Tre Correnti Nel Nuovo Mondo

di Lady R Of Rage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fredda Realtà ***
Capitolo 2: *** Qualcuno Come Te ***
Capitolo 3: *** Un Pezzo Alla Volta ***



Capitolo 1
*** Fredda Realtà ***


Titolo: Fredda Realtà
Coppia: Bellamy la Iena/Sarquiss Lungo Coltello
Setting: Post-Dressrosa, tre mesi circa dopo la fine dell’arco
Prompt: Ritrovamento

Now I'm over my head
Acting like I never started over again
I am the city I'm from
Always wanting more than just a word on my arm
(Nate Ruess; AhHa)


La mano giace contro il legno della porta. La lascia andare, e respira l’aria calda del meriggio come per nutrirsene.
-Non dirmi che hai sbagliato porta.- Lily pesta il piede contro i sampietrini crepati. Lui scuote la testa, facendo dondolare le trecce contro la giacca a vento. La maniglia è là, e vorrebbe sbatterci contro la mano tremante.
-Che faccio, apro io? Sarquiss si è scordato come si bussa?-
Quando Rivers fa così vorrebbe dargli un bel ceffone. Vorrebbe: sono già ridotti abbastanza male senza accapigliarsi come bambini, e Sarquiss ha già una volta combattuto contro un compagno d’equipaggio. A volte lo sogna ancora, e quando si risveglia si aggrappa alle mani ferme di Muret come se una tempesta lo stesse trascinando via.
Mani appoggia la mano sulla sua. -Lascia fare a me. Vedi, è facile.-
Le labbra di Sarquiss mormorano un “no” muto mentre la ragazza abbassa la maniglia e spinge la porta di fronte a lui. -Prego, primo ufficiale. A te.-
Rivers, Eddy e Muret ridono coprendosi la bocca con le mani. Sarquiss porta la mano alla cintura, d’istinto, e serra il pugno quando non sente il manico del kukri tra le dita. Non l’ho più. Non ho quasi più niente, e non sono capace di fare il capitano. Non sa neanche se lo divertirebbe ancora, minacciare i compagni di sfilettarli con il coltello per cui era famoso. Gliene sono rimasti troppo pochi. Può aggrapparsi al manico della stampella, però, finché i tendini dei polsi non sono rigidi.
C’è un ventilatore, sul tavolo di lavoro, e uno sbuffo d’aria fresca fa gonfiare il cappuccio dietro la sua testa. Il piede sinistro striscia contro il parquet a colpi cadenzati, accompagnati dal battito della stampella contro il legno. Il naso gli prude, vi strofina contro il dorso della mano. Quando abbassa le dita lo vede: alza la testa dal blocco degli schizzi, sgrana gli occhi piano, lascia andare la matita e la gomma.
-Sarquiss? Sei tu?-
Quei piccoli occhi marroni, che tante volte ha sognato o sperato di sognare – ora luccicanti di terrore mentre la sedia sbatte contro il parquet e le mani abbronzate si levano di fronte al volto.
-Lily.- rantola. -Rivers, Mani.- I suoi occhi dardeggiano dall’uno all’altro, le braccia si contraggono, le dita si stringono al gilet. -Eddy. Muret. Voi, qui.-
Non è la voce giusta di Bellamy, non quella dei suoi ricordi. C’è un tremito in quel “voi” e nel pronunciare i loro nomi. Sarquiss serra le labbra: se quello è il tipo di contatto che li aspetta da quel pomeriggio, a quel rigurgito scolorito del suo capitano non vuole rispondere. Desidera, piuttosto, avere la gola di Doflamingo davanti, e i suoi famosi coltelli per fare giustizia. Bellamy raccoglie la sedia da terra e vi si risiede. Ha una cicatrice sul petto, che scompare sotto la sua canottiera. Quel bastardo rosa gliene ha fatta una brutta – sì, è stato lui. Non il coltello di Sarquiss, con quella corda che tirava contro il suo cervello, che mordeva fino al midollo…
-Bellamy, siamo qui.- tossisce. Basterebbe questo, in un mondo giusto. Farsi vedere, e lasciare che sia Bellamy a guardare le lunghe trecce azzurre che sporgono dal berretto, la sua giacca a vento senza pelliccia, i mezziguanti di pelle e i jeans sporchi di fango – e la stampella di legno, lunga fino al fianco, stretta alla mano sinistra, su cui si appoggia come se anche l’altra gamba avesse smesso di reggerlo.
Che guardi il taglio mascolino di Lily, i dreadlock di Mani, gli orecchini ad anello di Rivers, Eddy senza più il braccio destro e la cicatrice sulla fronte di Muret, che le spacca a metà il sopracciglio. Potrebbe finire tutto , senza bisogno di parlare, ma darebbe tutto l’oro che hanno mai rubato per sentire ancora la sua voce vera.
-Bellamy,- ripete. -Parlaci, cazzo. Siamo qui. Non fare finta di niente.-
Vorrebbe battergli le mani davanti alla faccia, come facevano ai compagni ai tempi della scuola. Bellamy si umetta le labbra con la lingua, sbatte le palpebre, deglutisce.
-Siete qui, a fare che?-
-Ad assaggiare la sangria e imparare come si balla il flamenco. Per te, idiota.- Muret si sporge in avanti, sbatte il palmo della mano contro il tavolo. -Sono mesi che ci sbattiamo per trovarti.-
Bellamy serra le labbra, come se avesse ingoiato qualcosa di disgustoso.
-Eravate morti.- ansima, e a malapena si sente.
Sarquiss muove piano le labbra: -A volte lo volevamo.-
Bellamy si ritrae contro la sedia. Sarquiss si rattrappisce di nuovo nella giacca, massaggiandosi gli avambracci: sente freddo, il freddo del mare di Jaya che gli strappava la pelle e gli tappava la bocca. Ha almeno pianto per noi su quell’Isola in cima al cielo? Deglutisce, serra i pugni perché smettano di tremare, e sbatte le palpebre: vede sfocato, e vuole ricordare il volto di Bellamy nel caso gli tocchi andarsene con l’equipaggio a mani vuote.
Pace: ha ricordi peggiori con cui destreggiarsi. La corda di Doflamingo che si conficca nella sua testa, lo trafigge fino alla fronte, e il suo corpo che smette di rispondergli e pesa come tutta l’isola. La lama del kukri che falcia l’aria e strappa la pelle di Bellamy come una tenda. Mi dispiace, mi dispiace tanto, non riuscivo a controllarmi, non volevo, Bellamy, non volevo. Il Knock-up Stream che rimbomba nelle sue orecchie, lo schiaffeggia, lo soffoca e lo trascina lontano dalla luce. La voce di Lily sull’orlo delle lacrime – resisti, onii-chan, la spiaggia è vicina, non lasciare le mie spalle, ti prego, resta con me, ti prego – e il crosciare delle onde, il canto dei pappagalli miglia sopra le sue teste. Il fuoco che scoppietta accanto a lui e i singhiozzi di Lily mentre si guarda intorno e realizza che non hanno più niente.
Bellamy inspira, appoggia i palmi contro il piano di lavoro.
-Vuol dire che Ross, Hewitt e gli altri…-
-No, li abbiamo lasciati indietro perché non ci piacevano le loro facce.- ringhia Lily. -Secondo te? Non sarebbero con noi, se non avessimo trovati?-
-Hewitt è morto tra le mie braccia.- sussurra Mani. -Ha battuto la testa contro uno scoglio.-
Si stringe nelle braccia, abbassa lo sguardo. Le tremano le labbra. Sarquiss allarga il braccio destro, quello che non tiene la stampella, e la ragazza vi si appoggia senza un fiato. La stringe a sé, accarezzandole la schiena. Deve essere la mossa giusta, ma Sarquiss è stanco di comandare. Non ha mai avuto le spalle larghe, non servivano per maneggiare il kukri, e con una gamba fuori uso si sente piegare più di prima.
Bellamy tira su col naso, si lecca le labbra, raddrizza le spalle ingobbite. -Mi dispiace.-
Tutto qui? Sarquiss vorrebbe tirare un pugno a quel tavolo, come un cliente in cerca di beghe. Non siamo più niente, per te? È passato un anno – l’hanno passato a nascondersi, dormendo sotto i ponti in mezzo ai topi, stringendosi a vicenda se il ricordo di quella notte continuava a tormentarli – e il tempo è bastato a cancellare la loro esistenza per il mondo.
Non è veramente stato niente. Non hanno inseguito Bellamy come una stella nel cielo, dal giorno in cui le foto dei concorrenti del Colosseo della Corrida non avevano popolato i giornali di tutte le terre. Non ha singhiozzato tra le braccia di sua sorella, urlando il nome di Bellamy finché le lettere non si mescolavano tra di loro. Non si è gettato tra le braccia di lui piangendo come un bambino,  sul pavimento di Mock Town, urlando mi dispiace contro il suo petto sporco di sangue, pregando che le braccia muscolose strette alla sua schiena fossero là per cullarlo e non per restituirgli il favore. Andiamo via, aveva gridato a un Bellamy che non vedeva da dietro il velo delle lacrime. Muret ti curerà, staremo bene, non lasciarmi, ho bisogno di te. Era stato Ross a riportare il suo coltello sulla New Witch Bleah, perché Sarquiss non osava toccarlo; quella notte, nell’infermeria della loro nave, cullato dai gemiti febbrili del capitano che aveva accoltellato, aveva scoperto quanto fosse doloroso dormire sul legno.
Bellamy lo valeva, però – o così Sarquiss vorrebbe credere. Deve valerlo ancora. È sopravvissuto a Doflamingo, e due volte. Forse non è una taglia, a decidere chi è forte e chi no.
Altrimenti, come avrebbero fatto sei luridi straccioni ad arrivare dall’altra parte del mondo per raggiungerne un settimo?
