Il giorno della marmotta

di Thiare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 13 maggio ***
Capitolo 2: *** L'uovo interspaziale ***



Capitolo 1
*** 13 maggio ***



Il giorno della marmotta



Quella mattina si era svegliato a causa di un tanfo insopportabile e lui odiava essere svegliato.
“NATASHA!” Aveva cercato di gridare, ma gli era uscito solo un suono gutturale molto simile al verso di un pavone. Erano tornati tardi da Istanbul la sera prima e avrebbe preferito dormire altre sei ore buone, ma sapeva che sarebbero dovuti tornare presto da Fury a fare rapporto.
Si era alzato imprecando a bassa voce e quando aveva messo i piedi per terra questi erano affondati con un sonoro splash! sulla moquette zuppa e melmosa.
“NAT!”

Aveva seguito la scia di melma dalla sua stanza fino al bagno al lato della cucina; a ogni passo che affondava con uno squek orripilante, pensava a come avrebbe detto a Coulson di dover cambiare per l’ennesima volta quella dannata moquette. La prima volta Natasha si era premurata di disegnarci sopra dei bei ghirigori di sangue trascinando un cadavere per tutta la cucina. La seconda invece, beh, Freccia non aveva preso bene quel weekend lasciato solo a casa e quando erano tornati Clint aveva pregato che il gatto avesse imparato ad aprire la dispensa e che quella spalmata per tutto il perimetro del salone fosse Nutella.
Mentre girava il pomello del bagno gli venne una fitta al cuore. Giusto, Coulson non c’era più.


La scena all’interno del bagno era esilarante e lui avrebbe pure riso se Natasha non gli avesse fatto così paura.
“Ma dimmi, quanto ti ci vuole a svegliarti?!”
Era vestita con una graziosa salopette da elettricista, in maniche di camicia e i pantaloni tirati fino alle ginocchia.
“Che è successo?”
“Dev’essere saltato un tubo.” La rossa aveva preso a svitare il rubinetto del lavandino con maestria.
“Non sapevo che sapessi anche di idraulica.”
“Qualcuno deve fare l’uomo in questa casa.”
Gli occhi di Clint erano ridotti a due fessure. Si era girato nel piccolo bagno, ma prima di poter passare a Natasha la chiave inglese, era scivolato sul pupazzetto di Freccia e aveva battuto la testa sul bidè.
 
 
“Giornata iniziata male?”
“Chiudi quella bocca, Hill.” Clint si massaggiò la fronte dove aveva iniziato a gonfiarsi un grosso bernoccolo.
Maria Hill lo fulminò addentando un altro broccolo dal piatto.
“E’ tutto quello che servono a mensa?” chiese disgustato Clint.
“Se vuoi un pranzo di lusso perché non vai a lavorare al Plaza?!”
“Oh ci ho lavorato lì, tesoro. Un bellissimo lavoretto su due gambe spettacolari, bel balcone e vista niente male.”
“Porco.”
“Non chiamarmi porco se mi organizzi tu le missioni.”
Clint ringraziò l’arrivo di Natasha, aveva scambiato più battute con Maria Hill in quel momento che nei loro primi sei anni di conoscenza.
La russa posò il suo vassoio con uno sbuffo. “Hanno finito le patate, niente di interessante oggi a mensa.”
Clint la indicò con fare ovvio riferendosi alla Hill. “Visto?!”
Lei alzò gli occhi al cielo. “Ma se hai un bombolone alla crema, Natasha.”
“Era l’ultimo.” Ghignò Nat.
La bocca di Clint spalancata a forma di O. “Bastarda.”
“Hey” dito accusatorio puntato verso di lui. “Nessuno mi ha ringraziata per il lavoro di questa mattina.”
 



