Change my mind

di Eris Gendei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1_In cui Trish vomita addosso a Mista ***
Capitolo 2: *** Cap.2_In cui Giorno compie l'impossibile ***
Capitolo 3: *** Cap.3_In cui ci sono cinque personaggi ***
Capitolo 4: *** Cap.4_In cui Mista ha paura degli hotel a 4 stelle ***
Capitolo 5: *** Cap.5_In cui Mista si entusiasma per l'interior design ***
Capitolo 6: *** Cap.6_In cui si discute e si litiga ***
Capitolo 7: *** Cap.7_In cui c'è un nuovo inizio ***
Capitolo 8: *** Cap.8_In cui Mista è inaspettatamente sensibile (più di un ortaggio) ***
Capitolo 9: *** Cap.9_In cui ci sono una favola e un cacciatore ***
Capitolo 10: *** Cap.10A_In cui Bruno è un santo ma si dimentica dei suoi poteri ***
Capitolo 11: *** Cap.10B_In cui Bruno è umano e si dimentica pure dei suoi poteri ***
Capitolo 12: *** Cap.11B_In cui il pettine cerca i nodi ***
Capitolo 13: *** Cap.12B_In cui c'è una rivelazione ***



Capitolo 1
*** Cap.1_In cui Trish vomita addosso a Mista ***


POV del capitolo: Trish e Mista
 

La prima sensazione che provò Trish fu quella di smarrimento e, scrutando gli altri, vide riflessa nei loro volti la sua preoccupazione.
La gioia ed il sollievo per il risveglio del capo della squadra avevano soverchiato ogni altra emozione per lunghi attimi, ma ora sentiva la disperazione farsi nuovamente strada in lei, un grumo denso nella pancia che le rendeva difficile respirare normalmente .
Stava calando il crepuscolo e la Capitale era in subbuglio; la distruzione di Silver Chariot Requiem aveva fatto sì che ogni anima tornasse alla propria sede senza che la maggior parte delle persone avesse modo di comprendere cosa fosse successo, il che aveva gettato la popolazione in una confusione sottile: nessuno capiva a cosa fosse dovuta quella strana sensazione.
All’interno del grande ventre di pietra dell’anfiteatro i suoni giungevano attutiti, smorzati dalla mole imponente della struttura, eppure si trattava dell’inconfondibile lamento di una città sconvolta da qualche evento inatteso o drammatico…o da entrambi, come in quel caso.
Lo stand, impossessatosi della Freccia su ordine del suo portatore, aveva gettato gli abitanti della città in balia di un evento impossibile da prevedere e da arginare, a meno di lanciarsi in una lotta disperata e quasi suicida: l’anima di qualsiasi creatura vivente aveva lasciato il proprio guscio per andare a depositarsi in un altro corpo, subendo una strana trasformazione; chissà per quanto sarebbe andata avanti se non fosse stato per l’intervento di Giorno, Mista e, incredibile a dirsi, Diavolo.
Tutti decisi ad impossessarsi della freccia, seppure animati da scopi diversi, avevano lottato contro lo Stand potenziato, contribuendo a distruggerlo…ma, nonostante le sembrasse ancora troppo assurdo per essere vero (e di cose assurde negli ultimi mesi ne aveva viste abbastanza per una vita intera), era stato Bucciarati, che tecnicamente giaceva inerte fra le arcate del Colosseo, a sciogliere il segreto di Requiem Chariot e ad annientarlo in modo definitivo.
Poteva vedere come se fosse ancora davanti a lei il giovane capo della squadra ribelle, il volto serio e composto come sempre, infiammato da una fervida determinazione, scatenate il proprio Stand contro la sua stessa Luce Interiore: la brillante impronta della sua personalità che, era un dato di fatto, permetteva a Requiem di individuarlo e di leggerlo.
Ricordava benissimo come fosse rimasta abbagliata dalla sfera impalpabile che aleggiava alle spalle del ragazzo, un piccolo sole personale che le aveva folgorato le retine e lo spirito: per un glorioso, misero istante era stato come vedere la reale essenza di Bucciarati.
Era un momento preludio di disgrazia, terribilmente solenne, eppure Trish aveva sperimentato un’assurda sensazione di intimità mai provata prima; la vista di quella luce l’aveva colpita così tanto da scuoterla fin nelle ossa, le pareva di sentirle ancora riverberare: quasi che lei fosse un diapason e Bucciarati il suo la, sentiva che in qualche modo la sua anima era entrata in risonanza con quella di lui per un attimo.
Ricordava solo vagamente la propria sorpresa di fronte a quella sensazione inaspettata, prima che venisse soppiantata dalla disperazione nel vedere il giovane cadere a terra inerme per la seconda volta in poco tempo.
La sensazione dello spavento la riportò gradualmente al presente, rendendola consciente di una sottile sensazione di panico che si stava insinuando nella sua mente e nel suo stomaco, serrandole le viscere in una morsa dolorosa.
Erano soli, feriti, annichiliti, abbandonati nel bel mezzo dell’immensa Capitale, sicuramente nel mirino di quanti ancora non sapevano della morte del boss (ossia tutti i membri dell’organizzazione, pensò con mesta rassegnazione) e, cosa più importante, senza un posto dove andare.
Tornò a mettere a fuoco i volti dei suoi compagni, sperando di trovare un po’ di conforto nell’osservare che quantomeno erano vivi.
Giorno era ancora al capezzale di Bucciarati, teneva la sua testa sulle ginocchia e continuava ad incanalare l’energia vitale di Gold Experience nel corpo molle del giovane con foga quasi maniacale, come se avesse paura di vederlo sparire un’altra volta, i suoi occhi semiaperti tornare vitrei e vuoti.
Trish vedeva il corpo abbandonato del capo sussultare debolmente ad ogni contatto con lo stand, lo sguardo appena vigile pareva infiammato dalla febbre o da qualcosa di più sinistro; Sticky Fingers aleggiava appena visibile sopra il suo possessore, dandole l’impressione di osservare Bucciarati attraverso una tremolante cortina di calore.
Senza rendersene conto si era ritirata lontano da lui, da loro, trascinandosi nella terra scura e granulosa senza la forza di alzarsi in piedi; i suoi abiti, neanche a dirlo, erano la cosa più lacera e sporca che avesse mai indossato, il rosa della gonna aveva perso ogni brillantezza per diventare un’opaca tonalità di marrone, gli stivali erano solo il vago ricordo di una calzatura. Non osava pensare a come potesse apparire in quel momento: se era sudicia e sconvolta anche solo la metà di Mista, abbandonato come un fantoccio in un angolo, aveva ampiamente superato la soglia dell’umana decenza.
Dall’alto dei suoi quindici anni, diventati improvvisamente cento sulle sue spalle, non riusciva però a pensare a se stessa con orrore o a vergognarsi delle proprie condizioni; ciò che la sconvolgeva realmente era l’aspetto di Bucciarati, la raffinata stoffa dell’abito ridotta ad uno straccio sporco, macchiata di sangue e terra e polvere ovunque, il corpo di solito forte floscio e disarticolato tra le braccia di Giorno, le mani che strisciavano sulla pietra ad ogni sobbalzo e il volto esangue, con la bocca molle da cui colava un leggero filo di saliva rosata.
Provava quasi disagio ad assistere a quella scena patetica, come se stesse guardando qualcosa di indecente, di intimo: Bruno Bucciarati ridotto ad una marionetta più morta che viva, l’instancabile leader privato di tutto ciò che lo rendeva se stesso; ciò che ne rimaneva era soltanto un’ombra di quello che era stato, un’ombra sbilenca coperta di zip e con un assurdo taglio di capelli.
Senza la consueta espressione ferma, il portamento altero e la sicurezza che emanava ad ogni passo ed ogni parola Bucciarati non esisteva, e quel taglio di capelli era quasi ridicolo senza la sua aura di vitale compostezza ad accompagnarlo. Fra le braccia del compagno disertore non era altro che un ragazzo troppo giovane, vittima dell’infinita sequela delle proprie scelte sbagliate. Sembrava quasi piccolo.
Trish ebbe un’improvvisa voglia di vomitare.
Sentì un confuso manipolo di sentimenti farsi strada in lei come una colata lavica, eruttare con violenza da un punto recondito delle sue viscere e bruciare ogni cosa al suo passaggio; non sapeva se fosse più impellente il bisogno di gridare, vomitare, piangere o accartocciarsi su se stessa per non muoversi più.
In un tempo terribilmente breve aveva perso la sua casa, la sua famiglia, il suo luogo natale ed ora anche la banda di sciamannati ribelli che l’aveva protetta e accolta in quei mesi terribili. Sua madre non c’era più, suo padre aveva tentato di sbarazzarsi di lei nel peggiore dei modi ed ora doveva fronteggiare anche la perdita del suo nuovo, precario centro di gravità, l’uomo che l’aveva portata incolume fino alla fine e aveva rischiato la vita per lei.
All’improvviso montò in lei un impeto di rabbia, perché, nonostante la battaglia, Giorno continuava a sembrare un serafino sceso dal Paradiso, un angelo vendicatore dal volto acceso di folle tenacia, un salvatore immune alla polvere, al sangue, alla disperazione.
Soprattutto era vivo.
Era vivo quando sarebbe dovuto morire lui, quando il ragazzo che teneva fra le braccia avrebbe dovuto ergersi ancora una volta a capo del loro disastrato gruppo e invece era morto; era vivo e lo odiava.
E le faceva schifo.
Quasi senza rendersene conto, con una fatica al contempo immensa ed inesistente, si sollevo e caracollò fino a Mista; il suo compagno di sventura, l’unica anima che sentiva ancora vagamente vicina alla propria, come se nello scambio di corpi avesse lasciato qualcosa di sé in lei: il pensiero la fece sentire per un attimo meno sola, ma non la trattenne dal collassare su di lui e dare sfogo alle proprie viscere sui suoi pantaloni, incapace di spostarsi o prendere la mira in modo migliore.
Guido, dal canto suo, pareva una bambola.
 Inginocchiato nella polvere, immobile e freddo, fissava un punto imprecisato fra le braccia di Giorno come se la sua mente rifiutasse di mettere a fuoco cosa, o meglio chi, c’era effettivamente lì.
Rimase impassibile quando Trish gli vomitò addosso, altrettanto quando lei lo scosse ed iniziò a singhiozzare convulsamente sulla sua spalla.
Quando Bucciarati era morto se n’era andato qualcosa; qualcosa che un tempo aveva posto nel suo petto, una creatura viva e calda, un laccio che lo teneva ancorato all’uomo riverso a terra.
Ammirazione, rispetto, fiducia, gratitudine erano come candele che andavano spegnendosi nel cuore di Mista, lasciandolo inerte come un pezzo di pietra.
E lui non sentiva più niente.
Nessuna spinta lo muoveva ad avvicinarsi a Giorno e al corpo che continuava a tentare di rianimare, non c’era nulla lì che lo chiamasse, non una presenza amica e confortante, non la forza di spirito che era sempre emanata da suo capo come una luce.
Avvertiva vagamente la pressione dei pugni di Trish, che picchiava sul suo petto e sulla schiena gridandogli qualcosa fra le lacrime, ma i suoni non lo raggiungevano, era come guardare un film con la testa infilata sott’acqua: nelle sue orecchie c’era solo un frastuono cupo e ovattato, sentiva e non capiva, e se anche avesse compreso cosa lei diceva si sarebbe rifiutato di ascoltarla.
Ai margini del suo campo visivo il mondo stava perdendo colore.
Il suo mondo era ridotto ad una macchia bianca, nera e blu, che sobbalzava al ritmo dei colpi dello stand di Giorno.
Ne qui ne lì.
Nonostante gli occhi semiaperti, Bruno Bucciarati sembrava non esistere più, Guido lo sentiva; anzi, non lo sentiva, perché i portatori di stand percepiscono sempre la presenza dei loro simili, degli amici ancor più che dei nemici, e laggiù c’era solo un grande buco nero.
Vedeva senza vedere Trish che si piegava su se stessa, contorta nel suo stesso dolore, Giorno madido di sudore e pallido come mai prima, Gold Experience baluginare come fosse affaticato, una mano contrarsi sulla pietra all’improvviso…
Il mondo smise di vorticare e al contempo cessò di essere immobile.
Fu come tornare al presente dopo un viaggio durato secoli, le ultime ore si coagularono in un istante infinito per riportarlo alla coscienza, inginocchiato in mezzo al Colosseo senza sapere quando e come vi fosse arrivato e quando avesse deciso di crollare a terra, o forse era stato il suo corpo a decidere per lui.
Non aveva più certezze se non quella di aver visto la mano di Bucciarati contrarsi al contatto con Gold Experience.
Come un sonnambulo si sollevò in piedi, con Trish ancora abbarbicata addosso, e si trascinò quanto più in fretta poteva verso Giorno e il corpo accanto a lui, un corpo che aveva appena ricominciato ad esistere.
E non solo perché al movimento della mano andavano sommandosi quelli degli occhi, che frugavano l’anfiteatro in cerca di chissà cosa, improvvisamente febbrili, o delle labbra che tentavano di articolare parole; Guido lo sentiva, finalmente lì c’era qualcosa, qualcosa era tornato.
Come dall’interno di un lunghissimo tunnel vide Giorno sorridere trionfante e sbigottito, sentì Trish gridare e precipitarsi accanto al compagno.
E poi c’era lui, stordito e sconcertato, conscio soltanto del fiume di speranza che si stava riversando nel suo animo.
Chiuse per un attimo gli occhi, abbandonandosi al sollievo, e sentì l’estremo bisogno di ringraziare qualcuno lassù o in qualsiasi altra direzione, perché per una volta nella vita aveva finalmente desiderato con tutto se stesso ed era stato esaudito.

 

 

 

Nota dell'autrice: abbiate pietà perché sono anni che non pubblico su EFP e ho completamente perso la mano con la formattazione e tutti i dettagli tecnici; ho cercato per la terza volta di sistemare l'interfaccia, modificandola completamente, perchè mi sono accorta che la visualizzazione da telefono era completamente sballata...ora risulta più agevole (finalmente!) ma non è comunque come la vorrei. Mi piacerebbe un feedback sul font e la marginatura, io così la trovo molto comoda ma vorrei sapere che ne pensate!
Nel frattempo grazie per la visita, spero che il primo capitolo vi sia piaciuto, a breve andrò avanti con la pubblicazione. La storia è praticamente completa, devo solo finire di revisionarla e completare un paio di capitoli, ma la cosa si sta ruvelando più lunga del previsto, anche per impegni quotidiani...abbiate pazienza.
Namaste

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Capitolo 2
*** Cap.2_In cui Giorno compie l'impossibile ***


POV del capitolo: Giorno e Trish

Non riusciva quasi a crederci, Giorno.
Aveva funzionato.
Non appena aveva messo piede nel Colosseo aveva percepito che non c’era più nulla da fare, che il suo capo e compagno se ne era realmente andato stavolta; non sarebbe bastato il suo intervento come era accaduto a Venezia. Eppure si era rifiutato di accettare quella realtà, aveva deciso che non avrebbe permesso a Bucciarati di lasciarli un’altra volta, avrebbe tentato ancora, e ancora.
Forte dell’esperienza con Requiem, aveva scatenato Gold Experience verso il corpo abbandonato dell’amico: sentiva che il potere dello Stand si era amplificato, il contatto con la freccia lo aveva lasciato energico come mai prima.
La creatura dorata scaturita da lui non era corporea come al solito ma traslucida e vibrante, come se fosse incerta su quale aspetto assumere; dietro la sua apparenza consueta Giorno poteva intravedere Requeim osservarlo attentamente, come se stesse valutandolo. Gold Experience non era uno Stand senziente come altri, ma in quel momento il giovane lo sentiva distante, una creatura a sé che stava giudicando il suo portatore.
Per controllare, anzi, per ottenere l’obbedienza del potere del Requeim era necessaria un’incredibile forza d’animo, una determinazione particolare che soltanto chi è abbastanza risoluto o abbastanza disperato può avere.
Giorno si sentiva entrambe le cose.
Il rifiuto di accettare la morte definitiva di Bucciarati non era irrazionalmente dettato solo dal dolore, ma dalla consapevolezza che poteva fare qualcosa.
Voleva fare qualcosa.
Lo Stand continuava a fissarlo con intensità, fra i due pareva dipanarsi un’elettricità che faceva tremare l’aria; il ragazzo stava tentando di asservire a sé Requiem e Requiem stava decidendo se fosse degno, se piegarsi al suo volere. Ancor più, Giorno stava tentando di domare se stesso.
Il controllo del Requiem chiedeva una totale autocoscienza e accettazione, la completa consapevolezza del proprio potenziale ed una imperturbabile focalizzazione sul proprio obiettivo.
Non poteva lasciare che il dolore lo vincesse e il suo sforzo di rianimare il compagno si riducesse al tentativo di un disperato.
Poteva controllare la vita. Poteva controllare la morte.
Poteva farcela.
Requiem abbassò impercettibilmente le palpebre, come a dire che sì, aveva capito.
In un attimo la creatura fu al fianco di Bucciarati e un accecante fiotto di energia si riversò dai suoi pugni nel corpo inerte del giovane.
Doveva.
Vivere.
Giorno si sentì improvvisamente molto cosciente del proprio corpo e del fiume di vita che vi scorreva, del pulsare del sangue nelle vene e delle vibrazioni dei nervi, della potenza del suo respiro e della forza nei suoi muscoli: la sentiva crescere, grezza e incontrollata, come se stesse venendo alla vita una seconda volta.
Doveva trasmetterla a Bucciarati. Quell’eccesso di vigore, quella nuova nascita, erano per lui.
Cercò di mettere a fuoco la potenza, di immaginarla come una forza liquida e la indirizzò verso il compagno: era come se Gold Experience stesse attingendo da lui la vita che iniettava nell’altro, quasi fosse soltanto un tramite.
L’energia vitale di Giorno era sufficiente per tutti e due, doveva soltanto riuscire a risvegliare l’energia mentale di Bucciarati.
Sentiva un calore mai provato prima risalire lungo le sue ossa e riversarsi in lui, forse stava risucchiando la vita della terra ma non gli importava, l’unica cosa che doveva fare era restare concentrato, non interrompere quell’assurdo contatto con l’altro.
Un’espressione di folle tenacia gli animava lo sguardo, fisso negli occhi vacui del compagno in attesa di un segno.
Perse la cognizione del tempo, poi quella dello spazio; infine quella di se stesso.
Non percepiva più il suo corpo, il tocco dell’aria sulla pelle, il sudore che colava lungo le tempie, la fatica; era pura energia, un’essenza senza vincoli fisici.
Perse il senso del tatto, dell’olfatto, del gusto, dell’udito.
Gli era rimasta solo la vista, aveva bisogno di guardare l’amico per assicurarsi che continuasse ad esistere. Alla fine se ne andò anche quella, lasciandolo cieco e determinato; poteva ancora percepire il giovane dall’altra parte di sé, come se lui stesso fosse diventato il capo di una corda lungo cui avanza una vibrazione.
Per ultima se ne andò la sua mente.
Fu come se una nebbia luminescente, un vento dorato sollevasse il suo spirito e lo sradicasse.
All’improvviso non era più.
Qualsiasi cosa fosse stato prima era scomparsa, trasformata.
Sentiva una nuova coscienza prendere forma da qualche parte, dove doveva esserci stato il suo animo.
Lui era.
Era tornato ad essere e non avrebbe smesso.
Lentamente tutto quello che lo aveva abbandonato tornò: la mente e con quella la consapevolezza, il corpo e con quello il dolore.
Dove fosse stato fino a quel momento lo ignorava, ricordava solo il turbinio aureo che si era portato via tutto; sapeva soltanto chi fosse.
Bruno Bucciarati.
Ce l’aveva fatta.
Con un ultimo, terribile sforzo Giorno aveva riempito di vita il corpo del compagno, in un’esplosione che lo aveva lasciato stremato.
Era crollato a terra, il fiato mozzo come se avesse corso per un’intera esistenza e la vista annebbiata da una miriade di barbagli bianchi.
Aveva cercato la mano dell’amico, doveva sentirne il calore, sapere che aveva funzionato.
La debole stretta che ricevette in risposta distrusse la diga che aveva eretto per arginare i proprio sentimenti: terrore, speranza e sollievo invasero ogni centimetro di lui, un sorriso trionfante si disegnò sulle sue labbra.
Non riusciva a crederci. Aveva funzionato.
Ai margini del suo campo visivo vide Mista gettare le mani al cielo, esultante, e Trish crollare in ginocchio con la testa fra le mani, un grido di sollievo come ringraziamento e preghiera.
La sua attenzione, però, era solo per l’uomo disteso accanto a lui; attese pazientemente che i loro sguardi si incontrassero e si trovò a sorridere di nuovo: Bucciarati era tornato e sarebbe rimasto.
Gli occhi fondi del capo lo scrutarono da molto lontano con devozione e stordimento. Le labbra si mossero appena e Giorno dovette chinarsi sul suo viso per sentire le sue parole:”Posso fare un sonnellino senza timore di andarmene di nuovo?”
L’immancabile ironia del giovane lo fece sorridere commosso: non era cambiato nulla.
“Dormi tranquillo. Ci sono io. Vuoi che ti canti una ninnananna per conciliare?” aggiunse ilare.
“Come vuoi. Purché non sia un requiem.”

Bucciarati chiuse gli occhi con un sospiro e si abbandonò contro Giorno che lo sosteneva, scivolando in un limbo fra sonno ed incoscienza.
Mista, prima che chiunque di loro potesse proferire parola, si inginocchiò ai piedi del suo capo e sfoderò la pistola, fissando il buio oltre le arcate con aria di bellicosa come sfidando l’oscurità ad avvicinarsi. Dello stesso avviso il giovane biondo si posizionò al fianco di Bucciarati, i muscoli tesi pronti a scattare, scrutando in lontananza.
Trish era così sollevata da non riuscire a sentirsi sospettosa o preoccupata come i compagni: l’aria era improvvisamente tornata tiepida e fragrante, l’aria di una serata estiva a Roma; poteva sentire lo stridio dei gabbiani che sorvolavano il cuore della città, il rumore del traffico che ricominciava ad affollare le strade ed il vocio di abitanti e turisti ancora confusi ma sollevati.
Chissà quale spiegazione avrebbero dato a se stessi per quanto era accaduto, chissà quali illazioni scientifiche sarebbero andate in voga per anni per tentare di giustificare il bizzarro sconvolgimento che aveva colto la città nel pieno della bella stagione, proprio nel momento di massimo turismo.
Allucinazione collettiva, fuga di sostanze nocive da qualche laboratorio, ipnosi…
O forse avrebbero semplicemente finito per insabbiare il tutto, decidendo più o meno coscientemente di dimenticare l’accaduto; d’altronde, chi mai li avrebbe creduti?
Il fenomeno, grazie al cielo, non si era esteso al di fuori del nucleo storico della città; certo, restavano i terribili danni arrecati da Green Day, che non si era fatto scrupoli a sforacchiare ed erodere secoli di cultura con la sua muffa mefitica, ma qualche illustre luminare avrebbe sicuramente imbastito una spiegazione convincente per il grande pubblico.
E poi a chi poteva realmente interessare l’accaduto?
Purché tutto tornasse alla normalità nessuno avrebbe fatto domande o sollevato proteste, ne era certa.
Una sola vaga preoccupazione continuava a pungolarla: l’intervento di Chariot Requiem sembrava non avere avuto effetti permanenti sui normali esseri umani, eppure…lo stand in quel momento era in possesso della Freccia, chi poteva dire che il suo attacco non avesse risvegliato una moltitudine di stand sopiti? Ora capiva la preoccupazione dei suoi compagni ed era certa che Giorno fosse giunto esattamente alla stessa conclusione.
Improvvisamente vigile, i sensi affinati dall’adrenalina, andò a coprire il fianco di Bucciarati lasciato scoperto dall’amico, materializzando la sua Spice Girl accanto a sé.
“No Trish.”
Le parole del compagno erano gentili, ma pronunciate in tono talmente perentorio da sembrare un ordine.
La ragazza guardò il giovane biondo con espressione fra il confuso e il riottoso, ma prima che potesse ribattere lui aggiunse:”In questo momento sembriamo solo un gruppo di ragazzi normali, evitiamo di attirare l’attenzione e altri possessori di stand. So che potrebbero comunque percepirci, ma più ci esponiamo più siamo a rischio.”
Anche se moriva dalla voglia di contraddirlo non poteva dargli torto; Spice Girl vibrò e svanì come un miraggio, lasciandoli di nuovo soli nell’ombra che andava allungandosi.
Il sole era tramontato quasi definitivamente, una leggera brezza della sera spirava fra le gallerie sollevando mulinelli di polvere e increspando l’orlo della gonna di Trish; il silenzio nell’anfiteatro sembrava premere contro le orecchie, i suoni di troppa vita che provenivano da fuori non li riguardavano, ne erano lontani ed immuni.
Si chiese per quanto tempo sarebbe stato così, quando sarebbe tornata a sentirsi parte del mondo e della normalità…sempre che fosse possibile.
Lanciò uno sguardo furtivo a Bucciarati, che respirava faticosamente fra le braccia di Giorno: all’improvviso si fece strada in lei la consapevolezza di non avere tutta quella fretta di fuggire, di tornare alla realtà quotidiana dove nessuno tenta di uccidere e non esistono creature metafisiche che compaiono a comando.
Non poteva esserne certa, ma avrebbe giurato che ciò che aveva visto di quel mondo fosse solo l’inizio.

 

 


Nota dell'autrice: Bentornati e grazie per aver letto il secondo capitolo!
Ci sta volendo un pò più del previsto per ultimare la storia, apportare le correzioni del caso (certe parti sono cambiate mille volte) e rivedere la divisione in capitoli, che in prima battuta era troppo disomogena per i miei gusti (non mi piacciono capitoli lunghissimi e altri molto brevi).
Spero di aggiornare a breve e pubblicare il terzo capitolo!

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Capitolo 3
*** Cap.3_In cui ci sono cinque personaggi ***


