Perché lei?

di Astarter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Confusione e raggiri - 2 ***
Capitolo 3: *** Senza maschere III ***
Capitolo 4: *** Accordi tra coniugi - 4 ***
Capitolo 5: *** Segni - 5 ***
Capitolo 6: *** Nuovi piani da seguire - 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Perchè lei? 

 

 


Sin da quando era solo una ragazzina, Sansa Stark era sempre stata ingenua e sognatrice.
All’età di otto anni si era innamorata dei fiori. Ne raccoglieva un mazzetto ogni giorno e con l’aiuto di sua madre li usava per abbellire la propria camera e a volte per creare ghirlande e decorare i suoi capelli.
L’anno dopo memorizzò quasi tutti i nomi dei germogli che crescevano nei campi sconfinati attorno a Grande Inverno. Ogni volta che i suoi fratelli giocavano lei era intenta a svolgere quell’attività.
«Non ti allontanare troppo» le diceva Ned Stark.
Quando compì dieci anni imparò a cucire senza mai più smettere. Ogni giorno si allenava e apprendeva le buone maniere, speranzosa di divenire un giorno una regina.
Sansa ascoltava le storie cantate dai menestrelli con aria incantata, confabulando con la sua migliore amica su ogni possibile sguardo rivolto a lei dai nobili che venivano a banchettare nel suo castello.
A dodici anni, Sansa fantasticava così tanto da sentire le continue prese in giro di sua sorella Arya che ogni volta andava a parlare male di lei con quel Bastardo del suo fratellastro, colui che era il frutto del tradimento di suo padre nei riguardi di sua madre.
Jon Snow.
Quando le si avvicinava non gli rivolgeva nemmeno la parola guardandolo con astio, facendolo sentire sempre di troppo.
In realtà forse non si sopportavano a vicenda, d'altronde lei che era così legata a sua madre non si sarebbe mai degnata di considerarlo un vero fratello.
La sua indifferenza era tutto ciò che poteva ottenere da lei.
Non c'era nient'altro che potesse meritare un Bastardo.
Gli anni erano trascorsi e poi lui, per suo sommo sollievo era andato via da Grande Inverno, salutando tutti i fratellastri, tranne lei, che nemmeno lo degnava di parola.

Sansa era partita per Approdo del re poco tempo dopo colma di aspettative, felice di poter stare al caldo, di poter avere la vita che sempre aveva immaginato.
Ma lì in mezzo a quei nobili, non aveva trovato un posto dorato e scintillante, ma solo insulti, disonore e lacrime. Suo padre era morto davanti ai suoi occhi, sua madre era stata massacrata assieme a suo fratello.
Sansa era stata per lungo tempo prigioniera di coloro che avevano dato l'ordine di sterminare la sua famiglia, subendo per anni le angherie di quel re sadico e vigliacco di Joffrey.
Solo per sopravvivere era stata costretta a sposare il folletto Lannister.
Tyrion così si chiamava il suo sposo, non la trattava male, ma lei non ne poteva più di quel mondo di falsità e di quel dolore che gli attanagliava lo stomaco.
Piangeva ogni giorno, Sansa. Il sole della capitale non la scaldava, e lei sentiva freddo...
...Freddo dentro.
I suoi sogni erano stati infranti e la sua vita era divenuta qualcosa di orribile e avvilente.

Qualche anno dopo essere stata tratta in salvo da Lord Baelish, marito di sua zia, si era affidata a lui, che l'aveva baciata, lasciandola sconcertata.
Non era passato molto tempo, che Dito Corto l'aveva donata ai Bolton, ovvero gli usurpatori del suo castello, finendo poi per divenire la sposa di un mostro.
Ramsay aveva dilaniato la sua anima e tutto ciò che le restava. E quando dopo mesi di soprusi e violenze era scappata con colui che aveva tradito suo fratello Robb, aveva raggiunto il suo fratellastro.
Jon dopo averla presa sotto la sua protezione, averla aiutata a riprendere il castello di famiglia ed essere stato eletto re dalle casate del Nord le era sempre stato al fianco, celando dietro una maschera di malinconia, tutto ciò che fino ad allora era stata la sua vita.
Qualcosa di vischioso cesellato da una sincerità e un affetto nei suoi confronti quasi sorprendente.
Nei mesi passati al suo fianco, Sansa lo aveva esaminato a fondo, rendendosi conto di quanto lui fosse un concentrato di altruismo e benevolenza.
Era diventato un uomo adulto, che di bastardo non aveva nulla.
I suoi occhi scuri le trasmettevano un’amarezza che conosceva fin troppo bene.

Quando fosse iniziata veramente con Jon, non lo capì mai, Sansa.
Nel percepire la sua indole di giustizia, lei aveva preso a detestarlo profondamente, ma non perché fosse Jon, il fratellastro che aveva sempre guardato con sdegno. Né perché ora regnasse nel castello che le spettava per diritto e successione. Non era quella la ragione.
Sansa - anche se era restia ad ammetterlo - lo odiava per quell'ingenuità che lui, a differenza sua, non aveva perso.
Bran era tornato a Grande Inverno, rivelando chi fosse in realtà Jon e lì quel giorno, qualcosa dentro Sansa si era liberato.
E c'era un'idea che le ronzava in mente, qualcosa che pareva la soluzione giusta a tutti i suoi timori.
Ci aveva pensato per giorni, settimane a cosa dirgli, sedendosi sotto la chioma del grande albero cuore dalle foglie perennemente rosse. E alla fine era rientrata nel Bastione e l'aveva affrontato, ponendo le carte sul tavolo, certa di non poter essere contraddetta. Suo fratello Bran che era ormai dedito alla causa del corvo a tre occhi, non aveva alcuna intenzione di governare, ma lei si. E se era vero che lui appartenesse per metà ai Targaryen, allora doveva validare la sua scelta davanti alle casate. E l'unico modo che aveva per poterlo fare era quello di sposare una Stark, di sposare sua cugina, di sposare lei.

"Ma che stai dicendo? Tu se mia... " aveva sbottato Jon inorridito, senza però continuare, perché lei non era affatto sua sorella.
"Jon devi ascoltarmi, sai che ho ragione, è tempo che tu dica chi sei e che dimostri la tua fedeltà al Nord. Non puoi celare il tuo vero nome, perché ci servirà per chiedere aiuto a questa regina."
"Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo? Io non riesco nemmeno ad immaginare di metterti le mani addosso " aveva replicato in tono alto, portando subito entrambe le mani sul volto e sbuffando.
"Non preoccuparti, perché il nostro sarà solo un matrimonio politico. E inoltre sotto quell'aspetto tu mi sei indifferente almeno quanto io lo sono per te."


Sansa gli aveva detto una mezza verità, senza nemmeno accennare alle altre ragioni che l'avevano spinta a fargli quella proposta, ossia i raggiri di Dito Corto, che per il momento aveva messo a tacere e al bisogno di sentirsi al sicuro.
Voleva reinventarsi una vita, e per farlo, era necessario che nessuno leggesse in lei il tormento, che nessuno avvertisse l’accozzaglia dei troppi bisogno che le si era incollata addosso.
Soprattutto Jon.
Voleva essere forte, aveva bisogno d’apparire tale.
Era andata via con il naso all'aria, con la fierezza che aveva imparato a dimostrare.
E alla fine lui dopo aver ascoltato anche il parere dei suoi fidati consiglieri, e persino quello di Bran, le aveva dato retta.

Dopo che la cerimonia venne effettuata, Jon e Sansa, come prevedeva l'etichetta, si erano trovati costretti a dividere il grande letto nuziale.
I primi giorni erano stati dannatamente imbarazzanti per entrambi.
In quel periodo per Sansa il solo averlo nella stessa stanza, nello stesso letto le scatenava un flusso continuo e confusionario di sensazioni, che non facevano altro che spaventarla.
Svelta si cambiava dietro l'anta dell'armadio, tornando con indosso la camicia da notte e sibilando infine un flebile e cupo: “buonanotte.”
C'erano momenti in cui il giovane re del Nord al solo pensiero di aver sposato davvero Sansa portava le mani nei capelli neri, incredulo.
Non sapeva quasi nulla sulle donne. Non poteva prendere in considerazione il legame con Arya, che sino a qualche mese addietro pensava fosse la sua sorellina.
Né poteva basarsi sulla storia avuta con Ygritte. Era rimasto così tanto turbato dall'averla vista spegnersi tra le sue braccia, che il solo pensiero di averne un'altra lo rendeva inquieto. Difatti poco tempo dopo aveva anche rifiutato le attenzioni della donna rossa.
E mai fino a qualche mese prima aveva pensato addirittura di finire per sposarsi.
Jon aveva mille domande senza risposte che gli vorticavano in testa, e l'unica cosa che poteva fare era quella di vivere quel cambiamento, accettandolo.
Ogni notte, quando si stendeva sotto le coperte, il profumo dei lunghi capelli di Sansa lo investiva, il suo respiro quieto lo cullava, agevolandogli il sonno.
Era sempre lui ad addormentarsi per primo. Se ne accorse una volta in particolare, quando dopo essersi alzato a notte fonda per bere dell'acqua, si era infilato nuovamente tra le coltri del suo giaciglio.
Era successo tutto velocemente, Sansa aveva cominciato a singhiozzare nel sonno, e dopodiché, prima di decidere di fare qualcosa aveva avvertito un fruscio sulle pellicce che gli ammantavano le spalle e una mano farsi strada tra di esse.
Lei s'era svegliata e la prima cosa che aveva fatto era stata quella di cercare lui, forse per accertarsi che non l'avesse lasciata da sola, che fosse ancora lì con lei.
Jon aveva sollevato le palpebre colmo di tenerezza, quando aveva percepito le sue dita tremanti posarsi sui suoi fianchi con delicatezza.
In quell'attimo, testimone silenzioso di quel gesto, aveva pensato che chissà quante altre volte fosse accaduto quel medesimo evento.


Il sole era sorto da un'ora, quando Jon - ormai del tutto rivestito - legava i suoi capelli, sentendo gli sbuffi e le lamentele della moglie che da quasi dieci minuti se ne stava dietro il separé di legno intenta a indossare l'abito del mattino.
«Sansa, tutto bene lì dietro? » le domandò placido, vedendola uscire da dietro quel mobile.
«E' difficile annodare i lacci di quest'abito bene» rispose, comparendogli davanti rossa in viso dallo sforzo.
«Non chiami le tue ancelle per farti aiutare?» Sansa gli disse di non averne bisogno e di nuovo tornò dietro il separé.


A volte Jon - senza nemmeno accorgersene - si ritrovava ad analizzarla, scorgendo in Sansa sempre più dettagli a cui mai aveva prestato attenzione.
Era una donna intelligente, e lui che nella vita aveva sempre pensato a combattere, s'era ritrovato - seppur ancora pieno di resistenze - ad ascoltare i discorsi riguardanti gli intrighi di corte che lei faceva.
Ogni volta che la sua regina gli raccontava dei raggiri subiti e della crudeltà dei membri delle casate restava basito. Sansa che a differenza sua aveva viaggiato ne aveva viste di tutti i colori, ed era stata umiliata e tradita in ogni modo.
Reduce di quei vissuti, lei gli dava consigli su consigli, cercando con fervore di convincerlo delle sue idee.

«Jon, pensi che essere diventato re del Nord ti renda incolume da ogni minima rappresaglia pensata contro di te? Ti illudi, allora!» la ragazza posò le mani sul banco ricolmo di scartoffie da leggere e timbrare. «Tu non hai la benché minima idea dei rischi che corri ora.»
«Sansa» mormorò, sollevando gli occhi dalle carte. «Abbiamo cose più serie di cui occuparci in questo momento.»
«Questo lo credi tu!» esclamò accigliata, camminando per tutta la stanza che il re usava per sbrigare la burocrazia.
«E quali sarebbero questi rischi, regina?» bofonchiò esasperato, reclinando la testa indietro.
«Se tu non cominci a darmi retta, noi potremmo non arrivarci all'arrivo degli Estranei, perché saremmo già nella Cripta di famiglia» incupì il tono, aggirando il tavolo e fissandolo.

Non era facile per lui starla a sentire, non facevano altro che battibeccare di continuo, alzando alle volte i toni. Sansa aveva un'opinione su tutto ormai, e della ragazzina sognatrice che lui ricordava, era rimasta solo l'essenza.
Dal canto suo Sansa aspirava ad essere considerata alla pari e non inferiore perché donna. Combattere con Jon per essere udita, a fine giornata la faceva sentire stanca mentalmente.
La strada era tutta in salita, ma le basi forse c'erano, ed era molto meglio avere un uomo sincero e leale come Jon al fianco, piuttosto che un bieco calcolatore egoista.

«Sansa preparati stanno arrivando i Glover a chiedere udienza» le disse un pomeriggio, entrando nella stanza e vedendola distesa di spalle sul letto. Si chiese se per caso non l'avesse sentito, o se stesse leggendo qualcosa, prima di raggiungere il lato su cui s'era voltata.
Non era così, era sopita. I capelli sparsi sul cuscino e le sopracciglia aggrottate.
Sognava, faceva incubi probabilmente.
Ogni notte, prima di serrare le palpebre e dormire, lui aveva preso l'abitudine di chiederle dei suoi timori così da esserle d'aiuto.
Ma Sansa che nei suoi occhi vedeva solo pena, come risposta gli rivolgeva un saluto cortese, dicendogli che stava bene e dandogli le spalle.

Jon si sedette sul letto, notando solo in quel momento il fremito presente sulle spalle della ragazza. Qualcosa che non aveva nulla a che fare con la temperatura. Aveva i pugni chiusi e contraeva le palpebre sempre di più...
Lei stava di nuovo male e in quel mondo onirico era da sola.
Protese la mano sul suo volto e le carezzò i setosi capelli rossi. Non riusciva a farne a meno, non poteva nemmeno pensare di non stare lì a calmarla.

Fece scorrere gli occhi sulla figura della ragazza.
Era bella, ma era anche fragile, magra. Aveva perso quell'ingenuità che da piccola la caratterizzava, e nonostante tutto era sempre lei a salvarlo.
L'aveva fatto, quando era arrivata a Castello Nero, gettandosi tra le sue braccia e dandogli speranza e uno scopo. Aveva fatto la medesima cosa durante la battaglia contro Ramsay, quando s'era rifiutato di seguire i suoi pareri. Era venuta in suo aiuto sostenendo il suo sguardo incerto, quando l'avevano proclamato re del Nord, regalandogli un flebile sorriso d'approvazione.

