Wolf's Blood : a tale of war and love.

di BabaYagaIsBack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Joseph M. Menalcan ***
Capitolo 3: *** I fratelli Calhum ***
Capitolo 4: *** Verso il Clan del Nord ***
Capitolo 5: *** O con te o con nessun altro ***
Capitolo 6: *** Primi Incontri ***
Capitolo 7: *** Un possibile alleato ***
Capitolo 8: *** Nel folto del Bosco ***
Capitolo 9: *** Eccomi ***
Capitolo 10: *** Scarti Indesiderati ***
Capitolo 11: *** L'arrivo del lupo indesiderato ***
Capitolo 12: *** Ciò che è sbagliato può essere giusto ***
Capitolo 13: *** Imprevedibile futuro ***
Capitolo 14: *** Notte di Plenilunio ***
Capitolo 15: *** Piccoli problemi di convivenza ***
Capitolo 16: *** Portami in città ***
Capitolo 17: *** Attento a ciò che dici ***
Capitolo 18: *** Tutto ciò che c'è da sapere ***
Capitolo 19: *** Restiamo comunque nemici ***
Capitolo 20: *** Pericolo in Agguato ***
Capitolo 21: *** Ti strapperò il cuore ***
Capitolo 22: *** Qualcosa non va con lei ***
Capitolo 23: *** qualsiasi cosa ci voglia ***
Capitolo 24: *** Non perdere i pezzi ***
Capitolo 25: *** Lui sa troppo ***
Capitolo 26: *** Il gene che accomuna ***
Capitolo 27: *** Pericolo dietro l'angolo ***
Capitolo 28: *** Non lasciarla sola ***
Capitolo 29: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 30: *** Gatta ci cova ***
Capitolo 31: *** Sconvolgenti Verità ***
Capitolo 32: *** Parte del loro mondo ***
Capitolo 33: *** Parte del loro mondo (parte 2) ***
Capitolo 34: *** Stessi occhi dorati ***
Capitolo 35: *** Impossibile resistere ***
Capitolo 36: *** Nuovamente in gioco ***
Capitolo 37: *** Mi piaci ***
Capitolo 38: *** Il Pugnale ***
Capitolo 39: *** Non dovremmo stare insieme ***
Capitolo 40: *** Per il Sangue ***
Capitolo 41: *** Qualcosa è cambiato ***
Capitolo 42: *** Risposte non gentilezze ***
Capitolo 43: *** Devi tornare ***
Capitolo 44: *** 42. Pensa prima di Agire ***
Capitolo 45: *** Confessioni ***
Capitolo 46: *** Dimentica i limiti ***
Capitolo 47: *** Tu ed io ***
Capitolo 48: *** Nessun finale felice ***
Capitolo 49: *** Non ti lascio andare ***
Capitolo 50: *** Non tutto è perso ***
Capitolo 51: *** Ciò che non è stato detto ***
Capitolo 52: *** Affari di Famiglia ***
Capitolo 53: *** Metà ***
Capitolo 54: *** Perdita ***
Capitolo 55: *** Con te, per sempre ***
Capitolo 56: *** Tornare (1/2) ***
Capitolo 57: *** Tornare (2/2) ***
Capitolo 58: *** Questo mio sentimento ***
Capitolo 59: *** Ti seguirò ***
Capitolo 60: *** Il divario tra di noi ***
Capitolo 61: *** Ultima possibilità ***
Capitolo 62: *** Il dado è tratto ***
Capitolo 63: *** 60. Tu, il bugiardo ***
Capitolo 64: *** Così vicino, così lontano ***
Capitolo 65: *** La Villa è vicina ***
Capitolo 66: *** L'inizio ***
Capitolo 67: *** Solo a un passo di distanza (1/2) ***
Capitolo 68: *** Solo a un passo di distanza (2/2) ***
Capitolo 69: *** La mia vita per te ***
Capitolo 70: *** Un cuore sciocco e coraggioso ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Capitolo 0

"Don't send me no angel
This city's too cold"

Dark Night, Dorothy


 

Con un colpo secco delle braccia si calò il cappuccio largo e rovinato sulla testa e, aguzzando la vista, prese a scrutare nel grigiore che la stava circondando. Il suono ininterrotto della pioggia provò più volte a distrarla, cadendo tra le foglie e nelle pozzanghere, eppure lei non si fece ammaliare: qualcosa di ben più importante, al momento, richiedeva la sua totale attenzione.

Riportando le dita nell'enorme tascone della felpa, la figura incappucciata premette vigorosamente i polpastrelli sul cuoio ruvido della fodera che vi stava all'interno, custode di un oggetto che mai si sarebbe aspettata tanto piccolo e al contempo minaccioso - e il cuore non poté che balzarle in gola esattamente come la prima volta che lo aveva sfiorato. Era strano sentirsi quell'affare addosso, le sembrava quasi sbagliato. Durante la fuga le era addirittura parso che pesasse quanto un corpo morto, un cadavere che si stava trascinando dietro e di cui avrebbe fatto meglio a sbarazzarsi; ma a dire il vero, ciò che aveva con sé non era più di una spanna di argento e qualche altro centimetro d'acciaio. Un pugnale, nulla di meno, ma come poteva soggiogarla a quel modo?
Mordendosi il labbro pregò silenziosamente in un ultimo atto di misericordia da parte di Arianrhod, Arawn, SegomoFenrir e tutti gli Dèi in cui la sua specie credeva. Le sarebbe bastato solo qualche altro minuto della loro pietà, niente più. Se l'avessero graziata abbastanza da compiere quegli ultimi metri di corsa si sarebbe assicurata di riverirli nella giusta maniera, così come era certa avrebbero fatto i suoi compagni – e pensando a loro, non riuscì a resistere alla tentazione di guardarli. Erano lì, se non tutti quantomeno la maggior parte e, tutto sommato, sembravano essere in buone condizioni: nessun arto penzolante né copiose colate di sangue, anche se distinguere il loro da quello altrui era un'impresa pressoché impossibile; perché nella ressa di corpi era stato difficile impedirsi di ferire e venir feriti, così alla fine si erano comunque ritrovati ad assomigliare a qualche comparsa da film splatter – peccato che gli omicidi compiuti e le enormi chiazze cremisi sui loro corpi fossero tutto fuorché finzione.
Certo, c'era da dirlo, ciò che era accaduto aveva di gran lunga superato le aspettative generali, immaginari talmente catastrofici che, tra le mura della sua stanza, l'avevano più volte svegliata nel cuore della notte, ansimante. Ad essere onesti, Aralyn dubitava fortemente che qualcuno, esattamente come lei, avesse sperato di arrivare sin lì in quelle condizioni. Era certa che persino Garrel, Fernando e i gemelli Vogel avessero intrapreso quella missione con la chiara consapevolezza che qualcuno sarebbe morto, o che nessuno di loro sarebbe tornato a casa; invece eccoli lì, tutti con il fiato grosso e i corpi semi nudi a testimoniare le fatiche compiute in quelle ultime sei ore. Grazie agli Dèi!, si ritrovò a pensare prima di prendere l'ennesimo grosso respiro nel tentativo di fermare l'ansia e poi spostare ancora una volta lo sguardo, riprendendo così a osservare i pochi metri di terra che separavano lei e i compagni dall'asfalto e dal Van parcheggiato accanto a un guardrail malconcio. 

Ecco lì loro passaggio verso la salvezza. 

Solo qualche falcata, pochi secondi, e poi avrebbero davvero potuto ricominciare a sperare di averla fatta franca.

Finalmente.

Quel canale di scolo ormai in disuso era stato per loro una vera e propria manna dal cielo, li aveva aiutati sia ad avvicinarsi alla Villa, sia ad allontanarcisi senza essere visti, ma ciò comunque non significava che fossero del tutto al sicuro dai loro inseguitori, per questo stavano esitando.
Con i sensi animali tesi fino allo spasmo, tutti e cinque se ne stavano acquattati nell'ombra di quel cunicolo di cemento alla disperata ricerca di un suono che potesse, se si fossero mossi, tradire il successo della missione, eppure, oltre allo scrosciare della pioggia, ad Aralyn pareva non esserci nulla, non il suono di passi e men che meno di rami spezzati. Forse avrebbero sul serio dovuto cogliere quell'occasione prima che fosse troppo tardi, si disse.

Staccando i denti dal labbro provò ad allungare il collo oltre il limitare del loro nascondiglio, ma prima che potesse mettere a fuoco qualsiasi cosa Garrel l'afferrò per il cappuccio della felpa, strattonandola indietro.
«Ferma» le sussurrò appena i loro sguardi s'incrociarono: «Tu non puoi essere la prima.» E anche se non era stato quello il motivo delle sue azioni, non poté negare il fatto che, in qualsiasi caso, l'amico aveva ragione: lei non poteva essere l'apri-fila. Nonostante si trovasse a capo della missione farla fuggire per prima voleva dire mettere a rischio ogni cosa, Arwen stesso lo aveva ripetuto più volte durante i mesi spesi a preparare quel colpo: lei doveva restare nel mezzo. Così facendo infatti, gli altri le avrebbero fatto da scudo, proteggendo il pugnale – dopotutto era ovvio che la forza bruta fosse il suo punto debole, che sotto attacco avrebbe rischiato di farsi uccidere e poi fregare quel cimelio.

Deglutendo, Aralyn tornò al proprio posto, scostandosi dal viso le ciocche di capelli che vi erano ricadute davanti e, nel farlo, scorse con la coda dell'occhio le dita imbrattate di sangue – un'immagine che seppur macabra non generò in lei alcun senso di colpa, men che meno ribrezzo. Era una prova dei crimini commessi quella notte, ma uccidere ormai era diventato qualcosa di così familiare da non aver più il sapore del peccato. Nel mondo in cui era nata e cresciuta, insieme alle persone presenti con lei in quel tunnel fognario, certe cose potevano definirsi quasi all'ordine del giorno - perché essere più bestie che umani conduceva solo a quel punto: a difendersi e a lottare senza sosta, usando artigli e zanne fino a spezzare vite.

D'un tratto i fratelli Vogel le si affiancarono. Sporchi e affaticati, con i muscoli tesi fino allo spasmo come ognuno di loro, provarono comunque a darle conforto con un sorriso che, sulle facce chiazzate di sangue e nella penombra di quel cunicolo, stridette tanto da mozzarle il respiro.
Hugo, il più lontano dei due, fu il primo ad allontanare gli occhi da lei e prepararsi allo scatto piegandosi leggermente in avanti. La sua schiena nuda s'incurvò mostrando sotto alla pelle le vertebre della spina dorsale, tanto evidenti da far pensare che potessero strappargli la carne e uscire. Qua e là, come il gemello, lunghe linee rosse svettavano sul suo busto, sulle braccia sottili e il viso scarno, testimoniando con quanta brutalità si fosse fatto largo tra le file nemiche.
«Andiamo noi per primi, voi seguiteci» sibilò con il suo consueto tono divertito, come se tutto quello che avevano e stavano facendo non fosse altro che un gioco, e nessuno, a quella proposta, obbiettò. Entrambi i fratelli erano terribilmente veloci, sorprendentemente impavidi, inarrestabili e letali – tre doti che Aralyn gli aveva invidiato sin dal primo incontro.

Garrel, sul fianco opposto, li osservò con meno ammirazione. L'espressione corrucciata che aveva in viso tradiva l'impassibilità che aveva cercato di mantenere fino all'ultimo, eppure, qualsiasi pensiero paterno gli stesse vorticando nella mente, in quel preciso istante non gl'impedì di dar loro il via. Quello dell'uomo fu un movimento leggero, tanto veloce che se non si fosse stati attenti sarebbe facilmente passato inosservato – ma a quanto parve i gemelli lo videro, o forse percepirono la vibrazione dell'aria e, in un istante, furono allo scoperto. I loro corpi si fecero strada tra i tronchi e il fogliame, lasciandosi nel fango alle spalle orme che gli altri, soprattutto lei, con il cuore in gola seguirono.
Aralyn sentiva i propri piedi affondare nel terriccio bagnato, avvertiva il rumore di quei passi amplificarsi dopo ogni falcata e, segretamente, temette di attirare su di sé le attenzioni di chiunque fosse sulle loro tracce. In fin dei conti i Fior-Ghlan erano vigili, i loro sensi notevolmente superiori e, se non si fossero sbrigati, gli sarebbero saltati addosso senza alcuna pietà, vendicandosi per tutto ciò che era accaduto all'interno delle mura di Villa Menalcan.

Senza staccare gli occhi dalla sagoma del veicolo che li attendeva a qualche centinaio di metri dal tunnel fognario, la giovane si costrinse a non pensare al peggio - anche se era conscia di non potersi realmente permettere un simile lusso. Quei viscidi sarebbero potuti spuntare in qualsiasi istante e lei doveva farsi trovare pronta, eppure la sua mente non riuscì a focalizzarsi su nient'altro che non fosse la carrozzeria di quel veicolo preso a noleggio giorni prima. La salvezza era lì, le bastava resistere e ricordarsi di restare vigile. Doveva solamente compiere un ultimo sforzo, fingere che i muscoli non le dolessero così forte, seguire Hugo ed Eike e pregare gli Dèi, oltre che mantenere il contatto con la realtà. Non doveva fare altro, eppure qualcosa parve tradirla. Non seppe dirsi se fosse per via del fango sotto ai piedi, per la stanchezza o per la distrazione data da quei pensieri assillanti, ma d'improvviso Aralyn sentì l'equilibrio venir meno. Il tallone grattò sull'asfalto umido, bruciò, e se non fosse stato per Fernando palesatosi alle sue spalle sarebbe rovinosamente ruzzolata a terra, mettendo a repentaglio tutti. Già, perché persino il più misero tra gli errori avrebbe condannato lei e i suoi compagni – e quello che stava accadendo, purtroppo, era esattamente ciò che doveva evitare; lo sapeva lei, così come qualsiasi altro membro della squadra.
L'uomo allora la strattonò malamente, le strinse il braccio con talmente tanta possanza da farle storcere la smorfia, ma non un suono le sfuggì di bocca. Non poteva permetterselo esattamente come non poteva permettersi di cadere a terra. Non in quel momento. Così Fernando la issò davanti a sé, schermandola da possibili attacchi e con una spinta la gettò contro la portiera anteriore del veicolo. La foga gl'impedì di ponderare la forza con cui l'allontanò dal proprio corpo e, a quel punto, la ragazza si ritrovò a fare i conti con un contraccolpo tanto inaspettato che le mozzò il fiato. Sentì l'oggetto nascosto nel tascone della felpa cozzare contro la lamiera, premerle sul costato e spingere sulla carne indolenzita, costringendola a fermarsi qualche secondo per boccheggiare.

Merda!, le gridò la mente in un ultimo istante di lucidità, mentre sgranava gli occhi per riuscire a non perdere contatto con la realtà. La vista le si annebbiò appena, forse a causa della vicinanza con l'argento, del dolore che non le stava dando tregua o, piuttosto, per via dell'eccessiva perdita di sangue, eppure Aralyn, nonostante l'imminente mancamento, si costrinse ad allungare un braccio e afferrare la maniglia: se doveva svenire, che almeno fosse stato sul sedile del passeggero del Van che l'avrebbe ricondotta a casa. Ancora una volta però, le mani dell'amico corsero in suo aiuto. Appena la portiera si aprì, Fernando le appoggiò una delle sue enormi mani sul coccige, spingendola nell'abitacolo.
Aralyn si lasciò quindi cadere sulla pelle del sedile, quasi le gambe non avessero più la forza per sorreggerla. Udì qualcuno sbattere la sua portiera, colpirla nella frenesia del momento e, poi, con il cuore in gola e le palpebre serrate, attese il suono della marcia venir inserita, gli ultimi click delle serrature che si richiudevano e, infine, avvertì il veicolo muoversi. Il motore ruggì oltre il cofano, indicando una partenza tutt'altro che sicura e che, viste le leggi della fisica, la schiacciò contro lo schienale a cui era appoggiata. Non si azzardò ad aprire gli occhi perchè, in tutta sincerità, non aveva idea di cosa temesse di più: se l'idea di vedere spuntare sulla strada al di là del parabrezza un capannello di licantropi inferociti, o di scoprirsi ancora sul punto di un mancamento. Così restò muta, ascoltando sia i segnali del proprio corpo, sia i respiri scoordinati dei quattro uomini dietro di lei. Non li distingueva, ma riusciva a percepirli tutti – o quasi.

«Metti la cintura.» Una mano le picchiettò sulla coscia, facendola trasalire. Si era talmente estraniata che, seppur fastidioso, Aralyn non si era resa conto dell'allarme che aveva preso a suonare dal momento in cui l'auto era partita – e come poteva, quando c'erano questioni più importanti a occuparle la mente?
Si concesse ancora qualche respiro affannato, poi ubbidì. Le ci vollero vari tentativi prima di trovare il punto d'inserimento, ma alla fine riuscì nell'impresa, sentendosi già più leggera.

«Ti hanno ferita agli occhi?» Ancora la stessa voce, stavolta meno dura.
«No.»
«E allora che cazzo stai facendo? Non mi sembra il momento di imitare Ray Charles.»

Aralyn contò fino a dieci, stringendo involontariamente le dita sul pugnale. Le serviva concretezza, qualcosa a cui aggrapparsi per essere certa di essere ancora vigile - ma soprattutto per non sbottare malamente, insultando la persona accanto a lei. E il tempo intanto passava, senza però svanire nell'incoscienza di uno svenimento; così aprì gli occhi, scoprendosi più lucida di quanto previsto.
La carreggiata di fronte a loro si estendeva per miglia, fiancheggiata da entrambi i lati da un muretto basso in pietra grezza oltre cui si diramavano in ogni direzione le campagne scozzesi. Non c'era nulla se non quello, qualche palo elettrico, alberi in lontananza e il cielo che pian piano si tingeva d'azzurro – e le venne naturale chiedersi se fossero già così lontani?

Rimase incredula a fissare i piccoli dettagli del paesaggio al di fuori del veicolo, quasi non fosse sicura di ciò che stava vedendo, ma quando si accorse d'essere l'unica a esserne così stranita tornò a schiacciarsi contro il sedile.

Ce l'avevano fatta, constatò corrugando le sopracciglia, erano davvero riusciti a compiere l'impossibile, anche se realizzarlo aveva un ché d'insolito - eppure più i suoi occhi vagavano da un finestrino all'altro, più si rendeva conto che si trovavano in viaggio, lanciati in direzione dell'autostrada che li avrebbe condotti al Tunnel sous la Manche e poi nel cuore dell'Europa, lì dove la Tana li attendeva.

Dentro di sé Aralyn avvertì la gioia montare. Sapeva che se non si fosse trattenuta avrebbe finito con il sorridere e gridare, entusiasta, peccato che una parte di lei sapesse che non era ancora il momento di festeggiare. C'erano fin troppe ragioni per aspettare: in primo luogo, il fatto che fossero ancora nelle terre di uno dei Clan più minacciosi della loro specie, licantropi pronti a ucciderli senza alcuna esitazione pur di riprendersi ciò che gli avevano sottratto. Oltre a quello, non potevano certo dire di aver ottenuto quella vittoria facilmente. Le ferite fisiche erano solo un piccolo sfregio, in qualche giorno sarebbero sparite dai loro corpi, ma Luke, invece, non sarebbe tornato. Né l'indomani né i giorni a venire. Ed era lui l'unica, vera perdita che avevano avuto, il cadavere che forse le era pesato così tanto durante la fuga, dando al cimelio nella sua felpa tutt'altro valore.

Si morse il labbro.

In quella vita c'erano molte cose a cui si faceva l'abitudine: alle ossa che si rompevano nel mezzo di una mutazione, ai sensi amplificati fino all'inverosimile nelle notti di Luna Piena, alle membra che si risanavano in tempi brevissimi, alle faide, le ringhia, gli artigli nella carne, ma non alla perdita di un amico.

Voltò il viso. 

La chioma di Marion era costretta in una crocchia sfatta, impedendo alla donna di nascondere il profilo – e la smorfia, quella contrattura delle sopracciglia che le incupiva lo sguardo, rivelava la frustrazione, ma soprattutto il dolore, che la stava lacerando.

Aralyn staccò le dita dal fodero del cimelio, portandole al polso dell'amica.
«Ci ho provato, però-»
L'altra la interruppe. «Non ho bisogno di spiegazioni, Ara.» Stizzita allontanò il braccio: «Sono quindici anni che mi trovo in questo schifo, so come funzionano le cose.»
Alle loro spalle, i quattro uomini sembrarono sparire. I loro respiri si erano improvvisamente fatti silenziosi, regolari; forse stavano scrutando fuori dai finestrini in cerca del pericolo, o più probabilmente stavano cercando di non peggiorare la situazione.

«Okay. Però questo non vuol dire che tu non stia soffrendo, o debba negarlo.»
«E cosa vuoi che faccia?» Gli occhi di Marion dardeggiarono nella sua direzione. Il fantasma delle lacrime minacciava la durezza dello sguardo, quel suo voler apparire forte, e Aralyn non seppe cosa provare. Una parte di lei avrebbe voluto abbracciarla, farla sfogare, un'altra rinfacciarle l'accondiscendenza con cui aveva accettato la partecipazione di Luke a quella missione – perché a diciassette anni non si dovrebbero correre simili rischi. Non con un'esperienza così rosicata.
«Ormai è successo, no? Non si può tornare indietro. Seppur lo desideri con tutta me stessa non può succedere. Dovevo pensarci prima.» Già, peccato che avesse ignorato ognuno dei pareri dei suoi compagni – e Garrel, dal fondo del veicolo, non perse occasione per gettare sale sulla ferita aperta: «Dovevi essere oggettiva. Ecco come dovevi comportarti. Invece ti sei fatta fregare dal suo bel faccino.» Il suo commento fu tagliente, privo di qualsiasi empatia, ma nessuno osò rimproverarlo. Era un pensiero condiviso, anche se fastidioso da ammettere.

Marion s'irrigidì, e la ragazza provò ancora una volta l'impulso d'allungare una mano e darle sostegno – ma si trattenne, conscia della furia con cui l'altra l'avrebbe potuta aggredire. Litigare sarebbe stato tra le cose meno indicate, visto che non si potevano ancora dire definitivamente in salvo; La loro attenzione doveva restare sull'obbiettivo, tornare a casa, e non si potevano concedere il lusso di rallentare o distrarsi fin tanto che fossero rimasti in Scozia. Così, pigiando maggiormente i denti nel labbro, Aralyn tentò di scacciare il desiderio di sfiorare Marion mettendosi a districare i nodi formatesi nei capelli. Grumi di sangue rappreso e fango secco le avevano attorcigliato malamente le lunghezze, peggiorando un aspetto che, era certa, fosse già di per sé terribile. Più e più volte strattonò, strappandosi ciocche chiare e mugugnando a denti stretti per il dolore, ma mai osò riportare lo sguardo sull'amica.
La guerra faceva schifo, si disse. E non solo per il modo in cui aveva ridotto lei o gli altri membri del branco, ma per decine di altri motivi. Però aveva uno scopo, e a lei questo bastava - o meglio, ad Arwen bastava, quindi da devota sorella non avrebbe fatto alcuna obiezione di fronte ai suoi desideri. Non si sarebbe lamentata per la gioventù persa, per le cicatrici riportate, le atrocità viste o i compagni caduti, l'importante era soddisfare suo fratello. In qualsiasi modo. Sempre. Era il minimo che potesse fare per lui e, in quel momento, seppur lui ancora non ne fosse a conoscenza, c'era sicuramente riuscita. Portando il Pugnale al suo cospetto avrebbe posto la pietra più importante per la realizzazione del suo progetto, dando il via a un cambiamento che, si auguravano tutti, avrebbe riscritto la storia dei Neo-Ghlan.

Lo sguardo di Aralyn cadde sul tascone della felpa e nel riportare la mano sul cuoio intarsiato il cuore riprese a palpitarle nel petto.

Avevano il Pugnale di Fenrir.
Tra le mani di una piccola e insignificante meticcia c'era la chiave del potere e, finalmente, sarebbero riusciti a distruggere la dittatura dei Fior-Ghlan.  

 

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Capitolo 2
*** Joseph M. Menalcan ***


Capitolo 1
parte1

"It would be a lot better if I slit your throat

And die for me, die for me
Why don't you?"

Fuck you and all your friends, Falling in Reverse


 

Spostando lo sguardo verso la porta e lasciando nuovamente oscillare il bicchiere di scotch oltre il bracciolo del divano, Joseph non poté impedirsi di lanciare in direzione dell'amico un'occhiata bieca. Il suo sesto senso era in allerta, sapeva che qualcosa di terribilmente scocciante lo stava attendendo, ma evitò di aprir bocca finché non vide Kyle sbattere un pugno al muro e chiudere la chiamata. Non aveva capito assolutamente nulla della questione, il suo braccio destro non era tipo da troppe parole, ma dai suoi monosillabi e la sfilza di imprecazioni era chiaro che il branco li stesse reclamando.

«Guai?» gli domandò, tendendo teatralmente un angolo della bocca e mimando un sorriso ben lontano dal rispecchiare il suo attuale stato d'animo – detestava essere interrotto nel bel mezzo del weekend, soprattutto quando si trattava di qualsiasi evento riguardante i Menalcan. Non che odiasse il suo branco, in fin dei conti era tutto ciò che conosceva e la famiglia che Arianrhod aveva scelto per lui, ma se avesse potuto star loro lontano non gli sarebbe affatto dispiaciuto; per quanto nelle sue vene scorresse il sangue dell'Alpha, non desiderava affatto essere coinvolto nei sadici giochi di potere che suo padre, suo fratello, o un qualsivoglia Fior-Ghlan desiderava mettere in atto. Tutto ciò che voleva si riassumeva in un'unica parola: libertà. Peccato che fosse un concetto fin troppo astratto visti i suoi doveri.

L'altro grugnì, avvicinandosi all'attaccapanni accanto all'entrata. Ad ogni secondo di silenzio, il cipiglio di Kyle diventava sempre più snervante, così Joseph capì che non si doveva trattare della solita scaramuccia, ma bensì di un disastro.
«Arwen.»
Il ragazzo sussultò, rovesciando parte del liquore sul tappeto: «Che vuol dire?»
L'amico gli porse la giacca. Nei suoi occhi la tempesta imperversava furiosa, nuvole grigie che non sembravano promettere altro che guerra gli stavano incupendo lo sguardo: «Che siamo nella merda» ringhiò poi, incitandolo ad alzarsi e indossarla.
Sfortunatamente quella frase voleva dire tutto e nulla, soprattutto vista la loro natura. Arwen era sinonimo di rogne, di caccia spietata, lotta e sangue, ma anche di mezzosangue esaltati – il suo nome poteva assumere centinaia di significati diversi se non contestualizzato.

«Più specifico, Kyle.»
«Hanno fatto irruzione nella Villa, massacrato qualche bràthair (fratello) e preso il Pugnale di Fenrir. Vuoi sapere altro?»
No.
In uno scatto fu in piedi. Le sue sinapsi presero a passare informazioni e pensieri da un lato all'altro della mente a una velocità incredibile e, oltrepassando la soglia di casa, si ritrovò già pronto ad adempiere ai suoi doveri. Nelle parole del suo vice c'era tutto ciò che mai avrebbe voluto udire, né nel weekend, né in qualsiasi altro momento della sua vita. Quello che era accaduto era il peggiore degli scenari che avrebbe potuto immaginare – e se dal quartier generale avevano chiamato loro, anziché l'Alpha, voleva dire che né lui né il primogenito si trovavano nei paraggi della magione.

Dalla gola di Joseph si fece largo un suono gutturale, una sorta di ringhio minaccioso che parve rimbombare lungo il corridoio. Era furioso, fuori di sé, ma soprattutto agitato. Se voleva evitare l'aggravarsi della situazione doveva sbrigarsi, doveva raggiungere Villa Menalcan prima che il caos potesse dilagare e le malelingue raccontare di quel terribile misfatto. Doveva assicurarsi di non dare a proprio padre un motivo per accanirsi su di lui più del dovuto, anche se già dubitava di poterci riuscire.
Douglas non era tipo da restare impassibile; in lui si agitava con costanza una rabbia di cui non si conosceva l'origine, per questo avrebbe sfogato sul suo secondo erede tutta la frustrazione causata da quel furto – perché bisognava pur incolpare qualcuno, no? E, in assenza di Arwen Calhum su cui convergere l'odio, il figlio minore sarebbe stato il capro espiatorio perfetto – perché più vicino, ma anche perché era sempre stato il più riluttante ad accettare il proprio ruolo all'interno del branco e, quindi, a svolgere più svogliatamente il suo dovere.
Il capoclan lo avrebbe insultato per la sua negligenza, forse lo avrebbe punito fisicamente per la poca lungimiranza nel prevedere un attacco e, poi, lo avrebbe costretto a trovare una soluzione pratica per ottenere una vendetta cruenta, impressionante, indelebile e rimediare così a delle lacune che, a dire il vero, avevano ben poco a che fare con lui. Suo padre lo avrebbe obbligato a escogitare un modo per colpire quel branco talmente in profondità da rendere inguaribile qualsiasi ferita – li avrebbe mutilati, in qualsiasi senso.

Una falcata dopo l'altra, i due licantropi si fecero strada fino alla berlina parcheggiata in strada e, una volta a bordo, Kyle non si preoccupò di alcun limite chilometrico o del regolamento stradale. Sfrecciarono lungo la A7 senza mai fermarsi, macinando in poco tempo i chilometri che separavano Edimburgo dalla campagna intorno a Carrington, lì dove il loro Clan, secoli prima, aveva stabilito la propria residenza.
Tra di loro, come spesso accadeva, vi furono scambi di ben poche parole; solo qualche imprecazione, frasi rabbiose e grugniti infastiditi. Nessuno dei due si sarebbe aspettato di dover correre alla Villa poco dopo il sorgere dell'alba, Joseph ne era certo, e più il tempo passava, più tra i suoi pensieri si facevano largo gli scenari peggiori. Cosa avrebbero trovato al loro arrivo? Quanto sangue si sarebbe appiccicato sotto le suole delle loro scarpe? Avrebbero escogitato qualcosa di sensato prima della sfuriata di Douglas? Non ne aveva idea e, purtroppo, quella consapevolezza fu un pugno dritto in faccia al suo orgoglio – nessun Fior-Ghlan poteva accettare d'essere preso in contropiede da dei luridi bastardi.

***

Douglas aveva sempre fatto vanto della violenza dei suoi lupi. Ne aveva elogiato in ogni modo le abilità, sottolineando come i veri discendenti del dio Fenrir e di Arianrhod fossero invincibili – peccato che ciò che Joseph stava guardando testimoniava tutto il contrario.
Dieci dei suoi confratelli se ne stavano ammucchiati in un angolo, dilaniati da zanne e artigli sconosciuti, esanimi, e i corridoi che dalle cucine conducevano alla sala da pranzo erano ornati d'impronte scarlatte e resti di carne.
I superstiti di quella sera si potevano contare sulle dita di una mano e, se non fosse stato per Kyle e il suo contegno, li avrebbe malmenati a tal punto da renderli privi di qualsiasi utilità – ma gli servivano, erano gli unici a poter fornire un identikit degli aggressori e impedire all'Alpha di compiere un ulteriore omicidio: il suo.

Mettendo un piede di fronte all'altro, il ragazzo prese ad avanzare lungo il corridoio. Ovunque posasse lo sguardo gli sembrava di vedere le orme dei nemici, le loro ombre, le sagome furtive dei loro corpi ferini. Riusciva a immaginarli con annichilante facilità, sovrapponendo i ricordi di un passato lontano a quelli del presente.
Gli sembrò di udire gli ansiti uscire dalle bocche ricolme di saliva dei Neo-Ghlan che si erano spinti sin lì, ma soprattutto quello di lui, del licantropo che aveva avuto modo d'incontrare un'unica volta, eppure restargli impresso nella memoria per sempre. Il manto candido di Arwen infatti aveva infestato per lungo tempo i suoi incubi, così come quegli occhi dorati, carichi di una ferocia animale, lo avevano perseguitato ogni volta che aveva incrociato la strada di un altro lupo; seppur quella volta avesse avuto la meglio sul nemico, Joseph era rimasto profondamente segnato dal loro incontro, ma dubitava potesse essere lo stesso per lui – dopotutto gran parte dei Menalcan poteva vantare peluria scura e un profumo pungente.
Ad ogni modo però, nonostante le sue fantasie, l'Alpha nemico non aveva partecipato a quell'attacco. O almeno questo era quello che gli era stato riferito – e difficilmente, se ci fosse stato, sarebbe passato inosservato.

D'un tratto, schiarendosi la gola, Kyle lo riportò alla realtà: «Tra i morti c'è uno di loro.»
«Uno solo?» senza voltarsi, il ragazzo si portò una mano alla bocca, passandosi l'indice sul labbro inferiore e soppesando l'avvilente notizia. La tanta citata bravura, la convinzione di Douglas ad avere tra i propri uomini i licantropi più preparati, indomiti e aggressivi, si riassumeva con un unico abbattimento – e la cosa avrebbe dovuto farli riflettere tutti, dal primo all'ultimo.

Si concesse qualche istante, stringendo il pugno nascosto nella tasca dei jeans, poi riprese a camminare.
«Dove è?»
«Dove lo abbiamo trovato, accanto all'ingresso della sala da pranzo. Vuoi che lo faccia spostare?» Ma il ragazzo non rispose, preoccupandosi solamente di raggiungere il cadavere prima che qualcuno potesse comprometterlo. Doveva essere il primo a studiarlo, a muoverlo, a capire. Doveva trovare su di lui qualcosa, un indizio capace d'illuminare l'oscurità in cui stava brancolando – perché nolente, doveva ammettere di non avere idee su come rintracciare il Clan di Arwen e vendicarsi.
A grandi falcate raggiunse il corridoio perpendicolare a quello in cui si trovava, i dodici metri quadrati dove i primi scontri avevano avuto luogo e, una volta arrivato a metà, si concesse il lusso di arrestare l'avanzata.

Il Neo-Ghlan era lì, nudo e prono. La posizione innaturale degli arti raccontava mutamente la violenza della sua morte, il tentativo fallito di respingere gli attacchi. Sulla schiena c'erano lunghi solchi rossastri, ferite da cui il sangue aveva da poco smesso di sgorgare. Era stato massacrato senza alcuna pietà, le sue membra erano state ripetutamente violate dagli artigli dei Menalcan, ma il fatto che fosse l'unico mezzosangue a essere perito nello scontro poteva significare un'unica cosa: doveva essere l'anello debole del gruppo che aveva osato violare le terre del Clan, oppure il loro ariete.
Joseph si fece vicino. Il fetore della morte divenne ad ogni passo più nauseante, obbligandolo a storcere la smorfia ma non a retrocedere – perché per quanto fastidioso aveva anche un ché di familiare e, ne era certo, presto vi avrebbe fatto l'abitudine, riuscendo a ignorarlo.
Chinandosi prese a esaminare con più attenzione il corpo. Sotto alle ecchimosi fresche, seppur con difficoltà, poté scorgere la pelle raggrinzita di una cicatrice, le pallide linee lasciate da un precedente scontro con i Lupi – e da quel che gli sembrava, doveva anche essere stato il primo.

Allungando una mano gli afferrò una ciocca di capelli in prossimità della fronte e, facendo leva, volse il viso dello sconosciuto verso di sé, così da poterlo osservare meglio. La rigidità del rigor mortis lo costrinse ad essere più brutale di quel che avrebbe voluto, arrivando persino a far scricchiolare le ossa del collo. Non seppe dirsi con certezza se nel compiere quel gesto glielo avesse definitivamente spezzato, e nemmeno si preoccupò di scoprirlo: un dettaglio più interessante lo costrinse a concentrarsi altrove.
Non furono gli occhi vacui, riversi all'indietro a interessarlo, e nemmeno la lunga striscia cremisi che dal naso scendeva lungo il collo; non fu neanche la mancanza di qualche dente nella cavità orale, ma piuttosto tutto l'insieme.
Su quel viso, sotto ai segni della lotta, c'era quel che restava di un ragazzino: troppo grande per essere definito un bambino e non sufficientemente cresciuto per essere considerato un uomo – a occhio e croce, pensò il Fior-Ghlan, doveva avere una decina d'anni meno di lui. E a quella visione digrignò i denti.

«Un moccioso» sibilò, avvertendo la rabbia montare.
«A quanto pare...» come un'ombra, Kyle era rimasto alle sue spalle, muto, in attesa. Lo aveva seguito per ogni istante dal momento in cui avevano varcato la soglia della magione e non si era permesso di infierire ulteriormente sulla situazione. Avrebbe potuto far notate tutti i lati negativi di quella svilente sconfitta, in modo da renderlo partecipe della moltitudine di errori commessi dai loro bhràithrean (fratelli), ma aveva invece raccolto le informazioni mancanti, le aveva elaborate ed esposte con poche e semplici frasi, cosicché la pazienza del proprio migliore amico non andasse del tutto persa – peccato che non fosse quella di Joseph a doverlo preoccupare.
«Me ne domando il motivo.»
«Che vorresti dire?»
Sospirando, il figlio dell'Alpha tornò a fissare la schiena del giovane. Era diventato licantropo da poco, forse un anno, al massimo due: per quale ragione Arwen lo aveva mandato al massacro? Non sarebbe stato più logico coinvolgere dei Lupi esperti? Perché per quanta forza o agilità quel tipo avesse potuto vantare, la sua morte era sinonimo di inesperienza.
«Il loro Alpha è un signore della guerra, Kyle. Uno stratega, persino... per quale ragione ha scelto di coinvolgere un neofita?»
L'uomo gli si avvicinò. Ritto accanto a lui prese a osservare nel medesimo punto, soppesando il quesito.

Arwen Calhum aveva tanti difetti, per quel che riguardava Joseph, ma certamente non gli si potevano attribuire aggettivi quali stolto, ignorante o incapace. A prescindere dalla sua natura di meticcio era un vero capobranco, per questo il sacrificio di quel ragazzino gli sembrava essere una mossa insensata.

«Dubito ci sottovaluti, ormai siamo i suoi più acerrimi nemici. Abbiamo ucciso decine di suoi compagni e sa di cosa siamo capaci. Magari credeva fosse più bravo di quel che era.»
L'altro scosse la testa: «No, non è per questo.» In un movimento involontario tornò a sfiorarsi il labbro con le dita. Le sue pupille continuavano a percorrere avanti e indietro le ferite sulla schiena del Neo-Ghlan cercando un senso a quella dipartita.
«Quando è stato il loro ultimo attacco?»
«Sei mesi fa, in Spagna. Erano sulle tracce di Gabriel.»
«E quanti ne abbiamo abbattuti?»

Un fruscio indicò che Kyle aveva cambiato posizione. Conoscendolo, Joseph lo immaginò infilarsi le mani nelle tasche del completo, piegare la testa all'indietro e cercare di rievocare le informazioni necessarie – dopotutto, loro erano stati informati dell'accaduto solamente giorni dopo, quando il primogenito di Douglas aveva deciso di allietarli con l'ennesimo resoconto dei suoi successi. L'ego di Gabe superava qualsiasi più rosea aspettativa.

«Tre, forse quattro. Se non erro l'unico superstite era stato gravemente ferito, ma nessuno ne ha trovato il corpo.»
«Nel giro degli ultimi due anni, invece?» Finalmente nella mente del ragazzo i pensieri avevano iniziato ad amalgamarsi secondo una logica sempre più plausibile e, con la risposta che gli avrebbe dato ora l'amico, avrebbe saputo se fosse giusta o meno.

«Ho una buona memoria, Joseph, ma non fino a questo punto.» Un sospiro gli sfuggì di bocca, seguito da alcuni istanti di silenzio: «Una dozzina di Lupi, credo.»
Uno più o uno meno però, poco cambiava. Quel numero era sufficiente per confutare i suoi sospetti – perché anche nei Clan più grandi dodici lupi significavano una perdita grave.

«Quelli come loro non si riproducono come noi. Non possono liberamente andare in giro a ferire persone o ingravidare umani, va contro la Legge... hanno bisogno di tempo, pazienza, peccato che in guerra siano un lusso.» Fece una pausa, umettandosi le labbra. Il Comhairle era intransigente a riguardo: l'esistenza dei licantropi doveva restare segreta, in modo da preservarli dall'ignoranza e dall'odio umano, quindi un accoppiamento tra le due specie era visto come uno scempio. Allo stesso modo, ferire e trasformare qualcuno estraneo al loro mondo era lecito solo accidentalmente, anche se decretarne la casualità era cosa assai difficile. I Neo-Ghlan erano errori, abomini, la rovina di creature leggendarie – per questo dovevano essere debellati. E per via di quelle regole stavano diventando sempre meno, o almeno era ciò che Lupi come Douglas speravano.

«Non hanno più guerrieri» decretò Joseph infine, rimettendosi dritto.
«Carlyle però-» la replica di Kyle fu interrotta ancor prima d'essere formulata.
«Carlyle fa parte del Comhairle, anche se si erge a paladino dei mezzosangue. Quindi, nonostante il suo pupillo sia in difficoltà, non può trasgredire la Legge. E Arwen non ha altre soluzioni se non affiancare lupi esperti a mocciosi di questo genere» per enfatizzare maggiormente la frase, con la punta della scarpa il ragazzo si permise di colpire una delle braccia del cadavere, smuovendola appena. Inerme e silenzioso, quel corpo gli parve essere un sacco – eppure c'era stata vita, in lui, anche se al momento poteva sembrare tutto il contrario.

«E sarà questa esigenza a diventare la sua rovina.»

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Capitolo 3
*** I fratelli Calhum ***




2. I fratelli Calhum

Aralyn guardò la piccola custodia di cuoio che celava la reliquia tanto agognata e ripeté tra sé e sé di aver fatto un ottimo lavoro –nonostante la morte di Luke e le varie ferite riportate durante gli scontri, era andata meglio di quanto si fosse aspettata. Chi avrebbe mai potuto compiere una simile impresa se non lei? Chi avrebbe potuto gioirne a tal punto se non la sorella stessa dell'Alpha? Era la realizzazione di un sogno, nonché il perfetto compimento di una piccola vendetta che le apparteneva solo in parte, ma che sentiva comunque il bisogno di rivendicare. 
Arwen alzò un sopracciglio, restando seduto dietro alla grossa scrivania di faggio. Studiava in ogni sfaccettatura l'espressione compiaciuta della sorellina, cercando di rubarle una fetta di quella soddisfazione che le illuminava il viso. Nei suoi tratti poteva tranquillamente trovare anche un po' di s: gli stessi occhi dorati famelici di vita, la stessa pelle diafana su cui svettavano i segni delle vittorie e delle sconfitte accumulate negli anni, per non parlare della stessa bocca a cuore curvata in un sorriso trionfante. Era difficile non notare la parentela che correva tra loro, le caratteristiche rubate a coloro che li avevano messi al mondo, anche se alcuni dettagli potevano risultare parecchio discordanti, rendendo complicato e poco lampante riconoscere il legame che intercorreva tra i due, come ad esempio il colore dei capelli: bianco come la neve lui, caramello lei. Eppure in qualche strano modo erano fratelli, nati dallo stesso ventre e dallo stesso seme, figli di due lupi che da tempo avevano smesso di correre nelle vallate verdi dell'Europa, prediligendo le Lande Selvagge, il corrispettivo del Paradiso umano. 
L'uomo accavallò malamente le gambe, senza distogliere lo sguardo dal volto della ragazza, troppo occupata a godersi il momento di gloria. I quasi dieci anni di differenza che li separavano alle volte sembravano un abisso; essere il leader, lo aveva obbligato a maturare in fretta, rinunciando così a molti infantili ed ingenui piaceri della vita. Gli sarebbe piaciuto reagire come lei, abbracciarla e dirle che era stata la migliore, ma sia i ruoli che alcuni limiti imposti dalle leggi della loro specie, gli impedivano di farlo, così si limitò a qualcosa di più innocente, distaccato «Ti hanno ferita?» chiese con il tono più dolce che riuscì a trovare nel suo repertorio. Sotto un certo punto di vista non era mai stato abituato a farle da fratello maggiore; il loro rapporto, nonostante le basi solide e ricche, era comunque scarno di gesti d'affetto, di quegli elementi che caratterizzavano una fratellanza. Erano stati cresciuti nello stesso branco, ma divisi da due realtà e due età ben definite. Lui era stato buttato subito in mezzo alla brutale violenza dell'esistenza da licantropo, mentre lei in quel mondo c'era entrata molto dopo, percorrendo una strada meno faticosa, seppur difficile a modo proprio. Non che fosse stato un male, certo, ma se non lo avesse fatto –restando avvolta nel torpore di una quotidianità meno feroce– forse il loro rapporto non avrebbe mai subìto simili cambiamenti, portandoli alle volte a sfidare le regole imposte dal Concilio. Il loro mondo era rimasto sedato in una sorta di gerarchia medioevale, dove le leggi venivano scritte dai vinti e dove, bene o male, gli unici a poter amare qualcuno con lo stesso sangue, erano i nobili: cosa che purtroppo i fratelli Calhum non potevano vantare di essere.
Aralyn distolse lo sguardo dalla fodera dell'arma «Non in modo irreparabile, solo qualche graffio. Garrel e Fernando sono talmente grossi che hanno attirato su di loro tutte le attenzioni!» ed un mezzo sorriso le riempì il volto, facendo trapelare per qualche istante la sua vera età, la freschezza dei vent'anni appena superati. 
«Non li ho messi nella tua squadra per nulla, dovresti sapere che le mie scelte hanno sempre un perché!» I due uomini citati poco prima dalla ragazza erano effettivamente più massicci di molti altri soggetti presenti nel clan d quando mutavano, diventavano enormi lupi neri, bestie degne di apparire come i purosangue Menalcan. Aralyn pensandoci, poteva ancora avvertire su di sé i brividi che aveva sentito quando, quasi cinque anni prima, si era trovata davanti Fernando durante un allenamento. Aveva pensato che fosse immenso, una montagna di fronte ad una sedicenne che non si era mai permessa di dar fastidio a tipi come lui. I suoi muscoli si potevano vedere anche sotto la spessa pelliccia, guizzanti ad ogni movimento, possenti e pericolosi; se l'avesse schiacciata a terra con una delle sue zampe, probabilmente non si sarebbe più rialzata. Lo aveva trovato spaventosamente magnifico, un Dio norreno sceso in terra, un lupo in grado di spaventare persino i nobili, confondendosi come un'ombra in mezzo a loro.
Quando era rientrata alla Tana quello stesso giorno, Arwen non le aveva dedicato nemmeno una parola dolce. Per lui tutti i lividi ed i traumi riportati dalla sorella, non erano altro che piccoli sacrifici per un progetto più grande: renderla una guerriera in grado di portare avanti il suo onore, nonché il clan nel momento in cui lui non ne fosse più stato in grado. Lei era il modo che lui aveva per poter essere ancora definito capobranco tra quelli del Nord, e non il "lupo storpio", il "veterano" ormai caduto in disgrazia. Molti anni prima, Arwen aveva dovuto fare i conti con quegli stessi lupi a cui aveva sottratto il Pugnale, ma purtroppo per lui, le cose si erano messe male e al posto di riportare la testa di Gabriel Menalcan tra i suoi uomini, aveva dovuto rinunciare alla mobilità di una gamba che, molte volte, non riusciva nemmeno più a reggere il suo peso. Quel danno –che oltre al corpo aveva segnato l'orgoglio e l'anima- era stato il suo regalo d'addio alla vita che aveva sempre vissuto; non certo il migliore che avesse potuto desiderare.
C'era da dire che ogni licantropo appartenente ad un qualsiasi clan del Nord-Est europeo, aveva concordato sul fatto che quella notte, si era svolta una tra le battaglie più cruente degli ultimi dieci anni. L'uomo sarebbe quindi dovuto andarne fiero, ma purtroppo, la sua mente aveva messo in luce solo i lati negativi di quella vicenda, oscurando quasi definitivamente la sua carriera come Alpha.
«Come è stato addentrarsi nel loro covo?» domandò, sperando in qualche modo di rivivere attraverso il racconto della sorella l'adrenalina, la brama di sangue e qualsiasi altra cosa che durante gli scontri assalivano qualsiasi lupo. Era certo che persino un pizzico di amarezza si sarebbe presentata ad inasprire il tutto, ma volle comunque sapere.
Lo sguardo di lei si illuminò «All'inizio la mente vorticava in mille direzioni diverse, mi sentivo preda del panico più totale. Ce l'avrei fatta? Sarei riuscita a trasformarmi in lupo in tempo? Sarei rimasta viva? Poi Garrel ha dato il via e ... tutto è andato nel posto giusto, come i pezzi di un puzzle. I miei artigli trovavano carne, le mie fauci ringhiavano contro i nemici. Poi lo sai, l'adrenalina e la pratica fanno il resto!» rispose, portandosi le dita alla bocca e passando i polpastrelli sui canini appuntiti. Seppur fossero passate quasi due intere giornate e si fosse lavata altrettante volte, sentiva ancora sulla lingua il sapore del sangue mischiato con il tabacco. 
Si godette in silenzio il ricordo, compiacendosi di fronte al successo che era stata in grado di ottenere: era riuscita dove altri avevano fallito, aveva sfidato i purosangue e ne era uscita vincitrice. Quanti altri potevano dire lo stesso? Quanti altri Impuri potevano vantarsi di aver stretto tra le mani il Pugnale della Luna
Il fratello si alzò, girando intorno alla scrivania e dirigendosi lentamente, a tratti zoppicando visibilmente, verso l'altro lato della stanza, dove una libreria ricolma di tomi antichi faceva da padrona alla scena. I lunghi capelli chiari di Arwen, legati in una coda bassa, si aprivano in piccole ciocche simili a ruscelli di neve sulla camicia scura. Nessuno avrebbe mai potuto negare che sembrasse appartenere ad un altro mondo e che la sua figura, sia nel bene che nel male, catturasse l'attenzione di tutti -un po' per quell'inconsueto albinismo, un po' per il fascino che la sua persona si portava appresso da sempre: un vanto, più che una condanna. 
L'Alpha fece passare gli occhi dorati su alcune copertine mentre con la mente, si concesse il lusso di ricordare cosa aveva provato lui quando, per l'ultima volta, si era addentrato nella magione dei Menalcan qualche anno prima. Era stato elettrizzante, il corpo gli era parso diventare incandescente, la pelle formicolare di assoluto piacere; avrebbe potuto quasi definire il tutto simile ad un orgasmo e così forse era stato, fin quando le fauci dei figli di Douglas non gli si erano piantonate poco sopra alla coscia, vicino al ginocchio, recidendogli buona parte dei nervi. Aveva visto il sangue macchiargli il pelo, la vista annebbiarsi; aveva sentito l'aria rarefarsi nei polmoni ed il cuore rallentare improvvisamente. Il suo piacere si era presto trasformato in dolore e se Garrel non fosse corso in suo aiuto, non sarebbe mai sopravvissuto ad una simile notte. Come un lampo, l'idea che ci potesse essere Aralyn al suo posto gli raggelò il sangue. Provò a scacciare quell'immagine con tutta la volontà che aveva in corpo, ma la stretta allo stomaco non sembrò volergli concedere un simile lusso. Lei era tutto ciò che gli era rimasto ed in più, in quegli ultimi anni aveva iniziato a provare per la sorella del tenero, un sentimento che sapeva essere sbagliato per un Impuro come lui, ma che non sembrava volerlo lasciare in pace, esattamente come la fantasia di lei morente tra le zanne dei nemici.
«Devi stare attenta o ...»
«Io sono sempre attenta!» sbuffò lei di rimando, togliendosi le dita dalla bocca e assumendo improvvisamente un fare da bambina capricciosa. Lui le lanciò un'occhiata di sbieco, quasi rimproverandola. Odiava quando si comportava a quel modo, quando ribatteva a ciò le diceva o metteva il broncio; non era più una mocciosa da molto tempo e si sarebbe dovuta comportare come un'adulta di tutto rispetto, non solo per l'età, ma anche per il ruolo che ricopriva all'interno del branco. 
Con le dita l'uomo sfiorò uno dei tomi riposti sulla mensola più vicina al braccio «Non sottovalutare mai i Menalcan»le disse, corrugando appena le sopracciglia.
Aralyn abbassò lo sguardo sul Pugnale e prima ancora che se ne potesse rendere conto, le dita del fratello avevano abbandonato il libro per poggiarsi sulla sua testa. Seppur claudicante, sulle brevi distanze era ancora in grado di dar filo da torcere a molti licantropi, lei per prima -quando la gamba non gli giocava brutti scherzi, avrebbe potuto ancora fingere che nulla fosse mai successo. Arwen si mise ad accarezzarle la chioma, passando i polpastrelli tra le ciocche a tratti dorate e a tratti castane. Un brivido le corse lungo la spina dorsale, giungendo poi alla base della nuca «Io l'ho fatto e guarda il risultato...» la voce tradì la calma che aveva cercato di mantenere fino a quel momento; una punta di rabbia e dolore gli colorò il tono, facendo improvvisamente apparire l'Alpha come un qualsiasi lupo in cerca di vendetta. Come negarglielo in fin dei conti? La sorella era la sua arma, la creatura che aveva forgiato per prendere il suo posto, per far sputare sangue a quegli insulsi Purosangue.
«Prometto che starò attenta Arwen... nessuno ci farà più del male, te lo prometto» la lupa fece cadere indietro la testa, in modo da poggiarla tra le mani di lui, pronte ad accoglierla come un nido di falangi e pelle. Gli sorrise appena, per confortarlo. Dopo tutto ciò che avevano passato per colpa di lupi come i Menalcan, non si sarebbero più fatti sopraffare, avrebbero mostrato a qualsiasi nobile che anche dei reietti come loro, potevano essere pericolosi.

