Il fantasma di Monaco

di Dihanabi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il vento porta ***
Capitolo 2: *** Reale e fittizio ***
Capitolo 3: *** Condannato a morte ***
Capitolo 4: *** Fratello ***
Capitolo 5: *** Ombra di un uomo ***



Capitolo 1
*** Il vento porta ***



Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.

(G.Pascoli; Novembre)




Capitolo Primo – Il vento porta

Primo Novembre


La terra è stanca a Novembre. Il vento travolgente spazza via la rabbia di ogni singolo giorno, e, con essa, le foglie dai mille colori.

Edward chiude gli occhi, bloccando l’immagine di Monaco e dando spazio al momento sfocato che si sta formando nella sua mente: è la risata di un bambino.

Alphonse, il piccolo Alphonse di appena sette anni, rideva spensierato. Due succhi di frutta e un dolce fatto in casa sul tavolo in legno. Accanto un libro di alchimia di un padre che avevano conosciuto appena.

 

Il sole faceva in fretta la sua ascesa, quasi precipitoso di lasciar spazio all’altra stagione. Nel farlo, però, dava prova della sua immensa grandezza, tingendo d’arancio i ciuffi d’erba e le pagine del libro.

 

Gli occhi di Alphonse, più scuri dei suoi, si socchiudevano alla luce accecante che rendeva luminose le ciglia dorate.

 

Le foglie cremisi volteggiavano sulle loro teste, disperdendosi al tocco più leggero del vento e sparpagliandosi tra i ciuffi d’erba di un verde intenso.

 

 

Il luogo dove lui e Alphonse erano cresciuti è un piccolo villaggio chiamato Resenbool, situato ad est di Central City, nello Stato di Amestris.

Durante la stagione autunnale i vasti campi apparentemente senza fine e forse privi di alcuna bellezza venivano dipinti di varie gradazioni di giallo, arancio e rosso, tanto da tramutare quel banale paesaggio nel dipinto di un impressionista.

 

Il piccolo Edward correva tra l’erba alta, in un movimento affrettato e turbato. Solo quando vide una figura di spalle, rannicchiata su se stessa innanzi al fiume, riusci a tirare un respiro di sollievo.

Si ricompose, attendendo che il respiro tornasse normale. Si avvicinò e parlò ad alta voce per sovrastare lo scrosciare insistente dell’acqua.


Andiamo a casa, Al.”



Il suono viene inghiottito dall’acqua come il più insignificante dei sussulti, spezzato e assorbito da un mondo che non gli appartiene. Il vento incalzante gela la città di Monaco sin nelle sue viscere e Edward, con un flebile lamento, viene bruscamente riportato alla realtà.


Edward-san?”. La voce è tanto familiare da far male.

Si volta di scatto, un’espressione indecifrabile sul viso.

Si ritrova, ancora una volta, a cercare in quegli occhi blu il ricordo di qualcosa di lontano, qualcosa di dorato.

Allunga appena una mano, in un gesto istintivo. Alphonse lo osserva con un cipiglio confuso.

Lo guarda spesso così: come un qualcosa di diverso, discordante con il resto del mondo, ma allo stesso tempo estremamente affascinante.

Muove un passo verso di lui. Edward lo guarda dritto negli occhi. Eppure, Alphonse realizza, non lo vede davvero.

Tocca gentilmente la mano coperta da un guanto bianco, e se la porta al viso.

Edward non si oppone. Muove appena il pollice sulla guancia eccessivamente pallida. Un sorriso gli curva le labbra. Gli occhi si socchiudono leggermente. Nello sguardo una dolcezza infinita e un amore che, Alphonse ne è consapevole, non è rivolto a lui.

A confermarlo vi è quella solitaria lacrima, che riga il volto di quello che, un tempo, era l’alchimista di acciaio.


Il vento, furioso, spazza via quella lacrima e quel gesto.





Edward appare distante, quella sera del primo di Novembre. I ricordi lo opprimono a tal punto da far apparire il mondo circostante come un’illusione, o, forse, come la giusta punizione ai suoi peccati.

Alphonse gli getta delle occhiate a cui non fa caso, preoccupate in parte, scoraggiate per la maggioranza.

Poi è come se un lampo attraversasse il volto di Edward: questo si rianima d’improvviso, un sorriso dei più teneri si fa largo dispiegando le labbra e gli occhi brillano ancora una volta come ambra. Lo guarda bene, ora. Il sorriso di Edward si allarga ancora quando parla e le ciocche bionde rimbalzano animatamente ad ogni movimento del capo.

