Come i fiori di ciliegio

di Dollhades
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01- prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01- prologo ***


 

Sakura no you ni

Capitolo 1- Prologo

Gli ansiti riempirono il corridoio insieme al ritmo costante e veloce dei passi. Le gote arrossate per lo sforzo erano imperlate di sudore, le lunghe trecce color pesca seguivano e schioccavano come fruste contro la schiena coperta dal tessuto verde pistacchio a righe della maglia, che aderiva perfettamente al suo corpo accarezzandone curve e morbidezze. Si fermò una volta giunta davanti alla porta, piegandosi e poggiando i palmi sulle ginocchia, lasciate appena scoperte dai gambaletti bianchi; tentò al volo di ricomporsi, si scostò alcuni ciuffi da davanti al volto, si schiarì la voce e aprì la porta, sorridendo alla classe di diverse decine di studenti che le si parò innanzi. Calò il silenzio.

Lei appoggiò con un movimento fluido la cartelletta di pelle alla cattedra e speditamente si diresse alla lavagna, sui cui scrisse con un corsivo continuo ed elegante “Mitsuri Kanroji”. Gestiva il club di arte secondo l’orario scolastico che era stato dato ai ragazzi, ed effettivamente sembrava il tipo di ragazza bizzarra e stralunata che si sporcava totalmente di vernice senza accorgersene, sorseggiava caffè a gambe accavallate e girava con un pennello e una matita sempre in tasca; lei non smise di sorridere e, congiungendo le mani in grembo, fece saettare rapidamente lo sguardo sui presenti.

-Piacere! Mi chiamo Kanroji, sono il pilastro dell’amore- rise appena, la voce gentile. –Non so se vi è già stato spiegato chi sono i pilastri ma non importa, siamo ragazzi di età differenti che si occupano di alcuni club, delle aree per gli studenti e di tutto ciò che vi riguarda direttamente e non. Io gestisco il club e le lezioni di arte, sono di assistenza alla mensa e sono uno de membri di supporto, se avete problemi potete parlarne tranquillamente con me! Sono qui solo perché vorrei solo rendere tutti felici con le piccole cose, tra cui l’arte- si appoggio alla cattedra, la gonnella nera ricadeva sulle sue cosce come il più sottile dei veli e accarezzava la pelle. Era bellissima, era oggettivo e in pochi minuti si era guadagnata l’ammirazione e l’attenzione di tutti gli studenti. Passò la restante ora della lezione a far conoscenza con i ragazzi, ridendo, raccontando e facendosi raccontare aneddoti buffi e imbarazzanti per permettere a tutti di mettersi a proprio agio e rompere il ghiaccio.

La lezione passò in fretta, loro pendevano dalle sue labbra, cercavano il suo sguardo dolce ma sensuale, si lasciavano cullare dal suono della sua voce come se si trattasse della più dolce nenia e, quando suonò la campanella, nessuno si mosse, ancora vittime silenti del fascino del pilastro. A riportarli alla realtà fu la porta che si aprì di scatto, rivelando un ragazzo sul metro e settanta, capelli biondi che sfumavano nelle più disparate e sgargianti tonalità del rosso, un blue jeans, una t-shirt bianca e un bomber di pelle nera. Lui sorrise ai ragazzi, lanciando poi un casco rosa a Mitsuri e indossando il suo, nero con delle fiamme. I ragazzi non ebbero il tempo di contestare che lui iniziò a parlare, la voce abbastanza profonda e calda, forte, come una fiammata improvvisa.