Il meeting in Sala Riunioni era uno dei più noiosi a cui lui avesse mai partecipato. Senza contare che parte della stanza stesse cadendo ancora a pezzi e una manciata di operai fosse indaffarata a sistemare il tetto con un set di scale e strumenti.
Nick Fury si schiarì la gola. “Squadre di azione e di ricerca stanno catalogando tutti gli oggetti non identificati ed extraterrestri che Loki ci ha gentilmente lasciato. Una delle tante cose che ci resta da identificare è questo.” Fury cacciò dal giaccone un piccolo oggetto della dimensione di un uovo dal colore fluorescente, avvolto in un fazzoletto. “Non sappiamo cos’è, cosa può fare e se può essere pericoloso.” Lo mise al centro del tavolo e gli agenti seduti attorno si sporsero. Clint rivide il riverbero della follia di Loki esplodergli per un secondo nella mente. Allungò la mano mentre le parole di Fury gli cadevano addosso. Agente Barton, lei si ricorda di qualcosa che ha potuto dire Loki a riguardo? Stava per sfiorare l’oggetto. Lo riconosce come parte del corpo di un Chitauro? Solo qualche millimetro. Agente Barton? Le sue dita si poggiarono sulla parte esteriore dell’oggetto, morbida e dura allo stesso tempo, in una combinazione così strana. Agente Barton!
Clint saltò indietro al tuono della voce di Fury mentre sentiva le dita bruciare. Si schiarì la voce.
“No, signore.”
In quel momento i tre addetti alla manutenzione caddero insieme in un tonfo di scale e altri oggetti metallici.
“Auch”
 



“Si può sapere che ti è preso oggi con Fury?” Gli aveva chiesto Natasha girando le chiavi nella porta di casa. Ne uscì subito il fetore immondo della perdita di quella mattina e i due si tapparono il naso entrando.
“Puzza più di quella volta che abbiamo nascosto il corpo dell’usciere per tre giorni nello sgabuzzino.” Fece Clint nasale.
Natasha posò le chiavi sul tavolino all’ingresso e andò verso la sua camera. Clint la vide fermarsi e arretrare piano portando una mano alla pistola che aveva sempre nascosta nella tasca posteriore.
“Nat?”
Ma prima che potesse fare altro un uomo incappucciato sbucò dalla stanza di Natasha con una pistola puntata su di lei.
“Hey!” aveva gridato tirando fuori anche la sua pistola, ma quello era stato troppo veloce, aveva premuto il grilletto e Nat era caduta a terra come un sacco di patate. I suoi capelli rossi mischiati al sangue che si allargava sul pavimento, come nei suoi peggiori incubi.
 
 



“NATASHA!” Aveva cercato di gridare, ma gli era uscito solo un suono gutturale molto simile al verso di un pavone.
Si guardò attorno affannato. Era nel suo letto, doveva essersi appena svegliato. La puzza di marcio per la casa era forte come la mattina precedente. Si alzò, ma affondò i piedi nella moquette zuppa. Di nuovo.
“NAT!” Gridò stavolta, in cerca della compagna. Che fosse stato solo un incubo?
Seguì la puzza di cadavere fino in cucina, quando sentì rumori provenire dal bagno e vi si affacciò.
Natasha era intenta a svitare il tubo del lavandino con una camicia enorme tirata sopra i gomiti e una salopette blu elettrico con i pantaloni arrotolati sopra le ginocchia.
Dev’essere stato un sogno. Che strano.
“Il tubo perde di nuovo?”
Nat si rese conto della sua presenza. “Ma dimmi, quanto ti ci vuole a svegliarti?!”
Che strana sensazione di déjà-vu.
“Mh?”
Nat si chinò sotto al lavabo. “Perché, perdeva già prima?”
“Beh, ieri mattina.”
La ragazza lo guardò confusa. “Ieri mattina eravamo ad Istanbul, che cavolo dici?”
Okay, decisamente strano.
Nat quella non è la mia camicia?”
Natasha lo abbagliò con un sorriso innocente. “Per favore?”
“Ti odio.”
“No, non è vero.”
Clint sbuffò. “Non ci crederai, stanotte ho fatto un sogno assurdo.”
“Mi passi la chiave inglese?”
Clint si girò a cercarla mentre continuava a raccontare. “Ho sognato che un tizio entrava in casa nostra e ti ammazzava.”
Nat strinse i denti mentre faceva forza per svitare il tubo sotto il lavandino. “Quindi… molto… verosimile.”
“E’ questo il punto!” Clint trovò la chiave inglese vicino al bidè, proprio dove il giocattolino di Freccia galleggiava nella melma. Non stavolta. Lo evitò con precisione, chinandosi per prendere lo strumento. “Tu non ti sei neanche difesa, non era da te!”
Si girò per passare la chiave a Nat, quando il tubo scoppiò del tutto e un bullone lo colpì in piena fronte.
 
