Fantasmi nell'ombra

di Skulls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio ***
Capitolo 2: *** LA FENICE ***
Capitolo 3: *** Samir Shaker ***
Capitolo 4: *** Squadra speciale G. I. T. S. ***
Capitolo 5: *** Gli infallibili ***
Capitolo 6: *** Ghosts in the shadows ***



Capitolo 1
*** Il risveglio ***


Salve, per chi fosse interessato al romanzo "GHOSTS IN THE SHADOWS la rinascita. Vi informo che è disponibile in tutti gli store online, e può essere ordinato nelle librerie fisiche mondadori e feltrinelli. Grazie per la vostra attenzione. https://www.mondadoristore.it/Ghosts-the-shadows-rinascita-Tony-D-C-S/eai978883165371/ RINGRAZIAMENTI: Sofia Di Crisci Salvati, Rosanna Cecinato, ed, un grazie particolare a chiunque abbia contribuito a realizzare questo racconto. 1 IL RISVEGLIO Marzo 2020, luogo sconosciuto. Quando Matt aprì gli occhi, guardò il soffitto composto da enormi travi di legno, e, facendo moltissima fatica e con l’aiuto delle sole braccia, si alzò per metà sul letto, stropicciando gli occhi per osservare meglio il posto in cui si trovava. Era una stanza abbastanza buia, con due letti uno di fianco all’altro, forse per degli ospiti. L’arredamento era minimalista, non c’erano cose quali televisione, radio o un telefono, e su un comodino c’era una lanterna che probabilmente funzionava ad olio. Non vi erano altre luci, non c’era ombra di elettricità. La piccola stanza era riscaldata da un vecchio camino, le finestre erano chiuse e rivestite da grandi tende color marrone. Nell’angolo in alto del balcone filtravano dei flebili raggi, e si poteva intravedere il cielo oltre la lastra di vetro impolverata. Il tempo sembrava uggioso, ed era ancora giorno. Sembrava di trovarsi nel 1800, senza alcun tipo di tecnologia. Matt dapprima pensò che tutto questo fosse soltanto un sogno. Insomma, svegliarsi in una camera antica senza avere idea di dove si trovasse non era una cosa normale. In un secondo momento si domandò perché sentisse del dolore, e non riuscisse ad alzarsi completamente dal letto. Il dolore era lancinante, troppo da sopportare, e non gli fece notare un particolare cruciale: era completamente privo di ricordi, non rammentava proprio niente. Ancora annichilito dal trauma del risveglio, si fece carico della situazione, e con un momento di lucidità osservò meglio il luogo intorno a lui: non era solo. Era circondato da delle persone minute, con tratti asiatici; avevano tutti il capo rasato e sembravano muoversi in sincronia mentre medicavano le ferite che Matt aveva su quasi tutto il corpo. Erano tre uomini, uno indossava un camice bianco e sembrava il più esperto, forse era un dottore. Matt, ignaro di quello che stava succedendo provò a porgere alcune domande agli strani individui, ma dopo un bel po’ di tentativi senza ricevere risposta, tutto sembrava essere un sogno misterioso. Quel forte mal di testa era l’unica cosa che forse era vera e la cosa peggiore è che ricordasse soltanto il suo nome, e l’anno in cui si trovava. Non il 1800, era nel 2020. Quel posto emanava una forte aria mistica, più che medici sembravano degli alchimisti, mescolavano degli strani composti con un pungente odore di erbe aromatiche. Anche se quel luogo aveva un’aria familiare, Matt era sicuro di non esserci già stato. Ogni giorno degli inservienti passavano per curare le ferite riportate nell’incidente, Matt era confuso e continuava a fare domande, cui in risposta riceveva solo sguardi che sembrano dire: “Lascia stare, e fammi fare il mio lavoro!”. Non scambiò una sola parola da una settimana, ossia il tempo trascorso da quando si era svegliato. Da solo, con il capo fasciato e senza sapere dove si trovava, con strani individui che non proferivano parola ma che comunque si prendevano cura di lui ogni giorno. Non comunicavano neanche fra di loro, che razza di situazione era mai questa? Una condizione che non era da augurare nemmeno al peggiore dei nemici. Anche se c’erano delle persone, la solitudine era tanta, e si domandava cosa avrebbe fatto un altro uomo al suo posto. ***circa due settimane dopo*** I giorni passavano in fretta e Matt iniziava a recuperare le forze, non aveva più bisogno delle stampelle per camminare da una stanza all’altra e il bizzarro intruglio che quelle persone gli mettevano sulle ferite sembrava funzionare. La situazione si era stabilizzata, le ferite ed il mal di testa iniziavano a guarire, ma l’angoscia del suo stato d’animo no, e cominciava a far barcollare Matt. Da giorni ormai anche lui non parlava più, non aveva più un identità, poichè ormai era stata sgretolata dalla perdita della memoria. I pensieri lo tormentavano, ed il suo carattere cominciava a cambiare. Sempre più demotivato, lo sguardo era costantemente perso nel vuoto, le notti erano insonni ed aveva persino smesso di radersi poiché pensava fosse inutile continuare a prendersi cura di sé stesso. Si fidava delle persone che lo curavano, in un certo senso trasmettevano un’aura positiva. L’unica cosa, però, che avrebbe potuto risollevare il suo morale sarebbe stata andar via da quel posto mistico. Durante il pomeriggio di un giorno come tanti, mentre la giornata trascorreva tranquilla con quel silenzio diventato ormai assordante, Matt udì delle grida. Provenivano dall’ingresso del bellissimo giardino in cui stava passeggiando, dove tutti si riunivano a pregare e meditare. Uno dei silenti aprì la porta rossa del grande ingresso sulla quale erano incise scritte gialle che sembravano degli ideogrammi. Per la prima volta Matt lo vide aprirsi, ma la curiosità non sembrava distogliere gli altri dalla meditazione. Cercava delle risposte, dunque tentò di avvicinarsi all’entrata e venne bloccato da due uomini. Non oppose resistenza perché ancora non ne aveva la forza, ma continuò a cercare di sporgersi, finchè non sentì una persona parlare la sua lingua. Un po’ di calore riscaldò il suo animo ed osservando l’individuo si accorse della sua etnia, diversa da tutte le persone che erano lì. Aveva una carnagione scura, indossava un paio di occhiali da sole, aveva capelli corti e neri, un giubbotto di pelle. Era alto, infatti il monaco vicino a lui sembrava un nano, e c’era una motocicletta ancora accesa che faceva un bel rumore tonante e disturbava le parole che si scambiavano i due. L’uomo aveva l’aspetto di un rider da strada e gesticolava vivacemente con uno dei monaci, più minuto ed anziano degli altri. Il vecchio indossava una tunica rossa e gialla, un po’ differente dalle altre persone, e lo tratteneva all’ingresso, dicendo che quello era un luogo sacro, a cui era severamente vietato accedere. Parlava a stento la lingua di Matt, ed impugnava un bastone lungo di legno con il quale impediva il passaggio. L’uomo in moto gli ripeteva insistentemente: “Deve dirglielo!’’Quando finalmente il rider si accorse di essere osservato, esclamò: “Matt, amico mio, stai tranquillo, presto ci rivedremo”. Quella frase così incisiva, detta in un momento inaspettato, accese in Matt una speranza, che rimase senza dire niente. Pensò che finalmente un essere umano gli avesse rivolto la parola. Era tempo che non faceva un discorso: sembrava tutto un brutto incubo, da cui non riusciva a svegliarsi. Così, non restava altro da fare che parlare con quel monaco che aveva bloccato l’uomo misterioso all’ingresso: perché Matt non aveva mai sentito parlare il vecchio prima? Non si era visto spesso in giro, ma una cosa era certa: Matt Parker non solo aveva sentito parlare quell’uomo, ma dialogava anche nella sua lingua. Il monaco apparentemente muto poteva forse avere delle risposte e bisognava assolutamente parlare con lui.

