E se..?

di Cromatic Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

Tutti noi abbiamo un passato, un trascorso, qualcosa su cui riflettere e pensare ‘e se avessi fatto cosi?’, ma sappiamo bene che con i se e con i ma non è andato avanti mai nessuno. Ma sento la necessità di dover trascrivere quei pensieri che mi attanagliano la mente, come se una morsa tenesse intrappolato il mio cervello e questo non riuscisse a pensare ad altro che a quella cosa, così intensamente da ritenere ogni altro svago inutile e logorante, perché l’unica cosa che la mia anima vuole è risolvere i nodi che pervadono la mia mente e riportarmi lì dove tutto ebbe inizio per trovare una soluzione a questa orrenda sensazione. 

Ma forse è meglio iniziare dal principio.

 

 

 

Un anno prima

 

Riffer è una cittadina che non ha grandi attrazioni, ma il suo asso nella manica è la festa medievale di ottobre, organizzata ai piedi del castello che rende particolare questo posto dimenticato da Dio nel cuore dell’Inghilterra. Ricordo ancora il primo giorno che vi misi piede, avevo solo ventitré anni e volevo soltanto rintanarmi in quella cittadina per scrivere il mio libro. A Londra non riuscivo a concentrarmi, troppe distrazioni, troppe amicizie e forse anche sbagliate. Quindi feci bagagli e con il benestare di papà mi rifugiai nella nostra casa disastrata di Riffer. A distanza di sei mesi ancora la puzza di chiuso non è del tutto svanita, ma è forse la cosa più familiare che io abbia qui oltre al mio computer perennemente in carica che aspetta che io continui a scrivere quel maledetto libro, se avessi saputo quanto sarebbe stato difficile trasformare le mie fantasie in parole non avrei mai comunicato al mondo intero di questa mia decisione «Ho deciso» gridai scendendo le scale di casa e dirigendomi in cucina dai miei genitori «voglio diventare una scrittrice». Ricordo lo sguardo dubbioso di mio padre mentre versava il vino rosso nei calici « Ne sei certa?» mi rispose lui riponendo il tappo di sughero all’interno della cavità della bottiglia di vetro « Si papà. » abbozzai un sorriso; lui sollevò lo sguardo e puntò i suoi occhi prima su mia mamma e poi li spostò su di me e sorridendomi alzò il calice « Alla tua! Che possa essere la tua strada».

Mio padre mi ha sempre spronata ad essere me stessa in ogni cosa, senza pensare ai giudizi altrui, lui che era stato sempre giudicato dalla sua famiglia, lui che aveva sfidato tutto e tutti per realizzare ciò che aveva sempre sognato, ma questa è un’altra storia.

Torniamo alla mia fantastica idea di vivere in un luogo che faceva mille anime in croce.

Ogni mattina, dopo aver preso il caffè, indossavo la mia tenuta da corsa, legavo i capelli in una stretta coda e con le cuffie incastonate alle orecchie andavo a correre nel bosco vicino casa, liberavo la mente da ogni inutile pensiero, così tornata nella mia momentanea dimora mi sarei catapultata a scrivere qualcosa. Magari fosse mai successo una volta.

Nonostante quella routine mattutina non funzionasse a nulla, ero solita a ripercorrerla ogni giorno, come se ci fosse qualcosa in quei movimenti che mi facesse sentire me stessa, come se l’odore di umidità che si legava all’erba e alle chiome degli alberi mi connettesse a qualcosa che non riesco ancora a spiegare, ma ero certa che quella sensazione, quella corsa mi servisse per andare avanti. Lo so, sembra sciocco, ma forse una connessione c’era e forse solo adesso riesco a capirla.

 

 

 

 

Oggi

 

Il suono del campanello interrompe la mia scrittura, mi alzo quasi scocciata e porto con me la tazza di latte e caffè e sbuffo al pensiero che possa essere ancora Milly, la vicina che ha perso per l’ennesima volta Fò il suo gatto ultracentenario. Non guardo nemmeno dallo spioncino e non chiedo chi sia, certa che si tratti di quella strana nonnina della porta accanto. Tolgo il gancio e apro « Buongiorno!» mi saluta un signore bassino vestito di giallo che ha con sé un pacco « Buongiorno…» rispondo incerta inarcando un sopracciglio « Rebekka Khan?» mi chiede ed io annuisco incapace di proferire parola, mi cede il pacco chiedendomi di firmare una ricevuta, mi saluta ed io chiudo la porta con un gesto automatico, fissando quel pacco come se non ne avessi mai visto uno. Corro al tavolo e sposto il computer, poso il pacco e lo apro « Non è possibile» sussurrò tirando fuori una confezione di rose secche profumate. La mia mente si ferma, si atrofizza quasi. Giro il pacco e cerco la conferma ai miei pensieri e la trovo lì, nel mittente ed è in quell’istante che una lacrima riga il mio viso.

 

 

Un anno prima

 

Ero stufa di stare sempre a casa senza scrivere. Mi alzai dalla sedia e abbandonai il computer al suo destino, quello di continuare ad impolverarsi lì sul tavolo. Presi le chiavi di casa e mi avviai verso il centro di Riffer. Mi ero resa conto che in sei mesi non avevo visitato quella città, che sembrava più un paesino gigante. Forse così mi sarebbe venuta qualche idea. Mi accorsi di quante locande e negozietti particolari esistessero lì, poi l’occhio mi cadde in una piccola bottega che produceva roba artigianale. Aveva una vetrina allettante, piena di candele, saponi di ogni colore, dall’interno si vedeva una luce fioca che rendeva suggestivo ancora di più il posto, ed inoltre la porta in legno mi fece pensare a quelle osterie medievali che ormai si vedono solo nei film. Mi decisi ad entrare, una campanella suonò non appena aprì la porta ed un mix di odori delicati colpirono il mio olfatto, che ci mise un paio di secondi ad abituarsi a quei profumi. Il negozio era vuoto, quasi mi venne il dubbio che fosse chiuso, ma la porta era aperta quindi mi tranquillizzai subito. «Buongiorno» quasi urlai, sperando che sbucasse fuori qualcuno, ma nulla. Bene, ero sola. Decisi di dare un’occhiata ugualmente, l’errore non era mio, avrebbero dovuto chiudere la porta qualora si fossero allontanati, ma alla fine pensai che in una città così piccola si conoscessero tutti e che non vi era alcun motivo di essere così preoccupati, oppure il proprietario era solo nascosto da qualche parte. «Posso aiutarla?» chiese qualcuno alle mie spalle facendomi sussultare e di scatto feci cadere la candela che avevo in mano. Mi voltai impaurita e due occhi verdi mi fissavano, senza alcuna espressione « Oddio, perdonami!» mi chinai per raccogliere la candela «Pensavo fossi sola, non rispondeva nessuno» spiegai nervosamente e forse diventai pure rossa in viso « Ero nel retro a sistemare delle cose » sorrise ed una fossetta segnò la sua guancia sinistra; gli porsi la candela « Devi acquistarla ?» mi chiese corrugando la fronte « Oh» non sapevo cosa rispondere ero ancora scossa « No no, stavo solo annusando le candele, c’è un profumo così delicato che non riesco a capire da dove arrivi, pensavo fosse quella candela lì» dissi come a giustificarmi, ma poi per cosa? Non stavo rubando « È forse questo?» Si voltò per prendere qualcosa dietro di lui per poi porgermi un piccolo pacchetto trasparente e fui catturata di nuovo da quel profumo « Si!» risposi sorridendo e lui ricambiò « Le faccio io, le coltivo, le faccio seccare e poi » mi fissò scrutando nei miei occhi scuri « il resto è un segreto » sorrise. 

« Vorrei acquistarle» dissi prendendogli il pacchetto dalle mani «Perfetto allora» mi rispose e andò dietro il bancone dove vi era la cassa. Pagai e feci per andarmene «Se può interessarti domani c’è la fiera qui in piazza, metterò altri campioni…se vuoi passare » I suoi occhi verdi avevano uno strano colore alla luce che filtrava dalle vetrine e solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse alto « Oh, fantastico allora» sorrisi senza riuscire a guardarlo dritto negli occhi. «A domani allora» mi aprì la porta ed io uscì senza voltarmi stringendo al petto quel pacchetto di rose profumate e dirigendomi a casa con passo svelto senza capire quel senso di vuoto allo stomaco.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Piove.

Da giorni cade acqua dal cielo, violenta e senza sosta. 

Pioggia che purifica le strade.

Pioggia che dovrebbe lavare via il dolore che ho dentro.

La fisso da dietro la finestra stringendo al petto una tazza di tè fumante girandogli dentro un cucchiaino senza farci molto caso, ormai credo di fare quel movimento da dieci minuti, con lo sguardo fisso nel vuoto o forse cerco solo di non pensare molto per non soffrire ancora. Ma in cuor mio sono certa che non sarà cosi facile.

 

Un anno prima

 

Avevo sempre evitato gli sguardi dei ragazzi, non che non mi importasse di loro, solo che non ho mai pensato ad avere una relazione ero troppo impegnata a capire la strada da percorrere per trovare me stessa, per trovare uno scopo nella vita. La scuola era andata più che bene, certo non ero la studentessa modello, ma non ho mai preso voti indecenti e non avevo nemmeno il fiato sul collo dai miei genitori, loro mi dicevano solo « Bekka cerca solo di non farti bocciare» era questa la cantilena di mia madre ed io ho esaudito il loro volere. Quando mi diplomai non mi sentì inutile a non continuare con l’università, sapevo che non faceva per me, io volevo altro, ero determinata solo a trovare la mia strada e sapevo che la laurea non era quella. E di certo non mi è mai importato essere qualcuno di irraggiungibile, non ho mai amato l’essere invidiata anche perchè non ho le carte per esserlo. 

Il flusso di pensieri riguardo al mio passato mi crollò di sopra al rientro a casa, mi diressi subito a letto e mi sdrai, senza togliermi nemmeno le scarpe, mi preoccupai solo di sistemare le rose sul tavolo di fianco al computer. Ad occhi spalancati fissavo le travi in legno che reggevano il soffitto e rimasi lì fino al pomeriggio non capendo perché mi sentissi così provata. A risvegliarmi dal mio stato di trance fu la suoneria del mio telefono «Devo contattare qualche editore?» il sarcasmo di mio padre era come un ago sotto l’alluce «Pensavo l’avessi già fatto» mi tirai su, rimanendo seduta sul letto «Fa freddo?» chiese senza calare alcun emozione in quella domanda « Pensavo peggio, ho acceso i riscaldamenti al minimo e si sta bene» mi sdraiai nuovamente coprendomi gli occhi con il braccio libero «Scalerò le bollette dal fatturato dei tuoi libri » lo sentì soffocare una risata «Potrei ometterti dai ringraziamenti sai?!» Finalmente riuscì a liberare la sua risata «Volevo sapere se fossi viva, per qualsiasi cosa chiama noi oppure giù in paese c’è Tom Hardyn, un mio vecchio amico, che ha un forno, rivolgiti a lui già l’ho avvertito» disse schiarendosi la voce « Tranquillo, in caso di morte imminente non esiterò. Tanto il mio testamento l’hai già » scoppiammo a ridere. Ricordo quando all’età di dieci andai da mio padre con una lettera dicendogli «Qualora mi comportassi male e non dovessi riuscire ad avere la fortuna di Ebenezer Scrooge, ti prego di fare affidamento a questo mio testamento» mio padre prese il foglio e quando l’apri si porto un pugno chiuso alle labbra per evitare di ridere «Sarà fatto» si riprese e mi fissò serio negli occhi, so che quando ritornai in camera mia rise a crepapelle. A quei tempi avevo finito di leggere da poco A Christmas Carol e mi aveva turbato un pò e non avevo nemmeno intenzione di vedere tre fantasmi, che per la fortuna che avevo sarebbero potuti essere dei mostri orripilanti. Un senso di nostalgia mi pervase a quel ricordo «Buon lavoro Bekka» il suo tono era affettuoso, sorrisi anche se non poteva vedermi «Grazie papà, a presto» riagganciai e tornai a fissare il soffitto.

 

 

Oggi

 

Quando mi ripresi, posai le rose accanto al pacco appena scartato e mi sedetti davanti al computer, aprì la casella delle email e scrissi, so che nel 2019 è strano comunicare con qualcuno così, invece di usare le app di messaggistica istantanee, ma era un modo per rimanere distanti in qualche modo, vicini ma non troppo e al momento preferivo così. 

All’inizio tentennai, poi le mie dite iniziarono a battere sui tasti senza che me ne rendessi conto, come se fossero a conoscenza di ciò che mi frullava per la testa, come se già da tempo volessero compiere quei gesti che avevo tenuto repressi, ma dopo quel ‘regalo’ avevo bisogno di inviare quella e-mail

 

Rosa di macchia, che dall'irta rama

ridi non vista a quella montanina,

che stornellando passa e che ti chiama

rosa canina;

 

se sottil mano i fiori tuoi non coglie,

non ti dolere della tua fortuna:

le invidïate rose centofoglie

colgano a una

 

a una: al freddo sibilar del vento

che l'arse foglie a una a una stacca,

irto il rosaio dondolerà lento

senza una bacca;

 

ma tu di bacche brillerai nel lutto

del grigio inverno; al rifiorir dell'anno

i fiori nuovi a qualche vizzo frutto

sorrideranno:

 

e te, col tempo, stupirà cresciuta

quella che all'alba svolta già leggiera

col suo stornello, e risalirà muta,

forse, una sera.

 

Riportai una delle mie poesie più care e senza nemmeno firmarmi inviai, mi alzai nervosa e iniziai a girare intorno al tavolo. Ero così nervosa che non sapevo cosa fare per calmarmi, quindi corsi in cucina e mi preparai un tè e così mentre mi perdevo nel fissare la pioggia che lenta cadeva sentì il suono di una nuova mail che proveniva dal mio laptop. Mi si gelò il sangue e mi feci forza a girarmi per dirigermi al tavolo, posai la tazza accanto al pc e mi sedetti, socchiusi gli occhi e deglutì, sperando che non fosse qualche spam, augurandomi che nonostante non mi fossi firmate avrebbe comunque riconosciuto quella poesia.

Bloccai i pensieri.

Cliccai e lessi 

 

Annaffierei le rose con le mie lacrime 

per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.    

(Gabriel Garcia Marquez)

 

Sorrisi e piansi.

Piansi e sorrisi.

Non so quante volte lessi quelle tre righe continuando a piangere e sorridere.

