Soldier 416: The Resistance

di Cora_Blackwood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sopravvivere in un mondo devastato dalla guerra, era solo una speranza. La terra ormai era una landa arida e desolata, dove l' acqua e il petrolio erano ormai risorse troppo preziose. Il popolo aveva bisogno di aiuto, tutti vivevano in condizioni precarie, e convivevano col dolore della perdita di un loro caro. Il clima era cambiato, c'erano solo due stagioni, nessuna primavera, nessun autunno; solo estate ed inverno. Dovevi lottare per ottenere un pezzo di pane duro, e per un po' di acqua dovevi prima uccidere quelli che ti precedevano. Ad Irem la situazione peggiorava soltanto e il dittatore Joe War era solo più avaro. La sua salute giorno dopo giorno peggiorava, ma i suoi figli lo aiutavano comunque a sopravvivere tramite la pompa. Joe War, come si faceva chiamare lui, era il suo peggior nemico. Per questo ora era uno dei tre leader della resistenza. Voleva la libertà, voleva la pace, ma cosa più importante: voleva vivere, non sopravvivere. Era in fila per prendere dell' acqua fresca e pulita, il caldo era cuocente e la sabbia sotto i suoi scarponi, non di certo rinfrescava la città. Alzò lentamente la testa e l' enorme cascata riversò l' acqua nella fontana; vide un uomo dalla grossa muscolatura e alto, che guardava compiaciuto. La maschera e i macchinari per tenerlo in vita gli coprivano metà volto, facendolo apparire più bruto. Di certo quell' aggeggio con la mandibola scheletrica non faceva la sua figura buona e gentile. La forte luce le costrinse gli occhi; alla sinistra dell' uomo c'era un ragazzo sulla ventina d'anni che la stava guardando: era lui, lo avrebbe riconosciuto anche in mezzo a centinaia di soldati come lui, in mezzo ai suoi fratelli. Si sforzò di abbozzare un sorriso e poi di fretta si infilò fra la folla ammassata per prendersi dell' acqua. L' ammasso di persone continuava a spingere, a litigare fra di loro e ad urlarsi contro l' un l'altro. Riuscita nel suo intento guardò dinuovo in alto e inchiodò gli occhi blu di lui, che le annuí. Si guardarono per un po'. Gli occhi blu risaltati dalla candida pelle sua, gli diedero i brividi nonostante il caldo. Quando Joe si voltò verso il figlio alla sua sinistra, si alzò la sciarpa leggera sul viso lasciando scoperti solamente gli occhi. Incrociò anche gli occhi inespressivi dell' uomo. Abbassò lo sguardo si mescolò fra la folla. Poi quei due zaffiri sparirono nell' ombra della grotta che la sovrastava e lei tornò a chiudersi in casa. Per strada non faceva altro che pensare e ripensare a lui, nonostante le sue condizioni e la vita ormai troppo difficile da vivere. Lui era il pensiero che la faceva felice. Sapeva che era sempre a rischio e non smetteva mai di preoccuparsi per il ragazzo. Voleva vincere quella battaglia a tutti i costi, anche se avesse dovuto sacrificarsi lei stessa, avrebbe lasciato il suo ragazzo in un posto migliore per lo meno. Era quello che si era promessa: un mondo migliore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il sole era ormai tramontato da un po'. Il cielo era limpido e stellato, una serata perfetta per un appuntamento segreto. Uscì dalla casa rossa e chiusa la porta, un alito d'aria fresca le accarezzò gradevolmente le nude spalle. Era pronta per raggiungere silenziosamente le High Red Rocks, poco distanti dal centro di Irem. L'aria ora era ferma e il caldo della notte le si era appiccicato addosso, ora invece si alternava a leggere ventate e così per tutto il tragitto. 
Le High Red Rocks le si stagliarono davanti come lance in guerra. 
Si sedette sulla sabbia inumidita dall'aria desertica della notte e guardò per un po' il cielo: si vedeva la via lattea e qualche stella cadente; espresse un desiderio. Lei non credeva a quelle stupidaggini che le dicevano da bambina, ma in quel momento avrebbe voluto davvero realizzare almeno uno dei suoi desideri. 
-Deva. 
Bisbigliò una voce roca. 
La ragazza voltò la testa di scatto. Mise le mani sulla pistola pronta ad estrarla, tremava; strinse gli occhi cercando di mettere a fuoco la figura: era una sagoma pallida e si stava avvicinando a lei velocemente, poi intuí.
- Max. 
Gli gettò le braccia al collo baciandoglielo. Lui la strinse a sé, fu un attimo, poi si premettero le labbra contro e con foga si baciarono assaporandosi a vicenda, con desiderio e ardore. 
Con la paura di essere scoperti da un momento all' altro, che rendeva le cose piú belle e quei pochi attimi perfetti. Le dita di Max strinsero i suoi capelli dolcemente, invece lei gli stringeva leggermente il collo con una mano, mentre l'altra era sulla sua testa rasata. Si sentiva in un vortice di emozioni: passione e tristezza, misti a paura e ansia. 
Poi si staccarono ancora col fiato pesante.
- Ho paura. 
Gli disse guardandolo negli occhi grandi. I suoi erano umidi e le labbra le tremavano, come le mani, come ogni cosa del suo corpo. 
- Non devi averne, ci sono io a proteggerti. 
Le sfiorò una guancia, agganciandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio che continuava a scivolarle dal resto dei capelli rosso fuoco. 
- È proprio di questo che ho paura e tremo.
La sua voce era flebile e tremava ad orecchio, deglutì a fatica. 
- Non devi preoccuparti. Ci siamo promessi che non avremmo parlato di questo stasera.
Le premette le labbra contro, gliele morse con una leggera forza e le gemette contro.
- Sì, hai ragione, scusami. 
La strinse ancora di più e le guardò gli occhi scuri, le scostò i capelli di lato e le baciò il collo. Quando l'aveva fra le braccia perdeva il controllo di sé. Le respirava pesantemente addosso mentre lei mugolava graffiando leggermente la sua schiena. Non avrebbe voluto lasciarla andare mai, neanche per un secondo. 
- Non saremo una coppia normale ancora per molto vero?
- Cosa?
La mirò con un sopracciglio alzato non capendo quella domanda. Si era stancata della relazione sotto e fuggi? Non poteva biasimarla di certo. 
- Intendo... Insomma, non mi dispiace vederci in queste circostanze; le cose clandestine fanno tutto molto più eccitante, ma non posso dire alle altre che ti guardano innamorate di smetterla perché sei mio. O tenerti per mano in pubblico...
- Che c'è, sei gelosa?
- Ma le vedi? Ti guardano come un principe, solo che sei il mio principe. 
Deva mise il broncio; gli parve una bambina, sì una piccola bambina sexy. La guardava con un'espressione curiosa e sarcastica.
- Sei bellissima, lo sai?
Sorrise non controllando l'istinto di baciarla ancora una volta.
- Tanto lo so che le altre le guardi. 
La baciò a stampo e le sorrise sarcastico. 
- Smettila, tu mi piaci. Con i capelli scompigliati e rossi, l'aria buffa, sempre pronta a fare guerra, con quegli occhi dolci capaci di ucciderti.
Lo guardò con aria addolcita, gli gettò le braccia al collo ancora una volta e lo strinse. Max ricambiò la stretta e chiuse gli occhi lasciandosi trasportare dalla sua fantasia. Stava male, si sentiva piccolo e impotente perché sapeva che Deva soffriva quella libertà. Soffrivano entrambi; gli bruciavano gli occhi, avrebbe voluto piangere e buttare fuori tutta quella tristezza. Era un peso sotto lo sterno che non riusciva a togliersi da tempo. 
- Devi andare. 
Gli sussurrò tirando su col naso e gli occhi rossi, gli abbozzò un sorriso triste e poi contrasse le labbra. 
- Non piangere, promettimelo. 
Le prese il mento fra l' indice e il pollice e la guardò negli occhi. 
- Promesso. 
Rispose nonostante avesse gli occhi nuovamente pieni di lacrime salate. Si strinsero le mani e poi si lasciarono col cuore colmo di infinita tristezza.

Max guardò il palazzo del padre che era scolpito nella massiccia pietra rossa, analizzò un attimo la situazione e poi si arrampicò su di una finestra per entrare nel palazzo senza essere visto. Silenziosamente si aggirò furtivo fra i corridoi nascondendosi nell'ombra, cercando di scappare dagli sguardi rapaci delle sentinelle. Quando arrivò vicino camera sua, una guardia si era fermata decisa a non muoversi più: se fosse passato tranquillamente avrebbe visto il suo abbigliamento non notturno; doveva distrarlo. Si frugò dentro una tasca del pantalone largo color sabbia e trovò un sassolino, lo tirò lontano dalla porta di camera sua e silenziosamente corse supino per entrare non appena la sentinella corse nella direzione del rumore sospetto. L'uomo calvo percepì un movimento d'aria però. Voltò la testa di tre quarti e vide una sagoma che riconobbe.
Tutto poteva essere filato liscio, se non fosse stato per la sentinella, che aveva già intuito quello ch' era appena successo. Così il soldato di pattuglia si caricò il fucile in spalla e corse col cuore in gola verso la stanza del dittatore. Se lo avesse compiaciuto avrebbe ottenuto qualche possibilità in più per entrare nel Valhalla. A quell'ora Joe War doveva essere sveglio per una delle sue terapie, quindi tutto quello che doveva fare il soldato era superare le due guardie davanti la sua porta e riferirgli ciò che aveva visto.
In poco tempo si ritrovò con le porte della stanza di Joe War aperte. Gli tremavano le ginocchia per l'emozione e per la paura di una sua reazione poco gradevole. Fece qualche passo avanti aspettando un cenno di approvazione dal suo capo, che non tardò ad arrivare, ed entrò nella stanza colma di una nuvola di vapore. Un odore aspro gli investì le narici, poi velocemente guardò Joe e abbassò gli occhi per terra evitando il suo contatto visivo. I colori caldi della stanza sembravano avvolti da una foschia. Si sentì girare la testa. L'uomo potente era attaccato ad una pompa in rame che emetteva quell' agra fragranza. I suoi occhi erano segnati da profonde occhiaie, ed erano di un colore intenso come il rosso del sangue che pompa nelle vene. Poi tolse la maschera e aspettò che parlasse. Si inumidì le labbra tremanti e parlò: - Signore... Ho visto uno dei suoi figli, Max, rientrare poco prima da un luogo non individuato. 
A quelle parole Joe rimase freddo. Contrasse la mandibola e digrignò i denti dalla rabbia. Guardò il ragazzo ammonendolo e con un gesto della mano lo congedò: - Ora vai. 
C'era qualcosa che non lo convinceva. Suo figlio era rientrato da chissà dove senza dirgli una parola sul fatto che stesse uscendo di notte, quindi era scappato, dedusse. Con la rabbia che gli ribolliva nelle vene, si staccò dal macchinario ed uscì con astio dalla stanza lasciando i medici sbalorditi e a metà fiato, nessuno interferiva con le sue decisioni, nemmeno se riguardavano la sua salute. 
Con passo deciso camminava avanzando sempre di più verso la camera del figlio, e il passo non era l' unica cosa che cresceva. 
Aprì la porta senza bussare e senza avviso, velocemente diede uno sguardo alla stanza: tutto era al posto, un stanza semplice ma grande e le tende color amaranto davano più profondità al locale. Poi lo vide: era davanti la finestra che guardava fuori seduto sul davanzale, una gamba a penzoloni e l'altra su cui poggiava il braccio piegata. La luce della luna era l'unica fonte luminosa che rischiarava la stanza ordinata. La pelle chiara del figlio sembrava brillare sotto la bianca luce. Il ragazzo si girò velocemente mettendosi in piedi di scatto, il fiato sospeso e le narici larghe. 
- Dove sei stato?
Ringhiò l' uomo avanzando nella camera e scrutandola velocemente. Gli occhi gli balzavano da un punto all' altro rapidi e per poi inchiodarsi con rabbia sul figlio. 
Max ebbe una scintilla di timore negli occhi blu sgranati, temeva di essere stato seguito da uno dei leccapiedi del padre. 
- Sono stato qui.
Affermò il giovane. Si sentì tremare dentro e non riusciva a controllare quegli strani spasmi. 
- Max non mentirmi. Ti hanno visto rientrare. 
L' uomo si avvicinava sempre più goffamente al figlio e quando un raggio di luna lo illuminò, Max si sentì pervadere da un senso di nausea. Sotto quella luce lunare il padre era ancora più deforme e brutto. Strinse la mandibola tenendo a freno l' istinto di vomitare; lo ripudiava per il male che gli faceva e per tutto quello che faceva agli altri. 
- Ho fatto solo una passeggiata... Ero nervoso e avevo bisogno di pensare. 
Indietreggiò di alcuni passi ritraendosi al padre furioso. L'uomo scosse la testa: non lo stava convincendo, avrebbe dovuto tirare fuori sua madre, lo avrebbe certamente fatto stare male, lo avrebbe indebolito e affaticato, ma soprattutto distratto. 
- Avevo bisogno di stare all' aperto. La natura mi fa pensare alla mamma. 
Gli occhi del padre per un breve attimo si addolcirono e si contrassero di dolore. Max chiuse gli occhi addolorato. 
- Manca anche a me. 
- Ma sai cosa penso? 
Sollevò lo sguardo con rabbia e il suo cuore fu stritolato da una morsa di odio. 
-Che lei non avrebbe voluto tutto questo, non avrebbe accettato le tue mogli, se fosse viva sarebbe morta per questo: per le tue azioni. Ti odierebbe perché non hai mantenuto la tua promessa a lei fatta!
Joe arricciò il naso nauseato da quelle parole, nascondendo il dolore che gli aveva provocato. 
- Non dire una sola parola Max! Tua madre fu la prima e l' unica donna che io abbia mai amato. Non prendere un'altra volta questo discorso Max. Abbiamo chiuso. Se vengo a sapere ancora una volta che tu sei stato fuori a quest' ora, o che incontri qualcuno... vedrai che fine farai.
Doveva calmarsi perché doveva tenersi stretto il figlio per il suo piano politico, perciò abbassò l'indice che gli aveva puntato contro. 
- Fallo. 
Lo istigò Max tentando di provocare una reazione in lui. E questo fece scattare qualcosa nell' uomo che si voltò furioso colpendo il volto di suo figlio con gli occhi colmi di astio e disprezzo, il viso contratto.
Era riuscito nel suo intento, provocarlo. Sul viso gli comparve un sorrisetto agghiacciante. 
Dopo la morte di sua madre, le aveva promesso che lo avrebbe tormentato per la promessa non mantenuta: mantenere legata la famiglia. 
Rimase impassibile sostenendo lo sguardo del padre adesso meravigliato di sé stesso. A Max bruciava lo schiaffo ricevuto ma non fece trasparire nulla, per non dargli soddisfazione. 
- Ora dormi... Domani hai molto da fare. 
La voce dell' uomo tremava in modo evidente; si sentiva in colpa, notò che la mano con cui lo aveva colpito tremava. 
Quando uscì dalla camera di Max, il ragazzo si affacciò per vederlo andare via con tutta la sua aurea negativa. Alcune porte del corridoio erano aperte con dei soldati affacciati. Poi guardò la porta della stanza di suo fratello maggiore, figlio della stessa madre, era aperta e il ragazzo affacciato lo scrutò preoccupato. 
- Entrate voi altri! 
Ringhiò per poi riguardare Max.
- Che cosa gli hai detto? 
- Quello che odia sentirsi dire, Aronne. 
Senza aspettare una parola dal fratello si chiuse la porta amareggiato. Sapeva che era rimasto deluso da quel gesto, ma Aronne avrebbe certamente capito. 
Max non si sentiva solo amareggiato, ma deluso e ferito. Si aspettava un padre presente nella sua vita, più amorevole, invece lo aveva trasformato in un soldato dopo la morte della madre e dopo la sua ascesa al potere. Allora forse, non aveva mai conosciuto suo padre e questo gli amareggiava ancora di più l'animo. 
In testa gli risuonavano le parole di Deva. Non voleva deluderla come suo padre aveva fatto con sua madre, lui l' amava davvero e avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla felice. Guardò il cielo e con rabbia si toccò la guancia che gli aveva colpito. Era sempre più violento ogni giorno che passava. Affaciatosi alla finestra vide una stella più luminosa delle altre; gli ricordava il sorriso di Deva, gli occhi gli si riempirono di lacrime. La desiderava.
Ogni volta che la lasciava si sentiva sempre più vuoto, sempre più solo. Poggiò la testa sul vetro della finestra e sospirò. 
- Dove sei adesso?

