Il papavero rosso

di Mari_Criscuolo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Luglio 2019
 
Seduta a terra sul pianerottolo del palazzo, con la schiena poggiata alla porta di casa, fissava il vuoto in attesa che il coraggio andasse a farle visita.
 
Era lì che lo aspettava, ma non avrebbe potuto farlo in eterno.
 
Poggiò le mani sulle piastrelle fredde del pavimento e, facendo leva sulle braccia e sulle gambe, si alzò.
 
Arrivata a questo punto non poteva smettere di lottare.
 
Non aveva alternativa, non gli avrebbe lasciato il controllo ed il potere di dominare su di lei.
 
Si sistemò il vestito bianco a fiori, che scendeva morbido sui fianchi fino a sfiorare il suolo.
 
Alzò le spalline sottili che erano scivolate lungo le braccia.
 
Passò le dita tremanti sotto gli occhi per eliminare ogni traccia del mascara, che era stato lavato via dalle lacrime.
 
Nel tentativo di assumere un'espressione tranquilla, respirò ed inspirò più volte, prima di infilare le chiavi nella toppa.
 
Girò lentamente, forzando la mano a causa della serratura nuova e difficile da aprire.
 
Appena dopo essere entrata in casa, notò la luce della televisione accesa che filtrava dalla porta a vetro, che separava lo studio dal resto della casa.
 
Scostandola quel tanto che le serviva per poter entrare nella stanza, riuscì ad intravedere sua madre, in pigiama, seduta sul divano.
 
«Com'è andata la serata? Ti sei divertita?»
 
In quelle domande c'era l'implicita speranza di una risposta affermativa.
 
Non voleva darle altre preoccupazioni.
 
Al momento credeva di poter gestire il peso di quelle ultime ore disastrose, quindi avrebbe fatto del suo meglio per tenerglielo nascosto.
 
Stava sopportando già troppo a causa di quella situazione, che avrebbe devastato chiunque.
 
Si sentiva responsabile e aveva coinvolto troppe persone in quel casino, di cui lei ne sarebbe stata la protagonista ancora per molto tempo.
 
Lo percepiva chiaramente, perché sapeva che le cose non avrebbero potuto andare diversamente.
 
«Si, tantissimo. Mi serviva respirare aria diversa, stavo impazzendo rinchiusa in casa. Questa serata mi ha rigenerata, mi sento molto meglio.»
 
Aveva esagerato, ma quello che aveva detto era anche un modo per convincere sé stessa che, in fin dei conti, un po' si era divertita davvero.
 
Sentiva gli occhi castani di sua madre puntati su di lei.
 
Lo faceva spesso ultimamente. La scrutava con attenzione, in cerca di una crepa da forzare per far cadere il muro di menzogne che aveva eretto per proteggere gli altri e difendersi.
 
Questa volta non avrebbe trovato nulla a cui appigliarsi.
 
«Ti salutano le ragazze. Adesso vado a cambiarmi, queste scarpe mi stanno uccidendo i piedi.»
 
In realtà le scarpe con il tacco che aveva indossato erano piuttosto comode, ma aveva bisogno di rimanere sola per pensare e capire come avrebbe dovuto comportarsi, cosa avrebbe dovuto fare.
 
Qual era il suo piano, ancora non lo sapeva e più ci rifletteva più si sentiva confusa.
 
Prese il pigiama e, dopo essersi rinchiusa in bagno, posò il cellulare sul bordo del lavandino.
 
Aveva paura di sbloccarlo.
 
Lasciò che il vestito scivolasse lungo il suo corpo, per poi cadere a terra.
 
Slacciò le scarpe e provò un'immediata sensazione di sollievo quando i suoi piedi toccarono il pavimento freddo.
 
Legò i lunghi capelli ricci in una coda disordinata e iniziò a sciacquarsi il viso per eliminare anche gli ultimi rimasugli di trucco, che riuscivano ancora a coprire alcune imperfezioni che spiccavano sul suo viso struccato.
 
Il segnale luminoso del telefono l'avvertiva dell'arrivo di altri messaggi, sapeva chi fosse e sapeva che non avrebbe potuto ignorarlo per sempre.
 
Era in un vicolo cieco, era in trappola e ci si era infilata con le sue stesse mani ma, adesso, non riusciva ad uscirne.
 
Prese il telefono.
 
Quindici messaggi e dieci chiamate.
 
Tutti provenienti dalla stessa persona.
 
Ancora Matteo.
 
Non riusciva a smettere, era un'ossessione.
 
Con l'ultimo barlume di coraggio della giornata, entrò nella chat e iniziò a scorrere i messaggi.
 
"Torna con me. Ripensaci."
 
"Ti amo. Farò di tutto per riconquistarti."
 
"Dacci un'altra possibilità."
 
"Una sola."
 
"Perché non me la vuoi concedere."
 
"Perché sei così cattiva."
 
"Perché mi vuoi così male."
 
"Sto soffrendo per colpa tua."
 
"Me lo devi."
 
"Vorrei odiarti per tutto il dolore che mi hai causato, ma ti amo troppo."
 
"Non riesco a non pensarti."
 
"Domani vengo da te e ne parliamo."
 
"Ho bisogno di vederti e chiarire."
 
"Tutto si può ancora aggiustare."
 
"Mi manchi. Non posso vivere senza di te."
 
"Mi hai lasciato perché hai conosciuto un altro?"
 
"Mi hai tradito?"
 
Era questo l'inferno.
 
Il nodo, che aveva avuto allo stomaco per tutta la serata, si stava espandendo e contraendo sempre di più.
 
Faceva male.
 
Percepiva che qualcosa si era bloccato nella sua gola, qualcosa che non riusciva a digerire.
 
Le dava fastidio perché non le permetteva di respirare a pieni polmoni.
 
Iniziava a mancarle l'aria.
 
Sentiva l'acido bruciarle lo stomaco e lottare contro le pareti interne per risalire.
 
Doveva liberarsi, voleva rigettare tutto quello che aveva mangiato, tutto il male che le stava provocando.
 
Forse, dopo si sarebbe sentita meglio.
 
Inginocchiandosi di fronte al gabinetto, alzò la tavoletta.
 
Ripensò alle ultime dodici ore.
 
Ripensò all'ultimo mese.
 
Ripensò al suo costante terrore.
 
Ripensò al volto di Matteo e tutta la sofferenza che le stava procurando.
 
I conati iniziarono a squassarle il petto.
 
I tremori agitavano ogni parte del suo corpo.
 
Lo stomaco si contorceva, l'addome le faceva male per lo sforzo, la gola bruciava tremendamente a causa dell'acido che stava rigettando.
 
Gli occhi, ad ogni sforzo, sembrava volessero uscire dalle orbite per andarsi a nascondere da qualche parte, solo per non essere più costretti a leggere determinati messaggi.
 
Ogni contrazione, ogni sforzo era seguito da un lamento gutturale che nasceva dalle viscere più profonde della disperazione.
 
Cercava di contenersi, ma il dolore era troppo grande e prepotente.
 
Il bussare alla porta le fece perdere l'equilibrio e cadde sul pavimento.
 
«Ella, che succede? Stai vomitando?»
 
Adesso, cosa si sarebbe inventata?
 
Osservò, per qualche istante, le ginocchia arrossate per il peso del corpo che avevano dovuto reggere.
 
«Tutto bene, mamma. Qualcosa, che ho mangiato al locale, deve avermi fatto male.»
 
Aveva la voce rauca a causa della gola infiammata.
 
«Apri la porta e fammi entrare.»
 
«Dammi due minuti.»
 
Si alzò velocemente, avvicinandosi al lavandino per rinfrescarsi il viso e eliminare le tracce del malessere.
 
Fissò il suo sguardo nello specchio.
 
Due occhi di un azzurro intenso erano stati macchiati dal rosso delle lacrime e dello sforzo appena fatto.
 
Ecco chi era diventata.
 
Il fantasma di una ragazza che non riusciva più a vivere, ad essere libera, ad essere sé stessa.
 
Prima o poi questa trappola l'avrebbe uccisa e, se Matteo avesse continuato a stringere la sua presa intorno a lei, ben presto le sarebbe mancata l’aria.
 
«Per quanto ancora posso andare avanti così?» chiese in un sussurro al suo riflesso.
 
«Ella?»
 
Il suono della voce di sua madre, che la richiamava, la fece ritornare al presente.
 
Dopo aver indossato velocemente il pigiama, girò la chiave e lasciò che sua madre entrasse.
 
Bastarono pochi sguardi per farle intuire che non era stata solo una cattiva digestione a causare il suo malessere.
 
«Ti ha scritto ancora!» esclamò sicura della sua affermazione.
 
 
«Mamma, ti prego, non metterci anche tu il carico da novanta.»
 
«Voglio solo aiutarti. Guardati. Sei dimagrita, si vedono le ossa. Non esci. Sei sempre rinchiusa a casa a studiare o sul divano a guardare film. Ti stai usurando lentamente.»
 
Ad ogni parola di sua madre, Ella sentiva la rabbia uscire dal nascondiglio in cui l'aveva relegata fino a quel momento.
 
Adesso era troppo stanca.
 
Era stanca di pensare a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato; stanca di pensare sempre agli altri e mai a sé stessa; stanca del senso di colpa che la stava divorando sempre di più.
 
Tutto era diventato troppo.
 
La liberò e lasciò che distruggesse ogni cosa avrebbe incontrato sul suo cammino.
 
Non l'avrebbe più contenuta.
 
Doveva esplodere e non le importava chi avrebbe subito.
 
«Pensi che non lo sappia? Pensi che non mi veda allo specchio? Pensi che sia stupida? Cosa credi? Che mi piaccia vomitare e sentire la gola in fiamme? Pensi che trovi divertente non uscire di casa e divertirmi come una ragazza dovrebbe fare, alla mia età? Pensi che non sia già abbastanza distrutta da dover ascoltare anche le tue inutili e ovvie constatazioni?»
 
Il tono della sua voce era, ormai, fuori ogni controllo e, a ogni sillaba, si innalzava sempre di più.
 
Voleva che il mondo intero la ascoltasse e si rendesse conto che, una persona sola, non avrebbe mai potuto sostenere il peso di quell'ossessione.
 
«Ella, smettila di urlare. Io non intendevo questo... sono solo preoccupata.»
 
Sua madre si allontanò leggermente, nella speranza che, dandole più spazio, si sarebbe calmata.
 
«Pensi che io non lo sia? Tutti vi preoccupate, ma quello che non riuscite a capire è che non potete fare assolutamente nulla.»
 
«Quindi dovremmo stare a guardare mentre ti distrugge, mentre ti sgretoli ogni giorno di più di fronte ai nostri occhi?»
 
«Cosa volete fare? Cosa potete fare? Rinchiudermi in una clinica psichiatrica? Mi fareste un favore enorme perché sto impazzendo.»
 
«Adesso calmati. Ti preparo una camomilla e ne parliamo con più tranquillità.»
 
Disse sua madre, dirigendosi in cucina. Ella la seguì, pronta ad esplodere in un nuovo moto di rabbia a causa di tutte quelle parole e modi di fare assolutamente inutili.
 
Si paralizzò.
 
La tazza che le aveva regalato Matteo, dopo che lo aveva lasciato, era lì sul tavolo.
 
Sua madre doveva essersi distratta, per averla presa dal mobile.
 
La tazza che aveva cercato per molto tempo e che le aveva fatto recapitare per posta, al solo scopo di riconquistarla.
 
La tazza che aveva avuto il coraggio di togliere dallo scatolo solo un mese dopo essere giunta a casa sua.
 
Pienamente consapevole delle sue azioni, la afferrò e la scaraventò sul pavimento.
 
In un attimo, il rumore sordo di ceramica, che si infrangeva, sostituì le urla, riempendo le mura di quella casa.
 
Sudava, tremava, annaspava in cerca di aria.
 
Era pervasa da un calore che non aveva mai provato prima.
 
Era odio, tristezza, era tutta la sua vita che si stava sgretolando.
 
Era lei che si stava rompendo.
 
Era il rumore della sua mente che si spezzava, nel tentativo di rincorrere e mettere in ordine il continuo flusso di pensieri che le offuscavano i sensi.
 
Il silenzio piombò come un macigno e, se faceva attenzione, riusciva ancora a percepire l'eco dei cocci che si posavano a terra.
 
Rimase a fissare il pavimento.
 
Sua madre, in stato di shock, non proferiva parola.
 
«Non hai capito niente. Basta parlare, basta discutere, mi avete stancato tutti quanti. Non serve a niente far prendere aria alla bocca. Mi dovete lasciare in pace. Vai a dormire.»
 
«Non quando tu sei in questo stato. Non dopo che hai scaraventato una tazza a terra. Non sei stabile.»
 
«Se non vuoi più sentirmi urlare come un'isterica, in preda ad una crisi di nervi, se non vuoi che continui a distruggere oggetti, ti conviene fare come ti dico. Adesso!»
 
«Ella...»
 
«Lo hai voluto tu.»
 
A grandi passi, percorse la distanza che separava la cucina dallo studio.
 
Entrò chiudendo la porta a chiave, prima che sua madre potesse impedirglielo.
 
Si appoggiò alla parete, scivolando lungo di essa per poi accasciarsi a terra.
 
Si lasciò andare ad un pianto ricolmo di disperazione e pentimento.
 
La rabbia si era diradata e adesso, intorno a lei, poteva osservare tutta la desolazione che aveva causato.
 
Era rimasta sola, ma non aveva paura di questo, perché sapeva che non l'avrebbero mai abbandonata a sé stessa, nonostante tutto quello che avrebbe potuto fare.
 
Non era una giustificazione, ma le serviva per andare avanti.
 
«Che succede? Che vi prende nel cuore della notte?»
 
Sua sorella si era alzata. In effetti, si stupiva di come non si fosse svegliata prima.
 
«Si è chiusa a chiave nello studio. Non ragiona, ha avuto una crisi isterica. Non so più cosa fare per aiutarla.» Sentiva dell'angoscia nella voce di sua madre.
 
«Ella, apri questa porta.»
 
«Bianca, ti prego ritorna a dormire. Lasciatemi in pace, ho bisogno di stare sola e pensare. Non farò niente di stupido.» Si sforzò per articolare una frase che avesse senso, cercando di ingoiare i singhiozzi.
 
Dopo qualche istante di assoluto silenzio, in cui aveva creduto se ne fossero andate, sentì bisbigliare.
 
Parlavano così silenziosamente che non riusciva a capire cosa si stessero dicendo.
 
«Ella, mamma è andata a dormire. Dai, fammi entrare. Sai che hai bisogno di qualcuno e non me ne andrò fin quando non aprirai questa benedetta porta.»
 
Non aveva la forza necessaria per risponderle.
 
«Non ho problemi a rimanere per terra tutta la notte e, se domani mi lamenterò per il mal di schiena e andrò male all'interrogazione di filosofia, sarà colpa tua.»
 
Conosceva Bianca e sapeva che, se c'era una persona più caparbia di lei, quella era sua sorella.
 
«Ti faccio entrare, ma ad una sola condizione.»
 
«Sarebbe?»
 
«Non ho voglia di parlare, quindi staremo in silenzio. Devo prendere una decisione e devo farlo da sola.»
 
«Va bene.» Disse cedendo alla sua richiesta.
 
Rimanendo seduta, strisciò fino a poggiare le spalle sulla parete che faceva ad angolo con la porta.
 
Allungò la mano fino alla maniglia e, dopo averla tirata verso il basso, lasciò che sua sorella entrasse.
 
Si sedette al suo fianco.
 
Ella si voltò verso di lei e la osservò per qualche istante.
 
Nonostante avesse solo diciassette anni, Bianca era una ragazza molto matura.
 
Ella era sua sorella maggiore e avrebbe dovuto proteggerla, mostrarsi forte per insegnarle che le difficoltà possono essere superate, tuttavia adesso si sentiva così debole.
 
Una tra le cose che la spaventava maggiormente era che, vedendo ciò che stava affrontando, avrebbe iniziato a vivere di riflesso.
 
Temeva avrebbe evitato determinate esperienze, che si sarebbe chiusa in sé stessa solo a causa sua, che si sarebbe imposta di non innamorarsi.
 
Il suo sguardo castano e profondo era sempre stato così espressivo da poterci leggere ogni pensiero formulasse la sua mente, come in questo momento.
 
Posò una mano tra i capelli lisci e scuri di Bianca e, con una leggera pressione, le fece poggiare la testa sulla sua spalla.
 
Rimasero in quella posizione, per circa cinque minuti.
 
«Tutti dobbiamo affrontare delle difficoltà e tutti cadiamo, inevitabilmente, come è successo a me questa sera. E va bene così, sarebbe anomalo in contrario. Abbiamo bisogno di spezzarci per poter guardare il mondo da una prospettiva diversa, ma questo non ci rende più deboli. Chi crolla ha combattuto e per lottare ci vuole coraggio. È giusto che tu, guardandomi adesso, abbia paura, ma non lasciare che questo sentimento condizioni le tue scelte, perché io non lo farò.» Ella avrebbe fatto di tutto per rassicurarla.
 
«Ricordati sempre che il nostro limite siamo noi stessi. Vivi e corri dei rischi, ma non permettere mai a nessuno di controllarti. La tua libertà e l'amore che hai per te stessa valgono più di tutto l'amore che chiunque potrà mai darti.»
 
«Me lo dici sempre, ormai l'ho imparato.» rispose Bianca.
 
«Continuerò a ripetertelo.»
 
Afferrò il cellulare e bloccò il contatto di Matteo su ogni social.
 
Anche se questo non sarebbe servito a molto perché aveva scoperto che, pur inserendo il numero nella lista nera, non venivano bloccati né le chiamate né i messaggi.
 
«Cosa stai facendo?» chiese sua sorella staccandosi dall'abbraccio.
 
«Sto rimettendo insieme i pezzi per affrontare le mie paure. È il momento di prendere una decisione che ho rimandato a lungo» rispose Ella sotto lo sguardo confuso di Bianca.
 
«Cioè?»
 
«Riprendere la mia vita laddove è stata interrotta.»
 
Chiamò l'unica persona che, oltre la sua famiglia, c'era sempre stata; l'unica su cui sapeva avrebbe potuto sempre contare.
 
Rispose al terzo squillo.
 
«Ella, è l'una e mezza. Che succede?»
 
Sofia l'avrebbe aiutata a prendere la decisione che le serviva per ricominciare.
 
«Stasera ho toccato il fondo della devastazione. Io... ho vomitato, ho urlato contro mia madre che voleva solo capire cosa diavolo mi stesse succedendo, ho scaraventato una tazza a terra, mi sono barricata nello studio. Sto male, Sofia, un male indescrivibile. Sto morendo, lentamente. È un'agonia.»
 
«Qualunque cosa tu decida di fare, io starò sempre dalla tua parte.»
 
«Non posso più continuare a rimanere chiusa in casa, ad avere paura di accendere il telefono, di usare i social, di uscire anche solo per fare una passeggiata, di tremare quando suona il telefono o bussano alla porta, di rimanere sola in casa, di non dormire e di svegliarmi in preda agli incubi, quando ci riesco. Adesso basta, ho avuto il coraggio di lasciarlo e devo andare fino in fondo.»
 
Il silenzio la stava spingendo a tirare fuori le parole che aveva represso per molto tempo.
 
La decisione che sapeva, da più di due mesi, avrebbe dovuto prendere, ma che aveva sempre ignorato, scalpitava per vedere la luce.
 
«Ho deciso che ad ottobre mi trasferirò in un'altra città. A settembre mi laureo e, domani, sceglierò dove fare domanda per la magistrale. Non posso più rimanere. Devo riprendere in mano la mia vita e devo farlo lontano da qui.»
 
Dopo averlo detto ad alta voce, si sentiva già meglio.
 
Il peso che aveva sullo stomaco stava scomparendo perché riusciva, finalmente, a vedere una via d'uscita da questo tunnel che l'aveva inghiottita per troppo tempo.
 
Guardò sua sorella, per controllare la reazione che le sue parole le avevano provocato.
 
Sembrava stupita, ma, al contempo, vide un leggero sorriso incresparle le labbra.
 
«Vengo anche io con te.» La voce di Sofia, dall'altro capo del telefono, la riportò alla realtà.
 
«Non ti chiederei mai di lasciare la tua vita per seguirmi chissà dove.»
 
«Infatti non me lo stai chiedendo. Ti ho solo comunicato la mia decisione.»
 
«Forse dovresti pensarci domani mattina a mente fredda. Adesso è tardi, non puoi prendere certe decisioni.»
 
«Ella, riflettere su cosa? Sai che è solo questione di tempo prima che i miei mi sbattano fuori di casa. Se non ho fatto le valige e me ne sono andata prima è solo perché non potevo e volevo lasciarti sola, ad affrontare la violenza psicologica che stai subendo.»
 
«Sono pur sempre i tuoi genitori. Non ti cacceranno mai né ti manderanno a dormire sotto i ponti.»
 
«Anche se non lo facessero, cosa di cui dubito fortemente, sai che la mia non è più vita, così come la tua. In questa casa non sono più libera di essere me stessa, ma devo fingere costantemente di essere qualcuno che non sono. Sono stanca, lo siamo entrambe.»
 
«Sono sicura che gli serva solo del tempo.»
 
«Così come serve a me. Sai che loro credono nella chiesa più che in Dio, e sai anche che la chiesa non accetta le diversità. Nessuna delle due può più rimanere in attesa di qualcosa che, probabilmente, non arriverà mai. Domani chiamo mio fratello e vedo se ci possiamo trasferire da lui a Roma.»
 
«Non credo sia il caso di infastidire Lorenzo. Se riuscirò ad entrare a Roma, mi troverò un monolocale.»
 
«Lorenzo ti adora, lo sai. In pratica siamo cresciute insieme e ti conosce da otto anni, sei come una sorella per lui. Sono sicuro che, appena gli accennerò la questione, sarà lui stesso a proporre questa soluzione.»
 
«Grazie, Sofia.»
 
«Vedrai che insieme ce la faremo. Tu pensa a muovere quel bel culo che ti ritrovi e stai tranquilla che passerai sicuramente il test. Non conosco una persona più forte e caparbia di te, quando ti metti in testa qualcosa non ti arrendi finché non hai ottenuto ciò che volevi. Se è realmente questo ciò che desideri, non ho dubbi che ce la farai.»
 
«Ce la faremo. Come sempre.»
 
***
 
Avevano trascorso la notte sul divano, in uno stato di veglia e sonno agitato, tra un episodio e l'altro di Grey's anatomy.
 
Nonostante gli eventi della notte precedente, si sentiva più serena perché, adesso, sentiva di avere uno scopo da perseguire.
 
Sapeva di nuovo per cosa lottare.
 
I suoi sogni, quelli che aveva perso di vista per mesi e mesi, adesso l'avevano ritrovata.
 
Al momento, per lei, non contava nient'altro che non fosse riprendere la sua vita tra le mani e renderla nuovamente sua, non più quella di qualcun altro.
 
Solo lei aveva diritti su di sé, solo lei sapeva cosa fosse giusto.
 
Ma c'era una cosa che doveva fare, prima di poter iniziare a scrivere una nuova pagina della sua vita.
 
Chiedere scusa.
 
Ancora intorpidita dal sonno, si diresse in cucina dove trovò sua madre seduta, intenta a fissare una tazza di camomilla fumante.
 
Aveva smesso di incolparsi per cose su cui non aveva il controllo.
 
Doveva rompere quel meccanismo per poter stare meglio.
 
«Mamma, scusami per tutto. Per aver urlato, per aver rotto la tazza, per aver fatto una scenata che non meritavi e soprattutto per aver dovuto subire una rabbia che non ti apparteneva.»
 
Si sedette vicino a lei e posò una mano sulla sua.
 
«Mi dispiace se sono stata troppo insistente, ma sono così preoccupata per te. Ti sta distruggendo e non potrai mai capire la sofferenza di una madre nel vedere che sua figlia sta cadendo in un baratro, non potrai mai capire il senso di impotenza che ne deriva.»
 
Si guardarono per un lungo istante e poi, in uno slancio, la abbracciò forte, nella speranza di poter rimettere insieme i pezzi di una vita che stava andando in frantumi.
 
«Ho preso una decisione. Sappiamo entrambe che non posso andare avanti in questo modo e, se ho avuto la forza di rompere con lui, devo avere anche il coraggio di andare a avanti. Non mi lascerò più schiacciare da questo peso.»
 
«A cosa hai pensato?» Chiese, con un barlume di speranza nello sguardo.
 
«Voglio fare domanda per la magistrale in un'altra città. Devo ricominciare e farlo nel modo migliore. Almeno per il momento, se rimanessi qui non riuscirei a vivere bene, quindi lo farò da un'altra parte. Credimi mi dispiace davvero. Lasciarmi andare, dopo quanto accaduto, vi farà solo preoccupare di più, ma non è una cosa che posso scegliere. Sento di averne bisogno.»
 
Per quanto esporre liberamente i suoi sentimenti la facesse soffrire; per quanto aver scoperto il volto cruento di una realtà ingannevole l'avrebbe costretta a lasciare una parte della sua vita, accettarlo sarebbe stato l'unico modo per tornare a respirare.
 
«Qualunque cosa tu vorrai fare, noi ti appoggeremo sempre. Smettila di preoccuparti. Siamo la tua famiglia e non ti lasceremo mai sola.»
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 Novembre 2019
 
Avevano appena salutato i genitori di Ella, che le avevano accompagnate alla stazione di Napoli centrale, prima tappa per raggiungere la loro destinazione.
 
Roma.
 
Adele, sua madre, non era riuscita a trattenere le lacrime, mentre Giuseppe, il padre, sebbene Ella sapesse quanto fosse triste per la sua partenza, non aveva mostrato particolare commozione.
 
Forse aveva ereditato da lui questo lato del suo carattere.
 
Sapeva quanto piangere fosse liberatorio tuttavia, sin da piccola, non era mai stata incline a farlo.
 
Erano poche le occasioni e non ne comprendeva il motivo.
 
Di solito accadeva quando, dopo aver accumulato troppe emozioni inespresse, arrivava sull'orlo della sopportazione.
 
Non era insensibilità, semplicemente non ne aveva bisogno.
 
Avrebbe sentito la loro mancanza in ogni caso con o senza lacrime versate.
 
«Ti rendi conto che mi hai fatta svegliare alle sei del mattino, solo perché dovevi essere in stazione un'ora prima della partenza?» Erano già trascorsi cinque minuti da quando Sofia aveva iniziato a lamentarsi tra uno sbadiglio e l'altro.
 
«Dopo tutti questi anni, ancora non hai capito che i mezzi di trasporto mi provocano ansia?» La domanda retorica di Ella suscitò l'ilarità di Sofia.
 
«Ma se i treni ti piacciono!»
 
«Si, ma preferisco sempre essere in anticipo. Da casa nostra ci vuole mezz'ora per arrivare, poi devi calcolare un po' di traffico all'uscita dell'autostrada. Non si può mai sapere, io posso aspettare mentre il treno no.» In realtà, erano parecchie le cose che facevano lievitare i suoi livelli di stress e, nella maggior parte dei casi, riconosceva che fossero idiozie.
 
«Tu sei matta e io che ti assecondo, anche.»
 
«Lo fai solo perché tieni alla salute mentale di entrambe. Ti avrei tartassata fino a quando non avresti ceduto.»
 
Sofia non poté obiettare tale ovvietà perché Ella, a volte, sapeva essere esasperante senza nemmeno impegnarsi.
 
«Quasi quasi cambio idea e rimango qui.» Disse, fermandosi nel punto più affollato della stazione.
 
Entrambe alzarono il capo, rivolgendo la loro attenzione al tabellone delle partenze.
 
Ella fece scorrere il suo sguardo sulle destinazioni e, confrontandoli con il numero del treno segnato sul biglietto che teneva stretto nella sua mano sinistra, riuscì ad individuarlo facilmente.
 
«Binario 17. Partenza alle otto e mezza.»
 
Dopo aver impugnato con la mano libera, la maniglia del suo trolley rosso sbiadito dal tempo e dai diversi viaggi, Ella iniziò a farsi largo tra quel flusso continuo di persone, che andava e veniva dai binari.
 
«Va bene. Mi fido» affermò Sofia, seguendola con il suo bagaglio.
 
«Quindi, se ho capito bene, vuoi rimanere con i tuoi genitori. Sono passate una o due settimane da quando tua madre ha portato la tua foto dall'esorcista? Magari, se rimanessi, la prossima volta porterebbe direttamente te e, quando accadrà, assicurati di mandarmi una cartolina.»
 
Ella non riusciva a non usare l'ironia nella maggior parte delle frasi che uscivano dalla sua bocca.
 
Sapeva distinguere i momenti in cui era necessario essere seri ed era davvero preziosa nel dare consigli e tirare su il morale, però aveva un modo di fare e di interagire con le persone davvero particolare.
 
Anche nei discorsi e nelle situazioni più tristi era più che capace di strappare un sorriso con un'affermazione sarcastica.
 
«Certo che sei proprio una stronza.» Sofia scosse la testa ridendo sommessamente per quella che, ad una persona estranea, sarebbe sembrata un innocuo commento sardonico.
 
Tuttavia, era una di quelle situazioni in cui la realtà aveva superato facilmente la più fervida delle immaginazioni.
 
«Si, ma devi ammettere che l'idea non è poi così assurda. Già vi ci vedo, dopo l'esorcismo, a farvi una foto con il segno della vittoria.» A volte Ella si stupiva di quanto fosse brava nell'elaborare pensieri che avevano dell'assurdo, ma che, in fondo, non erano poi così distanti dalla realtà.
 
«Se riuscisse ad estirpare il diavolo che è in me, sarebbe mia madre a farlo e, con molta probabilità, inizierebbe a predicare di casa in casa il miracolo divino appena avvenuto.»
 
Entrambe iniziarono a ridere e, figurandosi l'immagine che avevano appena delineato con i loro deliri, si sentirono, al contempo, inquietate e divertite.
 
L'alternativa sarebbe stata vedere Sofia rannicchiata in un angolo a piangere e autocommiserarsi, quindi era sicuramente meglio fingere che fosse tutto uno scherzo.
 
«Okay, basta. Siamo perfide.»
 
«Ella, siamo solo realiste.»
 
Il commento di Sofia trascinò via con sé la sensazione di leggerezza che, qualche attimo prima, le aveva rese spensierate.
 
Il silenzio di una verità troppo scomoda, per essere accettata, si poggiò sulle loro spalle, dapprima lentamente, per poi precipitare rovinosamente abbattendosi con tutto il suo peso.
 
Arrivarono sulla banchina, immersa ognuna nelle proprie riflessioni.
 
Il treno si trovava già sul binario e le porte aperte furono un invito ad accomodarsi al suo interno.
 
Escludendo il prevedibile ritardo che avrebbe riportato, rispetto all'orario previsto d'arrivo, ad Ella non dispiaceva viaggiare con Trenitalia.
 
Dopo aver scelto i posti a sedere, Sofia posò i bagagli nel vano superiore.
 
«Come vi siete salutati?» chiese Ella, prendendo posto nel sediolino vicino al finestrino dopo aver sistemato il suo zaino e la sua giacca di pelle nel posto vuoto accanto a lei.
 
«Pensi davvero che si siano sprecati a farlo?» La domanda retorica di Sofia non necessitava di una vera risposta. «Mia madre, da quando le ho detto del trasferimento, non ha fatto altro che pregare. Fin quando ero sotto il loro stesso tetto avevano la speranza di potermi convertire, adesso si ritroveranno ad avere una figlia lesbica e felicemente fidanzata. Un abominio in pratica» concluse il suo discorso sporgendosi verso destra e, poggiando il gomito nel piccolo spazio presente sul bordo inferiore del finestrino, rivolse il suo sguardo cupo e pensieroso ai treni che costeggiavano paralleli quello in cui si trovavano.
 
«Quindi, ti hanno lasciata partire senza dirti nulla?» Conosceva Sofia abbastanza bene da sapere che aveva bisogno di parlare.
 
Il suo carattere era così mite che permetteva a Ella di porle domande senza rischiare di offenderla o innervosirla, come, invece, accadeva con lei.
 
«L'ultima cosa che mi hanno detto è stata che se, da lì a breve, avessi avuto la notizia della loro morte, sarebbe stata solo colpa mia perché gli avrei fatto venire un attacco di cuore.»
 
Queste erano il genere di affermazioni che i genitori di Sofia le vomitavano addosso senza alcuna remora e ritegno da quando avevano scoperto, per volere di un destino infame, del suo orientamento sessuale.
 
Dal momento che erano ferventi cattolici, in particolare la madre, era stata costretta a nascondersi e reprimersi.
 
Aveva vissuto una vita che non era la sua.
 
Allontanarsi dalla chiesa e smettere di frequentarla aveva suscitato proteste frequenti ed esasperanti da parte di sua madre, facendo incrinare pericolosamente il rapporto con la sua famiglia.
 
Nessuno se ne accorse o finsero semplicemente, perché l'ignoranza era sempre stata la miglior medicina di chi non voleva vedere.
 
«Forse, sarebbe stato meglio se non avesse aperto bocca.» Ogni volta che Sofia si sfogava, riferendole una delle tante crudeltà che era stata costretta a subire, Ella credeva sempre di non poter sentire qualcosa di peggiore.
 
Ogni volta veniva smentita.
 
L'aspetto più terrificante era vedere con quanta superficialità ed inconsapevolezza venivano formulate frasi, che non avrebbero mai dovuto essere pronunciate.
 
Ella era fermamente convinta che, nelle loro credenze radicate, non ci fosse spazio per comprendere quanto fosse atroce, per un figlio, vivere nella consapevolezza di essere un errore.
 
«Lo sai, con tutto quello che mi hanno detto negli ultimi due anni, posso dire di averci fatto l'abitudine.»
 
«Sofia, smettila! Non ci si può abituare a certe cose, specialmente se dette da un genitore.»
 
Ella sapeva che non avrebbe dovuto innervosirsi eppure, quando Sofia parlava in questo modo, le avrebbe dato volentieri due schiaffi per farla svegliare.
 
«Cosa dovrei fare? Disperarmi?» chiese l'amica rivolgendole, finalmente, lo sguardo.
 
I suoi occhi erano lucidi e leggermente arrossati.
 
Non voleva piangere, eppure, questo non era un motivo valido per nascondere il disordine nell'armadio nella speranza che si potesse sistemare da solo.
 
«No, ma almeno non fingere che vada tutto bene. Reagisci, urlami contro, ma non reprimere il tuo dolore altrimenti non farai altro che alimentarlo.»
 
«Ho superato la fase in cui mi punivo per essere una figlia indegna. Io sono questa e non cambierò, ma loro non si arrenderanno mai all'idea che possa essere diversa da quelli che sono i loro canoni.» Affermò convinta, asciugandosi una lacrima solitaria, che scendeva lenta sulla guancia destra.
 
«Sono ancora convinta che lo faranno.» Ella lo ripeteva da parecchio, ma, anche se i genitori di Sofia avevano allentato la morsa che aveva rischiato di soffocarla, viveva comunque in uno stato di tensione perenne.
 
Per tale motivo, trascorreva la maggior parte della giornata chiusa nella sua camera, al sicuro.
 
«Sono già trascorsi tre anni da quando l'hanno scoperto e ho subito ogni loro idea assurda sulla mia sessualità. Prima era una malattia, poi una perversione indotta dal diavolo. Sinceramente sono stanca di assorbire tutte queste teorie deliranti.»
 
Un giorno freddo di novembre, l'innocenza di una verità agli altri scomoda assunse le sembianze di un male inestirpabile.
 
La mattina, Sofia aveva portato ad Ella l'album di fotografie che le aveva regalato la sua ex ragazza per il secondo anno di fidanzamento.
 
Sua madre, che non aveva mai avuto l'abitudine di sistemare le cose della figlia, quel pomeriggio decise di svuotare lo zaino che Sofia usava per uscire.
 
Trovò ciò che non avrebbe mai dovuto vedere.
 
Già il solo pensiero di dirglielo, come aveva fatto con Ella, era traumatico, ma, scoprirlo in questo modo, era stato l'inizio di un deterioramento psicologico che l'avrebbe portata, più volte di quante ne volesse ammettere, a rimpiangere la sua vita.
 
Non solo aveva scoperto che sua figlia era tutto ciò che aveva sempre denigrato e ripudiato, ma che le aveva mentito per due anni su dove andava e con chi usciva.
 
Sofia aveva lottato e, sebbene la rottura con la sua ex fosse stata un altro carico sulle sue spalle, tutt'ora continuava a farlo perché adesso, finalmente, vedeva uno spiraglio di luce in un incubo che le era sembrato, per molto tempo, senza fine.
 
«Mi stai dicendo che hai chiuso definitivamente?»
 
«Ancora non lo so, ma credo che lo scoprirò. Tu sai cosa mi hanno fatto vivere. Non ho mai pensato che sarebbe stato facile da accettare. Figurati per i miei, che, se la casa andasse a fuoco, si preoccuperebbero di salvare i quadri di Gesù invece che i figli.»
 
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso che aveva ben poco in comune con il divertimento.
 
«Sono sicura che, adesso che te ne sei andata, si renderanno conto che potrebbero perderti per sempre e, pur di averti vicina, capiranno i loro errori.»
 
Ella era speranzosa, doveva esserlo per Sofia che, ormai, non sapeva più a cosa credere.
 
«Apprezzo quello che stai facendo, ma sappiamo che nulla di tutto ciò accadrà. Preferisco non pensarci.»
 
Forse andarsene non sarebbe stata la soluzione a tutti i problemi ma, almeno per il momento, ne stava risolvendo parecchi ad entrambe.
 
«Lorenzo ha provato a parlare con loro in questi mesi?»
 
«Si, ma è stato inutile, come ogni volta.»
 
Suo fratello era sempre stato dalla sua parte, fin dal primo istante, quindi nemmeno lui aveva grande stima e benevolenza.
 
«Devo chiedergli se hanno mai tentato di portarlo da un esorcista.» disse Ella, cercando di allentare la tensione.
 
«Credo che i miei genitori si siano pentiti più d'una volta di averci fatti nascere.» Sofia sospirò, profondamente rassegnata.
 
In quel momento il treno iniziò a muoversi in avanti.
 
La conversazione, anche se angustiante, le aveva tenute impegnate.
 
Dopo qualche istante di silenzio, lo sguardo di Sofia si illuminò e, in breve, un sorriso increspò le sue labbra.
 
«Rendimi partecipe della tua gioia.»
 
«Ultimamente, stavo pensando di scrivere un libro intitolato: "Cose da fare se vuoi essere un pessimo genitore”.»
 
«Avresti parecchi aneddoti da raccontare.» Quello che prima era un piccolo sorriso, divenne una risata che contagiò entrambe.
 
«Probabilmente verrebbe venduto come un horror» disse Sofia, cercando di riprendere fiato.
 
«Oppure lo potrebbero scambiare per un libro di barzellette. Io di sicuro lo comprerei.»
 
«Magari, se qualche genitore lo leggesse, potrebbe imparare molto dagli errori commessi da altri.» Sofia si incupì ed Ella notò che sfilacciava nervosamente lo strappo del jeans, in corrispondenza della coscia destra.
 
Era un gesto compulsivo e inconsapevole, che faceva quando voleva allontanare l'ansia.
 
«Cristina viene con Lorenzo a prenderci alla stazione?» Ella capì che era giunto il momento di virare su un altro argomento, se avesse voluto allontanare la pesante tensione che si era venuta a creare nell'aria.
 
«Ha detto che non riesce perché oggi ha un esame, ma mi ha promesso che passerà a casa appena finito.»
 
Il corpo di Sofia si rilassò visibilmente e posò le mani sul grembo.
 
«Sono davvero felice che tu abbia qualcuno su cui contare e Cristina è fantastica. Probabilmente, se non fossi etero, mi ci sarei messa io.»
 
L'aria calda proveniente dai condizionatori stava facendo sudare Ella, così iniziò ad arrotolare le maniche della camicia a quadri di flanella sui gomiti, sbottonandola e mettendo in evidenza la canottiera nera al di sotto.
 
«Questo lo dicevi di me. Guarda che sono gelosa» disse Sofia, fingendosi risentita.
 
«Fattene una ragione, lei ama il mondo dei cinecomic tanto quanto me. Mi dispiace, ma ha preso il tuo posto nel mio cuore.»
 
Ella si portò una mano sul petto, sbattendo le ciglia con aria sognante.
 
«Comunque sono davvero fortunata e non mi riferisco solo a Cris, ma anche a te e Lorenzo. Se non avessi avuto voi dalla mia parte negli ultimi cinque anni, non so davvero come avrei fatto a superare le mie debolezze e ad essere sicura e fiera di me.»
 
Entrambe erano state fortunate ad incontrarsi quando pensavano di non averne bisogno, per poi ritrovarsi vicine quando tutto sembrava crollare.
 
Ella ci rifletteva spesso, le amicizie durature erano rare tanto quanto l'amore.
 
«Sono sicura che ce l'avresti fatta lo stesso.»
 
«Davvero?» chiese Sofia, non aspettandosi tanta modestia.
 
«Intendevo senza Lorenzo. Sono io la fantastica migliore amica che ha fatto tutto il lavoro, tuo fratello è stato più un soprammobile.»
 
«Ah l'umiltà, questa sconosciuta» rise Sofia, scuotendo la testa.
 
«Parla per te, è una delle mie migliori qualità.»
 
In quel momento la loro conversazione fu interrotta dal telefono di Sofia, che aveva iniziato a squillare.
 
Era suo fratello.
 
Accettò la chiamata e rispose, mettendolo in vivavoce.
 
«Lore, dimmi.»
 
«Siete partite?»
 
«Si, ma il treno ha un paio di minuti di ritardo.» Rispose Ella, guardando il display fissato sulla porta, all'entrata del vagone.
 
«Se poi si trasformano in venti, mandami un messaggio. In ogni caso, vi aspetto davanti all'entrata della stazione.»
 
«Va bene. Ci sentiamo più tardi» disse Sofia.
 
«Buon viaggio, ragazze. Godetevi il viaggio.»
 
«Grazie, Lorenzo.»
 
«Ella, è un piacere aiutare le mie due piccole pesti.»
 
Dopo aver chiuso la chiamata, Sofia si stiracchiò come un gatto per allungare i muscoli intorpiditi dalla stanchezza.
 
Il suo sbadiglio contagiò anche Ella, che, inevitabilmente, sentì l'impulso di imitarla.
 
«Perché non ti addormenti un po'? Si vede che stai morendo di sonno." Ella sapeva che non sarebbe riuscita a chiudere occhio, sia per il nervosismo sia perché i sedili non erano abbastanza comodi da permetterle di trovare una posizione adeguata per riposarsi, senza distruggersi una spalla o un fianco.»
 
«Se poi crolli anche tu, ci risvegliamo a Milano." Rispose Sofia, rabbrividendo al pensiero.»
 
«Sai che non riesco a dormire sui mezzi pubblici e poi ti ho fatta svegliare all'alba, questa sarà la mia punizione.»
 
«Va bene, ma, se vuoi riposarti anche tu, svegliami.»
 
«Tranquilla.»
 
Si girò e rigirò sul sedile prima di chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dal treno.
 
Per quanto la decisione presa quella notte di luglio la stesse portando lontano dal suo passato, indirizzandola verso il proprio futuro, non riusciva a non guardarsi alle spalle e pensare a ciò che stava lasciando.
 
Sebbene tutto ciò le servisse per crescere e diventare la donna forte che aveva sempre sognato di essere sin da bambina, la nostalgia era inevitabile.
 
Persa nei suoi pensieri, non si era accorta che Sofia si era già addormentata.
 
L'aveva intuito dal movimento del petto lento e regolare.
 
La sua testa era poggiata nello spazio che separava il sedile dal finestrino e i suoi corti capelli castani ricadevano sul suo volto, coprendole metà viso.
 
Il busto era girato verso il corridoio che separava le due file.
 
Il posto accanto a lei era vuoto, così aveva piegato le ginocchia verso l'interno, in modo da lasciare le scarpe al di fuori del sedile, per non sporcarlo.
 
Rifletteva spesso sulle loro vite e, per quanto le loro esperienze fossero state diverse, il dolore e la sofferenza le avevano unite.
 
Avevano imparato ad avere coraggio, a non nascondere le testa sotto la sabbia quando la vita diventava talmente complicata da credere di non avere più una via d'uscita.
 
Nonostante tutte le scosse che le avevano fatte tremare fino a cadere, facendosi forza a vicenda, si erano sempre rialzate.
 
I periodi bui si presentavano ancora, bussando alla porta di entrambe. Piangevano, si dannavano, vedevano tutto insuperabile e troppo difficile, ma, quando le nubi si diradavano, riscoprivano il sole e si sentivano bene.
 
Erano positive, perché, finalmente, avevano messo sé stesse al primo posto e stavano facendo il primo passo che, sapeva, le avrebbe condotte alla piena realizzazione di sé, alla vera felicità.
 
Trascorse il viaggio disegnando il paesaggio verdeggiante che riusciva ad osservare dal suo finestrino. Si muoveva velocemente e, sebbene non riuscisse a tenere il passo con ciò che vedeva, lasciava al resto l'immaginazione.
 
Ella percorreva il tragitto Napoli- Roma molto spesso per andare a trovare sua zia, che viveva a Latina. Amava questa tratta, specialmente nei mesi estivi, poiché le era possibile ammirare immense distese di papaveri rossi.
 
Non conosceva bene il motivo né le interessava scoprirlo, ma, sin da piccola, era sempre stata affascinata da quei fiori.
 
Le trasmettevano calma e tranquillità.
 
Tuttavia, novembre era appena iniziato e l'autunno inoltrato non avrebbe permesso ai papaveri di sbocciare, almeno fino al mese di maggio.
 
Un ricordo della sua infanzia la fece sorridere.
 
All'età di quattro anni, andò con i suoi genitori a trovare un'amica di sua madre, Elisa, che viveva ad Avellino.
 
Non ricordava bene cosa avesse fatto durante la giornata, ma c'era una scena che non avrebbe mai potuto dimenticare.
 
Di fronte alla villetta in cui abitava si trovava uno strapiombo, in cui scorreva un piccolo fiume.
 
Giunse il momento di ritornare a casa, ma, mentre stavano percorrendo il tragitto che li separava dalla macchina, vide, su una delle due pareti rocciose, un fiore rosso di un'intensità tale da incantarla.
 
Spiccava tra le rocce ed era impossibile non notarlo, poiché era l'unico tocco di colore in mezzo a tutto quel terreno polveroso.
 
Unico elemento delicato tra gli spigoli e le sporgenze acuminate.
 
Avrebbe voluto coglierlo e portarlo con sé, perché pensò fosse troppo bello per essere lasciato in quel posto dimenticato da tutti.
 
Elisa, volle accontentarla, così si sdraiò al suolo sporgendo un braccio nello strapiombo.
 
Sarebbero bastati cinque centimetri in più, per poterlo afferrare.
 
Era così vicino ma, allo stesso tempo, ebbe l'impressione che fosse proprio il papavero a non voler essere colto.
 
Avrebbe potuto essere scambiato per un pensiero infantile, eppure non poteva fare a meno di crederci.
 
Con il tempo, aveva capito che, se quel fiore era riuscito a sbocciare e rimanere in vita in un ambiente così ostile ed insidioso, meritava di rimanerci.
 
Se fosse riuscita ad estirpare le sue radici, avrebbe distrutto la sua bellezza.
 
Se l'avesse portato via, quel papavero, che tanto l'aveva ammaliata, sarebbe morto e non le sarebbe rimasto nessun ricordo da serbare nel cuore.
 
Per chi non la conosceva, sicuramente sarebbe sembrata una storia ridicola, ma a lei non interessava.
 
Con gli ultimi eventi che avevano sconvolto la sua vita, aveva rimuginato spesso su questo aneddoto, giungendo a una conclusione.
 
C'era una sorta di analogia, un parallelismo che legava il suo destino a quel fiore.
 
Le avversità, che aveva affrontato in passato e che stava vivendo adesso, l'avevano fatta sbocciare, rendendola una ragazza determinata, sicura del suo futuro, libera da tutti e fedele solo a sé stessa.
 
Avevano cercato di distruggerla, di cambiarla e, a causa di questo, aveva rischiato di dimenticare chi fosse.
 
Era quello il suo posto nel mondo e nessuno glielo avrebbe portato via.
 
Quel fiore era lei e lei era il bagliore rosso che avrebbe continuato a risplendere nell'oscurità.
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


«Sofia, svegliati.»
 
La voce di Ella arrivava da lontano ed era troppo ovattata per poterle dare ascolto.
 
«Dai, che siamo arrivate.»
 
Il trascorrere dei minuti rendeva le parole e i suoni molto più nitidi.
 
«Già?» mugugnò in risposta, risvegliandogli dal torpore del suo sonno.
 
«Si. Hai dormito tutta la durata del viaggio e, se non ti muovi, rischiamo di rimanere sul treno.»
 
Mentre Ella indossava il suo giubbino di pelle nero, Sofia cambiò posizione, mettendosi seduta in maniera più composta.
 
Le doleva la schiena per non essersi mossa per circa due ore.
 
Si inarcò in avanti allungando la colonna vertebrale rimasta contratta e ricurva troppo a lungo, trovando sollievo per qualche istante.
 
«Mi meraviglia che tu non mi abbia chiamata almeno venti minuti prima della nostra fermata» disse Sofia, trattenendo a stento uno sbadiglio.
 
«In realtà era quella la mia intenzione, ma poi ho pensato che sarebbe stato troppo crudele, quindi mi sono accontentata di farlo solo dieci minuti prima.»
 
Sofia non era mai riuscita a spiegarsi come Ella riuscisse a rimanere seria nel pensare ed esprimere ad alta voce determinate affermazioni.
 
Probabilmente, era proprio quella la caratteristica distintiva del suo modo di porsi, se fosse scoppiata a ridere il tutto avrebbe perso di significato ironico.
 
«È impossibile fare un viaggio con te» ammise infine.
 
«Ma se ti ho lasciato dormire beatamente. Nessuno lo avrebbe fatto al mio posto.»
 
Ella si divertiva troppo a prenderla in giro, perché sapeva che Sofia sarebbe stata al suo gioco senza correre il rischio che si offendesse.
 
Con lei poteva essere sé stessa e non sentiva la necessità di doversi scusare ad ogni battuta stupida.
 
Si divertiva con poco e specialmente in questo periodo, quelli erano momenti preziosi che servivano ad entrambe.
 
«Perché nessuno al tuo posto mi avrebbe mai fatta svegliare ad un orario indecente, quindi era il minimo.»
 
«Per quanto tempo ancora hai intenzione di rinfacciarmelo? Sei incontentabile.»
 
«E tu sei paranoica» affermò Sofia, puntandole contro il dito indice e guardandola con i suoi occhi neri intensi e accusatori.
 
Tutta quella finta serietà la fece esplodere Ella in una fragorosa risata che, suo malgrado, non riuscì a contenere.
 
Alcune persone nel treno si voltarono nella sua direzione, per capire da dove provenisse tutto quel clamore.
 
Non le importava, perché questi momenti di spensieratezza ultimamente erano stati così miseri da poterli contare sulle dita di una mano.
 
«Non c'è proprio niente di divertente.»
 
«Invece sì. Avresti dovuto vedere la tua faccia. Comunque sono solo previdente, considerando che gli imprevisti possono accadere in qualsiasi momento mi preparo solo ad evitarli».
 
«Hai ragione, mi correggo. Sei una maniaca del controllo.»
 
Ella era abituata a queste sue accuse, ma in fondo sapeva che affermavano sempre il vero.
 
Nella sua vita, che andava continuamente allo sbaraglio, sentiva il bisogno di avere il controllo su tutto ciò che le era possibile.
 
Il treno aveva iniziato a rallentare la sua corsa.
 
Capirono che da lì a breve sarebbe entrato in stazione, quindi era arrivato il momento di alzarsi.
 
«Sbrighiamoci a prendere le valigie» disse Ella mentre si alzava in piedi.
 
Facendo attenzione a non cadere a causa dei movimenti oscillatori del treno, si infilò nel corridoio e, appoggiandosi con le ginocchia al bracciolo del sedile esterno per mantenersi in equilibrio, cercò di allungarsi il più possibile per portare a terra i bagagli.
 
«Ci arrivi?» le chiese Sofia, notando gli sforzi fatti dall'amica.
 
«No, forse è meglio se le prendi tu» rispose Ella, mentre si spostava di lato per lasciarle spazio di manovra.
 
Con la coda dell'occhio, vide un lieve sorriso spuntare sulle labbra di Sofia.
 
«E non sogghignare. Che senso ha distruggermi le punte dei piedi quando ho te che sei alta abbastanza da prenderle senza sforzi» disse Ella incrociando le braccia sotto il seno, messo in risalto dalla scollatura della canottiera.
 
«Forse se facessi dello sport potresti allungarti di qualche centimetro.»
 
Sofia consegnò la valigia ad Ella che, dopo aver recuperato il suo zainetto nero, iniziò ad avviarsi verso le porte del treno.
 
«Sai che non mi piace e poi li ho provati tutti senza successo. Se ci ripenso, mi ricordo chiaramente il dolore di tutte le pallonate che ho ricevuto quando ho avuto la brillante idea di iniziare pallavolo».
 
Non era mai stata tagliata per l'attività fisica, anche perché si sentiva sempre fuori posto in palestra e non riusciva mai ad integrarsi all'interno dei gruppi che si creavano.
 
«Se hai paura del pallone è normale che ti faccia male.»
 
«Sono più che felice del mio metro e sessantatré.»
 
Ogni volta che aveva ascoltato sua madre o Sofia aveva ottenuto l'unico risultato di sentirsi a disagio.
 
Ognuno aveva le sue qualità e le sue passioni.
 
Fino a qualche mese fa, Sofia giocava nella squadra di pallavolo della sua regione ed era una giocatrice fenomenale, non solo perché praticava quello sport da quando aveva sette anni, ma anche perché era una dote innata.
 
Ad agosto, in vista del trasferimento, aveva ottenuto un provino per entrare in una squadra della serie A2 della Roma ed era stata presa.
 
Ella, invece, era estremamente brava nel disegno. Chiunque vedesse le sue opere avrebbe potuto affermare che sarebbe stata capace di dar vita a qualunque cosa avesse deciso di ritrarre, anche un oggetto inanimato.
 
Determinate cose non si possono imparare, o ci nasci o ti limiti ad ammirarle dagli altri.
 
A Ella non era mai dispiaciuto, perché se tutti fossero stati in grado di compiere qualsiasi azione e svolgere qualsiasi compito non avrebbero più sentito la necessità di circondarsi di persone e di farle entrare nella propria vita.
 
Ognuno si sarebbe sentito completo abbastanza da escludere ed ignorare il resto del mondo.
 
«Vai avanti tu» disse Ella, arrestando improvvisamente i suoi passi in prossimità delle uscite.
 
«Perché?» le chiese Sofia con un accenno di confusione nello sguardo.
 
«Lo sai che con le porte sono imbranata. Specialmente queste per cui non basta schiacciare un semplice pulsante per aprirle. Mi terrorizzano» rispose indicandole.
 
«Sei l'unica persona su questa terra ad aver paura delle porte.»
 
Sofia a volte non sapeva se ridere o piangere di fronte alle stranezze nell'amica.
 
Molto spesso si dimenticava di alcune delle sue fissazioni o paure e, quando Ella gliele faceva presenti, si sentiva puntualmente spiazzata.
 
«Non ci posso fare niente. Non mi piacciono.»
 
«Quando andrai a vivere da sola, chi ti aprirà quella di casa?»
 
«In quel caso, rischierò di chiamare il fabbro una volta a settimana per tutte le volte che spezzerò la chiave nella serratura.»
 
«Chi ammazzerà i ragni per te?»
 
Sembrava una bambina, specialmente quando iniziava ad urlare come una pazza alla vista di un ragno, anche se quest'ultimo era talmente piccolo da poter essere tranquillamente schiacciato con un dito.
 
Se c'era la possibilità che in una casa fosse presente, Sofia poteva essere sicura che Ella lo avrebbe sicuramente scovato, in un modo o in un altro.
 
«Non ce ne sarà bisogno, perché spruzzerei così tanto insetticida che non avranno possibilità di fuga» rispose Ella, fiera del suo piano perfettamente congegnato.
 
«Dove andresti senza di me!» esclamò Sofia in un sospiro.
 
«Ti sopravvaluti.»
 
Il treno era giunto a destinazione con circa dieci minuti di ritardo.
 
Le valigie, fortunatamente, non erano molto pesanti ed ingombranti, quindi risultava meno difficile muoversi tra quella moltitudine di persone che popolavano la stazione di Roma Termini.
 
Ella non era mai stata amante dei luoghi affollati, eppure adesso riusciva a guardare il mondo da una prospettiva diversa.
 
«È arrivato?» chiese Ella.
 
«Si. Ci sta aspettando all'entrata principale della stazione.»
 
Sembrava tutto così grande.
 
Era spaesata e, nonostante avesse in genere un buon senso dell'orientamento, percepiva chiaramente il peso dell'ignoto gravare su di lei.
 
«Eccolo!» esclamò Sofia.
 
«Finalmente, stava iniziando a farmi male la testa con tutto questo girovagare.»
 
Ella a volte sapeva essere estremamente pesante, ma la questione non le importava minimamente.
 
Questo atteggiamento denotava il suo carattere alquanto menefreghista ed esasperante.
 
«Il tuo livello di sopportazione cala sempre di più ogni giorno che passa.»
 
Sofia era tra le poche persone a cui questo modo di essere divertiva anziché scocciare.
 
«Vi stavo per chiamare. Vi eravate perse?» Lorenzo si incamminò verso di loro per salutarle.
 
Sofia lasciò la valigia e gli si avvicinò con fare minaccioso, per poi rifilargli un piccolo pugno sulla spalla.
 
«Anche per me è un piacere rivederti. Anzi no, scherzavo».
 
«Lo so che ti sono mancato, peste.»
 
Come sua abitudine posò una mano sul capo di Sofia, scompigliandole i capelli corti.
 
«Se non farai uno sforzo per perdere questo tuo insopportabile vizio, la tua mano non durerà molto in questi mesi di convivenza» rispose a tono, dandosi una sistemata.
 
«Meno male che sono io l'antipatica tra le due» intervenne Ella, trattenendo una risata alla vista di quel felice quadro familiare.
 
Per Sofia, Lorenzo era sempre stato il suo punto di riferimento e, per quanto si divertissero entrambi nello schernirsi a vicenda, si volevano un bene indescrivibile.
 
Avrebbero fatto di tutto per proteggersi a vicenda.
 
«Ella, fatti abbracciare almeno tu.»
 
Lorenzo la avvolse tra le sue braccia e dovette piegare il capo in avanti di parecchi centimetri per riuscire a posarle un bacio sulla fronte.
 
Schiacciata contro il suo ampio petto, inalò il profumo di colonia e bagnoschiuma, mentre lei, con tutta probabilità, odorava di sudore e sporcizia.
 
Adesso si rendeva conto di quanto fosse rassicurante essere stretta da chi le voleva bene.
 
Non avrebbe potuto sentire la mancanza di un momento come questo, almeno fino a quando l'occasione non l'avesse reso reale e poi avrebbe dovuto lasciarlo andare.
 
L'abbraccio durò solo qualche istante, eppure era riuscito ad alleggerire il peso che quella stessa mattina aveva iniziato ad opprimerla.
 
L'ansia si stava dissolvendo e questo le dava speranza che presto si sarebbe potuta sentire davvero a casa.
 
Negli ultimi mesi la famiglia e gli amici le avevano dimostrato tutto l'amore che non avrebbe mai pensato di poter ricevere.
 
Un bene che non credeva avrebbe mai avuto l'occasione di provare e, sebbene avesse fatto volentieri a meno delle circostanze che le avevano fatto comprendere tutto questo, era davvero felice.
 
Aveva vissuto nel terrore e si impegnava costantemente per affrontarlo e distruggerlo, perché superarlo non sarebbe valso a nulla.
 
«Forza! Altro giro, altra corsa. Salite in macchina, dieci minuti e saremo a casa.»
 
***
 
L'appartamento si trovava al terzo piano in un palazzo residenziale che affacciava in un piccolo parco verdeggiante.
 
La comodità della sua ubicazione era che distava poco dalla fermata della metropolitana più vicina.
 
«Benvenute nella vostra nuova e umile dimora.»
 
Lorenzo, dopo essere entrato in casa, si spostò di lato per permettere alle sue coinquiline di entrare con i bagagli.
 
Il piccolo ingresso era luminoso, poiché affacciava direttamente nel soggiorno cucina.
 
«Smettila di essere ridicolo, non è la prima volta che veniamo» commentò Sofia, superando il fratello per posare la valigia accanto all'isola della cucina, che divideva i due ambienti in modo approssimativo.
 
«Sì, ma, considerando che adesso rimarrete in pianta stabile, era doveroso accogliervi calorosamente.»
 
«A quanto pare il viaggio non ha reso irritabile solo me, vero Sofia?» chiese Ella, tuffandosi sul divano bianco, per poi sprofondare con la testa nello schienale.
 
Da quella posizione aveva una visuale completa della cucina, grande quanto bastava per l'uso che ne avrebbero fatto.
 
Nessuno dei tre aveva doti culinarie particolari e, sebbene il padre di Ella fosse uno chef, l'unica cosa che era in grado di preparare erano la pasta con il tonno e scaldare il cibo in padella.
 
L'amica alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
 
«Non avrai intenzione di trascorrere tutto il giorno su quel divano?» chiese, incrociando le braccia con sguardo minaccioso.
 
Entrambe sapevano che ne sarebbe stata capace, soprattutto per sfuggire a ciò che avrebbe dovuto fare il resto del pomeriggio.
 
Riordinare non era tra i suoi passatempi preferiti, tuttavia era un lavoro sporco che qualcuno doveva pur fare e nessuno lo avrebbe svolto al suo posto.
 
«Potrei sempre aspettare qui per vedere se le mie cose si sistemano da sole. Ovviamente sarebbe un esperimento per il bene della ricerca scientifica».
 
Sofia la guardò di sbieco. «Oppure per aspettare che io sistemi anche la tua roba. Ma questo non accadrà mai.»
 
«Sei una guastafeste. Hai rovinato il mio sogno di gloria» rispose Ella, alzandosi a malincuore dalla superficie comoda in cui si trovava fino a qualche istante prima.
 
«Ragazze, non vorrei interrompere la vostra interessante discussione, però volevo farvi sapere che in settimana ho fatto fare le copie delle chiavi sia del portone, che della porta di casa. Le ho lasciate sulla scrivania in camera, dove troverete le vostre cose così come le avete lasciate due settimane fa» intervenne Lorenzo che, fino a qual momento, non aveva fatto altro che osservarle divertito.
 
Recuperarono le loro valigie e, superando la cucina, percorsero il piccolo corridoio che fungeva da ingresso alle due camere da letto e all'unico bagno della casa.
 
Dal momento che Lorenzo occupava quella più grande, aveva dovuto spostare le sue cose in modo che Ella e Sofia avessero potuto condividere uno spazio sufficiente senza problemi.
 
«Peccato. Non avrai un'altra occasione per sbirciare» affermò Sofia, prendendosi gioco di lui.
 
Ella aprì la porta di quella che sarebbe diventata la loro stanza e posarono i bagagli ai piedi dei corrispettivi letti singoli, posti al centro della parete di fronte alla porta e separati da un comodino.
 
Avevano disposto tutto in modo che fosse simmetrico: a destra i mobili di Ella e a sinistra quelli di Sofia.
 
«Tu credi? Viviamo sotto lo stesso tetto, quindi avrò sempre la possibilità di scoprire i vostri segreti più oscuri e perversi» rispose Lorenzo, cogliendo la sfida che aveva lanciato sua sorella, ma non sapeva di aver perso in partenza.
 
«Non credo tu voglia conoscere quelli di tua sorella» Ella si intromise, schierandosi dalla parte di Sofia.
 
«Ora che mi ci fai riflettere, preferirei di no.»
 
«E a me non interessa sapere quelli di mio fratello. Ti saremmo estremamente grate se ci avvertissi prima di tornare a casa con un'amica.»
 
«Ma per chi mi hai preso?» chiese Lorenzo con un'espressione accigliata.
 
«Per un normale ragazzo di venticinque anni che non vive con i genitori e il week-end esce per divertirsi» rispose Sofia, affermando una realtà piuttosto ovvia, ma che a quanto sembrava era sconosciuta solo a Lorenzo.
 
«Tua sorella intende dire che non siamo puritane, ma visto che dobbiamo condividere l'appartamento, quando vuoi portare una ragazza a casa, avvisaci così non ci facciamo trovare. Cerchiamo di trovare un giusto compromesso per le esigenze di tutti.»
 
Lorenzo fino a quel momento non aveva mai dovuto condividere l'appartamento con nessuno, per cui, con molta probabilità, avrebbe impiegato un po' di tempo per riabituarsi alla presenza di qualcuno che invadeva il suo spazio personale.
 
«Adoro quando fai la persona diplomatica» disse Sofia, prendendosi gioco di Ella.
 
«Mi sembrava implicito il discorso, da entrambe le parti» si giustificò Lorenzo, scrollando le spalle.
 
«Non si sa mai. Insomma, meglio specificare piuttosto che rimanere traumatizzate dal proprio fratello.»
 
«O dalla propria sorella. Hai ragione.»
 
«O da Ella che viene completamente ignorata.»
 
«Scusa, ma non credevo fossi fidanzata.»
 
Dalle risposte di Lorenzo, a volte Ella si chiedeva se il suo problema fosse avere l'elasticità mentale di un furetto oppure fosse ancora terribilmente ingenuo.
 
«Perché, tu sì? Non credevo fossi così maschilista.» Il viso di Ella si dipinse di finto sdegno.
 
«Lorenzo ti vede come una specie di suora.»
 
«No, io non intendevo questo. Lasciate perdere, vi lascio sistemare le vostre cose prima di fare ancora più danni.»
 
«Guarda che scherzavo, ti ci dovrai abituare. Mettere in difficoltà le persone è il mio passatempo preferito.» Ella gli rivolse un sorriso di scuse che, però, non sarebbero bastate a coprire il prossimo futuro.
 
«Con voi due, ho firmato la mia condanna.» Scuotendo la testa, Lorenzo uscì dalla camera lasciandole sole.
 
Ella ebbe appena il tempo di aprire il suo zaino per svuotarlo, che lo schermo del cellulare si illuminò e si dannò leggendo la quantità di chiamate perse.
 
«Mamma, scusa, ma tra le diverse cose da sistemare ho completamente dimenticato di avvisarti che fossi arrivata» rispose Ella, nel tentativo di stroncare in partenza il rimprovero di sua madre.
 
«Mi hai fatta preoccupare. Dovresti mettere la suoneria, così magari eviteresti di gettarmi nel panico.»
 
«Sai il perché ho sempre il silenzioso e sinceramente ho intenzione di lasciarlo ancora per molto tempo.»
 
Ultimamente, le conversazioni tra di loro iniziavano sempre in questo modo, eppure sua madre non si stancava mai di dirle sempre le stesse cose pur sapendo che non sarebbero cambiate.
 
«Che state facendo?»
 
«Stavamo sistemando le ultime cose che avevamo lasciato negli scatoloni la scorsa settimana» rispose Ella, guardandosi intorno per osservare la quantità di cose sparse in giro nella stanza.
 
«Avete fatto programmi per questa sera?»
 
«Dato che mi sono svegliata presto e sono distrutta dal viaggio, rimarrò a casa. Sofia invece esce con Cristina. Voi, come state?»
 
«Sentiamo la tua mancanza. Non sarà facile abituarsi alla tua assenza, ma è giusto così. L'importante è che tu sia felice.»
 
«Anche io dovrò abituarmi a questa nuova vita, che un po' mi spaventa.»
 
«Ce la farai, Ella. Prenditi il tuo tempo e sai che, se avessi bisogno di qualunque cosa, basterebbe prendere un treno.»
 
«Se riuscirò a fare la lavatrice senza combinare un disastro, potrò fare tutto nella vita» rispose Ella, smorzando il discorso che aveva intrapreso un sentiero che non desiderava percorrere.
 
«Come siamo simpatiche. Ti lascio, così finisci di sistemarti.»
 
«Salutami tutti.»
 
La telefonata appena terminata la indusse a porre una domanda a Sofia, che era intenta a piegare i vestiti nei suoi cassetti del comò.
 
«Hai avvertito tua madre che sei arrivata sana e salva?»
 
«No» la risposta fuoriuscì dalle labbra di Sofia con un'irruenza e una spontaneità, che colsero Ella alla sprovvista.
 
«Sarà preoccupata» affermò, sedendosi sul letto dell'amica.
 
Il profondo sospiro, ricco di sconforto, riempì il silenzio che aveva pervaso la stanza per qualche istante.
 
Sofia fermò i suoi movimenti meccanici e ripetitivi, per voltarsi nel punto in cui si trovava Ella.
 
«Infatti. Così tanto da avermi chiamata come ha fatto Adele.» Nel suo tono di voce aveva palesato tutto il dolore e rabbia che stava covando dentro di sé da ormai molto tempo.
 
Ella fu percorsa da un brivido, che risaliva lento e indisturbato lungo la sua spina dorsale, lasciandole un senso di ansia.
 
In otto anni di amicizia, avrebbe potuto contare sulle dita d'una mano le volte in cui Sofia aveva dato sfogo alla sua ira e, quando accadeva, non era mai un buon segno.
 
Mentre Ella era per la verità anche a costo dello scontro, Sofia sarebbe stata disposta a chiudere entrambi gli occhi di fronte all'evidenza pur di non distruggere un rapporto.
 
«Sofia, ti prego, non lasciare che la distanza che hai messo tra la tua vecchia vita e la nuova si trasformi in un vuoto incolmabile.»
 
Sotto lo sguardo preoccupato di Ella, Sofia aveva iniziato a camminare avanti e indietro, come un animale in trappola.
 
Dopo essersi passata una mano tra i capelli, per placare la frustrazione che sentiva montare in lei di secondo in secondo, si sedette nella porzione di letto vuota vicino ad Ella.
 
«Nonostante per me sia inconcepibile, so che le loro azioni e le loro parole hanno una logica. Nella loro testa vogliono salvarmi e le hanno pensate tutte nel tentativo di riuscirci, tuttavia non sono riusciti fare l'unica cosa giusta. Ascoltarmi, starmi vicino, non lasciarmi sola. Ella, ti rendi conto che tu e la tua famiglia mi siete stati più vicini di quanto non lo siano stati i miei?»
 
Sofia aveva scoperto sé stessa al quarto anno di liceo e non avrebbe mai dimenticato il giorno del suo coming out ad Ella.
 
18 dicembre 2014
 
Erano in gita scolastica a Roma e, mentre si trovavano nell'autobus percorrendo la strada del ritorno, Sofia aveva messo a nudo la parte più profonda e dolorosa del suo essere.
 
Tristemente repressa e ancora eccessivamente spaventosa per poter essere affrontata senza il supporto di qualcuno.
 
Verità che non stupì Ella, probabilmente perché erano già allora così legate da averne sempre avuto il presentimento.
 
Non aveva motivo di sconvolgersi e Sofia non aveva motivo di temere il contrario.
 
Era stato spontaneo e naturale ammetterlo ad alta voce per la prima volta a qualcuno che non fosse sé stessa o il suo riflesso allo specchio, che aveva odiato per così tanto tempo.
 
La ragione di tale ostilità era sempre la stessa da cinque anni a questa parte.
 
Perché, più che detestare chi fosse, aveva compreso con il tempo che era stato lo sguardo pieno di disgusto e delusione della sua famiglia che l'aveva portata a ripudiarsi.
 
Ma, allora, un passo verso l'accettazione lo aveva compiuto e, con il senno di poi, l'avrebbe rafforzata al punto da amarsi quando il resto del suo mondo non si sforzava neanche un po' nel provarci.
 
«È giusto metterli alla prova, ne hai bisogno per sapere fin dove potrebbero spingersi e quanto realmente tengono a te, ma non agire in un modo che non ti appartiene. Sappiamo entrambe che questo è il punto di non ritorno, ciò che deciderai in questi mesi segnerà definitivamente il vostro rapporto. Ti chiedo solo di rifletterci bene e non lasciare che il dolore ti faccia diventare chi non vorresti mai essere.»
 
Negli ultimi anni, entrambe avevano rotto i rapporti con parecchie persone che con il tempo erano diventate punti importanti della loro vita.
 
Sofia, da questo punto di vista, era sempre stata la più fragile perché allontanarsi da qualcuno a cui si era affezionata significava dire addio alla parte di sé stessa che aveva donato.
 
Allontanarsi da un affetto era come vivere un lutto e, ogni volta che ciò si verificava, Sofia attraversava tutte le fasi del dolore.
 
In queste situazioni, Ella viveva solo due fasi: dalla rabbia giungeva direttamente all'accettazione che, infine, diventava indifferenza.
 
Sapeva quanto fosse sbagliato, eppure non riusciva ad evitare di nascondere la sofferenza dietro un muro di finta ignoranza.
 
«Lo farò. Sai come sono, non riuscirei ad odiare nessuno anche se mi facessero il peggiore dei torti.»
 
«Per questo motivo, non dico di ignorare i loro comportamenti, perché risulterebbe difficile anche ad un santo, però lascia loro aperto uno spiraglio. Dovranno faticare molto se vorranno riconquistare la tua fiducia e il tuo rispetto, ma almeno faranno sempre parte della tua vita.»
 
«Detesto quando hai ragione.»
 
Ella si alzò in piedi con uno scatto repentino e, posizionandosi di fronte a Sofia, si poggiò le mani sui fianchi.
 
«Quindi non mi sopporti per niente, dato che non mi sbaglio mai».
 
«Come siamo perspicaci» rispose Sofia, mentre scuoteva la testa sorridendo.
 
«Non importa. È il prezzo da pagare per la mia perfezione.» Ella agitò un paio di volte la mano destra in aria, per scacciare il commento sarcastico di Sofia.
 
«Manderò loro un messaggio.»
 
«Ottima scelta.»
 
«Mettiamoci a lavoro, che le valigie non si disfano da sole.» Sofia si alzò dal letto, riprendendo ciò che aveva interrotto prima.
 
«Considerando il saggio consiglio che ti ho dato, pensavo che le mie le sistemassi tu.» Le labbra di Ella si piegarono per formare un ghigno ambiguo e sinistro.
 
«Muoviti pigrona!» L'esclamazione di Sofia fu accompagnata da una maglietta che si schiantò sul viso di Ella.
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Dopo aver svuotato tutti gli scatoloni e aver posato le valigie sotto il letto, la camera era finalmente pronta.
 
Ella tirò la piccola corda del carillon a forma di pera, che aveva appeso in alto a destra della testiera del letto in ferro battuto.
 
La melodia, che iniziò a diffondersi, le riportò alla mente la ninna nanna che aveva inventato suo nonno per lei quando era nata.
 
Quando era triste o aveva bisogno di rilassarsi, chiudeva gli occhi e canticchiava quelle poche frasi che componevano il testo.
 
Si appoggiò con la spalla destra allo stipite della porta per ammirare il risultato del suo lavoro.
 
Sul trapuntino ceruleo erano posizionati tre semplici peluche a cui era emotivamente legata.
 
La libreria, che era stata montata vicino nell’angolo della parete destra tra il suo letto e la scrivania, era stata riempita di libri. Nelle mensole più in altro aveva riposto quelli per gli esami che già aveva superato, ma che avrebbero potuto tornarle utile; immediatamente sotto, aveva lasciato due scaffali vuoti per quelli che avrebbe dovuto comprare in vista dell’inizio dei corsi; mentre negli ultimi tre, si trovavano i grandi classici della letteratura che non aveva ancora avuto il tempo di leggere.
 
La scrivania era decisamente troppo in ordine per i suoi standard. Sul piano si trovavano una semplice lampada grigia, due bicchieri di vetro, che in precedenza avevano contenuto delle candele comprate da Ikea e una lavagna magnetica mensile di medie dimensioni.
 
Mancavano ancora la collezione di tazze con le stampe dei quadri di Van Gogh, da posizionare su una delle tre mensole fissate sul muro parallelamente alla scrivania e il puzzle della grande onda di Kanagawa, che aveva completato e fatto incorniciare l’estate appena trascorsa.
 
Purtroppo non era riuscita a portarli con sé, ma avrebbe sicuramente trovato l’occasione considerando che non era nulla di urgente.
 
Il suono del campanello fece scattare Marta che si liberò dei vestiti che aveva tra le mani, lasciandoli ricadere nella valigia, per poi dirigersi correndo verso la porta.
 
Era Cristina.
 
Ella lo aveva intuito dall’enorme sorriso impaziente e gioioso che aveva incurvato le sue labbra e contagiato i suoi occhi di una luce vivida, che intravedeva solo quando si parlava di lei.
 
Si pulì le mani sul pantalone della tuta grigio e seguì Marta per andare a salutare la sua amica.
 
Dal punto in cui si trovava, vide Lorenzo appoggiato allo stipite della porta della cucina.
 
Quando si accorse della sua presenza, alzò lo sguardo e la scrutò per qualche istante senza proferire parola.
 
«Ti hanno cacciato dalla cucina?” Chiese Ella sorridendo.
 
«Era da molto che non si vedevano. Ho pensato volessero qualche minuto per salutarsi senza intrusi.»
 
Si avvicinò a lui e, afferrandogli una mano, lo trascinò con lei.
 
«Avranno tutta la serata per stare insieme.»
 
Se avesse voluto, Lorenzo avrebbe potuto opporsi, considerando la poca forza che Ella esercitava nello stringergli la mano, eppure non lo fece perché troppo sorpreso dalla spontaneità del suo gesto.
 
«Piccioncine, stanno arrivando i guastafeste. Rimandate a quando sarete fuori di qui quello che state facendo.»
 
Le parole di Ella riempirono la stanza ancor prima che vi entrasse.
 
Sofia aveva un braccio poggiato sulle spalle di Cristina, avvolgendola amorevolmente per tenerla stretta contro di sé.
 
Tuttavia si staccò dall’abbraccio per andare incontro ad Ella.
 
Erano all’incirca della stessa altezza quindi non avrebbe dovuto sforzarsi ad alzarsi sulle punte per salutarla.
 
«Cavolo Ella, quanto mi era mancato il tuo umorismo» disse stringendola con forza.
 
Cristina era molto affettuosa e, sebbene fosse timida, riusciva a legarsi e a stringere amicizia molto velocemente se la si sapeva mettere a suo agio.
 
Nonostante Ella fosse diffidente con la maggior parte delle persone, le era risultato così semplice affezionarsi a Cristina che si stupì di questo suo lato, fino a qualche tempo fa sconosciuto.
 
Ma quello era stato un caso raro poiché, sin dalla prima volta che la vide, in lei riconobbe la sé stessa di molti anni prima, quando aveva paura persino di alzare lo sguardo da terra.
 
«Lo so, una volta che mi conosci non si può più fare a meno di me. Sono come la droga.»
 
Se qualcuno l’avesse vista dopo così tanto tempo, probabilmente non l’avrebbe riconosciuta.
 
Qualcosa era rimasto, ma adesso si sentiva più vera di quanto lo fosse stata allora.
 
«Direi più come un ronzio fastidioso.»
 
La voce di Lorenzo fece allontanare Cristina, che si diresse verso di lui per poter chiudere il giro di saluti.
 
«Ha parlato il soprammobile.»
 
Ella incrociò le braccia al petto fingendosi offesa per poi voltarsi verso Sofia che, colta alla sprovvista, non era riuscita a trattenere una risata.
 
«Cosa?» chiese confuso Lorenzo non cogliendo il significato di quel commento.
 
«Niente, lascia perdere. È una lunga storia» rispose Sofia facendo cadere il discorso. «Prendo la giacca e andiamo» aggiunse, per poi scomparire nel corridoio.
 
Andava di fretta quella sera e non poteva biasimarla.
 
Ella conosceva la sensazione, quando non vedeva chi amava da troppo tempo si sentiva vuota, come se avesse lasciato una parte di sé nel cuore di chi non avrebbe potuto avere al suo fianco.
 
Non poteva fare altro che contare i minuti che li avrebbero separati.
 
Per Sofia quel momento era una conquista e aveva bisogno di iniziare a viverlo fino in fondo, recuperando tutto il tempo che i suoi genitori le avevano tolto.
 
«Voi cosa farete stasera?» chiese Cristina.
 
«Io mangerò un tramezzino e andrò a letto» rispose Ella, coprendosi la bocca per mascherare uno sbadiglio.
 
«Tra poco ho appuntamento con degli amici.»
 
Anche Lorenzo sarebbe uscito ed Ella avrebbe trascorso la prima sera in una nuova città completamente sola.
 
L’idea non le dispiaceva.
 
Quando era particolarmente stanca non sopportava le persone e il loro chiacchiericcio, la innervosivano terribilmente.
 
Potersi riposare in tutta tranquillità era ciò che di più bello potesse desiderare.
 
«Tutte serate entusiasmanti. Non vi preoccupate per me. Starò bene, tutta sola e depressa.»
 
Ella indossò una maschera di dispiacere.
 
La fronte corrugata, gli occhi tristi e il piccolo broncio, che increspava le sue labbra piene e rosate, le donavano un aspetto tenero.
 
Lorenzo non impiegò troppo tempo per abboccare alla sua esca.
 
«Se vuoi, posso rimanere.»
 
Ella si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso dolce, accorgendosi di quanto fosse sempre stato gentile nei suoi confronti.
 
Sebbene stesse scherzando e avrebbe voluto continuare il piccolo gioco intrapreso, preferì chiudere tutto sul nascere per non esagerare.
 
«Sto scherzando. Andate e divertitevi, non ho bisogno di compagnia.»
 
«Sicura? Non lo dici solo per farmi uscire?»
 
Non aveva mai immaginato che Lorenzo potesse essere così premuroso.
 
Nonostante lo conoscesse da molto tempo, non aveva mai potuto instaurare un’amicizia.
 
Aveva attribuito il motivo alla differenza di due anni che li separava e che lo aveva portato a trasferirsi per intraprendere gli studi universitari di legge, circa cinque anni prima.
 
«Ella dice sempre quello che pensa.» Sofia fece capolino nella cucina, poggiando una mano sulla spalla del fratello per rassicurarlo.
 
«Esatto. Se sono qui è perché so badare a me stessa e non ho bisogno di un baby sitter. Se la casa dovesse andare a fuoco, vi prometto che chiamerò i pompieri. State tranquilli» disse infine, rivolgendogli un sorriso innocente.
 
«Potevi fare di meglio per convincermi.»
 
«E perdermi la tua espressione terrorizzata? Non avrei mai potuto.» Si scrutarono con sguardo serio fin quando entrambi non esplosero in una risata che contagiò anche Sofia e Cristina.
 
«Adesso andate via prima che perda la pazienza.» Ella ritornò seria e aspettò che la casa fosse vuota per tirare un sospiro di sollievo.
 
Per quanto volesse bene ad ognuno di loro, a volte sentiva l’impellente necessità di rimanere sola per provare un totale senso di pace.
 
Dopo aver mangiato un tramezzino al prosciutto crudo, decise che sarebbe andata a dormire presto.
 
Si sentiva fisicamente distrutta, eppure erano già trascorse quasi due ore da quando aveva indossato il pigiama e si era infilata sotto le lenzuola pulite.
 
Interminabili minuti in cui non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi senza riuscire a trovare la posizione giusta o a rilassarsi.
 
Anche se aveva le palpebre chiuse, la sua fronte era contratta e le vene delle tempie pulsavano velocemente, provocando un graduale aumento del suo mal di testa.
 
Aveva sempre avuto problemi ad addormentarsi, ma degli ultimi mesi la situazione era peggiorata.
 
Aveva sonno, ma non riusciva a dormire e più ci provava più si innervosiva e più si innervosiva più le veniva mal di testa e più questo aumentava più non riusciva a dormire.
 
Si innescava un circolo vizioso che si ripeteva ogni notte sempre uguale, fino al punto in cui la sua mente iniziava a vagare nei meandri più oscuri che facevano nascere in lei il desiderio di sbattere la testa contro uno spigolo fino a perdere i sensi.
 
Forse quello sarebbe stato l’unico modo che le avrebbe reso possibile riposare senza alcun tipo di problema.
 
Ormai la sua vita era un cerchio chiuso che non riusciva a spezzare.
 
Si girò sul fianco destro per l’ennesima volta, poiché quello sinistro si era intorpidito a causa del suo peso e adesso le doleva.
 
La leggera luce che filtrava dalla finestra la infastidiva.
 
Sapeva si trattasse di una stupida fissazione, ma, quando doveva dormire, la stanza doveva essere rigorosamente immersa nel buio più totale.
 
Niente luci soffuse, niente ombre, nessuno spiraglio, solo silenzio ed oscurità.
 
Per sua fortuna, Sofia non aveva problemi di questo genere quindi si adattava facilmente a tutte le assurde manie di Ella, come il dover lasciare la porta socchiusa al punto in cui, quando la si accostava, si doveva sentire il lieve rumore che la serratura produceva toccando il telaio.
 
In caso contrario, molto spesso non riusciva a rilassarsi e addormentarsi.
 
Erano piccole stranezze su cui rifletteva abitualmente e che spesso divertivano le altre persone.
 
Lei era tante piccole manie e aveva imparato ad amaresi partendo proprio da quelle ridicole imperfezioni, poiché erano ciò che le permettevano di distinguersi dal resto del mondo.
 
Eppure non si sentiva unica, ma solo diversa esattamente con tutti gli altri.
 
Non le importava cosa pensassero le persone intorno a lei quando scoprivano qualche sua stravaganza, non permetteva più a nessuno di metterla in soggezione per ragioni così insignificanti.
 
Ella aveva compreso che tutti potevano parlare di tutti e chi lo faceva era solo perché non aveva ancora imparato ad accettarsi.
 
Preferiva ignorarli, dal momento che era più facile ridicolizzare e sminuire gli altri per i loro difetti, che mettere sé stessi in luce per i propri.
 
Aveva sperimentato che era molto più soddisfacente prendersi poco sul serio, quindi era la prima a fare dell’autoironia e anche se non tutti riuscivano a comprendere questo suo modo di essere, la divertiva passare per menefreghista semplicemente perché non le importava delle opinioni superficiali di chi non la conosceva.
 
Allungò il braccio sul comodino per sbloccare il telefono.
 
L’ora segnava l'una e mezza e il cervello era ancora in piena attività
 
Dal momento che Sofia non era ancora tornata, probabilmente perché aveva deciso di rimanere da Cristina, poté sbuffare sonoramente.
 
Cercò di concentrarsi sul suono che le gocce di pioggia producevano quando colpivano la finestra.
 
Solitamente questo trucco funzionava.
 
Era una melodia che la rilassava il più delle volte, ma non aveva fatto i conti con la sfortuna che, quella sera, aveva deciso di accanirsi e concentrare tutto il suo potere su di lei.
 
Infatti, il suo udito era abbastanza sviluppato da riuscire a percepire chiaramente i rumori che provenivano dal piano superiore.
 
Per quanto, a volte, le fosse utile riuscire ad ascoltare senza sforzi le conversazioni che avevano luogo in altre stanze, nella maggior parte dei casi era una condanna.
 
A quanto pareva, stavano mettendo in scena un concerto, poiché distingueva nettamente la base strumentale di Stain’ alive.
 
Evidentemente questo supplizio non era abbastanza, perché il tutto era condito da una voce così poco intonata da riuscire a distruggere un brano con una sola strofa.
 
Decise che l'indomani sarebbe andata a parlare con il condomino che abitava l'appartamento superiore.
 
Se le cose avessero continuato a seguire questo sentiero o fossero peggiorate, un esaurimento nervoso sarebbe stato inevitabile.
 
Per scongiurare l’irritazione che stava iniziando a cresce sempre di più dentro di lei, capì che sarebbe stato meglio alzarsi.
 
Diede un calcio alle coperte con un movimento veloce per allontanarle dal suo corpo e spingerle ai piedi del letto.
 
Si sedette sul bordo e poggiando i piedi a terra, una volta a contatto con il pavimento freddo, rabbrividì per il freddo.
 
L’impulso a sbadigliare fu inevitabile, così come il sospiro scocciato che lo seguì.
 
Dandosi una spinta con le mani poggiate sul materasso, si alzò e si diresse in cucina.
 
Pensando che bere una camomilla avrebbe potuto aiutarla a rilassarsi, mise l’acqua a bollire.
 
Dopo averla versata in una tazza e aspettato cinque minuti che l’infuso fosse pronto, buttò la bustina del cestino e si andò a sedere sul divano.
 
Accese la televisione in cerca di qualche serie da guardare per trascorrere la nottata, almeno fin quando il sonno non avesse imposto la sua presenza.
 
«Sei sveglia?» Nel silenzio in cui era immersa, quella voce la sorprese facendola sobbalzare per la sorpresa.
 
«Mi dispiace, non volevo spaventarti.» Si scusò Lorenzo entrando nel suo campo visivo.
 
La luce della cappa, sopra il piano cottura, illuminava la stanza il necessario per distinguere i contorni della sua figura.
 
Aveva dei pantaloni della tuta che scendevano morbidi sui fianchi e una canotta nera che gli fasciava il torace.
 
La faccia era stravolta così come i suoi capelli arruffati dal cuscino.
 
«Tranquillo. Non credo sia mai morto nessuno in questo modo.» Lasciò scivolare sul divano la mano che si era portata al petto.
 
«Comunque sì. In questo palazzo ci sono condomini molto esuberanti» disse rispondendo alla domanda di Lorenzo, che si stava incamminando lentamente nella sua direzione.
 
«Non hai idea di quante volte gli ho fatto presente il problema.»
 
«A quanto pare, senza ottenere nessun risultato.»
 
«In genere prova a fare la persona educata per una settimana, due al massimo, ma passato un determinato periodo di tempo se ne dimentica e ricomincia il fracasso. Speravo non lo notassi.» Si portò una mano tra i capelli scuri e, in un gesto svogliato, li tirò all’indietro forse nel tentativo di dargli una sistemata.
 
Arrivato in prossimità del divano si sedette accanto a Ella, riducendo notevolmente la distanza che li separava.
 
Adesso erano così vicini che poteva distinguere, senza alcuna difficoltà, il leggero velo di barba che ricopriva la sua mascella.
 
«Impossibile, ho il sonno leggero e tardivo.» La frase che aveva appena pronunciato aveva un sapore amaro e ricolmo di rassegnazione.
 
«Per questo non riesci a dormire?» chiese curioso.
 
«In parte. Tu, come mai ancora in piedi?»
 
«Insonnia.»
 
La sua risposta la indusse a sorridere.
 
«Oh, che bello!» Si lasciò sfuggire quella esclamazione del tutto spontanea e, solo dopo aver visto l’espressione di stupore mista a confusione sul volto di Lorenzo, si rese conto che senza una spiegazione quel commento avrebbe potuto risultare alquanto strano.
 
«Cioè, mi dispiace per te, ma almeno mi sento meno sola e disperata. Quando non riesci a dormire pensi sempre che sei l’unica al mondo ad essere così sfigata.»
 
Ed era vero.
 
Nonostante sapesse quanto fosse insopportabile la mancanza di sonno, non riusciva a dispiacersi.
 
«Un po’ egocentrico come pensiero.»
 
Lorenzo aveva ragione.
 
Sentirsi soli durante il giorno era piacevole, ma esserlo durante la notte creava un senso di vuoto angosciante che sembrava incolmabile.
 
«Lo so, ma è il nervosismo a giocare un ruolo fondamentale. Vedi gli altri dormire beatamente e non puoi fare a meno di chiederti il perché non potresti esserci tu al loro posto.»
 
«È per questo che ti sei preparata una camomilla?» le chiese, rivolgendo lo sguardo alla tazza che Ella teneva stretta tra le mani.
 
«La leggenda vuole che serva a rilassarsi, ma è più un’abitudine. Non credo sia realmente utile a qualcosa perché, se considerassimo quanta ne bevo, dovrei dormire per un mese senza avere problemi.»
 
Il volto di Lorenzo si illuminò per la sua piccola affermazione divertente.
 
«Allora, stasera diventeremo compagni di bevute» asserì, alzandosi dal divano per dirigersi verso il piano cottura.
 
Ella si voltò nella sua direzione.
 
«Dovrebbe essere rimasta dell’acqua calda nel bollitore.»
 
«Perfetto.»
 
Lo osservò trafficare tra gli scaffali e i mobili e, ad ogni movimento, i muscoli si flettevano per poi rilassarsi subito dopo.
 
Dal suo sguardo sembrava molto concentrato ed era abbastanza buffo, considerando che si trattava solo di una camomilla.
 
«Questa è una tra le cose che non dovrebbero mai mancare in casa» disse Ella mentre Lorenzo si posizionava nuovamente al suo fianco con la tazza tiepida.
 
«Quali sono le altre?» chiese dopo aver bevuto un sorso.
 
«Caffè e antidolorifico» rispose fiera della sua scelta.
 
«E tutto il resto?»
 
«Superfluo.» Ella scrollò le spalle realmente convinta della sua affermazione. Non aveva pensato ad altro.
 
«Come faresti senza carta igienica?» La domanda era semplice ed evidenziava un’ovvia necessità, eppure risultò estremamente divertente tanto che, dopo essersi scambiati un’occhiata, esplosero in una risata che li portò a lacrimare.
 
Le era sempre piaciuto piangere per il troppo divertimento e, dopo un periodo buio, acquistava ancora più valore.
 
«Ora che mi ci fai pensare, probabilmente dovrei ampliare la lista.»
 
Riuscì a dire, solo dopo aver ripreso fiato ed essersi calmata quel tanto necessario per formulare una frase che risultasse comprensibile e con troncata dagli sghignazzi.
 
Come accade di solito che dopo ogni tempesta ritorna la quiete, allo stesso modo, dopo quell’esplosione di ilarità, la stanza ricadde nel silenzio.
 
Tuttavia, lo percepiva in modo meno pesante da come la opprimeva prima che arrivasse Lorenzo a farle compagnia.
 
«Ti ha più contattata?» Non serviva specificare la persona a cui faceva riferimento la sua domanda.
 
Ella si voltò verso di lui e le parve fosse in imbarazzo.
 
Lo intuì da come aveva portato la mano dietro il collo per grattarsi la nuca, nel tentativo di scacciare il disagio.
 
«So che non sono affari che mi riguardano, però non posso fare a meno di essere preoccupato. Se non vuoi parlarne lo capisco, non sei obbligata a rispondere.»
 
Il suo penoso tentativo di giustificarsi e la sua curiosità la fecero riflettere.
 
Non era da lui essere tanto impacciato e soprattutto a disagio. Indubbiamente l’argomento per cui chiedeva una spiegazione non era leggero, tuttavia c’era qualcosa che nascondeva e credeva anche di aver intuito di cosa si trattasse.
 
«Sofia cosa ti ha raccontato?»
 
Lo osservò e dal suo comportamento capì che aveva fatto centro.
 
La sua domanda lo aveva fatto irrigidire sul posto, inducendolo ad abbassare lo sguardo.
 
Generalmente, la reazione spontanea del corpo era la chiave per arrivare alla verità, bastava prestare molta attenzioni ai gesti e ai movimenti.
 
Anche se avesse mentito, lei avrebbe riconosciuto la realtà dei fatti e avrebbe avuto la possibilità di metterlo alle strette.
 
«Non è scesa nei dettagli.»
 
Sapeva che si trattava di un tentativo di sminuire ciò che era accaduto e le bastò rivolgergli un’occhiata torva per farlo cedere.
 
«Va bene, lo ammetto. Mi ha raccontato più o meno tutto, però non è colpa sua. Sono stato io ad essere insistente.»
 
Non era arrabbiata.
 
Se glielo avesse detto sin dall’inizio avrebbe evitato tutti quei patetici sforzi di nascondere qualcosa inutilmente.
 
Si era interessato a come stesse reagendo e a come si sentisse, non c’era nulla di male.
 
«Non è un problema se ti ha spiegato la situazione, ma non capisco perché tu non lo abbia chiesto a me.»
 
«Temevo ti saresti chiusa in te stessa o che farti rivivere tutto sarebbe stato troppo doloroso. Non volevo ferirti più di quanto non fossi già.»
 
La sua voce era distorta dal dispiacere e il volto rivolto leggermente verso il basso gli conferivano un’aria contrita.
 
«Tu pensi troppo.»
 
Tutti la trattavano come se si potesse rompere da un momento all’altro e probabilmente sarebbe successo, ma Ella avrebbe sempre saputo come rimettere insieme i suoi pezzi e ripartire.
 
Forza non era la capacità di non cadere, ma significava frantumarsi avendo il coraggio di ricostruirsi.
 
«Mi dispiace. Avrei voluto chiamarti, però non ho avuto il coraggio di dirti che in realtà sapevo più di quanto tu mi avessi raccontato qualche mese fa.»
 
Poteva capire le sue ragioni. Probabilmente, al suo posto anche lei non avrebbe saputo quale sarebbe stato il modo migliore di agire.
 
Tutta questa situazione stava mettendo in luce quanto lei gli stesse a cuore e quanto le volesse bene.
 
«Sta tranquillo, capisco la preoccupazione.»
 
Ella appoggiò una mano sulla sua per rassicurarlo e con il pollice iniziò ad accarezzarne delicatamente il dorso.
 
Si perse a osservare i cerchi concentrici che stava disegnando con le dita e Lorenzo non aveva intenzione né di spostare la mano né di parlare.
 
Entrambi in silenzio in attesa che Ella trovasse il coraggio di dire qualcosa.
 
Chissà quante altre volte avrebbe dovuto farlo, eppure sperava che ogni volta sarebbe risultata più semplice della precedente
 
«L’ho sentito tre giorni fa.»
 
«Perché lo hai sbloccato?»
 
«Ho dovuto. Aveva iniziato a tormentare Marta, quando si è reso conto che non avevo intenzione di cambiare idea. La contattava praticamente tutti i giorni, come faceva con me all’inizio. Stava esaurendo lei, invece che me e non era giusto.»
 
«Non è giusto nemmeno che distrugga te per un suo capriccio.»
 
Ella interruppe il contatto, portandosi una mano tra i capelli per spostare all’indietro i ricci scuri, che chiudevano la sua visuale.
 
«Lo so, ma è un problema mio e sto imparando a gestirlo.»
 
«Davvero?» Lorenzo voleva accertarsi che non stesse cercando di sminuire il suo stato d’animo.
 
Era una situazione complicata e lei, con quel suo corpo minuto, sembrava così fragile.
 
Avrebbe voluto proteggere sia lei che la sorella da tutte le difficoltà che erano state costrette ad affrontare, ma poteva solo accompagnarle per rendere il loro percorso meno tortuoso.
 
«Ci sono ancora momenti in cui vacillo e cado, però sto imparando a mantenere il controllo, per quanto possibile.»
 
«Cosa intendevi quando hai detto che provava a convincerla?»
 
«Sofia non te lo ha detto?»
 
«Non sapevo avesse iniziato a scriverle. Ha sviato il discorso quando le ho chiesto il motivo per cui avessi deciso di sbloccarlo.»
 
Con il senno di poi, non aveva sbagliato ad omettere questa parte.
 
Alcune cose era meglio non rivelarle.
 
Alcuni segreti non dovrebbero vedere la luce del sole.
 
«Probabilmente non voleva farti preoccupare. Chiedeva consigli su come riconquistarmi e se lo avessi potuto sbloccare. Voleva informazioni sulla mia vita, del tipo se mi stessi sentendo con qualcuno, se fossi ancora innamorato di lui. Cose da stalker, insomma.»
 
Quella che doveva essere una battuta divertente per alleggerire la pesantezza del discorso, risultò così deprimente da aumentare le cariche negative presenti nell’aria.
 
«Sa che ti sei trasferita?»
 
«Non gliel’ho detto apertamente, ma credo lo abbia intuito guardando i social.»
 
«Quindi non te lo ha chiesto?» Nonostante sapesse che parlare e sfogarsi le avrebbe fatto bene, tutte quelle domande stavano iniziando a renderla irrequieta.
 
Quella giornata sembrava infinita e avrebbe tanto voluto che anche Lorenzo lo capisse.
 
«Lo ha fatto, ma gli ho semplicemente risposto che la mia vita non gli riguardava più e che mi doveva lasciare in pace.»
 
Se c’era una cosa di cui Ella andava fiera, era il suo essere sempre schietta e il saper parlare senza mezzi termini.
 
Dritta al punto per non lasciare spazio ai fraintendimenti.
 
«Comunque, potevate astenervi almeno per qualche tempo.»
 
Ella apprezzava il fatto che Lorenzo cercasse di darle consigli, ma, per quanto ci avesse provato, avrebbe potuto comprendere solo vagamente come che il dolore l’aveva portata a reagire e a ragionare.
 
Era stata temprata e adesso era fiera di come stava reagendo, forse per la prima volta dopo tanto tempo.
 
«E fare il suo gioco? L’ho lasciato per non farmi più controllare, per ritrovare la mia libertà e poi cosa faccio? Vieto a me stessa e a chiunque mi stia intorno di fare ciò che vuole, per una persona che non merita nemmeno un mio pensiero. Gli ho dedicato già la disperazione di troppi mesi. è giunto il momento di andare avanti e smetterla di privarmi di ciò che voglio.»
 
«Hai ragione, ma è comunque una situazione particolare.»
 
«Non c’è bisogno che me lo ricordi e non pretendo che tu capisca come mi senta, però dovete accettarlo perché è così che andranno le cose d’ora in avanti.»
 
Il suo tono era risultato più seccato di quanto avesse voluto.
 
Il tumulto interiore si stava espandendo sempre di più e temeva sarebbe sfuggito al suo controllo se la conversazione non avesse preso, al più presto, una piega diversa.
 
«Sono sempre stato dalla tua parte. Io e Sofia ti staremo sempre vicina e, se si dovesse presentare, faremo in modo che si dimentichi di te una volta per tutte.»
 
Lorenzo posò una mano sulla guancia sinistra di Ella e, con il pollice, cancellò una lacrima solitaria che stava scivolando indisturbata.
 
Rimasero immobili mentre Ella cercava di tranquillizzarsi, riordinando le sue emozioni nel miglior modo possibile.
 
«Sei diventato un mafioso?» Pensò che una battuta sarcastica avrebbe potuto alleggerire la tensione e riportare la calma.
 
Era una carta che, molto spesso, usava come jolly in situazioni come quelle.
 
«Hai presente i segreti oscuri di cui abbiamo parlato oggi? Però non dirlo a Sofia.»
 
«Ho la bocca cucita.» Unendo pollice e indice, Ella fece scorrere le dita sulla lunghezza delle labbra per rafforzare la sua promessa.
 
Il discorso era stato troncato e, per quanto sapesse che quella dell’amico era solo premura nei suoi confronti, gli fu grata per aver ascoltato la sua supplica silenziosa.
 
«C’è qualcosa in particolare che vorresti vedere?» chiese Ella dopo qualche istante, mentre con il telecomando scorreva la lista di serie televisive.
 
«Che ne dici Friends? Niente di troppo impegnativo.»
 
Seguendo l’esempio di Ella, anche Lorenzo rivolse lo sguardo verso la televisione.
 
«Aggiudicato.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Si trovava di fronte alla porta del concertista notturno già da qualche minuto.
 
Era molto indecisa su come avrebbe dovuto comportarsi.
 
I suoi dubbi oscillavano tra l’essere educata, mostrandosi rispettosa in modo da fargli capire quanto queste qualità, a lui sconosciute, fossero il vero motore dell’universo oppure rimanere con il pollice premuto sul campanello fin quando, chiunque si trovasse al di là di quella porta, si fosse scomodato ad aprirla.
 
La religione cristiana insegnava a porgere l’altra guancia, ma Ella aveva capito che essere troppo accomodante avrebbe fatto sentire le persone in diritto di approfittarsene.
 
Al primo sentore di allarme, prendeva il suo rispetto e lo infilava nella gola del malcapitato di turno per fargli comprendere, con un atteggiamento incisivo, che se avesse voluto rispetto avrebbe dovuto imparare a mostrarlo.
 
Chiunque avesse desiderato l’altra guancia avrebbe dovuto dimostrare di meritarla.
 
Prima di usare metodi più drastici doveva concedere una possibilità al suo nemico, per cui decise di essere affabile per questa volta, sperando fosse l’ultima.
 
Suonò il campanello senza indugiare troppo.
 
Impaziente, muoveva nervosamente il piede destro producendo un suono sordo ogni volta che questo toccava le mattonelle scure del pavimento.
 
Il rumore prodotto dalle chiavi, che venivano girate nella serratura, la fece bloccare sul posto.
 
Sebbene fosse diventata sfacciata nel corso degli ultimi anni, ancora si sentiva intimidita e in soggezione quando doveva esporsi in prima persona.
 
La porta si spalancò e il suo sguardo si posò su un ragazzo di trent’anni, all’incirca.
 
Doveva averlo svegliato poiché si intravedevano i segni che le lenzuola avevano lasciato sul suo corpo durante la nottata.
 
Capelli biondi scarmigliati e occhi chiusi che, evidentemente, non si erano ancora abituati alla luce.
 
«Buongiorno. Mi scusi se l’ho svegliata ma temevo di non trovarla se fossi venuta più tardi.»
 
Forse, il suo interlocutore aveva la testa ancora sul cuscino dato che si limitava a fissarla come se stesse analizzando un vetrino al microscopio.
 
«Mi sono appena trasferita nell’appartamento al piano inferiore e volevo gentilmente chiederle se potesse evitare di indire un concerto dopo la mezzanotte.»
 
Tra le tante cose che non tollerava, due di quelle stavano mettendo alla prova la sua pazienza in quell’esatto momento: la perdita di tempo e il fiato sprecato.
 
Continuava a tacere ed Ella iniziava a sentire la rabbia crescere sempre di più.
 
«Capisco che stia ancora dormendo, ma potrebbe avere anche la cortesia di rispondere quando qualcuno le parla.»
 
Il tono irritato con cui aveva pronunciato quelle parole parve svegliarlo dal suo stato di catatonico.
 
«Mi dispiace, ma la mattina ho bisogno di qualche minuto in più prima di connettere» disse, mentre si appoggiava con la spalla destra allo stipite della porta.
 
Evidentemente era anche incapace di mantenersi diritto sulle proprie gambe.
 
«Forse dovrebbe andare a dormire prima e permettere anche agli altri di riposare.»
 
Ella non poté fare a meno di cogliere l’occasione offerta dalla sua affermazione per rifilargli una pungente constatazione.
 
«Noi artisti siamo ispirati dalle ore notturne.» La risposta alla sua provocazione la stava istigando a mettere da parte tutti i buoni propositi.
 
«Noi studenti non siamo mai ispirati, specialmente se ci disturbano il sonno. Diventiamo piuttosto irritabili.»
 
Il ragazzo sorrise di fronte al commento stizzito di Ella.
 
«Non credevo ci fossero appartamenti liberi.»
 
«Sono la coinquilina di Lorenzo, non so se ha presente a chi mi riferisco.»
 
«Sì, mi ricordo. Ora che ci penso anche lui è salito qualche volta, ma purtroppo spesso dimentico di essere in un condominio.»
 
Dopo questa risposta, fu inevitabile per lei dubitare del quoziente intellettivo del ragazzo.
 
Gli aveva fatto una semplice richiesta, che non necessitava di tutto questo inutile ed insensato sproloquio.
 
«Adesso ci sono anche io a lamentarmi, quindi farebbe meglio ad allenare la sua memoria.»
 
«Hai ragione, mi dispiace che la mia musica ti abbia tenuto sveglia.»
 
«Oh, finalmente. Ci voleva tanto?» La domanda risultò essere eccessivamente distorta dal tono ironico della sua voce
 
«No, ma è stato divertente» rispose sorridendole.
 
Tutta questa arroganza la stava disgustando.
 
«Comunque mi chiamo Marco. Piacere di conoscerti.» Si presentò porgendole la mano che Ella fu costretta a stringere.
 
Un passo falso e avrebbe potuto indispettirlo al punto da farlo perseverare nella sua maleducazione.
 
«Leila. Potrò dire lo stesso solo se eviterà di suonare a tarda ora.» Affinché gli fosse ben chiara la situazione e il motivo per cui avesse sprecato del tempo per presentarsi alla sua porta, non poté evitare di risponderlo in modo pungente
 
«Farò del mio meglio. Nel frattempo, puoi darmi del tu.»
 
«Farò del mio meglio.» Nonostante tutto aveva ottenuto ciò che voleva, adesso doveva solo sperare che le sue parole venissero messe anche in pratica.
 
«Ora devo andare» disse Ella per congedarsi.
 
«Grazie per la simpatica chiacchierata.»
 
Mentre si voltava per incamminarsi verso le scale, intravide Marco ancora fermo sulla porta.
 
Più era costretta a interagire con le persone più si rendeva conto di quanto potessero essere insopportabili.
 
Controllò l’orario sul suo orologio da polso.
 
Erano le nove e mezzo di mattina, aveva un sonno atroce e la discussione appena avuta l’aveva fatta innervosire più del dovuto.
 
Aveva trascorso la notte sul divano fino alle tre del mattino, solo allora aveva sentito che il suo cervello stava per spegnersi.
 
La cosa più assurda è che sarebbe stata capace di dormire tutto il giorno, ma la sera neanche a parlarne.
 
Arrivata nell’atrio del palazzo intravide Sofia, che era girata di spalle con la schiena appoggiata al portone.
 
«Eccomi.» La voce squillante di Ella fece voltare immediatamente l’amica nella sua direzione.
 
«Allora sei viva! Stavo iniziando a credere che avessi ragione» rispose, mentre iniziarono a incamminarsi verso il marciapiede.
 
L’allusione di Sofia le ricordò la conversazione che aveva avuto con lei quella stessa mattina, prima di recarsi dal primate.
 
«Tranquilla, non era un serial killer, però il suo atteggiamento ha fatto già disperdere la mia dose di pazienza giornaliera.»
 
«Ella, diciamoci la verità, a te basta poco per perderla.»
 
Cercava sempre di essere più diplomatica possibile nel risolvere situazioni scomode e disturbanti, eppure riconosceva che la strategia più efficace era una risposta diretta e mirata a colpire i tasti più dolenti.
 
Non era nel suo temperamento essere impulsiva e quella che poteva sembrare una risposta dettata dall’irragionevolezza era, in realtà, ponderata per scottare i punti più deboli.
 
«Succede solo quando le persone si dimostrano irrispettose ed è tutto perfettamente calcolato. Quando anche tu inizierai a soffrire di insonnia ne riparleremo.»
 
Ella si sentiva piuttosto annoiata dalla conversazione perché, ogni volta che accadeva qualcosa che la rendeva suscettibile o più recettiva, era costretta a ripetere sempre le stesse identiche cose.
 
Non sopportava farlo, la rendeva petulante e, soprattutto, si sentiva stupida.
 
«In effetti, mi sento così fresca e riposata nonostante mi sia svegliata presto per tornare a casa.» Sofia aveva percepito il suo fastidio dall’ultima affermazione e sapeva che per migliorare il suo umore, sarebbe bastato uno scambio di battute divertenti.
 
«E poi sarei io la stronza. Se avessi trascorso la notte in un altro palazzo, magari senza la presenza di condomini rumorosi, anche io mi sentirei così.»
 
«Quanto sei drammatica. Forse, tutto questo accumulo di energia negativa è dovuto al tuo ormai lungo periodo di astinenza.»
 
A lei divertiva prendersi in giro e pochi altri avevano questo privilegio, perché la distraeva dalle noie e dallo stress della vita quotidiana.
 
Erano attimi di leggerezza preziosi in mezzo al trambusto assordante della realtà.
 
«Oggi proprio non ti sopporto» disse Ella con finta esasperazione.
 
Almeno con lei, Sofia si sfogava e riusciva a liberare quel lato di sé, sardonico e pungente.
 
In genere, era molto contenuta nel parlare e preferiva sempre evitare di rispondere a tono quando qualcuno la attaccava, nonostante lei fosse dalla parte della ragione.
 
«L’ulcera che ti ha provocato almeno è servita a qualcosa?»
 
«Ha detto che cercherà di evitare di dare fastidio, quindi lo spero.»
 
«Anche io, per la sua incolumità.»
 
Nessuna delle due riuscì a trattenere una risata, non perché l’affermazione in sé fosse divertente, quanto piuttosto immaginare lo sclero di Ella, reduce dall’ennesima notte insonne.
 
Arrestarono il loro passo poiché non riuscivano a respirare bene per il troppo ridere.
 
Una risata esagerata che non aveva il minimo senso, ma che le fece piegare in avanti e posare le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
 
Succedeva sempre così, andavano avanti fino alle lacrime, fino a dimenticarsi persino il motivo di tutto quel clamore che faceva voltare i passanti nella loro direzione, ma a loro non importava, volevano solo godere di questi piccoli momenti di innocente spensieratezza.
 
Ella alzò lo sguardo verso il cielo, la cui visuale era coperta dall’albero sotto il quale si erano fermate.
 
I rami si districavano per poi intrecciarsi tra loro, in un groviglio tortuoso, mentre il manto che le ricopriva si stava spogliando e le foglie, che cadevano inevitabilmente al suolo ricoprendo i marciapiedi, erano dei colori caldi e malinconici tipici della stagione autunnale.
 
«Ella? Mi stai ascoltando?» La voce di Sofia la riportò alla realtà.
 
«Si, si. Adesso muovo le mie bellissime chiappe» rispose Ella, riprendendo a camminare.
 
«Non le ho mai definite in questo modo.»
 
«Ma lo pensi» disse fiera.
 
«Si, lo ammetto.»
 
«Allora perché le hai chiamate flaccide?» chiese, fingendosi offesa.
 
«Puro divertimento.»
 
«Da tutta questa simpatia, deduco che ieri tu e Cristina avete recuperato il tempo perduto.»
 
Dal momento che la sua vita sentimentale era morta e sepolta, le piaceva impicciarsi di quella della sua amica.
 
«Ci vorrà molto tempo, ma posso dire che è stato un ottimo punto di partenza.»
 
«Cosa avete fatto ieri?»
 
«Siamo andate al cinema, abbiamo fatto una passeggiata al chiaro di luna nei pressi del Colosseo, poi siamo andare al suo appartamento a mangiare qualcosa e, infine, abbiamo chiuso la serata in bellezza.» Gli occhi di Sofia, nel rispondere alla domanda, si persero nei ricordi della serata da poco trascorsa.
 
Era così innamorata.
 
Sofia donava tutta sé stessa, che si trattasse di un amico o della persona che amava.
 
Lo faceva senza riserve e sarebbe stata capace di lottare anche per due, nel caso in cui, chi si trovava dall’altra parte avesse deciso di arrendersi.
 
Era disposta ad annullarsi totalmente pur di tener stretto a sé chi non avrebbe mai voluto lasciare.
 
Solo quando veniva completamente annientata abbandonava la battaglia, non prima.
 
Il risultato era che Ella doveva raccogliere i suoi cocci ogni volta che accadeva.
 
«Tutto così romantico e talmente perfetto. Credo che vomiterò» disse, fingendo di infilarsi due dita in gola per avvalorare la sua affermazione.
 
Sotto questo aspetto non potevano essere più diverse.
 
Ella amava in un modo che molti avevano giudicato egoistico.
 
Metteva la sua libertà prima di ogni cosa e per quanto potesse amare qualcuno, nel momento in cui capiva che stava per essere messa a rischio o già lo era, girava le spalle e se ne andava.
 
Le persone non cambiano e chi ti ha fatto male una volta, lo farà per sempre.
 
L’amore ha tante sfaccettature e nessuna è arbitrariamente giusta o sbagliata, a meno che non si raggiunga l’estremo e venga esasperata al punto da dover parlare di ossessione e possesso.
 
Ciò non escludeva che non fosse romantica, adorava i gesti dolci e spontanei, come quando Matteo le apriva la portiera dell’auto per farla entrare, però se la bilancia si fosse sbilanciata da un lato, se fosse stato palese che un equilibrio non avrebbe potuto essere raggiunto, lei avrebbe scelto sé stessa.
 
«Sei solo invidiosa.»
 
«Come te che puoi solo sognare i miei bellissimi occhi azzurri.» Ella, in uno scatto, si piazzò di fronte a Sofia, iniziando a sbattere convulsamente le ciglia per metterne in risalto il colore dell’iride.
 
«Questo è un colpo basso» disse, incrociando le braccia sotto il seno.
 
«Mi limito solo ad esporre i fatti.» rispose, ritornando al suo fianco.
 
«Non rovinerai il ricordo della mia stupenda serata con il tuo cinismo.»
 
«Almeno qualcuno è felice.»
 
«Anche Lorenzo questa mattina mi è parso di buon umore.» La constatazione dell’amica spostò il centro della conversazione.
 
«Forse per la maratona di Friends che abbiamo fatto stanotte. Mi ha vista sul divano e abbiamo passato il tempo a chiacchierare e guardare la televisione.» Nonostante avessero parlato di un argomento ancora spinoso, il resto della nottata lo avevano trascorso tra risate e commenti di spirito sugli episodi, dimenticandosi del resto.
 
«Ah, sì. Incontri notturni alle mie spalle.» Ella aveva ottenuto la completa attenzione di Sofia, che adesso la scrutava con un’espressione inquietante.
 
«Non farti venire strane idee» disse provando a troncare le sue insinuazioni sul nascere.
 
«Questa situazione si sta facendo interessante.»
 
«Per niente e, se te lo stessi chiedendo, non c’è nulla tra me e tuo fratello. Levatelo dalla testa.» Sperava con tutto il cuore che questa sarebbe stata la prima e ultima volta che avrebbero toccato l’argomento.
 
Le sue ferite erano ancora troppo fresche e, poi, sarebbe stato troppo strano immaginarsi con Lorenzo.
 
Non lo aveva mai pensato in quella prospettiva, per lei era solo un buon amico e la cosa, era sicura, fosse reciproca.
 
«Perché? È insopportabile a volte, ma in compenso è molto dolce, gentile, disponibile.»
 
«Sono finita in una televendita?» chiese Ella, assumendo un’espressione inorridita.
 
«Sto solo cercando di farti aprire gli occhi» rispose Sofia mentre provava a trattenere una risata.
 
«No. Tu stai cercando di vendere tuo fratello.» Ella la accusò, puntandole contro l’indice.
 
«Smettila, il mio è un discorso serio.»
 
«Si, ma credo ci siano altri discorsi più seri da fare al momento.» Colse l’occasione per cambiare argomento e fuggire da quella situazione scomoda in cui era finita senza nemmeno sapere come.
 
«Del tipo?»
 
«Devo trovarmi un lavoro e tu devi andare agli allenamenti. Concentriamoci su queste cose.»
 
«Va bene, ma sappi che è solo rimandato.» Sembrava più una minaccia che un invito a riparlarne.
 
«Hai visto qualche annuncio?» chiese Sofia.
 
«Si. Ho segnato qualche indirizzo. Quelli nei dintorni non sono molti, ma spero di avere un po’ di fortuna.»
 
«Qualcosa di interessante?»
 
«La cameriera rientra in questa lista?»
 
«No, ma chi si accontenta gode. Giusto?»
 
«Non sono dello stesso avviso, ma, dato che sarebbe un’occupazione temporanea, mi dovrò accontentare. In fondo sarebbe già una grande cosa trovare un qualsiasi posto.»
 
«Sicura che poi riuscirai a gestire lo studio e il lavoro?»
 
Ella si aspettava questa domanda semplicemente perché lei stessa se l’era posta spesso, prima di prendere la decisione definitiva.
 
«No, ma un passo alla volta. E poi non ho molta scelta, non voglio far gravare tutte le spese sui miei genitori. Loro hanno già il mutuo della casa da pagare e mi sentirei troppo in colpa sapendo che dovrebbero spendere altri soldi per il mio affitto.»
 
Dopo essersi convinta a fare quel passo, si era data una condizione.
 
Si sarebbe traferita solo se si fosse impegnata a trovare un lavoro per potersi mantenere, ma era stato piuttosto facile imporselo, il difficile era metterlo in pratica.
 
Sarebbe stata una sfida ardua, sia per trovarlo sia, poi, per mantenere i ritmi ed evitare di ridursi uno straccio.
 
«Lo capisco. Anche io mi sento tremendamente in colpa sapendo che, almeno per il momento, non potrò contribuire alle spese.» Lo sguardo di Sofia si incupì ed Ella percepì chiaramente l’angoscia di cui erano intrise le sue parole.
 
«È giustificata la tua preoccupazione, ma non puoi assolutamente biasimarti se i tuoi genitori hanno deciso di non aiutarti economicamente. Sei una ragazza di ventitré anni che fa quello che può con i mezzi che ha a disposizione, esattamente come me e Lorenzo. La differenza è che io e lui abbiamo il sostegno dei nostri genitori e, in più, tuo fratello ha un lavoro che retribuisce a sufficienza per le spese mensili. Noi siamo avvantaggiati e dal momento che tu fai parte anche della mia famiglia è normale che, fin quando non potrai ricoprire le spese, saremo in due a pagare.»
 
Per Sofia, sapere che la sua famiglia avrebbe remato contro ogni decisione avesse potuto prendere, era una consapevolezza estremamente dolorosa con cui convivere.
 