 

 

Un anno prima 

 

Era una calda giornata per essere quasi dicembre, almeno la fiera del paese sarebbe stata piacevole da visitare. Indossai il mio parka grigio e mi addentrai per le vie del paese, sorrisi quando vidi tutte quelle bancarelle e tutte quelle persone che vi giravano intorno, guardando e acquistando, sembrava un quadro, decisi di unirmi anche io a quella folla. Cavolo erano mesi che vivevo lì e non sapevo quanta gente vi abitasse, certe volte odio essere così asociale, mi perdo gli aspetti più sfiziosi della vita, ma delle volte, invece, amo esserlo perché non ho molta intesa con il genere umano «Allora sei venuta» mi voltai verso la voce e riconobbi il ragazzo della bottega delle rose secche « Il sole stana anche il grinch» gli sorrisi avvicinandomi al suo banco « Immagino allora che a Natale rimarrai chiusa a casa per almeno due mesi» Rise sistemando alcuni prodotti sul tavolo di legno coperto da una tovaglia bianca di lino «Penso di tornare a Londra per le feste natalizie» confessai «Oh, certo non c’è paragone tra qui e Londra» mi sorrise di nuovo ed i suoi occhi verdi mi ipnotizzarono ancora una volta «No» mi affrettai a rispondere «solo che mamma a Natale cucina meglio di me» risi e lo contagiai «Chapeau!» e mimò il gesto di togliersi il cappello « Rimarrai qui in giro o tornerai nella tua tana? » posò entrambe le mani sul tavolo fissandomi «Penso di guardare un pò cosa offre questa fiera e poi penso di tornare a casa» guardavo tutto tranne che lui «Ok, allora fai il giro, però posso chiederti un favore?» Chiese prendendomi il mento con una mano e dirigendo, delicatamente, il mio viso per incontrare il suo sguardo, annuì, non riuscivo ad aprire bocca, quel ragazzo mi provocava una strana ed indefinita sensazione «Prima di andare a casa, passa di nuovo da qui» mi sorrise e rimasi ancora catturata dalla sua fossetta, annuì ancora e lui mi liberò il mento, gli sorrisi e camminai verso le altre bancarelle senza guardarle veramente, la mia testa era rimasta al quel tocco e mi ritrovai a pensare che non sapevo nemmeno il suo nome. Scossi la testa e continuai il mio tour.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Oggi

 

A Covent Garden c’è un locale a cui sono molto legata, non che il suo essere quasi sofisticato rientri nei miei canoni, ma è lì che dopo scuola andavo a mangiare un boccone con Lily, l’unica che ha sempre sopportato i miei isterismi e che non mi ha mai mandata a quel paese, nonostante me lo meritassi spesso. 

«Hai già ordinato?» una giovane donna dalla pelle nivea che risaltava la chioma rossa ben curata, si sedette di fronte a me «Si, ma solo da bere» le sorrisi amorevolmente «Ho preso un succo anche per te » continuai porgendole il menù «Al lampone, come piace a te» feci una smorfia di disgusto appoggiando la testa sul palmo della mano destra « Non a tutti piacciono i tuoi gusti Bekk» mi canzonò leggendo la lista dei sandwich « e non penso che tu voglia parlarmi di questo » chiuse il menù e fece cenno al cameriere di avvicinarsi « o sbaglio ? » mi sorrise per poi rivolgersi al cameriere per ordinargli due sandwich al pollo, il ragazzo appuntò tutto nel suo taccuino e si dileguò « Ho preso il sandwich anche a te, se ti stessi chiedendo del perché ne avessi preso due, eh no ! Non sono incinta e non conto di esserlo, ma non ho voglia di parlare di Will, sono qui per te e quindi ti esorto a dirmi cosa sta accadendo» posò entrambe le braccia conserte sul tavolo e mi fissò, con lei non sono mai riuscita nascondere nulla, mi ha sempre letto nel pensiero o forse non sono brava io a non far trapelare le mie emozioni. Però dopo lo scambio di mail, il pacco inaspettato e quel turbinio di emozioni che mi devastava avevo bisogno di confidarmi con qualcuno, con l’unica persona che mi avrebbe guidata e consigliata senza essere troppo di parte o troppo cinica «Quando ieri sera ti ho chiamata avevo intenzione di prendere il primo bus per Riffer, però poi mi sono bloccata e non appena ho sentito la tua voce ho capito che le azioni a caldo sono le peggiori, quindi prima di compiere qualche gesto di cui poi mi pentirei subito, ho pensato che avrei dovuto ascoltare il tuo pensiero in merito» dissi con tutta la calma del mondo « Sai già come la penso » sorrise alzando le spalle « e sai cosa farei e avrei fatto al posto tuo» mi prese la mano «La vita è un dono, non sprechiamola dietro ai ma ed i se. Sei la mia più cara amica e sai che voglio il bene per te, ma devi volertene almeno un pò anche tu.» i suoi occhi verdi fissi nei miei mi scossero qualcosa dentro.

Qualcosa di indefinito, ma credo che fosse la risposta che stavo cercando e aspettando.

 

 

Un anno prima

 

«ARRIVO!» urlai mentre tiravo lo sciacquone e correvo verso la porta di casa allacciandomi goffamente i pantaloni. Il campanello continuava a trillare senza sosta. Chi diavolo poteva essere, aprì infuriata la porta pronta ad inveire contro il maleducato che tormentava il mio piccolo citofono, ma un muscoloso ragazzo di un metro e novata biondo con due occhi verdi profondi bloccò ogni sorta di ira «Avevi promesso che saresti passata dopo aver concluso il giro » rimasi a bocca aperta come un pesce lesso, incapace di rispondere, aveva ragione ma avevo bisogno di tornare in un luogo sicuro in cui poter respirare, la sua presenza mi rende irrequieta proprio come adesso « Come sai dove abito?» riuscì a dire «Viviamo in una piccola città, ci conosciamo tutti e sappiamo ogni novità » mi sorrise e mi ritrovai di nuovo a fissare quel viso così perfetto «Oh, beh…ehm vuoi entrare?» gli chiesi aprendo di più la porta «Ti ringrazio ma ero venuto solo a vedere se fossi ancora viva » si ravvivò il ciuffo biondo «Ora devo tornare alla fiera, ma stasera se ne hai piacere possiamo fare un giro ai laghetti qui vicino, ci sarà una sorta di sagra» rise in risposta alla mia espressione sbalordita «tranquilla non saremo soli, solitamente le mie vittime non le invito, le rapisco» questa volta nessun sorriso, un’espressione impenetrabile, di ghiaccio e mi mancò il respiro, deglutì pur avendo la salivazione pari a zero «Stavo scherzando Bekka » rise stringendomi la guancia tra due dita «l’avevo capito » tentai di smorzare la situazione, ma quel furbacchione sapeva che stessi mentendo, ma perché sono così ingenua? «Va bene, dove ci vediamo?» chiesi «Se per te non è un problema posso passare io così andiamo insieme» annuì ed inaspettatamente mi baciò la fronte per poi incamminarsi in direzione della piazza di Riffer, rimasi alcuni minuti davanti la soglia di casa cercando di capire cosa stesse accadendo e del perché stessi sorridendo al nulla.

 

 

Oggi

 

Someone you Loved di Lewis Capaldi suonava alle mie orecchie, mentre la mia testa era appoggiata al finestrino e la mia mente si svuotava da ogni pensiero. Sospirai e presi il telefono, inizia a scorrere la rubrica e mi dicesi a scrivere quel messaggio. Ma non ricevetti nessuna risposta. Forse stavo sbagliando, forse non sarei mai dovuta salire su questo bus, forse Lily si sbagliava, forse io mi stavo sbagliando. L’ansia mi pervase, ma ormai non potevo tornare indietro. Tra qualche minuto sarei arrivata e probabilmente avrà già letto il messaggio e chissà come l’avrà presa. Ma ha iniziato lui, perché mi ha inviato quel pacco? Cosa vuole? Troppe domande senza alcuna risposta.

Il bus aveva da poco varcato il confine di Riffer, avevo il cuore in gola.

Il cielo così grigio rispecchiava il mio stato d’animo, ‘ottimo tempismo meteo, grazie sempre di essere al mio fianco’ pensai sarcastica.

Scesi dal bus con lo zaino in spalla, quel deserto che mi avvolgeva mi deprimeva ancora di più, forse sarebbe meglio aspettare il bus successivo e rientrare a Londra. Gettai lo zaino per terra sull’erba con la confusione in testa. Fissai il cielo sospirando profondamente per poi raccogliere lo zaino da terra per incamminarmi alla fermata di ritorno, quando mi pietrificai. Era lì, in tutta la sua altezza, con i suoi capelli biondi e quegli occhi magnetici. Si avvicinò a me, ma non troppo «Non ti ho risposto perché non volessi farlo, non l’ho fatto solo perché non sapevo cosa rispondere. Ti aspetto qui da tre ore ormai» in viso nessuna espressione «Ho bisogno di sapere Bekka» aveva gli occhi pieni di lacrime che non riuscivano a scendere «Noah..» sussurrai scoppiando in lacrime.

 

 

Un anno prima

 

Cavolo, non avevo portato nessun vestito da appuntamento, che poi non ero certa fosse un appuntamento, magari voleva solo essere carino e sicuramente in paese pensavano che fossi asociale o peggio ancora una snob e lui voleva solo capire se avessi tutte le rotelle a posto. Fatto sta che mi faceva sentire tesa e ansiosa. Mi decisi ad indossare un paio di jeans chiari ed un maglione grigio perla ‘wow Bekk, la ragazza più allegra del mondo’ mi feci una smorfia allo specchio di disapprovazione, sciolsi la coda e feci scendere quell’informe massa biondo cenere sulle spalle giusto in tempo prima che suonassero alla porta, presi il mio fedele parka anch’esso grigio e aprì la porta «Eccomi» teneva una rosa gialla fresca in mano «Questa è per te » mi sorrise, presi la rosa e l’annusai «Grazie è bellissima » chiusi dietro di me la porta, mi porse il braccio e mi appoggiai ad esso « Sai il suo significato?» mi chiese mentre imboccavamo il vialetto che ci portava a sud di casa mia, scossi la testa e lui proseguì « Nella cultura orientale,  sono simbolo di gioia e associate al sole, corpo celeste essenziale, che illumina e garantisce la vita sulla Terra.» disse compiaciuto «Wow, pensavo indicassero la gelosia » sorrisi guardandolo di sottecchi « non sono ancora geloso di te, ma ciò non vuol dire che non possa esserlo un domani » mi fece l’occhiolino e rise facendomi arrossire «È buffo sai?» dissi girandomi la rosa tra le dita della mano libera «Cosa?» mi chiese, sapevo che mi fissava « Come tu sappia dove io abiti, il mio nome e poi che mi regali una rosa ed io invece non so nemmeno il tuo di  nome » mi decisi a guardarlo anche io «Hai ragione» si fermò e ci guardammo « ma odio dire il mio nome, non amo essere giudicato» fece una smorfia indefinita «non ho mai giudicato nessuno e poi non vivo qui, non so nulla di questo posto. Come potrei farlo?» affermai sempre più curiosa e mi sorrise « mi chiamo Noah Hughes» deglutì e strabuzzai gli occhi «Hughes? come i proprietari del castello?» lui annuì e proseguì a camminare con me attaccata al suo braccio «Visto? Ora anche tu mi giudicherai» mi guardò e lo feci anche io di rimando e poi scoppiammo a ridere. E risi, lo feci di cuore. 

Perché lui mi faceva sempre ridere di cuore.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Oggi

 

Casa sua mi era sempre piaciuta. Forse perché era sua o semplicemente perché avevo passato dei bei momenti lì dentro. Seduta a quel tavolo non sapevo cosa pensare o dire, guardavo tutto tranne lui, che da un pò mi fissava aspettando che proferissi parola e non aveva alcun torto, perché ero stata io ad andare via per poi ritornare nuovamente in quel posto, e forse sarei comunque ritornata al di là del pacco che mi aveva inviato. Odio le questioni in sospeso e avevo bisogno di chiarezza per andare avanti.

Presi un respiro profondo e mi convinsi a guardarlo dritto negli occhi, uno dei due avrebbe dovuto dire qualcosa e so che lui non avrebbe iniziato mai, almeno in questa circostanza «Ti trovo bene» ‘ma seriamente Bekka? non lo vedi da mesi e te ne esci fuori con questa frase del cavolo?’ la mia vocina nel cervello era al quanto sbalordita dalla mia stupidità e non aveva alcun torto, infatti Noah inarcò un sopracciglio «Potrei dire la stessa cosa di te» bene, me lo merito  «Sai che il mio aspetto non ha mai rispecchiato il mio animo » abbasso lo sguardo «Si, è vero» fece una pausa per richiamare la mia attenzione e fu così, alzai il visi per fissarlo «Come tu sai che ho sempre odiato il fatto che tu tenessi le cose per te, senza mai avere il coraggio di dirmi ciò che realmente pensassi e pensi tuttora. Sei stata solo capace di scrivere un biglietto in cui mi chiedevi di aspettarti e l’ho fatto per tre maledetti mesi. E tu? Non sei mai più tornata, alcuna notizia da parte tua. Ormai mi ero arreso, però poi ho deciso di fare io il primo passo per capire se in qualche modo potessi sbloccarti e così è stato. Perché tu hai sempre avuto il bisogno di qualcuno che ti spronasse, perché hai sempre avuto la pappa pronta ed imboccata. Ti ritieni una donna umile ed introversa? Io penso che debba realmente guardarti allo specchio e vedere ciò che sei. Perché non sei per nulla ciò che professi di essere» la sua calma così gelida nel dirmi tutte quelle cose mi trafissero il cuore come una lama affilata, mi drizzai la schiena per parare quei duri colpi che mi stava infliggendo ed aveva ragione, fin troppa ragione. Avevo sbagliato, ma solo a non affrontarlo, perché se adesso ci ritroviamo qui senza sapere cosa accadrà in futuro, non è per causa mia «E tu? Chi sei tu? Noah o qualcuno che finge di esserlo?» serrai le labbra cercando di mantenere la calma per evitare di piangere davanti a lui, ero già stata fin troppo debole, almeno questa volta volevo essere forte «Hai saputo fin dall’inizio chi fossi e non te ne sei fatta un problema o sbaglio?» continuava ancora a non capire il mio punto di vista « Si, sapevo chi fossi ma non cosa ci fosse dietro e mi hai mentito fin quando quella stessa bugia ti stava facendo naufragare in un mare di menzogne che non ti avrebbero salvato mai in nessun modo. Mi hai trascinato in una favola per poi trasformarla in un incubo e sapevi bene che non sarei mai rimasta, ma tu pensavi di manipolarmi ancora. Mi dispiace» Mi alzai bruscamente pronta ad abbandonare quella casa e lui si alzò e fece per seguirmi senza perdere l’occasione di ribattere «Quella non è la mia vita, io ho scelto altro per me, e volevo che in quella scelta ci fossi anche tu» mi voltai « Io?!» urlai «Ma come hai solo potuto immaginare che avrei accettato di frappormi tra te e la tua famiglia, che tra parentesi nemmeno conosco e forse è meglio così. A tutto questo non c’è soluzione Noah! Sei nato in quella famiglia che ha già progettato il tuo futuro, e quel bel futuro non comprende me! ok? Mettitelo in testa! puoi rifugiarti nel tuo fantastico mondo di fiori e profumi, ma tu rimarrai per sempre un Hughes ed io rimarrò sempre la figlia di un musicista, apparteniamo a due mondi diversi » ormai non mi rendevo più conto che stessi urlando e che lui mi stesse guardando con aria contrita ed al tempo stesso leggevo nei suoi occhi la tristezza che nasceva dalla verità delle mie parole «Lo so, sono un Hughes, ma sono anche un essere umano e sono in grado di avanzare proposte alla mia famiglia, puoi colpevolizzarmi sul fatto che ti abbia nascosto che i miei avessero già organizzato le mie nozze da quando probabilmente ero in fasce, ma non sai cosa mi ha portato a rendermi indipendente da loro; tu non conosci la mia famiglia, non sai cosa è possibile e cosa non lo è» quasi sussurrava « Noah, tu non mi hai mai permesso di conoscere la tua famiglia, ti sei sempre descritto come colui che era disprezzato, come fossi in esilio qui a fare il guardiano del castello ed invece no. Tu stavi solo protestando come un bambino viziato, dici a me che scappo ma tu caro il mio Noah non sei da meno» quelle parole dette con disprezzo non mi appartenevano, ma ero così arrabbiata che probabilmente avrei anche potuto dirgli di peggio «Pensi questo di me?» fece un passo verso di me «Pensi che sia viziato? Pensi che ti stia usando per fare un torto ai miei? Bekka se pensi questo allora dubiti anche sul fatto che io ti ami, è corretto?» mi chiese aspettandosi di non sentire ciò che più temeva «Io non so più cosa sia giusto o reale. Non so se ho fatto bene ad accettare il tuo pacco, forse avrei dovuto tornartelo indietro, forse avrei dovuto non scriverti e venire qui. Avresti dovuto dimenticarmi ed io fare lo stesso con te. Troppi forse, ma l’unica cosa che ho capito adesso» i miei occhi si riempirono di lacrime « e che le nostre strade devono dividersi » lo fissai ancora un attimo e mi diressi alla porta e l’aprì «Se esci adesso allora non tornare mai più, ci dimenticheremo l’uno dell’altra» sentenziò ed io mi voltai verso di lui piangendo e lo guardai, aveva il viso rigato di lacrime. Chiusi la porta alle mie spalle e andai via.