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Capitolo 2
*** LA FENICE ***


2 LA FENICE Erano le sette di sera e come di consueto tutti cenavano in una grande sala. Erano poco più di venti persone e sembravano tutti uguali con quella tunica rossa e la testa rasata. Ora anche Matt aveva la sua veste, ma aveva rifiutato di farsi rasare la testa. Erano tutti silenziosi, eccetto uno: il monaco che aveva discusso con quell’uomo fuori quel cancello. Tutti si mostravano molto ospitali e cordiali, infatti si presero cura di Parker in modo maniacale. Le ferite riportate erano quasi scomparse e il dolore alla testa iniziava del tutto a scomparire. Poco prima di finire la cena, Matt si alzò e andò verso l’uomo misterioso avvicinandoglisi sotto lo sguardo attento delle altre persone che cenavano, e con aria decisa esclamò: “Adesso credo che voi mi dobbiate dare delle spiegazioni, e non faccia finta di non capirmi perché oggi vi ho sentito discutere con quell’uomo fuori dal cancello!” Così, quella persona lo guardò dritto negli occhi, come se già si aspettasse che Matt dicesse quelle parole, e rispose: ”Non ora, figliolo. Questo è un posto esente dalle parole. Stasera mi farò vivo io, ti verrò a cercare nella tua stanza e ti ragguaglierò su quello che vuoi conoscere. Abbi pazienza e la bontà di finire la cena”. Matt annuì, sotto l’occhio vigile dei monaci e, senza terminare la solita zuppa, si incamminò verso la sua camera. Era molto impaziente. Camminava nervosamente avanti e indietro nell’attesa che quella persona gli andasse a parlare. Era arrivato al punto di muoversi così tanto anche da riscaldarsi un po’ dal freddo che emanavano quelle pareti fatte di pietra, che assorbivano tutta l’umidità di quel posto. Quando finalmente sentì bussare con tre rintocchi alla porta, il momento arrivò. Forse, Matt avrebbe scoperto qualcosa del suo passato. Girò la chiave e abbassò la maniglia, l’uomo fece due passi in avanti e disse: “Mi chiamo Ming Jiè. Cosa vuoi sapere, figliolo?” Finalmente si trovavano faccia a faccia, era il momento di confrontarsi. Matt guardò il vecchio monaco e gli chiese: “Io vorrei sapere tutto, voglio sapere chi sono o se sa qualcosa del mio passato” “Certo, mi sembra giusto. Ho aspettato che fossi pronto prima di poterti parlare. Vorresti far sedere un povero vecchio?” “Ma naturalmente, anzi, mi scusi. È che sono colto dalla frenesia di scoprire cose sul mio passato...” Disse Matt, mentre si muoveva nervosamente per la fretta di ricevere risposte. “Va bene, ma non posso dirti tutto. Dopo la tua perdita di memoria, le informazioni andranno acquisite in maniera graduale.” Disse l’anziano mentre si sedeva. Era chiaro che già sapeva dell’amnesia dell’uomo. Continuò: ”Ti chiami Matt Parker, figliolo. Sei nativo americano, e, come avrai capito, hai avuto un brutto incidente.” “Dove mi trovo? E come mai lei mi conosce?” Esclamò con irrequietezza. “Tranquillo, ti dirò quasi tutto, non essere così curioso” Disse il monaco fermando la frenesia delle parole di Matt. “Ci troviamo su un vecchio monastero in Tibet, nella parte a nord-ovest, a metà altezza del monte Himalaya, la vetta più alta del mondo. Lhasa, la capitale, dista poche decine di chilometri da qui.” “Cosa? E che ci faccio io qui?” “Ti trovavi già qui, un nostro contatto esterno ci ha informato dell’incidente e ti ha portato da noi, dentro queste mura. Hai dormito per due giorni, ti abbiamo accolto, ma non so come è avvenuto l’incidente…” “Sono confuso, andiamo con ordine... perché oggi non hai fatto entrare quella persona? Avrebbe potuto sapere qualcosa in più.” “Ascolta, nessuno può entrare nel monastero, fuorché chi abbia ricevuto il marchio.” “Il marchio? Cos’è? Io non ho nessun marchio!” Disse Matt, quasi come se stesse perdendo la pazienza. “Davvero, figliolo? Ora ti racconto una storia. Prova a guardare dietro la tua caviglia. Quella che vedi, non è una bruciatura dell’incidente, ma un marchio a fuoco che ti è stato conferito quando eri piccolo, tuo padre ti ha portato qui!” “Mio padre!” “Sì, hai inteso bene. Figliolo, tuo padre era legato a questo posto, il marchio che stai osservando rappresenta una fenice. Questo luogo, si chiama “Il Monastero della Fenice”, è uno dei più vecchi al mondo, ed io ora ne sono il custode. Questo uccello rappresenta la rinascita spirituale, quello che adesso devi impegnarti a fare tu sig. Matt Parker! Non ti servono più scuse, tu sei un uomo veramente speciale, ed hai un passato molto diverso da altri uomini. Io ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma nella ricerca del tuo io interiore... devi cavartela da solo. Tu lo puoi fare. Hai perso la memoria, ma credo che non sarà per sempre. Sta solo a te ritrovare i ricordi passati e la meditazione può aiutarti. L’uomo che ti ha portato qui ha fatto voto di silenzio, come quasi tutti i monaci in questo luogo. Alcuni anche per dieci anni, ma ora solo uno ha il beneficio della parola, e si tratta di me.” Matt rimase piuttosto incredulo ed in silenzio dinanzi a tali parole, tutto era nuovo per lui. Avrebbe voluto fare mille domande, ma già su quelle parole rimase colpito. Così il vecchio sig. Ming, gli ricordò di come le Informazioni andassero acquisite poco alla volta. Incuriosito allora gli chiese: “Chi era l’uomo di questa mattina? Lui sembrava conoscermi.” “Le leggi di questo monastero sono molto severe, è assolutamente vietato l’ingresso. Noi viviamo secondo alcune tradizioni. Per le altre risposte che cerchi, dai tempo al tempo, e scopri da solo quel che desideri sapere. Posso dirti che fra due settimane avrai finito la tua convalescenza e finalmente potrai andare a cercare quell’uomo e uscire da qui. Ma fino a quel momento noi abbiamo il dovere di curarti, perciò porta ancora un po’ di pazienza. Ah, dimenticavo. Matt... un’ultima cosa, ti devo avvertire: preparati per conoscere la