-Abbiamo perso tutto. Lily ha venduto i suoi capelli per pagarci il viaggio fino a qua.-
-Mi dispiace,- borbotta Bellamy. Ha gli occhi fissi sulla tenda che stava facendo, e la sua voce è strascicata. Dì qualcos’altro, porco cane, prega Sarquiss. Il nodo nel suo stomaco si allenta quando vede Lily fare un passo avanti.
-Mi fai sembrare una povera disgraziata, fratellone. Mi piace questo taglio, avrei dovuto pensarci da prima. Se nostra madre ci vedesse le verrebbe un infarto.-
Sarquiss si sorprende a ridere. Quella di Nortis è la vita di un altra persona, ormai, ma ridere degli altri è stato in quei mesi tutto ciò che ricordava loro chi erano e chi erano stati. A bassa voce, però, perché Sarquiss è certo che farsi sbattere di nuovo di faccia contro il legno sarebbe bastato a farlo fuori, ridotto com’è. Ha poi ottenuto qualcosa, lì a Mock Town? Hanno ottenuto qualcosa da quando hanno salpato?
Ho ottenuto Bellamy, e non lo perderò ancora. La risata di Bellamy, i capelli biondi di Bellamy così soffici da accarezzare, la voce di Bellamy che lo sveglia battendo le mani a colpi di tirati su, culopeso, il sole è alto, che razza di pirata sei, le molle di Bellamy che schioccano in faccia a quasi tutti i disgraziati che osassero insultare uno di loro. Bellamy con cui dormire e con cui svegliarsi, il sapore della sua bocca che si mescola a quello del rum. Bellamy che svanisce in cima al Knock-up Stream e lontano dalle sue braccia in un incubo uguale a mille altri.
-Tu non hai idea di cosa abbiamo passato per cercarti.- Eddy incrocia le braccia. -Nessuno vuole più niente a che fare con la Famiglia Donquixiote, e Sarquiss qui ha il loro Jolly Roger tatuato addosso.-
-Ho solo evitato le docce pubbliche.- Sarquiss si impone di ghignare.
-E si sente.- Rivers tira fuori la lingua. -Sei una fogna che cammina.-
-Ha ragione, Sarquiss. L’aveva detto, il tatuatori, che tatuarsi un Jolly Roger è peggio che tatuarsi il nome della tua ex. Specie se non è quello della tua ciurma.-
Sarquiss si volta, preme la punta della stampella nel legno. È stato Bellamy a parlare – Bellamy la Iena, quello che ricorda e che ha inseguito nei sogni prima che nella realtà. Quel tono beffardo è dolce come una poesia, anche se il bersaglio dei suoi motteggi è lui.
-Allora sai dire altre cose. Sei un uomo sorprendente.-
Si trascina fino alla scrivania e vi si siede sopra, facendo penzolare le gambe oltre il piano. Appoggia la stampella di fianco a sé, come per mostrarne a Bellamy i particolari.
Come se fosse stata colpa sua, se è zoppo. Come se avesse potuto in qualche modo spegnere il Knock-up Stream o nuotare fino a lui mentre precipita. Sarebbe potuto morire, deve bastargli questo. Persino gente come loro ha dovuto imparare ad accontentarsi delle piccole cose.
-La tua gamba…- mormora, e vi appoggia una mano tremante. Sarquiss la incontra con la sua. -E il braccio di Eddy.-
-Sono il nuovo Shanks.- sogghigna il ragazzo. -E ‘Quiss è il nostro Aokiji.-
Sarquiss scrolla le spalle. -Me la sono fatta per tutto il Nuovo Mondo con una gamba che non si muove. Non si dica che non sono cazzuto.-
-Che non siamo cazzuti.- puntualizza Rivers. -E adesso siamo qui, Bellamy.-
Ha la schiena rigida, le guance arrossate. Se avesse in mano una delle sue bandiere l’avrebbe sicuramente stropicciata, e un negozio così piccolo non può contare tanti clienti.
-Per me?- mormora.
-Dobbiamo ripetertelo?- Muret si sbatte la mano contro la coscia. La mano di Bellamy, nella stretta di Sarquiss, si tende.
-Dopo quello che vi ho combinato…- L’ex capitano rabbuia, serrando il pugno. -Avete tutti preso un sacco di schiaffi.-
Sarquiss gli accarezza il dorso della mano. -Ci avanza del ghiaccio, Bellamy. Prendine un po’. Ne hai bisogno.-
Bellamy si ritrae, come se gli avesse dato un pugno. A volte Sarquiss avrebbe voluto, gli sarebbe bastato quello pur di averlo ancora accanto – ma i morti vanno lasciati in pace, e piangere il suo capitano scomparso era già abbastanza amaro senza arrabbiarsi con lui. Quel cazzo di Roshio era il figlio del Diavolo o cosa, e me l’ha fatta pagare, mormorava tra le braccia di Lily. Sua sorella gli aveva sistemato sulle spalle il telo da barche che avevano trovato per coprirsi. Sono tutte stronzate, ‘Quiss. È che a quelli come noi, alla fine, arriva sempre uno schiaffo freddo.
L’avevano ammazzato insieme, il dannatissimo Roshio. Il minimo sarebbe stato morire insieme.
Eppure siamo vivi.
-Ti prometto che andrà tutto bene.- Sarquiss percorre con le dita la guancia di Bellamy. -Ci sei mancato.-
Gli accarezza i capelli, di un biondo più scuro di quanto ricordasse. Due mani gli afferrano le spalle, lo fanno scivolare sul piano del tavolo e lo depongono su un paio di ginocchia muscolose. Sarquiss apre la bocca, battendo i denti. Adesso si sveglierà: è tutto così bello, e le cose belle gli sono precluse da troppo tempo per credere che quella sia per lui.
Ma le braccia di Bellamy sono vere, e lo tengono stretto.
-Sarquiss.- mormora. -Sarquiss…-
-Non ho cambiato nome.- Sarquiss sorride, e una lacrima gli gocciola in bocca. Il primo che ride è un uomo morto, pensa, ma è certo che se qualcuno si permettesse di fare l’affronto non lo sentirebbe. Non con Bellamy accanto, un Bellamy di carne che finalmente gli appartiene.
-Doflamingo non è il solo a costruirsi una famiglia.- mormora quel Bellamy di carne, e il suo petto vibra mentre parla.
-Fanculo a Doflamingo e fanculo ai suoi compagni di merende.- Lily fa scoppiare la gomma da masticare. -Vieni con noi, Bellamy. Nuova era, vecchia era, che differenza fa?-
-Mi sono ritirato dalla pirateria.- mormora Bellamy, ma suona finto. I suoi occhi luccicanti dardeggiano da un volto all’altro, e si fermano proprio su Sarquiss, percorrendolo dai capelli alla punta del mento. -Ma Luffy Cappello di Paglia mi ha dato un pezzo della sua Vivre Card. Non sono solo al mondo. E qui sto bene.-
-Frena, frena.- Muret si sporge in avanti. -Quel Luffy? Ti ha fatto la grazia?-
Non c’è una storia da raccontare, i giornali hanno fatto abbastanza, e Rivers è ancora capace di abbattere i News Coo in volo – oltre a sorreggere Sarquiss quando, leggendo il nome del loro vecchio capitano, aveva lasciato cadere la stampella e rischiato di cadere di faccia sulla ghiaia. “In fuga con loro anche Bellamy la Iena, combattente al Colosseo della Corrida non appartenente a nessun equipaggio”. A quelle ultime parole, Sarquiss aveva tirato una bestemmia.
Bellamy sorride, e per la tomba di Gol. D. Roger, quanto mi è mancato quel ghigno. -Luffy è così. Credo che dovrei ringraziarlo.- Dovreste, vorrebbe aggiungere Sarquiss, ma non lo ammetterà mai ad alta voce. -Ero sul fondo del barile, e lui è in qualche modo un uomo potente. Ha una flotta, adesso.-
Sarquiss sgrana gli occhi, Mani sobbalza alle sue spalle. -Una flotta vera?-
Bellamy sorride amaramente. -Ben sette capitani, di cui un gigante. E lui nemmeno la voleva.-
-Che idiota,- sogghigna Muret. Sarquiss le dà una gomitata. -Se non fosse per quell’idiota saremmo rimasti senza capitano.-
O per Doflamingo. Sarquiss serra i denti. Il posto di quell’uomo orribile è nei suoi incubi e nelle viscere di Impel Down. Non può controllare quelle mura come ha fatto con lui. E proprio là, sul collo di Bellamy, una cicatrice a forma di croce grande come un neo.
-Sarquiss, sei teso. Ti senti bene?-
La sua voce sembra provenire dal fondo di un abisso. Sarquiss allontana le braccia dal proprio petto e cinge le spalle di Bellamy tra le dita tremanti.
-Cosa ti è successo? Devi dircelo.-
Bellamy sorride, stringe Sarquiss più forte. -È una lunga storia.-
-Allora dovrai cominciare a raccontarcela.- Mani prende una sedia dal muro e vi si lascia cadere. Lily e Rivers si tolgono i cappotti. Sarquiss si toglie gli occhiali da sole e li appende alla maglia. Blu come quelli vecchi, dalla montatura rosso acceso, con le lenti a specchio: comprati apposta per nascondere i suoi occhi rossi all’equipaggio piombatogli sul groppone. Bellamy è abbronzato, sotto la patina azzurra, e più muscoloso di quanto ricordasse. Ed è con lui.
-Ma non così.-
Bellamy si sporge oltre la schiena di Sarquiss e gli circonda le spalle col braccio destro. -DHo del tè nero e qualche galletta. Siete miei ospiti.-
-E se decidessimo di restare?- Sarquiss stringe più forte la sua spalla. -Non riuscirai a cacciarmi, non con la gamba ridotta così.-
Stavolta è la stretta di Bellamy che si stringe al suo corpo, e quella di Lily e degli altri quattro attorno a loro. Non serve dire altro: Sarquiss si lecca le labbra salate e reclina la guancia contro quel petto così accogliente. Finalmente si potranno riposare.


