infatti se ne accorge.

"Scusate." Fa un passo indietro, alzando le mani come se volesse dichiararsi innocente. "Sono stato inopportuno."

Sicuramente, pensi.

Forse, vorresti rispondere.

Invece sorridi. Un po' compiaciuta, un po' lusingata.

"Avete ragione, sono insopportabile." Incrocia i tuoi occhi, le mani abbassate. "Ma la verità è che adoro provocarvi e sentire le vostre risposte piccate, stuzzicarvi per vedervi arrossire e stupirvi per guardare le vostre labbra schiudersi." Abbassa appunto lo sguardo sulla tua bocca, per riportarlo subito a te. "E quando sorridete..." Si passa una mano tra i capelli. "Quando sorridete io... Io non capisco più niente."

Ti guarda di nuovo e ti chiedi se quegli sconfinati occhi blu sanno percepire il battito accelerato dei tuoi palpiti o il vuoto che senti alla bocca dello stomaco o quanto la tua gola sia arida.

Sbatti le palpebre, confusa. Dovresti dire qualcosa prima che il silenzio diventi troppo opprimente e lungo da diventare imbarazzante per entrambi.

È il suo sospiro a scuoterti.

"Non dite nulla." Porta gli occhi a terra, privandoti delle sue iridi come dell'ossigeno. "Avete ragione, scusate, io-"

Non sai dove trovi il coraggio per colmare lo spazio tra i vostri corpi. Un momento lo avevi di fronte e il momento dopo stai appoggiando il capo sul suo petto, che tante volte avevi immaginato, ma non te l'aspettavi così accogliente e caldo.
Senti le sue mani sulla schiena, dapprima esitanti, poi più sicure.

"Va bene così, non scusatevi." Circondi i suoi fianchi con le braccia. Non pensavi che tenere il corpo di un uomo così vicino potesse dare queste sensazioni.

Strofini la guancia contro la camicia soffice e profumata. "Va bene così." Ripeti.

Sa di pulito, di lenzuola stese ad asciugare al sole, di sapone.

Non sai quanto tempo rimanete a combattere il freddo e contare i battiti reciproci tra le braccia dell’altro. Hai gli occhi chiusi, cullata dal suo respiro.

“Sapete cosa vi dico?”

Mugugni in risposta, a metà strada fra la curiosità e l’assecondarlo.

“Penso proprio che vostra madre vi ucciderà per aver saltato la lezione di francese.” Dice con tono serio.

Alzi gli occhi incrociando i suoi- puoi notare anche al buio che stanno brillando- e ridi, consapevole che ad entrambi basterebbe fare un movimento in avanti con la testa per far incontrare le vostre bocche.
 


Ti costringi a sorridere il meno possibile ripensando a quell’episodio, alla vostra goffaggine.

“Se mio padre l’avesse scoperto Fabrizio avrebbe ricevuto una punizione esemplare.” Adotti la sua tecnica: non lo guardi concentrandoti sull’esterno. Sei già fin troppo consapevole delle occhiate stranite che continuano tutti a rivolgervi senza comprendere quale dinamica vi abbia portato dal non poter stare nella stessa casa a non riuscire a stare senza scambiarvi uno sguardo ogni pochi minuti.

“Non gliel’hai mai detto?”

“All’inizio volevo, poi ho pensato a tutto quello che era successo. Non avrei mai potuto spiegarglielo.” Vi scambiate un’occhiata complice, gravida di quel segreto che conoscete voi due soli.

Vi guardate negli occhi in silenzio, mentre lui continua a sorridere e tu a reprimere la voglia che hai di nascondere il viso sul suo petto e riemergere dalle sue braccia quando tutto sarà finito.

Sembra capire i tuoi pensieri perché, lentamente, allunga una mano fino a posarla sulla tua guancia.

Ti lasci andare a quel contatto, chiudendo gli occhi e rilasciando un respiro che ti sembra di aver trattenuto da quando hai lasciato la tua stanza. Poi la mano scende sul collo- il pollice sulla clavicola- sulla spalla, percorre il braccio fino ad arrivare al tuo palmo.

Intreccia le tue dita alle sue, che senti piacevolmente calde.

“Andrà tutto bene.” Ricambi la stretta, sorridendo malinconica.

In cuor tuo vorresti davvero sperarlo.   










 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



Aggiornamento anticipato: la prossima settimana, sorpresa di Natale!
In cambio, fate voi un bel regalo a me: una recensione.
Crudelia
 
 
 
Capitolo 7
 
 
 
Si sapeva.

Generico.

Lo sapevano tutti.

Più specifico.

Lo sapevi tu, che lo vedevi morire ogni giorno.

Lo sapeva lui, che ha fatto chiamare l'avvocato.

Lo sapeva vostra figlia, che ti chiedeva se e come doveva salutare il padre.

Anche conosciuto è il motivo.

Inutile, allora, fingere dispiacere e rammarico. Non ci sono buone azioni da ricordare, bei gesti da rimpiangere.

Alvise non era una brava persona. Non era un brav'uomo, un bravo marito, un bravo padre. Nemmeno era un bravo padrone o un bravo amministratore per la tenuta.

Difficile che le parole del curato non suonino vuote e prive di significato nella navata gremita di gentiluomini e nobildonne vestiti di nero.

Due cose sapeva fare: tradirti e sperperare al gioco d'azzardo.

Tutti in quella chiesa lo sanno, tutti ti porgeranno condoglianze volte a nascondere il sollievo che la sua morte ha procurato.

Sollievo tuo e loro.

Ma soprattutto tuo.
 
 
 
Hai tergiversato abbastanza, ma ora ne sei sicura.

Due mesi sono sufficienti per capirlo, ma, nel tuo profondo, lo sapevi già da parecchio.

Una donna, come sempre ti ha detto tua madre, queste cose le sente.

Dovresti allora deciderti ad uscire dalla stanza nella quale continui a camminare e affrontare tuo marito. Che poi era tutto ciò che voleva da te, quindi cosa temi?

Non lo sai.

O meglio, lo sai, ma hai troppa paura per ammetterlo anche a te stessa.

Ti fermi davanti alla porta. Poggi la mano sul pomolo dorato e prendi un respiro.

Ti convinci che quando avrai finito di espirare uscirai.

Ma i respiri diventano due, tre, quattro, sempre più profondi, lenti, lunghi.

L'ansia che senti in fondo allo stomaco non si sta placando, per questo, quando esci infine con il mantello già sulle spalle, hai cambiato destinazione.

La carrozza non è pronta, ma dai ordine che lo sia il prima possibile.

"Anzi, lo deve essere subito." Anche l'inchino con cui Maria si congeda è il più frettoloso possibile.

Scendi le varie scalinate con calma, godendo dell'eco dei tacchi nei grandi corridoi vuoti.

Quando arrivi all'ingresso la carrozza ti sta già attendendo e un'ondata di sollievo ti invade.

Ti affretti a salire e sei quasi sicura di avercela fatta quando il piede sale sul gradino per essere seguito dal resto del corpo.

"Dove state andando?"

Ecco, appunto.

Torni a terra e incroci le mani tra loro in una posa più decorosa, imponendo al tuo viso di non assumere un'espressione colpevole perché non hai alcun motivo per esserlo.

"Da mia madre, a Rivombrosa." Rispondi, calma.

"Di nuovo? Ci siete andata la settimana scorsa!"

L'unica tua risposta al suo tono già infuriato è alzare le sopracciglia con aria di sufficienza.

"Pensavo di essere libera di lasciare casa mia per un paio d'ore." Dici quando il silenzio è già durato troppo. E tu hai fretta di andartene.

Arrossisce di rabbia, conscio di non potertelo impedire. "E va bene, andate. Andate, di grazia!"

Ti fa sgarbatamente segno con la mano di andare e sei svelta ad ubbidire, per una volta.

Sei di nuovo a metà strada dal salire nell'abitacolo che la sua voce ti ferma.

"È così che salutate vostro marito?"

Chiudi gli occhi e respiri, esasperata, prima di voltarti.