Marion attese alla tavola calda per un paio d'ore, girandosi tra le mani la tazza di thè caldo e guardando fuori dalla finestra con fare annoiato. Aveva abbandonato presto l'idea di leggere il quotidiano locale: troppe inutili e banali notizie per potersi davvero interessare a quello che dei fallimentari giornalisti avevano da scrivere. 
Il fatto che il suo piccolo Luke fosse perito in battaglia la faceva sentire estremamente sola, nemmeno impicciarsi degli affari dei paesani, che di solito nelle loro tristi e monotone vite le portavano un po' gioia, sembrava darle pace. Si sarebbero potute dire molte cose su di lei: dal fatto che fosse esageratamente bella per restare rinchiusa in quelle quattro mura di lamiera, alla sua finta superficialità, finendo con le avventure che l'avevano condotta fin lì. Insomma, di Marion si sarebbe potuto raccontare molto, ma l'unica cosa certa era che tendeva ad affezionarsi facilmente a chi le ricordava un po' la se stessa del passato, una ragazza francese la cui preoccupazione più grande era quella di trovare la scarpa giusta da abbinare al vestito scelto per la serata. Sfortunatamente, Luke era stato uno di questi soggetti, ed ora lei si ritrovava triste e sola in un bar disperso sulle montagne, lontano ore dalla città. La vita da licantropo era avvincente solo dopo il primo periodo. Come le aveva insegnato Garrel i primi tempi, la loro situazione si poteva riassumere in tre grandi fasi: il rifiuto di fronte al cambiamento, l'eccitazione nel realizzare quante e quali cose fossero in grado di fare da quel momento in poi, e la monotonia nel vivere sempre la stessa vita, lontana dagli affetti di sempre e dalla normalità più comune.

Sospirò sconsolata, riportando lo sguardo oltre il vetro sporco della finestra accanto al suo tavolino. Fu a quel punto che notò in lontananza la figura di Aralyn arrivare a passo svelto verso di lei. I jeans chiari e gli anfibi logori erano tra i suoi segni distintivi, mentre l'immenso cardigan del fratello stava a significare che sulle braccia, conservava ancora i segni della notte passata a casa Menalcan. Sorrise appena nell'osservarla venirle incontro. Ogni volta che la raggiungeva ad uno dei loro appuntamenti, Marion si ricordava di quanto le volesse bene e fosse grata al destino per non avergliela portata via. Erano pochi i lupi mannari che poteva definire indispensabili nella sua vita: mentre i nuovi nati erano un trastullo, altri erano la sua famiglia. 
Si lasciò cadere pesantemente sullo schienale imbottito, continuando a crogiolarsi in quella piccola gioia. Aralyn non ci impiegò molto a sedersi di fronte alla bionda, abbandonando il freddo mattino di Settembre per il tepore della tavola calda. Prima di dire qualsiasi cosa o rilassarsi, si guardò attorno con circospezione; la Tana era conosciuta da molti come una comunità per ragazzi orfani o problematici, una specie di grande famiglia per chi una non l'aveva più. I cittadini dei paesi lì vicino –anche se molti distavano almeno otto miglia- ormai si erano abituati a quegli strambi tizi, molti di loro oltretutto, mossi da una bontà innata, avevano ingenuamente offerto ai licantropi piccoli lavori all'interno di negozi, pub e persino laboratori artigianali. In qualche modo, i mannari erano riusciti a costruirsi una sorta di vita parallela a quella vera, dove si davano da fare come umani qualunque, frequentavano locali e fingevano di non aver mai subìto una mutazione. Nonostante questo però, Aralyn non poteva far altro che sentirsi osservata, soprattutto quando i suoi sensi la facevano scattare in modo strano, magari schivando una bici o facendo infuriare gli animali che la incrociavano per strada, e persino quando non faceva nulla di male, preferiva tenere gli occhi aperti.
«Non riesco a capacitarmene!» Marion attaccò subito con quel discorso, quasi fosse stato lasciato a metà e necessitasse una fine, aggiungendo al tutto un teatrale applauso che fece storcere le labbra all'amica.
«Credo tu non sia la sola! Mi chiedo ancora se ho davvero tutti gli arti attaccati al corpo» le sorrise, grattandosi la fronte.
La bionda le si fece vicina, con fare complice «Ma cosa diamine non sei in grado di fare, tu?» le domandò scherzosamente, rivangando tutte le volte che aveva superato le aspettative dell'intero clan. Erano donne e già per questo, nella gerarchia della loro specie, venivano viste diversamente, come animali deboli e capaci solo di fare da spalla agli uomini. «Vorrei averli io i geni di un Alpha!» bofonchiò poi la bionda, facendo una faccia sconsolata. Marion poteva vantare una mimica degna di un'attrice provetta e molte volte quella sua dote, scatenava il buonumore tra i confratelli; ma se da un lato poteva apparire innocente, dall'altra diventava una tra le sue migliori armi, soprattutto di seduzione.
Aralyn sospirò «Ti cederei volentieri il posto...» 
«Sì, posso immaginare... non deve essere facile per te.» la donna allungò le mani verso quelle dell'altra, stringendogliele amorevolmente ed abbozzando un sorriso consolatorio «Però siete fratelli e ti fa male pensare a lui come... come maschio. Mi capisci vero?» La sorella dell'Alphaa si scostò frettolosamente, sentendo un certo fastidio montarle in corpo. Ecco il solito discorso che tornava a farsi strada nelle loro conversazioni private, un argomento che credeva di aver già chiarito più volte.
Scosse la testa con fare stizzito «E cosa dovrei fare? Trovarmi un mocciosetto come fai tu e fingermi innamorata?» lanciò verso l'altra lo sguardo più duro che riuscì a trovare. Marion a quella domanda si irrigidì, restando a bocca aperta. Come poteva la sua migliore amica rinfacciarle una simile cosa a solo pochi giorni dalla morte di Luke? Che alle volte perdesse tutta la sua umanità lo sapeva bene, ma non si sarebbe mai aspettata che potesse farlo persino con lei, che semplicemente cercava di proteggerla. Inspirò profondamente prima di parlare, cercando di mantenere i toni bassi, in modo da non attirare l'attenzione di nessuno dei presenti «Questa... questa è stata davvero cattiva Aralyn. Però sai cosa? Io quantomeno non desidero diventare la donna di mio fratello, ho una decenza più sviluppata della tua!»
«Nel mondo animale ...»
«Nel mondo animale sarà anche una cosa normalissima avere un incesto, ma tu non sei né un lupo né un Purosangue, quindi rispetta le leggi del Concilio!» il tono di Marion si fece duro, tagliente, una lama passata a filo su una ferita ancora aperta. Seppur non si sentissero più umani, non erano nemmeno lupi fatti e finiti, ma ibridi che purtroppo dovevano stare alle regole di chi su quattro zampe ci era nato, come i nobili. La bionda non finì certo lì, rincarando la dose in modo che le sue parole potessero ferire l'amica quanto le sue avevano fatto con lei, ricominciò «Cosa farai quando Arwen alla prossima luna piena si accoppierà con una femmina che non sei tu? Ci hai pensato a questo? Quante volte sono che non l'ha fatto? Dieci? Venti? Tutti noi abbiamo un limite e lui è un maschio, il suo è vicino.» sentenziò alla fine, soffiando dal naso.
Aralyn si sentì tremare qualcosa dentro. Fu doloroso pensarci, pensare che purtroppo la donna di fronte a lei avesse ragione. Potevano anche condividere quel sentimento, ma tra loro e la realizzazione di quel piccolo desiderio c'erano le leggi dei licantropi, il ruolo di Arwen, il clan, il Concilio, una condanna all'esilio o peggio ancora. Alla ragazza iniziò a gonfiarsi il petto per le lacrime. Se non il capobranco, quale lupo sarebbe potuto essere destinato a lei? Tutti i licantropi subivano l'influsso dell'imprinting animale e, quando questo non succedeva, subentrava il lato umano con l'amore.
Si alzò in silenzio, senza aver ordinato nulla, ma prima di tornare sui propri passi si concesse un'ultima freccia «Io ho vendicato Luke per te, tu cosa stai facendo per me?» non bastò a ferire a morte Marion, che testarda quanto l'amica sorrise «Evito che ti esilino.»


(testo aggiornato il 21/09/2017)


 

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Capitolo 4
*** Verso il Clan del Nord ***


 


3. Verso il Clan del Nord

La radio saltò più e più volte, impedendo al lupo di sentire le ultime notizie di cronaca e la cosa alla lunga, incominciò ad infastidirlo. Nel suo viaggio verso una meta sconosciuta nel centro Europa, si era portato come compagni solo un laptop, un borsone con qualche cambio, i fascicoli con gli ultimi avvistamenti del branco di Arwen e qualche cd, che però si era stancato presto di ascoltare, anche se in quel momento, vedendoli appoggiati sul sedile accanto al suo, divennero quasi allettanti. 
Aveva lasciato Kyle poco prima di abbandonare l'Inghilterra, ricordandogli inutilmente cosa dovesse fare in sua assenza. Nonostante fossero sempre insieme e collaborassero da parecchi anni, ancora si illudeva che avesse bisogno dei suoi consigli per tenere a bada un mucchio scalmanato di licantropi che cambiava fazione con il calar del sole. 
Era scontato dire che il suo braccio destro fosse l'unico uomo, all'interno di tutto il clan Menalcan, di cui si fidasse e a cui avrebbe affidato la propria vita in qualsiasi momento, per questo si era rivolto a lui per ogni sorta di necessità: dall'addomesticare i propri beta al presenziare alle riunioni con Douglas durante la sua assenza.

All'ennesimo gracchiare delle casse, Joseph decise che era giunto il momento, con tutta la calma che aveva in corpo, di mettere uno dei cd che si era ripromesso di non ascoltare più durante il lungo viaggio che lo attendeva.
Sapeva benissimo da sé che sperare in una ripresa del segnale radio, disperso in una zona a metà tra la Francia e la Germania, era quasi come sperare di trovare i suoi nemici dietro l'angolo, cioè un inutile spreco di speranze, quindi non si fece pregare oltre. Espirò rumorosamente, portandosi una mano alla fronte. Quegli Impuri altro non erano che un ammasso di persone provenienti da ogni angolo d'Europa, messi insieme per ordine del Duca stesso forse, ed amavano trovare rifugio tra le montagne, un po' per comodità durante le notti di luna piena, un po' per illudersi di essere veri lupi, come i nobili, ennesima cosa che si rese conto di odiare. Se Joseph avesse dovuto fare un paragone, li avrebbe descritti come pastori cecoslovacchi: lupi solo nell'aspetto. In fin dei conti la loro prima forma era quella umana, non come nel suo caso quella di lupo, quindi definirli come "cani" gli parve più appropriato. Non che fosse un ragionamento sbagliato, certo, solo che sembrava ridurre l'importanza di essere un licantropo. Seppur gli era stato insegnato che la differenza tra Purosangue ed Impuri era enorme, non era riuscito ad evitarsi di pensare che comunque, sempre di lupi mannari si parlava: agli occhi di un umano ignorante, sarebbero parsi come la stessa identica cosa.
Senza distogliere lo sguardo dal parabrezza, allungò una mano accanto a sè, afferrando casualmente alcune tra le custodie appoggiate sul sedile e abbandonando così la propria promessa di non cedere all'ennesimo giro di un album ascoltato fino alla nausea. Fece scorrere velocemente gli occhi sui titoli, portandosi il cofanetto ad altezza viso ogni volta, ma alla fine mise nel lettore un lp masterizzato di un gruppo americano che aveva scoperto per puro caso girovagando per le strade di Edimburgo. Amava il loro sound, il modo in cui la chitarra, mischiata con la batteria, gli infondeva in corpo una carica elettrica quasi percettibile all'esterno. 
Quando la musica iniziò ad invadere l'abitacolo, si sentì improvvisamente meno teso. Nonostante Joseph amasse essere un licantropo –e possedere doti diverse da qualsiasi umano- avrebbe voluto scrollarsi di dosso il peso e la tensione che una vita come la sua comportavano. Essere tra gli eredi di uno tra i casati più ricchi e potenti dei lupi mannari, era tutt'altro che un vanto; i doveri si mangiavano tutto il tempo che avrebbe preferito spendere in altri modi, come godersi un concerto live o una normale bevuta in un pub, circondato da amici e non da sottoposti, licantropi che per lo più gli stavano attaccati per poter ottenere un posto di rilievo nella gerarchia del clan che si sarebbe andata a creare se fosse diventato lui il nuovo Alpha. Tutto ciò però gli era stato portato via subito. Douglas non si era mai risparmiato prediche o sguardi delusi ogni qualvolta lui avesse provato a sfuggire dalle regole del branco, ricordandogli costantemente cosa volesse dire, nel loro mondo, portare un cognome come quello dei Menalcan. Dopo un'adolescenza trascorsa in una sorta di fase ribelle -a tratti molto meno fuori dalle regole di quella umana e a tratti molto di più- aveva finito con l'abbassare il capo di fronte al destino che suo padre già da tempo sembrava avergli riservato.
Sospirò pesantemente, nel tentativo di buttar fuori dalla mente tutti quei pensieri che ancora gli stavano scomodi. Non voleva annullarsi per il branco, ma che altre alternative aveva? A cosa poteva anelare una volta fuori dalle vesti di secondogenito di un mannaro nobile? Lavorava per l'attività di famiglia, viveva tra Villa Menalcan ed il proprio appartamento in centro città, vicino all'ufficio. I suoi "amici" erano parte del branco, il suo futuro era lì, probabilmente avrebbe preso come compagna una donna che portava il suo stesso cognome e la sua vita sarebbe per sempre stata dedicata alla gente che come lui condivideva il sangue del capostipite di quel casato: il suo clan era tutto ciò che aveva di concreto -una triste realtà da cui non sarebbe mai riuscito a scappare. 
Si fermò a far benzina in un distributore isolato, con solo due macchine nel parcheggio ed un insegna rovinata dal tempo. Mentre il serbatoio si riforniva di carburante, Joseph iniziò a guardarsi intorno, studiando nel suo insieme quell'angolo sperduto di Germania non troppo distante da Berna. Dai resoconti che era riuscito a leggere prima della partenza sapeva che i suoi nemici erano stati avvistati per l'ultima volta a camminare per le strade di quella città. Le opzioni a quel punto erano solo due: si trovavano nelle zone limitrofe o in Svizzera. Difficilmente si sarebbero spinti fin lì se la loro base si fosse trovata in Italia o Austria. La Francia era stata esclusa presto, infatti si trattava del territorio occupato dalla Purosangue Ophelia ed i branchi a lei fedeli. Per quanto quella donna ed il Duca fossero amici, non si sarebbe mai messa contro Douglas ospitando coloro che gli avevano apertamente dichiarato guerra. Il ragazzo sbuffò; star dietro a tutti gli intrecci ed intrighi dei licantropi era quasi come risolvere un sudoku a difficoltà "esperto", peccato solo che lui odiasse i rebus e qualsivoglia gioco da casalinga disperata. 
Improvvisamente un rumore di passi lo riscosse, facendolo tornare con la mente sul presente. Dall'altra parte dello spiazzo, quello che doveva essere il benzinaio, si stava avvicinando a lui con fare trafelato, come se si fosse reso conto troppo tardi dell'arrivo di quell'unico cliente. Il suo tempismo non si poteva certo definire dei migliori però, infatti quando infine raggiunse il licantropo, ormai il pieno era fatto.
Joseph abbozzò un sorriso «Salve» salutò in un tedesco abbastanza elementare. Tra le varie cose che un'istruzione privata gli aveva lasciato, c'era la conoscenza di tre lingue oltre la propria, materie che però il giovane lupacchiotto non si era mai preoccupato di approfondire. L'uomo ricambiò il saluto, chiedendogli subito dopo i soldi del rifornimento ed apparendo così più scortese di quanto non fosse già sembrato nel presentarsi lì, senza aspettarlo alla cassa. Strano credere che il giovane Menalcan potesse essere un furfante: l'abbigliamento poteva anche non essere dei più eleganti, così come i tatuaggi potevano far credere che si trattasse di un poco di buono, ma nessun malvivente si sarebbe mai presentato da un benzinaio disperso nel nulla alla guida di un ultimo modello di berlina.
«Posso chiederle una cosa?» domandò Joseph prima che l'uomo potesse andarsene con i suoi soldi ben nascosti nella tasca della tuta sporca di grasso d'auto e... ketchup? Questi si fermò titubante, come se avesse paura che l'estraneo potesse fargli qualcosa di male. Si schiarì la gola, continuando a stringere il malloppo appena recuperato «Prego...»
«Ho saputo che in queste zone si aggirano delle grosse bestie, dei lupi. Sa, sono un fotografo e mi chiedevo se fosse davvero così. Vorrei fotografarli per una rivista naturalistica.» sfoderò il sorriso migliore, cercando di dar più corpo alla propria bugia. Gli umani si facevano spesso domande, seppur sciocchi erano alle volte esseri curiosi, quindi uccidere sul nascere i loro sospetti era alla base di una buona convivenza. Il benzinaio aggrottò la fronte, dubbioso «E sei dovuto venire fino in a qui per dei lupi? Non li avete in Scozia?» seppur potesse apparire come un montanaro tanto brutto quanto stupido, non si era lasciato sfuggire il dettaglio della targa straniera.
Il sorriso di Joseph si fece finto, in modo fin troppo visibile. Cosa diamine interessava a quell'uomo, di cosa o dove andasse lui? L'ennesima testimonianza di quanto gli umani fossero talvolta troppo impiccioni e di come dover convivere in segreto con loro fosse difficile «Vado dove mi pagano.» Di risposta vi fu solo un grugnito, seguito da una smorfia tutt'altro che invitante. Se non voleva rispondergli, poteva benissimo non farlo, non lo stava certo costringendo con gli artigli puntati sulla gola! Eppure, nonostante i modi poco amichevoli, il benzinaio assecondò la curiosità del licantropo «Dicono che ce ne siano alcuni vicino alla Svizzera. Sai, lì è una zona vagamente più boschiva, l'habitat perfetto per cani come quelli.»
Cani.
Uno stupido uomo si era permesso di confondere delle bestie come loro, con dei semplici quadrupedi d'appartamento; come si permetteva? Un conto era se un nobile licantropo come lui li chiamava a quel modo, un conto era se lo faceva un umano ignorante! Strinse i denti, cercando di mantenere la calma. Sarebbe giunta prima o poi la luna piena, ed augurò a quel vecchio di ritrovarsi davanti ad uno di quei "cani", in modo che potesse finalmente capirne la differenza. 

Finse nuovamente cortesia per congedarsi, poi finalmente poté tornare nella sua auto, lontano dai commenti snervanti del tizio. Sì, forse non era stato gentile, nemmeno educato, ma quantomeno era riuscito a dargli un'indicazione vaga su dove iniziare le proprie ricerche. Ora tutto quello che doveva fare, era trovare una cittadina abbastanza grande in cui fermarsi, in modo da non destare grandi sospetti e non rischiare di venir scoperto dai confratelli di Arwen prima del dovuto.

Joseph non ci mise molto a trovare una cittadina abbastanza popolata da poterlo ospitare durante la prima fase delle sue ricerche sul campo e lì, valutando pro e contro, scelse di fermarsi in un hotel non troppo appariscente in una via abbandonata a se stessa nel cuore del centro abitato. L'albergo non era altro che un palazzo fatiscente, dalle imposte rosse e dall'insegna triste, non sembrava avere nulla a che fare con i luoghi che era solito frequentare e questo, gli parve un motivo perfetto per sceglierlo. Per dar più corpo alla sua nuova e finta identità quel luogo era perfetto, perché non sarebbe mai stato il tipico alloggio da rampollo Menalcan. La sua nuova vita fittizia, creata a pennello per il piano che aveva deciso di adottare, si sarebbe amalgamata ad hoc in un ambiente come quello; nessuno avrebbe potuto sospettare qualcosa.
Buttò malamente le valige sulla moquette sbiadita, talmente rovinata da far capire che quella non era altro che una topaia ben collocata all'interno della città. L'odore di chiuso era stata la prima cosa ad accoglierlo, tutto il resto era venuto di conseguenza, lanciando frettolose occhiate qua e là. Il ragazzo si tolse di dosso il giubbotto, rendendosi conto di non sapere se fidarsi o meno ad appoggiare i propri vestiti su qualsivoglia complemento d'arredo presente. Titubò alcuni istanti, ma alla fine si decise a lasciar perdere, troppo stanco per potersi permettere di star lì a polemizzare con se stesso od un membro qualunque dello staff. Aveva guidato per quattro ore di fila prima di arrivare lì e tutto ciò che ora desiderava, erano una doccia ed una bella dormita, poi certamente si sarebbe buttato a capofitto nelle ricerche; a sera era più facile trovare per strada creature della notte come loro, esseri non del tutto capaci di sentirsi a proprio agio nel girare di giorno. Si sfilò di dosso i vestiti, più svelto che mai, quasi volesse togliersi dalle spalle il peso di una tensione che non se ne andava mai del tutto. Senza badare ad altro, si fiondò in bagno, dove l'acqua che lo investì gli raggelò il corpo. Ennesimo punto a sfavore di quel postaccio: caldaia rotta. Il destino sembrava in parte remargli contro. Sì, forse l'hotel scelto si sarebbe perfettamente adattato a Josh McRae, il suo nuovo io, peccato solo che non avesse alcun legame con ciò a cui Joseph Menalcan era legato. Provò a distrarsi dal getto freddo con pensieri più o meno scomodi, qualsiasi cosa pur di smetterla di tremare e chiedersi se si sarebbe preso un malanno di qualche tipo. Cercò di disegnare nella mente uno schema semplice che potesse mettere in evidenza i punti più importanti del suo piano per trovare Arwen: domandare nei vari locali se vi fossero stati avvistamenti di lupi era forse tra le prime cose, poi avrebbe cercato di camminare il più possibile per le strade del posto, in modo da incrociare un qualche sentore che potesse essere simile a quello dei suoi "simili". Così facendo, i dieci minuti che impiegò a togliersi di dosso l'agitazione e lo stress accumulati lungo il viaggio, parvero accorciarsi drasticamente. Aveva adottato quella tecnica anni prima, durante le lunghissime e noiose lezioni liceali e poi universitarie, tempo che a parer suo, non scorreva mai abbastanza velocemente. 
Tornò presto in camera, con il pensiero fisso di buttarsi nel letto e dormire almeno qualche ora in modo serio, ma furono molteplici le cose che impedirono al suo meraviglioso incontro con Morfeo di avvenire: in primo luogo un'occhiata con lo specchio a parete, piccola striscia di materiale riflettente che gli mostrò in tutta la sua bellezza il corpo che si ritrovava. Oltre alle braccia, che dal polso fino alle spalle mostravano i disegni di lupi che si rincorrevano tra alberi e lune modellati secondo gli acquaforte medioevali, c'erano alcune cicatrici che pallide risaltavano sulla pelle, ricordi di morti scampate e battaglie degne di essere raccontate. In secondo luogo, vi fu il pensiero che le lenzuola non fossero il miglior posto dove appoggiarsi dopo una doccia che avrebbe dovuto pulirlo e, per finire, in terzo luogo si mise in mezzo anche la suoneria del cellulare, unico aggeggio con cui sarebbe riuscito a restare in contatto con alcuni dei suoi uomini, sempre se ne avesse avuto modo. Allungò la mano verso i jeans riversi a terra in un ammasso stropicciato ed indefinibile «Pronto?» chiese, con la voce impastata di chi non parla da ore. Dall'altra parte della cornetta un tono familiare lo accolse, facendolo scattare in automatico sulla difensiva. C'erano all'interno del clan Menalcan, decine e decine di lupi, ma quelli che poteva dire di odiare veramente dal profondo del proprio cuore, si contavano sulle dita di una mano, e tra di loro, c'era proprio il tizio dall'altra parte della linea: Gabriel, suo fratello maggiore. Se Joseph avesse potuto descrivere liberamente il primogenito di Douglas, non avrebbe usato parole dolci, ma bensì aggettivi mischiati ad insulti e sputati liberamente su un tavolo già di per sé traballante; insomma, non sarebbe andata bene.
«Ehi moccioso, come sta andando il tuo glorioso quanto fallimentare piano?» esempio di quanto tra di loro i rapporti andassero male, poteva essere certamente il modo in cui l'uomo iniziò la conversazione. In apparenza Gabriel Eric Menalcan poteva sembrare un uomo elegante e curato, dai lineamenti quasi perfetti e di una bellezza invidiabile, come quella di quasi tutti i membri della famiglia, peccato che caratterialmente parlando, cadesse molto in basso. Era il classico maschio arrogante, sicuro di sé e delle proprie capacità a tal punto, da ritenere tutti gli altri degli inetti. L'essere il primo figlio dell'Alfa poi, aveva fatto sì che crescendo, il lupo si fosse convinto di essere anche il vero e solo erede della casata, quando purtroppo, nel mondo dei licantropi le cose funzionassero assai diversamente.
Il ragazzo cercò di trattenersi dal buttargli giù la cornetta ancor prima di capire cosa il fratello dovesse dirgli «Perché hai chiamato Gabriel? Questo è un numero riservato.» 
« A cosa esattamente?» non si risparmiò nemmeno un commento tagliente, facendo sentire Joseph come il solito incapace che in realtà non era «Ad ogni modo...volevo farti sapere che se ti fottono, perché sono quasi del tutto certo che ti fotteranno forte e a lungo, io non verrò in tuo soccorso. Voglio vederti tornare a casa in lacrime come una bambina, così finalmente capirai qual è il posto che ti spetta, in ginocchio ai miei piedi.» forse quelle dimostrazioni d'odio gratuite erano il modo che aveva il maggiore tra i figli di Douglas per innalzarsi sopra a quello che sembrava essere il suo vero rivale per il posto di comandante dei Purosangue scozzesi. 
Joseph strinse a pugno la mano libera, facendo sì che le nocche sbiancassero in modo innaturale «Sarebbe dura per te, venir eclissato dal fatto che tuo fratello minore è riuscito ad ammazzare Arwen. Quante volte ci hai già provato, fallendo? Se non sbaglio, l'ultima non ti ha ucciso solo grazie al mio intervento...» nonostante la punta di rabbia nel tono, il ragazzo riuscì ad essere sarcastico e tagliente allo stesso tempo, mettendo spalle al muro l'altro. Era impossibile che Gabriel non ci avesse già pensato, ma fu soddisfacente farglielo nuovamente notare. Un uomo come lui non si sarebbe mai sfatto sfuggire un dettaglio del genere, il fatto che un altro lupo potesse staccare la testa del suo più grande nemico e riportare fasto alla famiglia. L'altro grugnì in risposta, come se gli avessero buttato del sale su una ferita fresca «Stai attento a ciò che dici, moccioso. Nessuno mi impedisce di metterti i bastoni tra le ruote e farti ammazzare.» sibilò più inferocito di quanto non fosse prima. L'ascia di guerra tra di loro non si sarebbe mai sotterrata, ma avrebbero continuato a brandirla con fierezza, mostrandola ogni qualvolta si fossero dovuti confrontare. Senza ulteriori convenevoli la chiamata terminò, lasciando entrambi a ribollire in un pentolone di rabbia.
Entrambi avevano un nemico comune, Arwen, ma al contempo anche quest'ultimo e Joseph ne avevano uno: il primogenito Menalcan. Un circolo vizioso da cui il fratello avrebbe dovuto trovare una via di fuga. Se non fosse morto per mano dell'Impuro, si sarebbe dovuto aspettare un complotto da parte del lupo con cui condivideva oltre al cognome, anche il sangue; quella era la triste realtà di una gerarchia ferma agli schemi di intrighi e tradimenti medioevali.
Il sonno a quel punto, fu l'ultimo dei suoi pensieri.

Nei giorni a seguire Joseph si concesse il lusso di vagare per quella città piena zeppa di teste bionde e parlate stridenti. Aveva seguito i consigli della receptionist dell'hotel in cui alloggiava, bevuto caffè in barettini suggestivi e cenato in locali altrettanto particolari, tutti luoghi che il sé che aveva lasciato alla Villa non avrebbe mai frequentato. Solo dopo quasi una settimana passata a seguire quella routine, si trovò di fronte ad un altro esemplare della sua specie. Non era stato facile approcciarlo, soprattutto perché i Solitari tendevano spesso ad evitare tutti coloro che avessero odore di lupo; eppure Joseph ci riuscì. Si finse a sua volta un licantropo privo di branco, ma desideroso di appartenere ad un gruppo, di far squadra ed avere un posto da chiamare casa. L'altro a quelle parole rise «Sei uno dei pochi che vorrebbe ritornare in un postaccio del genere. I branchi sono delle gabbie ed i loro membri animali da macello. Cosa pensi di trovare lì, che una vita come questa non possa darti?» lo sguardo del ragazzo si fece interessante. Conosceva i Solitari di nome, per fama, storie passate di bocca in bocca, ma mai aveva avuto modo di parlare realmente con uno di loro: la possibilità di essere solo era una prerogativa sola degli Impuri o di quei lupi che non avevano alcun legame con il clan, non certo roba da figli dell'Alpha o Purosangue di buona famiglia. Nonostante il visibile interesse però, dovette trattenersi dal fare domande e continuare con la farsa «Mi manca il calore di una casa, amici con cui essere me stesso al cento per cento e... la possibilità di trovare una femmina con cui stare.» Tutte cose che dopo aver detto, si rese conto mancargli per davvero. L'altro storse le labbra sottili. Era un licantropo sopra alla cinquantina, con gli occhi incavati nel viso e rughe che andavano a nascondersi sotto alla barba «Posso capirti ragazzo, ma il branco ti dà e ti toglie tutto. E' un luogo in cui credi di stare bene, ma dopo anni ti rendi conto che ti ha reso anche l'uomo più infelice.» Il vecchio fece una pausa, interrompendo il contatto visivo e lasciandosi andare sulla sedia di ferro. Con lo sguardo perso nel bicchiere di fronte a sé, ormai svuotato dall'acqua che aveva ordinato ancor prima di venir approcciato da Joseph, si concesse qualche secondo di pausa «Avevo un figlio anni fa. Era grande e grosso, molto più di me...aveva preso tutto da sua madre. Sta di fatto che era un uomo ormai, che combatteva fianco a fianco con me per difendere il nostro territorio. I Purosangue di Ophelia me lo hanno portato via. Non avevo più nulla. Né una moglie né un figlio e tutto, per il branco e quei suoi dannati territori. Ci si muore, in un mondo così, mentre io volevo ancora vivere e trovare pace.» Il Solitario alzò di colpo lo sguardo, incrociandolo con quello del ragazzo che gli stava di fronte, ora spento al cospetto della crudeltà con cui la sua specie doveva perennemente avere a che fare.
Sì, il branco si prendeva tutto, si mangiava gli anni e le persone migliori. Distruggeva ancor prima di costruire ed una volta al suo interno, uscirne diventava un'impresa titanica. Quando si entrava a farne parte, si giurava fedeltà ad un Alpha, si prometteva di dedicare ogni cosa alla causa, privandosi anche della libertà; ecco perché Joseph aveva da sempre provato ad estraniarsi dalla propria famiglia, senza però riuscirci mai.
Lo sconosciuto si alzò, lasciando sul tavolo una banconota sgualcita «Ascolta me ragazzo, prima di lasciare la libertà per un clan, chiediti cosa ha davvero valore per te e per cosa sei disposto a lottare. Comunque, c'è un branco a qualche chilometro a sud da qui, tra l'Austria e la Svizzera. Il loro Alpha è un tipo sveglio, saprà capire lui cosa farne di te.»
«Come faccio a guadagnarmi un incontro con lui?» la foga lo assalì, forse tradendolo agli occhi dell'uomo, che però non si scompose, aspettando qualche secondo prima di rispondere. Rifletté su cosa fosse giusto fare, se indirizzare del tutto un giovane licantropo sulla strada che a parer suo era sbagliata o lasciarlo vagare nel limbo di una decisione che avrebbe per sempre sconvolto la sua vita. Eppure la fiamma negli occhi cristallini di Joseph gli parlò di una scelta già fatta, di un dovere che il giovane sentiva di dover adempiere «Vai al Nacht Teufel, è un locale. Ci sono i suoi lupi lì. Se hai fortuna potresti parlare con qualcuno di loro.»


(testo aggiornato il 21/09/2017)


 

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Capitolo 5
*** O con te o con nessun altro ***




4. O con te o con nessun altro

Aralyn piegò la testa da un lato, guardando fuori dalla finestra con aria sconsolata. Era passata una settimana dal giorno dell'attacco ai Menalcan, ma ancora non le era stato permesso di uscire al di fuori delle terre del clan. "Precauzioni" aveva detto suo fratello senza distogliere lo sguardo dalle pagine ingiallite di una vecchia edizione de "Les Fleurs du Mal" e lei aveva tradotto il tutto in "noia e segregazione". Non poteva far nulla se non guardare film, giocare a poker con i gemelli e procrastinare tra camera propria ed il piano inferiore dell'edificio, più precisamente nella mensa comune e nei bagni; luoghi che comunque si era ritrovata a considerare fastidiosi a causa delle occhiatacce storte che Marion ancora non aveva smesso di mandarle e delle continue domande su cosa fosse accaduto la sera in cui aveva rubato in casa dei nobili. Aralyn sbuffò ripensando alla bionda e a quali peripezie le sarebbe toccato fare per far pace con lei. Di cosa diamine doveva lamentarsi la sua migliore amica, quando a sua volta le aveva ricordato che lei non avrebbe nemmeno mai potuto avercelo un compagno? Perchè tra le due, l'unica offesa doveva sentirsi lei? Storse le labbra, cercando di non lasciarsi sfuggire qualche pensiero maligno. Odiava non essere nata purosangue, così come odiava dover vivere sotto leggi che erano stati i "vinti" ad imporre. 
Mentre se ne stava lì ad osservare il panorama che andava a crearsi fuori dalla propria stanza, iniziò a percepire un suono ritmico e lieve, qualcosa che era impossibile confondere: passi. Seppur lontani ne ascoltò la cadenza, fin quando non le fu chiaro che fosse Arwen, quello diretto verso di lei. Nonostante la regolarità con cui toccavano il pavimento, alcune volte il suono giungeva più pesante, facendo così intuire che l'andamento non era certo quello di una persona qualunque, ma doveva essere quello di qualcuno che aveva subito un brutto danno ad una delle gambe, e chi c'era oltre all'Alpha di claudicante, nel clan? Nessuno.
La ragazza attese in silenzio che il fratello bussasse alla sua porta. In qualche modo, Aralyn temeva che se si fosse precipitata alla porta un pezzo prima dell'arrivo dell'uomo, questi si sarebbe accorto di come fosse facile sentirlo arrivare, riconoscerlo, e quindi si sarebbe poi demoralizzato maggiormente. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma la ferita che il suo animo aveva riportato dopo lo scontro con Gabriel ed il mocciosetto dei Menalcan, al tempo ancora troppo giovane per essere definito una minaccia, era ancora aperta e dolorante, come una scheggia infilata sotto pelle e mai tolta e, che a lungo andare, si era concessa il lusso di infettare tutta la pelle. 
Il capoclan bussò piano, preoccupato magari di interromperla durante il sonno o qualcosa di importante. Lei non si scompose, rimase ferma dov'era voltandosi appena in direzione della porta, dove poté vedere la maniglia piegarsi verso il basso ed il viso dell'uomo spuntare tra lo stipite e l'anta subito dopo un suo "avanti". Si sorrisero dolcemente in segno di saluto, entrambi annoiati dalla monotonia di quella settimana passata in casa: lei per necessità, lui per obbligo. 
Arwen scivolò nella stanza con prudenza, andandosi a sedere senza troppi complimenti sull'enorme materasso coperto da una trapunta a fiori. Il letto cigolò sotto al suo peso, chiamandolo, invitandolo quasi a stendersi per riposare qualche ora. Forse non tutti si erano accorti di quanto poco l'Alpha si fosse riposato prima e dopo l'attacco ai Menalcan e a come la mancanza di sonno gli avesse messo in evidenza le borse sotto agli occhi. L'agitazione e l'ansia che qualcosa potesse andare storto, o che i nobili arrivassero in massa ad attaccarli, giocava brutti scherzi sul suo inconscio, trasformando tutti i sogni in incubi terribili. Nonostante il fatto che la sorella fosse tornata intera da quella brutta nottata, non era ancora riuscito a calmarsi del tutto; c'era sempre un'incognita che non lo lasciava tranquillo. 
Aralyn si staccò dalla finestra con fare fiacco, andandosi poi ad appoggiare alla parete di fronte al capoclan. Strinse le braccia al petto, in attesa che lui iniziasse un qualsivoglia discorso: tra i due, era lui quello bravo con le parole, lei si limitava ad ascoltare ed eseguire, ponendosi gran pochi problemi. Riponevano l'uno nell'altro una fiducia cieca, sapendo che dove la strategia di Arwen falliva, arrivava la rabbia della lupa.
«Oggi ho riflettuto» affermò di punto in bianco, quasi in risposta ad una domanda che lei non aveva posto. Aralyn chinò la testa da un lato, corrugando la fronte un po' per la curiosità ed un po' per la preoccupazione. Quando suo fratello iniziava a pensare, non era mai un buon segno «Su cosa esattamente?» gli chiese, sentendo una strana stretta intorno allo stomaco. Poteva aver fatto ragionamenti di ogni tipo e su ogni argomento, ma la serietà con cui fissava un punto immaginario vicino alle proprie scarpe non la lasciava affatto tranquilla. 
«Mia sorella» con l'indice ed il pollice si toccò gli angoli della bocca, facendo scivolare poi i polpastrelli sul labbro inferiore, massaggiandolo. Aralyn quasi si ingozzò con la propria saliva di fronte a quell'affermazione. Cosa aveva potuto scatenare in lui ragionamenti che la riguardassero? Sì, era sopravvissuta ad una missione suicida, era diventata l'idolo di molti licantropi all'interno del clan, ma oltre a quello? Non riuscì a trovare un perché a tutto ciò, così semplicemente si limitò a chiedere, eliminando ogni dubbio. Non le piaceva arrovellarsi intorno ad ipotesi che potevano variare in maniera quasi drastica e se c'era modo di arrivare dritti al punto, lei era la prima a farlo. Conosceva i suoi limiti, ma soprattutto sapeva quanto vasti fossero gli intrecci che si andavano quotidianamente a creare nella mente dell'uomo.
«Vedi... hai più di vent'anni, sei intraprendente, forte, hai l'appoggio di tutto il nostro clan, però resti comunque una femmina e sarebbe il caso se...» Arwen quasi faticò a concludere la frase, così nella sua esitazione, Aralyn riuscì a trovare uno spiraglio per intromettersi. Improvvisamente aveva capito dove suo fratello volesse andare a parare, e per questo si sentì in dovere di intervenire per difendere la propria posizione «Oh no! Non mi farai anche tu la paternale sul fatto che dovrei trovarmi un compagno che non sia l'Alpha!» sbottò senza vergognarsi delle proprie parole. La triste verità era che per lei solo un maschio dalle doti di leader poteva andar bene e, l'unico a poter essere considerato un valido pretendente era proprio lui, il licantropo più sbagliato che la ragazza potesse scegliere all'interno del clan. Tutti gli altri Alpha di sua conoscenza, o erano già bellamente accoppiati o vantavano quasi il doppio dei suoi anni, i restanti non avrebbero saputo nè tenerle testa, nè allietare i suoi occhi con un aspetto degno del lupo più ambito del clan. Suo fratello sospirò rumorosamente «Però è qualcosa a cui devi pensare, Ara» cercò di essere il più calmo e diplomatico possibile, ma fu difficile anche per lui affrontare quell'argomento. Entrambi avrebbero voluto scegliersi, nonostante il loro non fosse un amore giusto o trascendentale come un imprinting, però gli era impossibile.
La ragazza digrignò i denti, infastidita sempre più da quel commento. 
«Potrei anche non pensarci. Potrei restare sola fino alla fine dei miei giorni!» sbottò, allargando le braccia intorno al corpo in segno di nervosismo. Arwen al contrario non si mosse di un centimetro, abbassando semplicemente lo sguardo per non incrociare quello di lei «Non posso condannarti a questo, credo sia ovvio.»
«Perché? Perchè non credi di poter essere abbastanza accettabile con la gamba in quello stato? oOperché tu a differenza mia non ti faresti problemi a stare con altre femmine?» gli domandò, facendo qualche passo titubante nella sua direzione. Aralyn poteva sentire le proprie interiora tremare, in parte per la rabbia ed in parte per il fatto che suo fratello potesse ammettere di essere assai più volubile di lei, di fronte ai piaceri della carne. 
«Io sono un maschio ed il capobranco, a meno che non trovi una lupa a cui giurare amore devo adempiere ai miei compiti.»
«Ingravidare le donne del branco rientra nei tuoi compiti? Okay, allora mettiamola così: come ti sentiresti se ci fosse un lupo, in tutto il nostro branco, che se ne va in giro a vantare di quello che fa con me? Come ti sentiresti se dovessi incrociarmi nei corridoi della Tana con le mani di un altro addosso?» questa volta la voce della ragazza parve più tagliente e crudele. Ciò che aveva detto era stato pensato per ferire il fratello, non per una semplice discussione in cui i pareri di entrambi venivano messi a confronto. Era gelosa e furiosa allo stesso tempo, incapace di frenare lingua o pensieri.
Arwen scosse la testa «E' ovvio che mi darebbe fastidio, come già è successo in passato. Ora comunque sto pensando a te, a cosa sarebbe meglio fare. E se davvero il pensiero di te con uno dei lupi qui intorno dovesse darmi fastidio, potrei comunque sfruttare tutto ciò per creare dei nuovi legami con qualche altro clan, magari mandandoti via» alzò lo sguardo per incrociare quello della ragazza, rimasta allibita a pochi centimetri dal punto in cui lui se ne stava placidamente seduto. Aralyn sbatté alcune volte le palpebre, balbettò incerta. Suo fratello aveva davvero appena detto una cosa del genere? Che pur di non star male l'avrebbe usata come merce di scambio?
Senza temere di essere sentita da orecchie indiscrete si mise a dar di matto, sconvolta di fronte alla semplicità con cui il capobranco si sarebbe liberato di lei.
«Io non sono un tuo cazzo di giocattolo! Non puoi trattarmi così e poi darmi al primo che passa! Ho una mente pensante, un ruolo in questo clan! Non andrò da nessuna parte Arwen, hai capito? Non ti libererai di me come se nulla fosse. Se mi vuoi lontana da questo branco, dovrai uccidermi o rinnegarmi, chiaro?!» e seppur la stanza fosse sua, Aralyn ne uscì a passo svelto, sbattendo la porta con violenza ed impedendo al fratello di poterle correre dietro. L'essere claudicante gli avrebbe reso difficoltoso un qualsiasi inseguimento e se mai avesse dovuto provare a raggiungerla, si sarebbe ritrovato a terra per una mancanza involontaria di equilibrio. Come poteva pensare a simili strategie? Come poteva rinnegare i suoi sentimenti a tal punto?
Aralyn scese svelta per le scale, scansando alcuni confratelli e andando a sbattere contro altri. Scivolò lungo i corridoi dell'edificio, avvolta in un silenzio teso a tal punto da diventare fragile. Sarebbe bastato che uno qualsiasi degli altri licantropi dicesse la parola sbagliata per farla esplodere.
Furibonda, non avrebbe usato nessun altro termine per descriversi.
Eccola lì, la ragazza tramutata in arma e poi in semplice oggetto da scambiare per far sì che qualche altro inutile Impuro riconoscesse suo fratello come leader. Ma per chi l'aveva presa?
Uscì dalla Tana quasi con l'intento di fare un dispetto ad Arwen, e poco dopo aver toccato il cortile sterrato di fronte all'edificio, si piegò per mutar forma e correre via, lontana da una realtà scomoda e da quei commenti orribili, frutto delle paure iniettate nelle menti di lupi mannari che non avevano altra scelta se non quella di sottostare al volere dei nobili. 


(testo aggiornato il 21/09/2017)


 

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Capitolo 6
*** Primi Incontri ***




5. Primi Incontri

Joseph non ci impiegò molto, dal momento in cui aveva ricevuto l'indizio del Nacht Teufel, a trovare i lupi di Arwen e, ancora meno ci aveva impiegato per catturare le attenzioni di una lupa che, a prima vista, non poteva essere altro che qualcuno di vicino all'Alpha. Forse, pensò, poteva addirittura essere la donna che si era intrufolata nella Villa per rubare il Pugnale. Certo, nulla gli dava una simile conferma, però il modo in cui gli altri licantropi le si rivolgevano, la sicurezza con cui compiva ogni movimento, avevano dato indizi che sarebbe stato meglio tenere in considerazione. 
Le aveva riempito la testa di menzogne e gli occhi di sorrisi ammiccanti e lei, sembrava essere caduta completamente nella sua trappola, ed ora, oltre che l'odore di lei, Joseph poteva ben sentire quello della prima vittoria farsi strada nelle narici. La fortuna doveva aver un debole per lui, perché graziarlo a quel modo non era certo cosa da tutti i giorni.
Uscì dal bagno con il corpo ancora grondante d'acqua ed un sorriso talmente grande in viso da far dolere gli zigomi. Marion sarebbe stata il suo lasciapassare per Arwen ed il cimelio, questa era l'unica cosa di cui fosse certo. Gli sarebbero bastati ancora pochi incontri e poi l'avrebbe convinta a presentarlo al suo Alpha. Cosa poteva andare storto, ora?

Attese al bancone del locale per quasi due ore, facendo balzare lo sguardo dall'entrata all'orologio elettronico della cassa, di un verde in grado di ferire gli occhi. Alla terza birra si chiese persino se Marion non gli avesse dato buca. Eppure era sicuro di essersela ingraziata nel modo corretto, non poteva aver fallito, non in una situazione come quella. Poche ore alla volta, ma abbastanza da sapere di aver messo un seme di interesse in lei, un seme che doveva germogliare al più presto per permettergli di passare alla fase due del suo piano. Lanciò un'ennesima occhiata in direzione dell'entrata, ma ancora nulla, di quella tizia nemmeno l'ombra. Forse la sicurezza con cui si era gonfiato in quei giorni gli aveva oscurato la vista, facendogli credere in cose che in realtà non erano successe. Magari, la curiosità che aveva creduto essere nata nella donna, altro non era che un'allucinazione prodotta dalla smania di successo che sentiva dentro.
Che si fosse giocato l'unica occasione che gli era stata servita su un piatto d'oro? Ma dove aveva sbagliato, poi? Era stato attento a tutti i dettagli, persino ad usare un nome che potesse foneticamente ricordare il suo vecchio, in modo da poter essere richiamato dal suono delle lettere. Insomma, che la fortuna fosse una stronza, lo sapeva bene, quindi come era riuscita a fregarlo in un momento simile? Sbuffò con stizza, cercando di non mordersi la lingua per il nervoso.

Avrebbe aspettato ancora il tempo di quella birra, poi se ne sarebbe andato con la coda tra le gambe ed i nervi a fior di pelle. 
Fregato da un'Impura! Sbraitò dentro di sé, ancora incredulo. Come era stato possibile? Che magari si fosse accorta del suo odore estremamente intenso? No... lo aveva coperto con del dopobarba di lunga durata, quindi quello non poteva essere il motivo della sua mancanza quella sera.
Con pigrizia fece un ultimo tentativo in direzione dell'ingresso, deciso ormai a ritornarsene tristemente all'hotel subito dopo aver finito la media che teneva stretta tra le mani. Ed ecco che, proprio in quel momento, quasi come una visione salvifica, la vide scendere le scale. Le lunghe gambe abbronzate, i ricci mossi dal vento che lei stessa stava producendo con i propri movimenti: Marion, non poteva essere nessun'altra. 
Sentì lo stomaco attorcigliarsi su se stesso per l'agitazione. Era arrivata e quella sera, in un modo o nell'altro, sarebbe riuscito a farle promettere di organizzare un incontro con Arwen. Tutto improvvisamente parve ricominciare a procedere nel modo corretto, la fortuna sembrava aver nuovamente baciato il terreno su cui stava muovendo i primi passi verso la vendetta, fin quando la donna nella sua visuale, non volse il capo all'indietro, interrompendo la discesa lungo le scale di metallo. Per un solo momento, percepì il tempo fermarsi, rallentare a tal punto da far sì che ogni cosa restasse sospesa nell'aria, come la tensione che sentiva propagarsi nelle vene. Joseph seguì lo sguardo di lei verso l'ingresso, avvertendo la gola seccarsi. Alle spalle di Marion comparve un'altra ragazza, molto meno attraente, ma comunque in grado di catalizzare su di sé le attenzioni del Purosangue. Chi era quella? Cosa ci faceva lì, ma soprattutto al fianco della donna che lui aveva scelto d'ingannare? Si morse la lingua, riflettendo. Come avrebbe fatto a sorreggere il suo alibi, al cospetto di due nemiche? Sarebbe riuscito ad avere la meglio, ad ingannarle entrambe? Deglutì rumorosamente, cercando una soluzione fino all'ultimo secondo, quando l'Impura dai folti capelli biondi non gli fu davanti.
Sfoderò il migliore tra i sorrisi, cercando di camuffare l'ansia che non sapeva più come fermare. La donna sembrò illuminarsi di fronte a quel saluto, alla sua presenza in generale; una strana luce prese a brillarle nello sguardo «Josh! Sei venuto anche stasera, non posso crederci» affermò, stampandogli un lungo bacio sulla guancia. Come aveva fatto a pensare che non si sarebbe presentato ogni sera, dopo che le aveva quasi espressamente chiesto se fosse possibile far parte del suo clan? Che fosse il classico cliché della barbie stupida?
«Avrei potuto perdermi la tua compagnia?» 
Le labbra di lei si tesero di compiacimento, tronfia del fatto che la stesse lusingando a quel modo. Forse, tra dei barbari come gli Impuri, la galanteria e le sviolinate non dovevano essere poi tanto in voga...
Persi tra i saluti, non si accorsero della presenza ormai troppo vicina della terza lupa, che con stizza nello sguardo si era messa a fissare lo sconosciuto «Sarebbe questo il Solitario di cui mi hai parlato?» a dispetto di quanto Joseph potesse credere, la nuova arrivata si mise a parlare in un fluente inglese, quasi volesse essere compresa anche da un forestiero come lui. Marion fece roteare gli occhi «Scusala, non è abituata a fare amicizia, la porto poco al parco con gli altri cani» scherzò, senza prestare all'amica la benché minima attenzione, cosa che invece il ragazzo non riuscì a fare. Per quanto non spiccasse in bellezza, qualcosa in lei pareva catalizzare ogni forza del mondo. Nascosto tra una cornice di capelli castani, il suo viso dai tratti duri lasciava trasparire una sorta di dolcezza, come se si imponesse di essere più schiva e meschina di quanto fosse in realtà.
«A differenza altrui non annuso il fondo schiena dei pincher che infestano il quartiere» ribatté con un ché di scocciato, così tagliente nello sguardo da far spuntare un sorriso persino sulle labbra di Joseph. Nel loro scambio crudele di battutacce, quelle due, risultavano quasi essere divertenti.
«Dannazione Aralyn, ma le buone maniere non te le hanno insegnate?!» con uno sbuffo sonoro ed una scrollata di ricci, Marion si decise finalmente di fare le presentazioni. «Josh, questa è Aralyn Calhum.» Il Purosangue fece qualche passo avanti, pronto a recitare la parte di un licantropo qualsiasi, intento a girovagare per le strade della regione alla ricerca di un nuovo branco, pronto a presentarsi per quell'identità fittizia che si era andato a creare nei giorni precedenti, ma ciò in cui si imbatté lo lasciò per un attimo stordito, confuso in un modo che non aveva mai sperimentato prima. L'odore che lo aggredì era intenso, pungente quanto quello di un capobranco. Lo trovò assuefante, piacevole persino, e non riuscì a capirne il motivo. Chi era in verità quella tappetta dallo sguardo fatto di oro puro? Come mai senza nemmeno averci mai parlato la trovava così intrigante? Che diamine gli stava succedendo? Forse il troppo alcool aveva iniziato a dargli alla testa, si disse, continuando nella sua recita e protendendo la mano nella sua direzione. Sì, doveva essere certamente l'effetto della birra, non c'erano altre spiegazioni di fronte a reazioni come quelle nei confronti di una sconosciuta per di più meticcia.
Cercò di osservarla meglio, di imprimersi nella testa tutto ciò che di lei poteva vedere in quel momento. Tutto il contesto -la sua presenza ed il suo profumo, il suo sguardo e quell'espressione indossata come maschera -sembrò metterlo in guardia, ma da cosa?
Nel caos della propria mente il giovane Menalcan ripeté il nome di lei al pari di un mantra, giungendo infine ad una conclusione: Aralyn, sinonimo di guai.