 


“Giornata iniziata male?”
“Chiudi quella bocca, Hill.”
Non era la prima volta che provava quella sensazione di già visto.
“Sono finite le patate.” Nat si era seduta con loro.
Clint si teneva la testa con una mano. “E perché non offri metà di quel bombolone al tuo caro partner, visto che è l’ultimo?”
“Come fai a sapere che era l’ultimo?”
Clint si alzò con noia e andò verso la fila del buffet. Mentre ripensava a quanto assurda quella giornata era appena stata, voltò lo sguardo verso il grande orologio digitale appeso al muro. 13 maggio 2012
Non era possibile. Ieri era 13 maggio. Scosse la testa Si sarà rotto. Avanzò di un passo lungo la fila e voltando il capo notò una cosa strana. Una freccia, una sua freccia, abbandonata proprio dietro la cucina. Che ci faceva lì?
Allungò la testa verso la donna della mensa. “Hey Winnie, dolcezza” La donnona si volse verso di lui facendo ciondolare il doppio mento. “Avete trovato le mie frecce?”
“Ah sono tue? Ecco chi è stata la testa di cefalo che le ha lasciate, ma avrei dovuto aspettarmelo che eri tu, l’unico Robin Hood dell’edificio.”
Clint le mostrò educatamente il dito medio in risposta e Winnie ricambiò con una smorfia.
“Immagino che anche i tavoli e le sedie rotti siano merito tuo.”
Indicò con un ditone il retro della cucina dove c’erano ammassati i resti dell’ammobilio della mensa. Clint li guardò sorpreso. “No, quelli no.”
 
 


Nick aveva tirato fuori l’uovo interspaziale con sospetto e Nat e la Hill si erano avvicinate al tavolo di riflesso.
Clint, sovrappensiero, era rimasto a fissare il tetto rotto e gli operai sulle scale che lavoravano affaccendati.
Quando aveva visto l’uovo, però, non si era trattenuto dal toccarlo, di nuovo.
“Agente Barton!” Tuonò Fury e lui si volse come un cervo illuminato dai fari di un’auto senza riuscire a mormorare altro che “Le scale…”
Ma i tre poveri operai avevano già fatto un tonfo plateale.
 



Natasha guidava in silenzio con Clint al suo fianco che sospirava come una locomotiva.
“Si può sapere che è successo?”
Clint si accorse appena del suo commento che la sua attenzione venne attirata dal grande ingorgo di macchine sulla strada.
“Che è successo qui?”
Nat si sporse in avanti oltre il manubrio. “Strano, questa strada non è mai trafficata, praticamente ci passiamo solo noi per andare a casa nostra.”
“Ci dev’essere stato un incidente.”
C’era stato un incidente e, guidando a passo d’uomo lungo il luogo dello schianto, i due avevano chiaramente potuto vedere le due macchine accartocciate l’una nell’altra e poi una buffa ammaccatura a forma di uomo sulla fiancata di una di esse.
“Che strano.”
 



Clint gettò la giacca sul divano e osservò Natasha chiudere la porta di casa gettando le chiavi sul tavolino con il naso tappato da due dita.
“Vado a cambiarmi.” Disse con tranquillità, ma Clint la fermò.
“Che succede, Clint?”
Ma prima di poter rispondere, una figura incappucciata era uscita dall’ombra della camera di Nat puntandole la pistola contro.
“NO!”
Uno sparo, Natasha distesa per terra e…

Si risvegliò di soprassalto nel suo letto chiamando il suo nome a gran voce.
Natasha accorse in maniche di camicia (enorme) e adorabile salopette blu, con un paio di guanti che le arrivavano fino al gomito.
“Ce ne hai messo di tempo a svegliarti, eh? Che succede?”
Niente sparo in testa, niente incidente per strada, niente uovo interspaziale, niente broccoli a pranzo, niente tanfo in casa. No, aspetta un attimo.
“Il lavandino del bagno è rotto?”
“Come hai fatto a capirlo?”
Clint si rigettò sul letto con un sospiro e gridò contro il cuscino. “NON DI NUOVO!!!”