È più vicino di quanto vorresti, ma non opponi resistenza né lo assecondi, neanche quando la sua bocca è sulla tua e le sue dita schiacciano le guance per farti aprire le labbra che tu continui a tenere chiuse, testarda, anche se le dita scavano nella carne tenera fino a lasciarci il segno.

"Andate, allora!" Com'è iniziato finisce, e già ti volta le spalle mentre sali.

Ti appoggi allo schienale e ti accarezzi il grembo, ancora piatto sotto la complicata trama del bustino, e adesso che sei sola, cullata dal moto ondeggiante dato dai cavalli lanciati al trotto, non riesci ad impedirti di pensarlo: speri che sia femmina, perché se dovesse essere maschio, e assomigliare ad Alvise, non riusciresti ad amarlo come una madre dovrebbe.
 
 
 
"A mia moglie Anna Ristori Radicati, poiché a me legata dal sacro vincolo del matrimonio, concedo la possibilità di continuare a risiedere a Palazzo Radicati, purché venga rispettata la sua condizione di vedova: che nessun altro possa godere dei beni che per secoli e generazioni sono appartenuti alla famiglia Radicati di Magliano.
A mia figlia, Emilia Agnese Sofia Radicati Ristori, lascio ogni mio bene."

Anche nella morte ha trovato il modo di umiliarti, ma almeno una tua volontà l'ha rispettata.
 
 
 
L'unico suono che si sente è quello delle posate contro la ceramica, l'occasionale gorgoglio delle bevande, le saltuarie domande della servitù.

Pochi mesi di matrimonio sono bastati per trovare il modo più veloce e indolore per superare le poche occasioni in cui dovete stare a contatto.

La cena, ad esempio.  
      

"Sono incinta." Esordisci all'improvviso.

Avresti almeno potuto prepararlo, tenere un discorso, ma ogni tentativo che hai fatto nella tua mente ti sembrava sciocco e futile.

"Cosa?"

"Aspetto un bambino." Alzi gli occhi dal piatto, dal cibo con cui distrattamente giocavi, e lo trovi a fissarti, la forchetta a metà strada tra la bocca e il piatto.

Potrebbe sembrare quasi comico, se i suoi occhi non avessero sempre, costantemente, traccia di quella sua rabbia latente che rischia di sfociare nella pazzia.

"È mio?"

Tocca a te essere stupita, adesso.

Sbatti le palpebre, confusa. "Come?"

"È mio questo figlio? Non mi avete tradito?"

"Come osate-"

"In una delle vostre frequenti visite a Rivombrosa non siete stata con quel dottoruncolo che tanto amavate e che ha addirittura avuto l'ardire di venire al nostro matrimonio?"

Lo guardi stupefatta, le labbra dischiuse. Dovresti ribattere, difenderti, ma l'ultima sua frase ti ha lasciata senza parole.

Se dovessi trovare un pregio a tua marito sarebbe senz'altro la capacità di individuare le debolezze altrui e affondare la lama finché le ferite diventano così profonde da non rimarginarsi.

"Non rispondete! Dunque ho ragione, voi-"

"Basta!" La cristalleria tintinna per la violenza con cui hai colpito il tavolo. "Non osate pronunciare un'altra parola."

Ti guarda dal basso e puoi quasi scorgere una scintilla di ammirazione nei suoi occhi. Forse perché hai trovato il coraggio di ribellarti, forse perché per zittirlo ti è bastato usare un tono deciso e non sbraitare come lui è solito fare.

"Questo figlio è vostro." Inizi dopo un attimo di silenzio assoluto. "Voi lo riconoscerete come vostro erede, crescerà in questa casa, gli garantirete la migliore educazione e farete in modo che tutto questo, alla vostra morte, rimanga suo e suo soltanto." Non hai mai distolto gli occhi dai suoi, decisa e caparbia.

L'hai assecondato fin troppo, fin'ora, ma non sarà così ora che dalle tue battaglie dipende anche la vita di un bambino. 

Lasci il tavolo senza aggiungere altro e senza dargli la possibilità di ribattere.

Hai sacrificato la tua vita, ma non permetterai che venga rovinata quella di tuo figlio.
 
 
 
Antonio, amore mio,
non sai che gioia e malinconia mi da il poter scrivere queste parole. Mi riporta ad anni addietro, a giorni più felici in cui consideravamo scambiarci lettere la prova del nostro amore, sotterfugi per dirci parole che avrebbero fatto impallidire mia madre e rendere rosso di rabbia mio padre.

E con quale trepidazione aspettavo le tue risposte!

Ma ora molte cose sono cambiate. Questa lettera non dovrà davvero correre il rischio di essere trovata, per questo cercherò di fartela arrivare dalle mani di qualcuno che sia più che fidato. Non solo per la mia improvvisa condizione di vedova, ma non c'è bisogno che te lo ricordi.

Mi sono accorta di quanto, in mancanza di una malattia o un malore, sia difficile per noi due incontrarci. O, almeno, fingere un incontro casuale.

Eccomi, quindi, giunta al fulcro della questione: vorrei vederti.

Spero non ci sia bisogno di ricordarti dove eravamo soliti nasconderci, confido che tu abbia serbato quei momenti nel cuore, così come ho fatto io. Ti aspetterò là, domani pomeriggio.

Con tutto il mio amore,

Anna
 
 
 
Il pomeriggio si presenta plumbeo e gravido di pioggia, ciononostante non riescono a dissuaderti dal partire per una passeggiata a cavallo. Hai assicurato di avere con te il tuo mantello più pesante, quindi perché preoccuparsi.

Sono anni che non cavalchi e subito sei un po' impacciata a causa dell'ingombrante abito nero, ma fai presto ad abituarti.

Arrivi al luogo dell'incontro mettendoci più tempo di quando eri ragazza, ma riesci a smontare con relativa disinvoltura.

Leghi il cavallo ad un albero vicino, troppo timorosa per lasciarlo libero a pascolare, e inizi a guardarti attorno. Non è molto cambiato: forse qualche cespuglio ha vinto la battaglia contro la radura guadagnando terreno, ma il grande cespuglio di rose è rimasto lo stesso.

Ti siedi su un masso piatto e apri il libro che ti eri portata per ingannare l'attesa. Non riesci a leggere molto, comunque, troppo intenta a osservare il paesaggio e a rincorrere ricordi. Ti sei appunto alzata per osservare le rose che tanto ami quanto uno scalpiccio di zoccoli ti fa voltare.

È quasi una settimana che non vi vedete e appena incroci il suo sguardo senti un sorriso nascerti sulle labbra, subito ricambiato.

Lo osservi smontare e legare il cavallo con più agilità di quanta tu ne abbia avuta ed è subito al tuo fianco.

Sentirti avvolta dalle sue braccia e dalle sue labbra è come rinascere.

Ti godi il suo abbraccio finché lui non ti scosta quel che basta per guardarti negli occhi.

"Come stai?" Hai sempre amato il modo in cui te lo chiede: mai per cortesia o educazione, ma vero interesse e premura.

Non rispondi, muovendo il capo fra un diniego e un assenso. "Hai saputo?"

Scuote la testa, stringendo le labbra. "In paese si dice solo quanto sia strano che tu non sia ancora tornata a Torino."

"Oh, e dovrò andarci." Sbuffi, la gioia dell'averlo rivisto già evaporata.

Senti il suo palmo sulla guancia e torni a guardarlo.

"Ti ho mai detto che con il nero sei ancora più bella?"

"Non dire sciocchezze." Però sorridi.

"Cosa farete adesso?" La mano è scivolata lungo il braccio, intrecciando le dita alle tue. Iniziate a passeggiare.

"Elisa e Fabrizio aspetteranno che finisca il lutto e poi si sposeranno. Non possono aspettare troppo o la pancia inizierà a vedersi."

"Capisco."

Continuate a camminare in silenzio mentre tu cerchi le giuste parole.

"Antonio." Ti fermi, iniziando a giocare nervosamente con le mani. "È stato letto il testamento di Alvise, ieri."