La lupa fissò lo straniero con tutta l'intensità che era in grado di tirar fuori dal proprio sguardo. Dentro di sé poteva chiaramente percepire una sensazione simile al pericolo, un avvertimento involontario a stare in guardia che si era rafforzato nel momento in cui lui le si era avvicinato, per stringerle la mano. Era stato impossibile per Aralyn non notare l'intensità del suo odore, il testosterone che sembrava venir buttato fuori dal suo corpo ad ondate come accadeva ad Arwen. Quello con cui si era dovuta scontrare e che le aveva inevitabilmente attorcigliato le viscere, era stato il sentore di essere di fronte ad un futuro Alpha, ad un maschio in grado di assoggettare a sé un intero clan, dettaglio che non era certa essere positivo. Se davvero quel tizio era intenzionato a far parte del loro branco, si sarebbe sicuramente ritrovato a fare a gara con suo fratello, reazione pressoché involontaria e naturale in soggetti appartenenti alla loro specie. Era cosa rara che un eventuale capobranco sottostesse senza polemiche o problemi ad un altro, avevano la sfida e la ribellione nel sangue. Persino lei, che maschio non era, alle volte si ritrovava a dover fare i conti con l'istinto di disobbedire ad Arwen.
Afferrò controvoglia la mano di Josh, provando a reprimere il desiderio di allontanarsi, non tanto perché trovasse la sua presenza fastidiosa o ripugnante, quanto più perché la sensazione che fosse pericoloso l'infastidiva. Non avrebbe nemmeno lei saputo spiegare come potesse essere così guardinga nei suoi confronti, non era certa della natura di quel sentore che la figura del ragazzo le pareva emanare. 

Cercò di non lasciar trapelare le proprie emozioni, di apparire più dura e forte di quanto non fosse in realtà. Sorresse lo sguardo di lui, due occhi color ghiaccio in grado di apparire persino taglienti come schegge di vetro; bellissimi, sotto un certo punto di vista. Non che in generale quel Solitario fosse di aspetto anonimo, anzi, solo che quel dettaglio parve intrigarla persino più del prepotente odore che era in grado di generare. Marion le aveva detto di quanto fosse affascinante, di come il suo apparire lo rendesse un esemplare di licantropo degno di nota, ma ora che lo aveva di fronte, poté constatarlo di persona e rendersi conto che vi erano particolari molto più curiosi di quanti gliene avesse elencati l'amica.
Sì, se quel Josh si fosse davvero guadagnato un posto nel branco, Arwen si sarebbe trovato a fare i conti con un avversario di egual spessore, anche se a dividerli per ora, vi erano due ruoli ben definiti.
«Lieto, Aralyn» le sussurrò senza mai distogliere lo sguardo. Detto da lui, il nome della giovane parve ancora più esotico, troppo particolare per essere pronunciato come se nulla fosse. L'Impura avvertì le guance scaldarsi e pregò che non diventassero rosse come due pomodori. Essere osservata a quel modo, da un tipo del genere, non era certo cosa da tutti i giorni, doveva ammetterlo.
Notando l'intensità e la durata quasi eccessiva di quel saluto, Marion si rimise in mezzo, spezzando la stretta tra le loro mani con il proprio corpo. L'espressione sul suo viso fece ben capire quanto trovasse fastidiosa la situazione, come si sentisse tagliata fuori in un momento in cui la protagonista, doveva essere lei «Sai Ara, a Josh interessava un posto in cui stare, un luogo... sicuro, magari tra persone come lui...» disse, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo, quasi a rivendicarne la proprietà. Purtroppo, si disse l'altra, era inutile negare che alle volte potevano davvero comportarsi come cani, quelli della sua specie; bastava fare la pipì in un angolo per convincersi che fosse proprio, e così Marion stava facendo con il nuovo arrivato in città.
Aralyn sbuffò, poi fece cenno ai due di seguirla, portandosi verso un tavolino malandante e traballante che, ad una prima occhiata, avrebbe permesso loro di parlare in santa pace. Si misero a sedere in silenzio, lanciando qualche sguardo furtivo qua e là, un po' per assicurarsi che nessun umano potesse sentirli, un po' per non dover avere a che fare con altri lupi. Quando furono certi che non ci fossero orecchie in ascolto, tutto risultò più tranquillo, quasi normale. Erano tre persone qualunque sedute in un locale notturno, intente a trascorrere una serata come un'altra, in apparenza, però la verità andava ben oltre.
La più giovane dei tre iniziò la sua indagine con qualche domanda di circostanza, cose semplici a cui Josh rispose senza fatica e che, bene o male, servivano solo per farsi un'idea più chiara di chi fosse e da dove venisse. Sotto sotto, anche se non l'avrebbe mai ammesso, Aralyn avrebbe voluto fare domande più dettagliate, le sarebbe piaciuto conoscere di più l'umano e meno il licantropo, ma di fronte a Marion e nei panni di braccio destro di suo fratello Arwen, non poté far altro che seguire la prassi. Domandò cose scontate e cose un pochetto più importanti, fin quando alla fine non rimase che un'unica questione da risolvere: «Con o contro il Duca?»

La curiosità di Aralyn lo prese alla sprovvista. Sapeva cosa era giusto rispondere, ma era anche conscio del fatto che se lei gli avesse chiesto un pegno di fedeltà non sarebbe affatto riuscito a fingere a cuor leggero.
Con o contro il Duca, che domanda stupida! Joseph Menalcan, per fedeltà nei confronti della propria famiglia, non si sarebbe tirato indietro nello sputare in faccia ad un simile quesito, rispondendo tranquillamente di essere contro alle rivoluzionarie ideologie di un Purosangue incapace di accettare le leggi che per secoli hanno governato il loro mondo, ma Josh?
Josh come avrebbe potuto rispondere? Certamente avrebbe detto di sì, che si sarebbe battuto per un uomo come quel vecchio pazzo, ma perché? Solo perché era un Impuro ed era giusto così? O vi era anche altro a smuoverlo?
Si morse con forza la lingua prima di rispondere e forse, nel farlo, fece passare troppo tempo, un minuto eccessivo che si trasformò in arma contro di lui. Mentì ammettendo di patteggiare per il Duca, lo fece con una convinzione già di per sé traballante che, unita al temporeggiamento di pochi istanti prima, calò su di lui come una ghigliottina.
Aralyn all'inizio sorrise compiaciuta, illudendolo di aver soddisfatto le sue curiosità, ma appena Marion si fu alzata per andare al bagno, l'espressione della ragazza mutò in un ghigno sinistro.
«Non sei credibile Josh.»


(testo aggiornato il 21/09/2017)

 

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Capitolo 7
*** Un possibile alleato ***




6. Un possibile alleato

Arwen assunse un'espressione truce, continuando a massaggiarsi la tempia. Erano passate poco più di ventiquattro ore da quando aveva discusso con sua sorella, eppure non era ancora riuscito a darsi pace, a calmare i nervi e rasserenare i pensieri. Aveva pensato a tutto per poterle regalare un futuro migliore di quello che le sarebbe toccato a restare lì nel clan, con lui. Aveva parlato con diversi lupi in cui riponeva fiducia e stima, per far sì che alla ragazza fosse trovato un compagno diverso, un licantropo in grado di proteggerla e tenere il suo cuore impegnato in una qualsiasi maniera, ma lei non sembrava affatto disposta a cedere a quel compromesso. Voleva restare al suo fianco nonostante tra di loro non potesse succedere nulla -a causa di un sangue troppo contaminato da quello umano. Lo avrebbe accompagnato lungo il resto della vita che il destino aveva in serbo per loro, amandolo in silenzio, osservandolo giacere con altre donne, soffocando qualsiasi sorta di atteggiamento compromettente e soffrendo in eterno, fin quando alla fine non si sarebbe decisa da sola a fare una mossa in grado di salvarla. Da un lato tutto ciò non poté che procurargli un perverso piacere: saperla così fedele, così servile nei suoi confronti era appagante ed eccitante al contempo. A contrapporsi a tutte quelle sensazioni però, c'era un angolo di coscienza che gli gridava a gran voce che in quel modo, l'avrebbe per sempre resa infelice e, per amore nei suoi confronti, si sentì un mostro.
Scosse la testa, provando a strapparsi quei pensieri di dosso. Con gli occhi andò subito verso l'omaccione sedutogli di fronte, uno dei pochi amici su cui poteva contare, l'unico a cui aveva permesso, anche se in gran segreto, di avvicinarsi a sua sorella ed assecondare un suo infantile quanto lusinghiero capriccio «Perché è così cocciuta?» gli domandò retoricamente.
Garrel rise e, nel farlo, si ingozzò con una folata di fumo ancora ferma in gola. Tossì qualche volta prima di rispondere; non che ce ne fosse bisogno, ma lasciar vagare quella domanda per la stanza non sembrava essere un'idea allettante «E' tua sorella, sangue del tuo sangue, dovresti saperti rispondere da solo!». Già, avrebbe dovuto, solo che ammettere di essere una testa dura non era certo tra le sue cose preferite.
«Okay, ma qui si tratta del suo futuro ...»
«Del vostro, vorrai dire. Ti ricordo che ci siete in due, in questa situazione, non è solo lei quella innamorata di suo fratello.» Arwen sgranò gli occhi, sconvolto. Non riusciva ancora ad abituarsi al fatto che il proprio migliore amico lo sapesse, che fosse a conoscenza del segreto più oscuro che avesse. Certo, l'esperienza di Garrel era di gran lunga superiore alla sua a causa dei dodici anni di differenza, ma mai avrebbe osato pensare che si fosse accorto dei sentimenti che nutriva per Aralyn.
L'uomo prese un'altra boccata di nicotina dalla sigaretta, ormai prossima alla fine «Non vi sto giudicando, siete più animali che umani voi due, e per quanto sia d'accordo ad allontanarvi prima che succeda qualcosa di grave, temo anche che l'assenza l'uno dell'altra nella vostra vita possa solo peggiorare la questione».
L'Alpha si scostò una ciocca di capelli dal viso, ragionando sulla frase. Sì, non sapere dove lei potesse essere, con chi o cosa potesse essere intenta a fare, alla lunga, lo avrebbe logorato, così come avrebbe fatto la sua mancanza alla ragazza. Di fronte a quella consapevolezza, fu ancora più difficile trovare o semplicemente immaginare una scappatoia da tutto il casino. Sospirò, più teso di quanto non fosse prima «Dove ho sbagliato, Garrel?» gli occhi imploranti di Arwen si impressero in quelli dell'altro, stravaccato come se nulla fosse sul piccolo divano all'interno della stanza.
«Non hai sbagliato, amico mio, semplicemente sei stato soggiogato dai tuoi ormoni da lupo. Succede, cosa pensi, che nessuno ci sia mai cascato? Comunque qui la soluzione è una sola. Dovete innamorarvi di qualcun altro.»
Questa volta fu il capobranco a ridere, più per il nervosismo che per altro «Come diamine pensi che sia possibile?» gli chiese sprezzante, quasi volesse fargli notare quanto poco conoscesse il sentimento che si era creato tra lui e la sorella. Innamorarsi di qualcuno che non fosse lei? Non poteva nemmeno concepirla una simile idea. Sì, andare a letto con altre femmine, illuderle di amarle e persino avere eredi con loro poteva rivelarsi qualcosa di fattibile, ma dimenticare Aralyn... no, quello non credeva che potesse essere fattibile.
Il sottoposto scosse la testa un'altra volta, buttando fuori dalla bocca cerchi di fumo bianco «Il vostro non è un imprinting. Non è stato amore a prima vista o forza ancestrale che vi lega, collo a collo. È un sentimento umano e come tale può essere interrotto, distrutto o qualsiasi altra cosa. Fidati di chi lo ha visto, un amore del genere.» a quelle parole, Arwen sentì una rabbia fastidiosa montargli in petto, e sarebbe saltato in piedi urlando e sbraitando, se qualcuno non avesse interrotto la conversazione mettendosi a bussare alla porta dello studio, con una certa insistenza. I due uomini si irrigidirono sulla sedia, temendo che chiunque fosse al di là dell'anta in legno, non avesse udito nulla di compromettente riguardo al discorso appena concluso.
Con il tono più neutrale che riuscì a trovare, l'Alpha invitò lo sconosciuto ad entrare. Ciò che i due lupi non si aspettavano di vedere, fu la testa di Aralyn oltre la soglia, infilata all'interno della stanza per essere certa di non interrompere qualcosa di importante.
«Disturbo?» chiese titubante, corrugando appena la fronte. Sicuramente, nemmeno lei si era aspettata di vedere nello studio i suoi due licantropi preferiti, intenti a scambiarsi chissà quale tipo di chiacchiera avvolti in una coltre di nicotina.
Garrel fece un sorriso talmente grande che buona parte della sua faccia, di un colore simile al caramello, divenne bianca a causa della mezzaluna di denti «Guarda qua chi si è fatta viva! Ti ho cercata per tutta la serata ieri, lo sai?» e di fronte a quel commento, la ragazza si sentì sollevata. Entrò con tutto il corpo, richiudendosi la porta alle spalle, in modo da preservare la privacy del capobranco.
«Sì beh... Marion mi ha portata in città, c'era un nuovo lupo, un Solitario. Diciamo che ha insistito per farmelo conoscere!» Arwen a quel punto sentì un'altra ondata di rabbia e gelosia farsi strada in lui. Cosa voleva dire, che Marion aveva insistito per farglielo conoscere? Che stesse cercando di far accoppiare sua sorella con lupi dalla dubbia identità, provenienza e quant'altro proprio come faceva lei?
Non riuscì a mordersi in tempo la lingua «Ed è successo qualcosa?» domandò, con un cipiglio tutt'altro che rassicurante. 
«Perché, ti interesserebbe?» Aralyn incrociò le braccia al petto, lasciando cadere tutto il peso su un fianco e sorridendo in modo malizioso; certamente doveva essersi accorta del fastidio che si era insinuato nella voce del fratello. Lo fissò curiosa e compiaciuta allo stesso tempo, aspettando che lui proseguisse.
«Non tirare troppo la corda con me...» sibilò in un ringhio. Persino Garrel, che aveva cercato di non sembrare troppo attento al loro scambio di battute, si ritrovò piacevolmente incuriosito dalle dinamiche con cui i due Calhum si stavano confrontando. Trovò quasi divertente il fatto che una mocciosetta come Aralyn, che aveva quasi la metà dei suoi anni, riuscisse a mettere in tale agitazione un capobranco fatto e finito come Arwen. Se non fossero stati fratello e sorella, ma dei semplici compagni o amanti, il tutto sarebbe stato uno spettacolo migliore persino delle telenovelas colombiane.
Lei sbuffò, andando a sedersi accanto all'amico «Tranquillo, so chi è il capo, qui. Comunque non è successo nulla di che, semplicemente il ragazzo cerca un branco e lei gli ha subito parlato di noi» ammise, sotterrando momentaneamente l'ascia di guerra con cui sembrava avesse iniziato il discorso. Il fratello storse le labbra, quasi riflettendo su ciò che gli era stato riferito. Dopo quegli ultimi mesi, in cui gli attacchi ai Purosangue gli avevano strappato dalle file quasi una quindicina di lupi, accettare nuovi licantropi non era poi una cattiva idea; i Menalcan presto o tardi sarebbero insorti contro di loro per rivendicare il Pugnale e dovevano farsi trovare pronti ad una simile evenienza. Douglas, oltre a Gabriel, aveva altri due figli da cui sarebbe stato bene mettersi in guardia, soprattutto non avendoli mai visti e non sapendo su che potenza d'attacco potessero contare.
«E cosa ne pensi di lui?»
Aralyn tornò ad indossare un'espressione maliziosa e strafottente, crogiolandosi nel piacere che pronunciare il proprio parere le avrebbe dato: «Oh, esteticamente non ho nulla da dire, davvero un gran pezzo di lupo! Fatico ad immaginare una sola delle nostre femmine respingerlo. Ha spalle larghe ed è parecchio atletico, quindi sicuramente se gli dovessimo impartire qualche base del combattimento potrebbe far faville. Solo che...» lasciò in sospeso l'ultima frase solo per potersi godere la rabbia dipinta nelle iridi dell'Alpha. Poterlo mettere in difficoltà a quel modo, fu talmente piacevole che la ragazza si decise a proseguire, senza però ponderare i propri commenti «ha un odore dannatamente forte, quasi quanto il tuo. Non è che poi rischiamo di vederti competere con lui giorno dopo giorno?»
Garrel le afferrò le spalle, preoccupato che di fronte ad una domanda del genere Arwen potesse dare di matto. Effettivamente la ragazza non si era certo risparmiata, aveva posto nelle sue parole la vendetta per ciò che il fratello avrebbe voluto far di lei, particolare che certamente in una situazione del genere, il capobranco non avrebbe saputo ponderare nella giusta maniera.
«Fammi capire, ti sei concentrata sul suo sex appeal e non sulle cose importanti? Cosa sei, una mocciosetta alle prese con i suoi ormoni e le prime mutandine bagnate?» ringhiò l'uomo, provando a soffocare il desiderio di saltarle al collo e farle implorare pietà. Non importava chi lei fosse o quali sentimenti nutrisse nei suoi confronti, nessuno poteva permettersi di parlargli a quel modo, come se la sua posizione di Alpha fosse in pericolo. Già di per sé, per Arwen, mantenere il rispetto e la fiducia dei propri sottoposti, ma anche degli altri capoclan, risultava essere una sfida continua, quindi sentire quelle parole uscire dalla bocca di Aralyn non poté che infierire maggiormente sul suo orgoglio. Era un lupo a metà a causa della ferita ai nervi della gamba. Era un capo e persino un uomo a metà, ma non per questo avrebbe permesso a qualcuno di rubargli un ruolo che con tanta fatica si era guadagnato.
Fulminò la sorella «Me la sbrigherò io con questo straniero, tu ora vedi di andartene in camera e non uscirne fino a cena!»
Aralyn gonfiò il petto di rabbia, ma non disse nulla, perché al cospetto dell'autorità di un Alpha era impossibile disubbidire, anche per lei che ne condivideva il sangue.


(testo aggiornato il 21/09/2017)

BabaYaga's Space

Rimettere mano alla storia mi sta aprendo gli occhi su molte cose. Nella prima versione vi erano parti eccessivamente caotiche e altre pressoché inutili che per ora, mi sto limitando a modificare ed eliminare, ma che comunque mi è impossibile rielaborare in modo più logico o attento, perché imporrei a me stessa una quasi totale riscrittura di determinate parti e, per fare ciò, mi servirebbe tempo che attualmente non ho. Ad ogni modo, mi auguro che tutto stia filando liscio, non solo nella mia testa ma anche nella vostra.

Sarei davvero felice di poter sapere da voi cosa ne pensate di questi primi sei aggiornamenti in cui, bene o male, vi sono stati (ri)presentati i personaggi principali. Voi nuovi lettori, come li vedete? E chi invece ha già letto la mia storia, cosa ne pensa dei cambiamenti?
Mi auguro di avere presto qualche riscontro da parte vostra, più che altro per capire se il percorso e lo stile preso, possano essere quelli giusti.


 

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Capitolo 8
*** Nel folto del Bosco ***




7. Nel folto del bosco

Joseph si rigirò più volte nel letto dell'hotel, come ormai gli capitava di fare da giorni, o più precisamente da quando aveva incontrato lei, Aralyn, che con i suoi occhi dorati ed il suo profumo di pelle accaldata e sottobosco, lo aveva stregato. Si era chiesto quasi allo sfinimento perché mai lo avesse incuriosito a quel modo, come mai gli avesse scatenato quella strana miriade di sensazioni, lasciandolo con il sentore che a starle vicino, sarebbe finito nei guai. Non che ora non ci fosse, visto che con quelle sue labbra a cuore, tirate in un sorriso malizioso, la ragazza aveva completamente raso al suo la sua certezza di poter arrivare ad Arwen e al clan del Nord. Il modo in cui gli aveva sussurrato di non credere alle sue parole, lo aveva paralizzato, riuscendo persino ad afferrargli la giugulare in una morsa immaginaria. Se non era riuscito a convincere lei, come pensava di fregare l'Alpha nemico? Sospirò, rinunciando definitivamente a chiudere occhio. 
Come aveva fatto a scoprirlo? In quale punto della farsa si era fregato? Eppure, nonostante l'ansia che gli cresceva dentro ogni giorno sempre più, non poté negare a se stesso che il fatto che ci fosse un soggetto del genere, all'interno del branco del Nord, lo eccitasse parecchio. Per la prima volta pensò che se quello era lo standard dei licantropi presenti nel clan, un motivo per cui i suoi uomini non erano riusciti a tenergli testa forse c'era. Aralyn era furba, perspicace, un'ottima osservatrice e, se lei era una tra i tanti, quelli che avevano fatto irruzione nella magione Menalcan dovevano essere dei veri mostri. 
Con la mente si concesse il lusso di ripercorrere a ritroso ciò che aveva seguito la prima affermazione che lei gli aveva rivolto, senza mai smettere di fissarlo come se avesse il coltello dalla parte del manico; cosa che per lo più era vera. Era lui a trovarsi nel territorio nemico, non lei; era lui solo in mezzo a decine di lupi di cui non sapeva nemmeno l'esistenza, non lei che se ne stava al sicuro tra gli sguardi di quelli che potevano essere suoi confratelli.
Era brava, non poteva negarlo. Sapeva come giocarsi le proprie carte, come far sentire l'avversario privo di difese, cosa che raramente gli era capitato di provare. Aralyn aveva piegato lentamente la testa da un lato, schiudendo le labbra secche «Il tuo problema Josh, è che non sapresti da che parte girarti, se dovessi chiederti il motivo, di questa tua risposta. Si vede lontano un miglio che non sei certo delle tue stesse parole. Non dico che questo ti chiuda le porte per entrare nel nostro clan, ma sicuramente ti pone davanti ad enormi ostacoli. Noi cerchiamo gente che sia disposta a morire per la causa, ma come puoi combattere seriamente, se non sai in cosa credere?» gli aveva chiesto, rimettendosi con il peso sullo schienale ed iniziando a strapparsi le pellicine con i denti. Oh, ripensare a quello scambio, al modo in cui aveva argomentato il discorso... quello sì che si poteva dire mettere in scacco matto!
Si grattò dolcemente il petto, sfiorando con le dita il punto in cui una cicatrice increspava la pelle. Erano passati quattro anni da quando se l'era procurata ed insieme ad altre due –che gli solcavano la schiena- completava il quadretto. Ogni licantropo poteva vantare souvenir del genere, resti di battaglie che non si erano portate via la loro vita, ma solo un po' di pelle. 
Si chiese come avrebbe potuto spiazzarla in futuro, come sarebbe stato appagante incidere nella sua carne dei solchi come quelli che ora stava accarezzando su di sé. Uccidere un Impuro che reputava migliore della media lo elettrizzava più di molte altre cose. Marion, in confronto all'amica, non era altro che una bambola messa di bellezza tra le file di un branco, per rincararne il numero dei componenti.
Volse il capo verso la sveglia appoggiata sul comò, constatando da sé che tra un pensiero e l'altro, aveva fatto passare quasi tutta la notte. Se si fosse alzato e vestito, sarebbe persino riuscito ad andare in qualche angolo boschivo intorno alla città e fare una bella corsa libero dalle spoglie umane. Non mutava forma da settimane ormai, da prima ancora di partire per quel viaggio, ed il peso del corpo che doveva mantenere per la maggior parte del tempo sembrò diventare opprimente. Alle cinque del mattino, chi mai avrebbe potuto incontrare per i boschi? Solo qualche animaletto selvatico ed il suono della fauna in procinto di iniziare la giornata. Così, decise di abbandonare definitivamente le coperte calde, optando per ciò che più di tutto gli regalava calma; magari, in quel modo, sarebbe persino riuscito a togliersi dalla mente Aralyn ed i suoi occhi di oro fuso.

Joseph si inoltrò nel folto del bosco, camminando circospetto per quasi un chilometro dal punto in cui aveva lasciato la propria auto. Fuori dalle terre del suo clan, in territorio nemico e in un luogo che per di più non conosceva affatto, si sentì improvvisamente spaesato. Non che temesse qualcosa in particolare, nemmeno la morte lo spaventava più di tanto, solo che l'idea di non sapere cosa fare e come orientarsi lo preoccupò leggermente.
Iniziò lentamente a togliersi i vestiti, permettendo così alla brezza mattutina di accarezzargli la pelle, ornata qua e là da inchiostro e cicatrici, ma anche dai brividi che cominciarono a spuntare su tutta la parte di corpo nuda. Nonostante il desiderio di mettersi a correre senza freni fosse forte, si ritrovò in parte pentito per aver abbandonato il tepore prima del letto e poi dell'abitacolo della propria berlina. Con minuzia, cercò di nascondere i propri indumenti -che si riassumevano in una felpa, dei jeans e dell'intimo- tra i cespugli, per far sì che nessuno potesse trovarli o, nel peggiore dei casi rubarglieli, e piano piano iniziò a mutare forma, per assumere le sembianze del maestoso lupo nero che era diventato crescendo. La bellezza con cui si piegò sotto al cambiamento dell'ossatura, parve una sorta di danza; il corpo si riempì di una peluria scura, il viso si allungò, dentro la bocca apparve una corona di denti affilati. Fu come morire per rinascere. Condotta dal suono di ossa frantumate e poi ricomposte, la figura di Joseph divenne sempre più simile a quella di un animale. I sensi divennero molto più vigili di quanto non fossero già, ampliandosi con il progredire della mutazione; gli occhi potevano vedere maggiori dettagli, l'olfatto annusare più odori, le gambe correre ad una velocità inumana. Rispetto ad un lupo qualsiasi, lui era quasi il doppio in grandezza e conservava ancora una sorta di coscienza umana. Era in grado di pensare e ragionare, ma incapace di aprir bocca e parlare.
Mosse le orecchie a scatti veloci, cercando di udire i suoni provenienti da ogni angolo. Volle concedersi il piacere di ascoltare la natura, di percepire sotto alle zampe la terra umida e nuda, vera. Ritrovarsi nuovamente in un luogo che poteva definire come casa, lo colmò di molteplici sensazioni, dall'appagamento alla calma, dalla serenità alla dolcezza. Sì, era cresciuto in mezzo allo smog cittadino, aveva passato gran parte della sua adolescenza a fuggire dalle terre del branco per rintanarsi in qualche pub affollato e soffocante, dalla fama più o meno buona, ma la realtà dei fatti era che il lupo in lui avrebbe sempre avuto la meglio sull'uomo e la natura selvaggia lo avrebbe chiamato in eterno a sé, come una madre amorevole pronta ad accoglierlo in un abbraccio. Iniziò a muovere i primi passi in modo lento, misurato, quasi stesse tastando il terreno; poi ogni falcata divenne più veloce e lunga, fin quando non si ritrovò il pelo scompigliato dal vento ed il corpo leggero, in grado di balzare qua e là tra gli alberi. Divenne una macchia nera in grado di essere sfuggente come un'ombra, libero come non si sentiva da tempo. Percorse dapprima metri, poi chilometri ed infine miglia, senza avvertire mai i muscoli dolere o la stanchezza prenderlo alla gola.
Era felice, e questo gli bastava. In uno stato mentale di pura estasi quale era, nulla avrebbe potuto distrarlo, nemmeno i rumori più estranei e circospetti; nemmeno se si fosse imbattuto in un cacciatore, se ne sarebbe accorto, figurarsi in qualsiasi altra cosa!
Scoprì passo dopo passo angoli verdi sempre più belli, incontaminati. Rincorse leprotti innocenti solo per il semplice gusto di dar loro fastidio. Joseph divenne quasi completamente un lupacchiotto alle prese con la prima vera corsa in totale libertà, anche se si trattava della sua centesima o millesima volta. Andò avanti per ore, fin quando non fu la sete a chiedergli di fermarsi al primo ruscello disponibile, per idratare un corpo sudato e sotto sforzo. Solo a quel punto si rese conto di quanto lontano fosse andato, di come avesse completamente perso la cognizione del tempo e dello spazio intorno a sé. Si era lasciato sfuggire di mano quella che doveva essere una semplice attività di poche ore, ma che alla fine si era mangiata quasi metà giornata. Come aveva fatto a non accorgersi? Per quale motivo la coscienza non lo aveva rimproverato prima? Doveva assolutamente tornare indietro, ricominciare le ricerche del Clan del Nord, conquistarsi in qualche modo la fiducia di alcuni membri del branco, scovare Arwen e... un rumore lo ridestò di colpo, facendo scattare i sensi di animale.
C'era qualcuno.
Lì, intorno a lui, nascosto da qualche parte tra gli alberi c'era una persona che lo stava studiando, ne poteva finalmente sentire lo sguardo addosso. Annusò l'aria, cercando di capire di chi si potesse trattare; non che l'odore di imminente pioggia aiutasse poi granché, però un tentativo era giusto farlo. Con gli occhi provò a cercare una sagoma all'orizzonte, fin quando dal nulla, come un fantasma, non si accorse della comparsa di un uomo dal viso sorridente.
Joseph tremò.
Sentì lo stomaco stringersi forte in una morsa, le gambe farsi molli ed il cuore accelerare improvvisamente. Sotto a quello che doveva essere un berretto di nylon, spuntava un viso squadrato, dal naso lungo e gli occhi infuocati, circondato da lunghi capelli bianchi come la neve, troppo candidi per essere reali, troppo particolari per poter essere dimenticati o confusi.
Arwen del Nord, l'uomo che stava cercando da quasi un mese, colui che aveva mandato i suoi licantropi in casa di Purosangue e aveva rubato loro ciò che di più importante il clan avesse. Per un attimo si ritrovò a pensare che il continuo domandarsi dove fosse e come sarebbe stato incontrarlo di persona, lo avesse richiamato a lui con la stessa forza di un rito magico, un'invocazione al chiaro di luna.
Come si doveva comportare ora?
L'uomo incrociò le dita sotto al mento, formando una rete di carne e continuò imperterrito a fissarlo con un'espressione divertita. 
«Aveva proprio ragione...» disse, quasi valutando tra sé e sé qualcosa. Sembrava perso in una contemplazione tutta sua, un ragionamento che nemmeno sforzandosi, Joseph sarebbe riuscito a capire. Ad ogni modo, doveva fare una qualsiasi cosa in grado di portare avanti il piano. Cosa però? Quale sacrosanta strategia avrebbe dovuto adottare di fronte ad un mannaro del calibro di Arwen? Si sarebbero potute dire tante cose del giovane Menalcan, ma non certo che sottovalutasse i nemici, soprattutto se Alpha. Deglutì, cercando una soluzione che, alla fine, fu proprio quell'Impuro a suggerire: «Che fai, non torni alla tua forma originale per fare qualche chiacchiera con me?» Il sorriso sul suo volto si allargò, mostrando come fossero appuntiti i suoi canini; vere fauci da belva -non a caso quel tipo, era considerato uno tra i licantropi più pericolosi che le file del Duca potessero vantare.
Il ragazzo obbedì, come se gli fosse stato dato un ordine. In verità pensò a sua volta che fosse il caso di tornare umano, di aver la possibilità di parlare con il capobranco nemico alla pari, senza che ci fossero versi animaleschi nel mezzo.
Il processo inverso della mutazione fu altrettanto strano, accompagnato a sua volta dal suono di ossa che andavano frantumandosi e poi ricomponendosi, come cocci di un vaso che venivano rimessi insieme con la colla.
La prima cosa che si sarebbe potuta notare, assistendo all'incontro tra quei due, erano certamente le differenze. Arwen era vestito da capo a piedi, con i capelli lunghi e chiari a far contrasto sul maglione nero, mentre Joseph era completamente nudo e quei pochi lembi di pelle scuri, indossavano solo inchiostro e storie narrate durante le meravigliose festività pagane che i licantropi continuavano a tramandarsi nel tempo. Con la sua zazzera scura poi, diventava l'esatto opposto dell'Alpha di fronte a lui.
«Ero curioso d'incontrarti, sai? Alcune delle mie femmine mi hanno parlato di te» Arwen rimase immobile come una statua, fermo in quella posizione riflessiva e con la stessa espressione di quando era apparso sul masso dove ancora era seduto. Joseph sorrise di rimando, lasciando che due piccole fossette gli si formassero ai lati della bocca «Spero che non abbiano detto qualcosa di male...»
«Se sono qui è certamente perché ciò che hanno riferito mi è parso interessante».
Quindi Aralyn aveva cambiato idea su di lui? Nonostante il discorso fattogli al Nacht Teufel si era presa la briga di andare dal proprio Alpha a parlargli di uno stupido lupo incapace persino di mentire? Cosa diamine aveva in mente?
L'Impuro sciolse l'intreccio di dita sotto al mento, sistemandosi poi il berretto come se nulla fosse. Era chiaro come il sole che non avesse alcuna paura di lui, che lo considerasse un semplice licantropo da quattro soldi privo di alcuna offensiva. 
Stolto, si concesse il lusso di pensare Joseph, rendendosi conto che davvero, gli anni trascorsi dal loro ultimo incontro, avevano portato su di lui cambiamenti drastici, tali da non permettere al nemico di riconoscerlo.
«Immagino tu abbia un nome, no?» 
Il Menalcan si morse la lingua. Possibile che gli avessero parlato di lui senza mai chiamarlo per nome? O che fosse semplicemente un modo per metterlo in difficoltà? Nella sua mente si disegnarono talmente tanti possibili scenari che si sentì pulsare le meningi. Non riusciva a calmarsi in alcun modo, quasi si stessero preparando ad una battaglia, non ad una semplice conversazione. 
Deglutì prima di rispondere «Dovresti già conoscerlo» punzecchiò, incosciente di fronte a quanto una mancanza di rispetto come quella potesse giocargli l'occasione migliore a cui avesse mai potuto ambire. Sì, era teso, in ansia, ma era anche dannatamente eccitato ed inoltre, il fatto che entrambi avessero nel sangue i geni dei capibranco, gli faceva crescere dentro un senso sempre più opprimente di rivalità. Non importava se erano nemici, quello si piazzava in secondo posto; erano maschi, Alpha per nascita, leader innati.
Arwen rise di gusto di fronte alla risposta del Purosangue «Giusto, giusto! Ascoltami Josh, ho una proposta per te» l'altro si mise in ascolto, tendendo fino allo spasmo le orecchie, pregando i suoi sensi di essere il più precisi possibile. «A me servono uomini, lupi forti ed in grado di combattere, mentre a te serve un clan. Non prendo chiunque tra di noi, ma soprattutto non mi piace prendere persone che possono minare alla sicurezza del branco, quindi, ti sfido. Se riuscirai a battere uno solo dei miei lupi, ti concederò di venire a vivere con noi, ma solo quando avrai ottenuto il mio completo rispetto come guerriero, potrai definirti davvero uno dei miei uomini. Che ne pensi?» Joseph vacillò. Doveva battere solo uno di loro e ce l'avrebbe fatta, si sarebbe aggiudicato un posto tra le fila dei nemici. Poteva davvero essere tutto così semplice? Corrugò le sopracciglia, dubbioso «Quando dovrei farlo?»
«Oh, non so quanto ci impiegherai ad incontrarne uno qui nei boschi del nostro territorio, non è affar mio! La sfida è anche questo... fammi vedere di che stoffa sei fatto, quanto bravo puoi essere. Per il resto hai carta bianca.»


(testo aggiornato il 22/09/17)


 

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Capitolo 9
*** Eccomi ***




8. Eccomi

Aralyn respirò a pieni polmoni l'aria mattutina, fingendo persino di non sentire le palpebre pesanti. Avrebbe voluto dormire ancora un po', starsene sotto le spesse coperte a godersi il tepore ed il riposo che dopo tutte le missioni a cui aveva dovuto partecipare, era certa meritarsi, peccato solo che essendo l'eroina del clan e la sorella di Arwen, tutti si aspettassero da lei la presenza agli allenamenti. Per obbligo, più che per piacere, si era quindi dovuta alzare e vestire, preparandosi psicologicamente a dare dritte ai licantropi più inesperti e poi prenderle di santa ragione da Garrel o Fernando, se quest'ultimo ancora non era partito per il Rifugio, un distaccamento del branco in cui, per lo più, se ne stavano le donne ed i bambini. 

Ad ogni modo, dopo tutti i preparativi, si era fiondata nella mensa comune sperando di riuscire a racimolare qualche biscotto ed una tazza di caffè macchiato, la stessa che ora, nel patio di fronte all'edificio, teneva stretta tra le mani. Osservò svogliatamente il mucchio di persone radunate in mezzo allo spiazzo, intente già a scegliere un partner per gli esercizi, o a chiacchierare di qualcosa che per lo più era stata detta già un centinaio di volte. Ancora non aveva ben chiaro perché fosse lei, quella obbligata a presenziare, mentre suo fratello se ne stava bellamente seduto da qualche parte a leggere uno dei suoi enormi libri ingialliti dal tempo. Sbadigliò, coprendosi la bocca con una mano e provando a convincersi che fosse la cosa giusta, essere lì. Non lo avrebbe mai voluto ammettere, però aveva anche lei bisogno di riprendere il ritmo, ritornare a menare colpi e mordere corpi. Non che fosse un vezzo dovuto al fisico, che nonostante le innumerevoli ore passate a correre a destra e manca si rifiutava di diventare un blocco di muscoli statuari, ma per lo più era qualcosa di mentale; doveva continuare a tenere la mente sulla lotta, in modo che qualsiasi cosa fosse accaduta, lei sarebbe stata pronta.
Un suono ritmico di passi attirò la sua attenzione, distraendola dai propri pensieri. Come sempre, anche senza voltarsi o annusare l'aria, riconobbe l'andamento irregolare di suo fratello maggiore; volente o nolente, non sarebbe mai riuscita a confonderlo con qualcun altro. 

L'Alpha le si fermò accanto, inspirando a sua volta a pieni polmoni. Aralyn alzò la testa verso di lui, rendendosi conto per la millesima volta di quanto Arwen fosse alto, troppo in confronto a lei. Sì, ciò che a lei mancava, lui l'aveva e viceversa. Lui poteva vantare un fisico asciutto, scolpito; un'altezza invidiabile e l'aspetto da belloccio in grado di conquistare con un solo sguardo. Era arguto, pianificatore, alle volte talmente freddo e severo da mettere paura, mentre lei era l'esatto opposto. Restarono una accanto all'altro in silenzio per alcuni minuti, poi il capobranco si decise a parlare «C'è della caffeina nella tua tazza?» Aralyn si mise a fissare il liquido marroncino all'interno della ceramica «Può darsi, perché?»

Il fratello allungò una mano nella sua direzione, mimando il gesto in cui lei teneva la propria.
«Sei serio? Non potevi andartelo a prendere in mensa?» chiese sgranando gli occhi. Perché mai avrebbe dovuto cedergli la propria colazione dopo che aveva rischiato di fare a pugni con almeno una manciata di suoi confratelli, per averla? Il fatto che fossero in quasi una trentina, lì alla Tana, rendeva assai difficoltosa la convivenza, anche se pensare che tutto il clan comprendeva quasi una sessantina di membri poteva rendere la cosa molto più accettabile.
«Hanno finito tutto, gli altri» puntualizzò, abbozzando una sorta di sorriso poco convinto. Aralyn sbuffò «Sei l'Alpha, dovresti farti valere un po' su tutto sai?» gli fece notare, cedendo infine alla sua richiesta. Le dita di lui si strinsero subito intorno alla tazza, strappandola dalla presa della sorella, fameliche come un tossico senza dose. Arwen fece un lungo sorso, uno di quelli che avrebbero potuto finire in pochi secondi tutta la bevanda, poi con un sorriso smagliante sul viso porse nuovamente la tazza alla legittima proprietaria, sconvolta. 
«Tienitela! Praticamente di mancano due dita e l'hai finito. Non voglio i tuoi scarti!» 

Di tutta risposta, l'uomo trasformò il proprio viso in una maschera di malizia e diabolicità «Io invece uno dei tuoi me lo sono preso» le disse con voce vellutata, talmente suadente che per alcuni secondi la ragazza non si rese conto di ciò che effettivamente gli aveva detto. Era impressionante il modo in cui l'Alpha era in grado di ammaliarla, di farle perdere coscienza del mondo circostante, catturandola in una cupola di suoni.
Improvvisamente però, come se un sassolino avesse mandato in frantumi il vetro sotto cui era imprigionata, si riscosse, capendo le parole pronunciate da Arwen «Che vorresti dire?»
«Lo scoprirai molto presto Ara, ora però concentrati sul tuo lavoro»
«No! Dimmi cosa intendi. Di quali scarti ti sei appropriato?» ma lui finse di non sentirla. Aralyn a quel punto ringhiò appena, emettendo un suono gutturale dal profondo della gola. Non se ne sarebbe andata dal patio e dal fianco del capobranco fino a quando lui non le avesse risposto in modo esaustivo. Trovava il suo essere così enigmatico, estremamente snervante, odiava non poter entrare come un trapano elettrico nella testa di quell'uomo per tirarne fuori i pensieri più oscuri e complicati.
«Fidati, lo saprai presto... lo sento nelle ossa»
Inutile provare ancora. Se al primo tentativo non vi erano risultati, con Arwen nemmeno un secondo o terzo ne avrebbero portati.

Con Garrel al seguito, trasformato in lupo, Aralyn si allontanò dal gruppo di licantropi intenti a seguire i comandi loro impartiti. Sbuffando, aveva iniziato a lamentarsi con l'amico del modo in cui suo fratello le aveva risposto poco prima, cercando nel silenzio dell'animale una sorta di conforto. Il bello delle mutazioni, era che rendevano l'interlocutore il migliore tra tutti gli ascoltatori o terapeuti. Alle volte, il semplice parlare per minuti od ore intere, faceva sì che fosse possibile arrivare da soli alla conclusione più consona, ma soprattutto permetteva di sfogarsi appieno. Così lei parlò e parlò, fin quando non furono abbastanza lontani dagli altri, a quel punto, cambiando discorso, la ragazza chiese all'amico se fosse giunto o meno il momento anche per loro di fare un po' di attività fisica, un allenamento che a differenza di quello degli altri confratelli, avrebbe previsto lividi e membra doloranti, nel peggiore dei casi, lussature e distorsioni a qualche arto. 

Il lupo sembrò guaire in segno di assenso. Aralyn allora piantò i piedi per terra, flettendosi sulle ginocchia e molleggiando piano per riscaldare i legamenti. Garrel dapprima le girò attorno, studiandone la postura, poi si allontanò di un paio di metri, soddisfatto per la crescita che la ragazza aveva compiuto da qualche anno addietro a quel momento. All'inizio, nessuno avrebbe mai pensato che una mocciosetta come lei, dal fisico soffice e poco propenso alle lotte, potesse trasformarsi in un animale affamato di sangue, eppure lei aveva stupito tutti, persino lui.
Alla fine di un silenzioso conto alla rovescia personale, si lanciarono l'uno contro l'altra, ormai pratici di quell'iter che seguivano da mesi. Il loro modo di allenarsi, a differenza di ciò che facevano alla vigilia di un vero e proprio scontro, prevedeva una sorta di lotta che, bene o male, iniziava e si concludeva sempre nella stessa maniera. Il tutto, si svolgeva così non tanto per immedesimarsi in battaglia, quanto più solo per tenere scattanti i muscoli, che dopo mesi di fermo avrebbero potuto risentire della sedentarietà in cui i proprietari potevano essersi adagiati. 
Garrel fu il primo ad attaccare, mentre Aralyn cercò in tutti i modi di schivarne le fauci, cosa più facile a dirsi che a farsi. Scartò di lato all'ultimo, sentendo il rumore della stoffa della felpa squarciarsi; come previsto, era diventata molto più lenta di quanto non fosse sei settimane prima. Imprecò tra sé e sé, fissando i propri occhi sul lupo che aveva di fronte, intento a mostrarle i lunghi denti appuntiti. A differenza sua, lui sembrava essere ancora in perfetta forma. Garrel combatteva da anni, ancor prima che lei nascesse forse, quindi il suo corpo persino fuori allenamento, restava assai più agile di quello della ragazza.

Aralyn sorrise, pregustando già la sensazione degli ematomi su tutta la pelle -perché sicuramente, di quel passo, l'amico l'avrebbe massacrata. All'inizio trovava le grosse macchie viola dannatamente antiestetiche, fastidiose, poi con il tempo e a furia di vedersele addosso, aveva cominciato ad apprezzarle; persino pigiarci sopra le dita e sentire il corpo reagire a quel tocco, era diventato piacevole!
Il lupo attaccò ancora, questa volta prendendo una rincorsa maggiore. Lei non si mosse, rimase ferma ad aspettare che l'impatto avesse luogo, incurante del fatto che se Garrel avesse aperto la bocca, probabilmente con i suoi canini si sarebbe portato via una delle braccia che Aralyn si ritrovava attaccate al busto. Azione suicida, le avrebbe sussurrato Arwen all'orecchio, strategia, avrebbe controbattuto lei. Infatti, a dispetto di quello che persino l'avversario si era immaginato, la lupa deviò le proprie attenzioni all'ultimo, muovendo qualche passo veloce all'indietro. Ovviamente, il balzo che lui aveva compiuto per raggiungerla non fu abbastanza lungo e finì con il trovarsi rallentato dal cambio di direzione che la sua sfidante aveva deciso di prendere.
Ecco quindi l'occasione perfetta per attaccare.

La ragazza sorrise compiaciuta nel vederlo spaesato, a differenza sua non si era preparato ad un'evenienza del genere. Aralyn agì poi d'istinto, provando a muovere qualche falcata veloce lontana dal maschio che, nonostante il palese ritardo su di lei, ridusse facilmente la distanza, piombandole di fronte come se fosse la cosa più semplice al mondo. Il piano quindi, fallì miseramente, lasciando in bocca alla lupa un sapore amaro. Sì, avrebbe giurato di essere ancora abbastanza svelta da seminarlo almeno per qualche minuto, ma invece come al solito, si era sopravvalutata. In generale non era lenta, in forma umana poteva comunque correre veloce, quasi al pari di un quadrupede eppure, fuori allenamento, si ritrovò a far fronte alla realtà: non era abbastanza convincersi di essere veloci, se non lo si era veramente.

Il sorrisino che fino a poco prima le aveva riempito il viso, si piegò tristemente in un'espressione scocciata. Se non poteva battere Garrel in velocità, quali altre opportunità avrebbe avuto? Lui dalla sua aveva sia l'esperienza che la forza, ma lei? Nulla ormai. Sbuffò del tutto infastidita dalla cosa, e prima ancora che potesse pronunciare qualsiasi battuta o commento, l'amico le si lanciò contro, ancora, questa volta però con un intento omicida tutt'altro che trascurabile negli occhi. A quella distanza, si disse Aralyn, non sarebbe mai riuscita ad evitare l'impatto o fuggire, quindi le alternative che le rimanevano erano solo due: farsi assalire e scaraventare a terra, o provare in tutti i modi a fare resistenza. Non ci mise molto ad abbandonare la seconda scelta, conscia del fatto che in ogni caso, anche provando a resistere all'urto, sarebbe finita malamente al suolo.

Odiava dover allenarsi a quel modo, con Garrel in forma animale e lei in quella umana, ma non poteva affatto ribellarsi; quello era il solo modo per temprare anche il suo corpo antropomorfo.
All'ultimo, seppur con poca convinzione, alzò le braccia davanti al viso a mo' di scudo. Se proprio doveva finire a terra, che almeno i danni non fossero così evidenti. Una sorta di panico le strinse lo stomaco, mentre la mente ripercorreva le mille volte in cui era finita k.o. durante un'occasione simile; poteva ancora sentire il dolore della schiena o qualsiasi osso contro il suolo secco, il fiato mozzarsi nei polmoni e la vista farsi sfuocata, se si concentrava bene. Eppure nulla di tutto ciò accadde. Nei pochi secondi che il maschio avrebbe dovuto impiegare per assalirla e conquistarsi la vittoria, non successe assolutamente niente: non vi fu alcun impatto, men che meno dolore. Tutto ciò che Aralyn riuscì a percepire, fu il rumore sommesso di corpi che si azzuffano, di terra che viene colpita. Ma come, si chiese, lei non era certo finita al suolo e non aveva nemmeno attaccato Garrel!
Abbassò lentamente le braccia, in modo da poter vedere cosa stesse succedendo al di là del suo scudo di carne. 

Ciò che si trovò davanti, fu qualcosa di particolarmente strano, elettrizzante e... piacevole?
Ringhi soffocati riempirono l'aria come un'orchestra, unghie che laceravano ogni lembo di pelle possibile a fargli da contorno; lo spettacolo che le si presentò davanti era a metà tra l'incredibile ed il preoccupante, ma ne fu troppo ammaliata per fare o dire qualsiasi cosa. Due lupi neri come la notte, erano presi ad aggredirsi senza badare a lei. Se avesse dovuto descrivere a qualcuno quel momento, avrebbe usato una sola definizione: un walzer di guerra. Sì, perché alcuni lupi sembravano nati apposta per lottare e farsi male, per uccidere e dilaniare, in casi particolari persino proteggere -sarebbe stato un gran peccato interrompere la melodia inudibile che permetteva alle creature elette dalla Luna di ballare una danza del genere.
I movimenti di quei due colmavano gli spazi vuoti, si andavano a susseguire come se stessero percorrendo uno schema preciso e lei sarebbe andata avanti a guardarli per ore o addirittura giorni, ma all'improvviso in quel continuo scambio di attacchi e schivate, alle narici di Aralyn arrivò un odore che le solleticò la mente, riportando a galla qualcosa che aveva creduto non dover più affrontare.

Con un balzo si fece vicina ai suoi simili e sfruttando tutto l'ossigeno rimastole nei polmoni gridò «Basta voi due!» ma quelli ci misero un po' a darle retta, troppo presi ad azzuffarsi senza nemmeno sapere il perché. Smisero di darsi addosso solo dopo minuti interminabili passati a scrutarsi, con una fiamma di sfida fin troppo luminosa nello sguardo. 
Aralyn aspettò paziente che entrambi riprendessero il loro aspetto antropomorfo e solo a quel punto ricominciò a urlare. Odiava dover fare da maestrina, così come odiava dover mettere in riga uomini grandi e grossi come quei due «Josh cosa diamine ci fai qui?!» 
Lui corrugò la fronte, poi con le braccia iniziò ad indicare. Completamente nudi e lerci di terra non potevano sembrare altro che due cavernicoli incapaci di argomentare un qualsiasi discorso o, d'altro canto, persino ragionare: «Ti stava aggredendo! Credevo ti potesse far piacere un aiuto, miss SonoTostaSoloIo» ammise il più giovane con un tono lamentoso, degno quasi di un ragazzino, immagine che alla lupa parve calzargli a pennello. Certo, l'aspetto di quel tipo al momento era la cosa più lontana possibile che ci potesse essere da un moccioso visto il fisico statuario, scolpito da allenamenti incessanti; in più era impossibile non notare le cicatrici che svettavano fiere sul torace e che in alcuni punti sfioravano le spalle da cui partiva, o finiva, il racconto dei suoi tatuaggi. Oltre a questo Aralyn non volle scendere, si limitò a sorreggere lo sguardo sulla parte superiore del corpo di Joseph, sfortunatamente nudo al pari di Garrel, come un verme.

Lei sbuffò, provando a mantenere la calma «No, non mi stava "aggredendo"» con le dita mimò il segno delle virgolette, in modo da dare più enfasi alla risposta «bensì ci stavamo esercitando ad affrontare uno scontro frontale in cui non si ha nemmeno il tempo di mutare forma! Possibile che tu debba sempre saltare a conclusioni affrettate?»
«Io no-»
Garrel intervenne, quasi ne avesse abbastanza delle lamentele sia di uno che dell'altro «Dateci un taglio! Tu sei il Solitario, giusto?» Domandò al nuovo arrivato, fissandolo in aggiunta con uno sguardo tutt'altro che amichevole. Non gli piaceva essere disturbato, ancor meno da un licantropo non appartenente al suo clan, ma a prescindere da quello, non poté negarsi una certa curiosità nei confronti della persona che aveva suscitato l'interessa di entrambi i fratelli Calhum. Chiunque nel branco lo avrebbe fatto, soprattutto conoscendo quei due, che trovavano davvero poche cose degne di nota e ancor meno, altri mannari.

«Così pare» fece il Purosangue, quasi grugnendo. Ad uno spettatore esterno, sarebbe potuto apparire come l'ennesimo guanto di sfida lanciato verso Garrel, ma l'unica cosa che davvero muoveva l'istinto di Joseph, altro non era che diffidenza. Sì, temeva di essere riconosciuto, così come temeva che un tipaccio della stazza dell'uomo che gli stava di fronte, potesse mettergli i bastoni tra le ruote in un qualsiasi modo.
«E perché saresti qui? Ara lo hai invitato tu?» Garrel piegò la testa da un lato, spostando pigramente lo sguardo dal nuovo arrivato alla sua compagna d'azzuffate, in modo fin troppo paterno per non assomigliare ad una sorta di rimprovero. Una smorfia schifata apparve sul viso di lei «Secondo te io potrei invitare un estraneo del genere?» chiese con uno strillo, scuotendo la testa più e più volte. In fin dei conti avrebbe dovuto conoscerla, avrebbe dovuto sapere che mai si sarebbe permessa di indicare ad una persona completamente sconosciuta l'ubicazione della Tana, il loro quartier generale.

L'uomo tentò ancora una volta di estorcerle la verità, ma prima che Aralyn potesse in alcun modo ribattere, la voce di Joseph si levò nello spazio tra di loro, lasciando entrambi gli Impuri, basiti: «E' stato Arwen a dirmi di trovarvi».


 

Ania's Space

Direi che "so far", questo sia il capitolo sistemato più brutto che possiate trovare all'interno della storia. Le difficoltà per me, a questo punto, sono state due: la prima era il fatto che il brano di base era davvero osceno, mentre la seconda era che, a smantellare e riscrivere da zero tutto, mi si sarebbe certamente ritorto contro qualcosa. Quindi eccoci qui, con questo obbrobrio che mi auguro venga presto perso nel dimenticatoio grazie agli aggiornamenti che verranno a seguire.