POV del capitolo: Trish

Trish seguiva con lo sguardo lo scurirsi del cielo, che aveva gradualmente virato dai toni rosati del tramonto alle sfumature pervinca del crepuscolo, dissolte poi nella tinta fonda della notte.
Il tempo sembrava trascorrere troppo lentamente, come se i suoi sensi fossero accelerati; si chiese se per caso Giorno non avesse involontariamente sfiorato Spice Girl con il suo stand per trattenerla quando l’aveva materializzata, ma non ricordava di aver percepito alcun contatto.
Immaginava che anche i suoi compagni si sentissero scollegati dai loro corpi, come se non fossero inginocchiati da ore, o forse giorni, o forse anni, al fianco del loro capo; nonostante sapesse che avrebbe dovuto provare dolore in ogni singola parte del corpo non sentiva la durezza della pietra sotto le gambe o la rigidezza dei muscoli immobili da troppo tempo.
Le sembrava di essere lì da sempre, eppure la sua determinazione nel proteggere il corpo addormentato al suo fianco non vacillava o veniva offuscata dalla stanchezza. “Ad ogni costo…” si ritrovò a pensare.
Si voltò impercettibilmente per poterlo osservare in viso.
L’intervento di Giorno aveva cancellato quasi tutti i segni del disfacimento che aveva colto Bucciarati prima dell’ultimo scontro con Diavolo: la pelle era tornata compatta e uniformemente distribuita sulla mascella e sugli zigomi, le labbra avevano ripreso colore e, attraverso la cortina dei capelli, si intravedeva una vena pulsare sulla tempia.
Ora che aveva gli occhi chiusi Trish si trovò a contemplarlo come non aveva mai potuto fare prima; lo sguardo penetrante e deciso del capo l’aveva sempre messa in soggezione.
Nonostante sapesse bene che avrebbe fatto di tutto per proteggerla, che era a suo modo buono e che nulla avrebbe potuto minare la sua lealtà, si era sempre sentita piccola ed insignificante al suo fianco: un compito scomodo da portare a termine, una sorella sciocca minore che causa solo guai.
Trish nutriva verso di lui un’ammirazione sconfinata, che era andata maturando durante la loro disastrosa avventura: anche se dapprima lo aveva giudicato freddo, insensibile e caustico, totalmente disinteressato alla sorte dei suoi compagni se non in virtù del completare la missione, aveva lentamente imparato a conoscerlo e aveva compreso il suo vero potere.
Se realmente gli stand erano un’impronta dell’ interiorità dei portatori, una manifestazione della loro forza di volontà o, a detta di alcuni, della loro determinazione, Trish si era trovata inizialmente a pensare che Sticky Fingers non rispecchiasse affatto l’animo di Bucciarati.
La vera capacità del giovane capo era quella di cogliere il lato migliore delle persone, le loro più profonde potenzialità, e aiutarle a sviluppare al massimo i talenti positivi o a gestire le attitudini peggiori.
Nel suo essere fermo e perentorio Bucciarati era incoraggiante, fiducioso nelle possibilità e volontà altrui; non si ergeva al di sopra degli altri come un comandante, ma si metteva alla testa del gruppo come una guida, pur dando ordini condivideva il fango e il sangue con i suoi compagni.
Per lui non erano sottoposti, ma la sua famiglia, un qualcosa che avrebbe e aveva protetto a costo della sua stessa vita.
“Un leader, non un boss…”
Trish pensò a quanto fossero diversi lui e Diavolo…suo padre, terrorizzato dall’idea di perdere il potere che aveva conquistato a suon di ingiustizie e crudeltà, aveva sempre vissuto isolato e nascosto, segretamente angosciato dal prossimo; Bucciarati, invece, non aveva mai desiderato la potenza, ma soltanto la possibilità di contrastare il male che una posizione elevata poteva garantirgli, la possibilità di proteggere gli altri.
A quel punto aveva capito. Era questo il reale potere di Sticky Fingers: non la capacità di spostarsi ovunque grazie alle sue cerniere e tirarsi fuori dalle situazioni di pericolo, ma quello di poter salvare qualcuno portandolo con sé.
A Venezia Bucciarati non si era limitato ad accompagnarla seguendo delle direttive: nel suo modo ruvido le aveva offerto sostegno e rassicurazione, incoraggiandola a percorrere il sentiero che era stato tracciato per lei con una certa tranquillità…e poi, quando si era scatenato il disastro, le aveva donato una via di fuga salvandola dai piani malvagi del suo folle genitore.
In un istante aveva deciso di mettersi contro il capo supremo dell’organizzazione di cui faceva parte, condannandosi nella migliore delle ipotesi a diventare un reietto disertore, nella peggiore a morire nelle viscere dell’edificio. Solo per salvarla.
Più volte, nei giorni successivi, nella mente di Trish era balenato il pensiero che Bucciarati potesse avere una sorta di disegno più grande, in cui era già contemplata la distruzione del boss: sebbene fosse uno strenuo difensore dell’innocenza, era assurdo che non avesse avuto esitazioni nel buttarsi letteralmente fra le braccia della morte pur di difendere lei, una sconosciuta.
I ricordi di quei momenti le fecero contrarre spiacevolmente le viscere e cercò di tranquillizzarsi guardando il volto del giovane: si ancorò al presente cercando di imprimersi nella mente ogni dettaglio, la linea netta delle sopracciglia scure, l’ombra pesante dell’occhiaia e il tratto deciso dello zigomo, la bocca spigolosa e gli occhi fondi, di un azzurro quasi blu che sapeva di mistero e promessa.
Si aggrappò a tutti quei particolari per non cedere di nuovo a pensieri negativi e si ritrovò a fissarlo con un’intensità estrema, quasi volesse imprimersi il suo sguardo nelle retine…perché Bucciarati la stava chiaramente guardando negli occhi da un lungo istante, ricambiava il suo sguardo senza che lei se ne fosse minimamente accorta, concentrata com’era a difendersi da se stessa nella sua stessa testa.
Per un attimo lo spazio e il tempo parvero concentrarsi fra di loro, l’intero universo si era coagulato nello spazio che li separava e fuori non c’era più nulla; lo sguardo appassionato di Trish e quello profondo di Bucciarati si incontrarono senza vedersi , sprigionando una tale energia da far vibrare di vita il giovane per la prima volta da ore. L’intensità degli occhi di lei era quasi dolorosa, perché nascondeva significati di cui forse neanche lei stessa era cosciente, ma che gridavano inequivocabilmente al pericolo.
Gli occhi del ragazzo si fecero guardinghi e all’improvviso Trish si rese conto di essere osservata, in un modo freddo e indagatore che le mise i brividi.
Lo shock la fece gridare, si coprì la bocca con una mano e si portò l’altra al petto, come per contenere il cuore che sembrava volesse schizzarle fuori.
Si sentì scoperta, esposta, come se Bucciarati avesse potuto leggerle in volto tutto quello che aveva pensato; sentì lo stomaco contrarsi per la vergogna all’idea che i suoi pensieri non fossero più soltanto suoi, neanche fosse stata colta in qualcosa di indecente.
La reazione inconsulta richiamò l’attenzione di Giorno e Guido, che si voltarono allarmati verso di lei; Bucciarati girò il capo per poterli osservare e Trish vide le loro espressioni sospettose sciogliersi in due sorrisi immensi e vittoriosi, espressioni di pura commozione.
“Capo! Capo, sei sveglio! Oh mio Dio grazie, non ci posso credere!!” latrò Mista.
Bucciarati stirò la bocca in una smorfia e si sollevò appena:”Sì, credo che essere sveglio sia più di quanto potessi sperare. Devo dichiararmi sorpreso.” Si guardò attorno:”Quanto siamo rimasti nello stesso punto?”
“Sei rimasto incosciente per ore…quando ti sei addormentato era ancora il tramonto, oramai deve essere notte fonda.” La voce di Giorno suonava calma e rassicurante, vellutata come la notte che li avvolgeva.
“Capisco…dunque dobbiamo assolutamente spostarci. Diavolo sarà anche sconfitto, ma non possiamo sapere quanti ancora siano sulle nostre tracce…e in questo momento siamo una preda facile.”
Bucciarati diede voce ai timori che attanagliavano tutti gli altri da ore e Trish sentì tornare la familiare sensazione di smarrimento: non avevano un posto in cui andare, un posto sicuro.
“Capo sei impazzito?? Non puoi muoverti in queste condizioni, sarebbe già un miracolo se riuscissi a camminare! Non possiamo spostarci ora!” La voce di Mista aveva una leggera sfumatura di panico, sebbene Trish sapesse che era preoccupato quanto lei per la loro sorte: stava cercando di fare tesoro degli insegnamenti del suo leader, mettere gli altri e i deboli al primo posto.
La risposta fu calma ma perentoria:“Non intendo aspettare che qualcuno ci trovi e ci faccia fare la fine del topo. Se avessi voluto morire nel Colosseo lo avrei fatto con una spada in mano e un leone davanti, in altri tempi…ora muoviamoci.”
Con uno sforzo che sembrò immane si mise seduto e lasciò che Giorno lo aiutasse a sollevarsi in piedi.
“Ma siete impazziti??”sbraitò Mista “Dove pensate di andare ridotti così?? Cosa credete, che ci faranno semplicemente entrare nel primo hotel che troveremo?? Vi siete resi conto di come siamo conciati tutti quanti??”
Bucciarati si girò a guardarlo “Sì, Mista. Dopotutto, almeno questa volta, intendiamo pagare.” rispose, con un accenno di sorriso sulle labbra.
“Pensaci” continuò “In città c’è stato un disastro, tutti in questa zona sono confusi, saranno successi migliaia di incidenti…sarà facile farci passare per vittime di questo caos. Nessuno avrà la voglia o il coraggio di chiedere spiegazioni, sarebbe come ammettere che è successo qualcosa che non sanno spiegarsi.”
Mista faceva di tutto per sembrare poco convinto, ma doveva ammettere che Bucciarati aveva ragione: restare nello stesso luogo così a lungo era stato un azzardo, anche se necessario, e non sarebbe stato troppo difficile convincere qualcuno che avevano avuto un brutto incidente.
“Trish”
Sentendosi chiamare la ragazza trasalì. Bucciarati la stava guardando in modo totalmente neutrale, eppure lei sentì le gambe tremare sotto il peso del suo sguardo.
“Vorrei che entrassi nella tartaruga, almeno fin quando raggiungeremo un hotel…non credo che troveremo un esercito di portatori di Stand ad attenderci all’uscita, ma preferisco non correre rischi…non più di tutti quelli che stiamo già correndo ad essere rimasti vivi.”
Detto da una persona morta due volte sembrava quasi dell’ironia.
“Ti ricordo che ho anche io uno stand, posso sempre tornare utile” rispose lei, cercando senza successo di usare un tono ragionevole ma risultando solo petulante. Si morse la lingua maledicendosi mentalmente, di fronte a lui si sentiva davvero un’inetta.
“Lo so, non sto insinuando che te o Spice Girl siate deboli o d’intralcio…ma sei tu quella nel mirino, chiunque si insospettirebbe vedendo una ragazza attorniata da un manipolo di guardie del corpo, tutti apparentemente reduci da un attacco terroristico…farti vedere in mezzo a noi sarebbe come disegnarci un bersaglio in fronte, ed è l’ultima cosa che voglio in questo momento.”
 “Sono serio, non c’è altra ragione” continuò Bucciarati in tono più gentile, vedendo l’espressione combattuta della ragazza “Sto solo cercando di garantire l’incolumità di tutti, almeno fino a domattina” si concesse un sorriso stiracchiato “Ovviamente se indossassi dei pantaloni avrei potuto contemplare l’idea di lasciarti venire con noi sulle tue gambe, ma vista la tua…scelta di stile non proprio sobria, ritengo che non sia prudente” concluse voltandole le spalle.
Trish si sentì avvampare: lui, che girava conciato come un damerino uscito da una merceria, con quei ridicoli fermacapelli, osava dirle che era poco sobria e non voleva farsi vedere in giro con lei??
Fece per ribattere, ma un’occhiata di Giorno le frenò la rispostaccia in gola e Mista la prese gentilmente per il braccio: “Dai Trish, è solo per poco tempo, se ci fanno secchi tutti e tre sei autorizzata ad uscire e dartela a gambe” scherzò nel tentativo di alleggerire l’atmosfera.
La breve esperienza di scambio che li aveva coinvolti aveva fatto sì che i due ragazzi percepissero una sorta di strano legame l’uno con l’altra: Mista le era sembrato da subito il più simpatico del gruppo, il che contribuiva certamente a quella sensazione, ma adesso era come se una minuscola parte di lui fosse rimasta incastrata nel suo petto; incredibilmente ciò non la infastidiva, la faceva sentire meno sola.
Per un istante si chiese cosa dovesse provare Giorno, che era stato scambiato con…
 “Narancia!”
L’esclamazione improvvisa fece sussultare i tre ragazzi, che sembrarono ricordarsi solo in quel momento dell’amico che giaceva poco più in là.
“Oddio, Narancia…” biascicò Mista, improvvisamente pallido come un foglio di carta.
 Si guardò intorno, frenetico, scandagliando il buio oltre le arcate alla ricerca del punto in cui avevano abbandonato l’amico; corse verso il corpo del ragazzo e si accasciò al suo fianco, una mano premuta sulla bocca per non lasciarsi sfuggire un singhiozzo.
Narancia Ghirga, o piuttosto ciò che ne rimaneva, languiva inerme nella polvere e sembrava ancora più piccolo di quanto fosse parso in vita: una figurina rannicchiata, ammantata dei bellissimi gigli che Giorno aveva fatto crescere su di lui prima di abbandonarlo lì, forse per sempre.
Nessuno aveva potuto aiutarlo. Quello era il massimo che avevano potuto fare per lui, un pegno d’affetto nell’ultimo, frettoloso saluto.
Era stato fortunato: Abbacchio giaceva fra le pietre su una spiaggia, senza neanche un fiore a dimostrare che qualcuno lo aveva amato e pianto.
Con una fitta allo stomaco Trish si chiese cosa doveva esserne stato di lui: chissà se qualcuno lo aveva trovato e aveva dato l’allarme, o aveva preferito non impicciarsi in una questione evidentemente pericolosa…o se il giovane uomo fosse ancora lì, osservato solo dal mare e dal cielo, testimonianza dell’inconsistenza dell’essere umano.
Un conato di vomito la scosse al pensiero di cosa avrebbero potuto trovare se fossero tornati lì in quel momento; l’idea del corpo maciullato e decomposto, che era Abbacchio ma che non lo era più, la disgustò al punto da rimescolarle le viscere irritate e avrebbe sicuramente vomitato se non lo avesse già fatto prima.
Per distrarsi si concentrò sul volto esangue del ragazzino disteso fra le braccia di Mista, attorniato dai suoi amici, la sua famiglia; osservare il loro dolore era insostenibile, se avesse potuto si sarebbe strappata il cuore dal petto pur di non sentire più tutto quel male.
La sofferenza inconsolabile di Guido, che piangeva a bocca aperta come una animale ferito, la fronte posata sul capo dell’amico, si contrapponeva a quella controllata di Giorno, i pugni serrati e le lacrime che scendevano copiose fra i denti stretti; ma quello che la impressionò di più fu il dolore di Bucciarati.
Il giovane capo era inginocchiato al capezzale del compagno, rigido come una statua e altrettanto inespressivo.
Per un attimo Trish aveva provato l’irrefrenabile impulso di gridargli contro, di colpirlo per spezzare quella maschera di odiosa compostezza che indossava in ogni occasione ma, osservandolo in viso, si era resa conto che il ragazzo piangeva.
Interdetta, aveva capito di stare assistendo ad un dolore fuori dal comune, che non poteva essere paragonato a quello dei due ragazzi accanto a lui, così profondo che pareva scavarle dentro.
Bucciarati guardava fisso il volto infantile di Narancia e il suo sguardo aveva una tale intensità che a Trish sembrò di avere violato qualcosa di intimo; le lacrime scorrevano senza sosta sulle sue guance e lui non si dava pena di asciugarle o nasconderle.
Nell’osservarlo sentì il suo corpo farsi pesante, come se il mondo le gravasse sulle spalle. Avrebbe voluto fare qualcosa per lui, avvicinarsi per consolarlo, riportare in vita l’amico se avesse potuto.
Ma non poteva; se nemmeno Giorno, che sapeva controllare alla perfezione il potere curativo di Gold Experience, aveva tentato qualcosa significava davvero che non c’era più nulla da fare.
Abbattuta, si lasciò cadere nella polvere al fianco del giovane; l’unica cosa che poteva fare era tentare di dargli conforto, aiutarlo come lui aveva fatto con lei nella torre di Venezia.
Timidamente lo sfiorò, lasciando scivolare la mano in quella grande e abbandonata di lui, e delicatamente intrecciò le loro dita: era libero di fare finta di niente, ma voleva che sapesse che era lì per lui.
La mano del giovane era fredda come la neve, ma dopo un lungo attimo strinse con forza la sua, aggrappandovisi: lo sapeva, la ringraziava per quel gesto.
Trish sentì il cuore balzarle nel petto dalla commozione al pensiero che lui le avesse permesso di condividere una cosa così profonda come il suo dolore; solo allora concesse ad una piccola lacrima disobbediente di abbandonare le sue ciglia.
Non avrebbe pianto, lo aveva giurato a se stessa all’inizio di quel terribile carosello.
Sembrava fossero inginocchiati da sempre quando Bucciarati liberò con discrezione la mano dalla stretta di lei e si alzò: “Dobbiamo muoverci, non possiamo rimanere oltre qui dentro” mormorò con voce incolore.
“Ma…Bucciarati…cosa facciamo con Narancia??” esclamò Mista “Non possiamo lasciarlo qui come abbiamo fatto con Abbacchio” protestò con un brivido.
“In questo momento non so cosa potremmo fare per lui” rispose atono il capo “Non possiamo uscire da qui trasportando un cadavere.”
 “Non lo lasceremo qui dentro!” protestò furibondo il giovane tiratore, sollevandosi di scatto “L’altra volta eravamo nel mezzo della missione con mezzo mondo alle calcagna, ora non sappiamo nemmeno se c’è davvero qualcuno che ci segue! Non possiamo abbandonare Narancia, non se lo merita!” gridò fra le lacrime.
“Neanche Abbacchio se lo meritava” rispose Bucciarati con amarezza, chinando il capo.
 Mista rimase zitto, il suo pianto silenzioso rotto soltanto da sporadici singhiozzi.
“Potremmo portarlo con noi nella tartaruga” mormorò Trish, trovando il coraggio di inserirsi nello scambio “Così avremo tempo di pensare a cosa…cosa fare, insomma”.
“No, Trish.” rispose il capo “Non è possibile. Sarebbe insalubre lasciare un…cadavere chiuso in una stanza.”
La ragazza scolorò al sentire quelle parole: non che non fossero ragionevoli, ma come poteva Bucciarati restare così impassibile di fronte al dolore di Mista? Lui che per primo soffriva in un modo inesprimibile?
Giorno si inginocchiò accanto a Narancia:”Forse potremmo…” sussurrò, posando le mani sul torace immobile del ragazzo; il suo Stand, Gold Experience, poteva donare la vita a ciò che ne era privo, che fosse un oggetto o che fosse cosa morta.
Il corpo del ragazzino iniziò a rilucere di un alone dorato, assottigliandosi e contraendosi sotto i loro occhi, fino a quando a terra non rimase…
“Un giglio…” sussurrò Mista commosso, raccogliendo la nuova veste delle spoglie dell’amato compagno.
Si portò il fiore al viso per un attimo, bagnandolo con le sue lacrime, prima di porgerlo con solenne tristezza al suo capo, che lo prese con mani tremanti.
Bucciarati depose con delicatezza il fiore nella magica stanza dentro la chiave, per poi guardare gli altri con piglio deciso; i suoi occhi incrociarono per un istante quelli trasparenti di Giorno e chinò il capo in segno di ringraziamento per il suo gesto.
“Adesso è il momento di andare”

 

 


Nota dell'autrice:Se siete arrivati fino a qui, grazie per aver letto il terzo capitolo!
Spero che la storia vi stia piacendo, per me è stato molto bello scriverla, ha significato rimettere le mani sulla tastiera in modo serio dopo moltissimo tempo.
Quando ho iniziato mi sono sentita in dovere di partire da una parte introduttiva che creasse un pò di background, anche se tutti (penso) sappiamo bene cosa sia successo. A breve arriverà la parte realmente fluff, la sto risistemando in continuazione perchè non è facile per me trovare un equilibrio fra il mio stile di scrittura e un registro più adatto a Jojo, specialmente nei brani sentimentali.
Fatemi sapere nelle recensioni cosa ne pensate di questa fic nell'attesa del quarto capitolo (non dovrete aspettare molto)!
Enjoy

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Capitolo 4
*** Cap.4_In cui Mista ha paura degli hotel a 4 stelle ***


POV del capitolo: Trish

Il manipolo si avventurò verso l’uscita dell’anfiteatro, Giorno che sorreggeva un claudicante Bucciarati e Mista in retroguardia, con Trish letteralmente sfinita fra di loro; era vagamente impressionata dal dover trasportare la tartaruga.
Non che detestasse gli animali, ma le zampette rugose e il collo cadente della bestiola le causavano un certo ribrezzo: giurò a se stessa di non dimenticarsi mai più la crema idrante e di concedersi un lungo trattamento ristoratore il prima possibile. Non voleva assolutamente rischiare che la sua pelle si riducesse come quella di Coco Jumbo.
Come per riflesso si portò una mano al collo, sollevata nel trovarlo liscio come sempre; certo, era appiccicosa di sudore e non si sa cos’altro, ma perlomeno non era raggrinzita come una prugna.
Mentre soppesava la tartaruga, valutando se una qualsiasi maschera nutriente avrebbe mai potuto riparare a tanto sfacelo, fece un rapido calcolo mentale per capire a quando risalisse la sua ultima doccia.
No, forse non voleva saperlo con esattezza.
Sentì l’imbarazzo colorarle le guance e strinse con forza le braccia al busto: fino a quando non avesse avuto un lavandino e del sapone a disposizione si sarebbe rifiutata di avvicinarsi a chiunque o di muoversi più del necessario.
Cercando di simulare indifferenza portò il viso verso l’attaccatura del braccio e annusò con circospezione: argh!
Fortunatamente non puzzava come Mista, che oramai avrebbe potuto essere scovato persino da un cieco purché dotato di un buon fiuto, ma le sue condizioni erano tutt’altro che decorose.
Desiderava una doccia ma si sarebbe accontentata persino di una bacinella, l’importante era poter tornare alla dignità.
Il suo odore doveva essere la punta dell’iceberg: non si pettinava e lavava i capelli da settimane, i vestiti erano sempre gli stessi e per giunta aveva vomitato. Poi si chiedeva perché i ragazzi la guardassero in modo strano.
Di sicuro Mista era tipo da pensare che le ragazze siano fatte di arcobaleni e zucchero filato, Bucciarati non avrebbe versato una goccia di sudore neanche sotto il sole del deserto e Giorno era odiosamente impeccabile anche dopo una battaglia, neppure un capello fuori posto.
Solo lei era una disastro, se escludeva i pantaloni di Guido che aveva contribuito a danneggiare.
Lo osservò con aria colpevole da sopra la spalla: il ragazzo aveva cercato di limitare il danno senza riuscire a cancellare del tutto le tracce del misfatto, così che il risultato era piuttosto grottesco; probabilmente gli doveva un paio di pantaloni nuovi.
Anche lei avrebbe dovuto concedersi un po’ di sano shopping, quantomeno per cambiare la biancheria…
Un brivido di disgusto le percorse la spina dorsale e cercò di non pensare al fatto che almeno quella andrebbe cambiata ogni giorno.
Forse avvicinarsi di più a Mista poteva essere una buona strategia, l’odore pungente di lui avrebbe sicuramente coperto il suo; non poteva permettere che Bruno o Giorno si rendessero conto di come era ridotta.
Persa nelle sue riflessioni, non si era accorta che la coppia si era improvvisamente fermata e finì spalmata sulla schiena di Bucciarati. La tartaruga protestò per l’atterraggio poco delicato e si ritrasse nel carapace in segno di protesta.
“Trish, che succede??” esclamò il giovane, voltandosi a guardare la ragazza che si massaggiava il naso dolorante.
“Niente, sono inciampata…non volevo urtarti” improvvisò lei arrossendo furiosamente, cercando di nascondere l’imbarazzo.
“Sei stata comunque più delicata di un qualsiasi Stand, potrei quasi ringraziare” ironizzò Bucciarati accennando un sorriso “In ogni caso non sarai una minaccia ancora per molto, è arrivato il momento che tu entri nella tartaruga, siamo all’uscita”.
“Non credo che ci sia nessuno qui fuori” mormorò la ragazza “Potrei tranquillamente rimanere con voi, immagino sia pieno di gruppi di ragazzi che passeggiano qui intorno di sera…”
Bucciarati la guardò severamente:”Ormai è notte fonda Trish. E noi sembriamo reduci da una catastrofe, di certo non possiamo spacciarci per un normale gruppo che se ne va a spasso. E’ per la sicurezza di tutti, la tua quanto la nostra. In questo momento nessuno di noi è nelle migliori condizioni per proteggerti.”
Trish occhieggiò l’animale fra la sue braccia, sentendosi a disagio all’idea di dover condividere quello spazio ristretto con l’anima di Pollnareff o quel che fosse; un conto era sapere che il fiore sul tavolino era in realtà Narancia (il suo stomaco si contrasse spiacevolmente), un altro vedere e parlare con quella strana manifestazione dello strambo francese.
“Se è soltanto per la gonna…” tentò di ribattere, pur temendo che il giovane capo si arrabbiasse, ma Bucciarati la interruppe scoppiando a ridere:”No, Trish, neanche con un’altra gonna ti permetterei di venire con noi. Sei comunque troppo riconoscibile e difficilmente potremmo spacciarti per un ragazzo. Si tratta veramente di poco tempo, non preoccuparti.”
Rassegnata, Trish consegnò la tartaruga a Giorno per poter entrare nella stanza sul carapace.
Si voltò verso Bucciarati:”Giusto perché tu lo sappia” disse con fare altezzoso “Non ho intenzione di uniformarmi alle vostre…scelte di stile” calcò la voce sull’ultima parola “e questa gonna è costata un casino…probabilmente più delle tue zip d’alta moda”.
Voltò le spalle con stizza al suo interlocutore e sparì nella magica stanza nella chiave, che sperava di non dover più vedere in vita sua.
Gli angoli della bocca di Bucciarati fremettero in un accenno di sorriso.
“Avanti” disse ai compagni che lo sostenevano “Andiamo”.

Uscirono dal Colosseo cercando di comportarsi nel modo più naturale possibile, come se non fossero coperti di polvere e sangue e fosse del tutto normale che uno di loro si trascinasse a malapena appeso agli altri; la tartaruga nelle mani di Giorno era solo l’ultima delle stranezze.
“Non ci noterà nessuno, statene pure certi…” sussurrò Mista sarcastico, occhieggiando intorno con fare guardingo, un solco profondo scavato fra le sopracciglia dalla preoccupazione.
“Guarda che sei te ad attirare l’attenzione su di noi con questo tuo fare da James Bond” lo riprese ridendo Giorno “cosa c’è di strano in un gruppo di ubriachi che ha contato con le ginocchia tutte le scale del Colosseo? Per recuperare il loro terribilmente ubriaco capo, s’intende…”.
Le labbra di Bucciarati vibrarono in un sorriso “Se fossimo davvero una banda di ubriachi avremmo delle bottiglie, ma forse i poliziotti sarebbero più interessati a scoprire come siamo entrati senza farci beccare piuttosto che accertare se siamo brilli o no…sarebbe una fortuna in caso incontrassimo dei portatori di stand, perlomeno sappiamo che non potrebbero tirarcele addosso o trasformarle in qualcosa di strano e pericoloso”.
Lo scambio fece ridere Mista, che abbandonò lo sguardo lampeggiante con cui scandagliava strade e marciapiedi in favore di un sogghigno: “Beh, spero che conosciate un buon metodo per farci passare la sbronza in fretta, dopo tutto quello che abbiamo scampato non vorrei proprio morire mentre attraversiamo la strada in stato di ebbrezza.”
La vibrazione della sua risata si trasmise agli altri due giovani, Bucciarati sentiva il braccio dell’amico sobbalzare sulle sue spalle ed iniziò a ridere a sua volta, e così Giorno: una risata liberatoria, sollevata, la prima dopo tutte quelle lunghissime ore.
Nel sentirsi ridere così la loro sorpresa fu tale da scatenare un’altra ondata di ilarità, e poi un’altra, fino a quando si trovarono ad avanzare sbandando, Mista quasi letteralmente in ginocchio, Bucciarati piegato sotto il peso dell’amico e Giorno che tentava di sostenerli entrambi senza troppo successo, anche lui acceso di risa.
“Volete darvi una calmata?? Qui dentro rischio di vomitare di nuovo, è peggio delle montagne russe!!”
La voce alterata di Trish li riportò bruscamente alla realtà, senza riuscire a vincere completamente la loro euforia:”E dai Trish!” esclamò Mista “Non sei felice di essere viva?? Dobbiamo festeggiare!!”
“Vieni a festeggiare tu qui dentro, allora!” ribatté la ragazza esasperata “E lascia che cammini io come una persona normale, visto che al momento tu non sembri in grado…!”
“Uuuh, come siamo suscettibili…” la prese in giro il giovane.
“Dai, Mista, Trish ha ragione, di questo passo si ribellerà anche la tartaruga…scusa Trish, ora starò attento a tenerti dritta” s’intromise gentilmente Giorno per interrompere la discussione.
“E poi forse stiamo davvero attirando troppo l’attenzione” mormorò fra sé, guardandosi intorno con fare casuale.
“Come minimo…grazie Giorno…” rispose piccata la ragazza, con una voce che trasudava pesantemente broncio.
“Ha ragione, dobbiamo darci un contegno o finiremo per farci scoprire da qualcuno” asserì Bucciarati raddrizzandosi “Inoltre, direi che è ora di trovare una sistemazione…penso che qui andrà bene” disse, alzando gli occhi sull’imponente edificio davanti a loro.
Non avevano percorso neanche un chilometro, trascinandosi in preda alle risate convulse, ma si erano ritrovati in prossimità di un bell’albergo dall’aria lussuosa; l’ingresso era piuttosto semplice eppure si poteva definire elegante, decorato da altissime palme e da una scalinata di pietra chiara.
“Ehi, aspetta, Bucciarati…davvero vorresti fermarti qui?” esclamò Mista, la mandibola che quasi sfiorava il marciapiede “Ma questo è un hotel di lusso!! Guarda l’insegna, quante stelle ha…!”
“Lasciami indovinare, sono quattro??” gli rispose Trish in tono sarcastico, la voce che giungeva smorzata dal carapace della tartaruga.
Colto alla sprovvista, Bucciarati ebbe un fremito e contò in un attimo le stelle stampate sopra il nome dell’albergo: fu intimamente grato che fossero cinque,  fossero state realmente quattro non ci sarebbe stato modo di convincere Mista a fermarsi lì.
Il compagno però continuava a non  essere convinto:”Se fossero state quattro non mi sarei nemmeno fermato, abbiamo giusto bisogno di un pizzico di sfortuna in più…” le rispose pedante “Dico sul serio Bucciarati…A dir poco è uno di quei posti da ricchi in vacanza o da pezzi grossi in trasferta, con il banco della colazione lungo un chilometro…Come facciamo a permettercelo??”
“Ma tu sai pensare solo al cibo??” lo rimbeccò acida la ragazza.
“Dici così solo perché non vedi l’hotel Trish! Fidati, qui come minimo servono la colazione dolce e salata, fanno le uova strapazzate al momento e il bar è aperto tutto il giorno! Lo penseresti anche tu se guardassi l’ingresso…”
Prima che Trish potesse ribattere dando inizio ad una nuova schermaglia con l’amico, Bucciarati rispose, inarcando un sopracciglio con fare scettico:”Credi davvero che abbiamo attraversato mezza Italia con il portafoglio vuoto Mista?”
“Beh, il mio certamente sì! E poi non eravamo…sponsorizzati?” il giovane si morse la lingua, rendendosi conto appena in tempo che nominare il padre di Trish sarebbe potuto risultare indelicato nei confronti della ragazza.
“E secondo te saremmo partiti da Napoli senza delle finanze di scorta? Fidati, Guido” rispose il capo  sorridendo, dandogli l’impressione di avere perfettamente intuito la figuraccia che aveva rischiato di fare “Ormai dovresti saperlo, non ci siamo mai mossi se non in sicurezza…e inoltre, ritengo una scelta furba fermarci in un posto simile.”
“Perché…”
“Perché è l’ultimo in cui verrebbero a cercarci” rispose Giorno soddisfatto, comprendendo il ragionamento dell’amico “Siamo mal messi, tagliati fuori da qualsiasi contatto e, tecnicamente, disperati” disse “Sarebbe molto più logico pensare che stiamo cercando una sistemazione di fortuna, o peggio, stiamo vagabondando per le strade…nessuno immaginerebbe che ci nascondiamo in un albergo di lusso e soprattutto che siamo rimasti nei pressi del Colosseo piuttosto che fuggire. Sono certo che, se ci stanno cercando, lo stanno facendo lontano da qui.”
“E gli hotel di alto livello sono gli unici con la reception disponibile 24 ore su 24” aggiunse Bucciarati.
“Giorno…” per la prima volta dopo ore Trish si rivolse direttamente al giovane, con una voce più morbida di quanto lei stessa si aspettasse: “Siamo quasi tutti feriti, o almeno stanchi, di sicuro non potremmo fuggire e nemmeno combattere…per quale ragione dovrebbero pensare che siamo riusciti ad arrivare chissà dove?”
Mista lo guardò con la stessa espressione dubbiosa che doveva avere lei in quel momento.
“Perché siamo rimasti nel Colosseo per molto tempo” le rispose gentilmente Giorno: “Chiunque fosse sulle nostre tracce, sempre che ci fosse veramente qualcuno, deve aver pensato che non saremmo tornati indietro dopo la battaglia, ma che ci saremmo semplicemente messi al riparo…in fondo è così che abbiamo fatto fin’ora…” disse abbassando gli occhi,  un’espressione amara disegnata in volto. “In ogni caso” continuò con voce leggera, risollevandosi “un ipotetico qualcuno deve aver pattugliato le strade circostanti per diverse ore, prima di arrendersi all’evidenza che non eravamo più in zona dato che non ci ha visto uscire da lì…so cosa stai per dire” aggiunse, prima che Trish potesse ribattere “Sembra strano che nessuno sia entrato nel Colosseo per controllare se fossimo vivi o morti, o perlomeno che fossimo lì, ma dopo tutto l’accaduto tu ti saresti avventurata a cuor leggero non sapendo cosa poteva aspettarti?”
Trish aprì la bocca per rispondere, ma dovette ammettere in cuor suo che il ragionamento di Giorno era perfettamente logico.
Sin dall’inizio della missione non si erano mai guardati indietro, non si erano fermati nemmeno per piangere o seppellire un amico morto; avevano semplicemente continuato a correre avanti, ancora e ancora, fino alla meta, senza badare a quale fosse il prezzo della corsa e del traguardo.
Perché avrebbero dovuto fermarsi ora?
Tornare al Colosseo per salvare Bucciarati non rientrava nei loro schemi di comportamento e nemmeno restare lì dentro per ore a vegliare su di lui, quell’agire anomalo poteva effettivamente essere la loro salvezza: chi li avesse tenuti d’occhio cosa avrebbe ritenuto più probabile, che avessero continuato ad allontanarsi senza un’occhiata alle proprie spalle o che fossero rimasti lì?
Sentì la ormai familiare sensazione di panico che tornava a punzecchiarla: si sarebbero mai fermati?
Nella necessità di rimanere vigile e pronta a tutto, durante le ultime ore aveva cercato di arginare ogni pensiero di questo genere, relegandolo in un angolo remoto della mente; si era sforzata di concentrarsi sulle condizioni di Bruno, sul dolore di Guido, sulla sicurezza apparente di Giorno per non pensare, ma stava diventando sempre più difficile non lasciarsi vincere dalla preoccupazione.
Dopotutto era rimasta sola al mondo, non aveva più una casa e, per i tre compagni superstiti (a quella parola lo stomaco le sembrò volersi attorcigliare su se stesso), non era altro che una missione da portare a termine…una missione che stava per finire.
Non poteva certo aspettarsi che si facessero carico di lei per il resto della vita, o quantomeno per gli anni che la separavano dalla maggiore età; dopotutto anche loro erano appena dei ragazzi, Giorno per di più era minorenne.
Dove sarebbe finita?
E, soprattutto, con chi?
All’improvviso tutti i timori e le ansie inespresse sembrarono balzare fuori dalla sua mente e invaderle lo stomaco e i polmoni, dandole l’impressione di non riuscire più a respirare.
Oppressa dalle pareti della stanza magica, imprigionata nella sua paura e soffocata da se stessa, fece l’unica cosa che le sembrava sensata in quel momento: uscì senza preavviso dalla chiave.
Per un attimo barcollò sul marciapiede, rischiando di cadere per il contraccolpo che subiva ogni volta che tornava alle sue reali dimensioni proiettandosi fuori dalla stanza; una mano la afferrò dal nulla per il gomito, sostenendola e impedendole di schiantarsi a terra.
Se solo fosse stata più coordinata…o forse erano quegli stivali assurdi che si ostinava a portare, non proprio adatti per un fisico minuto come il suo.
Imbarazzata, cercò di ostentare una naturalezza che non aveva, come se fosse uscita senza apparente motivo perché si stava annoiando e non perché stava rischiando di impazzire; il rossore colpevole che le accendeva il viso non aiutava la sua causa.
“Questo è esattamente il tipo di cosa che non dovresti fare Trish” le disse calmo Bucciarati guardandola di sbieco, mentre Giorno la rimetteva gentilmente in piedi “Di norma sarebbe meglio evitare che tu compaia dal nulla in mezzo alla strada…che succede?” suonava come un rimprovero, ma lui sorrideva.
La ragazza cercò di assumere un tono sostenuto e incrociò le braccia: “Beh, se dobbiamo registrarci all’hotel non penso che dovrei apparire dal nulla in mezzo alla hall, no?”
Perché finiva sempre per fargli il verso, anche quando avrebbe voluto essere seria e ragionevole?? “E poi non ce la facevo più a restare lì dentro, si soffoca e ondeggia tutto” aggiunse cercando di darsi un tono, sventolando una mano davanti al viso color fragola ormai tutt’uno con i capelli; probabilmente stava per sperimentare l’autocombustione umana.
Si diede virtualmente una pacca sulla fronte: ”Che stupida, possibile che finisca sempre per fare la figura della scema??” si autocommiserò.
Bucciarati doveva aver intuito che stava tacendo qualcosa perché non indagò oltre:”Andiamo. Parlerò io con il responsabile alla reception, voi restate in silenzio e cercate di sembrare il più normali possibile” la sua bocca ebbe un guizzo divertito alla vista dei tre compagni; la tartaruga, al solito, era solo l’ultima delle assurdità.
Mista abbassò per un istante lo sguardo i pantaloni rovinati e si calcò il cappello in testa, guardando di traverso Trish che per tutta risposta lo superò con una sdegnosa scrollata di spalle, le braccia incrociate sul petto.
“Spero che lascino entrare gli animali” mormorò fra sé Giorno, seguendo il terzetto su per le imponenti scale d’ingresso.




