Is It Love?

di PrimbloodyBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Uno Spiacevole Incontro ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - La Donna Dalla Chioma Rossa ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - La Sottile Linea Che Divide Morte E Libertà ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Il Concilio Dei Quattordici ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Odio e Piacere ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Effetti Collaterali ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - "Sono una cacciatrice" ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Rhea ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Fiducia ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - "Mi ricordi qualcuno" ***
Capitolo 11: *** Caro diario -parte 1- ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Perdere il Controllo ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Promesse Infrante ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Non Si Può Respirare Sott'Acqua ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Un Futuro Più Roseo ***
Capitolo 16: *** Caro diario -parte 2- ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15 - Una Stanza Un Letto ***
Capitolo 18: *** Capitolo 16 - Sorella Maggiore ***
Capitolo 19: *** Capitolo 17 - Confusione ***
Capitolo 20: *** Capitolo 18 - Onsra ***
Capitolo 21: *** Capitolo 19 - La Verità Nascosta ***
Capitolo 22: *** Capitolo 20 - Due Strade ***
Capitolo 23: *** Mappa di Styria ***
Capitolo 24: *** Capitolo 21 - "Non ho mai voluto questo" ***
Capitolo 25: *** Capitolo 22 - Ultimo Saluto ***
Capitolo 26: *** Capitolo 23 - Tradimento ***
Capitolo 27: *** Caro diario -parte 3- ***
Capitolo 28: *** Capitolo 24 - Uno Spiacevole Doppio Gioco ***
Capitolo 29: *** Capitolo 25 - Un'Ignota Minaccia ***
Capitolo 30: *** Capitolo 26 - Finirà Mai Tutto Questo? ***
Capitolo 31: *** Capitolo 27 - Rischi ***
Capitolo 32: *** Capitolo 28 - Tianama ***
Capitolo 33: *** Capitolo 29 - Cassandra Von Gotha ***
Capitolo 34: *** Caro diario -parte 4- ***
Capitolo 35: *** Capitolo 30 - I Nostri Sentimenti ***
Capitolo 36: *** Capitolo 31 - Jemma Capitol ***
Capitolo 37: *** Capitolo 32 - Incomprensioni ***
Capitolo 38: *** Capitolo 33 - io, te, noi... interludio ***
Capitolo 39: *** Capitolo 34 - Legami ***
Capitolo 40: *** Capitolo 35 - L'Arte Della Guerra ***
Capitolo 41: *** Capitolo 36 - Dietro l'Amore si Nasconde l'Egoismo ***
Capitolo 42: *** Capitolo 37 - Rovesciare Foglie ***
Capitolo 43: *** Capitolo 38 - Caos che Avanza ***
Capitolo 44: *** Capitolo 39 - Doni dal Passato ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Uno Spiacevole Incontro ***


Eloyn

Era notte fonda e faceva freddo. Sentii il mio intero corpo premuto contro la parete. Mani gelide si facevano strada lungo la mia calda pelle, mentre un dolore atroce si rivestiva sul mio collo. Avevo la vista annebbiata, mi reggevo a stento in piedi. Cercai di rimanere in equilibrio con tutte le mie forze ma fu in vano. Sarei caduta a terra se quelle mani non mi avessero afferrata. Ormai non avevo più forza in corpo, non riuscivo neanche più ad urlare. Avevo il viso bagnato dalle lacrime, l'armatura, violentemente strappata, lasciava scoperta la mia spalla, su cui continua a colare sangue. Non sentivo neanche più dolore, ero intorpidita, come se mi avesse iniettato qualcosa.

Improvvisamente sentii il mio corpo sollevarsi. La stessa figura che un attimo prima mi aveva attaccata adesso mi teneva in braccio.
Appoggiai la mia testa involontariamente sul suo petto. Potevo sentire il suo battito cardiaco pian piano placarsi. Per quanto cercassi di tenere gli occhi aperti, mi circondai di un immenso buio e caddi nel mondo dei sogni.

Quella notte starebbe stata la mia prima battuta di caccia. Ero ansiosa ma allo stesso tempo sicura di me. Erano anni che mi allenavo e finalmente avrei potuto portare a termine la mia vendetta. 
Avevo deciso di diventare una cacciatrice di vampiri, nonché protettrice del villaggio, in modo tale che nessuno avrebbe più provato ciò che avevo provato io quando era ancora solo una bambina. 
Quei succhiasangue avevano sterminato la mia intera famiglia e avrebbero ucciso anche me se non fosse stato per quello che oggi considero mio padre e mentore.

Ogni notte quei mostri vengono nei nostri villaggi e rapiscono ragazzi e ragazze della mia età per schiavizzarli e nutrirsi del loro sangue.
Questi esseri sono immortali, ma hanno sangue che scorre nelle loro vene e un cuore. Hanno abilità fisiche superiori delle nostre. L'univo modo per ucciderli è trafiggerli nel petto, o comunque procurandogli una ferita mortale, come la decapitazione.

Noi abbiamo un confine che divide il mondo degli umani con quello dei vampiri. Il mio villaggio si trova al limite del confine, ovvero un bosco. 
Una volta superato ci ritroviamo nel loro territorio.

Quella fatidica notte mi comportai da irresponsabile. Agii d'impulso e non usai la ragione. Stavamo perlustrando il villaggio, mentre un altro gruppo si trovava nel bosco. 
Stavo con mio padre, mi sentivo protetta ed al sicuro, ma lui non sapeva che doveva proteggermi anche dalla mia stessa stupidità.

Venimmo attaccati da due di loro, eravamo in cinque e ce l'avremmo potuta fare, ma fui distratta. Fui distratta da una figura in lontananza che sembrava trascinare qualcuno con se. Fu in quel momento che persi la ragione. Corsi verso di loro, volevo solamente salvare quel malcapitato, ovviamente non avrei mai potuto pensare che poi sarei stata io quella da salvare.

Appena mi videro, girarono l'angolo e quando arrivai erano spariti. Ero arrabbiata, mi sentivo impotente, avrei potuto salvare qualcuno, ero stata incapace di seguire il mio compito. Continuai a girarmi in torno ma non c'era nessuno, potevo ancora sentire in lontananza i fendenti di spada dei miei compagni. Non appena feci per tornare in dietro, sentii una mano afferrarmi l'armatura. D'impulso afferrai la spada e neanche il tempo di attaccare che mi ritrovai con la faccia a terra e una persona sopra la mia schiena.

Iniziai ad ansimare, facevo fatica a respirare. Sentii quell'essere ridere e poi un'altra risata si aggiunse alla sua. Quella di prima era una trappola ed io come una stupida c'ero cascata.

"Ma che bel bottino!" disse la donna sopra di me. Lo disse in modo sensuale e allo stesso tempo divertito. 
Io rabbrividii non appena posò la sua mano sul mio collo. Cercai di dimenarmi ma era inutile, cercai anche di chiedere aiuto ma nessuno venne in mio soccorso. Alzai la testa per vedere il viso dell'orrenda creatura ma elle mi spinse giù con la mano. Con la poca visuale che avevo cercai di trovare un modo per uscire da quella situazione. Tutte le case erano sbarrate, sia porte che finestre. Vidi degli occhi sbucare fuori da una fessura della finestra, erano occhi spaventati, ma non per me, ma per lei stessa. Nessuno si sarebbe mai voluto trovare nella mia situazione.

"Cosa ne facciamo di lei mia signora?" disse un ragazzo dietro di lei. Vedendo che esitava a rispondere insistette. "È una cacciatrice dobbiamo ucciderla!"

"Sta zitto Jason, sono io che decido qui!"

"Mi perdoni non volevo mancarle di rispetto"

"Sai tesorino, sei un bel bocconcino, sarebbe uno spreco lasciarti qui."

Cercai nuovamente di dimenarmi non appena sentii il suo respiro avvicinarsi.

"Non vuoi proprio perdere eh?"

Serrò la sua stretta sui miei polsi così forte che gemetti. La sentii ridere e intravidi un ghigno sul suo viso. 
Mi lasciò uno dei polsi e con prepotenza mi strappò una parte del l'armatura. Questa mi lasciò scoperto l'intero collo e la spalla. 
In quel momento ne approfittai e con la mano libera riuscii a raggiungere il pugnale che tenevo sul fianco. Lo estrassi con abilità, cercai di colpire la donna, che sorpresa di quel gesto, si alzò. Mi rimisi in piedi con gran velocità, raccolsi la spada che mi era precedentemente caduta e la puntai contro i due esseri.

Puntai lo sguardo sulla donna e ne fui completamente ammaliata. Aveva lunghi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle e due bellissimi occhi grigi. Per un momento avevo addirittura dimenticato che quello era il nemico. Ripresi immediatamente il controllo non appena la donna mi attaccò. Fu così veloce che mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio e il suo sorriso che indicava che aveva già vinto. Sentii la sua mano stringermi il collo, le sue unghie dentro la mia carne mi fecero gridare per il dolore. Vidi i suoi occhi illuminarsi alla vista del mio sangue. Quel bel grigio si era trasformato in un orrendo rosso.

Mi sbatté contro il muro, sentii i suoi canini infilarsi nel mio collo. Gridai per il dolore, chiamai i miei compagni in cerca di aiuto, ma lì c'ero solo io e quei due mostri.

La donna si staccò dal mio collo e sospirandomi nell'orecchio disse, "Se smetti di resistere, potrebbe iniziare a piacerti."

"Mai!" dissi agonizzante.

Con quella risposta la donna riniziò a mordermi. Nuovamente fui colpita da un ondata di dolore. Mi sentii privata delle mie energie, pian piano la mia voce venne meno. I pugni che tenevo ben serrati iniziarono ad ammorbidirsi finché le mie braccia non caddero completamente. Anche le mie gambe si reggevano a stento, era quella donna che mi reggeva. Sentii una mano infilarsi sotto l'armatura e poi sotto la maglietta. Iniziò a graffiarmi ma ormai non riuscivo a sentire più nulla, la vista stava scomparendo così come tutti gli altri sensi. Priva di energia caddi a terra ma venni sollevata da quella donna che mi prese premurosamente in braccio e mi portò via circondata dall'oscurità.

Quando mi risvegliai sentii un confortevole calore. Le coperte erano così calde e morbide che mi ero dimenticata che ero stata attaccata e morsa da un un vampiro. Sgranai gli occhi e scesi subito dal letto, notando a mia sorpresa che avevo una sottoveste bianca addosso. Mi guardai intorno, era una stanza piccola con un letto, una scrivania e un armadio. Dietro il letto c'era una finestra e senza pensarci due volte mi affacciai. 
Notai che era pomeriggio, il sole splendeva più che mai, dovunque mi trovavo era sicuramente disperso nella vegetazione. Nessuno umano era tornato vivo dal mondo dei vampiri, quindi non sapevamo minimamente come fosse il loro mondo, ma a quanto pare è molto simile al nostro.

Il cuore mi sobbalzò non appena sentii il pomello nella porta girarsi. Mi girai di scatto, ero impaurita, non avevo armi e non avevo vie di fuga. 
Quando la porta si aprì una figura snella si fermò sull'entrata. 
Era una ragazza, bionda con occhi marroni, probabilmente poco più grande di me. Appena mi vide in piedi mi sorrise, poi vedendomi impaurita cerco di calmarmi mantenendo le distanze.

"Stai tranquilla, non voglio farti del male"

Ero ancora sull'allerta, anche se sembrava indifesa era pur sempre un vampiro.

"Sono venuta per vedere come stavi, ti hanno affidata a me, sono un dottore"

La ragazza si avvicino lentamente alla scrivania e aprendo un cassetto tirò fuori un barattolo con delle pastiglie.

"Tieni, prendine una."
Disse allungando la mano verso di me.

Non sembrava cattiva o violenta quindi mi decisi ad avvicinarmi. 
Le afferrai velocemente e mi allontanai.

"A che cosa servono?"

"È per quando ti prelevano del sangue"

Divertente... Ha evitato di dire la parola succhiare. Perché è questo quello che fanno loro, ti succhiano il sangue finché non diventi un guscio vuoto.

"Sei stata a letto per un giorno intero, avrai fame scommetto." Annuii.

"Bene, allora ti porto qualcosa da magiare-"

"Aspetta! Chi è stata la donna che mi ha morso? Aveva dei capelli rossi e occhi grigi." dissi prendendo un po' di coraggio.

"È la padrona della casa, nonché una dei cinque lord del regno vampiro. Sei stata davvero sfortunata ad essere marchiata da lei..."

Mi stupii vedendola triste in quel modo. Non avrei mai pensato che un vampiro potesse provare pena per un umano.

"In che senso marchiata?"

"lei è stata il primo vampiro a morderti e quindi ti ha marchiata, sei di sua proprietà adesso"

Proprietà di quell'essere?! Mai e poi mai...

"Posso chiederti come ti chiami?"

"Amelie, tu invece?"

"Eloyn"

"Piacere di conoscerti Eloyn, sarò presto da te." 
Andò verso la porta e mi rivolse un ultimo sorriso.

Aspettai dieci minuti e la vidi ritornare con un vassoio con acqua e carne. Mangia così velocemente che rischia di strozzarmi, Amelie si mise a ridere e mi diede delle pacche sulla schiena.

"Tranquilla che non ti corre dietro nessuno"

"Questo è quello che pensi tu." 
Mi zitti immediatamente dopo, pentendomi di aver aperto bocca. Non posso permettermi di essere sfacciata perché se si arrabbiasse probabilmente mi morderebbe.

"Sai io ho scelto di prendermi cura di te e degli altri ragazzi proprio perché trovo ingiusto tutto questo. Ma alla stesso tempo lo capisco perché anch'io ho bisogno del vostro sangue.
Ma da dottore quale sono non farei mai nulla che possa fare del male a te o agli altri, quindi ti puoi fidare."

Non sapevo cosa dire quindi mi limitai ad annuire. 
Dopo qualche minuto di silenzio la porta della stanza si aprì e la vidi. Quella donna!

"Amelie ora puoi andare."

"Certo." 
Poi si girò verso di me e poggiò la sua mano sulla mia spalla in segno di conforto. 
"Una volta che avrà finito tornerò subito da te, non preoccuparti."

Finito di fare cosa?!

Le afferrai istintivamente il braccio, mi guardò con occhi pieni di compassione, probabilmente stavo facendo un espressione davvero terrorizza.

"Amy dai!"

"Sì subito." 
Abbassò lo sguardo è uscì fuori dalla stanza.

Ero terrorizzata...

"Bene bene, non mi interessa se ti sei appena svegliata, ho fame e tu mi darai un aiutino" 
Disse con un orribile ghigno.

"Non provare ad avvicinarti!"

"Sennò? Mi uccidi?" Disse facendo dei passi verso di me.

"Ti ho detto di stare lontana!"

"Tesoro non devi avere paura. Se ti lasci andare capirai che non è così male."

"Una volta che mio padre capirà che mi avite rapita, verrà qui e ti ucciderà!"

"È una minaccia ragazzina?!"

Avvolte mi chiedo perché sono così impulsiva e non penso a quello che dico.

Si avvicinò ancora di più, ormai non avevo via di scampo. I suoi occhi grigi fissavano intensamente i mie e per un secondo mi persi in quello sguardo. 
Ormai ero ferma e immobile, senti le sue mani passare sulle miei braccia fino ad arrivare alla spalla. Con le dita mi toccò dove la sera prima mi aveva morso. Aveva un tocco dolce, non sembrava neanche l'essere che mi aveva quasi dissanguata.

Con le mani mi spinse sul letto ed io persi l'equilibrio. Stavo per rialzarmi quando con una mano mi respinse giù, ma delicatamente. Salì sul letto, sopra di me. Avevo i suoi lunghi capelli rossi che mi sfioravano il viso. Mi prese i polsi con le mani e me li portò sopra testa. Il cuore mi batteva forte, avevo paura ma allo stesso tempo la sensualità di questa persona mi faceva dimenticare che era un predatore desideroso del mio sangue.

Continuava a guardarmi intensamente negli occhi, si avvicinò sempre di più al mio viso ed io impaurita chiusi gli occhi, preparandomi all'imminente dolore. 
Ma invece sentii qualcosa di morbido premere contro le mie labbra. Stupita cappii che mi stava baciando. Tenni la bocca serrata ma lei continuò. Alla fine mi lasciai andare con l'idea che non mi avrebbe mollato finché non avrebbe ottenuto ciò che voleva. Mi faceva male nell'animo, stava schiacciando il mio orgoglio, il solo pensare che avrei passato il resto della mia vita così mi fece lacrimare.

"Non devi avere paura" 
Disse vedendo le mie lacrime.

Riniziò a baciarmi questa volta con più foga, le lasciai fare ciò che voleva. 
Poi passò a baciarmi la guancia e poi insistentemente in collo. Non c'era violenza nei suoi gesti e questo mi stupì. Mi stupì anche il fatto che mi stava piacendo e rimasi disgustata da me stessa.

Con la coda dell'occhio vidi le coperte sporche di sangue e immediatamente capii. Mi sta succhiando il sangue! Come ho fatto a non accorgermene! 
Iniziai a dimenarmi, ciò che prima sembrava quasi piacevole iniziò a trasformarsi in una dolorosa tortura.

"Smettila!"

Sentii le sua mani stringermi di più i polsi. Iniziai a muovere freneticamente le gambe ma era inutile, non voleva staccarsi.

"Fa male! Ti prego! Basta..."

Sentii la mia energia pian piano diminuire, tanto che la sua presa sui mie polsi cessò.

"Ti avevo avvertita, te ti fossi lasciata andare non avrebbe fatto male!"

Aveva gli occhi rossi e la bocca sporca di sangue. Si leccò le labbra come se avesse assaggiato la cosa più buona del mondo.

"Per questa volta ti perdono anche perché..."

Poi avvicinandosi al mio orecchio sussurrò, "... Sei deliziosa, tesoro mio!"

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Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, votate e commentate, mi farebbe molto piacere. Chiedo venia per qualsiasi errore grammaticale abbia fatto, i capitoli non hanno una data precisa, usciranno quando avrò l'ispirazione (che parolone ahahah). 

Alla prossima =D

Ps: se volete, andate a dare un occhiata alla mia serie principale Creature dell'Ombra, è sui licantropi.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - La Donna Dalla Chioma Rossa ***


Eloyn

Subito dopo che quel mostro uscì dalla stanza, cercai di mettermi almeno seduta, ma non appena alzai la testa fui pervasa da un grande fitta di dolore.

"Ehi tutto okay?" Era la voce Amelie. Non riuscivo a vederla, ero troppo debole.

"Si" Dissi a malapena.

Sbattei le palpebre cercando di seguire i suoi movimenti. Era vicina a me, a bordo del letto. Mi scrutò, ma non riuscivo a vedere o a capire la sua espressione.

"Ti prendo le pastiglie." disse in fine allontanandosi da me. La sentii aprire qualche cassetto e frugare chissà tra quali oggetti. Poi prese ciò che cercava, perché il rumore delle cianfrusaglie che si scontravano l'una con l'altra svanì. Poi prese il bicchiere sopra il comodino accanto al letto e lo riempì d'acqua. "Tieni" disse allungandomi la pastiglia nella mano.

"Tra poco ti sentirai meglio" disse non appena la mandai giù, "inoltre Lux mi ha detto che devo farti vedere la casa."

Lux? Corrugai la fronte.

"Lux Thorns, la tua padrona." mi disse supponendo quale fosse la mia domanda. "È una maleducata, non si è nemmeno presentata."

"Poco importa, per me resterà sempre in mente come mostro."

"Eloyn!" mi sgridò, "mi sto prendendo cura di te, ma non ti permetto di chiamare né lei né la nostra gente in questo modo!"

Nuovamente, la mia impulsività aveva preso il sopravvento. Ammetto che non mi aspettavo di ricevere quella risposta.

"Perdonami." dissi, ma non c'era sincerità nelle mie parole.

Vidi il suo viso addolcirsi di nuovo, allungò la sua mano dove quel mostro mi aveva morsa.

"Nel caso non dovessi esserci, ricorda che qui ci sono delle bende e altri medicinali" 
Mi indicò il comodino, poi prese dell'acqua ossigenata e dell'ovatta.

Quando me la passò sulla ferita sentii un gran bruciore, trattenni a stento dei lamenti, non volevo farmi vedere debole. Però era delicata e mi trattava con premura, forse avrei potuto fare amicizia con lei, così da avere qualcuno che mi avrebbe aiutata a scappare quando ce ne sarebbe stata l'occasione.

"Ecco fatto!"

"Mi sento meglio, grazie."

"Di nulla" sorrise, "ce la fai ad alzarti? Così ti faccio fare un giro?"

"Io... In realtà preferirei restare qui." Non volevo uscire, avevo paura di ciò che avrei visto. Avevo paura di incontrare lei.

Rimase un po' a pensare, insicura di quale risposta dare. "Va bene" disse alla fine, "come preferisci. Ti faccio venire a chiamare quando è ora di cena."

"Aspetta dove dovrei andare?"

"In sala pranzo, ti unirai agli altri Bloodgiver"

"Che cosa sono?" chiesi, anche se dal nome aveva già capito.

"Sono quegli umani il cui unico scopo è quello di servire loro padrone. E Tu sei la Bloodgiver di Lux Thorns."

Spalancai gli occhi, travolta da paura e stupore. "No! Se proprio devo servire un succhiasangue non sarà lei!"

"Lei ti ha marchiata, tu sei sua ora."

"Mi rifiuto!" ribattei.

"Non esiste una cosa come rifiutarsi Eloyn!"

Non so che espressione feci in quel momento, ma Amelie fece un respiro profondo e addolcì lo sguardo.

"Ci sono delle coperte pulite nell'armadio in basso." disse ponendo l'attenzione su altro.

Io annuii, "Okay."

Si avvicinò alla porta e prima di andare mi dedicò di un ultimo sguardo.

"Mi dispiace che lei sia tua padrona." Sussurrò, "Davvero."

Si chiuse la porta alle spalle ed io mi ritrovai di nuovo da sola.

Mi sdraiai sul letto intenta a dormire nuovamente. Ma non appena vidi la macchia di sangue rabbrividii. Tolsi la coperta e la arrotolai per terra. Aprii l'armadio e notai che c'erano dei vestiti, probabilmente i miei futuri vestiti. In basso piegata c'era invece la coperta. Mi sbrigai a metterla sul letto e mi infilai al suo interno. Non feci neanche in tempo a chiudere gli occhi che già mi trovavo in un altro mondo. Passai tutto il pomeriggio così, avvolgendomi e stringendomi nel letto, mi sentivo una miserabile. Una vera cacciatrice avrebbe affrontato tutto ciò con forza e tenacia, io invece non me lo meritavo quel titolo.

"Tock tock!" Disse qualcuno sulla soglia della porta.

Mi alzai all'improvviso, i suoi capelli rossi erano inconfondibili. Era lei e aveva un aria divertita.

"Che cosa vuoi?" Chiesi seccata.

"Guarda tu che insolente! Cosa voglio? Fino a due secondi fa volevo il tuo culetto in sala da pranzo, ma dopo che mi hai parlato così da scorbutica, credo che arriveremo un po' in ritardo!"

Questa sadica sta ridendo... "Sei davvero senza cuore." Dissi con disprezzo.

"Mi hanno detto di peggio." Fece ghigno, "Ritenta!"

"Non mi sottometterò mai!" dissi coprendomi con la coperta fin sopra il collo.

"Tu ancora non hai capito che mi appartieni?! Io posso fare di te ciò che voglio. Posso anche ucciderti seduta stante, ma non lo sto facendo! Quindi ringraziami e smettila!"

"Non accadrà mai," dissi guardandola dritta negli occhi, "Potesse essere l'ultima che faccio!"

Con quelle parole la feci salire su tutte le furie. Chiuse la porta violentemente e la vidi letteralmente lanciarsi contro di me, i suo occhi rossi, i suoi canini più affilati che mai. La ritrovai sopra di me in un battito di ciglia.

"Se sei davvero così sicura di te, prova a non opporti a questo!"

Mi strinse con una ferrea stretta, bloccandomi il movimento delle braccia. Tentai di dimenarmi con le gambe ma era inutile. Era ad un centimetro dal mio viso, mi guardò con soddisfazione ed io con disprezzo. Finché il mio volto non fu segnato dal dolore. Aveva affondano i canini nella mia carne e per quando scalciassi non mi mollava. Stringevo i denti, mentre pensavo che la mia vita d'ora in avanti sarebbe stata questa.

"Preferisco morire..." dissi debolmente ma abbastanza decisa da provocare una reazione in lei.

Finalmente si fermò. Vidi una goccia di sangue colare dalle sue rosse labbra. Smise di stringermi e si mise seduta sopra di me. I suoi occhi tornarono di nuovo grigi e mi scrutò. Non riuscivo a capire quello sguardo pensoso.

"Ti porto a fare una doccia ne hai bisogno."

Io alzai un sopracciglio, credendo di aver sentito male, ma poi si alzò, si mise in piedi accanto a letto. Sentii un braccio sotto la mia schiena e l'altro sotto le gambe, finché non mi sollevò.

"Mettimi giù." dissi immediatamente.

Ma lei cominciò a camminare verso la porta. Con la poca energia che avevo riuscii ad alzare la gamba per  poi appoggiarla a terra. A quel movimento ne seguii un'altro. Lux aveva perso un po' di equilibrio ed io avevo finalmente i piedi che toccavano il freddo pavimento. Ma quando mi diedi la spinta per alzare la schiena, ancora sorretta dal suo braccio, per poco non caddi a terra.

"Che stai facendo?"

"Cammino da sola" dissi girandomi con grinta.

La succhiasangue fece un movimento con la mano, invitandomi a precederla.

Io mi appoggiai al muro e mi trascinati verso la porta. Uscite dalla stanza ci ritrovammo in un lungo corridoio, ma la parte più difficile fu salire le scale. Cercavo di reggermi al corrimano ma era più difficile di quanto pensassi, sopratutto quando cominciò a girami la testa.

Quando le mie gambe cedettero, lei mi sorresse prendendomi il braccio. Con tutta la forza che avevo mi rimisi in piedi.

"Vuoi che ti aiuto?"

"No!" dissi immediatamente.

Continuai a salire le scale finché non mi disse di andare al corridoio di destra. Superammo qualche stanza, finché lei non prese una chiave ed aprì una di quelle porte.

"Dove siamo?" domandai.

"In camera mia." mi diede una piccola spinta obbligandomi ad entrare.

Non si vedeva quasi nulla. Era completamente buio.

"Vieni" disse prendendomi di nuovo il braccio. Stavo per ribattere ma quando mi voltai a guardarla vidi i suoi occhi brillare di una luce intensa. Rimasi a fissarla forse più di quanto avrei dovuto. "Posso vedere al buio."

Camminammo lentamente ma nonostante ciò avevo paura di inciampare e cadere.

"Da questa parte."

Aprì un'altra porta e ci ritrovammo davanti al bagno. Riuscivo a scorgere la vasca a poca distanza da me e qualche asciugamano appeso alla parete alla mia sinistra. La succhiasangue mi lasciò e si diresse verso quello che sembrava un caminetto. Tempo cinque minuti e riuscì ad accendere una piccola fiamma. Pian piano la stanza cominciò a prendere forma, mostrandosi molto più grande di quanto pensassi.

"Ci vorrà qualche minuto, solitamente non le faccio io queste cose."

Quando si girò per parlarmi i suoi occhi erano tornati di nuovo normali.

"Posso farlo io." Mi avvicinai a lei. Mi guardò un po contraddetta ma non obbiettò.

"Bisogna usare questo." Presi un piccolo tubo e cominciai a soffiare verso il fuoco. Pian piano la fiamma comincio ad alzarsi e a farsi più grande, fino a farci spostare.

Poi andai verso la vasca e cominciai a far scorrere l'acqua. Ma sentivo ancora la sua presenza dietro ti me.

"Esci."

"No," Disse. "Spogliati."

Rimasi in piedi davanti a lei, mostrando tutto il mio dissenso.

"Muoviti che voglio cenare e scommetto che anche tu hai fame."

"Allora vai, posso fare da sola."

La succhiasangue sbuffò e mi guardò infastidita. Poi si girò intorno e posò lo sguardo su una sedia.

Non dirmi che...

Prese la pregiata sedia in legno e si sedette al contrario, con le gambe spalancate, le braccia appoggiate sullo schienale e il metto su di esse. Fece un sorriso soddisfatto senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi.

"Forza." disse come se fosse un gioco.

"D'accordo" dissi, lasciandola pensosa.

Avevo capito che il suo era tutto un provocare solo per far sentire l'altro in difficoltà e lei superiore. Ma non ha capito che non ha per nulla il controllo della situazione. Chi usa la violenza per sottomettere gli altri ha solo l'illusione di essere al comando.

Mi sfilai la sottana e rimasi in solo intimo, che con gran felicità era lo stesso che avevo indossato la notte che mi avevano presa.

Almeno hanno avuto la decenza di non svestirmi del tutta.

Mi infilai nella vasca senza togliermi il reggiseno e le mutande, non le avrei mai dato questa soddisfazione, infatti mi guardò perplessa, ma non disse nulla. Provavo un grande imbarazzo, se non fosse stato per camino e l'acqua bollente, avrebbe subito capito che il rossore sulle mie guance era dovuto dalla sua presenza.

"La succhiasangue bionda, Amelie, mi ha detto che ti chiami Lux Thorns, sbaglio?" chiesi, mentre cominciai a strofinare la saponetta sulle braccia.

"Esatto, ma devi chiamarmi mia signora padrona, su questo non transigo."

"Quanti anni hai... Lux?" chiesi provocandola.

"Sarà un vero fastidio cercare di addomesticarti, non è così?" Io risi. "Comunque, fisicamente ho 23 anni, ma in realtà mi porto dietro almeno due secoli." Io annuii ma c'era ancora qualcosa che non mi tornava. La conoscenza che noi abbiamo sui vampiri è davvero misera, ed è uno dei motivi per cui non siamo mai riusciti a sconfiggerli. "Ti vedo dubbiosa, hai qualche domanda ragazzina?"

Più di una in realtà...

"No." Dissi, la succhiasangue sbuffò e mi rise in faccia.

"Allora," Cominciò a spiegarmi, "La maggior parte dei vampiri sono mortali, questo perché non sono di sangue puro. Io, invece, sono un puro sangue, sono un Originale. Noi siamo immortali e per mantenere viva la nostra linea pura, spesso ci sposiamo tra di noi. Quando partoriamo, i nostri figli crescono fino alla maggiore età, dai 20 ai 30 anni, poi fisicamente restano uguali, per l'eternità. Io come vedi mi sono fermata a 23."

Anche se avessimo saputo fin da subito queste cose, non c'era possibilità di vincere, ne prima ne tanto meno adesso.

Una volta finito mi prese di sua iniziativa un grande asciugamano e me a volse intorno. Io fece istintivamente qualche passo in dietro, quella vicinanza mi spaventava, questa donna è imprevedibile. 

Mi invitò a seguirla in camera, aprì il suo armadio e tirò fuori un po' di vestiti. Li gettò sul letto e disse "Scegline uno, ti aspetto fuori."  Non feci neanche in tempo a dire che non li volevo che già era uscita.

Alla fine optai per un semplice vestito nero che si abbinava alla mia carnagione chiara e ai capelli scuri. L'uniche cose che mi imbarazzavano erano i morsi sul collo e sulla spalla enormemente visibili.

"Hai fatto?" Gridò lei da fuori la porta.

"Si arrivo."

Appena aprii la porta la vidi sorridere e mi disse immediatamente che stavo bene.

"Si ma questi..." mi lamentai.

"Non sarai l'unica ad avere qualche morso addosso. Adesso andiamo che ho fame."

Mi mise una mano intorno al fianco contro la mia volontà e scendemmo lentamente le scale. Era impressionante quanta forza avesse. Restammo in silenzio, io ero troppo agitata, non volevo incontrare altri vampiri, né tanto meno volevo conoscere gli altri Bloodgiver. Il solo pensare che ero una schiava mi disgustava.

"Scusate il ritardo," Disse quando entrammo nella grande sala. C'erano due lunghi tavoli separati e non era difficile capire chi erano i succhiasangue e chi gli umani. C'era chi aveva morsi più recenti chi meno, ma non erano ridotti così male come pensavo.

"Su va a sederti." disse colpendomi il sedere. Io mi girai guardandola in cagnesco. Intanto sentii qualcuno ridere. I vampiri si stavano già prendendo gioco di me.

Camminai lentamente verso uno dei posti liberi mentre avevo gli occhi di tutti puntati a dosso.

Una volta seduta Lux iniziò a parlare di come ero di sua proprietà e chiunque mi avrebbe toccata avrebbe pagato gravi conseguenze. Ero già stanca di stare lì non vedevo l'ora di tornarmene in camera.

"Vedo che ti fai rispettare eh?" Disse uno dei vampiri sottolineando le mie ferite.

"Ovviamente. Non faceva altro che dimenarsi, ho dovuto insegnarle le buone maniere."

Tutti loro risero tranne gli umani, anzi, loro mi stavano guardando con grandi sguardi compassionevoli. Io invece ero pervasa dalla rabbia.

Poi il cibo arrivò, mangiai moderatamente, non avevo molta fame, ma a mia sorpresa ci portarono le stesse porzioni dei vampiri. Un'altra cosa che mi lasciò di stucco era come gli umani ridevano e scherzavano tra loro. 
Una volta finita la cena tutti si apprestarono ad andare nelle loro camere tra cui me. Salii le scale insieme agli altri umani ma mi sentivo stanca e pesante, per un secondo persi l'equilibrio e fui afferrata dal ragazzo dietro di me.

"Ehi stai bene?" Mi chiese lui preoccupato.

"Si... si... " Dissi debolmente. 
Mi sentivo accaldata, cercai sbattere le ciglia più volte, ma mi sentivo come se stessi per addormentarmi da un momento all'altro.

"Signorina Amelie, la ragazza sta male." Disse lui rivolgendosi alla sue destra.

Amelie arrivò, mi tastò la fronte e senza esitazione mi disse che avevo la febbre. "Dave portala nella sua camera, è nel vostro stesso piano. Una volta salite le scale gira al corridoio di sinistra, è la quarta porta sempre a sinistra. Io arrivo tra un secondo, devo parlare con una certa persona!"

Mi prese in braccio e sotto gli occhi di tutti salimmo le scale, fino alla mia camera. Riuscii a vedere dei deboli segni sbiaditi sul suo collo e mi incuriosii.

"Dave giusto?"

"Si e tu?" Chiese appoggiandomi delicatamente sul letto.

"Eloyn. Solo una curiosità, chi è il tuo padrone?"

"È la ragazza che ho chiamato prima, Amelie."

"Si la conosco, si è presa cura di me quando..." mi morsi le labbra per la frustrazione.

"Mi dispiace che tu abbia come padrona Lux. Sa essere spietata a volte." disse comprensivo.

Poi lo vidi guardare perplesso sul letto, inizialmente non capii, ma poi mi ricordai cosa aveva fatto solamente un ora prima. C'era solo qualche piccola macchina, ma il dolore che ho provato è stato orribile.

"È stata lei?" In realtà lo disse più come un affermazione che come una domanda.

"Ovviamente è stata lei. Sono qui da solo due giorni, tra l'altro passati a dormire, e già mi sento uno schifo. Tu e gli altri invece mi sembrate messi bene."

Il ragazzo annuì. "Nonostante ciò che gli umani pensano di loro, in realtà non sono poi così cattivi o almeno non tutti. I vampiri che abbiamo in questa casa ci rispettano, chi più chi meno, ma è pur sempre grazie a noi che loro sopravvivono. Amelie non ama farci del male, quindi ci succhia il sangue solo quando ne ha veramente bisogno."

"Quindi loro posso avere più Bloodgiver?"

"Certamente."

"E Lux quanti ne ha?" chiesi incuriosita.

"Solo te."

"Scusa ma allora prima che arrivassi io come faceva?"

Ma poi la vidi sul ciglio della porta, i miei occhi si spalancarono e Dave si voltò per capire cosa stavo guardando con tanta paura.

"Basta Dave! Quando imparerai a chiudere la bocca!"

Poi dietro di lei comparse Amelie che ammonì il ragazzo con lo sguardo.

"Mi scusi mia signora." Si alzò immediatamente in piedi preso dal panico e si inchinò con la testa.

"Si muoviti, non mi servi qui!"

"Certo." Si avvicinò alla porta con il capo chino e prima di uscire salutò la sua padrona. "Arrivederci signorina Amelie."

"Arrivederci Dave." Disse lei gentilmente. Poi si avvicinò al letto seguita da Lux.

"Allora, come ti senti?"

"Stordita, stanca e ho freddo." Avevo terribilmente freddo e la sua presenza non mi aiutava.

"A riscaldarti ci penso io!" Disse avvicinandosi con un ghigno. Non potevo credere che l'avesse detto veramente.

"Tu sta ferma e buona!" Disse Amelie fermandola con il braccio.

"Non si può neanche scherzare." Sbuffò.

"È solo un po' di febbre, ti passerà sicuramente domani." Disse sorridendomi. "Tieni prendi questo."

Era un intruglio giallo, quando lo bevvi sentii che era davvero dolce, forse pure troppo, ma mi sforzai.

"Eloyn sta notte dormirai da me così posso tenerti d'occhio." Ovviamente trasalii.

"Se proprio non vuoi che rimane sola posso farla stare da me." Obbiettò la bionda vedendo la mia insicurezza.

"Amelie?" il suo tono era così stupito che per poco non risi. Si lanciarono qualche sguardo, io non riuscivo a capire. "Stai scherzando vero?" chiese seriamente. Amelie continuò a fissarla dritta negli occhi, ponendosi tra me e la succhiasangue. 
Alla fine si avvicinò con prepotenza, intenta prendermi in braccio ma Amelie le afferrò prepotentemente il polso.

"No!" esclamò.

"Che stai facendo?!"

"Lei resterà da me o da sola, che tu lo voglia o no."

"Io sono il tuo Lord e non puoi parlarmi così."

"Non permetterò che succeda un'altra volta."

"Sta attenta a come parli Amelie!"

La ragazza si avvicinò al viso di Lux con fare prepotente.

Avevo paura non riuscivo a capire cosa stava succedendo, di cosa stavano parlando.

"Eloyn non devi avere paura di me okay?" Mi disse la rossa per rassicurarmi, ma come potevo crederle dopo quello che mi aveva fatto.

"Lux smettila!"

Ormai aveva perso la pazienza, le afferrò velocemente il colletto e la sbatté a terra. "Tu smettila! Sai che non perderò il controllo un'altra volta."

Amelie si rimise in piedi e si ripulì il labbro sporco di sangue. "Fa come vuoi." Disse lei abbassando lo sguardo. "Io conosco la tua indole e so cosa farai e quando succederà non venirmi a cercare." Si diresse verso la porta e non mi degnò neanche di uno sguardo.

"Quella stronza!" Urlò arrabbiata. Poi si girò verso di me, nuovamente vidi incertezza nei suoi occhi. Si sedette sul letto e si mise una mano sulla fronte, restammo così, in silenzio. Ammetto che tremavo, non sapevo cosa pensare.

"Ti lascio dormire." Si alzò dal letto, quasi come se avesse dei pesi attaccati al suo corpo. Arrivata sulla soglia della porta si fermò per un attimo, "Notte." E se ne andò.

Io rimasi lì scioccata e confusa, stordita dalla febbre. Mi infilai sotto le coperte, e mi addormentai immediatamente, non feci bei sogni, sognai che scappavo da questa prigione, che tornavo al villaggio e trovavo la mia famiglia nuovamente sterminata ma da lei, da Lux Thorns. Non fu una notte serena, tante furono le volte che mi svegliai di soprassalto completamente sudata, tante quanto quelle in cui mi sentivo osservata. Era come se nell'ombra qualcuno mi bramasse, anzi, non me ma il mio sangue.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - La Sottile Linea Che Divide Morte E Libertà ***


Eloyn

Mi svegliai lentamente, non riuscivo ancora ad aprire le palpebre. Sentivo un rumore distante e persistente. Aprii gli occhi di scatto non appena sentii la porta sbattere contro il muro.

"Ehi ragazzina, è un'ora che busso, svegliati!"
Mi misi seduta di soprassalto, non ancora capendo cosa stesse succedendo. Un uomo robusto era appena entrato in camera mia. Sarà stato alto quasi due metri, era muscoloso con capelli rasati e la carnagione olivastra, avrà avuto all'incirca trenta anni.

"La padrona ti vuole. Sono venuto per portarti da lei." Disse con voce rauca e sgradevole.

"Dammi un secondo che mi cambio," Dissi seccata. Ma l'uomo mi raggiunse e velocemente disse, "Ha detto subito."

"Che ti costa aspe-" Non mi feci neanche finire la frase che poggiò la sua testa al lato del mio fianco e con il braccio destro mi afferrò la vita sollevandomi. Avevo il ventre sulla sua spalla e il viso sulla sua schiena.

"Ma è possibile che in questa casa nessuno capisce che ho delle gambe!" Dissi dimenandomi.

"Sta zitta!" Disse aggressivamente.

Imprecai silenziosamente, ormai in questa casa non ero altro che cibo, non avevo potere decisionale. Se non ubbidivo ad un ordine, questo mi veniva obbligato forzatamente anche con la violenza. E questa fu una lezione che imparai con solo due giorni di permanenza qui. La mia vita non sarebbe stata facile ma io avrei lottato per essa, avrei addirittura preferito morire che diventare schiava di mostri del genere.

"Siamo arrivati." Disse prima di bussare alla porta.

"Avanti!" Disse felicemente la donna.

Mi girai per vedere la faccia di quell'essere. Vedendomi in spalla a quell'uomo scoppiò in una fragorosa risata. "Bene bene... Hai dato del bel da fare al nostro Marcus."

"Nulla che non potessi gestire mia signora."

"Mollami!"

"Va bene, Marcus mettila giù ora." Disse con un ghigno.

L'uomo senza il ben che minimo scrupolo mi gettò a terra facendomi sbattere pesantemente contro il pavimento. Mi girai a guardarlo con sguardo fisso e feroce, ma lui mi ignorò completamente e chinando il capo verso Lux si congedò.

Ancora a terra mi girai con viso sprezzante verso quella donna. Nonostante era ancora mattina portava un vestito elegante rosso che le lasciava scoperta l'intera gamba destra. Stava lì, seduta sulla scrivania a gambe incrociate a studiarmi. La stanza leggermente buia era semplicemente illuminata dalla vetrata che faceva filtrare la poca luce di prima mattina.

Appena si alzò e si diresse verso di me, mi rimisi velocemente in piedi ignorano il dolore sul fondo schiena. Più si avvicinava più il mio cuore batteva forte, ero impaurita ma rimasi ferma e immobile. Non volevo darle neanche la minima soddisfazione di vedermi intimorita o turbata. Mi passò accanto, non stava andando verso di me, ma ciò che stava dietro di me, la porta. La chiuse a chiave e andò a sedersi sul letto. Mi fece cenno di avvicinarmi ma io rimasi lì imperterrita.

"Per favore non farmi aspettare." Ancora una volta rimasi immobile dove ero e ciò la infastidì. "Te lo chiedo un'ultima volta, vieni qui." Rimasi a fissarla con sguardo provocatorio. Non dovevo mostrare la minima esitazione, doveva capire che non mi sarei arresa alla mia libertà tanto facilmente. "Perché devi farmi fare la parte della cattiva?"

"Non è questo ciò che sei?"

"Ragazzina non fare l'insolente con me."

"Come ho già detto non mi arrenderò mai, non riuscirai a piegare la mia volontà."

"Si invece!" Disse alzandosi di scatto.

Mi venne l'impulso di indietreggiare, ma mi fermai, feci un gran respiro e rimasi proprio dove ero. Si avvicinò con furore, socchiusi gli occhi per la paura. Sentii le sue mani afferrarmi le spalle e spingermi all'indietro. Sbattei fragorosamente contro la porta, soffocando un lamento.

"Marcus!" Urlò. Da lontano si sentì qualcuno correre con passi pesanti. La donna, sempre tenendomi per il collo, mi gettò a terra e aprì la porta."Marcus!"

"Si mia signora?"

"Prendi l'umana, andiamo nelle segrete."

"Certo mia signora."

Il vampiro mi prese per la gamba e mi trascinò verso di lui. Poi come aveva fatto poco prima, mi rimise sulle sue spalle. Da come ero messa potevo vere Lux davanti a me, o meglio, i suoi tacchi. Alzai un po' la testa per guardarla e la trovai che mi fissava.

"Che cosa vuoi?" chiesi con prepotenza.

"Sii rispettosa per favore." disse tranquilla.

"Smettila di fissarmi!"

"Perché dovrei?" Rise, "Mi piace vederti così."

Poi Marcus cominciò a scendere le scale, ancora e ancora. Qualche umano che stava facendo le pulizie mi guardò preoccupato, ma non disse niente. Andammo fino allo scantinato, o almeno quello che credevo fosse uno scantinato. Ci è stato vietato di andarci, ora capisco perché, sono delle segrete e adesso scoprirò a mio scapito a cosa servono.

Marcus prese delle chiavi dalla tasca e aprì questa porta che ci sbarrava la strada. C'era un lungo corridoio che si diramava. Ai lati c'erano delle celle chiuse da delle sbarre. Fortunatamente non c'era nessuno al loro interno.

"Mettila qui dentro." Disse aprendone una.

Al centro di essa c'era un unica sedia con delle catene per tener ferme le mani e i piedi, e un armadio in acciaio con delle ante mezze rotte che non si chiudevano.

"Legala." Disse a Marcus.

In quel momento ebbi paura, veramente paura. L'uomo mi fece ricadere sulla sedia e tenendomi ferma mi legò i polsi e le caviglie alla sedia.

"Grazie Marcus." L'uomo fece un piccolo inchino con il capo. "Ora puoi andare." Ma prima che uscisse dalla cella si ricordo di dirgli un'altra cosa importante "Ah... Non dire niente ad Amelie." Il vampiro annuì con un ghigno e ci lasciò da sole.

"Allora..." disse pensosa. "Che cosa potrei fare per convincerti?"

"Slegarmi sarebbe un buon inizio." Esclamai arrabbiata.

"L'hai voluto tu tesoro. Sei stata fin troppo insolente, ancora non capisci la tua posizione?"

"So bene qual è la mia posizione, ma non significa che sono obbligata a fare quello che vuoi tu!"

Sapevo che l'avrei fatta innervosire solo di più, ma mi interessava ben poco, se non ha mai conosciuto un umana testarda è tempo che accada.

"Chi ti credi di essere?!" disse afferrandomi il mento.

Fu più forte di me e forse impulsivo, anzi, senza il forse. Sputarle a dosso non fu una grande idea. Mi diede uno schiaffo così forte che mi fece roteare la testa. Mi sentii così stordita che non riuscivo a sentire cosa stava gridando.

"Basta! Sono stanca!" La vidi recarsi verso l'armadio dove estrasse un macchinario a dir poco inquietante. "Se non ti sottometti neanche con la forza, non mi servi."

"Vuoi uccidermi?!" gridai, più con rabbia che con stupore.

"Si, estraendo tutto il sangue che hai in corpo." disse mettendo il macchinario davanti a me.

"Non puoi farlo!" Ribattei

"Lo sto proprio facendo invece."

Estrasse dalla macchina due gradi tubi, alla cui estremità c'era un un ago corto ma esageratamente grande.

"Farà male."

"Fermati!"

Li avvicinò al mio collo, uno a destra e uno a sinistra. Provai una sensazione di terrore. Stavo per morire.

"Dillo!"

"Cosa?!" gridai.

"Dì che ti sottometti a me e ti lascerò andare."

"Non posso!" gridai mentre una lacrima mi bagnò la guancia.

"Fallo!" gridò ma era più un imploro che un comando.

"Neanche tu vuoi farlo!"

"Tu che ne sai? Non mi conosci nemmeno!"

"Allora vai avanti..." Dissi calmandomi. Misi in mostra il collo e chiusi gli occhi. "Preferisco morire."

"Come preferisci." Disse spingendo gli aghi. Fece male, ma era sopportabile. Vidi il sangue attraverso i tubi, sarei morta nel giro di qualche ora.

"Solo una cosa," Dissi, "Hai fatto questo anche alla tua precedente Bloodgiver?" Vidi i suoi occhi tremare al solo pronunciare quelle parole. "Ora capisco il litigio con Amelie." dissi ridendo.

"Fai silenzio," mi ammonì "Non sai di che cosa parli..."

"Illuminami allora, tanto mi porterò nella tomba tutto quello che mi dirai." le feci un ghigno. Mi sentivo già intontita. Avevo gli occhi pesanti e poggiai la testa sullo schienale.

"Dormi ora, forse è meglio."

"No," Dissi a fatica. "Dimmi perc..."

Com'è possibile? Così velocemente...

Qualche minuto passò, in vano tentai di rimanere cosciente. Era triste che l'ultima cosa che vidi fu Lux uscire dalla cella e lasciarmi da sola. Mi faceva paura stare sola. Era tutto buio, mi spaventa il buio, perché non posso vedere i pericoli che mi circondano.

"Mi... sottometto" dissi, troppo tardi. Forse l'avevo solo pensato, non lo so.

È una sensazione strana, perché sei ancora cosciente ma allo stesso tempo non lo sei. Non riesci a muovere il corpo ma i pensieri sono ancora così vivi, così come i ricordi. È come se la vita ti venisse presa lentamente. Diventi leggera e poi non senti più niente. Il nulla assoluto. Nessun ricordo o pensiero, nessun segno di vita.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Il Concilio Dei Quattordici ***


Lux

Quando l'umana perse totalmente conoscenza la staccati dal macchinario. Presi una garza dall'armadio e le avvolsi il collo con essa. Si sporcò subito di sangue e sentii i miei occhi diventare come fuoco. Ma mi trattenei. La presi in braccio e la portai nella sua stanza. Un ragazzo biondino ci vide, era il Bloodgiver di Amelie.

Adesso devo subire pure una ramanzina...

Una volta entrata nella stanza la misi sotto le coperte e me ne andai. Tornai in camera mia, era già lì.

"Sei veloce," Dissi avvicinandomi verso la credenza con gli alcolici. "Che vuoi?"

"Avevi intenzione di ucciderla?"

"Amelie smettila." Dissi in tono annoiato versandomi del vino.

"Rispondimi!" Fece qualche passo, ma non appena le rivolsi il mio sguardo trucido si fermò.

"Tu l'avresti uccisa, non è così? Proprio come hai fatto con quelle ragazze, solo per il gusto del suo sangue."

"Ti ho detto basta!" per la rabbia lanciai il bicchiere di vetro, i cui frammenti ricoprirono il pavimento insieme all'alcol. "Ho cercato per dieci anni di tenermi lontana da quelli come lei. Ma adesso, casualmente ne ho trovata una. E di sicuro non me la lascio scappare così facilmente."

"Ti conosco troppo bene, non riuscirai a placare la tua sete."

"Amelie, non voglio ucciderla." Dissi seriamente. Poi con un beffardo sorriso sul volto aggiunsi, "Anche perché così posso gustarmela di più. Anzi quel suo comportamento me la fa piacere davvero tanto. Se ne avessi comprata una in città si sarebbe abbandonata a me senza battere ciglio. Con lei è più divertente." Vidi il suo viso arrabbiato trasformarsi in disgusto.

"Ti avverto, se la vedo barcollare e ricoperta di ferite la porto via da qui. Noi non siamo animali!"

"Ancora non capisco come fai ad essere così affezionata agli umani. Sono... Umani!" dissi con enfasi.

"Forse un giorno lo capirai anche tu. Anche loro hanno dei sentimenti Lux, proprio come noi. Possono amare, possono essere tristi o provare gioia. Tutto ciò che tu stai dando a quella ragazza è sofferenza!"

"Non mi interessa, lei è il mio giocattolo e gioco con lei come meglio mi piace." dissi con un sorriso sulle labbra.

"Sei senza cuore. E non sarai mai capace di trovare ciò che cerci."

"Ti dà tanto fastidio che abbia quell'umana tutta per me?" Cercai di provocarla.

"Lo sai che non si tratta di questo." Alzò la voce.

"A me sembra di sì!" dissi avvicinandomi a lei, con il suono dei vetri sotto i miei piedi.

"Lux per favore smettila." Disse lei infastidita.

"Pensi sempre che io sia in difetto e che tu sei perfetta, ma non dimenticare da quale situazione io ti ho salvata. Hai capito?"

"Lux non riportare a galla cose sul mio passato solo per sentirti meglio con te stessa."

"Ma per favore." Sbuffai.

"Sai, mi manca davvero la Lux che mi ha salvata. Avevi una luce che non avevo visto in nessun altro. Adesso invece sei solo un guscio vuoto senza emozioni." Con questo si girò e uscendo fece sbattere la porta.

Ero seria quando le avevo detto che non l'avrei uccisa, almeno non così presto. 
Un sangue come il suo è una prelibatezza nel nostro mondo. Lo chiamiamo il sangue d'oro, il sangue più raro. Trovarlo al giorno d'oggi è quasi impossibile. Anche in città è raro e se per caso ce ne fosse uno, il prezzo sarebbe esorbitante, tanto che solo noi, i più potenti e ricci vampiri possiamo permettercelo.

Poi mi cadde l'occhio sulla scrivania. La lettera che mia sorella maggiore mi aveva inviato. Sarebbe arrivata domani pomeriggio e non fremevo più dalla voglia di vederla. Erano passati due anni dall'ultima volta che l'avevo vista. Lei e Amelie non sono mai andate molto d'accordo. Se considera me un mostro, non oso immaginare cosa pensa di lei. Non violenta nei gesti ma, la gentilezza non è proprio di famiglia. Il voler sottomettere il più debole, eccitarsi alla vista del sangue, è una cosa che scorre nelle nostre vene. È vero, prima non ero così, il tempo non guarisce le ferite, lascia solo cicatrici.

Dovevo andare in città questa mattina, ne avrei approfittato per portare la ragazzina a fare un giro, ma alla fine le cose sono andate nel verso sbagliato. Forse ho esagerato, invece di creare un clima mite, ho semplicemente buttato benzina su un fuoco ancora ardente.

"Sarà per domani." Dissi prendendo la pelliccia. La avvolsi intorno al collo ed uscii dalla camera. C'era Jason che mi stava aspettando, era seduto sul divano, con gli occhi quasi socchiusi. Aveva il respiro pesante e sembrava si stesse addormentando.

Mi avvicinai lentamente, cercando di non fare troppo rumore con i tacchi. Avvicina la bocca al suo orecchio e dopo aver fatto un lungo respiro, strilla più che potei. Inutile dire che si spaventò così tanto che scivolò e cadde sul pavimento.

Risi fragorosamente nonostante mi guardasse con sguardo assassino. I capelli ricci e boccolosi gli ricadevano sul giovane viso, mentre i sui occhi marroni mi fissavano, insicuri, tra rabbia e divertimento.

"Smettila!" esclamò.

"Assolutamente no!" continuai a ridere. Poi guardai nuovamente l'orologio e assunsi un'espressione più seria. "Su alzati, non posso fare tardi."

"Va bene, ecco!" si alzò pesantemente e si strofinò gli occhi con il palmo della mano.

"Che hai fatto ieri notte?" dissi mentre raggiungevamo la macchina. "Non sei tornato."

"In città," Disse "Sono uscito con un amico."

"Sai che non mi piace quando mi menti. Ti ho detto che non devi andare in quel posto."

"Parli tu che hai quasi ucciso la nuova arrivata?" Sbuffò.

"Se lo dico ad Amelie sai che non ti farà più restare qui vero?" Lo ammonii, "Sai che a me non importa cosa fai nella tua vita privata, ma almeno sii più accorto. Riesco ancora a sentire la puzza di sangue che ti ricopre."

Lo vidi con la coda dell'occhio annuire con disagio. Come tutti gli altri, anche lui visse una vita disagiata. Un forte vampiro intrappolato nel misero corpo di un umano. Ricordo ancora il momento in cui gli diedi la possibilità di essere ciò che voleva più di ogni altra cosa. I suoi occhi splendevano di una nuova vita, una nuova nascita, so ancora che mi è riconoscente con tutto sé stesso. Vorrei soltanto che non mi prendesse come punto di riferimento, il nostro dolore è lo stesso, ma lui non deve lasciarsi trascinare dall'odio, almeno non come me.

"Dai ragazzino!" dissi dandogli qualche schiaffetto sulla guancia. Lui sorrise ed io ricambiai.

Salimmo sulla mia automobile color avorio, con ben quattro ruote anteriori e due posteriori. Una delle macchine più moderne di quest'epoca, nonché creata a su misura per me. Non smetterò mai di vantarmene.

Più di una volta avevo chiesto a Jason di farmi da autista e lui da ragazzo gentile qual è non ha mai rifiutato. Vede in me una sorta di sorella maggiore o addirittura una madre, dato che mi sono presa cura di lui da quando era piccolo. Gli ho regalato l'immortalità al suo diciannovesimo compleanno e adesso non fa altro che vantarsene con i suoi coetanei. Il dono che gli ho dato è la cosa che più voleva al mondo, ma so che nel profondo soffre perché prima o poi dovrà dire addio ai suoi compagni mortali. È questa la nostra maledizione.

"Mia signora?"

"Si Jason?" Dissi spostandomi i capelli dal viso.

"Perché quella notte non l'hai uccisa?" mi chiese dubbioso. "L'umana intendo." Io sospirai.

"Perché il suo sangue è prezioso." Dissi, forse con poca convinzione perché si girò a guardarmi con un sopracciglio alzato e il naso arricciato.

"Davvero?" Domandò. Io risposi di sì e lui scoppiò a ridere. "Tu, che non hai una Bloodgiver da dieci anni improvvisamente decidi di averne una. Suona strano."

"Pensa a guidare Jason." Dissi tornando seria. Non amo quando qualcuno vuole spiegazioni riguardanti le mie azioni.

"Come vuoi." Sospirò tornando a guardare la strada. "Sai che non sono il tipo che giudica." Tentò di insistere.

"Ovvio! con tutto quello che fai come potresti? " Sbottai.

"Va bene, okay." Disse infine, "E comunque siamo arrivati."

Stavamo in una zona un po' isolata e poco abitata circondata dal verde. Difronte a noi, un immensa struttura risalente alla mia nascita. Nonostante i suoi anni aveva mantenuto un eterna bellezza. Mi era sempre piaciuto l'antico stile gotico, il suo voler sempre puntare in alto, andare oltre le conoscenze, alla ricerca di un qualcosa di superiore.

Notai altre macchine parcheggiate, probabilmente ero l'ultima arrivata. Ma mi piace farmi attendere. Mi sistemai il vestito e aprendo lo sportello scesi dalla macchina.

"Puoi venire se vuoi." 

"Nah," Esclamò scuotendo la testa. "Mi faccio un giro in città. A che ora torno?"

"Facciamo un'ora."

Lui mi sorrise e accendendo il motore mi disse con fare arrogante e scherzoso, "Come desidera mia Lord."

"Vai che è meglio." Gli sorrisi e mi voltai verso la dimora del concilio.

Quando mi avvicinai al portone, vidi incisi i soliti cinque stemmi delle famiglie dei lord, tra cui il mio. Oggi avrei incontrato i rappresentanti delle quattordici casate che governavano Styria, tra cui mio padre che rappresenta i Thorns. Il motivo mi è ancora ignoto, ma era urgente.

Non appena bussai con la circolare maniglia, un uomo dall'altra parte mi aprì.

"Buongiorno Signora Thorns." disse chinandosi leggermente.

"Buongiorno a lei." Dissi vagamente e mi diressi verso la sala del consiglio. Quella mattina c'era un via vai di persone e parecchia agitazione tra i dipendenti.

"Lux?" Mi girai sentendomi chiamare. Era una voce così famigliare e irritante che per poco non sbuffai.

"Ehi Aaron!" Dissi addolcendo la voce. Mi tolsi gli occhiali e feci qualche passo verso di lui. I suoi occhi marroni si illuminarono alla vista del mio sorriso e sicuro di sé si avvicinò baciandomi la mano.

"Dai dobbiamo smetterla con queste formalità, ci conosciamo da una vita." Sfortunatamente.

"Per me è sempre un piacere." Disse con il suo sorriso da pallone gonfiato.

"Vieni anche tu alla riunione?" Chiesi diventando seria.

"Si, hanno chiamato tutti i rappresentanti. E il fatto che tu sia qui mi preoccupa."

"A chi lo dici... Andiamo."

Una volta salite le scale in marmo ci ritrovammo davanti alla stanza in cui ci saremo dovuti riunire. C'era parecchia confusione e qualcuno che urlava.

"Permesso." dissi aprendo la pregiata porta in legno.

"Sei arrivata!" esclamò una donna. Era alta, i capelli biondi cenere, leggermente mossi portati davanti al petto. La sua famiglia, i Manor, sono in grandi rapporti con la mia casata. I nostri padri sono cresciuti come fratelli. Si può dire che siamo conoscenti di lunga data, molto lunga.

"Salve Adrianne."

Poi dietro di lei vidi una figura famigliare. I capelli leggermente lunghi e neri come il carbone legati in un codino, la barba rigorosamente curata, la solita postura rigida e slanciata.

"Padre." Lo salutai.

"E' un piacere rivederti." Disse sorridendomi.

"Anche per me." Dissi con un velo di imbarazzo. "Ma adesso mettiamoci a lavoro. Perché mi avete convocata?" Erano tutti bloccati a fissarmi. Sapevo che qualcosa non andava. "Non pensavo che mi stavate attendendo con tale entusiasmo." dissi per sdrammatizzare.

"Signora Thorns..." disse incerto l'uomo accanto a me.

"Si mi dica." lo incitai.

"Sono sorti dei problemi." si intromise un'altro. "I cacciatori."

"Vai avanti."

"Hanno quasi oltrepassato il bosco."

"E quindi? Uccideteli, semplice." dissi sorridendo. Ma nessuno batté ciglio, continuavano ad avere uno sguardo serio e preoccupato.

"Sono dei professionisti mia signora." Continuò lui.

"Che cosa significa sono dei professionisti? Sono umani!" Esclamai irritandomi e mi girai verso gli altri cercando risposte.

"Lux, il fatto è che sono forti. Davvero molto." Mi rispose Adrienne, "Abbiamo già mandato un'unità... sono tutti morti. Sia loro che le guardie poste al confine." 

"Che... Fastidio." Dissi mettendomi le dita sulle tempie. "In quanti ne abbiamo persi?"

"Dieci." disse abbassando lo sguardo.

"E sono riusciti ad ucciderli. Dieci vampiri contro degli umani." Ripetei ad alta voce ancora incredula. "Sapete dove si sono accampati e il numero?"

"Dovrebbero trovarsi qui!" mi disse indicandomi il punto sulla mappa. "Ma non sappiamo bene quanti siano, forse una ventina o più. Pare che si stiano dirigendo da te, nella zona neutrale. "

"Quand'è successo tutto ciò?"

"Ieri notte."

"Allora," Disi pensando "Mandate delle piccole unità. Circondate la zona, ma non attaccate. Dobbiamo capire il perché di questo gesto e chi ne è l'artefice. Poi penseremo a come contrattaccare." Annuirono, ma c'era della perplessità nei loro volti e rabbia nel mio. Come potevano delle creature insignificanti come loro, riuscire ad abbattere dieci dei nostri."Inoltre, tutte le casate che sono di confine, devono mandare degli uomini a setacciare la zona, non si sa mai." Continuai. "Qualsiasi cosa succede voglio essere la prima a saperlo, chiaro?"

"Si certamente!" esclamò un'altra rappresentante, Allison.

"Bene, ora vado, ho altre faccende da sbrigare."

"Cos'è più importante di questo?" Mi chiese un uomo con tono sgradevole.

"Mia sorella sta tornando a Styria. E conoscendola ci darà una mano. Del resto non dice mai di no a del buon cibo. E poi, mi stupisco davvero che vi stiate preoccupando per un mucchio di ratti.  Arrivederci."

Non appena uscii dalla porta sentii dei passi seguirmi.

"Lux!" qualcuno esclamò afferrando i il polso. Quando mi girai era lui, mio padre.

"Cosa?"

"Stai sottovalutando la cosa, non ho dato via il mio trono per ritrovarmi ad avere una governatrice arrogante."

"Ti sbagli." Dissi liberandomi dalla sua presa. "Siete voi che state esagerando. Per quanto siano forti, mi basta una parola e potrei issare contro di loro un'intera armata." Mio padre sospirò. "Detto questo, torna a fare il tuo lavoro, lascia fare a me il mio."

Mi voltai e me ne andai, lo sentii gridarmi da dietro, "Qualcosa di pericoloso sta arrivando e tu non sarai preparata." Ma io non risposi, continuai per la mia strada fino a raggiungere l'uscita.

Jason era già lì, che spazientito mi aspettava. Lo raggiunsi e neanche il tempo di sedermi che gli dissi, "Andiamo in città, ho voglia di divertirmi."

Il ragazzo mi guardò con un ghigno, come quando dai un dolce al cioccolato ad un bambino ghiotto. "Come desideri mia signora."

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Odio e Piacere ***


Eloyn

È passato un giorno da quell'accaduto. Quando mi sono risvegliata c'era Amelie a vegliare su di me, sapevo che era lì per proteggermi, nel caso lei si fosse avvicinata. Ma quel giorno Lux non è mai tornata a casa, né lei né quel ragazzo, Jason. Vedevo Amelie aggirarsi per la casa senza una meta, aveva lo sguardo preoccupato, avvolte invece sembrava sul punto di scoppiare, a quanto pare Lux non era solita fare così tardi senza lasciare notizie di sé. Quella notte mi svegliai di soprassalto sentendo le urla della bionda. Diceva cose come, "Mi hai fatta preoccupare" o "Non farlo mai più!". Era strano che una persona come lei, una dei Lord, si facesse sgridare così facilmente senza ribattere. Infatti non ho mai sentito la sua voce, o perlomeno non aveva gridato a sua volta. Volevo parlarle, ero curiosa di sapere perché mi aveva risparmia nonostante le avevo esplicitamente detto che vivere una vita come questa non valeva la pena essere vissuta. E allora feci una cosa stupida, mi scoprii dalle coperte e scesi dal letto. Sentii un brivido non appena i miei piedi nudi toccarono il freddo pavimento. Ma in realtà avevo freddo dappertutto, mi mancavano le notti miti del mio vecchio villaggio. Mi avvolsi con una piccola coperta cucita a mano in lana, e uscii dalla stanza. Ogni mio passo faceva scricchiolare le scale in legno, rendendo la mia presenza molto più notabile. Avevo il cuore in gola, era tutto buio, solo la fievole luce lunare filtrava dalla finestre dei corridoi, illuminando alcune parti e lasciandone scure altre, creando un effetto a dir poco inquietante. Avevo l'insensata paura che qualcosa potesse sbucare fuori da una di quelle informe ombre e che mi attaccasse. Per un momento mi immaginai di essere morsa da un vampiro e morire dissanguata, rabbrividii. Finalmente ero davanti alla sua stanza, la porta era chiusa e c'era un silenzio tombale. Fui tentata di tornare in dietro, non sapevo cosa fare, avrei dovuto bussa? Certo, era la cosa più ovvia, ma non quando si è nel pieno della notte e a casa di un vampiro irascibile.

"Perché sei qui?" sentii dire dietro di me. Sobbalzai per lo spavento andando a sbattere di schiena contro la porta. La guardai con il fiatone e con occhi spalancati, non riuscivo a pronunciare alcuna parola. Non riuscivo a vedere la sua espressione ma sicuramente stava facendo un ghigno. "Allora?" mi chiese ancora.

"Io..." cercai di ricompormi. Non potevo di certo dire di punto in bianco, "Ehi perché non mi hai ammazza?". Alla fine rimasi in silenzio come una stupida, nonostante vedessi poco, riuscii a vedere il suo viso interrogativo, anche lei non sapeva cosa dire. Poi posò lo sguardo sulla coperta che mi avvolgeva alle spalle, la toccò, strofinandola tra le dita. In quel momento notai il bicchiere che aveva in mano e se lo portò alla bocca." Vuoi entrare? Posso offrirti da bere."

"Si." dissi quasi balbettando.

Lux mi prese il braccio e mi scansò aprendo la porta, a quanto pare non chiusa a chiave. "Il vino però si trova in cucina, non mi va di riscendere."

"No, mi va bene anche altro."

Quando accese la luce notai che aveva una semplice sottana aderente nera, che le lasciava scoperte spalle e cosce. Fu in quel momento che mi chiesi se i vampiri originali come lei provassero freddo come i semplici vampiri o gli umani, oppure se la loro percezione era completamente diversa.

Quando entrò si diresse subito verso la credenza di alcolici, posò il suo bicchiere e ne prese un'altro per me, riempendolo di cose che neanche sapevo cosa fossero.

"Vedo che ti piace bere." Dissi per rompere il silenzio. Aveva davvero una grande e vasta scelta di alcolici.

"Abbastanza." Rispose mettendo le bottiglie dentro, "Tieni"

"Cos'è?" Chiesi prendendolo.

"Consideralo una specialità della casa." Disse con un sorriso soddisfatto.

"Vieni mettiamoci sedute," disse dirigendosi verso il piccolo tavolo circolare. "Immagino tu debba dirmi qualcosa"

Si, il problema è come.

Quando mi sedetti osservai il bicchiere con un accento di curiosità e timore che non passò inosservato.

"Che fai non bevi?" Mi chiese lei mettendomi a disagio.

Guardandola dritta negli occhi, come se fosse una sfida, lo portai alla bocca bevvi un sorso. Cercai in tutti i modi di non tossire, era davvero forte.

"Allora, dimmi pure, sono tutta orecchi."

"Mi chiedevo perché io fossi ancora qui."

"Qui nel mondo dei vivi?" Chiese ridendo. "Ti sembrerà strano ma simpatizzo molto per te."

Io la guardai con sguardo interrogativo cercando di capire se era una presa in giro o se era veramente seria.

"Non sto scherzando." Disse come se mi avesse letta nel pensiero.

"Quello che io mi chiedo è perché non mi hai uccisa fin da subito." Ammisi, "So che quando andate a caccia rapite i civili e uccidete i cacciatori, perché con me è stato diverso?"

"Perché il tuo sangue è prezioso Eloyn e non potevo semplicemente ucciderti."

Io la guardai scontenta per la semplice risposta che mi aveva dato, mi aspettavo altro, non un semplice "Mi piace il tuo sangue, punto!"

"Volevi chiedermi solo questo? Non mi sembri soddisfatta."

"Si," risposi alzandomi, "Solo questo."

"Aspetta, non ho detto che potevi andare." Mi ordinò, "Domani andrò in città per prendere mia sorella, mi accompagnerai, va bene?" Sapevo che non era una vera domanda quella, ma annuii comunque e mi diressi verso la porta. "Comunque," disse prima che uscissi, "Ho sentito quello che hai detto prima di svenire."

Per un momento mi soffermati a pensare a cosa si riferisse, poi mi tornò alla mente e un senso di disgusto per me stessa crebbe.

"Buonanotte Eloyn e non osare gironzolare in casa, mai più. Non si sa mai se qualcuno può attaccarti nell'ombra."

Mi guardò con un ghigno ed io uscì dalla stanza quasi correndo. Con passo svelto raggiunsi la mia camera, mi gettati nel letto e mi rannicchiai sotto le coperte. Ci volle almeno un'ora prima che riuscii a riaddormentarmi. 

 

Ero riversa nei miei pensieri quando sentii lo sportello aprirsi. Era lei, con quei bei capelli rossi scombinati dal vento.

"Eccomi, hai aspettato molto?" Io scuotei la testa. "Jason, portaci prima al lago, che mia sorella farà ritardo."

"Va bene." rispose il ragazzo un po' scocciato.

Sua sorella... Mi chiedo se sia come lei. Aspetta, lago?

Abitavo vicino un laghetto una volta, prima che i miei genitori biologici furono uccisi. Ho ancora qualche ricordo di quella notte. Tutte le fiamme e le grida mi circondavano mentre piangevo nascosta sotto il tavolo. Mio padre e mia madre erano cacciatori anche loro e quando ci attaccarono non esitarono a combattere. Mia madre mi aveva intimato di restare nascosta e che sarebbe tornata presto. Ma non tornò mai. Attraverso la finestra vedevo fiamme dirompenti che divoravano ogni cosa. Poi mi ricordo che vidi una figura aggirarsi fuori casa. Ma prima ancora che potessi nascondermi da un'altra parte, vidi la porta in legno spaccarsi in due. Mi ero coperta gli occhi per la paura e avevo iniziato a singhiozzare interrottamente. Entrò in mezzo secondo e scaraventò in aria il tavolo. Era lì difronte a me, era buio, potevo solo vedere il fuoco dietro di lei. Si era piegata in avanti e con la mano mi aveva afferrato per i capelli. Avevo strillato per la paura con tutta la forza che avevo. Poi mi aveva presa per il collo e mi alzò in aria. L'unica cosa su cui i miei occhi erano fissi, erano le sue pupille dello stesso colore del sangue. Poi avevo sentito qualcosa colare sulla mia fronte, una goccia di sangue caldo cadde sul suo viso, vicino al labbro. Lo assaggiò con la lingua; ricordo ancora lo sguardo folle e il maligno che fece.

"Che cosa stai facendo?!" avevo sentito gridare dietro lei.

La donna si era girata ridendo e sentii la follia nelle sue parole, "Li ucciderò tutti."

L'altra donna si era lanciata su di lei con furia. Io nel frattempo ero caduta a terra, aveva corso fino in camera mia, nascondendomi sotto il letto. Continuavo a sentire grida e lamenti, oggetti che cadevano, cose che si frantumavano. Poi improvvisamente c'era calma, avevo sentito passi pesanti allontanarsi sempre di più. Rimasi lì finché tutto non ebbe fine. Un cacciatore del villaggio vicino mi trovò e mi adottò. Da quel momento diventai la sua discepola, mi insegnò tutto ciò che sapeva, ma mai mi aveva preparato a questo.

"Eloyn?"

"Sì?" Dissi ritornando alla realtà.

"A che pensi?"

"Nulla..." dissi scuotendo la testa.

La vidi alzare un sopracciglio, per poi sorridermi. Continuava ad avvicinarsi e la cosa non mi piaceva proprio per niente. Non avevo vie d'uscita, ero bloccata e soprattutto inerme.

"Lux possiamo fermarci? Devo andare al bagno." Disse il ragazzo.

"Ma non potevi andare prima di partire?" chiese nervosa. "Su vai!"

"Farò in un attimo." Jason uscì dalla vettura, insidiandosi nella verde vegetazione. Lux sbuffò, ma improvvisamente il suo malumore si trasformò in un ghigno, quasi infantile come quello dei bambini.

"Vieni qui Eloyn." disse invitandomi ad avvicinarmi ulteriormente.

"Perché?"

"Perché lo voglio." Disse schietta "Su, vieni." Io mi avvicinai cercando di non guardarla negli occhi senza farle capire il grande disagio che provavo. "Non ti opporrai a me, vero?" Disse alzandomi il mento con un dito. "No che non lo farai," bisbigliò, "Non dopo quello che ti ho fatto." Chiusi gli occhi e serrai la bocca, mentre sentivo il suo respiro sul mio collo. "Se solo ti lasciassi andare... Sarebbe tutto più facile." Disse con voce calma.

Ma per me era impossibile, cominciai a tremare, non volevo più sentirmi in quel modo, non volevo più sentire quel dolore. Ma poi posò una mano sulla mia guancia e girò il mio viso verso il suo. Sentii qualcosa sulle mie labbra, era soffice e dolce. Spalancai gli occhi e mi staccati dalla sua presa. Tentò di avvicinarsi nuovamente ma prima che potesse fare altro la allontanati spingendola per la spalla.

"Che stai facendo?!" Esclamai coprendomi la bocca.

"Ancora non lo capisci vero?" Disse aggrottando la fronte. "Ho bisogno che tu ti fidi di me."

"Come pretendi che io mi fidi di te dopo quello che mi hai fatto?"

"Per il semplice fatto che potrei fare di peggio, ma ti sto dando la possibilità di scegliere."

"Quindi è così che funziona?!" Esclamai. "Vuoi ottenere ciò che vuoi attraverso le minacce?!"

"Non era quella la mia intenzione." Disse sospirando. "Ma per favore, per una sola volta, fidati di me."

Potevo sentire la sincerità nelle sue parole, ma ero combattuta, avrei dovuto lasciarla fare e gettare via il mio orgoglio, o obbligarla ad usare le maniere forti e rimanere fedele alle mie convinzioni? In ogni caso avrebbe ottenuto ciò che voleva.

Ma poi la sentii prendermi le mani. Non c'era traccia di lussuria nei suoi occhi né di malignità nelle sue azioni.

"Fidati di me." Allungò la mano verso il mio viso. Mi guardò come se stesse scavando nel profondo della mia anima e per un briciolo di secondo mi parve di aver visto dell'umanità in lei.

"Chiudi gli occhi." E così feci, nonostante la paura. Si avvicinò e le nostre labbra si toccarono. All'inizio cercai di mantenere il controllo, ma alla fine lasciai che le cose andassero come dovevano andare. Perché effettivamente per sopravvivere dovevo fidarmi di lei. Fui inondata del suo dolce profumo e non era l'unica cosa ad essere dolce. Ne fui davvero sorpresa e quasi ammaliata, tanto che iniziai a ricambiarla. Era come se per un secondo avessi dimenticato i nostri ruoli, il mio ruolo. "Andrà tutto bene." Disse staccandosi dal bacio. Io capendo a cosa si stesse riferendo aprii gli occhi con terrore. Ma non feci neanche in tempo a vere cosa stesso per fare che coprì la mia vista con la sua mano. Sentii il suo caldo respiro scendere giù verso il mio collo. "Lasciati andare." Disse e poi percepii qualcosa di appuntito sfiorami la pelle, ma quasi impercettibile. Sentii tutto intorno a me girare e girare mentre provavo un piacere indescrivibile. Ma poi ricordai quella scena, quel momento che ho giurato guerra alla sua specie. Presa dai sensi di colpa, ritornai alla ragione, improvvisamente quello che sembrava qualcosa di piacevole, divento una tremenda tortura. Provai nuovamente quel dolore che mi faceva tanta paura, ma ormai avevo perso così tanto sangue che la coscienza mi stava abbandonato.

Quando finii si sbrigò a prendere un fazzoletto e me lo premette sulla ferita. Mi misi una mano sulla fronte ancora stordita. La vidi sorridermi per poi pulirsi il labbro dal mio sangue. Quando abbassai lo sguardo notai qualche macchia di rosso sul vestito.