Le gentili parole di Ella riuscivano a farla sentire parte di qualcosa di vero, perché adesso lei, suo fratello e Cristina erano le uniche persone che riuscivano a trasmetterle il calore e l’amore che i suoi genitori non erano mai stata capace di darle del tutto.
 
«Lo so, ne abbiamo già parlato tante volte, eppure ho la sensazione di essere un parassita. Forse non avrei dovuto prendere una decisione che sapevo si sarebbe rivelata più grande di me.» La voce di Sofia si incrinò pericolosamente nel pronunciare le ultime parole.
 
Il gelido senso di solitudine, che provava quando rifletteva su tutto ciò che di sbagliato c’era nella sua vita, era come un’ombra che la perseguitava ovunque andasse.
 
Vuota, spenta ed esanime.
 
«Sofia, fare una scelta drastica comporta sempre dei rischi, ma tieni a mente le motivazioni che ci hanno spinto a realizzarla. Ci siamo trasferite per mettere le nostre vite nella giusta prospettiva e affrontare questo genere di difficoltà fa parte del pacchetto. Continuare il percorso che abbiamo intrapreso sarà un'esperienza che formerà entrambe e, quando ce la faremo, ci sentiremo più indipendenti anche dal punto di vista economico. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci tiene la mano prima di riuscire a camminare da soli.»
 
Ella sperava che le sue parole sarebbero riuscite e migliorare il suo umore e a non farla sentire sola, perché non lo era.
 
Raggiungere un certo livello di responsabilizzazione e consapevolezza era un obiettivo comune.
 
Fare la spesa, far quadrare i conti a fine mese, pagare le bollette e l’affitto, tenere la casa pulita e ordinata, iniziare ad affrontare tutte queste noie che facevano parte della vita quotidiana la facevano sentire un gradino più in alto rispetto al passato.
 
«Io sono abituata agli sforzi fisici, ma tu per niente. Spero solo di non doverti raccogliere da terra con un cucchiaino, strada facendo.» Sofia sorrise perché la conosceva così bene da poterla tranquillamente immaginare stremata e con i dolori nei punti più impensabili.
 
Prima di tutto questo, Ella a stento puliva la sua camera.
 
L’unica cosa che faceva era cucinare e sistemare la cucina dopo i pasti e bastava questo per mandarla al tappeto.
 
«Se non dovessi reggere il ritmo lascerò perdere, ma sai che devo provarci. Dal momento che molti ragazzi ci riescono non vedo perché io non possa farcela. Ti preoccupi troppo e un giorno sarò costretta a tapparti la bocca con il nastro adesivo.»
 
«Che caratterino.»
 
«Adorabile» ribatté Ella, alzando il mento all’insù, per assumere una postura fiera ed orgogliosa.
 
«A proposito. Se finisci prima non mi aspettare perché Cristina mi raggiunge in palestra più tardi. Torno a casa con lei.»
 
«Nessun problema, Giulietta.»
 
***
 
«Allora com’è andata?» chiese Lorenzo, non appena vide entrare Ella dalla porta di casa.
 
«È stato tutto molto deprimente ed estremamente umiliante» rispose, lanciando la borsa e le chiavi sul tavolo della cucina.
 
Sotto lo sguardo attento e curioso di Lorenzo, si diresse a passi lenti e pesanti verso il divano.
 
Una volta davanti, si lasciò cadere a peso morto su di esso, poi afferrò un cuscino e lo abbracciò portandoselo al petto.
 
«Perché?» chiese Lorenzo, prendendo posto vicino a lei.
 
Ella si voltò nella sua direzione e lo osservò per qualche istante: capelli scarmigliati, pantalone grigio del pigiama e una maglietta nera a manica corta.
 
«Non dirmi che ti sei appena svegliato?» chiese Ella tra le risate.
 
«Da cinque minuti. Non riderei fossi in te, è colpa tua.»
 
«Ma sono le due del pomeriggio. Non incolpare me, sei tu che stanotte hai fatto il delfino curioso.» Cercò di ricomporsi, d’altronde, se avesse potuto, anche lei avrebbe poltrito a letto fino a quell’ora.
 
«Solo tu puoi fare questi paragoni assurdi. Non sviare l’argomento e rispondi alla mia domanda.» L’invito di Lorenzo la riportò a fare i conti la dura realtà dei fatti.
 
«Alcuni cercavano qualcuno che avesse già avuto esperienza, altri pretendevano che lavorassi tutta la giornata, altri ancora avevano già assunto qualcuno dimenticando di togliere l’annuncio.» Il tono di Ella era ricolmo di sconforto.
 
Non era ancora rassegnata poiché non era nella sua indole arrendersi al primo ostacolo, tuttavia sentiva di essere stata sconfitta.
 
«Dai, su con il morale. Anche io ho avuto difficoltà per questi stessi motivi. Prova a cercare qualcosa che non sia la cameriera.»
 
«Che ne pensi della spogliarellista?» propose Ella dopo attimi di accurata riflessione.
 
L’espressione di Lorenzo passò dallo stupore al divertimento, quando capì che era uno scherzo.
 
«Se ti piace ballare mezza nuda, non sarebbe male come idea» rispose rimanendo serio per reggerle il gioco.
 
La complicità rendeva il tutto più esilarante.
 
«Lo faccio sempre nella doccia. Devo ammettere di essere molto portata.» Ella accennò un sorriso al ricordo delle sue performance sulle note di Michael Bublé e a tutte le volte che aveva rischiato di rompersi l’osso del collo.
 
Succedeva spesso quando si immedesimava troppo nella parte, usando il flacone dello shampoo come microfono e la schiuma per modellare i capelli in diverse forme.
 
La sua preferita era la pinna dello squalo e inn quei momenti si sentiva Emma Stone, nel film Easy A
 
«Credo sia leggermente diverso.»
 
«Dici?» chiese Ella con finta ingenuità, assumendo un’espressione vagamente innocente.
 
«Posso offrirmi come cavia, se proprio ci tieni a provare.»
 
Sarebbe stato piuttosto difficile sbagliare, ma in fondo se l’era cercata.
 
Nonostante il leggero rossore che imporporò le sue guance involontariamente, questa allusione non la faceva sentire particolarmente a disagio.
 
Probabilmente perché era consapevole che si trattava di uno scherzoso scambio di battute.
 
«Lo so che ti piacerebbe, ma accontentati di sognarmi.»
 
Per lei, era diventato piuttosto semplice nascondere le sue poche insicurezza dietro un ego che sembrava sconfinato perché amava realmente ogni parte di sé e sarebbe stato inutile sminuirsi.
 
«Sei troppo sicura di te.»
 
«Sono bellissima, come potrei non esserlo.»
 
Anche se Ella era davvero fiera del proprio corpo e del carattere, quando la giornata era particolarmente grigia, i momenti di fragilità bussavano alla sua porta minando la sua sicurezza.
 
Capitava a tutti e non aveva nulla di cui vergognarsi.
 
«Con te non ce la posso fare» affermò scuotendo la testa, mentre gli angoli delle sue labbra si alzavano formando un sorriso sincero.
 
«E io non capisco perché non mi prendete mai sul serio. Avresti il coraggio di contraddirmi?» chiese Ella che, in uno scatto, saltò in piedi sul divano con un cuscino in mano. Se la situazione non fosse stata esilarante, Lorenzo avrebbe persino potuto prenderla sul serio.
 
«Non potrei mai.»
 
«Coraggio… fatti ammazzare» disse con voce teatrale, puntandogli il dito contro con sguardo minaccioso.
 
Dall’espressione stranita di Lorenzo, Ella intuì che non conoscesse il film che aveva appena citato. Aveva dimenticato quanto potesse essere divertente osservare le espressioni confuse di chi non riusciva a cogliere i diversi riferimenti cinematografici.
 
Era sempre stata una patita del cinema, così al liceo aveva iniziato a parlare usando citazioni di film di qualunque genere. Aveva condiviso questa passione con un ragazzo che aveva reputato un amico, ma, lo stesso gioco che prima l’aveva divertiva, tempo dopo aveva iniziato a farla stare male.
 
Ripensandoci, in quel momento si rese conto che le ferite si erano ormai rimarginate e il dolore era stato lenito dagli anni trascorsi.
 
«È il titolo di un film degli anni ’80, regia di Clint Eastwood. Non mi meraviglia il fatto che tu non lo conosca» spiegò Ella.
 
«Cosa vorresti insinuare?»
 
«Assolutamente niente, a parte che non riusciresti a distinguere un film da un cartone animato» rispose trattenendo una risata.
 
«Mi stai prendendo in giro?»
 
«Non potrei mai» Ella ripeté le parole di Lorenzo imitando la sua voce. «Anche se…» Ella mosse il cuscino che aveva tra le mani così velocemente che Lorenzo non riuscì a schivarlo, facendosi colpire in pieno viso. «Che ti sia da lezione» disse posando le mani sui fianchi con atteggiamento vittorioso.
 
«Questa me la paghi con gli interessi.» Il suo nemico riprese il cuscino che Ella gli aveva lasciato, per poi colpirla alle gambe.
 
Questa mossa inattesa le fece perdere l’equilibro.
 
Cadde in ginocchio sul divano e recuperando un altro cuscino, che giaceva dietro di lei, iniziò a colpirlo ripetutamente, in modo completamente casuale.
 
«Va bene, mi arrendo. Hai vinto.» Solo a quelle parole, si fermò.
 
Si guardarono negli occhi per qualche istante.
 
Entrambi, con il fiatone e i capelli completamente in disordine, si lasciarono andare a una risata fragorosa e incontrollata.
 
«A quanto vedo sei piuttosto arrugginito» disse Ella quando riuscì a calmarsi.
 
«Non mi capita spesso di essere picchiato con dei cuscini» rispose Lorenzo in sua difesa.
 
«Mi ci voleva proprio. Grazie per avermi distratta.» Ella lo guardò con profonda gratitudine.
 
Era riuscito a farla sentire leggera e spensierata.
 
Non sapeva se lui e Sofia si impegnassero in modo particolare nel farlo, ma riusciva ad entrambi maledettamente bene.
 
«Visto, che non sono poi così male?» Lorenzo si passò una mano tra i capelli scarmigliati, provando a riordinarli.
 
«Adesso non esagerare con l’ego, in questa casa c’è a malapena spazio per il mio.»
 
«Abbiamo interrotto qualcosa?» Erano stati talmente presi dalla loro assurda conversazione, da non essersi accorti della presenza di altre due persona nella stanza.
 
Sofia li stava osservando con un’espressione sorniona e ammiccante.
 
Cristina, dal canto suo, si stava sforzando così tanto per non ridere che Ella temette potesse esplodere da un momento all’altro.
 
«Sì» rispose Ella con un’espressione calma e indecifrabile in volto.
 
«Questo!» disse colpendola in viso con il cuscino che aveva ancora tra le mani.
 
«Bel colpo. L’hai presa in pieno.» Cristina si congratulò con Ella, ma questa volta non provò a trattenere le risate.
 
Dovette persino trattenersi la pancia con le mani per quanto il suo corpo fosse scosso da tremori incontrollati.
 
«Tu da che parte stai?» chiese Sofia, votandosi verso la sua ragazza.
 
Il suo sguardo truce era così falso da risultare ridicolo, dal momento che non riusciva ad essere arrabbiata con Cristina per oltre due minuti.
 
«Dalla mia, mi sembra ovvio» ribatté Ella, facendo un occhiolino a Cristina.
 
«Le mancava solo il supporto morale. Adesso siamo spacciati» affermò Lorenzo con voce drammatica ed espressione terrorizzata.
 
Sofia si avvicinò al divano, riportando il cuscino al suo posto.
 
«Quanto la fate tragica. Non sono un mostro mitologico, non del tutto almeno.»
 
«Permettimi di dubitare delle tue parole.» Lorenzo si divertiva a punzecchiarla tanto quanto Ella nel rispondergli.
 
«Bambini, che ne pensate di uscire questa sera? Visto che è sabato, avevo pensato potessimo festeggiare l’inizio dei corsi di lunedì» propose Sofia, cambiando discorso.
 
Ella non aveva particolarmente voglia di vedere persone, d’altronde sarebbe stato strano il contrario, tuttavia pensò fosse un modo meno deprimente per distrarsi e magari per divertirsi.
 
«Ci sto.» La precedette Lorenzo.
 
«Tu non sei troppo avanti con gli anni per stare con noi?» Era così divertente stuzzicarlo, perché sapeva che non era così permaloso da innervosirsi.
 
«Il vecchietto ti ha lasciato vincere.» Ribatté alla sua provocazione.
 
«Questo è esattamente ciò che direbbe un uomo che è stato ferito nell’orgoglio.»
 
«Ella ha ragione» si intromise Sofia.
 
«Musica per le mie orecchie.»
 
«Siete terribili quando vi coalizzate contro di me.» Lorenzo sembrava sull’orlo di una comica crisi di nervi.
 
«Sei in minoranza, perderai sempre contro di noi.» La sorella non avrebbe mai rinunciato all’opportunità di girare le dita nella piaga.
 
«Continuerò a perdere solo perché vi voglio troppo bene.»
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 La serata era piacevolmente fresca e il cielo scuro, rischiarato da una luna piena, era privo di nuvole.
 
Il manto di stelle non era particolarmente sfavillante poiché le luci notturne della città eterna, ne oscuravano la bellezza e la luminosità.
 
Sarebbe stata la serata perfetta per stare sdraiati sulla spiaggia, lontano dal movimento frenetico cittadino, per ammirare la volta celeste.
 
Quando ne aveva l'opportunità, Ella si sforzava di individuare l'orsa maggiore, non che fosse la sua preferita, ma l'unica che riconosceva con più facilità.
 
Il pub, in cui avevano deciso di trascorrere la serata, si trovava in centro.
 
Le luci soffuse che scaldavano l'ambiente e la musica in sottofondo, rendevano l'atmosfera così rilassante, che Ella temette di potersi addormentare.
 
Presero posto in uno dei tavoli liberi presenti nella sala in cui erano stati indirizzati da uno dei camerieri.
 
«Ragazze, vado fuori ad aspettare Luca. È tornato da poco in città e gli ho chiesto di unirsi a noi.»
 
Luca era l'amico più stretto di Lorenzo. Si erano conosciuti al liceo e, dopo la maturità, avevano deciso di intraprendere gli studi di legge a Roma.
 
«Digli di muoversi che abbiamo fame» asserì Ella, rivolgendogli uno sguardo cupo.
 
«Farò del mio meglio» rispose, per poi sparire dalla loro visuale.
 
«Mentre ti stavi preparando, Lorenzo ci ha accennato che è andata male la ricerca del lavoro.» La voce dispiaciuta di Cristina spostò l'attenzione, che Ella aveva concentrato sul suo stomaco, nei confronti dell'amica.
 
«Già.»
 
«Non buttarti giù.» Cristina non era abituata a vedere Ella abbattuta poiché, di solito, era sempre troppo impegnata a prendere in giro il mondo per perdersi nella tristezza dei suoi pensieri.
 
«Vi prego, non mi piacciono le frasi di circostanza.» Il tono lamentoso ed esasperato della sua affermazione, costrinse Ella a seppellire il viso tra le mani nel tentativo di trovare la calma.
 
Capiva il loro bisogno di rassicurarla, ma dopo aver già ascoltato le stesse cose le veniva solo voglia di urlare, alzarsi dalla sedia e fuggire da tutti.
 
Sicuramente una reazione sproporzionata, tuttavia Ella aveva l'innesco facile specialmente quando si sentiva sotto pressione.
 
«Lo sappiamo, ma non possiamo vederti così» aggiunse Cristina, avvicinandosi con la sedia al tavolo, per ridurre le distanze.
 
Sofia, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, decise che era giunto il momento di sbloccare quella situazione, che stava diventando troppo pesante per una serata di svago e divertimento.
 
«Sono sicura che me ne pentirò dopo averlo detto, ma preferisco il tuo sarcasmo a questo umore sconfitto che stona totalmente con la tua persona.»
 
«Vorrei solo che fosse più semplice. Sono stanca di lottare ogni singolo giorno. Mi sento così stressata che se mi si spezzasse un'unghia, probabilmente, mi verrebbe una crisi isterica.» Ella alzò lo sguardo sulle due ragazze sedute alla sua destra.
 
«È il peso di un anno in cui sono successe troppe cose tutte insieme» continuò Sofia, allungando la mano per stringere quella di Ella.
 
«Vedrai che andrà meglio e qualcosa salterà fuori» intervenne Cristina, rivolgendole un sorriso rassicurante.
 
Ella si chiedeva come potesse essere racchiuso tanto ottimismo in una sola persona.
 
Cristina era sempre dolce e solare con tutti, ma così timida che, se era costretta ad interagire con una persona che le dava particolarmente fastidio, preferiva non parlare piuttosto che trovarsi in una situazione in cui non avrebbe avuto abbastanza coraggio per rispondere.
 
Su questo aspetto era molto simile a Sofia, anche se chi le conosceva riconosceva una sottile differenza che le separava. Anche se quest'ultima difficilmente rispondeva per difendere sé stessa, sarebbe, senza ombra di dubbio, intervenuta per proteggere chi amava, mentre Cristina, dal canto suo, non faceva alcuna distinzione in merito.
 
Ella la vedeva come un cucciolo di panda, una specie in estinzione che andava protetta.
 
«L'unica cosa che potrebbe saltare fuori è il bianconiglio dalla tana.»
 
«Per qualche ora, avevo dimenticato il tuo spiccato umorismo» commentò Sofia, non riuscendo a trattenere un sorriso nato spontaneamente dalla battuta inaspettata di Ella.
 
«Dal momento che mi hai fatto notare quanto ti fosse mancato, mi sto impegnando nel farlo ritornare. Non è poi così difficile, il mio buonumore sta per migliorare grazie all'hamburger che ho intenzione di ordinare.»
 
«Questo è lo spirito giusto. Ci vuole grinta, ragazza.»
 
«Cristina, dove avevi nascosto questo spirito aggressivo?» chiese Ella, accennando un tono di finto stupore.
 
«Lo conservo per le occasioni particolari.»
 
La risposta innocente di Cristina, fornì ad Ella l'occasione per far emergere il lato più ingenuo e pudico del suo carattere.
 
«Risparmiami i dettagli, per favore.»
 
«Non intendevo quello. Io...Ella, cancella quella espressione disgustata dalla tua faccia.»
 
«Diamo un ben tornato alla nostra Cristina. Mi eri mancata» rispose Ella, trattenendo a stento le risate.
 
«Sei incredibile. Sofia, anziché ridere, dovresti difendere il mio onore.» Lo sguardo fintamente accusatorio che le rivolse bastò per placare la sua ilarità.
 
«Smettila di torturare la mia ragazza» intervenne Sofia, con poca convinzione nel tono di voce.
 
«Preferisci che infligga su di te la mia tristezza?» chiese Ella, con un sorriso malefico.
 
La situazione era diventata troppo esilarante perché vi ponesse fine, inoltre, se le veniva offerto tutto su un piatto d'argento, sarebbe stato un peccato ignorarlo.
 
«No, no. Continua pure con lei.» Sofia ritornò sui propri passi, per scampare alla tortura psicologica che Ella l'avrebbe costretta a subire.
 
«Questo è tutto l'amore che provi per me?» chiese Cristina.
 
«Sono nove anni che la sopporto. Un sacrificio di due ore non mi sembra una richiesta eccessiva.»
 
«Non vorrei interrompere questa dimostrazione d'affetto nei miei confronti, ma vorrei ricordarvi che sono qui con voi e, sfortunatamente, posso ascoltarvi.»
 
A conti fatti, Sofia non aveva torto.
 
Molto spesso Ella non riusciva a mettere un freno alla lingua, sia quando si trattava di stupidi scherzi, sia quando si trattava di rispondere per le rime a chi se lo meritava.
 
Quando partiva per la tangente era difficile fermarla.
 
«Oh, mi dispiace. Non era mia intenzione ferire il tuo ego» si scusò Sofia.
 
«Tranquilla, il mio ego è troppo grande per essere intaccato dalla vostra invidia.» Ella alzò il mento, fingendo superiorità.
 
«Ragazze, scusate se interrompo la vostra interessante discussione. Vi ricordate di Luca?» La voce di Lorenzo interruppe lo scambio di battute infantili, attirando la loro attenzione sul ragazzo che lo affiancava.
 
«Il tuo amico di avventure e sventure dell'università» dichiarò infine Ella, posando lo sguardo sul nuovo arrivato.
 
Era leggermente più basso di Lorenzo, i suoi capelli riccioli, che probabilmente non tagliava da mesi, erano stati tirati all'indietro e fissati da un po' di gel, per evitare che gli ricadessero sugli occhi, il cui colore sembrava di un azzurro meno intenso del suo, anche se la fioca luminosità non le dava la certezza.
 
«Ottima memoria» si congratulò Luca.
 
«Lo studio la tiene in costante allenamento» rispose Ella, rivolgendogli un sorriso cordiale.
 
«Vediamo se a me non lo ha bruciato. Tu sei Ella, la migliore amica di Sofia.»
 
«Complimenti, anche la tua funziona discretamente.»
 
«Luca. Lei è Cristina, la mia ragazza. Non credo vi siate mai incontrati prima.» intervenne Sofia.
 
«No, hai ragione. Piacere di conoscerti.»
 
«Piacere mio.»
 
I ragazzi preso posto sulle due sedie vuote, alla sinistra di Ella.
 
«Vi siete già ambientate?» chiese Luca, mentre toglieva la sua giacca nera di pelle, per posarla sullo schienale della sedia.
 
«Non ancora. Ho bisogno di entrare nella mia routine, quindi devo aspettare almeno fino a lunedì con l'inizio dei corsi all'università» rispose Ella.
 
«Che facoltà?»
 
«Magistrale in psicologia clinica.»
 
«Scelta interessante. Voi, invece?» rinnovò la domanda, spostando il suo sguardo per rivolgerlo a chi non aveva ancora risposto.
 
«Secondo anno di lettere moderne. Fortunatamente ho potuto convalidare alcuni esami, con il cambiamento di università» rispose Sofia.
 
«Farmacia. Formule e tanta chimica» si limitò a dire Cristina.
 
«Noi si che sappiamo come divertirci» intervenne Lorenzo, che, fino a quel momento, si era limitato ad ascoltare.
 
«Scambiandoci le facoltà come se fossero le nostre generalità» rispose Ella, facendo sorridere tutti i suoi amici.
 
Niente era più divertente della verità, perché quando si entrava nel mondo universitario si aveva davvero la sensazione che il proprio nome venisse sostituito automaticamente dall'indirizzo scelto.
 
«Che ne dite di ordinare?» Lo stomaco di Ella borbottò abbastanza rumorosamente da farsi sentire da tutti. «Visto? Sta implorando pietà» continuò tra le risate dei suoi amici.
 
Sofia fermò una cameriera che si aggirava nelle vicinanze e, dopo aver preso le comande, sparì in direzione della cucina.
 
«Ella, non vorrei essere indiscreto, dal momento che non sono affari che mi riguardano, però Lorenzo mi ha detto che stai cercando un lavoro part-time.» L'intervento di Luca catturò tutta la sua attenzione.
 
Nonostante fosse consapevole che, se Lorenzo aveva deciso di riferirglielo, lo aveva fatto con le migliori intenzioni, non poteva ignorare il senso di fastidio che provava ogni volta che la sua vita e le sue decisioni venivano esaminate da qualcuno che conosceva superficialmente.
 
«Ah sì? Le voci si spargono in fretta.»
 
«Tranquilla. Lo ha fatto solo perché pensava che io avrei potuto aiutarti» si giustificò Luca, percependo il tono di voce leggermente irritato con cui Ella aveva risposto.
 
Il suo era un meccanismo di difesa automatico, perché poteva scherzare sugli argomenti più insignificanti, ma, dal momento che era una persona riservata, le risultava difficile accettare che la sua vita privata e le sue difficoltà diventassero oggetto di discussione.
 
«Se hai qualche consiglio, dimmi pure» cercò di mostrarsi il più cordiale possibile.
 
In fondo riconosceva che, questa volta, non fosse tanto l'argomento a infastidirla quanto il fatto di doverlo riprendere per la terza volta, nello stesso giorno.
 
«Non è andata molto bene?» chiese Luca, dimostrando che, in effetti, Lorenzo gli aveva solo accennato la questione, evitando di scendere troppo nel dettaglio.
 
«No, ma non potevo aspettarmi altro, in fin dei conti è solo il primo tentativo. Domani spulcerò su internet alla ricerca di altri annunci. In che modo, Lorenzo pensa tu possa darmi una mano?»
 
«Quando mi sono trasferito a Roma, sono andato a vivere da mio zio che, fortuna vuole, ha aperto un pub da qualche mese. Non so se è ancora alla ricerca di personale, ma, se vuoi posso chiedere e, in caso, proporti.» La proposta gentile di Luca lasciò Ella così stupita, da rimanere senza parole.
 
«Te lo avevo detto di non perdere la speranza.» L'intervento di Cristina, le fece capire di essere stata in silenzio qualche istante di troppo
 
«Davvero lo faresti? Insomma, questa sarà la terza volta che ci vediamo, non mi conosci.»
 
«In realtà, per tutte le volte che ho sentito parlare te, direi che...» Luca fece un piccolo scatto all'indietro, con la sedia, interrompendo la frase.
 
«Tutto bene?» chiese Ella, non capendo cosa stesse accadendo.
 
Ebbe come l'impressione di aver perso un passaggio importante di tutta quella situazione.
 
«Si, si. Solo un crampo al polpaccio. Comunque, intendevo dire che è evidente che sei una ragazza affidabile e cordiale» rispose sorridendole.
 
«Sull'ultimo aggettivo non ci farei molto affidamento.» Il commento di Lorenzo spinse Ella a tirargli un leggero calcio sulla gamba, facendolo sussultare.
 
Con la coda dell'occhio, vide Sofia e Cristina trattenere una risata.
 
«Come prego?» aggiunse, rivolgendo su di lui la sua attenzione.
 
«Molto gentile» disse, schiarendosi la voce.
 
«Ora va meglio.»
 
«Quindi è così che lo tieni in riga?» le chiese Luca, incuriosito e divertito dal loro comportamento.
 
«Sono piuttosto persuasiva» rispose fiera dei suoi metodi estremamente efficaci.
 
«Facciamo in questo modo. Scrivimi il tuo numero di telefono, così, appena so qualcosa, ti posso avvisare.»
 
Dopo aver preso il cellulare che Luca le stava porgendo, salvò il suo numero in rubrica.
 
«Ecco fatto» disse restituendoglielo. «Grazie. Sei stato davvero gentile» continuò, sorridendogli con gratitudine.
 
Avrebbe potuto contare sulle dita di una mano le volte in cui una persona conosciuta da poco, si fosse dimostrata tanto disponibile nei suoi confronti.
 
Era un evento così raro che, probabilmente, avrebbe dovuto segnare la data sul calendario per non dimenticarla.
 
«Figurati.»
 
Dopo circa cinque minuti, arrivarono le ordinazioni e, finalmente, lo stomaco di Ella poteva essere placato.
 
Mentre si puliva le mani unte di grasso e di una mistura di salse diverse, con la coda dell'occhio vide il segnale luminoso del cellulare, poggiato sul tavolo, lampeggiare.
 
Qualcuno le aveva mandato un messaggio.
 
Iniziò a percepire i battiti del suo cuore accelerare, la gola iniziò a seccarsi, la bocca dello stomaco si chiuse, i vestiti non le erano mai sembrati così stretti e caldi, tanto da farla sudare in modo esagerato per il periodo dell'anno in cui si trovavano.
 
La sua mente già aveva capito chi fosse, la reazione del suo corpo ne era la prova.
 
Il peso della paura e dell'angoscia diventavano sempre più angustianti ogni secondo che trascorreva, con lo sguardo fisso sul cellulare, immobile, incapace di muovere un braccio per raggiungerlo.
 
Farlo, avrebbe significato rendere reale il suo timore, tuttavia rimanere nel dubbio non avrebbe fatto altro che peggiorare la tensione che aveva già iniziato a pervadere ogni parte di sé.
 
Sapere contro chi avrebbe dovuto combattere, le avrebbe dato la certezza di poterlo affrontare secondo le sue regole.
 
Ciò che la spaventava era il dubbio, dopo avrebbe provato solo rabbia e nervosismo e questo, nei limiti del possibile, l'avrebbe resa più lucida e reattiva.
 
Sbloccando il telefono, si rese conto che non le era stato mandato un solo messaggio, ma, al momento, ne aveva cinque e tutti dalla stessa persona.
 
Matteo.
 
Alcuni risalivano al pomeriggio, ma era stata così impegnata da aver completamente dimenticato l'esistenza del cellulare.
 
Chiuse l'anteprima dei messaggi, decidendo che lo avrebbe ignorato per tutta la durata della serata, poiché non aveva intenzione di farsela rovinare.
 
«Tutto bene?» Sofia le rivolse la domanda in un sussurro.
 
Gli altri non si erano accorti dell'improvviso cambio di umore di Ella, dal momento che erano impegnati in una conversazione sui film migliori degli ultimi anni.
 
Ella alzò lo sguardo dal tavolo, rivolgendolo a Sofia, non ci fu bisogno di parole poiché gli occhi cristallini di Ella erano così ricolmi di ansia da far intuire subito alla sua amica di cosa si trattasse.
 
Sofia posò una mano sulla coscia di Ella, stringendo leggermente per risvegliarla dallo stato catatonico in cui si trovava.
 
Voleva ricordarle che non era sola, ma che era circondata da persone che le volevano bene e che non l'avrebbero mai lasciata ad affrontare le sue paure più profonde.
 
Quante cose si potevano comunicare con uno sguardo, quante parole potevano scambiarsi due persone che si conoscevano da tanti anni, senza parlare.
 
Ella le accennò un sorriso, riconoscente per il suo supporto e per tutto ciò che aveva sempre fatto per lei in questi ultimi mesi.
 
«Ella, secondo te?» Sentire il suo nome pronunciato da Luca, la riportò alla realtà.
 
«Scusate, mi sono persa» rispose scuotendo leggermente la testa, riportando l'attenzione sui presenti.
 
«Qual è il film più bello che hai visto di recente?» domandò nuovamente.
 
«Questa è difficile. Ne ho visti molti ultimamente, ma direi "Il caso Spotlight".»
 
«Ti piacciono i film drammatici?»
 
«In realtà non faccio distinzione tra i generi, ma, se dovessi sceglierne uno, il genere storico è il mio preferito.»
 
«Ma davvero?» intervenne Sofia, che la osservava con una strana espressione in viso.
 
Impiegò qualche istante di troppo, per intuire quale fosse l'insinuazione sottesa alla sua domanda.
 
«Non mi guardare così, i cinecomic sono un mondo a parte.» Non poté fare a meno di sorridere, per il patetico tentativo di metterla in difficoltà.
 
Dopo tutte le innumerevoli volte in cui Ella si prendeva gioco di lei, avrebbe potuto anche dargliela vinta, ma non era quello il giorno.
 
«Confermo. Non possono essere considerati un genere, direi più uno stile di vita» intervenne Cristina, appoggiandola.
 
«Mai parole furono più sagge» affermò fiera Ella.
 
«Chi è che ti cerca?» chiese Cristina, dopo che il telefono di Sofia vibró per la seconda volta nel giro di qualche minuto.
 
«Nessuno di importante.» A Ella bastò questa risposta fuorviante per capire chi le avesse scritto.
 
Cristina, dopo aver saputo che Matteo aveva iniziato a contattare la sua ragazza, era diventata più apprensiva e non poteva essere biasimata, era più che normale essere preoccupati.
 
Non poteva ricominciare tutto da capo, non ora che stava riprendendo in mano la sua vita; non ora che tutto sembrava andare per il verso giusto.
 
La stabilità e la felicità che stava cercando di raggiungere l'avrebbe difesa e preservata a tutti i costi, nessuno avrebbe minato la sua tranquillità.
 
Questa volta non sarebbe caduta, perché avrebbe eliminato il veleno prima che si diffondesse e contagiasse anche chi la circondava.
 
«Vado in bagno. Non divertitevi troppo senza di me.»
 
«Ti accompagno.» Sebbene Sofia non avesse posto una domanda ma un'affermazione convinta, era una questione che doveva risolvere da sola.
 
«Tranquilla, è tutto sotto controllo. Non credo che le porte del bagno mi faranno del male e, se dovesse succedere, nel peggiore dei casi, mi sentireste imprecare.»
 
Uscì dalla sala in cui si trovavano, ma, invece di dirigersi verso la toilette che si trovava nell'altra sala del locale, uscì fuori perché dentro iniziava a sentirsi soffocare.
 
La metà del panino che aveva mangiato iniziava a muoversi nel suo stomaco e scalpitare per risalire, ma, questa volta, non avrebbe ceduto, a costo di stare sveglia tutta la notte con il senso di nausea.
 
Si piegò in avanti e, poggiando le mani sul jeans a zampa, iniziò a fare dei respiri lenti e profondi nel tentativo di calmare il senso di panico che la stava attanagliando.
 
Non poteva stare fuori molto, altrimenti si sarebbero preoccupati quindi, quando acquistò abbastanza lucidità e fermezza, prese il cellulare dalla tasca e aprì la chat di Matteo.
 
Visualizzò i messaggi senza leggerli, poi entrò in rubrica e fece partire la chiamata.
 
Se per lui tutto quello che le stava facendo era un gioco, questa volta sarebbe stata Ella a dettare le regole.
 
«Ella.» Nonostante negli ultimi tempi avesse sentito più spesso di quanto volesse la sua voce tramite messaggi, quella era la prima volta in cui parlavano a telefono.
 
«Si, è il mio nome.» Per quanto ferisse anche lei adottare un atteggiamento freddo e brutale, non avrebbe potuto fare altrimenti.
 
In tutti quei mesi la sua disponibilità era stata trasformata in un'arma che le si era ritorta contro e adesso, era disposta a ignorare quelle ferite pur di evitare che accadesse nuovamente.
 
«Non mi aspettavo rispondessi.» La voce di Matteo le provocava un'ansia tale da peggiorare la sua nausea, tuttavia questo non le avrebbe impedito di sfogare tutta la sua frustrazione.
 
«Da cosa lo avevi intuito? Forse dai messaggi che ho deciso, saggiamente, di ignorare?»
 
«Possiamo parlare con calma?»
 
«Cosa vuoi?» chiese con un tono più pacato, ma ugualmente deciso.
 
«Sapere perché mi stai evitando da oggi pomeriggio.»
 
«Per questo, dopo aver intasato il mio cellulare, hai iniziato a dare il tormento a Sofia?» Non si sarebbe fatta aggredire dai sensi di colpa, aveva deciso di assopire quella parte di lei e sarebbe andata fino in fondo.
 
Era arrivata al punto in cui non le importava più quanto profondamente avrebbe ferito gli altri, quanto la verità crudele e spietata delle sue parole li avrebbe fatti sanguinare perché, se ciò le avesse permesso di tornare a respirare, sarebbe stata disposta anche a tirare fuori il lato peggiore, quello che nascondeva per le occasioni speciali.
 
«Non avevo molta scelta.»
 
L'irragionevolezza su cui si fondavano le risposte di Matteo, d'altronde, le facilitava il lavoro.
 
«Sì che l'avevi. Potevi comportarti come una persona qualunque, invece, quando c'è da scegliere, fai sempre quella sbagliata. Non ti è balenata per la testa l'idea che, magari, non ho sempre il cellulare tra le mani o, più semplicemente, che non volessi parlare con te?»
 
A Ella risultava troppo facile alzare il tono di voce, ma, questa vola, era costretta a trattenersi, dal momento che l'ultima cosa di cui aveva bisogno era dare spettacolo davanti alle altre persone.
 
«Tu non capisci. È difficile vedere che sei in linea e, presumibilmente, rispondi a tutti meno che a me. Pensare che ti stai divertendo senza di me è una tortura.»
 
Più Matteo apriva la bocca per farle prendere aria, più si rendeva conto di quanto la decisione di lasciarlo fosse stata la scelta migliore.
 
«Cosa mi tocca sentire. Per te è difficile? Tu mi vuoi vedere rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Ammettilo. Non ti arrenderai fin quando non ci riuscirai.»
 
«Stai delirando.»
 
Aveva la capacità di diventare vittima, trasformando Ella nel carnefice, ma ciò che non riusciva a vedere né comprendere, era che non si trattava di una guerra a chi fosse nel giusto e chi avesse sbagliato, perché a conti fatti sarebbero usciti entrambi distrutti.
 
«Certo! È sempre così che va a finire. Primo: dopo quello che ho scoperto avresti meritato una denuncia. Secondo: mi hai fatto vivere mesi di inferno dopo che ti ho lasciato e, anche se stai cercando di migliorare, mi stai comunque ossessionando. Terzo: la mia vita non è affare tuo. Se voglio ignorare i tuoi messaggi lo faccio e tu, come nessuno, non hai il diritto di rompermi le scatole. Fai come tutti gli esseri umani che dopo un po' dimenticano persino di averli inviati e lasciami in pace.»
 
«Ci sto provando, ma non ci riesco.»
 
«Non posso più assecondarti. Devo pensare a me, quindi devi lasciarmi in pace e se non lo farai, continuerò a ignorarti. La prossima volta potrai mandarmi anche trenta messaggi e farmi venti chiamate, non sono più la ragazza che hai conosciuto un anno fa, quindi, a meno che non sia qualcosa di estremamente grave, non ti risponderò.»
 
«Voglio solo capire fino a che punto ti ho ferita. Non ce la faccio più a svegliarmi ogni mattina e pensare a tutto il male che ti ho arrecato.»
 
Ella sapeva quanto lui l'avesse amata, quanto fosse buono, gentile e sincero, ma molto altro di lui non era compatibile con il suo carattere.
 
Quando erano ancora fidanzati, aveva iniziato a percepire la fiamma della sua libertà affievolirsi giorno dopo giorno, non era più la stessa di un tempo, non era più felice.
 
Tutti intorno a lei potevano vederlo e capirlo, giungendo alla dovuta conclusione, era stato un percorso difficile, a dispetto di tutte le insinuazioni e le accuse a cui era stata sottoposta.
 
«Se continuerai a essere così insistente non smetterai mai di farmene. Sinceramente non ho né voglia né tempo per parlarne. Fino ad ora io ho cercato di capire te e il tuo comportamento, adesso prova tu a metterti nei miei panni. Ho bisogno di rimettere in sesto la mia vita prima di provare ad affrontare una conversazione decente con te.»
 
«Quindi ne riparleremo?» La domanda di Matteo era ricolma di una speranza che arrivò chiara alle orecchie di Ella.
 
«Dipende da te. Smettila di scrivermi, di insistere, vai avanti con la tua vita e lasciami andare. Quando avrò trovato la pace che sto bramando da cinque mesi, ne riparleremo.»
 
«Cosa credi? Che non mi importi?»
 
Questo era sempre stato uno dei principali problemi della loro relazione, l'incapacità, da parte di entrambi, di ascoltarsi e capirsi.
 
«Non ho insinuato questo e, tutt'ora, non ti incolpo di nulla. Anche se ciò che è successo negli ultimi mesi non è giustificabile, so che eri e sei solo ferito ed è per questo motivo che ho lasciato correre. Ma adesso basta. Se non lo vuoi fare per te stesso, fallo per me.»
 
«Ti ho davvero distrutta.» La sua voce arrivò flebile, un'affermazione sussurrata più a sé stesso che ad Ella.
 
Detestava questi momenti, in cui non aveva idea di cosa avrebbe dovuto rispondergli, perché entrambi portavano il peso delle proprie colpe e nessuno meritava di soffrire ancora.
 
Non era così crudele da dargli ragione, ma nemmeno capace di mentire.
 
«Non preoccuparti di questo. È un problema mio.»
 
«Si, ma l'ho causato io.»
 
Il suo comportamento e le sue azioni non avrebbero mai potuto essere giustificate, eppure non lo odiava né lo incolpava ed era convinta che, anche se non avrebbe mai dimenticato, un giorno sarebbe riuscita a perdonarlo.
 
Adesso provava solo rabbia e delusione nei suoi confronti perché, alla fine, puntare il dito non l'avrebbe fatta sentire meglio.
 
«Ascoltami bene, perché non lo ripeterò. Tutti compiamo delle scelte e, presto o tardi, dovremmo fare i conti con le conseguenze di tali decisioni. Io ti ho ferito e tu, anche se in modo inconcepibile, hai ferito me. Non sono più arrabbiata, ma ti prometto che se non uscirai dalla mia vita non sarò più così comprensiva. Sono stanca.»
 
«Ho capito. Farò come dici.»
 
***
 
Ella aveva trascorso la domenica mattina a pulire la sua stanza e il bagno.
 
Quella era stata la prima volta, in assoluto nella sua vita, che pur di non pensare, aveva preferito svolgere le faccende di casa.
 
In genere, quando voleva tenere la sua mente impegnata e concentrata su qualcos'altro, studiava, ma questa volta non aveva nessun esame da preparare.
 
Probabilmente di sarebbe dannata per aver concepito questa frase quando, tra qualche mese, si sarebbe ritrovata sommersa da libri.
 
Adesso era stanca, quindi si diresse nel soggiorno cucina, per sdraiarsi sul divano a riposarsi e con un po' di fortuna sarebbe anche riuscita a dormire.
 
Era sola in casa.
 
Lorenzo era a studiare da Luca e altri suoi amici di università, mentre Sofia era andata da Cristina.
 
Per quanto i suoi pensieri stessero diventando sempre più pesanti e incontenibili, era felice che non ci fossero.
 
Preferiva rimuginare e riflettere, piuttosto che parlare e dare spiegazioni.
 
Quando era nervosa, bastava la minima parola fuori posto per indurla a rispondere in modo sgarbato, offendendo chi non lo meritava.
 
L'episodio della sera precedente aveva fatto riemergere ricordi che stava ancora cercando di metabolizzare.
 
Nei momenti in cui doveva fare i conti con il dolore che sgomitava per riaffiorare, avrebbe desiderato che l'agente J di Man in Black le sparasse il flash dritto negli occhi, così da dimenticare.
 
Aveva bisogno di elaborare pensieri irrazionali come quelli per strapparsi un sorriso da sola.
 
Il sollievo sarebbe stato breve, ma era meglio di niente.
 
Non sentiva la necessità di piangere.
 
Tutte le lacrime che aveva versato da quando lo aveva lasciato, erano state per sé stessa o per la situazione ingestibile in cui si era ritrovata.
 
Dopo avergli dato le dovute spiegazioni e voltato le spalle per ritornare a casa, mentre percorreva il lungomare di Castellammare di stabia, si era concessa un pianto liberatorio.
 
Tutt'ora non sapeva il motivo, ma, in fondo, non era importante.
 
Rimuginare non avrebbe cambiato la situazione e le sue idee a riguardo erano fin troppo chiare, per cui era tutto uno spreco di tempo, considerando che al momento non avrebbe potuto fare nulla se non aspettare.
 
Le sarebbe servito tempo per sentirsi pienamente felice e soddisfatta, ma era già sulla buona strada.
 
Venne strappata dai suoi pensieri quando il cellulare, che giaceva al suo fianco, si illuminò segnando una chiamata in entrata da un mittente sconosciuto.
 
Il numero non era salvato, ma aveva una vaga idea su chi potesse essere poiché era in attesa di una telefonata.
 
«Pronto, Ella. Sono Luca.» A quelle parole, Ella sospirò di sollievo.
 
«Ciao. Come stai?» chiese, alzandosi dal divano.
 
Quando parlava a telefono, ovunque si trovasse, non riusciva a né stare ferma né seduta, ma aveva la necessità di camminare, di muoversi avanti e indietro.
 
«Tutto bene, grazie. Stavi dormendo? Mi dispiace averti svegliata.»
 
«No, ero sveglia. Ho la voce rauca perché ero sdraiata sul divano a guardare un film.»
 
«In ogni caso, sono portatore di buone notizie.» La voce soddisfatta di Luca, le trasmise positività.
 
«Che responso hai ricevuto dall'oracolo di Delfi?» La domanda di Ella, suscitò una lieve risata di Luca, dall'altro capo del telefono.
 
«Hai un colloquio domani alle tre del pomeriggio, dopo ti mando la posizione del locale, così non rischi di sbagliare.»
 
«Louis, credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia.»
 
La gioia di Ella era incontenibile e non avrebbe potuto trovare citazione migliore. Da quanto aveva potuto intuire dai discorsi della sera precedente, anche Luca era appassionato di cinema, per cui non si stupì quando capì il riferimento al film.
 
«Aspetta, questa la conosco. La frase che Rick rivolge al capitano Renault nella scena finale di Casablanca.»
 
«Complimenti! Dovremmo organizzare un quiz una sera.»
 
«Potrebbe essere divertente, magari facciamo fare l'arbitro a Lorenzo, visto che non è molto ferrato sull'argomento.»
 
«Ottima idea.»
 
«Ah, prima che mi dimentichi, mio zio si chiama Massimiliano Russo, quindi chiedi di lui quando arrivi.»
 
«Per fortuna te ne sei ricordato tu, oggi sono più rincoglionita del solito.»
 
«Capitano queste giornate, ogni tanto. Adesso ti devo lasciare, ma ci terrei a sapere come andrà il colloquio.»
 
«Ti aggiornerò sicuramente. Grazie, ancora.»
 
«Ci sentiamo, Ella.»
 
Dopo aver chiuso la comunicazione, si lasciò andare a peso morto sul divano, pensando che gli ultimi due giorni non erano stati un totale disastro.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


«Hai fatto nuove amicizie?» la voce di sua madre, proveniente dall'altro capo del telefono, stava iniziando a infastidirla e ciò accadeva in particolar modo quando si ostinava a porre sempre le stesse domande prendendola sul personale quando Ella le rispondeva con tono stizzito.
 
Ogni anno tirava fuori da cassetti impolverati e pieni di ragnatele quella questione, con la differenza che Ella non frequentava più la quinta elementare.
 
«Mamma! Ti ostini a pormi queste domande come se non mi conoscessi. In tre anni di università, ho conosciuto solo due ragazze. Cosa pretendi che succeda il primo giorno?» chiese, sbuffando e rivolgendo lo sguardo verso l'alto, ma tutto ciò che riuscì a osservare fu l'interno del tettuccio plumbeo della macchina di Lorenzo.
 
«Non si può mai sapere nella vita.»
 
«A ventidue anni ancora devo capire come si instauri un'amicizia con qualcuno. Ti prego, cambia disco ogni tanto altrimenti si rovina.» Si voltò, trovando Lorenzo al suo fianco impegnato a guidare e a scuotere la testa, sorridendo per le risposte e i toni che Ella stava impiegando nella sua conversazione.
 
«Dovresti aprirti un po' di più.» Si rese conto che se non fosse stata educata al rispetto dell'altro e se non avesse temuto di essere eliminata dallo stato di famiglia, a questo punto avrebbe potuto anche chiudere la telefonata, ma si dovette limitare a rispondere e in fin dei conti ciò poteva essere anche più gratificante.
 
«Tu, invece, dovresti smetterla di ripetere le stesse cose. Sei pesante e sai bene che non lo sopporto.»
 
«Va bene. Come vuoi.» Si arrese sua madre.
 
«Finalmente. Ogni tanto, prendi anche sagge decisioni.»
 
Giorno dopo giorno, Lorenzo scopriva qualcosa di nuovo su Ella.
 
In questo caso, quanto fosse unico ed esilarante ascoltare una sua conversazione quando la si faceva innervosire. Sapeva rispondere a tono senza farsi scrupoli perché, se qualcosa la infastidiva, l'altra persona doveva rendersene conto con gli interessi, così da imparare la lezione e non ripetere l'errore.
 
«Adesso non esagerare.» Il tono di rimprovero di sua madre non fu sufficiente dal persuaderla nel rispondere.
 
«Hai ragione. Avevo dimenticato l'inesistenza del tuo umorismo.»
 
«Io di avere una figlia esasperante.»
 
«Almeno sappiamo da chi ho ereditato questo aspetto della mia personalità.»
 
«Stai andando al colloquio?» Adele, dal canto suo, preferì ignorare il commento di sua figlia perché, per quanto potesse avere ragione, stava leggermente uscendo fuori dal seminato e considerando il contesto aveva intuito il motivo.
 
«Si. Speriamo bene, sono troppo nervosa» rispose, strofinando un paio di volte i palmi di entrambe le mani sui jeans chiari, per asciugare il sudore sporco e appiccicaticcio
 
«Stai tranquilla. Anche se dovesse andare male, ci saremmo sempre noi.» Rivolgendole questa rassicurazione, Ella sapeva che lo scopo di sua madre era alleggerirle il peso che le opprimeva il petto, eppure era ciò che più di sbagliato potesse dire, perché anche se aveva messo in conto un possibile fallimento, sentirlo ipotizzare ad alta voce da qualcuno che non fosse lei era peggio di un pugno nello stomaco.
 
«Tu sì che sai come far sentire meglio qualcuno.»
 
«Intendo dire, che sai che non è necessario che ti trovi un lavoro.» Proprio non riusciva a capire quando era il momento di cambiare rotta, invece di insistere imperterrita nel correggere le sue parole, riuscendo solo a peggiorare le cose.
 
«Invece, lo è. Per me significa molto.»
 
Ella conosceva così bene sua madre da poter prevedere su quale argomento si sarebbe arenata e, nonostante sapesse che le sue non erano cattive intenzioni, non poteva fare a meno di chiedersi il perché infilasse sempre il dito della stessa piaga.
 
«Lo so, non sto dicendo che non voglio che trovi un impiego, ci tengo solo ad assicurarmi che tu sia pronta per fare anche questo passo. Nell'ultimo anno, tra lo stress per gli esami, la laurea, il test della magistrale e Matteo non hai trovato nemmeno il tempo per staccare la spina qualche giorno.»
 
«Capisco che tu sia preoccupata, ma non è necessario riesumare le mummie, lasciale riposare morte e in pace. Al momento ho bisogno di tenermi impegnata per sentirmi meglio.» Ciò che la infastidiva maggiormente era che sua madre si stupiva quando Ella ribatteva con tono sgarbato e provocatorio.
 
«Va bene, non voglio insistere.»
 
«Meglio così, altrimenti sai come andrebbe a finire la conversazione.»
 
Ella sapeva di non poter attribuire il problema solo a sua madre, poiché era ben consapevole di quanto potesse essere difficile gestire una figlia con un carattere così impertinente.
 
«Fammi sapere qualcosa quando hai finito.» Adele aveva imparato con il tempo che ignorare il suo atteggiamento provocatorio sarebbe stato l'unico modo efficace per raffreddare il suo temperamento.
 
«Ci sentiamo più tardi.»
 
Dopo aver chiuso la telefonata, Ella avvertì un'odiosa quanto familiare sensazione, che si insinuava in lei ogni volta che sentiva di aver esagerato.
 
Il senso di colpa aveva un potere troppo potente per essere gestito, eppure Ella lottava ogni giorno contro quella forza che la spingeva a soccombere.
 
In passato non aveva avuto motivo per provarlo, ma comunque questo pensiero non era stato sufficiente per dirimere il suo tumulto interiore.
 
Nei mesi che l'avevano allontanata da quei giorni, aveva iniziato a costruire dei confini, imparando la differenza tra ciò per cui era giusto sentirsi in errore e ciò per cui era sbagliato.
 
Questa volta, avrebbe dovuto scusarsi.
 
«Sai che prendertela con tua madre non servirà a placare la tua ansia?» chiese Lorenzo, dando voce ai suoi pensieri.
 
«So di comportarmi da persona orribile quando reagisco in questo modo, eppure è più forte di me. Sto cercando di migliorare questo mio lato impudente, ma non è cosa da poco»
 
La sua non era una giustificazione, perché da tempo aveva imparato a non scusarsi per ciò che era, ma, d'altro canto, non avrebbe mai negato l'evidenza e in quel momento i fatti le stavano urlando quanto fosse stata ingrata nei confronti di sua madre.
 
«Possibile che tu riesca a passare da zero a cento in meno di un secondo?» Vide Lorenzo sorridere, ma Ella non riuscì a capire il significato che lui aveva attribuito a quella domanda retorica.
 
«Che intendi?» chiese Ella.
 
«Un attimo prima ti mostri arrogante ed esaltata a livelli estremi, mentre dopo sei capace di mettere a nudo tutti i tuoi difetti con sconcertante leggerezza e umiltà. Non basterebbe una vita per capirti» rispose scuotendo il capo come se volesse scacciare un pensiero che aveva omesso di pronunciare assieme al resto della spiegazione.
 
Ella non si stupì particolarmente delle sue parole, in fin dei conti molti le avevano sempre recriminato questo suo essere inafferrabile e imprevedibile.
 
Con il tempo aveva capito che se chi la circondava non riusciva a camminarle a fianco significava solo che non era la persona giusta, perché per quante persone ci fossero che non la potevano soffrire ce n'erano tante altre che l'amavano così com'era.
 
Ammetteva di essere estrema alle volte, di esagerare e quando lo riconosceva si ridimensionava, ritornando sulla via principale per chiedere scusa, ma nonostante questo lei non avrebbe mai desiderato essere diversa da ciò che era.
 
Sapeva amare chi restava, anche se non come tutti si potevano aspettare.
 
Non udendo nessun commento da parte di Ella, Lorenzo distolse per qualche istante lo sguardo dalla strada, dal momento che era appena scattato il semaforo rosso.
 
Notò che il suo sguardo era rivolto al mondo fuori il piccolo abitacolo.
 
Si chiese quali pensieri potesse aver scatenato la sua affermazione, poiché sembravano talmente forti da renderle impossibile parlare, proprio lei che era la ragazza dalla risposta sempre pronta.
 
«Pensa ho incontrato persone che credevano di conoscermi così bene da rimanere deluse quando non rispettavo le loro aspettative.»
 
Anche se il concetto di persona era vago appositamente per integrare tutti gli esseri che l'avevano delusa e che sicuramente lei aveva deluso, quella era una frase che poteva riassumere, efficacemente quanto in modo superficiale, la sua unica relazione sentimentale.
 
«Non dare loro troppa importanza.»
 
Ella si trattenne dallo scoppiargli a ridere in faccia, faccenda alquanto complessa considerando che non poté fare a meno di domandarsi se avesse riesumato quella affermazione da un biscotto della fortuna o fosse semplicemente la versione moderna e parafrasata del verso della terza cantica dell'Inferno dantesco.
 
«Sai che non ci avevo mai pensato? Fortuna che ci sei tu a darmi questi preziosi e rari suggerimenti.»
 
«Con te non si sa mai qual è la cosa giusta da dire.» Sospirò, riportando l'attenzione sulla strada giusto in tempo per vedere la luce del semaforo scattare sul verde.
 
«Tutto tranne frasi trite e ritrite, anche perché se avessi dato peso alle loro parole, adesso non sarei qui a portare avanti discorsi profondi, mentre provi a distrarmi dall'ansia per il colloquio.»
 
«Beccato.»
 
«Sono troppo perspicace per voi esseri inferiori.»
 
«Direi che siamo a cento» affermò con tono scherzoso.
 
«Comunque grazie, sia per il passaggio sia per il diversivo. Aspetta, non lo dire. Sono arrivata a zero.»
 
Al di là di tutte le battute giocose, Ella gli era davvero riconoscente. A causa dell'agitazione aveva dormito in totale un paio d'ore la notte scorsa, il pensiero di non riuscire a trovare il locale, di perdersi o arrivare in ritardo l'avevano tormentata senza sosta e Lorenzo doveva essersene accorto.
 
Sebbene Ella non avesse voluto accettare per non scomodarlo, una parte di lei aveva sperato insistesse fino a farla cedere, perché per quanto fosse testarda l'idea di dover affrontare da sola una situazione sconosciuta la rendeva estremamente irrequieta.
 
«Chi salva una vita, salva il mondo intero.»
 
Lorenzo non fu stupito dalla prima reazione di Ella che, dopo aver sentito quelle parole, si voltò di scatto verso di lui con un'espressione stupita dipinta sul volto, tuttavia non riuscì a comprendere il motivo per cui poco dopo si trasformò in un sorriso beffardo.
 
«Sai almeno a che film ti stai riferendo?»
 
Ella aveva impiegato un paio di minuti per capire come Lorenzo fosse passato dall'aver visto solo Casper in tutta la sua vita a conoscere un film drammatico di Steven Spielberg. Ella dubitava fortemente che un ragazzo a cui non piaceva il cinema avesse potuto recuperarlo e ricordare la frase giusta da inserire in una conversazione.
 
«Schindler's List del 1993. Tu mi sottovaluti.»
 
La sua risposta non fece altro che confermare le sue supposizioni e iniziò anche a intuire perché si fosse tanto interessato all'argomento.
 
«Ti sbagli, semplicemente non vedo il motivo per cui debba farti piacere qualcosa interpretando un ruolo che non ti appartiene.»
 
Non era intenzione di Ella rimproverarlo, voleva solo fargli capire che fingere di essere ciò che non si era, adeguarsi ai gusti altrui senza un reale interesse alla base, ma solo per non sentirsi escluso o per semplice imitazione, poteva creare molto più disagio, perché gli altri sarebbero sempre stati un passo avanti.
 
«Se fossi realmente interessato?»
 
«In questo caso sarei felice di ampliare la tua cultura cinematografica, ma capirai che cercare frasi su internet e imparare la data di uscita di un film non fanno di te una persona interessata, ma solo qualcuno che cerca di fare bella figura.»
 
Molte più volte di quante ne volesse ammettere Ella aveva seguito la scia degli altri solo per non sentirsi sola, ma si era resa conto che ciò la rendeva solo più insicura delle proprie capacità.
 
«Se ne sei tanto convinta, spiegami il motivo per cui avrei dovuto farlo.»
 
Lorenzo si era messo sulla difensiva ed Ella capì di aver toccato un nervo scoperto.
 
«Ricordi la mia citazione sul film prima di uscire di casa, quando non avevi idea di cosa stessi parlando?» chiese Ella, portando dietro l'orecchio alcune lunghe ciocche ricce, che erano ricadute d'avanti agli occhi.
 
A meno che non li legasse, quei capelli non rimanevano mai fermi dove Ella li aveva sistemati, avevano vita propria e, sebbene provasse a domarli, sapeva non ci sarebbe mai riuscita. In fondo rispecchiavano appieno la sua personalità, per questo li adorava.
 
«Si.»
 
«Aggiungici il discorso di sabato sera sui film più belli degli ultimi tempi, in cui ho notato che sei stato tutto il tempo in silenzio. Capisco quanto basta la mente umana da sapere che le emozioni negative, causate dal non sentirsi coinvolto, sono sufficienti a scatenare una reazione. Ecco, la tua.»
 
Le parole di Ella si dispersero nell'aria, erano state recepite, ma non raccolte dal momento che Lorenzo pareva essersi chiuso in sé stesso. Il suo mutismo poteva significare molte cose che Ella non riusciva a decifrare.
 
In un attimo le sue certezze vacillarono e fu assalita dai dubbi. Si chiese se avesse esagerato, se fosse stata troppo indelicata o indiscreta, se si fosse spinta troppo oltre.
 
«Non fraintendermi, voglio solo farti capire che non è necessario farti piacere qualcosa per cui non provi interesse, ma nel caso fosse davvero un argomento a cui vorresti approcciarti, ci sono io. Tutti siamo bravi in qualcosa e il bello è proprio questo, perché possiamo condividere, coinvolgere, essere spronati, ma solo se l'idea ci stuzzica. Non abbiamo obblighi verso nessuno se non noi stessi.»
 
Loro erano la sua famiglia e ciò significava proteggersi, sostenersi, tendere una mano e afferrarla con forza qualora chiunque di loro fosse troppo stanco e debole per fare un passo in avanti.
 
Anche se si fosse sbagliata, non si sarebbe pentita dell'errore commesso perché ci era passata già e sapeva cosa fare per aiutarlo.
 
«Sei brava a individuare e maneggiare le insicurezze di chi ti circonda.»
 
Con questa affermazione, Lorenzo ruppe il silenzio. Non poteva voltarsi verso Ella, ma era più che sicuro che stesse sorridendo.
 
Negli ultimi due mesi aveva avuto l'occasione di entrare in contatto più stretto con quella ragazza così imprevedibile e, sebbene l'avesse sempre considerata come una sorella minore, si era reso conto di non averla mai conosciuta realmente.
 
Lei e Sofia si frequentavano da parecchi anni, quindi era diventata parte integrante del loro nucleo familiare. Le accompagnava e andava a prenderle al cinema, avevano trascorso insieme giornate al mare, erano andate a trovarlo a Roma qualche giorno per visitare la città, l'aveva vista tante volte, eppure si era reso conto che, fino a qualche mese fa, il suo affetto per lei era stato in gran parte un riflesso naturale.
 
L'aveva vista crescere, si preoccupava se la vedeva soffrire, ma non l'aveva mai conosciuta realmente, tutto ciò che sapeva di lei era ciò che gli raccontava Sofia. Solo adesso che aveva iniziato a viverla; adesso che aveva approfondito la sua conoscenza e creato un vero legame con lei, poteva affermare di essere realmente suo fratello maggiore.
 
«Ho sempre avuto un ottimo intuito, ma non solo per questo genere di cosa. Riesco a inquadrare le persone anche solo dopo averle viste una volta e raramente mi sbaglio. È come se avessi un sesto senso e l'unica volta che l'ho ignorato abbiamo visto come è andata a finire.»
 
Ella perse il controllo della sua voce cosicché le ultime parole uscirono in un sussurro.
 
Era un reclamo rivolto a sé stessa, ogni tanto sentiva la necessità di ripeterlo per evitare di incorrere nuovamente nello stesso errore.
 
Lorenzo, che dovette sforzare il suo udito per recepire la parte finale della sua risposta, intuì facilmente il riferimento e decise che non sarebbe stato opportuno riprendere per l'ennesima quell'argomento ancora troppo doloroso, più di quanto volesse ammettere.
 
Aveva la sensazione che tutti intorno a lei si accorgessero di quanto soffrisse meno che lei stessa e Lorenzo non aveva la minima idea di come ci riuscisse, ma dopotutto forse nemmeno Ella ne era a conoscenza.
 
«Quando iniziamo?»
 
«Possiamo organizzarci in modo da dedicare una sera a settimana a un film di genere diverso, così iniziamo a capire quello che preferisci, ma al contempo spaziare perché l'importante è essere sempre curiosi e non rimanere mai impantanati nello stesso punto, altrimenti diventa tutto sterile e poco stimolante.»
 
Ella era entusiasta all'idea di coinvolgerlo nel suo mondo, fatto non solo di ansia, paure e battute insipide, ma anche di divertimento, passione ed entusiasmo per le cose semplici, come un divano e un bel film.
 
«Direi che sarà un'esperienza divertente.»
 
«Basterà la mia presenza per rendere tutto migliore ed è per questo motivo che sono sicura che mi stai usando solo come distrazione perché non hai voglia di scrivere la tesi.»
 
Da quella provocazione, Lorenzo capì che Ella era ritornata nel suo ruolo di sempre e che mai avrebbe abbandonato, a volte immaturo e insopportabile, ma così assurdo da essere adorabile.
 
«Per chi mi hai preso?» chiese, fingendo indignazione.
 
«Per un normale studente disperato prossimo alla laurea, che preferisce prendere aria in ottima compagnia piuttosto che rimanere rinchiuso in casa o in biblioteca» rispose Ella, scrollando le spalle di fronte a tale ovvietà.
 
Ella poteva ben capirlo, considerando quello che aveva dovuto passare per laurearsi alla triennale entro i tempi giusti.
 
Un altro inferno si era aggiunto a quello che stava già vivendo in quel periodo, eppure questo non l'aveva fermata.
 
«Non nego di provare impulsi di rabbia distruttiva ogni volta che apro il computer per provare a scrivere qualcosa, ma non è il motivo per cui ho insistito nell'accompagnarti. Mi dispiace»
 
La realtà era che aveva semplicemente unito l'utile al dilettevole ed entrambi lo sapevano.
 
«Allora è il caso che io riveda le mie capacità deduttive da Sherlock Holmes»
 
«Non ti scoraggiare, stavi andando bene all'inizio. Hai solo bisogno di affinare la tecnica» rispose Lorenzo, mentre inseriva la retromarcia per fare manovra di parcheggio.
 
«Dal momento che sei così gentile e disponibile ti userò come cavia. Sofia è esaurita per quanto l'ho sfruttata. Ci divertiremo, forse io più di te, ma questi sono dettagli trascurabili.»
 
Sebbene fossero arrivati, Ella stava cercando in tutti i modi di prolungare quell'inutile dialogo per ritardare il momento in cui sarebbe dovuta entrare in quella che aveva tutto l'aspetto di una gabbia per leoni.
 
Sicuramente le sue iperboli erano dettate dall'ansia, non aveva cambiato idea, eppure per una persona come lei, che aveva bisogno del controllo per sentirsi sicura e protetta, affrontare nuove esperienze andando incontro all'ignoto era terrificante.
 
Era certa quella paura fosse positiva, perché immetteva in circolo l'adrenalina necessaria per sfruttare al massimo tutte le sue capacità, come accadeva prima di un esame, anche se credeva che la similitudine più appropriata sarebbe stata quella di un marinaio che cercava di tenere a galla un'imbarcazione durante una tempesta nel bel mezzo dell'oceano.
 
«Cancella quell'espressione terrorizzata dal tuo viso e scendi da questa macchina prima che ti spinga fuori.»
 
«Ma quanta violenza, dovresti fare un po' di terapia per il controllo della rabbia» commentò con tono provocatorio, mentre apriva la portiera.
 
«Ella...»
 
«Va bene, vado. Ci vediamo tra poco.»
 
«Buona fortuna.»

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 Dopo essere scesa dalla macchina, si incamminò in direzione del locale, che si trovava a pochi passi da dove Lorenzo aveva parcheggiato, sullo stesso lato della strada.
 
Giunta a destinazione, si fermò qualche istante sul marciapiede a osservare la struttura nel suo complesso.
 
Dal piccolo davanzale, che si affacciava sopra la Steak-house, poteva ammirare cascate di fiori viola che donavano un aspetto fiabesco. Questi coprivano appena il bordo superiore, incorniciando l'insegna, che si prolungava per tutta la lunghezza della facciata esterna.
 
La scritta d'orata era leggermente in rilievo rispetto al fondo su cui era stata infissa. Ai lati opposti erano stati posizionati due lampioncini da parete e da ognuno di essi pendevano tre catene in metallo che reggevano sospese una fioriera di coccio marrone scuro da cui ricadevano i medesimi fiori del balcone.
 
Da questo dettaglio Ella poté intuire che, probabilmente, l'interno si articolava su due piani.
 
Il legno di ciliegio era stato accuratamente lavorato per la realizzazione dell'esterno e dell'interno, da come riusciva a intravedere dalle vetrate che le consentivano una discreta visuale.
 
Inspirò profondamente, gonfiando il petto fino a quando le fu possibile, un gesto che le infondeva coraggio e maggiore sicurezza per affrontare queste situazioni così imprevedibili.
 
Provando ad aprire la porta d'ingresso, capì che quello sarebbe stato il primo ostacolo da superare e più ci pensava più non riusciva a capire perché le rendevano la vita impossibile ovunque andasse. Ella, spingendo con maggiore decisione, notò che la porta si muoveva come se non avesse il chiavistello che bloccava l'anta più piccola al pavimento, tuttavia, considerando la scarsa quantità di forza che era in grado di esercitare con le braccia, non riuscì ad aprirla.
 
All'interno doveva esserci qualcuno, così si spostò sul lato sinistro e, poggiando a coppa entrambe le mani sulla vetrata, accostò il volto fin quando i riflessi del sole non le intralciarono più la visuale.
 
In quell'esatto momento la porta, che tanto l'aveva fatta innervosire, fu aperta con una facilità che parve prenderla in giro.
 
Mentre si domandava quali problemi potesse avere per sentirsi derisa da un oggetto inanimato, un uomo di mezza età comparve sull'uscio, scrutandola con attenzione.
 
«Buongiorno. Lei è il signor Massimiliano Russo?» chiese Ella, ritrovando la sua voce nel poco coraggio che ancora non era stato asfaltato dagli ultimi cinque minuti di lotta feroce.
 
«Si. Tu sei?» il suo sguardo era sospettoso perché, giustamente, le tre del pomeriggio non erano un orario adeguato per decidere di andare a mangiare in un pub.
 
«Leila Castaldo. Ho un colloquio per il posto di lavoro.»
 
Dall'espressione assunta, dopo aver ascoltato la risposta alla sua domanda, Ella intuì che doveva aver riportato alla luce il ricordo dell'appuntamento che aveva in programma.
 
«Certo. Tu devi essere l'amica di Luca. Seguimi, da questa parte» disse, per poi incamminarsi all'interno del locale.
 
L'interno rispecchiava lo stesso stile rustico dell'esterno, in più si respirava un odore di legno e carne arrostita. Il senso di disagio, che aveva tormentato Ella per tutta la mattinata, sparì solo per essere sostituito dal calore familiare che, a volte, nemmeno la propria casa riusciva a trasmettere.
 
Guardandosi intorno, rimase colpita dal piano rialzato su cui si trovavano due tavoli in corrispondenza delle vetrate separate al centro dal bar, mentre attorno al bancone erano stati disposti degli sgabelli per chi era interessato solo a prendere un drink.
 
Il restante spazio della sala era arredato con tavoli circondati da sedie di legno o da divanetti in pelle marrone.
 
Il tutto era reso accogliente da semplici lampadine che pendevano dalle travi in legno del soffitto e diffondevano una luce calda e tenue.
 
«Volevo ringraziarla per essere stato così disponibile» disse Ella, prendendo posto in uno dei divanetti.
 
«Puoi chiamarmi Massimiliano. In ogni caso, abbiamo aperto da poco, il personale non è al completo, quindi non avevo motivo di negarti l'opportunità.»
 
Da come si stava ponendo nei suoi confronti, sembrava essere cordiale e disponibile, dialogare con colui che avrebbe dovuto assumerla la stava facendo sentire meno in soggezione di quanto avesse immaginato.
 
«Capisco.» In attesa che le ponesse qualche domanda, Ella si limitò a osservarlo con attenzione.
 
Le radici castane dei suoi capelli stavano diventando bianche, così come la sua barba. Tre piccole rughe contornavano gli angoli esterni degli occhi, le cui iridi erano di un marrone piuttosto chiaro che sembravano avere delle striature verdi, ma probabilmente era solo il risultato del riflesso della luce delle lampadine.
 
«Dimmi qualcosa di te. Luca mi ha accennato che frequenti l'università.» Dopo questa affermazione, fu chiaro a Ella il motivo per cui Luca e Lorenzo fossero amici, a quanto pareva a entrambi piaceva molto parlare.
 
Fu facile da intuire il perché avesse riferito qualcosa su di lei, di certo non poteva accordare un colloquio a chiunque. Ella non poté fare a meno di chiedersi in quale modo avesse infiocchettato la sua personalità.
 
«Si. Mi sono trasferita a Roma da circa una settimana e questa mattina ho iniziato il prima anno di magistrale in psicologia.»
 
«Se non sei di queste parti, dove sei cresciuta?»
 
«Castellammare di stabia, provincia di Napoli.» Pensarci le faceva provare una leggera malinconia. Una delle cose che più le mancava era l'odore di salsedine e il rumore delle onde quando passeggiava sul lungomare, con il Vesuvio sullo sfondo.
 
Specialmente al tramonto, quando si ammirava quel panorama si doveva necessariamente credere nell'esistenza di una forza inconoscibile e l'uomo non poteva fare altro che arrendersi a essa.
 
«Si, la conosco bene. Anche io sono nato e cresciuto lì, però mia moglie è di Roma quindi, dopo il matrimonio, mi sono trasferito. Tu, invece, perché hai deciso di cambiare città?»
 
«Avevo bisogno di trovare la mia strada, responsabilizzarmi, essere più indipendente. L'idea è quella di mettere la mia vita in prospettiva.»
 
«E un modo per farlo è iniziare a lavorare.» Dalle risposte di Massimiliano, Ella sentiva che realmente comprendesse le sue motivazioni, dava la sensazione di anticipare ciò che volesse dire, come se avesse già inquadrato chi fosse e come ragionasse.
 
«Esatto. Anche se i miei genitori sono disposti a pagarmi le spese, non voglio lo facciano.»
 
«Perché?»
 
«Per gli stessi motivi. È inutile traferirsi per ricominciare se poi mi appoggio completamente alla mia famiglia. Certo, mi aiuteranno, ma sento comunque la necessità di contribuire.» Nessuno le avrebbe mai fatto cambiare opinione, era sempre stata così sin da piccola, testarda, ma solo in ciò in cui credeva con tutta sé stessa. Era ragionevole anche nel suo essere cocciuta.
 
«Sei una ragazza decisa» constatò Massimiliano, con un tono piuttosto compiaciuto.
 
«Si, ma non sempre è abbastanza, specialmente se si tratta di trovare un lavoro part-time.»
 
Ella provò a indirizzare il discorso verso l'argomento che le interessava. Nonostante la tranquillità con cui stavano dialogando, le sembrava di essere seduta su una superficie cosparsa di spilli, non aveva mai avuto la schiena così diritta e una postura così rigida come in quel momento.
 
«Posso immaginare. Tutti ci siamo passati almeno una volta nella vita, ma le porte in faccia servono.»
 
Quella frase circostanziale le faceva storcere il naso ogni volta che qualcuno la pronunciava, che fosse indirizzata a lei o a qualcun altro. Le considerava espressioni illusorie che le persone si creavano per non accettare la realtà del fallimento, ma i fatti erano altri, perché chi si vedeva chiusa a chiave una porta non aveva nessuna certezza che glie se ne aprisse una migliore, magari con maggiore facilità.
 
Alle persone serviva speranza, così come a Ella, ma l'unica cosa che gliela dava era credere in sé stessa e per farlo non aveva bisogno di quel tipo di motivazione.
 
«Credo si dica così solo per sentirsi meglio» ammise, infine, con estrema sincerità e trasparenza.
 
«Ed è così sbagliato?»
 
«No. Può essere sufficiente per motivarti, ma, a mio avviso, non è necessario farne un abuso.»
 
«Mi piace il tuo modo di ragionare.»
 
Ella non sapeva esattamente cosa rispondere alla sua affermazione, così decise di colmare gli istanti di silenzio limitandosi a sorridere gentilmente.
 
«Dunque, passiamo alle cose importanti» intervenne Massimiliano, schiarendosi la voce «Hai avuto altre esperienze lavorative?» chiese.
 
«No. Questo è un altro motivo per cui ho avuto difficoltà e altre porte chiuse. La maggior parte cercano personale qualificato e non possono essere biasimati.»
 
«Non credo sarà un problema. Dalle tue risposte ho notato la tua genuina determinazione, una qualità da non sottovalutare. Anche se sei alle prime armi, hai tutte le capacità e la volontà giusta per apprendere velocemente.»
 
La sua risposta la rincuorò, tuttavia il timore che da un momento all'altro spuntasse un "ma" non la abbandonava.
 
«La ringrazio per la fiducia.»
 
«Secondo te, quale sarebbe un tuo eventuale punto debole su cui lavorare?»
 
L'espressione di Ella fece trasparire la sua sorpresa, poiché non si aspettava una domanda del genere, sebbene ne avesse immaginate molte.
 
Comunque non le fu difficile trovare la risposta perché, nonostante fosse una persona che si sforzava nel controllare sé stessa e gli altri, ciò che la faceva vacillare era chi cercava, anche inconsapevolmente, di minare questa sua attitudine.
 
«Credo la scarsa tolleranza della maleducazione, non sono molto paziente. In questo ambiente, essendo in contatto con molte persone, dovrò cercare di contenermi più di quanto già non faccia, per evitare di rispondere in modo sgarbato.»
 
«Determinati comportamenti non piacciono a nessuno. L'atteggiamento da assumere dipende sempre dal livello di maleducazione.»
 
Quell'uomo aveva appena trasformato un suo difetto, in un aspetto accettabile della sua personalità.
 
«Anche se mi spazientisco, non tendo mai a esagerare altrimenti non sarei migliore di loro.»
 
«Hai solo bisogno di pratica e capirai da sola come gestire determinati soggetti. Tutti abbiamo avuto il desiderio di insultare qualcuno particolarmente ignorante.»
 
«So affrontare le situazioni stressanti e se decido di impegnarmi in qualcosa, cerco sempre di esprimermi al meglio delle mie possibilità.»
 
«Anche se si tratta di un semplice lavoro di cameriera?» Ella ebbe il sentore che dalla risposta a quella domanda sarebbe dipeso il giudizio finale, forse un'idea un po' catastrofica, ma del tutto possibile.
 
«Mi permetterà di pagare l'affitto e, pertanto, meriterà tutto il mio rispetto e i miei sforzi.» Alla fine non fu nulla di molto articolato o profondo, era solo ciò che quell'impiego avrebbe rappresentato per lei.
 
«Per il momento mi basta. Iniziamo con un periodo di prova e vediamo come te la cavi.» Quell'affermazione risuonò nell'aria con forza e arrivò alle orecchie di Ella con così tanta prepotenza, che si mosse per la sorpresa per la prima volta da quando si era seduta.
 
Gli spilli erano spariti e poté, finalmente, rilasciare l'aria che le parve essere la stessa che aveva inspirato prima di entrare nel pub.
 
«Questi sono i tuoi orari. Domenica e giovedì sono di riposo, mentre gli altri giorni il turno serale, dalle sette e mezza all'una e mezza circa. Inizi domani sera. Hai domande?»
 
Ella era così stordita dalla notizia che non riusciva a pensare a niente che non fosse il fatto di aver appena ottenuto ciò che desiderava.
 
Era solo un periodo di prova, ma questo non la spaventava poiché credeva nelle sue capacità e nella sua determinazione a dare il meglio di sé in ogni situazione.
 
«Non al momento» rispose, alla fine.
 
«Vieni, ti faccio vedere gli spogliatoi.» Massimiliano si alzò dal divanetto, sorridendole benevolmente, come se avesse intuito cosa Ella stesse provando.
 
D'altronde chiunque avrebbe potuto leggerle in viso i suoi pensieri senza esercitare il minimo sforzo.
 
Dopo aver attraversato la sala, svoltarono in fondo a sinistra, immettendosi in un corridoio di grandezza sufficiente perché vi potessero camminare due persone l'una accanto all'altra.
 
«Le scale alla tua sinistra portano al secondo piano, dove è allestita una seconda sala, che è più piccola rispetto a quella al primo piano» le spiegò, indicando delle scale a chiocciola. A livello estetico erano la tipologia che Ella aveva sempre preferito, ma praticamente non le trovava molto comode, forse perché aveva sempre il terrore di inciampare a ogni passo. «Da questo lato, invece, ci sono i bagni» riprese, dirigendosi all'interno.
 
Ad attirare la sua attenzione fu un'altra porta, situata al centro tra le due toilette divise per genere.
 
«Questa stanza è accessibile solo al personale» disse, inserendo una chiave per aprire la porta e, dopo averla sfilata dalla toppa, la porse a Ella «Ecco, la tua copia. Cerca di non perderla, ne ho solo un'altra di riserva.»
 
Ella girò lentamente su sé stessa per osservare la suddivisione dello spazio. Gli armadietti erano dieci, ma solo sui primi sei era stata applicata una striscia di scotch di carta con sopra scritto il nome della persona a cui apparteneva.
 
Al centro della stanza era posizionata una panca in legno scuro, utile per avere un appoggio quando ci si doveva cambiare.
 
«Non è molto grande, ma per quello che serve è abbastanza. Questo sarà il tuo armadietto, devo ricordarmi di portare la tua divisa e la targhetta con il nome entro domani» la informò Massimiliano, indicandone uno privo di nominativo.
 
«In realtà, è più di quanto immaginassi. Questo locale è davvero stupendo.» Ella, che fino a quel momento non aveva proferito parola, si riscosse dallo stato di trance in cui era precipitata.
 
«Ti ringrazio» rispose sorridendole, mentre si avviava verso la porta da cui erano entrati. «Allora, il tuo compito sarà prendere le ordinazioni ai tavoli e portarle in cucina, che è da questa parte.» Seguendo Massimiliano fuori dal bagno, si diressero nuovamente verso la sala, proseguendo diritto per addentrarsi nell'altro lato del corridoio. «Quando è pronto, naturalmente, andrai a prendere le portate e le servirai ai tavoli. Considerando che non hai dimestichezza con il servizio, ti consiglio di portare due piatti alla volta, almeno all'inizio. È solo questione di abitudine e di equilibrio, imparerai in fretta.»
 
Il bancone su cui avrebbe dovuto poggiare le comande era di acciaio, esattamente come ogni superficie di quella cucina abbastanza spaziosa.
 
«Farò del mio meglio per non combinare disastri. A meno che qualcuno non mi urti, non dovrei avere particolari problemi.» affermò con sicurezza.
 
«In ogni caso non preoccuparti, può capitare a tutti di rovesciare qualcosa.»
 
Nonostante questa rassicurazione, di cui non dubitava, non si sentiva particolarmente sollevata, perché non era una giustificazione su cui adagiarsi per essere negligente e meno attenta.
 
«Con te, al servizio, ci saranno altri quattro camerieri, in più il barman che preparerà i drink ordinati dai clienti. In questo caso, ti conviene annotare le due comande con il numero assegnato su fogli diversi, per evitare confusione. Ognuno di voi si occuperà di tavoli, domani sera ti mostrerò quali dovrai servire.»
 
Mentre le spiegava il suo ruolo nel dettaglio, ritornarono nella sala principale, dirigendosi verso l'uscita.
 
«Il lato positivo dell'essere una studentessa è che ho la mente allenata per ricordare più informazioni. Su questo può stare tranquillo.»
 
«Bene, suppongo di averti detto ogni cosa, ma nel caso ti sorgessero dei dubbi potrai chiedere ai ragazzi o a me, domani.»
 
«Grazie. È stato davvero molto gentile e disponibile.» Ella si asciugò i palmi delle mani sulla parte alta del suo pantalone nero, poiché erano davvero troppo sudate e appiccicose.
 
«Se quanto mi hai detto è vero, non ho dubbi che farai del tuo meglio.» Massimiliano allungò la mano che Ella strinse, per salutarlo.
 
«Arrivederla.»
 
Uscita dal locale, si diresse a grandi passi verso la macchina, dove Lorenzo la stava aspettando.
 
«Allora?» chiese il ragazzo con impazienza, non appena Ella aprì la portiera.
 
Rimase in silenzio, con finta espressione contrita, a osservare lo sguardo luminoso e speranzoso di Lorenzo. Nel momento esatto in cui il suo volto si dipinse di tristezza, Ella allungò le braccia, tracciando con le mani, dall'alto in basso, i contorni della sua figura.
 
«Fai le tue congratulazioni alla migliore futura cameriera del pianeta terra» annunciò a gran voce, con un sorriso che avrebbe potuto illuminare tutta la città.
 
«Sapevo che ce l'avresti fatta» esclamò Lorenzo, contagiato dall'entusiasmo di Ella, che sembrava aumentare di secondo in secondo.
 
«Bugiardo.» La risata che seguì quell'affermazione era piena di tutta l'ansia e la preoccupazione che l'avevano resa schiava e che adesso stava rilasciando, perché in lei c'era spazio solo per la felicità.
 
«So quanto significasse per te.»
 
A causa dello stretto spazio in cui si trovavano, Lorenzo non poteva abbracciarla per congratularsi come avrebbe voluto, così si limitò a poggiare la mano sulla gamba di Ella, stringendola leggermente. Un semplice gesto che però, si augurò, potesse trasmetterle tutta la sua genuina soddisfazione.
 
«Sembra tutto così irreale.»
 
Nonostante le guance le facessero male, Ella non riusciva a smettere di sorridere.
 
«Che intendi?» chiese Lorenzo, mentre metteva in moto la macchina.
 
«Quello che è accaduto negli ultimi due mesi. Tutto ciò che volevo, tutto ciò per cui ho lottato l'ho ottenuto.»
 
Per Ella, quello era un traguardo importante perché avrebbe potuto dimostrare a sé stessa di poter essere indipendente non solo nel suo ideale fantastico, ma anche nel mondo reale.
 
«A volte, quando ti guardo, mi capita di ricordare quella ragazza di sedici anni che si vergognava di incrociare il mio sguardo quando mi salutava o che, quando veniva a casa, si faceva accompagnare da mia sorella al bagno perché non aveva il coraggio di bussare per vedere se fosse libero.»
 
Ella rise di cuore, dopo aver ascoltato quella che poteva essere considerata la più accurata descrizione della vecchia versione di sé.
 
Sembravano trascorsi secoli, invece erano solo cinque anni dal momento in cui si rese conto che la sua eccessiva introversione era un aspetto da cambiare radicalmente. Aveva una voce, aveva dei pensieri e doveva farsi ascoltare, si sarebbe imposta e avrebbe lasciato andare chi non sarebbe stato disposto ad accettarla.
 
«Hai davvero bei ricordi di me.»
 
«Per quanto mi piacesse la tua timidezza, devo ammettere che questo tuo lato combattivo e sfacciato è decisamente più interessante.»
 
«Sono cresciuta, ma, anche se posso tranquillamente guardarti negli occhi, mi infastidisce ancora lo sguardo di chi non conosco su di me.»
 
Alcune situazioni ancora le provocavano imbarazzo, era normale ed era giusto, perché anche quello faceva parte di lei, ciò nonostante bastava solo qualche minuto in più di assestamento affinché ritornasse la solita Ella sfacciata.
 
«Cosa è cambiato?»
 
«Prima abbassavo la testa credendo che bastasse, poi ho imparato che mostrare le proprie debolezze non fa altro che amplificarle, per cui adesso preferisco guardare chi mi parla dritto negli occhi fino a far provare loro disagio, così saranno gli altri a distogliere lo sguardo.»
 
La risposta di Ella fu seguita da un silenzio riempito dal suono proveniente dal mondo circostante, ottuso dalle pareti dell'abitacolo, che li isolava dall'esterno.
 
«Posso farti una domanda?» chiese Lorenzo.
 
«Certo.»
 
«Se sai cosa si prova a sentirsi a disagio, perché ti diverte mettere gli altri in soggezione?»
 
Il suo incubo peggiore prese forma da quelle parole, la paura che il suo modo di fare potesse infastidire coloro che l'avevano sempre accettata così com'era senza pretendere che cambiasse si materializzò d'avanti ai suoi occhi, spaventandola.
 
Temeva di porre la domanda che le avrebbe potuto risolvere il dubbio, perché la risposta non sarebbe potuta essere quella che sperava.
 
«Intendi con voi?»
 
«No. Ci conosci da anni, sai che le tue battute non ci infastidiscono, al contrario ci strappi sempre un sorriso. Mi riferisco agli altri.»
 
Il terrore che in tutto quel tempo l'avessero semplicemente tollerata come persona, fu sostituito dal sollievo.
 
«Con chi non conosco abbastanza bene mi comporto in questo modo solo se la persona che ho di fronte ha atteggiamenti nei miei o altrui confronti che non mi piacciono o che non sono giusti. In questo caso so essere molto più cattiva di quanto pensi, perché la mancanza di rispetto è l'aspetto che più di ogni altra cosa non riesco a tollerare. Il divertimento è una conseguenza, non la causa.»
 
Ella traeva sempre una dose di profonda gratificazione nel mettere in difficoltà chi se lo meritava, che pensassero esagerasse, che fosse sbagliato non le sarebbe importato fino a quando lei non avesse continuato a sentirsi nel giusto.
 
«Quindi c'è una logica dietro la tua follia.»
 
«Sempre. Non faccio mai nulla senza una motivazione ben precisa.»
 
Nonostante il momento idilliaco, Ella aveva i piedi ben piantati a terra, tanto da riuscire a intravedere all'orizzonte un enorme quanto importante problema da risolvere il più presto possibile.
 
«Tralasciando questi emozionanti discorsi introspettivi. Houston, abbiamo un problema!»
 
«Possibile che non riesci a goderti un momento?» chiese Lorenzo, voltandosi un istante verso di lei.
 
«Potrò farlo dopo aver risolto questo dettaglio.»
 
«Ovvero?»
 
«Ho il turno cinque volte a settimana dalle sette e mezza all'una, considerando che la metro ad un certo orario chiude, non vorrei dover tornare a piedi nel mezzo della notte. Fosse stato breve il tragitto non ci sarebbero stati problemi, ma camminare da sola al buio per venti minuti non mi sembra il caso.»
 
Il solo pensare a quella prospettiva le provocava brividi di freddo, perché il mondo in cui vivevano non era ancora pronto ad accogliere con sicurezza una donna che tornava a casa a tarda ora ed Ella sarebbe stata troppo ingenua a credere il contrario.
 
«Assolutamente. Infatti, avevo pensato che potresti andare con la mia macchina.»
 
Udire la proposta di Lorenzo, la fece voltare di scatto verso di lui.
 
«Davvero?» chiese, palesando tutto il suo ritrovato entusiasmo.
 
«Si. I miei turni di lavoro sono quattro volte a settimana a pranzo, quindi non coincidono con i tuoi.»
 
«Se te li dovessero cambiare?»
 
«Ci penseremo quando succederà, è inutile farlo adesso.»
 
Più Lorenzo tentava di tranquillizzare Ella, proponendole una soluzione, più le sorgevano ulteriori dubbi che le causavano preoccupazione.
 
«Sicuramente vorrete uscire il venerdì o il sabato sera? Non posso togliervi la macchina.»
 
«Luca ha la sua e lo stesso Cristina. Adesso capisco il motivo di tutte le volte in cui Sofia ti dava della maniaca del controllo. Ella, sta tranquilla.»
 
«Benvenuto nel mio mondo» commentò, allargando le braccia.
 
«Pensa ad avvisare tutti, così ti distrai e la smetti di pensare» la incitò Lorenzo, indicandole lo zainetto nero in cui, presumibilmente, aveva riposto il cellulare.
 
«Sì, signor capitano» rispose Ella, portando rapidamente e rigidamente alla fronte la mano destra, imitando discretamente il saluto militare.
 
«Davvero? Spongbob?» chiese Lorenzo, sorridendo.
 
«Che ci vuoi fare, sono un'eterna bambina.»
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Marzo 2020
 
Le porte si chiusero appena prima che Ella riuscisse a salire sul treno.
 
Vivendo questa scena le sembrò di essere stata catapultata direttamente nel film "Sliding doors".
 
Se solo fosse arrivata un paio di secondi prima, adesso non avrebbe dovuto aspettare la seconda corsa che sarebbe passata, all'incirca, tra quindici minuti.
 
Non poté fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se, al contrario di quanto accaduto, fosse riuscita a prendere la metro che aveva perso.
 
Sicuramente sarebbe giunta prima a casa e avrebbe avuto più tempo per riposarsi, rimettersi sui libri o, magari, guardare un film.
 
Le opzioni tra cui scegliere erano parecchie, ma, evidentemente, qualcuno aveva deciso che avrebbe potuto sopravvivere anche senza quel quarto d'ora.
 
Non avendo di meglio da fare se non aspettare, si sedette su una delle sedie vuote.
 
Piegò la testa all'indietro, quel tanto che bastava affinché la potesse poggiare sulle piastrelle scure che ricoprivano la parete dietro di lei
 
Chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un sospiro che la svuotò di tutta l'aria che riempiva i suoi polmoni.
 
Si curvò in sé stessa, accasciandosi come se fosse un peso morto.
 
Il mal di testa, causato dalla pesantezza della mattinata in università, stava iniziando a farsi sentire.
 
Per quanto si sforzasse, era difficile non pensare al fatto che la giornata non fosse ancora finita, perché quella sera avrebbe dovuto lavorare.
 
Doveva ammettere di essersi dimostrata più capace di quanto pensasse nel rapportarsi con i clienti e nel gestire le situazioni cariche di pressione che si verificavano, generalmente, nel fine settimana, quando il locale era molto più affollato delle altre sere.
 
L'impressione positiva che Ella aveva avuto su Massimiliano si era rivelata giusta e, una volta terminato il periodo di prova, si era complimentato per il lavoro svolto assumendola a tempo indeterminato.
 
Nonostante ciò, non osava immaginare in che condizioni sarebbe tornata dopo la fine del turno.
 
Lamentarsi non avrebbe cambiato la situazione, ma, sebbene la stanchezza fosse insopportabile, tenersi impegnata sia fisicamente che mentalmente, non solo la distraeva e la faceva sentire più utile, ma, ultimamente, aveva reso possibile ciò che aveva sempre considerato impossibile: tra lavoro e studio si addormentava quasi senza nessun problema.
 
Si ricompose e, guardandosi intorno, notò che le persone stavano iniziando ad arrivare, affollando la banchina.
 
Un rumore forte e assordante la riportò alla realtà.
 
La metro era in dirittura d'arrivo.
 
Il vento provocato dalla velocità con cui il tunnel veniva percorso, muoveva leggermente i suoi capelli ricci e disordinati a causa dell'umidità.
 
Entrò nel treno e, poiché i posti erano tutti occupati, si posizionò nell'angolo destro tra il corrimano e le porte.
 
L'aria satura di polvere si stava riempiendo di respiri, profumi, parole e cattivi odori.
 
Non soffriva gli spazi chiusi, però il senso di oppressione che trasmetteva la metropolitana era insopportabile.
 
Era davvero un posto incantevole, in particolar modo se si cercava una morte lenta e dolorosa, ma, soprattutto, nauseante.
 
La nota che rendeva il tutto più sopportabile, era la possibilità di impicciarsi delle vite degli altri.
 
In ognuno di loro si nascondeva una miriade di emozioni: felicità, tristezza, ansia, agitazione, rabbia.
 
Erano così tante le cose che si potevano comprendere osservando una persona con attenzione.
 
I dettagli erano la chiave per risolvere qualunque tipologia di problema o enigma, lo aveva imparato leggendo e guardando Sherlock Holmes o il detective Conan.
 
Dopo qualche minuto, ebbe la sensazione che qualcuno la stesse osservando.
 
Provò a guardarsi intorno, scorrendo il suo sguardo su tutti coloro che rientravano nel suo campo visivo.
 
Nessuno aveva puntato lo sguardo su di lei, probabilmente lo aveva solo immaginato o aveva visto troppi episodi di Criminal Minds.
 
Ma, a dispetto di ciò che pensava per allontanare da sé quella sensazione, un ragazzo la stava realmente rimirando da lontano.
 
Era in un punto che sfuggiva alla sua visuale, per questo motivo non lo aveva notato.
 
Per chi non la conosceva poteva sembrava una ragazza come tante, in piedi, con le spalle appoggiate alla parete dietro di lei, per mantenersi in equilibrio.
 
Se ne stava con le mani nelle tasche del suo pantalone a vita alta, in attesa della sua fermata.
 
Il suo sguardo era rivolto a qualcosa che sembrava esageratamente distante perché potesse essere raggiunto.
 
Era troppo sola per poter parlare e non aveva la musica con sé.
 
Una ragazza che si confondeva in quella palude piena di persone che oscillavano e si schiacciavano per trovare un po' di spazio, eppure lei non si muoveva.
 
Ferma e curiosa spostava la sua attenzione su tutti i presenti, ascoltando le conversazioni con sfacciataggine.
 
Non le importava che qualcuno potesse scoprirla, aveva solo bisogno di comprendere le vite altrui, di scoprire cosa si nascondesse dietro quella realtà che considerava tanto scontata.
 
Forse cinque anni fa era una ragazza come tante.
 
Quando aveva paura anche solo di alzare lo sguardo dal pavimento per scoprire che il mondo non era come l'aveva immaginato.
 
Quando non parlava, non urlava, non mostrava la sua rabbia.
 
Quando ancora non sapeva chi fosse e cosa volesse.
 
Lui conosceva quella ragazza invisibile che rimaneva in silenzio ad ascoltare.
 
Forse l'ultima volta che si erano visti era una ragazza come tante, ma adesso stentava a riconoscerla, eppure non aveva mai smesso di amarla.
 
L'aveva pensata spesso in quegli anni.
 
All'inizio era un tormento, la vedeva in ogni angolo, in ogni ciocca scura, nell'azzurro del cielo, nel profumo orientale che da sempre l'aveva contraddistinta, ma, con il tempo, il suo ricordo era diventato sempre più sbiadito, sempre più lontano.
 
Non avrebbe mai voluto dimenticarla, ma l'idea che, molto presto, di lei non sarebbe rimasto più nulla, lo spingeva a bramare il fantasma che lo aveva perseguitato per i primi anni.
 
Non avrebbe potuto arrestare il corso degli eventi, perciò accadde.
 
Fu accantonata in un angolino del suo cuore, diventando un pensiero nostalgico e dal sapore amaro del rimpianto a cui non avrebbe potuto porre rimedio.
 
A volte si dannava ancora per averla lasciata andare senza aver fatto nulla per tenerla con sé, anche a distanza.
 
A diciassette anni si era sentito sopraffatto da quel sentimento così nuovo, che non aveva mai provato per nessun'altra.
 
Avrebbe voluto mostrarglielo, ma temeva di ferirla.
 
L'aveva sempre vista come una ragazza fragile, tanto da credere che si sarebbe potuta spezzare se l'avesse guardata troppo.
 
Era così chiusa in sé stessa che era spaventato all'idea che, se avesse fatto un passo troppo audace, avrebbe perso qualunque cosa si stesse creando tra loro.
 
Aveva deciso di accontentarsi.
 
Aveva sbagliato.
 
Nessuno sapeva mai cosa pensasse realmente poiché parlava poco, eppure con lui si era aperta.
 
Tutte le lunghe telefonate scambiate per più di un anno erano state sufficienti per far sì che potesse notare un bagliore di unicità, che lo avrebbe attratto anche a distanza di tempo.
 
Conosceva molte cose di lei, eppure sembrava nulla al fronte di quelle che avrebbe potuto scoprire.
 
Solo ora che l'aveva rivista si rendeva conto di quanto, in realtà, la sua mente non avesse mai smesso di appartenere a lei.
 
Il cuore gli batteva così velocemente da arrecargli dolore in pieno petto.
 
Sudava e tremava.
 
Lei lo disorientava e si stupiva di come riuscisse a generare in lui lo stesso effetto di allora.
 
Il tempo aveva ripreso a scorrere esattamente nel punto in cui era stato interrotto.
 
Spesso, si era ripetuto che se le loro vite avevano preso quella direzione significava che non era mai stato un destino comune il loro.
 
Solo adesso si rendeva conto di quanto quella convinzione fosse patetica, poiché il suo solo scopo era far tacere il dolore.
 
Gli era stata data la possibilità di sostituire il punto, messo ad una storia che sembrava finita ancora prima che iniziasse, con una virgola, tuttavia perse la cognizione dei minuti e successe di nuovo.
 
Il treno si fermò e lui non se ne accorse.
 
Continuava a guardarla senza accennare a muoversi.
 
Per la seconda volta lui la lasciava andare e ogni passo che compiva creava una distanza che, fino a quel momento, credeva sarebbe stata riempita solo dai vecchi ricordi.
 
Avrebbe voluto fermarla per dirle tutte le cose di cui non era mai riuscito a parlare, ma come poteva sperare che lei volesse riallacciare i rapporti.
 
Riprendere ciò che lui aveva interrotto bruscamente.
 
Ripartire dopo che l'aveva lasciata senza più voltarsi indietro.
 
Quante volte era stato divorato dal senso di colpa e quante volte aveva cercato di sotterrarlo.
 
Era bastato il suo sguardo azzurro e limpido a far disseppellire ogni emozione, portandola alla luce.
 
Adesso si ritrovava con un carico ingestibile di sentimenti e, questa volta, non avrebbe potuto ignorarlo nemmeno se avesse voluto.
 
Ella non era capace di odiare, ma sapeva fare dell'indifferenza la sua arma migliore.
 
Forse lo avrebbe ignorato, forse era così cambiata che avrebbe potuto persino aver imparato a portare rancore.
 
Non lo avrebbe saputo fin quando non avesse risposto alla telefonata che era intenzionato a farle, fin quando non avesse udito il suono della sua voce.
 
Aveva paura, ma, questa volta, lui era diverso.
 
Più del suo perdono, voleva darle le spiegazioni che avrebbe meritato molto tempo prima e che adesso suonavano immensamente stupide ed immature.
 
Le voci delle persone che lo circondavano erano lontane, un lieve brusio di sottofondo incorniciava quello che avrebbe potuto essere la raffigurazione perfetta della malinconia.
 
La vide scendere a Piramide
 
Era la sua fermata.
 
Ella si incamminò, senza voltarsi indietro, senza sapere che se avesse guardato un po' più in là lo avrebbe intravisto e, in cuor suo, sperava non si fosse dimenticata di lui.
 
Quando risalì in superficie poté riprendere a respirare a pieni polmoni un'aria che, per quanto inquinata, era sicuramente più pulita di quella presente nella metro.
 
A coronare quel momento fu l'acquazzone che il cielo aveva deciso di scatenare su di lei.
 
Senza ombrello e senza alcuna voglia di aspettare che spiovesse, chiuse la cerniera del giubbotto fin sotto il mento e iniziò a correre sotto la pioggia.
 
In ogni caso, una volta arrivata a casa, si sarebbe fatta una doccia per ripulirsi da quella lunga mattinata e per prepararsi all'interminabile serata, quindi un po' di acqua non sarebbe stata una catastrofe.
 
Anche se i suoi capelli erano già intrisi, cercò, comunque, di camminare sotto i balconi dei palazzi, qualora ce ne fossero.
 
Non che avesse molto senso, ma le dava l'idea di non essere un caso totalmente disperato.
 
Prima di aprire la porta dell'appartamento si tolse il giubbotto, le scarpe e i calzini per provare ad eliminare l'acqua in eccesso, in modo da non allagare tutta la casa.
 
Entrata in cucina, vide Lorenzo e Sofia concentrati a studiare. Il tavolo era così pieno di libri, quaderni e fogli che non si riusciva a vedere più il colore della sua superficie.
 
Non si erano nemmeno accorti della sua presenza.
 
«La cucina si è trasformata in una biblioteca?» chiese entrando nella stanza.
 
Il suono della sua voce indusse Lorenzo e Sofia ad alzare lo sguardo, per rivolgerlo su di lei.
 
«Il tempo non offre molte alternative» rispose Sofia, per poi sbuffare sonoramente e scivolare in avanti sulla sedia, accasciandosi sullo schienale.
 
«Mi state facendo quasi venire voglia di unirmi a voi.» Ella si avvicinò al tavolo e, nonostante avesse cercato di non bagnare il pavimento, le gocce di acqua stavano inevitabilmente cadendo.
 
«Ti hanno buttato in piscina prima di tornare a casa?» chiese Lorenzo, inarcando un sopracciglio, mentre la osservava dall'alto verso il basso.
 
Si stava sforzando nel trattenere le risate, però ogni tentativo fu completamente inutile.
 
Era difficile rimanere impassibili davanti a quella scena, sembrava un pulcino bagnato e le donava un aspetto tenero.
 
«Che simpatico. Guarda quanto mi fa ridere la tua battuta.»
 
«Ella e gli ombrelli non hanno un buon rapporto. Anche se la notizia non dovrebbe stupirti, dal momento che è in costante conflitto con tutto e tutti.» Sofia aveva scelto il momento adatto per provare a spiegare con ironia il suo atteggiamento nei confronti dell'universo.
 
Ella la vide alzarsi dalla sedia per poi incamminarsi verso il corridoio.
 
«Oggi è la giornata: tutti contro Ella?» domandò, mentre cercava di allargare il maglioncino che si era attaccato alla schiena. Il giubbotto lo aveva risparmiato, ma adesso i capelli fradici lo stavano bagnando.
 
«Come si fa a litigare con un oggetto?» Lorenzo sembrava confuso, ma allo stesso tempo divertito, poiché era evidente il fatto che stesse cercando di camuffare un sorriso che avrebbe potuto diventare una risata da un momento all'altro.
 
«La nostra è una relazione complicata. Lo dimentico la maggior parte delle volte, ma anche se lo ricordassi non lo porterei perché mi scoccio ed è ingombrante. Insomma, è inutile scorrazzarlo in giro solo nell'eventualità che possa piovere.»
 
«Tu sei matta.» Mentre Lorenzo pronunciava questa accusa, iniziò a ridere ed Ella riuscì a cogliere una forte somiglianza con un tricheco asmatico.
 
«Può darsi. Di solito lo uso solo se quando devo uscire sta già diluviando.»
 
«Non ti lamentare se prima o poi ti verrà una bronchite.» L'amico ritornò serio, guardandola con apprensione.
 
Non era una bambina anche se spesso, per alcuni suoi comportamenti, poteva sembrarlo.
 
Un'affermazione del genere detta dai suoi genitori era comprensibile, ma da Lorenzo era piuttosto irritante, anche se era dettata dalla preoccupazione.
 
«Questa frase te l'ha suggerita mia madre?» Il sarcasmo e la serietà con cui aveva pronunciato quella domanda, fecero vacillare Lorenzo.
 
Dalla sua espressione era intuibile che non sapeva bene come rispondere.
 
Sofia rientrò in cucina con uno straccio per pulire il pavimento e un asciugamano, interrompendo quegli attimi di silenzio.
 
«Tieni. Almeno così non rischi di assorbire tutta l'acqua» disse posandoglielo sulle spalle.
 
Era abbastanza grande da potersi avvolgere dentro come in un bozzolo.
 
«Grazie.» Ella le sorrise riconoscente.
 
Fino a quel momento non si era resa conto di quanto, effettivamente, fosse infreddolita.
 
In ogni caso non temeva si potesse ammalare poiché il suo corpo era abbastanza forte, il massimo che poteva succedere era che prendesse il raffreddore.
 
«Comunque, no. Tutta farina del mio sacco» intervenne Lorenzo, riprendendo il discorso.
 
«Però, devo ammettere che erano belli i tempi in cui, anche se ero senza ombrello, c'era Sofia che lo aveva sempre con sé.» Ella riusciva a passare dal tono più gelido ad uno più scherzoso in una frazione di secondo e, ciò che la divertiva di più, era osservare, con sguardo compiaciuto, lo smarrimento sul volto dei suoi interlocutori.
 
Molto spesso erano così spaesati che impiegavano più tempo del normale nel capire come risponderle.
 
Era difficile riuscire a starle dietro.
 
«Adesso capisco perché siete diventate amiche.»
 
«Secondo te poteva esserci un motivo migliore?» La situazione in cui si trovava era esilarante da qualunque punto di vista la si guardasse.
 
«Per lo meno il karma oggi mi ha vendicato.» Sofia si intromise nel loro dibattito, scuotendo la testa incredula per quell'assurda conversazione.
 
«Meglio che vada a lavarmi. Nemmeno la pioggia è riuscita a lavare via lo schifo che mi si è incollato addosso nella metro.» Ella pose fine al discorso voltando loro le spalle.
 
Entrò nella sua camera per prendere degli indumenti asciutti e, soprattutto, comodi per stare in casa.
 
Si diresse in bagno e, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, iniziò a spogliarsi.
 
Regolò la temperatura dell'acqua e, quando fu abbastanza calda, si infilò sotto il getto del soffione.
 
Solitamente non le piaceva spendere più tempo di quanto effettivamente ne servisse nella doccia perché, spesso, era soggetta ad abbassamenti della pressione se era costretta a stare troppo in piedi e in un ambiente eccessivamente caldo.
 
Nonostante ciò, era uno tra i pochi luoghi in cui riusciva a riflettere in tutta tranquillità e questa volta avrebbe fatto un'eccezione.
 
Ripensò a ciò che era accaduto negli ultimi mesi.
 
Matteo si era fatto sentire relativamente poche volte, anche se per lei rimanevano sempre troppe. Avevano parlato di come procedevano le loro vite e ogni qual volta il discorso prendeva una strada che Ella non gradiva lo troncava salutandolo il più velocemente possibile o ignorando i suoi insistenti messaggi.
 
Dopo circa quindici minuti chiuse l'acqua e, una volta asciugati i capelli, iniziò a vestirsi.
 
Quando fu pronta, posò lo sguardo sul suo riflesso nello specchio, posto sopra il lavandino.
 
Aveva l'aspetto di una ragazza che era appena scappata di casa.
 
I pantaloni della tuta grigi scendevano piuttosto larghi sui fianchi, la maglietta nera aderente la faceva sembrare più magra di quanto non fosse in realtà.
 
Prese il suo spillone per i capelli e appuntò, in modo disordinato, solo le ciocche ricce sul davanti che erano leggermente elettrizzate.
 
Uscì dal bagno e ritornò in cucina.
 
La prima persona su cui il suo sguardo si posò fu Luca, doveva essersi aggiunto al gruppo mentre lei si stava lavando.
 
Era da una settimana che non lo vedeva, perché aveva deciso di ritornare in patria per qualche giorno.
 
Negli ultimi mesi si erano avvicinati molto, diventando buoni amici. Ella non si sentiva più a disagio a parlare di sé in sua presenza, in quanto gli aveva raccontato pressoché tutto sulla sua vita o quantomeno ciò che era necessario conoscere per poter instaurare un rapporto d'amicizia.
 
Era sempre gentile e disponibile come la sera in cui si offrì di aiutarla, ma soprattutto si chiedeva come potesse essere sempre pacato tanto da non averlo mai visto arrabbiato.
 
«Quale peccato avrai commesso in un'altra vita per dover studiare con loro?» chiese Ella, rivelando a tutti la sua presenza.
 
«Sai che stavo iniziando a chiedermelo anche io» rispose Luca, reggendole il gioco.
 
Ella si avvicinò al tavolo e, chinandosi in avanti dal momento che era seduto, posò un bacio delicato e quasi impercettibile sulla sua guancia.
 
«Finalmente sei tornato, avevo terminato per la seconda volta il giro di persone da torturare. Tu hai saltato il turno, devo rimediare» disse Ella, poggiando il fianco destro allo schienale della sedia di Luca.
 
«Sai che se ammettessi semplicemente che ti sono mancato, non ti accadrebbe nulla?» chiese Luca, divertito dall'atteggiamento disinteressato assunto da Ella.
 
«Se lo facessi, non ci sarebbe divertimento e dal momento che sai leggere tra le righe sai anche che mi sei mancato. Non mi piace dire le cose quando gli altri se lo aspettano, ma per questa volta farò un'eccezione.»
 
«Ragazzi, credo di aver appena avuto un'allucinazione.»
 
«Ho la stessa sensazione quando dimostra affetto nei miei confronti» intervenne Lorenzo, appoggiando Luca nel suo finto stupore.
 
«Siete dei pivelli. Ella dimostra sempre affetto solo che voi siete troppo ottusi per cogliere determinate sottigliezze.»
 
«Grazie, Sofia. Quando mi difendi confermi che il mio volerti bene è la scelta migliore che potessi fare.»
 
«Non ci posso credere! L'avete sentita anche voi, vero? Praticamente un miracolo» esclamò l'amica.
 
«Ho creato dei mostri.»
 
«Scherzi a parte. Ti unisci a noi?» chiese Sofia quando la vide sedersi su una delle altre due sedie libere.
 
«Vorrei, ma se non mi riposo almeno un'ora sono sicura che stasera non mi reggerò in piedi e se sforzassi ancora il mio cervello credo potrebbe esplodere. rispose Ella portando gli indici di entrambe le mani sulle tempie.
 
Iniziò un movimento circolatorio nel tentativo di alleviare il dolore, che non cessava di martoriarle la testa.
 
«Ottime argomentazioni.» Lorenzo passò una mano tra i capelli scuri per tirarsi indietro il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi.
 
«Stai entrando troppo nella parte, avvocato.»
 
Dopo essersi laureato a gennaio, aveva iniziato il tirocinio in uno studio legale. Da qualche mese Ella non perdeva occasione per schernirlo in quel modo e, anche se non aveva assolutamente nulla di offensivo, era proprio quella la ragione che lo rendeva divertente.
 
Bastò uno sguardo fulgente per evincere quanto fosse stanco e stressato perché, oltre al praticantato e alle estenuanti sessioni di studio per superare l'esame di stato ed essere ammesso all'albo, era stato costretto a spostare il turno in pizzeria alla sera per poter continuare a lavorare, dal momento che il tirocinio è obbligato per legge solo al rimborso spese, mentre l'effettiva retribuzione è possibile ma non obbligatoria.
 
«Mi stai dichiarando guerra, strizzacervelli?»
 
«Non mi permetterei mai» rispose Ella, trattenendo una risata.
 
«Ella, sono curioso di sapere come sta proseguendo il tuo tentativo di iniziare Lorenzo al mondo del cinema.» La richiesta di Luca, interruppe quello scambio di battute.
 
«Dovevi proprio chiederglielo?» chiese Lorenzo, con tono esasperato.
 
«Sicuro, dato che tu non ne parli.»
 
«Diciamo che è passato dall'addormentarsi dopo cinque minuti dall'inizio di un film a un'ora. Facciamo degli enormi progressi» rispose trattenendo una risata, al ricordo di tutte le volte in cui si era accorta di parlare da sola, dal momento che il suo interlocutore non dava segni di vita mentre Ella gli forniva qualche spiegazione o curiosità sui film che sceglievano di guardare.
 
«Adesso capisco il motivo di tanta segretezza.»
 
«L'altra sera, quando sono tornata a casa, sentivo il suo russare da fuori alla porta» intervenne Sofia tra le risate.
 
«Però devo ammettere che almeno quello è di ottima compagnia. Non manca mai.»
 
«Guarda come si divertono a prendermi in giro. Riparliamone quando avrò superato l'esame e vedremo se non arriverò a conoscere più film di tutti voi messi insieme.»
 
«Se continui di questo passo l'unica cosa riuscirai ad imparare è la velocità con cui riesci ad addormentarti.» Ella non riuscì a trattenersi e iniziò a ridere per la sua stessa battuta.
 
«È colpa della stanchezza e dello stress» si giustificò Lorenzo.
 
«Guarda che noi non ti giudichiamo» affermò Luca, alzando le mani in aria per sottolineare la sua innocenza.
 
«Non ci avrei mai pensato. Ah, prima che mi dimentichi. Hai il turno stasera, giusto?» chiese Lorenzo, cambiando discorso.
 
«Sì, ma posso farmi dare un passaggio al ritorno se stacchi più tardi del solito.» Non sopportava infastidire le persone, per cui in tutto quello che faceva cercava sempre di disturbare il meno possibile, ma camminare per strada, da sola, di notte era decisamente poco raccomandabile.
 
Adesso Lorenzo lavorava tre volte a settimana, ma era riuscito a farsi assegnare almeno due turni nei giorni liberi di Ella, per cui nell'unico in comune si organizzavano come meglio potevano. Anche se gli orari coincidevano, capitava che la avvertisse che avrebbe tardato o, viceversa, che Ella avrebbe staccato prima, in questi casi si faceva dare un passaggio.
 
«Tranquilla. Rimaniamo che ti passo a prendere al ritorno, in caso di imprevisti ti mando un messaggio.» Le rivolse un sorriso gentile.
 
«Perfetto.» Ella incrociò le braccia e spostò lo sguardo dal lato opposto. «È meglio che vada e vi lasci studiare in pace e senza distrazioni. A dopo» disse per poi andarsi a chiudere in camera.
 
Si stese sul letto e, dopo aver chiuso gli occhi, cercò, nella sua mente, un ricordo felice in cui perdersi e trovare la tranquillità di cui aveva bisogno per conciliare il suo sonno.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Era totalmente immersa nel manuale di criminologia quando, con la coda dell’occhio, vide lo schermo del cellulare illuminarsi.
 
Spostò lo sguardo su di esso per leggere il nome del mittente, ma rimase paralizzata quando realizzò che la chiamata proveniva da un numero sconosciuto.
 
Poteva trovarsi chiunque dall’altro capo della linea e non era del tutto sicura di voler scoprire chi fosse, dal momento che, con tutta probabilità, avrebbe potuto trattarsi di Matteo che provava a contattarla da un altro telefono per indurla a rispondere.
 
In questi momenti il suo mondo si fermava e la paura si impossessava di lei, annebbiandole i sensi.
 
Era cresciuta con la convinzione che la libertà fosse ciò che di più prezioso una persona potesse avere.
 
Aveva sempre vissuto nell’illusione che nessuno gliel’avrebbe mai portata via, ma aveva scoperto che se si entrava nel mirino di qualcuno niente avrebbe potuto fermarlo dal distruggerti.
 
Si era insinuato lentamente e quando si era resa conto di cosa stesse accadendo, dopo aver ignorato tutti i segnali, le sensazioni e i dubbi che stavano allarmando la sua mente, era già troppo tardi.
 
Era caduta in trappola e tutto ciò che le era rimasto era il terrore nella sua forma più pura ed elementare.
 
Una risposta incondizionata che si innescava ad ogni stimolo, anche il più banale.
 
Il suono del campanello o del citofono, la suoneria del cellulare, la notifica di un messaggio.
 
Un disturbo da stress che non le permetteva di rilassarsi, che la trascinava allo stremo delle forze fino a impazzire.
 
Continuò ad avere gli occhi puntati sul cellulare senza alcuna intenzione di rispondere.
 
Solo quando vide la notifica che l’avvisava della chiamata persa, riprese a respirare.
 
Si lasciò andare all’indietro sullo schienale della sedia e si passò una mano sul volto come a volersi svegliare da quell’incubo.
 
Sperava con tutta sé stessa che quella sarebbe stata la prima e ultima telefonata proveniente da quel numero.
 
Ritornò con la testa sui libri, concentrando tutta la sua attenzione sul capitolo dedicato alla criminalità organizzata che aveva appena finito di riassumere e schematizzare.
 
Quando si trattava di esami orali e dalle tematiche corpose diventava un amanuense medioevale.
 
Ciò che la rendeva particolarmente orgogliosa era la sua capacità di riuscire a incanalare i problemi e le difficoltà in azioni produttive.
 
Non era mai stata il tipo da piangere sul divano più del necessario, trascorrendo intere giornate a deprimersi e autocommiserarsi.
 
La situazione era quella e stare ferma a fare del vittimismo non l’avrebbe risolta.
 
A maggio dello scorso anno, dopo la rottura con Matteo e le sue conseguenze, non si era seduta ad aspettare.
 
Aveva sofferto, era stata triste, si era arrabbiata, non aveva dormito, eppure non aveva mai messo di lottare per raggiungere lo scopo che si era prefissata da un anno a quella parte.
 
Dare gli ultimi esami e laurearsi.
 
Sapere di avere ancora qualcosa per cui combattere, a cui aggrapparsi l’aveva fatta sentire viva in un momento in cui la speranza della libertà sembrava morta e sepolta.
 
Contò le pagine per valutare quanto tempo avrebbe impiegato a riassumere il capitolo successivo.
 
«Perfetto! Quaranta pagine dovrebbero essere illegali.»
 
Prese l’evidenziatore giallo, posto alla sua destra, e iniziò a sottolineare il primo paragrafo.
 
Dopo qualche minuto vide lo schermo del cellulare illuminarsi nuovamente, per segnalare la seconda chiamata proveniente dallo stesso numero.
 
Si alzò bruscamente dalla sedia, che si sposto di parecchio all’indietro a causa delle rotelle su cui poggiava.
 
Aumentò le distanze dalla scrivania, avvicinandosi alla finestra che dava sulla strada.
 
In quel momento, quell’oggetto incarnava il male del suo mondo.
 
Guardò fuori per spostare la sua attenzione su qualcosa di meno pesante, che potesse distrarla dalla paura che le attanagliava lo stomaco.
 
Erano le dieci di mattina, il sole era alto nel cielo e le nuvole che lo chiazzavano erano poche e ben distanti le une dalle altre, tanto da riuscire a contarle senza difficoltà.
 
La primavera era arrivata e la metteva di buon umore, poiché si trattava del periodo dell’anno che preferiva.
 
Sapeva di calma e di rinascita, tutto ciò che si sforzava, ogni giorno, di raggiungere.
 
Aprì la finestra e si affacciò per respirare a pieni polmoni l’aria fresca.
 
Il quartiere era molto trafficato, sia di macchine che di persone.
 
Vite indaffarate che si incrociavano per le vie della città insieme a colori, profumi, sorrisi.
 
Rimase ancora per qualche minuto a osservare il mondo dall’alto della sua stanza poi, dopo averlo richiuso fuori, ritornò alla sua precedente postazione.
 
Nell’ora successiva non fu ulteriormente interrotta e ciò le permise di giungere a metà di quell’infinito capitolo, ma per la terza volta il cellulare segnava l’ennesima chiamata in entrata.
 
«Adesso basta!» Se fosse stato lui non si sarebbe risparmiata.
 
Non che le altre volte ci fosse andata leggera, però sapeva che si poteva sempre migliorare ed essere più crudeli.
 
«Pronto?»
 
«Ella?»
 
Non era Matteo e bastò questa certezza a farla sospirare di sollievo, ma quella voce sentiva di conoscerla.
 
Il suo corpo e la sua mente lo gridavano a squarciagola, eppure i rumori di sottofondo le impedivano di identificarla.
 
«Sì, sono io. Chi sei?»
 
«Gabriele.»
 
Una parola.
 
Un nome semplice e per molti insignificante.
 
Lo aveva pensato, sognato, si era girata innumerevoli volte in strada, nella metro quando una qualsiasi persona lo pronunciava, nella speranza che appartenesse al volto che lei ricordava.
 
Aveva ascoltato la sua risposta, ma l’informazione che aveva immagazzinato non riusciva a essere correttamente elaborata dal suo cervello.
 
Si era bloccata sulla sedia, con un respiro lasciato in sospeso tra l’incredulo e lo sconvolto.
 