-Dai! Dobbiamo muoverci se vogliamo arrivare in tempo alla torre!- era radioso, quel tipo di ragazzo di cui le ragazze facilmente si innamoravano. Lei annuì allacciando il suo, Rengoku le afferrò la mano trascinandola via, impetuoso, non curante degli studenti. Corsero fuori, non si fermarono a prendere fiato fino a che non arrivarono alla moto di lui, dove la prese per i fianchi e la sollevò aiutandola a montare in sella, salendo dopo di lei con un balzo. Le mani della ragazza dai capelli di pesca lo tennero saldo dai primi istanti, prima ancora che partisse con un’irresponsabile manovra che fece inclinare la moto: il cuore le batteva a mille contro la sua schiena; chiuse gli occhi e si beò del suo profumo, del corpo ben definito che percepiva dalla maglietta, della sua presenza. Avrebbe voluto rimanere lì in eterno ma sapeva che non era possibile. Seguirono attimi di pura adrenalina in cui il ragazzo superò le macchine con slalom fluidi e accelerò chinandosi in avanti, facendo perdere diversi battiti alla povera ragazza che si aggrappò ancora più disperatamente al suo petto. Quando parcheggiò e l’aiuto a scendere, il cielo stava lentamente mutando i suoi colori.

–Ren… rallenta- lo chiamò mentre salivano l’immensa scalinata che portavano alla torre, lui si voltò, gli occhi grandi la guardavano con tenerezza. Scese qualche gradino e la tirò in braccio –Non abbiamo tempo, tieniti forte, si balla!-  esclamò  divertito e corse gli scalini irregolari di pietra fino ad arrivare ad uno spiazzo di terra dove non c’era nulla se non una vecchia torre elettrica abbandonata e una tovaglia a scacchi con sopra un termos e un plaid piegato; l’adagiò sulla stoffa e si sedette accanto a lei, coprendo entrambi con il plaid e avvicinandosi per permetterle di appoggiarsi con la testa sulla spalla e godersi il tramonto.

Rimasero in silenzio, ogni tanto si guardavano e arrossivano entrambi, come bambini, fino a che lui sistemandosi non poggiò una mano su quella di Mitsuri, facendola sobbalzare sul momento e riaccoccolare ancora più vicina subito dopo. Era così da qualche mese, non si erano mai baciati, non avevano mai parlato d’amore, non si erano mai guardati come due persone adulte. Quando lei si cambiava lui si girava, quando si faceva tardi e uno rimaneva a dormire dall’altro, lui rimaneva con lei fino a che si addormentava e, indipendentemente di chi dei due fosse l’ospite, le rimboccava le coperte e andava a dormire sul divano. Mitsuri lo guardò, sorridendo, e gli lasciò un bacio leggero sulla guancia.

-È bellissimo qui- sussurrò lei dopo alcunti minuti, mentre il cielo si tingeva di colori sempre più scuri, portando con sé le tenebre. –Andiamo da me? Qui inizia a far freddò- rispose lui giocando distrattamente con le trecce dai buffi colori, ricevendo in tutta risposta l’annuire rapido e muto di lei. Ogni tanto gli piaceva farlo: vivere in maniera sfrenata e adrenalinica quella loro strana relazione, solo per godersi piccoli istanti di felicità. Rengoku la coprì con il suo cappotto, in un gesto cavalleresco e oltremodo dolce per proteggerla dall’aria notturna e dal calo di temperatura; tornarono verso la moto di lui, con più calma, e andarono verso casa sua.

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Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


Capitolo 2.




Non appena entrarono vennero accolti da una folata calda di aria e un profumo di cannella tipico del ragazzo; lasciarono le scarpe sull’uscio e, prima ancora di poter dire qualcosa, si ritrovarono a pochi millimetri, lui accarezzandole le gote arrossate dal vento e lei a togliergli il bomber bagnato dalle prime gocce di pioggia. Si appoggiarono, naso contro naso, in un muto e infantile gesto d’affetto a cui furono obbligati a rinunciare per tornare alle normali mansioni domestiche. Mitsuri salì a due a due i gradini della scala di casa, andando in camera del ragazzo per appropriarsi di qualche indumento (una felpa, una camicia, qualcosa di caldo ma soprattutto di suo), mentre lui, dopo aver acceso in meno di un attimo il camino, andò in cucina con l’intento di preparare qualcosa di caldo ad entrambi, per combattere i brividi che il freddo gli aveva causato. Lei comparve sull’uscio della cucina, scalza, un maglione bianco del ragazzo indosso come unico indumento a coprirne le nudità; zompettò fino a lui, sedendosi con un balzo sul piano cottura, vicino a Rengoku che non poté fare a meno di sorriderle rosso in volto e accarezzarle una coscia, in un gesto quasi di ammirazione nei suoi confronti.

