Mare nero

di WhiteLight Girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Chiamata dall'abisso ***
Capitolo 2: *** 2. Scomparsa ***



Capitolo 1
*** 1. Chiamata dall'abisso ***


1
Chiamata dall’abisso


Hikari rimise al suo posto la macchina fotografica e chiuse la cartella che aveva posato sul banco, la stanza allestita per il club di fotografia era già vuota, anche se poteva sentire i sussurri dei pochi ragazzi al lavoro ancora chiusi nella camera oscura.

Quel giorno Daisuke era già andato a casa, Takeru si era defilato affermando di avere da fare e degli altri non aveva notizie, quindi la aspettava una passeggiata silenziosa fino a casa, ma l’idea non la disturbava.

Lasciata l’aula uscì in cortile con tranquillità, si godette a fondo l’aria frizzante portata dal vento che smuoveva l’acqua nella baia, conscia che avrebbe potuto essere uno degli ultimi giorni che avrebbero portato il sentore dell’estate. L’autunno era alle porte, lo dimostravano i piccoli brividi che la scuotevano ora che il sole iniziava a tramontare e, con il libro di fotografia stretto sotto il braccio, Hikari pensò che sarebbe stato un buon momento per scattare qualche foto prima di rientrare per cena.

Scese in spiaggia, non aveva fretta di andare a casa né qualcuno da incontrare, sapendo che Tailmon era in giro per conto suo, e quasi saltò sulla sabbia per la voglia di raggiungere il mare. Il sole era quasi arrivato al pelo dell’orizzonte e il suo riflesso scintillava sulle onde; era il momento perfetto da immortalare, quindi estrasse la fotocamera e ve la puntò contro, poi mise a fuoco per il primo scatto.

Aveva sempre amato il mare, il vento umido e salato che le scompigliava i capelli ed anche il suono della sabbia scricchiolante contro i suoi piedi, fosse stato per lei avrebbe passato ore intere ad osservarlo, a sentire lo scrosciare delle onde, a premere i piedi contro la sabbia umida del bagnoschiuma ed a ridere del solletichio della schiuma tra le dita. Ormai, man mano che gli anni si susseguivano e lei diventava sempre più grande, il tempo che le rubava la scuola era tanto che raramente riusciva a strappare più che qualche minuto per osservare il mare se non di sfuggita.

Sospirò, erano passate settimane dall'ultima volta che era stata lì, ripensò al sorriso che aveva illuminato il viso di Takeru quel giorno, quando con un sussulto lui aveva dovuto afferrare quasi al volo il proprio cappello per evitare che il vento glielo strappasse via.

Hikari premette la macchina fotografica contro il petto e chiuse gli occhi, il vento le scivolò sul viso, si godette quella brezza finché la sabbia non le si infilò all'interno delle scarpe e la cartella iniziò a pesare. Quando riaprì gli occhi il sole era sparito per metà contro l'orizzonte, allora sollevò ancora l'obiettivo e zoomò per poter avere una sua visione più da vicino. Gli occhi stretti le lacrimarono per essere puntati dritti verso quella luce, ma attraverso il mirino il fastidio era sopportabile e Hikari non aveva alcuna intenzione di distogliere lo sguardo.

Poi fu un sussulto, la mano delicata che le si poggiava sulla spalla inaspettata, facendola rizzare sul posto all'improvviso.

Voltandosi e dimenticando per un istante il tramonto trovò Sora al suo fianco, sorridente, curiosa e amichevole, come al suo solito.

«Ciao.» le disse l’amica.

«Ciao.» rispose Hikari.

Sora si rivolse verso il mare, cercò con lo sguardo quel punto che fino a quel momento Hikari stava guardando e rimase assieme a lei mentre scattava un altro paio di fotografie.

«Riflettevo, l'altro giorno, che potresti pensare a qualche mostra fotografica.» propose.

Hikari richiuse l'obiettivo e rimise la macchina fotografica della nella custodia. Non c'era più traccia di un solo riflesso del sole sull'acqua, essendo esso alla fine scivolato via oltre la linea dei palazzi più distanti, diventando l'alba di qualcun altro.