La sua mente era completamente priva di pensieri e l’unica presenza era l’eco di quella voce che si allontanava sempre di più.
 
«Sei ancora lì?»
 
Tre parole che le fecero realizzare di non l’aveva immaginata.
 
Era davvero la sua.
 
Era davvero lui.
 
Si sentiva così stupida per essersi ammutolita in quel modo, per non riuscire a formulare una frase che avesse un senso compiuto.
 
Lasciò che il silenzio incombesse tra di loro ancora per qualche istante.
 
«Sì. Sono solo…» rispose, trovando un briciolo di autocontrollo.
 
«Confusa. Posso immaginarlo.» Non c’era presunzione nella sua affermazione, tuttavia non aveva alcun diritto di pensare di poter capire il dolore che le aveva ingiustamente causato.
 
L’aveva spiazzata, ma non avrebbe continuato a rimanere zitta.
 
Avrebbe sentito ogni parola lei avesse creduto lui meritasse, gliele avrebbe infilate una per una sotto la pelle, come cocci di vetro sparsi sul pavimento che, a ogni passo, vengono spinti in profondità nella carne dal peso del corpo.
 
Questa volta avrebbe fatto in modo da rendere il suo ricordo indelebile, nel bene per lei e nel male per lui.
 
«No, non credo davvero tu possa farlo.» La voce di Ella era fredda e affilata, il suo solo scopo era quello di trafiggere il petto di Gabriele con ogni frase come fosse una lama d’acciaio.
 
Era ancora troppo scossa per provare rabbia e, in ogni caso, non gli avrebbe dato anche questa soddisfazione.
 
Capì di essere riuscita nel suo intendo quando il silenzio ripiombò tra di loro, schiacciando entrambi sotto il suo peso.
 
«Allora, a cosa devo questa telefonata dopo cinque anni?» Ella distrusse quel muro con un tono che a Gabriele parve atono, ma che in realtà era ricolmo di emozioni contrastanti che aveva tentato di camuffare con l’indifferenza.
 
L’aveva colpita per la seconda volta e provava più di quanto volesse far trapelare.
 
Al momento, lui non aveva alcun diritto di avvicinarsi anche solo minimamente a comprendere i suoi sentimenti.
 
«Mi dispiace, aver insistito con le chiamate.»
 
Le sembrava tutto così sbagliato e patetico.
 
Una conversazione priva di qualunque tipo di senso, era passato troppo tempo perché ne avesse.
 
«Se ti scusi, perché lo hai fatto?»
 
«Ti ho vista ieri, nella metro.»
 
Quella risposta le diede la certezza che qualcuno l’avesse osservata realmente, che non era stata un’impressione sbagliata.
 
Si sentiva violata.
 
Avrebbe potuto fermarla invece di spiarla come un ladro.
 
«Perché non mi hai avvicinata?»
 
«Non mi sarei mai aspettato di poterti incontrare. Ho provato così tante cose in quel momento, sono rimasto paralizzato.»
 
Capiva come si era potuto sentire, più di quanto meritasse.
 
Ella riusciva a provare empatia per coloro che amava o per coloro a cui era stata legata per molto tempo, ma questo non significava che gli avrebbe reso la vita facile.
 
«Immagino debba fare un certo effetto vedere il fantasma del natale passato, che è venuto a cercarti per mostrarti quanto sei stato imbecille.»
 
Sapeva essere cattiva e strafottente, sapeva essere indifferente mettendo da parte la comprensione, conservandola solo per farla uscire in un secondo momento.
 
Anche se si sentiva fragile, avrebbe fatto in modo che Gabriele pensasse tutt’altro.
 
«Suppongo possa essere descritta anche in questo modo. Devo darti delle spiegazioni e ho bisogno di farlo guardandoti negli occhi.»
 
«Sei arrivato un po’ tardi, non credi?»
 
«Ella sono disposto a sopportare il tuo odio, ma non la tua indifferenza.»
 
«Ti è andata male. Dovresti sapere che l’odio non è un sentimento che mi appartiene, ma, dopo tutto quello che è successo, non mi stupirei se pensassi il contrario.»
 
«Ti chiedo di poterci incontrare in questi giorni. Devo parlarti.»
 
«Lo stai già facendo.»
 
«Da vicino.»
 
«Non credo tu sia nella posizione giusta per avanzare pretese.»
 
«Pensi che sia stato facile, dopo tutto questo tempo, comporre il tuo numero, consapevole di quello che mi sarei dovuto aspettare?»
 
Sapeva che alla fine lo avrebbe perdonato, semplicemente perché nessun essere umano era esente dal commettere errori.
 
Aveva imparato questa lezione sulla sua pelle, ma comunque non le avrebbe impedito di farlo soffrire un po’ prima che il suo lato ragionevole potesse prendere il sopravvento.
 
«No. È stato sicuramente più difficile dello sparire senza dare spiegazioni.»
 
«È qualcosa che serve ad entrambi, per chiudere con il passato.»
 
«Io sono già andata avanti.»
 
«Dal tuo sarcasmo, permettimi di dubitare.»
 
«Diciamo così, ero andata avanti prima che mi riempissi il telefono di chiamate.»
 
Questa verità poteva concedergliela.
 
Sarebbe stato inutile mentire, perché sapevano entrambi come stavano le cose.
 
«Se tu avessi risposto non sarebbe successo.»
 
«Senti questo. Adesso la colpa sarebbe mia? Dopo che te ne sei andato ho cancellato il tuo numero, quindi per me sei solo uno sconosciuto che chiama e a cui posso liberamente non rispondere.»
 
Era un gioco difficile, perché lui sapeva quali tasti toccare per far innescare la sua rabbia.
 
Era stata cattiva, i sentimenti erano esplosi violentemente e non era riuscita a mascherarli.
 
Gabriele aveva ottenuto ciò che voleva.
 
Tutto tranne la sua indifferenza.
 
«Ella, almeno pensaci. Adesso hai il mio numero, quando hai preso una decisione basta mandarmi un messaggio.»
 
«Va bene, ma ti avverto. In questo momento ho davvero tante cose per la testa, quindi io ci penserò solo se tu non insisterai, nel caso la mia decisione non fosse quella che ti aspettavi.»
 
«Non mi aspetto nulla.»
 
«Se inizi a mentire non parti con il piede giusto.»
 
«Solo perché ci tengo troppo.»
 
Sapeva che questa non era una bugia, eppure avrebbe preferito che lo fosse perché le avrebbe reso la decisione più semplice.
 
«Questa mi pare di averla già sentita. Comunque adesso meglio che vada, questa conversazione non porta a niente e non mi va di essere troppo simpatica.»
 
«Ci sentiamo.»
 
Un chiaro esempio di come la speranza di una persona possa essere rinchiusa in due sole parole.
 
«Ciao Gabriele.»
 
Dopo aver chiuso la chiamata si sdraiò supina sul letto, con lo sguardo rivolto verso il soffitto bianco.
 
Stava cercando di pensare a qualcosa per dare un senso a ciò che era avvenuto negli ultimi cinque minuti, ma non riusciva ad elaborare quella conversazione.
 
La sua mente non faceva altro che ripetere, in maniera ossessiva, quanto fosse surreale.
 
Ebbe l'impressione di essere stata catapultata in una di quelle telenovele spagnole in cui tutte le vicende erano talmente assurde da sembrare scontate, ma, a quel punto, aveva avuto la prova schiacciante che la vita reale poteva superare la fantasia e i sogni più scomodi.
 
Solo ascoltandolo si era resa conto che, in tutto quel tempo, aveva dimenticato la sua voce.
 
Quanto gli era mancato.
 
Gabriele era stato il primo ragazzo per cui aveva provato dei sentimenti così forti da essere diventati devastanti.
 
Anche se, in passato, non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo, si sentiva felice, perché sapeva che avrebbe potuto sempre contare su di lui per una chiacchierata a telefono, per una passeggiata, per un film o un pomeriggio spensierato.
 
Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui quel ragazzo, che era riuscito ad entrare nel suo cuore, glielo avrebbe strappato dal petto per accartocciarlo come un foglio di carta da cestinare.
 
Durante l’estate si erano visti poco, poiché trascorrevano le vacanze in posti diversi, eppure in quei messaggi scambiati non un accenno, non una spiegazione per ciò che sarebbe successo.
 
Il primo giorno di scuola del quarto anno di liceo, Ella si sentiva così felice perché avrebbe ripreso la routine che le era mancata.
 
Ancora un po’ ci sperava che prima o poi Gabriele avrebbe dimostrato per lei più del semplice affetto a cui era abituata.
 
Quella mattina il banco rimase vuoto, così come i giorni seguenti.
 
A nulla valse mandargli messaggi per sapere come stesse, per sapere come mai non si fosse presentato.
 
Veniva ignorata, così come Sofia, che aveva cercato più volte di mettersi in contatto con lui.
 
Dopo una settimana smise di provarci, tuttavia non riusciva a dimenticare le parole che Gabriele le aveva rivolto nella loro ultima conversazione.
 
“Qualunque cosa succeda, in qualunque posto del mondo saremo in futuro, sappi che ti vorrò sempre più bene di quanto pensi.”
 
Lo aveva amato, poi aveva provato a trasformare tutto il dolore che le aveva causato in odio, ma, alla fine, non ci era riuscita.
 
Non aveva mai odiato nessuno e, nonostante molte persone le avessero fatto davvero del male, non avrebbe cominciato semplicemente perché non faceva parte di lei.
 
Non sapeva quanto tempo avrebbe impiegato a prendere la decisione definitiva.
 
Ora pensava una cosa e, dopo un istante, valutava il suo opposto.
 
Ciò che, per anni, aveva desiderato si verificasse era finalmente accaduto, ma, a dispetto di come avrebbe potuto sentirsi se fosse successo tempo addietro, non aveva la minima idea di cosa fare.
 
Tutto ciò che le veniva in mente, per provare a trovare una via d'uscita, era confidarsi con Sofia.
 
L’ansia e l'agitazione che provava la stavano sfinendo, privandola di tutte le energie.
 
Si alzò dal letto e con le spalle ricurve si incamminò a piccoli e lenti passi nel corridoio, come se le fosse piombato per l'ennesima volta il peso del mondo addosso.
 
Avrebbe fatto del suo meglio per sopportarlo, anche questa volta.
 
«Se ti dicessi che mi ha appena chiamata Gabriele, cosa penseresti?» chiese subito dopo essere entrata in cucina.
 
A quelle parole, Sofia distolse lo sguardo dai libri per puntarlo su Ella.
 
Attraverso i suoi occhi si potevano scorgere i meccanismi del suo cervello lavorare nel tentativo di cogliere il senso della domanda che le aveva appena posto.
 
«Quel Gabriele?» chiese dopo istanti di silenzio.
 
«Si.»
 
La fronte di Sofia si era corrugata ed era palese lo stato di confusione che traspariva dalla sua espressione.
 
«Perché lo avrebbe fatto dopo tutto questo tempo?»
 
«Mi ha vista nel treno ieri pomeriggio, mentre tornavo dall’università.»
 
«Penserei che uno stalker nella tua vita basta e avanza.» Sembrava piuttosto fiera della sua battuta ironica, ma questa volta Ella non riusciva a lasciarsi andare a una risata.
 
Non solo per il riferimento ad un passato che ancora la tormentava, ma anche per il presente e il possibile futuro che quella nuova situazione stava per cambiare in chissà quale modo.
 
«Tranquilla, fai pure del sarcasmo. È proprio quello che mi serve al momento.»
 
Sofia si raggelò.
 
Il volto di Ella era tinto di un bianco cadaverico, come se il sangue nelle sue vene avesse smesso di circolare.
 
Sembrava un fuscello che ondeggiava pericolosamente in balia del vento e che rischiava di spezzarsi da un momento all’altro.
 
«Hai ragione. Scusa, era decisamente fuori luogo.»
 
«Sarebbe stato anche divertente in un contesto diverso.»
 
Ella si sedette sul divano e, dopo poco, fu raggiunta da Sofia.
 
«Come ti senti?» Dal tono della sua voce traspariva preoccupazione.
 
Da tempo non vedeva la sua amica in questo stato.
 
Era diversa dalla disperazione che provava quando Matteo la assillava, eppure sembrava ugualmente persa.
 
«Non riesco nemmeno a stare in piedi. Ho la testa che vaga per conto suo e il mio corpo non riesce a reggere i suoi sforzi. È come se sentendo la sua voce fossi stata svuotata in un attimo solo per essere riempita di ansie e paure.» Ella piegò il busto in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia per imprigionare il suo volto tra le mani.
 
«Cosa voleva?»
 
«Ha detto che vorrebbe parlarmi. Sostiene di dovermi dare delle spiegazioni sul perché sia scomparso, ma vuole farlo di persona.»
 
«Quindi?»
 
Ella alzò il volto per poi girarsi verso Sofia.
 
«Mi ha chiesto di vederci.»
 
«Tu cosa gli hai risposto?»
 
«Che ci avrei pensato. Ma la domanda appropriata sarebbe cosa non gli ho risposto. Sono stata pessima. Gli ho detto ciò che pensavo con una cattiveria che...»
 
«Se lo meritava ed è giusto così, lo sai anche tu» intervenne bruscamente Sofia, interrompendo il discorso. «Cosa si aspettava? Che lo avresti accolto a braccia aperte?» chiese.
 
«Non lo so. Credevo di aver superato tutta la rabbia che provavo nei suoi confronti. Quando pensavo a lui, mi dicevo che se l’avessi rivisto o sentito mi sarebbe stato indifferente.»
 
«Invece?»
 
«Ascoltare la sua voce, dopo così tanto tempo, ha smosso qualcosa in me e non sono riuscita a controllarla. Mi sento così arrabbiata eppure, allo stesso tempo, sono sollevata. È assurdo.»
 
Esprimere ad alta voce ciò che sentiva le consentiva di fare chiarezza tra i pensieri.
 
Adesso riusciva a distinguere le diverse e contrastanti emozioni che la rendevano sempre più vulnerabile.
 
Dopo cinque anni era ritornato, ma, sebbene fosse estremamente triste ed amareggiata, non poteva fare a meno di provare un po’ di felicità.
 
Avrebbe voluto goderne appieno, lasciandosi sopraffare almeno per qualche minuto, tuttavia, questo barlume di gioia, veniva oppresso da tutte le altre sensazioni negative, rischiando di scomparire.
 
«Secondo me, non lo è. Dopo aver vissuto nella speranza che prima o poi sarebbe ritornato, adesso che finalmente ha trovato il coraggio di farlo, è normale che tu provi due sentimenti contrastanti.»
 
«Come volergli staccare la testa e ricucirgliela subito dopo perché poi proverei troppo senso di colpa?»
 
«Esattamente e nessuno te lo vieta. Sei tu ad avere il coltello dalla parte del manico. Scommetto che, se è davvero pentito, in questo momento avrà la stessa sensazione che ha provato Maria Antonietta quando la stavano per decapitare.»
 
Una risata amara fuoriuscì incontrollata dalle labbra di Ella, che scuoteva la testa incredula per l’assurdità di tutta quella situazione.
 
«Sono confusa e non ho la minima idea di quale possa essere la decisione giusta da prendere.»
 
«Di cosa hai paura?»
 
Si guardarono per qualche istante nel silenzio più totale.
 
Sofia cercava la risposta negli occhi azzurri e confusi della sua amica senza riuscire a trovarla.
 
«Che le sue spiegazioni non siano sufficienti a motivare la sua latitanza. Mi sono chiesta per così tanto tempo cosa avessi fatto per allontanarlo, mi sono incolpata di tutto senza riuscire a smettere di sperare che, prima o poi, avrebbe preso il telefono per tranquillizzarmi e dirmi che mi voleva bene. Ma dopo cinque anni non so se è ancora quello che voglio.»
 
Ella sapeva che non era solamente questo, perché c’era un pensiero che la spaventava più di ogni altra.
 
Non poteva fare a meno di chiedersi cosa avrebbe provato nel trovarsi davanti a lui.
 
Che effetto avrebbero potuto avere i suoi occhi castano chiaro puntati su di lei.
 
Aveva una paura folle che rivederlo avrebbe risvegliato i sentimenti che il tempo e la delusione avevano assopito.
 
A volte lo sognava ancora e quando accadeva si svegliava con la voglia di riaddormentarsi sono per poter continuare a vivere in quel sogno.
 
Temeva la domanda perché conosceva la risposta e non era quella che avrebbe voluto in quel momento.
 
«Quindi mi stai dicendo che non vuoi parlargli perché ti spaventa quello che potrebbe dirti?» chiese Sofia per avere una conferma.
 
«Già. Sono sopravvissuta senza saperlo, potrei benissimo continuare a farlo.»
 
La sua risposta sembrò, persino a lei, un patetico tentativo di autoconvincimento.
 
Magari, se avesse continuato a ripeterselo prima o poi ci avrebbe creduto, perché sarebbe stato più semplice che accettare e affrontare ciò che la spaventava.
 
«Sei davvero disposta a vivere con questo rimpianto? Sei davvero disposta a svegliarti ogni giorno del prossimo anno e chiederti come sarebbero potute andare le cose tra voi se lo avessi ascoltato?»
 
«Credi che debba accettare?»
 
Seppur di rado, capitavano giorni in cui i rimpianti, per essere stata tanto codarda da non riuscire a fare il primo passo, la logoravano e il pensiero che se avesse rifiutato, tra qualche giorno, avrebbe dovuto rivivere quella sensazione, le faceva credere che non sarebbe riuscita a sopportarlo.
 
«Non è una decisione che spetta a me. Quello che posso dirti è che meriti di ascoltare le sue ragioni, di urlargli contro tutto il male che ti ha fatto perché, qualunque sia la spiegazione che ti darà, non sarà mai valida per giustificare il suo comportamento. Meriti di liberare tutta la delusione che hai represso e poi, chi lo sa, magari potreste riprendere ciò che era stato interrotto.»
 
«Pensi davvero che potremmo essere ciò che eravamo? Che potremmo avere lo stesso rapporto?»
 
«No. Dico solo che potrebbe essere migliore, diverso. Che potrebbe diventare ciò che avresti sempre desiderato fosse.»
 
L’affermazione di Sofia la fece alzare di scatto dal divano.
 
Stava iniziando a bruciarla dall’interno ed era decisamente prematuro lasciare spazio all’immaginazione, almeno per il momento.
 
«Ho l’impressione che tu stia leggermente esagerando con la fantasia. Io non sono mai stata ciò che lui era per me, a questo punto non vedo come le cose potrebbero essere diversamente. Sempre ammesso che accetti la sua proposta.»
 
Ella camminava avanti e indietro davanti allo sguardo divertito di Sofia.
 
Era esattamente ciò che avrebbe voluto continuare a negare a sé stessa, perché era quello il significato del barlume di felicità che provava e che veniva alimentato dalle parole di Sofia.
 
La speranza.
 
«Secondo me dovresti decidere a farti fare un paio di occhiali. Per un anno e mezzo ti ho ripetuto che ricambiava i tuoi stessi sentimenti. Tu cosa hai fatto? Mi hai ignorata.»
 
Si bloccò non appena le parole di Sofia iniziarono a riempire la stanza.
 
Già sapeva dove sarebbe andata a parare, era un discorso che aveva sentito e risentito.
 
«Dopo tutto quello che è successo, parteggi ancora per Gabriele?» chiese con un accenno di nervosismo nel tono di voce.
 
«Ho sempre tifato per voi.»
 
«Ma se da sei mesi che stai cercando di accasarmi con Lorenzo.»
 
«Mica potevi aspettarlo per sempre anche se, considerando come è finita con Matteo, non sarebbe stata una cattiva idea. Il massimo che sarebbe potuto succedere era che non avrebbe ricambiato i tuoi sentimenti, cosa decisamente improbabile.»
 
«Quella con Matteo è una situazione completamente diversa da questa» disse Ella, riprendendo a camminare come farebbe un animale in gabbia.
 
«Assolutamente e non potrei mai dire il contrario, ma tu più di tutti dovresti sapere che le persone sbagliano e non necessariamente per colpa loro. Le circostanze giocano sempre un ruolo fondamentale.»
 
Sofia non riusciva più a guardarla, le stava facendo venire il mal di testa.
 
«Ella, ti prego, la vuoi smettere. Se continui così farai un solco nel pavimento.»
 
«Non capisco dove vuoi arrivare?» chiese Ella sedendosi sul divano, per cercare di tenere a bada il nervosismo che la stava corrodendo lentamente.
 
«Il fulcro di questo discorso è che tu e Gabriele siete stai entrambi troppo stupidi e immaturi. Adesso hai ventidue anni e, da allora, hai fatto un cambiamento radicale e, suppongo, anche lui visto che ha usato il suo maledetto telefono per fare qualcosa di intelligente. Provate a non commettere di nuovo gli stessi errori.»
 
«Stai facendo un processo inutile sulla base di ipotesi infondate.»
 
«Ecco. Questa è proprio la frase giusta per addentrarti sul sentiero delle scelte idiote.»
 
«Dovresti calmarmi non aumentare la mia ansia.» Ella si passò una mano tra i capelli, iniziando a torturarsi le lunghe ciocche scure.
 
Le attorcigliava attorno al dito indice, ricominciando subito dopo averle srotolate.
 
Non riusciva proprio a stare ferma.
 
«Ascoltami bene. Capisco che stai uscendo da un periodo ricolmo di una merda che è stata lasciata marcire al sole, ma, se inizi a fomentare paranoie assurde su ciò che potrebbe succedere, non farai più nulla nella vita e continuerai a lasciare andare momenti che potrebbero renderti felice. Ricorda ciò che ripeti sempre a tua sorella.»
 
«Non lasciare che la paura ti freni, rendila una spinta per trovare il coraggio.» Le aveva pronunciate così tante volte, che non aveva nemmeno bisogno di pensaci.
 
«Hai affrontato di peggio, quindi non perderti in un bicchiere di acqua.» Sofia allungò un braccio sulle spalle di Ella per tirarla verso di sé, avvolgendola in un abbraccio.
 
Anche se questo gesto non risolveva tutti i problemi, era estremamente rinvigorente.
 
Riusciva sempre a rimettere insieme i suoi pezzi, quando si frantumava.
 
«Grazie per avermi ascoltata. Penso mi prenderò del tempo per schiarirmi al meglio le idee, d’altronde voglio lasciarlo cuocere nel suo brodo.»
 
«Questa è la Ella che conosco.»

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


«Come sta andando il lavoro?»
 
La domanda di Adele, riportò l’attenzione di Ella sullo schermo del computer.
 
Quella mattina si era svegliata con un senso di nostalgia che scalpitava per emergere e diffondersi come una malattia contagiosa, così, verso ora di pranzo, si era seduta sul suo letto e, invece di chiamare sua madre, aveva preferito fare una videochiamata, in modo da poter vedere anche sua sorella quando fosse tornata da scuola.
 
«Per quanto stressante possa essere fare avanti e indietro come una trottola impazzita dopo una giornata trascorsa a studiare, è gratificante sapere che riesco a pagarmi da sola le spese della casa. Basta questo per non andare in crisi, specialmente quando una giornata schifosa peggiora a causa della persona maleducata di turno con cui devo avere a che fare.»
 
Adele sorrise ascoltando le parole di Ella, perché, conoscendola molto bene, dava per scontata quale sarebbe stata la sua risposta.
 
«La tua incapacità di essere paziente ti sta mettendo a dura prova.»
 
«Già, ma anche se ho un livello di tolleranza pari a zero, sono diplomatica quanto basta per far tacere con educazione chi non ne dimostra. Massimiliano, ormai, sa che con me può stare tranquillo perché, per quanto possano farmi innervosire, non farei mai scenate in pubblico.»
 
«Sei riuscita a trovare un equilibrio tra studio e lavoro?»
 
Ecco la domanda che Ella stava aspettando e che sapeva sarebbe arrivata, considerato il discorso che sua madre aveva deciso di intraprendere.
 
Tra le righe riusciva a leggere chiaramente che se non avesse risposto positivamente, avrebbe dovuto subire una paternale che sarebbe sfociata in una discussione in cui nessuna delle due si sarebbe curata dei toni che già sapeva si sarebbero alzati di parecchio.
 
«Se programmo bene le mie giornate e mi impongo di rispettare la tabella di marcia, riesco anche a trovare del tempo per riposarmi dopo pranzo o a dormire un paio d’ore in più durante il fine settimana per recuperare le energie, però capitano giorni in cui la stanchezza prende il sopravvento e non riesco a studiare. So che è normale cedere, ad un certo punto tutti abbiamo bisogno di staccare completamente la spina.»
 
«Ella se…»
 
«Aspetta! Blocco la tua diatriba sul nascere. Non sono indietro con lo studio e se non apro i libri per un paio di giorno, significa che posso permettermelo.»
 
Non aveva voglia di discutere per l’ennesima volta sullo stesso argomento, sarebbe stato inutile e, considerando che non le avrebbe fatto cambiare idea, tutto ciò che sua madre avrebbe potuto ottenere sarebbe stato solo il principio del nervosismo che Ella si sarebbe trascinata dietro durante l’intera giornata.
 
«Mi dispiace deluderti, ma questa volta non avevo intenzione di iniziare una polemica. Dopo aver visto la tenacia con cui hai perseguito il tuo obiettivo, nonostante la tua relazione con Matteo ti stesse mettendo a dura prova, non posso non fidarmi del tuo giudizio. Sei responsabile e, anche se dovessi sbagliare, da me sentirai solo consigli. Ho chiuso con le polemiche.»
 
La sua dichiarazione colse Ella completamente di sorpresa, lasciandola per qualche istante senza parole.
 
«Sei seria?»
 
«Come non lo sono mai stata.»
 
Adele non riuscì a fare a meno di ridere, davanti all’espressione incredula della figlia.
 
«Vado a segnarlo sul calendario. Devo assolutamente tenere il conto dei giorni, per verificare fino a quanto durerà.»
 
«Fai pure. Quando il risultato ti stupirà, dovrai chiedermi scusa per aver dubitato di tua madre.»
 
Il rumore di una porta che si chiudeva fece voltare sua madre verso l’ingresso, punto che però era escluso dal campo visivo della webcam.
 
Considerata l’ora, doveva essere sicuramente sua sorella che era appena tornata da scuola.
 
Dopo qualche secondo di rumori e parole indistinguibili, la figura di Bianca comparve davanti agli occhi di Ella.
 
Vedendola si rese conto di quanto le fosse mancata, quegli occhi così espressivi, quelle guance sempre arrossate e quei capelli lunghi e scuri legati sempre in uno chignon disordinato. In quel momento, con i loro volti vicini, Ella si rese conto di quanto quella piccola scimmia dispettosa assomigliasse a sua madre.
 
«Hai preso una decisione?»
 
Quella domanda posta ancora prima di salutarla, la fece quasi pentire di averle raccontato ciò che era accaduto nell’ultima settimana. Almeno sua madre aveva avuto un minimo di autocontrollo, probabilmente dovuto al fatto che sapeva quanto avrebbe insistito Bianca una volta tornata.
 
Quella ragazza era un tornato: socievole, piena di vita e sorridente soprattutto quando le cose andavano nel verso sbagliato.
 
Ella aveva sempre sostenuto che tutta la calma e la tolleranza che non aveva ricevuto lei erano state conservate per sua sorella, per tale ragione si impegnava costantemente nel cercare di farla innervosire.
 
«Ciao anche a te. Si sto bene, solo un po’ stanca, ma grazie per l’interessamento.»
 
«Lascia perdere queste stupidaggini e parlami di cose più serie.»
 
Il suo tono insistente la fece sorridere, era così curiosa che avvicinò a sé il computer così tanto che la metà destra di sua madre scomparve dallo schermo.
 
Ella intuì che se non le avesse risposto, l’avrebbe tormentata fino allo sfinimento, quindi sarebbe stato meno esacerbante accontentarla subito.
 
«Sì. In realtà, già da un paio di giorni, ma non gliel’ho ancora detto.»
 
Alla sua ammissione, gli occhi di sua sorella si sgranarono fino all’inverosimile. Ella non riusciva a comprendere il motivo per cui fosse così sconvolta, in fondo non c’era nulla di male nell’aspettare.
 
«Pensi di riuscirci entro il prossimo anno?» chiese, prendendosi gioco di lei.
 
«Sai una cosa Luke, se corri come un fulmine, ti schianti come un tuono.»
 
«Sei esasperante quando usi i miei film preferiti contro di me.»
 
Nel corso degli anni, Ella era riuscita a coinvolgere Bianca in quella sua passione tanto da rendere la sera un momento sacro e intoccabile, perché condividevano gelato, patatine o pop corn davanti ad un bel film, commentando gli attori, le scene, la musica, ripetendo le battute qualora lo avessero già visto.
 
Attimi di pura gioia e spensieratezza racchiusi nello studio di Ella, che le separava per qualche ora dal resto del mondo.
 
Momenti che le mancavano, a cui aveva rinunciato per troppo tempo e che non sarebbero più tornati, almeno non subito.
 
«Tu, invece, quando fai la sarcastica. Non ti si addice.»
 
«Possiamo portare avanti un discorso in modo civile? Bianca intende dire che è trascorsa quasi una settimana da quando te lo ha chiesto.»
 
L’intervento di sua madre placò la faida prima che potessero mietere delle vittime.
 
«E quindi? Non è un problema mio, per me potrebbe aspettare anche un mese senza avere notizie» disse Ella con tranquillità, mentre allungava il braccio destro per arrivare a prendere la limetta per le unghie sul comodino.
 
Doverle aggiustare era una tra le cose che non sopportava, per questo lo procrastinava fino a quando non iniziavano a spezzarsi per disperazione.
 
«Sei pessima.»
 
Il commento secco di sua sorella la costrinse a spostare lo sguardo dalle sue mani per posarlo sull’alto giudice dell’inquisizione spagnola seduto all’altro lato dello schermo.
 
«Bianca non rompere. Ho solo detto che idealmente è ciò che si meriterebbe, non che è quello che farò. Ho preso del tempo per essere sicura della mia scelta, valuto la situazione.»
 
«Più che valutare direi che stai temporeggiando per non doverlo affrontare. Non è proprio da te.»
 
Ella si sentiva divisa tra la viscerale necessità di metterla a tacere e la divertente prospettiva di aumentare la sua dose di arroganza nelle risposte al solo scopo di esasperarla.
 
«Lo so. Non è necessario infierire.»
 
Ci stava provando a far cadere il discorso e la freddezza del tuo tono avrebbe dovuto essere sufficiente a farglielo intuire, ma nessuna delle due era intenzionata a cedere.
 
In questi momenti Ella si chiedeva se farla spazientire fosse il loro sport preferito e si stessero esercitando per vincere una medaglia o fosse semplice sadomasochismo, perché continuando di qual passo più perseveravano a farle del male più lei glielo avrebbe restituito.
 
«Che ti sta succedendo?» chiese sue madre, accorgendosi dello sguardo distaccato di sua figlia. Lo stesso che aveva quando lottava contro sé stessa per placare il nervosismo, mordendosi la lingua per non parlare.
 
«Pensa che non ho nemmeno salvato il suo numero in rubrica.»
 
«Te lo dico io perché ha questo atteggiamento strafottente. È paranoica e teme quello che potrebbe accadere durante e dopo l’incontro. La speranza che Gabriele le ha dato la sta tormentando e non sa se credergli o meno.»
 
Non si aspettava nulla da lui, perché l’aveva dissipata nel corso del tempo. Negli ultimi giorni era giunta alla conclusione che ciò che la frenava era la paura che ciò che le avrebbe potuto dire sarebbe stato peggio del silenzio che aveva ingiustamente ricevuto.
 
«La speranza non c’entra niente, ho già messo in conto la possibilità che possa deludermi. Ho deciso di accettare perché merito delle spiegazioni, ma sono arrivata al punto in cui non mi aspetto più nulla da nessuno. Ognuno è libero di fare quello ce vuole, se è disposto ad affrontare le conseguenze.»
 
«Allora quale sarebbe il problema?»
 
«Mentre una parte di me vuole cercare di capire, l’altra cerca di scacciare la nausea provocata dal suono della sua voce. Potrei vomitargli addosso, pensandoci sarebbe un buon modo per vendicarmi.»
 
In parte era questo, in parte c’era dell’altro, ma alla fine cosa poteva importare, a cosa poteva servire pensare quando era certa che una volta davanti a lui si sarebbe sentita totalmente impreparata.
 
Queste sensazioni non sbagliavano, ma le avrebbe affrontate perché sebbene tutti pensassero che avrebbe potuto scegliere liberamente cosa fare, la realtà era che, nell’esatto istante in cui aveva udito la sua voce, si era resa conto che non le sarebbe stata concessa, non questa volta.
 
«Oppure potresti ammettere a te stessa che il motivo per cui le tue dita si paralizzano al solo pensiero di scrivergli è che questa è la seconda volta in un anno, in cui non hai il controllo della situazione e della persona. Non puoi sapere cosa ti dirà, né indurlo a dirgli ciò che speri.»
 
Nessuno si era mai chiesto il motivo per cui Ella sentisse il viscerale bisogno di controllare tutti gli eventi presenti e futuri della sua vita.
 
Pensava sempre a tutte le possibili conseguenze di un’azione prima di prendere la decisione migliore per sé stessa, tuttavia gestire gli eventi le era sempre risultato più complicato del provare a prevedere e controllare i comportamenti e i pensieri delle persone.
 
Riusciva a essere spontanea solo con chi si fidava realmente o con chi le faceva una buona impressione sin dal primo scambio di sguardi, altrimenti il massimo dell’impulsività che poteva mostrare era quando qualcuno le faceva perdere la pazienza.
 
In genere, ogni decisione, ogni frase, per quanto agli altri potesse sembrare casuale, era ponderata con estrema attenzione sulla base della reazione che avrebbe voluto suscitare nella persona con cui interloquiva.
 
Contrariamente a quanto si potesse pensare, il comportamento umano non era difficile da prevedere, era sufficiente capire che ogni persona poteva generare output sulla base di input che provenivano dall’interno e dall’esterno.
 
Ella osservava chi di interesse quanto bastava per interpretare approssimativamente le reazioni agli input, a quel punto le risultava facile fornirgli le variabili necessarie per provocare gli output desiderati.
 
Le sembrava di manipolare le persone e forse era esattamente quello che faceva, ma con il tempo tutto era diventato così automatico da aver smesso di rimuginare su come la facesse sentire.
 
La verità era che quel suo compulsivo e ossessivo bisogno di controllo era un meccanismo atto a esorcizzare la paura di poter essere vista nuovamente vulnerabile.
 
«Sapete una cosa? Sono stanca e non è possibile che a ventidue anni non riesca a sopportare il genere umano e abbia l’impulso di cucire la bocca di chi mi parla.»
 
Era stata ferita tante volte in modi diversi solo perché gli altri la vedevano debole e quindi facile da manipolare a proprio piacimento.
 
Oscillava da un estremo all’altro senza neanche accorgersene, confermando le parole che Lorenzo le rivolse mesi prima, riusciva a passare da zero a cento nel tempo di un battito di ciglia.
 
Tutti quegli anni trascorsi sotto il dominio di quel bisogno le avevano fatto capire che più si cercava di esercitare il controllo su tutto più si rischiava di perdere sé stessi, finendo per distruggersi.
 
La telefonata di Gabriele le aveva dimostrato quanto fosse sottile la linea tra ciò che si crede di conoscere e ciò che realmente si può prevedere.
 
Assolutamente niente, perché se è stato deciso che un fulmine dovrà cadere due volte nello stesso punto, lo farà e nulla potrà impedirglielo.
 
«Dovremmo preoccuparci?» chiese Bianca, trattenendo una risata.
 
«Sì, potresti dovermi venire a cercare in un monastero tibetano lontano da ogni essere vivente.»
 
«Mi spieghi dov’è la novità? Sin da piccola ti comportavi come se non avessi bisogno di affezionarti alle persone, come se per te relazionarsi con gli altri non fosse importante.»
 
La confessione di sua madre, per quanto corrispondesse a ciò che in effetti era nella realtà, la sorprese perché non si aspettava fosse così anche da bambina, ma che semplicemente gli eventi l’avessero condizionata a diventarlo.
 
«A quanto pare sono sempre stata molto socievole.»
 
«Ricordo che, quando la mattina ti accompagnavo all’asilo o alle elementari, mentre gli altri bambini cercavano le attenzioni delle maestre, facevano loro dei disegni, tu sei ti mostravi indifferente a questo genere di cose. Ti sedevi al tuo posto e interagivi con gli altri quando e quanto ritenevi necessario.»
 
«Almeno adesso posso evitare di scavare nel passato alla ricerca di esperienze traumatiche a cui attribuire il mio carattere anaffettivo.»
 
Ella aveva sprecato troppo tempo nel chiedersi cosa ci fosse in lei che non andasse, perché guardandosi intorno osservava persone che amavano e donavano affetto con la stessa facilità con cui Ella toglieva la carta a una caramella.
 
Gli altri sembravano sgusciare le persone dal loro involucro fatto di falsità e apparenza, mentre Ella li osservava masticando l’unica cosa che era riuscita a liberare senza difficoltà.
 
«Non sei anaffettiva, semplicemente nella tua vita hai già chi ti dà l’amore di cui hai bisogno. Puoi fare la conoscenza di chi a pelle ti è simpatico, ma, a meno che non sia un caso eccezionale e non pensi che quella determinata persona possa arricchirti di qualcosa, rimarrà un semplice conoscente o una persona con cui passare un pomeriggio o una sera fuori.»
 
Maturando aveva compreso che non aveva bisogno di togliere la carta per capire cosa si nascondesse all’interno.
 
Il problema stava nel fatto che lei scorgeva il carattere delle persone prima ancora che si avvicinassero e ciò le permetteva di non farsi trovare sul loro cammino qualora non le avesse gradite, mentre gli altri non si accorgevano se caramella fosse scaduta, mangiandola ugualmente. Pur di non restare soli, accoglievano chiunque fosse stato disposto a entrare nelle loro vite.
 
«Fino all’anno scorso ho pensato fosse sbagliato il modo in cui mi rapportavo alle persone. Prendi Sofia, diventerebbe amica anche di una formica se avesse la capacità di comunicare con gli animali. Ho sempre visto gli altri creare legami con una facilità disarmante, invidiando questa loro capacità. Adesso so che non esiste giusto o sbagliato, ma solo ciò che si è e ciò che non si vuole essere e io non mi sentirei a mio agio ad interpretare un ruolo in questa vita che non mi appartiene.»
 
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiese sua sorella, con sguardo attento e curioso.
 
«La morte del nonno. Sai qual è stata la prima cosa a cui ho pensato? Che era stato un egoista a morire il giorno del mio compleanno. E sai una cosa? In quel momento non ho provato alcun senso di colpa, perché se non era riuscito a dimostrare un solo giorno della sua vita affetto nei miei confronti, il solo fatto che fosse mio nonno non significa che io debba volergli bene incondizionatamente. Ero dispiaciuta perché vedevo papà soffrire.»
 
Colui che aveva imparato a chiamare nonno era morto la mattina del ventinove gennaio dello scorso anno. Non aveva pianto e l’unica emozione puramente egoistica che aveva provato era la rabbia.
 
Era stata tutto il giorno circondata da persone che le ripetevano che suo nonno aveva donato a lei gli anni che non aveva avuto il tempo di vivere, come se fosse una consolazione o qualcosa per cui essere grati.
 
A Ella le loro parole disgustavano e non faceva altro che domandarsi con quale coraggio potessero anche solo pensare una cosa del genere.
 
Avrebbe voluto urlare loro che non avevano il diritto di avanzare supposizioni quando non conoscevano la natura del rapporto che li legava, avrebbe voluto far tacere i loro penosi tentativi di consolazione, avrebbe voluto cancellare dai loro occhi quella luce carica di pietà e sorpresa quando le chiacchiere di quella casa troppo affollata davano loro questa notizia.
 
I funerali servivano ai vivi per due motivi: dire addio a colui che era una parte di sé nel calore familiare e per pulirsi la coscienza parlando di cose inutili senza ragionare prima di aprire la bocca.
 
«Ognuno reagisce diversamente e non c'è un modo giusto o sbagliato» commentò Bianca, che non si mostrò per nulla scossa dal suo discorso, come se già sapesse tutto quello che aveva provato,  dal momento che anche lei non aveva avuto un grande rapporto con suo nonno, ma essendo più piccola era comunque rimasta più scossa.
 
«Il punto è che non ho paura nel dire ciò che provo, non mi importa come mi potrebbero giudicare. Non più. Do amore e soffro solo per chi se lo merita, per il resto non verso lacrime né spendo pensieri.»
 
Per il suo ventiduesimo compleanno aveva diviso la sua giornata tra la chiesa e il treno. Nonostante avesse preferito rimanere a Roma, non se l’era sentita di stare lontana da casa in un giorno che addolorava profondamente suo padre.
 
«Probabilmente non te l’ho mai raccontato, ma da piccola quando ti chiedevano quanti nonni avessi dicevi sempre due e quando poi volevano sapere chi fossero rispondevi sempre Isa e Ciccio.»
 
Le parole di sua madre strapparono a Ella una risata, non per la risposta in sé, ma per il fatto che ricordava chiaramente che fino a nove anni li aveva chiamati sempre per nome, perché le era stato insegnato da suo nonno, che a detta di sua madre si sentiva ancora troppo giovane.
 
I suoi nonni materni erano come dei genitori per Ella. Da piccola, quando Bianca ancora non era nata, andarono a vivere a casa loro poiché suo padre lavorava a Capri e tornava solo una volta ogni due settimane. Questo fino a quando non decise di trasferirsi in un albergo della costiera per essere più vicino alla famiglia.
 
Decisione presa a causa di Ella, che non riconosceva suo padre come tale dal momento che lo vedeva pochissimo.
 
«Sono sempre stata una persona molto schietta a quanto pare.»
 
«Non ho ancora detto tutto. Dopo ti ricordavano anche dei nonni paterni e sai cosa rispondevi?»
 
La domanda retorica di sua madre, quasi la spavento.
 
«Ho paura di saperlo» rispose Bianca, dando voce anche ai suoi pensieri.
 
«Sono i nonni di Davide.»
 
Il silenzio che seguì quelle parole fu interrotto dal commento divertito di Ella.
 
«In effetti nessuno avrebbe potuto obiettare, si sono sempre comportati come se fosse l'unico nipote.»
 
«Mia sorella era un fenomeno. Avrei voluto esserci solo per vedere le loro reazioni alle tue risposte» commentò Bianca con entusiasmo, tra le risate che non era riuscita a trattenere.
 
«Scusami, al passato?» chiese Ella con finta indignazione
 
«Si, ti sei persa strada facendo.»
 
«Ma sentila, quanto sei ingrata.» La accusò puntando l’indice contro lo schermo del computer, in direzione del suo volto tanto che se le fosse stata fisicamente vicino avrebbe potuto accecarle un occhio, considerando la traiettoria.
 
«A proposito di ingratitudine, ogni tanto potresti anche chiamare tuo padre.»
 
Sua madre aveva la particolare dote di rendere una situazione leggera e divertente, pesante e deprimente in una frazione di secondo, ma quella doveva essere una prerogativa di tutti i genitori.
 
«Ma se l’ho sentito l’altro giorno» rispose Ella alzando in modo del tutto involontario il suo tono di voce, mettendosi sulla difensiva.
 
«Dopo quanto tempo?»
 
Da quella domanda Ella capì che stava per partite un interrogatorio, perché ogni volta che si sentivano doveva necessariamente essercene uno, altrimenti le mancava l’aria.
 
«Non è facile trovare il momento giusto. Va a lavoro la mattina alle sette e torna alle undici passate di sera, se non sono in programma cerimonie. Anche se lo volessi chiamare quando torna a casa non potrei perché lavoro, non è colpa mia.
 
Ella capì che se non sfogava la sua momentanea frustrazione su qualcosa, sarebbe partita per la tangente.
 
Prese nuovamente la limetta che aveva abbandonato sul materasso di fronte a sé e si concentrò ad accorciarsi le unghie, lasciando che la voce di sua madre diventasse un brusio di sottofondo a cui rispondere senza prestarci molta attenzione.
 
«Potresti chiamare quando fa pausa il pomeriggio, ad esempio» propose sua madre.
 
«Lo faccio, ma se si riposa non risponde. Generalmente gli mando dei messaggi, se non riesco a sentirlo. In ogni caso, anche quando stavo a casa era più o meno la stessa cosa.»
 
«Lo so, ma sente molto la tua mancanza, forse anche più di noi, visto che almeno noi ci vediamo spesso in videochiamata.»
 
«Proverò a ritagliare del tempo quando è il suo giorno libero. Comunque adesso devo andare, ho da sbrigare una faccenda che ho lasciato in sospeso per troppi giorni.»
 
Aveva raggiunto ufficialmente la sua dose mensile di affetto familiare.
 
«Tienici aggiornate.»
 
«Si, tranquille. Ci sentiamo.»
 
Dopo aver chiuso il computer, prese il telefono che giaceva sul materasso ed entrò nel registro chiamate per recuperare il numero e salvarlo in rubrica.
 
Aprì la chat e, senza pensarci, scrisse il messaggio che le ronzava in testa da qualche giorno.
 
“Ho pensato a quanto mi hai detto e ho deciso di darti l'opportunità di spiegarti, ma alle mie condizioni.”
 
Non ebbe neanche il tempo di provare ansia in attesa della risposta, perché arrivò subito.
 
“Dimmi.”
 
“Fai in modo di trovarti domani, alle quattro, all'entrata del dipartimento di psicologia.”
 
Aveva deciso di impiegare toni che non avrebbero potuto lasciare spazio all’indecisione o alle fragilità che la sua presenza, era piuttosto sicura, avrebbe fatto emergere.
 
“Se avessi già degli impegni?”
 
Nel leggere la sua risposta, un sorriso lieve e spontaneo dipinse le labbra di Ella. Dopo tutto quel tempo trascorso senza avere un qualsivoglia tipo di contatto, aveva l’audacia non solo di chiamarla e chiedere un incontro, ma anche di sfidarla in questo modo.
 
In quell’esatto momento si rese conto che, nonostante avesse sofferto a causa del suo comportamento, quell’atteggiamento che un tempo l’aveva fatta innamorare di lui era ancora ciò che la spingeva a sorridere del tutto inaspettatamente.
 
“Visto che per te è così importante confido che troverai il modo di venire. Gli altri giorni ho l'agenda troppo piena di cose inutili da fare per aggiungere anche la tua richiesta nell'elenco.”
 
 
“Se sono queste le premesse preferisco non immaginare come sarà avere un dialogo con te.”
 
La stava provocando come l’ultima volta che avevano parlato, scavava alla ricerca di una breccia nel suo tono di indifferenza e se avesse continuato lo avrebbe sicuramente trovato, perché era già accaduto.
 
Entrambi lo sapevano, ma ciò che Ella ignorava era che avrebbe avuto il potere di ferirlo prima che lui riuscisse nel suo intento, semplicemente perché dal suo cuore lei non era mai svanita.
 
“Avrai esattamente la durata del tragitto fino al mio appartamento per darmi le tue spiegazioni. In base a ciò che mi dirai deciderò se prendere la strada più lunga o più breve. Ti invierò la posizione così non avrai problemi a trovare il posto.”
 
“Quando alzerai lo sguardo per cercarmi, io sarò già lì ad aspettarti.”
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


L’aula dove si era tenuta l’ultima lezione della giornata si era svuotata, ma Ella si trovava ancora seduta su una delle scomodissime sedie di legno pieghevole, troppo distante dal piano d’appoggio per poter sperare di evitare un mal di schiena.
 
Non riusciva ad alzarsi e per tutta la mattinata non aveva fatto altro che pensare a come avrebbe potuto controllare le emozioni contrastanti e dirompenti che avrebbe provato nel vederlo dopo così tanto tempo.
 
Minuti sprecati con la testa altrove e in sottofondo la voce dei professori che spiegavano argomenti che, in quel momento, per lei non avevano la minima importanza.
 
Ciò che la rendeva più vulnerabile era la consapevolezza che non era certa nemmeno lei di quello che avrebbe voluto le dicesse, perché nulla sembrava giusto, nulla aveva senso, se non il principio di mal di testa che iniziava a disturbarla.
 
Doveva mettere fine a quel tormento e l’unico modo per farlo era smettere di nascondersi, di comportarsi come una bambina spaurita e iniziare ad agire, in qualunque modo la situazione avesse richiesto o lei avrebbe ritenuto necessario.
 
Si alzò e, posizionando lo zaino di pelle marrone dietro le spalle, si diresse a passo spedito verso l’uscita.
 
Aveva bisogno di riprendersi l’aria che le era stata tolta in quest’ultima settimana, doveva ritornare a respirare prima che perdesse definitivamente la ragione.
 
Mentre camminava, si impose una sola e semplice regola, qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca, almeno per il momento, non gli avrebbe reso la vita facile, anche a dispetto di ciò che le sue parole avrebbero scatenato in lei.
 
Raggiunse il cancello all’ingresso dell’università e iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di un volto simile a quello che ricordava e che aveva visto in foto negli ultimi anni, ma, nonostante avesse aspettato qualche minuto prima di uscire dalla struttura, c’erano ancora molti studenti che le ostacolavano la visuale.
 
Iniziò a dannarsi perché odiava aspettare, perché forse aveva cambiato idea e non sarebbe più venuto all’incontro come promesso, mentre lei era lì ferma a posare lo sguardo su tutti i ragazzi presenti per scorgere una testa che, da lì a poco, il mondo intero avrebbe visto rotolare via dal resto del corpo.
 
Una mano ruvida, ma dal tocco gentile, abbracciò con le sue dita il piccolo ed esile polso di Ella.
 
La percezione di un corpo maschile a pochi centimetri di distanza dal suo, la spinse istintivamente a voltasi in uno scatto veloce. I suoi ricci morbidi e scuri si mossero con lei, oscillando prima da un lato per poi ricadere quasi tutti sulla sua spalla destra, lasciando totalmente vulnerabile la parte sinistra del suo collo.
 
Quello spostamento d’aria diffuse, nello spazio poco circostante la sua figura, la fragranza forte e speziata che indossava quotidianamente dalle superiori, l’unico profumo femminile che non la infastidiva.
 
La stessa che Gabriele aveva immaginato di percepire molte volte negli ultimi anni, adesso era reale, vivida entrava con prepotenza nelle sue narici per imporre la sua presenza e urlargli contro che lei era lì, finalmente, dopo tanto tempo.
 
Fu costretta ad alzare il capo, perché da quella prospettiva Ella poteva osservare solo il torace ampio e le spalle da nuotatore fasciate dal giubbino di pelle nero.
 
Lo sguardo castano dalle striature chiare e dorate spaccò in un numero incalcolabile di schegge l’azzurro vitreo e sconvolto di Ella.
 
Molte volte aveva pensato a tutto ciò che avrebbe voluto dirgli se un giorno lo avesse rivisto, ma ogni singola parola stava morendo nella sua mente, dissolvendosi come neve al sole.
 
Nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo dall’altro, legati insieme dal filo di sentimenti taciuti, che aveva soffocato entrambi in quegli anni di rabbia e tristezza silente.
 
I cocci di due cuori infranti si fondevano per trovare sollievo da tutte quelle emozioni represse e accumulate che adesso scalpitavano per esplodere, distruggendo ogni cosa.
 
Il viso morbido e pulito del diciassettenne ribelle che ricordava era diventato più definito nei tratti e ricoperto da uno strato sottile di barba. il cui colore era chiaro come il castano dei suoi capelli.
 
La sua mente formulò un pensiero prima che Ella potesse avere la prontezza di estirparlo, si chiese se il suo sorriso impertinente e la sua profonda risata fossero gli stessi che tanto l’avevano affascinata.
 
«Per quanto questa rimpatriata sia commovente, il tempo scorre e non ho intenzione di sprecarlo in questo modo. Andiamo?”
 
Sforzandosi di riprendere il controllo della sua mente, sfondò il muro di silenzio che li aveva isolati dal resto del mondo.
 
Nessun saluto, nessun convenevole, non aveva intenzione di fingere comportandosi come se avesse incontrato un semplice amico di vecchia data e, in quel momento, non aveva la diplomazia necessaria per parlare con tono calmo e pacifico.
 
«Si. Fammi strada.» Fu l’unica risposta che Gabriele riuscì ad articolare.
 
Da vicino Ella era ancora più bella di quanto aveva potuto constatare da lontano, in quel treno. La sua pelle delicata era così chiara che sembrava riflettere i raggi del sole, splendeva di luce propria sia attraverso il corpo sia attraverso le parole che non aveva timore di usare, né per ferie né per dare conforto.
 
Più la guardava camminare con movenze decise e ammalianti, sui marciapiedi di quelle strade trafficate, più non poteva fare a meno di domandarsi come era riuscito, per tutti quegli anni, a reprimere l’impulso di affiancarla in ogni suo giorno.
 
«Cosa ti ha spinto ad accettare?» chiese Gabriele, prendendo il coraggio per mano e affrontare ciò che aveva rimandato per troppo tempo.
 
«Mi sono resa conto che non avevo assolutamente niente da perdere. Nel peggiore dei casi, spariresti di nuovo, in fondo sei uno specialista in queste cose.» Ella si voltò per osservare la sua reazione, rivolgendogli un sorriso provocatorio.
 
Probabilmente più tardi si sarebbe pentita di questo suo atteggiamento immaturo e sprezzante, ma in quel momento sentiva di avere il diritto di dire qualunque cosa la sua mente partorisse.
 
«Partiamo bene» commentò Gabriele in un sospiro sommesso.
 
Sapeva che non sarebbe stato facile, che lei avrebbe fatto di tutto per metterlo in difficoltà e aveva stabilito che avrebbe lasciato correre per il momento, perché sapeva che lo meritava, ma non lo avrebbe sopportato per sempre.
 
«Questo è solo un assaggio.»
 
«Sei diversa.» Quello che doveva essere solo un pensiero, sfuggì invece dalle sue labbra e, quando se ne rese conto, non poté fare a meno di pentirsene.
 
A Ella non era mai piaciuto sentirsi etichettare dalle persone, che la conoscessero o meno. La ripugnava oltre ogni immaginazione perché nessuno eccetto lei aveva il diritto di farlo.
 
Sapeva di non essere più ciò che lui ricordava. Si era evoluta, affinando ed esplorando parti di lei che credeva sconosciute o che necessitavano solo di una spolverata.
 
«Sai com’è, nella vita si cresce, si matura, anche se non tutti ci riescono.»
 
«A quanto pare, hai deciso di vedermi solo per sottopormi a dello spietato sarcasmo. Non mi ricordavo fossi così sfrontata.»
 
Era quella la strada che Ella aveva intrapreso, quindi, se riusciva a comunicare con lui solo attraverso battute ironiche e pungenti, per scuoterla e avere una sua reazione a Gabriele sarebbe bastato giocare al suo stesso gioco, tenendole testa come aveva sempre fatto.
 
Alcune cose non cambiavano, per quanto due persone potessero crescere, loro rimanevano il ragazzino indisciplinato e la ragazzina testarda di cinque anni prima.
 
«A essere sincera, se adesso sono qui è solo per vedere l’espressione sul tuo viso quando riuscirai finalmente a capire che non sono come ricordavi.»
 
«Ti stai divertendo?»
 
Gabriele stava aspettando pazientemente che sfogasse la sua rabbia, che iniziasse a urlargli contro tutto ciò che pensava di lui, solo così avrebbe potuto liberarsi per fare spazio a ciò che doveva rivelarle e sapeva che gliene sarebbe servito molto.
 
«Immensamente. Ma sto anche perdendo la pazienza, quindi, se hai intenzione di scrivere una lista per elencare i miei cambiamenti, ti consiglio di andarci piano.»
 
Ella arrestò i suoi passi e, accostandosi al muretto laterale del marciapiede per non intralciare il passaggio, si voltò verso di lui.
 
Gabriele le si avvicinò quanto bastava per riuscire a immergersi nel suo sguardo e ciò che vi scorse non era solo rabbia e delusione, ma qualcosa che, per quanto ne fosse sempre stato consapevole, vederlo chiaramente riflesso nei suoi occhi nel pieno di una tempesta, lo aveva lasciato senza fiato.
 
Dolore.
 
Avrebbe potuto sfiorarlo, avrebbe potuto immergersi fino ad annegare perché ce n’era così tanto, troppo e guardarla in tutto il suo vulnerabile e disperato splendore fu come schiantarsi in una curva ad alta velocità.
 
«Mi spieghi come posso sperare di parlare con una persona che ha un simile atteggiamento?»
 
Faceva male continuare a gettare sale su quelle ferite che appartenevano a entrambi, eppure Gabriele doveva andare fino in fondo. Ella doveva piangere, doveva gridarglielo quel male che lui le aveva causato, doveva perdere il controllo a cui era sempre stata affezionata e lui era una tra le poche persone che poteva riuscirci, perché lo aveva già fatto.
 
Doveva solo insistere, non darle tregua, sommergerla di emozioni forti e fargliele liberare tutte insieme, altrimenti si sarebbe distrutta e la colpa sarebbe stata solo sua.
 
«Non mi riguarda. Non me ne starò qui, zitta, ad ascoltare le tue spiegazioni, annuendo e fingendo che il dolore che tu mi hai causato non sia stato riportato alla luce. Se speravi mi sarei comportata in modo accondiscendente, mi dispiace, ma hai completamente sbagliato persona.»
 
Non era facile avere a che fare con il suo carattere, perché riconosceva che la maggior parte delle volte sarebbe stata capace di gettare benzina su un incendio.
 
Era terrorizzata alla sola idea di ammettere che avrebbe potuto urlare, con una totale assenza di tatto, le verità più oscure e profonde alle persone che le negavano a loro stesse.
 
Molto spesso era egoista.
 
Avrebbe chiuso fuori il mondo, lo avrebbe allontanato fino a dimenticare completamente la sua esistenza.
 
Era costantemente nervosa ed arrabbiata, un ordigno pronto ad esplodere in coriandoli di cattiveria gratuita ed ingiustificata, con un tono di superbia ed irriverenza che l’avrebbero fatta vomitare se si fosse ascoltata una volta ritornata la quiete.
 
«Non mi aspettavo saresti rimasta in silenzio, ma nemmeno che fossi così ostile. Ricordo che quando ti arrabbiavi, nonostante rispondessi in modo pungente, cercavi sempre di non esporti troppo, adesso…»
 
«Adesso cosa? Credi di conoscermi, ma non aveva mai visto la mia parte più grigia e sbiadita. Quella rovinata e accartocciata perché costantemente repressa e tenuta sotto il controllo più maniacale. Mi vedi ancora come la sedicenne a cui hai voltato le spalle, ma ti dirò una cosa: nessuno sa chi sono, nessuno saprà mai a cosa penso o alle emozioni che mi tormentano, tantomeno tu.»
 
Il tono acuto e prepotente in cui Ella aveva intriso le sue parole si diffondeva nell’aria, facendo voltare qualche passante nella loro direzione.
 
La miccia era stata accesa e, nonostante a Ella non piacessero le scenate in pubblico, dopo tutta la benzina che era stata gettata, il fuoco divampava inarrestabile.
 
Provava paura in determinati momenti della giornata, quando lasciava che la parte peggiore di sé stessa prendesse un’ora d’aria, per poi rinchiuderla nuovamente in gabbia.
 
«Sono stata sola alla presenza di altri e questo mi ha aiutata a crescere. Sono stata ferita in modi che non puoi nemmeno immaginare e credimi, il tuo comportamento a confronto è una barzelletta insulsa. Probabilmente potrai ancora trovare in me qualcosa della ragazza di un tempo, ma questa che vedi non è più la debole e innocente Ella. Se sei qui perché speravi di rivedere la ragazza che avevi lasciato al liceo, mi dispiace, ma hai perso tempo perché ne è rimasto ben poco.»
 
Tentava ancora di dissotterrare il motivo di tanta fuliggine, che lasciava ogni parte di lei ricoperta da un perenne strato di polvere e grigiore.
 
Non l’aveva ancora trovato, aveva solo imparato a conviverci.
 
Tuttavia non riusciva a controllare la sua paura quando la coglieva alla sprovvista, anche se sapeva che sarebbe sparita così come si era presentata.
 
Lentamente, come un lurido verme che strisciando lasciava solchi nelle profondità nella sua anima.
 
«Sono qui per parlare con te e non ho mai pensato o sperato che tu fossi la stessa di prima. Nel treno mi è bastato osservarti, al telefono ascoltare le tue risposte per capire che non eri più quella ragazza che nascondeva i suoi occhi per evitare l’imbarazzo di incrociarli con le altre persone. Quella ragazza che reprimeva il desiderio e l’impulso di reagire alle provocazioni non c’era più.»
 
Aveva ottenuto ciò che voleva, Gabriele era riuscito a togliere la maschera caustica e menefreghista di Ella, rilasciando tutto ciò che aveva tentato di nascondere.
 
Per non ferire lui e per dimostrare a sé stessa di essere capace di gestire ogni emozione, situazione o persona, avrebbe lasciato che quei sentimenti così forti e cattivi la corrodessero lentamente dall’interno.
 
Ella aveva ceduto, aveva mostrato il suo vero volto fatto di paura, dolore, rabbia e rimpianto, non riuscendo a tenere fede all’unica regola che si era imposta.
 
Testarda com’era, ci aveva provato ugualmente, nonostante fosse consapevole che la sofferenza di un amore distrutto ancora prima che potesse nascere era troppo devastante per poter essere contenuta.
 
Entrambi fermi, in silenzio, su un marciapiede qualunque di una metropoli troppo grande per accorgersi di ciò che stava accadendo a loro due, ad aspettare qualcosa che non vedevano arrivare.
 
«Se dicendotelo ti ho infastidita mi dispiace, non era mia intenzione. Cinque anni sono tanti, venendo qui non potevo avere aspettative, non avevo idea di chi fossi diventata. Lo ammetto, mi hai colto di sorpresa, ma in questi pochi minuti di conversazione non ho mai pensato di voler parlare con una versione diversa di te. Sei sempre stata una forza della natura, hai solo dovuto scoprirlo, hai solo dovuto trovare il coraggio di accettarlo.»
 
La voce calda e pacata di Gabriele si insinuò nelle profondità più nascoste della mente e del cuore di Ella, risuonando come un eco, per sedare momentaneamente i suoi toni rabbiosi e stizziti.
 
In quell’attimo le sue emozioni le stavano comunicando che nulla era cambiato, perché quando lei dissipava ogni grammo di pazienza, lui e Sofia le parlavano riuscendo sempre a tranquillizzarla.
 
«Ammetto di aver esagerato, avrei dovuto aspettare che tu dicessi qualcosa di concreto prima di ridurti uno straccio.»
 
In un attimo di lucida consapevolezza, Ella, riuscendo a guardare oltre la lente rossa della rabbia cieca, vide lo sguardo ferito e tormentato che il ragazzo di fronte stava tentando di nascondere dietro uno dei suoi sorrisi beffardi.
 
Fu la prova inconfutabile, che la sua memoria aveva lasciato intatto quel ricordo, anche se poter rivedere dal vivo l’angolo destro delle sue labbra alzarsi lievemente, incurvandosi per lasciare spazio a tutta la sua sottile ironia, era decisamente molto più appagante.
 
«Con tutta questa gentilezza finirò per commuovermi.»
 
Ella non poteva lasciarsi disorientare da quei piccoli familiari modi di fare, non era da lei e non era il momento.
 
Ricordò a sé stessa chi era e quanto fosse forte, ciò che aveva superato e ciò che affrontava ogni giorno e sapeva che, se ce l’aveva fatta in passato, avrebbe potuto gestire quei sentimenti che tanto le stavano facendo del male.
 
«Basta perdere tempo! Se sono qui è per parlare e ottenere le risposte alle domande che mi hanno tormentata più di quanto voglia ammettere. Proverò a tenere a freno la lingua, però tu evita di complicare i miei sforzi» asserì e, voltandogli le spalle, riprese a camminare, creandosi uno spazio per passare tra lui e il muretto.
 
«Farò del mio meglio» rispose, affiancandola.
 
«Anche perché il tuo peggio lo abbiamo già visto.»
 
Le parole che avrebbe dovuto pronunciare gli morirono sul fondo della gola.
 
La fiamma di coraggio, che lo aveva spinto a chiamarla, si stava affievolendo fino a scomparire.
 
Tutto ciò che le avrebbe detto, in qualunque modo lo avesse fatto, l'avrebbe ferita più profondamente di quanto il suo silenzio non avesse già fatto in questi anni.
 
Si chiese quale fosse la frase giusta con cui poter iniziare quella discesa verso l'inferno, ma si rese conto che anche la migliore non avrebbe fatto la differenza.
 
Ella, seguendo un impulso istintivo, strinse con le sue dita piccole e delicate l'avambraccio di Gabriele, che si fermò, non a causa della forza esercitata dalla stretta, ma dalla sorpresa del suo tocco sulla sua pelle.
 
«Gabriele, sto cercando in tutti i modi di mantenere la calma, ma stai mettendo a dura prova la mia pazienza. Perché hai insistito tanto per incontrarmi, se poi non riesci a dirmi niente?»
 
Ella, ancora una volta, prendeva in mano la situazione, scuotendolo da quello stato di patetico mutismo in cui era precipitato.
 
«È terribilmente difficile, più di quanto pensassi. Dopo anni ti rivedo e ti giuro, in quel treno, ho creduto fossi un miraggio, un’allucinazione. Sono rimasto, come un’idiota, fermo a osservarti senza riuscire a muovermi, a formulare un pensiero. Su di me, si sono riversati tutti i dubbi, i sensi di colpa e gli errori che ho commesso. Sono stato sopraffatto, tu mi hai sopraffatto ancora una volta, come accadeva ogni mattina, a scuola, quando ti guardavo da lontano mentre ti dirigevi verso di me per salutarmi con il tuo consueto bacio sulla guancia. In questi giorni avevo preparato e ripetuto il discorso che avrei voluto farti, per spiegarti al meglio le ragioni che mi hanno spinto a feriti, ma, adesso che ti guardo, adesso che sono fermo di fronte a te, mi rendo conto che niente di ciò che potrei dirti potrebbe essere una motivazione valida.»
 
Ella ci stava mettendo tutta sé stessa nel tentativo di mantenere la calma per lasciargli dare le dovute spiegazioni, ma si rendeva conto che era impossibile rimanere imperturbabili e comprensivi quando era costretta ad ascoltare determinate stronzate.
 
Lui che aveva tanto insistito, affinché accettasse di vederlo per fare ammenda e pulirsi la coscienza, adesso non riusciva a dire nulla che non fossero delle patetiche giustificazioni.
 
«Per te non è facile? Hai davvero questo coraggio?»
 
Ogni sua parola era scandita da un movimento brusco e violento, carico di rabbia. Si agitava ribelle, come un animale in gabbia che lottava alla disperata ricerca di una via di fuga da quella situazione troppo stretta che la stava soffocando, ma più cercava di liberarsi da tutto quel dolore più rischiava di farsi del male.
 
«Mi ero affezionata a te più di quanto tu abbia mai potuto immaginare, e tu cosa hai fatto?» Il suo dito indice si schiantò con brutalità e veemenza sul petto di Gabriele che, sorpreso dal gesto, perse momentaneamente l'equilibrio.
 
«Mi hai lasciata senza una spiegazione. Sei sparito da un giorno all’altro. La nostra ultima conversazione, le tue ultime parole, non hai idea per quanto tempo mi abbiano tormentata. Nulla di ciò che potesti dirmi mi ferirà più di quanto tu non abbia già fatto. Parla perché ti assicuro che, se non dirai qualcosa nei prossimi due secondi, io ti…»
 
«Ti amavo.»
 
Ella indietreggiò spaventata dalla potenza di quell'ammissione urlata con disperazione. Negli occhi lucidi di Gabriele, velati dal senso di colpa, scorse del sollievo che si estese in tutto il corpo. I muscoli delle braccia, le spalle e i tratti del viso abbandonarono la tensione che Ella aveva notato dal primo momento in cui lo aveva visto e che aveva sentito quando lo aveva toccato.
 
«Non credo di aver capito.»
 
Quella sensazione di pace, provata da Gabriele per la prima volta dopo una lunga settimana, durò poco perché fu sostituita dalla paura.
 
Lo sguardo di Ella oscillava tra confusione, incredulità e terrore.
 
Era spaventata, così tanto da sembrare vuota, priva di ogni altra emozione.
 
Era spaesata, come una bussola rotta il cui ago non faceva altro che girare e rigirare impazzito, privo di un punto di riferimento.
 
Gabriele avrebbe voluto stringerla tra le sue braccia per farla ritornare da lui, per sussurrarle che tutto sarebbe andato bene, ma se lo avesse fatto era certo lo avrebbe preso a calci così forte da farlo ritornare da dove era venuto.
 
Sarebbe stato come provare a toccare un gatto selvatico, lo avrebbe graffiato fino a farlo sanguinare specialmente se le avesse rivolto qualche frase di conforto.
 
«Ero innamorato di te, Ella.»
 
Aveva capito bene la prima volta e questo secondo colpo di frusta, sulle stesse ferite inferte prima, lacerò la sua pelle più in profondità, fino a sfiorarle l'anima.
 
Completamente immobile, si limitava a respirare lentamente e impercettibilmente nel tentativo disperato di raccogliere il coraggio nell'aria intorno a lei.
 
Non riusciva a muovere le labbra per articolare una frase, perché non aveva la minima idea di cosa gli avrebbe dovuto rispondere.
 
Era un idiota perché anche lei lo aveva amato; era un'egoista perché glielo diceva solo dopo cinque anni; era un vigliacco perché aveva preferito scappare.
 
Lui era tante altre cose che non era mai riuscita a dirgli.
 
«Adesso sei tu a non parlare.»
 
Ella immaginò che Gabriele avesse trovato come unico modo per riscuoterla una stupida battuta.
 
Ci riuscì, forse non come si sarebbe aspettato, perché Ella iniziò a ridere come una iena isterica in un contesto che aveva ben poco in comune con il divertimento.
 
«Potresti smetterla?» chiese Gabriele, chiaramente innervosito.
 
«L’alternativa sarebbe prenderti a schiaffi fino a quando non ti si stacca la testa dal collo, ma, dal momento che non sono una persona che mette in pratica i suoi istinti violenti, ti consiglio di tacere.»
 
Ella si rese conto che avrebbe realmente dovuto dirgli qualcosa, non importava quale e se avesse avuto senso, sarebbe bastato il primo pensiero le si fosse formato in mente.
 
«Questa è davvero l’ultima cosa che mi aspettavo avresti mai potuto dirmi. Tu davvero te ne sei andato, senza dirmi nulla, perché provavi un sentimento per me?» Ella, nel porgli tale domanda, si sentiva una masochista. Il suo era un chiaro invito a scuotere il suo corpo con una terza sferzata di frusta.
 
«Detta in questo modo sembra una cosa stupida.»
 
Bastò questa affermazione per farle ritornare la voce e finalmente riscuotersi da quello stato catatonico.
 
«Ma davvero? Esattamente, se mi avessi odiata cosa avresti fatto?» Il suo umore era esploso e la sua rabbia era troppo impetuosa per poter essere domata. «Nel momento in cui la parte lesionata del tuo cervello ha partorito questa idea, i pochi neuroni funzionanti dov’erano?» La domanda di Ella era retorica, eppure Gabriele tentò di risponderle, ma senza successo. «Te lo dico io. Hanno constatato che la situazione stava peggiorando e sono scappati, proprio come hai fatto tu.»
 
«Calmati.»
 
«La paura di essere rifiutato ha avuto il potere di farti scappare come un codardo. Gabriele, parla perché non ci sto capendo niente.» Ella era in balia della furia più cieca, non riusciva a stare ferma e a contenere i movimenti del corpo, mentre Gabriele, a pochi passi da lei, sembrava un sacco da box che si limitava ad attutire e incassare i colpi.
 
«Ho creduto non fossi pronta per ricambiare i miei sentimenti e farli tuoi. Ho temuto che se lo avessi saputo ti saresti allontanata.»
 
Aveva messo fine a tutto ciò che insieme avrebbero potuto essere, aveva scelto consapevolmente di rinunciare al loro noi, solo per paura che lei fosse troppo debole, ma la verità è che l’unico a esserlo era proprio Gabriele.
 
Probabilmente Ella, sebbene provasse un sentimento forte per lui, lo avrebbe rifiutato perché sapeva che non avrebbe potuto amare veramente qualcuno se prima non iniziava a comprendersi e ad apprezzarsi in ogni sua sfaccettatura, ma, nonostante lui lo supponesse, ciò non lo rendeva meno colpevole per non aver lottato, per essersi arreso ancora prima di svelare le sue carte.
 
Avrebbero potuto rimanere amici, avrebbe potuto aspettare o fare qualunque altra cosa che non fosse scomparire da un giorno all’altro, ma aveva preferito intraprendere la strada più semplice pensando sarebbe stato meno difficile anche per lei.
 
Era quello che non aveva mai capito di lei, Ella era una calamita per i percorsi tortuosi che alla fine si rivelavano pieni di soddisfazioni, nonostante i problemi.
 
«Così hai deciso di farlo tu per primo, decidendo per entrambi. Ho pensato spesso che la tua demenza fosse ineguagliabile, ma non avrei mai immaginato arrivasse fino a questo punto. Hai fatto una tac?»
 
«Pensi davvero che sia così stupido?» Gabriele si pentì immediatamente della domanda posta, perché prevedeva quale avrebbe potuto essere la risposta che Ella non avrebbe temuto di dare.
 
«Si, perché, a questo punto, l’unica spiegazione plausibile per la tua inarrivabile deficienza è che tu abbia sbattuto la testa nel cesso.»
 
Più Gabriele parlava più alimentava il fuoco di rabbia e delusione che stava infiammando Ella. Se avesse continuato in questo modo lo avrebbe divorato, ustionando ogni parte di lui, facendogli un male che preferiva non immaginare.
 
Doveva necessariamente riacquistare il controllo di sé stessa, delle sue parole, dei suoi pensieri che correvano liberi, privi di qualsiasi ostacolo.
 
«Ai miei occhi eri una ragazza fragile, ma solo perché era palese che non saresti riuscita ad accettarmi nella tua vita come qualcuno di più di un semplice amico. Non eri pronta e, forse, nemmeno io. Ho avuto la presunzione di prendere una decisione che credevo non ti avrebbe ferita, ma in realtà ho solo protetto me stesso non dicendoti nulla sul mio trasferimento. Hai ragione, avevo paura che dicendotelo ti avrei persa, ma alla fine è successo comunque.»
 
Ella dovette mordersi l’interno della guancia e annodarsi la lingua per evitare di rispondergli nuovamente in modo aggressivo.
 
Era giunto il momento di lasciare che i lividi sulla sua pancia prendessero forma, perché non poteva più permettere che fossero i suoi sentimenti a modulare le sue parole. Gabriele l’aveva ferita più profondamente di quanto avesse stimato negli ultimi anni e avrebbe meritato di soffrire, ma ciò non dava a Ella il diritto di indossare le vesti di carnefice.
 
Anche lei avrebbe potuto commettere un errore simile in futuro, perché nessuno era migliore di qualcun altro. Gabriele aveva sbagliato in buona fede, credendo fosse giusto sia per la sua felicità sia per quella di Ella e, per quanto avesse voluto biasimarlo, sapeva cosa significava compiere scelte nella convinzione di fare del bene non solo a sé stessi, ma essere fraintesi e considerati egoisti.
 
«Ho davvero troppe informazioni da metabolizzare, non credo riuscirò a gestirne altre. Ora che conosco la motivazione, per quanto non riesca a capacitarmene, ho bisogno di pensare a ciò che mi hai detto, di calmarmi, prima di intavolare un discorso che non preveda insulti e che dia, a entrambi, la possibilità di spiegarci. Credimi, è la scelta migliore.»
 
«Mi stai facendo un’offerta che non posso rifiutare?» La domanda di Gabriele e il suo sorriso imbarazzato, in un altro contesto l’avrebbero sicuramente divertita, ma adesso proprio non ci riusciva.
 
«Sono per caso delle arance quelle che vedo esposte laggiù? Ti consiglio di fare attenzione tornando a casa.» La risposta tagliente e minatoria, che riprendeva il riferimento del film che Gabriele aveva scelto, la fece sentire orgogliosa, perché anche a distanza di anni lei continuava ad avere l’ultima parola. «Ah, prima che mi dimentichi, il tuo siciliano fa schifo.» Non ebbe il tempo di voltargli le spalle che la voce di Gabriele la fermò.
 
«Aspetta, Ella. Non andare via.»
 
«Che c’è? Ti fa arrabbiare chi ti abbandona senza permetterti di parlare? Senza darti una spiegazione? Dimmi, fa male?» Doveva andarsene, non riusciva più a combattere il dolore emotivo, doveva liberarlo lontano per evitare che la devastazione scaturita potesse colpire anche lui.
 
«Non ho il diritto di chiederti di non trattarmi come stai facendo, perché so di meritarlo. Vorrei solo che mi lasciassi prima il tempo di spiegarti tutto e poi potrai insultarmi come e quanto vuoi.” Gabriele avanzò di qualche passo verso di lei, ma, nonostante volesse eliminare totalmente le distanze, fu costretto a fermarsi prima di invadere il suo spazio personale. «Ti prometto che sarò breve.»
 
Ella annuì, stanca di combattere contro la sua volontà che sembrava invincibile.
 
«Anche io sono cambiato, sono maturato e potrai constatarlo tu stessa come potrò farlo io se me ne darai la possibilità. Non so cosa tu abbia dovuto affrontare in tutto questo tempo, ma nei tuoi occhi posso ancora scorgere la timidezza e la caparbietà che ti hanno sempre contraddistinta. Vedo la paura. Ella rifletti, se adesso quello che dico ti spaventa così tanto da fuggire, come avresti reagito cinque anni fa, quando non riuscivi ad aprirti nemmeno ad un amico? Come avresti fatto ad accettare i tuoi sentimenti per me senza fuggire?»
 
«Cosa stai cercando di fare? Gabriele, siamo tutti bravi con le parole, ognuno di noi sarebbe più che capace nel fingere di conoscere qualcuno. I fatti hanno parlato per te più di cinque anni fa, contraddicendo il discorso da oscar che mi hai propinato qualche giorno prima di sparire.»
 
«Non sto fingendo e tu lo sai. È vero, ho agito nel modo peggiore possibile, ma anche io avevo paura. Paura che se tu te ne fossi accorta ti avrei persa, ma ho preso la decisione sbagliata ed è successo comunque. So che queste mie parole non sono una giustificazione e che non basteranno a lenire la tua delusione, ma è la verità.»
 
Il dolore che traspariva dal tono di voce incerto e spento di Gabriele, smosse l’animo di Ella. Si ritrovo per l’ennesima volta senza parole, divorata dalla sofferenza di entrambi, perché per quanto condividesse il suo dolore, lui ne era anche la causa.
 
«Sinceramente non so cosa dirti. Sappi solo che non sto scappando, se rimanessi ti direi cose che ti ferirebbero più di quanto le mie parole non abbiano già fatto e non sarebbe giusto da parte mia. Ti assicuro che ne riparleremo.»
 
«Allora perché ho la sensazione che, se adesso te ne vai, non ti rivedrò più?» Nella domanda di Gabriele si celava una preghiera supplichevole dal tono angosciato e speranzoso.
 
«Tutto quello che ho provato, quando sei sparito, credevo di averlo dimenticato, ma nel momento in cui ti ho visto mi sono resa conto che non l’ho ancora superato. Hai aperto il vaso di Pandora e quello che accadrà d’ora in poi non so se potrò controllarlo né se vorrò farlo. Vorrei dirti che mi farò sentire presto, ma sarebbe una bugia perché non so a quale conclusione arriverò, né quanto tempo ci impiegherò.»
 
«Faccio fatica a capire dove vuoi arrivare?»
 
«Voglio sollevarti dai dubbi che avrai quando vorrai mandarmi un messaggio, per cui, se non dovessi avere mie notizie, scrivimi. Ti chiedo solo di non essere insistente, perché ho già qualcuno che lo è fin troppo.»
 
«Che significa?» chiese con un’espressione confusa dipinta sul volto.
 
«Niente. Solo ciò che ho detto.» Ella aveva detto troppo senza che se ne accorgesse, ma non si sarebbe spinta oltre rivelandogli cose che, al momento, non gli riguardavano.
 
«Immagino che questo sia un arrivederci.» Dirlo ad alta voce faceva più male del solo pensarlo, lo rendeva reale.
 
Gabriele provò la stessa sensazione di vuoto che si presentava ogni volta che l’aveva vista allontanarsi da lui, alimentata dal pensiero masochista che non avrebbe avuto più altra occasione per sentirla vicina.
 
I suoi occhi taglienti, i suoi ricci ribelli, il suo inconfondibile profumo, la sua voce impavida e il suo tocco deciso, tutto di lei già gli mancava, mentre il senso di impotenza si impossessava del suo corpo stanco.
 
«Ciao, Gabriele.» Si stavano lasciando di nuovo e a Ella parve di sentire il rumore del filo, che aveva iniziato a ricucirsi, spezzarsi inevitabilmente.
 
«Quando sarai pronta, mi troverai ad aspettarti.»
 
Serbando nel cuore le sue ultime parole udite, Ella gli voltò le spalle prima che il suo istinto potesse prevalere sulla ragione. Vederlo le aveva fatto capire quanto gli fosse mancato e quanto questa consapevolezza la ferisse più profondamente di ogni altro suo gesto.
 
Percorrendo quel sentiero, che l’avrebbe separata da lui ancora una volta, concesse a una sola lacrima di scivolare lungo la sua guancia sinistra.
 
Una goccia che racchiudeva l’essenza di tutte le emozioni provate.
 
Loro avrebbero potuto essere l’alba innocente di un giorno nuovo, invece erano stati un tramonto grigio tra le nubi invernali.
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


«Allora hai deciso cosa regalarle?» chiese Ella a Cristina, mentre camminavano in via del Corso alla ricerca del regalo perfetto per il compleanno di Sofia, che sarebbe stato quel martedì diciassette marzo.
 
Una tra le strade commerciali più famose della capitale avrebbe dovuto rendere quell’impresa meno difficile di quanto potesse sembrare.
 
«Se lo avessi fatto non avrei mai dovuto chiedere il tuo aiuto.»
 
Cristina era un fascio di nervi e quella risposta scontrosa ne era la prova.
 
Ella fu intenerita dal suo atteggiamento, era come guardare un uccellino che aveva perso l’orientamento.
 
La osservava voltare la testa da destra a sinistra in cerca di un’illuminazione proveniente dalle vetrine colorate dei negozi.
 
«Devi essere davvero ridotta male per rispondermi in questo modo.»
 
L’affermazione divertita di Ella attirò l’attenzione di Cristina, riportandola alla realtà. Probabilmente non si era nemmeno accorta di come le aveva risposto, anche perché conoscendola non avrebbe mai detto una frase sgarbata consapevolmente.
 
A volte invidiava il suo modo pacato di affrontare la vita e le persone, tanto che spesso si era ritrovata a pensare che potesse essere la reincarnazione di Madre Teresa di Calcutta.
 
«Hai ragione. Sono stata inopportuna.»
 
Il gentile sorriso di scuse che le rivolse, per una risposta che non ne necessitava, le ricordò quanto i suoi modi di fare sfiorassero l’inverosimile.
 
Sembrava un’ingenua ragazza proveniente da un mondo lontano, troppo distante da quello in cui vivevano.
 
«Ti ha mai detto nessuno che assomigli a Biancaneve?» le chiese Ella, ricambiando il sorriso.
 
«No, è la prima volta.»
 
«Beh, Biancaneve, non dispiacerti. Sapresti addolcire il commento più sgarbato.»
 
Ormai Cristina era abituata al carattere sincero di Ella, eppure ancora non riusciva a gestire bene i suoi complimenti.
 
Già generalmente si imbarazzava quando erano banali e superficiali, ma i suoi erano diversi perché, nella loro semplicità, scavavano in profondità mettendo a nudo il suo vero io.
 
Ella per quanto ci provasse a controllarsi, non era fatta per le mezze misure, o la si amava follemente o la si detestava disperatamente, in ogni caso era inevitabile non provare per lei un sentimento forte, indipendentemente dalla sua connotazione.
 
«Ella, ti prego concentriamoci. Abbiamo una missione da portare a termine entro oggi» disse Cristina, cambiando argomento per sfuggire dall’imbarazzo.
 
«Sono perfetta per interpretare Sam, tu invece potresti fare Alex o Clover.»
 
Ella amava i cartoni animati e non perdeva occasione di guardarli quando aveva tempo libero, specialmente nei periodi di forte stress perché le permettevano di staccare completamente dalla realtà e rilassarsi, ritornando un po’ bambina.
 
«Ma di cosa stai parlando?» chiese Cristina, fermandosi a guardarla con espressione confusa.
 
«Le Totally spies. Hai detto che abbiamo una missione. Sto aspettando che da un momento all’altro Jerry apra un buco nel pavimento per portarci alla Hoop. Se vuoi ti canto la sigla, la so a memoria.»
 
Una delle sue migliori qualità era riuscire a strappare dei sorrisi quando chi le stava a cuore era divorato dalla preoccupazione. Bastava creare un ossimoro, se in un piatto della bilancia si trovavano solo angoscia e tristezza si doveva riempire l’altro di discorsi frivoli e inusuali.
 
«Ella, sei incredibile.»
 
«Biancaneve stai tranquilla e fammi un sorriso. Sei con la maniaca del controllo per eccellenza, troveremo sicuramente qualcosa.»
 
«Lo so, tu scegli sempre i regali più adatti e non capisco come ci riesca.»
 
«Dal momento che sei così disperata, ti svelerò il mio segreto, ma che resti tra noi.»
 
Non era nulla di speciale, una tecnica che le consentiva di ridurre l’ansia provocata dal pensiero di doversi ridurre gli ultimi giorni senza idee e dover quindi essere costretta comprare qualcosa di inutile.
 
«Ti puoi fidare.»
 
«Il trucco è iniziare a pensarci di largo anticipo, facendo attenzione a ciò che la persona in questione dice di volere o se mostra qualche nuovo interesse, poi fai una lista di ciò che hai scoperto e ti assicuro che un mese prima avrai il regalo perfetto tra le mani.»
 
Cristina si sentiva inquietata ogni volta che scopriva quanto la sua amica potesse essere maniacale. In questi casi si chiedeva spesso se fosse normale o avesse qualche problema irrisolto con la vita e l’intera umanità.
 
«Sono decisamente terrorizzata. Tu davvero fai attenzione a tutto ciò che diciamo?»
 
«Si, ma ricordo solo ciò che mi può essere utile. Ad esempio, tre mesi fa Sofia mi scrisse che le mancava l’ultimo CD di Britney Spears, così, sapendo che mi sarebbe ritornato utile, l’ho salvato e il mese scorso gliel’ho comprato.»
 
Sofia era ossessionata dalla principessa del pop e adesso, che aveva completato la sua collezione di dischi, poteva passare ai DVD dei concerti.
 
«Sei di una macabra genialità.»
 
«Ecco il motivo per cui mi sei sembrata simpatica e intelligente dal primo momento. Tu mi elogi e io me ne compiaccio» commentò Ella con soddisfazione scaturita dal particolare complimento di Cristina
 
«Visto che sei così brillante, dammi qualche suggerimento.»
 
Cristina stava toccando il fondo della disperazione, voleva trovare qualcosa che le fosse utile e che le piacesse, ma era difficile perché tutto ciò che le veniva in mente le sembrava troppo banale.
 
«Un completino intimo? Sarebbe un regalo per entrambe, ne beneficeresti anche tu.»
 
La proposta di Ella aveva una valenza provocatoria.
 
«Non credo sia il caso.»
 
Le guance di Cristina di colorarono di un leggero rossore. Essendo una ragazza timida e riservata, si sentiva troppo esposta e a disagio a parlare di determinati argomenti, anche con una amica.
 
«Sicuramente le misure le conosci, sarà più semplice di quanto pensi.»
 
Ella non fece molta attenzione alla risposta imbarazzata di Cristina, dal momento che si era fermata di fronte ad una vetrina di un negozio di intimo per vedere la merce in esposizione sui manichini.
 
«Assolutamente no.»
 
Ribatté Cristina con maggiore convinzione, sperando che Ella smettesse di insistere.
 
«Se ti innervosisce l’idea di dire alle commesse che è un regalo, possiamo fingere che lo debba comprare io.»
 
Nonostante avesse capito chiaramente il motivo della sua decisione, provò comunque a dissuaderla con una soluzione fattibile per surclassare il problema che esisteva solo nella sua testa.
 
«Non è questo, volevo prenderle qualcosa di più utile.»
 
Le stava risultando davvero difficile trattenersi dal fare qualche commento ironico e, alla fine, dovette cedere al suo istinto poiché era troppo forte per potervisi opporre.
 
«Se è inutile vuol dire che già li ha, quindi che ne pensi di qualche accessorio? Un frustino.»
 
Il tono serio con cui le aveva presentato quella proposta, lasciò Cristina interdetta e sconvolta.
 
«Ella!» esclamò con tono stridulo per rimproverarla.
 
«Avete anche quello? Quando torno a casa, devo sottoporre Sofia a un interrogatorio.»
 
Era così divertente vedere la sua reazione imbarazzata, che le fu impossibile non iniziare a ridere.
 
«Ma che ti salta in mente. Non abbiamo nessun frustino e non ci serve.»
 
Le idee assurde di Ella le fecero sfuggire una risata involontaria. Quella ragazza era estrema.
 
«Hai ragione, sicuramente usa le mani per darti le scu…»
 
«Ella!»
 
La interruppe Cristina con un grido acuto prima che potesse concludere la frase e far degenerare completamente la situazione.
 
«Va bene, Biancaneve, ho capito. Niente proposte peccaminose. Pensa a qualcosa che ha detto di volere negli ultimi giorni o che le serve.»
 
Ella fece marcia indietro, chiudendo quella piccola parentesi solo per ritornare a focalizzarsi sul problema di quella mattinata.
 
«Lo sto facendo da una settimana. Oggi è venerdì, mancano quattro giorni al suo compleanno e non ho ancora la minima idea di cosa potrebbe servirle. Credo che a momenti inizierò a urlare.»
 
«Cristina respira. Non è necessario perdere la calma.» Ella spostò velocemente lo sguardo su ogni negozio nelle vicinanze, fino a quando non fu colta da un’improvvisa illuminazione. «Guarda in quella vetrina! Che ne pensi di un completo sportivo? Ne ha solo due e uno è vecchissimo, dovrebbe buttarlo.»
 
Propose Ella, indicandole un negozio che vendeva indumenti e materiale sportivo.
 
«È la migliore idea partorita finora» rispose entusiasta.
 
«Solo perché hai troppa vergogna per comprarle un intimo sexy, non significa che sarebbe stato un brutto regalo. Scommetto che sei una fan delle mutandine di Hello Kitty, io invece preferisco quelle con le api che impollinano i fiori.»
 
«Ti prego, aspettami qui fuori. Torno subito» disse in un sospiro.
 
Cristina colse l’occasione per fuggire da Ella, che era diventata l’incarnazione del male per quanto la stava esasperando.
 
Quando qualcosa nella sua vita la agitava si divertiva a tormentare chiunque si trovasse nel suo mirino. Il più delle volte era esilarante, ma spesso non era capace di darsi una regolata, oltrepassando la linea che separava il divertimento dall’esagerazione
 
«Non vuoi che ti accompagni?» chiese Ella, sorridendo divertita.
 
«No. Ho bisogno di una pausa dai tuoi discorsi e soprattutto non voglio sapere perché ti piacciono proprio quelle stampe.»
 
Cristina non le diede il tempo di rispondere, che già era scomparsa all’interno del negozio.
 
Ella si appoggiò con la schiena al muro di mattoni che divideva un edificio da quello successivo.
 
Quella strada, che collegava Piazza Venezia a Piazza del Popolo, era sempre così piena di vita. Era una gioia nascondersi in un angolino e diventare l’osservatore esterno del continuo flusso di persone che sfilavano indisturbate.
 
Qualcuno correva da solo nel disperato tentativo di raggiungere ciò che desiderava prima che fosse troppo tardi; qualcun altro passeggiava spensierato ignaro di ciò che avrebbe trovato al prossimo angolo; coppie che parlavano animosamente, forse perché il ragazzo si era stancato di portare le buste della propria ragazza; altri passeggiavano amorevolmente mano nella mano, grati di aver incontrato la propria anima gemella; famiglie unite alla ricerca di un po’ di svago dalla solita routine; turisti desiderosi di comprare oggetti nei negozi più commerciali del mondo.
 
La vita fluiva mentre Ella espirava lentamente e profondamente l’aria fresca di quella giornata grigia e nuvolosa, un po’ come era stato il suo umore ultimamente.
 
I giorni trascorrevano inesorabilmente, macinando le ore più velocemente di quanto si aspettasse, tanto che tutti i pensieri avuti su quell’incontro sembravano sempre inconcludenti.
 
Il tempo non sarebbe mai stato abbastanza per essere sicura di una decisione, l’importante era prenderne una, perché, contro ogni aspettativa, anche quella più giusta avrebbe potuto rivelarsi sbagliata.
 
Il problema era che lei non era certa di sapere cosa volesse, quale fosse il desiderio che, una volta realizzato, le avrebbe placato il tumulto interiore. Forse accantonare la delusione, forse ignorarlo oppure chiarirsi solo per scomparire di nuovo.
 
«Missione compiuta. Finalmente posso ritornare a vivere in pace.»
 
La voce di Cristina distolse l’attenzione di Ella dalla strada.
 
«Grazie a me» rispose facendole un occhiolino
 
«Diciamo che, con quello che mi hai fatto subire, siamo pari» ribatté Cristina, incamminandosi in direzione della metropolitana
 
«Drammatica.»
 
«Se adesso fossi io a darti un po’ il tormento?»
 
Quella domanda non preannunciava nulla di buono ed Ella già sapeva quale discorso avrebbe intrapreso Cristina.
 
«Credi di esserne capace?» La sfido Ella, sorridendole.
 
«Ho le mie qualità nascoste.»
 
«Stupiscimi.»
 
Aveva accettato la provocazione perché, mentre con Sofia riusciva a incazzarsi sbattendole la porta in faccia quando la esasperava con la sua insistenza, con Cristina e i suoi modi gentili di farla riflettere non si sarebbe innervosita più del necessario.
 
Magari sarebbe stato ciò che le serviva per giungere ad una conclusione.
 
«In questi nove giorni di riflessione sei giunta a qualche conclusione?»
 
Cristina andò subito dritta al nocciolo della questione, perché aveva imparato che Ella fiutava da lontano chi tergiversava e l’unico risultato che avrebbero potuto ottenere sarebbe stata la sua rabbia.
 
Se Ella era diretta e sincera, si aspettava che anche gli altri lo fossero con lei, senza usare mezzi termini.
 
«No, perché non c’è nessun punto d’arrivo, per quanto possa spremere le meningi.»
 
«Almeno ci hai provato?» chiese senza un accenno di arroganza o rimprovero nella voce.
 
«A quanto pare se non ci penso da sola, ci siete voi che lo fate per me.»
 
Nonostante le piacesse il modo in cui trattava argomenti che non la toccavano in prima persona, preferiva che non si intromettessero a meno che non fosse lei a volerlo, sia perché avrebbe potuto infastidirsi sia perché più stavano lontani dai suoi problemi meno si sarebbe sentita in colpa.
 
Dare preoccupazioni agli altri era ciò che aveva evitato per tutta la vita di fare, senza molto successo.
 
«Se chiedi del tempo e non lo usi, posso supporre che il tuo sia stato solo un pretesto per scappare e che Gabriele avesse ragione.»
 
«Primo, non è vero. Secondo, cosa sei tu? Il grillo parlante? Ti avverto che Pinocchio non si trova nella favola di Biancaneve.»
 
«Sai che con me questo atteggiamento da stronza arrogante non funziona, ma se preferisci metterti sulla difensiva, fa pure.»
 
«Non è questo» ammise sconfitta, abbassando lo sguardo fino a guardare le sue scarpe.
 
Cristina era tra le poche persone che non cedevano di fronte al suo fastidioso sarcasmo.
 
«Parlarne o pensarci rende tutto più reale e… niente, non ce la faccio a dire queste stronzate di circostanza.»
 
Propinarle un monologo su quanto fosse doloroso riflettere sugli ultimi eventi sarebbe stato più semplice che dirle la verità, ma non sarebbe stato giusto mentirle.
 
Omettere a fin di bene era un conto, ma dire bugie non era nella sua indole.
 
«Dì ad alta voce quello che pensi realmente, ti permetterà di guardare le cose con maggior chiarezza.»
 
«La verità è che me ne solo andata solo perché sentivo che avrei davvero potuto rifilargli uno schiaffo o distruggerlo con le mie parole.»
 
«Perché lo hai protetto? Avrebbe potuto farti stare bene.»
 
Nessuno poteva comprendere le sue ragioni sebbene ci provassero. Sarebbe stato uno sbaglio continuare ad aggredirlo per puro desiderio di rivalsa.
 
La legge del taglione avrebbe innescato un circolo vizioso senza fine, che avrebbe spento anche la più piccola luce di speranza.
 
«L’ho fatto per entrambi. Anche i muri sanno che perdo la pazienza con estrema facilità, ma ciò a cui non fate caso è che, nonostante questo, le mie risposte sono sempre controllate perché riesco a indirizzare la rabbia per colpire un punto preciso. Da ciò che gli dicevo mi sono accorta che stavo perdendo il controllo e, se fossi rimasta, lo avrei ricoperto di cattiveria gratuita che, anche se in parte meritava, non sarebbe stata giusta. Soffriva nel dirmi quelle cose, soffriva nel vedermi e nel ripensare a ciò che aveva fatto, l’ho letto nei suoi occhi.»
 
«Ella, fa bene lasciarsi andare ogni tanto.»
 
Cristina percepiva il conflitto che aveva squarciato la volontà di Ella in due opposte fazioni. Avrebbe voluto rassicurarla per farle capire che, qualunque decisione avesse preso, non avrebbe dovuto sentirsi in colpa.
 
Era libera, anche se sentiva di non esserlo.
 
«Lo so e lo farò, ma non era il momento adatto. Dobbiamo prima parlare con calma, una comunicazione sana e bilaterale, ne ho bisogno più dello sfogare la rabbia.»
 
«Quindi cosa pensi succederà?»
 
«Sicuramente sarà dura guardarlo negli occhi e non pensare al passato, ma sono anche trascorsi cinque anni, quindi confido nel fatto che sarò capace di sostenere il suo sguardo e ascoltarlo.»
 
«Gli dirai la verità sui tuoi sentimenti?»
 
Non era più necessario mentire a sé stessi e nasconderli a Gabriele, non ora che tutto era emerso dalle oscure profondità dell’abisso in cui erano stati relegati.
 
«Sì. In fondo credo di meritare di vedere l’espressione del suo viso.»
 
«Al suo posto mi sotterrerei» commentò Cristina, ridendo al pensiero della reazione che avrebbero scatenato le parole di Ella.
 
Avrebbe voluto trasformarsi in una mosca solo per assistere alla scena.
 
«Biancaneve, per essere piccina i tuoi suggerimenti sono molto saggi. Potrei proporglielo e, in caso, aiutarlo.»
 
«Ella la smetteresti di chiamarmi così, mi fai sentire una bambina» la riprese esasperata.
 
Sapeva che Ella la vedeva come un cucciolo indifeso e sia lei che Sofia si comportavano come due mamme protettive e gelose, ma, per quanto le facesse piacere questa dimostrazione di affetto, a volte erano fastidiose.
 
«Come potrei, sei un concentrato di dolcezza e timidezza.»
 
«A te non hanno mai dato un soprannome?» chiese Cristina, capendo che insistere non sarebbe valso a nulla.
 
«Si, ma non te lo dirò né in questa vita né in un’altra» le rispose sorridendo
 
«Almeno posso sapere chi è stato il malcapitato?»
 
«Un ragazzo, tanti anni fa. Non l'hai mai visto.»
 
Dall’espressione nostalgica sul viso di Ella, Cristina intuì che doveva sicuramente trattarsi di una persona a cui la sua amica era stata molto legata, soprattutto perché non gli aveva voluto rivelare il nome.
 
«Quindi Sofia ha sempre avuto ragione» sussurrò Cristina immersa nei suoi pensieri.
 
Per Ella non fu difficile capire a cosa si riferisse.
 
«Non anche tu. Sono riuscita a farla smettere di gongolare dopo quattro interminabili giorni, mi sento già abbastanza provata.»
 
Sofia non aveva perso l’occasione di ricordarle che, se solo l’avesse ascoltata al liceo, se solo le avesse creduto quando le diceva che Gabriele ricambiava i suoi sentimenti, le cose sarebbero potute andare in modo diverso.
 
«Posso fare qualcosa?» chiese Cristina, stringendo delicatamente la mano di Ella per infonderle tranquillità.
 
«Cambiare argomento. Come vanno le cose con Sofia?»
 
«Non potrebbero andare meglio. Da quando ha trovato lavoro in palestra sembra più sollevata.»
 
«Fino a quando non ha iniziato a contribuire alle spese, viveva nel senso di colpa.»
 
«Adesso è felice il più delle volte, tranne quando ha i suoi momenti no, in quei casi è davvero difficile risollevarle il morale. Basta che una minima cosa vada nel verso sbagliato per iniziare la sua sessione di autocommiserazione.»
 
«Ho presente. Mi fa arrabbiare quando inizia a darsi della fallita. Solo dopo una strigliata ritorna lucida.»
 
Quando Sofia reagiva in quel modo, istigava il lato più violento di Ella. Non sopportava e le faceva male vedere la sua migliore amica svilirsi in un modo che non meritava assolutamente.
 
Non aveva mai avuto una particolare percezione di sé stessa, sminuiva le sue capacità, la sua personalità, non accorgendosi di quanto fosse preziosa.
 
Tutto potevano vederlo, tranne lei, la persona che più aveva bisogno di riconoscerlo.
 
«Diciamo che io preferisco altri metodi.»
 
Come era giusto aspettarsi da una ragazza incapace di reazioni poco indulgenti.
 
«Più delicati suppongo, ma il suo atteggiamento non stimola particolarmente il mio lato dolce e gentile.»
 
«Quando salterebbe fuori?»
 
La domanda di Cristina non aveva assolutamente nulla di ironico, era una semplice curiosità.
 
«Non sembrerebbe ma anche io, di tanto in tanto, ho un bisogno estremo di affetto. Generalmente quando sono triste o dopo una crisi nervosa di pianto ho la necessità di sentire l’amore che le persone provano per me, avere la conferma di non essere sola, di potermi aggrappare a qualcuno. Divento una bambola di pezza, così vulnerabile da risultare inquietante.»
 
«Ti è successo spesso in quest’ultimo anno?»
 
La sua voce preoccupata fece intenerire Ella, che si voltò verso Cristina, guardandola con dolcezza.
 
«Meno di quanto pensi. La mia famiglia e Sofia sono stati fondamentali, mi hanno fatto capire che avevo la forza necessaria per andare avanti quando ho creduto di non averne. Sei fortunata ad averla al tuo fianco.»
 
«Lo sono anche perché ci sei tu.»
 
«Oh, Biancaneve, in questi giorni sono così sopraffatta da emozioni devastanti che il tuo amore potrebbe anche commuovermi» disse, per poi fermarsi poco prima dell’entrata della metro.
 
«Grazie.»
 
Trovava difficile elargire dei ringraziamenti, perché non sembravano mai abbastanza. Alla fine erano solo parole che si ripetevano in automatico, svalutandole solo per attribuire loro un significato superficiale di circostanza.
 
La verità era che le frasi da dire sarebbero state sempre le stesse, ma la differenza sarebbe stata nel valore che le persone le avrebbero dato nel pronunciarle.
 
Una semplice parola di sei lettere poteva essere più che sufficiente se intrisa di forti e sinceri sentimenti.
 
«Quando vuoi, Ella. Basta chiedere e ognuno di noi ti darà ciò di cui hai bisogno.»
 
Le parole di Cristina le ricordarono la ragazzina che era un tempo, quando non capiva che accettare l’aiuto da chi ti porgeva una mano non significava necessariamente rinunciare alla propria indipendenza.
 
Era bastato comprenderlo per crescere e, anche se ancora faceva fatica a lasciarsi andare, adesso non aveva timore di ammetterlo ad alta voce.
 
Lei era libera e l’amore, quello sano e giusto, poteva diventare la spinta che le avrebbe consentito di raggiungere vette che, se scalate da sola, sarebbero rimaste solo un sogno lontano.
 
«Sai, mi sbagliavo. Sono io la più fortunata.»
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Proprio quando avrebbe voluto tornare a casa il più tardi possibile per non essere aggredita dai dubbi e dai timori che non le davano tregua, aveva terminato prima del solito il turno di lavoro.
 
Non sapeva esattamente quanti minuti fossero trascorsi da quando aveva trovato parcheggio di fronte al palazzo in cui abitava, ma non le importava.
 
Aveva ancora le mani poggiate sul volante e sembrava non essersi accorta del vigore con cui lo stringeva.
 
Stanca di usare una forza che sentiva stesse abbandonando il suo corpo, lasciò che i palmi scivolassero lentamente sullo sterzo fino a giacere con il loro dorso poggiato sulle cosce.
 
Piegò il busto in avanti e, senza considerare le distanze, sbatté violentemente la testa nel punto esatto dove prima erano poggiate le sue mani.
 
Un gemito rauco e sgraziato di dolore sfuggì dalle sue labbra e nell’abitacolo si diffuse una sofferenza che, per qualche istante prima di svanire, offuscò il motivo del suo tormento interiore.
 
Quel sabato, Ella aveva smesso di correre ed era caduta, inciampando nei milioni di pensieri che affollavano la sua mente.
 
Non riusciva a ordinarli, vagavano senza meta, si sovrapponevano, si annullavano vicendevolmente, erano l’ossessione che l’aveva ridotta in quello stato pietoso di debolezza e sfinimento.
 
L’avevano abbattuta e lasciata a marcire in un angolo senza ossigeno, con i polmoni infiammati che supplicavano un respiro.
 
Era sola e disorientata di fronte a quei sentieri infiniti che avrebbero potuto condurla ovunque e da nessuna parte, ma era così atrocemente sfibrata da rimanere ferma a fissare un punto indefinito al di là del parabrezza, incantandosi solo per perdersi di nuovo.
 
Quando pensava di aver messo finalmente ogni pezzo al proprio posto, tutto ritornava a farle del male, come un tornado che distruggeva e spazzava via ogni cosa intralciasse il suo cammino, privandola di ogni emozione.
 
La rabbia dei primi giorni era sparita, lasciandola annichilita e con un senso di vuoto incolmabile, alienata e distaccata dal resto del mondo, sentiva che qualcun altro stesse guidando il suo corpo.
 
Le persone che aveva provato a seppellire, che non voleva più nella sua vita trovavano sempre il modo di entrarci con la pretesa di condizionarla.
 
L’unico modo per chiudere con il passato era perdonare e dimenticare.
 
Questo era ciò che avrebbe dovuto fare per vivere bene, era ciò che avrebbe dovuto imporsi per trovare la pace ed evitare di trasformarsi in una bambola di pezza.
 
Si chiese come sarebbe riuscita a dimenticare tutto quel dolore, tutta quella sofferenza che l’aveva accompagnata negli ultimi anni.
 
Probabilmente con il tempo lo avrebbe accantonato, ma temeva che sarebbe stato sempre lì, pronto a riemergere per metterla in guardia.
 
Ella sapeva che lo avrebbe perdonato e forse, con un po’ di fortuna, un giorno sarebbe anche riuscita a dimenticare.
 
Ciò che doveva ancora decidere, ciò che rappresentava il fulcro del suo tormento, ciò che stringeva il suo cuore in una morsa ferrea e le faceva tremare le mani al pensiero di dover rispondere al messaggio di Gabriele era una domanda: sarebbe stata realmente disposta a provarci?
 
Uno sbadiglio interruppe il suo flusso di coscienza e, ritornando con la mente al presente, iniziò a percepire la pesantezza del suo corpo schiacciato dalla stanchezza.
 
La fugace idea di addormentarsi in macchina le attraversò la mente, ma non sarebbe stato molto sicuro dormire in mezzo alla strada.
 
Immaginando il suo letto morbido e rassicurante che la stava aspettando a casa, uscì dalla macchina incamminandosi svogliatamente in direzione del suo appartamento, che sembrava più lontano del solito.
 
«Ella!» l’esclamazione di Lorenzo carica di sorpresa e sollievo, risuonò forte in tutta la casa.
 
Sia lui che Sofia erano in piedi al centro del soggiorno, tra il divano e l’isola della cucina, intenti a fissarla con uno sguardo carico di preoccupazione.
 
«Ragazzi che ci fate ancora in piedi? Un pigiama party?» Ella era troppo stanca per sprecare altre energie nel chiedersi il motivo di tanta agitazione e del perché non fossero già a letto.
 
«Mi stai prendendo in giro? Mi spieghi dove sei stata e perché cazzo non rispondi al tuo stramaledetto cellulare?»
 
Quell’improvvisa esplosione di rabbia colse Ella impreparata. Sofia le si avvicinò con movimenti decisi e i suoi occhi minacciosi erano di un colore così scuro e intenso da trafiggerla da parte a parte.
 
Erano state poche le volte in cui l’aveva vista perdere la sua consueta pacatezza, segno che Ella doveva aver combinato qualcosa di davvero molto grave per indurla a reagire in quel modo così violento per i suoi standard.
 
«Sofia, che diavolo ti prende? È scarico e avrò fatto al massimo quindici minuti di ritardo.» Provò a giustificarsi, perché davvero ignorava il motivo di tutta quella agitazione. Con la mente stava scandagliando tutto ciò che poteva aver detto o fatto, ma continuava a non capire.
 
«Quindici minuti? Ella sei scomparsa per più di un’ora, te ne rendi conto? Ho chiamato il mondo per avere tue notizie. Massimiliano ti ha vista l’ultima volta al locale ed era l’una e venti. Sono le due e mezza, lo capisci o ti devo fare un disegnino?»
 
Le parole che Ella avrebbe voluto pronunciare per provare a calmarla, si bloccarono sul fondo della gola così come il suo corpo, contro cui si conficcò l'affermazione dell'amica.
 
Rivolgendo lo sguardo sull’orologio appeso alla parete della cucina, rimase a fissare le lancette che confermarono amaramente quelle parole.
 
Era stata fuori un’ora e non se ne era nemmeno resa conto tanto che era stata assorbita dalle riflessioni sulla sua vittimistica e patetica sofferenza.
 
Si accorse di essersi comportata esattamente come chi sosteneva di non tollerare, un miserabile agnellino in balia dell’autocommiserazione più inutile.
 
Una settimana in cui non aveva fatto altro che torturarsi e rimpiangere il passato, prendendo le distanze dalla vita di chi la circondava quotidianamente.
 
«Non pensavo di essere rimasta fuori così a lungo, ho perso la cognizione del tempo.»
 
Ella sapeva che non sarebbe stato sufficiente per calmarla, ma era tutto ciò che poteva dirle considerando che era solo la verità.
 
«Ci hai fatti spaventare a morte, pensavamo avessi fatto un incidente o che ti avessero rapita. Hai idea di cosa significhi rimuginare su come dire a dei genitori che loro figlia è scomparsa.»
 
Il pensiero che Sofia li avesse allarmati cancellò dal suo viso gli ultimi rimasugli di stanchezza, che le urla dell’amica non erano ancora riuscite a eliminare.
 
«Ti prego non mi dire che li hai chiamati?» chiese Ella con un tono di voce acuto, fuori controllo per la preoccupazione.
 
«No, ma se non avessi varcato quella maledetta porta avrei avvertito prima la polizia.»
 
«Meno male che sono tornata, allora.»
 
Il tentativo di sdrammatizzare e allentare la tensione, che saturava l’aria di cariche negative, non fu accolta con entusiasmo da Sofia, il cui volto dai tratti morbidi e dolci si indurì più di quanto si aspettasse.
 
«Davvero? Hai il coraggio di scherzare? Sei proprio un’arrogante menefreghista. Pensi di avere solo tu dei problemi? Pensi che noi viviamo in un idilliaco mondo di felicità e tranquillità? Ti avviso che, a differenza mia, tu potevi fare qualcosa per risolverli, ma hai semplicemente preferito prendere la soluzione e scaricarla nel cesso perché sei fastidiosamente testarda.»
 
L’accusa di Sofia era il suo tentativo di squarciare con le cesoie le cicatrici che non avevano ancora avuto il tempo e la concessione da parte di terzi per sanarsi del tutto.
 
Le stava urlando di aver intrapreso la strada più difficile invece di quella più semplice per puro egoismo, di non aver denunciato Matteo, come se decidere di rovinare la vita di una persona che aveva amato fosse una decisione facile da prendere.
 
Ella sapeva che non era la sua Sofia a parlare, che le sue parole cariche di rancore non erano reali. Doveva essere razionale e convincersi di questo, altrimenti, se la delusione avesse preso il sopravvento, nessuna delle due avrebbe visto l’alba di un nuovo giorno in quella casa.
 
«Non ho intenzione di continuare una conversazione del genere. Sei incazzata e lo capisco, ma ti consiglio di collegare il cervello alla bocca prima di dire altre cose che non pensi realmente.»
 
«Guarda che, invece, in questo momento le penso proprio tutte e sono molto reali» ribatté con vigore.
 
La ragionevolezza di Sofia si era piegata al volere dell’istinto, era stata accecata dalla preoccupazione che la paura aveva trasformato in rabbia e, sebbene una piccola recondita parte di lei sapesse che stava sbagliando, non riusciva a metterle un freno.
 
Le immagini più atroci e catastrofiche le vorticavano instancabilmente nella mente, il pensiero di ciò che poteva esserle accaduto le stava ancora dando il tormento e più Ella provava a tenerle testa mostrandosi indifferente al suo sfogo più l’ira le offuscava i sensi rendendola cieca.
 
Sembrava non capire quanto fosse importante per loro, quanto l’idea di averla persa li avesse logorati nell’ultima interminabile ora.
 
In una città nuova, sola, di notte, per strada, senza dare notizie ed Ella rispondeva con una battuta scherzosa e con un tono di impassibile sapienza.
 
«Sofia, penso possa bastare, stai esagerando.»
 
Lorenzo intervenne sperando di arrestare la risposta della sorella prima che provasse anche solo a formularla nella mente, ma senza successo.
 
«No! Deve imparare che non esiste solo lei e la sua sofferenza, ma anche degli idioti che la sera non vanno a dormire fino a quando non torna, perché si proccupani che possa succederle qualcosa. Sai, Ella, anche io devo studiare, ho gli allenamenti, le faccende di casa, l’università, i miei schifosi problemi e la mia discutibile famiglia che mi dà il tormento, eppure non scompaio per un’ora senza dare notizie. Se avevi il telefono scarico tornavi a casa o mandavi un piccione viaggiatore, non mi importa, ma di certo non te ne stavi chissà dove a riflettere sui tuoi inutili problemi perché in ogni caso non li avresti risolti. Sei una stronza egoista.»
 
Le certezze di Ella vacillarono, così come il suo corpo che si ritrovò involontariamente costretto ad arretrare di qualche passo per la potenza distruttiva di quelle parole.
 
Poche volte negli ultimi anni era rimasta basita, senza nulla da ribattere, con lo sguardo perso in quelle frasi pronunciate al solo scopo di ferire.
 
Continuava a ripetersi che non era in sé, che non doveva dare peso a ciò che diceva, eppure sapeva che dietro la rabbia c’era sempre qualche verità celata.
 
Avrebbe solo voluto fingere di non vedere ciò che di vero anche la sua amica le urlava a gran voce.
 
Sofia le stava gettando addosso dell’acqua fredda e lei si era finalmente svegliata dal torpore di quel dormiveglia in cui si era ritrovata a vivere senza nemmeno accorgersene.
 
Era stata davvero una stronza egoista, semplicemente perché il dolore suscitato dal dover accettare i suoi desideri e le sue paure si era radicato troppo in profondità per potersi preoccupare di qualcosa che non fosse la sua sofferenza.
 
«Sofia, Basta! Ti conviene andare a dormire, adesso, prima che dalla tua bocca esca qualche altra cattiveria.»
 
Anche Lorenzo era rimasto sconcertato dalla violenta reazione di sua sorella, forse era la prima volta che vedeva questo suo lato esplosivo e non c’era da stupirsi a riguardo.
 
Capiva la sua reazione, ma ciò non sarebbe bastato a giustificare tutte le parole velenose che avrebbe continuato rivolgere a Ella se non l’avesse fermata.
 
«Tu, invece di sostenermi, la difendi?» domandò confusa, puntando con veemenza il dito contro suo fratello.
 
Lorenzo avanzò di qualche passo verso Sofia, frapponendosi tra le due ragazze per essere uno scudo a protezione di entrambe.
 
«Non la sto difendendo, sto solo cercando di farti rinsavire e di proteggervi dalla bomba che sembra esserti esplosa nel cervello. Ti prego di ascoltarmi, vai in camera a calmarti, sono convinto che Ella abbia recepito il tuo messaggio forte e chiaro.
 
Alternava il suo sguardo tra Ella e sua sorella e ciò che stava osservando erano due corpi feriti e spaventati nell’animo che provavano a mascherare la loro sofferenza chi dietro la rabbia, chi dietro la non curanza.
 
Sofia sbatté rapidamente le palpebre un paio di volte, stava ritornando lentamente alla realtà. L’espressione contrita di Ella, che la osservava con occhi pieni di comprensione e tristezza, fece breccia nella sua mente.
 
Ella vide racchiuse nelle lacrime, che solcavano le guance della sua amica, la paura e il rimorso per ciò che, da lì a breve, l’avrebbe portata a scusarsi senza tregua.
 
Voltando loro le spalle, si diresse in camera per riordinare i pensieri e permettere alla ragione di scacciare gli ultimi rimasugli di aggressività.
 
«Una conversazione illuminante» commentò Ella in un sospiro.
 
Si tolse la giacca, dal momento che Sofia non le aveva dato neanche il tempo di respirare appena entrata in casa, e poi recuperò il caricabatteria del cellulare dal mobile su cui poggiava la televisione.
 
Dopo averlo messo in carica, sprofondò nel divano, cadendoci sopra come fosse un peso morto.
 
Era stanca fisicamente ed emotivamente, Lorenzo lo evinse facilmente dalla sua postura scomposta e dagli indici di entrambe le mani che massaggiavano in un movimento circolare e regolare le sue tempie.
 
Si sedette accanto a lei, non l’avrebbe mai lasciata sola dopo ciò che sua sorella le aveva vomitato addosso senza il minimo riguardo verso i suoi sentimenti.
 
«Non pensava realmente ciò che ha detto.»
 
«Lo so, non è necessario che la giustifichi. Quando si arrabbia perde il controllo e la conosco abbastanza bene da sapere che se ha reagito in questo modo è perché mi sono comportata davvero da stronza egoista, almeno non intenzionalmente.»
 
Spostò l’attenzione sul riquadro d’acciaio del suo orologio da polso, scoprendo con enorme sconforto che era estremamente tardi, tuttavia non si sarebbe addormentata sapendo che Sofia, da lì a breve, sarebbe ritornata in soggiorno con lo sguardo ricolmo di dispiacere, non avrebbe potuto lasciarla logorare tutta la notte dai sensi di colpa per una corda che era stata spezzata da entrambe.
 
Sua madre le aveva insegnato a non andare a dormire senza aver prima chiarito ed essersi riappacificati con chi si aveva litigato.
 
«Ho visto poche volte mia sorella in questo stato.»
 
Lorenzo scosse la testa con espressione incredula, ripensando alla rabbia che fuoriusciva abbondante dagli occhi di sua sorella.
 
Qualche frase in più e avrebbe fatto annegare Ella, trascinando con sé anche lui.
 
«Fortunatamente sono eventi rari. Pensa se reagisse così costantemente, ci avrebbe già ammazzati.»
 
Ella rise di gusto, immaginando un ipotetico scenario apocalittico.
 
«In questo senso siete proprio i due opposti» constatò Lorenzo, dopo qualche istante di silenziosa riflessione.
 
«Vero, ma se avessi avuto il suo stesso carattere probabilmente staremo ancora litigando e avremmo svegliato l’intero palazzo.»
 
Aveva bisogno di lei, di chiarire il suo comportamento delle ultime settimane, di dare voce ai pensieri che, fino a qualche attimo prima, avrebbe lasciato volentieri rinchiusi in quella macchina parcheggiata lontano da lei.
 
Sofia era l’unica che non l’avrebbe mai giudicata, poteva dire, fare e pensare di tutto, senza temere che se avesse aperto a lei la sua mente e il suo cuore l’avrebbe guardata in modo diverso.
 
«Sai come gestire la rabbia.»
 
Ella riusciva a riflettere le emozioni negative che gli altri riversavano su di lei, perché se le avesse assorbite avrebbero ottenuto facilmente il pieno controllo delle sue azioni.
 
«Facendo pratica su di me ogni giorno, ho acquisito un certo controllo anche quando si tratta di quella altrui, ma questo non significa che le sue parole mi siano state indifferenti.»
 
«Ha esagerato, Ella. Sapeva quali erano i tuoi punti deboli ed è stata meschina a usarli conto di te.»
 