A.A.:
Ho interrotto il mio dovere materno (see, dove?) cogliendo l’occasione per una storia speciale.
Non ho molte ship, in One Piece. Penso che parte del fascino dell’opera per me stia proprio nella scarsa enfasi posta sui rapporti romantici e sulle ship. Lo trovo molto rinfrescante, persino per uno shonen. Lo stesso Luffy è molto meno “tormentato” di molti protagonisti di anime, è uno sciocchino a cui non interessa nemmeno la più bella donna dei quattro mari, e cose come l’attrazione di Sanji per le belle donne sono mostrate solo per far ridere. Molte delle ship canoniche neanche mi piacciono (Scarlett e Kyros? Non ne sopporto nessuno. Baby Sai? Ho scritto un’intera raccolta in cui la retconno. Doflamingo/Viola. NO EW GOD NO. Bege/Chiffon… ok, they’re cute. They can stay. Ma direi che il punto è stato reso ben chiaro).
Avrei preferito inserire anche qualche coppia femslash, ma i personaggi femminili sono troppo pochi e sporadici per formare un rapporto decente. Le poche volte in cui vediamo assieme due donne che non sono Nami e Robin (che non shippo) si tratta spesso di sorelle, come le varie donne Charlotte, Kiwi e Mozu, Nami e Nojiko e le Boa. Io non amo l’incest, quindi lascio perdere.
Restano le coppie slash, e ne ho trovate tre di mio gusto. Con la prima recupero un personaggio (Sarquiss) dimenticato da tutto e tutti e forse canonicamente morto. Il suo rapporto con Bellamy a Jaya era accennato, ma si capiva che si trovassero bene assieme, e il dolore di Sarquiss nel colpire Bellamy per comando di Doflamingo era chiaramente forte.
Mentre Bellamy raggiunge l’Isola nel Cielo, salvandosi grazie alle sue molle, Sarquiss e il resto dell’equipaggio piomba nel mare e molti di loro muoiono. Sarquiss è salvato da Lily, ma il danno subito al nervo della gamba è troppo grave.
Il resto dell’equipaggio è composto anche da Lily (qui reinterpretata come sorellina di Sarquiss), il navigatore Eddy (Edy in italiano), la dottoressa Muret (Muller), il cecchino Rivers, il cuoco Hewitt, Ross e Mani (Many), di ruolo non chiaro. Ross e Hewitt purtroppo non ce l’hanno fatta, e nemmeno le abilità mediche di Muret bastano a salvare il braccio di Edy e la gamba di Sarquiss. O Sirkeys? Cirkeys? Non ho capito come si chiami.
Non so come funzioni la componente religiosa del mondo di One Piece. Sappiamo che la religione c’è: oltre a Enel, Madre Carmel si finge una suora, Miss Monday si traveste da suora a Whiskey Peak, c’è un prete a officiare le nozze di Sanji e Pudding, esistono “monaci” come Urouge e Wadatsumi, Bartholomew Kuma porta sempre con sé una Bibbia e via dicendo. Non avendo altre informazioni ho preferito restare sul vago. Sarquiss mi sembra esattamente il tipo di persona che trova divertenti le bestemmie.
Ho anche ideato qualche redesign per i Pirati di Bellamy. Sarquiss con le treccine, Lily con i capelli corti e via dicendo.
Spero che vi piaccia, nonostante i personaggi siano minori. Bellamy è un bulletto, ma ha sofferto molto e merita anche lui una famigliola tutta sua.
Ci vediamo domani.
Lady R

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Capitolo 2
*** Qualcuno Come Te ***


Titolo: Qualcuno Come Te
Coppia: Bartolomeo il Cannibale/Cavendish il Principe Pirata
Setting: Post-Dressrosa
Prompt: Punto Debole

You are the light of my beautiful life
(Britney Spears, Brightest Morning Star)


Gambia non allontana lo sguardo dal pavimento mentre risponde al suo capitano.
-Niente, da nessuna parte. Abbiamo passato al setaccio il villaggio.-
Bartolomeo serra le zanne. -Dove si è infilato, maledetto Cavolo.-
-Calma, capitano.- Gambia gli appoggia una mano sulla spalla. -Ricorda, Luffy-senpai non smette mai di credere che tutto andrà bene.-
Bartolomeo sospira. Non è Luffy-senpai, lui, ed è ben più fragile della gomma. Ma a Luffy-senpai piace azzardare, e viaggiare assieme ai Pirati Splendidi era abbastanza azzardato. Neanche troppo sgradevole finché il Principe Cavendish dai boccoli perfetti e dalla pelle di porcellana se ne stava sulla sua nave buonino e non gli propinava intrugli stucchevoli ai petali di rosa.
Finché non aveva deciso di sparire senza lasciare traccia, lasciando a lui e a Suleiman il Tagliagole un equipaggio di uomini feriti e agitati senza più un capitano da gestire.
-Non dobbiamo dimenticare gli insegnamenti di Luffy-senpai.- Bartolomeo strappa il panino al prosciutto dal piatto e lo azzanna – letteralmente – strappandone via metà. -Un pranzo veloce e si riparte alla ricerca. Cavolo è mio fratello di guerra, è amico di Luffy-senpai. Sul mio onore…-
Pezzi di panino gli schizzano dalla bocca e scompaiono oltre il parapetto. Si pulisce la bocca con la manica. -E poi, è così divertente punzecchiarlo.-
La Cavallo Bianco Addormentato nel Bosco e la Going Grande Luffy beccheggiano dolcemente alla brezza del pomeriggio, ma dalla nave del principe biondo non risuonano le note di arpe e violini, né il tintinnio delle tazze da tè. Nessuno compone fiori, scrive poesie o assapora vini d’annata. Che razza di pirata fa così, si era chiesto Bartolomeo durante i primi giorni di convivenza. Adesso darebbe il suo collage di foto di Luffy-senpai, fatto a mano per passare il tempo durante una bonaccia, perché quegli splendidi disgraziati tornino a divertirsi a modo loro.
Bartolomeo si ficca in bocca il resto del panino e lo mastica, sputacchiandosi addosso le briciole. -Dammi un po’ d’acqua e si riparte. Quei poveretti senza capitano mi fanno pena.-
Mentre Gambia versa l’acqua, un rumore di zoccoli si leva dal pontile. Il nostromo si sporge dal pontile. -È Farul.-
Anche Bartolomeo si sporge dal parapetto. Il cavallo sbatte le zampe sul legno del pontile, nitrisce verso il cielo frustando l’aria con la coda. Un altro problema da gestire, un animale fuori controllo: non è Chopper-senpai, è una bestia qualunque, è di Cavolo e lui non la sa tenere.
-Non può occuparsene Suleiman? Il cavallo è del suo capitano.-
-Suleiman è uscito la mattina presto,- dice Gambia. -Probabilmente ha fame.-
Gli zoccoli pestano, i nitriti si fanno più forti. -Dagli qualcosa, allora. Mi farà venire l’emicrania.-
-Cosa mangiano i cavalli, capitano?-
Bartolomeo si massaggia la fronte con i polpastrelli: -Ma che ne so, portalo in cambusa e fagli vedere cosa abbiamo nel frigo.-
Cavolo, dove sei? Farul non ha briglie, non ha morso, e Gambia vi gira intorno come se rischiasse di esplodere. Eppure, il principe dai boccoli d’oro era pronto a farsi uccidere per vendicarlo. Gambia emette un urlo stridulo e si ritrae, mentre gli zoccoli di Farul battono più forte accanto ai suoi piedi.
-C’è qualcosa che non va. È agitato.- Ed è un Pirata Splendido, nonostante tutto. -Se mi morde?-
-Ho capito, arrivo!- Bartolomeo si alza dal parapetto e rassetta la giacca sulle spalle. Scende dalla passerella con gambe tremanti e si chiede perché. Cavolo è adulto e vaccinato, è un combattente capace. Cosa può succedergli?
L’aria frizzante del tramonto è uno schiaffo sul suo volto bollente. Con un brivido, il Cannibale si rattrappisce nella giacca. -Posso lasciar correre lo sparire chissà dove, a fare chissà che. Posso anche capire ridurre a brandelli il suo equipaggio quando gli piglia l’abbiocco.- Salta giù dalla passerella e passa una mano nel ciuffo verde. -Ma scaricarmi il suo ronzino è fuori da ogni discussione. Non sono un cavallo-sitter. Come minimo dovrà risarcirmi, e pretendo una paga profumata.-
Solleva le braccia davanti a Farul. Forse ci vuole una barriera, almeno contro gli zoccoli. Ma Farul abbassa le zampe e lo squadra con occhi grandi e lucidi. Occhi che – datemi uno schiaffo o non ci credo – lo stanno cercando.
-Che c’è, bello? Hai trovato il biondino?-
Farul stride, scuote la testa verso la boscaglia. C’è un faro, in cima a un promontorio, e il muso del cavallo sembra indicare di là. Cosa farebbe Luffy-senpai? Ma non è domanda da porsi, non quando è così dannatamente chiaro.
-Ti lascio la nave, Gambia. Tornerò presto. Forse questo sacco di pulci ha trovato il nostro uomo.-
-Capitano?-
Bartolomeo si volta, mormora un “eh” che probabilmente il nostromo non sente. Gambia si sporge  comunque oltre il parapetto e circonda la bocca con le mani.
-Luffy-senpai farebbe proprio così.-
Il Cannibale fa cenno di sì con la testa, ma si volta verso Farul non appena il collo torna dritto. Luffy-senpai farebbe forse così, ma Luffy-senpai non si farebbe distrarre dai compagni di equipaggio mentre parte in missione. Incrocia le dita: tre barriere lunghe un braccio si dispiegano di fianco al cavallo. Vi si arrampica come su una scala a pioli e studia la schiena di Farul come se fosse coperta di ricci di mare. Come si guida quest’affare? Mettere le gambe dallo stesso lato – alla Amazon Lily, gli pare si dica così – sembra più comodo, ma bisogna correre e non è il caso di pensare al comfort. Porta la gamba sull’altro fianco del cavallo, a rischio di spiaccicarsi il coso contro le spalle di Farul, e accarezza la criniera soffice come se lui e la bestia fossero in confidenza. Forse non è un cavallo qualunque: non per il suo padroncino scomparso, almeno.
-Portami da Cavolo,- sussurra al suo orecchio, e serra le ginocchia attorno alla sua schiena. Il sudore tracima dal pelo di Farul e gli impregna la stoffa dei pantaloni.