Sembra un bambino, si ritrova a pensare Alphonse.


Prepariamo lo stufato!”


Alphonse smette di trafficare per la casa, annuisce con un accenno di sorriso e controlla di avere tutto il necessario.


È sorprendente l’idea della carne e del latte insieme. Lo dico da sempre io! È geniale.” bofonchia Edward, in una mano il cucchiaio appena svuotato dal cibo.

E senti come è buono! Incredibile che il latte possa essere buono!”

Che problema c’è con il latte?” ride Alphonse, ma Edward, ormai, non è più lì con lui. Sul suo volto ancora il residuo del sorriso, ma lo sguardo è distante, lontano da lui e da quel mondo.


Devi bere il latte!” gridò Alphonse.

No!” ribatté immediatamente Edward, pronto a fuggire alla prima occasione.

Rimarrai sempre un tappo se non lo bevi!” strillò ancora più forte Winry.


 

 

 

 

NOTE:

Ringrazio chi è arrivato fin qui senza droppare alla prima riga, se non direttamente alla citazione di Pascoli. Per gli interessati (dubito esistano) informo che io ho già completato la stesura, per un totale di 5 capitoli, e che quindi non vi è nessun rischio che rimanga incompleta. A meno che non mi becca un fulmine in testa nel mentre. Sicuramente verrà pubblicata per intero entro il mese di Novembre.

Spero qualcuno mi lasci un commento così non mi deprimo. (onestà over 9000)

 

Dihanabi


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Capitolo 2
*** Reale e fittizio ***


Capitolo Secondo: Reale e Fittizio

Due Novembre


È il giorno del festival e Edward sembra stranamente allegro. Tiene le mani sul volante e lo sguardo sulla strada. Veste di una giacca marrone e pantaloni del medesimo colore accompagnati da una camicia bianca. Le sue tonalità calde sfumano nel paesaggio circostante come un delicato inchino all’autunno. Racconta ridendo le vecchie imprese di alchimista, e Alphonse, nei sedili posteriori, ne ride animatamente.

Edward si volta con un cipiglio sul volto, “non penserai mica che me la sia inventata.”. Tale azione però genera una disastrosa conseguenza: il volante gira sotto le mani distratte di Edward e la macchina esce fuori strada per scontrarsi contro il tronco di un albero.

Alphonse ha un colpo di tosse, proprio lì, sul ciglio della strada. La reprime in fretta e alle domande di Edward risponde di aver solo preso freddo. Dopotutto l’autunno porta sempre malanni.

Un uomo li fa salire sul suo carro ed è lì, tra le zingare dirette al festival, che Edward incontra Noah, o, dal suo punto di vista, la donna che corrisponde all’aspetto di Rose.

La mente viaggia solitaria verso Reole e i suoi deserti, verso l’armatura al sua fianco.

Lei lo tocca, una presa ferma sulla sua spalla.

Tu sei come me… Non hai una casa.”



Quello stesso giorno Alphonse lancia il suo razzo.

Edward non assiste neppure, ormai ha perso l’interesse in materia. Se ne sta placidamente disteso su un carretto, vicino ad un razzo carico e pronto all’uso, quando Noah ricompare nel tentativo disperato di nascondersi da degli inseguitori.

Edward non sa esattamente come si ritrova in quella situazione, correndo al fianco di Noah, con un automail spezzato, ma sa solo che quando questa aveva implorato il suo aiuto, con la stessa voce di Rose, con i suoi stessi occhi, quel mondo non era più sembrato una mera illusione.


 

Tutta le vita umana non è se non una commedia in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finché il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico.”


-Erasmo Da Rotterdam

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Capitolo 3
*** Condannato a morte ***


Capitolo Terzo: Condannato a morte

Tre Novembre


 

Noah siede al tavolo difronte ad Alphonse, che consuma la sua prima colazione.

“Sicuro che posso restare?” chiede, ancora incerta.

“Non mi pare ci sia altra scelta.” risponde lui, sincero. Poi una sorta di velo gli copre lo sguardo. “È la prima volta che Edward si mostra interessato ad una donna.”

Noah lo ascolta attenta, allora lui continua. “Sembra indifferente a questo mondo, come se non volesse legarsi davvero a nessuno.” le parole escono lente, con on un drammatico monologo, ma la conversazione invece viene spezzata in fretta e Alphonse, non senza uno sforzo, fa prontamente riapparire il sorriso cordiale sul viso.

Si congeda dopo questo, esce di casa con un entusiastico “ora abbiamo una fabbrica tutta nostra.”