Ti guarda in silenzio, aspettando che continui. Paziente, non ti mette fretta.

"Posso vivere a Palazzo Radicati, purché sia sola."

Aggrotta le sopracciglia. "Che significa?"

"Che io non-" Sospiri. "Che non posso risposarmi."

Puoi contare i battiti del tuo cuore nel silenzio che segue.

"Non può essere, non può farlo."

"Non lo so..." Ti passi una mano sulla fronte, ad un tratto stanca. "Non lo so, è tutto così confuso."

"Troveremo una soluzione." Ti si avvicina, ma lo respingi.

"E come? Dovrei chiudere Palazzo Radicati per vivere alla tenuta, oppure tu vivrai con me come mio amante?"

Sai che più che le parole è stato il tono sarcastico a ferirlo.

"Lo farei, Anna." Ti risponde, serio.

E la cosa peggiore è che lo sai.

Lo sai che getterebbe le sue battaglie giovanili, i suoi ideali, la sua dignità per stare al tuo fianco come amante, consapevole che ad uscirne nel modo peggiore sarebbe lui. In fondo, la corte è piena di nobildonne annoiate che vivono fugaci passioni alle spalle dei mariti, tu saresti addirittura tutelata dalla tua vedovanza.

Sospiri, chinando il capo, perché non potresti mai chiederglielo.

"Non posso." Mormori. “Non possiamo.”

Non che non vuoi, ma non puoi fargli questo. Se potessi essere certa che per lui non ci sarebbero conseguenze non esiteresti un attimo a salire su quei cavalli, partire per Torino e dar finalmente il via alla vostra vita insieme.

"Troveremo una soluzione." Ripete. Ti sposta una ciocca di capelli con una dolcezza che ti fa commuovere. "Aspetteremo il matrimonio di Fabrizio ed Elisa, poi decideremo."

Annuisci, confrontata dal suo tono pacato. Appoggi la fronte alla sua spalla, beandoti ancora una volta del suo profumo e calore.

"Antonio." Chiudi gli occhi per prepararti a fare la domanda che hai dentro da un po'. "E se fossi malata?"

Avresti voluto chiederglielo prima, prima che vi spingeste troppo oltre e ti fosse impossibile tornare indietro, convincerti ancora una volta che puoi vivere senza di lui.

Senti il suo naso percorrere la linea del tuo collo prima di baciarti nel tuo punto più sensibile. "Un modo per scoprirlo ci sarebbe."

"Non scherzare." Ma i brividi e il sorriso tradiscono il tuo intento compassato.

Apre la bocca per ribattere, forse baciarti per come si protende verso di te, ma un tuono esplode sulle vostre teste subito seguito da gocce gelate che iniziano implacabili a colpirvi.

Ridi, mentre ti prende per mano e correte.

Ridi, quando arrivate ai cavalli e ti aiuta a slegare le briglie.

Ridi, quando ti bacia, capelli e abiti fradici e incollati alla pelle.

Ridi, quando ti aiuta a salire, ma ti aggrappi alle sue spalle per avere un altro bacio.

"Vai a casa, amore mio, o ti ammaler-" Ma premi la tua bocca sulla sua e non lo fai finire. Senti il suo sorriso contro il tuo e vorresti non finisse mai.

Vi staccate e ti tuffi nei suoi occhi prima che lui sproni il cavallo e lo lanci al galoppo.

Arrivi alla tenuta in compagnia delle ultime gocce, la loro freschezza fin dentro gli abiti, il sorriso sulle labbra.








 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Breve, breve, breve capitolo per augurarvi buone feste!
 
 
 
 
Capitolo 8
 
 

 
Non ti penti della tua avventura fino a sera, a letto.

Poi iniziano i problemi.
 
 
 
Ha smesso di nevicare da tre giorni, ma i cumuli bianchi svettano ancora lungo i viali. I prati bianchi, candidi, intonsi ti rubano lo sguardo da minuti che potrebbero essere ore, e che mai ti bastano.

È la mattina di Natale, ti sei ritagliata un po' di tempo per stare sola.

Non che ci hai creduto davvero quando, occhi scintillanti e sorriso malandrino, ti ha detto che sarebbe riuscito a venire per darti il suo regalo.

Però, forse.

Comunque sei già pronta e stai ingannando l'attesa prima della Santa Messa, ecco perché sei lì.

O così hai detto ad Amelia che, come il tuo cuore, non ha creduto alle tue giustificazioni.

"Anna?" Un sussurro e ti volti così di scatto che in un primo momento non lo vedi.

Sgrani gli occhi, trattenendo il fiato. "Pensavo arrivassi a cavallo." Copi il suo tono.

"Non potevo, avrei dato troppo nell'occhio." Si getta un'occhiata alle spalle e ti si avvicina.

Quella situazione di intimo sotterfugio sta iniziando ad intrigarti.

"Vieni." Ti prende la mano e inizia, un po' tirandoti, a guidarti per i corridoi.

Protesti più per infastidirlo che reale dolore, ma adori il modo in cui ti tocca, sempre così cauto e premuroso, e come sbuffa alle tue lamentele continuando a sorriderti.

E poi ti sei accorta di come ti guarda le labbra quando metti il broncio.

"No, no, no." Ti fermi e ritrai la mano, incrociando le braccia. "Fuori non vado."

"Ma come?" Ti guarda un passo davanti a te, sorpreso.

"Fa freddo." Spieghi. "E non ho neanche il mantello." Aggiungi dopo un momento di riflessione.

Il suo sguardo percorre tutto l'elegante abito per il giorno di festa. È serio, sembra valutare la situazione, ma quando i suoi occhi tornano nei tuoi un sorriso furbo gli increspa gli angoli degli occhi.

"Faremo in fretta." Non ti da il tempo di ribattere che state già pestando la terra umida del cortile della servitù. Senti la neve bagnarti l'orlo della gonna e protesti, cercando di liberare la mano dalla sua. 

Le dita rimangono prigioniere e, prima che tu te ne possa accorgere, ha aperto una porta e senti il caldo avvolgerti.

Non ti eri accorta di quanto freddo avessi finché non senti mani e guance formicolare scaldandosi.

"Perché mi hai portato nella stalla?" L'incredulità riesce a mascherare il tono altezzoso e petulante, ma non può nulla contro la smorfia di disgusto che ti abbassa gli angoli della bocca.

"Perché c'è la tua sorpresa." Risponde semplicemente mentre si scuote gocce inesistenti dalle spalle.

Inizia a camminare e tu lo segui, pestando polvere e paglia che si unisce allo sporco della tua gonna.


"Se il tuo regalo è farmi avere l'odore di un popolano durante la messa ci sei riuscito."

"Smettila di fare la bambina viziata."

Ti fermi stizzita incrociando le braccia al petto. Il disappunto ti impedisce di rispondere con la prontezza che vorresti e che avresti in un altro contesto.

Lui si volta nella tua direzione dopo un paio di passi e finalmente parli. "Non ho intenzione di star qui a farmi insultare." Però non ti muovi.

"Non era un insulto. Era un invito."

"Un invito?" Alzi le sopracciglia, scettica.

Lui non risponde. Ti si avvicina e dolcemente ti cinge i polsi con le mani, sciogliendo il nodo di chiusura e protesta nei suoi confronti. Intreccia le dita con le tue e fa un paio di passi all'indietro, portandoti con sé.

"Vieni." Si volta e inizia a correre.

Inizi a sorridere e poi a ridere, sorpresa da quell'irruenza che inizia tanto improvvisamente e nello stesso modo si interrompe nell'angolo più caldo e remoto.

Stai ferma con il fiato corto mentre si inginocchia e inizia a frugare tra la paglia.

Corrughi la fronte e stai per chiedergli cosa sta facendo quando si alza tenendo tra le mani quello che sembra della lana grezza.

"Cos-oh!" Labbra schiuse e occhi scintillanti quando la comprensione prende il posto della confusione.

"Ma è bellissimo!" Sussurri tendendo le mani nella sua direzione.