«Non lo so», fece Hikari, «non credo di essere abbastanza brava.»

Le onde si srotolavano contro il bagnasciuga, la loro schiuma persisteva qualche istante sulla sabbia anche dopo che il mare si era ritirato, talvolta lasciando dietro di sé qualche leggera conchiglia abbandonata dal suo mollusco.

Sarebbe stata un buon soggetto, penso Hikari, ma la proposta di Sora l'aveva distratta e, in quel momento, si ritrovò a pensare seriamente alla sua idea.

Non si sentiva all'altezza, certo, ma una parte di lei aveva comunque voglia di provare, di pensare che prima o poi lo sarebbe stata.

Sora scosse il capo. «Le tue foto sono fantastiche, Hikari, non pensare mai che non sia così. Se non credessi in te, in quello che fai, non potrei neanche proporti una cosa simile.»

Hikari sorrise grata, parlare con lei era sempre bello, ma quando Sora dimostrava così apertamente tutta quella fiducia nei suoi confronti era come ricevere un’iniezione di entusiasmo che difficilmente, nelle ore successive, riusciva a domare.

La sua mente corse veloce, si chiese se ci fosse qualche concorso di fotografia attivo, qualcuno che stesse organizzando a Odaiba delle mostre per dilettanti, per quanto possibile fosse essere considerata ancora una di loro.

Pensò al Mondo Digitale, a tutti i paesaggi bizzarri e magnetici che avrebbero potuto solo grazie a lei trovare posto sulle pareti di una galleria e nella mente dei suoi visitatori. Quanta magia c'era in quei posti così belli che era quasi un crimine tenerli nascosti al mondo?

Tanta, lei e i suoi amici lo sapevano bene. Era quell'incanto che riusciva a catturarti ed a tenerti con sé, che ti aiuta a crescere e a metterti alla prova per poi risputarti nel mondo reale, dove puoi renderti conto subito che di quello che avevi prima è rimasto ben poco e sei una persona nuova.

Parte di quella magia, Hikari lo sapeva, era dovuta anche al fatto di aver conosciuto nuovi amici e di aver affrontato le proprie paure, ma avrebbe voluto esporre comunque le foto per gli altri, anche se loro avrebbero potuto vedere la bellezza ed il mistero senza poter leggere la fatica ed il sudore che c'erano dietro a quel mondo fantastico.

«Ti va se ti accompagno a casa?» domandò Sora.

Hikari annui, Tailmon aveva deciso di aspettarla nel quartiere, probabilmente le sarebbe andata incontro una volta che si fosse avvicinata abbastanza perché potesse sentirla, e poi sarebbero rientrate insieme.

Hikari annuì. «Ci penserò, va bene?» disse.

E camminarono fianco a fianco per lasciare la spiaggia mentre il cielo si faceva sempre più scuro.

L’intensità del vento aumentò, la temperatura si abbassava e Hikari avvertì un brivido percorre la schiena. La gonna si agitava contro le sue gambe, non ci volle molto perché fosse costretta a tenerla con le mani per evitare che si alzasse troppo.

«Dicono che arriverà un temporale.», disse Sora annuendo. Sorrideva, la guardava di sottecchi, come se volesse comunicarle con lo sguardo quanto fosse fiera di lei.

Il lungomare, a quell'ora in quella stagione, non era molto frequentato ed i pochi passanti andavano di fretta, i cellulari stretti tra le mani, le carpette sottobraccio, le ventiquattrore che ondeggiavano al loro fianco e, spesso, gli auricolari nelle orecchie. Erano persi nel loro mondo, così come probabilmente lo era qualunque altra persona in città.

Hikari si beò della compagnia di Sora; anche se camminavano perlopiù in silenzio la sensazione di avere qualcuno accanto, specialmente con il maltempo in arrivo, le scaldò il cuore e la fece sentire quasi in una bolla di felicità.

Avrebbe scelto le sue foto migliori, pensò Hikari, avrebbe trovato la persona giusta a cui presentarle e poi, da lì, qualcosa sarebbe arrivato.