Era giusto così.

 

 

 

Un anno prima 

 

Intorno al letto del lago vi era una ringhiera in ferro tutto addobbata con luci e fiori, accanto ad essa c’erano una miriade di bancarelle e tavolini con sedie «Wow» esclamai guardando quel posto, sembrava surreale, in mezzo ai monti quel lago illuminato da quel vortice di lucine colorate ti faceva sentire in una favola «Visto? Vivere qui non è poi così male ?» mi fece accomodare ad uno dei tavoli « Perché li chiamate laghetti se poi il lago è uno? » chiesi curiosa, lui si sedette di fronte a me tenendo la mia mano fra le sue « Anni fa c’erano almeno tre piccoli laghetti, poi il mio bisnonno  decise di rivoluzionare il posto e li unificò. Ma il nome rimase quello» alzò le spalle «Oh, beh ha senso!» sorrisi «fame?» mi chiese ed io annuì «torno subito» si alzò e lo vidi dileguarsi tra la frolla « tu devi essere la figlia di Jamie!» una donna sulla quarantina con un caschetto biondo mi sfiorò una spalla con la mano sorridendomi «Si..» dissi scrutandola «Io sono Martha, un’amica dei tuoi genitori » oh si, l’avevo vista quando ero più piccola e venivamo qui in vacanza; le sorrisi e mi alzai « lei è la moglie di Tom Hardyn vero?» la donna mi guardò sorridendo «Esatto, come procede la scrittura del libro?» mi chiese gentilmente, probabilmente papà avrà raccontato a lei e al marito la storia della mia vita, come fa sempre con tutti quelli che conosco «procede lentamente» le risposi senza farle capire che ancora non avevo alcuna idea su cosa scrivere «Sempre meglio di niente» mi sorrise «non farti distrarre troppo da Noah mi raccomando» mi fece l’occhiolino «è una brutta compagnia?» chiesi sperando di avere qualche notizia «credo sia il ragazzo più buono del mondo e se avessi la tua età di certo non me lo farei scappare» disse sottovoce ridendo come le ragazzine, possibile che quel ragazzo non avesse difetti?mi faceva quasi innervosire la sua perfezione «adesso vado a dare una mano a mio marito, quando vuoi sai dove trovarci» mi salutò andando verso una delle bancarelle, giusto in tempo prima che Noah si materializzasse alle mie spalle «Martha eh?» mi voltai e lo vidi che poggiava due vassoi al tavolo «la conosco, è amica di mio papà» risposi sedendomi « immagino ti avrà detto peste e corna su di me» mi porse uno dei due vassoi « dice che sei un bravo ragazzo e che hai ammazzato sei o sette nonnine del paese e sepolte qui ai laghetti» addentai una tortina salata «oh, pensavo ti avesse detto che era mia zia» bevve un sorso di vino ed io quasi mi strozzai «tua zia ?» tossì ed un pezzo di torta mi salì su per le narici « Si, Martha è la sorella di mio padre. Ha sposato Tom facendo incazzare parecchio mio nonno» rise «credo di aver preso da lei» prese un panino dal suo vassoio e lo scartò «e forse un giorno ti racconterò la mia storia, adesso godiamoci la serata e prendiamo un pò in giro queste sagre » ghignò ed io evitai di pensare a ciò che mi aveva appena confidato, sperando che domani mio padre potesse aiutarmi a saziare la mia curiosità.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Oggi

 

Bussare nuovamente a quella porta e gettarmi tra le sue braccia sarebbe stato come una di quelle scene da film, quelli che hanno quel lieto fine che ci fa cadere in brodo di giuggiole. Ma non lo feci, mi ritrovai semplicemente a camminare su e giù per il vicoletto, proprio sotto al suo balcone, scalciando di tanto in tanto qualche sassolino che trovavo lungo il mio passaggio, accidentalmente uno di quei sassi urtò la scarpa di qualcuno, subito diventai rossa dalla vergogna e alzai lo sguardo pronta a scusarmi, solo che le parole mi morirono in gola «Martha…» la mia voce fu quasi un sussurro strozzato «Non pensavo saresti tornata» mi disse fredda.

«Le questioni in sospeso devono essere risolte» sputai quelle parole con rabbia.

«Non le definirei questioni, ma solo incomprensioni» puntualizzò come solo lei sa fare, solo in quel momento la misi a fuoco, aveva cambiato pettinatura, il suo casco biondo platino era stato rimpiazzato da un colore più spento, un marrone così scuro che metteva in risalto i suoi occhi verdi e le lentiggini che le decoravano il naso e le gote, la somiglianza con Noah era notevole se solo anche lui fosse comprensivo come lei probabilmente non sarei qui sotto a meditare sul da farsi, ed il mio da farsi  era più un fuggire velocemente verso Londra, ma sicuramente l’indomani mi pentirei della scelta e tornerei a morire nei miei dubbi, non che adesso non lo stessi facendo «Chiamale come vuoi» le risposi mettendomi i capelli dietro le orecchie « Il punto è che non saremo mai d’accordo sulle scelte che l’uno prende nei confronti dell’altro e questo ci continuerà a mettere una gigantesca distanza tra noi…» alzai lo sguardo in direzione del balcone di Noah «…e forse è anche meglio così» ritornai a guardare Martha che si era avvicinata verso me « Io credo, invece, che tu debba lasciarlo parlare» concluse accennando un sorriso.

«È esattamente quello che ho fatto qualche momento fa, ma l’unica cosa che ha fatto è stato rinfacciarmi ogni cosa e trattarmi come fossi una qualunque» ma lui ha sempre fatto così, quando le situazioni gli stavano strette, invece di gestirle o provare a farlo, urlava e aggrediva.

«E ti arrendi così?» posò entrambe le sue mani sulle mie spalle «Dopo tutto quello che avete passato?  Getti la spugna ? » scosse la testa « La mia Bekka non si sarebbe arresa» il suo sguardo ricordava quello di mia madre quando tonai a Londra in lacrime.

E cosa dovrei fare?» scoppiai in lacrime esasperata.

Imparare ad ascoltarmi» la sua voce tuonò alle mie orecchie, mi voltai e lo vidi proprio dietro me. Nel suo volto leggevo la disperazione.
 

 

 

Un anno prima

 

«Devo ammettere che non è stato poi cosi male» sorrisi mordendomi il labbro inferiore, mentre camminavamo verso casa mia dopo la sagra ai laghetti.

«Modestamente» sorrise indicando se stesso e compiendo una giravolta. 

Scoppiammo a ridere all’unisono «Solitamente non vengo mai a queste cose» tornò serio continuando a camminare al mio fianco «Solo che mi sembrava carino farti uscire da quella casa per vivere un pò la realtà di questa cittadina » mi guardò con aria timida e mi sorprese quella reazione, lui che ha sempre avuto la spavalderia di un’eroe che vuole salvare il mondo da terzi «Hai fatto bene e mi sono anche divertita » lo spintonai con il gomito cercando di smorzare quella situazione. 

«Eccoci arrivati» disse piazzandosi davanti al vialetto che conduceva a casa mia.

«Grazie per la serata e per avermi accompagnato» mi sporsi per dargli un bacio su una guancia e mi sorprese abbracciandomi, accorgendosi sicuramente del mio sussultare in risposta a quell’inaspettato gesto «Grazie a te per aver accettato» si staccò da me passandosi una mano tra i capelli, era chiaramente in imbarazzo e ciò mi rendeva a disagio «Allora buonanotte» gli dissi sorridendogli e mi voltai per incamminarmi verso casa, sentivo il suo sguardo addosso, non appena arrivai alla porta l’aprì e mi voltai lo vidi sorridere e mi alzò la mano destra per salutarmi e poi si dileguò tra gli alberi.

 

 

Oggi

 

Non volevo salire nuovamente a casa sua e nemmeno parlare lì per strada, anche se in giro non c’era nessuno, sapevo benissimo che dietro quelle finestre c’era un mucchio di gente curiosa di sapere perché fossi lì e del perché Noah, il ragazzo misterioso che non ha mai sollevato pettegolezzi sul proprio conto, avesse quell’aria tanto dispiaciuta osservandomi. 

Di certo in quell’anno che passai lì le storie su di me stavano per diventare quasi leggende, che persino giunsero alle orecchie di mio padre che divertito ci stese su una canzone da cantare con il suo gruppo. Io, invece, pensavo solo che odiavo essere al centro dell’attenzione, che che avevo meticolosamente evitato per tutta la vita. Adesso, invece, sono qui in questa piccola città dove tutti sanno di me ed io invece inizio a non riconoscermi più.

Seduti intorno al tavolo di casa mia fisso le mie mani intrecciate aspettando che Noah mi parli, perché dopo la turbolenta conversazione avuta qualche momento prima, non sono di certo in vena di iniziare io, soprattutto perché potrei dire qualcosa di molto cattivo vista la mia rabbia nei suoi confronti.

«Quando mi sono svegliato e non ti ho trovato accanto a me, avevo già intuito, ancor prima di leggere il biglietto che avevi lasciato, che eri andata via. Sapevo che la conversazione avuta la sera prima non era stata cancellata del tutto» mi parlava guardando anche lui le mie mani, ed era strano. Lui che aveva sempre voluto che io lo guardassi negli occhi quando parlavamo, adesso non riuscivo a farlo « Non sapevo cosa fare» continuò e ogni parola che diceva era sofferta e sentivo che lo spezzava «Così tornai a Liverpool» sussultai « Sei tornato a casa?» alzò la mano per tacermi «Per favore» proferì «Lasciami finire» mi guardò ed io annuì. « Quando mia madre mi vide scoppiò in lacrime pensando che avessi accettato tutta quella situazione, però poi quando le raccontai di te e di tutto quello che stava accadendo, si rabbuiò e non mi parlò per due giorni. Pensai che comunque dovesse sapere la verità. » fece una pausa ed io rimasi in silenzio, sapevo che stava cercando di dirmi qualcosa che lo feriva e attesi che continuasse « Stavo per ritornare qui a Riffer, ma lei prima che entrassi in auto mi fermò e mi parlò. Ora» prese una delle mie mani e la tenne stretta tra le sue « Se non ti è troppo difficile potresti accompagnarmi a Liverpool? Lei vorrebbe conoscerti» i suoi profondi occhi s’immersero nei miei impauriti «Liverpool?» più che una domanda, venne fuori un tono nauseato «Per sentirmi dire che devo lasciarti stare e che tu sei destinato ad altro?» sibilai non credendo che me lo stesse chiedendo davvero «Frena Reb!» si alzò e si inginocchiò davanti a me non mollando la mia mano «Non essere sempre prevenuta, vuole solo conoscerti ciò che ne verrà non possiamo saperlo».

Lo guardai ancora, non sapevo cosa fare. Andare lì a conoscere sua madre, la donna che lo aveva compromesso per tutta la sua vita, la donna da cui era scappato. Ero nel pallone ed avevo bisogno di pensare senza che lui fosse lì con me «Dammi del tempo, non so» tolsi la mia mano dalle sue e mi alzai dandogli le spalle.

 «L’aereo decolla domani pomeriggio da Heathrow, se verrai ti aspetterò alla stazione dei pullman alle 10 del mattino, se non verrai capirò» non mi girai, sentì solo la porta di casa chiudersi. Mi voltai e lui era andato via, presa dall’ansia tirai fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e chiamai Lily, avevo bisogno di sapere cosa fare.

 

 

Un anno prima

 

Il mattino seguente mi alzai di buon umore, non avevo stranamente voglia di andare a correre e me la presi con comodo. 

Feci colazione fantasticando sulla sera prima, ero stata davvero bene con Noah. Pur non avendo mai avuto una relazione seria, quel rapporto che si stava creando era diverso da quelli avuti con quei ragazzi che avevo conosciuto a Londra. Lily mi diceva sempre che avrei dovuto mettere la testa a posto e trovarmi un bravo ragazzo, altrimenti prima o poi avrei fatto la fine di sua zia Rose, incinta di un figlio che aveva almeno dieci padri diversi. Il caffè quasi mi andò di traverso per soffocare una risata al pensiero di quella conversazione avuta anni prima. 

Di certo non era quella la vita che avrei voluto, non mi sarei trasformata in zia Rose e nemmeno mi sarei gettata tra le braccia di qualche bravo ragazzo incontrato a qualche festa. Volevo vivere la mia vita scandita dal mio orologio privato senza frivolezze o gesti affrettati. E quel ragazzo stava entrando nella mia vita scombussolando tutti i miei principi ed io lo lasciavo fare. 

Con un sorriso da ebete mi vestì e andai al suo negozio, senza esitare entrai «Posso esserle utile?» un giovane ragazzo magrolino accennò un sorriso guardandomi da dietro quegli enormi e tondi occhiali da vista «Uh, ecco cercavo Noah» dissi sottovoce imbarazzata, non sapevo avesse commessi, strano per un negozio così piccolo perennemente vuoto, o forse andavo io negli orari sbagliati «Non è qui» spinse con un dito gli occhiali che ricadevano lungo il naso «sai dove posso trovarlo?» chiesi esitante.

«Mi dispiace, ma non so dove sia. Mi ha detto che sarebbe tornato tra un pò, però può lasciarmi un suo recapito e non appena torna gli dirò che lo cercava» lo vidi rovistare in uno dei cassetti del banco di legno, prese carta e penna e mi fissò aspettando che gli lasciassi il mio numero di telefono.

«Scrivi solo che lo ha cercato Rebekka» il ragazzo sollevò di scatto la testa e mi fissò sgranando gli occhi «Rebekka?» chiese deglutendo rumorosamente ed io annuì «Oh, beh allora le cose cambiano» sorrise timido toccandosi ancora gli occhiali, fece il giro del bancone e mi fece segno di seguirlo, attraversammo tutto il negozio e mi aprì una porta che dava in un giardino «Lo trovi lì dentro» mi indicò una serra al centro del giardino, lo sorrisi e m incamminai. 

