Le nostre storie

di fedegelmi
(/viewuser.php?uid=1007138)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La chiave dentro di noi ***
Capitolo 2: *** Il peso delle parole ***



Capitolo 1
*** La chiave dentro di noi ***


Piccola introduzione:

Questa è la prima storia che scrivo sulla base del concorso mensile che ho proposto sul mio account di Instagram (fedegelmi); l'idea mi è stata proposta da Elena ed è la seguente: thriller psicologico che riguarda una donna che viene sedotta da un tipo bello, ma losco; dev'esserci di mezzo anche un morto (decisione di come, quando e con quali mezzi lasciata all'autrice).


 

Storia (buona lettura):

Camminava sui ciottoli facendo ben attenzione a dove metteva i piedi: quella mattina, quando si era svegliata, non pensava che sarebbe dovuta accorrere su una scena del crimine in aperta campagna, per quel motivo ora sfoggiava dei laccati tacchi neri al posto di comode scarpe da tennis.

«Cosa abbiamo qui?» chiese una volta giunta sul luogo del delitto.

«Roba brutta, terribile» sospirò un uomo alzandosi da terra.

Mario Sanna era il medico legale più sensibile e catastrofico che avesse mai conosciuto nei suoi trentacinque anni di vita - non che prima di entrare in polizia ne avesse mai conosciuti -; ogni morto in cui incappava, per lui, era il peggiore che avesse mai visto.

Questa volta, però, dovette dargli ragione, perché davanti ai suoi occhi non vedeva altro che un macello, letteralmente: non era rimasto praticamente nulla di integro della donna rimasta vittima di questo sfacelo perché era stata fatta a fettine e poi ricomposta a casaccio.

Ormai i conati di vomito non le venivano più, però non poteva dire di essersi abituata, quello no.

Si girò dando le spalle al cadavere e prese un profondo respiro.

Non si era accorta che, da lontano, qualcuno la stava osservando.

 

-

 

Quando rientrò in centrale non si aspettava di certo di ritrovarsi attaccata dai giornalisti avvoltoi.

«Come diavolo hanno fatto a scoprirlo così in fretta?» sbottò al collega che l'aveva raggiunta sulla scena del crimine dopo alcuni minuti dal suo arrivo.

«Non ne ho idea» sospirò in risposta.

Luigi Carbone le era stato assegnato come spalla per quel caso e non avrebbero potuto scegliere uomo migliore, perché lui, di orrori, ne aveva visti parecchi nei suoi cinquantotto anni di vita.

Uscirono con qualche difficoltà dall'auto ignari che la macchina che si era fermata poco più indietro li avesse seguiti dal luogo del delitto fino alla centrale.

L'uomo che la guidava li osservava in silenzio con le mani strette sul volante, le nocche bianche per la presa troppo salda.

Osservò la donna finché non sparì dietro al portone d'ingresso, dopodiché si rilassò abbassando il finestrino.

Si accese una sigaretta, mentre con lo sguardo non perdeva di vista nemmeno per un secondo il punto dentro cui l'aveva vista sparire.

 

-

 

Uscì dalla centrale che era appena calata la luce.

Erano giorni che lavoravano al caso, ma si trovavano ad un punto morto e non erano ancora riusciti a cavare un ragno dal buco.

Decise, quindi, di recarsi a casa per farsi una doccia e, successivamente, di andare a cenare fuori: non aveva voglia di stare sola.

Rimuginò su quello che sapevano.

La vittima si chiamava Valeria Morelli, aveva la sua stessa età e, sin da quando l'aveva scoperto, l'aveva sconvolta la somiglianza con lei: lunghi capelli biondi, occhi nocciola e lineamenti dolci. Si era inorridita quando si era resa conto che non aveva potuto notarlo prima a causa delle condizioni in cui verteva il suo cadavere e, dopo la perizia, aveva provato un forte senso di dispiacere nell'apprendere che era stata fatta a pezzi quando era ancora viva, sebbene non nello stesso luogo nel quale era stata trovata.

Con l'acqua calda cercò di lavare via i brutti pensieri e decise di smetterla di pensare al lavoro e, invece, cominciare a concentrarsi sulla serata non ancora iniziata; si sarebbe dedicata solo a sé stessa.