Quando Edward si sveglia i raggi del sole fanno già il loro ingresso nella camera, rendendo brillanti le superfici noiose. Monta gli automail con Noah che lo osserva prima di uscire in città con lei.

Stanno mangiando, con la schiena poggiata ad una parete, quando lo vede: King Bradley.

Si ritrova ad inseguirlo, abbandonando Noah sulla strada.

L’uomo è in macchina, seduto sul sedile posteriore. Edward gli tende un’imboscata.

Lascia un grande masso sulla strada, così che l’autista debba scendere per toglierlo per poter proseguire. In quel momento Edward lo colpisce e si avvicina al sospettato homunculus.

All’improvviso una fitta gli stringe il petto, un ricordo si fa largo nella sua mente: il colonnello, la sua mano tesa, la promessa di occuparsi di Bradley.

Si morde il labbro. “Se tu sei qui… Il colonnello...”

Si avvicina alla palpebra chiusa dell’uomo, ispezionandola. Questo non sembra troppo turbato, e quando Edward si avvicina troppo lui apre d’improvviso l’occhio.

Edward sussulta appena, ma trova solo un occhio scuro, comune. Nessun simbolo su di esso. L’uomo gli fa la linguaccia, al suo sussultare.

Edward si siede sconfitto, realizzando il proprio errore, ma in parte rasserenato.

“Ti dispiacerebbe portare la macchina? Hai steso il mio autista...”


 

Edward rivede Envy quella stessa sera, accompagnato da un uomo con lo stesso. aspetto di homunculus. Erano a caccia di draghi, gli aveva detto questo. E il drago si era rivelato essere proprio Envy.


 

Può notare come una serie di eventi si stia concatenando, formando una striscia di cause e conseguenze che non può ignorare.

Il desiderio di ritrovare casa, di ritrovare suo fratello, lo smuove a correre, a tentare il tutto per tutto.


 

Quando torna a casa ormai è notte e riesce a pensare solo al portale che ha visto poco prima.


 

Trova Alphonse ancora sveglio, con il capo tra le mani e i gomiti sul tavolo. Sembra ancora più pallido del solito, grigio quasi. Gli occhi, solitamente di un blu vivido e acceso appaiono spenti e cupi come le profondità dell’oceano, dove la luce non arriva. La sclera è arrossata e la pelle gonfia, come se avesse pianto o, probabilmente, come un uomo tremendamente stanco.

“Alphonse?” chiede piano Edward.

Ci sono ancora gli avanti dello stufato, nota, quindi l’altro non ha mangiato.

Ne scalda un po’ per entrambi, lasciando la pentola vuota e sporca nel lavandino.

Fuori ha iniziato a tirare il vento, che soffia rumoroso tra i palazzi di Monaco portando gocce bagnate tra gli spessi strati di nebbia.

L’umidità fa male agli automail di Edward. Prende la mano di Alphonse e lo trascina sul divano verde oliva.

I capelli biondi sono sciolti sulle spalle. Sopra la camicia una spessa giacca consumata che Alphonse gli aveva dato. Sulle gambe posa una coperta che avvolge nel calore sia lui che il ragazzo che gli è accanto. Una ciotola di stufato gli scalda le mani.


 

Alphonse non parla. Mangia in silenzio, a fatica. Intorno ai suoi occhi i segni di una debolezza che Edward non era stato in grado di notare fino a quel giorno.


 


 

Alphonse lo bacia per la prima volta allo scadere del tre di novembre.

Posa lo fronte contro la sua e sussurra piano, più a se stesso che a Edward, “Io ho vissuto.”.


 

Lo bacia un’ultima volta la mattina del quattro novembre, un po’ più a lungo, nonostante la semplicità di quel contatto. Posa le labbra sulle sue con una pressione leggera, quasi una carezza decisa. Edward neppure risponde al gesto, ma sente in quell’intimo contatto la sensazione di un brutto presagio, come fosse l’ultimo desiderio di un condannato a morte.


 


 

Ferro e terra
Il mio respiro cessa
La marea no


 

(Atsujin)

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Capitolo 4
*** Fratello ***


Quattro Novembre: Fratello


 

 

La mattina del quattro novembre, quando si sveglia, Alphonse è già andato a lavorare.

Noa lo attende al tavolo, ma lui la saluta in fretta per recarsi all’università. Fa diverse ricerche e chiede informazioni tra gli studenti. È lì che scopre della società di Tule. Una società che intende salvare la Germania distrutta e impoverita dalla Grande Guerra e dal Trattato di Versailles sfruttando le risorse del mondo magico di un’antica profezia: Tule.