Il brivido di freddo la percorse ancora, ed ancora avvertiva nelle orecchie lo scrosciare delle onde nonostante il mare fosse a diverse decine di metri di distanza, lei e Sora si diressero verso l'entroterra e il lungomare sparì dietro al palazzo che stavano aggirando. Di lì in poi sarebbe stato un percorso veloce per la strada familiare che già migliaia di volte entrambe avevano percorso. Il palazzo in cui Hikari abitava era ben visibile all'orizzonte e quasi si confondeva con il blu sbiadito della prima sera, ma lei era ancora distratta dal rumore del mare, che le si era impresso in mente ed era così rilassante e prepotente rispetto ad ogni altro suono che avvertisse provenire dal mondo accanto a sé. Non le era mai successo di immaginare un rumore così vividamente, allora si fermò e chiuse gli occhi, conscia che non potesse essere che la sua immaginazione.

Eppure quel gorgoglio era presente, insistente, reale, che si costrinse a domandarsi come fosse possibile.

Si leccò le labbra e riaprì gli occhi, Sora era ancora davanti a lei, si era fermata e controllava il suo telefono mentre la aspettava. Hikari si domandò che ore fossero, poiché non era tanto brava da ricordarsi l’ora in cui tramontava il sole, allora infilò la mano nella tasca ed estrasse anche lei il telefono.

Pigiò il tasto che permise l’accensione dello schermo, fu allora che la sua mano perse di consistenza, che ne vide i contorni ondeggiare e dissolversi a tratti come già una volta era accaduto, diversi anni prima. Avvertì il cuore iniziare a battere forte, la paura montarle dentro, mentre comprendeva il significato del suono che avvertiva.

«Sora!» chiamò. E nello stesso momento un lampo squarciò il cielo alle spalle dell’amica.

Quando lei rispose, sollevando il capo dal suo telefono, sopraggiunse il tuono, con il suo impetuoso fracasso, e come rispondendo ad un segnale la pioggia iniziò a scrosciare loro addosso investendole in pieno.

Nulla era rimasto del sereno e della calma che Hikari aveva colto sulla spiaggia, se non il rumore del mare che ancora avvertiva nelle orecchie. Quello neppure la tempesta fu in grado di cancellarlo.

Dischiuse le labbra per raccontare a Sora ciò che era successo, il suo timore improvviso di sparire ancora una volta, sopprimendo il tremore per il freddo e quello per la paura al pensiero delle creature che aveva incontrato e che avevano provato a portarla via, ma non fece in tempo a dire nulla, perché Sora scomparve e ci fu solo acqua, davanti e tutto attorno a lei.

Ed Hikari si ritrovò a nuotare, lottando per trovare la superficie.


***


Salve, è la mia prima longfiction pubblicata con i personaggi di Adventures, credo, quindi sono davvero emozionata e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Questa fanfiction è parte di una serie iniziata con un Crossover tra Tamers e Frontier (che trovate nella sezione crossover, appunto) che si intitola Mutazione, ma può benissimo essere letta anche da sola poiché presenta avvenimenti totalmente separati e paralleli a quella.
Se per caso foste interessati ad altre mie storie sui Digimon c'è, appunto, Mutazione oppure Virus (personaggi originali e universo originale anche se per la parte del Mondo Reale simile a quello di Digimon Tamers).
Spero che questa storia vi piaccia anche se non sono ancora sicura se shippo Sora con Taichi o Yamato, ma penso che lo decideremo insieme prima della fine della storia (dovrebbe contare sui 7 capitoli) quindi fatemi sapere.
p.s. so che è indicato che la ship è Tk/Kari ma ci ho cliccato su e poi non me l'ha più fatta deselezionare, in ogni caso anche lì dovrebbe esserci, anche se non è esattamente una fanfiction di stampo romance. Quelle, scusatemi, non credo siano nelle mie corde.
A presto

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Capitolo 2
*** 2. Scomparsa ***


2
Scomparsa


Quando Sora trovò Taichi davanti all'ingresso del suo condominio, con lui c’erano Yamato e Takeru. Si fermò davanti a loro, il fiato le mancava per la fatica della corsa, e premette la mano contro lo sterno per inspirare forte. Stringeva ancora lo zaino e la macchina fotografica di Hikari ed inspirò forte mentre gli amici la scrutavano confusi e in attesa.