 

-

 

Entrò nel solito pub sotto casa salutando il proprietario.

«Tavolo per due?» chiese speranzoso guardando alle sue spalle come se, da un momento all'altro, potesse apparire un accompagnatore.

«Il solito» rispose la donna sorridendo.

Quella domanda così abituale, la divertiva e intristiva allo tempo stesso ogni volta che andava al Piede di Porco - e ormai accadeva davvero spesso.

Si accomodò al solito tavolo e ordinò del buon cibo e una birra.

Non appena arrivo quanto chiesto, cominciò a mangiare, ma venne subito interrotta da un affascinante uomo che le si sedette davanti prendendo una sedia dal tavolo di fianco.

«Cosa ci fa una splendida donna come te, da sola in questo pub?» le domandò con un sorriso gentile.

«Magari questa donna non ha mai trovato la compagnia giusta» gli rispose a tono incuriosita da questo approccio inaspettato.

Si chiese se l'avesse notata a causa dello shampoo nuovo che aveva testato proprio quella sera.

«Mi chiamo Matteo» disse porgendole la mano.

«Gemma» ricambiò.

«Un nome azzeccato, direi. Gemma... una donna tutta pepe, che ama darsi da fare; detesta la pigrizia, deve sempre fare qualcosa per sentirsi appagata. Le principali qualità che le vengono riconosciute sono la forza e la determinazione⁽¹⁾. Non ti conosco ancora, ma sento che sia esattamente così, non è vero?»

La bionda strabuzzò gli occhi stupita, ma diffidente, e forse fu questo a spingere l'uomo a giustificarsi.

«Studio gli antroponimi per passione, in sostanza sarebbe lo studio del significato e dell'origine dei nomi propri».

«Molto interessante» rispose colpita. «E allora il tuo nome cosa indica?»

«Beh, secondo gli studi ho una personalità poliedrica, sono un grande osservatore e so come comportarmi in ogni situazione; sono sempre disponibile con gli altri e sono generoso⁽¹⁾».

«E ti ci ritrovi in questa descrizione?» gli chiese ammiccando.

«Generalmente sì. A te, invece, non ho bisogno di chiederlo, giusto?»

La donna lo guardò inclinando la testa, non riuscendo a capire cosa volesse dire.

«Il distintivo» le disse lui indicando l'oggetto posto sopra al tavolo. «La tua determinazione e la tua forza devono essere tutte riposte lì, anche se potrebbe essere proprio questo il motivo per cui sei sola... Lo usi come scudo dagli uomini? Per questo lo appoggi in bella vista?»

Gemma inarcò un sopracciglio non capendo se fosse attratta o infastidita dalla presenza dell'uomo: i loro scambi di battute erano contrastanti, ma i suoi occhi blu e il suo sorriso erano una certezza.

«Fai lo psicologo di professione o cosa?»

«Devi scusarmi, dev'essere un'abitudine del passato. Ho studiato psicologia da ragazzo, ma poi sono finito per fare il segretario di una psicologa» disse cercando di mascherare la frustrazione con una risata.

«Anche io temo di farmi prendere spesso dalle abitudini» commentò pensierosa. «Che ne dici di continuare a farmi compagnia ordinando qualcosa?» gli propose, poi, ricordandosi della promessa che si era fatta prima di uscire di casa: si sarebbe dedicata solo a sé stessa.

«Molto volentieri».

 

-

 

Chiacchierarono e flirtarono per qualche ora, fino a quando il pub non cominciò a svuotarsi.

«Mi spiace Gemma, ma devo proprio chiudere» disse il proprietario avvicinandosi al loro tavolo.

«Nessun problema, Gio! Ce ne andiamo subito».

Prima di dirigersi verso la cassa per farli pagare, le fece un cenno di intesa felice che finalmente avesse trovato compagnia.

Ma sì, pensò lei, per una volta posso anche permettermi di avere un'avventura da una notte e via, anche se non dovrei più avere l'età per farlo.

Si accinsero all'uscita, ma prima che la donna potesse fare qualsiasi cosa, Matteo la anticipò.

«Pago tutto io» disse tirando fuori qualche banconota.