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Tormentata quella notte dai suoi incubi ricorrenti in cui rivedeva la morte della sua famiglia, Deva rimase sveglia fino all'alba in preda alle lacrime che non riusciva a frenare. Un ricordo atroce che la distruggeva ogni volta che la sua mente ne faceva menzione.
Rivedeva il volto di suo padre, quello di sua madre e quello di suo fratello che gli sorridevano. Ogni volta si svegliava piangendo e col cuore gonfio di malinconia. Si stringeva al petto il cuscino e rimaneva molta parte della notte a piangere; era un dolore che non riusciva a superare. Inspirava ed espirava lentamente, cercando di trattenere quanta più aria possibile, sfregava gli occhi contro i palmi, singhiozzando tra un respiro e l'altro. Si strinse fra le coperte che le erano rimaste e rimase a fissare il vuoto fino a quando poi, per la noia e per la stanchezza, chiuse gli occhi. 
Invece Max, pieno di rabbia, prendeva a pugni i cuscini e il letto immaginando che fossero suo padre e gli altri politici. Arrancava fra un affondo e l'altro e respirava profondamente a grandi boccate. Il sudore gli imperlava il viso e col dorso della mano lo asciugava distrattamente ritornando a colpire i cuscini. Stanco e con le braccia senza alcuna forza, schiacciò la faccia contro un guanciale e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. 
Avrebbe desiderato stringere fra le braccia Deva, le avrebbe accarezzato quei suoi capelli crespi e le avrebbe accarezzato il collo come piaceva a lei, ma poi strinse un cuscino immaginando le forme della ragazza.