Arrivata davanti la porta della serra non sapevo se bussare o entrare, scelsi la seconda. 

Vi erano rose di ogni tipo, un profumo così delicato «Quindi questo è il tuo laboratorio» gli dissi mentre mi dava le spalle chinato sul banco da lavoro, ma lui non sussultò, come se avesse percepito la mia presenza nonostante fossi certa di non aver fatto alcun rumore  «Inizi a conoscere fin troppo segreti» si voltò sorridendo e guardandomi come se fosse la prima volta che mi vedeva «Mi seppellirai qui dentro?» indicai la sera fingendo paura «No, se non me ne darai motivo» sorrise e mi tese la mano, la presi e mi tirò a se. I nostri petti si scontrarono e sussultai continuando a fissarlo dritto negli occhi, avevo il cuore in gola e lui continuava a sorridermi dolcemente mentre mi scostava i capelli dal viso « Voglio mostrarti il mio mondo» mi sussurrò dolcemente «Ma solo se tu farai lo stesso con il tuo» mi leccai istintivamente le labbra « Quindi?» mi chiese mentre mi cingeva i fianchi con le sue lunghe braccia, e non so cosa mi prese ma lo baciai, lo feci così dolcemente da abbandonarmi a quel momento. 

Quando mi scostai vidi che mi sorrideva malizioso «Mi sembra un bel modo per iniziare a conoscerci» commentò ed io gli sorrisi, e avvicinò nuovamente le sua labbra sulle mie.

 

 

Oggi

 

Giusto o non giusto era quella la mia scelta.

Fissavo la strada dal finestrino e la segnaletica indicava che tra trenta chilometri saremmo arrivati a Londra. Mi scoppiava la testa, pensavo che Lily mi avrebbe aiutata ed invece anche lei iniziò a dirmi che ero la solita stupida, che allontano tutto ciò che di buono può esserci nella mia vita, solo perché devo fare la ribelle, ricordandomi che andavo incontro al quarto di secolo e che ormai i tempi delle bambinate erano finite. Il suo monologo durò all’incirca due ore, lasciandomi frastornata e sempre più confusa, non le dissi nulla. Incassai i colpi e riagganciai senza nemmeno salutarla. Scoprì che nemmeno la mia migliore amica era dalla mia parte e non avevo di certo voglia di chiamare i miei genitori per sentirmi dire quasi le stesse cose di Lily, era come se Noah avesse fatto qualche sortilegio a tutte le persone che conoscevo. Ma in cuor mio sapevo che forse ero io quella che pretendeva di farsi ragione a tutti i costi senza mai lasciare agli altri l’opportunità di potersi spiegare, ma in quella stramba situazione non ero l’unica ad aver commesso errori.

I miei pensieri furono bloccati dall’arrivo del bus a destinazione, scesi con un nodo alla gola, avrei voluto piangere ed urlare davanti a tutte quelle persone. Ma decisi di crollare dentro senza buttare fuori tutto l’astio che custodivo. Presi in spalla il mio zaino e cercai di trovare un senso a tutto quello che stava accadendo «Vuoi che lo porti io?» una voce alle mie spalle mi riportò alla realtà «Non è pesante » non mi voltai, lo sentì avvicinarsi a me e prendermi per mano «Grazie» mi disse e sollevai il viso per guardarlo, i suoi occhi così sinceri e disperati mi rendevano ancora più triste. 

« Lo sto facendo per me, devo mettere una pietra a questa situazione » mollai la sua mano e mi feci strada tra la folla dell’aeroporto. Di certo non era così che avrei voluto visitare Liverpool per la prima volta.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Oggi

 

Il Titanic Hotel di Liverpool era uno di quei posti così particolari in cui avrei soggiornato per tutta la vita. Nasce tra le mura in disuso di vecchie fabbriche, così spazioso e arioso, in pieno old style, questo è tutto ciò di cui avevo bisogno, se solo questo viaggio fosse di piacere e non per tormentare la mia anima già in agonia. Fisso le spalle di Noah mentre registra i nostri documenti alla reception, cerco di non pensare a nulla e mi ritrovo a mordicchiare le unghia, gesto che non ripetevo da anni ormai. Sono così immersa nei miei pensieri che non mi accorgo che lui è ritornato da me e mi sta parlando « Hai capito?» mi dice cercando di incontrare il mio sguardo.

«Scusa stavo pensando» mi riscuoto dalla mia ipnosi e lo guardo «Dicevi?» gli chiedo stizzita.

«Queste sono le chiavi della stanza, possiamo posare i bagagli e andare a mangiare qualcosa al ristorante dell’hotel oppure andare da qualche parte. Dimmi tu» il suo tono è così pacato e gentile che quasi mi sento in colpa per avergli risposto prima in quel modo così acido. «È indifferente, non ho poi così tanta fame» ma lui non controbatte afferra il suo trolley ed il mio zaino e si avvia al piano di sopra, si ferma davanti ad una porta ed apre. Rimango a bocca aperta la stanza è illuminatissima e grandissima, il soffitto è diviso tra due stili diversi, la parte che sovrasta il letto è interamente bianca, invece l’altra metà sopra il salottino è in mattone rosso. I mobili ed il letto credo siano in rovere, mentre le poltrone e il divano sono in pelle scura, hanno un taglio trasandato e moderno. Fisso quella stanza come fossi una bambina alla sua prima volta al luna park e Noah lo nota e mi sorride « Mi fa piacere che ti abbia colpito questo posto» posa il mio zaino sulla panca ai piedi del letto « Bene, ti lascio il tempo di sistemarti, se mi cerchi sono nella camera accanto».

Mi volto corrugando la fronte, pensavo avesse preso una sola stanza, anche perché nella hall non ha specificato che avremmo avuto due camere diverse. ‘Bekka non è stupido, pensavi che sapendo della tua collera nei suoi confronti avrebbe azzardato con il prenotare due stanze?’ la vocina nella mia testa mi porta alla realtà, anche se una parte di me avrebbe voluto divedere questo spazio con lui. Certe volte non mi capisco nemmeno io, voglio i miei spazi ma voglio anche lui. 

Non rispondo, lo lascio andare via chiudendo la porta alle sue spalle e lasciandomi in quell’enorme stanza da sola.

 

 

Un anno prima 

 

Erano passati tre giorni da quando avevo baciato Noah.

Tre giorni in cui ho pensato intensamente alle emozioni che mi provocava quel ragazzo.

Ma nonostante quello slancio da perte mia, non avevo avuto il coraggio di cercarlo o di tornare giù in paese, avevo paura di incontrarlo e prendere l’argomento. Non avevo nemmeno il suo cellulare e lui non aveva il mio, quindi non mi avrebbe potuto contattare, ma sapeva quale fosse la mia casa, ma nonostante questo non era venuto a cercarmi. Eppure aveva ricambiato il bacio, perché aveva messo questa distanza? E se fosse come me anche lui? Se stesse riflettendo sul da farsi? ‘Ma l’hai visto? chissà quante altre cadono ogni giorno ai suoi piedi’. 

Assorta nei miei pensieri mi ritrovai a camminare vicino il lago in cui c’era stata la sagra, di giorno faceva un altro effetto, era meno magico quel posto, ma non nego che se non fosse stato inverno mi sarei tuffata in quell’acqua così cristallina «Rebekka» qualcuno posò una mano sulla spalla ed io trasalì, mi voltai lentamente ed un sorriso impeccabile placò la mia ansia, forse era arrivato il momento di smettere di guardare film dell’horror. «Ciao Martha!» ricambiai il sorriso «Cosa fai da queste parti?» mi chiese fissandomi intensamente ma sempre in modo dolce, quasi materno «Adoro passeggiare in solitudine tra la natura, mi placa. Quasi ogni mattina lo faccio e se sono abbastanza motivata faccio anche una corsetta» mi sorrise annuendo «Tu, invece?» le chiedo più per educazione che per curiosità «Vedi quell’albero laggiù?» mi indicò un grosso albero dall’altra parte del lago, ed io annuì «Lì dietro c’è il mio orto, passo molto tempo lì, adoro coltivare qualsiasi tipo di ortaggi e frutta, e sto cercando anche di aprirmi un piccolo negozio in cui vendere questi deliziosi prodotti a chilometro zero, sai la gente che vive in questi piccoli borghi ama le cose che offre le natura e sono meno propensi alla globalizzazione» mi fece l’occhiolino « Oh, ma allora è di famiglia questa passione per la natura». Mi ritrovai a rispondere, ma subito mi pentì di averlo fatto «Noah…» guardava ancora verso l’albero, ma non sorrideva più. Si voltò verso di me e si sforzò di essere allegra, ma notai un accenno di tristezza nei suoi occhi « Ora devo andare, mio marito mi avrà data per dispersa» annuì e solo all’ora mi accorsi che tra le mani stringeva un piccolo cesto in vimini pieno di patate e carote «Domani sera vorresti venire a cena da noi? Tuo padre è un mio caro amico ed ha fatto molto per la mia famiglia; avere sua figlia qui per me è solo un segno del destino» gli occhi le si riempiono di lacrime e non osai pensare di provare a fare qualche domanda, non volevo essere invadente, non lo sono mai stata e non credo sia il momento di iniziare proprio adesso anche se la curiosità è molta e vorrei tanto sapere qualcosa in più della sua famiglia, ma soprattutto su Noah. Alla fine annuì in segno di consenso alla sua domanda e la lasciai andare.

Avevo lo stomaco rigido e dolorante, una sensazione mai provata. Corsi a casa e afferrai il mio telefono, rispose al secondo squillo «Ne faranno un film» Mio padre esordisce, ma senza sarcasmo «No, e non sarai il protagonista » lo sento sghignazzare «Papà sarò abbastanza diretta, come quando tu mi hai parlato della pillola anticoncezionale a 12 anni» Lo sento respirare «Bene, dal tuo tono percepisco che la cosa è abbastanza seria. Dimmi» Inspirai profondamente « Voglio sapere degli Hughes!» Sentì mio padre respirare, tacque per un paio di minuti «Una telefonata non basterebbe» Il suo tono era pacato e gelido «Allora sentiamoci su Skype, ti prego!» Non so perché fossi così disperata «Bekka ne parliamo appena torni qui per Natale, non c’è fretta» Mi rispose quasi seccato «No! Voglio sapere adesso!».

«Mi spieghi perché hai tutta questa urgenza?» Strinsi più forte il telefono «Perchè credo di avere una forte attrazione per Noah e non ho mai avuto questo genere di sensazioni, e sento che c’è qualcosa sotto, qualcosa che possa farmi male se mi butto completamente alla cieca in questa strana relazione che sta nascendo tra me e lui. QUINDI considerando il fatto che lui è taciturno, sua zia sembra un personaggio di Cluedo. L’unico che può aiutarmi sei tu, non costringermi a chiederlo alla mamma, sai che lei non si è mai risparmiata di raccontarmi tutti i tuoi segreti prima di sposarti. Non giudicherò, te lo prometto. Ma te ne prego…» mi si formò un nodo in gola, la situazione mi stava sfuggendo di mano, quel turbinio di sensazioni era diventato difficile da dominare, soprattutto per una che per tutta la sua vita non aveva avuto relazioni amorose «Quindi si tratta del piccolo Noah, non ti piacerà per nulla ciò che ti dirò, ma se vuoi davvero sapere allora ti racconterò ciò che so. Bekka io ti amo immensamente, sei sangue del mio sangue e non permetterò a nessuno al mondo che ti faccia del male, ma ricorda che al di là dei fatti devi essere tu a decidere della tua vita e di chi frequentare. Promettimi solo che non ti farai influenzare» Il suo tono era preoccupato e non mancai di rassicuralo. Riagganciai e qualche istante dopo il suono della chiamata di Skype riecheggio nella stanza.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Un anno prima

 

La voce di mio padre era così tranquilla mentre mi raccontava la storia della famiglia di Noah. Certe cose accadono solo nei film romantici o di fantasia, non mi sarei mai aspettata che anche nella realtà potesse esistere una cosa del genere.

Digerivo quelle parole come fosse fiele, e fu così che iniziai a sentirmi sbagliata e fuori posto. Il mio masochismo ancora una volta mi aveva portato a confermare la mia fermezza nel non legarmi con il sesso opposto in modo così intimo e profondo, ma forse non era solo questo, forse ero così egoista da non voler soffrire e da non voler mettermi in gioco per provare ad essere felice.

«Grazie papà» deglutì con difficoltà cercando di trattenere il più a lungo possibile le lacrime, almeno fin quando non avessi chiuso la videochiamata con mio padre. 

«Che farai adesso?» i suoi occhi erano così dolci ed apprensivi, che se fosse stato lì con me mi avrebbe cullata tra le sua labbra, mentre mi dava baci delicati sui capelli, lo faceva sempre quando mi sentivo sola e triste, ma questa volta volevo essere forte e non farlo preoccupare più del dovuto «Cercherò di capire chi sia davvero Noah» mi sforzai di sorridergli, ma quel sorriso non arrivò ai miei occhi e probabilmente anche lui se ne accorse

 

 

Oggi

 

La sabbia ricopriva le mie converse.

Fissavo il mare cercando tranquillità. 

Eravamo arrivati da una ventina di minuti e ancora non avevo dato nemmeno un morso al mio panino, Noah accanto a me, invece, ne aveva divorati due e adesso mi fissava «Dovresti mangiare, sai? l’anoressia è una cosa seria» mi voltai e lo vidi sorridere mentre ingoiava rumorosamente «Per essere uno di stirpe nobile dovresti sapere che non è educato parlare con il cibo in bocca» addentai, con poca voglia il panino al prosciutto. Noah inarcò un sopracciglio e mi sorrise, ma non replicò tornò a fissare il mare « Sai, venivo spacco qui a Crosby, queste statue sono state la mia unica compagnia per molti anni, per alcuni sono un pò macabre, ma per me invece no, mi danno tranquillità» sorrise al mare, ho sempre amato quel sorriso, mi faceva sentire a casa.

Presa da non so quale raptus mi alzai e mi chinai verso lui, lo bacia prendendogli il viso tra le mani, lo baciai intensamente, come se non ci fossimo mai allontanati e lui ricambiò tirandomi su di sè dai fianchi, mi strinse forte e quando staccammo le nostre labbra le une dalle altre ci fissammo dritto negli occhi, dicendoci tutto quello che avevamo dentro con un solo sguardo, sì perché la sua anima per me era così limpida da non avere segreti.

 

 

Un anno prima

 

 

Sentì bussare alla porta, mi alzai dal letto e corsi ad aprire «Ciao» mi feci da parte e lui entrò «Perchè questo viso grigio?» mi chiese sedendosi ad una delle quattro sedie del tavolo «Devo parlarti» mi affrettai a dirgli senza pensarci troppo o con giri di parole inutili, feci il giro del tavolo e mi sedetti di fronte a lui che corrucciato mi fissava «È per il bacio dentro la serra? Bekk non ti ho richiamato perché pensavo che volessi spazio, perché ho capito che sei…».

«Taci per favore» lo interruppi bruscamente «Non è per il bacio» respirai profondamente « So perché sei venuto a vivere qui» il suo sorriso si spense e si irrigidì.