«Non devi farlo per forza!» commentò Gemma mettendogli una mano sulla spalla.

«Non lo faccio per forza, ma perché voglio. Non preoccupartene» la liquidò con un sorriso accarezzandole la mano affettuosamente.

Decise di non insistere e accettare quel gesto, per una volta, così uscì dal locale per accendersi una sigaretta.

Lui la raggiunse qualche secondo dopo imitandola.

Fumarono all'esterno del pub continuando a parlare del più e del meno finché, ormai in dirittura d'arrivo, la poliziotta decise di fare quello che, ne era certa, avrebbe desiderato anche lui. «Senti, ti andrebbe di salire da me per un caffè? O un digestivo, come preferisci. Abito proprio sopra il Piede di Porco».

«Il digestivo magari no, dopo tutte quelle birre, ma un caffè volentieri».

Spensero le sigarette nel posacenere davanti all'ingresso del locale e si diressero al portone.

Non appena furono dentro casa, bastò uno sguardo per far sì che i loro corpi si attraessero come calamite iniziando a baciarsi e spogliarsi.

Lasciarono una scia di vestiti dietro di loro fino alla camera da letto, dove, nudi, approfondirono i baci accompagnandoli alle carezze, mentre facevano scoprire i loro corpi l'una all'altro.

Si unirono in quello che non poteva essere definito "amore" perché privo di qualsivoglia attenzione, ma carico di passione allo stato puro.

Goderono del piacere fino allo sfinimento lasciando che la stanza si impregnasse dei loro odori, infine si stesero sul letto stremati ma leggeri, come se si fossero appena liberati dei problemi.

Rimasero in silenzio qualche minuto, in sottofondo solo il suono dei loro respiri che si facevano via via meno accelerati, fino a che Matteo non interruppe la quiete.

«Wow» commentò voltandosi verso di lei. «Sei stata incredibile».

«Già, è stato proprio wow» gli rispose ricambiando lo sguardo.

Si sorrisero e Gemma scivolò verso di lui appoggiando la testa sul suo petto, mentre lui la circondò con il braccio.

Si sentì bene, protetta, ma sapeva che era solo una sensazione dovuta al sesso appena fatto.

«Sai, mi è stato detto che in qualcuno si nasconde la chiave per guarire i miei demoni» mormorò dopo qualche minuto Matteo, accarezzandole il capo dolcemente.

«E chi te l'avrebbe detto?» sorrise lei passando un dito sul suo petto nudo.

«Una... persona di cui mi fido ciecamente. E vuoi sapere un'altra cosa?». La donna annuì, spronandolo a continuare. «Mi ha detto che quel qualcuno avrebbe avuto lunghi capelli biondi, occhi color nocciola e lineamenti dolci».

La donna perse un battito: le sembrava una dichiarazione d'amore bella e buona e lei non cercava affatto quello, ma solo sesso.

Si alzò reggendosi su un gomito e, con la testa bassa, sospirò. «Ascolta, Matteo, non fraintendermi, ma io...» alzò lo sguardo e l'ultima cosa che vide furono i suoi occhi: non erano più del blu intenso che ricordava, erano diventati puro e freddo ghiaccio.

 

-

 

Quella donna gli sembrava più impertinente delle altre: a differenza loro, lei, prima che le facesse perdere i sensi, aveva intavolato la classica frase per scaricare un uomo.

Il suo scopo finale sarebbe stato comunque quello di farla svenire per poi avere la possibilità di farle ciò che più gli interessava, ma aveva affrettato le cose a causa di quel suo intervento presuntuoso.

«Già vi odio, maledette,» disse ad alta voce rivolto a Gemma, ancora priva di sensi. «se poi tu osi rifiutarmi dopo avermi scopato, non fai che aumentare questo sentimento». La trascinò lungo la camera da letto per poi legarla al calorifero. «Non vedo l'ora di farti a pezzi per trovare la mia chiave».

 

 

Nota⁽¹⁾: le informazioni sono state tutte prese dal sito "paginainizio.com nomi".

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il peso delle parole ***


Piccola introduzione:

 

La seconda storia nata dal concorso di novembre, mi è stata proposta da Nicolò; di seguito, vi riporto la trama e l'idea.