Quella mattina Deva si alzò a fatica e sfinita. Si guardò in quel piccolo specchio ed uscì di casa per andare al mercato; sapeva che Max era di pattuglia quella mattina, perciò voleva incontrarlo, non riusciva a smettere di fremere dall'entusiasmo al solo pensiero di rivedere quegli occhi blu come lo zaffiro. 
Le strade ricordavano i grandi bazar egizi che un tempo erano ricchi e pieni di gioia, solo che adesso erano colmi di avarizia e non si trovava in Egitto. Le strade erano piene di profumi e cibo come frutta di serra venuta da chissà quale parte del mondo. 
Camminava fra la folla che emanava dei forti odori, alcuni poco gradevoli, tra le urla dei venditori, fra la polvere calda che si levava da terra; il caldo era asfissiante.
Il sole le parve più cocente del giorno precedente, poi qualcosa attirò la sua attenzione: in uno spiazzale di tende e banconi c'era una strana folla radunata; cercò di farsi largo fra la gente accalcata, tutti avevano delle espressioni spaventate e preoccupate. Più si avvicinava al centro della folla più cominciava a distinguere delle voci. Quando queste divennero più chiare, si fermò dietro una donna col velo, cercando di nascondersi per guardare ciò che stava avvenendo. 
- È una ladra! Ha rubato le mie mele. 
Urlò un uomo grasso e baffuto, il sudore gli colava dalla fronte. 
Cominciava a nausearla la puzza di sudore della gente. 
Continuò a concentrarsi sulla scena: una coppia di soldati era ferma al centro dell'attenzione di tutti e stava probabilmente cercando di capire ciò che era successo.
Si alzò sulle punte dei piedi e sbirciò da sopra la spalla di un uomo. Dei due soldati riconobbe Max, era accigliato e scrutava nervosamente la folla, forse la stava cercando.
Si alzò la sciarpa sulle labbra e continuò a guardare. 
- No signore, la prego non mi punisca, mio fratello aveva fame. 
Implorò una voce giovane. Una ragazzina sui quattordici anni era tenuta stretta dal mercante che la guardava maligno. 
- Devi pagare, allora. 
Gli ringhiò il venditore col viso paonazzo.
Deva storse il capo di lato: " oh no... Non promette nulla di buono" pensò. Sentì una strana sensazione che si faceva largo nel suo petto. Avanzò la prima fila e rimase ferma ancora un po' aspettando una mossa del soldato. 
Max fiutò l'aria arricciando il naso e voltandosi nauseato. L'altro si sfilò la sciabola dalla cintura ormai spazientito. 
- Sono stanco delle vostre lamentele. Ti ho vista anche io, sai?
Si inclinò sulla ragazzina che era sull'orlo delle lacrime. 
Quella sensazione si trasformò in rabbia e infine esplose. 
Si voltò cercando qualche arma innocua e poi vide delle noci. Ne afferrò una dal cesto più vicino e la lanciò mirando alla mano del soldato, che venne colpita in pieno. 
Furioso il ragazzo con la barba si voltò guardando la folla stufo della gente che lo circondava.
- Chi ha osato? 
Nessuno rispose, neanche lei, aspettava un'altra sua mossa. 
Il figlio della guerra alzò la sciabola tenendo con forza il braccio della ragazzina che strillava e si divincolava chiedendo pietà; la rabbia nel suo petto adesso si irradiava ovunque nel suo corpo, in quella scena rivide sé stessa molti anni fa, quando aveva provato a sfamare suo fratello e la sua famiglia, ma nessuno per lei aveva fatto tanto. 
Non ci pensò un attimo, agì di puro istinto: corse contro il soldato e si fermò davanti lanciandogli un' altra noce. 
- Sono stata io. Perché non te la prendi con qualcuno dalla tua stessa forza? 
Gli ringhiò contro tirandosi la ragazzina, che sfuggì alla presa del bruto. Odiava come Joe War faceva amministrare il popolo, c'era troppa violenza futile. 
- Questo è ostacolo all'ordine... 
Mormorò il giovane con una nota aspra nella voce profonda. Max la guardava con gli occhi sgranati dietro il suo collega; aveva un sapore metallico in bocca, poi si rese conto di aver stretto troppo forte l' interno della guancia, probabilmente gli usciva del sangue. 
- Basta così Aronne, abbiamo altro da fare di più importante. 
Disse poggiando la mano sulla spalla del ragazzo cercando di tirarselo indietro, ma Aronne con uno strattone si liberò dalla presa di Max. 
- No Max... 
Guardava di traverso Deva con la faccia disgustata, si sentì umiliato da quella sciocca ragazzina senza valore. Lui era il figlio di Joe nessuno osava trattarlo in quel modo. 
Le si fiondò addosso con i denti stretti; rapida come una lince Deva si mise a correre fra la folla, il suo respiro divenne corto, l'aria che si muoveva le rendeva difficile respirare; stava andando contro un muro, poggiò la mano sui mattoni e si spinse nuovamente al centro della strada scansano i passanti e la gente che al suo passaggio gridava dallo spavento: "qualcosa... Non mi quadra" rifletteva mentre si infilava in una strettoia. 
Max cercò di darle vantaggio, urtando accidentalmente il fratello facendolo rotolare per terra, che lo guardò furioso. 
Deva salì sui tetti saltando da una casa all' altra senza molta fatica; non era una corsa contro un solo figlio della guerra, perché le strade per sua sfortuna erano piene di loro.
- Prendila Ubbe!
Sentì gridare alle sue spalle. 
Tutti puntarono gli occhi sui tetti delle case, a guardare quella scena, nessuno le veniva in aiuto. 
- È agile! 
Commentò Max fingendosi stupito. 
- Con le persone sbagliate. 
Si lamentò col fiato corto Aronne. 
Un grido attirò l' attenzione di Max, facendogli accelerare il battito. 
"Se le avessero fatto qualcosa di grave..." pensò, "riuscirei a non farmi scoprire?" 
Guardò in basso e vide che Deva aveva perso l'equilibrio e adesso stava precipitando. Atterrò su un ammasso di stoffa ed un ragazzo di grossa stazza, grande come un orso aveva preso per le spalle Deva che provava a scalciare senza alcun risultato.
Senza pensarci due volte Max si gettò giù dal tetto atterrandogli proprio davanti, prese una manciata di sabbia e la tirò in faccia al ragazzo, che urlò come una bestia infuriata, poi lo colpì alla testa stordendolo. 
Deva aveva gli occhi spaventati, cercò di dire qualcosa, ma la voce non le usciva di bocca. Max la precedette allungando una mano verso di lei: - Vai! 
Gridò, così lei ricominciò a correre ma, quando arrivò alla fine del vicolo, con ancora alle spalle Max, fu fermata improvvisamente da Aronne, che era spuntato fuori da un' abitazione. Spaventato e col cuore in gola, Max li raggiunse correndo. 
- Bravo Max.
- No, io... 
Balbettò. Ma Deva sovrastò la sua voce con un grido di rabbia. Il cuore le batteva all' impazzata, d'un tratto si sentì come un animale in trappola. 
Aronne la tirò per un braccio facendola cadere per terra; lo spacco della gonna le scoprì la coscia, facendo leccare le labbra al ragazzo. 
- Cosa ci fai tu qui? Dovresti essere nell' Arem... Portiamola a Joe, si divertirà o magari ci divertiremo noi. 
Ridacchiò dando una pacca sulla spalla al fratello, che guardava Deva infuriato, ma non lo era con lei, contraeva la mandibola e respirava lentamente. Non sopportava quel linguaggio nei confronti della sua ragazza e vedendo che il soldato che aveva colpito poco prima le aveva messo nuovamente le mani sulle spalle, Max gliela sfilò dalla presa e con delicatezza la spinse di lato. Adesso suo fratello lo guardava meravigliato, si scambiava occhiate con il figlio della guerra dietro Max. 
- Basta Aronne! Smettila di divertirti come un moccioso. E tu Logan ritorna al tuo posto! Abbiamo cose più importanti che pensare ad una mela rubata e a due noci. 
Aronne aveva la bocca aperta, stupito da quell' atto nei confronti della ragazza. 
Deva si guardò attorno e notò che molta gente aveva assistito a quella scena, tutti fissavano incuriositi e bisbigliavano. 
- Non c'è nulla da vedere, via! 
Gridò sempre più furioso Max allargando le braccia e spingendo suo fratello davanti a sé. Tutti si voltarono e si levarono terrorizzati tornando a ciò che stavano facendo. 
Deva si alzò e prese la mano di Max stringendola, lui si fermò e si voltò ancora nervoso. Si sentiva dai muscoli tesi del suo braccio. Nessuno avrebbe dovuto trattare in quel modo Deva, chi le mancava di rispetto, di riflesso lo mancava anche nei suoi confronti. Deva era sua, non l'avrebbe mai concessa al padre o a nessun altro e avrebbe fatto qualsiasi cosa per non farla portare nell'Arem. 
- Gr...
- Vai a casa e rimanici fino a sta sera. 
Le sussurrò inalando il suo profumo. Espirò tremando e ritrasse la mano, contrasse la mandibola: era arrabbiato. 
Si portò una mano davanti la bocca e lo guardò sparire fra la folla. 
Max si voltò e per un attimo si guardarono preoccupati, lui era accigliato e aveva le labbra contratte e ridotte ad una linea perfettamente orizzontale, lei lo guardava con gli occhi pieni di lacrime. Gli dispiaceva da una parte, aveva rischiato di farli beccare, si sentì un po' stupida. 
Dall'altra non poteva lasciare quella ragazza sola e in pericolo. 
Mentre camminava per le strade, riconobbe quella ragazzina: era seduta per terra e le sembrava disperata, lentamente le passò davanti e si chinò. 
- Ehy. 
Da sotto la sciarpa tirò fuori cinque mele e gliele porse.
- Tu sai dove abito, vieni da me così ti insegnerò a non farti notare. 
Le fece l'occhiolino facendola ridere. 
- Davvero, tu passa, ma penso proprio che non ti servirà più. 
Le accarezzò la testa e poi si alzò entrando in casa.
- Grazie Deva, ero preoccupata per te. 
- Io me la cavo sempre.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Aronne e Max non parlarono fino a quando non uscirono dal centro di Irem. Erano furiosi entrambi, carichi di rabbia e stanchi per la corsa.
Quando Aronne vide il palazzo avvicinarsi sempre di più, non potè piú tenere dentro quello che pensava, guardò suo fratello e notò un vicolo isolato. Doveva parlargli a tutti i costi, doveva chiedergli alcune cose, aveva cosí tanti pensieri per la testa che senza riflettere colpì suo fratello sullo zigomo stordendolo e poi lo spinse, facendolo cadere dentro quel vicolo cieco.
- Aronne hai voglia di prenderne quattro per caso? Mi stai già stancando. 
Max si rialzò sputando sangue per terra, con la rabbia nella voce, lo guardò di traverso e storto, "che cosa gli prende ora?" si chiese cercando di mettersi dritto. Poi gli corse incontro prendendolo da sotto le braccia, Aronne cadde e colpì ancora Max. Lui indietreggiò e mentre si toccava il naso suo fratello gli si scagliò contro bloccandolo alla parete sabbiosa della strada. 
- Perché lo hai fatto?! 
Gli urlò contro spingendo il suo gomito contro la trachea di Max, allentò un po' la presa per farlo parlare, non voleva ucciderlo mica. 
- Non so di che parli. 
Disse secco lui arricciando il naso e alzando la testa per divincolarsi. Respirava a grandi boccate d'aria e il sangue che gli colava dal naso non smetteva di farlo. 
- Sì che lo sai, tu e quella ragazza siete legati? Avete un rapporto? Perché l'hai difesa? 
Aronne lo lasciò andare e lo spinse per le spalle, facendogli battere la schiena contro la parete. Max fece una smorfia di dolore e si discostò sedendosi per terra col sapore familiare del metallo in bocca. Sputò nuovamente e guardò Aronne appoggiato al muro; sembrava confuso e irato. 
- Il tuo silenzio dice molto ma te lo ripeterò un'ultima volta, tu e quella ragazza siete legati? 
Si portò una mano alla fronte frustrato scandendo la domanda. 
- No. 
Scandì furioso.
- Perché lo hai fatto allora? Pensi che io sia stupido? 
Si misero le fronti l'una contro l'altra e gonfiarono i petti di rabbia, si guardavano con sfida e di malocchio. 
- Non sono affari che ti riguardano. Ora muoviamoci prima che Joe si arrabbi con noi. 
Max spinse suo fratello allontanandolo, poi uscirono dal vicolo senza neanche guardarsi e finirono il loro tragitto lanciandosi occhiate furtive. 
- Lo so Max, l'ho intuito, ma quello che sta facendo papà di sicuro non ti piacerà. 
Guardò Aronne entrare nel portone del palazzo con un sopracciglio alzato, l'aria perplessa e confusa. 
- Che vuoi... Che vuoi dire?! 
Gli gridò dietro ma quello non gli rispose, continuò a camminare senza voltarsi; Max lo raggiunse correndo e gli sussurrò ad uno orecchio, lo sguardo truce: - che intendi? 
Aronne si bloccò per le scale guardando davanti a sé un punto indefinito, sembrava così pensieroso e preoccupato. 
- Lo capirai presto.
Sussurrò. 
Max gli stava dietro ripetendogli cosa volesse dire, senza ottenere una sola risposta. Continuò a stuzzicarlo fino a quando non arrivarono al piano dello studio del padre. Aronne svoltò infilandosi nel corridoio che conduceva nella stanza del dittatore e si fermò di botto; divenne più bianco del solito come se avesse visto un fantasma. 
- Ecco cosa intendevo.
Max alzò lo sguardo vedendo una ragazza bionda e spettinata, la pelle abbronzata era risaltata dall' abito chiaro, che usciva dallo studio del padre. Quando la guardò abbassò lo sguardo di ghiaccio immediatamente arrossendo, sembrava dispiaciuta. Era scortata da due dei figli della guerra e da un uomo che gli parve il dittatore di Ubar: la città confinante con Irem. La ragazza singhiozzò e l'uomo lanciò un'occhiata furibonda ai due. 
- Quello non è il Mangia Cuori? 
Sussurrò Max seguendo il fratello, poggiò il mento sulla sua spalla e sentì le ginocchia tremare per l' ansia. 
- E quella è la tua futura moglie... 
A quella notizia Max si sentì crollare il mondo addosso, spalancò la bocca e smise di respirare, si bloccò e si sentì inghiottito da una bolla che lo isolava dal resto. Ben presto quella sensazione scomparve lasciando il posto a una rabbia irrefrenabile. 
- Cosa? 
- Fai parte dei piani di papà, doveva parlartene... 
- Quando? All'altare? Io non la sposerò Aronne, non la conosco e non la amo, io amo un'altra. 
Gli tagliò la strada piegandosi e guardandolo con disperazione amara negli occhi, successivamente gli conficcò un indice nel petto guardandolo sconcertato. 
- Max? Devo parlarti. 
Li interruppe il padre senza neanche uscire dalla sua stanza. 
- Io devo parlare con te Aronne... Mi devi aiutare. 
Bisbigliò, poi entrò nello studio del padre. 
Aronne rimase fermo dietro la porta ad ascoltare le urla dei due uomini chiusi nella stanza, era preoccupato ma non poteva fare nulla. Sapeva cosa gli avrebbe chiesto il fratello: il suo aiuto. 
D'improvviso gli venne un'idea: avrebbe fatto seguire la ragazza con cui si era scontrato quella mattina, era una minaccia per il fratello stesso.

- Quando avevi intenzione di dirmelo?! 
Sbraitò, lui aveva deciso di farlo sposare con una ragazza senza chiedergli nulla. Era furioso e doveva assolutamente parlare con Deva, dovevano anticipare le loro mosse. 
- Presto, ma a quanto pare l' hai vista prima di questa sera. 
Il padre si sedette affaticato sulla sedia oltre la scrivania. 
- Non la sposerò, non la amo!
Sbattè i pugni davanti lo sguardo del padre facendo tremare il piano di legno. 
- Non serve l'amore per fare il politico!
Joe perse la pazienza, i suoi occhi brillarono di nervosismo. 
- Ti sei chiesto se è quello che io voglio?! 
Max si portò le mani al petto sbilanciandosi verso il padre. 
- Non conta il tuo parere, sei mio figlio ed io ho deciso così, ai politici non servono i pareri degli altri!
Max doveva far valere la sua parola, ma un lampo di genio gli balenò nella mente. Girato di spalle e con le braccia incrociate sul petto nudo e chiaro, si portò un dito alle labbra e lentamente si girò di tre quarti, lasciando vedere il profilo perfetto somigliante a quello della madre al padre. Ciò non significava che la sua rabbia e la sua ira erano sbollite, anzi stava letteralmente progettando qualcosa di losco. 
- Il camion con l'acqua... Andrà ad Ubar? 
Joe War levò lo sguardo dalle scartoffie che aveva fra le grosse mani: - Sì, perché? 
Inarcò un sopracciglio e lo guardò perplesso. 
- E questa ragazza è la figlia del dittatore di... Ubar? 
- Vedo che ragioni... Sì. 
- Quando ripartiranno?
Chiese Max ancora pensante. 
- Domani nel tardo pomeriggio insieme al carico. 
Lui annuì poi pentendosi di quello che stava per dire, si morse un labbro tentennante: - Lascia che porti io il carico ad Ubar... scorterò loro...e cosí ci conosceremo. 
"Spero possa perdonarmi Deva..." pensò fra sé e sé. 
- Vedo che hai riflettuto...
Senza dare peso a quel ripensamento del figlio, Joe si alzò dalla sedia soddisfatto. 
- Già... 
Mormorò Max pentito.
- Si chiama Ester, ed è talentuosa. 
Sorrise il padre, Max annuì distratto: ora doveva solo farsi coprire e andare a parlare con Deva. 
Poi Max aprì la porta della stanza, con rabbia la lasciò facendola sbattere e con la coda dell'occhio intravide il fratello. 
- Allora? 
Disse Aronne andando contro il fratello che usciva dallo studio abbastanza teso. 
- Vieni con me, devi aiutarmi, devi coprirmi. 
Disse agguantando Aronne per un braccio e trascinandoselo dietro. 
- Aiutarti? 
Balbettò stupito lui. 
- Aiutarmi, sì. Lo so che vuoi vedermi felice, ora è arrivato il momento.
Anche se non era molto convinto di ciò che Max aveva in mente, non poteva deluderlo, era pur sempre suo fratello, la sua famiglia o ciò che ne era rimasto.
- Ti ascolto... 
Annuì consenziente ma non entusiasta. 
Entrarono nella camera di Max e con una spinta Aronne si sedette ad ascoltare il fratello. 
- Devo... Devo parlarle ora.
Continuava a ripete deciso facendo avanti e indietro davanti il misero letto rifatto.
- Sì okay, ma io che devo fare?
Chiese Aronne continuando a seguire il movimento del fratello in sincrono.
- Tu... Devi coprirmi è ovvio!
Esclamò di scatto, dalla sua voce uscì uno strano acuto che fece saltare in aria il fratello, ormai concentrato a guardarlo. Aronne lo osservò di traverso e Max ricambiò guardandolo accigliato e facendo spallucce. 
- E va bene... 
Sospirò Aronne senza obiettare, quali altre scelte aveva, in fondo?

