Rewrite the Stars

di Yuki Delleran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


Titolo: Rewrite the Stars
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: M
Personaggi: Keith Kogane, Takashi "Shiro" Shirogane, Team Voltron
Pairings: Keith/Lance, hint Keith/Shiro
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Vagamente Star Wars inspired.
Beta: Myst
Word count: 2767

 

Cap. 1

L'esplosione aveva scosso il palazzo dalla fondamenta, scatenando il panico tra i presenti alla cerimonia. Le massime cariche del pianeta si trovavano in quel luogo per assistere all'incoronazione e il crollo della balconata su cui si trovavano i sovrani di Marmora aveva causato numerose vittime oltre che ingenti danni.
Nel caos generale del momento, Shiro era riuscito solamente ad afferrare il principe Keith e a trascinarlo al sicuro dietro una colonna portante, prima che il soffitto crollasse attorno a loro, in un fragore di polvere e calcinacci. Della regina Krolia non c'era traccia, tutto quello che riusciva a intravedere attorno a sé erano figure indistinte che apparivano e sparivano nel salone cosparso di detriti e dall'aria irrespirabile.
Il ragazzo rimase stretto a lui, irrigidito dal terrore, finché il rombo dell'esplosione e dei crolli non si estinse. Solo allora osò sporgersi dal loro nascondiglio.
« Altezza, no, non dovete esporvi! » lo richiamò Shiro.
Come capitano delle guardie reali, l'incolumità dell'erede al trono era la sua priorità assoluta. Il fatto poi che fosse particolarmente affezionato a lui non faceva che accrescere il suo senso di responsabilità.
« Devo trovare mia madre! » protestò Keith, strattonando il braccio che Shiro stava trattenendo.
Come preoccupazione era più che comprensibile, ma l'istinto gli diceva che era troppo pericoloso lasciare Keith allo scoperto in quel momento.
Quanto appena accaduto, stava realizzando man mano che la sua mente si schiariva, non era stato altro che un attacco alle istituzioni di Marmora, un attentato ai sovrani proprio durante la cerimonia dell'incoronazione del nuovo re.
« Devo far vedere al popolo che sono vivo! Hanno bisogno della figura del re nei momenti di crisi! » proseguì Keith, ma Shiro scosse la testa.
« Hanno più bisogno che il loro re resti in vita, fidatevi. È stato un attentato a voi, nessuno toccherà il popolo. Mi occuperò di cercare sua altezza la regina una volta che vi saprò al sicuro. »
« Non se ne parla, verrò anch'io a cercare mia madre! »
« Keith! »
Il tono perentorio di Shiro mise a tacere il giovane principe.
I suoi intenti erano ammirevoli, ma doveva capire che la sua incolumità al momento era più importante di quella di chiunque altro.
« Ho detto che me ne occuperò personalmente, fidatevi di me. Ora andiamo, rimanere in un luogo pericolante non è una buona idea. »
Non attese oltre e uscì dal nascondiglio, facendo cenno al principe di seguirlo solo quando fu certo che la via fosse libera.
Appena svoltato l'angolo, si mostrò ai loro occhi uno spettacolo desolante: quella che era stata la grande sala delle cerimonie del palazzo reale di Marmora, su cui si apriva la balconata, era ora invasa di detriti e calcinacci. Il soffitto era completamente crollato, facendo a pezzi i fregi e le decorazioni che ne abbellivano le pareti e, attraverso di esso, si scorgeva ancora la nube di polvere che si levava verso il cielo. Profonde crepe correvano lungo i muri, rendendo sempre più chiaro quanto l'edificio fosse ormai irrimediabilmente compromesso.
In mezzo a quella devastazione si potevano individuare i corpi di diversi membri della guardia e della servitù, che non avevano avuto scampo dal crollo delle pesanti lastre di pietra. Vi erano compagni di Shiro e persone con cui Keith aveva diviso le sue giornate, eppure il capitano non gli permise di fermarsi nemmeno un momento. Se la vista del sangue, di quei corpi straziati, avesse bloccato il principe, sarebbe stato un problema e in quel momento non potevano permettersi di sprecare neanche un secondo.
Stringendo Keith per un polso, si infilò in uno dei corridoi che conducevano al piano inferiore del palazzo, dove si trovavano gli hangar: doveva portarlo via di lì prima che qualcuno, chiunque, li trovasse.
Il principe tentò di liberarsi, ma Shiro non mollò la presa. Le volte in cui lo aveva toccato si potevano contare sulle dita di una mano e mai era successo in quel modo brusco, ma l'ultima cosa di cui preoccuparsi ora era l'etichetta di corte.
Il corridoio era sufficientemente sgombro per permettere loro di procedere più velocemente, per questo mancò poco che Shiro si scontrasse con una figura che stava svoltando l'angolo di gran carriera. Lo riconobbe all'istante, era uno dei suoi sottoposti della guardia, un galra con un notevole temperamento.
« Haxus! » esclamò, la voce che tradiva il sollievo di vedere finalmente una faccia amica. « Meno male, stai bene. La sala è un disastro. Come stanno di sotto? »
Per tutta risposta, il galra digrignò i denti ed estrasse un pugnale dalla cintura. La mossa fu fulminea e, se non fosse stato per Keith che l'aveva notata un istante prima e l'aveva strattonato, di certo Shiro avrebbe subito una brutta ferita.
« Che ti prende?! » protestò, incredulo, tentando tuttavia di bloccarlo con il braccio bionico.
La protesi meccanica che gli sostituiva il braccio destro poteva essere un'eccellente arma sia di attacco che di difesa, ma non si sarebbe mai sognato di usarla contro un proprio compagno.
« Haxus, che stai facendo? Non dirmi che tu... »
« La Resistenza ha attaccato il castello! Non avete scampo! Questa è la fine per il tuo principino! » urlò il galra attaccandolo nuovamente.
La colluttazione si fece serrata, fino a quando Haxus non riuscì a mettere Shiro con le spalle al muro, approfittando delle esitazioni dell'altro dovute allo sconcerto e alla confusione.
In un lampo d'ira, il capitano si diede dello stupido per non aver riconosciuto una spia tra i suoi uomini, soldati con cui aveva avuto a che fare ogni giorno e che aveva creduto fedeli se non ai reali, almeno alla causa della libertà. Era stato un illuso.
Sapeva anche che, se fosse stato libero di muoversi, avrebbe atterrato Haxus molto più facilmente, ma proteggere Keith era prioritario.
« Altezza, andate avanti! Vi raggiungerò nell'hangar! » esclamò, parando in extremis un affondo.
« Non ti lascio qui alle prese con un ribelle! » ribatté il ragazzo, che ovviamente non intendeva dargli ascolto.
Un ribelle.
Dannazione.
Haxus lo colpì al fianco, a tradimento, costringendolo in ginocchio, e alzò la lama pronta a colpire.
Shiro ringhiò e maledisse la propria ingenuità. Era troppo in svantaggio per...
Un lampo blu gli passò appena sopra la testa, con un sibilo, e Haxus s'irrigidì, spalancando gli occhi. Le pupille gialle, realizzò Shiro, non fissavano lui ma qualcosa alle sue spalle.
Il braccio scattò e il pugnale colpì con una traiettoria perfetta. Un attimo dopo il corpo senza vita del galra stramazzò a terra.
Shiro si voltò, gli occhi sgranati.
Alle sue spalle, Keith teneva il braccio destro teso in avanti, una pistola laser in pugno.
Il pugnale era conficcato nella parete, ma una profonda ferita si era aperta sulla spalla del ragazzo, lacerando le stoffe pregiate e imbrattando di sangue l'abito da cerimonia.
Keith accennò un sorriso, prima che le gambe cedessero e crollasse in ginocchio.
Shiro gli fu accanto immediatamente.
« Una pistola... » fu tutto quello che riuscì ad articolare nello stordimento del momento.
« Non che sappia usarla. » rispose Keith, pallido più che mai, rinfoderando l'arma e stringendosi la spalla ferita.
« Mi avete salvato la vita. »
« Già. E ho ucciso una persona... »
Keith stava tremando da capo a piedi, probabilmente per lo shock, e il sangue sui suoi vestiti stava iniziando a gocciolare a terra. La lacerazione sembrava profonda e l'emorragia andava fermata il prima possibile.
Shiro si tolse la fascia cerimoniale che designava il suo ruolo di capitano e la premette sulla ferita.
« Tenetela così. » istruì. « Ce la fate a camminare? Dobbiamo andarcene subito. »
Keith annuì, stordito, e lo seguì come poté nonostante l'andatura barcollante.
Fortunatamente riuscirono a raggiungere l'hangar sotterraneo senza imbattersi in altri ostacoli. Incrociarono alcuni membri del personale di palazzo ma nessuno badò a loro, troppo impegnati a mettersi al riparo.
Giunti alla capsula spaziale personale di Shiro, il capitano fece cenno al principe di prendervi posto ma, quando si voltò verso di lui, lo trovò accasciato a terra sulle ginocchia.
« Altezza! » si preoccupò immediatamente, tentando di sorreggerlo.
« Sto bene. » tentò di rassicurarlo Keith, ma era ovvio che non fosse così.
Tentò di alzarsi un paio di volte, ma le gambe non lo reggevano.
« Mi gira un po' la testa, scusami. Dev'essere la perdita di sangue. »
Shiro aggrottò le sopracciglia: andava male, molto male.
Doveva portare immediatamente Keith da qualcuno che potesse curarlo, il più lontano possibile da lì.
Senza pensarci due volte, gli passò un braccio dietro la schiena, uno sotto le ginocchia e lo sollevò senza il minimo sforzo. Keith emise una debole esclamazione stupita, ma non aveva la forza sufficiente a ribellarsi e finì per appoggiare la testa contro la sua spalla.
Un gesto così remissivo, da parte di qualcuno con il temperamento del principe, mise Shiro ancora più in allarme e lo indusse a muoversi più velocemente. Balzò sulla piccola rampa ed entrò nell'abitacolo, depositandolo poi su uno dei sedili.
La capsula poteva contenere solamente due passeggeri e non era certo il mezzo più confortevole della galassia, ma era veloce e quella era la cosa più importante.
Dopo aver preso posto alla guida, Shiro chiese mentalmente perdono al principe per non poter mantenere la promessa che gli aveva fatto. Se l'avesse lasciato per tornare indietro alla ricerca della regina, non avrebbe avuto la certezza di riuscire a portare in salvo entrambi e, nella cinica logica delle situazioni d'emergenza, la sopravvivenza dell'erede al trono aveva la precedenza su quella della reggente.
Keith abbandonò la testa sul petto, sorretto solamente dalla cintura di sicurezza, e Shiro capì che il tempo delle esitazioni era finito.
Accese i motori e i razzi rombarono nell'hangar.
Un attimo dopo si lasciavano alle spalle il palazzo reale distrutto e l'intero pianeta di Marmora.

« Matricola TS571 a comando stellare, passo. Comando, rispondete. »
Shiro tamburellò sul microfono, frustrato.
Mentre schizzavano nello spazio aperto, un piano si era delineato nella sua mente: in quello stesso quadrante si trovava una base a cui potevano rivolgersi per avere aiuto. A bordo avevano abbastanza carburante per un salto nell'iperspazio, ma era necessario che qualcuno aprisse per loro un wormhole.
« Qui comando stellare. Parla pure, matricola TS571. »
Shiro tirò un sospiro di sollievo.
« Richiedo contatto urgente con il comandante Kolivan. »
« Contatto accordato. Accesso al canale di comunicazione protetto. »
Uno sfrigolio precedette la voce fin troppo nota del suo superiore.
« Shiro, cosa sta succedendo? Gli accordi non prevedevano nessuna comunicazione salvo situazioni di grave emergenza. Questo rischia di far saltare la nostra copertura. »
« È una situazione fin troppo d'emergenza, comandante. Ho bisogno che apriate immediatamente un wormhole alle coordinate che sto per inviarvi. Devo raggiungere Altea il prima possibile. »
Poteva percepire il disappunto dell'altro anche ad anni luce di distanza.
« Cosa ti porta ad abbandonare il posto che ti è stato assegnato? » fu infatti la domanda, posta con un tono tale che qualunque risposta non sarebbe apparsa adatta.
« La corte di Marmora è stata attaccata, signore. Devo portare in salvo il principe. »
Altri secondi di silenzio teso.
« Devo ricordarti che la tua lealtà va a noi e non ai reali di Marmora? Quella era solo una copertura. Torna al tuo posto e continua a monitorare la situazione. Non possiamo permetterci di perdere un altro pianeta. »
« Keith morirà, signore! » si ritrovò a urlare Shiro. « È ferito, mi ha salvato la vita! Per quanto la mia lealtà alla Ribellione sia totale, non posso permettere che... »
« Vittoria o morte, ufficiale Shirogane. » furono le parole con cui Kolivan chiuse la comunicazione, lasciando l'abitacolo invaso solamente da un'inutile ronzio.
Shiro picchiò un pugno sul quadro comandi.
« Dannazione! »
Un gemito flebile attirò la sua attenzione: Keith aveva ripreso conoscenza.
« Shiro... » lo sentì mormorare.
Il suo sguardo era pericolosamente vago, fuori fuoco.
« Stavi parlando con i ribelli? Perché? Sono loro che ci hanno attaccati. »
« No, altezza, no. Non è così. » rispose Shiro, in tono preoccupato.
Il sangue aveva ormai inzuppato anche lo strato di stoffa che avrebbe dovuto fermarlo e il volto di Keith era cinereo. Se non agiva immediatamente, avrebbe finito per perderlo.
Shiro non era un medico ma, come tutti i militari, conosceva le nozioni base da mettere in pratica nelle emergenze e la capsula era dotata di un kit di pronto soccorso. Con il rifiuto di Kolivan non poteva sperare in un aiuto immediato, quindi non poteva fare altro che agire lui stesso.
« Altezza, ascoltatemi. State perdendo troppo sangue e non arriveremo a una base sicura presto quanto pensavo. Devo darvi dei punti per tentare di fermare l'emorragia. »
Keith sollevò appena la testa.
« Ha detto che sei leale a loro e non a noi. Cosa significa? » mormorò.
Il tono era basso, affranto.
« Sei... sei un traditore? Ci hai venduti al nemico? »
A quelle parole Shiro si sentì gelare. L'idea che Keith potesse pensare una cosa simile di lui gli provocava un doloroso nodo allo stomaco. Dolore che però non sarebbe mai stato pari a quello del ragazzo, al pensiero di essere stato tradito da una persona di assoluta fiducia.
« Non è così! » esclamò. « Non lo farei mai. Per favore, ora lasciatevi curare. »
« La Ribellione... ha attaccato... la mia casa... mia madre... »
La voce di Keith si spense in un mormorio indistinto e il principe perse di nuovo i sensi.
Shiro sospirò e ne approfittò per inserire il pilota automatico e recuperare la cassetta del pronto soccorso. Avrebbe potuto cauterizzare la ferita con il calore sprigionato dal proprio braccio bionico, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di fargli una cosa del genere. Già ritrovarsi con le mani sporche del sangue del principe lo fece sentire un macellaio e ringraziò il cielo che Keith non fosse cosciente, in questo modo si risparmiava almeno un po' di sofferenza.
Probabilmente sarebbe rimasta una cicatrice, ma meglio uno sfregio che la morte.
Dopo averlo bendato meglio che poteva e averlo riadagiato sul sedile, Shiro capì di avere davanti due scelte: seguire gli ordini e tornare su Marmora, abbandonando Keith al suo destino, o infrangere tutte le regole, le gerarchie e i giuramenti per portarlo in salvo.
La sua mano non esitò nemmeno un istante mentre settava il trasmettitore su una frequenza segreta e inseriva il codice d'accesso a una comunicazione clandestina.
L'esclamazione della voce femminile, che lo raggiunse quasi immediatamente, sapeva di agitazione, ansia e gioia mescolate insieme.
« Shiro?! Sei tu? Stai bene? »
Il capitano sorrise suo malgrado.
« Sto bene, Pidge. » la rassicurò.
« Sono arrivate notizie allarmanti da Marmora, si dice che ci sia stato un attentato, un'esplosione, ma le informazioni sono frammentarie. Ho provato a contattarti con la frequenza di palazzo ma non rispondevi. Poi mi hanno detto che avevi parlato con Kolivan e io... »
« Va tutto bene, Pidge! Non sono ferito e non sono neanche più su Marmora. » la interruppe Shiro.
La preoccupazione della ragazza gli scaldava il cuore ma ora non aveva tempo di spiegarle nei dettagli la situazione.
« Ti prometto che saprai tutto, ma ora ho bisogno del tuo aiuto. È una questione di vita o di morte. »
Seguì un istante di silenzio e Shiro quasi poté vederla aggiustarsi gli occhiali tondi sul naso, poi un piccolo sospiro lo raggiunse.
« Mi chiami solo quando hai bisogno dei favori. »
« Perdonami. »
« Lo faccio sempre, ahimè. Avanti, spara, cosa ti serve? »
Bastò comporre una striscia numerica sulla console olografica dei comandi e inviarla tramite il canale di comunicazione appena aperto.
« Ho bisogno che tu apra un wormhole a queste coordinate, devo arrivare immediatamente su Altea. »
La sentì ticchettare su una tastiera mentre gli rispondeva.
« Fammi indovinare: è l'esatto opposto di quello che ti ha ordinato Kolivan, quindi vuoi chiedere la protezione di Allura. »
« Non m'importa delle ripercussioni che ci saranno su di me, Allura può anche consegnarmi a Kolivan domani, ma ho qui con me il principe Keith ferito gravemente, molto più gravemente di quanto pensassi, e non posso lasciarlo morire così! »
Fece appena in tempo a finire la frase che un lampo di luce lo accecò e davanti alla capsula si spalancò l'enorme tunnel spaziale che permetteva i viaggi a velocità luce.
« Mi licenzieranno per questo. » brontolò Pidge.
« Se stavolta la scampo ci metteremo in proprio insieme. » rispose Shiro, dando potenza ai razzi e lanciando la capsula nel buio dell'iperspazio.

 

 

Yuki - Fairy Circles

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Cap. 2


La missione era stata portata a termine con successo e Lance non vedeva l'ora di fare ritorno alla base. Questa volta si era trattato di un incarico semplice, che lui e Hunk avevano compiuto senza problemi, quindi stava già sognando la sua stanza, la sua vestaglia e un buon bagno caldo e ristoratore. Dovevano solo attraversare l'atmosfera di Altea senza farsi beccare dalle sentinelle galra e atterrare all'avamposto ribelle segreto, un gioco da ragazzi.
Quando però la radio di bordo emise uno sfrigolio sospetto, il sesto senso di Lance gli suggerì che il suo bagno caldo aveva appena preso il volo.
Con un sospiro tra il seccato e il rassegnato, premette il pulsante di ricezione.
« Matricola LM328 a comando stellare, passo. Qual è il problema? »
La voce che risuonò nell'abitacolo non fu quella che si aspettava.
« Il problema è che non è il comando stellare, Lance. Piccolo cambiamento di programma. »
Il suo compagno di squadra, sul sedile a fianco, assunse un'espressione preoccupata.
« Pidge, ogni volta che ti sentiamo su queste frequenze significa che ci sono dei guai. Che sta succedendo? »
La ragazza ignorò il tono ansioso di Hunk e proseguì.
« Una capsula è in arrivo attraverso un wormhole da Marmora. Trasporta un ferito. Dovete scortarla fino alla base assicurandovi che non venga intercettata. E con “non intercettata” intendo da nessuno, né dai Galra, né dagli uomini di Kolivan. »
Lance armeggiò con i comandi per invertire la rotta, rimanendo sempre al riparo da eventuali sentinelle nemiche.
« Merce preziosa per la principessa? » domandò, non lesinando l'ironia.
Pidge non si prese nemmeno la briga di inventare una storia di copertura.
« Shiro ha disertato per portare in salvo il principe Keith da un attentato alla corte. Non serve che ti spieghi perché si è rivolto a me. »
Nell'abitacolo scese un silenzio incredulo, mentre i due compagni si scambiavano un'occhiata che non aveva bisogno di spiegazioni.
L'ufficiale Takashi Shirogane era noto in tutta la ribellione per le sue capacità e la sua dedizione alla causa. Persino i comandanti superiori come Kolivan e la principessa Allura lo stimavano ed era proprio in virtù di questo che era stato assegnato a un pianeta potenzialmente problematico come Marmora. Si trattava di mondo particolarmente ricco e di uno snodo commerciale importante per quel quadrante, già nel mirino dei Galra da tempo. Lance non ne sapeva molto, ma gli erano giunte voci secondo le quali l'imperatore Zarkon in persona aveva inviato nientemeno che suo figlio Lotor in missione diplomatica poco tempo prima. Si ipotizzava che fosse per ingraziarsi la regina reggente Krolia e suo figlio Keith, prossimo all'incoronazione. Certo nessuno si sarebbe aspettato quella svolta negli eventi.
« Un attentato? » mormorò Hunk, quasi quelle parole gli facessero più paura del fatto stesso. « Credi che la missione diplomatica fosse una copertura? »
Lance scosse la testa, senza azzardarsi a formulare ipotesi.
« Suppongo che lo scopriremo presto. Pidge, necessitano di assistenza a bordo? Sai com'è la situazione del ferito? »
« Non buona. » fu la risposta. « Sto allertando Coran in questo momento, in modo che l'infermeria sia pronta. Voi limitatevi a scortarli il più in fretta possibile. Queste sono le coordinate di apertura del wormhole, buona fortuna! »
Una stringa numerica apparve sul display luminoso un attimo prima che la comunicazione s'interrompesse e Lance impostò la nuova rotta.
Non avevano chiesto a Pidge l'identità del ferito e Lance si trovò a sperare che non si trattasse di Shiro: era sempre stato il suo eroe da quando era entrato nella Resistenza, anni prima, e il pensiero che fosse in pericolo di vita era destabilizzante. Shiro non poteva morire, ai suoi occhi era il simbolo stesso della Ribellione, molto più di Kolivan, molto più della sua conterranea Allura.
Se a essere ferito fosse stato invece il fantomatico principe Keith, per quanto si trattasse di un personaggio politicamente importante, la cosa lasciava Lance piuttosto indifferente. Non aveva mai avuto grande stima dei nobili in generale, quindi, per quello che lo riguardava, uno in meno non sarebbe stato un gran dramma.
Stava per esporre le sue teorie a Hunk, quando entrambi vennero accecati da un bagliore improvviso e il wormhole si spalancò davanti a loro. Una navicella, minuscola rispetto alle dimensioni del tunnel spaziale, schizzò fuori a breve distanza.
Si trattava di una semplice capsula, come descritto da Pidge, probabilmente nemmeno dotata delle armi sufficienti a sostenere uno scontro.
Hunk si affaccendò immediatamente con la radio, alla ricerca di un canale di comunicazione protetto.
« Matricola LM328 a capsula spaziale, mi ricevete? Passo. » esclamò Lance nel comunicatore.
La risposta non tardò.
« Forte e chiaro. Qui TS571, siete la mia scorta? »
« Esatto, signore! La principessa Allura vi attende e l'infermeria è pronta ad accogliere il ferito. »
« Fate strada. »
Lance impostò la rotta di rientro più sicura e Hunk accese i propulsori, mentre dal comunicatore giungevano alcune parole sussurrate prima che la trasmissione si chiudesse.
« Ci siamo quasi, Keith, tieni duro. Non lasciarmi proprio adesso. »
Il tono basso e teso fece correre un brivido lungo la schiena di Lance, che finì per dare più potenza ai motori al solo scopo di giungere a destinazione il prima possibile.

Atterrarono nello spazioso hangar scavato sotto una montagna, che celava la presenza dell'intera base ribelle. Non vi erano incrociatori lì, solamente navicelle di piccole dimensioni che potessero facilmente sfuggire al controllo radar dei Galra, che si estendeva su buona parte del pianeta.
L'artiglieria pesante si trovava nella base di Kolivan, un asteroide impossibile da tracciare a causa dei campi gravitazionali di due buchi neri vicini e di una gigante blu, che si compensavano a vicenda. Il covo delle Lame era il luogo più sicuro e celato dell'universo.
Lance smontò dalla navicella, scendendo a precipizio la scaletta, e corse in direzione della capsula, seguito a ruota da Hunk.
Shiro stava uscendo in quel momento, portando a braccia un corpo esanime.
« Possiamo darvi una mano? Serve una barella? Oppure... »
Il capitano scosse la testa, bloccando ogni altro intervento.
« No, lo porto io. »
Quello che teneva stretto a sé era un giovane uomo privo di sensi. Dagli abiti di foggia elegante e dalle stoffe preziose di varie sfumature di viola che indossava, Lance ebbe la conferma che si trattasse del principe Keith di Marmora.
La spalla e buona parte del lato destro del corpo erano imbrattati di sangue, che macchiava abbondantemente anche la divisa di Shiro.
Lance si sporse per poter dare almeno un'occhiata al suo volto e si stupì nello scoprire, al posto del lilla tipico della razza Galra, una carnagione pallida almeno quanto quella del capitano. Era risaputo che il principe fosse un mezzo sangue, ma gli unici particolari che lo distinguevano da un qualunque umano o alteano erano le orecchie feline che spuntavano tra i folti capelli corvini e un marchio viola sulla guancia destra.
Lance rimase a fissarlo un secondo di troppo e quello che gli saltò all'occhio non gli piacque per niente. Il pallore di Keith era comprensibile per via della brutta ferita, ma il suo colorito aveva una sfumatura tutt'altro che naturale. Inoltre stava sudando e respirava in brevi rantoli affannati.
Lance era un soldato, un cecchino della resistenza che era stato innumerevoli volte sul campo di battaglia, sapeva fin troppo bene cosa significassero quei sintomi.
« Veleno... »
Shiro si voltò di scatto verso di lui, ma non fece in tempo a dire nulla a causa dell'arrivo di Coran.
L'attendente della principessa Allura si fece loro incontro con passo affrettato.
« L'infermeria è pronta. » li informò. « Da questa parte. »
Shiro lo seguì e, nonostante lo sguardo dubbioso di Hunk, Lance si accodò a loro.
Shiro informò Coran il più dettagliatamente possibile riguardo il modo in cui Keith era stato ferito, la situazione e l'arma. Parlò della grave perdita di sangue, dei punti di sutura sommari che aveva dato personalmente e del salto nell'iperspazio che poteva aver sottoposto a ulteriore stress il suo fisico.
« Inoltre il pilota della nostra scorta ha parlato di veleno. » concluse. « È possibile che si trovasse sulla lama di Haxus. »
Sentendosi chiamato in causa improvvisamente, Lance distolse lo sguardo dal volto di Keith per portarlo ripetutamente su Shiro e Coran.
Sì, spiegò, era possibile che si trattasse di una sostanza velenosa in cui i Galra erano soliti intingere le loro lame. Ne aveva visti molti rendere le proprie armi più letali in quel modo e non solo sul campo di battaglia. Era un metodo sicuro ed efficace per assicurarsi che, se anche la loro vittima fosse miracolosamente scampata alla ferita, sarebbe di certo sopraggiunto il veleno a completare il lavoro.
Coran annuì, pensoso.
« Se si tratta della sostanza di cui parli, abbiamo sintetizzato di recente un antidoto con cui pensavamo di equipaggiare le nostre truppe. È efficace al 90%, quindi ci sono buone probabilità che il principe si riprenda. »
Fece quindi strada all'interno di un locale asettico, dotato di un tavolo operatorio, un carrello con tutti i possibili strumenti medici, alcune brande e diverse cryo-pod.
Indicò di depositare Keith sul piano e rivolse a Shiro un sorriso quanto più rassicurante possibile.
« Mi prenderò cura di lui, farò il possibile, te lo prometto. »
« Lo lascio nelle tue mani, Coran. » fu la risposta, accompagnata da un tono di rassegnata impotenza.
Di fronte a quella scena, Lance sentì di nuovo rimbombare in testa la parola utilizzata da Pidge, un termine che non lasciava nessun margine di scampo.
Disertore.
Shiro aveva abbandonato il suo posto, contravvenendo a tutti gli ordini, nel disperato tentativo di portare in salvo quel ragazzo. Un gesto ammirevole che tuttavia metteva in discussione la sua lealtà alla causa e gettava una luce nuova su tutta la faccenda.
Se l'ufficiale Shirogane, eroe della Resistenza, metteva una sola vita davanti alla salvezza di un intero pianeta, la questione era estremamente seria e andava ben oltre l'agire d'impulso.
Cos'aveva fatto quel ragazzo, si chiese Lance fissandone il volto pallido, per indurre Shiro ad affezionarsi tanto a lui?
« Ehm... perdonate l'intrusione. Una sentinella mi ha detto che la principessa Allura vuole vederci tutti urgentemente. Pare sia stato diramato un comunicato da Marmora. »
La voce di Hunk li portò a voltarsi verso l'ingresso e Shiro si congedò da Coran con un gesto del capo.
Lance lo seguì nel corridoio senza dire una parola.

Il comunicato diffuso da Marmora era quanto di più assurdo Lance avesse mai sentito.
La sala principale del centro di comando, dove la principessa li aveva ricevuti, era immersa in un silenzio basito. I comandanti delle varie squadre d'assalto si scambiavano occhiate l'un l'altro, indecisi su come interpretare quelle notizie.
Allura stessa, nella sua tenuta da battaglia, i lunghi capelli candidi stretti in un'acconciatura severa, misurava a passi nervosi un lato della sala.
L'annuncio era un semplice testo scritto dove veniva reso noto che le maggiori cariche del pianeta Marmora avevano subito un attacco a tradimento da parte della Ribellione, una pericolosa sacca di resistenza che si opponeva al dominio dell'imperatore Zarkon su buona parte dell'universo conosciuto. Sembrava che l'attentato fosse stato sferrato a causa della presenza del principe Lotor, in missione diplomatica per conto del padre, e che avesse colpito per questo anche la regina reggente e il principe ereditario, proprio durante la cerimonia dell'incoronazione. Del principe Keith si erano perse le tracce, probabilmente sequestrato da una spia infiltrata della Ribellione. La regina Krolia si trovava invece sotto la protezione del principe Lotor, al quale aveva ceduto i poteri della reggenza, in quanto non in condizione di governare. Marmora diventava, di conseguenza, un protettorato Galra.
« Quel bastardo... » ringhiò Shiro, spezzando il silenzio. « A che gioco sta giocando? »
Allura interruppe il suo nervoso andirivieni per fissarlo.
« A quello di screditare il più possibile la Ribellione agli occhi dell'opinione pubblica e, allo stesso tempo, ottenere consensi passando per il salvatore di Marmora. »
« Per questo ha fatto in modo che Haxus mi attaccasse inneggiando alla Ribellione in presenza del principe. Ora Keith è convinto che siamo noi il nemico. »
Lance scambiò un'occhiata con Hunk, vedendo riflessa nello sguardo dell'amico la sua stessa preoccupazione. La situazione era grave: perdere Marmora era da considerarsi una pesante sconfitta, se a questo si aggiungeva il danno d'immagine, la Ribellione aveva appena subito un tremendo scacco matto. Anche a fronte di questo, però, Lance non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di quel ragazzo coperto di sangue che Shiro aveva portato in infermeria.
Per quanto detestasse i nobili e non ne avesse mai incontrato uno degno di finire in una lista di persone da salvare, non poteva fare a meno di pensare a ciò che il principe Keith aveva passato. Trovarsi in quello che credeva territorio ostile, dopo essere stato tradito da una persona di cui si fidava, aver perso sua madre, il suo regno e il suo intero pianeta, non sarebbe stato facile.
Da qualche parte, in un angolino sperduto della sua mente, qualcosa gli fece desiderare di essere presente quando avrebbe aperto gli occhi. Non per fargli chissà quali discorsi di strategia politica o militare, quello non era il suo campo e preferiva lasciarlo a chi era più competente, ma solo per dirgli che poteva stare tranquillo, era al sicuro e nessuno lo aveva tradito. Un pensiero sciocco considerando che, dopo quel giorno, probabilmente non l'avrebbe nemmeno più rivisto.
La riunione proseguì per diverso tempo: tutti i comandanti ebbero modo di esprimere i loro timori e le loro angosce di fronte a questa svolta, ma nessuno giunse a una conclusione definitiva. Ogni decisione venne rimandata a quando il principe Keith avesse ripreso conoscenza, in modo che potesse fornire ulteriori dettagli sull'ipotetica missione diplomatica di Lotor e su quanto accaduto durante la mancata incoronazione.
Allura sciolse il consiglio a notte fonda e Lance si trascinò verso il proprio alloggio seguito da un Hunk decisamente sfinito, che gli augurò un assonnato buonanotte prima di svoltare l'angolo.
Lance crollò sul proprio letto senza nemmeno accendere una luce o cambiarsi d'abito.
Il suo ultimo, assurdo pensiero, a metà tra la coscienza e il sonno, fu chiedersi di che colore potessero mai essere gli occhi di un mezzo sangue.