Nota dell'autrice
Eccomi, anche se con un immenso ritardo sulla tabella di marcia sono tornata!
Questo capitolo era pronto e revisionato da un pò, ma in tutto il delirio delle vacanze e della routine quotidiana se ne stava abbandonato nel mio pc, in paziente attesa.
Sto cercando di venire a capo della questione formattazione html, mi sono accorta che la visualizzazione da telefono è tutta sballata e rende praticamente impossibile leggere. Per questo capitolo mi sono affidata all’editor di EFP e ho dovuto necessariamente modificare qualcosa, spero di riuscire a sistemare tutto in via definitiva al più presto.
Nel frattempo grazie come sempre per aver letto, se la storia vi sta intrigando sappiate che i prossimi capitoli saranno interessanti…e per di più siamo quasi a metà, non crediate che sarà una long-fic o simili, dubito che supererò i 10 capitoli. Se avete voglia di lasciare un feedback sarò più che contenta di leggere i vostri pareri.
Namaste

 

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Capitolo 5
*** Cap.5_In cui Mista si entusiasma per l'interior design ***


POV del capitolo: Mista e Trish

La hall dell’albergo era sorprendente, specialmente per uno come Mista che non aveva mai avuto a che fare con un lusso simile prima di quel momento.
L’elegante bancone della reception, l’illuminazione soffusa, le poltrone dall’aria comoda saggiamente disposte qua e là erano più di quanto avrebbe potuto immaginare, ma d’altronde non era certo un tipo particolarmente fantasioso.
A lui non sarebbe mai venuto in mente di arricchire l’ambiente con una musica dall’aria ricercata in filodiffusione o di controllare che i fiori nei grandi vasi decorativi richiamassero il colore delle pareti; si guardava intorno con aria stupefatta, come se fosse incredibile che qualcuno al mondo avesse pensato di coordinare le tende e la tappezzeria dei divanetti o di far indossare al personale divise abbinate alle tonalità dell’ambiente.
Lui, che di colori e combinazioni ne capiva così tanto da indossare un maglione di cachemere blu con dei pantaloni rossi anche quando faceva caldo, si scopriva insieme stupito e deliziato dall’armonia cromatica di quel posto: che invenzione le canne di bambù usate come separé e le piante colorate all’interno degli acquari; per non parlare del tessuto dei cuscini, dall’aria così delicata che avrebbe avuto paura a sedersi.
Del tutto dimentico degli amici si ritrovò a perlustrare la grande sala con l’entusiasmo di un bambino, lasciando che l’opera sapiente di una squadra di arredatori d’interni facesse la sua magia: i colori caldi delle pareti e quelli tenui dei salottini davano ai suoi occhi un grande senso di appagamento, il moto regolare dei pesci che guizzavano pigri negli acquari era così rilassante da risultare quasi ipnotico.
Guido Mista era il tipo di persona che sa apprezzare le cose buone e che riesce a trovare in tutto una ragione per essere felice, ma non si era mai soffermato più di tanto sulla bellezza estetica di niente o nessuno, tanto da non sapere esattamente neanche che cosa gli piacesse: per lui un tramonto suggestivo, una buona bottiglia di vino o un’abbuffata al Libeccio con i suoi migliori amici erano tutte cose belle e non avrebbe saputo dire se una lo fosse più dell’altra.
A pensarci bene non aveva mai osservato più di tanto neppure le ragazze per strada: sempre troppo preso da una missione, dal sopravvivere ad una nuova giornata o da se stesso…chissà se preferiva le more o le bionde…o forse le rosse…o quelle con i capelli di un colore strano, come Trish?
Quel pensiero, che non lo aveva mai sfiorato fino a quel momento, all’improvviso lo fece sentire triste.
Aveva sempre pensato di essere una persona serena e soddisfatta; per lui non era spontaneo ragionare troppo sulle cose o sulle persone, semplicemente accettava ciascuno per il suo modo di essere, apprezzandone le cose positive e tralasciando quelle negative.
Da quando Bucciarati l’aveva salvato dalla brutta china che aveva intrapreso, la sua vita era sempre stata incentrata sulla sua squadra, la sua famiglia…ora che non questa c’era più, si rendeva conto di non avere mai avuto se stesso.
Non c’era Abbacchio a guardargli le spalle e criticare il suo modo di vestire, non c’era più Fugo che si arrabbiava in continuazione ma era il perfetto bersaglio per ogni scherzo, non c’era più Narancia sempre pronto a ridere insieme…restava lui, che all’improvviso si sentiva solo e inadeguato, incapace di reggere la propria compagnia o la propria solitudine.
La divisa impeccabile della receptionist con cui Bucciarati stava parlando lo fece vergognare del suo abbigliamento, decisamente malconcio (anche grazie a Trish…) e inadatto al luogo; imbarazzato, cercò di tirare giù l’orlo del maglione e fece del suo meglio per mimetizzarsi con la tappezzeria, senza troppo successo.
Accanto alla porta d’ingresso Giorno sembrava del tutto a suo agio, anche se Guido sapeva che stava tenendo d’occhio la strada antistante; lui sì che sembrava fatto apposta per quell’hotel, con il suo completo elegante, i capelli impeccabili e una posa che trasudava sicurezza.
Ed era pure il più giovane.
Lui, Mista, i capelli neanche li pettinava, tanto nessuno li avrebbe visti.
Sconfortato si voltò nella speranza che Bucciarati avesse finito, ma la responsabile sembrava attratta da lui e decisa a fare la difficile nella stessa misura; che problema poteva mai esserci per un paio di maledette camere?
Poco più dietro, anche Trish sembrava a disagio; teneva le braccia strettamente incrociate sul petto, quasi volesse nascondervisi dietro, il viso rivolto verso il basso e osservava il bancone di sottecchi con espressione infastidita.
Mista non era tipo da dedicarsi troppo all’analisi psicologica di chi gli stava di fronte, ma aveva passato con lei abbastanza tempo da saper riconoscere quando non era in forma, e in quel momento non lo era.
Incuriosito si trovò ad osservarla con più attenzione di quanta non ne avesse mai dedicata prima all’amica: era una ragazza minuta e piuttosto smilza, probabilmente il classico tipo che può mangiare una montagna di porcherie senza mettere su un chilo.
Dubbioso e leggermente desolato, si chiese se non fosse segno di scarsa intelligenza che prima o poi ogni suo pensiero  vertesse sul cibo.
L’unico dettaglio di Trish su cui poteva veramente dire di essersi mai soffermato con interesse…beh, probabilmente era ovvio, ma era meglio che lei non lo sapesse.
In fondo si sentiva perdonabile, a forza di stare costantemente a contatto e doversi destreggiare in situazioni al limite del letale si era abituato alla sua femminilità: i suoi occhi avevano smesso di sfuggire al controllo per posarsi involontariamente sul torace di lei, anche se quando Trish correva era ancora in grado di annichilirlo.
Dopotutto non si poteva rimanere immuni a quelle oscillazioni…a Mista facevano venire in mente le pesche mature che sobbalzavano nella cassetta del fruttivendolo quando girava il quartiere sulla sua motoretta scalcagnata (decisamente quella del cibo doveva essere una mania…), anche se forse il paragone con le pesche l’avrebbe offesa, non erano proprio il frutto adatto…
Sentendosi un pervertito cercò di portare i pensieri altrove e concentrarsi, provando a capire cos’è che poteva piacergli: preferiva le magre? O se fosse stata in carne sarebbe stata più carina per lui?
Si sforzò di immaginarla con qualche chilo in più, ma l’idea della rabbia di lei se avesse scoperto che stava cercando di ingrassarla con il pensiero lo fece ridere a tal punto da non riuscire a focalizzare nulla.
Soffocando una risata osservò i capelli: e se fosse stata biondo platino? Castana? Capelli neri? No, neri sicuramente la invecchiavano, ma era meglio non dirglielo. Rossi? Ma il rosso non era poi quasi uguale al rosa? Che poi, che razza di colore era il rosa per dei capelli?
Sconcertato, si ritrovò a chiedersi all’improvviso se Trish li tingesse.
Non sarebbe stato nulla di strano o allarmante, eppure la cosa gli sembrò di colpo fondamentale da sapere; forse il suo stupore derivava in realtà dal non essersi mai chiesto una cosa così ovvia.
Constatato che non riusciva comunque ad arrivare ad una conclusione, si avvicinò con fare innocente a lei per spiarla dall’alto; certamente nell’ultimo mese Trish non poteva essere andata dal parrucchiere, quindi sarebbe stato facile scoprire se il suo colore era naturale o meno…e apparentemente lo era, dato che Mista non vedeva alcun segno sospetto alle radici.
“Rosa…bah…” si trovò a pensare vagamente stupito, per poi rendersi conto che in fondo la cosa non gli importava né lo disturbava. Che fossero pure rosa, dopotutto il mondo era bello così.
L’idea lo fece sentire rinfrancato: in fin dei conti cosa importava che lui si vestisse in maniera non proprio elegante o non sapesse se erano meglio le more o le bionde o come scegliere il colore di una tenda? Stava bene così e si sentiva a posto, perché doveva curarsi di abbinare tappeti e divani quando c’era chi lo faceva per mestiere?
Decisamente sollevato tornò a guardare l’amica, accorgendosi che era sempre più accartocciata, quasi che volesse annodare gambe e braccia insieme.
Incuriosito  seguì il suo sguardo e trovò la ragione del disagio di lei: la collega della receptionist, che nel frattempo stava flirtando sempre più deliberatamente con Bucciarati, doveva essersi risentita per aver perso l’opportunità di contrattare con il bel giovane e stava sfogando la sua frustrazione guardando Trish con aria di malcelata sufficienza.
“La tipica espressione di una donna che sente di poter giudicare un’altra donna dal suo abbigliamento” si ritrovò a pensare saggiamente, stupendosi lui stesso per la sua massima calzante: chissà dove aveva imparato una cosa simile…
L’albergatrice, impeccabile nel suo tailleur scuro,  nonostante l’aspetto distinto e ben curato di colpo gli sembrò brutta: “Non si può essere belle con una smorfia simile e un’espressione così cattiva…una bella persona non guarderebbe mai qualcuno così per metterlo a disagio”.
Sbatté gli occhi più volte, sorpreso da se stesso: allora sapeva distinguere cosa era bello e cosa no.
Osservò Trish in cerca di conferma: decisamente non dava la stessa impressione dell’altra, nonostante l’abbigliamento poco formale…anzi, pur con quell’espressione corrucciata era proprio carina.
Deliziato si guardò intorno, come se si aspettasse che qualcuno fosse testimone della sua epifania e facesse partire un applauso.
Guido Mista sapeva distinguere le cose belle.
Anzi, forse sapeva distinguere le cose brutte…perché il mondo era fatto di bellezza, non c’era bisogno di cercarla, in fondo era ovunque.
Doveva fare qualcosa: sapeva di non essere un campione di tatto, ma non poteva lasciare che quella tortura silenziosa andasse avanti, si sentiva troppo euforico per lasciar perdere.
Sorrise alla receptionist imbronciata, che ricambiò il suo sguardo senza mostrare alcun segno di cortesia (“D’altronde io non sono affascinante come Bruno” pensò Mista, ma si rese conto che l’idea non lo turbava), poi le girò bellamente le spalle e si rivolse a Trish:”Ehi Trish” esordì, sollevandole il viso perché lo guardasse negli occhi “so che ti da fastidio, ma non lasciarti intimidire da quella lì! Si crede chissà chi con quel completo da signorina per bene, ma tu stai benissimo così, non devi permettere a nessuno di farti sentire inferiore. Certe donne pensano di poter giudicare le altre solo dal modo in cui si vestono!” recitò, con l’aria saggia di un santone indiano che mostra al discepolo la via del Nirvana.
Incredibilmente Trish assunse una decisa sfumatura color papavero e, invece che sorridergli grata come lui si aspettava, gli rivolse uno sguardo inviperito:”Mista, ma ti sei bevuto il cervello?? Cosa diavolo stai blaterando? E soprattutto ti sembra educato strillare una cosa simile nel mezzo della hall??”
Confuso, il ragazzo si voltò, soltanto per vedere la persona in questione guardarlo con un’espressione ancora più truce di quella di Trish; Giorno se la rideva sotto i baffi, cercando di dissimulare, e la receptionist  impegnata con Bucciarati occhieggiava la collega senza riuscire a rimanere seria.
Di colpo Mista si sentì molto, molto imbarazzato, anche se non capiva bene perché; in fondo aveva soltanto detto la verità.
“Guido, Giorno, Trish…venite”.
Bucciarati era finalmente riuscito a raggiungere un accordo sulla sistemazione e a sottrarsi alle attenzioni della responsabile, che forse aveva tirato corto per salvare Mista dalla decapitazione; ora li stava diligentemente scortando agli ascensori, compito che di certo non era compreso nel suo mansionario. Sembrava fin troppo contenta che fra lei e il ragazzo non ci fosse più un bancone ma solo una lama d’aria, che andava riducendosi ad ogni suo passo.
I ragazzi si avviarono dietro di loro, Trish che chiudeva il gruppo a testa alta; prima di uscire dalla stanza si premurò di guardare l’albergatrice incriminata con tutta la superiorità di cui era capace, ma questa era improvvisamente molto occupata a sistemare dei fogli già in ordine.
Rise fra sé e sé; dopotutto Mista non era per niente un tipo sciocco, anche se un po’ irruento…
La sua piccola soddisfazione sfumò nel vedere la mano della responsabile sempre più vicina a quella di Bucciarati: oltre agli sguardi maligni dell’invidiosa aveva dovuto pure sopportare un tempo interminabile di fusa che l’altra aveva rivolto al giovane, una sequela di firme e controfirme con molti sfioramenti di mani superflui, occhiate mielose e un atteggiamento decisamente troppo disponibile e troppo poco professionale…
Adesso doveva assistere pure a quel palese tentativo di seduzione.
Esultò interiormente nel vedere che Bucciarati si allontanava impercettibilmente ogni volta che la signorina accorciava lo spazio fra di loro. “Ah!” pensò “Beccati questo, vecchia viscida”.
In realtà doveva ammettere che non era né vecchia né viscida: non poteva avere più di venticinque anni ed era magra e graziosa, con una folta coda bionda arricchita da colpi di sole; soprattutto era molto più alta di lei.
“Beh, sarà comunque troppo vecchia per lui…e pure troppo alta in effetti” pensò con soddisfazione, sentendosi finalmente tranquilla.
La ragazza in questione non si diede per vinta fino all’ultimo:”Beh” disse con un sospiro teatrale, arrestandosi di fronte alle porte di un grande ascensore “vi lascio nelle mani del mio collega, anche se non avete bagagli da trasportare; troverete il responsabile di piano ad attendervi, vi mostrerà le vostre stanze. Buona permanenza…” concluse guardando Bucciarati dritto negli occhi con uno sguardo significativo, prima di voltarsi in un turbinio dorato di capelli.
Il concierge, che era rimasto impassibile come una statua durante lo scambio, si rivolse gentilmente a loro:”Prego signori; qual è il vostro piano?”.
I ragazzi guardarono interrogativi il giovane capo:”Terzo piano” disse, sventolando due tessere nere siglate con l’emblema dell’hotel.
“E quelle cosa sarebbero?” chiese Mista incuriosito, osservandole da vicino.
“A meno che qui non regalino carte di credito come pensiero di benvenuto direi che sono le chiavi” scherzò Giorno. Guido stava per rispondere con una cameratesca ma non per questo delicata gomitata nelle costole, salvo accorgersi in tempo dello strano rigonfiamento che la giacca del giovane formava all’altezza della pancia…chiaro segno che lì sotto nascondeva più di un tipo di tartaruga.
A quell’idea Mista cominciò a sghignazzare fra sé e sé, attirando lo sguardo professionalmente curioso del concierge.
“Che hai da ridere?” chiese Giorno, confuso dall’improvvisa ilarità dell’amico; dopotutto la sua non era stata certo una battuta di spessore.
“Sai Giorno…stavo pensando che dovresti metterti a dieta…la tua tartaruga lascia proprio a desiderare.” Mista non riusciva a trattenersi e scoppiò a ridere sonoramente, con discreto sconcerto di tutti gli occupanti dell’ascensore ed enorme imbarazzo di Trish, che si coprì gli occhi con una mano e crollò la testa in segno di resa.
“Mista, è notte fonda, non è il caso di disturbare gli altri ospiti” lo ammonì Bucciarati “E Giorno…sarebbe davvero disdicevole se perdessi la tua tartaruga” aggiunse saettando un’occhiata ammonitrice al ventre dell’amico, che si stava agitando in modo strano.
Giorno incrociò le braccia sulla pancia cercando di immobilizzare l’animale che, per nulla contento di trovarsi rinchiuso fra la stoffa e la sua pelle,  aveva abbondantemente provveduto a graffiarla con le zampette:”Forse avete ragione…ho lo stomaco in subbuglio…dovrei mettermi tranquillo…” rispose a denti stretti, guardandosi l’abito con aria scontenta.
“Terzo piano signori. Buona permanenza e buona notte.” li congedò cortesemente il concierge, indicando il corridoio con un gesto elegante.
Il quartetto uscì dall’ascensore, Bucciarati in testa e detentore delle chiavi, Trish per ultima, ancora sprofondata nel più completo imbarazzo per il comportamento dei compagni.
Chiunque fosse il responsabile di piano a quell’ora doveva essere abbondantemente nel mondo dei sogni, perché lungo il corridoio non si vedeva anima viva a parte loro.
“E ora come le troviamo le camere?” sussurrò Mista perplesso “Qui è tutto una porta.”
“Abbi pazienza, se a destra c’è la 303 e a sinistra la 304 direi che i numeri vanno crescendo verso di là…” gli rispose Trish con condiscendenza, come se stesse spiegando le quattro operazioni ad un bambino.
“E noi dove dobbiamo andare saputella??” la rimbeccò il ragazzo.
“Piantatela di battibeccare e muovetevi!” li richiamò Bucciarati, avviatosi verso il lato opposto del corridoio: si fermò di fronte ad una porta con il numero 312 stampigliato sopra a caratteri lucenti. Mista fu intimamente grato per il fatto che fosse l’ultima camera del piano, dopo quella giornata allucinante ci mancava proprio che gli toccasse la 314…
“Dunque” li apostrofò il capo con voce sommessa “Ho cercato di farci assegnare due stanze senza balcone, sarebbe stato più sicuro avere soltanto le finestre, ma non ce ne sono” spiegò, lasciando trapelare un certo disappunto per la questione “La versione ufficiale è che io e Mista stiamo accompagnando voi due dai vostri parenti dato che siete troppo giovani per mettervi in viaggio da soli, ma abbiamo avuto un brutto incidente d’auto a causa del disastro delle scorse ore” i suoi occhi vagarono per un attimo sui vestiti impolverati di Trish, i pantaloni luridi di Guido e la tartaruga irrequieta che aveva affettato Giorno “La responsabile non ha fatto troppe domande, come immaginavo…almeno non riguardo questo fatto” altra espressione di fastidio “Dato che vi ho presentato come due cugini, le camere sono ufficialmente intestate a voi due e a me e Mista. D’altro canto, devo ammettere di non sentirmi totalmente in forma, ragion per cui preferirei condividere la camera con Giorno per tranquillità.”
Si voltò verso Trish, guardandola negli occhi: “Spero non sia un problema troppo grande dover essere in stanza con uno di noi per questa notte; inizialmente ero intenzionato a provvedere ad una camera soltanto per te, ma mi è sembrata una scelta potenzialmente poco sicura. Anche con tre stanze tutte vicine, te in mezzo e noi ai lati, avremmo potuto non avere modo di intervenire in situazioni di emergenza. Ovviamente non era proponibile chiedere una stanza per tutti e quattro..”
Trish si limitò a scuotere la testa, desiderando per un attimo un bagno tutto per sé e un po’ di privacy, lontana dall’esuberanza molesta del compagno che le era toccato in sorte.
“Prendendo però in considerazione tutti gli elementi, ho pensato che nonostante tutto la scelta migliore sia che Giorno e Guido dividano la camera più vicina all’angolo dell’edificio: tutte le stanze dell’ultimo piano condividono lo stesso balcone, ma voi avrete le finestre che affacciano su due lati…il che porta più cose da controllare, ma anche maggiore visione.
Io e Trish occuperemo quella attigua alla vostra, che ha le aperture soltanto sulla facciata principale dell’edificio. Non è per sfiducia nei tuoi confronti, Guido” disse rivolgendosi all’amico “ma il tuo stand ha un potere puramente offensivo, che segna la differenza in uno scontro e non in una fuga. In caso di emergenza ritengo che Sticky Fingers sarebbe più adeguato. Potrei portare via Trish molto più facilmente.”
La ragazza in questione, che fino a quel momento si era fissata con cupa rassegnazione le punte sbucciate degli stivali, guardò il giovane con tanto d’occhi, incredula.
Improvvisamente la necessità di un bagno tutto per sé divenne del tutto trascurabile: se condividerlo con Bucciarati era il prezzo da pagare lo avrebbe pagato volentieri, senza chiedere il resto.
Non fece in tempo a gioire interiormente alla notizia che rise di se stessa: cosa pensava potesse succedere?
Il giovane capo era sempre così corretto che a dir poco sarebbe stato capace di dormire sul pavimento per non offendere il suo pudore; non sarebbe bastata la convivenza forzata in uno spazio ristretto a cambiare le cose.
“Non preoccuparti Trish” Bucciarati la riscosse dai suoi pensieri amari “Le stanze sono davvero grandi e in ciascuna c’è un divano: io dormirò lì, così potrai avere il letto e un pò di privacy”.
“Non l’avrei mai detto…dal pavimento al divano, un bel passo avanti…” pensò la ragazza con mestizia, apparentemente assorta nell’analisi dello stato delle sue scarpe.
Bucciarati dovette interpretare quel silenzio come segno di sconforto, perché si sentì in dovere di aggiungere: “Purtroppo non c’era un’altra sistemazione possibile, ma d’altronde si tratta di una sola notte.”
“Non c’è problema” rispose lei asciutta, cercando di non far trapelare i suoi reali sentimenti.
“Beh…se non avete obiezioni, vista l’ora propongo di riposarci, fra qualche ora decideremo cosa fare. Guido, Giorno…tenete comunque la guardia alta, non si sa mai.”
“Ma non dovevamo riposarci?” si lagnò Mista. “L’unica volta in vita mia che vado in un hotel di lusso e neanche me la posso godere…”



Nota dell'autrice: Ebbene sì, eccomi tornata dopo soltanto due giorni con un nuovo capitolo.
Il prossimo periodo sarà piuttosto impegnativo, per cui vorrei cercare di pubblicare quanti più capitoli possibili in breve tempo, almeno quelli già sistemati...altrimenti rischio di lasciare la storia a metà per qualche mezzo secolo (no, non temete, scherzo.)
Questo è uno dei capitoli che più ho amato scrivere. Adoro Mista e il suo essere scanzonato e socialmente maldestro, è forse il personaggio di cui mi viene più facile e spontaneo raccontare, tentare di immaginare la sua interiorità mi diverte alquanto.
Ancora una volta grazie per aver letto, spero che la storia continui ad interessarvi almeno la metà di quanto a me piace scriverla.
Al prossimo capitolo!
Namaste

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Capitolo 6
*** Cap.6_In cui si discute e si litiga ***


POV del capitolo: Trish e Mista

La camera era realmente spaziosa, anche troppo per i gusti di Trish; l’arredamento curato nei minimi dettagli, il copriletto dall’aria eccessivamente  delicata e lo specchio serigrafato sembravano un tantino pretenziosi persino a lei, per non parlare della navata che si estendeva fra il letto e il l’angolo salotto.
Quasi disgustata osservò lo spazio che separava il letto e il divano come se le avesse fatto un affronto personale; a tutti gli effetti, quella era la distanza fra lei e Bruno: potevano essere nella stessa stanza, ma non si sarebbero mai raggiunti.
Il pensiero le strappò un sospiro di delusione che non sfuggì al compagno.
“So che non è la sistemazione ideale…” ricominciò questi in tono paziente, con un atteggiamento paternalistico che mandò la ragazza fuori dai gangheri: era stufa di essere sempre trattata come una sciocca, stufa, stufa, stufa.
“Parliamoci chiaramente” esordì, tentando di controllare la voce per non gridargli addosso: “siamo in un hotel di lusso, dove il letto è grande come una piscina...e tu…vorresti seriamente dormire sul divano?”
Il malcelato astio di lei lo colse alla sprovvista.
“Non vedo dove sia il problema” rispose cauto “Il letto è solo uno e non mi sembra il caso…”
“Di fare cosa?? Hai paura che ti rubi le coperte, per caso?”
“Trish, ma che hai??”
“Oh, io niente! Cosa dovrei avere? Sono soltanto giorni e giorni che fuggiamo senza mai fermarci, inseguiti dai peggiori soggetti mai visti, costretti a nasconderci di continuo nei posti più assurdi…siamo stati in sei in quella maledetta stanza nella tartaruga per ore e adesso tu ti fai problemi a dormire in due in un letto enorme?? E’ semplicemente ridicolo!”
“No che non lo è. E’ una questione…”
“Non dirmi che è una questione di principio! Per la miseria, sei un gangster, un malavitoso, adesso cos’è, vuoi darti un tono fingendo di aver scoperto una morale??”
Si rese conto un istante più tardi di essersi spinta troppo in là, di avere detto cose che non doveva ma che, soprattutto, non pensava davvero.
Trish pregò che in quell’esatto momento cadesse un meteorite su Roma, straripasse il Tevere, scoppiasse una guerra nucleare o tutte le tre cose contemporaneamente, pur di sottrarsi a quella situazione terribile.
Si morse la lingua, il cuore che le batteva all’impazzata, pronta ad incassare la sfuriata del giovane.
Che non venne mai.
L’espressione di Bucciarati diventò improvvisamente gelida e dura come la pietra, la sua voce calma più affilata di un rasoio:”Sì, è una questione di principio. E no, non è affatto ridicolo. Chiunque, buono o cattivo che sia, può avere e perseguire una propria morale…questo significa fare ciò che ritiene giusto e non fare ciò che ritiene sbagliato. Mi guadagno da vivere con la malavita e non lo nego, ma ciò non implica che io sia totalmente privo di senso etico; se faccio del male, è perché so distinguerlo dal bene.”
Trish si trovò a pregare ogni divinità conosciuta e pure qualcuna inventata sul momento perché Bucciarati la prendesse a schiaffi piuttosto che parlarle in quel modo. Ogni frase era peggio del più violento attacco Stand.
“Al di là di tutto quello che tu possa pensare di me anche io ho le mie convinzioni. Se credo che certe cose siano scorrette e ne ho la possibilità scelgo di non farle: ragion per cui non dormirei mai nello stesso letto di una quindicenne, neanche se fosse grande quanto tutto l’albergo.” concluse il giovane con decisione.
Il modo in cui la guardò fece desiderare a Trish di non aver parlato, o forse di non essere mai nata: era un imbarazzo del tutto diverso da quello che le causava Mista con i suoi modi rozzi e inadeguati; era cocente, doloroso, una vergogna che si era causata e meritata solo lei.
Sotto lo sguardo del capo si sentì per la prima volta davvero piccola e sprovveduta e realizzò con amarezza che forse lo era realmente.
Sull’orlo delle lacrime, fece per parlare, senza sapere esattamente cosa dire ma con il chiaro l’intento di scusarsi, ma Bucciarati non le diede tempo:”La questione è chiusa. Vai a fare una doccia e mettiti a dormire, ne hai bisogno.”
Senza attendere una replica il giovane le voltò le spalle e sparì oltre la vetrata che portava al balcone, lasciandola sola nella stanza.
Sconfitta e mortificata, la ragazza si trascinò in bagno e chiuse lentamente la porta dietro di sé, cedendo per la prima volta da giorni all’istinto prepotente di piangere.