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Intanto Deva stava discutendo con gli altri due leader della resistenza dei piani per l'attacco al carico che sarebbe partito presto. 
- Qualsiasi cosa accada questi sono i piani, dovete attenervi ad essi. 
Era appoggiata con entrambi i palmi sulle carte e li guardava con attenzione, erano fogli volanti che continuavano ad arrotolarsi, un po' ingialliti e chiazzati d'acqua. 
- Non mi fido di quel Max...
Il ragazzo davanti a lei sollevò la testa da una delle cartine che ritraeva il motore di un loro camion. I suoi occhi la guardarono con astio, sapeva che non era per lei ma per ciò che stava pensando.
- Io mi fido di Max, lui ci aiuterà... 
Si ritrovarono l'uno contro l'altro guardandosi arcigni e l'aria di sfida. 
- Ti fa dimenticare anche il mio nome questo Max? 
Ghignò il ragazzo, facendole venire dei brividi; arricciò il naso ed espirò profondamente. 
- Dimentichi tutto per lui Deva?
Continuò a provocarla ostinatamente, per un attimo lo guardò stupita, senza parole. 
- Ti conviene darci un taglio Yanez. 
Lo fulminò con lo sguardo e con rabbia piantò sul tavolo un pugnale estratto dalla cintura. 
- Basta voi due, Max è qui. 
Irruppe il terzo leader, biondo come la sabbia sotto il sole cocente del mezzogiorno. 
Lo stava guardando un po' perplessa, cercando di nascondere la furia e la discussione che era appena stata interrotta: Max aveva il fiatone e sembrava spaventato. Entrò nella caverna col petto gonfio di ansia e appesantito da quello strano peso che sentiva sempre e costantemente. 
- Che succede? Hai l'aria sconvolta. 
Abbozzò un sorriso sbilenco, le tremava l'occhio destro forse a causa dell'accumulo di nervi. 
- Devo parlarti d'urgenza... In privato. 
La voce gli tremava ed era tesa come la corda di un violino. Gli si avvicinò e fece scivolare la sua mano in quella di Max trascinandolo fuori in un corridoio della caverna, mentre lui aveva inquadrato con lo sguardo colmo di riluttanza Yanez. 
- Noi ci vediamo questa sera con gli altri... Ora andate.
Disse al terzo ragazzo che si trascinò a parlare con Yanez. 
Quando fu abbastanza sicura che fossero fuori dalla portata dell'orecchio dei due, Deva prese fra le mani il volto di Max, ancora con gli occhi stravolti. 
- Max, cosa c'è? Cos'è successo?! 
Lo intimò con terrore. 
- Joe... Si tratta di lui, ha deciso di... 
La voce gli cadde in gola. Le si avventò sulle labbra sussurrando con fretta. 
- Mi dispiace, non lo sapevo... l'ho saputo questa mattina... 
Si scansò ancora più perplessa di prima, lo guardava con gli occhi languidi come i suoi e il cuore le accelerò in petto, continuava a crescerle il magone in gola ostacolando l' ossigeno. 
- Joe ha deciso di farmi sposare con la figlia del Mangia Cuori...porterò io il carico a Ubar. 
Quell'espressione si cancellò dal volto abbronzato di lei in un attimo, contrasse la mandibola e ridusse le labbra ad una sottile linea rosa. Gli occhi scuri divennero pietra tagliente. 
- E tu... Hai deciso di venire qui a dirmi che hai accettato? Lasciare quello per cui lavoriamo da tempo?! 
La sua voce divenne bassa e non la solita piacevole e sonora. Lo spinse con entrambe le mani sul petto come una furia, il magone le si ruppe in gola sprigionando angoscia e rabbia. I suoi pensieri vorticavano in un turbine di dubbi. 
- Ho rinunciato a tutto per te Max! Ho rinunciato alla protezione di me stessa, ho rinunciato a tutto! 
Avanzava sempre con passi pesanti e furiosi, gli urlava contro con quella voce che stranamente pensava che gli donasse. 
- Fammi parlare Deva! 
Non controllò più la sua emozione: irritabilità. 
Cadde in preda di quell'irritazione; si sentiva strano, arrabbiato con sé stesso, voleva piangere, ma contemporaneamente gli dava sui nervi quella reazione improvvisa di Deva. Aveva preso la ragazza per un braccio e adesso la stringeva con una pressione più forte del solito, alzò il pugno, sbattè contro la parete Deva frenandosi e colpendo la parete mentre lei strizzava le palpebre. Poi ritornò in sé smettendo di stringere i denti. I sensi di colpa gli strinsero il cuore. 
- Non sono qui per lasciarti andare Deva. Sono qui perché volevo dirti di anticipare tutto. Attaccheremo domani nel tardo pomeriggio quando partirò, verrai tu a vedere la mia partenza...
Sentì un rumore insolito e guardò l'ambiente circostante: solo pietre, niente di sospetto a parte un sassolino caduto dalla parete. Non diede peso ad esso e continuò: - Io ti farò un segnale e quando sarò sicuro che potete attaccare virerò la rotta e porteremo il carico altrove, poi convinceremo il governo ad abdicare. Lo uccideremo se necessario. Sta notte verrò e spiegherò tutto meglio anche agli altri, te lo prometto. Ora sono di corsa...
Lei annuì con lo sguardo perso nel vuoto, stava crescendo qualcosa fra il suo stomaco e il suo sterno, qualcosa che non riusciva a decifrare. 
- Deva guardami ti prego... 
La voce gli si incrinò e gli occhi si inumidirono.
- Mi dispiace per prima, mi dispiace... 
Allungò le sue mani verso quelle di lei, ma in un primo momento lei si sottrasse a quel gesto. Ora la rabbia aveva preso il sopravvento. 
- Io devo andare ora, ma tornerò Deva, fosse l'ultima cosa che faccio. 
Uscí da quel luogo, seguito dalla ragazza ammutolita, e si scontrò col ragazzo che più detestava: Yanez. Aveva forse ascoltato tutto? Era cosí nervoso che accarezzò i capelli di Deva, ancora persa fra i suoi pensieri, e uscí senza riflettere troppo. 
- Lo dicevo io... Non c'è da fidarsi di quel figlio della guerra. 
Il dubbio e la confusione continuarono ad accrescere dentro di lei, in quel maledetto punto che sembrava volesse prendere fuoco; non la fecero parlare, ma voleva tanto picchiare e prendere a parole pesanti il ragazzo moro. Con rabbia nei confronti di Yanez e nei confronti del mondo intero in cui era intrappolata senza via di uscita, uscí dalla grotta senza parlare con nessun altro, diretta verso una meta ignota: qualsiasi posto andava bene purché lei potesse stare sola a riflettere e a pensare. 
Continuava a camminare nel deserto senza meta. 
Yanez forse aveva ragione, forse non si poteva fidare di Max, ma se lo amava, come faceva a non fidarsi di lui? Ma a cosa stava pensando di preciso? Era persa fra miliardi di parole, migliaia di frasi. Voleva davvero tutto questo? Forse doveva solo concentrarsi sui suoi doveri. Si sedette sulla sabbia calda, prese la testa fra le mani confusa; i pensieri non smettevano di fluire nemmeno per un secondo. E se Max l'avesse tradita cosa sarebbe successo? L'avrebbe fatta scoprire? Avrebbe fatto saltare i pieni dei ribelli? Un'immagine le percorse la mente: una scena piena di violenza e morte. Doveva porre fine a tutto quello prima che avesse luogo. La domanda che più le faceva male era: si fidava ancora di Max? 

Aronne aveva trovato la persona giusta per fare spiare la ragazza che lo aveva sfigurato in pubblico.
Aveva saputo che quest' uomo, Gordon, faceva parte della resistenza contro il padre e conosceva Deva, la ragazza su cui si era messo alla ricerca. Quando si fermò a riflettere gli vennero a mancare le ginocchia. Suo fratello Max era praticamente parte integrante della resistenza, adesso cominciava a temere per lui, per la sua vita, se il padre lo avesse saputo lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte, doveva intervenire. Quella mattina in assenza di Max, uscí per andare a cercare Gordon e parlargli dei suoi nuovi piani. 
- Eccolo il disgraziato, vedi un po' con chi mi tocca parlare...
Si lamentò fra i denti il ragazzo; aveva visto l'uomo accasciato a terra dormiente. Gli si avvicinò e gli poggiò uno scarpone sull gamba scuotendolo. 
- Sono sveglio Mar... Sono sveglio! 
Disse saltando a sedere l'uomo sudato. 
- Mi dispiace ma io non sono Mar... 
Lo guardò con la testa inclinata da un lato. 
- Dimmi che sta bene!
Si alzò di fretta minacciando Aronne. 
- L'ho fatta uscire dall'Harem di Joe... Era ancora fra le vergini di Iðunn, la dea della gioventù eterna. 
- Cosa vuoi? Ti ho detto tutto quello che volevi e ora? 
- Non ti limiterai a spiarla...tu devi ucciderla, è un ostacolo per quel ragazzo e il suo lavoro. Non ti serve altro da sapere, tu uccidila e la tua innamorata sarà libera dalle grinfie di quel lurido porco.
Gordon annuì con furia e lui senza dire una sola parola andò via guardandosi attorno, assicurandosi che nessuno li avesse visti.
Se voleva tenere al sicuro quello che gli era rimasto, doveva eliminare il problema a monte.

Spazio autrice:
/ salve a tutti, ho avuto un piccolo problemino come potete vedere, perdonatemi la gaf. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Quella stessa notte, fra le High Red Rocks, un brusio si levava nel covo dei ribelli. 
- Ascoltatemi tutti. 
Sbucò Deva su un piano elevato della caverna. Tutti alzarono lo sguardo su di lei e la sua bella figura: aveva un pantalone verde militare dentro gli anfibi marrone scuro, una vecchia maglietta bianca strappata in alcuni punti, e la sciarpa rosso ciliegia era legata in vita, fermata da un cinturone abbinato alle scarpe. 
- L' attacco deve essere anticipato. Non lasciatevi prendere dal panico, la partenza del carico è stata anticipata e Max guiderà il camion col bottino. 
Dalla folla il mormorio aumentò in un coro di voci medio alte. Dalle spalle di Deva si fece avanti Max, aveva gli occhi stretti e la mandibola contratta. Si aggiustò il gilet di pelle che posava aperto sul dorso nudo e fece scrocchiare le nocche sotto i guanti senza dita. 
- Joe ha deciso che dovrò sposare la figlia del Mangia Cuori, io ho accettato in modo che lasciasse guidare me il carico. Deva e alcuni di voi assisteranno alla partenza, poi quando riterrò opportuno, mentre voi ci seguirete con discrezione, io virerò la rotta e attaccheremo. Voglio che la ragazza sia il nostro ostaggio. 
Notò la folla dividersi al passaggio di una figura nascosta sotto un ampio cappuccio nero. Arrivata al centro dei presenti sollevò quell' indumento e alzò la testa verso di loro. 
- Max è un traditore. 
Lo indicò lui con energia guardandolo dritto negli occhi. Gli altri cominciarono ad agitarsi. Senza nemmeno pensare a ciò che sarebbe accaduto saltò giú, oltre la ringhiera; Deva lo seguí e a sua volta istintamente lo fece anche il terzo leader, Peter. 
- Lui ha accettato di sposare la figlia del Mangia  Cuori, scommetto che lui e Joe erano già organizzati. Non possiamo piú fidarci di uno come Max, ci porterà soltanto alla morte...
- Che cosa stai dicendo Yanez?! 
Lo interruppe Deva mettendosi spalla a spalla con Max. 
- Tu non dovresti nemmeno parlare, neanche ti fidi più tu stessa di lui, perché mai dovresti lasciare nelle sue mani tutti noi, tutti loro?! 
Fece un passo avanti cercando di alzare il più possibile la voce, facendosi sentire da tutti quelli presenti all'interno. Max la guardò afflitto, non poteva biasimarla, neanche lui lo avrebbe fatto, forse. Magari stava solo sperando. Deva mise la mano sul fodero della spada e lui intervenne poggiandole una mano sopra a sua volta. 
- No, Deva...
Sussurrò Max. 
- Ha ragione. È vero, ho accettato di sposare la figlia del Mangia Cuori, ma sapete perché? 
Tutti smisero di accanirsi contro di lui silenziando le loro lingue velenose. 
- Lo faccio solo per una persona e per il suo bene, lo faccio per Deva, voi ne avrete vantaggio ma non mi importa di questo. Lo faccio solo per lei. 
Un urlo di approvazione si dilaniò nel covo. Max lanciò un'occhiata di sfida al ragazzo abbronzato davanti a sè, lui lo guardava con astio. Gli si scagliò addosso con rabbia e i pugni stretti.
- Tu sei la rovina di Deva! 
Gli urlò contro prendendolo impreparato. Cadde a terra con Yanez addosso che cercava di colpirgli la faccia. Lui continua a girarla da un lato all' altro fino a quando con tutta la forza non rotolò su di un fianco, facendo cadere di schiena il ragazzo tatuato che aveva avuto addosso bloccandolo. 
- Figlio di puttana!
Urlò Max colpendolo in viso. Quello si alzò barcollando e gli si scagliò contro prendendolo da sotto le braccia, il figlio della guerra cadde di schiena sul pavimento polveroso. 
Cominciarono a colpirsi con numerosi pugni in qualsiasi punto gli venisse a segno prima, levarono da terra una nuvola di polvere; tutti lì dentro erano sbigottiti e meravigliati. 
Deva invece a primo impatto, quando Yanez si scagliò con furia su Max, si fece prendere dal panico; dopo una frazione di secondo scosse la testa e cercò di afferrare uno dei due per tirarlo via dalla rissa che avevano appena iniziato. Continuavano a rotolare per il pavimento fra la polvere e il sangue che subito si seccava. 
- Max! 
Provò ad urlare tirandolo per un braccio, ma quello tirò una testata al ragazzo sotto di lui. Poi Yanez rotolò; Deva lo prese per le spalle conficcandogli anche le unghia e cercò di tirarlo via da sopra il suo ragazzo. Il trucco nero che avvolgeva la fascia oculare sul viso tipico dei figli della guerra, era tutto sbavato sul suo volto pallido. Ora le tremavano le gambe e non si reggeva in piedi; al ragazzo steso per terra, intento a divincolarsi, usciva sangue dal naso e aveva il sopracciglio destro spaccato. 
Poi quando vide una cosa luccicare fra le mani di Yanez, lo tirò più forte avvolgendogli il braccio intorno al collo. Quello senza vederci piú dall'odio nei confronti di Max, si alzò da sopra il ragazzo, afferrò il braccio di Deva e la spinse con tanta forza da farla cadere; si rialzò mettendosi in ginocchio subito, un po' scioccata e spaventata ma, prima che potesse raggiungere i due, Yanez aveva già colpito lo zigomo sinistro del ragazzo con un coltellino svizzero. Tutto si mosse lentamente, corse verso di lui spingendolo via con una spallata, Max lo aveva già addentato lasciandogli un bel segno rosso sul braccio massiccio dell'uomo armato. 
Il coltellino gli cadde di mano e Deva atterrò sulla pancia di Max. 
- Max... Scusami...
Aveva la voce incrinata ma lui non sembrava affatto ferito dal suo atterraggio. Si alzarono entrambi e si diressero verso l'uscita della caverna.
- Deva! 
Yanez le aveva preso il braccio stringendoglielo. 
- Lui sarà la tua rovina... 
- Smettila Yanez! Ne hai fatte abbastanza, ora vattene a sbollire i nervi da un'altra parte!
Tirò il braccio liberandosi dalla stretta del ragazzo per terra ai suoi piedi. Il viso era sporco di polvere e sangue, forse del sangue anche di Max. Quel pensiero la fece imbestialire ancora di più, contrasse le labbra in un ringhio e lo guardò incendiando lo sguardo. Poi con rabbia gli voltò le spalle arrancando mano nella mano con Max fra la folla ancora scioccata, allontanandosi dallo sguardo ferito del ragazzo ancora a terra.
Doveva fare qualcosa per farle cambiare idea. 
Intanto mentre i due giovani stretti si facevano largo fra la folla, un uomo sui trent'anni li teneva d'occhio seguendoli a debita distanza. Gordon doveva farlo adesso, altrimenti la sua amata Mar sarebbe stata il giocattolo di quel dittatore senza cuore, senza una figlia, solo e pazzo; un uomo che prendeva tutto ciò che voleva perchè non aveva nulla in realtà, nessuno che lo amasse.