Il giorno successivo iniziò nel peggiore dei modi.
Ancora prima di essere riuscito a mettere qualcosa sotto i denti per colazione e di recarsi in sala comandi per avere gli ordini della giornata, Lance aveva già assistito a qualcosa che gli aveva scombussolato i pensieri.
Si era imbattuto in un paio di agenti del personale di terra della base, che stavano chiacchierando oziosamente in corridoio. Parlavano del paziente ricoverato in infermeria e del fatto che Coran sostenesse che non fosse curabile. Del resto, proseguivano, portare un ferito da una zona di guerra attraverso un wormhole era un azzardo tale che non sarebbe comunque sopravvissuto.
Lance sentì una stretta dolorosa chiudergli lo stomaco: si riferivano al principe Keith, di certo senza avere tutte le informazioni del caso, altrimenti non avrebbero usato tanta leggerezza.
Ancora prima che il suo cervello processasse l'accaduto, i suoi piedi avevano già preso una direzione diversa da quella iniziale.
« Ehi, Lance, buongiorno! »
L'esclamazione gioviale di Hunk attirò la sua attenzione mentre attraversava l'atrio degli alloggi dei piloti.
« Ho già preso i nostri ordini, oggi ci aspetta una ricognizione su Olkarion. Pare sia stata avvistata una nave galra nella loro orbita. »
« Dovranno aspettare. » lo liquidò Lance, continuando a camminare mentre l'amico gli si affiancava, confuso.
« Non credo che Allura apprezzerà questo ritardo. » tentò di mediare. « Che succede? Qualcosa di grave? »
« Ho sentito che ci sono problemi con il principino, voglio accertarmene. »
« Il principe Keith? Non credo che dovremmo impicciarci, è una faccenda che riguarda i comandanti, la politica, cose così. Noi dovremmo limitarci a... »
« Hunk! » Lance lo interruppe bruscamente. « Non voglio impicciarmi in faccende politiche ma, siccome l’abbiamo scortato fin qui, credo sia mio diritto sapere se è vivo. »
Il compagno non sembrò particolarmente convinto da quell’affermazione, ma sospirò e annuì.
Dall'infermeria non proveniva alcun rumore diverso dai trilli ritmici delle macchine, si poteva quasi ipotizzare che fosse vuota, ma, prima che Lance potesse abbassare la maniglia, la voce di Coran parlò in tono grave.
« Mi scuso per avervi convocato così urgentemente, ma credo sia necessario informarvi prima che si diffondano voci poco accurate. »
« Se c’è qualcosa che non va con sua altezza, non ha importanza né l’orario né la fretta. » fu il commento della voce di Shiro.
Allura ribadì il concetto.
« Ora come ora la sua salute è fondamentale per noi. »
Coran tossicchiò e Lance poté immaginarlo lisciarsi i baffi rossi.
« Sono davvero immensamente spiacente, principessa, Shiro. Non ho buone notizie. L’antidoto che avevamo sintetizzato per le truppe non sta dando i risultati sperati. Il fisico del principe non risponde come mi aspettavo e la cura non sembra fare effetto. La ferita è stata medicata ma il veleno le impedisce di cicatrizzarsi e debilita pesantemente l’intero organismo. Ho tentato ogni cura in mio possesso ma purtroppo qui non c’è nulla che possa essere d’aiuto. »
Un silenzio pesante calò nella stanza, protraendosi per alcuni minuti prima che Allura lo spezzasse con la domanda che tutti temevano di fare.
« Sopravviverà? »
« Non lo so. Come dicevo, l’antidoto agisce solo parzialmente mentre il veleno è già in circolo. È questione di ore, forse di un giorno. »
Uno schianto improvviso fece sobbalzare i due dietro la porta.
« Dimmi cosa ti serve! » urlò Shiro, che aveva evidentemente picchiato un pugno sul tavolo, la voce tesa al punto di incrinarsi. « Lo andrò a prendere dall’altro capo dell’universo, se necessario! Non lo lascerò morire per niente al mondo. »
« Il punto è che questo antidoto è stato studiato per gli alteani. Il principe è un mezzosangue galra di cui non conosciamo l’altra ascendenza. È già tanto che abbia rallentato la contaminazione del veleno. Servirebbe un antidoto specifico per le sue caratteristiche. »
« Un antidoto galra… » mormorò Allura. « Ma noi non ne possediamo e tornare su Marmora ora sarebbe un suicidio. »
« Lasciarlo morire invece sarebbe un omicidio! »
« Shiro… »
Lance strinse i pugni e affondò i denti nel labbro inferiore.
Era uno schifo.
Non si era preso la briga di fare da scorta per veder morire quel ragazzetto il giorno dopo. Voleva prendersi la soddisfazione di mostrare quanto un nobile fosse inadeguato al campo di battaglia.
E voleva sapere il colore dei suoi occhi.
La sua mano si mosse da sola mentre abbassava la maniglia ed entrava nell’infermeria.
« So io dove trovare dei medicinali adatti. »

 

 

 

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Cap. 3

 

« Ricordami perché sto facendo tutto questo. »
Hunk si concesse uno sbuffo esasperato nella trasmittente.
« Credo sia la terza volta che me lo chiedi, Lance, e la risposta non cambierà. Perché ti sei offerto volontario per recuperare l'antidoto per il principe Keith dalla base nemica. E non una base qualunque, il palazzo reale occupato di Altea. Sei un cavolo di eroe che si batte per i begl'occhi del principino in difficoltà. »
Dall'altro capo del ricevitore giunse un ringhio irritato.
« Sai benissimo che di quello stupido nobile da strapazzo non m'importa niente. » brontolò Lance.
Hunk ghignò tra sé.
Già, Lance era così disinteressato da essere piombato nell'infermeria, quella mattina, affermando che, in quanto ex membro dell'esercito galra di stanza su Altea, conosceva il palazzo reale come le sue tasche e sapeva esattamente dove recuperare un antidoto. Sarebbe stato un gioco da ragazzi, utilizzando la vecchia uniforme sarebbe passato inosservato e in un battibaleno avrebbe portato a termine quella missione. Zero rischi, massimo risultato.
Hunk era rimasto così sconcertato da trattenere a stento le mille obiezioni che gli erano balenate in mente.
Zero rischi, come no? Alla fine era solo un'incursione in campo nemico, il peggio che poteva succedere era morire per un colpo di blaster.
Hunk prese un respiro e tentò calmarsi, concentrandosi sul suo ruolo nella missione.
Voleva credere, aveva bisogno di credere, che Lance l'avesse fatto per un motivo serio e non semplicemente per accattivarsi le simpatie dei superiori.
« Sto entrando nell'ala adibita a reparto medico. » gli venne comunicato attraverso la trasmittente.
« Ti vedo. Fai attenzione, lo scanner indica una presenza davanti a te a ore dieci. » rispose esaminando la mappa che rivelava le fonti di calore attorno alla trasmittente indossata da Lance.
« Ricevuto. »
Seguirono alcuni minuti di silenzio, durante i quali Hunk poté vedere la figura del compagno spostarsi o rimanere immobile a seconda delle guardie che incontrava nei corridoi. Il gesto più consueto era un rigido “Vrepit sa!”, pronunciato sull'attenti.
L'elmetto lo proteggeva da eventuali riconoscimenti occasionali e di certo il personale di palazzo era cambiato da quando Lance era scappato dall'esercito, ma questo non rendeva la missione meno rischiosa.
Hunk non sapeva quasi nulla della vita dell'amico precedente al suo arrivo nella Ribellione: alcuni particolari gli erano stati accennati da Allura quando gli era stato assegnato come compagno, altri glieli aveva raccontati Lance stesso, ma non si trattava di nulla di troppo personale. Ad esempio non conosceva il vero motivo che lo aveva portato a disertare, con tutte le conseguenze del caso.
Il fatto poi che si fosse offerto per quell'incarico ad alto rischio gli era totalmente incomprensibile. Certo, scherzare sull'avvenenza del principe Keith poteva alleggerire la questione, ma non poteva essere tutto lì.
« Sono dentro! »
La voce nella trasmittente riportò Hunk alla realtà: Lance era riuscito a introdursi nel magazzino dei medicinali e lui, dalla navicella occultata poco lontano dal palazzo, doveva monitorare la situazione.
« Bene. Ora fai attenzione: ti invio direttamente il codice del principio attivo contenuto nel veleno. Dovrebbe essere indicato sulle boccette di antidoto. »
Hunk ticchettò alcuni numeri e sentì Lance mormorare un assenso.
Mentre monitorava i corridoi circostanti, controllando che non vi fossero sentinelle in avvicinamento, e ascoltava il tintinnio delle boccette spostate da Lance, il suo pensiero tornò ai dubbi di poco prima.
« Adesso me lo potresti dire il vero motivo per cui siamo qui. » commentò in modo apparentemente casuale a un certo punto.
« Ti sembra il momento di fare domande? » protestò Lance.
« Se mi darai delle risposte, sì. »
Un sospiro esasperato lo raggiunse.
« Sei un impiccione. »
« Quindi? »
« Ha perso tutto, Hunk: la casa, la madre, il regno. Sta per perdere anche la vita. Ho rivisto me stesso, ok? E ho pensato che non potevo lasciar correre. Non me ne importa niente della gloria o del fatto che sia un principe, chiunque merita di avere la possibilità di riconquistare ciò che è suo. Tutto qui. »
Hunk impiegò alcuni istanti ad assimilare quelle parole, dopodiché si lasciò sfuggire un leggero fischio.
« Wow, amico. Ti fa davvero onore. »
« Sciocchezze! »
Era tipico di Lance rispondere in quel modo, come se quello che aveva appena affermato non avesse importanza e si trovasse lì solo per una sorta di assurda prova di coraggio, non per salvare la vita di qualcuno chiuso in una cryo-pod.
Ogni considerazione venne messa a tacere dall'esclamazione di Lance stesso.
« L'ho trovato! »
Il tintinnio di vetro che seguì indicava che Lance stava infilando le boccette di antidoto nel contenitore che aveva portato con sé.
Hunk sentì la tensione sciogliersi un poco: era quasi fatta. Ora doveva solo riuscire a fare in modo che Lance uscisse di lì tutto intero e sarebbero potuti tornare a casa.
Quando riportò lo sguardo sul monitor si sentì gelare.
« Lance! Arriva gente, esci di lì! » esclamò frettolosamente.
Il tramestio che lo raggiunse chiarì che la situazione si stava facendo via via più pericolosa.
Era possibile evitare la sentinella di ronda nel deposito dei medicinali, ma era in arrivo un drappello lungo il corridoio e un altro dal piano superiore.
Riferì i dati con ansia crescente e vide la figura di Lance iniziare a muoversi più velocemente e in modo meno coordinato. Le lucine intermittenti che rappresentavano il primo drappello iniziarono a seguirlo sempre più da vicino.
« Hunk! Vieni sotto le finestre del lato est! Subito! »
La voce dell'amico gli giunse affannata per la corsa e coperta dagli inquietanti sibili delle armi laser.
« Sto arrivando, tieni duro! »
Mentre compiva le manovre di avvicinamento della navicella, un gemito di dolore lo raggiunse, seguito da una colorita imprecazione e dai suoni di una risposta al fuoco.
« Andate all'inferno! »
« Lance! » lo chiamò Hunk, allarmato. « Che succede? Stai bene? »
« Sono vivo. Dove sei? »
« Lato est, sotto le finestre, come hai detto. »
« Ottimo. Arrivo. »
Neanche un minuto dopo, un tonfo e un violento scossone colpirono la navicella e Hunk vide il compagno infilarsi nel portello superiore.
Dalla breve occhiata che gli rivolse, notò la manica sinistra sporca di sangue e il contenitore stretto al petto.
« Tutto a posto? » chiese.
Lance annuì appena.
« Leviamoci di qui prima di ritrovarci tutto l'esercito galra alle calcagna! »

Quando Keith aveva ripreso conoscenza, Lance era accanto a lui.
Non si era trattato di nulla di premeditato o di particolarmente romantico: semplicemente, dopo dodici ore di veglia, Coran aveva spedito Shiro a riposare e la principessa era impegnata in una riunione con gli altri comandanti.
Al rientro dall'incursione al palazzo di Altea, Lance era più arrabbiato che sofferente e della ferita che si era procurato non poteva importargliene di meno.
« Non è nemmeno il braccio con cui sparo. » l'aveva liquidata.
Molto più grave era il fatto che due delle tre boccette di antidoto che era riuscito a trafugare si fossero rotte durante la fuga. Questo lo aveva mandato su tutte le furie con sé stesso per la propria negligenza: ci era voluto Coran per tranquillizzarlo e spiegargli che una boccetta era più che sufficiente.
Anche se la ferita era “solo un graffio”, come l'aveva definita lui stesso, rifiutando una seduta nella cryo-pod, Lance era ancora convalescente. Coran aveva preferito tenerlo in osservazione, approfittandone per fargli controllare l'altro paziente in loro assenza.
Per questo aveva avuto modo di impiegare il tempo del riposo forzato, osservando Keith e controllando che l'antidoto stesse effettivamente facendo effetto.
Il suo colorito era migliorato da quando aveva lasciato la cryo-pod in favore di una delle brande e il respiro era più regolare. In effetti, aveva notato Lance, sembrava molto più “vivo” disteso su un letto che dietro il vetro azzurrino di una capsula.
Mentre lo fissava, fingendo di annoiarsi a morte, la sua mente era tornata ancora e ancora sulle mille ipotesi riguardanti quel ragazzo: chissà che tipo era?
Sarebbe stato insopportabile come tutti i nobili che aveva avuto occasione d'incontrare?
Se così fosse stato, però, Shiro non l'avrebbe avuto così a cuore. Magari qualcosa del suo carattere si salvava.
Era strano sapere che fosse Galra per metà, considerando quanto poco fosse evidente.
Probabilmente la peluria lilla sulle sue orecchie era morbida, magari poteva azzardarsi a toccarla mentre ancora dormiva.
E di nuovo i suoi occhi. Sarebbero stati gialli come quelli dei Galra purosangue, o avrebbero avuto l'iride azzurra, come alcuni dei mezzosangue che aveva visto?
Proprio mentre formulava quel pensiero, vide le orecchie feline del giovane fremere leggermente, le dita della mano sinistra contrarsi e le palpebre sollevarsi lentamente.
Lance rimase imbambolato a fissarlo per un istante.
Erano blu.
I suoi occhi erano blu. Il blu più scuro e intenso che avesse mai visto, che sfumava nel nero profondo, come la sera che lascia spazio alla notte.
« Color del cielo stellato... » si ritrovò a mormorare tra sé.
La sua voce attirò l'attenzione di Keith, che si voltò lentamente verso di lui. Aveva lo sguardo appannato, l'espressione confusa di chi si sveglia dopo un sonno troppo lungo.
Batté le palpebre un paio di volte e finalmente sembrò realizzare di non essere solo nella stanza.
Anche Lance si riscosse e accennò un sorriso.
« Ben svegliato, bell'addormentato. » esclamò, badando di non alzare troppo la voce. « Come ti senti? »
Keith spostò lo sguardo da lui alla stanza, per tornare poi a scrutarlo e corrugare le sopracciglia.
« Dov'è Shiro? »
Una domanda semplice e banale che però azzerò l'entusiasmo di Lance.
Avrebbe potuto chiedere qualunque cosa: cos'è successo, dove siamo, chi sei tu...
Invece aveva chiesto subito di Shiro e Lance si sentì stupido per il fatto di essere deluso da questo, stupido perché non aveva nessun motivo per avere delle aspettative. Keith non aveva idea di cosa fosse accaduto, quindi era una domanda più che legittima.
« È stato qui fino a poco fa. Coran l'ha mandato a riposare ma tornerà presto. » rispose quindi.
« Coran? »
Il principe era ovviamente confuso.
« È la persona più vicina a un medico che abbiamo. Anzi, ora vado a dirgli che ti sei svegliato. »
Lance si alzò e mosse alcuni passi verso la porta, prima di ricordare il suo proposito del giorno prima.
Si voltò e accennò un sorriso.
« Sei al sicuro qui, non preoccuparti. Shiro non ti ha mai tradito, vedrai che ti spiegherà tutto. »

Poco dopo l’uscita del ragazzo con il braccio al collo, un uomo con dei vistosi baffi rossi aveva fatto il suo ingresso, sorridendo a Keith in modo rassicurante.
Si era presentato come Coran e aveva ribadito che si trovava al sicuro.
Per quanto ancora vagamente stordito, Keith era già stanco di chi gli diceva di stare tranquillo. Voleva parlare con Shiro, capire dove si trovasse, uscire di lì e andare a salvare sua madre.
Non fece in tempo ad articolare nemmeno una di queste pretese.
« Qualunque cosa tu stia per dire, » lo prevenne Coran. « le risposte sono rispettivamente: lo so, te lo spiegheranno Shiro e la principessa e dopo che ti avrò visitato. »
Per questo motivo non gli restò altro da fare che sottoporsi al check up senza protestare.
La ferita alla spalla si era rimarginata grazie al potere di guarigione della cryo-pod, ma la cicatrice era rimasta. Keith ricordava vagamente Shiro parlare di una medicazione e dei punti, ma quanto accaduto da un certo momento in poi era talmente confuso che non avrebbe saputo dire se fosse successo davvero. In ogni caso aveva poca importanza: quel segno indicava che era riuscito a proteggere una persona a cui voleva bene e ne era fiero.
Coran lo informò anche del veleno, del rischio che aveva corso e del fatto che qualcuno ne avesse corso uno altrettanto enorme per procurargli l'antidoto.
« Shiro? » chiese, speranzoso.
« Avrebbe voluto, ma no. Si tratta di Lance, che era qui poco fa. È uno dei piloti di punta della flotta ribelle e un ex militare. Un cecchino invidiabile. Ha recuperato l'antidoto infiltrandosi nel palazzo reale occupato di Altea. »
Quella frase, invece che suscitare in lui la gratitudine verso lo sconosciuto, scatenò un'istintiva rabbia.
Anche casa sua ora era chiamata “palazzo reale occupato”? Da chi? E perché?
Se non erano stati i ribelli, visto che, a quanto sembrava, si trovava presso una delle loro basi e si erano presi cura di lui, chi erano i veri responsabili dell'attentato? Cosa speravano di ottenere?
In ogni caso, non avrebbe scoperto nulla rimanendo fermo in un letto a farsi misurare la pressione.
« Sto bene. » disse quindi, alzandosi a sedere e spostando le gambe oltre il materasso, fino a toccare terra con i piedi. « Devo andare a salvare mia madre. Tutto questo non è necessario, io non... »
Le parole gli morirono in gola quando un violento capogiro lo colse nel tentativo di alzarsi in piedi.
Coran lo afferrò per le spalle e lo indusse a stendersi nuovamente.
« È necessario eccome. Hai perso molto sangue e il tuo fisico è debilitato dal veleno. I parametri si stanno riallineando ma finché non saranno normali e stabili, non andrai da nessuna parte. »
Un ringhio frustrato nacque nel profondo del suo petto ma, proprio in quel momento, la porta dell’infermeria si aprì e Shiro fece il suo ingresso, seguito da una fanciulla dalla carnagione scura.
Keith sentì il cuore accelerare i battiti e una vampata di calore salirgli alle guance.
« Per favore, non agitate il paziente, è già troppo nervoso. » li ammonì Coran e la ragazza fece un passo indietro.
« Se non si è ancora ristabilito, le questioni politiche possono aspettare. Tornerò più tardi. » disse, voltandosi per lasciare la stanza.
Keith non vi badò minimamente, l’attenzione concentrata solo su Shiro. Se fosse stato abbastanza in forze gli sarebbe corso incontro, ma anche così tese una mano verso di lui, che venne prontamente stratta dal capitano.
« Sono venuto appena ho saputo che eravate sveglio. Sono felice di vedere che vi sentite meglio. »
La voce di Shiro era così familiare, così rassicurante, che Keith si sentì scioccamente commosso, come se solo grazie alla sua presenza tutto potesse aggiustarsi.
Ovviamente non era così, non c’era proprio nulla di giusto in quella situazione, ma anche solo sapere che la persona su cui più contava al mondo non era un traditore e non l’aveva venduto al nemico era un sollievo immenso.
« Raccontami cos’è successo. » chiese, reprimendo a forza l’istinto di gettargli le braccia al collo. Era pur sempre un principe, doveva mantenere un contegno. « Ho bisogno di sapere tutto, da quando è crollato il soffitto della sala del trono a quando siamo arrivati qui. E, soprattutto, che ne è stato di mia madre. »
Shiro si sedette su uno sgabello accanto al letto, senza lasciare la sua mano.
« Ci vorrà un po’, ma il tempo non ci manca. » disse e iniziò a raccontare.

 

 

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


Cap. 4

 

Nonostante quanto riferitogli da Shiro sulla situazione di Marmora avesse scatenato in lui un irrefrenabile desiderio di rivalsa, Keith fu costretto da Coran a trascorrere a letto i due giorni successivi.
Il suo spirito era forte, ma il suo corpo era ancora debilitato dal veleno e aveva dovuto, suo malgrado, rendersene conto.
A rendere meno frustranti quelle ore di riposo forzato era Shiro, che lo andava a trovare regolarmente e si fermava finché qualcuno non lo trascinava via per qualche impegno improrogabile. A ogni visita, però, aggiungeva particolari alle sue spiegazioni: gli aveva mostrato la pianta della base, indicato dove sarebbe stata la sua stanza, raccontato del comunicato di Lotor e lo aveva rassicurato sul fatto che sua madre fosse viva, altrimenti il principe galra non avrebbe potuto godere di quei poteri.
Keith si sentiva al sicuro in sua compagnia, ogni diffidenza riguardo la sua lealtà completamente scomparsa. Shiro era l'eroe che gli aveva salvato la vita e questo non faceva che accrescere la già smisurata ammirazione che Keith provava nei suoi confronti.
Non solo, si era ritrovato più volte, nei momenti di solitudine, a fantasticare sulle sue braccia che lo stringevano, le sue mani che lo accarezzavano, le sue labbra che...
Keith scosse la testa furiosamente, strappandosi da quelle fantasie che lo accompagnavano ormai da troppo tempo. Aveva creduto che quelle circostanze tragiche avessero finalmente messo a tacere l'attrazione che provava per il capitano, ma non era stato così. L'immagine dell'eroe che lo salvava dalla situazione più difficile della sua vita non aveva fatto altro che accrescere la fascinazione nei suoi confronti. Nella sua mente ripercorreva i momenti in cui aveva sparato alla guardia per aiutarlo e poi Shiro si era precipitato in suo soccorso, come lo aveva sollevato di peso per portarlo nella navicella, come lo aveva curato e aveva messo a rischio la sua reputazione, la sua carriera, tutto per lui.
Keith era cresciuto senza un padre ma avendo comunque davanti agli occhi il miglior esempio di amore romantico che si potesse desiderare, rappresentato da Thace e Ulaz, le guardie del corpo personali di sua madre. Immaginare sé stesso e Shiro stare insieme in quel modo era diventata la più dolce e ricorrente delle sue fantasie.
Una volta riconquistato il suo pianeta e il suo trono, avrebbe confessato a Shiro quello che provava, decise. Gli avrebbe chiesto di regnare al suo fianco come consorte, sarebbero stati la miglior coppia di sovrani che Marmora avesse mai avuto.

La mattina del terzo giorno Coran lo trovò in piedi e, dopo un veloce controllo, non potè far altro che acconsentire a lasciarlo uscire.
« Ho bisogno di muovermi. » gli spiegò Keith. « C’è un posto dove possa fare un po’ di allenamento con la spada? »
Dopo avergli raccomandato di non esagerare, viste le sue condizioni appena ristabilite, Coran gli spiegò dove trovare una delle sale adibite all’addestramento delle truppe.
« Anche se è probabile che a quest’ora sia occupata. C’è qualcuno che ha l’abitudine di farci un salto quando ha la mattina libera. »
Fingendo una noncuranza che non provava affatto, Keith chiese se si trattasse di Shiro, non riuscendo tuttavia a camuffare del tutto la nota speranzosa nella voce.
« No, mi dispiace. Shiro è uscito all’alba in missione. È molto probabile che si rechi dal comandante Kolivan a fare rapporto e non sarà una visita piacevole. Intendevo Lance, il giovanotto che hai conosciuto due giorni fa. Di solito usa armi a lungo raggio, ma sono certo che gli farebbe piacere fare pratica in uno scontro più ravvicinato. »
Keith trattenne a stento una smorfia: non aveva grande interesse ad allenarsi con un estraneo e di quel ragazzo, a conti fatti, non sapeva nulla. A parte che si era imbarcato in una missione ad alto rischio solo per procurargli l'antidoto – per salvargli la vita. Chissà perché lo aveva fatto?
Seguendo le indicazioni di Coran e sempre rimuginando su quei pensieri, Keith raggiunse la sala di allenamento che cercava. Dall'interno proveniva l'inconfondibile suono di un'arma laser e, preso dalla curiosità, si sporse per dare un'occhiata a quello che stava succedendo.
Quello che stava strenuamente combattendo contro un bot era effettivamente il ragazzo dell'infermeria. Non aveva più il braccio al collo, nonostante una benda fosse ancora visibile sotto la manica arrotolata, e imbracciava un fucile di precisione di quelli che Keith aveva sempre visto solo da lontano. Nonostante il droide lo attaccasse ripetutamente, riusciva a evitarne i colpi senza apparente difficoltà, rotolando sul pavimento e mettendosi immediatamente dopo in posizione di tiro. Ogni colpo centrava il bersaglio con una precisione millimetrica che lasciò Keith senza parole.
Quindi era quella l'abilità di un cecchino.
Rimase a osservarlo per alcuni minuti finché quello non mise in pausa la sequenza e non si voltò verso di lui.
« Ehi! » esclamò, portandosi indice e medio della mano destra alla fronte nella parodia di un saluto militare. « Buongiorno! Intendi stare lì a spiarmi ancora per molto? »
« Non stavo spiando! » s'indignò Keith. « Volevo usare la sala per allenarmi ma non voglio interromperti. Verrò più tardi. »
Coran gli aveva consigliato di esercitarsi con Lance ma, lì per lì, non se l'era sentita di proporglielo. Non dopo quello sfoggio di abilità. Keith non aveva esperienza diretta del campo di battaglia, tutto quello su cui poteva contare era una tecnica di spada dignitosa e una certa dimestichezza nei duelli, niente che potesse reggere il confronto con un soldato addestrato. Non ci teneva a fare una misera figura davanti a quel tipo, per questo girò sui tacchi e fece per allontanarsi nel corridoio.
« Aspetta, non andartene! » sentì esclamare alle sue spalle. « Possiamo allenarci insieme! Shiro ha detto che avevi una pistola, scommetto che sei un buon tiratore. »
Keith tornò sui propri passi ma scosse la testa.
« Quella la portavo solo perché mia madre era preoccupata che potesse succedere qualcosa durante la cerimonia, come poi infatti è successo. In realtà io non... »
Si bloccò per un attimo e sviò lo sguardo, suo malgrado imbarazzato.
« Io non so sparare. » borbottò infine. « Me la cavo meglio con le lame. »
Questo non scoraggiò minimamente Lance.
« Posso insegnarti! Oppure possiamo fare un po' di pratica con la spada. Non è la mia arma migliore, ma posso farti da partner, se ti va. »
Keith si chiese da dove arrivasse tutto quell'entusiasmo e, di nuovo, perché a quel tipo importasse di lui. Alla fine liquidò tutto con un'alzata di spalle e accettò l'invito: un allenamento con la spada, per lo meno, non lo avrebbe messo in una posizione di svantaggio.
Estrasse il pugnale di luxite che aveva alla cintura e in un attimo materializzò la consueta lama violacea: un peso familiare nella sua mano che lo fece sentire immediatamente più a proprio agio.

Lance assistette alla trasformazione con sguardo stupito e ammirato. Un attimo prima Keith stringeva un pugnale, un attimo dopo nelle sue mani si trovava una spada ricurva dalla lama traslucida, che mandava suggestivi riflessi violacei.
« Wow... » mormorò ammirato. « È proprio un bel giocattolino. Luxite? È un minerale raro. »
Keith annuì.
« Già. Su Marmora viene consegnato un pugnale a tutti i giovani che intraprendono la carriera militare. Chi è in grado di risvegliare la lama può aspirare ai gradi superiori. »
Sembrava che parlare della propria arma lo facesse sentire più tranquillo e meno incline a darsela a gambe, quindi Lance si mantenne su quel discorso per familiarizzare almeno un po'.
« Pensi che potrei tenerla in mano per un attimo? Ha una forma strana ma sembra una spada molto ben bilanciata. »
L’espressione che Keith gli rivolse fu tra lo stupito e l’ironico.
« Credi davvero di riuscirci? » chiese.
« Pensi che non sappia tenere in mano una spada? Sono un soldato addestrato, io! »
« Oh. Certo, prego. »
Il tono sarcastico passò del tutto inosservato a Lance, perso nelle sfumature violette che i riflessi della lama regalavano ai suoi occhi. Come poteva esistere un colore così bello?
« Allora? »
Lance si riscosse quando vide la spada tesa davanti a sé.
« Oh, certo! »
Afferrò l’impugnatura con un gesto deciso ma, appena lasciò la mano di Keith, il bagliore si affievolì fino a spegnersi. La spada mutò forma e tornò alle sembianze di un semplice pugnale.
Lance fissò l’arma esterrefatto.
Keith azzardò uno sbuffo divertito.
Stava ridendo? Di lui? Beh, pazienza, era bello vederlo ridere.
« Solo chi ha sangue galra può risvegliare la lama. » spiegò. « Nelle mani di chiunque altro è un normalissimo coltello. »
Lance glielo restituì annuendo.
« Ok, ok, è il tuo asso nella manica. Vorrà dire che mi accontenterò di una spada normale, di quelle che non cambiano forma. »
Così dicendo, scelse un’arma dalla rastrelliera in fondo alla stanza e si mise in posizione, pronto a parare un attacco.
Si studiarono per alcuni istanti, girando attorno alla stanza in ampi movimenti, fino a quando Keith non scattò in avanti.
Un attimo prima brandiva un coltello, quello dopo Lance veniva raggiunto dalla lama di una spada, che riuscì a parare a malapena.
« Wow... te la cavi bene. » commentò, facendo forza sulla propria impugnatura per sostenere l'impeto dell'altro.
« E non sai ancora quanto! »
Lance ghignò e si preparò a contrattaccare.
Quel genere di allenamento era divertente e stimolante: in un modo che non si aspettava, gli permetteva di vedere una lato della personalità di Keith diverso da quello che aveva immaginato. In quei giorni aveva pensato a lui come al principino sotto la campana di vetro, arrogante ma poco capace sul campo e con in mente sempre e solo Shiro.
Forse l'ultima parte del suo pensiero non era così distante dalla realtà, ma Keith ora gli sembrava tutto tranne che poco capace. Si muoveva bene, aveva un fisico allenato e veloce, stare al suo passo era difficoltoso e ben presto Lance si rese conto che, in uno scontro reale, probabilmente non sarebbe stato alla sua altezza.
Dopo diversi minuti di combattimento, si trovavano ancora alla pari, con Lance che reggeva a fatica la lama sopra la testa e Keith che vi spingeva sopra tutto il suo peso, le sopracciglia corrugate e il fiato corto per lo sforzo.
« Ti arrendi? » gli intimò il principe.
Illuso.
« Nei tuoi sogni! » esclamò Lance, scartando velocemente per fare sì che tutto lo slancio di Keith si esaurisse a vuoto.
Purtroppo anche Keith si mosse in avanti e finirono per inciampare a vicenda nei piedi dell'altro, crollando miseramente a terra.
La lama di Lance schizzò lontano, quella di Keith si piantò nel pavimento poco distante dalla sua spalla, mentre il peso del principe gli precipitava addosso.
Lance sbattè la testa sul pavimento e, quando riaprì gli occhi, per un attimo ebbe l’impressione che la stanza vorticasse attorno a lui. Il volto di Keith era a breve distanza dal suo, poteva distinguere le sue ciglia abbassate sugli occhi serrati.
Alla sua sinistra, quasi alla stessa distanza, si trovava la lama affilata della spada marmorita.
« Oh, quiznak! »
Quando tornò a guardare il suo avversario, questo si stava rialzando portandosi una mano alla fronte e accomodandosi come se nulla fosse sul suo stomaco.
Lance lo scrutò, focalizzandosi su di lui per schiarire la propria mente e, quando vide che si riprendeva a sua volta, non riuscì a frenare la lingua.
« Se fossimo in un romanzetto rosa di bassa lega, questo sarebbe il momento in cui perdi la testa per me! » esclamò, facendogli l’occhiolino.
Keith s’irrigidì, accigliandosi, e i suoi occhi lampeggiarono di irritazione. Con un gesto brusco sfilò la spada conficcata nel pavimento.
Lance alzò le mani.
« Ehi, scherzavo. Scherzavo, non ti scaldare! »
« Uno scherzo idiota. » brontolò Keith, puntellandosi sulla lama per alzarsi in piedi.
Lance aveva fatto appena in tempo a mettersi in ginocchio, quando lo vide barcollare. Si mosse d’istinto, senza pensare, e un attimo dopo se lo ritrovò tra le braccia.
Era crollato come un sacco di patate senza nessun preavviso e si ritrovò a parlargli con tono preoccupato.
« Ehi, stai bene? »
Keith riaprì gli occhi e lo fissò dal basso verso l’alto, stranito.
« Io… sì… credo. È stato solo un capogiro. »
Quelle parole ricordarono a Lance che, in effetti, il principe era ancora convalescente e avrebbe fatto meglio a tenerlo presente durante lo scontro. Non che lui ci fosse andato leggero, ma questa non era una giustificazione.
« Ti porto in infermeria. » si offrì quindi.
Keith scosse la testa, assumendo con quel gesto un’espressione ancora più frastornata.
« Non è necessario, è solo un po’ di debolezza. Accompagnami nella mia stanza. »
Lance lasciò che quelle parole cadessero per un attimo in un vuoto attonito, prima di rendersi conto che Keith le aveva pronunciate come se l’interlocutore fosse un maggiordomo o qualcosa del genere: nessuna malizia nei confronti del giovane che lo stava tenendo tra le braccia, solo una sorta di ordine.
Troppo stupito anche solo per ribattere con una battuta, lo sollevò e fece in modo che gli passasse un braccio attorno alle spalle per reggersi in piedi. Lance sapeva dove si trovava l’alloggio che gli era stato assegnato e vi si avviò lentamente, senza commentare.
Fu Keith stesso a spezzare il silenzio a metà di un lungo corridoio.
« Perchè l’hai fatto? Non riesco a spiegarmelo. »
Lance gli lanciò un’occhiata obliqua e ghignò.
« Intendi perchè non ti ho lasciato per terra nella sala di allenamento? »
Uno sbuffo seccato gli giunse in risposta.
« Anche. Ma soprattutto perchè ti sei offerto per una missione ad alto rischio solo per salvare qualcuno che nemmeno conosci, per una causa che non è la tua. »
« Come sarebbe? Salvare gli oppressi dell’Impero è la causa della Ribellione, quindi è anche la mia. Anche se l’oppresso in questione è un principino arrogante che arriva più morto che vivo da un pianeta ai confini della galassia. »
Keith gli rifilò una smorfia che venne prontamente ignorata.
« Sai, qui crediamo tutti nella profezia che salverà l'universo da questa tirannia. » continuò. « La Resistenza si è letteralmente costruita attorno alla principessa Allura, lei è la prescelta che sconfiggerà Zarkon e metterà fine all'Impero. »
Allura era stata la luce, il motivo che l'aveva spinto a lasciare l'esercito galra anni prima, a disertare facendosi credere morto per non mettere in pericolo la sua famiglia, in favore di un ideale che avrebbe portato la pace nell'intero universo.
Keith invece non sembrava particolarmente impressionato, come se avesse appena sentito solo uno dei tanti gossip che giravano nelle sale delle alte sfere di governo.
« Quella della profezia è solo una leggenda metropolitana, no? Una volta ne ho sentito parlare da Thace, una delle guardie di mia madre, ma erano solo chiacchiere. Cose come le profezie e i prescelti che salvano l'universo sono solo favole per bambini. »
Il tono era disincantato e piatto, tipico di chi sapeva che, se voleva ottenere qualcosa, doveva rimboccarsi le maniche e darsi da fare: nessuno gli avrebbe magicamente regalato nulla. Pensarlo dalla voce di un principe che, in teoria, avrebbe dovuto avere tutto servito su un piatto d'argento, era strano. Lance faticava a soprassedere.
« Non si tratta di una favola, ne abbiamo davanti la prova vivente. »
La principessa, spiegò, era la figlia di re Alfor di Altea e quindi erede al trono se il pianeta non fosse stato occupato dai Galra, ma non si trattava solo di questo. Anni prima, nel periodo della prima espansione dell’Impero, Alfor aveva vissuto come ostaggio politico su Daibazaal, pianeta natale della razza galra e sede della corte dell'imperatore. All’epoca i rapporti non erano così tesi e la guerra non era ancora scoppiata. Honerva, una scienziata del suo seguito, aveva ottenuto il permesso di portare avanti le proprie ricerche su Daibazaal e, proprio lì, aveva scoperto una fonte di quintessenza. In preda all'estasi dovuta all’assorbimento di tale potere, aveva pronunciato delle parole che sarebbero rimaste scolpite nelle menti di tutti per gli anni a venire come una profezia assoluta: la stirpe di Alfor avrebbe messo fine all'Impero.
Proprio per questo motivo la nascita di Allura, avvenuta poco tempo dopo, era stata tenuta nascosta e la bambina era stata portata in salvo su Altea da Coran, unica persona di cui Alfor si fidava per una simile missione. La Resistenza si era radunata attorno a loro spontaneamente e la principessa era stata allevata e riconosciuta da tutti come la prescelta. La fine dell'Impero era diventata il suo scopo e la sua ragione di vita. L’intera Resistenza guardava a lei come al leader che avrebbe messo fine alla guerra e riportato la pace nell'universo.
Quelle spiegazioni suscitarono in Keith una tiepida reazione e per il momento Lance rinunciò a insistere. Era ovvio che non si sarebbe fidato solamente delle sue parole e al momento non era nemmeno nelle condizioni di farlo. Aveva bisogno di riposare e tutto quello che lui doveva fare era accompagnarlo nella sua stanza.
E l'avrebbe fatto subito se svoltando l'angolo non avesse sentito una voce nota.
Doveva averla sentita anche Keith perché si staccò bruscamente da lui e corse avanti.
« Shiro! »
Lance lo seguì a passo svelto e scorse Shiro in fondo al corridoio in compagnia di un'altra persona: una figura minuta rispetto alla corporatura robusta del capitano, che la circondava con le braccia quasi facendola scomparire contro di sé. Non ne vedeva il volto, ma la riconobbe immediatamente e non impiegò più di un istante a rendersi conto che Shiro la stava baciando.
« Bentornato, capitano! Pidge, quando sei arrivata? » esclamò giulivo, per niente a disagio nell'interrompere il momento di intimità della vecchia amica.
Si rese conto con un istante di ritardo che Keith, accanto a lui, era immobile, rigido, gli occhi spalancati. Le sue guance avevano perso ogni colore.
Per un momento pensò che sarebbe crollato di nuovo, poi Shiro alzò la testa e mosse un passo verso di loro.
« Keith! » esclamò, ignorando la presenza di Lance per concentrarsi solo sul principe. Si schiarì la voce e recuperò una parvenza di contegno. « Altezza! Sono felice di vedervi in piedi e in salute. »
Pidge invece fissava entrambi, con le mani sui fianchi e l'aria seccata di chi era stato interrotto in un'attività piacevole.
« Discrezione è il tuo secondo nome, Lance. » brontolò.
Tuttavia Lance non ci fece quasi caso, stupito dall'improvviso cambio di espressione di Keith.
Lo vide forzare un sorriso tirato, nonostante non stesse facendo il minimo movimento per andare incontro a Shiro. La sua postura restava rigida, i pugni chiusi.
« Ti ringrazio per l'interessamento. Mi auguro che anche la tua missione non abbia incontrato problemi. » disse in tono piatto, formale.
Non era stato maleducato o brusco, ma la sua voce tradiva una freddezza inaspettata, al punto che Shiro stesso rimase interdetto.
Lance spostò lo sguardo dall'uno all'altro, mentre veniva colto dalla consapevolezza che quelle che aveva finora considerato poco più che frivole supposizioni fossero invece una realtà.
Sperò, pregò che Shiro aggiungesse qualcosa, qualunque cosa, ma il capitano rimase in silenzio. Keith superò entrambi con passo deciso, svoltando l'angolo e scomparendo alla vista.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


Cap. 5

 

Keith non si era fermato a guardarsi alle spalle, semplicemente si era allontanato alla cieca nel corridoio con la sola intenzione di mettere più spazio possibile tra sé stesso e quello che aveva visto succedere.
L'immagine di Shiro che baciava quella ragazza gli si era impressa a fuoco nella mente, nonostante si fosse soffermato a osservarli per non più di un paio di secondi. Il gesto protettivo della protesi meccanica che la cingeva e la dolcezza delle dita di Shiro affondate nei suoi capelli rispecchiavano perfettamente ciò che Keith aveva sempre sognato per sé. Il corpo di Shiro che circondava quello minuto della ragazza, che quasi si perdeva nel suo abbraccio, era una scena che i suoi occhi avevano rifuggito ma, allo stesso tempo, i suoi pensieri richiamavano ancora e ancora.
Perso in quelle considerazioni deprimenti, si rese a malapena conto di essere finito in una parte della base che non conosceva. Si guardò attorno, in cerca di qualche segno che potesse aiutarlo a orientarsi, ma non trovò nulla. Non aveva idea di dove fosse arrivato né dove conducesse il corridoio in cui si trovava.
Si sentiva debole e vagamente stordito dal mancamento di poco prima, mentre un dolore sordo pulsava all'altezza del cuore ogni volta che richiamava alla mente le immagini di Shiro e Pidge.
Gli girava la testa.
Chiuse gli occhi e si appoggiò a una parete, lasciandosi scivolare fino a toccare terra.
Avrebbe voluto comportarsi in modo più razionale. Nella situazione in cui si trovava non avrebbe dovuto perdere tempo a struggersi su stupide questioni sentimentali. Doveva tornare sul suo pianeta, salvare sua madre e liberare la sua gente. Doveva muoversi o l'impero avrebbe fatto di Marmora una colonia, avrebbe distrutto la sua casa!
Una fitta gli attraversò le tempie e si sentì sprofondare in un abisso dove le sue percezioni si fecero indistinte.
A richiamarlo alla realtà fu una mano posata sulla sua spalla. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, ma tornò gradualmente in sé quando si sentì sollevare di peso e la voce di Lance gli giunse accanto all'orecchio.
« Ecco dov'eri finito. Sei corso via e non ti ho più trovato. Coraggio, ti accompagno nella tua stanza, che, per la cronaca, è nella direzione opposta. »
Keith non si preoccupò nemmeno di rispondere. Lance era l'ultima persona che aveva voglia di vedere in quel momento e il pensiero che avesse assistito alla sua reazione lo innervosiva ulteriormente. Tuttavia l'altro non disse una parola e raggiungere la stanza fu un sollievo.
« Non è un palazzo reale, ma è un alloggio dignitoso e potrai arredarlo come ti pare. » spiegò Lance mentre apriva la porta digitando un codice sul tastierino a parete. « La password è personalizzabile ovviamente, ma ti consiglio di farla sapere almeno a un'altra persona. Sai, per le emergenze... »
Keith lo lasciò parlare, ascoltandolo a malapena. Non gli importava minimamente che la sua stanza venisse descritta come la suite di un hotel di lusso, in fondo doveva solo dormirci e sperava di rimanerci il meno possibile. Per quello che lo riguardava, sarebbe stato pronto a partire per Marmora in quello stesso momento per prendere a calci Lotor e salvare sua madre.
« Ora cerca di riposare un po'. » continuò Lance. « Ti chiameremo se ci saranno novità e quando Allura avrà stabilito i piani per la missione.»
Keith annuì e lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle con un sibilo, lasciandolo solo nella stanza. A stento si guardò attorno, nell'ambiente semplice e spoglio che lo circondava, e barcollò fino al letto.
Si stese con un sospiro e chiuse gli occhi, consapevole della necessità di calmarsi. Il battito accelerato martellava ancora nel suo petto e le immagini di Shiro e della ragazza si ripresentarono insistenti nella sua mente.
Faceva dannatamente male.
Ripensare alle sue ingenue fantasie lo faceva sentire indegno e, allo stesso tempo, gli stringeva la gola in un nodo di sofferenza. Si rese conto della lacrima che era sfuggita alle sue ciglia quando ormai si era persa tra le ciocche corvine.