Appena il fagotto è tra le tue dita senti un leggero dolore causato dalle sue unghiette, ma non ci fai nemmeno caso troppo occupata a fissare i suoi occhietti blu e sentire gli acuti miagolii di protesta.

Inizi ad accarezzare il soffice pelo bianco sopra il piccolo naso rosa, sorridi quando il triangolino umido ti sfiora le dita.

"Come può essere così piccolo? È inverno."

"Penso sia una cucciolata tardiva, non ne sono sicuro."

È proprio il suo tono incerto a farti alzare lo sguardo su di lui. Vedi i suoi occhi brillare e sei sicura che anche i tuoi abbiano la stessa luce felice, gli getteresti le braccia al collo se non fosse per la bestiolina che hai tra le mani e verso la quale provi un precoce ed intenso istinto di protezione.

"Grazie." Un groppo alla gola ti impedisce di aggiungere altro, ma non ce n'è bisogno.

Con lui non serve mai aggiungere il superfluo.

Allunga una mano verso la tua guancia e inclini il capo per appoggiarti alle sue dita già calde, chiudendo gli occhi per goderti la carezza.

La sua mano scivola lasciando immutato il tuo sorriso e si ferma sulla testolina bianca del gatto che adesso dorme contro il tuo corpetto.

"Cosa hai fatto alle mani?" Noti solo adesso che sono rosse, gonfie e così screpolate da sanguinare.

"Dovevo spostare la neve." Spiega. "Giovanni, il fattore, è in preda ai reumatismi e il figlio si è arruolato da mesi."

"Così l'hai aiutato tu." Sussurri, stupita.

"Così l'ho aiutato io." Sorride. E tu, come sempre, ti perdi nel sorriso spontaneo che nasce sulle sue labbra al solo pensiero di poter aiutare e rendersi utile a qualcuno.

La consapevolezza dei tuoi sentimenti per lui si concretizza all'improvviso nel tuo stomaco in una stretta quasi dolorosa che ti stringe la gola e fa inumidire gli occhi.

Ti appoggi alla sua spalla e lasci che le sue mani ti accarezzino lente la schiena, il silenzio intorno a voi rotto dai vostri respiri e dal battito dei vostri cuori.

Rimanete immobili a contemplare quell'attimo di perfetta felicità finché non è così tardi che sei costretta a correre per raggiungere la carrozza che sta per partire.

Gli occhi di tua madre si soffermano altezzosi sulla paglia e la sporcizia che ti sporca il vestito, tuo padre si sistema altero il bavero facendoti imperioso segno di salire, ma è di tuo fratello lo sguardo che incontri e con cui condividi un sorriso. Il suo si vela di malizia, e tu hai appena la decenza di abbassare lo sguardo.

 
 
 
Quando ti svegli dal ricordo o sogno o fantasia o illusione, non lo sai nemmeno tu, ricominci a gemere, febbricitante dal dolore.
 
 
 
 
 


E con questo capitolo spero di avervi fatto respirare un po’ di atmosfera natalizia!
L’intento era scrivere un capitolo fluffissimo, ma io e il fluff non abbiamo un gran rapporto, ne è la prova l’ultima frase, non vogliatemene.
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare con il solito aggiornamento del giovedì, ma devo ancora lavorarci parecchio.
Con questo, passo e chiudo.
 
Buon Natale,
Crudelia

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***




Nuovo anno, nuovo capitolo!
Avevo detto che sarei tornata ad aggiornare puntuale al giovedì, chiedo scusa per il ritardo: purtroppo la febbre post Capodanno mi ha colpita (certo è che uscire con le sole calze velate quando fuori ci sono -4 gradi non è una grande idea,
mea culpa).
Mi farò perdonare con questo capitolo lungo e, purtroppo, l'ultima prima dell'epilogo.
In ogni caso, come sempre, il vostro parere è più che gradito.
Crudelia




 

Capitolo 9
 


 
La preoccupazione stringe lo stomaco e blocca la gola.

Deglutire è un compito che sembra occupare ore, un boccone amaro che ostruisce la trachea e impedisce all'ossigeno di raggiungere i polmoni.

Il cuore batte contro le ossa in virtù del suo essere involontario e ad ogni palpito fa male, male, male perché potrebbe spezzarsi, se solo la notte decidesse di finire posando il suo drappo nero sul suo corpo, per sempre.

E il sole sorgerebbe sui suoi occhi spenti, vacui, vuoti. Morti.
 


Bussano alla porta.

I vestiti ancora ad asciugare davanti al fuoco, bagnati testimoni del loro incontro.

"Dottore, siete in casa?"

È l'urgenza nella voce a fargli aprire la porta -forse l'intestino già sapeva, per questo si contorceva.

"Angelo."

Capelli appiccicati alla fronte, occhi sgranati.

"Dottore, dovete venire. La Marchesa sta male."

Subito non capisce: non è mai stata marchesa, per lui. Nonostante suo marito, nonostante la fede sul dito, nonostante l'evidenza.

Le guance perdono colore, l'aria manca.

"Dottore?"

"Arrivo." Ma forse l'ha detto troppo piano e il ragazzo non l'ha sentito, per questo lo guarda interrogativo.

"Arrivo." Ripete, schiarendosi la gola.

Già non riesce a respirare.
 


Intreccia le dita con le sue e le sente gelide, sotto il sudore.

Prima erano bollenti, ha fatto di tutto perché quel calore malsano l'abbandonasse, ma non era questo ciò che voleva ottenere.

Sarebbe impazzito, se l'avesse persa. Ora come mai prima sente tutti gli errori commessi pesargli sulle spalle, il destino ridere e farsi beffe del suo dolore.

Donna amata, donna perduta, donna ritrovata.

Quante donne dovevano ancora pagare per le sue colpe, quanto dolore prima che scontasse la sua pena?

"Ti prego, Anna." Un sussurro perso tra i deliri malati, una supplica sbocciata nello spazio tra labbra e pelle bollente.
 


"Aprite le finestre." La voce ha quella sfumatura accademica che trova risposta nel rispetto della gente.

"Portatemi acqua fredda." Le scosta le coperte con un'urgenza che mai le avrebbe rivolto. "E riempite la vasca."

Al suo fianco Amelia si torce le mani, le labbra livide e i capelli in disordine.

"Stava bene, quando è tornata."

Quasi non la sente, impegnato a tastare la fronte e la gola ingrossata della donna.

"Si è cambiata ed è scesa a cena."

Sant'Iddio, l'aveva lasciata andare. E sì che casa sua era più vicina.

Un altro errore, un'altra mancanza.

"Ecco l'acqua, dottore."

Gesti frettolosi per togliere la giacca, rimboccare le maniche.

"Fredda, come avete chiesto."

"Altre pezze."

Ha già immerso le mani in quel gelo bagnato e le terge il sudore dalle ciocche madide. Le pupille si muovono frenetiche sotto le palpebre chiuse, mentre mormorii e fiati spezzati le aprono le labbra screpolate.

Gocce le scendono per le tempie e per un folle momento prova l'impulso di chinarsi e baciarle via dalla sua pelle.

Bagna un'altra volta il fazzoletto prima di posarglielo con delicatezza sulla fronte, poi ripete l'operazione con altre pezzuole poco più bianche della sua pelle a rinfrescarle polsi e caviglie. 

Torna al suo viso, a tergerle collo e petto con lente carezze. Sarebbe facile perdersi tra quelle cure e cedere al richiamo delle sue curve.

"La vasca è piena, dottore."

"Bene."

Le braccia scivolano sotto le spalle e le ginocchia per avvicinarla al petto, cullarla, sentire il dolce peso della sua testa contro la spalla mentre, frettoloso, cammina verso il bagno.

E non gli importa delle convenzioni infrante, barriere valicate, protocollo infangato e occhiate sconvolte, è pronto a scansare di lato chiunque e qualsiasi cosa si interponga fra lui e quella vasca. Troppo consapevole del tempo nemico, consapevole di quella malattia invisibile, consapevole delle vite che aveva già stroncato e di quella troppo importante che sta tenendo tra le braccia.