Quando la sentì gemere e farfugliare frasi spezzate avvertì l'urgenza di farla uscire dal suo incubo. E chinandosi in avanti le si avvicinò, lasciando tra i loro volti solo la distanza di un soffio.
«Svegliati» le disse, come un ordine vicino all'orecchio, facendole spalancare le palpebre.
Solo mezz'ora prima, era tornata in camera, lasciandolo parlare con Ser Davos, nemmeno sapeva d'essere crollata nel sonno.
«Jon» mugugnò, aspettando che la vista le si schiarisse, prima di rilevare la sua vicinanza e sentirsi agitata.
Gli occhi quasi neri di lui la scrutarono a lungo, come a volerle leggere dentro, notando un particolare che lo lasciò sorpreso.
«Da quando arrossisci se mi avvicino?» le mormorò con voce morbida, scostandole una ciocca di capelli dallo zigomo.
Lei schiuse le labbra e si toccò il viso con una mano, accorgendosi solo in quel momento dell’abbondante flusso di sangue che le riscaldava le guance.
«Devo essere indisposta, ho dormito senza coperte e prima di tornare in camera, sono uscita fuori senza mantello» si giustificò, stornando lo sguardo da lui.

Schiacciato dalle sue nuove responsabilità di regnante, Jon cominciò ad assentarsi sempre più spesso da Grande Inverno.
Non aveva tempo da perdere, doveva organizzare il suo esercito e riunire più alleati possibili per l'incombente guerra.

Jon parlava con i capi delle casate, compiva continui sopralluoghi del territorio assieme a ser Davos e una scorta di cavalieri a seguito.

Con un svolazzo del suo pesante mantello, a notte inoltrata, il re del Nord varcò i cancelli del suo Castello e percorse gli androni che l'avrebbero condotto alla sua camera patronale.
Senza alcun interesse strusciò lo sguardo sugli arazzi e gli stendardi illuminati dalla tenue luce dei candelabri.

Una sensazione di vuoto di manifestò nel suo addome al solo pensiero di dover condividere la camera con lei...
Qualcosa di simile all'abbandono...

E come l'immagine di un sogno il viso arrossato di Sansa si manifestò sulla sua retina, lasciandolo spiazzato.
Riflettendoci, dal giorno in cui l'aveva destata dal sonno, qualcosa era mutato, poiché lei aveva cominciato a comportarsi in modo strano, aveva iniziato a recitare un ruolo che la parte più nascosta di lui aveva cominciato a detestare...
Perché sebbene cercasse di celarlo a se stesso, quello che Jon non aveva previsto era che una parte di Sansa viveva già dentro di lui. E da lei prendeva vigore e voglia d'andare avanti.
Loro si somigliavano, e in Sansa aveva cominciato a scorgere qualcosa che lui cercava di celare a tutti, anche a se stesso con il suo istinto di sacrificio.

Ma non fece nemmeno in tempo a indagare a fondo quelle considerazioni, che un rumore di passi lo ridestò.
In fondo al corridoio, come ad esser saltata fuori dalla sua testa c'era proprio lei...
Contrasse un sopracciglio basito di vederla lì al gelo, domandandosi perché non fosse in camera.
I grandi spazi di Grande Inverno avevano subito ogni sorta di danni dagli usurpatori Bolton, alcuni corridoi non venivano riscaldati adeguatamente come un tempo, e quindi non era davvero saggio trattenersi dov'era lei in quel momento.

«Jon» la voce le uscì flebile e spezzata nel vederlo lì davanti a lei.
«Cosa fai qui?» la fissò, scorgendo i suoi occhi appannati. «Ti senti bene?» si avvicinò calmo, posandole la mano sullo zigomo che subito si colorò.
«Sto...Sto bene» evitò di incrociare ancora gli occhi di Jon che vedeva sfocato, non doveva crollare definitivamente. «Non preoccuparti» si diresse nella loro camera, prima che lui potesse ribattere.
A Jon, Sansa sembrava una lupa infreddolita sotto una bufera di neve, una bestiola bisognosa di cure. Ma ogni volta che lui provava a tenderle la mano per aiutarla, scappava.

Sansa si era sentita mancare, quando aveva visto Tormund tornare prima di lui, temendo che gli fosse accaduto qualcosa. Tuttavia, quando Jon s'era soffermato a guardarla, non ce l'aveva fatta nemmeno a dire una parola, sgomenta di mostrarsi troppo fragile ai suoi occhi.
Sapeva di aver fatto bene a proporre quelle nozze, perché in quel modo era riuscita a salvaguardarlo da eventuali ritorsioni, facendo la stessa cosa con se stessa, ma le cose erano cambiate per lei.
Jon e Bran erano gli unici familiari che le fossero rimasti. Ma per Jon, Sansa non provava un sentimento fraterno. Da qualche tempo una fiammella vibrante aveva cominciato a crescere nel suo animo. E il solo meditare di renderla visibile ai suoi occhi la inquietava. Aveva paura di un rifiuto, non voleva essere un peso, ne comportarsi da donna in cerca di conforto. Ormai ci aveva rinunciato ai suoi sogni. Gli accordi poi erano stati chiari tra loro.
Era stata lei a decidere di assumere quel ruolo, era diventata regina, ma non pensava di non riuscire più a gestire la cosa, non credeva che quella decisione l'avrebbe condotta a provare un simile strazio.
Esasperato, Jon inspirò con forza e la seguì nella camera patronale, non sapendo più cosa fare con lei.
Avrebbero dovuto affrontare forse la più grande guerra della storia, e Sansa con i suoi atteggiamenti enigmatici, non gli rendeva certo le cose facili.
Di sicuro s'era preoccupata, forse timorosa di non vederlo tornare, ma perché perseverare con quei comportamenti? Perché non dirlo?
Quando entrò anche lui in camera la vide infilarsi sotto le coperte.
Jon dopo essersi cambiato, soffiò sulle candele e si distese al suo fianco.
I raggi lunari che filtravano dalle grate della stanza, rivelarono qualche minuto dopo le spalle della giovane alla sua vista. Senza ulteriori indugi, Jon protese il braccio sotto le coperte così da avvicinarla, abbracciarla per darle conforto.
Azione che venne smorzata sul nascere da Sansa che ignara dei suoi pensieri, con voce incolore lo salutò mettendosi a distanza e assumendo una posizione fetale, come a volersi chiudere in se stessa, barricandosi ancora di più.

Jon prese un lungo respiro, cercando di domare le sue turbe interiori. Non sapeva più cosa fare, e più il tempo passava, più sentiva il buio che lei covava dentro. Faceva male, non riusciva a sopportarlo. Ma soprattutto non riusciva a sopportare quel rammarico che gli saliva addosso nel constare quanto Sansa si forzasse di fingere ancora, allontanandolo ogni giorno di più, togliendogli l'occasione di aiutarla.
L'aveva sposata, l'aveva accontenta e da quel giorno era cambiato tutto.
Avrebbe dovuto passare la vita a quel modo? Sarebbe stata un incubo.


Per diversi giorni Jon lasciò la questione in sospeso, non capendo quale fosse la cosa giusta da fare, almeno fino a che non ne ebbe abbastanza...
...Una notte in particolare, mentre a grandi falcate raggiungeva il piano che l'avrebbe condotto alla camera padronale, percepì come già diversi giorni prima era avvenuto una fragranza alla vaniglia nell'aria, che pareva fargli strada.
Sansa si annunciava prima con il suo odore, che con la sua presenza.
Si fermò, osservando i suoi movimenti.
Lei era di spalle, il suo vestito ardesia strusciava sul pavimento. Sospirava, si toccava i capelli racchiusi in una treccia, guardava attraverso l'intreccio delle grate della finestra ad arco.
A quel punto Jon, esausto di frenare ancora la sua frustrazione le si avvicinò e la prese per i fianchi, inchiodandola alla parete grigia.
Voleva che gli parlasse davvero e non per cortesia, voleva delle risposte e questa volta, non aveva alcuna intenzione di darle scappatoie.

«A che gioco stai giocando, Sansa?» la fissò, perforandola con i suoi occhi scuri.
«Di cosa parli?» ribatté, sentendosi agitata per quella vicinanza eccessiva.
«Perché sei di nuovo fuori dalla nostra camera a quest'ora? Dici che ti sono indifferente, ma ogni notte attendi che torni, per poi rivolgermi a stento la parola» le sfiorò le spalle, avvertendo il suo tremito.
«Lasciami andare.»
«Prima devi rispondermi» asserì risoluto.
«Altrimenti cosa mi succederà? Hai per caso intenzione di farmi del male anche tu?» domandò indurendo il tono.
Era sicura che dopo quella parola, lui sarebbe stato preda dei suoi soliti sensi di colpa, ma così non avvenne. Jon ormai sapeva come comportarsi, cosa la spaventasse e di lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso, si fidava. Di lui non aveva paura.
«Sai che non lo farei mai» prese un lungo respiro, socchiudendo le palpebre. «Dimmi, ho per caso fatto qualcosa di sbagliato?»
Sansa prese un po’ di tempo per vagliare la situazione. Il suo cuore le diceva di lasciarsi andare e prendere le attenzioni che lui le stava dando, bisognoso di percepire il suo affetto, ma la sua testa le imponeva di assumere la sua solita postura rigida e fingere una pacatezza invernale, ponendo ancora le distanze, tutelandosi. Decise di seguire la testa, impaurita di dimostrare la sua fragilità.
«No, non hai fatto niente» niente, si ripeté, mordendosi il labbro inferiore.
«Cos'è che ti tormenta, Sansa? Sei stata tu a proporre questo matrimonio... » mormorò.
Era così vicino che Sansa avrebbe potuto contare tutte le ciglia lunghe e scure che gli orlavano le palpebre. Così vicino che avrebbe potuto descrivere, con estrema precisione, ogni sfumatura di quegli occhi carichi di un passato che l’avrebbe sempre seguito, qualcosa di cui lei nemmeno faceva parte.
«Il nostro matrimonio era qualcosa che andava fatto per il Nord» rispose, tornando ad indossare la sua maschera di gelo.
«E niente altro?» la fissò negli occhi, facendole aumentare i battiti cardiaci in una maniera tale da non poter sopportare.
Strinse le spalle al muro, sentendosi braccata più da quella domanda, che dalla sua posizione.
«No, niente altro» soffiò quasi con disperazione.
«Bugiarda» la giudicò, guardandola sollevare le palpebre.
«Non so nemmeno a cosa tu ti riferisca» il fantasma di un sorriso comparve sul viso di Jon a quelle parole.
Sansa intanto si divincolò superandolo.
Lui assottigliò le palpebre e d'istinto le agguantò il braccio, attirandola a sé e facendo cozzare le sue mani sul suo torace.
«Jon?» alzò il volto per protestare, deglutendo a vuoto nel scorgere qualcosa di diverso nello sguardo del ragazzo. Un baluginio che la fece sentire in imbarazzo. Tanto che come sempre più spesso accadeva distolse gli occhi da quelli di lui. Era troppo.
Jon le sollevò il viso fissandola negli occhi, facendo saltare il cuore nel petto della ragazza.
C'era qualcosa che lo costringeva a tenerla vicina, come un bisogno di stomaco. Il corpo traditore gli imponeva di agire.
Sansa si ritrovò a boccheggiare, quando lo vide protendersi verso di lei e sfiorarle le labbra con le sue, indagandole sempre di più la bocca, i denti, penetrando più intimamente di quanto avrebbe mai immaginato.
Quell'odore muschiato le inebriava i sensi, quelle ciocche di capelli ondulate e scure come inchiostro le facevano solletico sul collo.
S'era ritrovata semplicemente a rispondere al suo bacio con un trasporto straziante, con un bisogno opprimente, sentendosi semplicemente conquistata da lui. Le unghie affilate piantate nelle sue spalle.
Nessuno l'aveva mai baciata a quel modo.
Jon fece scorrere le mani sulla sua schiena.
Parevano sbranarsi e farsi a pezzi a vicenda.
Come se si fosse scottato, il re del Nord si staccò dalla regina, restando a pochi centimetri dal suo volto, così da vedere la sua espressione e voltarle successivamente le spalle, entrando nella loro camera.
Sansa si sfiorò le labbra con le dita, mentre lo guardava sparire dalla sua vista.
E in quell'attimo, lei poté solo ipotizzare come doveva essere apparsa agli occhi di Jon, quando s'era fermato per guardarla: accaldata, confusa, desiderosa, vinta...


 

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Capitolo 2
*** Confusione e raggiri - 2 ***


Confusione e raggiri



 
 
Sansa tornò in camera e trovò Jon seduto sul giaciglio, silenzioso com’era di solito, forse di più.
Imbarazzata e incredula per quel che era appena successo, andò a preparasi per la notte dietro il separé di legno, sentendo il cuore rimbombarle nelle orecchie.
Dopo aver preso posto nel letto, lo vide soffiare sulla candela, regalando alla stanza l’ingordigia della notte. L’unica cosa che percepì qualche minuto dopo fu il movimento di suo marito, che di sicuro s’era girato di lato, dandole le spalle.

Jon respirava con frenesia, cercando di arrestare i pensieri che scorrevano nella sua mente. Aveva perso il controllo, entrando in un vortice di sensazioni che nemmeno aveva previsto. Ma che cosa gli era preso? Non sapeva come comportarsi. Fino ad un mese prima lei era la sua sorellastra, fino a poche settimane fa, Sansa era sua cugina.
Ed ora… s’era ritrovato a gettarsi addosso a lei come se non ci fosse un domani? Le si era avvinghiato con un bisogno che l’aveva lasciato basito. Ma perché l’aveva fatto? Aveva sbagliato tutto, forse non erano veri i sospetti avuti su di lei. E magari la morte corporea subita pochi mesi prima aveva tirato fuori un lato che gli faceva vedere le cose in modo distorto. E un'audacia che prima, non si sarebbe sognato nemmeno di poter aver soprattutto con lei...
Dopotutto Sansa restava la donna che sin da ragazzina l’aveva sempre evitato, magari gli si era affezionata solo per un senso di paura verso qualsiasi altro uomo. Ma lui con quel comportamento era stato migliore di loro? Certo che no, forse lei l’avrebbe odiato dopo quel gesto.
C’era qualcosa che covava e che nemmeno aveva il coraggio di dire a voce, aveva ammonito lei, ma chi l’avrebbe fatto con lui?