N.d.A.
Ciao a tutti! Spero che questa storia vi sia piaciuta, mi sono divertita molto a scriverla. Questa è la prima parte di tre, che pubblicherò nei prossimi giorni.
Fatemi sapere che ne pensate, un saluto!
Erika

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Capitolo 2
*** L'uovo interspaziale ***


Mentre osservava con sospetto tutti i presenti a mensa, Clint ripensava a che cosa l’aveva portato a rivivere il 13 maggio per la terza volta consecutiva. Perché era bloccato in quel loop di stranezze? E soprattutto, perché la giornata finiva sempre con Natasha che moriva?

A proposito di Natasha. La guardò sedersi al tavolo con lui e la Hill e addentare il suo bombolone alla crema.
Si era persino stufato di chiedergliene un pezzo, gli era passata la fame.
Aveva ripercorso mentalmente ogni momento della sua giornata, domandandosi che cavolo fosse quell’ultima trovata infernale che lo faceva risvegliare sempre il 13 maggio. Perché non poteva avere un giorno di pausa, dopo quell’incredibile battaglia che avevano appena combattuto? Capì che un po’ aveva paura di quella situazione; e se si fosse trattato dell’ennesimo trucco di Loki e la battaglia non fosse davvero finita? Era stufo, si sentiva stanco e affannato. Ripensando per l’ennesima volta ai suoi tre 13 maggio, aveva convenuto che l’unica cosa che aveva potuto provocare quel gran casino fosse quel dannato uovo interspaziale. Non doveva toccarlo, anzi, doveva liberarsene. Ma come? Non sapeva nemmeno cos’era.
Se quella sera avesse visto di nuovo Natasha morire, avrebbe preso quella situazione come una sua nu0va missione. E gli dei sapevano che Clint Barton non andava sfidato.
 
 


Ebbene, nei giorni successivi aveva visto Natasha morire in una ventina di modi diversi. Quando accoltellata, strangolata, infilzata da una freccia, sommersa da un muro caduto, soffocata oppure pestata così tanto da farle perdere la ragione. Aveva contato diciotto 13 maggio fino ad allora e niente era cambiato, tranne che per qualche dettaglio in più che ora notava durante la sua giornata, come degli strani movimenti sul tetto che gli operai stavano cercando di riparare, il giocattolino di Freccia che ogni sera si ritrovava perfettamente nella sua cuccia e una sua freccia incastrata in una delle due macchine coinvolte nell’incidente sulla strada di casa. Oltre al fatto che, oh hey!, non riusciva mai a salvare Nat.
Aveva provato a non toccare quell’uovo, ma nel momento in cui pensava di potersi trattenere, la sua mano era più veloce della sua testa e tutto ricominciava di nuovo.
Quando il diciannovesimo 13 maggio era scattato e Nick Fury gli aveva mostrato l’uovo, però, prima di affacciarsi a toccarlo aveva visto una sagoma scura sparire dietro le porte della Sala Riunioni. Si era alzato di scatto ed era uscito alle calcagna della figura incappucciata, ma non aveva trovato nessuno. Quando era rientrato nella sala, tutti lo stavano guardando e Fury aveva rimesso via l’uovo.
 