«Non è per questo che ci sono rimasta male. È che quando soffro e tento di controllare il mio dolore, mi sfugge di mano tutto il resto. Chiudo fuori il mondo e mi concentro solo su me stessa, ignorando gli altri che stanno cercando di affrontare le loro difficoltà. Non lo faccio di proposito, è un modo per proteggere sia voi che me da ciò che potrei dire o fare.»
 
Non poteva pensare sempre e solo al proprio dolore perché tutti intorno a lei soffrivano e continuavano a vivere facendo del loro meglio per non allontanarsi. Ella non aveva mai avuto la presunzione di credere che ciò che le stesse accadendo fosse peggiore di ciò che i suoi amici provavano ad affrontare nelle loro vite, eppure era proprio quello il messaggio che aveva recepito Sofia.
 
Si era fermata a guardare nell’abisso del Tartaro dove i suoi demoni erano diventati Titani e ne era stata assorbita, diventando lo spettro di sé stessa.
 
«Ella noi vogliamo solo vederti felice, sai che se condivisi i problemi fanno meno male di quanto te ne arrecherebbero se gestissi da sola il loro peso.»
 
Negli ultimi tempi si era sentita ripetere questa frase molte volte, in tutte le sue possibili declinazioni, eppure non riusciva facilmente ad accettare l’aiuto altrui, perché temeva che una volta coinvolti ne avrebbero sofferto.
 
Quante volte aveva omesso delle verità, preferendo sopportarne da sola il peso, perché sapeva per esperienza cosa avrebbe comportato rivelarle.
 
«Devo essere davvero un caso disperato per avere così tanti angeli custodi.»
 
«Sei solo un po’ disagiata, come tutti noi del resto. Chi per un motivo e chi per un altro, è questo che ci ha uniti e resi una famiglia.»
 
Lorenzo le avvolse affettuosamente le spalle con un braccio, stringendola a sé, perché sapeva che quando ci si sentiva così spaventati e confusi, l’unica cosa che poteva aiutare a lenire il dolore era un forte abbraccio da chi aveva sempre creduto in te.
 
«Se fallissi come avvocato, avresti sicuramente successo come psicologo. Magari potresti dare inizio ad un nuovo movimento» mormorò Ella, con il viso seppellito nella maglietta di Lorenzo.
 
«Non credo avrei molti seguaci.»
 
«Pensa che se hai conquistato me, hai praticamente il mondo in tasca.»
 
«Vorrei avere la metà della tua autostima.»
 
Rise di fronte all’atteggiamento superbo di Ella, che generalmente sapeva essere il frutto della sua ironia, ma che talvolta riconosceva fosse reale.
 
«Nulla di inarrivabile. Con molta pratica e sarcasmo si può riuscire in tutto, anche in questo» rispose, mentre si allontanava dalle sue braccia rassicuranti.
 
«Scusate se vi interrompo. Ella, io…»
 
La flebile voce di Sofia catturò immediatamente la loro attenzione. Il suo sguardo era esattamente come lo aveva immaginato: mortificato e addolorato.
 
Ella le rivolse un sorriso dolce, perché sapeva che la loro chiacchierata si sarebbe conclusa con un abbraccio e due in una sola serata erano davvero un record da segnare sul calendario.
 
«Vi lascio. Ho a disposizione ben quattro ore di sonno prima che suoni la sveglia. Notte, ragazze e fate le brave.»
 
Lorenzo ruppe il silenzio, congedandosi.
 
«Faremo il possibile per urlare in silenzio» rispose Ella, prima che potesse scomparire dalla sua vista.
 
«Non so davvero da dove iniziare per chiederti scusa» disse Sofia, avvicinandosi all’amica per prendere il posto occupato qualche istante prima da suo fratello.
 
«Sofia, non è necessario. Lo so che non pensi davvero ciò che hai detto, eccetto la parte della stronza egoista. Quella è stata un tocco di classe, mi è piaciuta molto. Io non avrei saputo fare di meglio per insultarmi.»
 
Stava provando a metterla a suo agio, rendendo l’atmosfera più leggera con qualche battuta insulsa, dal momento che aveva una postura talmente rigida e tesa da temere che si sarebbe spezzata se l’avesse anche solo sfiorata distrattamente.
 
«Ella, seriamente, non so cosa mi sia preso, ti ho detto delle cose atroci. Non voglio che tu immagini soltanto che non siano vere quelle stronzate, devi sentirlo uscire dalla mia bocca.»
 
Lo sguardo di Sofia era deciso, nonostante la stanchezza degli occhi gonfi e arrossati per il sonno arretrato e le lacrime di frustrazione versate.
 
«Non è che lo immagino, lo so e basta perché ti conosco meglio di quanto conosca me stessa, ma se dirmelo potrà farti stare meglio fa pure, sappi solo che a me non serve.»
 
Ella la interruppe pur sapendo che le sue parole non sarebbero bastate a lenire i suoi sensi di colpa.
 
«Sono stata un’idiota e non penso nulla di ciò che ho detto.»
 
«Sai forse mi sono sbagliata, mi è servita eccome questa melodiosa ammissione» commentò Ella, prendendosi gioco di lei.
 
«Rettifico. Sei davvero una stronza egoista.»
 
«Te lo avevo detto che era la parte migliore.» Le risate di Ella contagiarono anche Sofia che si unì a lei, sancendo il ritorno delle amiche di sempre.
 
«Anche io ti devo delle scuse. Nelle ultime due settimane mi sono lasciata andare e vi ho trascurati. Ciò che è successo stasera mi ha permesso di aprire gli occhi e questo anche grazie alla tua sfuriata» disse Ella, dopo aver placato la sua ilarità.
 
Era giunto il momento di aprire le porte che l’avevano isolata dal resto del mondo per troppo tempo, perché non avrebbe mai potuto proteggere chi amava se prima non aiutava se stessa.
 
«Dove sei stata?»
 
«Giù, in macchina.»
 
«Perché? Cos’è successo?» chiese Sofia, con un accenno di preoccupazione nel tono di voce.
 
«Mi è arrivato un messaggio questa mattina.»
 
A Ella sarebbe risultato più semplice se le parole gliele avesse strappate dalla bocca con la forza, piuttosto che iniziare un discorso, perché non aveva idea da dove avrebbe dovuto iniziare
 
«Matteo?»
 
Era la prima persona a cui Sofia pensava quando vedeva la sua amica annullata da emozioni contrastanti e devastanti. Un nome che, in quei casi, fuoriusciva spontaneamente, un’associazione automatica a cui la sua mente era stata abituata nell’ultimo anno.
 
«No. Gabriele. Avevo bisogno di riflettere per essere sicura di sapere ciò che realmente desidero, ma mi sento più confusa di giovedì scorso.»
 
«Cosa ti ha scritto?»
 
Ella rispose alla curiosità di Sofia, prendendo il cellulare in carica sul pavimento accanto al suo lato del divano.
 
Aprì la conversazione e iniziò a leggere:
 
“Ciao Ella, non ti scrivo per aumentare il carico di pressioni e indecisioni che vertono su di te e nemmeno per chiederti come stai, perché so che se lo facessi nascerebbe in te l’istinto di lanciarmi qualunque oggetto nelle tue vicinanze. Volevo solo che tu avessi a disposizione qualcosa da poter leggere e rileggere ogni qualvolta ne sentissi la necessità. Sono pienamente consapevole di ciò che le mie scelte hanno comportato e ne accetterò le conseguenze, qualunque esse siano. Abbiamo sofferto entrambi e la colpa è solo mia, ma per quanto abbia sbagliato, per quanto dolore ti abbia arrecato, sappi che ho preso questa decisione solo nella speranza che avresti sofferto di meno ignorando i miei sentimenti per te. Ero convinto che avrei protetto entrambi, liberandoti dal peso di metterti di fronte a una scelta che, in ogni caso, mi avrebbe portato lontano da te. Non mi aspetto che tu possa voler ricominciare o dimenticare, ma spero che un giorno tu possa perdonarmi per ciò che ho fatto a quel noi che non è mai esistito se non nei miei sogni.”
 
«Cavolo.»
 
Sofia era rimasta senza parole, aveva avuto la stessa reazione di Ella alla sua prima lettura.
 
Sorpresa dalla profonda sincerità di quelle frasi, in particolare dell’ultima, in cui Gabriele aveva racchiuso tutta la sua amara rassegnazione di fronte al suo angustiante silenzio.
 
«Adesso capisci perché mi sono rinchiusa in una bolla? Sarà la decima volta che leggo queste parole, sono come una calamita, mi attirano sebbene abbia provato più volte a oppormi.»
 
«Non sei obbligata a rispondergli.»
 
Ella sapeva che avrebbe potuto ignorarlo per sempre o per un po’, ma non era ciò che voleva.
 
«Se continuo a prendere tempo, rischio di impazzire» rispose, spostando all’indietro le ciocche di capelli che le incorniciavano il viso.
 
«Cosa intendi fare?»
 
«Devo chiudere con il passato e sono disposta a provarci, sono disposta a dimenticare per andare avanti, per smettere di essere costantemente con la testa altrove e ignorare i problemi delle persone a cui voglio bene.»
 
«Ella non farti carico di altre cose per cui non dovresti assolutamente sentirti in colpa. Sei sempre molto attenta a notare il nostro umore e fai di tutto quanto ti accorgi che c’è qualcosa che ci fa stare male, se ti concentri su te stessa per due settimane non è sbagliato. Non inizieremo a pensare che hai smesso di volerci bene, anche perché questo lo sappiamo già.»
 
Sofia riuscì nel suo intento, facendo spuntare un sorriso genuino sulle labbra di Ella.
 
«Ma che simpatica, questa sera hai fatto deragliare il treno dai soliti binari.»
 
«Fa bene cambiare di tanto in tanto, mi serviva una boccata d’aria fresca.»
 
«Felice di averti aiutata, ma cerca di non prenderci troppo la mano. Non vorrei che cercassi di spodestarmi.»
 
Ella iniziò a digitare sulla tastiera del cellulare.
 
Le sue piccole dita si muovevano velocemente, guidate dai sentimenti e dai troppi giorni di riflessione.
 
«Ecco fatto, inviato.»
 
Sospirò, poggiando esausta la schiena sullo schienale del divano.
 
«Fammi vedere» disse Sofia, prendendole il cellulare.
 
“Non ho mai portato rancore, ma non nego di aver desiderato che tu potessi provare anche solo un decimo della sofferenza con cui ho imparato a convivere e che credevo di aver accantonato. Sono ancora arrabbiata per il tuo innocente egoismo, perché ti credo quando dici di aver agito con le migliori intenzioni, so cosa significa e so cosa si prova nel prendere drastiche decisioni, eppure è il medesimo motivo che alimenta la mia rabbia. Non so se avrei avuto il tuo stesso coraggio dopo così tanto tempo a bussare alla mia porta, piombando nella mia vita senza chiedere il permesso, ma è successo e, per quanto sia incazzata nera, ne sono felice. Quante cose non sai ed è giunto il momento che anche io mi metta a nudo esattamente come hai fatto tu, rischiando. Forse ci vorrà del tempo prima che io possa dimenticare, forse non accadrà mai, non ti prometto nulla, ma ultimamente ho capito che posso continuare a voler bene chi mi ha fatto del male. Se sei libero, possiamo incontrarci domani pomeriggio in centro, perché di sera lavoro.”
 
«Vuoi davvero dirgli tutto?» chiese dopo aver finito di leggere.
 
«Ormai non ho più paura di affrontare i miei sentimenti né me ne vergogno. È da cinque anni che ho smesso di negarli e credo che la completa sincerità sia un buon punto di partenza per voltare pagina.»
 
«La verità lo sconvolgerà. Insomma, se credeva che avresti ricambiato non sarebbe sparito.»
 
«Io, invece, penso che in fondo lo sappia.»
 
Ella stava ammettendo ad alta voce un pensiero che la stava ossessionando da quando gli aveva voltato le spalle per ritornare a casa.
 
«Che intendi?»
 
A quel punto Sofia sentiva di aver perso qualche passaggio, perché non riusciva a capire dove Ella volesse arrivare con quell’affermazione.
 
«Mi ha detto che ero fragile e non voleva spezzarmi. Credo che inconsciamente sapesse che provavo qualcosa per lui, ma anche che non ero pronta per accettarlo, per poter fare quel passo verso di lui. Sicuramente sentirmelo dire apertamente gli farà effetto, però sono convinta che sarà solo un momento per realizzare ciò che ha sempre saputo.»
 
«Dovresti smetterla di psicanalizzare le persone.»
 
Il commento spontaneo di Sofia strappò a Ella una risata.
 
«Assolutamente no. Grazie a voi posso fare tirocinio e avvantaggiarmi, non potrei mai rinunciare.»
 
«Aspetta un secondo. Da quando tu lavori di domenica?
 
«Solo questa settimana, Massimiliano mi ha spostato il turno perché una mia collega aveva un impegno inderogabile.»
 
«Quindi ti può dare il martedì libero?» chiese Sofia, con un luccichio di speranza negli occhi.
 
«Purtroppo no. Quel giorno sono in programma due compleanni e Massimiliano si è raccomandato di non dargli buca perché non saprebbe come sostituirci. Mi dispiace davvero, ti prometto che mi farò perdonare.»
 
Ella stava facendo uno sforzo atroce nel cercare di formulare quella bugia in un modo che risultasse il più convincente possibile. Sofia era brava a capire quando le nascondeva qualcosa e lei faceva schifo a mentire, una combinazione devastante quando si trovava coinvolta nell’organizzazione di una sorpresa.
 
«Sarà meglio per te, se non vuoi vivere altri quindici minuti di puro terrore.»
 
«Ti ringrazio per la generosa offerta, ma quelli di stasera mi basteranno per tutta la vita.»
 
Non riuscì a trattenere uno sbadiglio che, come ovvio, contagiò anche Sofia che la stava guardando.
 
«Sono quasi le quattro, ho ampiamente superato il quantitativo di energie giornaliere, domani non so proprio come farò ad alzarmi dal letto» disse alzandosi per dirigersi in camera e indossare, finalmente, il suo tanto agognato pigiama morbido e comodo.
 
«Prima di andare a dormire, volevo chiederti una cosa. Sono convinta che Cristina stia organizzando qualcosa per il mio compleanno, ho provato a estorcerle qualche informazione, ma quella ragazza è peggio di una cassaforte, così ho pensato: chi potrà aiutarla se non la mia migliore amica? Quindi eccoci qua.»
 
Il viso di Ella si dipinse di terrore al pensiero che se solo Sofia avesse insistito, avrebbe sicuramente rivelato tutto, vista la sua incapacità nel nascondere le cose.
 
Era più forte ogni sua volontà, infatti era riuscita a mantenere segreto il suo regalo solo per una settimana.
 
L’impazienza di vedere la reazione dell’amica l’aveva spinta a darglielo quasi un mese prima del previsto.
 
«Non se ne parla, quel piccolo cucciolo di Biancaneve sarebbe capace di sgozzarmi nel sonno se ti dicessi qualcosa.»
 
«Quindi tu sai!» esclamò Sofia, felice di essere riuscita a farle rivelare qualcosa.
 
«No, ti sbagli. Se ha architettato qualcosa io non so nulla, d'altronde quella sera dovrò lavorare, quindi non vedo perché avrebbe dovuto dirmi qualcosa» rispose Ella, allarmata per non essersi accorta di averle detto troppo.
 
«Invece sì e sappiamo entrambe che sei pessima a dire le bugie. Scommetto che stai morendo dalla voglia di dirmi tutto, compreso cosa mi ha regalato Cristina.»
 
«Oh, ti prego. Abbi pietà di me e non indurmi in tentazione se ci tieni alla mia vita.»
 
La supplicò Ella, unendo le mani in segno di preghiera.
 
«Prova a essere più convincente.»
 
«Adesso smettila di insistere e lasciami andare a dormire che la giornata di domani si preannuncia già molto intensa» disse Ella, mentre si affrettava a scomparire nel corridoio. Sfuggire alla sua amica sarebbe stato fondamentale in quei giorni se voleva sperare di arrivare a fine mese.
 
«Scappa, ma sappi che non finisce qui.»
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Quella mattina erano riusciti a organizzarsi per vedersi nel tardo pomeriggio e, come sempre, Ella era di un’ineccepibile puntualità.
 
Gabriele non era ancora arrivato e, dopo cinque minuti trascorsi in piedi ad aspettare, stava già iniziando a percepire un principio di fastidio nascere al centro del suo stomaco.
 
Era questo tipo di mancanza di rispetto che Ella non tollerava, se avesse avuto un contrattempo avrebbe dovuto avvertirla, soprattutto perché sapeva quanto era fastidiosamente precisa.
 
Detestava aspettare senza un motivo valido, perché se chi doveva incontrare avesse tenuto a trascorrere del tempo con lei sarebbe dovuto arrivare persino in anticipo.
 
Molte volte, dopo dieci minuti di attesa e in assenza di risposta a chiamate e messaggi, se n’era andata, così, magari, avrebbero imparato un po’ di rispetto per la volta successiva.
 
A qualche passo di distanza dalla stazione di Flaminio, fermata della metropolitana dove si erano dati appuntamento, Ella sbatteva nervosamente e con insistenza il piede destro al suolo per schiacciare, nel suo immaginario, la testa di Gabriele ogni volta che la suola del suo stivaletto nero si schiantava con la superficie della strada.
 
Sbloccava compulsivamente lo schermo del suo cellulare, sperando con tutta sé stessa che riuscisse ad arrivare prima che perdesse definitivamente la calma.
 
Questa volta non sarebbe ritornata a casa, ma avrebbe atteso trepidante di collera fino a quando non avrebbe potuto scaricarla con gli interessi su quell’essere ingrato.
 
Dopo quindici minuti si era arresa, nascondendo le mani nelle tasche del suo giubbino di pelle bordeaux. Se proprio avesse dovuto perderne l’uso non sarebbe stato di certo per ipotermia, doveva preservarle per l’occasione particolare che sarebbe giunta a momenti.
 
«Lo so che avrai pensato come minimo a un centinaio di modi per uccidermi, però prima lasciami solo dire che non è stata colpa mia. Ho trovato molto traffico per strada e ho dovuto parcheggiare un po’ lontano.»
 
Una voce familiare, seppure distorta dal respiro affannoso, le comunicò la presenza di Gabriele alle sue spalle.
 
Nonostante fosse leggermente curvato in avanti nel tentativo di riprendere fiato e restituire al suo cuore un ritmo regolare, si ritrovò costretta ad alzare il viso all’insù di qualche centimetro per poterlo osservare in tutto il suo sorprendente disastro.
 
«Se decidi di venire in centro con la macchina sai anche che devi scendere di casa in anticipo, quindi questa giustificazione ha lo stesso valore di una banconota del monopoli. Il fatto che tu abbia corso non mi intenerisce, anzi mi fa ancora più arrabbiare.»
 
Gabriele aveva sbagliato nel credere che la sua posizione poco rosea non potesse peggiorare, perché ci era appena riuscito, adoperando un minimo sforzo per un massimo successo.
 
Pienamente consapevole che Ella, in un’altra vita, doveva essere stata un orologio svizzero, come precauzione aveva terminato prima il suo allenamento di nuoto, ma non abbastanza per evitare il suo disappunto.
 
D’altronde era quello il motore all’origine del meccanismo della vita, più ci si sforzava nell’aggiustare le cose più si rompevano, peggiorando la situazione.
 
La strada per l’inferno era lastricata di buone intenzioni e lui, ultimamente, ci stava sguazzando inconsapevole.
 
«Concedimi almeno la grazia di una morte rapida e indolore.»
 
Ella fu costretta a contare nella mente fino a dieci, per provare a domare l’istinto animale che le stava portando un leggero formicolio alle mani.
 
L’espressione supplichevole da cucciolo bastonato, che aveva appena sbattuto la faccia contro un palo, non avrebbe addolcito i suoi modi di fare.
 
«Smettila di fare il simpatico se non vuoi che getti tutte le buone intenzioni di cui mi sono munita nel cassonetto dall’altra parte della strada. Ah, ti consiglio di aggiustarti i capelli, sembrano uno scopettino per pulire i gabinetti.»
 
Nonostante la forma che avevano assunto fosse parecchio divertente, Ella ebbe qualche difficoltà a distogliere lo sguardo dalla sua figura prima che lui si accorgesse della sua invadenza.
 
«Sei sempre così antipatica?» chiese mentre si passava una mano tra le ciocche chiare, in disordine a causa della corsa.
 
Sicuramente le sue schiette affermazioni erano vere, ma Gabriele sapeva che il motivo che l’aveva spinta a fargliele presenti in quel modo così sgarbato era solo il bisogno di non cedere ai sentimenti e perdere il controllo.
 
«Guarda che questo è il mio lato più gentile» commentò ironica, voltandogli le spalle e iniziando a muovere i primi passi lungo la strada.
 
«Allora, vuoi passeggiare o magari sederci da qualche parte?» le chiese Gabriele affiancandola.
 
«Possiamo camminare fino a Piazza del Popolo e poi sederci lì. Non è molto distante.»
 
«Sicura di non preferire un posto più tranquillo?»
 
Gabriele avrebbe voluto parlare guardandola negli occhi con più calma, ma Ella era troppo nervosa per anche solo pensare di essere costretta a sedere da qualche parte senza la possibilità di muoversi per scaricare la tensione provocata da ciò che avrebbe dovuto confessargli.
 
«Pensa che più persone ci circondano meno probabilità ci sono che metta in atto qualche fantasia omicida, nel caso dicessi qualcosa di molto stupido.»
 
Non poteva ammettere di essere tanto tesa da sentire le sue gambe tremare ogni volta che le alzava dal suolo per compiere un passo in avanti.
 
Il suo sarcasmo stava diventando patetico, perché non era il comportamento di una persona predisposta al dialogo, predisposta a qualcosa di buono.
 
Il ritardo l’aveva innervosita, ma non giustificava l’aggressività che non aveva neanche tentato di mascherare da quando l’aveva visto. La realtà era che le era servito solo un pretesto per ritornare la ragazza scontrosa che aveva incontrato l’ultima volta e lui gliel’aveva fornita, annullando in lei ogni proposito di cui si era armata, nell’arco di soli cinque minuti.
 
«Sei una delle ragazze più altruiste che io conosca.»
 
Ella era un libro aperto, per lui che aveva imparato a leggere tra le sue righe. Sicuramente alcuni aspetti si erano accentuati negli anni, ma Gabriele ancora riusciva a intuire il suo stato d’animo senza che lei lo esprimesse a parole.
 
Il suo corpo glielo trasmetteva, così come il suo silenzio straripante di tensione e confusione. Non sapeva da dove cominciare e lui avrebbe voluto aiutarla, ma questa volta non poteva indirizzare il discorso.
 
Il carattere diffidente di Ella l’aveva spinta a tacere più volte nei primi mesi di conoscenza, al liceo, così aveva imparato ad interpretare i suoi silenzi, che tra solo avevano sempre parlato più delle loro parole.
 
Non doveva sentirsi costretta a rispondere a delle domande, non le avrebbe tirato delle frasi stentate dalla bocca, doveva lasciarla libera di esprimersi e avrebbe aspettato pazientemente, dimostrandole rispetto per i suoi tempi.
 
«Prima di iniziare, voglio chiarire una cosa. Se il tuo desiderio di superare questi anni è reale, per sperare di riuscirci, ho bisogno della tua più completa sincerità. Devo conoscere ogni tuo pensiero, emozione, tutto, non importa quanto ti costerà, perché io farò la medesima cosa.»
 
Ella camminava, tenendo lo sguardo fisso sulla strada. Non riusciva a guardarlo negli occhi, sentiva che sarebbe stato più difficile se il suo sguardo avesse accarezzato il viso del ragazzo che aveva creato una voragine nella sua mente, solo per poterla riempire di pensieri nostalgici dedicati a lui.
 
«Per quanto possa ancora avere valore, hai la mia parola.»
 
Gabriele, al contrario, non riusciva a deviare lo sguardo dalla sua figura. Quella ragazza era un balsamo per il suo animo, gli faceva bene al cuore, nonostante il suo carattere spigoloso.
 
Avrebbe preferito parlare con la versione di lei più sarcastica e pungente, piuttosto che farlo con qualcuno che non fosse lei, che non avesse il suo stesso temperamento e il suo viso all’apparenza dolce e innocente.
 
«Non avresti motivo di mentirmi, considerando che sei stato tu a metterti in contatto con me. Forse non mi fiderò completamente, ma voglio sul serio provarci perché, in ogni caso, non avrei nulla da perdere.»
 
La risposta sincera, detta con tono più pacato di quanto si aspettasse, lo sorprese. Lo sguardo di Gabriele si illuminò, ma Ella non poteva vederlo o forse non voleva prendere consapevolezza della scintilla di speranza che la sua decisione gli aveva dato.
 
Sapeva che era stato più che giusto dirglielo apertamente, eppure temeva profondamente la sua delusione qualora non fosse riuscita a voltare pagine.
 
Timore legittimo, ma in cuor suo piuttosto improbabile.
 
«Quasi due settimane per giungere a questa conclusione, avrei aspettato anche un mese per ascoltare le tue parole.»
 
Ella sorrise di fronte alla felicità che Gabriele non si curava di nascondere, felicità che probabilmente sarebbe sparita dopo avergli detto tutta la verità.
 
«Ascolta ciò che ho da dire prima di esultare. La settimana scorsa ero così sopraffatta dalle emozioni che non sono riuscita a dirti una cosa che negavo a me stessa. Mi sono nascosta dietro il sarcasmo, per non mostrare quanto la tua confessione avesse scavato a fondo dentro me, per riportare alla luce i sentimenti che a lungo avevo represso.»
 
Ella tacque, aspettando che Gabriele immagazzinasse con calma e attenzione ogni sua singola parola, prima di mettersi completamente a nudo.
 
«Fallo adesso.»
 
Dopo aver dato il segnale, nessuno dei due avrebbe più potuto tornare indietro. Anche se l’istinto avrebbe gridato loro di fuggire, le catene che li avevano sempre uniti si sarebbero chiuse di nuovo e rafforzate, legandoli in una ferrea morsa che li avrebbe costretti ad affrontarsi una volta per tutte quelle a cui avevano detto no, voltando le spalle al loro destino.
 
Ella fece un profondo respiro, alzando il viso all’insù per cercare coraggio nel cielo limpido dai colori tenui del tramonto.
 
I battiti del suo cuore stavano gradualmente accelerando, risuonando all’interno della gabbia toracica e ottundendo qualunque pensiero che non fosse dedicato all’ansia che provava in quel preciso istante.
 
«Eri davvero troppo stupido per accorgerti che, in realtà, nella mia vita eri entrato fin troppo. Talmente tanto che quando sei sparito, ho iniziato ad incolparmi senza sosta. È stato difficile imparare a non pensarti ed è così liberatorio poterti dire che non eri solo tu a sognare un noi che si è mai realizzato.»
 
Gabriele vide il corpo di Ella abbandonare un po’ di tutta quella tensione che l’aveva resa una corda di violino sul punto di cedere e spezzarsi.
 
Al contrario, adesso era lui a essersi irrigidito, perso in quelle parole che erano giunte alle sue orecchie molto chiaramente, ma il cui significato si rifiutava di essere elaborato.
 
«Di cosa stai parlando?»
 
Il suo sguardo era su di lei insistente e penetrante, Ella non riusciva più a gestirne l’intensità.
 
La stava attirando, come una calamita e l’unico modo per porre fine a quella situazione di disagio e alla sua confusione era che lui leggesse nei suoi occhi la verità di ogni parola pronunciata, altrimenti, era sicura, non le avrebbe mai comprese del tutto.
 
Aveva deciso di essere completamente trasparente, quindi non avrebbe dovuto mascherare le sue emozioni, non avrebbe dovuto controllarle, ma lasciarle andare, indirizzandole al suo cuore affinché comprendesse ogni suo desiderio più profondo e nascosto.
 
Se c’era una sola persona nel mondo che avrebbe potuto farlo, quella era Gabriele.
 
Lo doveva a entrambi.
 
Con una mano Ella spostò tutta la lunghezza dei capelli sulla spalla destra, liberando il lato che affiancava Gabriele da ogni intralcio visivo. Voltò il viso nella sua direzione, ma ciò che riusciva a vedere era la sua maglietta nera al di sotto del giubbino.
 
Prima che potesse cambiare idea o ascoltare qualunque tipo di pensiero che la stava ossessionando ormai da settimane, alzò lo sguardo, sfiorando delicatamente ogni centimetro della sua anima con tutte le emozioni che aveva represso per anni.
 
«Credo che tu lo sappia, che in fondo lo abbia sempre saputo. Era straziante svegliarsi con le sensazioni ancora vivide del tuo tocco sulla mia pelle, dei tuoi capelli arruffati al mattino e del sorriso impertinente che mi rivolgevi ogni volta che avevo l’ultima parola, con la promessa che prima o poi saresti riuscito a farmi tacere. Era devastante pensarti e chiedermi costantemente cosa avessi sbagliato, come avrebbero potuto essere diverse le cose tra noi se non te ne fossi andato, se fossi stata meno timida. Quante volte mi sono chiesta dove sarei stata adesso se non ci fossimo mai separati.»
 
Scalpitavano, sgomitavano, si urtavano e si spingevano in una lotta per quale di essi avrebbe dovuto vedere prima la luce e provare la leggerezza della libertà che Ella stava donando ai suoi polverosi sentimenti.
 
Gabriele aveva gli occhi leggermente sgranati per lo stupore suscitato dal discorso di Ella e, nonostante sapesse cosa lei stesse provando a comunicargli sia con le parole che attraverso i suoi occhi limpidi e sinceri, aveva bisogno di sentirglielo dire apertamente.
 
«Tu…»
 
Ella si fermò e, girando tutto il corpo verso Gabriele, con entrambe le mani abbracciò con decisione i suoi avambracci.
 
Sentì tutte le vibrazioni che lei gli stava trasmettendo, voleva spazzare via ogni microscopico dubbio potesse insorgere prepotente nella sua mente, voleva dargli la certezza assoluta della veridicità delle parole che avrebbe pronunciato.
 
Gliele avrebbe trasmesse con ogni parte di lei, attraverso la voce agitata, il tocco incisivo, gli occhi lucidi che stavano scavando a fondo dentro la sua anima per dare una forma nuova ai cocci di due amori infranti da due ragazzini immaturi.
 
Questa volta lui avrebbe capito e lei non sarebbe scappata.
 
«Tu sei stato il sentimento più vero e l’amore più innocente che abbia mai incontrato.»
 
Le labbra di Gabriele si schiusero leggermente, ma da esse non fuoriuscì un fiato. Rimase in quello stato per qualche istante, con la bocca semiaperta e lo sconvolgimento nello sguardo.
 
Ella conosceva quella sensazione, la stessa che aveva provato quando lui le aveva confessato quanto l’aveva amata.
 
«Mi stai dicendo che se solo te ne avessi parlato, tu avresti ricambiato ciò che provavo per te?» chiese con un tono incerto.
 
«È complicato» rispose Ella, lasciando la presa sulle sue braccia e indietreggiando di qualche passo per lasciargli lo spazio di cui credeva avesse bisogno in quel momento.
 
«Ne hai di tempo per spiegarti.»
 
Ella non riuscì a interpretare il suo tono di voce, perché era stata spinta per l’ennesima volta da un passante che cercava di superare l’ingorgo che loro avevano creato fermandosi nel mezzo del marciapiede.
 
«Va bene, ma è meglio sederci perché se ci fermiamo ogni cinque secondi, intralciando il passaggio, finiremo per farci picchiare da qualcuno.»
 
Non aspettò una risposta che appoggiasse la sua decisione e, stringendo saldamente il polso di Gabriele per evitare che si perdessero tra la folla, si diresse a passo sostenuto verso Piazza del Popolo.
 
Al suo centro si ergeva l’obelisco più antico e più alto di Roma. Posizionati ai quattro spigoli, si trovavano altrettanti leoni di marmo, dalle cui fauci fuoriusciva un getto d’acqua che si raccoglieva in una vasca, disposta su una piccola gradinata su cui poggiava il monumento.
 
Ella si fermò e con lo sguardo vagava alla ricerca di un posto lontano dal clamore e dalla massa di turisti proveniente dalle nazioni più lontane che popolavano la piazza.
 
Era lei a indicare la direzione, perché Gabriele era troppo spaesato per capire cosa stesse succedendo. La seguiva in silenzio, perso tra tutte le domande che fremeva di porle per mettere fine al suo stato di completa assuefazione.
 
Mentre Ella camminava a passo spedito verso il lato occidentale della piazza, dedicò una fulgida occhiata a Gabriele, dal suo viso traspariva solo la trepidazione e il desiderio di ascoltare una spiegazione che placasse i suoi dubbi.
 
Si sedettero poco distati dalla fontana su cui era stata posizionata la statua di Nettuno. Erano le sei e i raggi morenti dalle striature calde e rossastre, di un sole che preannunciava la primavera, lasciavano spazio ai primi colori freddi della notte.
 
I loro respiri lievi trafiggevano l’aria, creando nuvole di condensa simili a sbuffi di fumo.
 
Vicini, più di quanto lo fossero mai stati in passato, erano in attesa di una sentenza che avrebbe pregiudicato il loro futuro rapporto, perché le loro prossime parole avrebbero avuto il potere di riavvicinarli a tempo indeterminato o allontanarli in modo irrimediabile.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


«Si avrei ricambiato i tuoi sentimenti, ma no, probabilmente non saremmo mai diventati un noi. Primo perché ti saresti trasferito in ogni caso, secondo per lo stesso motivo che ti ha spinto a non dirmi nulla.»
 
Ella fece una piccola pausa, spostando lo sguardo verso le sue mani intrecciate che si torturavano a vicenda per scacciare il nervosismo. Il leggero venticello freddo, che trasportava a ogni folata il profumo della serata appena giunta, muoveva leggermente i suoi capelli, facendoli ricadere come un sipario tra lei e Gabriele.
 
Prima che lui potesse interrompere il discorso che stava elaborando nella sua mente, riprese laddove aveva interrotto.
 
«Ero fragile e sapevi che se me lo avessi detto mi sarei spezzata e ti avrei allontanato da me, così hai preferito farlo tu, evitando di farmi distruggere dai dubbi. Mi amavi e non potevi continuare a fingere che non fosse la realtà, ma al contempo non volevi farmi del male.»
 
Mentre pronunciava queste parole, Ella osservava il viso imperturbabile di Gabriele e il suo sguardo smarrito la indusse ad addolcire maggiormente il suo tono di voce.
 
«Non posso credere che tu fossi realmente così cieco da non vedere il mio sguardo illuminarsi ogni volta che ti vedevo. Sono convinta che, sebbene avessi dei sospetti, tu abbia sempre preferito ignorarli, altrimenti sarebbe stato solo più difficile lasciarmi andare. Un ragionamento contorto, forse a molti inconcepibile, ma non per me perché mi conosco e tu sapevi bene come avrei agito. Avrei avuto paura e sarei scappata, perché se non riuscivo ad amare me stessa, se non sapevo nemmeno chi fossi e cosa volessi dalla vita, come avrei potuto a lottare per te? Non saremmo durati niente e io non avrei mai rovinato la nostra amicizia.»
 
Ella era così immersa nel suo discorso da non essersi accorta che Gabriele aveva posato la mano sulle sue. Solo quando iniziò un movimento lento e circolare del pollice sul dorso della sinistra, prese consapevolezza di quel tocco caldo e delicato che le stava trasmettendo tranquillità, placando i suoi movimenti agitati.
 
«Avresti fatto lo stesso?»
 
Gabriele si sentì sopraffatto da un insieme sconnesso di emozioni e, se non avesse deciso dove orientare i suoi pensieri, si sarebbe frantumato in tanti pezzi quanti erano i sentimenti che lo stavano spingendo contemporaneamente in direzioni diverse.
 
Capiva cosa dovevano aver provato i condannati in età medioevale, quando venivano posti su una tavola e legati sia ai polsi che alle caviglie con corde, per poi essere tirati fino alla morte da parti opposte.
 
Nonostante la sua mente stesse subendo la stessa sorte di quei corpi dilaniati, era impossibile per lui non vedere che Ella stava sperimentando la medesima tortura.
 
«Si e mi fa ancora più arrabbiare, perché ciò significa che davvero tu mi conoscevi più di quanto potessi immaginare.»
 
Il contatto creato dall'unione delle loro mani aveva reso la loro connessione più intima e profonda di quanto si sarebbe mai spettata. Ella aveva deciso di lasciarsi andare, eppure aveva paura folle del significato nascosto in i loro sguardi.
 
Non potevano non essere nulla, le emozioni che stava provando non potevano essere ignorate e classificate come suggestione.
 
Parlavano al passato di qualcosa che era tutt'ora presente, che stavano volutamente ignorando per l'ennesima volta, ma che quelle mani lo avrebbero reso evidente anche al più distratto dei passanti.
 
«Pensi che non sappia più chi sei?»
 
Era difficile relegare tutte le domande che la stavano angustiando in un angolo remoto della sua mente, per concentrarsi su come avrebbe dovuto rispondere.
 
Le mani che nessuno dei due sembrava intenzionato ad allontanare, i respiri che si mischiavano, i brividi di freddo e di emozione che scuotevano i loro corpi caldi, la consapevolezza di aver ritrovato quel legame e quella profonda vicinanza che tanto avevano bramato rendeva impossibile a entrambi concentrarsi sulle parole e non sui propri sentimenti.
 
«Come ti ho abbondantemente urlato contro giovedì, cinque anni sono tanti e sono successe molte cose, penso tu lo abbia intuito che ho lavorato su molti aspetti della mia personalità. Prima ero insicura e timida, ma adesso, nonostante sia ancora introversa e diffidente, non ho paura di esprimere le mie emozioni e non mi importa ciò che pensano le persone di me, perché mi amo e sono fiera delle mie scelte sia giuste che sbagliate. Ogni esperienza bella o brutta mi ha fatto crescere e capire che il mondo se ne fotte di chi non riesce a parlare e a far sentire la propria voce, ma soprattutto so con certezza chi voglio nella mia vita e chi, invece, non deve nemmeno avvicinarsi.»
 
«Non era giusto ti incolpassi per cose che non avresti mai potuto controllare.»
 
Ella scosse leggermente la testa, incurvando le labbra in una smorfia che mostrava tutto il suo scetticismo per l'ultima affermazione di Gabriele.
 
«Ero troppo orgogliosa e immatura, tanto da vedere in me la causa di ogni comportamento altrui sbagliato o inspiegabile. Compreso il tuo» disse abbassando il capo.
 
Stava ammettendo una realtà che continuava, dopo molti anni, a crearle dei conflitti con la sua coscienza, sebbene non avessero motivo di esistere.
 
«Quale pensavi fosse stato il tuo errore?»
 
Ella fece una piccola smorfia, disgustata da tutte le incalcolabili volte in cui aveva passato in rassegna le sue azioni per provare a dare un senso a tutti quei pezzi che vedeva frantumarsi giorno dopo giorno.
 
«Essere rimasta in silenzio per due anni a negare e ad avere paura. Tu hai visto in me tutto questo e hai agito esattamente come ho fatto io, tacendo e seppellendo ciò che provavo per non ferire sia me che te. Credo tu sia stato fondamentale nell'innescare in me il desiderio di migliorare ed estremizzare il mio innato bisogno di controllo.»
 
Per quanto contorto potesse essere il suo ragionamento, alla fine si sarebbe ritrovata persino a ringraziarlo. Gabriele era stato un tassello importante per la sua crescita, perché se lui e persone come lui non l'avessero ferita, probabilmente non avrebbe mai ricevuto la spinta necessaria che l'avrebbe portata a essere la donna di cui adesso era fiera.
 
«Mi sento un'idiota. Se solo non fossi stato così codardo, non ti avrei ferita e non avremmo perso cinque anni a chiederci come sarebbero potute andare le cose tra noi.»
 
Gabriele riusciva a produrre frasi sempre più articolate, suscitando del sollievo in Ella perché, da quando aveva iniziato a confessargli i suoi sentimenti, aveva temuto di dover chiamare il pronto soccorso.
 
Riprendendosi dallo stato di shock, l'incredulità era stata sostituita dallo sconforto e la mano calda che prima riscaldava quella di Ella scivolò via, ritornando a essere fredda e vulnerabile.
 
«Se ti aspetti che possa negare questi sinceri complimenti, sappi che non lo farò, ma posso provare a diminuire il tuo senso di colpa» disse, rivolgendogli un sorriso.
 
«Come?»
 
«Se l'Ella che vedi in questo momento tornasse indietro rimarrebbe al tuo fianco, perché sei sempre stato il suo più grande rimpianto, ma se ritornasse l'Ella del passato, sono convinta che scapperebbe, nonostante la consapevolezza che in futuro se ne sarebbe pentita.»
 
«Immaginavo questa risposta. Sei sempre stata testarda.» Gabriele scosse la testa rassegnato.
 
«Non è questo, è solo che la vecchia Ella aveva paura anche della sua ombra e non avrebbe mai avuto il coraggio di iniziare una relazione. Alla fine credo che ci sia andata bene, se ci fossimo detti queste cose cinque anni fa, i nostri rimpianti non ci avrebbero mai spinto fino a questo momento.»
 
«Se mi avessi allontanato dopo il rifiuto, prima o poi il dolore sarebbe sparito, invece...»
 
«Invece il dubbio di qualcosa che avrebbe potuto essere, ma che non è mai stata, ha tenuto in vita i nostri ricordi» intervenne Ella, terminando la frase di Gabriele.
 
Dare un senso e un significato poetico a tutta quella strana e assurda situazione era l'unica cosa che potevano fare per affrontarla senza rischiare di impazzire e di farsi divorare dai rimpianti.
 
Dovevano guardare avanti sperando di imparare dai propri errori, anche se Ella immaginava non sarebbe stato facile ammettere presenti dei sentimenti di cui si parlava al passato.
 
Non voleva iniziare a creare castelli di carta che sarebbero potuti crollare in qualunque momento, eppure una sensazione prepotente e viscerale le aveva insinuato nella mente un'idea che non era ancora giusto prendesse vita nel mondo reale.
 
«Vista in questo modo, la mia scelta si è rivelata utile» commentò con un amaro sorriso
 
«Non credere di cavartela così facilmente. Solo perché ragioniamo allo stesso modo e ho capito le tue motivazioni, non significa che ti spianerò la strada.»
 
«Sarei deluso del contrario. In ogni caso non ci posso credere. Sentirti confessare queste parole, che avrei voluto mi dicessi al liceo, mi ha devastato. Credo di aver bisogno di un momento per elaborare e forse, se tu mi dicessi altre cose, riuscirei a realizzare più facilmente la situazione.»
 
Ella si rese conto che era ritornato dal mondo dei morti troppo in fretta, erano necessarie misure drastiche per fargli abbassare nuovamente la testa.
 
«Ella! Ma cosa?» esclamò, spostando bruscamente le gambe.
 
«Un pizzicotto è la soluzione migliore per dimostrare che non si sta sognando. Visto che sei sveglio e che al momento non ho più nulla da dirti, direi che è il tuo turno. Inizia a cantare fringuello» lo incitò, mentre ruotava il busto nella sua direzione, incrociando le braccia sotto il seno per rimarcare la sua impazienza.
 
«Sei tremenda.»
 
Nessuno sapeva esasperarlo come faceva lei senza nemmeno impegnarsi.
 
Lei era l'unica ad aver avuto in quegli anni l'effetto che si era spesso ritrovato a ricercare in altre ragazze, per avere la conferma che avrebbe potuto essere felice con qualcuno che non fosse lei, per non essere più perseguitato dall'angoscia di aver commesso l'errore più grande della sua vita.
 
Più lo faceva innervosire più lui si innamorava di lei.
 
«Smettila, tanto ormai lo sanno anche i muri che mi veneravi. Anzi, ripetimelo di nuovo perché l'ultima volta non ho potuto gustare appieno l'emozione, ero troppo arrabbiata.»
 
«Che ne dici di qualcosa di nuovo, ma altrettanto piacevole?» le chiese Gabriele, sorridendo di fronte alla ritrovata semplice sfrontatezza che tanto gli era mancata.
 
«Sono tutta orecchie» rispose Ella con profonda curiosità.
 
Non era certa di cosa le avrebbe detto, ma sentiva che le sarebbe piaciuto.
 
«In questi anni ti ho pensata molto spesso e mi tormentava l'idea di capire quale fosse stata la prima cosa che mi avesse fatto innamorare di te.»
 
La pausa dopo questa notizia la infastidì, non poteva lasciare un discorso così importante sospeso nel nulla di una piazza ormai buia.
 
«Lo hai scoperto?» domandò Ella impaziente
 
«Si, non ci ho impiegato molto a dire il vero. Mi è bastato ricordare la prima volta che ti ho vista reagire alle provocazioni di quell'idiota di Alessandro.»
 
Quel nome le ricordò immediatamente in primi anni di liceo, quando veniva ripetutamente presa di mira dal ragazzo con il quoziente intellettivo più basso che avesse mai conosciuto. Le motivazioni erano pressoché le stesse che affliggono gli adolescenti introversi di tutto il mondo e più Ella non reagiva più lui se ne approfittava.
 
«Ti riferisci a quando a ricreazione mi aveva esasperata così tanto che gli ho arpionato la mano con la penna?»
 
Era rimasta piuttosto perplessa dalla sua rivelazione, dal momento che non era proprio la situazione a cui si penserebbe quando si cercano aspetti affascinanti di una persona.
 
«Si e anche a quello che gli hai detto, qualcosa tipo: "ringrazia che sono una persona controllata che dosa la sua forza, ma la prossima volta ti assicuro che riuscirai a guardarci attraverso.»
 
Ella si ritrovò a ridere involontariamente. Non ripensava a quell'exploit da molto tempo, ma doveva ammettere che, se fosse stata una spettatrice, avrebbe sicuramente applaudito per quella performance.
 
«Non dimenticherò mai il suo sguardo terrorizzato fissare il punto in cui era affondata la punta. Ricordo che mi avvicinai e ti feci i complimenti per avergli dato una lezione che difficilmente avrebbe dimenticato.»
 
«E iniziò la nostra amicizia. Dall'esterno deve essere stata una scena tremendamente eccitante se ti ha colpito così tanto da farti innamorare.»
 
«Non è stata la tua reazione, ma il significato che le ho attribuito conoscendoti con il tempo. Parlavi poco e quando qualcuno ti infastidiva nascondevi la rabbia perché avevi paura che se avessi risposto avresti ferito con le tue parole, ma quando lo facevi, con la tua voce davi vita a delle frasi controllate e mirate da conficcarsi così in profondità da diventare indelebili. Emergeva la tua vera natura schietta e imprevedibile e io ho amato ogni secondo di quegli attimi.»
 
Le parole di Gabriele pizzicarono corde che erano state già sfregate in precedenza, ma che non avevano mai prodotto quella melodia tanto dolce che adesso risuonava in lei e che la faceva sorridere come una bambina.
 
Sentire l'amore che aveva provato per lei, sapere di essere stata ricambiata la faceva sentire completa, come se finalmente avesse potuto concludere una frase che era stata lasciata in sospeso molto tempo prima. Adesso poteva smettere di rigirarsi nel letto quando, aspettando che il sonno venisse a farle visita, pensieri invadenti e nostalgici provenienti dal passato si insinuavano nella sua mente.
 
«Saresti il primo a cui non dispiace l'idea di non potermi rinchiudere da qualche parte.»
 
Ella vedeva, nello spazio che li separava, l'incastro perfetto di due pezzi che dopo anni avevano trovato il posto a cui erano sempre appartenuti.
 
Non aveva mai provato quel sentimento per Matteo. Lo aveva amato, ma non aveva mai percepito un legame così forte da permetterle di immaginare con lui un futuro. Non era stato il ragazzo giusto per lei, lo avevano dimostrato le sue azioni e le emozioni che stava provando adesso, vicino a Gabriele, gliele stavano confermando.
 
«Chi ci ha provato, evidentemente, non aveva un carattere abbastanza forte che potesse stare al passo con il tuo. Potrebbe aver temuto che presto o tardi avresti preso il sopravvento e ha cercato di addomesticarti prima che ciò accadesse.»
 
«Penso sia facile parlare, ma avere costantemente a che fare con una persona che antepone la propria libertà a qualunque altra cosa, tanto da passare come egoista, non è semplice.»
 
«Ti ricordo che ho provato a farlo per due anni e andavamo piuttosto d'accordo, anche se volevi avere sempre l'ultima parola su ogni cosa. Tu ami e sai farlo con tutta te stessa, ma solo con chi se lo merita, quindi se lo mettevi al secondo posto voleva dire che non era degno di stare al primo.»
 
Gabriele riusciva a trovare sempre le parole giuste da dire al momento giusto, forse perché erano la verità o forse perché era un bravo oratore, ma qualunque fosse la motivazione non le importava perché era riuscito a spazzare via anni di tormenti in un solo istante.
 
Ella sapeva che aveva ragione, ma a volte ancora se ne dimenticava specialmente quando il passato ritornava con prepotenza a rovinarle il presente.
 
«Interessante sapere che la violenza ti eccita. Ti è piaciuto il mio pizzicotto, se non ti ha fatto male posso riprovare» disse Ella, avvicinando minacciosamente le sue mani al braccio sinistro di Gabriele.
 
Il sentiero intrapreso stava diventando pericoloso e molte delle cose che avrebbero trovato lungo il percorso non era ancora pronta a rivelarle, sia perché non si fidava del tutto sia perché il futuro del loro rapporto era incerto, per cui era necessario sviare l'argomento.
 
«Non ci pensare, tieni giù le mani. Sei esasperante, il mio è un discorso serio» rispose ritraendosi, per sfuggire alla sua presa.
 
«Anche il mio. Se mi dici che ti sei innamorato di me quando ho infilzato uno stoccafisso, mi faccio un paio di domande.»
 
«Ma la risposta non è quella, perché ciò che amo di te è il temperamento e il tuo adorabile modo di nascondere la vergogna di un complimento dietro del sarcasmo, come in questo momento. Prima non ti riusciva molto bene, ma, se adesso non ti conoscessi, mi risulterebbe difficile capirlo.»
 
«Sarei io quella insopportabile» commentò alzando un sopracciglio.
 
«Solo perché ho detto la verità» rispose Gabriele, scrollando le spalle.
 
Ella si ritrovò improvvisamente costretta a trattenere il respiro, rimanendo immobile con i suoi occhi puntati come fari nella notte sul marinaio che aveva appena scatenato in lei una tempesta.
 
«Hai usato il presente» mormorò con un flebile tono di voce.
 
«Lo so. Sei stata un chiodo fisso nella mia mente per anni e più il tuo ricordo sbiadiva più io lottavo per tenerlo in vita.»
 
Gabriele aveva appena ammesso di amare ancora le stesse cose che lo avevano fatto innamorare di lei cinque anni prima. Non poté fare a meno di sorridere di fronte all'espressione sconvolta di Ella che continuava a fissarlo come se gli fosse spuntata un'altra testa.
 
Era ciò che pensava e non lo avrebbe più nascosto né negato. Aveva imparato dal passato e non avrebbe commesso di nuovo lo stesso sbaglio lasciandosi sfuggire di nuovo la ragazza che aveva sognato di rivedere e di poter sfiorare.
 
Ella aveva le guance accaldate ed era grata all'oscurità per occultare il rossore che le imporporava. Non sapeva se Gabriele si aspettasse una dichiarazione da parte sua, ma, in ogni caso, non ci sarebbe stata, perché prima di dire o fare qualunque cosa avrebbe dovuto capire se avrebbe potuto ancora fidarsi di lui completamente.
 
«Penso di capire cosa intendi, perché è stato un sentimento, la cui intensità, mi ha fatto temere molte volte di non poter mai più provare qualcosa di lontanamente simile.»
 
Ella si stancava presto di tutto, aveva bisogno di una costante stimolazione ed era questo il motivo per cui legava con poche persone, erano tutti monotoni e scontati.
 
Per quanto i sentimenti che si provavano per due persone non potevano essere paragonati, Ella negli ultimi tempi della sua relazione con Matteo si era spesso chiesta il perché avrebbe dovuto accontentarsi di un amore che non la rendeva pienamente felice, che la stancasse più che emozionarla.
 
Gabriele le teneva testa con una facilità che le faceva credere che fosse stato creato per stare al suo fianco e così il contrario. Si completavano, si stimolavano e tra di loro nessuno sentiva il bisogno di prevalere sull'altro.
 
Sapeva come far emergere il lato di lei più dolce e vulnerabile, ma, sebbene questo l'avesse sempre spaventata, la rendeva felice perché entrambi si sentivano vivi stando insieme e, con questa consapevolezza, Ella diventava ogni giorno meno cinica.
 
«Quindi non ti sei più innamorata di nessuno da allora?»
 
«Adesso ti stai dando troppa importanza. Ho amato una sola persona dopo di te ed è per questo motivo che sono sicura di ciò che dico.»
 
Ella fu costretta a trattenere una risata di fronte agli occhi leggermente sgranati di Gabriele.
 
«Come dovrei interpretare questa tua espressione. Sembra che abbia appena visto un leone aggirarsi in pieno centro cittadino.»
 
«Sono solo sorpreso.»
 
Gabriele non riusciva a capire se era più felice di sapere che lo aveva amato in un modo unico e irripetibile o se essere sconvolto all'idea che Ella fosse stata fidanzata. Certo aveva ventidue anni e avrebbe dovuto aspettarselo, ma, per quanto lo negasse a lei e a sé stesso, davanti ai suoi occhi c'era ancora la sua piccola Ella.
 
Sapeva che fosse sbagliato, eppure non poteva fare a meno di chiedersi perché proprio quel ragazzo e non lui, anche se consapevolmente sapeva che non aveva nulla a che fare con loro quanto piuttosto con la crescita personale di Ella.
 
«Perché hai scoperto che il mio sentimento per te non è stato eguagliato o perché sono stata con un altro essere umano di sesso maschile? Ti capirei fosse quest'ultima, anche io mi sono stupita di questa ritrovata capacità di condividere intimamente emozioni e vita privata. No aspetta, forse è solo l'orgoglio maschile che sta cercando di uscire dalle tue sacche scrotali per diffondere testosterone nell'aria» commentò Ella divertita.
 
Per quanto potessero essere diversi gli uni dagli altri, in questo i ragazzi erano pressoché simili.
 
«Ma hai un quaderno in cui ti segni tutte queste frasi assurde o ti escono sul momento? No, perché hai davvero talento.»
 
«Non sviare il discorso.»
 
«Entrambe più una» ammise infine.
 
«Oh, ti prego. Non dirmi che è gelosia quella che vedo» rispose Ella con voce cantilenante, prendendosi gioco di lui.
 
«Me la puoi concedere?» Gabriele sbuffò, sotto lo sguardo attendo e divertito di quella ragazza vispa ed estremamente irritante.
 
«Cosa ti aspettavi? Che sarei rimasta sola e illibata fino alla morte?» chiese, nascondendo una risata dietro la mano.
 
«Chi è che usa più questi termini?»
 
«Ultimamente ho visto molte serie storiche ed è diventata la mia nuova parola preferita, è molto musicale, anche se civetta resterà sempre nel mio cuore. Comunque non è questo il punto.»
 
«Un conto è immaginarlo e un altro è sentirtelo dire. A te non darebbe fastidio?» chiese Gabriele come se la risposta potesse essere unicamente affermativa.
 
«Certo che no.»
 
Ella si sentì leggermente intenerita dalla sua ingenuità.
 
«Perché?» La domanda le fu posta troppo velocemente e portò Ella a pensare che in quel tono di voce ci fosse un po' troppa impazienza.
 
«Adesso ti dà fastidio che non mi dia fastidio?» domandò Ella divertita
 
«Potresti, per una volta, rispondere alla domanda senza irritarmi?»
 
«È semplice, ma voi uomini avete questa mania di protagonismo che vi fa diventare prime donne. Sei qui a dirmi che mi hai amata e che sono stata sempre nei tuoi pensieri. Nonostante siano trascorsi cinque anni, non mi hai dimenticata, quindi puoi aver avuto anche una schiera infinita di ragazze, ma ciò che conta è che tu sia ritornato da me. Non sto dicendo che è sbagliato, perché un po' brucia lo stomaco anche a me, ma il passato rimane passato.»
 
«Cosa ti fa pensare che io non sia fidanzato?»
 
«Se il mio ragazzo fosse andato dall'amore della sua adolescenza per confessare i suoi sentimenti, avrebbe vita molto breve, quindi non credo tu sia così stupido.»
 
«Dovrei smetterla di farti certe domande» ammise, scuotendo la testa rassegnato.
 
«Fino a quando il tuo cervello avrà residenza nelle tue mutande, dubito che ciò avverrà.»
 
«Hai la capacità di insultare con una finezza sconcertante» ribatté
 
«E tu di fare domande come se fossero le più intelligenti del mondo.»
 
«Hai per caso un pulsante di spegnimento?»
 
«Invece di lamentarti, dovresti ringraziarmi per averti concesso udienza e per averti ascoltato senza che il mio istinto omicida interferisse.»
 
Gabriele poteva fingersi esasperato tutte le volte che Ella gliene dava la possibilità, ma entrambi sapevano che gli erano mancati quei momenti, in cui il tempo sembrava fermarsi per permettergli di recuperare ciò che aveva perduto, almeno in parte.
 
I suoi occhi, all'ombra dei lampioni, trasmettevano la stessa gioia di quando Ella apriva i regali di natale la notte della vigilia. Quel luccichio non poteva mentire, al contrario delle sue parole che fingevano già di aver raggiunto il limite di sopportazione, ma, con Ella, Gabriele non si era mai posto un limite, perché era inutile arginare una forza che non poteva essere controllata, dal momento che la sua bellezza consisteva proprio nel vederla fluire libera sotto il suo sguardo, consapevole che a pochi era concessa quella possibilità.
 
«Come ti senti?»
 
La voce di Gabriele la scosse, facendole notare che lo stava fissando come una rincoglionita senza alcuna motivazione.
 
«Sollevata, ma ancora con la voglia di darti un pugno in faccia. Tu?»
 
Nel rispondere, Ella provò a mostrarsi disinvolta, come se il tumulto interno di emozioni non le stesse agitando le viscere.
 
Era arrivato il momento di tirare le somme di quel pomeriggio di confessioni e mettere un punto a quella storia durata fin troppo. Dovevano voltare pagine e andare avanti.
 
«Non sono ancora totalmente tranquillo.»
 
Il tono incerto usato da Gabriele trasmise a Ella la sua preoccupazione, la stessa che condividevano entrambi, ma che si ostinavano a non esprimere ad alta voce.
 
«C'è qualcos'altro che devi dirmi?» chiese Ella dolcemente.
 
«No, è solo che mi sei mancata così tanto che mi spaventa sapere cosa accadrà d'ora in poi.»
 
Ella gli aveva chiesto sincerità e Gabriele l'aveva accontentata, forse anche troppo. Era così trasparente nei suoi pensieri e nelle sue emozioni che Ella avrebbe potuto guardargli attraverso senza alcuna difficoltà
 
Lei, la paladina della verità sopra ogni cosa, capiva cosa provavano le sue vittime quando sbatteva loro in faccia la realtà. Non sapeva se fosse stato giusto sentirsi più lusingata o stupefatta per la spontaneità con cui affermava pensieri che normalmente si sarebbero tenuti gelosamente nascosti.
 
Gabriele era stanco, aveva accumulato e protetto tutti quei sentimenti inutilmente per troppo tempo e adesso, nell'incertezza di non sapere se avesse avuto un'altra occasione, aveva deciso di svuotarsi di tutto ciò che lo aveva riempito fino a farlo annegare.
 
Non aveva più paura, voleva solo condividere con Ella le emozioni che le erano sempre appartenute.
 
«Tu che cosa vorresti?»
 
«Ricordi quel gioco che facevamo sempre?»
 
La domanda di Gabriele colse Ella di sorpresa, dal momento che le sembrava fuori luogo rispetto alla loro discussione.
 
«Si, ci avevo pensato giusto la settimana scorsa. Sembra trascorsa una vita dall'ultima volta.»
 
«Sai perché per me quel vecchio gioco è molto importante? Per lo stesso motivo che ha spinto te a nasconderlo in un posto dove il mio ricordo non potesse farti più del male. Io ho fatto lo stesso. Era solo nostro, eravamo io e te uniti da un insieme incalcolabile di film. Ecco cosa vorrei, ma so che non basta desiderare qualcosa perché succeda.»
 
Ella sentì il peso angustiante di quella decisione precipitare rovinosamente sulle sue spalle. Sapeva che spettava a lei la scelta e che qualunque fosse stata Gabriele non avrebbe potuto obiettare, ma ciò le rendeva il compito solo più difficile.
 
Essere o non essere, instaurare una relazione o lasciare che le loro vite prendessero strade differenti?
 
«Tu davvero credi che potremmo riallacciare i rapporti?»
 
«Penso che abbiamo la possibilità di ricominciare da capo. Siamo cresciuti, quindi conosciamoci adesso per ciò che siamo e poi si vedrà.»
 
«Quel "poi si vedrà", cosa dovrebbe far intendere?»
 
I dubbi erano molti, ma a Ella bastava una sola certezza per far pendere l'ago della bilancia da un lato piuttosto che dall'altro ed era l'unica che era sicura di avere.
 
I suoi sentimenti erano ancora lì, li aveva repressi negli anni per non soffrire, ma adesso che erano emersi li avrebbe accolti, lasciando che fosse il tempo a illuminare il loro percorso.
 
Questa volta la certezza del cuore aveva placato i dubbi della ragione.
 
«Sarà solo ciò che tu vorrai. Ma ti prego di non mettermi ancora in attesa, ogni volta che mi chiedi tempo per riflettere perdo un anno di vita.»
 
Gabriele passò per la terza volta di seguito la mano tra i suoi capelli, tirandoli all'indietro come se fossero il suo antistress e di questo passo li avrebbe persi tutti entro fine giornata.
 
«Così poco? Pensavo fossi più importante.» Ella capì che era il momento di alleggerire la tensione e sdrammatizzare.
 
«Che ne dici di cinque?»
 
La risposta di Gabriele era stata un colpo basso, tanto da guadagnarsi le saette che fuoriuscivano dagli occhi di Ella con l'intenzione di fulminarlo sul posto.
 
«Non è tra i miei numeri preferiti, però può andare.»
 
Ella si alzò in piedi e, voltandosi verso la sua sinistra, si posizionò di fronte a Gabriele che era rimasto fermo a osservarla con sguardo rassegnato.
 
Pensò che fosse finito tutto anche se non era ancora iniziato nulla; pensò che se ne sarebbe andata e che l'avrebbe lasciato lì, su quella panchina fredda in quell'angolo vuoto a rimuginare sui propri errori; pensò che l'avrebbe persa di nuovo senza mai averla potuta stringere a sé, con i desideri ancora appesi sulle pareti ai quali avrebbe dovuto dire di rassegnarsi; pensò che fosse stato condannato ad amarla anche se lei avesse deciso di dimenticarlo.
 
«Comunque scherzavo, non sei obbligata a rispondermi subito, possiamo...»
 
«Ciao, mi chiamo Ella» lo interruppe, sorridendogli e allungando una mano verso di lui.
 
«È un piacere conoscerti, io sono Gabriele» rispose, restituendo la forte stretta in cui Ella aveva imprigionato la sua mano.
 
Quel gesto sanciva l'accordo silenzioso di due ragazzi che si promettevano fiducia e rispetto.
 
«Ti sembrerà sfacciato da parte mia, ma ho la macchina dal meccanico e non so come andare a lavoro. Se non hai nessun impegno, ti andrebbe di accompagnarmi?»
 
«Per tua fortuna ho la serata libera. Seguimi, dobbiamo camminare un po' prima di arrivare al parcheggio» disse alzandosi in piedi per incamminarsi verso l'uscita della piazza.
 
«Non so come ringraziarti, mi hai salvata da un ritardo assicurato.»
 
«Figurati, sarà piacevole stare in compagnia. Posso farti una domanda?» chiese, voltandosi a guardarla.
 
«Certo.»
 
«Ti capita spesso di chiedere passaggi a degli sconosciuti?»
 
«No, solo a chi sembra gentile. Sai ho un sesto senso nell'inquadrare le persone.»
 
Solo da qualche anno aveva iniziato a dare più ascolto alle sensazioni che gli altri le trasmettevano e non se ne era mai pentita.
 
«Cosa hai pensato di me a un primo sguardo?»
 
Nonostante gli avesse rivelato i suoi sentimenti, Ella non si era esposta come aveva fatto Gabriele nel dirle ciò che aveva amato e che amava ancora di lei. La sua curiosità la fece sorridere e sentiva che sarebbe stato giusto dire esattamente ciò che aveva sempre pensato di lui sin dalla prima volta che lo aveva visto, sin dalle prima parole scambiate e dai primi sguardi incrociati.
 
«Sei il tipo di persona che quando commette uno sbaglio chiede scusa anche se impiega molto tempo per trovare il coraggio. Trasmetti tranquillità e sicurezza, il solo guardarti potrebbe trasformare il più estremo dei pessimisti in un inguaribile ottimista. Sai essere molto paziente, anche con chi non lo meriterebbe, e difficilmente ti arrabbi. Direi sia meglio fermarsi qui, la previsione completa quando saremo in macchina.»
 
Ella aveva lo sguardo fisso sulla strada, mentre Gabriele era stato attratto dalle sue labbra che avevano pronunciato parole tanto dolci e inaspettate.
 
Non credeva che avrebbe risposto realmente, conoscendola aveva supposto che gli avrebbe rifilato una battuta sarcastica per svincolarsi dalla domanda evitando così di esporsi troppo, ma come sempre l'aveva stupito.
 
Preferiva godersi il momento e le sensazioni che ancora risuonavano in lui, piuttosto che crearsi aspettative che avrebbero potuto essere distrutte in ogni momento.
 
«Temi che possa cambiare idea?»
 
«No, ma adoro le uscite a effetto, come nei film.»
 
Ella si sforzava di lasciare un'impronta nella vita di chi incontrava, voleva che gli altri si ricordassero di lei e non le importava che fosse nel bene o nel male.
 
«Allora parliamo di altro. Che lavoro fai?»
 
«Cameriera in un pub e con lo stipendio pago le spese dell'appartamento. Sai, i miei già ricoprono le tasse universitarie, volevo contribuire in qualche modo.»
 
«Quindi non sei di Roma?» chiese, fingendo realmente di non conoscerla.
 
Due ragazzi sconosciuti che si incontravano per la prima volta, che ancora non sapevano nulla l'uno dell'altro, era un gioco che non sarebbe durato per sempre.
 
Non potevano e non volevano dimenticare il passato, perché li aveva uniti e li aveva resi ciò che adesso erano. Se lo avessero seppellito, probabilmente, avrebbero fatto lo stesso anche con i loro sentimenti, eppure Ella si chiese se ciò che provavano ancora non fosse per l'immagine che entrambi avevano alimentato con le loro fantasie.
 
Le spaventava l'idea di poter rimanere delusa nello scoprire che il Gabriele che aveva continuato ad amare, non era più lo stesso di colui che aveva al suo fianco.
 
Entrambi erano cresciuti e sperava profondamente che l'amore che li aveva uniti in passato, avrebbe trovato il modo di avvicinarli anche nel loro presente.
 
«No, di Napoli, ma ho deciso di continuare qui gli studi di psicologia.»
 
«Perché ti sei trasferita?»
 
«L'aria di casa iniziava a soffocarmi. Tu, invece? Raccontami qualcosa» lo incitò, incuriosita dalla piega che aveva preso la sua vita.
 
«Ho iniziato il corso magistrale in sceneggiatura al Dams.»
 
«Perché non in regia?»
 
«È vero che il regista è considerato l'autore effettivo di un film, perché dirige gli attori e coordina il set, controlla il lavoro dei collaboratori e imposta e dirige le riprese e le inquadrature, ma la sceneggiatura è il primo e fondamentale passo nella realizzazione di tutte le opere cinematografiche. Un film, una serie televisiva o qualunque altra cosa annessa potrà avere anche il migliore dei registi, ma senza un valido sceneggiatore che realizzi un testo ben strutturato il risultato sarà pessimo e crollerà su sé stesso, mentre se la sceneggiatura è buona difficilmente il risultato non sarà all'altezza.»
 
«Capisco ciò che intendi. Molto spesso l'importanza degli sceneggiatori viene oscurata dai registi che generalmente si attribuiscono ogni merito, ma, da appassionata di cinema, ho sempre pensato che i loro ruoli avessero un uguale importanza e che per l'ottima riuscita di un film dovessero essere equamente bilanciati. Conosco un aneddoto che riguarda il rapporto tra queste due figure. Se non sbaglio, negli anni trenta si parlava così tanto del Capra's Touch che Robert Riskin, lo sceneggiatore delle sue pellicole più famose, gli inviò una risma di 120 pagine tutte bianche, tranne il frontespizio dove aveva scritto qualcosa tipo: "Applica il tuo celebre touch a questo".»
 
«Hai fatto i compiti commentò» soddisfatto, ma non sorpreso dalla sua conoscenza sull'argomento.
 
«Non sarò laureata al Dams e non avrò una conoscenza specifica e approfondita della materia, ma sono piuttosto ferrata sull'argomento.»
 
«Siamo arrivati» disse fermandosi di fronte ad una Panda che, sotto la tenue luce dei lampioni, sembrava essere un color celestino sbiadito.
 
Ella vide Gabriele aprirle la portiera e, poggiandovi l'avambraccio con naturalezza, la invitò a entrare nell'abitacolo.
 
«Come siamo gentili.»
 
Il gesto non la sorprese, dal momento che ancora ricordava quando la faceva spostare nella parte interna del marciapiede, preferendo che fosse lui a camminare sul lato che affacciava sulla strada. Era sempre stato spontaneo in quel genere di cose e, anche se non era necessario, era lusinghiero ricevere piccole e semplici attenzioni.
 
«Diciamo che so come guadagnare punti.»
 
Quando anche la sua portiera fu chiusa, si ritrovarono rinchiusi in uno spazio circoscritto avvolti dal lieve rumore dei loro respiri.
 
Ella sapeva che Gabriele stava aspettando con pazienza ciò che lei gli aveva promesso, ma, nonostante immaginasse quanto potesse essere liberatorio esprimere ciò che era stato represso per anni, era faticoso essere sincera e trasparente fino al punto in cui l'altro avrebbe potuto vedere ogni pensiero ed emozione senza sforzo alcuno.
 
«Per quanto tempo ancora hai intenzione di tenermi sulle spine?»
 
Ella si voltò, immergendo il suo sguardo freddo nel castano caldo e accogliente di Gabriele e, in un moto di coraggio, diede vita a quella frase che aveva sempre desiderato ascoltasse.
 
«Avrei detto che nell'istante in cui i miei occhi si sono posati su di te, ho capito come, da quel momento, avrei potuto rappresentare un raggio di sole.»
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


«Buongiorno amore. Tanti auguri.»
 
Una voce fastidiosamente acuta e un bacio schioccante troppo fragoroso infransero il sonno tranquillo di Ella. Nel suo stato di dormiveglia riusciva a percepire due persone parlare come se in quella stanza fossero state sole.
 
«Sto sognando o mi hai portato la colazione a letto?» Sofia, ancora intontita riuscì ad articolare una frase tra uno sbadiglio e l’altro.
 
«Sveglia speciale per un giorno speciale.»
 
Di nuovo la stessa voce allegra e pimpante perforò i timpani di Ella, che produsse un verso animalesco e contrariato.
 
«Chris, abbassa la voce o sveglierai quel mostro mitologico.»
 
«Ella è sveglia e non per sua volontà, quindi se dovete amoreggiare non davanti a me e non all’alba» mormorò nascondendo la testa sotto il piumone, per attutire la loro illegale voglia di comunicare di prima mattina.
 
«Sono le otto e mezza.»
 
«Non ti conviene ricordarmi che ore sono, se non vuoi che diventi la strega cattiva, Biancaneve.»
 
«Come riesci a essere antipatica se non hai nemmeno la forza di aprire gli occhi?» Non capiva perché Sofia si ostinasse a parlarle nonostante le avesse fatto chiaramente intuire di tacere.
 
Non avrebbe mai immaginato di essere amica di una ragazza tanto masochista, perché sapeva che, se fosse scesa dal letto con il piede sbagliato, la giornata sarebbe stata catastrofica per tutti.
 
«È proprio questo il motivo per cui sono acida. Se riuscissi ad aprirli vorrebbe dire che ho raggiunto la giusta quantità di sonno, ma a quanto pare oggi qualcuno vuole farmi soffrire.»
 
«Reagisce così solo perché è gelosa, ma, se vedesse il vassoio, scoprirebbe che non mi sono dimenticata di lei.»
 
Le uniche persone per cui Ella provava gelosia erano quelle che a quell’ora stavano ancora dormendo profondamente.
 
«Non merita la tua gentilezza» commentò Sofia, mentre masticava rumorosamente una fetta biscottata.
 
Era più che certa che lo avesse fatto di proposito a mangiare il cibo più rumoroso del vassoio.
 
«Nessuno la merita, ma, se vuoi ritornare nelle mie grazie, spero per te che sia qualcosa per cui valga la pena non cacciarvi dalla stanza.»
 
Dal momento che ormai era sveglia, tanto valeva provare a fare qualcosa per migliorare il suo pessimo umore.
 
«È una delle tre cose di cui non potresti mai fare a meno.» L’indizio fornitole da Cristina fu sufficiente a farle intuire subito di cosa si trattasse.
 
«Caffè!» esultò sguaiatamente come una bambina, aprendo gli occhi e spostando velocemente le coperte.
 
«Con un goccio di latte e una spolverata di cannella, proprio come piace a te.»
 
«Sappi che, se dovessi stancarti di Sofia, io sono molto più bella e simpatica»
 
Ella si alzò dal suo letto per andare a sedersi su quello dell’amica, accanto al vassoio su cui campeggiavano biscotti al burro, tre cornetti, fette biscottate e tre tazze di caffè.
 
Il suo stomaco si era svegliato prima che potesse attivare quei pochi neuroni che ancora le restavano.
 
Era più affamata del solito, considerando che, generalmente, non sentiva mai la necessità di mangiare appena sveglia e soprattutto cose dolci. Preferiva di gran lunga una colazione salata, anche se il tramezzino con il prosciutto o la pizza avanzata della sera prima non erano il giusto cibo da accostare al caffè macchiato, specialmente di prima mattina.
 
«Lo terrò sicuramente presente, Ella.»
 
«Ma quanto sei manipolatrice?» chiese Sofia.
 
«Non ho bisogno di questi mezzucci per farmi amare»
 
«Cosa te lo fa credere?»
 
«Perché sono una ragazza fantastica, che domande. Sta a vedere.» Sofia non ebbe il tempo di rispondere, che si ritrovò Ella spiaccicata addosso e la potenza del suo slancio le fece ribaltare all’indietro sul materasso. «Auguri vecchietta mia!» disse stampandole un bacio invadente e poco delicato sulla guancia.
 
«Ella mi devi avvertire con minimo una settimana di anticipo quando decidi di abbracciarmi, altrimenti rischio un infarto per lo spavento.» Sofia ricambiò la stretta irruente e soffocante di Ella, ricordando quanto fossero rari quei momenti.
 
«Visto? Non sapresti vivere senza le mie imprevedibili dimostrazioni di affetto.»
 
«Soprattutto senza i tuoi disastri» commentò, prendendo le distanze per guardare la fetta biscottata, che prima stringeva in mano, sbriciolata tra le lenzuola, con tanto di macchie di marmellata sul pigiama.
 
«Adesso questi coniglietti saranno più felici, li abbiamo sfamati» si giustificò, indicando le diverse stampe che spiccavano sullo sfondo grigio.
 
«Almeno posso stare tranquilla fino al mio prossimo compleanno.»
 
«Chris tu sarai la prossima a subire, quindi guardati le spalle» la avvertì Ella, nel caso in cui avesse voluto preparare la valigia e fuggire in tempo.
 
«Non mi spavento per così poco, puoi abbracciarmi quanto vuoi» la rassicurò, allargando le braccia.
 
«Vedi, prendi esempio. Lei sì che mi sa apprezzare.»
 
«Voi due non dovreste mai trovarvi insieme nella stessa stanza, siete pericolose» commentò Sofia, scuotendo la testa con disapprovazione.
 
«Esagerata!» esclamò Cristina, suscitando l’ilarità delle due ragazze.
 
«Comunque, direi che ci vuole un brindisi» propose Ella, alzando la sua tazza fumante di caffè. «Ai tuoi ventitré anni e agli imminenti acciacchi della nuova terza età.»
 
«Quando sei così poetica mi commuovi» commentò Sofia, asciugandosi drammaticamente una finta lacrima.
 
«Ragazze, mi dispiace interrompervi, ma devo andare.»
 
«Così presto? Pensavo avremmo trascorso la mattinata insieme visto che oggi ho gli allenamenti.»
 
Il tono dispiaciuto di Sofia e il suo sguardo spento ebbero il potere di fare nascere il senso di colpa in entrambe le ragazze.
 
Nonostante i preparativi di una sorpresa dovessero rimanere necessariamente un segreto, mentirle, anche se per una buona ragione, sembrava sbagliato se il risultato era vederla triste nel giorno che avrebbe dovuto essere il più felice.
 
«Lo so, ma devi avere un po’ di pazienza. Stasera ti farò vivere la serata più bella della tua vita, quindi non fare quel broncio. Vedrai, ne varrà la pena stare lontane per qualche ora.»
 
«Vi lascio prima che possa rigurgitare il caffè.»
 
Ella ritenne giusto che avessero a disposizione degli attimi da condividere da sole, inoltre l’idea di fare da terzo incomodo in momenti troppo intimi e personali le faceva venire il prurito in tutto il corpo e salire la glicemia a livelli spropositati.
 
Dopo qualche ora trascorsa a studiare, nel disperato tentativo di recuperare i capitoli arretrati, Sofia fu distratta dalla suoneria del suo cellulare.
 
«Pronto?”
 
«Sofia, auguri.»
 
«Grazie, mamma.»
 
Una familiare e fastidiosa sensazione, che si presentava ogni volta che si ritrovava a parlare con sua madre in una giornata serena e gioiosa, si insinuò in lei, facendole presagire ciò che da lì a breve sarebbe successo.
 
«Ci manchi, dovresti chiamare più spesso.»
 
Quell’affermazione la indusse a fare una smorfia che esprimeva tutti i suoi dubbi a quel riguardo.
 
«Lo so, ma ultimamente sono molto impegnata.»
 
Sofia voleva bene ai suoi genitori, eppure non nel modo in cui avrebbe voluto.
 
Quell’amore mal espresso era il riflesso di quello di due genitori che si ostinavano ad amare solo l’idea di una figlia che, purtroppo per loro, non corrispondeva alla realtà.
 
«Potevi almeno prenderti un giorno libero e scendere il giorno del tuo compleanno.»
 
«Purtroppo non ho potuto. Ho gli allenamenti tutti i giorni questa settimana, perché domenica abbiamo una partita.»
 
Aveva lavorato duramente da quando si era trasferita, sia per integrarsi nella nuova squadra sia per dare il meglio di sé, così da sentirsi soddisfatta in almeno un aspetto della sua vita.
 
«Perché non me lo hai detto prima? Ci saremmo organizzati per venire a vederti.»
 
La domanda di sua madre le fece storcere il naso, perché doveva aver necessariamente battuto la testa per dimenticare un piccolo quanto fondamentale dettaglio.
 
«Secondo te? Sarà presente anche la mia ragazza e, sinceramente, mentre gioco devo rimanere concentrata e non essere ossessionata dal pensiero che tu possa dire o fare qualcosa di estremamente inopportuno che possa incrinare la nostra relazione.»
 
La lieve sensazione di fastidio si era appena trasformata in un allarme assordante, che non avrebbe cessato di creare caos fino a quando Sofia non avesse trovato il coraggio di chiudere la telefonata.
 
«Ti sta allontanando da noi. Sta alimentando ed estremizzando questa perversione.»
 
Per quanto potesse farle male ascoltare determinate affermazioni pronunciate da chi avrebbe dovuto amarla incondizionatamente, il fatto che stesse accusando la sua ragazza per qualcosa che esisteva solo nella sua testa bigotta fece abbassare il livello della sua pazienza in modo così rapido da pensare che lo spirito di Ella si fosse momentaneamente impossessato del suo corpo.
 
«Lasciala fuori da questa questione. Siete voi, con i vostri continui discorsi ottusi e discriminatori, che mi allontanate. Vi impegnate con tutto voi stessi per remarmi contro e rendermi la vita più complicata di quanto già non lo sia. Non scaricate le vostre colpe sugli altri per ripulirvi la coscienza.»
 
Chiunque avrebbe potuto dire qualunque cosa sul suo conto e non le sarebbe importato, ma se avessero provato a offendere una persona che occupava un posto speciale nella sua vita, Sofia sarebbe diventata una chimera pronta a incenerire tutti senza pietà.
 
«Sei troppo buona e ingenua per capire che ti sta facendo un lavaggio del cervello per indurti a peccare, ma vedo chiaramente quanto male ti faccia la sua influenza e non mi arrenderò. Il mio compito è proteggerti, anche se tu pensi che sia io la causa della tua sofferenza.»
 
Era stremata e non passava giorno in cui le ingiuste e taglienti parole di sua madre non risuonassero nella sua mente, come una canzone che si ripeteva ossessivamente fino a condurla alla pazzia.
 
Inconsapevolmente la distruggeva e ogni parola, che riprendeva gli stessi discorsi che andavano avanti da troppo tempo, polverizzava in un battito di ciglia uno dei miliardi di pezzi in cui era stata frantumata, in una lenta e deteriorante agonia.
 
Agendo in nome del bene, nel corso della storia, gli uomini avevano commesso le peggiori atrocità, eppure anni di orrori non avevano avuto il potere di far aprire gli occhi ad un’umanità che preferiva vivere nell’ignoranza.
 
«Perché non possiamo mai avere una conversazione normale?» chiese in un sospiro, sedendosi sul suo letto.
 
Aveva superato la quota psicologica di ciò che poteva sopportare.
 
Quello che faceva spesso, per proteggere ciò che rimaneva della sua dignità, era ignorare un’emozione dopo l’altra. Le infilava automaticamente una per una nel suo zaino evitando accuratamente di analizzarle, senza essere consapevole del loro peso e di come avrebbe influito sulla sua sanità mentale.
 
Ogni giorno si muoveva più lentamente, con meno entusiasmo e, quando ne avesse preso consapevolezza, sarebbe stato troppo tardi per poter anche solo pensare di fare qualcosa per evitare che la sua schiena si spezzasse, mettendola in ginocchio.
 
Era stanca della sua vita e di alimentare la speranza che un giorno ogni suo dolore sarebbe sparito.
 
«Se solo tu vedessi l’amore che proviamo per te dietro tutta quella nebbia che ti avvolge.»
 
Sua madre non aveva la minima idea del vero significato di quella parola.
 
L’amore era quel sentimento che spingeva le persone a rispettarsi e proteggersi, superando qualsivoglia pregiudizio raziale, sessista e omofobo, non quella sottospecie di allucinazione schizofrenica.
 
«Ormai riesci solo a parlare di questo. Non ti interessa nemmeno come va la mia vita, non mi chiedi se ho trovato un lavoro con cui possa pagarmi da vivere, come stanno procedendo gli studi o gli allenamenti. Zero, nulla, perché per voi non sono più una persona, ma una lesbica e come tale rappresento un demonio figlio di Satana, giusto?»
 
Quando persino la sua famiglia non la accettava, come poteva sperare di vivere in pace con sé stessa, di avere un’autostima che fosse quantomeno passabile, di svegliarsi ogni mattina fiera della persona che era.
 
«Sabato sono andata a parlare con il prete della nostra parrocchia.»
 
Sua madre ormai era diventata la personificazione dell’incoerenza. Aveva sempre fatto di tutto per evitare che si diffondessero pettegolezzi e voci sul suo orientamento sessuale, nascondendo la vergogna dietro la fallace maschera della preoccupazione.
 
«Adesso non ti vergogni che la tua amata comunità di convinti cattolici venga a sapere che hai messo al mondo uno scherzo della natura?» chiese stizzita.
 
«Ho semplicemente fatto del mio meglio per tenerti al sicuro dalle cattiverie e dai giudizi delle persone.»
 
In parte era sicura fosse vero, perché, anche se in modo totalmente sbagliato, sapeva quanto le volesse bene, eppure più i giorni passavano più smetteva di crederle.
 
Avrebbe solo voluto andare in un posto dove nessuno avrebbe più potuto farle del male, in cui nessuno l’avrebbe sommersa di bugie. Trasferirsi in un’altra città non era bastato, forse avrebbe dovuto buttare il cellulare, anche se avrebbe preferito non essere costretta a chiudere definitivamente ogni rapporto.
 
Ella aveva ragione, se lo avesse fatto avrebbe vissuto nel senso di colpa e già ci sguazzava abbondantemente in tutta quella merda scaricata senza pietà dai suoi genitori.
 
«E chi mi protegge dai tuoi di giudizi e dalle tue di cattiverie? Stai spendendo energie per portare avanti una crociata in nome di Dio, ma è solo un pretesto perché non puoi accettare che tua figlia non sia come tu hai sempre desiderato che fosse.»
 
Sapeva quanto fosse inutile cercare di farla ragionare, negli ultimi anni le sue parole erano state risucchiate dal buco nero che aveva creato un vuoto cosmico tra di loro. Una delle sue si sarebbe salvata solo se l’altra fosse stata inghiottita.
 
«Ho sempre e solo voluto il meglio per te.»
 
Aveva ripetuto così spesso quella frase che quando la sentiva non ci faceva nemmeno più caso. All’inizio le aveva dato la speranza che in nome di quell’amore, che tanto ostentava, l’avrebbero accettata, poi ogni sua aspettativa si era infranta trasformandosi in dolore e rassegnazione, adesso le scivolava addosso come se le avesse dato un’informazione inutile.
 
Probabilmente si sarebbe interessata di più se le avesse parlato della politica dello stato.
 
«È assodato che abbiamo due concezioni differenti della parola meglio, ma non significa che la tua sia giusta e la mia sbagliata. Non sei onnipotente» rispose bruscamente, alzando il tono della sua voce.
 
«Se lo fossi non avrei dovuto chiedere aiuto Don Vincenzo.»
 
Chiesa, preti, esorcisti, le aveva provate tutte per accontentare sua madre ogni volta che le si presentava proponendole soluzioni assurde al suo perverso problema adolescenziale.
 
Da quando aveva messo un punto fermo a quel delirio, la situazione era peggiorata drasticamente, instillando in sua madre l’idea che la sua anima sarebbe finita all’inferno.
 
«Lasciami indovinare. Ti ha detto che è solo un periodo, che se mi riavvicino alla chiesa posso cambiare e tutte queste belle cose a cui tu credi perché sei ingenua e non ti arrendi all’idea che io sono così e sono felice.»
 
Sofia aveva parlato con così tanta foga, caricando di risentimento ogni singola parola, da ritrovarsi senza fiato.
 
«Gli ho spiegato che non ho modo di farti avvicinare alla chiesa dal momento che ti sei traferita, così si è offerto di pregare per te alla messa della domenica nella speranza che possa bastare a farti cambiare opinione.»
 
Se qualcuno fosse stato nella stessa stanza con lei, avrebbe visto la sua mascella toccare il pavimento freddo e lucido come i suoi occhi velati di lacrime.
 
«Che cosa ha fatto?» Fu l’unica domanda che riuscì ad articolare, con voce stridula e sconvolta.
 
Si alzò in piedi e iniziò a camminare nervosamente, passandosi le mani tra i capelli alla disperata ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi per non stramazzare al suolo.
 
Sua madre non aveva ritegno e tutti i neuroni di cui era stata dotata dovevano essersi autodistrutti a causa di tutte le idee malsane che la sua mente partoriva ogni giorno.
 
«Non mi hai lasciato scelta. Se non ci pensi tu a salvare la tua anima, devo farlo io. Sono tua madre, sto solo facendo il possibile per proteggerti.»
 
«Davvero, non ci sono parole. Credo di averle finite tutte arrivati a questo punto.»
 
«Io lo so che non vai in chiesa a causa di questa cosa, di questo tuo problema.»
 
La parola preferita di sua madre, la ripeteva una ventina di volte solo in una conversazione con lei, non osava immaginare in un’intera giornata.
 
«Non lo capisci che solo tu lo consideri tale. È tuo il problema, non mio. Questa è la mia realtà e se non ci foste voi ad angosciarmi io vivrei in pace.»
 
Aveva definitivamente perso la calma e se prima aveva cercato di controllare i suoi toni il più possibile, adesso urlava e non le importava se ciò che da quel momento in poi avrebbe rinfacciato a sua madre l’avrebbe ferita.
 
Non sentiva nulla che non fosse il suo dolore.
 
Un ronzio che distruggeva rapidamente ogni sua terminazione nervosa impedendole di ragionare lucidamente, alimentato dalla stanchezza e spinto dal disgusto.
 
«Se tu vuoi cambiare, puoi farlo. Ho letto molte testimonianze di persone che ci sono riuscite.»
 
«Ma mi ascolti quando parlo o è una conversazione a senso unico? Ti ho detto che siete tu e papà a crearmi i problemi, quindi smettila e lasciatemi vivere la mia vita senza le vostre paranoie.»
 
«Non sono paranoie. Il diavolo ti sta tentando e noi ne paghiamo le conseguenze, ci stai trascinando tutti all’inferno.»
 
Ciò che più la faceva incazzare era il fatto che le sue parole non avevano lo scopo di ferirla, credeva, al contrario, di aiutarla ad aprire gli occhi.
 
L’angoscia, con il passare del tempo, le stava divorando l’anima e più cercava di combatterla ripetendosi che non aveva nessuna colpa, più sua madre ritornava per ricordarle che stava arrecando loro così tanta sofferenza da ucciderli lentamente.
 
Era tanto meschina quanto ingenua, non poteva essere giustificata ma nemmeno condannata e l’idea di non poterla etichettare in nessun modo la stava portando alla pazzia.
 
«Ti prego dimmi che non sei seria.»
 
Sofia si fermò, ritrovandosi di fronte al piccolo specchio appeso ad una delle pareti della stanza. Fissava il volto di una persona che non riconosceva più. Era maturata così tanto che, quando si guardava alle spalle, si stupiva di come fosse riuscita ad attraversare tutti i punti bui di cui era stato disseminato il suo cammino.
 
Sentiva di essere migliorata, eppure non era ancora soddisfatta per colpa del cappio che le stringeva il collo ogni volta che sua madre lo tirava per riportarla indietro nel tempo, quando ancora ignorava chi fosse.
 
Se osservava con attenzione poteva vedere le ombre violacee e le piaghe che la ferrea e soffocante morsa le procurava ogni volta che si stringeva.
 
Conviveva con la consapevolezza che prima o poi si sarebbe ritrovata senza più una testa da guardare.
 
«Sai che i miei anticorpi sono deboli e, nel momento in cui hai ceduto alla tentazione, hai spianato la strada ai mali dell’inferno. Ecco perché la mia salute è peggiorata negli ultimi anni e mi ammalo più facilmente.»
 
Si ritornava sempre allo stesso punto.
 
Era sua madre la vera protagonista di quella storia, lei e la sua vergogna, i sentimenti di Sofia erano solo un effetto collaterale del processo di redenzione dai peccati.
 
«Stai dicendo che ti ammali perché tua figlia è lesbica? Mamma, ma ti ascolti quando dici queste cose?»
 
Le grida forti e strazianti di Sofia avevano allarmato Ella che era apparsa nella stanza con uno sguardo spaventato, come se si fosse aspettata di trovare la scena di un film dell’orrore e, in effetti, non aveva sbagliato di molto.
 
«Sofia, con i tuoi comportamenti mi dai sempre più conferma della veridicità delle mie parole.»
 
Ormai aveva smesso di ascoltarla, aveva smesso di sentire qualunque cosa che non fossero i battiti esausti del suo cuore che correva per scappare da quella vita delirante.
 
Ella aveva d’avanti agli occhi una scena spaventosa.
 
La mano con cui Sofia reggeva il cellulare tremava, così come il resto del corpo che era scosso da tremiti incontrollati.
 
Era un ordigno pronto a esplodere per liberarsi di tutte le emozioni trattenute chissà da quanto tempo.
 
Le lacrime stavano già scorrendo sulle sue guance incapaci di fermarsi.
 
«La conferma che sto avendo io è che ti dovrei prenotare una seduta dallo psichiatra.»
 
A Ella bastò quella frase per capire con chi stesse parlando e cosa stesse accadendo. Le si avvicino e, posandole una mano tra le scapole, la guidò in direzione del letto, invitandola delicatamente a sedersi.
 
«Smettila! L’unico modo che hai per aiutare tutti noi è andare in chiesa e iniziare un percorso di purificazione. Vedrai che dopo staremo meglio tutti noi.»
 
«Ti rendi conto che mi stai dicendo che sei stata male per colpa mia. Prima mi mandi dallo psicologo, poi fai vedere una mia foto a un esorcista e adesso chiedi a un prete di pregare per me a una funzione. La prossima volta cosa farai? Mi rapirai per annegarmi nell’acqua di Lourdes?»
 
Ella si rese conto che Sofia era andata completamente fuori controllo ed era estremamente doloroso vedere la sua amica avere un esaurimento nervoso due volte a distanza di poco tempo.
 
«Sofia, ti voglio bene e desidero il meglio per te.»
 
«Quindi mi fai sentire costantemente una merda, solo perché mi vuoi bene. Non credo di poter portare avanti questa conversazione. Grazie per gli auguri, ci sentiamo.»
 
Chiuse la telefonata senza dare a sua madre nemmeno il tempo di risponderle. Se non avesse dato un taglio netto, avrebbero potuto discutere tranquillamente fino al giorno successivo.
 
Ella prese il telefono dalla mano destra di Sofia e, dopo averlo poggiato sul comodino, circondò le sue spalle con il braccio sinistro, accompagnando la testa dell’amica sulla sua spalle e iniziando ad accarezzarle i capelli.
 
«Che cosa è successo?» le chiese Ella in un sussurro.
 
«Sempre la solita storia ogni volta che mi chiama, ma devo dire che oggi ha dato proprio il meglio di sé per rovinarmi la giornata.»
 
La gioia che aveva accompagnato il suo risveglio era stata spazzata via e, considerato il suo stato attuale, temeva fortemente che il suo compleanno fosse stato completamente rovinato.
 
«Non so perché, ma avevo intuito qualcosa dalle urla che ho sentito dalla cucina.»
 
In quelle situazioni c’era davvero poco da dire e l’unica cosa che poteva fare per aiutarla era lasciare che parlasse senza freni, che si sfogasse, magari riuscendole anche a strappare un piccolo sorriso.
 
«La cosa peggiore è che mi sento in colpa, perché anche se pensavo tutto ciò che le ho detto è pur sempre mia madre. Potrebbe anche rinchiudermi in una clinica, le vorrei bene comunque e questo mi fa arrabbiare. Dio, non so più se sono più incazzata o divorata dal senso di colpa per aver sfasciato una famiglia.»
 
«Quello di cui io sono certa è che devi fare un bel respiro, altrimenti rischi di morire prima del tempo e non voglio seppellire nessuno a meno che non sia stata io ad ucciderlo.»
 
Non le importava che fosse un pessimo momento per fare dell’umorismo, Sofia doveva ridere ed Ella era disposta a dire le cose più insensate per riuscirci.
 
«Ella…» sospirò Sofia, alzando la testa per guardarla negli occhi.
 
«Si, hai ragione. Occulterei un cadavere anche se fossi tu a commettere l’omicidio.»
 
Finalmente, con quella stupida battuta, era riuscita ad ottenere un sorriso appena accennato.
 
«Spiegami come siamo passate da parlare di mia madre a uccidere qualcuno?»
 
«Non lo so, ma se metti entrambi gli argomenti nella stessa frase tutto diventa più sensato.»
 
Entrambe iniziarono a ridere come se nell’ultima ora non fosse successo nulla. Sofia si sentiva già un po’ meglio e, asciugandoli le lacrime ormai secche sulle guance, iniziò con maggior lucidità a raccontare a Ella ciò di cui aveva discusso a telefono e che l’aveva tanto ferita.
 
«Mia madre è andata a parlare con il prete della parrocchia per chiedere un consiglio sul mio problema. A quanto pare Don Vincenzo è stato così caritatevole da offrirsi di pregare per me alla messa della domenica, davanti a mezza città affinché Dio possa indicarmi la retta via, ma di questo passo l’univa via che vedrò sarà quella verso una clinica psichiatrica, perché mi farò internare solo per non dover ascoltare più queste stronzate.»
 
Ella fece una smorfia di rabbia, inorridita e sconcertata da quelle informazioni che sembravano essere uscite da un film ambientato nel periodo dell’inquisizione.
 
«Tua madre è così disperata da rendere nuovamente attuale la mentalità medioevo. Come può a una persona venire in mente un’idea così malata? Insomma è…»
 
«Da schizzati. Puoi dirlo, tranquilla.» Sofia terminò la frase che Ella aveva lasciato in sospeso per non mettere altra carne sul fuoco a bruciare.
 
«Già.»
 
«È convinta di agire per il mio bene, ma non si rende accorge che è solo egoista, che mi sta rovinando la vita, perché io non sono mai stata più felice. È il primo anno, da quando l’ho ammesso a me stessa, che non ho più paura di urlare al mondo di non essere come si aspettava. Non mi vergogno più, so cosa voglio e chi voglio essere, ma lei si ostina a fingere che io sia stata infettata dal diavolo.»
 
«Sofia, negarlo è più semplice che doverlo affrontare. Ha paura, credo sia spaventata a morte per qualcosa che le è stato insegnato a considerare sbagliata e perversa. Rendersi conto che non lo è la terrorizza al punto da nascondersi dietro le menzogne di una religione che ha costruito le proprie argomentazioni a riguardo su delle frasi estratte a caso da un libro scritto millenni fa da quattro tipi che sostenevano di aver conosciuto Gesù. In realtà potrebbero esse vere tanto quanto il viaggio di Dante oppure, più semplicemente, erano tutti strafatti di allucinogeni. Tutto questo per dirti che tu non hai colpa e se possibile nemmeno tua madre.»
 
Non sarebbe stato giusto da parte di Ella alimentare la rabbia che Sofia provava nei confronti di sua madre. Condannarla e dirle che, in ogni caso, avrebbe meritato il suo rancore non sarebbe servito a farla stare meglio.
 
«Quindi, che dovrei fare? Incassare colpi fino a quando non mi rinchiuderanno da qualche parte? Perché di questo passo finirò per impazzire.»
 
«Non è giusto quello che ti sta facendo passare, ma nel suo immaginario lo è.»
 
«Magari se mi odiasse potrei vivere in pace.»
 
«La famiglia è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.» Ella sorrise soddisfatta per la sua affermazione.
 
«Credo che Forrest Gump la dicesse in modo leggermente diverso.» Sofia sembrava divertita dalla piccola modifica apportata a quella frase molto conosciuta.
 
«A cosa servirebbero i film se non adattassimo gli insegnamenti che intendono trasmettere alle nostre vite.»
 
«Oggi stati dando il meglio di te con queste perle di saggezza.»
 
Non era mai stato tanto piacevole per Ella essere derisa come in quel momento.
 
Forse non era ancora tutto perduto, forse la giornata poteva ancora essere recuperata e, se ci fosse stata questa possibilità, Ella avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per coglierla.
 
«Che posso dirti, di religione ormai sono esperta e di film ne mangio a tutte le ore.»
 
Ella si rese conto che, dopo attimi di ilarità, era giusto, a mente fredda, tranquillizzare Sofia e farle capire che, anche se la vita oggi faceva schifo, il domani avrebbe potuto essere migliore di quanto si sarebbero mai aspettate.
 
«Forse tua madre non potrà mai cambiare del tutto le sue idee, ma l’amore che prova per te è reale e sarà quello a svegliarla un giorno e a darle la spinta per compiere un passo verso di te. Non diventerete la famiglia perfetta, ma, se conosco bene tua madre, sono certa che prima o poi festeggerete un natale tutti insieme e ci sarà anche Cristina.»
 
Le parole di Ella, per quanto avesse sempre desiderato accadessero, la fecero sorridere amaramente.
 
Aveva smesso di credere nei miracoli da molto tempo.
 
«Probabilmente questo accadrà più poi che prima» disse con voce bassa e triste.
 
«Devi promettermi che crederai a ciò che ti ho appena detto, che non abbandonerai questa speranza, altrimenti diventerà difficile alzarsi la mattina per affrontare il resto del mondo.»
 
Ella la incitò, prendendole e stringendole la mano talmente forte che Sofia credette gliel’avrebbe staccata dal polso.
 
Desiderava solo il meglio per lei e, nel suo piccolo, quello era un gesto per ricordarle che non era sola e mai lo sarebbe stata.
 
«Ci proverò.» Il suo tono era molto incerto ed Ella non poteva accettarla.
 
«E ci riuscirai, perché ci saremo noi al tuo fianco per sostenerti e scuoterti quando sarà necessario.»
 
«Grazie Ella.»
 
Sofia la abbracciò di slancio. Si era appena ricordata che nell’infelicità si nascondeva sempre uno sprazzo di gioia e, in quella circostanza, il suo era Ella.
 
«E di cosa, vecchietta. Ti assicuro che, tra qualche ora, questa giornata migliorerà e le parole di tua madre diventeranno solo un lontano ricordo.»
 
La rassicurò Ella, ricambiando il suo abbraccio.
 
«Sicura di non poterti liberare questa sera? È vero che non tengo molto al mio compleanno, però avrei voluto passarlo anche con voi.»
 
Ella sapeva che Sofia avrebbe insistito e se le era sembrato orribile negarglielo prima, adesso era diventato devastante, ma, perché la sorpresa riuscisse, Sofia avrebbe dovuto credere che tutti quella sera fossero impegnati.
 
«Credimi ci ho provato, ma senza successo. Vedrai che domani ritornerai ad amarmi.»
 
«Lo spero, perché sai che non riesco a tenere il broncio.»
 
Sorridendole, Ella si alzò e, ponendosi di fronte a lei, tese le mani in direzione di Sofia affinché le afferrasse.
 
«Forza pigrona, adesso preparati che tra poco devi andare agli allenamenti. Vedrai che se immaginerai il viso di tua madre sulla palla le schiacciate saranno come quelle di Mila e ne trarrai molta più soddisfazione.»
 
Sofia si aggrappò a quelle mani come se fossero la sua ancora di salvezza, sorridendole riconoscente. Con Ella non era necessario dilungarsi in ringraziamenti elaborati, bastava uno sguardo di intesa e le parole più sconosciute e profonde prendevano vita nei loro occhi.
 
«Credo che questo sarà l’allenamento migliore degli ultimi mesi.»
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


«Ma le feste a tema non si facevano a tredici anni? Sembra il luogo di sepoltura di Britney Spears.»
 
Il commento sarcastico di Lorenzo, bloccò i movimenti meccanici di Ella che era intenta a sistemare i tovaglioli e le tazze, usate come bicchieri, con le stampe delle diverse copertine dei CD di Britney Spears.
 
«Ti conviene stare zitto se non vuoi finire come quei poster appesi al muro. Questo è un capolavoro e le tue parole non potranno mai intaccare la profonda stima che nutro per le mie capacità artistiche» rispose caustica, puntando l’indice nella sua direzione.
 
Ella aveva affittato la piccola sala al secondo piano del locale di Massimiliano ed era dalle sei del pomeriggio che era sommersa da palloncini, poster, maschere e qualunque cosa Amazon producesse con il volto della principessa del pop.
 
Aveva organizzato tutto nei minimi dettagli: dalle tracce musicali ai costumi delle ragazze, dagli addobbi alla torta con la miniatura della cantante. Cristina le aveva dato le indicazioni, ma solo una ragazza maniacale come Ella avrebbe potuto creare il santuario di Britney Spears nei più piccoli particolari, senza lasciare nulla al caso affinché fosse tutto perfetto.
 
«Non ci ho neanche provato e mai lo farò, a meno che non abbia deciso di morire.»
 
Luca, che fino a quel momento non aveva proferito parola, osservava con attenzione i nove poster raffigurati le copertine degli album, che Ella aveva posizionato in ordine cronologico a partire dalla parete a destra dell’ingresso. Erano stati disposti in modo che formassero una singola linea continua che terminava sul lato sinistro, punto in cui era stato affisso quello di destra.
 
«Non mi dire che hai misurato la distanza di un poster dall’altro per ottenere questo risultato?»
 
L’espressione di Luca, mentre prendeva consapevolezza della sua stessa domanda, era di puro sconvolgimento. Gli occhi sgranati e l’incredulità nella sua voce fecero ridere Ella, che provò un alto grado di soddisfazione per l’effetto sortito dalle sue sottovalutate capacità.
 
«Visto che lo chiedi, ho misurato la lunghezza delle pareti e diviso per il numero di poste.»
 
«Sono allucinato.»
 
Luca non accennava a riprendersi. Forse quando Sofia o Cristina parlavano della sua mania del controllo, non avevano mai portato loro esempi di significativa importanza.
 
«Ora, se avete finito di sprecare ossigeno con inutili domande, usate le vostre braccia per spostare questo cartonato in quell’angolo. Mi raccomando deve essere simmetrico a quello che ho posizionato da quest’altro lato del tavolo» spiegò, fornendo indicazioni precise su dove mettere quel metro e sessantatré di cartone sagomato.
 
«Democrazia, questa sconosciuta» commentò Lorenzo, arrotolandosi le maniche della camicia fino ai gomiti.
 
«Esatto. Perché con me si fa solo quello che dico io, quindi fai poco lo spiritoso.»
 
«Ai suoi ordini» rispose Luca.
 
Ella aveva unito tutti i tavoli della sala per formare un unico grande piano d’appoggio, su cui, per il momento, si trovavano gli stuzzichini per un piccolo aperitivo in attesa delle pietanze, che aveva ordinato di portare per le nove.
 
«Ragazzi, ho detto simmetrico non obliquo. Una sola cosa dovete fare e la sbagliate anche» li rimproverò, sbuffando per la loro incapacità.
 
«Ecco, fermi! Così è perfetto.»
 
«Non hai freddo conciata in quel modo?» le chiese Lorenzo, osservando con più attenzione il suo abbigliamento.
 
I continui giudizi sottesi dietro le loro domane o affermazioni stavano iniziando a infastidirla e non riusciva a capire il perché. In genere ci avrebbe scherzato, avrebbe fatto un commento sarcastico, invece, adesso si sentiva solo molto irritata.
 
Forse perché la mattinata burrascosa e le lacrime di Sofia l’avevano scossa più profondamente di quanto aveva creduto, forse erano state quelle settimane di stress accumulato e non espresso o forse era la sensazione di qualcosa che non era ancora accaduto, ma che sarebbe stato, a renderla tesa e intrattabile.
 
«No, il locale è riscaldato quanto basta.»
 
Il tono di voce secco con cui aveva risposto era stato camuffato dal ritornello di “Criminal”, che Ella canticchiava per distrarsi e focalizzare l’attenzione su qualcosa di piacevole.
 
«Perché ti sei vestita da scolaretta?»
 
«Britney Spears indossa abiti simili nel video di “Baby one more time”. Luca, mi spieghi in quale universo sei cresciuto per non riconoscere questo travestimento?»
 
«Chiedo scusa all’universo per la mia ignoranza.»
 
«Se lo sapesse Sofia ti farebbe l’elettroshock con le sue canzoni, usciresti da questa stanza ballando sulle note di “Toxic”.»
 
A Ella sfuggi una risata, immaginando Sofia mentre gli diceva con voce pacata: “Non si insulta Britney Spears”, per poi incollargli le cuffie nelle orecchie e distruggergli i timpani con tutti i testi sparati al massimo del volume. Avrebbe pagato qualunque cifra per assistere ad una scena del genere.
 
«Ti aiuto a svuotare quelle?» domandò Lorenzo, indicando due buste che Ella aveva poggiato su una sedia.
 
«No. Lì ci sono i costumi per Cristina e Sofia.»
 
«Quindi festeggeremo con tre sciroccate.»
 
«Tu prova a fare solo un altro commento sul mio abbigliamento, sulla sala o sugli addobbi e ti assicuro che saranno le tue ultime parole prima di lasciare questo mondo.»
 
Ella questa volta non poté fare a meno di rispondergli bruscamente, non riusciva a tollerarlo e non voleva sentire qualcos’altro che non fossero complimenti per i suoi sforzi e il bellissimo allestimento.
 
Sentiva che qualunque altro stupido commento avrebbe potuto innescare la bomba che aveva nello stomaco. Voleva solo dare sfogo a quella frustrazione che cercava ancora di trattenere, ma che sapeva di non poter più controllare.
 
Qualcuno si sarebbe fatto male, doveva solo rimandare la catastrofe a un altro giorno per non rovinare il compleanno alla persona che più di chiunque meritava di vivere degli attimi di pura felicità.
 
Ella avrebbe resistito fino a farsi corrodere ogni organo interno dalla rabbia, fino a ricoprire il suo addome di lividi, avrebbe fatto di tutto per rendere quella serata perfetta.
 
«Non lo ascoltare, ha solo avuto una brutta giornata a lavoro.»
 
Prima che Ella potesse rispondere, la vibrazione del suo cellulare, che aveva dimenticato di aver messo solo per quella sera, la fece spaventare. Non era più abituata e non vedeva l’ora di poter impostare nuovamente il silenzioso.
 
“Arriviamo tra cinque minuti.”
 
«Cristina mi ha avvisata che tra poco saranno qui. Forza mettetevi le maschere con la faccia di Britney e nascondetevi.»
 
«Sul serio?»
 
«Lorenzo, quale parte di festa a sorpresa non hai capito? Si fa tutto ciò che dico senza obiettare.»
 
«Come non detto.»
 
«Ora spengo le luci e voi state buoni e zitti» li ammonì Ella avanzando verso il contatore della luce, che si trovava dietro un quadro nell’angolo tra la porta e la parete, per far sprofondare la piccola sala nell’oscurità.
 
«Secondo te quanto dobbiamo rimanere rannicchiati dietro il tavolo?» Chiese Lorenzo, infastidito dalla posizione che aveva assunto.
 
La sua insofferenza le ricordò Ciuchino e la sua petulante voce quando si ostinava a chiedere ogni cinque secondi se fossero arrivati a destinazione.
 
«Il tempo necessario. Smettila di fare il bambino e taci.» Ella fu immensamente grata nei confronti di Luca, per aver risposto con toni moderati, prima che lei potesse farlo con un atteggiamento più brusco.
 
Un leggero rumore di passi e il ticchettio dei tacchi sul legno delle scale avvisarono Ella che a breve sarebbe apparse sulla soglia Sofia.
 
Quando Ella percepì la presenza delle sue amiche a qualche passo di distanza da lei, attese il segnale di Cristina per poter dare il via ai festeggiamenti.
 
«Non essere impaziente. Siamo arrivati, adesso ti tolgo la benda.» Un istante dopo che Cristina ebbe terminato la frase, Ella accese le luci lasciando che ogni cosa apparisse chiara e inequivocabile agli occhi della sua migliore amica.
 
«Sorpresa!» esclamarono tutti i presenti, uscendo finalmente dai loro nascondigli e lasciandosi guardare con sguardo esterrefatto da Sofia, la cui bocca, che aveva assunto la forma di una perfetta ellisse, era semicoperta dalla sua mano destra.
 
«Oh mio Dio. Voi avete… voi siete…»
 
«L’esercito di Britney Spears.» Lorenzo completò la frase della sorella, sfilandosi la maschera per rivelare il sorriso provocato dal suo stesso commento ironico.
 
Era decisamente un dilettante in materia.
 
«Credevi davvero che non avremmo festeggiato con te?» la domanda di Ella era retorica, non si aspettava realmente una risposta considerato lo stato confusionario in cui riversava Sofia, che non faceva altro che osservare con attenzione e stupore ogni oggetto e addobbo presente nella stanza.
 
«Io… ragazzi, non so cosa dire. È tutto così…»
 
«Splendido, unico, eccezionale, fantasmagorico, strabiliante, entusiasmante» la interruppe Ella, con trepidazione.
 
La sua personalità avrebbe rubato la scena a chiunque in qualunque circostanza, con quel tocco di ironia che l’avrebbe tenuta alla giusta distanza dall’egocentrismo, una linea che aveva imparato ad avvicinare senza mai superare.
 
Chi non la conosceva e l’ascoltava non avrebbe saputo giudicarla o collocarla in una sola specifica categoria, era impossibile perché Ella poteva essere tutto e niente a suo piacimento e anche nello stesso momento.
 
«Fermatela prima che elenchi tutti gli aggettivi presenti nel vocabolario» intervenne Cristina, nella speranza di fermare l’autoelogio di Ella.
 
Di una cosa poteva essere sicura in quel momento, Ella avrebbe vantato le sue inarrivabili capacità per almeno un anno o fino a quando non si sarebbe verificato un evento di altrettanta importanza.
 
«È tutto perfetto» ammise Sofia, guardando con profonda gratitudine la sua famiglia.
 
Aveva trascorso gli ultimi giorni a immaginare cosa avesse escogitato Cristina per poter rendere quella serata la più bella della sua vita, ma non aveva mai pensato a qualcosa che fosse lontanamente simile a ciò che i suoi occhi stavano sviscerando minuziosamente in ogni microscopico dettaglio.
 
Era stata sicuramente Ella a preparare tutto, lo aveva intuito non solo dal suo autocompiacimento, ma anche dalla maniacale precisione e incredibile assortimento di gadget raffiguranti il suo modello femminile di riferimento, in tutte le possibili varianti.
 
«Non avrebbe potuto essere diversamente dal momento che ho passato l’intero pomeriggio ad allestire questa sala e ho anche dovuto sopportare tuo fratello.»
 
«Che ha combinato?» Chiese Cristina, cercando di trattenendo una risata.
 
«Nulla che non abbia potuto gestire.»
 
«La smetti di mortificarmi?»
 
«Ho appena iniziato. Adesso basta con le chiacchiere e andatevi a cambiare.» Ella recuperò le due buste dalla sedia che aveva poco distante da lei, per porgerle alle due ragazze.
 
«Cosa?» Sofia, evidentemente, ancora non si era ripresa dalla sorpresa. Si era concentrata tanto sulla sala da ignorare completamente l’abbigliamento di Ella.
 
«Non ha visto come sono vestita? Stasera saremo tutte la Britney del’98. Muoversi, muoversi e non perdete troppo tempo in cose che potrete fare anche stanotte.»
 
«Ella…» Sospirò Cristina, ormai priva di qualsiasi speranza.
 
Ella era Ella e nessuno avrebbe potuto fermarla.
 
«Forza sparite» le incitò, indirizzandole con forza verso le scale.
 
«Io vado in cucina ad avvertire che siamo pronti.»
 
Più il tempo passava più il senso di oppressione, che Ella aveva percepito a inizio serata, le stritolava il petto rendendola irrequieta e in cerca di un respiro che riempisse totalmente i suoi polmoni.
 
Ogni volta che inalava aria sentiva l’avido bisogno di assorbirne altra, perché quella che aveva non era sufficiente a soddisfare le funzionalità di tutti i suoi organi interni. Si sentiva sull’orlo del collasso e ogni passo sembrava condurla verso il compimento di un destino nefasto e sconosciuto, qualcosa che Ella non poteva controlla e che, per tale motivo, la struggeva inesorabilmente.
 
Dopo aver avvertito il cuoco e ribadito le ordinazioni, ritornò nella saletta attendendo il ritorno della festeggiata.
 
È tutto perfettamente in ordine come avevo previsto. Non ci resta che aspettare le due Lolite» disse rivolgendosi alle uniche due persone presenti.
 
«Perché ci mettono tanto?» Sbuffò Ella, spazientita.
 
«Meglio non porsi determinati interrogativi» le rispose Luca, sedendosi sulla sedia accanto a lei.
 
Lorenzo, in piedi di fronte a loro, lì guardava con un’espressione inorridita, disgustato dai pensieri che il commento ironico del suo amico aveva suscitato in lui.
 
«Luca per favore, stiamo parlando di mia sorella. Non voglio immaginarla sotto quella luce.»
 
«Intendi quella rossa delle vetrine di Amsterdam?»
 
Sentiva il bisogno di dire o fare le cose più insensate e superficiali per distrarsi da quella sensazione e, se non avesse potuto dichiarare guerra per il più stupido dei motivi, avrebbe tratto piacere dall’esasperazione degli altri.
 
«Voi uomini fate tanto gli invincibili e poi vi scandalizzate per un paio di battute che non hanno nulla di sconcio.»
 
«Mi stai sfidando?» domandò Lorenzo, con tono provocatorio.
 
«Prova a fare un commento sulla lunghezza della gonna e quando torniamo a casa la uso come corda per soffocarti.»
 
Luca, per quel poco che aveva potuto capire di Ella, preferì tacere e osservare la tempesta abbattersi sul suo amico senza fare nulla per impedirlo.
 
Le donne quando davano un avvertimento, non lo facevano per timore di essere ferite o insultate, bensì per proteggere il malcapitato da una rovinosa e pessima figura, giacché si trovavano sempre qualche passo in avanti rispetto agli uomini.
 
«Più che lunghezza avrei detto cortezza. Se non fosse per le calze nere, ti si vedrebbe la curva del sedere senza doversi sforzare.»
 
Il povero Lorenzo non aveva idea di ciò che le aveva appena offerto con quella risposta di cui evidentemente andava fiero, considerando il tono compiaciuto con cui l’aveva pronunciata.
 
Ella non riuscì a nascondere un piccolo ghigno di pura soddisfazione, pregustando già l’immensa soddisfazione che avrebbe tratto nel fargli notare qualcosa che lo avrebbe messo in una posizione piuttosto scomoda.
 
«Quando l’ho vista mi sono chiesta: “perché dovrei privare l’umanità di cotanta bellezza?” Se ti scandalizza non sei obbligato a guardare in modo così approfondito tanto da sapere dove finisce la mia chiappa e inizia la mia coscia.»
 
Lorenzo boccheggiò per qualche secondo, aprendo e chiudendo la bocca senza trovare una risposta valida con cui ribattere e scansare il proiettile che Ella gli aveva sparato contro.
 
«Tu e la discrezione siete una cosa sola» commentò Luca, provando a smorzare la pessima figura fatta da Lorenzo.
 
Per quando guardare il fondoschiena di una ragazza non fosse sbagliato, farsi scoprire non era propriamente carino.
 
«Ti conviene non aggiungere altro, a meno che tu non voglia peggiorare la tua già precaria posizione» intervenne Ella, prevenendo qualunque cosa Lorenzo avrebbe potuto dire per evitare di impantanarsi ancora di più nella melma in cui era sprofondato.
 
«Va bene, mi arrendo. Sarà meglio parlare il meno possibile, se voglio tornare a casa con un minimo di dignità ancora in tasca.»
 
A salvare la spiacevole situazione, furono Sofia e Cristina che apparvero in sala prima che Ella potesse ribattere. Entrambe vestite come due scolarette un po’ troppo cresciute, ma sexy quanto bastava per ottenere l’effetto che Ella aveva desiderato.
 
Dopo avrebbero potuto tranquillamente scatenarsi e provare a imitare le coreografie di Britney.
 
«Eccole finalmente. Stavamo giusto scommettendo su cosa vi stesse trattenendo nei bagni.»
 
«La cerniera della gonna aveva difficoltà a salire» si giustificò Sofia.
 
«Si, certo. Dicono tutti così e poi si scopre che l’unica cosa che impediva alla lampo di salire erano delle mani un po’ troppo curiose.»
 
«Per favore, qualcuno le cucia la bocca» sospirò Cristina, coprendosi gli occhi con una mano.
 
Disperata o meno, Ella non avrebbe smesso di tormentare nessuno quella sera, altrimenti il divertimento sarebbe stato davvero poco. Qualcuno avrebbe dovuto fare il lavoro sporco per rendere quella serata indimenticabile e lei si era offerta come il tributo volontario e l’agnello sacrificale più felice nella storia dell’umanità.
 
«Oltre a sbaciucchiare la tua ragazza, potresti ricordarti anche della nostra esistenza? Senza fretta ovviamente, tanto non abbiamo mica fame.»
 
«Ella, mi spieghi perché parli al plurale?» Chiese Luca.
 
«Non sono così egocentrica come credete, ogni tanto mi abbasso anche a prendervi in considerazione.»
 
«Stavate aspettando noi?»
 
Ogni tanto Sofia sembrava arrivare da un altro pianeta, evidentemente ciò che l’aveva tenuta impegnata negli ultimi cinque minuti doveva avere ancora ripercussioni sulla sua mente. Forse le si erano bruciati tutti i neuroni o semplicemente le sinapsi erano ancora in visibilio.
 
«No, la tua gemella cattiva. Non possiamo inaugurare il buffet senza la festeggiata, quindi muoviti.»
 
«Hai ragione, chiedo perdono.»
 
«Fai un bel discorso di ringraziamento» la incitò il fratello
 
«Questo è davvero il compleanno più bello che abbia mai festeggiato, non solo per il tema che avete scelto, ma soprattutto perché ho accanto a me la mia famiglia, le persone migliori che mai avrei creduto di poter incontrare. Grazie di tutto.»
 
«E?» chiese Ella, invitandola a continuare.
 