Una cosa sa, Bartolomeo, appena rotola giù dalla schiena di Farul: non salirà mai più su un cavallo – asino, mulo, equino – neanche a pagarlo oro.
Dover viaggiare a pelo durante la prima cavalcata della sua vita, al galoppo, in salita, su un cavallo viscido come un cetaceo da quanto suda: dettagli che avrebbe accettato singolarmente, ma che tutti insieme superano un limite che non sapeva di essersi preposto.
-Ma come cazzo si fa…- È un pirata, non un cavallerizzo, e quelle attività di terra non gli si confanno. Persino Farul deve essere d’accordo, da come sbruffa non appena Bartolomeo allontana le braccia dal suo collo. Probabilmente non è là che ci si tiene quando si cavalca come si deve, ma non ci sono le briglie come non c’è la sella, e i peli della criniera sono troppo sottili perché si senta al sicuro ad afferrarli.
-Ho le vesciche nel culo, spero ne valga la pena.- Bartolomeo si massaggia le natiche con la destra, e solleva la sinistra davanti agli occhi per farsi schermo dal sole. Una torre di lamiera bianco sporco, con una teca sferica di vetro sulla sommità: il faro è chiaramente abbandonato, ma un uomo di spalle davanti al portone spalancato.
Bartolomeo si avvicina e riconosce una giacca vermiglia, lunghi capelli biondo grano, il copricapo nero dei soldati di una nazione che non ha mai visto.
-Suleiman, che succede? Farul mi ha trascinato qui per…-
-Sono stato io a mandartelo. Magari tu puoi farlo ragionare.-
-Far ragionare chi? Quella bestia? Io di cavalli non ne capisco.-
Suleiman scuote la testa, e indica la sommità del faro. Due piccole mani bianche stringono la balaustra storta e verde di ruggine, e capelli dorati danzano alla luce del tramonto.
Ma che fa, guarda il panorama? Eppure una goccia gelida gli sfreccia lungo la schiena.
Suleiman si allontana dal portone e porta le mani a coppa attorno alla bocca.
-Cavendish, va tutto bene. Scendi.-
-Ti ho detto vattene via!-
Bartolomeo sgrana gli occhi. Non può essere Cavendish: c’era un singhiozzo, dopo quelle parole, e quel tono stridulo non ha nulla di splendido. Farul geme e scalpita, Suleiman sospira. Si volta verso Bartolomeo, ma ha gli occhi fissi verso la sommità della torre.
-Per favore. Si vuole buttare, e non mi ascolta.-
-Si vuole che cosa?-
Farul stride verso il cielo colmo di nuvole, batte gli zoccoli contro il terreno. Bartolomeo sobbalza. -Su, adesso sta buono. Sto cercando di concentrarmi e capire che succede.-
-Te l’ho appena detto, quello che succede. Si vuole buttare dal tetto.-
-Mi spezzo il collo!- È la voce di Cavendish, ma così umida. Potrà il piede oltre la ringhiera, scavalca, si aggrappa al metallo con le mani dietro la schiena. I capelli biondi gli coprono il volto penzolando di fronte a lui. -Se non t’interessa guardare vattene via. Questo show non è per tutti.-
C’è un po’ del Cavendish che conosce, in quel parlare di show, ma non suona giusto – come se quel maledetto Doflamingo fosse ritornato dalla prigione e avesse deciso di giocare al burattinaio con lui. Anche se fosse, stronzo? Le mie barriere sono più forti delle tue cordicelle.
Ma stavolta, realizza deglutendo, non c’è da combattere, ed è il principe a dover essere salvato.
-Cavendish, sta fermo.- urla. -Non fare cose avventate.-
-Mi butto! Non m’importa se guardi, mi butto.-
Bartolomeo scuote la testa. Le persone agitate non sono prone ad ascoltare. -Barrier!-
Un’onda di luce azzurra sorge da sotto Cavendish. Si leva sopra la sua testa, si ripiega su sé stesso e sopra di lui, si mescola con la ringhiera e si chiude contro il pavimento del terrazzo. Un urlo soffocato risuona da sotto la capsula.
-Vado a prenderlo.- Ora può voltarsi, ma il suo cuore martella ancora. -Tu vai, Suleiman. Non si abbandona un equipaggio senza almeno un vicecapitano.-
-E tu?-
-Io resto con lui. Te lo riporterò intatto, quant’è vero che mi chiamo Bartolomeo.-
Il Tagliagole annuisce e sparisce correndo oltre la boscaglia. Ora Cavendish deve protestare, lamentarsi di come un volgare teppistello come lui non ha il diritto di comandare il suo equipaggio: ma il principe tace, rannicchiato nella pancia curva della barriera. Il Cannibale sospira, grattandosi la guancia con un dito libero.
-Fammi uscire!- singhiozza Cavendish. -Te lo ordino!-
Scuote la testa, di nuovo. -Vengo da te. Mettiti comodo.-
Un sordo bussare risuona da sopra la sua testa: i suoi pugni contro la barriera, la stessa che ha visto in azione e che ha resistito a un King Punch. Deve essere disperato.
Piega le braccia, e una scalinata di barriere quadrate serpeggia fino al balcone del faro. Bartolomeo si lancia di corsa sui gradini. Farul emette un verso che pare un pianto.
-Va tutto bene,- esclama senza voltarsi. -Il tuo padroncino è solo molto scosso.-
-FAMMI USCIRE, BRUTTO STRONZO!-
Deve serrare le zanne per non commentare il linguaggio. I colpi si fanno più forti, più sordi, più rapidi. Bartolomeo sospira. Non sa quanto di quel Cavendish disperato e volgare – sconosciuto – potrà ancora vedere prima di esplodere.
-Non si rompe. Smettila. Stai bravo, ti rovini le mani.-
Bartolomeo non ha paura delle altezze, eppure guardare in basso gli fa girare la testa. O è il non guardare Cavendish, non sapere che farà. I colpi si placano, e il principe si aggrappa alla ringhiera per alzarsi.
-Speravo che nessuno venisse qui.-
Si tampona la guancia con la mano, e Bartolomeo sospira. Cavendish non ha cappello, né giacca, né stivali o cintura. I calzini bianchi sono sudici di fango, ci sono strappi sulle maniche della camicia di seta, i pantaloni sono laceri sulle ginocchia, e sul petto seminudo… sono graffi, quelli?
-Da quanto tempo sei quassù?-
-Due giorni. Non avevo dove andare. Mi sono preso a schiaffi pur di non dormire.-
-Nessuna sorpresa che sragioni. Tutti abbiamo bisogno del sonno.- Cavendish si arrampica oltre la ringhiera e si mette a sedere sulla piattaforma. Bravo, torna indietro. Non andare dove non posso inseguirti. -Poi Suleiman ti ha trovato…-
-Non potevo permetterlo. Volevo solo ammazzare quella bestia una volta per tutte.-
Bartolomeo scuote la testa: non ha da aggiungere altro.
Scavalca la ringhiera avvinghiandosi con i gomiti – uno spettacolo ridicolo, certo, ma non osa svitare le dita – e fronteggia Cavendish in piedi sulle piastrelle. Una scia di moccio gli cola sul labbro, i capelli sono una massa indefinita e opaca.
-Ma guardati, tutto rosso e scapigliato. E ti cola anche il naso. Cosa direbbero le tue ammiratrici?-
-Cosa direbbero a sapere che sono un mostro?-
Ha ricominciato a piangere, e i pugni serrati tremano nel suo grembo. C’è qualcosa di familiare, in quegli occhi disperati, ma non c’è tempo di frugare nel viale dei ricordi.
-Un mostro, adesso…-
Cavendish fa cenno di sì, strappandosi le lacrime dal volto con una furia che non è sua. -Faceva caldo, mi sono assopito al timone. Il mio equipaggio, maledizione! A Gardoa è servito un trapianto di sangue.-
Anche tu, hai dei nakama cui volere bene? Cavendish è un guerriero leale, forse fin troppo. Per la prima volta che lo vede, il principe non sembra sapere dove muoversi. Sembra voler sparire dentro sé stesso – dove giace Hakuba – senza mai più parlare né vedere nessuno. Niente ammiratori, né applausi, nemmeno una cerimonia del tè con Farul e l’equipaggio. Non lasciarlo scappare, ordina Bartolomeo a sé stesso. Anche se ti sembra che ti si strappino le dita, non lasciarlo andare.
-Ti prego,- sussurra Cavendish. Gli trema il labbro, e il moccio si mischia con la saliva. -Ti prego, lasciami andare. Tanto lo so che non ce la fai più.-
Bartolomeo batte le dita incrociate contro la barriera con un rumore di percussione. -Sono qui per aiutarti, Cavolo. Non si abbandona un compagno in difficoltà. Hakuba non può nulla contro la mia barriera.-
Cavendish colpisce la barriera con un altro pugno, e un filo di sangue scorre dalle sue nocche. Gli tremano le ginocchia.
-Anche a te verrà sonno. Sarà la volta buona che ti decapito.-
Bellamy: Bartolomeo fa un passo indietro, e deve appoggiarsi alla balaustra per non perdere l’equilibrio. Cavendish ha gli occhi di Bellamy, quando il ragazzo-pesce della Famiglia Donquixiote lo aveva massacrato di calci come un sacco dell’immondizia. Così rossi, così sgranati, così disperati. Bellamy sta bene, ricorda a sé stesso. Luffy-senpai ci ha azzeccato come sempre. Luffy-senpai sa come comportarsi quando una persona è in mille pezzi, e il meglio cui lui può ambire è di assomigliargli almeno un po’. E Luffy-senpai vuole bene a Cavolo – Cavendish, almeno stavolta chiamalo Cavendish, la situazione è delicata e un capitano deve fare il capitano.
-Vorrei vederti provare. Sto comodo come un pascià, dietro questa barriera. Potrei restare con te finché non divento vecchio.- Abbassa le spalle, appoggia la mano al muro trasparente. -E lo farò, se servirà. Anche fino a mille anni. Finché non vorrai tornare a vivere.-
-E cosa ne guadagni?-
-Nulla. Ma Luffy-senpai mi ha insegnato a credere nelle persone, ed è quello che intendo fare. Hai una vita davanti. Non lasciare che quello stronzo decida per te.-
Cavendish serra le labbra, facendole svanire nella propria faccia. -Stai giocando con me, Bartolomeo?-
-Ho le dita incrociate, ma sono onesto al cento per cento.- Bartolomeo si avvicina alla barriera e sorride. -Siediti, mettiti comodo. Ho una barretta di cioccolato, se ti viene fame.-
Infila la mano nella tasca della giacca, ma le sue dita sprofondano in un liquido appiccicoso. Arrossisce. -È un po’ sciolta, ma il sapore…-
-Perché lo fai?-
Cavendish reclina la schiena contro la barriera e vi si siede contro con le ginocchia al petto. Freme, serra le braccia come se avesse freddo. Bartolomeo sfila le dita dalla tasca.
-Perché sei prezioso, sciocchino, e le cose preziose si trattano con riguardo. Sei uno di quei poveri complessati a cui fa schifo l’affetto?-
-Sono Hakuba. Preferirei mille volte essere un povero complessato. Il mio equipaggio sarebbe d’accordo.-
Il labbro di Cavendish trema, e ancor più le sue mani. Bartolomeo si lecca le dita incrociate, sporche di cioccolata. Tira fuori la lingua, perché il dito non accarezzi le zanne. Se quell’affare sente l’odore del sangue… ma no, non funziona così. Probabilmente nemmeno Cavendish conosce i segreti del bianco demone. Nessuna sorpresa che lo tema.
-Se tu sei Hakuba, io sono un cetriolo di mare. Tu sei Cavendish, punto e basta. Non combatti come Hakuba. Non parli come Hakuba. Neanche ci somigli, a Hakuba. -
Il principe tace, muove le dita nella stretta di Bartolomeo come per ricordarsi come funzionano.
-Tu invece assomigli,- sogghigna, -a un cetriolo di mare. Non a caso sono io quello con le fan.-
Una risata: amara, ma una. Bartolomeo sporge le labbra, mostrandosi offeso, ma torna a sorridere appena Cavendish singhiozza ancora. -Ed è per questo che devi avere cura di te. Quando ammiri qualcuno, quello diventa come un amico vero. Hai un equipaggio, hai le tue fan, hai Farul.- Il cavallo nitrisce dal prato dov’è rimasto,. -E adesso hai me e tutto il Barto Club. Il mare è vasto. Troveremo senz’altro qualcuno come te.-
Cavendish sfila dalla tasca un fazzoletto bianco bordato di pizzo, con ricamata su una C piena di arzigogoli. Si tampona gli occhi, il naso, il mento. -Qualcuno come me?-
-Non mi hai sentito? Proprio questo. Così ti sentirai meno solo, e forse riuscirai a insegnare chi comanda a quel bastardo con la faccia bianca.-
Cavendish si soffia il naso. -Dovrei sbandierare Hakuba come se nulla fosse.-
-L’hai sbandierato a me, a quegli stronzetti di Donquixiote, a Luffy-senpai in persona. Stavolta lo diresti alle persone giuste.- Serra i pugno, senza slacciare le dita. -Non posso vederti così, Cavendish.- Anche lui ha i pugni serrati, e tremano come se fossero troppo pesanti. -Sei un guerriero. Un gladiatore. Un capitano. Un amico di Luffy-senpai. Non meriti di soffrire in questo modo. Lasciati aiutare.-
Cavendish è prezioso, e le pietre preziose non hanno mai una sola faccia. C’è un Cavendish segreto e spaventato, dietro quel viso d’avorio. Un Cavendish che ha nella cabina un letto a baldacchino con copriletto di broccato e colonne di legno bianco scolpite a mano, ma non ci dorme. Che nasconde nell’armadio scolpito a rose una cella poco più grande di un ascensore, dalle pareti d’acciaio, che contiene null’altro che un materasso e delle coperte e si chiude dall’esterno con una chiave che non ha. Che riempie il lavello della Cavallo Bianco con tazze di porcellana colme di caffè. E che vuole così bene al suo equipaggio e al suo cavallo dal voler morire per una colpa non sua. Il Cavendish che ha conosciuto in quei lunghi due giorni, di cui Gardoa e Suleiman e Farul hanno pianto la scomparsa come per quello più conosciuto.
Un Cavendish che vuole, e merita di, vivere.
Il principe si succhia le labbra, allontana dalla faccia arrossata i boccoli infranti. -Mi fai uscire? Prometto che non mi butto.-
Ci siamo. Bartolomeo drizza la schiena. -Giura sulla tua bellezza, o non ti apro.-
-Giuro su quello che vuoi. Fammi uscire di qui, porco di quel cazzo!-
Purché tu smetta di imprecare. La Cavallo Bianco Addormentato nel Bosco ha lampadari di cristallo grossi come cannoni, tappeti ricamati con filigrana d’argento, una fottutissima sala da tè, con un servizio di porcellana bianca e azzurra che ti si spezza in mano se ci aliti troppo forte: un capitano che sbraita parolacce non le si addice, e Cavendish stesso deve essersene accorto. Bartolomeo allontana gli indici dai medi, e la barriera si ripiega su sé stessa nell’aria dorata del tramonto. Le guance del principe, senza quello schermo azzurro davanti, sono ancora più rosse. La barriera alle sue spalle rimane alta, ma sarà abbastanza?
-Ehi.- Bartolomeo fa un passo avanti, allungando le braccia. -Ti ho liberato. Adesso allontanati dal tetto, va bene?-
Cavendish si getta in avanti e affonda la faccia nell’incavo del suo collo.