Dopo aver lasciato Keith nel suo nuovo alloggio, Lance aveva ripercorso il corridoio, augurandosi di non dover tornare indietro di corsa da un momento all'altro perché quel principino testone aveva compiuto qualche gesto inconsulto. Era successo esattamente quello che temeva e, per un motivo che lui per primo non riusciva a spiegarsi, aveva finito per sentirsene responsabile. Era assurdo considerando che, appena poco prima, Keith lo aveva letteralmente trattato come un domestico senza nemmeno rendersene conto. Eppure aveva visto un lampo di dolore nei suoi occhi che non riusciva a togliersi dalla testa. Quello che Keith provava per Shiro andava ben al di là della semplice riconoscenza o del rapporto tra un nobile e la sua guardia, andava al di là anche di un rapporto fraterno e Lance si sentiva confuso, diviso tra il dispiacere per la delusione dell'altro e una sorta di fastidio pungente. Perché, insomma, anche lui aveva rischiato la vita per salvare quel piccolo ingrato e tutto quello che ne aveva ricavato era stato un: “non è la tua causa”. Molte grazie.
Rimuginando, non si rese conto di aver raggiunto una delle aree comuni finché non sentì chiamare il suo nome.
« Lance! Ehi, sei con noi? »
Alzando lo sguardo, riconobbe l'amica già incontrata poco prima.
« Scusa, Pidge, ero sovrappensiero. Hai detto qualcosa? »
« Dicevo che la principessa ha indetto una riunione tra mezz'ora. Pare stiano preparando una nuova missione, qualcosa che ha a che fare con Beta Traz. Tu piuttosto, hai una faccia che non mi convince per niente. Cosa stai covando? »
Lance la scrutò, chiedendosi a cosa si stesse mai riferendo.
« Eh? Nulla, perché? »
« Non fare il finto tonto, se n'è accorto addirittura Shiro, nonostante fosse in panico per il principe Keith. Gli sei corso dietro come un cagnolino, non è da te. Di solito disprezzi i nobili, quindi sputa il rospo. Cosa bolle in pentola? »
« Shiro era in panico? Quindi lo sa? » esclamò Lance, incredulo.
« Non rispondere a una domanda con altre domande. » lo redarguì l'amica, piazzandosi le mani sui fianchi con aria impaziente.
Lance sospirò: quando Pidge s'impuntava era impossibile farle cambiare idea, quindi tanto valeva darle quello che voleva.
« Non bolle nulla. » capitolò. « Semplicemente avevo intuito che il principino avesse un debole per Shiro, tutto qui. Dev'essere stato un brutto colpo per lui vedervi insieme e, siccome è ancora convalescente e ha avuto un mancamento nella sala di allenamento, mi sono preoccupato. Nient'altro. »
« Nient'altro? »
Lo sguardo ambrato di Pidge, dietro le lenti rotonde, sembrava vedere molto più di quanto non dimostrasse.
« Nient'altro. »
Lance sapeva benissimo che quella risposta non l'avrebbe soddisfatta.
« Allora suppongo che per te non sarebbe un problema se la principessa avesse deciso di assegnare il principe Keith alla prossima missione. Per dargli la possibilità di farsi le ossa sul campo. »
Pidge fece una pausa leggermente più lunga per sottolineare il pathos.
« Sotto la tua supervisione. » concluse.
Follia.
Quello era l'unico modo per descrivere un'ipotesi del genere.
Follia allo stato puro.
Keith se la cavava bene con le lame, d'accordo, ma non aveva mai visto un campo di battaglia in vita sua. Non aveva idea di come funzionasse un'uscita in missione. Avrebbe finito per mettere in pericolo sé stesso e gli altri, sarebbe stato un disastro. Avrebbe potuto scapparci il morto. Più di quanto non venisse normalmente messo in conto in una qualunque missione della Resistenza contro l'Impero, s'intende.
Lance non ne voleva sapere nulla.
« Non se ne parla. Non intendo fare da balia a qualcuno durante una missione. » protestò, ma Pidge lo liquidò con un gesto della mano.
« Per qualsiasi rimostranza, rivolgersi alla principessa Allura in sede di riunione strategica. »
Lance sbuffò e incrociò le braccia.
Avere il principino tra i piedi sarebbe stato un problema, non solo perché non aveva nessuna esperienza, ma anche perché non sarebbe stato nello stato mentale adatto ad affrontare una missione del genere.
Era universalmente riconosciuto che una persona sentimentalmente delusa tendeva a fare molte più sciocchezze e a mettersi nei guai di una serena e Lance non aveva per nulla voglia di trovarsi sul groppone un potenziale suicida.
« Posso vedere le rotelline arrugginite del tuo cervello girare a fatica. » commentò Pidge con un ghigno. « Se quello che ti preoccupa non è strettamente militare, posso provare io a scambiare due parole con il principe. Anche Shiro me lo ha chiesto, quindi non sarebbe un problema. »
Lance scrutò l'amica e valutò quanti ulteriori danni emotivi potesse fare a uno nella precaria condizione del principino: non molti, probabilmente. Anzi, forse avrebbe potuto addirittura essere d'aiuto.
« Fai come credi. » concluse. « Non sono la sua guardia, né il suo badante e di certo Shiro sa cos'è meglio per lui. Ora scusami, ma la riunione sta per iniziare e voglio essere certo di avere un posto in prima fila. »

Quando Keith sentì bussare alla porta la prima reazione che ebbe fu quella di sospirare di esasperazione. Non aveva nessuna voglia si sentire di nuovo Lance che gli spiegava come funzionava la password della camera e quanto convenisse che qualcun altro la conoscesse “per le emergenze”. Le vere emergenze erano altre, non quelle che potevano capitare in una camera da letto.
« Non hai qualche riunione a cui presenziare, signor cecchino? » esclamò, non lesinando il sarcasmo.
Trattenersi quando era in quello stato era estremamente difficile.
« Non sono Lance, altezza. » rispose una voce femminile fastidiosamente familiare.
Cosa ci faceva la ragazza di Shiro fuori dalla sua porta? Era forse venuta a marcare il territorio?
Non aveva nemmeno il diritto di starsene da solo nel suo dolore per un po'?
Keith spostò con riluttanza il braccio che aveva ripiegato a coprirsi gli occhi e si alzò dal letto, trascinandosi fino al tastierino a parete per sbloccare la porta.
La ragazza lo salutò con un sorrisetto tirato, sistemandosi sul naso i grossi occhiali rotondi e spostando dietro l'orecchio una ciocca castana di quel taglio bizzarro.
« Se pensate che sia venuta qui per un qualunque motivo poco nobile, mi dispiace deludervi. » esordì. « Non intendo fare nessun genere di rivendicazione, solo assicurarmi che stiate bene e portarvi le più sincere scuse da parte di Shiro. »
« Ti ha mandata lui? » chiese Keith, ancora diffidente pur facendosi da parte per lasciarla entrare.
La porta si chiuse alle sue spalle con un sibilo.
« Sì, si preoccupava del fatto che non voleste vederlo, ma allo stesso tempo voleva accertarsi che steste bene. » disse lei. « Sono Pidge, forse vi ricordate di me, sono quella che ha aperto il wormhole per permettervi di raggiungere Altea. »
Di quei momenti Keith ricordava solo vagamente una voce nel trasmettitore, ma annuì comunque.
« Te ne sono grato. » mormorò. « Hai altro da dire? »
Solo un lieve increspare delle sopracciglia sottolineò l'irritazione che quel tono suscitò nella ragazza.
« In questo momento si sta organizzando una missione a Beta Traz, a cui parteciperete sotto il comando di Lance. È probabile che io sia il vostro tecnico delle comunicazioni. Il motivo principale per cui sono qui è accertarmi che siate nelle condizioni ideali per partecipare a una missione che metterà in conto delle vite. Se non siete in grado di farlo, fisicamente o emotivamente, per noi è importante saperlo subito. »
Quelle parole fecero spalancare gli occhi a Keith.
Pensavano forse che non fosse all'altezza? Che fosse fragile, convalescente, con il cuore spezzato, incapace di prendere decisioni razionali? Si sbagliavano e l'avrebbe dimostrato.
« Posso fare tutto ciò che è necessario per liberare mia madre e la mia casa. Posso partecipare a qualunque missione organizzerete, non sono qui per farmi proteggere da nessuno. » rispose, suscitando un sorriso nella ragazza di fronte a lui.
« Mi fa piacere sentirvelo dire. Shiro ha sempre sostenuto che foste forte e determinato, che ce l'avreste fatta in ogni caso. »
Annuì e girò sui tacchi per uscire, fermandosi poi all'ultimo momento.
« So come vi sentite. Anche la mia famiglia è dispersa da quando l'Impero ha conquistato Olkarion, il pianeta dove vivevamo. La Resistenza mi ha dato una casa e uno scopo, confido che possa essere lo stesso anche per voi. Forse non è il momento più adatto per dirlo, ma voglio che sappiate che Shiro è molto orgoglioso di voi e vi considera il fratello che non ha mai avuto. Andrebbe in capo all'universo per il vostro bene. »
Keith rimase immobile a guardarla uscire. Parte dell'astio che provava nei suoi confronti era appena svanito grazie a quelle parole. Quella che aveva di fronte non era una rivale, ma una persona nella sua stessa penosa situazione che aveva trovato conforto come poteva. Non poteva biasimare nessuno per una cosa simile.
Forse non sarebbe stato facile, ma era tempo di lasciarsi alle spalle quel sentimento infantile e prendere in mano la situazione. Se partecipare alle missioni della Resistenza era ciò che ritenevano necessario per avvicinarsi all'obiettivo, allora l'avrebbe fatto e le avrebbe portate a termine.
Avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per avvicinarsi allo scopo finale di riprendersi il trono di Marmora e sua madre.

Quando Lance lasciò la sala riunioni era più preoccupato di quando vi aveva messo piede. La missione che stavano preparando mirava alla liberazione di una delle menti più geniali della galassia, a detta della principessa e dei generali della Resistenza, ingiustamente incarcerata e tenuta sotto controllo dall'Impero. Beta Traz era un carcere di massima sicurezza, un luogo molto difficile in cui infiltrarsi, ben diverso dal palazzo reale occupato di Altea, dove un banale travestimento era stato sufficiente. Le piastre che azionavano l'apertura delle porte non erano dei semplici sensori a pressione o lettori di impronte digitali, bensì erano in grado di rilevare il DNA di chi vi appoggiava il palmo e si azionavano solo in presenza di geni galra. Nemmeno la rinomata abilità alteana di modificare il proprio aspetto era stata d'aiuto fino a quel momento ed era qui che entrava in gioco il principe Keith.
Lance aveva creduto, aveva sperato fino all'ultimo che il suo coinvolgimento fosse puramente marginale, un modo come un altro per mostrare a un ragazzino ignaro come fosse realmente una missione sul campo. Invece aveva scoperto che il consiglio dei generali ne aveva fatto addirittura il centro di quell'azione, come se non avesse aspettato altro che avere qualcuno come lui tra le mani per approfittarne.
« Non mi piace. » brontolò per l'ennesima volta, mentre percorreva i corridoi alla volta dell'ala degli alloggi.
Hunk, al suo fianco, si limitò a scuotere la testa.
« Francamente non capisco quale sia il problema, Lance. Hai passato tutta la riunione a borbottare quando quella che ci è capitata è un'ottima occasione. Il principe Keith, con la sua metà galra, ci permetterà di avere accesso a Beta Traz e liberare Slav. »
« Non è affatto un'occasione, Hunk! Ma non capisci? I generali non aspettavano altro che arrivasse qualcuno come lui per approfittarne. Non importa che sia Keith o qualcun altro, una qualunque creatura con sangue galra sarebbe andata bene. Questo è... è sfruttamento! »
Lance gesticolò, frustrato. Odiava quella situazione.
« Lui è venuto qui scappando dal suo pianeta conquistato, in cerca di aiuto e protezione. A quest'ora dovremmo essere su Marmora a bombardare Lotor e a restituire il pianeta ai legittimi sovrani! Perché noi siamo la Resistenza, è questo che facciamo, prendiamo a calci i cattivi! Non sfruttiamo chi viene in cerca d'aiuto per i nostri scopi! »
Hunk sospirò.
« Non per essere polemico, Lance, ma ho l'impressione che, da quando ti sei trovato davanti il tuo principino, ti sfugga la visione d'insieme.»
« Non è affatto il mio principino! E la visione d'insieme ce l'ho più che chiara e continua a non piacermi. »
Sapeva bene che la liberazione di Slav sarebbe stata di grande aiuto per la progettazione di qualunque missione futura, compresa la liberazione di Marmora, ma non gli andava per nulla a genio che Keith dovesse esporsi in quel modo. Già non approvava che partecipasse alla missione nello stato precario in cui si trovava, figuriamoci esserne il cardine! Come minimo sarebbero saltati tutti in aria.
« Scommetto che lui invece sarebbe entusiasta di partecipare. » continuò Hunk. « Da come ne parli ho l'impressione che non sia il tipo da starsene tranquillo nell'attesa che qualcuno gli restituisca casa sua su un piatto d'argento. »
« Certo che no. Sono sicuro che si butterebbe a capofitto nella battaglia come qualunque idiota dopo una delusione sentimentale. Altro che liberare il suo pianeta, ci farà ammazzare tutti. »
« Hai sentito la principessa, evitare qualunque genere di colpo di testa sarà il tuo compito. Sarai l'ufficiale superiore di un principe, dovresti essere soddisfatto. Dopotutto dicevi sempre che avresti voluto comandare a bacchetta qualche nobile. »
Invece Lance non era per nulla soddisfatto. Non aveva nessuna aspirazione di comandare Keith a bacchetta, avrebbe preferito di gran lunga saperlo alla base, al sicuro, a riprendersi e ad allenarsi in vista del giorno in cui avrebbe riconquistato la sua casa. Inoltre non aveva alcuna fiducia nel fatto che sarebbe riuscito a farsi ascoltare e obbedire da quella testa calda.
« Se ci tieni così tanto, perché non glielo dici tu? »
« E perdermi la tua faccia mentre gli dirai che sarai il suo comandante sul campo? Per niente al mondo, amico. »
Lance avrebbe voluto brontolare ancora, inveire contro Hunk che non era per nulla d'aiuto, ma avevano raggiunto l'alloggio di Keith e il tempo delle chiacchiere si era esaurito.
Imponendosi un'aria seria e marziale, bussò quindi alla porta, sperando che il giovane principe nel frattempo si fosse ricomposto.
Quello che non si sarebbe mai aspettato era di trovarlo vestito di tutto punto, con addosso il pettorale di un'armatura preso chissà dove, sull'attenti nella posa di un perfetto saluto militare.
« Sono pronto a partire al vostro ordine, comandante. » affermò Keith, davanti ai due increduli compagni.
E Lance, che aveva fatto di tutto per prepararsi un discorso volto a scoraggiare quella follia e far leva sulla razionalità, si ritrovò suo malgrado ad arrossire e a pensare che, dopotutto, avere il principino che lo chiamava comandante non sarebbe stato poi così orribile.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


Cap. 6

 

L'asteroide che orbitava attorno alla prigione spaziale di massima sicurezza di Beta Traz era grande a sufficienza per ospitare la squadra di incursione inviata dalla Resistenza e abbastanza desolato perché nessuno vi badasse o sospettasse la presenza di qualcuno.
Il piccolo gruppo di ribelli guidati da Lance era atterrato con delle navicelle sulla faccia scura dell'asteroide, opposta al complesso della prigione, ed era avanzato fino a raggiungere un buon punto di osservazione.
Da lì avrebbero dovuto studiare i movimenti delle guardie e individuare una qualunque falla nella sicurezza che potesse permettere loro un'incursione. Per quanto fosse considerata una prigione dove rinchiudere elementi potenzialmente pericolosi per l'Impero, non si trattava certo di un luogo visitato spesso dalle autorità. Si diceva che chi vi venisse rinchiuso non avrebbe più visto la luce delle stelle e che la perfetta automazione della struttura permettesse l'utilizzo di poco personale in quell'avamposto lontano da tutto. Quei primi giorni di missione sarebbero serviti a verificare che tutte quelle informazioni fossero veritiere.
Non avrebbero montato alcun campo all'ombra delle rocce scoscese che formavano l'asteroide, l'assenza di atmosfera avrebbe reso difficoltosa ogni permanenza all'esterno delle navicelle, ma avrebbero inviato delle sonde per monitorare lo spazio circostante e i turni di guardia per controllarne le trasmissioni erano stati stabiliti a coppie, in modo che l'intero gruppo partecipasse.
Lance avrebbe voluto fare coppia con Hunk, era più che chiaro, ma, spinto probabilmente dal senso del dovere o dal timore di lasciarlo incustodito, aveva stabilito di trascorrere i suoi turni con Keith. Il principe, ovviamente, aveva notato subito quell'intenzione e non aveva mancato di farglielo notare durante la prima guardia insieme.
« Non sei costretto a farmi da balia. » esordì, una volta rimasti soli davanti alla console di controllo. « Non mi suiciderò e non metterò la squadra nei guai. Ho detto che avrei obbedito ai tuoi ordini, ricordi? »
Dall'espressione che Lance assunse, fu lampante che avesse colto nel segno, tuttavia il giovane scosse la testa.
« Sono stato molto chiaro con la principessa Allura in merito a questa questione: non avevo nessuna intenzione di accollarmi potenziali suicidi o mine vaganti. L'unico motivo per cui ora sono qui invece che spassarmela con Hunk è per mostrarti nella pratica in cosa consiste il nostro lavoro. » rispose, aggiungendo poi: « Hai detto che non era la mia battaglia, quindi ora ti mostrerò perché si tratta della battaglia di tutti. »
Keith incassò la frecciata senza commentare. A volte aveva l'impressione che Lance volesse avvicinarsi a lui, anche se non ne capiva il motivo, altre invece si sentiva respinto e tenuto a distanza. Quest'ultima sensazione gli era più familiare, ma di nuovo non gli era chiara la motivazione di quel comportamento contraddittorio.
« Ti porti sempre dietro quel fucile? »
Non era una domanda che avesse a che fare con il discorso precedente e non era nemmeno dovuta al fatto che Keith volesse fare conversazione. In realtà lui era tutt'altro che portato per la conversazione e di solito faceva di tutto per evitarla. Aveva chiesto solamente perché il suo sguardo era caduto per caso sull'arma che Lance aveva appoggiato al sedile. Si trovavano all'interno di una navicella, davanti a una console di comando e in una posizione tale che un attacco diretto sarebbe stato molto improbabile, non aveva senso tenerla lì.
Lance raccolse il fucile e se lo portò in grembo, accarezzando la lunga canna di precisione sovrastata da due mirini. Era un'arma invidiabile, degna di un cecchino esperto.
« Sì, lo porto sempre con me, come monito, diciamo. » fu la risposta, mentre le dita scivolavano morbide sull'impugnatura.
Keith aguzzò lo sguardo e scoprì che quelli che a prima vista apparivano come graffi casuali, in realtà erano un'incisione con un significato ben preciso. Un nome: Flor.
« Un promemoria per non scordarti il nome di qualcuno? »
A quell'insinuazione, Lance gli rivolse uno sguardo confuso, che Keith liquidò con il gesto altezzoso di una mano.
« Non hai bisogno di proteggere le mie regali orecchie, i soldati parlano. Li ho sentiti più volte dire di come ti vanti di avere una donna in ogni spazioporto e non mi stupirei se il nome lì sopra fosse di una di loro. Non mi aspetto serietà da te. »
Lo disse con un'alzata di spalle e un tono casuale, leggero, per questo in un primo momento il senso della risposta gli sfuggì completamente.
« È mia sorella. »
La voce di Lance aveva un tono inaspettatamente serio e pacato.
« So quello che si dice su di me, in parte ho alimentato io stesso le voci. Avere una certa fama può fare comodo. Su di lei però non scherzo. »
Le dita affusolate di Lance continuavano ad accarezzare il fucile come se fosse qualcosa di prezioso e Keith si rese conto che quello che stava per arrivare era un discorso particolarmente delicato. Non si aspettava certo che l'altro si confidasse con lui, non ne vedeva nemmeno il motivo, ma qualcosa lo spingeva ad ascoltare qualunque cosa avesse da dire.
« Quando Altea è stata occupata dai Galra, ho servito nella leva obbligatoria per tutti i giovani. Ero convinto di fare qualcosa di buono e di contribuire alla sicurezza della popolazione, senza contare il compenso che era di grande aiuto al nostro bilancio famigliare. Facendo parte di quella fascia di persone che a volte fatica a sbarcare il lunario, un'entrata in più faceva comodo. »
Lance raccontava in tono tranquillo, come se si fosse trattato solo di una storia o della vita di qualcun altro, cosa che faceva sentire Keith vagamente a disagio e gli trasmetteva il sentore di una catastrofe in arrivo.
« Ero giovane ma non ero stupido, sapevo bene che i Galra erano gli invasori e l'Impero un'istituzione oppressiva, ma in qualche modo mi ero convinto di non farne parte pur appartenendo alle loro forze armate. Ero l'ingenuotto di turno convinto di poter cambiare le cose in meglio dall'interno, almeno finché la realtà non mi è stata sbattuta dritta in faccia. C'è stata una rappresaglia, si diceva che fosse stata fomentata dalla Resistenza. I superiori ci hanno ordinato di sparare sulla folla. Ho visto molti soldati farlo senza battere ciglio e persone morire sotto quel fuoco. Mi sono rifiutato di prendervi parte e sono scappato. Nel momento stesso in cui l'ho fatto ho capito che non avrei avuto scampo, si trattava di tradimento e diserzione, non sarei mai potuto tornare indietro. Per questo ho lasciato credere a tutti di essere morto in quegli scontri, così che non potessero rivalersi sulla mia famiglia. Ho cercato la Resistenza, o meglio, loro hanno trovato me, e questa è stata l'arma che Allura mi ha messo in mano per proteggere le persone in un modo diverso e... »
Lance s'interruppe, tentennando per un attimo.
« So che sembra sciocco, anche noi uccidiamo la gente, alla fine, e la buona causa è una giustificazione fino a un certo punto, ma voglio credere che questo sia un bene diverso da quello che pensavo di poter fare da solo nell'esercito. Un bene che porterà davvero qualcosa di buono, nel concreto, per molti. Flor è la mia sorellina, non la vedo da cinque anni e pensa che sia morto, come tutto il resto della mia famiglia. « Voglio credere che quello che faccio sia anche per loro. »
Keith aveva ascoltato in silenzio, rendendosi conto che la storia di Lance, raccontata con parole semplici e approssimative, ben distanti dai discorsi formali fatti alle riunioni diplomatiche o strategiche, era mille volte più toccante. Era la storia di qualcuno che si era sacrificato in prima persona per proteggere i suoi cari e per un ideale superiore. Questo, riflettè Keith, era quello che lui stesso avrebbe voluto fare ma in cui aveva fallito miseramente nel momento in cui si era fatto salvare da Shiro.
L'istinto gli avrebbe suggerito di alleggerire l'atmosfera e mettere in qualche modo distanza tra sé stesso e Lance, ora emotivamente troppo vicino, ma, per qualche motivo, non riuscì a liquidare tutto con una battuta brusca. Si rendeva conto, con una sorta di nodo allo stomaco, che di tutte le persone che aveva incontrato Lance era forse quello che poteva capirlo meglio. E, pur non essendo abituato a incoraggiare qualcuno, si sforzò di esprimere un pensiero positivo.
« Pensi che prima o poi ti farai di nuovo vivo con la tua famiglia? Potresti spiegare loro cos'è successo e il motivo per cui ora stai combattendo. »
Se fosse stato nei panni di Lance probabilmente non sarebbe mai tornato, anzi, al contrario, sarebbe stato ben lontano da sua madre per evitare ogni sospetto o ripercussione, ma stava iniziando a capire che esistevano metri di giudizio diversi dal suo.
« Mi piacerebbe e ammetto di averci pensato più di una volta, ma adesso è ancora troppo pericoloso. » rispose infatti Lance. « Non posso portarli via da Altea in sicurezza, quindi è meglio che vivano tranquilli senza sapere di me. Tornerò da loro quando sarò certo che la Resistenza avrà fatto abbastanza passi avanti, quando sarò in grado di proteggerli e non condannarli a una vita da fuggiaschi. »
Keith annuì, suo malgrado ammirato da quel discorso maturo. Per quanto non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, si rese conto che avrebbe dovuto prendere esempio da Lance per quello che riguardava la pazienza e la razionalità, soprattutto se si trattava del bene delle persone a lui care. Avrebbe dovuto imparare ad arginare l'impetuoso desiderio di vendetta che provava e aspettare che i tempi fossero sufficientemente maturi per agire.
Perso in quelle riflessioni, non si rese conto del silenzio prolungato finché Lance non tossicchiò per attirare la sua attenzione.
« Una moneta per i tuoi pensieri. »
« Non ci guadagneresti. »
« Oh, andiamo, io mi sono confidato con te, come minimo potresti fare altrettanto. Potresti raccontarmi del tuo regno, di tua madre e tuo padre. »
A quelle parole Keith si rabbuiò e distolse lo sguardo.
« Io non ho nessun padre. » mugugnò tra i denti.
Se sperava che quell’affermazione impedisse a Lance di fare domande indiscrete, si sbagliava di grosso.
« Ma non mi dire, sei un figlio in provetta. Non pensavo che anche i reali ricorressero a questa pratica, ma la scienza esiste per aiutare le persone e io non sono nessuno per giudicare… »
« Non sono un figlio in provetta! » sbottò Keith. « Avevo un padre, ma è morto prima che nascessi e mia madre non ne ha mai voluto parlare. Nessuno a palazzo è autorizzato a farlo. Non so nemmeno di che razza fosse, non che sia importante. Agli occhi di chiunque resto comunque solo un mezzo Galra. »
Non aveva mai dato voce al suo disagio riguardo il fatto di essere un mezzo sangue, nemmeno con Shiro o nei momenti di rabbia, era decisamente strano che Lance fosse riuscito a tirar fuori quel problema alla loro prima vera conversazione.
« Ti preoccupa la successione al trono? O il fatto di appartenere per metà alla razza che sta dominando l’universo? »
Keith lo fulminò con un’occhiata.
« La mia legittimità non è mai stata messa in dubbio! Mia madre è la regina Krolia di Marmora e questo basta! »
« Capisco… quindi il problema è fare comunella con i cattivi della situazione. »
« Io non faccio…! »
Keith si passò le mani tra i capelli, frustrato. Accidenti a quando aveva pensato che Lance potesse capirlo.
« Ma certo, è chiaro, rilassati. Ti stavo solo prendendo un po’ in giro. Capisco che tu ti senta in conflitto, chiunque lo sarebbe nella tua situazione. Non volevo certo appesantirti il turno di guardia con brutti pensieri, speravo solo di conoscerti un po’ meglio. »
Davanti a quelle parole, pronunciate con tutta la naturalezza del mondo, Keith rimase di nuovo spiazzato. Non era la prima volta che Lance tentava un tipo di approccio amichevole nonostante avesse dichiarato di non sopportare i membri dell’aristocrazia. Era un comportamento incoerente che non riusciva a spiegarsi.
« Perchè lo fai? »
« Faccio cosa? Parlarti come una persona normale? Sarebbe ora che lo facessero anche gli altri. »
« Non è solo questo, mi fai domande come se fossi davvero interessato a… »
« Alle risposte? Amico, è questo il motivo dell’esistenza delle domande. Se non sei interessato alle risposte, allora non chiedere. »
« Stavo per dire a me, ma anche questo ha senso. »
La reazione a quelle parole stupì di nuovo Keith che, di fronte a un Lance che arrossiva e si esibiva in una risata sguaiata, non seppe come reagire.
« Finora solo Shiro e mia madre si sono davvero interessati a me e a quello che avevo da dire. » ammise. « È strano… »
« Già, Shiro, l’uomo della tua vita. » commentò Lance, con con un'intonazione che Keith riuscì a identificare solo come un vago e velato sarcasmo.
« Non ti riguarda. » rispose quindi, ponendosi immediatamente sulla difensiva.
« Lo so. » disse Lance semplicemente. « Scusami, è stato un commento fuori luogo. Mi sento stupido perché lui che non ti vuole, ha tutta la tua attenzione, mentre io... Nulla, lascia perdere. »
Keith lo scrutò di nuovo, mentre l'altro distoglieva lo sguardo, chiaramente a disagio.
« Mentre tu? » provò a chiedere. « Stai cercando di farmi capire che dovrei esserti grato perché hai fatto delle cose per me? Perchè lo sono, sappilo. Non ne capisco il motivo, ma lo sono. »
Lance sospirò e scosse la testa.
« Non voglio niente da te, Keith, sono solo un po' invidioso di Shiro, tutto qui. Non ci badare. »
Dopo quelle parole, il giovane cecchino si chiuse in un silenzio malinconico che Keith non aveva idea di come spezzare e che, di conseguenza, si protrasse fino alla fine del turno.
Quando Hunk li venne a chiamare per il cambio della guardia, accolsero entrambi la sua presenza con sollievo, tanto che il compagno se ne stupì.
Keith non fece nessun commento, limitandosi a sottolineare la necessità di andare a riposare e avviandosi verso la propria cabina, lasciando soli i due amici: aveva fin troppe cose su cui riflettere e per farlo aveva bisogno di non avere nessuno attorno.

Lance si sentì addosso lo sguardo di Hunk ancora prima che l'amico aprisse bocca, ma si sforzò di ignorarlo.
« Quindi? Cosa gli hai detto? Ti sei dichiarato? »
« Cos...?! Ma che stai dicendo?! » esclamò Lance, voltandosi di scatto. « Io non ho...! »
L'espressione scettica di Hunk fu più che eloquente, tanto che non sarebbe nemmeno stato necessario il suo cenno del capo a indicare Keith, che si era appena allontanato.
Lance alzò le mani in segno di resa.
« Ok, ok, è vero, abbiamo parlato. Gli ho raccontato della mia famiglia. » disse accarezzando con la punta delle dita il nome inciso sulla canna del fucile. « E gli ho chiesto della sua, per conoscerlo meglio. Era stupito che m'interessasse. »
Hunk sollevò un sopracciglio.
« E? »
« E... gli ho detto che sono invidioso di Shiro. »
« Lance. »
« Cosa? »
Il tono di lasciava presagire una ramanzina in arrivo o, almeno, uno di quei discorsi pieni di buon senso che lasciavano Lance senza una giustificazione valida per i suoi colpi di testa.
L'amico incrociò le braccia e si appoggiò alla parete della sala comandi.
« Il mio compagno di turno sarà qui a breve, quindi non mi perderò in chiacchiere, ma ti rendi conto che dicendo una cosa del genere ti sei praticamente dichiarato? L'hai messo in una posizione scomoda. E, soprattutto, non avevi avvertito il tuo migliore amico che si trattava di una cotta seria! »
La sua espressione ostentatamente offesa fece ridere Lance.
« Probabilmente non lo sapevo nemmeno io fino a mezz'ora fa ma, a quanto pare, è così. Non avrei mai pensato di dirlo, ma mi piace. Tanto. E voglio aiutarlo nella sua battaglia. »
Hunk annuì. Forse avrebbe proseguito con i suoi consigli o con le sue battute, gli avrebbe detto di non imporsi su Keith, di non forzarlo, di dargli tempo perché si trovava in una situazione delicata e dall'equilibrio precario, ma tutte queste cose Lance le sapeva già. Inoltre Ryan, il compagno designato di Hunk, stava arrivando. Per questo il giovane cecchino si limitò a battergli una mano sulla spalla e ad allontanarsi nel corridoio.
Chissà se Keith era andato dritto nella sua cabina? Chissà se sarebbe riuscito a dormire? E chissà se aveva davvero capito quello che Lance intendeva?
Erano pensieri sciocchi fatti da chi, inizialmente, non aveva voluto con sé qualcuno di potenzialmente troppo distratto. Ora invece si stava augurando di diventare lui stesso fonte di distrazione, accantonando il vero motivo per cui si trovavano in quella missione.
Doveva concentrarsi e focalizzarsi di nuovo sul motivo per cui si trovavano lì. Pensare alla missione, agli ordini della principessa, alla liberazione di Slav.
Faceva parte della Resistenza e la Resistenza doveva liberare l’universo. Non aveva tempo per una cotta per un principino smarrito e bellissimo.