La immerge -quasi la butta- nella vasca di ottone e osserva con occhi sgranati e iniettati di ansia la sua bocca aprirsi in un muto urlo e il petto alzarsi in un respiro tanto improvviso quanto doloroso.

"Dio, Anna." Le parole sfuggono dalla bocca nello stesso momento in cui le ginocchia colpiscono il morbido tappeto in un tonfo. 

Un gemito.

Forse è il suo nome o forse un sospiro rotto, la mano artiglia il bordo della vasca con uno spasmo che ha il sapore del panico.

Mai grande quanto il suo -terrore di perderla.

Prende la sua mano e la sente fredda.

"Antonio." Questa volta non si è sbagliato, è il suo nome la prima parola che, rauca, ha pronunciato, ancora vittima dei fumi influenzali.

"Anna." Serra i denti con violenza per impedirsi di aggiungere altro. Dirle che la ama, adesso, supplicarla di non lasciarlo, suonerebbe patetico, disperato, perfino per lui.

"Fa freddo." Le palpebre calano a celare gli occhi, il capo reclinato indietro.

"Devo abbassare la temperatura." Una giustificazione, una scusa per quell'ulteriore dolore che continua ad infliggerle.

"È piacevole." Ma non sa più se si riferisce alla carezza dell'acqua che le bagna il corpo e rende trasparente -troppo troppo- la sottile camicia da notte oppure alle sue mani che hanno ripreso a rinfrescarle il viso congestionato.

"Cambiate le lenzuola." Sa che l'hanno sentito perché le sente iniziare ad affaccendarsi intorno a loro, ma l'attenzione rimane per la donna che ha di fronte: continua a fissare le sue labbra sperando che il fiato non smetta di uscire.
 


Errori che continuano a far male, pulsare, vomitare sangue senza mai rimarginarsi, senza mai dare un po' di tregua a quel tormento che toglie il sonno e la speranza.

Lei era sale su quelle ferite, lama implacabile che affondava con occhi carichi di rancore e parole amare di orgoglio ferito.

Lei era cura, medicina, balsamo per quelle piaghe: mani che accarezzavano con dolcezza infinita, bocca che baciava fino a far perdere il senno, braccia che stringevano da togliere il respiro, corpo da amare, venerare, toccare con devozione.

Le gambe cedono, la testa tra le mani.
"Non me lo perdonerò mai e non pretendo che tu lo faccia, ma se dovessi andartene..."
"Se dovessi andartene non sopporterei l'idea di non aver colto l'occasione di amarti."

E adesso rischiava di impazzire, sapeva fin troppo bene che il destino non offre una terza occasione.
 
 

"Quel porco si è portato via tutto lasciandomi solo debiti, non si porterà via anche mia sorella."
"Calmati, Fabrizio. Fare così non-"

"Calmarmi? Calmarmi!? Betta Maffei se n'è andata in una notte e tu non sei stato in grado di fare nulla per lei, cosa ti fa pensare che ades-"

"Fabrizio, stai esagerando." La mano della futura contessa a stringere il polso con le dita sottili.

Determinazione in occhi cerchiati, disperati.
 
 
"Antonio, a cosa stai pensando?"
"Lucia... Non ti avevo sentita rientrare."
"Ti tremano le mani."
"Sono solo stanco, è stata una mattina... intensa."
"Non ce l'ha fatta?"
"Aveva solo dodici anni."
"Non è colpa tua."
"Era troppo giovane, troppo magra, troppo fragile, tropp-"
"Antonio..."
"Non sono riuscito a fare nulla."
"Non è colpa tua..."
"Se non fossi l'uomo che sono..."
"Cosa?"
"Tutte le donne che tocco non sarebbero condannate a soffrire."
"Antonio, cosa stai dicendo?"
"Nulla... Nulla, sono solo stanco."
 



Le candele gettano i loro aloni sulla pelle pallida e i ricci disordinati della donna addormentata, conferendole una bellezza quasi eterea, ma nessuno la coglierà mai.

L'uomo, al suo fianco, tiene il capo chino, la fronte appoggiata alle loro dita intrecciate. Le labbra si muovono piano, scandendo parole mute e serrandosi per trattenere singhiozzi.

Forse prega, forse le parla o forse, ormai disilluso, si sta arrendendo.

Oppure, ancora, ricorda.
 


La guarda meravigliato mentre scende le scale, il modo in cui le pietre che le impreziosiscono il vestito catturano la luce delle candele facendola risplendere. Ha un sorriso lieve sulle labbra, quasi imbarazzato, ma sembra nascondere impazienza.

Sono passati molti anni da quando l'ha vista per la prima volta. Otto, se non ricorda male. E la bambina con gli occhi che brillavano per la corsa in biblioteca è diventata una giovane donna che sa calarsi perfettamente in società, si muove con disinvoltura tra sorrisi e broccato intrattenendo ospiti e dame.

Continua ad osservarla mentre un nobile la invita a ballare, si riscuote quando la scorge a pochi passi, un’eco cristallina della sua risata causata dalle giravolte veloci.

Il prossimo giro sarebbe stato suo.

Si avvicina che lei ha ancora il fiato corto.

"Contessina Ristori." Un baciamano galante, cortese, educato. Distaccato.

"Conte Ceppi." C'è una sfumatura sorpresa in quel sorriso.

"Vi ricordate." La mano scivola sul corpetto rigido avvicinando i corpi che rimangono alla distanza imposta dal buon costume.

"Certamente." Un lampo negli occhi, troppo veloce perché si possa riconoscere.

Il primo giro di valzer passa pressoché in silenzio. Dovrebbe obbligarsi di smettere di far cadere gli occhi su quelle labbra atteggiate a sorriso e parlarle.

Quello che le dice, infine, è di una banalità disarmante. "Dove siete stata? Fabrizio mi ha accennato ai vostri studi."

Annuisce leggermente. "A Parigi." Distoglie gli occhi, evasiva, spostando leggermente la mano sulla spalla. "E voi?" Sembra l'abbia chiesto più per dovere che reale interesse.

"Studio medicina."

"Volete diventare medico!" Gli occhi sono tornati ai suoi, le sopracciglia inarcate con sorpresa. "Andrete a corte?"

La sua ingenuità gli provoca un sorriso dolce in risposta, trova posto nel petto, una bolla che si sta gonfiando.

"Ancora non lo so."

Ma i suoi occhi sono già distanti. "Dev'essere bello." La mente persa in sogni ancora giovanili, lucenti speranze e utopiche realtà.

La musica sfuma nel brusio della nobiltà prima che lui fosse pronto a lasciarla.

"Permettete?" Ma le ha già sistemato la mano nell'incavo del gomito e la sta conducendo all'esterno.

Lei non risponde, tuttavia lo segue docile.
Che la docilità non facesse parte
 di lei l'avrebbe scoperto tempo dopo.
 
"Avete dei giardini splendidi."

"Lo sono." Asserisce con tono leggero. "Quando sono in Francia sono la cosa che più mi manca."

"Non vi piace Parigi?" La musica giunge dalla finestra aperta sopra le loro teste, sfondo alla loro prima conversazione spezzata dai passi sulla ghiaia.

"Parigi è una bella città, ma un piccolo convento non offre queste viste." I suoi occhi spaziano sulle siepi curate e i boccioli in fiore, le fontane zampillanti e le lanterne che ondeggiano nella tiepida brezza estiva. C'è rammarico, nella sua voce.

Il ragazzo continua a guardarla rapito, chiedendosi quali pensieri si stanno schiudendo dietro i grandi occhi chiusi, se mai lei l'avrebbe messo a parte di quei segreti.

Si ritrova a desiderare di conoscere la sua opinione tanto sui giardini quanto la letteratura, i pettegolezzi da salotto e l'amministrazione di una tenuta.

Si morde le labbra per impedirsi di dirle quant'è bella.

"E i vostri studi?" Pare riscuotersi sotto il peso del silenzio che lui non ha avuto il coraggio di infrangere. "Devono occuparvi molto tempo."