Un grillo di nome Acriz era nato con un talento incredibile: aveva interesse verso qualsiasi materia. A lui interessava qualsiasi cosa, gli altri grilli, però, non riconoscevano in lui questa peculiarità (tranne la sua dolce metà Zacria, che era il suo opposto, razionale e logica all'estremo; lei vedeva in lui un talento). Acriz parlava e parlava, fiumi di parole che sembravano non arrivare agli altri, si sentiva sempre a disagio e sempre solo; si sentiva come un elefante in un mondo di pesci rossi. Aveva un modo di cogliere il peso delle parole che nessuno riusciva a concepire. Per lui utilizzare una parola al posto di un'altra era un dilemma, passava ore a pensare e pensare alle parole migliori. Per lui erano il significato stesso, il mezzo per giungere ad esso; una Poesia per quanto esile è in grado di uccidere o di salvare, secondo Acriz. Per Zacria, invece, questo mezzo era l'algebra.

Vorrei che parlassi della sua storia e inventassi un finale, in sostanza volevo proporti una storia sul peso delle parole e sulla noncuranza, spesso, del loro utilizzo nel mondo post moderno.

 

 

Storia (buona lettura):

 

Il grillo di nome Acriz aveva un problema enorme: nessuno riconosceva e apprezzava la sua peculiarità di avere interesse verso qualsiasi materia.

Questo influiva molto sul suo umore, che spesso si tramutava da allegro a sconsolato.

Certo, aveva la fortuna di avere una moglie che lo sosteneva e amava con tutta sé stessa, ma quando era solo, non riusciva a farsi forza col solo pensiero di lei.

Per questo motivo, mentre parlava con altri grilli nella piazza del loro bel paesino, sentiva di starsi pian piano consumando in vane parole che nessuno avrebbe veramente ascoltato.

«...ed è così che ho scoperto come tutte le cellule sono racchiuse da una membrana che le protegge dall'ambiente esterno e ne preserva il potenziale elettrico» concluse il discorso azzardando un sorriso.

«Non credi di star esagerando un po', Acriz?» ridacchiò uno dei compaesani. «Dovresti solo concentrarti sul tuo lavoro: per cantare come si deve hai bisogno di non affaticare il cervello» esclamò facendo sfregare la serie di creste presenti sull'ala contro il raschietto sulla fascia opposta.

«Già, ha ragione Critio» concordò un altro. «Ognuno deve concentrarsi solo sul suo lavoro e sulla sua grillina. Tu non sei ancora passato ai figli, non è così? Dovresti farlo, è un tuo dovere».

«Ma è grazie a ciò che leggo e imparo che riesco a produrre un canto migliore, non capite? Riesco a trasmettere emozioni più forti e a far crescere più vigorose le piante e le erbe!» ribatté Acriz cercando disperatamente di far capire loro il suo pensiero.

«Le piante non hanno emozioni, non puoi dargliele» lo derisero.

«Certo che le provano! Nei miei canti ci sono delle parole apposta per loro, e sono le stesse parole che le hanno aiutate ad essere più rigogliose da quando ho iniziato a dedicargliele. Tutte le parole hanno un peso e variano dalla situazione nella quale si utilizzano; persino ora dovremmo fare attenzione a quelle che usiamo per parlare tra noi».

«Non so cosa tu voglia dirci con questo, ma posso assicurarti che le piante non hanno nulla, neanche le erbe. Servono solo per nutrirci e difenderci» disse Critio tagliente.

«Nessuno di noi può dirti che non sei bravo a fare il tuo lavoro,» continuò un altro. «ma posso assicurarti che non sei l'unico a poterlo fare nello stesso modo. Non distrarti, se non vuoi perdere il tuo posto».

E così tutti tornarono a sbrigare le proprie faccende, lasciando Acriz solo con i suoi pensieri e le sue amate parole.

La piazza era gremita di grilli, eppure si sentiva come se neanche uno lo vedesse con la stessa luce con cui lo vedeva la dolce moglie; avrebbe tanto desiderato che, un giorno, qualcuno gli dicesse ciò di cui aveva davvero bisogno perché, fino ad allora, nessuno, nemmeno lei, era ancora riuscito a farlo.