Nella camera accanto, Giorno stava pazientemente sistemando le ferite inferte delle unghiette della tartaruga.
“Certo che per essere un animale innocuo la tartaruga sa essere tutto meno che pacifica” disse a denti stretti, mentre Gold Experience faceva sparire un altro lungo graffio dal suo addome: sembrava reduce da una guerra con dei gatti randagi o dall’opera di un lanciatore di coltelli ubriaco.
“Per la miseria, Giorno! Quella bestiola ti ha conciato ben bene!” esclamò Mista chinandosi ad osservare il capolavoro di arte astratta sul ventre dell’amico “Sembra un quadro, uno di quelli fatti con tutte le linee dritte e i rettangoli colorati, com’è che si chiama…” si grattò il mento con fare pensieroso, mentre studiava con interesse il potere curativo dello stand dorato.
“Credo fosse Kandijski, ma non sono sicuro…d’altronde, l’ultima volta che ho studiato certe cose risale ad un bel po’ di tempo fa” rispose Giorno con una smorfia: per quanto utile, il potere taumaturgico di Gold Experience non era certo indolore, nemmeno per lui.
“Si, può darsi…beh, devi aver fatto un torto personale alla tartaruga, non c’è che dire!” rise di cuore il ragazzo “Ma non potevi trasformarla in un fiore o qualcosa di inanimato per un po’?”
“Ci ho pensato, ma dato che è una portatrice di Stand non so come avrebbe potuto reagire…e poi c’è Pollnareff nella stanza…non mi sembrava il caso di fare esperimenti così su due piedi”.
“Ottima osservazione” concordò Mista, continuando a fissare la pancia dell’amico, sempre più ricucita e meno segnata.
Dall’inizio di quella avventura non gli era mai capitato di vedere Giorno senza la sua solita giacca (che, osservata da vicino, iniziava a presentare segni di usura), ragion per cui lo aveva sempre immaginato piuttosto smilzo, anche se era evidente che avesse spalle anche più larghe delle sue.
Invece dovette ricredersi: il ragazzo era magro, anche in virtù dei suoi quindici anni, ma non si poteva certo definire fiacco; la salva di addominali che nascondeva sotto la stoffa rosata denunciava un fisico atletico che non si intuiva quando era vestito.
Mista era affascinato dalla corporatura dell’amico; la vita stretta e i fianchi sottili gli conferivano un che di androgino, non fosse stato per i pettorali squadrati e le spalle ampie a prima vista sarebbe potuto sembrare una bella ragazza.
Per non parlare dei capelli: sicuramente sciolti dovevano arrivare quasi a metà schiena; non aveva mai visto nessuno portarli così lunghi, a parte Abbacchio…
Una puntura dolorosa dalle parti del cuore si accompagnò al ricordo dell’amico.
Abbacchio con la sua espressione saccente che gli intimava di smetterla di dire stronzate, Abbacchio che se la prendeva con Fugo perché litigava in continuazione con Narancia, Abbacchio che la mattina era sempre intrattabile fino a quando non si pettinava e beveva un caffè…
E poi ripensò a Narancia, che nonostante i suoi diciassette anni era leggero come un fuscello, così appuntito da sembrare fatto di stuzzicadenti, con quei piedi lunghi che sembravano sempre troppo grandi per lui…
“Guido, va tutto bene?”
Mista si riscosse dai suoi pensieri e si trovò faccia a faccia con Giorno che lo fissava preoccupato, le sopracciglia increspate e una ruga leggera che gli solcava la fronte.
“Sì, Giorno…stavo pensando a…a…sai, ancora non riesco a credere che non ci siano più…” mormorò con una voce umida, tentando disperatamente di trattenere le lacrime; non riusciva neanche a fissare l’amico negli occhi, Giorno sembrava in grado di leggere dentro le persone e lui non voleva che vedesse il suo tumulto interiore.
Perché l’idea di Narancia e Abbacchio morti lo faceva sentire fragile come un biscotto che si sbriciola, non era in grado neanche di pronunciare i loro nomi ad alta voce, perché sarebbe stato come ammettere una volta per tutte che era andata così, che non si poteva più fare niente.
“Guido…non sai quanto mi dispiaccia…in fondo, è colpa mia se è andata così…” ammise ad occhi bassi Giorno, a sua volta senza il coraggio di guardare l’amico.
“Colpa tua?” Mista si riscosse, stupito, e prese l’amico per le spalle “Ma cosa dici! Sapevamo benissimo a cosa saremmo andati incontro quando abbiamo scelto di seguire te e Bruno, conoscevamo i rischi…la colpa è soltanto di Diavolo, maledetto lui e quel cretino di Doppio! E’ lui che ha dato inizio a tutto! Che ha fatto morire Abbacchio e Narancia, che ha fatto allontanare Fugo, che ha quasi fatto morire Bruno, che ha fatto soffrire Trish e tutti noi!”
Senza rendersene conto Mista aveva iniziato a piangere, le lacrime che scendevano copiose lungo le guance senza che potesse, o forse volesse, fermarle.
Perfino i Pistols sembravano distrutti: Numero 5 piangeva come non aveva mai fatto prima, cercando di nascondersi sotto il suo cappello; Numero 1 e Numero 3 si abbracciavano spauriti e Numero 6 si guardava intorno con aria persa.
“Ma…se io non avessi mai ucciso Luca il Lacrimoso e incontrato Bruno…se non gli avessi mai raccontato cosa avevo intenzione di fare…è partito tutto da me, sono stato io a mettervi in questo guaio” disse Giorno in tono piatto, letteralmente annientato dal dolore del compagno.
“No, Giorno.” singhiozzò Mista “Le cose vanno sempre come devono andare. Tu non hai mai agito con egoismo, volevi fare una cosa buona. E l’hai fatta! Abbiamo sconfitto il boss, il tempo di Diavolo e il suo smercio di droga è finito. Instaureremo un regime migliore e tu sarai un boss giusto, lo so. Tu non hai fatto nulla per interesse personale, anzi, ti sei ritrovato immerso fino al collo in questo disastro insieme a noi. La colpa non è di nessuno Giorno…se non di chi fa il male.”
Nonostante il senso di colpa bruciante, Giorno si stupì: non aveva mai sentito il ragazzo fare un discorso così lungo e profondo, così accorato; Guido era sempre introverso, chiacchierava molto ma non si esponeva mai in prima persona per dar voce ai proprio sentimenti.
Sollevò il viso per guardare l’amico che lo stava fissando con occhi traboccanti di lacrime, perché aveva bisogno di credere che avesse ragione, aveva bisogno che qualcuno gli dicesse che non era colpa sua.
Si sentiva così distrutto che Gold Experience sembrava quasi opaco.
Mista si ritrovò a fissare Giorno negli occhi, ad un palmo dal suo viso.
L’idea che il ragazzo si ritenesse responsabile per tutto l’accaduto gli faceva male, a quindici anni non si può portare un fardello simile, specie se non è vero.
Anche se appariva sempre così fiero e sicuro di sé in fondo era un’anima delicata, un’anima buona; lo vedeva in quegli occhi trasparenti, con uno sguardo diretto e senza inganno, meravigliosi…
Sembravano fatti di giada; avevano un colore intenso e pastoso e gli davano l’impressione di poterci cadere e nuotare dentro.
Bagnati di pianto erano ancora più belli, ricordavano il mare poco profondo a settembre, quando non c’è più abbastanza sole perché sembri azzurro ma non c’è ancora il grigio cielo invernale che lo fa sembrare d’acciaio.
Posò una mano sul suo viso e seguì con un dito la scia lucida delle lacrime sugli zigomi sottili, sulle guance arrossate, sfiorò delicatamente le labbra; in quel momento Giorno sembrava così fragile da fargli pensare che avrebbe potuto mandarlo in pezzi se non fosse stato attento.
Sopracciglia e capelli sembravano d’oro puro, avevano il fulgore delle spighe di grano sotto il sole splendente d’estate …ma forse era proprio lui il sole.
Una creatura di luce che lo fissava con sguardo supplichevole, che chiedeva di essere rassicurata e consolata; era lo sguardo che un bambino rivolge alla madre, lo sguardo che sta all’inizio del mondo.
Quasi senza rendersene conto, completamente obnubilato dalla bellezza del giovane e dal bisogno di calore umano che sentiva dentro, Mista si avvicinò lentamente, fino a posare le labbra su quelle di lui.
Fu un contatto leggero, sognante, quasi che nessuno dei due avesse realmente deciso che doveva accadere, una pura casualità.
Eppure le labbra di Giorno sembravano così giuste sotto le sue, morbide e arrendevoli, cedevano e lo accarezzavano delicate in cerca dello stesso calore.
Guido non sapeva più se le lacrime che gli bagnavano il viso fossero le sue o quelle dell’altro, il pianto si mescolava col pianto e forse solo così si sarebbe asciugato.
Tutto il dolore che aveva sentito fino ad un attimo prima sembrava colare via, o forse si stava condensando in un grumo sempre più piccolo, un sassolino duro e appuntito ma leggero, per fare spazio a qualcosa di nuovo: una sensazione di pace, di casa, di promessa.
Sentiva i capelli di Giorno sfiorargli il viso come se lo stessero abbracciando, lo chiamavano: non andartene dicevano.
E lui non se ne sarebbe andato, non ora che aveva scoperto il luogo più bello di tutta la terra. Giorno era un’oasi di pace e lui aveva finalmente capito: la vera bellezza non si può vedere, perché non sta agli occhi scovarla.
Quella, la loro bellezza, la sentiva in tutte le viscere; era il punto di equilibrio tra la fibrillazione e la calma, la cima scintillante dell’iceberg e il silenzio morbido del deserto, la gioia malinconica del partire e la familiarità del tornare a casa.
Si sentiva molle e disarticolato, come se tutto se stesso si fosse sciolto in un sentimento liquido che gli scaldava la pancia; per la prima volta nella sua vita sentiva la testa piena di niente, un niente che in sé aveva tutto.
Non era come girovagare per le strade in attesa del domani o l’ora salva fra una missione a l’altra; era più come aver trovato il centro del mondo, il punto che non ruota anche se tutto il resto si muove o collassa.
Inebriato, avrebbe continuato quel bacio all’infinito, perché non c’era niente di più bello in tutto l’universo, ora ne era sicuro; la bellezza ti frega, non si lascia scoprire perché è lei che scopre te, quando meno te lo aspetti.
Bastò un rumore, Trish che faceva cadere il flacone dello shampoo nella stanza adiacente, per far scoppiare quel momento luminoso e delicato come una bolla di sapone: lo spiffero gelido della consapevolezza si insinuò nei pensieri di Mista riportandolo alla realtà, rendendolo conscio del fatto che aveva baciato Giorno Giovanna senza preavviso e senza chiedergli il permesso.
Non si era posto alcuna domanda, semplicemente aveva fatto ciò che sentiva, o meglio, il suo corpo aveva fatto ciò che il cervello doveva aver comandato: dove fosse lui in quel momento lo ignorava.
Non poteva però ignorare i fatti, aveva invaso la sfera fisica del compagno, forse imponendogli qualcosa che lui non desiderava e cacciandolo in una situazione assurda.
Nel panico, balbettò qualcosa sulle le labbra dell’amico senza che la voce venisse fuori; Giorno, sentendolo irrigidirsi improvvisamente, si allontanò.
“Guido…” la sua voce era timida e titubante come non l’aveva mai sentita “Che succede?”
Mista lo fissò per un istante prima di rendersi conto che non aveva il coraggio guardarlo: cosa aveva combinato…
Si sentiva sbagliato, sporco; Giorno era soltanto un ragazzino, cosa credeva di fare?
Si allontanò di scatto e in qualche modo tirò fuori un filo di voce: “”Giorno…perdonami, ti prego…ti giuro, mi dispiace! Mi dispiace da morire! Io non so…non volevo…davvero, te lo giuro!”
Se avesse potuto sparire lo avrebbe fatto volentieri, non aveva neanche il coraggio di alzare gli occhi dal pavimento: non voleva vedere l’espressione di disgusto con cui sicuramente l’amico lo stava guardando, chiedendosi con chi diamine avesse a che fare e che problemi avesse; poteva reggere un pugno, persino un attacco dello Stand, ma non poteva sopportare che lo guardasse con orrore, non lui.
Era una sorta di versione moderna della Creazione e lui un novello Adamo dei sentimenti: aveva sempre avuto il Paradiso Terrestre ad un passo, ma quando aveva assaggiato il gusto della conoscenza era stato cacciato fuori, condannato ad ammirarlo per sempre senza potervi rientrare.
“Guido…cosa significa che non volevi?”
Proprio come si aspettava, il tono dell’amico era freddo; non rabbioso come aveva temuto, ma abbastanza distante da fargli male.
C’era però una nota stonata, inattesa, qualcosa che lo costrinse a sollevare gli occhi per guardarlo: era mortificazione?
Giorno era ancora seduto sul letto, le braccia incrociate come per coprirsi e le spalle curve; in quel momento sembrava anche più piccolo dei suoi quindi anni, aveva un’espressione smarrita e delusa da cui trapelava un potente imbarazzo.
“In che senso non volevi?” ripeté piano, cercando di controllare il pericoloso tremolio della voce.
Non poteva tacere in eterno, doveva costringersi a rispondere; Giorno non si meritava di essere trattato in quel modo irrispettoso senza un perché.
Inspirò profondamente e cercò le parole giuste, che potessero riparare al danno fatto:”Giorno…ti chiedo scusa davvero, non so cosa mi sia preso. Mi dispiace averti turbato così, era l’ultima cosa che volevo. Non so perché l’ho fatto” continuò con voce stridula “ma ti chiedo perdono, non è stata una cosa corretta nei tuoi confronti. Non volevo costringerti ad una cosa così…così…”
“Così come??”
La voce di Giorno era pericolosamente acuta, come se fosse prossimo al pianto o ad una scenata.
“Scusami, Giorno.” Riuscì solo a ripetere mortificato Mista “So che devo farti orrore, non me la prendo se mi dici che ti faccio schifo e non vuoi più vedermi, non posso darti torto…per questa notte posso dormire anche sul balcone, non ti darò fastidio…soltanto, ti chiedo di perdonarmi. Te lo giuro, non è stato nulla che io abbia premeditato.”
“Mista…perché mi hai baciato?”.
La voce di Giorno era stranamente controllata, poco più di un sussurro.
Rassegnato, Mista si obbligò a essere completamente sincero:”Parlo sul serio quando dico che non so il vero perché. E’ successo come per caso: semplicemente eravamo così vicini, tu eri così bello…non ho mai pensato di fare nulla, è come se il mio corpo avesse fatto tutto da solo. Come…un bisogno, non so spiegartelo…” ammise arrossendo, incrociando i piedi per l’imbarazzo: all’improvviso era cosciente di avere un corpo che se ne stava dritto e impalato e non sapeva che cosa farne.
“E come mai te ne sei andato all’improvviso?”
Ci erano arrivati, ecco il punto dolente; si passò una mano sugli occhi, prese fiato ed ammise:”Perché avevo paura di averti disgustato. Di starti forzando a fare qualcosa che non volevi.”
Ora che aveva iniziato a parlare non riusciva più a smettere:”Ed è giusto, cioè, è normale. Nessuno va in giro a baciare qualcuno così all’improvviso no? Magari uno non voleva proprio essere baciato. Magari stava conservando quel bacio per qualcuno e così gliel’hanno rubato…e poi a non tutti piace, magari a te fa schifo, mica è nulla di strano. E poi…io sono…insomma, un ragazzo…non è così che va…”
“Guido…”
La voce di Giorno, improvvisamente morbida e addolcita, interruppe il disordinato affastellarsi di parole del ragazzo, che non sapeva più controllarsi; intimidito, Mista lo guardò.
“Tu…avevi paura che mi avesse fatto schifo baciarti?”
“Sì…” il ragazzo si chiese perché sentisse il bisogno di ribadirlo: era un concetto così semplice, così ovvio.
“E non ha fatto schifo a te?” chiese Giorno guardingo, osservandolo di sottecchi.
“A me??” costa stava succedendo? Cos’era quell’improvviso ribaltamento della situazione? “A me…diamine, no.” ammise il giovane al colmo della vergogna, calcandosi il cappello sugli occhi per dissimulare il disagio.
Se lo avesse osservato, avrebbe visto un sorriso accecante sbocciare sul volto di Giorno, che si aprì in un’espressione di gioioso trionfo.
“Quindi ti è piaciuto?” chiese curioso questi, una vaga sfumatura maliziosa nella voce.
Ma a che gioco stava giocando? Piuttosto che picchiarlo voleva prendersi la sua vendetta con l’umiliazione?
Non che avesse torto, ma non poteva limitarsi a trasformarlo in un mazzo di ciclamini?
Si distrasse per un attimo: ma che razza di fiori erano i ciclamini?
Sicuramente si potevano mangiare, altrimenti non vedeva perché avrebbe dovuto conoscerli.
“Allora?”
“Allora sì, mi è piaciuto…molto” rispose Mista in tono stanco, guardandosi ostinatamente i piedi: le sue scarpe erano anche più mal messe di quelle di Trish.
“E se potessi farlo di nuovo…lo rifaresti?” chiese Giorno in un sussurro.
Ora stava esagerando; d’accordo, aveva sbagliato e lo aveva offeso, ma non gli sembrava una cosa così grave, in fondo era solo un bacio, davvero meritava di essere trattato con tutto quello scherno?
Lo guardò negli occhi e rispose con una leggera aria di sfida:”No, Giorno, non lo rifarei. Sarò anche uno sciocco, ma ho imparato a non fare due volte lo stesso errore. Ti chiedo scusa per ciò che è successo, ma di certo non ti bacerei di nuovo, visto che per te è stata un’esperienza così sgradevole. So riconoscere quando sbaglio.” concluse in tono aspro “Perché non mi trasformi in un mazzo di fiori e la fai finita così?”
Il discorso amareggiato dell’amico colpì Giorno con la forza di uno schiaffo: Mista aveva totalmente frainteso, credeva che la sua felicità fosse soltanto un modo per deriderlo.
“No, Guido, aspetta, non intendevo…” cominciò, ma il compagno gli voltò le spalle con decisione e uscì sul balcone.
“Lascia stare Giorno. Fatti una doccia a mettiti a letto, non ti disturbo oltre.”
Giorno sentì una lacrima prepotente premere all’angolo dell’occhio; l’ultima cosa che si aspettava dopo un momento così bello era di far arrabbiare Guido.



Nota dell'autrice: Ebbene sì, da brava persona sprezzante della puntualità e delle tabelle di marcia pubblico un altro capitolo, non ho affatto voglia di lasciare tutto ciò che è pronto ad attendere in un cassetto (metaforico ovviamente). Data la possibile dilatazione dei tempi prima degli ultimi capitoli preferisco tentare di mettere online la maggior parte dei brani nel minor tempo possibile, alla faccia delle pubblicazioni programmate.
Siamo finalmente arrivati al primo capitolo realmente fluff!
Guido ne ha combinata un'altra delle sue e Trish ha fatto danni sul serio per una buona volta...riusciranno a riabilitarsi agli occhi dei rispettivi compagni?
Come sempre grazie per la lettura, se voleste lasciare un feedback sarò contenta, altrimenti godetevi questa piccola renterpretazione.
Namaste

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Capitolo 7
*** Cap.7_In cui c'è un nuovo inizio ***


POV del capitolo: Trish e Giorno

La stanza da bagno, così grande che definirla semplicemente un bagno sarebbe stato riduttivo, era piena di vapore che aleggiava nell’aria. Lo specchio e la finestra erano completamente appannati e c’era un calore tale da filtrare sotto la porta.
Trish aveva cercato di combattere il freddo che sentiva nelle ossa a suon di acqua bollente, sforzandosi di allontanare i suoi cupi pensieri sperimentando tutti i getti idromassaggio presenti nella doccia; il risultato era una via di mezzo tra un monsone e uno tsunami, che in un orario di maggiore attività avrebbe messo a dura prova le condotte dell’hotel.
La sfuriata di Bucciarati era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. I suoi nervi avevano ceduto dopo settimane di resistenza, lasciandole appena il tempo di chiudersi la porta dietro la spalle; non appena si era trovata sola si era lasciata scivolare a terra, rannicchiandosi sul pavimento color conchiglia, e si era abbandonata senza freno alle lacrime.
Non aveva più nessuno al mondo e l’unica persona cui avrebbe voluto affidarsi probabilmente la odiava.
Si chiese cosa dovesse avere di sbagliato per meritarsi una punizione simile, perché la sua vita era stata sconvolta in un modo così assurdo; non bastava la morte di sua madre, le era toccato sperimentare sulla pelle che suo padre voleva farla fuori, un’intera banda criminale tentava di rapirla per usarla come materiale di riscatto, aveva un inspiegabile potere saltato fuori da chissà dove…
A quel pensiero aveva percepito Spice Girl fremere come se volesse materializzarsi o mettersi in contatto con lei, ma aveva fatto di tutto perché rimanesse dov’era. Non voleva vedere o sentire nessuno.
Per ragioni che ignorava il suo Stand,a differenza di altri, era dotato di autocoscienza; era una caratteristica non comune, dato che avrebbe dovuto trattarsi soltanto di una proiezione dell’interiorità della sua portatrice, ma non unica.
Questa percezione di se stessa rendeva Spice Girl in grado di capire quando non era il caso di intromettersi nei fatti altrui. Che poi, altrui…in un certo senso lei e Trish erano la stessa persona, o forse la stessa entità; i fatti dell’una erano i fatti dell’altra.
Persa in quel carosello di pensieri era rimasta sdraiata a terra per un tempo che le era parso infinito; alla fine la morsa che le stritolava le tempie era diventata insostenibile e i singhiozzi erano scemati in un lamento. Nella sua mente si era fatta strada l’idea che nulla sarebbe cambiato, anche se fosse rimasta stessa in quel bagno per il resto dell’eternità.
Non poteva cancellare ciò che era successo; che lo volesse o no, la vita sarebbe andata avanti e l’avrebbe portata con sé: stava a lei decidere se farsi trascinare come uno straccio vecchio o se avanzare sulle sue gambe. A fatica, ma per sua scelta.
L’idea che Bucciarati non l’avesse ritenuta in grado di camminare al loro fianco continuava a pungerla dolorosamente; non avrebbe mai più permesso a nessuno di tirarsela dietro: per darsene una prova si era costretta ad alzarsi mettendosi lentamente seduta, poi in ginocchio, infine in piedi, la testa che pulsava.
Quello dalla porta alla doccia era il primo tragitto che doveva fare per riprendersi se stessa; se lo sarebbe imposta, quel passo sarebbe stato solo l’inizio di una nuova vita.
A fatica era scivolata fuori dai vestiti luridi, abbandonandoli a terra senza sapere se avrebbe avuto il coraggio di indossarli ancora; l’aria frizzante della notte sulla pelle nuda l’aveva fatta rabbrividire e da lì aveva sentito un irrefrenabile bisogno di acqua bollente, come se non fosse estate ma pieno inverno.
Il primo getto le aveva strappato un singulto, tanta era la differenza di temperatura con il suo corpo: stare stesa sul pavimento doveva averla prosciugata dell’ultimo residuo di calore ed ora i brividi  la scuotevano senza che potesse controllarli.
Si era rannicchiata nel tentativo di calmarsi, le braccia strette attorno al busto per placare il tremore e i denti stretti, fino a quando gli spasmi se n’erano andati, lasciandosi dietro solo una sgradevole sensazione di formicolio.
Doveva calmarsi a tutti i costi.
Era stato in quel momento che aveva iniziato a girare a casaccio tutte le manopole presenti, soltanto per vedere cosa sarebbe successo; getti di tutti i tipi avevano iniziato a scaturire da varie aperture, nebulizzati, a pioggia, a cascata, quasi annegandola per la sorpresa.
Boccheggiante, aveva interrotto il diluvio prima di allagare il bagno e aveva cominciato a provarli con una logica, muovendo con circospezione i rubinetti; senza sapere come aveva dapprima prodotto una gradevole pioggerella primaverile, poi una nebbia umida e densa e infine un potente monsone che le massaggiava la schiena con la sua forza. Sotto la spinta dell’acqua sentì i muscoli contratti sciogliersi gradualmente ed ebbe un’improvvisa voglia di gridare e buttare tutto fuori, come se fosse davvero sotto un temporale.
Mentre si godeva la potente carezza della pioggia tropicale adocchiò una sfilza di piccoli flaconi dall’aria elegante allineati su una mensola: c’erano diversi tipi di shampoo e bagnoschiuma, del balsamo e addirittura uno scrub.
“Servirebbe a Bruno…magari smusserebbe un po’ i suoi spigoli…” si ritrovò a pensare velenosa, prima di allontanare i pensieri dal senso di colpa che tornava a rimescolarle la pancia.
Con fare deciso iniziò ad aprire tutte le bottiglie, con l’intenzione di non uscire di lì fino a quando non le avesse provate tutte.
“Sono come Alice nel paese delle Meraviglie…solo che sulle mie bottigliette c’è scritto Lavati…”

Una decina di minuti più tardi, il bagno sembrava diventato una profumeria e Trish una macedonia.
Quello che doveva essere soltanto un modo per distrarsi un po’ era diventata una vera e propria indagine di mercato sui saponi messi a disposizione dall’hotel; c’era ancora un’ultima bottiglia che attendeva di essere aperta e provata, e Trish aveva finito le parti del corpo prive di sapone.
Solo i capelli erano stati accuratamente massaggiati con tre tipi di shampoo (idratante, rivitalizzante, anti-crespo), dalla fragola più stucchevole al virile ylang ylang, ed il risultato era uno strano aroma di erboristeria.
Ora, con la parte sinistra del corpo impiastricciata in un olio detergente super-idratant e quella destra lucida di doccia schiuma rinfrescante, non sapeva proprio dove spalmare l’ultimo prodotto.
“Forse potrei sciacquarmi e insaponarmi da capo con questo qui…” pensò la ragazza mentre leggeva distrattamente l’etichetta del flacone, stampigliata in discreti caratteri color crema, quasi illeggibili.
“Delicato detergente rassodante, indicato per pelli che necessitano di un’azione profonda, anticellulite…”
All’ultima parola Trish sgranò gli occhi e, per la sorpresa, la bottiglietta le sfuggì dalle mani scivolose, sbattendo sul fondo della doccia con un rumore che sicuramente si era sentito in tutte le stanze attigue.
“Anticellulite!! Come se IO ne avessi bisogno…beh, problema risolto, questo non vale la pena provarlo.” pensò la ragazza con fare altezzoso, calciando via il flacone come se le avesse fatto un torto personale.
Il ticchettio che produsse rotolando sulla ceramica le rammentò che forse stava facendo troppo rumore, rischiava di disturbare tutti quanti e che, peggio ancora, Bruno venisse a bussare per accertarsi di cosa stesse accadendo.
Raccolse la bottiglia in tutta fretta e la ripose sulla mensola, provvedendo a raccogliere e accoppiare correttamente lo stuolo di tappi e flaconcini sparsi per tutto il pavimento.
Si chiese da quanto tempo fosse chiusa in bagno; per quanto avesse realmente bisogno di una doccia rilassante non era molto educato da parte sua monopolizzarla, era fuor di dubbio che anche Bruno sentisse il bisogno di ripulirsi dopo quella giornata infinita.
Resistendo alla tentazione di provare ogni tipo di balsamo presente spense il getto dell’acqua e si avvolse in fretta in uno degli asciugamani che aveva preso da una pila candida posata sulla toeletta.
“Che morbidezza…” pensò stupita, godendosi la carezza della spugna sulla pelle calda e arrossata; probabilmente doveva sembrare un’aragosta in quel momento, ma nello specchio appannato distingueva solo una confusa macchia color fragola che erano i suoi capelli.
All’improvvisò sentì una incredibile stanchezza farsi strada in lei, come se avesse appena corso una maratona o come se non dormisse da giorni (in effetti erano parzialmente vere entrambe le cose…); si appoggiò al lavandino, la testa che girava a causa del calore tropicale dovuto alla doccia.
 Avrebbe dovuto asciugare i capelli, ma era abbastanza sicura di non potercela fare.
Ci avrebbe pensato dopo, tanto a nessuno sarebbe importato se avesse bagnato il cuscino. Dopotutto dormiva da sola.