"Vieni qui." Mi disse. Ero troppo stordita per reagire. Mi spinse verso di lei e mi fece poggiare la testa sulle sue gambe mentre continuava a premere sulla ferita. "Riposati adesso, ti sveglio quando saremo arrivate."

L'ultima cosa che sentii prima di addormentarmi fu il rumore dello sportello che si apriva e il motore della macchina che si accendeva, dopo questo il buio più totale.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Effetti Collaterali ***


Eloyn

La quiete regnava sovrana. Sentivo il corpo leggero e rilassato, mi venne quasi di sorridere. Cercai di aprire gli occhi, ma stavo così bene. Pian piano riuscii a tornare alla realtà. Sentivo qualcosa accarezzarmi la testa, era caldo e accogliente, mi mancava questa sensazione. Aprii lentamente le palpebre, la luce del sole mi fece scappare un lamento. Sentii qualcuno ridere, tirai indietro la testa e con la poca vista vidi un viso sfocato.

"Ehi bella addormentata ci sei?"

Sbattei le palpebre. Quando la vidi sgranai gli occhi e mi tirai immediatamente su.

"Che cosa..." mormorai.

Mi alzai in piedi e stordita mi guardai attorno. Ci trovavamo su di un prato, sotto un'albero. Iniziai a barcollare, non mi sentivo le gambe. Con sguardo impaurito la guardai dritta negli occhi. Era ancora seduta atterra con un sguardo interrogativo. Poi i ricordi iniziarono a farsi più chiari. Mi misi una mano sulla bocca per lo stupore. Che cosa ho fatto... Che cosa lei mi ha fatto?!

Mi tastai il collo, non faceva male, ma potevo sentire l'incavo della ferita.

"Ehi stai calma." Mi intimò lei alzandosi. "Va tutto bene." Disse mettendo in vista le mani.

"Che cosa mi hai fatto?!" le gridai con rabbia. Indietreggiai istintivamente non appena fece qualche passo verso di me.

"Eloyn, ti prego, devi calmarti. Lo volevi anche tu, non te lo ricordi?

"Io..." mormorai. "Non è possibile, No!"

"Eloyn..." sospirò. "Stai iniziando a stancarmi."

Si avvicinò a me velocemente. Non capivo le sue intenzioni e mi agitai ancora di più. Non sapevo minimamente cosa fare, dovevo contrattaccare o restare ferma?
Indietreggiai e con la scarpa sentii qualcosa, una pietra di medie dimensioni. Era davanti a me, sempre più vicina. Feci finta di inciampare e mi distesi a terra.

"Su vieni." Disse porgendomi la mano mentre ridacchiava per la mia caduta.

Le presi la mano, ma invece di alzarmi la spinsi verso di me. Perdendo l'equilibrio mi cadde sopra. I nostri visi a poca distanza, la mia mano intrecciata nella sua.

"Che c'è, ora vuoi giocare?" Disse con un sorriso compiaciuto.

Ricambiai il suo sorriso. Lentamente spostati il braccio dietro la schiena e afferrai la pietra. Una stretta lenta dovuta dall'indecisione.

Poi il suo sguardo cambiò e si accigliò, "Perché vuoi farlo?" mi disse amaramente.

Sgranai gli occhi. Perché si stava comportando così? Con quegli occhi poi... Stavo per allentare la presa ma poi ricordai. Ricordai la sensazione che provai quella notte che mi aveva catturata e quella in cui mi aveva minacciata di prosciugarmi di uccidermi. Non c'è nulla di buono in lei, è un mostro e come tale va eliminato.

Afferrai la pietra con decisione, strinsi i denti e con furia alzai il braccio e mirai alla testa. Nessun movimento, nessun sussulto. Sentii la roccia solcare la bianca pelle, gocce di sangue scivolarono lungo il suo viso, mentre la sua espressione era ancora calma e pacata. Mi tremavano le mani e il respiro mi diventò affannoso. 
La guardai fissa negli occhi, tremante. Non era paura quella che provavo ma rabbia e... Ancora rabbia. Perché se ne stava ferma lì senza fare nulla? Perché non stava reagendo?!

"Tu..." dissi con voce tremante. "Fai qualcosa!" La intimai. "FAI QUALCOSA!" gridai, ormai in balia delle mie emozioni. Iniziai a lacrimare e lei continuava a stare lì, immobile.

"No." disse alzandosi. "Ti porto a casa." disse alzandosi, quasi barcollando. Iniziò a camminare e in lontananza scorsi la macchina.

"Muoviti." disse con una voce sottile.

Mi alzai, lentamente e con pesantezza. Stetti a grande distanza da lei, da quell'essere... 
Vidi Jason correrle incontro con uno straccio in mano leggermente sporco di nero. Si ripulì il viso dal sangue. James continuava a fissarmi con sguardo accusatorio, sembrava come se stesse per saltarmi addosso da un momento all'altro. Anche Lux notandolo, lo intimò di salire in macchina e di stare tranquillo. Mi aprì lo sportello ed evitando ogni contatto visivo, salii velocemente. Questa volta si tenne anche lei a debita distanza. Durante il tragitto, con la coda dell'occhio la osservavo. Guardava fuori dal finestrino, con sguardo perso, pensando a chissà quale tortura sarebbe stata la migliore da infliggermi. Non mi stupirei, anzi, ne sarei quasi sollevata. Quel suo comportamento di prima mi ha completamente scombussolata. 
Questa volta non passammo per la città e arrivammo molto prima.

Amelie e un umano stavano annaffiando i fiori. Quando ci videro, Amelie si affrettò ad aprire il cancello, ma più si avvicina a noi, più il suo sguardo mutava.

"Che cosa ti è successo?" Chiese preoccupata mentre ci apriva.

"Chiedilo a lei." Disse senza alzare lo sguardo.

Amelie mi guardò con sguardo interrogativo. Vedendo il mio silenzio sospirò e con tono impetuoso mi chiese, "Elo che è successo?"

I miei occhi scattavano tra Amelie e Lux, che da quando eravamo salite in macchina non mi aveva degnato di uno sguardo, come biasimarla...

Mi girai verso di lei, ma le parole facevano fatica d uscire. "Lux..." balbettai. Ma ancora una volta non si girò a guardarmi.

Ignorandomi si girò verso la vettura alla nostre spalle "Jason vai a prendere mia sorella e dille che ho avuto un contrattempo." Poi guardando Amelie comandò, "Entriamo, devi medicarmi."

Sorpassò il cancello e prendendo la bionda per un braccio si avviarono verso il portone. Accostai il cancello, ma non avendo le chiavi rimase aperto. Rimasi a distanza, quasi avevo paura ad entrare. Ritornare qui mi faceva sentire in trappola e destinata a chissà quali atrocità.

"Eloyn muoviti!" mi chiamò lei con il suo solito tono sulla soglia della porta.

"Arrivo..."

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - "Sono una cacciatrice" ***


Lux

Afferrai il braccio di Amelie per mantenermi in piedi, la testa mi girava e iniziò a farmi male. Affondai le unghie nella sua carne facendola gemere.

"Scusa." Dissi sottovoce.

"Non preoccuparti, andiamo."  Quasi trascinandomi. Ogni passo era un'impresa, sbattei le ciglia insistentemente non appena tutto intorno a me iniziò a sgranarsi. "Lux?" mi chiamò lei preoccupata.

"Sto bene." Dissi facendo un respiro profondo.

Arrivammo davanti al portone, non sentendo i passi dell'umana mi girai. Stava ancora lì, davanti al cancello immobile.

"Eloyn muoviti!" Cercai di dire in modo autoritario.

Alzò lo sguardo, mi rispose ma vidi solo le sue labbra muoversi senza emettere suoni, mentre le gambe mi cedevano e cadevo a terra incosciente.

 

Non so quanto tempo fosse passato, minuti, ore... Pian piano iniziai a riacquistare il senso della realtà. Sentivo delle voci, lontane e fioche. "Quando si sveglia chiamami." sentii dire, prima che lo sbatterla della porta mi fece svegliare completamente. Aprii lentamente le palpebre, un lamento uscì dalla mia bocca non appena la luce proveniente dalla finestra mi abbagliò gli occhi. Ma la mia attenzione si posò immediatamente sull'odore che mi circondava, un delizioso profumo di sangue che mi costrinse a sgranare gli occhi e a mettermi seduta. Riacquistando la vista notai che mi trovavo nella mia stanza, con una semplice canottiera e dei pantaloni neri, ma specialmente non ero sola.

"Eloyn?" Dissi stupita. Si trovava accanto al mio letto seduta su una sedia, con uno sguardo stanco e pallido. Non appena vide le miei iridi tingersi di rosso si mise sull'attenti, mostrando chiari segni di nervosismo. "Che ci fai qui?" dissi con sguardo famelico.

Mi guardò preoccupata, ma non capivo se per me o per la sua incolumità. Si chinò e da terra sollevò una grande tazza da cui proveniva quell'ammaliante profumo. Con sguardo sicuro me la porse e fu in quel momento che notai la fascia che le avvolgeva il polso.

"Non fraintendere." Esclamò notando il mio stupore. "Amelie pensava che non mi avresti uccisa se ti avessi fatto quest'offerta."

Presi la tazza velocemente causando la caduta di qualche goccia sulla coperta e dopo un "Certo che sei incoerente!" bevvi tutto il contenuto in un nano secondo. Mi leccai il labbro tinto di rosso e ormai rilassata mi appoggiai alla spalliera del letto. "Quanto tempo è passato?"

"Poco più di mezz'ora." rispose lei.

"Allora mia sorella è quasi arrivata." Feci per alzarmi ma la ragazzina allungò la mano verso di me e mi spinse giù.

"Che vuoi?" Chiesi infastidita.

"Amelie ha detto che devi stare a letto, non è normale che sei svenuta."

Cercai di alzarmi di nuovo, di certo non permetto ad un'umana di dirmi cosa devo fare. Mi bloccò nuovamente con la mano, poggiandola sulla mia spalla con sguardo autoritario.

"Sto solo seguendo gli ordini."

"Da quando obbedisci tu?" Sorrisi.

"Se il compito riguarda tenerti a bada sono più che felice di accettarlo." Disse sfidandomi.

Con velocità afferrai la sua mano appoggiata sul materasso e con forza la spinsi sulla mia destra facendola cadere sul letto.

"Se ti piace tanto eseguire gli ordini allora... Ti ordino di restare a letto con me." Dissi maliziosamente.

"Scordatelo." Cercò di alzarsi ma la spinsi nuovamente giù tenendola per i polsi.

"Sicura di essere una cacciatrice? È davvero facile sottometterti." Dissi sopra di lei.

"È impossibile per una come me sconfiggere uno di voi, lo ammetto, ma ciò non significa che io sia debole."

"Ma intanto stai tremando." Dissi quasi sussurrando. Non era vero ma mi piaceva stuzzicarla. Spostai lo sguardo verso il suo collo, potevo percepire ogni vena, ogni goccia di sangue che scorreva dentro di lei, potevo sentire il suo cuore agitato battere sempre più velocemente. Era quasi ipnotico. "Dimmi Eloyn, cosa ricordi di quello che è successo in macchina?" Arrossì all'improvviso, era questa la reazione che volevo. "Non puoi mentire a te stessa e neanche a me."

"Ti ho già dato ciò che ti serviva!" Disse divincolandosi. "Adesso lasciami in pace!" Esclamò con aggressività.

"Io prendo quello che voglio, quando voglio e quanto ne voglio." Dissi stringendole i polsi. "Hai capito?!"

"Fottiti!" Disse con rabbia.

Mi avvicinai al suo collo, non le diedi nemmeno il tempo di capire che stava succedendo. Non appena iniziò a gridare per il dolore, lasciai uno dei suoi polsi e le coprii la bocca con la mano. Cercò di darmi qualche calcio sullo stomaco ma sentivo che stava lentamente perdendo la forza, ma più rapidamente delle altre volte a causa del piccolo regalino che mi aveva fatto prima.

"Non puoi neanche immaginare quanto sia delizioso il tuo sangue Eloyn." Dissi liberandole la bocca.

"Se continui..." ansimò.

"Cosa? Non ti ucciderò stai tranquilla." dissi ridendo. È sempre una bella vista vedere qualcuno sottomesso a te, inerme e incapace di reagire. Se questo è l'unico modo efficace sarò felice di accontentarla. "Eloyn..." sussurrai. Lasciai la stretta anche sull'altro polso dove la mia mano aveva lasciato dei segni rossi. Con l'indice spostai i capelli scompigliati che aveva sul viso mostrando i suoi bei tratti. "... Non vedo l'ora di possedere questo corpo."

Mi avvicinai di nuovo al suo collo, baciando la ferita e pulendola di qualsiasi residuo di sangue facendola gemere.

"Perché devi sempre fare così..." Cercò di dire.

"Così come?" Domandai guardandola negli occhi.

"Credi sempre di essere a un passo avanti agli altri."

Improvvisamente mi diede una testata. Mi alzai per il dolore e la ragazza approfittandone mi spinse all'indietro facendomi ricadere sul letto. Mi misi le mani sulla fronte lamentandomi per la forte botta ricevuta, aggravata anche dalla precedente ferita. In un attimo di secondo mi ritrovai Eloyn sullo stomaco e con un coltello da cucina puntato sul collo.

"Si, sono una cacciatrice."

Alzai un sopracciglio e mi morsi il labbro sorpresa da tale coraggio e audacia. Questa ragazzina... Mi piace sempre di più.

"Sono impressionata." dissi tra ironia e convinzione. "Ma la stessa cosa vale per te!" feci uno scatto in avanti ignorando la lama del coltello, mettendomi seduta, con lei sui miei fianchi. Le afferrai il viso come aveva fatto con me, ma al contrario la baciai con foga e passione. Spalancò gli occhi stupita e cercò di tirarsi indietro ma non glie lo permisi. Misi una mano tra i suoi capelli e l'altra sulla schiena tenendola stretta a me. Lentamente sentii la presa del coltello allenarsi. Feci scivolare la mia mano sulla sua togliendole l'utensile, senza ricevere opposizione. Quando mi allontanai dalle sue labbra, poggiai la mia fronte sulla sua, mentre lei riprendeva fiato.

"Vuoi ancora negare l'evidenza?" Dissi sottovoce. Aveva paura di guardarmi negli occhi, l'avevo capito.

"Tu... Mi confondi."

"Si capita spesso" dissi facendo la finta modesta.

Le accarezzai i capelli, scansandoli dietro l'orecchio. Mi avvicinai lentamente rompendo di nuovo la distanza tra noi. Ma non appena le nostre labbra si sfiorarono, si scansò scuotendo la testa.

"Non posso!"

Si alzò rapida non sentendo la mia presa su di lei. Barcollò cercando di raggiungere la porta a causa dell'enorme perdita di sangue.

"Ti aiuto." Dissi andandole incontro.

"No! Faccio da sola. Mi hai già umiliata abbastanza."

Le presi il braccio costringendola a guardarmi negli occhi. "Eloyn smettila di comportarti come una bambina!"

"Non mi sto comportando da bambina!" Scattò furiosa. "È tutta colpa tua, non solo ti ho colpito alla testa, ti ho anche puntato un coltello al collo, ma è come se a te non interessa!"

In quel momento capii cos'è che non andava. Quegli occhi che vagavano nel caos, in balia di sensazioni e sentimenti mai provati prima.

"Tu... stai iniziando a metterti in dubbio, stai iniziando a farti domande e ti confonde." Cercai di diminuire la distanza . "E ti turba così tanto che cerchi in tutti i modi di farmi arrabbiare in modo che io ti punisca, così che tu possa tornare ad odiarci, non è così?"

"Ti stai sbagliando!" Disse con occhi lucidi.

"Allora perché mi hai colpita?! E quando non ho reagito sei rimasta scossa? Rispondimi!"

"Lasciami in pace!" disse furiosa.

Mi sentii un po' in colpa a vederla così, ma si è cacciata in questa situazione da sola. È la prima volta che mi capita un Bloodgiver del genere. Alcuni si sottomettono per paura o per sopravvivere, altri semplicemente non sono fatti per questa vita e se sono fortunati vengo solamente uccisi. Questo mondo non ha posto per i ribelli. Adesso bisogna capire da quale lato sta lei.

"Va bene..." Sospirai. "Riflettici sopra, può sembrare difficile ma può uscirne qualcosa di buono da tutto questo." Le dissi allungando la mano verso di lei.

"Andiamo giù, dai." La presi per il braccio vedendola indecisa.

"D'accordo ma mollami."

Si sbrigò a raggiungere la porta ma la intimai di fermarsi. "Sei sporca di sangue." Le feci notare. "Sai dove andare."

Sbuffò e si diresse verso bagno. Mi misi sulla porta con la spalla appoggiata e la gambe incrociate, guardando ogni suo minimo movimento. Ogni volta che passava l'asciugamano bagnato sulla ferita emetteva piccoli gemiti di dolore.

"Sadica." Disse guardandomi attraverso lo specchio.

"Chi? Io?" dissi facendo la finta tonta. "Sei tu la masochista." Lei sbuffò.

Mi ritrovai ad osservare di nuovo il suo corpo, così atletico e slanciato. E quella pelle liscia e bianca non comune tra le cacciatrice. La voglio, corpo e anima, completamente.

"Arriverà mai il momento in cui ad un mio ordine corrisponderà una tua azione?" dissi scherzando.

"No, mai." disse con un finto sorriso.

"Lo immaginavo."

"Dove lo metto?" Disse alzando l'asciugamano sporco.

"Lascialo lì, ci penso io dopo." Lo gettò a terra e uscendo mi pestò un piede. "Scusa." disse ironica. "Ma te lo meriti." cercò di nascondermi il suo ghigno ma era troppo evidente. 

 

Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e del personaggio di Eloyn che inizia ad essere un po' bipolare porella XD Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Rhea ***


Eloyn

Per tutta la mia vita ho sempre cercato di fare il mio meglio. Mi sono allenata duramente, volevo rendere fiero l'uomo che mi aveva salvata, volevo solo che sapesse che lo meritavo. Volevo dimostrare al mondo intero che valevo qualcosa, che la mia esistenza e la mia vita erano utili... che io ero utile. Ma in realtà non è così. Non solo mi sono fatta rapire ma mi ritrovo anche con queste sensazioni. Ho permesso a lei, un vampiro, di usarmi a suo piacimento e questo perché... Perché?
Lei con quel suo modo di fare così prepotente e autoritario, a tratti anche violento, mi fa imbestialire. Ma allo stesso tempo quel suo sorriso malizioso, i suoi capelli rossi e il suo profumo mi affascinano. Ma credo che sia questo il punto, la loro razza è ingannatrice e subdola.

E adesso mi ritrovo qui, nella sua camera, con il collo nuovamente ferito e con il mio orgoglio a pezzi. 
Ho cercato di reagire, avevo il coltello puntato sulla sua gola, ma niente, non ce l'ho fatta. Ogni volta che tento di fare qualcosa la situazione si ribalta sempre, letteralmente. È affascinante e è dannatamente brava a sedurre, anche se non è quello il suo obiettivo le viene naturale.

Scesi lentamente le scale appoggiandomi alla ringhiera, lei mi seguì. Sapevo che mi stava osservando, ma feci finta di nulla. Non appena arrivammo alla fine della scala, si sentì il rumore del portone che si apriva. Lux si diresse come un fulmine al portico ed io incuriosita la raggiunsi. Vidi i sui occhi illuminarsi alla vista di quella figura, così snella ed elegante. Aveva i capelli neri e lunghi, gli occhi grigi e la bocca carnosa era coperta con un rossetto rosso acceso. Rimasi lì bloccata a guardare quella donna. Ma fu quando parlò che la sua voce mi risuonò conosciuta.

"Sorellina!" esclamò sorridendo vedendo la rossa. Lux le salto addosso mettendole le braccia intorno al collo.

"Rhea," disse dolcemente tenendola stretta a se. "Quanto mi sei mancata!"

"Anche tu." disse sussurrando. "Ma.." disse staccandosi dalla sorella. "Che diavolo hai fatto alla testa? " chiese ridendo.

Sentii un grande disagio e dall'espressione di fastidio che aveva Lux, capii che era lo stesso per lei.

Quasi automaticamente si portò la mano alla testa, toccando la fascia, come se non se ne fosse mai accorta. Mi lanciò una breve occhiata e io indietreggiai. Anche la mora adesso mi guardava, con sguardo giudice. Poi posò lo sguardo sul il mio collo e sul mio polso, e sorrise.

"L'importante è che l'hai punita." disse sempre fissandomi.

Ad interrompere la tensione ci penso James che con le sue fine braccia portava due grandi valige. 
"Permesso..." disse cercando di passare. Le due distratte posarono la loro attenzione sul ragazzo e io ne approfittai per correre via.

Appena girai per prendere le scale, mi ritrovai qualcuno davanti ma era troppo tardi per fermarsi. Gli sbattei contro e per poco non cadde all'indietro se non fosse stato per la mia ferrea presa sulla sua mano.

"Eloyn?!" Esclamò stupefatta.

"Amelie, perdonami." Dissi dispiaciuta. Poi con uno scatto della mano la tirai su e la vampira ritornò in equilibrio.

"Wow!" disse la bionda. "Che ti è preso?" rise. Rimasi in silenzio incapace di darle una motivazione. Non potevo semplicemente dire che ero appena fuggita dallo sguardo assassino della sorella della donna che avevo violentemente colpito alla testa. "Comunque il pranzo è pronto," cambiò discorso notando la mia insicurezza nel parlare,"Unisciti agli altri umani." disse con sguardo gentile.

"Tu non vieni?" chiesi sperando che venisse con me.

"No, devo salutare una persona." mi accarezzò la guancia gentilmente come farebbe una sorella maggiore e mi chiesi come potesse esiste una creatura tale. Il viso d'angelo, la delicatezza di una piuma, ma allo stesso tempo canini affilati creati per uccidere. "Vi raggiungiamo tra poco." e scappò via, l'unica persona che mi ispirava un po' di fiducia in questa casa mi aveva appena lasciata sola.

Camminai verso la sala da pranzo e mi ritrovai a pensare che in realtà non sapevo nulla su di lei, tranne che fosse un medico, anche se fisicamente sembra avere circa la mia età. 
Poi sentii dei passi veloci dietro di me e per la paura mi arrestai, pronta per un eventuale colpo. Ma invece era un ragazzo, che passando mi diede una gentile pacca sulla spalla.

"Ciao Eloyn!" Disse continuando a correre, ma rallentò aspettando un mio saluto.

Sì mi ricordo di lui, mi aveva portata in camera quando stavo male, come cavolo si chiamava?

"Ciao!" dissi e dopo una pausa mi ricordai "Dave!"

Il ragazzo mi fece un sorriso e continuò diretto verso la sala. Potevo già sentire il buono odore della carne e della pasta ma anche il disgustante odore del sangue. Era una sofferenza per me guardare ogni volta quei essere bere beati con quei calici sfavillanti.

Non appena entrai vidi che c'era tensione nell'aria. Alcuni vampiri, di cui non avevo fatto la conoscenze grazie al cielo, erano in piedi e guardavano in basso. Non capivo cosa stessero fissando con tale coinvolgimento a causa del lungo tavolo che mi ostruiva la vista. Un'altra seduta, invece guardava ridendo la scena sorseggiando del liquido rosso. Aveva i capelli castani e lisci, una carnagione olivastra e un piccolo neo a bordo labbro. Nessuno mi notò a parte Dave che, in piedi insieme agli altri umani, mi lanciò una breve occhiata. Aveva completamente perso il bel sorriso che aveva prima, il che mi preoccupava. Dal poco che avevo potuto vedere sembrava essere una persona davvero solare nonostante la situazione in cui si trovasse.

"Che è successo?" Cercai di mimare con la bocca. Lui con un lieve gesto della mano mi invitò a restare dove ero.

La vampira, prima seduta, si alzò e mi guardò con sguardo fisso. Aveva degli occhi di un blu gelido e nonostante il sorriso sulle sue labbra leggermente sporche di sangue, non mi ispirava fiducia, per niente affatto.

"Guardate chi è arrivata." Disse cercando l'attenzione degli altri. "Che fai lì impalata, unisciti ai tuoi compagni." 

Cercai di nuovo lo sguardo di Dave ma anche lui sembrava perplesso. Gli altri umani invece guardavano i propri piedi, impauriti e intimiditi. Poi sentii una voce strozzata e vidi il viso di uno dei vampiri tramutarsi in rabbia.

"Stai giù!" gridò dando un calcio a qualsiasi cosa ci fosse.

Alla fine più che per coraggio, corsi verso gli altri umani sperando che non stesse accadendo quello che pensavo. Aggirai il tavolo ed era proprio come credevo, c'era un umano a terra che ansimava per il dolore.

"Vuoi unirti anche tu?" chiese la vampira di prima. La guardai sconcertata, cosa avrei dovuto fare? "Arkel che ne dici di dare una lezione anche alla ragazzina?" disse rivolgendosi all'uomo che aveva appena pistato il ragazzo. 

"Del resto ha fatto male a nostra sorella."

"Un secondo tesoro," disse girando intorno all'umano, che inerme rimaneva disteso a terra. "Prima fammi finire qui." Il vampiro furioso, prese una sedia in segno dal tavolo e l'alzò in aria come se fosse una piuma. "Questo moccioso deve imparare la lezione."

Vidi la sedia colpire la schiena del ragazzo con tale potenza che al contatto si ruppe. "No!" gridai mentre la rabbia insorgeva in me. L'essere vedendo la mia reazione, con un ghigno prese un'altra sedia, pronto a colpire l'umano un'altra volta. Senza pensarci presi un coltello dal tavolo e mi fiondai su di lui. Questa volta non lo avrei lasciato cadere, sarei andata fino in fondo, anche se dopo mi avrebbero uccisa. Preferisco morire da cacciatrice che da schiava.

Con queste parole risonanti nella mia testa attaccati diretta il succhiasangue. Egli schivò il colpo e gli altri vampiri si misero a distanza godendosi lo spettacolo. Senza pudore salì sul corpo del ragazzo per darsi la spinta e saltarmi addosso. A malapena riuscii a schivarlo, era davvero veloce. Ma non era arrabbiato, anzi sembrava divertirsi, così come gli altri, per loro era un gioco, per me era una questione di vita o di morte, anche se l'ultima era inevitabile. Quella via fu tracciata dal momento in cui avevo messo piede in questa casa.

Riacquistai l'equilibrio e mi preparai ad attaccarlo. Gli tirai un pugno con la mano sinistra e come previsto lo evitò, ma facendo questo si sbilanciò verso destra. Con potenza e rapidità cercai di colpire il suo fianco scoperto con il coltello, ma egli con la mano destra spinse via il mio braccio, cambiando la mia traiettoria. In fine si spinse di lato ed io mancandolo caddi a terra con ancora il braccio disteso. Sentii i vampiri ridere di me, ma era normale, come potevo io da sola sconfiggere uno di loro. Era stato un tentativo folle ma non potevo rimanere in disparte.

L'essere senza darmi tempo di rialzarmi, mi pestò con il piede la mano con cui tenevo l'utensile. 
Gemetti per il dolore. Tentai di tenere stretto il coltello ma la sua pressione era troppo potente. Alla fine lasciai la presa e lui velocemente lo raccolse senza togliere il piede. Cominciò a ridere divertito, per poi guardare i suoi compagni e ridere ancora più forte. Senza che me lo aspettassi con la gamba libera mi diede un calcio sul viso. La sua potenza fece alzare il mio corpo ancora inchiodato sotto il suo peso. Adesso avevo lo sguardo rivolto verso l'alto, ero stordita e mi fischiavano le orecchie. Sbattei le palpebre cercando di riguadagnare la vista ma l'intensa luce del lampadario non aiutava. Poi vidi il suo sguardo sopra il mio, mi mollò la mano e io me la portai al petto con un gesto istintivo. Con calma mi prese la gamba e iniziò a trascinarmi. Gli umani si scansarono facendolo passare. Cercai lo sguardo di Dave ma non riuscii a vederlo, gli altri umani, invece, non ci pensarono due volte a levarsi.

Con sempre più velocità mi trascinò al centro dell'enorme sala. Cercai di alzarmi ma non ce la feci, mentre lui non faceva che sogghignare alla vista dei miei tentativi.

Sentii uno dei vampire dire qualcosa "Non stai esagerando?"

"No Camilla," rispose lui guardandomi. "Nessuno fa del male alla nostra famiglia, ricordi?"

"Quando Lux arriverà-" iniziò lei ma fu bruscamente interrotta dal vampiro.

"Quando Lux arriverà mi ringrazierà." Disse scandendo ogni parola.

Colsi quel momento di distrazione per dagli un calcio in pieno muso, ma nuovamente lo evitò. Anzi mi prese entrambe le gambe con una stretta micidiale che mi fece gemere.

"Arkel no!" Gridò la vampira di nome Camilla, ma era troppo tardi.

Come niente mi alzò facendo un giro su se stesso e mi lanciò dall'altra parte della stanza. Non mi aveva spinto con tutta la sua forza perché feci un piccolo salto ma fu doloroso quando ricaddi a terra e, rotolando, andai a sbattere contro il muro. 
Non so come ma ero ancora cosciente e con la piccola forza che mi era rimasta mi rimisi in piedi. Non dovevo mostrare alcuna debolezza. Probabilmente gli umani mi stavano dando della stupida, che sarebbe stato meglio se fossi rimasta a terra come l'altro ragazzo, ma non sarei stata io se lo avessi fatto. Non sono come gli altri schiavi umani e non voglio diventaci, sarò sempre io, una cacciatrice.

Nonostante prima i vampiri lo stavano incoraggiando, adesso sembravano perplessi, insicuri se fermarlo o meno. Lui comunque ignorò i loro sguardi e si diresse verso di me con velocità vampira. Lo ritrovai a pochi centimetri da me, di nuovo con un ghigno. Alzò il braccio pronto a schiaffeggiarmi, ero troppo debole per spostarmi e presi il colpo.

Caddi nuovamente a terra, stremata e incapace di muovere un muscolo. 
Ma fu quando lo vidi inginocchiarsi che ebbi veramente paura. Mi salì sopra e scrutò il mio corpo, mi afferrò i polsi tenendoli fermi sopra la mia testa. Questa scena è così famigliare, pensai.

"Arkel." Lo richiamò un'altro vampiro.

"Taci!" disse senza voltarsi.

"Arkel!" Lo richiamò nuovamente l'altro.

Vidi il suo corpo sollevarsi contro la sua volontà e in quel momento capii che l'amico non lo stava ammonendo bensì avvertendo. Il succhiasangue fece un volo nettamente più alto e violento del mio, per poco non tocco il soffitto. Sentii una grande soddisfazione quando ricadde di faccia sul pavimento con il viso coperto di sangue, che come un fiume usciva dal suo naso.

"Portatemi uno straccio!" Gridò agli umani. Ma nessuno mosse un muscolo su ordine di qualcun altro.

Poi volsi lo sguardo verso colei che mi aveva aiutata. Ero pronta a scommette che era Lux ma invece era un'altro vampiro. Cercai di mettere a fuoco il suo viso e mi riempii di stupore nel vedere che era Rhea.

Poi sentii la sua voce, "Che diavolo è successo?!" era furiosa, non avevo mai sentito Lux così. Volse il suo sguardo verso di me per vedere se stavo bene, poi si diresse verso l'altro ragazzo a terra e lo guardò di stucco. "Che vi è saltato in mente?! Idioti!" gridò con tutta la voce che aveva.

Furibonda si diresse verso Arkel. In quel momento notai che c'erano anche Amelie e Dave. Il ragazzo mi guardò sorridendo facendomi capire che era tutto apposto. Ricambiai il sorriso capendo che era stato lui ad avvertirle e mi riempì di gioia sapere che adesso, forse, avevo un amico.

"Lux calmati!" disse Amelie andandole incontro.

"Spostati." disse continuando a fissare il succhiasangue.

"Lo punirai dopo, adesso pensiamo a loro." disse guardando nella mia direzione.

Rhea alzò gli occhi al cielo e cercando di sdrammatizzare disse,"E io che pensavo in un rientro tranquillo."

"Rhea per favore." Sospirò Lux.

"Va bene," disse alzando le mani al cielo. 

Poi i suoi occhi si spostarono da Rhea a me. Occhi grigi pieni di compassione. L'ultima cosa che volevo era essere compatita, allora nonostante il dolore cercai di alzarmi.

"Due di voi che portano Arkel nelle celle, subito!" Ordinò poi. Camilla si offri immediatamente, anch'ella disgustata dalle azioni dell'amico. "Anche tu Elliot." disse fermamente la rossa con un gesto della testa. Il ragazzo, che prima aveva tentato di aiutare il compagno, annui e a testa bassa lo raggiunse insieme a Camilla.

"Lux!" esclamò il vampiro alzandosi da terra. "Per favore! L'ho fatto per te!"

"Cosa hai esattamente fatto per me? Eh Arkel?"

"Io-" ammiccò.

"Tu cosa? Non fai altro che mostrarmi quanto io abbia sbagliato a renderti immortale, sei una spina nel fianco."

"Perdonatemi." disse in tono sottomesso per poi chinare il capo.

"Capisco la vostra rabbia verso di lei," osservò indicandomi. "Ma lei è una mia responsabilità," poi alzando la voce, "È la mia Bloodgiver, chiaro?!" Li guardò uno ad uno e sentenziò, "Solo io posso punirla e nessun altro!"

I vampiri annuirono e una volta che la tensione si abbassò, Amelie si avvicinò al ragazzo, svenuto ormai da tempo. "Dave aiutami." 

Ma potevo percepire che era indeciso, vedevo che voleva aiutare me, ma quel ragazzo era messo peggio. "Vai" gli sorrisi. Lui abbassò lo sguardo imbarazzato ma felice e raggiunse la propria padrona.

Quando girai lo sguardo verso Lux, vidi i suoi occhi schizzare tra me e Dave, la cosa mi diede fastidio, a che stava pensando?

Rhea era ancora davanti a me e mi porse la mano, "Ti serve un aiuto?"

"No" risposi ma appena feci un passo una scarica di dolore mi travolse facendomi cadere in ginocchio. Che umiliazione... Nuovamente Rhea cercò di aiutarmi ma fu bruscamente scansata da Lux, che senza sentire storie mi prese in braccio. "No Lux!" Tentai.

"Zitta o finisco ciò che quel cretino ha iniziato." Disse tenendomi stretta. "Amelie?"

"Si?" disse alzando la testa. "Che c'è?"

"Per favore, dopo manda qualche servo a portaci qualcosa da mangiare." poi quasi sussurrando disse "Odio saltare i pasti." La ragazza annui e tornò a porre la sua attenzione sul ragazzo. "Un'ultima cosa," disse rivolgendosi a tutti. "Saremo anche una famiglia, ma ricordate che sono il Lord regnante e dovete portarmi rispetto, che vi piaccia oppure no!" detto ciò con velocità vampira raggiungemmo in un battito di ciglia la sua camera.

"Lasciami." Dissi scorbutica.

"No." Rispose veloce.

"Perché?" chiesi mantenendo un atteggiamento scocciato. La vampira sospirò e con uno scatto della testa si scansò i capelli che aveva sul viso. "E perché che diavolo siamo di nuovo in camera tua?"

"D'accordo."  Sentii le sue mani spostarsi per poi perdere la presa. Caddi a terra dolorante sbattendo il sedere e imprecando.

"Che problemi hai?!" Misi una mano sul fondo schiena.

"Tu me lo chiedi?" Disse impetuosa. "Senti, non mi interessa il motivo per cui Arkel ti ha attaccata-"

"Sono stata io," dissi interrompendola. "Ho attaccato per prima. E lo so è stato da stupidi ma..."

"Non c'è nessuno da incolpare, ma Eloyn ti proibisco assolutamente di interagire con gli altri vampiri della casa."

"Io faccio quello voglio." Risposi fermamente. Mi fulminò con lo sguardo e scattai in piedi, pronta a difendermi se fosse stato necessario.

"Mi rendi sempre più difficile tenerti in vita." Era preoccupata, potevo vederlo, sia nei suoi movimenti che nelle sue parole. "Per i vampiri di questa casa sei solo una schiava e anche se sei la mia schiava, non esisteranno ad ucciderti se fa una mossa sbagliata."

"E tu?"

"Di nuovo con la confidenza." Mormorò scocciata.

"Perché non mi hai ancora uccisa?" Ero seria, più che mai. È dal primo giorno che per me lei rappresenta un enigma. Non riesco a capire cosa pensa, il perché delle sue azioni. È davvero stressante. Aspettai una risposta, ma l'unica cosa che fece fu incrociare le braccia e fissarmi dritta negli occhi, come se stesse cercando di leggermi.

"Sei diverte." disse in fine.

Tra tutte le risposte che poteva darmi, questa era quella che meno mi aspettavo. "Cosa?" dissi incredula.

"Riesci a... Intrattenermi." disse cominciando a muoversi nella stanza. "Hai quel qualcosa che... non so, di insolito?" Poi fece una piccola risata come se avesse avuto un idea illuminate e domandò, "Perché tu non mi hai ancora uccisa?" Mi guardò sorridendo, come se sapesse di aver toccato un punto dolente.

Abbassai lo sguardo incapace di sostenere il suo. Non sapevo come rispondere, effettivamente non c'è una vera motivazione. Sono pienamente conscia delle mie azioni e cosa le anima, ma, se avessi davvero il coraggio di rispondere le direi, "Non lo so." Ma stetti in silenzio.

"Lo sapevo." Disse a bassa voce. Incamminandosi verso la porta disse, "Vado a vedere com'è la situazione giù, aspettami qui." Prima di uscire, però, si fermò e aggiunse, "È un ordine."

Wow questo capito è uscito davvero lungo. Ditemi che cosa ne pensate e se trovate qualche errore di scrittura avvertitemi che magari mi è sfuggito, alla prossima ^.^

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Fiducia ***


Lux

È passata una settimana da quell'incidete. Ho tenuto Arkel rinchiuso nelle segrete per tre giorni, senza sangue. Era stremato e ci vollero due persone per tirarlo su, ma se lo meritava, nessuno tocca le mie cose. Tenni l'altro umano al sicuro, fuori dalla sua portata. Aveva qualche costola rotta, ma tutto sommato stava bene. Alla fine scoprii che era stato solo uno stupido capriccio di quell'idiota. Prima o poi lo ammazzo.

Rhea invece non faceva altro che starmi addosso dopo la scoperta che aveva fatto.

"Ho riconosciuto l'odore del suo sangue!" aveva esclamato. "Voglio delle spiegazioni, adesso!"

"Non c'è niente da spiegare Rhea, è stato un caso." le avevo risposto sedendomi sul letto.

"Non dirmi che sei andata a cercarla di proposito?"

"Ti ho detto che è stato un caso!" Avevo incominciato ad innervosirmi. "Sono andata a caccia con gli altri, lei si era separata dal gruppo e ne ho approfitto. Non sapevo chi fosse."

"Ma hai comunque deciso tenerla come tua Bloodgiver." Aveva detto sospirando. 
"L'ho riconosciuta subito dall'odore delle macchie di sangue che aveva sul vestito e a te ci è voluto un mese per capirlo!?"

Era sempre stata una sorella gentile e premurosa, ma da quando quella disgrazia era accaduta, aveva cominciato a guardarmi con occhi diversi. C'era compassione ma anche disprezzo per quello che avevo fatto. E adesso vedevo nuovamente quei occhi pieni di delusione.

"Ha intenzione di finire quello che avevi iniziato dieci anni fa?"

"No Rhea, non è quella la mia intenzione. Quello fa parte del passato."

"Beh sembra che il passato sia tornato a tormentati di nuovo."

Avevo abbassato lo sguardo, sentendo il dolore e la sofferenza di una volta. Stavano risalendo a galla come un fiume in piena e a stento riuscii a trattenere le lacrime. Tutto quel senso di colpa e di miseria che da anni avevo sepolto era tornato a torturarmi di nuovo. Tutti quei ricordi...

A quel punto aveva addolcito la voce, capendo che stava esagerando. "Qualsiasi cosa, sappi che io ci sono, okay?" aveva detto abbracciandomi. "Non ti ho abbandonato quella volta e non lo farò adesso, ma per favore, non sfogare il tuo rancore su di lei che non c'entra niente."

Avevo ricambiato caldamente il suo abbraccio. Aveva ragione, Eloyn non c'entrava niente con la sua morte. Ma ogni volta che la guardavo ripensavo a lei e a come l'avevo uccisa.

Alla fine tentò di cambiare discorso, anzi, fece finta che tutta la discussione non fosse accaduta. "Adesso devo sbrigarmi." mi aveva detto staccandosi. "Vado in città con Amelie e devo prepararmi."

"Quindi voi due..." lasciai la frase in sospeso. "Ma non vi odiavate?"

"Mai sentito parlare di amicizia con benefici?"

"Che cretina che sei." Dissi ridendo.

Ma tutta questa conversazione non fece altro che ricordarmi che avevo un'altro problema da risolvere. Gli umani che si erano stanziati nel bosco non facevano altro che cambiare postazione ogni notte. E fu ancora più difficile tenerli d'occhio quando si divisero. Erano aumentati di numero, non che la cosa mi preoccupasse, ma le loro intenzioni ci erano ancora ignote. Sarebbe stato folle da parte loro attaccarci ma non si può mai sapere cosa passa nella testa di quei ratti. Non sarebbe stata la prima volta che avrebbero tentato di attaccare per poi fallire miseramente.

Amelie, di conseguenza, mi ha chiesto di risparmiare loro la vita se li avessimo catturati. Si vede che un tempo era umana, ha mantenuto la sua gentilezza ma anche quel pizzico di stupidità che accomuna tutti loro. Ma nonostante ciò non posso annullare i miei sentimenti per lei. Io l'ho cresciuta in questo mondo, per me è come una sorella, così come tutti gli altri vampiri di questa casa... A parte Arkel che è un deficiente, mi ci vorrà un bel po' per perdonarlo.

Aveva solo quattordici anni quando era stata venduta al suo primo proprietario. Per essere poi rivenduta, ancora e ancora, finché un giorno non passò sotto le mani di un mio vecchio conoscente. Per lui non era una semplice schiava ma qualcosa di più. Perciò la trasformò in un vampiro, ma quando il divertimento finì la gettò via come se nulla fosse. Io e i miei vampiri la ritrovammo in un villaggio umano, circondata da sangue e corpi dilaniati. Come ogni neo vampiro aveva perso il controllo e il suo istinto aveva preso il sopravvento. Fu in quel momento che decisi di prenderla con me, pensando che aveva perso tutta la sua umanità, ma mi sbagliai. Parte di essa era ancora intatta e dopo il trauma decise che non avrebbe mai più bevuto sangue direttamente da un umano, ma in capsule, anche se di tanto in tanto fa qualche eccezione. La lasciai crescere fino a diciott'anni e poi le regalai l'immortalità. Di nascosto mandai a catturare colui che l'aveva abbandonata, Sir. Auber du Bounville. Era un vampiro di bassa aristocrazia, principalmente conosciuto per gli esuberanti debiti accumulati che lo portarono all'esproprio di quasi tutte le sue terre. Le diedi la possibilità di fare di lui ciò che voleva, ma il suo cuore ancora umano e compassionevole si rifiutò e fui obbligata a lasciarlo andare. Qualche mese dopo scoprii che i due erano rimasti in contatto e che condividevano una passione segreta. Ancora una volta finito il divertimento, fu gettata via di nuovo. A quel punto lo uccisi con le mie stesse mani, liberando allo stesso tempo la sua famiglia da una feccia del genere. "Nessuno fa del male alla mia famiglia." fu l'ultima cosa che gli degnai di sentire prima che gli rompessi il collo. Per distrarla dal dolore le permisi di studiare medicina e in una decina di anni divenne una professionista. Ho accolto in questa casa ogni tipo di vampiro per offrirgli una vita migliore. Adesso siamo tutti una famiglia. Circostanze sfortunate ci hanno riuniti ma nessuno di loro avrebbe desiderato una vita diversa da questa.

Ho chiesto anche agli altri vampiri cosa avrebbero preferito che facessi agli umani che in caso avremmo catturato. Ma più che per pietà, volevano tenerli in vita solo per farli diventare loro schiavi. Il che non sarebbe stata una brutta idea, ma abbiamo già abbastanza umani, tutti non sarebbero entrati in questa casa nonostante è enorme, per non parlare di tutte le bocche in più da sfamare.

Anche se vagamente, la ragazzina tentò di raccogliere informazioni, ma ne sapevo meno di lei.

"Nel caso li catturate, cosa ne farete di loro?" mi chiese mentre sistemava i fiori in giardino. Io invece me ne stavo beata all'ombra con un drink.

"Semplice, prima li squarteremo e poi li prosciugheremo." dissi cercando di farla arrabbiare. "Fino all'ultima goccia."

Ma al mio sorriso beffardo rispose con gran tranquillità, "Allora spero che non accada."

Probabilmente aveva capito che la stavo prendendo in giro, ma quel comportamento infastidì me invece.

"Ho parlato con Amelie." mi disse asciugandosi la fronte con uno straccio.

Aspettai che continuasse la frase ma mi lasciò in sospeso. "E?" chiesi curiosa.

"Cosa?" Chiese facendo finta di niente.

Sbuffai e lei rise compiaciuta, "Mi ha detto che un tempo era umana e che l'hai aiutata durante la sua transizione." Disse sorridendomi. "Non me lo aspettavo." Esclamò tornando a lavoro,"Non pensavo che potessi essere gentile."

Perché sta facendo la carina con me? Era la prima volta che mi sorrideva con tale spontaneità.

"Come mai? Non odi gli umani?" disse sempre con tono tranquillo.

"Nel momento in cui diventi un vampiro perdi la tua umanità." le spiegai, "Lei stessa ti avrà detto che dopo la trasformazione ha quasi ucciso una decina di abitanti in un villaggio."

"In realtà l'ha omesso." Disse accigliandosi.

Amelie le sembrerà anche un angelo in confronto a me, ma anche lei del resto è un vampiro.

"Comunque, ti ha detto altro?" chiesi.

"C'è altro che devo sapere?"

Ma non risposi, mi limitai a finire l'ultima goccia di alcol e sangue che avevo nel bicchiere.

"No, non mi ha detto altro e io non ho fatto domande." disse rassicurandomi. "Ma c'è una cosa che continuo a chiedermi da quando sono arrivata."

"Cosa?" chiesi non appena riuscii a calmare il mio battito accelerato. Avevo veramente paura di ciò che mi avrebbe chiesto, non amo parlare del passato.

"Chi c'era prima di me?"

Sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto, era inevitabile. Ma non sono comunque tenuta a dirle la verità.

"Molte altre Bloodgiver. Dopo un po' che iniziano ad annoiarmi le vendo." Dissi portandomi il bicchiere alle labbra. Sbuffai quando notai che era vuoto ma l'umana pensò che era a causa sua.

"Non mi sopporti proprio vedo." disse infastidita.

Posai il bicchiere alla mia destra e la guardai con un sorriso. Confusa alzò un sopracciglio e dai suoi movimenti indecisi capii che era insicura se continuare a lavorare o sostenere il mio sguardo.

"Vieni qui." le dissi in fine. Vedendola immobile aggiunsi, "Adesso."

Si alzò sbuffando, si ripulì i pantaloni dalla poca terra che era caduta e dopo essersi tolta i guanti si avvicinò a me, rimanendo in piedi a guardarmi. Le feci un gesto con la mano incitandola a sedersi sulla mie gambe ma alzò gli occhi al cielo.

"È un ordine." le dissi, ma senza arroganza o costrizione.

Alla fine si piegò e si sedette sulle mie gambe, anche se a debita distanza, perciò la afferrai e la feci avvicinare. Era in imbarazzo, potevo vederlo dalle guance rosse e carinamente dalla punta delle orecchie, ormai arrossate.

"Stai arrossendo." dissi con cantilena.

Alzò nuovamente gli occhi al cielo e poi in procinto di alzarsi disse, "Meglio se torno a lavoro o mi verranno contro anche gli umani."

Ma prima che potesse scappare le presi il braccio e la riportati giù. "Finché starai al mio fianco, nessun umano o tanto meno un vampiro potrà farti del male."

"E Arkel? Mi ha quasi uccisa." Ribatté.

"È vero, non potrò esserci sempre, ma è anche tuo dovere non cacciarti nei guai." le dissi rimproverandola, ma sempre con delicatezza.

Non replicò, anzi, abbassò lo sguardo rimuginando su qualcosa a me sconosciuto. Quanto vorrei essere capace a leggere il pensiero, risolverebbe molti miei problemi. La maggior parte delle volte capisco quando qualcuno mente, ma avvolte certi soggetti diventano dei maestri nel nascondere le proprie emozioni e diventa difficile trovare delle falle. Ammetto che talvolta mi risulta difficile capire cosa passa per la testa di questa ragazza, ma con gli anni imparerò a conoscerla meglio, questo è certo.

"Ti proteggerò io." quando lo dissi alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi con uno sguardo criptico, come se stesse cercando di comprendere se le mie parole erano veramente sincere. "Te lo giuro." dissi sorridendo.

La vidi stringere i pugni e portare le labbra dentro la bocca. Lì per lì pensai di averla fatta arrabbiare ma mi riempii di stupore quando poggiò la sua testa sulla mia spalla, tanto che mi fece dubitare. Sarà una trappola?

"Ho visto la morte in persona un giorno, non voglio più sentirmi in quel modo."

Spalancai gli occhi capendo di che cosa stava parlando. Deglutii nervosamente, incapace di dire qualcosa.

"Per favore," disse sottovoce. "Fammi tornare a casa o finirò per morire."

Istintivamente, senza neanche pensarci, misi le mie braccia intorno ai suoi fianchi e la strinsi così forte che sollevò la testa tra meraviglia e dolore per la stretta.

Che mi succede?!

Sentii il suo cuore battere veloce contro il mio... O ero solo io?

In quel momento non vidi davanti a me Eloyn. Vidi una figura a me familiare che non vedevo da anni. Si assomigliano molto lei e...

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - "Mi ricordi qualcuno" ***


Eloyn

Mai mi sarei aspettata che mi avrebbe abbracciata in quel modo. Ma ero ancora titubante, come darmi torto, del resto poteva essere una tattica per farmi abbassare la guardia. Dopo tutto quello che mi aveva fatto e che io le avevo fatto, il mio scetticismo era giustificato. Ma quella vicinanza mi imbarazzava. Nonostante ero conscia che questo tipo di intimità non era normale, era quasi piacevole. Forse perché non c'era mai stato nessuno che abbia tentato di annullare questa distanza. Forse anche per colpa mia. A nessuno più importava di dare affetto o amore agli altri in un mondo dove si lotta continuamente per sopravvivere. Anche il legarsi ad un estraneo significava provare dolore una volta che lo si avrebbe perso. Ho perso tutte le persone che amavo, non solo la mia famiglia, ma anche quel bambino che tutti i giorni veniva a casa mia per giocare, o l'anziana signora che ogni volta mi regalava qualche dolce fatto da lei, o anche quel signore che era solito portare la legna quando nevicava. E lo ammetto, il solo pensare che io sia l'unica sopravvissuta mi distruggere. Perché io? Ero felice ma non meritavo quel dono. Da quel giorno non ho permesso mai più a nessuno di avvicinarsi, magari per paura o forse perché ero una codarda. 
Ma se adesso penso a lei, Lux, ha sempre tentato di annullare questa distanza anche se per un motivo finalistico solo a lei. È davvero difficile allontanarla dopo che per tanto tempo si è stati da soli. Ti sta usando! È solo una tattica! Mi ripetevo nella testa. Allo stesso tempo però mi dicevo che non avevo nulla da perdere ormai, ma poi ripensavo a Magnus, il mio padre adottivo, che aveva fatto tutto per crescermi e mi aveva anche dato uno scopo per vivere. "La vendetta" mi diceva. "Pensa ai tuoi genitori e a come li renderesti fieri." Allora crebbi con questa parola impressa nella mente vendetta... Vendetta... "Ma sono tutti cattivi?" chiedevo da ingenua. "Tutti" lui rispondeva. E allora entravo in confusione, "Ma c'è stato un vampiro che ha impedito al succhiasangue che ha ucciso mamma e papà di uccidere anche me." e lui andava su tutte le furie, "Menzogne!" gridava.

Allora, confusa come era quando ero bambina, posai la mani sulle sue spalle per allontanarmi ma mi fermai non appena lei disse, "Non morirai, stai tranquilla." Aveva un tono di voce calmo ma potevo percepire anche un pizzico di tristezza. Allora mi domandai se anche lei avesse mai provato lo stesso mio dolore o se fosse stata graziata da questa condanna.

Nonostante la mia rigidità non mi lasciò e all'improvviso mi sembrò come se ne avesse più bisogno lei. 
Volevo ricambiare il suo affetto, se così potevo chiamarlo. Ma ero incerta e impaurita. Cosa avrebbe comportato? E se stava fingendo?

Per questa volta, giurai, solo per adesso.

Appoggiai il mio mento sulla sua spalla e le braccia intorno al collo.

"Come mai così d'improvviso..." mi chiese.

"Potrei farti la stessa domanda." mormorai tra i suoi capelli.

Girò il viso, poggiandosi con la guancia e sfiorandomi il collo con le labbra. A quel contatto rabbrividii.

"Mi ricordi qualcuno." rispose.

"È una cosa positiva o negativa?"

"Non lo so." Mi confessò sospirando, "Ma di una cosa sono sicura." mi disse ed io alzai la testa incuriosita. "Stai diventando più ubbidiente."

"Idiota!" dissi ridendo.

"Però l'insolenza ti è rimasta, eh?" Mi diede un pizzico sul fianco e mi dimenai.

"Perché?" dissi massaggiandomi il punto dolente.

"Dai non fare l'esagerata!" Disse scherzosamente.

"Ah si?!" esclamai per poi darle un assaggio del suo stesso veleno. Ma non reagì, anzi, aveva quel suo sorriso arrogante.

"Tutto qui?" disse alzando un sopracciglio. Ma appena vide il mio broncio scoppio a ridere. "Da non fare quella faccia!"

In quel momento quasi dimenticai chi fosse la persona che avevo davanti. Il mio nemico più grande. In quell'istante misi da parte il fatto che era un vampiro e come una stupida pensai, se solo fosse umana... 
Ma poi sentii il suo corpo irrigidirsi e tornò ad avere quel suo sguardo serio e autoritario.

"Lux." la chiamò una voce a me familiare.

"Non vedi che sono occupata!" Disse lei. Tentai di girarmi ma fu in quel momento che capii che la vampira aveva una potente stretta su di me.

"Vedo, ma è importante."

Ma poi mi rivenne in mente di chi era quella voce, Rhea.

"Dimmi." disse la rossa.

"C'è Adrienne Maron. L'abbiamo appena accolta nel salone insieme ai suoi consiglieri. Ti stanno aspettando."

"Ha detto perché è qui?" chiese ansiosa.

"Pare che sono stati attaccati."

"Da chi?" chiese lei velocemente.

"Cacciatori." con tono più serio aggiunse, "Professionisti a quanto pare."

Lux fece un respiro profondo e per un momento pensai che se la sarebbe presa con me. Invece posò l'indice sotto il mio mento e mi tirò su il viso facendo incontrare i nostri occhi. "Quanto ti manca per finire?"

"Quasi fatto, massimo un quarto d'ora." risposi.

"Bene, tra un'ora ti voglio davanti alla sala riunioni." Lasciò la presa permettendomi di alzarmi. "Avrò bisogno di te dopo." Disse stanca. "Rhea, tienila d'occhio. Solitamente cerca di sfuggire dalle sue mansioni."

"Certo." disse la ragazza con una leggera risata.

"Bene, meglio che vado o la principessina mi farà la predica." 
Si voltò e mentre camminava, tra se disse, "E dire che questa giornata stava andando bene." Con voce alta e scocciata aggiunse, "Che rottura..."

Involontariamente mi ritrovai a sorridere a quel suo buffo comportamento. Avvolte era così autoritaria, avvolte così infantile.

Non appena se ne andò mi rimisi subito a lavoro, prima finivo e più potevo riposarmi dopo. Noi umani avevamo una sala tutta nostra dove potevamo svagarci e parlare tra di noi. Per la maggior parte del tempo stavo con Dave e alcuni suoi amici. Volevo davvero fare amicizia con loro ma se mai sarei riuscita a scappare non potevo rischiare di portare altri umani con me. Sarebbe stata un'impresa impossibile da sola, figuriamoci con altre persone inesperto nel combattimento. Ma mi ero promessa che se ci fosse riuscita, sarei tornata con dei rinforzi.

Rhea era ancora qui, che mi osservava senza proferire parola. In realtà volevo parlarle, ringraziarla che mi aveva difesa. Allora presi un po' di coraggio e le dissi, "Grazie." La vidi corrugare la fronte e aggiunsi, "Per quella volta, quando hai scaraventato via Arkel."

"Non c'è di che." mi disse. "C'è bisogno di più educazione in questa casa."

"L'ho apprezzato, davvero." le dissi sorridendole. "Comunque qui ho finito." Sbattei le mani contro i mie pantaloni in velluto, tentando di togliere lo sporco della terra. "Vado dagli altri umani." Dissi osservando l'orologio che avevo sul polso. "Manca ancora molto."

Mi girai tentando di trovare con lo sguardo il secchio contenete gli attrezzi. Una volta visto, cominciai a raccogliere la paletta, il raschiello e restanti semi di ciclamino che erano avanzati. Misi tutto dentro, arrotolati il tubo dell'acqua e portai il resto al capanno.

Come un segugio Rhea mi seguiva con lo sguardo. L'inverno stava arrivando. Probabilmente se non fossi stata catturata adesso starei con mio padre a fare le scorte per superare il freddo. 
Mi aveva insegnato ad usare l'arco fin da piccola, così da poterlo aiutare a cacciare animali. Ero ancora scarsa all'epoca, al massimo riuscivo ad uccidere un coniglio, niente di più. 
Con il passare degli anni le mie abilità erano migliorate ma vedevo dal suo disappunto che ero nettamente più debole rispetto a quando usavo la spada. Mi sarebbe piaciuto continuare l'addestramento.

Sentii dei passi avvicinarsi alla porta del capannone mentre sistemavo le ultime cose prima di andare.

"Sei felice che i tuoi compagni sono così vicini?"

Era dietro di me ed io le davo le spalle. Sapevo che non mi avrebbe attaccata, da come si era comportata precedentemente sembrava una persona affidabile.

"Certo che lo sono." dissi sinceramente. "Ma non voglio avere false speranze."

"Certo, Lux non ti lascerebbe mai andare."

"Certo che non lo farebbe." dissi girandomi. "Secondo me preferirebbe uccidermi che lasciarmi andare con i cacciatori." Scherzai.

Tentò di trattenere un sogghigno. Delle adorabili fossette si formarono sulle sue guance e notai solo adesso quanto bello fosse il suo sorriso. In Lux c'era sempre un pizzico di malizia ma in lei non sembrava esserci.

"Cosa?" chiese notando che la stavo fissando.

"Nulla, mi piace il tuo sorriso." le dissi sorridendole a mia volta. Ci fu un momento di silenzio, tanto che mi guardai intorno e mi morsi le labbra. Non volevo farle un complimento... ma è la verità.

"Sei una ragazza davvero strana." disse inarcando un sopracciglio. Sapevo che non era un insulto ma mi diede comunque fastidio. "È per questo che piaci a mia sorella." disse rassicurandomi.

Il mio sguardo sorpreso la fece ridere e cominciò a giocherellare con una piccola e impolverata biglia trasparente che aveva appeno trovato in una delle scatole sopra il lungo tavolo da lavoro sulla mia sinistra.

"Sai," soffiò sulla pallina. "Inizialmente ero preoccupata. Lux sa essere davvero il peggior incubo per qualcuno se lo vuole." Alzò il braccio con la biglia tra le sue dita, la posizionò tra il suo occhio destro e un fascio di luce che usciva da un foro del soffitto. "Ma sembra apprezzare la tua presenza." continuò.

"Sappi che i primi giorni qui sono stati un inferno." dissi con un po' più di confidenza.

"Immagino." disse sospirando. Abbassò la mano, terminando quel gioco di luci e mi lanciò la biglia. "Ma non aspettarti delle scuse, non riesce ad ammettere i suoi errori. È un difetto che si porta avanti sin da piccola. Probabilmente l'ha ereditato da nostro padre."

"Vostro padre?" domandai incuriosita.

"Si chiama Edmund e nostra madre Marla. La nostra casata si estende nella parte nord-est di Styria, è lì che lui governa."

"E tu? Abiti con loro?"

"No." disse sorridendo. "A me piace viaggiare, non ho una casa."

Alzai le sopracciglia per la sorpresa. "Davvero?"

La mora corrugò la fronte per la mia reazione ed io mi ricomposi per la vergogna. "Voglio dire... Per me il concetto di casa è importante. È dove c'è la mia famiglia e le persone che amo... Non la lascerei per nulla al mondo."

"Allora cosa pensi di questo posto? Lo consideri una casa?"

Abbassai lo sguardo e sospirai. "No."

"E mai lo farai." aggiunse lei.

Scrollai la testa e con rassegnazione dissi, "Mai."

Fece qualche passo disinvolto verso di me e posò una mano sulla mia spalla. "Te lo assicuro, ti abituerai. In men che non si dica comincerai a considerare questa la tua famiglia." disse dolcemente.

Amavo la calma nelle sue parole e la spontaneità con cui si esprimeva. Non c'era giudizio o biasimo, anzi, intravedevo dell'interesse che non comprendevo.

"Ora vai." Mi disse. "Non voglio toglierti quei pochi minuti di riposo che ti restano."

Annuii e con un sorriso mi congedai. Feci una piccola corsa per raggiungere una delle entrate secondarie. C'era una strana felicità in me e la naturalezza con cui mi muovevo in questa casa mi sbalordiva. Ormai conoscevo ogni stanza o cosa nascondeva ogni porta, sapevo dove ogni scala portava e dove ogni sentiero andava. Oltre al cancello principale che permetteva di entrare nel giardino della casa, ce ne era un'altro nettamente più distante e sempre aperto che delimitava il confine dell'appezzamento di terra che faceva parte della dimora. Una volta di mattina ci avevano lasciato lì, liberi a svagarci, ma sempre sotto sorveglianza. Era pieno di alberi e di animali e, anche se per poco, mi sembrava di ritornare ai vecchi tempi. Amelie mi aveva confessato che domani ci avrebbero permesso nuovamente di andare e che avremmo fatto un picnic. Doveva essere una sorpresa ma dopo le mie continue pressioni si decise a parlare. Non vedo l'ora.

ps: ho modificato il nome del padre da Marcus in Magnus, perché mi ero scordata che a inizio serie avevo già nominato uno dei vampiri Marcus. My bad...

 

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Capitolo 11
*** Caro diario -parte 1- ***


Non riesco ancora a crederci. Mi hanno presa. Stavo solamente giocando con Thomas, ero così vicina a casa, non so come è potuto succedere. Ci stavamo stuzzicando a vicenda come sempre, ero così felice. Avevo cominciato a correre incitandolo a prendermi. Sapevo che era lento ma mi divertivo troppo a prenderlo in giro. Quando mi sono girata non c'era più. Ho cominciato a chiamare il suo nome, ancora convinta che stesse giocando. Ma poi ho sentito una stretta violenta. Qualcuno mi ha sollevata, per un momento ho pensato fosse nostro padre e mi sono lasciata prendere. Ma un secondo dopo ho capito in quale situazione mi trovavo. Era un uomo alto e robusto, che con violenza mi mise sulla sua spalla. Ero leggera come una piuma, ovviamente mi aveva catturata. Ho iniziato a dimenarmi come una furia e ho cominciato a battere i mie pugni sulla sua schiena finché non mi ricordai di avere un piccolo pugnale nella tasca dei pantaloni. Ma prenderlo fu un gran errore. Lo pugnalai alla schiena e gridò con ira. Arrabbiato mi scaraventò a terra. Ancora adesso provo un dolore cane alla schiena. Era la prima volta che mi sentii così stordita. Ricordo di aver sentito un'altro uomo gridare contro il mio aggressore chiamandolo per nome. Ma non lo ricordo, poco importa. Non so cosa è successo dopo, probabilmente sono svenuta. Adesso mi trovo su un carro, fortunatamente non c'è traccia di mio fratello, spero non l'abbiano preso. Ci sono altri bambini qui. Ho tentato di parlare con uno di loro ma sono terrorizzati. In realtà anch'io ho paura. Ho sentito che ci avrebbero portato in una città per venderci. Non voglio diventare una schiava.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Perdere il Controllo ***


Eloyn

Non appena entrai nella nostra sala ricreativa trovai un gruppetto di ragazzi seduti a terra in cerchio, mentre altri sui due divani a fantasticare sul loro splendido futuro. Forse ero un po' troppo dura con loro. Sembravano felici, ridevano e scherzavano. Quando mi avvicinai notai che Dave era seduto a terra con gli altri e mi dava le spalle, mentre una pila di bottiglie vuote erano riverse al suolo. Una ragazza mi notò e con la bocca impastata disse, "Ciao Elo." Immediatamente Dave si girò e mi salutò con un bel sorriso. Ricambiai il saluto con un piccolo gesto della mano, mentre gli mi guardavano avvicinarmi.

"Che state facendo?" chiesi divertita. "Siete in uno stato pietoso!" risi.

"Dai siediti." mi invitò uno dai ragazzi. Se non mi sbaglio si chiamava Brandon, ma tutti lo chiamavano Bob. Come al suo solito aveva quel viso vispo, pieno di lentiggini e i capelli neri tutti arruffati. Avrà avuto almeno sedici anni, ma ne dimostrava di meno per quanto era snello. Dave a confronto era l'opposto. Sarà stato alto almeno un metro e ottanta. Sotto la camicia nascondeva un corpo possente, a causa dei duri lavori. I capelli biondi, sempre pettinati e perfetti e quei bei occhi verdi, ora rossi per l'alcol.

"Vieni." mi disse facendomi posto.

Mi sedetti incrociando le gambe. Al centro, una bottiglia vuota pronta a far partire il gioco.

"Cosa state facendo esattamente?"

"Prima di tutto," disse Bob girandosi per prendere qualcosa, "Tieni!" con un sorriso divertito si allungò e mi porse la bottiglia di birra.

"Ok, adesso?" chiesi corrugando la fronte. Vi prego non ditemi che è quello che penso...

"Adesso si gioca!" esclamò Bob.

"E si beve." aggiunse Dave con conseguente risata da parte degli altri. "Non dimentichiamolo!"

"Mai!" gridò Bob sollevando la propria bottiglia.

"Dave," sussurrai mentre gli altri esultavano. "Non credo sia il caso."

"Ma che dici!" gridò. "Su, iniziamo!"

"Elo non fare la rigida, un po' di divertimento non guasta." disse la ragazza accanto a me, Bessie. Sembrava più sobria degli altri ma quelle guancette rosse la tradivano. Prese un sorso dalla bottiglia e mi face un'amichevole occhiolino.

"Chi comincia?" chiese Bob.

"Vado io!" esclamò lei. Con una mano si spostò i capelli biondo cenere e con un sorriso malizioso girò la bottiglia.

"Chi sarà la prima vittima?" disse Bob pieno di entusiasmo.

In totale eravamo in sei, le probabilità che uscissi io erano basse, ma la fortuna non è mai stata dalla mia parte. La bottiglia girò velocemente tanto che si scontrò con il piede di una delle ragazze e Bessie dovette far rigirare la bottiglia una seconda volta.

"Dai... dai..." diceva lei mentre i suoi occhi seguivano incessantemente il ruotare bottiglia.

Cominciò a rallentare, sempre di più. Finché non si fermò.

"Tammie!" esultò Bob. "Adesso bevi." gli indicò lui. La castana fece come detto. "Adesso scegli."

"Obbligo o verità?" Le chiese Dave.

"Obbligo!" disse senza neanche pensarci.

"Bene." disse Bessie facendo rigirare la bottiglia. "Chi è il fortunato?"

La bottiglia si fermò sulla stessa Bessie, che fece un ghigno che spaventò la povera Tammie.

"Ti prego, nulla di esagerato!" la implorò.

La ragazza si versò in gola un po' di alcol e poi sentenziò, "Ti obbligo a leccare il pavimento!"

"No!" disse lei disgustata e tutti ridemmo.

Ammetto che sembra divertente, finché guardi gli altri.

La ragazza fece come detto. "Che schifo!" disse tirando su la testa. Fece dei versi strani ma divertenti. "Adesso mi vendico!"

Prese la bottiglia e questa ricominciò a girare ancora e ancora. Questa volta il povero malcapitato fu Dave che fu obbligato da Clarisse a baciare sensualmente il collo di Bob. Appena lo disse scoppiai a ridere seguita da Bessie e Tammie che facevano il tifo.

"Dai fratellino! Che sarà mai un bacetto!" disse lei prendendolo in giro.

Non appena Dave si alzò per avvicinarsi al ragazzo, quest'ultimo corse via. Passammo dieci interi minuti a guardare questi due che correvano per tutta la sala. Alla fine io e le altre tre ragazze ci adoperammo per fermare quest'inseguimento che sembrava non voler finire.

"Da qui non si passa." disse Bessie sbarrandogli la strada.

Stanco e anche un po' confuso dall'alcol, non riuscì a rallentare e andò addosso alla ragazza. La bionda riuscì a mantenere l'equilibrio e a bloccare il ragazzo tra le sue braccia. "Ora!" gridò a Dave che senza esitazione affondò il suo rosso viso nel collo del ragazzino.

Dopo un bel bacio con lo scrocchio, tutte noi esultammo. Anche quel gruppetto che non stava giocando si era goduto l'interro spettacolo con gran partecipazione. "Vogliamo il bis!" disse uno di loro. "Ti piacerebbe!" ribatté Bob. "E tu cosa ridi?" disse rivolgendosi a me. "Tranquilla che prima o poi toccherà anche a te!"

"Non minacciarmi o la pagherai." dissi divertita.

"La ragazza si fa sentire, attenzione!" esultò Bessie.

Alzai un sopracciglio in segno di sfida e Bob ricambiò con un sorriso maligno.

Una volta che tutti ci sedemmo, fu Dave a ruotare la bottiglia che si fermò nuovamente su di lui.

"Verità!"

Girò nuovamente l'oggetto che indicò Tammie.

"Allora..." disse pensando. "Cosa potrei chiederti?"

"Qualcosa di scottante?" disse Bessie con malizia.

"Dave," disse la ragazza con un ghigno. "Tra tutti i vampiri di questa casa, quale è secondo te il più attraente?"

Il ragazzo fece un sospiro di sollievo. "Mi aspettavo di peggio." confessò. "Credo Rhea, anche se pure Lux non è tanto male. Solo che mi terrorizza, non solo come vampiro ma anche come donna. Non so se avete capito..."

"Limpido!" esclamò Bessie ridendo. 
"Povera tu." disse rivolgendosi a me. "Deve essere diffice avere a che fare con lei."

"Lo è eccome, ma con il tempo, sembra che le cose stiano andando meglio."

"In che senso?" chiese lui.

"Prima utilizzava la forza per ottere ciò che voleva. Adesso sta iniziando a capire che non è così che funziona con me."

"E brava la nostra cacciatrice! Visto? Si fa rispettare." esclamò Bessie agli altri.

"Rispettare è un parolone." dissi imbarazzata.

"Stai scherzando?" disse Clarisse sorridendomi. "Quello che hai fatto a Arkel é stato fenomenale."

"Ma se si è quasi fatta ammazzare." ribatté Bob.

"Esatto, é stato da stupidi." gli dissi. "Ma non me ne pento."

Il ragazzino borbottò qualcosa e incrociò le braccia. "Dai ricominciamo." disse infine.

Dave riprese la bottiglia che girando si fermò su di me. Da regola bevvi un sorso di birra e scelsi verità, così da cominciare tranquillamente, senza rischiare di limonare con il pavimento.

"Bene bene." disse Bessie.

Dave roteò nuovamente la bottiglia e si fermò su Bob che fece un ghigno di soddisfazione. "Peccato che hai scelto verità, ma mi accontenterò comunque." Clarisse gli bisbigliò qualcosa all'orecchio ma lui scuoté la testa. "Ce l'ho!" gridò come se gli si fosse accesa una lampadina. "Perché sei diventata una cacciatrice?"

"Un vampiro ha ucciso tutti quelli del mio villaggio, compresi i miei genitori, quindi vendetta principalmente" lo dissi fissando il pavimento, quindi non vidi la reazione degli altri, ma nessuno disse una parola.

"Allora perché fai così?" mi chiese il ragazzino.

Il alzai lo sguado confusa. "Che intendi?"

"Come che intendo?" disse ridendo. "Eloyn ti vediamo tutti. A te piace non è così?"

"Scusami ma che significa?" cominciai ad innervosirmi.

"Sei una masochista per caso?" chiese con un ghigno.

In quel momento sentii una stretta al cuore. Tutto il divertimento scomparì e persi il sorriso. Lo guardai con disgusto. Coma ha potuto dire una cosa del genere? Per di più lui che è umano. Non bastava essere umiliata da quei succhiasangue... Adesso anche quelli della mia stessa specie si prendono gioco di me... A questo punto preferisco essere temuta che amata.

"Ma che cazzo dici Bob?!" gli urlò Bessie.

"Ma stai zitta è solo una domanda."

Mentre loro cominciavano a discutere, io mi persi nei miei pensieri. Il mondo circostante non esisteva più, l'unica cosa che vedevo e che fissavo intensamente era la bottiglia in mezzo al cerchio. L'unica cosa che separava me e Brendon. Istintivamente afferrai la bottiglia per il collo, rapidamente e con ira la sbatte sul pavimento. Questa si scheggiò, creando una parte affilata. Quel ragazzino non ebbe neanche il tempo di accorgersene, che già mi trovavo sopra di lui. Gli puntai il lato scheggiato a poca distanza dalla gola. Fu divertente quando lo vidi deglutire dalla paura.

"Vedi..." dissi fiorandogli la pelle. "È per questo che mi sono procurata quelle cicatrici. Non ho mai rinunciato alla libertà come voi!" 
Cominciai lentamente a spingere la punta nella pelle. Era terrorizzato, non riusciva a muovere un solo muscolo.

"Eloyn." mi chiamò Dave. "Eloyn!" continuò non vedendo alcuna mia reazione.

"Fa silenzio." dissi fredda.

Una goccia di sangue scivolò giù dal suo collo mentre la mia soddisfazione aumentava.

"È questo quello che lei ti ha insegnato? Impartire una lezione a chi è più debole di te?"

"Fa silenzio!" gli gridai.

"Guardalo! Non hai mai avuto anche tu quell'espressione?!"

Quei occhi luci, pronti sgorgare una miriade di lacrime. Il corpo paralizzato dalla paura, i denti che tremavano sbattendo gli uni sugli altri... Si... Quella notte anch'io reagii così quando quel vampiro sfondò la porta di casa e mi tirò su per i capelli. 
Ero così impaurita che neanche avevo notato il sangue che scorreva dalla mia testa. Probabilmente neanche Brendon aveva notato che il colletto della sua maglietta era tinto di rosso.

Da quando è che sono così? Mi vergogno di me stessa...

Non appena Dave vide la mia intenzione di allontanare la bottiglia, mi afferrò da dietro bloccandomi le braccia. Probabilmente per paura che potessi cambiare idea da un momento all'altro. La feci scivolare via dalla mia mano e Bessie le diede un calcio, così da allontanarla da me. La sua stretta divento più un'abbraccio e con me si sedette a terra.

"Adesso calmati." mi sussurrò.

Potevo sentire gli occhi di tutti puntati addosso. Il silenzio fu interrotto dai gemiti di Brendon quando si alzò da terra. "Che dolore..." disse poggiando una mano sulla schiena.

"Stai bene?" chiese preoccupata la sorella.

Non sentii risposta da parte sua, forse aveva annuito, avevo troppa paura di alzare lo sguardo e di incontrare i loro occhi.

Poi la porta si aprì sbattendo fragorosamente contro il muro. Ancora una volta rimasi con il volto chino.

"Dove diavolo sei?!" sentii urlare.

Perché proprio adesso?

"Quanto vuoi farmi aspettare?" sentii i suoi passi furenti avvicinarsi, sempre di più.

Sperai che Dave si allontanasse da me, ma restò lì dove era, con le sue braccia intorno a me e il suo petto appoggiato sulla mia schiena. 
Con la coda dell'occhio la vidi venire verso di me, verso noi.

"Dave vattene." lo intimai, ma rimase.

"Voi due." ci disse lei con disgusto. Ma poi la sua espressione cambiò quando realizzò che qualcosa non andava. Per prima cosa guardò il pavimento, pieno di vetri, poi scorse la bottiglia.

"Che diavolo è successo?" chiese sconcertata.

Continuò a guardarsi intorno. Quando vide Brandon con un fazzoletto insanguinato premuto sul collo gli chiese, "Che cosa è successo?" 
Lui abbassò lo sguardo verso di me, sulla mia mano. Non me ne ero neanche accorta di come mi fossi tagliata il palmo quando avevo rotto la bottiglia. Continuavo a tenere la testa bassa, gli occhi mi stavano diventando umidi e potevo sentire il viso in fiamme. Poi Dave mi lasciò su ordine di Lux.

"Vieni Eloyn." mi disse lei. "E tu," disse rivolgendosi al ragazzo. "Non osare più posare le tue mani su ciò che non ti appartiene."

Io mi tirai su, seguendola verso l'uscita. Cazzo...

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Promesse Infrante ***


Lux

Puoi spiegarmi che diavolo è successo?"

Eravamo fuori all'aperto, lontane da tutti in modo che non potessero sentirci. Era scossa, potevo vederlo dai suoi occhi, spalancati a fissare il terreno. Teneva i pugni stretti e potevo intravedere qualche tremolio.

"Se non parli non posso aiutarti."

Finalmente alzò lo sguardo. Aveva gli occhi lucidi e vidi una grande tristezza.

"Sono stanca. Davvero tanto."

Rimasi per un momento a riflettere, andava tutto così bene fino a qualche ora fa. Poggiai una mano sulla sua spalla con l'intenzione di avvicinarla a me, ma mi scansò via e stranamente mi turbò.

"Cosa c'è?"

"Tu..." si morse le labbra lasciando la frase in sospeso.

"Io? " chiese confusa. "Mi dispiace se centro io."