Io comunque ringrazierò chiunque di voi voglia lasciarmi un parere o dei consigli per sistemare "8. Eccomi".

Alla prossima luna, Impuri miei ♥ 
 

(testo aggiornato il 12.10.17)


 

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Capitolo 10
*** Scarti Indesiderati ***




9. Scarti Indesiderati

Joseph, ancora nudo, sporco di fango e piccoli rivoli di sangue, rimase dietro ad Aralyn che furibonda, si diresse a grandi passi verso quella che doveva essere la Tana del sui clan. 
Quando l'aveva sentito dire che era stato Arwen stesso ad invitarlo tra di loro, le si era infiammato lo sguardo al pari di un'immensa pira; l'oro delle sue iridi sembrava essere diventato incandescente, molto più di quando si erano incontrati la prima volta. Da un lato ne era rimasto ammaliato, perché mai aveva trovato in uno sguardo un'espressività del genere, ma dall'altro una massiccia mole si dubbi gli si era appiccicata alla schiena, pesandogli sulle spalle. Dapprima si chiese per quale ragione entrambi gli Impuri sembrassero così stupiti nel vederlo lì e sapere che a dirgli di raggiungerli era stato l'Alpha stesso; si domandò se Arwen ne avesse parlato con qualcuno, del suo arrivo; poi si era chiesto se dietro alla sua proposta non si nascondesse in realtà un piano molto più articolato, o se persino non si fosse già accorto della sua vera identità. Insomma, la mente del Menalcan iniziò a diramarsi come le braccia di un albero in mille direzioni, dando ad ognuna delle domande principali decine di rametti in grado di sorreggerne altre.
Dubbioso alzò lo sguardo di fronte a sé, facendo cadere la propria attenzione su di Aralyn, ancora rigida come un tronco a causa della rabbia. La coda in cui aveva legato i capelli ondeggiava veloce sopra le sue spalle, creando un'oscillazione a tratti ipnotica. Parlando invece del resto di lei, non si sarebbe potuto evitare di dire come il suo fisico a clessidra non avesse nulla a che fare con il classico corpo da guerriero. Di minaccioso, a parte lo sguardo d'oro fuso, non sembrava aver nulla. Non era alta, anche se sicuramente superava molte altre lupe, i suoi fianchi pronunciati non invitavano altro che il pensiero di una femmina dedita alla famiglia, al dover sfornare figli; era il classico esempio di fecondità. Per quale ragione allora, era così importante per Marion e si allenava con un bestione al pari dell'uomo che camminava alla fine della loro piccola fila indiana? D'istinto lo sguardo di Joseph si andò ad appoggiare sul viso severo del licantropo alle sue spalle. Nemmeno lui poteva dirsi di chissà quale bellezza, ma certamente l'espressione torva e la mole impressionante di muscoli facevano la loro sporca figura agli occhi di un qualsiasi altro uomo.
Sbuffò, ormai stanco di camminare verso una meta che sembrava non arrivare mai e del silenzio quasi assoluto che regnava tra loro «Esattamente, dove stiamo andando?» domandò nel tentativo di attirare almeno le attenzioni di Aralyn, che dopo aver saputo dell'azione, probabilmente individuale, del capobranco non gli aveva nemmeno più rivolto uno sguardo. E dire che era un gran bel ragazzo! Se non per altro, avrebbe almeno potuto concedersi qualche frettolosa occhiata al suo fisico, vista la situazione... eppure nulla, non sembrava affatto interessata a lui, cosa a cui Joseph non era affatto abituato.
La ragazza nemmeno questa volta si volse «A fare due chiacchiere con Arwen» ringhiò, dimostrando di essere ancora completamente sommersa dalle proprie emozioni.
«Okay, e per farlo dovete farmi sentire un prigioniero di guerra?»
A quel punto Aralyn si bloccò, facendo mezza piroetta su se stessa e finendo con il puntare i suoi occhi in quelli di lui. Per un attimo il Purosangue avvertì come una sensazione di benessere, quasi il suo corpo avesse sentito la mancanza di quel viso. Perché? Quale ragione poteva avere per sentirsi così?
«Fino a prova contraria tu sei un estraneo e potresti benissimo essere emissario o spia di qualche casato nobile!» Il sangue gli si raggelò nelle vene. Probabilmente, senza nemmeno saperlo, la ragazza aveva appena svelato il suo segreto, ma se fosse rimasto calmo e avesse recitato bene la propria parte, sarebbe riuscito ad uscire da quella situazione indenne.
«Sono qui solo perché voglio un clan» le rispose, avvicinandosi a muso duro al viso di lei, così vicini da poter sentire i respiri scontrarsi e fondersi, sensazione che sulla pelle quasi generò una moltitudine di brividi.
Joseph avvertì il sangue Menalcan dentro di sé respingere tutto ciò, percepì nettamente il bisogno di allontanarsi e mettere spazio tra di loro perché qualcosa di sconosciuto e pericoloso aveva iniziato a muoversi dentro di lui. Non avrebbe saputo dire per quale ragione si stesse sentendo così, ma fu grato all'Impura quando con uno sbuffo dal naso tornò sui propri passi «Vedremo se resterai tra noi!»
Appena i loro sguardi si staccarono ed i respiri tornarono ad essere soli, il ragazzo avvertì i propri muscoli rilassarsi di botto, anche se nemmeno si era accorto di averli contratti. Quella ragazza riusciva continuamente a spiazzarlo senza fare assolutamente nulla, se non guardarlo. Cosa diamine aveva di così speciale e diverso da tutti gli altri licantropi?
Una pacca in mezzo alla schiena lo riportò brutalmente alla realtà «Tieniti stretta questa volontà moccioso, ne avrai bisogno se davvero resterai qui per un po'» Garrel parve quasi un amorevole fratello maggiore, nel modo in cui gli si rivolse, uno di quei personaggi che aveva visto spesso nei film, visto che Gabriel Menalcan era la cosa più lontana che ci potesse essere dal classico "fratellone".
«Perché, avete uno stile di vita simile ai monaci Shaolin?»
«Oh, assolutamente no! Ma ci vuole molto più di un semplice desiderio, per far parte di un branco in guerra. Servono costanza, furbizia ed una fede ferrea per poter sopravvivere qui in mezzo» gli rispose, alzando poi il viso in direzione di un punto un po' più in là di dove si trovavano. Aguzzando la vista, tra un ramo qua ed un cespuglio là, Joseph riuscì a scorgere un gruppetto non troppo grande di persone intente a dar flessioni e skip sul posto.
«Sopportano allenamenti quotidiani per poter essere al pari dei migliori del branco, lavorano part-time in attività del luogo solo per poter mantenere i confratelli. Stanno qui perché credono nel Duca e nella rivoluzione che vuole fare. Tu ne saresti capace?»
Il ragazzo rimase silenzioso ad osservare la scena. Quelle poche figure che era in grado di vedere, non sembravano affatto lupi chissà quanto minacciosi, come invece erano gli uomini del suo clan, ma il modo in cui mettevano impegno negli esercizi gli parve abbastanza per riconoscerli come possibili minacce. Si schiarì la voce «Posso fare anche di meglio, se serve» ammise, conscio delle sue abilità di assassino e delle doti che il sangue nobile gli aveva donato. L'altro rise di gusto, bloccando Aralyn verso il fondo di un sentiero che pian piano aveva iniziato a prendere forma. Sì, forse ora non lo prendevano sul serio, magari non erano certi di prenderlo nel clan, ma lui sarebbe riuscito a fargli cambiare idea a tutti i costi -non avrebbe lasciato a quel branco di fanatici la possibilità di sovvertire il mondo in cui era nato e cresciuto e, che seppur ripudiava, sarebbe diventato un giorno suo.

Non ci volle molto, dopo quel piccolo frangente tra gli alberi, per raggiungere l'edificio che doveva essere la Tana. La prima cosa che Joseph poté notare, furono le dimensioni della struttura, talmente grande da poter far invidia a Villa Menalcan, ma al contempo troppo grezza per eguagliarne la bellezza e l'eleganza. In un passato relativamente lontano doveva essere stata una caserma militare, come quelle usate dagli alpini italiani durante la leva. Forse era caduta in rovina una volta finita in disuso e, a quel punto, erano subentrati Arwen ed i suoi che con fare esperto e molte ore di lavoro, l'avevano resa vivibile, più accogliente persino.
Il patio era stato riempito con una fontana non troppo elaborata ai cui lati, spuntavano piccoli gruppi di fiori in procinto di appassire. Alzando lo sguardo si poteva notare come con un certo gusto per il trash fosse stato aggiunto alla faccia un portico con tettoia, sotto al quale fu impossibile non notare Arwen. La sua chioma chiara, nell'ombra generata dalla copertura del prolungamento di cemento e legno, risaltava come un punto di luce nella notte. Il capobranco degli Impuri se ne stava tranquillo a fissarli come se vederlo tornare scortato dai suoi uomini fosse la cosa più normale del mondo. Che se lo aspettasse? Che avesse già previsto il suo arrivo? Eppure non erano passati nemmeno una manciata di giorni dal loro incontro, come aveva potuto prevedere che Joseph ci avrebbe impiegato così poco a trovarli?
Come un tuono, la voce di Aralyn squarciò il silenzio, distraendolo così dall'osservare il suo unico e vero nemico «Ma che ti salta in mente, eh?! È questo che intendevi stamattina con quel commentino del cavolo?!» La ragazza balzò agile accanto al suo Alpha, puntandogli con una certa cattiveria l'indice al petto «Questo non è uno scherzo, Arwen!»
L'altro le sorrise dolcemente, forse troppo per i gusti del Menalcan, e teatralmente alzò le mani in segno di resa.
«Eddai, mica penserai che sto giocando!» ma l'espressione della femmina non cambiò nemmeno di una virgola. Di fronte alla scena, Joseph non riuscì a non notare come l'Alpha nemico sembrasse diverso dal lupo che si era sempre immaginato essere: non era freddo, né calcolatore; il suo viso non era perennemente contratto in una smorfia da animale selvaggio e le sue labbra potevano perfino tendersi in un sorriso di tale umanità. Era davvero quello, il licantropo con cui si era scontrato suo fratello Gabriel in passato? Si trattava della stessa persona che tra i corridoi della magione di Douglas veniva definito come un barbaro capace solo di uccidere e ragionare come un dalmata?
Oltre a quel dettaglio, non gli sfuggì la confidenza con cui Aralyn si era messa a dargli contro, quasi "sgridandolo". Non sembravano essere semplici membri di uno stesso branco, tra di loro vi era un legame ben più forte, che persino da quella distanza gli parve palpabile, ma che tipo di complicità?
Arwen afferrò con gentilezza le spalle di lei, interrompendola durante l'ennesimo rimprovero «Josh è un mio ospite, ho deciso così seguendo la logica di alcuni commenti che tu stessa mi hai fatto» si giustificò guardandola per lunghi istanti negli occhi. In quel momento, il Purosangue notò come entrambi i mannari di fronte a lui avessero uno sguardo fiammeggiante, molto simile, seppur diverso. Affidandosi alle sue conoscenze riguardanti le creature come loro, dedusse che dovevano essere stati morsi o graffiati dallo stesso licantropo o che, in extremis, dovevano essere state le unghie dell'Alpha ad incidere la pelle di lei.
«Quindi, caro Josh» la voce dell'albino lo ridestò all'improvviso, rischiando quasi di farlo sussultare «ringrazia la nostra adorata Aralyn se oggi sei qui!» Di fronte a quelle parole, Joseph non riuscì ad evitare di far cadere il proprio sguardo sulla ragazza, la stessa che ricambiò le sue attenzioni con un astio ben poco velato. Perché mai, aveva persuaso il proprio capoclan a fargli fare una sorta di "periodo di prova" tra i lupi del Nord, se non lo voleva lì?


 

Aralyn sentì la rabbiamontarle maggiormente in petto subito dopo l'affermazione del fratello. No, leinon aveva affatto suggerito di prendere in considerazione quel licantropo, leinon aveva insistito né fatto nulla che potesse far intendere che lo volesse lì,quindi perché far credere a tutti che lo stesso braccio destro dell'Alpha siera presa a cuore un Solitario delgenere? Il solo fatto che facesse scaturire in lei un susseguirsi di emozionicontrastanti e poco definite le faceva venir voglia di tenerlo lontano, quindinon era intenzionata ad assumersi nessuna responsabilità nei suoi riguardi!Forse però, quella era la vendetta di Arwen, il suo modo per dirle che allafine era lui a decidere e che se lei avesse fatto qualsiasi cosa che lui nonavesse apprezzato, gliel'avrebbe fatta pagare in una qualche maniera. Dannato! Come al solito si era preso labriga di farla passare per la fessa di turno, cosa che iniziò a farle ribollireil sangue nelle vene. Sì, forse era solo una lupa come tanti altri, forse nonaveva l'autorità del leader, ma era pur sempre sua sorella ed in più l'affettofin troppo sviluppato che Arwen aveva nei suoi confronti avrebbe dovuto impedirglidi trattarla a quel modo.
Aralyn volse il capo con stizza, digrignando i denti e rimettendosi a fissareil viso dello straniero nel tentativo vano di scorgervi un qualsiasi dettaglioche lo potesse tradire prima chemettesse piede all'interno del loro quartier generale e delle loro vite.
Josh si mise a guardarla di rimando, con un ché di stupito nello sguardo. Difronte al suo viso così incredulo e addirittura accattivante, la ragazza siritrovò a sfoderare le proprie difese. Non voleva in alcun caso che lui potessecredere che fosse davvero stata lei a mettere una buona parola in suo favorecon l'Alpha, perché se così gli fosse apparso, non se lo sarebbe più levato ditorno, pensiero che invece sentiva crescerle nella mente. Avrebbe portato loroguai, accettare senza alcuna remora un Solitariodel tutto sconosciuto. Certo, prima di entrare realmente nel clan avrebbedovuto fare una sorta di "apprendistato", una serie di sfide più o menodifficoltose che permettesse ad Arwen di capirne il valore, ma ciò non toglievache sarebbe rimasto lì con loro; avrebbe mangiato nella stessa mensa, dormitonelle stesse stanze, respirato la stessa aria e qualsiasi altra cosa che unaconvivenza avrebbe comportato -e Aralyn tutto ciò non lo voleva. Provava unasorta di fastidio nei confronti delle cose che non conosceva o capiva,esattamente come le sensazioni che Josh faceva scaturire in lei, quindi non loavrebbe accettato fin quando tutto ciò che lo riguardava non le fosse statochiaro.
Di risposta al modo in cui lui si era messo a guardarla, lei gli lanciò un'occhiatatagliente, una sorta di schiaffo immaginario che si augurò, lo colpisse conabbastanza forza da fargli capire di starle lontano.   



 

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Capitolo 11
*** L'arrivo del lupo indesiderato ***




10. L'arrivo del lupo indesiderato

Nemmeno una manciata di ore dopo lo spiacevole incontro con Josh, Aralyn si era precipitata nello studio del fratello, all'inizio crepitando e dando ancora di matto, poi calmandosi improvvisamente vedendo con quanta tranquillità l'uomo fosse rimasto fermo a fissarla, un sopracciglio alzato e l'altro corrugato. No, lui non aveva la benché minima idea di quanto la presenza di quel Solitario, anche solo nell'immaginario, le suscitasse una sorta di fastidio. In principio era stato il suo aspetto così dannatamente avvenente a metterla in agguato, poi i suoi modi sicuri, il suo odore e persino i suoi occhi color del ghiaccio, infine ciò che maggiormente l'aveva destabilizzata e lasciata nel dubbio, era stata la quasi totale assenza di fede nei confronti del Duca. Non che lei fosse poi una così devota seguace di quell'uomo, anzi, alle volte la innervosiva la sua presenza, ma certamente credeva negli ideali che lui andava seminando tra i licantropi: per troppo tempo il potere era rimasto in mano a nobili dittatoriali, con un'unica visione del mondo; licantropi che non riuscivano a considerare gli Impuri come gente del loro calibro, o meglio, come persone degne di stare al mondo tanto quanto loro o gli umani. Lei non sarebbe morta per un uomo come il Duca, questo era certo, ma sarebbe morta nel tentativo di essere un giorno libera, insieme a tutti coloro che a suo pari non erano figli di generazioni antichissime di mannari, esattamente come aveva cercato di fare Arwen prima dell'incidente. Josh in tutto quello non ci credeva, non aveva la fiamma della libertà a bruciargli il sangue nelle vene, a corrodergli il fegato. Lui era capitato lì per puro caso, e sempre per caso aveva realizzato che da solo non sarebbe mai riuscito a sopravvivere in un mondo crudele come quello dei lupi. 
Aralyn finalmente si mise seduta, rinunciando a qualsiasi altro tentativo di attaccar briga con suo fratello «Allora?» gli domandò, perfino stufa di sbraitare e ringhiare. Che alle volte perdesse le staffe in modo così colorito era cosa assai risaputa nel clan e molti attribuivano questa sua inaspettata lunaticità a due fattori principali: il fatto che fosse donna ed il fatto che fosse una donna con il sangue d'Alpha.

«Dovrei domandartelo io, no?» le fece notare Arwen compiendo un gesto vago con la mano, quasi provando a portarle alla mente il fatto che avesse appena dato di matto nel suo ufficio, nell'evidente tentativo di scontrarsi verbalmente con lui. La ragazza storse le labbra, ancora contrariata a causa della decisione del capobranco «Non capisco perché tu abbia dovuto invitare nel clan quel tizio!»
L'uomo richiuse il libro che teneva appoggiato sulla gamba buona, abbandonando la lettura per concedere a propria sorella tutte le sue attenzioni, cosa che certamente non lo infastidiva nel modo in cui tanto voleva far credere. La osservò per interminabili secondi, istanti che Aralyn sentì scorrere ad una velocità fin troppo rallentata. Non le piaceva essere fissata così intensamente, da nessuno.
«Prima di tutto, non sopportavo il modo in cui ti trastullavi mentre mi parlavi di lui. Okay, ho notato anche io che ha un aspetto parecchio invidiabile, così come il suo odore è forte e altre doti sono difficili da far passare inosservate, ma questo non ti autorizza a beffarti di me» fece una piccola pausa, serrando in modo nervoso la mascella. Era strano, quanto raro, vedere Arwen sul chi va là di fronte ad un altro maschio, percepire nella sua voce e nelle sue azioni il dubbio di potersi far sfuggire di mano qualcosa. In quel momento, agli occhi della lupa, parve quasi un licantropo qualunque, umano di fronte alle emozioni in un certo senso; in effetti, da quando lo scontro con i Menalcan lo aveva menomato, il suo atteggiamento eccessivamente freddo, distaccato e persino rude, si era andato addolcendo, trasformandolo nel perfetto connubio tra carattere, aspetto e cervello, mix che faceva sì che tutte le femmine del branco non avessero occhi se non per lui. Vita ingiusta, si disse Aralyn riflettendoci. A lei non erano state date così tante doti positive, tutto quello che poteva vantare era una determinazione salda e le classiche curve che allettavano il palato di ogni lupo in cerca di compagna -ma a dire il vero, quello poteva quasi risultare un difetto alle volte.
L'Alpha riprese a parlare «Secondo, lui sembra essere un promettente cacciatore, un lupo degno delle mie attenzioni. Terzo ed ultimo, ci servono uomini, soprattutto per proteggere te ed il Pugnale.» A quel punto inclinò la testa pigramente, in modo da vedere il viso di lei in tutta la sua interezza, forse nel vano tentativo di vederla abbassare gli occhi di fronte alle giustificazioni più che valide che le aveva dato. Eppure lei resistette, anche se poté chiaramente avvertire dentro di sé la consapevolezza che di fronte ad argomentazioni del genere avrebbe avuto gran poco con cui ribattere. In principio sì, era stata lei a provocare il fratello, quindi era normale che lui si sarebbe vendicato in una qualche maniera, poi il fatto che fosse un licantropo aitante, lo aveva notato da sola quando, preso dall'istinto, si era lanciato contro Garrel tenendogli testa -impresa che potevano vantare pochissimi membri del clan.
La ragazza sbuffò, alzando lo sguardo al cielo «Ma non sappiamo se ci si può fidare di un tizio del genere...» tentò per un'ultima volta di averla vinta, ma si ritrovò per l'ennesima volta di fronte ad un muro. Il più grande difetto che avevano preso da loro padre, Klaus, era la cocciutaggine; così, se Arwen aveva deciso di dare un'opportunità a quel Solitario, nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea, nemmeno le proteste della lupa di cui era invaghito.
«Per questo motivo è "in prova", e sempre per questa ragione ho affidato a te il compito di tenerlo d'occhio»
«Io non sono una balia però!»
«No, sei il mio braccio destro, che è ancora peggio» le sorrise amabilmente, nascondendo tra le pieghe della bocca una certa sfacciataggine. Quanta verità in un'unica frase!, si ritrovò a pensare Aralyn, rinunciando definitivamente all'idea di potersi liberare di Josh. Per far sì che l'Alpha insistesse così tanto sulla sua presenza all'interno della Tana, il ragazzo doveva proprio averlo incuriosito, a tal punto da prediligerlo a molti altri licantropi nella zona; e come dargli torto del resto? Era un esemplare di lupo incantevole, tanto quanto lo era come umano. L'unica pecca, saltò alla mente della giovane, era quel suo odore così invitante, unito al modo in cui risvegliava in lei il sesto senso da animale.
«Avrei dovuto rifiutare quel ruolo molto tempo fa allora!» bofonchiò, alzandosi dalla poltrona nella quale era sprofondata durante la discussione, decisa a raggiungere i bagni comuni per lavarsi via di dosso gli ultimi rimasugli di nervosismo che si era portata dietro dal momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli color ghiaccio di Josh.
L'uomo alla scrivania rise di gusto, lasciando appena ricadere all'indietro la testa «Impossibile, dato che sei mia sorella!» 
«Purtroppo» concordò lei ormai sulla soglia dello studio, con la maniglia già stretta in una mano e lo sguardo basso. Seppur innocentemente, Arwen aveva toccato l'unico tasto dolente che si potesse trovare in Aralyn, quella suo amore impossibile per colui che era proprietario del suo stesso sangue.

Sotto al getto d'acqua calda, la ragazza si concesse il lusso di levarsi di dosso la corazza che era solita indossare al cospetto di tutti i membri del clan, quella sorta di finta sé sempre padrona della situazione e determinata, autoritaria ma anche giusta. Rimase sola ad affrontare la realtà che fastidiosa le si era appiccicata addosso. Mai avrebbe potuto avere il permesso di amare in quel modo che era concesso solo ai veri lupi; mai si sarebbe liberata dal marchio di meticcia che i suoi genitori le avevano impresso nel dna. Inoltre, come se i suoi problemi non fossero già abbastanza, suo fratello si era messo segretamente a pianificare una sua unione con un qualsivoglia leccapiedi del Duca, un lupo che l'avrebbe strappata via da casa, dalla sua gente e persino da quel Solitario che le era stato affibbiato e che, improvvisamente, le parve tanto caro. Beh, in effetti se non fosse stato per il vuoto allo stomaco che le si andava costantemente a creare quando lo aveva intorno, o i sensi in allerta ad ogni sua azione, avrebbe potuto persino ammettere che non fosse poi tanto male. Come aveva detto il capobranco, Josh era attraente, un vero piacere per gli occhi; la sua prestanza fisica poteva ben competere con quella dei migliori uomini che avevano nel branco e, magari parlandoci, avrebbe persino potuto riservare sorprese ben più piacevoli di un semplice faccino carino e muscoli guizzanti. 
Sospirò, appoggiando la fronte contro le piastrelle della doccia. Cosa diamine avrebbe potuto fare per liberarsi di tutta quella robaccia che, da quando aveva rubato il Pugnale, le si era rivoltata addosso? Scappare? No, non avrebbe avuto alcun senso lasciare il clan in un momento del genere, con i Menalcan ancora imbestialiti e pronti ad uccidere un qualsiasi lupo che avesse minimamente a che fare con i membri del Nord. Distrarsi con un qualche lupo pescato a caso tra la miriade che viveva nel branco? Non ci sarebbe mai riuscita; lei non era come Marion, in grado di anestetizzare i pensieri con il sesso o illudendosi che un moccioso qualunque potesse essere l'uomo della sua vita: per quanto giovane, si ritrovava ad aver perennemente a che fare con una morale e dei valori che potevano tranquillamente trascenderne l'età.
Girò la manopola dell'acqua provando a vedere se, con le ultime gocce, se ne sarebbero andati anche i pensieri. Si avvolse veloce nell'immenso asciugamano che si era portata dietro, rendendosi conto che non si sarebbe liberata così facilmente da tutte le paranoie che stava alimentando da sé con un carburante chiamato "ignoto".
Arwen, al suo posto, avrebbe sicuramente trovato già una soluzione a tutto quello, liberandosi definitivamente da ogni cosa gli frullasse per la mente, rendendo i dubbi animali quieti e indifesi come conigli durante la caccia. Sì, le sarebbe piaciuto avere anche solo la metà della sua logica, delle sue intuizioni, ma purtroppo quello era l'ennesimo difetto con cui si era ritrovata ad avere a che fare: più della mente, Aralyn aveva allenato il corpo in quegli ultimi anni, restando indietro rispetto al fratello che, per forza di cose, aveva dovuto sviluppare un acume ben al di sopra di quello di molti altri membri della loro comunità, troppo occupati a suonarsele di santa ragione per dedicare un minimo spazio allo sviluppo di strategie.
Indossò l'intimo senza mai smettere di mordersi il labbro per il nervoso, così come fece dopo essersi infilata in un paio di pantaloni da ginnastica e molto svogliatamente una canottiera fin troppo attillata per i suoi canoni. Tutto ciò che desiderava, al momento, era di andarsi a nascondere sotto le spesse coperte del proprio letto, augurandosi che il sonno potesse ottenere più risultati della doccia. Si diresse lenta al di fuori dei bagni comuni, sbuffando nervosamente.
Perché non le era stata concessa una placida vita lontana da tutto ciò che riguardava faide e sangue? Sì, credeva in gran parte degli ideali del Duca, lo sosteneva ed era fiera di lottare per la rivoluzione che aveva deciso di mettere in atto, ma alle volte, quasi come una brezza fredda ed improvvisa, il desiderio di fuggire dal proprio ruolo di guerriera si faceva sentire, passando a fil di pelle e portandosi dietro un tappetto di brividi fastidiosi. Magari, se semplicemente si fosse sottratta ai doveri che aveva finito con il ritrovarsi attaccati addosso come toppe, avrebbe potuto scoprirsi destinata a qualcosa di diverso, ad una quotidianità meno vacillante ed in grado di darle la possibilità di amare senza essere giudicata da nessuno. 
Immersa in quei sogni, Aralyn non si accorse di aver raggiunto l'atrio della Tana, dove un borsone dalla minuziosa fattura se ne stava tranquillamente appoggiato di fronte al primo gradino della scala che conduceva ai piani dedicati alle stanze condivise. Le ci vollero alcuni istanti per notare come la presenza di quell'oggetto fosse insolita e disturbante, messo lì quasi con l'intento di bloccarle il passaggio.
Non ci mise molto a notare il nome che una triste ed anonima targhetta riportava, scritto in una calligrafia elegante, a tratti discordante con l'immagine che si poteva essere fatta dell'autore: Josh era infine giunto nella sua casa, nella sua realtà e, per colpa di Arwen, se lo sarebbe ritrovato davanti ogni giorno. Un nuovo sbuffo le si riversò fuori dalle labbra: l'inizio della sua punizione partiva da lì.


(aggiornato il 01.11.2017)

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Capitolo 12
*** Ciò che è sbagliato può essere giusto ***




11. Ciò che è sbagliato può essere giusto

Al suo arrivo Joseph aveva trovato una stanzetta angusta ad accoglierlo all’interno dei muri del clan, uno spazio di poco più di una dozzina di metri quadrati che, nel momento in cui fosse arrivato un nuovo arruolato, avrebbe dovuto condividere -la sola idea lo infastidì a tal punto che, per scetticismo, riempì l’altro letto con le proprie cose, quasi a convincersi che fosse già occupato. Arwen lo aveva raggiunto non molto dopo, facendosi strada all’interno della camera come se nulla fosse, quasi da sempre fosse stata così: abitata dall’ultimo arrivato, piena zeppa delle sue proprietà. Per un po' non si erano detti nemmeno mezza parola, poi l’Alpha si era deciso a spezzare il silenzio. Proprio come aveva sentito dire, il Purosangue si ritrovò a notare come la cadenza melodica delle parole dell’uomo, ma anche il tono che aveva, fossero ammalianti, una sorta di nenia che non si smetterebbe mai di ascoltare.
«E’ modesta, ma è tutto ciò che possiamo offrire. Il posto potrebbe sembrare grande, ma in realtà ci sono molte zone comuni che ne occupano lo spazio» si mise a raccontare, parendo a tratti una sorta di agente immobiliare intento a vendere quell’angolo di mondo «prima questo posto era una sorta di caserma, o ospedale militare, ancora non ci è chiaro. Il Duca ce l’ha concessa visto il numero di lupi all’interno del branco» concluse infilando le mani in tasca. Joseph si guardò attorno con più attenzione, provando ad immaginare come potesse essere quel luogo in un passato più o meno lontano. Nessun dettaglio, se non le finestre più lunghe che larghe, avrebbero potuto ricondurre la mente ad un luogo del genere, quindi con grande probabilità i nuovi residenti dovevano aver fatto vari lavori di restauro per far sì che si trasformasse per loro in un posto da poter chiamare “casa”.
Con cautela posò lo sguardo su Arwen, ora intento ad osservare al di fuori della finestra «Da quanto siete qui?» la domanda poteva anche apparire del tutto innocente, ma in realtà la curiosità del ragazzo aveva secondi fini che, si augurò, avrebbero potuto compiacere ed aiutare il padre. Avevano cercato il quartier generale di quel clan per anni, senza mai riuscire realmente a localizzarlo e, per molto, avevano anche avuto il sospetto che fossero nomadi in continuo movimento. L’Alpha rimase rivolto verso il panorama, immobile come una statua «Ad ora credo che siano quasi sei anni, forse poco più. Ero già capobranco quando ci siamo stabiliti in queste zone» confessò, probabilmente ignaro di cosa potesse comportare quella risposta per il nuovo arrivato.
«E siete riusciti a nascondervi per tutto questo tempo?»
«Abbiamo delle regole per far sì che questo luogo sia difficile da localizzare. Nessun lupo con alle calcagna un nemico deve dirigersi direttamente alla Tana, così come i feriti vengono portati in un luogo di passaggio prima di rientrare a casa. Possono sembrare sciocchezze, ma non lo sono e, se davvero vuoi unirti a noi e restare qui» improvvisamente i suoi occhi calarono come ghigliottine sulla testa di Joseph, che avvertì il cuore perdere un colpo «dovrai fartele insegnare. Assimila più che puoi, mettiti in mostra e sii il migliore. Solo a quel punto potrai essere iniziato tra quelli del Nord».
La serietà con cui Arwen gli si era rivolto, parve assomigliare a quella di Gabriel e Douglas, ma anche di Kyle e probabilmente alla sua quando impartivano ordini al resto del clan; per un momento fu come ritrovarsi ad essere uno qualunque, sbattuto in mezzo alla calca di licantropi privi di un qualsivoglia titolo onorifico. Il ragazzo annuì con convinzione, capendo perfettamente quale fosse la logica dietro a quelle manovre «Da chi mi consigli di assimilare tutto ciò?» chiese subito dopo, tentando di capire quali fossero i soggetti temibili all’interno del branco. Se li avesse individuati, avrebbe potuto studiarli con maggiore attenzione, imparare a difendersi e come disarmarli, in modo che nel momento in cui avesse deciso di fare la sua mossa, nessuno ostacolo avrebbe potuto frapporsi tra lui ed il Pugnale.
L’Alpha sorrise a labbra strette, probabilmente compiaciuto di sentirgli fare una domanda del genere. Ad orecchie esterne, un simile quesito avrebbe potuto assumere significati differenti e, sicuramente, a quelle dell’albino doveva aver preso una connotazione positiva.
«I gemelli se la cavano bene, ma da loro potrai imparare solo il lavoro di squadra. Marion è una buona informatrice, ma certamente ti insegnerebbe più sotto le lenzuola che sul campo!» una risatina interruppe il discorso, facendo increspare la pelle agli angoli della bocca di Arwen «Fernando e Garrel sono tra i migliori a cui puoi chiedere, ormai vivono con noi dalla fondazione del clan e…»
«Aralyn invece?» quasi senza rendersene conto, Joseph mosse la domanda che meno di tutte avrebbe dovuto fare. Gli occhi del capobranco saettarono nuovamente su di lui, illuminandosi di una scintilla sinistra. Come aveva sospettato, tra quei due doveva esserci più di un semplice rapporto di convivenza tra membri dello stesso gruppo di mannari, ma non avrebbe potuto affermare con totale certezza quale fosse la natura del loro rapporto.
«Come mai tanto interesse?»
Improvvisamente il purosangue si ritrovò con le spalle al muro. Nemmeno lui sapeva per quale ragione avesse chiesto proprio di lei, di una tizia che sembrava palesemente restia ad averlo intorno, ma che nonostante questo suscitava in lui una curiosità annichilante, oltre che un’altra miriade di sensazioni. Cercò di camuffare il proprio interesse alla bene e meglio, acciuffando nella mente i primi pensieri dalla parvenza sensata «Ho visto che si allena con Garrel, in più non ti tratta sempre come un suo superiore, quindi suppongo abbia qualche ruolo o si sia meritata un qualche posto d’élite…»
Arwen finalmente si volse completamente nella sua direzione, muovendo qualche passo lento, forse troppo per la situazione. Nel suo sguardo la luce torva non sembrò volersene andare e la cosa mise i nervi di Joseph in tensione.
«Hai ragione, lei ti deve tener d’occhio perché è la più critica nel clan, nonché la persona da cui più di tutte ti devi tenere in guardia, oltre a me. Falle pure tutte le domande del caso, ma stai attento a ciò che fai» con altri passi, il capobranco cambiò direzione, spostandosi dal Menalcan verso la porta. Per la prima volta da quando lo aveva incontrato, al ragazzo il capoclan nemico parve essere molto più minaccioso di quello che gli era parso; le sue spalle improvvisamente diventarono immense, così come i canini nella sua bocca affilati.
«Ora seguimi, ti faccio vedere dove trovare gli angoli fondamentali di questo posto»
Non se lo fece ripetere due volte. Con uno scatto fu subito dietro all’uomo, che con quell’andatura ponderata gli fece strada nel corridoio. Fu lì che, senza preavviso, il suo sguardo fu rapito dalla figura sinuosa della ragazza che, solo citandola, gli aveva quasi fatto giocare la copertura.
Con addosso semplicemente un paio di pantaloni larghi della tuta ed un reggiseno senza coppa in pizzo bianco, la lupa se ne stava affacciata al parapetto delle scale, intenta a sbraitare contro un qualche confratello di cui, sul momento, a Joseph non importò nulla. Mangiò con gli occhi chiari ogni centimetro di pelle che si potesse vedere, dal lungo collo lasciato nudo a causa dei capelli raccolti, al torace su cui due curve sode ma non troppo grandi la facevano da padrone, per poi discendere lungo la curva appena accennata della schiena. Possibile che nonostante tutte le imperfezioni, stesse riuscendo ad incantarlo? Di quale strana stregoneria erano capaci le Impure? Sì, perché solo una magia avrebbe potuto farlo sentire a quel modo, in parte stordito ed in parte ammaliato. Aralyn era l’esatto opposto delle donne con cui negli anni aveva avuto a che fare, in più era sua nemica, nonché un’anonima ragazza tra tante. Eppure eccolo lì, con lo sguardo perso su di lei, la bocca schiusa in segno di stupore ed i pensieri rivolti verso cose che avrebbe fatto meglio a evitare. Né il suo corpo né i suoi pensieri sembrarono volersi staccare dalla sagoma della lupa, fin quando a riportarlo alla realtà, non fu una pacca sulla spalla, talmente forte da mozzargli quasi il fiato. A Joseph ci vollero alcuni istanti per riprendersi dal colpo, ma quando lo fece si rese conto che a colpirlo a quel modo era stato nientemeno che Arwen.
Sicuramente l’Alpha doveva aver notato il modo con cui si era incantato sulla figura della ragazza e, infastidito da ciò, aveva cercato di rimetterlo in riga, come era accaduto nella stanza non molto prima.
Con tono paterno, ma dal retrogusto irato, il capoclan si rivolse alla ragazza «Potresti spiegarmi il motivo del tuo abbigliamento, Ara?» Lei finalmente si rese conto della loro presenza e voltando il capo, diede modo ai due lupi di scorgere le sue guance rosse di rabbia ed il modo in cui le clavicole apparivano sotto la sua pelle diafana, sensuale come solo le cose proibite potevano essere.
In un istante Joseph capì che ciò che aveva avvertito la prima volta che l’aveva conosciuta, si stava lentamente trasformando in una sorta di attrazione, no anzi, lo era sempre stata, ma sotto la coltre di obbiettivi che si era imposto di portare a compimento non era mai riuscito a notarlo. Quella consapevolezza iniziò a prendere una forma nitida e quando se ne rese conto, si ritrovò senza parole, privo di un qualsiasi pensiero logico che potesse tirarlo fuori dalla situazione. Sapeva da sé che il suo lato animale avrebbe combattuto in tutti i modi per ottenere ciò che voleva, per riuscire a mettere le grinfie sulla preda designata, ma sapeva altrettanto bene quanto fosse sbagliato quel desiderio. Lui era un Menalcan, mentre lei faceva parte degli uomini al servizio degli ideali del Duca. Lui era giunto lì per uccidere Arwen, mentre lei lo avrebbe protetto con la sua stessa vita. Joseph era Puro, un nobile fatto e finito, un licantropo nato lupo e divenuto umano, mentre Aralyn era una meticcia, figlia di umani e trasformata solo in seguito in mannaro.
Però, si disse, non era certo di una relazione che si parlava, avrebbe potuto limitare benissimo la cosa al più carnale dei desideri e allora, nulla avrebbe potuto impedirgli di avvicinarla, azione che con grandi probabilità avrebbe persino potuto condurlo un po' più vicino al fulcro della sua missione.

Yaga's Space

Sconvolgenti rivelazioni in questo capitolo! Voi che ne pensate?

Dalla versione originale ho tolto quasi metà testo, riscrivendone oltretutto buona parte. Prima la narrazione si incentrava parecchio sulla sensualità e sessualità dei personaggi, ma ora vorrei ponderarla con più criterio, magari lasciando cadere sulla storia un velo più soft.
Spero di poter avere sia dai nuovi che dai vecchi lettori un'opinione spassionata su ciò che state leggendo, in modo non solo di capire se le correzioni stanno dando dei frutti, ma anche se la storia ha un suo potenziale o meno.
Vi invito inoltre a sbirciare sulla rubrica dedicata alle vignette che mi ritrovo a disegnare, in modo da farvi due risate sul modo in cui ridicolizzo i personaggi al di fuori del testo!
Detto questo vi saluto e ci vediamo presto con un nuovo aggiornamento :D


(aggiornamento del 08/11/2017)

 

 

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Capitolo 13
*** Imprevedibile futuro ***




12. Imprevedibile futuro

Seduta al solito tavolo dell’unico bar adiacente alle terre del clan, Aralyn attese per quasi un’ora l’arrivo dei propri amici. Tutto ciò che aveva a tenerle compagnia era una tazza di latte macchiato ancora fumante. Per gran parte del tempo trascorso in quel postaccio tutt’altro che affascinate, si era ritrovata con la mente persa su ciò che era accaduto durante la settima, cioè il trasferimento di Josh dentro la Tana, ma anche l’interesse a tratti ambiguo di Arwen per il ragazzo. Alle volte pareva quasi che in lui ci vedesse qualcosa di grandioso, che desiderasse tenerlo stretto a sé all’interno della sua cricca di lupi in modo da farne un perfetto licantropo, magari un futuro Alpha con cui allearsi, ma in altre occasioni poteva sembrare che lo temesse, come se avesse paura che potesse strappargli dalle mani ciò che aveva di più importante. Magari erano solo sue impressioni campate in aria, ma Aralyn non poteva far altro che chiedersi il perché di entrambe quelle due reazioni: perché lo Sconosciuto appariva a suo fratello come un buon partito per il clan? Perché se tanto gli piaceva, temeva a sprazzi la sua presenza?
Se solo glielo avesse chiesto a lei in veci diverse da quelle di fratelli, gli avrebbe risposto che era ancora troppo presto per invitarlo a stare da loro, che dovevano prima inquadrarlo nell'insieme di un contesto più ampio, non solo quello del bravo licantropo; peccato solo che Arwen della sua opinione non se ne fosse proprio curato, lasciandola a rodersi il fegato da sola.
Josh le suscitava fin troppi pensieri contrastanti, per non parlare di tutto ciò che si poteva riassumere nelle sensazioni fisiche. Lui era un lupo diverso, un’incognita x a cui lei non sapeva che valore dare e se fosse giusto trovarlo. 
Sbuffò, rendendosi conto di essere nuovamente finita col pensare a quel tipo. Cosa aveva di tanto speciale da interessarle? Perché alla fine non riusciva a liberarsi della sua presenza, nemmeno nei momenti di solitudine? In fin dei conti non voleva averci nulla a che fare con lui!
Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere il sorriso bianco latte di Fernando che le si stava sedendo davanti. E Marion? Il suo sguardo indagatore parlò prima della sua voce, facendo trasparire la domanda «Oh, non è venuta, ha preferito raggiungere subito il Rifugio» le disse l’uomo, senza smettere per un secondo di mostrare la sua dentatura perfetta. 
Il luogo in cui la bionda si era recata, senza degnarsi di avvertire l’amica, era un distaccamento del tutto anonimo del clan, un posto dove i lupi meno abili nel combattimento, malati, vecchi o semplicemente innocui, decidevano di stare. Effettivamente erano parte integrante del branco, lupi che nel momento del pericolo o del bisogno avrebbero comunque dovuto fare la loro parte, ma che finché non ce n’era bisogno, potevano starsene tranquillamente lontani dal quartier generale. A differenza della Tana, il Rifugio si trovava in una zona di montagna al di là del confine italiano e l’attività principale dei suoi occupanti, era legata al turismo della zona. 
Fernando fermò la cameriera con un cenno, ordinando uova e bacon con una coca a parte. Aveva uno stomaco di ferro, non si poteva negare e persino alle otto e mezza del mattino riusciva ad ingurgitare cibo come quello, che lei avrebbe impiegato giorni per digerire. 
«Allora novità?» le chiese sfilandosi il giubbotto in jeans, tappezzato qua e là di toppe dai mille colori e disegni. Lei alzò le spalle, provando a fingere che ciò che stava per dire non avesse poi grande importanza «Arwen ha deciso di reclutarne un altro» affermò, mettendosi subito dopo a giocare con una ciocca di capelli. All’amico avrebbe anche potuto dire che lo aveva fatto contro la sua volontà, che di ciò ne era seriamente arrabbiata, ma si limitò al minimo necessario: magari facendola apparire come una cosa di poco conto, lo sarebbe pian piano diventata. 
«Davvero? E chi è questo tizio?» chiese, incuriosito dalla notizia. Aralyn avrebbe voluto leggere meno entusiasmo nel tono dell’uomo, ma purtroppo dovette fare i conti con una felicità ben diversa dalla propria. In fin dei conti, se non si fosse trattato di Josh, quella sarebbe potuta apparire anche a lei come una novella di cui gioire e non un terribile avvenimento da sabotare. Si mordicchiò appena il labbro «Non so se Mary ti abbia parlato del nuovo tipo che ha adocchiato, ma in caso, si tratta di lui. A parer mio non è uno su cui fare affidamento e dovremmo tenerlo d’occhio il più possibile!» sentenziò prima di mettersi a sorseggiare il latte macchiato non più bollente. Aveva bisogno di parlare con qualcuno visto che né Marion né Garrel si erano degnati di starla a sentire e Fernando, seppur non fosse la sua prima scelta, era un’ottima alternativa. La cameriera arrivò con l’ordinazione e loro cercarono di non farsi sentire. Cosa avrebbe potuto pensare un’innocente umana sentendoli parlare di branchi e cose del genere?
«Mi sembra di capire che non ti piaccia il nuovo arrivato…» accennò lui subito dopo che la dipendente del posto si allontanò. Sul suo viso comparve un sorriso divertito, uno di quelli in grado di nascondere decine di pensieri e commenti differenti. Aralyn si sentì stupida ad aver iniziato in quel modo il discorso, quasi fregandosi sul nascere ed apparendo, agli occhi dell’amico, come una bambina gelosa. Poggiò la tazza «E’ un bel ragazzo e anche come lupo non sembra affatto male, anzi! Sembra essere ciò di cui avevamo bisogno: un guerriero, uno di quelli veri… ed è per questo che non mi convince...» abbassò il tono, intimidita da quello che lei stessa stava dicendo «mi sembra che sia falso, un sogno a cui ci stiamo aggrappando ma che in realtà altro non è che un incubo travestito» concluse, allontanando lo sguardo dal tavolo e facendolo ricadere oltre il vetro sporco della finestra.
L’uomo sospirò dolcemente «Se Arwen ha deciso di fidarsi, fallo anche tu. E’ il nostro Alpha, dobbiamo essere dalla sua parte, cucciola. So che per te le parole di tuo fratello sono legge e mi dispiace sentirti dubitare di lui. Vedrai che prima o poi ti ritroverai felice di avere gente nuova attorno e magari, un giorno, potrebbe perfino finire con il piacerti, se riesci a capire cosa intendo…» In mancanza di caffè-latte, fu la saliva ad andarle di traverso, facendola tossire di colpo. Con sguardo assassino si rivolse all’amico, furiosa ed imbarazzata al contempo «Cosa diamine ti salta in mente? Da dove tiri fuori certi stupidi pensieri?!» Aralyn emise un gridolino particolarmente fastidioso, facendo apparire tutta la frase come lo strillo di una gallina. Era sconvolta, completamente! Fernando, con ancora la bocca aperta per accogliere la fetta di bacon, la guardò allibito «Beh, pensavo solo al tuo futuro, dopotutto sei ancora giovane e non hai nessuno con cui condividere una vita…vera». L’uomo le parlò con un’infinita dolcezza nel tono di voce, cercando di farle capire quanta poca malizia ci fosse nel suo commento. Sicuramente, rifletté anche la ragazza, ciò che il licantropo stava cercando di fare era un gesto carino, voleva dimostrarle quanto ci tenesse a lei anche attraverso quel genere di interessamento. 
Improvvisamente, si rese conto anche lei di quanto le sue parole fossero vere. Né da sola, né con suo fratello, avrebbe mai potuto godere di un amore libero, normale. A prescindere dal fatto che fosse un essere sovrannaturale o meno, ciò a cui anelava, così come qualsiasi ragazza poco più che ventenne, era la possibilità di vivere serenamente una relazione con un qualsiasi compagno che si fosse scelta. Avrebbe voluto anche lei andare a cena fuori, essere corteggiata, baciata, presa per mano pubblicamente; avrebbe voluto svegliarsi in un letto condiviso senza dover sgattaiolare fuori dalle lenzuola prima che qualcuno del clan si accorgesse della sua presenza in una stanza non sua, così come avrebbe voluto raccontare alle amiche, o meglio Marion, di ciò che aveva fatto il giorno prima con il suo ragazzo.
Osservò Fernando con aria remissiva «E se non ci fosse una vita vera, nel mio futuro?» gli domandò, conscia del fatto che per quanto fingessero di poter essere come umani, facevano comunque parte di un clan in guerra e ciò, comportava sacrifici e percorsi ben diversi da quelli di molti altri; lui stesso ne era una prova. L’uomo sorrise amaramente, riuscendo a captare in quella domanda il lato nascosto delle parole di Aralyn. Anche lui in passato aveva cercato di costruirsi una normalità che per la situazione in cui si trovavano, era perennemente a rischio e, come molti altri, aveva visto quel progetto sgretolarsi davanti ai suoi occhi.
«Solo provandoci lo saprai. Magari sarai più fortunata di noi altri» ed infilandosi un’altra forchettata in bocca, chiuse il discorso che, quasi certamente, aveva cercato di riaprire vecchie ferite che si era ripromesso di lasciar stare.