Passavano i minuti, ma Giorno non si decideva ad alzarsi dal letto su cui era seduto, pietrificato.
Per un lungo, glorioso attimo aveva creduto di poter mettere il punto a quella giornata terribile, costellata di lotte, tragedie e fatica; sembrava quasi che il destino avesse deciso di fargli un piccolo regalo perché potesse ricordarla non solo come una fine, ma come l’inizio di una nuova esistenza felice.
Si era cullato in quel pensiero, senza rendersi conto che l’ennesimo avvenimento spiacevole era dietro l’angolo: un istante prima Guido lo stava baciando, tenero e delicato, come se avesse intuito il bisogno di amore e conforto che lo opprimeva; un attimo dopo era adirato con lui, convinto di essere stato respinto e deriso.
Nulla di più lontano dalla verità.
Quando il giovane si era avvicinato, Giorno aveva provato inizialmente un certo imbarazzo: non si era ancora mai mostrato a nessuno dei compagni senza abiti, l’idea che fossero tutti più anziani di lui lo faceva sentire vagamente in soggezione sul piano fisico.
In realtà soltanto Abbacchio, dall’alto della sua imponente statura, poteva dirsi più massiccio di Giorno, tutti gli altri ragazzi non erano eccessivamente piazzati. Era il cameratismo che scorreva tra i quattro membri originali della squadra a farlo sentire vagamente diverso: era diventato parte integrante del gruppo, ma per certi versi era sempre rimasto l’ultimo arrivato, “quello nuovo”.
Queste ragioni, assieme ad una tendenza naturale ad essere discreto, lo avevano spinto a mantenere un certo riserbo nei loro confronti.
Mista aveva da subito suscitato la sua simpatia, forse per il suo essere diretto e sempre schietto, o forse perché era stato il primo ad accoglierlo realmente, a farlo sentire parte del loro qualcosa.
Doveva ammetterlo, in principio non gli era mai capitato di pensare al giovane in altri termini se non quelli dell’amicizia e della complicità, Guido era per lui una gradevole compagnia e una spalla fidata in battaglia.
Poi…
Ad un certo punto, non ricordava bene quando, si era trovato a sorprendere più volte Mista che lo osservava; dapprima si era chiesto cosa avesse che non andava, se avesse detto o fatto qualcosa di strano, ma lo sguardo del ragazzo non era mai accusatorio: semmai curioso.
Un crescendo di manifestazioni, piccoli riguardi, l’attenzione a fargli da retroguardia, una certa spontanea gentilezza, lo aveva indotto a domandarsi se non ci fosse qualcosa sotto, una sorta di interesse inespresso.
Si era convinto che fosse così e doveva ammettere a se stesso che l’idea non lo aveva disturbato, anzi; il pensiero che un ragazzo forte e deciso come Mista potesse provare un’attrazione di qualsiasi tipo verso di lui lo aveva enormemente lusingato.
Non si era fatto illusioni, di certo doveva trattarsi di ammirazione o curiosità, nulla di pararomantico, ma da quel momento non era più riuscito a fare a meno di osservare il compagno ogni volta che ne se presentava l’occasione.
Si chiese se Mista se ne fosse mai accorto: certamente no, altrimenti non avrebbe reagito in quel modo, non avrebbe sospettato che lo stesse prendendo in giro.
Perché se Giorno era convinto che il compagno non potesse provare dei sentimenti verso di lui, era altrettanto cosciente che lui non poteva più non provarli: non era come un interruttore che si può accendere o spegnere, al massimo poteva scegliere di ignorarli.
Aver dovuto convivere per giorni a stretto contatto non aveva aiutato: con Guido costantemente sotto i suoi occhi, mettere a tacere certe sensazioni si era fatto sempre più difficile, quasi impossibile.
Nel brevissimo, glorioso momento in cui aveva posato la mano su quella di lui, nel disperato tentativo di fermare Cioccolata, una scarica elettrica lo aveva percorso da capo a piedi, una fontana di energia vitale gli era esplosa dentro: con il corpo forte del compagno contro il suo sentiva che avrebbe potuto far emergere anche una sequoia dall’asfalto. Il loro colpo sarebbe andato a segno.
Cercò di rievocare quella sensazione: si era sentito forte, invincibile, al sicuro. Con Mista al suo fianco poteva fare di tutto.
Si concentrò sul ricordo delle mani di lui sotto le sue, mani grandi e calde, temprate dall’acciaio pesante della pistola.
Sentiva la malinconia stillare goccia a goccia nel suo petto, cadendo nel vuoto profondo del suo stomaco: voleva sentire ancora una volta il naso di Mista che strofinava contro il suo, i suoi polpastrelli callosi che gli accarezzavano le labbra; ne aveva letteralmente bisogno.
Quando il compagno lo aveva baciato gli era sembrato che qualcuno avesse spostato il sole: tutta la luce dell’universo era lì davanti a lui, splendente e bellissima, lo irradiava con un calore potente che gli era entrato dentro, cacciando un freddo che non sapeva di avere fin quando non se ne era andato.
Guido Mista aveva le labbra più morbide del mondo e Giorno pregava che non si staccasse mai, perché già sapeva che non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Aveva sentito parlare della potenza del primo bacio, quando frequentava regolarmente la scuola c’era stato un periodo in cui le ragazze non parlavano d’altro, sussurrandosi segreti impenetrabili e occhieggiando tutti i ragazzi con fare giulivo: se in testa avessero avuto un’insegna al neon sarebbero state più discrete.
Baciami. Baciami. Qualcuno mi baci.
Sul momento si era scoperto incuriosito; aveva cercato di origliare ogni volta che poteva quei discorsi misteriosi che sembravano contenere le ragioni del mondo, ricavandone però ben poche informazioni: tutti concordavano sul fatto che servissero un ragazzo e una ragazza (qualcuno sosteneva che dovessero essere entrambi bellissimi), che lui dovesse avvicinarsi lentamente a lei guardandola negli occhi, che lei dovesse chiuderli per prima comunicando che era d’accordo, che si lasciava baciare.
Da quel momento in poi, però, le versioni erano molteplici: c’era chi diceva che si dovesse aprire la bocca, chi diceva di no, qualcuno parlava di lingua (qui Giorno ricordava di aver provato un vago sconcerto) e di non mordersi, qualcuno sosteneva che i denti fossero un problema, per non parlare delle mani, dove le metti le mani?
Più andava avanti più le informazioni diventavano caotiche e confusionarie, a sentire qualcuno c’era persino il giusto modo per tenere i piedi durante un bacio, ma non otteneva mai quella che davvero gli interessava: una volta che le labbra sfioravano altre labbra cosa doveva succedere?
Esisteva un angolo preciso di cui inclinare il viso affinché il proprio naso non si scontrasse con quello del partner, ma nessuno sembrava in grado di dire in cosa consistesse esattamente un bacio.
Sempre più curioso, una sera aveva deciso di tentare: aveva adocchiato una ragazza particolarmente carina fuori da una gelateria, le aveva offerto un gelato con tanto di panna montata (“Forse il sapore sarà più dolce?” si era chiesto) e le aveva proposto di fare una passeggiata: al lungomare bagnato di stelle restava da fare la sua magia.
Sulla spiaggia aveva fatto esattamente come raccomandavano le voci più autorevoli: l’aveva guardata negli occhi sorridendo, si era avvicinato piano fino a quando lei aveva chiuso gli occhi, arrendevole.
Baciami. Baciami.
Con un filo di esitazione aveva appoggiato delicatamente le labbra su quelle di lei, aspettando che succedesse qualcosa.
In effetti erano accadute molte cose.
La lancetta dei minuti del suo orologio si era spostata, un’onda più rumorosa delle altre si era infranta sulla battigia, una macchina era passata rombando in lontananza, un fuoco d’artificio era scoppiato dall’altra parte del Golfo.
Ma su quella spiaggia non succedeva proprio niente.
Giorno aprì un occhio, tentando di capire quale fosse la prossima mossa; il lucida labbra della ragazza (fragola, dedusse)  lo faceva sentire vagamente appiccicoso e le sue labbra erano morbide ma serrate: forse era una di quelle che non aprono la bocca? Sempre che andasse davvero aperta.
Dubbioso, le mise delicatamente una mano sulla nuca e una sul fianco, provando a muovere cautamente le labbra. Possibile che fosse così difficile? Tutti lo facevano sembrare la cosa più spontanea del mondo.
Evidentemente convinta dall’approccio, la ragazza si sciolse: si strinse a lui e dischiuse leggermente la bocca, lasciandogli libero accesso al segreto che tanto andava cercando.
E lui non sapeva come prenderselo.
Lei doveva aver intuito la sua inesperienza, perché all’improvviso prese il comando: posò una mano sulla sua schiena per attrarlo a sé e, con una certa grazia maldestra, insinuò la lingua fra le labbra di lui.
Sorpreso da quel contatto umido e inatteso, Giorno si irrigidì e lasciò che lei facesse ciò che doveva, senza riuscire ad andarle incontro.
Non era proprio quello che si era immaginato:nelle sue fantasie non c’erano rossetti appiccicosi, l’alito di lei non sapeva di pistacchio (leggermente nauseante) e lui, guidato da non si sa cosa, sentiva esattamente cosa fare.
Rimase impassibile, deluso, fino a quando lei non decise di allontanarsi, incuriosita dalla reazione di quel ragazzo tanto bello quanto incapace.
“Ehi, ma che hai?” gli aveva chiesto contrariata.
Giorno non era stato in grado di rispondere; aveva fatto un passo indietro, senza sapere bene cosa fare. In effetti avrebbe voluto solo voltarsi e andarsene.
“Cosa c’è, non sai come si fa? Ma dai che è facile” aveva detto lei, una leggera sfumatura di riso nella voce.
Di fronte al suo silenzio impenetrabile era davvero scoppiata a ridere:”Vabè, come vuoi, io ti avrei insegnato…grazie del gelato eh”
Si era allontanata a passo svelto verso le luci del marciapiede, i capelli scuri che ondeggiavano e la borsa che batteva ritmicamente sul fianco; Giorno era rimasto a guardarla, sentendo che aveva preso qualcosa di suo senza darle in cambio nulla di lei.
Da quel momento aveva smesso di interessarsi alla questione bacio: non origliava più le conversazioni fra ragazze e non cercava più la compagna ideale per sperimentare; si sentiva lontano dagli altri, come se chi avesse già provato l’esperienza fosse dall’altra parte di un velo e custodisse un segreto a cui lui non poteva avere accesso.
Ora capiva finalmente quale fosse la vera magia dietro un bacio.
Guido gli aveva fatto provare qualcosa con cui la ragazza della spiaggia non poteva assolutamente competere; la spinta da cui tutto era nato e la spontaneità con cui era successo, senza bisogno di pensare a dove mettere le mani, la testa, il naso, erano la chiave di tutto.
Un bacio dà significato solo a qualcosa cui un significato si può dare.
Si riscosse e prese la sua decisione: non avrebbe lasciato che Guido se ne andasse per sempre come la ragazza della spiaggia; stavolta sapeva come andargli incontro.
Avrebbe fatto una doccia mentre il ragazzo sbolliva la sua rabbia, poi gli avrebbe parlato.


Nota dell'autrice: Non ho resistito, visto che mi ero messa al computer dovevo assolutamente pubblicare.
Dedico questa inaspettata uscita dagli schemi alla mia recensitrice di fiducia, spero che questa mangiata di capitoli piovuto tutto insieme ti sommerga del fluff di cui abbiamo fisiologicamente bisogno noi fangirls. La storia sta finalmente prendendo la piega per cui è nata (doveva essere una brevissima fluff molto fluff), tutta la parte introduttiva e di contesto si è esaurita, ora resta spazio solo per il sentimento.
Questo capitolo è volutamente più ironico degli altri, all'epoca in cui l'ho scritto è nato quasi per caso, chissà perché mi divertiva l'idea di fare illazioni sull'adolescenza di Giorno, immaginarlo come un ragazzo normale.
Grazie per essere arrivati fino a qui! Spero che la lettura vi sia piaciuta e ci vediamo al prossimo aggiornamento (stavolta dovrete aspettare un po').
Enjoy

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Capitolo 8
*** Cap.8_In cui Mista è inaspettatamente sensibile (più di un ortaggio) ***


POV del capitolo: Bruno e Mista

Bruno Bucciarati si era sempre ritenuto una persona ponderata e ragionevole, poco incline ad agire d’impulso e attento pianificatore.
Grazie a queste attitudini la sua carriera all’interno dell’organizzazione Passione era stata vertiginosamente rapida: divenuto dal principio uno dei prediletti di Polpo, a malapena vent’anni si era già trovato in lizza per diventare capo regime.
La sua squadra era piccola e talvolta confusionaria, ma lui riusciva ad orchestrare ogni mossa con infallibile efficacia; anche se i caratteri dei suoi compagni erano così differenti da rendere difficile la collaborazione, lui trovava un modo per farli agire insieme: dove gli altri vedevano un limite, lui vedeva una possibilità.
Forse era per questo che si era circondato di persone dal passato difficile, perché non sopportava che andassero sprecate; pensava che chiunque avesse un potenziale, bastava soltanto scoprirlo e sapere come farlo fiorire.
Tutti i ragazzi che aveva scelto lo avevano percepito. In qualche modo intuivano che lui aveva visto qualcosa che a loro sfuggiva, un motivo per riporre fiducia in loro che avevano dimenticato.
Non avrebbero mai potuto mancare di rispetto al loro capo, perché lui lo aveva dimostrato a loro quando sentivano di meritarlo di meno.
Dal canto suo, Bucciarati sapeva cosa significassero una vita difficile e un’infanzia compromessa ed era deciso ad aiutare tutte le persone che poteva, se avessero avuto le caratteristiche giuste : abbastanza buone da non corrompersi, abbastanza disperate da volersi rialzare.
Purtroppo il suo aiuto aveva un onere di cui non poteva dimenticarsi; unirsi a lui e lasciare che risollevasse le sorti della propria vita significava giurare fedeltà a Passione, votarsi alla malavita per il resto dell’esistenza.
Per alcuni questo non era un gran prezzo da pagare e queste erano esattamente le persone di cui Bucciarati andava in cerca: rotte, ma ancora riparabili.
Dall’altro lato c’erano quelli che tentava di difendere; la gente comune, gli abitanti del quartiere di sua competenza, gli innocenti.
Trish.
Si portò le mani alle tempie, cercando di alleggerire la pressione che gli stritolava da meningi da dieci minuti buoni.
Sin dall’inizio di quella bizzarra avventura la ragazza si era sempre comportata in modo quasi ineccepibile. Obbediente, tranquilla, non aveva mai fatto qualcosa che non le fosse stato ordinato né aveva tentato di fuggire. Certo, in principio era sembrata capricciosa, aveva avanzato delle richieste tanto banali quanto assurde in una circostanza simile, che l’avevano fatta sembrare una ragazza piuttosto superficiale.
Solo imparando a conoscerla Bucciarati si era reso conto che le sue non erano state pretese immotivate, ma uno scudo dietro cui ripararsi; nel momento in cui l’avevano presa in custodia non aveva più nulla o nessuno a parte se stessa, aveva sentito il bisogno di darsi un tono per non fare la figura della donzella spaurita e indifesa.
Il suo carattere pepato giocava un ruolo importante nella prima impressione che si aveva di lei, ma sotto sotto non era né sciocca né presuntuosa, anzi; l’aveva vista avvicinarsi sempre più a Mista fino a diventare una sorta di amica per lui, fraternizzare con Narancia e persino rivolgersi con gentilezza ad Abbacchio.
Cercò di allontanare il pensiero dei due compagni morti. Ci sarebbe stato tempo per cedere al dolore e piangerli, ma non era ancora arrivato. Prima c’era una missione che doveva portare a termine.
Più di una in realtà e, assurdamente, la più innocua era quella che lo spaventava di più: trovare una sistemazione per Trish.
Tempo addietro le aveva già proposto di stabilirsi, almeno temporaneamente, in un piccolo appartamento che possedeva alla periferia di Napoli, non lontano da quello in cui lui viveva e dalla loro base operativa, il ristorante Libeccio; lei aveva accettato, forse anche solo perché non aveva altro posto in cui andare.
Un tempo si era trovato a desiderare, più o meno consciamente, che la ragione per cui aveva detto sì avesse a che fare con lui; ora si rese conto che era meglio non sperarlo: ultimamente i suoi pensieri, belli o brutti che fossero, avevano la malaugurata tendenza a concretizzarsi.
La sfuriata di Trish era solo una conferma dei suoi peggiori timori. Nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per tenere a bada i propri sentimenti, perché non trasparisse nulla e nessuno si insospettisse, lei sembrava provare qualcosa per lui.
Se si fosse concesso solo per un istante di essere un normale ragazzo di vent’anni, come in realtà era, avrebbe sorriso, trionfante e imbarazzato: cosa può esserci di più bello dello scoprire che la persona di cui si è invaghiti ricambia questo sentimento?
Il momento in cui nasce qualcosa è il più sorprendente; sguardi che si cercano, sempre più significativi, piccoli segnali, un lento avvicinarsi in punta di piedi, senza parlare.
Quando se ne era reso conto ormai era troppo tardi. Qualcosa si era fatto strada dentro di lui, provocandogli una specie di formicolio ogni volta che lei si trovava nelle vicinanze, spingendolo a guardarla più di quanto avrebbe fatto normalmente:”E’ solo per controllare che stia bene” si era detto, cercando di attribuire la sua crescente preoccupazione alla pericolosità della missione, ma sapeva bene che non era così.
Poteva fabbricare quante scuse volesse a suo uso e consumo, ma la realtà era un’altra: per la prima volta nella sua vita, sentiva che se quella persona glielo avesse chiesto avrebbe mollato tutto.
L’intensità dei suoi stessi sentimenti lo aveva spaventato. Nessuno lo aveva mai attratto così, e non c’entrava l’aspetto fisico: Trish era un mondo da scoprire, lo sentiva, c’era moltissimo sotto la superficie.
Nell’ascensore di San Giorgio Maggiore a Venezia si era reso conto per la prima volta di provare qualcosa a cui non sapeva dare un nome; lei riusciva a spostare il suo centro di gravità, concentrando su di sé tutta la sua attenzione.
La sua preoccupazione e il suo spavento l’avevano commosso, al punto da spingerlo a fare qualcosa di impensabile: varcare la barriera del contatto fisico.
Le aveva porto la mano e lei si era aggrappata con una forza delicata; mentre le dita di lei sfioravano per la prima volta le sue si era reso conto che era stato uno sbaglio immenso: non avrebbe potuto più dimenticare quella sensazione, non avrebbe voluto.
Bruno Bucciarati non aveva mai preso nulla alla leggera, ma il contatto fisico era qualcosa di particolarmente cruciale per lui; grazie al suo potere era in grado di leggere le persone, dedurre se erano sincere o stavano mentendo, e grazie alla sua innata sensibilità sapeva capire molto altro: toccare qualcuno significava ottenere troppe informazioni, volute o meno, e lui non amava frugare negli altri se non quando era strettamente indispensabile.
Mentre stringeva la mano di Trish aveva sentito un flusso infinito di sentimenti scorrere fra le loro dita intrecciate: preoccupazione, ansia, emozione, tristezza, malinconia, speranza, timore.
Li aveva raccolti come fossero suoi, sperando di alleggerire almeno un po’ il fardello della ragazza, e le aveva stretto la mano in risposta: comunque fosse andata, lui l’avrebbe protetta fino all’ultimo.
Un ultimo che si stava protraendo decisamente troppo per il suo spirito di sopportazione, troppo poco per quella parte di lui che desiderava cedere.
Ma non avrebbe ceduto. Non si sarebbe concesso l’illusione di poter vivere come un qualsiasi ragazzo, cercando ciò che lo rendeva felice, voltando le spalle al mondo per ottenerlo. Non lo faceva mai.
Trish era una delle persone che cercava di proteggere; il tipo di persona da cui doveva tenersi alla larga.

Mista uscì sul balcone, nella speranza che la frescura notturna potesse lenire almeno un po’ la rabbia e la vergogna che provava. Sentiva le guance scottare, probabilmente doveva essere rosso come un pomodoro.
Si sfilò il cappello in cerca di un po’ di sollievo, lasciando che una leggera brezza spettinasse i suoi già poco ordinati riccioli scuri: vi passò una mano in mezzo cercando di ravvivarli, gesto abituale che ripeteva ogni sera prima di dormire o quando si sentiva nervoso.
Pettine e spazzola erano fronzoli con cui lui non avrebbe sprecato il suo tempo. Era roba da donne, o da mammolette.
O da ragazzi eleganti, bellissimi e raffinati, come quello che probabilmente già dormiva nella camera dove avrebbe dovuto riposare anche lui.
Sopraffatto dallo sconforto lasciò scivolare la mano sugli occhi, come se un gesto potesse cancellare la stanchezza o ciò che era successo.
Forse stava dormendo e tutto ciò era soltanto un incubo.
Forse era svenuto da qualche parte nei pressi del Colosseo.
Per come andavano di solito le cose nella sua vita l’ipotesi peggiore era la più probabile, ma, ad essere sincero, non sapeva se fosse meno augurabile essere mezzo morto in mano a Diavolo o trovarsi davvero in quella situazione allucinante.
Si chiese con che coraggio avrebbe guardato negli occhi l’amico la mattina seguente, cosa si sarebbero detti.
Peggio ancora, se Giorno avesse raccontato a Trish e Bucciarati ciò che aveva combinato??
Sentì un fiotto di acido risalire in gola e fu grato di essere a digiuno da un pezzo. Forse avrebbe dovuto controllare se nella stanza c’era un mobile frigo e cercare qualcosa con cui mandare giù tutto.
Qualcosa di forte.

Nello stesso balcone, appena dietro una rigogliosa composizione di aspidistre, Bruno Bucciarati contemplava la città sotto di sé, brulicante di vita anche nella notte.
Roma città eterna, Roma che non dorme mai.
Non c’era definizione più giusta: se era ancora in piedi dopo gli avvenimenti dell’ultimo giorno si poteva davvero affermare che la capitale non sarebbe mai venuta meno. E la prova della sua vivacità notturna era sotto i suoi occhi; nemmeno il recente disastro poteva arrestare il flusso di turisti, ragazzi e artisti di strada che si aggiravano dalle parti del Colosseo, una delle più belle zone della metropoli.
Era affascinante osservare quel via vai dall’alto, accompagnato dal tipico sottofondo chiassoso che è la voce delle grandi città: chiacchiericcio confuso, clacson e sirene in lontananza, il roboante borbottio del traffico.
Chiuse gli occhi e immaginò di essere ancora a Napoli: il rumore sembrava essere lo stesso ma, per quanto si sforzasse, non riusciva ad immaginare la sua città tutta intorno, c’erano troppe note stonate.
Mancava l’aria frizzante del mare, il profumo salmastro del golfo, l’aroma delle pizze cotte in ogni dove.
Sentì una fitta di nostalgia stringergli il cuore al pensiero di casa.
Con una certa sorpresa realizzò che per la prima volta in vita sua aveva lasciato Napoli; a mente fredda si rese conto di essere stato in due delle città più belle d’Italia, Venezia e Firenze, senza averle osservate per più di un istante.
Sebbene al tempo fosse stato inevitabile, il pensiero lo intristì.
Faceva parte di Passione ormai da molti anni, tempo in cui si era dedicato completamente all’organizzazione e alle sue attività, votato ai suoi doveri e impegnato nella sua ascesa; non aveva mai sottratto neanche un briciolo di tempo al lavoro per scopi personali o semplicemente per riposarsi. La città e l’organizzazione erano la sua casa e la sua famiglia, non riusciva a pensare di venir meno nei loro confronti per qualsiasi ragione.
Oberato com’era ogni giorno da un’infinita sequela di mansioni, incontri più o meno pacifici e altre attività movimentate aveva finito per ridursi ad una sorta di automa.
Organizzato.
Efficace.
Micidiale.
Vuoto.
Quando era stata l’ultima volta che aveva passeggiato per le vie della sua città per il semplice gusto di farlo?
Non se lo ricordava.
L’unico piacere che continuava a concedersi era il cibo, sebbene il condimento di preoccupazioni che si portava appresso finisse spesso per guastare anche quell’unica fonte di appagamento.
Quanto avrebbe voluto godersi un tramonto sulla Costiera senza dover pensare a nulla, un bicchiere di vino in mano e il profumo dei limoni nell’aria.
Quanto avrebbe voluto non essere solo.
Conscio che i suoi pensieri stavano prendendo una piega pericolosa, si riscosse e aprì gli occhi, cercando di distrarsi; sollevò le braccia sopra il capo per stiracchiarsi, improvvisamente indolenzito per aver tenuto una posizione rigida troppo a lungo. Evidentemente la tensione che aveva accumulato era più di quanta credesse.
Per di più sembrava che il potere benefico di Gold Experience avesse un prezzo: era come se tutto il dolore che non aveva provato da quando Giorno lo aveva salvato a Venezia stesse tornando in un’unica rata. Poco piacevole. Decisamente poco piacevole.
Voltò le spalle al panorama, lasciandosi sfuggire un flebile lamento, e si trovò faccia a faccia con Guido Mista, che avanzava alla cieca come un sonnambulo.
In un’altra situazione Bucciarati avrebbe trovato comica la scena, ma in quel momento era evidente che qualcosa non andava.
“Guido, non mi sembra la migliore delle idee giocare a mosca cieca sul terrazzo…che succede?” gli chiese.
Il ragazzo sobbalzò: evidentemente pensava di essere solo lì fuori o si era dimenticato che i balconi fossero comunicanti; si guardò intorno sconcertato prima di individuare la testa dell’amico che galleggiava sopra la piccola giungla di piante in vaso.
“Bucciarati, sei tu! Mi hai fatto venire un colpo, per la miseria” esclamò portandosi una mano al cuore “Che ci fai qui fuori? Credevo avessi bisogno di riposo…anzi, hai assolutamente bisogno di riposo! Perché non sei ancora a dormire?” lo rimproverò, le sopracciglia aggrottate.
Bucciarati sorrise: “Trish sta facendo una doccia, immagino avesse bisogno di un po’ di privacy dopo tutto questo tempo passato a stretto contatto con noi. Non mi stupirei se riemergesse direttamente domattina…” sentì le labbra incurvarsi in un sorriso stiracchiato “In ogni caso non credo gradirebbe la presenza altrui mentre si sistema” concluse, occhieggiando il buio della stanza oltre la finestra.
Mista rise sotto i baffi:”Non ci metterei la mano sul fuoco capo…di certo se invadessi io il suo spazio vitale mi ritroverei ridotto ad un budino in men che non si dica, ma sono sicuro che per qualcun altro farebbe un’eccezione” rispose ammiccante, prima che una fitta al gusto di senso di colpa gli ricordasse che violare lo spazio altrui era esattamente ciò che aveva fatto con Giorno.
Sopraffatto dall’amarezza, non si accorse che il viso di Bucciarati era scolorato di colpo alle sue parole.
“Come?” rispose il ragazzo, cercando di mantenere un tono neutro nonostante si sentisse gelare. Guido non poteva pensare davvero ciò che aveva detto.
“Ma dai, è così palese, mi stupisco che un tipo sveglio come sei tu non si sia accorto di niente…scommetto ciò che vuoi che Trish è solo contenta di condividere la stanza con te stanotte. Credo che non ne potesse più di avere me e Giorno continuamente fra i piedi.”
Bucciarati sentì il poco calore che Gold Experience gli aveva ridato scivolare via:”Guido, ma cosa vai dicendo?”
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa:”D’accordo, se non ne vuoi parlare non c’è problema, in fondo non sono affari miei. Ma non sono uno sciocco Bucciarati, e non lo sei neanche tu. Soltanto un cieco non si sarebbe accorto dell’interesse che ha Trish nei tuoi confronti, figurati se non lo hai notato. Se sono cose personali non c’è bisogno che tu faccia il finto tonto, non ne parliamo e basta.”
Il giovane capo rimase in silenzio, realizzando quanto doveva essere stato ingenuo a pensare che nessuno si fosse accorto delle attenzioni che Trish gli dedicava; poteva far sì che non trapelasse nulla dei propri sentimenti, ma non poteva controllare lei.
Improvvisamente si rese conto che sarebbe stato bello poter parlare apertamente con qualcuno.
La sua posizione di leader lo aveva portato a doversi ergere al di sopra degli altri; affinché le cose funzionassero era necessario che ci fosse qualcuno a dirigere tutti quanti, una persona un gradino più in alto che desse ordini e organizzasse ogni cosa.
Bucciarati non lo faceva con superiorità o sdegno, era una formalità puramente necessaria, ma ciò aveva scavato negli anni un piccolo solco fra lui e la sua squadra: sebbene considerasse ciascuno un amico, da un lato si trovava lui e dall’altro loro. Governare il gruppo aveva chiesto di mantenere un certo riserbo e, talvolta, un certo distacco; il suo carattere naturalmente chiuso aveva fatto il resto.
In quel momento, tuttavia, pensò che avrebbe fatto un torto a Guido tacendogli cosa lo assillava; Mista non era  un esperto di questioni di cuore, ma di certo non lo avrebbe deriso e forse lo avrebbe capito.
“Perdonami Guido, sono stato indelicato. Non intendevo trattarti da stupido e neanche escluderti dalla questione. La verità è che questa cosa mi preoccupa molto…” si trovò ad ammettere, infilando le mani nelle tasche e volgendo lo sguardo alla luna, grande e luminosa sopra di loro.
“Beh, non credo sarà così difficile trovarle una sistemazione, non le avevi proposto di stabilirsi nella tua vecchia casa, almeno per un po’? Napoli è più grande del paese dove abitava lei ma si abituerà, vedrai che si troverà bene. Inoltre saremo tutti abbastanza vicini, potremmo tenerla d’occhio a turno quando tu non ci sei.” cercò di rincuorarlo l’amico, con il tono di chi sta facendo la considerazione più ovvia del mondo.
Bucciarati lo guardò stranito:”Non è per questo che le avevo proposto la mia vecchia casa, era solo in attesa di trovare una sistemazione migliore…”
Fu il turno di Mista di guardarlo con tanto d’occhi:”Ah vorresti andare a vivere con lei?? Non pensavo fossi così impaziente capo, sei sempre così misurato…ma di sicuro sai cosa è meglio, non ho dubbi” asserì soddisfatto, grattandosi la nuca da sopra il cappello e incrociando le braccia dietro la testa con fare rilassato.
Bucciarati aveva gli occhi fuori dalle orbite:”Frena un istante! Hai lasciato correre l’immaginazione a briglia sciolta, non è niente di tutto ciò!”
Mista li sgranò ancora di più:”Vorresti dire che Trish non ti piace??”
“Sì! Cioè, no! Aspetta, non è che non mi piaccia, ma non in quel senso!”
“E in quale senso allora?” chiese Mista, più perplesso che mai.
“San Gennaro aiutami…” mormorò Bucciarati a denti stretti, cercando di ricomporsi e recuperare la lucidità persa:”Trish è una bellissima persona e proprio per questo voglio che resti fuori dal nostro ambiente. Il fatto di avere avuto un padre immischiato nella mafia non è una buona ragione perché anche lei venga coinvolta in questo mondo; nessuna persona per bene dovrebbe frequentare noi…” calcò la voce con amarezza sull’ultima parola.
“So cosa le avevo proposto, ma vorrei trovare una soluzione diversa. Dovrebbe avere dei parenti della madre da qualche parte, affidarla a loro sarebbe la cosa migliore per lei.”
Quanto a lui, sarebbe sopravvissuto al dispiacere. Non avrebbe permesso che il proprio egoismo minasse la vita di un’innocente.
Mista lo stava guardando con sorprendente intensità, l’espressione che lasciava trasparire dubbio:”E per caso hai pensato di chiedere a lei cosa preferirebbe?”
La frase sembrava quasi un rimprovero.
Bucciarati si irrigidì e lo guardò con genuino stupore:”Eh? Direi di no. Trish ha solo quindici anni, non è certo la persona più adatta a stabilire cos’è meglio per se stessa.”
Mista incrociò le braccia e gli lanciò un’occhiata incredibilmente simile a quella che avrebbe potuto lanciargli la stessa Trish:“Sarà anche un’adolescente, ma è comunque della sua vita che stiamo parlando. Cosa ti fa pensare di avere il diritto di decidere per lei senza neanche interpellarla?”
Bucciarati si sentiva sempre più sconcertato; Guido, notoriamente privo di tatto, empatico come un ortaggio e altrettanto emotivo, gli stava facendo una ramanzina sul suo essere indelicato e saccente.
A peggiorare la situazione, era nel giusto.
Cosa lo aveva spinto a pensare di scegliere al posto di Trish quale piega dovesse prendere la sua vita?
“Io…ho paura che Trish possa fare una scelta sbagliata, lasciandosi coinvolgere in qualcosa che finisca per farle male. Ho paura per lei.” ammise “Sento di poter essere più obiettivo semplicemente perché ho più esperienza. A volte…vorrei che ci fosse stato qualcuno di più grande, nella mia vita, che mi facesse fare la scelta giusta.”
Mista restò in silenzio per un lungo attimo. “Vorresti dire che, se potessi tornare indietro, faresti delle scelte diverse?”
Non sembrava un’accusa, solo bisogno di capire.
“No, non cambierei niente di ciò che ho fatto, non le cose più importanti, ma…”
“Vedi? Alla fine dei conti sei tu che hai scelto per te stesso e guarda fin dove sei arrivato…non hai sbagliato nulla Bucciarati.”
“Non voglio che Trish diventi una sottospecie di mafiosa per causa mia!”
“Dubito fortemente che sia la sua più grande aspirazione, immagino che lei desideri una vita normale e…”
“Appunto!”
“Lasciami finire…scommetto che lei desidera una vita normale,  ma insieme a te. Non è impossibile come credi capo.”
“Io…non voglio condannare nessuno alla vita che è toccata a me. E’ stata una scelta mia, non deve riguardare nessun’altro.”
“E perché lei non dovrebbe avere il diritto di scegliere? Perché la sua scelta non potrebbe essere quella di restare accanto a te?”
“Perché sono un gangster! Un malavitoso! Per la miseria, Guido, io per vivere ammazzo la gente se me lo ordinano!!”
L’esclamazione improvvisa fece volare via da un albero vicino una coppia di uccelli notturni, che si alzarono in volo tubando indignati.
Un silenzio freddo, carico di aspettativa, si dilatò tra i due giovani; Bucciarati serrò le mani tremanti nelle tasche, cercando di controllare l’agitazione che lo scuoteva.
Tutte le preoccupazioni che lo avevano assalito nelle ultime ore si stavano riversando fuori nel modo peggiore; non voleva gridare contro il compagno, non ce l’aveva con lui.
Ce l’aveva con se stesso.
Mista lo guardò negli occhi, con un’espressione decisa che non gli aveva mia visto:”Anche io, Bucciarati, forse anche più di te. Eppure non per questo mi ritengo un essere spregevole o indegno di essere amato da qualcuno. Semplicemente la vita mi ha portato ad essere quello che sono, e dovrò farci i conti finché camperò. Ma lo farò io, nessun altro. Le mie colpe non sono di nessuno se non mie.”
“Bruno, tu sei una persona da ammirare. Sei giusto, leale, non hai mai fatto nulla per te stesso e non hai mai ucciso se potevi evitarlo. Cerchi sempre di aiutare e proteggere chiunque, a costo della tua stessa vita. Cosa potrebbe esserci di male in te? Chi se non te potrebbe proteggerla da ogni pericolo?”
“Sapresti tenerla fuori da tutto questo, ne sono certo. Il mio è solo un consiglio, ma decidere per lei senza lasciarle possibilità di parlare sarebbe un grande errore. Per la prima volta nella tua vita, commetteresti un’ingiustizia.”
Bucciarati lo fissava ammutolito, incapace di muoversi; sentiva una inaspettata e rassicurante  bolla di calore gonfiarsi nel petto. Forse ciò che diceva Guido non era così assurdo, l’immagine della vita futura che gli aveva prospettato non così impossibile.
Fu lui a rompere il silenzio dopo lunghi minuti, la voce morbida e titubante.
“In certi momenti parli come lei…quasi non sembri tu Guido.”
“Credo di capire cosa penserebbe lei se fosse qui. O almeno ho questa sensazione, da quando siamo stati scambiati mi succede spesso.”
“Trish sarebbe molto felice di sapere che siete diventati telepatici” scherzò Bucciarati, cercando di alleggerire l’atmosfera e capire se l’amico l’avesse perdonato per il suo sfogo.
“Nah, non è telepatia, mica so cosa sta pensando proprio adesso…è più un qualcosa che viene da qui.” Il ragazzo portò la mano al petto, toccandosi un punto vago dalle parti del cuore; o forse intendeva lo stomaco, con Mista spesso era impossibile distinguere fra le due cose.
“Per certi versi preferisco non leggerle nella mente, chissà cosa pensa di me ogni tanto…” Guido si grattò il mento con fare pensieroso; l’amico lo fissava impassibile, il caschetto scuro bagnato dalla luce della luna.
“E come fai a sapere che quello che senti è giusto? Che Trish la penserebbe davvero così?”
Il tono era vago, ma sembrava quasi che Bucciarati fosse in cerca di conferme.
“Non lo so, lo sento e basta. E’ come se avessi una specie di vocina nella testa che ogni tanto parla come lei. Ma non ci vuole chissà cosa per capire che una Trish non sopporterebbe di essere spedita indietro come un pacco senza poter dire la sua. Non che resterebbe in silenzio, questo è certo…”
“Non mi pare abbia mosso obiezioni quando il padre l’ha reclamata…” tentò il giovane.
“Bucciarati, per favore! Adesso è lei che stai tentando di far passare per stupida. Sua madre era appena morta ed è stata praticamente prelevata a forza da Pericolo e i suoi, cosa poteva fare? Non ha avuto neanche il tempo di realizzare cosa stava succedendo. Se avesse saputo qualcosa di questi fantomatici parenti forse sarebbe stata la prima a proporre fin dall’inizio di rintracciarli, ma non mi sembra che siano proprio vecchi amici…”.
Mista si avvicinò alla siepe che li divideva e lo guardò dritto negli occhi, sorridendo appena. L’aveva perdonato.
“Bruno, ora che Diavolo è morto le cose cambieranno. Con te e Giorno a capo di tutta la baracca la vita sarà diversa. Pensa anche a questo.”
“Poi sei tu il capo. Ma se davvero tieni a Trish, in qualsiasi senso, falle questo regalo. Almeno tu dalle la possibilità di scegliere.”
L’amico continuava a tacere, il volto una maschera di preoccupazione e un solco profondo scavato sulla fronte.
“Dai, non è il momento di preoccuparsi di questo, hai seriamente bisogno di andare a dormire. Domani penseremo a tutto.” lo rassicurò il compagno.
“Guido, è notte fonda, è già domani…” rispose Bucciarati inespressivo.
Mista scosse teatralmente il capo e gli rivolse un’espressione condiscendente, puntandogli il dito contro: “Quanto sei pignolo a volte! Hai capito cosa intendo. Buonanotte capo.” lo salutò, prima di sparire oltre la finestra, inghiottito dal buio della stanza.
Bucciarati osservò la schiena del ragazzo allontanarsi e sparire, non senza una certa difficoltà, fra le tende che oscuravano la vetrata.
Credeva che si sarebbe sentito improvvisamente abbandonato, ora che anche l’ultimo membro di quell’assurdo gruppo lo aveva mollato da solo con i suoi pensieri, ma dovette ammettere di provare solo una strana sensazione di sollievo.
Condividere parte delle sue angosce con Guido lo aveva tranquillizzato, percepiva il gravoso senso di responsabilità che lo attanagliava farsi meno pesante; sebbene continuasse a ritenere il punto di vista dell’amico piuttosto assurdo, sapere che qualcuno aveva più fiducia di lui nel futuro era confortante.
Sollevò la testa e si trovò a fissare la luna senza vederla, lasciando che la luce abbacinante gli riempisse gli occhi e cancellasse i suoi fantasmi.
Forse, da un tempo che non ricordava più, aveva solo bisogno che qualcuno gli dicesse che, in fondo, non era una brutta persona.
La luna era così vicina e grande che sembrava avrebbe potuto inghiottirlo. Forse sarebbe stato più facile chiudere la questione così.
Gli occhi allagati di luce, scosse con forza la testa e voltò le spalle al balcone, intenzionato a rientrare.
Non avrebbe scelto la via facile. Non l’aveva mai fatto.
Serrò le palpebre e pensò che doveva ringraziare Guido, aveva colto la reale essenza del problema. Gli aveva rammentato che credeva in lui, che lo stimava. Che aveva ancora qualcosa di bello da condividere.
Ma non con lei.
In fondo anche Bruno Bucciarati era umano, aveva bisogno che qualcuno gli assicurasse che non era da buttare. Che avrebbe fatto la scelta giusta perché ne era in grado.
Purché rimanesse lucido.
Ringraziò che fosse stato Mista a ricordarglielo: se fosse stata Trish avrebbe potuto crederci davvero.