"Ti dispiace, davvero?" disse sarcastica. "Ti dispiace?!" si sporse velocemente verso di me tentando di darmi un pugno con la mano sinistra ma riuscii a schivarlo. Si arrabbiò ancora di più vedendo che non aveva chance contro di me. Ma proprio quando stavo incominciando a divertirmi, vidi davvero quanto fosse disperata. "Eloyn!" sbuffai.

"Si sono presi gioco di me!" disse tentando di colpirmi anche con la mano ferita. "Non posso contare su nessuno, nemmeno su di loro!"

"Non pensi di stare esagerando?" ma mi pentii subito di averlo detto.

"Cosa ne sai tu?!" gridò. "Nonostante anche lui è umano e un Bloodgiver, mi ha derisa, ha osato dire certe cose... Tutto a causa tua!"

Sospirai sentendomi in colpa. Conoscevo molto bene le dinamiche tra umani. Invece di essere uniti non fanno altro che creare conflitti per cose insignificanti. Ma la maggior parte delle volte riguardano noi. Tra umani e vampiri non c'è mai stato un clima di pace, anche con i Bloodgiver non è facile, se sei troppo morbido si permettono di opporsi, se sei troppo duro finiscono per odiarti e cominciano a complottare contro di te. Ma solitamente per paura non lo fanno quasi mai, ricorrono a qualcosa che anche a noi vampiri non piace, si uccido. Ma alla fine non ce ne rimproveriamo mai, perché effettivamente gli diamo tutto, un tetto, una casa e del cibo, l'unica cosa che devono fare è darci il loro sangue, è una cosa così semplice ma allo stesso tempo così difficile per loro. Eloyn prova tutto questo astio nei miei confronti quando l'unica cosa che chiedo è rispetto. Davvero non capisco perché prova disgusto a darmi il suo sangue. Ultimamente pensavo che le cose stessero andando meglio, a quanto pare a causa di qualche idiota siamo ritornate al punto di partenza. Era da un po' che non vedevo quella rabbia nei suoi occhi, sembrava essersi abituata alla mia presenza e a quella degli altri e da quanto avevo capito aveva fatto amicizia con gli altri umani. A quanto pare mi sbagliavo.

"Adesso devi calmarti." Dissi dolcemente per non farla agitare di più ma fu inutile. Tentò di colpirmi nuovamente, sul viso, ma questa volta la afferrai per il polso. La mia unica intenzione era di fermala ma poi mi resi conto del sangue, era la mano ferita. Era a poca distanza dal mio viso e senza volerlo i miei occhi cambiarono colore. Deglutii per calmarmi, ma per quanto volessi non riuscivo a mollare la presa. L'odore del sangue era così intenso e appetitoso e ne avevo davvero bisogno. Ma dopo questa discussione come potevo farle una cosa del genere. È vero lo ammetto, non sono sempre stata buona nei suoi confronti e non ho mai considerato i suoi sentimenti. A causa di ciò le ho creato problemi con gli umani, quindi adesso...

"Quel giorno avrei dovuto affondare il coltello nel tuo collo!"

Spalancati gli occhi difronte a tale affermazione. Sapevo che era arrabbiata ma, perché dire questo? Non sapevo cosa provare, rabbia, tristezza...

Ma poi vidi in lontananza quel ragazzo che l'aveva stretta a sé. Aveva uno sguardo preoccupato e quando i nostri sguardi si incrociarono il suo viso mutò in rabbia e rancore. Fu in quel momento che provai uno strano sentimento che raramente avevo provato. Presi la sua mano d'impulso, non la guardai neanche negli occhi.

Cercò di ritrarre la mano dopo aver visto il mio sguardo ma io tenevo la presa ben salda. A quel punto provò a darmi un calcio sullo stomaco, ma le afferrai la gamba facendole perdere l'equilibrio. Eravamo entrambe distese a terra, il mio corpo sopra il suo. Continuava a dimenarsi ma io non ero in me. Affondai il viso in quella ferita che tanto mi attraeva, mentre cercavo di tenerla ferma.

"Perché lo stai facendo?!" gridò. "Me lo avevi promesso!"

Senza fermarmi, le tappai la bocca con la mano. Pian piano le sue energie stavano finendo e non c'era più bisogno di tenerla ferma. Provai ancora più piacere nel vedere quell'umano stringere i pugni per la frustrazione. Gli sorrisi mentre continuavo a bere sempre più sangue, era infuriato, potevo vederlo dal modo in cui era tornato dentro sbattendo la porta.

Ma una volta soddisfatti i miei bisogni,ritornai in me ma in realtà non mi sentivo per nulla soddisfatta. Sentivo un vuoto e quando mi voltai per guardala e la vidi svenuta mi riempiti di rimorso. Non eri in te! Non eri in te! Continuavo a dirmi. Dopo che l'ebbi porta in casa, mi chiusi in camera. Neanche feci in tempo a raggiungere il letto che mi lasciai cadere a terra, con le spalle appoggiate alla porta e le mani sul viso. Erano anni che non piangevo così tanto. Non un'altra volta!

Sono rimasta chiusa dentro per tutto il giorno e anche quello dopo. L'avevo tradita, avevo tradito la sua fiducia. Cosa differenzia me da Arkel? Nulla, assolutamente nulla. Forse una cosa c'è, io le avevo fatto una promessa e l'ho infranta e il peggio sta che sono stata proprio io a farle del male.

"Lux!" sentii oltre la porta. "È pronto da magiare."

Ecco Amelie che per l'ennesima volta era venuta a chiamarmi, ma anche oggi me ne resterò qui. Mi sento uno schifo e non voglio assolutamente incontrarla o incrociare il suo guardo. Ho paura di vedere la sua reazione, ma ho ancora più timore di bere il suo sangue. Mi terrorizza il solo pensiero di perdere il controllo un'altra volta. 

Scusate se è breve ma mi sono prefissata che ogni capitolo avrà un solo punto di vista e adesso ho la necessità di passare al p.d.v. di Elo. Quindi probabilmente il prossimo capitolo uscirà molto presto. Ditemi cosa ne pensate e alla prossima ^^

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Non Si Può Respirare Sott'Acqua ***


Eloyn

È passato qualche giorno dopo quell'accaduto. Amelie mi ha raccontato che dopo avermi portata da lei, Lux si era chiusa in camera e fino ad oggi non è ancora uscita. Quando mi ripresi, ho visto tanta preoccupazione nel suo sguardo, ma non ha voluto darmi spiegazioni ed io non ho insistito. Ero troppo scossa da quello che Lux aveva fatto e non volevo che qualcuno la giustificasse, ma effettivamente vedevo della delusione in Amelie, forse anche un po' di rabbia. Ho cercato di occupare il tempo con ogni lavoro disponibile. Non volevo davvero pensarci. Ho annaffiato il giardino, ho lavato il piano inferiore, tenendomi alla larga da quello dei vampiri, ed ho persino aiutato a cucinare. Nonostante mi sono abituata a questa vita e a questi visi che vedo ogni giorno, mi manca la mia vecchia routine e penso che mi mancherà per sempre. Con il fatto che questi misteriosi cacciatori si sono infiltrati nel territorio vampiro, quelle uscite nel boschetto che avevamo programmato sono state rimandate. L'unica cosa che aspettavo con ansia.

Adesso ero affacciata alla finestra, tutto era fermo e non c'era vento. Ero appena tornata dalla cena e la tensione nell'aria era stata elevata. I vampiri che solitamente ridono e scherzano erano in silenzio ed era ancora più strano vedere il posto a capo tavola vuoto. Mentre al nostro tavolo potevo percepire gli sguardi che gli altri mi lanciavano, soprattutto quel piccolo idiota di Brandon. Anche Dave era strano, sembrava più distante. Inoltre a volte mangiare con le posate era imbarazzante. La ferita sulla mano non era ancora guarita e ogni volta mi ritrovavo a stringere i denti per il dolore. Sta sera infatti fu particolarmente difficile tagliare la cane, ma la cosa che mi innervosiva di più era che Brandon se la rideva sotto i baffi. So che è sbagliato ma gli darò un'altra lezione non appena ne avrò l'occasione, ma nulla di violento,non voglio più sentirmi in quel modo. 
Una volta finito di mangiare ci siamo messi un po' a parlare, mentre alcuni di noi avevano cominciato a pulire. C'erano alcuni umani di cui non avevo ancora fatto la conoscenza ma in fin dei conti non mi importava molto. Mi basta Dave, pensai in quel momento. Effettivamente era proprio così.

"Ehi!" Disse per attirare la mia attenzione. Io mi girai sorridendogli. "Sta sera ci riuniamo in giardino, portiamo un po' di sedie e stiamo un po' insieme. Ti va di venire?"

"Certo." dissi senza pensarci due volte. "Ho bisogno di svagarmi un po'."

Ma dentro di me provavo un po' di timore a stare con loro. Dopo quello che avevo fatto a Brandon avevo paura che si volessero tutti vendicare contro di me, con la scusa del "Mai tradire uno dei nostri." Ma in realtà erano solo paranoie, per cui svuotai la mente di questi pensieri e cominciai a prepararmi. Basta brutti pensieri! 
 

Ormai era passata già mezz'ora e Dave ancora non si era fatto vivo. Mi aveva detto che sarebbe venuto a chiamarmi non appena fosse tutto pronto. Dalla finestra potevo sentire delle voci avvicinarsi sempre di più, finché non scorsi due figure.

"Elo!" gridò una voce familiare. "Dai scendi!"

Dave!

Mi affrettati a raggiungerli, ancora insicura di chi fosse l'altra persona. Ma non appena la vidi la riconobbi subito. "Ciao Bessie." lei ricambiò alzando la mano. "Andiamo?" loro annuirono e ci dirigemmo verso gli altri. 
La serata andò abbastanza bene. Mi sono tenuta lontana dall'alcol, per di più rubato, e da facce indesiderate. Brandon e la sorella non mi rivolsero mai la parola e rimasero sempre a debita distanza, agli altri invece pareva non importare molto, il che mi tranquillizzò. Nonostante questi giorni Dave si era comportato in maniera un po' insolita, forse l'aveva turbato quello che avevo fatto, stasera era stato più premuroso del solito.

Ad un certo punto mi aveva preso la mano e ci eravamo allontanati dagli altri. Non mi lasciò finché non eravamo soli. Non si sentivano neanche più le risate dei ragazzi. Improvvisamente assunse uno sguardo preoccupato e abbassò il capo. Si mise difronte a me ed io feci una espressione interrogativa. Poi con voce mortificata mi chiese scusa.

"Perché?" sorrisi. "Non hai fatto nulla di male."

"Ho visto tutto e non ho fatto niente, scusami!"

"Aspetta," corrugai la fronte. "Dopo che me ne sono andata con Lux... Tu hai visto?" Lui annuì.

"Dave..." appoggiai la mano sulla sua spalla. "Tranquillo, non potevi fare nulla. E poi sto bene. Sapevo che non potevo fidarmi di lei, è stato un mio errore." Alzò lo sguardo un po' incerto ed io sorridendogli gli scompigliai i biondi capelli. "Dai torniamo dagli altri."

Per un momento mi ero sentita libera, che quella non era una prigione e che io non ero una schiava. Avevo trovato un amico, di cui potevo fidarmi. Ma quella realtà non perse tempo a ripresentarsi davanti a me.

Per essere una cacciatrice, una delle qualità più importati è l'osservazione. Essere sempre attento ad ogni minimo particolare è cruciale per la riuscita di una missione. Fu proprio la mia scarsa attenzione a portarmi qui. Come seconda cosa, bisogna avere un udito ben sviluppato, per riuscire a intercettare il nemico attraverso i suoni. Ammetto di non eccellere, ma sono sicuramente più abile di questi umani. Infatti fui l'unica a notare gli stani movimenti che c'erano in casa. Era notte fonda ed era alquanto strano vedere delle luci accese, a meno che non fosse successo qualcosa. "Torno subito." dissi a Dave accanto a me. Ero tentata nell'entrare, ma alla fine ho deciso di fare un giro intorno alla casa e quasi senza volerlo alzai lo sguardo verso la finestra della sua stanza. La luce era spenta e anche se riluttante stavo per andare avanti, finché non sentii un forte botto. Alzai di nuovo lo sguardo allarmata. L'oscurità mi impediva di vedere bene finché la luce della stanza si accese. Vidi la sagoma di qualcuno, anzi due persone. Spalancai gli occhi quando capii. C'era Lux che aveva scaraventato Amelie contro la finestra e la teneva per il colletto. Poi mi fu difficile capire cosa successe, qualcuno era entrato e le aveva separate.

È completamente impazzita!

Con l'ansia che mi travolgeva, corsi dentro e salii le scale più velocemente che potevo, tanto che incominciai ad ansimare. Finalmente arrivai al corridoio. C'erano alcuni vampiri affacciati dalle loro stanze, che confusi cercavano di capire. Quando mi videro correre si allarmarono e dopo essersi scambiati qualche sguardo preoccupato mi seguirono. Quando arrivai, la porta era aperta, Amelie era appoggiata al muro e si teneva la mano sul petto ansimando. Ma mi si spezzò il cuore quando vidi Lux a terra che piangeva e si dimenava contro Rhea, che sopra di lei la bloccava. Quando la mora mi vide sulla soglia, mi lanciò uno sguardo assassino. Non sapevo cosa fare, né cosa pensare. Ero confusa, non capivo... L'unica cosa che facevo era guardare Lux, per terra con i capelli scompigliati, gli occhi rossi per il pianto e il viso bagnato. Sembrava non notare la mia presenza e forse era un bene. Amelie poi mi corse incontro e tentò di portarmi via.

"No!" insistetti.

Era pronta a trascinarmi via con la forza, se non fosse stata distratta da tutti gli altri vampiri a pochi passi da noi, che indecisi erano rimasti in disparte.

"Che succede?" domandò Camilla, ma Amelie disse a lei e a tutti gli altri di tornare nelle proprie stanze.

"Adesso!" esclamò aggressiva.

Gli altri anche se combattuti, fecero come detto e tornarono nelle loro camere mormorando.

Poi mi spinse via e chiuse velocemente la porta alle nostre spalle impedendomi di vedere ulteriormente cosa stesse succedendo. "Anche tu," disse volgendosi verso di me. "Vai via!"

Dapprima guardai verso la porta, indecisa se entrare o meno con la forza, poi posai i miei occhi su di lei. I capelli legati in una coda erano così spettinati, che due ciocche ne delineavano il viso. Aveva la camicia bianca completamente stracciata e il colletto, trasandato ed alzato, le nascondeva in collo. Istintivamente mi avvicinai, e lei si ritrasse incerta delle mie azioni. Eravamo faccia a faccia, lei poco più alta di me. Quando allungai la mano, abbassò lo sguardo in segno di vergogna. Sbottonai il primo bottone e allargai di più il colletto. C'erano segni di strangolamento ed io rimasi impietrita.

"Eloyn..." sospirò. Mi prese le mani spostandole via. "Io sto bene, ti prego di andartene."

Nuovamente guardai verso la porta. Ora c'era silenzio, forse qualche mugolio. Il mio cuore si calmò e feci un profondo respiro.

"Va bene." mi voltai ma prima di andarmene le dissi un'ultima cosa, "Se c'è bisogno di me, venite a chiamarmi senza esitare."

L'unica cosa che dissi durante tutto il tragitto per arrivare in camera mia era "perché?"

Ciao a tutti, spero che il capito vi sia piaciuto. Scusatemi per eventuali errori grammaticali o di battitura. Ditemi cosa ne pensate e al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Un Futuro Più Roseo ***


Lux

Mi svegliai lentamente, priva di forze. Sentivo qualcosa che mi bloccava, non riuscivo a muovermi liberamente. Aprii lentamente gli occhi, inondata da un dolce profumo. Quando cominciai a prendere coscienza capii di essere abbracciata a qualcuno. Ero poggiata sul suo braccio, con l'altro invece mi stringeva a sé. La mia mano stringeva forte la sua maglia e con l'altra l'abbracciavo di conseguenza. Poi vidi i suoi lunghi capelli neri sfiorarmi il viso e sorrisi spontaneamente.

"Rhea?" sussurrai.

"Shhh..." sibilò accarezzandomi la testa. "Devi riposare."

"Che...ore sono?"

"Non ha importanza."

Tentai di alzarmi ma fu inutile.

"Perché non riesco a muovermi Rhea?!" cominciai ad agitarmi.

"Eri molto ansiosa, hai anche fatto male ad Amelie."

È vero, adesso ricordo...

"Mi dispiace..." sussurrai con voce strozzata.

"Lo so." disse baciandomi la fronte. "Sono sicura che non ce l'ha con te."

Tirai su col naso e affondai il viso nel suo petto. Era da tanto tempo che non avevamo un momento del genere. Lei c'è sempre sta per me, sempre. Anche quel giorno, quando tutto intorno a me non aveva più senso, quando le uniche cose che provavo erano rimpianti ed odio. Quando il mio unico conforto erano i ricordi. Non dimenticherò mai quel giorno di dieci anni fa. Mai.

Mi manca... Davvero tanto.

Senza accorgermene mi addormentai di nuovo, ma stavolta non ero sola, ero circondata da amore. Forse per la prima volta mi sentivo veramente bene.

Quando mi risvegliai, il sole di prima mattina illuminava tutta la stanza. Con la mano toccati il materasso in cerca di Rhea, ma non c'era nessuno, ero sola. Mi sedetti, ancora un po' intontita e con gli occhi pesanti. Mi guardai intorno e poi la vidi, affacciata alla finestra.

"Finalmente ti sei svegliata sorellina!" ed io sbuffai.

"Come se dipendesse da me."

"Vuoi che ti porto la colazione?" chiese sorridendomi, ma non ne avevo davvero voglia e scrollai la testa. Così assunse un'espressione seria e sospirò. "Lux devi mangiare." disse più imperterrita. Alla fine annuii. "Allora scendi, non sono la tua cameriera personale." disse con un ghigno. Sapevo che lo stava facendo per me e sapevo che anche gli altri erano preoccupati.

Sono un Lord, mi dissi, devo essere forte, devo essere un esempio!

Ma è davvero difficile ricoprire un ruolo che non era tuo in primo luogo. Non ho mai chiesto di diventare Lord, ma allo stesso tempo non ho rifiutato quando Rhea ha deciso di non seguire le orme di nostro padre. Ha sempre detto di non sentirsi degna, in quanto bastarda, anche se a nessuno importava, neanche a mia madre che l'aveva cresciuta come se fosse sua. In fondo, penso che questa era soltanto una scusa. Non era interessata al potere, né a vivere una vita stanziata. A lei piace viaggiare, conoscere persone e fare ogni tipo di esperienza. Per me invece è difficile fare tutto ciò, ho delle responsabilità e a volte la pressione mi fa fare cose di cui mi pento. Ora capisco perché Eloyn ha reagito in quella maniera con quel ragazzo, è stata colpa mia anche quella volta. Più il tempo passa e più non riesco a controllare le mie emozioni. Ho paura che un giorno ferirò le persone che amo e non so come fare a fermare questa rabbia e sete. Quando ho morso Eloyn, non ho visto una persona davanti a me, bensì un semplice recipiente che conteneva ciò che più desideravo in quel momento. Amo essere forte ed avere qualcuno sottomesso a me, forse è nella mia natura o forse solamente nella mia testa.

"Lux smettila di startene sulle nuvole e scendi a mangiare."

"Si va bene." dissi infastidita.

Una volta scese le scale mi diressi in cucina. C'erano gli umani già a lavoro mentre gli altri stavano facendo colazione nell'altra sala. Ero intimorita, aveva paura del loro giudizio.

Cosa mi chiederanno? Che diranno?! Continuai a chiedermi nella mia testa.
"Fatti rispettare, vai a testa alta." Queste parole me le ripeteva spesso Rhea quando ero giovane ed ancora timorosa. A quanto pare sto perdendo la mia confidenza...

Alla fine, mi diressi fuori in giardino, dove non c'era nessuno. Andai nella parte dove si trovava la fontana, proibita agli umani. Mi sedetti sulla panchina e cercai di rilassarmi bevendo un po' di vino. Poi mi sdraiai circondata dal fruscio delle foglie e dallo scorrere dell'acqua. Per un momento mi sentii in pace, svuotata da tutti i pensieri e dalle tensioni. Avevo la mente libera, l'unica cosa su cui mi stavo concentrando erano i suoni e chiusi gli occhi. Sentivo qualche cicala, qualcosa che muoveva le foglie cadute, addirittura qualcuno parlare in lontananza. Il mio respiro divenne sempre più controllato e calmo. Poi sentii qualcosa. Dei leggeri passi prima lontani. Lentamente si fecero sempre più vicini ma anche più fievoli ed impercettibili. Finché non calpestò una foglia. Alzai la testa di scatto, mettendomi seduta e le afferrai il polso. Era in piedi difronte a me, con uno sguardo stupito e poi infastidito perché l'aveva scoperta.

Sapevo che eri tu.

"Che ci fai qui?" dissi calma per non intimorirla. "Non sai che gli umani non possono venire qui?"

"Si lo so!" strattonò via il braccio liberandosi dalla mia presa.

La solita orgogliosa.

Io le sorrisi, ma la calma intorno a me andò in frantumi quando mi ritornò alla mente quello che le avevo fatto. D'impulso abbassai lo sguardo verso terra, il mio corpo tremante. Avevo paura, ma sinceramente non so di che cosa. Ma poi le incertezze sparirono e con esse anche le paure quando fui accolta da delle calde braccia. Mi spinse verso di sé ed io appoggiai la testa sul suo ventre. Questo tepore, mi ricordava qualcosa. Qualcosa di doloroso, una ferita mai rimarginata. Ricambiai il suo affetto circondandole i fianchi con le mie timorose mani.

Sentii di nuovo quella stretta al cuore che l'altra notte mi aveva logorata fino a farmi impazzire. "Lasciati andare," mi disse. "Fai uscire tutto
fuori. Sfogati per bene." 
Prima che me ne potessi accorgere avevo il viso bagnato dalle lacrime. E poi mi chiesi se anche lei ne avesse mai avuto bisogno. Di una persona che fosse lì a confortarla e a sorreggerla per tutto il tempo che è stata qui, per tutto il tempo che io l'ho fatta soffrire.

"Mi dispiace," mormorai. "Davvero tanto. Ti fiderai di me... Ancora una volta?"

Ma lei rimase in silenzio, non rispose. Si limitò a stare lì, a confortarmi con la sua unica presenza. Ma la cosa che mi sollevò e che mi diede speranza per un futuro perdono, era la semplicità con cui mi aveva fatta passare nella sua barriera. Se in questo momento non si fidava di me, non mi avrebbe aperto le sue braccia o non si sarebbe neppure avvicinata. 
Allora mi chiesi, merita davvero di vivere in un posto del genere? Ma da egoista quale sono, non potevo che non essere felice di averla catturata e resa mia.

Ecco subito subito un nuovo capitolo!!! Spero vi piaccia. Grazie e al prossimo capitolo~

 

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Capitolo 16
*** Caro diario -parte 2- ***


Fortunatamente quelli che mi hanno rapita sono umani, ho avuto davvero tanta paura che volessero darmi a qualche vampiro. Sono due giorni che siamo in cammino. Questi due uomini ci danno poco e niente da mangiare ed io ho davvero fame. Finalmente oggi uno dei bambini mi ha parlato, mi ha detto che si chiama Arkel ed ha dieci anni, la mia stessa età. Sono davvero contenta. Mi ha raccontato che i suoi genitori l'hanno dato a questi due signori, ma io non gli ho creduto, è impossibile che l'abbiano fatto. Anzi sono sicura che sia i suoi che i miei genitori ci stanno cercando e ci troveranno presto. E poi mi manca molto mio fratello, spero non sia triste. Sta notte ha piovuto molto e l'acqua aveva bagnato tutto il carro, è stato davvero difficile dormire, stavo gelando. Io e Arkel ci siamo fatti calore a vicenda abbracciandoci. È davvero molto gentile, credo di volergli molto bene.

Il giorno dopo siamo arrivati in una città. Ci hanno portato davanti ad una grande casa bianca. L'uomo che ci aveva accolti era umano, l'avevo capito dalla sua goffaggine. Mio papà mi ha sempre detto che i succhiasangue sono così regali e nobili che è impossibile non distinguerli da un umano. Per di più lui era grasso e puzzava. Aveva una barba lunga e unta vicino alla bocca. Lui e i nostri due rapitori hanno cominciato a discutere e poi si sono stretti la mana. L'uomo grasso ci ha invitato dentro la sua strana casa. Aveva un sorriso gentile, ma mi inquietava un po'. Ci ha accolto per qualche giorno, dandoci cibo in abbondanza. Ci lasciava andare nel suo giardino a giocare e ci lasciava dormire quanto volevamo. Finché pian piano alcuni di noi non cominciarono a sparire. Avevo osato chiedere perché, ma lui continuava a sorridermi senza darmi una risposta. Da dieci che eravamo, siamo rimasti in sei. Ho incominciato ad avere davvero paura, anche più di prima. Ogni notte per il terrore di sparire mi rifugiavo nel letto di Arkel, che senza farmi domande mi faceva spazio e dormivamo insieme. Ieri invece, dopo cena lui è scomparso. Ho cercato ovunque ed ho chiesto a tutti, pure alle cameriere anche se mi era stato vietato. Ho setacciato ogni angolo della casa e più il tempo passava più avevo paura. L'unico posto dove non avevo cercato era la camera di quel signore. Rimasi davanti a quella porta per così tanto tempo che alla fine mi addormentai lì davanti. Sta mattina, quando mi risvegliai mi trovavo nel mio letto. Non persi tempo e mi fiondai nel letto di Arkel. Fortunatamente era lì, l'unica differenza è che era nero di lividi dalla testa ai piedi. Quando aprì gli occhi e mi vide, mi si gettò al collo e cominciò a piangere. Non gli chiesi mai il perché, forse dentro di me sapevo che l'avrei scoperto da sola.

 

Ciao ragazz*, spero che l'ultima parte non vi abbia triggerato troppo. Io stessa mi sono sentita un po' uno schifo , ma è come sono andati i fatti. Spero che questi  "caro diario"  vi piacciano. Racconteranno la storia di questa ragazzina, il cui nome rimarrà un incognita per molto (e Arkel).  Fatemi sapere che ne pensate, alla prossima...

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 15 - Una Stanza Un Letto ***


Eloyn

Oggi hanno convocato un incontro d'urgenza tra tutti i capi famiglia delle casate di Styria. A quanto pare quei cacciatori hanno attaccato una piccola città qui nella zona neutrale, ad est vicino al concilio dei quattordici, ed è lì che Lux è andata. Ormai dovrebbe essere già di ritorno e non so per quale ragione provo una strana sensazione. È la prima volta che dei cacciatori riescono ad entrare in territorio nemico ed è ancora più assurdo che siano riusciti ad entrare in città. A malapena riusciamo a proteggere i nostri villaggi, figurati a contrattaccare. È tutto così strano...

Ero affacciata alla finestra guardando nel vuoto e con la mente altrove, finché non la vidi arrivare. Entrò nel cancello e sentii uno strano senso di sollievo. Ero pronta a raggiungerla, ma poi vidi Rhea che le andava in contro. Non so per quale motivo, ma penso che dopo quello che è successo provi astio nei miei confronti. Alla fine rimasi in camera mia, anzi, la nostra camera. Se ci ripenso mi imbarazzo ancora.

"D'ora in avanti, starai in camera con me." disse tenendomi ancora stretta a lei. "Dormiremo nello stesso letto, condivideremo le stesse lenzuola e ci daremo calore a vicenda. Hai capito?"

Ammetto che in quel momento sussultai. Notai che sorrise, forse perché sentiva il mio cuore battere velocemente. Mi disse che per quella notte sarei rimasta nella mia solita camera e che il giorno dopo avrei dovuto spostare le mie cose. Così eccomi qui, sudata e stanca. Spero davvero che questa volta non vada oltre il limite. Ho provato a fidarmi e mi ha tradita, questa è la sua ultima possibilità.

Assorta tra i miei pensieri non notai l'eccheggiare dei passi al di fuori della stanza. Quando la porta si aprì sobbalzai e mi alzai immediatamente dal letto.

"Oh! Sei qui." disse stupita la rossa.

"Ho portato tutte le mie cose."

"Bene." disse chiudendo la porta alle sue spalle. "Sono così stanca!" esclamò gettandosi suo letto. Agitò le gambe facendo cadere a terra i tacchi e fece un sospiro di sollievo.

Era di fianco a me, con il viso rivolto verso il soffitto, gli occhi chiusi e i capelli rossi sparsi sul materasso. Ci avrei fatto una cornice se avessi potuto. Aveva i lineamenti così delicati e quel rossetto rosso che portava sempre le stava una meraviglia. Ero quasi incantata del quel viso così calmò e rilassato.

Scommetto che ha una pelle liscissima, e poi è così bianca...

Non so cosa mi prese o cosa avevo per la testa, ma mi avvicinai al suo volto.

Si è addormentata, pensai.

E poi mi avvicinai ancora ed ancora. 
Finché non spalancò i suoi occhi, vivi e lucenti. Mi guardò in un modo così... Non lo so, non trovo neanche le parole per descriverlo. Era diverso, almeno da parte mia. Sì ero confusa, ma quasi non mi importava in quel momento. Vedevo il suo viso e pensavo, voglio averla, possederla. Ci fu un momento di silenzio e di tensione, finché lei non si sporse in avanti per baciarmi. Non avevo mai realizzato quanto fossero morbide le sue labbra e il suo profumo era così forte che mi inondò completamente. Per un secondo si staccò da me ansimando ed io istintivamente ricercai quella sofficità che tanto stavo amando. Con brama mi spinse indietro con un altro fugace bacio. Sentivo i suoi capelli sul mio viso e le sue mani sul mio corpo. Con forza sfilò via la mia maglietta da dentro i pantaloni e cominciò a graffiarmi leggermente la schiena, mentre l'altra mano era intrecciata nella mia. Era così piacevole che non potevo non pensare ad altro, non potevo nemmeno oppormi se volevo, era impossibile. Poi smise di baciarmi e fece scivolare le sue labbra lungo il mio collo ed io rabbrividii.

Forse se le do ciò che vuole, forse in un prossimo futuro riuscirò a scappare. Deve credere che sono sua, anima e corpo, mentre allo stesso tempo placo anche i miei di bisogni.

"Per favore, ti giuro che non farà male." io annuii, ero sicura di quello che volevo.

Inizialmente sentii un leggero pizzico poi nulla. All'improvviso mi sentii stordita, poi come se stessi appoggiata ad una soffice nuvola. Tutto quello che percepivo o sentivo aveva un sapore migliore. Sembrava tutto più eccitante e il mio corpo era diventato più sensibile. E lei lo sapeva bene. Lentamente fece scivolare la mano giù verso i pantaloni e abbassò la cerniera. Arrossì fortemente e in quel tangente cominciai ad avere un po' di timore. Ma i miei pensieri furono immediatamente scacciati via quando cominciò a baciarmi la ferita. Era un misto tra dolore e piacere, che si ampliò quando senza accorgermene, ritrovai la sua mano in mezzo alle gambe. Quasi istintivamente le afferrai il braccio. A quanto pare avevo ancora paura ad essere toccata da lei.

"C'è qualcosa che non va?" chiese comprensiva.

"No" dissi convinta. Forse è stata proprioa mia convinzione a renderla insicura.

"Davvero?" io annuii. "Ci andrò comunque piano." mi disse. Nonostante tutto quella rassicurazione mi face sentire meglio.

Non l'avevo mai vista così comprensiva, ne tanto meno l'avevo mai sentita parlare così dolcemente. Quelle rare volte in cui si mostrava amichevole nei miei confronti, aveva sempre un atteggiamento ambiguo, c'era sempre dell'agrodolce nelle sue parole. Ma adesso sembrava un'altra persona. Forse quel giorno che mi ha ferita, si è davvero spaventata.

E adesso era qui, che mi guardava con quei occhi grigi, quasi umani. Mi accarezzò il viso e poi mi costrinse a girare il volto, così che le le nostre labbra poterono unirsi. Così mi distrasse mentre la sua mano scendeva nuovamente sul ventre. E poi più giù. Cominciò a toccarmi, a stimolarmi superficialmente sempre di più finché non riuscii a controllare più il mio respiro. Era una sensazione così bella che avevo paura cosa avrebbe portato, come si sarebbe evoluto il nostro rapporto. Poi sfilò via la mano ed io ripresi a respirare ancora una volta. Finalmente tornò a guardarmi dritta negli occhi. Aveva un sorriso soddisfatto, ma non c'era malvagità nel suo sguardo. I suoi occhi era più lucenti che mai e non facevano altro che scrutare ogni parte di me. Mi voleva ed io volevo lei. Cominciai a sbottonarle la camicia quasi con impazienza, completamente presa dal momento. Fu divertente vederla stupita per poi fare un ghigno. Mi diede un veloce bacio interrompendo ciò che stavo facendo.

"Non vale che sei sempre tu a dominare." Dissi ridendo.

"Almeno per questa volta."

Le lasciai togliermi la maglia, per poi slacciarmi il reggiseno e gettarlo a terra. Provavo un grande imbarazzo, per questo mi coprii con le braccia, ma non quanto mi sarei immaginata. Se mi avessero detto all'inizio che questo sarebbe successo, avrei fatto una clamorosa risata, e invece... Guarda adesso.

Si sfilò via la camicia da sola, lasciando a me il compito di toglierle il reggiseno di pizzo.

Allungai le braccia verso di lei, lasciando scoperto il mio seno. Potevo sentire il mio viso andare in fiamme e il cuore esplodere. Feci come mi disse e le scivolò lungo le sue bianche braccia.

"Siamo pari adesso." sorrise divertita.

Ma non appena provai a ricoprirmi, mi allargò le braccia sui lati stringendomi i polsi. Ero completamente vulnerabile e la cosa mi spaventava. Mi guardò con occhi dolci e premette il suo corpo sul mio. Affondò il viso nel mio collo e espirò profondamente.

"Questo calore..." la presa sui miei polsi diminuì, "Era da tanto tempo che non lo sentivo."

In quel momento capii che quella vulnerabile e che si stava lasciando andare era proprio lei.

Vorrei proprio sapere perché sei così.

Perché hanno paura di te, nonostante tu sei la più distrutta di tutti?

Vorrei tanto saperlo... Anche se mi dovesse far dubitare di nuovo.

Potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle ed il suo corpo rilassarsi.

"Lux?"

"Hai già fatto abbastanza." mormorò, "Adesso fammi riposare, è stata una dura mattinata."

"Ma così?" le feci notare. Lei annui.

Sorrisi ed alzai gli occhi al cielo. "Va bene." Ma ormai si era già addormentata, mezza nuda e sopra di me. Non ho avuto neanche il coraggio di guardala, forse è un bene che sia andata così.

La strinsi tra le mie braccia e chiusi gli occhi anch'io. Ma la mia testa era troppo scombussolata, troppe emozioni... Troppe sensazioni. Ci è voluto un po' prima che mi addormentassi, ma devo ammetterlo, è stata la miglior dormita da quando sono arrivata.

Fu il bussare della porta a svegliarmi. Mi stropicciai gli occhi e quando mi ricordai in che stato stavo fui presa dal panico.

"Il pranzo è pronto!" Disse Amelie da oltre la porta.

"Arriviamo subito!" dissi con voce agitata e con gli occhi semi chiusi.

Quando mi guardai meglio attorno, vidi Lux alla mia sinistra con la testa appoggiata sulla mia spalla e un braccio che mi circondava la pancia. Eravamo entrambe coperte dalle lenzuola ed io ero appoggiata ad un cuscino.

Deve essersi svegliata e poi addormentata nuovamente. Effettivamente fa un po' freddo a stare così, l'autunno ormai è cominciato.

"Ehi." aprì gli occhi. "Chi era?"

"Amelie, il pranzo è pronto."

"Bene, sto morendo di fame." Si mise seduta e prima di scansare le lenzuola mi diede un fugace bacio sulla guancia che mi lasciò stupita.

"Che fai non vieni?" chiese sorridendomi. Io non potei che non annuire.

Possiamo tutte insieme esclamare un bel alleluia! Anche se non è successo quasi nulla. Ma si sa, un passo alla volta. Al prossimo episodio XD.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 16 - Sorella Maggiore ***


Rhea

Ricordo con quanto entusiasmo avevo varcato i cancelli di questa casa e avevo abbracciato la mia adorata sorellina. Ero felice di averla potuta rivedere dopo tutto quel tempo e nonostante vedevo gioia nei suoi occhi, sapevo che c'era qualcosa di strano. Quando le vidi la ferita alla testa per poco non mi innervosii, ma ho mantenuto la mia compostezza soprattutto perché a lei non sembrava importare. Poi quasi nascosta in un angolo c'era una ragazza, capelli castani, occhi color nocciola e pelle chiara. Se ne restava immobile, impaurita e in quel momento capii, era stata lei. Sorrisi con soddisfazione quando vidi la ferita sul suo collo. Come osa toccare mia sorella?! Pensai. Ma poi sentii l'aroma del suo profumo, era così familiare. Dove l'avevo sentito prima? quel pensiero non riuscì ad uscire dalla mia testa, poi quando scoprii chi era questa ragazza andai su tutte le furie. Non potevo credere che Lux l'aveva portata qui dopo tutto quello che era successo. Inizialmente pensai che era ancora spinta da sentimenti d'odio, ma poi capii che non era così. Oltre al fatto che lei stessa mi aveva confessato che non ne sapeva nulla, c'era dell'altro, potevo vedere un sentimento genuino nascere in lei. Con il tempo capii che c'era qualcosa di strano tra quelle due. Si scambiavano sguardi d'odio, si colpivano, si facevano male a vicenda, ma nonostante ciò non riuscivano a staccarsi l'una dall'altra. Ciò che mi confuse di più era la tranquillità con cui l'umana avvolte si approcciava a Lux, chiamandola anche per nome. Anche Lux era strana, andava appositamente lei a cercarla invece di mandare un servitore, il che mi fece pensare ad una certa vicinanza tra le due. Per un secondo avevo addirittura pensato che tale umana facesse bene a mia sorella, infatti non l'avevo mai vista così felice da quando era accaduta la tragedia. Avevo addirittura instaurato una conversazione con lei per curiosità e ancora una volta pensai che fosse un personaggio positivo. Questo finché Lux non perse il controllo un'altra volta. Dentro di me sapevo che non era un bene tenerla qui, perché lei era un doloroso ricordo che aveva logorato l'animo di Lux per anni. La sua presenza le faceva riaffiorare ricordi che aveva tentato di seppellire da tempo. Mi aveva fatto davvero male vederla piangere ed ho odiato con tutto il cuore quella ragazzina, anche se avevo detto, che non c'entrava nulla, che in fin dei conti non era colpa sua. Nonostante le cose ora sono di nuovo a posto, i miei sentimenti non sono cambiati, lei deve andarsene o finiranno per uccidersi a vicenda.

"È davvero strano passare del tempo con te, Amelie." dissi muovendo la mia pedina su un'altra casella bianca, senza mai distogliere gli occhi dal gioco. "Eravamo solite litigare spesso o sbaglio?"

"Siamo troppo diverse per andare d'accordo." disse facendo anche lei una mossa.

"Solo su una cosa non siamo d'accordo e questa cosa non deve frenarti." le dissi quardandola negli occhi.

"Pensa a giocare." disse con un ghigno. "Scacco matto! Non devi distrarti." io risi.

"Distratta o meno, non c'è mai stata una volta che sono riuscita a vincere contro di te." dissi sospirando per mascherare un sorriso.

"Esatto!" esclamò fiera.

"Non mi hai mai reso le cose facili." dissi con un tono più serio, sperando di smuovere qualche reazione.

"E sarà sempre così Rhea." disse perdendo il sorriso. "Pensavo di essere stata chiara." aggiunse evitando il contatto visivo.

"Limpida, come sempre." sospirai alzandomi.

"Aspetta." mi voltai. "Pensi di fare qualcosa riguardante quella faccenda?"

"Si, ma stai tranquilla non farò del male a nessuno." la rassicurai, perché è questo quello che devo fare ogni volta che una vita viene messa nelle mie mani.

"Lo spero." disse piegando le labbra in una smorfia. Un tipico gesto involontario quando qualcosa la turba.

"Fidati di me... Per una volta." le dissi poggiando una mano sulla sua spalla per tranquillizzarla.

"L'ultima volta che mi hai detto così una persona che amavo è morta." disse tornandomi a guardare, adesso con disprezzo.

Ti prego non di nuovo...

"Non meritava nulla di quello che gli davi." esclamai con ardore anche se quello che provavo era solo dolore, male per un perdono che aspettavo armai da secoli. Inconsciamente le strinsi la spalla con la mano e lei si alzò di scatto.

"E lui non meritava di morire!" esclamò, ma i suoi occhi non erano lucidi, ne pieni di sofferenza per un amore perduto. Sapevo che infondo lei sapeva che avevo ragione, perché a parlare al posto suo era la rabbia per un qualcosa che ancora dopo decenni non riesco a capire. 

"Amelie... Quello che io ho fatto, è stato per il tuo bene."

"No, sapevi come Lux avrebbe reagito ed hai comunque deciso di dirglielo." esclamò cominciando a scaldarsi. "Sapevi che lo avrebbe ammazzato!" disse dandomi un spinta con entrambe le braccia ed io barcollai.

"Io e Lux ci siamo prese cura di te! Non lui! Ti ha lasciata da sola!" gridai, avvicinandomi al suo viso, con occhi spalancati che indagavano dentro i suoi.

"Lo so!" fece un respiro, indietreggiando di qualche passo ,"Ma non avevate il diritto di interferire."

"Credevo davvero che questa fosse una storia passata ormai, ma non sembra." dissi voltandomi. "Dì a Lux che vado in città." ma prima che potessi raggiungere la porta, mi bloccò afferrandomi il braccio.

"Dove di preciso?" chiese quasi impetuosa.

"Vado ad affittare qualche Bloodgiver" dissi guardandola con un ghigno. "Devo pur svagarmi per il tempo che starò qui no?" la provocai. 

"Mi disgusti a volte" mormorò.

"Dato che le mie attenzioni qui non sono ben accette, le darò a qualcun'altra." detto questo, aprii la porta ed uscii dalla sua stanza senza voltarmi in dietro.

Provavo rabbia e tristezza. Mi ero sempre chiesta, se le cose fossero andate diversamente cosa sarebbe successo? Sarei riuscita a farti mia? Prima ancora di accorgermene mi ritrovai il viso bagnato dalle lacrime. Perché non capisce?!

Presi in prestito la macchina di Lux e mi diressi in centro. C'era questo mio amico e sua moglie che gestivano questo locale, uno dei più ricchi e sfarzosi. Erano anni che non ci andavo, ma l'odore non era per nulla cambiato. Riuscivo a sentire il profumo della lussuria e della cupidigia semplicemente dall'entrata. La cosa che amavo di questo posto era che potevi fare letteralmente ciò che volevi, bastava pagare, ed io di soldi ne avevo a bizzeffe. Ma non ero andata lì per dare sfogo ai miei impulsi.

"Devo parlare con Constantine o Luise." chiesi ad uno dei collaboratori, mi riconobbe subito dal modo stupito con cui mi guardava. Mi fece cenno con la testa di seguirlo, ma quel posto lo conoscevo bene. Mi stava portando nel suo ufficio.

"Prego." mi fece lasciandomi davanti ad una porta.

Io bussai e subito una voce rauca mi rispose, "Avanti!"

Entrai con il sorriso sulle labbra, l'uomo quando alzò lo sguardo ricambiò il mio sorriso. Si alzò dalla poltrona ed esclamò "Rhea! Dolcezza," venendomi in contro. "Cara!" esclamò abbracciandomi. "Bellissimo fiore!" Mi ero scordata quanto gli piacesse esagerare.

"Ciao Constantine!" dissi dolcemente. Non era cambiato di una virgola. I capelli grigi, la barba mal curata, basso e il solito corpo robusto e poco fisicato.

"Cosa ti porta qui?" mi chiese. "Vieni siediti." disse indicandomi la sedia in pelle davanti alla sua scrivania.

"Sono venuta a trovare mia sorella," dissi sedendomi, "e credo che mi fermerò per un bel po', ma non so per quanto."

"È una bella notizia," disse buttandosi pesantemente sulla sua sedia, "era da molto, troppo tempo che non ti vedevo. Sfortunatamente Luise non c'è oggi."

"Salutala da parte mia allora, magari un giorno possiamo prenderci un caffè tutti e tre insieme." poi aggiunsi con un ghigno, "o un po' di vino rosso come piace a te." 

"Certo!" disse entusiasta. "Ti inviteremo sicuramente a casa nostra," disse con il suo sorriso da bambino. "Comunque, dimmi di che cosa hai bisogno."

"Vorrei affittare qualche Bloodgiver." dissi con nonchalance.

"Perfetto!" disse immediatamente. "Dimmi chi e sarà tua."

"Stavo pensando a Jasmine," dissi valutando, "c'è ancora?"

"Jasmine... Jasmine..." mormorò pensoso. "No." disse scuotendo la testa. "C'è stato un incidente qualche settimana fa e quindi..." disse lasciando la frase in sospeso.

"Oh" sussultai accigliandomi.

"Rhea, hai mai pensato di comprarne una?" disse diventando serio.  "Non sarebbe meglio?"

"Non mi va Cos, e lo sai." sospirai.

"Si lo so." disse annuendo. "Ti affezioni troppo eh?"

"Cos non sono venuta solo per quello però." dissi con tono più serio, cercando di sviare quella conversazione a me molto avversa. Non mi piace parlare dei miei sentimenti, soprattutto se questi si ricollegano a quella donna bionda che tanto mi odia.

"Dimmi pure." disse incrociando le braccia. Era sorprendente come la sua espressione potesse cambiare, da bambino dolce a uomo d'affari.

"Sai che Lux ha avuto qualche problema negli ultimi anni e c'è questa ragazza che sta rendendo le cose nuovamente difficili." lui annuì accondiscendente. 

"Cosa vuoi che faccia?" 

"Voglio che tu trovi un acquirente affidabile, qualcuno di cui ci si possa fidare, che non mini alla sicurezza della ragazza."

"Si." dissi annuendo. "Lo posso fare."

"Bene grazie mille." dissi facendo un respiro di sollievo.

"Ma lei lo sa? Lux intendo." Io scossi la testa. "La prenderà male immagino." disse riflettendo.

"Si, molto. Potrebbe anche ferirmi... Gravemente." dissi preoccupata. "È troppo coinvolta emotivamente. Devo rompere la cosa prima che la situazione peggiori."

"Rhea," mi chiamò, di nuovo in confidenza.  "vorrei ricordarti che lei è il Lord, potrebbe farmi chiudere, mi rovinerebbe."

"Non le dirò mai che tu mi hai aiutata, su quello poi contarci." lo rassicurai.

"Su cosa non posso contare allora?" replicò.

"Cos vuoi aiutarmi si o no? Non ti sto costringendo." dissi sporgendomi in avanti, quasi con tono imperativo.

"Sì fiore, ti aiuterò, stai tranquilla." disse sorridendomi come prima.

"Bene" dissi alzandomi. "Vado a scegliere le ragazze." Ma prima di uscire dalla stanza mi avvicinai e lo abbracciai. "Grazie ancora."

"Di nulla cara." disse dandomi due pacche dietro la schiena. "Adesso vai prendere qualche donna, voglio vedere un vero sorriso sul quel visino." Io risi. 

"Vado, corro!" dissi continuando a scherzare.

Ma aveva ragione, era tempo di cambiare, anche se non sono ancora pronta a lasciarla andare. 
 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 17 - Confusione ***


Lux

Ormai era passato qualche giorno da quando Eloyn si era trasferita nella mia stanza. Riuscivo a vedere la noia che le dava ma non ha mai tentato di lamentarsi, forse per paura o semplicemente per non creare inutili discussioni. Ma a differenza di quanto credessi il mio sonno non più era turbato, non ero più abituata ad avere qualcuno nel mio letto, e questo mi dava una strana gioia, ma non era condivisa. Potevo sentire ogni notte la sua irrequietezza. Eloyn non riuscì mai a chiudere occhio, continuava rigirarsi ancora e ancora fino a svegliarmi. Io avvolgevo il mio braccio intorno alla sua vita, per calmarla, per farla stare ferma, ma ogni volta sortivo l'effetto opposto. Sentivo il suo respiro accelerare e il suo sangue ribollire per la paura, ma era ingiustificata, non l'avrei mai toccata, non avrei mai più affondato i miei canini sulla sua pelle, a meno che non me lo avrebbe permesso lei. Glielo avevo promesso, questa volta per davvero. Ogni mattina mi sveglio da sola, lei deve lavorare, ma in cuor mio lo sapevo che non mi sarei mai svegliata con lei al mio fianco, e me ne ero fatta una ragione. Tra l'altro non riuscivo più ad avvicinarmi a lei durante le sue ore lavorative, o stava con gli altri umani oppure c'era Amelie o Rhea con lei. Non mi dava fastidio, solo non capivo perché Rhea fosse così interessata a lei. Forse era solamente curiosa o forse voleva essere sicura di che cosa non lo so. Era semplicemente strano. 

Adesso ero nella mia stanza, con i capelli scombinati e ancora con gli occhi mezzi chiusi.

"È arrivata una lettera dai Manor." disse Rhea irrompendo nella stanza, facendomi sobbalzare.

"Dovevi proprio svegliarmi così?" dissi con voce rauca mettendomi seduta. In realtà ero già sveglia da qualche minuto.

"Che c'è volevi un bacino?" Con un ghigno si gettò sul letto. Io non potei che non sorridere. "Tieni." disse porgendomi la lettera.

"Vediamo un po'." mi spostai i capelli dal viso e poggiai la schiena contro la spalliera mettendomi più comoda. La lettera era sigillata con lo stemma della casata Manor, una villa attraversata da due spade incidenti. Quando la aprii alcuni pezzi di cera rossa caddero sulla coperta, ma io ero troppo ansiosa di conoscerne il contenuto per accorgermene. Gettai la busta al mio fianco, e mentre Rhea cercava di decifrare il contenuto attraverso le mie espressioni facciali, io cominciai a leggere lentamente ogni riga. I miei occhi si soffermarono più volte sulle parole 'catturato' e 'non umano', trasmettendomi uno strano senso di eccitazione.

"Riconosco quel sorriso sadico, qualsiasi cosa sia io non voglio farne parte."

"Su," dissi dandole la lettera. "Leggi."

La prese con noia e nonostante l'indifferenza iniziale, più leggeva e più la vedevo catturata in quello che c'era scritto. Finché non alzò lo sguardo per guardarmi con occhi tra il curioso e il preoccupato.

"Dobbiamo andare a Randall, Adrienne Manor ci sta aspettando." 

Randall, la capitale del territorio dei Manor, una delle più belle città che io abbia mai visto. Ha uno stile gotico da far venire i brividi, fontane mastodontiche e vasti giardini che quasi mi fanno rimpiangere di vivere qui.

"No. Te sta aspettando." 

"Ma come!" esclami, "proprio tu che sei un'amante dell'avventura." 

"Lux ho rinunciato al titolo proprio perché non voglio avere a che fare con la politica." Disse alzandosi. "Pensaci da sola, o meglio, portati dietro Amelie."

Disse il suo nome quasi con disprezzo e quello mi fece capire che avevano un'altra volta discusso. Sono passati decenni ma il rancore che porta Amelie non sembra essersi mai placato. Mi chiedo quando la finirà. Spero solo che un giorno possa aprire gli occhi e capire quanto Rhea ci tenga a lei.

"Rhea aspetta," dissi scendendo del letto. Lei si voltò, con il viso segnato dallo sconforto. "Lei ti vuole bene."

"Ti sbagli." rispose guardando terra.

"No," cercai di convincerla, ma sortii l'effetto opposto. Alzò lo sguardo e mi fissò con rabbia dritta negli occhi.

"Si Lux!" esclamò con ira. Ma subito dopo vidi i suo occhi spalancarsi per lo stupore e face qualche passo indietro, "Scusa."

Non è da lei perdere il controllo così facilmente, di solito sono io la sorella che perde le staffe. Ritornare qui deve averle davvero procurato molto stress.

"Stai bene?" chiesi, pronta ad abbracciarla se ce ne fosse stato il bisogno. 

"Lei non mi ama." disse quasi piangendo, potevo vederlo da come cercava di nascondere il suo viso e da come batteva velocemente le palpebre. Ma quando cercai di stringerla tra le mie braccia mi scansò immediatamente. "No, non ce n'è bisogno."

Sapevo che mi avrebbe respinta, ma valeva almeno provare. Del resto è nel suo carattere, fare sempre la forte e risoluta, senza mai mostrare le proprie debolezze. Quasi la stimavo per questo. E' sempre stata una maestra nel mascherare le sue emozioni e per quanto io ancora ci provi fallisco sempre, davvero non ho controllo. Vederla così adesso, vulnerabile come non mai mi ha rattristata più di quanto mi sarei aspettata. Del resto centro io stessa in questa storia. Sono stata io stessa ad imbrattarmi le mani di sangue, ma nonostante tutto Amelie sembra avercela solo con lei. So che Amelie fa così  perché si sente tradita da una persona che ha sempre amato. Vorrei solo che Rhea riuscisse a vedere le cose dal mio punto di vista, capirebbe molto di più.

"Quando hai intenzione di partire?" chiese cambiando discorso ed io la accontentai.

"Domani mattina," dissi riflettendo. "Sul presto, così riusciremo ad arrivare all'ora di cena."

"Riusciremo?" chiese infastidita, "Ti ho detto che non vengo."

"Non sto parlando di te ma di Eloyn."

"Sai che non puoi portare anche Eloyn vero?" chiese cauta. Ultimamente si stava interessando troppo a lei, era ormai una settimana che la notavo sempre a fissarla ed ora questo.

"Perché?" domandai infastidita.

"Come perché? Sono le regole. E' compito del padrone di casa provvedere ai bisogni dell'ospite e questo include anche il Bloodgiver, te ne sei dimenticata?"

"Sono il lord, faccio quello che voglio."

"Appunto perché sei il lord devi fare da esempio." Mi rimproverò. "Se hai paura che possa succedere qualcosa all'umana, posso assicurarti che non le accadrà nulla finché sarà sotto la mia protezione. I vampiri della casa rispettano te quanto me."

Non aveva tutti i torti. Volevo portare Eloyn solo per egoismo personale e per paura che qualcuno la toccasse in mia assenza. Forse è davvero meglio che vado da sola, da quando è arrivata non penso più in modo razionale e ai miei doveri. Prima non ero così. E' difficile ammetterlo ma la sua presenza mi distrae più del dovuto.

"Va bene, hai ragione." Dissi annuendo. "La vado ad avvertire,"

Quando andai a lavarmi, Rhea lasciò la stanza ed io rimasi sola. Mi feci una doccia veloce con dell'acqua bollente, il freddo era vicino ormai. Mi avvolsi immediatamente un asciugamano cercando di ritrovare quel calore che avevo perso uscendo dalla vasca. Mi sedetti sul letto e poi mi sdraiai pensosa. Ricominciai a pensare a quello che era successo qualche giorno prima, o meglio, quello che era quasi successo. Non potevo crederci che avesse abbassato le sue difese a me, colei che l'aveva ferita dal primo giorno che era arrivata. E la cosa per quanto mi facesse sentire bene, mi sembrava sbagliata. Dovrebbe odiarmi non volermi così. Io volevo il suo corpo, lo volevo veramente, ma non sono riuscita ad andare oltre e forse è stato un bene. Da quel giorno non è più riuscita a guardarmi negli occhi ne a chiamarmi per nome, ne tanto meno si faceva toccare. Trasaliva con un semplice tocco della mia mano. Si sarà sicuramente pentita. E' davvero difficile comprenderla, ma non voglio forzarmi su di lei o ricominceremo da capo.

Quando mi asciugai, mi misi qualcosa di semplice per essere comoda, dato che ogni abbigliamento formale mi sarebbe servito per quando sarei partita. La camera era fredda a mi decisi ad accendere il camino in camera, inutile dire che non ci riuscii. Chiederò dopo a lei o a qualche servo.

Quando scesi le scale mi misi alla sua ricerca. Avevo imparato a memoria i giorni di lavoro e gli orari così da sapere sempre dove trovarla. Erano le undici quindi doveva essere sicuramente in pausa, dovevo solamente scoprire dove. La mia dimora conta due piani più un piano sotterraneo con le segrete, vietato agli umani. Il piano terra ha la sala da pranzo,la cucina, due salotti, due bagni e una sala riunione. Il primo piano è costituito dagli alloggi dei vampiri e il mio personale studio da cui si può entrare sia dal corridoio che dalla mia camera. Gli alloggi degli umani occupano tutto il secondo piano dove ci sono stanze singole o doppie. Distaccata dalla casa c'è questa struttura dalle moderate dimensioni che ho fatto costruire appositamente per gli umani dove possono svagarsi e riunirsi. Dopo l'ultimo episodio con Eloyn ho deciso di ingaggiare due vampiri per sorvegliare la situazione in caso di risse e piccole rivolte. A gli umani non è piaciuta questa decisione, ma non posso permettere che altro sangue venga sparso, ne tanto meno che gli umani si picchino a vicenda per stupide dispute e non adempiere ai loro doveri. Ma dubito che Eloyn si trovi lì, dopo quell'incidente ho notato che ha cercato in tutti i modi di evitare quel posto, a meno che uno dei suoi presunti amici non la convincevano ad entrare e sapevo che quel Dave era ancora in servizio. Ma poi mi venne in mente il luogo perfetto per lei, un luogo dove gli umani non possono andare e dove i vampiri non mettono mai piede, un posto dove regna la calma.

Mi affrettai ad uscire dalla casa e presi il vialetto che conduceva alla fontana. Era circondata da un ampia e alta siepe che permetteva di vederne solo la punta da cui sgorgava l'acqua. Cercai di camminare con passo felino tentando di nascondere la mia presenza, ma in fondo sapevo che era inutile. L'udito allenato di Eloyn sarebbe sicuramente riuscito a sentirmi. Quando aprii il cancelletto nella siepe fece un leggero cigolio ed io strinsi i denti. Non sapevo neanche perché stessi facendo in quel modo. Quella era casa mia, era il mio territorio, eppure non volevo segnalare la mia presenza, come se fossi colpevole di qualcosa. Quando entrai mi guardai intorno cercando il suo viso. E lo trovai. Con mio stupore si era assopita su una delle panchine. Era distesa di fianco con il suo unico braccio sinistro che le faceva da cuscino mentre l'altro pendeva fuori quasi toccando il terreno erboso. Mi avvicinai lentamente domandandomi cosa fare. Potevo vedere che dormiva profondamente e questo mi fece capire quante notti insonni aveva passato a causa della mia presenza.

In quel momento capii subito cosa fare, non ci stetti neanche a pensare troppo. Mi venne naturale optare per due letti singoli. Le avrei permesso di dormire in un altro letto, ma non di ritornare nella sua vecchia stanza, quello assolutamente no.

Rimasi a fissarla per un attimo, con la stupida idea che avrebbe aperto gli occhi sentendosi osservata. Ovviamente dormiva troppo profondamente, di quel passo non sarebbe neanche riuscita a svegliarsi per la fine della pausa. Quindi mi sedetti sulla panchina, vicino ai suoi piedi perché c'era più spazio. E guardai, incapace di capire cosa fare.

Se qualcuno mi avesse detto che mi sai comportata in maniera così strana difronte ad un umana che odia la mia specie... Be' non ci avrei creduto.

Sapevo che quello che provavo non era amore, ma più attrazione e desiderio di possedere. Ma allo stesso tempo era diverso, volevo toccarla, ma non volevo farle del male, volevo morderla, ma l'avrei ferita, non fisicamente ma nell'animo. Erano emozioni che non riuscivo a seguire e contraddizioni che non capivo. Mi fanno sentire strana. Lei mi fa sentire strana...

Mentirei se dicessi non voler affondare i miei canini nel suo collo e gustarmi la sua reazione, il terrore negli occhi, l'irrigidimento dei muscoli e gli scatti involontari del corpo per liberarsi dalla presa. Ma sapevo che dovevo abbandonare quella parte di me o per lo meno chiuderla da qualche parte e sperare che non uscisse mai più. Era davvero difficile controllare quest'impulso.

Ma se non posso morderla quando voglio, deve comunque comprendere che io sono il suo Lord.

Mi alzai dalla panchina e mi misi difronte a lei, "Svegliati!" esclamai, ma non troppo forte, non era mia intenzione spaventarla. La vidi spalancare gli occhi e non appena vide i miei si alzò mettendosi in piedi. "Non puoi stare qui."

"Lo so," disse abbassando lo sguardo colpevole, "Scusami."

"Alza il viso," le dissi, dovevo controllare una cosa. Lei non mi diede ascolto e le presi il mento tra le dita. La costrinsi a guardarmi e ed io cominciai a scrutarla. Aveva gli occhi arrossati, ma non era un rosso dovuto dal pianto, ma dall'insonnia. Le occhiaie che avevo già notato mentre dormiva lo confermavano. "E' per colpa mia?" Le domandai, sempre autorevole. Lei non rispose. "Farò mettere due letti separati, se la cosa può aiutare."

"Davvero?" Mi domandò immediatamente, io annuii. "Perché?" Chiese corrugando la fronte. 

"Mi servi in salute, ovviamente." Risposi seriamente, senza lasciar trapelare alcun briciolo di simpatia nei suoi confronti. "Non aspettarti altro però," mi voltai per riprendere il viale, "torna a lavoro adesso."

Tornai indietro nel mio studio, dimenticando completamente il vero motivo per cui ero andata a cercarla. Glielo dirò più tardi. Pensai, ormai concentrata solo su come sistemare la stanza e mettere via quel letto matrimoniale. L'aveva avuta vinta un'altra volta e senza neanche provarci, ho fatto tutto di mia spontanea volontà. Se fosse stata una normale Bloodgiver, ammetto che non l'avrei mai fatto. Forse... provo davvero un sentimento genuino per lei?
 

Ho finalmente postato un nuovo capitolo dopo molto, troppo tempo, e me ne scuso. Cercherò di postare più frequentemente da adesso. Se avete qualche considerazione lasciate pure un commento, sono sempre disposta a rispondere. Al prossimo (prestissimo si spera)  capitolo!!!
 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 18 - Onsra ***


Eloyn

Quando se ne andò, rimasi ferma e perplessa. La vidi camminare via, austera come sempre, non mi aveva rivolto un sorriso, ne aveva provato a toccarmi in maniera inconsueta o come io odio. Se ne era semplicemente andata via come se nulla fosse dopo avermi fatto uno dei favori più grandi e che non mi sarei mai aspettata. Era sembrata comunque strana, come se stesse cercando di forzare un atteggiamento rigido e inflessibile con me. Pensandoci, mi venne quasi da ridere. Quella faccia seria non le si addice per nulla, sogghignai. Ma io stessa diventai seria, stupendomi dalla mia tranquillità e naturalezza nel prenderla in giro. Dovrei avere paura di lei, non scherzare.

Mi morsi le labbra in segno di frustrazione. Non sapevo quello che facevo o che pensavo. Ero confusa, e sinceramente non capivo più quale era il mio rapporto con quella donna. Certamente ero la sua Bloodgiver e lei il mio Lord, ma lo vedevo il modo in cui sia io che lei ci approcciavamo. Era diverso da quello che avevano gli altri schiavi con i loro padroni e padrone. Eravamo come loro all'inizio, ma col tempo qualcosa è cambiato, mutato senza che io me ne accorgessi. Anzi io sono cambiata. Mi sono permessa di essere più amichevole e lei a sua volta è diventata più benevola. E poi quello che è successo quel giorno... sono stata solo una stupida presa da un momento di eccitazione che non doveva nascere nemmeno in principio. Ripensandoci sentii il viso andare in fiamme e mi sentii in colpa ancora di più. Non so con quale coscienza ho potuto farlo, adesso non riesco più a guardarmi allo specchio, ne tanto meno riesco a guardare lei negli occhi. E' stata una fortuna che si sia fermata, non sarei riuscita a sopportare i sensi di colpa se fossimo andate oltre. Ma nonostante ciò non riuscivo a smettere di pensarci, era come una tortura. Se non fosse stata un vampiro, forse mi sarei sicuramente arresa a lei. Mi sentivo orribilmente male ammettendo anche solo questo. 'Volere' e 'potere' vanno perfettamente d'accordo, ma 'volere' e 'dovere' si scontrano peggio di un cacciatore e un vampiro, ed io ne sto subendo tutte le ferite.

Cercando di non pensarci troppo ed evitare di impazzire, anch'io uscii dal cancelletto per ricominciare il turno. Quando girai l'angolo per entrare in casa sentii un braccio circondarmi il collo e stringere con l'intento di farmi male. Non era così forte, riuscivo ancora a respirare, era abbastanza debole da farmi capire che era un umano. Tentò di trascinarmi indietro così da nascondermi dalla vista degli altri. Non riuscii a capire chi era, ma sapevo di essere l'unica tra gli umani ad avere una preparazione fisica e cercai di reagire. Avevo il suo petto poggiato sulla schiena, era un ragazzo. Poi con la coda dell'occhio notai una seconda persona, ma non feci in tempo a vedere il suo volto che il ragazzo mi strattonò e cominciò a stringere più forte, mentre io cercavo di allentare presa afferrandogli il braccio e tirandolo con le mie mani. Era un gesto inutile ed ineffettivo, dettato dello panico e dall' inaspettatezza del momento. Allora tentai di riflettere, invece di scappare dalla sue presa, lo assecondai indietreggiando finché ebbi modo di muovere la gamba dietro la sua e fargli uno sgambetto. Il ragazzo cadde e con lui anche io. Mi alzai immediatamente con un veloce scatto e poi li vidi. Erano Brandon e la sorella. La mia paura si trasformò presto in delusione.

"Quanto siete banali," mi massaggiai il collo. "Non hai un minimo di forza." Dissi volgendomi verso di lui, ormai visibilmente arrabbiato. "Tu invece che fai?" domandai con un ghigno a Clarisse, "Il palo?"

Sta volta non avrei contrattaccato, non li avrei nemmeno sfiorati. Lascerò a loro il compito di scavarsi la fossa da soli. Le miei provocazioni fecero subito effetto, Brandon si fiondò su di me con il pugno alzato e mirando al mio viso, io riuscii a schivarlo, ma non con la facilità con cui speravo. Ero stanca per il mancato sonno e i miei riflessi ne risentivano, ma non avevo intenzione di rimanere illesa perché Lux doveva venire a saperlo e punirli. Mi hanno fatto vivere due settimane di inferno, isolandomi dagli altri umani e a chiamandomi traditrice per aver attaccato uno una della mia stessa specie. Sarò anche una schiava a servizio di vampiri che odio, ma ciò non significa che sarò una santa con chi mi minaccia, tanto meno altri umani. Per questa volta permetterò ad un vampiro di sporcarsi le mani.

Dopo il mancato colpo, Brendon tentò di colpirmi nuovamente ma con una raffica di pugni insensati ma che dato le mie condizioni fisiche non riuscii a schivarli tutti. Uno mi prese allo stomaco facendomi tossire ed un altro sul petto. 

"Adesso non ridi più?" domandò soddisfatto. Io gli sorrisi e lui si innervosì nuovamente. "Guarda che lo so che non hai più energia."

"Che perspicace!" risi, "Ma non sai a cosa stai andando incontro."

"Padrone Arkel ci proteggerà, anche lui ti odia." Esclamò speranzoso il ragazzo.

"Arkel non è nessuno in confronto a Lux e lo sai."

A quel punto anche Clarisse si intromise facendo affermazioni che mi fecero ribollire il sangue, "Tradire la tua specie così..." gridò , "Fai schifo!"

Io mi voltai verso di lei, che per tutto questo tempo era rimasta in disparte facendo fare tutto al fratello. La guardai con sguardo assassino, non bastavano le parole per far capire come mi sentissi. Ero io quella che era stata tradita ed adesso mi sarei vendicata. Vidi il ragazzo caricarmi di nuovo e questa volta non mi opposi. Mi prese in viso ed io barcollai, ma non caddi mai a terra. Ero abituata a ricevere pugni, del resto il corpo a corpo era stata la prima cosa che mio padre mi aveva insegnato. Ma nonostante l'abitudine, faceva comunque un male cane. Cercai di non emettere alcun lamento di dolore per non dargli soddisfazione, poi quando senti qualcosa colare dal mio naso sorrisi. 

Sapevo quanto Lux fosse paranoica al riguardo. In cucina mi ero ferita più di una volta e puntualmente dopo qualche minuto lei veniva a controllarmi. Riusciva a fiutare il mio sangue ovunque. Il che era in parte positivo, perché se un vampiro decidesse all'improvviso di attaccarmi lei verrebbe subito in mio aiuto, ma allo stesso tempo mi sentivo continuamente osservata senza mai avere un momento per me stessa. Per una volta questa sua fissazione sarebbe tornata utile. Per una volta l'avrei sfruttata.

"Meglio se ve ne andate," dissi quando tastandomi vidi del sangue sulla punta delle dita. Se la sono cercata, adesso affronteranno le conseguenze.

Per un attimo li vidi fremere, pensosi su cosa fare. Ma poi qualche minuto passò e non c'era traccia di lei. Cominciai a guardarmi in torno chiedendomi dove fosse finita, perché non fosse lì. 

Ma perché diavolo mi sono affidata a lei? Sciocca io che volevo uscirne pulita.

Non volevo sporcarmi le mani, non volevo inimicarmi altri umani, ne tanto meno volevo essere attaccata nuovamente da Arkel per aver rovinato il suo cibo. Ma quando Brandon, sicuro di se, si lanciò su di me, sapevo che dovevo cavarmela da sola e porre a fine a questa stupida situazione.

Parai il suo pugno non appena si avvicinò e lo tenni stretto nel palmo. Con l'altra mano lo colpì sul viso, con uno schiaffo così forte che lo feci barcollare.

"Vattene adesso o non sarò più gentile." Minacciai, ma fu inutile.

Non appena si riprese cominciò a tirarmi deboli e lenti calci che schivai facilmente. Riuscii ad afferrargli il piede e alzandolo gli feci perdere l'equilibrio facendolo cadere. Vedevo dall'ardore nei suoi occhi che non voleva arrendersi, ma io volevo farla finita e senza procurargli altri lividi.

Prima che si rialzasse riuscii a prendergli il polso e a mettermi sopra di lui, seduta sulla sua schiena mentre alzavo da dietro il suo braccio, non troppo per spezzarlo ma abbastanza per fagli male e bloccarlo. 

"Tu sta ferma!" Dissi a non appena vidi Clarisse fare un passo, "O glielo rompo."

Poi il ragazzo ringhiò cercando di liberasi da me ma era inutile, "Lasciami," gridò, "T'ammazzo!"

"Puoi smetterla di fare l'ostile per favore?" Gli dissi con leggero nervosismo. "Sono stufa di questa cosa. Quello che stai facendo è ridicolo."

"Brandon," lo chiamò la sorella, "basta così."

"Ma-"

"Andiamo via," gli disse finalmente capendo la situazione, "Dai."

Finalmente non lo sentii più resistere e allentai la presa. Quando mi alzai lui rimase per qualche secondo in più a terra, sentendosi sconfitto.  Gli porsi la mano in segno di perdono, ma come mi aspettavo, mi ignorò e si alzo da solo. 

Clarisse gli mise una mano sulla schiena chiedendogli se qualcosa gli facesse male. Ma non rispose. Provava vergogna, lo potevo intuire dalla postura del suo corpo, il viso chino, la schiena curva verso il basso, e il non pronunciare nemmeno una parola.

Spero che questa sia l'ultima volta. Non voglio malmenare i miei compagni ne farmi odiare da loro.

"Ehi," mi avvicinai prima che se ne andassero, "Possiamo lasciarci tutta questa faccenda alle spalle?"

"Pensi che io sia stupido?" disse alzando lo sguardo. "Sei una vigliacca." Con un gesto della testa disse a Clarisse che era ora di andare. Lei mi lanciò un ultimo sguardo rimproverante, poi sostenendo il fratello se ne andarono.

Aveva capito cosa stavo cercando di fare ed era giusto che mi avesse dato della codarda, perché dal suo punto di vista è esattamente quello che sembro. Io non amo i vampiri, ne simpatizzo per Lux, ma ciò non significa che nel momento del bisogno io non possa utilizzare la sua posizione a mio favore. Questa non è vigliaccheria ma astuzia.

Durante il pranzo ne Brandon ne Clarisse erano presenti a tavola, tutti si domandarono dove fossero. Nessuno sapeva quello che era successo due ore prima e dedussi  che per la vergogna e per non volermi vedere nuovamente non si erano presentati. Per questo mi voltai in direzione di Arkel, il loro padrone. Non aveva per niente l'aria contenta, anzi il suo viso trasmetteva rancore. Nel mentre riuscii ad incrociare lo sguardo con Lux. Sembrava che mi stesse fissando da tempo e solo adesso che l'avevo notata era tornata a posare gli occhi sul piatto difronte a lei. Trovai quel modo di fare buffo e quasi sorrisi. La mia mente ormai combatteva incessantemente con i miei sentimenti, schiacciandoli e sopprimendoli con la razionalità. Non sapevo più cosa pensare e come era giusto reagire. Forse era meglio tornare a come era all'inizio, io ribelle e lei ostinata nel prendere ciò che voleva. Così, almeno, sarebbe stata lei a costringermi e non io che le davo il permesso. Non volevo più quel controllo, no. Voglio tornare ad odiarla.

"Ehi," mi chiamò Dave, "Va tutto bene?" mi chiese poggiando la mano sulla mia spalla. Non appena lo fece gliela tolsi con uno scatto che allertò anche gli altri umani, che curiosi cominciarono a guardare nella nostra direzione.

Non avevo intenzione di ferire i suoi sentimenti, anzi lo volevo proteggere. Ricordavo cosa gli aveva detto Lux e non le volevo darle una motivazione per fargli del male.

"Continua a mangiare." Bisbigliai sperando che avesse capito le motivazioni del mio gesto. "Anche voi." Dissi a quelli che ci fissavano.

Fino a che il pranzo non terminò, io rimasi seduta a tavola a fissare il piatto. Lentamente sia vampiri che umani cominciarono a lasciare la sala. E poi la vidi. Con la coda dell'occhio la vidi alzarsi e venire nella nostra direzione. Pregai che non ce l'avesse con lui. Più era vicina più stringevo i denti. Quando sentii la sua mano sulla spalla, chiusi gli occhi con un sospiro di sollievo.

"Vieni con me." Mi disse, senza alcuna emozione nella voce. Io tirai indietro la sedia e anche in quel momento non ruppe mai il contatto fisico. Solo quando mi alzai mi lasciò la spalla per poggiare la mano dietro la schiena. Mi spinse leggermente ed io cominciai a camminare verso le scale. "Andiamo in camera."

Salii lentamente le scale per paura di sapere cosa mi aspettava. Oggi non era per niente di buon umore. Quando arrivammo nella sua, o nostra, stanza mi prese le mani e mi avvicinò al letto. Stavo tremando al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere. Nonostante il terrore nei miei occhi mi spinse giù con delicatezza e mi salì sopra.  Con un involontario gesto mi portai le mani sul petto come se mi stessi proteggendo.

"Posso?" Domandò e il mio cuore ebbe un sussulto. Non volevo, assolutamente no, era troppo presto, non ce la facevo. Lei mi guardò con  sguardo interrogativo e poi come se avesse capito rise. "No Eloyn," disse ridendo, "Voglio il tuo sangue." Io spalancai gli occhi ripetendo nella testa quella frasse che per lo spavento di prima ancora non riuscivo a processare. "Allora?" Mi domandò nuovamente.

Ma prima di risponderle ripensai a quello che mi ero detta poco prima. Voglio odiarla come un tempo. Era qualcosa che volevo, ma allo stesso tempo mi chiedevo perché. Adesso sembrava andare meglio, non soffrivo più come prima, ma il mio orgoglio di cacciatrice ne aveva risentito. E poi quel giorno, perché le ho permesso di toccarmi?

Distolsi lo guardo non appena i miei occhi si inumidirono e annuii lasciando scoperto il collo. Non volevo provare quel dolore allucinante, ma allo stesso tempo quella stessa vicinanza mi faceva male.

"La fai sembrare una tortura." Si alzò afflitta. 

Non era la reazione che volevo, "Aspetta!" le afferrai il braccio, lei si girò a guardarmi. Digrignai i denti e lo dissi, "Predi ciò che vuoi senza chiedere."

Fece un sussulto, lo capii dal suo respiro. Sapeva il vero motivo dietro le mie parole, perché si fermò a pensare, ma i suoi occhi si illuminarono comunque. Mi afferrò la mano con cui le tenevo il braccio e mi spinse violentemente giù contro il materasso. Sobbalzai a causa di quel repentino movimento. Era nuovamente sopra di me, ma stavolta ero intrappolata, con entrambi i polsi bloccati nelle sue mani. Mi guardò un'ultima volta, con lo sguardo di chi non sapeva cosa fosse giusto fare. Questa volta non le avrei detto nulla, era una sua scelta. Non la stavo nemmeno mettendo alla prova, le avevo lasciato totale controllo della situazione. Spettava a lei. 

Non voglio più avere potere decisionale perché in entrambi i modi ne rimarrei ferita o fisicamente o nell'anima.

Potevo vederlo dal suo sguardo che mi stava per chiedere se ero sicura, ma io no volevo sentire quelle parole. La baciai. Era così vicina che mi bastò alzare un po' la testa per far si che le nostre labbra si incontrassero. Sentii il suo corpo rilassarsi perché lentamente ricadde sul mio. Non c'era più distanza tra noi. Ma non era una cosa che doveva piacermi, no, non doveva essere piacevole. Quando aprì la bocca e mi diede la possibilità di baciarla più passionalmente, anche la sua presa si allentò e mi accarezzò il viso col la mano. Io la odio... io la odio, io devo... Stavo quasi per piangere. Avevo un magone che mi stringeva il petto. Ma dovevo. Non appena ne abbi la possibilità le morsi il labbro più forte che potei. Fu breve ma forte. Lanciò un breve stridulo e si allontanò con uno scatto da me. Mi guardò con occhi quasi terrorizzati che mi turbarono. Si tastò le labbra e, come io stessa potevo vedere, c'era del sangue. Una volta che si guardò le dita, rivolse lo sguardo verso di me. Era incredula... e stanca. Ma non arrabbiata, una stanchezza dovuta dalla delusione. Poi il suo sguardo cambiò, diventò più severo, impaziente. E fece ciò che mi aspettavo, e che in parte volevo. Si lanciò su di me e piantò i suoi canini nella mia pelle. Sentivo il collo in fiamme e un dolore allucinante. Sentii la sua bocca spostarsi su ogni parte del mio corpo. Quello fu uno dei milioni di morsi che mi fece quel pomeriggio. Mi ricoprì ovunque e quando non ebbi più neanche la forza di reagire, mi alzò la maglia. Prima di farlo mi guardò, i suoi occhi erano grigi e non vedevo alcuna cupidigia in loro, ma nonostante tutto non si fermò e continuò, finché io non riuscii più ad aprire gli occhi o a provare dolore.