verità, non è così scontata. Tu sei una persona speciale, devi necessariamente ritrovare te stesso. Hai ancora tanto da dare e non puoi lasciarti andare così, quando avrai la memoria capirai le mie parole. Il mondo in questo momento ha bisogno di te, ricordati che da ora non puoi fidarti di nessuno, solo di te e del tuo sesto senso. Ora, ti chiedo di rispettare il silenzio che abbiamo giurato di onorare, e di resistere solo altre due settimane, dopodiché sarai libero. Ricorda, questa resterà sempre casa tua.” Con quelle parole il vecchio saggio lasciò la stanza di Matt che, ancora perplesso, era rimasto senza dire niente. Già qualcosa stava cambiando in lui, ora era chiaro che cosa bisognava fare. Decise di rispettare l’anziana persona e di attendere altre due interminabili settimane, per poi poter andare a cercare quell’uomo. Altre cose del suo passato lo attendevano, sapeva che avrebbe avuto inizio una seconda vita alla ricerca dei suoi ricordi. Aveva un sentiero da seguire, e soprattutto, quelle parole così decise riflettevano il suo stato d’animo, una persona persa alla ricerca di sé stessa. Pensò tutta la notte a quel discorso. Cosa voleva dire il vecchio? Matt rifletteva continuamente su ogni singola frase. Il mattino seguente Matt si alzò pieno di entusiasmo pensando a quello che gli aveva detto l’anziano signore ieri. Iniziò a radersi e un briciolo di speranza si animò in lui. Si unì ai monaci per qualche allenamento e meditazione. Il signor Ming osservava compiaciuto il cambiamento molto repentino di Matt. D’altronde, aveva sempre avuto un carisma e coraggio da combattente. La rinascita era iniziata. Ogni giorno all’alba un gruppo di uomini si svegliava per andare nel caratteristico giardino stile orientale che si trovava nel monastero. Il freddo, la pioggia e la neve non distraeva i monaci dalla consueta meditazione, il parco era caratterizzato da enormi mura alte quattro o cinque metri,che costeggiavano il luogo sacro,tutto intorno era pieno di piante,ed un grande spazio centrale era adibito per le varie attività,dove risiedeva un bellissimo albero con fiori rosa, gli abitanti del luogo lo chiamavano “Sakura”,era un bellissimo albero di ciliegio. I monaci lo usavano per fare, “l’hanami” che significava osservare per molto tempo quel bellissimo capolavoro della natura, per loro era una routine, quasi una tradizione. Trovavano giovamento nella contemplazione. In quel punto esatto corrispondeva anche il centro dello stesso monastero, ubicato in uno luogo ben preciso, infatti chi era vicino al ciliegio, e quindi al centro, alzando lo sguardo poteva ammirare la cima innevata dell’Himalaya,donando a chiunque si trovasse li,un magnifico panorama. Dopo la meditazione, era la volta degli allenamenti,intensi,duri,ed estremamente complessi,infatti oltre ad aumentare la forza e la resistenza,erano orientati specialmente nella percezione dell'ambiente circostante,imparando così ad utilizzarlo a proprio vantaggio. Parker c'è l'ha metteva tutta,gli piaceva affrontare nuove sfide,quei guerrieri facevano cose straordinarie,ma Matt,riusciva a replicarle se non addirittura a farle meglio di loro,ma la cosa strana era che nessuno rimaneva stupito,quello incredulo rimaneva soltanto lui,infatti quando finiva un esercizio complesso e ci riusciva, cercava invano gratificazione negli sguardi dei silenti che osservavano,ma senza mai trovarlo. Il sig.Ming passeggiava intorno di tanto in tanto, ed osservava restando in silenzio,quando la sera finalmente gli allenamenti erano terminati, Matt continuava per altri venti minuti,era determinato, forte, ma soprattutto un combattente nato,in un certo senso,era anche una distrazione dalla sua amnesia,così i giorni passavano più infretta,pensò.Una sera,insieme a lui rimase a meditare anche il sig.Ming,Matt ne approfittò e subito andò da lui per togliersi un peso che aveva da un pò di tempo. “Sig.Ming,so che non dovrei interromperla nella meditazione,ma avrei una domanda da farle.” “Non fa niente avevo quasi finito,dimmi pure figliolo” “capisco che le informazioni vanno acquisite lentamente,e credo che in questo senso la meditazione mi stia aiutando,infatti percepisco da un paio di giorni delle sensazioni e ho dei piccoli flashback,non molto nitidi a dire il vero,ma credo che comunque sia un inizio, ma torniamo alla domanda, ecco io vorrei sapere di più su mio padre,potrebbe aiutarmi?” “Tuo padre Matt sei sicuro?che cosa vorresti sapere veramente che ti interessa?” “Volelo solo sapere magari il suo nome e chi era,tutto qui non ricordo nemmeno il rapporto che avevo con lui” “ho capito Parker non dire altro, vuoi sapere se era un uomo buono vero? Tuo padre era americano il colonello Johonson Parker ,viaggiava molto,ed in queste terre ha conosciuto tua mamma ,per questo anche tu sei legato a questo luogo,era una brava persona ,molto seria ed avvolte un pò irascibile, ma rispettava molto gli altri,e teneva molto a questo posto, infatti ha voluto fortemente che tu ne facessi parte già da bambino” “non ho parole sig.Ming, sono sollevato, in un certo senso, ma quando parla al passato e perchè lui e...”Matt non riusciva a concludere la frase “pultroppo si Matt il colonello è scomparso circa due anni fa,per oggi va bene così ti ho svelato già tanto,questi ricordi non devono turbarti Parker, impara a gestirli ora fanno parte di te,custodiscili con cura nel tuo cuore.” disse il monaco mentre si alzava e si incamminava verso il monastero, iniziava a calare il sole, faceva freddo. “grazie sig.Ming ,sento di essermi tolto un peso enorme.” disse Matt con un tono abbastanza sereno. Parker iniziava a nutrire speranza,non perchè aveva ritrovato la memoria,ma stava generando fiducia in se stesso,ed era compiaciuto per gli allenamenti come procedevano, la meditazione non era più solo un modo per rilassarsi, ma iniziava a trasmettere qualcosa.