 

(testo aggiornato il 18/11/2017)

 

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Capitolo 14
*** Notte di Plenilunio ***




13. Notte di Plenilunio

I gemelli Vogel, due membri del clan che a detta di Garrel erano tra i licantropi migliori presenti lì dentro, lo avevano preso sotto la loro ala protettrice, un po' per via delle età affini, un po' per via del fatto che trovavano gli allenamenti con il nuovo arrivato tra i più divertenti della giornata, cosa che ultimamente, ormai a ridosso della notte di Luna Nuova, era assai piu amplificata a causa del fatto che le prestanze fisiche di tutti erano quasi raddoppiate, trasformandoli sempre più in animali e meno in persone -cosa che Joseph trovava gratificante, soprattutto potendo sfogare su quei due nemici, a loro insaputa, tutta la rabbia repressa nei confronti dei seguaci del Duca. In quegli ultimi giorni li aggrediva con una potenza maggiore, facendo loro male; eppure mai si erano accorti che in lui in realtà scorresse un intento omicida. La prendevano sul ridere, elettrizzandosi sempre più di fronte ad un livido procurato o una costola incrinata inferti. Le Notti di Luna, quelle tre meravigliose serate in cui si era liberi di essere lupi e darsi alla pazza gioia, erano per il giovane Menalcan una manna dal cielo: ogni suo impeto sembrava essere giustificato.
Quella mattina però, dopo quasi una settimana dal suo arrivo alla Tana, si ritrovò nella caffetteria con Eike e Hugo, i due fratelli dall'aspetto pressoché identico e, tra una chiacchiera e l'altra, qualcosa attirò in modo molesto l'attenzione non solo loro, ma di tutti i presenti. Avevano preferito, alle quotidiane percosse, una sana colazione in compagnia di tutti i confratelli, concedendosi una pausa in vista degli imminenti festeggiamenti.
Joseph, sentendosi disturbato, iniziò a guardarsi attorno cercando di capire esattamente cosa stesse succedendo. Lentamente il profumo di una femmina gli si infilò nelle narici, costringendolo ad interrompere lo scambio di battute con i due "amici". A differenza di tutte le altre donne presenti, che comunque si potevano contare sulle dita di una mano, questa sembrò emanare un sentore tutt'altro che innocente, quasi il suo intento fosse esplicitamente quello di catturare l'interesse maschile. Non era raro infatti, che in quel periodo del mese, come in un altro, le donne emanassero un odore animale molto più intenso, una sorta di "calore". Per un attimo nella mente del ragazzo, balzò la strana, quanto indesiderata idea, che potesse essere Aralyn la fautrice di tale profumo, eppure non fu del tutto certo che appartenesse a lei. Sì, anche il suo sentore era forte, esattamente come lo era quello di un Alpha e della femmina in procinto di raggiungere la zona mensa, ma non  così dolciastro; quello di Aralyn era un profumo più pungente e accattivante, in grado di stregare pochi e attirarne tanti. Quando finalmente volse il capo nella direzione in cui tutti si erano messi ad aspettare, il giovane lupo si ritrovò a fare i conti con una folta chioma bionda e curve talmente aggraziate e perfette da apparire prive di un qualsiasi valore; Marion sarebbe potuta sembrare sensuale ed eccitante solo ad una prima occhiata, poi si ritrovava a  perdere gradualmente fascino -o almeno per lui.
Eike gli si avvicinò, in modo che le sue parole, anche se palesemente udibili da tutti, sembrassero in realtà solo rivolte al nuovo membro del clan «Marion, la lupa del sesso! Quanto me la sbatterei!» nella sua voce si poté udire chiaramente un tono sognante, come quello di chi desidera qualcosa ma sa di non poterla avere. Joseph gli lanciò un'occhiata realmente divertita, cercando di non sorridere troppo. Il fatto che in alcuni momenti la sua missione potesse scivolare in secondo piano per la tranquillità e freschezza delle situazioni nel branco di Arwen, iniziava seriamente a sfuggirgli di mano e preoccuparlo, quindi tra le sue ultime priorità si era aggiunta anche quella di mantenere una linea di confine tra il vero sé e Josh. In sette giorni era riuscito a farsi fregare più volte e la cosa non andava affatto bene: se in così poco tempo aveva già perso la cognizione di chi era e cosa ci facesse lì, in un mese cosa sarebbe successo?
«E perché non lo fai?» domandò, scrollandosi momentaneamente di dosso quei pensieri.
Hugo precedette il fratello nella risposta, facendo passare lo sguardo di Joseph su di sé. Tutto ciò che distingueva quei due, oltre al taglio di capelli, era un neo che sul viso di Eike mancava dalla guancia, ma per il resto erano due perfette gocce d'acqua.
«Perché fino a poco tempo fa aveva quello che si potrebbe definire un compagno» affermò l'Impuro cercando a sua volta di apparire complice dei bisbigli.
Il Menalcan corrugò le sopracciglia, incuriosito dal discorso. Non era una novità che molti licantropi finissero con il perdere amici, parenti ed amanti durante le varie guerre e peripezie, alle volte bastava persino una scaramuccia tra due lupi del tutto estranei alla guerra tra clan per perdere la vita. Ad ogni modo, Joseph si finse più stupido di quanto fosse «Come mai usi il passato?» fece, nel tentativo di capire in quale singolare occasione l'uomo di Marion fosse morto -magari, si ritrovò allegramente a pensare, era stato lui stesso ad ucciderlo.
Eike si incupì appena, guardando con espressione seria in direzione del gemello che, dando prima un'occhiata nei paraggi per assicurarsi che nessun orecchio indiscreto, ma soprattutto Marion sentisse, decise poi di proseguire «Perché è morto, ovvio. Era uno dei ragazzi della squadra che ha attaccato quei luridi Menalcan poco tempo fa» fece una pausa, increspando il viso a tal punto da sembrare quasi pronto a sputare a terra come un vecchio marinaio «Quanto li detesto!» concluse infine senza far uscire nulla di liquido dall proprie labbra. Di fronte a quella confessione, il Purosangue si sentì avvampare; per un attimo temette persino di farsi scoprire. La sua mente non ci mise molto a collegare i pezzi, a ricordare che nella Villa di Douglas e del suo clan fosse stato ritrovato un solo cadavere. Rimase sconvolto da ciò disse il ragazzo davanti a lui e, se non fosse apparso strano, gli avrebbe persino chiesto di ripetere più lentamente.
Con occhi grandi di stupore si rimise a fissare la bionda, ora ferma ad uno dei primi tavoli ed intenta a chiacchierare con altri mannari. Più la guardava, più gli apparve come una cosa impossibile. Quella donna andava a letto con un minorenne! E non c'erano altri modi di vedere la situazione, nemmeno sforzandosi. Proprio lei che tanto appariva come una femmina sicura di sé e alla ricerca del classico maschio Alpha, prediligeva invece i lupi poco più che formati, anche nella loro forma umana! Poteva essere definita pedofilia? Quanti anni di differenza avevano realmente? Il corpo che i suoi uomini avevano trovato tra i cadaveri dei confratelli era quello di un mannaro appena più che sedicenne, se lo ricordava bene a causa di tutto il tempo che aveva passato a fissarlo, mentre Marion, ad una prima valutazione, doveva essere vicina alla soglia dei trenta.
La voce di Hugo arrivò ovattata, lontana per via dei mille pensieri che gli stavano ora vorticando in testa. L'Impuro lo dovette chiamarlo un paio di volte prima di ricatturare la sua attenzione.
«Come scusa?» il nobile strabuzzò gli occhi in direzione dei due lupi.
«Okay che sta emanando sex appeal senza ritegno, ma tieni a freno gli ormoni amico!» risero entrambi, emettendo quasi lo stesso suono. Non bastava l'aspetto, anche le espressioni e la voce dovevano apparire paradossalmente simili!
Il più capellone tra i due si riprese «Ti chiedevo se tu avessi mai avuto a che fare con quel clan, i Menalcan...» Oh Hugo, se solo avessi saputo quanto! Nemmeno potevano immaginare che dietro i sorrisi amichevoli, le battute e gli allenamenti che tanto adoravano, c'era il diretto discendente dell'Alpha di quel branco di purosangue, e se lo avessero fatto, probabilmente sarebbe stato fatto a pezzi seduta stante, senza alcuna pietà. Per quanto i clan Impuri si definissero diversi, più clementi e pacifici, non erano altro che bestie come loro, capaci di sgozzare un licantropo alla stessa velocità con cui un leprotto parte alla fuga. Come mentire, quindi? Come riuscire a non fregarsi subito? Finse di pensarci, di andare indietro con la memoria per far riaffiorare qualche ricordo perso o volutamente messo in disparte. Trovare continuamente bugie da servire ad ogni domanda non calcolata stava diventando un'impresa.
«Sì, sfortunatamente...» e riprese a sorseggiare il suo caffè riportando lo sguardo sulla lupa bionda che ora, con  calma, si dirigeva verso un tavolo isolato a cui sedevano Garrel ed il capoclan. Joseph avrebbe voluto togliersi al più presto da quella situazione scomoda; non sarebbe riuscito a reggere altre domande, quesiti sempre più specifici. I gemelli però erano curiosi, tanto quanto tutti i membri del branco; unico punto a loro favore era il fatto che fossero meno sospettosi, che prendessero tutto per vero, o quasi. Purtroppo per lui però, la curiosità non era caratteristica a loro estranea, quindi mossi dall'eccitazione e da forse una punta di dubbio, ripresero a chiedere «E come mai?»
Una morsa strinse lo stomaco del nobile a tal punto da fargli avvertire la nausea montare. Avrebbe dovuto immaginare che un "sì" avrebbe scatenato in loro la smania di sapere, di conoscere tutti i dettagli che componevano la vita dell'ultimo arrivato.
Prese un altro sorso, pregando di avere una qualche sorta di illuminazione, ma le idee scarseggiavano e le sinapsi si rifiutavano di collaborare. Cosa poteva fare? Come evitarsi un'ipotetica morte imminente? Doveva guadagnare tempo, il minimo necessario per salvarsi in corner.
Con il dorso della mano si tirò via dalle labbra il caffè rimasto incastrato tra le pieghe della carne. Pensò a qualche occasione in cui i suoi uomini si erano ritrovati a bisticciare con altri lupi del tutto estranei al clan ed improvvisamente ebbe l'illuminazione. Ringraziò ogni testa calda che componeva il suo gruppo di licantropi, ritrovandosi per una volta felice di avere simili soggetti nel branco.
Fece un sorriso tirato «Non gli è piaciuta una mia battuta. Sono talmente orgogliosi da infastidirmi anche solo quando aprono la bocca!» A tratti gli parve di dire la verità, nonostante fosse una scusa campata in aria all'ultimo minuto.
All'inizio i suoi interlocutori si guardarono con un certo scetticismo, mettendolo notevolmente in agitazione, ma poi scoppiarono in un'altra risata sguaiata, talmente sentita da attirare al loro angolo di tavolo tutte le attenzioni. I gemelli si lasciarono travolgere dall'ilarità e altri commenti denigratori nei confronti dei purosangue, dimenticandosi completamente di Joseph e ciò che aveva dovuto patire per inventarsi una simile cavolata.

 


 

 

La tensione della luna si fece sentire quasi subito una volta usciti dalla Tana: era impossibile non avvertirla quando il sole si accingeva a calar del tutto oltre le vette delle montagne circostanti il quartier generale degli Impuri. Ad incrementare quel senso di gravità ci si mise anche Arwen, dritto in mezzo al cortile e con le braccia conserte davanti al petto. In quel momento a Joseph apparve come un vero capo pronto a dar battaglia al mondo. Nei suoi lineamenti duri si poteva scorgere una severità d'altri tempi, mentre nello sguardo c'era una rigidità fuori dal comune, a tratti simile a quella che animava gli occhi di Douglas Menalcan. Era vero che i leader si distinguevano ad una prima occhiata, che una volta diventati capobranco si acquisiva una sorta di aura diversa da quella di tutti gli altri. Al fianco dell'Alpha notò Aralyn, intenta a lanciare occhiate furtive ed indagatrici. Joseph dalla sua posizione, riusciva a vederla appena. Rispetto al capoclan era minuta e la testa degli altri membri del branco alle volte la copriva a tal punto da farla sparire, ma lui provò a non perderla di vista nemmeno per un secondo, facendosi persino spazio tra la folla per poter andare più vicino. Avvolta in un leggero vestitino che ne risaltava l'incarnato, apparve agli occhi del ragazzo più graziosa del solito, una specie di bambola che più restava lontana dalle sue mani, più acquisiva valore. Ed era sbagliato, completamente, eppure non riuscì proprio a staccarle le proprie attenzioni di dosso; prima doveva vedere tutto ciò che la componeva, dai capelli lasciati sciolti sulle spalle, ai piedi scalzi che teneva vicini, come un soldatino, solo poi avrebbe potuto concedersi ad altro. Il Purosangue rimase a rimirare la ragazza per un tempo che gli parve troppo breve, fuggevole persino, però la comparsa di un terzo elemento al centro dello spiazzo lo costrinse a distogliere gli occhi cristallini da lei.
Sul lato sinistro dell'Alpha, Garrel troneggiava nei suoi quasi due metri di altezza e nella sua stazza da culturista alle prime armi. Dalla camicia aperta si poteva vedere un petto villoso, degno di un animale. A parte pochi occhi rivolti verso quel dettaglio, tutte le attenzioni erano soggiogate dalla presenza capoclan, vero centro focale del momento. Anche Joseph dovette ammettere in cuor suo che Arwen sembrasse la vera luce della serata, il leader a cui guardare con occhi grandi di ammirazione. Incorniciato dalla sua lunga chioma pallida, il viso risultava essere più luminoso di qualsiasi altra cosa presente nel cortile e gli occhi, di un colore simile all'oro, parvero vivi. Le fiaccole attorno a loro non erano poi di grande aiuto; esse infatti lanciavano strane ombre sui visi di tutti, rendendo la scena simile ad un rito antico, tramandato nel tempo e nella storia dei lupi mannari. In verità tutta quella messinscena doveva essere una strategia adottata dall'albino per far sentire il branco più unito, eccitato e pronto a far festa nel modo migliore che conoscevano. La Luna Nuova dava forza ed energia ad ogni licantropo, fosse questo puro o meno, ma specialmente a quelli come lui, agli Alpha, dava una potenza fuori dall'ordinario, trasformandoli davvero in creature sputare fuori dalla foresta più oscura. Pensando a ciò, Arwen sembrava acquistare ancora più importanza, diventando un vero nemico per il futuro capobranco che si celava in Joseph. Il corpo del Menalcan fremette come non mai, ma non avrebbe esattamente saputo dire quale fosse il motivo di tanta euforia, se la consapevolezza di quanto fosse forte ora il suo più acerrimo nemico, o il fatto che per una volta fosse vicino a sfiorare la libertà sottrattagli da Douglas e le sue regole. Si chiese anche perché quella notte gli apparisse diversa dalle altre vissute nei suoi ventiquattro anni di vita, come se improvvisamente avesse preso coscienza di sé e del suo stato di lupo. I muscoli già dalla mattina avevano iniziato a pulsare dolorosamente sotto la pelle, mentre gli occhi si erano fatti più vispi e l'olfatto gli aveva portato al naso qualsiasi profumo possibile, anche quelli più indesiderati. Era una sensazione fantastica e al contempo destabilizzante, e dentro di sé non desiderò altro che vedere come sarebbe andata a finire tutta quella serata, la sua prima mutazione tra gli Impuri.
Qualcuno tra la folla chiese silenzio con un fischio ed il ragazzo si ridestò dai propri pensieri. Il discorso era in procinto di iniziare e sicuramente doveva essere per il clan una sorta di buon augurio per la notte che avrebbero a breve vissuto. Guardandosi intorno, Joseph notò come i licantropi presenti fremessero all'idea di sentire il proprio leader parlare, dar loro il via ai festeggiamenti; era palese, dal modo in cui guardavano Arwen, che riponessero in lui una fiducia cieca, che lo avrebbero seguito in capo al mondo se glielo avesse chiesto. L'uomo si schiarì la voce, interrompendo le ultime chiacchiere rimaste a riempire lo spiazzo «Ebbene, fratelli miei, sono lieto di dare il via a queste tre notti di luna! Come ogni volta vi ricordo alcun cose fondamentali: la prima,» il capoclan alzò l'indice verso il cielo «non avvicinatevi ad abitazioni, persone o strade, dovete essere ombre tra le fronde del bosco» nessuno avrebbe voluto avere ache fare con dei cadaveri da nascondere o feriti da portare alla Tana ed allenare, non solo fisicamente ma anche mentalmente. Era un avvertimento logico, che preservava sia gli umani che i lupi.
«La seconda: cercate di essere a casa all'alba, prima di farvi trovare nudi a vagare per il bosco. La terza penso la conosciate tutti: tornate vivi» parole sagge pensò Joseph guardandosi intorno, studiando i licantropi presenti e notando come i gemelli fossero già impazziti solo all'idea di poter liberare ogni loro energia. Quelli come loro erano piú scapestrati, imprudenti; non riuscivano a controllarsi bene quanto un nobile quando assumevano le sembianze animali.
Lo sguardo ghiacciato del ragazzo tornò sui tre al centro di tutto, abbandonando le riflessioni su quali guai sarebbero potuti andare a crearsi.
Garrel dall'alto della sua altezza non si stava facendo sfuggire nulla, mentre Arwen sorrideva in modo amabile a tutti, felice di trovarsi in mezzo a tanta gioia; Aralyn soltanto sembrava essere infastidita dalla situazione, quasi non le piacesse avere tutti quegli occhi addosso e sentire per l'ennesima volta le ramanzine dell'uomo. Il Purosangue dovette trattenere una risata alla bene e meglio, trovando buffo l'atteggiamento di lei durante la situazione. Chissà perché, a differenza dei confratelli, non sentiva l'eccitazione correrle nelle vene, il desiderio di trasformarsi spingere lungo le pareti della pelle. Come aveva già intuito la sera del Naucht Teufel, al loro primo incontro, lei doveva essere diversa da qualsiasi altra femmina e forse, per questo motivo, l'Alpha le permetteva più di altri, la teneva in considerazione, ne era geloso e la guardava come se fosse la mela dell'Eden -e ciò la rendeva ancora più desiderabile.
Alcune delle persone presenti iniziarono a mutare lentamente, strappando vestiti, mugolando e godendosi quel cambiamento come se il rumore di ossa rotte fosse in realtà una sinfonia a violino. Vedendole così soddisfatte ed in estasi, si sentì anche lui desideroso di lasciare le fattezze umane per assumere quelle ferine, ma un dettaglio lo sospinse ad aspettare, a non buttarsi in mezzo ai cespugli e correre verso una notte selvaggia. Il fatto che lei sembrasse del tutto riluttante all'idea di unirsi ai festeggiamenti lo catturó a tal punto da fargli mettere un freno al bisogno sempre più impellente di assumere le proprie reali sembianze. Attese quindi che i primi lupi si dileguassero e poi, stando attento ai movimenti dell'omone peloso e dell'Alpha, si avvicinò ad Aralyn, intenta a parlare con Marion accanto alla fontana, il pulpito da cui Arwen aveva parlato a tutti i propri beta.
Da quello che avevano aggiunto i gemelli quella mattina, la bionda doveva essere appena tornata da una piccola vacanza sui monti italiani e quindi, sapendo del loro stretto legame di amicizia, si rese conto che vederle confabulare era la cosa più normale che potesse succedere. Speró con tutto se stesso di udire dalle loro bocche qualcosa che riguardasse il pugnale, ma ciò  che riuscì a captare, fu solo qualche parola sul da farsi, se separarsi e tenere d'occhio gli altri o godersi anche loro la nottata. Peccato, anche se la cosa non gli impedì di continuare la sua marcia nella loro direzione.
«Signore» le interruppe spalancando le braccia e sorridendo, compiendo così un gesto eccessivamente teatrale ma in grado di catturare la loro attenzione «voi non vi unite alla corsa?» chiese poi, sfoderando tutto il suo charme da bello e dannato. I loro sguardi si staccarono dal viso l'una dell'altra per posarsi su quello di lui. Il peso degli occhi della più giovane però, era nettamente superiore a quello della bionda e Joseph si sentì quasi bruciare la pelle.
Marion ricambiò il sorriso, probabilmente sperando ancora di avere qualche chance con l'ultimo arrivato al clan «Potremmo domandarti lo stesso...» gli fece notare. Nel tono di lei era inconfondibile il tentativo di sedurlo, cosa che al momento non fece altro che dargli fastidio. Sì, poteva anche essere bellissima, ma non aveva nient'altro oltre a quello e lui, inoltre, stava cercando di restare con la mente lucida. Già il semplice fatto che il braccio destro di Arwen fosse lì, in vesti più femminili del solito, non era affatto un aiuto e Joseph sapeva da sé di essersi mosso verso di loro non tanto per acquisire informazioni, come aveva provato ad illudersi, quanto più per osservarla meglio e bearsi del suo profumo -ogni giorno gli pareva sempre più necessario, nonostante la conoscesse da poco più di una settimana.
Il ragazzo infilò le mani in tasca e fece spallucce, senza perdere il buonumore che gli riempiva ogni espressione del viso. Avrebbe dovuto fingersi felice, su di giri, ma si ritrovò a non dover interpretare alcun ruolo inventato.
«Io ho la scusante di essere nuovo, in tutto questo... non me la sento di sgattaiolare lontano da qui tutto solo, potrei non ritrovare la strada» scherzò, continuando imperterrito a sforzarsi di fissarle entrambe quando il suo sguardo avrebbe voluto semplicemente scivolare lungo le membra chiare di Aralyn, seduta sul bordo della fontana al centro del cortile.
Marion riprese senza remore il suo tentativo di seduzione, così gli si avvicinò a passo lento, ondeggiando i fianchi come se seguisse una qualche melodia. Ad ogni passo, con le dita cercava di aprire i bottoncini del vestito in jeans in cui si era infilata per partecipare all'incontro pre-festeggiamenti e che non risaltava abbastanza le sue forme. Infine, quando finalmente gli giunse ad un soffio dal viso, lasciò cadere la stoffa ai propri piedi «Non ti preoccupare, non ti perderò di vista un solo momento» sussurrò. Joseph sentì il desiderio di fare un passo indietro per allontanarsi, ma resistette il più possibile. Quella donna era l'unica che avrebbe potuto condurlo al Pugnale, se si escludevano Arwen e Garrel, non si poteva concedere il lusso di infastidirla.
La lupa gli sfiorò con le dita una spalla, invitandolo a seguirla con lo sguardo. Mutò forma in un baleno, compiendo un movimento innaturale ma che le permise di atterrare su quattro zampe e con sembianze ferine.
Tolto il suo aspetto umano, Marion non aveva nulla che le altre femmine avrebbero potuto invidiarle. Il suo portamento non era poi chissà quanto aggraziato, né il suo manto così luminoso; le sue orecchie erano piccole ed incapaci di udire rumori leggeri, mentre il muso non sembrava poi tanto simile a quello di un vero mannaro. Joseph si rese conto di quanto fosse ancora donna e lontana dall'indole animale che si era insinuata in lei a causa del sangue di lupo, e la trovò ancora più inutile.
La vide fargli segno con la testa di seguirla, ma non le rispose, lasciandola sparire tra i cespugli convinta di ritrovarselo presto alle calcagna.
Era sicura di sé e di questo ne era certo, ma non sapeva che per attirare un uomo come lui, solo la bellezza fisica non era abbastanza, soprattutto quando a competere con un paio di curve c'era l'odore accattivante di un'altra femmina.
Il Menalcan riportò l'attenzione su Aralyn, che per tutto quel tempo si era limitata a tacere ed osservare la scena, visibilmente a disagio. Nonostante fossero amiche, non si doveva ancora essere abituata a quei modi.
Quando i loro occhi si incrociarono, Joseph notò come quelli di lei, nella luce di alcune fiaccole, apparissero fatti di fuoco. Il giallo dorato si colorava di sfumature rosse e poi aranciognole, creando una sorta di movimento. Sarebbe rimasto a fissarla per ore, cercando di capire quale magia potesse trasformare delle semplici iridi in uno spettacolo di cromie.
«Tu non partecipi?» le domandò, incuriosito e stregato al contempo. Desiderava vedere quella tipa in forma di lupo tanto quanto avrebbe voluto restar lì a guardarla. L'espressione di lei si rilassò appena, facendogli quasi sperare di vedere un sorriso comparirle a fior di labbra. Aralyn raddrizzò le spalle e Joseph non riuscì a non notare come lo scollo desse modo di intravedere al di là della stoffa. Per un attimo si sentì le mani formicolare, mosse dal desiderio bramoso di cingerle il collo ed accarezzarle poi quel lembo di pelle visibile e che andava ammorbidendosi a causa del seno. Purtroppo un altro effetto collaterale della Luna Piena erano gli ormoni alle stelle, capaci di far compiere al loro possessore atti involontari. Persino un Purosangue come lui, in quel momento, si ritrovò in seria difficoltà. Se lei gli appariva già ammiccante durante il resto del mese, in una situazione del genere risultava mettere seriamente a dura prova il suo autocontrollo.
«Non sei obbligato ad aspettare l'ultimo, puoi andare» la ragazza parlò con voce monotono, quasi cercasse di evitare una conversazione con lui. Proprio non doveva andarle a genio né la sua persona, né la sua presenza lì, ma poco importava visto che ci sarebbe rimasto per tutto il tempo necessario. Lei aveva già provato ad allontanarlo, eppure la cosa non era servita a nulla ed ora, sicuro di essere sempre più vicino a guadagnarsi la fiducia del capobranco, non si sarebbe lasciato intimorire dai suoi modi, ma anzi, avrebbe fatto di tutto per metterle continuamente sotto il naso la sua piccola vittoria.
«Non mi sento costretto ad aspettare, mi piacerebbe però che tu mi facessi compagnia» nel mentre però, avrebbe persino provato a conoscerla meglio, a capire cosa l'attirasse tanto verso di lei. Aralyn fino a quel momento era stata la lupa che più di tutte si era avvicinata al suo ideale di compagna, peccato solo che fosse un'Impura, la donna di Arwen e acerrima nemica del suo clan.
«Josh, con tutto rispetto, credo che quello di Mary fosse un invito a seguirla...non so se riesci a leggere tra le righe» ed ecco l'ennesimo tentativo di lei per mantenere le distanze.
« Uhm...quindi?» domandò, sorridendole con una spontaneità che apparve nuovamente troppo naturale per la situazione in cui si trovava.
La lupa sembrò visibilmente sorpresa dal modo in cui le rispose; nei suoi occhi comparve uno stupore che rallegrò maggiormente il nobile, ancora immobile di fronte a lei e alla fontana con l'angelo tristemente abbandonato alle intemperie del tempo. Davvero aveva pensato che si sarebbe liberata di lui così facilmente? Che l'invito ad una scopata con Marion bastasse per fargli perdere la testa?
Fece un paio di passi verso Aralyn, molleggiando come se nulla fosse. Desiderava davvero avvicinarsi, riempirsi le narici con il suo profumo, vederla piegarsi sotto al peso del suo corpo e...
«Lei aspetta me» i suoi pensieri furono interrotti in modo brusco dalla voce suadente dell'Alpha. Ogni volta che si sentiva sicuro di poter aprire un dialogo con Aralyn lui si metteva in mezzo, quasi captasse le sue intenzioni.
Joseph si volse nella direzione da cui sentì avvicinarsi il suono di una camminata sbiascicata. Era infastidito dal fatto di dover lasciar perdere quello scambio di sguardi e commenti, così come lo era ogni volta. La prima cosa che pensò fu di vedere Arwen inferocito, talmente geloso della sua femmina da non permettergli nemmeno un paio di parole con lei; invece si ritrovò al cospetto di un uomo stanco, provato dalle poche ore di sonno e dalla fatica di dover sopportare un corpo dai muscoli doloranti e pronti a scattare, come palloncini troppo gonfi e sul punto di esplodere. Come per i Purosangue, anche per i leader di qualsiasi razza di lupo, la Luna aveva un effetto eccessivamente intenso, rendendo le due specie così simili da far risultare quasi impossibile la distinzione.
Scorgendo nell'albino tutta quella spossatezza, Joseph trovò naturale porgergli una sigaretta, cosa che lui avrebbe trovato piacevole gli venisse rivolta in uno stato fisico ed emotivo del genere: il fumo era per una sorta di valvola di sfogo che aveva scoperto qualche anno prima e di cui ora, non riusciva più a farr a meno. L'altro rifiutò con un cenno della mano, tirando un sorriso che risultò essere palesemente di circostanza.
«Purtroppo amico mio, non tutte le lupe possono permettersi di accantonare i propri doveri, neppure nelle notti di plenilunio» aggiunse, porgendo una mano in direzione della femmina. Per un breve momento, Joseph si mise a pensare a quali mansioni lei dovesse adempiere in una notte di festa, a quali segreti stessero tenendo stretti quei due, ma poi, guardandoli, un pensiero del tutto scomodo e fastidioso gli si fece largo nella mente. Se davvero erano una coppia avrebbero speso la Luna Nuova insieme, a fare ciò ogni essere vivente era predisposto a compiere. L'immagine che gli si disegnò nella mente lo fece innervosire e allora, pur di scacciarlo, si concentrò sulla sigaretta che teneva ancora tra le dita. Non voleva pensare ad un'eventualità simile, a loro stretti l'uno nelle braccia dell'altra.
Si mise il filtro giallo tra le labbra e con l'accendino fece prendere fuoco alla punta di tabacco e cartina, poi inspirò profondamente «Capisco. Allora godetevi la vostra serata, ne avrete sicuramente bisogno entrambi» alluse, cercando di non far trapelare in alcun modo il proprio stato d'animo.
Per quanto innaturale e fuori luogo, sentiva Aralyn già sua, una preda su cui aveva poggiato gli occhi e a cui nessuno si doveva avvicinare. Era sbagliato come desiderio, del tutto scomodo visto chi era lui e cosa era andato a fare in mezzo a quella marmaglia di meticci, eppure non riusciva a non provare simili sensazioni, ad evitare di sentirsi attratto da ogni cosa che la riguardasse.
Buttò a terra la sigaretta, schiacciandola in modo da farla spegnere definitivamente e poi, avviandosi verso il limitare del cortile, iniziò a sfilarsi la maglia per evitare che durante la mutazione potesse andare distrutta. Rimase a torso nudo a fissare il nero del bosco intorno alla Tana, dove gli alberi diventavano una muraglia naturale e dove l'odore pungente del sottobosco andava a togliergli dalle narici e dai polmoni quello di lei. Non voleva restare a fissare quei due per un minuto di più, conscio del fatto che il suo istinto animale ed il suo sangue di Aplha avrebbero tentato di combattere per portar via dalle grinfie di Arwen la ragazza, ma si trattenne qualche secondo in più proprio lì, sul ciglio del sentiero sterrato che ogni mattina lo conduceva al punto di ritrovo per gli allenamenti. Potè avvertire tra le scapole, in modo distinto, lo sguardo bruciante di qualcuno ed un'ondata di brividi gli corse lungo la spina dorsale. 


(testo aggiornato il 23/11/17)

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Capitolo 15
*** Piccoli problemi di convivenza ***


 

14. Piccoli problemi di convivenza
Per quanto sapesse che la cosa fosse sbagliata, non riuscì ad impedirsi di voltare la testa per guardare la schiena chiara ed allenata, segnata da alcune cicatrici, del nuovo arrivato. Seppur trovasse la sua vicinanza destabilizzante, osservarlo da lontano e a sua insaputa aveva iniziato a piacerle. Lo spiava di continuo, esattamente come suo fratello le aveva chiesto di fare, ed in quei sette giorni che aveva passato con loro, lo aveva scrutato in ogni singolo gesto quando per errore entrava nel suo campo visivo. In quella sua meticolosa mansione, aveva avuto modo di pensare e farsi domande, quesiti che non capiva come mai Arwen non gli avesse ancora rivolto. L’Alpha sembrava essere diventato cieco di fronte al fatto che quel tipo, in fin dei conti, restava ancora un estraneo spuntato un giorno dal nulla quasi in risposta ai loro bisogni. Ma alla fine, chi era realmente Josh? Come era diventato un licantropo? Per quale ragione, tra tutti i clan, si era avvicinato proprio al loro? Certo, poteva semplicemente essersi trovato nel posto giusto al momento giusto, ma magari dietro a quei sorrisi da belloccio nascondeva ben altre motivazioni e lei, da bravo segugio, avrebbe dovuto scoprirle. Aralyn si morse un labbro, frustrata. Quel tipo aveva tutte le carte in regola, sembrava essere persino troppo perfetto per essere vero, e la cosa la infastidì. Non solo come umano, ma anche come lupo non aveva nulla da invidiare agli altri componenti del branco, nemmeno ad Arwen Calhum.
La voce di suo fratello la riportò alla realtà, facendole girare il viso di colpo, imbarazzata. Si sentì come se fosse stata scoperta in flagrante, una bambina con le mani nel vaso dei biscotti «Ti turba qualcosa? O lo fissi giusto per piacere personale?» nel suo tonò la ragazza non riuscì a capire se vi fosse più rabbia o stanchezza. Il capoclan era sempre stato geloso, sin dall’infanzia, ma in quel momento fu difficile capire se fosse solo una questione di gelosia.
Aralyn scosse il capo «Niente di tutto ciò» rispose mestamente, incapace di ponderare il modo in cui rivolgersi a lui. Sapeva da sé che se l’uomo fosse stato arrabbiato, la risposta sbagliata avrebbe potuto scatenare un putiferio. Sì, per la maggior parte del tempo e delle situazioni sapeva mantenere la calma alla perfezione, ma quando raggiungeva il suo limite, persino Arwen poteva diventare una belva -ed in una notte come quella sarebbe stato meglio evitare simili reazioni.
«Vai pure a divertirti allora, ti meriti anche tu una corsa»
«Pensavo avessi bisogno di me» la lupa si stupì. Non riusciva a capire come mai suo fratello avesse dovuto mentire a Josh per separarli, visto che anche lei sarebbe stata benissimo in grado di liberarsi di lui.
L’Alpha storse le labbra, facendo prendere alla bocca una piega scocciata «Non è una questione di vitale importanza, possiamo discuterne anche in un altro momento». Lo guardò dubbiosa, portandosi le braccia al petto ed incrociandole strette. Non gliela stava raccontando giusta, ne era certa. Lo conosceva abbastanza da poter dire che dietro a tutta quella storia si nascondesse qualcosa di diverso, ma preferì non insistere ulteriormente.
«Tu non vieni?»
Lui scosse la testa lentamente, quasi il tempo fosse dilatato ed i secondi durassero il doppio del normale «No, lo sai che non mi piace farmi vedere…» Sì, lo sapeva benissimo, meglio di tante altre persone, ma ad ogni Luna Piena si ritrovava a sperare che Arwen cambiasse idea e decidesse così di andare con lei ed il clan a correre e cacciare per il bosco; la risposta però non cambiava mai, declinava sempre il suo invito. L’infortunio subìto alla gamba lo destabilizzava a tal punto da segregarlo da solo all’interno della Tana persino quando tutti erano fuori a festeggiare. Sfigurato nel suo essere leader, l’uomo non si sarebbe mai fatto vedere dai confratelli nella sua nuova debolezza, in modo da conservare, a detta sua, l’illusione di essere ancora lo stesso mannaro di sempre.
Aralyn sospirò, consapevole del fatto che qualsiasi suo tentativo di persuasione non sarebbe mai andato a buon fine. Ormai ci era abituata, dopo i primi venti mesi di suppliche aveva capito da sé che lottare per far cambiare idea a proprio fratello sarebbe stata una battaglia persa.
La ragazza attese che il capobranco le desse le spalle, poi con fare stanco si tolse di dosso il vestito e rimase alcuni istanti nuda, non del tutto rivolta verso il bosco ma nemmeno verso di lui.
«Un giorno dovrai fartene una ragione, lo sai? Non potrai continuare in eterno a comportarti come un bambino capriccioso!» nel tono non provò nemmeno a nascondere il proprio disappunto; voleva scalfirne l’orgoglio, pizzicargli una qualche corda dell’anima in grado di farlo tornare in sé, ma parve non destare alcuna reazione in lui.
L’Alpha volse appena il capo nella sua direzione, lanciandole un’occhiata torva. L’unica cosa che era riuscita ad ottenere con quella frase, era stato un vago fastidio, ma non tanto per ciò che aveva detto, bensì per il fatto che volesse ancora una volta opporsi al volere del capobranco.

 
La mattina seguente, verso l’orario della colazione, Aralyn fece il suo ingresso nella caffetteria. Dal leggero vestitino della sera prima, era passata ad un’immensa felpa che le arrivava a metà coscia, con le maniche troppo lunghe per le sue braccia magre. I capelli spettinati, il viso acqua e sapone ed il sonno ancora appiccicato addosso la facevano apparire come una ragazza completamente differente. Non avrebbe fatto girare nessun uomo, se non si fosse trattato dei tre giorni di luna, ma vista la situazione, sentì cadere su di sé gli sguardi di vari licantropi affamati di pelle. Per quanto volesse ignorare il momento, gli ormoni di tutti sembravano essere sul punto di esplodere, dettaglio messo maggiormente in evidenza dal fatto che non era l’unica ad indossare meno indumenti del solito. La libertà in quei giorni del mese, si diramavano in ogni direzione: sia negli atteggiamenti, che nelle azioni. Garrel ne era un altro esempio lampante, nonché il primo che le balzò agli occhi. L’omone si muoveva nella caffetteria con solo i pantaloni della tuta addosso e sotto, era quasi scontato pensarlo, nulla. Tutto diventava fastidioso addosso, a parte la pelliccia con cui si sarebbero volentieri rivestiti. Se non fosse stato per la vicinanza con altre forme di vita antropomorfe avrebbero mantenuto per tutto il tempo il loro aspetto animale, ma purtroppo gli era impossibile se non volevano attirare su di sé gli interessi dei cacciatori.
Aralyn raggiunse l’amico al bancone, ci scambiò qualche commento sarcastico e poi gli disse di attenderla al tavolo, lo stesso dove anche Marion era seduta, sfoggiando senza ritegno le gambe chilometriche e perfettamente curate; non un pelo si poteva intravedere, né un livido o una cicatrice, men che meno la pelle screpolata tipica dei mesi invernali. Era impeccabile anche durante una pigra mattinata qualsiasi.
La giovane prese dal tavolo la brocca con il caffè e se ne versò un quantitativo esagerato nella tazza, pregando dentro di sé che potesse aiutarla a riprendersi dopo la nottata trascorsa a far capriole e corse sfrenate su e giù per il terreno scosceso del bosco. Con lo sguardo si mise a cercare il latte, unico addolcente che voleva aggiungere al suo intruglio di caffeina e acqua. Gli zuccheri aveva imparato ad evitarli dal giorno in cui suo fratello le aveva svelato di non metterne nemmeno mezzo cucchiaino all’interno della propria colazione, ma visto che le cose troppo amare non facevano per lei, si era ritrovata a scendere a patti con quel sistema. Vide la bottiglia d’interesse dietro al cesto dei biscotti, dall’altra parte del bancone in legno su cui si poggiavano tutte le vivande. Bofonchiò tra sé e sé, infastidita dal doversi spostare anche solo di qualche passo, ma pur di soddisfare il proprio bisogno di nutrimento, si spostò. Era ormai prossima a stringere tra le mani il collo di vetro del contenitore del latte quando dal nulla, altre dita, glielo sottrassero.
Così su due piedi, Aralyn rimase di stucco. Non poteva credere al fatto che uno qualsiasi dei suoi confratelli si fosse permesso di portarle via ciò che era, anche se momentaneamente, suo. No, no e poi no! Nessuno si doveva permettere di rovinarle a quel modo il buongiorno!
Si voltò pronta a dar battaglia a chiunque fosse il ladro del suo latte, ma senza alcun preavviso i suoi occhi incrociarono quelli cristallini del nuovo arrivato e il fiato, come le parole, le morirono in bocca. Di tutti i masochisti presenti all’interno del clan, mai si sarebbe aspettata che fosse lui la sua vittima. Aveva provato ad evitarlo in tutti i modi la sera precedente, dopo che Arwen l’aveva assolta da qualsiasi dovere, e tutto era filato liscio come l’olio fino a quel momento. La ragazza dovette strabuzzare un paio di volte le palpebre per ritrovare la lucidità improvvisamente latente a causa degli influssi della Luna, che le impediva di riuscire a mantenere del tutto le distanze da lui.
Josh aveva un odore dannatamente intenso, un profumo che al solo sentirlo le riempiva la pelle di brividi, anche se mai lo avrebbe ammesso; in più poteva vantare dei connotati perfettamente assemblati, per non parlare del fatto che fosse incantevole anche di prima mattina e dopo aver dormito poche ore. Aralyn involontariamente si mangiò con lo sguardo ogni centimetro di lui, dalla felpa nera aperta sul davanti, dove spuntava un fisico asciutto e ben scolpito, ai pantaloni che si andavano a stringere sulla caviglia. Dovette imporsi di riprendere il controllo per riuscire a distrarsi dai propri ormoni in subbuglio «Le buone maniere non te le hanno insegnate?» lo riprese, riuscendo a guardarlo nuovamente in viso.
Josh non le sorrise subito come suo solito, ma piuttosto restò fermo a fissarla con così tanta intensità da farla sentire quasi a disagio. Le parve quasi che si stesse accorgendo di lei per la prima volta da… sempre! Il cuore iniziò a batterle veloce nel petto, alimentato da un’agitazione crescente.
Il ragazzo si versò il latte, ritornando al suo consueto modo di fare. Sorrise con soddisfazione in direzione della propria tazza, incurante del fatto che lei lo avesse appena rimproverato per la mancata cavalleria «Suppongo la tua nottata non sia stata piacevole quanto la mia, vista la tua acidità già di prima mattina».
I suoi tentativi di provocarla sembravano avere ogni volta sempre più effetto, quasi fosse un arciere e lei il suo bersaglio: più frecce scoccava, più si avvicinava al centro.
«Prego?» sgranò gli occhi, completamente sorpresa dalla natura maliziosa di quel commento. Da un nuovo membro del clan si sarebbe aspettata molto più rispetto di quello che Josh le stava riservando, soprattutto visto il suo ruolo di braccio destro dell’Alpha.
Lui piegò appena la testa nella sua direzione, con fare complice e senza smettere di sorridere. La guardò con una luce perversa nello sguardo mentre rispondeva «Non fare l’ingenua, è ovvio che tu sappia a cosa mi riferisco, il rossore sulle tue guance non mente…» ed istintivamente Aralyn chinò il viso per nascondersi dai suoi occhi indagatori. Sì, sentiva le guance calde, ma mai avrebbe pensato che fossero diventate rosse tutto d’un colpo, tradendola.
«Sicuramente tu, invece, avrai fatto imprese da record stanotte» provò a ribattere subito, rendendosi conto con altrettanta reattività di quanto quel commento non avesse nulla a che fare con le frecce lanciate da lui nella sua direzione. L’abilità che aveva quel tipo di mandarla in confusione, alle volte, sembrava avere dell’incredibile.
Josh sospirò, rimettendo sul tavolo la bottiglia «Il sesso, se volessi, non mi mancherebbe affatto Aralyn, è solo che nessuna femmina mi attira, qui» sussurrò con la stessa malizia con cui aveva iniziato il discorso. Il suo atteggiamento provocatorio, ma soprattutto provocante, non fece altro che aumentare il ritmo del cuore, sempre più veloce, sempre più soggiogato dalla tensione. Lei si morse il labbro, stavolta fingendosi più interessata alla bottiglia che a tutto il resto «Mi spiace non poterti offrire di meglio.. » cosa avrebbe potuto dire d’altro? La stava mettendo con le spalle al muro, per non parlare del modo in cui stava sminuendo le poche femmine presenti nella Tana, compresa Marion che di solito riusciva a far innamorare chiunque.
«Forse perché in realtà non l’hai ancora fatto.»
Improvvisamente sentì un battito mancare, creando all’interno del suo torace un andamento scoordinato simile all’ipocondria. La mano le tremò appena, facendo fuoriuscire dalla tazza un paio di gocce che si andarono a schiantare sulla tovaglietta improvvisata, troppo piccola per il bancone che occupava buona parte della caffetteria. Deglutì a fatica, ma ci riuscì. Vedendola in così tanta difficoltà, Josh fu mosso da un moto di divertimento che gli ridusse gli occhi a due fessure chiare. Il suo sorriso, di un bianco quasi incontaminato, gli illuminò il viso. Di fronte a quella reazione, Aralyn si sentì offesa; si stava prendendo apertamente gioco di lei, del braccio destro del capoclan. Puntò lo sguardo sul viso di lui, fulminandolo.
«Questo è un branco di guerrieri, non un parco giochi od un bordello, quindi bada a quel che dici, ma soprattutto a come ti rivolgi a me» ringhiò tra i denti, provando a non farsi sentire da altri se non il proprio interlocutore. Il nuovo arrivato non parve preoccuparsi molto di quell’avvertimento, quasi non temesse affatto lei o le sue possibili minacce, così continuò imperterrito a sorriderle, facendo sfoggio di tutta la sua naturale bellezza.
«Non preoccuparti, so benissimo cosa è questo clan, così come so bene che far abbaiare il cane del padrone equivale a venir morso».

(testo aggiornato il 30/11/2017)

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Capitolo 16
*** Portami in città ***




15.Portami in città

Joseph, disteso nel suo nuovo e scomodissimo letto, ripensò al modo in cui Arwen si era prontamente avvicinato a lui ed Aralyn appena li aveva visti parlare in solitudine, quasi avesse temuto che gliela potesse portar via. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore da quell’evento e al solo pensiero gli era ribollito il sangue nelle vene. Era stato così vicino a lei l’altra notte, l’aveva trovata molto più rilassata di quella mattina in caffetteria e, se l’Alpha non si fosse messo in mezzo, sarebbe persino riuscito a farle abbassare un pochetto le difese. Digrignò i denti, portandosi le mani al viso. Da quando era geloso di qualcosa che non era nemmeno suo? E perché mai stava sprecando così tanto interesse su di lei e non sul pugnale? I giorni si andavano sommando e lui ancora non aveva ottenuto alcuna informazione utile su chi l’avesse rubato, dove fosse e in quali mani; era lì e sembrava quasi che si stesse godendo un’immeritata vacanza.
Tutta la messinscena che aveva tirato in piedi, ad occhi esterni, sarebbe potuta apparire come un’innocente bugia, non come il piano di un futuro erede Menalcan in cerca di vendetta.
Abbassò le braccia facendo sì che le dita tirassero la pelle sotto agli occhi.
Se suo padre avesse saputo che dopo una settimana non era ancora riuscito a combinare nulla, se non instaurare un rapporto altalenante con Arwen -dove un giorno chiacchieravano come se niente fosse, parlando della vita e dei vari interessi, mentre quello dopo si lanciavano occhiate in cagnesco a causa di una donna- lo avrebbe sicuramente punito. Douglas odiava le attese inutili, ma più in generale il dover aspettare, per lui esisteva solo il concetto di “tutto e subito”, cosa che in quel momento il figlio non stava assolutamente prendendo in considerazione. Ma come ottenere facilmente ciò che gli interessava? Come riuscire a fregare un Impuro di quel branco? Non ne aveva alcuna idea. Già era riuscito a scoprire poco o niente della cerchia più vicina all’Alpha, figurarsi andare così in profondità da parlare con innocenza dell’artefatto rubato!
Sbuffò.
Di quel passo non avrebbe mai fatto progressi degni di nota, sarebbe rimasto a galleggiare in quella nuova realtà fittizia per un periodo ancora imprecisato, beandosi di non aver più tutte le responsabilità e le pressioni di un futuro capoclan ma anche corrodendosi a causa di tutto ciò che era sempre stato: un purosangue.
Era inutile fingere, nonostante il poco tempo trascorso lì, aveva già iniziato a sentir combattere dentro di sé il suo desiderio di libertà ed il senso per il dovere. La leggerezza che si respirava nel branco di Arwen era ben diversa dall’aria che riempiva le stanze della magione del suo leader, così come il modo in cui si era sentito quella prima notte di plenilunio era stato ben diverso dal solito.
Allungò la mano verso la propria giacca, riversa sul pavimento come se fosse un gatto addormentato. La ribaltò senza premura, cercando di trovare la tasca in cui aveva lasciato le sigarette. Frugò e frugò ancora, fin quando non si ritrovò nel palmo un pacchetto completamente vuoto e sgualcito.
Perfetto, un altro problema da aggiungere alla sua già fin troppo lunga lista!
Con un colpo di reni si tirò su, mettendosi seduto sul bordo del materasso. Non riusciva a credere al modo perverso in cui il destino si stesse prendendo gioco di lui: tutto ciò che desiderava pareva essere a portata di mano, ma quando le sue dita erano in procinto di afferrare qualcosa, questa spariva. Così era per la sua libertà, per il Pugnale, per Aralyn ed ora persino per quelle venti stecche di tabacco e catrame. Scosse la testa, ancora incredulo di fronte a quel susseguirsi di spiacevoli inconvenienti a cui, prima o poi, avrebbe certamente dovuto rimediare, partendo magari dalle cose più semplici: trovare i gemelli.
Una delle prime cose che aveva chiesto loro, era stato il perché di solo cinque vetture nella rimessa. Loro lo avevano guardato divertiti e poi si erano messi a raccontargli per filo e per segno la suddivisione delle auto all’interno del clan. C’erano un mini suv grigio, appartenente ad Arwen, una macchina dalle linee sportive che erano soliti guidar loro, una berlina che Garrel si era portato dietro dalla vita che aveva vissuto come umano e due pulmini da otto posti ciascuno, veicoli completamente al servizio dei confratelli che quotidianamente dovevano fare spola tra il quartier generale ed il posto di lavoro in mezzo agli umani. Ed ecco la ragione per cui avrebbe dovuto trovare quei due. Con l’omaccione non aveva poi grande confidenza, mentre l’Alpha non sembrava affatto predisposto a lasciare le mura del proprio “castello”. Ciò che teoricamente sarebbe dovuto restare nella rimessa erano quindi due auto già in città e quella dei gemelli.


 
Joseph cercò per ogni angolo della Tana; su e giù per le scale, nei bagni, in caffetteria e persino in cortile, ma di quei due nemmeno l’ombra, quasi si fossero dissolti nel nulla.
Bofonchiò tra sé e sé, infastidito. Perché quando aveva bisogno di loro sparivano senza lasciare traccia? Non chiedeva poi molto, solo un passaggio per raggiungere il tabacchino più vicino e recuperare qualche pacchetto di sigarette con cui sopravvivere nei giorni a venire. Almeno quel passo avanti doveva pur farlo, non poteva restarsene senza nicotina se sperava di riflettere sul da farsi. Imprecò in un sussurro, storcendo subito dopo la bocca in una smorfia scocciata; ormai era pronto a girare i tacchi e tornare nella propria stanza. In qualche modo sarebbe riuscito ad occupare un paio di ore, a distrarsi dalla mancanza di sigarette giusto il tempo per permettere a qualche anima pia di tornare a casa ed offrigliene.
Salì i dieci gradini che separavano il piano terra dal primo senza prestare attenzione ai lupi circostanti, quei pochi che non dovevano dedicarsi a mansioni da umani e che quindi restavano quasi ogni giorno nelle zone limitrofe a quell’edificio. Nell’aria si potevano respirare decide di odori differenti, alcuni dei quali parevano persino essere più vicini di quanto lo fossero in realtà; era difficile distinguere ciò che si trovava davvero lì e ciò che invece era chiuso dietro qualche porta. Quella notte sarebbe stata luna piena, il culmine delle loro forze e degli istinti animali, ma per Joseph che era purosangue, il controllo non aveva ancora ceduto il posto al suo animo di lupo e quindi, riuscì a trattenersi dal dare di matto o prendersela con qualche povero licantropo innocente. Sicuramente se ci fosse stato uno come Garrel nella sua situazione, avrebbe ribaltato le poltrone nell’atrio ed iniziato a sbraitare senza alcuna logica.
Senza nemmeno rendersene conto, avvolto nei suoi pessimistici pensieri, girò l’angolo che lo avrebbe condotto nell’ala dell’edificio in cui si trovava la sua camera, finendo a sbattere contro qualcuno di esageratamente massiccio. Questi, senza perdere l’equilibrio a causa del contraccolpo, l’afferrò per una spalla giusto in tempo per evitare che andasse a picchiare con il braccio contro la parete. All’inizio il ragazzo sembrò non capire completamente la dinamica della situazione, ancora perso nel suo piccolo mondo, ma dopo alcuni secondo alzò lo sguardo, incrociando quello di Arwen. L’uomo lo superava di qualche centimetro, abbastanza da farlo apparire minaccioso. Nei suoi occhi il Menalcan riuscì a scorgere una velata preoccupazione, come se quello scontro lo avesse turbato e si chiese come mai, uno del calibro dell’Alpha, fosse così suscettibile nell’animo. Fu strano, certo, ma quella sensazione durò così poco da non farlo riflettere oltre.
«Dovresti stare attento, con gli animi infuocati di questi giorni, potresti rischiare di finire in una rissa» il tono dell’albino tradiva la giocosità del commento, dando alla sfumatura nei suoi occhi un significato più profondo di quello che era parso al nobile. Lui scosse la testa, ridestandosi dalle considerazioni sull’altro «Sì, hai ragione. Scusami, ho la testa altrove oggi» e con una scollata di spalle a seguire, cercò di divincolarsi dalla presa del capoclan, che non gli oppose alcuna resistenza. Per un attimo Joseph pensò di potersene tranquillamente andare, abbandonando il corridoio per preferire il proprio letto, ma quando fu sul punto di incamminarsi e lasciare dietro di sé anche l’Alpha, questi lo bloccò.
 «Cosa ti turba?»
Il ragazzo tremò. Che Arwen avesse dei sospetti? No, era impossibile! Si era giocato più che bene le carte che aveva in mano… Che magari si trattasse di Aralyn? Poteva anche essere così, in fin dei conti pareva essere assai geloso della sua donna.
Tirò un sorriso «Sciocchezze per lo più!» socchiuse le palpebre «In particolare il fatto che mi servirebbero alcune cose di uso quotidiano, sai… qualche maglione, magari dell’altro dentifricio…le sigarette…»
Il capoclan parve rifletterci su, come se gli fosse stato posto un quesito complicato da risolvere. Era chiaro che quel giorno faticasse a restare concentrato sulla vita vera, sulle cose attuali e più concrete, la sua mente era persa da qualche parte e Joseph avrebbe pagato oro per sapere in quale argomento si era smarrita.
«Alcune cose le puoi trovare nella dispensa comune, ma altre no. Ti serve un passaggio, giusto?»
Annuì di risposta, crepitando all’idea di essere finalmente riuscito ad ottenere qualche risultato. Anche se Arwen non lo avesse accompagnato di prima persona, avrebbe potuto chiedere a qualcun altro di farlo al suo posto.
«Chiedi ad Aralyn, deve andare in città anche lei per sbrigare alcune commissioni, potresti accompagnarla. Non mi piace che vada in giro da sola, soprattutto di questi tempi» concluse l’uomo, riatterrando per alcuni istanti sul pianeta Terra. Gli occhi cristallini di Joseph furono trapassati da una scintilla. Si mise dritto, corrugando la fronte ed assumendo un’espressione perplessa. Era davvero incuriosito dal modo in cui l’albino avesse giustificato quell’idea, quasi Aralyn avesse un ruolo molto più importante di quanto lui avesse mai creduto fino a quel momento. Si morse la lingua «Come mai? E’ successo qualcosa di particolare?»
L’Alpha spostò lo sguardo ben al centro di quello del suo interlocutore «I Menalcan ci sono ancora addosso, e per quanto io voglia negarlo, lei da sola non è al sicuro. Se le succedesse qualcosa non me lo perdonerei. Io l’ho messa nei guai, quindi è compito mio assicurarmi che sia costantemente al sicuro, detto questo però, non posso nemmeno negarle la sua libertà.»
Effettivamente, anche se lei non avesse avuto a che fare in alcun modo con il Pugnale, i suoi confratelli avrebbero potuto tranquillamente puntarla, catturarla e torturarla con il solo scopo di scoprire la locazione esatta della Tana, pensò il nobile. Ogni membro del clan, fosse questo uomo, donna, vecchio o bambino, era pur sempre una fonte di informazioni utili che, presto o tardi, avrebbero aiutato i Purosangue ad impadronirsi nuovamente del loro ruolo agiato all’interno della comunità di lupi mannari.