"Non molto, veramente." Adesso che il discorso verge su di lui è molto più restio a parlare. "Studio al mattino, il pomeriggio mi alleno." Un breve sospiro trattenuto. "Mio padre non ha ancora rinunciato all'idea che mi faccia soldato."

"Ecco come avete conosciuto Fabrizio." Non una domanda.

"Esatto." La sua mano lascia il braccio per sistemarsi un angolo dello scialle, forse sceso a causa del vento, forse solo per staccarsi.

"Mi chiedevo come aveste incontrato quello scapestrato di mio fratello." Gli angoli delle labbra incurvati, un'occhiata complice che ha il potere di fargli tremare il cuore.

"Vostro fratello è un ottimo spadaccino."

"Lo sarà quando imparerà che la guerra si vince con l'intelligenza e non con la sola forza."

Continua a camminare, ma lui si è fermato, colpito da quella frase che nasconde molta più conoscenza di quanta le vuote chiacchiere da salotto possano offrire. 

Si volta, accorgendosi di essere rimasta sola, e alza le sopracciglia in quel gesto che lui ha già imparato a riconoscerle come proprio.

"Non venite?"

"Siete bellissima, questa sera."

Non pensava di vederla arrossire, ma le guance rosate mettono in risalto i grandi occhi e le labbra schiuse.

Sarebbe affondato, in quella bocca, se solo avesse potuto.
 


"Antonio." Appena un sussurro, ma risuona come un urlo nel silenzio profondo di quella notte eterna.

"Anna." La testa si alza di scatto, quasi preoccupata che fosse un'illusione. "Come ti senti?"

Prende un respiro profondo, la mano libera si alza lentamente. Tutto il peso del mondo attaccato a quelle dita.

"La testa..." Gli occhi a coprire le palpebre chiuse. "Mi fa male."

Pare riscuotersi e si alza dalla sedia che lo ospita da ore, si alza senza mai lasciarle la mano, come se quel contatto la tenesse ancorata a lui, alla vita, alla flebile speranza in un futuro in comune.

"Bevi." Le accosta con dolcezza un bicchiere alle labbra, inclinandolo appena perché riuscisse a bere.

Quando torna a posarlo sul comodino la donna stringe gli occhi al lieve tintinnio del vetro contro il marmo.

Le sfiora i capelli, toccando la fronte che continua a scottare.
"Dovresti pregare, Antonio."
"Sono un uomo di scienza, io non prego."
 
Parole vuote che gli tornano alla mente. Forse solo Dio, se c'era, le avrebbe permesso di superare quella notte e dissipare finalmente l'ombra della malattia dalle loro vite.

"Ho freddo." Gli occhi della donna, così grandi e profondi, brillano offuscati mentre alza lo sguardo sul medico.

Fa in fretta ad alzare le coperte, ma lei lo ferma.

"No." Deglutisce, anche poche parole sono faticose. "Vieni qui."

Resta immobile, le mani al fianco del suo corpo. "Non posso."

Corruga la fronte. "Abbracciami." Non una richiesta, un ordine con quel tono da bambina viziata che in gioventù le strappava a
forza di baci.

Le si corica al fianco con circospezione. Per farla contenta, si dice, esaudire quel desiderio che potrebbe essere l'ultimo.

La verità, nel profondo, è che vuole bearsi di quel corpo come un assetato alla fonte.

Le passa un braccio attorno alle spalle mentre lei appoggia la guancia alla sua spalla, sospirando come chi dalla vita ha ottenuto tutto ciò che desiderava.

"Antonio." Occhi chiusi, sorriso lieve.

"Sono qui." Le accarezza i capelli per impedirsi di stringerla a sé fino a farle male.

"Non lasciarmi."

"Non potrei mai."

Ma non lo sente, sta già dormendo.


 
La vede e già da lontano il cuore inizia a battere poi forte.

Sono mesi che non la incontra. Potrebbe -vorrebbe- chiederle di scambiarsi corrispondenza, ma il loro rapporto non è niente più che una conoscenza: amico del fratello, timido corteggiatore.

"Contessina Ristori." Un cenno formale con il capo che viene ignorato.

Deve aspettare che gli occhi, pigri, arrivino al punto prima che si alzino nei suoi per offrirgli una risposta. "Conte Ceppi."

Si siede al suo fianco, entrando nella fresca ombra del gazebo, e le prende la mano per posarci le labbra.

"Mi ha detto vostra madre che vi trovavate qui." Sente sempre il bisogno di giustificarsi davanti ai suoi modi impeccabili.

"È un posto tranquillo, perfetto per leggere." Abbraccia con lo sguardo la distesa d'erba pianeggiante fino all'intrico di siepi all'ingresso, il pioppo che getta la sua ombra placida in quell'angolo di giardino che sa essere il suo preferito.

"Quando siete tornata?"                                             

"Due giorni fa."

"Non lo sapevo."

Non risponde, come sempre quando pensa che aggiungere parole non abbia significato. Si limita a riportare tranquilla gli occhi al libro che tiene ancora in grembo.

"Se me l'aveste detto sarei venuto prima."

Riporta l'attenzione su di lui e lo guarda a lungo prima di parlare.

"E perché avrei dovuto?" Il tono educato si scontra con la durezza delle parole come uno schiaffo.

"E perché non dovreste?" Non le ha mai mancato di rispetto, ma l'impazienza adesso si fa strada nella sua bocca e nei suoi occhi.

"Se volete scusarmi, sono molto stanca." Si alza senza degnarlo di uno sguardo in più e inizia ad allontanarsi mentre lui, attonito, la guarda ancora seduto.

"Come?" Poche falcate ed è già al suo fianco nonostante lei si sforzi di camminare in fretta.

"Devo ancora riprendermi, è stato un lungo viaggio."

"Siete tornata da due giorni!"

"Sono molto stanca."

Non avrebbe accettato ancora una volta che scappasse. Non si da il tempo di pensare, la mano si allunga verso il suo gomito per fermarla, farla voltare.

"Adesso basta, Anna."

Il libro cade.

"Antonio, ma che fate?"

La gonna sbatte contro le gambe in un fruscio.

"Ma cos-" Non finisce di parlare che le dita, ferme, le tengono il mento per far incontrare i loro occhi.

"Sono stanco, Anna. Prima ti avvicini, poi ti allontani. Ogni passo verso di te me ne costa tre indietro, sono stanco."

"Antonio, mi fate male."

La mano allenta la presa, poi scende lentamente sul collo: sfiora le clavicole accarezzate dai capelli, il leggero ricamo del corsetto che va a perdersi in mille fili rigidi che si tuffano nella gonna. Le strappa un respiro violento quando i polpastrelli toccano la pelle delicata del seno, prima di posarsi sull'altro braccio.

"Se non mi vuoi dillo, lo accetterò, ma non tenermi in questo limbo."

Ma forse l'avrebbe baciata lo stesso, per togliersi almeno una volta la voglia di assaggiare la sua bocca.

"Io..." Deglutisce, il respiro affannato e gli occhi sgranati.

L'aveva spaventata, che stupido.

"Va bene." Le mani scivolano lungo le sua braccia fino ai polsi sottili, poi ricadono abbandonate lungo i fianchi. "Vi chiedo scusa, Contessa."

Un passo indietro, umiliante resa.

"No!" La voce acuta, strozzata. Ricopre la distanza fra loro con le guance che avvampano per l'audacia. "Non andate."

Una supplica mascherata da ordine, ma le mani pregano, ancorate tremanti alla camicia.

"Io..." Abbassa il viso, cercando tra l'erba il coraggio che non possiede. "Io ho paura." Alza gli occhi mentre sputa quelle parole.

"Di me?" Solo un sussurro, più forte sarebbe un'agonia.

"Di quello che provo." Respira in fretta, respiri che rompono il fiato. "L'intensità di quello che provo... fa male. Quando ci siete voi..." Gli occhi vagano al paesaggio attorno senza vederlo, alla ricerca delle parole corrette. "Quando ci siete voi mi manca l'aria. E qui-" Gli prende una mano portandosela al petto. Può sentire il ritmo violento del cuore sotto la pelle calda. "Un dolore sordo, continuo, che mi soffoca. Ma quando andate via..." Deglutisce, imponendosi di finire quello che ha iniziato. "Quando andate via è anche peggio."