-Cioccolata calda?- chiese sentendo l’odore dolce, familiare della bevanda. Il ragazzo annui prendendo due tazze e iniziando a montare la panna in una ciotola a parte, in cui l’ingorda dai capelli di pesca non riuscì a trattenersi dall’infilare un dito ed assaggiare. Rengoku cucinava benissimo, uno dei pregi in più da aggiungere alla lista: era il classico ragazzo perfetto che si ammira da lontano, a volte le sembrava di avere il sole al suo fianco. Una volta versata la cioccolata e decorata con la panna lui si avvicinò alla ragazza, porgendole una tazza ancora bollente; lei allargò appena le ginocchia, ancora seduta sul mobile, per farlo appoggiare in mezzo e lo cinse con le gambe nude, liscissime.
Rimasero in silenzio, ma non un silenzio costretto e pesante bensì uno di quei silenzi quasi soffici, in cui non si parla perché non è necessario e ad entrambi sta bene; lei ne approfittò e iniziò a giocare con i suoi capelli, pettinando i ciuffi con le dita, senza smettere nel momento in cui lui inclinò la testa all’indietro per guardarla con i suoi grandi occhi rossi, striati di giallo.

-Ti sei sporcata!- disse lui
-uh?- si strofinò il mento, ricevendo in risposta un cenno di dissenso dal ragazzo. Il biondo si ricompose e girò con tutto il corpo verso la ragazza, sporgendosi a pulirle le labbra, ritrovandosi nuovamente pericolosamente vicino a lei: le gambe di Mitsuri gli cingevano i fianchi, le cosce erano morbide, chiare come se fossero state baciate dalla luna e incredibilmente scoperte e lei –lei dannazione, era così bella e fragile in quel momento che si avvicinò senza nemmeno rendersene conto. Durò un istante, il loro bacio. Sapevano di cioccolata e cannella, di notti passate a guardare le stelle e mattinate a nuotare nel mare più limpido, di sogni ad occhi aperti e timori di giovani che non sapevano amare; avevano lo stesso sapore dei desideri. Lui la tirò a sé e la prese in braccio, lei ancora avvinghiata alla sua vita gli sorrise con le guance dello stesso colore delle mele delle fiabe e inclinò piano la nuca, a chiederne ancora e ancora, come se quei baci fossero una prelibata leccornia proibita, di quelle da leccarsi le dita dopo averle consumate. Era come se fino a quel momento fosse mancato un pezzo al loro puzzle e adesso che tutto si incastrava perfettamente eccoli non poterne più fare a meno. Lui la portò sul divano, di fronte al camino, dove lei si accoccolò subito, con una sua mano sulla coscia.
Era tutto perfetto. Quella notte dormirono nello stesso letto, la schiena della ragazza premuta contro il torso del ragazzo, le cui braccia la cingevano come a proteggerla dal temporale che ormai furioso continuava da ore a riversare acqua e vento sulla città dormiente; o meglio: lei dormì: lui rimase lì, a pensare, a guardarla, a rimboccarle le coperte all’evenienza, a sussurrarle parole dolci contro le orecchie quando sobbalzava per i tuoni.
La mattina era esausto, lei si era fatta piccina nel suo abbraccio e si risvegliò dolcemente, battendo piano le palpebre e aprendo i suoi grandi occhi pistacchio che subito si posarono su di lui. Si sollevò piano sui gomiti, accarezzando i capelli del biondo con dolcezza e si chinò a baciargli la fronte con tenerezza: in meno di un secondo il giovane sentì tutta la spossatezza sparire, l’adrenalina circolare nelle vene. Lei lo rendeva felice con poco, si rese conto di averci messo troppo a capirlo ma gli ci volle altrettanto poco tempo a realizzare che le cose non sarebbero andate per il meglio: Kanroji era una delle ragazze più belle della scuola, era popolare non solo tra gli studenti ma anche tra insegnanti e pilastri. Era una ragazza che poteva permettersi chiunque, perché nessuno sapeva resistere a quella dolcezza, a quelle curve, a quella personalità così calorosa e bizzarra da sciogliere il cuore. Ma lei era ancora lì, con lui, e lo guardava preoccupata mentre le dita sottili accarezzavano il suo volto assente. Si sporse a baciargli le labbra, piano, inumidendole con la lingua, tirandole appena con i denti.
-Ren, abbiamo la riunione- sussurrò. Lui annuì e l’accarezzò lungo i fianchi, facendola sobbalzare. Si ricompose, arrossendo –D-dobbiamo andare. Gli altri pilastri si arrabbieranno se arriveremo in ritardo- e nuovamente sentì le mani del ragazzo posarsi sulle sue curve, questa volta la tirò su di sé, con più decisione. In pochi istanti si trovò con il petto contro quello del ragazzo, i respiri così vicini da sentirli sul viso, i cuori separati solo dalla gabbia toracica. Era rossa in volto, lo sentiva, il ragazzo intanto la baciava e coccolava, come se temesse che potesse sparire una volta terminato quel contatto. Ci impiegarono diversi minuti prima di separarsi, un’oretta prima di arrivare finalmente a scuola dove gli altri si erano già radunati. La stanza era grande, illuminata da due enormi finestre che davano sul giardino; un tavolo rettangolare si trovava nel punto più luminoso, imbandito per la colazione.