Nota dell'autrice: Ta-daan, ecco che entra in campo Bucciarati come protagonista del capitolo! Personalmente non vedevo l'ora di arrivare a questo punto della storia.
Ve l'avevo detto, purtroppo da qui in avanti le attese fra un capitolo e l'altro e si faranno più lunghe...però (c'è un però) cercherò di pubblicare almeno un paio di capitoli a settimana, se riesco fra venerdì e domenica, quindi potreste trovarvi una pioggia di nuovi capitoli tutti insieme.
Se siete in cerca del fluff più fluffoso non disperate, ci siamo. Giuro che dal prossimo capitolo non ci sarà altro fino alla fine della storia, che ancora non è nemmeno delineata, quindi chissà come e quando sarà!
Detto ciò grazie ancora una volta per aver letto! Spero che la storia vi stia piacendo o quantomeno interessando (sennò se siete arrivati fin qui siete proprio masochisti) e che la conclusione, sempre più vicina, vi lasci soddisfatti.
Enjoy

 

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Capitolo 9
*** Cap.9_In cui ci sono una favola e un cacciatore ***


POV del capitolo: Mista

Improvvisamente stanco, come se avesse portato il peso del mondo sulle spalle, Mista rientrò nella stanza deciso a dormire sul divano per qualche ora; non contava di riposarsi, ma almeno di spegnere il cervello per un po’.
Si insinuò attraverso la porta finestra, socchiusa quel tanto che bastava a farlo strisciare dentro, e si trovò ingarbugliato nelle pesanti tende che coprivano la vetrata; Giorno doveva averle tirate perché non filtrasse il chiarore da fuori, finendo per ridurre la camera alla più completa oscurità.
Avanzò tentoni, senza accendere la luce per non disturbare il compagno che già dormiva, e finì per inciampare in qualcosa di alto e sottile: doveva essere la lampada a piantana che si trovava a fianco del divano, che rischiò di finire in pezzi e mandarlo lungo disteso in un colpo solo.
Alla cieca stese le braccia per acchiapparla, finendo per prenderla in testa; imprecò a denti stretti e cercò di rimetterla a posto, con un inevitabile fracasso che sicuramente aveva svegliato anche gli ospiti al piano di sotto.
“Guido?”
Una voce bassa e morbida emerse dal buio, chiamandolo.
Perché non era più cauto nel muoversi?
“Scusa, sono inciampato. Non volevo svegliarti.” rispose asciutto il ragazzo, massaggiandosi il bernoccolo incipiente e cercando di raggiungere il divano senza ulteriori incidenti.
Una volta capito dove si trovava si lasciò cadere pesantemente sui cuscini, sperando di non centrare il bracciolo con la testa: una commozione cerebrale era l’ultima cosa che gli serviva in quel momento, anche se l’avrebbe aiutato a dormire meglio.
“Guido…posso parlarti un istante?”
La voce di Giorno era delicata come una carezza, come il vento in primavera, ed era insopportabile.
Mista si calcò in testa il cappello, sperando inutilmente che potesse aiutarlo a non sentire e che il ragazzo si arrendesse di fronte al suo silenzio, ma sapeva che non sarebbe successo.
“Volevo chiederti scusa per quello che è successo prima.” mormorò Giorno in un soffio.
Le parole rimasero ad aleggiare su di loro nel silenzio denso della stanza, in attesa di una qualunque reazione; Mista non voleva prestargli ascolto, ma non poté negare a se stesso di sentirsi sorpreso di fronte alla frase del compagno.
“Credo che ci siamo fraintesi” continuò Giorno nervosamente “Non volevo assolutamente prendermi gioco di te o sminuire quello che c’è stato, anzi. Ero…confuso, non mi aspettavo nulla del genere. Non pensavo che tra noi potesse succedere una cosa così…così bella.”
Malgrado i suoi tentativi di isolarsi Mista scattò come una molla a quelle parole: ma cosa significava?
Incapace di controllarsi, cercò quantomeno di tenere un tono di voce accettabile per quell’ora di notte: “Giorno, cosa stai dicendo?”
Un sospiro giunse dal buio spesso che li avvolgeva: “E’ così imbarazzante da dire…sono stato uno sciocco, Guido. Quando ti sei allontanato da me pensavo l’avessi fatto perché eri disgustato. Temevo ti fossi pentito di avermi baciato e non potevo immaginare che in realtà tu avessi la stessa paura. Mi sono sentito così mortificato…un attimo prima era tutto incredibile e un attimo dopo tu sei fuggito. Ma ho capito che sbagliavo…” ammise, un sorriso nella voce.
Mista ascoltava attonito, incapace di proferire parola.
“Per favore, non prendertela…so di averti dato l’impressione di volermi beffare di te, ma ti giuro che non volevo! Davvero ero convinto di averti disgustato, quando ho realizzato che non era così ho detto la cosa giusta nel modo peggiore…è che non mi sono mai trovato in una situazione simile…” si sentì in dovere di spiegare l’oscurità, lasciando trapelare un certo imbarazzo.
Mista si sentiva completamente stordito, come se avesse preso una gran botta in testa, e di certo non era colpa dell’incidente con la lampada.
“Quando ti ho chiesto se mi avresti baciato di nuovo…” continuò titubante la voce incorporea del ragazzo, vagamente preoccupata di fronte al silenzio dell’altro “pensavi davvero ciò che hai risposto?”.
Nella squadra di Bucciarati Mista era un cacciatore, di piantagrane, di minacce o di nemici, e come tale aveva sviluppato una capacità necessaria per svolgere il suo compito: fiutare la paura.
Poteva sentirla nell’aria, si spandeva nello spazio oscuro che li separava: Giorno aveva paura della sua risposta, la temeva ma non poteva fare a meno di volerla conoscere; era intimorito dal suo giudizio, ma voleva chiudere la questione definitivamente.
O forse aprirla.
Senza neanche rendersene conto il  giovane si era alzato dal divano e si era avvicinato al punto in cui doveva trovarsi il letto; lì la tenebra era meno fonda, una lama di luce filtrava da sotto la porta e i suoi occhi potevano intuire la sagoma di Giorno, seduto immobile fra le lenzuola.
Doveva aver sciolto i capelli, perché il viso sembrava incorniciato da una cascata di riccioli scomposti; provò l’irrefrenabile desiderio di toccarli per sentire che consistenza avessero.
“Sei qui?” la voce dell’amico era poco più che un sussurro.
“Giorno…” Mista sentiva la gola contratta, la voce uscì debole e rauca: “perché me lo stai chiedendo?”
“Perché ho bisogno di saperlo. Se la risposta è realmente no lo accetto, rispetto la tua scelta; ma se invece non è così…non vorrei che un malinteso ci precludesse una possibilità.”
Il silenzio fra loro sembrò diventare solido e dilatarsi, carico di aspettativa e diffidenza; era come essere separati da un muro elastico, che si lasciava trapassare ma sarebbe schizzato indietro alla minima esitazione, allontanandoli.
Giorno saggiò per primo l’ostacolo affondando delicatamente una mano nel buio, cercandolo:“Ti prego Guido…se il tuo non è un rifiuto fallo di nuovo…”
Il ragazzo rispose quasi meccanicamente:“Cosa?”.
Stavano superando il punto di non ritorno, lo sapeva.
Sentì le dita dell’amico che lo sfioravano appena, incerte, provocandogli una strana fitta alla bocca dello stomaco. Se non si fosse tirato indietro in quel momento non sarebbe più stato capace di farlo.
La voce di Giorno lo accarezzò, così leggera da essere quasi impercettibile:“Dammi un bacio…”.
Quelle parole suonarono come un detonatore per Mista; avanzò fino a toccare il letto con le ginocchia, quindi salì cautamente sul materasso. Le sue mani cercarono alla cieca l’amico, fino a quando non sentì le sue dita morbide intrecciarsi alle proprie e trarlo a sé.
Si mosse con circospezione, attento a non schiacciarlo, per sedersi sulle sue ginocchia. Poteva percepire il battito potente del giovane rimbombare nel buio e dentro di lui, scuotendolo dall’interno.
Mista separò le loro mani allacciate per poterlo abbracciare: si strinse a lui e immerse il viso nella cascata di seta dei suoi capelli, ancora umidi per la doccia recente e profumati di shampoo; percorse con le mani la schiena forte, inspirando a fondo il suo odore per non dimenticarlo mai più.
“Guido…” sussurrò dolcemente Giorno stringendo il compagno, la voce rotta dall’emozione.
Percorse con le mani i dorsali potenti, sentendo sotto le dita la trama morbida del maglione, il profilo delle braccia e delle spalle, fino a raggiungere il suo viso: voleva sapere che consistenza avesse la pelle del giovane, accarezzare le sue labbra e i suoi capelli.
Sentendo la mano di Giorno che tentava di insinuarsi sotto il cappello Mista si tirò indietro:”Ehi, aspetta, il cappello no.”
“Perché?” chiese stupito il ragazzo “Hai intenzione persino di dormirci ?”
“Sì! Cioè, no, di solito non lo faccio…insomma, preferisco non toglierlo.”
“C’è un motivo particolare?” la voce di Giorno esprimeva sincera curiosità.
Mista ringraziò che il compagno non potesse vederlo, non avrebbe mai avuto il coraggio di rivelare certe cose alla luce:”Mi vergogno a mostrarmi a testa scoperta. I miei capelli non hanno un verso e non li pettino mai.” ammise; non poteva certo reggere il confronto con la chioma d’oro fuso del compagno.
“Ma io non ti vedo” ridacchiò lui, giocherellando con il bordo del cappello: “Ti prometto che domattina potrai rimetterlo prima che io apra gli occhi, non sbircerò. Ora posso togliertelo?”
Mista sospirò e annuì, lasciando che le dita di Giorno sfilassero la stoffa dai suoi capelli con un fruscio: “Ah, aspetta, credo che ci siano dei proiettili lì dentro!”
“Non inventarti scuse” lo canzonò affettuosamente l’altro, accarezzando la corta chioma scura “Qui non c’è niente…a parte te.”
Mista avrebbe voluto vederlo: in quel momento doveva essere bellissimo.
Sentì le dita delicate del compagno intrecciarsi ai suoi riccioli corti e scuri, provocandogli una deliziosa cascata di brividi lungo la schiena. Forse non era così male non indossare il cappello…quantomeno in certe occasioni.
Non oppose resistenza quando le mani dell’amico si insinuarono sul suo torace e gli sfilarono il maglione, lasciando una scia bollente dove lo toccava; lo voleva ancora più vicino, voleva sentire la sua pelle sulla propria senza tentennamenti e senza barriere.
Oramai aveva preso la sua decisione: che fosse per sempre, per un anno o solo per quel momento non si sarebbe tirato indietro, per una volta avrebbe concesso a se stesso il privilegio di scegliere ciò che desiderava e non ciò che il dovere gli imponeva.
Vagamente ostacolato dal buio, prese con delicatezza il volto di Giorno fra le mani e si avvicinò lentamente.
Non poteva vederlo, ma sentiva il suo respiro caldo come l’estate sulla pelle: ecco di nuovo il profumo del grano al sole, della vita che nasce, forse del sole stesso.
Muovendosi con cautela sfiorò la bocca del compagno con la propria, una carezza quasi impercettibile.
Neanche il tempo di capire che sapore avesse.
Le  labbra di Giorno erano caldissime e soffici e lo cercavano, chiedendo qualcosa di più; lo lambivano vibrando  come se l’amico stesse mormorando parole senza suono, una litania senza senso che poteva avere un solo significato.
Senza più pensare Mista premette con decisione la bocca su quella di lui, abbracciandolo con forza e stringendolo a sé. Giorno, euforico ed elettrizzato da quella reazione, si avvinghiò al suo petto, posandogli una mano sulla nuca per avvicinarlo di più, quasi intrappolarlo.
Infiammato dall’entusiasmo Mista lo stava baciando in modo confusionario, strofinando il naso sul suo, a volte mordendogli un labbro nella troppa foga; non c’era nulla che gli interessasse in quel momento, a parte non separarsi mai più dalla bocca di Giorno.
Il tempo sembrava attendere sospeso, quasi che avesse smesso di esistere: in quell’attimo infinto non c’erano altri che loro e qualcosa che andava fiorendo, un sentimento sbocciato nel terreno fertile del loro reciproco cercarsi.
Tutto questo non riusciva a tradursi in parole nei pensieri di Mista: il giovane si limitava a sentire, a provare, quasi ebbro di quel tutto che il compagno poteva dargli. Voleva dargli.
Giorno si era completamente donato a lui in piena coscienza, fiducioso ed entusiasta; lo baciava come se fosse lui il vincitore e non il premio, come se anche Mista avesse qualcosa di bellissimo che gli stava regalando.
Chissà cosa aveva trovato, si chiese per un attimo il ragazzo, prima di tornare ad essere un grumo di sentimento, retrocedere ad uno stadio quasi primordiale fra le braccia del compagno.
Sulle labbra di Giorno aveva vissuto il Big Bang, capito cosa dovevano aver provato i più piccoli frammenti dell’universo quando l’esplosione aveva mandato tutti al proprio posto; aveva sentito il gusto della natura che nasce e si scopre viva, l’emozione del primo essere vivente che calca la terra gli aveva attorcigliato le viscere.
Era come nuotare in una luce abbagliante, fluttuare senza peso e senza pensieri…
Da un luogo molto lontano sentì Giorno trattenere il fiato e separarsi da lui, sgomento.
Chissà quale forza superiore lo spinse a tornare in sé, affannato e in preda alle vertigini, come se si stesse riprendendo da un lancio mozzafiato con il paracadute.
“Giorno…” sillabò, incerto su cosa volesse dire: chiedergli cosa c’era, come stava, dove erano, come si chiamava, dove era stato fino a quel momento…
Ci volle un attimo prima che il tempo ritornasse a scorrere e Guido Mista si accorgesse della causa dello sbigottimento del compagno, che nel frattempo aveva acceso la piccola luce sul comodino e guardava attonito il soffitto: dapprima non riuscì a trovare un senso alla cascata di morbidi fiori viola che pendeva sopra le loro teste, anche se pensò che erano davvero belli.
Istintivamente allungò la mano per toccarne uno e il suo braccio sfiorò qualcosa laddove non avrebbe dovuto esserci nulla: l’istinto rallentato lo portò ad abbassare gli occhi, per appurare con vaga sorpresa che il letto era intarsiato di tralci di vite.
Estasiato lasciò vagare lo sguardo sul baldacchino frondoso che li avvolgeva, ammirando la delicatezza dei fiori in boccio e il lucore dei grappoli d’uva che spuntavano qua e là; c’erano addirittura delle farfalle che svolazzavano pigre da una corolla all’altra, morbidi cuscini di muschio e un tappeto di fiori dai colori meravigliosi abbarbicati alla struttura del letto, ai comodini, ovunque.
Languidamente si voltò ad osservare Giorno, seduto al centro di quell’alcova pittoresca come una ninfa in una radura, esterrefatto da ciò che aveva combinato: anche nello sgomento era una creatura di rara bellezza, sembrava uscito da una fiaba.
E lui, Mista, nella favola sarebbe sicuramente stato il cacciatore.
Intrecciò le dita a quelle dell’amico per attirare la sua attenzione:”E’ bello eh?” esclamò deliziato, come se fosse la cosa più normale del mondo svegliarsi e trovare la propria camera trasformata in una serra. Probabilmente con Giorno lo era.
Il giovane sbatteva la palpebre, incapace di farsi una ragione di ciò che aveva combinato:”Credo di aver perso un po’ il controllo…” mormorò, e le parole uscirono confuse, quasi disarticolate.
Mista rise di cuore:”Allora sei umano anche tu! Non preoccuparti, sicuramente sei in grado di riportare tutto come era prima…specialmente il mio maglione spero!” aggiunse, guardando allarmato la cascata di fiori azzurri al suo fianco.
Rinfrancato, anche Giorno si lasciò sfuggire una risata:”Immagino di sì…altrimenti potresti valutare lo stile floreale, è di moda!”
“Non ci contare, non sono io qui ad avere l’attitudine della farfalla.” lo prese in giro l’amico.
Sentì un lago di emozione liquida farsi strada in lui al vedere Giorno avvampare, timido e delicato, la più bella creatura di quella strana foresta.
Non ne avrebbe mai avuto abbastanza…
Esausto, sazio di bellezza e ubriaco di sole, Mista si lasciò cadere sulle lenzuola e attirò il compagno contro il suo petto, posando un bacio sui suoi capelli d’oro:”Vieni qui, Cappuccetto Rosso. Non vorrei ti venisse l’idea di fuggire via come un cerbiatto, sono troppo stanco per rincorrerti nel bosco” mormorò sulla sua tempia, scatenando un brivido che percorse Giorno da capo a piedi.
Il giovane mugolò una protesta contro la sua clavicola:”Non avevo intenzione di fuggire…e non sono così sciocco da fidarmi del primo lupo che passa” lo prese in giro con malizia.
“Dovresti stare attento più che altro ai cacciatori…sembrano brave persone, ma a volte sono loro i più pericolosi” mormorò Mista irrigidendosi, un lampo scuro negli occhi.
Giorno sorrise candido e lo baciò delicatamente sulle labbra:”Non se anche la prenda sa impugnare una pistola” sussurrò.
L’amico lo osservò per un attimo prima di lasciarsi andare ad una risata:”Sei scaltro Riccioli D’oro, devo ammetterlo!”
“Paragonami ancora ad un personaggio delle favole e ti faccio svegliare in un campo di crisantemi” lo minacciò l’amico, rannicchiandosi meglio contro di lui in cerca del suo calore.
Mista resistette all’impulso potente di chiamarlo Biancaneve e lo avvolse nel suo abbraccio, in quel Paradiso Terrestre che pulsava di amore e di vita.
Si addormentarono avvinti, i respiri che si intrecciavano placidi nell’abbraccio del loro piccolo bosco personale.
Giorno, gli occhi chiusi ed un largo sorriso, aveva l’espressione vittoriosa di chi ha scoperto un segreto; e se avesse potuto vedersi allo specchio, Mista avrebbe visto sul suo viso quella di chi ha trovato tutta la bellezza del mondo.



Nota dell'autrice: Come promesso, ecco il secondo capitolo di questa mandata ed ecco il fluff!
Una delle questioni spinose si è risolta, almeno per ora metà dei personaggi può tirare un sospiro di sollievo dopo i disastri dei capitoli precedenti...l'altra metà chissà. 
Spero che questa iniezione di zucchero vi sia piaciuta e vi abbia risollevato un pò la glicemia (che si sa, d'inverno con questo grigiore cala), personalmente GioMis è uno dei miei Jojo pairing preferiti. 

Purtroppo non so quando riuscirò ad aggiornare di nuovo. Potrebbe verificarsi il caso molto fortuito in cui entro il weekend riesca a mettere online un altro brano, altrimenti alla prossima settimana!
Namaste

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Capitolo 10
*** Cap.10A_In cui Bruno è un santo ma si dimentica dei suoi poteri ***


Nota sul racconto
Come potete vedere, questo capitolo è numerato in modo particolare e diverso dagli altri: da questo punto in poi la storia prenderà ben tre direzioni, seguendo dei filoni completamente opposti.
Inizialmente le opzioni di scelta dovevano essere soltanto due, ma nello scrivere il terzo capitolo è nato praticamente da solo, quindi ho deciso di portarlo a termine e pubblicarlo.
Il nocciolo della questione è il comportamento di Bruno.
In un caso, il personaggio resterà piuttosto affine al suo design originale (ma ricordate che stiamo comunque parlando di una BruTrish fluff), mentre negli altri due verrà reinterpretato in un modo che io ritengo molto realistico, ma che è totalmente ooc…o almeno, lo sembra.
Avendo cambiato idea in itinere devo ancora stabilire quale risvolto dare all'ultima nata fra le storie: le due presenti nell'idea originale daranno chiaramente origine a due diversi finali, la terza potrebbe essere una semplice opzione autoconclusiva.
Quale Bruno sceglierete?
A voi l’ardua sentenza.