Sora tossì e poi si sollevò.

«È sparita», disse. «Stavamo parlando, sembrava tutto tranquillo, ha iniziato a piovere e poi Hikari è sparita.»

Spinse lo zaino e la macchina fotografica contro il petto di Taichi, il cuore le batteva forte, continuava a rivedere il volto dell’amica, la sua espressione preoccupata prima che l’acqua le investisse entrambe portandola via con sé.

«Sparita?» Domandò Taichi, gli occhi sgranati e la testa inclinata da un lato. «Tipo caduta in un tombino?»

Sora lanciò un’occhiata a Yamato, la sua perplessità era evidente, ma era rivolta più all’idea dell’amico che a ciò che aveva detto lei. Scosse il capo.

«Tipo qualcuno che un momento prima è lì e un momento dopo non c'è più, in un modo che non è certo normale.»

«Diventata invisibile?» Chiese allora Taichi con un lieve cenno di sorriso sul volto. Scambiò un’occhiata con Takeru, ma anche lui sembrava non comprendere il suo tentativo di alleggerire la tensione.

Sora lo fulminò con un’occhiata, se fosse stata una persona diversa probabilmente l’avrebbe preso a schiaffi, invece si limitò ad aspettare che lui comprendesse la gravità della situazione attraverso il suo sguardo.

Furono raggiunti da Tailmon, Gabumon e Patamon, che sembravano averli aspettati fino a quel momento all’interno dell’edificio, e Sora deglutì mentre il Digimon dell’amica le si avvicinava.

«Sono rimaste solo le sue cose.» spiegò allora, puntando il dito in direzione di Taichi.

Tailmon agitò le orecchie e la coda e, mentre il sorriso di Taichi si spegneva, si sporse verso di lei.

«In che modo esattamente è scomparsa?» domandò.

Sora scosse il capo. «Non lo so; si è distratta, si è girata, pensavo che avesse sentito qualcosa e poi ha iniziato a piovere. Subito dopo lei non c'era più.»

«Possibile che fosse un varco digitale? Roba da Digital World?» chiese Takeru.

«No, assolutamente no.» rispose Sora.

«Però da qualche parte deve essere andata.» osservò Patamon.

Trascorsero alcuni secondi di silenzio in cui meditarono sul da farsi, in cui le domande e i dubbi si accumularono in loro. Poi Takeru prese la parola.

«Conosco solo un altro posto che non sia il mondo digitale.» osservò. «Non è un bel posto.»

Taichi sollevo l'ombrello ancora gocciolante che stringeva in mano, lo aprì.

«Fammi vedere dov'è successo.» disse.

Sora li guidò a ritroso lungo la strada che aveva appena percorso, l'acqua scrosciava ancora su di loro e lei, senza ombrello né cappuccio, si trovò con i capelli e perfino i calzini bagnati.

Ogni volta che posava la suola delle scarpe per terra il rumore degli schizzi d'acqua andava ad aggiungersi a quello già intenso del diluvio, sembrava che il cielo avesse deciso di buttar giù tutta l'umidità che aveva a sua disposizione proprio in quel momento, rendendo ancora più difficile una ricerca che sarebbe stata complicata già in partenza.

La strada si stava svuotando in fretta, tutti cercavano un rifugio, correvano verso casa per portarsi all'asciutto e incontro ad un meritato riposo in seguito ad una dura giornata. Non passò molto tempo prima che raggiungessero il punto in cui era successo, ma convennero tutti senza alcuna esitazione che lì non c'era nessuna stranezza evidente.

Rimasero a guardarsi intorno, confusi e straniti a causa della situazione. Erano solo loro, non avevano la più pallida idea di come proseguire. Il punto esatto in cui Hikari era scomparsa era l'inizio e la fine dei loro indizi.

Sora deglutì, Taichi guardava la strada quasi senza sbattere le palpebre. Ora chiunque avrebbe potuto leggere tutta la preoccupazione nel suo sguardo.