 

 

Yuki - Fairy Circles

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


Cap. 7

 

L’appostamento a Beta Traz si protrasse per diversi giorni, finché il manipolo di inviati della Resistenza non ebbe registrato con certezza gli spostamenti di ogni singola guardia della prigione. Le falle nella sicurezza erano poche e difficili da individuare, sarebbe stata necessaria una grossa dose di fortuna per riuscire a entrare e una ancora più grossa per uscire.
Come era stato stabilito, Keith sarebbe stato il centro dell’azione: sarebbe toccato a lui presentarsi all’ingresso con una falsa navetta cargo fingendosi un fattorino dell’Impero e consegnare casse di viveri che avrebbe invece contenuto alcuni membri della squadra. Lance sarebbe stato tra questi.
Sulle prime, il giovane cecchino aveva insistito per fiancheggiare il principe all’ingresso, timoroso all’idea di lasciarlo solo in balia delle sentinelle galra, ma quell’idea era stata bocciata sia dal controllo missione che dai suoi compagni. Se fossero stati fatti controlli più approfonditi, come quello con lo scanner del DNA, la  semplice modifica dell’aspetto esteriore non sarebbe stata sufficiente e un suo smascheramento avrebbe portato al fallimento della missione.
Lance lo capiva, ma non riusciva comunque a darsi pace. L’idea che Keith fosse solo, senza che nessuno di loro potesse intervenire in caso di bisogno, lo tormentava.
« Rilassati, andrà tutto bene. » tentò di blandirlo Hunk, mentre si preparavano per la sortita. « Keith ha la testa sulle spalle e negli ultimi giorni è migliorato un sacco nelle esercitazioni. Vedrai che non avrà problemi. »
Lance scosse la testa, agitato.
« Razionalmente so che hai ragione, che, in ogni caso, ci sarai tu a guidarlo dal radar, ma non riesco a non pensare che, se qualcosa dovesse andare storto, potrebbe finire male. Non me lo perdonerei mai. »
« Forse dovresti assicurarti che sia pronto per questa missione e concentrato. Probabilmente, se lo vedrai con i tuoi occhi, ti tranquillizzerai. Lui sa che questo è il primo passo per la liberazione di Marmora, non si concederà nessun errore. »
« Sì, farò così. » annuì Lance. « E poi un incoraggiamento dal capo missione di certo lo farà sentire più sicuro. »
A quel commento Hunk sollevò un sopracciglio, scettico, ma Lance nemmeno lo notò.
Keith era ancora nella sua cabina, intento a sistemare la divisa galra che gli avevano procurato. Lance rimase per un attimo a fissarlo prima di palesare la propria presenza. Quell’abbigliamento stonava su di lui, non era per nulla adatto alla sua figura elegante e lo rendeva troppo simile a quei nemici che tanto detestava.
Eppure, nonostante tutto, non poteva dichiararsi immune a quel fascino sottile che emanava sempre da lui. Doveva trattarsi della tanto decantata attrattiva dei sangue misto, creature in grado, si diceva, di incantare chiunque con un solo sguardo.
Lance scosse la testa: quelle erano solo leggende metropolitane, era sciocco da parte sua applicarle a Keith, conoscendo la sua personalità e la sua storia. Keith non voleva incantare nessuno, faceva solo del suo meglio per raggiungere un obiettivo e probabilmente era questo che lo rendeva così…
« Ehi! »
L’esclamazione fece riscuotere Lance.
« Ehi. » rispose abbozzando un sorriso. « Volevo accertarmi che stessi bene e fossi pronto. »
Anche se quelle erano davvero le sue intenzioni, pronunciate ad alta voce suonavano come una patetica scusa, infatti Keith gli rivolse un’occhiata dubbiosa.
« Stai cercando di rassicurare me o te stesso? »
« Se dico entrambe le cose non sono credibile? »
Keith ridacchiò.
« Non mi suiciderò mandando a monte la missione, se è questo che ti preoccupa. »
« Falla finita con questa storia, non lo pensavo minimamente! In ogni caso non ti lascerei fare nessuna sciocchezza, almeno fino a quando non rimetterò personalmente la corona di Marmora sulla tua testa! »
Keith sgranò gli occhi, quegli occhi dal colore incredibile, colto completamente alla sprovvista.
« Sei serio? » chiese, spiazzato.
« Completamente. Almeno quanto è vero il fatto che adesso vorrei baciarti, in barba a tutti i protocolli e al fatto che ti piaccia Shiro. »
Al diavolo tutto, stavano per imbarcarsi in una missione ad alto rischio, non potevano essere certi di vedere l’alba del giorno dopo, non voleva più avere rimpianti.
Keith, dal canto suo, sembrava aver appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida in pieno volto.
« Sai, vero, che questo potrebbe minare ma mia “stabilità emotiva” durante la missione? » disse dopo alcuni istanti di silenzio attonito, mimando con le dita il segno delle virgolette.
Lance prese un respiro: non era così che se l’era immaginato. Quelle poche volte che si era concesso di fantasticarci sopra, si era figurato in un contesto molto più romantico, con fiori e candele magari, una scena perfetta, non certo nella cabina spoglia di una navetta della Resistenza prima di una missione vitale. Ma ormai era andata e poteva prendersela solo con sé stesso e la sua impulsività.
« Lo so, ma sono giovane e vorrei baciare il ragazzo per cui ho una cotta prima di rischiare di morire. »
« Tu non morirai, Lance. »
« Lo spero, ma quando saremo là fuori potrebbe scatenarsi l’inferno da un momento all’altro. Non voglio più avere rimpianti. »
« Tutto questo è troppo strano… »
Keith aveva le guance arrossate, che accendevano la sua pelle pallida, e le orecchie abbassate per l’imbarazzo, come un felino sul chi vive. Lance lo trovava adorabile.
« Se non vuoi, dillo e basta. Non ti forzerei mai, lo so che ti piace ancora Shiro. »
« Non mi piace ancora Shiro, smettila di dirlo! » esclamò Keith, passandosi nervosamente le mani sui lati dell’uniforme. « E non è che non voglia. Solo che è strano, non ti sono mai piaciuti i nobili, non andiamo particolarmente d’accordo, anzi discutiamo spesso. È assurdo che tu mi dica queste cose e che io… ripensi a ogni cosa che mi dici, a ogni vota che mi guardi… È stupido, ho un pianeta da riconquistare e mia madre… »
Lance lo interruppe, prendendo una mano tra le sue.
« Ehi. Certe cose succedono e basta. Siamo in guerra, è vero, ma siamo di carne e sangue e proviamo sentimenti. Può essere strano, ma può anche essere bello… »
Una mano gli accarezzò la guancia e Keith inclinò il volto per potervelo appoggiare. Un gesto talmente tenero che Lance abbandonò ogni remora e, quando lo vide socchiudere gli occhi, si chinò sulle sue labbra. Al primo contatto Keith s’irrigidì ma, a poco a poco, lo sentì tranquillizzarsi e affidarsi alla sua guida.
Per un magico momento non furono più il principe esiliato di Marmora e il miglior cecchino della Resistenza, ma solo due ragazzi che desideravano che la guerra potesse attendere il tempo di un altro bacio. Poi quell’istante passò e Keith scostò l’altro da sé, gentilmente.
« Dobbiamo andare. C’è una missione che ci aspetta, Slav non si libererà da solo. »
Era tristemente vero, quindi Lance sospirò e lo lasciò andare.
« Hai ragione, diamoci da fare. Seguiamo il piano e andrà tutto bene. »

In realtà andò tutto bene solo fino a un certo punto. Purtroppo Slav si rivelò quel tipo di prigioniero difficile da liberare senza conseguenze, non tanto per la sicurezza interna della prigione spaziale, quanto per il suo stesso comportamento, che rendeva difficoltoso muoversi velocemente e con discrezione. Sembrava che ogni particolare incontrato sulla sua strada fosse una una scusa per rallentare i suoi soccorritori, al punto che Lance si ritrovò a domandarsi se quella bizzarra creatura non stesse tentando di ingannarli e venderli tutti al nemico. Si fidava di Allura, se lei lo aveva indicato come necessario per la Resistenza, allora anche loro non potevano fare altro che avere fiducia, anche se era dannatamente difficile.
Mancavano pochi metri all’hangar dove si trovava la finta navetta cargo con cui Keith era riuscito a entrare nella base, dovevano solo svoltare un angolo e sarebbero arrivati. Hunk, dallo scanner, aveva segnalato che alcune guardie erano state piazzate davanti alla navicella stessa, ma si trattava solamente di un paio di individui che Lance e Ryan sarebbero riusciti a mettere fuori combattimento in un attimo. Keith li seguiva tentando di tenere a bada Slav e Ina, una delle migliori strateghe di cui disponeva la Resistenza, chiudeva il gruppo tenendo sotto controllo la via percorsa.
Fu in quel momento, proprio un attimo prima che si apprestassero a cogliere di sorpresa le guardie, che Slav sgusciò dalle braccia di Keith, allarmato da chissà quale particolare che solo lui aveva notato, piombando nell’hangar con uno strillo e attirando l’attenzione delle guardie. Queste si resero immediatamente conto che qualcosa non andava e diedero l’allarme, sparando sugli intrusi.
Il gruppetto riuscì a raggiungere la navicella solo grazie a Lance e Ryan, che attirarono su di loro il fuoco nemico mentre Ina azionava il comando a distanza che sbloccava lo sportello della navicella. Sia lei che Ryan riuscirono a salire a bordo senza danni, mentre Keith afferrava al volo Slav, per trascinarlo verso la rampa. Lance copriva loro le spalle, destreggiandosi nel fuoco incrociato dei laser.
« Muovetevi! » gridò Ryan, allungando una mano per afferrare una delle tante braccia di Slav. « Se dovessero riuscire a modificare i codici di apertura del portellone esterno, non avremo più modo di uscire! »
Lance balzò sulla rampa nel momento stesso in cui Slav arrotolava il suo lungo corpo attorno alla vita di Ryan e Keith si protendeva verso il primo gradino. La sua mano aveva quasi raggiunto il bordo esterno della scaletta quando un dolore bruciante alla spalla sinistra lo fece accasciare su sè stesso. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa fosse stato: un raggio laser passò a pochi centimetri dalla sua testa, abbattendo la guardia che lo inseguiva, e uno strattone deciso lo issò a bordo, mandandolo a ruzzolare sul pavimento mentre la navicella schizzava a tutta velocità.
« Il portellone si sta chiudendo! » esclamò Ina dalla postazione di pilotaggio. « Hanno modificato i codici, quello che abbiamo hackerato non funziona! »
« Lance! » chiamò Ryan, impossibilitato a ogni movimento da Slav che gli si era raggomitolato addosso.
Dolorante sul pavimento della navetta, Keith lo vide arrampicarsi lungo la scaletta che portava al portello superiore e spianare il fucile a lunga gittata.
Un respiro, un colpo deciso e il pannello di comando esplose, bloccando la chiusura del portellone.
Ina approfittò dell’occasione per spingere avanti la leva che dava energia ai propulsori e lanciare la navicella nello spazio aperto.
Diversi caccia galra si lanciarono al loro inseguimento, ma con abili manovre Ina riuscì a seminarli e anche ad abbatterne alcuni.
« Matricola IL239 a comando missione. » esclamò afferrando il comunicatore. « Stiamo rientrando. Aprite un wormhole alle coordinate che che vi sto inviando. »
« Qui comando missione. » rispose la voce familiare di Pidge. « Wormhole in attivazione. State tutti bene? »
« Affermativo, comando missione. Pieno successo. La squadra di recupero ci seguirà a breve. »
Keith riuscì a tirare un sospiro di sollievo solo una volta attraversato il wormhole e giunti dove nessuno avrebbe potuto intercettarli. Una volta rilassato, si rese conto di quanto male gli facesse la spalla e che quello che inzuppava l’uniforme era più probabilmente sangue che sudore.
Lance lo raggiunse in un balzo, dalla postazione degli armamenti superiori.
« Fammi vedere. » ordinò senza mezzi termini.
Il primo istinto fu quello di ritrarsi e Keith non pensò nemmeno di frenarlo.
Sapeva di essere stato ferito perché era stato imprudente e non abbastanza veloce. Aveva rischiato di compromettere l’esito della missione, esattamente come Lance temeva.
« Stai tranquillo. » continuò Lance, ammorbidendo il tono. « È andata bene, siamo tutti salvi e abbiamo portato a termine la missione. Però tu sei stato ferito e, in quanto capo missione, è mio preciso dovere verificare le tue condizioni. »
Poi, inaspettatamente, si chinò a posargli un furtivo bacio sui capelli.
« Sei stato bravo. »
Troppo stupito per replicare, Keith lo lasciò fare mentre armeggiava con la sua uniforme, aprendola e abbassando la stoffa lungo le spalle. Quando il tessuto strofinò contro la ferita, gli sfuggì un sibilo di dolore e sentì chiaramente le dita di Lance esitare.
« Quel maledetto… sparare alle spalle… » lo sentì mormorare irosamente. « Beccarsi un colpo in fronte era il minimo. »
« Grazie per avermi salvato. » sospirò Keith, consapevole di essere lì solo per merito dell’altro.
« Sciocchezze, ci si copre le spalle a vicenda, tu avresti fatto lo stesso. Questa però non è una bella ferita. Appena arriveremo, una sessione nella cryo-pod non te la toglierà nessuno. E spero che salvare quel tizio pazzoide sia servito a qualcosa o lo rispedirò personalmente a calci a Beta Traz, per questo! »
Quelle parole, in qualche modo, fecero sentire meglio Keith. Nonostante il dolore, il senso di inadeguatezza per aver messo a rischio il lavoro di tutti e il vago imbarazzo di essere stato mezzo spogliato da Lance davanti a tutti, sentì per la prima volta che qualcuno oltre a Shiro si preoccupava per lui e lo apprezzava.

Rientrati alla base su Altea, vennero accolti dalla principessa in persona, che li ringraziò e si congratulò con loro per il successo ottenuto. Slav si allontanò immediatamente con lei per discutere di questioni tecniche e strategiche, mentre Keith venne subito affidato alle cure di Coran e condotto a una cryo-pod.
Quando riprese conoscenza, ancora stordito dal liquido anestetico, percepì vagamente qualcuno al suo fianco.
« La...nce… » mormorò, con la bocca ancora impastata a causa del sonno forzato.
Tentò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano ancora pesanti.
« Verrà presto, non preoccupatevi. » rispose la voce accanto a lui.
Il timbro, diverso da quello che si aspettava, lo indusse a sforzarsi di più per mettere a fuoco la figura seduta al suo capezzale.
« Shiro? »
« Buongiorno. » lo salutò il capitano con un sorriso. « La vostra ferita è completamente guarita, senza conseguenze. Smaltito l’effetto dell’anestetico sarete come nuovo. »
Keith lo scrutò da sotto le ciglia scure, aspettandosi, dalla sua mente ancora annebbiata, un senso di imbarazzo che però non provava davvero. Era felice che Shiro fosse lì, ne avvertiva la familiarità e, in qualche modo, il dolore che aveva provato giorni prima sembrava attutito e distante.
« Sono molto fiero di te. » continuò Shiro. « Ammetto di essermi preoccupato parecchio, temevo non fossi pronto ad affrontare una missione sul campo, ma non sono mai stato così felice di sbagliarmi. Ho letto il rapporto di Lance e posso solo congratularmi con te per la buona riuscita dell’operazione. Ti sei comportato in modo esemplare. »
Keith sospirò.
« Se mi fossi davvero comportato in modo esemplare, non sarei qui in un letto. » mormorò. « Se fossi stato più attento, più veloce nei movimenti, non avrei rischiato di mandare a monte tutto. »
Le parole di Lance l’avevano rassicurato, sì, ma quella era la realtà dei fatti. Non intendeva prendersi meriti che non aveva.
Shiro però scosse la testa.
« Credimi, ti sei comportato meglio di quanto avrebbe fatto la maggior parte di noi. Hai mantenuto il sangue freddo per infiltrarti in una prigione nemica mentre nessuno poteva aiutarti, hai introdotto i nostri e sei stato fondamentale per la riuscita dell’operazione. Non sarebbe stata un successo senza di te. Gli incidenti capitano, era una missione pericolosa e sono felice che tu sia sano e salvo. »
Così dicendo, allungò una mano e gli accarezzò la testa in modo paterno.
« Sono anche felice anche che tu e Lance abbiate legato. È un bravo ragazzo e ha preso tremendamente a cuore la tua causa. »
Quelle parole provocarono un leggero rossore sulle guance di Keith, al ricordo del momento di intimità prima dell’inizio della missione.
« Non è che abbiamo legato… o forse sì, un po’, ma non sono certo che… »
Il sorriso sul volto di Shiro, un’espressione incoraggiante e, sotto sotto, anche di sollievo, lo indusse a interrompersi.
« Qualunque cosa ci sia tra voi, Keith, va bene. Datti il tempo di conoscere persone nuove, datti il tempo di capire. Potrebbe essere una buona occasione. »
Sì, poteva essere una buona occasione e, allo stesso tempo, gli avrebbe permesso di stare alla larga da Shiro per un po’. Questo avrebbe anche fatto sì che il capitano si sentisse meno a disagio nei suoi confronti. Keith li percepiva, quel disagio e quel senso di sollievo quando parlava di Lance: era come se, in qualche modo, un suo eventuale nuovo interesse gli permettesse di sentirsi meno in colpa. Non era piacevole.
Un discreto bussare alla porta interruppe quel flusso di pensieri e Shiro si alzò per andare ad aprire.
« È sveglio, vieni pure. » disse, facendosi da parte per far entrare Lance.
Il giovane cecchino s’illuminò non appena il suo sguardo si posò su Keith.
« Sono felice di vedere che stai bene! » esclamò subito, avvicinandoglisi. « Ero preoccupato. »
Keith avrebbe voluto rispondere che non ne aveva motivo, ma improvvisamente si rese conto che quelle attenzioni gli facevano piacere, lo facevano sentire “amato”.
Shiro, probabilmente, doveva aver percepito quella sensazione dal suo sorriso appena accennato, perché posò una mano sulla maniglia e sollevò l’altra in segno di saluto.
« Vi lascio soli. » disse. « Non stancatevi troppo, altezza. »
Un attimo dopo era uscito.
Una volta al riparo da sguardi indiscreti, Lance si sedette sul bordo del letto, aumentando la prossimità tra loro.
« Come vanno le cose? » chiese. « Intendo con Shiro, prima che tu mi dica che è tutto a posto. »
« Ma è tutto a posto, Lance, anche con Shiro. L’hai visto. Giusto un attimo fa mi stava dicendo di quanto, secondo lui, la tua vicinanza mi faccia bene.»
Lo disse totalmente senza malizia, ma Lance sollevò un sopracciglio, evidentemente compiaciuto.
« Mi fa piacere che non ci sia tensione e imbarazzo tra voi. Ammetto che la cosa un po’ mi preoccupava. »
« Beh, forse un po’... » accennò Keith, ma l’altro gli accarezzò la guancia, teneramente.
« Ehi… visto che finalmente abbiamo un po’ di intimità, posso baciarti? »
Keith esitò solo un attimo, poi sorrise.
« Perché no? »

 

 

 

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


Cap. 8

 

A differenza di quanto temuto dai suoi salvatori, la presenza di Slav si rivelò essenziale per accelerare i tempi di preparazione delle successive missioni e, prima di quanto avrebbero pensato possibile, il piano dell’attacco a Marmora iniziò a prendere forma.
Non c’erano stati altri comunicati da parte del principe Lotor e dal pianeta occupato giungevano pochissime notizie. Alcuni mercanti avevano riferito che il commercio era leggermente calato dopo l’occupazione dell’Impero ma che, tutto sommato, non sembrava che la popolazione soffrisse o fosse ridotta in schiavitù. Avevano confermato che Lotor e una parte della sua corte avevano effettivamente preso possesso del palazzo reale, ma non avrebbero saputo riferire cosa avvenisse al suo interno.
Della regina Krolia invece non vi erano notizie e questo lasciava Keith particolarmente angosciato. Era certo che fosse viva, visto che si trattava dell’unica scusa che Lotor aveva per legittimare la sua presenza su Marmora ma, esattamente come al tempo della sua fuga, il giovane principe non poteva sapere se fosse in buona salute, fosse tenuta prigioniera o addirittura stesse subendo delle torture.
Da quando si era reso conto che si stavano muovendo i primi passi concreti per l’organizzazione dell’attacco, Keith aveva fatto sempre più pressione sul consiglio della Ribellione per accelerare i tempi, essere tenuto al corrente e partecipare il più attivamente possibile. Insieme a Shiro, aveva presenziato a innumerevoli riunioni strategiche in cui la loro conoscenza della planimetria del palazzo e dell’organizzazione delle difese si erano rivelate determinanti per stilare un piano d’azione.
Lance lo aveva seguito da vicino, interessandosi soprattutto dell’organizzazione delle squadre e degli armamenti. Pidge, che si era occupata principalmente delle comunicazioni, presto potè confermare che la richiesta inviata da Kolivan alla base delle Lame era stata accolta e sarebbero quindi giunte ulteriori squadre di supporto.
Il piano era semplice, in modo da essere attuato più tempestivamente possibile. Si sarebbe trattato di attirare la maggior parte delle forze galra di stanza su Marmora con un’azione diversiva delle truppe della Resistenza, mentre un piccolo gruppo di ribelli, di cui avrebbe fatto parte anche il principe Keith, si sarebbe infiltrato nel palazzo. Lo scopo di quest’ultimo sarebbe stato liberare la regina Krolia, riprendere il controllo dall’interno e, se possibile, neutralizzare il principe Lotor.
Keith fremeva al solo pensiero: finalmente si stava realizzando lo scopo per cui si era dato tanto da fare. Dopo mesi senza avere notizie, finalmente sarebbe riuscito a liberare sua madre da quell’assurda prigionia e il suo pianeta dal giogo del nemico. La sua vendetta si sarebbe compiuta.

La sera prima della partenza, Keith la trascorse nella stanza di Lance su invito di quest'ultimo, che desiderava passare più tempo possibile in sua compagnia prima di quella missione decisiva. Si erano entrambi sistemati comodamente sul letto, Lance appoggiato alla parete e Keith con la schiena contro il suo torace. Le braccia del giovane cecchino gli circondavano la vita mentre rileggeva per l’ennesima volta i piani d’attacco. Tutto doveva funzionare alla perfezione, non potevano permettersi il minimo sgarro.
« Cosa succederà dopo? »
La voce sommessa di Lance, accanto al suo orecchio, lo strappò dalla sua concentrazione.
« Cosa intendi? » chiese Keith, dubbioso sul reale significato di quella domanda.
« Dopo la liberazione di Marmora. Cosa farai? Cosa ne sarà di te?... Di noi? »
Il suo tono era basso e pensoso, chiaramente preoccupato e indusse Keith a dedicargli tutta la sua attenzione.
« Vorrei poterti rispondere con certezza, ma la verità è che non ne ho la più pallida idea. Non so cosa troveremo una volta arrivati e posso solo fare delle ipotesi su come andranno le cose se la missione avrà successo. »
Si voltò nell’abbraccio, in modo da poterlo guardare, e continuò.
« Immagino che verrò incoronato, come avrebbe dovuto essere a suo tempo. Ho passato tutta la vita a prepararmi per questo momento e all’improvviso mi rendo conto che quella preparazione non è ciò che mi serve. Pensavo di fare di Marmora una base della Resistenza, non intendo abbandonare una causa così importante. Se riusciremo a ristabilire la pace sul pianeta, potresti fare in modo che la tua famiglia vi si trasferisca, così potresti rivederli. »
Lo sguardo di Lance si illuminò di calore.
« Sarai un re ribelle che si schiera con i sovversivi. Non ho mai creduto alla buona fede di questo genere di promesse, ma se si tratta di te sento di poterlo fare. »
Keith annuì con convinzione.
« Non ti lascio. Non lascio nessuno di voi. State mettendo in pericolo le vostre vite per me, qualunque cosa succeda continuerò a combattere al vostro fianco. »
Sollevò una mano e accarezzò la guancia di Lance.
« Vorrei creare un luogo dove tu e la tua famiglia possiate vivere di nuovo insieme ed essere felici. »
« Sembra una favola per bambini, ma se continui a ripeterlo in questo modo finirò per crederci. » rispose Lance, prima di avvicinare il volto al suo e baciarlo dolcemente.
« Dici che sto diventando un idealista? » mormorò Keith contro le sue labbra.
Lance sorrise.
« Dico che stai imparando dal migliore. »

Il momento della partenza arrivò fin troppo presto, con il suo carico di ansie, aspettative e tensioni. Shiro guidava la squadra che avrebbe dovuto introdursi nel castello e se Lance aveva pensato anche solo per un momento che questo potesse essere un problema per Keith, dovette ricredersi all’istante. Il principe aveva lo sguardo determinato e l’espressione concentrata di chi è pronto a tutto pur di ottenere il suo scopo, per nulla propenso a lasciarsi turbare dalla vicinanza del suo primo amore. Anzi, aveva detto a Lance, erano fortunati ad avere dalla loro parte un uomo con le abilità e le conoscenze di Shiro: i suoi anni nella guardia reale sarebbero stati fondamentali per l’effetto sorpresa a cui aspiravano.
Vederlo così sicuro di sè tranquillizzò anche Lance e la missione ebbe ufficialmente inizio.
Tutte le navicelle vennero inviate verso Marmora attraverso un wormhole e le forze principali si schierarono all’altezza dell’equatore del pianeta. I piccoli caccia, che trasportavano la squadra dell’attacco a sorpresa, se ne distaccarono non visti e si diressero a tutta velocità verso la capitale, mantenendosi a un’altezza tale da non poter essere intercettati dai radar di terra.
Shiro li guidò con sicurezza attraverso le conformazioni del territorio che conosceva come le proprie tasche, indicando quale rotta mantenere perché le possibilità di essere avvistati fossero il più basse possibili. Riuscirono ad avvicinarsi al palazzo fino al limite della zona mappata dai dispositivi interni, atterrarono e proseguirono a piedi, mimetizzandosi tra i locali grazie ad abiti acquistati per lo scopo da mercanti di passaggio.
Keith procedeva velocemente e in silenzio, lanciando occhiate preoccupate tutto attorno e scrutando ogni palazzo, ogni strada, ogni passante come se volesse verificarne le effettive condizioni di salute. A un primo sguardo non sembrava che la popolazione stesse patendo la fame o una qualche forma di violenza, ma tutti loro sapevano che la repressione galra poteva assumere forme sottili e non immediatamente identificabili. Avrebbe voluto fermarsi a parlare con qualcuno, chiedere se erano stati minacciati o maltrattati, ma non ne avevano il tempo.
Raggiunsero il palazzo reale dal retro, nella parte dove la cinta muraria era più alta e, proprio per questo, a detta di Shiro, la sicurezza più scarsa. Basandosi maggiormente sulle difese fisiche, quelle tecnologiche erano meno presenti, le telecamere e i sensori avevano un raggio minore e il capitano dubitava che in quei mesi Lotor avesse fatto sostituire l’intero impianto di monitoraggio del castello.
Esisteva inoltre un passaggio defilato che Shiro aveva usato quando gli era capitato di uscire di nascosto dal palazzo per incontrarsi segretamente con alcuni membri della Resistenza. Quel cunicolo faceva parte di una rete di corridoi segreti di cui erano al corrente solamente alcuni nobili e guardie fidate e che correva attraverso le principali stanze del potere. Si trattava di un sistema costruito per permettere la fuga dei reali in caso di attacco e, in questo caso, avrebbero permesso ai liberatori di entrare.
Sgattaiolarono nel primo passaggio il più silenziosamente possibile e senza incontrare alcuna forma di impedimento. Shiro guidava con sicurezza la squadra, Keith era immediatamente dietro di lui, seguito da Lance e dal resto del gruppo. Riuscirono a raggiungere la parte interna delle mura, da dove partiva la prima diramazione che conduceva alle stanze superiori da una parte e alle prigioni sotterranee dall’altra. Shiro indicò a Nadia, Ryan e Ven’tar, gli altri tre componenti della squadra, di procedere verso le carceri, dove supponevano fossero stati rinchiusi nobili e dignitari, mentre lui, Keith e Lance sarebbero andati in cerca della regina, partendo proprio dalle sue stanze personali.
Un cenno d’intesa e il gruppo si divise.
Mentre procedevano in uno stretto passaggio che costeggiava uno dei corridoi principali, avvertirono chiaramente rumore di passi affrettati e ordini concitati urlati da un capo all’altro. Sembrava che anche le truppe di palazzo fossero state allertate per l’attacco della flotta ribelle, questo significava che Allura e gli altri si stavano comportando alla perfezione.
« Tutti gli uomini disponibili devono recarsi negli hangar e fornire supporto alle truppe di difesa! Ordine del principe Lotor! Ripeto, tutto gli uomini disponibili… »
L'altoparlante ripeteva incessantemente quel messaggio che, in qualche modo, li tranquillizzava sul proseguimento della missione, accompagnandoli verso la stanza della regina.
Quando raggiunsero il punto prestabilito, Shiro intimò l’alt e si sporse a spiare l’esterno tramite una fessura nella parete. Keith attese con trepidazione finchè non lo vide colpire la parete con una sequenza dal ritmo particolare, poi spiò a sua volta dalla fessura. La vista era sulla camera da letto di sua madre, che sembrava la stessa di sempre, sontuosa nell’aspetto, pulita e in ordine nella sostanza. Spaziando con lo sguardo vide la regina stessa, seduta in un angolo del divano imbottito dove soleva trascorrere il tempo a leggere quando non era occupata nelle incombenze di governo. Keith sentì il cuore alleggerirsi nel vedere che stava bene, non sembrava ferita o sofferente, solo molto stanca. Al picchiettare di Shiro sulla parete, alzò immediatamente la testa e si guardò intorno per un attimo, per poi alzarsi e raggiungere velocemente la porta d’ingresso della stanza. Digitò un codice sul pannello a parete, bloccandola, poi, non contenta, tornò verso il pesante divano e lo spinse davanti ad essa. Si diresse quindi alle finestre, digitò i codici per bloccare le serrande e tirò le tende, prima di accendere una piccola luce da lettura accanto al letto. Solo allora, nella stanza semibuia, si accostò alla parete e ripetè il segnale che Shiro aveva lanciato. Il capitano rispose con una sequenza più breve e sbloccò il meccanismo della porta nascosta. Keith gli sgusciò davanti, presentandosi agli occhi increduli della madre, seguito da Lance e dal capitano stesso.
L’espressione di Krolia, mantenuta fiera a guardinga fino a un attimo prima, sembrò incrinarsi a quella vista e, senza una parola, la regina abbracciò il figlio trattenendo a stento lacrime di commozione.
« Madre! State bene? Lotor vi ha fatto del male? » chiese Keith, precipitosamente, non appena si sciolse dall’abbraccio.
La regina scosse la testa, sorridendo debolmente.
« Non mi ha toccata neanche con un dito. » disse. « Lo stesso non si può dire del resto della corte… »
« Ho mandato una squadra in ricognizione nelle prigioni, libereranno tutti. » intervenne Shiro, facendosi avanti.
Krolia lo scrutò per un attimo, come indecisa sul da farsi, poi annuì.
« Grazie per aver protetto mio figlio, capitano Shirogane. » disse solennemente. « Lotor mi ha comunicato che era stato preso in ostaggio dalla Resistenza e ho temuto di averlo perso. Se oggi abbiamo una speranza, è solo merito tuo. »
Prima che Keith potesse fare o dire qualunque cosa, Shiro chinò il capo e piegò un ginocchio di fronte alla regina.
« Non avete nulla di cui ringraziarmi, mia signora. » disse. « Le voci corrispondono al vero, appartengo davvero alla Resistenza e ho servito tutti questi anni facendo il doppio gioco. »
Krolia soffocò una risatina.
« Oh, alzati, andiamo! Ne ero al corrente da un pezzo. Non hai nulla di cui scusarti, è grazie a te se Keith è vivo e questo mi basta. »
« Ehm… perdonate l'interruzione, ma non è davvero il momento migliore per stare qui a raccontarcela. » intervenne Lance, chiaramente sulle spine. « Dobbiamo darci una mossa e uscire di qui. Abbiamo un principe da mettere alle strette. »
Krolia lo scrutò da capo a piedi.
« Tu saresti…? »
« Ah, madre, lui è Lance. »  intervenne Keith. « È il mio… »
« Il suo cecchino di fiducia! » lo interruppe Lance, guadagnandosi un’occhiata stranita. « Modestamente parlando, ovviamente. Al vostro servizio, maestà. Ora abbiate la cortesia di seguirci. »
Krolia comprese che non vi era tempo da perdere e seguì quindi il gruppetto nel passaggio segreto: Shiro ad aprire la fila, la regina accanto a lui a dare indicazioni sui possibili sbocchi utili e Keith e Lance un paio di passi indietro.
Il principe si sentiva sopraffatto dalle emozioni: la gioia di ritrovare sua madre viva e in salute, la preoccupazione per il proprio popolo unita all’adrenalina per la missione non ancora conclusa, la tensione che lo attanagliava e, a rendere ancora più intricata quella matassa confusa, la perplessità venata di fastidio riguardo il comportamento di Lance.
« Ehi. » si risolse quindi a mormorare per attirare la sua attenzione, mentre rallentava in modo da non farsi sentire dagli altri. « Perché mi hai interrotto in quel modo? »
Lance ricambiò lo sguardo, stupito, prima di illuminarsi di comprensione e scuotere la testa con un mezzo sorriso.
« Chiedo perdono per avervi contraddetto, altezza. » ghignò.
« Sono serio! » protestò Keith. « Volevo che mia madre sapesse quanto sei importante e quanto hai fatto per me. »
« Lo so. » rispose Lance, assecondandolo. « Solo non mi sembrava il caso di arrivare mesi dopo la tua scomparsa e presentarmi a bruciapelo come il tuo compagno. Sarebbe stato come… non so… dirle che ho sedotto il suo bambino innocente alle sue spalle. »
« Non sono un bambino innocente! »
« Lo so, Keith, ma lei è tua madre, è una regina e la stiamo facendo fuggire dal palazzo dove si trova prigioniera, scaraventandola letteralmente nel bel mezzo di una guerra. Diciamo che ho voluto solo avere un po’ di tatto, avrai modo di raccontarle tutto con calma. »
Era un discorso ragionevole, che portò Keith a tranquillizzarsi almeno sotto quel punto di vista. Avrebbe parlato con sua madre più tardi, quando fossero stati al sicuro. Non voleva nasconderle niente delle sue esperienze nella Resistenza, men che meno quello che stava scoprendo con Lance.
Pochi passi più avanti, anche la regina e Shiro stavano parlando di argomenti seri, di cui Keith colse solamente la parte finale del discorso.
« Ho ricevuto molte minacce e sono stata rinchiusa nelle mie stanze, è vero, ma non mi è mai stato fatto mancare nulla, né mi è stato fatto del male. » stava dicendo Krolia. « I nobili e i dignitari sono stati rinchiusi nelle prigioni, ma non mi è mai giunta notizia di nessuna tortura o esecuzione. Lotor mi faceva visita spesso e mi parlava amabilmente, come un alleato in visita, non come un carceriere. L’impressione che avevo era che stesse tentando di mantenere la forma, ma che nella sostanza non fosse nel suo interesse essere un nemico e un conquistatore. »
« Madre! Lotor ha usurpato il vostro trono! Ha tentato di farmi uccidere! » protestò Keith con veemenza.
« Le sue azioni dicono questo, è vero, ma il suo comportamento è molto strano. Sono certa che ci sia qualcosa dietro. »
La regina stava per aggiungere altro quando un particolare sul muro del passaggio attirò la sua attenzione e la indusse a fermarsi.
« Questa parte del passaggio si apre sul mio studio, la sala di cui Lotor ha preso possesso e da cui dirama i suoi ordini. »
Shiro spiò dalle fessure nella parete e s’irrigidì alla vista di quello che c’era dall’altra parte. Strinse i pugni, fece cenno a Keith e Krolia di stare indietro e a Lance di avanzare. Gli indicò quello che si trovava nella stanza e il giovane cecchino sembrò capire al volo le intenzioni del capitano.
« Qualunque cosa succeda, non muovetevi da qui. Non uscite per nessun motivo. » ordinò Shiro ai due reali.
Un attimo dopo lui e Lance fecero irruzione nella stanza, ne seguì una breve colluttazione e alcuni lamenti soffocati.
« D’accordo, d’accordo. Non ho intenzione di opporre resistenza. Non c’è bisogno di stringere così tanto. » disse una voce che Keith non aveva mai sentito dal vivo. L’aveva ascoltata solo in un orribile comunicato planetario. « Abbassa quel fucile, ragazzo, sono disarmato e non vado da nessuna parte. »
Lotor.
Keith si sporse a guardare dalla fessura, mentre la presa che Krolia aveva sul suo braccio si intensificava. Quello davanti a loro, trattenuto dalla presa ferrea di Shiro e tenuto sotto tiro dal fucile di Lance, era davvero il principe galra dai capelli argentei, colui che aveva distrutto la sua vita con un solo gesto. Se non fosse stato per sua madre che lo tratteneva, Keith gli sarebbe saltato alla gola.
« Niente scherzi. » disse Shiro in tono minaccioso. « Abbiamo una flotta schierata che sta facendo a pezzi la vostra e altri infiltrati nel palazzo. Ora ti siederai a quel tavolo, attiverai il comunicatore generale e annuncerai la resa, se ci tieni alla vita. »
Lotor non sembrava particolarmente turbato né dalle minacce né dal resto del discorso, ma si avviò comunque a passi lenti verso la scrivania.
« Mi permetto di dissentire sulle sorti della nostra flotta, ma cedo comunque alla violenza. Non è mai stata mia intenzione portare su questo pianeta un attacco su larga scala. »
Detto questo, aprì il comunicatore generale e si schiarì la voce.
« Massima priorità. Ripeto, massima priorità. Qui è il principe Lotor che vi parla. Vi ordino di dichiarare la resa immediata. Il castello è sotto attacco e la mia persona minacciata. Dichiarare la resa immediata. »
Keith non credeva alle proprie orecchie: quelle poche parole potevano significare che avevano appena vinto. Tutto quello per cui aveva lottato, tutto quello che aveva desiderato in quei mesi, era semplicemente lì a portata di mano, mentre quella patetica persona che tanto aveva odiato si arrendeva davanti a loro come se nulla fosse. Come se nulla di quello che aveva fatto e conquistato fosse davvero importante.
Era stato facile, forse troppo facile. Era come se Lotor se lo fosse aspettato, come se si fosse fatto trovare da solo nello studio appositamente, in modo da essere costretto a ordinare la ritirata.
Keith non riusciva a immaginare cosa potesse esserci sotto, quali fossero le reali motivazioni che muovevano quell’uomo. Tutto quello che poteva fare ora era recuperare il suo regno e ristabilire l’equilibrio, un apparentemente piccolo passo verso la liberazione del resto dell’universo.