Loro insieme erano qualcosa di rotto, qualcosa di malato e incurabile, non avevamo via di scampo. Quella consapevolezza si abbatté su di lui come un stilettata al petto.
Dopo quel matrimonio, la sua vita aveva cominciato ad assumere un tono inaspettato.
Probabilmente quel giorno la folla chiassosa, che continuava ad arrivare  fuori dai cancelli di Grande Inverno, si aspettava che le Nozze che univano loro due fossero l’unica risoluzione che lo sfortunato regnante appartenente anche alla casata dei Targaryen avesse trovato per legittimare ancora di più la devozione a Nord. E il fatto che fosse più Stark come pensiero. Forse avevano anche ponderato che loro fossero una coppia di cugini sventurati, che per evitare insidie s’erano infine fatti convincere da consiglieri e alfieri. Ed in parte era vero... 
Ma cosa avrebbe pensato suo padre che ora era diventato suo zio nel sapere che lui sarebbe convolato a nozze con Sansa? Che cosa avrebbe detto Catelyn Tully che lo aveva sempre odiato? E Robb, Rickon? Di certo, non avrebbero approvato. Arya! Lei gli sarebbe corsa incontro urlante, dicendo di fermare quell’assurdità o lo avrebbe abbracciato confermandogli che stava prendendo la decisione giusta?
Non lo sapeva. Solo Bran pareva essere d'accordo, ma non gli bastava.
Ricordò cos’era successo solo un’ora prima che convolassero a nozze…
«Fatemi passare, devo parlarle!» asserì Jon rivolgendosi alle guardie che sorvegliavano l’ala in cui Sansa era stata condotta per vestirsi.  
«Maestà, l’etichetta prevede di non lasciar passare nessun altro oltre le servitrici della vostra futura sposa. E’ stata Lady Stark stessa ad aver dato quest’ordine» le aveva detto mortificato.
Nel mentre una donna sulla cinquantina si presentò davanti al re, inchinandosi al suo cospetto e rialzando il capo subito dopo.

«Mio signore, porta sfortuna vedere la sposa prima della cerimonia!»
In altre circostanze Jon - per il carattere che aveva - avrebbe reclinato il capo, tornando sui suoi passi, ma quel giorno stava per uscire di testa. Aveva sbagliato a dare il suo consenso, in cosa si stavano imbarcando? Non poteva permettere che tutto accadesse davvero, era inaccettabile, era un incubo. Doveva vedere Sansa, prima che fosse troppo tardi.
Prima che tre parole cambiassero tutto per sempre.
Superò la servitrice, sordo alle sue proteste e spalancò la porta, intimando le restanti ancelle di lasciarli soli per qualche minuto.

La ragazza che si trovava in piedi davanti a tre grandi specchi ovali, sobbalzò, mentre lui incantato dalla sua figura restò immobile, incapace di distogliere lo sguardo da lei. Il viso incorniciato dai rossi capelli fiammanti semi raccolti in un’elaborata acconciatura colma di trecce. Gli occhi  azzurri come specchi d'acqua al mattino erano pieni di qualcosa che non seppe definire, una riga sottile e nera le orlava le palpebre.
Le braccia della giovane, magre e avvolte di stoffa ricamata, erano abbandonate lungo i fianchi, quasi non  avesse la forza di muoverle. E probabilmente era così.
Vedere il simbolo di casa Stark e del lupo bianco ricamato sul torace del suo lungo vestito amaranto e anche sul velo - come ulteriore prova dell’unione che stavano per realizzare - gli fece venire un brivido.
No, non poteva succedere veramente.

«Quale parte di non puoi entrare non hai capito, Jon?» gli rivolse un’occhiata di rimprovero. «Le mie ancelle devono finire di prepararmi.»
 Jon si impose di mantenere la calma. Doveva esporre le sue ragioni, prima di essere inghiottito da qualcosa che era stato troppo veloce.
«E’ proprio questo il punto! Come fa a starti bene tutto questo, come puoi voler sposare me?» replicò in fretta il ragazzo, cercando di usare il tono più convincente possibile.
Lei sospirò e si voltò a guardarlo, cercando di non far trapelare l’ansia che provava anche lei.
«Ne abbiamo già parlato, anzi discusso. Questa è la soluzione migliore se vogliamo tutelare il tuo ruolo qui a Nord. Siamo cresciuti, pensando di essere fratellastri, ma non siamo stati mai vicini, io per motivi legati a lealtà verso mia madre e tu perché preferivi Arya e io non ti davo spazio, quindi tutto questo legame fraterno tra di noi non c'era nemmeno prima di sapere di essere cugini. Senza contare poi tutto il tempo che siamo stati separati, io ad Approdo del re e tu a Castello Nero.»
«Si, ma non è questo il punto. Tu hai sempre voluto innamorarti, trovare l’uomo dei tuoi sogni. Ricordo cosa mi diceva Arya quando...»
«Veniva a prendermi in giro con te?» continuò la sua frase in tono sardonico.
«Dimmi che hai un piano alternativo» Jon si appigliò ad un’effimera speranza, magari quella di star sognando tutto.
«Nessun piano, queste nozze avverranno davvero» lo sentì respirare rumorosamente, notando le sue palpebre abbassate. «Tutto ciò in cui credevo si è dissolto, non penso più a certe idiozie. Tu non mi faresti mai del male, a me basta avere questa certezza» allungò il braccio carezzando la guancia di Jon che posò la mano sulla sua. «Ed ora va dai tuoi sudditi, sei un re, comportati da tale» riaprì la porta esortandolo ad andarsene.
Mentre lui le voltava le spalle poco convinto, lei schiuse le labbra.
«A proposito Jon, dato che ormai mi hai vista, potresti dirmi come sto?»

«Farai impallidire tutte le dame impettite che sono di sotto ad attenderti» le accennò un sorriso defilandosi.

S'erano sposati in un bosco poco lontano dalle mura di Grande Inverno, dov'era presente un altro albero dalle foglie rosse. Lei non aveva voluto che la cerimonia venisse effettuata nel parco degli Dei dove aveva sposato Ramsay...

Quel pomeriggio, Sansa durante l’ora dei pasti sedeva composta alla sinistra di Jon. Davanti a loro c’erano Bran, Meera, ser Davos, Brienne, il suo scudiero, Tormund e Dito Corto che senza preavviso era tornato a Grande Inverno, asserendo motivazioni sulla battaglia che a lei parvero inverosimili.
La presenza di quell’uomo che avrebbe potuto tranquillamente essere suo padre e che era anche stato innamorato di sua madre, la metteva a disagio, soprattutto perché ne conosceva l’animo nero. Aveva capito come fosse, ma era convinta che avesse altro da nascondere. Era anche vero che li avesse aiutati per riprendersi la loro casa, ma al solo scopo di avere controllo su di lei e perché non credeva che la situazione avrebbe finito per rivoltarsi contro di lui.
Pilucchiava ciò che c’era nella sua ciotola, cercando invano di arginare la voragine che le montava dentro, dal centro esatto del cuore, inglobando polmoni, ossa, sangue.
C’era così tanto sangue intorno a lei.

Una serie incessante di domande la stordivano, a cui il tuo ingegno non sapeva dare una risposta.
Inoltre anche l’atteggiamento di Jon la spiazzava, lui si comportava come se nulla fosse, come sempre aveva premure nei suoi confronti, quali le migliori stoffe per i suoi ricami, tavola imbandita di dolci. Ma niente altro…
Perché l’aveva baciata con quel trasporto per poi far finta di nulla?
Era solo per farle pagare il suo modo di fare che l’aveva fatto?
Tra tutti, perché doveva essere proprio lui a darle il colpo di grazia?

Non era un desiderio consapevole, ma più un sussurro di sottofondo. Bramava che Jon la guardasse di nuovo con le iridi ardenti, che gli aveva visto quella notte, voleva quel tocco punitivo sulla sua pelle. Desiderava che la stringesse, che non la facesse sentire sola. E invece parevano essersi scambiati i ruoli.
Per un attimo dubitò che quell'avvenimento avesse davvero avuto luogo.
Forse s’era solo sognata tutto, che stupida era stata... 
Ma dopotutto, cos'aveva da stupirsi? Come poteva una persona pulita come Jon sentire l’esigenza di una come lei, che era stata sporcata in tutti i modi possibili? 

Gli aveva nascosto fatti su Lord Baelish e ciò che aveva falsamente confessato in sua difesa, continuava a celargli segreti a riguardanti ciò che aveva subito e che sognava la notte.
Si vergognava della sua debolezza, non voleva esporsi tanto.
Liquidò quell'automortificarsi che la sua mente dispettosa le stava imponendo, quando sentì il legno della sedia accanto alla sua strusciare sul pavimento. Ma appena alzò il viso, scontrandosi con le iridi nere di Jon, avvertì un calore al ventre.
Era così avvenente...
Durante i banchetti ogni dama lo divorava con lo sguardo, facendole a volte saltare i nervi.

Qualche ora dopo aver colloquiato con Bran e Meera, si avviò nella direzione della stanza che suo marito usava per la corrispondenza.
Erano ore che se ne stava chiuso lì dentro e voleva sapere con chi stesse comunicando.
Jon sentì le guardie annunciargli l'entrata della regina e sollevò gli occhi dal banco, quando la vide entrare.
«A chi sono destinate le lettere che stai sigillando?» domandò la giovane, guardandolo seria.
«Sto dando il mio assenso ai lord che mi hanno chiesto le terre che i Bolton gli hanno sottratto.»
«Perché vuoi farlo? Quei lord non sono venuti in nostro aiuto nel momento in cui più avevamo bisogno, ed ora hai pure intenzione di ricompensarli?» gli domandò contrita, aggrottando le sopracciglia.
«Cosa dovrei fare, allora? Lasciare le loro famiglie senza il sostegno del loro raccolto?» replicò esasperato.
«Mi sembra che siano ancora vivi, troveranno un'altra soluzione.»
«Manderò queste lettere oggi stesso, ed è bene che te ne faccia una ragione, Sansa» la vide voltargli le spalle e uscire a passo svelto dalla stanza.
La moglie camminò nella direzione delle sue stanze infuriata, prima di vedere un'ancella venirle incontro con una lettera tra le mani.
Bianca come un cencio percorse i corridoi di Grande Inverno con il cuore in gola, tanto scossa dagli ultimi avvenimenti da riuscire a stento a sostenersi sulle gambe tremanti. Anche i suoi occhi sembravano stanchi, più scuri del normale. 
Quella lettera era di Dito Corto che le chiedeva di raggiungerlo nel parco degli Dei.
Non aveva idea di cosa volesse ancora. Sapeva di dover stare allerta.

*

Dopo aver consegnato le missive da spedire, Jon varcò la soglia della stanza che usava per parlare con ser Davos. L'ambiente era decorato con metalli di varia natura, armature e vessilli della casa Stark, che scivolavano sulle pareti grigie, come a sottolineare la severità di quella costruzione imponente. Nulla faceva presagire che in quell’atmosfera di pace sarebbe giunto presto un pericolo mortale, riguardante creature che da bambino aveva solo considerato come appartenenti alle favole.

«Ho mandato trenta uomini in queste zone» strusciò l’indice sulla mappa, mostrando i giacimenti d’Ossidiana esistenti a Nord.
«Avremo bisogno di fabbri in grado di forgiare le spade» suggerì ser Davos.
«Già, e ho anche intenzione di preparare coloro che ancora non sanno combattere. Dobbiamo istruire tutti» il re sospirò a pieni polmoni.
«Un popolo che non è unito anche in battaglia, non può sopravvivere» disse il suo consigliere.
Jon portò le mani sulle tempie esausto.
E cercando di trovare un po' di pace si affacciò alla fascia di pietra dell’arcata, notando Lord Baelish camminare sulla neve che aveva ammantato il terreno. Si chiese cosa ci facesse fuori, e subito dopo seguì il percorso che faceva, schiudendo le labbra nel riconoscere chi stesse raggiungendo.
Sansa.
Il re, da quando Dito Corto era giunto a Grande Inverno, si sentiva inquieto, lei non gli aveva detto nulla, dissimulando il tutto com’era solita fare. Aveva capito che ci fosse qualcosa che non andasse ogni volta che, evitando di farsi notare aveva scorto la sua espressione turbata.
Aveva studiato in silenzio Lord Baelish, reprimendo l’impulso di farlo tornare alla Valle, o di trafiggerlo, quando l'aveva scoperto osservare Sansa in modo interessato.
Come osava mancargli e mancarle tanto di rispetto?
Pensava di non essere notato? 
Lei era...
Si irrigidì, che pensieri stava facendo di nuovo? 


«Ser Davos, per oggi è tutto. Ci vedremo all’ora di cena» gli voltò le spalle.
«Posso chiedervi dove vi state recando, maestà?» sebbene gli avesse detto decine di volte di continuare a dargli del tu, Davos non ne voleva sapere nulla, e nostalgico forse d’un lungo tempo passato accanto un re, non ci aveva messo molto a rispettare l’etichetta.
«Ho bisogno di prendere aria e da solo» ho bisogno di capire, pensò prendendo un lungo respiro.
Già una volta, Sansa s’era fatta carico di tutto. E alla fine timorosa che Lord Baelish nemmeno rispondesse alla sua richiesta d'aiuto, aveva preferito restare zitta.
Jon doveva a quell’uomo la vittoria schiacciante sui Bolton, gli doveva la vita. Ma non era stato così ingenuo d’aver creduto che non ci fosse qualcosa sotto.
A che prezzo l’aveva fatto?
Le parole che lei gli aveva detto, qualche settimana prima che convolassero a nozze gli risuonarono in testa come una litania.

Solo un pazzo si fiderebbe di Dito Corto.

*

Sansa aveva raggiunto un albero ricolmo di neve e se ne stava in attesa.
In passato si era già trovata faccia a faccia con Petyr. Non poteva evitare di incontrarlo, non poteva permettergli di fare del male a Jon, non lo avrebbe sopportato.
Si appiattì contro il tronco, cercando di arginare il tremito che la pervadeva al contatto con quel solido supporto, capace di darle l’illusoria sensazione di avere la schiena protetta.
Le dita della ragazza avvertirono le asperità della corteccia su cui si erano posate.  