«Ha parlato di qualcuno che la chiamava? Ha detto di avvertire qualcosa?» domandò Takeru.

Sora scosse il capo, si scostò i capelli dal viso, Yamato la raggiunse e la accolse sotto il proprio ombrello, anche se ormai era fradicia.

«L’altra volta è successo allo stesso modo? Intendo se è sparita così all’improvviso.» domandò.

Takeru scosse il capo. «All’improvviso, sì, ma aveva avvertito da ore che qualcosa non andava.»

Sora si chiese cosa avrebbero potuto fare; avrebbero dovuto chiedere aiuto? Chiamare qualcuno? Chi avrebbe potuto aiutarli?

Taichi prese in mano la situazione, afferrando Takeru per le spalle e scrollandolo. «L’altra volta come l’avete raggiunta?» gli domandò.

Takeru chinò il capo, l’incertezza era palese sul suo viso mentre cercava una risposta che potesse soddisfare il suo amico, ma quella tardò ad arrivare.

Tailmon si fece piccola sotto l’ombrello dell’amico. «L’abbiamo cercata in spiaggia.» raccontò.

«Il mare.» spiegò Takeru allora. «Diceva di sentire il mare, allora sono andato a cercarla lì, ma lei non c’era e un minuto prima ero qui, mentre un minuto dopo ero dall’altra parte, come se lei stessa mi avesse guidato per permettermi di raggiungerla.»

Patamon annuì. «Non abbiamo mai capito davvero come sia successo, non abbiamo mai capito neppure come siamo riusciti a tornare; il varco si è aperto da solo come se quel mondo volesse lasciarci andare.»

«Come se l’universo ci avesse permesso di trovarla prima e portarla via poi.» aggiunse Tailmon.

E se l'universo, questa volta, non fosse stato dalla loro parte? E se Hikari stessa fosse stata in riva al mare, quando l'aveva trovata, perché aveva percepito qualcosa?

Tremando un po’ per l’ansia ed un po’ per il freddo, Sora lasciò che Yamato le stringesse il braccio attorno, ma questo non bastò a scaldarla vista l’umidità che raggiungeva quasi le sue ossa. Si strinse a lui cercando di cogliere un po' del suo calore, provando a trovare nel suo gesto protettivo un po' del conforto che avrebbe potuto scacciare la sensazione di impotenza di cui sentiva che a breve sarebbe stata preda.

«Cominciamo dalla spiaggia, allora.» decise quindi Taichi. Fu il primo a dirigersi in quella direzione, l'ombrello, ancora aperto ma dimenticato, trascinato dietro di sé distrattamente e all'altezza della vita. Ora la pioggia colpiva lui, Agumon al suo fianco, il resto del mondo. Sembrava quasi il segnale che qualcosa di brutto stava per accadere.

In assenza di un’idea migliore, pensò Sora, l’unica cosa che avrebbero potuto fare era ripercorrere i passi che già una volta avevano compiuto Tailmon, Takeru e Patamon, così non esitò a seguire Taichi e gli altri verso la spiaggia, che era ancora più deserta del resto del quartiere. Enormi goccioloni colpivano la sabbia appiattendola e lasciando le loro tracce su di essa. Ormai non si distingueva più il punto in cui il bagnasciuga terminava, poiché l'acqua era dovunque. Ed acqua su acqua era quello che potevano vedere per decine di metri, pioveva sul mare da lì fino alla terraferma, non si vedeva un solo sprazzo di cielo oltre le nuvole.

Taichi si guardò attorno, l'ombrello gli cadde di mano e, se non si fosse impigliato tra le zampe di Agumon sarebbe volato via. Gabumon lo aiutò a rimetterlo in equilibrio ed entrambi si strinsero insieme per ripararvisi sotto.

Anche Takeru cercava qualcosa con lo sguardo, forse fra tutti lui, patamon e Tailmon erano quelli che avevano più possibilità di trovare davvero nell'aria qualcosa che li portasse a Hikari.

Così lei e Yamato stettero in silenzio, in disparte con Agumon e Gabumon, Taichi non si dava pace; solo una cosa gli avrebbe permesso di calmarsi.