 
 
A dispetto dei gemelli, trovare Aralyn fu abbastanza semplice. Il suo odore era inconfondibile anche in mezzo a quello di altri mille per lui, così seguendolo si era ritrovato ad incrociarla nell’ala opposta a quella in cui pernottava. Per alcuni istanti la osservò da lontano, incuriosito da ciò che era intenta fare. Con il busto era sporta oltre all’infisso di una finestra, con una mano si reggeva al davanzale interno, mentre con l’altra muoveva scoordinatamente un manico di scopa. Da quel che si poteva intuire, doveva trovarsi alle prese con una qualche sorta di nido attaccato alle grondaie intorno all’edificio. A guardarla dimenarsi in quel modo, gli tornò in mente la donna delle pulizie che si occupava di casa sua. Certo, tra le due vi era un divario d’età non trascurabile, ma la goffaggine nei movimenti era pressoché identica. Notò subito che ancora non si era cambiata da quella mattina, esattamente come avevano fatto molti dei lupi che non avevano questioni urgenti da sbrigare fuori casa, e dall’orlo di questa, si potevano intravedere dei pantaloncini talmente corti da sembrare quasi culottes. Fu una visione cogliere quel particolare e gli ormoni di Joseph parvero fare la ola all’interno del suo basso ventre, ormai sopraffatti anche loro dall’influsso della Luna Piena.
Eccola lì, la ragazza che ultimamente stava facendo vacillare le sue convinzioni su cosa fosse giusto o meno fare in una situazione come quella in cui era, avvolta da sempre meno stoffa e lontana dagli occhi di Arwen. L’istinto provò a fargli perdere i freni inibitori, ma lui combatté con tutto sé stesso per resistergli: non poteva rischiare di farla inferocire ancora come qualche ora prima, ne sarebbe seriamente andato della sua incolumità. A quel punto, dopo aver fatto ricordo a tutto l’autocontrollo possibile, il Purosangue fece prevalere la cavalleria.
Le si avvicinò lentamente, anche se ogni passo generava in lui un formicolio strano «Lascia, ci penso io» disse poi a pochi centimetri da lei. Aralyn sussultò, rischiando di far cadere in testa a qualcuno il manico di scopa. Che non l’avesse sentito arrivare? Era così occupata a far fronte ad un nido da non accorgersi della sua presenza?
Joseph si allungò per rubarle di mano il bastone, ma nel farlo finì con il poggiarle un palmo sulla curva della schiena, vicino al coccige. Per un momento brevissimo desiderò seguire tutta quella forma e lasciare che le dita si stringessero su uno dei suoi glutei. Il lupo in lui si dimenava ad ogni secondo in più che restavano in contatto, lo sentiva graffiare ed ululare dentro di sé come mai prima. Nessuna donna gli aveva mai fatto un simile effetto, forse perché nessuna di quelle con cui era stato era la compagna di un altro Alpha -doveva per forza di cose essere così.
Deglutì, pregando di riuscire a controllarsi.
«No, non ce n’è bisogno, riesco a farlo anche da sola» gli rispose Aralyn, ma quando il suo sguardo cadde su di lei, vide il rossore estendersi su tutte le gote, mettendo in evidenza un imbarazzo che mai si sarebbe aspettato di incontrare sul suo viso in un’occasione come quella. Di fronte a quella reazione, Joseph non fu in grado di impedirsi di sorridere. Stranamente trovò il tutto dannatamente dolce, cose se la parte iraconda di lei non fosse mai esistita. Gli piaceva vederla in difficoltà, con le spalle al muro; in quei momenti diventava innocente quasi quanto un’umana qualsiasi.
«Oh, ci credo! Però i miei genitori mi hanno regalato qualche centimetro extra, quindi sfruttami finché puoi» le strizzò un occhio con fare complice, sperando che per un poco si potesse sotterrare l’ascia di guerra con cui era solita volerlo colpire.
Questa volta Aralyn non arrossì e nemmeno balbettò quando gli rispose, semplicemente lo guardò storto incrociando le braccia magre sotto il seno rotondo. Con la coda dell’occhio il ragazzo lanciò uno sguardo alla scollatura, dove le carni di lei si comprimevano in modo dannatamente sensuale.
«Non voglio aiuti»
«Allora torno dove ero prima e mi godo lo spettacolo dei tuoi super shorts» e questa volta nel risponderle, usò lo stesso tono malizioso con cui l’aveva apostrofata durante la colazione. Le guance della lupa si fecero ancora più rosse, quasi fosse possibile. La vide mordersi il labbro, indecisa su che fare e, nel vedere come i suoi denti affondavano nel labbro roseo, sentì il bisogno di fare altrettanto, di mollare quel vecchio manico di scopa ed afferrare il suo viso per poterle rosicchiare la carne.
Aralyn, certamente all’oscuro di tutti quei perversi pensieri, si divincolò dalla sua presa, lasciandogli uno strano vuoto nel mezzo del palmo «Non avevi forse detto che non c’è alcuna femmina di tuo interesse, qui?»
«Ho detto così?» le sorrise ancora, provando ad ignorare il senso di mancanza che avvertiva tra le mani. Assestò un buon colpo al vespaio che fino a quel momento lei non era nemmeno riuscita a sfiorare, e lo vide in procinto di cadere. Diede ancora una bastonata e l’enorme alveare cadde verso il suolo. Le siepi fecero da riparo a quei rumorosi insetti e lui a quel punto poté tornare ai propri affari.
Sorprese Aralyn a fissarlo con una strana intensità: che lo stesse studiando? Doveva essersi persa in un qualche dettaglio a lui ignoto ed era rimasta immobile a scrutarlo fino all’ultimo, facendosi scoprire.
Se solo non fossero stati nemici…
Se solo non ci fosse stato il sangue diverso ed una guerra di mezzo, avrebbe persino potuto guardarla con occhi diversi da quelli del maschio che in fin dei conti era.
«Cosa vuoi da me, Josh?» l’incantesimo in cui era rimasta intrappolata andò in frantumi, facendola tornare in sé, e così si ritrovò a dover fare anche lui. Scrollò il capo un paio di volte, cercando di ricordarsi per qualche ragione la stesse cercando. Dovette risistemare un po’ le idee, ma alla fine gli tornò davanti la lista di obbiettivi da cui partire per riuscire a portare a termine la missione.
Appoggiò a terra il manico di scopa «Arwen mi ha detto di parlarne con te, ho bisogno di un favore».
«Sicuro che abbia parlato di me, per aiutarti?»
Il purosangue rise appena, divertito dall’espressione dubbiosa di lei, dal modo in cui fosse certa che qualcuno, tra lui ed il capoclan, avesse male interpretato le parole dell’altro. Lo odiava fino a quel punto? O la sua era solo una maschera indossata per tenersi distante da coloro che, a suo avviso, non erano degni di rivolgerle la parola? «Non credo ci siano altre con il tuo nome, in questo angolo di mondo! Oltretutto il boss preferirebbe che tu girassi con la scorta…» non fu difficile notare il fastidio che improvvisamente la colse, minando alla loro conversazione a metà tra la complicità e una sottile sfida. Non doveva piacerle l’idea di dover essere sorvegliata costantemente da persone per lo più indesiderate.
«Ah… quindi ti dovrei aiutare perché mi farai da guardia del corpo? Suppongo allora che tu voglia venire con me da qualche parte…» come previsto Aralyn era tutt’altro che una stupida, aveva l’acume necessaria per carpire ciò che non era ancora stato detto o accennato, riusciva a mettere insieme i pochi pezzi del puzzle in modo da abbozzarne il disegno. La vide spostare il peso sull’altra gamba, in segno d’attesa. Sul suo viso non vi era alcun segno di dubbio o incertezza, sapeva di aver colto nel segno anche senza la conferma del ragazzo.
Lui sogghignò, quasi fosse soddisfatto di quel risvolto «Mi hai rubato le parole di bocca, lo sai?» fece un passo verso di lei, senza rendersi conto di cosa stesse facendo, come se l’autocontrollo che prima aveva tanto invocato si stesse pian piano dissolvendo. Più che interesse fisico, in quel momento, provò un interesse più radicato; avrebbe voluto estrapolarle dalla testa tutto ciò che non era capace di conoscere o farle dire, avrebbe desiderato allungare le dita e scostare le tendine scure che ne tenevano celati i pensieri. Le sue mani però si infilarono in tasca, imponendosi di non fare cavolate a cui poi sarebbe stato difficile porre rimedio, poi continuò il discorso «Tu vai in città ed io ho bisogno di raggiungere negozi e tabacchi, mi sembra un buon compromesso, no?» si morse il labbro, certo di aver utilizzato un buon approccio. Aralyn lo fissò a lungo, stando in silenzio e, con grandi probabilità, valutando la sua proposta. Forse, se non ci fosse stata la buona parola di Arwen nel mezzo, lo avrebbe cacciato senza farsi troppe remore, giustificando il tutto con un semplice “non ti voglio tra i piedi”. In fin dei conti, lo aveva evitato per tutto il tempo che era trascorso dal suo arrivo, facendo ben intendere quanto fosse contraria alla sua permanenza nelle terre del suo clan.
Lei sbuffò «Okay Josh, ma in ogni caso ti toccherà stare alle mie regole» stavolta imitandolo e muovendo un passo nella sua direzione, sorridendo con soddisfazione, sicura di avere il coltello dalla parte del manico e la punta premuta sulla sua pancia.
Con un cenno del capo il nobile la invitò a proseguire, pregustando già l’idea di poter ricominciare a fumare e di restare per un po’ da solo con lei, a così stretto contatto da potersi beare del suo odore e non solo... la compagna dell’Alpha avrebbe sicuramente potuto dargli qualche informazione utile, guidarlo nella direzione migliore per poter portare a termine almeno una parte del piano. Se si fosse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto metterla spalle al muro, in una situazione scomoda che però sarebbe potuta essere d’aiuto per ciò che Douglas si aspettava che facesse.
Lei allargò il sorriso «Andremo in città tra due giorni, quando la Luna sarà tornata alla normalità. In più dovrai ascoltarmi per filo e per segno, chiaro? Fuori dalla Tana devi portarmi lo stesso rispetto che hai nei confronti di Arwen.»
Per quanto snervato dal fatto di dover attendere, Joseph acconsentì. Se era con lei, che sarebbe andato lontano da quel buco di nascondiglio, avrebbe aspettato.

 

(testo aggiornato il 08/12/2017)

 

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Capitolo 17
*** Attento a ciò che dici ***




16. Attento a ciò che fai

Arwen diede un’ultima occhiata oltre la folla che lo accerchiava e, sentendosi possente come anni orsono solo per qualche istante, diede il via alla seconda nottata di Luna Piena. Con non poca preoccupazione setacciò tra le chiome dei suoi lupi, intenti a correre qua e là e mutare forma mentre ancora erano a metà con un movimento fatto per togliersi di dosso i vestiti. I suoi occhi balzarono da una testa all’altra, ma di sua sorella nemmeno l’ombra. Aralyn non si era degnata di presentarsi al discorso di inaugurazione dei festeggiamenti, era sparita subito prima di cena ed ancora non era tornata, quasi non le importasse nulla di una simile ricorrenza. Che fosse scapestrata e poco incline a seguire le regole che non le andavano a genio, già lo sapeva, ma il fatto che stesse evitando una serata gioiosa e dedicata al Dio lupo Mánagarmr, lo lasciava assai perplesso.
Sospirò, continuando ad osservare imperterrito i presenti: c’erano tutti, a parte lei. Persino Josh che doveva essere quello meno avvezzo alle loro usanze era lì, mani in tasca e sguardo perso in un punto lontano tra i cespugli; e stranamente vederlo nel cortile, e non altrove anche lui, generò nel capoclan una sorta di piacevole conforto. Sì, aveva avuto modo di chiacchierare un po' di volte con lui, di confrontarsi su letture, gusti musicali, viaggi e altro ancora, ed avevano iniziato a sviluppare nei suoi confronti una sorta di favoritismo, ma non per questo lo vedeva come un lupo qualsiasi, anzi, era quasi un nemico. Il suo odore, così intenso e virile, poteva benissimo essere quello di un futuro Alpha; le sue conoscenze lo mettevano un gradino sopra al resto dei maschi membri del clan e, come se non bastasse, il suo aspetto lo rendeva l’unico e vero esemplare degno di sfidare Arwen stesso. Nessuno avrebbe biasimato Aralyn se si fosse presa una cotta per lui, se avesse voltato lo sguardo da suo fratello a quel nuovo arrivato.
Lui però era lì, mentre lei altrove, quindi questo avrebbe sicuramente significato che per ora tra di loro non vi era nulla.
I mannari del branco iniziarono a sparpagliarsi per il bosco, muovendosi disordinatamente per tutto il bosco. Pian piano rimasero solo l’Alpha e Garrel, uno accanto all’alto come sempre. L’omone si volse nella sua direzione, sfoderando un bel sorriso soddisfatto «Ed ora è il nostro turno!» affermò, colpendo l’amico con un pugno fraterno. Arwen gli rispose allo stesso modo, senza però colpirlo «Il tuo, vorrai dire. Io me ne torno dentro e sto di guardia».
«Spero tu stia scherzando! Da quanto tempo è che non dai sfogo alla tua natura? Sei mesi? Se non sbaglio è successo l’ultima volta che tua sorella e Fernando sono andati al Rifugio!» il vocione possente del suo braccio destro riempì il cortile, prendendo toni a tratti troppo acuti e in altri troppo gravi. Già, erano parecchio tempo che non si concedeva una corsa vera e propria, per non parlare delle cacce selvagge, delle azzuffate o del sesso, tutte cose che in giorni come quelli diventavano una sorta di necessità, un’astinenza come da droghe pesanti.
L’albino si tirò via dal viso alcune ciocche sfuggite alla coda, provando a trovare una risposta in grado di placare le insistenti richieste di tutti: prima Aralyn, ed ora persino il suo migliore amico. Lanciò a quest’ultimo uno sguardo dolce e stanco al contempo «Vero, è passato parecchio dalla mia ultima Luna Piena vera e propria, ma non posso lasciare la Tana incustodita, è mio compito proteggere il branco e tutto ciò che lo riguarda» ed alzò le spalle, quasi fosse un modo per giustificarsi. Da tempo aveva perso il piacere di fare ciò che prima amava in modo viscerale, quelle cose che lo facevano davvero sentir vivo e degno di essere chiamato licantropo. I Menalcan si erano portati via tutto, partendo dalla mobilità della sua gamba, che tre volte su cinque lo abbandonava nel momento peggiore, facendolo ruzzolare a terra o zoppicare come un invalido.
Sentì sospirare pesantemente accanto a sé, così riportò la mente sul presente, da dove per un attimo si era allontanata. Garrel ora teneva le braccia strette al petto e sul viso aveva un cipiglio contrariato, in grado di farlo apparire ancora più minaccioso «Almeno posso fare qualcosa per “rallegrare” la tua nottata?» domandò, senza smettere quella posa rigida. Arwen annuì, conoscendo già il significato di quella richiesta, avendola ormai sentita più volte. Non avrebbe disprezzato un po' di compagnia, men che meno se avesse rispettato i suoi canoni di quell’ultimo periodo «Finché non assomiglia a lei e non ha strane idee per la testa, mi va bene. Brigitte è la scelta migliore, in caso fossi indeciso.» suggerì all’amico, girando i tacchi ed iniziando a camminare lentamente verso la Tana, dove erano rimaste accese poche luci.
«Cercherò di trovare la piccola Brie, allora!» gli urlò l’omone, quasi ad assicurarsi che fosse certo della sua decisione. E come avrebbe potuto non esserlo? Quella tipa era l’esatto opposto di sua sorella e non avrebbe mai potuto destare sospetti all’interno del branco, nessuno avrebbe potuto notare somiglianze con Aralyn ed iniziare a spettegolare su di loro.
L’Alpha alzò una mano, sia in segno di conferma che di saluto.

 

 
Quando Brigitte, sotto forma di lupo, entrò nella caffetteria, si trovò faccia a faccia con una bestia grande quasi il doppio di lei. Il pelo bianco come la neve e due occhi giallo incandescenti a fissarla, spogliandola della sua già vacillante sicurezza. Avrebbe voluto deglutire e nascondersi nelle ombre della notte, ma sapeva benissimo da sé che Arwen non l’avrebbe persa di vista in alcun modo; nascere cacciatore equivaleva a restar tale per sempre.
Lo vide studiarla con aria sospetta, quasi non l’avesse riconosciuta del tutto, poi le si avvicinò con una lentezza solenne, fino ad arrivarle abbastanza vicino per poterla annusare. Si sentì il cuore in gola e pregò che lui non la rifiutasse perché, in fin dei conti, aveva sempre sperato di poter essere lei, un giorno, a giacere con l’Alpha in persona, quell’uomo che aveva visto battersi come un mastino infernale e che aveva anche visto stare accanto ai propri confratelli nel dolore, come un vero leader.
La femmina abbassò lo sguardo, impaurita, e solo a quel punto notò come una delle zampe posteriori del capoclan non poggiasse a terra. Rispetto alle altre se ne stava vicina al corpo, quasi fosse legata in una posizione scomoda.
Le venne da piangere. Sapeva bene il perché di quella situazione, così come tutti nel branco, e, come il resto dei suoi compagni, provava nei confronti di quella consapevolezza un’enorme tristezza. Arwen era il degno figlio di Mánagarmr, un animale votato alla lotta e alla protezione, un essere nettamente superiore a loro; vederlo così umano e fragile era uno strazio per gli occhi e per l’orgoglio di licantropi. Se non ci fosse stato quell’unico dettaglio a rovinarne la bellezza, l’Alpha sarebbe potuto ancora apparire come uno tra i più grandi mannari che si fossero visti in quegli ultimi anni.
Passarono lunghi minuti, istanti strazianti, prima che lui la invitasse a seguirlo in un angolo più appartato dell’ambiente, facendola sua subito dopo, senza aspettare o chiedere nulla, senza preoccuparsi di cosa lei avrebbe potuto pensare o dire una volta finito tutto. E fece male all’inizio, soprattutto a causa della rabbia che il maschio riversò in quel loro rapporto, ma poi, affaticandosi, divenne piacevole e molto più semplice.

 

 
La mattina seguente, poco dopo l’alba, Arwen si risvegliò coccolato dalla morbidezza di una coperta leggera e dal profumo di caffè appena fatto. Sbatté un paio di volte le palpebre, cercando di mettere sempre più a fuoco lo spazio circostante, avvolto in una sorta di lieve penombra. La caffetteria, ad un primo sguardo, sembrò essere vuota. Non vi erano rumori, solo quel sentore invogliante nell’aria e, per qualche secondo, fu certo di stare ancora sognando. Fu quasi fastidioso doversi ricredere, cosa che successe quando la punta di un piede, gli sfiorò il fianco sotto la stoffa del plaid, facendolo voltare con rantolo. La gamba che lo stava chiamando saliva per un tratto di pelle che da quella posizione gli parve lunghissima e spariva poi in un paio di pantaloncini neri dall’aria familiare. Ci impiegò ancora qualche secondo prima di realizzare che si trattava di sua sorella, che dall’alto del suo metro e settanta lo guardava con aria annoiata. In una mano teneva la tazza fumante da cui proveniva l’odore di caffè, mentre con l’altra si teneva chiusa la felpa, sotto cui, ad occhio, ci doveva essere davvero poco. La sentì bofonchiare e subito dopo avvicinarsi ad una delle tante panche presenti nella caffetteria, dove si stravaccò senza grandi complimenti. Aralyn appoggiò al bordo del tavolo  i gomiti, quasi si trovasse in una bettola di periferia.
Agli occhi di Arwen la ragazza parve più bella del solito, nonostante quei modi scocciati e poco aggraziati, tanto da fargli desiderare di allungare un braccio, afferrarle la caviglia e tirarla a sé, ma si contenne, soprattutto in vece del fatto che in un luogo come la caffetteria erano troppo esposti ad occhi ed orecchie indiscrete. Si mise seduto, ancora nudo sotto alla coperta che, ad occhio e croce, doveva essere proprietà della sorella. Con una mano cercò di sistemarsi i capelli, scompigliati a causa di ciò che era accaduto la notte precedente, anche se a dire il vero lui stesso ne aveva un ricordo vago.
Non doveva ancora essere tornato nessuno alla Tana, sennò lei non si sarebbe presa così tanta calma nello svegliarlo.
«Mi hai persino coperto… davvero gentile da parte della mia sorellina!» scherzò con voce roca, provando a strapparle un mezzo sorriso. Lei però parve di tutt’altro avviso, infatti gli lanciò un’occhiata di tralice, mozzandogli il buonumore. «Alla tua età dovresti avere un minimo di decenza!» ringhiò la ragazza subito prima di prendere un sorso dalla tazza «Nemmeno nel tuo studio o nella tua camera, in caffetteria! Iddio…»
A quel punto i ricordi iniziarono a ritornare a galla nella mente dell’Alpha; aveva avuto compagnia per la notte, questo era certo, ma la cosa voleva anche dire che era stata Aralyn a trovarlo lì, nudo e privo di sensi, senza bende sull’enorme sfregio che gli adornava la gamba. Istintivamente si toccò la coscia da sopra la stoffa. Tutto quello che gli era rimasto dallo scontro con i Menalcan, erano sei buchi nella carne, ormai diventati cicatrici. La pelle in quei punti rientrava appena, quasi fosse stata asportata una parte di carne e, da quando aveva visto cosa era rimasto di quella notte, non aveva più permesso a nessuno di guardargli le ferite.
Scosse la testa, provando a scacciare i cattivi pensieri «Posso averne un sorso?» domandò alla sorella, senza però alzare lo sguardo su di lei, quasi ora temesse di incrociare nelle sue pupille della pietà, dello schifo e della pena.
Lei sbuffò «Tienitelo tutto, a me è passata la voglia! In ogni caso questo è un luogo comune, ricordatelo!» poi abbassò lo sguardo sui propri piedi nudi, dalle unghie colorate di rosso.
Restarono raccolti in un silenzio strano per alcuni minuti pesanti come ore, poi Arwen cercò di tirarsi in piedi, preoccupandosi solo ti tenere nascosta la gamba.
«Aralyn …» la chiamò, in modo da ricatturare il suo sguardo, preoccupato su dove i suoi pensieri potessero andare ad appoggiarsi. Quando finalmente la vide tornare con gli occhi su di sé, si rese conto della rabbia che ne albergava all’interno, una furia fastidiosa. Era chiaro che qualcosa la turbasse ed ancora di più ne era il motivo: gelosia. Se non aveva incrociato Brie, gli sentiva addosso il suo odore, cosa che certamente la mandava in bestia e, dal canto suo, non poteva certo biasimarla; se i ruoli fossero stati invertiti lui avrebbe fatto di molto peggio.
«Per quale dannatissima ragione hai dovuto farlo, eh? Me lo spieghi?! Visto che io non accetto i tuoi compromessi cerchi di spezz-» le si fiondò addosso, tappandole la bocca con il palmo ed impedendole di concludere la frase. Arwen sentì il cuore schizzargli in gola e lo stomaco stringersi in una morsa ferrea. Poteva avvertire la paura farsi strada in lui molto più velocemente di quanto non facesse da tempo. Nel clan erano tutti in buoni rapporti, gli altri lupi lo rispettavano e apprezzavano come capo, ma questo non poteva escludere che qualche malalingua o pettegolezzo arrivasse anche alle orecchie dei nobili e poi del Concilio; se così fosse stato, per loro due la vita si sarebbe trasformata in un inferno persino peggiore di quello in cui già erano.
La ragazza si aggrappò con entrambe le mani al braccio del fratello, provando a liberarsi in tutti i modi dalla museruola che le aveva messo. Lui però non si fece prendere in fallo, così le chiuse il viso tra i due palmi e si affrettò subito a farsi vicino al suo viso, in modo da persuaderla non solo con le parole ma anche con lo sguardo. La invitò a calmarsi con qualche sussurro, senza però ottenere grandi risultati «Te ne prego Ara, calmati!» strinse la presa, così come fece lei, iniziando a premere le unghie nella carne dell’Alpha «Non era mia intenzione ferirti, lo sai! Non farei mai nulla per farti del male… solo che… non posso permettermi di scegliere te, ne abbiamo già parlato» la voce dell’uomo altro non era che un sussurro lieve, udibile solo dalle orecchie di lei. Avrebbe voluto farle sentire il suo cuore in quel momento, il modo in cui gli si agitava nel petto con furia, sofferente di fronte al fatto di averle fatto un torto come quello.
Aralyn continuò a fissarlo in cagnesco, ma pian piano diminuì i tentativi di liberarsi con la forza dalla sua presa, concedendogli un po’ più di tranquillità per parlare.
«Se vogliamo restare insieme e vivi non possiamo rischiare con simili cavolate» lentamente tolse la prima mano dalla nuca di lei, immobile a pochi centimetri dal suo volto. Deglutì «il Concilio ce la farebbe pagare nel peggiore dei modi ed io non sono pronto a perderti» allontanò anche l’altro palmo, compiendo forse l’errore più grave di quella giornata.
«Però sei disposto a mandarmi continuamente al massacro contro i Menalcan!» e così dicendo, scivolò via da lui, troppo lento a causa della gamba per poterle correre dietro. Arwen si sentì le parole morire in bocca mentre, arrancando avvolto nella coperta, provò ad inseguirla, magari riacciuffarla e cercare un modo per giustificarsi.

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Capitolo 18
*** Tutto ciò che c'è da sapere ***




17. Tutto ciò che c'è da sapere

Furia, rabbia, incontrollabile fastidio, ecco cosa avrebbe dovuto provare, peccato solo che il suo corpo sembrasse ribellarsi a quei sentimenti troppo scontati, ormai quasi banali nella loro naturalezza, optando invece per uno strano senso di delusione in grado di riempirle la bocca di un sapore amaro, schifoso per le papille gustative. 
Era rientrata un paio d'ore prima che sorgesse il sole, certa che in quel momento non avrebbe incontrato nessuno sulla sua strada, ma soprattutto avrebbe potuto evitare tutte le domande sul dove fosse finita, perché si fosse persa il discorso di Arwen o altro ancora; una volta oltrepassata la soglia della Tana però, non aveva potuto evitare di percepire nell'aria uno strano sentore, qualcosa di diverso dal solito. La curiosità aveva preso svelta il sopravvento, costringendola a seguire l'alone che, da dove era lei, l'aveva poi condotta alla caffetteria. Ad ogni passo che aveva compiuto per arrivare in quell'enorme sala, si era sentita stringere lo stomaco sempre più, quasi il suo istinto la stesse avvertendo che fosse meglio tornare al piano originale e sgattaiolare nella propria stanza, ignorando qualsiasi altra cosa. Dietro di sé aveva lasciato una linea di impronte fangose, come se improvvisamente si fosse trasformata in una Gretel bisognosa di avere delle tracce da seguire per il ritorno. Le vedeva di sfuggita con la coda dell'occhio e più se ne aggiungevano, più sapeva che sarebbe stata lunga la strada del ritorno verso la propria alcova di coperte e cianfrusaglie accatastate nel tempo su mensole e mobili.
Aveva proceduto imperterrita, stando attenta a non emettere alcun rumore che potesse mandare in frantumi la bolla di silenzio in cui l'edificio era ancora immerso, fin quando, una volta sportasi oltre l'anta della caffetteria, non le era sfuggito un singulto. La scena che le si era presentata davanti a quel punto l'aveva bloccata sul posto, stringendole ancora di più le viscere. Aveva sbattuto le palpebre un paio di volte, pregando di trovarsi di fronte ad un incubo, ma nulla di tutto ciò che aveva di fronte scomparve, mettendo bene in chiaro che non era il sonno a farle brutto scherzi.

Un immenso lupo bianco teneva tra le zampe la figura sottile, esile quanto un giunco, di una donna dai capelli corti e scuri. Ad Aralyn ci era voluto poco per riconoscere Brie, ancor meno per capire cosa fosse successo; nell'aria il sentore di pelle sudata era ora inconfondibile.
Li fissò per un po', stando attenta non interrompere il loro sonno. In quel momento provò per la ragazza un profondo disprezzo, quasi le avesse fatto volontariamente il peggiore dei torti, mentre nei confronti di suo fratello sentì crescere una delusione opprimente, capace persino di soffocare.
Vestita solo della propria carne e di un paio di gambali di fango ormai in procinto di asciugarsi, si era avvicinata a quei due con fare circospetto poi, appena si era trovata alla giusta distanza da loro, si era inginocchiata con l'intento di svegliare la lupa. Era stata restia, in un primo momento, ad allungare le dita e toccarla, soprattutto vista la situazione, ma si era fatta forza e delicatamente le aveva scrollato una spalla. Brigitte ci aveva messo un po' ad aprire gli occhi e capire cosa stesse succedendo intorno a lei, ma quando alla fine se ne rese conto, sussultò. Aralyn la stava certamente guardando in cagnesco, molto più di quanto avrebbe fatto in una situazione differente.
La sorella dell'Alpha si morse la lingua per non dire nulla, limitandosi solo a farle un cenno con la testa, suggerendole di seguirla. Qualsiasi parola pronunciata ad una vicinanza del genere avrebbe potuto svegliare Arwen, dettaglio che probabilmente nessuna delle due avrebbe gradito. L'altra, stando attenta a non far rumore e a non svegliare l'Alpha, era sgattaiolata dal fianco di uno a quello dell'altra, seguendola poi oltre la porta ed incespicando un po' nei primi movimenti dopo il risveglio. La tensione tra loro era ben percepibile nell'aria, a tal punto che persino lo scricchiolio delle assi del pavimento era in grado di far volare sguardi arcigni. 
Entrambe avevano raggiunto il piano superiore in una cappa di assoluto silenzio, evitando persino di soffermarsi troppo a fissare l'altra e si erano congedate con un breve cenno del capo, quasi sapessero tutte e due che la minima parola sbagliata avrebbe potuto scatenare un putiferio.
Ciò che aveva seguito, Aralyn evitò di ricordarlo, ancora infastidita dalle parole dell'Alpha. Sentiva il sangue ribollire nelle vene a causa della delusione che tutta quella scena le aveva procurato, delle aspettative infrante che si era tanto prodigata a formulare.
Ora però, avvolta nei suoi vestiti estivi e sotto il portico, si chiese come mai quella sensazione superasse tutto il resto. Per quale ragione doveva essere delusa, poi? Per il fatto che Arwen non avesse preso in considerazione il dolore che, con quel gesto, le avrebbe procurato? O per il fatto che lui non si facesse scrupoli? Si mordicchiò il labbro cercando di venirne a capo. Oltretutto, non c'erano solo quei dubbi a turbarla, qualcosa dentro di lei non stava più funzionando come doveva e invece della più normale gelosia, si era trovata a fare i conti con tutto quello strano mix di sensazioni. 
Alzò lo sguardo, portandolo al di là del cortile bagnato dalla pioggia, verso la prima striscia di cespugli del sottobosco e, solo in quel momento, si accorse di una macchia nera intenta ad avvicinarsi a passo lento, stanco. 
Si tirò dritta il più possibile, aguzzando la vista tra le gocce che cadevano grosse dal cielo.
All'inizio rimase una chiazza in lontananza, poi pian piano l'animale arrivò sul limitare dello spiazzo, prendendo una forma sempre più nitida. Fu solo quando quest'ultimo giunse in prossimità della fontana che Aralyn riuscì a capire di chi si trattasse.
Entrambi rimasero immobili a fissarsi, come paralizzati, in parte persino sorpresi. Per la seconda volta la ragazza sentì lo sguardo penetrante del licantropo attraversarle la pelle e raggelarle il sangue in modo quasi piacevole però, come se una sorta di dolce masochismo avesse preso il sopravvento sul suo corpo. Le sembrò che il cuore perdesse un colpo dietro l'altro, scoordinatamente come dopo una lunga corsa. Si ritrovò sospesa in una dimensione solo sua -sua e di quegli occhi inquietantemente belli. 
Erano legati, in quel momento, da qualcosa di trascendentale e diverso da ogni cosa mai provata prima, poteva percepirlo lei tanto quanto lui, ne era certa.
Improvvisamente però, un'insolita consapevolezza le attanagliò la gola. Come poteva Josh soggiogarla in quel modo? Come poteva, semplicemente guardandola, farla sentire a quel modo? Mosse un passo titubante all'indietro, spaventata da tutto quello che la stava assalendo. 
Non si era mai sentita a quel modo, meglio e al contempo peggio di come la faceva sentire Arwen. Non aveva la più pallida idea di come prendere quel mucchio di sensazioni, quell'accozzaglia di pensieri ed emozioni contrastanti che si sentiva smuovere dentro.
Retrocesse ancora, sempre più spaesata, fin quando non riuscì a percepire la maniglia dell'entrata della Tana; l'afferrò in fretta, preoccupata che un solo istante in più potesse dar modo a qualcosa di impensabile di avere luogo.

E venne il giorno in cui, con amarezza, la luna tornò a non esercitare più il suo potere su di loro.
Aralyn, in camera propria, si allacciò i pantaloni finendo così di prepararsi. Si rimirò nello specchio per alcuni istanti, accertandosi di avere un aspetto abbastanza anonimo da passare inosservata. Finalmente sarebbe uscita dal clan senza avere a che fare con qualcuna delle spie di suo fratello, solo con Josh.

Appena quel nome le balzò in mente si sentì cogliere da una specie di preoccupazione; il cuore accelerò tutto d'un tratto il proprio ritmo e l'aria nei polmoni sembrò mancare. Perché? Che diamine le aveva fatto? Erano passate più di ventiquattro ore dal loro fugacissimo incontro nel cortile, sotto la pioggia, eppure le sembrava di essere ancora là, ferma a fissarlo e farsi fissare di rimando.
Sentì le gambe farsi molli, tenerla in piedi a fatica.
Scosse la testa con violenza, sperando di poter far ruzzolare fuori dalla mente quelle immagini e quei pensieri, ma il gesto servì a ben poco; quando rialzò gli occhi sulla propria figura allo specchio si ritrovò ancora con la mente al giorno precedente. Si chiese se fosse apparsa così sgraziata anche agli occhi di lui, se avesse fatto pensieri cattivi su quanto poco potesse sembrare una femme fatale, o sul fatto che nessuno si sarebbe mai preso la briga di girarsi nella sua direzione per guardarla. In fin dei conti lo sapeva bene, di non essere bella nel modo in cui la società moderna ne interpretava il significato, al massimo avrebbero potuto dire che avesse charme.
Sospirò, sconsolata nel dover fare i conti con quelle ridicole ansie. Da quando le interessava il parere di uno sconosciuto? Da quando si preoccupava di cosa potesse pensare lui?
Prese le ultime cose e tirò fuori dal cassetto del comodino le chiavi della macchina. Per quanto fosse sempre disponibile nel prestarla ai confratelli, ancora non si fidava a lasciar loro la possibilità di usarla a discapito suo, così evitava accuratamente di lasciare quel mucchio di ferraglia nel luogo dedicatogli.
Uscì dalla camera a passo svelto, scendendo le scale con altrettanta fretta e lasciandosi sfuggire l'ennesimo sospiro. Non aveva la minima voglia di doversi arrovellare intorno a simili pensieri, soprattutto non dopo quello che era successo con Arwen. Con lui non aveva ancora parlato, men che meno aveva cercato di incontrarlo o stargli vagamente vicina; le stava provando tutte per riuscire a mettere distanza tra loro, e non tanto per via del modo in cui l'aveva umiliata, tanto più per il fatto che sentiva essersi creata una crepa nel rapporto. Non avrebbe saputo giustificarne la ragione, eppure sentiva che era così. Crack ed improvvisamente aveva provato il desiderio di allontanarsi.
Guardinga, si accertò che nessuno di indesiderato fosse nei paraggi e poi, notando anche la più totale assenza della zazzera scompigliati del nuovo arrivato, si diresse verso la rimessa, lì dove erano posteggiati tutti i veicoli della Tana.


 

Josh arrivò con dieci minuti di ritardo sulla tabella di marcia: i capelli scompigliati, una sigaretta raccattata di fretta, probabilmente dal pacchetto di qualche altro licantropo, a penzoloni tra le labbra e dei vestiti attillati al seguito. Tutto in lui, in quel momento, le parve trasudare arroganza e bellezza, quasi volesse catalizzare su di sé le attenzioni di chiunque.
Aralyn lo guardò avvicinarsi, appoggiata alla portiera aperta del guidatore. Era infastidita dalla sua noncuranza nei confronti dell'impegno preso, ma al contempo rimase piacevolmente sorpresa nel vedere come, alla fine, non le avesse dato buca. Dentro di lei, come era accaduto precedentemente, sentì smuoversi qualcosa, una sensazione fin troppo soddisfacente ed al contempo bramosa che, per un brevissimo lasso di tempo, la costrinse a restare con gli occhi fermi sulla figura che procedeva a passo svelto nella sua direzione. Le prime domande iniziarono a sorgerle una dopo l'altra, destabilizzandola un poco. Si ritrovò involontariamente a chiedersi se si sarebbe sentita ancora come il giorno prima, se le sensazioni l'avrebbero attanagliata ancora a quella maniera.
Lui probabilmente si accorse del suo sguardo, del modo in cui sembrava essere ipnotizzata dalla sua silhouette, così rallentò appena il passo, dandole modo di gustarsi meglio il momento. Quando fu abbastanza vicino, si permise un saluto, tirando le labbra che ancora tenevano strette il filtro giallo della sigaretta.
La lupa si ridestò improvvisamente dai propri sogni ad occhi aperti, se così si potevano definire, e subito sentì il fastidio montarle in petto «Dove accidenti ti sei perso? Sali adesso, che se non ci muoviamo rischiamo di non riuscire a fare tutto!» bofonchiò, infilandosi prontamente nell'abitacolo della sottospecie di suv. Gli interni della vettura erano gli stessi di sempre, quelli che fino al mese prima erano stati macchiati con il sangue ed il fango che si era portata via dalla villa dei Menalcan: chiari e spaziosi. Non era più riuscita ad immaginarseli così dal giorno in cui era scesa, nuda e ricoperta di graffi, da quello stesso sedile su cui ora si stava appoggiando il suo accompagnatore. Ciò che più di tutto riuscì a notare essere completamente diverso da quell'ultima volta però, fu il penetrante e quasi nauseante profumo di muschio che le trafisse i polmoni come una stilettata. Chiunque si era occupato del lavaggio di quel veicolo, aveva esagerato; probabilmente senza pensare alle conseguenze delle sue benevole intenzioni. Il tanfo di sangue e asfalto bagnato era stato sostituito da qualcosa che, in quell'esatto momento, le parve essere persino peggiore.
Ci fu un istante di assoluto silenzio in cui, entrambi, cercarono di non soffocare all'interno del veicolo, troppo orgogliosi per ammettere di essere sul punto di morire. Da parte sua, Aralyn, non gli avrebbe mai dato modo di ridicolizzarla e ridere di lei.
Senza preavviso, Josh tirò giù il finestrino, iniziando ad agitare le mani come un ossesso nel tentativo di liberare l'abitacolo. Aveva ceduto per primo, ma lei gliene fu infinitamente grata.
Lei mise in moto in fretta, sperando che così facendo il movimento della vettura sarebbe riuscito ad aiutare il suo compagno di apnea a portare via l'aria malsana e dare ai sensi di entrambi un po' di tregua. Le gomme slittarono appena sul selciato, facendo schizzare qua e là sassolini di ogni tipo, comuni in quelle zone boschive. Fu una manovra rapida, fatta decine di volte prima, ma non per questo la sua sicurezza nell'eseguirla sembrò tranquillizzare il passeggero sedutole accanto che, vide lei con la coda dell'occhio, si aggrappò stretto alla maniglia della portiera, pronto a scattare fuori in qualsiasi momento. In quell'istante la ragazza percepì chiaramente un senso di ilarità difficile da controllare, tanto che si dovette portare una mano alla bocca per impedirsi di iniziare a ridere senza freni. Se, grande e grosso come era, quel tipo riusciva a spaventarsi per una sciocchezza del genere, non si sarebbe mai potuta immagine cosa sarebbe capitato durante una missione!
Purtroppo per lei però, il suo tentativo di mascherare tanto divertimento non sembrò passare inosservato agli occhi di Josh che, lanciandole un'occhiata di tralice, riprese come suo solito a punzecchiarla «La patente l'hai ottenuta ringhiando contro all'istruttore?!» domandò ironicamente, iniziando a rilassarsi sul sedile, senza però smettere di tenersi stretto, ancora dubbioso sulla sicurezza che traspariva dalla guida di lei.
Aralyn non rispose, facendo così cadere quel commento nell'oblio ed evitando di dargli la soddisfazione di averla infastidita, cosa che sembrava essere diventata il suo passatempo preferito.
Il fatto che lui fosse un Solitario si poteva notare anche da quelle piccole cose: non doveva essere abituato a fuggire in fretta e furia, inseguito da qualche licantropo pronto ad ammazzarlo -o quantomeno non doveva essere abituato a farlo su quattro ruote come quelle. Così, per alcuni minuti interminabili, tra di loro cadde il silenzio più totale, intervallato solo dalle tracce rock di un cd che lei si era fatta preparare dai gemelli per le lunghe tratte in automobile, quei viaggi in cui bene o male, qualcuno avrebbe dovuto guidare in solitudine. Ci fu quindi solo la musica a riempire il vuoto, insieme al rumore dell'aria che sbatteva insistentemente contro le pareti dell'abitacolo. Nelle narici il profumo di lui si andò a fondere con il tanfo che li aveva colti di sorpresa all'inizio e quello della nicotina, disperso dalla sigaretta ancora a metà e stretta tra le dita del ragazzo.
Fu stranamente piacevole come insieme di elementi, tanto che lei poté avvertire un senso di quiete diramarsi dentro, una sensazione che le parve mancare da un po'. Prima di compiere il furto del Pugnale della Luna infatti, la tensione era stata una costante difficile da scrollarsi di dosso; tutti nella Tana sembravano percepire la situazione in modo grave, quasi avvertissero già il sentore del fallimento. Dopo, invece, l'ansia non se ne era andata come previsto. Arwen aveva aumentato le ronde dei propri uomini nei possedimenti del clan, le aveva impedito di uscire dalle loro terre se non scortata da almeno due o tre confratelli e aveva persino spinto il loro rapporto sul bordo di un precipizio: una parola sbagliata era capace di distruggerla e un'azione sconsiderata di mettere a rischio la loro incolumità.
Nonostante fosse Josh il suo accompagnatore per quel giorno, non avvertì alcun fastidio, solo pace, che le parve nuova e calda, in confronto a qualsiasi altra cosa avesse provato ultimamente. Fu come avvertire il sole primaverile sulla pelle dopo lunghe settimane d'inverno.
«Io non ti piaccio, vero?» la voce di lui parve arrivare alle sinapsi come un fulmine a ciel sereno, uno schiaffo dritto sul coppino e lei, per poco, non sbandò rovinosamente finendo contro il guardrail. Colta alla sprovvista in quel modo Aralyn non seppe che fare; tutti i suoi ragionamenti su quanto fosse piacevole trascorrere finalmente del tempo lontana da casa e con qualcuno ignaro della sua situazione e di tutto ciò che le frullava nella testa, parvero dissolversi. L'idea di dover affrontare un discorso così complicato come il "rapporto con l'ultimo arrivato nel branco", non l'allettava affatto, temeva oltremodo di finire con l'incasinare maggiormente la loro già di per sé strana conoscenza.
Provò a restare sul vago, schiarendosi appena la gola «Cosa te lo fa pensare?» Le mani si strinsero sul volante, nervose, mentre la schiena sembrò accaldarsi a tal punto da poter riempirsi di sudore.
Il passeggero, dal canto suo, inspirò una delle ultime boccate di tabacco e nicotina, riempiendosi i polmoni lentamente, gustando quel sapore con un piacere viscerale. Non la guardò nemmeno per un istante, tenendo gli occhi rivolti verso il proprio finestrino ancora ben abbassato «Da dove vuoi che cominci? Vediamo...» fece finta di pensarci, girando lentamente il capo, prima verso il cruscotto e poi su di lei, che avvertì un enorme dose d'imbarazzo andarle incontro. Gli occhi di lui avevano la capacità di penetrarle il primo strato di carne, attaccandosi alle ossa e denudandola di tutto ciò che era fisico. Odiava il modo in cui se li sentiva dentro, odiava il fatto che lui potesse spogliarla con un semplice battito di ciglia.
Tirò le labbra, divertito «il fatto che tu sia perennemente sulla difensiva potrebbe essere un buon inizio, poi il fatto che Arwen mi abbia affidato a te ma tu mi rileghi sempre con Eike e Hugo, schifando la mia presenza. Non dimentichiamo il fatto che hai sempre una parola cattiva, per me. Può bastare per ora?»
Aralyn aggrottò la fronte, pronta a proteggersi da quelle accuse. «E non dovrei? Sei un estraneo, non ti conoscono e non so cosa ti frulli per la testa, credo sia normale comportarsi così!» la voce le prese una nota stridula, fastidiosa persino, ma notò con sollievo che il ragazzo accanto a lei non se ne rese minimamente conto. Le capitava, quando l'agitazione prendeva il sopravvento, di ritrovarsi a parlare qualche nota più in alto del suo solito tono.
«Lo so, ma non ho fatto nulla di male per meritarmi un atteggiamento simile, quindi una chance potresti darmela, non credi?»
Per un brevissimo istante i loro sguardi si incrociarono, e se non ci fosse stata l'esigenza di tornare a fissare la strada davanti a sé, Aralyn si sarebbe concessa molto più tempo in quel cielo racchiuso in due minuscole iridi.
«Perché la desideri tanto? In fin dei conti io non sono diversa dagli altri membri del clan, men che meno speciale, eppure con loro non ti fai tutti questi problemi» distolse nuovamente le proprie attenzioni da ciò che stava avvenendo al di là del cruscotto, giusto il tempo per lanciargli un'altra occhiata indagatrice nella speranza di cogliere, in quei pochi secondi, una qualche reazione che potesse fregarlo, diversa dal suo solito. Josh però doveva essere più bravo di lei a far finta di nulla, così dal suo viso non trasparse nulla, nemmeno un dubbio o un momento di esitazione «Sì, ma sei anche l'unica a darmi problemi. Tu e l'omaccione, Garrel. Non so cosa abbiate contro di me, ma se persino l'Alpha si fida voi cosa avete da dubitare?» fece presente lui, prendendo un'altra boccata dal filtro. La nonchalance con cui affrontava quel discorso poteva quasi far pensare che della questione, in realtà, gli importasse relativamente poco.
La lupa non rispose subito, rimase zitta a fissare l'asfalto grigio, riflettendo su quale risposta fosse meglio dare. Suo fratello si fidava veramente di lui? No, Arwen semplicemente se ne stava in attesa, cercando di carpire quante più informazioni possibili sul nuovo arrivato; come capoclan sarebbe stato stupido da parte sua non indagare sui licantropi che si avvicinavano a loro con l'intenzione di diventare parte del branco. Gli altri confratelli invece non si curavano di certe cose, di chi andava o veniva all'interno del loro gruppo di mannari: finché non fosse stato il loro leader in persona, o la sua squadra scelta, a muovere accuse, avrebbero accettato chiunque.
Finalmente la risposta adeguata sopraggiunse «Io, come altri, ho il compito di proteggere il branco ed il suo capo, anche se questo vuol dire essere scettica riguardo alle sue decisioni» affermò seria, tronfia di una convinzione che sentiva realmente sua. In fin dei conti era diventata il suo braccio destro per quello, per poter essere lo scudo in grado di proteggerlo dalle frecce nemiche.
Josh si ingozzò con il fumo, tossendo e ridendo al contempo, preda di un inspiegabile divertimento.
La ragazza lo fissò sbarrando gli occhi, incrdula: cosa diamine c'era di così comico, in quel commento? Era una cosa seria, una cosa per cui lei andava fiera!
«Cosa c'è da ridere adesso?» gli domandò, accostando sul ciglio della strada per far sì che si potesse riprendere in santa pace e darle una spiegazione adeguata. Ogni volta che era con quel tipo finiva con il ritrovarsi spiazzata, preplessa e piena di punti interrogativi, quasi fosse un rebus che lei non era in grado di risolvere. Lui continuò in quel modo per altri interminabili minuti, diventando ad un tratto persino paonazzo a causa dello sforzo e della mancanza d'aria. Aralyn a quel punto venne colta dal panico. E se stesse soffocando? Come glielo avrebbe spiegato, a suo fratello, che aveva ucciso il suo pupillo a quel modo? 
Cercò di trovare velocemente una soluziond, andando persino contro al vago desiderio di vendetta che si sentiva spesso e volentieri in corpo, quando lui se ne usciva con certe reazioni e commenti. Allora, con la mano bene aperta a mo' di ventaglio, iniziò a colpirlo sulla schiena, cercando sia di salvargli la vita che salvare sé stessa dall'ira dell'Alpha.
«Più che -coff coff- la sua compagna -coff- sembri -coff- sua madre!» riuscì a risponderle tra un colpo di tosse e l'altro, gli ultimi di una lunghissima e spaventosa serie.
La ragazza, di fronte a quelle parole, sussultò. Compagna? Di chi, Arwen? Il panico parve assalirla, avvinghiandole dapprima le caviglie e poi risalendo lungo le gambe, fino ad aggrapparsi al suo grembo. Perché gli era venuta in mente una simile idea? Ne aveva per caso parlato con qualcuno?
Deglutì a fatica, ma lo fece nel tentativo di sciogliersi la lingua, intrecciata su se stessa. Doveva assolutamente trovare un modo per fargli cambiare idea, per togliergli dalla tesa quel pensiero.
«Non...lui non è il mio compagno» riuscì a dire compiendo uno sforzo sovraumano e catturando inspiegabilmente l'attenzione del maschio, a tal punto che ogni traccia del malessere che l'aveva obbligata a fermarsi, sparì. Con la coda dell'occhio vide la pupilla di lui dilatarsi e poi tornare ad essere uno spillo nel ghiaccio, come se per un istante avesse provato l'estasi e poi nuovamente la normalità. 
«Sei seria?» chiese con un'insolita curiosità nella voce. Aralyn intanto  si rimise sulla carreggiata, cercando di evitare il suo sguardo o qualsiasi connotato del suo fin troppo incantevole viso. Da dove gli scaturiva tutto quell'interesse? E per quale ragione aveva pensato che lei ed il capoclan stessero insieme? Non aveva ancora notato la loro somiglianza?
Lentamente iniziò a rosicchiarsi il labbro, sempre più nervosa e con i pensieri presi a vorticarle nella testa. Non capiva. Non riusciva a spiegarsi in alcun modo il perché delle supposizioni di lui. Era come se il nuovo arrivato vivesse in un mondo tutto suo, separato dalla realtà per mezzo di una lastra di vetro opaco in grado di fargli vedere solo a metà le cose. 
Ingranò la quarta «Perché dovrei mentire?» 
«Quindi tra di voi...?» la voce di Josh divenne un sussurro dolce, vellutato sulle orecchie, ammaliante tra la miriade di preoccupazioni in cui lei si sentiva soffocare.
Continuò imperterrita a non guardarlo questa volta, cercando di nascondere al meglio il disagio che tutta quella curiosità stava generando. Non poteva credere che il tenero tra lei e suo fratello fosse così visibile, così come non riusciva a credere di trovare agghiacciante l'idea che il ragazzo accanto a lei potesse pensare simili cose. Il problema principale però, non era tanto che lui sapesse del loro affetto incestuoso, quanto più che, in generale, sospettasse che ci fosse qualcosa tra lei ed un qualsivoglia altro lupo. Ma perché? Non c'era nulla di male nel fatto che potesse avere una relazione e che lui ne fosse al corrente, no? Scosse la testa, tentando di cancellare quei ragionamenti inutili, poi si bagnò le labbra secche: «Tra di noi non c'è nulla che possa destare il tuo interesse» sbottò in conclusione, alzando di poco il volume della radio. Per un po' non ci sarebbero state più chiacchiere.


(Testo aggiornato il 21/12/2017)

 

 

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Capitolo 19
*** Restiamo comunque nemici ***




18. Restiamo comunque nemici
Per quasi tutta la durata rimanente del viaggio Joseph si fece assalire da un inspiegabile silenzio. Tagliò fuori qualsiasi tipo di conversazione con Aralyn rimanendo solo con i propri, inopportuni, pensieri. Sì, ciò su cui si concentrò furono un mucchio di immagini ed idee del tutto fuori luogo rispetto alla sua attuale situazione; cose che certamente i membri del suo vero clan non avrebbero gradito. Sin dal primissimo incontro con lei, aveva avvertito una strana avversione nei suoi confronti, qualcosa di completamente estraneo a ciò che era riuscito a percepire fino a quel momento e, con l’andare dei giorni in sua compagnia, aveva iniziato a chiedersi da dove nascesse, cosa fosse e perché ci fosse quello strano sentimento; erano state domande a cui, però, non era riuscito a dare risposta.
Il fatto che fosse completamente in balia di tutto ciò, come un marinaio costretto a sottostare al volere della tempesta, aveva scatenato in lui un desiderio sempre maggiore di conoscerla, di scoprire tutto quello che si sarebbe potuto sapere sulla lupa con lui in quell’istante, anche le cose più intime. Quell’ Impura era diversa, ma non solo dalle altre della sua specie, bensì da tutte le donne che il ragazzo avesse mai avuto il piacere di incontrare.
Fino a quel momento, Joseph, aveva cercato di trattenersi, di avvicinarsi a lei pur mantenendo le distanze del caso, vista anche la minacciosa ed ancora ambigua presenza di Arwen al suo fianco. Ora però quell’ostacolo sembrava essere meno minaccioso e i limiti imposti dalle loro nature, a tratti opposti seppur simili, meno definiti. Tutte le regole di Douglas e degli Alpha Menalcan che lo avevano preceduto, si fecero echi lontani alle orecchie del Purosangue. La curiosità, in lui, aveva iniziato ad avere la meglio su tutto il resto; il suo desiderio di capire e conoscere stava mettendo ogni cosa in cui aveva sempre creduto, in discussione.
L’auto accostò e così lui fu finalmente riportato con la mente sul presente, in mezzo al caos cittadino che da dieci giorni aveva abbandonato. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi si girò verso Aralyn, intenta a raccattare borsa e giubbotto dal retro del suo sedile. Notò con piacere che sulle guance di lei ancora resisteva un certo rossore, quella punta d’imbarazzo che l’aveva colta alla sprovvista durante le chiacchiere di inizio viaggio.
«Già arrivati?» le domandò, mentre con noncuranza cercava di sistemarsi un po’ prima di scendere dal veicolo. Si guardò attorno, frastornato da tutta la vita che sembrava riempire le strade, aspettando da lei una qualsiasi risposta di circostanza: era ovvio che quella fosse la loro destinazione ultima.
La ragazza sospirò «Se quarantacinque minuti di viaggio ti sembrano così pochi, complimenti! Io sinceramente mi stavo annoiando a guidare» il sarcasmo nel suo tono fu quello di sempre, lo stesso a cui ormai Joseph aveva fatto l’abitudine.
Le sorrise «Se vuoi al ritorno ci penso io» propose, ammiccando appena con la sua espressione da belloccio. Sapeva di avere fascino, era l’unica cosa di cui fosse certo. Non aveva mai avuto problemi a ricevere apprezzamenti, men che meno a conquistare il cuore e la libido femminile; a parte con lei. L’Impura al suo fianco sembrava essere immune ad ogni suo sorriso o sguardo, al suo charme ostentato o al sex appeal nascosto dietro ad ogni gesto. Forse era questo, tra tutto, ad affascinarlo di più in lei.
Aralyn ricambiò il sorriso, probabilmente senza nemmeno rendersene conto e, d’improvviso, apparve agli occhi di lui ancora più graziosa. Seppur la bellezza non fosse una sua dote intrinseca, la lupa conservava in ogni movenza una sorta di fascino.
«Scordatelo! Non voglio restare dispersa per giorni» scherzò, compromettendo così la corazza che aveva indossato con lui per tutto quel tempo. Il suo autocontrollò si era, per un attimo, dissolto come la nebbia al sorgere del sole e, al pari di quello stesso spettacolo, Joseph ne restò ammaliato: c’era un’altra lei, dietro a tutte le difese con cui si vestiva.