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Capitolo 3
*** Samir Shaker ***


3 SAMIR SHAKER Due settimane dopo Matt aveva ritrovato forma e aspetto fisico, non sembrava più Tom Hanks nel film Cast Away. Era di nuovo un bell’uomo: caucasico, capelli corti e neri, con un fisico allenato. Anche se non era molto alto si manteneva nella media, intorno ai centottanta centimetri. Aveva la schiena quasi del tutto tatuata, con al centro una grossa valchiria. Adesso era pronto, si preparava per incamminarsi verso l’uscita, scortato dal vecchio saggio. “Signor Ming, grazie di tutto quello che ha fatto per me. Mi ha curato, non solo fisicamente, ma anche nell’anima.” “Mi raccomando caro figliolo, rammenta di non fidarti di nessuno adesso. Partirai per un’avventura che ha qualcosa di straordinario. Non ci crederai, ma il tuo passato è stato fantastico, pieno di avventura, ed estremamente difficile. Questo ti ha reso l’uomo che sei, impavido e sempre pronto a portar giustizia. Che la fortuna ti assista, magari ci rivedremo. Ah, dimenticavo, questi sono tuoi.” Il monaco consegnò a Parker una scatola di legno, contenente all’interno dei sigari cubani. Spiegò che durante i momenti di concentrazione era solito fumarne uno, ma la stragrande maggioranza delle volte lo aveva spento, senza fumarlo. Arrivati fuori Matt disse: “Vi ringrazio davvero tanto. Non credo che ritornerò in questo posto, ora devo cercare il mio passato” “Sai c’era un tempo in cui mi chiamavi maestro, non signor Ming.”. Matt rimase un attimo sbigottito da queste parole, ed il vecchio monaco chiuse l’enorme cancello, salutando a malincuore l’ormai ritrovato Parker. Intanto, pensava a cosa avrebbe voluto dire con quella frase. Il vecchio signore Ming gli indicò la strada per il paesino più vicino, dove c’era un piccola locanda. Una volta giunto a destinazione, Matt avrebbe dovuto chiedere del signor Lee, un membro fidato dei monaci (il contatto esterno della Fenice), il quale gli avrebbe svelato altro, e gli sarebbero state fornite nuove istruzioni. La strada era ancora lunga, il cammino appena intrapreso. Matt aprì la scatola dei sigari, annusò il profumo che gli trasmise istantaneamente una sensazione di benessere, di calma, così decise di prenderne uno e di gustare il sapore del tabacco aromatico senza accenderlo. Nel frattempo, rimase incantato dal paesaggio che gli allietava la vista, perso nei panorami mozzafiato. C’erano grandi distese di catene montuose, con le cime tutte innevate. Grandi nuvole bianche avvolgevano i promontori circostanti. Non c’era quasi nessuno nei dintorni, solo qualche famiglia di contadini che salutavano le persone al loro passaggio, mentre lavorano nei pochi campi presenti. Avevano i volti segnati dal freddo dell’altura dei monti. Da quell’altezza si vedeva di già il piccolo paesino dove c’era la locanda. Da lontano sembrava degradato, un piccolo fiume divideva le altre terre dalla piccola civiltà. Dopo quasi un’ora di viaggio il monte dietro era quasi del tutto un lontano ricordo. Matt si accingeva a raggiungere il corso d’acqua che lo separava dal piccolo villaggio. Le istruzioni date dal monaco erano semplici da seguire, ma era necessario arrivare prima del calar della sera a causa della forte escursione termica che si manifestava tra giorno e notte. Si trovava nel periodo a cavallo tra inverno e primavera, nel mese di marzo, dove i monsoni estivi erano più concentrati, portando innumerevoli piogge. Matt continuava ad osservare l’ambiente attorno a lui: era un luogo che trasmetteva una forte tranquillità, l’aria era freschissima e pulita dallo smog delle grandi città. Era facile ritrovare la pace dei sensi. Arrivato finalmente al fiume, vide un contadino, o almeno così sembrava, che da lontano gli fece segno di salire sulla barca. Matt non esitò, ormai i misteri iniziavano a complicarsi ancora di più nella sua vita. Dopo appena dieci minuti di traversata, il contadino disse: “Eccoci a destinazione sig. Parker, siamo arrivati.” Parlava a malapena la sua lingua. “Grazie buon uomo.” Gli rispose Matt. Mentre scendeva dalla piccola imbarcazione, il paese era lì a pochi passi. Il sole stava calando, non restava molto tempo, bisogna proseguire. Arrivato fuori alla piccola locanda Matt entrando domandò se qualcuno parlasse la sua lingua, ma fu totalmente ignorato. Mentre le persone continuavano a bere e a parlare tra di loro, allora fece un altro passo in avanti e urlò: “Cerco il sig. Lee!” D’improvviso caló un silenzio tombale, e quasi tutti contemporaneamente osservarono quel forestiero, bisbigliando tra loro e chiedendosi chi fosse e come mai conoscesse il nome del padrone della locanda. Una voce rauca interruppe il silenzio: “Lei è il sig. Parker? “ Disse un signore con capelli scuri lunghi, mentre spillava della birra. “Sì, sono io!” “Salve, io sono il sig. Lee, mi segua. C’è una persona che l’attende, la aspettava da molto e immagino che abbia molte domande da porre. Nella stanza di sopra c’è qualcuno che potrebbe aiutarla.” Disse l’uomo mentre scortava Matt nel retro della bottega, dove c’era una scala che portava nella zona notte. Doveva trattarsi di quell’uomo misterioso, che vide due settimane fa fuori al monastero, pensò Parker. Arrivati alla stanza, il sig. Lee gli augurò buona fortuna, fece un inchino e ritornò indietro attraverso un lungo corridoio scuro, in cui c’erano altre cinque o sei camere. Bussando alla porta, aprì proprio il rider che disse: “Matt! Amico mio! Stai tranquillo, sapevo del tuo arrivo e so anche del tuo brutto incidente, quindi molto probabilmente non ti ricordi di me. Vieni, siediti, abbiamo mille cose da dirci.” Parker era un po’ titubante e sospettoso, ma accolse comunque l’invito a sedersi, anche se in testa gli suonavano ancora le parole del monaco che disse di non fidarsi di nessuno. Mentre si sedeva sul letto antico in ferro battuto, cominciò a porgere per primo una domanda: “Va bene, veniamo al dunque, tu sai chi sono? Ti ho sentito discutere con il monaco e sembrava che mi conoscessi. Qualcuno deve spiegarmi chi sono, perché sto perdendo la pazienza!” Disse alzandosi dal letto, e poi continuò dicendo: “Tutti sembrano conoscermi, ma nessuno mi dice chi io fossi e cosa facessi per vivere! Perché ho scoperto di essere estremamente abile nel combattimento nei duri allenamenti al monastero che i monaci mi sottoponevano. Nessuno sembrava essere sorpreso quando mi esercitavo, dimmi perché!” Colpì la parete con un pugno. Gli animi iniziarono a scaldarsi, la rabbia di Matt cresceva esponenzialmente ed il signore intanto cercava di tranquillizzarlo: “Stai calmo fratello mio!” “Perché dovrei? Uomo dei misteri, se proprio sai qualcosa dimmelo! Hanno detto che potevi aiutarmi, ma se non puoi tolgo il disturbo. “ Esclamò Matt afferrando con una mano la giacca dell’uomo che, spazientito, si liberò dalla presa e rispose: “Ma guardati, hai perso la memoria ma non il tuo carattere! È questo quello che ti ha fatto commettere quell’errore!” “Di quale errore parli? Dimmelo ti prego, lo devo sapere! Vedi, faccio delle notti insonni, mentre quelle poche ore che dormo ho degli strani flash, non sono molto nitidi, ed a volte quando mi sveglio non mi ricordo nemmeno, ma mi rimane addosso una terribile angoscia, e ho paura di aver fatto un gesto terribile. Capisci perché devo conoscere il mio passato? Il vecchio Monaco ha detto che devo riacquistare la memoria poco alla volta, altrimenti potrei rimanere sconvolto. “ “Chi? Quel vecchio pazzo! Non dargli importanza, è una vita che ti dico che quegli strani ciarlatani ti offuscano il cervello fratello mio, ti dirò tutto, tranquillo! Adesso siediti, riprendiamo il discorso.” Matt si mise di nuovo seduto mentre si scusava ancora per prima. L’uomo lo avvisò in merito a ciò che avrebbe sentito, sarebbe stato tutto vero, e non avrebbe dovuto spaventarsi. Gli chiese infine di non intervenire ancora: “Ok. Da dove inizio? Mmmh... per cominciare mi presento di nuovo, visto che non sai chi sono. Mi chiamo Samir Shaker. Sono iracheno naturalizzato americano, orfano e arrivato in America quando avevo nove anni. Adesso ne ho quaranta, due in più di te. Ci siamo conosciuti tempo fa, facevamo lo stesso lavoro: serviamo la nostra patria, eravamo soldati. Sono diventato il tuo migliore amico.” “Samir? Perdonami, ma questo nome non mi dice nulla. Anche se non ricordo niente, da una settimana a questa parte inizio a provare delle sensazioni. Mi spiego meglio: quando osservo, annuso o mi trovo in qualche posto familiare, quest’ultimo mi riesce a trasmettere qualcosa, che sia positiva o negativa. Una specie di sesto senso, non so se mi spiego, fratello!” Disse Matt, chiamandolo ironicamente in quel modo. “Caspita, deduco che il vecchio non ti ha detto quasi niente di te.” “No! Non molto, mi ha dato poche informazioni. Ha detto che devo ritrovare da solo la memoria, per non confondere le cose che mi vengono dette.” “Vecchio rimbambito!” “Non ti azzardare a parlare male di lui! Guarda che il Jackie Chan dell’Himalaya si è preso cura di me! “ “Ahahaha! Fratello, di sicuro stai ritrovando il tuo carattere sarcastico! Sei sempre stato un duro d’altronde! Per questo avevi pochi amici, dire sempre quello che pensi sicuramente non ti ha reso simpatico, ma la tua migliore qualità è quel maledetto vizio di fare sempre la cosa giusta. E poi quella cosa di mettere sempre nomignoli a tutti, quello di sicuro non l’hai perso. “ Matt si calmò, e dopo un bel respiro profondo lo pregò di continuare a parlare, dicendo che non l’avrebbe interrotto più. Così Samir si tolse quel sorriso dalla faccia ed improvvisamente diventò serio, gli disse che quello che avrebbe sentito non gli sarebbe piaciuto. Matt voleva solo capire che tipo di uomo era nel passato ed era pronto a pagarne il prezzo, allora Samir decise di accontentarlo avvisandolo che non sarebbe stato così facile dirgli tutto questo.