Ci fu un silenzio imbarazzante e poi si alzò, rimettendo la sedia al suo posto «Allora sarà meglio che vada» si voltò e si diresse verso la porta «Se adesso esci da quella porta, allora può scordarti per sempre di me» non si voltò, rimase fermo dandomi le spalle, mi alzai e mi diressi verso di lui «Voglio sentire la tua versione, ascolto sempre entrambe le campane prima di decidere» si voltò verso di me «La mia storia non ha un lieto fine e sono certo che la persona che ti ha raccontato tutto ti abbia detto la giusta versione dei fatti, quindi non occorre che lo faccia anche io» era diventato di marmo, senza alcuna espressione, mi sovrastava con la sua freddezza «Io non so del perché tu in così poco tempo mi abbia cambiata, mi abbia portata a sentire certe emozioni che per tutta la vita ho tenuto lontano, ma quando sto con te voglio provarle, sento un brivido e un senso di pace. E se per continuare a stare bene devo accettare il tuo passato, allora lo farò. » gli tesi la mano, la guardò come fosse ricoperta di sterco, poi guardò me e si avventò sulle mie labbra, divorandole ed in quel momento tornai a vivere.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Un anno prima

 

La vita ci riserva sempre delle sorprese, ma non spetta a noi decidere quando riceverle. Loro arrivano nel giusto momento, che per noi sia bello o meno, loro arrivano e solo successivamente capiamo il loro reale senso.

E Noah per me era una di quelle sorprese, arrivato come uno schiaffo in pieno viso, che per quanto io volessi respingerlo, lui rimaneva ancorato come una nave al porto. Che fossi io il suo porto sicuro? O lui era la risposta a tutte le mie insicurezze? Di certo la risposta non l’avrei avuta seduta stante, ma avevo voglia di concentrarmi sul presente, senza pensare troppo, non volevo rovinarmi quei momenti con lui. Questa volta volevo essere veramente felice, ed in quel momento tra le sue braccia, sul mio letto avvolti dalle lenzuola stropicciate, mentre mi accarezzava la spalla con le dita, lo ero per davvero. Penso di non essere mai stata così bene con nessuno dopo il sesso, ma forse con lui era più un sentimento profondo. Forse mi stavo davvero innamorando di qualcuno per la prima volta.

«A cosa pensi?» mi chiese continuando a coccolarmi «Onestamente?» alzai lo sguardo cercando di guardarlo meglio che potevo da quella posizione e lo vidi annuire «a nulla, mi sto godendo il tuo tocco, in totale relax» lo strinsi di più a me, in risposta mi prese una mano e la portò alle labbra, baciandola «Sei preziosa, piccola Bekk» scese con il corpo ad altezza del mio viso e posò la sua fronte sulla mia e mi strinse più forte a sé baciandomi la punta del naso.

Ci addormentammo così, stretti l’uno all’altra.

 

Non ricordo perché mi svegliai, forse un rumore al di fuori della casa o forse la presenza di qualcuno nel mio letto, situazione a cui non ero abituata. Mi sedetti e mi voltai a fissare Noah che dormiva a pancia in su, il viso rilassato ed il petto gli si sollevava ad un ritmo cadenzato. Era così rilassato che quasi provavo invidia. 

Senza fare troppo rumore mi alzai dal letto e mi diressi in cucina passando dal salotto, alzai gli occhi all’orologio appeso in cima alla porta della cucina e notai che mancavano due ore all’alba. 

Aprì il frigo e presi una bottiglia di acqua, mi avvicinai al lavello e presi un bicchiere dalla credenza in alto, mi versai un pò d’acqua e l’ingurgitai tutta insieme.

Mi poggiai di spalle al lavello e fissavo da lì il salone in penombra, pensando a qualche ora prima quando Noah varcò la soglia di casa mia. 

Quante cose sono accadute da quando mi ero trasferita qui, a breve sarei tornata a Londra per festeggiare il natale con la mia famiglia ed a quel pensiero mi venne una stretta allo stomaco, cosa ne sarebbe stato di questo strano percorso che stavo intraprendendo con Noah? Era solo un’avventura con lui oppure al mio rientro a Riffer l’avrei trovato qui ad aspettarmi?

Tante domande a cui non sapevo rispondere e forse avrei dovuto evitare di pensarci troppo. Mi diressi in camera in punta di piedi e presi dalla sedia della scrivania la mia tenuta da corsa, mi rifugiai in bagno e dopo cinque minuti ero pronta per andare a schiarirmi le idee nel cuore del bosco.

Sperando di trovare, al mio ritorno, quel bellissimo angelo che dormiva beatamente tra le mie lenzuola.

 

 

Oggi

 

Seduta sul letto della mia stanza pensavo al pomeriggio appena passato.

A quel bacio, d’istinto mi sfiorai le labbra con le dita. 

Ho agito d’istinto ed ho fatto bene, perché non mi ero pentita. 

Io ho amato tantissimo quell’uomo ed ancora adesso lo amo, ma devo andare fino in fondo. 

Sentì bussare alla porta e mi alzai per aprire

«Ti ho mandato alcuni messaggi, ma non avendo risposta mi sono preoccupato e sono venuto a vedere se fossi ancora viva» Noah si era cambiato, non aveva più la felpa ed i pantaloni della tuta, adesso indossava un paio di pantaloni neri stretti, una camicia bianca ed una giacca grigio fumo di Londra; la sua eleganza delicata mi aveva sempre attratto, ma lui stava bene anche con un accozzaglia di abiti di colore non abitabile tra loro.

«Oh, devo averlo lasciato in modalità silenzioso » pensai «È già ora di andare?»

Sì. Ho chiamato un taxi ed è giù che ci aspetta» mi sorrise.

Annuì e presi al volo la giacca appesa dietro la porta, la indossai e lo seguì fin dentro il taxi.

Fissavo la strada dal finestrino cercando di calmare la mia ansia, Noah non parlava ed io non avevo il coraggio di guardarlo, non volevo affrontare l’argomento bacio ed ero certa che nemmeno lui avrebbe avuto voglia di parlare di cose così intime in presenza di uno sconosciuto, che probabilmente non avremmo rivisto mai più, ma lui era così, amava tenere al sicuro, così come mi diceva sempre, tutte le cose che lo riguardavano.

Dopo quaranta minuti di auto arrivammo a destinazione, il taxi attraversò un cancello automatico e proseguì lungo un viale asfaltato circondato dal prato, fece un mezzo giro intorno ad una grande fontana posta al centro della strada e ci lasciò davanti ai gradini che conducevano ad un imponente villa in stile ottocentesco. Noah scese dall’auto e ancora prima che riuscisse ad aprirmi lo sportello, scesi anche io. 

Continuavo a fissare la villa dall’alto al basso «Pronta?» mi chiese lui, decisi di incontrare finalmente il suo sguardo «Sempre» ricambiai il sorriso, facendogli credere che ero serena, ma invece dentro stavo morendo. 

Avevo atteso un anno intero quel momento, volevo finalmente guardare negli occhi quella donna che non tollerava la mia presenza, volevo capire cosa avesse contro di me se non mi aveva mai conosciuta.

Varcammo la soglia di casa e ad attenderci c’era un uomo vestito da maggiordomo che sorrise in modo affettuoso a Noah «Signore» lo salutò e poi rivolse un sorriso anche a me «Signora» e ci invitò a seguirlo dopo aver preso le nostre giacche, o meglio la mia visto che Noah non portava altra giacca al di fuori di quella che già indossava. Era primavera inoltrata, ma ancora io non mi sentivo di vestirmi con abiti più leggeri, ero sempre stata freddolosa e adesso lì dentro mi pentì di aver dato il mio cappotto a quell’uomo, sarà anche l’ansia, ma avevo i brividi che mi percorrevano tutto il corpo. Mi costrinsi a mantenere la calma.

Arrivammo davanti ad una porta chiusa, l’uomo bussò e poi aprì. Noah entrò per primo ed io lo seguì, pigolai da dietro la sua schiena e la vidi, finalmente era lì davanti a me. Era qualche centimetro più  bassa di Noah, aveva i capelli biondi legati in una crocchia, indossava un tailleur grigio perla abbinato a delle scarpe altissime, io sarei caduta non appena indossate, ma le quasi ci danzava. Non aveva un filo di trucco, solo un lucido sulle labbra, era bellissima, stessi lineamenti del figlio, posò quegli occhi color ghiaccio prima su di me e poi su Noah, al quale sorrise con fare materno.

Poi si avvicinò a me e mi porse la mano «Ciao Rebekka, è un piacere finalmente fare la tua conoscenza. Io sono Victoria la mamma di Noah» meccanicamente le strinsi la mano non capendo più nulla. Perché mi stava sorridendo? Lei non era quella che mi odiava? Mi girava la testa «Piacere mio, Signora» biascicai.

«Chiamami pure Victoria, via questi convenevoli» sventolò una mano come se stesse scacciando qualche mosca «Accomodatevi, a breve sarà servita la cena» ci sedemmo in uno dei due divani posti al centro di quello che sarebbe dovuto essere lo studio di quella donna, immaginai avendola trovata lì. 

Lei si sedette di fronte a noi. Mi sudavano le mani, ed il mio respiro era affannato. Stavo per avere una crisi di panico, tutta quella situazione mi stava uccidendo. Non riuscivo a capire di cosa stessero parlando madre e figlio, in quel momento le loro voci erano come un ronzio per me, avevo solo un vortice in testa che offuscava pensieri e vista. Per un anno mi erano arrivate minacce di ogni tipo da quella donna ed adesso era lì sorridente, come se fosse felice di avermi in casa sua, accanto a suo figlio, come se non aspettasse altro dalla vita. Non riuscivo più a contenere i nervi e sbottai «Mi prende forse in giro?» avevo gli occhi fuori dalle orbite, i due si voltarono verso di me a bocca aperta «Perdonami?» lei si mise una mano sul petto.

«Per un intero anno» mi alzai dal divano puntandole un dito contro «non ha fatto altro che mandarmi messaggeri del cavolo per incentivarmi a mollare suo figlio, e alla fine dopo tutte le cattiverie, e spero le false voci su Noah, ci è quasi riuscita. Ma adesso sono qui, perché voglio capire cosa le ho fatto. Nemmeno mi conosce e mi ha uccisa con parole che erano peggio di qualsiasi arma contundente. Mi dica perché adesso fa finta di volermi qui» il mio respiro era peggiorato, però tutta l’ansia era andata via.

Lei si alzò, si stirò la gonna con le mani e prese un respiro « Credo che ti debba sedere, avevo intenzione di prendere il discorso a breve, ma vista la reazione che hai avuto credo sia il caso che ci chiariamo. Non sono stata io a mandarti quelle offese, cara.» mi prendeva in giro ancora? «Credo che lei stia offendendo il mio intelletto» sorrisi isterica.

«Bekk» Noah mi prese una mano e la strinse tra le sue e poi si alzò anche lui «ha ragione, ti ho portata qui perché mia mamma voleva conoscerti proprio per risolvere il malinteso che si è creato e che anche io ho scoperto da qualche settimana. Ti prego di ascoltare e poi deciderai cosa fare, sarai libera di andare dove vorrai, ma almeno ascolta» Era forse un complotto? Ero incredula. Mi sedetti e decisi di ascoltare l’ennesima storia su questa così complicata famiglia.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Un anno prima

 

 

La vigilia di Natale è da sempre stata una delle mie giornate preferite. 

La città che brilla di lucine, i negozi gremiti di gente che ultima le compere per la cena natalizia o chi è in preda al panico perché ha dimenticato di acquistare qualche regalo.

La follia natalizia è così densa di emozione che fatico anche io a rimanere razionale, per alcuni sarà una festa come le tante, ma io l’ho sempre vissuta diversamente, e non solo per i regali ricevuti, ma proprio perché amo passarlo con la mia famiglia e amo stare con loro, con i loro amici ed i miei, tutti sotto lo stesso tetto.

«Mamma arriverò per le cinque» le urlai mentre correvo da una parte all’altra della casa per infilare le mie cose in valigia, non tutte, ma almeno quelle necessarie per sopravvivere in quei giorni a Londra «Bek ti sento ad intermittenza» protestò mia madre, e me la immaginavo con la fronte corrugata, sguardo in sù mentre cercava di captare i miei rumori «Ero in vivavoce, sto sistemando la valigia» presi il telefono e lo incastrai tra l’orecchio e la spalla destra.

E gli auricolari scommetto che li hai persi» 

Onestamente?» mi voltai verso il tavolo del mio piccolo salotto «Hai ragione, li uso per andare a correre, ma è da un paio di giorni che non vado, quindi non so dove possano essere infilati» 

E come mai non sei andata a correre?» il tono della sua voce era malizioso

Sono stata impegnata»

Immagino che tu abbia trovato qualche attività più interessante della banale corsa nel bosco»

Mamma!! » la sgridai 

Che c’è? Sono tua madre, sì! Ma sei abbastanza grande per parlare di certe cose e credo che tu ti confidi più con quel rompiscatole di tuo padre che con me» Ecco, sempre i soliti discorsi di gelosia. 

Ma la pianti? Il fatto che io parli di più con papà non è perché non voglia farlo con te, ma lui è un pò più presente e prima che tu possa controbattere, ti anticipo dicendoti che anche tu lo sei, ma papà fa domande più dirette, tu aspetti che sia io a dirti le cose quando sai bene che io sono come te»

e come sarei io?» borbottò

più chiusa di una cassaforte» 

Oh, questa è davvero bella!»

Spesso i geni di papà si fanno sentire, sai?»

Pensa me che devo sopportarvi!» la sentì sbuffare divertita « Comunque, tralasciando questi discorsi frivoli. A che ora pensi di arrivare?»

Ma stai invecchiando precocemente » sentì urlare mio padre che probabilmente stava assistendo alla chiamata 

Ma non le ho mica chiesto questo!» rispose stizzita «Immagino che prima vorrà passare da casa»

Scusa» chiesi confusa «Perchè voi dove vi trovate?» Non stavo capendo nulla.

Al pub! Questa sera diamo una festa lì, sono stanca delle solite vigilie con i parenti, in cui si parla di tutto e niente senza divertici davvero! Quindi con tuo padre abbiamo pensato di trasferire la così tanto amata cena della Vigilia al locale. Quindi non ci troverai a casa.» Notai una velata eccitazione nel pronunciare quelle parole. Mia madre non era una festaiola, ma nemmeno una noiosa donna che si adegua a ciò che non le piace quindi non mi stupì più di tanto quella improvvisata, e poi non mi dispiaceva stare al locale, in quel posto ero cresciuta, e lo sentivo più casa rispetto a quella reale

Ah, forte! beh, allora tempo di una doccia e arrivo a darvi una mano anche io»

Ok, facciamo che per le 18.30 varchi la soglia» sembrava quasi una minaccia, ma conosco mia madre, e tiene molto ad avere tutto ben organizzato.