Nota: Per chi se lo stesse chiedendo Onsra è una parola che indica un amore agrodolce destinato a non aver un lieto fine (tranquilli non è uno spoiler).

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Capitolo 21
*** Capitolo 19 - La Verità Nascosta ***


Lux

Non l'ho fatto con piacere e neanche con voglia. Era il suo sguardo che mi obbligava a farlo. Era quello che lei voleva e nonostante mi faceva male ho esaudito il suo desiderio. Non è stato facile, quando ho affondato i miei canini nel suo collo è stato anche il momento in cui ho capito che non avrei più potuto farlo, mai più. E mi sono sforzata, così tanto che non potevo più trattenere le mie emozioni, anche se lei era accanto me. Piansi mente lei gridava ed io assaporavo il suo sangue che non volevo. Quel sangue che quasi mi stava dando la nausea. E' stato orribile. Mai più... Se proprio deve avere una ragione per odiarmi, che allora sia quella vera.

Amelie e Rhea non tardarono ad arrivare. L'aroma del suo sangue si era diffuso pesantemente ed era solo questione di pochi minuti. Quando sentii i passi nel corridoio mi alzai dal letto. Amelie spalancò la porta così forte che andò a sbattere contro il muro. Aveva lo sguardo terrorizzato, così come mia sorella, che entrando rimase bloccata sulla soglia mentre Amelie mi correva contro. Mi diede uno schiaffo così forte che mi fece barcollare e poi cadere a terra. Ma lei non sapeva davvero cosa era successo, era passata subito alla conclusioni. Io mi girai a guardare Rhea che sconvolta si era pietrificata, neanche lei aveva compreso.

"E' viva." disse Amelie con un sospiro di sollievo.

"Certo che è viva." Mormorai.

"Certo che è viva?!" Ripeté esclamando la bionda, io abbassai la testa sentendomi colpevole.

"Amelie," la riprese mia sorella con tono addolorato, "Basta." Mi venne incontro mentre Amelie continuava a costatare la situazione di Eloyn. Mi porse la mano e con il suo aiuto mi alzai. Mi ressi alla sua spalla e misi una mano sullo stomaca. "Che c'è?" mi domandò preoccupata.

"Ho la nausea." Le dissi guardandola con occhi doloranti. Lei mi scrutò ma non riuscì a dire nulla. Io invece avevo fin troppo da dire. "Io.." tentai, anche Amelie si girò a guardarmi. Ma non riuscivo, le parole mi si bloccavano in gola. Gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime e fu solo in quel momento di vulnerabilità che riuscii a parlare. "Io..." schiarii la voce, "Non posso più..." Cominciai ad ansimare.

"Lux calmati." mi intimò Rhea preoccupata. Ma il mio respiro era sempre più affannato e cominciò a girarmi la testa. Mi ressi completamente a lei aggrappandomi alle sue braccia per evitare di cadere. Mi sentivo così debole e frastornata. "Ehi!"

"Sto bene." Riuscii a dire, anche se non era vero. Il solo pensare al suo sangue mi faceva venire il mal di stomaco e rischiavo di vomitare ogni volta. "Io devo dirle tutto." Lacrimai.

"Lux!" Mi rimproverò. "C'è Amelie." Mi sussurrò all'orecchio.

E' vero... neanche lei sapeva, o almeno non tutta la storia.

"Amelie?" La chiamò. Lei alzò lo sguardo, ancora tra rabbia e paura. "Porta via Eloyn, a lei ci penso io."

La bionda annuì, prese in braccio la ragazza senza troppa difficoltà e passandomi accanto mi lanciò uno sguardo cagnesco. Poi lasciò la stanza. Mi Starà odiando adesso...

"Perché?" Mi domandò mia sorella non appena fummo sole. "Perché ora?"

Io cercai di riprendermi e parlare con un po' più di coscienza e compostezza, ma era inutile. "Perché ha bisogno di una ragione per portare avanti il suo odio verso di me," dissi con voce spezzata, "E io non posso più ridurla così perché ciò accada."

"Sei davvero sicura?" disse prendendomi il viso tra le mani obbligandomi a guardarla. "L'abbiamo tenuto segreto apposta perché minerebbe la tua posizione da leader." Io annuii, ero decisa. "Se glielo dirai e la voce dovesse cominciare a circolare-"

"Non mi interessa il titolo o il mio cognome!" Lei mi guardò sbigottita, come se avessi detto una blasfemia.

"Perché fai così per una semplice umana!?" Esclamò stringendomi le spalle.

"Io-"

Mi morsi le labbra incapace di dare un nome a quello che provavo. A quella cosa che sentivo e che continuavo a sotterrare giorno per giorno per evitare di perdere il controllo.

"La tua vita è cominciata ad andare a puttane nel momento in cui hai permesso a Lailah di entrare nel tuo cuore e adesso stai commettendo lo stesso errore!"

"Non osare parlare di lei in questo modo!" esclamai con tutta la rabbia in corpo. Il mio cuore sobbalzò nel sentire il suo nome e sentii subito i miei occhi riempirsi nuovamente di lacrime. "Anche tu le volevi bene."

"Si, perché lei era una di noi!" Gridò alterandosi, "O comunque lo sarebbe diventata presto. Eloyn è diversa! Ci ucciderebbe tutti se potesse, soprattutto quando le dirai cosa hai fatto."

"E' quello che voglio." Sospirai.

"Sei-" Tentò di trattenersi con un lamento. "Sapevo che sarebbe successo!" Esclamò come se fosse un rimprovero a se stessa. "Se proprio vuoi che ti odi così tanto allora trasformala."

"Non voglio che si ammazzi da sola Rhea, ho già deciso."

"Fai come ti pare," disse voltandosi, "Non voglio più far parte di questi giochi mentali."

Capivo la sua rabbia, forse in altre circostanze avrei reagito allo stesso modo se non si fosse trattato di me. Ma è questa la realtà che sto vivendo, e forse era meglio accettarla.

"Aspetta." La fermai prima che uscisse. Le si voltò, lo vedevo dal suo sguardo che ne aveva avute abbastanza, ma dovevo per forza dirle un'ultima cosa, così forse avrebbe compreso. Con un momento di realizzazione ma anche di poca lucidità le domandai, "Se Amelie ti chiedesse qualcosa che solo tu puoi fare, la faresti?"

"Ovvio," rispose ridendo alla mia domanda.

"E perché?"

Corrugò la fronte a quella che sembrava una strana e palese domanda e poi rispose, "Perché la amo, lo sai." 

Io la guardai fissa, sperando che riuscisse a leggere il mio sguardo senza che ci fosse bisogno di dirlo a parole, perché lo stesso pensarci mi faceva paura e mi trasmetteva impotenza. La fermezza nei miei occhi, la serietà che mostravo difronte alla sua confusione, lo capì subito. La realizzazione la colpì dritta sul viso e spalancò gli occhi.

Quasi sorrisi nel vedere tutto quello stupore che poi sarebbe diventato delusione. "Allora non criticarmi più per quello che faccio."

Sapevo quello che avrebbe inteso e non mi sono comunque fermata. Per la prima volta non avevo dato retta alla ragione, per la prima volta avevo fatto un passo avanti per capire meglio me stessa. Forse se l'avessi capito prima tutto questo non sarebbe successo, ma allo stesso tempo il passato non può essere cancellato e sarebbe comunque arrivato il momento in cui le avrei dovuto dire chi fossi veramente. Qualcuno che lei avrebbe veramente odiato. Qualcuno che lei avrebbe ucciso con piacere. Perché non c'è niente di meglio della soddisfazione che si prova ad uccidere un carnefice.

Eloyn si svegliò in tardo pomeriggio nella sua camera. Come avevo detto ad Amelie, dopo averla medicata avrebbe dovuto riportarla nella sua vecchia stanza. Io intanto avevo spedito una lettera alla famiglia Manor, informando della mia partenza posticipata. Adesso dovevo solamente prepararmi ad affrontarla.

Avevo chiesto a Rhea se poteva essere lei quella a raccontare a Amelie le vere vicende di quel giorno, e lei aveva accettato. Aveva paura che mi avrebbe attaccata per averle nascosto la verità. Cosa che trovavo parecchio plausibile date le mie recenti azioni che le hanno causato non poco stress. E quindi mi aveva appoggiata nonostante l'evidente disaccordo.

Per calmare la tensione bevvi un calice di vino, mentre aspettavo Amelie per dirmi che potevo andare. Quando mi venne a chiamare, mi rivolse uno sguardo trucido senza parlarmi, ma non vedevo più quella scintilla di disprezzo e questo mi tranquillizzò. Le avrei parlato non appena ne avessi trovato il coraggio. Andammo insieme in camera della ragazza, Rhea era già lì davanti la porta e con lei c'era Marcus. Avevo richiesto la sua presenza nel caso Eloyn perdesse il controllo. Cosa su cui ero certa.

"Qualsiasi cosa tu debba domandarmi, sono pronta a risponderti. Lasciami solo affrontare prima questa cosa." Dissi ad Amelie. Lei rispose con un mezzo sorriso e distolse lo sguardo, forse ancora incapace di capire come comportarsi nei miei confronti. "Marcus, tu rimani fuori, se c'è bisogno ti chiameremo."

"Si signora." Rispose.

Magari fossero tutti come lui.

Io bussai con delicatezza, quasi sperando che fosse tornata a dormire. Mi sentivo impaurita, era intimidita e mi tremavano le mani.

"Avanti."

E' arrivato il momento. Pensai mettendo piede nella stanza. Quando entrammo lei stava guardando oltre la finestra. Non si girò mai neanche quando mi sedetti accanto al letto con la sedia.

"Come stai?" Domandai con un groppo alla gola.

"Non lo so." Rispose dopo una lunga pausa. Mi faceva male vederla così apatica. "E tu?" Si girò a guardarmi, mi scrutò il viso e prima che potessi rispondere aggiunse, "Sei pallida." 

Evitai di guardarla negli occhi, distogliendo lo sguardo e mostrandole solo il mio profilo. "Ti devo dire una cosa." Le dissi con l'ansia che aumentava.

"Non hai risposto alla domanda." Disse con voce stanca.

"Io..." i nostri occhi si incrociarono. Non potevo e non dovevo permettere a me stessa di essere debole in questo momento. Feci un profondo respiro e prendendo in mano un po' di forza cominciai a parlarle più austera, come si addice ad una della mia posizione. "Non sono qui per parlare di me, quindi, fammi dire ciò per cui sono venuta."

Lei annuì, "Va bene."

"Okay," schiarii la voce. "Precisamente venti anni fa è entrata a far parte di questa famiglia una ragazzina di nome Lailah. Era un umana come te e la mia Bloodgiver." Feci una breve pausa cercando di non crollare e raccontarle al meglio tutto ciò che aveva bisogno di sapere. "Lei era diversa dagli altri umani, era stata tradita dalla propria specie e vedeva nella mia una nuova speranza di vita. Crebbe al mio fianco, la consideravo come una sorella." Dissi con un sorriso stampato sulla bocca. "Le avevo promesso che un giorno le avrei donato nuova vita sotto forma di vampiro, e poi, se lei lo desiderava, l'immortalità."

"Mi avevi detto che le tue precedenti Bloodgiver le avevi vendute." domandò con la fronte corrugata.

"Ho mentito."

"Ovviamente." Rispose immediatamente lei. "Cosa potevo aspettarmi."

Perché deve fare la stronza proprio adesso... Pensai rattristandomi. Sapevo che non sarebbe stato facile ma se avrebbe continuato a farmi quello sguardo e a parlarmi in quel modo, allora... non so se ce l'avrei fatta.

"Non volevo interromperti," Io alzai lo sguardo verso di lei. Potevo vedere quanto era desiderosa di sapere sotto quello sguardo freddo. "Continua."

"Quello che sto cercando di dire è scappata  ed è che riuscita a tornare nel suo vecchio villaggio per dire addio alla sua famiglia prima che la trasformassi." Feci un profondo respiro, sentivo già che la voce mi tremava, ma dovevo per lo meno trattenere le lacrime. "Lei..."

"Lux," Disse Rhea cercando di avvicinarsi, "Non sei costretta a-" Non mi voltai a guardarla ma intuii che Annie l'aveva fermata.

"Allora... lei..." sentivo già gli occhi bruciarmi.

"Lux!" gridò nuovamente Rhea, dandomi un ultima possibilità di fermarmi, di cambiare idea. Forse aveva ragione. E se smettessi di parlare... così lei non mi odierebbe? E forse io... forse potrei ricostruire tutto da capo. Sto sbagliando tutto, forse. Dovrei stare zitta? Non so più niente. Niente.

"Diglielo," Disse Annie, io mi voltai, probabilmente avevo uno sguardo disperato. "Deve sapere." Mi disse convincente. Rhea l'ammonì con lo sguardo, ma lei stava guardando solo e soltanto me. Annuì con un sorriso cercando di darmi coraggio e io le rivolsi un piccolo sorriso poco convincente e tornai a posare lo sguardo su Eloyn.

"Cos'è che devo sapere?" Eloyn domandò agitata, "Mi fai preoccupare."

Io schiarii nuovamente la voce e continuai da dove mi ero bloccata, "Lei è tornata nel mondo degli umani ma stata catturata dai cacciatori del suo villaggio. Perché ovviamente nessun umano era mai tornato vivo o normale dal nostro mondo. Pensavano che fosse un vampiro, la presero e..." Cominciai ad ansimare e guardai per un secondo Eloyn. Aveva uno sguardo sconcertato, forse nel vedere me così vulnerabile, o perché immaginava che fine aspettava a Leilah. "Loro l'hanno uccisa. L'hanno presa, legata, bruciata e poi appesa con una corda ad un palo come se fosse un trofeo."

"Mi disp-"

Con una leggera risata nata dal nervosismo dissi, "Adesso ti domanderai come io faccia a saperlo. Perché sono andata in quel villaggio all'insaputa di tutti per riportarla indietro. E cosa ho trovato?" Dissi lacrimando. "Un corpo messo in mostra che non aveva neanche più una forma."

"Mi dispiace." Ridisse sconcertata. Ma vedevo che neanche lei aveva le parole per esprimere tutto il dissenso che provava. Ma presto quel dispiacere si sarebbe trasformato in altro.

"Eloyn... Dopo aver visto quella scena, ho perso il controllo. Io stessa ricordo poco e niente tranne l'odore del sangue che ricopriva le strade, la puzza di morte che stavo lasciando dietro di me..."

Non volevo continuare a parlare, non volevo dirle esplicitamente cosa aveva fatto a lei. La guardai sperando che capisse da sola. E la mia espressione la raggiunse. Il suo sguardo rattristito si trasformò lasciando spazio al dolore e alla rabbia. Vedevo i suoi occhi bruciare d'odio e rancore, I suoi pugni stringere il lenzuolo, il suo viso arrossarsi.

"Dillo!" Esclamò sul procinto di esplodere. "Dillo adesso!" Gridò.

Io deglutii, il senso di colpa era troppo forte. "Ho ucciso io la tua famiglia." Piansi pronunciando ogni parola.

Eloyn mi guardò come se fosse pronta a smembrare ogni parte di me e sapevo che voleva veramente farlo. Senza aspettare ulteriormente, fece uno scatto contro di me circondandomi il collo con la sua ferrea stretta.

"Ti ammazzo!" gridò con tutta la forza in gola. Io nello stato in cui ero non riuscii a muovere un muscolo contro di lei, neanche a fermarla.

"Marcus!" Gridò Rhea.

Neanche un secondo dopo, vidi il possente vampiro alzare Eloyn da sopra di me e gettarla violentemente a terra.

"Non farle male!" Gli gridai non appena vidi la ragazza rialzarsi. Sapevo che non si sarebbe fermata, era nel suo carattere.

Come avevo immaginato tentò di attaccarmi di nuovo ma Marcus la bloccò, circondandola con le sue possenti braccia e stringendola a se.

"Lasciami!" Gridò rabbiosa. "Lasciami!" Insistette mentre i suoi lamenti di rabbia si trasformavano lentamente in stridule grida soffocate e la sua voce veniva strozzata dal pianto. "Io ti ammazzo." Pianse abbassando la testa verso il pavimento, dando sfogo al dolore. "Ti odio..." Continuò, "Mi hai rovinato la vita."

"Mi dispiace," bisbigliai.

"Marcus rinchiudila nelle segrete, non vogliamo mica dare spettacolo."

"Certo mia signora." Disse l'uomo portandola via.

Ero troppo sconvolta per reagire o anche piangere. Mi alzai da terra solo per mettermi seduta, con le mani che mi coprivano il viso e ginocchia vicino al petto. Volevo solo scomparire in quel momento o cadere in un sonno profondo e risvegliarmi non appena tutto questo sarebbe finito. Sentii una mano sulla spalla, ma non volevo girarmi a vedere chi era, ne mi interessava, volevo solo stare sola.

Ero esausta, davvero tanto.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 20 - Due Strade ***


Eloyn

Non ho mai creduto al destino, o che certe cose accadono per un motivo, ne al fato e neppure al karma. Ma alcune volte succede che ti chiedi, "Perché a me? Ho fatto qualcosa di male?" 
E' opinione comune che se qualcosa di sbagliato ci accade è perché ce la siamo cercata noi e non perché è successo e basta. Ma nonostante il mio pensare razionale anch'io cado in quella stupida trappola. E' nei momenti di sconforto come questi che me la prendo col destino e non con la casualità, perché è davvero impossibile credere che a volte la vita ci fa scherzi del genere. E' così che l'ho presa invece di ritenermi fortunata. Chiunque nella mia posizione avrebbe lasciato in disparte il dolore e avrebbe agito approfittando dell'opportunità datale. L'assassina dei miei genitori vive sotto il mio stesso tetto... dovrei gioire, invece no. Provo odio, sì, voglio vendetta, certamente, ma... perché sento quest'inspiegabile tristezza?

Mi ero appena ripresa ed ero distesa su una superficie dura e scomoda. Sbattevo insistentemente le palpebre per cercare di abituarmi alla tenue luce che dava forma alle cose che mi circondavano. Quando mi alzai con i gomiti e tentai di guardarmi attorno, ancora con la fronte corrugata per la poca vista, un fitto dolore mi colpì alla zigomo e un insieme di ricordi cominciarono a riaffiorarmi nella mente. Dopo essere caduta succube della violenta presa di Marcus, il succhiasangue mi aveva portato fino alle segrete e a causa del mio continuo dimenarmi, e ad una tentata fuga quando mi lasciò, con la sua possente mano mi aveva tirato un pugno in pieno viso. Adesso che ricordavo mi massaggiai la guancia dove avevo ricevuto il colpo, ricordando il dolore allucinante che provai e che mi fece cadere a terra e poi probabilmente svenire. Feci uno sospiro di sconfitta quando notai le sbarre che mi tenevano rinchiusa.

"Cosa hai fatto per finire qui?" disse aspramente una voce, "Alla fine Lux ha capito che non vali nulla."

La voce proveniva dalla cella davanti la mia, ma l'oscurità in essa e lo stordimento non mi facevano capire chi fosse. Riuscii a delineare una sagoma che poi si mosse per avvicinarsi alle sbarre. E poi lo vidi, quel sorrisetto soddisfatto che tanto odiavo. Brendon.

Rimasi sbigottita. Credevo che la sua assenza e quella di Clarisse fosse dovuta dalla vergogna provata dopo il nostro scontro e invece avevo assolutamente interpretato male la cosa. Li ha puniti, lo ha fatto veramente e senza dirmi nulla al riguardo. Lux... Sentii un groppo alla gola non appena pensai a lei. Faceva così male, più di una ferita, e perché poi? Non lo capisco.

Nonostante Brandon era pronto ad istigare una lite fatta di parole sprezzanti e insulti, io non riuscivo a pensare a lui o a dare peso a quello che faceva. Non mi importava nulla, avevo solo un pensiero fisso e mi faceva salire la rabbia ma anche le lacrime.

Mi rimisi sdraiata su quello che sembrava un letto in ferro senza materasso e diedi le spalle alla porta della cella cercando di trovare un po' di privacy dagli occhi del ragazzo.

"Almeno tu ce l'hai un letto" sbuffò. Io non mi girai, non volevo dargli la ben che minima di attenzione. "Ehi," mi chiamò, "che hai fatto per finire qui?" Io mi strinsi a me stessa, voglio solo che mi lascia in pace.

"Lasciala stare, " disse un'altra voce. Era Clarisse e proveniva dalla cella affianco alla mia. "Tanto ci abbiamo perso tutti e tre alla fine."

"Clarisse..." disse scocciato.

"Cosa?"

"Lei ha un letto!" esclamò, "E' favorita, sta messa meglio di noi."

Non sapevo quale espressione facciale stesse facendo Clarisse ma dal silenzio intuii che forse aveva roteato gli occhi al cielo o per lo meno io l'avevo fatto. Ma Brandon in parte aveva ragione, non c'era parità tra noi, e non perché io fossi favorita, ma semplicemente perché in quel momento stavo soffrendo più di quanto meritavo. Era come rivivere quel giorno, solo con il volto di Lux impresso nella mente.

Io non l'ho mai sopportata, l'unico sentimento che provavo per lei era il disprezzo, ma mi sento come se fossi stata tradita da una persona cara. L'odio con cui avevo varcato per la prima volta le soglie di questa casa stava lentamente svanendo, era come se mi stavo abituando a questa nuova normalità. l'aver conosciuto vampiri come Amelie e anche Rhea, e umani come Brandon e Clarisse, avevano ribaltato il mio modo di pensare ed agire senza che me accorgessi e lentamente mi stavo staccando sempre di più da quel mondo che un tempo definivo mio per avvicinarmi ad uno nuovo ed inesplorato, ma sempre portando con me il desiderio di vendetta. Una rivincita che con il tempo stava quasi perdendo valore, ma che adesso è tornata a bussare alla porta del mio cuore. Un cuore che per poco si stava aprendo a qualcuno.

Mi raggomitolai su me stessa cercando di non pensare a nulla, ma sentii la porta delle segrete aprirsi e mi misi subito seduta sull'attenti e pronta a tacere chiunque con il mio sguardo arrabbiato. Sentivo i suoi passi avvicinarsi sempre di più finché da oltre le sbarre non apparì Amelie, mi guardò con occhi così rattristati che mi fu impossibile mantenere quello sguardo adirato che le stavo rivolgendo.

Aprì la bocca come se volesse dirmi qualcosa ma si guardò indietro come se fosse insicura di parlare davanti agli altri umani. "Un secondo," mormorò per poi avvicinarsi alla cella di Clarisse. Sentii il rumore di un mazzo di chiavi e poi una scivolare nella fessura "Vai," disse aprendola. Io riuscii a vedere la confusione nel volto di Brendon. "Anche tu." disse aprendo la cella del ragazzo.

Fratello e sorella si guardarono, e quando Amelie si avvicinò a me e non aprì la mia, rimasero un po' sconcertati. "Grazie Signorina Amelie." disse Clarisse chinando il capo, ma nel farlo mi rivolse un'occhiata.

"Di nulla, ora via." esclamò ai due umani. Non l'avevo vista mai così imperativa, con nessuno. Di solito parla sempre a tutti con un dolce sorriso, immagino che non sia la sua giornata, proprio come me.

Quando i due se ne andarono, ammorbidì nuovamente lo sguardo e quasi sfiorando le sbarre col viso mi chiese, "Come stai?"

"Fisicamente?" domandai con sarcasmo, "Bene, mi fa solo un po' male la guancia ma a parte quello tutto apposto." le sorrisi.

"Sono seria," insistette, "e preoccupata."

Sospirai rivolgendo gli occhi verso terra. "Perché sei qui?" chiesi cambiando tono di voce, uno che si avvicinava di più al mio stato d'animo. "Ti ha mandata lei?"

"No."

Alzai gli occhi per guardarla. Era veramente preoccupata per me, perché è sempre così gentile? Non riuscii a reggere a lungo il suo sguardo perché i miei occhi si inumidirono subito dopo.

"Scusa," dissi tirando su col naso e asciugandomi le lacrime sul viso. Avevo la vista sfocata, perché per quanto ci provassi le lacrime non avevano intensione di fermarsi. Non riuscivo neanche a vedere cosa Amelie stesse facendo ma il rumore che fece la serratura era inconfondibile. In pochi secondi mi ritrovai delle braccia intorno al collo il viso affondato nel suo petto. Ma quel gesto mi fece solo peggiorare provocandomi un pianto incessante e gemiti. Sentivo il corpo quasi tremare come se avessi delle convulsioni e più queste erano forti e più la sua presa si stringeva per confortarmi. Mi piaceva quel calore, e le mie mani che fino a quel momento erano strette al mio petto si spostarono lentamente sui suoi fianchi. Non la circondai con le mie braccia bensì mi afferrai alla sua maglietta come se stessi cercando di trattenere a me quel tepore di cui avevo tanto bisogno.

"Eloyn?" mi chiamò una volta calmata. "Dovresti parlarle, lei ti vuole veramente bene."

Nel sentire quelle parole scattai immediatamente via. Non potevo credere che avesse detto una cosa simile in un momento come questo. Ho appena scoperto che ha ucciso la mia famiglia e lei pensa sia giusto dirmi che il realtà quella succhiasangue mi vuole bene?!

"Vattene!" esclamai in piedi distante da lei.

"Eloyn..." mi pregò con lo sguardo.

"Ti prego va via!" la intimai nuovamente senza guardarla negli occhi. Ma era ancora ferma, seduta sul mio letto, "Per favore."

"Va bene," sospirò, "Come desideri." Si alzò ma lo vedevo che voleva dirmi altro perché era ancora restia dall'uscire. Alla fine rimase in silenzio, prendendo il mucchio di chiavi dalla tasca e cercando quella giusta. Era una vecchia chiave marrone arrugginita, la più semplice e basilare tra tutte. "Per la cena ti faccio portare qualcosa da Dave, so che siete amici." disse richiudendo la cella. "A domani Eloyn." Disse andandosene con lo stesso sguardo afflitto con cui era entrata. Stavo quasi per fermarla, ma quando sentii la porta in fondo sbattere, capii di aver perso la mia occasione. Mi sentii in colpa per averla cacciata, ma non doveva permettersi di dire una cosa del genere, non adesso che la ferita è così fresca.

Passarono ore, forse due o anche solo una. Il silenzio era quasi ingombrate, mi obbligava a pensare, a riflettere su cose che avrei voluto fare ma che forse non ne avrei avuto il coraggio, perché le cose erano cambiate, i miei sentimenti erano cambiati... io ero cambiata. Se mio padre mi avesse vista, il modo in cui avevo cominciato ad agire, i miei pensieri, mi avrebbe ripudiata. Io farei lo stesso, perché questa parte di me mi disgusta al punto tale che mi fa venire voglia di smettere di esistere. Era come scegliere tra due mali, da una parte avrei potuto perdonarla e pensare al presente, tradendo la fiducia di mio padre e il ricordo della mia famiglia, dall'altra c'era la mia vendetta da compiere, da sempre unica ragione di vita, ma che forse non mi avrebbe dato la soddisfazione che cercavo. Questo perché avevo notato un miglioramento in lei, stava davvero cercando di cambiare per me, e senza un motivo a me conoscibile. Ma lei rimaneva comunque una carnefice e il sangue che aveva versato sarebbe sempre rimasto su di lei se pur cercasse di essere una persona migliore.

Sono così confusa. E triste. E arrabbiata...

Le persone del mio villaggio avevano fatto qualcosa di orribile ad una ragazza innocente. Ma allo stesso tempo capisco la paura e la paranoia degli abitanti, che hanno fatto solamente quello che sembrava giusto per proteggere il villaggio dalla minaccia. Ne avevo visti di vampiri catturati e giustiziati, non era una notizia per me, perché io stessa avrei poi contribuito a dare giustizia, anche con mezzi violenti. Il mio odio era troppo forte per farmi vedere oltre, per comprendere che ogni volta che qualcuno se ne va, c'è sempre chi resta.

Loro avevano portato via una persona cara a Lux, lei aveva portato via da me la mia famiglia, ed io volevo portarle via tutto il resto. Forse questo è davvero un ciclo di vendetta che non può avere una fine. Tutti perderemo sempre qualcosa che ci porterà ad agire in condizione di riprendercela. Lux è l'antagonista della mia storia, il mio villaggio è stato l'antagonista della sua.

Adesso devo solo capire quale percorso intraprendere, con la consapevolezza che sarà una decisione che in ogni caso non riuscirà ad appagarmi appieno.
 

Ecco un nuovo capitolo! È vero che non è successo molto ma mi piace troppo investigare la mente di un personaggio attraverso monologhi interiori che mettono in risalto i dubbi e le incertezze che mostrano quanto sia veramente "umano". 
Come sempre se il cap vi è piaciuto lasciate un commento. Alla prossima~

 

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Capitolo 23
*** Mappa di Styria ***


Ecco finalmente la mappa di Styria che avevo già preparato da mesi ma che volevo pubblicarla una volta fatte tutte le bandiere/stemmi delle casate, ma dato che ci sto mettendo una vita ho deciso di metterla già da adesso e in futuro aggiungere le ...

Ecco finalmente la mappa di Styria che avevo già preparato da mesi ma che volevo pubblicarla una volta fatte tutte le bandiere/stemmi delle casate, ma dato che ci sto mettendo una vita ho deciso di metterla già da adesso e in futuro aggiungere le casate. E' una mappa abbastanza semplice ma spero vi piaccia.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 21 - "Non ho mai voluto questo" ***


Lux

Ero seduta sul mio letto, con le mani tra i capelli e la testa china. Aspettavo impazientemente Amelie per darmi notizie su di lei... su Eloyn. Non avrei mai immaginato, mai, che le cose sarebbero finite in questo modo, che io mi sarei ridotta in questo modo. Tutti gli errori del passato erano tornati per distruggere la mia felicità, la mia possibilità di amare e finalmente essere amata. Cosa dovrei fare per farmi perdonare? Lasciarla andare? No, non ne sarei capace, sono troppo egoista.

Quando sentii dei passi dal corridoio quasi saltai in piedi per l'agitazione. Mi mossi a passo veloce verso la porta e la aprii. Trovai Amelie con il bracco alzato pronta per bussare e gli occhi spalancati per lo spavento.

"Scusami," le dissi prendendole il braccio e tirandola dentro, "Come sta?"

"Come pensi che stia?" disse con voce acuta, come se mi stesse accusando. "Ho mandato uno dei miei ragazzi, così da tirarla su di morale."

"Chi?" scattai, capendo immediatamente a chi si riferisse.

Mi guardò con sguardo ripugnante, come se avessi detto chissà quale blasfemia. "Non cambierai mai," si voltò afferrando la maniglia della porta per andarsene ed io a mia volta le afferrai il braccio.

"Ho esagerato... lo so," Lei mi guardò per un attimo, tornado al suo sguardo calmo di sempre. Poi guardò la mia mano avvinghiata a lei ed io lasciai la presa con disagio.

"Lux, anche se mi da fastidio che Arkel ne era a conoscenza ed io no, ho capito, davvero. Ma ciò non significa che sono pronta a lasciare andare tutto."

"Lo so che ho sbagliato molte cose, ma sto davvero cercando di migliorare," confessai con tutta sincerità.

"Allora smetti di tormentare quel ragazzo, non ha fatto nulla di male e non merita di entrare nelle nostre discussioni."

"Va bene," annuii chinando la testa. Aveva pienamente ragione, quel ragazzino non ha mai fatto nulla di male, anzi le è sempre restato accanto e immagino sia riuscito a darle più protezione di quanta glie l'abbia data io.

"Bene," mormorò infine.

Quando se ne andò rimasi nuovamente sola con me stessa, e in quel momento capii che lo ero veramente. Vedevo che Amelie non mi supportava e Rhea non era da meno, con gli altri vampiri non mi sono esposta più di tanto, ma sapevo che avevano capito la situazione, chi più chi meno. L'importante è che nulla esca dalle mura di questa casa.

Quella notte andai a dormire travolta da un'immensa solitudine, girandomi continuamente verso la mia destra, dove se anche per poco tempo c'era stata lei. Mi domandai con amarezza se quel posto sarebbe mai stato occupato nuovamente. La risposta era così incerta e imprevedibile che non mi abbandonai alla rassegnazione, avrei combattuto se necessario.

La mattina successiva mi svegliai relativamente presto. Gli umani erano già a lavoro, c'era chi preparava la colazione per noi vampiri, chi faceva le pulizie e chi si occupava dell'esterno. Quando mi videro, tutti si irrigidirono e smisero di parlare. Cercavano di evitare il contatto visivo, abbassando la testa continuando a lavorare, ma io lo sapevo che quando potevano alzavano lo sguardo per vedere cosa facevo. Incrociai lo sguardo con l'umana che due giorni prima avevo rinchiuso insieme al fratello, mi venne quasi da ridere quando rabbrividì sotto il mio sguardo. Quando andai in cucina gli umani avevano quasi finito di preparare il caffè e il tè, quando si accorsero di me si fecero subito da parte.

"Desidera qualcosa mia signora?" domandò con incertezza una ragazzina dalla bassa statura.

"Caffè," dissi senza aggiungere altro. Quando si girò per prendermi una delle tazzine pronte, un ragazzo dai capelli biondi si mise davanti a me e me ne porse una senza aprire bocca. Aveva lo sguardo serio, quasi di ghiaccio. Io la presi e senza distogliere i miei occhi grigi dai suoi cominciai a bere. Posai la tazzina senza mai smettere di fissarlo e lui a sua volta non distolse mai i suoi occhi da me. La ragazza di prima e qualche altro umano ci guardavano preoccupati, impauriti da me e da cosa avrei potuto fare grazie alla mia posizione predominante. Finalmente accennai ad un sorriso, "Ti chiami Dave?"

"Si mia signora," disse con la sua voce da giovane ragazzo, il suo tono ancora fanciullesco. 

"Vuoi impressionarmi, Dave?"

"No mia signora," Non so se lo fece apposta ma vidi un accento di sfida negli occhi. La cosa mi infastidì ma mi intrigò allo stesso tempo, era come se volesse rendermi chiara la sua presenza in tutto questo, che nonostante era un semplice schiavo aveva ancora un po' di controllo sulla sua vita e che era capace di prendere decisioni nonostante il suo status sociale. E' un coraggio che ammiro, ma che allo stesso tempo non accetto, non da parte sua almeno.

"Vieni con me," gli dissi sorridendo, lui trasalì perdendo tutta la sicurezza di un attimo prima, "Su vieni," lo incoraggiai vedendolo spaesato, "non mordo mica," scherzai ma non troppo, mi divertiva vederlo terrorizzato.

Gli umani ci guardarono mentre io facevo strada e lui che mi seguiva come se avesse un guinzaglio al collo. Mi era quasi mancato spaventare a morte questi ragazzini per poi non fare niente che possa veramente nuocerli. Era divertente vedere i solo volti segnati dal terrore per cosa sarebbe successo, per poi vederli sospirare di sollievo con i loro volti pieni di gratitudine per non aver fatto loro del male. Era uno dei miei giochi preferiti. Era. 

Lo feci salire fino in camera mia per poi farlo attendere sulla soglia della porta mentre io prendevo una cosa del cassetto. Ritornai da lui con volto serio, non sicura che quello che stavo facendo era un bene o un male. Di sicuro un bene per lei.

"Questa," dissi allungando la mano, "E' un doppione della chiave delle segrete," Lui mi guardò per un attimo confuso, "Voglio che tu l'abbia," disse mettendogliela nella mano. "Potrai aprire la porta ma non la cella. Puoi farle visita tutte le volte che vuoi."

Spostò gli occhi dalla chiave a me per un paio di volte prima di capire cosa avevo veramente detto, e sorrise guardando ciò che aveva tra le mani. "Ma perché?"

"So che siete amici, è positivo che abbia qualcuno vicino adesso," Lui annuì ma lo vidi pensoso.  Avevo reso ben chiaro il mio astio nei suoi confronti nel momento in cui gli avevo vietato di mettere nuovamente le sue mani su Eloyn. Sapeva che non lo stavo facendo per lui, aveva capito che per una volta mi ero comportata non da padrona, ma da una persona che prova gli stessi sentimenti di un umano, che anche io avevo una coscienza, e che anche io avevo le capacità di comprendere gli umani. 

"Lei..." disse accigliandosi, "Le ho portato la cena ieri sera,"

"Come stava?" domandai frettolosa.

"E' arrabbiata... e triste."

"Pensi possa andarla a trovare?"

Lui mi guardò quasi sorridendo, "Stai davvero chiedendo il mio parere?"

"Tu ci sei stato ieri sera," gli dissi con ovvietà, "Dammi una risposta e la prenderò in considerazione,"

"Be'," disse guardando il vuoto, pensando attentamente ad una risposta, "Stava per dirmi qualcosa su di voi, ma si è fermata."

"Capisco," dissi riflettendo,"Qualsiasi cosa dica me la devi riferire, e devi assicurarti che sia in salute, capito?" Lui annuì con decisione, sapevo che c'erano degli interessi personali dietro, ma ero anche a conoscenza del fatto che lui non avrebbe mai vinto il suo cuore. "Ora vai, nascondi la chiave e torna lavorare, non sei privilegiato," gli dissi impetuosa. Era vero, non era per nulla un favorito e non doveva mettersi strane idee in testa. Lui raddrizzò la schiena e a passo veloce si allontanò da me.

Me ne tornai giù e vinta dalla noia mi sdraiai sul divano intenta a leggere un libro a caso preso dalla libreria lì vicino. Mi fu impossibile concentrarmi con tutti quei umani intorno intenti a lavare il pavimento e a spolverare. Alla fine mi misi ad osservarli e mi accertai che tutti fossero in buona forma. Era da molto che non accoglievamo nuovi arrivati, non contando Eloyn, ma era sempre importante controllare la loro salute, essendo creature fragili e dalla mente debole. Non era raro che qualche umano perdesse peso a causa della sua brutta relazione con il padrone o che si rifiutasse di mangiare con lo scopo di finire la loro vita. Amelie è sempre stata una brava tramite, questo glielo devo, mettendo pace ed equilibrio anche dove non c'era. Mi ricordai quando era saltata immediatamente in difesa di Eloyn i primi giorni che era arrivata. Solo adesso capisco quanto le mie azioni fossero sbagliate, quanto la feci soffrire. Volevo rimediare a ciò che avevo fatto, volevo riparare tutto.

Finito il pranzo feci portare a Dave del cibo per Eloyn, lui come mi aspettavo non aveva esitato nemmeno per un secondo. Si era alzato, aveva preso del cibo avanzato, e con un vassoio tra le mani si era diretto nelle segrete. Amelie mi guardò un po' stupita ed io le rivolsi un ghigno soddisfatto. Non avevo ancora smesso di stupire. Quando ormai tutti si erano alzati e gli umani avevano sparecchiato, io ero rimasta aspettando il ritorno del ragazzo. Quando arrivò con il vassoio e i piatti vuoti, lo salutai con un sorriso e lui fece lo stesso per poi abbassare la testa. Il suo atteggiamento mi fece capire che andava tutto bene, ed io per un'attimo considerai di assicurarmene di persona. Era forte il mio desiderio di vederla. Ogni volta che lei è in mezzo a qualcosa perdo sempre la ragione e agisco impulsivamente, questo è uno di quei momenti.

Scesi le scale lentamente, sia per l'ansia, che per non segnalare la mia presenza. Non mi era mai capitato di provare una tale agitazione a causa di un umana. Era davvero da tanto tempo che il cuore non mi batteva così forte. Era la prima volta che avevo paura di vedere la mia personale Boodgiver, così come era assurdo che io mi abbassassi ad un tale livello. Ma non provavo vergogna, anzi ero quasi felice di riuscire finalmente a provare quei sentimenti ancora una volta, quelle sensazioni che ti fanno sorridere anche solo pensandoci. Mi sentivo quasi stupida. Io la Lord di Styria che prova tali sentimenti... nessuno ci avrebbe mai creduto veramente, eppure, eccomi qui che esito nell'aprire la porta per paura di essere rifiutata e cacciata via. Avevo fatto tutto questo perché era lei, con i suoi sguardi e conflitti interiori, ad avermi quasi costretta. Solo ora comprendo la follia, non solo sua, ma anche la mia. Non era stata solo lei ad aver scelto la strada dell'odio ma io stessa, troppo impaurita dall'amare qualcuno ed essere amata. Il rimpianto era una delle tante cose che provavo in questo momento, la nostalgia di un futuro che non era nemmeno accaduto. Non esistevano 'i bei tempi' ma forse ce ne sarebbero stati se solo lei si sarebbe lasciata andare ed io avessi realizzato prima molte cose. Forse la colpa non è nemmeno di nessuna delle due, del resto lei è una cacciatrice, il suo compito è quello di ucciderci, ed il mio quello di nutrirmi di loro. Forse non era semplicemente destino... ma nonostante questo sono ancora qui.

Girai il pomello della porta che fece un rumoroso click. La spalancai ed entrai mascherando tutto il turbamento. Passai accanto a due celle prima di ritrovarmi vanti alla sua. Sapevo che aveva sentito i miei passi, potevo percepire il suo battito accelerato, eppure era in mobile, raggomitolata di spalle su quello scomodo letto. Rimasi lì, incapace di fare qualcosa o anche parlare. Le parole mi si fermavano in gola, così come i miei pensieri impedendomi di ragionare.

Fortunatamente fu lei la prima a parlare, anche se sentire la sua voce secca fu peggio che guardarla dritta negli occhi, "Che vuoi?" Mi ci volle un attimo di pausa prima di formulare una frase e dar voce alle parole nella mia testa.

"Volevo vedere come stavi," Aspettai qualche secondo, ma non mi rispose mai, bensì si strinse più a se stessa, non mostrando alcuna volontà di interagire con me. Qualche mese fa sarei entrata, l'avrei gettata giù dal letto e trascinata fuori. Ma adesso troppe cose sono cambiate."Mi stai dando il trattamento del silenzio?" dissi accennando ad una risata. Sapevo che non avrebbe parlato, era totalmente da lei, e poi non potevo non biasimarla. "Posso farti usciere, basta che me lo dici."

"Non voglio uscire," disse infine. Io annuii anche se non poté vedermi.

"Posso entrare almeno?" tentai. Non mi rispose, se non l'avesse voluto veramente me lo avrebbe negato. Tirai fuori la chiave della sua cella e quando l'aprii sentii una strana sensazione. Era come se non ci fosse più distanza tra noi, come se ci fosse nuovamente del contatto. Non pensavo che delle sbarre potessero farmi un tale effetto. Ma ancora non osavo entrare, perché non sapevo minimamente cosa fare. Scendere nelle segrete era stato un atto impulsivo e non dettato da una vera motivazione o fine. Volevo solo vederla. Quando feci un passo in avanti lei lo percepii perché sentii i suo cuore battere ancora più velocemente e la sua respirazione aumentare. "Possiamo... parlare?" chiesi avvicinandomi di più. Quando feci un'altro passo la vidi scattare seduta rivolgendomi il suo sguardo minaccioso, ma l'unica cosa che riuscii a vedere erano due occhi rossi per il pianto. Mi accigliai.

"Hai ottenuto quello che volevi, perché sei qui?"

"Quello che volevo?" domandai con disappunto, davvero non realizza cosa è successo? "Non ho mai voluto questo." 

"Ti ho chiesto perché sei qui Lux," la sua voce tremò quando pronunciò il mio nome. Potevo sentire il magone che aveva, forse stava trattenendo le lacrime.

"Te l'ho già detto, volevo vedere come stavi."

"Si certo," sbuffò, "Sei venuta per prenderti la tua dose giornaliera di sangue?" La sua voce tremava e finalmente vidi della lucentezza nei suoi occhi, si stava davvero trattenendo.

Io negai con lo sguardo, ma vedevo che voleva una risposta da parte mia, sapevo che stava aspettando qualcosa da me, qualsiasi cosa. "Vuoi sapere cosa sento nei tuoi confronti?"

"Come se mi importasse," sbuffò distogliendo lo sguardo. "Già lo so," disse con indifferenza.

"Cosa esattamente?" 

Tornò nuovamente a posare il suo sguardo su di me, mi guardò dal basso verso l'alto, fermandosi poi sui miei occhi, pensando a cosa dire. Quando capì che guardarmi le causava solo male abbassò la testa, e in quel momento vidi una lacrima cadere. E poi un'altra e un'altra finché non trattené il respiro per non farmi sentire i suoi singhiozzi. Strinse i pugni come se fosse una cosa che potesse aiutarla, forse a calmarsi o a reprimere la rabbia. Io ero lì che la guardavo, incerta su cosa fare, se fare effettivamente qualcosa. 

Quando si portò le mani sugli occhi, come se queste potessero fermare quel fiume di lacrime,"Io avrei dovuto ucciderti," pianse. Io mi avvicinai ulteriormente così vicina che quasi mii stupii che me lo permise. Poi mi inginocchiai nel tentavo di incrociare il suo sguardo, ma la sua testa era ancora china e il suo volto coperto. Mi sporsi in avanti e quando alzò il viso lei mi guardò. Non mosse un muscolo, non mi spinse via, ne lei si allontanò. Rimase lì a fissarmi come s fossi la cosa più innocua al mondo. Forse era il mio sguardo, i miei occhi segnati dal dispiacere. "Avrei dovuto odiarti," sibilò con un filo di voce. "Non doveva andare così," disse quasi crollando di nuovo.

Alzai la mano, vedendo finalmente un'apertura. Mi avvicinai lentamente al suo viso, dandole tempo di scansarmi se l'avesse voluto, ma invece mi guardava con quei occhi lucidi, come se fosse in cerca di qualcosa. Le toccai con la punta delle dita la guancia per poi spostarle dietro l'orecchio dei capelli di troppo. "Lo so," bisbigliai mentre lo feci. "Mi dispiace," dissi rompendo il silenzio nuovamente. Ma quel momento, quell'attesa non poteva essere occupata dalle parole. Ce ne eravamo dette tante, avevamo sputato veleno l'una sull'altra come se fosse l'unica cosa che ci potesse accomunare, avevamo contato ogni dolce parola come se ognuna fosse una lama affilata. Avevamo smesso di parlare, perché sono sempre state le nostre azioni a caratterizzarci e non le menzogne che la nostra lingua diceva. Le promesse dette erano state infrante, l'odio proclamano era stato battuto. Noi siamo ciò che facciamo e non cosa diciamo.

Mi avvicinai spostando la vista dai suoi occhi alle sue labbra. E quando ero abbastanza vicina da sentire il suo respiro diventare più veloce, chiusi gli occhi cercando quella morbidezza che desideravo. E l'ho trovata.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 22 - Ultimo Saluto ***


Eloyn

É sempre stata una battaglia tra la mia mente e il mio corpo, da una parte c'era la me conscia che il mio legame con lei era sbagliato, che il modo in cui ci guardavamo era sbagliato. La mia parte razionale mi diceva di agire, di prenderla alla sprovvista e adempiere ai miei doveri, perché è ciò che andava fatto, era quello per cui mi ero addestrata. Ma poi c'era il mio corpo, quella parte di me che mi tradiva sempre, che voleva e bramava. Che non teneva conto delle responsabilità e dell'onore, se umana o vampira. Era quel lato di me che odiavo e che ho soppresso chissà per quanto tempo che ero stata qui. Forse ogni singolo giorno, forse ogni singolo secondo  con lei...
Era stremante ogni volta capire cosa fare, se lasciarsi andare ai propri desideri più intimi o rimanere fermi sui propri principi. Ci sono state volte in cui ci sono caduta, momenti in cui l'ho lasciata baciarmi, toccarmi, e altre volte in cui l'ho allontanata lasciandola confusa. Non era colpa sua, questo lo sapevo. Se fossi rimasta fedele alla mia morale tutto questo non sarebbe successo, se avessi continuato ad odiarla, forse, avrei ancora meritato un posto a tavola nella mia vecchia casa.

Ho tradito la mia specie.

L'ho lasciata avvicinarsi a me un'altra volta. Le ho permesso di chinarsi difronte a me, di toccarmi e capelli e di guardarmi. Non sopportavo quello sguardo che mi stava rivolgendo. Odiavo quei occhi che mi guardavano come se fossi l'unica cosa importante per lei. Odiavo tutto del suo viso, i suoi capelli rossi, i suoi occhi grigi, e le sue labbra perennemente tinte dal quel rossetto rosso che a volte rimaneva impresso sul mio collo. La guardai intensamente, in cerca di risposte. Ma più la guardavo, più vedevo che la donna che aveva attaccato il mio villaggio, la donna che sembrava avesse l'inferno dentro, non era la stessa che avevo di fronte. Quando spostò lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra capii subito i suoi pensieri e non la fermai. Si sporse e premette le sue labbra contro le mie, ma non andò oltre, sapeva che era tutto quello che poteva ottenere e era tutto ciò che potevo dare. Ma in quel breve momento mi sentii libera e in pace da ogni responsabilità e finalmente capii. Avevo bisogno di quel calore, di quel contattato, mi ero concentrata per tutta la vita sulla mia vendetta senza mai dare dare spazio all'amore, e adesso che ne avevo bisogno mi ritrovavo a desiderare l'affetto dell'unica persona a cui non dovevo chiederlo.

Fui la prima a creare distanza tra noi, ma non so cosa la fece scattare. Mi ritrovai il suo corpo contro il mio e le sue braccia che mi circondavano. Era una presa forte, una di quelle che ti travolgono completamente, ed era confortevole, così tanto che i miei occhi si riempirono di lacrime nuovamente.

"Mi dispiace tanto," disse in tono mortificato.

Io affondai il viso nella sua spalla bagnandole i capelli e le mie mani si avvinghiarono alla sua maglia. Non potevo credere che ci ero ricaduta di nuovo, ma non mi importava perché questa volta lo stavo facendo per me, perché ne avevo bisogno era qualcosa che volevo, che desideravo, e questo momento non l'avrei mai dimenticato, perché fu la prima volta che non sentii nostalgia di casa.

Alla fine ero così esausta che tra pianti e singhiozzi finii per addormentarmi. Mi fidai abbastanza da lasciarmi andare, da essere vulnerabile difronte a lei. Avrebbe potuto farmi di tutto e invece quandomi risveglia avevo la testa poggiata sul suo petto e il mio corpo disteso sul suo per rendermi il sonno più confortevole. Infatti quel letto era così scomodo che la notte riuscivo a stento a prendere sonno.

"Farò mettere dai materassi," disse mentre ancora mi riprendevo, "in caso finissi qui nuovamente." rise. 

Io sorrisi ed alzai la testa verso di lei, non prendendo bene le misure. Era così strano come ogni volta che eravamo a pochi centimetri l'una dall'altra, provavo sempre sensazioni diverse. E senza pensarci troppo misi le mani ai lati delle sue spalle e mettendo forza sulle braccia mi tirai su, quasi intrappolandola sotto di me. Alzò lo sguardo, con la testa appoggiata contro il duro letto, e mi guardò con confusione e sorpresa. Io la guardavo e pensavo che ormai solo agli occhi  degli altri ero la sua schiava, perché forse lei aveva smesso da tempo di considerarmi come tale.

"Cos'è che provi nei miei confronti?" Non appena le parole uscirono fuori dalla mia bocca, i suoi occhi si spalancarono, "Me lo stavi per dire," dissi vedendo il pentimento crescere in lei. Io sorrisi, non so perché ma mi venne così naturale. Era così bizzarro vederla in una situazione ribaltata come questa, dove sono io ad avere il comando in mano, ed io quella che fa domande scomode. Mi aveva stuzzicata per così a lungo che finalmente potevo avere la mia rivincita. "Allora?" domandai trattenendomi, ma il suo volto terrorizzato la rendeva troppo buffa per impedirmi di ridere. Ma poi  diventò d'improvviso seria e per un momento pensai che fu uno sbaglio aver assunto un comportamento del genere. Prima che potessi scansarmi per ridarle la libertà, mi bloccò prendendomi il braccio ed io fui costretta a rimanere in quella posizione.

"Da oggi non sarai più la mia Bloodgiver." 

Ci misi un po' per capire cosa avesse detto. Era così inaspettato che invece di esserne felice, mi turbò. Mi chiesi cosa significasse, se me ne sarei dovuta andare via, se mi avrebbe venduta a qualcuno, ma nulla sembrava avere senso. Perché? Fui quasi presa dal panico, non so che faccia feci ma lei corrugò la fronte e mi guardò preoccupata. Si alzò sui gomiti avvicinandosi di più al mio viso ed io d'istinto mi tirai leggermente indietro. Lei mi scrutò, come se volesse leggere dentro i miei occhi. Ma neanche io sapevo cosa provavo. Era un sollievo da una parte, ma non ne capivo la ragione dall'altra e mi spaventava. 

"Che c'è?" mi domandò. 

Io scesi dal letto e con panico esclamai, "Cosa vuoi fare? gettarmi via o altro?" Sapevo che non aveva senso e che non l'avrebbe fatto, ma ero spaventata all'idea.

"Cos- no!" disse alzandosi immediatamente. "È solo- " sospirò, "Vuoi tornare nella tua vecchia camera?" mi domandò cambiando discorso, ma a me non andava affatto bene.

"Che è successo?" chiesi con più decisione. "Non sei una che lascia andare le proprie cose così facilmente."

"Non sei una cosa per me!" esclamò, spalancò gli occhi realizzando cosa aveva appena detto ed io la guardai con sorpresa. Ma il suo sguardo cambiò subito e con voce autoritaria e impetuosa disse, "Te lo chiedo un ultima volta, vuoi o no tornare nella tua stanza?"

Era sorprendente come potesse cambiare con un attimo, ritornando ad essere la padrona autoritaria di sempre non appena azzarda a dire qualcosa di troppo, quando per quei brevi momenti rivela la vera se stessa. Lasciai andare la cosa e annuii silenziosamente. Senza aspettare, mi prese il braccio spingendomi fuori dalla cella e con una mano premuta dietro la schiena mi guidò per le scale. Mi accompagnò fino in camera e arrivate sulla soglia della porta si fermò.

"Eloyn," mi disse in tono calmo, "Non voglio più essere messa in discussione, prendi le cose così come stanno e sii felice. Non sarò sempre così generosa."

Io annuii e mi lasciai alle spalle la porta. Mi gettai sul letto ancora più confusa di prima. Tutto il pomeriggio mi domandai perché avesse preso una tale decisione. Cerano degli umani che non appartenevano ad alcun vampiro nello specifico e che non erano Bloodgiver, ma venivano comunque passati come se fossero una palla da un succhiasangue all'altro. Ma sapevo che non era il mio caso. So quanto Lux è possessiva nei miei confronti e non mi lascerebbe mai nelle mani di un vampiro qualsiasi. Probabilmente nessuno toccherà più il mio sangue e finalmente dopo tanto tempo mi sentii meno oggetto e più un essere vivente. Ma c'era comunque qualcosa che stonava.

Più tardi quel giorno, ricominciai le mie normali mansioni di sempre, che consistevano nel pulire, lavare, rifare i panni, metterli ad asciugare, e essere sempre a disposizione di qualsiasi vampiro. Mi sono spesso incrociata con Dave e ogni volta mi chiedeva come stavo e se andava tutto bene. Era gentile da parte sua preoccuparsi per me, ma è meglio che mi sta lontano conoscendo come è fatta Lux. Non mi bevo la storia della chiave e che d'improvviso è così gentile con lui. Non è da lei. Sta facendo troppo la strana. E se da una parte i suoi gesti mi avevano resa felice, dall'altra avevo paura che stesse tramando qualcosa.

La sera, dopo cena, mi aveva raggiunta in camera. Mi bastava sentire il suono dei passi per capire se era lei. Bussò delicatamente, forse era la prima volta. La invitai ad entrare, un po' sorpresa dal timore che le leggevo in viso. Io tornai a sedermi sul letto e lei si poggiò contro la scrivania. 

"Stai bene?" domandò.

"Sì," annuii, come se non fosse successo niente. Non volevo nemmeno pensarci.

"Bene..." Picchiettò le dita contro la scrivania come se stesse cercando le parole giusta da utilizzare, "Starò via per un paio di giorni," Oppure è semplicemente preoccupata. "Stanotte, così da arrivare dai Manor all'alba" Probabilmente la seconda. Aspetta, stanotte?! "Forse anche tre, non lo so..."

"Perché?" chiesi. Non ero sicura di poterlo fare, ma dal momento che era qui ad avvertirmi, perché mai non dovrei interessarmi?

"Riguarda i recenti attacchi, ma non posso dirti di più,"

"Sono i cacciatori allora?" chiesi un po' troppo interessata. Lei mi guardò torva, ma lasciò subito andare. Era troppo impensierita per sostenere a lungo quello sguardo.

"Non lo so, è per questo che devo andare. Ho già rimandato una volta, adesso devo andare per forza." Mi disse, ma sembrava come se stesse cercando di giustificare la sua assenza, come se stesse cercando la mia approvazione. E poi, già una volta? Non sarà per quel che è successo? 

"Okay," risposi. Alzò lo sguardo e glielo lessi negli occhi che non era abbastanza come risposta, ma io non avevo altro da dire.

"Ci vediamo tra qualche giorno allora," disse staccandosi dalla scrivania. La sua voce aveva un accento di malinconia. Si voltò verso la porta e il suo passo era lento, come se stesse aspettando qualcosa. Ma cosa pretendeva? Che le dessi un'abbraccio o un bacio di buona fortuna e cose simili? 

"Buon viaggio," mi limitai a dire e lei uscì fuori dalla stanza senza dire altro.

Non aveva il diritto di sentirsi ferita, non ce l'aveva! Non può di certo aspettarsi che io sia così aperta nei suoi confronti, il bacio di prima era stato un momento di debolezza che non dovrà ripetersi. E poi nemmeno prima che mi dicesse la verità ero così aperta al contatto fisico, figuriamo ora. Non sono più la sua Bloodgiver, non sono nemmeno la sua amante, dovrebbe smetterla di considerarmi più di quello che sono. Non dovrei essere ritenuta una persona speciale e il fatto che mi considera tale mi fa innervosire... e agitare. Perché poi anch'io sono tentata dal considerarla più di una semplice padrona. E ciò è sbagliato.

Quella notte andai a dormire mentendo a me stessa, perché non avrei mai potuto immaginare che quello che sarebbe successo. Le avrei dato un vero bacio d'addio o un caldo abbraccio, qualsiasi cosa. Se solo avessi saputo.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 23 - Tradimento ***


Eloyn

Era strano dormire nuovamente nel mio letto, mi dava una strana sensazione. Nella cella avevo passato notti in bianco, ma questa era la prima vera volta che mi ritrovavo da sola. Non sono stata in camera di Lux per molto tempo, eppure, nonostante non è stato di mio gradimento, sentivo la mancanza della sua presenza. Fin dal primo giorno che sono arriva mi è stata sempre addosso e non ho mai avuto un momento per me stessa, e invece adesso mi lamento che mi sento sola. Mi vieni quasi da ridere. Non mi capisco proprio.

Nonostante il mio turbamento, il mio sonno fu principalmente disturbato dal temporale notturno e dai cinguettii di prima mattina. Ma anche i miei ricorrenti pensieri non avevano aiutato. Forse per lo stress accumulato o per della stanchezza dovuta dalla carenza di cibo. In cella non avevo mangiato quasi nulla, come se la verità sul carnefice del mio villaggio mi avesse letteralmente chiuso lo stomaco. Oggi a pranzo mi sforzai, proprio come quando era venuto Dave con il vassoio di cibo. Non volevo demoralizzarmi, ma era proprio quello che stava accadendo, il mio cervello era in fumo. Non ce la faccio più.

Stranamente il mio stato d'animo fu notato da più persone di quanto immaginassi. Dave mi restava sempre vicino, ora più che mai con l'approvazione di Lux, ma anche Rhea non mi staccava gli occhi di dosso. Avevo trovato più che normale l'interesse che Amelie continuava a nutrire nei miei confronti, perché è nella sua indole preoccuparsi per gli altri, ma Rhea... E' vero che è stata lei a salvarmi da Lux quel giorno, però è anche vero che dopo la crisi della sorella, ha incominciato a guardarmi con disprezzo, ma questo è uno sguardo totalmente diverso. Era preoccupato, insicuro, e a volte anche minaccioso, come se non riuscisse decifrare quello che aveva dentro e prendere una parte. E' una cosa che mi spaventa. Non c'è niente di più pericoloso di qualcuno in crisi perché le sue azioni possono essere inaspettate, ed io lo so bene. Ed era strano come più una persona era enigmatica e più mi attraeva. Rhea è sempre stata una donna silenziosa, che non lasciava mai vedere a cosa pensava. Lei e Lux sono completamente diverse, e anche se è un azzardo, mi viene quasi da pensare che Lux è nettamente più debole della sorella. Ma non parlo di forza fisica, ma tutt'altro. Nonostante Lux si sia presentata a me come il mostro che avevo sempre immaginato, con il tempo ho cominciato a vedere nuove parti di lei, che non erano poi così mostruose... quasi umane. Ma Rhea, con i suoi occhi di ghiaccio impenetrabili e con il suo sguardo sempre neutro continua ad essere un incognita. Potrebbe essere la minaccia più grande, ma allo stesso tempo una piccola calamità che può solo sfiorarmi. E forse che adesso Lux non c'è, forse, avrebbe fatto vedere la sua vera faccia.

Ora ero seduta sul divano da sola. Guardavo gli altri umani scherzare tra loro e fare stupidi giochi. Io come sempre con la mente altrove. Dave si sedette accanto a me. Aveva il fiatone per quella che presumo fosse una partita di calcetto improvvisata. Con la coda dell'occhio potevo vedere una goccia di sudore tracciargli la guancia fino al mento. Questo mio fece tornare in mente a quando mi allenavo con mio padre e gli altri ragazzi. Ero così concentrata sull'allenamento e la mia vendetta che non riuscii a creare alcun rapporto con i miei coetanei. E loro sapevano bene che a me non importava di loro. Quasi lo rimpiango. Mi sono chiusa dentro me stessa per così tanto tempo che ogni relazione, a parte quella con mio padre, era completamente insignificante e inutile per me. Ora in questa situazione, capisco quanto sia importante avere qualcuno accanto, e sono grata a Dave per essermi amico.

"Ti vedo pensierosa," disse rompendo il silenzio.

"Come sempre," sottolineai con un finto sorriso.

Lui si girò sorridendomi, "Esatto." io invece rimasi focalizzata su un punto vuoto. "C'è qualcosa che ti turba?" Io annuii. "Non pensavo che l'assenza di Lux ti facesse un tale effetto."

"Non è quello!" sbottai. "Ho paura per la mia incolumità."

"Lo so." disse, "Perché a cosa pensavi mi riferissi?"

Io mi girai verso di lui con evidente sconforto e rimasi in silenzio. Lo guardai per un secondo e poi mi voltai nella parte opposta. "Scusami." dissi dopo una lunga pausa. "E' solo che mi sento sempre gli occhi occhi puntati addosso e non so se sto diventando paranoica."

"Be' gli occhi puntati a dosso ce l'hai sempre avuti." disse cercando di essere più rassicurante possibile, ma mi fece solo irrigidire di più, "Adesso lo noti di più perché non hai le spalle protette dalla tua padrona."

Io sospirai sporgendomi in avanti e coprendomi la faccia con le mani. Rilasciai un forte lamento dando sfogo alla mia frustrazione.

"Per esempio... Guada lì," mi indicò con lo sguardo uno dei ragazzi. Alzai la testa e lo riconobbi subito, era il ragazzo che Arkel aveva attaccato e che io avevo tentato di aiutare, gli erano rimaste delle cicatrici sul viso. "Ogni volta che sei qui ti lancia sempre un occhiata. Non lo conosco personalmente ma è un tipo timido e penso voglia ringraziarti, ma non ha il coraggio. E poi..."  Cominciò ad indicarmi altre persone, ragazzi e ragazze a cui non aveva mai rivolto la parola o nemmeno notato, ma che loro avevano notato me. Secondo quanto diceva Dave, c'era chi provava curiosità nei miei confronti, come un ragazzina che mi vedeva come una sorta idolo in quanto cacciatrice, chi invece provava un insensata invidia. Ma io non merito tutte queste attenzioni e di certo non le voglio, più vengo notata, più sarà difficile in futuro scappare da questo posto. Vero... io dovevo scappare da qui, e invece è una delle ultime cose a cui sto pensando. E' assurdo come le cose sono cambiate in due mesi. Come i miei pensieri adesso si concentrano su altro.

"Stai di nuovo sulle nuvole," mi richiamò con un sorriso. Io non riuscii a ricambiarlo.

"Non capisco che mi succede..." sospirai, "La volevo morta sin dal primo giorno che l'ho incontrata e l'ho desiderato per molto tempo. Ma anche quando ne ho avuto la possibilità mi sono bloccata. E poi..." mi bloccai, era impossibile per me ammettere cosa fosse successo quel giorno in camera sua, figuriamoci dirlo davanti a lui. "Noi-" balbettai e poi scossi la testa. "Comunque, anche quando mi disse cosa aveva fatto, ero sopraffatta dalla rabbia ma guardami," gli dissi, lui mi scrutò confuso, "ho fatto qualcosa al riguardo? No."

"Forse sei solo confusa," disse innocentemente.

Io risi fragorosamente tanto che qualcuno si girò a guardarmi. Che ero confusa lo sapevo bene, era un mese che me lo ripetevo e sentirlo dire da qualcun altro quasi mi infastidì. Forse perché dentro di me sapevo qual'era il problema, ma era ancora un argomento che non potevo affrontare. 

"E' estenuante," dissi mettendomi le mani tra i capelli. "Dovremmo essere nemiche, io dovrei volerla morta."

"Eloyn," mi chiamò ed io mi voltai verso di lui. I suoi occhi fissi sui miei. Esprimevano tenacia e sicurezza mentre i miei sicuramente il contrario. "Cosa senti quando pensi a lei?" domandò con intensità. Io sgranai gli occhi.

"Perché?" domandai scattando.

"E' solo una domanda," mi rispose, sempre con quello sguardo sicuro, come se sapesse davvero quello che stava facendo. "Sto cercando di aiutare."

Non volevo sembrare aggressiva... "Scusa."

"Rispondi soltanto alla domanda." continuò, "Metti sotto forma di parole tutto ciò che senti."

"Non. Lo. So." dissi scandendo ogni lettera. "Questo è il problema," mi innervosii, ma non con lui, ma con me stessa. "Un momento immagino me che le conficco un coltello nello stomaco e nell'altro-" mi si bloccò il respiro. Con la coda dell'occhio vidi il suo volto tramutarsi in stupore e avrei voluto urlargli "Non dirlo!" Ma anche in quel caso le parole non riuscirono a lasciare la punta della mia lingua perché inconsciamente volevo che qualcuno lo dicesse una volta per tutte, anche se lo trovavo disgustoso. Ma alla fine non disse nulla. Rimase in silenzio, perplesso, ed io non aggiunsi altro. Dopo qualche minuto di silenzio in cui si rifiutò di guardarmi io dissi, "Mi trovi ripugnante non è vero?"

"No." disse guardando dritto, anche se non c'era nulla. "Ma so come finirà. L'ho visto accadere così tante volte che tu non ci crederesti se te lo dicessi."

"Non credo sia come la mia situazione."

"Si invece!" esclamò. Si girò verso di me con uno sguardo colmo di rabbia. Mi prese il braccio e mi trascinò via dal divano. Io lo seguii verso l'uscita e mi portò in punto all'aperto dove nessuno ci avrebbe sentiti. Quando mi lasciò notai l'impronta rossa che aveva lasciata con la sua ferrea stretta sulla mia pelle. Quasi mi impaurì, non avevo mai visto Dave così acceso. 

"Perché?" domandai. 

"Tu sei innamorata di lei!" 

Nel momento in cui pronunciò quella frase, il mondo intorno a me si fermò, mentre il mio battito cardiaco accelerò così tanto che per un momento pensai avrebbe attirato qualche vampiro. Credo che in quel momento sbiancai per Dave mi guardò con una tale preoccupazione che agitò anche me. Vedevo dalla sua postura che era pronto ad afferrarmi non caso fossi svenuta, ma quella era una reazione esagerata da avere. Ero solo congelata, con lo sguardo perso mentre ripensavo a tutto quello che avevo fatto e detto in quel momento, e la risposta apparì nella mia mente. Ma io non ero tenuta a darle retta. "No!" gridai, così forte da quasi spaventarlo. "Perc- per quale motivo?!" sbottai, persa nella rabbia e nella frustrazione. 

"Non negarlo!" 

Nel momento in cui mi afferrò le spalle cercando di convincermi, io con uno scatto gli spostai entrambe le mani per poi dargli un violento schiaffo sul viso che lo fece barcollare. "Stai zitto!"

Quando riposò gli occhi su di me, lo vidi dal suo sguardo, l'amarezza, l'odio, la vendetta. "Ma lei non ti ama." disse con convinzione. "E non ti amerà mai."

Mi bloccai di nuovo, come se quelle parole avessero piantato i miei piedi a terra e serrato la mia bocca. Non avrei mai immaginato quanto mi avrebbe fatto male sentire quelle parole, come una pugnalata. Ho sentito i miei occhi bruciare e la mia mente che mi diceva di non fare l'idiota e di non lacrimare per una cosa di cui non mi importava. E sono passata dal zittire lui, a zittire la mia stessa voce nella testa. Non era vero che non mi importava, mi importa. Tanto.

"Ti sta usando," continuò lui vendendo la mia fragilità, "e lo sai."

"Tu non sai nulla." risposi sprezzante.

"Io so delle cose," si avvicinò. Io non indietreggiai, ne mi scostai quando il suo viso era vicino al mio, e sostenni il suo sguardo. "Lei ha ucciso tutte e tre le sue Bloodgiver. Non voglio che tu sia la quarta."

Ha ucciso tutte e tre... le sue... Mi ripetei nella testa mentre mi arretravo da lui e guardavo il vuoto. Lei ha mentito? "Che è successo?" domandai ancora spaesata, "A tutte e tre." ormai non ero nemmeno sicura quale fosse la verità e la menzogna.

"Non lo so, io ancora non c'ero. Ho saputo che era diventata dipendente e che non poteva fare a meno del loro sangue." Questa era la frottola che si erano inventate per coprire la scomparsa di Lailah e la distruzione del villaggio per mano di Lux. A quanto pare è più socialmente accettabile essere un dipendente dal sangue, che l'amare un umano in quel modo. Questo mondo non lo capisco. "Ha ucciso per prima quella che aveva cresciuto sin da bambina, e pochi giorni dopo le altre due."

"E' certo?" domandai, lui corrugò la fronte, "E' sicuro al cento per cento che le ha uccise lei?"

"Non lo so Elo, non c'ero, te l'ho detto."

Perché mai avrebbe omesso uno cosa così? Del resto è successo poco dopo, allora perché non dirmelo e darmi una spiegazione? Non capisco. 

"Ti chiedo solo di pensare a quello che ho detto okay?" 

Assolutamente no! Non ho bisogno di altre rivelazioni per sconvolgere la mia esistenza ancora di più, per rendermi solamente più smarrita. "Solo- Vattene via." dissi agitando la mano.

"Te la stai davvero prendendo con me?" Insistette.

"Vattene!" gridai spingendolo via. "Odio le persone insistenti."

"E io odio le persone stupide." Mi guardò un'ultima volta, col disprezzo negli occhi per avergli negato di aiutarmi. Aiutarmi poi su cosa? A gestire Lux? Mi sembra che me la sia cavata fino ad adesso. "Fa come ti pare."

Non credo Lux mi stia usando, ma forse è vero, ho cominciato a vederla con occhi diversi. Chissà da quando...

~ * ~

Sul tardi, quella notte Amelie mi fece visita. Bussò prima delicatamente sulla porta ed io la feci attendere qualche secondo. Una volta vestita e con i capelli ancora gocciolanti, la feci entrare. Notai subito cosa stringeva in mano e mi domandai se fosse per me. Quando allungo il braccio capii che lo era.

"E' arrivata oggi pomeriggio," disse mentre la prendevo. "non ho avuto tempo di dartela." 

"Va bene," le sorrisi, "grazie." mi risiedetti sul letto, con le gambe incrociate pronta ad aprirla. Non capivo chi potesse aver mandato a me una lettera, forse l'unica persona che poteva perché era assente. Di sicuro non era una lettera di scuse da parte di Dave, scherzai. La carta era pregiata e lo stemma con cui era sigillata non lasciava dubbi. Non avevo ancora imparato gli stemmi reali dei vampiri nobili di Styria, non che mi interessasse farlo. Ma ero sicura che era da parte sua. Amelie intanto se ne era andata, chiudendo la porta alle sue spalle, lasciandomi un po' di intimità. Quando la aprii i miei occhi caddero immediatamente sul suo nome alla fine del foglio. Lux... E la data è di ieri.