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Capitolo 4
*** Squadra speciale G. I. T. S. ***


4 SQUADRA SPECIALE G. I. T. S. “Se insisti, ti racconto quello che so. Ti prego lasciami parlare, poi se vuoi mi farai altre domande. Ti ho già detto che siamo soldati, Matt. Ma non semplici cadetti: eravamo i migliori dell’esercito americano! Abbiamo fatto svariate missioni, tu nel tuo campo non avevi rivali. Infatti in breve tempo il comandante ti mise al capo del suo protone, eri uno dei più grandi strateghi che io avessi mai conosciuto, non hai mai fallito un obiettivo, fino a quando… fino…” Samir cominciò a singhiozzare, era in evidente difficoltà. Iniziò a sudare e tremare con la voce, non riusciva a dirgli quale cosa terribile era successa, fino a quando Matt lo richiamò, e gli pregò ancora una volta di andare avanti, e di non interrompersi. “Ci arriveremo, ma con calma, prima devi sapere una cosa. Le nostre abilità, soprattutto le tue, non sono passate inosservate. Tanto da essere convocato dal segretario della difesa nazionale, il sig. Button e dal comandante, i quali lavoravano ad un progetto estremamente riservato. Stavano formando una squadra di super soldati, e a te ha proposto di essere il capo di questo team d’élite, tutti con abilità particolari. Tu dopo una notevole attenzione e valutazione dei rischi, dopo circa un paio di giorni, hai accettato perché per te rendere giustizia al mondo è la cosa che conta di più, fratello. Abbiamo eseguito allenamenti che vanno oltre la soglia del dolore, ci hanno fatto anche un milione di test psicofisici, ci hanno preparato a tutto, ci chiamavamo i G. I. T. S. (Ghosts In The Shadows). Quando le squadre speciali fallivano, lì dove neanche le squadre di mercenari migliori riuscivano nella missione, quando c’era bisogno di scendere all’inferno, allora chiamavano noi. Una squadra anonima, composta di fantasmi. Eravamo invisibili, facevamo parte di un settore di governo che agiva nell’ombra, il reparto c5, ed eravamo finanziati dai capi delle élite mondiali, che salvaguardavano anche i loro interessi. Tutti volevano una fetta, potevamo anche decidere di non accettare una missione, avevamo risorse illimitate che il governo prelevava dai fondi comuni. Essendo anonimi a volte infrangevamo anche la legge, non avevamo permesso di fare casino, ma rispondevano tutti al signor Smith, il quale rispondeva a sua volta al segretario della difesa mondiale, il signor Button. Era una rete calcolata nei minimi dettagli.” “Cosa?” Esclamò Matt incredulo. “Aspetta, non è finita mio caro amico, il bello viene adesso! La nostra squadra disponeva dei migliori scienziati e geni che lavoravano a delle armi potenziate, tutto estremamente top secret. Avevano creato delle nano tute, che ci rendevano una specie di superuomini. Sembra un film, ma credimi è tutto vero.” “Ma cosa stai dicendo? E chi siamo? Dei supereroi? Ed io dovrei credere a tutto questo che mi dici! Scommetto che non devo fare domande, vero?” “Prendimi in giro, te lo concedo, fratello. È tutto vero, il tatuaggio che hai dietro la schiena, quella valchiria, rappresenta l’angelo che veglia sui soldati. Te lo sei fatto quando eravamo nei G. I. T. S. come un portafortuna, e quando ti tornerà la memoria, vedremo chi riderà per ultimo.” “Allora, se devo crederti, dimmi sig. Superuomo, perché sei solo? E non c’è la squadra che avevamo?” “È questo quello che cercavo di dirti, la squadra non esiste più!” Disse Samir mentre si sedeva su una sedia impolverata. “Vedi, stavo arrivando al dunque. Tu non hai mai fallito un obiettivo, ed eri il migliore, ma il tuo ego una volta ti ha fatto commettere un grave sbaglio.” “Quale errore, Samir? Dimmelo!” “Un giorno come tanti, una missione come tante, ricordo che avevi avuto una discussione con tua moglie, e non eri il solito meticoloso Matt. Insomma, eri un po’ meno concentrato, non avevi neanche il solito sigaro portafortuna. Mentre ci trovavamo in ricognizione attorno al perimetro di una ex base militare in Libia, ricordo che un nostro uomo di nome Liam, il più giovane della squadra e ultimo arrivato, per farsi notare da te, ecco… lui azzardò una mossa sbagliata, finendo per sbaglio su una mina a pressione, e tu non l’hai fermato! Te lo ricordi Matt?” Improvvisamente Parker cadde a terra e si mise le mani in testa, Samir corse subito in suo soccorso gridando mentre lo scuoteva fra le braccia in attesa di un cenno, fin quando Matt, con una voce commossa e sottile sospirò: “Harris... Liam Harris!”, Samir rabbrividì istantaneamente, un fremito gli percorse la schiena, e sbalordito disse: “Matt, hai ricordato! Non ho parole! Dimmi, cosa ti ricordi fratello?” “Ricordo che è stato un errore imperdonabile, lui era il più ingenuo di noi, non era ancora pronto per venire in missione, gli ho sempre negato di aggregarsi alla squadra, non era ancora giunto il momento… è stata colpa mia!” “No, fratello! Non seguì le istruzioni di rimanere nel cargo armato, non è stata colpa tua!” Matt iniziava a ricordare, ed a liberare quei ricordi fu proprio quella storia drammatica, quella che lo svegliava nel cuore della notte, quel senso di colpa che lo spinse nel baratro, era quella la sensazione di vuoto che aveva e che andava colmata. Mentre ricordava, pensò anche alla frase di Samir che in un primo luogo non fece caso, infatti ancora sconvolto lo guardò negli occhi e gli disse: “Hai detto mia moglie, Samir? Sono sposato? E come si chiama?” Matt era in evidente stato confusionale, guardava la fede che aveva al dito e si faceva tante domande. Ma l’amico, ancora scosso dai brividi, abbassò lo sguardo a terra e disse : “Mi dispiace d'essere portatore di brutte notizie, Fratello...” Matt non ci vide più dalla rabbia, ed improvvisamente con un altro scatto si alzò, afferrò Samir per il petto, e lo spinse con una forza straordinaria nella parete di fianco al letto, e gridò: “Non chiamarmi sempre fratello! Non ti conosco! E dimmi cosa sai di mia moglie, sta bene?” Samir sembrava inerme di fronte a tanta rabbia, e sussurrò... “Si chiama Penelope... Penelope Rivera, è messicana... e… ha trentacinque anni, vivevate insieme a Los Angeles.” “Penelope? Non mi ricordo!” Disse mentre lo lasciava, strattonandolo e gettandolo a terra. “Fammi spiegare, Matt, non c’è tempo. Dobbiamo andare, ti racconterò strada facendo.” “Andare? Andare dove? Cosa succede!? E come sta Penelope?” Chiese di nuovo Matt, capendo però che, dallo sguardo dell’amico, non erano buone notizie. “A casa, fratello! Dobbiamo tornare a casa, abbiamo una cosa da fare, ma ora non c’è tempo, devi fidarti di me. Abbiamo un compito