 

 


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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


Cap. 9

 

Rientrare alla base su Altea fu più semplice del previsto: nessuna flotta galra si mise sulla loro strada e, con grande stupore e sconcerto di Lance, nemmeno nessuna scorta della Resistenza. Quella in particolare era un’assenza molto strana considerando che, per quello che ne sapevano, le sorti dello scontro erano state propizie per le navi di Allura.
Il piccolo caccia con a bordo Shiro, Lance, Keith e il resto della squadra, ma anche la regina Krolia, alcuni dignitari e le sue guardie personali Thace e Ulaz, atterrò nell’hangar nascosto senza difficoltà. Pidge aveva aperto il wormhole con un tempismo perfetto e, a prima vista, sembrava che l’intera operazione fosse stata un successo, eppure Lance aveva l’impressione che qualcosa non andasse. Il suo istinto lo metteva in guardia, anche se non avrebbe saputo dire da cosa.
Al loro ingresso nella base vennero accolti da Coran, la cui espressione contrita mise in allarme anche Shiro e Keith.
« È successo qualcosa? » chiese immediatamente il capitano, ancora prima che l’altro proferisse parola.
Coran chinò appena il capo.
« La principessa si scusa per l’impossibilità di accogliere sua altezza la regina Krolia e mi ha pregato di comunicarle che il comandante Kolivan la raggiungerà immediatamente. » disse, scambiando un cenno d’intesa con Thace e Ulaz per confermare che la loro presenza era consentita.
Quelle parole, però, non furono sufficienti per nessun altro dei membri della squadra, che si scambiarono occhiate nervose.
« Coran, dov’è Allura? Ho bisogno di parlare con lei di alcune questioni, oltre a fare rapporto. » insistè Shiro.
Il buon consigliere scosse la testa.
« Mi dispiace ma il rapporto dovrà attendere, la principessa si scusa infinitamente ma al momento è indisposta e non può vedere nessuno. »
« Indisposta? Cosa… »
« Non è necessario insistere, Shiro. » lo interruppe Krolia in tono fermo, facendosi avanti. « Posso ben comprendere che la principessa Allura non sia nelle condizioni di affrontare un incontro ufficiale dopo le fatiche di uno scontro come quello di quest’oggi. » Si rivolse quindi a Coran con un sorriso gentile. « Vi prego di portarle i miei saluti e ringraziamenti dal profondo del cuore per aver liberato il mio pianeta e per aver accolto mio figlio nel momento più buio, oltre che auguri di pronta guarigione. »
« Sarà fatto, vostra altezza. » annuì Coran, defilandosi poi velocemente al sopraggiungere degli inviati di Kolivan, che fecero strada alla sovrana e alla sua scorta.
Rimasti indietro e liberi da impegni imminenti, i membri della squadra di salvataggio si scambiarono occhiate l’un l’altro, incerti sul da farsi finchè Shiro non congedò tutti, invitandoli a godersi il meritato riposo finchè ne avevano l’occasione.
« Non andate con vostra madre, altezza? » chiese, notando che Keith non si muoveva, ma il principe scosse la testa.
« Non credo che mia madre abbia bisogno di me per tenere a bada Kolivan, o viceversa. Piuttosto sono preoccupato per Allura. Non è da lei non farsi vedere dopo una vittoria così importante. »
« Lo penso anch’io. » gli diede manforte Lance. « Ho timore che sia rimasta ferita e non voglia che la cosa sia di dominio pubblico. Se non è qui è chiaro che c’è qualcosa che non va e, qualsiasi cosa sia, non ho la minima intenzione di lasciarla soffrire da sola. »
Era vero che Allura era il capo e una persona di rango superiore, se si fossero presentati nelle sue stanze sarebbe stata una violazione del protocollo oltre che della sua privacy. Allo stesso tempo però non poteva accettare di abbandonare in una situazione dolorosa chi gli aveva praticamente salvato la vita.
« Stando al protocollo dovrebbe farle visita uno di voi due. » disse quindi. « Siete di rango più elevato, soprattutto Keith. Anche se Shiro è un suo capitano. Io sono solo un subordinato. »
« Ma tu sei quello che le è più vicino personalmente. » obiettò Keith. « Se è ferita o sta male sono certo che le farebbe piacere e sarebbe più a suo agio con una faccia amica. »
Tutto sommato Keith aveva ragione, quindi Lance acconsentì.
Il tragitto dall’hangar alla zona degli appartamenti dei superiori avvenne in uno strano silenzio. Sembrava quasi che la base fosse deserta, a differenza del continuo brulicare di attività a cui erano abituati. Non vi erano né tecnici che si affaccendavano nella riparazione di qualcosa, né soldati che si affrettavano a uscire per una missione di emergenza. Niente allarmi che suonavano ma nemmeno l’allegro cicaleccio dei momenti tranquilli. Nessun festeggiamento per la riuscita della missione.
Quando girarono l’angolo del corridoio che conduceva alle sale trasmissioni, s’imbatterono, quasi scontrandosi, in Pidge e Hunk che uscivano da una di esse. Avevano espressioni stanche e profonde occhiaie, probabilmente dovute alle lunghe ore davanti agli schermi, ma anche un’aria estremamente preoccupata.
« Bentornati! » esclamò Hunk non appena la riconobbe. « Congratulazioni per la riuscita della missione! State tutti bene? Altezza, sono felice che siate riuscito a portare in salvo vostra madre. »
Parole all’apparenza gioviali e sincere, ma che nascondevano uno strano disagio. Disagio che Pidge non si sforzò nemmeno di dissimulare, fissando Shiro con le sopracciglia aggrottate e un’espressione tesa. Tutto, dalla sua postura e al suo silenzio, era più eloquente di qualunque spiegazione.
« Io mi fermo un attimo a scambiare due chiacchiere con Pidge. » disse infatti il capitano. « Lance, tu vai pure avanti. Ci aggiorniamo a breve. »
Il giovane cecchino annuì e proseguì nel corridoio insieme a Keith e Hunk, che si era accodato a loro dopo un’occhiata rivolta all’amica.
« Se state andando dalla principessa, non è una buona idea. » disse quest’ultimo, non appena Pidge e Shiro furono comparsi dietro una porta. « Non credo che sia nello stato di ricevere qualcuno. »
Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il vaso e Lance gli si rivolse con tono esasperato.
« Noi non sappiamo come sta Allura! Sappiamo solo che nessuno vuole farcela incontrare e, più passa il tempo, più mi sto convincendo che sia successo qualcosa di grave. Quindi o tu mi racconti tutto per filo e per segno adesso, o giuro che vado dritto da Allura e me lo faccio dire da lei! »
Hunk sembrò intimorito da quell’atteggiamento aggressivo e si agitò guardandosi attorno, come se temesse che qualcuno lo sentisse fare commenti poco consoni. Poi, forse rassegnato dall’espressione risoluta di Lance, fece loro segno di seguirlo e li condusse alla propria stanza nella zona degli alloggi dei tecnici.
Li fece accomodare entrambi e si assicurò che la porta fosse ben chiusa, prima di crollare su una sedia con un pesante sospiro, sotto lo sguardo impaziente degli altri due.
« Ecco come stanno le cose. » iniziò. « Voi credete che quella di oggi sia stata una vittoria, ma non è così. È vero, avete salvato la regina Krolia e probabilmente, ribadisco, probabilmente, liberato Marmora, ma il timore generale è che sia stato tutto orchestrato dai Galra, forse Lotor, o forse direttamente Zarkon. Voi credevate che la nostra flotta, durante l’azione diversiva, stesse vincendo, ma è andata diversamente. »
Sotto lo sguardo attonito di Lance e quello sempre più allarmato di Keith, Hunk raccontò che le comunicazioni che erano giunte alla base erano state a dir poco sconvolgenti. Nel mezzo dell’offensiva, alle truppe galra di stanza su Marmora, era giunta in supporto nientemeno che l’ammiraglia spaziale comandata dall’imperatore Zarkon in persona. Davanti ai soldati della Resistenza che stavano per cedere al panico, Allura aveva immediatamente deciso di sfruttare l’occasione per affrontarlo. Era pronta, era forte ed era la prescelta. Avrebbe sconfitto l’imperatore e riportato la pace nell’universo. In molti avevano tentato di dissuaderla, timorosi dell’enorme rischio che avrebbe corso, ma altrettanti l’avevano acclamata come salvatrice di tutti i popoli liberi. Allura era testarda e sicura di sé, ma era anche certa di fare la cosa giusta per il bene di tutti.
Era stata una disfatta totale.
La principessa aveva sfidato l’imperatore a uno scontro uno contro uno, sulla sua nave, ma ne era uscita ferita e sconfitta, salvata all’ultimo istante dalla lama mortale di Zarkon che si stava abbattendo su di lei dalla guardia che l’aveva accompagnata, una giovane guerriera di nome Romelle. La flotta era finita allo sbando, mantenere la formazione sotto il fuoco nemico era stato impossibile ed era praticamente certo che lo scontro si sarebbe concluso con la sua totale distruzione se l’appello di Lotor non l’avesse interrotto. Si erano letteralmente gettati tutti nel wormhole per Altea quando era successo, vedendolo come l’unico modo per mettersi in salvo.
Hunk aveva visto Allura solo di sfuggita al suo rientro alla base, ma Coran lo aveva informato delle sue condizioni. La ferita, per quanto grave, non avrebbe lasciato danni permanenti grazie alla cryo-pod, ma il trauma era stato enorme. Era psicologicamente a pezzi e avrebbe avuto bisogno di tempo per riprendersi.
Lance era letteralmente shockato. Avrebbe voluto dire che il motivo era che una persona a lui cara fosse stata ferita durante lo scontro con il loro peggior nemico, ma la situazione non era così semplice e il solo pensarci gli causava un miscuglio tale di emozioni che non aveva idea di come gestire. Era preoccupato per Allura, ovviamente, ma era anche spiazzato, confuso, spaventato. Più prendeva coscienza del reale significato di quella sconfitta, più sentiva il mondo e le certezze che aveva costruito attorno a sè in quegli anni crollare pezzo dopo pezzo. Si sentiva tradito e, se lui stava così, di certo Allura doveva essere distrutta.
« Che cosa… significa? » mormorò Keith, al suo fianco, chiaramente scosso. « Vuoi dire che il figlio del nostro acerrimo nemico ha consapevolmente scelto di lasciarci andare? Come… Perchè?! Che senso ha? E la vostra profezia? La stirpe di Alfor che distrugge l’Impero e tutto il resto? Erano tutte favole? »
Rivolse verso Lance uno sguardo smarrito, deluso e accusatore, che centrava perfettamente il punto.
Keith aveva tutte le ragioni di sentirsi in quel modo, chiunque l’avrebbe fatto nella sua situazione, ma nessuno aveva delle risposte da dargli, probabilmente nemmeno Allura stessa.
« Mi dispiace. » iniziò Lance, desolato, che tutto voleva tranne vederlo soffrire di nuovo. « Non so cosa dire, non avevo idea… »
« Nessuno di noi l’aveva. » sottolineò Hunk. « Eravamo tutti certi che la profezia fosse vera. Keith, tutto questo è più destabilizzante per noi che per te, credimi. »
Per un attimo Lance temette che il principe avrebbe reagito male e quello scambio sarebbe finito in una lite furibonda in cui ci si accusava a vicenda. Una lite in cui non avrebbe saputo con chi schierarsi, perché tutti erano vittime e nessuno era il carnefice.
Tuttavia Keith ribatté a quelle parole tese con un semplice sospiro.
« Ti credo. Il concetto stesso di Resistenza era basato su questa profezia e sulla certezza matematica che l’Impero sarebbe stato sconfitto. Ora questa certezza è svanita di colpo e vi sentite… ci sentiamo persi. » disse. « Però questo non vanifica nulla di quello che è stato fatto. Sono stati liberati interi pianeti, salvata tanta gente. Abbiamo portato la speranza nell’universo e possiamo continuare a farlo. Con o senza la prescelta, il nostro lavoro non cambia. »
Era un discorso razionale e sensato, da leader, e Lance lo ammirò per questo. Se Keith avesse detto di avere una soluzione, lo avrebbe seguito senza esitare, ma purtroppo non era così semplice. Non si poteva cambiare il pensiero delle persone, il loro sentito. Se avessero tolto ai ribelli quello che Allura rappresentava, sarebbe stata la fine.
« Se togliamo a questa gente la speranza, o anche solo l’illusione di essa, la Resistenza andrà in pezzi. »

Quando Keith venne mandato a chiamare da Krolia un paio d’ore dopo, era certo che si sarebbe trattato di trascorrere insieme quel tempo madre-figlio che era stato loro negato per tanto tempo. Nello stato emotivo in cui si trovava era certo che un po’ di intimità con lei lo avrebbe aiutato a ridimensionare la situazione e magari a trovare una soluzione che fosse ottimale per tutti. Con Lance e Hunk avevano deciso di non parlare con nessuno di quello che era successo, per evitare di scatenare il panico o alimentare voci che, di certo, si stavano già diffondendo. Pidge l’aveva sicuramente raccontato a Shiro e, con le alte sfere che ne erano a conoscenza, il numero di persone era già al di sopra della soglia di sicurezza. Sua madre però era un’altra cosa: era sempre stata un’eccellente stratega, quindi era possibile che vedesse degli spiragli che a loro erano sfuggiti. Parlare con lei gli avrebbe fatto bene.
Tuttavia, appena varcata la soglia della sala in cui era stato indirizzato, gli bastò un’occhiata per capire che non sarebbe stato un colloquio confidenziale. Sua madre sedeva su una sedia dallo schienale alto e rigido, Shiro era in piedi accanto a lei. Alle sue spalle, appoggiato alla parete, si trovava Kolivan e, dal lato opposto del tavolo era accomodata Allura in persona con Coran al suo fianco.
Keith le si rivolse immediatamente.
« Principessa, state bene? »
Lei annuì con espressione impassibile.
« Un paio d’ore nella cryo-pod hanno aggiustato tutto ciò che poteva essere aggiustato. Ora sta a noi fare il resto. » disse.
A dispetto dell’apparenza, dalla quale non traspariva nulla, la sua voce suonava vagamente meno risoluta del solito e questo fece suonare un campanello d’allarme nella mente di Keith. Allura era come lui: anche se dentro di sé era a pezzi non voleva che gli altri vedessero questa sua debolezza. Poteva capirla, ma quello non era il  momento della testardaggine.
« Immagino siate stato messo al corrente della situazione, altezza. » esordì Shiro, mantenendo un tono formale a cui Keith non era più abituato.
« Lo sono. » rispose. « Immagino che ci siamo riuniti qui per trovare una soluzione, ma secondo me non ce ne serve affatto una. La Resistenza può benissimo continuare sulla strada che stava percorrendo, possiamo trovare un modo per sconfiggere l’Impero con le nostre forze. Non abbiamo bisogno di un prescelto né di una falsa profezia! »
« Parlate già come il leader che presto diventerete, giovane principe. » commentò Kolivan in tono serio. « La fiducia che avete in noi ci fa onore, ma le guerre non si vincono con l’idealismo. »
« Forse no, ma la profezia si è rivelata falsa e ingannare i vostri soldati nascondendo la verità non fa onore a voi. »
« La profezia non è affatto falsa, figliolo. »
Con quelle semplici parole, Krolia attirò su di sé l’attenzione di tutta la sala. Aveva un’espressione tormentata sul volto stanco e stringeva le mani in grembo tanto forte da sbiancare le nocche.
« Vorremmo tutti che non lo fosse, ma purtroppo abbiamo avuto la dimostrazione che è così. E la stirpe di Alfor è estinta, quindi non può esistere nessun’altra alternativa. »
« La stirpe di Alfor non è affatto estinta. »
Quelle fecero precipitare un silenzio incredulo nella stanza.
Allura fissava la regina con gli occhi spalancati, sconvolta. Coran, in piedi accanto a lei, si era irrigidito.
« Non è possibile… » mormorò la principessa.
« In pochi sanno che re Alfor di Altea aveva un fratello. » spiegò Krolia, tenendo gli occhi fissi su un punto imprecisato al centro della tavola. « Un fratellastro, in realtà, che non era mai stato riconosciuto a corte. Si trattava di un uomo amante dell’avventura e della propria libertà, che viaggiava nell’universo alla ricerca di nuove conoscenze e che, un giorno, giunse su Marmora. »
Come se non fosse necessario aggiungere altro, gli sguardi di tutti si puntarono inequivocabilmente su Keith che, per istinto, mosse un passo indietro. Non gli piaceva affatto quello che vi leggeva, in particolare Allura aveva un’espressione che gridava tradimento. Qualunque cosa intendesse sua madre, non poteva essere quella che tutti sembravano aver interpretato. Era impossibile.
Ma bastò l’aggiunta di poche parole per rendere quell’incertezza una granitica realtà.
« Sì, Keith, tuo padre era il principe Ryolan di Altea. O per me semplicemente Ryo. »
Per Keith fu come se il tempo si fosse congelato in quell’istante, di fronte a una realtà troppo assurda per poter essere accettata. Sapeva di dover dire qualcosa, reagire in un qualunque modo, ma la sua mente era completamente vuota, incapace di elaborare tutte le implicazioni di quella rivelazione.
A sbloccare la situazione fu Allura, che si alzò in modo tanto repentino da rovesciare la sedia con un fracasso che fece sobbalzare tutti.
« Ho dedicato la mia intera vita a questa causa. » sibilò, furente. « Ho dato tutto. I miei genitori, la mia patria, la mia infanzia. Ma ne ero felice perché ero certa che ogni sacrificio sarebbe stato ripagato, che ne sarebbe valsa la pena, che fosse la cosa giusta. Il significato della mia intera esistenza si riconduceva a quello di guida, liberatrice di popoli, prescelta. E ora vorreste farmi credere che si trattava solo di uno errore? Di un cavillo di parentela? Che verrò rimpiazzata e non solo, che un mezzo galra pretende di essere parte della mia famiglia?!»
Pronunciò quell’epiteto con un tale disprezzo che Keith rabbrividì.
« Posso accettare degli assassini come alleati ma non come parenti! »
Tremando di rabbia, la principessa voltò le spalle e ignorò i tentativi di Coran di richiamarla. Il pannello automatico si chiuse alle sue spalle con un sibilo, ma Keith potè avvertire il fracasso di una porta sbattuta come se fosse avvenuto veramente.
Nella sala regnò un silenzio gelido per i minuti successivi, finchè Shiro non si decise a spezzarlo.
« Direi che per questa riunione possiamo concludere qui. Siamo tutti troppo scossi per ragionare lucidamente e abbiamo bisogno di riposo. Possiamo riaggiornarci quando ci saranno nuove. »
Cioè quando Allura sbollirà lo smacco e deciderà se mettere da parte il suo orgoglio o portare l’intera Resistenza alla rovina, interpretò Keith. Nessuna delle due opzioni gli appariva allettante. In realtà l’unica cosa che gli appariva allettante al momento era la possibilità di smettere di pensare.
C’erano troppe domande che premevano nella sua mente e si accavallavano l’una sull’altra.
Perché sua madre non gli aveva mai parlato di questo principe Ryolan? Perché aveva tenuta segreta la sua identità a chiunque per così lungo tempo? Era a conoscenza della profezia e di quello che comportava? Se sì aveva permesso consapevolmente che qualcun altro sacrificasse la sua intera vita alla causa al posto suo? Cosa significava essere il prescelto? Avrebbe guidato la Resistenza? Avrebbe sconfitto Zarkon? Annientato l’Impero? Come?
La testa gli girava. Tutto quello che voleva era sdraiarsi, dormire e non sentire più nulla.

 

 

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


Cap. 10

 

« Quindi, se ho capito bene, saresti il cugino perduto di Allura? »
Keith a malapena diede segno di aver sentito, impegnato com’era a sferrare un fendente micidiale che abbattè l’androide da combattimento con cui si stava allenando. Quando si schiantò a terra, il principe si piegò sulle ginocchia, respirando affannosamente.
« Non dovresti stancarti così tanto, siamo appena tornati da una missione pericolosa, faresti meglio a riposare. » disse ancora Lance, dall’angolo della sala dove era seduto.
« Non posso riposarmi, ora che le cose sono cambiate devo essere pronto a tutto. » ribatté Keith, testardo, avviando una nuova sequenza.
Fece di tutto per concentrarsi sul combattimento per escludere i pensieri. Doveva rafforzarsi per essere pronto, mostrarsi spaventato non era accettabile, c’era troppa gente che contava su di lui. Solo quando il droide lo disarmò con un colpo secco che lo fece barcollare, prese atto del fatto che le sue gambe non erano più abbastanza salde.
« Ok, ora basta. Termina sequenza! »
Lance era giunto alle sue spalle senza che nemmeno se ne accorgesse e ora lo sosteneva gentilmente.
« Keith, te lo chiedo per favore, puoi smetterla di tormentarti e darti una tregua? » lo pregò. « Non è punendoti per qualcosa di cui non eri nemmeno a conoscenza che ti sentirai meglio. »
« Hai ragione. » sospirò Keith in tono rassegnato. « Potrei sentirmi meglio solo andando da Allura a dirle che era tutto uno scherzo e che lei è ancora a capo di tutto questo. »
« Tecnicamente lo è ancora. »
« Sai cosa intendo. »
Lance annuì, sospirando a sua volta e conducendolo verso l’uscita della sala. Era l’unico che poteva farlo desistere da quell’allenamento e sembrava del tutto deciso a sfruttare quel privilegio.
Pochi minuti più tardi si trovavano nella stanza di Keith con due tazze di infuso in mano.
« Mi sono fatto dare da Hunk qualcosa che calmasse in nervi. Sembra che ne stia facendo largo uso anche Allura. » spiegò Lance, guardandosi attorno. « La tua stanza è così spoglia, è identica a quando te l’ho assegnata mesi fa. »
Keith si sedette sul materasso, sforzandosi di trovare interessante quella conversazione futile.
« Non ritenevo necessario abbellirla, pensavo che me ne sarei andato presto. »
L’aveva pensato all’inizio, dopo ogni allenamento, dopo la missione a Beta Traz, dopo ogni riunione. Nel frattempo i mesi erano passati ed era ancora lì, in una stanza troppo vuota, con pareti spoglie e asettiche, a considerarla una sistemazione provvisoria.
Chissà se lo sarebbe stata ancora per molto? Se i soldati della Ribellione avrebbero accettato il suo nuovo ruolo o lo avrebbero scacciato? O se il desiderio di sua madre di tornare presto su Marmora si sarebbe avverato? Se così fosse stato, avrebbe lasciato tutto e tutti, tornando alla propria vita regale e dimenticando quella stupida profezia? La sua coscienza glielo avrebbe permesso?
« … dov’è? »
« Cosa? »
« Ti sei perso di nuovo nei tuoi pensieri. Ti stavo chiedendo dov’è Shiro. » ripeté Lance.
« Con mia madre e Kolivan. Non hanno voluto che partecipassi alla riunione dopo quello successo ieri… Era ieri? »
Si sentiva spossato dagli allenamenti e dai troppi pensieri.
« Era ieri visto che adesso è notte fonda. Dovresti dormire un po’. » disse Lance, sedendoglisi accanto con la tazza fumante tra le mani.
L’aroma dell’infuso era incredibilmente rilassante.
« Nello spazio non esiste il ciclo giorno-notte. » ribatté Keith, testardo.
« Ma su Altea esiste quello del sonno-veglia, quindi faresti bene a darmi ascolto. »
Sapeva che Lance aveva ragione, ma non riusciva a convincersi ad andare a dormire, non con tutto quello che stava succedendo. Permettere a sé stesso di riposarsi sarebbe stato come ammettere che non riusciva a sostenere la situazione, che non era all’altezza, cosa che temeva già tutti quanti pensassero di lui.
Lance gli circondò la vita con un braccio, invitandolo ad appoggiarsi alla sua spalla.
« Sai che puoi parlarmi di tutto quello che ti angoscia, vero? Non mi sognerei mai di giudicarti, qualunque cosa decidessi di fare. »
« Lo so. » mormorò Keith, sorseggiando finalmente l’infuso e lasciando che il calore gli sciogliesse il nodo allo stomaco. « Però prima devo venire a capo da solo di certe questioni. Accettare che mia madre mi abbia tenuto nascosta una cosa così importante per tutti questi anni non è semplice. »
Lance annuì, sorridendo quando Keith posò la tazza vuota e si lasciò scivolare contro di lui in cerca di maggiore contatto. Non era da lui comportarsi in quel modo, ma in quel momento preferiva una vicinanza silenziosa piuttosto che una forzata spiegazione a parole di quello che sentiva.
« Prenditi il tempo che ti serve. » mormorò il giovane cecchino, tra i suoi capelli. « Sarebbe parecchio da digerire per chiunque. »
In qualche modo, Lance lo indusse a sdraiarsi sul letto, seguendolo e permettendogli di rimanere ancora appoggiato a lui. Non lo forzò a parlare e di questo Keith gliene fu grato.
Finì per addormentarsi quasi senza rendersene conto.

Vivere alla base divenne molto presto complicato e penoso per Keith.
Le riunioni strategiche continuavano e allo stesso modo le missioni minori, ma non gli era permesso prendervi parte. Kolivan aveva preso in mano la situazione, trasferendosi momentaneamente dalla base delle Lame per gestire quella di Altea, dal momento che Allura non sembrava nelle condizioni di farlo. La principessa non aveva presenziato a nessuno degli incontri organizzativi e Coran aveva riferito che, al momento, non se la sentiva di incontrare nessuno. Keith aveva provato ad andare a parlare, se non altro per spiegarle che non era sua intenzione toglierle nulla e che non era colpa sua se i suoi genitori si erano incontrati tanti anni prima, facendo di lui un suo parente. Aveva tentato di dirle che disprezzava la razza Galra quanto lei per via delle malefatte dell’Impero e aveva sempre sentito il peso di questo conflitto interiore, ma lei non lo aveva lasciato parlare. Gli aveva urlato di andarsene, che non voleva vedere la sua faccia e alla fine Coran lo aveva convinto a uscire.
Per quanto fosse stato mantenuto il segreto sulla sconfitta durante lo scontro con la flotta galra su Marmora, le voci che Allura non fosse la prescelta avevano cominciato a circolare dopo la prima riunione e ora Keith non poteva camminare in nessun corridoio senza venire additato tra mille sussurri e occhiate ostili. Era chiaro che i militanti non apprezzavano chi, dal loro punto di vista, stava tentando di spodestare il loro leader.
Questo era il motivo per cui Keith aveva preso a passare più tempo possibile in solitudine nel simulatore d’allenamento e, quello che non poteva trascorrere lì, nella sola compagnia di Lance, Shiro o sua madre.
Krolia era spesso impegnata a esaminare rapporti in arrivo da Marmora o da spie infiltrate su altri pianeti occupati, nella speranza di capire quale fosse la strategia di Lotor e poter organizzare il prima possibile un rientro a casa, ma non mancava mai di aggiornarlo su ogni più piccola novità. Shiro era diventato una sorta di braccio destro di Kolivan, quindi lo teneva informato sul fronte delle missioni minori a cui, tra l’altro, spesso Lance prendeva parte come comandante sul campo.
Tutti erano impegnati in qualcosa ma non volevano o non avevano bisogno del suo aiuto, cosa che faceva sentire Keith sempre più frustrato e inutile. Non aveva scelto lui di nascere mezzo alteano, fino a due giorni prima neanche lo sapeva, quindi era assurdo che tutti quanti ora lo trattassero come una bomba a orologeria.
Fu in una di quelle giornate confuse e piene di sentimenti contrastanti, che s’imbatté per caso in Coran, in una delle sale comuni.
Il primo istinto di Keith fu quello di voltargli le spalle e allontanarsi velocemente, per evitare che gli venissero rivolti di nuovo sguardi o parole ostili, ma il baffuto consigliere lo stupì richiamandolo con voce gentile.
« Altezza, non andatevene. »
Keith si soffermò sulla porta, scrutandolo con diffidenza. L’ultima volta che gli aveva rivolto la parola era stato per spingerlo ad andarsene dalle stanze di Allura e non era certo di essere disposto a sentirsi di nuovo allontanato.
« Ho tentato di parlarvi in questi giorni, ma non lasciavate avvicinare nessuno. Volevo assicurarmi che steste bene, anche in qualità di medico della base. » continuò Coran.
« Non sono io a non lasciare avvicinare nessuno, sono gli altri a tenermi alla larga e a trattarmi come se fossi materiale pericoloso. » mormorò Keith tra sé, riesumando il tono scontroso che gli era stato abituale al suo arrivo. « Comunque sto bene, non hai bisogno di preoccuparti. Ci pensa già Lance ha farmi da seconda madre e infermiera. »
Coran represse a stento una risatina, prima di tornare serio.
« Ci tenevo anche a porgervi le mie scuse per conto della principessa. È stata ingiusta e molto dura nei vostri confronti, non meritavate un tale trattamento dopo quello che avete rischiato nelle missioni. »
Keith spalancò gli occhi e lo fissò, incredulo.
« È la principessa che ti ha chiesto di riferirmelo? »
« No e per questo vi domando ancora scusa. È tuttora molto scossa e confusa, posso solo immaginare cosa significhi per lei scoprire che tutto ciò che ha fatto finora, che il suo stesso scopo nella vita era privo di significato. Tuttavia questo non giustifica i suoi gratuiti attacchi nei vostri confronti. »
Keith sospirò. Lui forse poteva vagamente capire quello che Allura stava provando, sapeva cosa significasse trovarsi da un momento all’altro senza più nulla e solamente con il bruciante desiderio di riconquistare ciò che si è perduto. E poteva anche capire come una persona abituata a comandare non potesse accettare di venire consolata con banali parole di spiegazione come quelle che lui le aveva offerto. Forse aveva davvero solo bisogno di tempo.
 « Non nutro rancore nei suoi confronti, non temere. » rispose, quindi. « Mi auguro solo che possa sentirsi presto meglio e capire che non voglio in nessun modo sottrarle un ruolo che sarà sempre suo. Il leader della Resistenza di Altea può essere solo lei, nessuno vorrebbe un mezzo galra, prescelto o meno che sia. »
Quelle parole portarono un velo di tristezza sul volto di Coran, inducendolo a riprendere posto sulla sedia dalla quale si era appena alzato. Keith si sedette di fronte a lui.
« E dire che fino alla scorsa generazione i Galra erano considerati una razza come le altre e non la piaga che opprime l’universo. Erano addirittura alleati e buoni amici di Altea. Al giorno d’oggi, invece, un pianeta come Marmora, sui cui convivono in pace razze diverse, è una perla rara… »
« Com’era l’universo ai tempi di re Alfor? » si ritrovò a chiedere Keith. « Lance mi ha raccontato a grandi linee la leggenda dietro la profezia ma vorrei conoscere meglio la realtà dei fatti. Tu eri là, vero? E conoscevi tutti. »
L’espressione di Coran s’incupì mentre annuiva.
« All’epoca ero solo un ragazzo, poco più giovane di Alfor, ed ero stato assegnato al suo seguito come scudiero. Altea si reggeva già a stento su una politica fragile, troppo dipendente dall’alleanza con Daibazaal e i Galra per potersi ancora definire autonoma. L’Impero, invece, aveva già messo le sue radici in profondità, tanto che il giovane imperatore Zarkon si poteva dire sovrano di fatto, se non di nome, della maggior parte dei pianeti alleati, Altea compreso. Tuttavia Zarkon non era un tiranno, aveva ereditato il trono dal padre e sembrava intenzionato a mantenere buoni rapporti con le sue colonie.
All’epoca vigeva una regola per cui il primogenito delle più importanti casate reali veniva inviato su Daibazaal allo scopo di rafforzare l'alleanza. In realtà si trattava banalmente di un ostaggio politico, che garantiva la sudditanza del pianeta di provenienza, e così è stato anche per Alfor. Viene chiamato re, in quanto ultimo erede della sua stirpe, ma non portò mai davvero la corona e non regnò su Altea in modo ufficiale. Quando partì, io lo seguii in quanto scudiero e suo amico, insieme a un seguito di persone fidate di cui si era circondato. Tra loro c’erano Honerva, una promettente studiosa della quintessenza, e Melenor, una nobile e raffinata musicista che col tempo sarebbe diventata la sua fidanzata. »
A Keith non sfuggì il guizzo nell’espressione di Coran mentre pronunciava quelle parole.
« Non approvavi la loro unione? » tentò di interloquire, ma vide l’altro mettersi immediatamente sulla difensiva.
« Melenor era una ragazza deliziosa, di nobile famiglia, molto gentile e piena di talento. » precisò.
« Non lo metto in dubbio e ti chiedo scusa se mi sto sbagliando, ma da come ne parli ho avuto l’impressione che tenessi a re Alfor molto più di uno scudiero o un semplice amico. »
Era un paragone azzardato, ma aveva risentito nel tono di voce di Coran quello che lui era solito usare quando parlava di Shiro. L’ammirazione, l’affetto e l’attaccamento che nulla hanno a che fare con il rango o la posizione sociale.
Coran tentennò solo un istante, prima di capitolare, consapevole di non poterlo ingannare su una cosa del genere.
« È così. Alfor era… la persona più cara per me, e anche se lui non provava lo stesso, non aveva importanza. Avevo giurato di sostenerlo sempre e così ho fatto, anche in terra straniera, sia quando la corte galra si è dimostrata accogliente e l’imperatore Zarkon un amico, sia quando la situazione è degenerata nel peggiore dei modi. »
« Ti prego, parlamene. Ho bisogno di capire. Che ne era di mio padre a quel tempo? Viveva alla corte di Altea? » incalzò Keith. « Se l’imperatore Zarkon era un amico, perchè ha scatenato una guerra che ha soggiogato l’universo? »
C’erano così tante domande, così tanti punti poco chiari che nessuno si era mai preso la briga di spiegargli o che non erano nemmeno noti a tutte le persone coinvolte. Era impossibile anche solo pensare di poter prendere delle decisioni restando all’oscuro di tutto.
Fortunatamente Coran sembrava propenso a parlarne, quasi sollevato di poter deviare l’attenzione da sè stesso e dai suoi sentimenti.
« Vostro padre, il principe Ryolan, all’epoca era già in viaggio. Non ha mai soggiornato a corte e non è mai stato riconosciuto come appartenente alla famiglia reale, quindi non aveva nessun obbligo nei confronti della successione. Non escludo che fosse già su Marmora o che vi sarebbe arrivato a breve, questo solo vostra madre potrà confermarvelo. Quanto all’imperatore… Lo Zarkon che abbiamo conosciuto su Daibazaal era completamente diverso, una brava persona, amante della cultura e ottimo diplomatico. Alfor passava molto tempo in sua compagnia, favoleggiando di un Impero che unisse tutto l’universo sotto la bandiera della pace. Zarkon era anche molto interessato alla scienza e all’alchimia alteana, per questo aveva messo i propri laboratori a disposizione degli studiosi che facevano parte del seguito, tra cui Honerva. Era affascinato da lei, l’ammirava e per lei era lo stesso. Erano attratti allo stesso modo l’uno dall’altra e dalla quintessenza, ed è stato proprio questo interesse sempre più ossessivo a decretare la fine di tutto. »
Coran sospirò di nuovo, profondamente, e si appoggiò allo schienale della sedia con espressione affranta. Dovevano essere ricordi dolorosi: assistere in prima persona a ciò che aveva dato il via a quella che era diventata l’oppressione dell’intero universo era qualcosa che Keith non poteva nemmeno immaginare.
« Scoprirono una sorgente di quintessenza nel sottosuolo del palazzo, da cui sgorgava l’energia stessa del pianeta. Honerva sembrava impazzita, la considerava la più grande scoperta scientifica dell’ultimo millennio e un’occasione irripetibile per studiare da vicino un potere di enorme portata. Alfor tentò di avvertirla della sua possibile pericolosità, di quanto l’affinità che gli alteani avevano con esso fosse imprevedibile, ma Zarkon gli impedì di fermarla e seguì lui stesso Honerva fin dentro la spaccatura da cui fuoriusciva la quintessenza pura. Nessuno sa cosa sia successo laggiù, ma quando tornarono erano cambiati. Honerva sembrava aver perso la ragione, delirava e fu in quel momento, in presenza mia e di Alfor, che pronunciò le parole della profezia. Sarebbe stato qualcuno con il sangue della casata di Alfor a distruggere l’Impero. Il tempo ha distorto le parole, ma Honerva non ha mai effettivamente detto che sarebbe stato un discendente, solo qualcuno della sua casata. All’epoca, però, non aveva importanza. Zarkon uscì di senno, accusò Alfor di tradimento verso la corona e ci condannò tutti. Fummo costretti a fuggire dal palazzo, braccati dalle guardie. Melenor aveva dato alla luce da poco Allura, la nascita non era ancora stata annunciata e questa fu l’unica cosa che tenne la piccola al sicuro. Alfor sapeva che erano spacciati, non avevano modo di fuggire nè i mezzi per lasciare il pianeta. Inoltre Melenor non era in condizioni di muoversi e lui non l’avrebbe lasciata. Mi pregò di proteggere Allura, di portarla via in una piccola capsula anonima che l’avrebbe salvata dalla furia omicida di un imperatore impazzito. Non seppi dirgli di no e, con la morte nel cuore, gli dissi addio sapendo che non l’avrei più rivisto. Amo Allura come una figlia, è tutto ciò che mi rimane di lui. È forte, è una leader per tutti coloro che la seguono, una luce nel buio di questi tempi e una speranza per chi l’ha persa. Ma è anche una ragazza che ha perso la sua famiglia in nome della causa ancora prima di sapere cosa significasse averne una. È nata per questo, non potrebbe essere altrimenti, senza questo scopo la sua esistenza non avrebbe senso. Altezza, lei ha bisogno della Resitenza più di quanto la Resistenza abbia bisogno di lei. Spero che possiate comprenderlo. »
Keith lo capiva fin troppo bene e, come ormai aveva ripetuto fino alla nausea senza che nessuno gli avesse davvero dato ascolto, non aveva nessuna intenzione di togliere ad Allura il suo ruolo. Anzi, se avesse potuto, le avrebbe restituito anche quello stupido titolo di prescelta che, a conti fatti, non significava nulla.
« Coran, ti prego, riferisci alla principessa che sono al suo servizio e vorrei discutere con lei le prossime strategie, quando si sentirà pronta. Finché resterò nella Resistenza, lei sarà il mio comandante, questo non cambierà. »
Coran annuì, visibilmente commosso, e s’inchinò prima di lasciare la stanza.
Purtroppo, l’incontro che Keith si augurava non sarebbe mai avvenuto.

 


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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


Cap. 11

 

La notizia della decisione della regina Krolia scosse l’intera base come un fulmine a ciel sereno. Non vi era stato alcun segnale di preavviso quindi tutti, compreso Keith, accolsero con sgomento l’ordine di rientro immediato su Marmora. Per il principe, soprattutto, avrebbe significato l’abbandono della scena in una situazione troppo precaria per potersi definire anche solo lontanamente risolutiva.
Quando si recò a chiedere spiegazioni alla madre, consapevole di avere anche motivi personali che lo spingevano a desiderare il ritardo di quella partenza oltre a quelli strategici, si stupì di trovarla in compagnia di Shiro e di entrambe le guardie del corpo, Thace e Ulaz.
« Thace e Shiro sono appena rientrati da un’avanscoperta su Marmora. » lo informò la regina. « Il nostro esercito ha ripreso possesso del palazzo grazie all’aiuto delle forze della Resistenza e le schiere galra sono in rotta. Ogni traccia di oppressione ha finalmente abbandonato la nostra casa e il principe Lotor si trova sotto nostra stretta custodia nelle carceri di massima sicurezza. Thace e Shiro hanno avuto modo di incontrarlo e riferiscono la sua richiesta di un colloquio con i vertici della Resistenza e con il futuro nuovo re. »
Krolia aveva un’aria soddisfatta, quella di chi è finalmente pronto a riprendere il proprio posto nel mondo dopo un grave torto, e non sembrava per nulla turbata dalla richiesta di Lotor.
« Madre, vi ricordo di nuovo che Lotor ha ordinato di uccidermi. » obiettò Keith. « Volete farmi credere che in qualche modo vi fidate del figlio dell’imperatore? »
Krolia inclinò un poco il capo e scrutò il giovane con espressione intensa.
« Non ho mai detto di fidarmi di lui, ma c’è qualcosa nel suo comportamento che è chiaramente dissonante con i dettami dell’Impero. Voglio capire di cosa si tratta, fosse anche solo per scoprire una minuscola debolezza. »
« Non dovete temere, altezza. » intervenne Shiro. « Se accetterete di incontrarlo non lascerò il vostro fianco nemmeno per un istante e lo stesso farà Lance con la principessa. »
Sapere che due delle persone più importanti della sua vita sarebbero state presenti a quel colloquio e si sarebbero spontaneamente messe in pericolo per la loro sicurezza era tutt’altro che un incentivo ad accettare, ma Keith fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco.
« Se voi e la principessa ritenete questo incontro utile e necessario, potrete contare sulla mia presenza. »
Krolia annuì, compiaciuta.
« Ho già dato ordine di disporre tutti i preparativi. Partiremo domani e al colloquio con Lotor avrà seguito la tua incoronazione. » Il sorriso della regina si addolcì. « Avrai finalmente quello che ti spetta e che è ti è stato negato per troppo tempo, figlio mio. »
Keith si sentiva più confuso che mai: queste nuove preoccupazioni e incombenze non erano decisamente ciò di cui sentiva il bisogno in quel momento e il peso delle responsabilità era tanto gravoso da lasciarlo stordito. Per questo si lasciò condurre fuori dalla sala delle udienze da Shiro senza protestare, seguendolo in silenzio come avvolto in una sorta di stupore incredulo.
Solo quando si furono allontanati parecchio nel corridoio, Shiro si azzardò a parlare abbandonando le formalità.
« State bene? So che quello che state passando sarebbe troppo da chiedere a chiunque e se posso fare qualcosa, qualunque cosa per esservi d’aiuto, io… »
« Sto bene, Shiro. » lo interruppe Keith, riscuotendosi dal torpore. « È vero, è tanto da digerire, ma tu e Lance mi state aiutando molto. E anche parlare con Coran ieri è stato un grande sollievo. Sta succedendo tutto talmente in fretta che non credo di aver realizzato del tutto cosa intendesse mia madre, ma sono felice di avervi vicini entrambi in questo momento. »
Shiro gli posò una mano sulla spalla, comprensivo.
« Per qualsiasi cosa non fatevi scrupoli a venire da me. » disse. « Che si tratti di uno sfogo come quando eravate piccolo, di un allenamento, di una fuga sulle hoverbike o di prendere a pugni Lotor. È molto poco diplomatico, lo so, non ditelo a vostra madre, ma se li meriterebbe tutti. »
Quelle parole così accorate, così poco da Shiro, o per lo meno lo Shiro rispettoso del protocollo che era solito vedere da quando era cresciuto, strapparono a Keith un sorriso.
« Ti ringrazio. Davvero. »
Shiro annuì e fece un passo indietro, lasciandolo libero.
« Domani sarà una giornata lunga per tutti, vi consiglio di riposare e di passare il tempo che ci resta qui con qualcuno che ne valga la pena. Lance è rientrato e dovrebbe aver finito il suo rapporto ormai. »
Keith non aveva bisogno di sentire altro, lo ringraziò di nuovo e si avviò spedito verso la zona degli alloggi.