Erano soli fuori, avvolti dalle braccia nere della notte. Le stringeva la mano e con l'altra libera cercava di asciugarsi il sangue che gli imbrattava il viso. Guardandolo Deva gli lasciò la mano, e infilò il dito in un buco della maglietta strappandola: - Lascia fare a me. 
Appallottolò il tessuto bianco e gli tamponò le ferite aperte. Max era seduto col muso lungo e la guardava con gli occhi luminosi, come se non avesse visto altro di piú bello, ed era così. Non aveva visto altro di più bello, e non perché è una cosa che si dice sempre, ma perché per lui Deva era come una rosa rossa nel deserto, non soltanto perché i suoi capelli erano rossi come le rose, ma perché lei era rara e spaventosamente bella. Poi sotto quella prospettiva ancora di più. 
- Perché mi guardi così? 
Senza fermarsi o distrarsi un secondo da ciò che stava facendo, gli domandò prendendogli il viso fra le mani.  
Max non rispose, si leccò le labbra ed espirò tremando. Quando Deva gli toccò lo zigomo saltò in aria inalando aria fra i denti. 
- Scusami... Non volevo farti male. 
- Non mi hai fatto male... 
Deva inarcò un sopracciglio. 
- E così non ti fidi di me? 
- Non è questo... È che ho sempre temuto che potesse accadere qualcosa del genere e tu potessi davvero amare un'altra... Compiacere tuo padre... 
- Spero che tu stia scherzando Deva, perché non vuoi capire che io voglio farti felice davvero? Che io voglio il meglio per te? Che mi importa troppo di te? 
Lei non rispose, continuò a tamponargli le ferite anche se ormai non serviva più. Spazientito Max le prese il polso fermandola, la guardò negli occhi seguendo il movimento di quelli di lei. 
- Perché? 
Sussurrò. 
- Perché ho paura di perderti, che tutto questo non sia reale. 
Max le sfiorò una guancia e si sforzò di sorridere.
- Tutto questo finirà e tu sarai felice.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Lei era avvinghiata a Max e lo stringeva, lui ricambiava con tutta la sua forza quella stretta. Si guardavano negli occhi con le fronti l'una contro l'altra; gli accarezzava il viso. 
Max abbozzò un sorriso stanco, espirò tremante e chiuse per un attimo gli occhi. Lei lo guardò fino a quando non li riaprì, poi sorrise. 
- Si vede che sei stanco...
Sussurrò, serrando gli occhi e poggiando la sua testa sulla spalla di Max. Lui accostò la testa nell'incavo fra il collo di Deva e la sua spalla, indugiava con lo sguardo verso le dune rischiarate solo dalla flebile luce della luna crescente, ogni tanto una leggera brezza soffiava rinfrescandogli le braccia appiccicose. 
Udì un fruscio e il suo sguardo puntò ad un cespuglio che ondeggiava; era un movimento troppo brusco e forte per essere stato cullato dal venticello. 
Cominciò a scrutare oltre la spalla di Deva che era ancora rannicchiata contro il suo corpo. 
Aveva una strana sensazione che gli affliggeva il petto, cominciò a sentirsi osservato e ciò lo rendeva più irritabile del solito.
Max aveva la testa calda già di suo, ma quella impressione lo rendeva ancora più irascibile. 
Tutti quelli che lo circondavano se n'erano accorti, senza però dargli troppo peso; insomma, Max era così instabile, non dominava la rabbia, perciò nessuno si preoccupò poi così tanto. 
Deva, invece, risentiva quel cambiamento, ben presto cercò di aiutarlo e anche lei non molto dopo ebbe la stessa impressione di Max: essere tenuta sotto controllo. 
Provò a comportarsi come sempre e, fino a quel momento, niente era successo. Ancora con la testa raggomitolata sulla spalla di Max, contrasse i muscoli all'udire il fruscio che il ragazzo stesso aveva sentito. 
Sollevò la nuca e si guardò attorno. Incrociò lo sguardo con quello di Max e dopo un attimo entrambi sfoderarono le lame, allontanando i loro corpi abbracciati. 
- Lo hai sentito? 
Sussurrò con la voce instabile. Il ragazzo si limitò ad annuire. 
- Veniva dal cespuglio. 
Puntualizzò Max sfoderando un piccolo pugnale argentato inciso da rune, a Deva era sempre piaciuto quel pugnale. 
Un altro rumore fece distrarre Max che si fece avanti di qualche passo. Era troppo preso a cercare con lo sguardo, a concentrarsi sui rumori, mentre lei era presa ad ascoltare il suo cuore che batteva lento e sembrava perdere sempre di più la sua frequenza stabile. Scandiva nelle orecchie ogni battito che sembrava amplificato, tanto che cominciò a chiedersi se il suo cuore lo sentisse anche Max. 
Fu tutto così dinamico che nessuno ebbe il tempo di capire davvero cosa stesse succedendo. L'ultima cosa che vide, sebbene la sua vista cominciava ad offuscarsi, fu il viso sorpreso di Max che si scagliava alle sue spalle. 
Tutto in quel momento si muoveva a rallentatore. 
Vide, voltandosi, Deva cadere con un tonfo sordo; sollevò una nuvola di polvere bianca sotto la flebile luce. Purtroppo non fece in tempo a prenderla o almeno ad attutirle la caduta. 
Quando Deva era già a terra, lui si scagliò contro la figura alle sue spalle. 
Con una spallata fece cadere l'uomo robusto, che non era per niente atletico o allenato. Quello gli mise le mani sulla schiena e lo trascinò con giù con sé.
Con un semplice sguardo, Max dedusse che il ragazzo fosse un bravo arciere, in compenso. 
Aveva il pugno chiuso, gli era a cavalcioni e lo colpì due volte sul viso con rabbia. 
I colpi che gli diede avevano un rumore sordo; presto un odore ferroso gli investì le narici. Il ragazzo sotto il suo peso sembrava confuso e stonato, ma provò a colpirlo ugualmente. 
Nonostante non sembrasse bravo in uno scontro corpo a corpo, colpì con energia in pieno naso Max, che con ancora più ira gli afferrò il colletto della giacca di jeans e lo sollevò posandogli una testata, poi si alzò. 
Barcollò un po', gli girava la testa. Si toccò il naso che gli doleva, gli parve di sentire un tack quando venne colpito, ma non gli sembrava rotto adesso. 
Si sbavò il caldo sangue sul viso col dorso della mano. Lo sentiva scendere fino alla gola, distingueva la sua strada nella trachea; gli piaceva insolitamente quel gusto metallico e caldo, era piacevole, nonostante un po' gli pizzicasse la gola. Nonostante questo, si sentiva ancora confuso, pieno di rabbia e stonato. 
L'uomo a terra si contorceva toccandosi la fronte, probabilmente gli doleva la testa. 
Tirò su col naso e si riavvicinò al ragazzo che mugolava, rotolando su sé stesso. 
Si piegò e si lasciò cadere con forza controllata sul ragazzo, conficcandogli il ginocchio sul petto. 
- Perché lo hai fatto Gordon?! 
Quello si forzò a guardarlo, sorrise ironico scoprendo i denti sporchi di sangue. Max lo risollevò da terra prendendolo per il colletto. 
- Perché tento... 
Arrancava a parlare, ingoiava sangue dolce e ferroso, che non gli dava tempo di respirare. 
-... Di salvare la mia ragazza. 
Deglutì visibilmente.
- Dall'Arem. 
Max lo lasciò con forza e Gordon rimbalzò, non si toglieva il sorriso sarcastico dal viso. 
- Dall'Arem... 
Ripeté piano Max. 
- Mi hanno inviato. 
Max lo schiaffeggiò per fargli riaprire gli occhi. 
- Chi ti ha mandato? 
Nessuna risposta. 
- Chi ti ha mandato!? 
Urlò fra i denti stretti. 
Gordon prese fiato, guardò il corpo inerme della ragazza poco distante, Max colpì con forza lo sterno del ragazzo con aria di minaccia.  
-Parla. 
Ringhiò. 
- A... 
Poi Gordon sotto il suo peso perse i sensi. 
- Dannazione... 
Mormorò Max.
Lo prese per le spalle scuotendolo, ma quello non voleva saperne di riprendere i sensi. Lo schiaffeggiò, lo scosse più forte ma nulla. I suoi tentativi erano inutili. 
Urlò di rabbia lasciando cadere l'uomo fra la sabbia. 
Si accasciò accanto al corpo della ragazza, le spostò i capelli rossi dal viso e lo accarezzò. Stava per alzarsi e fare a brandelli la maglietta di Gordon, l'avrebbe usata come pezza per asciugarle il sangue denso che le usciva dal naso, ma una mano fredda gli afferrò il polso e lui si lasciò cadere nuovamente sulle ginocchia. 
- Max...
Mormorò Deva con gli occhi che non riusciva a tenere aperti. 
- Rimani con me. 
- Deva per amore del cielo, non sforzarti. Sono qui con te. Adesso ti riporto a casa, ti faccio fare la guardia da Peter e qualcun'altro e vado a prendere il bastardo che ti ha fatto questo. 
Voltò la testa verso Gordon e sputò sangue, ancora non smetteva di uscire, continuava a contrarre i muscoli del viso dalla rabbia. 
Deva aveva richiuso gli occhi. 
Rimase a guardarla con un senso di vuoto dentro, poi la prese fra le braccia e la portò alla caverna.
Yanez e Peter erano fuori, avevano l'aria di chi stesse aspettando qualcuno.
Appena Yanez vide Deva senza sensi si mosse velocemente, ma Peter lo afferrò sbattendolo contro la parete.
- Che è successo Max?! 
- Gordon è un traditore, ha attaccato Deva in un attimo di distrazione e poi ci siamo scontrati. Ha detto che lo avevano mandano, voleva solo fare qualcosa per la sua ragazza.
- Chi lo ha mandato?! 
Chiese Yanez con la faccia premuta ancora contro la roccia. 
- È svenuto prima che potesse dirmelo. 
- Se dici a Peter di lasciarmi andare vado a riprenderlo. 
Max annuì verso Peter e quello lo lasciò. Yanez rivolse un freddo sguardo di gratitudine e corse alla ricerca di Gordon. 
- Portala dentro. Non può rimanere qui, saprebbe dove cercarla ma conosco un posto dove non verrebbero a farlo. 
Max lo guardò incuriosito. 
- Sopra casa mia ci stava un suo vecchio zio, la nasconderemo lì. Farò in modo che riprenda i sensi.
- Non possiamo colpire domani... Come faremo?! 
- Max, rilassati non è niente di grave, piuttosto datti una sciacquata al viso con quella brocca e portarmene un po'. 
Max eseguì quell'ordine. 
Odiava farlo, ma Deva ne aveva bisogno. 
Un po' di tempo dopo, caricarono la ragazza sulle spalle e la portarono sopra la casa di Peter, la coprirono con delle coperte che le aveva dato la madre del ragazzo e rimasero lì fino a quando Deva non aprí gli occhi. 
Lui non le staccava gli occhi di dosso. 
- Così le bruci tutta l'aria. 
Cercò di alleggerire la situazione Peter. 
Max lo zittì con un cenno della mano e si inginocchiò accanto al letto, mentre la ragazza apriva gli occhi. 
Cercò di mettere a fuoco diverse volte, e alla terza tentò di alzare la mano per toccare il viso di Max. Poi guardò lo sfondo. Quella casa la conosceva ma non era la sua. 
- Qui sei al sicuro Deva. 
Peter si alzò, guardò fuori da una finestra sollevando una vecchia tenda pesante e vide Yanez. 
- È arrivato. 
Lanciò uno sguardo a Max, ma lui riguardò subito la ragazza che cercava di sorridergli. 
- Non sforzarti. 
Le prese la mano e se la portò alle labbra baciandola. 
Peter aprí la porta e Max si sollevò di scatto guardando con furia il ragazzo appena entrato. Con una manata fece volare la sedia. 
- Dov'è?! 
- Calmati Max. 
Suggerì Peter avvicinandoglisi con cautela. 
Intanto Deva lo aveva chiamato, ma la sua voce era troppo flebile per essere sentita. 
Lui si avvicinò a Yanez con rabbia colpendolo, quello sobbalzò colto di sorpresa, ma mantenne la calma. 
- Lui non c'era, Max... 
- Che vuol dire, te lo sei fatto scappare?! 
Si avvicinò di piú e Yanez abbassò lo sguardo. 
Gli diede un altro schiaffo e la testa di Yanez girò. 
- Max... 
Sussurrò deva sforzandosi di gridare, si lanciò dal letto e sbattè le mani sul pavimento facendo voltare il ragazzo. Peter non era riuscito a prenderla.
- Max! 
Gridò Peter. 
Max le corse in contro alzandola. 
- Basta.
Sussurò la ragazza. 
La guardò con gli occhi lucidi e incuriosito, cercò di non farle penetrare l'anima. Lei lo faceva sempre; i suoi occhi erano così grandi che riusciva sempre a penetrargli dentro, ma questa volta non doveva farla preoccupare. 
Yanez ancora davanti la porta, ora inchiodato dallo sguardo spazientito di Max, lo guardò. 
- Non l'ho trovato lì, è fuggito prima. 
Il figlio della guerra mise a letto Deva accarezzandole la testa. 
- Fatele la guardia, nessuno entra o esce da qui. Io devo fare una cosa. 
Max aveva continuato a ripensare a quall'iniziale, aveva già capito chi era il mandante. Quando portò Deva al covo aveva già in mente di metterla al sicuro e andare a parlare con qualcuno di sua conoscenza. 