Che le 18.30 siano. Adesso però mollami perché mi farai perdere il bus»

La salutai e salutai mio padre sperando che mi sentisse, avevo giusto due ore prima della partenza ed ancora dovevo fare il giro della casa per non scordare nulla, ma ovviamente il mio telefono non era della mia stessa idea, corsi al letto e sposati la pila di maglie accatastate e trovai il maledetto che trillava senza sosta e risposi

«Sei già partita?» di colpo tutta la fretta svanì

«Non ancora»

«Hai tempo per un caffè?» Ne avevo? Erano le 13.15 e sapevo benissimo che i caffè con Noah non sarebbero davvero durati cinque minuti, ma sarei stata via per tre settimane, e non volevo partire senza capire se al mio ritorno ci sarebbe stato ancora «Si, ho il bus alle 15, quindi ho tempo»

«Perfetto, ti aspetto qui allora» riagganciò, ma “lì” dove? forse mi aspettava in bottega. Mentre mi creavo mille domande sul dove ci saremmo visti, presi di corsa la giacca grigia e trafelata aprì la porta di casa e andai a sbattere contro qualcosa di morbido e profumato

«Ah, quindi eri qui che mi aspettavi» mi sistemai i capelli dietro l’orecchio facendo un passo indietro, aveva in mano una busta di carta e sorrideva, i suoi occhi erano ancora più belli degli altri giorni ed il venticello gli spettinava i suoi capelli biondi «Immaginavo fossi presa dalla partenza, quindi ho portato il caffè» il suo sorriso si aprì ancora di più «Posso?» mi chiese indicandomi il salotto di casa.

«Oh, certo! Scusami e che ero…niente, entra!» mi spostai e lo feci entrare, chiusi la porta di casa e lo raggiunsi intorno al tavolo.

«Quindi» Aprì la busta e tirò fuori i caffè, uno lo porse a me «contenta di tornare a Londra?» alzò lo sguardo su di me

«Casa è sempre casa»

«Casa è un pò un posto in cui ci si sente se stessi»

«Si, ma è anche il luogo in cui ritrovi ciò che hai lasciato»

«E tu cos’hai lasciato?»

«Affetti, gioie, dolori, pensieri»

«Sono tante cose» Soffiò sul bicchiere e poi bevve un sorso

«Si, ma sono le mie cose» lo imitai

«E ti mancano?»

«Un pò.» Alzai le spalle

«E cosa lasci qui? Dopo sei mesi qualcosa avrai pur costruito qui»

«Lascio qualcosa che non so definire» distolsi lo sguardo, rigirandomi la tazza di caffè tra le mani

«Caldo o freddo?» tornai a fissarlo corrugando la fronte « Questa cosa ti ricorda il caldo o il freddo?» spiegò, intuendo che non avessi capito

«Oh, beh…non saprei. L’uno e l’altro. In modo equo direi» Ma stava facendo lo psicologo con me?

«E ti piace?» adesso non sorrideva più, i suoi occhi scrutavano i miei

«Si, anche se sono molto determinata a dargli una definizione»

«Sono certo che la troverai» accennò un sorriso e si alzò

«Vai via di già?» il tono della mia voce uscì preoccupato, più di quanto avrei voluto che fosse

«Si, il lavoro chiama» prese anche il mio bicchiere e lo infilò di nuovo nella busta di carta insieme al suo «Allora ci vediamo al rientro»

«Si…» “Si? Rebekka tutto ok? per tre settimane non lo vedrai e sai rispondere solo a monosillabi??” la vocina nella mia testa mi bacchettava come sempre, e non aveva torto. «Però potremmo sentirci, se ne hai voglia» “ecco, non è il massimo, ma già va un pelo meglio” mi complimentai con me stessa

«Certo» mi sorrise e andò ad aprire la porte, si voltò di nuovo verso me senza smettere di sorridere «Buon viaggio Bekka» si voltò e se ne andò e rimasi lì a fissare quella porta e a respirare il suo dolce profumo che aleggiava nella stanza.

Alle 17.03 arrivai a Londra

Alle 17.04 scrissi a mia madre che ero arrivata, lesse ma non rispose, conoscendola stava rimettendo a nuovo il locale, avvolta dalla sua perenne ansia.

Alle 17.07 scrissi a Lily se sarebbe venuta alla festa e mi rispose che era già lì a dare una mano ai miei.

Alle 17.30 varcai la porta di casa mia, e sospirai. 

Presi il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e composi più volte un messaggio da scrivere a Noah, ma niente era così originale. Quindi sbuffai maledicendomi e corsi a farmi una doccia. Forse questi giorni a casa mi avrebbero aiutato a capire.

 

 

«FINALMENTE» Urla Lily non appena entro dentro il pub, mi salta addosso, stringendomi le braccia al collo e riempiendomi di baci.

«Sei un fedele cagnolino» le accarezzai la testa, sorridendo.

«Quanto sei stronza!» mi spintona e scoppiamo a ridere «Com’è andato il viaggio?»

«Noioso» mi siedo ad uno dei tavoli di legno «C’era una signora anziana accanto a me che ha russato tutto il tempo, maledette cuffie che non ho trovato. Sono stata per il tutto il viaggio a fissare fuori per evitare di soffocare quella signora» Lily mi ascoltava ridendo di gusto. 

«Qui? vedo che mia madre ha pensato di stravolgere la vita di tutti» Sgrano gli occhi vedendo i miei cugini che trasportano casse in legno contenenti vino da una parte all’altra del pub perché mia madre non sa decidere se tenerle sotto il bancone o alla portata di tutti, lei in jeans strappati al ginocchio, turbante floreale e canotta blu dirige tutto dal piccolo palco, che di solito usano le band locali quando vengono a suonare la sera. Ha l’aria stanca, ma è sempre più bella. Mi chiedo se anche io arriverò alla sua età così. 

«Mio padre?» chiedo a Lily non scorgendolo da nessuna parte

«Credo sia nel retro» fa spallucce, guardando la porta dietro il bancone in legno.

«Vado a cercarlo» mi alzo dal tavolo e mi dirigo verso la porta che conduce fuori nel retro, non prima di sentire mia madre che chiama Lily per aiutarla a decidere la sorte di quelle casse, mi viene da sorridere.

«Eccoti!» piombo alle spalle di mio padre che sussulta

«Tua madre mi farà uscire pazzo» borbotta mentre intreccia una cesta in vimini

«Ma cosa stai facendo?» faccio il giro intorno a lui e mi siedo su uno sgabello «Fa freddo qui fuori»

«Oh, ma lo so. Ma la tua cara madre ha ben pensato che queste ceste erano troppo rovinate e che dovevo restaurarle» pronunciò quell’ultima parola imitando la voce di mia madre e soffocai una risata.

«Passamene una che ti aiuto» presi la cesta che aveva tra le mani e mi misi all’opera. Papà mi aveva sempre fatta allenare con i lavori artigianali, e a me piaceva un sacco farlo, mi rilassavano. Ma in realtà a me piaceva fare tutto con lui. 

«Il viaggio?» mi chiese mentre chino sulla cesta cercava di infilare quei bastoncini.

«Bene, noioso come sempre, qui? Quanta gente pensi ci sarà?»

«Oh, credo che saremo i soliti. Forse qualche amico dei tuoi cugini e poi verrà la band di Nicolas» Cazzo imprecai tra me. 

«Ah ok» cercai di mascherare la tensione, ma ovviamente mio padre non era scemo.

«Tua madre ha insistito e spero che tu non ne faccia un caso di stato» sorrise

«Acqua passata, lui lo sa, io pure. Quindi non temere» certo rivedere quello che era per un amico, ma non io per lui vista la dichiarazione plateale in casa mia l’anno scorso per il mio compleanno. Per poco non piangevo per il dispiacere di averlo rifiutato.

«Mi sei mancata» 

«Anche tu papà» e non so perché scoppiai in lacrime

«Oh piccola mia» mollò la cesta e mia abbracciò forte «che succede?»

«Non lo so» dissi con voce tremante, tirai su con il naso rimanendo aggrappata a mio padre

«Io penso di si» mi scostò i capelli dalla fronte  «solo che sei così orgogliosa da non ammetterlo» strinse le labbra e accennò un sorriso

«forse si» mi staccai dalla sua stretta «forse mi sto affezionando a Noah, ma lui è così criptico. Non riesco a capire cosa voglia, ci sono momenti che sembra volere di più di un’amicizia, e altri in cui sparisce e sono confusa. Vedi anche oggi è venuto a casa per salutarmi ed è andato via, senza magari dirmi che ci saremmo sentiti. Nulla» tirai su con il naso ancora.

«E tu?»

«Io cosa?»

«Non gli hai detto che vorresti sentirlo?»

«Si, certo. Io gli ho detto che magari potevamo sentirci e lui ha annuito. Ma non riesco a capirlo davvero»

«Dagli tempo»

«e se io non ne avessi?»

«Lo troverai»

«Sai come sono, papà » 

«Si, per questo ti dico che lo troverai. Altrimenti non è così importante» Forse un pò di ragione l’aveva. Continuammo a sistemare quelle ceste senza mai capire il perché mia madre volesse riportare alla luce quelle ceste in quella gelida notte della vigilia.

Quando finimmo rientrammo dentro e fortunatamente era tutto sistemato, i tavoli disposti per tutta la sala con centro tavola a tema natalizio, tutte le travi del tetto e le colonne del bancone, ed il bancone stesso erano adornati con quelle lucette che rendevano magico quel posto. Mia madre raggiunse me e papà battendo le mani felice e sorridendo come una bambina che ha appena ricevuto il regalo di natale in anticipo «Candice, stai dando il meglio di te» la punzecchiò mio padre lasciando le due ceste di fianco al bancone degli alcolici.

«Non prenderti gioco di me» mia madre in tutta risposta lo abbracciò continuando a guardare compiaciuta il suo operato.

«Non mi permetterei mai» rise mio padre scompigliandole i capelli che sfuggivano dal turbante.

«Stronzo!» gli pizzicò il fianco e sciolse l’abbraccio «Straniera» mi afferrò il viso fissandomi negli occhi «Sono così felice che tu sia qui, sei il mio natale» le vennero gli occhi lucidi, le afferrai i polsi e glieli accarezzai. Dio solo sa quanto amo quella donna.

«Mai dubitato» mi morsi la guancia dall’interno per ricacciare le lacrime indietro, ma lei si accorse dei mie occhi acquosi e posò un bacio sul mio naso, mi lasciò andare e si diresse verso il palco per sistemare qualcosa. 

Era sempre così, nella nostra famiglia si combatteva in questo modo la nostalgia e la tristezza, con sguardi e silenzi in cui ci si diceva tutto, ma che nessuno riusciva a capire. 

Poche ore dopo il pub era strapieno dei partenti di mamma e degli amici dei miei cugini e di qualche collega di università di Lily che mi presentò, ma ero così presa ad aiutare mio padre dietro il bancone che nemmeno mi accorsi che erano già le undici e che tra un’ora sarebbe stato natale. 

«Bek» mi urlò mio padre «Sostituiscimi alla cassa che gli alcolici sono terminati» mollai il bicchiere che stavo asciugando e mi diressi alla cassa ma quanto cazzo bevono questi oggi?! 

«due Porter» mi urlò il tizio che avevo davanti a me, tutta quella musica della band di Nicolas mi stava facendo diventare sorda 

«paghi 7» digitai il numero nella cassa e diedi lo scontrino al tizio che avevo davanti e per poco non mi venne un infarto «C-Cosa ci fai qui?» di colpo la gola divenne secca ed un brivido gelido mi percosse la schiena facendomi drizzare ogni pelo del corpo.

«Riffer è noiosa alla vigilia» mi porse i soldi, mascherando un sorriso malizioso.

«Oh, no no! Offro io» scossi le mani cercando di non toccare quei soldi, come fossero appestati.

«Insisto»

«Noah, piantala. Offre la casa» mantenni il contatto visivo e si arrese, stranamente.

«Ecco a te» da sotto il bancone tirai fuori le due birre e gliele stappai davanti, le prese e mi sorrise.

«Ci si vede in giro allora» Mi sorrise ed io rimasi pietrificata. Solo dopo notai che insieme a lui c’era un ragazzo alto quanto lui, moro con occhi azzurri, che si portò subito la bottiglia alle labbra e mi sorrise. Chi era quel tizio lì? E cosa ci faceva Noah a Londra? Anzi, cosa ci faceva nel mio locale alla viglia di Natale?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Un anno prima   

 

 

«Mi stai ascoltando?» Mi sentì tirare per un braccio, mi voltai distogliendomi dai miei stessi pensieri e vidi il viso di mio padre che scrutava il mio.

«Dicevi?»

«Che per adesso puoi andare da Lily, ci penso io qui»

«Se vuoi posso stare qui?»

«Non credo proprio, penso che dovresti proprio andare» mi sorrise.

«Lui è qui, papà» mi uscì come un lamento.

«Ma chi?» corrugò la fronte guardando intorno.

«Noah! E non so nemmeno come abbia fatto a sapere che avessimo un locale e dove fosse!» ero elettrizzata e nervosa allo stesso tempo, non sapevo come gestire la cosa. Non riuscivo a capire perché lui fosse lì, perché non mi aveva detto che sarebbe venuto? Forse aspetta qualcuno, forse è una casualità che sia qui.

«Oh…beh, Martha, sua zia, è venuta spesso qui. Presumo che sappia di questo posto per lei. Ma poi dov’è?» mi chiese continuando a scrutare tra la gente. Gli indicai due ragazzi a cinque metri di distanza da noi, che parlottavano ridendo tra loro e sorseggiando la birra che tenevano salda in mano.

«Scommetto che sia il tipo biondo, perché l’altro è Cameron, il figlio di Martha, ecco come Noah ha saputo del locale» si rigirò verso me sorridendo come se avesse risolto uno dei più grandi misteri del mondo.

«Martha ha un figlio? non l’ho mai visto a Riffer» mi grattai la fronte confusa.

«Non che tu sia stata così social in questi mesi lì» mi rimbeccò mio padre.

«Come siamo divertenti questa sera!» sbuffai.

«Esattamente quanto te che stai qui a fare i capricci invece di andare a divertirti»

«Non ho voglia!» quasi urlai e mi diressi nel retro, c’era un freddo così pungente che maledissi la mia leggera maglia in cotone, dentro c’era quasi l’estate e fuori mancava poco al polo nord. Mi sfregai le mani sulle braccia, sperando di scaldarle, ero stupida a stare lì fuori, lo sapevo bene. Ma tra mio padre che pungeva il mio ego e la presenza di Noah, avevo bisogno di stare un momento da sola a capire cosa fare.

«Si gela qui» la voce di Lily mi riportò al presente, non mi voltai. Speravo che non rispondendole mi avrebbe lasciata sola, ma ovviamente non andò così.

«Mi spieghi cosa fa qui a fissare il nulla?» Si piazzò davanti a me.

«Avevo bisogno di stare sola» 

«Guarda che tuo padre me l’ha detto» posò una mano sulla mia spalla accarezzandola.

«Non avevo dubbi» chiusi gli occhi cercando di reprimere la rabbia che montava sempre più.

«È preoccupato per te e lo sono anche io. Da quando sei a Riffer e da quando hai conosciuto quel tipo lì sei diversa Bek» lo leggevo nei suoi occhi, aveva sempre temuto che uno di questi giorni, da quando mi ha conosciuto, potessi spezzarmi liberando tutte le emozioni represse, mi aveva sempre tenuta per mano per affrontare ogni cosa insieme, non mi ha mai lasciata da sola, lei c’è sempre stata. Ed io? Sempre a lamentarmi dei miei problemi, non lasciandole mai lo spazio che le serviva per sfogarsi. Che orribile amica che ero, ma lei sapeva anche questo e nonostante il mio scostante carattere era rimasta al mio fianco, e le volevo bene anche per questo.