La prima cosa che Bartolomeo nota è quanto soffici siano quei capelli biondi, anche scompigliati e senza la forma definita dei boccoli. Percorre le ciocche con la mano; Cavendish gli darebbe uno schiaffo, come minimo, se la situazione non fosse così sbagliata. Le guance rosse sono paffute, da accarezzare, e la boccuccia rosea trema tra i singhiozzi. Le braccia del principe si serrano alla sua spalla, le unghie sprofondano nella stoffa della sua giacca
-Ti tengo.- sussurra, pettinandogli i capelli con le dita. -Fai dei bei respiri. Non ti lascio.-
Cavendish tira su col naso, e le sue lacrime scorrono sul petto di Bartolomeo.
-Sono stanco. Non ce la faccio più. Sono un capitano di merda.-
-Su, su. Tieni chiusa la bocca, se non hai cose carine da dire. Ti tengo io, sfogati finché vuoi.-
Lo stringe a sé, lo culla avanti e indietro, mormora “shh” nel suo orecchio. La schiena di Cavendish si rilassa, il suo respiro rallenta. Sarebbe quasi poetico, se si addormentasse adesso. Ma non è ancora pronto per morire. Se Cavendish si muove, forse resterà sveglio con più facilità.
-Ti porto a terra, Cavolo.
-Mm-mh.-
Guida Cavendish alla cieca lungo la scalinata di barriere, mentre le sue lacrime bollenti gli scorrono fino allo stomaco. Annulla le barriere appena toccano terra, e massaggia la schiena del principe con le dita libere. Le mani di Cavendish, strette al suo petto, si serrano attorno alla sua schiena. Sono così piccole, realizza. Tutto in lui è raffinato, disegnato nei minimi dettagli da una mano attenta. È anche un grande guerriero, un capitano leale e capace, e tratta con riguardo persino quel dannato equino. Un fardello del genere non lo merita nessuno, ma lui…
Robin-senpai meritava forse di essere rapita da quei sette stronzetti? Luffy-senpai meritava forse di perdere il fratello in quel modo? O Brook-senpai, di finire solo senza più un equipaggio? Le cose brutte succedono alle belle persone. Cavendish è solo, come un bel fiore dentro una teca: alla fine Hakuba è riuscito a frantumare il cristallo. E le fan urlanti delle navi che gli vanno appresso da mesi non sono nakama.
Farul si ferma di fronte a loro, strofinando il muso nella schiena di Cavendish.
-Visto? Eccolo qui, sano e salvo.- Bartolomeo infila le braccia sotto le ascelle dell’altro e lo guida verso terra, in ginocchio sull’erba. -Shh,- gli sussurra all’orecchio. -Siamo qui con te.-
-Farul.- ansima Cavendish, e slaccia un braccio dalla schiena di Bartolomeo per accarezzargli la criniera. Ma non allontana il volto dal suo petto, né le lacrime rallentano. -Come ho potuto farti questo, amico di sempre? Nessuno a darti la Biada Deluxe Aromatizzata Al Tè Verde, a tenerti pulito e profumato.-
-Hai combattuto da tanto.- Bartolomeo sorride anche se l’altro non lo vede. -E hai compiuto quello che credevi un gesto coraggioso. Questo lo rispetto, e secondo me lo rispetta anche lui. Vero, Farul?-
Il cavallo nitrisce ancora, strusciandosi di nuovo contro la spalla del padroncino – e subito dopo su quella di Bartolomeo, leccandogli la giacca. La faccia del Cannibale ribolle: vuol dire che può stargli ancora più vicino. Una piccola barriera dove custodire Cavendish nel suo momento più delicato.
-Allora, Cavoletto,- sussurra. -Vuoi venire per mare con noi?-
Cavendish mormora un sì, ma suona finto. -Nel frattempo dovrò dormire ancora. Cos’altro potrei combinare?-
-Potrebbe. Quello non sei tu, ricordi.-
Cavendish ringhia. -Potrebbe. Potrebbe ammazzarli tutti sul serio. Potrebbe ammazzare te.-
-Robin-senpai credeva che la sua esistenza fosse un peccato. Eppure ha scelto di vivere, perché Luffy-senpai e gli altri hanno creduto in lei. Permettimi di fare lo stesso con te. Sarà un bel viaggio, da fare insieme. Un’occasione per smettere di litigare come bambinetti.-
E fare cosa, al suo posto? Cavendish sbatte le ciglia, lucide di lacrime. Non ha mai visto occhi azzurri così profondi, così teneri. Forse avrebbe dovuto asciugargli le lacrime con le dita, sarebbe una cosa gentile da fare per una persona in difficoltà, ma ha le unghie lunghe e il viso di Cavendish è troppo liscio e soffice. Sarebbe grazioso averlo anche lui così. Forse ha qualcos’altro da insegnare, oltre al coraggio.
-Torniamo alla Cavallo Bianco. Ne parleremo davanti a una tisana di petali di rosa.-
-Oh, sì.- Cavendish tira su col naso. -Prima che qualcun altro mi veda.-
-Mettiti la mia giacca, così non ti riconosceranno.-
-E avere addosso il tuo lezzo nauseabondo? Te lo puoi scordare. Cosa direbbero i miei ammiratori?-
Vorrebbe abbracciarlo, dopo quelle parole. Il vero Cavendish si fa largo dalla sua prigione lontana, e fa del suo coraggio la sua nuova Durlindana. Se i riflettori e la fama possono dargli conforto ben venga: Bartolomeo non capisce, ma non è suo compito capire. Non adesso che Cavendish vuole vivere.
Farul strofina il muso contro la spalla di Cavendish e gli lecca la faccia dal mento alla fronte. Gocce di bava pendono dai boccoli, un tenue rossore gli colora le guance.
-Oh, Farul…- Il principe gratta il muso dell’animale e gli carezza la criniera. -Grazie di cuore.-
-E a me niente?- Bartolomeo scuote la mano.
-Anche a te, dammi il tempo di finire. Ti sono grato, davvero. Mi hai fatto sentire speciale, ma in senso buono.-
-Non menzionarlo, davvero. Per una volta che le attenzioni ti sono dovute.-
Cavendish inspira, espira, rassetta la giacca sulla propria schiena. Ha un nasino a punta che viene voglia di premere con l’indice, una boccuccia a cuore che pare soffice come i petali delle tanto amate rose. Anche dietro un volto così bello si cela un mostro. Oppure è proprio il mostro che cela il vero Cavendish, e i suoi abiti non sono seta e broccato, ma stracci sporchi di sangue.
Tant’è: nessuno merita comunque di vivere solo.
Bartolomeo incrocia le dita. Una scalinata di barriere, uguale a quella del viaggio d’andata, si dispiega di fianco a Farul. -Prego, mio principe.-
Cavendish accenna un sorriso, e si siede contro il collo del cavallo. -Sali anche tu.-
-Ho chiuso, con i cavalli.- Bartolomeo arriccia il naso, e Cavendish allunga una mano bianca e liscia. Piega le dita verso di sé.
-Ho bisogno di qualcuno che mi tenga fermo se mi venisse un colpo di sonno. Ti prego, Barto. Non farmi chiedere oltre al mio equipaggio.-
Bartolomeo preme le mani sui fianchi: -Un secondo fine, dovevo immaginarlo. Ma sarò clemente. Luffy-senpai rinuncerebbe alla carne per un suo nakama. E poi mi hai supplicato. Vorrei avere un Dial per registrarti.-
-Ritiro ciò che ho detto. Non sei un cetriolo di mare, sei una sanguisuga.-
-Mi hanno chiamato in maniera peggiore.-
Bartolomeo scala le barriere e si siede alle spalle di Cavendish. La schiena di Farul è meno viscida, ma serra comunque le gambe attorno al pelo: l’ultima cosa di cui ha bisogno è una caduta comica. Non è così che riuscirà a far ridere Cavendish, anche se i suoi occhi arrossati non sembrano ricordare come si ride. I capelli sono privi di forma, la sua testa sembra incompleta senza il consueto berretto, e un clicchettio cadenzato emana dalla sua bocca.
-Stai battendo i denti, lo sai?-
Cavendish si guarda le mani, come se si aspettasse di vedervi sopra del sangue. Prende un profondo respiro, massaggiandosi le dita.
-Dammi quella giacca, prima che mi colga un assideramento.-
E il mio lezzo nauseabondo?, vorrebbe chiedere Bartolomeo, ma le sue labbra si rilassano in un sorriso silenzioso. Si sfila la giacca dalle spalle e la drappeggia attorno a quelle di Cavendish. Il principe inspira, carezzando la criniera di Farul, e reclina la testa sul petto di Bartolomeo.
-Cosa fai…-
-Sono sfinito. Confido che tu possa capire. Se restassi sveglio mi calerebbero le palpebre…-
Sta tremando ancora: Bartolomeo gli cinge la vita con il braccio. -Shh, lo capirò,- sussurra, e Cavendish emette un soave singulto. -Non cambiare mai, Cavolo.-
Lo stringe più forte a sé, appoggiando la guancia contro i suoi morbidi capelli biondi. Presto smetterà di tremare, e le sue guance sono lucide, ma asciutte. È così bello che verrebbe voglia di non lasciarlo più.
Dopotutto è di questo, che ha bisogno: qualcuno che non lo lasci quando si sente sprofondare. E Bartolomeo il Cannibale non è nessuno per dirgli di no.