Gordon pochi minuti dopo che Max e Deva erano andati via, si rimise in piedi a fatica e raggiunse Aronne, per avvisarlo. 
Il ragazzo sapeva che suo fratello avrebbe capito. Lo avrebbe aspettato sveglio nella camera di Max, pronto ad uno scontro.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


E così lui già sapeva chi avesse mandato Gordon, chi avesse trasformato quel povero bastardo in un traditore, in una talpa. 
Se nel covo Gordon era una spia, questo voleva dire che non era il solo.
Camminava ininterrottamente, le sentinelle nemmeno si accorgevano di lui, era il figlio del dittatore e la voce di un litigio giù in città aveva galoppato velocemente. Al suo passaggio i figli della guerra si spostavano facendolo passare; mostravano il saluto irrigidendo la postura e battendo i pesanti scarponi. 
Con noncuranza aprì le porte del palazzo, salì senza pensare le scale fino alla sua camera e poi spalancò la porta. 
- Sei un traditore!
Sbattè l'imposta con rabbia, la mandibola la stringeva talmente forte che gli dolevano i muscoli. 
Aronne sorrise sardonico e scosse la testa, rimase immobile davanti al fratello furioso. 
- Non sono un traditore, ti sto solo salvando da una morte certa. 
Max strinse i pugni e le sue nocche sbiancarono. 
- Non te l'ho mica detto io di voler restare vivo. 
Suo fratello continuava a guardarlo indisponente, col quel sorriso satirico stampato sul viso; a Max quel comportamento lo urtava talmente tanto che l'ira non gli permetteva di respirare, aveva solo voglia di fare una rissa, realmente quel desiderio non lo abbandonava mai, era nel suo carattere scontroso. 
- Non ti permetterò di ucciderti. 
Aronne lo aggirò puntandogli contro un dito. 
- Questo non è di tua competenza. 
Sbottò avvicinandosi ad Aronne, mentre gli indicava l'uscio. Doveva andarsene adesso, pensava ininterrottamente, sempre che anche lui non volesse uno scontro. 
- Qui fra i due il traditore sei tu. 
Max lo guardò con gli occhi sgranati incredulo. 
- Come osi?! 
Aggrottò la fronte e raddrizzò le spalle, i muscoli tesi pronti a muoversi veloci come il vento. 
- Stai voltando le spalle alla tua famiglia. 
Max alzò la voce sovrastando quella del fratello che muoveva le braccia in ampi movimenti piegandosi in avanti, quasi volesse supplicarlo di dargli ascolto. 
- Non è questa la mia famiglia! Mio padre non era così, mia madre era viva e mio fratello non avrebbe sopportato tutto questo! 
- La tua famiglia, Max! 
Lo interruppe Aronne ripetendo quella frase, la voce gli rompeva lo sterno per uscire dalla piccola cavità. 
Max rise con acidità, gettando la testa indietro. 
- La mia famiglia...
Ripetè fra sé e sé.
- Non ho più una famiglia. 
Mormorò, forse Aronne non lo aveva sentito, almeno sperò che così fosse. 
Il fratello lo guardava con una nota amara negli occhi, stava cominciando a spazientirsi. 
- Ora basta. Non te lo permetto. 
Lanciò un pugno dritto sulla mandibola di Max, con tutta la forza e tutta la rabbia che aveva tenuto dentro, che aveva cercato di reprimere. Max indietreggiò guardando il fratello stupito e lentamente si massaggiò la mandibola. 
Era stanco di sentirsi sempre in gabbia. 
Si lanciò contro di lui mettendogli le mani al collo; Aronne gli teneva i polsi con forza, ma Max era più forte, era più nervoso, reprimeva il doppio di quello che sopprimeva il fratello. 
Lo sbattè contro la scrivania con sopra delle piccole boccettine e allo schianto quelle si ruppero tutte. Gli diede un pugno sul naso; si sentì un crick ma Max non si fermò, continuò a premere le dita sul collo del fratello fino a quando non gli vide diventare le labbra viola. Quando non oppose più resistenza lo lasciò, spingendolo contro un mobiletto.
Aronne gli finì addosso scheggiandolo. 
Max continuò andandogli incontro e scaraventandogli un pugno sull'occhio, che subito diventò rosso; il sopracciglio del fratello perdeva sangue. 
- Sono stanco. 
Disse Max fra i denti, il fiato corto e pesante. Aronne mise le mani davanti al viso e si accovacciò per terra impedendo al fratello di colpirlo alle costole, o allo sterno o ancora dritto allo stomaco. Vedendo la mossa di Aronne, Max gli mise le mani sulla schiena dove alcune vertebre erano visibili, e lo fece rotolare spingendolo leggermente. Aronne con le ginocchia alzate e le braccia distese, il busto e il viso senza protezione, guardava Max dal basso che lo sovrastava, aveva il viso scuro e le labbra serrate. 
- Non sono il vostro burattino, tu non hai prove per fermarmi e non lo farai. Porterò io il carico e nessuno mi dirà di no. 
Si passò una mano sul viso disperato e cupo, poi abbassò il capo verso il fratello che ancora sul volto aveva quel sorriso sardonico, sporco di sangue. 
- Hai ingaggiato una talpa, senza neanche preoccuparti di me. Avrebbe potuto uccidermi ma a te non sarebbe importato... 
Si abbassò mettendo una mano attorno al collo del fratello che gli prese il polso con la poca forza che gli era rimasta, aveva il viso contratto in un'espressione di riluttanza. Non pensava a nulla, cercava solo di imparare di nuovo a respirare. 
- Adesso dimmi fratellino, chi è il traditore?

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Quel giorno era arrivato.
Gli era sembrato tardare così tanto e invece senza nemmeno accorgersene era giunto come un battito di ciglia.
Quella mattina lo aveva svegliato uno strano rumore, potevano essere le quattro. Sentiva dei passi accompagnati dal riecheggiare dell'armeria, si dirigevano verso la sua porta che, non appena lui si alzò di scatto afferrando l'arma bianca da sotto il cuscino, si spalancò. 
Nella stanza erano fiondati quattro uomini armati; stavano scortando una ragazza, la stessa che aveva visto uscire dallo studio del padre. A capo c'era suo padre Joe, affiancato da suo fratello Aronne e il fratellastro Logan, entrambi avevano il capo chino, non alzavano gli occhi nemmeno per sbaglio. 
Dietro le ultime due guardie invece c'era il Mangia Cuori che lo mirava con freddezza. Nascose il pugnale dietro le sue spalle poggiandolo sopra la scrivania in mogano e guardò il padre senza temerlo, senza riluttanza.
- Sposala adesso. 
La voce del padre era impassibile, a quella frase i soldati si scostarono dalla ragazza. Aveva anche lei la testa abbassata e sembrava che piangesse, vestita in un abito attillato e bianco, ricamato con richiami floreali; fra i capelli un velo che le ricadeva sulle spalle.
Si mise dritto e avanzò di poco verso di loro. 
- Che le avete fatto?
Era preoccupato, nonostante non conoscesse quella ragazza, nonostante non provasse nulla per lei non poteva vederla in pena.
- Max, sposala ora. 
Scandì lentamente il padre. 
Gli occhi di Ester gli penetrarono dentro, erano lucidi e rossi. Aveva il trucco sbavato sulle guance, scuoteva la testa.
- No... 
Max prese un respiro profondo, gli balenò nella mente la frase di Yanez: " tu non ti fidi neanche di lui". 
Un dolore acuto gli attraversò il petto, si piegò leggermente in avanti respirando a fatica, poi si portò una mano al petto. 
- È quello che lei vuole? 
Ester scosse la testa, lo fece così piano che quasi non lo percepì. 
Si tastò una tasca del pantalone, le chiavi del carico erano ancora lì, chiuse gli occhi sollevato e guardò il padre, poi parlò col Mangia Cuori. 
- Non la sposerò se non è quello che vuole. C'è una legge che parla chiaro. 
Lanciò un'occhiata ad Ester che aveva gli occhi puntati sul pavimento. 
- Non importa quello che vuole lei. Chiama il sacerdote Joe, fai presto. 
Il dittatore con un cenno della mano mandò a prendere il sacerdote dal figlio Logan. 
Il Mangia Cuori prese con violenza il braccio della figlia che strepitò e la tirò addosso a Max. 
Logan era dietro di lui con il sacerdote stretto fra le sue mani. 
- Gli faccia dire si, il rito verrà fatto successivamente, devono sposarsi adesso. 
Max non aveva scelta, si trovava in trappola; si guardò attorno e un'idea gli balenò in mente. 
- Tu lo vuoi? 
Le prese il mento fra le dita cercando di farsi guardare negli occhi, ma lei lo fece solo per un istante. 
- No... 
Bisbigliò decisa in preda alle lacrime. 
- Allora fidati di me. 
Le prese le mani e le strinse. 
Guardò i presenti e il sacerdote. 
- Siamo pronti. 
L'uomo, con la tunica di tela color fango, sorrise ampiamente annuendo ai due sovrani, la sua testa sembrava una pallina bianca sporca di nero sulla faccia. 
- Ester, prenderai questo ragazzo come tuo sposo e fedele gli rimarrai. 
Alzò le braccia al cielo come per benedire i due. 
- Cara, devi dire di sì. 
Ester guardò preoccupata Max, che gli suggerí la risposta annuendo.
- Sì. 
Il sacerdote guardò Max, che strinse la mani di Ester ancora piú forte, l'alba stava arrivando, notò guardando fuori dalla finestra. 
- Max, tu prenderai questa ragazza come tua sposa e la proteggerai.
Max lo guardò senza rispondere. 
Guardò il padre, poi fece un cenno ad Ester ed ella lo abbracciò; Max rapidamente tenendola fra le braccia si gettò dalla finestra e i vetri andarono in frantumi, tutti si mossero per fermarli ma era troppo tardi; si erano buttati nel vuoto. 
- Se rimangono vivi trovateli! 
Urlò il Mangia Cuori spingendo Logan e Aronne fuori dalla porta. 
- Ora! 
Sbraitò vedendo i due titubanti. 
Aronne e Logan radurano alcuni soldati dando l'ordine di trovarli. 
Ma Max aveva sempre un piano, conosceva tutti i vicoli del palazzo e in un attimo prese possesso del carico. 
 