Sofia aveva dimenticato il punto focale di tutto, ma soprattutto di tutti.
 
«Grazie a Ella per aver messo a disposizione la sua eccezionale bravura.»
 
«Ma ti pare. Adesso alzate il volume della musica e diamo inizio ai festeggiamenti.»
 
«Ancora non ci credo che sei riuscita a mentirmi senza abbassare lo sguardo. Mi sorprendi.»
 
«Ore e ore di pratica davanti allo specchio. Se tu mi avessi scoperta, Cristina mi avrebbe trucidata. Non è così innocente come vuole far credere.»
 
«Io ti ho solo calorosamente fatto presente che, se Sofia avesse scoperto qualcosa, avresti poi dovuto cambiare il mio soprannome in Malefica.»
 
«Capite che intendo. Mi ha fatto avere incubi in cui vedevo un piccolo cucciolo di panda trasformarsi in una iena. Terrificante.» Ella rabbrividì inorridita.
 
«Tu che ti fai sottomettere da qualcuno. Ragazzi, questo è un giorno che passerà alla storia.» Lorenzo quella sera era particolarmente insopportabile e la lezione di prima, a quanto sembrava, non doveva essergli bastata.
 
«Sofia da stasera avremo un coinquilino in meno e una stanza in più. Biancaneve ti trasferisci da noi?»
 
«Non c’è neanche bisogno di chiedere.»
 
«Vedi Lorenzo, devi fare attenzione siamo tutti sostituibili al mondo.»
 
«Tranne te» si intromise Luca, ponendo fine a quel botta e risposta.
 
«Ovviamente.»
 
«Stasera sta cercando di soffiarti lo scettro.»
 
«Non ti preoccupare Luca, sarò sempre io la persona più sarcastica e irritante del pianeta.»
 
«A quando le nozze?» Chiese Cristina, notando la complicità creatasi tra questi ultimi.
 
«Non lo abbiamo ancora deciso, ma stavamo pensando di fare una scappatella a Las Vegas.»
 
«Basta parlare. È il momento di ballare.» Si intromise Sofia, interrompendo quello stupido scambio di battute.
 
Le casse diffondevano a volume moderato “Till the world ends”, con enorme dispiacere di Ella perché, anche se avrebbe desiderato ascoltarla fino a spaccarsi i timpani, i clienti al piano inferiore era più che certa non sarebbero stati molto accomodanti.
 
Ella si alzò, trascinata per le braccia da Sofia e Cristina, mentre cantavano con voce discutibilmente intonata il ritornello.
 
Cinque amici in una stanza e una sola famiglia, non avevano bisogno di nessun altro perché tutte quelle sedie vuote non pesavano nel cuore di nessuno di loro.
 
Agitando i fianchi a ritmo di musica, le ragazze muovevano le braccia nel modo più sguaiato e scoordinato possibile. Le scarpe non troppo alte permettevano loro di compiere passi piuttosto stabili e decisi, senza timore di poter prendere una storta e ritrovarsi con il sedere a contatto con il pavimento freddo, in un attimo di distrazione o troppa foga.
 
I capelli lunghi di Ella le sfioravano la vita, accarezzando l’orlo superiore della gonna che svolazzava, assecondando gli ondeggiamenti frenetici del suo bacino.
 
Finita la canzone, il ritmo potente venne sostituito dalla lenta e dolce melodia dal testo più commovente mai ascoltato.
 
Accompagnate dalle note di “Everytime”, Cristina e Sofia si avvicinarono fino a quando i confini dei loro corpi non furono più distinguibili.
 
Le loro fronti si sfioravano e la testa china di Sofia, aveva trasformato i suoi capelli corti in un sipario che le separava dal resto del mondo.
 
Ella voleva distogliere lo sguardo da quel momento così intimo e profondo, perché si sentiva una ladra, eppure quei due corpi, che si muovevano lentamente in circolo, erano una calamita per i suoi occhi, che si sforzava di chiudere per impedirsi di sognare qualcuno che era troppo distante da lei.
 
A distrarla dai suoi pensieri, fu la vibrazione del cellulare che aveva dimenticato di togliere. Il suo cuore inspiegabilmente accelerò, amplificando la sensazione di ansia e disagio che aveva cercato in tutti i modi di combattere.
 
Prima ancora di vedere chi fosse, lei lo sapeva, il suo corpo come sempre glielo gridava per metterla in guardia. Quella sensazione inspiegabile si riempiva di significato ed Ella ritornava ancora una volta a tremare.
 
“Mi manchi”
 
Leggendo il messaggio di Matteo, Ella si sentì come Britney. Ogni volta che provava a superare un ostacolo cadeva e, senza le sue ali, senza la forza di volontà che sentiva svanire di giorno in giorno, si rimpiccoliva fino a diventare insignificante.
 
Aveva bisogno di aria, doveva sparire per qualche minuto dal radar dei suoi amici, perché se l’avessero vista con l’espressione devastata che era certa di avere, avrebbe rovinato la serata e non sarebbe stato giusto.
 
Si alzò velocemente e, dopo aver recuperati il cappotto sistemato sullo schienale della sedia, uscì dalla sala il più discretamente possibile.
 
Doveva controllare il dolore, almeno fino a domani.
 
Il freddo di marzo la colpi in pieno viso e alle gambe, facendole lo sgambetto. Si appoggiò con la schiena al muro, prendendo con avidità tutti i respiri che le venivano concessi nella speranza di controllare l’ansia che annodava il suo stomaco, rendendole impossibile digerire ciò che cinque minuti prima aveva ingurgitato.
 
Avrebbe ingoiato il suo stesso vomito se necessario, si sarebbe fatta corrodere dall’acido pur di non creare agitazione.
 
Stava cedendo a tutte le emozioni che l’avevano investita senza pietà, nelle ultime settimane.
 
Voleva cadere, solo per liberare l’urlo straziante che le stava devastando la mente; voleva sanguinare e vedere le cicatrici rimarginarsi, solo per avere la conferma che il tempo aveva davvero il potere di cicatrizzare il dolore; voleva farsi del male, solo per liberare le lacrime in cui stava annegando il suo cuore; voleva la libertà e tutto ciò che le veniva ripetutamente negato, solo per essere felice.
 
«Ti ho trovata finalmente. Volevamo provare qualche coreografia per vedere se ricordo ancora a memoria i passi, ma ho bisogno di te per formare il trio perfetto.»
 
La richiesta di Sofia attirò la sua attenzione, distogliendola da quei pensieri troppo forti per poter essere correttamente elaborati.
 
Anche se inconsapevolmente, Sofia afferrava la sua mano ogni volta che Ella stava per precipitare nel baratro delle sue angosce.
 
«Mi dispiace avevo bisogno di un po’ d’aria fresca.»
 
«Tutto bene?»
 
La preoccupazione nel tono di voce della sua amica, allarmò Ella che si vide costretta a mettere in scena l’ennesimo teatrino per distogliere l’attenzione dal suo reale stato d’animo.
 
L’ennesima volta in cui nascondeva il suo dolore, prima o poi qualcuno le avrebbe presentato il conto e aveva il sentore che sarebbe stato molto salato e impossibile da estinguere in una sola volta.
 
«Certo. Stasera ho scoperto che se fallisco come psicologa potrei diventare la migliore party planner in circolazione.»
 
«Non credo tu debba preoccuparti, sei brava in tutto ciò che fai.»
 
«Tranne gli sport, ovvio.»
 
«È Gabriele?»
 
Sofia doveva aver intravisto la conversazione aperta che Ella aveva dimenticato di chiudere.
 
«Si. A quanto pare già sente la mia mancanza.»
 
Stava diventando spaventosamente brava a mentire e, anche se era per una buona causa, si sentiva tremendamente in colpa. Sicuramente il giorno seguente, quando le avrebbe detto la verità, Sofia si sarebbe arrabbiata, ma per il momento era giusto che ne rimanesse all’oscuro.
 
«Vuole recuperare il tempo perduto e rimediare, non rendere le cose più difficili.»
 
«Cosa dovrei fare?»
 
La conversazione stava prendendo una brutta piega. Prima Matteo, adesso Gabriele, era sul punto di esplodere. La sua mente era divisa, così come i suoi sentimenti e non sapeva più come arginare quei due pozzi profondi e oscuri le cui acque minacciavano pericolosamente di mischiarsi e, se ciò fosse accaduto, sarebbe stata una vera catastrofe.
 
«Potresti invitarlo a casa questo giovedì sera. Vorrei rivederlo, mi piacerebbe riallacciare i rapporti.»
 
«Non credo sia il caso. Forse è un passo troppo grande rispetto al punto in cui ci troviamo.»
 
Nonostante avesse acconsentito a ricominciare un qualsivoglia rapporto, non era ancora pronta a rivederlo, specialmente dopo il messaggio appena ricevuto.
 
Non voleva deludere Sofia, ma allo stesso tempo sentiva ogni parte di lei ribellarsi alla sola idea di dovergli parlare.
 
«Ella è una serata tra amici e ci saremo anche noi, non ho mica detto che ci devi andare a letto.»
 
«Ci mancherebbe» commentò, storcendo il naso.
 
«Quindi, qual è la risposta definitiva?»
 
«Va bene, allora ti do il suo numero così vi organizzate.»
 
«Scusami, forse mi sono persa qualche passaggio del tuo resoconto. Non avevi accettato di ricominciare da capo la vostra relazione?»
 
L’ultima parola la fece rabbrividire e la sua mente fu inondata da pensieri che, per il suo stato attuale, erano tutt’altro che rassicuranti.
 
«Relazione?»
 
«Si, di amicizia. Almeno per il momento, perché sappiamo entrambe come…»
 
«Non finire questa frase. Sono terrorizzata» disse, interrompendo bruscamente la sua risposta.
 
«Ella ritorna sulla terra. Non è scritto da nessuna parte che dovete stare insieme, in fin dei conti avete parlato al passato. Vi amavate, adesso le vostre vite sono cambiate e forse anche i vostri sentimenti.»
 
«Forse è scappato qualche tempo presente.» La sua affermazione, pronunciata con tono fintamente disinvolto e tranquillo, lasciò Sofia interdetta a guardarla con espressione sconvolta.
 
«Tu cosa? Perché non me lo hai detto?»
 
«Non io. Diciamo che Gabriele ha preso molto alla lettera la mia richiesta di assoluta sincerità. Evidentemente non era molto importante, altrimenti lo avrei fatto.»
 
«Pensi che sia scema? Adesso capisco il motivo di tanta agitazione. Sapere con certezza che lui prova ancora qualcosa per te ti ha spaventata perché tu sai di ricambiare il suo sentimento, ma non lo vuoi accettare. Davvero non ti trovi se non ti complichi la vita.»
 
«Non è che mi rifiuto di accettarlo, semplicemente in questo momento non sono pronta per una relazione, anche solo immaginaria.»
 
In realtà l’aveva immaginata, ma l’idea che la fantasia avrebbe potuto essere di gran lunga migliore della realtà la spaventava a tal punto da reprimersi.
 
«Ella vuoi fare il replay di ciò che è accaduto cinque anni fa? Perché ti avviso che sei sulla buona strada.»
 
«Non ho intenzione di fuggire, se è questo che pensi» rispose con voce categorica alle sue accuse.
 
«Allora perché lo eviti?»
 
«Non lo sto evitando.»
 
«Quando lo hai sentito l’ultima volta?»
 
Tutte quelle domande stavano iniziando a innervosirla. Doveva trovare un modo rapido e indolore per troncare quella conversazione prima che potesse impazzire.
 
«Domenica e mi stai angosciando» sbuffò spazientita.
 
«Voglio solo farti capire che c’è un motivo per cui accadono determinate cose. Magari l’universo vi sta dando un segnale che non riuscite a cogliere. Insomma, vi ha fatti rincontrare quando ormai non ci speravate nemmeno più.»
 
«Sai che non sono fatalista» rispose scocciata.
 
«Si, ma forse dovresti iniziare ad aprire la mente a queste cose, altrimenti la tua vita rimarrà troppo vuota e perderai l’occasione di provare una felicità diversa da quella che cerchi di solito. Avete bisogno l’uno dell’altro. Pensaci, questo è il momento perfetto.»
 
Apprezzava i tentativi della sua amica di tranquillizzarla, ma erano totalmente inutili. Troppi pensieri tra cui dividersi le rendevano impossibile riflettere lucidamente e snocciolare ogni singola questione che la preoccupava.
 
«Sofia, sento ancora l’ombra di Matteo che mi perseguita. È una situazione troppo complicata per poter iniziare una relazione e non solo per me, immagina per un attimo come la vivrebbe Gabriele. Come pensi che reagirebbe ogni volta che Matteo deciderà di ripiombare nella mia vita con i suoi messaggi e le sue chiamate ossessive. Lo distruggerei e io non voglio fargli del male.»
 
Voleva proteggerlo dai fantasmi che si trascinava dietro e, anche se desiderava averlo nella sua vita più di chiunque altro, lo avrebbe allontanato il più possibile.
 
Era la paura che la spingeva a prendere decisioni poco sensate e giuste, eppure era l’unica emozione che riusciva ancora a tenere incollati i suoi pezzi, permettendole di controllare i suoi sentimenti. Quando anch’essa si fosse dissolta, sarebbe crollata e il dolore che prima era solo suo, sarebbe diventato di tutti.
 
«Ella questa è una scelta che non spetta a te. Cinque anni fa lui ha scelto per entrambi, adesso tu vuoi fare la stessa cosa? Devi smettere di voler proteggere gli altri da te stessa, devi aprirgli il tuo mondo e permettergli di starti accanto. Se desideri Gabriele e lo allontani, te ne pentirai.»
 
«Ma…»
 
«Niente ma. Hai rimesso insieme i pezzi della tua vita, sei una donna sicura di sé stessa e con un carattere forte. Avrai anche i tuoi momenti di debolezza, ma ti ami e sai ciò che vuoi con chiarezza, sei praticamente pronta per qualunque cosa, anche per l’amore. Non sei il tipo di persona che si arrende alla prima brutta esperienza, sei solo diffidente per natura, ma Gabriele non è Matteo e sai di poterti fidare.»
 
«Lo so. Mi fido di lui, nonostante tutto il casino che ha combinato.»
 
«Perché sai che non ha agito allo scopo di ferirti. Le sue intenzioni, per quanto contorte, non erano cattive. Ti conosco abbastanza bene da sapere che te ne pentirai per il prossimo decennio che non ti darai un’altra possibilità.»
 
Il pronostico accurato di Sofia si sarebbe sicuramente avverato, ma la nebbia che le offuscava il pensiero logico non si era ancora dissipata così, anziché protrarre quella conversazione all’infinito senza giungere a una conclusione, preferì troncarla prima di raschiare il fondo della disperazione.
 
«Credo tu abbia ragione. Lo devo a tutti i film mentali e castelli di carta che ho costruito in questi anni.»
 
«Lasciati andare e invitarlo a casa giovedì. Un passo alla volta e vedrai che il futuro ti spaventerà di meno.»
 
«Farò del mio meglio, basta che la smetti di assillarmi. Nel frattempo vai a ballare con la tua ragazza e facci divertire con le coreografie dei video di Britney.»
 
Avrebbe mandato il messaggio a Gabriele anche contro il suo volere, avrebbe provato a mettere in pratica i consigli di Sofia, anche se era molto scettica a riguardo. Sperava solo di non doversene pentire.
 
«Si gentile e non ci mettere molto a rispondergli, ho bisogno del supporto della mia migliore amica.»
 
«Arrivo subito» le rispose, prima che Sofia potesse scomparire all’interno del locale.
 
Gabriele avrebbe aspettato, aveva una questione più urgente da affrontare e da cui non sarebbe potuta fuggire.
 
“Tu no, lasciami in pace.”
 
Ogni essere umano creava i propri demoni, contro cui avrebbe dovuto combattere per tutta la vita. Il suo era Matteo e ancora non sapeva se lo avrebbe sconfitto prima che potesse divorarla.
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


«Oh mio dio! Vieni qui, fatti abbracciare.»
 
Gabriele non ebbe nemmeno il tempo di capire chi avesse di fronte, che si ritrovò inaspettatamente due braccia che lo stringevano con vigore.
 
Probabilmente si sarebbe sentito meno a disagio, se Sofia lo avesse fatto accomodare senza nemmeno rivolgergli la parola. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, sentiva solo il suo lieve respiro solleticargli il collo.
 
«Decisamente non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa» disse, sorridendo imbarazzato.
 
«In qualche modo devo compensare il gelo del Dissennatore in soggiorno.»
 
Sofia percepì il suo disagio, ma era il modo più efficace per fargli capire che era sinceramente felice per il suo ritorno, che gli era mancato e che non provava né rabbia né rancore nei suoi confronti.
 
Ella, che aveva osservato la scena da lontano premurandosi di non farsi notare, si vergognò nello scoprire di provare invidia nei confronti della sua amica.
 
Troppe poche volte era stata stretta in quel modo. I suoi sentimenti per Gabriele l’avevano sempre frenata perché, se si fosse lasciata andare, avrebbe oltrepassato il punto di non ritorno. Aveva sempre preferito tenere le distanze, l’unica arma a sua disposizione per il controllo delle sue emozioni, eppure quanto avrebbe preferito essere una semplice amica solo per poterlo abbracciare, senza che la sua mente venisse soffocata dalla paranoia.
 
«Ah, sei tu» commentò con voce seccata, annunciando la sua presenza.
 
Gabriele abbassò il suo sguardo per incontrare la chioma di Ella, raccolta in una crocchia spettinata. Le imperfezioni del suo vito e il rossore naturale della sua pelle, che aveva nascosto con il trucco le ultime volte che l’aveva incontrata, la rendevano ai suoi occhi più nuda e trasparente di quanto non già non fosse.
 
«Parlando del Diavolo…» canzonò Sofia, spostando la sua attenzione su di lei.
 
«Spunta Ella» concluse Gabriele, con un’affermazione che, in teoria, avrebbe dovuto essere divertente.
 
«A quanto vedo, siete già amici per la pelle. Commovente.»
 
Il suo commento caustico e il suo atteggiamento freddo e distaccato fecero intuite ai presenti quale sarebbe stato lo spirito della serata.
 
Ella aveva accettato Gabriele in quella casa solo perché Sofia aveva palesato tutto il suo interesse e non sarebbe riuscita a negarglielo, ma, un conto, era essere disponibile e, un altro, mostrarsi gentile quando ogni fibra del suo essere si opponeva a qualsiasi pensiero benevolo.
 
«Ammetto che se ti avessi incontrata per strada non ti avrei riconosciuta.»
 
Gabriele preferì concentrare la sua attenzione su Sofia, l’unica che, a quanto poteva vedere, sembrava essere sinceramente felice per il suo ritorno.
 
«Pensa te che fortuna.»
 
«Cosa vorresti dire?» chiese Sofia, sperando che il commento sarcastico di Ella passasse inosservato.
 
Sospettava che per tutta la durata della cena, sarebbe diventata l’arbitro di due giocatori indisciplinati.
 
«Che il brutto anatroccolo è diventato un cigno.»
 
«Ella, non mettermi in bocca parole che non ho detto.»
 
Le sue affermazioni ostili e quello sguardo distante e insensibile stavano mettendo a dura prova le certezze che quella stessa ragazza gli aveva fornito solo qualche giorno prima.
 
«Sta tranquillo, anche tu sei cresciuto. Hai i tratti del viso più spigolosi di quanto ricordassi.»
 
«E tu i capelli più corti.»
 
«Ella, invece, ha la bocca più grande e vi divorerà con più facilità, se non la smetterete di elencare le parti del corpo che vi sono cambiate in questi anni» disse spazientita dalle loro pietose e penose descrizioni.
 
Voltando loro le spalle, si addentrò nel soggiorno per sedersi sul divano. L’espressione annoiata e strafottente, che dipingeva con tratti decisi il suo viso, indusse Gabriele a intraprendere un gioco pericoloso, spinto dalla curiosità di scoprire fin dove si sarebbe spinta.
 
«Qualcosa mi diceva che non saresti stata molto felice di vedermi.» Gabriele si sfilò il giubbino di pelle, rivelando la camicia nera al di sotto, che fasciava alla perfezione le sue spalle ampie e metteva in risalto i suoi avambracci.
 
Non poteva sapere quanto le piacessero gli uomini con quell’indumento, eppure non si capacitava di come quel ragazzo riuscisse sempre a stupirla senza nemmeno sforzarsi.
 
Questa consapevolezza la portò ad innervosirsi più di quanto già non fosse.
 
«Forse lo avrai intuito dal messaggio che ti ho mandato martedì.»
 
«Cosa gli hai scritto?» domandò Sofia, alzando gli occhi verso il soffitto.
 
Aveva perso ogni speranza. Quando Ella decideva di intraprendere il sentiero di guerra e ostilità, l’unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stata preparare le tende per soccorrere i morti e i feriti che avrebbe mietuto al suo passaggio.
 
«Nulla di esagerato. È solo molto melodrammatico» rispose, scacciano noncurante con la mano la domanda che le era stata posta.
 
«È stata molto premurosa a specificare che, malauguratamente, tu avevi deciso di invitarmi questa sera.»
 
«Ella, ti avevo detto di essere gentile» la rimproverò Sofia, rivolgendo a Gabriele uno sguardo carico di scuse.
 
«Lo sono stata, fin troppo.»
 
La sua indifferenza stava diventando estenuante e sia Gabriele che Sofia non avevano ide di cosa avrebbero dovuto risponderle per farla tacere, perché anche solo pensare di farla ragionare era solo uno spreco di energie.
 
Il suono del campanello riempì il silenzio che nessuno era stato capace di colmare. Era diverso, intriso di rabbia e così tante cariche negative da rendere l’aria irrespirabile.
 
«Vado io!» esclamò Ella, prima che Sofia potesse precederla.
 
Non voleva rimanere sola con Gabriele, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era affrontare le sue domande riguardanti il suo comportamento, che stava creando una spaziale dissonanza con quanto aveva accettato di fare nel loro ultimo incontro.
 
Avrebbe preteso spiegazioni che non sarebbe stata capace di fornirgli, perché lei in primis non aveva idea del motivo e l’unica consapevolezza, che accompagnava le sue riflessioni, era la rabbia che iniziava a diventare incontenibile.
 
«Ha avuto un paio di brutte giornate.»
 
Sofia si sentì in dovere di giustificarla perché, anche se non avesse potuto dirgli la verità apertamente, avrebbe potuto fargliela vagamente intuire.
 
Ella le aveva accennato di Matteo il giorno dopo il suo compleanno, ma non era scesa nei dettagli e sapeva che, se avesse insistito, si sarebbe solo innervosita ulteriormente. Il suo equilibrio mentale era precario, sarebbe bastata una sola domanda fuori posto per farla andare fuori di testa.
 
Non le aveva chiesto più nulla, né se le avesse mandato altri messaggi né se lei gli avesse risposto. Niente, ma solo perché era apertamente adirata e irritabile con chiunque e per qualunque cosa.
 
«Mi dispiace. Vorrei solo starle vicino. Quando abbiamo parlato, in entrambe le circostanze, ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa che la tormentasse. Lo accennava e poi, quando si rendeva conto di aver detto troppo, faceva marcia indietro. Non è da lei lasciarsi sfuggire le parole.»
 
Gabriele comprendeva perfettamente il suo essere restia ad aprirsi completamente e anche la rabbia che sapeva provasse nei suoi confronti.
 
L’aveva trattenuta più di quanto si sarebbe mai aspettato e temeva che, quando l’avesse liberata, non avrebbe ferito solo lui, ma distrutto anche sé stessa.
 
Vederla soffrire nella più completa importanza rassicurare lo dilaniava più di quanto non facessero le sue parole, ma cosa poteva fare se ciò che avrebbe potuto essere la sua cura era anche la causa di tutto il suo dolore.
 
«Posso solo dirti che non è un bel periodo per lei. Ha accumulato troppe emozioni, credendo di proteggere sé stessa e tutti noi, ma si sta corrodendo dall’interno. Ha bisogno di liberarle, prima che si distrugga.»
 
Entrambi la pensavano allo stesso modo, eppure nessuno riusciva a fare qualcosa per aiutarla. Si stava deteriorando sotto il loro occhi e ben presto tra le loro mani non sarebbe rimasto altro che polvere.
 
«Sapevo che non sarebbe stato facile, anche se ha accettato di riavermi nella sua vita. È in lotta con sé stessa e questo è il risultato.»
 
Sofia riusciva a percepire tutta la tensione che il corpo di Gabriele emanava in quel momento. Era stanco, frustrato, esasperato dal costante e ossessivo pensiero di avere così vicino il suo desiderio più grande, ma, al contempo, non poterlo afferrare per tenerlo al sicuro dal resto del mondo, che si sforzava ogni giorno di annientarlo.
 
«Tu sei disposto a sopportarlo?»
 
«Sono disposto a qualunque cosa, spero solo di riuscirci prima che sia lei a decidere di voltarmi le spalle.»
 
Sapeva che prima o poi sarebbe successo, anche se non era assolutamente preparato a quell’eventualità.
 
«Tu non sei umano» commentò Sofia, in un impeto di spontanea sincerità.
 
«Lo sono più di quanto pensi, ma mi sforzo nel sorridere.»
 
«Non è facile per nessuno.»
 
Sofia ricambiò il sorriso forzato che Gabriele le stava rivolgendo.
 
«Gabriele lei è Cristina, la fidanzata di Sofia nonché il mio personale panda in via d’estinzione» disse Ella, entrando in soggiorno.
 
«Piacere di conoscerti» rispose cordialmente Gabriele, tendendole il braccio affinché potesse stringergli la mano.
 
«Credimi è soprattutto mio. Ho sentito parlare così tanto di te che non vedevo l’ora di poterti incontrare.»
 
Cristina stava palesando tutto il suo entusiasmo, non facendo mistero di tutte le volte che Gabriele era stato l’argomento principale delle loro conversazioni.
 
«Diventerai ben presto un cucciolo estinto, se continuerai a dire tante bugie.»
 
Con il suo richiamo, Ella sperava di riuscire a frenare la sua ingenua parlantina, anche se non era necessario perché Gabriele era più che sicuro di essere stato soggetto di molte discussioni e insulti.
 
«Da quanto tempo state insieme?» chiese, cambiando discorso nel tentativo di alleggerire la tensione che sembrava crearsi con troppa facilità.
 
«Un anno.»
 
«Luke, tu non conosci il potere del lato oscuro.» La seria interpretazione di Ella e l’indice puntato contro il torace di Gabriele, per accentuare la drammaticità della frase, lo indussero a osservarla con sguardo perplesso.
 
«Cos’è? Un codice?» Gabriele non era riuscito a cogliere il significato di quella citazione, sentendo di aver perso qualche passaggio.
 
«Più o meno. Da che ricordo, Ella l’ha sempre usata per riferirsi al mio orientamento sessuale. Il suo livello di ironia non ha limiti» Sofia rispose, cercando di essere il più esaustiva possibile.
 
Dietro la pazzia di Ella c’era una logica da interpretare e in constante evoluzione.
 
«La prima volta che gliel’ho sentita dire, non riuscivo a smettere di ridere»
 
«Ragazze mi abituate male con tutti questi complimenti» disse Ella, portandosi una mano al petto, fingendosi lusingata.
 
«Sirenetta, ma le inventi la notte?»
 
Il viso di Ella si voltò lentamente verso colui che aveva pronunciato quella domanda, che, di per sé, non aveva nulla di sbagliato.
 
Gabriele non si rese conto dell’errore fino a quando non lo lesse in un paio di occhi grandi e di un azzurro cupo, che gli stavano risucchiando l’anima con la loro profondità.
 
«Come mi hai chiamata?» il tono di voce di Ella era così controllato da risultare minaccioso.
 
Gabriele iniziò a pregare anche in lingue sconosciute dimenticate dall’uomo e da Dio, nella speranza che non lo cacciasse di casa a calci.
 
«Qui le cose si mettono male.»
 
«Sofia, è solo un soprannome. È vero che si spazientisce con poco, ma pensare a una catastrofe mi sembra eccessivo.»
 
«Mi è scappato, non me ne sono accorto.»
 
La spontaneità con cui l’aveva chiamata e l’evidente consapevolezza, nell’espressione costernata sul suo viso, non le facevano dubitare della veridicità delle sue scuse. Era stranamente calma, provava solo un senso di nostalgia.
 
«Aspetta! Ti riferivi a lui l'altro giorno? Il nomignolo era questo?» le chiese Cristina, ricordando ciò che Ella le aveva risposto la settimana scorsa.
 
«Si»
 
«Ma avevi detto che non conoscevo la persona che te lo aveva dato.»
 
Ella sceglieva sempre in modo molto accurato le parole, ci ragionava per non lasciarle al caso, per impedire fraintendimenti e raramente sbagliava.
 
«No, io ho solo detto che non l'avevi mai vista.»
 
Il suono del citofono si diffuse in tutta la casa, distogliendo, per qualche istante, la loro attenzione da ciò di cui stavano discutendo.
 
«Salvate dal fattorino delle pizze. Chris vieni con me, avrò bisogno di un paio di mani in più.» Sofia non aspettò la sua risposta, prendendole la mano per trascinarla velocemente verso la porta.
 
«Quindi non vuoi sbranarmi?» Gabriele si sentiva più a suo agio solo con Ella, considerando che non sapeva il chiarimento quali tasti della loro relazione li avrebbe portati a schiacciare.
 
«Mi hai solo colta di sorpresa. Non mi aspettavo te lo ricordassi né che lo avresti usato, soprattutto adesso che non sappiamo nemmeno a che punto siamo.»
 
La risposta pacata di Ella, lo lasciò interdetto. Si aspettava gli avrebbe detto di tutto, che quella sarebbe stata l’ultima goccia versata prima dell’inondazione, invece non accadde nulla.
 
Forse lui e Sofia non la conoscevano poi così bene come credevano, forse davvero il suo limite di sopportazione di era alzato.
 
«Per un attimo ho avuto la sensazione che il vuoto di questi anni non ci fosse mai stato, come se fossimo gli amici di sempre, che si danno appuntamento per trascorrere insieme una piacevole serata, ma se ti dà fastidio, perché lo colleghi a troppi momenti del passato, lo capisco e ti prometto che mi impegnerò a non lasciarmelo scappare.»
 
«La sirenetta è ancora il mio film della Disney preferito e sono ancora convinta della loro esistenza.»
 
Ella si ricordò della prima volta che si sentì chiamare il quel modo. Durante un noioso pomeriggio di studio, si erano infilati in un’interessante discussione sulle creature mitologiche ed Ella aveva espresso tutta la sua passione per le sirene, la cui dubbia esistenza era ancora oggetto di molte discussioni, favole e film.
 
Sin da piccola ne era stata affascinata tanto da credere, ogni volta che andava al mare in vacanza, di essere lei stessa una sirena, abbandonata da piccola su una spiaggia e che, per tale motivo, avrebbe poi assunto sembianze umane. Aspettava ancora il giorno in cui sarebbe finalmente ritornata nel luogo a cui era sempre appartenuta, con le sembianze che aveva sempre sognato di avere.
 
«E il nuoto?»
 
Entrambi amavano nuotare, li faceva sentire liberi e leggeri. Una volta immersi, tutto ciò che potevano ascoltare erano i battiti del proprio cuore e il senso di pace che l’acqua donava.
 
In un mondo i cui rumori forti e assordanti disorientavano Ella, rendendola impotente, era rassicurante trovare un posto in cui poter ritrovare sé stessi.
 
«Tu hai smesso di praticarlo?»
 
Incrociò le braccia, schiacciandosi il seno già stretto e messo in risalto dalla maglietta nera scollata che la fasciava come fosse una seconda pelle.
 
Lo sguardo di Gabriele inevitabilmente cadde sul solco che spiccava, adesso, in modo troppo evidente per poter essere ignorato.
 
«No» rispose costringendosi a guardare altrove per evitare che Ella se ne accorgesse. Non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe stata capace di dire se fosse accaduto.
 
«In questo caso, direi che lo detesto.»
 
La sua risposta infantile lo fece sorridere.
 
«Da quando ti lasci condizionare così facilmente dalle persone?»
 
«E tu da quando sei così esasperante?» chiese, lasciandosi cadere sul divano.
 
Avrebbe voluto premere un tasto e mettere anche lui in modalità silenziosa, come il suo cellulare.
 
«Da quando ho capito che, se non ti tengo testa, se non ti metto in difficoltà, tu ti stancherai anche di me.»
 
Gabriele si sedette al suo fianco, osservandola con attenzione mentre, portandosi indietro con il busto, piegava le gambe incrociandole tra loro. Il suo jeans sbiadito, abbastanza largo le permetteva questo tipo di movimenti, senza sentirsi costretta come una piccola braciola nella salsa.
 
«Potrebbe accadere in ogni caso.»
 
«Non con me.»
 
Gabriele fingeva sicurezza per darsi sicurezza, perché se si fosse lasciato andare ai dubbi e alle incertezze, si sarebbe perso, perdendo anche Ella.
 
«Sei così presuntuoso, ma ricorda che sono sempre io ad avere l’ultima parole.»
 
«Quindi?» chiese, avvicinandosi più di quanto Ella gli avrebbe mai permesso.
 
Stava osando troppo e non se ne rendeva conto, ma presto si sarebbe bruciato, perché, se Ella avesse iniziato ad ardere, avrebbe divorato tutto.
 
«Si, è il mio sport preferito o quantomeno quello in cui faccio meno schifo» rispose, puntando lo sguardo di fronte a sé, in modo che Gabriele potesse osservare da vicino i suoi capelli e non più la pelle chiara del suo viso.
 
«Alcune cose non cambiano» commentò, sorridendo soddisfatto.
 
Ella si voltò di scatto, diminuendo volontariamente la distanza che prima aveva messo tra loro.
 
«Se provi a chiamarmi così davanti a tutti un’altra volta, ti farò vivere i peggiori quindici minuti della tua vita. Ho una reputazione da difendere.»
 
I caldi respiri sfioravano i loro visi e Gabriele, per un attimo, visse nell’azzurro terso delle iridi di Ella.
 
«Recupererò quando saremo soli» sussurrò.
 
«Cosa ti fa pensare che vorrò vederti di nuovo?» Ella lo stava provocando, abbassando il tono della sua voce, affinché quelle parole non uscissero dalla bolla che aveva costruito intorno a loro.
 
«L’istinto.»
 
Ella sorrise, divertita dalla tortura che stava per infliggergli con ciò che aveva in mente di rispondergli.
 
«Se permetti, il tuo ha già fallito una volta molto tempo fa, quindi fossi in te farei affidamento anche su qualcos’altro.»
 
Il picco di tensione, che Ella aveva permesso si creasse tra loro, si dissolse, lasciando Gabriele con un respiro in sospeso, rubato dalla stessa ragazza che gli aveva strappato il cuore e occupato la mente.
 
Ella si spostò, restituendogli parte dell’aria di cui si era appropriata senza permesso.
 
«Le cose saranno così tra noi? Tu mi rinfaccerai il passato in ogni occasione possibile e io incasserò ripetendomi che ho meritato ogni tua parola?»
 
«Fornirmi suggerimenti così allettanti è un rischio.»
 
Da quando era entrato in quella casa, Ella aveva alzato un muro tra lei e i suoi sentimenti, facilitando il suo atteggiamento indifferente e menefreghista che sfoggiava con orgoglio.
 
«Non credo tu ne abbia bisogno, hai una fantasia piuttosto spiccata.»
 
«Eccoci. Si mangia finalmente.»
 
Cristina irruppe in sala, accompagnata da Sofia e dal profumo della felicità.
 
«Fantastico! Almeno Ella sarà troppo impegnata a masticare per infilzarmi con la sua lingua tagliente e velenosa.»
 
Gabriele si alzò, aiutando le due ragazza a posizionare i quattro cartoni di pizza sul tavolino in modo che non potessero cadere.
 
«Stai attento a come parli» sibilò tra i denti, guardandolo con sguardo truce.
 
«Gabriele, domenica ho una partita di pallavolo, ti andrebbe di venire? Potrebbe essere l’occasione di integrarti nel nostro gruppo. All’appello mancano solo mio fratello e Luca.» Sofia intervenne velocemente, dicendo la prima cosa che le era venuta in mente.
 
«Grazie, ci sarò sicuramente.»
 
«Sofia come siamo caritatevoli questa sera. Gabriele avrà già una sua comitiva, non crederai mica che avrà del tempo da perdere con noi.»
 
La situazione stava precipitando di secondo in secondo ed Ella era particolarmente fiera dell’atmosfera che si stava creando.
 
Era un’escalation che avrebbe potuto terminare in un solo modo.
 
«Ella, non credi di esagerare?» chiese Cristina, mentre masticava un boccone della sua fetta di pizza margherita.
 
«Non ti preoccupare. Le sue simpatiche affermazioni non mi disturbano.»
 
«Hai sentito Biancaneve, perché dovrebbero ferirlo se sa che sto dicendo solo la verità.»
 
«Si ho altri amici, ho l’università e altre cose che mi portano via tempo, ma questo non mi impedirà di trovarne per persone di cui devo riconquistare la fiducia.»
 
«Vedremo.» Intrise il suo tono di voce in un bagno di scetticismo puro, prima che la sua risposta prendesse vita.
 
«Dai, scegliamo un film» propose Sofia, accedendo all’account Netflix.
 
«Per me va bene qualunque cosa.» Ella non aveva particolare interesse di nulla, l’unica cosa su cui voleva concentrarsi era sperare di placare la frustrazione divorando la fetta di pizza che aveva tra le mani.
 
«Gabriele, ti va bene?» chiese Sofia, riferendosi al primo film della saga cinematografica della mummia.
 
«Si, è perfetto.»
 
Il film era iniziato da qualche minuto, quando il cellulare di Ella si illuminò. Era abbastanza vicino da aver richiamato la sua attenzione, ma non troppo per distinguere chiaramente il mittente.
 
Si allungò verso destra, allontanandosi da Gabriele, per rintanarsi nell’angolo e ritagliarsi qualche minuto di solitudine.
 
Il nome non poteva più essere ignorato né equivocato, considerata la grandezza e nitidezza delle lettere che lo componevano. Ognuna di esse era ignara di quanto potesse fare del male se messa accanto alla sua giusta compagna.
 
Dopo l’ultimo messaggio, Ella non gli aveva più risposto, preferendo impostare il silenzioso direttamente sulla sua conversazione.
 
Il loro numero era ancora visibile, giacché si era imposta di non leggerli per non cedere all’istinto di rispondergli, arrendendosi al suo sporco gioco.
 
Ventitré messaggi in due giorni.
 
Rifiutata la prima telefonata, ne arrivò, dopo qualche minuto, una seconda.
 
Nemmeno Dio avrebbe potuto sapere quanto fosse stanca, quanto il suo corpo si stesse piegando fino al punto di spezzarsi ogni volta che i bisogni e la volontà di Matteo si schiantava su di lei, rendendo il suo esile corpo un fuscello in balia di un uragano.
 
Più vedeva il suo nome apparire d’avanti ai suoi occhi, che sembravano non potessero legge altro, più i suoi sensi si annebbiavano.
 
Il suo corpo stava iniziando a pompare adrenalina, che presto si sarebbe diffusa in ogni parte di lei.
 
«Ella sei tra noi?»
 
La domanda di Sofia le arrivò ovattata, tanto da credere che la stesse richiamando da un’altra stanza dell’appartamento, ma, quando riportò l’attenzione su di lei, si rese conto che non si era mai mossa.
 
Aveva tre paia di occhi di colori e intensità differenti puntati su di lei, come se avesse commesso chissà quale peccato che era giunto il momento di confessare.
 
Tutta questa pressione la stava spingendo al limite ed Ella era troppo debole per poterla trattenere.
 
«Se me lo hai chiesto vuol dire che non ci sono.»
 
Aveva dato la battuta d’inizio a un concerto, le cui uniche protagoniste sarebbero state la rabbia e la paura.
 
Il passo era stato compiuto, la linea superata, le redini lasciate e ora si doveva solo guardare la caduta in attesa dello schianto.
 
«Bastava un semplice no, invece di questo concentrato di antipatia» intervenne Cristina, ignara di ciò che stesse accadendo
 
Sofia aveva sopportato per troppo tempo il suo umore nero per non capire, dalla sua postura rigida, dall’espressione troppo smarrita per essere camuffata e dal telefono stretto con troppa forza, che l’innominato era riapparso e tentava di scuoterla con maggior prepotenza.
 
«Fate finta che non esista e smettetela di guardarmi come se fossi pazza.»
 
Gabriele sapeva avrebbe compiuto una scelta più saggia, se avesse taciuto, ma non poteva rimanere ignaro di qualcosa che sembrava troppo spaventosa per essere reale.
 
Si avvicino a Ella, che era così impegnata a fissare il cellulare da non accorgersi di nulla.
 
«Stai bene?» sussurrò, in modo che nessun’altro potesse sentire la loro conversazione.
 
«Si.» Il tono seccato della sua risposta gli fece temere di aver esagerato in qualche punto della loro conversazione.
 
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese preoccupato.
 
«Tu pensi di averlo fatto?»
 
Ella non era permalosa e, anche se si fosse offesa, non avrebbe tenuto i suoi pensieri per sé, rimuginando invece di parlare.
 
«No.»
 
«Allora non hai detto nulla di sbagliato.»
 
Non si era nemmeno degnata di guardarlo in viso mentre rispondeva. Immersa in chissà quale universo, Gabriele ebbe la sensazione di essere solo una voce indistinta nel mare di pensieri che le impegnavano la concentrazione e, evidentemente, non era nemmeno tanto rilevante da meritare la sua attenzione.
 
«Mi spieghi cos’hai?»
 
«Non sono affari tuoi» sussurrò tra i denti e ogni nota nella sua voce, anche la più nascosta, sprigionava rabbia.
 
«Ella, non reagire così. Sono solo preoccupato.»
 
«Beh, non devi. Ho saputo badare a me stessa anche prima del tuo gentile interessamento, quindi lasciami in pace e non insistere. Te lo chiedo per piacere.»
 
C’erano così tante emozioni espresse in quella frase: rabbia, angoscia, esasperazione e anche un pizzico di gentilezza.
 
Ella non voleva ferirlo, ma la stava spingendo a prendersela con lui per tutto ciò che la stava devastando e a cui anche lui aveva contribuito a creare.
 
Dopo la quarta telefonata, Ella posò con troppa forza e poca delicatezza il cellulare con lo schermo rivolto verso la superficie del divano, attirando l’attenzione di Gabriele.
 
«Adesso basta. Cos’ha il tuo telefono che non va?»
 
«Niente. Funziona fin troppo perfettamente.»
 
«Allora perché lo guardi ogni due minuti con un’espressione disgustata, sbuffando esasperata.»
 
Gabriele non aveva il diritto di alzare i toni, eppure provava così tanto dolore nel vedere Ella soffrire per qualcosa che ignorava e per cui non avrebbe potuto aiutarla a porre rimedio, che fu inevitabile accendere la miccia che avrebbe innescato l’esplosione.
 
«Ma tu non hai niente di meglio da fare che guardare me? Se il film non ti piace, dillo e lo cambiamo.»
 
Ella affondò gli occhi nell’oro cupo del suo sguardo, rischiando di fondere le proprie emozioni con le sue.
 
«Sarebbe un bel film da vedere, se non fossi distratto da tutte le energie negative che emana il tuo corpo. Hai un’aura scura tutt’intorno e ci sta inghiottendo tutti.»
 
«Se non ti piace la mia aura, te ne puoi andare. La porta sai dove trovarla.»
 
Ella non tollerava quando qualcuno superava il suo tono di voce, pertanto si sentiva in diritto e in dovere di alzarlo fino a quando non avesse reso quello usato da Gabriele un lieve sussurro.
 
«Ella si può sapere che ti prende?» Intervenne Sofia, richiamata da una lite appena iniziata.
 
«Se Gabriele la smettesse di alitarmi sul collo, sarei la ragazza più tranquilla e pacifica del mondo.»
 
«Non ti sto alitando sul collo.»
 
«Hai ragione. Stai sbavando come un San Bernardo.»
 
«Ella, basta. Vuole solo sapere cos’hai.» Cristina aveva visto Ella arrabbiarsi molte volte, eppure questa volta sembrava diversa.
 
Non era posata nei modi, né controllata nelle parole, era solo furia cieca nella sua forma più pura e sapeva che li avrebbe sommersi come un’ondata di lava rovente.
 
«Ho già risposto.»
 
«Se sei così agitata non può non essere successo niente.»
 
«Sei tu che mi agiti, con le tue paranoie. Meglio che me ne vada prima che possa dire qualcosa di cui potrei pentirmi.»
 
Ella scattò in piedi, intenzionata a fuggire con l’ultimo briciolo di autocontrollo di cui disponeva e sarebbe stato sufficiente a proteggersi.
 
«Tu non ti penti mai di ciò che dici.» Gabriele si alzò, seguendo la scia di Ella, così da potersi fronteggiare alla pari.
 
Tornare indietro avrebbe solo peggiorato la situazione. Applicare ulteriori punti su una ferita infetta non l’avrebbe sanata, a volte era necessario aprirla nuovamente e pulirla a fondo per evitare che un arto potesse andare in necrosi.
 
«Qui si mette male.»
 
Il commento preoccupato di Cristina non fu abbastanza forte da distrarre i due ragazzi, troppo impegnati a scambiarsi sguardi ostili.
 
«Vero, quindi perché dovrei rinchiudermi in camera quando posso dare sfogo alla mia rabbia repressa e rovinare la serata a cui Sofia teneva tanto.»
 
«Non preoccupatevi per me. Ciò a cui sto assistendo è decisamente meglio di un film.»
 
«Sofia, ti sembra il caso di incitarla a smembrare Gabriele?»
 
«Prima o poi doveva esplodere. In queste settimane la sua calma mi aveva fatta preoccupare, Gabriele la sta solo aiutando» sussurrò Sofia nell’orecchio di Cristina, in modo tale da risultare invisibili agli occhi di Ella.
 
Non potevano andarsene perché se la situazione fosse drasticamente precipitata e la sua amica avesse dato troppo sfogo alla sua rabbia, Gabriele sarebbe stato l’ultimo in grado di fermarla dal momento che aveva deciso di incanalare in lui ogni sua emozione.
 
«Se non avessi voluto attirare la mia attenzione, avresti dovuto nascondere meglio la tua frustrazione.»
 
«Quindi è colpa mia?» chiese retorica, indicandosi con entrambe le mani.
 
«Non ho detto questo, ma ti stai comportando come una bambina a cui hanno rubato le caramelle.»
 
«Tu non hai il diritto di giudicarmi. Non sei nessuno per me e non voglio il tuo aiuto, quindi fattene una ragione» lo accusò puntandolo con l’indice.
 
«I tuoi buoni propositi di ricominciare da capo, dove li metti?»
 
«Te li ho appena infilati nel culo.»
 
Ogni minima possibilità di essere delicata era stata bruciata dal fuoco indomabile che le era esploso dentro.
 
«La finezza è una delle tue migliori qualità.»
 
«Tu invece sei un campione nel giocare a nascondino. Sono Gabriele e adesso mi nascondo, ci rivediamo tra cinque anni, quando forse avrò voglia di uscire dal buco di terra in cui mi sono rintanato per ripiombare a mio piacimento nella tua vita con la pretesa di condizionarla.»
 
Gabriele la osservava sconcertato, mentre gesticolava e tentava di mimare il tono grave della sua voce.
 
«È questo che non riesci a capire. Non voglio condizionarti, ma solo aiutarti. Sto solo cercando di colmare il vuoto che ho lasciato.»
 
Avrebbe potuto spiegarsi fino a perdere la capacità di produrre suoni comprensibili e non sarebbe servito a nulla. Non si poteva far ragionare una persona in preda alla collera, specialmente se aveva valide ragione per esserlo ed Ella ne aveva fin troppe.
 
«Non puoi. Non puoi ritornare e pretendere che ti dica tutto della mia vita, pretendere che mi confidi con te, che ti faccia il resoconto di ciò che ti sei perso in questi anni. Non ho potuto colmare le tue mancanze quando sei sparito e adesso è troppo tardi. I vuoti rimarranno tali e tu te ne dovrai fare una ragione.»
 
La situazione era ormai fuori qualsiasi controllo e Gabriele iniziava a pentirsi seriamente di aver contribuito a farle superare il limite.
 
Tutto ciò a cui riusciva a pensare era la paura di perderla, il terrore che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.
 
Non potevano lasciarsi in quel modo, con quegli sguardi carichi di disperazione e parole intrise di rancore.
 
«Non puoi chiedermi di farmi da parte, non dopo avermi rivelato i tuoi sentimenti. Questa volta non me ne starò inerme a guardare mentre ti allontani da me.»
 
«Non è una tua scelta. Cinque anni fa tu hai preso una decisione per entrambi e adesso devi rispettare la mia volontà. Non mi importa un accidente di ciò che provi perché sei uno stronzo egoista e l’unica cosa che hai il dovere di fare è tacere. Dovete smetterla di essere così presuntuosi da credere di poter sovrastare e plagiare una mia scelta con i vostri desideri.»
 
Due volti di una sola ragione non potevano trovare un punto comunque a cui aggrapparsi, specialmente se altre motivazioni non inerenti al contesto aggiungevano un ulteriore peso.
 
«Ella capisco che tu sia tanto furiosa con me da volermi investire ripetutamente con la macchina, ma non puoi illudermi alimentando la mia speranza per poi estinguerla come se non fosse mai esistita. Sai cosa provo per te.»
 
«Voi uomini siete tutti uguali, tutti bloccati nella fase anale con le vostre ossessioni maniacali che riversate su di noi. Prima o poi capirete che siamo libere di fare e dire ciò che vogliamo, che non ci potete condizionare con le vostre paranoie e i vostri bisogni. Ci soffocate fino a strangolarci e noi ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi e, in un battito di ciglia, ci troviamo in una tomba tre metri sotto terra. La vostra innocente preoccupazione si trasforma nell’arma che al mondo miete più donne di un coltello o di una pistola. Ci deteriorate la psiche fino a quando di noi e della nostra volontà non rimarrà più nulla; ci uccidete nel modo più doloroso possibile e sotto il vostro sguardo carico di orgoglio e superiorità ci vedete sfiorire; assorbite tutti i nostri colori, lasciandoci convivere solo con un grigio sbiadito e senz’anima; ci massacrate e ne andate fieri. Non ti permetterò di fare lo stesso con me.»
 
Ella aveva parlato con così tanto impeto e violenza da riuscire a riprendere fiato solo con l’ultima frase.
 
Gabriele non riusciva a capire. Sembrava che Ella avesse preso il largo, approdando in un molo diverso da quello in cui erano stati impantanati fino a quel momento. Lei parlava violenza mentre lui leggeva la paura nei suoi occhi lucidi e rossi. Era talmente chiaro cosa gli volesse comunicare, eppure si rifiutava di capire perché, se avesse iniziato a far vagare la sua mente, avrebbe immaginato gli scenari peggiori.
 
«Ma cosa stai dicendo? Non ti farei mai del male.»
 
Glielo stava urlando il suo vissuto, perché voleva che lui sapesse, lottando contro la parte della sua coscienza che le impediva di fidarsi di lui. Il risultato era un piatto di mezze verità con contorno di disperazione.
 
«Dite sempre così, è la vostra frase preferita, ma per me non ha più valore. Nulla di ciò che potresti dirmi mi farà cambiare opinione. Mi avete stancata con le vostre pretese su di me e sui miei sentimenti, come se potessi amare o odiare in base ai vostri desideri, come se al solo schiocco delle vostre dita io possa essere completamente remissiva ai vostri ordini. Non ti racconterò i problemi che mi affliggono per farmi consolare da te e farmi ripetere che tutto si risolverà, addolcendomi con la tua gentilezza nell’attesa che anche tu possa strapparmi il cuore dal petto e stritolarlo sotto il mio sguardo implorante. Non mi affiderò più a nessuno per vivere nell’incertezza di ciò che mi potrebbe accadere, con la punta della spada di Damocle che sfiora la mia nuca. Non ho bisogno di te e della tua preoccupazione e prima lo capirai, prima ti renderai conto che la tua sirenetta, la tua Ella è stata sostituita dalla cattiva strega del mare.»
 
Era troppo, tutto. Ogni parola, ogni ricordo, ogni paura la trascinava più a fondo di quanto avrebbe immaginato.
 
Sfogarsi dovrebbe aiutare ad alleggerirsi, ma in quel caso sembrava che i massi legati alle caviglie aumentassero invece che diminuire.
 
Non aveva più forza mentale, né fisica. Il suo corpo era totalmente vulnerabile a qualunque tipo di evento sia esterno che interno.
 
Il dolore le aveva corroso lo stomaco così tanto che adesso iniziava ad avvertire delle fitte la cui intensità non faceva altro che aumentare. Non riusciva a tenere lo sguardo fisso su Gabriele, aveva le vertigini e si sentiva stordita.
 
L’adrenalina la stava abbandonando e sapeva già che, ben presto, si sarebbe ritrovata sul pavimento a piangere anche l’anima.
 
Gabriele era stato devastato dal suo discorso e da ciò che ne aveva tratto.
 
Lui non era più nulla per lei che era, invece, per lui tutto.
 
«Farò tutto ciò che vuoi. Ti ignorerò, ti lascerò andare, ti farò capire che non sono come tu mi descrivi perché non accetto che tu pensi di me determinate cose, che generalizzi e inserisci anche me tra quelle persone che ti stanno ancora facendo del male in modi che non posso comprendere. Ti lascerò tutto lo spazio e il tempo di cui hai bisogno senza metterti pressioni, spero solo che tu non ci metta cinque anni per capirlo, ma, anche in quel caso, io saprò aspettarti perché tu, Ella, sei sempre stata il mio sogno più grande e non ho intenzione di rinunciare a te ancora una volta.»
 
Anche se in modo relativamente sbagliato e decisamente eccessivo, Ella gli aveva permesso di capire molte cose. La paura di qualcosa che la tormentava tutt’ora le impediva di fidarsi di lui, quindi l’unica cosa che avrebbe potuto fare era aspettare.
 
«Ora è meglio che vada. Sofia, grazie per l’invito e per la serata.»
 
Ella era immobile e sembrava respirare a stento, si sentiva sull’orlo del collasso.
 
«Ti accompagno.» Si affrettò a dire Sofia, prima che all’amica venisse in mente qualche altro illuminante monologo.
 
«Mi dispiace per ciò che ti ha detto, ma ti posso assicurare che per alcune di quelle non parlava di te. Sei stato solo il suo capro espiatorio.»
 
I piedi di Gabriele si muovevano in direzione della porta, ma il suo sguardo era ancora paralizzato sul volto esanime di Ella.
 
Aveva iniziato a credere che quello fosse tutto ciò che avrebbe meritato da lei. Non c’era spazio per lui, nel suo cuore.
 
«Lo avevo intuito, ma questo non cambia il fatto che devo farmi da parte e ignorarla per il tempo necessario a scaricare la rabbia e schiarirsi le idee. Ha ragione, solo lei può decidere per sé stessa e io devo rispettare la sua decisione come le avevo promesso sin dall’inizio.»
 
Il distacco è sempre traumatico, specialmente se è vissuto con l’idea che l’unica cosa che sarebbe potuta cambiare era l’aumento della distanza che li avrebbe separati.
 
«Ha solo bisogno di capire di chi fidarsi e sono convinta che lo farà prima di quanto pensi.» Sofia poggiò con delicatezza una mano sulla sua spalla, per rincuorarlo, ma, per quanto lo apprezzasse, gli sarebbe servito molto più di quello che farlo stare meglio.
 
«Da cosa lo deduci?» chiese scettico.
 
«Conosco lei e ho fiducia in te. Tu sei tra le poche persone che può farle capire che l’amore non è solo ciò che ha vissuto fino a questo momento. La stai rispettando ed è ciò che più le serve per aprire gli occhi e vedere il suo presente e il suo futuro sotto una diversa luce.»
 
Gabriele non riusciva a capire come Sofia potesse essere così aperta e disponibile nei suo confronti, perché non aveva tradito solo Ella, ma anche lei.
 
«Come fai a parlarmi in questo modo? Non c’è traccia di rabbia nei tuoi occhi, ti fidi di me dopo quanto è successo e mi dai consigli, perché?»
 
«La collera di Ella è sufficiente per due persone e poi so cosa significa mentire e fuggire solo per proteggere gli altri e sé stessi dai propri sentimenti e desideri. Ti capisco più di quanto pensi e riconosco l’angoscia e il pentimento, che si prova in queste circostanze, quando ti guardo. Io ti ho perdonato ed Ella lo farà.»
 
«Grazie di tutto, non immagini quanto le tue parole mi diano conforto. Ci vediamo domenica.»
 
Gabriele aveva dato la sua parola e non ne sarebbe venuto meno, nemmeno se Ella gli avesse tirato contro tutti i palloni presenti nella palestra.
 
«Verrai?» Esordì con stupore, mentre Gabriele apriva la porta dell’appartamento.
 
«Ignorare Ella non preclude sostenere una vecchia amica. Non è solo lei che devo riconquistare.» Sulla scia di quella risposta, Gabriele si allontanò, lasciando dietro di sé tristezza e rimpianto.
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


«Sofia! Corri!» L’urlo spaventato di Cristina allarmò Sofia, che si precipitò da lei in corridoio.
 
«Cos’è successo?» chiese trafelata.
 
«Ella…si è chiusa in bagno. La sento lamentarsi, ma non vuole aprirmi la porta.» Cristina provò ad abbassare nuovamente la maniglia, sperando che avesse deciso di sbloccare la serratura dopo le innumerevoli preghiere, ma sfortunatamente constatò che era ancora bloccata.
 
«Piange?» domandò, accostando l’orecchio alla porta per cercare di riconoscere con assoluta certezza il significato di quei singulti e rantoli.
 
«Non lo so, credo stia vomitando» suggerì Cristina.
 
«Ella apri la porta.»
 
Il tono di Sofia era dolce, sapeva che una voce autoritaria l’avrebbe solo resa più scostante, tuttavia non ottenne alcun risultato.
 
Ella aveva canalizzato tutti i suoi sentimenti negativi per riversarli su Gabriele, confondendo gli unici due ragazzi della sua vita.
 
Nel mezzo del suo ultimo sproloquio, Sofia era stata costretta a chiedersi se Ella non vedesse più Gabriele, ma Matteo.
 
«Lo so che mi senti. È stata una serata orrenda, ti prego non rendiamola un incubo, non farmi preoccupare. Gira questa dannata chiave e parliamone con calma, ti farà stare meglio.»
 
Dopo qualche istante di angoscioso silenzio, si diffuse nello spazio circostante il piccolo e rapido suono provocato dallo scatto della serratura, ma Ella non sembrava intenzionata ad abbassare la maniglia per farle entrare.
 
Sofia spinse la porta in avanti lentamente, con estrema cautela, la stessa che si userebbe per avvicinare un animale selvatico e spaventato.
 
Il bagno era immerso nell’oscurità, illuminato solo dai raggi lunari che filtravano dall’unica finestra presente. Dopo aver schiacciato l’interruttore della luce, si guardò intorno, con Cristina alle sue spalle, ma nessuna delle due riusciva a capire dove fosse, eppure il bagno era di una grandezza modesta.
 
Solo quando si voltò verso la porta la vide.
 
Seduta, con le gambe strette a petto e le braccia avvolte e avvinghiate allo sterno, il viso rivolto verso il basso e la sua fronte appoggiata alle ginocchia.
 
Dondolava su sé stessa, soffocando i gemiti e quelli che sfuggivano al suo controllo risuonavano come gorgogli strozzati.
 
Quella sofferenza, che ancora non conoscevano, le si bloccava sul fondo della gola, al solo scopo di provocare meno rumore possibile.
 
«Perché hai chiuso la porta a chiave? Se fossi svenuta, come diamine avremmo fatto a entrare?»
 
Quella sera Ella si era frantumata, sgretolandosi sotto lo sguardo inerme dei suoi amici. Pezzi, uno dopo l’altro li aveva sentiti staccarsi, lacerando la pelle laddove sarebbe stata presto visibile una nuova cicatrice.
 
Avrebbe potuto tracciare una mappa, unendo tutti i punti di ogni piaga di cui presto sarebbe stato ricoperto il suo piccolo e vulnerabile corpo.
 
«Non volevo mi vedeste in questo stato. Non mi sento bene, mi fa male…» la sua voce era flebile e affannata. I vuoti nelle sue frasi erano colmati da gemiti che riusciva a malapena a soffocare.
 
Facendosi spazio, Sofia infilò la sua mano nel varco formatosi tra le gambe e il busto di Ella. Sfiorandole delicatamente il mento, la indusse con gentilezza ad alzare il viso.
 
La sua fronte era imperlata di sudore, che si perdeva tra le innumerevoli pieghe create da quella lotta contro il suo male.
 
Le labbra le aveva morse così tanto per far tacere il dolore da essersi gonfiate e arrossate. Era scossa da tremiti che non riusciva a controllare e non sapeva se si trattasse di adrenalina o paura. L’azzurro dei suoi occhi si era mischiato al rosso e Sofia non riusciva più a capire dove finisse la sclera e iniziasse l’iride.
 
Quella sofferenza la stava trasformando in una bambola di pezza, vuota e senz’anima. Stava risucchiando qualunque tipo di emozione positiva per renderla infelice e senza più un dolce volto da guardare.
 
«Cosa ti fa male?» chiese Sofia, inginocchiandosi di fronte a lei.
 
Non sapeva come comportarsi. Aveva davanti un quadro di completa devastazione, in cui non poteva più trovare alcuna traccia della ragazza testarda e combattiva di qualche ora prima.
 
«Lo stomaco. Si sta contorcendo, non capisco... niente. Sento solo tanto dolore… troppo.»
 
Accarezzarle i capelli non sarebbe servito a placare il suo supplizio, eppure tutto ciò che poteva fare era ricordarle di non essere sola.
 
«Hai vomitato?»
 
«No… non ci riesco. Ho solo conati.»
 
Non riusciva a respirare bene, sentiva i polmoni riempirsi solo per metà; non riusciva a deglutire, la saliva si bloccava, accumulandosi su ciò che aveva mangiato poco prima.
 
Si sentiva in trappola, oppressa e schiacciata da ogni lato e aspetto della sua vita.
 
Ciò che prima era solo psichico, adesso era somatico. Tutto si era riversato sul suo corpo, costringendola a piegarsi in due.
 
Ella lo sentiva, un lieve sussurro nella sua testa la avvertiva.
 
Si stava spezzando, stava cedendo.
 
«Vuoi andare in ospedale?»
 
Sofia la guardava contorcersi come un animale che cercava disperatamente di fuggire dalla presa mortale del suo predatore.
 
Non riusciva più a parlare, nemmeno per scandire due sillabe, limitandosi a scuotere impercettibilmente la testa, in segno di diniego.
 
Il fuoco che la stava corrodendo dall’interno era stato appiccato da Matteo. Da più di un anno ormai stava bruciando sotto il suo sguardo carico di consapevolezza, ma privo di amore, quello che tanto ostentava provare per lei.
 
La realtà e la fantasia; le parole e i fatti; l’amore e l’ossessione; la verità e le bugie, tutte facce della stessa medaglia, che più spesso di quanto ci se ne accorgeva, venivano confuse e coltivate con fertilizzanti e strumenti inadeguati, crescendo malate, contorte e sofferenti.
 
«Non puoi prendere nessuna medicina?»
 
Era la prima volta che la vedeva stare così male. Era stata presente quando aveva avuto crisi pianto o aveva vomitato il pranzo o la cena, ma mai le era capitato di assistere a tanta sofferenza.
 
Il suo dolore sembrava continuo, i crampi si susseguivano senza lasciarle un attimo di respiro. La sua maglietta nera attillata era umida sulla schiena e si intravedevano due aloni scuri in corrispondenza delle ascelle, sembrava sull’orlo del collasso.
 
«Anti… Antispasmina.»
 
«Ci penso io. Dove sono?» si intromise Cristina, che fino a quel momento era rimasta a guardare la scena impietrita, lasciando che fosse solo Sofia a interagire con Ella.
 
Aveva creduto sarebbe stato meglio che Ella non si sentisse asfissiata anche dalla presenza e dalle parole di troppe persone, una era sufficiente e doveva essere la sua migliore amica.
 
«Primo cassetto… comodino.»
 
Ora capiva cosa significava stare male tanto da non riuscire a respirare. Era un genere di frase che si riempiva di significato solo quando si aveva la sfortuna di vivere un’esperienza di simile intensità, solo quando si versavano lacrime, solo quando si poteva sentire il corpo pompare il sangue con troppa violenza e velocità per evitare il collasso degli organi.
 
Il vero sapore della paura, quando il dolore arrivava in modo così intenso e acuto da credere che la prossima fitta avrebbe potuto essere l’ultima cosa che avrebbe sentito prima di morire.
 
Il puro terrore che provava quando il cuore saltava un battito per poi riprendere la sua corsa troppo velocemente per riuscire a stargli dietro.
 
La sua mente avrebbe voluto scappare da tutto quello strazio per rifugiarsi in un ricordo felice e lontano, ma il suo corpo era troppo stanco per muoversi.
 
Voleva lasciarsi andare. Chiudere gli occhi e aspettare che l’aria riprendesse a circolare da sola.
 
In un attimo la sua vista si offuscò e le immagini, dapprima nitide, si riempirono di piccoli puntini colorati e luminosi. Capendo cosa stesse per accadere, iniziò a sbattere velocemente le palpebre per non soccombere a quelle piccole luci intermittenti. Doveva rimanere lucida e stringere i denti ancora qualche minuto.
 
Non riuscendo più a mantenere diritta la testa, la piegò di lato trovando il petto di Sofia a farle da cuscino.
 
«Cristina!» esclamò Sofia, con voce non troppo forte per evitare di disturbare Ella, che era troppo sensibile a tutte le sensazioni e i rumori.
 
«Eccomi. Tieni.» disse porgendo a Ella un bicchiere di acqua e una compressa nera grande quanto una lenticchia.
 
In un attimo di lucidità, consapevole che quella fosse la sua unica speranza per trovare un po’ di sollievo da quel supplizio, afferrò, sebbene debolmente, ciò che Cristina le aveva portato.
 
Dopo che ebbe deglutito, si rannicchiò nuovamente su sé stessa, essendo quella l’unica posizione che sembrava attutire lievemente il dolore.
 
«Ella, non puoi arrivare sempre a questo punto.»
 
«Non è il momento.» la sua voce dimessa fu ulteriormente attutita dalle sue gambe, trovandosi la sua bocca a contatto con esse.
 
«È solo rimandata.»
 
«Sofia… per favore… uscite» implorò Ella.
 
Le era grata per tutto ciò che stava facendo per lei, ma aveva bisogno di rimanere sola con il suo dolore, almeno fino a quando si fosse affievolito del tutto.
 
«Scordatelo! Non ti lascio» rispose categorica.
 
«Ti prego… già sto male. Non farmi parlare, è dif…ficile.»
 
Avrebbe dovuto rispettare il suo desiderio, ma il pensiero di dover aspettare in un’altra stanza senza poterle stare vicino la angosciava come mai prima d’ora.
 
Aveva promesso ad Adele che si sarebbe presa cura di sua figlia, che quando avesse toccato il fondo e il buio dei giorni passati fosse ritornato per devastarla, lei le avrebbe stretto più forte la mano per non farla cadere, ma tutto il dolore che aveva visto riflesso nei suoi occhi e percepito attraverso il suo corpo aveva messo in ginocchio anche lei.
 
«Va bene, ma la porta rimane aperta. Io rimango qui fuori in corridoio.»
 
Ella avrebbe voluto superare da sola quel momento, non perché si vergognasse, piuttosto perché sapeva quanto potesse farle male vederla ridotta in quello stato pietoso.
 
Nonostante il senso di protezione che provava nei confronti dei suoi amici, aveva bisogno di una mano, di qualcuno che la facesse scendere da quella giostra, che la strappasse da quel circolo vizioso in cui era entrata senza nemmeno essersene accorta.
 
Raccoglieva, accumulava e metteva da parte fino a esplodere, fino a diventare un essere informe abbracciato alla tazza del gabinetto.
 
Era debole, proprio lei che aveva creduto di essere tanto forte da non poter essere sconfitta da nessuno. Rendersi conto di aver sbagliato ogni cosa, sin dal primo istante in cui aveva deciso di lasciarlo, aumentava esponenzialmente i crampi all’addome.
 
Un urlo rauco e disperato crebbe ed esplose nell’aria, risuonando tra le pareti di quel bagno dimenticato da qualunque dio.
 
I suoi lamenti straziati e sgraziati graffiavano l’anima riproducendo l’insopportabile stridore di unghie che strisciavano lentamente sulla superficie di una lavagna nera, la stessa tonalità di cui si coloravano le sue giornate.
 
Tutte le battaglie vinte non avevano più significato.
 
La tigre che prima era stata il predatore, ora era la preda, ferita e morente.
 
Le lacrime intrise di dolore si insinuavano indisturbate tra le pieghe delle sue labbra e scivolavano nella sua bocca, sprigionando il loro sapore amaro e salato e mischiandosi ai gemiti di un’agonia che non aveva fine.
 
Erano crampi, eppure le sembrava una lotta tra la vita e la morte.
 
La sua soglia di sopportazione era sempre stata molto bassa, ma, in ogni caso, il carico emotivo aveva sicuramente moltiplicato la sofferenza fisica.
 
Poteva farsi ridurre in quello stato da un uomo tanto abietto? Poteva un uomo trasformare l’amore nel peggiore dei suoi incubi?
 
Ella si rese conto che aveva fatto quello, ma anche di più.
 
La stava spingendo a chiudersi in sé stessa, alzare muri per costruirsi una stanza senza porte né finestre, la stava costringendo alla pazzia.
 
Matteo l’aveva sempre voluta tutta per sé e se non ci fosse riuscito, avrebbe fatto in modo che nessun’altro l’avesse.
 
Stava permettendo che un uomo la controllasse. Come un burattinaio stava continuando a muovere i fili della vita di Ella a proprio piacimenti, fili che aveva creduto di aver tagliato quando aveva chiuso quella relazione malata, ma, stando ai fatti, lei non aveva mai smesso di essere il personale oggetto di arredamento della sua vuota e scarna vita.
 
Si stupiva della facilità con cui gli esseri umani trattavano le persone, come se non avessero un’anima, dei sentimenti o una volontà propria.
 
L’ignoranza di un uomo la stava uccidendo.
 
Non sapeva con certezza quanto tempo fosse trascorso da quando aveva ingoiato la compressa, ma iniziava a sentire l’intensità del dolore diminuire a ogni fitta.
 
Alzò la testa, rivolgendo lo sguardo verso il soffitto, sperando che quel momento di relativa tranquillità non fosse solo una breve illusione.
 
«Come va? Ti fa ancora male?»
 
La domanda di Sofia la costrinse a spostare la sua attenzione verso la porta, dalla quale proveniva la voce dal tono tenue.
 
«La compressa ha fatto il suo dovere» si limitò a rispondere, scuotendo lentamente il capo.
 
«Hai ancora i conati?» Sofia si sedette nuovamente accanto a lei, nello stesso punto che aveva occupato qualche minuto prima.
 
«No. Era il dolore insopportabile a provocarli. Ho ancora un po’ di nausea, ma posso gestirla. La mente domina la materia, giusto?»
 
Non credeva assolutamente in questa frase, citata in Grey’s Anatomy, ma non aveva né la voglia né la forza di spendere energie che non aveva, nel vomitare la cena.
 
Prima o poi l’avrebbe digerita.
 
«Giusto, ma adesso lavati i denti e inizia ad andare a dormire.»
 
La posizione e la superficie su sui si trovavano non erano molto comode, Ella si sarebbe sentita sicuramente meglio se si fosse sdraiata sul suo letto.
 
«Se mi alzassi in piedi, sbatterei a terra e se mi stendessi, vomiterei all’istante.»
 
La stanchezza si rifletteva sul suo viso e lo sforzo fatto per contenere il dolore aveva reso la carnagione così chiara da apparire giallognola.
 
«Non puoi dormire sul pavimento.»
 
«Sofia mi tremano le gambe, non capisco più niente» ammise con voce lamentosa.
 
«Allora rimaniamo qui per un po’» rispose Sofia, sistemandosi meglio sul pavimento.
 
«Non sei costretta a farmi da balia, me la cavo.»
 
Il peso di una consapevolezza la costrinse ad abbassare il viso, per imprigionarlo tra le mani e nascondere quella verità tanto angosciante al resto del mondo.
 
«Non potrei essere in nessun’altro posto. Ti voglio un bene che non puoi neanche immaginare, non ti lascerei mai sola.»
 
Sofia era così gentile, così buona che non riusciva a sopportarlo. Non meritava quell’amore, non era giusto e doveva capirlo quanto fosse mal riposto prima che si facesse male, prima che Ella potesse ferire una delle persone più importanti della sua vita.
 
«Sono una persona orribile.»
 
Un pensiero in cui inciampava più spesso di quanto avrebbe voluto, quando le sue difese crollavano e diventava una bambola di pezza in balia delle più oscure riflessioni, che la rivoltavano come un calzino senza che potesse opporre alcun tipo di resistenza.
 
«Ma cosa stai dicendo?»
 
Sofia non riusciva a capire il significato di quell’affermazione o forse non voleva realizzare quanto la sofferenza fisica fosse stata nulla se confrontata con il dolore emotivo che la stava stravolgendo.
 
«Sono cattiva, sono un mostro. Non merito il vostro affetto.»
 
Sarebbe stata capace di ferire gli altri senza nemmeno impegnarsi, a causa di una volontà che non poteva controllare. Quell’idea la terrorizzava a tal punto da prendere e nascondere tutti i proiettili che venivano sparati contro di lei, perché se qualcuno se ne fosse accorto le avrebbe fatto da scudo con il proprio corpo pur di proteggerla ed Ella non avrebbe permesso che ciò accadesse.
 
Sentiva in sé una forza oscura e cattiva, perché una persona non dovrebbe essere una minaccia per coloro che si amava, invece lei lo era.
 
«Ella, basta. Non iniziare a imbottirti il cervello di pensieri autodistruttivi.»
 
Sofia posò la sua mano destra sul ginocchio sinistro di Ella, per richiamare la sua attenzione e strapparla dall’oscuro abbraccio della sua mente straripante di pensieri sbagliati.
 
«Ho ferito Gabriele, ho rovinato la serata, Matteo non mi lascia, tutti mi odiano, il mondo intero mi odia. Forse me lo merito, forse sono una persona così orribile e cattiva che dalla vita può sperare di ottenere solo dolore.»
 
Lui la stava consumando, ma perché avrebbe dovuto preoccuparsi della sofferenza di Ella dal momento che non era anche la sua.
 
Se in questo modo avesse potuto ottenere ciò che desiderava, perché avrebbe dovuto chiedersi se le sue azioni fossero giuste per lei.
 
L’amore rendeva ciechi, ma l’ossessione bruciava ogni terminazione nervosa, fino al punto in cui anche un semplice profumo avrebbe potuto fungere da innesco per un incendio che avrebbe continuato a divorare ogni cosa, estinguendosi solo quando avrebbe annientato l’oggetto del proprio tormento, la causa del proprio male.
 
«È solo la stanchezza che ti fa dire queste cose. Domani, a mente fredda, ti renderai conto di tutta l’autocommiserazione che ti sei buttata addosso e vorrai prenderti a schiaffi.»
 
Anche in quel momento si rendeva conto di quanto fosse patetica, non sarebbe stato necessario aspettare che il sole del nuovo giorno sorgesse, eppure era appena entrata in un meccanismo che sembrava inarrestabile.
 
Più stava male, più si compativa e più cedeva a quei sentimenti ostili, più sentiva il bisogno di punirsi con altra negatività.
 
«Sofia, ho paura.» Quel tono supplichevole e carico di angoscia, fece tremare il cuore di Sofia che, per qualche istante, non seppe cosa rispondere.
 
«Lo so, Ella. Vedrai che si risolverà tutto.»
 
«Quando? Io non ce la faccio più, sto morendo. Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi.» Vide ciò che mai avrebbe pensato di poter trovare riflesso nel suo sguardo, l’unica emozione che non credeva possibile Ella potesse provare.
 
Rassegnazione.
 
Era lì assieme alle crepe che l’avevano resa così fragile e indifesa, così sensibile da sentirsi in colpa per azioni che non aveva compiuto, per errori che non aveva commesso, ma che era certa avesse compiuto.
 
«Sono spenti, lo sento.» Ella diede la risposta che Sofia non aveva avuto il coraggio di pronunciare.
 
«Lo sono solamente perché hai passato una serata terribile e adesso sei a pezzi.»
 
«Mi sta portando via tutto e, nonostante i miei sforzi per impedirglielo, presto non rimarrà più nulla. Mi sta portando via anche Gabriele, adesso mi odia anche lui.»
 
Matteo era sempre stato quel pezzo di puzzle i cui bordi non avevano mai combaciato con quelli di Ella, ma che aveva continuato a forzare nella vana speranza che prima o poi sarebbe diventato la sua metà perfetta.
 
Solo dopo troppo tempo, Ella capì che ciò si sarebbe verificato solo se i confini di uno dei due pezzi fossero stati smussati, rimpiccioliti, cambiati per potersi adeguare alle esigenze dell’altro, fino al punto in cui quello stesso pezzo non sarebbe più stato lo stesso e lo avrebbe rimpianto per il resto della propria infelice esistenza.
 
Ella si era chiesta spesso se fosse giusto cambiare per gli altri, ma la risposta era sempre la stessa, sempre negativa.
 
Evolversi, maturare solo per soddisfare le proprie idee e ambizioni, mentre con il resto del mondo si poteva giungere a compromessi, ma mai arrivare a dimenticare di esistere solo per compiacere i bisogni altrui.
 
«Ella, nessuno lo allontanerà da te e non ti odia. Ha capito più di quanto pensi, non devi preoccuparti anche di questo.»
 
Era un guscio sottile che era stato gettato nella spazzatura, in quella melma informe di pensieri che Sofia avrebbe dovuto buttare al posto di Ella, poiché non riusciva più a distinguere la verità dalla menzogna.
 
Faceva terribilmente male vedere la sua Ella tanto forte e coraggiosa, sopraffatta dal mondo e dalle persone che lo popolavano.
 
In quanti pezzi si poteva rompere l’anima di una persona? Quelli di una tazza o di un vaso di vetro potevano essere contati con uno scarto minimo di errore, ma i danni che aveva subito Ella sembravano incalcolabili e impossibili da quantificare e ciò la terrorizzava.
 
«Dovrebbe andarsene invece, il più lontano possibile. Non può avvicinarsi a me, sono crudele e sadica e sociopatica e stasera lo ha visto. L’ho salvato, ma mi fa male il cuore Sofia. Mi fa così male.»
 
Ella si chiese se non fosse stata meglio quando aveva creduto di toccare il fondo del baratro in cui era caduta, ma a quel punto si rese conto che la caduta era ancora molto lunga e che nemmeno quel duro pavimento “distruggi fondoschiena” era quanto di peggio avesse vissuto.
 
Sentiva che nulla era finito, ma la battaglia, a meno che lei non si fosse arresa, era ancora tutta da combattere.
 
«Non sei nulla di tutto ciò e Gabriele lo sa. Sa di essere fortunato ad averti incontrata, sa quanto amore tu abbia da dare, sa quanto un tuo sorriso o una battuta sarcastica riescano a farti stare meglio dopo una lunga giornata.»
 
Sofia cercava di rassicurarla nel miglior modo possibile, ma era come chiedere a un neonato di smetterla di piangere. Era un dolore che non poteva essere né spiegato né capito, necessitava solo di spazio per espandersi, lasciare il segno e poi scomparire con la promessa che prima o poi quella cicatrice rimasta non sarebbe stata sola troppo a lungo.
 
«Non ho più nulla da dare. Sto svanendo. Sofia, non voglio svanire, non voglio sentirmi così, non voglio ferirvi, non voglio…»
 
Più ci rifletteva e più non si capacitava di come si fosse trovata in quella situazione. Da più di un anno era stata bloccata in un posto nuovo dal quale avrebbe voluto fuggire per non ritornarci più, perché era buio e freddo, troppo per una ragazza dal carattere incandescente.
 
La sua fiamma stava rischiando di spegnersi.
 
«Ciò che ci ferisce non sei tu, ma il dolore che vediamo riflesso nei tuoi occhi, perché ci rendiamo conto di essere impotenti.»
 
Nessuno di loro la riteneva responsabile, nemmeno Gabriele che si era visto scaricare addosso colpe che non gli appartenevano.
 
Ella sapeva gli avrebbe dovuto dare delle spiegazioni, ne sentiva la necessità, ma prima avrebbe dovuto capire quali fossero i suoi desideri e aspettare la quiete dopo la tempesta sarebbe stato un’ottima idea per ragionare a mente lucida così da evitare ulteriori danni.
 
«È colpa mia, tutta colpa mia. Se non lo avessi fatto entrare nella mia vita, se vi avessi ascoltata, se non fossi stata così egoista, adesso saremmo tutti felici.»
 
«Ella, assolutamente non ti permetto di entrare in questa spirale di pensieri distruttivi, quindi ascoltami bene. L’unica persona su cui devi riversare questi pensieri è Matteo. Non è tua la colpa, ma sua; non sei cattiva, lui lo è; non stai morendo né svanendo, ma ben presto lo sarà lui se non slega il cappio che ha avvolto attorno al tuo collo. Ti prometto che lo ripeterò fino a perdere la voce quando ne avrai bisogno.»
 
Lasciarlo le aveva concesso l’opportunità di ritrovarsi e amarsi con una maggiore consapevolezza circa il proprio valore e la propria forza, ma d’altro canto la stava anche uccidendo lentamente.
 
Caro era il prezzo della libertà ed Ella lo stava scontando tutto come una condanna a morte.
 
Aveva schivato un proiettile, ma si chiedeva per quanto tempo avrebbe potuto schivare la fossa con inciso il suo nome.
 
«Come farei se un giorno vi doveste stancare di me, dei miei problemi, della mia faccia, del mio carattere? Chi mi dirà queste parole per farmi stare meglio? Sono così arrogante e scostante con gli altri che finirò con il rimanere sola e per quanto mi piaccia dire che non ho bisogno di nessuno, tu non sei nessuno. Quando sono sola io intendo che ci sei tu, che sono con te, quindi non lo sono mai, ma se tu te ne dovessi andare… Dio, adesso non te ne andresti mai perché ti sto facendo pena e ti sentiresti in colpa. Non voglio che rimani solo perché ti ho impietosita.»
 
Parlava senza sosta, senza riprendere fiato, forse perché spaventata dalle sue stesse parole o dalla reazione che avrebbero suscitato.
 
Era difficile per Sofia starle dietro, anche se il senso generale del suo discorso lo aveva afferrato.
 
«Ella, cosa stai dicendo?» chiese confusa, non tanto per il significato, quanto per l’incredulità che tutto il suo monologo le aveva suscitato.
 
«Non lo so, ma spero tu abbia capito vagamente cosa intendo.»
 
Ella si era rannicchiata così tanto, che a momenti sarebbe davvero scomparsa.
 
Viveva con il terrore di perdere tutti loro, perché aveva rischiato che accadesse e adesso tremava al solo pensiero di poter commettere un altro passo falso che però li avrebbe realmente allontanati.
 
Li spingeva via perché sentiva di doverli proteggere, ma li desiderava così tanto da essere egoista e legarseli al dito per non lasciarli andare.
 
Una lotta con sé stessa che non avrebbe mai potuto vincere.
 
«Nessuno di noi si stancherà mai di te e non sarai mai sola, perché anche se tutti gli altri ti dovessero lasciare, io sarò sempre qui con te a raccoglierti da terra quando sarai troppo stanca per rialzarti. Noi siamo questo Ella, lo siamo sempre state, ci proteggiamo quando siamo troppo vulnerabili. Molte persone vanno e vengono nelle nostre vite, ma noi siamo il punto fermo l’una dell’altra, noi restiamo sempre.»
 
«Forse, risentire ciò che hai detto prima mi farebbe stare un pochino meglio.»
 
«Non è colpa tua, non rimarrai sola perché io non me ne andrò, non svanirai né morirai e ti assicuro che qualcosa più potente del karma farà scontare a Matteo tutto ciò che ti sta facendo soffrire.»
 
Come poteva non pensare a tutto il male che aveva causato, che le era stato restituito e che Ella continuava a provocare anche a chi la amava, ma non avrebbe potuto vivere nella paura per il resto della sua vita, perché non ci sarebbe spazio per la speranza e senza essa non ci sarebbe vita.
 
«Grazie, So.» la ringraziò, accennando un piccolo fugace sorriso.
 
«Adesso, come va?»
 
Avrebbe dovuto compiere una scelta: rimanere chiusa dentro a marcire o aprirsi al mondo, cadere ancora e alzarsi di nuovo?
 
Si sarebbe aggrappata alle persone vere che le dimostravano rispetto e amore incondizionato attraverso le parole, gli sguardi e i gesti. Avrebbe avuto fiducia, perché solo in questo modo avrebbe potuto alleggerire le sofferenze che sapeva sarebbero ritornate a soffocarla.
 
Nulla era semplice e scontato, tutto, invece, era un salto nel vuoto, un’incertezza che la spingeva nel vuoto, allora Ella avrebbe preso le sue poche certezze e ne avrebbe fatto un paracadute.
 
Crederci fino alla fine; crederci fino in fondo nelle proprie idee e nel proprio valore.
 
È così che voleva vivere e così avrebbe superato il dolore.
 
«Uno schifo, ma almeno in questo modo mi addormenterò all’istante.»
 
«Bisogna sempre guardare il lato positivo delle cose. Se vai a letto, ti porto una camomilla.»
 
Sofia con lei si comportava come una mamma affettuosa. Era il suo angelo custode e, sebbene consciamente sapesse l’avrebbe sempre protetta, si ripeteva spesso di quanto fosse stata fortunata ad averla accanto.
 
«No. Voglio solo chiudere gli occhi e sperare di non svegliarmi con il mal di testa domani, cosa piuttosto improbabile» rispose, alzandosi e poggiandosi alla porta per mantenersi in equilibrio.
 
Non era molto stabile, per cui si vide costretta a percorrere la breve distanza, che la separava dal suo morbido materasso, appoggiandosi al braccio di Sofia.
 
«Domani penseremo ai postumi di questa serata devastante, ma ora pensa solo a riposare.»
 
«Saluti tu Biancaneve da parte mia? Sono troppo stanca» chiese Ella, mentre si infilava maldestramente sotto le lenzuola, aggrovigliandosi in esse prima di trovare la giusta posizione.
 
«Certo. Non dovrei impiegare molto tempo, ma per qualunque cosa chiamami» la avvertì Sofia, timorosa di lasciarla sola con i suoi pensieri instabili.
 
«Stai tranquilla. Buonanotte, So» sussurrò, chiudendo gli occhi per lasciarsi cullare dal calore verso un sonno profondo, che sperò fosse privo di incubi.
 
«Sogni d’oro, El» rispose, chiudendosi la porta alle spalle per dirigersi in cucina.
 
«Come sta?» domandò Cristina, mentre Sofia sprofondava sul divano accanto a lei.
 
«Devastata» commentò, espirando profondamente prima di continuare. «È in lotta con sé stessa, divisa tra il senso di colpa e la paura.»
 
«Credi che domani starà meglio?»
 
«Sarà anche peggio. Sorriderà e fingerà che questa serata non sia mai esistita e nel frattempo si corroderà nuovamente lo stomaco per essere stata così patetica e vulnerabile. Rivivrà nella sua testa tutte le sue parole e vorrà solo sbattere la testa contro il muro fino a dimenticarle.»
 
«Un circolo vizioso.»
 
La risposta di Sofia non era molto rassicurante, ma non avrebbe potuto cambiare i fatti con le parole.
 
«E noi dobbiamo aiutarla a uscirne, anche se farà di tutto per allontanarci.»
 
«È così testarda» mormorò Cristina, scuotendo la testa.
 
Se Sofia era in difficoltà sul da farsi ed era la sua migliore amica, Cristina si sentiva ancora più inutile, tuttavia avrebbe in ogni caso provato a risollevarle il morale.
 
«Il pensiero di essere una persona cattiva la spingerà chiudersi in sé stessa per proteggerci. Noi dobbiamo ricordarle chi è la nostra Ella, solo così ritornerà la ragazza combattiva e irriverente che conosciamo.»
 
«Hai già un’idea su cosa fare?» chiese, incuriosita da quella sua determinazione.
 
«Forse.»
 
L’attenzione di Cristina fu catturata dall’oggetto che Sofia stringeva tra le mani e che era sicura non le appartenesse.
 
«Perché hai il cellulare di Ella?»
 
Uno scambio di sguardi bastò a farle intuire le sue intenzioni ed erano sbagliate sotto ogni punto di vista.
 
«Sofia non fare stupidaggini, potresti peggiorare la situazione.»
 
«Peggio di così? Sul serio? Ma tu l’hai vista in che condizioni stava in quel bagno, prima che ci cacciasse?» sbottò innervosita.
 
Il dolore che aveva assorbito da Ella avrebbe dovuto necessariamente scaricarlo sulla causa principale di tutta quella sofferenza.
 
«Non sei abbastanza lucida per poterlo affrontare. Capisco la tua rabbia, ma non sai come potrebbe prendere le tue parole. È un pazzo schizzato, se gli dicessi la cosa sbagliata potrebbe reagire d’impulso e presentarsi qui. Come pensi la prenderebbe Ella?»
 
Cristina stava cercando di farla ragionare in ogni modo possibile. Era convinta che una strigliata gli avrebbe fatto più che bene, ma Matteo sembrava imprevedibile e la situazione avrebbe potuto ritorcersi contro di loro e chi avrebbe subito di più sarebbe stata Ella, che era troppo fragile per poter sopportare altro dolore.
 
«Quindi pensi che continuare a non fare nulla e restare a guardare mentre la logora lentamente sia la scelta migliore?»
 
«Non lo so. Dio che situazione!» esclamò esasperata e sconfitta, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
 
«Nessuna scelta è giusta o sbagliata in queste circostanze. L’importante è fare qualcosa perché, se perdiamo altro tempo ad aspettare, Ella, per quanto sia forte e coraggiosa, soccomberà.»
 
«Cerca solo di non istigarlo troppo» si raccomandò Cristina, pregando in tutte le lingue del mondo affinché tutta quella situazione non le sfuggisse di mano.
 
«Sentirà solo ciò che si merita, nulla di più nulla di meno.»
 
Nonostante la sua risposta non fosse rassicurante, era impossibile pensare di poterla fermare, così smise di opporsi e lasciò che componesse il numero di cellulare.
 
«Speriamo che non sia troppo» commentò sospirando.
 
«Ella, finalmente. Perché non rispondevi? Mi hai fatto preoccupare, ho pensato fosse successo qualcosa.»
 
Aveva dimenticato quanto fosse nauseante la sua voce, un pugno nello stomaco sarebbe stato di gran lunga più piacevole e meno deprimente dell’avere una discussione con un essere simile.
 
«Sono Sofia. Per fortuna Ella ha sufficiente buon senso da decidere di ignorarti fino alla morte.»
 
Non gli era mai piaciuto, sin da quando Ella glielo aveva presentato per la prima volta. Le sensazioni che le aveva trasmesso non erano state positive e il suo sguardo nascondeva qualcosa che non le aveva mai permesso di essere tranquilla e gli innumerevoli litigi tra lui ed Ella per cose futili e allucinanti avevano solo confermato i suoi sospetti.
 
«Perché mi chiami tu? Sta bene?»
 
Quella domanda la fece ridere sguaiatamente, senza preoccuparsi minimamente del ragazzo all’altro capo del telefono che sospirava spazientito.
 
«Non puoi capire quanto è ironica questa domanda. Tu vuoi sapere se Ella sta bene?»
 
«Si. Che ci trovi di strano?»
 
«Certo che spicchi di intelligenza. Secondo te dopo gli ottocento messaggi e le duecento chiamate a cui non ha risposto, come può stare la tua tanto amata Ella? Rispondi, vediamo se ti si accende la lampadina scarica che hai in quella testa bacata.»
 
Era così arrabbiata che le era stato praticamente impossibile trattenersi.
 
Come poteva un essere umano essere tanto cieco e ottuso?
 
«Ti avviso che sto perdendo la pazienza.»
 
Era sempre stato molto irascibile. Lo aveva constatato anche dal vivo, quando Ella lo contraddiceva o lo oscurava con la sua personalità; quando esultava per cose futili e bambinesche; quando rimaneva ferma e irremovibile nelle sue idee perché giuste; quando non chiedeva scusa per errori che non aveva commesso e quando non veniva perdonata per aver detto una parola di troppo o la verità in modo troppo scomodo per essere accettata.
 
Tutti commettevano errori, Ella compresa, ma se non poteva reggere il confronto o sorridere nel vederla esultare per una maglietta con la stampa della Marvel, allora il problema era piuttosto evidente.
 
«Io invece l’ho già persa. Sappi che se non sparirai completamente dalla sua vita farò tutto ciò che è in mio potere per rendere la tua un inferno.»
 
«Credi di spaventarmi?» Il tono fastidiosamente strafottente la costrinse a rispondere più duramente, anche se le probabilità di scalfire quella scatola cranica vuota erano ridotte ai minimi termini.
 
«Non ne avevo intenzione. Il mio era sono un avvertimento, perché se continuerai a perseguitarla, se continuerai a farle del male e se io sarò ancora costretta a raccoglierla dal pavimento del bagno, ti assicuro che conoscerai il vero significato della parola dolore.»
 
«Il pavimento del bagno?» la voce vagamente preoccupata e sconvolta per qualcosa che, invece, avrebbe dovuto immaginare considerate le pene infernali che le stava facendo vivere, innalzarono il suo livello di nervosismo a livelli esponenziali.
 
«Non ti dirò come sta, non saprai più nulla di lei e non mi importa se è il tuo ossigeno o qualche viscida parte del tuo corpo, se vengo a sapere che le hai ancora scritto o telefonato, rimpiangerai di non esserti soffocato prima.»
 
«Non ho mai voluto farle del male.»
 
Era impossibile da commentare il suo livello di stupidità. Rifilava a Ella questa scusa ogni volta lo rimproverava o lo riempiva di insulti, senza comunque ottenere alcun risultato.
 
«Con me non attacca. Questo non è amore, è solo la tua ossessione malata per una persona al di sopra dei tuoi standard. Lei è troppo per te e tu lo sai, per questo la vuoi distruggere. Sei un sadico bastardo.»
 
«Invece per te è la persona giusta, è alla tua altezza, per questo le hai detto di tutto sul mio conto per indurla a lasciarmi.»
 
Sofia rimase interdetta da quel contro attacco. Ella le aveva raccontato che Matteo non riusciva a digerire il loro rapporto e che per tale motivo si era involontariamente allontanata da lei negli ultimi mesi della loro relazione, eppure non aveva mai immaginato che la sua ossessione arrivasse a fargli provare così tanta gelosia.
 
«Ella sa badare a sé stessa e non si è mai lasciata condizionare da nessuno di coloro che le diceva quanto non fossi la persona più adatta a lei, se lo avesse fatto non sareste durati una settimana.»
 
«Con il lavaggio del cervello anche la volontà più forte cederebbe. Adesso scommetto che sei felice perché puoi averla tutta per te.»
 
«Ma che sta dicendo? Tu sei malato.»
 
Considerata la piega che stava prendendo la conversazione, non osava nemmeno immaginare quanti litigi e discussioni Ella era stata costretta ad affrontare solo perché si era messa il pigiama d’avanti alla sua amica lesbica e che quest’ultima l’aveva vista in mutande.
 
Quanto avrebbe voluto digli che in vacanza al mare l’aveva vista anche a seno scoperto, mentre si cambiava il costume, ma fu costretta a trattenersi altrimenti avrebbe solo peggiorato la situazione già molto precaria.
 
«Non mi è mai piaciuto il vostro rapporto. Il tuo fantasma era una presenza costante nella nostra relazione. Sofia, sempre Sofia. Doveva sempre chiedere la tua opinione per qualunque decisione riguardasse solo me e lei.»
 
«Se mi avesse ascoltata molte stupidaggini non le avrebbe fatte e se tu la conoscessi realmente sapresti che è testarda e che non si lascia condizionare dall’opinione di nessuno, anche se la chiede. Quale persona sana di mente avrebbe da ridire su ciò che la propria ragazza confida alla sua migliore amica?»
 
Ella gli aveva dato più di quanto avrebbe meritato e sopportato più di quanto fosse necessario, per ricevere solo dolore e una completa mancanza di rispetto.
 
«Una persona che vuole proteggere chi ama da chi le fa più male che bene.»
 
Cristina non aveva idea di cosa Matteo le stesse dicendo, ma dall’espressione rabbiosa di Sofia sospettava non fosse nulla di buono.
 
Prepararsi al peggio non sarebbe servito a proteggersi dai danni che era convinta avrebbe causato di lì a poco.
 
«Sei ridicolo. Eri così geloso che l’hai allontanata da tutti, l’avresti rinchiusa in casa per non farla guardare da nessuno e, visto che non hai potuto soddisfare questo tuo malato bisogno, stai cercando altri modi per distruggerla. Quando Ella è entrata nella tua vita con i suoi sogni e la sua ambizione ti sei reso conto che il suo carattere era troppo forte per te, che mai avresti potuto controllare le sue idee e piegare la sua volontà. Hai le palle così piccole che hai sentito la necessità di plagiarla lentamente fino a quando le tue scelte le sembravano essere le sue. Sei come zecca fastidiosa attaccata allo scroto di un maiale, sei il grandissimo pezzo di stronzo che deve uscire dall’ano per eliminare il fastidio, ma di cui non riesci a liberarti perché duro come la pietra, sei l’essere più miserabile che abbia mai avuto il dispiacere di chiamare.»
 
«Sarò anche tutto ciò che dici, ma tu, la persona che le dovrebbe essere più leale, mi stai chiamando per insultami e intimidirmi a sua insaputa, perché Ella non te lo avrebbe mai permesso. Non sono l’unico a dover temere la sua rabbia o peggio, la sua indifferenza.
 
«A differenza tua, Ella mi perdonerà quando capirà che l’ho fatto per il suo bene. Non te lo ripeterò di nuovo, stai lontano da lei perché stai facendo incazzare parecchie persone che la amano e che farebbero di tutto pur di vederla felice. Ti saluto.»
 
Sofia staccò la telefonata, prima che la situazione degenerasse completamente.
 
Nel soggiorno risuonavano ancora i suoi insulti e le sue minacce, erano così forti che non lascavano spazio a nulla che non fossero sospiri di ansia e nervosismo.
 
«Credi che ti darà ascolto?»
 
Il silenzio fu interrotto da Cristina alla ricerca di rassicurazioni che Sofia non era in grado di darle.
 
«Lo spero, altrimenti dovrò subire l’ira di Ella e non sarà piacevole» rispose, scuotendo il capo rassegnata all’inevitabile condanna che pendeva sulla sua testa.
 
«Vedrai che capirà» la rassicurò Cristina, spostandole qualche ciocca di capelli dal viso per posarle un delicato bacio sulla fronte.
 
«Forse o forse ho solo peggiorato la situazione, in ogni caso non ci resta che aspettare.»
 
L’intenso scambio di sguardi che si scambiarono legò insieme tutte le loro domande e preoccupazioni, permettendo loro di alleggerirne il peso. Si preannunciava una lunga notte carica di troppe emozioni lasciate in sospeso.
 
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


La partita stava per iniziare. Gli spalti grigi e polverosi erano gremiti di familiari, amici e fidanzati accorsi per dare il loro supporto ai singoli membri di ogni squadra.
 
Le voci di tutte quelle persone ammassate sulle quattro ampie gradinate, che costeggiavano i lati della palestra, si mescolavano, creando un unico forte brusio. Alle orecchie di Ella, quel vociare fastidioso sembrava aumentare di secondo in secondo, amplificato dalla grandezza della struttura che facilitava il riverbero di tutte quelle onde sonore.
 
Ella detestava i forti rumori, specialmente se continui, perché la disorientavano e, ottundendole i sensi, le facevano girare la testa pendendo il senso dell'orientamento.
 
Il fatto che fosse seduta, anche se su una superficie dura e priva di schienale, le rendeva meno difficoltoso sopportare quel caos, senza rischiare di avere un esaurimento nervoso.
 
«Sicura vada bene questo posto?» le chiese Cristina, sfiorandole delicatamente la mano per richiamare la sua attenzione.
 
Aveva osservato Ella perdersi nel guardare le travi di ferro che, saldate le une alle altre, formavano lo scheletro che reggeva il soffitto.
 
Era palese la tensione che traspariva dai movimenti meccanici del suo corpo, alla ricerca di qualcosa abbastanza interessante da poterla distrarre.
 
«È perfetto. Devo avere una via di fuga in caso succeda qualcosa e l'idea di farmi calpestare o di dover scavalcare altra gente mi manda in panico.» Ella strinse con più forza lo spigolo inferiore del gradino su cui aveva preso posto.
 
Quella era una tipica situazione che avrebbe volentieri evitato. Gli spazi chiusi con troppe persone sfuggivano al suo controllo e l'idea di essere toccata, spinta, sfiorata, schiacciata e urtata da tutte quelle mani di tutte quelle persone la portava a perdere la ragione.
 
Per tale motivo, quando era costretta a prendere parte a eventi come quello, si avvinghiava come una cozza allo scoglio, al gradino più basso ed esterno, così da avere una via di fuga in caso non fosse stata più capace di reggere l'ansia che, con la stessa stretta di un serpente a sonagli, si avvinghiava attorno al suo collo, soffocandola.
 
L'aria era già satura di sudore mischiato all'odore del legno lucido del pavimento su cui avrebbero dovuto sfidarsi le due squadre.
 
Ella spostava lo sguardo da un punto all'altro della palestra e ascoltava le conversazioni delle persone sedute sui gradini alle sue spalle, nel tentativo di distrarsi e ammazzare il tempo nell'attesa dell'inizio dei grandi giochi.
 
Ad attirare la sua attenzione furono un paio di spalle coperte da un giubbino di pelle nero, che aveva avuto il tempo di riconoscere dopo tutte le volte che lo aveva visto. Tutto in lui, dalla postura sicura alla pettinatura scomposta dei suoi capelli, era per lei inconfondibile. Aiutata anche dal fatto che era, in quel momento, l'unica persona in piedi poco distante da lei.
 
Gabriele si voltò parecchie volte prima di incrociare i loro volti familiari e, quando le ebbe riconosciute, si avvicinò con calma verso di loro.
 
Ella non si lasciò sfuggire nemmeno uno dei movimenti del suo viso, riuscendo a scorgere sia il leggero incurvarsi all'insù delle sue labbra carnose, sia la sua mano sinistra che si stringeva in un pugno lasciando trapelare tutta la sua tensione.
 
Quando lo sguardo di Ella ricadde su di essa, lui se ne accorse e la nascose prontamente della tasca del suo jeans, come se quel gesto le potesse impedire di percepire il suo stato d'animo.
 
Con la coda dell'occhio, Ella vide Cristina picchiettare la mano nel posto libero al suo fianco, per invitarlo a sedersi vicino a lei.
 
«Sono felice che sia riuscito a venire. Sofia sarà felicissima di sapere che non ti sei perso la sua performance» disse Cristina non appena Gabriele si sedette.
 
«Non potevo mancare. Mi sto impegnando a mantenere le promesse.»
 
Ella sapeva che quella giustificazione aggiuntiva non poteva riferirsi solo all'averle degnate della sua presenza o forse, la sua, era solo una mera illusione dettata dalla speranza che non la odiasse del tutto, dopo ciò che era accaduto.
 
«Perché sei venuto?» La domanda risuonò nitida tra i mormorii indistinti che minacciavano di sovrastare la sua voce, ma l'intonazione era stata troppo brusca perché la risposta del suo interlocutore potesse risultare gentile.
 
«Secondo te?»
 
«Hai già cambiato idea?» Chiese Ella, per nulla intimorita dalla piega che stava prendendo la conversazione.
 
Non era mai stata brava a scusarsi e sebbene sapesse che avrebbe dovuto farlo, proprio non riusciva ad accantonare quella parte di lei che le diceva di fuggire, per permettere al suo orgoglio di ingoiare il senso di colpa.
 
«Non sono qui per te, ma per vedere Sofia giocare. Mi vuoi allontanare e sto rispettando la tua decisione, ma questo non mi impedisce di riallacciare i rapporti a cui ho rinunciato tempo fa. Adesso, puoi anche continuare ad ignorarmi, io farò lo stesso, non temere.»
 
Nonostante la freddezza della risposta di Gabriele, Ella era consapevole che fosse felice di vederla. Non potevano nascondersi dopo che avevano rivelato i propri sentimenti e, sebbene ferisse entrambi quella distanza, ormai erano completamente trasparenti e sapevano che se uno di loro avesse ceduto l'altro l'avrebbe seguito, trascinato dalla marea di sentimenti che riempiva lo spazio vuoto tra i loro corpi.
 
«Sei proprio un'idiota» commentò Ella con voce seccata.
 
Cristina, che fortunatamente si trovava tra loro, sbuffò rassegnata di fronte all'incapacità della sua amica di essere cordiale e vagamente matura.
 
«Tu invece sei perfetta. Reprimi così tanto i tuoi sentimenti che quando esplodi fai tabula rasa di tutto ciò che hai intorno, poi sarei io lo stupido.»
 
«Potevi scegliere un posto qualunque, invece di sederti qui.»
 
Questa affermazione tradì i sentimenti di Ella, che si ritrovò a combattere tra il desiderio di mordersi la lingua e quello di urlare per la frustrazione.
 
«Cristina mi ha fatto segno di salire per sedermi vicino a lei. Cosa c'è? Ti dà fastidio sapere che non sono qui per te?»
 
Gabriele sapeva di aver centrato in pieno il motivo di tutta quella ostilità e dovette sforzarsi di nascondere un sorriso compiaciuto di fronte alla consapevolezza che, in realtà, Ella non pensava realmente ciò che gli aveva urlato quel giovedì.
 
Sicuramente lui aveva contribuito ad innescare la sua rabbia, ma adesso aveva almeno la certezza che non voleva realmente che lui la ignorasse.
 
Aveva bisogno di spazio e di tempo per accettarlo, ma desiderava anche lui nella sua vita.
 
In ogni caso non avrebbe ceduto, sebbene lui lo vedesse e lo sapesse, Ella sicuramente ancora non era pronta ad ammetterlo, quindi avrebbe atteso pazientemente quel momento.
 
«L'unica cosa che mi infastidisce è vedere la tua faccia ogni volta che mi giro.»
 
Non riusciva proprio a darsi un contegno, sputando parole degne di una bambina di cinque anni. Dopo tutte le esperienze che stava cercando di lasciarsi alle spalle, si era convinta di aver acquisito un certo grado di maturità emotiva, ma dalle sue risposte infantili e da quel bisticcio bambinesco che si ostinava a trascinare, probabilmente doveva rivalutare le sue conclusioni.
 
«Questa faccia te la sogni la notte» rispose Gabriele, cerchiando con il dito indice la forma del proprio viso nell'aria.
 
Non era una grande consolazione, ma almeno i bambini seduti al fianco di Cristina erano due.
 
«Sognavo. A differenza tua, io so distinguere bene il passato dal presente.»
 
Ella sapeva che avrebbe potuto comportarsi meglio di così, ma proprio non ci riusciva.
 
Non voleva ancora accettare i propri sentimenti. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare per mettere fine a quella situazione ridicola, tuttavia, il solo pensiero di ammettere ad alta voce cosa volesse in quel momento della sua vita, la spaventava fino a confonderla, trasformandola in una bambina che rincorre l'amichetto che le ha tirato le trecce solo per attirare la sua attenzione.
 
«Guardate chi sta arrivando. Finalmente potrai conoscere il resto della truppa.»
 
L'intervento disperato di Cristina fermò il cane che stava cercando inutilmente di raggiungere la propria coda per darle un morso.
 
«Una gioia immensa» mormorò Ella a sé stessa.
 
«Scusare il ritardo, ma è stato praticamente un miracolo riuscire a trovare parcheggio» disse Luca mentre si sedeva vicino a Gabriele.
 
«Tranquilli, siete arrivati giusto in tempo. Dovrebbero iniziare tra cinque minuti» lo tranquillizzò Cristina, sorridendogli cordialmente.
 
«Tu devi essere Gabriele.» Lo sguardo di Luca, si spostò sul nuovo ragazzo che lo separava da Cristina.
 
«Si.»
 
«Piacere di conoscerti, io sono Luca e lui è Lorenzo, il fratello di Sofia.»
 
Gabriele non ebbe il tempo di ricambiare il saluto, perché fu preceduto da un commento di Lorenzo che a Ella parve del tutto fuori luogo.
 
«Abbiano sentito molto parlare di te in questi giorni.»
 
«Interessante sapere di essere diventato il pettegolezzo dell'anno.»
 
Suo malgrado, Ella non riuscì ad interpretare il tono di voce con cui Gabriele aveva risposto, ma il suo atteggiamento sembrava leggermente infastidito e non poteva di certo biasimarlo.
 
Era praticamente sulla bocca di tutti coloro che Ella conosceva e il disagio che vedeva riflesso nel profilo rigido e nella mascella contratta di Gabriele bastò ad agitarla.
 
«Lorenzo dovresti farti i sacrosanti fatti tuoi.»
 
L'unica soluzione efficace per distrarli da Gabriele risiedeva nella capacità di Ella di attrarre, con la sua rinomata e tanto apprezzata gentilezza, l'attenzione su di sé senza il minimo sforzo.
 
«E tu dovresti prenderti dieci gocce di Lexodan, magari riusciresti a rilassarti un po'.» La risposta di Lorenzo non si fece attendere ed era anche abbastanza scontata da prevedere.
 
«Non è necessario, basta che la smettiate di parlare. Le vostre voci stanno rubando ossigeno prezioso ai miei polmoni.» Ella spostò i capelli con un calcolato movimento di spalle, facendoli ricadere tutti sulla schiena, in modo che la potessero vedere sventolarsi teatralmente le mani vicino al viso e sbattere le ciglia per donarsi un'aria spavalda ed eccentrica.
 
«Ragazzi, vi supplico godiamoci la giornata. Guardate! Stanno entrando.» L'esclamazione entusiasta di Cristina li riportò all'ordine, spingendo i loro sguardi verso l'entrata degli spogliatoi.
 
«Concentriamoci su Sofia» disse Ella, quando la vide sfilare con le altre componenti della sua squadra.
 
I suoi capelli erano corti, ma abbastanza lunghi per poter essere raccolti in una piccola coda alla base del collo. I suoi occhi, che osservavano attentamente l'allenatore, erano seri e concentrati sulle ultime indicazioni dispensate prima dell'inizio della partita.
 
Non esisteva nient'altro che non fossero lei e le sue compagne di squadra, perché per Sofia non era solo una partita, ma una sfida contro sé stessa che non poteva perdere. Il suo personale modo per dimostrare di non essere una fallita, al contrario dell'idea di tutti coloro che le remavano contro ogni giorno.
 
«E sul suo culo.»
 
Per un istante il cervello di Ella non riuscì a elaborare la voce che aveva pronunciato quelle parole, ma, quando ne capì la provenienza, rimase alquanto sconvolta.
 
«Hai capito Biancaneve» commentò lasciandosi sfuggire una lieve risata, che non si disturbò a coprire con la mano.
 
«Non è colpa mia se il pantaloncino glielo alza e glielo stringe in quel modo. Dovrebbe essere illegale. Guardalo, è perfettamente rotondo!» si giustificò, indicando con la mano la figura della sua fidanzata.
 
In quegli attimi di distrazione, in cui Ella aveva perso di vista la sua amica, Sofia si era spostata sotto rete per battere il cinque a tutte le componenti della squadra avversaria, che si trovavano nell'altra metà del campo da gioco.
 
«Scene non adatte ai deboli di cuore» rispose, scuotendo leggermente il capo divertita dalla ritrovata sfacciataggine di Cristina.
 
Avrebbe dovuto chiederle di darle un preavviso prima di pronunciarsi in commenti tanto audaci per i suoi standard, specialmente se non arrossiva mentre parlava, di sua spontanea volontà, di questi argomenti sconvenienti.
 
«Hai mai pensato di immortalare il suo culo in una fotografia e incorniciarlo? Potresti appenderlo in camera tua, sicuramente saprebbe darti sollievo nelle notti solitarie» Era giunto il momento per Ella di verificare fino a che punto Cristina era disposta ad arrivare, non poteva trattenersi.
 
«Ella!» esclamò, irrigidendosi sul posto e distogliendo l'attenzione da Sofia, che stava prendendo posizione sotto rete alla destra del palleggiatore.
 
«Eh no, cara. Hai iniziato tu, adesso non fare la puritana. Ci deve essere qualche vantaggio nell'avere come fidanzata una giocatrice di pallavolo e che ha, per di più, il ruolo di opposto.»
 
«Vedo che hai ampliato il tuo vocabolario di termini sportivi» constatò, dimostrandosi compiaciuta nella speranza di distrarre Ella dai suoi pensieri contorti e imbarazzanti.
 
«Ho sempre conosciuto il suo ruolo nella squadra. Il problema è che non lo riesco a distinguere dagli altri perché dimentico facilmente queste cose, così me lo sono fatto rispiegare e ho scoperto che l'opposto deve possedere una buona forza nelle mani per colpire d'attacco e deve avere una resistenza elevata perché agisce più degli altri giocatori.» Ella sfoggiò con fierezza i dieci minuti trascorsi su Wikipedia, dal momento che le spiegazioni elargite da Sofia erano state dimenticate a metà mattinata. Proprio non ce la faceva.
 
«Interessante spiegazione.»
 
Ella vide il sollievo ammorbidire i tratti tesi del viso di Cristina. Illusa di aver evitato la trappola in cui credeva sarebbe caduta, aveva abbassato la guardia e, ora, non restava che osservare come avrebbe incassato il colpo inatteso.
 
«Tra cinque minuti già l'avrò dimenticata, però almeno ho capito perché sei sempre felice e tranquilla. Tutta quella forza e resistenza serviranno anche a qualcos'altro.»
 
«Ella... sbaglio o l'idea di partenza era quella di porgere delle scuse a Gabriele?» chiese in un sussurrò per evitare che il diretto interessato ascoltasse la domanda e si interessasse alla risposta.
 
«Stai cambiando argomento e ti stai perdendo il culo appuzzato della tua ragazza.»
 
Ella non poté fare a meno di sorridere, consapevole di meritarsi questo colpo basso.
 
«Non ti preoccupare posso sempre ricuperare più tardi. Ora parla!» insistette Cristina, incitandola a scucire la sua bocca fastidiosamente sigillata.
 
«Ma hai visto il suo atteggiamento?» Il tono isterico della voce di Ella era stato fortuitamente coperto dal suono penetrante e acuto del fischietto con cui l'arbitro aveva sancito l'inizio del primo set.
 
I giochi potevano iniziare.
 
«Ti ricordo che sei stata tu ad avvicinarlo.» Le fece notare Cristina, utilizzando i suoi consueti modi pacati.
 
«Lo so e l'ho fatto per informarmi cortesemente del motivo della sua presenza.»
 
Ella era sempre vigile, non abbassava mai la guardia e quel suo modo di essere le aveva sempre creato difficoltà ad interagire con il resto del mondo.
 
Se una persona le faceva percepire brutte sensazioni, lei o diventava taciturna e indifferente o rispondeva in modo pungente, ma in entrambi i casi risultava antipatica. E come per le leggi della scienza, cariche negative non diventano mai positive, ma queste ultime possono sempre diventare negative, allo stesso modo Ella vedeva i rapporti umani.
 
«Lasciati dire che la tua capacità di essere gentile fa schifo.»
 
«Credimi, lo so» ammise in un lungo sospiro di sconforto.
 
«Non gli hai dato nemmeno il tempo di respirare l'aria intorno a te che subito lo hai azzannato alla gola come un mastino. So che sei in modalità difensiva, ma così ti fai più male che bene, perché l'ho visto nei tuoi occhi quanto ti dispiacesse sentirlo così distante. Metti da parte l'orgoglio santo cielo!» La forte esclamazione di Cristina, attirò inevitabilmente l'attenzione dei ragazzi seduti al suo fianco.
 
Lo sguardo di Gabriele si spostò su Ella, indugiando sulla sua figura più tempo di quanto lei si sarebbe aspettata. La stava scandagliando con curiosità ed Ella avrebbe giurato di vedere anche della preoccupazione riflessa in quelle iridi castane.
 
Mise fine a quello scambio silenzioso di pensieri, prima che le domande che ronzavano tumultuose nella mente di Gabriele trovassero la risposta nell'espressione colpevole che Ella sapeva avesse dipinta sul viso.
 
Trascorse qualche altro istante prima che smettesse di bruciare per le attenzioni che Gabriele le stava rivolgendo.
 
Sospirò sollevata, prima di riprendere il discorso con Cristina.
 
«Si è presentato qui pur sapendo che mi avrebbe trovata.»
 
«E quindi? Non dovrebbe farti piacere vederlo?»
 
«Si, ma...»
 
«Ma niente. Dieci minuti fa ho visto la tua maturità scivolarti sotto i piedi.» Cristina la stava rimproverando e, per quanto la infastidisse profondamente, aveva perfettamente ragione.
 
Ella rimase in silenzio, scavando nella sua mente alla ricerca di qualcosa di intelligente con cui poter ribattere, qualcosa che le dimostrasse che non aveva sbagliato tutto, qualcosa che potesse lenire il senso di colpa che si espandeva rapidamente dentro il suo corpo.
 
Alla fine, non riuscì a trovare nulla che la potesse giustificare.
 
Tutti soffrivano, ma quella non era una motivazione sufficiente per ferire ingiustamente su chi non lo meritava.
 
Certamente Gabriele aveva giocato un ruolo importante della sua esplosione, ma avrebbe potuto parlargli, invece di urlargli contro cose che non meritava e che non lo riguardavano nemmeno.
 
«Capisco che scusarsi possa essere difficile per te, perché costringe a mostrare i propri punti deboli e ad ammettere di essere vulnerabili, ma prova per un momento a pensare quanto potresti sentirti più rilassata se lasciassi andare la paura. Se gli darai le dovute spiegazioni e gli dimostrerai di essere realmente disponibile a un qualunque tipo di rapporto, vedrai che tutto si aggiusterà. Gabriele è comprensivo e non credo sia arrabbiato con te, vuole sono farti capire che lui è lì anche se tu sei diffidente.»
 
Sentir dire da qualcuno cose che lei aveva solo pensato, che aveva temuto di ammettere per difendersi da quei stessi sentimenti che era sempre più difficile arginare, le fece comprendere quanto fosse codarda, così tanto da fuggire ancora prima di provarci.
 
«Forse non sono così coraggiosa come ho sempre pensato» sussurrò, come se stesse ammettendo le sue colpe e per la prima volta riuscisse a vederle con chiarezza.
 
«Lo sei, devi solo essere spronata.» Sorrise Cristina, rivolgendo nuovamente lo sguardo sulla ragazza che le aveva rubato il cuore.
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Il fischio dell’arbitro che annunciava la fine del primo set riscosse Ella dal suo stato ipnotico. Le parole di Cristina erano state così forti e vere da trasformare i rumori intorno a lei in un lontano brusio e i movimenti delle giocatrici erano diventati delle immagini separate che si susseguivano senza una logica.
 
Le sembrava di vivere un’esperienza extracorporea, si era talmente estraniata da aver perso persino contatto con il proprio corpo. Non sentiva nulla che non fosse il proprio respiro irregolare che aumentava di frequenza e rapidità assieme all’angoscia tumultuosa che sembrava volesse farle esplodere il cuore nel petto.
 
Quella sensazione che la stava spingendo a compiere ciò che altrimenti non avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Liberare ciò che la divorava sarebbe stato l’unico modo per lenire quelle caotiche emozioni che le stavano facendo girare la testa.
 
Prima che se ne potesse pentire, si alzò in uno scatto felino e, sovrastando Cristiana con il suo corpo minuto, afferrò con veemenza l’avambraccio sinistro di Gabriele, tirandolo con tutta la forza fisica di cui era capace.
 
Gabriele si ritrovò in piedi e, ancora prima che la sua mente potesse registrare ciò che stava accadendo, si ritrovò a camminare in direzione dell’uscita.
 
Probabilmente, se non avesse avuto l’effetto sorpresa a suo vantaggio, non sarebbe riuscita a smuoverlo con tanta facilità.
 
«Ella, ma cosa? Dove mi stai portando?» Non solo percepiva chiaramente la confusione in quelle domande, ma sentiva altrettanto distintamente il suo sguardo e quello dei suoi amici bruciarle la schiena.
 
«Taci e cammina senza tante storie» ribatté senza il minimo tatto, mentre rafforzava la presa.
 
«Mi vuoi ammazzare? Sappi che non mi arrenderò senza combattere.»
 
Gabriele si ritrovò costretto a tirare leggermente la mano con cui Ella stringeva il suo braccio, affinché rallentasse perché, se avesse continuato a camminare velocemente, avrebbero potuto facilmente perdere l’equilibrio e rompersi l’osso del collo.
 