Lance si era appena liberato della divisa quando sentì bussare discretamente contro il pannello della porta scorrevole.
La missione da cui era appena rientrato non era stata particolarmente impegnativa, si era trattato solamente di scortare alcune navicelle di Taujeer mentre attraversavano una zona potenzialmente rischiosa, ma si sentiva ugualmente stanco. Gli ultimi giorni erano stati un caos di novità, missioni organizzate all’ultimo momento e in fretta e furia, quasi sembrasse che i vertici facessero il possibile per tenere tutti impegnati ed evitare che creassero problemi. Da una parte poteva capire che Kolivan agisse così per il mantenimento dell’integrità della Resistenza, se il malcontento avesse preso piede portando a delle fratture interne sarebbe stato un problema ancora più grosso, ma dall’altra aveva bisogno di riflettere in tranquillità e stare con Keith. L’aveva lasciato da solo per troppo tempo in un momento delicato, quando sapeva benissimo in che stato di confusione mentale il principe vertesse dopo la rivelazione delle sue origini. Ora voleva solo rimediare, restare al suo fianco e rassicurarlo.
Almeno quell’ultimo desiderio sembrò realizzarsi all’istante dal momento che, oltre la porta, si trovava proprio Keith, venuto ad augurargli il bentornato alla base.
« È andato tutto bene? » lo sentì chiedergli con quel filo di apprensione che il principe tentava sempre di mascherare.
« Tutto liscio come l’olio! Qui ci sono novità? »
Ed eccola l’espressione ansiosa che era diventata abituale sul volto di Keith negli ultimi tempi. Un’espressione che diceva chiaramente quanto quelle giovani spalle si fossero fatte carico di un fardello troppo pesante ma che non era loro concesso abbandonare.
« Ti sono già stati comunicati i nuovi ordini? » fu la domanda a bruciapelo e Lance lasciò che gli angoli della sua bocca si abbassassero, spegnendo il sorriso.
« Pidge mi ha accennato qualcosa mentre rientravo. E così domani tornerai a casa. Vorrei poter dire che sono felice per te… »
Keith avanzò nella stanza spingendolo bruscamente all’interno.
« Non devi dirlo se non vuoi. Io non sono affatto felice. In un momento del genere! Con tutto quello che è successo! E Allura che non vuole parlarmi. Di questo passo la Resistenza finirà a pezzi per colpa mia, ammesso che Lotor non faccia prima qualcosa di orribile… »
« Ehi, ehi, frena. »
Lance gli posò le mani sulle spalle, lasciandole poi scivolare lungo le braccia fino a stringere le dita tra le sue.
« Sì, è vero, è un brutto momento e sì, è vero, non sono felice, ma non fasciamoci la testa prima del tempo. Kolivan non permetterà che tutto il lavoro fatto finora vada in fumo e sono certo che Allura si calmerà. Quanto al resto, se lo vorrai, sono disposto a venire con te. »
Erano state parole pronunciate di getto, per nulla premeditate e difficilmente attuabili, ma lo sguardo di Keith s’illuminò.
« Lo faresti? » mormorò incredulo.
Lance tenne strette le sue mani mentre annuiva.
« Hai promesso che saresti diventato un re alleato della Resistenza, che avresti costruito un mondo pacifico dove tutte le razze avrebbero potuto convivere in armonia. Ti avevo risposto che eri un idealista, ma voglio essere parte di tutto questo. Voglio continuare a combattere questa battaglia al tuo fianco. »
Erano parole azzardate, avrebbero avuto bisogno di una pianificazione accurata e del via libera dei superiori. Allura era molto probabile che non la prendesse bene, Kolivan di certo non sarebbe stato felice di perdere un elemento valido come Lance, senza contare quello che sarebbe stato il parere della regina Krolia in tutto questo. Ancora non avevano trovato il momento adatto per spiegarle come stavano le cose tra loro e, più rimandavano, più sarebbe stato complicato. Tuttavia, l’espressione che si era dipinta sul volto di Keith gli dimostrò che quella era la scelta giusta da fare.
« Intendo mantenere quella promessa e domani sarà il primo passo per farlo. » disse, ricambiando la stretta. « Vorrei che anche tu mi promettessi qualcosa. Durante il colloquio con Lotor verrai assegnato come scorta ad Allura e vorrei che ti preoccupassi solo di lei e della sua incolumità. Io avrò Shiro con me, starò bene. »
« Ma… »
« Lei è la tua principessa, la tua luce nel buio, ricordi? Me l’hai descritta così la prima volta e adesso lei ha bisogno di questa verità. È la più vulnerabile e Lotor potrebbe approfittarne, vorrei che stesse il più possibile al sicuro. Tu e Shiro siete le persone di cui più mi fido al mondo e so che con te non correrà rischi. Te lo chiedo per favore, in quel momento guarda solo lei. »
Lance prese un lungo e profondo respiro. Da quando era venuto a sapere dell’incontro con Lotor, tutto quello che aveva desiderato era proteggere Keith a costo della vita, fargli da scudo con il proprio corpo, se necessario, e tenerlo lontano da ogni pericolo. Non nutriva nessuna fiducia nelle intenzioni del principe galra e, anche se al di là di una barriera energetica, voleva solo che stesse il più lontano possibile da Keith. Tuttavia, ragionando con maggiore logica e senso pratico, la richiesta del principe era più che sensata. Nel clima d'incertezza che stavano vivendo in quei giorni e soprattutto visto lo stato d’animo di Allura, era strettamente necessario che l’attenzione fosse focalizzata su di lei e sulla sua sicurezza. Keith lo faceva con l’intento di non farla sentire abbandonata più di quanto già non credesse, ma in realtà Lance sapeva che se qualcosa fosse andato storto le conseguenze sarebbero state molto più catastrofiche del semplice crollo emotivo di una ragazza.
Per questo motivo accettò la richiesta di Keith, facendo forza su sé stesso e sui suoi sentimenti. Sarebbe andato tutto bene, si ripeté. Keith era in buone mani, Shiro aveva vegliato su di lui per anni ed era il miglior soldato della Resistenza, non avrebbe permesso che accadesse nulla di male. E Lance, dal canto suo, non avrebbe permesso che la sua iperprotettività rischiasse di diventare controproducente.
« Grazie. » mormorò Keith. « Ora che abbiamo stabilito questo, beh… io non ho altri impegni e se tu non hai da fare vorrei… insomma… è l’ultima giornata che trascorro qui alla base quindi…»
Davanti a quel goffo tentativo, Lance finì per intenerirsi e gli accarezzò una guancia.
« Se vuoi passare del tempo con me, non c’è bisogno di chiedere. »
Keith arrossì, come succedeva ogni volta che si imbarazzava e non sapeva come reagire, cosa che faceva venir voglia a Lance di coccolarlo come se si fosse trattato di un cucciolo smarrito e non di un principe combattivo capace di infilzare un avversario come uno spiedino.
Lasciò che la mano scivolasse verso l’alto, affondando tra i ciuffi corvini fino a raggiungere la morbida peluria lilla che ricopriva un orecchio felino. Grattò piano e Keith emise un mugolio compiaciuto, socchiudendo gli occhi e inclinando la testa per andare incontro alla sua mano.
Lance sorrise, sentendo il cuore gonfiarsi d’amore per quel ragazzo che gli sembrava di conoscere da una vita nonostante fossero passati solo pochi mesi e si ripromise di fare l’impossibile per supportarlo sempre.

Alla partenza dell’indomani era presente l’intero personale della base, da Kolivan alle semplici vedette impiegate nelle ricognizioni.
Allura si presentò in alta uniforme, accompagnata dal fedele Coran e da Romelle, la guardia che l’aveva assistita durante lo scontro con Zarkon. Il suo viso era segnato da profonde occhiaie ma la sua espressione era risoluta e lo sguardo vigile. Rispose con un sorriso a tutti quelli che le si avvicinarono per augurarle buona fortuna e raccomandarle attenzione, ma non si voltò nemmeno una volta verso i reali di Marmora.
Lance si mise immediatamente al suo fianco non appena si mosse per salire sulla navicella assegnatale e ricevette uno sguardo che non fu difficile interpretare come grato.
Keith, dal canto suo, rimase accanto a sua madre, affiancato da Shiro, e venne congedato da Kolivan con tutti gli onori e le raccomandazioni del caso. Diverse pattuglie della Resistenza avrebbero fatto loro da scorta e sarebbero rimaste di supporto all’esercito di Marmora in caso di necessità fino a incoronazione avvenuta. Il comandante non menzionò in nessun modo il futuro di Lance e la sua decisione: Keith lo apprezzò molto, ma era chiaro che ne fosse a conoscenza e non ne fosse entusiasta. Tuttavia aveva abbastanza buonsenso e diplomazia per non farne parola in quel momento.
Quando salirono a loro volta a bordo di una seconda navicella, scortati da Thace e Ulaz e da diversi altri membri della Resistenza, Keith prese posto accanto a un oblò e disse addio tra sè e sè ad Altea e a tutta quella gente che lo aveva accolto quando era solo un fuggiasco ferito e in punto di morte.
« Metteremo fine a questa guerra tutti insieme. » disse Krolia, al suo fianco, quasi leggendo i suoi pensieri. « Per Marmora, per Altea e per tutti i pianeti oppressi. »
Keith scosse appena la testa.
« Non so nemmeno cosa significhi essere il prescelto. » mormorò, ma sua madre gli strinse una mano con gesto incoraggiante.
« Non è davvero importante che tu sia o non sia il prescelto. Quello che conta è fare tutto quello che possiamo, insieme, per sconfiggere questa tirannia. Il primo passo è stato liberare la nostra casa, il secondo sarà riprenderne possesso. Un passo alla volta, mineremo le fondamenta dell’Impero. »
Keith non potè fare altro che annuire e augurarsi che fosse davvero così, che in qualche modo sarebbero riusciti a dare una svolta definitiva all’opera che la Resistenza stava portando avanti da fin troppo tempo.
Il salto nel wormhole, accompagnato dalla voce di Pidge che dava istruzioni sulle coordinate di arrivo, lo lasciò leggermente stordito, anche se non a sufficienza da annullare la sensazione di lasciarsi alle spalle una vita a cui si era abituato e che gli sarebbe mancata, insieme a quella di fare davvero qualcosa di concreto per cambiare le cose.
L’atterraggio avvenne senza problemi e, già dai finestrini, era possibile scorgere la folla eterogenea che era giunta sul posto per dare il bentornato ai sovrani liberatori.
L’aria di casa provocò a Keith un'inattesa nostalgia e, allo stesso tempo, la brusca consapevolezza che il tempo dei preparativi e delle procrastinazioni era finito. Ora era giunto quello delle azioni e delle responsabilità che lo attendevano. Quella era la sua terra, quello era il suo popolo. Di lì a poco sarebbe stato il re e il loro benessere sarebbe dipeso unicamente da lui. Non c’era più spazio per i dubbi.

Lotor era stato rinchiuso nelle celle di massima sicurezza in un distaccamento del palazzo. L’ambiente era asettico e in penombra, rischiarato appena da fredde luci artificiali. La cella in sé stessa era delimitata da barriere energetiche che separavano quei pochi metri quadrati dal resto del mondo. Chi avesse tentato di attraversarle avrebbe subito una scarica capace di atterrare un uomo adulto di corporatura robusta.
Il prigioniero era seduto su una sedia, unico pezzo di mobilio in quello spazio angusto, e si alzò non appena la delegazione fece il suo ingresso, chinando appena il capo in direzione dei nuovi arrivati.
« Regina Krolia, è un piacere rivedervi. » disse in tono formale, del tutto fuori posto in quel contesto. « Principe Keith, sono lieto di vedervi in salute. Principessa Allura di Altea, è un vero onore fare la vostra conoscenza, ho atteso questo momento per molto tempo. »
Keith si limitò a squadrarlo con astio, prima di rivolgere un’occhiata preoccupata ad Allura. La principessa però rimase perfettamente composta e non diede segno di turbamento.
« Principe Lotor di Daibazaal, ammetto di non aver compreso il motivo di questa vostra richiesta di colloquio. » disse invece, mantenendo lo sguardo fermo e un’espressione quasi altezzosa. « Se lo scopo è quello di chiedere una grazia per i vostri crimini, sappiate che ciò che avete commesso voi e la vostra razza va ben oltre ogni possibilità di perdono. Se invece le vostre intenzioni sono quelle di pronunciare ulteriori minacce, queste cadranno nel vuoto. »
Pronunciò quelle parole senza nemmeno un’incrinatura e Keith non potè fare a meno di ammirarla per il suo autocontrollo. Aveva davanti il figlio dell’uomo che aveva ucciso i suoi genitori e soggiogato il suo pianeta, Keith aveva patito solo in minima parte il suo stesso dolore e già desiderava saltargli alla gola.
Lotor, dal canto suo, non sembrò per nulla impressionato, anzi mantenne un’aria neutra e tranquilla di fronte a quelle accuse.
« Nessuna delle vostre ipotesi rispecchia le mie intenzioni, principessa. » disse in tono serio. « In realtà il mio intento non è altro che fornirvi le informazioni necessarie per mettere fine all’Impero. »
A quelle parole, l’intera delegazione trattenne il respiro. I più avvezzi alle tecniche militari, come Thace, Ulaz, Shiro e Lance, misero istintivamente mano alle armi, come se una minaccia fosse insita nella frase stessa appena pronunciata. Keith mosse un passo avanti per riparare sua madre, ma la regina si scostò dignitosamente, ignorando ogni altra reazione e rivolgendosi unicamente a Lotor.
« Cosa vi fa credere che saremo tanto stupidi da cadere in questa trappola? »
Il principe galra, che nel frattempo era tornato ad accomodarsi, le rivolse uno sguardo sereno.
« Unicamente la realtà dei fatti, mia signora. Avete potuto constatare di persona che non ho torto un capello ai vostri dignitari durante l’occupazione, inoltre non vi chiedo di liberarmi e non è nel mio interesse mentire, in quanto, se le mie informazioni si rivelassero false, avrete sempre potere di vita o di morte su di me. Non vi chiedo di credermi sulla parola quando lo affermo, ma desidero la fine dell’Impero quanto voi. Mio padre è stato un tiranno con il suo stesso popolo e il suo stesso figlio, non ne condivido i metodi né le politiche oppressive. Il mio desiderio sarebbe quello di creare una Federazione Galattica di pianeti indipendenti e in pace tra loro. »
Tutti i membri della commissione si scambiarono occhiate allarmate. Shiro strinse il pugno del braccio bionico. Lance si tese, rafforzando la presa sul fucile. Keith sentì la rabbia montare davanti a tanta ipocrisia ed era pronto a gridare a quel mostro tutto il suo odio, quando Allura si fece avanti, superando tutti e ponendosi direttamente di fronte alla barriera energetica che li separava.
« Parlate, dunque. Vi ascolto. »

 

 

 

Yuki - Fairy Circles

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


Cap. 12


Era stato un incontro al limite del surreale. Keith era partito con la convinzione di trovarsi di fronte il più acerrimo dei suoi nemici ed era finito, suo malgrado, catturato dall’eloquenza del principe galra.
Allura lo aveva interrogato nel modo più formale possibile ed era stata esemplare nel tenere le redini della conversazione. Lotor non aveva tentato neanche una volta di prevaricare il suo controllo e quello che ne avevano ricavato era una serie di informazioni vitali, tra cui la rivelazione chiave che avrebbe permesso loro di chiudere definitivamente la partita.
Keith non era certo che gli altri o addirittura Lotor stesso si fossero resi conto che il nodo centrale della battaglia che avrebbero dovuto combattere era proprio quello, ma Allura sicuramente lo aveva capito. Lei, esattamente come Keith, doveva essere al corrente di quello che era successo su Daibazaal all’epoca del soggiorno di Alfor. Doveva sapere di Honerva, della quintessenza e della frattura che si trovava nelle fondamenta del palazzo di Zarkon. Coran doveva averglielo raccontato esattamente come lo aveva raccontato a lui ed era con questa consapevolezza negli occhi che l’aveva vista voltarsi per un istante verso di lui e fissarlo con un orrore che non aveva nulla a che fare con l’odio che aveva espresso finora nei suoi confronti.
Allura aveva avuto paura per lui, non di lui. Quello sguardo lo aveva reso bruscamente consapevole di quello che sarebbe stato di lì a poco il suo destino e che, se davvero volevano mettere fine a tutto, non vi sarebbe stato modo di sfuggirvi.
Dopo quell’incontro però non era successo nulla.
Keith aveva sempre pensato che, una volta scoperto il punto debole del nemico, gli eroi sarebbero partiti alla riscossa, pronti a dargli la punizione che meritava. Nei racconti succedeva sempre così. La realtà, invece, era molto diversa.
Era stata fatta una riunione, dopo il colloquio con Lotor, per stabilire quanto le sue parole fossero attendibili e quanto potesse essere rischioso dargli credito. Erano state espresse opinioni discordanti, ma tutti erano stati d’accordo nell’affermare che un’opportunità simile non si sarebbe ripresentata e che pertanto andava sfruttata il più possibile. Avendo in pugno nientemeno che il figlio dell’imperatore, avrebbero potuto giocare d’anticipo o addirittura chiedere un riscatto in cambio della sua liberazione.
I piani e le proposte si erano susseguite ma, più la riunione continuava, più Keith si rendeva conto che il discorso si stava allontanando sempre più dal nocciolo della questione, rendendo il tutto oltremodo frustrante.
Allura era intervenuta poco, rimanendo per lo più silenziosa e affermando solamente di ritenere Lotor attendibile grazie ad altre informazioni in suo possesso. Non aveva fatto parola della storia di Coran e della fonte della quintessenza, nonostante aleggiasse tra loro in modo quasi tangibile.
Aveva atteso il termine della riunione, quando la regina Krolia aveva annunciato il suo desiderio di ritirarsi per la notte, per avvicinare Keith in modo apparentemente casuale. Il suo volto era serio, forzatamente immobile, ma i suoi occhi erano addolorati.
« Avrei voluto poter essere io a farlo. » aveva detto semplicemente.
Non era stato necessario specificare a cosa si riferisse e Keith aveva sentito un’ondata di gelo sopraffarlo. Non aveva bisogno di nessun’altra conferma, l’obiettivo era stato stabilito.
Ora, mentre era solo nella sua stanza, la stessa stanza che aveva sempre occupato prima della fuga da Marmora e che ora gli dava una strana sensazione di estraneità, avrebbe solo voluto parlarne con qualcuno. Era un desiderio bizzarro da parte sua, che tendeva a tenersi sempre tutto dentro, ma stavolta era diverso. Era qualcosa di troppo grande persino per lui, qualcosa di necessario che, però, se l’avesse rivelato, gli sarebbe stato impedito. Non si trattava solo del fatto che l’indomani sarebbe stato incoronato re, sebbene questo complicasse ulteriormente le cose. No, semplicemente chiunque gli avrebbe detto che era di una follia e avrebbe fatto di tutto per fermarlo. Quindi si ritrovava a vivere in bilico tra il desiderio di sfogarsi e la consapevolezza dell’impossibilità di farlo. Ed era una tortura.
Un discreto bussare alla porta lo strappò da quei pensieri cupi, portandolo a rispondere distrattamente e in modo svogliato. L’ultima cosa di cui sentiva il bisogno era l’ennesimo cerimoniere che veniva a spiegargli come avrebbe dovuto muoversi l’indomani.
Si stupì invece di trovarsi davanti Lance.
« Sarebbe dovuto venire Shiro a spiegarti la disposizione di tutte le forze di sicurezza per domani, ma sono riuscito a convincerlo a fare cambio. » si giustificò il giovane cecchino con un sorriso di scuse. « A dire la verità non ho nemmeno dovuto insistere più di tanto. »
Keith provò l’impulso di abbracciarlo. La vicinanza di Lance, le sue parole sempre schiette e il suo atteggiamento diretto erano esattamente ciò di cui sentiva il bisogno.
« Sono felice che tu sia qui. » disse invece, sforzandosi di mantenere una sorta di contegno nonostante il sorriso di risposta che si stava aprendo sul suo volto. « Sei venuto davvero per parlare di sicurezza strategica? »
« Ovviamente no. » ammise immediatamente Lance. « E sospetto che Shiro lo sapesse benissimo. »
Si avvicinò e gli prese le mani tra le sue in un gesto di confidenza che Keith aveva iniziato ad apprezzare molto.
« In realtà sono qui per sapere come stai. Cioè, come stai davvero, non quello che dici nelle riunioni diplomatiche. »
Keith sospirò leggermente e abbassò gli occhi: avrebbe davvero voluto parlargliene ma Lance, tra tutti, era quello con le più alte probabilità di impedirgli di agire. Sapeva già che avrebbe fatto l’impossibile perchè non gli accadesse nulla di male. Allo stesso modo, però, Lance era letteralmente l’unica persona al mondo con cui poteva confidarsi.
Perchè doveva essere tutto così difficile? Non era sufficiente scampare alla morte un paio di volte e riconquistare un pianeta occupato da forze guerrafondaie? Doveva anche mentire alle persone che amava per compiere quello stupido destino?
« Dalla tua espressione deduco che la risposta sia “male”. » commentò Lance, spettatore più o meno ignaro di quel tumulto interiore.
Non poteva tacere, mentire e fingere che andasse tutto bene. Lance era sempre stato onesto con lui, non meritava di essere tenuto all’oscuro di qualcosa di così importante. Voleva fidarsi di lui e sperare che avrebbe capito.
« C’è una cosa che ha detto Lotor… » iniziò. « Qualcosa che credo solo Allura e io abbiamo capito. Nessuno ne ha parlato alle riunioni, perchè solo chi era presente all’epoca della profezia ne è a conoscenza. Si tratta della fonte di quintessenza che si trova al di sotto del palazzo di Daibazaal. »
Keith s’interruppe e prese un respiro per farsi coraggio. Si rese conto che le mani gli tremavano leggermente e di riflesso strinse di più quelle di Lance. Sperava che il ragazzo avrebbe capito, ma il suo sguardo era ancora confuso.
« So che sembra una follia, ma quello è il centro di tutto. È la fonte del potere e della pazzia dell’imperatore, se riuscissimo a sigillarla… »
« Possiamo attaccare in forze il palazzo di Daibazaal! » esclamò Lance. « Se spieghiamo la situazione non sarà difficile avere l’appoggio di tutti gli alleati della Resistenza. Possiamo sferrare un attacco su larga scala e far crollare le fondamenta direttamente su quella fonte, così da chiuderla. Sarà una vittoria facile! »
« No, Lance, no… »
Keith scosse la testa e rimase a fissarlo, incapace di proferire parola, finchè non vide la consapevolezza farsi strada nello sguardo dell’altro.
« No, non lo farai. » lo sentì mormorare.
Keith sentì un peso precipitargli sul cuore.
« Ti prego… »
« Non puoi andare da solo. » insistè Lance. « Non te lo lasceranno mai fare. Permettimi di venire con te. Ti proteggerò e ti scorterò fino alla fonte, di sicuro sarà ben protetta e difficile da raggiungere. Permettimi di esserti d’aiuto! »
In quell’ultima preghiera aveva alzato la voce in un tono disperato e Keith non ebbe cuore di negarglielo.
« Preferirei sapervi tutti qui al sicuro, ma da solo non riuscirei nemmeno a raggiungere il palazzo, quindi temo di aver bisogno dell’aiuto di qualcuno di fidato. »
Si sforzò di mantenere la voce ferma mentre lo abbracciava, percependo il suo stesso tremito nel corpo di Lance.
« Abbiamo ancora un po’ di tempo per pensarci, concentriamoci sull’incoronazione di domani. Per favore, adesso parlami delle forze di sicurezza. »

La posizione che gli era stata assegnata, o meglio, che aveva scelto per sé in quanto secondo in grado nel corpo delle forze di sicurezza, dava una perfetta visuale dall’alto della sala del trono. Lance si era sistemato dietro una balaustra, con il fucile appoggiato sul bordo, e scandagliava lo spazio sottostante attraverso il mirino di precisione. Numerosi altri cecchini erano posizionati sia all’interno che all’esterno della sala e del palazzo, ma lui voleva avere gli occhi puntati su Keith.
Shiro gli aveva proposto di rimanere nella zona vicino al trono e di scortare personalmente il principe alla sua incoronazione, ma Lance aveva preferito declinare l’invito. Il capitano era la persona più adatta a quel ruolo, mentre lui avrebbe svolto il compito per cui era più tagliato e nel quale poteva mettere a frutto la propria efficienza al 100%: la supervisione dall’alto e l’intervento tempestivo. Inoltre, a causa di tutti i problemi sorti dopo il colloquio con Lotor, non erano ancora riusciti a parlare con Krolia riguardo la natura della loro relazione, di conseguenza sarebbe stato fuori luogo avere un estraneo ad accompagnare il principe, per quanto si trattasse di un comandante della Resistenza. Tuttavia questo non tubava Lance, non lo faceva sentire escluso o allontanato, semplicemente gli permetteva di vegliare su Keith dall’ombra, di ammirarlo sbocciare in tutta la sua maestosità e, dal suo punto di vista, era senz’altro un privilegio.
Attraverso il mirino ne osservò l’ingresso dal portone antistante e la camminata solenne fino a raggiungere il trono. La piccola folla di nobili e dignitari, molto inferiore a quella che normalmente sarebbe stata presente a un evento così importante in tempi di pace, chinò il capo al suo passaggio e si esibì in eleganti riverenze.
Keith camminò mantenendo lo sguardo fisso davanti a sè, accompagnato da Shiro fino al suo arrivo di fronte al trono su cui sedeva la regina. A quel punto il capitano rivolse un inchino a entrambi e si fece da parte. Il principe si piegò su un ginocchio e chinò il capo, lasciando che le morbide e ricche stoffe viola di cui era vestito frusciassero dolcemente a contatto con i tappeti che ricoprivano il pavimento.
Nella sala si potevano ancora notare i segni della distruzione provocata dall’attentato durante l’ultima cerimonia ed erano proprio quei tappeti e gli eleganti arazzi che coprivano le pareti a celare i danni maggiori. Esattamente come l’intero pianeta, anche quella sala era ferita, ma si era vestita a festa per accogliere il suo nuovo sovrano.
La regina si alzò dal trono e mosse alcuni passi verso il figlio declamando la formula rituale. Sollevò la corona dal proprio capo e, con le ultime, solenni parole, la posò su quello del nuovo re.
Attraverso il mirino, Lance lo vide alzarsi e voltarsi verso il gruppo in fervente attesa, che lo acclamò con esclamazioni di giubilo. Era teso, lo si poteva notare dalla rigidità della mascella e dalla meccanicità di alcuni gesti, ma splendeva come mai prima. Dalla balaustra al di sopra di tutto, Lance poteva vederlo irradiare una forza del tutto nuova, una sicurezza e una determinazione che lasciavano ben poco spazio al principino spaurito che aveva conosciuto mesi prima. La tiara d’argento brunito tempestata di gemme lilla e il mantello di un viola cangiante, che ricadeva dalle spalle lungo la postura perfettamente eretta, gli conferivano un’aura maestosa e quasi intimidatoria. Era splendido.

Dopo la cerimonia, Keith era stato scortato negli appartamenti reali, che erano stati arredati appositamente per lui e per rispecchiare la sua nuova posizione fin da prima dell’attentato. Ricordava che, prima, aveva sempre guardato a quelle nuove stanze con un misto di timore e di aspettativa: trasferirvisi avrebbe rappresentato nel modo più pratico la transizione verso l’età adulta e le sue nuove responsabilità come regnante. Che ingenuo era stato. Come se fosse davvero sufficiente cambiare stanza per crescere, o avere un cerchio di metallo sopra la testa. Ora, guardandosi alle spalle e ripensando alla sua infanzia morta per un colpo di pugnale avvelenato da parte di qualcuno che avrebbe dovuto proteggerlo, riusciva a sentire solo un’eco lontana di quelle emozioni. Ammirando l’anticamera reale, dotata delle più avanzate tecnologie e dei più sfarzosi comfort, non riusciva a non paragonarla alla sua spoglia stanzetta nella base su Altea. La sensazione che provava era molto simile: quanto aveva senso affezionarsi a quelle quattro mura sapendo che il suo soggiornarvi sarebbe stato stato temporaneo? In questo caso il tempo che aveva a disposizione era estremamente inferiore, al punto che si chiedeva che senso avesse aver effettivamente messo in atto quel trasferimento. Dopotutto, se qualcosa fosse andato storto nell’imminente missione che lo attendeva, non avrebbe nemmeno fatto ritorno a casa, quale fosse la sua stanza non avrebbe avuto la minima importanza.
Un discreto bussare lo distrasse dal suo esasperato andirivieni per l’anticamera e, esattamente come la sera prima, Lance si affacciò alla porta.
« È permesso, vostra reale maestà? » chiese in tono palesemente ironico, prima di zittirsi a bocca spalancata davanti allo sfarzo che si trovò davanti. « Mi avevano avvertito che gli appartamenti reali erano di un altro livello, ma non immaginavo fino a questo punto. »
Keith gli rivolse un’occhiata divertita mentre gli faceva cenno di entrare.
« Non vorrai farmi credere che tutto questo ti intimidisce? Proprio tu, famoso per snobbare i nobili e la loro inutile ostentazione. » lo prese in giro.
« Non m’intimidisce affatto. Anche se, andiamo, chi non snobberebbe tutto questo sapendo che non gli apparterrà mai? È un banalissimo meccanismo di difesa. »  
Keith sogghignò.
« Tu potresti averlo, se volessi. »
Lance lo fissò, spiazzato.
« Intendo dire che quando ufficializzeremo la nostra storia, se vorrai, potrai vivere al mio fianco come principe consorte e tutto quello che è mio sarà anche tuo. Tutti i reali di Marmora sono sempre vissuti così. » spiegò Keith, sforzandosi di mantenere un tono serio.
Fino a poco tempo prima l’idea di avere per sempre Lance al suo fianco gli aveva trasmesso sicurezza, ma ora, per qualche motivo, al pensiero gli correva un brivido lungo la schiena. La cosa che più lo tormentava era non sapere se quel “per sempre” lo sarebbe stato effettivamente o si sarebbe ridotto al poco tempo che gli rimaneva. Se così fosse stato, voleva assaporare ogni momento.
Lance, dal canto suo, non sembrava consapevole dei pensieri che lo turbavano e si guardava attorno estasiato.
« Se la metti in questo modo, potrei anche abituarmi! » esclamò, mentre avanzava a grandi passi verso l’ampia finestra che, dalla parete di fronte, si spalancava su un’elegante balconata.
I vetri, rinforzati da schermi di protezione, erano coperti da ricchi tendaggi scuri. Seguendone i morbidi panneggi, lo sguardo di Lance indugiò sul soffitto affrescato, intervallato qua e là da quelli che riconobbe come sensori e telecamere di controllo. Anche il mobilio, all’apparenza antico e prezioso, nascondeva i più avanzati sistemi di sicurezza e i migliori agi che la tecnologia più all’avanguardia del pianeta poteva offrire. Il tutto era un perfetto connubio di antica eleganza e moderna efficienza.
« Sembra quasi di essere dentro una vecchia favola, di quelle con maghi e cavalieri. » sospirò Lance, tornando al suo fianco. « Tu saresti il re illuminato che vuole salvare il suo popolo e io il tuo fido scudiero. Insieme sconfiggeremo il tiranno e la pace tornerà a regnare. Suona bene, no? »
Keith non riuscì a trattenere un nuovo brivido, questa volta tutt’altro che di turbamento. Suonava benissimo. E voleva che fosse così. Oh, lo voleva con tutto il cuore!
« Ti va di restare qui? Stanotte, intendo. » buttò fuori tutto d’un fiato.
Lance gli rivolse un’occhiata stupita.
« Certo che mi va! Non pensavo fosse consentito visto che sei il nuovo re e tutto il resto. Però se vuoi posso chiedere a Shiro di essere assegnato come tua guardia del corpo, così… »
« No! » esclamò Keith, interrompendolo bruscamente. « Niente guardie del corpo, niente sotterfugi, vorrei solo che rimanessi con me. Per favore… »
Lo sguardo di Lance si addolcì.
« Sei ancora in ansia per quella faccenda? Ho provato a parlare con qualcuno, con discrezione, e credo di aver trovato degli appoggi. »
« Ne sono felice, ma no, non sono in ansia, non adesso almeno. Adesso voglio mettere da parte per un attimo tutta quella storia e concentrarmi su quello che mi fa sentire bene. Credo di meritarmelo, no? »
Erano parole che suonavano strane a Keith stesso, che mai si sarebbe sognato di dire di meritarsi qualcosa, men che meno in un frangente in cui avrebbe dovuto essere il primo a dimostrarsi all’altezza delle aspettative altrui. In quel momento però voleva alleggerire l’atmosfera, godersi quei pochi momenti che gli restavano e far sì che anche Lance staccasse la spina per un attimo.
« Ma certo, ti meriti il mondo. » lo assecondò Lance, circondandolo con le braccia.
Keith sorrise, ricambiando con calore e guidandolo poi verso le stanze più interne, lontano dagli occhi delle telecamere, prima di lasciarsi coinvolgere in un bacio dolce. Superata una piccola anticamera, raggiunsero la camera da letto vera e propria, che nulla aveva da invidiare al salotto d’ingresso. Il centro della stanza era dominato da un baldacchino ricoperto di cuscini preziosi e ricche stoffe, sostenute da quattro sottili colonne. Le fonti luminose si trovavano sia agli angoli delle pareti che all’interno delle colonne stesse e potevano variare di colore e di intensità, in modo da poter essere una semplice luce da lettura o creare un’atmosfera soffusa. Come nell’anticamera, anche qui tutto il resto dell’arredamento era sia elegante che tecnologicamente avanzato. Sulla parete accanto al letto si trovava un tastierino che permetteva di ordinare i pasti dalla stanza, che sarebbero poi stati consegnati da un sistema automatizzato direttamente sul comodino.
« È incredibile! » esclamò Lance. « Potremmo vivere qui dentro per giorni senza problemi! »
« Sì, potremmo… » confermò Keith, in un tono vagamente allusivo che sperava sarebbe stato colto dall’altro.
La sua speranza venne premiata alcuni istanti dopo quando, nel bel mezzo di un’esclamazione entusiasta, Lance si voltò verso di lui in una realizzazione improvvisa.
« Keith! Cosa stai tentando di dirmi? Sembra quasi che tu stia tentando di sedurmi. »
Davanti a quelle parole così dirette, il giovane re non potè fare a meno di arrossire.
« Forse è davvero così. » rispose, ora vagamente titubante. « Forse non vorrei che tu restassi solo per dormire. »
« Keith… »
Lance tornò da avvicinarsi a lui e gli accarezzò una guancia. Il suo nome sembrava così bello su quelle labbra che questa volta fu Keith a prendere l’iniziativa per baciarlo.
« Voglio stare con te. » gli mormorò all’orecchio. « Voglio davvero stare con te. Sono stato uno sciocco a non dirlo finora, ma ho capito che ti amo sul serio. »
Quando si scostò, notò che le guance di Lance avevano assunto una tonalità di rosso acceso e i marchi alteani sui suoi zigomi ora emanavano un tenue bagliore.
« Stai brillando. » commentò con un sorriso intenerito e in parte anche divertito.
Non era per nulla abituato a vedere il giovane cecchino così in imbarazzo.
« Non è affatto carino da parte tua farmelo notare! » esclamò Lance, con una punta stridula nella voce, coprendosi la faccia con le mani.
« Mi dispiace. Sono stato fuori luogo? Se ho violato qualche regola dell’etichetta alteana, ti chiedo scusa. »
Lance scosse appena la testa, riemergendo da dietro le dita, i marchi più luminosi che mai.
« Noi cecchini veniamo addestrati a tenere a bada le emozioni. Sarebbe un problema se ci mettessimo a brillare al buio, comprometterebbe le missioni, quindi di norma una cosa del genere non succede. Solo che tu hai detto… E io… »
« Ti sei emozionato? »
Lance annuì, allontanando finalmente le mani.
« Nessuno me lo aveva mai detto e io non l’ho mai detto a nessuno. Ho sempre avuto paura che… non so… le cose si facessero troppo serie o che potessero finire male da un momento all’altro. Mi sono sempre comportato da codardo. Ma con te… »
Prese le mani di Keith tra le sue e a quel semplice contatto il cuore del ragazzo accelerò i battiti.
« Con te non è così. Questa ansia non esiste. Quando dici di voler restare con me, di volermi come principe consorte, di voler fare qualcosa per la mia famiglia e per mettere fine a questa guerra, mi trasmetti solo gioia. L’idea di starti vicino mi rende felice al punto da non pensare che possa finire, che un giorno tu possa stancarti di questo banale soldato senza patria che sa solo sparare e dire sciocchezze smielate. »
Quelle ultime parole fecero ridacchiare entrambi e al “Ti amo” soffiato da Lance sulle sue labbra, seguì il fruscio del mantello che scivolava dalle sue spalle cadendo sul pavimento.
Per quella notte non ci sarebbe stata nessuna guerra che bussava alla porta, nessuna carica importante che richiedesse attenzione, niente re, comandante, prescelto o il ben più inquietante pensiero di essere solo una vittima sacrificale. Ci sarebbero stati solo loro due e la riconferma di un sentimento che ora divampava più forte che mai.