da svolgere, c’è in ballo il destino del mondo! Tranquillo, ti spiegherò tutto strada facendo, ti dirò di Penelope, ma ora per favore devi venire con me Los Angeles, il comandante sig. Smith ci attende!” “Hai detto Smith! Ora inizio a ricordare... anche se è un po’ annebbiato, mi ricordo le guerre del passato, ma soprattutto ora mi ricordo di te! Amico mio, da sempre al mio fianco!” Disse Matt mortificato per quanto accaduto, e si scusò per la rabbia di prima, giustificandosi dicendo che con tutte quelle informazioni era turbato. Samir ancora disteso sul pavimento, si alzò e gli disse di non preoccuparsi, che l’unica cosa importante era il suo ritorno nella squadra. Matt disse: “Va bene, amico, torniamo a casa! Mi spiegherai strada facendo. Ora non ne posso più! Riprenderemo il discorso un’altra volta. Preferirei partire domani, ora sono confuso.” I due passarono la notte in locanda, rifocillandosi e trascorrendo il tempo a raccontarsi altre cose del passato, e man mano i particolari venivano a galla. Matt iniziava ad acquisire ricordi, decisero di prendersi una piccola pausa dalla storia estremamente complessa. Il mattino seguente, i due ritrovati buoni amici si alzarono di buon’ora, e si incamminarono verso casa, il passato ormai era ad un passo dall’essere svelato.

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Capitolo 5
*** Gli infallibili ***


5 GLI INFALLIBILI Il mattino seguente L’aria fresca del mattino pizzicava sul viso dei due amici, c’era il sole dopo tanti giorni di nuvole e piogge. Erano su una panchina a pochi passi dalla locanda, aspettavano l’autobus che li avrebbe condotti in aeroporto. Samir lasciò la moto in custodia a Mr. Lee come di consueto, visto che tornava spesso in quel luogo, anche perché avrebbe voluto far parte della Fenice, ma gli era sempre stato negato il permesso dal vecchio monaco, diceva che egli non aveva le caratteristiche adatte (da qui nacque quel rancore verso il sig. Ming). Il viaggio era solo all’inizio, e i due amici avrebbero aspettato di stare in volo per riprendere il discorso di ieri, Matt iniziava a rammentare finalmente qualcosa, si ricordò delle avventure passate e le guerre con il suo sempre affidabile Samir. I due amici passarono la notte prima a narrare le loro gesta, parlando di come si erano conosciuti in una missione di pace in Iraq, erano agli albori della loro carriera militare. ***cinque anni prima *** Il sig. Smith era il capitano di quel raggruppamento di uomini scelti: cecchini, esperti d’armi, artificieri e paracadutisti. C’era anche spazio per Samir e Matt, che vennero notati proprio dal colonnello, ne osservò le straordinarie doti. Il gruppo con loro era ormai completato, non mancava nessuno. Erano circa trenta persone, fra i migliori nel mondo, ci vollero ben due anni per formare l’unità. Vivevano il mondo in lungo e in largo per svariate missioni, capitava che Matt per un intero anno non tornasse mai a casa sua a Los Angeles, non gli pesava molto perché era fatto per questo, gli piaceva rendersi utile ed era anche quello che sapeva fare meglio, possedeva delle doti innate. Tutto andò avanti per nove lunghi anni, senza perdere mai un uomo, centrando tutti gli obiettivi. Il colonnello Smith era un padre per loro, teneva ai suoi uomini in modo assurdo. Da quando la squadra era al completo, ogni missione era una garanzia affidarla a loro. Avevano la nomea di non sbagliare mai, li chiamavano “Gli Infallibili”. Quando si udiva il loro nome, qualche terrorista dichiarava la resa ancor prima di fare resistenza. La squadra iniziava oltremodo a dare fastidio, non era più tollerabile, così alcune forze nemiche si allearono per combatterli. In una missione di routine di recupero di alcune casse d’armi in un’isola Asiatica, il colonnello Smith perse tre dei suoi uomini ed il collasso fu inevitabile. A raccontarlo, Samir aveva ancora la pelle d’oca. Si accorsero troppo tardi dell’imboscata nemica, il gruppo che era in avanscoperta composto da tre uomini, fu catturato dai terroristi, ma uno riuscì a scappare e correre verso di loro per avvertirli del pericolo. Urlava disperatamente “ritirata!”, ma quando mancavano solo pochi passi dal capitano, venne colpito alle spalle da un proiettile. Il povero soldato cadde a terra senza vita davanti agli occhi inermi del sig. Smith, il quale si prostrò per terra in preda alla disperazione. Avevano tutti intuito che stavano per essere attaccati, ed anche se il momento era terribile, non c’era più tempo. Gli estremisti si avvicinavano ed il capitano ormai si era completamente arreso, bisognava intervenire. Matt guardando quella scena, l’amico morto, il capitano inerme ed in lacrime, e l’imminente attacco che avrebbero subito, decise di farsi forza e si prese carico dei trenta uomini presenti, e a gran voce iniziò a dare ordini: “Ok! Ascoltate, voglio due tiratori scelti dietro a quelle siepi! Sam, voglio i tuoi occhi ad un chilometro lì, su quel ripiano, con una ricetrasmittente ci avvertirai del loro arrivo, presto vai! mentre noi ci divideremo lungo i due perimetri che segnerò, intanto due artificieri piazzeranno le mine a pressione sotto la sabbia, le metteranno lungo questo percorso, così quando arriveranno, troveranno noi ad attenderli. Presto, dobbiamo sbrigarci! Abbiamo solo pochi minuti!” Samir guardava con ammirazione e con gli occhi ancora commossi per l’accaduto l’incredibile e accurata premeditazione di Matt, il quale in pochi istanti aveva creato un diversivo che avrebbe permesso al protone di svolgere una strategia difensiva, aveva dato a tutti una speranza, ma il rocambolesco piano andava attuato, in quel clima di tensione tremenda, sotto gli occhi inermi dei soldati di fronte ad uno dei membri morti, il loro amico Mike, e gli altri due catturati e forse uccisi. Restarono tutti ancora immobili, così Matt guardò le loro facce rabbrividite dinanzi al soldato che giaceva disteso al suolo, e gridò ancora una volta di disporsi come gli era stato reso noto poc’anzi, poi continuò il discorso motivando la squadra, ricordava che se tenevano a Mike e gli altri, dovevano eseguire gli ordini, così non sarebbero morti invano. “Dobbiamo difenderci!”, urlava. Samir, dopo le grida insistenti di Matt, si unì al disperato tentativo del compagno di intervenire al più presto, e carico di adrenalina a gran voce grido: “Sì signore! Eseguiamo subito”. Poi richiamò all’attenzione il gruppo degli artificieri e gli mostrò dove installare le mine, un campo in cui l’iracheno era esperto, ormai pian piano tutti iniziarono a prepararsi al contrattacco, il comandante Smith intanto si alzò e senza minimamente contraddire il diversivo di Matt, asciugandosi le lacrime, andò vicino a lui e gli disse: “Facciamoli neri sig. Parker!”