Una ragazza dai tratti asiatici e i capelli pervinca raccolti in una crocchia era seduta alla sinistra del posto del capotavola, composta e silenziosa; sorrideva ad un ragazzo che aveva il posto di fronte a lei: occhi azzurri e profondi, sguardo tagliente, capelli scuri raccolti in una coda bassa, spettinata. Lui sembrava irritato e freddo, se ne stava a braccia conserte a ricambiare gli sguardi ostili della giovane. Rengoku prese posto di fianco al ragazzo, Mitsuri dal lato opposto del tavolo. Si sentiva la tensione quella mattina, come se da un momento all’altro l’aria sarebbe potuta esplodere. Obanai, un ragazzo dai capelli corvini, gli occhi dalla particolare eterocromia gialla e blu scura e il volto occultato da un bendaggio, seguì la ragazza dai capelli di pesca con lo sguardo, sollevato nel vederla, irritato dall’odore maschile di cui era impregnata. Era particolarmente  bella e solare quella mattina, avrebbe solo voluto prenderla e portarla via da quella gabbia di matti, in un luogo più consono ad una tale beltà, ma non poteva. E mentre pensava ciò Gyoumei, un uomo alto due metri e ben piazzato, iniziò a parlare a tutti loro. Si parlava degli studenti, della prima impressione, di come rendere le classi più attive. Passò quasi mezz’ora dall’inizio della riunione quando la porta venne aperta di scatto, rivelando un ragazzo albino e sfregiato, il volto e i vestiti macchiati di sangue, lividi e abrasioni visibili in ogni dove; lui si sedette facendo finta di nulla e seguendo la riunione in religioso silenzio, spezzato solo dal ticchettio fastidioso del liquido carminio che si infrangeva al suolo.





 
NdA
Ho scritto questa storia in bel po' di tempo fa, ho cambiato radicalmente stile da allora. Se continuerò questa storia probabilmente sarà molto diversa dai primi capitoli ma, di sicuro, per ora mi limiterò a scrivere qualche flashfic su qualche coppietta qua e la

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