“Si può sapere che ti è successo oggi?”
Clint non aveva neanche sentito Natasha formulare quella domanda mentre apriva la porta di casa. Aveva afferrato la pistola con le due mani e si era portato davanti a lei.
“Ma che fai? C’è qualche problema? Clint? CLINT!”
Lui non l’ascoltava più, cercava solo il suo nemico nell’ombra della stanza della ragazza. Nat chiuse la porta dietro di sé e allungò le chiavi verso il tavolino, ma venne fermata da Clint.
“Non le posare.” Dovevano fare qualcosa di diverso, quella serata non poteva finire allo stesso modo.
Ma sentì comunque il tonfo metallico delle chiavi. Si voltò e con orrore vide che Natasha era già stata colpita, per l’ennesima volta, dal solito aggressore stavolta uscito dalla stanza di Clint.
Non riusciva a vedergli la faccia, ma vedeva solo l’enorme coltello che aveva in mano e sentì la rabbia montargli dentro. L’individuo scappò dalla porta principale e Clint prese al volo arco e frecce dall’armadio all’uscita e si gettò all’inseguimento. Quando arrivò fuori dall’edificio, il tizio era sparito. Assottigliò gli occhi e lo vide correre in una direzione che riconobbe: lo SHIELD Center.
Entrare in quell’edificio di notte senza farsi scoprire, Clint non l’avrebbe mai ammesso, era sempre stato il suo sogno. Come se la sua vita da spia non fosse già complicata senza doversi nascondere in casa propria.
Aveva seguito con stupore l’energumeno incappucciato superare tutti i livelli di sicurezza ed evitare le sue trappole con maestria. Pensava che solo sé stesso e Natasha potessero essere così accorti e precisi, ma invece si sbagliava. Superò in silenzio l’ufficio della Hill ed evitò con cura le telecamere del corridoio che portava all’ufficio di Fury, quando vide l’incappucciato – ormai l’aveva rinominato così – infilarsi nella sala mensa.
Clint vi entrò con lentezza, trovando la sala senza alcun cenno di anima viva. Un braccio gli si strinse attorno al collo e lui si liberò con successo. Iniziava la lotta.




Non sapeva come Mister Muscolo avesse fatto a lanciarlo su quel tavolo da quattro, ma doveva ammettere che il set mobili dello SHIELD era pari a quello di una casa delle bambole, perché gli si era sbriciolato sotto il sedere. Incoccò una freccia e si voltò a fronteggiare il suo nemico, ma quello era sparito. Si girò un paio di volte, quando un oggetto pesante e rotondo lo colpì forte in fronte. Devo avercelo per forza questo livido eh?!
Decine di altri oggetti come quello lo colpirono da più direzioni. Cercò di fermarli con qualche freccia e capì di cosa si trattava solo quando ne ebbe infilzato uno. Patate. Ovviamente.
Prese un’altra freccia dalla faretra solo quando ebbe smesso di piovere patate e nel silenzio si voltò a tendere l’arco verso la figura incappucciata dietro di lui. Questo a sua volta era immobile con il lungo coltello in mano.
“Chi sei?” gli urlò Clint, ma l’uomo non rispose. “Che sta succedendo?”
Lo sentì ghignare, poi iniziò a parlare con una voce più profonda e gutturale della sua.
“Oggi non hai toccato quello che tu chiami uovo interspaziale, così la giornata non è ricominciata. Ma c’è comunque un Clint Barton che si è svegliato da poco trovandosi la casa allagata, perché in principio c’è stato un te che ha interagito con quell’uovo. Finché l’uovo esiste, tu non esci.”
“E tu come fai a sapere queste cose? Chi sei?”
L’uomo rise. “Ancora non mi hai riconosciuto?”
Clint si sentiva stupido. “Loki?”
La figura rise ancora e mosse il coltello in un modo che la lama si raddoppiò in quella di una lunga katana.
“Cosa? Dovrebbe farmi ricordare qualcosa questo?”
L’uomo si tolse il cappuccio, per rivelare la figura di…
“Tu sei me!” Clint era senza parole davanti a quel suo doppelganger. “Come puoi essere me?”
“Io sono te, è vero, ma in particolare sono la parte di te che più odi, che più temi e che non vuoi diventare.”
“Che vuoi dire?” I due si fissavano in cagnesco dai lati opposti della sala.
“Devo dirti io qual è la tua paura più grande adesso? Pensavo lo sapessi.”
Clint socchiuse le labbra per un istante e sospirò.
“Niente? Te lo dico io allora. Quello che temi di più è di poter far male alla tua preziosa Natasha, oppure, come già ci sei andato vicino quando eri sotto Loki, addirittura ucciderla.”
“Per questo ti ho visto ammazzarla ogni volta?”
“Esattamente.”
“Che cos’è l’uovo?”
“E’ una parte del corpo dei Chitauri che gli permette di viaggiare attraverso le dimensioni spaziali e temporali. Quando l’hai toccato il tuo organismo umano ha reagito in questo modo: bloccandoti in un loop tra allucinazioni e realtà.”
“Tu saresti l’allucinazione?”
L’altro Clint sorrise. “Io sono il tuo alter ego, io esisto anche se tu non mi vuoi vedere né accettare.”
“Che c’è di male nel voler essere la versione migliore di me stesso?”
“Ahi, stai attento. Questa forma di me che vedi non è solo una percezione, in qualche modo è l’immagine del futuro.”
“Che intendi dire?”
“Questa versione di te ha visto cose che non avrebbe mai voluto vedere.”
“Che cosa succede nel futuro?”
La distorsione del Clint di Vormir alzò le spalle. “Non puoi saperlo. Ma ricordati: a qualunque costo. La battaglia finale è alle porte, Clint, sei sicuro che non ci sia niente che vuoi dirle?” Poi rise. “Io non me ne voglio andare, Clint. Finalmente sono qui, quindi lotterò a costo di tagliarti le gambe pur di non farti distruggere quell’uovo.”
Anche il Clint del presente ghignò. “Non pensavo di dover mai fare una gara a chi è più stronzo con me stesso.”
 