 

Acriz si stava rilassando sul divano della sua bella casa in mezzo ai prati, quando fece ingresso la moglie Zacria - anch'ella con lo stesso aspetto del marito - con un tomo in mano.

Nonostante lei non comprendesse la passione di lui per tutto ciò che poteva essere letto - anche, forse, a causa del suo amore per l'algebra -, le piaceva comprare libri da regalargli, in modo da saziare la sua fame di sapere; lo ammirava molto per questo, vedeva in lui un talento.

Infatti, non appena aveva visto il volume non aveva resistito, soprattutto perché nell'ultimo periodo aveva notato quanto il marito fosse triste, anche se non ne comprendeva il motivo.

Gliel'aveva chiesto, una volta, e lui le aveva dato una risposta che le sue operazioni algebriche non erano riuscite a decifrare.

Si amareggiava, infatti, per il peso delle parole.

Lei non poteva concepire questo pensiero, perché solo i numeri e lettere erano sempre stati la sua risposta certa, non vedeva altro che quelli.

E allora, vi chiederete, come potevano aver trovato l'amore? Come avevano fatto a far sbocciare quel fiore così prezioso?

Acriz l'aveva notata e studiata a causa della sua sconfinata passione per l'algebra, l'aveva incuriosito come avrebbe potuto farlo un libro.

Zacria aveva calcolato la loro affinità e aveva capito che unendo le loro passioni, sarebbero diventati un'equazione perfetta.

E così era stato, perché mai i due avrebbero potuto amare di più.

In qualunque caso, non appena lei fece il suo ingresso, il grillo le rivolse tutta la sua attenzione com'era solito fare.

«Ti ho preso un regalo» esclamò entusiasta porgendogli il sacchetto.

Egli lo prese e ne tirò fuori il libro: il suo aspetto era particolare, perché sulla copertina vi era un armadio aperto colmo di oggetti e lettere, su sfondo bianco; si intitolava "Potere alle parole. Perché usarle meglio⁽¹⁾".

Dopo i discorsi che le aveva fatto, quel titolo le aveva ricordato lui e il suo problema, quindi gliel'aveva comprato seppur non comprendendo.

Acriz la ringraziò con un sorriso. «Dolce Zacria, è un dono meraviglioso, anche se temo tu non abbia concepito appieno il mio discorso, non è così? L'ho veduto dal tuo sguardo e so anche che te ne rammarichi, ma non fartene una colpa: io e te siamo gli opposti di una stessa medaglia».

«Io so solo che l'algebra è lo strumento intellettuale che è stato creato per rendere chiari gli aspetti quantitativi del mondo ⁽²⁾ e solo attraverso di lei posso davvero capire, ma, ti prego, spiegamelo un'altra volta anche se non usi il mio metodo».

«Siediti qui, vicino a me» disse il grillo aspettando che la moglie lo raggiungesse, dopodiché iniziò.

«"È quando le onde si infrangono

che finalmente ci sentiamo liberi;

i canti delle sirene divengono

una melodia per i nostri timpani.

Udimmo questo suono

lontano e incerto,

ma al pari di un tuono

ci donò sconcerto.

L'acqua ci apparve cristallina

e colma di smagliante vita;

ammirammo la corallina,

barriera dalle innumerevoli dita.

Stringemmo le nostre mani

ammirando l'orizzonte,

non pensando al domani,

ma solo a ciò che avevamo di fronte⁽³⁾."»

«Nonostante tu mi abbia trasmesso emozioni incalcolabili, continuo a non comprendere. 2 giorni fa non me l'avevi esposto così» sospirò Zacria carezzandogli la guancia.

«Per venire incontro al tuo metodo, volevo proporti un esempio per farti finalmente capire. Questa poesia è un'equazione e adesso la risolveremo insieme».

Acriz prese un foglio bianco e cominciò a scrivere le parole del poema in modo che al fianco di ogni frase avesse spazio per annotare le analisi, dopodiché lo passò alla moglie.

«Hai voglia di scrivere tu dove ti indico io?» le chiese dolcemente.

Ella annuì e attese che il marito parlasse di nuovo.