𝑅𝒶𝓃𝒹𝒶𝓁𝓁,  𝟤𝟢/𝟢𝟫/𝟣𝟪𝟪𝟫


𝒞𝒶𝓇𝒶  𝐸𝓁𝑜𝓎𝓃,

𝒮𝑜𝓃𝑜  𝑜𝓇𝓂𝒶𝒾  𝒶𝓇𝓇𝒾𝓋𝒶𝓉𝒶  𝒹𝒶  𝑜𝓇𝑒  𝒶  𝑅𝒶𝓃𝒹𝒶𝓁𝓁,  𝓂𝒶  𝓋𝑒𝒹𝓇𝒶𝒾  𝒹𝒶𝓁𝓁𝒶  𝓂𝒾𝒶  𝓈𝒸𝓇𝒾𝓉𝓉𝓊𝓇𝒶  𝓈𝒷𝓇𝒾𝑔𝒶𝓉𝒾𝓋𝒶,  𝓆𝓊𝒶𝓃𝓉𝑜  𝒾𝑜  𝓈𝒾𝒶  𝑜𝒸𝒸𝓊𝓅𝒶𝓉𝒶.
𝒮𝑜𝓃𝑜  𝓈𝓊𝒸𝒸𝑒𝓈𝓈𝑒  𝒹𝑒𝓁𝓁𝑒  𝒸𝑜𝓈𝑒  𝒸𝒽𝑒  𝓃𝑜𝓃  𝓅𝑜𝓈𝓈𝑜  𝓈𝓅𝒾𝑒𝑔𝒶𝓇𝑒  𝒸𝑜𝓃  𝒹𝑒𝓁𝓁𝑒  𝓈𝑒𝓂𝓅𝓁𝒾𝒸𝒾  𝓇𝒾𝑔𝒽𝑒,  𝓃𝑒  𝓅𝑜𝓈𝓈𝑜  𝓅𝑒𝓇𝓂𝑒𝓉𝓉𝑒𝓇𝑒  𝒸𝒽𝑒  𝓆𝓊𝒶𝓁𝒸𝓊𝓃𝑜  𝓁𝑒𝑔𝑔𝒶  𝒸𝑜𝓈𝒶  𝒶𝒷𝒷𝒾𝒶𝓂𝑜  𝓈𝒸𝑜𝓅𝑒𝓇𝓉𝑜.  𝑀𝒶 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝑜  𝓃𝑜𝓃  è  𝒾𝓁  𝓂𝑜𝓉𝒾𝓋𝑜  𝓅𝑒𝓇  𝒸𝓊𝒾  𝓉𝒾  𝒽𝑜  𝓈𝒸𝓇𝒾𝓉𝓉𝑜,  𝒾𝓃  𝓇𝑒𝒶𝓁𝓉à  𝓃𝑜𝓃  𝒸𝑒  𝓃'è 𝓃𝑒𝓂𝓂𝑒𝓃𝑜  𝓊𝓃𝑜,  𝓋𝑜𝓁𝑒𝓋𝑜  𝓈𝑜𝓁𝑜  𝒻𝒶𝓇𝓁𝑜  𝒹𝒶𝓉𝑜  𝒸𝒽𝑒  𝓁𝒶  𝓂𝒾𝒶  𝒶𝓈𝓈𝑒𝓃𝓏𝒶  𝓈𝒶𝓇à 𝓅𝓇𝑜𝓁𝓊𝓃𝑔𝒶𝓉𝒶  𝒶  𝓅𝒾ù  𝒹𝒾  𝓉𝓇𝑒  𝑔𝒾𝑜𝓇𝓃𝒾.  𝐹𝑜𝓇𝓈𝑒  𝓅𝑒𝓇  𝓂𝑒  è  𝓅𝒾ù  𝒻𝒶𝒸𝒾𝓁𝑒  𝑒𝓈𝓅𝓇𝒾𝓂𝑒𝓇𝓂𝒾 𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓃𝒹𝑜,  𝒸𝒽𝑒  𝒾𝓃𝓋𝑒𝒸𝑒  𝓅𝒶𝓇𝓁𝒶𝓃𝒹𝑜  𝓂𝑒𝓃𝓉𝓇𝑒  𝒾  𝓉𝓊𝑜𝒾  𝑜𝒸𝒸𝒽𝒾  𝓂𝒾  𝓈𝒸𝓇𝓊𝓉𝒶𝓃𝑜.  𝒩𝑜𝓃  𝓈𝑜 𝒸𝑜𝓂𝑒  𝓉𝒾  𝓈𝑒𝓃𝓉𝒾  𝒶𝒹𝑒𝓈𝓈𝑜  𝒸𝒽𝑒  𝓃𝑜𝓃  𝒸𝒾  𝓈𝑜𝓃𝑜.  𝐹𝑜𝓇𝓈𝑒  𝓈𝑒𝒾  𝒻𝑒𝓁𝒾𝒸𝑒  𝓅𝑒𝓇𝒸𝒽é  𝓅𝑒𝓇  𝓆𝓊𝒶𝓁𝒸𝒽𝑒 𝑔𝒾𝑜𝓇𝓃𝑜  𝓉𝒾  𝓈𝑒𝒾  𝓁𝒾𝒷𝑒𝓇𝒶𝓉𝒶  𝒹𝒾  𝓂𝑒  𝑒  𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶  𝓂𝒾𝒶  𝒶𝓈𝒻𝒾𝓈𝓈𝒾𝒶𝓃𝓉𝑒  𝓅𝓇𝑒𝓈𝑒𝓃𝓉𝒶,  𝑜𝓅𝓅𝓊𝓇𝑒 𝓃𝑜𝓃  𝓈𝒶𝓅𝓇𝑒𝒾...
𝒞𝑜𝓃𝑜𝓈𝒸𝑜  𝓁𝒶  𝒸𝑜𝓃𝒻𝓊𝓈𝒾𝑜𝓃𝑒  𝓃𝑒𝓁𝓁𝒶  𝓉𝓊𝒶  𝓉𝑒𝓈𝓉𝒶,  𝓁𝒶  𝓃𝑒𝑔𝒶𝓏𝒾𝑜𝓃𝑒,  𝒾𝓁  𝓇𝒾𝒻𝒾𝓊𝓉𝑜,  𝓈𝑜𝓃𝑜  𝒸𝑜𝓈𝑒 𝒸𝒽𝑒  𝒽𝑜  𝓅𝓇𝑜𝓋𝒶𝓉𝑜  𝒶𝓃𝒸𝒽'𝒾𝑜,  𝒹𝑒𝓁  𝓇𝑒𝓈𝓉𝑜  𝓈𝑜𝓃𝑜  𝓊𝓃  𝓋𝒶𝓂𝓅𝒾𝓇𝑜  𝒸𝑒𝓃𝓉𝑒𝓃𝒶𝓇𝒾𝑜  𝑒  𝒽𝑜  𝓅𝓇𝑜𝓋𝒶𝓉𝑜  𝒾  𝓅𝒾ù  𝓉𝑒𝓉𝓇𝒾  𝒹𝑒𝒾  𝓈𝑒𝓃𝓉𝒾𝓂𝑒𝓃𝓉𝒾,  𝓂𝒶  𝓈𝑜  𝒶𝓃𝒸𝒽𝑒  𝒸𝑜𝓈𝒶  𝓈𝒾𝑔𝓃𝒾𝒻𝒾𝒸𝒶  𝒾𝓁 𝓇𝒾𝓂𝓅𝒾𝒶𝓃𝓉𝑜  𝑒  𝒾𝓁  𝓅𝑒𝓃𝓉𝒾𝓂𝑒𝓃𝓉𝑜.  𝒜𝒾  𝓉𝓊𝑜𝒾  𝑜𝒸𝒸𝒽𝒾  𝓉𝓊𝓉𝓉𝑜  𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝑜  𝓅𝓊ò  𝓈𝑒𝓂𝒷𝓇𝒶𝓇𝑒 𝓈𝓉𝓇𝒶𝓃𝑜,  𝓅𝑒𝓇𝒸𝒽é  𝒸𝒾  𝒽𝒶𝒾  𝒸𝑜𝓃𝑜𝓈𝒸𝒾𝓊𝓉𝒾  𝓈𝑜𝓉𝓉𝑜  𝒻𝑜𝓇𝓂𝒶  𝒹𝒾  𝓂𝑜𝓈𝓉𝓇𝒾,  𝓂𝒶  𝒶𝒹𝑒𝓈𝓈𝑜  𝒶𝓃𝒸𝒽𝑒 𝓈𝑒  𝓃𝑜𝓃  𝓁𝑜  𝓋𝓊𝑜𝒾  𝒶𝓂𝓂𝑒𝓉𝓉𝑒𝓇𝑒,  𝓈𝓉𝒶𝒾  𝒹𝒶𝓋𝓋𝑒𝓇𝑜  𝒸𝑜𝓂𝒾𝓃𝒸𝒾𝒶𝓃𝒹𝑜  𝒶  𝒸𝑜𝓃𝑜𝓈𝒸𝑒𝓇𝒸𝒾,  𝒶 𝒸𝑜𝓃𝑜𝓈𝒸𝑒𝓇𝑒  𝓂𝑒.
𝒜  𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝑜  𝓅𝓊𝓃𝓉𝑜  𝒶𝓋𝓇𝒶𝒾  𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜  𝓁𝒶  𝒹𝒾𝒻𝒻𝑒𝓇𝑒𝓃𝓏𝒶  𝒸𝒽𝑒  𝒸'è  𝓉𝓇𝒶  𝓃𝑜𝒾,  𝒾𝑜  𝓇𝒾𝑒𝓈𝒸𝑜 𝒶  𝓂𝑒𝓉𝓉𝑒𝓇𝑒  𝒹𝒶  𝓅𝒶𝓇𝓉𝑒  𝓁 ' 𝑜𝓇𝑔𝑜𝑔𝓁𝒾𝑜  𝑒  𝒶  𝓅𝒶𝓇𝓁𝒶𝓇𝑒  𝑜𝓃𝑒𝓈𝓉𝒶𝓂𝑒𝓃𝓉𝑒  𝓃𝑜𝓃  𝓈𝑜𝓁𝑜  𝒸𝑜𝓃  𝓉𝑒, 𝓂𝒶  𝓈𝑜𝓅𝓇𝒶𝓉𝓉𝓊𝓉𝓉𝑜  𝒸𝑜𝓃  𝓂𝑒  𝓈𝓉𝑒𝓈𝓈𝒶.  𝐼𝑜  𝓈𝑜  𝒸𝑜𝓈𝒶  𝓈𝑒𝓃𝓉𝑜  𝑒  𝓃𝑜𝓃  𝓁𝑜  𝓇𝒾𝓅𝓊𝒹𝒾𝑒𝓇ò  𝓂𝒶𝒾.
𝐿'𝓊𝓃𝒾𝒸𝒶  𝒸𝑜𝓈𝒶  𝒸𝒽𝑒  𝓉𝒾  𝒸𝒽𝒾𝑒𝒹𝑜,  𝑒  𝒸𝒽𝑒  𝓉𝒾  𝒶𝓊𝑔𝓊𝓇𝑜,  è  𝒹𝒾  𝓈𝒸𝑜𝓅𝓇𝒾𝓇𝑒  𝓉𝑒  𝓈𝓉𝑒𝓈𝓈𝒶  𝑒 𝒸𝒶𝓅𝒾𝓇𝑒  𝓋𝑒𝓇𝒶𝓂𝑒𝓃𝓉𝑒  𝒾  𝓉𝓊𝑜𝒾  𝓈𝑒𝓃𝓉𝒾𝓂𝑒𝓃𝓉𝒾.
𝒮𝓅𝑒𝓇𝑜  𝒸𝒽𝑒  𝒶𝓁  𝓂𝒾𝑜  𝓇𝒾𝓉𝑜𝓇𝓃𝑜  𝓇𝒾𝓊𝓈𝒸𝒾𝓇𝑒𝓂𝑜  𝒶𝒹  𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒  𝓅𝒾ù  𝑜𝓃𝑒𝓈𝓉𝑒  𝓁'𝓊𝓃𝒶  𝒸𝑜𝓃  𝓁'𝒶𝓁𝓉𝓇𝒶.

𝒞𝑜𝓃  𝒶𝓂𝑜𝓇𝑒,  𝐿𝓊𝓍  𝒯𝒽𝑜𝓇𝓃𝓈.

La lessi tutta, e poi ancora e ancora soffermandomi sulle parole, sui loro significati, cosa potevano racchiudere, come se potessero dare una risposta ai miei dubbi. E in un certo modo c'era riuscita. Dave sbagliava e ne ero sicura. Non mi servivano giorni in più per capire. Forse mi ero davvero affezionata, o forse la mia era solo una dipendenza perché qui non ho nessuno oltre che lei. E' una cosa che intendo scoprire non appena tornerà qui... i miei sentimenti e anche i suoi.

"Con Amore, Lux Thorns" ripetei ad alta voce. E' davvero così genuino il tuo sentimento? E se lo fosse, riuscirei a ricambiarlo con la tua stessa purezza? E' una cosa che intendo scoprire non appena tornerà qui... i miei sentimenti e anche i tuoi.

Mi addormentai serena, nella speranza di aprire un nuovo capitolo della mia vita, e sorrisi quando chiusi gli occhi e mi lasciai cadere nel mondo dei sogni. Come un ingenua non avevo dato per nulla importanza alle prime righe, troppo concentra sul resto, per accorgermi delle implicazioni di quelle parole. L'unica notte in cui sarei dovuta rimanere in allerta, l'avevo passata a dormire spensierata. Non ci fu tempismo peggiore.

Mi sveglia al flebile suono di passi nella mia camera. Aprii gli occhi cercando di abituarmi all'oscurità della stanza. Lentamente ogni cosa stava cominciando a prendere forma: la fine del letto, la semplice scrivani su cui spesso appoggiavo i vestiti del giorno dopo e poi- Spalancai gli occhi alla vista della figura accanto alla porta. Era avvolta nell'ombra, ma i suoi occhi erano inconfondibili. Era illuminati per vedere al buio, identici a quelli di Lux. Prima ancora che potessi reagire ne vidi un'altro paio proprio accanto a me. Sarei saltata dallo spavento se non fosse che la mia distrazione permise all'altra figura di scattare verso di me, saltare sul letto e poi sopra il mio stomaco, mettendomi una mano sulla bocca per impedirmi di urlare. 

E poi sentii la sua voce, "Veloce!" e la riconobbi, "Sai che non è una facile." Sentii subito dopo un leggero fastidio sul collo, ma non erano canini, era una siringa, e fu impossibile per me combattere contro ciò che mi avevano iniettato. Sprofondai nella stessa oscurità con cui mi ero svegliata e fui travolta dalla paura. Perché Rhea...

 

Scusate ci ho messo un eternità a pubblicarlo, spero non accadrà di nuovo. Al prossimo capitolo!

Importante : se non si riesce a capire cosa c'è scritto nella lettera per via della scrittura, avvertitemi che la cambio (da computer si legge meglio).

 

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Capitolo 27
*** Caro diario -parte 3- ***


Era passata una settimana da quando io e Arkel eravamo arrivati in quella grande casa. Bambini continuavano a sparire e altrettanti ne comparivano, ogni giorno un nuovo gruppo veniva portato dagli stessi uomini che mi avevano rapita. Non ci volle molto per capire che quel rozzo uomo ci stava a sua volta vendendo, e le miei certezze si rivelarono giuste quando un vecchio uomo misterioso arrivò nel bel mezzo della notte. Fu la cameriera a svegliarmi, dicendo di fare silenzio, e mi accompagnò fuori dalla stanza. Avevo a dosso solo il pigiama e a quanto pare non serviva che mi cambiassi. Mi portò fuori, e in quel momento capii che per me era finita. C'era un carro, simile a quello che mi aveva portata qui. Ad aspettarmi c'era un uomo anziano, con dei abiti alquanto particolari, dei capelli lunghi e grigi tenuti perfettamente pettinati, e una postura da fare invidia ad ogni vecchio. Aveva uno sguardo serio e segnato dalle rughe, accanto a lui sorrideva l'uomo rozzo. Il vecchio annuì vedendomi e la cameriera mi portò dietro il carro. C'erano già altri tre rinchiusi dentro. Minuti dopo mi raggiunse anche Arkel e poi altri due bambini. Averlo accanto mi risollevò, non avrei mai potuto affrontare una cosa simile da sola. Passammo tutta la notte in viaggio e il freddo ci penetrava nella pelle, ma almeno eravamo insieme. Quando arrivammo alla fine di quel lungo viaggio, la luce di prima mattina filtrava attraverso le fessure del vecchio legno. Quando ci fecero scendere, ci incatenarono uno ad uno in fila, io mi guardavo attorno spaesata e spaventata. Era tutto così diverso, la forma delle case, le strade ma soprattutto le persone. Venivo fissa da tutti i passanti, con i loro occhi da predatore mi guardavo dalla testa ai piedi, alcuni si fermarono anche. L'elegante anziano ci lasciò nelle mani di una giovane donna, occhi a mandorla, capelli neri, corporatura minuta. Ci guidò in un enorme casa e fu in quel momento che capii in che situazione mi trovassi e fui travolta dal terrore. C'erano altri, umani. Erano incatenati, nudi, pallidi quanto me in quel frangente. La donna ci portò in una sala, ci tolse le catene e ci fece spogliare sotto costrizione. Poi ci invitò ad entrare nella stanza adiacente. Un enorme bagno, con singole postazioni per lavarsi. Non ci fu bisogno di dirlo, perché tutti noi sapevamo già cosa fare. L'acqua bollente si immischiò alle miei lacrime, e i miei gemiti di pianto furo coperti dall'acqua corrente della doccia. Non c'era alcun modo di scappare, per me era finita. Una volta puliti, delle donne ci accolsero e ci vestirono con abiti bianchi raffinati, sia femmine che machi, non avevamo altro che quelli per coprirci. E una volta uscita da quella stanza sapevo che sarebbe finita, una volta fuori, per strada, la mia vita non sarebbe stata più mia. Era una cosa che non potevo accettare, sembrava surreale. Ci rimisero le catene, legandoci l'uno all'atro ed in fila. Ci portano per strada, come se fossimo un trofeo conquisto, e tutti ci fissavano con i loro sguardi luridi mettendo in mostra i loro canini da vampiri, come se non potevano trattenersi alla nostra vista. Sembrava quasi un mercato, ai lati della strada cerano dei palchi dove venivano messi in vendita gli umani, io sarei presto salita su uno di quelli. Ricominciai a singhiozzare freneticamente, ma non erano l'unica, erano tutti in lacrime come fossimo in un funerale. Il nostro funerale. E io speravo solo che un angelo venisse a salvarmi.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 24 - Uno Spiacevole Doppio Gioco ***


Eloyn

Rhea... la sua voce mi rintoccava nella testa. Ero stordita e frastornata, la droga aveva fatto subito effetto, ed ora mi ritrovavo in uno stato di smarrimento circondata dal buio. Non so cosa stava accadendo intorno a me, forse camminavo, o forse erano loro a farmi camminare, a strascinarmi via. Sentivo qualcuno parlare, forse Rhea o l'altra persona che mi aveva infilato un ago al collo. Non riuscivo a distinguere le loro voci, non sapevo se era una, due, milioni, non capivo nemmeno se ero seduta da qualche parte. Sentivo solo la mia testa che cadeva nonostante i miei sforzi nel restare dritta, provai anche a parlare ma uscì solo un flebile mormorio, o forse parlai veramente, ma cosa dissi però? 

Cercai di tenere la mente lucida, cercando focalizzarmi su qualcosa che mi avrebbe tenuta sveglia. Pensai a mio padre, la sua immagine era sfumata nella mia mente, come del resto lo erano i miei sentimenti. Poi i miei pensieri si spostarono ad immaginare casa mia, la tipica casa murata e sempliciotta di ogni villaggio, ma anche in quel caso l'immagine svanì come se non fosse più un ricordo importante. Non c'era niente che potesse ravvivarmi, nulla che potesse aiutarmi a riprendere in mano la situazione. Era passato così tanto tempo da quanto avevo veramente pensato a casa mia, a papà, che ormai il loro era un ricordo lontano, di una vita iniziata e poi finita. La mia esistenza era cessata nel momento in cui mi avevano portata via, mi avevano dato una nuova casa, una nuova famiglia. Una nuova vita, una vita che mi stavano portando nuovamente via. Non so quando cominciai a considerare questa la mia nuova casa, ma sapevo che questa era la prima volta che mi riferivo a loro come famiglia, e mi faceva male, mi distruggeva e logorava dall'interno. Mi sentivo tradita dalle persone di cui mi fidavo. Perché mai ho cominciato ha fidarmi? Sì, ricordo, dal momento in cui il mio odio era scemato dando spazio ad un sentimento genuino che non avevo mai provato prima. La mia mente si ricordò dalla insopportabile e irritante presenza che ho avuto accanto per tutti questi mesi, e mi focalizzai su di lei. E come se avessi un ritratto di fronte ai miei occhi, la sua immagine non svanì, e la osservavo sperando che non se ne andasse mai, che non evaporasse come tutti gli altri miei ricordi. Ma lei rimase lì. Non mi importava se i suoi occhi diventavano rossi, se i sui canini si allungavano, se era più forte o agile, se non era umana. Lei era la mia nuova famiglia ed io avrei combattuto per essa. 

Riuscii lentamente a prendere conoscenza, non riuscivo a muovere nulla, ma i miei occhi si spalancarono, non alla vista del mostro che mi aveva rapita ma per la ragazza che le sedeva accanto. Era accigliata, con lo sguardo perso nel vuoto, e preoccupato. La fissai, la odiai dal profondo del mio cuore. quando alzò lo sguardo e si incontrò con il mio, mi guardò con una tale mortificazione che quasi provai pena per il suo stato. 

"A... me...lie." dissi debolmente mentre i miei occhi assassini la fissavano, l'avrei strangolata se non avessi avuto le mani legate.

"Mi dispiace tanto." disse come se fosse in procinto di piangere.

Non riuscivo a capire il perché, ma poi vidi Rhea prenderle la mano per rassicurarla e poi capii. Amelie era stata una semplice marionetta nelle mani di questo essere davanti a me, ma ciò non la giustificava. 

"Do...ve?" domandai. Non mi importava il perché, le loro stupide motivazioni, volevo solo sapere cosa ne avrebbero fatto di me. Come mi aspettavo fu Amelie la prima a parlare.

"Non devi preoccuparti, ti stiamo solo affidando ad un'altra casa." 

Quindi mi stanno dando via ad un nuovo padrone? Sapevo che quello che era successo quella notte con Lux e la sua perdita di controllo avrebbe avuto un ruolo principale nel rapporto tra me e Rhea e la nascita di un qualche astio nei miei confronti, ma pensare che Amelie le avrebbe dato corda mi ferisce solo di più. Non c'era più alcun motivo di mandarmi via, eravamo sul punto di risolvere le nostre dispute ma hanno comunque deciso di allontanarmi da lei. Proprio ora.

"Li conosco," disse Rhea, "O meglio, mi sono stati consigliati da un mio vecchio amico, abbiamo stipulato un contratto-"

"Non ti faranno del male." la interruppe Amelie. "Non ti chiederanno mai il tuo sangue o prestazioni sessuali, starai bene, te lo assicuro." Parlò con un tale sconforto e dolore che quasi mi fece ridere.

Stai cercando di rassicurare me o te stessa?

"Lei... non... lo sa... vero?" Sorrisi per le loro espressioni facciali, l'unica cosa mi solleva era il sapere che Lux le avrebbe rovinate. "Si... vendicherà." dissi con una leggera rissata. Ma per quanto mi sembrassero ridicole, era impossibile sorridere in un momento come questo. Provavo terrore all'idea di essere venduta a qualcun altro, le loro rassicurazioni, i patti che avevano fatto, non valevano un bel niente. Una volta nelle mani di un nuovo padrone, io sarei stata sua e basta. Sola, di nuovo. "Mi troverà... lo so." piansi.

La carrozza correva veloce su strada. Nessuna delle due mi rivolse più la parola, e Amelie neanche riusciva a guardarmi. L'effetto della droga stava lentamente scomparendo e dopo un paio di ore finalmente riuscii di nuovo a muovere mani e gambe. Almeno posso correre, pensai vedendo i piedi liberi, ma sarà abbastanza inutile con le abilità che hanno loro. Quando finalmente la carrozza si fermò, il mio cuore sobbalzò.

"Ci siamo," Rhea scese, si voltò un ultima volta verso Amelie, che incupita si guadava le mani a testa bassa. Voleva dirle qualcosa, ma poi fissò me e io sostenei il suo sguardo. "Non tentare nulla di strano, lo sai che non hai possibilità."

Lo so bene. Neanche la fortuna potrà assistermi questa notte.

Chiuse lo sportello, e la sentii allontanarsi con le sue scarpe che calpestavano la breccia. Adesso c'eravamo solo io e Amelie.

"Mi dispiace." disse rompendo il silenzio. 

"No che non ti dispiace," risposi secca, nel pieno delle mia facoltà mentali e motorie. "Amelie mi hai delusa." 

"Lo so, ma è giusto così." Potevo vedere dal suo sguardo che questo non era davvero quello che voleva, gli occhi lucidi, la voce tremante...  "Da quando sei arrivata è andato tutto male." 

"Non usare me come una scusa!" ringhiai. "Lux stava male da ancor prima che arrivassi, è colpa vostra che non ve ne siete mai accorte."

"Lo sapevamo, ma la tua presenza ha peggiorato la sua situazione."

"Amelie basta, non cercare scuse per giustificare te stessa, ormai siamo qui, finiscila." Non avevo la forza di discutere e nemmeno la voglia, sapevo che sarebbe stata la sua stessa coscienza a distruggerla, non c'era bisogno di infierire oltre.

Dopo qualche minuto Rhea tornò, e come se fossi una spregevole prigioniera, mi prese il braccio e con forza mi trascinò fuori. "Andiamo." disse in tono imperativo. Io la scrollai via, le mi guardò con furore come se l'avessi sfidata, ma prima che potesse riprendermi, io avanzai da sola. Volevo solo avere un po' di dignità e non essere trattata come una criminale. Mi diressi verso la carrozza davanti la nostra, ma prima di farlo, rivolsi curiosamente lo sguardo verso il cocchiere che si era fatto corrompere per portarmi qui. Fui invasa dall'odio.

"Sarai contento!" esclamai nel vedere Arkel. Ma lui non rispose alla mia provocazione, anzi, mi guardò serio, e poi distolse subito lo sguardo. Lo trovai strano, aggrottai la fronte, ma poi Rhea mi spinse e per poco inciampai. "Smettila." le mormorai infastidita.

"Voglio solo che ci sbrighiamo."

C'era una donna ad aspettarmi, capelli di un biondo così chiaro che sembravano bianchi, raccolti in un alta acconciatura, un vestito lungo viola, elegante e raffinato, gli occhi truccati più del necessario e un rossetto rosso scuro che metteva in evidenza le sue labbra fine. Sembrava una donna d'alta società, o semplicemente una che voleva mettersi in mostra.

"Grazie Luise," le sorrise Rhea porgendomi ai due uomini accanto alla signora.

"Ma di nulla tesoro." Si girò verso di me, mi guardò dall'alto verso il basso, "Ci prenderemo cura noi di lei, non preoccuparti, la porteremo sana e salva dal nostro cliente." disse sorridendo.

"Ringrazia ancora Constantine da parte mia."

Luise e Constantine? Non dimenticherò mai questi nomi, puoi giurarci. E di sicuro farò passare le pene dall'inferno a questo "cliente".

Rhea se ne andò con un sorriso sollevato, ormai non c'ero più io, giusto? Si era tolta un peso, ma second me non ha per nulla pensato alle conseguenze del suo gesto, ne Amelie e neppure Arkel. Me l'aveva detto Rhea stessa, "Lux non ti lascerebbe mai andare" e io ci credo con tutta me stessa, riuscirà a trovarmi ovunque io sia.

"Su andiamo." disse con voce squillante. 

Prima di voltarmi guardai per l'ultima volta la carrozza, Rhea era appena entrata ed io mi ritrovai gli occhi di Arkel puntati a dosso. Mi fissò, era come se il suo sguardo fosse vuoto, privo di emozioni, ma sapevo che stava pensando a qualcosa e che sentiva qualcosa, solo non voleva farmelo vedere. Mi immaginavo un ghigno sul suo volto, o una risata nel vedermi così, aveva vinto lui, allora perché era così apatico? Prova forse dispiacere per me? No, c'è altro, c'è sempre dell'altro, è questo quello che ho imparato stando al fianco di Lux, anche la stessa Amelie che mi mostrava ogni giorno il suo sorriso stava pensando a come sbarazzarsi di me al tempo stesso.

Fui distratta dai miei pensieri quando uno degli uomini mi prese per il braccio, mi spinse dentro la carrozza con lui e la signora, mentre l'altro si era accomodato accanto al cocchiere. Erano le sue guardie del corpo, forse era davvero una nobile e non una che si fingeva di essere tale. Poco importa in un momento come questo. Mi aspetta un altro viaggio per incontrare il mio nuovo padrone, anche se non l'avrei mai considerato come tale.

"Mi dispiace farti fare un altro lungo viaggio, ma se avessimo usato un auto saremmo stati troppo appariscenti."

"Ma quanto mi dispiace." disse sarcastica sorridendole.

Dopo ciò non mi rivolse più la parola, a quanto pare non è una donna dalla personalità forte, quasi mi dispiacque di averle risposto male, ma non posso preoccuparmi dei sentimenti altrui adesso, del resto loro non hanno pensato ai miei.

Non fu un viaggio lungo, ma non perché la destinazione fosse vicina, ma perché non eravamo soli. La carrozza si fermò su strada, e la signora Luise e il suo uomo si guardarono confusi. 

"Vai a controllare." disse lei, e lui l'avrebbe anche fatto se carrozza non tremò sotto il peso di quello che sembrava un brusco movimento. Sentimmo tutti il tonfo e poi il gemito di qualcuno, e poi un altro che soffocò un grido.

Luise che era davanti a me sembrò terrorizzata, mentre il suo uomo era già pronto ad intervenire, del resto veniva pagato per questo. Fece ad entrambe il gesto di fare silenzio, scoprì il finestrino dello sportello dalla tendina, controllò i dintorni con la poca visuale offerta, e poi decise di scendere, lentamente e cauto. Fu in quel momento che pensai ad una follia, anzi, non pensai proprio, agii soltanto. Nel momento in cui posò un piede sullo scalino e si sporse per uscire dalla carrozza, io con impulsività e imprudenza, alzai entrambe le gambe, e con tutta la forza che avevo calciai l'uomo fuori. Perse l'equilibrio e il suo corpo incontrò il pavimento terroso. Guadai di scatto la donna, il mio intervento fu così repentino e inaspettato che non riuscì a reagire. Con la stessa velocità, aprii lo sportello alla mia destra, e nonostante lei allungò le sue braccia verso di me, io scivolai via. Ero fuori, libera. 

Sentivo l'adrenalina scorrere dentro di me, ma quel momento di euforia si trasformò in terrore. A terra c'era il corpo senza vita del cocchiere ed in altro, al suo posto, in pedi e trionfante c'era il suo assassino. Mi volta subito e cominciai a correre più che potei in quella distesa di erba e terra oscurata dalla notte. Non c'era assolutamente nulla, eravamo nel bel mezzo dell'infinito verde, ed io non sapevo dove andare o nascondermi.

Sentii da dietro la signora Luise gridare, e mi girai. Il suo urlo fu subito spezzato dalla lama che le trapassò il collo, lasciando il suo corpo senza vita cadere sui sedili della carrozza. Il colpevole uscì e mi fissò da lontano, e sorrise come se avesse appena visto un gioiello. Io mi fermai, non c'era alcun luogo dove andare e tremavo per il freddo e per il terrore.  La nostra carrozza si era fermata perché ce ne erano due che ostruivano la strada. Era un imboscata, perché? Si immaginavano di trovare soldi? Invece hanno solamente ottenuto i cadaveri di tre uomini ed una donna. E poi c'ero io, inerme e terrorizzata che aveva tentato di fuggire. Erano in cinque ed io non ce l'avrei mai potuta fare. No, non cinque. Un sesto uomo uscì dalla seconda carrozza. Indossava vestiti eleganti, un cappello cilindrico, e un bastone che teneva stretto in una mano. Mi fissò, come facevano tutti gli altri, poi con un gesto della testa ordinò loro di prendermi. Vedere cinque uomini sporchi di sangue venirti contro non è una bella sensazione, è come veder correre la morte verso di te, era inevitabile.

Fu inutile combatterli, e fu ancora più stupido provarci, ci guadagnai solo due pugni nello stomaco che mi stesero subito. Era umiliante, mi facevo pena da sola. Ma che ho fatto per meritami questo? Non bastava essere venduta ad altri?

Lo stesso che mi aveva ferita, mi sollevò di peso e mi obbligò a rimettermi in piedi. "Muoviti." disse. Mi diede una spinta obbligandomi a camminare, e poi un'altra quando rallentai. Guardai di nuovo verso la mia carrozza, c'era sangue ovunque. Mi si inumidirono gli occhi per la paura che provavo, era decisamente peggio di quando Lux mi aveva catturata.

Quando mi trovai davanti al loro capo, l'uomo che avevo dietro domandò con mio stupore, "Titus, è lei quella che ha detto il ragazzo?"

Quale ragazzo? Mi hanno venduta non una ma due volte? 

Titus che era davanti a me non aveva più di venticinque anni, ma quell'abbigliamento lo facevano sembrare molto più grande. Le dita delle mani erano adornata da anelli con diamanti, le unghie erano nere, come se fossero state tinte con qualcosa, per non parlare del suo volto. Avevo un viso buffo, zigomi alti, occhi truccati con un pesante nero, il pizzetto sul mento, e poi la sua voce acuta, "Sì, decisamente." rispose sorridendo. "Sbrighiamoci, sapete tutti che Cassandra non è una donna a cui piace aspettare."

Che succede? Non capisco.

 

Questo capitolo si sarebbe dovuto intitolare "Eloyn viene sballottata da una carrozza all'altra" oppure "Troppe cose in un solo capitolo aiut-" comunque il titolo effettivo è un riferimento a quello del capitolo 1

Al prossimo capitolo guuuys~

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 25 - Un'Ignota Minaccia ***


Lux

Era mattina presto. Il sole era appena sorto ed io ero rimasta sveglia tutta la notte. La macchina correva veloce sulla strada terrosa, facendomi a volte sobbalzare. Le auto sono ancora un qualcosa di raro che solo i più ricchi hanno il piacere di avere, e queste strade non sono ancora adatte e macchinari così innovativi. "Stai attento!" gridavo a Jason per l'ennesima buca. Lui ridacchiava ogni volta, senza capire quanto in realtà fosse stressante. Non solo non ero riuscita a dormire per il viaggio ma anche la preoccupazione mi aveva assalita. Era la prima volta che lasciavo Eloyn da sola, e pensai che non appena sarei arrivata dai Manor le avrei mandato una lettera, tanto per sentirmi più vicina a lei. Sapevo che era in buone mani, Amelie e quel ragazzo umano avrebbero pensato a lei in mia assenza, e poi non sarei stata via a lungo.

Arrivammo nel territorio dei Manor dopo poco più di un'ora, tra i miei urli e le risate di Jason, e poi passando tra una città e l'altra, arrivai finalmente alla magione di Adrienne. La servitù mi riconobbe subito, del resto avevo passato metà della mia infanzia in quella lussuosa casa.

Jason si fermò davanti al cancello ed io scesi dall'auto. C'erano due umani ad aspettarmi, un giovane ragazzo e un uomo anziano. Erano entrambi posti oltre il cancello, il più vecchio mi sorrise ed io seguii i suoi movimenti. Si avvicinò al cancelletto, e lo aprì per me con una profonda riverenza. Anche il ragazzino si inchinò quando lo guardai, agitato e assoggettato dalla mia presenza. 

"Buongiorno, mia signora."

Salutai entrambi gli umani con un sorriso amichevole e poi mi voltai verso Jason, già pronto a ripartire e a tornare a casa. Ma ero più che sicura che si sarebbe fermato prima in qualche città, del resto gli avevo detto di fare quel che gli pareva dopo avermi accompagnata. Lo salutai con la mano e lui con un ghigno si rimise su strada, con la testa già da tutt'altra parte. Non cambierà mai.

"Da questa parte," disse il servo, con i suoi occhi verdi oscurati dal mal tempo e le labbra inumidite, "La padrona la sta aspettando." 

Il servo, dall'aspetto di un uomo di quasi settant'anni, cominciò a farmi strada verso la magione. Era da molto che non venivo qui, decenni, ma sapevo riconoscere un volto, anche se invecchiato.

"Ti chiami Marlon, o mi sbaglio?"

"E' un onore," disse voltandosi con il suo sorriso segnato dalla vecchiaia, "che lei si ricorda di un umano come me."

Io risi, "Sentivo sempre qualcuno urlare il tuo nome ogni volta che venivo qui."

"Ero un po' vispo da giovane." 

Eccome se lo era. Ho letteralmente visto quest'uomo crescere, da un ragazzino esuberante ad un uomo così pacato e devoto. A volte quando mi fermo a pensarci, mi fa quasi male vedere così tanta vitalità spegnersi con gli anni, e non parlo di vecchiaia, ma della morte stessa, un fenomeno così naturale ma che mi fa enormemente paura. La morte. Lo spegnimento assoluto di una persona. Come una candela, basta un soffio ed è spenta. Il tempo è il soffio che uccide ogni cosa. Uccide i sentimenti, le speranze, i sogni... ed io da essere immortale lo so molto bene. Ma non tutto muore, non sempre. Il tormento mi accompagna e lo porterò accanto a me per sempre, a meno che qualcuno non lo trasformi in amore. Ma l'unica persona che può farlo si rifiuta, ed io posso solo che accettarlo. Se solo me lo permettesse, io l'amerei per l'eternità. 

Ripensando ad Eloyn, trovai quasi buffo quanto la nostra relazione sia cambiata nel corso del tempo. Siamo passate da un relazione basata sulla violenza e la sottomissione a qualcosa che non riuscirei a descrivere a parole. E in un certo senso, devo ringraziarla per avermi fatta tornare, anche solo un po', a quella che ero un tempo. Ripensando a quello che ho fatto, che le ho fatto, me ne vergogno. So che sarà difficile rimediare, ma almeno avrò avuto la consapevolezza di averci provato, e non avrò alcun rimpianto. 

"E' bello vederla sorridere, mia signora." disse Marlon, girandosi e sorridendomi con entrambe le labbra e gli occhi. Un sorriso quasi paterno, che un genitore dal al proprio figlio. "L'ultima volta che era qui era molto malinconica."

Io rimasi enormemente sorpresa, e per poco non mi bloccai. "Sono passati quarant'anni," dissi stupita, cercando di nascondere del compiacimento, "ancora ricordi?"

"La Lord di Styria ricorda il nome di un umile servitore, è quindi dovere del servitore ricordare la propria sovrana." 

Ultimamente mi chiedo spesso se tutto questo sia giusto, se questo mondo lo sia. Persone come Marlon, non dovrebbero vivere il resto della loro vita a completo servizio di qualcuno. Marlon non lo merita, Eloyn non lo merita, ed io non lo meritavo. A volte si diventa il mostro che un tempo ci tormentava. Io non voglio diventare il mostro di Eloyn e di nessun altro. Ero solita credere che avere qualcuno sottomesso a te era la cosa più eccitante. Mi chiedo come io abbia fatto a dimenticarmi che un tempo ci sono stata io dall'altra parte, e quanto ha fatto male. Perché non solo gli umani finiscono in delle gabbie. Di tanto in tanto anche noi vampiri rimaniamo intrappolati in qualcosa che pensiamo sia puro e candido, ma che poi si dimostra essere la nostra rovina. Io voglio essere diversa. 

"Da questa parte mia signora," 

Una volta dentro la mastodontica casa, notai qualche viso familiare, sia di servi che di vampiri. Ma come Adrienne mi aveva fatto promettere, appena arrivata mi sarei dovuto dirigere subito da lei senza perdere tempo, e così feci. Evitai i saluti e le strette di mano e lasciai che Marlon mi portasse dalla sua padrona.

Il servo bussò fortemente alla porta dello studio di Adrinne con estrema familiarità, del resto ha servito in quella casa per tutta la sua vita. Quando la sua padrona ci invitò ad entrare, Marlon si fece da parte e con un inchino si congedò. E quando Andrienne mi vide, non mi accolse con un sorriso come era suo solito fare.

"Accomodati pure," disse con uno sguardo assonato e la voce bassa.

Io mi sedetti difronte a lei, pronta a sentire tutto quello che aveva da dire. Fremevo dalla curiosità e dalla paura.

"Come è stato il viaggio?"

"Non ho dormito, ma vedo che anche tu non hai toccato il cuscino," dissi notando le occhiaie sul suo viso.

"Quando te lo farò vedere capirai perché. Tutto questa situazione mi agita. Dovrebbe agitare tutti."

"Dov'è?" domandai senza giri di parole. La cosa che gli uomini di Adrienne erano riusciti ad uccidere e poi a portare da lei. La cosa né umana né vampira.

"In una struttura protetta, qui vicino. Lo sto facendo esaminare per trovare qualcosa di nuovo." Poi aprendo il cassetto della scrivania tirò fuori alcuni fogli e me li mise davanti. "Quelli sono i risultati dei primi esami."

Quando li vidi, a primo impatto non capii. Erano tutti numeri e valori che non conoscevo. "Che vuol dire?"

"Leggi in basso."

Trovai con facilità il testo a cui si riferiva in quanto l'unica cosa a parole di tutti i fogli che mi aveva dato. Lessi con estrema attenzione ogni parola, ancora e ancora, cercando di assimilarne il significato. Per poi rielaborare nella mia testa le scottanti notizie che avevo appreso. Il soggetto è un uomo bianco di alta statura e grande massa muscolare. Presenta delle cicatrici circolari non naturali di piccola grandezza sulla superfice del corpo: gambe, cosce, addome, collo, spalle e braccia. Il soggetto è risultato positivo ai test che lo definiscono di razza umana ma le sue abilità e il suo bisogno di sangue per sostenersi dimostrano il contrario. Il soggetto è stato classificato di specie sconosciuta.

"Che cosa significa?" domandai sconcertata. Non era mai capitato di trovare un essere del genere. Per un vampiro e un umano non è possibile fare figli, è geneticamente impossibile. Non saprei quindi se considerarlo un ibrido, un caso unico di riuscita unione tra due specie diverse, o una creatura del tutto nuova mai scoperta prima. Però non capisco perché dovrebbero dirigersi verso di me? Non stanno agendo privi di ragione.

"Quello che hai letto, non sappiamo cos'è," disse nervosa. "Sto facendo fare test su test ma l'unica cosa che ho ricavato è quello," esclamò indicando il foglio spazientita. 

"Adrienne," la richiamai per farla concentrare su di me e sulle miei parole. Lei mi guardò esausta, ce la stava veramente mettendo tutta, ma privarsi del sonno non la sta aiutando. "Non ti ho chiesto cos'è, ma cosa significa. Devo preoccuparmi di un attacco in massa?"

"Forse," disse tornando a concentrarsi. "Tutti gli attacchi sono avvenuti vicino o entro il confine della Zona Neutrale. E' evidente che vogliono arrivare a te. Ma la cosa che non capisco è perché preparare attacchi rivolti solo alle guardie poste al confine."

"E' una minaccia," dissi convinta. Non so chi potrebbe fare una cosa simile. Avrei pensato fosse la solita congiura che ogni qual volta accade, ma questa volta è diverso. Non è una semplice rivolta di piccoli nobili e ceto medio. E' qualcosa di organizzato e sicuramente pericoloso. Devo tornare a casa il prima possibile e richiamare delle guardie a protezione della magione.

"O un modo per creare caos," disse Adrienne con il sorriso, come se avesse sbloccato qualcosa. 

Ma anche fosse stata una deduzione giusta, l'averlo capito non risolve nulla. Non sappiamo perché effettivamente sono qui, da dove provengono, il loro scopo, nulla. "Dobbiamo catturarne altri. E' la priorità. Ma soggetti vivi questa volta, anche a costo di perdere un ingente numero di uomini."

"A proposito di questo," si schiarì la gola, "Il soggetto era vivo quando l'abbiamo preso." 

La guardai confusa. Dalla lettera che mi aveva scritto, avevo intuito che fossero stati i suoi uomini ad ucciderlo, nel tentativo di catturarlo. "Che è successo?"

"L'abbiamo messo in isolamento, completamente legato." disse con enfasi, come se volesse giustificarsi con me. "E' riuscito ad avvicinarsi con la sedia al muro, e a forza di- Si è spaccato il cranio da solo."

Chi mai farebbe una cosa simile? mi domandai. Un soldato devoto alla patria? Un codardo suicida? Qualcuno controllato da altri? Tutti e tre insieme...?

"Io credo sia meglio entrare in contatto con gli altri regni," disse Adrienne con timore, sguardo incerto. Sperai che la mia occhiata minacciosa la facesse zittire, ma continuò speranzosa, "Magari sta succedendo anche a loro o è già successo. Forse hanno delle risposte-"

"No," risposi secca, senza neanche battere ciglia, mostrando tutto il mio dissenso. "Non ho intenzione di entrare in contatto con gli altri Lord. Non voglio avere nulla a che fare con quei quattro."

I cinque Lord. Ognuno governatore di un regno, chi di diritto, chi per nascita. Le cinque figure più potenti dell'intero mondo. Io, Lux di casa Thorns, Yronne di casa Nemni, Ava di casa Ravna, Zahira  di casa Egira e Cassandra di casa Von Gotha. Noi cinque siamo gli attuali detentori del titolo, da ora fino a quando non sceglieremo un erede.

"Lux, ti prego di ragionare e di lasciare il risentimento alle spalle."

Quello che Adrienne non capisce è che non è astio quello che provo, ma odio puro. Le cose che ho dovuto subire non possono essere perdonate, ne tanto meno dimenticate. "Ordinerò a tutti i Capo Casa di aumentare le truppe ad ogni confine, anche quelli tra loro," dissi fermamente. Lei cercò di sostenere il mio sguardo, quasi in modo accusatorio, come se io fossi nel torto. Così cercai di rendere la mia posizione ancora più ferrea, "Questo è il mio regno, io lo governo, ed io lo proteggo, intesi?"

Abbassò lo sguardo ed annuì con evidente dissenso e delusione. "Come preferisci," mormorò, gettandosi di schiena contro la sedia.

"Poi," continuai, "ogni esemplare catturato verrà esaminato nelle proprie strutture così da permettere risultati più ampi. Loro dovranno riferire a te," lei rialzò gli occhi a guardarmi, "e poi tu dirai tutto a me."

Annuì di nuovo, con più sicurezza questa volta. "Va bene, più veloce ci muoveremo più riusciremo a capirne qualcosa."

"Inoltre io contatterò i miei cari corvi neri, così da rimettere in chiaro le miei alleanze." Non c'é spazio per i traditori nel mio regno. "E a seconda di cosa mi diranno libererò il mio fidato segugio."

"In questo ti supporto," disse ricordando i vecchi tempi, e quanti traditori che mi minacciavano ho fatto uccidere. "Ma non mandare la tua bestiolina in cerca di troppe prede, o tutto il gregge si spaventerà. L'opinione pubblica è importante, se ti fai nemiche persone potenti, potresti non avere più il supporto di cui hai bisogno."

"Lo tengo sempre a mente," le sorrisi. "Mi rattrista ancora il fatto che hai rifiutato la mia proposta," le dissi riportando alla mente i primi anni come Lord di Styria. Probabilmente gli anni più difficile della mia vita. Un decennio passato a consolidare coalizioni e a sventare congiure. Adrienne come fidata amica, nonché alleata dalle mia famiglia, mi ha sempre ben consigliata. Anche mio padre la voleva come mia consigliera, ma questo l'avrebbe portata a lasciare prematuramente il titolo di capo famiglia e rappresentate dalla casa Manor al Concilio. E non era quello che lei voleva per se stessa, e in un certo senso neanche quello che io volevo per lei.

"Lo vedo," rise, "non ne hai mai nominato uno."

"Questo perché sei l'unica che merita quel posto." Ma non ho mai smesso di sperare che un giorno sarebbe diventata il mio braccio destro.

"Quante lusinghe, ma il titolo di capo famiglia già mi stressa abbastanza," disse sbuffando. "Ho sempre qualcosa da fare. Tu invece mi sembri con la testa altrove. Durante l'incontro con il concilio ci hai degnati di qualche minuto e poi sei fuggita via, come mai?" Ogni parola era uscita dalla sua bocca con abbastanza malizia da mettermi a disagio. 

Anche se Adrienne è una persona a me cara, che considero parte della mia famiglia, non sa quasi niente di me, solo una parte superficiale che le faccio vedere. Conosce gli scandali che mi hanno coinvolta durate i decenni, ma come tutti gli altri, sa solo i fatti inventati. Fosse stata mia consigliera le avrei potuto rivelare tutto, il mio odio verso i Lord, il vero motivo della morte di Lailah... e in questo caso Eloyn. Ma per quanto siamo cresciute quasi nella stessa culla, il nostro modo di vedere le cose è diverso. Lei non supporterebbe mai la mia relazione ambigua con Eloyn, a meno che non sia un normale rapporto vampiro-servo. Lei non è sadica, ne tanto meno crudele verso gli umani, ma ritiene sempre che i ruoli e le gerarchie vengano rispettate, in questo è molto simile a mia sorella. Motivo per cui la nostra amicizia ha cominciato a vacillare. Amelie, Arkel, Jason, Camilla e tutti gli altri sono stati umani un tempo, e poi da me trasformati. Ad Adrienne non è mai piaciuto tutto ciò, non potrebbe mai capire il perché ho mandato in fiamme un intero villaggio o perché non mi sono mai ripresa dalla morte di Lailah, la mia adorata serva umana.

"So che hai preso una nuova umana," disse con curiosità nel volto, "Erano ormai dieci anni."

"Esatto," dissi con una risata imbarazzata, guardando in basso. Non potevo alzare lo sguardo, avevo il terrore che avrebbe capito tutto.

"Si comporta bene?"

"E' ancora in quella fase di ribellione," dissi sorridendo, ancora fissandomi su un punto vuoto, "ma quello rende il tutto più divertente." Ricordo di aver pensato una cosa simile in passato, ma con sentimenti decisamente meno puri.

 Mi sento quasi stupida ad imbarazzarmi per cose così sciocche. Parlare della mia nuova Bloodgiver dovrebbe essere normale, ma sembra tutto più complicato adesso, e ogni volta che penso a lei o mi fanno domande che me la fanno venire in mente, comincio a sudare e un sorriso si stampa sul mio volto. E' così stupido ma non posso controllarlo. E anche se le cose tra me e Eloyn non vanno ancora bene, spero di tornare presto a casa e vedere di nuovo il suo viso.

"Sì, si vede che non ti infastidisce." disse battendo un dito sulla scrivania, catturando i miei occhi. Ci guardammo un attimo. Io con la mia armatura cercando di impedirle di leggermi, lei con i suoi occhi scrutatori e accattivanti. Eloyn è riuscita a rendermi più... debole sotto certi versi, ma è in questi momenti che il Lord in me riaffiora. "Meglio così," concluse, "speriamo che questa qui duri più delle altre."

Sapevo che era una provocazione, un ultimo tentativo per cercare una risposta alla domanda che le girava in testa. "Tieni a questa umana?" si chiedeva probabilmente. "Sì" sarebbe stata la mia risposta, ma proprio per questo nessuno deve sapere. Allora cercai mantenere la calma. Non fu facile. Il ricordo di Lailah e l'immagine di lei che bruciava, una visione inventata da me, invasero la mia testa e chiusi gli occhi più del dovuto.

"Sei stanca?"

"Sì," dissi alzandomi, "potresti mostrarmi la mia camera, vorrei riposare."

"Certo."

Avrei potuto gestirla meglio, ormai è fatta.

Ma avevo davvero sonno. E dopo un bagno caldo, neanche il tempo di distendermi che mi addormentai. Con la speranza di risvegliarmi nel mio letto e con accanto qualcuno a me familiare, qualcuno il cui sangue non avrei mai più toccato, perché ormai mia pari.

Quello era un accenno alla backstory di Lux che verrà più approfondita in futuro, insieme all'aggiunta di nuovi personaggi. E finalmente avrò la possibilità di introdurre qualcuno dei Lord degli altri regniAl prossimo capitolo~

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 26 - Finirà Mai Tutto Questo? ***


Quanto tempo sarà passato da quando sono stata strappata via dal mio villaggio, dalla mia casa, da ciò che un tempo ritenevo prezioso?

Un mese, due mesi... forse tre?

Quando ero nella magione di Lux mi ritrovavo a contare ogni minuto, ora, giorno. Un'abitudine nata da una brama che si divideva tra vendetta e libertà. Ho desiderato a lungo oltrepassare quel cancello, quando in realtà era ciò che mi proteggeva. Ho smesso di contare le settimane, e ho smesso di avere paura della persona di cui avrei dovuta averne di più. Ho cominciato a conoscerla, ad apprezzarla, e poi desiderarla. Ma adesso ho ricominciato a contare, a sperare di ritrovare la libertà. Qui, in una carrozza, con gli occhi spalancati, avevo visto la notte tramontarsi in giorno, e le mie speranze di essere ritrovata morire, spegnersi come le vite che questi uomini avevano rubato.

L'uomo difronte a me... Titus si chiamava? Con il suo cappello cilindrico e il bastone poggiato sulle sue gambe, non aveva mai smesso di scrutarmi. Quei occhi curiosi, così chiari da sembrare addirittura gialli, mi obbligarono a guardare oltre il finestrino della carrozza. Neve, il paesaggio bianco e vuoto mi impediva di smettere di pensare. Non c'era nulla, niente su cui focalizzarmi, solo il suono delle ruote della carrozza e il pesante respiro dell'uomo robusto sulla mia destra. Teneva le braccia conserte, la testa chinata in avanti e gli occhi chiusi. Sembrava dormisse.

"Meglio non provare nulla di strano, non toccarlo nemmeno" mi intimò Titus, con uno strano sorriso. "Loro non dormono mai."

Loro. Quella parola fece echeggiare in me qualcosa di strano, curiosità o forse addirittura sgomento. Erano le implicazioni ciò che mi spaventavano. L'essere all'oscuro. Cosa sono questi "loro" e perché mi trovo in trappola? Sembra come se tutti sappiano tutto e io nulla. Io sempre in balia degli eventi, gli altri coloro che creano questi ordigni per scombussolarmi la vita. Di sicuro se la mia vita finisse, il creato ne rimarrebbe scontento perché non potrebbe più giocare con me. Effettivamente l'unica cosa su cui ho un briciolo di potere è la mia stessa esistenza, potrei farla finire in un attimo, mi basterebbe qualcosa di affilato o un punto elevato.

Non avevo mai fatto un pensiero del genere, forse sono proprio arrivata al limite.

Cominciai a fissare Titus, sperando che facesse qualcosa di strano, tanto per intrattenermi. Mi guardò di rimando con intensità, un intensità davvero teatrale. Avevo capito ormai che era un tipo strambo. Socchiuse gli occhi, guardandomi con ancora più carica. Si sporse in avanti con il solo collo, con il corpo immobile attaccato al sedile, sembrava un gobbo. E poi si mangiò le labbra e fece un sorriso da ebete. A quel punto sorrisi, e invece che strambo cominciai a considerarlo buffo. Poi fece una di quelle risate gutturali create apposta per far ridere gli altri. Io distolsi lo sguardo coprendomi il viso con le mani legate, nascondendogli il risultato della sua stupidaggine. Quando smisi di coprire il misto di imbarazzo e divertimento, lui era ritornato quello di prima. Si teneva il pizzetto tra il pollice e l'indice, girandolo e toccandolo come se fosse qualcosa che lo rilassasse. Se non avesse avuto baffi e pizzetto probabilmente sarebbe sembrato molto più giovane, forse un ragazzo poco più grande di me, senza il forse.

"Quanti anni hai?"

"Quanti me ne dai?" ribatté con un ghigno. In quel momento riuscii a notare che aveva uno dei premolari di destra fatto in oro bianco.

"Potresti averne venti come trecento, con voi vampiri non si più mai sapere," dissi mostrando un po' di disprezzo con l'ultima frase.

"Ne ho cinquantasei, ma fisicamente ventitré." Aprì le gambe e poggiò entrambe le braccia sopra il sedile e poi con un gesto della mano mi invitò a guardarlo. "Allora?" Io lo scrutai come se avesse fatto una battuta di cattivo gusto. "Sono bellissimo."

"Sì, continua a dirtelo da solo perché quelle parole non usciranno mai dalla mia bocca." Provai a rimanere seria, ma era impossibile. Era un idiota, ma quel tipo di idiota che vuoi avere intorno. 

Quando ritornò serio, io mi persi di nuovo tra i ricordi. Erano successe troppe cose in troppo poco tempo, e credo di aver veramente vissuto solo in questo breve periodo. Nel villaggio la mia vita era monotona, scandita da fendenti di spada e lividi, ogni giorno dalla mattina alla sera. Nel dimora di Lux per quanto strano sia, ho cominciato a capire cose che prima non notavo. Ho iniziato a socializzare nel bene o nel male, comprendendo i comportamenti altrui o quanto le persone possono essere imprevedibili. Mi chiedo cosa stia succedendo adesso in mia assenza. Forse sanno già che sono stata presa, oppure Rhea e Amelie continuano a dormire beatamente nei loro letti. Da Rhea me lo sarei aspettato un tradimento del genere, ha sempre nutrito uno strano interesse nei miei confronti, sia di astio che di curiosità, ma sapere che Amelie era dalla sua parte mi ha fatto più male di quanto avrei potuto credere. Era un'amica... era

Ma c'è qualcosa che non torna. La signora elegante a cui mi avevano venduta è stata uccisa, così come i suoi uomini. Ma allora come hanno fatto questi qui a sapere che proprio in quel momento sarebbe avvenuto lo scambio? Rabbrividii alla consapevolezza che all'interno della casa c'era uno o più traditori, qualcuno che forse aveva scoperto il piano origliando le discussioni tra Reha, Amelie e Arkel, oppure proprio uno di loro.

"Che succede?" chiese Titus. "Non fare quella faccia o mi farai venire la depressione," continuò con voce acuta.

"Meglio, magari vi venisse a tutti e vi buttaste da un burrone."

"Modera i toni, signorina. Noi agiamo solo perché ci viene ordinato."

"Allora, riferisci agli stronzi che mi hanno venduta che possono farsi fottere," dissi con carica aggressiva. "Ah! E dillo anche a chi vi ha mandati."

Improvvisamente il respiro dell'uomo accanto a me si smorzò per poi inalare velocemente. Prima di fare in tempo a scansarmi, mi ritrovai la sua mano sul viso e con forza mi schiacciò la testa contro il sedile. Non sbattei perché morbido, ma la sua mano mi aveva afferrata con una forza tale da sembrare una schiaffo, premendomi anche il naso nel farlo.

"Chiudi quella cazzo di bocca o non ti faccio arrivare integra."

Il suo alito puzzava, la sua mano era sudata e quel movimento rapido diffuse nell'aria un brutto odore di sudore. Io rimasi ferma, anche se volevo afferrare il pugnale che aveva in bella vista attaccato alla cinta e sgozzarlo con tutta la soddisfazione possibile. Evitai anche di morsicargli le dita, ne avrei guadagnato solo un pugno nello stomaco e forse anche qualcosa di più.

Quando mi lasciò notai che Titus aveva un fastidioso ghigno sul volto che si trasformò in una risata genuina quando mimando con la bocca gli dissi: "Non stavo scherzando."

"Riferirò il messaggio, ma solo agli stronzi che ti hanno venduta, a nostra signora dovrai dirlo tu o mi taglierà la testa."

Allora avevo intuito bene. "Chi è la tua signora?"

"Nessuno che tu voglia minacciare, te lo assicuro. Lei è diversa dal tuo Lord."

"Conosci Lux?"

"Non di persona, qualcuno mi ha parlato di lei."

"Quindi saprai che verrà a cercarmi."

Rimase in silenzio. Mi dà anche l'impressione di uno che non sa frenare la lingua e adesso stava palesemente cercando di trattenersi dato che sembra un tipo a cui piace parlare. Non sono riuscita ad estorcere molte informazioni, immagino che scoprirò il  mio destino una volta che ce l'avrò davanti. 

Passarono molte ore dal mio rapimento. Facemmo almeno tre soste, poi io mi addormentai con la testa appoggiata contro la portiera. Non importava quanto tremasse, non mi svegliai mai, del resto grazie allo scherzetto di Rhea e Amelie avevo fatto nottata. Mi svegliai solo dopo quelle che sembrarono sei ore, sia osservando il sole alto nel cielo che sentendo il mio stomaco che brontolava. Ciò che mi fece rizzare improvvisamente la schiena fu l'odore del sangue. C'era Titus che beveva da una bottiglia d'acciaio quello che premisi fosse sangue. Mi guardò alzando le sopracciglia e sorridendo mi portò la bottiglia davanti come invitandomi a bere. Io ovviamente distolsi lo sguardo con un volto disgustato e le labbra piegate.

"Scusa, scusa..." disse sogghignando. "Posso farti una richiesta?" Io annuii pronta ad ascoltare qualsiasi cosa assurda mi avrebbe chiesto. "Posso assaggiarti?" Avevo ragione.

"Cosa?!" 

"Solo la punta del dito, non amo invadere lo spazio personale, allora accetti?"

"Almeno me l'hai chiesto." Allungai le mie braccia legate verso di lui, Titus mi prese i polsi e avvicino il suo volto alle mie mani. Io posai l'indice sotto il suo canino appuntito e mi morse solo un po', nemmeno lo sentii.

"Delizioso!" esclamò tutto contento. "Adoro quel retrogusto agrodolce, mi fa esplodere le papille gustative e venir voglia di prosciugarti."

"E' stata la descrizione più strana, inquietante e sincera che abbia mai sentito."

Sto iniziando a sentirmi troppo a mio agio con loro, è colpa di Lux.  È così strano ricordare quanto odiavo tutto questo. Ma anche se non sono più così spaventata, sono ancora un umana in mezzo vampiri, e la maggior parte di loro non è rispettosa quanto questo strambo.

Viaggiammo per tutta la giornata, mentirei se non dicessi che ogni minuto passato speravo che qualcuno fermasse la carrozza uccidendo questi uomini e ridandomi la libertà. Mi ero addirittura immaginata la scena, ma più i minuti passavano, le ore, sentivo una pesante malinconia sovrastarmi. Volevo piangere. Era da molto tempo che non sentivo questa orribile sensazione di sconfitta e pena per me stessa. Nemmeno quando Lux mi catturò o mi rivelò di aver distrutto lei il mio villaggio mi sentivo così triste, ero più mossa dalla rabbia e dalla frustrazione. Adesso mi sentivo debole, incapace di fare qualcosa, totalmente in balia di ciò che accadeva intorno a me senza possibilità di controbattere o di farmi valere. La maggior parte del pomeriggio lo passai a guardare dal finestrino e capire dove mi trovassi, non che sarei riuscita a capirlo, sono quasi sempre rimasta rinchiusa in casa. Forse lo facevo ancora con la speranza di riuscire a fuggire per poi ritrovare la strada di casa. Come se fosse possibile... L'altra metà del tempo invece la passavo ascoltando Titus parlare ancora e ancora. Parlava delle cose più stupide, come quando aveva cercato di approcciare un ragazzo ubriaco in una locanda e aveva finito per farci a botte, aveva vinto lui a suon di colpi di bastone, "elegantemente però" aveva precisato. La mia salvezza fu la sosta per la cena. Finalmente la bocca di Titus si riempì di cibo e sangue e smise finalmente di parlare. A me invece diedero la stessa misera ciotola di riso del pranzo. Non sono esattamente abituata a mangiare poco, mio padre mi preparava sempre dei grandi pezzi di carne per mantenermi in forma, e a casa di Lux il cibo di certo non mancava. Mangiai con lentezza e tristezza il tutto, seduta nella carrozza con quell'uomo puzzolente accanto, mentre tutti gli altri erano seduti sul prato. Nonostante avessimo viaggiato per un giorno intero, nei paraggi non c'era stata traccia di civiltà, se non qualche casa abbandonata e vecchi campi aridi e impossibili da coltivare. Probabilmente avevano scelto quest'area apposta per evitare incontri scomodi. Quando ripartimmo era calata la notte. Nonostante non avessi fatto nulla sentivo una brutta pesantezza addosso e mi addormentai poco dopo. Mi sveglia solo quando sentii qualcosa smuovermi. Quando aprii gli occhi notai con orrore di essermi appoggiata alla spalla di quell'uomo. Mi staccai da lui con occhi spalancati portandomi da tutta l'altra parte. Forse feci anche qualche verso disgustato, ma ero troppo assonnata per farci caso. Il mio sonno fu inevitabilmente interrotto dalla prima delle solite tre fermate notturne. La cosa non mi riguardava dato che ero bloccata lì dentro, serviva più a loro per sgranchirsi le gambe e ai cavalli per farli riposare. Ma questa volta fu diverso. Titus non scese dalla carrozza, bensì uno dei suoi aprì la portiera. Fortunatamente ero sveglia perché sennò avrei fatto un capitombolo fuori e avrei dato un sonoro bacio al pavimento.

"Signore," disse l'uomo," abbiamo quasi raggiunto il confine, noi ci apprestiamo ad andare."

"Bene, attenetevi a quanto detto. Rimanete nascosti, non attaccate, prendete le informazioni che ci servono dal ragazzo, e poi tornate in patria. La prossima nave è già stata pagata. Tutto è stato preparato, tra una settimana tornerete."

"Perfetto," rispose lui. Poi chinando il capo in segno di reverenza disse: "Abbiate buon viaggio."

"Per la stabilità e l'onore di Tiamana."

"Per la stabilità e l'onore di Tiamana," ripeté l'uomo a sua volta.

A quanto pare, dal quel momento in poi, noi saremo stati gli unici a proseguire e le altre due carrozze che ci scortavano tornarono indietro. Guardai Titus in senso interrogativo. Nave, Tiamana, ragazzo... Tre cose di cui non ho la più pallida idea.

"Cosa?"

"Lo sai."

"No invece."

"Per la stabilità e l'onore di Tiamana," ripetei. "Cos'è, una preghiera?"

"Può essere considerato un motto."

"Un motto?"

"Sei davvero ignorante, eh?" disse tra uno scherzo e una presa in giro.

"Scusa se non ho ricevuto un educazione degna come voi vampiri" dissi con evidente offesa. E' colpa loro se non abbiamo testi su cui studiare, a mala pena conosciamo la storia, almeno sappiamo leggere e scrivere, è l'unica cosa ci hanno permesso di fare. 

"Tu non sopravvivrai," realizzò con un ghigno sul volto, quasi fosse divertito. "Proprio no."

Io corrugai la fronte e poi alzai un sopracciglio. "Elabora per favore."

"La tua aggressività è totalmente incontrollata, rispondi a tono per ogni cosa, anche quando qualcuno scherza, non hai senso dell'umorismo, e se sorridi... be'... ah, giusto, tu non sorridi."

"Ma- no! Io sorrido eccome, prima ho riso!"

"Quando scusa? Non ricordo minimamente."

"Prima! Quando hai fatto quella faccia da idiota!"

Alzò le sopracciglia, chinò un po' il capo e mi guardò con una faccia così ovvia che mi fece ritirare in me stessa e rimuginare. Aveva ragione, la mia irruenza non mi porterà a nulla di buono.

"Io sono un tipo tranquillo, alla mano. Ma quando metterai piede fuori da questa carrozza non troverai affatto persone disposte a sorvolare su un atteggiamento come quello, tesoro mio."

Sospirai, non faceva una piega. Anche se non mi piace ammetterlo, io sono solo un umana, e loro invece sono la razza superiore. Anch'io se fossi nata come vampiro avrei sicuramente avuto la mentalità di tutti gli altri miei coetanei. Avrei considerato gli umani essere inferiori, del resto siamo ignoranti, deboli, barbari. Ma anche noi abbiamo dei sentimenti e questi esseri a volte lo dimenticano. Abbiamo sogni, desideri, una volontà, e voglia di vivere come meglio possiamo, ma invece veniamo considerati cibo. E' tutto così ingiusto.

"Lo dico per il tuo bene," disse sporgendosi. Mi accarezzò la guancia, fu strano e inusuale. Ma avevo percepito in lui un lato buono, non c'era malizia in quel gesto, solo generosità. "Quindi, cerca di fare tutto quello che ti diranno, anche se non ti piacerà."

"Farò ogni cosa mi diranno, ma se mi obbligheranno a fare cose che potrebbero ferire, non il mio orgoglio, ma il mio essere donna, a quel punto non potrò assicurare nulla."

Mi guardò comprensivo e poi annuì. Mi domando a quanti bloodgiver abbia dato quel consiglio e quanti siano effettivamente ancora in vita. Mi chiedo quanti di loro si siano rifiutati di concedere i loro corpi a qualcuno che li vedeva solo come oggetti, e quanti ne siano usciti integri. Per quanto Lux ci abbia provato ad ottenere il mio corpo, rispetto il fatto che si è sempre tirata indietro quando mi ha vista disperatamente contrariata. E quando io stessa le ho dato il permesso, lei non è andata oltre, nonostante lo vedevo che voleva avermi. E' una cosa a cui non avevo mai pensato e adesso che rischio esattamente il contrario mi sento profondamente grata di aver avuto una padrona come lei.

 "Tesoro, tu non se cresciuta qui, immagino." 

"Io son-" mi corressi con rammarico "ero una cacciatrice."

Io suoi occhi si illuminarono improvvisamente, mise il gomito sul ginocchio e il mento nel palmo della mano. "Parlami di più."

"Sono stata catturata durante un'incursione nel mio villaggio, ci troviamo vicino al confine quindi è solito che veniamo attaccati. Quella notte è toccato a me, mi ha presa Lux in persona." Non realizzai di star sorridendo finché Titus non mi lanciò un sorrisetto sospetto.

"Ora capisco perché ti sei corretta" disse tutto entusiasta. "Tu non rimpiangi quel giorno!" esclamò con voce ancora più acuta ed esuberante.

"Perché cercate tutti di rovinarmi la vita!" dissi lamentandomi e perdendo nuovamente la pazienza. 

Titus rise di cuore, io volevo sotterrarmi. Prima Dave ora lui. Sì, l'ho capito, basta!

"Cavolo!" esclamò con le lacrime agli occhi. "Spero davvero che tu non faccia qualche cavolata perché sarebbe un peccato non averti intorno."

"Dato che ti piaccio così tanto, se faccio qualche cavolata metti una buona parola su di me." 

"Ritiro tutto, il senso dell'umorismo ce l'hai!"

"Ero seria..."

Inutile dire che continuò a ridere per i successivi cinque minuti, mentre io lo guardavo impassibile con uno sguardo giudicante. 

Dopo un'ulteriore mezzora di viaggio che passai in dormiveglia, ci inoltrammo per le strade di una cittadina e finalmente arrivammo a destinazione. L'uomo accanto a me mi diede una scrollata di spalle e mi intimò di sbrigarmi. Titus era già fuori. Mi porse la mano aiutandomi a scendere, impedita dalle corde. Mi guardai a torno, e mi bloccai. Per quanto fosse buio, rimasi a fissare quella distesa immensa ed infinita di nero, con quell'odore di sale che mi impregnò le narici. E poi rimasi ancora più turbata dalla grandezza delle barche. 

"Prima volta?" chiese Titus ammirando la mia espressione ebete. Io annuii, tenendo la bocca mezza aperta involontariamente.

"Non ho mai visto un lago così grande."

"Non è un lago, è il mare." 

"Che cos'è?" domandai confusa.

"E' semplice acqua salata che circonda continenti e isole," mi spiegò, ma vedendomi ulteriormente spaesata aggiunse: "Styria è completamente circondata dall'acqua e noi," disse indicando una delle tante barche, "prederemo quella nave per andarcene via."

"Dove?" domandai con un po' panico.

"A Tianama," sorrise.

"No, io non me ne vado," dissi piano. Non posso, come farà a trovarmi! Indietreggiai senza neanche accorgermene. Iniziai ad ansimare per l'ansia, il panico stava per prendere il sopravvento. 

"Per favore, non voglio dare inizio ad atti violenti," disse avanzando. Era davvero accigliato, sapevo che non voleva farmi del male, ma più si avvicinava più sentivo che la mia vita sarebbe finita. Quando mi voltai pronta a correre via, non feci neanche in tempo a fare due passi che una mano possente mi prese la spalla, mi spinse indietro e caddi a terra. Sentii un forte colpo sullo stomaco, un dolore così forte e allucinante che mi sentii svenire. "Piano!" gridò Titus. "La  vuoi morta?!" Da terra vidi Titus raggiungerci e spintonare quel tipo enorme e muscolo che non si mosse nemmeno di un millimetro. Non riuscivo a muovermi, ebbi paura di avere qualche costola rotta. Titus si piegò verso di me, mi scrutò il viso e disse: "Scusa tesoro, è per sicurezza." Mi posò sul viso un fazzoletto dall'odore forte e strano. Mi sentii lentamente scivolare via. Stavo perdendo coscienza. Il dolore scomparse, persi sensibilità, finché poi non riuscii neanche più a pensare.

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Capitolo 31
*** Capitolo 27 - Rischi ***


Lux

Il mio cuore cessò di battere nel momento in cui lessi la lettera. E' così assurdo come un pezzo di carta sporco di inchiostro nero possa toglierti il respiro. Fissai quelle parole scritte in un corsivo veloce e tremante più a lungo di quanto avessi dovuto. 

Torna al più presto, sono stati qui, l'hanno presa.

Una semplice riga era riuscita a mandarmi nel più totale panico. L'iniziale stupore si trasformò presto in terrore e il mio respiro strozzato diventò un insieme suoni anche a me incomprensibili.

Il viaggio in auto fu la cosa più straziante, aspettando in agonia il mio rientro a casa. Fu quando arrivai che persi totalmente la testa.

"Dov'é?" cominciai a gridare per tutta casa. "Dov'é lei?" ripetei aprendo ogni porta ed entrando in ogni stanza. Caddi a terra in ginocchio quando non la trovai nemmeno in camera mia. Sentii il mio viso bruciare, gli occhi umidi, e non riuscii a fermare la mia voce dal gemere e singhiozzare come non avevo fatto in anni. Sentivo il mio cuore che si ritorceva dentro di me e che cadeva lentamente a pezzi, facendomi assaporare ogni secondo di quell'orribile momento di realizzazione. La prima cosa che pensai fu che non l'avrei più vista, che non avrei mai più avuto la possibilità di redimermi, di farmi perdonare e anche amare. Fui investita dai rimpianti, da tutti i se e i ma, da tutte le cose che avrei potuto fare o dire, e poi mi strinsi ancora di più su me stessa pensando al modo in cui ci eravamo salutate, con lei che mi aveva a mala pena guardata negli occhio e io che me ne ero rimasta sulla soglia della porta indecisa su come comportarmi. Volevo tornare indietro nel tempo, ripetere quel momento, anzi, tornare all'inizio e fare tutto nel modo giusto, trattarla bene come meritava, toccarla con gentilezza, baciarla senza malizia... Volevo tornare indietro e impedire alla stupida me del passato di portarla qui. 

Quello che successe dopo fu il vero caos. Rhea mi raccontò dettagliatamente cosa fosse successo quella notte, Amelie e Arkel erano al suo fianco, silenziosi e a disagio. Grazie al racconto di Rhea capii subito perché. Fui assalita dalle peggiori delle emozioni, poco ricordo di cosa accadde.

Mi ritrovai nel mio letto immobilizzata. Cominciai a scavare tra i ricordi e la confusione. Ero arrivata di notte e ora era mattina. Le tende tirate ai lati e tutta quella luce mi fastidì la vista. I miei muscoli erano bloccati, non riuscivo a muovere nulla a parte gli occhi e la bocca. Era solito di Rhea calmarmi in questo modo, un metodo che non smetterò mai di odiare, mi riportava alla mente eventi spiacevoli. Provai a guardarmi in torno nonostante vedessi tutto tremolante. Non c'era nessuno. Solitamente Rhea rimaneva sempre insieme a me fino al mio risveglio, era una sua abitudine. Fin da quando ero piccola quando ero turbata, arrabbiata o impaura lei mi faceva compagnia e mi aiutava a dormire, anche se con metodi poco leciti. Ora era la prima volta che aprivo gli occhi e lei non c'era. Mi domandai perché. Cercai di ritornare indietro con la memoria e poi ricordai. Spalancai le palpebre, tentai di alzare le coperte, rimasi ferma come un tronco. Mi innervosii e poi mi infuriai. Gridai, era l'unica cosa che il mio corpo mi permetteva di fare. Ancora e ancora, la gola mi bruciava, gli occhi mi lacrimavano. Sentivo un vortice in me, provai così tanto in quel momento che le morte sarebbe stata un sollievo. Era un dolore lancinante che non mi lasciava respiro. Mi tormentai, "Non un'altra volta," ripetevo in continuazione nella mia testa, "non un'altra volta!"  Non era bastato perdere Lailha. Mi sentivo così misera e pietosa, e stupida. Stupida per aver nuovamente perso qualcuno a cui volevo bene, stupida per averlo lasciato accadere. 

Quando smisi di gridare e l'unico suono era il mio mugolare, qualcuno finalmente entrò. C'era Rhae, rimase davanti alla porta, mi guardò con dispiacere e poi con incertezza o paura, poi la chiuse alle sue spalle. Mi aveva sentita urlare a squarcia gola, era rimasta lì in attesa aspettando che mi calmassi. Sapevo perché, i segni erano sul suo viso. Rimase ancora immobile ed io riuscii a notare che là dove le miei unghie avevano sfegato la morbida pelle del suo viso aveva applicato una crema. Ero anche consapevole che sotto quei vestiti era piena di macchie nere e blu, e tutto per mano mia, ma non me ne pento.

Si avvicinò lentamente, la mia rabbia infuriò nuovamente. "Vattene!" le gridai con strazio, con il magone il gola e sul vertice di piangere ancora. "E' colpa tua!" Lei continuò a camminare finché non raggiunse il letto. "Perché mi hai fatto questo..." Non riuscii a tenerle dentro, il mio viso fu di nuovo bagnato. A quel punto i miei occhi erano probabilmente rossi e gonfi. Vedevo dal suo sguardo compassionevole che ero messa male, mentalmente parlando, ed io vedevo dal modo in cui si era mossa che l'avevo ridotta male, fisicamente parlando. 

"E' difficile trovare le parole giuste..." sospirò sedendosi ai piedi del letto. Per quello che ho fatto, conclusi io la frase. "Non doveva andare così," disse guardandomi con i suoi occhi pietosi, "mi ero assicurata che lei sarebbe stata bene nella sua nuova casa." Distolse lo sguardo e fissò le sue mani. "Non so perché è successo quello che è successo," strinse i pugni con rabbia, "non lo avrei mai potuto sapere," mormorò quasi a se stessa. "Non lo sapevo," continuò, quasi a giustificarsi con se stessa, ma non mi importava del suo rimorso, se il senso di colpa l'avrebbe lacerata dall'interno allora mi avrebbe risparmiato del lavoro.

"Ti odio," dissi con freddezza.

"Non puoi dirlo!" scattò fissandomi con rabbia. "Mi sono sempre presa cura di te fin da quando eri piccola, ti ho sempre protetta io, non nostro padre, non tua madre, sono sempre stata io, anche quando sei scappata da Ca-"

"Non dire il suo nome!" infuriai, non aveva il diritto di rinfacciarmi tutte le cose che aveva fatto per me, in momenti del genere non me ne potrebbe importare di meno. "Non cambiare il discorso cercando di convincermi."

"Ho sbagliato, ma l'ho fatto per te."

"Pensavo fossi mio sorella, non di Arkel, parli come lui. Non ha caso l'hai coinvolto," risi per l'assurdità, "e ovviamente lui ha accettato." Sentivo il cuore battermi forte, mi stavo innervosendo nuovamente. "E guarda come è finita. So che volevi evitarmi la stessa sofferenza che avevo provato con Lailah, ma invece hai esattamente fatto il contrario!" Ogni parola era un taglio, un fendente dritto al mio cuore, faceva male, più parlavo e davo voce hai miei pensieri, più faceva male. Lei non conosceva il vero dolore di perdere qualcuno, lei avrebbe sempre avuto Amelie al suo fianco, anche se litigavano e si insultavano a vicenda, io ora non avevo nessuno. Avevo solo persone da odiare, ed ero stanca dell'odio, così stanca che se la mia esistenza fosse cessata in questo esatto momento ne sarei quasi stata felice. Ma invece ero qui, immobilizzata e difronte alla persona che avrei tanto voluto prosciugare.

"Chi ti ha aiutata?" chiesi, preparandomi già ad agire nel momento in cui sarei riuscita ad alzarmi. "A parte Amelie e Arkel." La farò pagare anche a loro. 

"Non ce n'è utilità."

"Sono io che decido cosa è utile e cosa non lo è. Nomi, ora." Ma Rhea non mi rispose. A quanto pare è più fedele a queste persone che a me. "Lo scoprirò, non preoccuparti," dissi sorridendole. Lei balzò in piedi.

"Vuoi vendicarti? Davvero scenderesti così in basso?" disse con sguardo ripugnato, ero io quella disgustata da lei!

"Chiunque complotta dietro le mie spalle è un traditore, ed adesso in tempi come questi devo capire chi mi è fedele."

"Cos'è successo dai Manor?" chiese con la fronte corrugata, attaccandosi alle mie implicazioni. Aveva scelto proprio il momento sbagliato per pugnalarmi alle spalle.

"Problemi," le dissi severa, mettendo in disparte per qualche momento la donna distrutta e lasciando parlare il Lord, anche il mio pianto si arrestò, "grandi, oserei dire." Lei mi guardò con sguardo interrogativo aspettando che io elaborassi. "Devo contattare immediatamente le gemelle Castaror e Ife," dissi in fine tirando su con il naso.

Rhea spalancò gli occhi. "Non vorrai spargere sangue nelle file nobiliari?"

"Rhea, tu mi hai detto che Eloyn è stata rapita," pronunciare il suo nome fece più male del previsto, "non uccisa," la mia voce si abbassò. "Devo sapere chi mi sta minacciando, non c'è opzione migliore che mandare in avanscoperta Malicia e Nimna."

"E cosa vorresti fare con Ife? E' brava solo ad uccidere quella ragazza."

"Proprio quello per cui è stata addestrata."

Ife, una ragazza un tempo umana che avevo affidato alle cure di Jemma Capitol, attuale capo della Casata Capitol. Da sempre gran produttori di efficienti guerrieri e, nel caso di Ife, ottimi assassini.

"Devi essere più cauta."

"No. Lei è lì fuori e io la devo trovare."

L'avevo già provato prima questo dolore, ma adesso era diverso, i miei sentimenti erano diversi. Io amo Eloyn, amo la sua testardaggine, la sua sfrontatezza, la tenacia e l'ardore che da sempre la caratterizzano. Sorrisi al pensiero che i suoi rapitori avrebbero dovuto avere a che fare con un caratterino come il suo. Li avrebbe fatti sudare, innervosire ed esasperare, proprio come con me. Ma io l'avevo presa a cuore, forse il mio più grande errore, direbbero alcuni. Lei non era morta, lei era lì fuori, da qualche parte. Ed io sono pronta anche a scatenare una guerra pur di ritrovarla.