Abbassa lo sguardo, incapace di capacitarsi di ciò che ha detto.

"Anna." Un sussurro emozionato, dita che tornano sul mento a pretendere il suo sguardo. "Anche io."

Po, lentamente, finalmente, le loro bocche tremanti, cariche di sospiri violenti e parole spezzate, si incontrano per la prima volta, perdendosi nel sapore dell'altro.
 


La donna borbotta qualcosa mentre si volta su un fianco. Il braccio si allunga verso il fianco dell'uomo al suo fianco che, nonostante i tormenti, ha ceduto al sonno.

La donna strizza gli occhi, prima di socchiudere le palpebre ancora pesanti da ore di malattia. Si sente meglio, ma teme possa essere un'impressione dettata dal risveglio accanto all'uomo che ama e che accarezza.

Sorride quando incontra i suoi occhi azzurri, subito svegli e preoccupati.

"Anna." Si solleva su un gomito per osservarla meglio. "Come ti senti?"

"Bene." Sorride mentre le mani dell'uomo le tastano la fronte e la sentono finalmente fresca.

Lui chiude gli occhi, forse per celarle la commozione che l'ha colpito dritto al cuore. Si china su di lei, sulle labbra che tanto
desidera e la bacia con la meraviglia della prima volta.

Mentre le loro bocche si incontrano un'altra volta e ancora, e ancora, e ancora, un raggio di sole, coraggioso, si fa strada tra tende e persiane, fino a colpire i loro occhi.
 









 
 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
 



"La conosci la leggenda del cavaliere errante e della sua stella?"
"No."
"C'era un cavaliere a cui apparteneva una stella, e lui apparteneva solo a lei. Ma un giorno la perse."
"Perché?"
"Perché spuntò il sole, che è più luminoso."
"Te lo stai inventando."
"Certo che no."
"E invece sì!"
"Che diffidente, non mi credi mai."
"E va bene, va bene. Continua."
"Dunque, il cavaliere perse la stella e fu condannato a viaggiare finché non l'avrebbe ritrovata."
"Se davvero gli apparteneva come faceva a non trovarla?"
"Dimentichi il sole. Lui impediva al cavaliere e alla stella di trovarsi."
"E perché?"
"Era geloso del loro amore. Il cavaliere la cercava di giorno, la stella lo cercava di notte."
"Non si trovarono mai, allora?"
"Fu la luna ad aiutarli. Dopo molti anni fece scendere la stella sulla terra per incontrare il cavaliere a metà strada."
"Si riunirono?"
"No."
"No?"
"Era passato troppo tempo, il cavaliere era ormai troppo vecchio. Spirò prima che la stella riuscisse a trovarlo."
"Ma è una storia tristissima! Antonio, perché me l'hai raccontata?"
"Perché c'è una morale."
"Ovvero?"
"Si dice che la stella non abbia mai smesso di cercare il suo cavaliere, ad ogni uomo e donna chiede sue notizie, spingendo tutti a cercarlo."
"E allora?"
"E allora io penso di esserci riuscito."
"Ad aiutare la stella?"
"No, a trovare la mia."
"Lo vedi, te l'avevo detto che te lo stavi inventando."
 
 
 
La musica galleggia nell'aria mentre il sole si spande tra il profumo di fiori e riflette sugli abiti chiari facendoti socchiudere gli occhi.

L'emozione che ti stringe da questa mattina sta iniziando a diradarsi lasciando lo stomaco più leggero e i polmoni liberi di dilatarsi.

"Sei stanca?" La voce arriva dietro di te e sorridi non appena la senti.

Reclini il capo all'indietro, certa della sua posizione, appoggiandoti alla sua spalla.

"No." È bello potersi permettere gesti così liberi. Forse qualcuno darà la colpa al troppo vino bevuto, ma avresti fatto la stessa cosa in ogni situazione.

Ora che hai imparato a lasciarti andare, ora che hai imparato a non sopprime le emozioni, ora che hai imparato che l'amore non è solo agonia.

Ti volti fra le sue braccia scontrandoti con i suoi occhi color del cielo.

"Un tempo mi avresti invitata a ballare." Sorridi con un velo di malizia.

"Un tempo ti avrei baciata davanti a tutti rubando la scena a tuo fratello." È la pronta risposta mentre le sue mani si fanno strada sulla tua vita e iniziano a guidarti in mezzo al circolo di nobili e piroette.

Ti scappa una risata mentre ti riporta con lieve prepotenza vicino al suo petto. Un po' troppo vicino.

"Antonio ci stanno tutti guardando." Ma il sorriso resta lì, fisso, sulle tue labbra.

"Dovremmo dargliene una ragione, allora." Ti soffia sulla bocca.

Tanto, troppo vicino.

Troppo, troppo desiderabile.

"Non è il caso." Sussurri, i brividi nonostante il sole.

Chiude gli occhi e appoggia la fronte alla tua, sospirando come se trattenersi gli costasse tutto l'autocontrollo che si è da sempre imposto.

"Se mi guardi così."

Sorridi, perché non sai come lo stai guardando. Ma se nel tuo sguardo c'è anche solo una piccola parte dell'amore con cui i suoi occhi ti seguono non puoi che esserne felice.
 
 
 
"Signora Marchesa, non so se va bene, il dottore ha detto-"

"Ma lui non c'è." Ti provoca una leggera ebbrezza non obbedire ai suoi ordini.

"Ma uscire." Amelia si torce le mani. "Insomma, non fa mica ancora caldo."

"Se non lo verrà a sapere non dirà nulla." Ti sistemi lo scialle ed esci nei giardini con il passo leggermente meno sicuro di quanto vorresti.

Sei stata chiusa nella tua camera per una settimana e finalmente ti senti meglio. Non ne puoi più delle attenzioni che tutti continuano a rivolgerti.

O meglio, di tutte le attenzioni che non siano le sue.

I primi giorni ti è rimasto così vicino che quando è ritornato alla normalità, ricordandoti che ha altri pazienti e, soprattutto, un'altra casa, la sua assenza ti è sembrata all'improvviso irragionevole.

Vederlo è una boccata d'aria fresca, ma oggi hai deciso di contravvenire alle regole: sai che è impegnato per buona parte del pomeriggio, se sei fortunata lo vedrai verso sera.

Hai un libro con te, ma non hai veramente intenzione di leggere. Cammini finché la luce del sole non si fa obliqua e decidi di sederti ad ammirare il cielo che diventa sempre più rosso.

L'aria inizia a raffreddarsi, ma ancora non decidi di rientrare.

"Non saresti dovuta uscire."

Non ti eri accorta ci fosse qualcuno, e sì che aspettavi il suo arrivo con la trepidazione di una bambina.

Sorridi davanti alla sua smorfia di rimprovero, che non regge.

"Pensavo di averti lasciata in buone mani."

"È stata una mia idea." Ammetti a discolpa di Amelia che ha davvero provato a non farti uscire.

Prende la mano che gli stai porgendo e, invece che baciarla, ti tira in piedi contro il suo petto.

"Non avevo dubbi." Sussurra con il volto immerso nell'incavo del tuo collo.

Gli circondi i fianchi con le braccia, stringendolo a te.

"Sto bene." Dici strofinando la guancia sulla sua camicia profumata di bucato.

Si discosta quel tanto che basta per guardarti negli occhi, attentamente e a lungo.

"Siete così apprensivo con tutti i vostri pazienti, dottore?" Sbuffi esasperata.

"Solo con quelli a cui tengo di più."

Ti senti sempre disarmata davanti alla sua capacità di esporre i sentimenti più imbarazzanti con quella semplicità d'animo che tanto lo contraddistingue.

Affondi di nuovo il viso nel suo petto per nascondere le tue guance rosse, ma dalla risata che senti vibrare sotto le orecchie sai che se n'è accorto.