«Allora?» chiese a Takeru.

Lui scosse il capo rapido, sicuro nella sua incertezza, ma avrebbe potuto davvero vedere qualcosa di anomalo con la pioggia che gli spingeva le ciocche grondanti della frangia negli occhi e gocciolava come una cascata dal suo cappello? Come avrebbe potuto trovare, in quelle condizioni, qualcosa che già in un momento normale avrebbe faticato a vedere?

Sora si ritrovò a sperare che il tempo migliorasse più di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita, ormai l'oscurità della sera aveva invaso l'intera baia e verso l'orizzonte, dove In una giornata serena avrebbero potuto scorgersi i lievi bagliori del giorno di un'altra parte del mondo, tutto era cupo.

«Chiamo Koushiro.» decise ad un certo punto Taichi. Lo disse con la mascella rigida, il volto teso, la voce che tremava infrangendo ogni apparenza di sicurezza. Sollevò il telefono, cercò il numero in rubrica e portò l'apparecchio all'orecchio.

Sora, così come tutti gli altri, rimase in attesa. Comprendeva bene la scelta dell'amico, l'idea che Koushiro potesse avere una soluzione o almeno sapesse spiegare loro ciò che stava accadendo era consolante, ma anche una possibile illusione.

Credi che conosca un modo per viaggiare in mondi oltre il Digital World?, avrebbe voluto chiedere. Possibile che sappia aprire un varco adesso un posto sconosciuto così? Su richiesta? Magari, per via dei vari interessi che aveva coltivato negli ultimi anni, avrebbe davvero saputo dir loro qualcosa. Non le restava che aspettare.

Mentre lo faceva tornò ad osservare il mare, il profilo della città che meno di un'ora prima Hikari aveva fotografato con tanto interesse ed ammirato con enorme trasporto. Poteva forse essere considerato un tradimento, il fatto che proprio nella baia che aveva tanto amato qualcosa fosse riuscito a trascinarla via?

E la pioggia continuava scrosciante a precipitare al suolo, l'ombrello di Yamato che già prima non l'aveva riparata granché, ora era totalmente inutile. Si allontanò dal ragazzo, si abbandonò sotto il suo sguardo all'essere colpita in pieno dall'acqua, raggiunse il punto che le permetteva di essere il più vicina possibile al mare senza essere travolta dalle onde e rimase in attesa mentre il mondo rendeva ovattate le parole di Taichi.

«Hikari è scomparsa, abbiamo bisogno di te. Ti aspettiamo alla baia adesso.» disse il ragazzo. Sora incrociò le braccia, incassò la testa fra le spalle e rimase in attesa, incapace di sentire la risposta dell'amico.

Un'onda più impetuosa delle altre raggiunse i suoi piedi, colpendole la scarpa con schizzi e schiuma. Si stava alzando un forte vento che quasi la spingeva verso l'oceano, le luci dei lampioni si riflettevano sull'acqua ondeggiando assieme al riflesso delle finestre degli appartamenti più vicini al lungomare che stava di fronte a loro.

Li aspettava una nottata orribile, lo scenario migliore di quello che sarebbe stato il giorno successivo era di certo una febbre alta come da anni nessuno di loro vedeva, ma l'avrebbero accettata.

L'acqua le arrivò alle caviglie all'improvviso, come se la marea si fosse alzata tutto ad un tratto. Sora pensò di essersi solo distratta un momento di troppo e non essersi resa conto dell'onda che l'aveva investita, ma l'acqua non si ritrirò e, anzi, si alzò fino a raggiungerle metà polpaccio. I brividi la scossero, percorrendo le sue gambe, la schiena, le braccia ed anche il petto, già non avvertiva altro che freddo e arti intirizziti.

Fece un passo indietro, desiderosa di mettere i piedi in un punto della spiaggia che non fosse sotto il livello del mare, magari sarebbe risalita sulla banchina assieme agli altri, ma il piede non trovò altra sabbia ad aspettarlo e inevitabilmente e inaspettatamente, finì a fondo.

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