Dopo che l'effetto della droga svanì potei finalmente mettermi a lavoro. Quel pomeriggio cominciai a scrivere delle importanti lettere. Contattai Jemma Capitol richiedendo un udienza con lei, specificando che una risposta non era necessaria perché al momento dell'arrivo io sarei già partita per raggiungerla nella sua magione.

Misi in disparte la valanga di emozioni che mi incasinavano la testa e tornai ad essere la Lord che tutti conoscevano: autoritaria, severa, imperativa, ma soprattutto giudiziosa. Rhea mi aveva accusata di non essere in grado di distinguere i doveri a cui ero soggetta e i miei sentimenti. Credeva che il mio legame con Eloyn avrebbe annebbiato il mio giudizio, no, in realtà adesso avevo solo una ragione in più. In passato avevo combattuto per questo regno perché la mia unica casa, adesso avevo anche una famiglia e una persona che amavo, avrei combattuto per loro, per la loro sicurezza e prosperità, l'averi ritrovata e riportata da me, a qualunque costo.

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Capitolo 32
*** Capitolo 28 - Tianama ***


Eloyn

Mi svegliai di soprassalto. Non mi era mai capitato in tutta la mia vita di iniziare la giornata vomitando. Ribattezzai il pavimento con tutta la forza delle mie contrazioni intestinali. L'unica cosa che mi spronò a cercare di capire, tra un succo gastrico e l'altro, dove mi trovassi fu il grugnito di qualcuno. Mi voltai immediatamente alla mia destra e mi ritrovai un omone seduto su una sedia a poca distanza da me. Aveva una faccia disgustata che diventò subito di allerta quando mi vide spaventata. Scesi dal letto e caddi con le miei ginocchia deboli, mi trascinai fino infondo alla stanza, il può lontano possibile da lui e dai suoi bicipiti che mi avrebbero potuta stendere con un semplice colpo. Lui non si mosse, io mi guardai attorno. Era una stanza chiusa con le pareti in ferro illuminata solamente dal una piccola finestrella circolare alla del letto. Avevo la tentazione di vedere fuori ma ciò implicava avvicinarsi a quell'uomo. Era proprio come tutti gli altri suoi compagni, non aveva capelli ne tanto meno peluria sul corpo. Aveva una maglia grigia sbracciata e macchiata di sudore così come il suo viso, eppure non faceva per nulla caldo. La stanza era abbastanza spoglia, con un comodino in legno marco su cui posava una lampada ad olio e poi una libreria vuota con gli scaffali curvati verso il basso.

Sono nella nave, mi ricordai cosa accadde con Titus. Quindi ormai sono lontana da Styria... 

L'uomo aveva lo sguardo fisso su di me, dietro di lui c'era la porta della stanza, l'unica porta. Se volevo uscire sarei dovuta passera sul suo cadavere, il che era abbastanza improbabile considerando la sua stazza. Ma non c'era nient'altro attorno a me, nulla che potesse aiutarmi.

Quando vide che il mio sguardo stava vagando troppo allungo intorno alla stanza, parlò. "E' inutile tentare di scappare," disse con voce calma, sicuramente meno brusca di quello che mi aveva accompagnata in carrozza, "a meno che tu non voglia suicidarti in mare."

"Non sarebbe una cattiva idea," scherzai, ma lo dissi con tale freddezza e serietà che forse ci crebbe. Alzò le sopracciglia come se fosse stupito e poi abbassò lo sguardo riflettendo. Ci fu del silenzio per qualche minuto.

"Vedo che hai il mal di mare," rise indicando il capolavoro d'arte sul pavimento, "sei pallida," aggiunse dispiaciuto. Quella sua apprensione invece di tranquillizzarmi mi fece irrigidire. Ero stata tradita da chi mi aveva promesso gentilezza, non farò lo stesso errore. "Anch'io inizialmente avevo la nausea, dopo un mese mi è passata. Guarda nel cassetto."

Mi avvicinai al comodino, sempre tendendo gli occhi puntati su di lui. Il suo corpo era rilassato e scomposto, come se avesse cercato di trovare una posizione comoda su quella sedia. Tentai di allentare la tensione facendo respiri profondi, per adesso lui non sembrava un minaccia, mi avrebbe attaccata solo se avessi tentato qualcosa di stupido.

Trovai nel cassetto una boccetta in ferro, particolarmente piccola, non più grande della mia mano. Quando annusai il contenuto girai la testa disgustata. Quell'uomo rise ed io lo guardai torva.

"Devi berlo, ti farà passare il mal di mare."

"Non bevo cose che non conosco."

"Io sono ancora vivo, quindi non c'è da preoccuparsi."

Sbuffai e senza pensarci una seconda volta bevvi tutto d'un sorso. Quella robaccia era aspra, un miscuglio di dolce e salato che mi fece contrarre tutti muscoli del viso. Combattei contro me stessa per non sputarla. Qualche goccia mi cadde dalle labbra, ma riuscii con disgusto a mandare tutto giù.

"Non ho mai bevuto nulla di più schifoso."

Lui rise, battendo la mano sul ginocchio. "Però è meglio bere quella roba o avere nausea?"

"Decisamente questa, disgustosa ma veloce."

Non replicò con altro, si limitò a guardami, pensando a qualcosa, finché non disse: "Bene," si alzò, fino a quel momento non avevo notato che appese alla sedia c'erano delle manette, "ti devo mettere queste adesso." 

Camminò verso di me. E' così alto... e grosso. Io indietreggiai. Per quanto si avvinò con sguardo tranquillo e rilassato, io rimasi estremamente intimorita. Quando sorrise, io tentai di rimanere ferma sul posto, mi dissi: Non c'è motivo di avere paura.

Con mia sorpresa si inginocchiò e mi mostrò la manette, invitandomi a dargli i polsi, senza prendermeli con la forza. Il suo viso arrivava al mio petto, così da vicino potei notare le rughe che gli segnavano il volto. Aveva degli occhi castani, le labbra così fine che sembrava non le avesse. Era strano vederlo così da vicino, non mi era mai capitato di vedere qualcuno senza ciglia, sopracciglia. Ma tralasciando questo, aveva un volto davvero bello. Dopo qualche secondo di esitazione io poggiai polsi dentro le manette e lui le chiuse. Poi prese dalla tasca dei pantaloni una piccola chiave, nelle sua mani sembrava minuscola, e con quella non sarei più riuscita a togliermele. 

Quando lui si alzò e si voltò io testai la loro durezza. La catena nel mezzo sembrava decisamente dura, non si sarebbe spaccata così facilmente, e anche rubare la chiave sarebbe stata un'impresa.

"Su, vieni." Spostò la sedia e con un'altra chiave aprì la porta. Io mi avvicinai, rabbrividii quando mi prese dietro alla nuca. Mi guidò fuori senza mai togliere la mano. Non era una stretta forte, la teneva solo poggiata, ma sentirla a contatto con la mia pelle mi fece sentire a disagio ed indifesa. Gliela avrei voluta scansare via, ma avevo paura, e in un certo senso non avevo nemmeno il diritto di oppormi, del resto ero una prigioniera.

Passammo tra i vari corridoi della nave. Erano stretti e non incontrammo nessuno. Quando salimmo delle scale, allora sì che la nave cominciò a prendere vita. Si sentiva qualcuno parlare con un tono decisamente alto dando degli ordini e poi un potente 'Sissignore'. Vidi quasi di sfuggita un gruppo di ragazzi, mi parve tre, intenti a pulire. Ci trovavamo ad un incrocio, stavamo per voltare verso il lato opposto. Uno di loro ci notò mentre il loro supervisore stava ancora parlando. L'uomo gli diede uno schiaffo punitivo e il ragazzo si girò immediatamente. Sentii l'uomo sgridarlo, ma ormai erano solo diventate voci di sottofondo insieme al rumore dei macchinari. Passammo accanto ad altre persone, prima un meccanico che con una scala riparava un pannello nel soffitto, e poi una cameriera con un carrello di lavanderia.

Non sapevo che le navi fossero così grandi, un conto è vederle all'esterno, mastodontiche, ma poi quando ci sei dentro sembra che ci siano innumerevoli strade, quasi un labirinto in cui potresti perderti, ed è in quel momento che capisci veramente quanto siano grandi. 

Quell'uomo mi portò in numerosi corridoi, girando ogni tanto a destra, poi a sinistra, come se fosse confuso su dove andare, ma in realtà voleva solo confondermi per non farmi memorizzare la piantina della nave. Finalmente salimmo altre scale, mi fece fare qualche altro corridoio e poi ci fece fermare di botto davanti una porta. Bussò piano, tanto che mi chiesi dove fosse tutta quella delicatezza in un corpo del genere.

"Avanti," disse una voce acuta a me familiare. "Tesoro!" I suoi occhi si illuminarono quando mi vide, io alzai gli occhi al cielo al quale lui rispose dandomi della stronza. "Grazie Laumar."

Vidi l'uomo sorridere per poi spingermi dentro la stanza e chiudersi la porta alle spalle.

"Allora," disse Titus, "accomodati."

Era una stanza semplice, con il minimo necessario, poco più grande della mia, ma decisamente più dignitosa. Lui era seduto all'estremità del letto e mi indicò la sedia davanti a lui. Quando mi avvicinai notai che sulla scrivania c'era poggiato un piatto in acciaio vuoto ed un altro ancora coperto.

"Scusami, avevo fame," mi guardò innocentemente, "l'altro è tuo, serviti pure."

Sollevai il cloche e il profumo di pesce mi invase le narici. Fossi stata un vampiro i miei occhi sarebbero diventati di un rosso profondo. Presi il piatto con le posate e posai il tutto sulle mie gambe quando mi sedetti. Non mi piaceva mangiare davanti a lui che mi fissava, ma avevo enormemente fame, tanto che prima di affondare il primo boccone chiesi: "Per quanto tempo ho dormito?"

"Un girono intero."

Bene ma non benissimo. 

"Vorrei darti delle dritte prima di raggiungere terra, perché penso tu ne abbia bisogno."

"Vai avanti," dissi con la bocca aperta e tutto il mio interesse puntato sul cibo. Un modo stupido per fargli capire che non mi importavano i suoi discorsi sul 'fai tutto quello che ti viene chiesto senza obiezioni.'

"Sta notte raggiungeremo la terraferma."

Sta notte?! Fermai la forchetta a mezz'aria. Così presto?

"Prederemo un auto, faremo mezz'ora di viaggio e poi arriveremo a Diaspor, dove c'è la dimora della mia padrona."

Finalmente una cosa che mi interessa. "E' stata lei a mandarvi, giusto?" Lui annuì. "Posso sapere il perché?"

Lui sorrise, ma era un sorriso amaro. "Lei non è come la tua padrona, lei è..." alzò lo sguardo cercando di trovare la parola giusta, "vendicativa," poi aggiunse velocemente, "rancorosa, oserei dire."

Si vede proprio che non conosce Lux. "Lux le ha fatto qualcosa?" domandai con estrema curiosità. Posai coltello e forchetta e lo fissai aspettando una risposta.

"Questo non è il motivo per cui ti ho fatta venire qui."

Io lo implorai di rispondere con lo sguardo. Ci sono ancora molte cose che non so di Lux, io voglio sapere tutto ciò che la riguarda.

"Eloyn, voglio solo avvertirti-"

"No, mi dirai nuovamente quello che mi ha detto l'altro giorno, non è così?"

"Voglio aiutarti," disse preoccupato con un viso accigliato che non gli si addiceva proprio. Che attore farlocco.

"Perché? Nemmeno mi conosci." Lui alzò gli occhi al cielo, questo si che gli si che è da lui.

"Senti," cominciò, utilizzando un tono di voce più scocciato, il suo vero tono di voce, "penso di sapere cosa succederà a presto. Io sono qui per rendere più gradevole il tuo soggiorno, così se succederà qualcosa di spiacevole, tu metterai una buona parola su di me."

"Penso di essermi persa qualcosa."

"Non essere stupida. Il tuo Lord prima o poi scoprirà chi ti ha presa, è quello che la mia Signora vuole. Tu sarai la scintilla che darà inizio al grande fuoco," disse in modo drammatico. "Io sarò al tuo fianco per tutta la tua permanenza, sono gli ordini. Stare accanto a te mi mente estremamente in pericolo. Quando Styria cadde sotto l'anarchia cinquant'anni fa, Lux Thorns è riuscita a ristabilire l'ordine, ha ucciso tutti i traditori, uno ad uno. Non c'è alcun dubbio che riuscirà a raggiungerti, e se raggiunge te, allora arriverà anche a me, e a quel punto io voglio essere il tuo migliore amico, un fidato compagno che non faresti mai uccidere."

Per quanto volessi picchiarlo per volermi usare come scudo, quello che disse mi risollevò enormemente il morare. Sorrisi, tanto da quasi ridere di gioia. Lux sarebbe riuscita a trovarmi, in un modo o nell'altro, dovevo solo resistere.

"Devi meritartelo il posto di 'migliore amico,'" dissi prendendolo in giro. 

Lui sbuffò. "Okay," rispose con voce acuta. "Ora finisci di mangiare e poi vattene, ho bisogno di riposo."

Come no, pare essersi svegliato dieci minuti prima che arrivassi. Che primadonna.

"Perché sogghigni?"

"Nulla," dissi riprendendo a mangiare. Lui mi guardò di sbieco.

Quindi, la sua padrona vuole che Lux mi trovi. Cosa ci otterrebbe però? Poi non capisco perché io, avrebbe avuto più senso se avessero preso Rhea, che è la sorella. Perché hanno preso me che teoricamente sono solo la sua Bloodgiver? E' vero che Lux è stata molte volte ambigua nei miei confronti ma mai al di fuori della magione. Forse... c'è qualcuno con la lingua troppo lunga in quella casa.

Quando ritornai nella mia camera, Laumar riprese la sua solita postazione, ed io mi misi a fissare il mare attraverso quella finestrella circolare. "Si chiama oblò," disse il mio sorvegliante. Non era nulla di eccezionale, si vedeva solo acqua, non era diverso dal lago del mio villaggio. Fui presa dalla noia, e poi dalla paura con il passare delle ore, presto avrei toccato terra, cosa mi sarei dovuta aspettare?

Laumar cominciò a parlarmi della struttura geografica del regno, sembrava simile a Styria. Divisa in ducati, Tianama è uno dei regni più grandi, moderni e più ricchi, con un popolo decisamente patriottico. Un regno che ha costruito se stesso iniettando paura e terrore. Diaspor, la capitale, è dove risiede il Governatore, o come è solito dire, il Lord. Una zona neutrale che appartiene personalmente al suo Signore. Quando ho cercato di scavare più in profondità capii che non sapeva molto, voglio dire, anche un abitante di Styria sarebbe riuscito a darmi le stesse informazioni che mi aveva dato lui. Ma non c'era motivo di cercare risposte che avrei presto avuto. Quella notte attraccammo.

Il porto era privo di vita, con piccole imbarcazioni legate alla banchina, o altre grandi altrettanto quanto quella su cui sto sopra. Laumar prima di uscire dalla stanza mi fece mettere un pesante collare legato alla lunga catena che stringeva in mano. Mi fece un sorriso di scuse ma non riuscii a trattenermi dal commentare quanto fosse disumano. "Come un animale, eh?"

Scesi dall'enorme passerella della nave, a passo così lento che Laumar mi fece accelerare con una spinta dietro la schiena. Di fianco e dietro a noi c'erano uomini e donne dalle sue stesse fattezze fisiche. A quel punto mi chiesi se loro fossero una specie a parte, uno strano popolo di una strana terra. Davanti a noi camminava Titus, sguardo fiero e testa alta. Si vedeva che era contento di ritornare nel suo paese. 

C'erano delle automobili in fila ad aspettarci. Sembravano più moderne rispetto a quella di Lux, non immedesimavano più la forma di una carrozza. Non erano in legno lucido bensì fatte di metallo ed erano decisamente più basse. Titus entrò in quella di mezzo, come se le altre gli avrebbero fatto da scudo e dal finestrino ci fece segno di entrare. Laumar mi mise una mano sulla testa e mi spinse dentro con violenza. Rimasi per un momento atterrita da quel gesto inusuale, ma poi capii che non eravamo più in una stanza chiusa, eravamo all'aperto e lui doveva mostrarsi come gli altri si aspettavano. Mi mise una benda sugli occhi e l'automobile partì. Rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio che non durò più di venti muniti. Quando ci arrestammo, anche il mio cuore si fermò. Era arrivato il momento, ormai ero in territorio nemico. Sentii Laumar scendere e poi tirami fuori con la catena. Quasi inciampai, ma mi aggrappai a lui, almeno questo me lo permise. 

"Arrivati!" disse Titus con quello che sembrava un sorriso davvero entusiasta. 

"Potete togliermela?" domandai riferendomi alla benda sugli occhi.

"Farai meglio a fare silenzio a meno che tu non sia interpellata," mi rispose Laumar con voce fredda. Io mi ammutolii.

Se prima mi accompagnava tenendo una mano dietro la mia schiena o sulla nuca, ora mi tirava con quella maledetta catena, e il fatto di non riuscire a vedere rendeva l'atto di camminare ancora più difficile. Sentii la breccia sotto le scarpe, ogni passo la mia ansia aumentava. Titus cominciò a sbattere quello che sembrava un battente ad anello contro la porta della magione. Il portone si aprì e sentii Laumar avanzare, io mi mossi con lui, evitando che mi tirasse. Una volta entrata, inondata dal calore della casa, finalmente, mi tolsero la benda e il portone dietro di me si chiuse. Non era, ma nemmeno lontanamente, l'ingresso principale. Era una stanza totalmente vuota con delle guardie a sorvegliare, tra di loro delle lunghe scale portavano in basso. Capii subito dove mi stavano portando.

Non in gabbia... no!  

Laumar mi tirò con violenza quando mi vide restia. E mi cedette ad una delle due guardie.

"Eloyn." Io mi girai con sguardo pietoso verso Titus. "Incontrerai sua Signoria domani, ora riposa."

"In una cella?!" inveii. "Non sono un animale! Non merito di essere tratta così."

"Andiamo," disse a Laumar voltandosi.

"Aspetta-" Sentii il respiro fermarsi in gola. La guardia mi strattonò con la catena con una violenza tale da gettarmi a terra.

L'altra guardia rise e poi, senza neanche a darmi un avvertimento, mi colpì subito al volto con un calcio e non ci misi molto a perdere i sensi.

"Umani..." disse in modo dispregiativo.

Quella fu l'ultima parola che sentii quella notte.

Mi svegliai a causa di un rumore assordante che mi mise subito in allerta. Ero distesa sul gelido pavimento e mi alzai con rapidità. Era solo la guarda che aveva battuto un bastone di metallo contro le sbarre. Rise quando posai il mio sguardo su di lui. Probabilmente ero in uno stato orribile. Ero stata gettata a terra senza alcun riguardo. Mi bruciava il labbro, con la punta del dito mi toccai. Avevo un taglio con del sangue secco.

"Su, alzati," disse l'altra guardia, la donna che ieri mi aveva strattonata e gettata a terra, "e tu smettila."

"Va bene, va bene."

La donna aprì la serratura e entrò con autorevolezza nella cella. Io indietreggiai per paura delle sue intenzioni. Aveva in mano il collare in ferro. Mi invitò ad avvicinarmi. Feci come mi disse, a testa china e intimorita. Mi alzo il mento con il dito, il suo volto neutro, e lo chiuse intorno al mio collo. Con la catena già nella sua mano, mi tirò facendomi uscire. Il suo compagno mi guardo con superiorità e con un ghigno, e per poco non mi fece sbuffare. Ormai dovevo stare attenta, non avevo più la protezione di Lux.

Camminai attraverso i corridoi delle segrete, se questo era il termine giusto, sembrava una prigione, di quelle che abbiamo nei nostri villaggi.

Non sapevo quanto fosse grande questa magione, ma sicuramente i suoi sotterranei lo erano. Per quante volte salimmo le scale, non arrivammo mai in superficie. Mi portò in una camera, c'erano delle donne vestite in bianco e con capelli legati, mi accolsero con entusiasmo.

"Adesso ti rimettiamo apposto," disse una di loro.

Io le guardai un po' confusa, per poi rivolgere lo sguardo verso la guardia. La donna si voltò verso di me, mi tolse il collare e le manette e si mise davanti alla porta.

"Comportati bene," mi ammonì.

Una delle donne in bianco mi prese il polso con rapidità, e nonostante avesse un sorriso sul volto, io scattai indietro.

"Ehi!" urlò dietro di me la guardia. "Non farmi ripetere."

La donna tentò una seconda volta di toccarmi, ed io con fastidio glielo lasciai fare. Mi portò dalle sue compagne, e insieme ad altre due mi fecero entrare in una stanza. C'erano delle doccie. A quel punto capii. Una di loro tentò di spogliarmi, io le scansai la mano, mi guardò quasi offesa.

"Faccio da sola!" Arrosii violentemente, nessuno mi aveva mai vista completamente nuda.

Mi spogliai sotto i loro occhi, ma non mi vedevano come fossi un oggetto sessuale o cibo. Mi fissavano, sì, e, certo, mi metteva a disagio, ma i loro occhi mi osservavano come se fossi una bambola che dovevano modellare. Mi tranquillizzai. Le docce non erano chiuse nemmeno da una tenda e sembrava che quelle donne non avessero intenzione di darmi della privacy. Mi misi sotto il soffione, a terra sulla destra c'era una boccetta, probabilmente del sapone liquido. La presi e mi girai verso di loro, annuirono tutte e tre. A quel punto cominciai a lavarmi, l'acqua che cadeva ai miei piedi era visibilmente sporca, del resto la cella in cui ero stata rinchiusa era piena di polvere e terra.

Mi diedero un grande asciugamano, una di loro me lo mise sulle spalle ed io mi coprii. Mi fecero sedere su una sedia, mi strofinarono un asciugamano più piccolo sulla testa e cominciarono. Mi asciugarono i capelli, mi fecero vestire, mi misero apposto.

Approcciai la guardia. Era poggiata contro la porta, con una spinta si protrasse verso di me. Avvicinò il suo volto al mio, era molto più alta di me. Sembrò annusarmi e mi scrutò. Annuì alle donne in bianco dietro di me, per poi rimettermi sotto i ferri.

"Adesso sei pronta."

Finalmente mi portò in superficie, lo capii dal cambio di arredamento. Quando aprì la porta, mi ritrovai nella grande entrata, sulla sinistra, in fondo c'era infatti un grosso portone con due servitori. Ai lati delle pareti invece c'erano delle guardie. Il pavimento era un insieme di figure geometriche colorate che creavano conformazioni a specchio. Anche casa di Lux era bella ed elegante, ma questa... era tutto un altro livello. C'erano delle scale davanti a noi, sia a destra che a sinistra che portavano al piano superiore che si affacciava al nostro. Era come un enorme balcone. Avanzammo. La guarda mi guidò su. Le parenti erano dotate di enormi vetrate che illuminavano tutta la magione, con tende rosso sangue scansate ai lati. Nel punto in cui convergevano le due scalinate c'era un lungo corridoio ai cui lati si ergevano due alte, e lunghe per tutto il corridoio, librerie. Mi chiesi se era davvero possibile leggere tutti quei libri.

La casa era immensa ed io davvero non riuscivo ad immaginarmi dove stavamo andando. Avrei conosciuto la padrona, ma dove? Avevamo già superato quella che sembrava una sala, lasciata scoperta alla vista grazie alla porta a due ante fatte in vetro trasparente e riscaldata da un camino acceso. C'era qualcuno dentro ma non riuscii a vedere bene. Seguendo quella strada ci ritrovammo davanti a un grade portone il legno. Lì Titus ci aspettava, ero finalmente arrivata.

"Pronta?"

"Direi proprio di no."

"Bene," rise. "Andiamo."

Prese la catena dalla mano della guarda e aprì il portone. Io mio cuore andava a mille.

Mi ritrovai in una mastodontica sala. E poi la vidi. Rialzata da terra con qualche scalino, sedeva su un trono una donna.

"Sii rispettosa," bisbigliò Titus, "e andrà tutto bene."

Ai piedi di lei, due uomini erano inginocchiati. Ma quando mi vide, quando posò i suoi gelidi occhi su di me, il suo volto annoiato si trasformò. Sorrise, ma non ne capii la natura. Sventolò la mano congedando i due uomini, che prima di andarsene chinarono il capo un ultima volta.

Titus si mosse ed io lo seguii.

"Non guardarla negli occhi, tieni sempre la testa bassa, a meno che non ti dica lei di fare il contrario."

Abbassai la testa. Non c'era nemmeno bisogno che lo dicesse, l'avrei fatto comunque. So quando stare al mio posto, l'avevo imparato, e questo era momento. Quanto mi sbagliavo.

Mossi con terrore le mie gambe sotto il vestito candido che quelle donne mi avevano costretta ad indossare. Più mi avvicinavo, più il terrore si faceva strada in me.

"Mio Lord." Titus si inginocchiò, io lo seguii.

Ha detto Lord?! E lì feci l'errore di alzare lo sguardo e fissarla dritta negli occhi.

Avevo capito che sarebbe stato diverso. Lì dinanzi a lei, in ginocchio, alzai lo sguardo e mi bloccai. I miei capelli si intrecciano con la mano di Titus, e con la sua forte presa mi piego la testa verso il basso. Ma i miei occhi non potevano guardare altro. Quella donna, così elegante, occhi gelidi e le labbra serrate, mi fissava con un terrificante sguardo che non potei più muovere un muscolo, nemmeno sbattere le ciglia. Scosse la testa e la mano di Titus smise di far valere la sua forza si di me. E potei finalmente raddrizzare la spina dorsale.

Titus si alzò e sentii i suoi passi allontanarsi sempre di più. Ora c'ero solo io.

"Alzati ragazzina," disse lei, io potei solo obbedire. La sua aura era terrificante. "Fai un passo in avanti." E mentre salivo il primo gradino, lei continuò. "Di più," e poi ancora, "più vicina." Finché non mi trovai davanti a lei, un metro di distanza. "Ma guardati," disse con un sorriso, "hai lottato," disse alzandosi dal trono. Tentai di fare un passo indietro ma lei afferrò la catena e con una scatto trovai il mio viso a pochi centimetri dal suo. Cominciò ad osservarmi. Mi tenne ferma prendendomi il mento. "Non sembra una cosa seria, bene." Le sue mani erano fredde. Quel contatto mi fece rabbrividire. I suoi occhi, calmi e tenaci, erano di un rosso profondo. Strinsi gli occhi quando il suo si avvicinò ulteriormente. Sentii qualcosa premere contro il mio labbro inferiore, dove il calcio di quell'uomo aveva lasciato una ferita. Era qualcosa di bagnato, soffice, ma fu veloce. Aprii gli occhi appena in tempo per vedere quel vampiro assaggiare il mio sangue con gusto. "Sai saporita," disse soddisfatta, "Nessun dubbio sul perché ti abbia presa." Ritornò sul suo trono, sedendosi come se possedesse il mondo. "E non c'è da stupirsi che ti terrò." Strattonò la catena ed io caddi ai suoi piedi.

Sapevo che era l'inizio della fine, e se credevo che Lux sarebbe stata la mia morte, quella donna era l'inferno in persona.

"Io sono Cassandra Von Gotha il Lord di Tianama, e tu piccola umana, sarai il mio nuovo animaletto."

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 29 - Cassandra Von Gotha ***


Lux

C'è stato un tempo in cui ero felice. Una bambina ingenua che vagava nelle sicure e accoglienti mura di casa. Non avevo paura di nulla, di nessun corridoio buio, delle figure oscure che la mia mente fantasiosa creava, niente. Rhea era sempre stata con me, era già una vampira adulta quando io nacqui, il tempo si era arrestato per lei e aveva mantenuto intatti i suo bei capelli neri e la sua pelle liscia. Uguale, identica a mio padre, ma solo di aspetto. La nostra famiglia non è mai stata come le altre, sempre cene a cui partecipare, feste a cui attendere, sempre mostrando decoro e risolutezza. Mio padre confidava in Rhea nonostante l'avesse avuta fuori dal matrimonio, non l'aveva mai considerata una bastarda, e anche mia madre con il tempo aveva accettato la sua presenza. Del resto lei era solo venuta al mondo, non era colpa sua. Avrebbe dovuto ereditare il titolo di Lord Reggente e la sua candidatura sarebbe stata proposta al concilio dei quattordici e la votazione avrebbe deciso la sua incoronazione. Non fu così. Ero accanto a lei quando le sentii dire un forte e deciso "No." Mio padre abbassò il capo con delusione e poi mi disse di uscire dalla stanza. Discussero, forse restai ad origliare la loro conversazione per più di un'ora. Alla fine lei se ne andò di casa. Ritornava dopo un paio di mesi, raccontandomi dei suoi viaggi, i posti favolosi in cui era stata. Mi faceva vedere tutto con una mappa che portava sempre con se, mi indicava le città, le strade che aveva percorso, il mare che aveva solcato. La ammiravo. Io rimasi confinata nelle mura di casa, presentata a capi famiglia importanti del regno, offerta come sposa sempre per scherzo. Le persone ridevano, io sorridevo a mia volta. Crebbi stringendo le mani delle persone che un giorno sarebbero state la mia rete di conoscenze e alleanze, non si parlava mai di amicizia. L'unica persona che si avvicinava a quella definizione era Adrienne, stessa età, stessa responsabilità. Crescendo le nostre opinioni cominciarono a differire, ma questo non ci rese mai nemiche. A sedici anni imparai cosa si provasse ad essere visti come oggetti sessuali. Ero troppo giovane per capirlo, credevo ancora che tutte le persone intorno a me avessero un animo buono. Mio padre continuava a scherzare sul mio futuro matrimonio, mia madre sempre indifferente. Finché un giorno quello scherzo non divenne realtà e quella stessa persona che che mi vedeva come un giocattolino da esplorare non chiese la mia mano. Avevo appena raggiunto i miei ventitré anni e la mia giovinezza si era bloccata. Mio padre accettò con entusiasmo la proposta, mia madre seguì la sua decisione, mia sorella, invece, era più restia. Io? No, non avevo diritto di scegliere. Fui data in sposta alla Lord Reggente di Tianama, Cassandra Von Gotha, per segnare l'alleanza tra i due regni. Avevo visitato la sua terra numerose volte e lei era venuta nella mia altrettante. Non avrei mai immaginato che mi sarei ritrovata nel suo letto. A quel punto capii che quegli incontri che mio padre organizzava tra le nostre famiglie era proprio per arrivare a quello, un matrimonio combinato tenuto assieme da accordi, soldi e promesse scritte su carta.

La prima volta che ci incontrammo era primavera. La sedicenne che era in me era emozionata all'idea di incontrare per la prima volta nella sua vita una persona così importante come il Lord di un altro regno. La vidi scendere dalla carrozza con eleganza e raffinatezza. Indossava un lungo vestito argentato, la sua pelle era chiara, così come i suoi capelli. Non avevo mai visto qualcuno albino prima d'ora. Era austera nella postura, autoritaria nello sguardo, fine nei movimenti. La sua giovinezza si era fermata in un età compresa tra i ventisette e i trenta, abbastanza raro. Ma era bella, non potevo smettere di guardarla. Era accattivante, il suoi occhi mi tenevano incollata. Fu in quel momento che sperimentai per la prima volta il desiderio. Non volevo solo essere notata, volevo essere vista, ed accadde, forse non proprio nel modo in cui volevo io. Mi toccò il viso sorridendo, mi leccò il collo. Io rimasi immobile, pietrificata. Mi disse sottovoce che era un modo di fare dove proveniva lei, ma io mi sentii sporca. Mio padre trasformò il suo disagio in un sorriso finto, nemmeno uno come lui se lo sarebbe aspettato. Non lo fece con altri, strinse la mano di mio padre e di mia madre come era solito fare, e sorrise sempre.

La seconda volta fu organizzata una festa e la mia famiglia fu invitata. Cassandra ci inviò la sua flotta personale, persino la scorta, pensai con un ghigno. Avevo appena compiuto diciannove anni. Mi prestai al suo cospetto con una mentalità diversa, più imprudente, più maliziosa, proprio come lei. Volevo la mia rivincita, volevo riavere indietro quel pudore che mi era stato tolto, anche se ci avrei rimesso un po' la faccia. Strinse la mano ai miei genitori e a Rhea, anche lei espressamente invitata. Quando arrivò il mio turno, lei mi prese la mano, ma io non mi fermai, feci un passo in più, lei rimase ferma, sapeva quello che stavo per fare. Le leccai il collo nella stessa maniera in cui lei aveva fatto con me. Le bisbigliai all'orecchio: "Mi piace essere rispettosa dei costumi altrui." Glielo dissi con un ghigno sul volto, soddisfatta dal profondo del mio cuore. Lei mi guardò compiaciuta, ma il nostro gioco di sguardi finì quando mio padre mi strattonò verso di lui.

"La deve scusare!" disse lui nervoso.

Io continuavo ad avere un'espressione soddisfatta, non mi importava d'altro. Quando mi voltai vidi Rhea guardarmi con apprensione, come fa una madre quando vede che c'è qualcosa che non va con il proprio figlio. Mia madre invece rise.

"Non c'è assolutamente alcun problema," sorrise, "é una cosa nostra."

Fu quell'affermazione che mi incupì. Doveva essere una tradizione del tuo popolo, non una cosa tra di noi. Avevo sedici anni, ripetevo nella mia testa.

Penso sia stato in quel momento che mio padre capì che c'era uno sbocco. Che c'era un effettiva possibilità che io e quella donna potessimo contrarre il matrimonio. Probabilmente aveva visto che nutriva dell'interesse in me ed io altrettanto, anche se non era vero.

Furono combinati degli incontri nel successivi quattro anni, ci vedevamo almeno una volta al mese. Inizialmente erano cene in famiglia, con mio padre e mia madre come ospiti principali, del resto lui era il Lord di Styria, non io. Ma lo sapevo che la mia presenza era obbligatoria. Rhea si rifiutava, non le piaceva quella donna. Ogni volta che sapeva che sarebbe venuta nella nostra magione, o partiva prima se già era qui, o posticipava il suo arrivo. La capivo in un certo senso, Cassandra mi inquietava, ma mi incuriosiva allo stesso tempo, è questo che ha sempre differenziato me e Rhea. Lei era sempre stata più brava a tenersi lontana dal pericolo, io invece quasi lo ceravo.

Cassandra aveva un modo di parlare davvero fine. Ti faceva sentire sempre a tuo agio, non si distraeva mai dalla conversazione, era cortese, e annuiva sempre con un caldo sorriso. Anche quando le opinioni di mio padre si scontravano con le sue cercava sempre di assumere una posizione inizialmente neutrale e di ascoltare cosa avesse da dire. Non rispondeva mai a tono, anzi, ti diceva che non avevi per nulla ragione con una scioltezza e accortezza che a volte non si percepiva nemmeno la presa in giro dietro. Si sentiva superiore agli altri, forse è una delle poche cose che ho notato prima io e poi mio padre. Non si notava facilmente, sembrava che mettesse sempre tutti sullo stesso piano, ma c'era sempre quella frase o parola in più che la tradivano. Forse era proprio la mia crescente ossessione nei suoi confronti che mi faceva accorgere di cose che gli altri non vedevano.

Lentamente le nostre cene di famiglia, divennero cene private tra noi due e da quel momento lei non venne più a Styria, ero sempre io che dovevo spostarmi. Mentirei se dicessi che ero costretta. Volevo vederla, mi attraeva e non sempre in senso positivo. Mi offrì una stanza da letto, sarei dovuta partire la mattina dopo. Non la utilizzai quella notte e non partii il giorno dopo. Mi sentivo piccola in confronto a lei, o forse indifesa è il termine più adatto. Mi muoveva come fossi la sua bambola e io la lasciavo fare. Il suo tocco era freddo, e c'era brama nei suo occhi. Una mano tra le mie gambe e un'altra dietro la nuca mentre mi baciava fu tutto quello che ci volle per mettermi a sua disposizione. Ero sua ormai, nel vero senso della parola. Mi ero concessa a lei una volta e lei era riuscita a prendersi tutto. Fu da quel momento in poi che fui costretta. La cosa non mi diede fastidio all'inizio, mi piaceva stare tra le sue braccia, anche se era il piacere quello che cercavo, non il suo amore. Forse ero diventata dipendente da quello che mi offriva, da quello che mi faceva sentire. Con il tempo le nostre piacevoli serate, cominciarono a non essere poi più così tanto piacevoli. La prima volta che accadde pensai fosse un fatto isolato, una cosa che non sarebbe mai più successa, ma ero solo ingenua e stupida.

"Vieni qui," disse lei sdraiata su letto. Io ero in bagno, ancora con i capelli bagnati. Farmi vedere nuda da lei ormai non mi imbarazzava più.

Mi girai, feci un ghigno, e poi tornai a fare quello che stavo facendo. Attraverso le specchio la vidi alzarsi, scomparì dal mio campo visivo per qualche minuto e poi sentii le sua braccia intorno a me. Solitamente non era così affettuosa. Risi per quel comportamento infantile. Ma quella delicatezza presto svanì. Mi fece girare verso di lei, mi prese il volto tra le mani e premette le sue labbra contro le mie. Erano umide e avevano un sapore strano. Mi trovai contro il lavandino, con il suo corpo premuto contro il mio, così forte che sembrava volesse schiacciarmi. Gemetti per il dolore alla schiena. Pensai che forse così si sarebbe fermata, ma invece era proprio quello che voleva. Riprese il mio volto con entrambe le mani e mi tenne ferma, la forza con cui lo fece mi spaventò. Stavo per allontanarla quanto mi baciò per una seconda volta, ma non era come il semplice bacio a stampo di prima. C'era violenza nei suoi movimenti dovuta dalla fretta. Capii perché quando mi arresi a lei. Aprì leggermente la bocca aspettandomi qualcosa di piacevole. Mi ritrovai del liquido agrodolce che lei mi costrinse a prendere dalla sua bocca. Avrei voluto sputarlo via per paura, ma lei me lo impedì. Si staccò da me e premette la mano sulla mie labbra, e per rendermi ancora più assoggettata, prima mi leccò il collo come ormai era tradizione per noi, e poi mi morse. Sentii i suoi canini entrare nella mia pelle e le energie abbandonarmi. Tentai di resistere ma poi le mie gambe cedettero e sentii del piacere su tutto il corpo. Ansimai senza capire perché era così diverso dalle altre volte. Lei mi prese in braccio e mi gettò su letto, io non avevo la ferza per muovere un muscolo ma sapevo che tutto il mio corpo era in preda a continui tremolii. Sentivo un fastidio continuo che da solo non si sarebbe placato, se avessi avuto la forza l'avrei presa, spinta sopra di me. Ma lei già sapeva cosa stavo pensando e di cosa il mio corpo aveva, e non aspettò un attimo di più.

La mattina successiva mi svegliai con la consapevolezza di essere stata drogata e crebbe del disgusto nei miei confronti, per quello che volevo che mi facesse e per quello che aveva effettivamente fatto.

Andò avanti così, ancora e ancora, ormai ero legata a lei. Mio padre mi obbligava ad andare dicendomi: "Sono il regno più potente, non dobbiamo metterli contro di noi. Fai tutto quello che ti dice, concedi te stessa se devi." Ma io mi ero già concessa, solo che adesso non lo facevo più per mia volontà.

"E' solo un gioco," diceva lei, "un esperimento."

Eravamo sedute sul letto, le nostre gambe ancora intrecciate le une con le altre. Ansimavo per la fatica, riposandomi sulla sua spalla. Lei mi teneva stretta, petto contro petto. Il mio cure batteva veloce, il suo era calmo e tranquillo, così come la sua voce. "Brava ragazza," diceva tracciando con le sue dita la mia schiena. "Non mi deludi mai." Ma a volte raschiava le sue unghie contro la mia pelle solo per il gusto di vedermi inarcare la schiena e mimare quello che era accaduto attimi prima. E rideva assaporando ogni secondo in cui faceva prevalere la sua persona su di me. Poi la sua mano, dalla schiena passava al mio fianco, poi il mio addome e poi più in basso, ricominciando senza darmi tregua. Così, per l'ennesima volta, la servitù senti la mia voce tra i corridoi della magione, provando pietà o invidia.

Il giorno dopo mi svegliai dolorante, ma vedere qualche livido e graffio sulla pelle bianca di Cassandra mi fece sentire un po' meglio. Volevo andarmene, essere drogata e costretta non era qualcosa che rientrava nella mia lista di esperienze di vita da fare. Ma anche se quel giorno sarei ripartita per tornare a casa, sarei comunque rimasta incatenata a Cassandra, perché a mia insaputa, lei e mio padre avevano già firmato delle carte che sancivano la nostra futura unione.

Dopo aver passato due anni nel suo letto, arrivò il giorno in cui mi fu annunciato che avrei dovuto passarci l'eternità. Me lo ero aspettato, a volte mi ero chiesta quando sarebbe stato il giorno deciso. Mio padre me lo disse con un sorriso ed io accettai la notizia con apatia. Forse, ripensandoci adesso, non era vuoto quello che stavo provando, forse vera e propria disperazione coperta da una faccia senza emozioni, perché in quel momento stavo provando troppo. Avrei passato l'eternità con la donna che aveva osato toccarmi in modo inappropriato già all'età di sedici anni, e che più tardi mi avrebbe drogata più e più volte per il semplice gusto di vedermi inerme e ai suoi piedi.

"No."

"Cosa?" domandò pensando veramente di aver capito male.

La conversazione andò avanti per un ora intera, con io che gridavo quello che mi aveva fatto, e lui che a sua volta gridava: "E' un piccolo prezzo da pagare!" Sapevo che non l'avrei mai smosso dalle sue convinzioni.

Qualche giorno passò e poi mi trasferii nella magione del Lord di Tianama. Per noi immortali il tempo è diverso, percepiamo tutto in modo veloce e rapido, una storia d'amore, la morte di qualcuno caro, un matrimonio. I mesi che passavo con lei sembravano settimane, e il tempo scorse così velocemente che non mi resi conto dell'arrivo del mio terzo anniversario di matrimonio, e poi il quarto, il quinto, il decimo. Rimasi impigliata nella sua trappola per un secolo, per gli umani e per i vampiri mortali sarebbe una numero assurdo. "Come avete mantenuto il vostro amore così vivo dopo tutti questi decenni?" ci chiedevano a volte. "Perché non siamo legate dall'amore," avrei voluto rispondere io, "perché abbiamo delle responsabilità, perché siamo oggetti di sfogo l'una per l'altra, lei per lo stress di essere Lord ed io-" No, io in realtà dovevo starmene buona.

Lei mi fece scoprire cosa significasse il rancore, l'odio, il risentimento e la paura, ma anche la pazienza. "Vado avanti per inerzia," risposi una volta, quando qualcuno mi chiese con fare spiritoso come facessi a vivere con una donna come lei. "Dopo un po' si impara a sopportare," avrei voluto dirgli.

Mi sentivo a pezzi. La curiosità di una stupida bambina aveva portato una donna ad avere un vortice distruttivo dentro.

Uno schiaffo per ogni no, sangue per ogni basta, droga per ogni non oggi. Dopo qualche anno impari a stare zitta, dopo qualche decennio ti ci abitui, dopo un secolo diventi un guscio vuoto e accetti ogni cosa ti venga data, sia dolce che aspra.

Tianama era prospera e viveva in pace. Imparai molto della sua politica. Stare al fianco di Cassandra mi aveva permesso di imparare cose che al fianco di mio padre non avrei mai capito. Styria brulicava di ribellioni, con la casata Nairon e Valarion che si combattevano a vicenda per il territorio e un erede assassinato, la casata Grenville sull'orlo della rovina, piena di debiti con la banca del regno, e poi la casata Silkion che voleva deporre mio padre dal suo titolo di Lord. Altre casate erano troppo occupate con le proprie ribellioni interne per pensare ai continui tradimenti strategici delle casate più ricche ancora in controllo delle proprie terre. Styria era sull'orlo del collasso, si stava uccidendo da sola dal proprio interno. Cassandra intervenne come da accordo e tentò di ristabilire l'equilibro mettendo le proprie truppe all'interno del regno e alcuni diplomatici per far comunicare le casate ancora una volta. Mio padre perse completamente il potere sulla terre e sui ducati e venne eletto un nuovo consiglio per stabilire un nuovo Lord e non far cadere il regno nell'anarchia o, ancora peggio, nelle mani di un possibile conquistatore. Cassandra pensò la stessa identica cosa, notai delle manovre strane da parte sua, i suoi occhi gridavano: "Non perderò questa occasione." Ormai avevo abbastanza conoscenza per capire le sue nuove intenzioni. Un piccola fiamma si accese in me, la grinta che un tempo si era spenta era finalmente tornata a bruciare. Non avrei mai in alcun modo permesso che la mia unica casa sarebbe caduta nelle mani del mostro che era mia moglie.

Entrai in contatto con Rhea e con la mia conoscenza mandai a puttane tutto il piano escogitato da Cassandra. Io me ne rimasi in disparte nella mia dimora a Tiamana dando istruzioni a mia sorella, lei a Styria eseguì tutto in modo impeccabile anche grazie all'aiuto di Adrienne Manor che aveva preso il posto del padre, morto avvelenato nelle proprie mura di casa. Tutti i marchingegni politici e strategici di Cassandra caddero uno dopo l'altro. Rhea mi aiutò a fuggire e dopo accordi e riunioni con le altre casate fui eletta nuova Lord di Styria. La mia posizione di Lord Reggente sancì la rottura definitiva dei miei legami con la Casata Von Gotha e tutti gli accordi di mio padre revocati e riscritti. Feci uccidere i traditori, imprigionare i sospettati e onorare i fedeli caduti.

Dopo cinquant'anni sono ancora Lord di Styria e non permetterò che la mia casa e il mio popolo, vampiri o umani, vengano minacciati ancora una volta.

 

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Capitolo 34
*** Caro diario -parte 4- ***


La nostra parata della morte si concluse quando arrivammo in questo enorme Casinò, o almeno era quello che diceva la scritta. Non sapevo cosa significasse, ma tanto l'avrei presto scoperto. C'erano tavoli ovunque quando entrammo. Vampiri elegantemente vestiti e con maschere che coprivano i lori volti  facevano giochi a me sconosciuti. Tenevano in mano dei pezzi di carta rettangolari con delle figure e gettavano o prendevano dal tavolo quelle che sembravano monete colorate con dei numeri. Quando ci videro, più che guardarci, ci stavano analizzando. "Io voglio quello," disse qualcuno. "E' così mingherlino lo romperei subito," disse un altro. "Quella lì è molto in carne." E le voci continuarono, ancora e ancora, finché non uscimmo da quell'enorme e raffinata sala. Fummo portati in un salone altrettanto grande, con posti a sedere ed un palco. Ci portarono sul retro dove ci sistemarono un po' i capelli. Ci tolsero le catene, ma nessuno di noi fuggì. Come potevamo del resto... eravamo nel loro territorio. 

Ci fecero mettere in fila e ci diedero una collana con un numero, io ero l'ultima. Poi ci presero un campione del nostro sangue, e in seguito la nostra altezza ed il peso. Segnarono il tutto su un taccuino. Attendemmo per quella che sembrò un ora piena. Sentivamo delle voci riempire l'ambiente, e ogni tanto qualche vampiro andava a controllare. 

"Sono arrivati tutti," disse ai suoi colleghi. "In fila, dai!" esclamò battendo le mani.

Salimmo sul palco tutti insieme e ci fecero mettere con la schiena contro il muro. Poi cominciarono a chiamarci.

"Numero uno," gridò la donna. Aveva una tessera in metallo attaccata sulla camicia con scritto "banditore".  "Numero uno, avanti," ripeté quando nessuno si mosse. Perché sì, eravamo numeri ormai, non avevamo nemmeno diritto ad un nome. La bambina terrorizzata fece un passo avanti, mettendosi vicino alla vampira che ne elencò le caratteristiche. Dalla reazione del pubblico mascherato sembrò che il suo sangue non era tra i loro preferiti. Ma nonostante tutto, le offerte si alzarono, forse anche troppo, considerato i bisbigli e i sussulti ad ogni offerta. Un'acquirente vampira sembrava particolarmente interessata all'acquisto rilanciando ogni volta, provocando l'ira dell'altro contendente. Vinse lei ovviamente. Il suo ghigno quando la banditrice ne dichiarò la vittoria fu indimenticabile. Ma la cosa che mi rimase impressa è che fu il primo di una serie, perché proprio lei, con quella maschera nera di pizzo che le copriva gli occhi e il velo nero sulla testa che le nascondeva i capelli, cominciò a comprarci uno ad uno, anche Arkel.

Non conoscevo la valuta locale, ma sembrava che stesse spendendo tutto quello che aveva, e questo con un sorriso sul volto. Deve essere ricca, pensai. E intanto i prezzi si alzavano ancora e ancora finché non arrivai io.

"Rh negativo," esclamò con fierezza la banditrice. 

Tutti sembrano contenti. Ed era chiaro che avevano tenuto tutti i loro soldi da parte in modo che potessero usarli per me. Se pensavo che il prezzo fosse alto con i miei compagni umani, beh, mi sbagliavo. Prima che tutti iniziassero a combattere per me, come vedevo nei loro occhi affamati, la donna in nero si alzò dal suo posto e disse un numero così grande che tutti rimasero senza fiato. Anche la banditrice rimase perplessa.

"Vorrei ricordare a tutti voi, cari clienti, che il pagamento va effettuato alla fine dell'asta e non può essere ratificato. Se alcuni di voi sanno che il pagamento non può avvenire, per favore, siete pregati di tirarvi indietro."

"Riconfermo la mia offerta, cara banditrice." La sua voce era calma e composta con un tocco di finta gentilezza. 

"Bene, continuiamo. Qualcuno vuole offrire di più?"

Solo silenzio.

"Aggiudicato."

 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 30 - I Nostri Sentimenti ***


Eloyn

"Ti prego, non reagire, lascia che gli altri facciano di te ciò che vogliono, o ne pagherai le conseguenze. Te lo dico da amico."

Fu questo quello che Titus mi ricordò quando mi accompagnò nella mia nuova camera. Ed io da brava amica gli chiusi la porta in faccia. Penso che fino a quel momento non avevo appieno realizzato dove mi trovassi, o comunque continuavo a negarlo a me stessa. Vedere la Lord di Tianama fu come ricevere un pugno allo stomaco con aggiunta di calci. E mi sentivo rivoltata, quasi disgustata da tutto quanto. Mi faceva schifo toccare le soffici coperte e mi faceva schifo vedere i miei nuovi vestiti nell'armadio. Ma ce l'avrei fatta, proprio come a Styria, solo che qui sarei dovuta rimanere in silenzio. Ne sarei stata capace? Speriamo non arrivi mai l'occasione per scoprirlo.

Trovai la veste per dormire già sul letto. Era bianca, soffice al tatto. Mi arrabbiai con me stessa perché era proprio come la volevo, simile a quella che avevo a casa di Lux. Ma forse era proprio qui che sbagliavo, magari dovevo accettare e apprezzare ciò che mi circondava perché ora era mio e avrei dovuto renderlo mio, perché c'era la possibilità che non me ne sarei mai più andata via da qui, forse sarei morta circondata da queste mura. E se proprio devo morire, allora che accada in un luogo a me familiare.

Mi domandai cosa avesse affrontato quel letto negli anni. Erano mai accaduti atti osceni sul questo materasso? Fu mai protagonista di violenza, pianti e grida? Sarebbe mai stato protagonista delle mie di disgrazie? Avevo paura. Molta. Più di quanto il mio corpo mostrasse.

Rimasi con gli occhi spalancati per la maggior della notte, ripensando a cose stupide che potessero confortarmi in quella prima notte di prigionia. E quando finii il breve elenco delle gioie nella mia vita, fu il rimpianto ad occupare la mia mente. Una delle sensazioni più brutte mi travolse. Volevo davvero tornare indietro e dire alla me del passato di lasciar perdere l'orgoglio e la paura, di lasciar entrare nuovi sentimenti ed emozioni che non fossero odio e rancore.

Lo volevo davvero.

Avevo sperimentato per la prima volta cosa significasse avere il cuore spezzato con la perdita dei miei genitori. E' un dolore così forte che non sembra più di vivere nella realtà, e ci si chiede: è successo davvero? Come se fosse tutto frutto della nostra brutta immaginazione, un incubo in cui si spera di svegliarsi presto. Ma in realtà è tutto reale, la realizzazione non colpisce subito, ci vuole del tempo. Adesso risentivo quella sensazione. Ma ora non ero in lutto per la morte di qualcuno a me caro, no, avevo perso qualcos'altro di importante, occasioni. E mi odiavo per questo... così tanto. Avevo perso un futuro che avrei eventualmente imparato ad amare, perché era così, lo sapevo, adesso sì, ma ora è troppo tardi. Sono così stupida.

E come una ragazza disperata e sciocca, cominciai a immaginare Lux accanto a me, distesa sul letto che mi guardava e io che guardavo lei. La immaginai allungare la sua mano verso di me, prendendo la mia, mentre mi diceva che sarebbe andato tutto per il meglio. Mi addormentai con il suo volto impresso nella mente, e forse noi, insieme, senza muri fatti da pregiudizi a separarci. Un bel sogno direbbero alcuni. Non io.

Mi svegliai con le lacrime agli occhi, la bocca secca, la schiena sudata. Era a mala pena mattina, avevo dormito solo quattro ore, eppure mi sentivo come se avessi fatto un lungo sonno. Il mio corpo era debole, aveva ancora bisogno di qualche altra ora di riposo, ma la mia mente era attiva.

Piansi. Troppe ragioni per trovare un unica causa scatenante. Non mi era mai piaciuto piangere, mi faceva sentire debole e indifesa. Ora mi faceva sentire viva. Giurai a me stessa che se mai Lux mi avesse salvata, le avrei donato la mia più completa fedeltà. Mi sarei inginocchiata difronte a lei e le avrei donato la mia vita. Non mi sarebbe importato che mi aveva sollevata dal mio incarico da Bloodgiver, le avrei donato il mio sangue se me lo avesse chiesto. È questo l'amore? Voler dare se stessi a qualcun altro, fidandoci di loro in modo incondizionato?

Quando qualcuno vuole diventare cacciatore, non basta che si alleni duramente e automaticamente diventa tale. C'è bisogno di un mentore, a sua volta cacciatore, appartenente a una cerchia. Ogni villaggio ne ha una. E una volta completato l'addestramento, il novizio si inginocchia di fronte al capo della cerchia con affianco il mentore che per anni lo ha allenato. E con il capo chino si giura fedeltà al genere umano. Ecco, io avrei offerto quella fedeltà a Lux.

Amo la mia specie, ho giurato di proteggerla dai vampiri, ma come una sciocca mi sono affezionata ad uno di loro. Lux è diventata la mia casa, e come tale, l'avrei amata come una della mia specie. Non so se riuscirei ad apprezzare il mondo vampiro come fosse mio, ma ci avrei provato, per lei.

Quindi salvami. Ti prego.

Voglio dare voce ai miei pensieri, mettere per iscritto i miei sentimenti con l'inchiostro, in modo che non si cancellino mai.

Quindi portami via da qui così che io possa farlo.

Voglio vivere un po' più a lungo.

Quanto basta per dirti tutto.

Abbastanza per spiegarle i miei sentimenti anche nei momenti in cui mi ero mostrata più odiosa. E spiegarle a cuore scoperto il perché e le cause. Il mio volerla, ma sempre negandolo. Il mio rifiutarla, ma sempre con un velo di tristezza.

Vorrei dirle, ti voglio, senza negarlo o sopprimere quel desiderio.

"Quindi vieni..." mugulai, "ci sono troppe cose che devo dirti."

Mi addormentai in lacrime e mi svegliai con un leggero mal di testa. Tutto quel pianto aveva esaurito le mie energie e mi sentivo più stanca che mai. Come se avessi dei pesi sotto i piedi. Mi alzai alle otto, come mi era stato ordinato. Il suono della sveglia datami da Titus era orripilante. Un ticchettio metallico e fastidioso che ti entra dalle orecchie fin su per il cervello. Un vero obbrobrio di invenzione.

Poi cominciò la vera avventura. Seguendo le indicazioni del mio fidatissimo nuovo amico, mi incamminai verso la sala pranzo. Feci il corridoio con estrema cautela, guardandomi intorno, c'erano solo porte chiuse, nessun quadro, nessun mobiletto con qualche piantina a caso, nessuna Amelie che annaffiava con amore tali piantine. Era un corridoio spoglio, in netto contrasto con il resto della magione. Un'altra umana usci da una delle stanze di fronte a me. Non mi notò, ed io per essere sicura che fosse la strada giusta, la seguii.

Ero una cacciatrice per un motivo. L'umana non si accorse mai di me. I miei passi erano leggeri, una abitudine presa ormai a casa di Lux, per sfuggire dalle sue grinfie e da quelle degli altri vampiri. L'umana prese una strada diversa rispetto a quella indicata da Titus. Sorpassai una guardia che mi guardò malevolo. L'umana stava andando in una direzione completamente sbagliata. Sbagliata per me, almeno. La successiva guardia mi bloccò con la sua mano metallica. L'umana si girò guardandomi con stupore e confusione.

"Sta con te?"

La ragazza mi guardò intensamente. Del resto ero un volto nuovo e mi scrutò da cima a fondo.

Sembrava avere uno di quei visi che le persone definiscono "molto dolce". Grandi occhi neri, viso rotondo, capelli lunghi e ricchissimi. Carnagione molto scura. Una vera bambola. Aveva degli abiti più curati dei miei, solo ora che era rivolta verso di me lo notai. Sembrava avere un aura diversa, particolare...

"È vietato passare di qui, nuova arrivata." Il suo sguardo era una scultura di pietra. Ma anche la sua voce aveva una tonalità dolce.

La guardia mi spinse in dietro con le sue mani di metallo, guardandomi attraverso la scomoda fessura dell'elmo. Era un vampiro, non c'erano dubbi. Mi spingeva come fossi una piuma. Mi allontanai assecondando il suo gesto, ma domandando: "Sto cercando la sala pranzo."

L'uomo rimase in silenzio. Non c'era bisogno che ripetessi la domanda. Sapevo che non mi avrebbe risposto, anche insistendo, ed io ero abbastanza adulta da girare i tacchi e trovare la sala pranzo da sola.

Ritornai indietro, cercando di orientarmi. Il cambio di corridoi mi aveva confusa, ma riuscii a tornare negli alloggi. Da lì ricominciai da capo. La magione era mastodontica, e le indicazioni di Titus erano state tante e confusionarie. Gira a destra due volte poi prendi il corridoio di sinistra, poi destra, scendi le scale, da qui aveva cominciato a bisticciare, poi tutto dritto, ancora e ancora. Ho una buona memoria ma lui conosce questo posto come il palmo della sua mano, io mi sento come se avessi impugnato per la prima volta un arma mai vista, e impacciata su come funziona.

Camminai come fossi un pezzo di legno con le gambe, in allerta e guardando ovunque, memorizzando ogni cosa, anche i suoni. Alcune stanze erano occupate da qualcuno, da una porta avevo sentito un ragazzk canticchiarr, da un'altra una voce femminile si lamentava, e sempre più vicina, spalancò la porta con arroganza e rabbia. Io mi trovai lì presa alla sprovvista. Aveva dei capelli biondo cenere, ricci. Due occhi neri mezzi socchiusi per il nervosismo. Dietro di lei c'era una ragazza più bassa, capelli a caschetto neri, occhi a mandorla.

"Smettila di chiedere sempre scusa!" disse l'umana. Perché sì, l'altra ragazza più in disparte e timida aveva occhi rossi come il sangue.

"Scu-"

"Kiana!" ringhiò. "Che esasperazione," sospirò.

Mi sorprese come la vampira, con il suo buon udito non avesse reagito e quell'ultima esalazione da parte della sua, credo, schiava umana. Fu divertente vedere quei ruoli al contrario. Mi incuriosirono.

L'umana fece un forte sospiro. Vidi il suo viso mutare. Si arrossì ma c'era della tenacia nel suo sguardo. E si voltò indietro verso la vampira con velocità.

"Si fa così, non è così difficile!"

Spalancai la bocca. Ero stupita, sconcertata, e assolutamente divertita.

L'umana morse il collo della sua padrona. La vampira lanciò un urlo di sorpresa, e finalmente senza la sua umana dalle spalle larghe a coprirle la vista, mi vide.

Sorrisi, era troppo divertente. Le guance della vampire erano più rosse dei suoi occhi e menò un pugno sulla schiena dell'umana.

La ragazza era così presa che non si staccò, anche con quell'avvertimento. Ciò mi fece capire che c'era una certa familiarità tra le due, e che probabilmente questa scenata era accaduta più volte. Dopo un altro colpo, decisamente più forte e fuori dai soliti standard per l'umana, finalmente alzò la testa.

"Perché?!" si lamentò toccandosi sul punto e guardando la vampira piagnucolando.

"Girati, idiota!"

La voce della vampira era bassa e vergognosa. Sembrava molto quella di una ragazzina. A quanto pare essere un vampiro non ti rende automaticamente una persona dal carattere dominante. A volte dimentico che umani e vampiri sono due facce della stessa medaglia. Lux me l'ha insegnato.

L'umana era così assorta con quello che un attimo prima stava facendo che si voltò con il terrore negli occhi. Forse non erano poi così abituate ad esternare cose del genere di fronte ad altri.

Quando mi vide, il suo sguardo si rilassò.

Quindi è essere vista dai vampiri che ti spaventa, eh?

"Buongiorno." Trattenni a stento una risata.

La ragazza umana mi guardò dall'altro verso il basso con una faccia seccata. Aveva lentiggini su tutto il volto raggiungendo quasi la gola, labbra carnose, ciglia lunghe. Austera nella postura. La sua pelle era bianca ma risultava decisamente più colorita rispetto a quella spettrale della sua padrona.

E poi dopo un'ultima occhiataccia, con passo possente, degno di un vampiro, se ne andò. Io la squadrai. Aveva un bel corpo, dovevo ammetterlo. Alta, slanciata... se avesse in pugno un'arma la scambierei per una cacciatrice.

Per un attimo ci sperai. Avere qui qualcuno che condivide il mio stesso passato, la mia vecchia vita, renderebbe la permanenza più facile da sopportare.

"Devi scusarla," si avvicinò con insicurezza la vampira. "A volte è troppo."

Sarà anche troppo, ma non ti dispiace. Pensai senza parlare. Avrà anche trattato quella ragazza come sua pari, ma io non sono lei.

"Scusami," disse frettolosamente, "io sono Kiana, la padrona di Cron. Cronella!" si corresse subito dopo.

"Eloyn. Sono arrivata ieri notte."

"Oh!" disse sorpresa. "L'umana di Styria."

Il suo sguardo si incupì per qualche secondo. Poi mi guardò sorridendo. "Hai bisogno di qualcosa?"

"Stavo andando nella sala da pranzo."

"Sarà un piacere accompagnarti, Eloyn di Styria."

Sedere a tavola e fare colazione con altri umani mi ricordò un po' i primi giorni nella magione di Lux, con l'unica differenza che qui non ho una vampira desiderosa del mio sangue. La maggior parte degli sguardi era puntata su di me. Ogni volta che alzavo gli occhi c'era qualche umano curioso che mi fissava. Io cercavo di mostrarmi più calma possibile, senza mettere su uno sguardo troppo duro. Volevo sembrare accessibile.

Sentii alcuni di loro bisbigliare, a volte coglievo delle parole.

"L'hanno già assegnata?"

"Come si chiama?"

"Sai da dove viene?"

Ad ogni domanda, il vicino rispondeva con delle spallucce. Nessuno sapeva nulla di me. Nessuno sapeva che ero stata rapita e nessuno sapeva che la Lord di Styria è- era la mia padrona.

Cronella era a qualche posto di distanza da me, la potevo vedere a mala pena. Non mi rivolse mai una sguardo e da quanto mi parve nessuno le rivolse mai la parola. Cercai di squadrare i volti dei miei nuovi compagni e notai che la ragazza bella come una bambola non era presente.

Lentamente ognuno degli umani si alzò, controllando un foglietto.

A me non era stato dato nulla.

Alcuni si misero a lavoro, togliendo tazze e cibo e sostituendo il tutto con una colazione degna per dei vampiri di alto rango nobiliare. C'erano enormi brocche preziose piene di quello che probabilmente era sangue. I tovaglioli di carta furono sostituiti da quelli di stoffa ricamati accuratamente. Il cibo fu sfornato dal forno. A noi erano toccati dei biscotti e della frutta. Loro invece avrebbero banchettato con cibi di cui non conoscevo nemmeno il nome.

Lux era una Lord, ma neanche a casa sua a colazione si mangiava in modo così sfarzoso e abbondante. Metà delle cose andranno buttate.

Volevo dare una mano, così da occupare le miei mani con qualcosa. Ma tutti rifiutarono. Non potevo spazzare, pulire, cucinare o lavare. Mi avevano tutti scansata via come se fossi una folle a prestare le mie braccia.

Era passata un'ora, e io ero rimasta ferma immobile appoggiata contro un muro. A farmi compagnia c'era Cronella a qualche metro di distanza.

Mi staccai dal muro quando dei primi passi approcciarono. Tre vampiri entrarono e si sedettero senza prestarci attenzione. Gli umani cominciarono a servirli, con inchini e reverenze. Pian piano il tavolo si riempì, anche Kiana si era aggiunta. Era stato gentile da parte sua accompagnarmi per poi andarsene. In quell'occasione aveva sorriso a Cronella, ora si era seduta senza darle attenzione, nemmeno a me. Il posto a capo tavola rimase vuoto, così come quello alla sua destra. La Lord di Tianama si fece attendere, ma quando entrò, sia umani che vampiri chinarono il capo in sua presenza finché i suoi gomiti non toccarono il tavolo. Accanto a lei c'era la ragazza umana assente a colazione. Con mia sorpresa si sedette accanto a quella donna raggelante.

Lì per lì non capii ma quando un umano le versò del sangue io rimasi ancora più confusa. Aveva una stanza negli alloggi degli esseri umani, si vestiva da umana, ma eccola lì a bere sangue.

Mi guardò per un attimo. Aveva percepito il mio sguardo confuso. Ma distolse subito i suoi occhi come se fossi stata io ad averla sorpresa a fissarmi.

Lord Cassandra si girò verso la ragazza nel momento esatto in cui aveva puntato i suoi occhi su di me, e la donna a sua volta si era girata a guardarmi. C'era un leggero fastidio nel suo sguardo, nei suoi occhi, mascherato da un lieve sorriso.

Non sapevo che fare, se dovevo chinare il capo in segno di rispetto o lasciare che il gelo nel sangue invadesse anche la mia pelle lasciandomi bloccata lì a guardarla.

Ebbene, non ci riuscii, fu lei la prima a rompere il contatto visivo.

"Miei cari," disse con solennità. "Ieri notte abbiamo aperto un nuovo capitolo nella storia di Tianama. Voglio che oggi sia un giorno di festa, fate quel che volete, umani compresi, avete la giornata libera."

Cronella sorrise e guardò in direzione di Kiana, la vampira riuscì a nascondere a stento un sorriso.

Finita la colazione e le chiacchiere mattutine, i vampiri si alzarono da tavola lasciando agli umani l'ultimo lavoro da svolgere della giornata. Come prima, io rimasi ferma, attendendo non so che cosa. Tutti i vampiri mi passarono davanti ignorandomi, Cassandra compresa.

Gli umani sistemarono il tutto nel giro di una ventina di minuti ed io mi sentii libera di tornare in camera. Avrei speso la mia giornata nel mio nuovo letto, a fissare il soffitto, a contare quante volte avrei starnutito per via della polvere, e quante volte i miei pensieri sarebbero ritornati da Lux.

Era estenuante non avere nulla per tenere la mente occupata. Almeno prima l'unica mia preoccupazione era capire come uccidere la mia padrona, qui non posso nemmeno lontanamente pensarci. Il solo pensiero può farmi ammazzare. Dovevo credere totalmente in Lux, e che mi avrebbe salvata presto.

Qualcuno bussò alla porta. Non sapevo se sentirmi contenta o impaurita. Mi alzai per aprirla. Trovai con mio stupore la ragazza vampira sulla soglia della porta.

"Vieni come me, Lord Cassandra desidera la tua presenza."

Io la seguii con timore. Cosa vorrà da me Cassandra? Mi passarono per mente molte cose, sperai nessuna di esse.

"Come ti chiami?" domandai cercando di smorzare la tensione.

Non rispose.

L'andamento e il modo di camminare era impeccabile. Mi ritornò alla mente il paragone della bambola. Era così bella e composta che non sembrava viva.

Mi portò in quella parte della magione che mi era stata vietata qualche ora prima. La guardia era sempre la stessa, ma questa volta non mi bloccò.

La camera era in un ala della magione completamente a sestante, come se fosse una zona solo ed unicamente della Lord. Era sfarzosa, inutile dirlo. Pareti in oro, tutto fatto con gioielli e pietre preziose di cui non ricordavo il nome o mai viste prima. Riconoscere la porta della stanza non era difficile considerando le rifiniture preziose del legno e il pomello in cristallo.

Ancora una volta, fare paragoni con la magione di Lux era impossibile. Questa Cassandra amava il lusso e le piaceva mostrarlo.

La vampira bussò la porta con ancora più delicatezza rispetto alla mia.

"Prego."

Girò il pomello e mi fece cenno di avanzare.

Avevo il cuore in gola e l'ansia mi stavo portando via.

Più che una camera da letto, sembrava un salotto. Le vetrate illuminavano l'intera stanza ed al centro di essa c'era Cassandra, seduta con davanti un tavolino in legno circolare. C'era del vino davanti a lei, un bicchiere vuoto, macchiato dal suo rossetto, ed un altro pulito. Mi ricordò un po' le abitudini alcoliche di Lux.

In piedi, con i palmi delle mani sullo schienale di una sedia c'era Titus. Come al solito fece un sorriso beffardo.

"Benvenuta," disse la donna con un bianco sorriso.

"Inchinati," mi bisbigliò la vampira dietro di me. Io non seguii il suo suggerimento.

"Grazie per l'invito," dissi con la voce ferma, ma con il petto che mi esplodeva. "Ma a cosa lo devo?"

"Siediti," mi intimò con la mano la sedia difronte a lei.

Io mi mossi velocemente. Titus gentilmente tirò in dietro la sedia ed io mi ritrovai di fronte alla Lord di questo regno, faccia a faccia, vampiro e umano, padrone e schiavo.

"Nulla in particolare," disse riempendosi il bicchiere. "Prendi?"

Io la guardai un po' restia. Lei addolcì lo sguardo. "È solo vino."

Troppe volte avevo visto vampiri mischiare vino e sangue, Lux sembrava molto avvezza all'idea.

"Va bene."

Stavo per prendere la bottiglia ma fu lei che mi riempì il bicchiere.

"Dimmi se ti piace, è molto pregiato."

Bevvi un sorso. Effettivamente era buono, molto più di quanto mi aspettassi. "Buono, davvero."

Lei sorrise nuovamente. Il suo sguardo sprigionava una calma eterea, ma era così dannatamente inquietante. Il modo in cui socchiude gli occhi quando il sorriso si allarga, il modo in cui ti guarda mentre lo fa... pare che vuole leggerti nel pensiero o annientarti dall'interno.

"Bene, ora che abbiamo preso un po' più di confidenza possiamo parlare liberamente, d'accordo?"

Una domanda così relativa non l'avevo mai sentita.

"Allora, mi presento nuovamente. Io sono Cassandra Von Gotha, Lord di Tianama. Ci troviamo a Diaspor nella mia dimora. Tutti i vampiri di questa casa sono tuoi padroni e risponderai solo a loro, e ovviamente a me. Sei una schiava ma non ti verrà assegnato un vampiro. Sarai a disposizione di chiunque richieda di te. Ovviamente ho messo delle limitazioni."

"Spero siano le limitazioni che penso anch'io," le sorrisi, imitandola.

"Io non rispondo a tali limiti, quindi attenzione con le parole. Non sei più la Bloodgiver di Lux."

"Infatti non lo sono." Sentii una forte vena di soddisfazione. L'avevo confusa e incuriosita allo stesso tempo.

"Questo," si voltò verso Titus, "non è quel che ho sentito."

Attese un attimo, il vampiro non rispose, anzi si lasciò scappare un "Eh" con un "che ci posso fare?" rimasto sospeso in aria. A quanto pare anche i vampiri sono almeno un po' intimoriti da lei.

"Dimmi di più, sono incuriosita."

"Mi ha sollevata da quell'incarico, non so nemmeno io il perché." Le sorrisi con ingenua sincerità. Era vero, non sapevo perché l'avesse fatto. Se era interessata a me in quel modo, allora perché smettere di prendere il mio sangue?

"Interessante," replicò con un velo di mistero, lei capiva e voleva che io chiedessi. Quando si tratta di Lux non pongo limiti. Avrei partecipato al suo gioco solo per un po'.

"Perché? È così inusuale?"

Lei bevve nuovamente. Il mio bicchiere rimase fermo lì mezzo pieno. Avevo avuto il mio assaggio, adesso voglio informazioni.

"Sai che noi vampiri abbiamo sangue nelle nostre vene?"

Io annuii, lei continuò subito dopo.

"Noi possiamo nutrirci l'un l'altro. Strano vero? È quello che voi umani chiamate... fammi pensare... cannibalismo!"

Io annuii nuovamente, non capivo dove voleva andare a parare.

"Ma noi vampiri non siamo umani e abbiamo concezioni diverse delle cose. Tra vampiri, mordere e prendere il sangue dell'altro è una forma di intimità, non per forza romantica, ovviamente."

"E cosa ha a che fare con me, sono umana."

Lei sorrise, un sorriso diverso dalle altre volte, quasi genitoriale, come quando viene spiegato ad un figlio qualcosa di molto complicato, e questi pian piano cerca di arrivare alla soluzione ponendo domande su domande.

"Che tipo di relazione hai con Lux Thorns, piccola umana?"

"Donerei tutto il mio sangue pur di avere la risposta esatta."

"Ma anche questa che mi hai dato è un effettiva risposta. Il non sapere, cara Eloyn, esclude molte cose."

"Io non capisco..."

"Mia cara," Cassandra si voltò verso la vampira, "che relazione abbiamo io te?"

La vampira bella come una bambola disse con rapidità: "Voi siete la mia padrona, e quindi io la vostra serva."

"Vedi," disse Cassandra, "nessuna esitazione. Perché non mi hai risposto semplicemente così?"

"Io-"

"Non era, forse, Lux la tua padrona?"

La sua aura era terrificante e prepotente. Io non sapevo cosa rispondere, e ovviamente per lei questa sarebbe stata già una risposta.

"Ti vedo un po' confusa e quest-"

"È già una risposta," continuai al posto suo.

"No. Volevo dire che è normale."

Io corrugai la fronte.

"Vedi, è normale per un umano provare strani sentimenti per il proprio padrone, soprattutto se quest'ultimo ha atteggiamenti ambigui. Sai, ho capito cosa prova Lux per te, ma devo ancora capire cosa provi tu per lei."

"E cosa prova Lux per me?" domandai seccata.

"Giusto, ritorniamo al discorso di prima. Voi umani avete la capacità di incuriosirmi e di farmi perdere il filo del discorso. Mi affascinate."

"Voi invece mi fate paura," replicai, lei alzò un sopracciglio, ma ignorò quella mia puntualizzazione e tornò al suo discorso.

"Quello che prova Lux è molto evidente, degno di essere in prima pagina 'Lux Thorns, Lord di Styria, innamorata di una sua schiava'."

"Come fai a esserne così certa?" la mia rabbia stava insorgendo. Ci sta prendendo in giro, a me e a te, Lux. Prende in giro le nostre emozioni e i nostri trascorsi difficili. Ride sulla nostra sventura.

"Perché non beve il tuo sangue. Ti vede come sua eguale. Sarai anche umana ma lei non ti vede più così. Berrebbe il tuo sangue solo se tu ti cedessi a lei. Perché lei ti ama, che ridere, ti ama e non riesce più a bere il tuo sangue per nutrirsi."

Furia. Sentivo il corpo bruciare per la rabbia. "Cosa ci sarebbe da ridere, mia signora," dissi sprezzante, "voi ridete dei sentimenti altrui, allora io penserò che voi non ne avete alcuno." Mi alzai da tavola strusciando la sedia dietro di me. Vidi di striscio il volto sconcertato di Titus, la bocca senza fiato. Cassandra tenne lo sguardo fermo, senza guardarmi e sorrise. Quella stronza sorrise con divertimento. L'avevo intrattenuta, ora era contenta.

Mi fiondai sulla porta, passi già pronti verso di me. "Rimani, mia cara," disse Cassandra alla sua vampira-serva. "Titus, tu invece puoi andare."

E chiusi la porta alle mie spalle.
 

Voilà, ci ho messo tanto ad aggiornare, scusatemi, spero che però vi sia piaciuto e che questa piega che ha preso la storia vi stia intrattenendo. Al prossimo capitolo~

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 31 - Jemma Capitol ***


Lux

"Dichiarerò guerra," fu questo quello che dissi a Rhea momenti prima di partire, "a chiunque me l'abbia portata via."

Partii il giorno seguente che spedii la lettera. Volevo dare a Jemma almeno qualche giorno di tempo per prepararsi al mio arrivo. Avevo anche dato istruzioni a Rhea.

"Le truppe sono in cammino," le dissi, "Quando arriveranno voglio che sia tu a dare le istruzioni. Le voglio intorno alla casa, in ogni angolo e stradina, ovunque."

"Ti fidi ancora di me, sorella?" La sua voce era stata bassa e insicura.

"So che vuoi il meglio per me. Se vuoi davvero proteggermi, allora aiutami a proteggere le persone che amo. Iniziando con questa casa."

Aveva annuito con estrema decisione. Le mie parole l'avevano fatta sentire meglio, più forte. Ma prima di darle il mio perdono sarebbe passato molto tempo. Questo valeva per lei e per gli altri due.

Salutai tutti con un abbraccio, non era da me e questo loro lo sapevano. Jason fece una battuta stupida come suo solito, ma io non ero in vena di ridere. Ignorai Arkel e Amelie, vidi il dolore nei loro occhi. Arkel fin da piccolo aveva sempre cercato di entrare nelle mie grazie, ma dopo la morte di Lailah anche lui era cambiato. Era diventato un ragazzino insopportabile, testardo, che creava solo problemi. Ancora oggi continua a stupirmi. Vedere Amelie invece mi fece più male. Sapevo che non aveva la minima intenzione di ferire me o Eloyn, ma non potevo fare favoritismi. Aveva chinato il capo e tentato di nascondere gli occhi lucidi.