 

Camminarono per il centro l’uno al fianco dell’altra, senza però rivolgersi mai la parola. Ogni tanto l’erede dei Menalcan provava a concedersi un’occhiata furtiva in direzione di lei, trovandola spesso e volentieri intenta a lanciare sguardi indagatori verso le vetrine più disparate; Aralyn sembrò essere una bambina al suo primo giro in un parco giochi, ogni cosa ne catturava le sue attenzioni e, di tanto in tanto, le strappava qualche curiosa espressione. Per quanto volesse fare la dura, doveva conservare dentro di sé la meraviglia tipica dei più piccini, quella strana magia che riusciva a conquistarli con piccoli dettagli.
«Sembra che tu non esca per una passeggiata in città da… sempre!» commentò lui di punto in bianco, trattenendo un sorriso divertito e sperando così di iniziare una conversazione, magari riuscendo anche ad approfondire la conoscenza con lei. Sapeva di star commettendo un’azione riprovevole cercando di avvicinarsi a lei, eppure non riusciva ad impedirselo, mai. Ma che male poteva esserci? In fin dei conti non c’era alcun membro del suo clan presente, lì, nessuno avrebbe potuto dire a Douglas di quello che stava facendo, men che meno accusarlo di un qualche tradimento -tutto quello che faceva, era per il branco, per il casato da cui discendeva e che, magari, un giorno, sarebbe diventato suo.
La ragazza rispose distratta, senza ricambiare lo sguardo diretto che questa volta Joseph le aveva rivolto. Non fu difficile capire che in quel frangente, di lui, non le importava poi granché: «Se devo essere sincera si tratta solo di due mesi».
I passi di Joseph rallentarono, costringendo anche lei a diminuire la velocità «Così tanto?» Incredulo si mise a fissarla, cercando di immedesimarsi in lei, rinchiusa per sessanta giorni in quel buco che era la Tana. Per uno come lui, già il periodo che aveva trascorso con loro in mezzo al nulla più assoluto, era stato un mezzo supplizio, figurarsi dopo tutto quel tempo! Scuotendo con incredulità il capo, si rese conto di quanta pazienza il corpicino accanto a sé dovesse possedere.
Aralyn rallentò ancora un po' «Beh, quando sei un ricercato devi fare qualche sacrificio!» e nuovamente la sua espressione si fece sarcastica, più allegra di quanto non fosse tra le mura di casa propria.
Dalle labbra del Purosangue scappò una domanda che si pentì subito di aver fatto «Parli della storia con i Menalcan?» Tra tutte le cose che poteva chiedere, proprio la peggiore, quella più diretta ed inopportuna. Si morse la lingua con forza, ricordandosi che lei non era affatto come gli altri membri del Clan del Nord. Quella tipa era sospettosa, furba, intelligente, caparbia… un errore del genere avrebbe potuto far pericolosamente scattare i suoi sensi e mettergliela contro. Che stupido!
«Chi te ne ha parlato?» finalmente i loro sguardi si incrociarono, ma al posto del sollievo, questa volta, Joseph avvertì dentro di sé una fastidiosa preoccupazione: e se fosse stata in grado di leggere qualcosa, nei suoi occhi? Se d’improvviso tutti i passi avanti fatti fino a quel punto fossero andati in fumo? Scongiurò tutti gli Dei Lupo di venirgli incontro, di salvarlo ancora una volta.
«Alla Tana è uno degli argomenti più gettonati… credo che per voi sia stato un grandioso successo! Però non è che ne sappia poi molto…»
«Tu cosa ne sai, Josh?» con un movimento repentino gli afferrò un braccio, bloccandolo a metà di un passo in avanti. Il Purosangue avvertì il proprio cuore fare un’impennata ed accelerare la velocità dei palpiti. Come avrebbe fatto a salvarsi, ora? Cosa avrebbe potuto raccontarle per tranquillizzarla?
Si era nuovamente andato a cacciare nei pasticci con le proprie mani, senza rendersi realmente conto della gravità della situazione. Anche nel peggiore dei casi, non avrebbe potuto uccidere quella lupa senza un motivo valido che potesse scagionarlo di fronte agli occhi di Arwen, una cosa di tale importanza non sarebbe certo stata dimenticata facilmente.
Il tempo intanto continuò a scorrere e dalle sue labbra non uscì alcuna parola: di quel passo si sarebbe fatto scoprire. Perché le cose dovevano essere così complicate? Perché non poteva avere a che fare con Impuri stupidi e privi di qualsiasi dote?
«I-io so solo che c’è stato uno scontro, lo giuro!» alzò le mani in segno di resa, facendo un mezzo sorriso tirato da un lato. Più fosse apparso innocente, più lei si sarebbe tranquillizzata. «Mi hanno detto che è stata un’azione perpetrata da pochi lupi, nulla più» si affrettò a dire, pregando che la sua versione fosse abbastanza convincente da calmare la situazione. Aralyn prese un immenso respiro, continuando però a fissarlo e stringerli il braccio; dalla sua espressione fu impossibile capire se stesse credendo o meno a ciò che lui le aveva detto. Fu in quel momento che a Joseph parve di capire il motivo per cui Arwen facesse così affidamento su di lei; perché tenesse in considerazione il suo parere e avesse sempre un occhio di riguardo nei suoi confronti. Quella ragazzetta doveva essere un vero segugio. Non aveva l’aria da combattente, ma poteva benissimo essere una stratega degna di nota.
«Ci abbiamo impiegato mesi per mettere insieme quel piano, quindi i rischi erano stati messi in conto, così come la detenzione forzata alla Tana» soffiò fuori lei, staccando finalmente la propria mano dal corpo del Menalcan. Quel gesto fu, per il ragazzo, fonte di enorme sollievo; riuscì persino a percepire i propri muscoli rilassarsi dopo un lungo tempo passato contratti.
L’aveva scampata per pura fortuna e, se non fosse stato più attento in futuro, non ci sarebbe stata alcuna “prossima volta”.
Lentamente ripresero a camminare, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo l’uno dell’altra. Ora, doveva ammetterlo, la temeva, aveva paura che potesse scorgere in lui il fantasma della finzione. Di quel passo, si sarebbe giocato tutto il lavoro fatto fino a quel momento.
Nonostante la consapevolezza di star rischiando più del dovuto e che il pericolo appena scampato era stato immenso, si rese conto di non poter lasciar cadere il discorso nell’oblio; non doveva darle l’impressione di essere spaventato, sennò sarebbe stato facile, per lei, capire che qualcosa non andava: solo chi ha qualcosa da nascondere, tace.
Sfilò una sigaretta dal pacchetto appena comprato, nuovo di pacca e che, insieme ad una stecca che traballava nella borsa di Aralyn, gli avrebbe fatto compagnia per le ore ed i giorni seguenti. «Quindi anche tu hai partecipato a quell’attacco?» le chiese, cercando di usare il tono più innocente che avesse all’interno del proprio repertorio da attore. A dire il vero, osservandola, quella lupa non avrebbe potuto intimorire nessuno: così minuta e soffice dava un’impressione tutt’altro che spaventosa. Del guerriero, lei, non aveva nulla se non lo sguardo, due occhi ardenti quanto tizzoni ed in grado di dar fuoco alla pelle di… beh, solo alla sua, sperò il Purosangue.
«Il team di fiducia dell’Alpha si è introdotto in casa del nemico, ma non per questo il resto del clan poteva ritenersi al sicuro da una possibile vendetta. I Menalcan sono dei feroci assassini, privi di un qualsivoglia senso dell’onore e del rispetto, non avrebbero esitato a farci fuori tutti» di nuovo, sul viso di lei, le guance si imporporarono, questa volta a causa di una rabbia che non era affatto intenzionata a nascondere. Vide le mani della ragazza stringersi forte intorno alla spallina della borsa. Come ogni simpatizzante del Duca, anche lei odiava i licantropi nobili, in particolar modo la famiglia a cui Joseph apparteneva e, d’improvviso, anche lui si rese conto di quanta furia avesse riservato nei confronti di lupi come Aralyn in passato, di quante volte avesse sognato di sterminarli e, infine, di quante vite avesse strappato dalle loro fila. Ma dove era andato a finire, ora, quel moto di ribrezzo nei loro confronti? Sì, li aveva chiamati burberi, li aveva definiti barbari, li aveva persino trovati fastidiosi, ma dopo nemmeno due settimane si era già scordato di tutto l’odio che da sempre gli era stato inculcato nei riguardi di quelle… quelle… bestie.
Come un fulmine a ciel sereno, le immagini dello scempio compiuto nella Villa, la notte del furto del Pugnale, si fecero largo tra i suoi pensieri, ritornando ad alimentare un fuoco che non si era nemmeno accorto fosse in procinto di spegnersi.
Lui detestava Arwen e tutti i suoi seguaci, li voleva morti dal primo all’ultimo, compresa lei!
Bruscamente si volse verso Aralyn, imponendole di fermarsi. Sentiva dentro di sé il desiderio di afferrarla per la gola e soffocarla, di strapparle la vita dal corpo, esattamente come i suoi confratelli avevano fatto con i membri del clan Menalcan. La smania di sangue nemico aveva ripreso a scorrergli nelle vene, ad avvelenargli il cuore. Se solo non avesse avuto il cimelio di suo padre da recuperare, e un alibi da mantenere, avrebbe ammazzato quella ragazza all’istante. Lei, seppur più spigliata, altro non era che un’Impura, la feccia su cui Douglas gli aveva sempre detto di sputare -e per sempre lo sarebbe stata; il fatto che alle volte gli scatenasse dentro una tempesta di emozioni indecifrabili, non cambiava la sua natura e questo, lui, avrebbe dovuto tenerselo bene a mente ogni giorno.
«Ho dimenticato di dover prendere una cosa» disse frettolosamente, capendo da sé che più tempo avesse passato accanto a quella tipa, più avrebbe fatto fatica a controllarsi. I palmi delle mani avevano già iniziato a prudergli dalla voglia di premersi con violenza sulla sua pelle.
La lupa corrugò appena le sopracciglia «Ah, okay. Ti accompagno…» provò a proporre, del tutto spaesata e confusa di fronte a quell’improvviso cambio di argomento. Nella sua testa non si sarebbe mai potuta andare a delineare l’idea che lui stesse cercando di allontanarsi per evitare di ucciderla.
«No. Vado da solo, non preoccuparti. Ci vediamo tra un paio d’ore all’auto, okay?» fu estremamente difficile, questa volta, tendere un sorriso verso Aralyn. Si sentì come se qualcuno, una sorta di fantasma, gli stesse tirando gli angoli della bocca.
La vide tentennare, dubbiosa, ma non le lasciò il tempo di impedirgli quella sorta di fuga.

(testo aggiornato il 24/01/2017)

da questo capitolo a quello seguente (e non revisionato) potrete imbattervi in un enorme vuoto narrativo a causa del fatto che, "Dilaniare il cuore" (pt.1 e pt.2), è stato modificato e diviso in ben 4 parti.

 

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Capitolo 20
*** Pericolo in Agguato ***




19. Pericolo in agguato

Aralyn si ritrovò da sola a completare le commissioni che si era ripromessa di portare a termine durante la giornata, recuperando alcune cose per il branco, oggetti per se stessa e, in ultimo, un regalo per l’imminente compleanno di Arwen.
Percorse a ritroso, con le braccia colme di borse, le strade che fino a qualche ora prima aveva fatto al fianco di Josh, adesso disperso in qualche angolo oscuro della città e, visto il suo atteggiamento da prima donna, forse era stato meglio così. Più lontano da lei restava, più possibilità di non subire un rimprovero aveva.
Così la ragazza arrivò fino all’auto parcheggiata nella periferia urbana e lì, ancora infastidita dall’atteggiamento del suo accompagnatore, che l’aveva lasciata ad occuparsi di tutte le mansioni per il branco, caricò sui sedili posteriori ogni singolo sacchetto. Per tutto il tempo imprecò contro di lui, sperando che le sue parole lo colpissero alle spalle, facendogli i dispetti e ricordandogli che tra i due, era lei quella ad avere il ruolo più importante. Finì in poco tempo di sistemare, ma non di sentirsi imbufalita con il fantasma di un licantropo che ancora non si era fatto vivo, che nemmeno aveva avuto la decenza di avvertire per il suo ritardo. Rimase così in attesa della sua comparsa, scrutando l’orizzonte nella speranza di intravederlo e provando a scorgere nei portamenti altrui il suo, nelle chiome scompigliate degli sconosciuti quella di lui; peccato solo non fosse nei paraggi. Dove poteva essersi cacciato? Ormai l’orologio segnava le quattro passate e, se non fosse arrivato nei trenta minuti seguenti, avrebbero dovuto tornare a casa tra le prime ombre della sera, cosa che si era ben ripromessa di non fare. Suo fratello era stato chiaro, non le era permesso star fuori dopo il tramonto, soprattutto senza Garrel, Fernando o i Gemelli a farle da guardie del corpo. La possibilità che i Menalcan fossero ancora sulle loro tracce era una minaccia reale, qualcosa che non potevano prendere troppo alla leggera; e lei, nonostante fosse una tra i tanti licantropi del clan, era pur sempre stata presente a tutti gli attacchi perpetrati nei confronti dei Purosangue in quegli ultimi cinque anni. Una seccatura, certo, ma d’altro canto doveva aspettarselo dopo essere riuscita a rubare, per il Duca, un cimelio di così grande importanza. In più, restare sola con Josh, in uno spazio così piccolo come l’abitacolo di un’auto, l’agitava più del dovuto. Dannazione.
La ragazza sbuffò. Non poteva, né voleva, rischiare di sorbirsi l’ennesima sfuriata da parte del capoclan. Per quanto sembrasse che il loro rapporto, soprattutto quando si trattava di missioni e questioni da “lupi”, fosse pacifico, in verità era stato per moltissimo tempo costellato da urla e dubbi, da sfuriate e pianti ininterrotti -era difficile separare il lavoro dalla vita privata. Così, armata della sua consueta autorità da braccio destro, sfilò dalla tasca del giubbetto il cellulare e, pigiando sullo schermo con fare minaccioso, frugò nella rubrica fino a trovare il contatto del nuovo arrivato. Aveva tutti i numeri dei suoi confratelli, anche quando non erano loro in prima persona a darglieli. Un modo come un altro per poter avere sotto controllo la situazione in qualsiasi momento.
Ad ogni modo, lo avrebbe chiamato, rimproverato e andato a cercare, così da potersene tornare a casa in santa pace e senza il timore di dover affrontare le ire di Arwen. Sul display apparve un’icona grigia, anonima quanto più possibile, sormontata da alcune lettere di un bianco cangiante: “Pivello”. Sì, si era rifiutata di registrarlo con un appellativo serio o di qualche importanza, men che meno di abbinare al suo numero una foto che potesse riportarle alla mente quel viso tanto bello quanto arrogante: Josh doveva rimanere lontano dai suoi occhi, in modo che potesse tenerlo distante anche da qualsiasi altra parte di lei -mani, guance, busto, cuore. Da quando si erano incontrati, seppur con riluttanza, aveva dovuto fare i conti con una strana avversione verso di lui, una sorta di indescrivibile piacere nel sentirlo vicino, nel percepire il suo sguardo glaciale sulla propria pelle. Aveva provato in tutti i modi a convincersi del contrario, ad indursi a pensare che la sua presenza le generasse fastidio, che le sue attenzioni su di sé avessero un ché di viscido ed insopportabile, ma alla fine, persino durante quel viaggio in auto fianco a fianco, si era ritrovata a percepire tutt’altro. Perché? Cosa aveva di diverso, o speciale, quel tipo? Dove era finito l’amore indiscusso per il suo capobranco? Con l’entrata in scena di quel Solitario tutto ciò di cui era sempre stata certa aveva iniziato a vacillare nella mente, facendole sostituire i punti esclamativi con quelli di domanda. Intanto, dall’altra parte della cornetta, il tu-tu-tu sembrò non volersi più fermare. Dove si era andato a cacciare? Che non le stesse rispondendo per un qualche strano motivo?
Aralyn ringhiò a denti stretti, più infuriata di quanto non fosse prima.
Per chi l’aveva presa? Non si rendeva conto che mettersi contro di lei equivaleva a riempirsi la strada per il clan di ostacoli? Poteva davvero essere così stupido?
Di nuovo, pigiò sul contatto di lui; se non avesse risposto nemmeno questa volta, sarebbe andata a cercarlo: a mali estremi, estremi rimedi.

 

Joseph prese in mano il telefono, perplesso: se Kyle, il suo braccio destro ed unico amico, era di fronte a lui al tavolo del pub, chi lo poteva cercare? Osservò, con le sopracciglia corrugate, il display del cellulare, ritrovandosi a leggere cifre di cui non conosceva l’origine. Chi c’era oltre a quei numeri? L’ennesimo call center che si era permesso di usare il suo nuovo contatto per proporre promozioni di misera utilità? Mise giù, ignorando la chiamata.
«Come mai sei qui in città?» domandò all’altro licantropo, sorseggiando con una certa disinvoltura il caffè nero che aveva ordinato solo pochi minuti prima e provando ad acquietare le voci nella testa, quelle continue domande ed imprecazioni che avevano iniziato ad affollarsi tra i pensieri dopo lo scambio di battute con l’Impura. L’aveva abbandonata nel mezzo della calca turistica per evitare di compromettere la propria copertura e, vagando tra una via e l’altra per smaltire la rabbia, si era imbattuto nel suo collaboratore, quasi il destino avesse voluto fargli una sorta di regalo in un momento così delicato. Era stata una sorpresa più che gradita e, quasi ignorando la possibilità che lei potesse averlo seguito, si era lasciato andare a dei convenevoli, invitandolo a prendere un caffè insieme come era consuetudine fare prima che se ne andasse dal clan per quell’importantissima missione.
Kyle si lisciò la cravatta gialla a ricami verdi, tirando la bocca in un sorriso sghembo. Era qualche anno più grande del figlio di Douglas e le piccole rughe ai lati delle labbra ne erano la prova, ma non per questo si erano mai trovati su lunghezze d’onda differenti. Il loro legame, dapprima solo di lavoro, si era andato pian piano saldando, senza però compromettere la gerarchia che era obbligatoria seguire all’interno della realtà Menalcan. I suoi occhi grigi si strinsero appena, scrutando con velata curiosità il ragazzo di fronte a sé e Joseph lo lasciò fare, quasi tentasse di rassicurarlo senza però essere palese. Sapeva che il suo sottoposto, al di là dell’aspetto formale e dell’atteggiamento rigido, nutriva nei suoi confronti un affetto fraterno e che, nonostante volesse nasconderlo, era venuto fin lì per avere sue notizie, per saperlo salvo e non morto come probabilmente Gabriel aveva iniziato a dire in giro.
«Nonostante tu sia in mezzo ai nemici, non possiamo smettere di raccogliere informazioni su di loro. La nostra presenza qui sarà un ulteriore aiuto alla tua copertura, non pensi?»
«Penso che di questo passo non andrò da nessuna parte» sbuffò il futuro Alpha passandosi una mano sul viso. Dieci giorni e ancora nessuna notizia sul pugnale, solo qualche breve scambio con Aralyn che, purtroppo per lui, sembrava essere troppo sveglia per non notare la strana curiosità nelle sue domande. Arwen non si faceva pregare per passare del tempo con lui, ma tutto ciò che si limitavano a fare era giocare a scacchi, parlare di qualche libro o film e discutere di musica. Garrel, Marion ed i Gemelli invece, non sembravano potergli essere poi di grande aiuto.
La risata del suo interlocutore arrivò bassa e piena alle orecchie, strappandogli un mezzo sorriso. Quantomeno, tra i suoi veri confratelli, c’era ancora qualcuno che non sembrava volergli mettere fretta o denigrarlo; essere il secondogenito non era mai stata cosa semplice tra i licantropi, soprattutto se Purosangue.
Kyle prese l’ultimo sorso dalla tazza, mettendo fine alla pausa di entrambi e avviandosi subito dopo verso l’uscita «Fai con calma, nessuno ti corre dietro. Ciò che importa, se non possiamo arrivare al Pugnale, è ottenere più informazioni possibili sul loro clan. Lo sai meglio di me, no?» dai suoi pochi centimetri d’altezza in più lanciò un’occhiata complice verso l’amico. Lui, fra tutti, era forse l’unico ad aver conosciuto nel tempo le preoccupazioni vive nell’animo del ragazzo: sapeva quanto temesse di deludere Douglas, nonostante combattesse la sua egemonia da anni. Joseph voleva essere libero, da sempre, peccato che come ogni nobile destinato al potere, non potesse evitare di sentirsi in obbligo verso il proprio predecessore.
Uscirono dal cafè ritrovandosi nel fresco di una giornata autunnale. Il sole aveva preso a calare, dando ad ogni edificio una sfumatura più calda, dorata quasi. Avevano trascorso insieme poco meno di qualche ora, eppure sembrò che ne fossero passate molte di più, tante da potersi quasi definire come un intero pomeriggio.
Quasi dimenticandosi la situazione in cui si trovavano, presero a camminare fianco a fianco, continuando con quelle chiacchiere cariche di tensione. Nella mente dei due Menalcan, c’era tutto tranne la minaccia di essere scoperti, cosa che invece avrebbero dovuto tenere ben presente, soprattutto a causa della presenza di Aralyn in città.
Svoltarono in un vicolo più appartato e nuovamente il cellulare del possibile futuro Alpha si mise a vibrare con insistenza. Lo prese tra le mani, scrutando il display con un grugno infastidito: ma i call center non avevano un orario di chiusura? Come potevano chiamare ancora, nonostante avesse evitato di rispondere per tutto quel tempo? Aprì la chiamata, pronto a dar battaglia al povero dipendente dall’altra parte della cornetta, incolpandolo di chissà quale crimine inesistente: «Non son-»
«DOVE CAZZO SEI?»
La voce di Aralyn tuonò dall’altoparlante con talmente tanta forza che dovette allontanare il telefono dall’orecchio. La sua furia parve poter smuovere persino l’aria intorno a loro, creando una sorta di impetuosa tempesta. Il cuore di Joseph perse un colpo.
Lei.
Si era completamente dimenticato del fatto che lo potesse star aspettando da qualche parte in città, che dipendessero l’uno dall’altra. Come aveva fatto? In fin dei conti fino a qualche tempo prima la sua immagine gli era rimasta impressa nella testa, ricordandogli quanto dovesse odiare gli Impuri, quanto fossero schifosi, feccia da eliminare il più velocemente possibile. Deglutì a fatica, sentendo un groppo fastidioso in gola. Cosa si sarebbe potuto inventare ora? Con quale scusa avrebbe giustificato il suo ritardo? D’istinto lanciò un’occhiata verso Kyle, che senza scomporsi si era acceso una sigaretta, aspettando direttive sul da farsi. Non se ne sarebbe andato, se il suo Signore non gliel’avesse ordinato: dopotutto, con grande probabilità, voleva essergli ancora di conforto in quei giorni iniziali lontano dalla realtà che aveva sempre conosciuto.
«Sì, scusa, mi sono perso… ti raggiung-» per la seconda volta fu interrotto dalle urla di lei, questa volta meno potenti ma altrettanto fastidiose. Senza volerlo, doveva averla fatta seriamente infuriare.
«Raggiungermi? Ma se nemmeno sai dove ti trovi?! Grazie al cielo esiste il GPS!»
Cosa?
Il sangue defluì dal viso del ragazzo. Era nei guai; in casini così grossi che gli sembrò di essere in apnea. L’aria defluiva poco nei polmoni, dava l’impressione di bloccarsi a metà della gola. Non poteva davvero essere sul punto di rischiare a quel modo la sua vita, perché certamente ora si parlava di salvaguardare la propria incolumità, nulla più; doveva pensare in fretta a cosa fare, a come far fuggire il suo braccio destro e togliersi di dosso parte del suo odore: ma quanto tempo aveva? Quanto era lontana, da lui, Aralyn? Metri? Chilometri? Miglia?
Con un gesto della mano fece segno a Kyle di andarsene, di trovare un modo per sparire da lì. Doveva farsi trovare solo a qualsiasi costo, se non voleva rischiare di ingaggiare uno scontro con quella tipa. Ucciderla era fuori discussione, l’Alpha degli Impuri non si sarebbe mai bevuto una scusa come quella di uno scontro con i Menalcan, non sapendo che erano insieme.
Il confratello, subito dopo aver fatto un cenno di saluto nei confronti del suo leader, si avviò svelto verso la fine del vicolo, cercando di allontanarsi da quel luogo ed assicurargli un rientro più tranquillo alla Tana di Arwen. Anche Kyle conosceva i rischi di un possibile incontro e scontro con uno dei seguaci di quel lupo, chiunque li conosceva, e se non vi fosse stata nel mezzo la missione di recupero del Pugnale, non ci sarebbero stati poi grandi problemi a farla fuori, ma non poteva succedere, non in quella situazione.
«Non ti scomodare, sto tornando indietro» Joseph si voltò nell’altro senso, iniziando a sua volta a camminare. Più velocemente fosse arrivato alla fine del vicolo, meno rischi avrebbe corso.
«Peccato che sia a duecento metri da…» Il silenzio riempì la chiamata, bloccandolo a metà di un passo.
Eccola.
Eccola di fronte a lui.
Eccola spostare lo sguardo dal suo viso, notare una figura, una persona.
Eccola capire, lasciar cadere il telefono e mettersi a ringhiare, esattamente come Kyle alle sue spalle.
Dannazione!
 

(aggiornamento del 06/02/2017)
 

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Capitolo 21
*** Ti strapperò il cuore ***




20. Ti strapperò il cuore


 

Aralyn per qualche istante rimase confusa di fronte a Josh, domandandosi cosa, esattamente, non funzionasse in tutto quell'istante. Le era chiaro, nella mente, che un pezzo di tutto quel puzzle fosse sbagliato, anche se non avrebbe saputo specificare quale. Lui era più stupito del solito nel vederla, ma non era questo il problema, o quantomeno non del tutto. Con lo sguardo lo aveva scrutato da cima a fondo nel giro di pochissimi istanti, cercando qualcosa che non era riuscita a trovare e, se i suoi occhi non fossero andati a posarsi oltre la spalla di lui, avrebbe lasciato perdere quei dettagli così ambigui. Purtroppo però, con gli occhi persi al di là della figura del ragazzo, qualcosa catturò la sua attenzione, totalmente; fu quello a fermarla, impietrirla e spiegare ogni singola cosa. L'odore nell'aria era diverso. L'elettricità che il Solitario emanava era assai più intensa del normale e, l'uomo che dalla fine del vicolo li stava osservando, aveva un viso fin troppo familiare.
Menalcan.

Il suo cervello fece il collegamento alla stessa velocità con cui un fulmine si scagliava al suolo e, in egual misura, lei si scagliò verso quel tipo in completo scuro e con il sangue di un nobile. Bastarono poche falcate fulminee per farle raggiungere il Purosangue.
Il licantropo le ringhiò addosso, senza però impaurirla. Cosa credeva di fare? Una come lei era abituata a scontrarsi con feccia come loro, non sarebbero bastati un paio di denti acuminati per farla scappare. Così, al posto di arretrare, fece leva su una gamba e si diede la spinta necessaria per sbattere il nemico contro il muro.
Lui però fu altrettanto svelto da prepararsi all'impatto e, retrocedendo di pochi passi, bloccò il colpo, costringendole le braccia in una presa salda. Aralyn avvertì le sue mani addosso come tenaglie; le dita premute nella pelle come i dentini di ferro di quelle trappole e non riuscì ad impedirsi un grugnito. Non poteva dargliela vinta, non lei che era stata l'artefice del furto del Pugnale. Era stata addestrata per scontrarsi con quelle bestie, era stata istruita sul nemico, perdere sarebbe stato il più grande smacco che avrebbe potuto portare al clan e al Duca stesso.
Senza preavviso, allora, chinò il viso verso una delle mani del nemico, allargando le fauci con l'intenzione evidente di mordergli il dorso e liberarsi prima che lui potesse contrattaccare in una qualsiasi maniera. Fino all'ultimo fu convinta di riuscire in quella manovra, ma poi lui mollò, allontanandosi e cercando di sfruttare la presa ancora stretta su di lei per torcerle il braccio e bloccarla a terra in un qualche contorto modo. La ragazza avvertì il vuoto premergli sullo stomaco, mentre il terreno le mancò sotto ai piedi. Se non voleva farsi realmente male, essere catturata e morire, doveva muoversi ancora più velocemente di quanto non facesse quel dannato Menalcan. A quel punto, smettendo di ragionare come un soldato e più come un animale in trappola, tentò una manovra tutt'altro che sicura e, alzando una delle gambe, colpì di sbieco la giuntura del ginocchio del suo avversario, portandogli via a sua volta l'equilibrio.
L'impatto fu doloroso, così come venir schiacciata tra l'asfalto ed il corpo rigido del nemico. Aralyn sentì la mandibola sbattere, il seno comprimersi sotto il torace e i gomiti del maschio sopra di lei premersi sui reni. Grugnì dolorosamente, ma avvertì anche la presa di lui allentarsi e, a quel punto, agì. Se voleva avere la meglio su di lui, salvarsi ed eliminare l'ennesimo Purosangue, doveva essere veloce e scaltra, compiere tutte le scorrettezze del caso; così, senza rifletterci molto, piegò d'un colpo il collo, tirando sulle labbra di lui una testata tanto forte da sentire lei stessa dolore. Strinse i denti, in modo che il guaito sommesso dell'avversario potesse bene imprimersi nella sua mente e darle la forza per rialzarsi e ricominciare.
Si liberò di lui, scivolando a terra ed allontanandosi di qualche passo. Gattonò veloce fino all'edificio più vicino e poi, con il fiato corto, si volse verso il nemico. I capelli biondi erano scompigliati, gli occhi socchiusi a causa del dolore, la mano destra imbrattata di sangue copriva le fauci da bestia ed il completo elegante era ormai sgualcito. Entrambi dovevano apparire devastati agli occhi di... Aralyn volse d'improvviso il capo, ricordandosi improvvisamente di Josh. Anche lui era lì, eppure non aveva mosso un dito né contro di lei, né in suo aiuto: perché? Lo fissò sconcertata, incapace di capire per quale motivo se ne stesse così teso e con lo sguardo grande di preoccupazione in fondo alla via, lontano da loro. Non erano alleati? O forse aveva sempre avuto ragione lei, nemici?
D'un tratto, anche lui si accorse di lei. La guardò dritta in viso, con addosso la chiara espressione di chi non sa cosa fare e, a quel punto, la lupa iniziò a ringhiare, seppur a corto di fiato.
Non l'avrebbe aiutata, questo era chiaro, così come non le si sarebbe messo contro. Aralyn si rimise dritta, barcollando appena. Il dolore al fianco, lì dove ormai c'era solo una lieve cicatrice contornata da un livido viola, aveva iniziato a farsi risentire e destabilizzarla, cosa che non sembrò affatto rassicurarla. 
Caricò l'ennesimo attacco, pronta a prendersi una piccola rivincita su quel Menalcan che era riuscito, a più riprese, a farla sentire inferiore. Sfruttando la parete esterna di un edificio, si diede la spinta necessaria per mutare e, in contemporanea, colpirlo brutalmente, peccato solo che a metà del movimento, Josh si mise in mezzo, placcandola.
A denti sguainati e connotati distorti, la lupa si ritrovò bloccata tra le sue braccia, impossibilitata a compiere la vendetta tanto attesa. 
La bocca del ragazzo si posò sul suo orecchio, invitandola a placarsi «Non fare sciocchezze Aralyn! È ancora giorno e siamo in città. Hai già rischiato tantissimo con questa rissa». Sì, seppur furibonda doveva ammettere che quel dannato Solitario aveva ragione: di quel passo avrebbe rischiato che qualche umano si accorgesse di loro e di ciò che erano in realtà; in fin dei conti non era certo cosa comune, vedere una ragazzetta scapestrata fare a botte con un uomo vestito di tutto punto. 
Per un'ultima volta strinse i denti e fissò l'uomo, ora tornato dritto in tutta la sua altezza. Odiava ogni singola cosa che poteva vedere di lui: dalla punta della scarpa all'ultima ciocca dei suoi capelli color grano, ma anche tutto ciò che non era visibile.
Con voce roca e quasi incomprensibile, gli lanciò una minaccia «La prossima volta, ti sgozzo, lurido Purosangue


 

Per tornare all'auto, Joseph costrinse Aralyn a trasformarsi in lupo e stargli al fianco, in modo che nessuno potesse notare il suo aspetto trasandato ed i vestiti pressoché fatti a brandelli. Non fu cosa semplice stare al suo passo però, men che meno evitare di fissarla mentre il rossore del tramonto si andava a fondere con il pelo autunnale che le ricopriva il corpo d'animale. Come tutti i Canis Rufus, il manto di lei variava in vari toni bruni, fondendosi alla perfezione con l'atmosfera del momento e generando un caldo spettacolo in grado di attirare le attenzioni generali, non solo le sue. Più persone si permisero di restare a fissare l'animale, così grande e dall'aspetto selvatico da passar difficilmente per una qualche sorta di specie canina; alcuni si permisero di avvicinarsi e muovere domande curiose al ragazzo, altri cercarono di allungare una mano per accarezzare la testa del lupo, ma ognuno di loro veniva respinto in modi differenti: non era certo la situazione più adatta per fingere una calma e pazienza che si sentivano già di per sé labili.
Passo dopo passo, il ragazzo non poté far a meno di temere il momento in cui sarebbero rimasti soli, o peggio ancora quello in cui avrebbe dovuto affrontare Arwen e le sue ire. E, nell'essere circondato da tutti quegli umani, si sentì per brevi istanti al sicuro. Al cospetto di tutte quelle persone nessuno avrebbe tirato in ballo faide tra clan di licantropi e possibili omicidi; i "normali", nella loro inutilità, erano ottimi in occasioni come quelle.
Con il senno di poi, il nobile si rese conto che avrebbe dovuto, per mantenere intatta la sua copertura, schierarsi in difesa dell'Impura, peccato solo che nel momento in cui l'aveva vista andar contro al proprio braccio destro ed unico amico non avesse più saputo cosa fosse giusto fare: schierarsi con il suo sangue o schierarsi per il suo sangue? Era una semplice differenza, certo, eppure cambiava completamente il significato della frase. Si rese conto che non era realmente preparato a tutto ciò che un'avventura come quella aveva in serbo per lui e che, se voleva davvero portare a termine la sua missione, doveva entrare nel personaggio di Josh a tal punto da estraniarsi dalla persona che era sempre stato nei suoi venticinque anni di vita. Doveva imparare a farsi guidare dall'istinto dell'alterego che si era scelto, non dal Menalcan che albergava in lui.
Assorto in quei pensieri, si ritrovò a restare zitto per tutto il tragitto che si frapponeva tra loro e l'auto e poi, una volta arrivati al parcheggio e fatta salire Aralyn nel bagagliaio insieme agli acquisti fatti in giornata, per una buona parte di strada che li condusse fuori dal centro urbano. Il ragazzo dovette affidarsi alla memoria per riuscire a ritrovare la strada del ritorno, perché la sua accompagnatrice sembrava tutto tranne che propensa a comunicare con lui. Come se quell'atmosfera tesa non fosse abbastanza, si ritrovò a fare i conti con i pensieri ed il fatto che non avesse idea di dove andar a sbattere la testa. Si ritrovò a chiedersi se, per il Pugnale, il nome di suo padre ed il clan nel suo complesso, sarebbe stato capace di uccidere alcuni confratelli, se tutta quella storia valesse un crimine del genere. Anche se con loro non aveva alcun legame affettivo rimanevano comunque suoi alleati, non come quegli Impuri con cui avrebbe dovuto convivere di lì a chissà quando. Non era forse tradimento, sporcarsi le mani con il sangue dei propri simili? E non sarebbe stato un disonore, lasciare che il Duca si accaparrasse il Pugnale? 
Si morse il labbro, ricordandosi di non essere solo. Certi pensieri non poteva concedersi il lusso di farli in presenza di una nemica, seppur donna e meno potente di lui. Lei era arguta, non si sarebbe fatta sfuggire tutta la tensione che ora gli tendeva i nervi e lo metteva sulle spine; in più, di lì a poco, avrebbe dovuto affrontare oltre a quelle domande, anche Aralyn -quanto tempo ci sarebbe voluto, prima che lei gli desse contro? Quanto ancora lo avrebbe fatto penare? Perché certamente non lo avrebbe lasciato impunito visto quello che era successo, vista la sua riluttanza nel correre in suo soccorso ed attaccare un Menalcan.
A quel punto, con la coda dell'occhio, si mise ad osservare nello specchietto retrovisore, cercando di scorgere la figura della ragazza. Era, come lui, rimasta muta per tutto il tempo, cercando probabilmente di meditare sul da farsi e ciò non sembrava affatto calmare le sue ansie, sempre maggiori. Fortunatamente, non dovette cercare il riflesso di lei per molto; la trovò facilmente, mentre le ultime luci del sole ne colpivano la siluette ancora ferina, creando, a causa del manto folto, una sorta di aura intorno alla sua figura. Oh, quanto avrebbe voluto, Joseph, non dover prestare attenzione alla strada per potersi soffermare a fissare solo lei e lo spettacolo generato dai raggi di luce rossa contro il suo pelo sottile, peccato solo che potesse afferrarne con le ciglia piccoli frammenti incapaci di ritrarne la reale bellezza. Una vera delusione, considerato il fatto che finalmente, dopo settimane, erano soli e lontani dal clan. La tensione generata dai probabili futuri che lo stavano aspettando, allentò d'un tratto la sua presa intorno al collo del nobile, estraniandolo da contesto in cui, purtroppo, si ritrovava. 
Svoltata l'ennesima curva e sorpassato uno dei tanti benzinai, senza alcun tipo di preavviso, il corpo di Aralyn iniziò lentamente a mutare, facendole assumere dapprima una parvenza vagamente umana, grottesca nelle sue forme ancora indefinite, poi più sinuosa e comune, ma incantevole come lo era stata in tutte le fasi di quella mutazione a ritroso. Joseph colse, anche se frettolosamente, ogni sfumatura di quel cambiamento, ritrovandosi ad ignorare fino all'ultimo la strada. Ne era ammaliato perché, seppur fosse per lui cosa normale vedere un lupo tornare umano e viceversa, mai gli era capitato di assistervi in un momento delicato, anche se in due modi differenti, come quello. A quella tipa bastava davvero poco per incantarlo, per costringerlo ad ignorare ogni cosa, dalla più reale alla voce nella sua testa: uno sguardo, un movimento, un commento. Perché si sentiva così? Che diamine gli faceva? Chi era realmente? 
D'improvviso la voce grottesca e profonda di lei lo riportò alla realtà, facendolo sussultare «Guida e basta», si sentì ordinare da una Aralyn ora visibilmente più umana di quanto non fosse dieci secondi prima. Joseph, dal canto suo, non poté che obbedirle, condotto dalla volontà del corpo prima che dalla mente. Voleva compiacerla, ma al contempo desiderava altrettanto per se stesso. Voleva tranquillizzarla, ma allo stesso modo bramava la sua immagine così innocua e pura. Seppur riluttante voltò lo sguardo. 
«Sei ferita?» le domandò poi con voce roca e traballante; non era ancora certo che volesse avere una conversazione con lui. 
Attese alcuni secondi e, non ricevendo alcuna risposta, si rimise a fissare lo specchio. Da quella misera striscia riflettente la vide girare la testa e lanciargli uno sguardo severo da sopra la spalla nuda. Era arrabbiata, infastidita dal fatto che lui non avesse obbedito al suo ordine. Fu quindi una breve visione che gli strinse lo stomaco tanto da fargli male, ma Joseph non se ne sentì affatto intimorito.
«No, ma avrei potuto se fosse stato per te» grugnì, accennando per la prima volta ai fatti avvenuti poco prima. Non se li era dimenticata e, con grande probabilità, non lo avrebbe fatto per molto tempo. Come darle torto del resto? L'aveva completamente abbandonata contro un Purosangue decisamente più forte di lei, un maschio nel pieno delle sue capacità, un pezzo grosso del clan... quella sua reazione era perfettamente comprensibile; persino lui, a ruoli invertiti, si sarebbe comportato a quel modo.
Di fronte a quella consapevolezza, il ragazzo cercò di aprir bocca e dire qualcosa di sensato, ma si rese presto conto che non avrebbe potuto dir nulla di utile, al cospetto di quella verità nuda e cruda: lui non aveva fatto nulla e se Kyle si fosse minimamente impegnato, lei sarebbe stata, ora, agonizzante. Rinunciò un paio di volte al suo intento di iniziare una conversazione, ma non per questo smise di lanciare in continuazione sguardi verso il riflesso della lupa. 
Poté scorgerne la schiena incurvata sulle shoppers, presa a cercare con foga un qualche indumento con cui coprirsi il corpo nudo. Dopotutto, ciò che Joseph era riuscito a salvare degli indumenti di lei, erano stati gli stivaletti bikers, nulla più. La giacca era stata graffiata da Kyle in più punti, la maglia ed i pantaloni si erano imbrattati di sporco e, sfregando contro l'asfalto, slabbrati qua e là. 
Aralyn, nel vedere un Menalcan, aveva letteralmente perso la cognizione del luogo e della situazione in cui si trovavano -non aveva badato a nulla se non alla sua sfida personale con il nemico. Era stata sciocca a lasciarsi sopraffare dalle emozioni, eppure, agli occhi del giovane figlio di Douglas, era apparsa anche incantevole. Nel modo grezzo in cui aveva menato e schivato colpi, la lupa aveva mostrato, oltre alle sue origini, una sicurezza ed una furia invidiabili, degne di una vera figlia di Mànagarmr; pochi licantropi, specialmente della sua specie, avrebbero potuto vantare un simile dono. 
Vedendola sul punto di esplodere in una fila di imprecazioni, il Purosangue allungò una mano sul sedile accanto a sé, trovandovi la propria giacca di pelle raggomitolata malamente. Doveva averla lanciata lì senza nemmeno pensarci, assorto in altri tipi di problemi.
Chiamò Aralyn con un verso, poi, quando fu certo di avere la sua attenzione, torse il braccio verso i sedili posteriori, porgendole il chiodo «Non sarà abbastanza, ma almeno è qualcosa» le disse con un flebile sorriso stampato sulle labbra, invitandola così ad accettare quel piccolo pegno di pace. Era certo che più sarebbe riuscito a calmarla ed imbonirla, più chance avrebbe avuto di non essere buttato fuori dal clan di Arwen o, peggio ancora, ucciso. In fin dei conti ciò che aveva fatto, seppur ad occhi esterni sembrasse una banalità, nel loro mondo non lo era affatto, sarebbe potuto persino apparire come un tradimento. Tra i lupi dopotutto, c'era un codice di condotta non scritto, tramandato di generazione in generazione, tra nobili e plebe, tra Alpha e sottoposti. 
Avvertì l'indumento nella mano venir tirato e a quel punto mollò la presa, certo che lei stesse accettando la sua bandiera bianca. Forse c'era davvero una possibilità che quella tipa non lo mandasse al macello tra le fauci del suo capoclan, che non spifferasse senza ritegno ciò che era avvenuto. Forse... una presa dolorosa gli afferrò la pelle poco sopra al polso, stringendo tanto da aprirgli una piccola ferita nella carne. Il calore e la viscosità del sangue scivolarono lungo tutto l'avanbraccio, disegnando una lunga linea cremisi. Non riusciva a vederlo, certo, ma sapeva fin troppo bene cosa stesse succedendo. Joseph mugugnò per il male e compiendo una manovra del tutto fuorilegge, si ritrovò ad accostare a pochi metri da una curva. Le ruote slittarono appena sulla ghiaia accumulatasi sul ciglio della strada a causa di un colpo secco dato al freno a mano, bloccando così l'andatura della vettura ed impedendogli di finire addosso a qualche albero a lato della carreggiata. Assicuratosi di aver spento l'auto, si volse di scatto nella direzione di lei, afferrandole a sua volta il polso e ritrovandosi così ad una spanna dal suo viso. Stava cercando di bloccarla al meglio, in modo che i suoi artigli non sprofondassero ulteriormente nella carne.
Erano vicini, si stavano toccando ed erano arroccati sui sedili del suv in posizioni scomode e contorte, eppure, si rese conto il ragazzo, nulla di tutto ciò sembrava avere una qualche importanza. L'oro, delle iridi di Aralyn, aveva la disarmante capacità di inglobare ogni cosa, dal dolore al pericolo, dall'essere contorsionisti in un abitacolo sempre troppo piccolo, a ciò che era successo per le strade della città. Erano sospesi, o quantomeno lui, in una dimensione differente dalla realtà, ed il fatto che fossero soli e così vicini, amplificò ancora di più quella sensazione, rendendola disarmante. Era perso nell'aura emanata da lei, avvolto nel suo profumo, nel suo sguardo, nel calore del suo respiro.
La fissò come se la vedesse per la prima volta, accorgendosi pian piano di ogni dettaglio che fino ad allora non aveva destato il suo interesse: qualche neo sparso, le sfumature dorate anche tra le ciocche dei capelli, le ciglia corte e le labbra screpolate, piegate in una smorfia rabbiosa. Chi era davvero, Aralyn? Da quale notte di luna era stata sputata fuori? Con che coraggio, qualcuno l'aveva trasformata in licantropo? Quando?
Una miriade di quesiti innocenti, nuovi, diversi gli saltò alla mente, stupendolo di quante cose non fosse a conoscenza e di quante volesse esserne.
«Perché non hai attaccato il Menalcan?» sibilò l'Impura a denti stretti, socchiudendo appena le palpebre con fare minaccioso.
La sua domanda arrivò alla mente di lui come uno schiaffo, riportandolo brutalmente alla realtà e alla questione che aveva sperato venisse presto accantonata, lasciata nel vicolo in cui lo scontro tra lei e Kyle aveva avuto luogo. Già, con che bugia si sarebbe difeso questa volta? Come avrebbe fatto a non destare i suoi sospetti?
Una morsa ferrea, persino più di quella che gli stringeva il braccio, gli afferrò la gola, mozzando il respiro e dando l'illusione di un perenne soffocamento. Avrebbe potuto lottare con lei, ucciderla, sbarazzarsi del corpo e dare la colpa al suo clan, eppure qualcosa gli gridava di non farlo, di evitare inutili spargimenti di sangue, di mantenerla in vita perché in un qualche modo sarebbe stata lei il tramite per arrivare al Pugnale e alla sua vendetta, anche se non avrebbe saputo dire come. Joseph deglutì a stento, senza mai distogliere lo sguardo da quello ardente di Aralyn, certo che una mossa del genere avrebbe potuto scatenare le sue ire più funeste «Ho pensato che non fosse il caso di attaccare un nobile in pieno giorno e nel bel mezzo di una città umana!»
«Però hai finto di non accorgerti della sua presenza! Perché?»
«Perché non avrebbe cambiato la situazione!» senza rendersene conto aveva alzato il tono di voce, immedesimandosi meglio nella parte di Josh. Come al solito, l'adrenalina aveva preso il sopravvento, ribaltando le carte in tavola e facendogli trovare un'alternativa al silenzio.
La lupa ringhiò sommessamente, premendo poi le unghie ancor più in profondità nella carne. Fu doloroso, ma non per questo il Purosangue smise di fissarla con tutta l'intensità che aveva in corpo, provando disperatamente a sorreggere quella situazione, a non dargliela vinta e convincerla di non aver nulla da nascondere, nonostante tutto.
«Eppure non mi hai aiutata! Ero da sola contro quel viscido Menalcan, mentre tu guardavi e magari pregavi che mi ammazzasse!»
«No!» con un movimento involontario tirò a sé il braccio, allargando la ferita su di esso e facendo sbilanciare leggermente la ragazza. «No. Ho semplicemente continuato a credere che fosse una stupidata attaccarlo».
Aralyn emise l'ennesimo verso gutturale ed animalesco, lasciando che i propri connotati sfumassero ancora una volta in quelli di un animale selvaggio, pronto ad attaccare senza alcuna esitazione, e fu allora che Joseph notò il colorito differente che avevano preso gli occhi di lei. L'oro permaneva, certo, ma oltre a quello si potevano scorgere screziature più scure e calde, simili, forse troppo, a quelle di un Alpha. Fu un flash veloce e appartenente al passato, ma in quell'istante rivide Arwen anni prima, quando, in tutta la sua magnificenza e furia, si era scontrato con Gabriel. Che fosse quello, il motivo che lo attirava così prepotentemente a lei? Che fosse la sua indole da leader ad attrarlo senza logica?
«Se ti azzardi a mentirmi, stanne certo, ti strapperò il cuore dal petto a morsi» affermò con una convinzione tale da spaventare. Forse, il suo aspetto così innocente non era altro che una copertura, una maschera indossata da un licantropo tanto feroce da essere diventato il braccio destro del capoclan.
Lentamente sentì gli artigli di lei ritrarsi, lasciando la forma acuminata per tornare ad essere unghie da umano. La discussione doveva essere quasi arrivata alla fine.
«Perché credi che stia mentendo?»
«Se invertissi i ruoli, tu ti fideresti di qualcuno che non ti ha aiutato?» No, nemmeno lui l'avrebbe fatto. Era ovvio che anche avrebbe agito nello stesso identico modo in cui aveva fatto lei, se non peggio. 
Aralyn d'improvviso si ritrasse, coprendo il proprio corpo con la giacca ed imbrattandola appena con le dita ancora sporche di sangue «Sappi che non sto scherzando. Se dovessi tradirci, ti aprirò il petto e ne tirerò fuori ogni cosa. Ora guida per altri dieci chilometri su questa strada, voglio tornare a casa e non vederti più!»

L'auto si fermò in mezzo al cortile adiacente alla Tana, annunciando il loro arrivo ai pochissimi lupi presenti all'interno. Mancava poco all'ora di cena, molti confratelli dovevano ancora rientrare dal lavoro, altri erano appena usciti con l'intento di cenare fuori o far festa; non capitava mai, quindi, che nella caffetteria vi fossero tutti, solo in occasioni particolari si poteva vantare la piena presenza del clan. Così, in quell'atmosfera solitaria e a tratti intimi, si concessero di restarono qualche secondo in più all'interno dell'abitacolo dell'auto. Fu allora che Joseph decise di spezzare il silenzio che aveva seguito le minacce di Aralyn: «E adesso?» le domandò,incapace di immaginare il futuro imminente che lo avrebbe atteso.
La lupa scivolò sul sedile davanti, stando attenta a non far trapelare troppa carne dal chiodo che lui le aveva dato per coprirsi. I capelli spettinati, la pelle pallida e segnata qua e là da lievi lividi catturarono subito l'attenzione del Purosangue, lasciandolo per qualche istante in uno stato di ammirazione. Da quando aveva mostrato il suolato più caparbio e l'animo da belva, non era più riuscito a pensare ad altro che a quello. In un'altra vita e con un altro lignaggio, Aralyn sarebbe potuta essere per lui la compagna perfetta, peccato solo che li dividesse una linea invalicabile definita dal sangue.

«Prendi le tue cose, entri e non ti fai più vedere da me» gli rispose senza vacillare nemmeno un istante, quasi stesse ripetendo un copione scritto ed imparato a memoria.
«Tutto qui?» il suo sguardo si fece grande, andando a posarsi direttamente sul profilo indifferente della persona seduta al suo fianco. Qualcosa non tornava.Voleva davvero lasciar perdere tutto ciò come se nulla fosse? Credeva davvero che la sua minaccia fosse sufficiente a persuaderlo? La vide voltare il capo nella sua direzione con insofferenza, quasi non sopportasse più l'idea di dover avere a che fare con lui «Cosa vuoi che faccia,esattamente? Devo pubblicamente dire al clan che non mi fido di te? Vuoi che vada da Arwen e spifferi tutto? Fidati, lo farei in un batter d'occhio, ma finché non ho una prova lampante della tua infedeltà mi toccherà tenerti nel mirino con tutti i mezzi necessari». Come un sibilo la voce di Aralyn riempì l'abitacolo,accarezzando minacciosamente i timpani. 
Al Menalcan sfuggì un sorriso malizioso, esattamente come il commento seguente«Dovrei sentirmi lusingato di tutte queste attenzioni?»
«Non scherzare, Solitario, non ti conviene» e detto ciò, uscì di gran fretta dall'auto, visibilmente riluttante all'idea di restare ancora lì a discutere sulle sue decisioni ed essere presa in giro a quel modo.
Quantomeno, pensò, non avrebbe dovuto affrontare il giudizio dell'Alpha e di quel lurido clan al completo. 