. Poi si avvicinò all’unità piazzata lungo il perimetro ed iniziò ad amministrare gli ordini di Matt, predisponendoli tutti perfettamente al loro posto. Il rumore del vento disturbava la comunicazione radio di Sam, che, dalla vetta della collina e nascosto tra le siepi, trasmetteva sussurrando: “è calma piatta per ora.” Tutti i trenta soldati erano in posizione, ormai era troppo tardi per pensare ad un’eventuale ritirata, la miglior via di fuga era l’attacco. Intanto il corpo di Mike era stato nascosto in un cespuglio a pochi passi da dove era avvenuto l’agguato, e le tracce tutte cancellate, erano pur sempre i migliori. Ad un tratto, Sam, tra il sibilare del vento, interruppe la terribile tensione che si respirava nell’aria e disse: “Abbiamo compagnia gente, preparatevi! Stanno arrivando!”, il comandante gli chiese cosa vedesse, e lui continuò: “Vedo tre fuoristrada che si avvicinano, sono armati fino ai denti,capitano. Riesco ad intravedere solo le persone del primo veicolo, ci sono tre soggetti, procedono in formazione, saranno massimo una decina di soldati. Non vedo altro, mancano circa tre minuti all’obiettivo!” Così tutti i soldati che sentivano le parole di Sam si preparavano per ricevere ordini, la quiete prima della tempesta, ma l’intervento improvviso del soldato stavolta allarmava i compagni dicendo: “Aspettate! Vedo anche un blindato dietro! Oh no, questa non ci voleva! Sicuramente ci saranno un’altra ventina di uomini. Capitano, che facciamo? Seguiamo il piano?, ” chiese Sam spaventato guardando il furgone che avanzava a passo d’uomo, ma ancora nessun cenno dal sig. Smith, poi il soldato disse: “Ancora due minuti, capitano, attendo ordini!” Smith stava pensando come risolvere quella situazione. Erano pronti a tutto, ma ad un blindato super corazzato, forse no. Così il capitano guardò Matt, lo sguardo dei due fu un’intesa immediata, e quasi insieme esclamarono: “Prepariamo la Veronica!” Tra lo stupore di tutti che rimasero un attimo attoniti sentendo quelle parole qualcuno sussurrò: “Caspita! Che idea usare la Veronica.” Quasi non era mai dovuta servire, era davvero un codice rosso. Molti uomini si chiesero se il capitano fosse sicuro di voler procedere, e su questa domanda Matt rispose per lui dicendo che era l’unico attacco possibile in quel momento, era un rimedio estremo. Ma cos’era questa Veronica? Stavano parlando di un lanciarazzi potenziato portatile RPG - 21, solo la loro unità ne possedeva uno, costruito da un ingegnere sovietico che lavorava per il governo americano. Che strana situazione! Ne esisteva anche un’altra copia, ma era un prototipo. Possedeva due razzi invece di uno, guardando l’arma frontalmente poteva essere paragonata al petto di una ragazza. Da qui il nome che i soldati gli attribuirono; una struttura impressionante che pesava venticinque chili e presentava due mirini, uno era un reticolato che prevedeva il movimento anticipato del bersaglio. Servivano tre uomini per amarlo in quarantacinque secondi, i colpi erano sparati in simultanea, ogni missile aveva un peso di 2,7 chili ed avrebbe abbattuto un carrarmato con una semplicità impressionante, ma c’era un piccolo inconveniente: la gittata era inferiore ai 500 metri, per cui tre uomini avrebbero dovuto avvicinarsi senza sbagliare il colpo, in quanto non era possibile caricarla e poteva essere usata una sola volta. Mentre erano tutti impegnati a preparare il piano, il soldato chiamava il countdown: “Capitano manca un solo minuto!” esclamò Sam. Così diedero l’ordine di armare la Veronica, Matt faceva parte di uno dei tre uomini per assemblarla, aveva proprio il compito di sparare l’unico colpo a disposizione. L’esplosione si sarebbe diramata per un raggio di almeno 75 metri, ma contemporaneamente per permettere alla Veronica di colpire l’obiettivo i tiratori scelti avrebbero dovuto rallentare i veicoli in prima fila eliminando i guidatori, e a loro volta rallentando le jeep, il cargo dietro sarebbe stato un bersaglio facile. Rimanevano pochi istanti al contrattacco, momenti che avrebbero cambiato la vita di quei trenta valorosi che tanto avevano dato alla patria, senza mai essere ricambiati. “Ci siamo capitano l’obiettivo è giunto in posizione!“ disse Sam. Un silenzio tombale regnava in quei pochi attimi prima del comando, la tensione si sentiva librare nell’aria. Dito teso sul grilletto, ancora una piccola messa a fuoco ed un ultimo respiro, e poi trattenere l’aria il più possibile. I due snipers erano pronti, ed erano I primi a sparare, si attendeva solo il comando. “Falco uno, ho il bersaglio!” “Qui anche falco due, sono pronto, capitano! Aspettiamo il segnale!” “Signore, dieci secondi e la Veronica è assemblata.” Disse infine Matt. Tutti chiamarono la loro posizione, e tutti erano pronti. Il comandante Smith era predisposto per procedere, contò quei dieci secondi come fosse l’ultimo giorno dell’anno, sperando non fosse anche un game over per loro. “Ora fate fuoco!”, ordinò Smith con una voce penetrante, un comando non facile da dare. “Finalmente!”, disse Matt, che voleva solo far passare quei pochi istanti, che probabilmente sarebbero durati tutta una vita. Così in quel momento i cecchini abbatterono i guidatori rallentando il carro dietro, e poi toccava alla Veronica. Furono lanciati i missili che con una velocità di circa trecento metri al secondo che si scagliarono dritti sulla fiancata dell’autocarro che venne distrutto, ribaltandolo dapprima e poi facendolo esplodere. Il grande boato che scaturì, fece tramortire tutti i soldati, chiunque si trovava a meno di settantacinque metri ne avverti l’effetto: un gran fischio nelle orecchie che causò sordità momentanea e perdita dell’equilibrio, erano solo alcuni dei sensi persi per l’esplosione che colse alla sprovvista il gruppo di terroristi. Rimasero lì sconcertati, cercando di sparare a vista a chiunque si avvicinasse, ma ormai le truppe schierate da Matt lungo il perimetro avevano già disarmato gran parte dei bombardieri portandoli ad una resa precoce. Fu una carneficina, gli infallibili persero tre uomini tra cui Mike, mentre nella compagine estremista le anime furono bensì ventiquattro. *** Dopo diversi giorni fu reso noto che erano oltre tre armate diverse, coinvolte anche in alcuni degli attentati più spaventosi degli ultimi dieci anni, che si unirono nel disperato desiderio di abbattere gli Invincibili. Anche se gli estremisti rimasti vivi furono tutti consegnati alla giustizia, ottennero lo stesso il loro scopo. Infatti, in ogni parte del globo la stampa pagata da sempre dai governi iniziò a gettare benzina sul fuoco, manipolando il pensiero dei cittadini, gravando sulle vittime dei terroristi, ricordando al mondo che erano pur sempre uomini. La notizia fece il giro delle rassegne stampa di tutto il mondo, il popolo si divise in due, chi da una parte e chi dall’altra, ricordando quali erano i diritti di un essere umano. Da sempre l’America era considerata una minaccia, ora era il momento giusto per attaccarla dal lato civile. Una nazione non poteva fare abuso di potere, dicevano, e dopo varie riunioni dove il caso fu presentato addirittura alla Casa Bianca, ci fu una decisione unanime, e costrinsero il generale Button e il colonnello Smith a chiudere definitivamente bottega. L’esercito degli Infallibili non c’era più. To be continued.... PRESTO disponibile in tutte le piattaforme