Impossessatosi del carico, aprì i cancelli con i figli della guerra alle costole e partì a tutta velocità sfrecciando davanti le case di Irem. 
Seguendo il piano stabilito almeno per metà, superate le High Red Rocks, fu seguito dai veicoli di Deva, che dividevano il carico dalle guardie di Joe War. 
Tutti i veicoli davano più gas possibile ai motori che li facevano accelerare notevolmente. 
Max guardò dallo specchietto retrovisore; non vedeva Deva. Guardò i camion ai due lati del carico ma niente, c'erano soltanto Peter e Yanez. Prese il microfono del carico e parlò: - Mi sentite? 
Lanciò un' occhiata a Yanez cambiando la marcia e sorrise ad Ester che sembrava spaventata. 
- Sì, ti sentiamo. 
- Dov'è Deva? 
Yanez e Peter si lanciarono un sguardo furtivo. 
- Dov'è Deva? 
Insistette Max. 
- È dietro, tranquillo, si sta occupando dei tuoi vecchi amici. 
Per cosí dire, Max tirò un sospiro di sollievo. D'altro canto Deva stava per essere coinvolta in una sparatoria o in qualcosa di peggio. 
- Max. 
Riprese il microfono in mano e attese. 
- Lei è brava, è forte, e ti ama. Ha deciso di fidarsi di te nonostante avesse avuto diverse volte le prove che io aspettavo, ed è qui, anche per te. Soprattutto per te. 
I suoi occhi si incrociano con quelli di Yanez, erano sicuri di sè e gli annuí. 
Max sentì l'angoscia posarglisi sul petto, strinse il volante e chiuse gli occhi per un secondo, percependo le lacrime bruciargli i due zaffiri, poi li riaprí e si accorse che Ester lo stava guardando.
- Che c'è? 
Disse brusco lanciandole occhiate veloci. Si, era una ragazza carina, ma Deva messa al confronto era stupenda. Quel pensiero lo innervosì; nessuno poteva competere con la sua ragazza. 
- Deva è la tua fidanzata? 
La ragazza teneva gli occhi sulle sue gambe e non lo guardava più, aveva la voce debole e sembrava quella di una bambina. 
- Si, Deva è la mia ragazza. 
Rispose brusco; sui due calò il silenzio per un attimo, in seguito Ester aprì la bocca come se volesse dire qualcosa ma la richiuse. 
- Com'è? 
Max cambiò nuovamente la marcia. 
- Max, ci sei?
Prese il microfono in mano e aspettò che Peter continuasse. 
- È ora. 
Riposò l'aggeggio e con uno scatto del polso fece girare il carico di centottanta gradi, Peter e Yanez si affiancarono nuovamente ai lati, così fecero anche i due camion dietro di loro. Stava andando incontro al nemico e Deva gli stava davanti scortata da un altro camion; fecero fuoco sulle ruote dei nemici.
Erano rivestite di una protezione particolare e i danni erano lievi.
Deva parlò al microfono. 
- Ragazzi, puntiamo ai vetri.
Nell'istante in cui sentì la sua voce sul volto di Max spuntò un sorriso, un bellissimo sorriso, luminoso, spontaneo e sincero. 
- Facciamogli vedere chi siamo! 
Urlò entusiasta Max. Era davvero felice di sentire che lei stava bene.
- Hai l'ostaggio? 
Gli domandò Deva, con una luce complice negli occhi.
- Oh si che lo abbiamo.
Le rispose Max con la voce roca, guardò Ester con malizia. Lei sembrava avere ancora più timore.
- Non ti faremo del male davvero, non è nei nostri piani. 
Max accellerò. 
In effetti Ester non gli interessava, ma era un ottimo mezzo per raggiungere i loro scopi, adesso era fatta. 
Max aveva voltato ancora insieme agli altri dritti verso una tempesta di sabbia. 
Questo sarebbe stato l'inizio di un viaggio. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


- A tutto gas Max!
Urlò al microfono Yanez.
C'era una strana complicità fra loro due, tuttavia Max non avrebbe dimenticato le loro divergenze.
Un brivido di puro divertimento corse lungo la schiena scheletrica del ragazzo, spontaneamente sorrise.
- Facciamogli mangiare la polvere.
Si calò sugli occhi degli occhialini e alzò i finestrini. Si gettarono nell'occhio del ciclone.
Max non vedeva più il cofano del camion, la sabbia sbatteva con violenza contro il vetro spesso. Guardò dal finestrino ma non vedeva nè Peter nè Yanez; dallo specchietto retrovisore non vedeva i quattro camion che gli coprivano le spalle. In lontananza però sentiva degli spari; dal microfono il suono usciva disturbato.
- Max.
Prese l'altoparlante fra le dita e lo avvicinò all' orecchio. Nuovamente il suono era disturbato.
- Proseguiamo.
La voce gli parve quella di Deva, cominciava a preoccuparsi, non gli piaceva quella linea interrotta.
- Nulla, okay?
- Deva? Mi senti?
- Non li vedo, ma accelera.
- Okay.
Posò lo strumento di comunicazione ed agganciò la sesta, spingendo senza sosta il pedale dell'acceleratore.
Il vento sembrava diventare sempre più forte man mano che andavano avanti; pregò che non perdessero nessun camion di scorta: per tutti i ribelli che vi erano nascosti e soprattutto per la protezione che  fornivano loro.

Intanto i figli della guerra erano stupiti dalla manovra dei ribelli. Una mossa tanto azzardata e folle, solo dei pazzi avrebbero virato sulla tempesta che infuriava.
- Avresti dovuto ucciderla quando potevi, idiota.
Aronne spinse l'acceleratore.
- Stiamo perdendo alcuni uomini Aronne!
- Calmati Logan, papà sa cosa fare!
- Bastardo traditore infame.
Logan continuò ad imprecare contro Max sbattendo i palmi sul cruscotto, fu guardato da Aronne con astio.
- Afferra quella ricetrasmittente e renditi utile, stupido.
Logan l'afferrò in attesa di un messaggio da parte del padre.
- Rivoglio indietro il carico
Il suono uscì più graffiato che chiaro, ma in ogni modo comprensibile.
- Uccidete la ragazza e tutti quelli che non si piegano al mio volere.
Il cuore di Aronne prese a battere velocemente, non aveva ancora siglato il destino di suo fratello. D'un tratto una fitta acuta allo stomaco gli fece provare un senso di colpa, un nodo in gola gli crebbe senza permettergli di deglutire e gli occhi gli bruciarono.
- E Max?
Disse avvicinandosi alla ricetrasmittente.
- A lui ci penserò io stesso. Non toccate Ester.
A quella prima frase Aronne sentì un'altra stretta allo stomaco che gli fece venire la nausea, si sentiva bruciare l'esofago, la trachea e lo stomaco. Max lo avrebbe avuto sulla coscienza fino al giorno della sua morte.
- Fermiamoci, avremo tempo per raggiungerli. Sciupiamo carburante, non andranno lontano loro.
Parlò il dittatore d'Irem, la voce era impassibile e Aronne si forzò a sottostare agli ordini del padre, del suo dittatore.
Sapeva che aspettare la fine della tormenta violenta non li avrebbe aiutati, anzi avrebbe agevolato proprio il fratello.
- Gli taglieremo la strada nelle gole di Alcàn, lí li sorprenderemo e faremo una strage. Metteremo al proprio posto quei ribelli. Ricordate solo che Max dovete lasciarlo a me.