«Sono confusa Lily» riaprì gli occhi e li sentì bruciare, non volevo piangere, ma ormai era diventato un riflesso incondizionato. Non ero mai stata così emotiva e sensibile, avevo sempre respinto ogni tipo di emozione che potesse rendermi vulnerabile, ma da quando avevo conosciuto quel ragazzo dai modi gentili e dal comportamento misterioso, non avevo più difese. Era come se in quei pochi mesi avesse aperto il mio cuore gelido e lo avesse preparato a rinascere, riempiendo la mia vita grigia, ricca di colori e di speranza.

«Cosa c’è che non va?» il suo sguardo dolce mi fece sciogliere.

«Ho paura di essermi legata ad una persona che non tiene a me. Non che abbiamo avuto discorsi profondi o una conoscenza tale da definirmi innamorata. Ma quando lo vedo, quando guardo i suoi occhi mi tremano le gambe, mi vien voglia di prenderlo per mano e raccontargli tutti i miei drammi, segreti, sogni, progetti, paure… gli direi ogni cosa! E non mi è mai successo con nessuno. Solo che lui è sempre così…» sventolai la mano in aria non trovando le parole, o forse non volendo proseguire per non scoppiare davvero in lacrime, copiose lacrime.

«Così come?» Gelai. Più del freddo che c’era qui fuori. Volevo morire. Vidi gli occhi di Lily sgranarsi. Mi voltai meccanicamente e lo vidi sulla soglia della porta che mi fissava inespressivo «Spiegami come sono Rebekka» avanzava lentamente verso me, la sua mascella era una linea dura, come se stesse reprimendo qualcosa, come se stesse mantenendo una calma apparente.

«Forse è meglio che io entri» Lily fece per sorpassarmi ma la bloccai per un polso «Bek, dovete parlare» con delicatezza tolse la mia mano da sé e sorridendo, prima a me e poi a lui, rientrò nel locale. Lasciandomi con la mia più grande paura: affrontare Noah.

 

 

 

 

Erano passati dieci minuti e non mi sentivo più nessuno dei quattro arti.

Non riuscivo a parlare, lo fissavo senza dire nulla.

«Te lo sei mai chiesta?» Noah spezzò il silenzio.

«Di preciso cosa?» mi bruciava la gola, volevo urlare.

«Del perché io sia così schivo con te» fece un altro passo, eravamo a meno di un metro di distanza.

«Non seriamente» inspirai forte dal naso.

«Te lo dico, ti dirò tutto. Ma dopo che l’avrò fatto non vorrò sentire nulla da parte tua. Rientrerò dentro e se non ti vedrò entrare con me allora non vorrò vederti più» Non gli risposi, come osava minacciarmi. Cosa gli avevo fatto per essere trattata così? Gli andavo dietro, ero sempre accondiscendente con lui, avevamo fatto pure sesso insieme e mi parlava in quel modo?

«Quando sei arrivata a Riffer sei mesi fa, io sapevo bene chi tu fossi e ho cercato di evitarti. Tu non conosci la storia della mia famiglia e in parte della tua. Ma questo non spetta a me raccontartelo. Io volevo solo non commettere errori. Conosco bene tuo padre e lo ammiro e stimo, vorrei tanto essere l’uomo che è lui, e tu sei esattamente come lui era da giovane, almeno è ciò che mi hanno sempre raccontato. Quando ho saputo…beh, volevo vederti…Incontrarti, ma mia zia Martha me lo ha impedito. Ma tu» sorrise amaramente «sei piombata nel mio negozio e lì non potevo evitarti, allora l’ho preso come un segno del destino e ho deciso che fanculo a tutto. Dovevo pensare a me per una volta. Dovevo conoscerti, quando poi ho scoperto che non avevi la benché minima idea di ciò che è successo alle nostre famiglie, beh… che a quel punto avrei potuto instaurare con te un legame che andava al di là delle nostre divergenze e che sarebbe stato pulito. Che poteva funzionare. Poi il casino…ci sono persone che non vogliono che io e te stiamo insieme, ma a me non frega nulla. E non lo dico perché voglio fare l’anarchico, perché voglio fare il ricco viziato che va contro la famiglia e che quindi fa l’artigiano per qualche ripicca, lo faccio perché voglio farlo, perché amo fare questo lavoro. Ma sai ai ricchi certi lussi non sono concessi» rise, ma con un’amarezza che lo spezzava dal profondo «Voglio solo stare con te, perché sei diversa da tutte quelle che ho conosciuto, che volevano il mio patrimonio. Tu… cazzo Bekka» azzerò le distanze e mi prese il viso tra le mani «sta con me e ti prometto che non ci saranno segreti, che ti dirò tutto. Ma se non sarà cosi, se oggi mi respingerai allora dovrò sparire dalla tua vita» Mi fissava con quei suoi occhi verdi, ma non riuscivo a comprendere a pieno il suo discorso. Perché stava tirando in ballo mio padre? Perché era cosi vago? Perché doveva starmi distante, cosa c’era che io non sapessi ancora? Una cosa era certa, la sua sincerità era così evidente che tutto il resto quasi passò in secondo piano, potrà sembrare strano tutto questo, ma per una persona che non ha mai amato, o meglio non ha mai voluto lasciare che l’amore la pervadesse, tutto questo era come una brezza che lenta e sensuale mi avvolgeva e mi trascinava con sé, e tutto quel turbinio di emozioni che mi cullava in quel momento mi rendeva felice. «Devi lascarmi entrare» gli sussurrai, e solo in quel momento mi accorsi che stavo piangendo, mi asciugò le guance con i pollici, mantenendo le sue mani ben salde attorno al mio viso «Non aspettavo altro» sorrise e mi baciò. 

Ed in quell’istante fioccò, lentamente e dolcemente, proprio come quel bacio.

 

 

 

 

«È stato grandioso» mia madre radiosa chiuse la porta di casa e fissava mio padre estasiata.

«Vedi non sempre le novità sono così spaventose» le rispose lui mentre si scrollava la neve dal giubbotto, che poco dopo appese nell’attaccapanni dell’ingresso.

«Sempre che queste novità non si trascinino segreti » accesi la luce del soggiorno, che dava direttamente sull’ingresso e feci sobbalzare quei due.

«Bekka! » gridò mia madre posando una mano sul petto «mi hai messo paura, pensavo fossi in giro con Lily visto che non eri più al locale» avanzò verso di me « che succede? Perché hai quella faccia?» chiese preoccupata ad un passo da me.

«Forse dovresti chiederlo a tuo marito» fissavo infuriata mio padre che era rimasto fermo davanti la porta e che guardava nella mia direzione. Mia madre si voltò verso lui con fare inquisitorio, ma non la prendevo sul serio, per lei era sicuramente il solito battibecco padre e figlia «Che le hai fatto Jamie? L’hai messa in imbarazzo con il suo amico?»

«Fosse quello di certo non sarei così incazzata, oh ma sono certa che anche tu mamma ne sei a conoscenza » quelle parole la fecero sobbalzare e si voltò di scatto verso di me «ma di cosa parli?» era infastidita da quell’accusa.

«Allora papà?» ma io continuavo a fissare lui, che si decise ad avvicinarsi, guardando in basso. Quando arrivò davanti a me, alzò lo sguardo e mi fece paura, era così cupo, così gelido che nemmeno riconobbi i suoi occhi, i magnifici occhi chiari e generosi di mio padre, che fino a qualche ora fa era per me l’uomo più raggiante del mondo, ma in quel momento non sapevo più chi avessi davanti, continuavano a risuonarmi le parole di Noah “Conosco bene tuo padre e lo ammiro e stimo, vorrei tanto essere l’uomo che è lui” , ma adesso forse sono io che non lo conosco. Stavo impazzendo.

«Candice prepara il thè, penso che la notte sarà lunga e sono certo che tua figlia non si accontenterà di sapere di avere un fratello».

Fratello.

Fratello?! No, non era vero. 

Il mio mondo crollò a quelle parole. 

Non poteva davvero essere vero.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11.

 

Un anno prima

 

«Prima che tu giunga a conclusioni affrettate, vorrei che ti sedessi qui sul divano e che mi ascoltassi, fino alla fine» Mi prese per le spalle e mi condusse sul divano dietro di me posto al centro del soggiorno, mi sedetti inerme, non sapevo più chi fossi e che segreti avesse la mia famiglia. Decisi di obbedire a mio padre e rimasi in silenzio, mi lasciai condurre in un tempo molto lontano, ancor prima che io nascessi.

 

 

 

Estate 1991

 

A quattordici anni sei ancora un bambino, ma se fai parte di una ricca famiglia inglese non sei affatto innocente, sa già come funzionano le azioni in borsa, sai parlare di contratti catastali e verso dei dipendenti. A quell’età sai già che appena dopo la laurea sarei il CEO di qualche azienda di famiglia.

Ma questo è ciò che sai, o che ti hanno convinto a credere. Ciò che non sai e che puoi pensare con la tua testa e decidere di avere un futuro differente da quello che è stato già disegnato per te.

«Jamie torna qui» suo padre gli urlava da dietro da scrivania del suo studio, ma quel ragazzino biondo con i pugni stretti lungo i fianchi, marciava verso la porta di casa. Era stanco di sentirsi dire cosa dire e come fare, era stanco degli ordini di suo padre. Si sentiva represso e la morte di sua madre aveva solo accentuato quella dittatura. Prese la sua bici e lasciò la villa. 

C’era un posto a Riffer che lo faceva stare bene ed era il lago, stava lì a pensare e sognare.

Quando arrivò la trovò lì che scalciava i sassolini con la scarpa.

«Martha» la chiamò lui, ma lei non si girò

«Jamie…è successa una cosa» rispose continuando a tormentare i ciottoli.

Lui le si avvicinò e con forza la fece voltare strattonandola per un bracciò. Vide le sue guance rigate di lacrime e lei tirava su con il naso. Aveva un occhio nero ed un graffio sulla guancia.

«Che è successo» gli urlò lui preoccupato « chi ti ha picchiata?»

«Mio padre» disse tra i singhiozzi

«Tuo padre? perché?» era pietrificato, non riusciva a capire come Edward potesse alzare un solo dito verso la sua amata figlia, solitamente se la prendeva con Malcolm, ma mai con lei. Anzi la proteggeva sempre.

«Sono incinta Jamie, gliel’ho detto sperando di potermi confidare con lui, che avrebbe capito ed invece ha reagito così, mamma non ha mosso un dito ha lasciato che mi riducesse così, se non fosse stato per mio fratello a quest’ora sarei sicuramente sotto terra» gettò le braccia al collo del ragazzo piangendo disperata

«Quando lo hai scoperto» la strinse a sè

«Ieri sera, ho comprato un test e l’ho fatto… volevo chiamarti per dirtelo, ma non ho avuto il coraggio. È solo colpa mia, è stata mia l’idea!» urlò tra le lacrime.

«Le cose si fanno in due abbiamo deciso entrambi e adesso accadrà questo. Io ci sarò se tu vorrai»
Martha si staccò dal ragazzo e lo fissò.

 

Da quel giorno Jamie non riuscì più a rivedere Martha, ogni giorno per tutta l’estate si piantava davanti il cancello del castello di Riffer sperando di poterla vedere, ma nulla. Tornato a Liverpool decise di tentarle tutte, telefonava ogni giorno a casa di Martha, uscito da scuola si precipitava sotto la sua finestra, ma nessuna risposta. Stava diventando pazzo e suo padre puntualmente gli rinfacciava il danno fatto, chiamandolo irresponsabile e dicendo la cosa che lo feriva di più “tua madre non sarebbe per niente fiera di te”.

Ma una mattina, mentre pedalava verso scuola, venne fermato da una donna

«Jamie Khan?» chiese guardandosi intorno con fare circospetto.

«Chi è lei?» il ragazzo scese dalla bici incuriosito ed allo stesso tempo preoccupato 

«Ho un messaggio per lei da parte di Martha» gli fece cenno di seguirlo nel vicolo accanto a loro, appena la donna si sentì più sicura continuò a parlare «Sono l’istitutrice di Martha, che mi ha detto di dirle di vedervi nel piccolo tempio di Sefton Park subito dopo scuola.» 

«Oh, beh…ok! Le dica che ci sarò!» un turbinio di emozioni lo pervase, finalmente dopo quattro mesi riusciva a vederla. La donna lo salutò con un cenno del capo e si dileguò tra la folla.

La mattinata passò velocemente, ed al suono della campanella Jamie corse alla sua bici e più veloce di quanto non avesse mai fatto arrivò nel luogo d’incontro. La vide sulle scale di quel piccolo tempio che si ergeva sul lago. I capelli biondi mossi dal vento e la sua giacca a vento copriva quel piccolo rigonfiamento che custodiva dentro di sé. Fu sollevato nel vedere che non avesse abortito. 

Mollò la bici nel prato e corse da lei ad abbracciarla, non riusciva a parlare.

«Scusami tanto!» Martha lo allontanò delicatamente 

«Per cosa?» la scrutò Jamie attentamente

«Per non aver mai risposto alle chiamate. Ma i miei genitori mi stavano addosso, poi dopo Riffer sono stata da mia sorella Viky, è incinta anche lei» rise amaramente «ma lei può, è spostata, ha l’età giusta. Ma mi capisce, mi sta vicina ed è l’unica che mi sta veramente aiutando. Io voglio solo che questo bambino sia felice» alzò le spalle.

«Lo sarà» Le prese il viso tra le mani fissandola negli occhi

«E come? Cosa gli dirò quando sarà grande? “Volevo perdere la verginità con una persona a cui volevo bene, ma non amavo e ops sono rimasta incinta e tuo nonno ha deciso di farti credere che sei suo figlio”? DEVO DIRGLI QUESTO??»urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

«Scappiamo» disse tutto d’un fiato.

«Cosa?» Era come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso «per andare dove?»

«Da qualsiasi altra parte, a Londra magari. Ma andiamo via. Tanto siamo due delinquenti per la nostra famiglia, perché stare qui?»

«Perché non conosco altro posto, perché…io…Jamie, no!» si allontanò da lui e gli diede le spalle « Starò da Viky, crescerò nostro figlio con il suo aiuto. Già è molto per me…ma non puoi chiedermi di scappare»

«Ed io? È anche mio figlio» si sentiva estromesso da tutta quella faccenda, non che la volesse sposare, per lui era come una sorella. Ma sentiva che nonostante la sua tenera età dovesse prendere atto di ciò che aveva commesso ed aiutarla.

«Sono io che ti ho coinvolta in tutto questo, non voglio rovinarti la vita» le tremava la voce.

«Ma io già volevo andare via da prima che accadesse tutto ciò» cercava di convincerla in tutti i modi. Ma sapeva bene quanto Martha fosse testarda.

«Allora vai» si girò con gli occhi lucidi verso lui « va via da qui, rifatti una vita. Non ti impedirò di vedere questa creatura, ma non posso venire con te»

«Perché penso che questo sia un addio?» sussurrò, cosi piano che temette di non essere sentito.