A.A.:
Ho spesso espresso pensieri negativi sui gladiatori (non Donquixiote, Señor Pink a parte) del Colosseo della Corrida. Mettiamo un po’ in chiaro i dettagli. ALCUNI mi piacciono. Di Bellamy ho scritto già, e qui ne abbiamo altri tre.
Cavendish è un personaggio necessario: finalmente un belloccio esteta che non è solo una caricatura comica, ma un guerriero capace e un personaggio completo e anche oscuro, considerando Hakuba. Avrei preferito persino più profondità nel demone bianco, maggiore tormento per Cavendish. Ma qui ci penso io.
Bartolomeo è il combattente della Corrida non-Donquixiote (Team Didi For Life) che adoro di più. È forte, leale, vivace, e sa essere anche molto dolce quando necessario (ricordate come si comportato con Bellamy? Good stuff, good stuff). Con un Cavendish al limite del crollo psicologico, la sua empatia e il suo strano affetto sono necessarie per tenerlo in vita.
Non so quanto Hakuba valga come rappresentazione delle personalità multiple (direi poco), ma ho cercato di inserire un minimo di realismo e non trattare un killer psicopatico che ammazza gente a caso come un esempio affidabile di come funziona questa malattia mentale. Persino Bartolomeo Er Mejo Der Colosseo ha capito che lui, non affetto da DID, non può fare nulla da solo, e magari qualcun altro che comprende il problema in prima persona può intervenire in suo favore in maniera pù concreta.
Gardoa è un personaggio filler che compare un minuto nell’anime. Combatte alla Corrida contro Cavendish, ma il biondo principe gli fa un sedere a strisce. Mi sta simpatico, e mi piace il contrasto tra il giovane che lavora (Gardoa è ricco e veste bene con i soldi guadagnati da cacciatore di taglie) e il principe ereditiere, così l’ho reinventato come membro dei Pirati Splendidi. Avrei anche voluto menzionare Desire, l’amica d’infanzia di Barto comparsa in un altro filler, ma non ho trovato modo. Un giorno, forse…
È tutto anche per oggi, ci si vede domani per l’ultima coppia.
Lady R

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Capitolo 3
*** Un Pezzo Alla Volta ***