Rimanete immobili e abbracciati a respirare il fiato dell'altro finché nel cielo non iniziano a comparire le prime stelle, consapevoli che ciò che state vivendo è l'unica cosa di cui avete bisogno e che vi basta.

"Antonio." Rompi il silenzio muovendo le mani, ora fredde, sulla sua schiena. "Vorrei che tu venissi al matrimonio di Fabrizio con me."

Non hai il coraggio di guardarlo. Ancora mascheri le richieste con gli ordini, anche con lui, che non è mai stato in grado di rifiutarti nemmeno un sorriso.

Fa un passo indietro e tu alzi gli occhi. Le sue mani ti percorrono spalle e braccia fino ad arrivare alle dita, che intreccia con le sue.

"Hai le mani fredde." Dice mentre inizia a baciarti i polpastrelli.

"Antonio?" Sei leggermente allarmata, adesso. Non ti piace quando prende tempo prima di rispondere alle tue domande.

Sospira. "Non posso."

"Scusa?" Alzi le sopracciglia.

"Io non-"

"E perché?" Lo interrompi, consapevole del tuo tono altero.

Si passa una mano fra i capelli e fai un passo indietro tu, questa volta, sciogliendo le vostre mani.

Prenderesti il libro e torneresti indietro se non fosse che le sue mani si riappropriano svelte delle tue.

Lo guardi stringendo le labbra e cercando di sopprimere la voce del tuo cuore che urla di gettargli le braccia al collo e supplicarlo.

Se non fosse per quell'orgoglio che, testardo, continua a frapporsi tra di voi.

"Anna, sai che è tutto ciò che vorrei, ma-"

"Se è tutto ciò che vuoi allora fallo."

Non ti piace la condiscendenza che c'è nel suo sguardo.

"Non sono nobile, non sono tuo marito e no-"

"E non mi interessa." Lo guardi risoluta, decisa a chiarire una volta ancora e per l'ultima volta che le barrire che incontrerete d'ora in poi dovrete superarle insieme e non farvene dividere.

"Se tutto ciò che è successo..." Prendi fiato, ingoiando il groppo in gola che rischia di soffocarti. "Se ciò che è successo per te non ha significato nulla, io..." Ti guardi attorno cercando parole che non trovi.

Parole che non troverai mai perché le sue labbra sono all'improvviso sulle tue, baciandoti fino a toglierti l'aria.

"Qualsiasi cosa." Ti soffia sulle labbra. "Ma non andartene."
 
 

 
"Madre, vi siete sposata per amore?"
"Mi sono sposata perché era mio dovere."
"Io mi sposerò solo per amore."
"Sei ancora una bambina, Anna. Ora torna a ricamare."
"Si dice che ci si accorge di amare una persona solo quando si rischia di perderla."
"E chi ti dice queste sciocchezze?"
"Nessuno..."
"Spero che tu non abbia preso di nuovo libri che non ti competono."
"No, madre."
"Bene."
"Io comunque non aspetterò che sia troppo tardi-"
"Anna."
"E se dovesse succedere farò in modo di rimediare!"
"Smettila di parlare di argomenti che non ti riguardano! E ora continua."
 
 
 

 
Elisa e Fabrizio non smettono di ballare, gli occhi che brillano di riflesso alle mille candele.

Continui a sentirti in colpa per aver cercato di ostacolare il loro amore in ogni modo, ma provi a relegare il pensiero in un angolo della mente. In una serata così lieta non vuoi adombrarti, ma continua a venire a galla un dubbio: se Fabrizio non avesse salvato la vita al re e ottenuto il suo consenso stareste ora festeggiando o saresti sola a rimpiangere il fratello che come unico difetto aveva quello di farsi guidare dall'irruenza?

Antonio ti distrae dai tuoi pensieri avvicinandosi con l'ombra di un sorriso sulle labbra.

"È stata una bellissima festa." Ha il cappello tra le mani, che rigira.

"Lo è." Scegli volutamente il presente.

"Devo andare..." Stringe le labbra, tentennando.

"Ti accompagno." Ti infili svelta in quel silenzio, iniziando a camminare al suo fianco.

Camminate in silenzio fino al cortile: tu in attesa che le parole lascino la sua bocca, lui alla ricerca del coraggio per farle uscire.

Che poi lo sai te lo dirà comunque, le dinamiche fra voi sono consumate come vecchie pantofole in cui ci si immerge con sollievo.

Siete arrivati alla tenuta insieme, tornerà alla casa al lago cavalcando.

"Anna." Inizia mentre prende tra le mani le briglie.

"Sì?"

"Perché ridi?" Corruga la fronte davanti al tuo sorriso.

"Aspetto la tua audace confessione, dottore." Ora ridi davvero, perché adori metterlo in imbarazzo e il sorriso di dolce rimprovero che ne consegue.

"Pensavo che voi Ristori foste nobili d'animo, invece sono qui a sentirmi sbeffeggiare." Non c’è cattiveria nel suo tono.

"Suvvia, non esagerare." Ma continui a sorridere mentre accarezzi il suo braccio fino ad arrivare alle dita calde che intrecci con le tue.

"Anna."

"Dimmi, Antonio."

La sua mano ti accarezza il mento fino a far incontrare i vostri occhi. Così azzurri, così profondi. Passeresti la vita ad annegarci dentro.

"Ho sbagliato molte cose-"

"Non c'è bisogno di parlarne. Non più." Lo interrompi poggiando delicatamente le dita sulle sue labbra.

"Lasciami finire." Ti soffia sul palmo sul quale appoggia un bacio.

Apri la bocca per ribattere, ma questa volta è lui ad interromperti. Non con i gesti, ma con parole che ti svuotano i polmoni.

"Voglio sposarti."

Lo guardi con gli occhi sgranati cercando di ricordare come muoverti per far entrare l'aria dalle narici.

Continui a sentire le sue parole.

Voglio sposarti.

Sposarti. Sposarti. Sposarti.

Ad ogni eco un battito furioso del tuo cuore.

Non pensavi sarebbe mai successo.

Hai già pensato che sia possibile morire dalla troppa felicità, ma adesso sai che sta succedendo.

È solo quando lui si sporge verso di te che capisci che sta aspettando una risposta.

"Va bene!" Forse lo dici, forse l'hai solo pensato, forse le parole sono ingoiate dal rumore delle tue braccia che circondano il suo collo con un impeto che una donna del tuo lignaggio non dovrebbe mai mostrare.

Lo baci sulle labbra, che hanno il sapore del sollievo.

Sposti le mani sulla sua schiena mentre le sue ti circondano la vita portandoti più vicina, fino a far combaciare i ritmi dei vostri cuori che scalpitano.
 
Non torna a casa quella notte.

La tua stanza accoglie i sospiri del vostro amore, ancora clandestino, ma libero dalle ombre del passato.

Il tuo cuscino ospita i tuoi capelli disordinati, muto testimone delle notti che hai passato in lacrime.

Il tappeto si ricopre silenzioso dei vostri abiti troppo pesanti e troppo d'ostacolo per la vostra pelle che non chiede altro che non sia il contatto con le vostre mani .

La luna vi lascia stanchi e assopiti, il sole vi saluta con i suoi raggi dispettosi insinuandosi tra le lenzuola stropicciate e la pelle macchiata di morsi.

Ti svegli perdendoti nei suoi occhi che sono il tuo cielo personale e, questa volta, sai che sarà per sempre.
 
 
 
"Antonio?"
"Sì?"
"Ho ritrovato la mia stella."
 



 
 
 
Ed eccoci arrivati alla fine, ed è con tristezza che lascio questo capitolo.
Ho faticato non poco a scrivere questo capitolo e già so che mi mancherà scrivere su di loro. Comunque, è così che mi piace pensarli: felici e fiduciosi nel futuro, prima degli eventi della seconda stagione che ha snaturato i loro personaggi e il loro rapporto.
Per finire, ringrazio chiunque abbia inserito la storia fra le preferite, ricordate e seguite e, in particolar modo, a chi ha recensito. Se sono arrivata a questo punto è soprattutto grazie a voi.
Un grande abbraccio,
Crudelia
 
 

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