Non era sua intenzione allontanarsi da lei, ma la paura, che ormai pervadeva ogni cellula del corpo di Ella e che le faceva tremare le mani, la spinse a credere che Gabriele avrebbe provato a divincolarsi dalla sua stretta e, in quel caso, sarebbe stato difficile impedirgli di liberarsi.
 
Nella sua ingenuità, sperava che la pressione che stava esercitando potesse bastare a tenerlo vicino, ma era ben consapevole che, se avesse voluto, avrebbe potuto spostare la sua mano senza il minimo sforzo.
 
Persino una formica era più forte di lei, che riusciva a malapena a trasportare due piatti senza avere i dolori alle braccia.
 
«Sta zitto e muoviti.»
 
Mentre scendevano le scale per raggiungere il cortile, Ella vide distrattamente dei ragazzi seduti sui primi gradini sghignazzare al loro passaggio. Sicuramente, vista da fuori, osservare una ragazza esasperata trascinare un ragazzo, che avrebbe potuto mettersela in tasca per portarla a passeggio, doveva essere una scena parecchio esilarante.
 
Arrivati alla fine della rampa di scale, Ella svoltò a sinistra per lasciarsi alle spalle quegli sguardi indiscreti.
 
Ancora avvinghiata al braccio di Gabriele, si piegò leggermente in avanti, usando il corpo del ragazzo come appiglio sia per riprendere fiato, sia perché quella vicinanza la aiutava a gestire l’ansia.
 
Gabriele rimase in silenzio ad ascoltare il respiro affannoso di Ella che diventava sempre più lento e profondo, mentre la presa trascinante della sua mano si stava trasformando in un tocco delicato, che accarezzava il suo braccio muovendosi ad ogni suo sospiro.
 
«Ella, ti senti bene? Mi sto iniziando seriamente a preoccupare.»
 
Gabriele si azzardò ad allungare la mano libera e a posare il pollice sotto il mento di Ella, per farsi guardare.
 
Con tutta quella massa di capelli riccioluti che le ricoprivano il viso, nascondendolo al suo sguardo indagatore, gli era stato praticamente impossibile scorgere i suoi occhi.
 
Ormai, nel più completo stato confusionale e con i battiti del cuore che le risuonavano forti e prepotenti nelle orecchie, Ella si lasciò trascinare a riva da quella lieve carezza, che la spinse a ritrovare un minimo di compostezza.
 
Si spostò di un passo all’indietro per mettere quella giusta distanza, necessaria affinché potesse ragionare lucidamente, ma non troppa per evitare di perdersi nel mare di pensieri angosciosi.
 
Guardandolo finalmente negli occhi, respirò tutto il coraggio che aveva.
 
«No, non sto bene. Gli ultimi giorni sono stati un inferno e…So che non esiste una giustificazione per tutte le cose orribili che ti ho detto sia prima che giovedì. Insomma, avrei dovuto scusarmi invece di aggredirti, ma sono un disastro in questo genere di cose, non so mai cosa dire e finisco con il peggiorarle.»
 
Gabriele poté finalmente capire cosa stesse confabulando con Cristina in quel modo così guardingo da suscitare il suo interesse per tutta la durata del primo set.
 
«Io, invece, non avrei dovuto provocarti né risponderti in quel modo.»
 
Un passo era stato compiuto e l’argine demolito, adesso dovevano solo rimanere a galla e non annegare nella corrente.
 
Ella si chiese se fosse normale una persona tanto comprensiva, non che le dispiacesse considerate le circostanze, ma come poteva non arrabbiarsi nemmeno per cinque secondi.
 
Anche quando erano seduti tra gli spalti, era riuscita a capire che non era realmente in collera con lei, semplicemente voleva constatare se la sua indifferenza fosse realmente ciò che desiderava, se quella sua freddezza avrebbe scalfito il muro che aveva eretto.
 
A quanto sembrava, Gabriele aveva ottenuto ciò che aveva sperato.
 
«Non ti biasimo. Lo hai fatto solo perché ti ho ferito e ci sei andato anche leggero, mentre io non avevo alcuna ragione per mostrarmi così ostile nei tuoi confronti. Questa situazione è colpa mia e ho bisogno di darti una spiegazione, la meriti.»
 
Gabriele la osservava dondolarsi su sé stessa e torturarsi le ciocche di capelli indomabili che rispecchiavano esattamente il suo temperamento. Ella era un concentrato di frustrazione e stanchezza che non poteva più gestire.
 
Aveva bisogno che qualcuno raccogliesse quelle emozioni dolorose e le trasformasse in parole confortanti. Gabriele era lì e non se ne sarebbe andato, avrebbe superato i propri limiti pur di contenere ciò che stava piegando la sua Ursula, perché gli faceva mal al cuore vederla soffrire in quel modo.
 
«Non sei obbligata, non voglio forzarti a fare nulla se non sei pronta. Ero sincero quando ho detto che ti avrei dato tutto il tempo e lo spazio di cui avessi avuto bisogno.»
 
Gabriele aveva bisogno di sapere che fosse realmente convinta di ciò che stava per fare, perché leggeva in quell’azzurro profondo e spaventato che non si sarebbe limitata a porgergli delle scuse.
 
«Sai che non faccio niente a meno che non lo desideri realmente, quindi puoi stare tranquillo.»
 
Ella ci stava provando a mantenere la calma e a trasmetterla a Gabriele che la scrutava con preoccupazione.
 
Se le circostanze fossero state diverse, sicuramente lui l’avrebbe circondata con le sue rassicuranti braccia per acquietare non solo la sua angoscia, ma per avere la certezza che ciò che sarebbe uscito dalle labbra rosee di Ella non avrebbe distrutto ciò che a fatica provava a non far crollare.
 
Quello che, però, Gabriele non poteva sapere era che Ella avrebbe accolto la sua forte stretta, anche in quell’esatto momento.
 
«Va bene. Ti ascolto» si arrese, mentre nascondeva le mani nelle tasche del giubbotto per reprimere l’impulso che l’avrebbe spinto ad abbracciarla.
 
«Però non guardarmi così, mi salire l’ansia.»
 
«Come ti sto guardando?» chiese sorridendo, di fonte allo sguardo implorante con cui Ella lo stava guardando in quell’istante.
 
«Come se stessi aspettando qualcosa.»
 
«Ma è quello che sto facendo.»
 
Gabriele pensò che, probabilmente, era stata la paura di leggere nella sua espressione un pensiero o un’emozione sbagliata, in reazione alle sue parole, a spingerla a formulare quella richiesta.
 
Forse temeva di essere giudicata, ma Ella, in quei pochi giorni, non aveva mai mostrato segni di quell’insicurezza. Sembrava sempre risoluta nei comportamenti, quando interagiva con chi non conosceva o la cui conoscenza non era gradita, ma con molta probabilità il problema poteva risiedere proprio in quello.
 
Gabriele poteva essere così importante per lei, tanto da avere a cuore il suo giudizio.
 
Questo pensiero fugace gli rubò l’aria dai polmoni.
 
«Allora non farlo. Fingi disinteresse, chiudi gli occhi, girati, fai una giravolta, non mi importa, ma non guardarmi come se fossi in attesa di ciò che più desideri a questo mondo.»
 
«Se può tranquillizzarti, desidero molto più di una confessione.»
 
«Questo non mi aiuta» rispose irritata dal vano tentativo di alleggerire la tensione con una battuta decisamente fuori luogo.
 
«Ho capito. Sto zitto e mi sforzo di guardare l’entrata della palestra.» Si arrese, voltandosi in direzione dell’angolo dove avevano svoltato poco prima.
 
Ella rivolse lo sguardo al cielo in attesa di un aiuto, ma, quando si rese conto che non sarebbe arrivato, si concentrò nuovamente sul profilo di Gabriele, i cui tratti del viso erano rigidi e ben marcati.
 
«Non credo debba spiegarti come reagisco a determinate situazioni. Ho represso tutte le emozioni, sia positive sia negative che provavo per te e per un’altra persona. Giovedì è accaduto qualcosa che ha rotto gli argini di due fiumi, che mi ero premurata di separare proprio per evitare ciò che è, invece, successo. Tutte le emozioni si sono mischiate e sono stata così stupida da dirti cose che non erano destinate a te. A meno che tu non abbia finto di essere qualcun altro o sia cambiato in questi anni in cui ci siamo persi di vista, non sei mai stato il tipo di uomo che distrugge la propria ragazza fino a farla scomparire.»
 
Quanto avrebbe voluto girarsi per guardarla negli occhi, Ella non lo avrebbe mai potuto immaginare. Gli sembrava di trovarsi in un altro luogo, quando invece era solo a pochi passi da quella voce carica di dolore e senso di colpa.
 
Era sul punto di ignorare le raccomandazioni che gli aveva rivolto ed era disposto persino a ricevere uno schiaffo ben assestato, se ciò avesse significato poterla rassicurare e alleviare la sua angoscia.
 
«Ella, so che…»
 
«No» lo interruppe, bloccando anche il suo corpo, che aveva iniziato a muoversi come una falena attratta dalla luce. «Ti prego, lasciami parlare prima che cambi idea.»
 
Il peso che le stava stritolando la cassa toracica pareva alleggerirsi parola dopo parola, bastò questa consapevolezza a incoraggiarla a continuare il suo monologo.
 
«Quando rimani solo ti rendi conto di quanto faccia male la solitudine. Credi che ti calzi a pennello, ma è così aderente, così stretta che non riesci a respirare. Fingi, perché devi stare bene, senti di non avere scelta. Le crisi isteriche e il panico che provi in tutti i modi a nascondere, perché sarebbe impossibile da spiegare e da capire. Non importa quanto possa fare male perché sappiamo che la colpa è solo nostra. Veniamo feriti solo perché siamo noi a permetterlo, così stringiamo i denti e andiamo avanti nel disperato tentativo di lenire l’angoscia. Un’angoscia provocata dall’idea che se gli altri vedessero il nostro dolore, subiremmo un’umiliazione che sarebbe più ingestibile della sofferenza stessa.»
 
Ella aveva buttato quelle parole così velocemente che Gabriele si ritrovò confuso alla ricerca di un significato nascosto.
 
Si era chiusa in sé stessa per molto tempo, aveva allontanato gli altri mentre i sentimenti che non dovrebbero mai essere affrontati da soli la avevano divorata dall’interno.
 
Gabriele, alla fine, capì che la sua non era semplice paura, ma terrore di lasciare che il resto del mondo entrasse in contatto con lei.
 
«Perché mi stai dicendo questo?»
 
Aveva bisogno di comprenderne il motivo, un’urgenza fisica quasi dolorosa che doveva soddisfare, perché tutta quell’oscurità aleggiante attorno alle parole di Ella lo stava portando sull’orlo della pazzia.
 
«Guardami.»
 
Il corpo di Gabriele reagì ancor prima che potesse consapevolmente registrare quella che gli parve essere una supplica.
 
«Mi serviva solo per rompere il ghiaccio, ma adesso ho bisogno che mi guardi negli occhi e imprimi nella tua mente ogni singola parola.»
 
La scintilla di vitalità, che rifletteva il carattere combattivo di Ella, era stata oscurata dal velo trasparente che rendeva i suoi occhi lucidi. Il bianco candido si era colorato di rosa, rendendo l’azzurro chiaro delle sue iridi più scuro. Era come guardare nell’abisso della sua sofferenza, un libro aperto di emozioni contro cui Ella aveva smesso di combattere e che stava provando, come meglio poteva, a trasmettergli.
 
Non voleva piangere.
 
Percepiva i suoi sforzi di trattenere le lacrime, ma le parole erano troppo forti e dolorose perché potesse evitarlo.
 
«Ella…»
 
Gabriele si ritrovò spettatore di una scena così spaventosa da lasciarlo senza parole.
 
«Io l’ho vissuto. Ho sofferto l’umiliazione, sono stata calpestata e non ho fatto nulla per impedire che ciò accadesse. Ho permesso a un uomo di ferirmi, di distruggermi, di dirmi ciò che avrei dovuto fare nella mia vita. Mi sono lasciata manipolare senza rendermene conto.»
 
Quelle lacrime, che si erano accumulate negli angoli dei suoi occhi spenti, si incastrarono tra le ciglia mischiandosi al nero del mascara e, ad ogni battito, precipitavano, macchiando le sue guance pallide.
 
Gabriele seguiva la scia di quelle bisce e i solchi scuri, che segnavano il loro passaggio, erano gli stessi che stavano tingendo di nero il suo cuore.
 
«Ecco perché sono così» Non c’era vergogna nella sua ammissione, ma solo rimorso per la sofferenza che gli aveva causato. «La gentilezza è stata la mia debolezza. Mi sono fidata ciecamente e sono stata fatta a pezzi, ma ho saputo dare una nuova forma a quelle schegge e sono in piedi. Adesso sono stanca e arrabbiata, ma perfettamente consapevole di ciò che potrei fare se solo volessi. Potrei calpestare ogni cosa pur di tenermi al sicuro, qualunque cosa pur di non commettere lo stesso errore dell’ultima volta. Ho smesso di rimproverarmi per come sono, ma giovedì ho perso il controllo e ti ho gettato addosso il mio dolore per alleggerire un peso che non riuscivo più a trascinare da sola. Le mie ferite sono diventate tue e non era giusto che accadesse, ti ho coinvolto in qualcosa da cui avrei voluto proteggerti.»
 
La sofferenza che questa ammissione causò a Gabriele fu peggio che ricevere un pugno nello stomaco.
 
Era riuscito ad intuire qualcosa l’ultima volta che si erano visti eppure, sentirselo dire apertamente, essere costretto a metabolizzare che Ella, colei che non aveva mai smesso di amare, era stata piegata alla volontà di qualcuno che non fosse la propria, era come vivere ripetutamente il terrore di un incubo dal quale non si sarebbe mai potuto svegliare.
 
Lei non era fatta per rimanere rinchiusa in una gabbia, nemmeno se fosse stata lei stessa a saldare le sbarre, figurarsi essere imprigionata da un'altra persona.
 
L’avrebbe uccisa lentamente, in una lenta agonia alla disperata ricerca di uno spiraglio di libertà.
 
«Ella, ho ventitré anni, ho vissuto abbastanza per sopportare anche il dolore altrui.» Stanco di quella distanza che ancora li separava, Gabriele ignorò qualsiasi buon senso, preferendo seguire l’istinto, che, in quel momento, gli stava urlando di avvicinarsi a lei. «Sto cercando di rispettare la tua volontà per dimostrarti che voglio essere al tuo fianco, entrare nella tua vita e non lasciarti. Prendere parte della tua sofferenza, di ciò che ancora ti fa ferisce non mi spaventa, mi terrorizza invece vederti chiudere in te stessa e crollare sotto il mio sguardo impotente.»
 
Ella lo ascoltava attentamente e, nonostante la consapevolezza della sua incauta vicinanza, non si oppose all’invasione del suo spazio personale. Con solo pochi centimetri a dividerli, Gabriele cercò lo sguardo titubante di Ella e, quando lo trovò, riprese a parlare con un tono di voce più tenue. «Ti nascondi dietro all’idea di volerci proteggere dalla tua vita, quando in realtà l’unica persona che vuoi tenere al sicuro sei tu. Hai paura che riporre fiducia in me significhi diventare di nuovo debole e non posso biasimarti, perché anche io ti ho delusa e ti ho ferita, ma se continuerai a diffidare di tutti verrai schiacciata dal peso della solitudine.»
 
Gestire tutta quella verità e quella vicinanza stava diventando incredibilmente difficile. Lo sguardo di Ella vagava sul viso di Gabriele. Un velo di barba appena visibile, che sapeva avrebbe amato sfiorare con le dita e sentirne il leggero pizzicore, faceva da cornice a un paio di labbra carnose che sarebbero state sicuramente più morbide di quanto avesse mai immaginato.
 
La mascella contratta e la fronte corrugata dalla preoccupazione.
 
Alla fine indugio nei suoi occhi caldi e confortanti, che stavano provando a carpire dai suoi qualcosa che, evidentemente, ancora non erano riusciti a trovare.
 
Si prese il suo tempo per rispondere e ne lasciò a lui per rielaborare la situazione.
 
«Lo so, per questo motivo sto provando ad aprirmi, anche se ciò che ti ho detto non è lontanamente vicino alla quantità di argomenti che dovrò sviscerare. Troppi eventi, troppe emozioni e troppi sbagli mi hanno condotta dove mi trovo adesso, quindi ci vorrà del tempo, ma per me questo è già un grande passo. Voglio dimostrare a me stessa che ciò che mi è successo non mi impedirà di lasciarmi andare ancora.» Ella abbassò il viso, interrompendo lo scambio di sguardi che legava il filo di tutti quei sentimenti. Respirò per trovare coraggio e, prima che Gabriele potesse intervenire impedendole di parlare, alzò gli occhi per guardarlo di nuovo e ammise il suo desiderio più profondo, quello che l’aveva tormentata per giorni. «Non voglio più avere paura. Non voglio avere paura di te.»
 
Un sorriso spontaneo increspò le labbra di Gabriele. Dopo tutto ciò che era accaduto, mai avrebbe creduto che Ella gli avrebbe rivolto una frase con un tale carico emotivo.
 
Spinto dalla magia del momento, che non sapeva quanto sarebbe durato, posò, con tutta la delicatezza di cui era capace, la mano destra sulla guancia di Ella, eliminando con il pollice le tracce lasciate dalle lacrime.
 
Il movimento era così piacevole che Ella si ritrovò a chiudere gli occhi per godersi il più possibile quelle carezze, che chissà quando si sarebbe concessa nuovamente di ricevere.
 
Il sorriso di Gabriele si allargò, piacevolmente sorpreso dalla reazione di Ella al suo tocco.
 
Immobili, erano riusciti a ritagliarsi un momento di pace in mezzo alla tempesta di emozioni che impazzava intorno a loro e, per non affogare, l’uno era diventato lo specchio dei sentimenti dell’altro.
 
«Potrei spendere tutte le parole del mondo per rassicurarti, ma non servirebbe, perché tu sei Ella e sei testarda, schiva, incredibilmente arrogante e tremendamente sfacciata» ammise guardandola, senza mai smettere di sorridere.
 
«E io potrei mettere tra noi una distanza enorme per allontanarti, ma non servirebbe, perché tu sei Gabriele e sei cocciuto, fastidiosamente paziente e odiosamente carismatico» rispose Ella, ricambiando quel sorriso contagioso.
 
Le lacrime sembravano essere diventate un ricordo lontano, così come le sue paure, cancellate dalle carezze rassicuranti del ragazzo che aveva di fronte.
 
«Pensa te, abbiamo almeno un punto in comune» commentò sarcastico.
 
I difetti di Ella non erano considerati tali da Gabriele e, allo stesso modo, i tratti di quest’ultimo, che Ella aveva provato a connotare negativamente, erano per lei, in realtà, una boccata di aria fresca nella sua vita stressante.
 
«È per via di quel punto che adesso siamo qui a parlare. Andiamo d’accordo quanto basta per stare bene insieme, ma non troppo per stancarmi di te.»
 
«Andiamo d’accordo perché io ho un livello illimitato di sopportazione per la tua irascibilità.»
 
«Guarda che ho anche molti lati positivi» ribatté Ella, spostandosi istintivamente di un passo all’indietro e incrociando le braccia sotto il seno.
 
L’aria fredda eliminò ogni traccia di calore lasciata da Gabriele sulla sua guancia e quella sensazione di vuoto la fece pentire immediatamente di essersi allontanata.
 
«Tipo?» chiese curioso.
 
Gabriele sapeva bene quali fossero i pregi di quella ragazza così esasperante, eppure non poté fare a meno di sfidarla.
 
«Sono simpatica.»
 
La riposta di Ella suscitò un’esplosione di ilarità da parte di Gabriele, che non riuscì a trattenere.
 
«Va bene, lasciamo perdere. Sarà meglio entrare, prima che inizino a pensare che ti abbia ammazzato.»
 
«Aspetta!» Gabriele afferrò rapidamente il polso destro di Ella e, con una leggera pressione, la fece voltare, prima che mettesse troppa distanza tra loro, distanza che alla luce di quanto era accaduto non avrebbe sopportato.
 
Ella, confusa da quel rapido e inaspettato movimento, non si accorse subito che il palmo della sua mano sinistra si era poggiato poco sotto la clavicola di Gabriele. Solo quando percepì un cuore che batteva forte e deciso capì che la sua mano si era animata di vita propria.
 
A quella distanza troppo ravvicinata, fu costretta ad alzare leggermente la testa all’indietro per poter ricambiare lo sguardo del ragazzo.
 
Se Ella avesse fatto anche solo un minimo movimento, i loro nasi si sarebbero inevitabilmente sfiorati e non poteva ancora permettere che accadesse.
 
Non era pronta.
 
«Cosa?» chiese con voce più acuta di quanto volesse.
 
Ormai tutto era completamente fuori ogni suo controllo.
 
«Dillo, Ella. Dimmi cosa vuoi» la incitò Gabriele e la scintilla di speranza che Ella vide brillare nei suoi occhi allontanò da lei ogni dubbio e riserva rimasta nei suoi confronti.
 
Era impaziente e lo sentiva chiaramente attraverso la sua mano tremante che ancora le avvolgeva il polso; attraverso il cuore che aveva iniziato a pompare sangue più velocemente; attraverso il suo sguardo carico di speranza.
 
«Voglio te, nella mia vita.»
 
La confessione di Ella si disperse nel silenzio del cortile, aleggiando tra le fronde degli alberi i cui primi germogli venivano scossi dalla leggera brezza di fine marzo.
 
Solo loro due, in quello spazio vuoto e immenso, uniti da quell’unica frase che aveva aperto ad entrambi una porta rimasta chiusa per troppo tempo.
 
L’enorme sorriso che Gabriele le rivolse, carico di una felicità piena di insinuazioni, fece capire a Ella l’ambiguità di ciò che aveva detto.
 
«Oh, ma dai! Non fare quella faccia, intendo come amici. Nella mia vita, come amici» disse indietreggiando velocemente per rimarcare la convinzione delle sue parole e mettere a tacere ogni pensiero superfluo e irragionevole.
 
Ella avrebbe anche potuto credere a quanto lei stessa aveva appena detto, ma Gabriele non lo avrebbe mai fatto, nemmeno per un istante.
 
«Mi sta bene» assentì, scrollando le spalle.
 
«Anche perché non hai molta scelta.»
 
«Per ora.» Due semplici parole, che avevano il valore di una promessa, ebbero il potere di scuoterla.
 
«Non tirare troppo la corda» lo rimproverò, puntandogli contro l’indice.
 
«Va bene, Ursula» si arrese, gongolando fiero per come l’aveva chiamata.
 
Ella poteva solo pensare di esserselo meritato, tanto che avrebbe potuto accettare anche di essere chiamata strega, dopo l’uscita infelice di giovedì.
 
«Il mio nuovo soprannome?» chiese fingendo disinteresse. Non gli avrebbe di certo dato la soddisfazione di ammette quanto le fosse piaciuto, ricambiando al suo sorriso.
 
«Mi sembra più appropriato. Mi ostinavo a vederti come la ragazza ancora ingenua a cui avevo voltato le spalle.»
 
«Va bene, ma fai attenzione a non abusare della mia pazienza.»
 
Gabriele inarcò un sopracciglio, evidentemente curioso di sapere di quale pazienza stesse parlando Ella.
 
«Divertente» commentò, rifilandogli il sorriso più falso del suo repertorio.
 
«Allora, grande strega del mare qual è la sorte che attende questo povero marinaio?»
 
Avevano parlato, Ella si era liberata confessando i propri peccati, ma era giunto il momento di guardare in faccia la realtà e capire come mettere in pratica tutto ciò che gli aveva detto.
 
«Che ne pensi di uscire una sera?»
 
In altre circostanze Ella non avrebbe probabilmente preso l’iniziativa, sia perché si sentiva a disagio nell’instaurare nuovi rapporti, sia perché non era mai stata una sua priorità uscire con qualcuno che non fossero i propri amici, ma la loro relazione, che si trascinava da tempo, era finita in modo strano e iniziato in modo ancora più assurdo.
 
Questa riflessione e forte dei sentimenti che sapeva Gabriele provasse per lei bastarono a farle trovare il coraggio per porgli quella domanda.
 
A Ella non piaceva essere prevedibile e la reazione di Gabriele le conferì un certo grado di soddisfazione.
 
«Un appuntamento? Sono stupito, ma molto interessato alla tua intraprendenza» rispose compiaciuto per i risvolti estremamente positivi a cui stava portando quel confronto.
 
«Sono stanca di aspettare, e comunque è una serata tra amici. Non farmi pentire della decisione.»
 
Più Ella si premurava di specificare la natura del loro rapporto, più il sorriso di Gabriele si allargava, tanto che, se avesse continuato, avrebbe rischiato una paralisi facciale.
 
«Domani?»
 
«Vai di fretta?» L’impazienza di Gabriele la fece sorridere.
 
Sarebbe stato impossibile non essere contagiati da quella gioia che trapelava da ogni lineamento del suo viso, sembrava un bambino la mattina di natale.
 
«Ti ho preso in parola. Anche io sono stanco, abbiamo aspettato fin troppo.»
 
«Vorrei, ma domani sera lavoro. Gli unici giorni liberi sono il giovedì e la domenica.»
 
Gabriele passò una mano tra i suoi capelli, tirandoli all’indietro. Quel movimento, che compiva tutte le volte che rifletteva su un problema, catturo la luce del sole che si rifletteva sulle singole ciocche, donando loro diverse sfumature di castano.
 
«Sottopongo un’idea al tuo prezioso giudizio. Domani passo a prenderti a lavoro e ti riaccompagno a casa, invece, giovedì trascorriamo insieme un’intera serata. Che ne pensi?»
 
«Penso che stacco all’una e mezza di solito e farti venire solo per parlare quindici minuti sarebbe assurdo» rispose scuotendo la testa, bocciando la sua proposta.
 
Per quanto le sarebbe piaciuto, non lo avrebbe costretto a scendere a quell’ora di notte per trascorrere insieme solo pochi minuti.
 
«Trovo che sia più importante la qualità del tempo speso e non la quantità, in più non mi spaventa fare tardi la sera perché, a essere sinceri, le ore notturne sono quelle che preferisco.»
 
La volontà di resistere di Ella era ridotta ai minimi termini e se, da come poteva vedere, gli avrebbe fatto davvero piacere vederla, chi era lei per impedirglielo.
 
«Non ti arrendi, vero?»
 
«Mai.» Gabriele le si avvicinò, incapace ormai di starle lontano più di mezzo metro.
 
«In questo caso, approvo la tua mozione. L’indirizzo te lo do più tardi, adesso torniamo dentro, altrimenti ci perderemo tutto il secondo set» lo incitò, voltandogli le spalle.
 
«Conosci anche queste parole, e io che pensavo non capissi niente di ciò che vedevi» commentò, raggiungendola in poche falcate.
 
«Una delle poche, ma sto cercando di migliorare il mio gergo sportivo. In ogni caso, grazie per la bella considerazione.»
 
«Hai molte altre qualità, come la modestia, l’irascibilità, la finezza, l’indole tirannica e sovversiva.» Istigare il lato combattivo e sarcastico di Ella era uno dei passatempi preferiti di Gabriele.
 
«Se continuerai a farmi tutti questi complimenti, mi farai arrossire» rispose reggendogli il gioco.
 
In quegli anni aveva sempre ripensato a quella complicità distrutta dal tempo, eppure non aveva mai lontanamente capito quanto profondamente le fosse mancata, almeno fino a quel momento, quando l’aveva finalmente ritrovata.
 
Una domanda squarciò la sua mente, oscurando la serenità di quegli attimi.
 
Si ritrovò inevitabilmente a chiedersi quanto, tutto quello, sarebbe durato.
 
«Domani sera avrò ben quindici minuti per riuscirci.» La voce di Gabriele la riportò alla realtà, spingendola ad accantonare i dubbi per godersi il momento.
 
Un passo alla volta, un respiro alla volta, una battaglia alla volta.
 
Era questo che Ella si ripeteva ogni volta che si sentiva sopraffatta dal peso del mondo.
 
«Pensi ti possano bastare?» chiese provocatoria.
 
«Assolutamente no, ma sono i limiti che diamo al nostro tempo a rendere preziosi gli attimi.»
 
La profondità e la spontaneità con cui Gabriele aveva pronunciato quella frase costrinsero Ella a fermarsi in prossimità della porta, che li separava dall’interno della palestra.
 
Si ritrovò ad essere d’accordo con quanto aveva detto, ma solo in parte.
 
«Questa frase me la devo appiccicare sul frigorifero.» Non poté fare a meno di essere sarcastica.
 
«Tu sì che sai come distruggere la magia di un momento» la riprese Gabriele, incrociando le braccia.
 
Ella osservo attentamente la sua reazione dispiaciuta per il commento infelice. La osservava con gli occhi di un cane bastonato ed Ella non riusciva proprio a rimanere seria di fronte a quella espressione.
 
Un sorriso incurvò gentilmente le sue labbra, addolcendo ulteriormente i tratti del suo viso.
 
Lei gli aveva dato la sua tristezza e lui gli aveva donato il suo conforto, adesso provò a trasformare il suo dispiacere in piacevole stupore.
 
Ella si avvicinò e questa volta fu lei a sfiorargli il viso. Partì dal mento leggermente ispido al tatto, per poi risalire tracciando il contorno dell’angolo destro delle sue labbra e, infine, giungere ad accarezzare la guancia, dove lasciò l’ultima traccia per poi riportare la mano lungo il proprio fianco.
 
Quel tocco delicato duro solo qualche secondo, ma a Gabriele parve trattenere il respiro per una vita intera.
 
«Sono le persone con cui condividiamo il nostro tempo limitato a rendere preziosi gli attimi, quindi, ogni secondo di ogni minuto di ogni ora speso con te sarà una dichiarazione a cui, probabilmente, non presterai attenzione e quelle parole che tanto desideriamo troveranno la voce per rafforzare quei fili sottili e impercettibili lasciati in sospeso tra noi.»
 
La pericolosa verità di quella riflessione toccò il cuore di Gabriele, che si ritrovò a ricambiare l’intenso sguardo che Ella gli stava rivolgendo.
 
«Visto? So anche come ricrearla.»
 
Fu così che uscì di scena, lasciando Gabriele impietrito a fissare un vuoto che solo la figura di Ella avrebbe potuto colmare.
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Erano le undici di sera e due dei sei tavoli che le toccava servire quella sera erano ancora occupati da due famiglie. Tutto questo significava solo una cosa: bambini che non aveva fatto altro che correre e giocare a nascondino tra i tavoli e le sedie vuote del locale.
 
«Ma le pile di questi mostri non si scaricano?» chiese a sé stessa, mentre prendeva in cucina le prossime ordinazioni da servire.
 
Sperare che inciampassero sarebbe stato troppo crudele per le proprie orecchie, perché solo l'idea dei lamenti che ne sarebbero derivati le faceva accapponare la pelle, ma probabilmente nemmeno quello avrebbe attirato l'attenzione di quei genitori incapaci.
 
Ella sapeva che se si agitavano come palline impazzite in un flipper era solo per attirare l'attenzione. Ne avevano così tanto bisogno che avrebbero apprezzato anche un rimprovero o una punizione, eppure gli adulti se ne stavano comodamente appollaiati sulle sedie e tutto il loro interesse era rivolto o sul cibo o su una conversazione assolutamente inutile sui propri figli.
 
Quella scena fu una delle più patetiche a cui Ella avesse avuto il dispiacere di assistere.
 
Il lieve trillo del campanello, che dava il segnale per poter servire le comande, catturò l'attenzione di Ella.
 
Posizionò nel miglior modo possibile i due taglieri di carne tra le mani e si diresse al tavolo più sfortunato della serata, quello che si trovava di fianco all'inferno terrestre.
 
Ci mise tutto il suo impegno e concentrazione per evitare quei piccoli selvaggi, eppure uno sfuggi al suo sguardo e, andandosi a schiantare sul suo fianco sinistro, le fece perdere l'equilibrio.
 
Mentre la sua mente aveva già elaborato immagini di lei stesa sul pavimento con tutta la carne spiaccicata sulla divisa, due mani afferrarono prontamente i taglieri.
 
Senza più il loro peso e la preoccupazione per un eventuale disastro, Ella riuscì a riprendere l'equilibrio.
 
«Grazie Sara. Hai salvato la mia dignità e la mia fedina penale in un solo colpo.»
 
«Tutto bene?» chiese, rivolgendole un sorriso che illuminò i suoi occhi scuri.
 
«Se per bene intendi che non devo temere di finire in galera per omicidio plurimo, allora sì. Sto bene» rispose, controllando se i capelli fossero ancora legati e in ordine nel suo chignon.
 
«Queste a quale tavolo vanno?»
 
«Il numero 7»
 
«Dai, vieni con me. Andiamo a prendere un po' d'aria» Dopo che ebbe consegnato gli ordini, Sara le avvolse delicatamente il braccio con una mano, strappandola dal caos che regnava in quella sala.
 
«Max, Ella non si sente bene. La accompagno negli spogliatoi.»
 
Massimiliano alzo lo sguardo dai drink che stava preparando per rivolgerlo alle due ragazze ferme dall'altro lato del bancone.
 
«Che cos'hai?» chiese preoccupato.
 
Ella penso di dirgli che ciò che provava erano pulsioni di morte e vendetta, ma fu preceduta da Sara.
 
«Niente di preoccupante. Ha avuto solo un capogiro durante il servizio.»
 
«Tranquilla, prenditi il tempo che ti serve.» Massimiliano era sempre gentile e comprensivo nei confronti di tutti i dipendenti del suo pub e quello era l'unico fattore che la spingeva a non mollare il lavoro e trasferirsi su Marte.
 
«Mi hai salvata appena in tempo» le disse Ella, mentre entravano nei bagni.
 
«Conoscendoti, gli avresti detto che, se non ti avesse dato il tempo per calmare i nervi, avresti dato fuoco a quei bambini.» Sara soffocò una risata, magari ripensando a tutte le fantasiose risposte che aveva rifilato a Massimiliano ogni volta che era costretta a servire delle famiglie.
 
«Forza siediti. Ti prendo dell'acqua.»
 
Mentre Ella prendeva posto sulla panca al centro dello spogliatoio, Sara si voltò verso il suo armadietto. I lunghi e biondi capelli, legati in una coda alta, svolazzarono seguendo i movimenti del suo corpo sinuoso.
 
Dopo la prima settimana di lavoro dall'assunzione, Sara aveva notato che condivideva gli stessi turni con una ragazza molto schiva e taciturna.
 
Ella apriva bocca praticamente solo per prendere le ordinazioni e consegnarle in cucina. Aveva suscitato la sua curiosità e parola dopo parola, era riuscita a sciogliere quel muro di diffidenza che la avvolgeva.
 
Magari non del tutto, ma quanto bastava per decidere di condividere tempo con Sara che non fossero i turni al pub e per accettare un passaggio a casa senza sentirsi in colpa per il disturbo, quando Lorenzo non riusciva ad andare a prenderla.
 
«Grazie» disse Ella, prendendo la bottiglina di acqua che Sara le stava porgendo.
 
«Figurati.»
 
«Ti prego dimmi il tuo segreto. Come fai a essere sempre sorridente, persino con quelle bestie di satana. Insomma, li hai visti? Corrono intorno al tavolo come se stessero in un parco giochi e io fossi il pagliaccio che si divertono a far inciampare.»
 
Ella non aveva mai incontrato una ragazza tanto solare come Sara. Sorrideva quando faceva cadere un bicchiere; sorrideva quando un cliente la urtava; sorrideva all'una e mezza di notte mentre puliva i tavoli sporchi e sistemava le sedie.
 
Aveva un temperamento così caldo e gioioso da riuscire ad avvolgere chiunque la circondasse con la sua tranquillità, persino Ella.
 
Su di lei aveva l'effetto di un sedativo, assorbiva il suo nervosismo e lo trasformava in qualcosa di buono e innocuo, facendole capire quanto essere arrabbiati con il mondo fosse un'inutile spreco di energie.
 
«Ella, sono dei bambini» rispose, scuotendo la testa divertita dal suo esaurimento.
 
«Sara, questo non li giustifica a farmi volare le cose da mano. I piatti già sono pesanti e in precario equilibrio, e loro cosa fanno? Scorrazzano attorno come se fossi un birillo e loro la palla da bowling Quegli animali godono nel vedermi soffrire, l'ho letto nei loro occhi piccoli e iniettati di sangue, ho visto come mi guardavano.»
 
Era così difficile per Sara non piangere dalle risate di fronte alla serietà con cui Ella aveva dato sfogo alla frustrazione.
 
«Come ti avrebbero guardato?» chiese curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinta con i suoi vaneggiamenti.
 
«Come se fossi una volpe e loro dei cani da caccia pronti a sbranarmi. In Italia la volpe è un selvatico protetto, sono troppo preziosa per farmi atterrare. Qualcuno li dovrebbe denunciare» piagnucolò Ella, avendo davanti agli occhi l'immagine di quel vispo e rossiccio animale morso e calpestato da dei cafoni cani rabbiosi.
 
«Ella la tua fantasia è decisamente fuori dal comune» Sara esplose in una risata che non riusciva più a trattenere.
 
Ella la guardò contrariata, non capendo il motivo per cui solo lei riuscisse a vedere quei bambini per ciò che erano realmente.
 
Demoni assetati di sangue.
 
«L'idea di Thanos in questo momento non mi sembra poi così malvagia. Altro che Avengers, era lui il difensore dell'umanità. Devo mettermi anche io alla ricerca delle gemme dell'infinito, in questo modo con un schiocco potrò eliminare sia quei piccoli demoni con il 666 dietro le orecchie che i genitori che hanno messo al mondo esserini così fastidiosi e scostumati. Se mi fossi comportata io così, mia madre mi avrebbe legata alla sedia con del filo spinato pur di non farmi muovere e poi a casa mi avrebbe dato il resto per rendere il ricordo di quella serata indelebile. Così si crescono i figli, non come quegli animali.»
 
Ella ricordava perfettamente tutte le volte in cui Adele aveva impresso nella sua memoria tutti i comportamenti sbagliati che mai avrebbe dovuto mettere in atto.
 
Certo, questo le aveva poi provocato seri problemi di ansia nei confronti della vita e delle persone, costringendosi a porsi ventimila domande prima di fare o dire qualcosa con il terrore di sbagliare comunque, però almeno poteva vantare di non essere stata scostumata da bambina.
 
Con il senno di poi non avrebbe cambiato nulla dell'educazione che le era stata imposta, perché sebbene rigida e soffocante, quantomeno era cresciuta piuttosto bene e con i giusti valori al proprio posto.
 
«Se li sterminassi tutti rimarresti sola.»
 
Sara non la conosceva ancora abbastanza bene da sapere che queste per Ella non erano minacce, bensì promesse di speranza.
 
«Anche tu però, non incoraggiare le mie idee con queste proposte allettanti, a meno che tu non voglia vedermi dietro le sbarre, perché se quei cosi continuano così, i genitori dovranno chiamare sicuramente la polizia.» Ella si sciolse i capelli, che ricaddero disordinati e schiacciati sulla schiena.
 
Si massaggio delicatamente le tempie per poi passare all'attaccatura dei capelli, per lenire il dolore e il mal di testa, che si palesava ogni volta che li portava legati per troppo tempo.
 
Il respiro di Sara risuonava sconnesso e strozzato dalle risate.
 
«Smettila di ridere. Non è divertente» la riprese Ella, puntando gli occhi su di lei.
 
«Invece sì. Dovresti vedere la tua faccia, sei devastata.»
 
Ella si alzò e si diresse verso un piccolo specchio appeso sul muro, alla destra della porta.
 
Un verso scocciato nacque e morì nella sua gola, mentre constatava i postumi della stanchezza tutti riversati sulla sua faccia.
 
La massima espressione di un quadro cubista, probabilmente Picasso prendeva ispirazione dai visi dei lavoratori al termine della loro giornata.
 
«Se non ti fossi trovata vicino a me, a quest'ora sarei in ospedale con tutte le ossa rotte, quindi diciamo che mi è andata bene» rispose, mentre raccoglieva nuovamente i capelli in una coda più morbida e bassa, per non calcare il doloroso punto in cui si trovava prima lo chignon.
 
«I miei turni di lavoro non sarebbero gli stessi se non ci fossi tu a rallegrarmi le serate.»
 
«Mi fa piacere che le mie disgrazie portino delle gioie a qualcuno» commentò sarcastica, osservando Sara attraverso lo specchio, mentre si sistemava alcuni riccioli troppo corti perché potessero essere legati.
 
«Che ne pensi se ci scambiamo i tavoli da servire per questa sera? Cosi tu non rischi di farti seppellire con la pala da quei demonietti e salviamo le loro vite dalla tua vendetta da fantasma.»
 
La proposta di Sara fece voltare Ella di scatto per la sorpresa.
 
L'aria aveva ripreso a circolare nei vuoi polmoni solo al suon di quelle parole soavi.
 
«Tu sei un angelo mandato sulla terra per salvarmi dalla morte.» Ella le si avvicino, abbracciandola con immensa gratitudine.
 
Almeno per quella sera aveva evitato un tracollo mentale.
 
«E dalla galera» la prese in giro Sara.
 
«Forza, torniamo di là, prima che Massimiliano chiami un'ambulanza» disse Ella, uscendo dallo spogliatoio.
 
Esorcizzati quei demoni dal suo corpo, il resto della serata fu abbastanza tranquillo. Fu solo mentre puliva l'ultimo, con uno strofinaccio umido e disinfettante, che si ricordò di Gabriele.
 
Era stata così impegnata tra un servizio e l'altro da essersi completamente dimenticata che sarebbe stato lui ad accompagnarla a casa quella sera. Un senso di agitazione le pervase lo stomaco, inducendola a respirare lentamente e profondamente per calmare il nervosismo.
 
Non capiva il motivo di quella sua involontaria reazione, in fondo era solo Gabriele non un completo sconosciuto, ma, considerando che il suo mondo ruotava in senso opposto a quello di tutti gli altri, poteva ben immaginare che il problema risiedesse proprio nelle aspettative che la lunga conversazione del giorno prima aveva creato in entrambi.
 
Aspettative che forse non avrebbero mai visto la luce del sole.
 
Sbloccando il cellulare per controllare l'ora, vide un messaggio da parte di Gabriele.
 
"So che starai ancora lavorando e probabilmente non leggerai il messaggio, ma volevo avvisarti che sono arrivato e ti aspetto fuori, vicino alla macchina. Ho preferito anticiparmi, così, in caso avessi finito prima, non avresti dovuto aspettare sola."
 
Non poté fare a meno di sorridere leggendo quelle poche righe. La sua gentilezza e la sua premura non erano cambiate di una virgola negli ultimi cinque anni.
 
Ella sospirò, togliendosi il grembiule nero allacciato in vita per infilarlo nella borsa. Era giunto il momento di fargli fare un giro nella lavatrice.
 
«Buonanotte Sara. Ciao Max, ci vediamo domani» salutò Ella, avviandosi verso l'uscita.
 
«Divertiti» rispose Sara, seguita subito da Max. «A domani Ella. Mi raccomando riposati.»
 
Uscita dal pub, respirò l'aria fredda di quella notte da poco iniziata, stringendosi nel suo cappotto nero alla ricerca di maggior calore.
 
Prima che potesse cambiare idea e fuggire di corsa, si incamminò in direzione dell'unico ragazzo in piedi vicino alla fila di macchina parcheggiate.
 
Le luci dei lampioni erano fioche e non riuscì a riconoscere i tratti del suo volto fino a quando non fu a pochi passi di distanza dalla sua figura.
 
«Eccomi. Ce l'ho fatta. Non sono troppo viva, ma ancora mi reggo in piedi.»
 
Gabriele non aveva distolto lo sguardo dall'ingresso del locale nemmeno un secondo da quando era arrivato. Era riuscito persino a vedere di sfuggita il profilo di Ella, mentre sistemava le sedie sui tavoli in prossimità delle vetrate che davano la visuale sull'interno del pub.
 
Adesso era di fronte a lei, avvolta nella sua sciarpa nera per riparare il viso dal leggero vento fastidioso.
 
«Posso salutarti?» Avrebbe potuto sicuramente farlo senza chiederle il permesso, ma con Ella era impossibile prevedere i suoi pensieri e le sue reazioni.
 
Non sapeva se fosse già pentita di essersi confidata con lui; non sapeva quale atteggiamento avrebbe adottato nei suoi confronti.
 
Questa era la sua ultima occasione e non poteva concedersi il lusso di sbagliare, doveva essere cauto e lasciare che fosse lei a dettare le regole e tracciare i limiti.
 
«Certo. Perché non potre... Oh!» Ella non aveva compreso appieno il significato di quella richiesta, tanto da rimanere sorpresa quando le labbra di Gabriele si posarono leggere sulla sua guancia. Quel tocco fu così lieve, da avere l'impressione di essere stata sfiorata dal petalo di un fiore.
 
Anche quando si allontanò, Ella rimase immobile con ancora la sensazione di calore che le bruciava la porzione di pelle che era stata baciata.
 
Mentre lei rimaneva in silenzio fissando il vuoto con la mente sgombra da ogni pensiero, Gabriele la guardava attentamente con l'intenzione di assorbire ogni sua più piccola reazione.
 
Il profumo deciso della pelle di Ella riempiva ancora le sue narici e la morbidezza della sua guancia era ormai una stampa indelebile sulle sue labbra.
 
Ella si schiarì la gola, riportando entrambi alla realtà.
 
«Mi dispiace che tua abbia dovuto aspettare fuori al freddo, potevi entrare dentro o rimanere in macchina. Se non fossi riuscita a trovarti ti avrei chiamato.»
 
«Ella, non crearti problemi. Se sono qui è perché mi rende felice vederti, anche solo per pochi minuti.»
 
«Va bene, niente problemi. Adesso però entriamo in macchina, perché tu portai anche non soffrire il freddo, ma io sto congelando» disse, aprendo lo sportello anteriore della Fiat Panda rossa.
 
Gabriele entrò in macchina e, dopo aver messo la cintura e avviato il motore, accese il riscaldamento per scongelare il pupazzo di neve seduto al suo fianco.
 
«Grazie» disse in un lungo sospiro, sprofondando nel sediolino
 
«Stanca?» chiese, osservandola con la coda dell'occhio.
 
«Molto. Questa sera il mio nervosismo ha raggiunto le stelle» rispose, trattenendo a stento uno sbadiglio. «A quanto pare il mio stato d'animo sta rallegrando la vita di parecchie persone» continuò seccata, mentre osservava il sorriso da ebete stampato sulle labbra di Gabriele.
 
«Scusami, hai ragione. Mi chiedevo solo quando riuscirai a stupirmi dicendo che sei tranquilla e rilassata» si giustificò, scrollando le spalle.
 
«Se lo dicessi ti dovresti preoccupare che qualche alieno abbia clonato il mio DNA e creato un automa con le mie sembianze.»
 
«Adesso si spiega tutta la tua dolcezza dove è andata a finire. Te l'hanno tolta con una siringa appena nata.»
 
Gabriele si stava sinceramente impegnando nel provare a strapparle un sorriso fugace, ma era talmente stanca che avrebbe voluto solo chiudere gli occhi e dormire.
 
Ella doveva dare a quella serata una possibilità, doveva provare ad accantonare quella parte assonnata che la rendeva intrattabile.
 
«Sei simpatico come una malattia venerea» rispose, raddrizzando la schiena e battendo le palpebre velocemente per darsi una svegliata.
 
«Avanti. Qual è la causa di quella piccola ruga tra le sopracciglia?»
 
«Non ho nessuna ruga» mormorò convinta e, per assicurarsi che aveva appena detto fosse vero, si sfiorò la fronte con i polpastrelli, percependo, effettivamente, una piccola piega.
 
«Invece sì» ribatté sicuro di sé.
 
«Come fai a dirlo se è buio e sei concentrato sulla strada?» chiese voltandosi con il busto verso di lui e incrociando le braccia per sfidarlo.
 
Gabriele ricordava molto bene ogni singola variazione delle sue espressioni. Le aveva riviste nella sua mente per anni, come immagini di un vecchio film in bianco e nero, solo per non dimenticare la dolorosa bellezza a cui aveva voltato le spalle.
 
Al loro primo incontro, dopo tutto quel tempo trascorso lontani, si era reso conto che niente di ciò che aveva ricordato era cambiato.
 
Quando lo voleva sfidare, incrociava le braccia, come in quell'esatto momento; quando era in imbarazzo, spostava i voluminosi capelli in avanti per nascondere il viso; quando era felice, il suo sguardo appariva otticamente più grande e l'azzurro delle iridi diventava più chiaro e luminoso.
 
«Perché compare ogni volta che sei triste, pensierosa o arrabbiata e più queste emozioni aumentano di intensità più la ruga si espande. Se continuerai così a venticinque anni sarai già una vecchietta con il bastone.»
 
Ella rimase in silenzio ad assaporare quelle parole che erano la dichiarazione più bella che un ragazzo le avesse mai rivolto. Si chiese quanti minuti avesse trascorso ad osservarla per riconoscere il suo stato d'animo senza nemmeno il bisogno che aprisse la bocca e scommetteva che ci sarebbe riuscito anche se fosse stato bendato, ascoltando semplicemente il suo silenzio.
 
Gabriele avrebbe voluto girarsi per godere della sua espressione sorpresa, ma dovette limitarsi ad uno sguardo fugace.
 
Anche le ragazze diffidenti e controverse come Ella potevano essere stupite, ma solo se lo si faceva con una dolcezza autentica e mai scontata. Una dolcezza che non avrebbero mai potuto prevedere, perché era qualcosa che non avevano mai creduto possibile ricevere.
 
«Sono sempre arrabbiata, quindi ce l'ho perennemente stampata in faccia.»
 
«Si e devo ammettere che ci sono affezionato. Mi dispiacerebbe molto non vederla più.»
 
Gabriele non avrebbe mai potuto combattere il fuoco con il fuoco. La sua acqua non l'avrebbe né spenta né domata, si sarebbe preoccupato solo di lenire il dolore delle bruciature, anche quando sarebbe stata troppo orgogliosa e testarda per chiederglielo.
 
«Tranquillo, non credo sparirà mai.»
 
«Allora? Sto aspettando il tuo sproloquio» la spronò Gabriele, credendo che lo avrebbe deliziato con qualche fantasiosa e stravagante congettura sulle stranezze umane a lei inconcepibili.
 
«Ho sfogato abbastanza per questa sera e la mia collega mi ha salvata prima che commettessi un genocidio di bambini o prima che loro commettessero il mio omicidio.»
 
Ella e i bambini, specialmente se ingestibili, appartenevano a mondi diametralmente opposti. Considerava simpatici solo quelli che dormivano a qualsiasi ora del giorno e della notte e quelli che obbedivano ancora prima che si desse loro un ordine, praticamente due in tutta la popolazione mondiale.
 
«Cosa ti hanno fatto quelle povere creature?»
 
«Non risponderò alla tua provocazione.»
 
Ella preferiva non pensarci più, per evitare che un altro moto di nervosismo intossicasse anche quel momento di tranquillità.
 
«Vuoi ascoltare un po' di musica?» propose Gabriele.
 
«No, preferisco questo silenzio di sottofondo.»
 
Gabriele vagò nell'incertezza su cosa dire per distrarla per qualche minuto, mentre Ella sembrava completamente persa ad osservare il mondo attraverso il vetro del finestrino, un mondo che era diventato solo una proiezione dei suoi pensieri e delle sue emozioni.
 
Doveva fare qualcosa prima che si chiudesse di nuovo in sé stessa, perché nel silenzio che regnava tra loro percepiva anche una mancanza di comunicazione.
 
Non la sentiva più, la stava perdendo.
 
«Cosa frulla in quella bella testolina?»
 
«Mamma diceva sempre: devi gettare il passato dietro di te prima di andare avanti» rispose, rimanendo nella medesima posizione, con lo sguardo fisso di fronte a sé, limitandosi a sbattere le palpebre.
 
Ella percepiva lo sguardo preoccupato di Gabriele su di sé, alla ricerca di una crepa, di un segno di cedimento. Aveva paura che sarebbe svanita da un momento all'altro e lei non gli avrebbe mai potuto promettere che ciò di cui non era certa non sarebbe accaduto, perché ancora non sapeva i suoi pensieri dove l'avrebbero condotta, eppure doveva dare a sé stessa una occasione.
 
«La mamma di Forrest era saggia.»
 
«Forse dovrei mettere in pratica queste parole» disse voltandosi per guardarlo. Con la mascella contratta, esposto alla luce intermittente dei lampioni che scorrevano ignari al di fuori del loro piccolo mondo, Gabriele attendeva paziente il continuo di quella storia. «Sai, è tutta una questione di fiducia. Dai te stessa a un'altra persona, sperando che non ti ferisca. Diventi vulnerabile. È come cospargersi di miele tutto il corpo e andare a spasso vicino ad un alveare, sei un bersaglio facile con tutti i segreti in bella vista pronti per essere usati contro di te. Non ti resta che sperare e pregare che tu possa rientrare in quella schiera di pochi che riescono a non essere calpestati dall'egoismo altrui. Ogni giorno troppe persone vengono rimpicciolite di qualche centimetro, proprio da coloro in cui avevano riposto la loro fiducia. In tutta la mia vita ho concesso la mia più completa fiducia solo a tre persone e due di esse mi hanno ferita.»
 
Ella desiderava, più di ogni altra cosa, combattere la paura con il coraggio e vincere contro di essa. Sarebbe stato l'ultimo grande salto nel vuoto, prima di poter voltare le spalle ai fantasmi che ancora venivano a farle visita durante il giorno.
 
Si nutrivano della luce del sole e della sua felicità, privandola di ogni emozione positiva.
 
Forse quando avesse smesso di farsi divorare dalla paura avrebbe avuto la forza di prendere quei provvedimenti contro Matteo che aveva sempre scartato.
 
Forse doveva lasciarsi aiutare, perché da sola ci aveva provato e aveva fallito.
 
Stringere la mano di chi gliela porgeva non significava essere debole, piuttosto ammettere i propri limiti e riconoscere quando fosse giunto il momento di deporre le armi era un segno di maturità e coraggio.
 
«Una di queste sono io, immagino.»
 
Il tono di amara rassegnazione racchiudeva tutto il suo pentimento. Aveva colto la prima occasione per fuggire e, per quanto si fosse illuso che sarebbe stato un bene anche per Ella, la verità era che era stato un egoista e non meritava più la sua fiducia.
 
«Si e l'altra è il mio ex, Matteo.»
 
Pronunciare il suo nome fu una liberazione. Le corde che rinchiudevano i suoi polsi e le stringevano la trachea si erano allentate, permettendo all'aria di circolare con più facilità.
 
«Perché mi stai dicendo questo?» Gabriele fu colto alla sprovvista.
 
Non avrebbe mai creduto che Ella gli avrebbe rivelato l'identità dell'altra persona. Si rese conto dell'enorme atto di fiducia che aveva compiuto. Una prova sia per lui, per fargli capire che non era sua intenzione fuggire, sia per sé stessa, per dimostrare che il passato non aveva condannato anche il suo futuro.
 
«Ci sto provando. Mi sto riscoprendo masochista e voglio farmi male fidandomi di nuovo, ma non posso darti la certezza di nulla. Devi essere consapevole dei rischi che corri. Non sono più la ragazzina che ricordi. Io... te l'ho detto, posso fare veramente male alle persone.»
 
Non aveva compiuto un passo solo per tornare indietro di altri cinque. Era ancora convinta della sua scelta e non se ne pentiva. Le sue decisioni erano sempre ponderate a lungo e valutate da ogni punto di vista, cosicché quando l'avesse presa, era convinta che non sarebbe ritornata sui propri passi.
 
Sicuramente non era infallibile, perché era umana, ma le dava un buon margine di sicurezza e stabilità.
 
Il giorno precedente era stata solo lei a parlare e, sebbene fosse a conoscenza delle intenzioni di Gabriele e dei suoi desideri, non gli aveva dato abbastanza voce per poter esprimere i suoi pensieri. Prima di fare qualunque passo nella sua direzione, avrebbe dovuto mostrarle quanto fosse realmente convinto di ciò che insieme avrebbero potuto innescare.
 
«Ella tutti siamo capaci di provocare dolore in modo più o meno consapevole, ma decidere di non correre dei rischi solo per paura di essere feriti, non è vivere. Non ho intenzione di rinchiudermi in una prigione di vetro e limitarmi a guardare le altre persone che piangono, ridono e amano. Io voglio te, e non lo dico per metterti pressioni, ma solo perché voglio essere il più sincero e trasparente possibile. Sarai tu a parlarmi con i tuoi tempi e non ti forzerò a fare nulla, desidero solo vederti serena e sorridente.»
 
La risposta di Gabriele e la totale assenza di dubbi nel suo tono di voce rassicurante fecero sospirare Ella di sollievo.
 
Era abbastanza sicura di ciò che le avrebbe detto, però le sue certezze erano ancora in precario equilibrio, sarebbe bastata una piccola folata di vento a farle crollare e lei si sarebbe rotta, di nuovo.
 
Ella, in un moto di audacia e sicurezza, allungo la mano sinistra posandola delicatamente su quella che Gabriele aveva lasciato sul cambio manuale.
 
Sorpreso da quel tocco freddo, Gabriele abbassò, per un'istante, lo sguardo dove i loro corpi si toccavano.
 
La mano pallida dalle dita sottili e affusolate spiccava sulla sua pelle calda e di un paio di tonalità più scura.
 
Era così ironico il fatto che la sua mano fosse quasi più fredda di un cubetto di ghiaccio, mentre dentro di lei divampava un incendio indomabile.
 
«Tu riesci a capire i miei stati d'animo prima ancora che io li elabori, quindi promettimi una cosa: se dovessi capire che la paura stia avendo il sopravvento su di me, tu aiutami a sconfiggerla. Schiaffeggiami, trascinami sotto un getto di acqua ghiacciata, legami a una sedia e fammi il lavaggio del cervello, ti do carta bianca sulle modalità. Resta anche quando io proverò a voltarti le spalle.»
 
Ella sapeva di comportarsi da perfetta egoista nell'avanzare una richiesta del genere. Se Gabriele un giorno avesse deciso che non ne sarebbe più valsa la pena Ella non lo avrebbe trattenuto, perché non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, a meno che non glielo avesse chiesto esplicitamente come stava facendo lei in quel momento.
 
Lei aveva lasciato Matteo e lui stava insistendo, utilizzando ogni modo per trattenerla, ma la differenza con Gabriele era che lei non gli aveva mai implorato di restare.
 
«Te lo prometto. Questa volta non ti lascio sola.» Gabriele mosse il braccio, lasciando che la mano di Ella ricadesse sul cambio per poi ricoprirla con la sua e riscaldarla.
 
Quel movimento fu così rapido che Ella non realizzò subito cosa fosse accaduto, solo dopo qualche istante sentì il freddo abbandonare le sue dita, lasciando spazio ad una piacevole sensazione di calore.
 
«Sicuramente sbaglieremo anche adesso, con me che sono sempre nervosa e testarda e diffidente.»
 
«La lista sarebbe troppo lunga» la stuzzicò Gabriele, mentre stringeva la presa sulla sua mano per scalare la marcia.
 
Era un'emozione nuova quella che sentiva germogliare dentro di sé. Non sapeva ancora come classificarla, perché i suoi tratti erano tutt'altro che definiti. Sicurezza, fiducia, eccitazione, pace e si avvicinava molto ad una felicità diversa e ad un senso di completezza che solo nei sogni era stata capace di provare.
 
«E tu che sei cocciuto e irritante, ma abbiamo una maggiore consapevolezza. Ora che sappiamo chi siamo stati e quali sentimenti ci legavano, proviamo a conoscere chi siamo diventati e chi vorremmo essere.»
 
«E quali sentimenti ci legano.»
 
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose, spostando la mano per posarla sulla propria gamba.
 
«Sei proprio una strega.»
 
«Se lo fossi, a quest'ora, ti avrei già trasformato in un rospo e nessun bacio avrebbe potuto restituirti sembianze umane» lo provocò, rivolgendogli un subdolo sorriso.
 
«Magari non un bacio qualunque, ma se fosse quello della strega che ha lanciato il maleficio probabilmente funzionerebbe.»
 
«Illuso. Perché mai una strega dovrebbe baciare un rospetto viscido?» chiese ingenuamente, pensando di metterlo alle strette, ma aveva dimenticato quanto Gabriele fosse bravo nel rispondere, rivoltandole contro le domande che lei stessa aveva posto.
 
«Beh, sarai tu a dovermi dare la risposta quando succederà.»
 
Ella sposto lo sguardo sulla strada, sperando con tutto il cuore che le sue parole cadessero nel vuoto. Era appena stata zittita e non aveva voglia di continuare una conversazione che, stando ai fatti, l'avrebbe messa sicuramente in imbarazzo.
 
Fortunatamente per lei, Gabriele si limitò a sorridere soddisfatto, avendo intuito il suo stato d'animo.
 
«Uh, guarda! Siamo arrivati.» esclamò Ella, entusiasta all'idea di poter respirare aria fredda e scrollarsi di dosso l'ultima affermazione di Gabriele.
 
Sapeva che se lei non avesse voluto, non si sarebbe azzardato a provarci, quindi non era questo ciò che la preoccupava.
 
Il problema era capire se sarebbe mai stata in grado di affrontare un'altra relazione.
 
Ecco che la paura di poterlo ferire un giorno si impossessava nuovamente di lei, l'immagine del suo sguardo deluso già tormentava la sua mente impedendole di ragionare lucidamente.
 
Per quanto potesse dirle che non si aspettava nulla da lei, entrambi sapevano che non erano esattamente così che stavano le cose.
 
Mentre quei pensieri disturbavano la quiete che aveva pervaso la sua mente fino a quel momento, il suo corpo si trovava già fuori dall'auto.
 
«Aspetta, ti accompagno» le disse Gabriele prima che potesse chiudere la portiera.
 
«Non è necessario. Anche se in questi 50 metri ci fosse qualcuno appostato dietro un albero, non ci sarebbe nessuna virtù da rubare.» Ella provò a dissuaderlo, quando ormai si trovava già a pochi passi di distanza da lei.
 
«Non credo che uno stupratore chieda dell'integrità della virtù prima di violentare le sue vittime.»
 
Gabriele scosse la testa, incapace di credere all'assurda conversazione che, era sicuro, Ella avrebbe portato avanti fino a quando lui non le avrebbe dato ragione.
 
Sfiorò la parte bassa della sua schiena, cosicché la reazione sorpresa, per quel tocco inaspettato e sicuramente indesiderato perché troppo audace, l'avrebbe fatta scattare in avanti, iniziando ad incamminarsi senza brontolare cose ridicole.
 
«Magari ha dei gusti singolari, rimarrebbe deluso.»
 
«Sei impossibile. Non dovresti scherzare su questi argomenti. È buio e pericoloso e, per quanto tu possa pensare di essere forte, devi far attenzione a non confondere il coraggio con la stupidità.»
 
A Gabriele non piaceva l'idea di rimproverarla, perché non era nessuno per poterle dire cosa dovesse o non dovesse fare, eppure la preoccupazione per quella sua sconsideratezza, anche se finta, era difficile da tenere a freno.
 
«È pericoloso anche per te visto che dopo devi tornare da solo. E in genere sono gli uomini che, sentendosi un gradino più in alto di noi donne, pensano di essere invincibili. Quel tipo di confusione perseguita più voi che noi poveri esserini indifesi.»
 
Ella aveva delle ottime argomentazioni dalla sua parte e Gabriele sapeva che il complesso edipico negli uomini era catastrofico per il loro ego, perché così che nasceva la loro onnipotenza narcisistica e sgradevole possessività.
 
«Lo so, il testosterone è una brutta faccenda, ma mi sento più tranquillo lasciandoti vicino alla porta di casa.»
 
«Non sapevo che tra le tue aspirazioni ci fosse quella di diventare corriere. È un carico prezioso quello che devi scortare?» chiese, prendendolo in giro.
 
Sapeva che Gabriele non la considerava un pacco postale, eppure quel termine "lasciare" l'aveva indotta inevitabilmente a storcere il naso. Magari, scortare sarebbe stato più appropriato.
 
«Una bertuccia piuttosto fastidiosa» rispose posando lo sguardo su di lei.
 
Con un po' di fantasia, Ella e quella scimmietta non erano immagini così distanti tra loro. Entrambe piccole e fastidiose.
 
«Devi fare molta attenzione, è un animale estremamente irritabile e aggressivo se non la tratti con molto affetto.»
 
Gabriele mantenne aperta la porta dell'ascensore, lasciando che fosse Ella ad entrare per prima.
 
Adesso si ritrovavano nuovamente in un piccolo spazio circoscritto, la differenza era la forte illuminazione che rendeva inevitabile nascondere i pensieri ben visibili sui loro volti.
 
«Penso che mi morderebbe le dita fino a staccarmele se provassi ad accarezzarla.»
 
Comprendeva il timore di Gabriele e, anche se in quel momento lo stava amplificando per fare dell'ironia, non poteva biasimarlo, visti i suoi recenti comportamenti.
 
Carezze c'erano state, ma erano state sempre incerte e a volte addirittura così delicate da essere impercettibili. Forse quando Ella avrebbe smesso di avere paura, anche lui lo avrebbe fatto.
 
«Probabilmente non hai trovato ancora il metodo giusto per renderla docile. Magari se capisce che non hai intenzione di arrenderti inizierà a mostrarti, a modo suo, il proprio affetto.»
 
Ella non sapeva esattamente cosa stesse dicendo. Le sue parole sembravano essere trascinate più dalle emozioni che dalla logica, per quel motivo Gabriele era pericoloso per lei come lei lo era per lui.
 
Accendeva il suo lato emotivo e impulsivo, che teneva costantemente sotto il controllo della ragione.
 
Lui la rendeva vulnerabile e non sentiva la necessità di pensare ad una frase venti volte prima di pronunciarla, mentre lei lo rendeva coraggioso, con la sua forza di volontà che avrebbe dato vita persino ad un sasso.
 
«Non ho intenzione di lasciarla. Fortunatamente ho molta più pazienza di quanta ne abbia questa bertuccia.»
 
Avrebbero potuto allontanarsi, litigare, non parlarsi, eppure, alla fine, avrebbero fatto la pace, perché loro erano l'uno l'equilibrio dell'altro.
 
Le erano sempre stati, anche quando non ci credevano.
 
«Hai un futuro assicurato. Il carico prezioso è arrivato sano e salvo» disse Ella, uscendo dall'ascensore.
 
«Sicura parlassi di te?» chiese, inarcando un sopracciglio.
 
«Ho abbastanza arroganza e autostima da crederlo, ma, se invece fosse un'illusione, allora lascia che mi illuda.»
 
«Non ho intenzione di distruggere la tua sicurezza.»
 
Ella pensò che tra tutti i momenti imbarazzanti, forse quello li superava di gran lunga.
 
I saluti.
 
Appoggiandosi con le spalle alla porta di casa, Ella alzò il viso per immergere i suoi occhi in quelli di Gabriele.
 
«Grazie» disse, caricando il suo sguardo di tutte le emozioni che gli aveva regalato quella sera.
 
«È stato un piacere» rispose, rivolgendole un sorriso dolce.
 
Lo spazio tra i loro corpi non era molto, ma abbastanza per non mandare il cervello di Ella in sovraccarico per il panico.
 
Forse tra qualche giorno, l'effetto che le provocava la sua vicinanza e il profumo di muschio del suo bagnoschiuma non l'avrebbero più scombussolata.
 
«Dico sul serio, apprezzo davvero il tuo gesto. Non mi piace camminare da sola di notte e non mi piace nemmeno l'idea che lo faccia tu, quindi, se non sono troppo invadente e non ti infastidisce, mandami un messaggio quando arrivi a casa.»
 
Non voleva dare l'impressione di essere una sanguisuga o una ragazza asfissiante, però come lui poteva essere preoccupato per lei, anche lei poteva provare questo genere di sentimento.
 
Il sorriso di Gabriele si allargò e per Ella fu inevitabile ricambiare quell'espressione che trasudava una genuina felicità, nemmeno avesse vinto alla lotteria.
 
I piccoli gesti erano i più significativi ed entrambi attribuivano loro un valore immenso e tutta quella gioia incontenibile ne era la prova.
 
«Non disturberesti nemmeno se mi chiamassi alle tre di notte.»
 
Per Ella era difficile gestire quelle sottili dichiarazioni e l'unico modo che le consentiva di scacciare l'imbarazzo era il sarcasmo.
 
«Beh io si, quindi non provarci se ci tieni alla tua vita.»
 
Gabriele non riuscì a trattenere una risata, perché era evidente che non fosse più abituata a ricevere determinate attenzioni.
 
«Allora, a giovedì?» chiese, facendo un passo in avanti.
 
«A giovedì.» Ella non distolse lo sguardo dal suo quando rispose.
 
Quella era una piccola promessa e lui sapeva quanto valore avesse per lei e quanto di conseguenza ne acquistasse per lui.
 
Ella osservò Gabriele chinare il viso verso di lei. Mentre lui si avvicinava con infinita lentezza per darle la possibilità di spostarsi, lei rimaneva perfettamente immobile.
 
Il suo cervello annebbiato era incapace di comprendere quali fossero le sue intenzioni.
 
Fu solo quando le labbra calde e morbide sfiorarono la sua fronte, che riprese a respirare.
 
L'espirazione fu così rumorosa che Ella percepì, sulla sua pelle, le labbra di Gabriele incurvarsi in un sorriso, contagiando anche lei senza che lui potesse vederla.
 
Entrambi riempirono i propri polmoni con il profumo dell'altro, prima che quel tocco delicato svanisse.
 
Le stava augurando la buonanotte
 
«Fai bei sogni, piccola strega.»
 
Ella lo guardò allontanarsi sempre di più, fino a quando non scomparve dalla sua vista. Solo allora si risveglio dallo stato ipnotico in cui era precipitata, vedendosi costretta liberarsi del profumo di Gabriele che ancora aleggiava nell'aria.
 
Un passo alla volta, un respiro alla volta, una battaglia alla volta.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Ella stava leggendo la definizione di Modelli Operativi Interni per la quinta volta, continuando inevitabilmente a distrarsi a metà frase.
 
Il brusio di sottofondo, provocato da due ragazzi maleducati seduti nella fila di banchi davanti a lei, era paragonabile al rumore di un martello pneumatico.
 
Quel martedì mattina, lei e Sofia avevano deciso di recarsi all’università, nella speranza che l’ambiente potesse influire sulla loro mancanza di concentrazione, stimolandole a essere più produttive.
 
Ovviamente erano state così fortunate da ritrovarsi nella stessa aula studio con chi considerava l’università alla stregua di un bar il venerdì sera.
 
La mancanza di rispetto che stavano mostrando aveva acceso un fuoco nello stomaco di Ella, che stava iniziando ad espandersi, alimentato dalle tutte le parole che erano capaci di pronunciare in un secondo.
 
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, a quel punto i solo corpi si sarebbero già trovati in due sacchi per cadaveri pronti per essere spediti all’obitorio.
 
Ella si voltò verso destra, osservando Sofia borbottare qualcosa sottovoce e dalla sua espressione infastidita dedusse potesse trattarsi di qualche imprecazione.
 
«Ci penso io, tranquilla» sussurrò Ella.
 
Da questo punto di vista, Sofia era troppo timida per anche solo pensare di chiedere loro di abbassare la voce, sarebbe stata capace di subire in silenzio fino a quando non se ne fossero andati oppure avrebbe persino cambiato aula pur di non aprire bocca.
 
Ella non avrebbe accettato nulla di tutto ció, anche a costo di prenderli a calci personalmente per sbatterli fuori.
 
«Cerca solo di non essere aggressiva» si raccomandò Sofia, rivolgendole un’occhiata supplichevole.
 
Sofia sapeva che Ella non aveva il minimo riguardo per gli altri quando sapeva di trovarsi dalla parte della ragione, ma era abbastanza sicura che, anche senza la sua richiesta, avrebbe prima tentato un approccio garbato. Tuttavia era sempre meglio prevenire che curare.
 
«Tranquilla, userò il mio charme» rispose, provando a farle un occhiolino, ma fallendo miseramente.
 
Ecco uno dei motivi per cui faceva schifo a giocare ad Assassino. Era sempre lei a beccare l’asso di spade e puntualmente gli anni di galera si accumulavano, arrivando a superare due volte gli anni che avrebbe potuto vivere.
 
«Ragazzi, scusate se vi interrompo» disse, toccando la spalla del ragazzo moro seduto di fronte a lei, per richiamare l’attenzione. «Potreste gentilmente fare silenzio? Purtroppo io e la mia amica non riusciamo a concentrarci nello studio.»
 
La richiesta di Ella attirò l’interesse anche dell’amico e, adesso, entrambi avevano i loro occhi scuri puntati su di lei.
 
Nonostante si sentisse in soggezione, osservata da persone che non conosceva e a cui avrebbe evitato volentieri di rivolgere la parola, strinse i denti, provando a ignorare il disagio provocato da quegli sguardi sconosciuti e invadenti.
 
«Si, certo» rispose il ragazzo a cui aveva picchiettato la spalla con le dita.
 
Anche se aveva parlato a bassa voce, quel breve scambio di battute aveva suscitato la curiosità degli altri studenti, disseminati nei posti loro circostanti, che la stavano guardando con riconoscenza per essere intervenuta.
 
Non capiva quale fosse il loro problema, erano quelle amebe a doversi sentire in difficoltà, di certo non chi si trovava all’università per studiare.
 
La mente degli esseri umani era troppo vasta e oscura per poter capire certe dinamiche, ma, dal momento che le sfide impossibili erano la sua passione, studiare psicologia le era sembrato il modo migliore per complicarsi ulteriormente la vita.
 
Per i successivi cinque minuti nell’aula regnò un silenzio di tomba e, se si prestava attenzione, si poteva solo udire il rumore provocato dagli evidenziatori che strisciavano sulla carta.
 
Ella riuscì persino a terminare il paragrafo che stava provando a leggere da cinque minuti, senza successo, ma il momento idilliaco non durò a lungo.
 
Il sibilo insistente dei due invertebrati cafoni davanti a lei si diffuse nuovamente nell’aria.
 
Fece un profondo respiro, ripetendosi di rimanere calma e che la rabbia non avrebbe risolto nulla.
 
«Ragazzi, per favore, questa è un’aula studio, per parlare ci sta il cortile» Ella sperava che illuminarli sulle differenze funzionali tra l’interno e l’esterno della struttura li avrebbe invogliati a continuare quella loro lunga e interessante conversazione in un altro luogo.
 
«Se ti diamo fastidio, perché non cambi posto?» Quella domanda, posta con voce astiosa e atteggiamento altisonante, fece scattare in modalità on l’interruttore che Ella aveva cercato in tutti i modi di non premere.
 
«Ella…»
 
Il suo nervosismo era diventato incontenibile e nemmeno le suppliche di Sofia avrebbero salvato quei buzzurri dalla sua ira e dalla figuraccia che avrebbe perseguitato i loro ricordi per almeno il prossimo mese.
 
«Ascoltatemi bene. Se dovete stare qui a contarvi a vicenda i vostri peli pubici, vi consiglio di andare nei bagni, è molto più pratico e igienico. Ora se continuerete a infastidire me o chiunque altro in questa stanza, vi assicuro che vi farò sbattere fuori a calci dalla vigilanza. Grazie per la vostra attenzione.»
 
Ella sorrideva soddisfatta di fronte al loro sguardo sorpreso e sgranato. Avendo le capacità logico deduttive di un pesce rosso, non si aspettavano che una ragazza potesse ridurre il loro ego alla dimensione di una sottiletta.
 
Sbuffando infastidita di fronte a tanta inettitudine, si voltò verso Sofia che stava provando a nascondere le risate dietro la mano destra.
 
«Che c’è? Io ci ho provato a essere gentile» disse Ella, scrollando le spalle con finta ingenuità.
 
«Si, ho notato» rispose Sofia, scuotendo la testa divertita.
 
«Visto che la mancanza di ossigeno rischia di bruciare i miei neuroni, esco fuori a prendere un po’ d’aria. Tu vieni?» chiese Ella, alzandosi.
 
«Se riesco a finire di sottolineare il paragrafo prima che torni, ti raggiungo.»
 
«Avvisami se dovessero riprendere la loro chiacchierata»
 
Aspettò che Sofia annuisse, prima di incamminarsi in direzione della porta di emergenza che affacciava direttamente sul cortile.
 
Percorse un paio di metri, camminando in direzione di una panchina vuota.
 
Si sedette, guardandosi attorno.
 
Il sole rendeva piacevole stare all’aria aperta, nonostante l’aria fresca.
 
Questo era il periodo dell’anno che preferiva, quando caldo e freddo si mescolavano creando la temperatura perfetta.
 
Mentre osservava distrattamente gli studenti sfilare davanti a lei per poi sparire dietro l’angolo, sfilò il cellulare dalla tasca, trovando un messaggio che le fece pentire amaramente di non aver ancora cambiato numero di telefono o di non aver ancora lanciato quell’oggetto contro un muro.
 
“Ciao Ella, ho saputo che non sei stata bene. Se è stato per colpa mia mi dispiace, non era mia intenzione. Lo sai, tengo troppo a te per saperti soffrire.”
 
Trovare una notifica con su scritto “Matteo” a grandi e chiare lettere era come andare a sbattere con la testa sullo spigolo dell’anta di un mobile aperto.
 
Un dolore acuto che con il trascorrere dei minuti si dissolve lentamente, lasciandoti in dote un fantastico mal di testa che, con molta probabilità, si trascinerà per tutto il giorno.
 
“È stato decisamente a causa tua.”
 
Dopo quella disastrosa serata non aveva più ricevuto né chiamate né messaggi. Era stata troppo impegnata a raccattare i suoi pezzi e a risolvere la questione in sospeso con Gabriele per porsi domande le cui risposte non sarebbero state di suo interesse.
 
Personalmente non aveva mai contemplato la possibilità che due persone potessero trasformarsi in amici dopo una rottura, ma di certo avrebbero potuto rimanere in buoni rapporti.
 
Auguri ai compleanni e alle ricorrenze, ogni tanto un messaggio per sapere come andava la vita, nulla di esagerato.
 
Purtroppo si era vista costretta a depennare questa idea dal primo momento in cui gliela aveva proposta e non perché lui gliel’avesse bocciata apertamente, ma semplicemente perché il suo microscopico cervello non contemplava l’idea che Ella lo avesse lasciato.
 
Una reazione patetica e disturbante che si ritrovava a ricordare più spesso di quanto avrebbe voluto, cioè mai.
 
“Questa volta devi credermi, non ti ho scritto con l’intenzione di rivangare il passato. Ero davvero preoccupato per te, non ti ho contattata prima solo perché volevo aspettare che potessi riprenderti.”
 
Quante volte si era ritrovata a leggere che non voleva discutere o rinfacciarle tutte le sue miserie, ma alla fine le loro conversazioni si riducevano sempre a lui che le addossava la colpa della sua infelicità, dei suoi fallimenti e di tutti i mali del mondo, riempendola di complimenti.
 
Era cattiva, manipolatrice, sadica perché godeva nel vederlo soffrire, senza cuore, una stronza, una bugiarda, una traditrice, una puttana.
 
Per lui, Ella era sempre stata tante cose e ognuna di esse aveva scavato una voragine dentro di lei.
 
Aveva provato a tappare quei buchi con tutto ciò che le persone che l’avevano supportata in quei mesi le avevano offerto: amore, protezione, stabilità, dolcezza, comprensione.
 
Non era bastato, non sarebbe bastato mai.
 
Alcuni vuoti erano destinati a rimanere tali e alcune frasi ad essere incise sulla pelle, come un marchio fatto con il fuoco.
 
“Che gentile.”
 
Ella rilesse il messaggio che aveva dato il via a quella penosa conversazione, notando qualcosa di strano, qualcosa che le fece storcere il naso e capire il motivo di tanto interesse per la sua salute.
 
“Tu come diamine fai a sapere che non sono stata bene?”
 
Dopo un paio di minuti in cui non ricevette risposta, lanciò uno sguardo allo schermo del cellulare e notò che, in effetti, il messaggio era stato letto.
 
Proprio in quel momento, apparve il nome di quel lurido bastardo.
 
La stava chiamando e, per quanto una parte di lei la intimava di non rispondere, quell’altra, molto curiosa, la spinse a premere il tasto verde per accettarla.
 
«Grazie per non avermi ignorato.»
 
«Solo perché così me la sbrigo velocemente. Ti ascolto.»
 
Ella non si disturbo nemmeno a salutarlo. Non gli doveva più niente, soprattutto il suo rispetto.
 
«Credevo che Sofia te lo avesse detto.» Il tono di finto stupore nella sua voce, ebbe su di lei lo stesso effetto della benzina lanciata sul fuoco.
 
«Detto cosa? Mi stai facendo innervosire.»
 
«Giovedì sera, mi ha chiamato.»
 
Le fu subito chiaro il motivo per cui si fosse ritirato in un religioso silenzio per quasi una settimana, tuttavia avrebbe preferito non saperlo, perché adesso si sarebbe dovuta cimentare in una spinosa discussione con Sofia, ed era troppo stanca per portare avanti litigi.
 
Era sfibrante.
 
«Ci mancava solo questa. Che ti ha detto?»
 
«Non credo di riuscire a ricordare tutti gli insulti e le minacce, ma il succo è che se ti avessi contattata di nuovo avrebbe trovato il modo per farmi molto male.»
 
Se Matteo aveva dimenticato le simpatiche parole di Sofia, allora Ella era la reincarnazione di Madre Teresa di Calcutta.
 
Tra tutti i mondi conosciuti e anche in quelli sconosciuti, non esisteva persona più rancorosa e permalosa di lui. Atteggiamento utile e maturo quando sfrutti uno stupido pretesto per rinfacciare al povero malcapitato di aver causato tutte e dieci le piaghe d’Egitto.
 
«Perché pensavi mi avrebbe raccontato della vostra amabile conversazione?»
 
«Il vostro rapporto è unico, date l’impressione di essere molto più che migliori amiche. Te l’ho sempre detto.»
 
Quell’affermazione poteva entrare tra le prime dieci frasi che avrebbero innescato in Ella istinti omicidi nei suoi confronti.
 
«Come dimenticare tutti quei litigi in nome della nostra strana amicizia. Adesso che ti ho lasciato è diventata unica?»
 
Un brivido di disgusto percorse la sua schiena, al pensiero di ciò che quelle discussioni avevano rischiato di provocare.
 
«Pensi che non ricordi? Credi che non mi penta ogni giorno per tutta quella gelosia?»
 
Quello non era il termine che Ella avrebbe usato, decisamente possessività sarebbe stato più appropriato per descrivere i suoi deliri ingiustificati.
 
«Sinceramente non mi interessa. Comunque, grazie per avermelo detto, non accadrà più una cosa del genere. Mi dispiace.»
 
In quel momento, tutto ciò che desiderava era picchiare Sofia con una pala per averla costretta a scusarsi con l’essere umano che meno avrebbe meritato le sue scuse.
 
Gliel’avrebbe fatta pagare. Doveva solo trovare un modo molto creativo per attuare la sua vendetta.
 
«Non ti preoccupare, non è stata colpa tua. Si è sempre comportata da mamma chioccia con te.»
 
«Questo non la giustifica. Non so quali insulti ti abbia rivolto, ma non avrebbe dovuto permettersi qualunque fossero le ragioni. Solo io posso farlo.»
 
Non sapeva quanto Sofia avesse riflettuto prima di prendere quella decisione sconsiderata, ma sicuramente il criceto che aveva nel cervello, in quel momento, era andato a farsi un sonnellino, altrimenti quel suo comportamento non aveva spiegazione.
 
Era andata bene ad entrambe che Matteo si fosse limitato a contattarla per spiegarle la situazione e non gli fosse scoppiata un’altra vena del cervello, che l’avrebbe spinto a farle rivivere l’inferno degli ultimi mesi.
 
Già nelle ultime settimane la stabilità che credeva di aver raggiunto aveva vacillato pericolosamente, se fosse precipitata ci sarebbe scappato un cadavere.
 
Quello di Sofia.
 
«Se avessi saputo, non ti avrei mai chiesto nulla.»
 
Le classiche frasi che usava per pararsi il culo prima che qualcuno ci infilasse dentro del pepe.
 
Aveva iniziato a giustificarsi fin dal primo messaggio che le aveva inviato, sottolineando che non le avesse scritto con l’intento di litigare, mettendo le mani avanti ancora prima di cadere.
 
Era palese che avesse qualcosa da nascondere e quel qualcosa erano le sue intenzioni spregevoli.
 
Voleva che litigasse con Sofia.
 
Metà delle loro discussioni si basavano sulla gelosia che provava nei confronti suoi confronti e l’altra metà era la gelosia rivolta al resto del mondo, compresa sua sorella e i suoi genitori.
 
Quando lo aveva lasciato, Matteo aveva iniziato ad accusare il mondo intero per averle fatto il lavaggio del cervello, tanto da credere che, se avesse smesso di essere amica di Sofia, sarebbe ritornato da lui.
 
Ecco che ci riprovava.
 
Non poteva affrontare per l’ennesima volta una conversazione di quel tipo.
 
Si rifiutava di accettarlo.
 
«Credo, invece, che in fondo una parte di te lo avesse sperato e immaginato, mentre digitava sulla tastiera del cellulare.»
 
Ella aveva vissuto sulla propria pelle il suo modo di ragionare. Aveva subito così tanto che sarebbe riuscita a prevedere i suoi pensieri malati, prima ancora che la sua mente bacata li partorisse.
 
«Che stai insinuando?»
 
«Tu sei per me un mistero come può esserlo un cesso otturato per un idraulico.»
 
Non poteva ripescare dalla sua enciclopedia di citazioni cinematografiche frase più azzeccata di quella.
 
«Non essere così volgare.»
 
Ella gli avrebbe rifilato volentieri una cinquina per quel tono arrogante da frate cappuccino.
 
«Solo capitan America potrebbe dirmi di moderare il linguaggio e comunque ho rubato una frase di Al pacino. Si esprime in modo molto più efficace e diretto di quanto potrei mai fare io.»
 
«Avrei capito, anche se me lo avessi detto in altri termini.»
 
«Nel dubbio ho preferito essere il più concisa possibile» ribatté con convinzione.
 
Ci aveva provato a stare zitta, ma di fronte a determinati comportamenti proprio non riusciva a chiudere gli occhi e ignorarli. Sicuramente sarebbe stato fiato sprecato come tutte le volte in cui aveva provato a spiegargli i motivi della sua decisione, ma almeno avrebbe sciolto il nodo che le stava stritolando lo stomaco. «Tu pensi che io non riesca a riconoscere le tue macchinazioni meschine dietro il tuo interessamento? Sai che se c’è una cosa che odio è essere presa per il culo e tu, in un anno, non sei mai riuscito a farti entrare questo concetto in quel tuo dannato cervello.»
 
«Perché devi sempre trovare un modo per litigare? Te l’ho detto all’inizio che ti ho scritto solo per tranquillizzarmi.»
 
«Ho provato a fingere di non vedere, ma se tu insisti con le giustificazioni e le scuse poi diventa impossibile negare l’evidenza, quindi non farmi passare per la solita cattiva della situazione. Se il tuo interesse fosse stato sincero, mi avresti chiesto solo se stavo bene, senza quella premessa che sapevi avrebbe suscitato la mia curiosità. Vuoi dirmi che Sofia ti ha chiamato a mia insaputa? Bene. Fallo, ma si diretto perché non tollero che mi si tratti come una stupida.»
 
Il tono della sua voce era leggermente alterato, ma non abbastanza da attirare l’attenzione di chi le passava accanto.
 
Era furbo, molto. I suoi giochi subdoli l’avevano tenuta sotto scacco per troppo tempo, ma adesso non funzionavano più.
 
Voleva incrinare il suo rapporto con Sofia, senza che nessuno potesse poi accusarlo di aver messo zizzania tra di loro.
 
Subdolo. Manipolatore. Meschino.
 
Il vocabolario italiano non conteneva abbastanza aggettivi per descrivere quella lurida sanguisuga.
 
«Ma per chi mi hai preso?» chiese arrabbiato, ferito nell’orgoglio.
 
Il suo ego era un buco nero che avrebbe risucchiato chiunque fosse entrato in contatto con lui per più di due minuti.
 
«Oh, io penso che tu abbia superato di gran lunga questi semplici sotterfugi, ma li ripeschi ogni tanto per tenerti allenato, altrimenti perdi il tuo tocco nel fare il lavaggio del cervello.»
 
«Se avessi voluto farti litigare con Sofia, avrei potuto scriverti prima.»
 
Ella aveva immaginato una risposta del genere, classica giustificazione di chi sta mentendo. Era come volersi nascondere dietro un filo d’erba.
 
Ridicolo.
 
«Tieni a me tanto da non infliggermi un dolore subito dopo un altro, ma non abbastanza per decidere di risparmiarmelo. Ecco perché hai aspettato. Apri gli occhi una buona volta e renditi conto che amare una persona non significa tutto questo.»
 
Ella gli aveva ripetuto queste parole, rivolto questi discorsi così tante volte che ormai li aveva imparati a memoria.
 
Sarebbe stato più produttivo chiedere ad un gatto di sedersi, invece che sperare che Matteo riflettesse su quei concetti e si comportasse come una persona matura e non come un malato di mente.
 
«E cosa significa?»
 
«Immortalità e l’ho capito perché con te non ho mai provato questa sensazione, ma non è colpa di nessuno.»
 
«Quante volte ti ho ripetuto che avrei potuto cambiare e migliorare per te.»
 
Altra frase che rientrava nella lista di dieci che rendevano Ella una belva inferocita.
 
«Ma io non voglio, perché, anche se lo facessi, saresti sempre diverso dalla persona che ritengo giusta per me. Non ci sarebbe spontaneità, penseresti quello che penso io e ti faresti piacere ciò che piace a me non perché è un tuo desiderio o perché fa parte di te, ma solo per compiacermi. Matteo tra me e te si era rotto qualcosa già prima che me ne accorgessi e ho illuso me stessa credendo che, con il tempo, le cose si sarebbero aggiustate, ma non è stato così. L’amore era svanito.»
 
Per Ella valeva il detto: “chi nasceva tondo non poteva morire quadrato”, al massimo poteva diventare un’ellisse.
 
Due persone per stare bene insieme non dovevano essere simili in tutto, altrimenti la noia avrebbe ammazzato la relazione, ma nemmeno estremamente diverse, altrimenti cosa avrebbero potuto mai fare insieme.
 
Differenti e simili quanto bastava per stimolarsi a vicenda. Un rapporto prevedeva compromessi e gli spigoli di una persona potevano essere smussati, ma non trasformati radicalmente. Se si voleva cambiare di molto qualcuno, semplicemente non era mai stato quello giusto.
 
«Lo so, Ella, ma mi manchi. È più forte di me, tu sei più forte di me e di ogni mia volontà di dimenticarti.»
 
A chi non lo avesse conosciuto, quelle parole avrebbero potuto far sospirare, riempire il cuore di amore e gli occhi di gioia, ma tutto ciò che Ella provò fu una sensazione di sporco, che le provocò un intenso desiderio di lavarsi per ripulirsi da quelle parole false e schifose.
 
«Matteo mi dispiace, ma nel bene o nel male dovrai fartene una ragione.»
 
Specialmente all’inizio, Ella era sempre dispiaciuto essere così dura con lui, perché lo aveva amato realmente e non si era mai pentita delle sue scelte, nonostante le conseguenze a cui avevano portato.
 
Dopo tutto ciò che era accaduto, il bene che aveva continuato a provare per lui dopo la rottura era svanito e adesso non pensava più ad un modo carino per indorargli la pillola, anzi, preferiva ficcargliela in gola per fargliela ingoiare senza l’ausilio dell’acqua, magari ci si sarebbe strozzato prima o poi.
 
«Non hai mai avuto nessun ripensamento?» la sua voce era incerta, perché in cuor suo conosceva la risposta.
 
«Perché ti ostini a farti del male?»
 
«Rispondimi, per favore.»
 
Ella non poteva mentire, perché farlo avrebbe significato dargli speranza e non avrebbe commesso due volte lo stesso errore.
 
«No. Abbi un po’ di amore per te stesso e vai avanti come sto cercando di fare io.»
 
«Come?»
 
Ella era giunta alla conclusione che Matteo soffrisse di un disturbo dipendente di personalità. Non riusciva a vivere senza una persona al suo fianco e, quando qualcuno di importante entrava nella sua vita, si legava a essa in maniera morbosa.
 
«Non lo so. Vai in palestra, fai un viaggio, incontra nuove persone, stringi amicizie.»
 
«Tu stai facendo tutto questo? Hai incontrato nuove persone?»
 
Nella mente di Ella iniziò a lampeggiare un allarme rosso, per la piega che stava per prendere la conversazione.
 
«Si.»
 
«E ti piacciono?»
 
«Abbastanza da voler approfondire la loro conoscenza.»
 
«Quindi… si, insomma, tu stai anche cercando qualcuno che prenda il mio posto?»
 
Eccolo.
 
Ella lo stava aspettando alla fine della corsa, mentre lei aveva già fatto venti giri di pista.
 
«Matteo, non siete doppioni di figurine che posso sostituire a mio piacimento, se una si rovina. Non sto cercando nessuno che prenda il tuo posto, perché l’amore non è una caccia al tesoro. Non è qualcosa che si può ottenere solo se la si desidera. Se arriva non posso farci nulla, ma levati dalla testa queste stronzate.»
 
«È arrivato?»
 
Non avrebbe risposto alla sua domanda.
 
Doveva rimanere fuori dalla sua vita. Il più lontano possibile dalle persone che la popolavano, rendendola piacevole e più accettabile.
 
Sarebbe rimasto al di là dei confini che aveva tracciato anche a costo di sentirsi dire le cattiverie più infamanti.
 
«Mi dai sempre più conferma che tu non sei innamorato di me ma solo dell’idea che rappresento. Se da solo non riesci a stare bene, trovati un’altra ragazza. Che ne so, vai su un sito di incontri.»
 
«Tu non sei sostituibile.»
 
Se glielo avesse detto qualche settimana prima, gli avrebbe risposto che tutti potevano essere rimpiazzati, ma dopo quanto accaduto con Gabriele, si era resa conto che il vuoto lasciato da una persona non potrebbe mai essere riempito dalla presenza di un’altra.
 
«Nessuno lo è. Devi solo trovare la persona quella che non ti faccia pesare le mancanze che fanno parte del tuo passato.»
 
La porta da cui Ella era uscita si aprì, rivelando la figura di Sofia che si incamminava nella sua direzione.
 
«Matteo, adesso devo andare. Ho una questione da risolvere. Ripensa a ciò che ti ho detto. Concentrati sulla tua vita e lasciami andare» disse bruscamente, chiudendo la comunicazione senza aspettare che ricambiasse il saluto.
 
Se lo avesse fatto, probabilmente sarebbero stati altri quindici minuti al telefono per dirgli che doveva mollare l’osso perché, ormai, tutta la carne che lo avvolgeva l’aveva già scorticata e non era rimasto più nulla da divorare.
 
Sofia vide da lontano Ella posare il cellulare nella tasca destra del cappotto. Quando fu a pochi passi da lei, osservò con attenzione la sua espressione contrita, ma ciò che la stupì fu il suo sguardo, nel quale non c’era la minima traccia di rabbia, ma solo una profonda tristezza.
 
Sofia si rese conto che avrebbe preferito di gran lunga la sua ira più crudele, invece di quel dolore che traspariva da ogni curva del suo viso pallido e delicato.
 
«Ti ha detto tutto» disse in un sospiro, mentre si sedeva nel posto libero accanto a lei.
 
Ella sapeva di essere un libro aperto per chi la conosceva e, d’altronde, non aveva motivo di nascondere le proprie emozioni in quel momento e voleva che le comprendesse più di quanto avesse compreso le conseguenze delle sue azioni discutibili.
 
«Davvero hai pensato, anche solo per un attimo, che non lo avrebbe fatto? Diamine Sofia, ti ricordi di chi stiamo parlando? Perché non me lo hai detto?» La voce di Ella era più pacata di quanto Sofia si aspettasse.
 
Quando Ella non alzava il tono di voce, significava che non era arrabbiata e se c’era un’emozione che la spingeva a comportarsi in quel modo apparentemente pacato, quella era la delusione.
 
Solo prendendo consapevolezza di quella sua reazione, Sofia si rese conto di quanto avesse sbagliato.
 
«Ella, io volevo solo…»
 
«Proteggermi, lo so» la interruppe, non riuscendo a tacere. «Capisco il motivo, ma non ne avevi il diritto. Agendo alle mie spalle non mi aiutate, perché sono io a pagare le conseguenze dei vostri atti di altruismo, sono io che devo ascoltare le sue stronzate per telefono, sono io che mi devo scusare per sbagli che non ho commesso e sopportare che mi venga rinfacciato il passato.»
 
La verità di quelle parole si scontrò con le motivazioni che avevano spinto Sofia a impugnare il telefono dell’amica, facendole vacillare.
 
«Cosa ti ha detto?»
 
«Non è importante. Il punto è che dovete smetterla di prendere decisioni che riguardano la mia vita senza nemmeno scomodarvi a consultarmi. Sono adulta e conosco i miei limiti.»
 
«Si, l’ho proprio notato giovedì quando ti ho raccattato da terra mentre ti contorcevi dal dolore. Tu non chiederesti aiuto nemmeno se ti trovassi spiaccicata sotto la ruota di un camion.»
 
Sarebbe stato ridicolo se Ella avesse provato a smentire tale affermazione, perché era pienamente consapevole del blocco che la spingeva a rifiutare chiunque provasse ad avvicinarla.
 
«Sarei morta anche prima di poterci pensare.»
 
Anche nei discorsi più seri, non riusciva a evitare di sparare stronzate, solo per il gusto di rendere la conversazione più interessante.
 
«Ella, sono seria» la riprese Sofia
 
«Anche io. So che lo hai fatto con tutte le buone intenzioni di questo mondo, ma non posso non dirti nulla. Le persone di cui mi fido si contano sulle dita di una mano, non riesco ad accettare l’idea che anche tu possa essere capace di tradirmi.»
 
Sapeva che lo aveva fatto in buona fede, che non glielo aveva detto solo perché non voleva fornirle altri spunti su cui fondare nuove paranoie, ma ancora non poteva giustificarla.
 
«Non pensavo potessi sentirti così.»
 
«E a cosa hai pensato? Ammetti che una parte di te ha inviato la chiamata perché volevi toglierti tutti i sassolini dalla scarpa.»
 
«Ti assicuro che assomigliavano più a degli scogli. Non riuscivo più a vederti ridotta in quello stato, sempre per colpa sua. Ti ho guardata morire lentamente per mesi, senza poter fare nulla che non fosse dire qualche stupida battuta per vedere un tuo sorriso spuntare di tanto in tanto. La ragazza forte che ho conosciuto si era talmente logorata da diventare uno spettro, quindi avevo parecchie cose da dirgli. Me ne pento? Assolutamente no. Mi pento di averlo fatto alle tue spalle? Assolutamente sì.»
 
Ella era fin troppo consapevole del fatto che Sofia fosse stata spinta dalla disperazione. Il suo dolore si ripercuoteva su chi la circondava, portandoli a compiere gesti stupidi e avventati, per tale motivo non li voleva coinvolgere e faceva il possibile per tenerli a distanza, ma era impossibile.
 
L’unico modo per riuscirci sarebbe stato rinchiudersi nella sua stanza, blindare le finestre e distruggere la chiave, ma così facendo sarebbe morta.
 
Decisamente una bella situazione.
 
«Spiegami perché ogni volta che penso che le cose stiano finalmente andando per il verso giusto mi ritrovo di nuovo al punto di partenza. Spiegamelo, perché davvero io non lo capisco.» Ella sospirò, rivolgendo quelle parole più a sé stessa che a Sofia. Passò una mano tra i capelli per tirare indietro le ciocche che le erano ricadute davanti agli occhi, ostacolando la visuale.
 
«Non immagini quanto mi dispiaccia. Non volevo ferirti, scusami.»
 
Ella era delusa più da sé stessa che da Sofia. In realtà non era arrabbiata con lei, perché sentiva che presto o tardi una situazione del genere si sarebbe verificata.
 
Ce l’aveva con sé stessa, perché in quei mesi non era riuscita a risolvere nulla.
 
Era la legge di Murphy: “se qualcosa può andar male, lo farà”.
 
In pratica era la regola che governava la sua intera esistenza.
 
«Quante volte ti ho risposto che non volevo lo chiamassi per dirmi di starmi lontano? Quante Sofia? Più persone entrano in questa storia, più persone si faranno del male e io non ho intenzione di guardare mentre se la prende anche con voi.»
 
«Sai che così non uscirai mai da questa situazione. Dici di fidarti di me, allora lascia che ti aiuti, lascia che le persone che ti amano ti proteggano. Non farci sentire impotenti.»
 
Da quando erano iniziati i problemi con Matteo, sapeva che avrebbe dovuto mettere in pratica le parole che Sofia non faceva altro che ripeterle e forse era giunto il momento di accantonare le paure, iniziandosi ad aprire con chi stava provando disperatamente a riconquistare la sua fiducia.
 
D’altronde come avrebbe avuto la certezza di potersi fidare, se non dava a nessuno una valida occasione per dimostraglielo.
 
Gabriele avrebbe potuto essere il suo punto di svolta, sia nel bene che nel male.
 
«Così mi aiutereste?»
 
«Se non fossi così testarda non saremmo mai arrivati a questo punto.»
 
«Forse sì o forse se avessi preso provvedimenti più seri, avrei potuto scatenare in lui una reazione peggiore. Sofia, in queste situazioni non c’è un modo migliore o peggiore di agire, devi solo scegliere se vuoi morire per mano di una pistola o un coltello, ma la fine sarà la stessa.»
 
«Non ti azzardare a dire certe cose» Sofia la rimproverò, guardandola con occhi spaventati.
 
Non poteva negare di aver temuto più volte di fare una brutta fine e Sofia ne era a conoscenza, ma adesso quell’ipotesi si era allontanata dai suoi pensieri, anche se nei giorni bui capitava ritornasse a farle visita.
 
Ella capiva il motivo di quella reazione, così allungò una mano, posandola sulla sua coscia per tranquillizzarla.
 
«Era una metafora, conto di vivere ancora a lungo» rispose rivolgendole un sorriso.
 
Beh, non dire più queste cose in mia presenza.»
 
I loro sguardi si incrociarono, per cercare conforto nelle emozioni l’una nell’altra.
 
«Sono stanca di essere sempre delusa e arrabbiata, ma è la cosa che mi riesce meglio.» Ella poggiò la testa sulla spalla di Sofia, piegandola di lato.
 
«Stai facendo il suo gioco» rispose e, allungando il braccio sulle spalle di Ella, posò la mano tra i ricci morbidi.
 
«Lo so, ma sei stata tu a dare inizio a questa nuova partita nel momento in cui hai fatto partire la chiamata.»
 
Era dura da accettare, ma era la verità e negarla non avrebbe risolto il problema.
 
«Quindi? Per quanto tempo hai intenzione di ignorami?»
 
Ella si sottrasse dalle carezze rassicuranti dell’amica, alzandosi in piedi.
 
«Dammi un paio d’ore per metabolizzare la questione e vedrai che stasera riprenderò a darti fastidio come sempre.»
 
Sofia sapeva che Ella aveva solo bisogno di un po’ di tempo per stare sola e perdonarsi per ciò che era accaduto e per ciò che era convinta sarebbe successo.
 
«Quando sei pronta, sai dove trovarmi.»
 
Sulla scia di quelle parole, Ella voltò le spalle a Sofia per ritornare in aula e recuperare la borsa e i libri.
 
Si rese contò che vivere era come giocare a poker.
 
Alla prima mano era stata bluffata da Matteo, aveva puntato troppo e aveva perso.
 
Adesso aveva un’altra mano da giocare ed era decisa a rischiare di nuovo perché, se il passato le aveva insegnato qualcosa, era che dal male poteva nascere sempre qualcosa di buono, il trucco stava nel guardare il quadro generale dalla giusta prospettiva.
 
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Dopo la pesante discussione intrattenuta con Matteo due giorni prima, non si era fatto più sentire.
 
Quel silenzio stampa era decisamente un bene, perché le avrebbe permesso di recuperare il controllo e preparare le difese in vista di un nuovo possibile attacco.
 
Preferiva non permettere alla speranza di annebbiarle il cervello.
 
Abbassare la guardia avrebbe significato lasciargli libero accesso alle proprie debolezze e non era disposta a permettere alla delusione di scottarla come era già accaduto in passato.
 
La mattinata non era comunque iniziata nel migliore dei modi perché, nonostante avesse dormito fino alle dieci e mezza, si era svegliata con un mal di testa lancinante e il torcicollo.
 
Se non aveva la voglia di alzarsi dal letto per andare in bagno, la sola idea di dover mettere il naso fuori casa le faceva accapponare la pelle, motivo per cui aveva inviato un messaggio a Gabriele, chiedendogli per pietà di trascorrere la serata spiaccicati sul divano.
 
Lo conosceva abbastanza bene da sapere che non avrebbe mostrato rimostranze, perché ad una pizza e un film non si poteva mai dire no, tuttavia, tanta era la disperazione, da spingerla a comporre un testo che trasudasse compassione e disagio.
 
Poco prima che Gabriele arrivasse, si era costretta ad infilarsi un jeans e una maglietta nera di cotone aderente, perché, anche se rimanevano chiusi in quelle quattro mura, non le piaceva l'idea di trascorrere tutta la serata nascosta in una tuta extra large.
 
La comodità prima di ogni cosa, quindi non si scervellò per indossare niente di elaborato.
 
«Abbi il coraggio di ammettere che hai temuto che da un momento all'altro potessero spuntare Sofia o Lorenzo.»
 
Subito dopo essere entrato in soggiorno, Gabriele aveva iniziato a guardare furtivamente in direzione della porta chiusa che conduceva alle altre stanze della casa.
 
Ella lo aveva colto in flagrante e da allora, tra un boccone di pizza e l'altro, aveva iniziato a tartassarlo affinché confessasse.
 
Non era veramente importante, ma di sicuro era estremamente divertente.
 
«Non ti vuoi arrendere?» Gabriele sbuffò, sbilanciandosi con il busto all'indietro per poggiare le spalle sullo schienale del divano.
 
Ella si girò completamente verso di lui, incrociando le gambe davanti a sé.
 
«Assolutamente no. Avevi l'espressione di un bambino spaventato, in attesa che il mostro uscisse di notte dall'armadio per divorarlo. Adorabile.» Ella non la smetteva di guardarlo con un sorriso divertito stampato sulle labbra.
 
«Solo se tu, invece, ammetti che stavi sbavando sulla mia camicia.»
 
L'inaspettata provocazione fece scomparire, per qualche istante, il divertimento dai tratti del suo viso.
 
Gabriele la osservava con un'espressione compiaciuta per averla scoperta quando, mentre si toglieva il giubbino, Ella era rimasta incantata, con lo sguardo fisso puntato sulla sua schiena.
 
Se ne era accorto solo perché, dopo essersi girato per guardarla, lei aveva distolto velocemente lo sguardo con le guance leggermente arrossate per l'imbarazzo.
 
Quella reazione lo aveva piacevolmente sorpreso, non perché non sapesse di essere un bel ragazzo, quanto piuttosto perché, avendo avuto sempre un atteggiamento distaccato e solo raramente sentimentalmente coinvolto, non aveva creduto di poter generare in lei un simile effetto, lo stesso che Ella provocava in lui quando lo sfiorava o si avvicinava tanto da poter respirare il suo profumo.
 
Lasciato andare lo stupore, Ella ritornò a sorridere prima di rispondere.
 
«Pensi davvero di potermi mettere alle strette? Ognuno ha le proprie debolezze, la mia è vedere gli uomini indossare la camicia.»
 
Non aveva la minima intenzione di cedere, ma, considerando che le costava parecchio ammettere di essere rimasta spiazzata dal suo portamento sicuro e dalla sua bellezza, avrebbe trovato un modo meno imbarazzante per vuotare il sacco.
 
«Tutti?» chiese Gabriele, inarcando un sopracciglio, poco convinto dalla risposta evasiva di Ella.
 
«Beh, diciamo quelli che hanno un fisico tale da far sì che fasci bene le spalle e la schiena.»
 
Parlare di ciò che le piaceva degli uomini era meno imbarazzante di quando avesse immaginato. La faceva stare bene sentire la libertà di esprimere la propria opinione senza doversi aspettare una reazione di inutile gelosia.
 
Quando vedeva un film con Matteo in cui recitava un attore particolarmente bello, sia oggettivamente che soggettivamente, doveva mordersi la lingua per evitare di commentare.
 
A Ella non infastidiva se manifestava interesse per una modella o una attrice, perché era in grado di valutare oggettivamente le qualità di una persona e non avrebbe avuto senso negarle o provare gelosia.
 
Matteo era stato una condanna. Dopo le prime volte in cui le era scappato una battuta sulle braccia muscolose di Chris Hemsworth, i litigi inutili e infantili che ne erano seguiti l'avevano scossa così tanto da farle credere che ciò che aveva detto fosse sbagliato.
 
Si era approfittato dell'ingenuità derivata della sua mancanza di esperienza in materia di relazioni, per farla sentire sporca al punto da doversi scusare per qualcosa che non aveva niente a che fare con il tradimento.
 
L'aveva limitata così tanto nel parlare che a volte aveva avuto la sensazione di essere a corto di ossigeno.
 
Per quanto avesse cercato si opporsi, alla fine vinceva lui e lei, per qualche tempo, si era lasciata soffocare.
 
Quanto si era vergognata di sé stessa nessun'altro lo avrebbe mai potuto comprendere.
 
Gabriele aveva visto comparire nuovamente la piccola ruga tra le scure sopracciglia di Ella, mentre l'azzurro delle iridi si era scurito tanto da farlo allarmare.
 
La stava perdendo nuovamente in chissà quali pensieri o ricordi.
 
Detestava vederla precipitare in quegli abissi ricolmi di tristezza e malinconia, avrebbe fatto qualunque cosa per vederla sempre sorridente e fastidiosamente sarcastica.
 
«Quindi, se arrotolassi le maniche, mi salteresti addosso?» L'assurda domanda di Gabriele fu l'appiglio sicuro a cui si aggrappò per fuggire dal baratro di memorie ormai abbastanza lontane da lei.
 
Ella iniziò a ridere come un'isterica di fronte all'espressione seria con cui Gabriele aveva formulato quella domanda.
 
«Sei proprio un cretino. Ho detto che mi stuzzicano, non che mi fanno perdere il controllo delle facoltà mentali.»
 
«A me non dispiacerebbe se lo perdessi, quindi, se permetti, vorrei condurre questo esperimento.»
 
Con un sorriso provocatorio, Gabriele sbottonò l'unico bottone del polsino della manica sinistra, iniziando ad arrotolare lentamente la stoffa scura fino a scoprire metà avambraccio.
 
«Immagino quanto potrebbe essere utile per la società» rispose, prendendosi gioco delle sue intenzioni.
 
«Non sono così altruista. Diciamo che ha uno scopo molto personale.» Mentre iniziava ad avvolgere il tessuto della manica destra, rivolgeva a Ella sguardi furtivi per non perdersi la sua reazione.
 
Trovarsi a poca distanza da Gabriele era decisamente un problema, perché per quanto stesse imponendo a sé stessa di distogliere lo sguardo, la forza di volontà sembrava decisamente troppo debole per poter vincere l'istinto.
 
Ella cedette e, in un istante, si ritrovò persa tra le vene in rilievo che percorrevano i suoi avambracci, partendo da poco sopra il polso fino a scomparire sotto i risvolti delle maniche.
 
La piscina era decisamente il suo sport preferito.
 
Ella sentiva lo sguardo di Gabriele su di sé, ma non si scompose. Guardare non era sbagliato e non ci sarebbe stato nulla per cui provare imbarazzo se fosse riuscita a nascondere le proprie emozioni dietro un'espressione che fosse più neutrale possibile, solo per non dargli la soddisfazione di scoprirla interessata alla sua struttura fisica.
 
«Adesso che hai constatato che non sono una ninfomane, tocca a te confessare» lo incitò, riportando l'attenzione sul suo viso, per incontrare un sorriso soddisfatto.
 
«Sarà, ma ho sentito chiaramente una goccia di saliva cadere sul mio braccio.»
 
«In genere non uso la violenza, ma credo che questa volta potrei fare un'eccezione.» La sua non era una reale minaccia, perché non si preoccupò né di indurire l'espressione né di utilizzare un tono vagamente aspro.
 
«Un patto è un patto» disse, alzando le mani in segno di resa. «Si, lo ammetto, temevo che spuntasse qualcuno, se non tutti, da una delle altre camere.»
 
«Perché non hai chiesto?»
 
Ella poteva comprendere i suoi dubbi, poiché anche lei non aveva ben capito a quale categoria appartenesse quella serata.
 
Non era un appuntamento, ma nemmeno un semplice ritrovo di amici di vecchia data.
 
Era di più e, allo stesso tempo, meno di quanto si potesse pensare.
 
Non tutto poteva essere etichettato e quel loro strano rapporto era tutt'altro che ben definito, ma a Ella non dispiaceva la sensazione che quell'incertezza suscitava in lei.
 
Avrebbe lasciato che fosse la strada a guidarla, mettendo i pensieri da parte, anche se sapeva che, prima o poi, sarebbe giunta ad un bivio e allora avrebbe dovuto compiere una scelta, ma per il momento preferiva godersi ogni singolo respiro.
 
«Non volevo darti la sensazione di essere opprimente o inopportuno. Alla fine mi sono detto che, anche se ci fossero state altre persone, l'importante sarebbe stato rivederti.»
 
Ella assorbì la spiegazione di Gabriele, che le permise di vedere chiaramente gli effetti disturbanti dei suoi ripetuti rifiuti nei suoi confronti.
 
Lo stava costringendo a reprimersi per paura di scatenare in lei una guerra, lo stava soffocando e, anche se le circostanze e i modi erano differenti, sentiva di star agendo come Matteo aveva fatto con lei.
 
Lo stava reprimendo.
 
Più lei non si apriva, più l'aria attorno a lui diminuiva.
 
Non poteva permettere che ciò accadesse. Ella voleva che lui si sentisse a proprio agio, tanto quanto lei lo era con Gabriele, ma le serviva un modo per arrivare all'argomento senza essere troppo diretta.
 
Un percorso graduale sarebbe stato meno traumatico sia per lei, sia per Gabriele.
 
«Che film ti andrebbe di vedere?» chiese, ma, pentendosi subito della domanda, rispose prima che Gabriele potesse parlare. «No, non rispondere. Scelgo io.»
 
Accese la televisione e, dopo aver effettuato l'accesso all'account Netflix, iniziò a sfogliare le pellicole del genere commedia fino a quando non trovò ciò che stava cercando.
 
Aveva appena capito come aprire il discorso, senza rischiare che il panico si riversasse su di lei tutto insieme.
 
«Midnight in Paris?» chiese Gabriele con tono leggermente confuso.
 
In effetti, Ella sperava in una reazione del genere, contando sul fatto che considerasse insolita la scelta di quel film, poiché non erano il suo genere preferito, ma, per quella volta, era necessaria un'eccezione.
 
«È da una settimana che voglio rivederlo, ma non ho mai avuto tempo» si giustificò Ella.
 
«Fai attenzione, sta emergendo la tua anima romantica.»
 
Era triste da pensare, ma Ella stava manipolando il discorso. Per lei era facile prevedere le risposte di Gabriele e non aveva dubitato nemmeno un'istante dell'idea che non si sarebbe lasciato scappare un'occasione simile per provocarla, usando il suo stesso cinismo contro di lei.
 
In ogni caso, Ella non era il tipo di persona che lasciava al caso il margine di errore, quindi aveva nascosto molti assi nella manica nel malaugurato e quasi impossibile caso avesse sbagliato la previsione.
 
Era fin troppo facile indurre una persona che conosceva abbastanza bene a dire ciò che avrebbe voluto sentire e, anche se poteva sembrare meschino, era l'unico modo meno doloroso per affrontare ciò che sarebbe fuoriuscito dal vaso di pandora.
 
«Si, lo ammetto, ma è anche molto più di questo.»
 
Gabriele fu sorpreso dal tono troppo serio con cui Ella aveva parlato. Sentì nitidamente la pressione dell'aria aumentare, pesando sulle sue spalle che si incurvarono inevitabilmente in avanti.
 
La luce bianca del soggiorno si rifletteva sul viso di Ella, rendendola di più pallida del solito. Sembrava sul punto di vomitare l'unica fetta di pizza che aveva ingerito.
 
Era così calma da essere inquietante, la postura era rigida e la sua schiena era troppo dritta, una posa decisamente innaturale che non faceva presumere nulla di buono.
 
Sotto quell'espressione impassibile, Gabriele sapeva che stava bruciando l'inferno, alimentato da chissà quali pensieri.
 
Forse gli avrebbe rivelato qualcosa di importante oppure gli avrebbe confessato di essersi pentita di avergli dato una possibilità. Si chiese se avesse azzardato troppo a baciarle la fronte per darle la buona notte o se si fosse offesa quando l'aveva chiamata piccola strega, ma era la sua Ursula e lei sapeva che quella parola aveva un suono dolce quando la pronunciava per lei.
 
In quel silenzio, in cui Gabriele non poté far altro che attendere la sentenza, il fuoco che stava facendo ribollire il sangue di Ella e stava spegnendo la pioggia di speranza che imperversava in Gabriele.
 
«È uno di quei film che più guardi e più riesci a scovare nuovi significati. Ovviamente dipende anche dalle emozioni che provi al momento. Ho notato che se sei triste cogli i tratti più malinconici, se sei innamorato quelli più romantici, se sei particolarmente felice quelli più nostalgici. Credo sia il migliore ad essere stato prodotto da Woody Allen.»
 
Tutto si sarebbe aspettato tranne una riflessione su Midnight in Paris. Cosa assillava i suoi pensieri non avrebbe potuto scoprirlo nemmeno osservandola, perché fissava, con sguardo perso, il poter del film immobile sullo schermo.
 
«Posso chiedere cosa ti ha aiutato a vedere?»
 
Era una tortura vederla in quello stato catatonico e non poterla avvicinare, perché sapeva che se lo avesse fatto lei sarebbe scattata come una molla, allontanandosi e mettendo fine alla serata.
 
Vederla così fragile lo devastava, ma doveva ingoiare la paura e la rabbia, mettere da parte i suoi sentimenti per lasciare spazio a quelli della sua piccola strega.
 
«Io sono Gil quando si ostinava a credere che ciò che provava per Ines fosse amore. Lui sapeva che c'era qualcosa di profondamente sbagliato nella loro relazione, eppure fingeva che avessero gli stessi gusti, pensieri comuni e stesso stile di vita, quando in realtà i loro desideri non potevano essere più distanti. Allora mi sono chiesta il perché non capisse tutto quello che a me sembrava così palese.»
 
Ella aveva pensato che creare un parallelismo tra la propria vita e quella del protagonista del film fosse il modo più semplice per aprirsi.
 
Era una cosa che faceva sin da piccola. Non le piaceva esporre i propri sentimenti, quindi, quando si ritrovava ad affrontare determinati argomenti, parlava di sé stessa in terza persona oppure si paragonava a un personaggio di un cartone, di un film o di un libro.
 
In questo modo si sentiva meno esposta, meno vulnerabile, perché le dava l'illusione di avere un maggior controllo sulle emozioni che provava e che vedeva riflesse negli occhi di chi la ascoltava, tuttavia non sempre era possibile.
 
«Lo hai scoperto?»
 
«Si. Il suo sogno era quello di vivere a Parigi negli anni 20, perché non si sentiva a proprio agio nel 2000. Alla fine del film, ho capito che non era l'epoca in cui viveva a ad essere sbagliata, ma lo erano le persone di cui si era circondato. Erano loro a farlo sentire fuori luogo, un emarginato, diverso solo perché amava passeggiare per le strade di Parigi sotto la pioggia, solo perché voleva scrivere e sognava i più grandi artisti nel '900. Di conseguenza, queste influenze negative lo hanno spinto a desiderare di vivere in un altro tempo, nella speranza di poter essere felice, di sentirsi accettato dagli altri e finalmente trovare la pace in sé stesso.»
 
Ella era talmente assorta nell'elaborare la spiegazione per esprimere al meglio i propri pensieri, da non rendersi conto che, a ogni sua parola, Gabriele avanzava di qualche centimetro.
 
Si fermò solo quando le ultime due dita della sua mano sinistra sfiorarono quella destra di Ella.
 
Il suo corpo non aveva bisogno di essere toccato, ma la sua mente aveva necessità di sentire la vicinanza di Gabriele e lui l'avrebbe protetta, con le loro mani che si toccavano impercettibilmente senza mai incrociarsi.
 
«Ti rivedevi nei suoi pensieri?»
 
Gabriele cercava la complicità degli occhi di Ella, ma tutto ciò che poteva osservare era il suo profilo. Il suo naso piccolino, leggermente schiacciato sulla punta che si allargava alla base. Da quella angolazione sarebbe stato impossibile non notare che il labbro inferiore era poco più carnoso rispetto a quello superiore, ma insieme creavano una armonia perfetta. Sembravano i petali di un fiore bagnati dalla rugiada del mattino.
 