Titolo: Un Pezzo Alla Volta
Coppia: Eustass Kidd/Killer [Kamazo]
Setting: Wano
Prompt: Febbre


Il fuoco che crepita nel camino, l’acqua che ribolle nella pentola. Le gocce d’acqua dal lavello, che si frantumano sulla pietra. Il vento che ulula fuori dalle finestre.
La risata di Kamazo l’Ammazzauomini che giace tremando in un bagno di sudore.
Eustass Kidd percorre la sua guancia con il pollice, e si pulisce il dito umido nella camicia. Killer, si chiama Killer, e non c’è cornuto che possa portarglielo via. Kamazo è un impostore, e ha fatto la fine che si merita.
Un impostore neanche somigliante, dato che Killer parla, gli risponde articolando e no e persino grazie, si appoggia alla sua spalla quando non ce la fa più a camminare, e soffoca la sua terribile e infausta risata nel palmo della mano. Probabilmente crede che non lo veda.
Kidd percorre con le dita il muro della capanna. Deve essere la stessa pietra della cella che l’ha contenuto per settimane, e quell’unica stanza è persino più piccola, ma non intende lasciare che questo lo demoralizzi. Ha Killer. Ha un tetto sulla testa, della pasta calda per rifocillarsi, e una nuova stella da inseguire: vendetta.
Killer trema sotto il suo cappotto di pelliccia, sogghigna un pianto contro il cuscino. Sarà più felice, quando si sveglierà. Si capisce quando il suo sorriso è vero e quando è lo Smile a tirargli la faccia. Le pieghe al bordo della sua bocca sono meno pronunciate, i denti sono più coperti, e gli occhi guardano lui anziché svanire verso il cielo.
Killer ha i capelli sciolti, come dovrebbero essere. Non sono più dorati, né soffici al tocco, e la forma del suo viso non assomiglia a nulla del compagno che conosce. Troveremo un’altra maschera, gli aveva giurato. Farà sembrare quella vecchia un giocattolo da bambini. Solo dopo aveva realizzato che insultare la sua vecchia maschera – il volto di Killer – non avrebbe fatto nulla di buono al suo ultimo compagno.
Forse l’unico. Ed è quando pensa cose del genere che Kidd vorrebbe sbattere la testa contro il muro finché uno dei due non si frantuma.
Kidd infilza uno spaghetto con la forchetta e lo porta alla bocca. Morbido, come piace a lui. Acqua bollente gocciola sulle dita del suo unico braccio mentre la scola, ma il bruciore non esiste se non vuole sentirlo. Deve ringraziare Kaido, per questo: ha cancellato dalla sua vita qualunque altro dolore.
Depone il piatto pronto sullo sgabello accanto al letto di Killer. Il cuscino è fradicio attorno alla sua testa, gocce di sudore gli scorrono fino al mento. Le labbra violacee balbettano un faffaffaffaffa che non pare quasi suo.
E poi sgrana gli occhi, si tira a sedere, e si aggrappa a Kidd come se anche nel sonno avesse saputo dove trovarlo.
-Faffaffaffa… ah, ah.-
-Fai piano.- Kidd cinge il compagno con l’unico braccio e avvicina la sua guancia al suo petto. Che Killer lo senta, che si ricordi chi è e dove si trova. Le parole di conforto non hanno senso se non può replicare.
Killer affonda le unghie nella sua schiena e urla nel suo petto una risata straziante. Kidd scuote la testa, massaggiandogli la nuca. -Piano, così. Non era reale.-
La realtà fa male, lo fanno anche i sogni: Killer non ha dove nascondersi per riprendere fiato. Ansiti cadenzati intervallano la risata maledetta, e il volto del suo compagno si allontana dal suo petto.
-Faffa?-
-Siamo solo noi due, Killer. Mettiti tranquillo.-
Fa cenno di sì, rannicchiandosi nel cappotto di pelliccia. Sta meglio a lui che a me. Allontana dal volto una ciocca bionda e raccoglie le gambe al petto. Indica il piatto di pasta con un cenno del capo. Kidd lo prende e vi si siede.
-Mica male, eh? Pasta aglio e olio, la tua preferita. Hai bisogno di buttar giù qualcosa, col freddo che fa.-
Uno spicchio d’aglio, ammuffito alla punta, ficcato sul fondo di un cassetto, e una bottiglia di plastica colma d’olio per metà. Quei disgraziati hanno portato qualcosa di utile oltre a un rifugio per la notte – meno utili le loro suppliche, le loro preghiere, quelle mani sudicie e scarne aggrappate al cappotto di Kidd e al kimono di Killer come se loro fossero in grado di fermarli. Forse, sul fondo del pozzo dove lui e Killer hanno gettato i loro corpi, sono più sereni del suo mutilato compagno. Cosa che Kidd non può tollerare.
-Faffaffafafa…- Killer sbatte le palpebre, massaggiandosi gli occhi con il palmo. -Buona…-
Eccolo, per un attimo, fugace come un battito d’ali: il vero sorriso di Killer che sbuca da dietro quell’orribile maschera di carne. Le pieghe sugli zigomi si rilassano, gli occhi luccicano. Kidd gli porge la forchetta e lo guarda mangiare.
-Macchiami il cappotto e ti butto nel pozzo con loro.-
-Faffaffa…- le labbra sorridenti di Killer tremano, la lingua vi trema sopra leccando l’olio che vi gocciola. Il naso trema sopra il fumo odoroso.
-Prego. Meglio dei fagioli di ieri, eh?-
Killer annuisce, succhia gli spaghetti in bocca schizzandosi olio in faccia. Una galassia di macchie rosse percorre le sue guance, si accumula sul naso, gli spezza a metà le sopracciglia. Lo Smile difettoso era solo la punta dell’iceberg. E Killer era il pezzo più grosso dopo di me: ai pesci piccoli non sarà fatta la cortesia di un nome.
Basta: credere che Wire e Heat e gli altri siano vivi è il minimo che possono fare per sé stessi. I Pirati di Kidd non hanno bisogno di una Victoria Punk o di barili pieni di vino per essere chi sono – come Killer non ha bisogno di una maschera, o delle sue famose lame rotanti, per essere Killer e stare al suo fianco. Hanno recriminato anche troppo. È bene che quello che può tornare com’era lo faccia. Kidd deve sorridere, non Killer. Killer deve tacere, non Kidd. Nessuna bestia di ‘stocazzo può dirci quello che dobbiamo fare.
Killer depone il piatto vuoto sullo sgabello e si pulisce le mani unte nei pantaloni: -Faffa.-
-Sazio? Benissimo, allora. Mettiti giù. Domani ci aspetta una giornata campale.-
Dormono abbracciati, nella fuga, avvolti nella giacca di pelliccia di Kidd come un sol’uomo. Wano non è una terra fredda, ma per Kidd è come se il gelo della vasca dove erano stati sommersi si fosse incollato per sempre alla sua carne. Anche Killer trema, nella sua mezza stretta, e a volte si svegliano entrambi con le guance rosse e gli occhi doloranti.
Gli occhi di Killer – da quanto tempo non li ha visti. Probabilmente nemmeno il mare di Raftel è di un azzurro così. Ma sono lucidi, e non è giusto. A volte Kidd sogna di conficcare una spada nel collo di Kaido – una spada fatta di mille spade, piegate alla sua volontà e al suo Frutto del Diavolo – e porre fine agli incubi del suo compagno una volta per tutte. Il massimo che può fare, adesso che sono soli, è promettere di non farlo mai più finire in quelle zampe infami: anche a costo di ucciderlo, come gli ha promesso durante la prima notte da soli. Non sei suo, Killer, e non lo sarai mai. Su questo puoi contare.
Killer rabbrividisce sotto il cappotto di pelliccia, serra le dita su di esso piegando la stoffa. Balbetta un faffaffa tremante, battendo i denti con un rumore cadenzato. Ha la pelle d’oca, il collo suda. Se avesse ancora le sue lame rotanti, probabilmente gli cadrebbero dalle dita.
-Ohi?-
Killer scuote la testa e brontola un faffaffa più strascicato che mai.
-Lo so. Neanch’io ho sonno.- Kidd si siede sul materasso e dà a Killer una pacca sulla spalla. -E pensare che ho dormito così poco, nello scantinato di quel muflone del cazzo.-
Dove sono i miei compagni, strillava aggrappato alle brache di Queen. Cosa avete fatto a Killer? Dove sono Wire, Heat e gli altri? Rispondimi, brutto stronzo! Da uno degli Okama più potenti della terra ci si aspetterebbe un po’ di riguardo verso i suoi colleghi. Eppure erano state le sue mani a strappare il corsetto dal petto di Heat, e le sue zanne a smagliare le calze di Wire mentre il suo forcone giaceva in frantumi contro la parete rocciosa.
E a legarci le catene ai piedi, come fossimo insaccati. Kidd serra l’unico pugno: deve dimenticare, se vuole mantenere in piedi ciò che resta del suo equipaggio. Se è davvero il “Capitano”, lo sarà in tutto e per tutto.
-Non stiamocene qui come belle statuine. Troviamo qualcosa da fare. Almeno ci fosse del vino.-
Ma non c’è, perché quei merdosi di contadini sono astemi e non servono veramente a niente. Killer gli porge la mano aperta e Kidd la prende, tirandolo in piedi.
Non avrebbe dovuto toglierle, quelle bende. Killer ha le guance incavate, coperte da un’incolta peluria paglierina. Persino i capelli, finalmente sciolti, sono del colore sbagliato: troppo opachi, troppo marroni, troppo secchi. Quando glieli accarezza gliene rimangono manciate intere tra le dita.
Ad almeno un orrore, si può rimediare. -In bagno ho trovato rasoio e schiuma da barba. Ci stai?-
Killer fa cenno di sì, e si accarezza il mento pruriginoso. Deve appoggiarsi alla spalla di Kidd per alzarsi, e impiega interi secondi per fare un solo passo. Con quelle gambe tremanti, un tempo, ci combatteva i Pacifista senza problemi. Dovrebbe tenerle in forma per prendere a calci la faccia di merda di Kaido, non traballarci sopra come un ragazzino che fa i primi passi. Si chinano sotto la porta del bagno, e lo guida a sedersi su un gabinetto sbeccato, ma pulito.
C’è uno specchio rettangolare, storto, sopra il lavello. Killer solleva lo sguardo dal pavimento, ma si copre gli occhi appena ha il collo dritto. La schiena sbatte contro le piastrelle del muro.
-Non guardarlo, Killer.- Kidd solleva il braccio. -Non ci pensare. Adesso ti rilassi.-
Non c’è niente per coprirgli il petto, nemmeno uno straccio. Indossa ancora il suo cappotto di pelliccia, ma non osa chiedergli di toglierlo. Meno vede, meglio starà, e più Killer emergerà dalla prigione in cui l’hanno ficcato le Bestie. Che razza di pirata si preoccupa di sporcarsi? A Wano, poi? Può prendersela con Kaido anche per questo, come fa sempre. Lo terrà sveglio e concentrato, come il freddo che durante i viaggi notturni gli impediva di addormentarsi.
Adesso è un’altra, la ragione per cui lui e Killer non dormono.
Il suo compagno chiude gli occhi e porge il volto al suo rasoio. Kidd gli massaggia la guancia con l’unica mano che ha, cospargendola di schiuma dall’orecchio al mento. Quegli occhi azzurri lo seguono ad ogni movimento, lucidi e curiosi. Killer ha le labbra serrate in quel sorriso orrendo, la fronte imperlata di sudore, i denti che battono di febbre.
-Wire…- rantola dopo un po’. -Heat. Faffaffa.-
-Li troveremo, Killer. Siamo in due, e siamo incazzati.-
Il sorriso di Killer trema, i denti battono. Dita tremanti indicano i dettagli del suo volto, percorrono il contorno di quel sorriso orrendo.
-Se diranno qualcosa di sbagliato,- ringhia Kidd, -non faranno più parte di questo equipaggio.-
-Onesti.-
Se c’è qualcuno che ha odiato davvero Kamazo, più delle sue vittime, quello è Killer. Kidd serra l’unico pugno e depone il rasoio nella bacinella. -Non lo diranno comunque, Killer. Ti adorano, e tu lo sai. Non sono scemi, lo sanno che è tutta colpa di Kaido.-
-Faffa.- Killer piega la guancia di lato, perché il rasoio la percorra. Serra la bocca sorridente, i denti digrignano sotto le labbra. Kidd gli solleva il mento con le dita, carezzandogli le guance ruvide. E umide: ritrae il braccio, con la pelle d’oca.
No. Non sta succedendo. Non di nuovo. -Killer, che c’è?-
Non riesce neanche a infastidirsi quando la risposta che riceve è “faffaffa”. Killer chiude le braccia attorno alla testa, soffocando i singhiozzi negli avambracci. Anche lui ha la pelle d’oca, e solo adesso Kidd si accorge di quanto sia bianca e sottile la sua pelle.
-Killer? Che c’è?-
-Fa…- Un risolino strozzato e le nocche che si tendono: ecco cos’è diventato il Soldato Massacratore. Kidd appoggia la mano su una di quelle nocche e la stringe: le unghie di Killer grattano contro la sua pelle e riaccendono i suoi sensi intorpiditi. In qualunque momento potrebbe perderlo – un’altra gentile lezione di Kaido, che sia mille volte maledetto – e non può lasciare che i pensieri lo conducano via da lui.
-Su, Killer. Non ti riconosco più.-
-Non sai…- tossisce Killer, e si stringe a lui più forte. La guancia destra, quella senza schiuma, preme contro il suo petto umida e calda.
Tre volte – tre – uno dei Pirati di Kidd è stato visto piangere. Heat aveva afferrato la giacca del suo capitano, in ginocchio, pregandolo di riportare il corsetto al negozio dove l’avevano preso. -L’abbiamo rubato, imbecille. Anche se fosse, non abbiamo scontrini da restituire.- Era stato proprio Killer a farsi avanti, stringendo nelle sue le mani del compagno. -Sei un pirata, Heat. A nessuno frega niente se ti vesti da donna. E se qualcuno ride dillo pure a me: non mi chiamano Killer per niente.-
Wire si era rannicchiato in una palla, coprendosi il volto col cappuccio. -Lasciaci andare, lasciaci, questo equipaggio è tutto quello che ho.- Queen gli aveva sferrato uno schiaffo tale da rovesciarlo di schiena, e le lacrime si erano fatte rosse sul suo volto immobile.
E Kidd stesso, nelle viscere di quella schifosa miniera, troppo debole anche per alzare la testa, scosso da brividi che bruciavano come frustate. Se anche l’avessero visto, e si fossero permessi di dire qualcosa di sbagliato, non avrebbe mai potuto fargliela pagare.
Kamazo piangeva, quando si erano trovati, ma Kamazo non è Killer. Biasimare Killer per le azioni di Kamazo è uno sputo in faccia dei più infami. Killer batte i denti, e sfiorandogli il volto Kidd sente caldo. La fronte di Killer, che per anni rimase nascosta assieme alla sua bocca. Soffice.
-Ti do una sistemata, ti scaldo del sakè. Ce la godiamo alle spalle di tutti.-
Stavolta niente “faffa”: Killer annuisce e si asciuga le guance.