Edward inizialmente ne è scettico, ma si reca alla villa del professore che ne è a capo.

Riesce ad entrare attraverso una finestra rotta. Il vetro tagliente gli provoca una ferita alla guancia.

All’interno trova un cerchio alchemico e per un attimo esita.

Il gesso abbandonato a terra è una forte tentazione, i ricordi dell’alchimia un qualcosa che non può ignorare, e la voglia, sempre presente sotto la pelle, di tornare a casa e insopportabile.

Prende quel gesso tra le dita coperte dai guanti bianchi e traccia le linee a terra.

Ride di se stesso, quando non succede nulla. In quel mondo non c’è alchimia. Lo sa, eppure…

Si passa le mani sul viso. I guanti si sporcano del suo stesso sangue, e poi si accascia a terra.

La voce di Envy riecheggia nello spazio angusto, tra le colonne disposte circolarmente. Il portale si apre: centinaia di armature cadono dall’alto. I militari irrompono nella stanza al frastuono causato dal metallo. Puntano le armi su di Edward e lui si butta tra le armature in cerca di riparo.

 

È così che ritrova il fratello, tra quelle armature. Un anima legata, incatenata, salvata.

Scappano insieme, scappano come una volta.

Un grande alchimista e un’armatura al suo fianco.

Edward sorride così tanto che le guance fanno male.

Siedono tra l’erba, innanzi a loro il fiume Wurm è placido nella notte, impegnato a riflettere le luci delle abitazioni in morbidi contrasti di blu, nero e giallo.

L’armatura inizia a vibrare in spasmi frenetici. Al gli spiega che ha legato temporaneamente la sua anima a quel corpo rigido, che lui un corpo ora ce l’ha, ma che quel contatto sta per dissolversi. Il loro incontro finisce troppo in fretta, in un provvisorio momento dispero nella notte di Monaco.

Edward si aggrappa con tutte le sue forze al freddo metallo, vuoto. Si agita così tanto e sembra la sua intera vita gli stia fuggendo tra le mani.

Al se ne va con la promessa di riportarlo a casa. Gli occhi si spengono al di la dell’armatura, che perde la postura e cade tra i ciuffi d’erba pallidi sotto la luce della luna.

Quando nessuno può più vederlo, Edward piange, piange come si era sempre impedito di fare da quando era finito dall’altra parte del portale.

Piange perché, per quanto questo sacrificio abbia salvato la persona a lui più cara, fa comunque male non essere con lei. Ma, più di tutto, piange perché è felice. Felice che il suo prezioso fratellino sia vivo, che stia bene, e soprattutto nel suo vero corpo. Che ora possa dormire, mangiare, sentire sulla la propria pelle il vento e gli odori.



Il valore di un sentimento è la somma dei sacrifici che si è disposti a fare per esso.
(John Galsworthy)


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Capitolo 5
*** Ombra di un uomo ***









Epilogo: L’ombra di un uomo


La notte tra l’otto e il nove novembre la storia prende una piega inaspettata.

Il fuhurer inizia la marcia da Monaco e Berlino. Il portale di Shamballa si apre.

Edward era lì, a vedere suo padre sacrificarsi per lui, ha vedere il suo piccolo fratellino, l’innocente Alphonse, macchiarsi di crimini indicibili solo per poterlo riabbracciare… e l’altro Alphonse, l’Alphonse di Monaco, metterlo su un piccolo aereo per farlo tornare a casa, rischiando tutto per lui.

Gli aveva preso lo mano in un ultimo gesto di affetto, lo aveva guardato negli occhi e gli aveva detto che era il momento di tornare a casa.

In quel momento, per la prima volta, Edward non seppe più dire se era quello che voleva.

Il calore lo abbandonò, ma gli occhi azzurri non lo fecero neanche per un secondo.




Per chiudere il portale, per salvare la sua casa, suo fratello…Il suo mondo… era tornato a Monaco, una Monaco distrutta all’alba di un’altra guerra, se possibile ancora più sanguinosa e ingiusta della precedente.

Aveva guardato Mustang stringere suo fratello, giurare che lo avrebbe protetto.

Il colonnello lo aveva sempre fatto. A lui doveva tutto.

Non si era voltato a guardarli, mentre tornava dall’altra parte. Non sarebbe riuscito a muovere un passo in più, altrimenti.


Gli mancavano così tanto, così dolorosamente, che quando li aveva visti, solo per dirgli addio un’ultima volta, aveva fatto ancora più male.