Le sue iridi azzurre erano così chiare da sembrare trasparenti a causa della luce che vi si rifletteva, rendendo il suo sguardo ancora più angoscioso, mentre i capelli scuri in netto contrasto con la pelle di porcellana, le donavano l'aspetto di una bambola vuota e priva di volontà.
 
«Annullarsi e desiderare qualcosa che non potremmo mai avere è molto più semplice che dover affrontare il problema.»
 
Le parole di Ella riverberarono nella mente di Gabriele, fino a quando non furono completamente assimilate.
 
La facilità con cui aveva pronunciato quella frase così carica di significato gli lasciò intendere che ci avesse rimuginato parecchie volte in quegli anni.
 
Scappare di fronte alle difficoltà, fingere di non vedere per non essere costretti a soffrire, rifugiarsi in un sogno per non dover affrontare la realtà era come voler curare un taglio profondo con un cerotto. Forse per qualche minuto avrebbe contenuto il sangue che si accumulava entro i suoi margini, ma, quando fosse stato troppo, si sarebbe staccato e la ferita avrebbe continuato a provocare dolore.
 
Un concetto che racchiudeva alla perfezione l'essenza dell'umana imperfezione.
 
«È così che hai capito che il sentimento era svanito?»
 
Gabriele aveva elaborato il significato del suo discorso e il motivo per cui aveva deciso di percorrere il sentiero più lungo per arrivare a destinazione: voltare pagina.
 
Dal canto suo, Ella fu spinta a girarsi in direzione del proprietario di quella voce profonda e preoccupata, facendo un piccolo balzo all'indietro quando si rese conto che si trovava estremamente vicino a lei.
 
Gabriele sorrise, soddisfatto per essere riuscito a suscitare in lei una minima reazione e, quando anche lo stupore sparì dal suo volto, i suoi occhi non smisero di luccicare.
 
«In parte. Questa conclusione non mi ha fatto capire che non lo amavo più, ma semplicemente che forse qualche cosa dovesse cambiare perché la nostra relazione potesse funzionare.»
 
La sua voce era più espressiva, forse perché si sentiva meno a disagio e, magari, il velo che aveva tenuto separati i loro mondi stava svanendo proprio grazie a quel discorso iniziato da un film.
 
«Allora cosa ti ha fatto aprire gli occhi?»
 
«Un discorso che Hemingway fa a Gil» rispose Ella, mentre premeva il pulsante avanti veloce. Quando trovò il minuto esatto, mise in pausa. «Ascolta.»
 
Ella schiacciò play e le frasi che avrebbe voluto tatuarsi nella mente si diffusero nell'aria.
 
"Tutti gli uomini temono la morte. È una paura naturale che ci consuma tutti. Temiamo la morte perché sentiamo che non abbiamo amato abbastanza o non abbiamo amato affatto, che alla fine sono la stessa cosa. Comunque, quando fai l'amore con una donna davvero eccezionale, una che merita il massimo rispetto in questo mondo e che ti fa sentire davvero potente, quella paura della morte sparisce completamente. Perché quando condividi il tuo corpo ed il tuo cuore con una donna eccezionale il mondo svanisce. Voi due siete le uniche persone nell'intero universo. Stai conquistando quello che non molti uomini hanno conquistato prima, hai conquistato il cuore di una donna eccezionale, la cosa più vulnerabile che lei può offrire ad un'altra persona. La morte non indugia più nella mente. La paura non annebbia più il tuo cuore. Solo la passione per vivere, e per amare, diventa la tua unica realtà. Questo non è un compito facile, per esso ci vuole un insormontabile coraggio. Ma ricorda questo, nel preciso momento in cui farai l'amore con una donna davvero eccezionale ti sentirai immortale!"
 
Hemingway terminò il discorso e le sue ultime parole risuonavano ancora chiaramente nelle orecchie di Gabriele.
 
Era quello quindi il significato dell'amore: trovare la propria immortalità nell'anima di chi si amava.
 
Gabriele fermò i pensieri prima che potessero prendere vita, poiché non era il momento di interrogarsi sui propri sentimenti.
 
«Ecco, io ogni momento di ogni giorno di quel lungo anno di relazione mi svegliavo e mi addormentavo con la paura di morire. Non l'ho mai dimenticata, per un solo istante e nemmeno mi sono mai sentita invincibile, anzi, la sera mi ritrovavo a sperare che il giorno seguente non sarebbe stato peggiore del precedente. Forse oggi è un'utopia, ma credo sia questo l'amore.»
 
Ella era uno spettacolo unico da contemplare. Non aveva mai visto qualcuno usare le proprie debolezze per spingersi a trovare la forza e il coraggio per affrontarle.
 
La leggera inclinazione del suo tono di voce rendevano solo più evidente il dolore che la tormentava, eppure ancora riusciva a controllarlo, lasciandolo bruciare solo all'interno e, se Gabriele conosceva abbastanza bene quella testa calda, era sicuro si stesse ripetendo che non doveva cedere per non ferirlo, ma, in realtà, proteggeva sé stessa da qualcosa che alimentava le sue sofferenze.
 
Era forte, era coraggiosa, ma era anche fragile e ciò la rendeva incosciente rispetto al male che poteva provocarsi.
 
«Solo perché Mattero non ti ha fatta sentire viva come speravi, non significa che le emozioni che immagini tu non possa provarle realmente un giorno.»
 
Gabriele capì, finalmente, qual era una delle sue più grandi paure: non riuscire a sentirsi immortale, nemmeno per un istante della propria vita.
 
Ella, solo in quel momento, solo avendolo al suo fianco dopo tanto tempo, comprese il significato di ciò che aveva provato in quegli anni e che la presenza di Matteo aveva amplificato.
 
Il suo pensiero ritornava incessantemente a Gabriele, facendole temere che non avrebbe mai amato nessun'altro come lui, perché era stato l'unico con cui non aveva mai avuto paura della morte.
 
Schiacciata dal peso di quella consapevolezza, sentì le emozioni prendere il sopravvento sul suo corpo e la loro intensità le provocò dei tremori incontrollati nelle mani.
 
Prima che Gabriele potesse accorgersene e agire d'istinto, intrecciò tra loro le sue mani, sfuggendo a qualunque possibilità di contatto.
 
«Per questo motivo ho messo un punto a quella relazione. Perché avrei dovuto accontentarmi di qualcosa che non mi rendeva felice? Non ho trovato una risposta ed eccomi qui, su questo divano ad annoiarti con questi discorsi deprimenti.» Ella gli rivolse un piccolo sorriso tirato, figlio della frustrazione e dell'angoscia.
 
«Non mi annoieresti nemmeno se parlassi della fotosintesi clorofilliana. Ti ho chiesto io di aprirmi il tuo mondo, quindi non farti frenare da questi inutili pensieri.»
 
«Una persona mi ha ricordato che devo imparare ad accettare l'aiuto di chi mi tende una mano, di lasciare che le persone che mi amano mi proteggano. È difficile.»
 
«Lo so.»
 
Era giunto il momento e il ricordo delle parole di Sofia fu la spinta decisiva che le fece trovare il coraggio di saltare nel vuoto, sperando che Gabriele non la lasciasse cadere.
 
«Voglio raccontarti una storia. C'era una volta una ragazza di 20 anni di nome Ella che, in un caldo pomeriggio di metà maggio, aveva deciso di trovare un po' di fresco in un bar, che aveva aperto da poco sul lungomare di Castellammare. Attratta dall'idea che la brezza marina e il rumore del mare avrebbero potuto aiutarla a concentrarsi sullo studio, voltò le spalle al suo piccolo studio. Dopo aver camminato quindici minuti, cercando riparo dal sole all'ombra dei palazzi e degli alberi disseminati lungo i marciapiedi, giunse a destinazione. Il locale era popolato solo da un paio di coppie, quindi, potendo scegliere liberamente il tavolo, si andò a sedere in quello più distante dall'ingresso e dagli altri ospiti, per non essere disturbata. Un cameriere, di un anno più grande di lei, le si avvicinò sorridendole, si presentò e, rivelandole il suo nome, le lasciò cortesemente un menù. Dopo che lo stesso le ebbe portato l'ordinazione, Ella iniziò a sentire una strana sensazione, così alzò lo sguardo dai libri, cogliendo di sorpresa il ragazzo che la stava osservando con insistenza. Ella non distolse lo sguardo perché voleva fargli capire che non l'avrebbe messa in imbarazzo, ma sicuramente l'avrebbe infastidita se avesse continuato a fissarla. Alla fine riuscì a ottenere ciò che voleva e, soddisfatta, riprese a leggere i suoi appunti. Quando il locale iniziò a riempirsi e la ragazza capì che non sarebbe più riuscita a studiare così si alzò per andarsene, ma fu fermata da Matteo. Si scusò per averla fatta sentire a disagio, dicendole di essere stato colpito dalla sua bellezza. Ella pensò che la giustificazione fosse piuttosto patetica, ma si lasciò comunque andare, perché non c'era nulla di sbagliato nel fare un complimento e nell'accettarlo. Da questo incontro trascorse un mese, prima che decidessero di iniziare una relazione. Ella si sentiva una ragazza fortunata a stare con una persona gentile e premurosa come Matteo. Credeva che la migliorasse, che la stimolasse a sfruttare tutte le sue qualità e forse per i primi due mesi era stato realmente così. Le favole in genere si fermano a questo punto della storia, al vissero felici e contenti, lasciando al lettore l'illusione che il fantomatico principe azzurro abbia reso felice la principessa per il resto dei suoi giorni. Ora, permettimi di raccontarti il finale reale di tutte queste storie e di come il principe tratta l'amore della sua vita. La loro relazione durò complessivamente un anno e, togliendo i primi due mesi, i restanti otto furono un tripudio di litigi, gelosie, privazioni e prevaricazioni. Quando Ella finalmente aprì gli occhi, interrompendo quel rapporto malato e morboso, si rese conto che persone come lui erano capaci di violentare senza che la vittima se ne accorgesse. Le decisioni che pensava di aver preso di sua spontanea volontà erano in realtà manovrate e plagiate da chi le aveva detto di amarla.»
 
«Ella...» Il suo nome fu pronunciato come una supplica, quattro sillabe intrise di una disperazione che le perforò i timpani e si andò a schiantare sul suo cuore.
 
Quella storia era così piena di significati che Gabriele ancora non poteva comprendere. Un suono gutturale di frustrazione nato dal dolore e dalla rabbia fuoriuscì incontrollato dalle sue labbra.
 
Ella aveva immaginato la sua reazione così tante volte, credendo che avrebbe fatto meno male osservarla poi dal vivo, ma le cose non stavano andando come aveva pensato.
 
La sofferenza era come un pallone rovente, abbandonato sotto il sole di mezzogiorno, che si stavano passando a vicenda per ridurne l'intensità, ma entrambi ne sarebbero usciti scottati dal termine della giornata.
 
«La favola non è ancora conclusa.» Se non avesse continuato ora, probabilmente, non lo avrebbe più fatto e lui meritava di sapere. «Matteo non si arrese di fronte alla decisione della principessa, perché era sua e non poteva accettare l'idea che potesse appartenere a qualcun altro, così decise di doverla riconquistare. Iniziò ascriverle messaggi, inviarle chiamate, farsi trovare per strada quando, conoscendo le sue abitudini, immaginava sarebbe scesa. E, mentre lui cercava di dimostrarle il suo amore, Ella moriva.
 
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


«Io... sinceramente non so che dire.»
 
Ella non aveva smesso di osservarlo nemmeno per un istante. Stava cercando di captare e assorbire tutte le emozioni che vedeva riflesse nello sguardo di Gabriele.
 
L'espressione del ragazzo era sofferente, i tratti del suo viso erano contratti in una smorfia di dolore e i suoi occhi esprimevano rabbia, angoscia e confusione.
 
Ella si alzò in piedi, tendendogli una mano affinché la afferrasse.
 
«Vieni piccolo delfino. Un po' di aria fredda ci farà bene.»
 
Gabriele vi si aggrappò con tutta la forza e la disperazione che aveva in corpo, perché solo lei avrebbe potuto trascinarlo in salvo da quell'ammasso deforme di pensieri che non riusciva a sbrogliare.
 
Era stato spinto dalla corrente di quel racconto così lontano dalla riva della realtà, che adesso non sapeva più come ritornare a casa, al sicuro.
 
Non si era nemmeno accorto di come Ella lo aveva chiamato. Un nomignolo impolverato quanto il loro passato, ma che su di lui aveva sempre avuto un piacevole effetto.
 
Ella aprì il balcone e, trainando quell'involucro dal fragile contenuto, entrò nel piccolo terrazzo che affacciava sulla strada principale.
 
L'aria fresca della sera fu una benedizione per il proprio corpo, rigenerato dalla stanchezza.
 
Si appoggiò con le spalle al muro, prendendo le distanze dalla ringhiera di fronte a sé. Ella soffriva di vertigini e non si sarebbe mai spinta oltre il punto in cui si trovava.
 
Aveva lasciato la mano di Gabriele, infilandola nella tasca posteriore del jeans. Gli stava offrendo lo spazio e il tempo necessari per rimettere in ordine le nuove informazioni.
 
Lei aveva vissuto in prima persona ciò che aveva raccontato, aveva sofferto, ma aveva anche avuto il tempo per metabolizzare il dolore. La sua famiglia e Sofia l'avevano aiutata a rialzarsi ogni volta che aveva inciampato, quindi anche a loro era stato concesso del tempo, ma era stato diverso per coloro che avevano ascoltato la sua storia o la maggior parte di essa.
 
Cristina aveva pianto, Luca le aveva promesso che quando fosse diventato avvocato in tutto e per tutto gli avrebbe fatto causa, mentre, adesso, Gabriele rimaneva in silenzio. Ogni reazione era stata diversa, ma tutte erano accomunate da un singolo fattore: il dolore.
 
«Ho preferito darti la versione breve, perché non ho molta voglia di scendere nei dettagli, ma, quando sarò di buon umore, ti racconterò altre cose meno piacevoli. Questo è il quadro generale, la cornice della mia vita negli ultimi due anni.»
 
Ella stava iniziando seriamente a preoccuparsi. Sotto il suo sguardo vigile, Gabriele stava percorrendo il terrazzino in lunghezza, facendo avanti e indietro senza mostrare la minima intenzione di fermarsi.
 
«Potresti non camminare così vicino alla ringhiera. Mi sta facendo venire l'ansia e non ho intenzione di scrostare le tue viscere dal marciapiede.»
 
Gabriele era a conoscenza del suo terrore per l'altezza ed Ella lo sfruttò per costringerlo ad arrestare quella furiosa maratona, a vantaggio della sanità mentale di entrambi.
 
«Vorrei riuscire a formulare un pensiero di senso compito, ma mi sento...» Udire finalmente la sua voce fu come trovare una sorgente di acqua dopo un lungo vagare nel deserto.
 
Anche se non riuscì a terminare la frase, Ella sospirò di sollievo.
 
«Confuso?» suggerì.
 
«Si, ma soprattutto spaventato» rispose, alzando lo sguardo dalle mattonelle scure per posarlo sulla ragazza che aspettava pazientemente il suo sfogo.
 
«Ecco perché non volevo coinvolgerti. Sapere che una persona a te vicina ha vissuto un'esperienza particolare ti cambia la percezione del mondo.»
 
Gabriele scosse la testa, rivolgendole un sorriso forzato dall'incredulità che l'affermazione di Ella aveva suscitato in lui.
 
«Dovrei essere io a rassicurare te, è la tua vita ad essere stata messa sottosopra.»
 
Lei era stata psicologicamente massacrata e lo era tutt'ora, ma si preoccupava dello stato mentale di chi ascoltava il grossolano resoconto della sua vita.
 
«Nulla di ciò che potresti dirmi sarebbe diverso da ciò che ho sentito ripetere negli ultimi nove mesi, quindi ti risparmio questo onere penoso» scrollò le spalle per minimizzare la questione.
 
Anche se faceva ancora male parlarne, non aveva senso farne un dramma quando il peggio era ormai passato.
 
«So che non ne hai bisogno, ma le persone lo fanno anche per sé stesse.»
 
Gabriele aveva creduto che nell'istante in cui Ella gli avesse spalancato le porte del suo mondo, accogliendolo, avrebbe potuto dire addio alla detestabile sensazione di impotenza, ma si era sbagliato.
 
Il senso di colpa si dibatteva come un animale in una gabbia troppo piccola perché lo potesse contenere e le sbarre stavano cedendo.
 
Fu inevitabile per lui ripetersi che, se fosse rimasto al suo fianco, Ella, probabilmente, non avrebbe mai incontrato Matteo e non avrebbe mai vissuto nulla di tutta quella sofferenza.
 
Un altro pensiero, però, gli ridiede speranza: il passato di Ella era, sotto alcuni aspetti, ancora il suo presente e, se prima non c'era stato, adesso avrebbe fatto l'impossibile per aiutarla a sorridere.
 
«Le persone sono egoiste e io sono stanca di ascoltarle. Pensano sempre di saperne di più, quando in realtà non sanno nulla. Vogliono proteggermi, vogliono aiutarmi, vogliono amarmi, ma a volte non riescono a capire quando è giunto il momento di fermarsi.»
 
Ella spostò la sua attenzione alla luce fioca delle stelle, accorgendosi che era passato troppo tempo dall'ultima volta che aveva rivolto lo sguardo all'immensità di quel cielo, che faceva sembrare tutti i problemi estremamente piccoli e insignificanti.
 
Le dava l'illusione che ogni situazione potesse essere risolta e che nulla fosse impossibile.
 
«Per questo motivo giovedì ti agitavi ogni volta che sbloccavi il telefono. Era lui.»
 
Parola dopo parola, pezzo dopo pezzo, gli spazi vuoti del puzzle si stavano riempiendo, trovando il loro giusto posto all'interno di quella cornice.
 
«Si. Il suo fantasma ancora mi perseguita e non so se mi lascerà mai andare» sospirò, tristemente rassegnata di fronte alla realtà dei fatti.
 
Avrebbe potuto fingere che non fosse vero, ripetersi che prima o poi l'avrebbe lasciata andare definitivamente, perché più i giorni passavano e più si rendeva conto nulla dipendeva più dalla sua volontà.
 
Tutti le recriminavano della loro impotenza, ma nessuno riusciva a comprendere che lei era la prima a non avere il controllo della propria vita.
 
«Hai paura.»
 
Ella si strinse nelle spalle per proteggersi dalla triste verità di quella affermazione e dal gelo che era penetrato violentemente nel suo corpo, raggiungendo il cuore.
 
Osservando la sua reazione, Gabriele seppe di avere ragione, ma fino all'ultimo istante aveva sperato di sbagliare, perché quell'ammissione rendeva tutto più concreto.
 
Ella poteva spaventarsi per i ragni, per l'altezza, per gli aghi, ma non aveva mai avuto paura delle persone e se adesso riusciva ad ammettere i suoi timori nei confronti di quell'insignificante essere umano, allora il pericolo era reale.
 
Nell'oscurità della notte, all'ombra della scia di luci che filtravano dall'interno dell'appartamento, i loro volti erano a malapena visibili.
 
Non potevano guardarsi attentamente per capirsi, ed Ella ringraziò la Luna perché non riuscisse ad illuminare i suoi occhi già velati di lacrime al pensiero di ciò che stava per confessare.
 
Aveva bisogno che Gabriele comprendesse una parte dei motivi che avevano dato vita alle proprie paure.
 
Non provava vergogna, ma solo un dolore pungente e angoscioso che aveva risvegliato il suo cuore dal torpore della tranquillità.
 
«Un pomeriggio ero sola in casa quando mi arrivò un suo messaggio in cui mi scrisse che stava venendo a casa mia. Voleva parlarmi, diceva di dovermi dare delle spiegazioni e che poi avrei cambiato idea sul futuro della nostra relazione, perché meritava un'altra opportunità. Non era la prima volta che faceva una cosa del genere, la sua insistenza era diventata intollerabile. Prima di allora non avevo idea di cosa significasse avere paura. Ricordo che il cuore iniziò a battere così velocemente da farmi girare la testa. Tremavo, piangevo e respiravo male, ma rimasi perfettamente immobile, fino a quando non suonò il citofono. Non risposi, ma andai a chiudere a chiave la porta e presi... presi un coltello dalla cucina. Non c'era logica nelle mie azioni, solo terrore. Nella mia mente vedevo l'immagine di me sdraiata a terra, sanguinante e piena di lividi; udivo le notizie di donne uccise e violentate dai mariti o dai fidanzati. Chiamai mia madre urlando tra le lacrime, pregandola di tornare a casa, ma di non citofonare. Rimasi seduta sul pavimento, con le spalle appoggiate alla porta dello studio, anch'essa chiusa a chiave, pensando che, se anche avesse aperto quella principale, prima di scassinare la seconda sarebbero arrivati i miei genitori. Questa è una delle ragioni per cui ho deciso di andare via da quella città e, alla fine, mettere distanza mi ha aiutato, ma non quanto avevo sperato.»
 
Gabriele aveva osservato Ella parlare rivolgendosi al cielo, pregandolo di porre fine ai propri tormenti.
 
Respirare non aveva più lo stesso valore, mangiare non regalava lo stesso piacere e il contatto umano si era trasformato in una tortura fisica e psichica dalla quale cercava ogni giorno di fuggire.
 
Aveva davanti ai suoi occhi impotenti il risultato di una violenza, di come diventavano le persone quando venivano private del libero arbitrio.
 
Impaurite e sfiduciate.
 
«Non hai mai pensato di denunciarlo ai carabinieri?»
 
Una domanda banale, perché era impossibile non ci avesse pensato, eppure era difficile immaginare il motivo che l'aveva spinta a non farlo.
 
«Si, ma non ci sono mai riuscita. Si innesca uno strano meccanismo quando ti ritrovi in queste situazioni. Ero stata io a lasciarlo, quindi, per qualche tempo, ho creduto di meritare tutta la cattiveria che trapelava dalle sue parole e dai suoi gesti. Era colpa mia se stava soffrendo ed era giusto che subissi, per pareggiare i conti. Me lo ripeteva lui e per un po' me ne sono convinta anche io. Una denuncia avrebbe potuto scatenare una reazione peggiore di quella che già stava avendo, così ho preferito aspettare e sperare che prima o poi avrebbe smesso e per un po' è stato così, ma, alla fine, è iniziato tutto di nuovo.»
 
Matteo aveva incontrato una ragazza troppo forte per poter essere spezzata, ma comunque era riuscito a piegarla per qualche tempo.
 
Tutto ciò che Gabriele riusciva a pensare era dove si trovasse due anni prima, cosa stesse facendo di così importante da impedirgli di riallacciare i rapporti con Ella.
 
Lei aveva affrontato tutto, superandolo, vivendo lo stesso anche senza il suo aiuto. Adesso era lì, splendida come la bianca luce lunare riflessa sulla superficie del mare, in una notte limpida.
 
Una bellezza che superava i confini del suo corpo; una bellezza nata dal coraggio e dalla fragilità che aleggiava attorno alla sua figura minuta, come un'aura, rendendo Gabriele totalmente incapace di rivolgere altrove il suo sguardo.
 
Da sirena lo aveva ammaliato, ma da strega lo aveva soggiogato completamente ai suoi desideri.
 
«Adesso sai che non è colpa tua, vero?» chiese, addolcendo il tono di voce.
 
Aveva bisogno che lei desse conferma ai suoi pensieri, prima che perdesse completamente la ragione e facesse qualcosa di tremendamente stupido, tipo andare a cercare quel pezzo di niente e fargli soffrire il doppio del dolore che aveva inferto a Ella.
 
«Si, ma non per questo fa meno male.»
 
A causa di quell'essere inumano, lei era caduta in una spirale distruttiva alimentata dal senso di colpa e, anche se era riuscita a spezzare quel circolo vizioso, non aveva mai smesso di vivere nella paura.
 
Le sfide più difficili le aveva superate, ma doveva combattere ancora altre battaglie per poter vincere la guerra e Gabriele non aveva intenzione di restare a guardare senza stringerle la mano e supportarla nello scontro.
 
Adesso era lì e non l'avrebbe lasciata sola, non perché lei avesse bisogno di lui, quanto piuttosto era lui ad avere bisogno di lei.
 
«Sei una ragazza straordinaria» scosse leggermente la testa sorridendole.
 
Ella non voleva sentire parole di conforto, perché ne aveva ascoltate fin troppe e non aveva trovato in esse nessun aiuto, solo fonte di profondo fastidio.
 
Probabilmente era una reazione esagerata, ma tutti intorno a lei avevano la tendenza a professarsi esperti conoscitori delle sue emozioni e dei suoi pensieri, arrogandosi la presunzione di diffondere consigli e parabole su cosa avrebbe dovuto fare e ciò che, invece, avrebbe dovuto evitare.
 
Ognuno di loro credeva che bastasse vivere di riflesso una determinata situazione per arrivare a capire cose che nemmeno Ella, dopo anni, aveva compreso.
 
Gabriele non l'avrebbe esposta nuovamente a ciò che per lei era stata una sensazione insopportabile.
 
«Sicuro che non sia stupida? Sofia e Lorenzo avrebbero molto da ridire su questa tua affermazione» rispose, rivolgendogli un amaro sorriso.
 
Ella era consapevole della propria forza di volontà e di ciò che era stata in grado di costruire nonostante tutte le bastonate ricevute, eppure sapeva con altrettanta certezza che molti l'avevano biasimata per alcune sue scelte.
 
Non che le importasse sul serio la loro superficiale opinione su ciò che non avevano mai vissuto in prima persona, però sentirselo ripetere spesso lasciava una sgradevole sensazione di fastidio.
 
«Sono sicuro che sarebbero d'accordo con me. Guardati indietro Ella e vedi ciò che hai realizzato con le tue sole forze. Nonostante quello che ti è accaduto e che si trascina ancora adesso, non hai mai smesso di lottare per te stessa. Hai studiato, ti sei laureata, hai superato il test di ammissione e ti sei trasferita a Roma per ricostruire la libertà che ti era stata tolta. La tua sola presenza rende coraggioso chi ti circonda.»
 
Ogni frase pronunciata diminuiva la distanza tra i loro corpi. Gabriele aveva bisogno di sentirla vicino, di toccarla per accertarsi che fosse realmente lì con lui e che stesse bene.
 
Ella non si oppose, quando le dita del ragazzo accarezzarono delicatamente le ciocche di capelli che le ricadevano fino al gomito. Percorse un paio di volte la loro lunghezza, sfiorandole il braccio in più punti.
 
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quei semplici e gentili movimenti, che ebbero lo straordinario potere di tranquillizzare la sua mente e far tacere i pensieri angosciosi.
 
Quando la carezza terminò, Ella sbatté le palpebre per riacquistare il controllo, ma il suo proposito fu spazzato via da qualcosa che non aveva notato nell'attimo in cui era accaduta.
 
La mano destra di Gabriele stava stringendo la sua.
 
La presa su di lei era forte e sicura, le loro dita erano unite in un intreccio perfetto e non lasciava aperto nemmeno un piccolo spiraglio che potesse separarli.
 
Al contrario di quanto avrebbe pensato la scorsa settimana, Ella non era spaventata.
 
Nulla in Gabriele le faceva provare qualcosa che non fosse una piacevole sensazione di sicurezza e, se prima c'era stato qualche campanello di allarme che aveva suonato ogni volta che lui l'aveva sfiorata, adesso sentiva solo un profondo silenzio, una pace che poteva chiamare casa.
 
«Tu ti senti coraggioso?» chiese curiosa, osservando gli strascichi di luce artificiale riflettersi nei suoi occhi, che schiarirono la visione delle sue iridi castane.
 
«Ogni volta che ti guardo.»
 
La profonda dolcezza e l'intensa sincerità che vedeva nel suo sguardo, mentre la guardava, non poterono portarla a dubitare della sua ammissione.
 
Lei lo rendeva più forte, mentre lui le insegnava a fidarsi di nuovo.
 
«Vorrei sentirmi anche io così. Nell'ultimo anno sono accadute così tante cose per cui ho dovuto impiegare tutte le mie energie, anche quando non le avevo, e adesso è come se avessi le pile scariche. Non riesco a concentrami, non riesco ad alzarmi la mattina senza il bisogno impellente di seppellirmi sotto le lenzuola, non riesco a studiare. Tutti, a partire dai miei genitori, non capiscono quanto tutto ciò mi faccia soffrire. Sono costretta a sentirmi ripetere che è solo un momento, che passerà, che forse è solo un calo di concentrazione, ma non capiscono niente.»
 
Ella abbassò lo sguardo, nascondendo le lacrime che si stavano accumulando negli angoli dei suoi occhi.
 
Non aveva parlato così apertamente nemmeno a Sofia che sicuramente poteva immaginare quali pensieri attraversassero la sua mente nelle giornate buie, ma non le aveva mai confessato la natura dei suoi tormenti.
 
Gabriele posò il pollice e l'indice dell'altra mano sotto il mento di Ella, esercitando una piccola pressione per spingerla a guardarlo.
 
Faceva sembrare tutto così semplice e naturale, che, una volta distrutta la diga, Ella non riusciva più a mettere a tacere le parole e non ne aveva neanche l'intenzione.
 
«Lascia stare per un momento quello che ti ripetono gli altri. Tu cosa pensi?»
 
Ella respirò profondamente l'aria fredda impregnata del suo profumo muschiato, provando a mettere in ordine i pensieri prima di dare fiato alla bocca.
 
«Se fossi così rotta da non riuscire più a rimettere insiemi i miei pezzi? Se avessi perso il mio coraggio, la mia tenacia, la forza che mi spingeva ad andare sempre oltre le mie capacità? Mi ritrovo a dover fare i conti con questo senso di inadeguatezza e sto perdendo sempre di più l'orientamento. Ultimamente mi sento smarrita e non so come fare a ritrovarmi.»
 
Ella aveva trovato la strada giusta già una volta e le era costato più di quanto avesse avuto a disposizione, adesso non aveva più energie per iniziare di nuovo tutto da capo, non sapeva da dove iniziare.
 
La sua era un'implicita richiesta di aiuto che Gabriele colse nell'immediato. Iniziò a riflettere, ripensando a tutto ciò che sapeva le sarebbe potuto piacere fare, che l'avrebbe fatta stare meglio.
 
Lui poteva aiutarla e, nel silenzio di quegli attimi, gli venne in mente un'idea così assurda che avrebbe persino potuto funzionare.
 
«Domenica sei libera?» chiese di getto.
 
«Si, perché?»
 
Ella tutto si sarebbe aspettata, tranne che un invito ad uscire per il fine settimana. Era confusa, ma anche curiosa di sapere in quale luogo erano approdati i pensieri di Gabriele.
 
«Ti andrebbe di trascorrere un pomeriggio in piscina?»
 
La sua proposta la spiazzò. Immediatamente iniziò a scavare nei ricordi delle loro conversazioni, per cercare il pezzo mancante che collegasse la sua ammissione di colpa con la richiesta appena avanzata.
 
Nuotare e immergersi in profondità fino a raggiungere il fondale, fino a sentire i polmoni bruciare per l'assenza di ossigeno erano sempre stati i suoi modi preferiti per esorcizzare lo stress e mettere in ordine le idee.
 
Nell'oscurità e nell'assoluto silenzio dell'acqua riusciva a trovare sé stessa e Gabriele, a quanto sembrava, non lo aveva dimenticato.
 
«Ma non sono chiuse?» domandò dubbiosa.
 
Per quanto le sarebbe piaciuto, l'idea di andare in settimana e stare assieme ad altre persone che praticavano costantemente quello sport non le faceva fare i salti di gioia, ma Gabriele aveva previsto anche quella sua avversione.
 
Quando Ella toccava l'acqua doveva essere circondata da poche persone, perché nel momento in cui sprofondava sotto la superficie non doveva udire nessun suono che non fosse lo scosciare dell'acqua.
 
Per tale motivo, in vacanza, si recava in spiaggia o la mattina presto o nel tardo pomeriggio.
 
«Da quando mi sono trasferito, mi alleno in una piscina poco distante da casa mia. Alessandro, il figlio del proprietario, è stata la prima persona con cui ho stretto amicizia. Negli anni siamo diventati grandi amici e suo padre ci lascia libero accesso alla struttura, anche quando è chiusa. Se non hai paura di stare tutta sola con me, posso tranquillamente chiedergli le chiavi.»
 
La fiducia che iniziava a riporre in Gabriele, stava spingendo Ella a prendere decisioni che mai avrebbe pensato un giorno di poter anche solo considerare.
 
Loro due e tanta acqua sembrava la descrizione di un vecchio dipinto impressionista che Ella avrebbe voluto rispolverare e appendere nuovamente sulla parete della sua camera da letto.
 
«Paura? Io? Ma per piacere. Sei tu quello che potrebbe ritrovarsi a galleggiare a pancia in giù» lo provocò sorniona.
 
«Correrò il rischio. Allora? Qual è la risposta definitiva?» chiese con un luccichio di speranza negli occhi, stringendole più forte la mano per incoraggiarla.
 
L'ultima volta che aveva messo piede in una piscina era stato un giorno di aprile, cinque anni prima, con la stessa persona che adesso le stava chiedendo di ritornarci.
 
Non aveva più nemmeno mai pensato di poterci andare di nuovo, forse perché lo aveva sempre considerato come un luogo speciale che, nel loro piccolo, li univa; forse perché era un posto che l'avrebbe spinta ad annegare tra i ricordi, facendole più male che bene.
 
Poteva interpretare quell'invito come un modo per battezzare e rafforzare ciò che stavano cercando di ricostruire.
 
«È da tanto che non faccio una nuotata, penso mi farebbe bene.»
 
Anche nella semioscurità, Ella poté ammirare il sorriso di Gabriele.
 
L'idea che quella gioia fosse in parte merito suo, la spinse a ricambiare quell'espressione di puro entusiasmo.
 
«Chi poteva immaginarlo. È una fortuna che te lo abbia chiesto» disse con tono sarcastico.
 
«Grazie.» Un giorno si sarebbe decisa a inventare lei stessa una parola che potesse esprimere il senso di riconoscenza nel modo più profondo e sincero possibile, ma, fino a quel momento, avrebbe dovuto limitarsi a utilizzare quella semplice parola.
 
«Grazie a te.»
 
Nonostante la banalità, entrambi sapevano che le loro emozioni superavano il pragmatico senso di realtà. Gratitudine per il sostegno; gratitudine per la tenacia; gratitudine per il coraggio; gratitudine per la fiducia; gratitudine per la felicità; gratitudine per l'amore che donavano e ricevevano.
 
Tutto senza aspettarsi nulla in cambio.
 
Ella rabbrividì per l'intensità delle emozioni che vedeva riflesse negli occhi di Gabriele, le stesse che provava anche lei, ma che non era ancora pronta ad accettare.
 
Gabriele, percependo un cambiamento improvviso nel suo corpo, sciolse il groviglio di dita che l'avevano protetta dal freddo fino a quel momento.
 
Posò entrambe le mani sui suoi avambracci, scendendo dalle spalle fino al gomito per poi risalire.
 
In balia di quelle carezze premurose e ripetitive, le guance di Ella si colorarono di una leggera tonalità di rosa.
 
Le sensazioni che il suo tocco le stavano trasmettendo si accumularono nelle sue viscere, che sentiva stringersi e aggrovigliarsi su sé stesse per poi espandersi, rilasciando in lei un gradevole senso di piacere.
 
Non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe provato se a dividerli non ci fosse stato quel sottile strato di cotone.
 
«Che ne pensi di rientrare? Stai gelando.»
 
Ella si limitò ad annuire, ormai completamente ammutolita da quella inaspettata tenerezza. Prendendo le distanze dal suo tocco destabilizzante, ritornò a respirare e le gote le si raffreddarono prima che la luce del soggiorno la tradisse e il ragazzo potesse notare il rossore.
 
Gabriele la seguì, percependo nel silenzio che era calato tra loro piccole note di imbarazzo provenire dal corpo di Ella, che si ostinava a nascondere il viso alla sua vista. Anche se non era necessario guardarla per capire che il suo tocco l'aveva scombussolata, osservarne gli effetti sarebbe stato un toccasana per la sua autostima, che solo lei sapeva far vacillare.
 
Sofia e Lorenzo non tornano?» le chiese, prendendo posto sul divano accanto a lei.
 
«Sofia è andata a dormire da Cristina, mentre Lorenzo torna verso le due dal lavoro.»
 
Gabriele diede uno sguardo veloce alle lancette del suo orologio da polso, che segnavano appena le undici e mezza.
 
«Se hai paura di stare sola posso rimanere qui con te, almeno fino a quando non torna Lorenzo.»
 
Dopo la serata non propriamente leggera, non era molto entusiasta all'idea di rimanere sola, non perché temesse una visita indesiderata, semplicemente non voleva rimanere intrappolata nella sua mente dai troppi dubbi e pensieri che, in solitudine, sicuramente sarebbero nati.
 
«Stai per caso insinuando che sono una fifona frignona?» gli domandò ironica.
 
«Si notava così tanto?» chiese, guardandola con finto sguardo colpevole.
 
«Mi dispiace deluderti, ma sono una donna forte ed indipendente» rispose Ella, gonfiano il petto orgogliosa.
 
«Riformulo la domanda. Vuoi compagnia stanotte?»
 
Ella sorrise, felice che Gabriele avesse capito cosa ci fosse di sbagliato nel modo in cui le aveva rivolto la proposta.
 
«Si mi piacerebbe, ma, se rimani, potrai varcare quella soglia solo domani mattina.»
 
«Affare fatto.»
 
«Io ho difficoltà ad addormentarmi quindi, di solito, rimango qui a vedere la televisione. Tu, se vuoi, puoi dormire nel mio letto.»
 
Per quanto avesse desiderato che rimanesse con lei, la sua coscienza e buona educazione le impedirono di ignorare l'idea che magari avrebbe preferito un materasso invece di un divano discutibilmente comodo.
 
«Se me ne andassi in un'altra stanza, la mia presenza sarebbe inutile. Sto bene qui, vicino a te.»
 
Ella sorrise, felice per la risposta ricevuta, tuttavia fu inevitabile per lei, provare a mascherare quei sentimento con dell'ironia.
 
«Se domani ti svegli con i dolori, anche in punti sconosciuti, non dare la colpa a me.»
 
«Non mi spaventa un po' di mal di schiena.»
 
«Che uomo coraggioso» ribatté, prendendosi gioco di lui.
 
Gabriele le rivolse uno sguardo che stonava completamente con quella sarcastica affermazione.
 
«Tutto merito tuo.»
 
L'intensità dei suoi occhi lasciava poco spazio ai fraintendimenti. Le stava ribadendo quanto le aveva detto solo pochi minuti prima sul terrazzino.
 
Ella scattò in piedi, accorgendosi di essere diventata una totale imbranata e incapace di gestire il carico di emozioni che pesavano tra loro.
 
«Vado a cambiarmi. Ti porto una tuta di Lorenzo così starai più comodo.»
 
«No, tranquilla, non serve» si apprestò a rispondere Gabriele, prima che Ella si dileguasse.
 
«Sicuro sia io la testarda tra i due? Lascia almeno che ti trovi una felpa così ti togli la camicia.»
 
Ignorando le proteste, Ella scomparve dietro la porta che conduceva alle altre camere dell'appartamento.
 
Gabriele espirò tutta l'aria che aveva nei polmoni, incurvando leggermente le larghe spalle in avanti. Lontano da quella piccola strega, ebbe il tempo di riflettere senza la sua presenza decisamente deconcentrante.
 
Era difficile analizzare ogni singola emozione provata durante il racconto della sua storia e ancora di più capire i sentimenti che Ella poteva provare nei suoi confronti.
 
Si sentiva in bilico, tra l'istinto di osare e la paura di perderla. Quella sera gli era andata bene, non si era tirata indietro né quando aveva preso in ostaggio la sua mano né quando le aveva accarezzato le braccia, e ciò gli dava speranza.
 
Tuttavia la paura di Ella era così profonda che gli faceva temere che non avrebbe mai avuto il coraggio di metterla da parte completamente.
 
Non potevano ritornare a essere ciò che un tempo erano stati; non potevano amarsi come un tempo si erano amati; non potevano ridere come solo un tempo avevano riso.
 
Adesso dovevano fare i conti con quel tempo, che li aveva cambiati.
 
Una felpa rossa planò su di lui, colpendolo in pieno viso.
 
«Scusami, pensavo la prendessi al volo.»
 
«Ero distratto. Hai davvero un'ottima mira, complimenti» rispose sorridendo per il piccolo attentato subito.
 
Dopo aver posato l'indumento sulle gambe, iniziò a sbottonare la camicia sotto lo sguardo perplesso di Ella.
 
«Tu sai che in questa casa abbiamo una cosa chiamata bagno, vero?» la sua domanda ironica arrestò i movimenti delle mani di Gabriele, che aveva appena terminato di togliere l'ultimo bottone dall'asola.
 
Dopo aver fatto scivolare le maniche lungo le braccia, la sistemò sullo schienale del divano.
 
«Non credevo fossi così sensibile alla vista di un petto nudo» rispose Gabriele, voltandosi verso Ella.
 
Pensò che dovesse essere il demonio in persona per giocare in modo tanto meschino.
 
Lo osservò inarcando un sopracciglio: il torace era asciutto, non sarebbe riuscita a trovare un accenno di grasso nemmeno se lo avesse osservato tutto il giorno; i pettorali e la muscolatura addominale erano ben delineati; i fianchi erano stretti ed evidenziati da linee nette e marcate che si perdevano oltre il bordo dei jeans.
 
«Infatti non lo sono. Volevo solo accertarmi delle tue conoscenze sulla struttura interna dell'appartamento. L'informazione è fondamentale oggi giorno.»
 
Ella poteva fingere e ostentare indifferenza, ma era palese che la vista del suo corpo tonico e allenato aveva sortito in lei più emozioni di quante ne facesse trapelare, solo per non dargli soddisfazione.
 
«Certo. La cultura generale è importante.»
 
Gabriele sorrise, perché era consapevole di possedere un fisico che non lasciava indifferente e non poteva rinunciare all'occasione di osservare la reazione imbarazzata di Ella. Preferiva prendersi un piccolo vantaggio, perché era convinto che la visione di quella ragazza in costume lo avrebbe distrutto e lei lo avrebbe preso in giro per il resto della vita, ma se quello sarebbe stato il prezzo da pagare, non si sarebbe lamentato.
 
«È tua?» chiese Gabriele dopo aver indossato la felpa.
 
«Si. Da cosa lo hai capito?»
 
«È intrisa del tuo profumo.»
 
La situazione gli stava decisamente sfuggendo di mano. Respirò profondamente quell'aroma forte e speziato, pensando che avrebbe potuto sicuramente essere scambiato per un feticista, ma era più forte della sua volontà.
 
Lei lo faceva sentire vivo e quella fragranza era parte della sua essenza.
 
Lo tranquillizzava, era la certezza che tutto sarebbe andato bene.
 
«L'ho messa solo ieri quindi è possibile. Se ti infastidisce, posso prendertene un'altra.»
 
Ella stava per alzarsi, quando venne fermata dalla mano di Gabriele che si posò sulla sua coscia destra.
 
«No, è perfetta» rispose, allontanando la presa su di lei.
 
Nell'ultima ora aveva tirato troppo la corda ed era meglio non continuare a sfidare la sorte.
 
«Pensa in questo modo. Proverai l'ebrezza profumare come una donna» commentò Ella con tono scherzoso, mentre si stendeva supina sul divano.
 
«In effetti era nella lista delle cose da fare prima di morire. Grazie a te posso eliminarla.»
 
«È stato un piacere aiutarti a realizzare il tuo sogno proibito.»
 
Il divano non era lungo abbastanza perché Ella potesse stendere le gambe senza doverle appoggiare su quelle di Gabriele, che stava fissando l'estensione del divano di fronte indeciso.
 
«Hai l'isola a disposizione, sdraiati» lo incitò Ella, invitandolo ad abbandonare ogni dubbio.
 
«Vieni anche tu» le rispose, slacciandosi le scarpe.
 
Ella afferrò le due coperte poggiate sullo schienale del divano e gliene lanciò una.
 
È piccola, non ci entriamo in due.»
 
«Ci stringiamo.»
 
La ragazza alzò lo sguardo dalla coperta, che aveva appena terminato di sistemare, e lo rivolse a Gabriele che riciclò la sua occhiata fulminante in un'espressione di pura innocenza.
 
«Stai cercando una scusa per abbracciarmi? Come nei film romantici commerciali?» chiese stuzzicandolo.
 
«Non ho bisogno di scuse per questo e, anche se fosse stato così, avresti di sicuro rovinato l'atmosfera.»
 
Ella era piuttosto divertita e lusingata dalla situazione che si stava creando. Fu rigenerante quella sensazione di benessere e spensieratezza che donava uno scambio di battute senza pretese e senza il timore di innescare una terza guerra mondiale se una sua parola fosse stata fraintesa dall'altra parte.
 
Lui le aveva dato speranza, con le sue carezze, i sorrisi, la tenacia e la fiducia.
 
«Hai ragione, ma non credo che ti avrebbe fermato se fosse stato quello il tuo intento.»
 
«Touché.»
 
«Se sei così sicuro di te, perché non lo fai?» gli domandò Ella, curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinto.
 
Stava giocando un gioco pericoloso, ma fino a quando non si fosse scottata non sarebbe stata contenta.
«Perché sono convinto che mi spingeresti a calci giù dal divano» rispose ridendo.
 
«Sei un codardo» lo accusò, puntandogli contro l'indice.
 
«Può darsi, ma ci tengo ancora alla mia vita. Anche se hai fatto un passo verso di me, ti conosco abbastanza da sapere che non mi hai ancora accettato completamente. Per quanto lo abbia desiderato per anni, se ora ti stringessi a me, ti sentiresti a disagio. Non ho aspettato tutto questo tempo, solo per spaventarti proprio adesso» ammise, osservandola con attenzione.
 
I suoi occhi erano velati di tristezza e rimpianto al ricordo degli errori commessi. Gabriele aveva ragione ed Ella lo sapeva, ma non poteva restare a guardare il suo sguardo spegnersi. Voleva che sorridesse, così come lui riusciva con lei apparentemente senza impiegare alcuno sforzo.
 
«Ti concedo di abbracciare le mie gambe» disse, allungando gli arti inferiori che si erano già intorpiditi per la posizione scomoda che aveva assunto per non importunarlo.
 
«Questi sono i tuoi piedi» commentò tra le risate.
 
Quella ragazza era totalmente pazza.
 
«Sono puliti, non ti preoccupare.» Ella lo mise a tacere con un movimento veloce della mano destra, come se volesse allontanare le sue affermazioni inutili.
 
«Dammi una sola ragione per cui dovrei abbracciarli» ribatté provocatorio, ignorando la finta non curanza di Ella.
 
«Perché sono i miei e perché se vuoi qualcosa di più dovrai guadagnarla a piccoli passi. Visto? Te ne ho date due, quindi non ti lamentare.»
 
Il ragazzo sorrise e smise di fingere rimostranze.
 
Non sapeva perché Ella avesse compiuto quel gesto, forse per stare più comoda o forse perché desiderava sentirlo più vicino, ma in fin dei conti cosa importava.
 
Entrambi erano sdraiati sul divano, nella posizione meno scomoda che erano riusciti ad assumere, e Gabriele si sentiva finalmente felice, mentre, sovrappensiero, accarezzava con movimenti piccoli e lenti le gambe di Ella coperte dal pantalone della tuta.
 
Si addormentarono pacificamente, prima Ella, che era così stanca da aver ignorato persino il brusio di sottofondo proveniente dalla televisione, e dopo Gabriele, che aspettò pazientemente che la sua piccola strega venisse finalmente rapita da Morfeo.
 
Un solo pensiero indugiò nella mente di entrambi, prima che la stanchezza prendesse il sopravvento sulle loro membra: lui era la sua speranza, mentre lei era la sua vita.
 
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Ella fu strappata dal suo sonno da una spiacevole sensazione di oppressione che le rendeva difficoltoso respirare.
 
Ancora intontita e con gli occhi chiusi, mosse la mano in direzione del proprio addome per capire quale fosse il problema. Le dita sfiorarono qualcosa di molto morbido al tatto, ma con il cervello ancora spento, non riuscì ad associare quella sensazione all'oggetto che gliele stava trasmettendo. Continuò a muovere le dita, ormai totalmente immerse in quel soffice volume, scoprendo quando fosse rilassante e piacevole perdersi in quelle carezze.
 
In quel momento, la massa non identificata si mosse, sistemandosi meglio sulla pancia per ottenere un maggior contatto con la sua mano.
 
I ricordi della serata precedente riempirono la mente di Ella, che sbarrò gli occhi sconcertata da ciò che immaginava avrebbe visto.
 
Era troppo giovane per iniziare a soffrire di allucinazioni, però, se fossero state sempre così belle, avrebbe anche potuto farci l'abitudine.
 
Gabriele le si era spalmato addosso durante la notte.
 
Ciò che Ella stava accarezzando erano i suoi capelli arruffati, mentre il peso che le premeva sull'addome era la testa. Con il suo braccio destro, Gabriele le avvolgeva in una ferrea stretta il fianco sinistro, sia per tenerla più vicina, sia per evitare che cadesse dal divano, dal momento che si trovava all'esterno.
 
Non poteva vedere il suo viso, ma sembrava così sereno e tranquillo perso in chissà quale sogno, che le dispiacque l'idea di doverlo svegliare.
 
Se non fosse stato per la mancanza di ossigeno, lo avrebbe lasciato riposare in pace.
 
Dovette ammettere a sé stessa che tutta quella situazione le stava trasmettendo una piacevole quanto inquietante sensazione di felicità, ma era necessario anche fare i conti con la realtà.
 
«Gabriele, svegliati» sussurrò, mentre provava a spostare delicatamente il braccio che la stringeva.
 
In risposta a quell'inutile tentativo, Gabriele borbottò qualcosa che Ella non riuscì a comprendere e aumentò maggiormente la presa sul suo bacino.
 
«Pigrone ammasso di muscoli, mi stai soffocando» lo rimproverò, spingendolo con più forza.
 
Davvero ci provava a essere gentile, ma puntualmente nessuno la ascoltava se non alzava il tono di voce.
 
Gabriele produsse qualche verso sconosciuto e impossibile da riprodurre, mentre scivolava più in basso.
 
La situazione stava diventando decisamente imbarazzante, anche se la sua espressione assonnata era così buffa e tenera che si dimenticò completamente della zona del suo corpo che Gabriele aveva appena sorvolato con il viso.
 
Ella rivolse uno sguardo al soffitto, grata per l'aria che stava finalmente riprendendo a circolare liberamente nei polmoni.
 
«Adesso va meglio?» chiese Gabriele con voce debole e impastata, mentre sfregava la guancia sulle cosce di Ella alla ricerca della posizione più comoda.
 
«Oh Signore, aria!» esclamò Ella.
 
«Drammatica» commentò con la voce deformata per uno sbadiglio trattenuto.
 
«Scusami, ma ho sognato che un serpente mi stesse stritolando e quando mi sono svegliata ho capito che era solo la tua testa il motivo per cui respiravo male.
 
Parlare senza poterlo guardare in viso era frustrante, ma sembrava così intenzionato a non lasciarla andare che si dovette accontentare di conversare con il cespuglio deforme che si era impossessato dei suoi capelli.
 
Gabriele avrebbe potuto allontanarsi da lei per ritornare nella stessa posizione in cui si era addormentato la sera precedente, ma aveva pensato che, se Ella aveva provato a svegliarlo invece di scaraventarlo giù dal divano, avrebbe potuto semplicemente cambiare zona e tastare i suoi limiti. Se Ella non si spostava era perché evidentemente piaceva anche a lei la sensazione dei loro corpi a contatto, anche se separati da qualche strato di stoffa.
 
«Avresti preferito la posassi più sopra?» chiese beffardo ed Ella immaginò il sorrisetto sfacciato che gli stava sicuramente increspando le labbra.
 
«Vuoi un pugno in faccia di prima mattina?»
 
«Preferirei un bacio» rispose con voce melliflua.
 
«Non hai possibilità di scegliere e, comunque, perché non mi spieghi il motivo il tutto questo?» domandò Ella, spinta sia dalla curiosità di ascoltare la sua giustificazione, ma soprattutto dal desiderio di sfuggire all'immagine che la sua mente aveva ricreato alla proposta di Gabriele.
 
Aveva pensato e sognato troppe volte quel momento, vedendosi costretta poi a rinchiuderlo in un luogo dal quale non sarebbe più dovuto uscire per ritornarle a farle del male.
 
Dopo tutto ciò che era accaduto, Gabriele avrebbe dovuto avvalersi di molto più di qualche frase dolce e gentile, se avesse voluto farla cedere e riconquistare del tutto la sua fiducia.
 
«Non è stata colpa mia. Evidentemente nel sonno ho sentito la mancanza di un cuscino e tu sei davvero morbida e comoda.» Il viso di Gabriele si inabissò ancora di più nelle sue cosce, come ad avvalorare la sua affermazione.
 
Ella, per quanto imbarazzata dalla situazione che si stava venendo a creare, non riuscì a trattenere un sorriso di fronte a tutta la tenerezza che quel ragazzo le stava regalando e alla semplicità con cui le dimostrava affetto. Giorno dopo giorno stava riuscendo nell'intento di trasformala in una caramella zuccherata e lei non riusciva più a opporsi. Ogni carezza, ogni stretta, ogni parola dolce che le riservava riusciva a riempire il suo cuore di felicità, inducendolo ad aumentare le pulsazioni.
 
«Posso inserire questa mia qualità nel curriculum, magari mi prendono in qualche spot pubblicitario per i materassi» propose, ridendo della sua stessa idea.
 
«Non credo sia il caso» borbottò lamentoso Gabriele.
 
«Perché?»
 
«Se il mondo venisse a conoscenza di questo tuo segreto si approfitterebbe di te e tu non vuoi essere usata.»
 
«Hai ragione. Meglio che nessuno usufruisca delle mie doti nascoste.»
 
«Proprio nessuno?»
 
Dopo quanto Ella gli aveva raccontato la sera precedente, Gabriele avrebbe voluto vivere in quel momento per sempre. Solo il pensiero di dover attraversare la porta di ingresso e salutarla gli provocava un'insopportabile sensazione di vuoto allo stomaco.
 
Pensò che se non l'avesse lasciata andare, avrebbe potuto proteggerla da Matteo e da chiunque avesse provato a farle del male, compresa sé stessa, ma a quel punto lui si sarebbe trasformato nel suo nuovo carnefice.
 
Parte della bellezza di Ella risiedeva nella libertà del suo pensiero e del suo carattere e Gabriele non aveva nessun diritto per portarle via ciò che la rendeva così speciale.
 
L'avrebbe protetta in pieno giorno, tra le strade soleggiate e trafficate di tutte le città che avrebbe deciso di esplorare; l'avrebbe protetta in piena notte, quando gli avrebbe concesso di portarla a casa da lavoro; l'avrebbe protetta durante il sonno, quando sarebbe stata troppo vulnerabile per mandare via le sue paure.
 
Avrebbe fatto tutto questo nel suo silenzio, nascosto nell'ombra, perché la conosceva così bene da sapere che non avrebbe accettato la protezione di nessuno. Era troppo orgogliosa e fiera della propria indipendenza da non accorgersi che, permettere a qualcuno di prendersi cura di lei, non significava essere dipendenti o deboli.
 
Gabriele era così immerso nelle sue riflessioni da aver perso contatto con la realtà ed Ella, approfittando del momento di distrazione, ruotò velocemente entrambe le gambe verso l'esterno.
 
Il ragazzo non si rese conto di ciò che stava accadendo fino a quando il suo fondoschiena non entrò in violenta collisione con le fredde mattonelle del pavimento.
 
«Sei una perfida strega» la accusò dopo aver preso coscienza dell'accaduto.
 
«Lo hai detto tu che, se mi avessi abbracciata, ti avrei buttato a calci giù dal divano. Ho solo confermato il tuo pronostico» ribatté Ella gongolante di gioia, mentre si sollevava di mezzo busto per poggiarsi sui gomiti, in modo da avere una visuale completa del suo operato.
 
«Avrò la mia vendetta.» La minaccia di Gabriele era debole, perché non era riuscito a camuffare il luccichio di divertimento riflesso nei suoi occhi, nonostante si stesse sforzando per mantenere l'espressione del viso più neutra possibile.
 
«Ti aspetto al varco, Willy.»
 
Gabriele impiegò qualche istante per collegare il nome con cui lo aveva chiamato al delfino protagonista di un film, ma quando lo capì non poté evitare di sorridere.
 
Ella lo aveva battezzato in quel modo al liceo e la motivazione che accompagnava quel nome si basava sulla teoria che lui fosse troppo dolce e gentile per essere soprannominato squalo.
 
«Sarà meglio che vada prima che mi lanci direttamente giù dal balcone» disse Gabriele, alzandosi da terra.
 
«Non vuoi fare colazione?» chiese Ella, scalciando le coperte per mettersi in piedi svogliatamente.
 
No, grazie. Stamattina avevo in programma di studiare, perché oggi ho gli allenamenti e sono in ritardo sulla tabella di marcia» rispose, iniziando a sollevare il bordo inferiore della felpa.
 
«Tienila, ne ho altre.»
 
«Sicura?»
 
«Si. È da uomo e poi sta meglio a te che a me.»
 
Gabriele le rivolse istintivamente uno sguardo confuso, ma Ella riuscì a scorgervi anche una punta di insofferenza e repulsione.
 
«So a cosa stai pensando e no, non è di Matteo. Le sue cose credo di averle buttate tutte, in ogni caso amo i vestiti da uomo e, se aprissi il mio armadio, troveresti anche qualche camicia che potrebbe andarti bene.»
 
Alle sue spiegazioni, il viso di Gabriele si rilassò visibilmente. La sua reazione non poteva essere definita come gelosia, piuttosto rabbia e viscerale senso di schifo nei confronti di chi l'aveva profondamente ferita.
 
«Sono convinto che quelle donerebbero molto più a te. Ti lascio la mia, mi sembra uno scambio equo.»
 
Il suo stesso invito fece emergere dalle sue fantasie un'immagine di Ella con indosso la sua camicia. Gabriele si vide costretto a sbattere più volte le palpebre per riprendersi da quella eccitante quanto sconvolgente visione, prima che perdesse totalmente il controllo sui propri ormoni.
 
«Così mi priveresti di altre visioni come quelle di ieri? Non posso arrecare un danno simile al genere femminile» commentò Ella sarcasticamente, provando a camuffare l'imbarazzo creato dalla situazione.
 
«Fidati, sopravvivranno» rispose sorridendole, mentre le porgeva l'indumento.
 
«Adesso, sarà meglio che vada» continuò, infilandosi il giubbino di pelle e avviandosi verso la porta d'ingresso.
 
Ella lo seguì, chiedendosi il motivo di tutta quella fretta.
 
«Ci vediamo domenica» la salutò frettolosamente, guardandola di sfuggita.
 
«Farò del mio meglio per non cambiare idea.» Gabriele sembrò non ascoltare la sua provocazione ironica che non sortì in lui nessun effetto.
 
Sembrava stesse fuggendo da un segugio infernale, eppure era stata decisamente molto affabile per i suoi standard.
 
Un senso di angoscia pervase le sue viscere, inducendola a interrogarsi ossessivamente sui possibili errori che aveva commesso e a cosa stesse pensando di così spaventoso da farlo fuggire.
 
Gabriele era già fuori alla porta, in procinto di scendere le scale, quando Ella lo fermò, correndo nella sua direzione.
 
«Aspetta!»
 
Per la prima volta nella sua vita, dopo tanto tempo, non sapeva cosa stesse facendo.
 
L'unica cosa di cui era certa era che non voleva che Gabriele se ne andasse in quel modo.
 
Aveva messo da parte la ragione, lasciando che l'istinto prevalesse e avrebbe potuto dire con assoluta certezza che non si era mai sentita così bene, prima di quel momento.
 
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, giusto in tempo per afferrarle i fianchi e impedire che lo slancio di Ella facesse perdere ad entrambi l'equilibrio.
 
Per la seconda volta nell'arco di mezz'ora, Gabriele non riuscì a comprendere nell'immediato cosa stesse succedendo.
 
Il suo corpo percepì il contatto delicato prima che venisse elaborato dal cervello. Quando la nebbia della confusione si diradò nella sua mente, Gabriele rivisse la scena da poco accaduta a rallentatore.
 
Le labbra morbide di Ella, ancora leggermente gonfie e intorpidite per il sonno, si erano posate leggere sulla sua guancia.
 
«Grazie» disse Ella, interrompendo quella dolce carezza.
 
Gli occhi di Gabriele erano ancora sgranati per la sorpresa, ma, sotto lo sguardo felice di Ella, si riscosse completamente, ricambiando il suo sorriso.
 
Le sue mani abbracciavano ancora la sua vita, in una stretta lieve e quasi impercettibile. La spontanea delicatezza che le mostrava, anche quando lo coglieva di sorpresa, avrebbe potuto abbattere qualsiasi muro avesse deciso di innalzare.
 
«Buona giornata, perfida strega.»
 
Gabriele si chinò in avanti quel tanto che bastava per restituire il bacio che Ella gli aveva regalato.
 
Quando lasciò la presa su di lei, entrambi percepirono la mancanza della presenza dell'altro, come se una forza esterna avesse strappato loro qualcosa senza la quale sarebbe stato impossibile continuare a vivere serenamente.
 
Ella deglutì, sperando che quel gesto potesse bastare ad allontanare da lei quella sensazione che le stava stringendo la gola.
 
Aspettò che Gabriele scomparisse completamente dalla sua vista, prima di rientrare in casa a malincuore.
 
Fu così strano, ma al contempo naturale, pensare che quell'appartamento non fosse più lo stesso senza di lui, anche il divano sembrava aver perso colore.
 
Stava decisamente impazzendo, eppure era quella la scia che i suoi sentimenti volevano continuare a percorrere, perché quando una persona importante se ne andava, che fosse per qualche minuto, un'ora, un giorno o per sempre, apriva una voragine difficile da richiudere.
 
«Ella, ti reputavo una ragazza più responsabile. È entrato da due minuti nella tua vita e lasci già che ti si spiaccichi addosso come una cozza.»
 
Il tono di rimprovero, che aveva colorato la voce di Lorenzo, la strappò con violenza alle sue riflessioni.
 
«Trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando» rispose, dandogli le spalle per dirigersi in cucina a prepararsi un caffè molto forte e molto amaro.
 
«Non credo di aver capito il senso.»
 
Ella gli concesse la propria attenzione, mentre inseriva la capsula nella macchinetta.
 
Era ancora in pigiama, quindi, con molta probabilità, si era svegliato da poco. Questa osservazione la spinse a chiedersi come potesse avere la volontà e la pazienza di essere tremendamente irritante appena sceso dal letto.
 
«So che questo scioglilingua non è all'altezza della tua brillante affermazione, ma non credo riuscirei mai a trovare qualcosa di più inutile, insensato e superficiale di ciò che hai appena avuto il coraggio di pronunciare.»
 
L'affetto che Sofia e Lorenzo provavano per lei sembrava gli avesse conferito il diritto di indossare i panni di angeli custodi strafatti di acqua santa.
 
Avevano sempre avuto il brutto vizio di trattarla con i guanti, ma alla luce degli ultimi accadimenti la situazione era drasticamente peggiorata.
 
Capiva la preoccupazione, ma darle dell'irresponsabile poco di buono era decisamente troppo. Esistevano modi decisamente più amabili per manifestare il proprio riserbo, che Lorenzo, evidentemente, non conosceva.
 
«Non poteva tornare a casa sua?»
 
Quella domanda poteva essere confusa per una semplice curiosità, ma, dal tono e dallo sguardo con cui gliel'aveva rivolta, Ella capì che celava un'implicita accusa.
 
Proprio non riusciva a capire cosa ci fosse di così sbagliato, tanto da essere stata capace di suscitare tutto quell'astio.
 
«Si è offerto di farmi compagnia fino al tuo ritorno, ma io gli ho detto che se voleva rimanere avrebbe trascorso qui la notte e ci siamo addormentati sul divano. Perché diavolo ti sto dando delle spiegazioni sulla mia vita privata?» chiese Ella a sé stessa, con voce eccessivamente acuta.
 
La stava trattando come se avesse commesso un genocidio di poveri bambini innocenti, anzi, in quel caso sarebbe stato sicuramente più comprensivo.
 
«Perché viviamo sotto lo stesso tetto» rispose Lorenzo, indicando con entrambe le braccia lo spazio circostante.
 
«Beh, non mi pare che quando Cristina o Luca dormono qui, io trasformi la questione in un affare di stato» ribatté Ella, mentre schiacciava con troppa forza il pulsante che azionava la macchinetta del caffè.
 
Desiderava così ardentemente che sotto il suo dito si trovasse, invece, la testa di Lorenzo solo per il gusto di spremerla come se fosse un brufolo brutto e fastidioso.
 
«Loro sono nostri amici, invece, Gabriele chi è per noi?»
 
Ella aveva intuito che Lorenzo provasse per lui una sorta di antipatia dal giorno della partita di Sofia.
 
Nemmeno il tempo di presentarsi e già si stava impegnando nel tentativo di farlo sentire a disagio, per non parlare di quando erano ritornati sugli spalti. Aveva trascorso tutto il tempo del secondo set a rivolgergli occhiate sospettose e avverse, come se si aspettasse che da un momento all'altro potesse cacciare un coltello dalla tasca del pantalone e puntarglielo alla gola per prenderla in ostaggio.
 
«Ti ricordo che, prima di diventare anche miei amici, Cristina era la ragazza di Sofia e Luca il tuo collega di università. In più, io, Sofia e Gabriele siamo stati compagni di classe alle superiori.
 
Ti consiglio di smetterla perché più parli e più peggiori la tua situazione.»
 
Non riusciva a capacitarsi di come facesse a non accorgersi di quanto si stesse comportando in modo ridicolo e infantile.
 
«Beh, a me non piace» affermò soddisfatto, incrociando le braccia sotto lo sguardo incredulo di Ella, che non faceva che ripensare a quando gli avesse chiesto un parere a riguardo
 
«Mi susciterebbe più interesse vedere due farfalle riprodursi che considerare un'opinione viziata basata sul nulla cosmico che si espande nel tuo cervello ogni secondo che passa. Insomma, che ti prende?»
 
Ella bevve un lungo sorso di caffè nella speranza che le desse la forza necessaria per condurre una conversazione completamente priva di senso.
 
«Non è una persona su cui poter fare affidamento. Cosa gli impedisce di andarsene di nuovo come un codardo?»
 
Quella era decisamente la domanda più sbagliata che potesse farle: primo, perché non erano affari suoi; secondo, perché chi parlava senza cognizione di causa le faceva perdere la pazienza alla stessa velocità con cui Sofia schiacciava un pallone al di là della rete.
 
«Tu non lo conosci, quindi non puoi permetterti di fare insinuazioni. Solo io posso insultarlo e se voglio andare a sbattere contro un muro, dopo mi assumerò la responsabilità delle mie azioni. Sono capace di intendere e di volere e posso prendere una decisione da sola.»
 
Ella era così arrabbiata che posò, con poca delicatezza, la tazzina nel lavandino, prima che prevalesse l'istinto di lanciarla in faccia a Lorenzo.
 
«Ti farai del male.»
 
Quello che doveva essere un avvertimento aveva assunto le sembianze di una minaccia.
 
Ella dovette domandarsi se non fosse esattamente ciò che Lorenzo sperava che accadesse solo per rinfacciarle che lo aveva previsto.
 
«L'oracolo di Delfi era più criptico. Dovresti fare un corso accelerato di cultura greca prima di poterti atteggiare a profeta. In questo momento sembri solo un gran coglione, fidati.»
 
«Perché sei così ottusa?» chiese Lorenzo con voce fin troppo esasperata.
 
«Evidentemente ho delle tendenze masochistiche represse che vogliono vedere la luce del sole. La prima volta non mi è bastata visto che sono ancora viva, ma magari potrebbe andarmi meglio con la seconda. Non vedo l'ora di poter pregustare la terza, magari invece di uno stalker riesco a trovare un serial killer, tu che dici? Potrebbe essere la base per una buona sceneggiatura, devo parlarne a Gabriele.»
 
I toni si stavano innalzando drasticamente, mentre l'aria intorno a loro era diventata più calda e densa di particelle negative. Non si sarebbe stupita se da lì a qualche minuto si sarebbe scatenata una tempesta di tutto rispetto.
 
Ella ci sperava, perché era intenzionata ad affondare lui e i suoi istinti primordiali.
 
«Sei caduta di testa di prima mattina?»
 
«Sei tu che l'hai sbattuta nel cesso. Valla a recupereremo assieme alla merda che ti è uscita dalle orecchie, deve essere ancora in ammollo nell'acqua.»
 
Quando la rabbia prendeva possesso di lei diventava più volgare di uno scaricatore di porto, non che le importasse, perché a tratti era anche divertente dare libero sfogo al suo animo rozzo.
 
«Tra noi sono l'unico abbastanza lucido da vedere chiaramente tutta questa situazione. Sembri sempre così controllata emotivamente, ma, a quanto pare, basta che nella tua vita ricompaia un nuotatore di un metro e ottanta per mandare il tuo cervello fuori uso.»
 
Ella dovette sbattere più volte le palpebre, perché si rifiutava categoricamente di estrapolarne il significato implicito da quelle parole.
 
Le aveva appena detto di essere una ragazza facile e lui se ne stava tranquillamente appoggiato con la schiena all'isola della cucina, come se le avesse domandato cosa si mangiasse a pranzo.
 
Tra l'esame di abilitazione, il lavoro e lo studio di avvocati, i neuroni doveva esserseli bruciati davvero tutti, altrimenti non riusciva e non voleva spiegarsi quelle insinuazioni.
 
«Lorenzo ma invece dello zucchero, hai messo la cocaina nel caffè? Non lo so, stai iniziando ad avere le allucinazioni? Devo farti internare per schizofrenia?»
 
Preferiva attribuire il suo comportamento alla sua momentanea incapacità di intendere, piuttosto che sentirsi dire che sapeva esattamente cosa stesse farneticando.
 
«Sto provando a farti aprire gli occhi»
 
Quella misera giustificazione faceva acqua da tutte le parti. Forse la regina di cuori nella notte era uscita dal romanzo di Lewis Carroll e gli aveva tagliato la testa nel sonno, perché nulla in lui era al posto giusto in quel momento.
 
«Davvero stai facendo tutto questo casino perché ci hai visti addormentati sul divano? Se ci avessi trovati nudi, ti sarebbe venuto direttamente un infarto?»
 
Ella ormai stava urlando e non si sarebbe stupita se i vicini di casa si fossero appostati fuori alla porta del loro appartamento per seguire con interesse quella commedia spicciola, che Lorenzo aveva deciso di mettere in scena.
 
«In quel caso probabilmente lo avrei preso a calci.»
 
«Adesso mi sto seriamente incazzando» Ella sbatte violentemente i palmi di entrambe le mani sul tavolo, dedicandogli uno sguardo così freddo da farlo bruciare. «Ma chi ti credi di essere per dirmi cosa fare e come comportarmi? Non puoi avere la presunzione di poter mettere bocca sulle mie decisioni, soprattutto con questo atteggiamento dispotico, arrogante e maleducato. Ho lasciato che insultassi la mia intelligenza, perché speravo ritrovassi il buon senso che evidentemente ha perso in quel dannato cesso stamattina, ma non ti permetto più di parlare di Gabriele in questo modo. Ti è chiaro il concetto?»
 
Ella non gli avrebbe mai alzato le mani su di lui, ma nessuno in quel momento avrebbe potuto lontanamente immaginare il desiderio che aveva di prendere qualunque oggetto avesse intorno e lanciarglielo addosso.
 
«Quando ti accorgerai di aver fatto un replay di ciò che è accaduto con Matteo, forse riuscirai a capire la mia preoccupazione e il significato delle mie parole.»
 
Da mangiauomini era appena diventata una piccola anima indifesa.
 
Ella pensò che fosse una vera sfortuna che nella sua vita ci fossero solo i nomi di due ragazzi, altrimenti avrebbe potuto inaugurare un'attività molto redditizia.
 
«Voi siete tutti completamente fuori di testa. Prima Sofia che minaccia Matteo a telefono e poi tu che mi dai della stupida irresponsabile, ma che razza di geni avete in famiglia? Capisco che ci conosciamo da una vita, ma state oltrepassando il limite. Nemmeno i miei genitori mi parlerebbero mai in questo modo, quindi ridimensionati se non vuoi finire nella busta dell'umido.»
 
«Non venire da me quando ti verrà un esaurimento nervoso.»
 
Ella stentava a credere che quello fosse lo stesso Lorenzo che la andava a prendere spesso a lavoro, che la sopportava nelle lunghe maratone di film e serie tv, che le faceva compagnia quando non riusciva a dormire. Adesso sembrava completamente un'altra persona.
 
L'affetto di una persona poteva davvero spingerla a reagire in quel modo pur di metterla in guardia?
 
Forse, ma Ella non avrebbe mai potuto giustificarlo. Come minimo avrebbe dovuto scusarsi ogni giorno per tutti quelli che gli restavano ancora da vivere.
 
«Non lo farei mai, so che non hai le palle per affrontare una donna che piange. Un giorno il karma farà soffocare voi uomini nel vostro stesso testosterone, mentre io osserverò la scena con un sacchetto di pop corn in mano. Vedervi dire addio al vostro inutile ego sarà meglio di un orgasmo.»
 
Il rumore della porta di ingresso che si chiudeva, impedì a Lorenzo di rispondere.
 
«Buongiorno a tutti. Che succede? Si sentono le vostre grida dal pianerottolo» chiese sofia, entrando in cucina.
 
Ella le fu immensamente grata per aver evitato che l'ossigeno fornito da una povera pianta venisse sprecato per dare alito ad altre frasi stupide.
 
«Sei arrivata al momento giusto. Dici a tuo fratello di smetterla di dire stronzate.»
 
L'implorante richiesta di Ella non tardò a essere eseguita.
 
«Lorenzo dacci un taglio» lo ammonì Sofia, guardandolo male.
 
«Ma se non sai nemmeno di cosa stiamo parlando.»
 
«Mi fido di Ella. Ha ragione a prescindere.»
 
«Io sono allucinato» commentò Lorenzo, infilando entrambe le mani nei capelli, come se potessero aiutarlo a risolvere il pasticcio in cui si era cacciato.
 
«Zitto devi stare. Tuo fratello mi sta facendo una paternale perché, quando ieri è tornato da lavoro, ha trovato me e Gabriele addormentati sul divano» le spiegò Ella, nel modo più semplice ed esaustivo possibile.
 
«Era quasi ora che movimentassi un po' la tua vita. Mi devi raccontare tutto. Vi siete svegliati abbracciati?»
 
La reazione sovraeccitata di Sofia lasciò allibiti entrambi: Lorenzo, perché aveva creduto che la sorella lo avrebbe spalleggiato, conoscendo il senso di protezione che aveva nei confronti di Ella; quest'ultima aveva immaginato si sarebbe mostrata felice, ma non che avrebbe esultato come un'adolescente in piena crisi ormonale al concerto della sua band preferita.
 
«Cosa? No. Gabriele aveva la tasta sul mio addome.»
 
«Non ci posso credere. Tu davvero non sei preoccupata?» chiese Lorenzo ancora sconcertato.
 
«Perché dovrei? Sono entrambi adulti e vaccinati e mi fido di Gabriele. È l'unico ragazzo che conosco che sia degno di stare al fianco di Ella o che meriti di amarla.»
 
«La situazione sta decisamente generando. Preferivo i deliri sotto anfetamine di tuo fratello» disse Ella, passandosi esasperata una mano tra i capelli.
 
«È la verità e lo sai bene» rispose Sofia, puntandole contro l'indice.
 
«Ma se l'ha abbandonata. Chi ti dice che non lo farà di nuovo? Poi saremo noi a dover raccattare i suoi pezzi da terra» sbraitò Lorenzo in preda ad una crisi isterica.
 
«Non sono un cane e non ti ho mai chiesto rimettere insieme i pezzi della mia vita. La prossima volta che mi parlerai in questo modo, ti assicuro che ti ritroverai lo stampo della mia mano desta sulla tua guancia. Ti sto avvertendo solo perché, anche se sei un totale imbecille, ti voglio bene, ma ti consiglio di fare attenzione.»
 
L'avvertimento di Ella probabilmente non sarebbe servito a molto, considerato lo stato delirante in cui Lorenzo versava, ma almeno non avrebbe avuto sensi di colpa quando la sua testa sarebbe volata in Australia a saltellare assieme ai canguri.
 
«Gli psicologi non dovrebbero essere tolleranti e disponibili?»
 
«Tu gli stereotipi te li mangi al posto dei cereali a colazione, un giorno di questi ti ci strozzerai.»
 
«Ragazzi, per favore, calmatevi» intervenne Sofia, sperando fosse sufficiente a placare gli animi.
 
«Non ho più nulla da dire né interesse nell'ascoltare altre idiozie. Se vuoi litigare continua da solo, io me ne vado.»
 
Ella voltò le spalle a entrambi, sperando che il suo silenzio potesse essere più esaustivo e chiaro delle sue parole.
 
Lorenzo avrebbe capito il suo errore, in un modo o in un altro.
 
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Ella e Gabriele camminavano sul bordo piscina, calpestando le azzurre piastrelle antiscivolo leggermente bagnate con le loro infradito di gomma e il rumore provocato dalle loro suole riverberava tra le travi del soffitto.
 
«Mi piace l'odore di cloro al mattino», disse Gabriele inspirando profondamente l'aria calda e umida che impregnava le mura di quella struttura privata.
 
«Non per distruggere la tua autostima, che crede di aver proposto la migliore versione della citazione, ma vorrei farti notare che siamo nel tardo pomeriggio», lo punzecchiò Ella, indicando la luce tenue e arancione del tramonto, che filtrava dalle finestre posizionate alla medesima distanza e separate da un pilastro l'una dall'altra.
 
«E io non vorrei fare altrettanto con la tua, ma hai un po' di bava nell'angolo della bocca.» Gabriele si fermò e, voltandosi nella sua direzione, allungò la mano verso il suo viso con l'intenzione di eliminare l'immaginaria saliva accumulata.
 
Ella fece un piccolo passo indietro, tenendo conto della distanza che la separava dal bordo della prima corsia della vasca, per evitare di cadere in acqua.
 
«Non sono sufficienti i muscoli a fare un uomo.» Non avrebbe potuto trovare citazione migliore se non quella tratta da Mezzogiorno di fuoco, ma la risposta, che aveva creduto essere tanto brillante, fece sorridere Gabriele in modo ambiguo e provocatorio.
 
Dal luccichio che vide illuminare il suo sguardo, capì che era esattamente la frase con cui sperava Ella avrebbe ribattuto e lei gliel'aveva servita su un piatto d'argento.
 
«Vero, ma bastano per leggere il desiderio nei tuoi occhi. Scommetto che muori dalla voglia di toccarmi le braccia.»
 
Il fisico del ragazzo che aveva di fronte lo aveva già visto e, per quanto fosse indiscutibilmente attraente, i suoi neuroni erano ancora perfettamente attivi e funzionanti.
 
Ella spostò sul braccio sinistro l'accappatoio azzurro, come il colore delle pareti e delle mattonelle della piscina.
 
La sua mano destra, adesso libera, si posò sul suo fianco inclinato leggermente verso sinistra.
 
«Non proiettare i tuoi sogni erotici su di me» lo canzonò Ella, che non aveva potuto evitare di sentire come lo sguardo intenso di Gabriele scivolasse sul suo corpo, percorrendone ogni curva e bruciandole la pelle al suo passaggio.
 
«Credimi, nei miei sogni si va ben oltre te che tasti i miei addominali», la sfido con un sorriso sornione stampato sulle labbra.
 
Gabriele aveva immaginato ciò a cui sarebbe andato incontro invitandola a nuotare, ma la realtà aveva superato di molto la fantasia.
 
Il suo corpo era cosparso di piccoli nei, il cui colore variava di tonalità. Uno in particolare, posizionato esattamente sul seno sinistro, richiamava la sua attenzione.
 
Era di un marroncino chiaro e i suoi bordi erano così indefiniti da confondersi con il rosa pallido della sua pelle, ma, nonostante ciò, era bene visibile, perché il reggiseno nero a forma di caramella che indossava era leggermente piccolo per contenere il seno sinistro che era evidentemente più grande di quello destro.
 
La coppa stretta lo schiacciava e innalzava, mettendo così in risalto quel grazioso neo, che sembrava in procinto di cadere nel profondo e sbilanciato solco creatosi al centro del suo petto.
 
«Non chiedermi il perché, ma lo immaginavo. Ora, se hai finito di squadrare il mio lato A, ti do anche la visuale del lato B, così avrai più materiale da usare nelle tue notti solitarie.»
 
Ella gli diede le spalle, sperando che quel gesto fosse sufficiente a scacciare l'imbarazzo che le provocava la consapevolezza dei suoi occhi scuri puntati su di lei come fari. I difetti del proprio corpo non le creavano disagio, perché era cosciente della sua bellezza, eppure mostrarsi sicura e priva di vergogna le risultava decisamente più facile con qualche strato di vestiti in più a coprirla.
 
Mentre si allontanava, lo sguardo di Gabriele accarezzava, scivolando sulla figura proporzionata di Ella. Aveva raccolto i suoi capelli in uno chignon che le lasciava scoperta la schiena. Le curve delicate della sua vita stretta si aprivano morbide sui fianchi, delineando un fondoschiena piccolo, ma anche alto e perfettamente rotondo, che si muoveva in armonia con l'oscillare del suo bacino.
 
«Grazie per il tuo sostegno. Se anche tu ne avessi bisogno, non esitare a chiedere una mia foto» le rispose, raggiungendola in poche falcate.
 
Dopo aver appeso il suo accappatoio a uno dei ganci di ferro fissati al muro con delle piccole viti, si voltò a guardare il sorriso vizioso che increspava le labbra di Gabriele, ma Ella sapeva come trasformare quella che credeva fosse una vittoria in una dolorosa sconfitta.
 
«Se avessi bisogno di un aiuto esterno, andrei a cercare in un sito porno.»
 
Ella sorrise compiaciuta nel vedere l'ilarità abbandonare i tratti del viso di Gabriele per essere sostituita da un'espressione fintamente sconvolta e spaventata.
 
«Non puoi lanciare queste bombe con così tanta leggerezza», la rimproverò, allontanandosi di qualche passo per mettere distanza tra i loro corpi.
 
«Ti ho traumatizzato? Dove hai vissuto fin ora, nel bosco dei cento acri con Winnie The Pooh?» gli chiese Ella tremendamente divertita dalla reazione del ragazzo.
 
Avrebbe voluto avere a portata di mano il suo cellulare per immortalare in una fotografia il suo viso così sofferente da risultare comico.
 
«Noi ragazzi siamo deboli di cuore. Se inizi a parlare di porno, mentre sei in costume, rischio un infarto», rispose Gabriele, posando teatralmente una mano in corrispondenza del cuore.
 
Gli uomini non erano certamente così deboli, ma quella parola magica aveva inevitabilmente ricreato un'infinita serie di immagini che si era visto costretto a censurare per evitare di creare situazioni imbarazzanti e reazioni impossibili da nascondere con un costume.
 
«Poi sarei io la drammatica. Tu vai pure a farti una doccia fredda, io entro in acqua», lo provocò, salutandolo con la mano prima di voltargli nuovamente le spalle.
 
Si dirigeva soddisfatta verso la scaletta che scompariva nell'acqua della piscina, quando sentì la presa forte e decisa di un braccio circondarle e stringerle la vita e, subito dopo, un secondo braccio flettersi a contatto con le sue gambe.
 
In un attimo, si ritrovò con la parte destra del corpo appiccicata ai muscoli di Gabriele, che la trasportava con una mano posata decisamente troppo vicina alla sua natica sinistra e l'altra che le accarezzava il fianco.
 
Ripresasi dallo stato di iniziale confusione causato da quell'improvvisa aggressione, Ella aprì la bocca con l'intenzione di intimarlo a riportarla con i miei a terra, ma proprio nel momento in cui le parole stavano per trasformarsi in suoni, Gabriele la lasciò andare e tutto ciò che fuoriuscì dalle sue labbra fu un verso stridulo.
 
La schiena fu la prima ad entrare in violento contatto con l'acqua, seguita dal resto del corpo che sprofondò nelle viscere della piscina. Non avendo fatto in tempo a chiudere la bocca, lo sgradevole sapore di cloro le invase le vie aeree, facendola agitare nel tentativo di raggiungere la superfice alla disperata ricerca di aria.
 
Quando finalmente riemerse, mentre annaspava, tossendo e sputacchiando acqua, vide che Gabriele era entrato in piscina e si trovava a poco distante da lei, guardandola divertito.
 
«Ma che problemi hai?» chiese Ella alterata, respirando lentamente per rallentare le pulsazioni del cuore che sembrava impazzito.
 
«Sei una strega. Mi hai provocato di proposito», rispose, scrollando le spalle, come se non avesse appena tentato di ammazzarla.
 
«Perché avrei dovuto sprecare così tante energie?» Ella si diede la spinta con qualche bracciata per fermarsi solo quando i suoi piedi toccarono le piastrelle azzurre che pavimentavano l'intera vasca.
 
Si appoggiò con le spalle al bordo della piscina per calmarsi del tutto, prima che potesse mettere in atto qualche piano crudele che prevedeva la morte lenta e dolorosa di Gabriele.
 
«Ti stai vendicando per quello che ho fatto giovedì sera.»
 
Se le parti fossero state invertite, probabilmente anche Ella sarebbe giunta alla sua stessa conclusione, ma si stava sbagliando.
 
«Davvero credi che sia così subdola?» domandò Ella, ridendo.
 
No, tu sei il diavolo.» Gabriele le puntò il dito contro, come se bastasse a intrappolarla.
 
Le sue intenzioni non erano mai state quelle, però nulla le vietava di fargli credere che avesse ragione, anche perché se avesse pensato a una vendetta non si sarebbe limitata solo a qualche semplice provocazione.
 
«Non è colpa mia se voi uomini a volte siete così prevedibili. Il vostro sangue smette di affluire al cervello troppo velocemente.»
 
«Se così fosse non ti avrei solo lanciata in acqua, ma sono un gentiluomo.»
 
Ella si perse ad osservare le goccioline di acqua che si raccoglievano sulle punte dei capelli scuri di Gabriele, ricadendo sulle sue spalle e sugli avambracci che emergevano in superficie.
 
Era innegabile che in quel momento, nel suo elemento, fosse persino più bello di quanto non lo fosse sulla terraferma.
 
«È una minaccia? Dovrebbe anche incutere timore?» lo schernì Ella.
 
«Ti conviene iniziare a nuotare prima che decida sul serio di affogarti», disse Gabriele, avanzando pericolosamente nella sua direzione.
 
Teneva troppo alla sua vita per farsela portare via da un delfino un po' troppo aggressivo.
 
Immergendo la testa sott'acqua, oltrepassò i galleggianti che separavano la prima corsia dalla seconda.
 
Risalì in superficie e, dopo essersi accertata di aver messo tra loro una certa distanza, unì le mani davanti a sé e, dandosi un piccolo slancio in avanti con i piedi, si tuffò. Le sue gambe si toccavano senza mai incrociarsi e, insieme, seguivano il bacino, spingendo verso l'alto, mentre le sue ginocchia si flettevano leggermente.
 
Subito dopo, le distendeva, allungando il petto verso il basso e rilassando i fianchi per trasmettere il movimento ondulatorio alle gambe.
 
Ripeté la sequenza, battendo i piedi come fossero una frusta, fino a quando non riuscì a toccare la pavimentazione con la punta delle dita. Poggiando i palmi di entrambe le mani sulle mattonelle, lasciò che anche il resto del suo corpo entrasse in contatto la superficie fredda, in contrasto con l'acqua riscaldata della piscina.
 
Si mosse sul fondo, fino a quando non sentì i suoi polmoni bruciare e i battiti del cuore accelerare per la mancanza di aria, a quel punto si diede una spinta con le punte di entrambi i piedi, nuotando per risalire in superficie.
 
Quando riemerse, inspirò lentamente e profondamente più volte prima di farsi avvolgere nuovamente dall'acqua.
 
Non le piaceva nuotare in superfice, si sentiva molto più a suo agio a muoversi nel silenzio delle profondità trasparenti dai riflessi azzurri.
 
Nessun suono disturbava i suoi pensieri, che erano finalmente liberi di uscire dalla sua mente e disperdersi in quell'abisso.
 
Il resto del mondo, con tutte le paure e ansie che lo accompagnavano, scompariva, mentre intorno a lei si creava una bolla che la rendeva immune al dolore e alla sofferenza.
 
Si sentiva felice e veramente libera dopo tanto tempo, perché in quel luogo, in quel momento, nessuno le avrebbe potuto fare del male.
 
Era al sicuro.
 
Mentre Ella si godeva ogni istante di quel pomeriggio, Gabriele la osservava muoversi sotto la superficie con una grazia disarmante. Sembra una sirena e non aveva bisogno di cantare per ammaliarlo.
 
Si ritrovò a desiderare che sciogliesse i suoi capelli per vederli ondeggiare, mentre seguivano, danzando liberi, le fluttuazioni del corpo. Immaginò che, se ricci le accarezzavano la vita, una volta bagnati sarebbero arrivati a sfiorarle il fondoschiena.
 
Quella ragazza non aveva la minima idea del potere che aveva su di lui.
 
Seguendo con lo sguardo i movimenti del suo corpo, che sembrava essere diventato un tutt'uno con l'acqua, la vide nuotare nella sua direzione.
 
Emerse, appoggiandosi con le braccia incrociate sul bordo della piscina.
 
«Perché sei fermo come uno stoccafisso? Non nuoti?» Chiese Ella, scostando dal viso le ciocche scure di capelli che non era riuscita a imprigionare nello chignon.
 
«Ho fatto qualche vasca, ma oggi non mi sento molto concentrato.»
 
Entrambe le volte in cui ci aveva provato, si era ritrovato a fermarsi a metà vasca per accertarsi che Ella risalisse ogni tanto per riprendere aria.
 
Alla fine ci aveva rinunciato, d'altronde quel lunedì sarebbe dovuto ritornare per gli allenamenti, quindi poteva rilassarsi e godersi semplicemente l'acqua e lo spettacolo che Ella aveva messo in scena.
 
«Se in tutti questi anni mi hai mentito e non sai nemmeno rimanere a galla, non ti giudico. Certo, ti prenderei in giro, ma dopo ti aiuterei a non affogare.»
 
Ella proprio non riusciva a fare meno di dire ad alta voce le ridicole battute sarcastiche che le venivano in mente.
 
Se non avesse corso il rischio di essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico, avrebbe riso delle sue stesse frasi.
 
Gabriele scosse la testa, accennando un sorriso. Avrebbe detto dalla sua espressione che fosse incredulo, ma dal momento che la conosceva quasi meglio di quanto conoscesse sé stesso, non era assolutamente possibile.
 
Per lo meno, così credeva Ella, ma la verità era un'altra. Proprio quando Gabriele aveva ragione di pensare che quella piccola strega non avesse più segreti per lui, che non avrebbe potuto dire più nulla che lo potesse sorprendere, lei faceva crollare ogni sua convinzione usando una sola frase.
 
«Vai con gli occhi aperti sott'acqua?» le chiese cambiando argomento.
 
Osservando le piccole gocce scivolare lungo le guance di Ella, si accorse delle striature rossastre che coloravano il bianco dei suoi occhi.
 
«Si. Non mi piace non vedere dove vado, così non rischio di andare a sbattere contro i bordi della piscina.»
 
«Sono arrossati. Ti bruciano?»
 
Ella non riuscì a trattenere un sorriso di fronte alla sua espressione preoccupata. Un po' di cloro negli occhi non era la fine del mondo e, che lei sapesse, non aveva ancora mai ucciso nessuno.
 
«Leggermente, ma ne vale la pena. Avevo dimenticato quanto fosse rigenerante immergersi fino a scomparire, fino a dimenticare di esistere. Non so davvero come ringraziarti.»
 
Ella spostò il braccio destro, posando la mano sulla spalla bagnata di Gabriele. Il contatto lo fece rabbrividire e se avesse posato lo sguardo sui suoi avambracci avrebbe potuto osservare gli effetti di quel tocco delicato.
 
Quella piccola e semplice carezza ebbe il potere di risvegliare i suoi sensi dal torpore indotto dalla placida calma dell'acqua.
 
Era la prima volta che Ella sfiorava il suo bicipite, senza che vi fosse una barriera a separare le sue piccole dita dalla sua pelle.
 
Mi basta vedere l'espressione spensierata e felice sul tuo viso», rispose Gabriele, ricambiando il sorriso.
 
Non faceva mai qualcosa, aspettandosi che il gesto venisse ricambiato in futuro. Ogni azione, ogni pensiero e ogni parola doveva essere sentita nel profondo, altrimenti sarebbe stato meglio rinunciare.
 
«Ti è sempre risultato facile riuscire a capire ciò di cui ho bisogno.»
 
Alle superiori era stato così e non era cambiato praticamente nulla. Gli era bastato un attimo di riflessione per sapere cosa l'avrebbe fatta stare meglio e quella certezza aveva spazzato via ogni dubbio potesse nutrire sul loro rapporto.
 
Stava facendo di tutto per riconquistare la sua fiducia. Aveva lottato per entrambi, quando Ella aveva pensato di abbandonare una battaglia ancora prima che fosse iniziata, e aveva continuato a combattere ogni giorno da quando anche lei aveva deciso di buttarsi nella mischia.
 
Adesso erano in due e la sensazione che la sua presenza le donava alimentava la fiducia che nutriva nei suoi confronti giorno dopo giorno.
 
«Forse prima, ma adesso devo ammettere che sta risultando un po' più complicato.» Il tono di voce di Gabriele nascondeva un pizzico di amarezza mescolato con il rimpianto.
 
Si ritrovò inevitabilmente a pensare che avrebbe potuto fare sicuramente di più per lei, se avesse messo da parte l'orgoglio e fosse ritornato già qualche anno prima.
 
Tutti quegli anni trascorsi a combattere con il dubbio di inviarle un messaggio sembrarono improvvisamente essere stati vissuti inutilmente. Minuti, ore, giorni, sprecati a chiedersi come avrebbe reagito se lui l'avesse chiamata, quando avrebbe dovuto semplicemente ignorare ogni paura e agire.
 
Alla luce di quanto era accaduto nelle ultime settimane ogni cosa era diventata vana e priva del significato che lui, in tutto quel tempo, aveva attribuito loro.
 
«Hai ragione e in parte è stata colpa mia, ma sto provando a renderti le cose più semplici fornendoti i pezzi del puzzle che ti mancano.»
 
Ella non era mai stata tanto sicura di una decisione come in quel momento. Era stanca di nascondere le proprie emozioni e le proprie cicatrici, solo perché mostrarle l'avrebbe resa vulnerabile.
 
Non le era mai piaciuta la sensazione che provava quando si esponeva troppo, ma l'intensità dello sguardo che Gabriele le rivolgeva ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lei e la sicurezza che le trasmetteva attraverso il suo tocco, i suoi gesti e le sue parole avevano scacciato dal cuore e dalla mente di Ella ogni timore.
 
Lei si fidava.
 
«Non devi rimproverarti nulla», la rassicurò Gabriele.
 
«Qualcosa, invece, ci sarebbe. Ci siamo concentrati sempre sulla mia vita e non mi sono preoccupata di ascoltare la tua di storia. Devo fare in modo che anche tu ti possa fidare di me», ammise Ella, ingoiando il sapore amaro lasciato dalla consapevolezza di essere stata egoista.
 
Era stata così ossessionata da paure e paranoie di ogni genere, da aver completamente ignorato le cicatrici che avevano segnato in quegli anni il corpo e la mente di Gabriele.
 
«Stai tranquilla. Non ho mai smesso di fidarmi di te, solo che non c'è nulla degno di nota da raccontare»
 
La rassicurazione di Gabriele non riuscì ad alleviare il suo senso di colpa. Avevano deciso di percorrere una strada a doppio senso, ma, fino a quel momento, era stata solo Ella a camminare e non voleva che lui rimanesse indietro.
 
Entrambi dovevano aprirsi e non le sarebbe importato se Gabriele le avesse parlato di gare di nuovo, di esami universitari, dell'umidità presente nell'aria o di cose di cui non avrebbe capito assolutamente nulla, lei voleva conoscere ogni aspetto del ragazzo dolce e premuroso che stava guardando negli occhi.
 
«Questo non ha importanza. Voglio sapere anche le cose più inutili della tua vita e poi c'è sempre qualcosa da raccontare. Per esempio, se hai anche tu qualche ex psicopatica nascosta sotto il letto.»
 
Ella si era resa conto che della vita sentimentale di Gabriele sapeva meno di zero, mentre lui era a conoscenza praticamente di tutto, mancava solo qualcosa che aveva intenzione di approfondire nei prossimi giorni.
 
La curiosità l'aveva spinta a formulare in modo meno diretto e più scherzoso quella che avrebbe potuto essere una domanda un po' troppo invadente.
 
Generalmente, Ella non si curava di parlare con diplomazia o di trattare le persone con i guanti, ma Gabriele le stava facendo scoprire un lato del suo carattere che la spingeva ad essere meno brusca con lui, perché temeva costantemente di ferire i suoi sentimenti.
 
«Mi dispiace deluderti, ma no. Le uniche due ragazze con cui sono stato erano fin troppo normali», rispose tranquillamente.
 
Gabriele non stava facendo il prezioso, semplicemente, l'unico dramma di cui avrebbe potuto parlare lo viveva tutti i giorni in casa e non gli andava di pensarci anche nel tempo libero.
 
«In effetti deve essere estremamente noioso vivere una relazione con persone sane di mente», commentò Ella, con tono sarcastico.
 
«Non ne hai idea», le rispose, accennando un sorriso.
 
«Vi siete lasciati in buoni rapporti?»
 
A differenza di Ella, che quando si apriva parlava a ruota libera, a Gabriele si dovevano tirare le frasi da bocca con la pinza. Si comportava in quel modo perché, quando si trattava della sua vita, era, se possibile, persino più riservato di lei.
 
Non gli piaceva raccontare di sé tanto quanto a Ella entusiasmava l'idea di interagire con altri esseri umani, tuttavia alcune volte era inevitabile.
 
«Con Chiara, la mia prima ragazza, all'inizio ci sentivamo alle ricorrenze, ma ormai non più, perché sono trascorsi, credo, quattro anni da quando ci siamo lasciati. Siamo stati poco insieme, sei mesi circa, quindi appena il tempo di conoscerci più approfonditamente e capire che non fossimo la persona giusta l'uno per l'altra. Alla fine è stata una decisione voluta da entrambi, ma con Marta è stato diverso, perché sono stato io a troncare il rapporto.»
 
Gabriele non fu infastidito dalla domanda e nemmeno l'idea di rispondere lo turbò, ma quella strana sensazione di tranquillità dipendeva dalla ragazza che lo fissava con curiosità.
 
Lui le aveva chiesto di aprirgli le porte del suo mondo per lasciarlo entrare e, adesso, era Ella a mostrare interesse per la sua vita. Lei era l'unica a cui non avrebbe mai negato l'accesso, perché era anche la sola a cui, anni prima, aveva affidato la chiave del proprio mondo, ma lei ancora non lo sapeva.
 
«Deve essere stato difficile. Prendere questo tipo di decisione può essere devastante.»
 
La flebile voce con cui aveva pronunciato quella frase, lasciava trasparire la tristezza legata ad alcuni ricordi appartenenti al proprio passato.
 
La responsabilità di mettere fine alla felicità di una persona con cui si condivideva tutto era come diventare un boia che affilava l'ascia poco prima di un'esecuzione, ma era un male necessario per entrambe le parti.
 
Fingere di amare era molto peggio, perché si torturava non solo sé stessi, ma specialmente chi si costringeva a vivere nella menzogna di un amore finito che si illudeva di esistere ancora.
 
«Non esiste un modo carino per dire a qualcuno che non si prova altro che semplice affetto nei suoi confronti. L'ho conosciuta al primo anni di università. Era timida, riservata, diffidente e ho dovuto impiegare davvero tante energie per farmi accettare da lei. L'ho amata davvero, ma dopo un anno mi sono reso conto che non mi rendeva più felice come all'inizio della relazione. Dopo averle parlato, abbiamo provato a migliorare alcune cose nel nostro rapporto nella speranza di farle funzionare, ma in un mese non era cambiato nulla, anzi, mi sono solo convinto che lasciarla fosse la decisione più giusta per entrambi. Le giornate trascorse con lei sembravo sempre uguali, il suo carattere non aveva più nulla che lo rendeva ai miei occhi distinguibile da quello di un'altra persona, il suo tocco non mi provocava più alcun tipo di piacevole sensazione. Sembra terribile, ma mi ero reso conto che ciò che credevo di aver visto in lei era stato solo un'illusione.»
 
Il viso di Ella si contrasse in una smorfia che Gabriele non riuscì a decifrare. l'idea che, se le cose tra loro fossero andate diversamente, avrebbe potuto essere stata al suo posto le provocava una fastidiosa sensazione di bruciore alla bocca dello stomaco.
 
Il rimpianto tornava a imporre con prepotenza la sua presenza, non solo nella sua vita, ma anche in quella di Gabriele.
 
Il potere che aveva il passato mai esistito era impossibile da contrastare. Per quanti sforzi facessero per andare avanti, i ricordi, in un modo o in un altro, trovavano sempre la strada per farsi spazio nella loro mente.
 
Ella si chiese quando sarebbe davvero riuscita a vivere emozioni così intense e forti da farle smettere di immaginare una felicità che aveva popolato solo i suoi sogni.
 
«Penso di aver capito che intendi dire», disse infine.
 
«Davvero?» chiese Gabriele, curioso di conoscere il suo pensiero in proposito.
 
«Una sensazione di vuoto che credevi avresti colmato con ciò che ti imponevi di vedere in lei, ma che ha avuto l'unico scopo di farti capire quanto fosse profondo quel buco nero. Tutto quello che avevi pensato ti avrebbe fatto stare meglio, ha solo aumentato la portata del dolore.»
 
Ella deviò lo sguardo da quello di Gabriele, posandolo sull'acqua che ondeggiava attorno al suo petto a ogni minimo movimento.
 
«Non avrei saputo dirlo meglio.»
 
«So ciò che hai provato, perché è la stessa sensazione che ha influito in parte sulla mia decisione di lasciare Matteo. Non sei una persona terribile. Li abbiamo amati, ma non come avremmo desiderato, non come credevamo fosse giusto per noi. Non possiamo amare tutti allo stesso modo e con la stessa intensità.»
 
Quella verità avrebbe potuto essere una benedizione, ma, invece, era stata la sua condanna per anni.
 
Gabriele osservò il suo profilo rivolto verso il basso e, nel silenzio che seguì la sua ultima affermazione, capì il significato che Ella aveva nascosto nello spazio tra sue parole.
 
«No, decisamente non possiamo. Sono comunque esperienze e grazie a esse adesso sappiamo, con maggior chiarezza, chi vogliamo nelle nostre vite.»
 
Era lei, era sempre stata lei, ma, mentre lui era più che pronto a fare il grande passo, Ella non lo era e chissà se lo sarebbe mai stata.
 
Quel pensiero era diventato il suo tomento nelle ultime settimane.
 
«Sagge parole, delfino», commentò Ella, riportando su di lui la sua attenzione.
 
«Ricordi quando mi hai confessato di aver avuto paura che non avresti provato per qualcun altro un sentimento lontanamente simile a ciò che hai provato per me?»
 
Ella non avrebbe mai potuto dimenticare tutte le cose che si erano detti al loro secondo incontro. Quelle confessioni l'avevano devastata, non era mai stata così sincera sui propri sentimenti con qualcuno che non fosse sé stessa.
 
Ammettere di averlo amato era stato come accettare una parte di sé che credeva perduta per sempre.
 
«Si», ammise in un filo di voce, timorosa di sapere a cosa avrebbe portato quella sua domanda.
 
«Non te l'ho mai detto apertamente, ma il tuo tormento è stato anche il mio.»
 
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


La dichiarazione di Gabriele si stava ripetendo ossessivamente nella mente di Ella.
 
Lo stesso giorno in cui lei gli aveva rivolto quelle parole, lui aveva ammesso di amarla ancora, eppure si stava preoccupando di non averle detto che anche lui era stato spaventato dall'idea che non avrebbe mai provato sentimenti tanto intensi per qualcuno che non fosse lei.
 
Per quanto a Ella sembrasse assurdo il suo ragionamento, non riusciva a smettere di pensare a quella frase, che inaspettatamente ebbe su di lei un impatto emotivo così forte da lasciarla senza parole.
 
Gabriele si stava limitando a osservare gli effetti della sua ammissione, con un sorriso dolce che gli ammorbidiva i tratti del viso.
 
Dal silenzio che si prolungava, ormai, già da un lungo minuto, aveva capito che Ella non sapeva cosa rispondere.
 
In realtà non si aspettava nulla, perché, dallo sguardo sorpreso con cui lo stava guardando, era palese che non avesse ancora rimuginato sui sentimenti che provava per lui.
 
La sua espressione lo spinse a pensare che alla fine di tutta quella storia sarebbe stato lui a essere lasciato.
 
Lei non gli aveva dato nessuna certezza, era stata chiara: non avrebbe fatto promesse che non sapeva avrebbe potuto mantenere.
 
Lui stava provando a darle tutto ciò di cui aveva bisogno, affinché si fidasse, ma non era sicuro che sarebbe stato abbastanza, perché in quella vita non esisteva certezza che potesse estinguere la possibilità che un giorno la persona che più si aveva amato avrebbe potuto andarsene senza voltarsi indietro.
 
«Sai, oggi sono di buon umore.» Ella non aveva trovato nulla di interessante o intelligente con cui rispondere, quindi si era limitata a cambiare argomento.
 
«Chissà come mai.»
 
Le sue parole caddero nel vuoto, anch'esse ignorate su tutti i fronti.
 
Gabriele ci provava a indurla a riflettere, lanciando, di tanto in tanto, frasi isolate tra i loro tanti discorsi. Non si azzardava a parlarle apertamente, perché era decisamente prematuro, ma più i giorni e le settimane passavano più il fondo del burrone da cui si era lanciato si avvicinava.
 
Rischiava di schiantarsi.
 
Nonostante le avesse detto chiaramente di non aspettarsi nulla da lei e facesse di tutto per non metterle pressioni, anche inconsapevolmente, persino i muri avevano capito che stava solo mentendo a sé stesso e immaginava che anche Ella lo avesse intuito.
 
«Ti va un altro momento di confessioni? Vorrei raccontarti più o meno ciò che mi ha spinta a porre fine alla relazione. Mi piacerebbe spiegarti cosa ho vissuto, per farti capire chi sono adesso.»
 
Ella desiderava solo vuotare il sacco impolverato e malconcio che aveva seppellito sotto il letto. Voleva chiudere definitivamente quell'argomento, sperando che una volta sigillata la porta sul passato, avrebbe potuto pensare al futuro e magari guardare proprio nella stessa direzione di Gabriele.
 
«Ti ascolto», rispose il ragazzo, tirando indietro le ciocche di capelli che si stavano già asciugando, ricadendogli sulla fronte.
 
«Devi sapere che persone come Matteo sono capaci di violentarti senza che tu te ne renda conto. Al punto in cui, le decisioni che pensi di aver preso di tua spontanea volontà sono in realtà manovrate e plagiate da chi ha sempre detto di amarti. Sebbene inconsapevolmente sapessi che in altri tempi non avrei mai agito in quel modo, continuavo a credere che la causa fosse l'aver trovato la felicità e che fossi una persona migliore.»
 
Ella resse con difficoltà lo sguardo di Gabriele. La vergogna che provava nell'ammettere le proprie debolezze e i propri fallimenti la stava costringendo a combattere contro l'istinto di abbassare il viso, per rivolgere l'attenzione alla lunga fila di galleggianti alla sua destra.
 
Negli occhi di Gabriele vedeva riflessi tutti gli errori che aveva commesso, tutte le colpe di cui si era fatta carico, anche quelle che non le appartenevano.
 
Faceva male e lei bruciava ancora in balia di quel dolore.
 
«Ti manipolava», dedusse Gabriele dal discorso di Ella.
 
Ascoltare quelle due semplici parole fu come ricevere un fendente allo stomaco. Le faceva così rabbia rimuginare su tutto ciò che di brutto c'era stato nella sua relazione, perché non era stata solo quello.
 
Era stata davvero felice con Matteo. Avevano riso fino alle lacrime, avevano condiviso gioie e dolori, avevano fatto l'amore e lui con lei aveva saputo essere dolce, gentile e premuroso, ma purtroppo la vita insegna che il male vince e supera sempre il bene che si è fatto.
 
A Ella non era rimasto altro che un amaro dolore che aveva inevitabilmente soffocato ogni suo lieto ricordo.
 
«Mi faceva sentire obbligata a comportarmi e a pensare determinate cose soltanto perché lui ragionava e agiva in quel modo. Dovevamo scriverci costantemente tutto il giorno, altrimenti l'avrebbe vista come una mancata dimostrazione d'amore e dovevamo parlare tutte le sere a telefono. Quando andava a vedere la partita con gli amici ero la persona più felice del mondo, perché finalmente avrei potuto vedere un film nella pace più totale. Sai quanto per me sia un momento sacro per rilassarmi, ma lui si annoiava. Era insopportabile condividere questa mia passione con lui, così ho smesso di farlo, ho smesso di essere me stessa. La mia vita stava diventando la sua ed io stavo morendo.»
 
Era tanto innegabile quando impossibile da accettare il fatto che fosse stata in parte colpa sua. Non perché non fosse stata abbastanza forte o troppo debole da contrastarlo, ma solo perché non aveva compreso prima la gravità della situazione che si stava venendo a creare, dannosa non solo per lei, ma anche per lui.
 
Gabriele preferiva limitarsi ad ascoltare senza fiatare, perché non avrebbe saputo cosa dire e, dal suo punto di vista, tacere era più consigliabile del parlare a vuoto.
 
«La sua gelosia è un'altra nota dolente», continuò Ella. «Ricordo quando una sera gli dissi che avrei visto un film con la mia famiglia e lui iniziò a scrivermi freddamente come se gli avessi fatto chissà quale torto. Era geloso che trascorressi del tempo con loro invece che con lui. Sembra assurdo, vero?» chiese Ella, scuotendo il capo incredula nell'udire le sue stesse parole.
 
Si era ritrovata a domandarsi spesso se non provasse gelosia anche per il gatto di sua zia, quando si strusciava sulle sue gambe in cerca di attenzioni e carezze.
 
«No, sembra solo innaturale», rispose, cosciente di avere stampata sul viso un'espressione di puro sconcerto.
 
Ella annuì, sospirando.
 
Aveva accettato da molto tempo il suo passato, ma non si era mai rassegnata all'idea che il suo futuro non potesse essere migliore.
 
Mantenendosi a galla con solo il gomito del braccio sinistro poggiato sul bordo della piscina, iniziò a disegnare distrattamente cerchi e figure astratte sull'acqua con le dita della mano destra.
 
«Uscire con le mie amiche era diventato un incubo. Mi augurava buon divertimento, ma, puntualmente, durante la serata litigavamo. Si aggrappava alle cose più assurde al solo scopo di rovinarmi l'umore. Una volta si arrabbiò perché avevo risposto a un suo messaggio cinque minuti dopo avermelo inviato. Un'altra, invece, successe che durante la settimana mi ero vista due sere con le mie amiche e alla terza si oppose perché dovevo stare con lui, dal momento che ero uscita già troppe volte.»
 
Quell'attaccamento morboso e innaturale che aveva mostrato per lei l'aveva, per i primi tempi, confuso e giustificato con l'amore che diceva di provare. Si era sentita unica, desiderata al di sopra di tutti gli altri e, per una ragazza che non aveva la minima idea di come funzionasse una relazione, quegli atteggiamenti non avevano nulla di sbagliato. Più i mesi passavano più la situazione degenerava e prese così forma l'idea che, spiegargli tranquillamente quanto fossero sbagliati i suoi modi, sarebbe stato sufficiente a fargli allentare la presa.
 
Niente di più inutile.
 
«Tu che facesti?»
 
Frase dopo frase, Ella costruiva la storia della sua relazione, mentre, parola dopo parola, la rabbia e l'angoscia di Gabriele distruggevano tutta la calma che da sempre lo aveva caratterizzato.
 
Adesso capiva il motivo per cui Ella era sempre stanca e irritata, lottare ogni giorno contro pensieri ed emozioni così negativamente intense avrebbe sgretolato anche la roccia più solida.
 
Davanti ai suoi occhi non vi era più la ragazza riccia e minuta di sempre, ma uno scoglio in riva al mare, che veniva corroso dal sale dopo ogni onda e mareggiata in una lenta e devastante agonia.
 
«Mi conosci. Per quanto fossi innamorata mi sono sempre sforzata per non farmi mettere i piedi in testa, quindi sono uscita. Non mi importava che avremmo litigato, perché doveva imparare che io non sottostavo alle regole di nessuno. Era diventata una situazione ingestibile.»
 
Anche nei momenti di fragilità, Ella riusciva a trovare la forza per agire con coraggio e determinazione.
 
Ecco di cosa si era innamorato di lei; ecco cosa avrebbe continuato ad amare ogni giorno della sua vita.
 
«La gelosia ha messo in difficoltà ognuno di noi almeno una volta nella vita. Il problema è che si tratta di un sentimento naturale tanto quanto la tristezza o la felicità, eppure, a differenza di questi, ce ne vergogniamo così tanto da soffocarla, con conseguenze potenzialmente devastanti. È giusto avere paura di perdere chi si ama, bisogna accettarlo e parlarne senza il bisogno di buttarlo in faccia all'altra persona come se non fosse un nostro problema, perché, fondamentalmente, la maggior parte delle volte chi si trova dall'altro lato non ha fatto nulla di sbagliato. È un'emozione tanto bella quanto terrificante, che se nessuno ti insegna a gestire può trasformarsi in possessione.»
 
Gabriele era stato geloso in passato e lo era tutt'ora, quando rifletteva sul fatto che avrebbe potuto perderla senza mai averla vissuta completamente.
 
Una paura che si insinuava viscidamente nella sua testa, impedendogli di pensare o fare altro che non fosse tormentarsi o angosciarsi.
 
L'aveva accettata, perché era parte di quel perverso gioco chiamato vita, ma non per questo era meno logorante.
 
«Non hai idea di quante volte gli ho ripetuto di parlarmi con calma delle sue paure, senza reprimere tutto per poi farmi esplodere quella bomba in faccia. L'ho giustificato, ho provato a capirlo andandogli incontro nelle sue esigenze, ma poi sono arrivata al punto in cui mi sono chiesta se essere gelosi di Sofia solo perché è lesbica fosse un atteggiamento normale.»
 
Ella aveva studiato abbastanza da riconoscere che problemi di attaccamento di questo genere potevano risalire all'esempio e al rapporto che i genitori avevano instaurato con lui da bambino. Le sue mancanze, derivate da bisogni insoddisfatti, si erano accumulate arrivando a formare una personalità basta sulla paura della perdita e sulla paranoia.
 
Aveva rimuginato così tante volte su tutte le teorie psicoanalitiche analizzate nel corso dei suoi tre anni di studio, spinta dalla necessità di dare un senso al suo comportamento. Un possibile blocco nella posizione schizoparanoide, una fissazione nella fase anale, una forma di attaccamento insicuro, ma nulla sembrava abbastanza.
 
Anche se alla fine l'avesse trovata, non era più sicura le sarebbe servita a cauterizzare le ferite, quindi aveva rinunciato.
 
«Cosa?» chiese di getto Gabriele, non riuscendo a regolare il tono di voce, che risultò più altro del normale, risuonando tra le mura della struttura.
 
«Non so quante volte me lo faceva presente con frecciatine o discussioni iniziate dal nulla, solo perché non voleva che andassi da lei per una delle nostre serate a base di pizza, film e sano divertimento. Tutto questo accadeva sempre qualche minuto prima che uscissi di casa, dopo avermi detto che mi avrebbe fatto bene trascorrere del tempo con le amiche. Era tremendamente subdolo, perché in quel modo riusciva sia a rovinarmi la serata, sia ad addossare a me la colpa della discussione, dal momento che lui mi aveva dato il suo benestare.»
 
«Ti ha spinta a chiuderti di più in te stessa per non doverti condividere con nessuno. Che bastardo.»
 
Ella vide le mani di Gabriele stringersi e formare due pugni così serrati da far sbiancare leggermente le nocche.
 
Eccola la rabbia che prendeva forma e si manifestava.
 
Soffrire era devastante, ma ascoltare le pene altrui senza poter fare più nulla era una sensazione impossibile da descrivere per quanto fosse visceralmente conturbante.
 
Gabriele, avendo venti centimetri più di Ella, aveva i piedi poggiati saldamente sul fondo della piscina e, non dovendo sforzarsi per rimanere a galla, non aveva alcun tipo di impedimento ad incanalare la collera.
 
Ella allungò il braccio destro, posando la mano sul pugno sinistro di Gabriele. Dopo aver esercitato una piccola pressione con il pollice, riuscì a farsi strada tra le lue dita, liberandole dalla forte stretta in cui le aveva imprigionate.
 
Non era molto, ma era tutto il conforto che poteva offrirgli al momento.
 
«Già. Non sono mai stata una persona a cui piace uscire spesso la sera, ma sono sempre stata libera di scegliere. La cosa divertente è che mentivo a me stessa dicendo che ero stanca per il troppo studio, che stare fuori casa mi annoiava, che se rimettevo era colpa dell'ansia per gli esami. Mi aggrappavo a qualunque scusa per non vedere la realtà e più la reprimevo più diventavo agitata, nervosa, arrabbiata.»
 
Ripensare a quei giorni le faceva venire i brividi. Quando trascorreva la maggior parte del suo tempo con la testa nel gabinetto a vomitare tutte le proprie paure e angosce, sperando che bastasse per allontanarle definitivamente da lei.
 
«La tua famiglia non si è accorta di questo tuo cambiamento?» chiese Gabriele, mentre osservava le dita di Ella giocherellare con il palmo della sua mano.
 
Erano piccoli e impercettibili movimenti che servivano a tranquillizzare entrambi.
 
«Si, ma è una questione complicata», disse Ella sospirando. «Vedi, Matteo non li ha mai rispettati, perché la mia educazione è stata molto diversa dalla sua. Prima di fare qualunque cosa io dovevo chiedere il permesso, avevo delle regole, mentre lui poteva fare ciò che voleva, quando voleva. I miei mi hanno sempre impedito di andare a dormire a casa sua o di organizzare un viaggio con lui e sinceramente non ho mai insistito più di tanto, sia perché sapevo che a loro Matteo non piaceva, sia perché stavamo insieme da poco. Non mi avrebbero mai negato queste cose se avessi dovuto farle con Sofia, il problema era lui. Litigavamo così tanto per questo, con le sue parole arrivò addirittura a mettermi contro i miei genitori, perché non capivo il motivo che li spingeva a non fidarsi di lui, non capivo perché non volevano che io fossi felice. Per mesi e mesi non ho fatto altro che discutere con Matteo, con mia madre, mia sorella, con Sofia. Tutti loro avevano già capito quale fosse la sua natura, ma io ho continuato a vivere nell'illusione, cercando di convincere loro e me stessa che mi rispettasse, che mi amasse davvero, poi un giorno ho aperto gli occhi, non so come né il perché, ma l'ho fatto.»
 
Segnare una x su quella parte della sua vita non sarebbe bastato a cancellarla. Da quando si era trasferita si era ritrovata spesso a pensare che se avesse conosciuto adesso Matteo, probabilmente la maggior parte dei problemi riscontrati quando ancora viveva con i genitori non sarebbero esistiti, dal momento che era diventata molto più indipendente.
 
Sicuramente avrebbe continuato a non piacere loro, ma almeno si sarebbe risparmiata parecchi pianti, notti insonni e abbracci al gabinetto.
 
«Cos'è successo?»
 
La domanda di Gabriele le fece capire di essere giunta alla al nocciolo di tutta la questione, perché da lì in poi la strada era cosparsa di letame lasciato a marcire sotto il sole rovente.
 
Provò ad allontanare la mano, ma Gabriele glielo impedì.
 
Aveva ancora bisogno delle sue carezze.
 
Ella sorrise di fronte a quel gesto, lasciando che si prendesse ciò che lo avrebbe fatto stare meglio.
 
«La tempistica è stata pessima, perché l'ho lasciato il giorno dopo il nostro anniversario, però non potevo più aspettare. Due giorni prima avevamo litigato, mi aveva dato un ultimatum: o disobbedivo ai miei genitori e andavo a dormire da lui o mi avrebbe lasciato. Io ho implorato, piangendo, mia madre di lasciarmi andare, perché sapevo che se l'avessi fatto senza il suo permesso avrei incrinato definitivamente il nostro rapporto. Lei mi disse che ero libera di fare ciò che volevo, ricordandomi che se Matteo mi avesse realmente amata non mi avrebbe mai messa di fronte a quel bivio. Capisci? Ero arrivata a dover scegliere tra la mia famiglia e il mio ragazzo. Se ripenso a quei momenti, provo una vergogna inimmaginabile.»
 