Aveva perso di vista quel piccolo bastardo non appena era uscito dalla mensa spaccando tre sedie con un colpo di katana. Megalomane.
Aveva dovuto tirare fuori tutti i suoi migliori trucchi da spia per eludere la sorveglianza interna dello SHIELD e in qualche modo era riuscito a passare inosservato vicino a Fury che discuteva con la Hill. Passando era riuscito a carpire solo frammenti di discorso.
“Quei bastardi arroganti ce l’hanno fatta anche stavolta ad Istanbul, ah! Forse dovrei pagarli di più, perché mi aspettavo che tornassero indietro minimo con qualche arto in meno.”
Certo che dovresti pagarmi di più, vecchio infame.




Non era riuscito a trovare il suo sosia da nessuna parte per tutta la mattinata, tant’è che aveva quasi pensato che se ne fosse andato, ma sapeva dentro di lui che si trovava ancora là dentro. Aveva dovuto evitare con maestria di incontrare il suo terzo sé – che stava rivivendo il 13 maggio per la ventesima volta – e Natasha, ma era stato più che felice di scorgerla da lontano ancora viva e in forma. Li aveva visti entrare in mensa e raggiungere la Hill con stanchezza. Bene, saranno occupati per un po’.


 
Le ore erano passate senza che lui se ne accorgesse e dopo pranzo aveva visto con la coda dell’occhio una figura incappucciata sparire dietro un muro. Stavolta non mi scappi.
L’aveva inseguito per tutto il piano fino ad un’area diroccata dalla battaglia e ancora in manutenzione. Dopo aver ingaggiato battaglia era riuscito a suonargliene un po’ e ad ogni pugno che sferrava anche lui sentiva dolore per empatia. Non ti capita tutti i giorni di picchiare te stesso. Finché quello non si era divincolato e l’aveva gettato di faccia sulle travi spoglie che davano con un bel buco sul piano di sotto. 
Nella Sala Riunioni sottostante Fury aveva appena iniziato a parlare e stava per cacciare l’uovo. Vide il suo terzo sé seduto al tavolo che alzava lo sguardo verso il soffitto e per riflesso si nascose alla sua vista. Si ricordava bene di quel momento quando l’aveva vissuto dall’altra parte.
Il Clint del futuro aveva preso a tirargli calci in pancia e lui li incassò senza produrre un fiato. Doveva agire, doveva bloccare il vecchio Clint dal toccare l’uovo con un diversivo e poi rubarlo. Tirò una pedata in faccia al suo alter ego e incoccò una freccia, facendolo indietreggiare e scoccandone una dietro l’altra gli segnò un cammino da seguire per sfuggire alla sua furia, che inevitabilmente lo portava al piano di sotto.
Il vecchio Clint aveva visto la figura incappucciata passare davanti alla sala ed era uscito lasciando l’uovo. Piano perfetto.
Si era alzato da quel tetto mezzo crepato e quasi non era caduto in una parte mezza sfondata. Era stato abbastanza pronto da reggersi alla parete, ma aveva chiaramente sentito gli operai al piano di sotto cadere dalle scale colpiti da pezzi di soffitto.