Me ne andai vestita con uno stretto cappotto nero con la pelliccia intorno al collo. Era uno dei miei cappotti preferiti, elegante ma assolutamente austero.

Viaggiai con la carrozza, avrebbe attirato di meno l'attenzione ma il viaggio sarebbe stato tortuoso e più lungo. Passammo per il breve tratto del territorio Glossilance e poi Dalilyon, evitando di passare nel mondo degli umani. Gli scompigli degli ultimi giorni mi tenevano irrequieta e di tagliare strada e entrare nel mondo umano proprio mi agitava. E poi traversare per i confini delle diverse casate mi avrebbe permesso di vedere se erano ben protetti.

Feci molte soste, mostrandomi ai miei soldati e fermandomi a dormire nelle loro umili tende. Li elogiai e mostrai il mio interesse nei confronti del loro benessere. Cenammo insieme e loro si scusarono per le loro sporche condizioni. Erano persone che stavano offrendo la loro forza per me, ero pronta a sopportare qualsiasi gesto o parola rozza, era il minimo per ringraziarli.

Continuai il viaggio all'alba, tentando di riprendere il mio sonno in carrozza ma era impossibile. Tra le preoccupazioni e le ruote che traballavano per la breccia, non riuscii a chiudere occhio. Non c'era bisogno di uno specchio, sapevo che la mia faccia era un mortorio.

Arrivai dai Capitol la mattina dopo. Avevo obbligato il cocchiere e la mia scorta a viaggiare per tutta la notte, con qualche pausa per far riposare i cavalli.

"Stronzetta mia!" Jemma Capitol mi accolse nelle sue braccia possenti e muscolose facendomi fare una piroetta da far girare la testa. "Come stai?" Era più alta di quanto ricordassi.

Mi posò a terra e io ripresi l'equilibrio a stento. Tra la mancanza di sonno e la stanchezza generale, ci misi un po' per tenermi in piedi.

"Vuoi la verità o la bugia?"

Lei mi guardò storto, mi scrutò la faccia e senza pensarci due volte mi prese in spalla. Non avevo la forza per controbattere ne per reagire. I miei sottoposti ci guardarono con sguardi pieni di sgomento. Effettivamente non ero solita mostrare a chiunque questo mio lato, ne Jemma si era mai comportata così con del pubblico. Mi portò dentro la casa.

"Sempre burbera tu, eh?"

Entrambe ci girammo verso la voce e nel farlo mangiai un po' dei capelli lunghi e castani di Jemma.

"E tu sempre un rompi palle."

"Cafona."

Il fratello di Jemma, Jasper, sedeva sul divano con un libro in mano. Mingherlino fin dalla nascita, era completamente l'opposto della sorella. Per nulla avvezzo alla lotta, preferiva la letteratura e la sapienza. Ma nonostante la sua intelligenza, perfetta per un capo famiglia, aveva rifiutato il titolo cedendolo alla sorella, dicendo: "Mi impedirebbe di dedicarmi alla lettura."

"Puoi mettermi giù?" bisbigliai nel suo orecchio.

"No, tesoro, oggi sei mia ospite."

"Sono la Lord, i tuoi schiavi si prenderanno gioco di me."

"Ma no!" Ridacchiò cominciando a salire le scale. "Penseranno che sei la donna di turno."

"Ehi!"

"Dai, dai," disse dandomi qualche pacca sul fondo schiena.

"Mi ero scordata quanto fossi insopportabile."

Mi portò nel suo studio ed io le spiegai la situazione, includendo il rapimento di Eloyn, sottolineando quanto fosse confidenziale, per farle capire cosa stava veramente succedendo nella Zona Neutrale.

Lei sembrò pensierosa, poi sbottò: "Che io sia fottuta..."

"Le parole," la rimproverai.

"Cazzo," continuò riflettendo. "Porca tr-"

"Jemma."

Finalmente alzò lo sguardo. "Cosa?"

Ed io alzai gli occhi al cielo. "Ho bisogno delle ragazze, sono qui?"

"Certo, quando mi ha mandato la lettera le ho fatte subito venire."

"Erano in missione?" domandai con sospetto.

"Sì, Lux," rispose con serietà. "È dalla nostra prima riunione, quella in cui te ne sei andata via subito," disse in modo accusato, io arrossii, "che le sto mandando in giro a indagare."

"Perché non mi hai informata?"

"Non pensavo fosse qualcosa di così serio."

"Anche Ife è andata in giro per conto tuo?"

"No," replicò con fastidio.

Ha sempre odiato che la riprendessi per sue decisioni, ma scorda troppo spesso che sono la sua Lord e quelle ragazze di mia proprietà.

"Bene, falle venire," e troppo spesso io mi dimentico che sono la sua Lord, "non ho tempo da perdere."

Quando vidi quelle splendide ragazze, mi fu impossibile non sorridere. Le due gemelle Castator furono le prime a farsi avanti, lasciando Ife indietro.

Accarezzai le loro guance con tenerezza ed entrambe posarono la loro mano sulla mia stringendola. Ogni volta che le guardo, sia oggi che in qualsiasi altro giorno, rivedo sui loro volti gli sguardi spaventati di quando le avevo comprate. E puntualmente loro, ogni volta che ci rincontriamo, mi mostrano tutto il loro affetto e la loro riconoscenza.

"Mia signora," dissero all'unisono. "È un piacere rivedervi," disse una. "Come sempre," aggiunse l'altra.

Arruffai i loro capelli. Anche se fisicamente avevamo ormai la stessa età, loro mi vedevano ancora come la loro mentore, e in mia presenza ritornavano ad essere le bambine dolci che avevo salvato.

Guardai dietro di loro. Ife era ancora lì immobile a guardarci. Fremeva, lo vedevo da come si intrecciava le dita. Passai in mezzo alle gemelle e mi misi difronte a una delle più letali assassine del regno. Il mio dolce segugio. La circondai con le mie braccia, lei rimase immobile come suo solito. Non aveva mai imparato a esternare fisicamente le sue emozioni, ma sapevo che era del contatto fisico quel che stava cercando.

"È passato molto tempo dall'ultima volta."

Lei annuì silenziosamente.

Quando mi staccai mi sorrise lievemente e chinò il capo con un piccolo inchino. Ormai erano anni che le dicevo che non c'era bisogno, ma nonostante i miei rimproveri non ha mai smesso di farlo.

"Contenta?" domandò Jemma alle mie spalle.

"Molto." Mi girai sorridendole. "Ma adesso basta smancerie, dobbiamo discutere di cose serie."

Considerato che già Jemma aveva mandato in giro i miei due corvi, dissi semplicemente loro di continuare il loro operato, ma di informare solo e soltanto a me il risultato delle loro scoperte. Ife sarebbe tornata nella Zona Neutrale con me, così da essere sempre pronta ad agire e partire tempestivamente in caso di necessità. A Jemma non piacque e dovetti ricordarle che quelle ragazze erano state un mio dono alla sua famiglia, per crescerle e addestrarle. Ma loro, per volontà propria, sarebbero sempre rimaste fedeli a me soltanto.

Passammo il pomeriggio insieme, a parlare di cose stupide e a spendere il tempo facendo assolutamente nulla. Sapevo che Jemma lo stava facendo apposta per farmi distrarre, e le tre ragazze erano più che felici se potevano aiutare. Mi avevano anche fatto fare qualche combattimento fisico e avevo perso contro tutte loro, un vero imbarazzo, ma in realtà mi rilassò. Dimenticare di essere la Lord di Styria per un solo pomeriggio mi rigenerò. Cercai in tutti i modi di non pensare a Eloyn, a mia sorella, ad Amélie, ad Arkel, ma ogni tanto mentre ridevo comparivano nella mia mente per rovinarmi il momento. Alla fine ero così stanca che mi addormentai lì sul prato mentre Malicia e Jemma mi facevano una dimostrazione di come la forza non sempre vince contro l'agilità.

Avevo poggiato solo per un secondo la testa sulla spalla di Ife ed ero andata subito nel mondo dei sogni. Mi ero svegliata per un attimo quando fui sollevata da terra e poi successivamente quando mi avevano adagiata su di un letto. Mi ero lasciata completamente andare alle loro cure. Era da tanto che bramavo questa calma, questa pace.

Mi svegliai che era buio, ai miei due lati c'erano distese Malicia e Nimna, entrambe sveglie. Sapevano che a differenza di Ife, sarebbero dovute subito ripartire e che non mi avrebbero vista per un bel po'. Ed eccole qui, ad approfittare di un qualsiasi momento pur di stare con me. Ero io quella che si doveva sentire riconoscente, non loro.

Mi alzai con i gomiti, loro mi osservarono e si misero sedute.

"Avete riposato?" domandò Malicia con la sua scura frangetta scombinata.

"Sì, grazie."

"Non c'è bisogno di ringraziare," replicò Nimna.

"A noi piace stare con voi."

"Il sentimento è reciproco," dissi mentendomi seduta. "Che ore sono?"

"È quasi ora di cena."

"Due orette di sonno, quindi."

"Ife vi ha portata a letto, era ciò che desiderava?"

"Sì," sorrisi, "era ciò che desideravo."

A cena salutai i genitori di Jemma, che per quanto assurdo, erano estremamente educati rispetto alla volgare figlia. Ma un qualcosa da loro aveva preso.

"Lui è Ioan," disse Cythia.

"Il nostro nuovo compagno," continuò Radel.

Quel 'nuovo' per poco non mi fece ridere. Mi trattenni a stento.

"Piacere," dissi porgendo la mano.

"Il piacere è tutto mio," lui si chinò, baciandola. Aveva una voce davvero profonda. Se non ricordo male è proprio così che Cythia sceglie i suoi uomini. Ed è anche un vampiro dalla buona corporatura, proprio come piacciono a Radel. Sarebbe ora che prendessero un compagno a vita, ormai sono decenni che cercano il partner perfetto. Sono troppo schizzinosi.

Quando mi voltai verso Jemma, la vampira mi fece l'occhiolino, io alzai gli occhi al cielo, ma li per li sorrisi. Cenammo tutti assieme. Jemma non si risparmiò un commento nei confronti di Jasper, che io trovai altamente fuori luogo.

"Sembra che hai un bastone su per-"

"Jemma..." la riproverò la madre. "Non difronte a Ioan, sai che a lui questi atteggiamenti non piacciono."

"Neanche me," infierii ulteriormente.

Jemma mi guardò trova, questa volta non riuscii a nascondere il mio ghigno.

"Parlare così, difronte alla Lord," continuò il padre, "che brutta figura che ci fai fare, figlia."

"Si, si, certo..." mormorò verso la mia direzione. Io le feci l'occhiolino.

Le bottiglie di vino finivano una dopo l'altra e i bicchieri venivano riempiti in continuazione. Mi lasciai andare nel breve piacere dell'alcol, ogni tanto mescolandolo con un po' di sangue, altre volte dimenticando addirittura cosa stessi bevendo. Prima che me ne resi conto, la mia testa girava da sola, a volte ridevo alla minima sciocchezza o a qualche cavolata detta da Jemma nei confronti di Jasper. Le gemelle non avevano per nulla bevuto, e rimanevano composte sulle loro sedie. Anche Ife aveva bevuto, ma il rossore sulle sue guance era difficile da individuare con una pelle scura come la sua. Nonostante tutto l'alcol consumato, sembrava che solo io, Cythia e Radel eravamo sull'orlo del collasso. I due sposi ridevano come stupidi, Ioan in mezzo a loro non sapeva cosa fare. Jemma mi guardava con occhi strani, pensosi, ed aveva un leggero sorriso, appena accentuato. Io mi sentivo una stupida per aver bevuto così tanto.

"Scusatemi," dissi alzandomi da tavola, cercando di mantenere il tono di voce calmo e moderato. "È meglio se vado a riposarmi in camera."

"Ti accompagno." Jemma si alzò da tavola rapidamente.

"Non ce n'è bisogno." Ma non appena tirai indietro la sedia rischiai di andare indietro io stessa. Lei mi mise la mano sulla schiena reggendomi. "Sì, forse è meglio."

"Vuoi che veniamo anche noi?" domandò Ife.

"Non ce n'è bisogno, non scomodatevi."

Le tre ragazze annuirono.

"Badate a loro due, piuttosto," ridacchiò Jemma guardando i suoi genitori e il povero Ioan.

"Non penso durerà a lungo," bisbigliai nel suo orecchio, ridendo.

"L'ho pensato il primo giorno che ha messo piede in casa."


Uscimmo dalla sala con estrema difficoltà, io non mi reggevo in piedi e lei puntualmente mi sollevava circondandomi i fianchi con il suo braccio.

"Ti prego non mettermi in spalla, potrei vomitare."

"Non ne avevo l'intenzione, tranquilla." La sua voce era calma e comprensiva, e non c'era scherno o divertimento. Mi sorrideva quando doveva dirmi qualcosa e mi tirava su ogni volta che era necessario. Ma davanti le scale anche lei ebbe dei dubbi.

"Posso?" domandò ed io annuii senza nemmeno provare a fare uno scalino.

Jemma si abbassò mettendo un braccio sotto le miei cosce e l'altro dietro la schiena, e così mi sollevò.

Scalino dopo scalino, la mia testa cascò sempre di più sul suo petto. E le parole cominciarono ad uscire come un fiume in piena.

"Non merito tutta questa gentilezza."

"E perché mai?" La sua voce serissima.

"Tutti quelli che mi circondano soffrono," e poi con il magone in gola, "o muoiono."

Eravamo arrivate sopra, ora Jemma aveva cominciato ad aggirarsi per i corridoi.

Aveva spinto di più le dita dentro la mia pelle, forse l'avevo fatta innervosire.

"Penso che ti sbagli. Quelle tre, giù in sala, ti amano più di ogni altra cosa al mondo. Tengono a te per una ragione. E morirebbero per te. Tu hai dato loro la vita e loro te la stanno donando in cambio."

"Ma io non voglio." La prima lacrima scese giù per la mia guancia. "Non voglio che nessuno muoia per colpa mia."

"Tu le hai salvate, o a volte te lo scordi? Salvate."

"Ma-"

Finalmente eravamo arrivate in camera. Jemma aprì la porta con estrema facilità, anche con me in braccio.

"Lux..."

Ormai avevo chiuso gli occhi, non volevo vedere il suo volto, non volevo vedere più nulla.

Mi mise sul letto ma prima che potesse lasciarmi andare io l'avevo bloccata a me, con le braccia intorno al suo collo. Mi guardava con una tale pena. Mi dava fastidio, ma volevo che capisse quello che stavo provando, la follia nella mia testa, i miei sentimenti in fiamme e le mie emozioni un declino.

Non era una donna dal volto grazioso e nemmeno elegante con i gesti. La sua muscolatura era prorompente, di chi è ossessionato dalla lotta e dal sangue, più volte l'avevo vista con il naso rotto o con una stampella. Ma nonostante la sua volgarità e rozzezza, sapevo che era una donna degna della mia fiducia. Mi ero spinta in avanti. E lei non mi aveva respinta. E quando mi staccai da lei ricadendo sul cuscino, l'avevo guardata come se non avessi più nulla, come se dentro di me non c'era più niente, come se avessi perso tutto... E lei aveva ancora quello sguardo.

"Non so cosa sta succedendo nella tua vita." Potevo sentire il suo respiro. "Ma posso vedere che stai male. Posso darti calore, se è quello che cerchi, ma non oggi, non stanotte. Non mi piace giocare con donne ubriache. Specialmente voi, mia Lord."

"Puoi restare?" chiesi con un'altra lacrima che scendeva e che si univa ad una seconda. "Almeno questo..."

"Vado a sedermi sulla poltrona. Buonanotte Lux."

La mattina dopo mi ero svegliata con la vergogna in corpo. Ero arrabbiata con me stessa e stavo anche cercando di giustificare le mie stesse azioni. Come immaginavo, e speravo, Jemma non era nella stanza. La poltrona era vuota, nessuno stava vegliando su di me in quel momento. Avrei potuto fare di tutto, anche distruggere me stessa. Ma feci la cosa più normale di tutte. Mi alzai e uscii dalla camera. Incontrai per le scale le gemelle, avevano entrambe delle grandi sacche sulle spalle.

È vero, stamattina partono. E anch'io.

"Stavamo venendo a svegliarla," mi sorrise Malicia.

"Ma per fortuna è già in piedi."

"State andando?"

Entrambe annuirono.

"Venite qui." Allargai le braccia e loro si fiondarono nel mio abbraccio, strofinando il loro volto contro il mio collo e le mie spalle.

"Mandatemi delle lettere, siate caute."

Le gemelle annuirono nuovamente, ora con più enfasi.

Mi rimasero incollate a lungo, finché una voce sarcastica proveniente dalla fine delle scale non disse: "Servono delle forbici?"

Le due ragazze si allontanarono e sorridendomi un ultima volta scesero le scale correndo.

"Su, su!" esclamò Jemma battendo le mani quando le due le passarono davanti.

Quando poi guardò nella mia direzione, io cercai di mantenere il contatto visivo, ma fallii miseramente.

"Come stai?" mi domandò col sorriso. "Spero tu non sia andata in bagno a vomitare. Ad un certo punto ho avuto un impellente bisogno, sai... a livello digestivo, e sono rimasta chiusa dentro per un'ora."

"Tranquilla, ho dormito profondamente."

"Bene," poi mi allungò una mano, "vieni?"

E così cominciai a scendere le scale con gli stessi vestiti che avevo indossato la notte prima.

Dopo la colazione era il turno mio e di Ife.

"Mi porti via le miei guerriere più brave, eh!" esclamò dandomi una pacca sul fondo schiena.

"Smettila!" esclamai digrignando i denti.

"Ah che palle," sbuffò.

Ife era già in carrozza ad aspettarmi, con i nostri bagagli legati dietro.

"Sei sicura riguardante i Tyrian?"

"Negli ultimi dieci anni pare che ci siano state delle entrate da parte di soggetti senza nome. E per quanto le famiglie commettono frode continuamente, il denaro che si aggira nel loro territorio non sembra essere tanto pulito."

"Va bene, almeno è un inizio."

"Anche se potrebbe non centrare nulla con il nostro problema."

"Ripeto," dissi infastidita, "almeno è un inizio."

Almeno è un passo in avanti per ritrovarti.

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 32 - Incomprensioni ***


Rhea

Eravamo tutti seduti a tavola a fare colazione. Lux era partita già da un'ora. Sembrava un giorno come tutti gli altri. Jason e Elliot giocavano con il cibo come fossero bambini, con Camilla che li rimproverava, Estella sogghignava come suo solito all'orecchio di Arkel, e Marcus se ne stava in silenzio in disparte. Gli altri, invece, o erano in giro a riposare su un letto d'Hotel o erano troppo pigri per alzarsi prima di pranzo. Io bevevo il mio tè con calma e lentezza, posando di tanto in tanto lo sguardo su un punto vuoto. Quando non lo facevo mi fissavo su Amélie. Portava i capelli biondi e mossi legati in una lenta coda bassa. Alcuni ciuffi le infastidivano il naso, altri le delineavano la guancia. Inzuppava i biscotti nel latte macchiato con noncuranza. Non guardava quello che faceva, agiva automaticamente senza pensare. Avava la punta del naso un po' rossa e anche un paio di borse sotto gli occhi, rosse anche quelle. Era persa nei suoi pensieri. Inzuppò e inzuppò finché il biscotto non si ruppe. A quel punto si era pulita le dita con un fazzoletto e si era alzata da tavola. La seguii con lo sguardo finché non uscì dalla sala.

Lux alla sua partenza non ci aveva salutate, né me, né lei e specialmente non Arkel. Ci aveva degnati di una breve occhiata e poi se ne era andata come se non fosse più tornata. Con baci e abbracci per tutti gli altri. Arkel è sempre stato abituato alla sua freddezza, ma non io e soprattutto non Amélie. Era come una sorella per lei.

Mi alzai da tavola qualche minuto dopo, passando per la cucina e prendendo una bottiglia in vetro contenente la mia vera colazione. Non ne avevo bisogno, non ero affamata, avevo solo voglia, per rabbia e impotenza.

Andai in camera mia, e nel farlo puntai gli occhi sulla porta della stanza di Amélie. Rallentai. E poi mi fermai.

La tentazione di bussare era forte, ero quasi pronta ad andarmene, ma poi guardai la bottiglia in mano e pensai: "Non c'è niente di meglio che una bevuta in compagnia." E così bussai.

"Un attimo," esclamò da oltre la porta.

Io rimasi ferma ed in silenzio.

"Avanti."

Quando la aprii trovai Amélie di spalle, con la testa china e le mani portate verso il viso. Quando tirò su con il naso si girò verso di me. Mi fece un mezzo sorriso. Aveva gli occhi rossi e il naso più bordò di prima.

Io, dal canto mio, alzai la bottiglia e la scossi. Lei rise e mi fece cenno di avvicinarmi.

"Predo dei bicchieri."

Camera sua era modesta come sempre, e buia come sempre. Mi avvicinai verso le finestre e tirai di lato le tende. Il tempo non era nemmeno uno dei migliori.

Amélie prese dalla piccola credenza due bicchieri di semplice fattura. Non erano nemmeno calici. Tolse la scacchiera dal piccolo tavolo e mi invitò a sedere. Io poggiai la bottiglia sul tavolino e poi ci fissammo. Era strano, ci guardavamo e basta. Serviva un semplice: "Vuoi un po'?" da parte mia, o in semplice allungare il bicchiere da parte sua, ma nessuna di noi due voleva muoversi o parlare.

C'erano così tante cose in sospeso tra noi che non serviva dare voce a quei pensieri. Ognuna sapeva la risposta dell'altra, ed entrambe sapevamo che se avremmo cominciato avremmo finito per litigare, per maledirci e insultarci a vicenda.

Fu lei la prima a rompere il ghiaccio. Allungò il bicchiere come avevo pensato. Io riempii prima il suo e poi il mio.

"A cosa brindiamo?" domandò con voce rauca.

"A me, che sono un disastro come sorella."

"E me," alzò il bicchiere, "perché continuo a seguire un disastro come te."

Ci guardammo con un sorriso sconfitto, e i nostri bicchieri si baciarono.

C'era così tanta ironia in tutto ciò che volevo ridere. Ridere a squarciagola fino ad urlare. Io e lei, due persone completamente opposte, una che ferisce e l'altra che cura. Dopo tutto il male che ci eravamo fatte, eravamo ancora qui, difronte l'una all'altra a bere insieme e brindare al casino che eravamo.

Ed io come una stupida bambina innamorata la guardavo e pensavo a quanto fosse bella.

"Non mi piace quando mi guardi così."

"Lo so." Provai a sorridere. Cosa potevo fare, del resto. Magari piangere? Sia mai.

È brutto sentirsi non capiti.

"Perché sei qui, Rhea?" Si leccò le labbra, guardando il bicchiere quasi vuoto.

"Immaginavo volessi compagnia."

Lei annuì insoddisfatta della risposta.

"Io volevo compagnia," mi corressi.

Fece un sorriso di scherno. Alzò le sopracciglia e aprì quella sorridente bocca per dire qualcosa, ma rimase zitta.

"Cosa?" allora domandai. "Non dovrebbe stupirti."

"Infatti."

Aprii un bottone la camicia, mi sentivo soffocare. C'è una cosa che ho sempre odiato di me, che quando voglio qualcosa la voglio, punto e basta. Ma le persone non sono cose, e io la volevo, davvero tanto. Tutto questo mi faceva sentire come se avessi la cosa più preziosa davanti agli occhi ma senza mai poterla raggiungere. Non potevo nemmeno toccarla, nemmeno sfiorarla. E questo mi distruggeva. La guardavo e desideravo con le lacrime agli occhi anche un minimo tocco. Un giorno avevo anche cominciato a pensare a cose folli. Sarebbe bastato morire davanti a lei, in quel modo mi avrebbe finalmente stretto a sé. Erano pensieri che a volte mi giravano nella testa come sogni febbrili. Ridevo di me stessa e della mia stupida cotta.

Mi chiedo cosa lei pensi. Mi chiedo se prova repulsione nel guardarmi ma cerchi di nasconderlo per il quieto vivere. Mi chiedo se a volte cambia strada quando mi intravede, se alza gli occhi al cielo ogni volta che apro bocca o se lava in modo compulsivo i punti dove i miei vestiti l'hanno sfiorata. Fin dove arriva il suo odio?

"Perché cerchi ancora la mia compagna, Rhea?" La sua voce era ferma, più seria che mai. Ma il suo sguardo la tradiva un po'. Sembrava che l'aver formulato quella domanda l'avesse turbata.

"Non lo so," dissi col sorriso, "dimmelo tu. Anzi, magari dimmi perché mi hai assecondata con la faccenda di Eloyn." Pura e genuina curiosità.

"Mi sembrava la cosa giusta," rispose rapidamente.

"Okay," annuii senza crederle.

"Tu pensi che io stia mentendo."

"Perspicace," la presi in giro.

"Sei-" chiuse gli occhi e si morse le labbra per la frustrazione, "dannatamente insopportabile."

"So anche questo," risposi a voce bassa, guardandola.

"Allora dimmi cos'è che non sai."

Lo disse con un ghigno sul volto, la curiosità che le si leggeva in faccia. Come avrei potuto appagare tale curiosità?

"I tuoi sentimenti nei miei confronti," dissi con un sincero sorriso.

Amélie distolse lo sguardo e si appoggiò allo schienale. Scosse la testa come se stesse parlando a se stessa, o forse era solo la manifestazione visiva della sua delusione nei miei confronti. In ogni modo, come immaginavo, non ne fu contenta.

Non potei guardare più a lungo di così quel viso. Puntai lo sguardo verso il bicchiere vuoto e poi la bottiglia. Mi riempii il bicchiere fino all'orlo. Bevvi senza fermarmi mai. Volevo solo avere qualcosa da fare durante quel silenzio agghiacciante. Ora il bicchiere era vuoto, così come lo sguardo di Amélie.

"Ti prego, dì qualcosa."

"Che dovrei dire?" chiese con voce rauca guardando il vuoto.

Quando si girò a guardarmi i suoi occhi erano diversi. E continuò a guardarmi finché il suo sguardo non si trasformò in una smorfia di dolore e distolse gli occhi. Si alzò improvvisamente dandomi le spalle. Cercò di sopprimere i singhiozzi. Io mi misi in piedi. Non sapevo cosa fare. Mi avvicinai a lei. Il mio passo era leggero, forse nemmeno mi sentì, ma quando si voltò la sua testa china incontrò il mio corpo e la sua fronte toccò il mio petto. Pensavo si sarebbe staccata via con uno scatto, ma rimase lì. I suoi pugni raggiunsero il mio petto e strinse la camicia.

"Non dovevamo," disse a voce bassa. "Io non dovevo."

"Fare cosa, assecondarmi?" risi. "Ottengo sempre quello che voglio," dissi da altezzosa.

"Non dire cose stupide," replicò dandomi un pugno. La sua fronte ancora sul mio cuore. "Eloyn doveva restare."

Volevo stringerla a me. Vederla così, farsi piccola e cercare un po' di conforto da me, mi fece impazzire.

Mossi le braccia, le toccai la schiena con la punta delle dita. Lei non reagì. E allora poggia i palmi della mano e la strinsi. Il suo volto era ancora contro il mio petto e sicuramente poteva percepire ogni mio battito, ogni mio respiro, e andava tutto veloce. Poteva sentire la mia agitazione, la mia paura, e il respiro di sollievo quando non mi spinse via.

Lentamente passai la mano dalla schiena lungo la sua nuca. Immersi le dita nei suoi capelli e cominciai a muoverle. Un tempo, quando ancora non c'era odio tra noi, ogni volta che qualcosa mi turbata lei mi faceva sedere e mi stringeva. Io poggiavo la fronte sulla sua spalla e lei dolcemente passava le sue dita tra i miei capelli. Più lo faceva, più capivo che stava diventando un'abitudine dal quale non mi sarei mai più separata. Mi calmava, mi faceva sentire in pace.

Ora c'ero io dall'altra parte. Era la prima volta in realtà, quello era sempre stato il suo modo per mostrarmi affetto e comprensione. Stavo osando davvero molto. Le possibilità erano tante, avrebbe potuto spingermi via, darmi un schiaffo, un pugno in pancia, qualsiasi cosa per farmi capire che tornare ai vecchi tempi era impossibile e riportare indietro questa intimità era ormai inimmaginabile. Eppure aveva cominciato a respirare velocemente, non in modo aggressivo, come il respiro che precede il pugno, no.

Eravamo solo due persone che dopo tanto tempo si erano riavvicinate e non sapevano cosa fare con le loro emozioni. Io tenevo ad Amélie, avevo fatto le peggio cose per lei, avevo ucciso.

"Amélie..." sussurrai. Io voglio andare oltre, ciò non mi basta. Questa lontananza non la sopporto più.

"No," disse, con il suo respiro contro la pelle. "Lo sai. Vorrai sempre di più ed io non posso."

Si staccò da me, tirò su col naso e evitò di guardarmi.

"Sai che non sono come lui."

Lei chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Già sapevo cosa stava pensando: "Non di nuovo quest'argomento." Ma a me non importava, lo avremmo affrontato ogni volta che sarebbe stato necessario.

"L'hai ucciso."

"È stata Lux," insistetti.

"Ma tu gliel'hai chiesto. Lo hai pedinato giorno e notte, hai appuntato le sue abitudini, come una pazza assassina! E poi hai detto a Lux come fare. L'hai fatto fare a lei così da non prenderti responsabilità, ma indirettamente sei stata tu."

"È passato così tanto tempo!" Feci un passo verso di lei." Perché ancora ci pensi?!"

Lo schiaffo che mi diede non fece male, per nulla. Quello che mi ferì fu il gesto in sé.

Lei tirò a sé la mano come se avesse toccato qualcosa di bollente. Mi guardò con il terrore negli occhi. C'erano solo sentimenti di paura e rimpianto sul suo viso. Mi addolorò vederle assumere quella faccia.

"Perdonami!" esclamò con la voce rotta. E corse via. Via da me.

~ * ~

Passai il pomeriggio in città, incontrando vecchi amici, ora semplici conoscenti, cercando di non pensare a nulla che riguardasse Lux o Amélie. Ci riuscii, inizialmente.

Ai lati della strada c'erano umani che si prostituivano per conto dei loro padroni. Per quanto Lux avesse cercato di limitare tali atteggiamenti con vari leggi tra cui "uso improprio della schiavitù di un singolo," nella parte malfamata della città tutto ciò accade quotidianamente. E diciamo che io non ero esattamente nella parte più rispettabile.

Finii in un bar dove si giocava e scommetteva. C'erano dei lunghi tavoli di legno povero che ospitavano gruppi di persone, tra chi giocava e chi guardava. C'era anche qualche donna vestita in modo succinto che si aggirava nel bar, con le sue cosce spoglie e seni provocanti.

Quel posto non era un granché, ma tutti sembrano essere felici, sorridevano e sghignazzavano al bancone del bar con i loro bicchieri in mano e le guance rosse. Presi anch'io qualcosa da bere, nulla di pesante. Ascoltavo i loro discorsi sull'economia e lo schiavismo come se ne sapessero qualcosa, io rimasi sempre in silenzio. Questo mi fece ricordare perché persi i contatti con tutti. Mentre bevevo un sorso del secondo bicchiere sentii due mani allungarsi sulle mie spalle. I miei amici si girarono a guardarmi con un ghigno, ma io non avevo nemmeno sussultato. Continuai a bere il mio bicchiere di whisky quando le sue mani affondarono nell'incavo della camicia. Sapevo che avrei dovuto lasciarla abbottonata fino al collo, ora era tardi per pensarci. Sentii il suo respiro sul collo e lasciai il bicchiere sul bancone. Girai la testa, il suo viso era proprio lì. Una bella donna bionda, ben truccata con il seno mezzo fuori. La guardai per un altro secondo, sorrisi e mi sporsi di qualche centimetro. Le nostre labbra si incontrarono. Le mie erano probabilmente umide e sapevano di alcol, ma a quella donna sicuramente non importava, voleva solo il suo compenso, e io da parte mia desideravo essere toccata da mani soffici. Sentii le sue mani affondare di più e le sue dita toccare punti sensibili, ma l'ultima cosa che volevo era dare spettacolo. Mi staccai dal bacio ma nel farlo le sorrisi. Lei sfilò via le mani e prese con una delicata stretta la mia.

"Perdonatemi," mi girai verso i miei amici, un gruppetto di tre persone che mi guardavano con la fame negli occhi, "vado a soddisfare i miei bisogni."

Mi alzai dallo sgabello e la bella donna mi guidò tra i tavoli e poi su per le scale. Entrammo nella prima stanza libera, lei si fiondò su di me facendomi cadere sul letto. Io rimasi lì inerme. Si mise a cavalcioni su di me e cominciò a spogliarsi in modo seducente. Il vestito era tirato giù sui fianchi lasciando il suo petto scoperto. Mi tirò su verso di lei prendendomi il colletto della camicia. I nostri volti erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. Mi avvicinai facendo sfiorare le nostre labbra ma lei fece una falsa e si scansò. Abbassò la testa baciandomi il collo per poi affondare i suoi dolci canini nella mia pelle.

Un rilascio di estasi travolse il mio corpo. Avevo quasi dimenticato questa sensazione di puro piacere e abbandono. Dopo qualche mio gemito la donna mi lasciò andare e io caddi all'indietro sul materasso. Lei mi guardò con occhi pieni di lussuria e si piegò su di me, sbottonandomi la camicia e lasciandola completamente a aperta. Le mie braccia erano ai lati incapaci di muoversi. Le lasciai fare tutto ciò che voleva. Mi tolse il reggiseno, la cinta dei pantaloni e affondò la mano nelle mie gambe.
Non mi fece sussultare, era un tocco leggero, ma era piacevole. Portò le sue labbra di nuovo sulle mie, bisbigliando poi nel mio orecchio: "Spero tu non sia ubriaca," il suo respiro era caldo, "voglio che ricordi tutto." Mi domandai a quante persone avesse detto queste parole, uomini o donne, mentre si divertiva a massaggiare le loro parti intime. Era una donna delicata, tanto che quando spinse le sue dita dentro in un primo momento nemmeno me ne accorsi. Mi domandai se fosse quella l'idea che le davo, di una donna che lo preferiva lento. Il che non era esattamente sbagliato. In questo momento non mi importava del sesso, volevo solo dello stretto contatto fisico, un po' di intimità con qualcuno. Quando tolse la mano, mi lasciò una leggera traccia di umidità sull'addome e guardandomi con un ghigno mi prese i pantaloni. Mi alzai leggermente e lei me li sfilò, e per aiutarla io li cacciai via a bordo del letto. Guardandomi fissa negli occhi, mentre il petto palpitava, si abbassò baciando le mie labbra.

"Quindi sei il tipo di ragazza che vuole che gli altri si prendano cura di lei, eh?"

Era accanto a me, nuda, distesa di fianco con una pipa in mano, inusuale per una donna della sua età, ma non mi lamentai. Avevo avuto donne in precedenza che fumavano, ci avevo fatto l'abitudine.

"Non proprio," dissi sorridendole, "ma oggi avevo bisogno di molte attenzioni."

La donna rise. Ora che ci penso non le ho nemmeno chiesto il nome e lei non ha chiesto il mio.

"Molte delle volte," espirò un po' di fumo, "uomini o donne che sia, mi saltano addosso come fossi la loro preda. Tu sei stata uno strappo alla quotidianità."

"Allora spero ti sia piaciuto."

"Oh, sì. Per una volta non sono stata sballottata di qua o di là per stanza."

"Bene," risi ma con un leggero dispiacere.

Decisi di alzarmi, si era ormai fatto un certo orario. Mi scoprii dalla coperta osservando il mio corpo.

"Scusami, ho un po' esagerato," fece con un ghigno. Aveva già da un po' cominciato a fare dei cerchi con l'unghia sulla mia coscia, ma io non avevo tempo o voglia di fare un altro giro.

Mi alzai, riprendendo i vestiti, uno da una parte, uno dall'altra, erano un po' sparsi ovunque. Mi vestii velocemente lasciandole un po' di soldi sul comodino.

"Sono esageratamente troppi."

"Vedilo come un ringraziamento."

Le sorrisi un'ultima volta e uscii da quella stanza senza mai più voltarmi.

Quando tornai a casa avevo marchi su tutto il corpo. Il segno di un morso, sia su pelle umana che vampira, rimane per circa quattro ore, svanendo lentamente come se non fosse successo nulla. I morsi di quella donna ora erano di un colore simile a quello della mia pelle ma leggermente più lucidi e simili ad una vecchia cicatrice. Fui accolta in casa da qualche umano, fortunatamente non c'era alcuna traccia di Amélie. Chiesi ad un servo di portarmi la cena in camera, non volevo vedere nessuno ben che meno lei. I marchi sarebbero spariti nella prossima ora, ma non potevo presentarmi a cena così. Agli altri non sarebbe importante nulla, ma a lei sì.

Feci una doccia veloce, lavando via il sudore. Mi passai una crema profumata su tutto il corpo e misi una vestaglia nera di seta, stile accappatoio. Non c'è niente di meglio che essere puliti e profumati. Mi sdraiai sul letto, con una gamba che pendeva fuori e un braccio sulla fronte. Ero stanca, davvero tanto. Non vedevo l'ora di andar via, allontanarmi da questa casa, da Amélie, da amici di vecchia data inutili... Chiusi gli occhi per un attimo, concentrandomi sull'oscuritá, cercando di non pensare. Qualcuno bussò alla porta.

"Avanti," dissi e dopo che sentii il cigolare della porta aprirsi aggiunsi, "poggia pure sul tavolino."

Rimasi con gli occhi chiusi, fino in ultimo, anche quando capii. Feci un sospiro di sconfitta. Poggiai il braccio sopra gli occhi, volevo rimanere cieca e non affrontare quello sguardo. Si misi a cavalcioni sopra di me, sciogliendo la cinta per poi guardandomi nella mia interezza. Sentii le sue dita toccarmi nei punti in cui quella donna aveva lasciato la sua firma.

"Sei una delusione."

Ero spoglia, nuda difronte a lei mostrando la mia fragilità ma tutto ciò che lei vedeva era la lussuria annidata dentro di me. Quanto si sbagliava...

Se ne andò via a passo svelto, io mi rifiutai di guardare. Ancora una volta aveva volontariamente rifiutato di capirmi, ancora una volta aveva sputato sui miei sentimenti.

 Ancora una volta aveva volontariamente rifiutato di capirmi, ancora una volta aveva sputato sui miei sentimenti

Ps: Ma quanto l'ho fatta bella Rhea?!?

Spero che abbiate capito il doppio senso a un certo punto👀 e spero pure che questo capitolo con il pov di Rhea vi sia piaciuto


Spero che abbiate capito il doppio senso a un certo punto👀 e spero pure che questo capitolo con il pov di Rhea vi sia piaciuto. Al prossimo capitolo~

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 33 - io, te, noi... interludio ***


Eloyn

Era passato un mese dal mio arrivo a Tianama. La grinta e l'odio che un tempo avevo provato quando Lux mi aveva portata via dal mio villaggio sembravano non essersi ripetuti. Ora mi aggiro tra queste mura raffinate e lussuose avvolta dalla solitudine. Avevo creduto che avrei comunque mantenuto un minimo di determinazione, ma anche quella mi aveva abbandonata dopo la terza settimana. Mi guardo intorno priva di uno scopo e vedo solo freddezza, guardo la mia immagine nello specchio e mi domando fino a quando resisterò. Lux mi ha rammollita, mi ha fatto dimenticare ciò che ero e poi mi ha lasciata qui a sperare. La speranza è l'ultima cosa che il mio corpo non ha abbandonato, l'unica che mi fa alzare la mattina e l'unica che non mi fa desiderare di non svegliarmi più. Ma se solo penso a questi giorni, come si siano tramutati in un mese, vengo travolta dal terrore, e mi auguro con il magone e il petto palpitante che non si trasformi in un anno. In quel caso, avrei saputo ciò che andava fatto. 

In un certo senso ho compiuto la mia missione. Ho ucciso colei che ha ammazzato la mia famiglia e una nuova donna è nata dalla sua morte. Non mi prendo il merito di essere riuscita a cambiarla, perché non c'è niente di più errato di credere  che qualcuno possa cambiare. Ma forse grazie a me è tornata ad essere la ragazza che un tempo era stata e che lei stessa ha provato ad annegare. Ne sono uscita vincitrice, del resto è sempre stato il mio scopo di vita. Ora che non c'è la vendetta a governarmi, ora che ho capito che vampiri e umani non sono così diversi, cosa mi rimane? 

Mi padre mi ha sempre detto che chi sceglie il momento e il luogo della sua morte è un uomo fortunato. Ma mi ha anche detto che la vita è preziosa e non va sprecata, che se non la vuoi meglio donarla a qualcun altro. E allora io mi chiedo, se non ho qualcuno da proteggere, posso buttarla via? Avrò il diritto di farlo quando la speranza se ne sarà andata? Però vorrei farlo con onore, ma in questo luogo è facile perderlo. Chissà per quanto tempo riuscirò a mantenerlo. Una volta morto, anche la speranza cederà. E io mi lascerò cadere insieme a loro.

La cosa che più non capisco, è perché io mi stia spegnendo così velocemente. I miei genitori erano morti ma avevo combattuto, sono stata portata via dal mio villaggio e ho combattuto, ho subito ogni tipo di ingiustizia ma ho combattuto, sono stata e rapita, due volte in una notte, e diamine se ho combattuto. Ma ora sono semplicemente stanca. Forse ho davvero combattuto troppo. Nulla è stato mai graduale, i miei diciott'anni passati in un vortice di situazioni che non potevo controllare e sentimenti nuovi che avevo paura di provare, tutto in un fottuto anno. Devo dire che un po' di rabbia ancora mi rimane, nei confronti di nessuno però, ma verso il destino o il fato o come si chiama, ognuno ha la sua concezione ed io non sono mai stata una forte religiosa. Forse è per questo che le persone credono a qualcosa di esteriore alla loro coscienza, così da potersi infuriare e dirigere il loro odio verso qualcosa al di fuori della loro portata. Così sarebbe facile scrollarsi le colpe di dosso, io sentivo di averne molte. In queste settimane il rimorso mi aveva distrutta, e sì, stavo cominciato ad odiare il fato per avermi messo di fronte continui ostacoli, ora il più grande si chiama Cassandra, ma un tempo aveva il mio nome. 

Lux, tu come stai? Non so davvero come immaginarti. Del resto sono sempre stata incapace di capire i tuoi sentimenti. Cassandra sembra conoscerti più di me, questo mi infastidisce in una maniera che non potresti mai aspettarti. Sono gelosa, ma da quel giorno lei non ti ha più nominata, anzi, di rado la vedo. Ma... c'è una cosa che nemmeno a me va giù, perché in realtà la risposta già la so. Sono egoista se spero tu stia soffrendo per la mia perdita? E' malvagio da parte mia? Desidero solo che tu reagisca nella stesso modo in cui avrei reagito io se i nostri ruoli fossero stati inversi. Se qualcuno ti avesse portata via da me, dopo tutto quello che avevamo passato, avrei di sicuro perso la testa. Avrei invaso qualsiasi regno, distrutto ogni cosa. Sono egoista, vero? Perché farei la stessa cosa che hai fatto tu dopo che hanno ucciso quella tua schiava. E io stupidamente ti ho condannata. Non mi sono mai messa nei tuoi panni. Probabilmente non merito il tuo affetto, non so nemmeno come tu abbia fatto ad affezionarti a me, una persona così avversa e rompi scatole. Perché sì, ti ho fatto girare la testa un bel po' di volte, ma nonostante tutto non mi hai mai odiata. Non ti capisco proprio. 

Quella volta al lago hai cercato di mostrarmi la tua gentilezza a modo tuo. Ma all'epoca eravamo troppo estranee perché io capissi. Era impossibile per me vedere oltre la lussuria nei tuoi occhi, ma forse nei tuoi vedevo riflessa la mia, mentre tu cercavi solo di creare una connessione con me. Mi avevi sorriso, mentre io ne avevo finto uno solo per ferirti. Ricordo il tuo sangue, ricordo i sensi di colpa che ero riuscita a seppellire con il dolore della morte dei miei. Forse quando ci rivedremo ti dirò che sono stata io a fasciarti la testa e non Amélie, forse ti dirò scusa per ogni volta che ti ho ferita o minacciata. Ma anche tu dovrai fare lo stesso, abbiamo sbagliato entrambe in molte cose, tu per prima. Salvarmi da qui potrebbe essere un inizio, potrei abbonarti qualche "scusa" o "mi dispiace". Ti abbonerei un milione di cose solo per abbracciarti ancora una volta... 

Vorrei quasi che tu mi odiassi, così sarebbe più facile per me lasciarmi andare. Ma tu compari sempre tra i miei pensieri e con te anche le nostre possibilità future. 

Penso di non aver mai capito così tanto di me in un mese, che in tutta la mia vita. Se dovesse succederti qualcosa, Lux... io morirei con te, se non il mio corpo, il mio mio spirito sì. Non ho mai provato qualcosa di simile per qualcuno, ne lo desideravo, perché il dolore che provo è forte e mi mangia ogni giorno. La tua stessa esistenza è la mia speranza. 

Ci sono innumerevoli motivi per cui io potrei morire qui a Tianama, ma ce ne è solo uno per cui io potrei continuare a vivere. E quello sei tu.
 

Lux

Un mese per noi immortali non è nulla, così come una settimana è uno schiocco di dita. Sentivo che il tempo in cui eri stata qui al mio fianco era passato in un battito di ciglia, ma questo mese l'avevo passato come un vampiro normale o come voi umani, vivendo ogni secondo e ogni minuto completamente consapevo delle mie emozioni. Non variavano poi così tanto, erano sempre le solite: vuoto, impotenza, solitudine, per poi passare all'ira e al furore. Non c'erano vie di mezzo, non c'era felicità nei piccoli momenti in cui pensavo ad altro, e di sicuro non mi caratterizzava l'ottimismo. Quella era Amélie. Così finto da irritarmi soltanto. Lei e mia sorella sembravano essere tornate nuovamente sul piede di guerra, ma ogni volta che c'ero io sembravano placarsi. 

Ti penso spesso, anzi... sempre, e ogni giorno in cui i miei corvi non mi contattano è un altro giorno di agonia, di domande... Potresti essere morta, forse lo sei da un pezzo, e io continuo come una stupida a cercarti, a sperare. Spero di trovare almeno il tuo corpo, così ti metterò nella nostra tomba, i Thorns. Probabilmente sbaglio a pensarla così, ma credere firmemente di trovarti sana e salva mi mette aspettative che potrebbero essere distrutte, io ne rimarrei distrutta. Quindi perdonami se quando troverò il tuo corpo non piangerò, perché ho sentito la tua morte nel momento in cui ti hanno portata via, ci piango ogni giorno, nascosta nella mia stanza, lontana dalla vista di tutti. 

L'unico momento di piacere che ho avuto è quando ho fatto giustiziare l'uomo che Rhea aveva contatto e pure la coppia che ti aveva comprata. Rhea mi odia ancora per questo. Tutto ciò che avrebbe provato, rimorso, dolore, rabbia, sarebbero stati la sua punizione. Ho ucciso un uomo a cui lei teneva, così come lei era pronta a togliermi qualcuno che amavo. Io la chiamo vendetta, per te Eloyn questa è sicuramente giustizia. Non sei una che ama la pace e le strette di mano, sono sicura che avresti approvato la mia decisione, è per questo che io e te siamo uguali. Amiamo e odiamo allo stesso modo, con una linea sottile che divide i due, ci piace il sangue, anche se in forme diverse, e siamo spietate verso chi ci fa soffrire. Se fossi stata un vampiro ti avrei già sposata, ma questo non importa perché se ti troverò, e tu lo vorrai, sono pronta a donarti una nuova forma e con essa l'immortalità. Già ti immagino. Tu al mio fianco con un bicchiere di sangue mentre discutiamo di politica ed economia, su come migliorare il regno e la vita di ogni umano schiavo che lo abita. Un bellissimo sogno.

Ho notato una forte preoccupazione per me da chi sa cosa ho fatto dopo la morte di Lailah. Ma io non sono più quella donna, ho capito duramente le conseguenze della mia vena distruttiva, del resto ti ho portato via i tuoi genitori, non ho intenzione di distruggere altre famiglie per egoismo. Tutti mi guardano sempre in agguato, non concepiscono quello che mi hai fatto, non comprendono come tu mi hai aiutata, anche se non di proposito. Mi hai migliorata, Eloyn, e ora te ne sei andata... Mi hai lasciata così, non siamo nemmeno riuscite a chiarirci. Che pena, vero? Siamo state due stupide che hanno preso scelte sbagliate oppure non le hanno prese affatto. Ma c'è una cosa che non mi pento di aver fatto. Penserai che sono egoista, e perdonami, ma se ci fosse la possibilità di tornare indietro, non impedirei a me stessa di rapirti. So che è orribile e spregevole, perché chissà ora cosa ti stanno facendo o cosa ti hanno già fatto, ma ti giuro rifarei quella scelta un miliardo di volte. Ti sembrerò possessiva, perché effettivamente lo sono. Però ciò che sarebbe accaduto dopo lo avrei cambiato tutto. Credo che anche tu ti senti un po' così, te l'ho visto negli occhi innumerevoli volte, oltre alla confusione c'era sempre del pentimento. Ti sforzavi di trattarmi in quel modo perché è quello che ti hanno sempre insegnato. Ma ti immagini se fosse stato diverso? Se io mi fossi comportata meglio con te e tu avessi abbandonato i pregiudizi? Ora saremmo state sdraiate su un letto, nude e completamente sudate, scambiandoci una veloce occhiata per poi ridere felicemente. Era quello il futuro che volevo per noi e lo bramo ancora. Non importa per quanto, non smetterò mai di cercarti, questa è una promessa. Ho difronte l'eternità, Eloyn. Prima o poi ti farò tornare a casa.

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 34 - Legami ***


Eloyn

Per tutto il tempo che sono stata qui, giorno e notte, non sono riuscita a smettere di fare paragoni, come questo materasso è più duro rispetto a quello a casa di Lux, come il cibo per umani è meno saporito, come le giornate sembrano essere lunghe e le settimane non finire mai. Con Lux ogni giorno o momento era così fugace, breve da farmi star male adesso. Fortunatamente dopo qualche giorno anch'io ricevetti una lista dei compiti da svolgere, decisamente più breve e meno pesante se messa a confronto con quella degli altri umani. Io e Cronella ci siamo ritrovate ad avere gli stessi turni. Mi disse che era stata una sfortuna per me, e che gli altri mi avrebbero odiata. Questo accese la mia curiosità.

"E' per questo che nessuno ti parla?" Le avevo chiesto. 

"Fatti i cavoli tuoi," mi avevo risposto con arroganza.

Almeno è un inizio.

Non mi rivolse la parola per una settimana intera nonostante i miei sforzi, si limitava all'essenziale: 'passami quello', 'passami quell'altro', 'sei lenta'... ancora e ancora. 

Ma adesso è in camera mia, seduta sul mio letto, e il petto scoperto.

"Ti hanno davvero fatta nera," dissi applicando una pomata datami da lei.

"Te l'ho detto quel giorno, è una sfortuna."

"Pensano che sei favorita?"

Aveva la schiena completamente rossa, presto sarebbero comparsi dei lividi molto pesanti. Quello che catturò di più la mia attenzione fu una profonda e lunga cicatrice, vecchia forse di un anno.

"Secondo te?" disse guardandomi con la coda dell'occhio.

Tutto questo mi ricordò la faccenda con Brendon e la sorella, a come lui mi aveva provocata portandomi al limite. Aveva insinuato le peggio cose, mi aveva ferita, ma almeno non fisicamente.

"Erano in due," esclamai con leggera irritazione, "perché non hai fatto nulla? Ti sei lasciata picchiare come se nulla fosse."

"Non ho bisogno dei tuoi rimproveri- ah!"

Affondai il dito in uno dei suoi lividi, leggermente violaceo. Squittì e con uno scatto si allontanò da me. 

"Matta!" esclamò, girò la testa nel tentativo di guardarsi dietro. "Fa male."

"Perché hai aspettato che intervenissi?" 

"Non sai nulla di come funzionano le cose qui."

"Ma so che hai delle forti braccia," dissi toccandole il bicipite, lei mi guardò storto scansandosi ulteriormente. "Potevi farle tu nere. Erano pure minute," dissi prendendola in giro.

Lei mi guardò con uno sguardo strafottente ripetendomi la stessa cosa: "Non sai come funziona qui." Con più rabbia aggiunse: "Non posso fare nulla."

"Perché?" insistetti.

Sembrava davvero infuriata, ma sapevo che non ce l'aveva veramente con me. Mi valutò per un attimo, decidendo se parlare o meno. 

"Ho sbagliato a chiederti aiuto."

Mi prese dalle mani la pomata e si rimise velocemente la maglietta.

"Ehi!" tentai, ma in un secondo aveva già sbattuto la porta dietro le sue spalle.

Permalosa, mi ricorda un po' me.

La mattina dopo mi alzai un po' turbata. Non riuscivo a togliermi dalla testa Cron. Era un pensiero così fisso che mi fermai davanti la porta della sua stanza. Rimasi lì davanti, immobile. La porta di una camera vicina si aprì. Inizialmente non gli diedi peso. Le due umane mi passarono dietro, io le ignorai. Sentii qualche mormorio e poi una risatina. Mi girai e vidi le due ragazze che avevano mal menato Cron. Sogghignavano tra di loro. Io le guardai in malo modo e loro si voltarono con ancora il loro stupido ghigno. Quando bussai, Cron aprì la porta con un sorriso. 

"Non pensavo fossi così felice di vedermi."

Mi richiuse la porta in faccia. Dopo dieci minuti buoni di attesa, decisi di scendere giù e di fare colazione. Cron non si fece mai vedere e Kiana a tavola sembrava sempre come tutti gli altri giorni. Ogni tanto alzava lo sguardo, cercando la capigliatura folta di Cron, ma lei era rimasta come una stupida in camera. Finita la colazione per vampiri, io dovetti fermarmi a pulire per terra. Ci misi il doppio del tempo, feci anche la parte di Cron, quell'egoista non si era per nulla presentata. Ricontrollai la lista di cose da fare, e segnava che nel pomeriggio avrei dovuto occuparmi del giardino con qualche altro umano. Avevo otto ore di riposo, o di noia. Prima da Lux avevo più mansioni o comunque c'era Dave con cui potevo parlare, qui sembra tutto così spento, senza vita. Ho troppo tempo per far parlare la mente, e questo non mi piace, ma fa pensare al passato, mi fa male.

Mi avviai verso la mia stanza, avevo notato che nel cassetto della scrivania c'era qualche foglio ed una penna, avrei passato il tempo così, a disegnare o scrivere. Del resto quando ero una cacciatrice non ho mai avuto tempo per queste cose. Forse era tempo di cominciare. 

Quando salii le scale intravidi la porta della serva-vampire aprirsi. Ed eccola lì, in tutta la sua bellezza. Alzò lo sguardo vedendomi passare, i nostri occhi si incrociarono, lei li riabbassò. Io mi bloccai e feci qualche passo all'indietro.

"Posso chiedere come ti chiami? Credo che non ci siamo presentate."

"Il mio nome non ti è di importanza, umana," disse riprendendo a camminare.

"Eloyn," le dissi, "non 'umana'. Tu?" 

Lei si girò con due occhi che avrebbero terrificato chiunque. Ma nonostante tutto, non potevo pensare ad altro, era davvero una bella ragazza, e non lo dico con malizia, ma con consapevolezza oggettiva. Ha dei capelli così pomposi che vorrei toccarli almeno una volta, sembrano sempre così soffici. I miei sono fini e lisci, nulla da ammirare. Non a caso è la serva di Cassandra, e se ho capito bene esclusivamente sua.

"Non rivolgermi più la parola," disse acida, "umana." E se ne andò.

Stronza.

Avrei voluto bussare nuovamente alla porta di Cron. Provavo una certa simpatia per lei, nonostante ha cercato, conscia o meno, di farsi odiare in ogni modo possibile. Lei non sa che per essere odiata da me deve avere dei requisiti che al momento le mancano, come il tradirmi o uccidere qualcuno a me caro. Sarò quello che Dave è stato per me, una spalla su cui appoggiarsi, e forse questo potrà farmi distrarre da i miei problemi. Superai la sua stanza e andai verso la porta delle due stupide di stamattina. Bussai, delicatamente. Una delle due mi aprì, io le sorrisi e alzai le mani in segno di pace. 

"Posso?" dissi facendo un passo in avanti. "Voglio solo parlare." 

Lei mi guardò torva e con riluttanza mi fece entrare. La sua compagna di stanza ci raggiuse un secondo dopo. "Che ci fa questa?"

 A quanto pare io e Cron eravamo le uniche ad avere stanze singole. Eravamo effettivamente più privilegiate, ma questa non è una buona ragione per far nascere astio. In un mondo del genere, dove regna la schiavitù, gli umani hanno addirittura tempo di provare invidia l'uno per l'altro. Assurdo.

"Falla uscire," continuò la compagna. 

Lei sbuffò e cercò di aprire la porta per spingermi via. Non appena allungò la mano io mi parai davanti essa. 

Non sfioreranno quella maniglia per i prossimi sessanta secondi. Tanto prima o poi avrebbero odiato anche me. 

Presi la mano della ragazza, non le avrei fatto male, almeno non visivamente. Le storsi il braccio dietro la schiena, spinsi in alto, lei grido. Le feci uno sgambetto e la spinsi con tutta la forza che avevo in corpo. Cadde violentemente contro la sua amica. Entrambe erano riverse a terra. Presi e gettai di lato la prima, stringeva ancora i denti per il dolore tenendosi il braccio. Mi piegai verso la seconda, scalciò, ma ogni colpo fu vano. La presi per i capelli e la trascinai con me. Si dimenò parecchio, ma io non la mollai mai. Era la più secca delle due e tirarla non mi affaticò molto. La lasciai facendole sbattere un po' la testa e mi misi difronte a lei. Mi piegai a cavalcioni, proprio sul suo stomaco, impedendole di alzarsi. L'altra era ancora riversa a terra, lamentandosi e piagnucolando. "Me l'hai rotto, rotto! Puttana..."

"Oh... non fare l'esagerata," dissi girandomi verso di lei. La ragazza sotto di me allungò le sue mani verso il mio collo, io le afferrai i polsi. "Pensa in positivo," continuai, ancora rivolta, "sta notte ti eserciterai un po' co la sinistra."

Grugnì come risposta, io risi. Ma adesso mi concentrai sulla ragazza che avevo sotto. "Lo sai che prendere qualcuno per il collo è proprio segno di bassezza. E' la prima cosa che mi hanno detto durante l'addestramento da cacciatrice. La seconda era che colpire le parti intime era segno di scorrettezza, ma su questa non sono mai stata molto d'accordo. Però non mi è mai piaciuto farlo con le ragazze, la reazione dei maschi mi ha sempre soddisfatta di più."

"Che cazzo vuoi?!" disse digrignando i denti.

"Voglio che la smettiate di fare le stupide, le idiote, le imbecilli, quello che volete... Mettete un punto a quello che avete iniziato."

"O?" disse sorridendo.

"o sarò io quella che inizierà qualcosa di spiacevole."

"Non sparare cazzate, non hai nemmeno un padrone vampiro che ti protegga, ti tornerà tutto contro."

"Oh, ma io ce l'ho." Il mio sorriso fece mutare la sua espressione, intravidi paura e confusione. Ora avrei insidiato terrore. "Si chiama Lux Thorns ed è la Lord di Styria."

~ * ~

Ero ormai tornata in camera, con il sorriso e la soddisfazione scritta sul volto. Non avevo mai provato così tanta goduria. Il potere di riuscire a sottomettere qualcuno, quasi capisco il perché i vampiri ci trattano male, provano quel brivido di superiorità che adesso è parte effettiva di me. Se proprio non riesco ad essere amata da questi umani per via della loro gelosia, allora  quando mi vedranno proveranno un'altra emozione, paura. Preferisco essere temuta che diventare il bersaglio di violenza fisica e verbale. Cron non è riuscita a farsi rispettare, accettando tutto passivamente. Mi chiedo non solo come faccia a sopportarlo, ma il perché. Be' ora non sarà più un problema, non la toccheranno più. Mi immagino già la faccia di Lux quando glielo racconterò. Di come quella cretina è diventata pallida al solo sentire il suo nome, e come quell'altra è scoppiata a piangere come una bambina. Quelle due non sanno minimamente come funziona il mondo... Prendersela con un altro umano che si trova nella loro stessa situazione è puro egoismo. 

"La tua padrona è Lux Thorn?!" 

Mi voltai di scatto. La porta della camera sbatté così forse che tornò a richiudersi contro una Cron allibita. Aveva i capelli spettinati, una camicia mezza aperta e abbottonata male dentro i suoi soliti pantaloni neri aderenti. Aveva un pesante fiatone. Deve aver corso su per le scale.

"La Lord di Styria!"

"A quanto pare quelle due l'hanno detto."

"Tutti lo stanno dicendo. Aspetta-" La sua espressione cambiò. "Quelle due chi? Riguarda il fogliettino che mi hai lasciato?"

Prima di tornare in camera le avevo lasciato un foglio sotto la porta dicendo: ringraziami dopo.

"Sì."

"Che hai fatto?" domandò avvicinandosi prorompente verso di me. 

"Ho pensato io a quelle due umane che ti davano fastidio."

I suoi occhi si accesero, ma più che rabbia, c'era della sincera preoccupazione.

"Sei pazza?!" Mi prese il colletto con forza. Io la lasciai fare, non c'era motivo di allontanarla, sapevo che non era una minaccia. "Ti puniranno, razza di idiota!"

Sentivo il suo respiro affannato proprio sotto il mio naso. Ma io non riuscivo a togliermi la faccia compiaciuta che avevo. Ero contenta di quello che avevo fatto, in me non c'era spazio per il pentimento, non questa volta. Avevo fatto tutto con coscienza, non come con Brandon, che avevo perso totalmente la ragione. Ero dannatamente contenta e lei, voluto o meno, avrebbe accettato il mio aiuto. Non pretendo un grazie.

"Non mi faranno nulla."

"E come lo sai?"

"L'hai detto tu stessa. La Lord di Styria è la mia padrona, sono intoccabile."

Cron corrugò la fronte, distolse lo sguardo pensosa, e allentò un po' la presa.

"Eloyn." La sua voce confusa.

"Dimmi."

"Perché sei venuta qui da sola senza un vampiro di Styria?"

"Perché mi hanno rapita."

Tornò a guardarmi dritta negli occhi. Vedevo stupore, ma con un misto di tristezza. "Kiana non me l'ha detto..." mormorò a se stessa rompendo di nuovo il contatto visivo.

"Eloyn." 

Un'altra voce nella stanza. Mi girai, sulla soglia della porta c'era la serva di Cassandra. 

"Sei richiesta nella camera di nostra signora, non farti attendere."

"Te l'avevo detto," disse Cron lasciandomi. "Hanno punito me una volta, perché dovrebbero risparmiare te."

Cron, sei davvero un umana particolare, e più ti parlo, più voglio conoscerti.

La ragazza, sempre ad an passo avanti, mi diresse verso l'ala destra, ma stavolta la serva bussò ad una porta diversa. Quando Cassandra ci diede il permesso per entrare, vidi che ci trovavamo in un grande studio, con le solite grandi finestre ad illuminare la sala. Cassandra era seduta ma non potevo vederla, davanti a lei c'erano le due umane che avevo minacciato.

"Eloyn,"disse lei, le due umane si scansarono ed io finalmente la vidi, austera con la mani intrecciate sotto il mento. "Vieni avanti."

Feci come detto. Andai davanti alla scrivania, di fianco alle due umane. Una delle due, quella con i braccio dolorante mi guardò con la coda dell'occhia mostrandomi un evidente smorfia.

"Sono venuta a sapere di un acceso litigio, è vero."

"Sì."

"E chi ti ha dato il permesso di danneggiare proprietà altrui?"

"Queste due sono state le prime a danneggiare... proprietà altrui." Mi sforzai di usare le sue stesse parole. 

"A me è stato detto che sei entrata in camera loro questa mattina e le hai aggredite."

"Non proprio, mia signora," le dissi con fermezza, le due umani alzarono i loro sguardi su di me, fremevano. "Questa mattina Cronella, la schiava di padrona Kiana non si è presentata al turno di pulizie, che ho svolto da sola. Quando stavo tornando in camera ho scoperto che loro due avevano trattenuto Cronella nella loro stanza. Ho solo protetto una compagna, mia signora."

"Sta mentendo!" urlarono entrambe.

Io rimasi ferma sulla mia posizione, degnandole di nemmeno uno sguardo. Tutta la mia attenzione era posta su Cassandra, che mi scrutava in cerca di falle.

"Non sto mentendo, mia signora. Prima di venire qui la vostra serva ha visto che in camera con me c'era anche Cronella. Avevo appena finito di applicarle una pomata. Ha la schiena piena di lividi."

Cassandra mi fece un piccolo sorriso soddisfatto. Non capii cosa significasse, se sapeva che la mia era una mezza bugia farcita con cose veramente accadute, ma aveva apprezzato le mie abilità di linguaggio e presentazione, o se mi aveva veramente creduta. Sta di fatto che si voltò verso la sua serva chiedendo conferma. "E' vero?" La bella serva annuì. "Porta Kiana e la sua schiava, e anche Eldwin." La serva si congedò con un inchino e lasciò la sala.

"Un'altra cosa Eloyn. Queste due mi hanno raccontato una cosa interessante. Hai detto loro che Lux è la tua padrona."

"Per quanto io potrò essere lontana da casa, lo sarà sempre."

 "Ma tu sai che non è così." La sua voce calma, il suo viso sorridente. "Ora sei qui."

"In realtà ha ragione." Sì, forse è meglio così, che sentano queste umane, e che lo riferiscano a tutti. "Io sono la sua amante."'

Cassandra alzò un sopracciglio, il suo volto perse quel tocco di divertimento e intrattenimento. Sembrò, più che stupita, arrabbiata. Mi guardò fissa, probabilmente chiedendosi, perché io? Perché Lux perderebbe tempo con un insulsa umana mortale? Me lo sono chiesta anch'io, e ancora me lo domando.

"Quindi è questa la tua risposta, alla domanda che ti feci?

"Sì. Ne sono certa."

Sentii la due umane bisbigliare e non fui l'unica. "Silenzio!"

L'aveva detto lei stessa che Lux era innamorata di me, eppure, dopo queste mie parole sembra fare fatica ad accettarlo. Mi domando cosa questa donna voglia da Lux e perché sembra conoscerla così bene.

Quando la serva tornò, Kiana sembrò profondamente sconvolta e arrabbiata. Accanto a lei c'era l'uomo che Cassandra aveva chiamato Eldwin, pelle bianca, lunghi baffi, poca barba. A malapena si vedevano le labbra. Si rivelò essere il padrone delle due stupide umane. Cron seguiva dietro, a testa basta.

Cassandra la obbligò a spogliarsi. Lei lo fece senza imbarazzo, ma Kiana distolse lo sguardo con una mano sulla bocca. La lunga cicatrice in bella vista insieme a lividi rosa e violacei. Tra qualche giorno sarebbero diventati ancora più scuri. 

"Siete state voi due?" Eldwin sembrò trattenersi a stento, e quando le due rimasero mute perse il controllo. "Rispondete!" Gridò schiaffeggiando prima una e poi l'altra. "Vergogna. Con le vostre azioni portate su di me il disonore."

"Eldwin," lo richiamò Cassandra, "risolviamo le cose civilmente."

"Permettetemi di punirle," disse avanzando verso la Lord, "con il vostro consenso." Si voltò verso Kiana, la vampira annuì, stringendo fortemente gli occhi, con ancora con le dita sulla bocca.

"Bene, allora. Ma dovrai discutere la tua punizione con Kiana, se lei riterrà che sia troppo minore al danno, allora dovrete ritrattare."

"Non ce ne sarà bisogno," rispose convinto l'uomo. Guardò le due umane con la follia negli occhi. "Nella vostra camera, ora!"

Le due umane corsero verso la porta, Eldwin chinò il capo verso la sua Lord e se ne andò.

"La pomata che hai usato te l'ha data Dietre?" 

"Sì, mia signora."

"Bene, almeno non l'hai rubata. Sei sollevata dalle tue mansioni, Dietre ti dirà quando tornare a lavorare. Potete andare entrambe, tu Kiana rimani."

Cron fece un inchino, io la seguii, e uscimmo insieme. Arrivammo alle nostre stanze come fossimo marciando per un funerale, non volò nemmeno una parola. Ero troppo occupata con le voci nella mia testa, alcune gridavano che avevo sbagliato a dire di me e Lux, altre erano orgogliose, altre ancora mi rimproveravano per la mia imprudenza. "Sii egoista la prossima volata," dicevano. "Fatti gli affari tuoi." Ma come potevo? Ho perso tutto, che rimanga almeno la mia compassione.

"Ehi."

Sentii qualcosa bloccarmi. Mi Girai verso Cron. Eravamo davanti la sua stanza. Aveva preso la mia maglia come se le sue dita fossero pinze.

"Mi aiuti a mettere la crema?" disse, senza guardarmi negli occhi. "Da sola non ci riesco."

"Va bene."

Parlammo molto, di cose sciocche inizialmente, per rompere il ghiaccio, ma poi le parole cominciarono ad uscire naturalmente, e i veri argomenti cominciarono ad affiorare, così come le preoccupazioni e le paure.

"Ho reagito, una volta," evitò di guardarmi, "si erano sempre limitati a darmi fastidio verbalmente, ma un giorno uno stronzo mi ha fatto una sgambetto mentre portavano sul vassoio le tazze per la colazione. E' caduto tutto a terra. Ovviamente mi sono infuriata, l'ho spinto ed è caduto. Ha preso con la tempia l'angolo di una sedia e si è tagliato la mano con qualche frammento di coccio. E' uscito un po' di sangue ma nulla di grave. E' corso dal suo padrone a dire che l'avevo picchiato, gli altri umani hanno confermato la sua versione. Avevo fatto un macello con le tazze e avevo pure menato lo schiavo di un vampiro. Hanno convocato Kiana e le hanno detto di darmi una punizione esemplare. Ada, la sua padrona, ha richiesto che venissi fustigata davanti a lei e all'umano per mano di Kiana."

Io la guardai accigliata. Nessuno merita questo... "E lei che ha fatto?" Del resto, pensai, sono molto vicine.

"Ada disse che se me ne avesse data una forte abbastanza da tagliarmi la pelle, gli sarebbe bastato, ma se ci sarebbe andata leggera allora l'avrebbe costretta a darmene una ventina o più. Lei ha rifiutato, io l'ho convinta."

Mi immaginai se fossi stata io al suo posto, cosa avrebbe fatto Lux, se mi avrebbe difesa, o se si sarebbe fatta convincere da me. In una situazione opposta io non l'avrei nemmeno sfiorata, avrei preferito prendermi io il colpo.

"Io e Kiana abbiamo una relazione strana," mormorò guardando altrove.

Strana come quella mia e di Lux?

"Reagire significa far soffrire lei. E- e lei è così dolce, non farebbe mai del male a nessuno, tanto meno a me."

"Capisco. Allora la prossima volta chiama me," dissi con un gran sorriso, "li picchierò io al posto tuo!"

"Perché fai la gentile con me?" Tentò di nascondere un sorriso ma non le riuscì molto bene.

"Solidarietà? Ho avuto un amico che ha di gran lunga migliorato la mia permanenza nella villa di Lux, quindi non sarebbe male essere lui per qualche volta. No?"

"Hai ragione. Amica."

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 35 - L'Arte Della Guerra ***


Eloyn

Era una giornata decisamente fredda. Eravamo ormai in pieno autunno e le giornate continuavano ad accorciarsi. La notte calava prima e questo mi dava un senso di irrequietezza. Volevo che queste giornate non finissero mai, ma il tempo continuava a sfuggire dalle miei mani. Giorno dopo giorno, la linea che mi divideva da lei si ingrandiva sempre di più. L'unica mia consolazione era avere accanto a me qualcuno. Per quanto irascibile, Cron si era rivelata un ottima compagnia.

"Quindi ti ha rapita?"

Eravamo sedute sul suo letto, come fossimo amiche da sempre. 

Io annuii con un sorriso. Era strano raccontare una cosa così passata pensando a come le cose si sono poi evolute.

"E ti sei anche innamorata di lei?" C'era incredulità nella sua voce, ma era tutto vero, ormai avevo piena consapevolezza dei miei sentimenti.

"Eh già. Ma la nostra relazione è sempre stata complicata, se ripenso a come tutto è iniziato, anch'io non posso crederci."

Raccontare tutto a Cron non è stato facile, ma io avevo bisogno che qualcuno sapesse e mi ascoltasse, ma soprattutto capisse. Cron si è rivelata un ottima ascoltatrice. Mi aveva fissata con occhi preoccupati nei momenti più critici, e con rabbia nei momenti più brutti. Mi capiva e io ero pronta ad ascoltare lei.

"Con Kiana?" domandai. "Dimmi qualcosa."

Era incerta su quello da dire, dopo una pausa, capì che forse doveva partire dalla cosa più semplice, dall'inizio. "Nel nostro regno la schiavitù non esiste, ma abbiamo la servitù, per questo io vengo trattata con più riguardo. Io ero la figlia di uno schiavo di Illiria, venuto con il suo ambasciatore a Kazenuki. Mia madre, invece, era la schiava dell' ambasciatore di Yathrib. Relazioni tra schiavi non sono bene accette. Mio padre fu ucciso mentre ad uccidere mia madre ci pensai io. Avrebbero dovuto uccidere anche me ma Lord Eiko pagò i due ambasciato e mi tenne con se, affidandomi alla servitù della casa. Qualche anno dopo la serva personale e amica di padrona Eiko rimase incinta, non so i dettagli, ero troppo piccola. Eiko cacciò tutti i servi uomini dalla casa. Anche lei morì di parto. Eiko adottò Kiana come figlia propria. Siamo praticamente cresciute insieme, siamo molto legate."

"Quindi era umana?"

"Sì, l'ha trasformata un anno fa, avrebbe addirittura aspettato se non avesse dovuto mandarla qui."

Io storsi il naso e alzai un sopracciglio. "Era urgente?" Ormai ho capito che nulla è una casualità, i miei sospetti e i miei interrogativi continuano crescere.

"Eloyn, sai che ambasciatore è solo un termine gentile per dire spia, vero?"

"Sì?" dissi con un sorriso imbarazzato.

Lei si mise una mano in faccia. Non era colpa mia, vivendo in un villaggio umano so poco e niente di queste cose, già è tanto se so leggere e scrivere.

"Lord Eiko si fida di Kiana più di chiunque altro, e di me, per prendermi cura di lei."

Quindi Kiana è qui come spia, ma formalmente è solo una semplice ambasciatrice. "Quindi è come una sorella per te."

"No," disse più velocemente di quanto pensassi. "E' complicato."

"Tutte le relazioni tra umani e vampiri sono complicate," dissi sospirando. Questa differenza non renderà mai facili le cose, i nostri sono due mondi troppo diversi, troppo disquilibrio. 

"Cron sono preoccupata." Lei si voltò a guardami in modo interrogativo. Io cominciai a giocherellare con le miei mani, a guardarmi le unghie, qualche callo... "Non capisco cosa significhi tutto questo. Non- non capisco perché mi hanno portata via. Cassandra è una Lord, deve essere qualcosa di serio e ho paura per Lux."

"Sarò anche legata a Kiana, ma mi sta nascondendo delle cose, non so nulla. Dovresti parlare con lei. Essendo tu la diretta interessata potrebbe dirti qualcosa."

"Pensi possa farlo? Non è che mi mette nei guai?"

"Chi?!" esclamò ridendo. "Kiana? No, mai. Posso assicurartelo." 

Kiana sarà stata anche gentile nei miei confronti, e per questo ne sono grata, ma l'ultima volta che mi sono fidata cecamente di una vampira, lei ha avuto un peso nella mia cattura. Ma cosa potrà mai accadermi di peggio? Riflettei. Ormai, sono già in territorio nemico.

"Va bene, dove posso trovarla?"

Successivamente, dopo l'ora di pranzo, Cron prese Kiana in disparte. Io le osservavo mentre spazzavo per terra. I vampiri se ne erano andati, e lontane da quei occhi rossi, le due si lasciavano ad atteggiamenti più confidenziali. Tanto era ormai chiaro, a Cron dell'opinione degli umani non importava nulla, e a quanto pare neanche poi così tanto alla sua padrona. Kiana mi lanciò un'occhiata, poi si voltò nuovamente verso la sua serva. Era visibilmente combattuta. Cron le parlava, ma Kiana sembrava persa nei suoi pensieri. Annui leggermente tra se e se e poi a Cron. Vidi la sua bocca formare delle parole, uno sconfitto 'va bene' e Cron sorrise. Si voltò verso di me, io avevo continuato a spazzare nello stesso punto senza farci caso, mi fece l'occhiolino, e Kiana se ne andò. Scossi la testa, ritornando sul lavoro, fortunatamente nessun umano mi aveva notata e finii il lavoro nel giro di una decina di minuti, grazie anche a Cron. Mi diede una pacca sulla spalla e poi mi bisbigliò nelle orecchio che Kiana sarebbe venuta in camera mia, dopo che tutti avrebbero spento le luci. Kiana non voleva attirare l'attenzione e questo mi fece solo preoccupare di più. Annuii a Cron, sforzando un sorriso, ero ansiosa, volevo sapere tutto e ora. 

Il pomeriggio fu straziante, non avevo nulla con cui occupare il tempo. Arrivai a l'ora di cena fremente. Manca poco, mi dissi. Ricordando l'espressione di Kiana mentre Cron le parlava, era evidente che sapeva qualcosa. Se una volta presentatasi davanti alla mia porta si fosse rifiutata di parlare, l'avrei costretta. Finito di mangiare tornai in camera e cominciai a fissare le lancette dell'orologio, era appeso proprio al muro difronte al mio letto, era impossibile non fissarlo. Le nove, le dieci, le undici, e poi silenzio, tutti a dormire, o per lo meno erano bravi a rimanere muti. Aprii lentamente la porta, non filava una voce. Ora dovevo solo attendere.