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Capitolo 13
*** cap. 13 ***


Cap. 13

Keith riprese conoscenza lentamente, riemergendo dalla nebbia del sonno che lo avvolgeva. La prima sensazione che provò fu di languore e di piacevole spossatezza, era avvolto in qualcosa di morbido e caldo e si sentiva completamente rilassato.
Man mano che riprendeva contatto con la realtà, iniziò a rendersi conto del battito costante che sentiva contro un orecchio e delle braccia che lo stringevano. Quando finalmente si azzardò a socchiudere gli occhi, non osando ancora muoversi, scoprì di essere accoccolato sul petto di Lance e avvolto in un bozzolo confortevole di coperte.
Si concesse quindi alcuni istanti per recuperare un minimo di lucidità e di consapevolezza delle proprie sensazioni. Si sentiva bene, si stupì di scoprire: stanco, indolenzito, ma con il cuore gonfio di tenerezza e di amore. La sua mente corse indietro agli attimi della notte appena trascorsa, mentre le sue guance si scaldavano al ricordo. Ripercorse ogni istante, ogni carezza, ogni bacio. Lance era stato un amante generoso e paziente, incredibilmente tenero, e Keith si era abbandonato tra le sue braccia e ai sentimenti che provava, tralasciando ogni remora e timore. Era stata una notte in cui si erano donati completamente l’uno all’altro, nelle loro vulnerabilità e nella forza di una passione alla quale nessuno dei due aveva voluto mettere un freno. Keith si sentiva ancora stordito al pensiero.
Poi, a poco a poco, la realtà della giornata in cui si era svegliato si fece strada nella sua mente e un nodo iniziò a stringergli lo stomaco. Era il re di Marmora e il prescelto della Resistenza. Quella che si era concesso era una notte d’amore prima di sacrificarsi per la causa.
Il respiro gli si incastrò in gola, mentre serrava gli occhi fino a far balenare mille stelline dietro le palpebre chiuse.
Un tocco delicato tra i suoi capelli e un leggero grattare dietro l’orecchio lo strapparono da quella sensazione soffocante.
« Buongiorno, amore mio. » mormorò Lance muovendo le labbra contro la morbida peluria lilla.
Doveva essersi irrigidito parecchio, perchè il tono di Lance era un soffio delicato sulla sua pelle e le sue dita avevano preso ad accarezzarlo piano. Sembrava quasi stesse tentando di trattenerlo il più a lungo possibile in quella sorta di sogno.
Keith respirò a fondo il suo odore e, in qualche modo, questo riuscì a calmarlo.
« Buongiorno… » rispose, appoggiando le labbra dove, un attimo prima, il suo orecchio stava ascoltando il battito.
Rimasero in silenzio, godendosi semplicemente la vicinanza l’uno dell’altro, ascoltando i rispettivi respiri, come se nessuno dei due se la sentisse davvero di affrontare ciò che li aspettava fuori da quella stanza. Keith sentiva il peso della responsabilità che lo trascinava verso l’abisso ogni secondo che passava, mentre Lance era l’unico appiglio che lo manteneva a galla. Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai.
« Non devi farlo, se non vuoi. » lo sentì dire a un certo punto, come se gli leggesse nel pensiero. « Essere un re e aiutare la Ribellione è più di quanto ci si aspetterebbe dalla migliore delle persone, nessuno oserebbe dire il contrario. Puoi farlo senza aggiungere la voce salvezza dell’universo all’ordine del giorno. »                   
Keith sospirò e per un attimo prese addirittura in considerazione l’idea.
« Potresti restare qui e prenderti cura del tuo popolo. Saresti un ottimo regnante, renderesti Marmora ancora più prospero e, soprattutto, saresti al sicuro. Io rimarrei con te, l’idea del principe consorte non è così male dopotutto. Saremmo felici… »
Keith si sollevò su un gomito e lo baciò.
« Adesso stai favoleggiando. Anche se ammetto che le tue favole sono belle. »
Si alzò a sedere, seguito da Lance che appoggiò la schiena contro i cuscini, indugiando ancora per un attimo appoggiato a lui. La sensazione di pelle contro pelle era confortante e lo faceva sentire vivo.
« Quanto tempo abbiamo? » domandò quindi Lance, sottovoce.
« Prima è meglio è. » si ritrovò a rispondere Keith, suo malgrado. Perdere ulteriore tempo significava prolungare le sofferenze delle popolazioni dei pianeti assoggettati. « Però direi che la colazione possiamo concedercela. »
Non uscirono dalla stanza, a malapena lasciarono il letto per una doccia, rigorosamente insieme, assaporando la vicinanza e il contatto costante come qualcosa di vitale e vicino a esaurirsi. Ordinarono la colazione e poi anche il pranzo direttamente dal sistema automatizzato dell’appartamento reale, respirando ogni istante, ogni tocco, ogni bacio come se fosse l’ultimo.
A tratti Keith si stupiva che nessuno fosse ancora venuto a cercarli, a ritrascinarli nella realtà. Lance gli rispondeva che nessuno si sarebbe mai permesso di andare a disturbarlo dopo tutto quello che aveva passato il giorno - e i mesi - precedenti. Dargli un po’ di privacy e di tregua era il minimo.
Alla fine, però, giunse il momento di mettere da parte ogni fantasia, ogni roseo desiderio che aveva aleggiato tra quelle pareti dalla notte prima, smorzare la passione che li attraeva inesorabilmente l’uno verso l’altro e guardare in faccia la realtà.
« Ieri sera hai accennato ad agganci. » disse Keith, rivestendosi sotto lo sguardo intenso dell’amante. « Con chi hai parlato? Avete un piano? »
« Quello che posso dirti al momento è che ciò che stai facendo è passabile di denuncia per crudeltà gratuita. Privarmi della vista di tutta questa meraviglia… »
« Lance! »
L’esclamazione di Keith voleva essere di rimprovero, ma suonò fin troppo divertita per l’atmosfera seria che permeava la stanza. Finì di allacciarsi i pantaloni e si voltò verso il giovane cecchino, con le mani sui fianchi.
« Va bene, va bene, volevo solo godermi fino all’ultimo istante lo splendore dell’amore della mia vita. » fu la risposta dell’altro mentre, ancora semisdraiato sul letto e solo parzialmente coperto dal lenzuolo, alzava le mani in segno di resa. « Ovviamente ho parlato con Shiro, non potevo non farlo, scusami. Di conseguenza ho spiegato tutto anche a Pidge e Hunk, sono le uniche persone di cui mi fidi davvero al 100% ed ero certo che avrebbero fatto la cosa giusta. Ovviamente ho dovuto lavorarmeli tutti un bel po’, dare spiegazioni e pregarli di non piombare qui con l’intento di dissuaderti perchè è già abbastanza difficile così. Non è stata esattamente una passeggiata, ma posso dire che adesso abbiamo dalla nostra un capitano e i due migliori tecnici dell’universo. Hunk ormai dovrebbe essere già arrivato, con la scusa della cerimonia di ieri, e Pidge invece ci garantirà assistenza a distanza per quanto riguarda la copertura radar e l’apertura dei wormhole. »
Keith rimase in silenzio a fissarlo per alcuni istanti prima tornare a sedersi sul letto e abbracciarlo stretto.
« Hai coinvolto le persone più importanti per te solo per potermi essere d’aiuto. Non so come ringraziarti. » mormorò commosso.
« Sei tu quello che sarà d’aiuto a tutti e sostenerti in questa battaglia è il minimo che  possiamo fare. » rispose Lance ricambiando la stretta.
Gli posò un ultimo bacio sulla fronte e finalmente si decise a mettersi a sua volta qualcosa addosso.
Keith lo osservò di sottecchi, cercando di convincersi che non lo stava perdendo, che davanti a loro esisteva ancora un futuro che avrebbe potuto essere come le favole che si erano raccontati. Avrebbe fatto tutto il possibile perché si concretizzasse, ma doveva essere pronto a ogni evenienza. Per questo motivo, approfittando del tempo che Lance trascorse in bagno per rendersi presentabile, si mise alla scrivania e attivò il sistema di registrazione. Gli si spezzava il cuore al pensiero di come si sarebbe sentito chi avrebbe visto quel video messaggio, ma non poteva lasciare nulla al caso.
Prese un respiro e iniziò.
« Registro questo messaggio prima della partenza per la missione su Daibazaal. In quanto membro della Resistenza e appartenente alla stirpe di Alfor di Altea è mio dovere tentare di mettere fine a questa guerra. L’esito è incerto e, se non dovessi fare ritorno, lascio questo messaggio per la regina Krolia. Madre, mi dispiace… »
In quegli attimi di solitudine, Keith si rivolse alla madre attraverso lo schermo, spiegandole quello che stava succedendo, scusandosi, pregandola di prendersi cura del suo popolo e delle persone che amava. Si sforzò di trattenere le lacrime che premevano per uscire mentre le raccontava di Lance nel modo in cui avrebbe voluto fare di persona e le faceva una richiesta che, sperava, non fosse da considerare un ultimo desiderio.
Quando Lance uscì dalla camera da letto, con addosso l’uniforme da ufficiale della Resistenza e i capelli ancora umidi tirati indietro, lo trovò accasciato sulla scrivania, completamente svuotato dalle emozioni.
« Ehi, tesoro, che succede? » si preoccupò immediatamente, avvicinandosi.
Keith gli rivolse un pallido sorriso e gli mise in mano una piccola scheda di memoria.
« Se le cose dovessero andare… male, diciamo… ti prego, porta questo messaggio a mia madre. »
Vide Lance spalancare gli occhi.
« Non andranno male! » esclamò. « Non andranno male, Keith! Torneremo qui insieme! »
Lo ribadì con una veemenza tale che sembrava voler convincere soprattutto sè stesso.
« Lo so. Lo so. » ripetè Keith, che non se la sentiva di discutere in quel momento. « Però voglio essere sicuro che tutti stiano bene, per ogni evenienza. Per favore, dallo a mia madre se dovesse succedere qualcosa, è importante. Parla anche della tua famiglia e di come portarla qui. »
A quelle parole Lance smise di ribattere, annuendo mestamente.
« Va bene, farò come vuoi. »
« Bene, allora convoca Shiro e Hunk, dobbiamo discutere dei preparativi. »

Gli amici risposero tempestivamente alla chiamata ma non si presentarono da soli. Una figura emerse da dietro le spalle di Shiro, sorprendendo Lance e, soprattutto, Keith.
« Se volete che me ne vada, posso capirlo. » disse Allura, tenendo lo sguardo basso e le mani nervosamente intrecciate. « Però, se posso essere anche solo un poco d’aiuto… »
Keith mosse un passo avanti, sentendo il cuore più leggero a quella vista.
« Non immagini quanto sia felice di vederti. » disse. « Volevo parlarti da tantissimo tempo, ero preoccupato, non ero certo che stessi bene.»
Posandole una mano sul braccio, la condusse in un angolo appartato, lontano dagli altri, mentre Lance, intuendo il suo bisogno di privacy, faceva accomodare Shiro e Hunk e iniziava con loro la discussione del piano.
« Volevo soprattutto chiederti scusa. » continuò Keith. « Tutto questo è successo per colpa mia. Ti ho ferita, ti ho fatta sentire inadeguata e rimpiazzabile. Non era mia intenzione e non è assolutamente così. Tu sei importante, Allura, sei fondamentale! Sei un faro per l’intera Ribellione e io non sono nessuno per poter anche solo pensare di poter essere alla tua altezza. »
La ragazza scossa la testa, più volte, prima di interromperlo bruscamente.
« No, no, Keith, basta! Non è così! » esclamò, prima di addolcire di nuovo il tono. « Non sei tu a dover chiedere scusa. È stata colpa mia, ho fatto tutto da sola, mi sono montata la testa e non mi rendevo conto che più alto fosse stato il piedistallo, più dolorosa sarebbe stata la caduta. Sapevo che non avevi intenzione di rimpiazzarmi, ma mi sono lasciata prendere dal panico e dalla rabbia. Mi sono fatta accecare dalla frustrazione di non essere riuscita a portare a termine l’obiettivo per cui mi preparavo da tutta la vita e, invece di essere onesta e ammettere che non ero pronta come pensavo, ho dato la colpa a te. Pensavo che odiarti mi avrebbe resa più forte e avrebbe dimostrato che ti sono superiore, ma questo non è altro che l’atteggiamento dell’Impero che tentiamo di combattere. Come posso pensare di riportare la libertà nell’universo se io per prima mi comporto in modo razzista e ostile? »
Allungò una mano e prese quella di Keith tra le sue, la pelle diafana del mezzo galra in netto contrasto con la sua carnagione scura e baciata dal sole.
« Ti chiedo scusa, non so come ho potuto non capirlo. Tu sei parte della mia famiglia ed è stato folle non volerlo accettare. Non importa a quale razza tu appartenga, sei Keith di Marmora, una delle persone più coraggiose che conosca, e sei mio cugino, questo nessuno può cambiarlo. »
Keith tentennò solo un attimo, ma quando vide che Allura allargava le braccia, mise da parte ogni remora e l’abbracciò stretta.
Dall’altro lato della sala Lance gli rivolse un sorriso commosso.
Avere la principessa dalla loro parte agevolò decisamente la stesura del piano, data la possibilità di bypassare i protocolli di sicurezza grazie ai privilegi speciali concessi ai vertici della Resistenza. Si decise di utilizzare una navetta speciale dotata di un sistema anti tracciamento e anti rilevazioni radar, in modo da poter giungere su una delle lune di Daibazaal  minimizzando il rischio di farsi scoprire. Tra le informazioni di Lotor vi era quella delle tempistiche di carico e scarico di una nave cargo che riforniva il palazzo e che faceva scalo su una piccola luna oscura del pianeta. Infiltrarsi a bordo avrebbe permesso loro di avere un accesso diretto al palazzo e, dai magazzini, muoversi verso i sotterranei. Il principe galra era stato talmente accurato nelle sue informazioni da fornire gli spostamenti e gli orari dei turni di guardia. Aveva anche detto loro che c’erano persone, a lui fedeli e a conoscenza delle sue intenzioni, che avrebbero potuto essere loro d’aiuto. Sembrava quasi troppo facile per essere vero.
« In ogni caso non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia. » rimarcò Shiro. « Anche ammesso di avere degli infiltrati, si tratta comunque di poche persone contro l’intero esercito galra nel cuore stesso del territorio nemico. Non scordiamoci poi dell’imperatore in persona e che potremmo trovarci a doverlo affrontare direttamente. »
« Di lui mi occupo io. » disse Keith in tono deciso. « Voi state già facendo fin troppo aiutandomi ad arrivare a palazzo, non voglio mettervi ulteriormente in pericolo. »
« Mi permetto di dissentire. » lo interruppe Allura. « Strategicamente parlando, davanti a un nemico di questa portata avremo molte più possibilità agendo insieme. Quindi, al di là di ciò che riguarda specificatamente la chiusura della spaccatura della quintessenza, ti sconsiglio di muoverti da solo. »
« Il problema non si pone nemmeno! » esclamò Lance. « Non ho intenzione di scollarmi da lui nemmeno per un secondo. »
Quelle parole provocarono a Keith una stretta allo stomaco: sapeva che erano dette con le migliori intenzioni e apprezzava l’affetto di cui erano pervase, ma allo stesso tempo ne temeva le conseguenze. Si sarebbe sentito mille volte meglio se avesse potuto combattere quella battaglia da solo e senza esporre nessuno al pericolo.
Il risultato di quella riunione fu stabilire la partenza per quella notte stessa. Come aveva detto Keith, prima si muovevano e meglio era per tutti.
Passarono il resto della giornata a organizzare i preparativi tentando di farsi notare il meno possibile e, quando giunse il momento, Keith sgusciò fuori dalla propria stanza con indosso la tenuta da battaglia scura e sobria della Resistenza. Nessuna insegna sul pettorale dell’armatura, niente mantello che avrebbe potuto ostacolare i movimenti, solo il pugnale di luxite alla cintura. Si stupì di non trovare nessun presidio davanti ai suoi appartamenti e i corridoi che conducevano agli hangar stranamente deserti. Shiro aveva accennato al fatto che avrebbe chiesto un favore a Thace, in amicizia, e sospettava che si trattasse proprio di qualcosa riguardante le ronde di quella notte.
Gli altri lo stavano già aspettando e in un attimo furono a bordo della navicella. Attivarla con il codice d’accesso personale della principessa al sistema centrale fu un gioco da ragazzi, così come sbloccare uno dei portelloni di un’uscita secondaria grazie ai dati che Shiro ricordava bene. Non appena la navicella fu lanciata nello spazio e sufficientemente lontana da Marmora da non destare sospetti, Pidge si premurò di attivare il wormhole che li avrebbe portati a destinazione.
Come da programma atterrarono sulla piccola luna scura, abbastanza distanti da non essere intercettati dal pianeta. La prima parte del piano non avrebbe dovuto essere niente di diverso da una qualunque missione della Resistenza, quindi, anche mantenendo alto il livello di guardia, non erano previsti particolari intoppi. Per questo, quando la nave cargo atterrò e il gruppo si apprestò ad attaccarla per prenderne possesso, nessuno si aspettava di veder sbarcare un generale con scorta armata. Era troppo tardi per ritirarsi e per nascondersi, quindi non restò loro che tentare. Il galra, coperto da capo a piedi da un’armatura imperiale e con un elmetto a coprirne le sembianze, non apparve per nulla sorpreso e ordinò ai propri soldati di rispondere al fuoco. La superiorità numerica del nemico era schiacciante e ben presto il gruppetto di ribelli si trovò accerchiato e impotente.
« Quindi la soffiata era giusta, la Resistenza ci stava tendendo un agguato su questa luna sperduta. Che ingenuità pensare che i cargo non venissero scortati di questi tempi. » commentò il generale con noncuranza.
Keith venne afferrato per le spalle, mentre le braccia gli venivano bloccate dietro la schiena, e spinto in avanti. Aveva perso la sua lama, ora ridotta al semplice pugnale che giaceva a terra nella polvere. Si divincolò strenuamente per raggiungerlo, ma la presa del soldato era ferrea. Accanto a lui anche i compagni stavano subendo la stessa sorte. Persino Shiro, che sarebbe stato in grado di strangolare un galra a mani nude, era stato immobilizzato e ridotto all’impotenza, la protesi meccanica bloccata da un paio di ceppi elettrificati. Lance si agitò furiosamente, scalciando e ringhiando, finchè il soldato che lo contrastava non gli torse dolorosamente un braccio dietro la schiena, strappandogli un grido. Keith tentò di gettarsi nella sua direzione, ma senza successo.
« Guarda guarda chi abbiamo qui. » commentò il generale quando vennero spinti al suo cospetto. « L’ultima cosa che mi aspettavo era di trovare due facce conosciute in un’imboscata da dilettanti. Principessa Allura, quale onore. Principe, anzi, re Keith di Marmora, siete piuttosto distante da casa. »
Allura non si prese nemmeno la briga di rispondere, limitandosi a uno sguardo disgustato. Keith sentiva crescere di pari passo il senso di pericolo, la rabbia e il desiderio di trapassare da parte a parte quell’armatura.
« Che ne facciamo, generale? » chiese il soldato che tratteneva la principessa.
« Portateli a bordo e badate che non si liberino. Sono ottima merce di scambio per il nostro principe prigioniero del nemico. »
Quelle parole fecero crescere in Keith il senso di tradimento. Quel dannato Lotor li aveva gettati tra le fauci della belva per avere la possibilità di ritagliarsi una scappatoia. Codardo doppiogiochista!
« E gli altri? » sentì chiedere mentre veniva trascinato via.
« Sono solo feccia, non ci servono a nulla. »
Il generale estrasse il blaster che teneva alla cintura e sparò tre colpi.
Keith riuscì a voltarsi appena in tempo per vedere i corpi che cadevano. 


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Capitolo 14
*** Cap. 14 ***


Cap. 14

Il tonfo sordo dei corpi dei compagni che cadevano a terra riecheggiava da ore nella mente di Keith. Era un ripetersi continuo e incessante di quella scena, un’immagine implacabile, impressa a fuoco dietro le palpebre chiuse. C’era stato il grido di Allura, che si era dimenata come una belva impazzita finchè il soldato che la tratteneva non l’aveva colpita facendole perdere i sensi. C’era stato anche un altro urlo, che Keith non aveva realizzato subito provenire da sè stesso. Un urlo straziante, da animale ferito, interrotto dallo strattonare brutale del galra che stava tentando di trascinarlo via. Keith si era battuto con tutte le sue forze, chiamando il nome dei compagni, il nome di Lance, fino a non avere più voce. La rabbia distruttiva che divampava dentro di lui era pari solo alla disperazione che gli faceva desiderare di farla finita lì e in quel momento. Vedere a terra i corpi delle persone a lui più care, di colui che più amava al mondo, sentire la voce straziata di Pidge attraverso il trasmettitore e sapere che era tutta colpa sua era troppo da sopportare.
Di quanto accaduto in seguito aveva un ricordo vago e sfocato, come se fosse successo a qualcun altro. Lui e Allura erano stati rinchiusi in uno stanzino della nave cargo, ammanettati a un tubo fissato alla parete. Allura era rimasta svenuta per buona parte del viaggio, mentre Keith si sentiva avvolto da una sorta di nebbia che gli ottundeva i sensi. Erano stati scaricati in quello che sembrava un normale spazioporto per lo smistamento merci, spinti su un veicolo, sempre ammanettati e circondati da uomini armati, e condotti chissà dove. Keith ricordava solo un corridoio buio, i propri passi barcollanti e una pesante porta di metallo che si chiudeva, lasciandoli soli nell’oscurità.
Allura non aveva detto una parola per tutto il tempo, sembrava sotto shock. Keith non riusciva ad articolare un pensiero coerente che non includesse la vista del corpo di Lance riverso a terra nella polvere.
Il fuoco della rabbia che bruciava dentro di lui si era affievolito a poco a poco lasciando dietro di sé il vuoto. Teneva gli occhi chiusi e, mentre se ne stava raggomitolato in un angolo, contro la fredda parete di metallo, la mente fissa su quell’immagine agghiacciante, non riusciva nemmeno a piangere. Desiderava solo che tutto finisse, che si spegnesse una volta per tutte. In ogni caso non avrebbe più avuto la forza di opporsi a nulla.
Forse quella era una specie di punizione, lo scotto da pagare per l’arroganza di credersi il salvatore dell’universo, per la debolezza di non essere riuscito a farsi carico di quel compito da solo come avrebbe dovuto, per la sciocca convinzione che sarebbe riuscito a proteggere chi gli era caro per il solo fatto di averlo accanto. Era stato un pazzo e un illuso, e aveva perso tutto. Con movimenti lenti e dolorosi, si portò le mani a coprire il volto, nel vano tentativo di scacciare le immagini che lo assillavano, il respiro incastrato in gola in un singhiozzo che non ne voleva sapere di uscire. Sarebbe morto così, si augurò, soffocato nel buio e nel dolore del senso di colpa.
Il cigolio della pesante porta che si apriva raggiunse appena le sue orecchie, non sortendo in lui nessuna reazione. Potevano fare quello che volevano: sparargli sul posto, trascinarlo davanti all’imperatore, organizzare la sua esecuzione pubblica, non gli importava. Rimase indolente anche quando una mano si posò sulla spalla e lo scosse con decisione.
Udì un pesante sospiro, vagamente seccato, il leggero clangore di qualcosa che colpiva il metallo e un serie di passi affrettati.
« Tu. Vieni qui. » intimò una voce, bassa e concitata.
La porta si aprì di nuovo e si richiuse.
Keith rimase immobile contro la parete. Nulla di quello che avrebbero potuto fargli sarebbe stato peggio di quello che aveva già vissuto.
Sentì Allura emettere un gemito soffocato, le suole dei suoi stivali strisciare sul pavimento come se si fosse ritratta di scatto. Non voleva che le facessero del male, ma non aveva la forza di evitarlo.
Poi di nuovo una mano si posò sulla sua spalla, delle dita leggere raggiunsero le sue, allontanandole dal volto per sfiorargli una guancia e scostargli i capelli scarmigliati.
« Keith… »
Era una voce conosciuta, troppo conosciuta. Sentì il cuore andare in mille pezzi.
Tutto ma non questo, non questa crudele illusione.
« Keith, sono io. Tesoro, stai bene? Ti hanno fatto del male? »
Quel tono gentile distrusse definitivamente le sue difese e una prima lacrima scivolò lungo la sua guancia, mentre scuoteva la testa disperatamente.
Due braccia familiari, troppo familiari, lo strinsero.
« Amore mio… » mormorò la voce, spezzandosi.
Keith sentì le lacrime bagnargli la pelle e solo allora trovò la forza di aprire gli occhi.
« Lance…? » sussurrò incerto, incredulo.
« Sì, tesoro, sono io. Sono io. Sono vivo. Siamo tutti vivi, stiamo bene. Era una messinscena. Ci hanno colti di sorpresa per poterci introdurre nel palazzo senza destare sospetti. Acxa ti spiegherà tutto. »
Keith aveva ascoltato la metà delle parole. Non aveva importanza il motivo, Lance era vivo, erano tutti vivi, era la fine di un incubo.
Senza indugiare nemmeno un istante, gli gettò le braccia al collo e lo baciò con tutta la disperazione che aveva trattenuto finora, mescolando le proprie lacrime alle sue e perdendosi nel calore del suo abbraccio, una sensazione che aveva temuto di non provare mai più.
« Scusate se v’interrompo, piccioncini, ma non abbiamo esattamente tutto il tempo del mondo. »
La voce di prima lo richiamò all’ordine con un tono piuttosto sbrigativo e Keith finalmente si decise ad alzare lo sguardo per vedere a chi appartenesse. Si trattava di una giovane soldatessa galra, o meglio mezzosangue, riconobbe dalla sfumatura della sua carnagione, dallo sguardo fiero e dai movimenti decisi. Un atteggiamento che gli ricordava qualcosa.
« Eri tu il generale su quella luna! » esclamò, riconoscendola. « Sei tu che hai sparato ai miei compagni! »
Qualunque impeto nei suoi confronti venne però spento da un gesto di sufficienza.
« Prego, non c’è di che. Non l’ho fatto per voi, il principe Lotor mi ha espressamente chiesto di aiutarvi perchè sostenete la sua causa. »
In una veloce ed efficiente ricostruzione, la donna spiegò di essere l’aggancio del principe all’interno del palazzo, insieme ad alcune altre persone, e che quella della cattura dei ribelli altro non era che una strategia per farli entrare indisturbati nel palazzo. Shiro, Lance e Hunk erano solo stati storditi da quegli spari e avevano ripreso i sensi a bordo della nave cargo, messi subito al corrente della situazione da una delle guardie fidate, che aveva anche fornito loro uniformi galra. Ovviamente, informare il gruppetto che la scoperta della loro imboscata era stata pianificata fin dall’inizio era stato fuori discussione: il loro comportamento non sarebbe stato credibile e i fedeli all’imperatore avrebbero immediatamente mangiato la foglia.
« Quindi avete pensato bene di farmi venire un infarto per rendere il tutto più convincente. » commentò Keith, che per tutto il tempo della spiegazione aveva continuato a tenere la mano di Lance stretta tra le sue.
« Interpretazione impeccabile, altezza. » fu la risposta serafica di Acxa.
Allura, in piedi accanto a lei, sembrava aver recuperato tutta la sua lucidità anche se era ancora leggermente pallida.
« Mi permetto di dissentire con i metodi, » disse. « ma i risultati sono stati senza dubbio ottimali. Ho davvero creduto che Lotor ci avesse traditi. »
« Il principe non lo farebbe mai. È molto selettivo nelle sue alleanze, ma non ha mai tradito una causa. E a questo proposito, come vi dicevo, non abbiamo molto tempo per agire. Riprendete le vostre armi. »
Così dicendo indicò il pugnale di luxite che aveva lasciato accanto a Keith e che il giovane notò solo in quel momento. Allura impugnava già la sua pistola laser.
Era molto difficile muoversi nel palazzo, spiegò Acxa, soprattutto per l’abbondanza di guardie che vi circolavano. Conoscendo l’organizzazione degli spostamenti avrebbero avuto più libertà di movimento e accesso alle zone riservate. Inoltre, se il loro obiettivo era colpire la fonte della quintessenza, origine dei poteri dell’imperatore, allora il momento migliore per farlo era quando quest’ultimo fosse stato fuori dai giochi. C’era un periodo di circa un’ora, nel corso della giornata, in cui all’intero personale di palazzo, forze militari comprese, era stato ordinato di non disturbare il sovrano, in quanto doveva sottoporsi a trattamenti medici necessari. Quello era l’arco di tempo che avevano a disposizione per agire. Ovviamente, se avessero forzato le porte delle zone ad accesso limitato nei sotterranei, sarebbe scattato l’allarme, quindi serviva un modo per trattenere le guardie. Una delle compagne di Acxa si occupava dei codici di sicurezza e conosceva quelli che avrebbero chiuso ermeticamente alcune paratie nei corridoi. Se non fosse stato sufficiente, sarebbe stato loro compito far guadagnare tempo a chi fosse impegnato nell’operazione.
« Questo è tutto. Dovremmo muoverci il prima possibile. » concluse Acxa.
Keith aveva ascoltato con quanta più attenzione possibile, ma la sua mente già correva agli eventuali rischi che avrebbero corso i compagni. Non avrebbe permesso in nessun modo che qualcuno gli portasse di nuovo via Lance.
« Io andrò con Keith nei sotterranei. » esclamò Allura, attirando gli sguardi su di sé.
« No, non voglio che… » iniziò Keith, ma la principessa lo zittì con un gesto.
« Non è il momento di discutere. Per avere a che fare con la quintessenza, bisogna conoscere l’alchimia alteana e tu non sai nemmeno cosa sia. Non metto in dubbio che, facendo parte della mia famiglia, tu abbia una predisposizione naturale, ma non hai la formazione necessaria per sapere come muoverti. Ti sarò d’aiuto, risolveremo questa faccenda insieme. »
Keith avrebbe davvero voluto dirle di smetterla e di mettersi al sicuro, ma era anche consapevole di quanto avesse ragione. Non aveva una formazione, si sarebbe affidato al caso e, sebbene quella fosse stata la sua intenzione fin dall’inizio, capiva che era la scelta meno logica e più rischiosa.
« Va bene. » capitolò. « Ma dovete giurarmi tutti quanti di fare attenzione. Non voglio perdere più nessuno. »
Strinse la mano di Lance, che ricambiò in modo rassicurante, e tornò a rivolgersi ad Acxa.
« Tra quanto possiamo muoverci? »
La  generalessa controllò un dispositivo che portava al polso e annuì con espressione seria.
« Ci siamo quasi. » rispose. Portò poi una mano al comunicatore. « Ezor, Zethrid, siamo pronti. Iniziate a muovervi. »
Acxa mostrò loro la proiezione di una piantina per raggiungere i sotterranei poi, a seguito di un gesto deciso della soldatessa, si diressero tutti verso l’uscita.
Trovarono Hunk e Shiro all'esterno, travestiti da guardie, e Keith ebbe appena il tempo di una stretta di mano con il capitano per mostrargli la sua gioia di vederlo vivo.
« Se qualcosa va storto, riportalo a casa. » gli sussurrò affrettatamente, trattenendo per un istante le dita tra le sue.
Shiro annuì con espressione solenne dopodichè si divisero di nuovo.
Vedere Lance allontanarsi, mentre a sua volta correva nella direzione opposta con Allura, gli provocava una dolorosa stretta al cuore. Si sarebbero ritrovati alla fine di tutto, si disse tentando di imporsi un po’ di ottimismo. Doveva andare così.