Dito Corto si fermò a pochi passi da Sansa, scrutandola con interesse, registrando ogni dettaglio.
Jon Snow sebbene fosse diventato suo marito, pensava solo all’imminente scontro, teneva a lei, ma non come un uomo dovrebbe tenere alla propria donna. Almeno questo aveva dedotto nel guardarli.
Non poteva pretenderla più come sposa al fianco. Gli insegnamenti che le aveva dato gli si erano rivoltati contro, perché Sansa s’era già tenuta al sicuro, lanciandogli quell’affronto e sposando quel ragazzo ingenuo. 
Ma non s'era rassegnato. Paziente avrebbe ordito i suoi intrighi attendendo che il re facesse la misera fine di chi l’aveva preceduto.
Gli uomini Stark erano condannati ad estinguersi ed ancora una volta sarebbe stato lui l’artefice di tutto. E lei gli sarebbe servita anche per la tessitura delle sue nuove macchinazioni.
«Lord Baelish » Sansa alzò il capo, quando lo vide.
«Desolato di averti fatto attendere, regina» la squadrò con un baluginio allucinato negli occhi.
Lei inspirò pesantemente.
«Aspetto che tu mi dica il perché hai voluto incontrarmi privatamente. Non è un comportamento da adottare con una donna sposata questo.»
A dispetto delle sue speranze, sembrava che neppure quel matrimonio l’avesse salvaguardata dalle sue mire. Durante i giorni passati al castello s’era accorto del distacco evidente che il re manifestava nei suoi confronti e questo l’aveva caricato di speranza.
«Volevo solo sincerarmi del tuo stato, perché preoccupato per te» fece un gesto elegante con la mano.
«Non ne hai motivo. Sono nella mia casa, e mio marito provvede ad ogni mia esigenza» gli rispose, cercando di mostrarsi serena.
«Converrai che una donna sposata avrebbe bisogno anche di un altro tipo di attenzioni. Attenzioni che io potrei darti…» le si avvicinò, carezzandole i capelli e fissandola con le sue iridi grigie.
«Lor Baelish» si scostò piano da lui. «Non è il caso che tu ti prenda tali libertà. Ti trovi al cospetto della regina del Nord, peraltro sposa del re proclamato da tutte le casate e gli alfieri» lo sguardo serio e irremovibile.
«Se non fosse stato per me il tuo caro re ora sarebbe morto, e tu mio amore avresti fatto la medesima fine.»
«E’ vero, ma non sei forse stato tu a voler metterti a mia disposizione, quando ci siamo incontrati? Le cose da allora sono cambiate, che tu lo voglia o no, Jon è il re di Grande Inverno, di tutto il Nord e io sono sua moglie.»
Sansa ansiosa di poter prendere congedo da lui, pregò che Spettro la raggiungesse, ma il metalupo quel giorno, non s’era visto in giro. E a meno che Dito Corto non le avesse usato violenza - cosa che era esclusa - Spettro non avrebbe fatto nulla.
Sperò allora che qualcun altro passasse nei dintorni, magari Brienne, ma lei a quell’ora si allenava con il suo scudiero.
«Il matrimonio dev’essere anche consumato, per essere valido. Così dicono le usanze del Nord» sorrise ambiguo.
Non sarebbe riuscita a sopportare la sua presenza un istante di più. Anche a quella distanza le pareva di sentire l’odore stomachevole dei suoi raggiri.  
«Noi abbiamo giurato davanti agli Dei. Jon resta mio marito in ogni caso.»
Ancora una volta Dito Corto era riuscito a insinuare insicurezza nel suo cervello.
«Un marito che nei tuoi riguardi manifesta una gelosia inesistente» mormorò, increspando le labbra.
Jon...
Completamente assuefatta da tutto ciò che le stava dicendo e ormai preda dei sussurri che lui in ogni modo le stava scagliando addosso, Sansa strinse i pugni delle mani, doveva andarsene.
Quando lo vide accorciare i metri che li separavano, indietreggiò, inciampando in una radice celata dal ghiaccio.
«Attenta, mia signora potresti farti male» il sorriso lascivo sul volto del Lord, mentre l'afferrava per la vita, lasciò il posto a un’espressione irritata.
«Grazie, ma ora è meglio che vada» mormorò cortese, cercando di divincolarsi da quelle braccia che le avvolgevano la vita. «Ho diverse faccende da sbrigare e devo dare ordini alla servitù per la cena.»
Ma il Lord fece finta di non sentirla e lei ingoiò a vuoto. Le parole amare appena subite l'avevano annichilita, e l’unico essere che avrebbe voluto vedere davanti a sé non aveva manto bianco, ne capelli biondi. Ma ondulate ciocche nere che gli lambivano le spalle, due occhi di tenebra e ciglia lunghe che gli orlavano le palpebre.
....Aiutami.
«Pensi forse di battere il tuo maestro con scuse così poco credibili?» le sussurrò, sfiorandole l'orecchio con le labbra.
Sansa strinse le mani sul suo braccio e cominciò a respirare affannosamente, alla ricerca di un pensiero che la tranquillizzasse e sopprimesse quel malessere che le rivoltava lo stomaco per quella vicinanza.
Vedeva appannato, le lacrime amare, tra non molto l’avrebbero tradita, rivelando tutta la sua debolezza, lasciandola desolata e vuota come un villaggio razziato.
Aiutami, Jon.
Si morse un labbro fin quasi a inciderselo, rifiutando le stille salate e la morsa che le bruciava la gola, perché sapeva che se si fosse arresa, dando voce a tutte le paure che le infestavano i pensieri, non sarebbe più stata capace di mantenere la lucidità necessaria a salvarsi.
«Lord Baelish» articolò glaciale il re del Nord, calpestando la neve e avanzando nella sua direzione. «Hai un solo istante per togliere le mani di dosso a mia moglie.»


 

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Capitolo 3
*** Senza maschere III ***


III
Senza maschere



 
 
Sansa perse un battito nel vedere comparire davanti ai suoi occhi proprio colui, che aveva invocato, con tanta disperazione. E una scintilla, che non sfuggì all’occhio attento di Baelish, comparve sul suo pallido incarnato, illuminandolo.
«Maestà» disse Dito Corto, incrociando gli occhi quasi neri di Jon. «Non fraintendete le mie intenzioni. Ho solo evitato che Lady Sansa cadesse sul ghiaccio.»
Jon ignorò le sue parole, superandolo e guardando Sansa staccarsi da Dito Corto quasi con brutalità, senza però azzardare un passo nella sua direzione.
«E’ vero» mormorò Sansa, sentendo lo sguardo del marito addosso.
Veloce aveva indossato la sua maschera quieta, quella che ormai s’era abituata a tenere da troppo tempo, optando per dirgli una mezza verità. Voleva proteggerlo dalle sue brame. Si sarebbe fatta carico di tutto, e tutto sarebbe andato bene.
Peccato che i pensieri di Sansa non fossero affatto condivisi da Jon che ora con aria severa la scrutava incredulo.
Stava per caso coprendo Lord Baelish? Perché?
Era uscito con andatura sostenuta dalla Torre Spezzata solo per dirigersi in quel cortile e soccorrerla nel caso quel lord le stesse facendo proposte poco nobili, nel caso lei avesse bisogno d’aiuto. E invece ora Sansa pareva addirittura proteggerlo? Ma quanto era stato stupido a seguire quel suo istinto, a pensare che lei avesse bisogno di lui? Ragionandoci su, Sansa in quei mesi, non s’era mai esposta più del dovuto, e prima dell’arrivo di Baelish avevano si passato molto tempo insieme, ma il loro percorso restava tutto in salita. E se c’erano troppe cose che di lui, lei non sapeva, lo stesso si poteva dire di lei.
«Lord Baelish» esordì il re del Nord in un soffio, allungando il braccio e prendendo la mano di Sansa. «Vogliate scusarci, ma è meglio che conduca mia moglie nelle nostre stanze. Giorni fa non è stata bene, e non è il caso che prenda ancora freddo qui fuori.»
«I miei rispetti, sire» rispose il Lord, facendo un mezzo inchino con il busto.
Sansa lo seguì senza battere ciglio. Ad ogni passo che facevano le guardie chinavano il capo al loro passaggio.
Jon continuava a guardare dritto davanti a sé.
Sansa, dopo minuti buoni di cammino verso la loro stanza, si ritrovò ad osservare le fiamme delle candele appena  accese nei vasti corridoi. Nemmeno s’era resa conto dell’arrivo della sera.
Jon la teneva con una possessività che quasi la fece esaltare. 
Possibile che lui fosse geloso?

Quando giunsero davanti alla camera patronale, lui dopo aver aperto la porta attese che lei entrasse e solo dopo averla richiusa si concesse di sospirare pesantemente.
Sansa si mordicchiò il labbro inferiore, quando sentì quel suono. Non ci voleva molto a capire che fosse arrabbiato.
«Sei fradicia di neve» le disse Jon. «Faccio venire qui le tue ancelle così che possano aiutarti ad asciugarti, prima che ti prenda un malanno.»
«Non ce n’è bisogno. Aspetta, faccio in un attimo» si avvicinò all’armadio e tirò fuori una veste asciutta, togliendo di dosso quella bagnata.
Quando uscì da dietro il separé lo vide seduto su una sedia. Sembrava scrutate le pelli interessanti delle sue maniche a giudicare da come le fissava.
«Ascolta Jon riguardo a prima» proruppe, strusciando le mani sul velluto della sua gonna.
«Hai già confermato che le parole di Lord Baelish fossero vere, sbaglio? Cos’altro c’è da aggiungere?» esibì un sorriso amaro.
«E allora cos'è quel tono? Mi tratti come se ti nascondessi qualcosa.»
«Non mi sembra che tu sia nella posizione di poter accusare me ora.»
 
A sera inoltrata, Sansa correva tra i corridoi di Grande Inverno. La strada che la separava dalla libertà e da suo marito era lontana. Aveva sentito l’annuncio di una delle guardie. Qualcosa la distrasse, quando i suoi occhi incrociarono un’arcata familiare.
Era la stanza dei suoi genitori.
Subito si precipitò ad aprire quella porta, dimentica di ogni cosa, come se lì ci fosse stata la risoluzione a tutti i suoi problemi.
Ma la sua corsa s’arrestò quando una mano fredda le ghermì il polso. Subito ruotò il capo incupendo il viso nell’incrociare due occhi grigi e tempestosi.
Era Lord Baelish e al suo fianco c’era Ramsay.
La corsa era finita. E stavolta nessuno l'avrebbe salvata…

«Jon» mormorò riaprendo gli occhi ansante e toccando il posto vuoto accanto al suo.
Era già la terza volta che faceva quell’incubo.
Ed era la terza notte che dormiva da sola. Quella camera non gli era mai sembrata così cupa. Era stata lei stessa a far affrescare le pareti, a cambiare le suppellettili e l’arredamento. Era così vivace, eppure da quando Jon se n’era andato, non faceva altro che sembrarle spenta, tetra. E tutto era cominciato la stessa sera di quel diverbio, quando una guardia aveva bussato alla sua porta consegnandole una lettera, che diceva suddette parole:
 
Sansa, non aspettarmi per cena questa sera. Io, ser Davos, Lord Baelish e Lord Glover consumeremo il pasto nella sommità della Torre Spezzata. Tra non molto giungeranno a Grande Inverno i membri di altre casate, pertanto ti chiedo di intrattenere le spose dei lord.
Per quanto riguarda la nostra ennesima discussione, penso sia meglio evitare almeno per qualche notte di dormire insieme. Vedrai che farà bene a entrambi.

Jon
 
Sansa aveva riletto quelle poche righe più volte, prima di recarsi nella sala. Sapeva cosa doveva fare con le mogli dei Lord che stavano giungendo, ma le ultime parole che Jon le aveva scritto, non avevano fatto altro che agitarla.
Fino a poco prima aveva creduto che tutto si sarebbe risolto come sempre, con un breve battibecco e con una dormita. E invece ora...
Quando le guardie aprirono la porta della grande sala dei banchetti, Sansa si guardò attorno. Se non altro non si poteva dire che si sentisse a disagio, fatta eccezione dello scudiero di Brienne li dentro erano tutte donne. 

Nella Torre Spezzata, il giovane re del Nord, cercava di focalizzare i pensieri su qualcosa di diverso da Dito Corto.
Non aveva creduto una sola parola di ciò che poco prima quell'uomo aveva detto davanti a Sansa.
I suoi occhi grigi, non gli trasmettevano fiducia, tutt'altro. 
Come aveva osato toccarla?
Jon cercava di essere discreto, ma non riusciva ad impedirsi di provare nei suoi confronti una rabbia incontenibile. 
La condivisione del tavolo del concilio ristretto, non gli era d’aiuto per ammansire il suo risentimento. 
E come se non bastasse, a buttarlo ancora più a terra c’era stato anche il comportamento di Sansa.

Nel primo pomeriggio di tre giorni dopo, Sansa dopo aver compilato alcune carte e fatto richiesta per provviste che mancavano nella cantina, risalì i gradini delle scale, incontrando Brienne, che senza corazza indosso e solo con una camiciola larga, non aveva affatto perso la sua aria da indomita guerriera.
«Perdona la domanda, mia regina» gli disse la donna, dandole del tu, nonostante il suo nuovo ruolo.
«Cosa c'è, Brienne?» percorsero assieme il corridoio che avrebbe condotto Sansa nella stanza della lettura e del ricamo, dove le sue ospiti l'attendevano.
«Sono preoccupata per te. Sembra che tu non faccia altro che sovraccaricarti di lavoro. Il tuo volto sembra sofferente, e credo che al re, tuo marito, non farà piacere questo tuo stato.»
«E dove lo vedi mio marito ora?»
 
Nessuno dei due aveva il coraggio di dire all’altro ciò che realmente provasse, e forse perché nemmeno riuscivano a dirlo a se stessi. Ma tutti e due cercavano un contatto anche sfuggente. 
Sansa, mentre raggiungevano i loro scranni, gli aveva sfiorato il braccio e Jon aveva percepito un brivido, credendo che fosse solo un caso, sconcertato di trovarsi a simili livelli di angoscia. 

Dito Corto in quella settimana, non si fece sfuggire nemmeno un'azione tra i due regnanti. Da fonti sicure aveva saputo che il re avesse provvisoriamente abbandonato la camera nuziale per la notte, affrancando giustificazioni. E questo non poteva che renderlo felice, perché come aveva previsto la smania di protezione della sua allieva la stava solo facendo precipitare ancora di più nel baratro. Gli sciocchi Stark s’erano sempre rovinati con le proprie mani e nemmeno questa volta il caso da lui studiato avrebbe fatto eccezione.