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Capitolo 6
*** Ghosts in the shadows ***


GHOSTS IN THE SHADOWS Ogni soldato era stato congedato con pensionamento anticipato. Questa squadra portava con sé troppe anime, ed era scomoda per troppi altri. Il governo non riusciva più a sostenere i capi d’accusa. Così il progetto durato nove anni finì massacrato dai media ma protetto dal popolo, che ora si sentiva meno sicuro ed era schierato, pertanto, dalla parte degli Infallibili. Bisognava a volte prendere decisioni difficili per fare la scelta giusta, e queste scelte portavano sempre conseguenze. ***Aeroporto di Lhasa, Tibet, il mattino seguente*** Tutto quel rievocare di ricordi, stava pian piano riempiendo il vuoto che Matt aveva, il puzzle iniziava ad essere completo. Il pullman nel frattempo era giunto nel piccolo aeroporto di Lhasa, ed i due si prepararono all’imbarco, pronti per intraprendere il viaggio verso Los Angeles, cambiando del tutto ambiente. Il monaco oltre i sigari consegnò a Matt anche la borsa contenente i suoi effetti personali, dentro c’erano un paio di occhiali da sole, le chiavi dell’appartamento di cui non ricordava l’indirizzo, quasi duemila dollari in contanti, e un portafoglio contenente i suoi documenti ed alcune carte di credito. Il viaggio era appena iniziato e Samir ne approfittò per riprendere l’altra parte della storia, prima di parlare della tragica disavventura della moglie di Matt. L’iracheno dedicò una parentesi ad una questione che per lui era estremamente delicata, gli disse che un anno dopo lo scioglimento degli Infallibili, Parker venne chiamato a presentarsi presso il segretario di stato che era attualmente in vigore alla Casa Bianca, il sig. Button, il quale lo ricevette insieme a l’ormai pensionato colonnello Smith, ora aveva una certa età per stare sul campo. (Gli proposero di rimanere all’interno, e manovrare tutto da lì senza correre pericoli, ma lui rifiutò, perché un tipo così diligente non avrebbe mai accettato il lavoro dietro una scrivania, lui voleva essere protagonista, non gli piaceva stare ad osservare). L’azione eroica che portò i trenta uomini in salvo l’anno prima, assolutamente non era passata inosservata. Ormai tra l’esercito, le squadre speciali ed i membri di alto rango del governo, Matt Parker era considerato un eroe nazionale, un grande patriota, gli consegnarono anche un premio di riconoscimento. Il motivo della convocazione fu un argomento estremamente riservato. Proprio in quel momento infatti, gli proposero di essere il capo di una squadra speciale a cui il colonnello ed il segretario lavoravano da molti mesi. Questa unità non sarebbe stata come gli Infallibili, sotto gli occhi di tutti, questa volta sarebbe stata nascosta. Sarebbero stati dei fantasmi, guidati da Matt che a sua volta avrebbe preso gli ordini solo dal sig. Button. Prima di allora Parker non lo aveva mai incontrato. Era un uomo sulla cinquantina, tutto d’un pezzo, vestiva molto elegante, capelli brizzolati, aveva una cicatrice sul lato sinistro dell’occhio riportata in guerra, era un ex sergente pluripremiato che voleva ancora servire la patria. Attraverso tale progetto segreto, il generale aveva appigli ovunque ed aveva carta bianca su questa idea, creando così la nascita dei Ghosts In The Shadows. Ogni qualvolta Samir raccontava, la memoria di Matt aveva dei forti déjà-vu e rammentava, frase dopo frase. Oltre a citare il passato, l’iracheno chiamò Parker all’attenzione su un argomento estremamente delicato: la storia non era finita ancora. Gli disse che il sig. Smith portava con sé da sempre un segreto, ed una volta andato in pensione, lo lasciò nelle mani sicure di Matt, l’unico uomo veramente fidato. Si parlava di dispositivo USB criptato con dati estremamente importanti. Erano più di venti anni di archiviazione e in mani sbagliate avrebbe potuto portare un collasso del sistema. Nessuno ne era a conoscenza, solo quattro persone in tutto il mondo: il colonnello Smith, il segretario di stato sig. Button e ora anche Parker e Samir. Si chiamava il codice G. I. T. S., aveva il nome abbreviato dell’unità speciale che ne custodiva il segreto. Ora la questione era diventata di vitale importanza, infatti Matt si ritrovava obbligato a recuperare la memoria perché bisognava cercare a tutti i costi quel dispositivo, e solo lui sapeva dov’era custodito. A questo codice era legata anche, la perdita della moglie, che venne uccisa da tre uomini che si intrufolarono in casa sua una notte per cercare quella maledetta chiavetta USB. Bisognava portare la verità a galla, e scoprire come mai quegli assassini erano a conoscenza del segreto, chi li aveva mandati? Ora era anche una questione personale e di onore. Se Parker avesse visto un luogo familiare come casa sua, c’erano buone probabilità che egli riacquistasse la memoria. Un posto strapieno di ricordi ed emozioni, dove i due avevano vissuto gli ultimi tre anni della loro vita, anche se dopo tutti gli sforzi Matt ancora non riusciva a ricordarsi della moglie. Il passato era stato tutto rispolverato, ma nel puzzle mancava ancora qualche pezzo, dettagli estremamente importanti! Infatti Samir sembrava particolarmente preoccupato per il ritrovamento del codice G. I. T. S, aveva paura che finisse nelle mani sbagliate prima che lo trovassero loro. Era sicuro che altre persone lo stavano cercando, era una corsa contro il tempo.   Fine anteprima. Se vi è piaciuto e siete interessati al romanzo ghosts in the shadows, vi ricordo che è disponibile in tutte le piattaforme e store online, è possibile anche ordinarla presso le librerie fisiche. Grazie per l'attenzione. Buona lettura

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