«Iniziamo dal primo verso: "È quando le onde si infrangono". Ho deciso di proporre come principio di questa poesia, una frase che potrebbe essere il continuo di un'altra, che però non vediamo; chiunque la legga ha la possibilità di immaginarsi quello che lo circonda in questo scenario e di pensare ad una o più persone a lui care. Accanto ad essa puoi scriverci: "Infinito"».

Zacria appuntò, quindi, il simbolo che le era stato suggerito, collegandolo con una freccia alla riga designata, seppur non commentando.

«Il secondo verso è il continuo del primo, e lo conclude in parte: "che finalmente ci sentiamo liberi;". In questo caso, la frase completa l'altra dandole un senso, e indica uno stato di benessere chiamato libertà, che molti agognano. Per questo motivo, vorrei che le scrivessi accanto: "Uguale a infinito"».

La seconda completa la prima, pensò la moglie mentre annotava quanto le era stato detto in simboli.

Mentre continuava ad ascoltare e appuntare tutte le spiegazioni del marito, Zacria lo osservava e ammirava in silenzio riflettendo sulla sua affascinante intelligenza, che non veniva abbastanza calcolata dai loro simili sebbene fosse eccezionale ai suoi occhi.

Nel frattempo sentiva le sue considerazioni: «"[...]sconcerto", perché è una reazione riferita al canto delle sirene, che dona un'emozione pari a quella che si può provare durante un concerto, appunto», «"[...]acqua cristallina, smagliante vita", attraverso l'acqua limpida si può vedere quanto la vita che la abita sia pregna di felicità».

Ad ogni verso associava dei simboli che lei poteva comprendere, con i quali si sarebbe potuta ritrovare, e questo le scaldava il cuore di un'immensa gioia.

Le spiegò come, secondo lui, la barriera corallina somigliasse a tante dita intricate tra loro, indicanti supporto e amore: "ammirammo la corallina, barriera dalle innumerevoli dita.(z)". In questo modo, diceva, poteva ricollegarsi con ben due versi differenti della poesia, uno antecedente e uno susseguente a quelli analizzati in quel momento: "e colma di smagliante vita;(x)" e "Stringemmo le nostre mani(y)".

«Vedi, mia adorata Zacria, nel primo verso ci relazioniamo a questo attraverso l'armonia delle forme di vita che vivono in mare e che, quindi, si mostra anche nell'intrecciarsi della barriera; nel secondo lo facciamo a causa della figurazione delle mani che si stringono, così come lo fanno le dita dei coralli».

La moglie scrisse, così, le lettere "x", "y" e "z" associate alle due frasi appena citate, dopodiché annotò un'equazione: x + y = z. Questo lei lo capiva bene.

Acriz concluse l'analisi della poesia pronunciando le seguenti parole: «Pensare al presente piuttosto che al domani, è ciò che ci rende davvero liberi».

Seguirono alcuni minuti di silenzio, durante i quali Zacria rilesse il poema e gli appunti al fianco di ogni frase, dopodiché alzò lo sguardo connettendolo a quello del marito.

«Sono dispiaciuta di dirti che, ancora una volta, non sono certa di aver compreso, ma sono fiera di dichiarare che ho capito che sei il grillo più intelligente sulla faccia di questa terra, e che ti amo. Mi basta questo per sostenerti in tutto ciò che fai, non ho bisogno di capire ciò che tu vuoi dirmi, perché so che, oltre ogni mia logica aritmetica, tu sai quello che dici e fai, anche se alla fine non hai un risultato certo come ne ho io con le mie equazioni».

Il grillo la guardò intensamente sentendo crescere un sorriso che illuminò il suo viso.

Sorrise perché lei credeva di non aver capito, ma, in fondo, le aveva dato la risposta che cercava, di cui lui aveva bisogno.

 

 

Nota⁽¹⁾: il libro esiste davvero, ma non l'ho mai letto; è stato citato al solo scopo di dare un nome al regalo di Zacria.

Nota⁽²⁾: quella in corsivo è una citazione di Alfred North Whitehead presa dal sito frasicelebri.it.

Nota⁽³⁾: è la prima volta dopo anni che provo ascrivere una poesia; spero di non aver fatto troppo orrore.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3872223