Jon prestò attenzione ad ogni movimento del Lord, restando sull'attenti.
Più volte ser Davos gli aveva consigliato d’attendere di portare a termine le trattative. Parere che seppur a fatica, vista la sua indole stava tentando di seguire. Non poteva fare passi falsi, ne ostentare acidità verso un Lord che l'aveva aiutato in guerra. La frustrazione che  albergava nel suo animo era devastante.
Sapeva di star facendo la cosa giusta, ma ogni notte non poteva far altro che sentirsi stupito nell'avvertire quanto fosse diventata straziante l'assenza di sua moglie al suo fianco.
«Non torni in camera nemmeno questa notte?» gli aveva chiesto lei per cinque giorni di seguito, ottenendo solo il suo diniego.
Jon sospirò nel rammentare quella domanda, perché anche se l’apprensione lo conduceva ad andare a vedere come stesse, a monitorare il suo sonno agitato, la sua indole lo obbligava a non dargliela vinta. E soprassedere troppe volte sul suo carattere e su quel modo di fare ambiguo avrebbe portato il loro rapporto alla rovina.
La vita era stata dura con entrambi e qualche giorno di separazione almeno notturna, non avrebbe fatto che giovare ad ognuno di loro.
Non torni in camera nemmeno questa notte?
No, non poteva cedere, non poteva permettere che il modo di fare della sua giovane sposa passasse inosservato ai suoi occhi.  

Sansa guardava il soffitto della camera padronale, incapace di chiudere occhio. Conosceva Jon da sempre, sapeva quanto fosse testardo. E se fino ad allora s’era ingannata, raccontando alla sua testa una marea di fandonie per renderlo ostile e troppo orgoglioso ai suoi occhi, quel giorno qualcosa di simile al senso di colpa si presentò nel suo stomaco al pensiero di come s'era comportata con Jon. E quella percezione le stava facendo a brandelli il petto, con una forza che le rubava il fiato e la spezzava.
Rammentò le volte in cui Jon durante il suo dormiveglia inquieto s'avvicinava a lei, sussurrandole parole placide all'orecchio per farla sentire meglio, sicuro che lei stesse ancora dormendo.  
Non gli aveva mai rivelato d’essere in stato di semi veglia in quel momento, e lui s’era illuso di non essere udito, ma lei s’era saziata di tutte le premure che solo a lei aveva dedicato.
E anche quel piccolo segreto, non faceva che aggiungersi a tutti i mattoni di cose che si premuniva a nascondere a Jon.
Tra loro c’erano troppe parole non dette. 
Ma se si fosse liberata, lasciandosi guardare per com'era cambiata, poi lui l'avrebbe accettata?
Jon aveva solo visto che fine avesse fatto fare a Ramsay, ma c'era anche dell'altro.
Le oscenità e le brutture che aveva subito nella sua vita l'avrebbero perseguitata sempre, velando il suo aspetto di una luce sporca.
La giovane regina artigliò le coperte e si rannicchiò su se stessa.
Forse, ingenuamente aveva temuto che lui s’accorgesse del suo malessere, dei suoi vestiti imbrattati di sangue immaginario, di quel pugnale che s’era conficcato tra le vertebre e affondava sempre più, provocandole un assurdo dolore.
Dentro aveva una tale desolazione, che si sorprendeva di riuscire ancora a respirare. 
Quella notte, la sesta che passava da sola, quando ancora una volta non lo vide raggiungerla, Sansa sentì una morsa in gola e pianse, soffocando i singhiozzi tra le coperte aggrovigliate, consapevole forse di essere davvero dalla parte del torto.
«Sansa, ricordi cosa ti dissi ancora prima che ci sposassimo?»
«Parlasti di fiducia» rispose, mentre lui si alzava dalla sedia.                                
«Già, e fino a che tu non nei avrai nei miei riguardi, tieniti pure i tuoi segreti per te, perché ne ho abbastanza delle tue risposte cortesi, delle tue bugie. Sono circondato da nobili falsi che cercano solo i miei favori. E tu che mi tieni lontano, cosa ti aspetti ora?»
Era una punizione quella che lui le stava dando, ed era tutto nelle sue mani. 
Era lei la cieca, perché in realtà lui l’aveva sempre vista.


Il giovane re del Nord portò un pezzo di carne alla bocca, mentre la regina al secondo boccone aveva già riposto le posate. 
«Non hai finito le barbabietole e nemmeno la torta» Jon si voltò alla sua sinistra, carezzando il volto di Sansa. «Sicura di essere sazia?»
La moglie abbassò lo sguardo timidamente e per un attimo la voce roca del marito quasi la convinse a mangiare, portandola a dargli retta, forse speranzosa di riuscire anche ad avere il suo perdono. Ma poi scosse il capo, abbassando di nuovo gli occhi. 
Quella sera a Grande Inverno erano giunti i Mormont, i Manderly e i Kastark. E tutti i membri delle casate, dame comprese, non avevano fatto a meno di notare quanto i due regnanti fossero uniti.
Solo loro parevano non accorgersene.
I musicanti davano il sottofondo a quel banchetto. 
Dito Corto accortosi della stessa cosa, ogni tanto mandava delle occhiate in tralice ai due ragazzi, aggrottando le sopracciglia. Bran era alla destra di Jon e mangiava il suo cosciotto d’agnello, Meera che non lo lasciava mai un attimo versava dell’acqua nella coppa. 

Tutto il resto dei commensali godeva del banchetto, ridevano tutti. Tutti eccetto loro, costretti a chinare lo sguardo all’altezza del cuore. Avevano entrambi l’espressione stremata dalle privazioni di cui si facevano carico e dalla cocciutaggine e il senso d’onore che sempre aveva rappresentato la loro casata. Il re e la regina avevano l’aria stanca, consumata. Non sembravano due ragazzi con una vita davanti, ma piuttosto parevano simili a due uccelli in gabbia.
Tutto quel castello, quei doveri che avevano addosso erano una prigione, il Nord un peso che gravava sull’animo d’entrambi. E ciò che li faceva andare avanti era un fiotto di speranza nel pensare che forse un giorno non troppo lontano avrebbero ringraziato d’avere quella posizione.
La musica si interruppe appena il re del Nord si mise in piedi.
Il silenzio sembrò insostenibile e fu lui a smorzarlo, esortando gli invitati ad andare avanti.
Non passò mezz’ora che anche Sansa si ritrovò a lasciare la sala, non ce la faceva più, voleva parlare con Jon. Voleva stare con Jon.
Una guardia le indicò il luogo in cui il re s’era recato. E dopo aver percorso tre corridoi e salito le scale, Sansa si ritrovò davanti ad una porta.
Poche candele illuminavano quella stanza usata solo per riporre vecchi mobili in disuso. La falce lunare illuminava una porzione di pavimento, lasciando il resto della camera nell’oscurità più totale.
 
«Jon» lo chiamò torcendosi le mani. «Sei qui dentro?» fece un passo avanti, guardandosi attorno.
«Perché sei andata via dal banchetto?» replicò, toccandosi le tempie.
«E’ qui che venivi quando le guardie non ti trovavano nell'altra camera? Dove sei?» glissò la sua domanda, camminando alla cieca.
«Non penso di doverti delle spiegazioni su ogni minimo movimento che compio»  le rispose comparendole davanti. «Va a riposare. Non è un posto adatto ad una regina questo.»
«Ti da così fastidio passare del tempo con me, quando non siamo in mezzo agli altri?» il tono quasi isterico fece sollevare le palpebre di lui.
«Sansa, non voglio litigare» le diede le spalle, facendo schiantare il cuore di Sansa dal torace allo stomaco.
Ma la verità era che s’era voltato perché, con lei così vicina, non riusciva a ragionare bene.
«A te non importa nulla di me come compagna, si vede da come ti comporti, quando siamo soli» aveva sbottato la ragazza.
Ma di cosa stava parlando? Possibile che… Meditò Jon.
«E’ questo quello che ti ha detto Baelish?» il giovane aggrottò le sopracciglia nel vederla annuire.
«Ha ragione» gli lanciò un’occhiata piena di rancore, facendo stringere i pugni al ragazzo dalla frustrazione. 
«Sapevo che tra noi non sarebbe stato facile, ma...»

Jon sospirò stancamente e le fece un cenno di saluto.
Come poteva pensare che non gliene importasse nulla dopo l'impeto con cui l'aveva presa solo dieci giorni prima? Doveva andarsene prima di essere completamente in balia di quell' istinto che s'era liberato dopo essere ritornato a nuova vita, perché era chiaro che qualcosa in lui fosse mutato. Sentiva l'oscurità del suo animo e la flebile luce di quello di Sansa lo attraeva e lo bruciava al tempo stesso.
Dalla sera in cui l’aveva baciata, una catena s’era legata a lui, qualcosa che forse non avrebbe più sfilato. 
«Aspetta» lo esortò lei, temendo di rimanere nuovamente da sola, temendo di allungare quel supplizio. «Io ho sbagliato e forse continuerò a fare altri errori, ma tu mi degni a stento di parola ultimamente.»
«E chi ha cominciato con quest’atteggiamento?» s’era voltato nella sua direzione, facendola trasalire così tanto che lei si ritrovò ad aprire la bocca e richiuderla per alcuni secondi.

«Ma...» biascicò.
«Ciò che mi fa più male, Sansa» mormorò tenendo le distanze da lei. «Non è sapere che quel Lord cerchi di rendermi indegno ai tuoi occhi…» la voce carica di tristezza e le sue iridi nere come carbone puntate nelle sue. «Ciò che mi fa più male è sapere quanto tu creda ad ogni parola che lui ti dice» la superò, lasciando dietro di sé solo la scia del vento prodotto dal suo mantello. 
No, non andare via.
Prima che lei stessa se ne rendesse conto, le sue gambe si mossero in un fruscio di velluto. E in un attimo chiuse le braccia attorno alla vita di Jon, affondando il viso nelle sue spalle larghe.
Lui restò pietrificato da quell’azione, sentendo i battiti cardiaci accelerare e la gola secca. Sansa era alle sue spalle e lo stringeva contro il suo corpo, con una disperazione quasi sorprendente.
Non la vedeva, ma sentiva il rumore frenetico dei suoi respiri.
Perché ti comporti così ora? Perché non dici davvero cosa pensi? Avrebbe voluto dirle.
Avvertì il suo fiato spezzato e qualcosa di tiepido scivolare sul suo collo.
Sansa stava piangendo.
Lei s’accorse d’aver permesso alle stille di rigarle le guance, solo pochi secondi dopo, ma non se ne preoccupò, non le importava. La sua copertura, la sua maschera si era schiantata al suolo non appena aveva capito cosa comportasse tenerla addosso. Non appena aveva capito di rischiare di perdere Jon.
Jon si voltò a guardarla, le prese le mani e sollevò le palpebre stupito di trovare tra le sue dita una chiave.
La chiave della camera patronale.
«Che significa?» sollevò l’oggetto davanti ai suoi occhi azzurri, deglutendo nell’incrociarli. Le sue iridi illuminate dalla luce lunare brillavano, dando un tocco etereo al suo viso.

«Significa che non torno lì, fino a che con me non ci sarai anche tu, sono stata chiara?» il finto tono altezzoso lo sorprese.
E in quell’attimo, Jon non seppe se essere felice di vederla finalmente crollare e assumere quell’umanità che quasi stava perdendo o rammaricarsi, per essere stato la causa del suo dolore.
Ma non fece in tempo a darsi una risposta, che subito sentì il tocco di lei sul volto.
Che cosa stava facendo ora? Non s'aspettava affatto quella risposta corporea.

Sansa libera dai suoi freni inibitori e confortata da quella penombra, esplorò ogni curva, ogni spigolo, ogni ruvidezza, ogni avvallamento del volto di Jon, percorrendo coi pollici l’arcata delle sue sopracciglia, la cicatrice sulla fronte, con gli indici le mezzelune delle sue occhiaie, con i palmi la barba. Quando premette il pollice sul labbro superiore, lui si ritrasse in imbarazzo.  

«Sansa» lei fece finta di non averlo sentito e premette l’anulare anche sul labbro inferiore, sentendo i respiri accelerati del ragazzo, proprio come lo erano i suoi battiti cardiaci.
«E’ successo davvero allora? Non l’ho sognato...» lo fissò sorridendogli dolcemente. «Noi ci siamo baciati, non è così?» 
«Smettila» non avevano mai parlato di quell’unico contatto intimo, di quel bacio.  
«Rispondimi, Jon» le sue mani scesero sulle sue braccia esigenti d'esortarlo a tenerla più vicina a sé, esigenti di sbloccarlo da quello stato di privazioni in cui s'era chiuso. 
In quelle notti solitarie un fiume di domande l’ aveva assalita. Sapeva solo che nell’esatto istante in cui le loro labbra s’erano unite, s’era sentita dannatamente viva.
«E' successo» mormorò lui, respirando a fondo.
«Perché non l'hai più fatto?» percorse i suoi capelli neri con le dita. Erano morbidi e profumati.
«Perché pensavo d'averti mancato di rispetto» rispose sincero
«Io...» si mordicchiò il labbro, abbassando le palpebre. Uno strano sfarfallio le solleticò lo stomaco. 
«Tu?» Jon affondò il viso fra i suoi capelli rossi e la sentii sussultare. Di certo non si poteva dire che fosse in uno stato di timidezza migliore di quello di lei. 
Quella conversazione inaspettata stava assumendo dei toni dannatamente inattesi, ma così puliti per entrambi. Dei toni che forse non avevano mai avuto con nessun altro.
«Io vorrei che tu lo facessi ancora» gettò lei frettolosamente, mentre lui schiuse le labbra incredulo. Aveva sentito bene?
Qualche secondo dopo, capendo d'un tratto la portata delle sue parole, lei avvampò in volto.
Dei, che cos'aveva detto? Ed ora Jon cos'avrebbe pensato?
«Fa finta di non aver sentito» esordì ansiosa. 
Jon socchiuse gli occhi, accennando un lieve sorriso. 
«Sansa» soffiò sulle sue labbra, facendola trepidare. «Potrei non ricordarmi come si fa» la sentì ridere  in modo impacciato a quella battuta e riacquistando il dominio del proprio corpo, le circondò la vita.
E prima di accontentarla e di appagare anche le proprie brame, la guardò intensamente, beandosi di quel sorriso timido che lei continuava a dedicargli.
Lei era bella e terribile come un’aurora morente...
...Sansa era una catena che odorava di prigionia.

 
                                                   
Il giorno di abbandonare Grande Inverno infine era giunto,
Jon prima di entrare nella camera di Bran 
vide quella che allora  pensava essere la sua sorellastra dai capelli fiammanti
camminare a passi veloci nel corridoio. 
Anche quel giorno lei non gli rivolse la parola, ne lo salutò
Indomita proseguì il suo percorso con aria altezzosa, come sempre era solita fare
quando si incrociavano.
Ma Jon ancora non immaginava che prima di rivedere Sansa sarebbero passati anni. 
E soprattutto nemmeno si aspettava di non essere più guardato con astio da lei, 
che quella notte gli aveva rivolto il sorriso più radioso che avesse mai visto sul volto di una donna.
Il sorriso che forse inconsciamente aveva sognato di poter ricevere fin da quando l'aveva rivista. 