- Max!
Esclamò Deva dal microfono, lo teneva saldo; qualcosa non la convinceva, non c'era piú nessuno e aveva sprecato un colpo.
- Deva.
Max aspettò che dicesse un'altra parola: sentì nella sua voce che c'era qualcosa che non la convinceva.
- Non ci sono piú.
La ragazza era perplessa, contrasse le labbra e si accigliò; li aveva avuti sotto gli occhi pochi minuti prima, sparava loro addosso e quando arrivò quella raffica di sabbia, erano spariti nel nulla.
Max storse le labbra, forse aveva capito quello che era successo; prese il microfono e prima di parlare rimase un po' a guardare la sabbia che sbatteva contro il vetro del carico. Cosa era effettivamente successo a quei fuori strada che li stavano seguendo?
- Yanez, Peter proseguiamo. Ci portiamo fuori dalla tempesta, poi raggiungeremo un oasi poco distante da qui.
Spinse sull'acceleratore e con occhiate furtive che lanciava alla ragazza seduta accanto, guidò i ribelli fuori dalla tormenta di sabbia.
- Vuoi andare nell'oasi? La tempesta ti ha dato alla testa Max?
- Max... Ne sei sicuro?
Immaginava il viso di Deva sconcertato, le labbra piegate in una smorfia.
Anche per lui dirigersi verso l'oasi era una cosa da matti, ma era l'unico posto in cui potersi fermare e sfuggire a un'ipotetica trappola dei figli della guerra.
- Max hanno qualcosa di losco in mente, hai un'idea di quello che possano tramare?
Il ragazzo scosse la testa frustrato, aveva le sopracciglia aggrottate; nulla era certo, non aveva prove, non aveva mai sentito i suoi piani, niente era quello che aveva per esserne sicuro. Ester lo trovò carino, e le sue guance si tinsero di rosso.
- No Peter, ma temo che lo scopriremo presto.
Strinse il volante della vettura con rabbia e sdegno.
  "Perché si sono fermati realmente?"
- Ah! Max, tuo padre era in mezzo a loro.
Le labbra di Yanez erano piegate in un sorriso gelido e arrogante.
Doveva immaginarlo, se non avrebbe portato lui in salvo Deva, lo avrebbe fatto egli stesso e avrebbe lasciato Max come vittima sacrificale.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Quando avvistò la piccola oasi di Abidjan vide che era dominata da alte palme verdi, le case da quella distanza erano piccole e bianche con i tetti grigi; non sembrava un'oasi devastata. L'imperatrice che la governava aveva fatto un bel lavoro.
Più si avvicinavano con i mezzi grossi e infangati, più Max scorgeva meglio le abitazioni bianche; i muri erano invasi ordinatamente da edere verdi e sane, le strade di sabbia rossa erano pulite e nessun'anima viva era vagante.
- C'è troppa calma...
Parlottò Peter incerto.
- Hai ragione Peter, nessuno è per le strade. 
Confermò Max guardando attentamente fuori dal parabrezza del camion.
- Max... 
Deva prese potere al microfono con la voce titubante. 
- Sì, Deva? 
Il ragazzo dalla pelle candida aggrottò la fronte, temendo l'annuncio della ragazza dai capelli fuoco, sapeva cosa stava per dire. 
- È una trappola. 
Affermò guardandosi indietro.
- Cosa?! 
Esclamò il figlio della guerra. 
Dai vicoli che circondavano il piazzale, uscirono degli uomini armati che cominciarono ad avvicinarsi lentamente, puntando i fucili calibro 12 contro di loro. Max prese il microfono e con decisione disse: - Scendete lentamente, proteggete il carico.
Yanez non fece in tempo a ribattere ciò che pensava, cioè che era una pessima idea, ché lui era già sceso. 
Non gli piaceva stare sotto il suo comando. I leader erano lui, Deva e Peter; Max non c'entrava nulla. Tuttavia guardò Deva di traverso e quando gli annuì, capì che non era ancora il momento per scatenare la sua ira su quel che per lui rimaneva solo un grande traditore.
Caricò il suo Xtreme calibro 12; non lo puntò contro nessuno aspettava un cenno da parte di Deva o Peter. 
- Non allontanatevi e non fate passi falsi.
Deva, Peter e Yanez si misero alle spalle di Max e insieme fecero qualche passo avanti. Di fronte a loro, gli andavano incontro due uomini con il dorso pieno di tatuaggi maori. 
- Vogliamo semplicemente rifornirci, prenderemo solo poco del vostro tempo. Poi andremo via senza crearvi problemi. 
Uno dei due, quello poco più basso, dagli occhi spenti e scuri guardò prima Max dall'alto in basso, successivamente allo stesso modo guardò Deva. 
- Sappiamo cosa siete venuti a fare e cosa state facendo. Non vi riforniremo: o ve ne andate adesso oppure prenderemo noi il carico. Le voci si disperdono rapidamente, ribelli, e noi non vogliamo guai o debiti con la cittadella di Irem. 
Il ragazzo alto dalle spalle larghe e la pelle mulatta reggeva lo sguardo di Max con sfida e odio. 
- Non possiamo andarcene e non prenderete il carico: quello appartiene a me. 
Yanez lanciò un'occhiata folgorante al ragazzo accanto a sé e poi ritornò con lo sguardo spazientito sull'uomo che aveva parlato, gli occhi scuri del ragazzo avevano qualcosa di strano che non sapeva decifrare, era una cosa che lo inquietava molto. 
- Mi dispiace ma se volete rifornirvi noi non vi daremo protezione, non dobbiamo nulla ad un ex figlio della guerra. Non vogliamo guai. 
I due tornarono sui propri passi e quello con cui aveva parlato Max lanciò indietro le mani alzandole, era un segnale d'attacco, capì tardi il figlio di Joe. La flotta che aveva davanti a sé si lanciò dritto verso di loro. 
Non potevano ritirarsi; dovevano affrontarli, dovevano parlare con la loro imperatrice. 
Si levò una grossa nuvola di sabbia e voci al cielo splendente e limpido. 
Max colpì uno dei tanti uomini che gli venivano incontro alla mandibola con un colpo di fucile, che aveva preso da un altro uomo, steso poco prima con una ginocchiata al petto. 
Si batteva in vari modi: maggiormente corpo a corpo, non aveva molto tempo per ricaricare il fucile o la pistola in tasca. Dovette estrarre il pugnale a lama lunga per colpire e ferire tutti quelli che gli andavano incontro. 
Deva invece con grazia e movimenti ipnotici colpiva i suoi avversari; ne colpì uno in piena faccia con un calcio. Si girò attaccando un altro ragazzo che la stava per colpire e vide l'ostaggio in difficoltà; scivolò fra le gambe dell' uomo robusto e grande quanto un armadio e si precipitò ad aiutare quella ragazza bionda dalla pelle abbronzata e perfetta. Una scossa di invidia le perverse la mente distraendola. 
Fu colpita in pieno stomaco, balzando su Max che era poco distante. 
Entrambi caddero sulla sabbia preoccupati, con la coda dell'occhio Max notò Ester in pericolo. Si guardarono per un attimo attorno: tutti lottavano contro tutti. Ed Ester si era messa a correre per sfuggire a tre uomini corpulenti che la volevano prendere. 
Deva alzò lo sguardo su Max, che la stava già guardando con gli occhi sorpresi, e si mise in piedi. Il ragazzo non sembrava essersi fatto male attutendo la sua caduta. Gli era atterrata proprio sul bacino e involontariamente gli colpì lo stomaco con un gomito. 
- Dobbiamo prenderla. 
Si limitò a dire. 
Poi entrambi si misero a correre seguendo i quattro; erano rallentati da alcuni dei rivali che cercavano di colpirli, ma loro abili li scansavano. Sembravano una coppia in sincrono perfetto. Si scambiavano occhiate complici. E quella cosa faceva impazzire sia Max che lei, era felice anche in quel momento. 
Max la trovò molto attraente quando la vide arrancare, coi capelli rossi appiccicati al viso sporco e sudato, le sue labbra rosee erano schiuse e respirava a grandi boccate. Tutto intorno era sparito era concentrato su Deva, era lei nel suo campo visivo in quel momento, ed era la cosa più bella che avesse mai visto. Con quei pantaloni neri aderenti e la canotta abbinata. Era bellissima e pericolosa, come un cobra. 
La ragazza cominciava a sentire un caldo tremendo, ma in ogni modo si costrinse a correre dietro l'ostaggio che le sfuggiva. 
Frattanto Yanez e Peter guidavano allo scontro i ribelli, che ai nemici parevano inarrestabili.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Si ritrovarono accerchiati e scortati per le strade dell'oasi sotto gli occhi di tutti i suoi abitanti, sguardi arcigni e curiosi, diffidenti e omicidi. 
Deva era al suo fianco; ogni tanto venivano punzecchiati da lame per farli camminare e farli stare al passo, lui si girava e gli ringhiava contro cercando sempre qualche rissa.
- Siamo arrivati. 
I quattro alzarono gli occhi guardando con meraviglia la bianca reggia; le massicce porte dorate si aprirono lasciando spazio al lussuoso interno della casa: aveva enormi finestre che illuminavano gli interni bianchi e confortevoli.
- Rimanete qui. 
Disse il ragazzo alto che li aveva condotti dall'imperatrice. 
- Menphis sii cordiale. 
Lo consigliò il ragazzo basso. 
- Certo Rohnert. 
Poi Menphis sparì in cima alle scale che erano davanti a loro. 
- Spero tu abbia un piano Max.
Disse irritato fra i denti Yanez. 
- Sì che ho un piano. 
Rispose puntandogli un dito contro per minacciarlo. 
"Dovrebbe darsi una calmata o non andiamo da nessuna parte." 
Pensò. 
- Ecco l'imperatrice Meridian. 
Annunciò Rohnert con un inchino. 
Deva rimase ferma a scrutare una donna bellissima dalla pelle candida, i capelli color carota ondulati e gli occhi di un azzurro vitreo. La sua andatura morbida e decisa faceva oscillare il lungo abito celeste. 
- So cosa vi porta qui ribelli. 
La sua voce era cristallina e dolce, Max ne rimase affascinato. 
Deva invece continuava a guardarla con diffidenza, gli occhi stretti e le labbra serrate. 
- Siamo qui perché vogliamo contrattare con voi, imperatrice Meridian. 
Disse Max dopo essersi inumidito le labbra secche. 
La ragazza dai capelli rossi si diede uno sguardo attorno, tutti gli uomini erano stregati da quella donna e quella cosa non le piaceva per niente. 
- Cosa vuoi trattare giovane Max? 
Gli si avvicinò lasciando una scia di profumo fruttato dietro di sé. 
- Vogliamo ristoro e... Protezione sul vostro territorio. Non vi porteremo guai, in cambio io vi posso dare la libertà. 
La donna sulla quarantina scrutò i tre uomini per poi soffermare lo sguardo sulla giovane e bella Deva. 
- Libertà? In effetti potremmo fare questo accordo, la mia terra soffre nonostante io cerchi di mantenerla in vita. 
- Allora si fa. 
La fermò Deva brusca. 
- D'accordo. Vi lascerò ripartire domani all'alba, ma... vi conviene passare per le gole di Alcàn. Potrebbero fruttarvi molta protezione. Ora congedatevi uomini della libertà, i miei soldati vi mostreranno un luogo dove alloggiare. 
Deva non ne era convinta, aveva detto di passare per le gole di Alcàn con qualcosa negli occhi, qualcosa di losco. Secondo lei l'imperatrice doveva nascondere qualcosa. 
Usciti dalla reggia liberi e non come dei prigionieri, Deva tirò il braccio di Max. 
- Lo so cosa stai per dirmi, che sono un idiota e che non ti convince il fatto di passare per le gole di Alcàn. 
Deva lo guardò sardonica.
- Bravo. 
- Ho un piano e ne parleremo lontano da qui. 
Intrecciò le sue dita con quelle della ragazza e le strinse tirandola dietro di sé. Menphis stava guidando già Yanez e Peter all'alloggio mentre Deva e lui erano rimasti indietro a parlare. 
 
A tutti gli accampati ribelli fu dato del cibo, dell'acqua e un alloggio e presto il crepuscolo si avvicinò.
Mentre dentro la tenda Deva alimentava il fuoco, Max a torso nudo uscì dall'accampamento sedendosi per terra guardando le alte montagne che si tingevano di rosa.
Deva lo guardò e pochi istanti dopo si strinse nei suoi abiti e lo seguì fuori. Era bello, la sua pelle chiara adesso rifletteva le luci del tramonto e quei zaffiri la guardarono con dolcezza. 
Si lasciò cadere accanto a lui e gli poggiò la testa sul braccio, lui le poggiò la nuca sopra quella chioma rossa e gliela baciò. 
- Qualsiasi cosa tu veda o senta domani, devi prometterti che ti atterrai al piano, intesi? 
Lei con gli occhi scuri lo guardò malinconica, gli poggiò la mano sulla sua e gliela strinse.
- Perché mi dici questo? 
La sua voce vacillò gravemente. 
Le mise una mano al collo e la baciò con forza; affannò il suo respiro e fece ballare la sua lingua con quella della ragazza. 
Lasciò che il suo sapore aspro si mischiasse a quello dolce di lei, in un'esplosione di brividi e gemiti. La fece salire su di lui per poi farla sdraiare per terra, perdendosi a guardare quella chioma fuoco che si mescolava al terreno sabbioso. Le sollevò la canottiera e le sfiorò un lembo di pelle che sembrava splendere sotto i raggi del sole calante. 
La ragazza raggiunse la mano di Max e la strinse. Capì che doveva fermarsi, anche se gli veniva difficile doveva farlo. Si stese accanto alla giovane e la guardò sorridendo. 
- Domani ci divideremo, tu mi darai il tuo camion e invece tu scorterai il carico. Io e Yanez passeremo dalla gola di Alcàn, mentre tu, Peter e gli altri tre camion farete la strada tradizionale, senza pericolo. 
A quelle parole Deva si morse l'interno della guancia con tanta forza da farsi uscire sangue. 
- No Max, perché non vieni con me. 
Il ragazzo poggiò la sua fronte sopra quella di Deva acarezzandole con la mano il viso. 
- Fidati di me. Non sarà la nostra ultima notte assieme, tutt'altro, questa sarà la prima notte assieme. 
Si mise a cavalcioni sulla donna cercando di non schiacciarla sotto il suo peso e la baciò ancora ansimandole addosso. 
- Ti prego non smettere. 
Gemette Deva mentre abbracciava il corpo magro del ragazzo. 
Chiuse gli occhi e immaginò come fosse stato se Max si fosse spinto un po' più oltre. Era un sogno per lei, un desiderio che sperava di realizzare quanto prima, perché lo voleva nonostante lui aspettasse ancora, lei era pronta. Nonostante le circostanze lei lo voleva, l'aveva sempre voluto e continuava a farlo.
Max si alzò e la trascinò dentro la tenda, gettandola sulle coperte. In seguito la seguí a ruota abbracciandola.
- È bello averti fra le braccia anche a letto. 
Le strusciò il naso dietro il collo, respirando profondamente quel suo odore dolce e provocante. 
Chiudendo gli occhi poteva immaginare e toccare con mano il futuro che vedeva insieme a lei, in un mondo migliore, in una bella casa modesta, bianca e luminosa, con una piscina, dell'acqua fresca e limpida, del cibo buono anche per lei, con dei bambini che correvano per casa. 
Avrebbero viaggiato anche dopo questa avventura, perché loro sarebbero rimasti in vita, l'uno affianco all'altro sempre pronti a sostenersi. Le accarezzò i capelli e poi si accoccolò incastrando il suo corpo con quello di Deva; sembrava fatto apposta per intersecarsi col suo. 
- È bello sapere che questa fine, è l'inizio per noi. Dopo essersi stretta, Deva chiuse gli occhi e dormì per la prima volta senza avere il ricordo della sua famiglia e di quell'incidente che le aveva rovinato la vita.
 

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