POV del capitolo: Bruno

Bucciarati rientrò nella stanza, le mani strette a pugno nelle tasche e la mascella serrata dalla preoccupazione.
Temeva di trovare Trish ancora sveglia, decisa ad affrontarlo di nuovo e accusarlo di essere incoerente.
Come faceva Guido a pensare che sarebbe stata bene accanto a lui? Poteva trattarsi di un’infatuazione, forse era una specie di strana versione della Sindrome di Stoccolma, ma non poteva avere un reale interesse verso una persona che reputava orribile.
Lo aveva tacciato di essere ridicolo e si era beffata dei suoi principi, uno come lui non era tenuto ad avere una morale: chi mai avrebbe scelto come compagno un individuo ritenuto così spregevole?
Forse Mista riusciva davvero a leggere bene l’animo di Trish, ma con esso tutto il suo carico di dramma adolescenziale e spirito di ribellione; ciò che sentiva restava comunque filtrato da lei, che poteva avere più o meno inconsciamente edulcorato la questione nella sua testa.
Sembrava proprio il tipico soggetto che si lascia prendere la mano dalla crisi ormonale della pubertà, pensò il ragazzo, trovandosi involontariamente a sorridere.
Quando se ne rese conto si prese la testa fra le mani, cercando di scacciare la sensazione di familiarità che gli aveva invaso il petto; non poteva, non doveva permettersi di pensare a lei in certi modi.
Cercando di non fare rumore si avvicinò cautamente al letto, quel tanto che il suo senso etico consentiva, per controllare che la ragazza dormisse sul serio.
Doveva essere andata a letto senza asciugarsi i capelli, che ora formavano un’aureola spettinata intorno al viso: il cuscino era fradicio, si vedeva anche al buio.
Serrò con forza le braccia lungo i fianchi per resistere all’impulso di sollevarle delicatamente il capo e sostituire il guanciale con un altro asciutto. Non era certo di quanto potesse il suo autocontrollo e non voleva svegliarla: sarebbe stato imbarazzante trovarsi in una situazione simile.
Restò immobile per lunghi minuti, cercando di regolare il respiro per calmarsi, osservando le spalle della ragazza che si alzavano e si abbassavano ritmicamente; c’era qualcosa di asincrono nel suo modo di respirare, lasciava sfuggire dei sospiri corti e leggeri, come se avesse il fiato spezzato dalla fatica. O dal pianto.
Con lo stomaco che minacciava di annodarsi si chinò sulla figurina abbracciata a se stessa rannicchiata fra le lenzuola, ma nel buio era impossibile leggere tracce di lacrime sulle sue guance; con tutta la delicatezza possibile sfiorò la pelle dallo zigomo al mento e si portò il dito alle labbra: sapore di sale, pianto o sudore.
Ci volle un istante perché si rendesse conto di cosa aveva fatto, prima che le sensazioni di Trish gli esplodessero dentro come una bomba ad orologeria: come aveva potuto non realizzare che anche senza leccare direttamente lei avrebbe attivato il suo potere?
Ansia, paura, desiderio, senso di rifiuto, malinconia, speranza, fiducia, languore. I sentimenti di Trish furono un attacco improvviso per i suoi nervi già tesi, non c’era spazio in lui per quella incredibile complessità emotiva.
Gli impulsi di lei si mescolarono a quelli di lui, dando vita ad una specie di dialogo silenzioso nella sua testa, quello che non erano mai riusciti a sostenere a parole: dove Trish pativa il rifiuto, Bruno tremava di desiderio; quando lei riponeva in lui le sue fiducie e speranze lui era spaventato dal futuro e dai pericoli che comportava. Ma al languore rispondeva il languore, quel dilagante senso di calore in fondo allo stomaco che lo prendeva ogni volta che la osservava. E la malinconia del sentirsi lontani pur essendo vicini era la stessa.
Frastornato, acceso d’entusiasmo e immobilizzato dal panico allo stesso tempo, fece un passo indietro, sperando che la sua involontaria incursione nell’animo di Trish finisse in fretta.
Gli sembrava che il cuore dovesse scappare dal petto tanto batteva furioso, come se volesse farsi sentire da lei, svegliarla e mandare alle ortiche la sua copertura.
In un attimo raggiunse la porta del bagno e senza neanche premurarsi di aprirla scivolò all’interno grazie ad una delle sue cerniere, girando poi con foga la chiave.
Appoggiò la fronte al legno compatto, gli occhi strizzati e le dita serrate sulla cornice come se volesse sradicarla dal muro. Era uno stupido, un incosciente, aveva lasciato che il suo istinto prendesse il sopravvento sulla ragione e cosa aveva combinato?
I sentimenti di Trish dentro di lui stavano lentamente scemando, ma non poteva cancellare in alcun modo l’impronta indelebile che avevano lasciato: era lui che scioccamente si aggrappava ad essi perché non svanissero, non voleva dimenticare il senso di desiderio che lo aveva invaso e colmato, il richiamo più potente che avesse mai percepito nei confronti di un altro essere umano.
Sapeva che non avrebbe mai più potuto guardare la ragazza con gli stessi occhi; ora che aveva scoperto la verità sarebbe stato un dolore troppo grande vederla allontanarsi, proseguire sulla sua strada per una vita felice, una vita senza di lui.
Eppure era così che doveva andare.
Lei non era fatta per il suo mondo, non avrebbe mai dovuto entrare in contatto con i pessimi elementi di cui era popolato. Avrebbe dovuto vivere serena, in una bella casa e con una bella famiglia, lontana dalla bruttezza e dal pericolo.
Cercò con tutte le forze di scacciare l’assurda sequela di immagini che andava formandosi nella sua mente a quell’idea: Trish in cucina che prepara un dolce per lui, Trish seduta nella sua piccola barca che lo guarda sorridendo e si crogiola al sole, Trish che stende i panni sul terrazzo, attorniata da uno stuolo di bambini dai capelli rosa e blu…
Per la miseria!
Bucciarati spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo, sconvolto da se stesso.
Doveva essere impazzito, non c’era altra spiegazione.
Per la prima volta dopo mesi si trovò a domandarsi, con una punta di colpevolezza, se allearsi con Giorno non fosse stata in fondo una maledetta, pessima idea.
Represse il pensiero all’istante, sapendo che non avrebbe mai potuto fare una scelta diversa.
Se proprio doveva prendersela con qualcuno quello era il Boss, non certo il compagno. O, forse, la colpa era semplicemente del destino.
Se solo la madre di Trish non fosse morta, se Doppio non fosse stato un completo scriteriato, se Diavolo e suo padre non fossero mai esistiti…
Non poteva mentire a se stesso, anche se avrebbe voluto. Senza quegli eventi Trish non sarebbe mai arrivata da lui…che si faceva orrore da solo, ma non poteva ignorare quella parte di sé felice che tutto ciò fosse successo.
Se ne vergognava, ma non poteva smettere di rievocare i sentimenti di lei. Ed era come ricevere un pugno nello stomaco ogni volta.
Il panico lo mandò in iperventilazione.
Gli sembrava quasi di rivivere la morte di Abbacchio, di Narancia, di suo padre…ancora una volta una persona a cui teneva se ne stava andando, lasciandolo indietro senza dargli la possibilità di raggiungerlo.
A peggiorare le cose, stavolta era lui che la stava spingendo lontano.
Inspirò profondamente nel tentativo di tornare lucido.
Un assurdo aroma di frutta e fiori gli riempì immediatamente le narici, facendogli girare la testa per un istante; ricordava il profumo che colpisce all’ingresso della bottega di un fioraio, ma molto meno equilibrato e molto più stordente.
Sembrava quasi che Trish avesse mescolato tutti i prodotti a disposizione mentre faceva la doccia.  Storcendo il naso si avvicinò alla mensola dove faceva bella mostra un’esposizione di bottiglie e bottigliette di tutti i colori, e una rapida occhiata al livello del sapone all’interno bastò a confermare la sua ipotesi.
Se ad ogni lavaggio fosse stata intenzionata a consumare una quantità simile di bagnoschiuma non sarebbe bastato un mutuo solo per permetterle di lavarsi.
In effetti, se inspirava profondamente, l’odore di quella bizzarra macedonia gli ricordava proprio il profumo che aveva sentito su Trish avvicinandosi.
Aveva sperato di potersi concedere una doccia per distrarsi da tutte le sue preoccupazioni, ma a quanto pare non era possibile.
C’era un solo modo per sottrarsi a tutto ciò, e non si trattava di qualche tecnica segreta della fuga.
Con un profondo sospiro ruotò la manopola della doccia puntandola sul simbolo del freddo.
A mali estremi, estremi rimedi.

Gli sembrava di tremare sotto il getto ghiacciato della doccia da un’eternità.
Sentiva i muscoli completamente contratti scattare involontariamente e brividi dolorosi serpeggiare lungo la spina dorsale; l’acqua era così fredda da far male, ogni goccia sulla pelle sembrava uno spillo acuminato: ora capiva il significato della metafora “morsa del ghiaccio”.
Non poteva più resistere: con una mano intorpidita cercò alla cieca il rubinetto e girò fino a quando non sentì un glorioso tepore scivolargli addosso.
Al contatto con l’acqua calda i brividi si fecero ancora più intensi; si appoggiò alla parete di piastrelle, la testa seppellita nelle braccia, e attese che il calore spegnesse gli spasmi che lo scuotevano.
Probabilmente non era stata una grande idea, di certo Giorno non aveva in mente questo quando gli aveva parlato di “riposarsi”,“evitare sforzi” e “stare al caldo”.
Preoccupato, si guardò il torace pallido e le braccia, finalmente libero dai vestiti.
Gold Experience aveva un potere veramente straordinario: oltre ad avergli letteralmente ridato la vita, o meglio, acchiappato quell’ultima scintilla che c’era in lui prima che si spegnesse del tutto, aveva curato ogni ferita e cancellato qualsiasi segno dal suo corpo.
I lividi e i tagli che ricordava erano spariti, restava soltanto qualche alone rossastro laddove lo sforzo di Giorno non era stato comunque abbastanza: ci sono danni che solo il tempo può cancellare.
Curioso e preoccupato, portò un dito alla bocca e morse la falange con forza: il dolore che sentì fu quasi un sollievo e la vista della goccia di sangue che affiorava sulla pelle bianca una meraviglia. Era tornato normale, era vivo davvero.
Sentiva che avrebbe quasi potuto ridere.
Chiuse il getto dell’acqua e si avvolse in un asciugamano, rabbrividendo all’abbraccio dell’aria fresca; la finestra doveva essere rimasta aperta e le tre del mattino erano passate da un pezzo.
Afferrò distrattamente un altro asciugamano per frizionarsi i capelli e si studiò nel grande specchio sopra il lavandino: cosa avrebbe dovuto fare adesso?
Ora che aveva scoperto per caso i reali sentimenti di Trish (non voleva immaginare l’espressione di Guido se glielo avesse confessato) non poteva ignorarli, ma le sue preoccupazioni rimanevano le stesse: come poteva essere così egoista da volerla tenere al suo fianco, portarla nella sua vita e nel suo mondo?
Eppure Mista aveva ragione; scegliere quale direzione avesse dovuto prendere la sua esistenza senza nemmeno interpellarla significava comportarsi esattamente come aveva fatto suo padre.
Bucciarati non voleva essere un tiranno. Voleva esserle amico.
Forse più che amico.
Si portò le mani alle tempie con un gemito. L’unica possibilità era affrontare Trish e parlare con lei.
Gettò l’asciugamano da una parte e si diresse a passo deciso verso la porta.
Nel buio, appena sfiorate dalla luce della luna, si stagliavano le sagome del letto e del divano.
Con un sospiro profondo fece un passo avanti.
Sarebbe stato corretto. In fondo non era proprio capace di essere egoista.




Nota dell'autrice

Ed eccoci qui con un nuovo capitolo.
D'ora in avanti cercherò di pubblicare sempre in coppia i doppi brani su Bruno "buono" e Bruno "cattivo" (vorrei metterne online uno la mattina e uno la sera), in modo da portare avanti in parallelo i due filoni della storia.
Finalmente ci siamo, la vera parte BruTrish sta arrivando e questa è solo una piccola pausa prima della tempesta: come risolveranno l'annosa questione i nostri piccioncini arrabbiati?
La brevità di questo capitolo dipende dal suo essere un semplice anello di congiunzione fra le due parti significative della storia, come vedete la narrazione procede relativamente poco mentre è lasciato largo spazio all'introspezione...d'altronde è il primo brano interamente dedicato al buon Bruno.
L'interpretazione che ho dato al suo potere è chiaramente originale e un pò edulcorata, ma mi era piaciuta troppo come idea...ed era comodissima ai fini di trama.
Come sempre, grazie per aver letto.
Enojoy

 


 

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Capitolo 11
*** Cap.10B_In cui Bruno è umano e si dimentica pure dei suoi poteri ***


POV del capitolo: Bruno

Bucciarati rientrò nella stanza, le mani strette a pugno nelle tasche e la mascella serrata dalla preoccupazione.
Temeva di trovare Trish ancora sveglia, decisa ad affrontarlo di nuovo e accusarlo di essere incoerente.
Come faceva Guido a pensare che sarebbe stata bene accanto a lui? Poteva trattarsi di un’infatuazione, forse era una specie di strana versione della Sindrome di Stoccolma, ma non poteva avere un reale interesse verso una persona che reputava orribile.
Lo aveva tacciato di essere ridicolo e si era beffata dei suoi principi, uno come lui non era tenuto ad avere una morale: chi mai avrebbe scelto come compagno un individuo ritenuto così spregevole?
Forse Mista riusciva davvero a leggere bene l’animo di Trish, ma con esso tutto il suo carico di dramma adolescenziale e spirito di ribellione; ciò che sentiva restava comunque filtrato da lei, che poteva avere più o meno inconsciamente edulcorato la questione nella sua testa.
Sembrava proprio il tipico soggetto che si lascia prendere la mano dalla crisi ormonale della pubertà, pensò il ragazzo, trovandosi involontariamente a sorridere.
Quando se ne rese conto si prese la testa fra le mani, cercando di scacciare la sensazione di familiarità che gli aveva invaso il petto; non poteva, non doveva permettersi di pensare a lei in certi modi.
Cercando di non fare rumore si avvicinò cautamente al letto, quel tanto che il suo senso etico consentiva, per controllare che la ragazza dormisse sul serio.
Doveva essere andata a letto senza asciugarsi i capelli, che ora formavano un’aureola spettinata intorno al viso: il cuscino era fradicio, si vedeva anche al buio.
Serrò con forza le braccia lungo i fianchi per resistere all’impulso di sollevarle delicatamente il capo e sostituire il guanciale con un altro asciutto. Non era certo di quanto potesse il suo autocontrollo e non voleva svegliarla: sarebbe stato imbarazzante trovarsi in una situazione simile.
Restò immobile per lunghi minuti, cercando di regolare il respiro per calmarsi, osservando le spalle della ragazza che si alzavano e si abbassavano ritmicamente; c’era qualcosa di asincrono nel suo modo di respirare, lasciava sfuggire dei sospiri corti e leggeri, come se avesse il fiato spezzato dalla fatica. O dal pianto.
Con lo stomaco che minacciava di annodarsi si chinò sulla figurina abbracciata a se stessa rannicchiata fra le lenzuola, ma nel buio era impossibile leggere tracce di lacrime sulle sue guance; con tutta la delicatezza possibile sfiorò la pelle dallo zigomo al mento e si portò il dito alle labbra: sapore di sale, pianto o sudore.
Ci volle un istante perché si rendesse conto di cosa aveva fatto, prima che le sensazioni di Trish gli esplodessero dentro come una bomba ad orologeria: come aveva potuto non realizzare che anche senza leccare direttamente lei avrebbe attivato il suo potere?
Ansia, paura, desiderio, senso di rifiuto, malinconia, speranza, fiducia, languore. I sentimenti di Trish furono un attacco improvviso per i suoi nervi già tesi, non c’era spazio in lui per quella incredibile complessità emotiva.
Gli impulsi di lei si mescolarono a quelli di lui, dando vita ad una specie di dialogo silenzioso nella sua testa, quello che non erano mai riusciti a sostenere a parole: dove Trish pativa il rifiuto, Bruno tremava di desiderio; quando lei riponeva in lui le sue fiducie e speranze lui era spaventato dal futuro e dai pericoli che comportava. Ma al languore rispondeva il languore, quel dilagante senso di calore in fondo allo stomaco che lo prendeva ogni volta che la osservava. E la malinconia del sentirsi lontani pur essendo vicini era la stessa.
Frastornato, acceso d’entusiasmo e immobilizzato dal panico allo stesso tempo, fece un passo indietro, sperando che la sua involontaria incursione nell’animo di Trish finisse in fretta.
Gli sembrava che il cuore dovesse scappare dal petto tanto batteva furioso, come se volesse farsi sentire da lei, svegliarla e mandare alle ortiche la sua copertura.
In un attimo raggiunse la porta del bagno e senza neanche premurarsi di aprirla scivolò all’interno grazie ad una delle sue cerniere, girando poi con foga la chiave.
Appoggiò la fronte al legno compatto, gli occhi strizzati e le dita serrate sulla cornice come se volesse sradicarla dal muro. Era uno stupido, un incosciente, aveva lasciato che il suo istinto prendesse il sopravvento sulla ragione e cosa aveva combinato?
I sentimenti di Trish dentro di lui stavano lentamente scemando, ma non poteva cancellare in alcun modo l’impronta indelebile che avevano lasciato: era lui che scioccamente si aggrappava ad essi perché non svanissero, non voleva dimenticare il senso di desiderio che lo aveva invaso e colmato, il richiamo più potente che avesse mai percepito nei confronti di un altro essere umano.
Sapeva che non avrebbe mai più potuto guardare la ragazza con gli stessi occhi; ora che aveva scoperto la verità sarebbe stato un dolore troppo grande vederla allontanarsi, proseguire sulla sua strada per una vita felice, una vita senza di lui.
Eppure era così che doveva andare.
Lei non era fatta per il suo mondo, non avrebbe mai dovuto entrare in contatto con i pessimi elementi di cui era popolato. Avrebbe dovuto vivere serena, in una bella casa e con una bella famiglia, lontana dalla bruttezza e dal pericolo.
Cercò con tutte le forze di scacciare l’assurda sequela di immagini che andava formandosi nella sua mente a quell’idea: Trish in cucina che prepara un dolce per lui, Trish seduta nella sua piccola barca che lo guarda sorridendo e si crogiola al sole, Trish che stende i panni sul terrazzo, attorniata da uno stuolo di bambini dai capelli rosa e blu…
Per la miseria!
Bucciarati spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo, sconvolto da se stesso.
Doveva essere impazzito, non c’era altra spiegazione.
Per la prima volta dopo mesi si trovò a domandarsi, con una punta di colpevolezza, se allearsi con Giorno non fosse stata in fondo una maledetta, pessima idea.
Represse il pensiero all’istante, sapendo che non avrebbe mai potuto fare una scelta diversa.
Se proprio doveva prendersela con qualcuno quello era il Boss, non certo il compagno. O, forse, la colpa era semplicemente del destino.
Se solo la madre di Trish non fosse morta, se Doppio non fosse stato un completo scriteriato, se Diavolo e suo padre non fossero mai esistiti…
Non poteva mentire a se stesso, anche se avrebbe voluto. Senza quegli eventi Trish non sarebbe mai arrivata da lui…che si faceva orrore da solo, ma non poteva ignorare quella parte di sé felice che tutto ciò fosse successo.
Se ne vergognava, ma non poteva smettere di rievocare i sentimenti di lei. Ed era come ricevere un pugno nello stomaco ogni volta.
Il panico lo mandò in iperventilazione.
Gli sembrava quasi di rivivere la morte di Abbacchio, di Narancia, di suo padre…ancora una volta una persona a cui teneva se ne stava andando, lasciandolo indietro senza dargli la possibilità di raggiungerlo.
A peggiorare le cose, stavolta era lui che la stava spingendo lontano.
Inspirò profondamente nel tentativo di tornare lucido.
Un assurdo aroma di frutta e fiori gli riempì immediatamente le narici, facendogli girare la testa per un istante; ricordava il profumo che colpisce all’ingresso della bottega di un fioraio, ma molto meno equilibrato e molto più stordente.
Sembrava quasi che Trish avesse mescolato tutti i prodotti a disposizione mentre faceva la doccia.  Storcendo il naso si avvicinò alla mensola dove faceva bella mostra un’esposizione di bottiglie e bottigliette di tutti i colori, e una rapida occhiata al livello del sapone all’interno bastò a confermare la sua ipotesi.
Se ad ogni lavaggio fosse stata intenzionata a consumare una quantità simile di bagnoschiuma non sarebbe bastato un mutuo solo per permetterle di lavarsi.
In effetti, se inspirava profondamente, l’odore di quella bizzarra macedonia gli ricordava proprio il profumo che aveva sentito su Trish avvicinandosi.
Aveva sperato di potersi concedere una doccia per distrarsi da tutte le sue preoccupazioni, ma a quanto pare non era possibile.
C’era un solo modo per sottrarsi a tutto ciò, e non si trattava di qualche tecnica segreta della fuga.
Con un profondo sospiro ruotò la manopola della doccia puntandola sul simbolo del freddo.
A mali estremi, estremi rimedi.

Gli sembrava di tremare sotto il getto ghiacciato della doccia da un’eternità.
Sentiva i muscoli completamente contratti scattare involontariamente e brividi dolorosi serpeggiare lungo la spina dorsale; l’acqua era così fredda da far male, ogni goccia sulla pelle sembrava uno spillo acuminato: ora capiva il significato della metafora “morsa del ghiaccio”.
Non poteva più resistere: con una mano intorpidita cercò alla cieca il rubinetto e girò fino a quando non sentì un glorioso tepore scivolargli addosso.
Al contatto con l’acqua calda i brividi si fecero ancora più intensi; si appoggiò alla parete di piastrelle, la testa seppellita nelle braccia, e attese che il calore spegnesse gli spasmi che lo scuotevano.
Probabilmente non era stata una grande idea, di certo Giorno non aveva in mente questo quando gli aveva parlato di “riposarsi”,“evitare sforzi” e “stare al caldo”.
Preoccupato, si guardò il torace pallido e le braccia, finalmente libero dai vestiti.
Gold Experience aveva un potere veramente straordinario: oltre ad avergli letteralmente ridato la vita, o meglio, acchiappato quell’ultima scintilla che c’era in lui prima che si spegnesse del tutto, aveva curato ogni ferita e cancellato qualsiasi segno dal suo corpo.
I lividi e i tagli che ricordava erano spariti, restava soltanto qualche alone rossastro laddove lo sforzo di Giorno non era stato comunque abbastanza: ci sono danni che solo il tempo può cancellare.
Lo si diceva anche delle pene d’amore: il tempo cura ogni ferita.
Si chiese quanto ne restasse davvero a lui, se sarebbe mai bastato a lenire quel dispiacere terribile, la nostalgia di perdere qualcosa che non si è mai posseduto.
Curioso e preoccupato, portò un dito alla bocca e morse la falange con forza: il dolore che sentì fu quasi un sollievo e la vista della goccia di sangue che affiorava sulla pelle bianca una meraviglia.
Era tornato normale, era vivo sul serio.
Sentiva che avrebbe quasi potuto ridere.
E rise davvero. Appoggiato alla parete della doccia, gettò indietro la testa e rise con l’acqua che gli entrava nella bocca e negli occhi, tossì e rise ancora, lasciandosi scivolare giù fino a trovarsi rannicchiato su se stesso.
Non credeva di poter essere così attaccato alla sua stessa vita, di tenere così tanto a se stesso.
Per anni non aveva fatto altro che dedicarsi al prossimo e all’organizzazione, arrivando a privarsi di tutto, dalle cose superflue come il divertimento a cose fondamentali come il sonno o il cibo.
Si era sacrificato completamente per proteggere quella che era diventata la sua gente, il suo territorio, la sua squadra. Ora la vita gli stava chiedendo di sacrificarsi ancora.
Mista doveva sbagliarsi, evidentemente certe scelte portano come conseguenza quella di perdere ogni diritto di essere amati.
Era ammirato, rispettato, temuto anche, ma nessuno lo avrebbe amato.
Solo suo padre e Trish, in tutta la vita, avevano manifestato un sentimento simile nei suoi confronti.
Lui, che l’aveva tenuto con sé e accudito per anni, e lei, che aveva guardato oltre l’apparenza.
Di colpo scattò in piedi e spense il getto dell’acqua, infastidito dal calore.
Afferrò un asciugamano dalla pila ordinata in cui erano riposti e vi si avvolse, prendendone un secondo per asciugarsi i capelli.
Di fronte al grande specchio sopra il lavandino cercò di controllare il respiro per calmarsi, ma senza successo.
Aprì gli occhi e incontrò il suo stesso sguardo, scuro e fondo come non l’aveva mai visto.
Sapeva che in fondo aveva scelto, anche se non voleva ammetterlo l’aveva già fatto da tempo.
Gettò l’asciugamano da una parte e si diresse a passo deciso verso la porta.
Nel buio, appena sfiorate dalla luce della luna, si stagliavano le sagome del letto e del divano.
Con un sospiro profondo fece un passo avanti.
Era umano. Era stufo. Ed era egoista.




Nota dell'autrice
Ecco la seconda versione del capitolo dieci!
Stavolta le due opzioni differiscono di poco, soltanto nella parte finale e nell'anticipazione di come la storia evolverà, ma dai prossimi capitoli non si tratterà più di mirror, quanto di brani completamente diversi.
L'idea di rendere questa fic una sorta di storia "a bivi" c'era già dall'inizio, ma poi ha preso forma in questo modo un pò atipico: mentre scrivevo trovavo frustrante l'atteggiamento di Bucciarati ed il suo modo di sacrificarsi vita natural durante per il bene degli altri, ho iniziato ad immaginare come sarebbe stato se si fosse concesso di essere davvero umano e tac...è la trama è nata da sola. Personalmente lo avrei apprezzato in questa chiave più realistica.
Ammetto che non sia facile uscire dal tracciato del personaggio senza snaturarlo completamente, spero di riuscirci.
E voi?? Quale Bruno vi convince di più?
Fatemi sapere nelle recensioni, sarei curiosa di vedere quanti parteggiano per la versione canon e quanti come me non disdegnano un pò di sano egoismo da parte sua.
Namaste

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Capitolo 12
*** Cap.11B_In cui il pettine cerca i nodi ***


POV del capitolo: Bruno e Trish

L’oscurità lo avvolse come una carezza mentre si faceva avanti nella stanza. Solo una debole lama di luna riusciva ad insinuarsi attraverso le tende socchiuse disegnando una striscia sul pavimento; sembrava quasi una strada, un percorso.
Come se volesse dargli un’indicazione, il destino aveva tracciato per lui la via, che lo portava lontano dalla direzione che avrebbe realmente voluto seguire.
Sarebbe stato così facile mettere un piede davanti all’altro, lasciarsi guidare e calpestare quel chiarore così pulito, così puro…
Non c’erano incertezze nel nastro d’argento che si snodava davanti a lui, né dubbi o tentennamenti; la luna compiva il suo moto regolare senza curarsi di sapere se lui le avrebbe dato ascolto o no: forse era certa che lo avrebbe fatto, forse non le importava.
Immobile, la schiena appoggiata alla porta e gli occhi fissi a terra, il giovane inspirò piano: gli sembrava di sentire il suo cuore pulsare in ogni parte del corpo, lo percepiva guizzare nei muscoli e sulle tempie, irrequieto.
Se era tanto semplice andare avanti e lasciarsi tutto alle spalle come mai non si decideva a muoversi?
Il delicato profumo di frutta e fiori che aleggiava nella stanza lo solleticò, procurandogli uno strano nodo nel ventre: credeva davvero di poter resistere ad un richiamo tanto potente?
Sapeva bene che non si trattava di una mera questione di corpi; se è vero che la carne è debole, la sua era temprata da anni di privazioni di ogni tipo.
No, non si trattava di quello; tra le lenzuola  c’erano l’unica persona che avesse mai provocato in lui qualcosa di così inspiegabile e la possibilità di rivalersi su una vita che gli aveva tolto tutto.
Due vittorie in un colpo solo, un affare.
Si sentì male all’istante per aver pensato a Trish in quei termini. Lei non era un trofeo da guadagnare, un qualcosa da prendersi: era un dono che la vita gli aveva fatto. E lui stava pensando di rifiutarlo.
La brezza delicata della notte si insinuò attraverso la vetrata, scompigliando le tende e i pensieri di Bruno: il sentiero di luna tremò, turbato dall’oscillare della cortina che chiudeva la finestra, e il raggio arrivò a colpire per un istante il letto su cui riposava la ragazza.
Era così facile deviare la luce, bastava un minuscolo impedimento per cambiare completamente il suo cammino.
Anche la vita umana era così, un evento insignificante poteva defletterla per sempre.
Trish era la luce e lui l’ostacolo: avrebbe realmente avuto il coraggio di porsi fra lei e il suo futuro, alterando irrevocabilmente il suo destino?
Per un attimo sentì montare la rabbia all’idea che nessuno nella sua vita se lo fosse mai chiesto: non i malviventi che avevano tentato di uccidere suo padre, la polizia che l’aveva giudicato, Polpo che non aveva esitato a sfruttarlo, il suo patrigno, sua madre che se ne era andata, abbandonandolo…
Nessuno si era mai fatto alcuno scrupolo nel porsi sulla sua strada, cambiando le carte in tavola e chiudendo una delle tante porte che il futuro teneva aperta per lui.
Tutti avevano lo avevano costretto a deviare.
La luce che bagnava le lenzuola non poteva che essere una risposta, un segno.
I segni si cercano quando si è presa una decisione e si vuole sentirsi legittimati a portarla avanti.
Bucciarati tentò di mettere a tacere quella voce saggia e comprensiva nella sua testa, prima di rendersi conto che non poteva nascondersi, non da se stesso.
Non voleva la compassione di nessuno, men che meno la propria.
Se era deciso a toccare il fondo lo avrebbe fatto a testa alta, ammettendo le sue colpe e la sua bassezza, fronteggiando la sua stessa natura senza indulgenza.
Avrebbe perso la sua dignità in modo dignitoso; avrebbe sfidato la vita riprendendosi ciò che gli era stato tolto, lasciato che la sofferenza del suo sentirsi spregevole fosse si sciogliesse nel godimento di ottenere ciò che aveva tanto desiderato.
Un lampo scuro gli attraversò gli occhi, le pupille così dilatate che parevano avere inghiottito l’iride, due buchi neri senza fondo. Per la prima volta aveva il coraggio di ammettere la sua parte più negletta, soffocata con cura negli anni eppure ancora così viva e vitale.
Era parte di lui tanto quanto il suo lato buono e, ora l’aveva capito, non poteva farci niente.
Si sarebbe immerso nella melma della propria corruzione con un dolore che era quasi pari al piacere.