Gabriele non sapeva cosa dire, anzi, l'istinto lo avrebbe spinto a formulare una serie di insulti che non sarebbero serviti a nulla e di certo non avrebbero aiutato Ella a sentirsi meno a disagio con sé stessa.
 
Una persona del genere, nella propria vita, doveva necessariamente aver ricevuto sempre dei sì. Non aveva idea di cosa significasse avere delle regole e non appena si era trovato di fronte a delle persone che avevano risposto "no" alle sue richieste, aveva iniziato a sbattere i piedi a terra, comportandosi come un bambino a cui i genitori hanno negato le caramelle prima di cena.
 
Non poteva essere più normale crescere con tipi di educazioni diverse, ciò che invece era per lui inconcepibile era imporre la propria visione delle cose sulla volontà altrui, continuando a vivere con i paraocchi e ignorando le difficoltà che sicuramente stava vivendo l'altra persona.
 
Tropo egocentrico e al di sopra di tutto il resto per abbassarsi a comprendere cosa fosse il rispetto.
 
«Cos'hai fatto?»
 
Adesso era Gabriele ad accarezzare il palmo della mano di Ella, con tutta la dolcezza e delicatezza di cui era capace.
 
La sua presenza era la sola cosa che gli permetteva di non sfogare tutta la rabbia e la paura contro qualunque cosa gli capitasse a tiro, ma più tardi si sarebbe sicuramente rinchiuso nel garage di casa sua per dare un numero incalcolabile di pugni al sacco da box, che usava quando sentiva il bisogno di scaricare la tensione accumulata tra le mura domestiche.
 
«Ho deciso di non scegliere. Gli ho dato il mio regalo in anticipo e sono tornata a casa mia. Il giorno dopo sembrava essere tornato tutto normale. Lui non mi aveva lasciata e la sera siamo andati a festeggiare, ma al risveglio, mi resi conto di quanto fossi stanca, di quanto il mio corpo e la mia mente si fossero appesantiti. Quella sensazione di disagio mi fece capire che una parte di me aveva sperato mi lasciasse, ma non lo avrebbe mai realmente fatto, non ne aveva il coraggio. La nostra vita sarebbe stata riempita da gelosie, possessione, ossessione, prevaricazione, mi avrebbe allontanata da tutti e, se non avessi messo fine a quella situazione, il peso che sentivo aumentare di secondo in secondo mi avrebbe soffocata. Mi stava privando della libertà, mi stava uccidendo e, sulla scia di questa riflessione, capì che Sofia e la mia famiglia avevano cercato solo di proteggermi. Ero stanca di sentirmi debole, così gli ho dato appuntamento a metà mattinata e l'ho lasciato.»
 
Vedeva le conseguenze della sua decisione ancora riflesse negli occhi di Matteo dopo che ebbe pronunciato la frase più dolorosamente liberatoria della sua vita: "Credimi, mi dispiace, ma tra noi si è rotto qualcosa che non può essere più aggiustato. Se sono qui oggi, è perché voglio porre fine a questa relazione, perché per me non ha più un futuro."
 
Come aveva detto Gabriele, non esisteva un modo per lasciare qualcuno che non fosse doloroso, così aveva cercato di essere il più chiara e precisa possibile, anche se ciò avesse comportato l'essere brutale.
 
La sincerità non poteva essere addolcita, se non voleva essere fraintesa, ma, nonostante ciò, Matteo era riuscito comunque a non capire nulla, nemmeno dopo un'ora di spiegazioni.
 
Alla fine Ella aveva dovuto fingere una chiamata da parte di sua madre per uscire da quel circuito di suppliche, ingiurie e vani compromessi.
 
«Hai avuto la forza di chiudere una relazione malata e non smetterò mai di ammirare il tuo coraggio. L'unico debole in tutta questa storia è Matteo. Eri troppo forte per lui, per questo motivo ha provato a plagiarti.»
 
Era la stessa ragazza che aveva attirato la sua attenzione in classe quel giorno di tanti anni fa. La tenacia, il coraggio e la determinazione che lesse allora nel suo sguardo erano le stesse che in quel momento vedeva riflesse nelle sue iridi azzurre.
 
Prima si limitava a mostrare agli altri il suo reale carattere solo saltuariamente, perché aveva paura di sé stessa e quindi preferiva soffocarsi, mentre adesso era fin troppo cosciente del proprio essere e lo usava a proprio piacimento per difendersi o per attaccare.
 
Aveva smussato gli angoli della timidezza e affinato il suo lato combattivo, facendo in modo che le persone vedessero solo la sua forza.
 
Era bellissima.
 
«Ho smesso di sprecare tempo a ragionare sui suoi comportamenti e sulle sue azioni. Il passato è passato e non può cambiare, ma il mio presente sì e non ho intenzione di farmi incatenare di nuovo.»
 
Ella alzò lo sguardo dalle loro mani per immergerlo in quello di Gabriele, sulla scia delle ultime parole pronunciate.
 
Era un avvertimento, una promessa che aveva fatto a sé stessa, era la sua paura più grande e, anche se sapeva che il ragazzo che aveva di fronte non lo avrebbe mai fatto, voleva che la questione fosse chiarita prima di poter anche solo pensare a un possibile futuro insieme.
 
«Sono convinto che non accadrà di nuovo» rispose Gabriele, ricambiando l'intensità dello sguardo di Ella.
 
Ciò che gli stava comunicando era impossibile da fraintendere. Non avrebbe mai cercato di limitarla, perché era proprio il suo carattere indomabile e sfuggente ciò che amava di lei, ma, in ogni caso, avrebbe prestato sempre attenzione a tutti i suoi comportamenti, anche i più piccoli, per evitare che involontariamente potesse commettere qualche errore che avrebbe potuto ferirla.
 
«Lo spero», disse in un sospiro, allontanando la sua mano da quella di Gabriele. «Il problema fondamentale è stato la nostra diversa concezione di relazione, perché sono sempre stata convinta che la vita sia libertà e che la libertà sia la forma più alta di amore che io conosca. Devo poter amare senza temere di uscire dai comuni parametri e circondarmi di persone che capiscano che se una mattina mi sveglio e voglio stare per conto mio senza sentire nessuno, non significa che non siano importanti. Ho bisogno che capiscano che qualunque siano i motivi che mi spingano ad allontanarmi per qualche ora o un giorno, alla fine tornerò sempre. Perché non è la quantità di chiamate che misura l'amore, ma la maturità di comprendere che ognuno ha bisogno dei propri spazi senza che io debba sentirmi costretta ad implorarli. Insomma, non vivo con il telefono in mano e non è necessario che sappia quante volte al giorno vado in bagno.»
 
Se non si vivevano determinate situazioni, non si poteva immaginare il senso di claustrofobia che una persona riusciva a farti provare, senza che fosse necessariamente presente fisicamente.
 
Era come prendere il proprio tempo e consegnarlo nelle mani di qualcuno che, invece di prendersene cura, lo usava per rattoppare i buchi della sua vita vuota e priva di senso.
 
I secondi, i minuti, le ore, le settimane, i mesi non erano più di Ella, ma di Matteo. Sapeva dove fosse in ogni istante della sua giornata e, se si spostava, pretendeva un resoconto di cosa stesse facendo, perché così lui si comportava con lei e, di conseguenza, Ella non poteva essere da meno.
 
Era arrivata al punto in cui gli mandava un messaggio anche quando doveva scendere per buttare la spazzatura, perché nella sua coscienza si era innescato un meccanismo basato sul senso di colpa che la spingeva a dirgli ogni cosa.
 
Nessuno poteva pensare di vivere in quel modo.
 
«Praticamente più diversi di così non potevate essere», constatò Gabriele, richiamando la sua attenzione.
 
Tutte le volte che qualcuno le aveva chiesto cosa ci trovasse in lui, di cosa si fosse innamorata, Ella si stupiva nel realizzare che non ne aveva la minima idea, allora si limitava a rispondere che avesse un qualcosa che la affascinava.
 
Ancora non lo aveva capito, ma, a quel punto, si chiedeva che valenza avrebbe potuto avere.
 
«Non ne hai idea. Sono consapevole di non essere una persona facile con cui relazionarsi, però il fatto che attorno a me ci siano persone che mi sopportano mi dà speranza.»
 
Sapevano quanto il suo essere inavvicinabile potesse incantare le persone. Conquistare la sua fiducia diventava una sfida contro sé stessi e molto spesso, quando ci riuscivano, per i primi tempi si mostravano felici ed entusiasti, ma dopo tutto cambiava.
 
Si accorgevano che tutto ciò che non poteva essere controllato era irritante, a quel punto c'era ci se ne andava e chi restava, lanciandosi in una nuova sfida: ammaestrare l'animale selvatico, immaginando quanto potere avrebbe conferito alla loro autostima quella onorificenza da mostrare al mondo con orgoglio.
 
«È vero, a volte sei impossibile, specialmente quando ti arrabbi e inizi con i tuoi assurdi deliri, ma credimi quando ti dico che preferirei litigare con te tutta la vita, piuttosto che ricevere coccole e gentilezza da qualcuno che non sia tu. Quando perdi la calma, dimostri tutto l'amore che provi per la persona contro cui la dirigi, altrimenti non sprecheresti tante energie per qualcuno di cui non ti importa.»
 
«Ma tu come fai a trovare sempre la cosa giusta da dire?» chiese Ella, rivolgendogli un sorriso intimidito dalla dolcezza di quelle parole.
 
«Facile. Dico sempre la verità», rispose Gabriele, ricambiando quello sguardo traboccante di gioia.
 
Una gioia che era stato lui a donarle.
 
«Direi che per oggi può bastare, ti ho depresso abbastanza.»
 
Il racconto era appena giunto a metà della storia, mancava ancora un bel pezzo per poter leggere finalmente la parola fine, ma non aveva intenzione di caricare le spalle di Gabriele con altre informazioni che avrebbero potuto fargli perdere completamente la calma.
 
Stava facendo il possibile affinché il passato non rovinasse il presente, ma era impossibile prevedere le conseguenze della collisione tra quei due mondi così diversi.
 
Non esisteva un momento adatto per affrontare determinati argomenti, ma Ella non importava, perché il suo unico desiderio era chiudere al più presto la questione.
 
Quando ne aveva parlato con Luca, aveva impiegato solo metà pomeriggio, così come con Cristina, perché non aveva scucito tutti i dettagli, ma con Gabriele era diverso.
 
Tutto con lui era sempre stato diverso.
 
Orientativamente le sarebbe bastata un'altra giornata per esaudire il suo desiderio, quindi preferiva rimandare per non rovinare completamente quel bellissimo pomeriggio in piscina.
 
«Di la verità, mi racconti poco alla volta per aumentare la mia curiosità e così ti assicuri che non sparisca di nuovo», la provocò Gabriele, cercando di alleggerire la tensione nell'aria.
 
«Mi hai beccata», disse Ella, alzando le mani in segno di resa. «Sto usando la mia storia da piccola fiammiferaia solo per farti così tanta pena da rimanere. Ci sono riuscita?» chiese.
 
«Direi di sì», rispose sorridendole.
 
«Grazie.»
 
Ormai Ella aveva perso il conto di tutti i ringraziamenti che aveva dispensato nelle ultime due settimane.
 
«Non devi. Non posso fare a meno di pensare che se fossi stato con te in questi anni, se non me ne fossi mai andato, tu non avresti dovuto vivere nulla di tutto questo.»
 
Il viso di Gabriele si rabbuiò sotto il suo sguardo impotente.
 
I "se" e i "ma" non portavano da nessuna parte e rimanere fermi a rimuginare ossessivamente sugli errori commessi non aveva senso. Sbagliare era una parte fondamentale della vita, perché altrimenti nessuno avrebbe avuto la possibilità di migliorarsi.
 
«Non è colpa tua. Tutti dobbiamo affrontare delle difficoltà e quest'esperienza mi ha fatto capire quanto posso essere forte, quanto sia coraggiosa e quanto ami me stessa al punto da scegliermi sempre.»
 
Piangersi addosso non sarebbe servito a nulla e di lacrime ne aveva già versate troppo. Con il senno di poi, nonostante le conseguenze delle sue decisioni, poteva dire di non avere alcun rimorso perché aveva gestito la propria vita negli ultimi due anni.
 
Era fiera di sé stessa e non esisteva nulla che potesse eguagliare quella sensazione.
 
«Non ne avevi bisogno per scoprirlo», ammise con profonda amarezza nel tono di voce.
 
«Forse no, ma adesso sto bene e sono felice, perché ho ritrovato una persona che credevo aver perduto per sempre.»
 
Ella ci stava provando a consolarlo, ma nulla sembrava farlo stare meglio.
 
Sul suo viso traspariva tutto il dolore che doveva aver represso per anni e che la sua storia aveva riportato brutalmente alla luce. Sembrava così indifeso, in balia di quei sentimenti troppo forti per essere contrastati da soli.
 
Proprio mentre stava per dire qualcosa, Gabriele la guardò e tutta la sofferenza che lesse nei suoi occhi lucidi velati di lacrime le fece morire le parole sul fondo della gola.
 
«Mi dispiace così tanto. Anche io ti ho fatto del male e non posso biasimarti se non mi credi, ma mi sono dannato così tanto per averti lasciata, per aver preso da solo una decisione che riguardava entrambi.»
 
La sua voce leggermente incrinata fu come un richiamo al quale non poté resistere, così allungò istintivamente una mano, posandola sulla sua spalla nuda che fuoriusciva dall'acqua.
 
Attirata tutta la sua attenzione, disse: "All'inizio ho provato ad odiarti, poi ho odiato ed incolpato me stessa e lo avrei continuato a fare se non avessi vissuto questi ultimi due anni. Ho imparato che le cose accadono per un motivo, perché, anche se ci feriscono, ci distruggono e ci separano, ci aiutano a rimettere le nostre vite nella giusta prospettiva. Se non avessi conosciuto Matteo, adesso non saprei la differenza tra l'amore che merito e l'ossessione, tra ciò che voglio e chi voglio nella mia vita da chi non deve entrarci nemmeno per sbaglio; se non avessi conosciuto Matteo, non mi sarei mai trasferita a Roma e tu, probabilmente, non mi avresti mai vista quel giorno in metro.»
 
Ricordargli che le sue decisioni non avevano spinto Ella tra le braccia di un fato crudele, non sarebbe servito a nulla, ma mostrargli con fatti tangibili il lato positivo delle loro scelte avrebbe potuto aiutarlo a fare pace con sé stesso.
 
Gabriele diceva che era lei a renderlo coraggioso, ma non si rendeva conto che in tutte quelle settimane era stato così forte da mettere da parte i propri sentimenti per lasciare spazio ai suoi, per abbracciarli e renderli propri.
 
«Da quando credi nel destino?»
 
La curiosità aveva in parte sostituito la tristezza, aiutato sia dal tocco rassicurante di Ella, sia dal suo discorso.
 
«Non ho mai iniziato a farlo. Penso solo che la vita sia governata dalla legge della causalità. I fenomeni si susseguano in un processo di causa-effetto e tutto ciò che non risponde a questa legge è dovuto al caso»
 
«Se così fosse, non esisterebbe il libero arbitrio.»
 
Ciò che Gabriele dedusse dalle sue parole lo lasciò alquanto perplesso. Lei, la prima sostenitrice della libertà in tutte le sue forme, credeva in qualcosa che la limitava fortemente.
 
«Certo che esiste», affermò con convinzione. «Vedi, un uomo è libero di scegliere se ammazzare o meno una persona che gli ha fatto un torto, ma deve anche saperne accettare le conseguenze. La nostra libertà è il carburante che innesca la legge della causalità, perché, prendendo una qualunque decisione, generiamo una causa che provoca il suo effetto, poi dobbiamo prenderne un'altra per affrontarne le conseguenze e questa darà vita ad un nuovo effetto. Capisci che è una reazione a catena. La vita è un insieme di scelte compiute liberamente, ma non possiamo aspettarci che non ci influenzino in qualche modo», spiegò nel modo più semplice possibile.
 
Quello era un argomento estremamente complesso da affrontare, ma, essendo Gabriele sempre stato sulla sua lunghezza d'onda, non aveva alcun dubbio che avrebbe capito il significato delle sue parole.
 
«Hai una visione molto pragmatica della vita», commentò dopo qualche istante di riflessione.
 
Era un meccanismo che lasciava poco spazio alle coincidenze e che riconduceva la causa del loro incontro a una semplice quanto complicata legge.
 
Non si poteva negare la presenza di una piccola punta di cinismo, ma ciò non la rendeva meno interessante, anzi, per Gabriele era estremamente intrigante e perfettamente in linea con la personalità di Ella.
 
Una visione che si scontrava con il pensiero romantico dell'umana esistenza, ma che non necessariamente lo negava o escludeva, a dimostrazione che entrambi potevano coesistere nelle idee di una sola persona.
 
«Negli ultimi anni ho capito che la libertà ha il suo prezzo e molto spesso è così salato che quando finalmente riesci ad estinguerlo hai la sensazione che il mondo tolga più di quanto abbia da offrire, così finisci per allontanarti da tutti e impari a non chiedere più aiuto a nessuno.»
 
Ella interruppe il contatto tra i loro corpi, riportando la mano sul bordo della piscina.
 
Da lì nascevano sia il suo bisogno di controllare gli eventi, sia la paura di affidarsi a qualcuno.
 
«A volte penso di non meritarti. Ho paura di incorrere nuovamente nello stesso errore senza accorgermene, di farti del male per l'ennesima volta quando vorrei solo renderti felice.»
 
Entrambi sapevano quanto fosse pericoloso mostrarsi vulnerabili, ma era anche l'unico modo per conoscere nel profondo la persona che si aveva di fronte.
 
Era come dire: "Mi affido a te. Custodiscimi, prenditi cura di me."
 
Ella ponderò con attenzione la confessione di Gabriele, prendendosi il giusto tempo per scegliere con cura le sue prossime parole.
 
Lui, in breve tempo, aveva alleviato il peso delle sue angosce più opprimenti e adesso era giunto il momento per lei di costudire le sue.
 
«La verità è che nessuno merita di avere qualcuno vicino, ma condurre un'esistenza in solitudine significherebbe condannarsi a una lenta morte, quindi preferiamo circondarci di persone che hanno minor probabilità di ferirci. La vita è un azzardo, piccolo delfino, e l'ho capito nel momento in cui ho sentito la tua voce al telefono. Ho paura di molte cose, davvero troppe, ma nell'ultima settimana ho scoperto che di te non ne ho, anche se sbaglierai di nuovo. Le persone a cui teniamo hanno più potere su di noi di chiunque altro, possono più facilmente farci del male, ma possono con altrettanta facilità lenire il nostro dolore. Credimi quando ti dico che, da quando sei tornato, sei riuscito a farmi sorridere più di quanto abbia fatto negli ultimi due anni.»
 
La dolcezza di Ella era poetica.
 
Non la mostrava spesso, la custodiva gelosamente per proteggerla da tutta quella rabbia, quella malinconia e l'ironia, ma, quando considerava qualcuno abbastanza degno per riceverla, riusciva a incastrare insieme frasi in modo così perfetto che, una volta terminato di ascoltarla, lasciava la sensazione che quelle parole fossero state create apposta per quel discorso.
 
Gabriele era più che convinto che quel suo giudizio non fosse contaminato dalle lenti colorate attraverso cui da sempre l'aveva guardata.
 
Ella aveva il potere di far battere il suo cuore a qualunque velocità lei volesse, perché reagiva al solo suono della sua voce o del suo tocco.
 
Era completamente suo: vulnerabile, ma immensamente felice.
 
«Per quanto mi piaccia la piccola ruga sulla tua fronte, preferisco di gran lunga il suono della tua risata.»
 
Gabriele era bravo con le parole, ma nulla avrebbe potuto eguagliare quel discorso così carico di emozioni.
 
Forse Ella poteva non aver ancora riflettuto sui sentimenti che da sempre li legavano, ma quella che aveva appena pronunciato era la dichiarazione più bella che qualcuno gli avesse mai rivolto.
 
Lei non lasciava mai nulla al caso, quindi era a conoscenza della sua portata emotiva e del significato nascosto, perché, per quanto ancora potesse negarlo a sé stessa, era evidente che lei lo amava ancora.
 
«Faccio quello che posso, ma è più difficile di quanto pensi», rispose Ella, abbozzando un sorriso che non aveva nulla in comune con il divertimento.
 
Gabriele le si avvicinò di qualche passo e, dopo aver sollevato il braccio sinistro nella sua direzione, le accarezzò delicatamente la guancia destra di Ella con la mano bagnata.
 
«Vorrà dire che mi impegnerò per semplificare le cose, perché sei molto più bella quando sorridi. Riusciresti ad illuminare una stanza».
 
Ella riconobbe la sincerità di quelle parole nell'intensità dello sguardo che le stava dedicando e, inevitabilmente, sorrise.
 
«E io che pensavo di essere il Sole, ma a quando pare sono solo una piccola lampadina», commentò sarcastica.
 
«Sai che se accettassi un complimento, non ne morirebbe nessuno?», chiese Gabriele, scuotendo la testa rassegnato.
 
Ella sbuffò, scocciata dalla sua inutile e noiosa domanda. La conosceva fin troppo bene per sapere quale fosse la risposta.
 
«Ci ho riflettuto in queste settimane e sono arrivata alla conclusione che, probabilmente, avevi ragione. Ero fragile e mi sarei spezzata, ma adesso non lo sono più, quindi mi piace pensare che se cinque anni fa te ne sei andato, è stato solo per poterci incontrare in futuro e vivere quello che probabilmente non avremmo mai avuto se tu non tu fossi rimasto."
 
Era giunto il momento di chiudere almeno una delle due porte aperte sul passato.
 
«Stai dicendo che mi hai perdonato?» La voce incredula e incerta di Gabriele, fece sorridere Ella.
 
Quando reagiva in quel modo così tenero, sembrava un bambino alla ricerca disperata di certezze sulla vita.
 
«Si, ma scappa di nuovo e ti giuro che ti troverò e te la farò pagare, con gli interessi», rispose, rifilandogli un piccolo e innocuo pugno sul braccio.
 
Il gesto repentino alzò un velo di acqua che schizzò sui loro visi umidi.
 
«Questa volta non voglio perderti», ammise Gabriele, guardandola negli occhi, cosicché il messaggio potesse arrivarle forte e chiaro.
 
«Sentiamo. Che intenzioni avresti?» lo provocò Ella, curiosa.
 
«Di tenerti stretta.»
 
Sebbene Gabriele non la stesse abbracciando né accarezzando, la profondità e la fermezza del suo tono di voce la fecero sentire protetta e al sicuro, come se realmente la stesse stringendo forte a sé.
 
«E se io non volessi?»
 
Considerati i fatti, probabilmente, Ella non avrebbe mai sognato di distruggere i suoi propositi, ma, era tremendamente curiosa di sapere come si sarebbe comportato, se ciò fosse invece accaduto.
 
«Sarei costretto a lasciarti andare.»
 
Pronunciare quelle parole provocò tanto dolore a Gabriele, quanto a Ella nell'ascoltarle.
 
«Davvero lo faresti?» domandò sconcertata.
 
«Ti ho promesso che ti avrei fermata nel momento in cui la paura avesse preso il sopravvento su di te e lo farò, ma se non la vedessi riflessa nei tuoi occhi non avrei nessun diritto di legarti a me.»
 
Non si sarebbe opposto alla sua volontà, l'avrebbe rispettata.
 
«Non ho idea di cosa mi riservi il futuro, ma posso dirti che in tutti gli scenari che ho immaginato tu ci sei. Ti ho aspettato troppo e non ho intenzione di scomparire.»
 
Ella non sapeva più di quale altra certezza avesse bisogno per ammettere finalmente i propri sentimenti, ma non era ancora giunto il momento, prima c'era una questione in sospeso da risolvere.
 
Dopo quella confessione, Gabriele era rimasto completamente allibito.
 
«Smettila di guardarmi come se avessi visto la Madonna. Riscalda i muscoli e vediamo chi arriva prima dall'altro lato della vasca», disse Ella, richiamandolo alla realtà.
 
Una sfida impossibile era proprio ciò di cui aveva bisogno per mettere in moto il suo mondo, dopo quella parentesi di immobilità.
 
«Sai che vincerò io», la constatazione di Gabriele non poteva essere più vera.
 
«Mi piace rendermi la vita difficile, diventa tutto più interessante. Pensa che se ti battessi, la vittoria sarebbe molto più piacevole e te lo rinfaccerei per il resto di tuoi giorni» La sola idea di poter gustare quel momento ebbe il potere di farla sorridere.
 
«Dubito che ciò accadrà», rispose ridendo.
 
«Forza delfino, prova a prendermi», lo sollecitò Ella, mentre si voltava e iniziava goffamente a muovere le prime bracciate.
 
«Sempre, piccola strega. Sempre», sussurrò Gabriele alla sua figura che si allontanava lentamente.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Ella si aggirava tra i tavoli del pub come un’anima in pena alla ricerca della beatitudine.
 
Verso le sei di sera era uscita di casa nel tentativo disperato di fuggire dall’angoscia, che, da due giorni, la stava perseguitando.
 
Dopo quell’indimenticabile pomeriggio in piscina, Gabriele era sparito, ricordandosi, però, di lasciarle un misero e inconcludente messaggio il martedì sera. Le sue intenzioni erano state, evidentemente, quelle di non farla preoccupare, ma non era riuscito particolarmente bene.
 
Oramai, anche il mercoledì stava giungendo al termine, portando via con sé il primo giorno di aprile.
 
Ella non poté negare di aver sperato che Gabriele sarebbe potuto apparire alle sue spalle in un qualunque momento della giornata, urlando: “Pesce d’aprile”, ma la sua parte razionale sapeva con certezza che non sarebbe accaduto.
 
Si era forzata ad andare all’università per avere la mente impegnata, ma non era servito a molto e nemmeno provare a studiare.
 
I suoi pensieri venivano sempre convogliati in un’unica domanda: “Cosa gli era successo?”.
 
«Ella, ci sei?» La voce di Luca richiamò la sua attenzione.
 
«Cosa?» chiese, alzando il viso nella sua direzione, guardandolo con un’espressione confusa.
 
«La superficie di quel tavolo non è mai stata così pulita. La stai lucidando da cinque minuti», rispose, sorridendole comprensivo, come se in realtà sapesse esattamente su cosa stesse riflettendo con così tanta intensità.
 
Ella, sorpresa dalla sua affermazione, abbassò lo sguardo, osservando il legno lucido quanto bastava per capire di essersi estraniata dalla realtà.
 
«Scusami, ero sovrappensiero. Mi hai chiesto qualcosa?» gli domandò, mentre prendeva posto su una sedia accanto a lui.
 
Luca quella sera si era reso disponibile allo zio per aiutarlo al locale, così aveva deciso di accompagnarla, portandosi i libri, evitando di perdere un’ora di studio.
 
«Se avessi avuto sue notizie», ripeté Luca, posando la penna nera che aveva in mano sul quaderno degli appunti.
 
«Ieri sera mi ha mandato un messaggio dicendomi di stare tranquilla e che non era sparito, ma aveva avuto dei problemi da risolvere e me ne avrebbe parlato da vicino quando si sarebbe liberato», rispose Ella, sospirando sconsolata.
 
«Non poteva anticiparti qualcosa?» domandò, rattristato dall’espressione afflitta dell’amica.
 
Ricordarle che tutto sarebbe andato bene avrebbe solo aiutato a innervosirla più di quanto già non fosse, quindi c’era veramente poco che potesse fare per farla stare meglio.
 
«Se avesse potuto, sono sicura che lo avrebbe fatto, ma quando torna gli farò vivere i dieci minuti più brutti della sua intera esistenza.»
 
Ella stava incanalando tutta la preoccupazione, trasformandola in rabbia. Quella era una tipica situazione su cui non aveva nessun tipo di controllo e stava diventando così frustrante da credere che avrebbe potuto raccogliere le sue cose per fuggire su un’isola sperduta nel nulla, prima che le venisse un esaurimento nervoso.
 
Uno sputo di terra sconosciuto all’uomo.
 
L’idea non sarebbe stata da buttare, se non fosse per la sua coscienza che le ricordava la presumibile e possibile presenza di animali viscidi e striscianti e di ragni enormi.
 
«Adesso si spiega il tuo deficit di attenzione. Sei preoccupata per lui, non per te.» Luca sorrise, sollevato nello scoprire che Ella non era spaventata dall’idea che Gabriele fosse scomparso nel nulla di nuovo, tuttavia le circostanze restavano comunque poco piacevoli.
 
Dalla sua reazione, sembrava lo avrebbe preferito al vagare con la fantasia, ricreando immagini degne del miglior film di Tarantino.
 
«Mi scrive che gli è successo qualcosa di brutto, ma non mi dà spiegazioni. Secondo te come dovrei stare? Insomma, ma quel ragazzo dove ha il cervello?» sbottò Ella, non preoccupandosi di contenere il tono di voce.
 
Luca pensò che nelle vesti della preoccupazione, era di gran lunga più pericolosa di quanto non lo fosse quando indossava il costume da iena rabbiosa.
 
«Fammi capire. È un idiota, perché ha avuto la premura di rassicurarti del fatto che non fosse fuggito in Messico, ma è altrettanto idiota, perché non ha specificato il motivo della sua sparizione?» le chiese divertito.
 
Non avrebbe dovuto ridere, ma il suo comportamento era così surreale da risultare comico.
 
Era la prima volta da quando si erano conosciuti che non si preoccupava di nascondere emozioni così forti che non fossero destinate a Sofia, Cristina o Bianca.
 
Gabriele aveva su di lei un potere di cui, a suo avviso, nemmeno Ella era consapevole.
 
«Esatto. Mi ha avvertito che mi deve parlare, ma che lo farà in un altro momento perché era occupato. È da stronzi», commentò esasperata, gettando, con poca delicatezza, le spalle sullo schienale della sedia.
 
«Mi spieghi come noi poveri uomini ci dobbiamo comportare con voi donne?» chiese, sperando che cambiare argomento potesse bastare a distrarla un po’ da tutta quell’ansia che la stava assorbendo.
 
«Tu potresti cominciare con l’invitare Sara a cena fuori», propose Ella.
 
Luca non era un ragazzo timido, ma con le donne per cui provava interesse si mostrava abbastanza insicuro, lo facevano sentire esposto e di conseguenza si paralizzava.
 
Per se stessa non avrebbe potuto fare nulla al momento, ma pensò che aiutando Luca e impiegando le proprie energie in qualcos’altro le sarebbe stato di grande aiuto.
 
«Non credo accetterebbe», rispose in un sospiro, tirandosi indietro i riccioli corti per allontanare la frustrazione.
 
Gli esseri umani avevano questa innata tendenza a sfogarsi con i propri capelli, di fatto anche Ella si lisciava le ciocche, tirandole con le mani, quando ripeteva gli argomenti per un esame.
 
Dopo diventavano un disastro, un ammasso informe né riccio né liscio, ma ne valeva la pena.
 
«Ecco qual è il vostro problema: siete sempre convinti di sapere cosa pensiamo, non capendo che non potrete mai prevedere le nostre risposte. Il mio consiglio è che devi prendere tutte le tue convinzione e buttarle nella spazzatura. Insomma, ma la mia esperienza con Gabriele non ti ha fatto capire niente?» domandò, con tono carico di troppo nervosismo.
 
Luca stava per diventare il suo antistress, solo che lui ancora non ne era a conoscenza. Su qualcuno, purtroppo, avrebbe dovuto sfogarsi e, per quanto le potesse dispiacere, le serviva un capro espiatorio.
 
«Non è così semplice.»
 
Luca si paralizzava ogni volta che provava anche solo a pensare a quali parole rivolgerle per chiederle un appuntamento. Sara era di una bellezza disarmante e il suo temperamento era così vivace da fargli credere che in quella ragazza potesse essere racchiuso lo splendore del Sole.
 
Non voleva rischiare di bruciarsi, se si fosse avvicinato troppo ai suoi raggi.
 
«Forse no, ma trova il coraggio se non vuoi perderla. Gabriele era convinto che non provassi nulla per lui e mi ha lasciata, credendo che entrambi avremmo sofferto di meno se lui se ne fosse andato, interrompendo ogni contatto con me. Gli ultimi cinque anni sono esistiti a causa della sua immaginazione, perché se mi avesse parlato, se avesse rischiato, le cose sarebbero andate diversamente.»
 
Ella capiva i suoi sentimenti più di quanto potesse immaginare, ma, con il senno di poi, poteva con estrema convinzione affermate che fossero tutte una marea di stupidaggini.
 
Non era facile convincere una persona a mettere da parte la paura per spingersi a tutta velocità contro quello che, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe potuto essere un muro di cemento e non un morbido cuscino di piume.
 
Le incognite facevano parte del gioco, bisognava solo capire se rischiare di sfracellarsi ne valesse la pena
 
«Magari anche noi ci incontreremo tra cinque anni», mormorò, sconfitto dalla sua codardia.
 
Luca non si rendeva minimamente conto di quanto tutto quel tempo perso inutilmente l’avesse devastata. Non aveva idea di cosa significasse provare a convivere con i rimpianti, a non lasciarsi soffocare da tutti i periodi ipotetici di cui era piena la sua vita.
 
Potevano apparire in ogni stante della sua giornata e avevano il potere di fermarla, bloccarla, facendole rivivere di continuo tutti i momenti vissuti in passato e tutti quelli che invece aveva mancato.
 
Un dolore che diventava fisico, che fermentava fino a farle marcire l’anima.
 
Lui sono poteva sapere, nessuno avrebbe dovuto, ma a qualcuno purtroppo era successo.
 
Lei e Gabriele erano stati uniti sia dall’amore che dal dolore e, adesso poteva solo sperare che i loro pezzi non avessero bordi tanto diversi da impedirgli finalmente di combaciare.
 
«Pensi davvero che possa essere una bella consolazione? Io la mattina mi sveglio e sono costretta a darmi un pizzico sul braccio, solo per avere la certezza di non stare sognando. Dopo anni trascorsi a chiedermi dove si trovasse e se fosse felice, ci siamo ritrovati e non cambierei nulla di ciò che è accaduto, ma a volte mi chiedo se tutta quella sofferenza sia stata davvero necessaria. Credimi, meglio convivere con i rimorsi che con i rimpianti. Non commettere anche tu questo errore, perché te ne pentiresti come Gabriele, che adesso non riesce a contrastare il senso di colpa e si limita a compensarlo con una finta perfezione.»
 
Ella era davvero il fantasma del suo passato.
 
L’incarnazione del suo fallimento, il vaso di Pandora che aveva nascosto per anni e che era stato aperto inavvertitamente.
 
Alla luce di quei pensieri, probabilmente la sua presenza gli faceva più male che bene.
 
Era straziante vederlo soffrire ogni volta che lei gli rivelava qualcosa, perché sapeva che, inevitabilmente, la sua coscienza alimentava la sua colpa.
 
Si stava deteriorando sotto il suo sguardo e non aveva la minima idea di cosa potesse fare per aiutarlo.
 
Aveva detto a Gabriele che coloro che amavano avevano sia il potere di ferire sia quello di lenire il dolore, ma si chiedeva in che modo avrebbe potuto intervenire se la causa del suo male era proprio sé stesso.
 
«Te lo ha detto lui?» domandò Luca, riportandola alla realtà.
 
«No, ma lo conosco meglio di quanto conosca se stesso. Nonostante mi sia aperta, Gabriele non è riuscito a fare lo stesso con me, almeno non del tutto. Si è messo da parte in queste settimane, fin quasi ad annullarsi. Ha praticamente vissuto nel mio riflesso, credendo che caricarsi di tutte le mie sofferenze e soffocare le sue fosse una punizione sufficiente a controbilanciare il peso della sua colpa. Una sorta di legge del contrappasso. Mi ha ferita in passato e, di conseguenza, adesso cerca di rimediare rendendo suo il mio dolore, nella speranza che possa servire a farlo stare meglio. Si comporta come un’autolesionista e solo domenica sono riuscita a creare una crepa nel muro di convinzioni che si è costruito attorno.»
 
Aveva capito le sue intenzioni quando lo aveva incitato a raccontargli qualcosa sulla sua vita. La risposta che le aveva dato non era stata convincente, perché tutti avevano qualcosa da raccontare e dubitava fortemente che in cinque anni non fosse accaduto nulla.
 
A questo si era aggiunta la sua ammissione di colpa e allora aveva fatto due più due, ma avrebbe decisamente preferito che il risultato di quella somma fosse cinque, perché si sarebbero risparmiati ulteriori sofferenze.
 
«Solo tu puoi aiutarlo», commentò Luca.
 
Aveva ragione, ma come si proteggeva una persona dai suoi stessi pensieri? Come avrebbe combattuto un demone che non riusciva a vedere?
 
«Lo so, ma il senso di colpa è un sentimento estremamente difficile da trattare. Si comporta come un’infiltrazione di acqua e, se non ci si accorge subito del danno e si provvede alla riparazione, inizieranno a formarsi macchie di umidità e muffa sull’intonaco. Gabriele ha ignorato questa infiltrazione per cinque anni e adesso si è ritrovato costretto ad affrontarne le conseguenze. È disperato perché sa che potrebbe crollargli tutto addosso da un momento all’altro e purtroppo, almeno per ora, non posso fare molto se non limitare l’estensione del danno.»
 
Si sarebbe improvvisata idraulico e anche muratore se necessario. Avrebbe fatto tutto il possibile pur di salvarlo da quel crollo che sembrava incombere su di loro.
 
«Ma puoi sicuramente fare in modo che non venga seppellito sotto le macerie», le rispose, rivolgendole un sorriso rassicurante e fiducioso nelle sue capacità.
 
«Come mai ti interessa così tanto?» gli chiese, guardandolo con perplessità.
 
«Per lo sguardo preoccupato che avevi prima. Se lui si facesse male, il suo dolore ferirebbe anche te. L’ho visto solo una volta e di lui so solo ciò che mi avete raccontato voi, ma una cosa l’ho capita.»
 
«Luca, la suspense lasciala ai film», lo riprese Ella che non amava particolarmente le attese.
 
«Hai una vitalità e una felicità nuova riflessa negli occhi. Sei sempre la solita Ella sarcastica e impaziente, ma sei serena, più aperta e fiduciosa nei confronti del mondo.»
 
Gli occhi chiari di Luca sembravano sinceri, eppure lei non aveva pensato che tutte le emozioni positive che sentiva crescere dentro di sé fossero così evidenti anche all’esterno.
 
Quella consapevolezza la fece sorridere, perché se anche i suoi amici si accorgevano di quanto fosse felice, allora non era solo un’illusione, era tutto reale.
 
«Tu credi?» domandò Ella, in cerca di un’ulteriore conferma.
 
«Chiedilo anche a Sofia e a Cristina, vedrai che ti diranno le stesse cose.»
 
La sua risposta le diede da pensare che dovevano aver discusso molto del suo rapporto con Gabriele. Non ne fu particolarmente stupida, perché era normale che si creassero una propria opinione riguardo tutta quella situazione.
 
Dopo quanto era accaduto con Matteo Ella si era ripromessa di dare più ascolto alla propria famiglia e agli amici, perché, osservando da una prospettiva diversa, avevano una visione più distaccata delle cose.
 
«Organizzate comizi segreti quando sono a lavoro per fare del gossip sulla mia vita?» chiese sarcastica.
 
«No, lo facciamo mentre riposi il pomeriggio», commento sorridendo.
 
«E no ora basta!», esclamò con veemenza, alzandosi in piedi e puntandogli contro l’indice. «Disonore! Disonore su tutta la tua famiglia! Disonore su di te, disonore sulla tua mucca!»
 
Dalla serietà del tono e dell’espressione di Ella, Luca aveva immaginato l’inizio di un monologo di quindici minuti su quanto fossero ingrati e pettegoli, ma la sua esclamazione l’aveva spiazzato.
 
Dopo uno scambio di sguardi, entrambi scoppiarono in una fragorosa risata che riempì il silenzio di quella sala ancora vuota.
 
«Ciao ragazzi.» Quella voce gentile e squillante attirò la loro attenzione.
 
«Ciao Sara. Stavamo giusto parlando di…»
 
«Della sua mucca», intervenne Luca, prima che Ella potesse terminare la frase e metterlo in imbarazzo.
 
«Hai una mucca?» chiese Sara, con uno sguardo alquanto confuso.
 
«In realtà è un cavallo ed è di Mulan, ma sono dettagli», rispose Ella, sventolando la mano destra per sminuire l’importanza della sua stessa precisazione.
 
Sara scosse leggermente la testa, sorridendo di fronte alle stranezze che quella ragazza riusciva a tirare fuori ogni volta che apriva bocca.
 
Il giorno in cui non avrebbe più trovato nulla di eccentrico e bizzarro da dire, sarebbe stato l’inizio dell’apocalisse.
 
«Credo sia meglio che mi vada a mettere la divisa. Vi lascio alla vostra fattoria», disse infine, congedandosi.
 
Ella rivolse un’occhiata veloce a Luca, che si era completamente ammutolito e imbambolato a osservare i movimenti dei capelli sciolti di Sara che ondeggiavano al ritmo dei fianchi.
 
«Che screanzato, non si guarda il sedere di una signorina. Tieni, asciugati la bava», lo riprese Ella, porgendogli lo strofinaccio con cui aveva pulito i tavoli.
 
«Questa me la paghi», la rimproverò con uno sguardo che avrebbe dovuto essere truce, ma che in realtà non avrebbe spaventato nemmeno Leone il cane fifone.
 
«Eh no mio caro. A questo giro ho lasciato che mi fermassi, ma se non ti deciderai a fare nulla, la prossima volta mi trasformerò in cupido e, fidati, userò qualcosa di più doloroso di un arco e qualche freccia per colpirti», ribatté Ella, facendogli apertamente intendere che non aveva nessuna intenzione di cedere di fronte ai suoi inutili capricci.
 
«Tu sì che sai come convincere le persone», commentò rassegnato.
 
«Che ti posso dire. Ho delle capacità persuasive che superano i limiti dell'umana comprensione», rispose fiera di sé.
 
«Le parlerò oggi stesso, ma prima volevo sapere una cosa.»
 
Entusiasta all’idea che si fosse arreso, annuì senza preoccuparsi di cosa avrebbe potuto chiederle.
 
«Come va con Lorenzo?»
 
Non appena la domanda fu registrata ed elaborata dal suo cervello, si rese conto che avrebbe dovuto immaginarlo.
 
«Se c'è una cosa che si diffonde più velocemente di un raffreddore sono i pettegolezzi», affermò caustica.
 
La sola idea di essere stata incastrata ad affrontare una conversazione del genere la stava già facendo innervosire.
 
«Si è solo confidato, aveva bisogno di un consiglio», si giustificò Luca.
 
«Mi fa piacere sapere che confessiate i vostri peccati, è elettrizzante. Illuminami, te lo ha detto prima o dopo aver consumato un intero pacco di fazzoletti?» chiese Ella, infastidita dal suo atteggiamento.
 
Se la sua intenzione era di rubare il ruolo di avvocato del diavolo a Keanu Reeves, doveva sapere che sarebbe cambiata anche la sceneggiatura e, alla fine del film, non si sarebbe svegliato nel bagno di un tribunale consapevole di aver vissuto solo un incubo, perché lei lo avrebbe reso molto vivido.
 
«Ella, potresti evitare di fare del sarcasmo per cinque minuti e rispondere seriamente?» la supplicò Luca in difficoltà.
 
«Ah, ma quindi questa è una conversazione seria! Potevi dirlo prima, pensavo fossimo stati catapultati in una telenovela spagnola di secondo ordine.»
 
Era evidente che la sua risposta fosse decisamente negativa.
 
«Mi dispiace per te, ma ci troviamo ancora nel mondo reale e, che ti piaccia o no, la questione va affrontata.»
 
Luca non aveva intenzione di arrendersi e, se Ella non avesse fatto un passo indietro, sarebbero rimasti impantanati in quel cumulo di fango per tutta la sera.
 
«Non sei tu a doverti scusare, ma un buzzurro che non mi sembra di vedere da queste parti.»
 
Era trascorsa una settimana dal giorno in cui Lorenzo aveva dato fondo a tutta la sua arte oratoria e aveva tentato goffamente di avvicinarla solo una volta. Ella non aveva avuto nemmeno il tempo di rispondere al suo scarno e veloce: “Mi dispiace” che le aveva voltato le spalle, catapultandosi fuori dall’appartamento come se avesse appena visto il diavolo.
 
Ci era rimasta male, perché avrebbe almeno voluto dargli un valido motivo per scappare. L’aveva privata di quella soddisfazione.
 
«Lo hai messo in soggezione.»
 
Ella si chiese come potesse esordire con affermazioni del genere e aspettarsi anche che lei lo prendesse sul serio e non gli ridesse in faccia.
 
«Quanti anni ha? Cinque?» ribatté incredula.
 
«Considerando il tuo sguardo omicida quando l’ho nominato e la profonda cordialità delle tue risposte, non posso biasimarlo», commentò, inarcando il sopracciglio destro come se volesse sfidarla a contraddirlo, ma sapeva bene che non avrebbe potuto, perché sarebbe stata una bugia.
 
«Ci mancherebbe altro, la solidarietà tra pene-dotati prima di tutto.»
 
Sbuffò, annoiata da tutta quella situazione.
 
«Allora dimmi come gli avresti risposto, se te ne avesse dato l’occasione.»
 
Non avrebbe mentito, sarebbe stato uno spreco di energie inutile negare l’evidenza e per di più avrebbe perso di credibilità, tanto valeva essere sinceri fino in fondo.
 
«Che poteva prendere le sue scuse e infilarsele dove quel giorno gli si era incastrato il manico della scopa.»
 
Non poté negare a se stessa la soddisfazione di assaporare quelle parole, che tanto avrebbe voluto dirgli, prendere forma.
 
«Appunto», constatò Luca, con espressione afflitta.
 
Era quasi ora che perdesse ogni speranza, considerando che aveva avuto tempo sufficiente per intuire il suo modus operandi.
 
Se le avesse dato semplicemente della stronza, ci avrebbe riso sopra, ma si andava ben oltre quello e non poteva accettare passivamente che qualcuno le parlasse in quel modo, perché se lei, in primis, non avesse avuto rispetto per se stessa, nessun’altro glielo avrebbe dimostrato.
 
«Luca, Lorenzo non è un bambino, ma un uomo e come tale dovrebbe saper affrontare le conseguenze delle proprie azioni e, soprattutto, delle proprie parole», rispose con più calma.
 
«Mi ha riferito ogni frase che ti ha rivolto e non sto cercando di giustificarlo, perché hai perfettamente ragione a essere arrabbiata, ma è solo preoccupato per te. Ha visto sia te che Sofia soffrire quando Gabriele se n’è andato senza darvi uno straccio di spiegazione e ha i suoi motivi per metterti in guardia, anche se ha ovviamente sbagliato i modi.»
 
Ella sapeva cosa stesse facendo Luca, ma non aveva ancora capito che lei era a conoscenza delle intenzioni, decisamente ben nascoste, dietro tutte le frasi infelici che aveva avuto il coraggio di rivolgerle.
 
Se le avesse parlato con calma, spiegando il suo punto di vista e i suoi timori, sarebbe stato diverso, ma aveva deciso di intraprendere una strada che con Ella, avrebbe dovuto immaginare, lo avrebbe portato dritto a baciare il fondo di un dirupo.
 
«So perfettamente il motivo per cui ha detto quelle cose e so anche che, quando percepisce come minacciose delle presenze che circolano attorno alle persone a cui vuole bene, si trasforma in un cavernicolo con il tatto di un orso grizzly, ma non posso fare io il primo passo e nemmeno lasciar correre non appena riuscirà a mettere insieme una frase di senso compiuto.»
 
Non biasimava la sua preoccupazione, perché ricordava bene lo stato di profonda tristezza e sofferenza in cui era precipitata per mesi e mesi dopo quanto accaduto.
 
Tutto era colato a picco: le sue certezze, la sua felicità, la voglia di interagire con altri esseri umani. Ogni aspetto della sua vita sembrava aver preso le distanze da lei ed era stato esattamente in quel momento in cui aveva iniziato a osservare il mondo con più rabbia e diffidenza e meno fiducia e pazienza.
 
Le esperienze non facevano che accentuare lati della personalità poco sviluppati o lasciati riposare troppo a lungo.
 
«Ricordi quante ne disse a Sofia quando venne a sapere che era tornata con la sua ex, dopo che questa l'aveva tradita?»
 
Ella non aveva idea di dove volesse arrivare Luca, ponendole quella domanda, ma di sicuro farle ricordare determinate cose non aiutava la sua causa.
 
«Ti riferisci a quando le disse che si meritava le corna, dal momento che non le importava se riuscisse a passare o meno dalla porta?»
 
Era stato un bastardo a dirle quelle cosa, ma, a modo suo, Ella doveva ammettere che aveva ragione.
 
«Già», rispose Luca con tono piatto della voce.
 
«Non dimenticherò mai il pianto di Sofia e tu non dovresti aiutarmi a ripescare dalla memoria certi ricordi, riescono solo ad alimentare i miei istinti omicidi.»
 
Sofia si era disperata, ma le parole del fratello la aiutarono anche a fare chiarezza nei suoi pensieri.
 
«Voglio solo farti capire che ha sbagliato allora come adesso, ma in entrambi i casi lo ha fatto solo in nome di un bene che, purtroppo, gli taglia molto spesso il filo che collega il cervello alla bocca. Alla fine, con Sofia, si è rivelato avesse ragione e lei è riuscita ad aprire gli occhi.»
 
il ragionamento di Luca aveva senso, ma il punto che ancora a lui sfuggiva era che lei e Sofia erano troppo diverse su alcuni aspetti. A Sofia bastava davvero il nulla per riuscire passare sopra a delle parole troppo pesanti o ad un’ingiustizia, mentre per Ella il solo pensiero era inconcepibile.
 
«Forse, ma io non sono come lei. Non ho perdonato facilmente Gabriele per ciò che ha fatto e non lo farò nemmeno con Lorenzo, perché, in un modo o in un altro, entrambi mi hanno delusa. Prima dovrà soffrire e capire cosa ho provato sentendomi dire che è sufficiente che nella mia vita ritorni un nuotatore di un metro e ottanta perché inizi a ragionare con la vagina.»
 
Quella frase stava ancora bruciando in lei, facendo ribollire il suo sangue nelle vene. Non avrebbe dovuto permettersi di pensarla, figuriamoci pronunciarla ad alta voce alla diretta interessata.
 
Rispetto a qualche giorno fa, la rabbia stava iniziando a scemare, ma, in ogni caso, come minimo Lorenzo non avrebbe più dovuto guardarla negli occhi per il resto della sua vita.
 
«Su questo non posso dirti nulla, cerca solo di non essere troppo dura, Sofia gliene ha già dette di tutti i colori.»
 
Ella fu colta di sorpresa da quella affermazione, perché non aveva idea che Lorenzo le avesse raccontato tutto, considerando che lei non lo aveva fatto per evitare che litigasse anche la sorella.
 
Evidentemente aveva trovato il modo per metterlo alle strette e farlo confessare, sapendo che da lei non avrebbe ottenuto nulla.
 
«Devo assicurarmi che una situazione del genere non si ripeta, quindi farò solo ciò che ritengo necessario», asserì convinta.
 
Riconosceva che fosse una situazione nuova per Lorenzo, perché non l’aveva mai vista così arrabbiata con lui e, di conseguenza, non sapeva come trattarla, ma tutto ciò che avrebbe potuto fare per andargli incontro era provare ad ascoltarlo senza soccombere all’istinto di staccargli la testa a morsi.
 
«Luca, non fraintendere questo mio atteggiamento», continuò, vedendo un’espressione afflitta scurire i tratti del suo viso. «Mi comporto così perché gli voglio bene e ho capito le sue intenzioni, ma la comprensione non basta quando feriscono i tuoi sentimenti. Credimi, per come sono io, sarebbe molto peggio se mostrassi indifferenza invece che rabbia, perché significherebbe che non mi importa.»
 
«Lo so, è solo che vorrei fare qualcosa.» La voce di Luca non si preoccupava di nascondere il senso di impotenza e tristezza per tutta quella situazione.
 
In fondo lo capiva, perché tutta quella situazione si riversava anche su di lui e su Sofia, visto che entrambi lo avevano rimproverato, ma le scocciava l’idea di dover essere lei a fare il primo passo anche quando non aveva fatto assolutamente nulla.
 
«Va bene piccione viaggiatore, se proprio ci tieni, digli che può venire a scusarsi e che non mutilerò nessuna parte del suo corpo. Ricordagli che nessuno sbaglio è irreparabile, ma soprattutto che dovrà parlarmi dei suoi dubbi su Gabriele con calma, in modo che gli possa spiegare una volta per tutte come stanno le cose. Gli basterà strisciare ai miei piedi per un po’ e poi tutto ritornerà alla normalità.»
 
Se qualcuno di loro avesse continuato a dire quanto fosse poco paziente e intrattabile, non avrebbe avuto più alcuna pietà per le loro miserabili vite.
 
«Lo farò. Tra il tirocinio e l’esame di stato che si avvicina siamo davvero sotto pressione, abbiamo bisogno di un po’ di calma», sospirò stanco, accasciandosi sullo schienale della sedia.
 
«Sai già cosa devi fare per ritrovarla», gli ricordò Ella, rivolgendogli un sorriso di incoraggiamento.
 
«Tu pensi davvero che accetterà?» chiese timoroso.
 
Ella avrebbe potuto dirgli la verità, ovvero che anche Sara avesse un debole per lui, ma, primo, avrebbe tradito la fiducia della sua amica e, secondo, avrebbe negato loro le emozioni della felicità inaspettata.
 
Non avrebbe mai insistito così tanto, se non avesse avuto la certezza che le cose tra loro sarebbero andate a buon fine.
 
«L’unica cosa che so è che se non rischi non avrai mai vissuto veramente, quindi ora ti alzi e vai da lei, prima che ti prenda a calci.» Si limitò a rispondere.
 
«Prima o poi mi svelerai il segreto del tuo successo con le persone.»
 
Ella rise di gusto di fronte all’ingenuità di Luca, dal momento che lei era tutt’altro che capace di interfacciarsi con altri esseri umani.
 
«Il segreto è che non le sopporto.»

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


«Basta! Non ce la faccio più!» esclamò Ella, sbattendo sul quaderno la penna nera con cui stava schematizzando un paragrafo del libro di psicologia dinamica.
 
«Che ti prende?» le chiese Sofia, alzando lo sguardo dalla pagina che stava sottolineando, per rivolgerle la sua totale attenzione.
 
Ella aveva trascorso tutta la giornata a studiare, perché nell’ultima settimana era stata così distratta da essersi ritrovata a buttare il suo programma di studio e a doverlo rifare. Per recuperare tutti i capitoli arretrati e raggiungere una preparazione decente per il parziale della prossima settimana, non avrebbe dovuto dormire, mangiare e lavarsi per una settimana. Era talmente incasinata che anche il secondo usato per starnutire le sarebbe stato utile.
 
L’orologio del forno segnava le sei di sera di un giovedì che avrebbe dovuto regalarle un po’ di tregua dallo stress, ma che in realtà era persino peggio di tutti gli altri giorni, perché se avesse dovuto lavorare, l’essere impegnata fisicamente avrebbe potuto agevolare, in qualche modo, i suoi tentativi di distrarsi dai pensieri che convergevano sempre nello stesso unico punto.
 
«Ti prego, raccontami qualcosa. Ho bisogno di pensare ad altro» la supplicò Ella, intrecciando le dita delle mani in segno di preghiera.
 
«Volevo dirtelo più tardi, perché ancora non ho digerito la notizia, ma, data la situazione, mi vedo costretta ad anticipare», rispose Sofia, rassegnata all’idea di dover esporre ad alta voce l’enorme problema che cercava in tutti i modi di ignorare da giorni, come se potesse bastare per farlo sparire.
 
«In altre circostanze avrei pensato potessi essere incinta, ma, considerando che non hai di questi problemi, ti consiglio di finire il discorso.»
 
Ella era già estremamente preoccupata per cose che poteva solo immaginare, non aveva bisogno che altre incognite si sommassero a quelle che nessuno ancora aveva risolto.
 
«Mia madre ha avuto la brillante idea di venire qui a Pasqua. Staranno un paio di giorni e saranno i più lunghi e terrificanti della mia vita», confessò Sofia con un tono di voce piatto che aveva il sapore amaro di sconfitta.
 
«Cosa? Perché?» chiese Ella sconvolta.
 
«Lorenzo è troppo impegnato per scendere e io non sarei mai tornata a casa senza un supporto morale, ma non sia mai che non si insceni la commedia della famigliola riunita felice, quindi ecco a te il risultato. Io lo so che il karma mi sta facendo scontare le pene che ho accumulato in un’altra vita, altrimenti tanta sfiga non si spiega», affermò affranta.
 
La sola idea che i genitori potessero incrociare Cristina, anche solo per sbaglio, le faceva accapponare la pelle. Non poteva proteggere se stessa dalle parole e dai gesti che i genitori le rivolgevano ogni volta che ne avevano l’occasione, ma avrebbe potuto proteggere una delle persone più importanti, che rendeva tutte le sue giornate luminose e piene di significato.
 
«Non credo sia consapevole che si trasformerà in una tragedia», constatò Ella, ancora incredula per la sconsiderata decisione che sua madre aveva deciso di prendere.
 
Era a conoscenza che sua figlia fosse fidanzata e che la sua ragazza vivesse a Roma, quindi Ella, così come Sofia, non riusciva a capire cosa potesse aspettarsi dalla situazione che stava creando.
 
Forse credeva che piombando in casa con il crocifisso in una mano e l’incenso nell’altra, avrebbe debellato lo spirito di Satana dal corpo di Sofia, da quello di Cristina ed esorcizzato l’appartamento dal demone che era solito dimorare nelle giovani fanciulle che scoprivano la loro sessualità.
 
«Credimi, non so come mi devo comportare con Cristina. Non voglio impedire di vederci per due giorni, ma allo stesso tempo non voglio che incontri la reincarnazione del membro più fanatico dell’inquisizione, perché sono sicura che la farebbe a pezzi», ammise, imprigionando il viso tra le mani.
 
Stava vivendo un conflitto impossibile da gestire ed Ella, purtroppo, non poteva dirle come risolverlo, ma avrebbe comunque provato a farla ragionare.
 
«Capisco che tu voglia proteggerla, ma Biancaneve non è fragile e indifesa. Mettiti un attimo nei suoi panni e pensa, al suo posto, cosa vorresti fare», le disse Ella, spronandola a riflettere.
 
«Vorrei starle accanto per sostenerla e aiutarla ad affrontarli, ma non so se sbattere in faccia la realtà ai miei genitori in questo modo sia giusto.»
 
Sofia, da più di un anno, aveva cercato di rimanere in un territorio che fosse il più neutrale possibile, per tutto ciò che riguardava la sua relazione, ma non avrebbe potuto nascondere la testa sotto la sabbia per sempre.
 
Forse sua madre stava provando a fare un passo verso di lei, o forse sarebbe giunta con l’intento di distruggerla, ma non lo avrebbe saputo fino a quando non le avesse aperto la porta di casa.
 
Tutto ciò che poteva fare era prepararsi al peggio, ma continuare a sperare nel meglio.
 
«So, questa è la realtà e continuare a ignorarla non fa bene a nessuno, ma, qualunque decisione tu prenda, sai che io e Cristina ti sosterremo.»
 
Sofia non era sola ed era un bene che glielo facesse presente, perché nei momenti di sconforto, quando tutto il mondo sembrava vuoto e spento, sapere di poter contare su qualcuno poteva fare una grande differenza tra il vivere e il soccombere alla sofferenza.
 
«Lo so, ma, per una volta, mi piacerebbe che fosse più semplice», rispose affranta, portando dieto le orecchie le ciocche di capelli troppo corte per essere raccolte dello chignon disordinato.
 
«Hai ancora del tempo per decidere e se avessi bisogno di un consiglio o inveire contro tua madre, sai dove trovarmi», la rassicurò Ella, stringendole con forza la mano abbandonata sul tavolo.
 
Con quel semplice gesto, sperava avrebbe potuto infonderle un po’ di fiducia in se stessa e speranza per il futuro.
 
Il suono breve e acuto del campanello si diffuse nell’aria, richiamando la loro attenzione. Ella stava per alzarsi dalla sedia, per lasciare che Sofia riprendesse il controllo delle proprie emozioni, ma fu fermata dalla mano dell’amica che le stringeva delicatamente il braccio.
 
«Vado io», aggiunse. «Dovrei metterti un po’ di colla nelle ciabatte, così almeno non cammineresti più scalza», continuò, indicando i piedi di Ella posati sul pavimento freddo.
 
«Quanto sei esagerata, ho i calzini», ribatté, sbuffando annoiata, mentre Sofia si allontanava in direzione dell’ingresso.
 
Era da quando aveva memoria che si sentiva ripetere quelle parole da chiunque la vedesse camminare in giro per casa senza pantofole, che fosse estate o pieno inverno non poteva farci nulla se le dimenticava sempre da qualche parte in giro per casa e poi si scocciava di cercarle.
 
«Ella, dovresti…»
 
«Se Lorenzo ti manda per fare da mediatore digli che…» Ella alzò lo sguardo dal quaderno e, dopo aver elaborato visivamente la figura che aveva davanti, si rese conto che doveva iniziare a non interrompere le persone quando le volevano comunicare qualcosa. «Gabriele?» chiese con tono di voce così basso da dubitare che l’avessero sentita.
 
«Vi lascio soli», annunciò Sofia, senza aspettarsi alcuna risposta.
 
Ella aveva un’espressione così sconvolta che probabilmente non si era nemmeno accorta di essere rimasta sola con Gabriele.
 
«Io… mi dispiace.»
 
Non rispose alle sue scuse, non avrebbe potuto, perché era troppo impegnata a scrutarlo meticolosamente per avere la certezza che stesse bene.
 
Era sempre lo stesso. Non aveva lividi o abrasioni, sembrava solo profondamente stanco. Occhiaie violacee incorniciavano due occhi spenti, mentre la barba, che segnava i contorni del suo viso, era cresciuta molto dall’ultima volta che si erano visti, probabilmente non si radeva da allora.
 
«Ella, dì qualcosa. Ho bisogno di sapere che non sei arrabbiata con me, ti prego», la supplicò Gabriele, riducendo la distanza che li separava.
 
La sua voce angosciosa interruppe la analisi accurata. Probabilmente la reazione di Ella sarebbe sembrata esagerata, ma vederlo, dopo quegli interminabili giorni di ansia e preoccupazione, fece esplodere le sue emozioni. Si sentiva sopraffatta e sull’orlo delle lacrime, sembrava che piangere fosse l’unico modo per alleviare la tensione accumulata, ma si sbagliava, perché c’era qualcos’altro che avrebbe potuto farla stare meglio e, al contempo, soddisfare un desiderio che aveva represso per troppo tempo.
 
Aveva sprecato così tanti anni a ragionare su ogni sua singola decisione, arrivando comunque a compiere quella sbagliata, quindi adesso avrebbe scelto ciò che sapeva l’avrebbe resa felice.
 
Avrebbe scelto di seguire l’istinto.
 
In una frazione di secondo, Gabriele si ritrovò il corpo di Ella schiacciato contro il suo. La sorpresa fu tanta da impedirgli di capire subito cosa stesse accadendo e perché non gli stesse urlando contro, ma, mentre il suo cervello cercava di elaborare la situazione, le sue braccia le avvolsero automaticamente la schiena, imprigionandola in un abbraccio forte e rassicurante.
 
Percepiva chiaramente il tocco deciso delle mani di Ella esercitare una leggera pressione tra le sue scapole, per tirarlo più vicino a sé.
 
Gabriele aumentò la presa del braccio sinistro sulla sua vita e spostò l’altro per immergere la mano destra tra i suoi morbidi ricci. La fronte di Ella era poggiata sul suo torace e, mentre si lasciava cullare dal calore delle carezze che lui le stava regalando, sorrise, ascoltandolo respirare profondamente il suo profumo.
 
Sentiva chiaramente che ogni parte di lui si stesse prendendo cura di lei, con la delicatezza con cui percorreva la lunghezza dei suoi capelli; con la decisione con cui la teneva vicina e ben salda al suo corpo; con la morbidezza delle sue labbra che le sfioravano la fronte; con la tenerezza che aveva visto riflessa nelle sue iridi, nonostante fossero spente dalla stanchezza.
 
Era quello l’amore e non servivano parole per esprimerlo, lo sapevano entrambi, chi con maggior consapevolezza e chi vagava, invece, ancora nell’insicurezza, ma Gabriele riconosceva che non vi era alcun tipo di incertezza nei gesti di Ella.
 
E mentre lei strofinava la guancia poco sotto la sua spalla destra, alla ricerca di un maggior contatto, come un gatto che faceva le fusa, lui la respirava a fondo per imprimere tutto di lei nella sua anima, come se avesse potuto assorbirla.
 
«Come facevi a sapere che un tuo abbraccio era proprio ciò di cui avevo bisogno?» sussurrò Gabriele, ancora stupito dal suo gesto.
 
Doveva aver letto sul suo viso la totale mancanza di forze per affrontare anche lei, così aveva messo da parte qualunque sua emozione sia per fare spazio e accogliere quelle di Gabriele, sia per essere rassicurata.
 
Mentre lui lavava la sua preoccupazione, lei assimilava ogni suo dolore.
 
«Non lo sapevo, ma lo desideravo da così tanto tempo, che aver temuto ti fosse accaduto qualcosa mi ha fatto capire che non volevo più aspettare.» Nonostante la sua voce risuonasse attutita dalla maglietta di Gabriele, su cui la sua bocca si trovava in contatto, lui riuscì a capire perfettamente la sua risposta.
 
Avrebbe potuto contare sulle dita di una sola mano le volte in cui Ella si era lasciata stringere tanto a lungo o quelle in cui era stata lei stessa a prendere una tale iniziativa, ma ognuna di esse valeva decisamente l’attesa.
 
Quell’abbraccio rappresentava una parentesi di pace in un mondo in guerra e quelle sensazioni così intense, che solo lui riusciva a suscitare in lei, le fecero comprendere qualcosa che aveva rinnegato per anni e che ancora faceva fatica ad accettare.
 
Erano l’uno la certezza dell’altro; erano la sicurezza che in qualunque tempo, in qualunque spazio si fossero ritrovati, avrebbero sempre saputo riconoscere il cammino che li avrebbe ricondotti dove si trovavano in quell’esatto istante.
 
Lei era la sua casa e le sue braccia l’unico luogo in cui avrebbe voluto fare ritorno ogni singolo giorno, in qualunque momento, anche nel mezzo di un furioso litigio.
 
Avrebbe messo in pausa tutta la sua vita, solo per godere di attimi preziosi come quello.
 
Ne avrebbe custodito gelosamente il ricordo, ma non era intenzionata a lasciarlo vivere in solitudine su una mensola abbandonata.
 
«Ti ho portato una cosa, ma l’ho lasciata all’ingresso per evitare che la usassi per picchiarmi», disse Gabriele, rompendo quegli attimi di silenzio.
 
Per quanto desiderasse trascorrere tutta la serata con Ella tra le sue braccia, sentiva anche il bisogno di raccontarle cosa fosse accaduto in quei giorni.
 
«Ma se non ti ho mai messo le mani addosso da quando ci conosciamo», ribatté Ella, alzando il viso all’insù per guardarlo negli occhi.
 
«Meglio prevenire», rispose, allentando la presa su di lei fino a quando non sentì più il calore del suo corpo che lo avvolgeva.
 
Sospirò frustrato, chiedendosi se sarebbe mai ricapitato un momento lontanamente simile a quello appena vissuto e, mentre si dannava, le voltò le spalle per recuperare dal mobile dell’ingresso il piccolo regalo che le aveva portato.
 
Quando ritornò, l’attenzione di Ella fu catturata da cinque intense macchie rosso carminio, che spiccavano sullo sfondo nero della maglietta di Gabriele.
 
«Sono ancora i tuoi fiori preferiti, vero?» chiese, mentre le si avvicinava nuovamente, fermandosi nello stesso punto in cui si trovava qualche minuto prima.
 
«Si. Grazie, sono stupendi», rispose Ella, allungando le mani per prendere quei cinque papaveri che lui le stava porgendo.
 
Il loro colore era così acceso, che sentiva bruciare la punta della sua dita ad ogni delicata carezza dei petali.
 
Erano vivi, erano nati in un periodo che non apparteneva loro, eppure ce l’avevano fatta, almeno fino a quando Gabriele non aveva avuto l’idea di spezzare la loro vita. Un tempo anche lei lo avrebbe fatto, ma adesso la pensava diversamente, tuttavia, nonostante questa sua avversione, non poté negare la dolcezza e la tenerezza di quel piccolo gesto.
 
«Ne ho presi pochi perché so come la pensi sull’estirpare questi fiori dal terreno, ma quando li ho visti non potevo non coglierne qualcuno. L’ho interpretato come un segno del destino, come un momento sfuggito al controllo della legge della causalità.» La giustificazione di Gabriele la fece sorridere.
 
«Perché proprio cinque?» chiese curiosa.
 
«Uno per ogni anno che ci ha separato.»
 
Non sentiva il bisogno di dirgli nulla, perché sembrava aver pensato a una risposta ben congeniata per prevenire qualunque suo rimprovero, che, in ogni caso, non li avrebbe rivolto.
 
Ormai la loro vita ruotava attorno a quel numero.
 
«Questa volta ti perdono, ma solo perché le circostanze hanno reso perfetto questo momento», disse, in fine, adagiando delicatamente i fiori sul tavolo, in modo da avere le mani libere per cercare qualcosa che fosse simile a un vaso.
 
Dopo aver aperto tutti gli sportelli dei mobili presenti in cucina, riuscì a scovare una brocca di vetro della lunghezza giusta per consentire agli steli di rimanere relativamente dritti.
 
«Ti devo delle spiegazioni.»
 
L’affermazione diretta di Gabriele interruppe i movimenti di Ella, che aveva appena finito di posizionare quel vaso improvvisato al centro del tavolo.
 
«Non mi devi niente, se non vuoi», rispose con calma.
 
«Ho bisogno di dirti ogni cosa, ma il problema è un altro», ammise sospirando.
 
«Ti senti così in colpa per ciò che hai fatto in passato, da non credere di meritare che io ti ascolti, ti dedichi il mio tempo e la mia comprensione.»
 
Gabriele alzò lo sguardo incupito dal pavimento per rivolgerlo alla ragazza che adesso gli stava accarezzando una spalla per incoraggiarlo a sfogarsi.
 
«È così evidente?» chiese, sorridendole amaramente.
 
«No, ma sono dentro questa storia tanto quanto te, quindi capisco cosa provi più di quanto pensi. Tanto vale essere sinceri.»
 
Ella non lo avrebbe mai spronato a parlare, se non fosse stata assolutamente certa che lui ne sentisse la necessità e fosse pronto.
 
I suoi occhi comunicavano più di quanto potessero fare le poche frasi che aveva pronunciato da quando era arrivato.
 
«Mi sento bloccato», ammise.
 
Conosceva perfettamente le sensazioni che quella lotta intestina gli stava provocando e i loro effetti si stavano manifestando anche all’esterno.
 
Ormai nemmeno il suo corpo riusciva a reggere il peso che si ostinava a portare da solo ed Ella doveva necessariamente fare qualcosa per evitare che ne fosse schiacciato.
 
«Io ti ho perdonato, ma adesso sei tu a dover perdonare te stesso. Punirti, reprimendo tutto il tuo dolore, non ti aiuterà a lenire quello provocato dal senso di colpa. Permettimi di aiutarti, così come tu stai facendo con me. Ti assicuro che dopo ti sentirai meglio e se mi dovessi sbagliare, potrai continuare a modo tuo», propose Ella, fiduciosa del fatto che avrebbe ceduto a quel compromesso.
 
Da qualche parte avrebbe dovuto iniziare e, sebbene il suo silenzio fosse tutt’altro che incoraggiante, non poteva arrendersi e non lo avrebbe fatto fino a quando non fosse riuscita nel suo intento.
 
«Sapevi che il papavero è simbolo dell’orgoglio sopito, della consolazione e della semplicità?»
 
La domanda di Ella catturò l’attenzione di Gabriele, prima che si perdesse completamente nei suoi pensieri.
 
«No», rispose, scuotendo la testa, per avvalorare la sua affermazione.
 
«Bene, adesso che ne sei venuto a conoscenza, metti con semplicità da parte l’orgoglio e lascia che ti consoli. Reagisci!» esclamò Ella, scuotendolo leggermente, come se in quel modo avesse potuto svegliarlo dal suo sonnambulismo.
 
Avrebbe sfruttato tutte le sue capacità persuasive per indurlo ad aprirsi, perché entrambi ne avevano bisogno per andare avanti insieme.
 
Non aveva nessuna intenzione di continuare a camminare, mentre lui rimaneva indietro a guardarla allontanarsi. Dovevano rimanere uniti e insieme darsi forza a vicenda come sempre avevano fatto.
 
Prendersi cura l’uno dell’altro anche quando sarebbero stati così arrabbiati da non sopportare la vista dell’altro. Ella avrebbe conservato un po’ di pazienza per proteggerlo da se stessa, mentre Gabriele avrebbe usato tutto il coraggio che possedeva per restare al suo fianco.
 
Nessuno dei due sarebbe più scappato.
 
Erano tornati per restare.
 
«In questi anni ho fatto spesso avanti e indietro tra Roma e Napoli e, quando mi annoiava viaggiare in autostrada, percorrevo le strade interne. Attraversando le campagne ho scoperto molti campi di papaveri e tutte le volte che li vedevo, mi ricordavano il tuo viso. Ogni cosa, anche la più insignificante, sembrava riportare a te i miei pensieri, come se fossero tuoi e non potessi più controllarli, ma con il tempo ho capito che ero io a cercati, inconsciamente, in qualunque persona o oggetto che si fosse ritrovato casualmente sulla mia strada.»
 
Gabriele era completamente immerso nei ricordi e, nonostante Ella fosse felice del fatto che avesse formulato un discorso articolato, non riusciva a capire a cosa avrebbe portato.
 
«Perché mi stai dicendo questo?» chiese, spingendolo a continuare.
 
«Li ho presi in uno di quei campi in cui da anni avrei voluto fermarmi, ma solo l’idea faceva troppo male, così ingoiavo l’amaro e premevo sull’acceleratore. Sono masochista, perché ammetto che spesso ripercorrevo quella strada, perché era bene che ricordassi il disastro che avevo combinato, ma questa volta sono sceso dalla macchina. Forse non ci crederai e penserai che sia impazzito, ma confondevo le carezze dei loro petali con il tocco delle tue mani. Il dolore per gli errori commessi era ancora presente, ma si era anche affievolito e solo grazie alla consapevolezza che tu fossi qui.»
 
Esternare quei sentimenti estremamente infelici legati a ricordi tanto penosi sembrava, effettivamente, alleviare la pungente sofferenza che appesantiva da anni le sue membra.
 
Spesso si era chiesto se fosse umano amare una persona fino a sfiorare la follia, fino a viaggiare per più di cinque ore, solo per vedere dei fiori che avevano lo stesso colore dell’anima della ragazza a cui aveva detto addio.
 
«Non sei pazzo, ma se lo fossi allora lo sarei anche io, perché sapessi quante volte mi giravo per strada sentendo qualcuno chiamare il tuo nome.»
 
Lei si era ritrovata ad affrontare le sue stesse emozioni e a vivere le medesime situazioni.
 
Lo aveva immaginato troppe volte in quel banco, rimasto vuoto per un intero anno scolastico e, ogni volta che si voltava sperando di incontrare il suo sorriso impertinente, si sentiva presa in giro da quella mancanza che nessuno avrebbe mai potuto colmare.
 
Lo aveva sognato troppe volte; sussultato al suono del citofono illudendosi che potesse essere lui; pensato all’uomo che era diventato; ricordato il suo viso e il suono della sua voce, temendo di dimenticarlo; rivisto nei volti dei passanti quando camminava per le strade della città.
 
Si erano torturati solo per mantenere vivo il ricordo di un sentimento che non aveva mai accennato a volerli abbandonare.
 
«Mi dispiace così tanto», sussurrò con voce debole e incrinata, mentre si sfregava il viso tra le mani, per cancellare le lacrime che avevano iniziato a scivolare lungo le sue guance.
 
Non voleva che Ella lo vedesse esternare tutta la sua sofferenza in modo così incontrollato, perché ancora si sentiva in debito con lei per come stavano andando le cose tra loro.
 
Si era ripromesso di mostrarsi perfetto, privo di debolezze e forte, di lasciare che Ella lo usasse come sacco da box e riversasse su di lui tutta la rabbia che lui stesso e il resto del mondo le avevano causato quando non c’era stato per proteggerla e aiutarla a risollevarsi, ma non c’era riuscito.
 
Il dolore provocato dal senso di colpa era diventato impossibile da gestire e da contenere all’interno. Aveva commesso l’errore di sottovalutare le acute capacità osservative di Ella, che non aveva impiegato molto a capire il suo reale stato d’animo.
 
Lo aveva smascherato e adesso non poteva più nascondere le ferite che ancora gli bruciavano l’anima, solo lei avrebbe potuto guarirle e, sebbene non volesse, era troppo debole e stanco per continuare a opporsi.
 
«Andrà meglio, delfino, te lo prometto e sai bene quanto valgono le mie promesse.»
 
Ella non poteva rimanere a guardare mentre si sgretolava e l’unica idea sensata che le venne in mente, per impedire che si sfracellasse al suolo e tenere insieme i pezzi del suo cuore, fu abbracciarlo.
 
Non le importava se pensasse di non meritare nulla da lei, avrebbe lottato contro quel muro e tutti quelli che avrebbe deciso ergere pur di trovarlo e stringerlo di nuovo, per rassicurarlo e dirgli che tutto quel dolore prima o poi sarebbe stato solo un lontano amaro ricordo e che non avrebbe retto il confronto con i momenti felici che insieme avrebbero potuto creare.
 
Gabriele aveva abbandonato il viso sulla sua spalla e lei sapeva che stava piangendo, aveva visto le lacrime, anche se aveva tentato di nasconderle.
 
Lasciò che prendesse da lei tutto ciò di cui avesse bisogno e anche ciò che non aveva, lei lo avrebbe cercato dentro di sé solo per farglielo trovare.
 
Cercò di infondergli tranquillità attraverso i movimenti lenti e continui delle mani che gli accarezzavano sia la schiena che i capelli. Quando sentì il suo respiro regolarizzarsi, sospirò di sollievo e si allontanò di poco per constatate che stesse meglio.
 
I suoi mugugni di protesta la fecero sorridere di riflesso, ma comunque non si lasciò intenerire.
 
«Forza, sediamoci sul divano. Hai una faccia stravolta», lo invitò Ella, mentre prendeva posto, trascinando con sé Gabriele, che sembrava camminare per inerzia.
 
«Si, sono a pezzi. Non dormo bene da giorni e da Napoli sono arrivato direttamente qui», confessò, sprofondando nello schienale.
 
«Potevi tornare prima a casa per riposarti, non era necessario venissi subito.»
 
Se solo non fosse stato ridotto uno straccio, Ella lo avrebbe volentieri rimproverato fino alla mattina successiva, ma dovette limitarsi a fargli notare con calma e pazienza la sua incoscienza.
 
«Invece sì, perché, se non ti avessi vista, non sarei comunque riuscito a chiudere occhio», ammise, guardandola per osservare la sua reazione.
 
Ella roteò gli occhi esasperata. Era distrutto e continuava a comportarsi come un bambino. Insomma, capiva il desiderio di vederla a qualunque costo, ma non poteva sottovalutare il suo stato mentale sull’orlo del collasso.
 
«Ti va di raccontarmi cosa è successo? Così, dopo ti stendi sul divano e ti fai una dormita come si deve, perché scordati che ti lascio guidare in queste pietose condizioni.»
 
Era un completo disastro e lui ne era assolutamente consapevole, ma anche Ella non era da meno con indosso un pantalone grigio della tuta, una felpa nera di una taglia più grande e occhiaie violacee che toccavano il pavimento, l’unica cosa che si salvava erano i capelli che fortunatamente aveva lavato quella mattina.
 
«Speravo lo dicessi», rispose, rivolgendole un piccolo sorriso.
 
Ella rimase in silenzio, in attesa che Gabriele trovasse il coraggio e iniziasse a parlare. Erano a buon punto, perché si era aperto già abbastanza da piangere e ammettere il senso di colpa che provava nei suoi confronti, adesso non gli restava altro che fare un piccolo sforzo e svuotarsi completamente.
 
«Ci siamo trasferiti a Roma perché mio padre all’epoca vinse il concorso per diventare uno degli avvocati della Banca d’Italia e si può dire che da quel momento sono iniziati tutti i nostri problemi.
 
Il suo lavoro gli richiede di viaggiare spesso e, a volte, anche per periodi molto lunghi. Non è stato facile, soprattutto per mia madre, che ha dovuto lasciare la sua cattedra di insegnante e chiedere il trasferimento. Così, mentre lei si adattava con molta fatica a questa nuova città, affrontava il nuovo ambiente di lavoro e si prendeva cura di noi, mio padre andava e veniva e, quando restava, si faceva vedere solo la sera, se andava bene.»
 
Ella non era a conoscenza dei motivi legati al suo trasferimento, quindi Gabriele non avrebbe potuto spiegarle la situazione, se non fosse partito dall’inizio di tutta quella storia.
 
«Situazione complicata», commentò, incapace di dire altro.
 
Era difficile per lei trovare la cosa giusta da dire quando qualcuno le mostrava il proprio dolore, perché nulla sembrava adatto e tutto, invece, era perfettamente inutile.
 
«Hanno ignorato il problema fin quando non gli è esploso in faccia e da un anno ormai non fanno altro che discutere e rinfacciarsi il passato, ma non posso biasimare nessuno dei due, alla fine hanno fatto ciò che hanno potuto e non è sempre facile gestire carriera e famiglia», continuò, passandosi una mano tra i capelli, palesemente frustrato.
 
«Anche tu e tuo fratello ne avete risentito», sussurrò Ella, incapace di non dire ovvietà. La sua facoltà di pensiero aveva ormai chiuso i battenti.
 
«All’inizio non hai idea di quanto fossi incazzato con mio padre, quando seppi del trasferimento avevo preso in considerazione l’idea di rimanere e vivere a casa dei miei nonni materni, ma vedendo il coraggio e il sacrificio di mia madre mi sono sentito egoista anche solo per averlo pensato e il resto è storia. Ormai io e Simone siamo abbastanza grandi da capire che è solo questione di tempo.»
 
Gabriele sembrava ormai rassegnato all’inevitabile fine della relazione tra i suoi genitori e anche alla totale distruzione della sua famiglia.
 
Ella pensò che dovesse esserci per forza qualcos’altro per fargli vedere il mondo da una prospettiva così catastrofica.
 
«Credi che arriveranno al divorzio?» chiese Ella perplessa.
 
«Forse solo alla separazione, ma chi può dirlo», rispose, scrollando le spalle.
 
«Magari si tratta solo un brutto periodo.» Ella stava provando a mostrargli un punto di vista più positivo, ma, dalla smorfia di Gabriele, capì che nulla sarebbe servito a risollevargli il morale.
 
«Lunedì sera, mio padre è tornato a casa con una notizia che ha spalancato le porte dell’inferno. Entro la fine del mese dovrebbe trasferirsi a Milano a tempo indeterminato e mia madre ha avuto una crisi isterica, gli ha urlato contro di tutto e ha terminato la sfuriata dicendogli che aveva bisogno di qualche giorno per rimettere in ordine i pensieri. Non avendo, Simone, la patente, ho dovuto accompagnarla io a Castellammare, a casa dei miei nonni e sono rimasto con lei fino a stamattina. Mi ha implorato di ritornare, dicendomi che stava bene e che ci avrebbe raggiunti quando i giorni di permesso sarebbero terminati, quindi eccomi qui.»
 
Adesso capiva il motivo della sua rassegnazione, non si trattava di pessimismo, ma di puro e semplice realismo.
 
«Davvero un gran casino», commentò Ella, sprofondando anche lei nello schienale del divano.
 
Tutte le piaghe d’Egitto si erano riversate su di lui ed Ella non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a resistere fino a quel momento senza crollare sotto il loro peso, a cui si era aggiunto anche il racconto felice della sua relazione.
 
Era un ragazzo forte che conviveva con sofferenze, purtroppo, più forti di lui, ma non si era mai arreso, nonostante ogni sua certezza stesse svanendo sotto il suo sguardo impotente.
 
Ella conosceva la sensazione, aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, qualcuno che lo facesse sentire al sicuro quando il resto del mondo lo rendeva vulnerabile.
 
«Non so a quale conclusione arriverà, ma, qualunque essa sia, questa volta io non ho intenzione di cambiare di nuovo città e poi Simone sta frequentando il quarto anno di liceo, sarebbe un casino anche per lui cambiare di nuovo scuola e per mia madre cambiare lavoro. D’altra parte una relazione a distanza non so se riuscirebbero a gestirla, insomma, una bella merda.»
 
Gabriele sapeva che angosciarsi non sarebbe servito e che non poteva fare niente per cambiare il corso degli eventi. Era frustrante, ma confidava che, in qualche modo che non credeva possibile, i suoi genitori avrebbero preso la decisione più giusta per tutti.
 
«Anche se perderai l’orientamento, sappi che potrai fare sempre affidamento su di me. Certo, non sarà la stessa cosa, ma almeno ti sentirai meno solo.»
 
Ella posò la sua mano destra sulla sinistra di Gabriele, stringendola per dargli conforto.
 
«Tu forse non te ne rendiconto, ma sei il mio punto di riferimento. Ecco perché volevo vederti, mi fai sentire a casa e, anche se sei molto più di quanto merito, per una volta sono felice che non la pensiamo allo stesso modo», ammise Gabriele, guardandola negli occhi.
 
Lui era decisamente bravo con le dichiarazioni, ma ancora di più nel lasciarla senza parole.
 
«Sinceramente, non so cosa dire», sussurrò.
 
«Non serve che tu dica niente, basta che non te ne vada», rispose Gabriele, stringendole con più forza la mano.
 
«Sono qui», lo rassicurò, inclinando la testa per posarla sulla sua spalla.
 
«Sei qui», ripeté Gabriele, assaporando il significato della sua unica certezza.
 
Rimasero in quella posizione per qualche minuto, imprimendo ognuno nella propria memoria le forti sensazioni che trasmetteva loro quella vicinanza. Non era nulla di eccezionale, solo due mani che si abbracciavano, dieci dita che si intrecciavano e due visi che si sfioravano, ma ciò che per chiunque all’esterno avesse pensato fosse niente, per loro era invece tutto.
 
«Come ti senti?» chiese Ella, spezzando il silenzio che li aveva avvolti in una bolla e trascinati lontano dalla realtà.
 
«Più leggero. Avevi ragione, parlare è l’unico modo per lenire il senso di colpa», rispose, sospirando di sollievo.
 
«Non posso assicurarti che sparirà completamente, ma ti prometto che mi impegnerò a rimpicciolire sempre di più lo spiraglio che impedisce alla porta di chiudersi.»
 
Insieme, era certa, avrebbero vinto la guerra.
 
«Grazie», le sussurrò Gabriele, baciandole delicatamente la fronte.
 
Erano estremamente simili caratterialmente, perché lui mostrava gentilezza per camuffare le proprie debolezze, mentre Ella usava tanta ironia e battute sarcastiche. Entrambi erano pieni di difetti, ma facevano del loro meglio per sentirsi più forti.
 
«Non voglio che mi ringrazi, voglio solo che tu sia reale. Smettila di nasconderti dietro quell’inutile velo di perfezione che indossi da quando sei arrivato. Mostrami le tue emozioni. Arrabbiati con me quando ti tratto male, non assorbire tutto passivamente; piangi e non nascondere le lacrime quando soffri, solo perché non vuoi che io accolga il tuo dolore; ridi più spesso, perché il raggio di sole che ho immaginato quando ti ho visto potrebbe illuminare il mondo intero.»
 
Un rapporto di qualunque natura si basava sulla reciproca fiducia e trasparenza. Gabriele poteva essere sincero sull’amore che provava per lei, ma non lo era stato altrettanto con tutta la vasta gamma di emozioni che si era premurato di chiudere nell’armadio. Se Ella non lo avesse conosciuto abbastanza bene da sapere cosa frullasse nella sua testa, avrebbe potuto distruggere ogni cosa ancora prima di poterla creare, solo per il suo orgoglio e la sua fastidiosa testardaggine.
 
«Te lo prometto.» Gabriele non aveva intenzione di rovinare di nuovo il legame che stavano ricostruendo a fatica, giorno dopo giorno.
 
«Adesso togliti le scarpe e sparisci nel mondo dei sogni», lo incitò Ella, alzandosi di scatto dal divano per lasciargli tutto lo spazio che gli serviva.
 
«Ti sdrai con me?» chiese di getto Gabriele, mentre si scioglieva i lacci delle Nike.
 
«Non so se sia il caso», rispose Ella titubante.
 
Seguire l’istinto andava bene, ma aveva paura di superare un confine invisibile tra loro.
 
«Hai ragione, ho esagerato. Dimentica quello che ho detto, non avrei dovuto.»
 
Gabriele si maledisse per aver osato così tanto. Ella lo aveva abbracciato due volte ed era stato molto più di quanto si sarebbe mai aspettato, avrebbe dovuto accontentarsi, ma adesso che aveva ricevuto un assaggio di quelle che erano le sensazioni che solo lei era capace di scatenargli, non riusciva a farne a meno.
 
«Forza, sposta i tuoi muscoli.»
 
Ella si sedette al suo fianco, prima che la sua parte razionale la spingesse a barricarsi in camera da letto.
 
«Ella, non devi…»
 
«Se stai per dire che non devo farlo se non voglio, ti arriva una gomitata nel fianco. Ora chiudi quella bocca e rilassati», lo zittì, mentre copriva entrambi con la coperta che si trovava piegata sul bracciolo del divano.
 
Dopo averla sistemata in modo che nessuno dei due potesse sentire freddo, si sdraiò, trovando dietro il suo collo il braccio sinistro di Gabriele, invece del cuscino.
 
«Lo so che stai sorridendo», lo rimproverò Ella, mentre si agitava alla ricerca della posizione più comoda.
 
«Tu hai detto che non devo nascondere la mia felicità», le rispose, fingendo innocenza.
 
Gabriele, notando il leggero imbarazzo di Ella, che non sapeva come sistemarsi, strinse con l’altro braccio la vita della ragazza per spingerla a girarsi sul fianco destro e ad appoggiare la testa nell’incavo del suo collo.
 
«Comoda?» chiese, cercando di nascondere la nota di soddisfazione della voce.
 
«Si, ma non farti strane idee», rispose con tono di rimprovero, mentre strofinava la guancia sulla sua maglietta per entrare in confidenza con il suo corpo.
 
«Direi che per quello è un po’ tardi», commentò, divertito dai suoi tentativi di nascondere i sentimenti che provava per lui.
 
«Forse era meglio quando non parlavi, ora mi costringi a comprarti una museruola. Se fai il bravo, quanto ti svegli ti darò un croccantino.»
 
Ecco come il sarcasmo ritornava ogni volta che si sentiva messa alle strette.
 
«Sarebbe meglio un…»
 
«Scordatelo», lo interruppe, immaginando perfettamente quello che avrebbe detto.
 
«Me la fai completare una frase?» le domandò tra le risate.
 
«Ho capito, me ne vado, così i tuoi ormoni ti lasceranno riposare in santa pace.» Ella provò ad allontanarsi, ma la ferrea presa delle braccia di Gabriele le impedì qualsiasi tentativo di fuga.
 
«Non se ne parla», ribatté, iniziando ad accarezzarle la spalla sinistra nel tentativo di calmare la sua furia. «Buon riposo, piccola strega», le sussurrò e il tenero bacio che le posò tra i capelli fu l’ultima sensazione che Ella percepì, prima di addormentarsi tra le braccia del sogno più reale che avesse mai fatto.
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


«State zitti, caproni. Sto dormendo», borbottò Ella, con il viso sepolto nell’incavo del collo di Gabriele.
 
Nonostante lo stato di semi coscienza, sapeva esattamente che si trovava nella stessa posizione in cui si era addormentata, cullata dalle carezze del ragazzo che la stava ancora stringendo tra le braccia.
 
Il calore emanato dai loro corpi gli regalava una piacevole sensazione di pace e tranquillità.
 
Ella spostò la mano abbandonata sul petto di Gabriele e, senza rifletterci troppo, la fece scivolare verso il basso fino a raggiungere il suo fianco per avvolgerlo e stringerlo a sé.
 
Aveva dormito così bene che stava prendendo in considerazione di renderlo suo schiavo del sonno, ammanettarlo al termosifone e liberarlo solo la notte per usarlo come cuscino.
 
«Che ha detto?» chiese una voce fuori campo, che le sembrò assomigliare a quella di Sofia.
 
«Ho capito solo “caproni”», le rispose Gabriele, reprimendo una risata per non infastidire, con i movimenti del torace, la ragazza che si trovava comodamente spiaggiata su di lui.
 
Quando si era svegliato, la prima cosa a cui aveva pensato era stata: “Se non lo farà lei, prima o poi saranno i suoi capelli ad uccidermi”, perché quei lunghi ricci non avevano seppellito solo il viso di Ella, ma anche il suo. Se li era ritrovati persino in bocca e, per quanto avessero un ottimo profumo, non erano buoni da mangiare.
 
Dopo averli spostati delicatamente, facendo molta attenzione a non svegliarla, era rimasto incantato dalla tenerezza della sua espressione e dalla dolcezza con cui stringeva nel pugno della sua mano sinistra un piccolo pezzo di stoffa della sua maglietta, all’altezza del petto.
 
Incapace di realizzare la realtà di quella situazione, Gabriele aveva iniziato ad accarezzarle il fianco per poi risalire e percorrere tutta la lunghezza della sua schiena.
 
Non aveva smesso di muovere le mani sul suo corpo nemmeno quando Cristina e Sofia erano piombate in soggiorno con due cartoni di pizza tra le mani.
 
Ella non era più un vivido sogno.
 
Lei era reale.
 
«Visto come è simpatica anche appena sveglia?» domandò ironicamente Sofia.
 
«Dai, strega, apri gli occhi. Sono le nove, è arrivata la pizza e stiamo morendo di fame a causa…»
 
La stessa mano che poco prima stringeva la vita di Gabriele, si schiantò con poca delicatezza sulla sua bocca per farlo tacere.
 
Il ragazzo mugugnò qualcosa che risultò incomprensibile, perché attutita dal palmo di Ella che premeva sulle sue labbra.
 
Per alcune persone il silenzio era qualcosa di inconcepibile.
 
«Come farai a tappare la bocca anche a me?» la sfidò Sofia.
 
«E a me?» intervenne Cristina.
 
«Biancaneve?» chiese Ella confusa, mentre liberava Gabriele dalla museruola improvvisata.
 
«Sono arrivata un’ora fa. Siete molto dolci insieme, avrei voluto farvi una foto, ma Sofia me lo impedito.»
 
Le parole gentili di Cristina la freddarono all’istante e il suo corpo si irrigidì tra le braccia di Gabriele, che non impiegò molto a capire il motivo del suo cambiamento d’umore.
 
Le aveva appena sbattuto in faccia il fatto che formassero una bella coppia, quando in realtà non erano assolutamente niente, o meglio, Ella non aveva ancora la minima idea di cosa fossero e se mai sarebbero stati qualcosa, eppure le sembrava così naturale cercare il calore di Gabriele, i suoi sorrisi, le sue carezze, la sua voce.
 
Tutto, semplicemente tutto.
 
Cos’era quella sensazione? Era forte e dolorosa, ma allo stesso tempo piacevole e rassicurante. Si era annidata nel suo stomaco ed era pesante, ma non tanto da farle provare la familiare sensazione di nausea.
 
Si sentiva spaventata e confusa, paralizzata e incapace di reagire. Avrebbe voluto scappare da quella situazione che lei stessa aveva creato seguendo il suo istinto, eppure non voleva muoversi da lì, perché si sentiva al suo posto per la prima volta dopo così tanto tempo da farle venire le lacrime agli occhi.
 
Si chiese il motivo per cui avrebbe dovuto fuggire da quelle emozioni, perché anche se non era pronta ad associarle sotto lo stesso nome, sperava che vivendole, presto o tardi, avrebbe trovato il coraggio di accoglierle senza paura.
 
«Ho capito, mi alzo, ma è meglio che voi due iniziate a correre molto lontano da me, specialmente tu», concluse, puntando il dito contro Cristina.
 
«Ma che ho detto?» chiese a Sofia, guardandola con espressione mortificata e confusa.
 
«Lasciala perdere, ha dei problemi con i complimenti e la gentilezza», la rassicurò Sofia, avvolgendole un braccio intorno alle spalle, mentre si dirigevano verso il tavolo della cucina.
 
«Stai bene?» Gabriele aveva intuito i pensieri minacciosi e confusi di Ella, dalla tensione che emanava il suo corpo.
 
Sebbene il suo istinto avesse arrestato i suoi movimenti, la parte razionale di lui lo aveva spinto a riprendere le carezze, mosse dalla promessa che le aveva fatto qualche settimana prima.
 
Ella annuì perché, nonostante la paura non l’avesse ancora abbandonata completamente, si sentiva meno appesantita dalle sensazioni che il commento di Cristina aveva suscitato in lei.
 
«Potresti allentare la presa, uomo d’acciaio, così mi scollo di dosso», lo incitò, incapaci di restare un secondo di più in quella posizione.
 
Non stava scappando e non aveva intenzione di farlo in futuro, ma aveva bisogno di riprendere il controllo dei propri pensieri e ciò comportava mettere una certa distanza di sicurezza tra i loro corpi.
 
«Non mi piace l’idea. Ho dormito meglio in queste due ore che nell’ultima settimana», rispose, sospirando rassegnato all’idea che avrebbe dovuto lasciarla andare.
 
Riusciva già a sentire il vuoto lasciato dalla sua presenza incombere su di lui, nonostante non si fosse ancora mossa.
 
Ella aveva percepito non solo la sua riluttanza nelle sue parole, ma anche la paura nel suo tono di voce.
 
Poche ore prima gli aveva assicurato che non se ne sarebbe andata, ma non poteva di certo biasimarlo se ancora non riusciva a credere che tutto quello che stavano vivendo fosse reale.
 
Erano lì, insieme, dopo un tempo infinito che si era trasformato in un secondo nell’attimo in cui si erano rivisti.
 
«Avresti dovuto pensarci prima di svegliarmi. Forza, delfino, capiterà sicuramente di nuovo», disse, scuotendolo leggermente.
 
Nonostante si fosse liberato dal peso che si era costretto a trascinare da solo, era ancora estremamente fragile e impaurito.
 
Sembrava un bambino.
 
Aveva vissuto gli ultimi cinque anni a prendersi cura della madre e del fratello, accollandosi anche il ruolo di padre di famiglia. Era dovuto diventare perfetto, reprimendo i difetti per mostrare solo i pregi; si era costretto a essere forte, anche quando le debolezze erano troppo grandi da combattere; era dovuto diventare ciò che non era, per amore.
 
E mentre lui faceva l’impossibile per tenere insiemi i pezzi di una famiglia che si stava sgretolando, le sue fondamenta marcivano sotto gli occhi incuranti di chi cercava di proteggere.
 
«Almeno ho avuto anche il tempo di accarezzarti i capelli e la schiena.»
 
Gabriele le aveva detto che lei era il suo punto di riferimento, un enorme responsabilità che avrebbe imparato a gestire giorno dopo giorno grazie al suo aiuto, perché non era sola.
 
Lui gli avrebbe mostrato le fragilità che nessuno aveva curato, nemmeno se stesso, e lei avrebbe capito cosa fare per restituirgli il sorriso sincero che aveva perso.
 
«Ti ho concesso il grande onore di dormire con me, credi davvero che non me lo aspettassi? Povero illuso», disse divertita.
 
«E la cosa non ti infastidisce?» chiese perplesso.
 
Probabilmente era stata una domanda stupida, ma a sua discolpa poteva dire che era stata dettata dal terrore di aver superato un limite che non aveva visto.
 
Purtroppo era così confuso e spaesato da non sapere più cosa gli era concesso fare e cosa no. Ella lo aveva destabilizzato con le sue attenzioni e quella dolcezza inaspettata, tanto che non aveva idea di come si sarebbe dovuto comportare.
 
Solo lei era capace di farlo sentire in imbarazzo, nonostante non avesse fatto nulla per provare quella sensazione.
 
«Ti ho abbracciato e ho lasciato che mi abbracciassi, quindi spiegami come le tue carezze potrebbero farmi innervosire.»
 
Esercitando una maggiore pressione con il corpo, riuscì a sciogliere la forte presa di Gabriele. Si sedette sul divano con il busto rivolto nella sua direzione, per osservare finalmente il suo viso riposato.
 
Le occhiaie erano ancora visibili, ma almeno aveva un’espressione serena e non più il risultato di un giretto poco piacevole nella centrifuga.
 
«Non lo so, ma mi sono sentito un ladro», ammise con voce affranta dalla sua presunta colpevolezza.
 
«Capisco la tua paura, ma adesso puoi accantonarla. Non ho intenzione di staccarti una mano, quindi stai tranquillo e respira», lo rassicurò con tutta la gentilezza di cui era capace.
 
Ecco il suo primo passo nel lungo cammino che attendeva entrambi: alleggerire le sue insicurezze e trasformarle in inattaccabili certezze.
 
«Adesso andiamo a mangiare, che il mio stomaco sta iniziando a farsi sentire», lo incitò e, dopo essersi alzata in piedi, gli tese una mano per aiutarlo a ricomporsi.
 
Gabriele la seguì e per il resto della serata non fece altro che riflettere sulle emozioni che Ella gli aveva fatto provare.
 
Lei era inafferrabile come l’aria. Gli aveva donato l’illusione di poterla stringere, per poi dissolversi tra le sue braccia e, in un attimo, si era ritrovato ad abbracciare se stesso, per consolarsi dalla viscerale sofferenza di quella mancanza.
 
La sensazione era molto più dolorosa di quanto ricordasse, probabilmente perché anche i suoi sentimenti per lei erano cresciuti e, di conseguenza, la distanza dopo il riavvicinamento era inevitabile che gli provocasse un male così profondo da diventare fisico.
 
Poteva essere una persona sia la causa della malattia che il principio della cura?
 
«Ascoltali! I figli della notte, che musica che fanno!» esclamò Ella, sollevando entrambe le braccia in direzione del soffitto.
 
Il film che avevano deciso di vedere era terminato da cinque minuti e, se fino a quel momento il frastuono della batteria era stato sovrastato dal volume della televisione, adesso si sentivano chiaramente non solo gli strumenti, ma anche la voce poco intonata del cantante.
 
«Ecco come il conte Dracula entrò nel corpo di una giovane fanciulla», commentò Gabriele, richiamato dall’esasperata voce di Ella.
 
«Tu e tuo fratello mi avete impedito due volte di salire negli ultimi mesi e ho lasciato fare a voi, ma come disse mio padre prima di uccidere mia madre...se vuoi un lavoro ben fatto, fallo da solo», ribatté Ella, puntando il dito contro Sofia per sfidarla a contraddirla.
 
«Non credi di esagerare? Non ti ci vedo molto nei panni di un cacciatore di vampiri», intervenne Gabriele, riconoscendo il film da cui aveva tratto la citazione.
 
«Auguri per la tua morte. È stato un piacere poterti rivedere», commentò Sofia, salutandolo con la mano, prima che fosse investito dall’ira di Ella.
 
«Tu stai sopportando questo frastuono, da quanto? Cinque minuti? Ti consiglio di non esprimere ulteriori giudizi inutili. Sofia è praticamente sorda da un orecchio, per questo non si lamenta. Biancaneve e Lorenzo sono gli unici che mi comprendono.»
 
Era talmente esagitata che si alzò in piedi, iniziando a camminare avanti e indietro tra il divano e il mobile su cui era poggiata la televisione.
 
«Non ho detto che è sopportabile, ho solo detto che massacrare una persona sarebbe eccessivo», rispose Gabriele, cercando di calmarla.
 
«Ti prego, non ucciderlo», la supplicò Cristina, unendo le mani in segno di preghiera.
 
«Se ti dovesse servire una mano per occultare il cadavere e nascondere le prove, chiamami», aggiunse Sofia.
 
«Mi prendete in giro?» chiese Ella, guardandoli con un’espressione sconvolta. Non lo ammazzerei mai, altrimenti verrei messa in cima alla lista dei sospettati. Le basi ragazzi, per favore!»
 
«Quindi cosa vorresti fare?» domandò Gabriele, incuriosito.
 
«Minacciare qualcuno è molto più soddisfacente», affermò Ella diabolica.
 
«Tu vorresti intimidire un uomo di trent’anni?» La voce acuta di Cristina e i suoi occhi sgranati la fecero ridere di gusto.
 
«Hai paura, Biancaneve?» la punzecchiò.
 
Tutti i presenti si scambiarono sguardi scettici, consapevoli che se Ella fosse salita al piano superiore, probabilmente avrebbe potuto non scendere più.
 
«Solo io penso che non dovrebbe andare da sola, se non vuole essere rapita, picchiata e ritrovata tra due mesi sepolta in un campo abbandonato ricoperta da vermi che mangiano il suo corpo in decomposizione?»
 
Cristina parlò così velocemente e con un tono che trasudava tanta preoccupazione da attirare tutta la loro attenzione su di sé.
 
«Dovresti smetterla di vedere Criminal minds», le suggerì Gabriele.
 
«Sul serio, ci metterò due minuti. Non ti preoccupare», le disse Ella gentilmente, mentre iniziava a incamminarsi verso l’ingresso.
 
«Tu non ti muovi da qui a meno che non ti faccia accompagnare.» Il tono perentorio usato da Sofia non ammetteva repliche.
 
Ella era una mina vagante e diventava incosciente quando sapeva di avere la ragione dalla propria parte.
 
«Sofia, sul serio? Esattamente come potresti impedirmelo?» La sfidò Ella, incrociando le braccia sotto il seno.
 
«Non sai come potrebbe reagire la persona che hai di fronte e per quanto sia inverosimile lo scenario immaginato da Cristina, il punto è che anche tu sei troppo imprevedibile», rispose Sofia, chiarendo il suo punto di vista che non ammetteva discussioni.
 
Essere forte e indipendente non significava peccare di incoscienza e a costo di legarla a una sedia, lei non avrebbe lasciato quell’appartamento se non accompagnata.
 
«Forse a lei risulterebbe più difficile, ma io non dovrei sforzarmi troppo. Anzi sarebbe fin troppo facile» intervenne Gabriele, appoggiando le argomentazioni di Sofia.
 
Non metteva in discussione la sua capacità di intimorire qualcuno, ma le conseguenze avrebbero potuto sfuggire a ogni controllo.
 
«Va bene, mi arrendo. Comunque siete inquietanti quando vi coalizzate», puntualizzò Ella, scuotendo la testa incredula di fronte all’assurdità di tutta quella situazione.
 
«Contro di te, solo l’unione fa la forza», disse Sofia, guardandola con soddisfazione.
 
«I mondi possono cambiare, le galassie disintegrarsi, ma una donna rimane sempre una donna. Mi porti su, signor Scott», esordì Gabriele, alzandosi in piedi per accompagnare Ella dal simpatico e non troppo educato condomino.
 
«Guarda che sono io il capitano dell’Enterprise», lo rimproverò Ella, puntandogli contro l’indice.
 
«O capitano! Mio capitano!» esclamò Gabriele.
 
«Carpe diem, cogliamo l’attimo ragazzo, rendiamo straordinaria la nostra vita», gli rispose Ella, con la frase più conosciuta tratta dal film “L’attimo fuggente”.
 
«Cosa sta succedendo?» sussurrò Cristina a Sofia.
 
«Quelli che vedi sono i due ragazzini di cinque anni fa» le spiegò con un sorriso dipinto sulle labbra. «Erano anni che non vedevo Ella così felice.»
 
«Stanno recuperando il tempo perduto», constatò Cristina.
 
Insieme erano uno spettacolo unico da osservare per quanta sintonia e complicità ci fosse tra loro. Sembrava avessero le menti connesse e che già sapessero cosa l’altro avrebbe detto ancora prima che parlasse.
 
Nulla era cambiato. Giocavano come allora e si divertivano forse anche di più. Il legame che li univa non si era mai spezzato, forse indebolito, ma adesso tutti in quella stanza potevano vederlo e percepirlo, perché era proprio sotto i loro occhi molto più forte e resistente di quanto lo fosse mai stato.
 
Anche se Ella non era ancora pronta ad accoglierlo, Gabriele era fiducioso, perché la felicità che illuminava le sue iridi azzurre non poteva essere solo un’illusione.
 
«Va bene ragazze. Vado, l'ammazzo e torno!» esclamò Ella, afferrando il braccio di Gabriele e incamminandosi verso la porta sulle parole del film “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”.
 
Dopo qualche minuto di silenzio, mentre salivano le scale, Ella chiese: «Non mi dici nulla?»
 
«Dovrei?» domandò in risposta, osservandola con perplessità.
 
«Non lo so. Mi aspettavo qualcosa tipo: “Prova a essere diplomatica", oppure, “Contieni la tua furia omicida”.»
 
«Come direbbe una ragazza di mia conoscenza: “Sarebbe solo uno spreco di ossigeno”.»
 
«Da quando sei così parsimonioso?»
 
«Da quando ti conosco e credo che il pianeta mi sia debitore, considerando che risparmio almeno la metà di tutta l’aria presente nell’atmosfera», rispose Gabriele, rivolgendole un sorriso divertito.
 
«Esagerato», commentò, sbuffando per la sua affermazione decisamente poco veritiera, perché a volte si degnava anche di prendere in considerazione l’opinione altrui.
 
Giunti in prossimità dell’appartamento, dove da lì a breve si sarebbe consumato un crimine, Ella premette con calma il pulsante del campanello.
 
«Toc toc! C’è qualcuno? È arrivato il lupo cattivo!», esclamò, provando a bussare sulla porta con le nocche della mano destra.
 
«Citare Shining non credo lo invoglierà ad aprirti» le fece notare Gabriele, che nel frattempo si era comodamente appoggiato con la spalla destra al muro, mentre si gustava la scena con una scintilla di divertimento nello sguardo.
 
Era uno spettacolo vedere Ella arrabbiarsi, ma solo se la sua ira non era rivolta contro di lui.
 
«Hai ragione, che sbadata. Avrei dovuto portare con me anche l’ascia», rispose sarcastica.
 
«Sarebbe stato un vero tocco di classe», commentò, rivolgendole un sorriso così gioioso da lasciarla interdetta per qualche secondo.
 
Era lì per distruggere un uomo, non per farsi imbambolare dalle attenzioni di Gabriele.
 
«Wendy, tesoro, luce della mia vita! Non ti farò niente. Solo che devi lasciarmi entrare. Ho detto che non ti farò niente. Soltanto, quella testa te la spacco in due, quella tua testolina te la faccio a pezzi.»
 
Per far funzionare quella battuta era stata costretta a cambiarne una piccola parte, ma era convinta che Kubrick l’avrebbe perdonata.
 
«Io ci rinuncio.»
 
Gabriele non poté non alzare le mani in segno di resa di fronte alla caparbietà di quella ragazza. Probabilmente nulla avrebbe potuto impedirle di recitare l’intero copione di quella pellicola.
 
«Quante storie. Preferisci che citi Blade Runner?» gli chiese, incrociando le braccia spazientita.
 
«Preferirei che aspettassi con calma, invece di dare fondo alla tua conoscenza di minacce in materia cinematografica.»
 
Nonostante le sue rimostranze, Gabriele dovette riconoscere che le faceva un effetto non proprio opportuno, considerate le circostanze, vederla sfogare la sua furia attraverso la sceneggiatura di vecchi film.
 
Tutta quella situazione aveva un non so che di eccitante.
 
«Sveglia! È tempo di morire!» esclamò, schiacciando in modo ripetitivo e compulsivo il campanello e avrebbe continuato fino a quando non avessero aperto quella maledetta porta.
 
«Non mi guardare così, se non avessero la musica così alta non dovrei comportarmi come una pazza per farmi sentire», rimproverò Gabriele, staccando finalmente l’indice dall’interruttore.
 
«Si, ma cerca di contenerti, perché se a lui parlerai in questo modo, probabilmente non capirebbe la metà delle cose che diresti», le fece notare pazientemente.
 
«Fidati, sarò cristallina», lo rassicurò, guardandolo con determinazione.
 
Il loro scambio di sguardi fu interrotto dal rumore della serratura che scattava. Quando la porta si aprì, apparve sulla soglia la stessa faccia impertinente dell’ultima volta che aveva avuto il dispiacere di vederla.
 
«Posso esserti utile?» le chiese, squadrandola dall’alto in basso.
 
Era un essere disgustoso, oltre che completamente inutile alla società.
 
«Si. Magari smetterla di martoriare le mie povere ovaie con la tua musica discutibile», ribatté con voce controllata e uno sguardo privo di cordialità.
 
«Questa volta hai portato la tua guardia del corpo», constatò, ignorando completamente la sua risposta.
 
«Non direi. Sono qui per evitare che lei non ti faccia a pezzi», intervenne Gabriele.
 
Ella rimase colpita, ma non stupita dalla sua affermazione. Lui sapeva che era perfettamente capace di cavarsela da sola sia che fosse con una ragazza della sua stessa età, sia con un uomo adulto, quindi aveva ritenuto opportuno renderlo presente anche all’individuo poco sveglio che si trovava di fronte a loro, ma dubitava fortemente che lo avrebbe capito.
 
«Esatto. Sono io la strega perfida da cui ti devi guardare le spalle, per cui adesso ascoltami con molta attenzione perché non mi piace ripetermi. Il mondo si divide in due: chi ha la pistola carica e chi scava! Tu scavi!»
 
La calma piatta della sua voce era in netto contrasto con l’espressione di pura rabbia e disgusto verso il suo interlocutore.
 
«Cosa dovrebbe significare?» chiese il ragazzo di cui non ricordava assolutamente il nome.
 
Gabriele aveva avuto ragione nel farle notare che non avrebbe capito nulla di ciò che avrebbe detto, ma non pretendeva che capisse a quale film facesse riferimento la citazione, tuttavia poteva almeno attivare i neuroni e sforzarsi nell’estrapolarne il significato.
 
Gli mancavano proprio le capacità logico deduttive.
 
«Che la prossima volta che ascolterò il tuo canto da fringuello agonizzante chiamerò i carabinieri e continuerò a farlo fino a quando non chiederanno più nemmeno l’indirizzo, perché riconosceranno la mia voce al telefono. Ti farò vivere l’inferno che stai facendo vivere a me ogni notte, ti denuncerò per rumori molesti e, se ciò non dovesse bastare, mi vendicherò in altro modo.»
 
La sua minaccia non avrebbe potuto essere formulata in maniera più cristallina e inequivocabile, anche se, considerate le sue scarse capacità intellettive, non ne era completamente certa l’avesse recepita.
 
«Tu sei completamente impazzita», affermò sconvolto.
 
«Sarà anche fuori di testa, ma ha ragione e se dovessi venire a sapere che stai continuando a importunarla, non dovrai affrontare solo la sua rabbia», intervenne Gabriele in sua difesa.
 
Probabilmente dopo Ella gli avrebbe tagliato la lingua, ma non poteva rimanere in silenzio e accettare passivamente che qualcuno si rivolgesse a lei in quel modo.
 
«Due sono le cose: o abbassate il volume della musica o non suonate affatto. Mi avete stancata, voi e la vostra mancanza di rispetto, quindi fai bene attenzione, perché sono disposta a farti sbattere fuori da questo appartamento se necessario. Ci siamo capiti?» domandò, per essere certa che non ci fossero stati fraintendimenti.
 
«Si, perfettamente. Adesso portala via, sta iniziando a infastidirmi», disse, rivolgendosi a Gabriele e ignorando completamente la sua presenza.
 
Quella scorreggia di mucca con il parrucchino biondo aveva oltrepassato qualunque limite ed Ella non aveva intenzione di rimanere in silenzio a guardare quella faccia da culo.
 
«Come ti permetti di parlare di me come se fossi un pacco postale, come se non esistessi. Sei solo un grandissimo pezzo…», iniziò, avanzando pericolosamente verso il ragazzo che istintivamente fece un passo indietro.
 
«Ella, non è necessario abbassarsi al suo livello», la interruppe Gabriele, avvolgendole la vita con un braccio per calmarla. «Nel caso in cui dimostrasse il contrario, gli faremo vedere che non stavi scherzando e che ignorare i tuoi avvertimenti non è mai un bene.»
 
Gabriele aveva ragione, non avrebbe dovuto insultarlo, ma la sua pazienza si era esaurita del tutto e la sua espressione di annoiata sufficienza la stava istigando alla violenza verbale.
 
Dopo un rassicurante scambio di sguardi, Ella annuì e il ragazzo lasciò la presa su di lei.
 
«Spero tu faccia bei sogni, perché da sveglio sarò il tuo peggiore incubo», gli intimò Ella, prima di voltargli le spalle e dirigersi verso la rampa di scale, mentre il parrucchino biondo si trovava ancora sull’uscio di casa.
 
«Soddisfatta?» le chiese Gabriele, qualche gradino più in basso.
 
«Abbastanza, anche se forse non avrei dovuto essere così aggressiva», ammise Ella con voce leggermente risentita per il suo comportamento.
 
Non avrebbe dovuto permettergli di farle perdere il controllo, ma quando qualcuno la trattava alla stregua di un moscerino, non riusciva a tacere e mostrare indifferenza.
 
«Con le buone ci hai provato e lo hanno fatto sia Sofia che Lorenzo, ma non è servito a nulla. Dovrebbe ringraziarti per averlo avvertito anziché chiamare direttamente i carabinieri», la rassicurò Gabriele.
 
«In ogni caso, non era necessario intervenissi, me la stavo cavando benissimo da sola», lo rimproverò con calma.
 
Lo so, ma quando ti ha dato della pazza non sono riuscito a trattenermi. Non tollero la mancanza di rispetto, avrebbe solo dovuto limitarsi a incassare le lamentele», si giustificò.
 
Ella aveva apprezzato il suo sostegno, perché non aveva tentato di prevaricarla, ma aveva solo cercato di supportarla.
 
«Magari potrei stampagli il significato della parola e appiccicarglielo sulla porta», suggerì Ella, prendendo seriamente in considerazione l’idea.
 
«Se non lo ha imparato fino ad ora, dubito fortemente che tu possa cambiare le cose», constatò Gabriele.
 
Mentre Ella si rassegnava, inserì la chiave nella toppa e fece scattare la serratura.
 
«Com’è andata?» chiese Cristina, non appena li vide spuntare in soggiorno.
 
«Diciamo bene. Gli ho fatto capire chiaramente che se avesse perseverato, avrei chiamato la cavalleria, quindi non ci resta che aspettare e vedere se il messaggio è stato realmente recepito», spiegò Ella brevemente.
 
«Speriamo», commentò Sofia, incapace di pensare a cosa sarebbe accaduto se avesse sottovalutato le parole di Ella.
 
Praticamente l’apocalisse.
 
«Ragazze, si è fatto tardi, sarà meglio che ritorni a casa», annunciò Gabriele, recuperando il giubbino di pelle dallo schienale di una delle sedie del tavolo in cucina.
 
«Ti accompagno alla porta», disse Ella, seguendolo silenziosamente fuori dall’appartamento.
 
«Grazie, per avermi difesa.» Probabilmente non sarebbe stato necessario, ma era giusto che sapesse che non l’aveva infastidita.
 
«Era il minimo che potessi fare, comunque dovrei essere io a…»
 
«Non ci provare nemmeno a ringraziarmi, con me non devi. Te l’ho già detto, sono qui e lo sarò in qualunque momento, ma fossi in te eviterei di svegliarmi di nuovo, specialmente la notte», lo interruppe Ella, impedendogli nuovamente di completare una frase.
 
Era estremamente fastidioso quel suo vizio, ma, d’altro canto, era bello sapere che riusciva a capire e prevedere perfettamente i suoi pensieri.
 
«Ciò che hai detto vale anche per te.»
 
Gabriele non aveva distolto lo sguardo dagli occhi di Ella mentre pronunciava quelle parole, perché voleva che l’intensità delle emozioni, che lei gli regalava, arrivasse in modo inequivocabile al suo cuore.
 
«Ci sarai anche di notte?» gli chiese curiosa.
 
«Soprattutto di notte, quando tutti dormiranno e tu ti sentirai sola, mi troverai.»
 
Ella raccolse tutte le certezze nascoste nel significato di quella sua affermazione e le racchiuse dentro di sé, per proteggerle dal resto del mondo.
 
Le stava mostrando una parte del sentimento che provava per lei ed era intenzionata a prendersene cura.
 
«Buona notte, delfino», lo salutò Ella, alzandosi sulle punte dei piedi per posargli un delicato bacio sulla guancia.
 
Il contatto fu breve, ma intenso e, quando ritornò al suo posto, Ella poteva percepire ancora la sensazione della barba ispida pizzicarle le labbra.
 
«Dormi bene, piccola strega.»
 
L’ultima cosa che vide la ragazza fu il sorriso di Gabriele ricco di speranza e felicità.

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