 
 
Angolo dell'autrice

E dopo una settimana passata tra pasticche e febbre da cavallo ritorno ad aggiornare questa storia. Ah, influenza, vattene via!
Come sempre, vi aspetto nei commenti, cari recensori. ^^

 

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Capitolo 4
*** Accordi tra coniugi - 4 ***


IV
Accordi tra coniugi




 

L’aurora per Jon aveva il sapore del dolce che lui e Sansa avevano appena assaporato nella sala dei banchetti.
Era stato un bacio diverso da quello che s’erano scambiati la prima volta, era stato qualcosa di consapevole da entrambe le parti. Lei gli aveva avvitato le braccia attorno al collo, ed erano rimasti nella lugubre oscurità di quella stanza gelida a dimostrare con i fatti ciò che ancora non riuscivano a dire a voce, suggellando un tacito accordo che forse sarebbe stato stipulato a parole solo in seguito…
Tuttavia, il gorgoglio eloquente dello stomaco della ragazza diede fine alle effusioni dei due.
Jon rise mesto, mentre Sansa arrossì vistosamente.
«Andiamo» si affrettò a dire lui, facendole strada.
Qualche minuto dopo aver varcato assieme la soglia di una camera a debita distanza dalla sala dei banchetti, Jon ordinò ad una serva di portare delle pietanze a entrambi.
Lui per incoraggiarla a mettere qualcosa nello stomaco s’era messo a mangiare a sua volta.
Il giovane a differenza della moglie era più veloce a consumare i pasti, ma ordinato.
«Come faremo a finire tutto?» chiese Sansa, mentre Jon le allungava un altro piatto.  
«Scommetto che ci riusciremo» sollevò un sopracciglio, incitandola a ingurgitare altro cibo.
Sapeva che non avesse mangiato molto in quei giorni e non gli interessavano affatto le sue repliche.
«E' molto buona» considerò lei, inforcando un altro pezzo di torta.
Con una coppa di vino in mano Jon osservò le labbra piene di Sansa, che lente si chiudevano attorno a quel pezzo di torta alla frutta, come una cerniera di carne.
Erano dannatamente attraenti quelle labbra...
Quando si avviarono nei pressi della loro camera, Jon vide affiorare sul volto della moglie una smorfia di dolore, e notando la sua difficoltà nel camminare le mise il braccio attorno alla vita, sostenendola.
«C’è qualcosa che non va?» mormorò vicino al suo orecchio.
«Penso di sapere che cos’ho, devo solo verificarlo» prese un lungo respiro.
Ormai varcata la soglia della camera patronale, Sansa si staccò da Jon e si avvicinò all'armadio, tirando fuori qualcosa a cui lui non prestò molta attenzione.
Con una candela tra le mani lasciò la camera, recandosi in quella adiacente.
Sollevando un sopracciglio, per quell'improvvisa azione, il re fece scivolare la camiciola di velluto dalle spalle, gettandola poi sul mobilio.
Ma che le prendeva di nuovo?
Ormai preparato per la notte si infilò sotto le coperte, restando seduto, in attesa che lei tornasse
«Allora, che hai?» domandò, quando la vide comparire da dietro la porta.
«Quello che viene ad ogni donna una volta al mese» rispose frettolosa, tenendo una mano sul ventre e stendendosi al suo fianco.
«Ti faccio portare qualcosa?» istintivamente posò la fronte sulla sua, baciandola a fior di labbra.
Sansa sempre più conquistata dai suoi modi, sentì un fremito su tutto il corpo e vagamente in imbarazzo abbassò le palpebre, mentre lui più tranquillo di due ore prima la osservò perplesso.
Il giovane re aveva sentito storie da alcuni uomini sul fatto di come fossero strane le mogli in quelle giornate, ma Sansa, a detta sua lo era di continuo, dunque non riusciva a fare differenze.
Di certo Jon, non poteva immaginare che il tremolio di Sansa non era affatto dovuto al bacio che le aveva lasciato, ma proprio all’affetto che le dimostrava in ogni momento e che ancora faticava ad accettare.
«No, non mi fanno nulla quegli infusi, ma forse mi sentirei meglio se…» gli voltò le spalle, posando la mano del ragazzo sul suo ventre. «Questo funziona meglio di ogni qualsivoglia intruglio nauseabondo.» 
«Se è il calore a darti sollievo, ti terrò stretta a me tutta la notte» Sansa sentì il torace del marito aderirgli addosso, le mani ghermirgli il ventre e il capo reclinargli sulle spalle teneramente. La pelle di Jon era morbida, delicata. E trovarsi tra le sue braccia la faceva sentire in pace e al sicuro. 
Nessuno riusciva a contenere i suoi conflitti interiori, come Jon che le tendeva le mani, proteggendola da se stessa e da quei pensieri oscuri che la sommergevano. 
«Jon» sussurrò flebile dopo diverso tempo di silenzio, cercando di distrarre la mente dal dolore. «Oggi non visto Spettro.»
«Sembra aver qualcosa da fare fuori da Grande Inverno ultimamente. Ma Ser Davos lo ha visto rientrare, prima che cenassimo nella sala dei banchetti» fioco il suo respiro si spostò sul suo orecchio e lei girò la testa istintivamente per inseguirlo, incontrando le labbra del ragazzo. 
S’addormentarono così quella notte, fusi in un’unica scura sagoma ferma e composta senza battere ciglio. Vicini come non lo erano mai stati in quel giaciglio, i respiri che si confondevano e un’intimità che stavano costruendo un passo alla volta.


I tre giorni successivi, i due regnanti svolsero le loro mansioni al castello. Jon aveva chiesto a Dito Corto di inviare parte dei suoi cavalieri a fare ricerche riguardanti l’ossidiana, e fabbri che sapessero lavorarla.
«Bran» lo chiamò, entrando nella sua camera assieme a Sansa e ser Davos. «Sei riuscito a dare un ordine alle tue visioni?» il re prese posto su una sedia e guardò Meera sistemare un cuscino alle spalle del cugino.
«Cersei Lannister dopo aver fatto fare misera fine a quasi tutti i Tyrell, facendo esplodere il tempio e spingendo senza volerlo re Tommen al suicidio, ora ha preso il suo posto sul Trono di Spade» disse Bran, causando una morsa allo stomaco di Sansa.
«C'è dell'altro?» gli chiese Jon.
«Tua zia sta navigando verso Westeros, accanto a lei c’è Tyrion Lannister. Una flotta di navi sembra andarle incontro.»
«Chi sono?»
«Uomini delle isole di Ferro. A comandare tutti c’è Euron Greyjoy. E in una una delle navi  di tua zia ci sono Theon e sua sorella.»
Appena sentì il nome di Theon, Jon contrasse le mani in un moto di rabbia al solo pensare che quel ragazzo con cui mai aveva stretto un legame profondo avesse tradito Robb.
Sansa cercò di ignorare la goccia di sudore gelido che gli corse tra le scapole e capendo cosa passasse nella testa di Jon posò la mano sulla sua, stringendola.
Sembrava si stessero curando a vicenda. Pareva che la loro unione stesse sbocciando solo in quei giorni in cui s'erano lasciati andare a sensazioni mai provate per nessun altro. 
Theon l’aveva aiutata a scappare da Ramsay, e non era più il ragazzo che anni prima suo padre aveva condotto a Grande Inverno come ostaggio politico. No, non era quasi rimasto nulla dell' erede delle isole di ferro, anche se nemmeno lei l'aveva perdonato, e mai lo avrebbe fatto.
Quando lasciarono la stanza di Bran, Jon camminò al fianco di ser Davos, lasciando la moglie un po’ indietro. 
«La buona notizia, maestà è stata quella di sapere che vostra zia si stia avvicinando a Nord. In questo modo non saremo costretti a recarci da lei.» disse ser Davos.
«Anche volendo non avremmo nemmeno avuto il tempo materiale per raggiungerla. Il continente a sud richiede mesi di viaggio in mare.»

Per tutto il resto della serata, Sansa si sentì tesa. Durante la cena Dito Corto aveva annunciato la sua partenza da Grande Inverno. E se da una parte era stata lieta di sapere che quel Lord se ne sarebbe andato dalla sua dimora, dall’altra sentiva una certa ansia. Conosceva le sue ambizioni, i suoi giochetti sarebbero durati fino a che lui avrebbe emesso l’ultimo respiro. Per cui vedere Jon rilassato la irritò così tanto da costringerla a mordersi la lingua pur di non girarsi in modo astioso con lui, o lanciargli un'occhiata poco affettuosa. Di sicuro nella sua mente da Stark, e non Targaryen, perché per quanto la riguardava, non aveva proprio ereditato nulla dai suoi parenti, suo marito stava gioendo per quello spostamento, mentre lei essendo realista sentiva un retrogusto amaro ad ogni pezzo di carne che ingoiava.
Amaro e soffocante.
Aveva visto troppe volte le manovre di Dito Corto, per non preoccuparsi di quell’improvvisa decisione. 
Un serpente non può avvelenare un altro serpente. Un rettile deve cercare una pasto prelibato e ignaro delle sue mire.

Quando un'ora dopo aver finito di parlare con gli alfieri e ser Davos, il re del Nord entrò nella camera patronale, vide Sansa seduta davanti allo specchio, con una veste rosa pesco e una giacca sulle spalle. Il crepitare del fuoco acceso animava lo spazio. E la luce scarna delle candele poste agli angoli della grande camera rimbalzava sullo stendardo degli Stark e il resto del mobilio.
La giovane moglie, non s'era nemmeno degnata di salutarlo e con una spazzola tra le mani pettinava in modo quasi frenetico i suoi lunghi capelli rossi.
Appoggiandosi al muro, lui attese che lei parlasse. I modi di fare di Sansa lo mandavano ai pazzi, e purtroppo avrebbe dovuto farsene una ragione. 
C’era qualcosa che non andava e il non sentirla rivolgergli la parola durante la cena l’aveva ulteriormente insospettito.
«Jon» lo chiamò lei, guardandolo dal riflesso dello specchio. «Perché te ne stai lì senza dire niente?» lo vide strizzare gli occhi come se non ci vedesse bene.
«E tu, per quale ragione mi hai ignorato per tutta la sera?» il tono impaziente e leggermente alterato.
«Vuoi una ragione, eh?» affondò ancora la spazzola nei capelli. «Lord Baelish è andato via da Grande Inverno, per fare un esempio» lo vide sollevare le palpebre incredulo.
«Avresti per caso preferito che stesse ancora qui a tormentarti? Mi sembra una buona notizia questa» replicò respirando rumorosamente.
«No invece!» si voltò lanciandogli un’occhiata di disappunto. «La sua presenza non mi è gradita, ma almeno qui avremmo potuto tenerlo sotto controllo. Come faremo ora?» posò la spazzola esasperata dalla sua ingenuità.
«Stai correndo troppo, anche Baelish conosce la minaccia che sta marciando verso la Barriera, non penso che…» si interruppe, quando la ragazza strinse i denti nella parodia di un sorriso sarcastico. 
Sansa si alzò di scatto, ma il movimento che in un’altra sarebbe sembrato brusco o sgraziato in lei assunse come di consueto qualcosa di fluido e incredibilmente elegante. L’orlo del lungo abito frusciò sul pavimento.
«A lui non importa nulla degli Estranei, lo capisci? Io non sono nemmeno sicura che ti abbia creduto» la voce alta intrisa di irritazione. «Lord Baelish vuole il trono di Spade, e tu che sei il re del Nord e anche un Targaryen, per lui resti un ostacolo. Vuole eliminarti, e ti rallegri di non vederlo più?»
«Sansa datti una calmata, stai esagerando» considerò, mentre lei gli girava intorno come una lupa inferocita.
Lui seguì per attimi interminabili ogni suo movimento: le sue dita lunghe che sfioravano piano le punte dei suoi capelli, soltanto per non guardare tutto il resto.
«Avevi detto che ci saremmo dovuti fidare l’uno dell’altra. E invece tu continui a fidarti più dei tuoi consiglieri che di me!»
Avvertendo una morsa allo stomaco nel sentire quel tono accorato e soprattutto quelle parole, lui allungò le braccia e la trasse a sé, circondandole le spalle. Doveva acquietarla, non riusciva farne a meno.
«Nel nostro discorso, non era incluso alcun rischio che ti riguardasse» Sansa posò il volto sul suo torace, socchiudendo gli occhi, senza però desistere dal proposito di convincerlo a darle retta.
«Non correrò alcun rischio.»
«Che cos'hai in mente?» le domandò rassegnato, inspirando la fragranza fruttata dei suoi capelli. Era sicuro che Sansa, non l'avrebbe lasciato in pace fino a che non l'avesse ascoltata. Ed era cosciente che in quel momento stava pensando. In quell’involucro di ragazza apparentemente innocente oramai albergava una mente sveglia e calcolatrice. Il suo cervello stava probabilmente formulando una soluzione, scartandone altre. Stava decidendo cosa dirgli, quanto dirgli e come dirglielo.
«Manderò qualcuno alla Valle a sorvegliarlo. So già come farlo passare inosservato» proruppe lei, rialzando il viso e prendendo tra le mani una ciocca sfuggita dalla coda dei capelli del marito.
Un’ espressione di riluttanza aleggiò per un attimo sui lineamenti di Jon illuminati dalle fiamme ondeggianti del camino. Gli occhi scuri persero ogni lucentezza, divenendo freddi.
Davvero credeva che le avrebbe concesso di mettersi in una posizione di pericolo?
«No, Sansa» disse implacabile, mollando la presa sui suoi fianchi.
«Perché no?» gli prese il viso tra le mani. «Tu tieni a salvare la nostra gente, vero? Se mi darai retta riusciremo a salvare tutti» soffiò, sulle sue labbra. 
«Ma più di tutto mi preme la tua di vita» socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro.
I battiti cardiaci del cuore di Sansa accelerarono nel sentire quelle parole e travolta da un emozione inaspettata, sempre più difficile da descrivere, strinse tra le mani la maglia scura e tesa sul suo petto.
Era normale essere percorsa da brividi, mentre un fuoco sembrava sprigionarsi dalle dita, stringersi fino ad ardere più forte al centro del palmo per poi avvolgerti tra le fiamme? 
«Nemmeno io voglio vederti morto, per cui... fidati di me» gli sussurrò con voce morbida.
Jon vezzeggiò la pelle delle sue guance sotto le dita, facendo scivolare la mano sul suo collo. E soffermando lo sguardo sulle labbra schiuse della moglie, avido di un contatto se ne appropriò esplorando l'intimità della sua bocca.
Sansa stava divenendo per lui un succo di passione e tenerezza distillato in una coppa argentata, stava diventando un tormento che si organizzava giorno per giorno a corrompergli il cuore e mutilarlo.
Lei si fece trascinare in quel vortice colorato che tanto nella vita aveva agognato, e che proprio la persona a cui meno aveva pensato gli suscitava.
Il suo tocco era delicato, pareva far attenzione ad ogni minimo contatto. Era fuoco, quando le si avvicinava e ghiaccio, quando lottava. Più volte in quei giorni, Sansa l'aveva visto sfogare la frustrazione repressa per l'imminente guerra contro un qualsivoglia pretendente. E ne era stata dannatamente attratta anche in quel momento.
Non poteva contare sempre sugli altri, questo l'aveva imparato. Aveva capito di poter contare soprattutto su se stessa.
Jon era diventato suo marito e nel profondo si fidava di lui, ma non voleva essere un peso. Se quello era il destino che le spettava, allora l'avrebbe affrontato a testa alta. Era rimasta dannatamente indietro. E mai come in quel periodo aveva sentito la necessità di recuperare il tempo perduto almeno in parte.
Insegnami, Jon.
«Facciamo un patto, maestà» disse Sansa.
«Vale a dire?» sollevò un sopracciglio. 
«Io insegno qualcosa a te e tu fai lo stesso con me» disse in un soffio.
«Cosa vuoi imparare, regina?» le mani del ragazzo si insinuarono tra i suoi capelli. 
«Quello che tu sai fare meglio» si rigirò fra le sua braccia, affondando il naso contro la base della sua gola. Lui aveva a stento sentito cos'avesse risposto, visto il tono flebile che aveva usato.
Sansa sollevò lo sguardo, strusciando lo zigomo sul suo e avvertendo il pizzicore della barba sulla pelle.
«Insegnami» ripeté, circondandogli la vita e fissandolo. 
«Che cosa?» le domandò ad un palmo dal naso, ipnotizzato dagli angoli affilati dei suoi occhi cerulei, dal modo in cui in quel momento gli parvero fissi come quelli che si intravedevano nelle raffigurazioni. Immobili come quelli di un dipinto antico e malinconico.
«Insegnami ad usare la spada» disse seria.