A Monaco si era ritrovato in un vortice di solitudine e disperazione.

La prima cosa che vide fu Noa, in lacrime. La seconda il corpo di Alphonse.

Un turbine di disperazione e desolazione lo avvolse come un manto. Le lacrime minacciavano di cadere e le grida di dolore che stava trattenendo gli facevano dolere la gola.


Distrusse quel portale.

Si privò del sogno di tornare a casa, e rimase solo.

Solo nella sua bolla inconsistente di storie di un altro mondo e di ricordi dolorosi che non gli permettevano sogni tranquilli.

Solo in un mondo di guerra.




 

Nulla, è rimasto, di quel giovane uomo, se non un involucro spento contenente tanti ricordi quanti rimpianti.

 

 

 

 

Edward chiude gli occhi, impedendo al senso della vista di infrangere le sue illusioni. Il suono del fiume Wurm lo culla in uno stato vacillante e lui si sente proiettato innanzi ad un altro fiume, molto più modesto sia per grandezza che corrente d’acqua: quello del suo paese natale.

Gli pare quasi di vederselo lì davanti, il piccolo Alphonse con il capo tra le ginocchia sbucciate, gli occhi bassi rivolti all’acqua scura sotto il cielo cupo di una sera nuvolosa.

 

Ancora il bambino che era un tempo, prima che tutto prendesse quella piega che mai avrebbero immaginato.

 

Andiamo a casa, Al.” sussurra. La sua voce viene inghiottita da quel fiume, nascosta all’udito dal scosciare dell’acqua sotto quel vento incalzante.

I capelli si liberano al vento, lunghi, portando con loro quelle lacrime malinconiche di chi, per un secondo, ha avuto tutto e poi lo ha perso.

 

 

 

 

Riapre gli occhi e Resenbool diventa un’immagine sbiadita.

 

Monaco lo imprigiona fino a privarlo del suo stesso essere, cancellando la sua anima e abbandonando il guscio vuoto di ormai non più alchimista.

 

Sbiadito. Una fotografia vecchia conservata con insufficiente cura.

I suoi colori accesi fatti d’oro e rosso incandescente sfumano in un piatto grigio, quasi stesse andando scomparendo.

 

O, forse, come se non fosse mai stato lì.

 

 

Così appare, Edward Elric.

 

Come un fantasma, ombra di un uomo un tempo vissuto, che si aggira privo di qualsiasi meta per le strade di una Monaco all’alba di un’altra guerra.

 

Una visione incoerente e quasi stomachevole per chi avesse mai conosciuto quello che un tempo era l’Alchimista d’Acciaio.

 

Nel suo sguardo sembra quasi di scorgerlo, quel ricordo dei giorni passati: una giacca rossa come rubino, gli occhi accesi come ambra fusa e i capelli del color del grano tenuti raccolti in una morbida treccia. L’espressione determinata di chi vede solo il proprio obiettivo, quasi a dimenticare l’esistenza della vita circostante. Passi veloci, una vita troppo frenetica senza un tetto fisso sulla testa o una casa in cui tornare, ma mai da solo.

 

Alphonse.

 

 

 

 

 

Tornano a fargli visita nei momenti più inaspettati, quelle memorie.

Di tanto in tanto, come il dolore al braccio e alla gamba: un castigo per i suoi errori e condanna per i suoi peccati.

 

Le labbra gli si seccano, la lacrime si sono ormai asciugate da tempo.

 

 

Alphonse Heiderich inciso sul freddo granito. Accanto una piccola fotografia incolore, raffigurante dei tratti così familiari ma allo stesso tempo così diversi.

 

Mi dispiace Al.

 

 

 

 



Stanotte anche a te
si fa violenza,
luna d’autunno.

(Kobayashi Issa)

 

 

 

 

 

NOTE:

 

Riguardando per l’ennesima volta il Conquistatore di Shamballa mi sono chiesta “ma Edward, perché è tornato a Monaco?” Noi tutti sappiamo che alla fine gli va “bene” dato che Al lo segue e alla fine vive la sua vita lì col fratellino, ma se questo non fosse successo?

Edward si sarebbe trovato completamente solo, dopo innumerevoli sacrifici per giunta, in un mondo che non sentiva neppure come reale.

 

Sostanzialmente questo dilemma mi ha portato a scrivere questo orrore, ma dato che non lo ha letto mezza anima e questo era l’ultimo capitolo dichiaro questo esperimento FALLITO.

 

 

DIHANABI

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