Kiana bussò delicatamente un'ora dopo. Eravamo io e lei, sole. Avevo solo una scrivania con una sedia e un letto, l'unica cosa che potevo dire era se si voleva accomodare su uno dei due. Si sedette sul letto con timidezza. Portava un lunga gonna che le arrivava fino alle ginocchia, ma teneva comunque le cosce molto unite. Io presi la sedia e la misi davanti a lei. Quando mi sedetti, lei rizzò la schiena, era più agitata di me.

"Cronella mi ha detto che avevi delle domande."

"Sì."

Era strano vedere un vampiro in soggezione, soprattutto difronte ad un umano. Si toccava le mani come se fossero ricoperte da macchie di sporco che non riusciva a togliere, e non riusciva a guardarmi negli occhi. Ma oggi quando parlava con Cron non era stata così, si vede che si conoscono da sempre.

"Eloyn," disse insicura, "tutto quello che sta succedendo è al di fuori della mia portata, so quello che mi vuoi chiedere, perché Cassandra non ti ha degnata di una spiegazione. Qualsiasi cosa tu faccia dopo, non fare il mio nome, è l'unica cosa che ti chiedo."

"Va bene, basta che mi dici quello sai, ti prego."

Le fece un respiro profondo, poi mi fissò negli occhi come non aveva mai fatto prima. "Immagino tu sappia che ci sono cinque nazioni con cinque Lord." Io annuii, lei proseguì. "Fu istituito un trattato millenni orsono, che sancisce la pace tra le nazioni. Ogni Lord ha ovviamente il suo concilio, così da mantenere i contatti con i ducati locali, ma deve anche rimanere un territorio aperto. I regni tra di loro devono essere continuamente in contatto e aggiornati in ogni cosa. Io provengo da Kazenuki, sono qui come ambasciatrice per conto della Lord Yori Eiko. Eloyn, tu sei la Bloodgiver di Lux Thorns, hai mai visto ambasciatori nella sua dimora?"

Io scossi la testa. La mia mente già stava formulando teorie, ma sapevo troppo poco, troppe poche informazioni. Lux non ha mai parlato degli altri regni, ne tanto meno ha accennato i Lord, non conosco neppure i loro nomi, eppure eccomi qui a casa di uno di loro.

"Lux Thorns non sta rispettando il trattato e i Lord stanno cominciando ad agire." Poi con la preoccupazione in volto aggiunse: "Non ci sono più contatti, si è totalmente isolata."

"Perché?" domandai con enfasi, Kiana mi fermò con la mano, io attesi.

"Lux è considerata pericolosa per i Lord. Credono che la chiusura di ogni rapporto comunicativo nei loro confronti è un segno di minaccia e ribellione. E la pace non può essere ottenuta se lei rifiuta di collaborare."

"Ma non capisco... Lux è Lord da decenni. Per tutto il tempo che sono stata al suo fianco non ha mai mostrato segni di volersi rivoltare contro i Lord, non avrebbe senso, sarebbe da sola contro tutti. Non è così stupida."

"Si vede che non capisci, non sei vissuta in questo mondo." Anche lei si stava agitando, passò più volte la mano tra i capelli. "Ai Lord non importa se lei vuole o meno attaccare i loro territori."

"E allora qual è il problema? Parla chiaro!"

"Lux e Cassandra un tempo erano sposate."

Sposate... Corrugai la fronte. Ho sentito male, sicuramente, non Cassandra, lei è troppo orribile per piacere a Lux, non è possibile, non è fattibile.

"'Tianama non dimentica' è questo quello che dicono le persone, è diventato un modo di dire negli anni, ma è così. Cassandra ha subito un'offesa, i Lord lo sanno, lei stessa lo sa e sta usando tutto a suo vantaggio. Tianama è la nazione più potente, segue poi la mia. Yathrib e Illiria sono al momento le più deboli, stanno riscontrando difficoltà economiche e gli umani stanno diminuendo a vista d'occhio. Styria rimane al momento un mistero. Sai questo che significa?"

Non sono un generale, non sono una guardia o un soldato, sono solo un umana, un tempo cacciatrice, ma non sono stupida, annuisco e lascio che sia lei a dirlo, perché a me spaventerebbe pronunciare quelle parole.

"Cassandra ha convinto i Lord che Styria è una minaccia. Sta solo aspettando che Lux la invada, per riprendere te, Eloyn."

Il mio respiro si arrestò, feci un suono strano, Kiana però non si scompone, era presa dal momento, la sua timidezza ormai era lontana e la sua voce bassa e dolce fu sostituita da una decisa, ma a tratti sempre ansiosa. Io distolsi lo sguardo, avevo gli occhi sgranati, la mia testa tentava di ragionare ma immaginavo sempre la stessa cosa, Lux che per colpa mia vieni uccisa.

"Il trattato predispone che se una nazione attacca un'altra, tutti gli altri regni sono costretti ad intervenire in difesa di quest'ultima."

"E' un idea di Cassandra, non è vero?" mormorai con la voce incrinata, ma più a me stessa che a Kiana. Non è possibile, è tutto più grande di me, non posso fare nulla.

Kiana annuì. "I concili dei rispettivi regni non sanno del tuo rapimento, se lo sapessero Cassandra sarebbe nel torto. Significherebbe che è entrata in un territorio senza permesso, è da considerarsi invasione, ma lei ha il supporto di Yathrib e Illiria."

"E Kazenuki?"

"Quello..." rispose incerta, "dipende da me."

Io sgranai gli occhi, d'impulso le strinsi le braccia. "Allora aiutaci!"

Il suo sguardo era un misto di paura e pena. Paura perché se avesse riferito a sua madre che Cassandra non valeva la pena essere protetta, allora Kazenuki si sarebbe ritrovato contro tre nazioni. E poi pena, per me, per Lux, per la nostra innocenza in tutto questo. La capivo, anch'io mi sono ritrovata difronte a due scelte: Lux o mio padre, Lux o la mia vera casa, Lux o la mia vendetta. Ma spero che il suo buonsenso la porti sulla strada giusta.

"Eloyn," esclamò scansandomi, "ti prego."

"Hai detto che era al difuori della tuo portata, e invece ci sei direttamente dentro."

"Io non supporto Cassandra, quello che sta facendo credo sia sbagliato, so che è sbagliato," disse per giustificarsi, "ma farò ciò che è meglio per il mio paese." Si alzò dal letto, veloce raggiunse la porta, schivando la mia mano che aveva tentato di raggiungere la sua. Io non potevo fermarla, non ne avevo il diritto, ma dovevo chiederle una cosa fondamentale.

"Un ultima cosa," mormorai, il mio stato d'animo era distrutto, non ce la facevo neppure più a parlare. Di palle e a testa bassa le domandai: "Come faceva Cassandra a sapere della mia esistenza se non ci sono ambasciatori?" Lei non rispose, rimase a riflettere. Io allora mi alzai in piedi sul posto. "Come fa ad essere tanto sicura che Lux si spingerà così tanto pur di riavermi?!"

"Non lo so, Eloyn. Puoi farti un idea da sola, non credi?" Mi fece un sorriso triste, uno di quelli che mi ricordò quella traditrice di Amélie. E così la risposta arrivò come un fulmine, semplice e chiara. "Se ami Lux, prega che lei non ami te."

La lasciai andare, mentre io mi lasciai cadere sul letto. Un traditore... traditore... E poi tra un pensiero e l'altro mi tornò in mente. Un ricordo dei miei primi giorni qui. Cassandra mi aveva fatta chiamare, aveva posto domande, e quando avevo risposto in modo inaspettato, che cosa aveva fatto? "Questo," si voltò verso Titus, "non è quel che ho sentito." Ha fissato Titus dritto negli occhi, rimproverandolo con lo sguardo.

"Titus..." riflettei. "Titus! Il mio 'migliore amico'!" Mi alzai dal letto. Ero furiosa e Titus avrebbe dovuto rispondere a tutte le mie domande, una per una. Avrebbe fatto ogni nome, oppure io- oppure io... Nulla, non posso fare nulla, solo sperare che mi aiuti di sua iniziativa.

Uscii dalla stanza in cerca di verità. Ma dentro di me si stava già muovendo qualcosa, la consapevolezza di essere il punto cardine di tutto, il motivo di ogni futura azione o manovra. La mia speranza si stava sgretolando e con essa anche il mio desiderio di rivedere Lux.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 36 - Dietro l'Amore si Nasconde l'Egoismo ***


Rhea

Ero riversa a terra, con la vista annebbiata e l'udito ovattato. Sentivo il rumore di vetri rotti calpestati da numerose scarpe e uomini che urlavano al massimo della loro voce. Vidi qualcuno mettersi in ginocchio accanto a me, con le mani protratte verso il mio addome, tremavano come la sua voce, ma io ero troppo frastornata per capirla. Alzai leggermente la testa, cercando di capire perché sentivo i vestiti bagnati e un dolore lancinante allo stomaco. Avevo un coltello conficcato in pancia e la mia camicia aveva una grossa macchia rossa. 

"Andrà tutto bene," disse la voce, calda e familiare. Accanto a me si aggiunse un'altra persona, un uomo, considerata la sua grande stazza. Mi prese in braccio e di lì a poco persi i sensi.

 

"Da quand'è che vai nei bassifondi?"

Erano le tre di notte, io ero distesa sul letto, immobile e dolorante. La coperta era sporca di sangue, così come la camicia aperta, che mi lasciava scoperto il seno. Avevo l'addome interamente fasciato e la pelle al di sotto che mi bruciava. Mi ero procurata una ferita profonda quattro centimetri e larga due.

"Ho freddo."

Amélie teneva le braccia conserte mentre guardava oltre la finestra, dandomi le spalle. "Il camino è accesso e la stanza non è affatto fredda." Non si era mai voltata a guardarmi, nemmeno una volta da quando si era alzata e si era messa lì a fissare il vuoto. "E poi ti ho fatto una domanda." Nonostante l'apparenza, la sua voce tradiva la sua calma.

"Dovresti saperlo, dato che mi hai seguita..." Cercai di abbottonarmi la camicia, almeno per coprirmi il petto, ma avevo perso troppo sangue, non avevo la forza nemmeno di muovere le dita. "Ho bisogno di una coperta."

Con fare scattoso Amélie si era voltata verso l'armadio e aveva cominciato ad aprire tutte le ante e cassetti. Era camera sua, eppure sembrava che ci avesse messo piede per la prima volta. Era in stato confusionale, non l'avevo mai vista così. Gettò di fianco a me la prima che trovò, poi mi si mise accanto. Girai la testa verso di lei, non riuscivo a leggere il suo guardo. Poggiò la sua mano calda dietro la mia nuca e mi aiutò a mettermi a sedere. Trattenni qualche gemito, i punti mi tirarono la pelle più di una volta, procurandomi fitte di dolore. Mi tolse velocemente la camicia sporca e poi mi lasciai andare, appoggiandomi al cuscino con il suo aiuto. In quel momento i suoi movimenti erano tornati ad essere delicati. Aveva evitato che i nostri occhi si incontrassero per tutto il tempo, mentre io la guardavo con profonda adorazione. Non so se dal mio sguardo trasparivano i miei pensieri, e nemmeno lei mi aveva dato modo di capirlo. Volevo accarezzarle il viso e dirle che andava tutto bene, ma le mie braccia erano deboli e la forza nel rimanere sveglia si stava affievolendo ogni minuto che passava.

"Amélie..." non so perché dissi il suo nome, forse mi mancava pronunciarlo, a voce alta, in sua presenza.

"Cosa?" disse prendendo la coperta. Mi coprì dandomi subito calore, ma io cercavo un altro tipo. Desideravo che si sdraiasse di fianco a me, con un braccio che mi cingeva e il suo respiro contro il mio collo.

"Amélie..."

"Smettila di parlare." Mi diede nuovamente le spalle, raggiungendo a passo lento e stanco la finestra. Poggiò le mani contro il davanzale come se avesse bisogno di sorreggersi. "Hai perso molto sangue, dovresti riposare." Abbassò la testa, lasciandosi andare ai tremori delle spalle. Le sue mani si strinsero in pugni e la sentii tirare su col naso. "Io non ce la po-"

"Dì il mio nome," dissi con voce forte. "Voglio sentire il mio nome sulla tua bocca." Lei scosse lentamente la testa, e io incalzai. "Se ci tieni a me, fallo." 

Con questo si voltò finalmente a guardarmi. Aveva gli occhi lucidi, il naso rosso, le labbra tremanti. "Sei appena stata pugnalata," mormorò, come se dirlo potesse farlo accadere un'altra volta. "Sei meschina."

Avrei potuto risponderle che lo sapevo, ma invece lasciai calare silenzio. Mi addormentai poco dopo, nella speranza di sognare qualcosa di più dolce e tenero, di toccare la pelle che volevo toccare, e le labbra che volevo baciare. Ma neanche nei sogni ho mai trovato sollievo.

La mattina dopo mi ero svegliata con il lento scoppiettio del camino e la pioggia che batteva contro il vetro della finestra. In quel momento anche respirare mi faceva male. Il dolore non era mai passato e la notte mi ero svegliata più e più volte, finché non ero stata colpita anche dalla febbre. 

"Dovresti riposare un altro po'."

Mi girai, e la vidi lì, distesa e di fianco a me, con gli stessi abiti della sera prima e la testa che poggiava sul cuscino. I suoi occhi erano rossi, le sue occhiaie più scure che mai. Aveva passato l'intera notte a prendersi cura di me ed io, in quella tiepida luce del camino che riscaldava la sua sagoma, annegai nei suoi occhi e mi innamorai una seconda volta.

"Ci è voluta un'accoltellata per renderlo reale," mormorai piano.

"Cosa?" domandò lei aggrottando la fronte. 

"Tu, la prima cosa che vedo al mattino."

Amélie sospirò e guardò altrove. Dopo qualche minuto di silenzio trovò le parole. "Non lo merito." Sbatté le palpebre nella speranza di non lacrimare e si morse le labbra. "Quest'affetto, non lo merito."

"Vali più di quello che pensi." Sentivo gli effetti della febbre e delle medicine nelle mie parole, ma non mi importava. Dopo quello che mi era successo non mi importava proprio più di nulla, né delle conseguenze, né di quello che avrebbe pensato. "Io ti amo."

Vidi i suoi occhi scattare subito sui miei, spalancati e vivi, la bocca leggermente aperta per lo stupore, le mani che avevano stretto la coperta sotto di lei in un pugno. Non ce la facevo a sorriderle, quella non era stata una confessione nata dalla gioia, ma più da un sentimento tetro. Ero disperata, e più la guardavo più la malinconia si faceva largo in me. Girai la testa dall'altra parte nel momento in cui la prima lacrima mi rigò il viso, e poi lontana dai suoi occhi lasciai cadere le altre. Non capivo cosa dovessi provare in quel momento, non sapevo neppure perché stavo piangendo. 

"Vado a chiamare Lux, mi ha detto di avvertirla non appena ti saresti svegliata." La sentii scendere dal letto, ma non fece alcun passo. Attese per qualche secondo, poi disse: "Riprenditi," come se mi stessi comportando da bambina viziata, "o Lux mi tratterà peggio di come già sta facendo."

Sentii una stretta al cuore. Come poteva essere così fredda e distante? Tutto ciò di cui avevo bisogno era un semplice sorriso, genuino e sincero, ma immagino che tutto ciò che otterrò mai da lei non è altro che rifiuto e rancore.

"Va bene," sibilai, così piano che forse non mi sentì nemmeno.

Camminò verso la porta ed io tornai ad esser da sola.

Poco dopo Lux entrò in camera e corse verso di me come se la mia vita dipendesse da lei. La prima cosa che mi disse fu: "Dimmi i nomi, li ucciderò." Per una volta la sua spietatezza mi rese felice. Dopo i continui sguardi di indifferenza che aveva rivolto a me e a Amélie, vederla così presente per me, mi rincuorò. Ce l'avevo ancora con lei per quello che aveva fatto a Constantine, ma forse, se fossi stata al posto suo, avrei fatto lo stesso, soprattutto se qualcuno avesse fatto ad Amélie quello che io avevo fatto ad Eloyn.

"Sono sicura che lo farai," dissi con un ghigno, "e poi ho saputo che Marcus mi ha vendicata per bene. Devo ancora ringraziarlo."

"Ma..." disse pensosa, "immagino che i tuo ringraziamenti a Amélie siano andati male."

"Perché?" Corrugai la fronte.

"Era scossa," mi fissò in cerca di risposte, "in maniera evidente."

"Non le ho fatto nulla," la informai in tono serio. "Non è giusta nei miei confronti."

"Lo sai perché..."

"Perché sono il costante promemoria che il suo ex amante violento è morto!"

"Ma tu non dovresti costringerla ad accettare il tuo amore se non lo vuole." Poi aggiunse: "Al momento."

Io feci un sospiro, nelle condizioni in cui ero, non ero pronta ad avere questa conversazione, o forse non lo sarei mai stata, ma c'era un'ultima cosa che dovevo dire: "Lux, lei provava dei sentimenti per me, erano appena sbocciati, ma c'erano, erano lì! Non so perché è tornata da lui, ma... Quello che voglio dire è che deve pur significare qualcosa, c'è ancora la possibilità che quel sentimento riaffiori."

Lux mi guardò con compassione e comprensione. In quel momento sentii come se i nostri ruoli si fossero scambiati per la prima volta. "Non puoi continuare a sperare per sempre. Siamo immortali e tu sai cosa significa. Soffrirai per l'eternità."

"So che non accadrà," le dissi con un sorriso. "Ma adesso," dissi cercando di mettermi contro la spalliera e fallendo, "Ah!"

"Rimani giù, idiota."

"No, ce la faccio." Mi sforzai mettendo tutta la forza sulle braccia e ce la feci. "Allora, parliamo di cose che ti possono interessare."

Lux alzò un sopracciglio, sorpresa. Io le sorrisi. 

"Ieri notte sono andata in questa osteria nei bassifondi, 'La Golarossa'."

"Sperò tu fossi ben vestita," mi minacciò con sarcasmo. "Non voglio che si spargano voci, soprattutto adesso."

"Ho preso uno di quei cappotti lunghi con il cappuccio dall'appendi abiti, quindi no, nessuno mi ha vista andare lì. Ma qualcuno mi ha riconosciuta."

"Rhea," disse in tono severo sgranando gli occhi.

"Fammi finire. Sono andata tranquillamente al bancone e il barista invece di chiedermi cosa volessi, ha detto questo: 'lui non è qui.' Così, dal nulla."

"Lui chi?"

"Non lo so, deve avermi scambiata per qualcun altro. Poi quando mi ha vista in volto si è spaventato. Un tizio mi ha attaccata da dietro dicendo: 'Ormai ci sono troppi nobili che vengono qui.' E dopo un altro mi ha accoltellata. Il resto l'avrai saputo da Amélie, se lei e Marcus non mi avessero seguita ora sarei morta."

"Capisco, manderò Ife a dare un'occhiata. Anche se non dovesse riguardare Eloyn, i nobili che tramano dietro le miei spalle non meritano la mia protezione." Si alzò dal letto e mi sorrise. "Me ne occuperò io, di tutto. Tu riposa, e se vuoi svagarti ci sono porti migliori dei bassifondi, e lo sai."

"Immagino che i comportamenti autodistruttivi scorrano nel sangue."

Lux sospirò e si avviò verso la porta. "Non ti sforzare troppo, rimettiti in sesto, fallo per me."

Sapevo cosa volesse dire. 'Non diventare un peso in più'. Ma io non volevo assolutamente esserlo. "D'accordo." Ero la sorella maggiore, dopotutto. "Ora vai, so che fremi dalla voglia di mandare Ife in città."

Mi fece un sorriso enorme. "Si!"

Non so come, ne il perché, ma cose del genere l'hanno sempre eccitata. Trovava gusto nello scovare tradimenti e ingiurie, e punire nei modi più atroci chi calpestava il suo nome. Del resto non ci aveva riflettuto nemmeno un secondo sulla condanna da dare a Costantine. Nella sua testa ronza solamente la parola 'morte' quando si parla di infedeltà. Non oso immaginare cosa accadrà quando i colpevoli usciranno fuori. Forse avrebbe fatto un eccezione, magari li avrebbe resi immortali e torturati a vita.

Lux è sempre riuscita ad essere più cose allo stesso tempo: una donna forte, ma a volte viziata, una buona governatrice, ma piena di difetti, una brava persona, ma molte volte anche spietata. Era riuscita anche ad essere una figura materna per alcuni, poveri, piccoli umani, ma anche quel ruolo era stato affiancato a quello di spietata vampira succhiasangue. Aveva ucciso innocenti, e ne aveva salvati altrettanti. Non oso immaginare la confusione che era nata in Eloyn.

Più tardi Amélie tornò con un umano. Teneva tra le mani un vassoio con del cibo, il mio pranzo.

"Mettilo lì," disse al ragazzo, indicando il comodino accanto al letto, "grazie." Poi guardò nella mia direzione. Quel volto serio, privo di gentilezza, mi terrorizzava ogni volta. "Devo pulirti la ferita e cambiarti la fasciatura." Entrò in bagno, prendendo quello che le serviva, quando si avvicinò di più, notai che era semplicemente stanca.

"Dovrei tornare in camera mia, con me qui non riposerai mai."

"No, voglio tenere entrambi i miei occhi su di te. A meno che tu non senta davvero il bisogno di tornare nella tua stanza."

"Ma tu-"

"La mia salute più attendere." Mi interruppe.  "Ora..." Mi tolse la coperta di dosso, fui colpita da un brivido di freddo. Indossavo una semplice sottana, ma non ricordavo quando l'avessi messa. Mi aiutò a mettermi seduta e poi mi tirò su la sottana. "Dammi un secondo." Sganciò i ferri che tenevano la fasciatura stretta al mio addome e lentamente me la tolse. Il sangue della ferita l'aveva quasi fatta appiccicare alla mia pelle e in quel punto Amélie ci aveva messo tutta la delicatezza possibile per non farmi male. Prese un asciugamano e lo poggiò sul materasso. "Vieni giù." Pulì la ferita con acqua e poi con il disinfettante, strinsi i denti cercando di non farle capire quanto quel bruciore mi stesse uccidendo. "So che fa male, non devi fingere."

"Potrei fare una battuta, sai?" 

"Non sapevo che lo stare male ti rendesse così loquace. Comunque, stai guarendo in fretta."

"La fortuna di avere sangue Originale."

"E la sfortuna di averne solo metà, a quest'ora la ferita sarebbe in parte guarita."

"Colpita e affondata." La vergogna della famiglia... 

"O forse dovresti dire 'pugnalata'?" disse con un sorriso.

"Questa era pessima." Risi.

"Lo so."

Ricominciò a passare la spugna sulla ferita, in un gesto istintivo le bloccai la mano. Sentivo la pelle che ribolliva e scoppiettava come la legna nel camino. Trattenni il respiro, poi la lasciai. Fece qualche altro movimento circolare e poi mi disse che aveva finito. Mi fece rimettere seduta e mi circondò con una nuova fasciatura. Feci cadere giù la sottana ma prima di adagiarmi nuovamente sul cuscino Amélie mi prese la mano, con insicurezza e paura, ma quando mi guardò, il suo sguardo era fisso sui miei occhi e sembrava non esserci alcuna esitazione in lei.

"Io ci tengo a te, Rhea. Non voglio che lo metti in dubbio."

Ma tu mi riempi di dubbi, desideravo dirle.

"Ma ci sono delle cose che non sai." Abbassò la testa e mi strinse di più la mano. "Io non sono come credi. Io- io ho paura... sono terrorizzata."

Aveva ragione, c'erano cose che non sapevo, perché quello che stava dicendo non aveva alcun senso ai miei occhi.

"Quindi, per favore, non tormentarmi più."

Tormentare? E' così che ti faccio sentire? Mi sentii profondamente il colpa. Lei stava soffrendo ma ero stata troppo egoista ed egocentrica per vederlo. "È per questo che mi stai allontanando?" 

Lei annuì.

Questo... questo è tutto ciò che stavo aspettando, che lei si aprisse con me, che parlasse finalmente dei nostri sentimenti, dei suoi. E sentii il mio cuore battere così forte che avevo paura che potesse sentirlo anche lei. Ma come una stupida lasciai scivolare fuori dalla mia bocca la mia insicurezza e i miei timori. "Auber c'entra qualcosa in questo?" Erano anni che non pronunciavo il nome di quel viscido.

"Lui," disse evitando di guardarmi, "centra tutto."

"Ovviamente," risi. "Che stupida."

"Lo stai facendo di nuovo."

"Cosa?" inveii. "Lo capisci come mi fai sentire ogni volta? Io-" La mia voce tremò. "Io non ti ho mai toccata senza che tu lo volessi. Non ti ho mai costretta, non ti ho mai lasciato un livido addosso. Eppure continui ad avere paura di me!"

Amélie sussultò, come se si fosse rotto qualcosa in lei.

Questo è quello che mi ferisce più di ogni altra cosa al mondo, il fatto che ha paura di me più di quanta ne ha mai avuta di lui. Questo mi fa imbestialire. 

In quel momento si alzò dal letto con la mano sulla bocca e gli occhi pieni di lacrime. 

"Aspetta!" L'ho fatto di nuovo, ho messo me stessa al disopra di lei. Sono così stupida!  "Amélie!" 

Quando la vidi dirigersi verso la porta, sfrecciai fuori dal letto. Non mi importava del dolore, dei punti che potevano rompersi, della ferita che poteva riaprirsi... La cosa più importate nella mia vita mi stava lasciando ancora una volta, e questa volta era totalmente colpa mia, della mia insensibilità e del mio egoismo. Come potrebbe mai innamorarsi di una persona così egocentrica e stupida? Lux aveva ragione, dovevo aspettare, dovevo aspettare!

"Amélie!" Sentii il cuore sprofondare in una fossa quando si girò a guardarmi. Stava crollando ed era tutta colpa mia. 

"Per favore..." protese il braccio contro di me per fermarmi. "Torna a letto." Ogni parola era un singhiozzo e un pianto disperato. 

Non sapevo, non potevo credere che potesse arrivare a questo. L'avevo portata al limite senza nemmeno accorgermene.

Lei si poggiò contro l'armadio e scivolò a terra. "Tu," disse, ma i singhiozzi erano troppo forti e le parole non uscivano. "Non puoi capire." Il suo viso era completamente bagnato. 

Mi staccai dalla pediera del letto, sembrava che riuscissi a sorreggermi da sola. Mi avvicinai a passo lento. Amélie si era chiusa a riccio. Io mi piegai, combattendo con il dolore, e mi misi in ginocchio difronte a lei. Alzò lo sguardo, pulendosi le guance e strofinando gli occhi, ma era inutile, non volevano fermarsi. Cercò di trattenere qualche mugolio, ma più mi guardava più vedevo dai suoi occhi che stava pensando intensamente a qualcosa, e quella cosa la spaventava. Vederla così, mi portò a provare un insieme di emozioni che non avrei mai voluto sentire. Paura, pena, rimpianto, rabbia... Ero travolta da tutto ciò, ma ero l'odio verso me stessa e quello che le avevo fatto che faceva da padrone a tutte le altre. Mi sporsi verso di lei, allargando le mie braccia.

"No, non voglio farti del male, per favore."

Non mi ero mai resa conto quanto fosse stato traumatico per lei spendere tutti quegli anni insieme a quell'uomo. Mi ricordai di quando mi diede quello schiaffo e il volto terrorizzato che aveva fatto subito dopo. Forse dopo tanto, troppo, tempo avevo capito.

"Amélie..." 

"C'è violenza in me, Rhea."

"No." Misi una mano dietro la sua nuca, la spinsi verso di me, stringendola con l'altro braccio. Lei aprì le gambe, permettendomi di avvicinarmi ancora di più, e finalmente l'avvolsi completamente. "Non c'è."

"Non lo puoi sapere."

"Allora," mormorai, con la guancia contro la sua testa. Sentivo il suo umido respiro contro il mio petto. "Fammi quello che hai sempre voluto fare." Sentii un cambio di respiro in lei e si stacco leggermente da me, guardandomi negli occhi. "So quello che ti sto dicendo e so cosa implica." Le sorrisi. 

"Ma-"

"Ha il mio più totale consenso, è quello che voglio." Mi guardò preoccupata e io aggiunsi: "Io credo in te."

E dal quel momento i suoi occhi puntarono il mio collo. Mise le sue mani sulle mie spalle, per spingersi in su o per tirare giù me. Ma non ebbi molto tempo per pensarci perché non appena i suoi canini entrarono nella mia pelle, io persi le forze e lei mi spinse violentemente indietro, facendomi cadere di schiena. La circondai con le mie braccia e poi iniziai ad annegare nel piacere.

 

Non potete immaginare quante volte abbia riscritto e modificato questo capitolo, ma spero vi sia piaciuto. Tra l'altro sto seriamente valutando se fare un prequel con loro due come protagoniste, magari quando ho finito questo libro.

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 37 - Rovesciare Foglie ***


Lux

Mi svegliai lentamente, con il veloce e ovattato tintinnio dell'orologio. Le coperte in pelliccia mi avevano riscaldata per tutta notte, lasciandomi ogni tanto qualche pelo impercettibile nella bocca. Avevo qualche capello nero e doppio sulla spalla e qualcuno che mi sfiorava l'orecchio. Io ero rivolta verso il soffitto. La schiena mi doleva, per troppo tempo ero rimasta piegata sulla scrivania, e il materasso non era più quello di una volta. La spalliera in legno era ormai piena di piccole ammaccature e mi venne il vago pensiero di cambiare il tutto con un letto a baldacchino. Sarebbe stato belle cadere nell'intimità, nascosta dalle chiare tende che pendevano dalla punta, dove sarebbe entrata solo la luce del sole, o la fioca fiamma delle candele. Uno spazio chiuso, accogliente e caldo. Ancora poco vigile, continuai a navigare trai miei pensieri e desideri. Nel mio immaginario vedevo qualcuno accanto a me, ci toccavamo con la punta delle dita, ci abbracciavamo lasciando che i nostri corpi si fondessero l'uno con l'altro, mosse dal desiderio di annegare l'una dentro l'altra. 

Era solo mattina e la mia giornata stava iniziando già male. Odiavo svegliarmi ancora sognando e odiavo sognare eventi futuri non certi. Lei mi mancava e bramavo il suo tocco. Mi faceva male il petto e con un gesto, che sarebbe sembrato a chiunque inutile, misi la mano sullo sterno e cominciai premere, mettendo vera pressione. La pesantezza apparente che sentivo divenne reale e cominciai a sentirmi nuovamente in controllo delle mie emozioni. Rimasi così per qualche minuto, finché non sentii un mugolio provenire alla mia destra. Io e Ife eravamo rimaste fino a tardi a leggere i rapporti di Malicia e Nemna e quelli dei soldati e delle guardie posti al confine. Avevamo anche cominciato a leggere i documenti con le entrate e le uscite di ogni ducato nella speranza di trovare incongruenze. Ormai facevamo sempre notte fonda. Io solitamente crollavo sulla scrivania e Ife mi aiutava a prepararmi ad andare a letto, combattendo anche la sua personale stanchezza. Di conseguenza era poi lei a crollare sul mio letto. Non mi dava fastidio, era una persona importante per me, le volevo bene, e poi avere accanto qualcuno alleviava i brutti pensieri, soprattutto di notte. Il fatto era che avevo cominciato ad odiare il buio e la luna alta in cielo, mi ricordavano di un altro giorno passato, senza ancora svolte significative. Rimanere sveglia fino a tardi mi dava l'illusione di avere il controllo sui giorni e sul tempo, e cadere stremata sulla scrivania mi permetteva di addormentarmi senza rimurginare su quello che avrei potuto fare di più durante quella giornata. La mattina il mio corpo combatteva per tenermi addormentata, ma il mio cervello si era già abituato ai miei doveri. Mi coricavo tardi e mi alzavo presto, lavoravo, lavoravo, lavoravo, ancora e ancora. Era l'unica cosa che ormai mi permettessi di fare. Ieri sera avevo promesso a tutti che avrei fatto delle buone ore di sonno questa mattina, svenire durante la cena era stato qualcosa che il mio cervello non aveva calcolato ma il mio corpo sì, e per giunta difronte a tutti. 

Ife cacciò qualche altro mugolio, muovendo le gambe e premendo di più la schiena contro il mio braccio. Quella vicinanza accendeva in me sempre un insopportabile fastidio, potevo toccare chiunque volessi, tranne la persona che volevo veramente attaccata al mio fianco. 

Il mio cervello aveva già scosso un paio di volte il mio corpo nel tentativo di svegliarmi, ricordandosi dei miei orari, ma io chiudevo nuovamente gli occhi, sperando di riprendere sonno. Questa volta mi svegliai con la testa poco sotto il cuscino e sdraiata sul fianco. Il letto non era più un avvallamento su due parti, ora c'ero solo io, sveglia, quasi lucida. Le tracce di Ife erano sparite, niente più capelli che mi punzecchiavano il viso, e nessun corpo caldo accanto al mio. 

Stiracchiai un po' le gambe, e poi le braccia, sentendo da subito il cambio di temperatura. Le rimisi subito sotto le coperte. Volevo rimanere in quel tepore, come ogni mattina, del resto. Mi sforzai di scoprirmi, sentendo il freddo penetrarmi nella pelle. Sarebbe stata una giornata estenuante come tutte le altre, ma almeno ero riposata. Mi cambia e uscii dalla camera affacciandomi al lungo corridoio. Sembrava non esserci nessuno nelle proprie camere. Prima di iniziare a scendere le scale, incontrai una schiava delle cucine, che portava un grande vassoio farcito di cibo, acqua, sangue e vino.

"Mia signora," disse con un inchino, ancora tra uno scalino e l'altro. "Vi stavo portando il pranzo."

Non avevo minimamente pensato di guardare l'orario appena sveglia. Pensavo di aver dormito solo un paio di ore in più, non tutta la mattinata!

"Gli altri stanno pranzando?"

"Si sono appena accomodati."

"Bene, mi unirò a loro."

Quando entrai nella sala, guardai di sott'occhio Ife e Rhea. La ragazza abbassò lo sguardo, Rhea mi fece l'occhiolino. Da una parte una colpevole e dall'altra una compiaciuta. Feci un sorriso ad entrambe, alla fine. 'Il movente giustifica l'atto se mosso da ideali giusti.' Un detto che mi recitava mio padre ogni volta che prendeva scelte economiche e politiche sbagliate. Ha sempre cercato di sembrare più di ciò che era veramente, un disilluso in cerca della stessa gloria che aveva ottenuto mio nonno. Ma loro due avevano fatto il giusto, lo riconoscevo. 

In quel periodo la sedia di Eloyn al tavolo degli umani era rimasta vuota, non che avessero dei posti prefissi, ma lei si metteva sempre là, lontana ed infondo, via dal mio sguardo. Nessun umano aveva osato rubarle la sedia, sapevano di non averne il diritto. Non avevo dato spiegazioni sulla sua scomparsa, ma sicuramente giravano delle voci, del resto noi vampiri non abbiamo mai imparato a tenere in considerazione la loro effettiva e costante presenza intorno a noi. Sempre così invisibili ai nostri occhi, ai miei, ma lei non lo era mai stata, tranne ora. 

Ero pervasa dalla malinconia, quello potevano vederlo tutti, era la rabbia l'unica cosa che tenevo per me e che non mostravo mai, nemmeno quando ero in solitudine. Volevo essere migliore della donna che aveva distrutto un intero villaggio, ma allo stesso tempo, l'odio che covavo mi avrebbe portata sullo stesso cammino. Avevo paura di tornare in dietro, ma forse era l'unico modo per riportarla da me. Quindi mi sfogavo con le piccole cose, giustiziare Costantine Seelers era stata una di queste, Rhea ancora ci rimuginava, ma aveva compreso le mie motivazioni, ed ora sembrava essersi placata, anche se ogni tanto vagava con lo sguardo su punti vuoti, scuotendo la testa, per poi guardarmi con la ferocia negli occhi. Ma era così che doveva essere, avesse fatto il contrario mi sarei preoccupata. Qualche volta sorprendevo Amélie fissarmi, così concentrata come se cercasse di leggermi. Quando la beccavo invece di distogliere lo sguardo, come qualsiasi altra persona avrebbe fatto, mi sorrideva. Era un sorriso sincero e caldo, intriso di dispiacere. Mi confondeva. Mi riscaldava, ma allo stesso tempo desideravo la sua indifferenza, così sarebbe stato più facile fare l'odiosa rancorosa. Smise di farlo quando le tolsi i suoi schiavi, dovevo pur sempre punirla, e li diedi a Stella. Stella era sempre stata una spina nel fianco per ogni umano, era quel tipo di padrona che per richiedere i tuoi servigi ti urlava dall'altro lato della casa e se non arrivavi in tempo te la faceva pagare. Quei schiavi avevano vissuto negli allori con Amélie, e ora avrebbero faticato a causa della sua stupidaggine. Quando glielo avevo riferito aveva detto: "Stella è una stronza." Al quale io avevo risposto: "Anche tu." E me ne ero andata. Ad Arkel feci una cosa simile, gli tolsi i suoi schiavi dandoli a persone al di fuori della famiglia. James e Elliot non meritavano altri umani ai loro servigi, erano ancora dei bambini, Marcus non sopportava gli umani a prescindere, e Camilla si era espressa totalmente contraria, non voleva nulla che un tempo fosse appartenuto a un coglione, sue parole, come Arkel. Quindi contattai qualche conoscente di fiducia e li prestai a loro.

Nel pomeriggio arrivò una lettera, annunciandomi che le gemelle sarebbe presto giunte nel Ducato dei Thorns. Avevo in precedenza espresso il mio disappunto, ma Rhea mi aveva convinta a lasciarle andare. La casa presto si svuotò, James e Elliot a fare macelli in città, Stella con qualche vampiro o le sue amiche, Arkel chissà dove, Camilla chiusa in camera a leggere o a rispondere alle sue corrispondenze. Marcus ogni tanto girava per casa senza mete precise, controllava come stessi o se avessi bisogno di qualcosa. Con gli anni, senza nemmeno volerlo, era quasi diventato la mia personale guardia del corpo. Rhea e Amélie ultimamente si erano scambiate delle strane occhiate. Da quando qualche giorno fa era tornata ricoperta di sangue, sembrava che il loro rapporto fosse migliorato.

 Io e Ife eravamo tornate a lavorare quando un'umana bussò delicatamente alla mia porta. Con un inchino mi porse la lettera che teneva tra le dita. Adrienne Manor aveva richiesto una riunione del Concilio, sarebbe avvenuta tra qualche giorno. Se non l'avesse richiesta lei, probabilmente l'avrei fatto io. Avevo bisogno di vedere i rappresentanti della casate, di capire, faccia a faccia, le loro intenzioni e ristabilire la mia fiducia nei loro confronti. Non era sicuro ci fosse un traditore tra loro, ma magari nella stessa famiglia, una persona con una notevole influenza e con un valido movente. La famiglia Manor e i Capitol erano da escludere, così come i Grenville, che vivono ancora nella speranza che io possa, un giorno, sposare Aaron. I Glossilance si erano sempre dimostrati una famiglia seria e devota al loro Lord, così come gli Holymark. I Redstarl erano sempre stati dei forti patrioti, ed io, fino ad ora, non avevo messo in dubbio il mio diritto a governare, né avevo mai messo a rischio il regno. La mia decisione di escludere Styria dagli altri regni li aveva entusiasmati ed io avevo ottenuto il loro favore dal quel momento. Le altre famiglie rimanevano un'incognita, compivano i loro doveri, quello era certo, ma alla fine non si sa mai. Del resto il regno di mio padre era caduto non solo per via delle sue decisioni, ma anche perché le casate con i loro ducati si erano rivoltate contro di lui. 

"Questa notte andrai?" domandai posando la lettera sulla scrivania.

"Sì," mi rispose Ife. 

Negli ultimi due giorni si era mossa tra le strade della città, memorizzando negozi, volti, vicoli... Tutto ciò che le sarebbe potuto essere utile, e stanotte non sarebbe stato da meno. Le avevo dato un mese di tempo, forse un po' troppo considerata la situazione, ma sapevo che così avrebbe fatto un buon lavoro e avrebbe portato dei risultati.

"Mi fermerò a dormire in un osteria vicino alla Golarossa," disse con una voce bassa e calma, con il tipico accento da chi viene da Yathrib. Si era sempre rifiutata di perderlo, era l'unica cosa che la legava ancora alla sua vecchia famiglia umana. "Resterò lì per una settimana."

"E chi sarai?"

"Una semplice ragazza, fuggita da Yathrib a causa dei suo severo padre. Porta con sé pochi soldi ed è in cerca di un posto in cui stare. E' misteriosa, vuole attirare un po' gli occhi su di sé, ma non troppo. Si farà qualche amico, qualcuno di squallido che la vorrà possedere-"

"Non mi piace questa parte." Mi ha sempre sorpreso con quanta calma e, soprattutto, indifferenza si inventa queste personalità. E' capace di creare un personaggio tutto nuovo e mantenere la parte fino alla fine, di distaccarsi dalla vera se stessa.

"Ma," sottolineò, "lei è timida infondo e non facile da avere. Pretenderà delle risposte, però a domande semplici, cose a cui tutti posso rispondere. E lì gli darà un po' di se stessa, il minimo per mantenere alto il suo interesse. Farà conoscenza di altre persone, porrà quesiti innocenti, sciocchi, finché non farà le vere domande ottenendo le risposte che aveva cercato fin dall'inizio."

Rimasi per un attimo perplessa, tenendomi il mento con il pollice e l'indice. "Non mi piace che ti vendi così. Non sei la puttana di un bordello al soldo di qualcuno."

"Non ho mai detto che farò la prostituta."

"Be' hai descritto magnificamente quello che fanno loro. Non voglio che usi il tuo corpo come fosse un oggetto in vendita." Mi sentivo come una sorella maggiore a parlare così. "Da quel mondo ti ci ho tirata fuori prima ancora che potesse traviarti."

Lei corrugò la fronte, dispiaciuta dalla mia reazione, ma ciò che la rattristì non fu che l'avevo paragonata a delle prostitute, ma per il semplice fatto che avevo buttato giù la sua idea.

"Ma non sarò io," mi rispose con leggerezza.

"E chi sarà?" domandai. "Una certa Mardea o Jala?" dissi facendo la finta pensosa. "Non conosco molti nomi yathribani o illiriani," commentai infastidita.

"Non essere l'antagonista della mia creatività."

Sospirai tentando di cercare un punto in comune. L'ultima cosa che vorrei è sapere che qualcuno che conosco da quando è un tappo venire sessualizzato da porci schifosi per un mio profitto.

"Pensa a qualcos'altro. Il mio è un no."

Abbassò la testa, lasciando il mio studio con leggiadra calma, con la rabbia ben nascosta dentro.

Quella notte andai a cercarla in camera sua, una semplice camera degli ospiti che lei non aveva nemmeno tentato di rendere più sua. I vestiti e le armi erano ancora nel baule con il quale era arrivata. Gli armadi e i cassetti erano rimasti vuoti, nessun oggetto personale in vista. Sorprendentemente ne ero rimasi ferita, avevo paura che lei non considerasse questo ambiente, questa casa, come sua, e che si sentisse come una semplice ospite, come se questo fosse un lavoro per lei. 

Entrai senza bussare, solitamente non lo facevo, ma dovevo pur in qualche modo mostrarle la mia rabbia riguardante quella faccenda. "Ife." Era piegata davanti a quel baule marrone e ammaccato, teneva stretta nella mano una sacca di medie dimensioni in cui stava infilando gli indumenti e i vestiti per la sua breve missione. 

"Sei sicura di voler fare questa cosa?"

"Lux," disse tranquillamente. Mi è sempre piaciuto come il mio nome suonava con il suo accento. "Tu non lo sei. Non fare quella faccia scontrosa." Mi guardò sorridendo e io cercai di ammorbidire lo sguardo.

"Ti ho vista crescere, non posso pensarti in quel modo." 

"Non devi, infatti." 

"Sei cresciuta troppo," commentai con imbarazzo. 

Lei si girò nuovamente nel tentativo di dirmi qualcosa, ma non parlò, la sua timidezza l'aveva frenata. Mi sorrise e controllò se nella sacca c'era tutto.

Era da un po' che qualcuno non mi guardava con sincero affetto. C'è stato un momento in cui lei e le gemelle erano delle bambine e temevo che il loro amore per me si sarebbe trasformato in devozione. Non ho mai desiderato essere vista da loro come se fossi una specie di salvatrice, quindi ho sempre cercato di essere più premurosa, più sorella, in modo da poterle presentare un giorno a questa famiglia, senza sembrare che fossero meno o non per nulla parte.

"Sono pronta," disse.

"La carrozza è fuori che aspetta," la avvisai. 

"Bene." Si mise in spalla la sacca. Indossava dei pesanti vestiti da popolana locale. 

"Non avrai freddo?" Indossava una gonna lunga, ma tra il vento e la neve avrebbe sofferto amaramente il freddo, per non parlare della camicetta bianca sopra la quale c'era solo un copri spalle del tessuto spesso e ruvido. "Devi sembrare disperata, non esserlo veramente."

"Non preoccuparti, rammenta le cose che ha fatto in passato."

Sospirai. "Ricordo." 

Ho comprato Ife molto prima delle gemelle, e ha messo al mio servizio le sue lame da almeno vent'anni, ma a volte non posso fare a meno di vederla come la bambina timida che si aggrappava al mio braccio ogni volta che Marcus era in giro. La sua stazza prorompente la intimoriva come non mai, ora invece qualcuno come lui sarebbe un non nulla per lei.

"Il freddo è stato mio amico molte volte, così come la nebbia d'Inverno."

"A volte rimpiango averti mandata dai Capitol, sia te che le gemelle, avrei dovuto darvi una vita più tranquilla."

"Volevi che ti fossimo d'aiuto, non ci vedo niente di male."

"Ho comunque sbagliato."

"Ma non hai commesso quell'errore con gli altri che sono venuti dopo. Hai dato loro una vita che desideravano, li hai amati con tutto il tuo essere. Sono sicura che fratello Arkel è grato, e lo sarebbe stata anche sorella Lailah."

Risi nel sentire i loro nomi. "Lailah è morta e Arkel è diventato un sadico perché l'ho privato delle mie attenzioni."

"Ti punisci troppo," disse nella sua ignoranza.

"Non sai cosa ho fatto. Tu non c'eri, fortunatamente."

"La mia conoscenza di ciò che accade qui quando non v'ero non è del tutto completa. Ma in quei anni fratello Arkel é venuto da noi numerose volte in cerca di conforto."

Avevo un groppo in gola. "Capisco." Ho fallito nel proteggerlo, non ci sono stata nel momento in cui aveva più bisogno di me.

"Non so cosa successe alle altre due Bloodgiver e non rientra nei miei interessi, ma lo sapevo che non avresti mai potuto uccidere sorella Lailah."

Tirai su col naso. "Non sapevo che Arkel avesse una lingua lunga. Un'altra cosa da aggiungere alle cose che non sopporto di lui."

"Sono felice," disse sorridendomi. "Non ci siamo viste molto nell'ultima decade, ma non potrei mai dimenticare il voto che avevi. Sono felice di poter rivedere la vera te."

Beata l'ignoranza di chi parla sempre del bene, perché non ha mai sperimentato il vero male. Ife non poteva capire, non era nemmeno nata quando Cassandra ha ucciso la vera me. Sono morta quando avevo sedici anni, allo stesso modo in cui lei è morta a dieci. Sono rinata come una persona nuova quando mi sono liberata dalle braccia di Cassandra, e Ife è rinata nel momento in cui l'ho comprata. Non possiamo essere chi eravamo una volta, e anche se agli occhi dell'altro sembriamo perfetti così come siamo ora, siamo solo una versione rimodellata di quello che c'era prima. Noi come esseri cerchiamo continuamente di adattarci a questo mondo distrutto. A me è semplicemente capitato di avere qualcuno che mi aiutasse a riparare ciò che una volta era stato rotto. Ma ora anche lei se n'è andata e mi sento come se stessi cadendo di nuovo. L'unica cosa che mi tiene sveglia in questo momento è il sostegno della mia famiglia.

Alla fine, cercai di renderla conscia dei miei pensieri. "Sono una Lux diversa da tutte quelle che hai conosciuto."

"Probabilmente," disse, "c'è una nuova scintilla che non avevi quando ero piccola."

"Be', immagino che quella scintilla sia la cosa che mi sta infiammando."

"Allora spero non si spenga mai." 

L'abbracciai, forte e violentemente, come non avevo fatto in anni. Lei rimase rigida, come suo solito, con le braccia ben saldate ai fianchi, ma appoggiò il mento sulla mia spella e a me quello bastava. Mi è sempre bastato.

"Vai," dissi liberandola dalla mia presa, "ora sei un'adulta, conosci il tuo lavoro, io no, fai ciò che è necessario ma ricorda-"

"Il prezzo non deve mai essere superiore al guadagno."

Le sorrisi e lasciò la stanza con un cospicuo arsenale di coltelli addosso.

 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sarebbe dovuto essere i 38 ma dato che il 37 con il pov di Eloyn non l'ho ancora scritto ho deciso di pubblicare questo per non farvi attendere troppo. Il titolo è un riferimento al modo di dire inglese "turn over a new leaf" e mi sembrava appropriato considerata l'evoluzione di Lux. Al prossimo capitolo!

 

 

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Capitolo 43
*** Capitolo 38 - Caos che Avanza ***


Eloyn

Uscii dalla stanza con estrema agitazione. Le parole di Kiana mi avevano scossa più di quanto avrei mai pensato. Amare Lux significava desiderare di non vederla più, e questo pensiero mi tormentava, così come lo sperare che non tenesse a me. Io ero una semplice umana, non poteva scatenarsi una guerra per colpa mia... Ma- 
Un pensiero maligno attraversò la mia mente, come una spada arrugginita che trafigge un petto. Tanto morirebbero solo vampiri. Cacciai via dalla testa quella voce, sperando non fosse veramente la mia. Ero andata oltre l'odio e la vendetta, ne ero convinta, ma a quanto pare le vecchie abitudini non muoiono mai veramente, avevo solo accostato quei pensieri, li avevo messi in un angolo della mia mente sperando che non uscissero mai più. 

Camminai a passo lento, dalle camere degli umani non usciva alcun suono, e più passi facevo, più tentennavo. Mi sentivo come se il mio corpo volesse accasciarsi a terra e sprofondare nel buio. Ero così stanca, di tutto, e avevo paura, una maledetta paura di scoprire dell'altro, di quello che Titus avrebbe potuto dirmi. 

Passai davanti l'ultima camera alla mia destra. Era la stanza della bella vampira e mi domandai perché la sua stanza non fosse nell'ala destra come tutte le stanze dei vampiri. Realizzai che non sapevo ancora il suo nome, ma la sua figura mi attraeva e il suo silenzio scatenava la mia curiosità. Mi accorsi dopo qualche minuto che inconsciamente stavo divagando con i pensieri. Sbuffai con un sorriso rendendomi conto della mia stupidità. Mi ero fermata davanti la balaustra, al di sotto si apriva il vuoto e mi affacciai verso il basso. C'era la grande sala che come il tronco di un albero si diramava in altri corridoi che portavano alle cucine, al salotto, la sala pranzo... In quel punto potevo solo intravedere una parte, il pavimento a scacchi, un grande quadro contro la parete che raffigurava Cassandra seduta sul morbido trono, lo stesso davanti al quale mi aveva fatta inchinare. Alla mia sinistra vi erano le scale che con una dolce curva incontravano quell'insieme di quadrati in marmo nero e bianco. Sapevo che da qualche parte, nell'ombra, c'erano le guardie di Cassandra, pronti a punire i trasgressori notturni. E nuovamente ebbi qualche ripensamento. Titus era un doppiogiochista, me lo aveva fatto capire chiaramente, un traditore se data la possibilità. Se Cassandra fallirà, allora io dovrò mettere una buona parola su di lui per evitare che venga giustiziato, e lui avendo la certezza della mia fiducia, potrebbe aiutarmi qui, non aveva specificato veramente a cosa, ma l'avrebbe fatto. Darmi informazioni potrebbe essere già un inizio. Guardai in alto, quella era la parte più bella della casa, una cupola in cristallo che filtrava una luce bianca. Ma Titus è comunque un seguace di Cassandra, potrebbe riferirle tutti i miei dubbi e le mie paure e usarle contro di me e ottenere più informazioni su Lux e la sua tenuta. Tra un dubbio e l'altro, e dopo essermi calmata, decisi che sarei tornata in camera. Di Titus non ci si poteva fidare. Gironzolare di notte in una casa piena di guardie non era il massimo, non avevo più la libertà che avevo da Lux. Dovevo cominciare ad abituarmi all'idea che sono tra le mura del nemico, e non sono più la ragazzina presuntuosa appena rapita da una bella donna dai capelli rossi e gli occhi come tempesta.

Feci per tornare indietro quando un rumore d'acciaio ruppe il silenzio, seguito da un "lasciami" aggressivo ma debole. Lasciai il corrimano, su cui c'era la forma delle mie mani sudate e mi sporsi verso il corridoio alla mia destra. C'era una guardia e con il solo braccio aveva appena sollevato qualcuno, non riuscii a vederla bene in viso, aveva un ammasso di lunghi e riccissimi capelli neri che le coprivano il volto. Se li scansò e guardò di malocchio la guardia, e quest'ultima ritornò rigida sul posto. Era la vampira che risiedeva negli alloggi degli umani. Raccolse da terra un fazzoletto di stoffa che inizialmente non avevo notato, era sporco di sangue. In quel momento si spostò i capelli e sul suo scuro collo c'era la ferita di un morso. 

Sentii qualcosa di strano in me. L'idea che un vampiro potesse trarre nutrimento da un altro vampiro mi disgustava, a meno che lo scopo era un altro. Ricordo ancora quella sensazione che avevo combattuto per via della vergogna e come fosse travolgente. Ho sempre pesato che il morso di un vampiro fosso uno strumento di morte o nutrimento, e mai qualcosa che potesse dare piacere. Vorrei poter tornare indietro a quei tempi e accettare tutto ciò che Lux mi aveva offerto, buono o cattivo che era stato, ogni tocco, ogni bacio. Ma per questa ragazza che sembra sul punto di cedere ad ogni passo, era stata probabilmente una delle esperienze più spiacevoli della sua vita. Quando cadde in ginocchio, ansimate e delirante, venni presa dalla compassione. Fu la pena a muovere le mie gambe e a farmi accovacciare davanti a lei.

"Oh," esclamò vedendomi," sei tu." La sua voce era roca e teneva a stento aperte le palpebre.

La guardia venne verso di noi, verso di me. La vampira alzò la mano, ero quasi sicura che fosse indirizzata a me, e strinsi gli occhi, ma quando li riaprii la guardia era tornata a suo posto e ci guardava con la coda dell'occhio.

"Torna nelle tue camere, umana."

Ma io le afferrai il braccio nel tentativo di aiutarla ad alzarsi.

"Vuoi essere punita per insubordinazione?"

"Sto solo cercando di aiutarti," mormorai. Le circondai la schiena con il mio braccio e posizionai il suo dietro al mio collo. La sollevai di peso nonostante i suoi mugolii di protesta. 

"Stupidi umani," mormorò mentre una gamba cedette. La sollevai di nuovo, i suoi piedi a mala pena toccavano il terreno. "Vi odio."

La sua camera era a pochi passi, prenderla in braccio ora sarebbe stato inutile, e poi avrebbe fatto colare il suo sangue sui miei vestiti.

"Dai," la incitai per farla smettere di borbottare, "eccoci." 

Come le camere di noi umani, nemmeno la sua aveva una chiave, ed entrammo. Avevo le mani troppo occupate per accedere la lampada ad olio attaccata alla parete, e mi mossi scrutando nell'ombra. Non fu difficile individuare il letto e la feci sedere lì. Si tirò indietro per sdraiarsi ma le sue braccia si erano incatenate al mio collo e mi portò giù con lei. Osservai, con estremo fastidio, che anche se non era riuscita a fare nemmeno due passi senza il mio sostegno, le sue braccia erano come acciaio e non mi permise di scivolare via dalla sua presa. Sentii l'odore del sangue, troppo vicino al mio naso per evitarne il tanfo, un misto di monete di rame e di erbe aspre. 

"Ti ha toccata, non è vero?" disse con la voce piangente. Il suo alito odorava di alcol. Io non compresi, non centravo nulla con il suo delirio. "Fammi assaporare..." Sentii il suo ultimo respiro sulla mia bocca e poi mi baciò, dolcemente e lentamente, come se fossi un dolce che aveva bisogno di assaporare il più a lungo possibile. Mi tirai indietro in preda al panico, e arrabbiata al pensiero che ancora una volta ero stata toccata senza il mio consenso. Quando provai a scansarmi, mi morse le labbra con impazienza e assaggiò il mio sangue. Si staccò da me solo per fare una leggera risata, a denti stretti. I suoi occhi brillavano di un lucente bianco, per lei il buio non era altro che un'altra sfumatura del giorno, per me, invece, significava terrore assoluto. Mi fissò, come se avesse notato per la prima volta qualcosa. L'unica cosa che potei vedere fu come li spalancò e chiuse un istante dopo. E poi, come una bambina che ha appena rotto il suo giocattolo preferito, pianse, e finalmente mi lasciò andare. 

Vorrei dire che volai fuori da quella camera come se ne valesse la mia vita, come se avessi la morte che mi correva dietro, e invece rimasi lì, immobile, al buio, perché quella che sembrava aver visto la morte davanti a sé, era proprio quella ragazza.

"Esci," disse, tra una lacrima e l'altra.

"Se vuoi pos-"

"Esci, umana!" gridò, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento, scoprendo gli occhi dai palmi delle mani, e dirigendoli verso di me, terrificanti e cattivi. Il suo urlo era stato così stridulo che mi sembro come se fossi stata colpita da numerosi aghi nelle orecchie.

"Ho un nome!" ribattei, incurante di quello che stava provando, dolore, rabbia, non importa, anche un umana merita rispetto!

"Se io non ho potuto tenere il mio, allora neppure tu lo avrai," dichiarò. "Ora vattene!"

Quelle parole rimbombarono nella mia testa, cercando di trovare un significato. Ma anche se volevo domandarglielo, mi aveva fatto chiaramente capire che era troppo pericolosa. Un passo dopo l'altro, arrivai alla porta e uscii da quella buia e spaventosa stanza.
 

Il giorno dopo Titus irruppe in camera facendo sbattere la porta contro l'armadio e urlando: "Svegliati, tesoro mio!"

L'odio che provai più forte della semplice irritazione. Mi sarei alzata contro ogni supplica del mio corpo e l'avrei strangolato.

Attraversò la stanza e prima ancora che lo fece, capii e urlai uno stridulo "no". Aprì le tende e rimasi accecata dalla luce. Mi rotolai nel letto, coprendomi il viso prima con le mani e poi con le coperte.

"Zuccherino, lo so che è presto, ma ho bisogno della tua pulsante vena e del tuo adorato sangue."

Inutile dire che 'pulsante vena' mi aveva fatto già spalancare gli occhi e 'adorato sangue' mi aveva fatta direttamente mettere a sedere. 

"Cosa? No. Perché?" Avevo un occhio mezzo aperto mentre l'altro stava ancora combattendo la luce.

Frugò in tasca, era vestito elegantemente, come la notte che mi aveva rapita. Fece una sorta di inchino strambo, abbassando completamente la testa, e mi mostrò con eleganza dei movimenti un piccolo contenitore in metallo. Gli cadde a terra il cappello. Lo raccolse con eccessiva e buffa velocità.

"Ti serve il mio sangue per quello?" 

"Ovviamente," disse tornando in posizione retta, per fortuna.

"Che ci devi fare?"

"Oh," sussultò, si sporse verso di me e allungò la mano, io gliela schiaffeggiai via. "Manesca!" esclamò, ritirandola come se potessi staccagliela a morsi.

"Rispetta gli spazi." Poi, con più riluttanza, aggiunsi: "Per favore."

"Sei caduta di faccia?" domandò, ma subito dopo inarcò un sopracciglio e capii l'implicazione. Avevo un taglio sul labro, e non uno qualsiasi. "Cassandra si infurierà. Decisamente," disse divertito.

"Con me o con chi la fatto?"

"Mi dici chi è stato?"

Quell'entusiasmo, quel luccichio negli occhi.... che nervoso! "No. E poi hai cambiato discorso, a che ti serve il mio sangue?"

"Devo partire."

"Per andare dove?"

"Tu che dici? A creare un po' di caos!" esclamò con troppo euforia.

Mi fece ribollire il sangue. Scesi dal letto lasciando via libera alla mia impulsività. Lo presi e lo spinsi con il muro, con il mio avambraccio premuto contro la sua gola. 

"Oh, mi piacciono le donne forti."

"Disgustoso," commentai. Non stavo giocando e di sicuro non avevo intenzione di appagare i suoi desideri sessuali. "Dimmi tutto, adesso."

"Quella parolina magica che fine ha fatto?"

Premetti l'avambraccio di più, per poco non lo feci tossire. "Non esiste alcuna parolina, chi devi incontrare a Styria? A chi lo devi dare?"

Lui mi guardò sorridendomi, senza rispondere. Ero a pochi centimetri dal suo viso, fu uno dei momenti di totale silenzio più imbarazzante della mia vita. Per quanto potessi essere minacciosa, lui godeva di qualcosa che io non avevo, la forza vampira e il favore di Cassandra.

"Voglio andarmene via da qui al più presto possibile," dissi mostrando un po' più di fragilità, forse questo gli avrebbe fatto aprire la bocca, almeno un po'.

"Mi sono arrivate delle vocine," disse in fine. Io sperai si trattasse di qualcosa su Lux o Styria ma mi sbagliavo amaramente. "Hanno detto che la signorina Kiana è venuta a trovarti. Cosa ti turba così tanto?"

Era tempo di mentire, proprio come con Cassandra. Se lei mi aveva creduta, allora potrei convincere anche lui. "Kiana è venuta a chiedermi di Cronella, voleva sapere come stava considerando gli ultimi incidenti."

"E tu pensi che io ci creda? Una guarda ieri notte ha segnalato che non eri in camera tua."

"E quindi?"

"Dove stavi andando?"

Lo scrutai. Ieri notte stavo andando proprio da lui. Lasciai la presa sul suo collo, ma gli rimasi comunque appiccicata. "Ho bisogno di sapere una cosa, chi è che mi ha venduta?"

"Tesoro, mi stai chiedendo cose che con posso rivelare."

"Perché? Tanto sono bloccata qui, giusto?"

Mi sorrise, un semplice e sincero sorriso. Io corrugai la fronte. 

"Quali sono i piani per me?"

"Eloyn, ora ho bisogno del tuo sangue. Le tue domande sono troppo specifiche, non posso rispondere."

"Non eri tu quello che voleva una via di fuga?! Allora dimmi quello che voglio sapere, cazzo!"

"Ti sto donando la mia gentilezza e la mia rinomata compagnia."

"Ma fammi il piacere!" Mi scostai da lui. Aveva un profumo troppo intenso, mi dava fastidio al naso. "Che mi dici Cassandra e Lux? Cosa vuole la tua signora dalla mia."

"Risanare l'offesa, prendersi Styria."

'Prendersi Styria' è abbastanza esplicativo ma..."Che intendi con risanare?"

"Parole di Cassandra, non so nemmeno io di preciso che intenzioni abbia. A volte le sue nefandezze le tiene qui," si indicò la testa con il dito, "al sicuro."

Feci una faccia decisamente seccata considerata la sua reazione dopo, ma questa conversazione non stava andando da nessuna parte. Il suo viso si trasformò in un orribile smorfia e gesticolò con le mani.

"Senti, Cassandra è una donna geniale ma cade nel narcisismo, a volte addirittura nella follia. Lei ama fare terrore psicologico e odia perdere. Farà di tutto per riavere Lux e nel processo farà di tutto per farla soffrire. Tu giochi un ruolo in questo, ma anche molte altre persone. Ma Lux è altrettanto intelligente e temibile, è fuggita una volta, ha ricostruito una nazione, potrebbe rifarlo ancora, e se dovesse riuscirci per Tianama sarebbe la fine. La temo quanto Cassandra, per questo voglio il tuo appoggio."

"Quindi tu credi che Lux possa farcela."

"Potrebbe, ma sono fedele a Cassandra, tesoro mio, sono nato qui, ho degli amici, degli amanti, per questo non posso darti informazioni che potrebbero distruggere lei o il paese. Hai già fatto amicizia con Cron, e Kiana non è ancora dalla nostra parte. Qualsiasi fuga di informazioni potrebbe convincere Kazenuki a ritirarsi dalla scontro. Posso proteggerti, trattarti con rispetto, o come se fossimo amici da una vita, tutto per renderti la permanenza qui meno spiacevole, ma non posso essere la tua spia."

"Quello che mi offri non mi basta."

"Lo sarà, Eloyn." La convinzione nel suo guardo era agghiacciate. "Lo sarà."

"Non posso darti il mio sangue, ho capito cosa vuoi farci e non posso permettertelo."

"Lo sai anche tu," disse dispiaciuto, "non puoi rifiutarti. Sono contro la violenza, non obbligarmi a chiamare una guardia."

Mi sentii come se stessi sprofondando in acqua, affogando tra le mie paure e terrori. Mi si inumidirono gli occhi. "Lei non può venire qui..."

"E' quello che vuole Cassandra ed è quello che accadrà, tesoro."

"Non c'è davvero altro modo? Qualcosa che posso fare?!"

"Dammi il braccio, Eloyn. Tra poco ho la nave per Styria."

Quel pomeriggio Cassandra cominciò i preparativi per l'arrivo Lux.
 

Il momento è finalmente arrivato! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 44
*** Capitolo 39 - Doni dal Passato ***


Lux

Ife era andata nei bassifondi, le gemelle erano nel Ducato Thorn e Rhea e Amélie erano a fare le... loro cose. Io mi sentivo più sola che mai. Non volevo in alcun modo coinvolgere gli altri, li avrei fatti rimanere nella loro ignoranza, volevo dare loro un po' di pace senza sommergerli con i miei problemi. Ogni tanto Marcus passava a trovarmi. Adesso che non c'era Ife a vegliare su di me, Marcus era diventato più premuroso del solito. Non avevo coinvolto nemmeno lui, ma nonostante tutto è sempre stato bravo a capire la situazione e ad agire di conseguenza. Quando si faceva troppo tardi, veniva da me e mi obbligava ad andare a letto. Tra lui e Ife non so chi mi faceva di più da genitore. Ma tra una cosa e l'altra, l'insonnia prendeva sempre il sopravvento, mentre se dormivo venivo assalita dagli incubi. La mia ansia, evidentemente, mi stava sabotando.

Oggi ho ricevuto la prima lettera di Ife, la sua scrittura impeccabile, recitava:

Tutto va come pianificato, pensano sia una semplice viaggiatrice. Ho fatto conoscenza con il capo del locale, visibilmente una persona poco rispettabile, così come i clienti abituali. Mi sono fatta raccontare quello che è successo con sorella R e mi rammarica dirlo, ma sono state dette delle menzogne. I due uomini che hanno attaccato R sono stati uccisi quella stessa notte. Hanno parlato di un uomo grosso dalla carnagione scura, il nostro M, e una ragazza bionda, sorella A. Ho chiesto più volte, con finto stupore e sorpresa se fosse vero quello che avevano visto. Ho riso insieme a loro quando hanno detto: "è stata la biondina a farli fuori". Deduco, con estremo dispiacere, che A abbia ucciso i due signori. La nota positiva è che non sanno che la donna che hanno attaccato sia vostra sorella, credono che sia una semplice nobile del posto. Il che non minerà la vostra reputazione.
Sto ancora cercando di capirne di più, mia signora. Presto raccoglierò altre informazioni. Richiedo l'autorizzazione per l'utilizzo di armi e sevizia, se necessario. Non sono avvezza alla tortura, ma per voi, questo ed altro.

Tuo, Segugio

Tenni il foglio stretto tra le dita. Guardai negli occhi la schiava umana che mi aveva portato la lettera. Sussultò nel vedere il mio sguardo, ma la mia rabbia non era rivolta verso lei. Con una voce più calma di quanto potei immaginare, le ordinai: "Dì a Marcus che lo sto aspettando. Desidero la sua presenza immediatamente."

Quando arrivò, probabilmente scorse dal mio sguardo che sapevo, perché i suoi occhi già gridavano perdono. 

"Mia signora," disse chinando il capo.

Io lo osservai, seduta sulla mia comoda sedia, non gli avrei dato il piacere di accomodarsi davanti a me, quello significava che avevamo un terreno comune, ma non era così, lui era un bugiardo e quelle menzogne feriscono le persone, specialmente mia sorella.

"Hai mentito."

"L'ho fatto." Il viso mortificato. Il dolore nelle parole. Mi è sempre stato fedele, ed ora aveva rotto la mia fiducia.

"Spiegati." Potevo intuire il perché ma volevo comunque farlo parlare, farlo sentire in colpa. Sono la dannata Lord! Nessuno deve osare mentirmi, specialmente ora, nella situazione che sto vivendo.

"Amélie mi ha pregato di non proferire parola."

"Tu mi hai detto, dritto in faccia, che quei uomini erano fuggiti. Ora scopro che Amélie li ha uccisi?"

"L'ho aiutata, ovviamente."

"Ovviamente," ripetei, "ovviamente... Come se fosse quello il problema." Congiunsi le mani e poggiai la fronte contro le miei nocchie. Ispirai, lasciando che l'aria riempisse i miei polmoni, come se quando avrei espirato anche la rabbia se ne sarebbe andata via. Ovviamente non accadde. "Marcus," dissi, con tono quasi implorante, "non farti più coinvolgere da Amélie. So che facendolo avete salvato mia sorella, ma quello che avete fatto è assolutamente sbagliato. Pedinare mia sorella! Cosa vi è saltato in mente? Volevo sorvolare sulla questione, ma... avete osato mentirmi."

"Chiedo umilmente perdono," abbassò il capo nuovamente. Avrebbe potuto farlo altre cento volte, ma a me non sarebbe importato. E' stato uno stupido e Amélie è stata altrettanto una pazza.

"Vattene," dissi, quasi stanca. "Discuteremo la tua punizione più avanti. Ho bisogno di parlare con Amélie, portala qui. E non osare accennarle nulla. Vai."

Questa giornata non potrebbe andare peggio.

Quando Amélie aprì la porta, mi ritrovai a leggerle ad alta voce la lettera che la mia Ife mi aveva mandato. Non le ho nemmeno dato il tempo di chiedermi perché l'ho fatta venire. Lessi ogni parola accusatoria, scandendole perfettamente. Non avevo nemmeno bisogno di alzare lo sguardo, sapevo già la sua espressione. E quando finii, anche in quel caso non la guardai.

"Quindi?" disse tra la vergogna e la rabbia. "Sono pronta a ricevere qualunque punizione."

Ma prima che dicesse quelle parole io già sapevo cosa le avrei detto, e soprattutto la discussione che sarebbe nata. Presi coraggio, alzai lo sguardo, la fissai dritta negli occhi e parlai. "Devi dirle la verità."

Mi guardo sconcertata, il terrore negli occhi. Il fatto che capì immediatamente a cosa mi stesse riferendo, indicava che gli eventi di quella notte, il sangue che aveva versato la stavano tormentando. Guardò prima me, poi si perse tra i suoi pensieri. "N-no."

"La vostra relazione si è evoluta," dissi io, alzandomi, annullando la distanza tra noi. Mi poggiai contro la scrivania, le braccia conserte, il corpo rilassato. Se volevo ottenere risultati da questa conversazione, si sarebbe dovuta svolgere con la più completa calma. 

"Ti sbagli," disse sulla difensiva, guardandomi torva.

"Non mentirmi, sento l'odore del vostro sangue l'una sull'altra."

"Non ho oltrepassato il limite."

Risi incredula. "Mordervi a vicenda è come fare sesso, quindi, sì, hai oltrepassato il limite!"

Distolse lo sguardo, colpevole, e potei vedere i sensi di colpa che la stavano travolgendo, ma non perché io sapessi di loro due, ma perché alla fine lei non era riuscita a controllare se stessa e i suoi desideri.

"E' successo solo una volta..." disse a bassa voce.

Su questo aveva ragione, è successo solo il giorno dopo che Rhea è stata accoltellata. Da quel momento erano sembrate molto unite quindi avevo pensato- No, questo non cambia nulla, è arrivato il momento, Amélie doveva accettarlo.

"Rhea merita di sapere, ha sofferto abbastanza."

"Non posso farlo! Significherebbe che... tutti i miei sacrifici non sono serviti a nulla."

"Negarti a lei è stata una stupidaggine che non ho mai supportato, sappiamo entrambe che tu non le f-"

"Come puoi saperlo?"

Mi sono spinta verso di lei, tenendole le braccia, confortandola. "Io lo so," le giurai e poi le mie braccia si mossero, accogliendo la sua testa sulla mia spalla. "Avrei dovuto prendermi cura di te di più." La strinsi forte. "Tutti voi." E' passato molto tempo dall'ultima volta che siamo state così vicine, da quando sono stata così emotiva con uno di loro. Ho lasciato che i miei problemi mi sopraffacessero e ho dimenticato quanto stesse soffrendo anche la mia famiglia. "Mi vergogno di me stessa. Per aver permesso a te e ad Arkel di distruggervi. Anche tu meriti amore. Non lasciare che la tua relazione passata ti fermi. So come ci si sente. Ho quasi trattato Eloyn come ha trattato me Cassandra. Sono stata un pessimo esempio. Mi dispiace tanto. Ma so nel mio cuore che non farai mai del male a Rhea nel modo in cui quell'uomo ha fatto del male a te."

Avrei dovuto dirlo prima, tutto questo. Forse avrei risparmiato a queste due grandi dolori. Se solo l'avessi spinta ad aprirsi di più con Rhea, se solo l'avessi aiutata di più...

"Non prenderti tutte colpe sulle spalle," disse con la voce rotta. Le sue lacrime stavano inumidendo la mia maglia e il mio collo. "Ho fatto quello che pensavo fosse giusto. È stata una mia scelta, non tua. Sei mia sorella, Lux, non cercare di essere una madre, per tutti noi. Abbiamo problemi, sì, e forse ci hai trascurato, ma non è compito tuo crescerci." Tirò su col naso e si staccò dall'abbraccio, ma io continuai a stringerle le braccia. Mi guardò forzando un sorriso e io le rivolsi uno sincero. Teneva i capelli in una treccia scombinata e qualche ciuffo le era ricaduto sul viso. Le scansai quelli che le coprivano gli occhi. "Sono felice che tu sia tornata. Lei l'ha reso possibile." 

Fu come se il mio cuore fosse stato colpito e i miei occhi si spalancarono. Mi ha detto numerose volte di essere diventata una persona orribile nel corso degli anni. Sentirle dire queste parole, per la prima volta, mi commosse, ma riuscii a trattenermi.

"Lo dirò a Rhea," sospirò, "penso di essere pronta... forse." La sua presa sulla mia maglia si strinse. "Lux, la amo con tutta me stessa. Voglio baciarla, abbracciarla, stringerla a me finché non diventiamo una cosa sola!"

"Allora sei pronta."

Il mio sorriso si ruppe quando sentii numerosi passi, veloci e agitati verso la mia porta. Scansai di lato Amélie e, con mio stupore, Ife irruppe nella stanza seguita da Marcus che le domandava insistentemente cosa fosse successo. Tremava, i suoi occhi era spalancati.

"Lux..."

"Che problema c'è? Ife!"

La lettera che mi aveva inviato era stata scritta ieri sera e mi era arrivata questo pomeriggio, cosa potrebbe mai essere successo in un lasso di tempo così breve?

Amélie fu la prima che le corse in contro, tenendole il viso tra le mani, guardandola, cercando di capire cosa non andasse, se fosse ferita. Ma Ife guardava solo me, e mi venne in contro ignorando Amélie. Teneva nel pugno qualcosa. Era disorientata, non l'avevo mai vista così. 

Mi prese la mano e poggiò sul mio palmo una boccetta di sangue. Era chiusa con un tappo di sughero e intorno al collo uno spago teneva un pezzo di carta. Guardai Ife, confusa, e lei mi guardò turbata, come se stesse cercando di parlarmi attraverso lo sguardo.

"Odora..." mormorò, cercando in tutti i modo di mantenere il tono di voce calmo.

Amélie e Marcus si erano affiancati a noi, erano desiderosi di capire ma anche in loro c'era un velo di paura.

Prima di esaminare il sangue, controllai il foglio di carta. Lo staccai dallo spago, strappando un pezzo. La scrittura elegante e leggera fu la prima cosa che mi turbò. Era famigliare e mi trasmetteva un senso di nausea, ma fu quando lessi che il mondo mi cadde addosso.

Per la mia consorte perduta da tempo, un regalo d'amore.

Stavo per cadere, indietreggiai andando a sbattere contro la scrivania, ma mi aiutò a sorreggermi. Lasciai cadere il foglio a terra, così come il tappo quando aprii la boccetta, mentre il cuore mi scoppiava in petto. L'odore di quel sangue mi inebriò la mente, sbloccò ricordi, sensazioni, dolore, gioia. E la realizzazione. La boccetta mi scivolò dalle mani, macchiò il tappetto e io mi riversai a terra, un misto di terrore e sollievo. Le lacrime mi bagnarono subito il viso e non riuscii a trattenere i miei lamenti. Amélie si piegò davanti a me, l'odore del sangue colpì anche lei e si mise una mano sulla bocca, poi prese il biglietto e sgranò gli occhi. 

"Chiama Rhea, ti prego..." Mi faceva così male la gola che non riuscivo nemmeno a parlare. 

Lei corse via dalla stanza, ma l'odore di quel sangue si era già diffuso nell'ambiente ed era impossibile per nessuno non riconoscerlo, del resto...

Sentivo già numerosi passi, violenti e agitati. Rhea fu la prima a sfrecciare nella stanza circondandomi tra le sue braccia, cullandomi, guardando i volti di tutti i presenti in cerca di aiuto. C'era anche Jason, appoggiato contro la porta, ed Arkel, che si era piegato sulla pozza di sangue. Arkel intinse un dito e poi si leccò la punta. Era un misto di sensazioni, sollievo ma anche dell'inconfondibile terrore. Mi guardò mentre mi stringevo a Rhea, mi fissò per un interminabile momento. 

"Questo è il sangue di Lailah, e dall'odore, anche quello di Eloyn."

 

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