C’era stato un interminabile silenzio tra loro, ma era stato un silenzio strano, un silenzio che sembrava imprigionare entrambi lì dentro, per poi ingabbiarli in un vortice di parole che non venivano dette, ma che assordavano solo la mente. Le orecchie invece percepivano ogni cosa.
Nessuno può proteggermi. Nessuno può proteggere nessuno. 
«Jon» disse, quando lo vide allontanarsi. «Che ti prende?»
«E me lo chiedi? Tu hai sempre odiato ogni tipo di arma. Ed ora vieni a chiedermi di insegnarti ad usare la più cruenta di tutte? Cosa speri di imparare in poche lune?»
«E' vero, ma penso d'averti dimostrato più di una volta di non essere più la ragazzina che ricordi tu. La spada è l’arma più efficace a poca distanza. Non pretendo d'arrivare ai livelli di Brienne, non ci riuscirei nemmeno dopo anni d'allenamento, ma voglio saper badare a me stessa da sola.»
«Sei la regina del Nord, tutti sono al tuo servizio.»
«Chiunque potrebbe tradirmi proprio perché ho questa posizione. Forse è bene che cominci a portare con me anche un pugnale» considerò seria.
Jon 
deglutì a vuoto, espirando con forza.
«Come possono sorprenderti le mie parole?» si avvicinò al marito e slacciò i lacci della sua camicia, facendo si che lui restasse a torso nudo. «Guarda cosa ti hanno fatto i tuoi confratelli» alzò il tono di voce.
Jon sgranò gli occhi, guardandola attonito. Era stato lui stesso a rivelarle i fatti, a dirle di essere stato accoltellato dai guardiani della notte, eppure ascoltarlo dalle sue labbra gli fece salire un sapore amaro in bocca. Inoltre aveva fatto molta attenzione a cambiarsi lontano dal suo sguardo, non voleva spaventarla con quelle orribili cicatrici, non voleva che anche lei sfiorasse l'oscurità che lo attanagliava, eppure stranamente Sansa, non sembrava affatto impressionata.
Sentì le sue dita strusciare sul suo petto, rabbrividendo ogni volta che i suoi polpastrelli si soffermavano su quei segni indelebili.
«Ringrazio quella donna che ti ha riportato indietro ogni giorno» disse angosciata, alzando il capo.
«Sansa» la prese per le spalle, per allontanarla, come a volersi proteggere da quella franchezza che ora gli spiattellava addosso.
Lei serrò la mandibola e lo raggiunse nuovamente, non poteva permettere che lui cedesse a quello stato. Era arrivato il tempo di svelare ciò che ancora gli teneva celato, liberandosi da quel fardello solitario che portava addosso da troppo tempo.

 

 

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Capitolo 5
*** Segni - 5 ***


V
Segni


 

Incupito il re del Nord si sedette sul letto, restando a capo chino, quando le immagini della sua morte cominciarono a scorrere sulla sua retina.
Per diverso tempo - quando ancora dormiva da solo - aveva sognato quella notte a Castello Nero, rivivendo il dolore di ogni stilettata al petto intrisa di una brutalità e un odio spaventoso nei suoi confronti.
Era divenuto re e viveva nonostante fosse stato pugnalato mortalmente. Viveva per combattere ancora.
Quella realtà era così incredibile. Nemmeno dalla vecchia Nan aveva sentito delle storie così macabre, quando raccontava dei loro avi. Faceva male respirare, perché l'aria intorno a lui in quel momento era gelida e puzzava di sangue.
«Guardami, Jon» respirò affannosamente Sansa.
Forse fu il fruscio della sua veste che ora vedeva abbandonata alla rinfusa sul pavimento a convincerlo a sollevare il capo, forse fu il suo tono spezzato, o forse fu la consapevolezza di non essere più un lupo bianco solitario.
Gli occhi di Jon si riempirono d'orrore nel vedere dei segni a forma di croce sulle spalle di sua moglie. Non l'aveva mai vista in intimo, lei si affrettava sempre a nascondersi e vestirsi dietro quel separé, coprendo ogni centimetro di pelle.
In un gesto meccanico le sue dita andarono a toccare la pelle nuda delle sue spalle bianche, percorrendo ogni cicatrice, ogni lesione.
«Dei, Sansa» rantolò sconvolto.
Come la sua pelle, anche quella di lei urlava piena da cordoli rossastri e faglie incise dietro la schiena, sul ventre. Carne viva martoriata dalla lama di un mostro che avrebbe voluto uccidere altre mille volte.
Era quello il motivo per il quale ogni giorno preferiva fare a meno dell’aiuto delle sue ancelle nel vestirsi?
«Sono orribili, vero?» domandò lei con voce incrinata, mentre la vista le si appannava.
«No» avvitò le braccia attorno ai suoi fianchi, affondando il viso sul suo ventre. «Niente di te è orribile. Sei la ragazza più bella che abbia mai visto» la sentì singhiozzare sommessamente. Le mani di Sansa correvano tra i suoi capelli, come a voler trovare un appiglio a quel dolore che la straziava dentro.
Era così bizzarro che il destino li avesse fatti rivedere, quando parevano aver perso ogni fiducia nella vita, ogni sogno e prospettiva. Entrambi portavano sui loro involucri e nel loro animo i segni di qualcosa che ogni giorno li perseguitava.
C’era un’ombra nelle loro anime lacerate, che veniva rischiarata solo dal calore che si donavano a vicenda. E magari quelle ferite sarebbero rimaste, ma il malessere forse sarebbe sfumato se fossero rimasti insieme.
Jon alzò il voltò, quando le lacrime di sua moglie caddero sul suo volto, chiedendosi se avrebbe avuto la fortuna di veder invecchiare il suo viso. Ma forse gli sarebbe bastato solo sapere che fosse sopravvissuta.
 
Affiancata da due costruttori, Sansa percorse ogni ala del castello, indicando loro ogni danno da riparare. Quelli che venivano prima di tutti erano stati inferti ad alcune stanze che non ricevevano più il riscaldamento delle sorgenti calde del sottosuolo, poi c’erano tetti semi aperti, finestre rotte. La lista dei danni che i maledetti traditori Bolton avevano inferto al castello era lunga, ma per fortuna ora potevano contare sulla manodopera.
Jon aveva fatto giungere i migliori fabbricanti.  
Grande Inverno andava tutelata, visto che sarebbe divenuta il rifugio di molti quando la lunga notte sarebbe giunta.
 
«Vedo che la tua sposa se la cava bene nella vesti della signora della rocca» disse Tormund, notando l'andirivieni attorno alla regina. 
«Già, è sempre stato il suo sogno vestire questi panni» disse a voce bassa.
«Cos’è quella faccia, ragazzo? Sembra che tu abbia visto un fantasma, e non intendo il tuo amico a quattro zampe che ci segue» disse il Bruto, grattando la sua barba rossa.
«Tre giorni fa, lei mi ha chiesto di insegnarle a combattere» sospirò cupo, mentre Tormund sollevò le sopracciglia.
«Sei stato con una donna che non faceva altro che combattere» il re restò in silenzio. Il sentir nominare la sua prima donna, il suo primo amore gli aveva fatto sentire una morsa allo stomaco.
«Ygritte ci è morta in guerra» riprese a dire diversi minuti dopo.
«Lascia che lei faccia ciò che ritiene giusto. Da quel che so, tua moglie è stata nelle fauci del nemico per anni, riuscendo a tornare qui viva. Cosa vuoi fare? Chiuderla in una torre, fino a che non  sarà  tutto finito?»  lo vide voltarsi nuovamente nella direzione della sua sposa, che ora gli stava venendo incontro.
«Lei per me è tutto» disse in un sibilo che l'uomo udì.
«Sei proprio fottuto stavolta, ragazzo» Tormund gli circondò la spalla con un braccio. Ma forse a giudicare dallo sguardo che la regina del Nord, gli rivolgeva, persi lo erano entrambi.
 
 
Stringeva con frenesia le briglie del suo cavallo nero. Era tornato a Grande Inverno ad ora tarda e subito aveva visto il trambusto. L'ululato di Spettro che aveva preso a correre sulla brina gli aveva dato un po' di speranza. Poteva solo contare sul suo fiuto.
Aveva lasciato Ser Davos e Tormund indietro, sordo ai loro avvertimenti su una sempre più fattibile trappola pensata nei suoi riguardi.
C’era una tormenta di neve nella foresta; e il vento si abbatteva impetuoso sulle acque gelide del fiume che stava fiancheggiando.  
Una nebbia spettrale ammantava il panorama avvolgendo qualsiasi figura l’attraversasse. Le nuvole oscuravano la luna dando a quel luogo un aspetto funereo.
L’avevano presa.

Poteva essere stato Baelish, forse Cersei Lannister aveva introdotto qualcuno a palazzo, approfittando delle sue ripetute assenze e lei ora era in pericolo.
Lei che nemmeno sapeva difendersi.
Sansa.
Voleva solo riportarla a casa, poterla toccare, avvicinare le proprie dita alle sue, come tante volte ormai tra loro accadeva. Non riusciva nemmeno ad immaginare la sua assenza.
Bramava solo lei, più di quanto la sabbia cocente desiderasse essere preda dell’acqua.
Jon era sceso da cavallo, quando aveva sentito il suo lupo avventarsi su qualcuno.
Erano in dieci e uno di loro le teneva i polsi.
Le stava facendo male.

Fulmineo gli andò incontro, insinuando la lama del suo fendente nel corpo di ogni figura che gli ostruiva la strada. Non aveva tempo da perdere.
Avvenne tutto in pochi istanti, l’uomo coperto da un cappello ghignò sinistro, alzò il braccio, conficcò brutalmente un pugnale nel torace di Sansa e scappò via.
Dopo aver emesso un verso sordo, lei rovinò sul manto bianco e freddo, come un burattino a cui sono stati tagliati i fili.
Cadde in uno svolazzo di lunghi capelli rossi. Gli occhi azzurri e appannati che avevano incrociato i suoi.

Un urlo raggelante sfuggì dalla gola del ragazzo a quella visione. 
Veloce si precipitò su di lei, lasciando che l’elsa della sua spada, si conficcasse nel manto di neve, che ora si colorava del sangue di Sansa.
Disperato la sollevò da terra, lasciando che le lacrime gli scivolassero dagli occhi.
La sofferenza che quella visione gli stava causando era insopportabile, più di quella provata per Ygritte.
Ad ogni rantolo spezzato che ella emetteva il suo respiro come per riflesso diveniva mozzato, fino a che non sentì più nulla, perché lei chiuse gli occhi, smettendo di respirare, ormai crollata nel sonno della morte.

 
Jon si svegliò affamato d’aria. La fronte madida di sudore e il cuore che batteva freneticamente. Di scatto si voltò dov’era rannicchiata la moglie.
Lei era al suo fianco ed era viva.
Desideroso di un contatto, protese le braccia in avanti, accostandola a sé, sentendo il suo respiro sul collo.
«Jon» mugugnò Sansa, senza aprire gli occhi. «Così mi soffochi.»
«Non volevo svegliarti, mi dispiace» allentò la presa, senza però lasciarla.
«Hai avuto un incubo?» sfiorò il naso con quello del marito.
«Sì» rispose, inspirando profondamente.
Lei allungò il braccio e posò il palmo della mano sulla guancia morbida di Jon, come a volerlo tranquillizzare. Non voleva forzarlo a dire nulla, sapeva bene cosa significasse avere dei brutti sogni.
«Sansa» sussurrò piano vicino al suo viso.
«Dimmi.»
«Accetto lo scambio che mi hai proposto. Domani cercherò una camera adatta e inizierò ad allenarti.»
«Bene» disse in un soffio.
Ancora inquieto per cio' che aveva vissuto in quel sogno, Jon appoggiò il viso sul torace di Sansa e chiuse gli occhi, trovando conforto nel sentire il ritmo profondo del suo cuore. E pochi minuti dopo, mentre lei lo cullava tra le braccia, cadde in un sonno senza sogni.
 


 

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Capitolo 6
*** Nuovi piani da seguire - 6 ***


Salve a tutte le recensitrici e i recensori, mi ha davvero fatto piacere
 in questa settimana leggere tutti i vostri consensi a riguardo del sondaggio che avevo pubblicato,
per continuare questa storia.
Come avevo scritto, avrei tolto il sondaggio alla pubblicazione del nuovo capitolo che vi spoilero sarà di transizione.
Buona lettura.