Rubare l’uovo a Fury era stato estremamente difficile, ma dopo una serie di tentativi ce l’aveva fatta e ora stava correndo fuori dall’edificio dello SHIELD senza una particolare meta. Aveva visto il vecchio Clint e Natasha avviarsi verso l’uscita e dall’altra parte il suo sé incappucciato correre sulla strada verso casa loro. Il tragitto non era stato dei più tranquilli. Clint aveva cercato di colpirlo con una freccia e l’altro l’aveva lanciato così forte su una macchina che l’ammaccatura che ci aveva lasciato su era quasi più profonda di quella fatta dall’incidente che avevano provocato.
Il Clint di Vormir era entrato in casa velocemente, quasi come un equilibrista e Clint l’aveva seguito con una rabbia sempre maggiore dentro, a pensare che quello era lì per ammazzare la sua Nat.
Chiuse la porta alle sue spalle e guardò il suo nemico. “Finiamola ora.”
Clint incoccò una freccia ma l’altro lo distrasse lanciandogli contro il giocattolino di Freccia e buttandoglisi addosso. Caddero indietro sulla porta del bagno rotolarono tra il lavello e il water.
“Dammi quell’uovo!” Il Clint incappucciato cercava di togliergli l’uovo di dosso con la forza, ma questo lo spinse via con un calcio e fece la prima cosa che gli venne in mente, che avrebbe potuto fare ore prima se non fosse stato così distratto dal rincorrere quel tizio fino a casa sua. Prese l’uovo dalla tasca interna del cappotto e lo spiaccicò nel tubo di scolo del lavello, dove quello si spappolò come un frutto troppo maturo e colò giù per le tubature, rilasciando un orribile tanfo di marcio.
Si girò verso l’altro Clint per terra e con gioia notò che era scomparso. Sospirò sollevato.
Beh, oltre al bagno incasinato, il salone era apposto. Constatò chiudendosi la porta alle spalle. In quel momento sentì Natasha girare le chiavi nella toppa e indietreggiò d’istinto verso la camera della ragazza.
Il vecchio Clint aveva gettato la giacca sul divano e Natasha aveva chiuso la porta di casa gettando le chiavi sul tavolino con il naso tappato da due dita.
“Vado a cambiarmi.” Disse con tranquillità, ma Clint la fermò.
“Che succede, Clint?”
Ma prima di poter rispondere, una figura incappucciata era uscita dall’ombra della camera di Nat puntando la pistola contro di loro.
“NO!”
Ma prima che Nat potesse fare altro, vide il proiettile colpire Clint al suo fianco e stramazzare a terra. In un secondo, il suo corpo svanì, lasciando Nat incredula. La rossa si voltò verso l’assalitore, per scoprire con sgomento che si trattava di nessun altro che… “Clint?”
L’uomo si passò una mano sulla faccia distrutta rimettendo a posto la pistola nella fondina nascosta. “Finalmente è finita.”
Natasha non capiva niente. “Si può sapere che è successo?”
Ma Clint non disse niente. La battaglia finale è alle porte, Clint, sei sicuro che non ci sia niente che vuoi dirle? Così, stanchissimo, si avvicinò serio, la strinse ai fianchi e la baciò con trasporto sulle labbra.
 






Si risvegliò di soprassalto nel suo letto chiamando il suo nome a gran voce. Si sentiva stanchissimo e quella puzza tremenda l’aveva svegliato da quello che sembrava un sogno durato venti giorni.
Natasha accorse indossando una camicia enorme e un’adorabile salopette blu, con un paio di guanti che le arrivavano fino al gomito.
“Ce ne hai messo di tempo a svegliarti, eh?” Disse con dolcezza togliendosi i guanti e sdraiandosi sul letto accanto a lui.
Clint sorrise. “Quella è la mia camicia?”
Natasha lo abbagliò con un sorriso innocente. “Beh, dopo che te l’ho tolta ieri sera, è diventata la mia.”
Clint sorrise di nuovo, beato, attirandola a sé. Era finalmente il 14 maggio.
Niente sparo in testa, niente incidente per strada, niente uovo interspaziale, niente broccoli a pranzo, niente tanfo in casa.
Natasha gli accarezzò una guancia e si chinò a baciarlo. Era tutto com’era destinato ad essere.
“Il lavandino del bagno è rotto.”
 









N.d.A.
Così si conclude questa mini, mi sono divertita molto a scriverla e spero vi sia piaciuta!
Grazie a voi lettori, fatemi sapere che ne pensate, un bacio
Erika


 

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