Gli ha lasciato il pizzetto, nel mezzo del mento. Quel giallo paglia non somiglia a Killer, nemmeno a quello che conobbe da bambino, ma deve accontentarsi. Se Kaido si è permesso di accusare lui e Killer di non prendere sul serio la pirateria, sarà ancora più divertente vendicarsi se potranno portare che si sbaglia.
-Come te la passi?-
Killer si tampona la fronte con un angolo della sua coperta e si stringe le ginocchia nel braccio. La tazza di sakè giace vuota al suo fianco. Sorride un sospiro triste, ma i suoi occhi sono più asciutti. Porta la mano alla bocca, simulando uno sbadiglio.
-Finalmente.- Anche Kidd sorride, ma lui lo vuole. -Devi riposare. Non possiamo metterglielo in culo a Kaido se sei debole. E poi non te lo meriti.-
Killer scivola fuori dalla coperta e gli porge le braccia aperte. Piega le mani verso di sé, e quel sorriso sembra, per un attimo fugace, sincero.
Andrà avanti così, giorno dopo giorno, e forse non finirà mai. Kidd si godrebbe quel sorriso se non sapesse che una frazione di esso non proviene da Killer. Anche adesso, seduti al calduccio e con una buona bevanda, il suo compagno di sempre è costretto a combattere ancora. Nessuna sorpresa che sia così debole – e Kidd non sa quanto ancora lo potrà accudire.
Si sdraia al suo fianco, in un giaciglio che probabilmente apparteneva a quei disgraziati contadini. Killer giace sopra di lui, guancia contro guancia, petto contro petto, e il battito del suo cuore sta rallentando. Piano piano, un passo alla volta: anche quando si costruisce qualcosa, bisogna essere fieri di sé per ogni piccolo ingranaggio avvitato. Killer deve essere orgoglioso di essere Killer, di riavere una parvenza di una faccia sua e un frammento del suo vecchio equipaggio.
Kidd glielo ripete all’orecchio mentre si accomoda contro di lui e tira coperta e cappotto addosso a entrambi. -È finito, Killer. È tutto passato. Niente più Kamazo e niente più Kaido. Niente più alleanze. Solo io e te, e chi è riuscito a piacerci abbastanza.-
-Faffafa… sì, sì…-
La mano di Killer, tremante, si stringe alla sua. Kidd risponde alla stretta.
-Se la vendetta non ti basta pensa ad altro. Ma pensa, Killer. Le bestie non pensano, e noi non siamo bestie.-
Killer annuisce contro il suo petto, sbadigliando e ridendo. È ancora caldo: più che mai, Kidd giura che nessuno glielo porterà via.


A.A.:
Quello che è accaduto a Killer quando Kaido gli ha messo addosso le mani è devastante, uno dei momenti non-flashback più dolorosi di tutta la saga. Kaido gli ha strappato via le sue sembianze e il suo nome, lo ha costretto a vivere eternamente un frammento del suo passato che odia (strano, qualche arco fa prendere in giro la gente era molto meno simpatizzante… hem hem) e lo ha ridotto a un burattino nelle sue mani.
Per fortuna sono liberi, adesso. Kidd sarà anche una brutta persona, ma è palese che vuole bene a Killer e non permetterà che subisca altro dolore.
Eustass Kidd non è un personaggio impopolare, ma la Kidd/Killer lo è sicuro, specie se paragonata alla più gettonata Kidd/Law. A me non convince, forse perché non amo particolarmente Trafalgar D. Water Law. Mi piace di più la chimica che ha con Killer, mi sembra più immediata e più significativa.
Ho deciso di dare a questi due disgraziati qualche coccola dopo il disastro di Wano, e un po’ di speranza per il futuro nel nome del queer-coding e degli abbracci. Anche se quei “faffaffa” continuano a far malissimo.
Spero che questa raccolta vi sia piaciuta. Sono contenta della mia creazione.
È bene che torni ai miei doveri MATERNI…
Lady R

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