 
 
VI
Nuovi piani da seguire 





 
Da quando Ned Stark l’aveva accolto nella sua famiglia, celando la sua vera identità dietro quella del figlio bastardo, Jon non aveva mai sofferto la fame, avendo a disposizione vestiti pregiati e scarpe di qualità. A otto anni aveva imparato a cavalcare, poi a tirare con l’arco. A undici anni gli era stata donata una spada di legno proprio simile a quelle due che aveva fatto preparare per lui e la sua consorte.
Sansa non aveva voluto né Brienne né altri ad allenarla. E ormai erano passati cinque giorni da quando avevano cominciato a battersi. A volte capitava che trovassero il tempo nel primo pomeriggio, altre in tarda serata.
Jon ricordò le notti in cui Catelyn Tully, guardandolo con disprezzo lo isolava all’esterno delle sale per banchetti di Grande Inverno rifiutandosi di presentarlo agli altri nobili, come fosse stato un rifiuto, qualcosa di cui poteva solo vergognarsi.
In quel tempo pervaso di umiliazione scaricava la sua frustrazione sul manichino di paglia, riducendolo in brandelli proprio come stava facendo in quel momento. A volte suo zio Benjen gli aveva fatto compagnia, a volte Robb o Arya lo raggiungevano, rientrando subito dentro appena quella che pensava essere la sua matrigna li richiamava.
Per quanto odiasse ammetterlo a se stesso, la verità era che un po’in quei momenti immaginava la faccia di Catelyn Tully su quel busto di paglia. Si odiava un po' ogni volta che riusciva a staccare un pezzo da quel fantoccio, provando però anche sollievo per lo sfogo finalmente appagato.
Forse era per via dell’odio e il rifiuto che Catelyn gli dedicava che da grande s’era sentito attratto da donne baciate dal fuoco come lo era lei, forse era per una sorta di riscatto verso colei che lo aveva sempre denigrato e rifiutato?
Forse. 
Chissà cos’avrebbe pensato Catelyn nel vederlo sposato alla sua  figlia maggiore, chissà cos’avrebbe detto nel sapere che non fosse affatto un bastardo?
Jon increspò appena le labbra in un ghigno a quella meditazione, distogliendo la mente da quei pensieri solo quando vide Sansa varcare la soglia della porta vestita con una larga casacca color panna e dei pantaloni in pelle. Si chiese se avesse tratto ispirazione da Brienne per modellare quegli abiti, che anche se avevano poco di femminile la vestivano molto bene.  

A volte lei si presentava così come la vedeva in quel momento o con un vestito lungo dai colori pastello. Jon non aveva replicato quello scambio, in fondo Sansa non aveva tutti i torti.
Era la regina e in pericolo le poteva capitare di trovarsi con qualsiasi tipo di abbigliamento.
La vide prendere la spada accostata al muro e sollevare il braccio in segno di sfida. Lo scintillio negli occhi chiari mostrava la sua determinazione.
Fiero di come si stesse impegnando, Jon rispose al suo attacco.
Sansa aveva il fuoco nei capelli e nelle offensive, doveva però imparare a confluire di più la rabbia nell'arma e difendersi.
Con un manrovescio la disarmò, puntandole in un istante l'arma di legno alla gola.
Trafelata la regina, dopo aver lanciato un'occhiata gelida al suo re fece un passo avanti e di nuovo tentò di colpirlo, venendo disarmata in pochi attimi. 
«Non va bene, Sansa. Quante volte devo dirti di mantenere la guardia e proteggere i tuoi punti vitali?» le rimproverò, mentre lei raccoglieva l'arma dal pavimento.
«Sei sempre così severo con i tuoi allievi?» gli domandò, tornando a guardarlo.
«In un allenamento del genere non posso assolutamente far passare i tuoi errori per buoni. Spero che tu comprenda che ogni distrazione può esserti fatale. Non devi avere alcuno scrupolo, perché il tempo perso per averlo può farti perdere la vita» concluse  Jon lapidario.
Restando in silenzio, Sansa scrutò per una frazione di secondi la sua spada in legno scuro.

Forse aveva desiderato imparare a usare la spada il giorno in cui aveva visto la testa di suo padre rotolare sui gradini del tempio di Baelor, forse quel desiderio si era rinforzato quando aveva scoperto che i Lannister avessero massacrato sua madre e suo fratello, di sicuro aveva voluto imparare a maneggiare qualsiasi tipo di arma, quando era stata obbligata a divenire la moglie di un mostro assetato di sangue.
Prendendo un profondo respiro, fissò Jon negli occhi, increspando lievemente le labbra.
«Farmi scrupoli dici? Hai dimenticato che fine abbia fatto fare al mio  defunto marito?» gli domandò in tono sardonico.
Le parole di Sansa ebbero l'effetto desiderato. Immediatamente gli occhi di Jon furono su di lei: larghi, scuri e inondati di shock e amarezza. 
«Ti ho detto di quando ero alla capitale?» riprese Sansa, camminando nella stanza. «Ogni volta che Robb ha ottenuto una vittoria io ne ho pagato il prezzo. Certo che si è sciocchi da bambini, come avrò fatto a idealizzare tanto un mostriciattolo come Joffrey che non aveva capacità di compassione o misericordia per nessuno? Ora sua madre Cersei pensa che sia stata io a uccidere quel folle di suo figlio. Sai, Jon, non so più quanti nemici abbiamo oltre agli Estranei...»
«Per questo dobbiamo essere uniti. Non so nemmeno se la regina Targaryen sia esattamente qualcuno di cui non aver timore. Le parole di Bran qualche settimana fa mi hanno lasciato perplesso. Una donna che ha Essos, non riesce a governarlo e parte per prendere tutto il mondo.»
«Parli della sorella di tuo padre cioè tua zia come se non avessi legami di sangue» disse Sansa.
Jon sollevò le spalle.
«Per me il Nord sarà sempre la mia casa. La mia famiglia siete tu e Bran. Tuo padre, e cioè mio zio sarà sempre l’unica figura paterna che avrò nel cuore, Sansa» le disse, avvicinandosi alle grate di una delle finestre. Vedeva il viale degli dei da quella posizione. «Prima di incontrare Daenerys Targaryen e cercare altri alleati contro questa minaccia mondiale, ho bisogno di una prova. Dovrò tornare laggiù.»
Sansa serrò la mandibola, sentendo i respiri aumentare e un brivido agghiacciante percorrerle la pelle.
«Pe... Perché devi andarci anche tu in quel posto, perché non mandi qualcun altro?» gli domandò quasi isterica. 
«Ti avverto, se andrai verrò lì anche io come ho fatto quando per giorni, vagando in lungo e in largo per tutto il territorio di Winterfell abbiamo cercato alleati  per riprenderci la nostra casa» disse convinta.
Jon respirò profondamente e si voltò  a guardare i suoi occhi azzurri.
«Sansa, non è davvero opportuno che tu venga lì, perché non sei ancora in grado di difenderti da nemici deboli, figuriamoci dai morti. Ti assicuro che contro di loro trovo difficoltà pure io. Non posso garantire la tua sicurezza, quindi tu resterai qui.»
«Quando cadono le nevi e soffiano i venti bianchi il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive» replicò la regina al suo re.
Sansa gli carezzò il viso, sorridendogli dolcemente.

Quelle parole tanto tempo prima erano state pronunciate da un uomo  vigoroso e onesto.
Quell'uomo era il suo modello, era Eddard Stark.
Sentì le dita di Sansa tra i capelli neri e la contemplò. 
Lei lo sfiorava con una delicatezza tale che quasi faceva male.

Di certo Jon non poteva immaginare cosa la sfibrasse in quel momento. La sola idea restare a Grande Inverno senza di lui le faceva sentire un vortice nello stomaco.
Protese il braccio sul viso di Jon e gli lasciò un bacio accennato sulle labbra, sentendo il pizzicore della barba sulla guancia. Lui prima che si allontanasse approfondì quel contatto, famelico come un lupo solitario.
Sansa avvertì le labbra di Jon sul mento, prima di sentirlo scendere sull'orecchio. Quando percepì una rigidità sul fianco smise di respirare, irrigidendosi come fosse stata pietra.

Senza accorgersene pochi istanti dopo tremò, percependo poi la stretta dietro la schiena allentare.
Forse s'era accorto della sua paura, forse l'aveva percepita?
Sentendo le dita di Jon sullo zigomo, sollevò lo sguardo, incontrando lo sguardo mortificato del suo re, di sicuro vinto da ogni possibile senso di colpa nei suoi confronti.
Ora aveva distolto lo sguardo, tenendo le palpebre abbassate, come se avesse compiuto peccato mortale.
Una guardia che reclamava la presenza del re bussò alla porta. 
«Per oggi il tuo allenamento finisce qui, Sansa. Non so quando mi libererò, non aspettarmi sveglia» le disse con voce bassa e roca prima di voltarle le spalle.
Sansa schiuse le labbra, sentendo la gola arida. 
Avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua se si era bloccata, avrebbe voluto dirgli che quello era solo un riflesso condizionato dal suo passato e che non aveva paura che lui la toccasse.

Accortasi d'avere la vista appannata, portò le mani sugli occhi, e dandosi implicitamente della stupida cercò più volte di prendere respiri profondi, doveva dirgli tutto ciò che pensava, doveva spiegargli come stessero le cose, ma prima di riuscire di nuovo a emettere un suono, Jon se n'era già andato.



Il sole sorgeva all’orizzonte, quando  Jon affiancato da Sansa, Spettro e ser Davos camminava gradualmente lungo il sentiero che li avrebbe condotti al Parco degli Dei.
Mezz'ora prima Bran gli aveva fatto recapitare un messaggio chiedendogli di raggiungerlo assieme a Sansa e il suo consigliere. Aguzzando la vista lo vide in lontananza, accanto a lui c'erano Meera e Lord Reed.
Sansa strinse più del dovuto i lembi della veste antracite che nel tragitto sulla neve teneva sollevata. Suo fratello Bran anche se era amaro anche da pensare, la metteva a disagio con quei suoi modi distaccati e stoici, a volte le sembrava di vedere solo l'involucro di quel bambino spericolato che era stato.
«Sono qui, Bran, hai qualcosa da riferirmi?» gli domandò Jon, inclinando un po’ il volto così da poter osservare meglio il cugino.
Sansa si morse le labbra, mentre fissava lo sguardo spento del fratello minore.
«L'ultima volta ti ho detto che tua zia stava navigando con una grande flotta
» disse Bran, vedendo Jon annuire. «Ebbene, durante il tragitto è stata attaccata da Euron Greyjoy che ha preso in ostaggio sua nipote Yara, Daenerys sotto consiglio di Tyrion ha deviato la navigazione. In questo momento si trova a Dorne ospite di Ellaria Sand. Starà lì alcune settimane, il tempo di far riprendere i suoi uomini, rifocillarli e fare il conteggio dei soldati rimasti. Penso che tu debba incontrarla prima che lei riesca a giungere a Westeros.»
Sansa insinuò la mano nel pelo di Spettro già a conoscenza di ciò che avrebbe detto Jon in seguito a quell'affermazione.

«In questo caso dovrò anticipare il viaggio di ricognizione che avevo in programma, i lord hanno già messo a disposizione delle navi. Perciò appena tornato a Grande Inverno ripartirò nuovamente per incontrarla e portarle una prova tangibile» disse, meditabondo.
Davos fece un passo avanti.
«Perdonate altezza, non credo sia una buona idea quella di incontrare vostra zia. Ho ragione di credere che venuta a conoscenza della vostra identità, penserà di liberarsi di voi. Ora come ora, Daenerys Targaryen potrebbe optare  per tenervi come ostaggio, uccidervi nel peggiore dei casi o proporvi un’alleanza con lei unita da un accordo matrimoniale» concluse Davos.
Sansa si voltò alla sua destra. Lui aveva le sopracciglia aggrottate, le narici si chiudevano e aprivano con forza, quasi fosse pronto a esplodere in un fascio di nervi.
«Io sono già sposato e non ho intenzione di recidere il mio matrimonio, né di tradire il Nord» disse Jon tra i denti.
Sansa sussultò a quelle parole. Dopo la conversazione avuta con lui due giorni prima, non aveva più avuto occasione di parlargli, poiché non era riuscito a tornare in camera e riposare. Il pomeriggio del giorno prima l'aveva trovato addormentato davanti ad una colonna di scartoffie. L'aveva sentito distante, stanco, e aveva avuto paura che lui messo alle strette l'avrebbe abbandonata, l'avrebbe lasciata marcire nei suoi blocchi e invece di nuovo l'aveva stupita, riscaldandole il cuore. Sansa si ritrovò a ripetere quelle parole nella sua mente, percependo il sangue fluire sugli zigomi. Forse lui sentiva anche una certa dose di passione nei suoi confronti, quella sera era rimasta silenziosamente lusingata dall'effetto che gli aveva causato.
Ser Davos tacque e Lord Reed portò la mano sotto il mento.
«Maestà, il vostro amico Tarly non era forse giunto a Cittadella?» gli domandò l'uomo meditabondo.

«Sì è così, per quale motivo me lo chiedi?» gli chiese Jon.
«Certo è logico» considerò Sansa, risvegliandosi dalle congetture avute poco prima. «Daenerys è a Dorne con Ellaria Sand, le Serpi. E li c’è anche Olenna Tyrell… Sono tutti vicini coloro che si sono alleati con lei e potrebbero esserlo con noi, poiché nemici di Cersei. Inoltre Sam a Cittadella potrà attestare chi sei con tutta la documentazione che ha trovato, Jon. Io verrò con te ovviamente.»
«Sì, va bene. Ma come plachiamo l’ira che l’assalirà alla scoperta di non essere più la sola Targaryen?» domandò con logica Jon, tenendo conto della considerazione di Davos.
Sansa si morse le labbra, guardando un corvo appollaiato sull'albero diga. Ser Davos sussurrò parole piene di preoccupazione rivolte a Jon, Lord Reed restò silente, solo il Corvo a tre occhi restò impassibile.
«Daenerys Targaryen anche se con riluttanza non ti ucciderà se potrai garantirle una linea di successione... Tua zia non può avere figli, Jon» rivelò Bran, fissando lui e Sansa.
 

 
 
Angolo di Astarter
Rieccoci qui, questo capitolo apre la strada a cosa succederà nei prossimi, ponendo un po' di carte sul tavolo. 
Vi aspetto nei commenti, fatemi sapere cosa ne pensate.

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