«Perché stai andando a riprendere la tua vita e chissà forse un giorno io prenderò potere della mia. Ma è più un ‘a presto’. Saprai sempre tutto, di me , di lui ed io ti sarò sempre grata per la tua amicizia, per tutto ciò che sei e che stai facendo per me. Ma meriti una vita migliore di questa, una vita in cui tu possa trovare qualcuno che ti ami, che ti supporti e che ti renda felice. Io sarò sempre qui, la tua Martha, la tua migliore amica che avrà sempre tempo per te…però…solo una cosa ti chiedo» si avvicinò a lui e gli prese una mano «fammi sapere cosa ne sarà di te. Solo così saprò che non mi stai dicendo tu addio»

Si fissarono per un pò senza dire nulla. Ma quel silenzio, sapevano entrambi, valeva più di mille discorsi. Occhi negli occhi, ghiaccio nel ghiaccio. Solo un sorriso sciolse quel contatto, quel flusso di parole non dette. E dopo l’ultimo abbraccio Martha lo lasciò lì, mentre lei tornava a casa con la sua istitutrice che silente era rimasta lì nascosta ad aspettare.

Quella stessa notte Jamie prese il primo treno per Londra, sapeva che lì qualcuno l’avrebbe ospitato. 

 

 

 

Un anno prima

 

«Tua madre trascorreva ogni estate a Riffer da sua zia, sapeva già dei miei discorsi a casa e di Martha, mi accolse a casa sua…tuo nonno Peter mi prese con sé come fossi suo figlio, senza chiedere. Io di certo non rimasi con le mani in mano e oltre a studiare avevo trovato lavoro come cameriere in un pub nella periferia di Londra. Poi il resto lo sai già, a 18 anni avemmo te e ci sposammo dopo il diploma ed eccoci qui» si massaggiò gli occhi sospirando, era stanco e si vedeva. Ma in lui notavo anche un gran sollievo, come se finalmente si fosse tolto un grande peso dalla coscienza.

«E lui adesso dov’è?» Ero sconvolta, tutto quel racconto mi stava uccidendo. Ma anche se mi stava annientando io dovevo sapere chi fosse mio fratello.

«L’hai conosciuto stasera» sollevò lento il viso verso me.

«Ti prego…» iniziai a singhiozzare. Non ero più certa di volerlo sapere realmente. Ora che tutto sembrava andare nel verso giusto, sapere che lui era…oddio nemmeno riuscivo a pensarlo. Sentivo una mano invisibile che stritolava il mio cuore. Mi mancava il respiro.

«Reb» Mia madre s’inginocchiò davanti a me e mi prese entrambe le mani e le portò alle sue labbra posandoci sopra un bacio «frena i tuoi pensieri» mi sorrise mentre anche lei piangeva.

«Mamma… non farlo» ormai bevevo le mie lacrime, non poteva essere vero. La nausea mi assalì ed iniziavo a provare il disgusto per tutto quello che io e Noah avevamo fatto, e più ci pensavo più mi odiavo, provavo un senso di repulsione verso il mio stesso corpo.

«Beky» mi richiamò mio padre «tuo fratello è Cameron ed è venuto con Noah stasera perché voleva vederti. È da quando sei nata che vuole vederti, ma sa bene che non è possibile. Ci sono cose che ancora non ti ho detto, quindi al momento penso che possa bastarti questo.» Si alzò «Ma di certo non ti impedirò di incontrarlo e parlargli…solo sta attenta» mi ammonì.

«E per cosa? Perché potrebbe dirmi altre verità? Perché è un disonesto come suo nonno? Quindi anche Noah è come loro?» lentamente sentì il disagio che prima mi pervadeva, scivolare via, ero sollevata…ma adesso avevo una rabbia dentro che mi stava strappando la ragione e me la stava sbriciolando davanti gli occhi.

«No no no» svelto si sedette accanto a me «Cameron è il ragazzo più buono di questo universo, non è cresciuto con suo nonno, fortunatamente aggiungerei» sorrise scuotendo la testa «per questo non l’hai visto a Riffer. Lui vive con la mamma di Noah, con la sua famiglia a Liverpool. Sa tutto, sapessi quanto odio ha verso Riffer, ma quella famiglia, gli Hughes, hanno sempre portato malumori ovunque vadano…quindi stai attenta, fin quando saprai guardarti le spalle nulla ti potrà spezzare» disse accarezzandomi la schiena con una mano.

«Voglio solo sapere una cosa» non riuscivo ancora a guardare mio padre negli occhi, sentì solo un sussurrò, che ero certa fosse un ‘si’ «tuo padre sa di me?» fissavo le mie mani intrecciante ancora in quelle di madre, lei non smetteva di baciarle.

«Non vedo e sento mio padre dal 1991, so che è vivo. So che nessuno gli ha detto di te perché gli unici a saperlo sono Martha e sua sorella. E a loro affiderei la mia vita, ma so che Noah è fortemente convinto che debba saperlo, e non sono mai riuscito a fargli capire che non deve combattere una guerra che non è sua.» inspirò forte « Io preferirei che ti prendessi tutto il tempo che ti occorre per riflettere  su tutto ciò che ti ho raccontato e se vorrai mai conoscerlo allora vorrei avere io il piacere, se così si può definire, di accompagnarti da lui.»

Mi voltai verso lui e annuì.

Forse iniziavo a capire qualcosa di tutta quella strana e surreale storia.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Oggi

 

Passeggiavo nel grande giardino della tenuta della famiglia di Noah.

Mi stringevo tra me stessa con le braccia, e fissavo i miei piedi che scalciavano lentamente la ghiaia. 

Sentì una presenza alle mie spalle, ma non mi voltai. Sapevo benissimo chi fosse ed infatti mi sentì abbracciare da dietro, un bacio tra i miei capelli e d’istinto poggiai la testa al suo collo, senza voltarmi.

«Penso che in un anno tu abbia vissuto più emozioni e rivelazioni, rispetto che nei tuoi primi ventiquattro».

«Non ti nego che avrei preferito che tutto questo fosse inesistente»

«Se così fosse non ci sarebbe un noi» calcò quell’ultima parola con fermezza e con una nostalgia dolorosa.

«Noi?» mi divincolai da quell’abbraccio e mi voltai per guardarlo dritto negli occhi in attesa di una risposta.

«Tutta questa storia, tutto questo mistero che si è creato mi irrita, ma se non ci fosse stato proprio tutto questo enorme casino, probabilmente non ti avrei mai conosciuta» mi accarezzò con il pollice la guancia « ti amo Reb, ed anche se abbiamo delle famiglie che sono fuori da ogni logica concepibile, penso che insieme possiamo farcela. Può esserci un futuro per noi. Guarda tuo padre, ha realizzato ciò che più voleva : essere libero! E se per esserlo dobbiamo andare lontano, dobbiamo cambiare nomi, o altro…io sono disposto a farlo. Perché finalmente respiro, so cosa voglia dire non sentirsi vincolato da doveri, oneri o altro ancora. Voglio vivere la mia vita facendo quello che mi è sempre piaciuto fare» Mi stringeva le braccia con le mani ed i suoi occhi brillavano mentre parlava, era così sincero, così sincero che avrebbe convinto chiunque. Ma io non sapevo più cosa volevo realmente e mi aveva appena detto per la prima volta che mi amava, speravo in un contesto migliore, ma sono felice che finalmente mi abbia mostrato qualcosa. Lui è un riccio, e per un intero anno mi sono crogiolata nei miei dubbi verso lui, ed adesso con tutto quello che in questi ultimi mesi stavo apprendendo, nulla sembrava riportarmi alla spensieratezza, sempre che io l’abbia mai avuta davvero.

 

 

Sei mesi prima

 

Solitamente la mattina del giorno di natale, andavo al forno sotto casa insieme a Lily a far colazione a scambiarci i regali, perché entrambe avremmo passato quel giorno con le nostre famiglie. 

Ma quella mattina non fu come ogni anno, con il mal di testa che mi sgretolava il cervello, mi alzai dal letto e lentamente mi avviai in cucina. Con mia grande meraviglia non trovai mio padre che cucinava e mia madre che sceglieva il centro tavola per il pranzo. La cucina era avvolta nel silenzio, illuminata dalla luce del sole che debole pigolava dalla finestra della cucina. Mi avviai al bancone e mi sedetti in uno degli sgabelli, fissavo il piano cottura come se non l’avessi mai visto. Ero così confusa che non sapevo più quale emozione fosse quella che stavo provando. Presi il telefono dalla tasca del pantalone del pigiama e chiamai Noah, rispose al secondo squillo nonostante fossero le otto del mattino.

«Scusa, stavi dormendo?» 

«No» aveva il fiatone

«Dove sei?» 

«Sono al parco sotto l’hotel a fare una corsetta»

«Ti ho disturbato allora, ci sentiamo dopo» 

«No, aspetta…» fece una pausa sicuramente per prendere fiato « vediamoci al caffè vicino al vostro pub… ti va?»

Bene, l’unico posto in cui sarei mai entrata era proprio quel bar, ma ero certa che il mio ex amico di letto non sarebbe stato di turno il giorno di natale. Senza troppe cerimonie accettai e corsi sotto la doccia.

Quando finalmente fui pronta scesi nuovamente di sotto, ancora i miei genitori non si erano alzati. Meglio così, non avevo voglia di riprendere i discorsi di ieri sera, in questo momento avevo bisogno solo di mettere a posto i miei disastrati pensieri. Ero così turbata da quelle nuove rivelazioni, che non sapevo nemmeno io cosa sarebbe accaduto adesso del mio futuro. Prima la mia priorità era trovare la mia strada, scrivere, pubblicare libri e forse magari un giorno diventare un editor o addirittura aprirmi io stessa una piccola casa editrice, in cui accogliere gli acerbi scrittori che nessuno prendeva in considerazione, proprio per dargli quell’opportuna che io stessa ancora stavo cercando. Questa valanga di pensieri mi accompagnò per quel breve, ma intenso tragitto verso il caffè. 

Le strade era deserte, la neve ancora agli angoli delle strade e quel gelido freddo che taglia le guance, facendole arrossare. Quando voltai l’angolo per addentrarmi nella strada del locale scorsi una figura in tenuta da jogging con una felpa nera con il cappuccio che metteva in risalto i suoi perfetti capelli biondi che nonostante la corsa erano rimasti impeccabili. Mi sforzai di sorridergli, notando la felicità negli occhi che si faceva largo ad ogni passo in più che facevo verso lui. Non appena fui vicina, mi tirò per un braccio e quasi caddi , ma trovai il suo petto a sorreggermi, affondò il naso tra i miei capelli ed inspirò, poi mi baciò la cute e mi scostò da sé continuando a guardarmi «So che vorrai uccidermi, ma eravamo insieme a correre» si morse il labbro come se quel gesto potesse contenere una mia reazione.

Non ci volle molto per capire dove volesse arrivare, guardai oltre le sue spalle e vidi Cameron, mio fratello che non appena notò i miei occhi che lo fissavano abbassò lo sguardo. Di certo non era sfacciato quanto me. Senza dire una parola a nessuno dei due entrai dentro il bar e ciliegina sulla torta ecco lì Britton.

Maledetta me che quel giorno sarei dovuta rimanere rintanata a letto, invece eccomi qui con tre uomini che hanno e stanno segnando maledettamente la mia vita.

 

 

 

 

«Cosa posso portarvi?» Chiesa la cameriera dalle trecce rosse, che squadrava Cameron e Noah, come se non avesse visto altri uomini sulla terra.

«Tre caffè, grazie» tagliai corto, sperando che si smaterializzasse, evitando di guardare verso la cassa, per non incrociare lo sguardo di Britton, che da quando eravamo entrati non aveva fatto altro che spiarmi con quel suo modo insistente e dentro di me speravo che almeno quella mattina se ne rimanesse lì senza venire, avevo altri problemi da risolvere, mancava giusto lui all’appello per tirare in ballo altri drammi che avevo lasciato irrisolti prima di Riffer. A quelli avrei pensato dopo, adesso erano altre le mie priorità.

«Ieri sera ho parlato con papà» guardavo le mie mani posate sul bordo del piccolo tavolino tondo, ma percepì Cameron che si drizzò sulla sedia. « Mi ha raccontato tutto…» alzai lo sguardo verso lui e per la prima volta incrociai i suoi occhi, quanto somigliava a mio papà «Vorrei solo sapere perché non mi hai mai cercata per dirmelo».

«Ti sembrerà stupido» la sua voce roca mi sembrava già cosi familiare «ma non volevo essere io il primo a dirti la verità. Spettava a papà, ma adesso sono contento che finalmente ci conosciamo, anche se io già sapevo come fossi» abbozzò un sorriso e allungò la mano verso la mia, quando la posò sopra gliela strinsi. Quello era mio fratello, anche se di madri diverse, lui era sangue del mio sangue. E sembrerà stupido ma in quel momento ero felice e non volevo sapere altro. 

 

 

 

«Vado a pagare, offro io» Noah si alzò senza che potessimo ribattere. Io e Cameron ci alzammo ed io indossai il cappotto. «Il tuo amico alla cassa dice che offre lui» disse Noah acido e uscì rabbioso verso fuori. Mi voltai e incrociai lo sguardo di Britton che malizioso mi sorrideva. «Che figlio di puttana.» gli sussurrai passandogli davanti, corsi fuori sperando che non fosse scappato e lo trovai davanti il bar che si stava accendendo una sigaretta «Ah, da quando fumi?!» mi piazzai davanti a lui con le braccia sui fianchi, Cameron dietro di Noah se la rideva «Da quando il tuo fidanzato del bar ci offre la colazione» sbuffò una nuvoletta di fumo, gelandomi con lo sguardo. «Non è il mio fidanzato! CRISTO! quel deficiente lì ed io siamo usciti un paio di volte, poi sono partita per Riffer e non ci siamo più parlati» come poteva credere che io fossi quel genere di persona lì che tiene un piede in due scarpe «Oh, allora che motivo avrebbe di dirmi quelle cose?eh?!» tirò ancora dalla sigaretta «Ma perché è uno stronzo, che non accetta il fatto che io non abbia voluto una relazione seria da lui» ero esasperata, ma seriamente?! «Meglio che torni in hotel prima che arrivi qualche altro che tu ti sei scopato. » non mi fece nemmeno replicare, con lunghi passi si allontanò da me. I miei piedi, invece, erano incollati al cemento del marciapiede e non avevo la voglia di rincorrere qualcuno che mi aveva appena dato della puttana. «Gli passerà» non mi accorsi che Cameron si era avvicinato a me, si tirò su il cappuccio della felpa e si scosse il ciuffo sulla fronte, mi sorrise « quando sta con qualcuno non è propenso ad accettare che la sua donna abbia avuto un passato sentimentale prima di lui» vedo che mi li cerco tutti normali i ragazzi con cui uscire, anche se con lui non ci uscivo solo, era il mio fidanzato e forse era anche arrivato il momento di comportarmi da fidanzata. Alzai lo sguardo verso Cameron e poi corsi, corsi senza nemmeno pensare, corsi scansando la gente che camminava davanti a me. Dovevo trovarlo e parlargli. Dovevo finalmente fargli capire cosa avevo dentro e soprattutto cosa provassi per lui, prima che il mio passato ci schiacciasse.

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