La brezza che spirava dalla finestra cambiò direzione, lasciando che le pesanti tende tornassero al loro posto oscillando leggermente.
Come se fosse un segnale, Bucciarati mosse un passo deciso verso il letto.
Sentiva una strana euforia montargli dentro, un’emozione crescente che cavalcava nelle sue vene, riempiendogli le orecchie di un ronzio insistente.
Per la prima volta nella sua vita stava facendo ciò che desiderava piuttosto che ciò che gli imponeva il dovere. Esaltazione e timore si mescolavano dentro di lui: sapeva ciò che voleva, ma non sapeva come prenderselo.
Si fermò accanto al comodino, le ginocchia che sfioravano il materasso, le gambe percorse da un tremito leggero.
Era la sua ultima possibilità di voltare le spalle a se stesso, scegliere ancora una volta la via migliore per gli altri, ma sapeva che non ne sarebbe stato capace: si era già arreso, aveva deciso di non combattere.
Trish si mosse nel sonno, voltandosi verso di lui e portandosi una mano al petto, come a voler nascondere qualcosa.
Non poteva più resistere.
Salì sul materasso senza darsi pena di essere delicato e si avvicinò a lei. Nel sonno era ancora più bella: delicata e vulnerabile, sembrava tornata ad un essere bambina.
Il suo volto, rilassato per la prima volta da tempo, e i lineamenti addolciti gli procurarono un piacevole formicolio. Mentre dormiva non poteva puntare su di lui quello sguardo indagatore e accusatorio che non riusciva a dimenticare; le sopracciglia distese e la bocca buffamente dischiusa in una “o” erano la cosa più tenera che il giovane avesse mai visto.
Si lasciò sfuggire un sospiro tremante e si distese accanto a lei, inoltrandosi per la prima volta nell’abisso del contatto fisico.
Sentiva il corpo minuto di Trish premere delicatamente contro il suo, la trama spugnosa dell’asciugamano che alterava e ammorbidiva i suoi contorni.  Adagiato al suo fianco cercò di farsi più vicino, vincendo la sua naturale reticenza a toccare e lasciarsi toccare: inesperto, non sapeva esattamente cosa fare del proprio corpo e di se stesso.
Per un attimo sentì i muscoli irrigidirsi e fu tentato di andarsene il più lontano possibile: l’amalgama di desiderio e disagio che lo scuoteva lo stava mandando in confusione; pensò che probabilmente avrebbe dovuto vergognarsi, alla veneranda età di vent’anni, di essere fisicamente ed emotivamente incapace di abbracciare un altro essere umano.
Trasse un profondo respiro per calmarsi. Un’occhiata al volto di Trish, pallido  e sottile nella penombra, bastò a rammentargli che quello era esattamente il luogo dove voleva stare e dove sarebbe rimasto.
Attento a non svegliare la ragazza intrecciò cautamente le gambe e quelle di lei, le ginocchia che si scontravano con altre ginocchia, la peluria leggera dei polpacci che sfiorava la pelle liscia di lei.
La sensazione della pelle di un’altra persona sulla propria era sconvolgente, c’era un tale grado di intimità in quel contatto da lasciarlo senza fiato. Cercò di non pensare al fatto che né lui né Trish indossassero alcunché sotto gli asciugamani per non andare definitivamente nel panico.
Con tutta la lentezza di cui era capace avvolse le braccia attorno alla piccola figura, attirandola delicatamente contro il suo petto. I morbidi capelli di Trish gli solleticarono il collo, il suo profumo fruttato gli invase le narici: estasiato, affondò il naso in quella massa setosa e inspirò profondamente, attento a non lasciarsi sfuggire neanche un briciolo di quell’aroma.
Gli ricordava l’odore delle piante di limone che fioriscono in primavera, le foglie grandi e lucide che si tendono al sole, dei gelsomini che si imbiancano di boccioli nei porticati: era un odore di casa.
Se chiudeva gli occhi poteva immaginarsi in un vicolo assolato in Costiera, il riflesso abbagliante del mare negli occhi e la mano di Trish nella sua, coronamento di quel paesaggio perfetto.
Sarebbe potuto rimanere in eterno abbracciato a lei a sognare, al riparo da tutte le difficoltà del futuro, il resto del mondo per sempre fuori dalla questa stanza chiusa a doppia mandata.

E ci rimase.
Senza rendersene conto Bruno Bucciarati si addormentò al fianco di Trish Una, stretto al suo corpo piccolo e caldo, stordito da quella pletora di emozioni che dilagava dentro di lui.
La stanchezza immemorabile accumulata negli ultimi mesi e lo sconvolgimento dell’essere tornato in vita per ben due volte ebbero la meglio: i suoi sensi lo misero fuori combattimento prima che potesse correre nuovamente incontro al pericolo, intrappolandolo nel luogo più sicuro che potesse esserci.
Trish aveva placidamente reagito nel sonno a quell’abbraccio inatteso ma tanto desiderato: il suo braccio sottile si era posato sul fianco di lui e gli aveva donato una tale sensazione di protezione da sopraffarlo: dopo un’intera esistenza passata a sfuggire i peggiori pericoli immaginabili, non riusciva a credere che sarebbe bastata la carezza di una ragazzina a farlo sentire al riparo come nel grembo di sua madre.
Per lunghe e gloriose ore Bucciarati crebbe ed invecchiò in sogno con la persona che dormiva al suo fianco, ignara di quella incredibile dichiarazione d’amore che andava dipanandosi ad un passo da lei.
Sognò una vita intera insieme, passeggiate infinite sulla marina, mano nella mano, baci rubati sulla sabbia fredda della spiaggia di notte, Trish stesa al sole che legge una rivista di moda accanto a lui, Trish all’altare con un sontuoso abito rosa, Trish con in braccio una bambina che è la sua copia in piccolo, con un bambino che è la copia di lui, la somma di tutto ciò che di più bello hanno da regalarsi, Trish, i capelli ormai imbiancanti, che legge ancora riviste di moda, sorride commossa al ricordo di quanto aveva desiderato essere lei su quelle pagine e poi lo guarda, capisce ancora una volta di quanto sia stata fortunata a non finirci mai, perché il suo vero posto è sempre stato lì, accanto a lui…
Una lacrima solitaria sfuggì, non vista, dalle sue palpebre chiuse.
Non era soltanto Trish ciò che Bucciarati stava sognando: era la possibilità di scegliere, una vita in cui era finalmente libero.
Come spaventato dalla realtà, che minacciava di insinuarsi in quella bolla accogliente e delicata, il giovane strinse istintivamente a sé la ragazza, serrando le braccia intorno a lei.
Trish mugolò in risposta a quel trattamento poco delicato, aprendo appena un occhio.
Non poteva dirsi sveglia, ma il movimento di Bruno e la luce del sole, che si allungava sempre di più nella stanza filtrando dalla tenda socchiusa, l’avevano portata in quel limbo fra sonno e veglia in cui la coscienza è più desta di quanto sia la mente.
Per un attimo si chiese dove si trovasse e cosa fosse successo, consapevole che confusione e spavento erano in agguato nella parte di lei che ancora dormiva, ma l’odore familiare che la colse le bastò a capire che non doveva allarmarsi, era soltanto Bruno che aveva invaso il suo lato del letto.
Il complesso intreccio che le si sfocava davanti agli occhi doveva essere suo il tatuaggio: ora che finalmente vedeva il giovane senza la consueta giacca si rese conto di quanto fosse esteso ed elaborato, un elegante inviluppo che lo avvolgeva quasi completamente.
Percorse pigramente la trama di inchiostro con la punta dell’indice, attenta a non perdere mai la traccia: il contatto con la pelle di lui le trasmetteva una piacevole sensazione di formicolio, il suo corpo era così caldo e solido, così accogliente…
Le sua dita strapparono a Bucciarati un sospiro tremolante; il ragazzo si strinse ancora di più a lei, serrando le gambe intorno alle sue, come se volesse intrappolarla.
Trish sorrise contro il suo petto e chiuse gli occhi, deliziata da quella reazione così genuina e spontanea: in fondo non aveva molta fretta di svegliarsi e liberarsi dall’abbraccio di Bruno…
L’abbraccio di Bruno…
L’abbraccio di Bruno.
Se un istante prima era assonnata e semi-cosciente, Trish si trovò di colpo totalmente sveglia, gli occhi spalancati come un gufo. Si sollevò di scatto, acchiappando per un pelo l’asciugamano che minacciava di scivolare via, e abbassò lo sguardo sulla figura ancora serenamente addormentata al suo fianco.
Bucciarati
dormiva
nel suo letto.
Con lei.
Vicini.
Peggio che vicini, abbracciati!
Bruno Bucciarati aveva dormito tenendola stretta, senza che lei se ne rendesse conto.
Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi lusingata, sembrava avesse finalmente ottenuto ciò che tanto desiderava, ma nella realtà dei fatta sentiva solo una rabbia incandescente montare dentro di lei.
A che gioco stava giocando quell’idiota?
Prima recitava la parte del santarellino pudico e pieno di buoni principi, poi se lo ritrovava abbarbicato addosso come una cozza sullo scoglio, per di più mezzo nudo!
E pure lei era mezza nuda, a ben pensarci.
Una cocente sensazione di vergogna la fece arrossire fino alla radice dei capelli scompigliati: dopo la doccia si era semplicemente avvolta in un telo proprio perché sapeva che avrebbe dormito sola; e se l’asciugamano si fosse spostato durante la notte??
Se avesse dormito a bocca aperta?
Magari con il rivolo di saliva che cola, come nei cartoni animati.
E se, non voleva neanche prendere in considerazione l’idea, avesse russato??
Di solito non succedeva, ma chi può mai dirlo?
Era troppo da sopportare appena sveglia, non si trattava certo della più rosea delle mattine.
Quasi senza pensare liberò con uno scatto le gambe dalla presa di Bruno, che reagì sobbalzando e raccogliendo le ginocchia al petto, disturbato da tanta mal grazia, e calò la mano con quanta forza aveva sul viso del ragazzo.
Quel che è troppo è troppo.




Nota dell'autrice: Ed eccoci di nuovo. Dovete perdonare il terribile ritardo nella pubblicazione, ma il tempo non mi assiste e questa parte della storia si sta rivelando più complessa del previsto da mettere in parole.
E' possibile che in futuro l'assetto di alcuni capitoli, questo ad esempio, si modifichi: vorrei cercare di organizzare i brani in modo che abbiano una lunghezza omogenea (fin'ora ce ne sono solo un paio un pò più consistenti) e in questa sezione non è per niente facile; questo capitolo in principio era davvero lunghissimo, cosa che mi stava creando difficoltà sia per la stesura che per la pubblicazione (ci sto impiegando una marea di tempo a concluderlo)...rischiavo di metterlo online fra mezzo secolo!
Così ho deciso di spezzare per esigenze tecniche, ma non sono del tutto convinta ed è probabile che più avanti la ripartizione cambi.
Spero di riuscire a pubblicare almeno il capitolo speculare 11A al più presto, ma purtroppo per un paio di settimane dovrò sospendere tutto.
Nel frattempo vi lascio questo piccolo passo avanti nella questione fra Bruno e Trish...non temete, abbiamo quasi finito di litigare! (ve lo giuro, nella seconda parte di questo capitolo si risolve tutto)
Grazie per la lettura e per la pazienza, ci vediamo presto!
Enjoy

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Capitolo 13
*** Cap.12B_In cui c'è una rivelazione ***


POV del capitolo: Bruno e Trish
 
Bucciarati venne svegliato all’improvviso dal più forte dolore che avesse provato negli ultimi giorni: qualcuno se la stava prendendo con lui mentre era inerme, li stavano attaccando, doveva fare qualcosa!
Quasi cadde dal letto mentre si sollevava di scatto, dimentico di indossare soltanto un asciugamano; biascicando qualcosa di incomprensibile che suonava come “Sticky Fingers” materializzò il suo stand, per poi attaccare alla cieca nella direzione da cui era provenuto il colpo.
Se non fosse stata mortalmente arrabbiata con lui, Trish avrebbe riso: al vedere il sempre posato Bucciarati catapultarsi giù dal letto incespicando nelle lenzuola, mezzo nudo e ancora addormentato, si sentiva quasi ripagata del torto subito.
Ebbe meno voglia di ridere non appena si rese conto che, seguendo i comandi del padrone, lo stand dai pugni micidiali la stava attaccando.
Con un grido fece un balzo indietro e Spice Girl comparve all’improvviso davanti a lei, pronta a proteggerla ed incassare il colpo. Il pugno di Sticky Fingers colpì la nuova arrivata, aprendo su di lei una cerniera che la solcava dalla spalla al bacino, squarciandola letteralmente in due.
A Trish giunse un dolore mai provato prima, così abbacinante da offuscarle la vista: si sentiva il risultato di un trucco di magia mal riuscito, quello in cui il prestigiatore sega a metà la sua graziosa assistente distesa in una cassa di legno.
Si accasciò a terra, aggrappandosi al materasso per non crollare a peso morto sul pavimento, e si portò una mano allo stomaco: o meglio, dove avrebbe dovuto esserci il suo stomaco.
Nella fattispecie, non c’era proprio nulla.
Per un istante la sorpresa fu maggiore della sofferenza e la sensazione di inconsistenza che stava provando quasi un sollievo: tutta la tensione provocata degli ultimi eventi sembrava essere scivolata via perché, a quanto pareva, non aveva più un corpo in cui incamerarla.
Con un orrore indicibile infilò la mano nell’apertura che le tagliava l’addome alla ricerca di qualcosa, ma percepì soltanto una strana e tremenda sensazione di vuoto.
Un grido senza parole le salì alle labbra prima che potesse reprimerlo.
“Cosa hai fatto??! Cosa hai fatto??! Oh mio Dio, oh mio Dio richiudimi!!”
Sollevò lo sguardo terrorizzato su Spice Girl, ridotta nelle sue stesse condizioni ma decisa a mantenere la posizione di difesa che aveva assunto per proteggerla.
Trish spalancò la bocca, orripilata: “Hai colpito Spice Girl!! L’hai aperta in due!! Riparala, per l’amor del Cielo!!”
Lo stand si voltò a guardarla, un’espressione calma e rassicurante nel volto quasi umano: ”Calma Trish, non preoccuparti. Bucciarati ha solo perso il controllo, non è successo nulla di irreparabile. Un colpo e torneremo esattamente come prima”
La creatura appariva serafica, ma non si era arresa senza dare battaglia: il polso di Sticky Fingers penzolava inerte e molle dal braccio, la mano ridotta ad una gelatina.
Fu questione di un istante: non appena Bucciarati si rese conto di cosa era successo e riuscì ad attribuire un senso alle grida sconclusionate della ragazza balzò al suo fianco, chiudendo la cerniera con un fruscio metallico e facendola scomparire.
Tremante e spaventata, Trish si tastò l’addome per controllare che tutto fosse tornato al proprio posto; Spice Girl lanciò al giovane un’occhiata indecifrabile prima di sparire, lasciandolo solo a vedersela con la ragazza.
Bruno la avvolse con fare protettivo e la strinse a sé, cercando di placare il tremore che la scuoteva:”Trish, Trish, perdonami! Non volevo assolutamente colpirti, credevo fossimo sotto attacco! E’ stato un errore imperdonabile…non abbasserò mai più la guardia così tanto” disse con biasimo, una profonda amarezza nella voce.
“Per fortuna non è successo nulla, il tuo corpo è tornato perfettamente a posto, come era prima. Ti chiedo perdono, sono veramente dispiaciuto di averti terrorizzato”
Le spalle di Trish si muovevano veloci contro il suo petto, aveva il respiro accelerato come dopo una corsa; nonostante l’assurdità della situazione Bucciarati non poté fare a meno di apprezzare la vicinanza di lei e aspirare profondamente il suo profumo.
Avrebbe continuato a cullarla, non fosse stato per il sonoro ceffone che lo colpì in pieno viso per la seconda volta da quando era sveglio. Ossia da molto poco.
“Ma sei completamente idiota?? Cosa ti salta in mente di attaccare alla cieca se sai che ci sono io in giro, eh?? Ti sei bevuto il cervello insieme a Mista per caso??”
La sorpresa fu tale che Bucciarati si ritrovò seduto a terra senza sapere esattamente come ci fosse arrivato, una mano premuta sulla guancia dolente e Trish che lo sovrastava, rossa di rabbia come non l’aveva mai vista: “Non è successo nulla secondo te?? Mi hai aperta in due, ho avuto paura che non avrei mai più riavuto il mio stomaco indietro e tu dici che non è successo niente??”
Il giovane cercò di articolare una frase di senso compiuto ma il suo cervello sembrava rifiutarsi di collaborare; l’unico dettaglio che riusciva a mettere a fuoco erano le gambe lunghe di Trish che spuntavano dall’asciugamano, pericolosamente attraenti e pericolosamente piazzate fra le sue; se si fosse avvicinata ancora sarebbe stato alquanto imbarazzante ed altrettanto difficile distogliere lo sguardo.
“Perdonami, è stato imperdonabile” gli fece il verso lei, per una volta intenzionalmente: “ma dico, non sei proprio capace di essere spontaneo?? Altro che dispiaciuto, sei un coglione, che è diverso! Cosa ti ci vuole a dire ‘sono un coglione’??”
La parolaccia, così stonata sulla bocca di una ragazza come lei ma perfettamente intonata allo stato d’animo del momento, lo fece rinsavire.
“Beh, non è esattamente il lessico che uso di solito, ma in fin dei conti il senso è quello…” tentò di rispondere, serrando istintivamente le gambe quando Trish fece un passo avanti, le braccia incrociate e un’espressione omicida in volto.
Guardandolo come se volesse trapanargli il cranio si inginocchiò davanti a lui, occhi dentro gli occhi, senza lasciargli via di scampo.
Bucciarati,  noto assassino, capo regime, fortissimo portatore di stand, capace di sfuggire ad ogni possibile pericolo, si era fatto letteralmente intrappolare da una ragazzina con i capelli rosa: non si trattava soltanto di trovarsi con le spalle al muro, anzi, al letto, e una piccola furia davanti; era una sensazione che nasceva da un recesso di se stesso, un punto che nemmeno lui sapeva ben identificare, ma che lo faceva sentire irrimediabilmente legato a quella meravigliosa creatura che lo fissava con ira.
“Che hai da guardare, ti sei rincretinito del tutto??” esclamò lei, quasi imbarazzata dal suo sguardo; anche nella rabbia era stupenda, gli occhi accesi e guizzanti che lo fissavano con malcelata aspettativa.
Era una pessima bugiarda, proprio come lui.
Bucciarati dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere: era certo che se l’avesse fatto si sarebbe ritrovato tramutato in una melassa. Trish parve intuire cosa stesse pensando, perché Spice Girl vibrò per un istante al suo fianco. Sì, stava decisamente valutando se trasformarlo in una marmellata per il resto della sua vita.
“Tralasciamo per un istante il fatto che tu abbia cercato di ridurmi ad uno spezzatino con le tue maledette cerniere…” iniziò la ragazza, la mano istintivamente portata sullo stomaco, come se potesse bastare a proteggerla da lui.
Nella realtà nulla poteva proteggerla da lui.
I dubbi e i timori che lo avevano tormentato durante la notte tornarono vividi, facendogli serrare la mascella per la tensione: aveva compiuto un passo fatale credendo di saperne accettare le conseguenze, ma evidentemente si era sopravvalutato.
O meglio, aveva sottovalutato i suoi sentimenti verso Trish: nonostante il desiderio di averla per sé fosse bruciante, la volontà di tenerla al sicuro era più forte, molto di più…
Era innegabile: per tutta la vita avrebbe preferito sacrificare se stesso piuttosto che mettere qualcun altro in pericolo.
Eppure, nonostante tutto, non riusciva ad ignorare lo spasmo che gli scuoteva lo stomaco al solo vedere Trish così vicina: poteva contare le pagliuzze chiare intorno alle sue iridi, individuare una spruzzata di lentiggini sbiadite sul naso…
 “Bucciarati, mi stai almeno ascoltando??”
Il giovane tornò alla realtà, tradito da un sobbalzo e un lampo colpevole negli occhi.
“Perd…scusami Trish, stavo riflettendo. Cosa hai detto?”
La ragazza alzò gli occhi al cielo:”Impiegando circa cinque minuti” sillabò, come se stesse parlando ad un bambino “ti ho chiesto cosa diamine ci facevi addormentato nel mio letto. Appiccicato a me per giunta” concluse, voltando la testa con sdegno per nascondere l’imbarazzo: non ce la faceva ad ammettere che si erano svegliati abbracciati. Se lo avesse detto ad alta voce si sarebbe sicuramente tradita, non sarebbe riuscita a mascherare il piacere che quella sorpresa le aveva regalato.
Bucciarati inspirò profondamente, tentando di regolarizzare il respiro e controllare la voce.
Ore prima aveva fatto una scelta: era giunto il momento di pagarne il prezzo, qualunque fosse.
Con tutto l’autocontrollo di cui era capace si sporse in avanti ed afferrò Trish per la vita, traendola a sé  e sistemandola delicatamente fra le sue braccia.
Con sommo sconvolgimento la ragazza si ritrovò ancora una volta stretta al corpo forte del giovane, la sua pelle calda e compatta contro la propria. Un brivido improvviso la percorse da capo a piedi: impossibile sperare che lui non se ne fosse accorto.
“Trish” iniziò Bucciarati, le mani che stringevano quelle di lei con delicatezza “voglio che tu capisca che una parte di me reputa ciò che sto per dire e fare un grandissimo sbaglio. In tutta la mia vita non ho mai agito per interesse personale, ho sempre cercato di mettere gli altri al primo posto... perché… beh, perché per me è la cosa più importante.
Non ho nulla di bello o di buono da poter offrire a qualcuno, al di fuori della mia protezione. Quella che deriva dal mio essere un malavitoso, lo ammetto.
Ti ripeto che far parte dei ‘cattivi’ non significa necessariamente essere degli scriteriati, basta guardare Giorno per capirlo…ma ci sono delle implicazioni che non sono trascurabili.
Il rispetto che la gente mi riserva è stato in parte guadagnato con la violenza. Per proteggere qualcuno, è quasi sempre necessario scontrarsi con qualcun altro”
Il giovane si fermò e trasse un sospiro, come se volesse buttare fuori il marcio che anni di crimini avevano accumulato in lui.
“Stanotte ho pensato molto alle cose che mi avevi detto… e a delle cose che mi ha detto Guido”
la osservò di sottecchi, valutando la sua reazione all’intrusione dell’amico nella faccenda
“Prima che tu te la prenda anche con lui lasciami spiegare. Mista è stato solamente sincero, ha messo in parole ciò che io non avevo il coraggio di ammettere e che mi preoccupava da diverso tempo.
Non sei molto brava a nascondere i tuoi sentimenti Trish” disse il giovane sorridendo, reprimendo una risata di fronte all’espressione sconcertata di lei.
“Scusa?? Cosa c’entro io adesso?” ribatté la ragazza con voce acuta, le guance che tornavano ad imporporarsi ad una velocità allarmante.
“C’entri, perché Guido si era reso conto dei tuoi reali sentimenti da molto prima del vostro scambio di corpi. Nonostante sostenga di capirti molto meglio dopo quello strano evento, non nega che le tue, uhm, attenzioni nei miei confronti fossero già da tempo palesi.
Ieri sera mi ha quasi fatto venire un infarto quando ha commentato la questione” aggiunse Bucciarati con un debole sorriso, il cuore che si stringeva all’idea di come aveva prontamente rigettato la tesi dell’amico “Credo di non averlo mai trattato così male da quando lo conosco, non potrei scusarmi abbastanza neanche alzandogli la paga” tentò goffamente di scherzare, i sensi pronti a captare qualsiasi reazione di Trish.
Lei taceva, la bocca serrata ridotta ad una linea sottile.
“Insomma, se prendessi in considerazione l’idea di diventare un nuovo elemento della squadra sarei costretto a rifiutare la tua candidatura, saresti una pessima spia” la prese bonariamente in giro il giovane, nella speranza di ammorbidirla.
“Di contro, se volessi entrare a far parte della famiglia… non come una dei nostri, questo è chiaro, quanto piuttosto come…”
La ragazza balzò in piedi come se se fosse stata percorsa da una scarica elettrica  e l’impeto dello scatto lo avrebbe mandato steso a terra se non fosse stato appoggiato al letto.
Si ritrovò con il viso di Trish ad un palmo dal proprio, l’indice dall’unghia perfettamente curata che si agitava minaccioso davanti ai suoi occhi:”Stammi bene a sentire, a che gioco stai giocando??” esclamò rabbiosa  “Prima mi tieni a distanza come se fossi un pericolo, una terribile minaccia per la tua immacolata virtù” la voce si alzò pericolosamente di un tono “e ti rifiuti di dormire con me in un letto che potrebbe tranquillamente ospitarci tutti e quattro” l’intensità  salì di un’altra tacca “poi mi sveglio con te che mi dormi letteralmente addosso e, alla faccia del tuo pudore da verginella, sei praticamente nudo!!” continuò gridando, la voce così acuta che sfiorava l’ultrasuono.
“E adesso, dopo la paternale che hai avuto il coraggio di farmi, ieri mi proponi di diventare una di voi?? Ma sei completamente scemo??”
Bucciarati si sentì morire e abbassò lo sguardo, al colmo della vergogna ed incapace di sostenere ancora gli occhi di lei, piantati nei suoi come due spilli. Cercò di non pensare al fatto che sicuramente tutti gli occupanti del piano dovevano averla sentita; sperò che nessuno fosse troppo intenzionato a fare pettegolezzi (o peggio, a chiamare la sorveglianza) e, soprattutto, che Giorno e Mista non piombassero in camera proprio in quel momento.
Dipinto in quel modo da Trish in persona il suo gesto sembrava la più orribile delle azioni: all’improvviso si scoprì a sentirsi come il cattivo di quelle orribili telenovelas che tanto piacevano a Narancia, il classico fedifrago pronto ad insidiare l’onore della bella protagonista di turno per soddisfare i suoi vizi.
Non era quello l’epilogo che aveva immaginato per tutta la notte: nei suoi sogni Trish si svegliava placidamente sorpresa, accettava con gioia la sua presenza e accoglieva la sua difficile confessione, suggellando la felice loro avvenuta unione con un bacio da capogiro.
Come era sembrato tutto perfetto nella sua mente…
Lui sapeva esattamente cosa dire e Trish sembrava conoscere la risposta giusta da sempre, come se il loro dialogo fosse già scritto.
La scena del bacio era rimasta piuttosto confusa, cosa che gli aveva provocato una certa insoddisfazione: era stato come tentare di scrutare attraverso una fitta nebbia, riusciva a cogliere il senso generale della situazione senza vederne i dettagli… d’altronde come poteva pretendere di immaginare con esattezza qualcosa che non aveva mai vissuto?
Tutto ciò che ne ricavava era la sensazione di entusiasmo e sollievo all’idea di posare le sue labbra su quelle di Trish, per poi sperare che almeno lei sapesse cosa fare.
Nella realtà era andato tutto storto. Si chiese come avesse potuto tralasciare il piccolo particolare del carattere infiammabile della ragazza: avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato così facile.
Si rese conto che la stava fissando attonito da un lungo attimo; lei, le gambe saldamente piantate a terra e le mani strette a pugno, continuava a guardarlo dall’alto con disprezzo, in attesa di una risposta.
“Trish” iniziò Bucciarati, senza sapere esattamente cosa volesse dire.
Di fronte al suo tono contrito lei sbuffò pericolosamente.
“Trish” provò di nuovo, più deciso “Hai perfettamente ragione, non posso che biasimarti e chiederti scusa. E’ stato veramente scorretto e disdicevole da parte mia, e ti chiedo perdono”
Si rese conto all’istante che non erano delle scuse che avrebbero placato la sua furia, sebbene gli sembrasse necessario fare ammenda per il suo gesto; ci avrebbe scommesso, stava per prenderlo a pugni gridandogli di smetterla di essere sempre così puntiglioso e distante.
“Però” continuò con impeto, prima che la ragazza potesse interromperlo “C’è una ragione per cui mi sono comportato così”
Bucciarati trasse un respiro profondo e si costrinse a guardarla negli occhi. Non era pronto per quella confessione, non lo sarebbe mai stato, ma all’improvviso si rese conto che avrebbe voluto esserlo: se lo sarebbe imposto, avrebbe realmente seguito la strada che aveva scelto.
“Quando ieri sera ti ho respinto è stato soltanto per proteggerti… l’ho fatto in nome di… di qualcosa che provo per te, da diverso tempo…” asserì compito, le guance che viravano verso la tonalità ciliegia, un sorriso timido sbocciato sulle labbra di fronte all’espressione allibita di lei, interdetta dall’inattesa dichiarazione.
“Non posso più negare che ci sia… qualcosa, appunto. Avrei voluto poter ammettere apertamente questa cosa, ma la mia esistenza non me lo ha permesso.
Rivelarti tutto questo è la cosa più sciocca che potessi fare, ti sto deliberatamente mettendo in pericolo e sto accettando di trascinarti in un mondo che vorrei tu non avessi mai conosciuto.
Guido mi ha fatto riflettere, ha detto che era ingiusto che io scegliessi per te la direzione della tua vita senza consultarti e senza darti possibilità di scegliere. Ebbene, ho deciso di seguire il suo consiglio, di darti tutti gli elementi per stabilire come vuoi immaginare il tuo futuro.
Non avrei mai voluto mostrarti questa possibilità” la voce di Bucciarati si fece di colpo dolente “ma sono umano anch’io, egoista e smanioso di ottenere ciò che desidero da molto tempo. Non credevo di essere in grado di fare quello che ho fatto… ma a quanto pare non sono esattamente una brava persona come pensavo di essere” aggiunse con un sorriso amaro, fissando per un attimo un punto lontano, oltre le spalle di Trish.
Si riscosse e cercò di scacciare la sensazione di malessere che lo aveva colpito: oramai si era spinto troppo oltre, non aveva più senso pentirsi delle sue azioni.
“Non sto assolutamente dicendo che tu debba sentirti legata a me, a noi, in qualche modo” proseguì frettolosamente, consapevole che se avesse smarrito il filo del discorso non sarebbe mai più stato in grado di ritrovarlo “ma quello che provi è chiaro; ora sai cosa provo io, hai tutti gli elementi per decidere dove vuoi andare. Beninteso, non ti sto chiedendo di restare accanto a me; non ti priverei mai della possibilità di condurre la vita che sogni, ovunque essa sia. Solo… ti sto mostrando un’opzione”
Il giovane alzò lo sguardo e lo puntò dritto negli occhi di lei, completamente abbacinata.
“Stanotte ho fatto una scelta.
Ho deciso che, per una sola volta nella vita, mi sarei concesso il lusso di seguire i miei desideri.
Se non vorrai mai più sentir parlare di noi capirò; non ti farò una colpa di nulla e mi impegnerò al massimo per trovarti una sistemazione che sia esattamente come tu la vuoi.
Avrò il ricordo di questi momenti e vivrò felice che siano accaduti, felice di avere avuto il coraggio di osare, almeno stavolta”
Affaticato come se avesse corso una maratona Bucciarati si lasciò andare contro il bordo del letto; il peso della confessione lo aveva privato di ogni forza, sentiva le mani tremare e le serrò a pugno per nascondere l’emozione.
Ora non poteva fare altro che attendere la mossa di Trish.




Nota dell'autrice:
Alla fine sono tornata.
Confesso che questa storia non mi sta più convincendo: ho perso la passione nello scriverla e la soddisfazione nel portare avanti il mio headcanon (che resterà BruTrish tutta la vita), così come ho meno voglia di leggere e scrivere riguardo Jojo in questo periodo. Sarà perchè è troppo allegro? Chi lo sa.
Ho deciso che cercherò comunque di portare a termine la storia, che ne uscirà probabilmente un pò accorciata rispetto all'idea originale. Quello che cambierà è il ritmo della pubblicazione, che diventerà saltuario: per ottenere comunque un risultato valido ho deciso che lascerò tempo al tempo, l'unico sforzo che farò sarà quello di condensare e chiudere la storia in altri pochi capitoli (vorrei pubblicarne altri 2, massimo 3).
Detto questo mi dispiace per l'attesa, spero che il nuovo (apparentemente lunghissimo) capitolo vi soddisfi e grazie ancora per la lettura.
Namaste

 

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