Seguendo le indicazioni di Acxa raggiunsero i sotterranei senza intoppi. Come previsto non vi erano guardie assegnate in zona in quel momento e riuscirono a procedere fino al punto concordato. Era una situazione quasi surreale, avevano affrontato l’esperienza peggiore della loro vita per arrivare fin lì e ora nulla sembrava impedire loro di agire indisturbati. Si fermarono prima della brusca svolta dell’ultimo corridoio, giusto un attimo prima di finire dritti tra le braccia di un robusto galra in divisa militare, di stanza davanti a un portone dall’aspetto imponente. Anche il blaster che imbracciava non aveva nulla di rassicurante.
« Se lo cogliamo di sorpresa possiamo liberarcene. » sussurrò Allura.
Bisbigliarono per qualche istante, poi la principessa si sporse appena per prendere la mira. Il colpo della pistola laser colse per un attimo la guardia impreparata, riuscendo a ferirla, ma immediatamente questa rispose al fuoco concentrandosi sull’aggressore. Quella distrazione permise a Keith di muoversi velocemente e colpirlo con la propria spada prima di venire sopraffatto. La guardia crollò al suolo e il passaggio fu libero.
« È morto? » domandò Allura, superando il corpo e lanciandogli un’occhiata preoccupata.
Keith scosse la testa.
« Non credo, non ho colpito per uccidere. Se sarà fortunato e qualcuno lo troverà per tempo, potrebbe salvarsi.»
Ora un solo ostacolo li separava dalla loro meta: una porta chiusa all'apparenza impenetrabile.
« Sembra uno di quei pannelli a scorrimento con codice di blocco. Pensavo avremmo incontrato uno standard di sicurezza più alto. » disse Allura avvicinandosi al pannello a lato della porta.
Il tastierino non presentava una serie di numeri ma caratteri galra che strapparono alla principessa un ringhio frustrato.
« Io so leggerli, ma anche così non andremo da nessuna parte senza conoscere la password. » obiettò Keith.
Non avevano tempo da perdere, l'impressione era che i minuti gli scivolassero tra le dita. Se Zarkon fosse tornato in attività prima che avessero portato a termine la missione sarebbe stata la fine non solo per loro, ma anche per i compagni che stavano facendo guadagnare loro tempo.
« Dobbiamo muoverci! » esclamò, parole alle quali Allura rispose sfoderando di nuovo al pistola laser e sparando sul pannello.
Immediatamente il suono di una sirena d'allarme lacerò l'aria.
« Non era quello che intendevo! » urlò Keith per sovrastare il volume del suono.
Non si sarebbe mai aspettato che la diplomatica principessa di Altea potesse reagire in quel modo in una situazione di emergenza.
« Lo so, ma per ricavare la password tramite impronte su un tastierino ci vuole del tempo e noi non ne abbiamo.» rispose lei. « Ora il sistema è saltato, possiamo forzare la porta. »
Ci volle tutto l'impegno possibile da parte di entrambi e la lama di luxite di Keith usata come leva per riuscire ad aprire uno spiraglio nel pannello scorrevole che permettesse loro di accedere all'interno.
Nessuna guardia si stava precipitando lungo i corridoi per coglierli sul fatto, quindi Keith ipotizzò che il diversivo messo in scena dalle compagne di Acxa stesse funzionando. Pregò che durasse il più a lungo possibile e che sia loro che gli amici stessero al sicuro.
L'immagine di Lance accasciato a terra gli balenò nella mente, ma la scacciò con forza imponendosi di rimanere concentrato. Doveva seguire le direttive di Allura e mettere fine a tutto il più presto possibile.
Quando varcarono la soglia, una luce accecante li investì, costringendoli a schermarsi gli occhi. Procedendo a tentoni e con lo sguardo basso nell'attesa che la vista si abituasse a una luminosità superiore al normale, si resero conto di essere in un'ampia sala, al centro della quale si trovava un enorme macchinario. Sopra di esso, galleggiante a mezz'aria, riverberava una frattura nel tessuto stesso dello spazio, troppo luminosa per essere osservata direttamente. La fonte della quintessenza non assomigliava a niente che avessero mai visto prima: sembrava una grossa crepa da cui fuoriusciva lentamente una materia luminosa di cui non avrebbe saputo definire la consistenza solo guardandola, non appariva nè completamente fluida, nè completamente gassosa. Quella sostanza aliena gocciolava direttamente all’interno del macchinario, dal quale si diramava una serie di tubicini da apparecchiatura medica collegati a un sistema di sostentamento vitale e a un lettino poco lontano.
Keith non potè credere ai propri occhi quando riconobbe nel paziente steso sopra di esso nientemeno che l’imperatore Zarkon. Istintivamente, afferrò Allura e la trascinò al riparo dietro il macchinario.
« Questo non era previsto! » bisbigliò, concitato.
In quello stesso istante il boato di un’esplosione fece tremare le pareti dell’intera sala.
Keith si voltò di scatto verso l’ingresso ma la principessa lo trattenne.
« Ora è necessario che resti concentrato su quello che sta accadendo qui. » disse. « Il fatto che Zarkon si trovi in questo posto può significare solo che le sue presupposte cure mediche consistono nell’alimentarsi dell’essenza stessa del pianeta. In qualche modo, per mantenere il suo potere, sta attingendo a una forza che non dovrebbe essere manipolata da nessuno, mettendo a rischio l'equilibrio stesso di questo mondo. Dobbiamo fermarlo adesso.»
Keith prese un respiro profondo e si focalizzò su quello che stava dicendo Allura. Sì, la loro priorità e il motivo per cui erano arrivati fin lì era chiudere quella frattura e mettere fine a tutto.
« I tuoi marchi stanno brillando. » realizzò quando alzò lo sguardo sul suo volto.
I segni sui suoi zigomi, solitamente di un morbido rosa, ora erano accesi di luce bianca, resi ancora più evidenti dalla sua carnagione scura.
« Anche i tuoi. » rispose lei, sfiorandogli il volto con la punta delle dita.
« Eh? Ma io non ho… » obiettò Keith, realizzando però solo in quel momento che, effettivamente, sentiva caldo appena sotto gli occhi.
Allura annuì e lo invitò di nuovo a concentrarsi.
Dal fondo della sala, dove giaceva Zarkon, non giungeva alcun rumore e, anche sporgendosi dal loro nascondiglio, non notarono nessun segno di movimento.
« Devi focalizzarti sulla fonte di energia. » continuò Allura. « La senti? È come una scossa elettrica che attraversa l’aria. O come… »
« … La forza vitale di qualcosa che diminuisce, goccia dopo goccia. »
Sì, Keith la sentiva. Era una percezione strana, mistica, pensava sarebbe stata solo la sua mente a recepirla, invece poteva avvertirla sulla pelle. Sentiva l’energia del pianeta riversarsi attraverso la spaccatura e venire meno poco a poco. Ne era già stata sottratta così tanta, quel mondo presto sarebbe morto.
« Come la fermo? » esclamò disperatamente.
« Devi cercare di connetterti con quell’energia e… e… convogliarla all’interno della frattura per poi chiuderla. Credo. »
Sembrava che neanche Allura sapesse come muoversi e questo non faceva che incrementare la tensione del momento.
Zarkon continuava a giacere apparentemente privo di conoscenza sul lettino collegato ai macchinari e questo diede loro il coraggio di fare un tentativo.
« Va bene. » disse la principessa prendendo una mano tra le sue. « Proviamoci insieme. Concentrati sul flusso che senti e tenta di invertirlo.»
Ci volle tutta la concentrazione che Keith riuscì a racimolare in quel momento concitato. Aveva l’impressione di muoversi alla cieca, seguendo una scia di luce impalpabile e impossibile da afferrare. Più si protendeva verso di lei, più questa si allontanava.
Era frustrante e stava per abbandonare quel tentativo, quando gli venne l’idea di guidare l’energia attraverso i suoi movimenti. Se la scia di luce si allontanava da lui bastava imporre alla propria mente un percorso che l’avrebbe spinta di nuovo all’interno della spaccatura.
Quel bizzarro tentativo sembrò funzionare e la quintessenza lentamente invertì il flusso della sorgente, smettendo di gocciolare all’interno del macchinario e ritirandosi attraverso la crepa dello spazio.
« Dobbiamo richiudere la fonte! » esclamò Allura a conferma che i loro tentativi stavano funzionando. « Mettiti sul lato destro, io starò sul sinistro. Convogliamo l’energia in modo da richiudere i lembi dello strappo. »
Fecero per mettersi in posizione, ai lati del macchinario ma, proprio in quel momento, un ringhio profondo li fece voltare di scatto.
Zarkon si era sollevato sul lettino e, un attimo dopo, balzò a terra nello sferragliare delle barre di protezione. La postura vagamente curva e gli occhi gialli fissi con cui li guardava chiarirono subito che non era completamente in sé, ma non per questo meno pericoloso.
« Questo è il mio potere. Il mio regno. Non me lo porterete via! »
Con un balzo animale, si avventò su di loro. Allura lo colpì con la pistola laser, ma non sembrò nemmeno scalfirlo. Keith sfoderò la propria spada, ma si ritrovò con la lama di luxite stretta tra le mani dell’aggressore.
« Continua a chiudere la frattura! » gridò ad Allura mentre impegnava tutta la sua forza per contrastare quell’attacco diretto.
Vide la principessa seguire all’istante e, quando percepì il cambiamento nel flusso di energia, anche Zarkon si voltò verso di lei.
« Sono io il tuo avversario! » lo trattenne Keith, impegnandolo quanto più poteva con la spada, finché non venne scaraventato contro il macchinario stesso.
L’urto violento fece tremare l’intera struttura e venne seguito dall’urlo di Allura che tentava di bloccare l’assalto del galra. La principessa, che era tutt’altro che una ragazza indifesa, fece appello alla forza fuori dal comune che contraddistingueva la sua razza e alla possibilità di mutare aspetto per assumere una stazza tale da poter tenere a bada il suo avversario, mentre Keith tentava di riprendersi. L’impatto era stato violento e gli girava la testa, ogni articolazione del suo corpo gli faceva male, ma fece del suo meglio per escludere le sensazioni fisiche e concentrarsi solo sul compito di chiudere la breccia. In qualche modo riuscì a compiere un altro piccolo passo prima che Zarkon si avventasse di nuovo su di lui con un ringhio. Ormai era chiaro che l’imperatore avesse perso completamente il senno e agisse seguendo il puro istinto di fermare chi lo privava della sua fonte di energia. Si muoveva come qualcuno assuefatto a una sostanza quando andava in crisi d’astinenza e attaccava alternativamente lui o Allura a seconda di chi stesse agendo sulla fonte di quintessenza. Contrastarlo diventava sempre più difficile e le energie impiegate per difendersi rischiavano di rendere insufficienti quelle per chiudere la spaccatura. Keith era felice che Allura fosse con lui: in due erano allo stremo, se fosse stato da solo non ce l’avrebbe mai fatta.
« Dobbiamo concludere! » esclamò Allura, ansimando per lo sforzo e convogliando ogni forza rimasta a portare a termine il loro compito, mentre Keith faceva quello che poteva per bloccare Zarkon. « Non reggeremo ancora a lungo e potrebbe arrivare qualcuno da un momento all’altro! »
« Ci sono! Mi basta solo un attimo! » rispose Keith, altrettanto affannato ed esausto.
Nel momento in cui l’imperatore galra lo lasciò andare per tornare ad aggredire Allura, con un ultimo sforzo sigillò definitivamente la spaccatura nello spazio.
Zarkon, evidentemente, avvertì a sua volta la chiusura del passaggio e un urlo di rabbia scaturì dalla sua gola. Completamente fuori controllo, si gettò contro il macchinario, colpendolo ripetutamente e strappando i tubicini che vi erano collegati.
Keith si precipitò a tentare di fermarlo, seguito da Allura, ma la lastra che lo ricopriva cedette in quel momento, esponendo le ampolle che custodiva. Il fragile vetro non avrebbe retto a un assalto così violento e, un istante dopo, esplose in mille pezzi ricoprendo Zarkon e i due ribelli, un passo dietro di lui, di un liquido bruciante che si riversò in tutta la sala.
Keith ebbe a malapena il tempo di rendersi conto dell’urlo disperato di Allura prima di avere la sensazione di essere letteralmente avvolto dalle fiamme. Un dolore talmente intenso che lo stordì facendogli perdere i sensi in pochi secondi.



Yuki - Fairy Circles

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Capitolo 15
*** Cap. 15 ***


Cap. 15

Lo scontro tra il gruppo di Acxa, i tre inviati della Ribellione e le truppe di palazzo di Daibazaal era ancora in corso quando quello che alle orecchie di tutti suonò come un tuono scosse le fondamenta stesse dell’edificio. I soldati galra si rivolsero spaesati verso i rispettivi ufficiali, ma anch’essi apparivano confusi e decisamente preoccupati. Approfittando di quei pochi istanti di distrazione, Ezor fece ritirare i compagni dietro una nuova paratia, che azionò in modo che chiudesse fuori le guardie almeno per un po’.
« Veniva dal basso. » ansimò Lance, stremato dal prolungarsi del combattimento ravvicinato a cui non era abituato. « Potrebbe trattarsi di Keith e Allura. »
Hunk rivolse lo sguardo preoccupato verso Shiro, che però non aveva nessuna rassicurazione per loro.
Acxa controllò la mappa olografica che mostrava i movimenti delle guardie e scosse la testa indicando diversi puntini luminosi in avvicinamento.
« I sotterranei sono ancora sgombri ma stanno arrivando i rinforzi. Il tempo che i vostri amici avevano a disposizione è finito, quindi mi auguro che quella scossa sia opera loro o presto avremo a che fare con l’imperatore in persona. »
« Dobbiamo raggiungerli e andarcene! » esclamò Lance.
Non c’era più tempo da perdere: che Allura e Keith fossero riusciti nella loro missione o meno, dovevano uscire di lì il più presto possibile se volevano mettersi tutti in salvo.
« Volete piantarci in asso?! » protestò la robusta compagna di Ezor, una mezza galra di nome Zethrid. « Sarebbe questa la tanto decantata lealtà della Ribellione? »
« Ma come ti viene in mente di… » iniziò Lance, troppo stanco e nervoso per sopportare anche inutili frecciatine. Tutto quello che voleva in quel momento era assicurarsi che Keith stesse bene.
Shiro alzò una mano per interromperlo nello stesso momento in cui Acxa zittì la compagna con un cenno.
« Nessuno abbandona nessuno. » chiarì la generalessa. « Ce ne andremo tutti, il mio caccia personale è già predisposto per la partenza nel suo hangar.»
Quelle parole misero a freno ogni protesta e il gruppo si spostò il più velocemente possibile verso i sotterranei, fermandosi solo per i pochi secondi necessari a Ezor per sigillare i corridoi dopo il loro passaggio.
Mentre procedevano a passo spedito, Lance si chiedeva come avrebbero raggiunto l’hangar dai sotterranei e si augurava solo che Acxa conoscesse qualche passaggio segreto o simili che permettesse loro di non risalire i corridoi finendo incontro alle guardie che li inseguivano.
Quando giunsero in vista della porta divelta che avrebbe dovuto sigillare la camera dove si trovava la fonte della quintessenza, la prima cosa che Lance notò fu la guardia a terra, seguita dal silenzio irreale che permeava l’ambiente. Immediatamente tutti i suoi sensi si misero in allerta: c’era qualcosa che non andava, qualcosa di terribile oltre quella porta. Accelerando il passo, si precipitò verso di essa, venendo però afferrato bruscamente per un braccio da Shiro prima che potesse irrompere nella stanza.
« Aspetta. » esclamò il capitano. « Non sappiamo cosa potremmo trovare là dentro, dobbiamo procedere con cautela. »
« Keith è là, Shiro! Con tutto il rispetto, non ho intenzione di aspettare un secondo di più! »
Non era da lui avere così scarsa cautela, ma l’istinto gli gridava di sbrigarsi, di raggiungere Keith prima che fosse troppo tardi.
Si divincolò e scavalcò la porta divelta come meglio poteva, guardandosi attorno ansiosamente.
Lance era un cecchino, aveva avuto a che fare con campi di battaglia e cadaveri per buona parte della sua vita, ma niente lo avrebbe preparato a quello che si trovò davanti. La vista di Keith e Allura riversi al suolo, coperti di ferite e orrende ustioni, ebbe l’effetto di una pugnalata. Non aveva combattuto contro tutto e tutti per questo. No, non poteva accettarlo!
Si sarebbe precipitato avanti se, di nuovo, Shiro non lo avesse trattenuto.
« Quella che li bagna è quintessenza pura. » lo avvertì. « Se li tocchi senza precauzioni ti ustionerai anche tu. »
Lance sentiva che avrebbe potuto perdere la testa da un momento all’altro: Keith era lì, davanti a lui, gravemente ferito e non poteva nemmeno verificare se respirasse ancora. Gli sembrava di impazzire. Aveva promesso che sarebbe andata bene, che sarebbero tornati a casa insieme e ora non riusciva a immaginare di restituire alla regina Krolia il corpo di suo figlio.
Una spinta brusca lo indusse a spostarsi e le tre ragazze galra fecero a loro volta il loro ingresso nella sala. Acxa trattenne il respiro e indicò il terzo corpo a terra.
« L’imperatore… » mormorò incredula.
« Ora non abbiamo tempo di pensarci. » intervenne Ezor. « Dobbiamo andarcene da qui e se vogliamo portarci dietro anche quei due, dobbiamo trovare qualcosa per trasportare i corpi. »
Lance era pronto a ignorare qualsiasi precauzione pur di portare Keith al sicuro, non aveva importanza se i guanti della tuta non fossero stati sufficienti e si fosse ustionato a sua volta. Voleva solo correre da lui, stringerlo a sé e dirgli che sarebbe andato tutto bene.
« Sì, Pidge, la situazione è questa. » sentì Hunk borbottare alle sue spalle. « Non abbiamo teli su cui stenderli o qualcosa per fabbricare barelle. L’unico modo è trasportarli a braccia, ma…»
La voce della ragazza rispose concitata nel comunicatore e Hunk annuì un paio di volte, per poi rivolgersi agli altri.
« Pidge dice che, secondo studi che aveva portato avanti con l’aiuto della principessa, la quintessenza può corrodere materiali poco resistenti come la stoffa, ma, se il contatto non è troppo prolungato, le nostre armature dovrebbero reggere. Possiamo trasportarli fino al caccia, ma badate di non toccarli a mani nude. »
Shiro si chinò immediatamente a sollevare Allura, accertandosi con immenso sollievo che respirasse ancora. La principessa aveva un aspetto davvero malconcio ma, disse il capitano, se fossero riusciti a tornare su Marmora velocemente, forse c’erano delle possibilità di salvarla. Lo stesso valeva per Keith.
Finalmente libero dalla stretta del capitano, Lance si affrettò a controllare le sue condizioni e sentì il nodo allo stomaco allentarsi un poco quando realizzò che non lo aveva ancora perso.
« Lascia che ti aiuti. » si offrì Hunk, vedendo la sua difficoltà a sollevare il corpo esanime di Keith, ma Lance scosse la testa.
« No, lo porto io. Voglio fare almeno questo per lui. »
Glielo doveva. Aveva promesso che l’avrebbe protetto e invece non era stato di nessun aiuto. Era finito coinvolto in una messinscena che l’aveva ferito profondamente e, quando avrebbe davvero potuto stargli accanto e proteggerlo, aveva accettato di separarsi da lui. Lance non riusciva a perdonarselo. Sapeva che in quel momento era stata la cosa giusta da fare, ma non riusciva a togliersi dalla testa che, se anche lui fosse stato con Keith e Allura, le cose sarebbero andate diversamente e forse ora non sarebbero stati in fin di vita.
Acxa fece loro segno di muoversi e tutti la seguirono all’esterno della sala, dopo aver lanciato un ultimo sguardo al corpo di Zarkon che giaceva ancora a terra in una pozza di quintessenza. Che si salvasse o no, quella era la sua fine. Si sarebbe trattato di un momento che tutti avrebbero ricordato negli anni a venire.
Per quanto sapesse di doverlo fare, Lance non riuscì a prestare attenzione alla scorciatoia per gli hangar lungo la quale la generalessa galra li stava conducendo, troppo concentrato a sorreggere Keith nel modo più sicuro possibile. A metà di una scala incespicò, accettando poi finalmente l’aiuto di Hunk per non mettere ancora più a rischio l’incolumità del giovane.
Sembrò una corsa infinita e allo stesso tempo terminò prima del previsto. Lance aveva perso completamente il senso del tempo e delle distanze, tutto quello su cui la sua attenzione si concentrava era Keith e solo Keith. Quando furono finalmente a bordo del caccia, con entrambi i feriti assicurati alle pareti perché non patissero la brusca accelerazione durante il salto nel wormhole, si concesse di appoggiare la testa allo schienale del proprio sedile, rilasciare un profondo respiro e chiudere gli occhi.

Quando Keith aprì gli occhi, la prima impressione fu di vedere attraverso una spessa lente azzurra, poi, in rapida successione, arrivarono il freddo, la nausea e la sensazione di cadere. Abbassò nuovamente le palpebre sperando che il buio lo aiutasse a combattere quel disagio e, quando si azzardò a guardare di nuovo, scoprì di trovarsi nel suo letto, nella camera degli appartamenti reali del palazzo di Marmora. Al suo fianco sedeva Krolia, con le mani strette in grembo e l’espressione tirata. Quando si rese conto che era sveglio, gli si fece immediatamente vicino.
« Keith! » esclamò, stringendogli la mano con gesto accorato. « Come ti senti, figlio mio? »
« Debole… » rispose Keith a fatica, con voce roca, come se la sua gola fosse rimasta inutilizzata per lungo tempo. « E congelato. Cosa…? »
La sua mente si sforzò di rincorrere brandelli di ricordi che gli dessero un quadro della situazione, ma gli sembrava di aver dormito per secoli e non riusciva a distinguere nettamente quali potevano essere sogni e quali avvenimenti accaduti nella realtà.
« Cos’è successo? Quanto tempo è passato da…? Lance! » esclamò d’un tratto, sollevandosi con un movimento brusco.
La sensazione che la stanza girasse vorticosamente e la fitta di dolore che gli attraversò tutto il corpo lo convinsero che non era stata una buona idea ancora prima dell’espressione di sua madre.
« Piano, piano. Sei stato in una cryo-pod per un mese, hai bisogno di tempo per riprenderti. » disse. « Le tue ferite erano molto gravi, abbiamo temuto di perderti… »
Keith non ricordava di aver mai visto sua madre piangere, era una regina e come tale sapeva sempre mantenere il controllo delle proprie emozioni, tuttavia in quel momento aveva gli occhi lucidi e la sua voce tremava.
« Mi dispiace tanto, madre. Non era mia intenzione farti soffrire, ma c’erano delle cose troppo importanti che dovevo… un attimo! Hai detto un mese? Cos’è successo in tutto questo tempo? Dov’è Lance? E Allura? E Shiro? Stanno bene? Cosa ne è stato dell’Impero? »
Improvvisamente avvertì un’ondata di ansia al pensiero dell’esito della missione. I ricordi frammentari non erano sufficienti a dargli una risposta e l’assenza dei compagni non faceva che acuire quella sensazione.
Krolia tentò di blandirlo come meglio poteva, per farlo rimanere tranquillo.
« Stanno tutti bene, non ti preoccupare. Lance è fuori di pattuglia con Shiro. La principessa Allura sta riposando. Anche lei è rimasta per molto tempo nella cryo-pod, la quintessenza pura con cui siete entrati in contatto vi ha causato ferite molto gravi e penso che sia riuscita a ristabilirsi in minor tempo solo grazie al suo sangue alteano. »
Keith ascoltò con apprensione il racconto della madre. Lance e Shiro le avevano spiegato com’erano andate le cose, presentando le loro scuse ufficiali e in pratica costituendosi per aver agito alle spalle dei vertici militari della Resistenza e quelli governativi di Marmora, nonostante avessero con sé due reali. Krolia aveva lasciato in sospeso il loro giudizio fino a quando le condizioni di Keith e Allura non fossero migliorate, in modo da avere anche le loro testimonianze da presentare al consiglio, nel frattempo erano stati degradati a soldati semplici.
« Che cosa?! » esclamò Keith, indignato. « Sono venuti su Daibazaal su mia richiesta, a loro rischio e pericolo, solo per proteggermi! Non puoi punirli per questo! Sono eroi che hanno salvato l’universo, non criminali di guerra!»
L’espressione di Krolia si fece severa.
« Hanno agito in piena consapevolezza, senza l’appoggio della Resistenza e del governo, sapevano a cosa andavano incontro. Tuttavia, dopo aver parlato con la principessa e aver ascoltato il tuo messaggio, ho un quadro molto più chiaro. Ho dovuto fare qualcosa per tenere buono il consiglio finchè non ti fossi ripreso. Se li avessi lasciati impuniti avrebbero trovato il modo di rifarsi su di loro in modi ben peggiori. Persino Kolivan era fuori di sé. »
« Aspetta. Hai ascoltato il mio messaggio? Sono qui, quindi Lance non avrebbe dovuto dartelo. Perchè… »
Krolia scosse la testa e abbassò gli occhi. Il suo volto perse ogni accenno di severità, del tutto cancellata dai segni dell’apprensione.
« Quando siete rientrati, non eravamo certi che sareste sopravvissuti, è passato molto tempo prima che ci fossero segni di miglioramento e Lance mi ha consegnato quella registrazione perché potessi avere una spiegazione a quanto successo direttamente dalla tua voce. Non so se l’abbia fatto per alleviare quei momenti o per prepararmi al peggio, ma mi è stato di grande aiuto. È davvero una brava persona e sono felice che ti sia stato vicino per tutto questo tempo. »
Lo disse con un sorriso gentile che fece appena arrossire Keith al ricordo di come aveva parlato dei propri sentimenti in quello che credeva sarebbe stato un video di addio.
« Quindi approvate la nostra storia? » si ritrovò a chiedere con trepidazione.
Un leggero sorriso aleggiò sulle labbra della regina.
« Figliolo, credo tu abbia superato l’età per cui hai bisogno della mia approvazione per certe cose ma, per quello che vale, se vorrai farne un principe consorte quando il suo nome sarà riabilitato, non avrò nulla in contrario. Inoltre, dopo la liberazione di Altea, la partenza della sua famiglia è stata organizzata come avevi richiesto, quindi appena possibile potranno trasferirsi qui. »
Tutte quelle belle notizie in una volta spazzarono via per un istante l’ansia che Keith ancora provava e la curiosità ebbe il sopravvento, inducendolo a porre le mille domande che gli frullavano per la testa. Domande a cui Krolia tentò di rispondere come meglio poteva, riassumendo quanto successo durante quel mese in cui era stato fuori gioco.
Dopo la loro fuga, su Daibazaal era scoppiato il caos. La scomparsa dell’imperatore era stato un colpo fatale per la dominazione galra. Per diretta linea di successione il potere era passato nelle mani del principe Lotor, ancora prigioniero della Resistenza. Piuttosto soddisfatto di come si fosse evoluta la situazione, quest’ultimo aveva immediatamente stretto un accordo sia con la regina Krolia che con Kolivan. Il suo primo ordine come nuovo imperatore era stato quello di ritirare le truppe da Altea e di cancellare ogni forma di governo militare sul pianeta, restituendolo ai legittimi eredi al trono, di conseguenza ad Allura. Lotor era alteano per metà e si era dichiarato grande estimatore della cultura e della scienza di quel popolo, come segno della propria buona fede aveva deciso di farne il primo membro e il simbolo della federazione galattica che intendeva creare. Quando Allura era venuta a conoscenza di tutto questo non aveva creduto alle proprie orecchie.
Quanto a Daibazaal, la situazione ambientale del pianeta era profondamente compromessa a causa della perdita di quintessenza che ne rappresentava la vita stessa. Dopo la scomparsa dell’imperatore erano scoppiati dei disordini violenti tra chi accettava Lotor come nuovo leader e chi non lo considerava all’altezza. Tuttora la situazione non era risolta e molti gruppi armati erano ancora allo sbando, ma si stava lavorando per ristabilire l’ordine e studiare un piano di risanamento del pianeta, in modo da renderlo di nuovo abitabile senza rischi.
Le generalesse galra che avevano aiutato Keith e compagni nella missione erano tornate al servizio di Lotor e ora facevano parte della sua scorta personale. Nel perdurare del suo soggiorno su Marmora non lo perdevano d’occhio un istante e sembravano tuttora diffidenti nei confronti di chi, fino a poco tempo prima, era stato il nemico. Krolia raccontò con un sorrisetto non troppo celato che Acxa e Thace discutevano in continuazione come due galli in un pollaio, ma che tutto sommato la convivenza era più sopportabile del previsto.
Come evocata da quelle parole, proprio in quel momento la voce di Thace seguì un discreto bussare alla porta.
« Altezza, perdonate il disturbo, Lance chiede notizie di sua maestà. »
« Grazie, Thace. Puoi dire a Lance che mio figlio ha ripreso conoscenza. »
Ovviamente Thace non fece nemmeno in tempo a riferire la metà delle parole che la porta si spalancò con uno schianto e un istante dopo Keith si ritrovò Lance tra le braccia.
« Ehi… » riuscì a malapena ad articolare, mentre l’altro lo stringeva a sè, completamente dimentico della presenza di Krolia e della guardia alla porta.
Ci volle del tempo perchè Lance si decidesse a lasciarlo andare, incentivato dal suggerimento di Krolia che soffocare un re convalescente non fosse una buona idea.
« Stai bene… » mormorò, a metà tra una domanda e una constatazione, mentre la sua voce si spezzava per l’emozione.
« Sto bene. » confermò Keith. « Ho solo bisogno di un po’ di riposo e sarò di nuovo in piedi. »
Krolia gli aveva accennato a quanto gravi fossero state le sue condizioni quando erano rientrati su Marmora ma soltanto ora, attraverso lo sguardo di Lance, iniziava a rendersi conto di quale fosse stata l’entità della situazione. Vedeva nei suoi occhi quel dolore e quell’immenso sollievo che lui stesso aveva provato nella cella su Daibazaal quando l’aveva perso e ritrovato.
« Sto bene, Lance. » ripeté, sentendo la gola chiudersi per la commozione mentre si sollevava su un gomito per baciarlo.
Le lacrime del giovane alteano si mescolarono alle sue che iniziavano a inumidirgli le ciglia e, quando alzarono lo sguardo, scoprirono che Krolia aveva lasciato la stanza per dare loro un po’ di meritata intimità.
« Mi dispiace averti fatto spaventare. » disse Keith accarezzandogli una guancia. « Grazie per avermi portato a casa. »
Lance scosse la testa e si asciugò gli occhi con l’orlo della manica della divisa.
« Non muoverai più un solo passo senza che ti stia incollato. Voi reali siete dei pazzi. » brontolò.
« E mi dispiace anche che mia madre vi abbia degradato. È stata una crudeltà. Restituirò a tutti il vostro grado non appena avrò la forza di rimettere piede nel consiglio. »
« La regina l’ha fatto solo per proteggerci. Se non fossero stati presi provvedimenti da parte sua, altri lo avrebbero fatto e sarebbe stato peggio. Kolivan ha seriamente minacciato di incarcerare Shiro, visto che in teoria avrebbe dovuto essere ancora sotto la sua autorità. Hunk e io ce la saremmo cavata forse meglio nella Resistenza visto che eravamo agli ordini di Allura, ma il consiglio di Marmora voleva le nostre teste. »
Dovevano essere stati giorni molto difficili, si rese conto Keith. Quando si era lanciato in quell’impresa non aveva minimamente considerato quali avrebbero potuto essere le conseguenze per chi l’avesse accompagnato: si era preoccupato solo del fatto che tornassero a casa vivi, quello che sarebbe successo in seguito non si era nemmeno affacciato ai suoi pensieri. Questa, da parte sua, era stata un’enorme mancanza.
« In ogni caso, non credo che avrà molta importanza quello che succederà a livello gerarchico. » continuò Lance. « Al momento la situazione è ancora precaria e in evoluzione, ma è molto probabile che sia la Resistenza che l’esercito dell’impero verranno smantellati in favore della creazione una forza di autodifesa della confederazione con rappresentanti presenti su ogni pianeta. Non l’avrei mai creduto, ma Lotor sembra davvero intenzionato a portare avanti questo progetto. Ero convinto che, una volta morto suo padre, non avrebbe esitato a prendere il potere, invece ha ritirato le truppe da Altea. Forse è davvero una brava persona…»
Keith strinse una mano tra le sue, sorridendo appena.
« Qualunque cosa succeda, vorrei almeno poter riabilitare il vostro nome agli occhi dei superiori e del consiglio. » disse. « Siete degli eroi, tutti quanti, e meritate di essere ricordati come tali. Inoltre vorrei che il mio principe consorte avesse almeno il grado di capitano. »
Lance fece per rispondere, ma un istante dopo si bloccò, metabolizzando quelle parole.
« Sul… sul serio?! » sbottò poi, mentre i marchi sui suoi zigomi si illuminavano in reazione all’emozione.
« Non vedo perchè no. La guerra è finita, la tua famiglia sta arrivando e non sarà più in pericolo, mia madre sa tutto e non ha nulla in contrario. Non ci sono ostacoli, a meno che tu non abbia cambiato idea, in quel caso… »
Keith non potè nemmeno terminare la frase, perchè Lance gli si lanciò letteralmente addosso, in un miscuglio di risate, lacrime e tentativi maldestri di baci.
Ci volle tutta la sua pazienza per indurlo ad alzarsi di nuovo e a lasciarlo respirare, convincendolo definitivamente con la frase: « Stai brillando. »
Lance, in tutta risposta, gli puntò contro un dito ammonitore, esclamando un « Ah! » soddisfatto, come se l’avesse colto con le mani nel vasetto di marmellata. « Anche tu. » aggiunse poi, incrociando le braccia.
In risposta allo sguardo confuso del giovane re, recuperò un piccolo specchio dal cassettone accanto al letto e glielo piazzò davanti godendosi la reazione.
Keith non credeva ai propri occhi: ora sul suo viso, oltre alle orecchie feline e al marchio viola distintivi della razza galra, spuntavano anche due piccole mezzelune rosse che decoravano i suoi zigomi. Indubbiamente marchi alteani del tutto simili a quelli di Lance e Allura. Ricordava vagamente di averli sentiti apparire in reazione alla quintessenza, ma non avrebbe mai creduto che sarebbero rimasti. Invece eccoli lì, a brillare nella penombra della stanza.  Imbarazzato, si coprì il volto con le mani.
« Non nasconderti, stai benissimo! » esclamò Lance con trasporto. « La perfetta rappresentazione dell’unione di due razze in conflitto da sempre. Sei il futuro! »
« È esattamente così! »
A quell’esclamazione, proveniente dall’ingresso, si voltarono per trovarsi davanti il gruppetto di amici a malapena trattenuto da Thace.
« Altezza, perdonate. Il capit… volevo dire, il soldato Shirogane, il soldato Garrett e il tecnico Holt avevano molta fretta di vedervi. »
Keith scosse la testa, a indicare che non aveva importanza, e fece cenno agli amici di avvicinarsi. Shiro aveva un enorme sorriso di sollievo stampato sul volto, così come Pidge che gli stringeva la mano. Hunk aveva già gli occhi pieni di lacrime di commozione.
« È così bello vederti sveglio, Keith! » esclamò, affondando il naso in un fazzoletto.
« Non avevo dubbi che ce l’avresti fatta. » ribadì Pidge, che non gli era mai apparsa così al settimo cielo.
Shiro si staccò da loro e raggiunse il letto, chinando leggermente il capo.
« Altezza. » disse in tono commosso. « Avete posto fine alla guerra e avete salvato l’universo e tutti noi. Non vi saremo mai grati a sufficienza. »
Keith si sporse verso di lui e Shiro accettò e ricambiò quell’abbraccio fraterno.
« Sono io a ringraziare te. » sussurrò Keith. « Per aver riportato a casa Lance. »
Dopo una lunga serie di discorsi accorati, lacrime e manifestazioni di gioia, tutti vennero invitati a congedarsi quando venne annunciato l’ultimo visitatore della giornata.
Allura richiese esplicitamente di conferire in forma privata con il sovrano e venne prontamente esaudita.
« Immagino che sarai stanco di sentirti ripetere quanto sia bello averti di nuovo tra noi. » esordì con un sorriso, quando Thace chiuse con discrezione la porta.
« Ammetto che no, non è mai abbastanza. » rispose Keith, con una mezza risata. « Ma sono felice di vedere che anche tu stai bene. Mi hanno raccontato che ti sei ripresa al meglio e che la situazione su Altea si sta finalmente risolvendo. Non immagini quanto sia sollevato per questo! »
Allura si accomodò sulla sedia accanto al letto dove, fino a poco prima, era seduto Lance. Tenne gli occhi bassi e le mani strette in grembo, cosa che in qualche modo mise Keith in allarme: nonostante le buone notizie doveva esserci qualcosa che non andava.
« So che è egoista da parte mia, visto che ti sei appena ripreso, ma ero venuta a parlarti proprio di questo. » iniziò Allura. « Con la liberazione di Altea si è venuto a creare un posto vacante al vertice del suo governo… »
Keith aggrottò le sopracciglia, confuso.
« Quel posto non è vacante, è tuo. » obiettò.
« Lo pensavo anch’io, ma forse sono stata arrogante a darlo per scontato. Credevo che, in quanto principessa e figlia di Alfor, fosse mio diritto, ma mi è stato fatto notare che in effetti non è così. Il consiglio di Marmora ha evidenziato che Ryolan di Altea era il fratello maggiore di mio padre, poco importa che si fosse allontanato dalla casata reale, e tu sei il figlio di Ryolan. Per la linea di successione, il trono di Altea dovrebbe essere tuo. »
Allura aveva un’espressione così affranta che Keith balzò a sedere di scatto, provocandosi una fitta di dolore che gli mozzò il respiro.
« Non dire sciocchezze! » esclamò quando riuscì a riprendere fiato. « Il trono di Altea è tuo, non è minimamente in discussione. È sempre stato tuo, se non fosse stato chiaro fin dall’inizio, di certo lo è ora che hai portato la Resistenza alla vittoria. Mio padre se n’è andato rinunciando a qualunque diritto di successione e io non me ne faccio un bel niente di due troni. Dammi solo il tempo di reggermi in piedi e il consiglio di Marmora si pentirà di aver dato aria alla bocca. Sono sveglio da un paio d’ore e ho già sentito abbastanza danni per una vita! »
Il suo intento era quello di suonare minaccioso, ma Allura finì per scoppiare a ridere, visibilmente sollevata.
« Lotor aveva detto che avresti reagito così. »
« Lotor, eh? Da quando avete questa confidenza? » la punzecchiò Keith. « Manco per un po’ e saltano fuori altarini di ogni tipo. »
Allura distolse lo sguardo, imbarazzata.
« Nessun altarino e nessuna confidenza! » esclamò. « È un alleato e abbiamo avuto modo di parlare della situazione di Altea, tutto qui. Ancora non mi fido del tutto di lui, lo sto tenendo d’occhio. »
Tuttavia, vedendo la luce nei suoi occhi, Keith non potè fare a meno di augurarsi che decidesse di tenerlo sotto controllo ancora per molto, molto tempo.
 
§-§-§-§
 
 Fu lo strano tramestio nell’anticamera a svegliare Keith nel bel mezzo della notte. Allarmato dal fatto che qualcuno si fosse introdotto negli appartamenti reali senza venir fermato dalle guardie, a maggior ragione in un giorno come quello, afferrò il coltello di luxite che continuava a tenere sotto il cuscino e scivolò fuori dal letto.
Si avvicinò alla porta della stanza, pronto ad attivare il blocco manuale se l’intruso avesse tentato una mossa falsa, e vi si affacciò silenziosamente. Un’ombra si muoveva cautamente nel buio, fin troppo furtiva per essere animata da buone intenzioni. Keith si preparò all’attacco: se si trattava di qualche tipo di sicario o di un fedele del vecchio Impero che era riuscito a mettere fuori combattimento le sue guardie, avrebbe avuto pane per i suoi denti. Strinse in pugno il coltello e scattò in avanti.
A bloccarlo fu l'esclamazione strozzata di una voce fin troppo nota.
« Lance?! » si scandalizzò il giovane re, abbassando la lama che già puntava alla gola.
« Quiznak, Keith, ho creduto di morire! » esclamò l’altro, prendendo un profondo respiro. « Perchè la notte tendi agguati ai tuoi ospiti invece di dormire?» 
« Perchè di solito gli ospiti non si introducono di soppiatto nella mia camera da letto la notte prima delle mie nozze! Che cosa ci fai qui? Come hai fatto a superare le guardie? Non dirmi che le hai di nuovo corrotte? »
« Tesoro, tu sottovaluti la mia esperienza. Sono pur sempre un cecchino addestrato, entrare qui è stato un gioco da ragazzi! »
Keith gli scoccò un'occhiata scettica nel buio.
« Quanto le hai pagate? »
« Nulla, davvero! Ho solo… ecco, diciamo che ho promesso loro che quando sarò il principe consorte avrei alleggerito un po’ i loro turni. »
Una risatina aleggiò nella stanza e Keith si massaggiò una tempia.
« Se qualcuno scoprisse che sei qui la notte prima delle nozze… »
« Oh, andiamo, chi s’intrufolerebbe in camera tua per controllare se hai compagnia o no? A parte me, ovviamente. Prometto che me ne andrò alle prime luci dell’alba e mi rivedrai all’altare. Nessuno sospetterà nulla. È che… »
Lance tentennò solo un attimo.
« Avevo bisogno di vederti. So che da domani saremo sempre insieme, ma sarà diverso. O forse no, questo non posso saperlo, ma avevo bisogno di vederti adesso. È un passo importante e forse sono solo un po’ nervoso. »
Keith lo prese per mano e lo guidò attraverso l’anticamera buia fino alla propria stanza, dove accese una minuscola luce sufficiente giusto a mostrarli l’un l’altro.
« Io sono felice. » disse Keith. « Sono passati solo sei mesi dalla fine della guerra eppure sembra di vivere in un altro mondo. Sembra la favola di cui parlavamo la notte prima della missione su Daibazaal. »
Lance sorrise, ancora leggermente teso, mentre accettava l’invito del fidanzato a sistemarsi sotto le coperte con lui.
« L’unica cosa non prevista nella favola era che mia madre decidesse di non parlarmi mai più. » sospirò. « Ma dopotutto non me la sento di darle torto. Chi riaccoglierebbe un figlio che si è dato per morto per scappare con i ribelli, per poi rispuntare dopo anni costringendoli a cambiare pianeta e vita perché sta per sposare un re? »
« A un eroe una seconda possibilità è dovuta. » rispose Keith, accoccolandosi contro di lui. « Anche se sta per sposare un re. »
« Lo dici perchè sei di parte. »
« Mmmm… può darsi. »
Rimasero in silenzio nella penombra, godendosi la rispettiva vicinanza e assaporando quella tranquillità. Solo pochi mesi prima sembrava impossibile, con una guerra in corso, un impero impossibile da sconfiggere e una profezia che da salvifica si era trasformata in qualcosa di troppo simile a una condanna. Eppure ce l’avevano fatta, avevano superato ostacoli che apparivano insormontabili e avevano raggiunto la felicità che sognavano da sempre.
Certo, non era perfetta, c’era ancora qualcosa da sistemare, la famiglia di Lance da riappacificare e una cerimonia reale da superare indenni, ma tutto sommato, per un soldato senza patria e un principino sperduto che avevano riscritto il destino, se l’erano cavata discretamente.

END


Yuki - Fairy Circles

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