(aggiornato il 01/03/2018)


 

 

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Capitolo 22
*** Qualcosa non va con lei ***




21. Qualcosa non va con lei
Josh
Il pensiero di Aralyn non riusciva a staccarsi dal suo nome, quasi la stesse perseguitando come una litania o uno di quei motivetti impossibile da togliersi dalla mente. Sentiva inoltre di avere addosso il suo odore, infilato sulla pelle, tra i capelli, le pieghe delle labbra screpolare: ovunque. Le piaceva quel sentore, ma non era affatto una novità, già quando l’aveva incontrato al locale con Marion lo aveva pensato. Riluttante si rese conto di non combattere più solo contro di lui e la diffidenza che provava nei suoi confronti, ma anche contro il suo ruolo di braccio destro dell’Alpha ed i suoi istinti animali, quelli più reconditi. In auto era riuscita a far prevalere il suo ruolo nella gerarchia del clan minacciandolo e ricordandogli chi dei due avesse il coltello dalla parte del manico, ma se non ci fosse stato quello di mezzo, come si sarebbe comportata? Diversamente, questo era certo, ma perché? Cosa la spingeva ad essere attratta da lui? E cosa la respingeva? Nel proprio letto, con l’odore mascolino del nuovo arrivato a farle compagnia, si ritrovò a mordersi le labbra nervosamente, incapace di dare risposta a quella serie di domande. C’era solo una certezza, in tutto quel dubbio e caos: non doveva più pensare a lui.
Lei era cotta di Arwen, per una vita aveva rischiato ogni cosa per quel suo amore malsano, quindi non poteva mandare all’aria tutto quanto per colpa di una sorta di flebile infatuazione per quel tipo! Solo una stupida avrebbe rinunciato a tutta la fatica fatta per concedersi lo sfizio di perdere la testa per qualche breve periodo, a tal punto da fidarsi di un completo sconosciuto. Si tirò dritta sul materasso, scuotendo vigorosamente la testa.
Che pensieri le saltavano in mente? Era ovvio che non avrebbe tradito suo fratello ed il legame tra di loro per colpa delle voglie scaturite dal sapore del diverso, del rischio.
Fece ricadere la testa all’indietro, gonfiandosi i polmoni d’aria. La presenza di Josh, seppur indesiderata, le stava pian piano scombussolando la quotidianità a cui era abituata. Sì, gli istinti dell’animale dentro di lei potevano destabilizzarla o avere il sopravvento, ma se fosse riuscita a mantenere viva la sua parte umana non avrebbe corso alcun rischio. In ogni caso, ora come ora, doveva evitare di pensare alla questione: ignorando la cosa sarebbe sicuramente sparita.
D’un tratto i pensieri furono brutalmente interrotti dal rumore di passi, passi che all’inizio le parvero familiari, ma che poi si confusero. Non era suo fratello e nemmeno Marion, erano quelli di qualcun altro. Garrel forse? No, erano troppo leggeri per essere quelli del bestione palestrato, si trattava di qualcuno che non era mai arrivato fin lì, che sembrava titubante nel procedere sul parquet scricchiolante sotto ai suoi piedi. Aguzzò i sensi, cercando di ricordare quale dei suoi confratelli avesse un avanzamento del genere. Chi poteva voler parlare con lei? Con chi aveva un conto in sospeso? Fu un sospiro a farle capire che, chiunque fosse, non avrebbe certo trovato facilmente il coraggio di bussare. Poteva quindi essere Brigitte, la lupa che aveva giaciuto con suo fratello la luna piena scorsa?
Presa dall’impeto e dalla curiosità, saltò giù dal materasso e si avvicinò svelta alla porta dietro cui, con grande probabilità, si nascondeva la donna che più di tutte aveva iniziato a detestare. Arrivò a ridosso del legno e poi, schiarendosi la voce, chiese chi ci fosse, lì fuori: nessuna risposta. Aralyn corrugò la fronte, confusa. Non aveva avvertito lo sconosciuto allontanarsi, men che meno fare altri movimenti, quindi perché non gli rispondeva? Che fosse troppo timido?
Si allontanò di un paio di centimetri, ora preoccupata. Chi c’era, nel clan, di così strano da comportarsi a quel modo?
A quel punto, con voce tremante, invitò la persona ad entrare, pregando di non aver compiuto il peggiore degli errori -però non aveva nemici nel branco, quindi perché agitarsi in quella maniera? La porta ci mise alcuni secondi prima di aprirsi, cigolando sulle viti troppo vecchie e poco oliate. Ci volle ancora un po' prima che l’ospite facesse il suo totale ingresso nella stanza e, quando accadde, la lupa sentì il cuore perdere un colpo e saltarle in gola per la sorpresa. Lui. Lui e nessun altro, probabilmente richiamato come un demone dalla sua litania di domande, invocazioni e pensieri. Era stato invocato, aveva risposto al suo insensato desiderio di capire per quale motivo si sentisse, seppur riluttante, attratta dalla sua essenza.
Josh alzò lo sguardo su di lei, quasi ad accertarsi che volesse ancora farlo entrare in quel luogo che era solo suo, intimo ed Aralyn, mutamente, acconsentì.
Non si erano più incrociati dal momento in cui erano rientrati a casa dopo il casino avvenuto con il Menalcan e, probabilmente, qualcosa in quel lasso di tempo aveva cambiato la situazione. Ma cosa? Perché quella specie di tradimento, le minacce, la rabbia e quant’altro, non avevano accentuato il suo desiderio di allontanarlo? Deglutì, non sapendo assolutamente come comportarsi.
«Scusami, io … io volevo la mia giacca. Sai, fuori fa freddo e ci terrei a riaverla per non ibernare» il ragazzo si permise una risata nervosa per non sembrare troppo ingessato, per camuffare il disagio che a sua volta doveva sentirsi addosso. Era una buona scusa, la sua. Era un motivo più che valido per andare fin nell’area femminile e disturbarla; dopo due giorni, infondo, era lecito venir a bussare alla sua porta. Aralyn lanciò un’occhiata in direzione dell’indumento a terra «Devi andare da qualche parte?» gli chiese lei, chinando la testa da un lato e facendo scivolare una cascata di capelli davanti alla spalla. Non sapeva bene perché gliel’avesse chiesto, in fin dei conti non erano certo affar suoi i piani di lui. Era un uomo adulto, grande abbastanza per fare ciò che meglio credeva e, inoltre, finché fosse stato nelle terre del branco sarebbe stato tenuto d’occhio da tutti i confratelli -fino al giorno del giuramento sarebbe stato un jolly nel mazzo: nessuno poteva sapere chi lo avrebbe pescato. Josh fece qualche passo avanti, richiudendosi la porta alle spalle, trasformando così la loro conversazione in qualcosa di privato, segreto. Con un movimento veloce si passò una mano tra i capelli neri, facendo sì che il braccio tatuato si issasse all’altezza del viso, mostrando scorci di una storia scritta con inchiostro ed aghi.
«Pensavo di fare una passeggiata, stare rinchiuso in quattro mura non è esattamente qualcosa che fa per me» un sorriso timido gli tirò le labbra sottili, facendole diventare linee ancor più strette.
«Se non ti piace la Tana allora vattene, no?» gli occhi di Aralyn arrivarono come pugnali nel corpo di lui. Il suo viso si contrasse in un’espressione incomprensibile. Si sentiva offesa da quell’affermazione che, uscita da un’altra bocca, sarebbe persino potuta apparire innocente. Se stare con loro non gli piaceva, poteva benissimo andare dai Menalcan, tornarsene nel suo vecchio branco, fare il solitario, o fare qualsiasi altra cosa, piuttosto che starle intorno e lì.
Il licantropo puntò il suo sguardo su di lei, che si sentì percorrere da lunghi brividi. Troppo ghiaccio racchiuso in due semplici iridi: «Tu vuoi che me ne vada, giusto?» Di fronte a quella domanda, lei si sentì seccare la gola. Era ovvio che lo volesse lontano da lì, che desiderasse che la sua presenza sparisse nel nulla abbandonandola, eppure non riuscì a dirglielo. Perché? Per quale motivo, improvvisamente, non riusciva più a comportarsi da dura come suo solito?
«Io voglio essere sicura che al mio fianco, soprattutto in questo clan, ci siano solo mannari che combattano per una causa comune. Se tu non vuoi condividere il nostro credo, è inutile che resti». Non era propriamente quello che avrebbe dovuto dire, eppure fu la cosa più vicina alla frase giusta che riuscì a pronunciare.
Dopo aver raccolto il giubbotto, interrompendo il contatto visivo, glielo porse a braccio teso mantenendo però un’espressione contratta, per fargli capire che in fin dei conti le sue parole erano realmente sentite.
Rimase ferma alcuni secondi, sentendosi lo stomaco stringere in una morsa. Perché non si decideva ad andarsene? Perché continuava ad esitare? D’improvviso Josh, allungò il braccio con cui si era sistemato i capelli e, al posto di limitarsi ad afferrare l’indumento che lei teneva nella mano, le avvolse il polso in una stretta salda, tirandola a sé. Aralyn si sentì il pavimento mancare sotto ai piedi e dovette trattenere un sussulto involontario. La forza con cui lui la costrinse al proprio petto fu disarmante, molto più solida di quanto lei si sarebbe mai potuta immaginare. La tirò così vicino che si ritrovò avvolta nel suo profumo, a ridosso della sua pelle bollente e trepidante, viva. Il cuore di lui se lo sentì schiacciato contro lo sterno, mentre il palpitio le rimbombava nelle ossa «Io non sono uno che molla e stai certa che ti dimostrerò di essere all’altezza sia tua sia di questo clan». La voce roca del ragazzo fu un sussurro inquietantemente sensuale a ridosso dell’orecchio, così sicuro ed ammaliante da lasciarla a bocca aperta. Era davvero lo stesso tizio che nel vicolo, con il Menalcan, non l’aveva difesa?
Aralyn rimase immobile, disarmata di fronte a tanta fermezza. Non riusciva a dire nulla, né a pensare o agire, era stregata dalle sue parole, dal salto nel vuoto che i suoi organi avevano fatto nel momento in cui i loro corpi erano entrati in contatto a quel modo, senza alcun preavviso. Era la prima volta che le succedeva una cosa simile, mai prima, né con suo fratello né con altri.
Josh spezzò nuovamente il silenzio «Dirai ad Arwen di quello che è successo? Parlo seriamente» la richiesta la fece tornare con i piedi per terra; d’un tratto tutto aveva ripreso ad essere come sempre: il contatto con lui non la stregava più, le sensazioni del corpo avevano iniziato ad assopirsi pian piano. Senza trovarsi di fronte ad alcuna resistenza, si allontanò appena, riuscendo a instaurare nuovamente un contatto visivo con il Solitario.
«Dammi una ragione per non farlo, e potresti assicurarti il mio silenzio, per un pochetto» la voce le uscì dalle labbra con leggerezza, seppur affilata.
«Ti proverò il mio valore e la mia lealtà in qualsiasi modo, dovrai solo chiedere».

 
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La mattina seguente, sulle scale, Aralyn si ritrovò ancora a pensare al nuovo arrivato, a ciò che era successo in città e poi in camera sua, dove lui le aveva giurato che si sarebbe guadagnato la sua fiducia dimostrandole quanto valore avesse. Nella mente aveva un mix indefinito di parole e ragionamenti, mentre il corpo veniva continuamente percorso da piacevoli brividi, una corsa vibrante che non era riuscita a fermare in alcun modo.
Sospirò scocciata.
Come poteva, il giorno precedente al compleanno di suo fratello, pensare a simile cose? Sensazioni che, oltretutto, non era stato Arwen a procurarle. Da quando un maschio che non fosse l’Alpha, riusciva ad ammaliarla a quella maniera? Eppure l’odiava! Dannazione se detestava Josh ed il suo atteggiamento spavaldo, la sua aria di mistero, l’aspetto da bello e dannato, la voce suadente e… quel suo tocco infiammato, vivo, bruciante sulla pelle, così vivido da sentirselo ancora addosso, stretto intorno ad un polso. Già… come poteva essere così vivido?
La lupa volse appena il capo, seguendo una sensazione che aveva tutto tranne che del ricordo e, con sorpresa, scoprì che c’era realmente una mano di lui avvolta intorno alla sua carne.
Fu un contatto disarmante quanto il giorno precedente, ma nonostante ciò piacevole -e sbagliato, incredibilmente inappropriato. Aralyn sapeva bene che avrebbe dovuto scrollarselo di dosso, staccarsi da lui il più in fretta possibile. Loro erano il giorno e la notte, lei lo detestava e tutti lo sapevano, nel clan, quindi non potevano certo farsi vedere in una situazione del genere, fin troppo fraintendibile. Eppure non lo fece. Rimase ferma ad osservare il modo in cui le dita di Josh si andavano a serrare sul suo polso, in modo così armonico, incredibilmente…giusto.
Nemmeno lui osò staccarsi «Ehi, ti … ti ho chiamata da giù» e la sua fronte si aggrottò in un modo incantevole, dandogli un’espressione quasi bambinesca.
«Davvero? Non ti ho sentito»
«Yes!» fece lui con un sorriso che, subito prima della frase successiva, andò a smorzarsi «Volevo sapere cosa hai deciso di fare, dopo ieri»
Aralyn sospirò ancora, delusa. Cosa si era aspettata di sentire? Qualche parola carina rivolta nei suoi confronti? Sciocca! Josh non aveva alcuna mira nei suoi confronti, solo il disperato desiderio di convincerla a stare dalla sua parte per poter entrare nel clan, era ovvio. Uno come lui, bello in modo annichilante e terribilmente promettente, non poteva certo coltivare interesse per lei, che oltretutto lo aveva minacciato più volte.
«Ti conviene stare in guardia, Solitario. Ciò che ti ho detto mentre tornavamo qui vale ancora: fai un’altra cavolata e ti strappo il cuore a morsi, poi ti dò in pasto ad Arwen. Chi-» delle voci in avvicinamento catturarono la sua attenzione. Erano suoni e toni familiari, risate che aveva ascoltato decine di volte. Non dovette nemmeno concentrarsi per riconoscerne i proprietari e, senza preavviso, una morsa terribilmente fastidiosa le si strinse intorno alla bocca dello stomaco, facendole male. I muscoli le si irrigidirono a tal punto che compiere anche il più minimo movimento risultava essere complicato: al posto della carne si sentiva la pietra.
Rabbia, così identificò il sentimento che la stava pian piano trasformando in una statua dura e fredda; furia generata dal fatto che suo fratello stesse ridendo e scherzando con Brie, quella stessa lupa che aveva trovato stretta tra le sue braccia. Ne era certa, nessun’altra persona, nel clan, possedeva un tono così cristallino e fastidioso, a tratti infantile.
Ci volle poco prima che i due entrassero nel suo campo visivo, dando conferma alle sue supposizioni, ed ora, vedendoli effettivamente di fronte a sé, fianco a fianco, le parve che vi fosse qualcosa di dannatamente sbagliato in tutta la scena. Loro non dovevano andare d’accordo, avvicinarsi come amici o altro dopo quello che era successo: lei era un’oca indegna, mentre lui l’uomo che aveva sempre guardato con affetto e ammirazione.
Aralyn avvertì l’istinto animale dentro di lei ribollire, il desiderio di rivangare ciò che era suo farsi prepotente. Involontariamente, sormontata dalla sé meno umana, si ritrovò a ringhiare verso l’altra lupa, completamente ignara di cosa stesse per succedere.
«Tu!» fu quasi un richiamo, un avvertimento che le diede prima di divincolarsi dalla presa di Josh e balzarle addosso con gli artigli sguainati. La schiacciò a terra, stringendole le cosce intorno alla vita in modo da ridurne i movimenti. La voleva umiliare, sottomettere e soggiogare alla sua autorità; desiderava farle capire che tra le due, solo lei poteva permettersi il lusso di stare al fianco dell’Alpha, anche se più che una gelosia amorosa, quella che provò fu invece egoista: quel posto era suo e di nessun altro, ma perché? Cosa voleva esattamente da Arwen? Era ancora quel sentimento morboso-affettivo che li aveva legati negli ultimi anni? O si trattava semplicemente di paura?
Ringhiò ancora, senza soffermarsi su quelle domande «La prima volta sono stata buona e ho lasciati correre, ma stavolta scordatelo!» con una mano le bloccò la trachea, in modo che si sentisse soffocare, e lei reagì proprio come ci si aspettava che facesse, iniziando a graffiarle il braccio e piangere. Quanto poteva essere sciocca una mossa come quella? Aralyn era nata licantropo e, anche se non poteva eguagliarsi alla forza di un Purosangue, poteva comunque risultare molto più resistente di un Impuro Trasformato come era la sua rivale.  Si chinò lenta verso il suo viso, senza preoccuparsi del fatto che le unghie di Brie potessero conficcarglisi in viso, poi proseguì «Devi stargli lontana, mi hai capito?» ma prima che potesse ricevere alcun segno o verso di risposta, si sentì sollevare dal corpo dell’altra lupa e mancare a sua volta l’aria nei polmoni. Fu qualcosa di inaspettato e spaventoso, qualcosa che non aveva nemmeno potuto prendere forma nella sua mente occupata solo dalla rabbia.
Ci vollero alcuni istanti prima che persino Aralyn realizzasse cosa stesse succedendo, ritrovandosi muso a muso con il capoclan.
Suo fratello l’aveva letteralmente inchiodata al muro con una mano, mostrandole quanto inappropriato ed irrispettoso fosse stato il suo gesto. Impaurita, cercò con lo sguardo uno spiraglio di comprensione negli occhi di Arwen, ma questi non diede segno di cedimento. C’era un’ombra contrariata ad oscurargli l’oro degli occhi ed un’espressione severa a costringergli i connotati del viso. Cosa stava pensando? La rabbia della ragazza sembrò scemare tutto d’un colpo, lasciando spazio solo al timore che potesse farle davvero un gran male, questa volta.
Aveva completamente disubbidito ad alcune delle regole più importanti che l’Alpha le aveva dato nel corso del tempo, e tutto di fronte agli occhi di ben due membri del clan. Non gliel’avrebbe mai perdonata. Prima di essere sangue del suo sangue, lui era il suo capoclan, il licantropo a cui doveva portare rispetto e sottostare, a prescindere da tutto; lo aveva giurato.
Il fratello lasciò che i capelli facessero da scudo al suo viso, in modo da poter mimare con le labbra una minaccia diretta solo ed esclusivamente a lei. Nessun’altro, tra i presenti, avrebbe avuto il piacere di sentire il loro scambio a senso unico: “fallo ancora e te ne pentirai. Non dobbiamo far insospettire anima viva”.
Vero. Verissimo, anzi!
Aralyn annuì. Ora capiva ogni singola cosa, rendendosi conto che, per l’ennesima volta, Arwen fosse un passo davanti a lei: era stata tutta una strategia per dissipare i sospetti su loro due.

(testo aggiornato il 22/03/2018)

ancora non mi soddisfa appieno

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Capitolo 23
*** qualsiasi cosa ci voglia ***




22. Whatever it takes
 
Non aveva ben chiaro per quale motivo si fosse allontanato con tutta quella fretta dal corridoio, ma sapeva per certo che non voleva star lì. Vedere come le mani di Arwen si erano strette intorno al corpo di Aralyn aveva scatenato in lui un mix di emozioni che non era certo voler definire; sicuramente c’era stata della rabbia, del fastidio, forse persino invidia. Sì, si sarebbe potuto proprio dire che Joseph provasse, nei confronti dell’Alpha, della gelosia: lui poteva fare e dire ciò che voleva, poteva avvicinarsi a lei senza che vi fosse nulla di male o che la ragazza desse di matto. Era un’aspettativa che, il solo immaginarla, gli smuoveva qualcosa di insolito dentro, come un piccolo maremoto interiore e, più cercava di farlo calmare, più si agitava. Perché? Cosa diamine gli stava capitando? Per quale ragione aveva iniziato a trasformare il suo odio per gli Impuri, per lei in particolar modo, in qualcosa di meno duro e più dolce?
Aumentò la velocità dei passi, imboccando la strada che portava verso l’uscita e, una volta sul portico, si fermò, picchiando furiosamente un pugno contro il parapetto di legno ed imprecando piano, a denti stretti. Non aveva più controllo su di sé. Ogni giorno la linea di separazione tra Joseph Menalcan e la finzione che era Josh si assottigliava, quasi sparendo; ma come?
Colpì ancora una volta il legno, digrignando sempre più i denti. Perché lo infastidiva tanto che Arwen, un altro maschio e Alpha, si avvicinasse a lei, la sfiorasse e le ronzasse intorno? In fin dei conti erano opposti, destinati a due mondi e realtà diverse; anche se avesse avuto particolari mire su di lei non ci sarebbe stato alcun futuro, quindi perché non lasciarla a lui?
D’un tratto, delle voci familiari lo riportarono alla realtà, come se fosse spinto da un venticello sempre più forte, capace di allontanarlo da qualsiasi cosa. Alzò lo sguardo, cercando le fonti di tali suoni e già sospettando il peggio. Mise in allerta i sensi, certo che ogni momento potesse essere utile per qualsiasi distrazione dai pensieri legati a quella femmina.
L’udito da Purosangue, fine più di qualsiasi altro, diede presto un nome ai due licantropi intenti a conversare animatamente, ma ciò che maggiormente lo interessò, fu l’argomento su cui vertevano i loro scambi: il Pugnale della Luna, l’oggetto per cui aveva abbandonato la Scozia e si era infiltrato in mezzo ai nemici, rischiando quotidianamente la propria vita.
La voce di Eike prese una nota acuta, mettendo in allerta il Nobile: «Ma dovrebbe sapere anche lei che è in nostro possesso!» Chi doveva saperlo? Quale lupo, nel silenzio, si era unito alla causa del Duca? Una lei, questo era certo; che si trattasse quindi di Ophelia, il quarto Alpha più importante che ci fosse nel Concilio?
«Il problema sono i Menalcan, non quella vipera! Ho sentito Aralyn che ne parlava con Arwen… quei bastardi sono in città, ci stanno ancora addosso» bofonchiò in risposta Garrel, ora abbastanza vicino da poter far recepire alla perfezione tutte le sue parole. Dal portico, Joseph riusciva adesso a scorgerli alla perfezione, uno accanto all’altro e con le braccia ricolme di tocchi di legna da ardere. Che avessero in programma qualcosa di particolare? Una grigliata di Primavera magari, oppure l’iniziazione di qualche nuovo adepto che, certamente, non era lui.
Il battibecco cessò d’improvviso e, quando il Purosangue alzò lo sguardo, si rese conto che i due si erano accorti della sua presenza, della vicinanza preoccupante che si frapponeva tra loro. Non si fidavano ancora di lui, non abbastanza, e quindi tacquero come se fossero stati scoperti a scambiarsi oscuri segreti.
Il viso del licantropo più anziano si indurì nello scorgerlo, mentre Eike parve trasformarsi in un bimbo. Gli corse incontro, quasi facendo cadere a terra tutto ciò che teneva tra le mani «Amico!»
«Ehi!Ho disturbato il vostro momento intimo?» scherzò Joseph, scendendo lentamente i pochi gradini che lo separavano dal patio. Doveva provare ad apparire il più ingenuo possibile, a fingersi ignaro di qualsiasi cosa, anche se seppur i Solitari, dovevano aver appreso del “grande colpo” inflitto ai danni del clan di Douglas.
Garrel soffiò dal naso, gonfiando subito dopo il petto, cercando di metterlo in guardia. Alla domanda sbagliata lo avrebbe attaccato, era chiaro come il sole. Forse Aralyn con lui aveva parlato, forse gli aveva rivelato tutti i suoi dubbi e gli aveva chiesto di tenerlo d’occhio; o forse, quel gorilla, ancora non era riuscito ad inquadrarlo.
«Come sempre, moccioso!»
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Non poteva negare a sé stesso di averlo sentito, distintamente come quando qualcosa cade in una stanza silenziosa; lui aveva avvertito l’odore del suo nuovo pupillo sulla pelle di sua sorella e la cosa l’aveva completamente fatto infuriare. Ecco cosa succedeva ad affidarle compiti del genere, si faceva palesemente trascinare. Se l’era anche portato a letto? Diamine, se fosse successo l’avrebbe fatta pagare ad entrambi. Li aveva visti, due giorni prima, scendere dalla stessa auto da soli e lei era nascosta dentro alla giacca di lui, troppo grande per il suo corpo da ragazzetta. L’idea che lei non indossasse nulla sotto a quel giubbino lo aveva fatto imbestialire, perché Aralyn era sua e di nessun altro; inoltre Josh non era del tutto parte del branco, cosa che lo rendeva ancor meno adatto a sua sorella. Doveva tenerli lontani, assicurarsi che tra loro non potesse aver modo di succedere nulla. Anche se era la cosa peggiore da fare, Arwen non l’avrebbe concessa ad altro uomo se non se stesso, non più quantomeno. Come poteva, però, trattenerla? Come poteva persuaderla a restargli accanto, a non scegliere nessun altro? D’improvviso la consapevolezza di poterla perdere, di essere faccia a faccia con una situazione che fino a quel momento aveva solo immaginato, lo infastidiva.
Si morse il labbro. Sì, più volte aveva pensato di darla in dono a qualche clan alleato, ad Alpha capaci di provvedere meglio a lei senza che incorressero nella pena dell’esilio -se non peggio-, ma dopo che aveva realmente saggiato quella possibilità, si rendeva conto che era esattamente l’opposto di ciò che desiderava.
Quasi come un’illuminazione, il suo sguardo cadde sul cellulare, abbandonato poco più in là della sua mano. L’afferrò, continuando a pensare a cosa fosse meglio fare per ghermire nuovamente sua sorella; infine, digitò un messaggio di poche parole, un ordine più che una proposta “Hai un’ora, preparati. Andiamo fuori a cena.” 
Sì, l’avrebbe coccolata un po’, lusingata con modi innocenti. Avrebbe usato su di lei l’ascendente da capobranco, quell’effimero charme capace di soggiogare ogni Beta presente nel clan. Non gli sarebbe sfuggita in alcun modo.
Attese la risposta, fissando senza sosta il display nero. Sapeva che sarebbe arrivata presto, conosceva Aralyn meglio di chiunque altro; e così accadde. Il suo “okay” apparve in un riquadro biancastro capace di illuminare nuovamente lo schermo.

 
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La scelta, come capitava spesso, ricadde su un piccolo ed anonimo ristorante cinese nella periferia più ad est della città. Le lanterne di carta, rosse, ondeggiavano al vento quasi dando loro il benvenuto. Aralyn lanciò un sorriso timido nei confronti del fratello che, finalmente sceso dall’auto, poté ammirarla in tutta la sua mise elegante. Dai soliti abiti casual o d’allenamento, quel look un po' trasandato che era solita portare, era passata ad un vestitino leggero e del trucco più ricercato, entrambi capaci di metterne in risalto la bellezza cruda e rigida tipica dei membri della famiglia Calhum. 
Alle chiacchiere del viaggio ora si era sostituito un silenzio leggermente imbarazzato, tipico dei primi momenti di un appuntamento -sempre se come tale, quell’uscita, si poteva definire. Nonostante questo, Arwen si armò della cavalleria che tanto affascinava le donne e, trattando sua sorella come una qualsiasi sua spasimante, le aprì la porta invitandola ad entrare. Si fecero largo all’interno, poi lasciarono che una cameriera li conducesse ad un tavolo appartato in mezzo a due divanetti, a ridosso della parete. Era il punto perfetto per intraprendere qualsiasi tipo di discorso, dalla chiacchiera più futile a quella più intima, cosa che arrivò subito dopo l’ordinazione.
La ragazza sospirò appena, cercando di sembrare il meno ansiosa possibile «Notizie dal vecchio?» usando un nomignolo tipico loro, si rivolse all’Alpha riguardo al Duca. Riflettendoci, constatò l’uomo, ancora non avevano parlato di quella situazione dal momento in cui Joseph era arrivato nella loro tana; strano, vista l’importanza della situazione ed il fatto che entrambi fossero a capo, anche se in modi differenti, del clan.
«Non proprio… lui al momento si trova in Gran Bretagna, dettaglio non proprio a nostro favore. I suoi uomini saranno seguiti a vista dai Menalcan, così come i nostri. Non possiamo mandare degli inetti a fare lo scambio. Siamo in stallo per ora»
«Perché non mandi me e Garrel a fare lo scambio? Siamo i migliori e muovendoci in due non daremo così nell’occhio» Aralyn lo disse cose se fosse la cosa più ovvia da fare, una risposta semplicissima ad una domanda che appariva tutt’altro che alla portata di tutti. Il capobranco le lanciò un’occhiata di tralice, cercando di farle capire solo da quel gesto quanto fosse in disaccordo con la sua proposta: «Preferirei evitare, siete appena rientrati da un’altra missione suicida» bofonchiò poi, per essere certo che non vi fosse alcun fraintendimento. La sorella fece roteare gli occhi, sporgendosi subito dopo verso di lui. Era sprezzante del pericolo e riluttante all’idea di dover lasciare lavori di tale portata a terze parti, ne era più che sicuro. «Eppure anche tu sai che siamo la scelta migliore» sussurrò lei giusto pochi istanti prima che la stessa cameriera che li aveva condotti al tavolo li raggiunse per prendere l’ordinazione. Misero in pausa il discorso giusto il tempo di dettare le pietanze, ma nella mente di Arwen, i pensieri non si interruppero nemmeno per un secondo. Era fuori discussione organizzare una missione a quel modo, con solo due licantropi ed il rischio di non rivederli più; inoltre, si stava parlando delle sue punte di diamante, il migliore amico di una vita, il braccio destro di sempre e sua sorella, l’unico membro della famiglia che gli restava, nonché la femmina di cui, in modo forse malato, aveva finito con l’innamorarsi. Come poteva dare la propria approvazione ad una cosa del genere? 
Prese un lungo sorso dalla bottiglia d’acqua presente sul tavolo «Può darsi, ma ora mi serve che ti occupi di Josh. Potrebbe diventare un ottimo combattente, se riusciamo a farlo diventare parte del branco… al cimelio ci penseremo più avanti, quando anche il vecchio ci renderà partecipi dei suoi piani. Se ci muovessimo ora e da soli, finiremmo con avere anche Ophelia ed i suoi alle calcagna».
Aralyn sbuffò «E così mi releghi ad un lavoro del genere? Non pensavo che mi volessi addosso a quel novellino!»
«Se con “addosso” intendi che voglio sapere la tua opinione sulla sua ammissione nel clan o meno, allora sì, lo voglio. Se ti stai riferendo ad altro, invece sappi che ne sono altamente infastidito» con uno sguardo tutt’altro che amichevole, Arwen cercò d’infondere ancora più enfasi alla propria frase. Non si era certamente scordato il rientro di quei due: aveva ancora ben impressa nella mente l’immagine di lei semi nuda, avvolta in una giacca non sua e lo sguardo indagatore di Josh, intento a studiare ogni lembo di pelle visibile. Solo un altro maschio, invaghito della stessa donna, avrebbe potuto notare quel tipo di occhiate, il modo con cui andavano ad accarezzare e mordere la carne. 
«Ha qualcosa che mi spinge a credere che possa essere come una lama a doppio taglio» la voce di lei fu un soffio perso nel vento: la sua mente era adesso altrove.
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Joseph rimase immobile sul portico, intento a fumare l’ennesima sigaretta del giorno. Aveva avuto la mente occupata da tutto e al contempo da niente: ogni pensiero si era dissolto in quello successivo, senza fargli ottenere nulla. I gemelli non si erano visti per tutta la giornata, così la sua compagnia si era ridotta ai fantasmi della coscienza. Molti lupi lasciavano la tana per passare il tempo in città: chi per lavorare, chi per studiare e altri ancora per il semplice gusto di stare tra la gente. Persino Aralyn, dopo il loro incontro sulle scale, era scomparsa in qualche luogo a lui oscuro e, non sapere dove fosse, lo mandava sempre più in ansia. 
Con un certo fastidio, del tutto incomprensibile, si ricordò che quella altro non era che una dannatissima nemica. Doveva bramare il momento in cui le avrebbe spezzato il collo o strappato il cuore dal petto, non desiderarla e basta! Quel desiderio era un abominio, un aborto da portare a termine al più presto possibile, eppure non ci riusciva. Ogni giorno, scontro o incrocio di sguardi era benzina per l’incendio che si era andato a creare in lui. Lui era un Menalcan, sant’Iddio! Era figlio ed erede di Douglas, uno dei licantropi Puri con il diritto di sedere tra i sette Nobili del Concilio, mentre lei era un’Impura, prole di umani. Il suo sangue era sporco, il suo animo meno animale, la sua progenie non avrebbe mai eguagliato quella di un purosangue -eppure la voleva. Dopo il modo in cui si era aizzata contro Kyle, sfoderando la sete di vendetta, poi contro di lui, mostrandogli la forza del suo orgoglio, aveva finito con il vederla in modo diverso, più intenso. Perché, però? Cosa la distingueva da una qualsiasi femmina presente anche nel suo clan?
Un colpo di tosse alle sue spalle lo fece sussultare. Il cuore gli schizzò in gola e, per un istante, si sentì come scoperto. Volse appena lo sguardo, titubante ed impaurito dal fatto che sul proprio viso si potesse leggere chiaramente a cosa stesse pensando. Non doveva lasciare che nessuno, nemmeno il più inutile tra quei lupi, si accorgesse di quell’innaturale invaghimento. Gli occhi azzurri di Joseph andarono così a cozzare con l’espressione indagatrice di Garrel, l’immenso omaccione che era sia braccio destro dell’Alpha, sia della ragazza a cui aveva pensato per tutto il giorno.
Con un cenno del capo l’Impuro accompagnò il suo saluto. 
«Moccioso…» e per un istante, parve quasi che volesse trovare una scusa per tirargli un pugno dritto in faccia.
Di rimando, quasi offeso da quello scambio, il Menalcan rispose a tono: «Gorilla…»
Per quanto Garrel potesse incutere un certo timore, per lo più a causa della sua immensa stazza, lui non si sarebbe fatto vedere impaurito. Era discendente di un Alpha e avrebbe sempre combattuto per dimostrarlo, volente o nolente, come purtroppo era inevitabile per la sua natura. 
Avvicinandosi, l’energumeno continuò a guardarlo di sbieco, fin quando, giunto alla sua stessa altezza sul portico, non spezzò il silenzio che aveva seguito quelle prime e brevi battute.
«Non azzardarti a toccarla» soffiò fuori dalle labbra, spostando lo sguardo verso le fronde delle conifere non troppo distanti da loro. A quelle parole, Joseph sentì le ginocchia farsi molli. Come aveva fatto quel tipo a leggergli nei pensieri? Era davvero così palese, ciò a cui aveva rivolto i propri ragionamenti? Deglutendo si fece forza: «Perché no? Non mi sembra che ci sia qualcosa di sbagliato…» a sua volta si mise a fissare oltre il parapetto in legno, concedendosi brevi ma frequenti occhiate al viso del nemico. Garrel non reagì in alcun modo, rimase fermo a fissare il nulla per alcuni istanti, poi riprese: «Non mi interessa cosa tu pensi. Aralyn non deve importarti, punto e stop».
«Per quale ragione? Arwen le ha già messo le zampe sopra?»
L’altro si voltò prontamente, incuriosito e al contempo sconvolto. Qualcosa, nella sua espressione, fece intuire a Joseph di aver toccato un tasto dolente, una specie di dente scoperto all’interno della bocca del clan.
«Ascoltami bene: lei non è e mai sarà di Arwen. Non azzardarti a ripeterlo in altre circostanze» e quasi, nel suo tono, si poté leggere una minaccia velata.
Come era possibile che non fosse sua? Li aveva visti, aveva visto il modo in cui si guardavano, il modo in cui i loro corpi non scappavano l’uno dall’altra, aveva visto qualcosa -anche se lei aveva negato. Era dunque una menzogna? Una copertura? O forse una sorta di gelosia da parte del licantropo che ora gli stava accanto?
Dopo un lungo tiro dal filtro ingiallito provò ad avanzare quell’ipotesi «Quindi suppongo sia tua …» Di tutta risposta, una risata roca e corposa si fece strada verso i suoi sensibilissimi timpani, facendogli storcere le labbra. Un’ondata di pura forza parve investirlo e fargli male. Il gorilla sembrò poi asciugarsi le lacrime d’ilarità con un dito. 
Joseph iniziò a capirci ancora meno. Per quale ragione se la stava ridendo a quel modo? Cosa aveva detto di tanto ridicolo? Inesorabilmente si ritrovò a corrugare le sopracciglia.
«Oh no! E’ come una sorellina per me, non potrei mai avere mire su di lei. Dannazione, che fantasia! Ciò che intendo è che lei ha bisogno di un lupo diverso da te.»
«Perché? Cosa ho che non va?» d’un tratto l’insicurezza venne sostituita dalla curiosità, un sentimento tanto forte da fargli cambiare il modo di approcciarsi a quella situazione.
«Perché c’è qualcosa in te che ancora non mi convince, ragazzo. Stalle lontano, non combinare casini, sennò ti ammazzo» e così dicendo, con una pacca un po' troppo forte sulla spalla, Garrel si congedò da Joseph, lasciandolo nuovamente solo.
Cosa diamine sapeva, quel tipo? Per quale ragione aveva detto quelle parole? Che Aralyn gli avesse parlato di ciò che era successo in città? No… avevano fatto un patto infondo. Allora perché sospettava di lui? Il cuore riprese a martellargli il petto, tanto forte che per un attimo credette che potesse sfondargli il petto ed uscire dal suo corpo. Non poteva essersi già fregato, non poteva aver mandato a puttane la sua missione. Doveva fare qualcosa, agire al più presto. Se quell’energumeno avesse parlato con Arwen o si fosse confrontato con qualche altro lupo pericoloso per lui sarebbe stata la fine; lo avrebbero inseguito, catturato, torturato e poi ucciso, cosa che non poteva assolutamente permettere accadesse.

 

AniaWow! Credo sia passata una vita dall'ultimo aggiornamento, ma finalmente sono riuscita a mettere mano al capitolo, sistemarlo un po' e presentarvelo.
Ho interamente tolto dei pezzi, modificato dei discorsi e provato a rendere i rapporti tra i personaggi più reali: dite che ho fatto bene?

Cosa ne pensate? Avete voglia di dirmi la vostra?

Aspetto vostre news, lupacchiotti! Intanto vi saluto e ci vediamo al prossimo aggiornamento :D

 

 

 

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Capitolo 24
*** Non perdere i pezzi ***




Non perdere i pezzi

Aralyn strabuzzò gli occhi, rendendosi improvvisamente conto di aver perso la cognizione del tempo e dello spazio intorno a sè. I pensieri si erano affollati con un'intensità tale da portarle la mente altrove, in un luogo estraneo. Il tutto era partito da qualcosa di semplice, la cena della sera prima, per finire poi su un tema più complicato di quanto si potesse credere: Josh. Ormai era da più di un mese che quel tizio girovagava per la tana senza combinare nulla di utile e, nonostante quello che era successo in città, non si era ancora fatta un'idea ben chiara su di lui. Dovevano tenerlo con loro? Cacciarlo? Cosa sarebbe stato meglio fare con un soggetto del genere? Arwen alternava nei confronti di lui momenti d'intenso interesse ad altri di sottilissimo astio, cosa che la lasciava ancor più perplessa.
Si tirò dritta sul letto, sospirando e prendendosi il viso tra le mani. Ogni giorno le sembrava sempre più difficile capire cosa fosse giusto fare, sia per quanto riguardava il clan, sia per quanto riguardava se stessa. Quel tipo si stava insinuando nella sua testa con sempre maggior impeto, non c'era giorno in cui riuscisse a tenerlo fuori: alle volte capitava che lo incrociasse per la casa, altre che qualcuno lo citasse e, persino quando era sola, succedeva che gli saltasse in mente -non ne poteva più. Forse, si disse ancora una volta, parlarne con suo fratello l'avrebbe aiutata a mettere insieme le idee, a capirci qualcosa.
Convinta, si alzò del tutto dal materasso, afferrò una maglietta e si portò fuori dalla camera mentre, svelta, cercava di mettersela addosso. Fuori, per i corridoi, si ritrovò immersa nel chiacchiericcio vivace della Tana. Ovunque posasse gli occhi incontrava visi familiari e sorridenti, lupi intenti a trascinarsi su quattro zampe verso le proprie stanze, licantropi in forma umana persi in discorsi dalle mille sfaccettature. Decine di odori diversi si andarono ad incontrare e scontrare all'intero delle narici della ragazza, fondendosi in un mix familiare, tranne per uno, che rimase isolato ed ammaliante più di qualsiasi altro. Rallentò così il passo, fiutandolo meglio, anche se non ci volle molto per collegarvi un nome e poi un viso: Lui. La stava perseguitando per caso? Aveva appena finito di pensarci, di valutare se e come discutere con Arwen sulla sua presenza lì e.. puff! eccolo comparire alle sue spalle.
Involontariamente i suoi occhi cercarono la figura di Josh, si mossero come saette per il secondo piano, quello con le stanze singole e doppie, provando ad intercettarlo prima che potesse farlo lui.
Lo trovò in un angolo non troppo lontano, intento a scambiare qualche breve chiacchiera con altri membri del clan. Il viso imperlato di sudore ed i muscoli tesi sotto alla stoffa della maglia, appiccicata al corpo, le fecero intendere che doveva aver preso parte agli allenamenti pomeridiani con Garrel, il trainer del clan da... sempre!
Avvantaggiata dal fatto che non si fosse ancora accorto della sua presenza, Aralyn rimase alcuni istanti ferma ad ammirarlo in tutta la sua bellezza stanca e trasandata, forse persino più intrigante del suo solito aspetto. Avrebbe voluto allungare una mano e sfiorargli la pelle accaldata, spostargli i ciuffi dalla fronte umida. Le sarebbe persino piaciuto semplicemente bearsi del suo odore ancora più intenso del normale. Involontariamente mosse un passo verso di lui, poi un altro e, quando se ne rese conto, trasalì appena. Era tutto sbagliato, completamente fuori luogo. Lui non doveva piacerle, non doveva catalizzare le sue attenzioni in alcun modo, figurarsi quello! Scosse alcune volte la testa, cercando di togliersi da lì dentro simili pensieri e, con quel gesto, finì con l'attirare le attenzioni di lui.
Josh si rese conto della sua presenza e fermò per un istante il discorso, mettendosi a fissarla a sua volta.
L'incrocio di sguardi parve creare un'alchimia capace di sospenderli entrambi in una sorta di bolla. Aralyn avvertì un vuoto crearsi nello stomaco ed il battito accelerò a tal punto da farle mancare l'aria nei polmoni. Che diamine le stava succedendo? Perché tutto d'un tratto il suo corpo aveva iniziato a reagire a quel modo al cospetto di quel novellino?
No, non era una cosa accettabile, non doveva accadere. Così si convinse di dover interrompere al più presto il contatto e, mordendosi le labbra, riprese a camminare a testa alta, salutando chiunque le rivolgesse la parola. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di averla in pugno, di poterla soggiogare. Gli passò accanto senza degnarlo né di una frase né di un'occhiata. Avrebbe resistito fino alla fine, ma non gliel'avrebbe data vinta. Lo superò stringendosi la lingua tra i denti per ricordarsi di non far cavolate e, una volta raggiunte le scale, tirò un lunghissimo sospiro. Chissà se l'aveva seguita con lo sguardo, se si era chiesto come mai l'evitasse a quel modo; chissà quale pensiero aveva vorticato nella sua testa mentre gli passava davanti senza alcun interesse. Scese i gradini tormentandosi con quelle domande, come una ragazzina alla prima cotta, ma non seppe trovare alcuna risposta. Perché era così complicato leggere nella mente di quel tipo? Perché meno sapeva più bramava di conoscere?
Una falcata dietro l'altra, raggiunse il fratello in caffetteria. Arwen le sorrise amabilmente dal suo posto vicino alla finestra: in una mano la tazza di caffè-latte, nell'altra "il Faust". Appena si accorse di lei chiuse il volume, invitandola a sedersi con lui.
Aralyn non si fece attendere, aumentò il passo sperando che la presenza dell'Alpha potesse in qualche modo scacciare il fantasma di Josh. 
«Non è un po' tardi per svegliarsi? Ti sei persa gli allenamenti» le disse con un sorriso rilassato, affascinante come pochi, anche se, per la prima volta dopo molto tempo, non le fece guizzare il cuore in gola. La ragazza fece finta di controllarsi una ciocca di capelli, in modo da non far notare all'altro il disagio che la stava animando dentro «Vorrei poter dire di aver dormito fino ad ora, ma ho avuto altri pensieri per la testa» sbuffò poi, rinunciando a trovare doppie punte. Controvoglia, si ritrovò a dover alzare lo sguardo sul fratello, intento a fissare e sorridere a qualcuno oltre di lei. Grazie al cielo, non si era curato di quello scambio di commenti; così facendo, non aveva potuto notare nel suo sguardo una punta di dubbio, di stranezza.
Rimase in attesa che Arwen tornasse alla conversazione, certa che avrebbero presto toccato il tema "nuovo arrivato". Dovevano parlarne, aggiornarsi e decidere il da farsi, non potevano perdersi in questioni meno futili: in fin dei conti si trattava pur sempre di un estraneo nel loro clan, nella loro famiglia.
«Siete già in riunione?» domandò il vocione di Garrel alle spalle di lei, suono che finalmente la fece voltare nella stessa direzione dell'Alpha.
Aralyn corrugò le sopracciglia, restando sorpresa dal quesito: «Riunione?» chiese a sua volta. Il viso dell'omone, a quella risposta, si illuminò tutto d'un tratto. D'improvviso parve sentirsi invitato a sedersi a quel tavolo insieme ai fratelli Calhum. «Oh, allora non avete ancora iniziato, mi fa piacere! Temevo di essere in ritardo» e la sua risata corposa sovrastò ogni rumore nella caffetteria. 
Di che riunione stava parlando? Gli occhi di lei corsero al fratello, cercando di estorcergli qualche informazione extra che, purtroppo, non arrivò subito. Perché non l'avevano messa al corrente del fatto che ci sarebbe stata una riunione? Di cosa avrebbero parlato? E perché anche Garrel era stato interpellato prima di lei?
Arwen prese un lungo sorso dalla propria tazza, sviando poi il discorso ed ignorando completamente l'occhiataccia della sorella: «Come è andato l'allenamento?» si stava chiaramente rivolgendo all'amico, cosa che la ragazza trovò estremamente fastidiosa. Davvero aveva deciso di non considerarla? 
L'altro si passò una mano tra i capelli, sfoggiando un'espressione estremamente soddisfatta «Diamine, a mio malgrado devo ammettere che il moccioso ci sa fare. Sembra essere nato per il campo di battaglia, ha un'agilità ed una furia che pochi licantropi possono vantare» ammise, distogliendo lo sguardo dal capoclan e spostandolo sulle proprie mani, ora raccolte sul legno del tavolo. Il battito della lupa accelerò d'un tratto. Stavano parlando di lui, dello stesso Josh che lei stessa avrebbe voluto analizzare con proprio fratello solo alcuni momenti prima. Le orecchie le si rizzarono sulla testa, interessandosi ancor più alla questione che, fino ad un attimo prima, aveva creduto non aver alcun'importanza per lei ed i suoi dubbi. Le fu chiaro che suo fratello doveva aver chiesto al fedele Garrel di studiare, a livello bellico, il nuovo arrivato.
«Pensi che possa essere pronto per una missione?» il sorriso di Arwen non smise per un secondo di riempirgli il viso e, la sorella, vi vide una sorta di piega maligna. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e chiedergli cosa diamine avesse in mente, se per errore divino intendesse mandare proprio quel pivello a fare lo scambio con gli uomini del Duca, ma rimase zitta, aspettando che fosse qualcun altro a tirar fuori il discorso. Si doveva far vedere il meno interessata possibile, anche se in realtà si sentiva bruciare dentro.
Il secondo lupo alzò le spalle «L'unica cosa che gli manca è l'affiatamento con gli altri fratelli, ma se messo con un team esperto potrebbe trovare facilmente il suo posto» valutò con fare esperto, come se avesse visto decine di soggetti simili a lui, prima.
Arwen annuì, restando in silenzio a ponderare quelle informazioni. D'improvviso, l'aria intorno ad Aralyn parve rarefarsi, si sentì mancare immaginando cosa potesse frullare nella mente di lui. Sì, forse non lo conosceva così bene come avrebbe voluto, ma certamente abbastanza da poter sospettare qualcosa. Trasalì a quel pensiero. Le opzioni che stavano passando tra i suoi pensieri erano poche, ed una peggio dell'altra.
«Lo vedremo presto allora, molto. Organizzatevi con lui e vedete di partire per il Rifugio. Ho bisogno che andiate da Fernando e Marion per farvi aggiornare sulla situazione là, per sentire se ci sono novità e capire quando lei è intenzionata a lasciare quel posto per tornare qui».
Fu ufficiale, la lupa sentì il proprio cuore pompare tanto da rischiare un infarto. No, non poteva essere vero, non voleva crederci in alcun modo. Far vedere a quel tipo l'intero branco voleva significare solo una cosa: l'Alpha stava realmente pensando di farlo entrare nel clan. Ma come? Perché? Non avrebbe dovuto confrontarsi con lei prima di prendere una simile decisione? Per la ragazza, quella decisione, fu come un tradimento.
Provò ad aprir bocca per ribellarsi, ma non trovò le parole adatte per farlo. Era sconvolta, shockata. Avrebbe voluto ribellarsi a quella decisione, eppure non riuscì a farlo, incapace di trovare un'argomentazione valida per difendere la propria decisione. L'unica cosa che avrebbe potuto dire per far cambiare idea al proprio capoclan, sarebbe stata la spiacevole disavventura in città, ma a quasi una settimana di distanza, la cosa aveva improvvisamente assunto una connotazione negativa non solo per Josh, ma anche per lei che l'aveva tenuta segreta per tutto quel tempo. Che fare, allora? Accettare senza opporsi una simile decisione? No, non era da lei e mai lo sarebbe stato, anche se infine, con riluttanza, si ritrovò ad acconsentire tacendo.


 

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Senza nemmeno badare a ciò che stava facendo, Aralyn lanciò il proprio borsone nel bagagliaio della vettura e, subito dopo, sentì il rimprovero di Garrel arrivare da dentro l'abitacolo. Ciò che lo infastidiva, più di quei modi poco raffinati, era il fatto che vivesse la cosa come una mancanza di rispetto nei confronti della propria macchina, unica "femmina" ad averlo conquistato con una sola uscita su strada. Era il classico cliché di un uomo innamorato del mezzo di trasporto che si era scelto e, pensandoci, la ragazza non riuscì a trattenere un sospiro rassegnato. Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, ma non sarebbe mai riuscita a persuadere l'amico dal fatto che, in fin dei conti, si trattava solo di un oggetto. 

 

Socchiuse gli occhi, tentando in tutti i modi di non perdere altro tempo sulla questione e, nel farlo, aspirò a pieni polmoni l'aria pomeridiana densa degli ultimi tepori del sole. L'ossigeno s'infilò nelle narici portando con sé il profumo del sottobosco, del terriccio secco e di un compagno di viaggio tutt'altro che desiderato e che, con i suoi consueti dieci minuti di ritardo, aveva finalmente deciso di farsi vivo. Da sopra la spalla gli gettò un'occhiata torva, studiandolo e rimproverandolo senza però aprir bocca -a quello ci pensò Garrel che, evitando accuratamente di sporgersi al di fuori del finestrino, gli inveì contro apostrofandolo con l'appellativo di "moccioso". Se la sorella del capoclan risultava essere infastidita appena da quei minuti extra sull'orologio, per l'omaccione non c'era alcuna scusa, soprattutto quando si trattava di una partenza paragonabile a quella di una missione vera e propria. 
Il ragazzo abbozzò un lieve sorriso, fingendo di non aver sentito. Buttò il proprio zaino accanto al bagaglio di lei e, senza nemmeno rivolgerle il saluto, si fiondò sui sedili posteriori della vettura.
Aralyn ne rimase stranita, forse persino delusa. Per quale ragione dopo tutti quei contatti, sia visivi che fisici, la stava ignorando a quel modo? Non era forse lui quello che aveva sempre cercato di avvicinarla? Pensandoci, si ritrovò a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore. Capire il nuovo arrivato le pareva essere ogni giorno più difficile, eppure desiderava farlo con sempre maggiore insistenza. Chissà quali pensieri si celavano dietro ai suoi bellissimi occhi color ghiaccio; quali ragionamenti le sue sinapsi trasportavano da un capo all'altro del cervello.
Scuotendo la testa si decise a lasciar perdere la questione: non c'era altro tempo da perdere ed il motore aveva già iniziato a rombare nel cofano cercando di richiamare la sua attenzione.
Richiuse tutto e, senza ulteriori indugi, si trascinò fino al proprio posto accanto all'omaccione. Ciò che non si sarebbe mai aspettata appena la portiera si andò a bloccare, fu d'essere investita dall'odore penetrante ed intenso di Josh, una zaffata di testosterone e selvaticità che solo in suo fratello e qualche breve occasione le era capitato di sentire. Senza farsi vedere iniziò a boccheggiare. L'aria parve mancarle nei polmoni, sostituita da quel sentore; la pelle si riempì di piacevoli brividi e, quasi incontrollati, i suoi istinti conversero tutti su di lui. Garrel non si stava sentendo male? Non riusciva a percepire come lei quelle sensazioni? Che le stava prendendo? Non era certo la prima volta che stava a così stretto contatto con quel tipo, ma mai le era capitato di sentirsi così sopraffatta dalla sua presenza. Tutto d'un tratto il nuovo arrivato era diventato calamita per il lupo presente in lei. 
Al cospetto di tali reazioni, le venne naturale chiedersi se anche in precedenza il profumo di Josh fosse stato così corposo o se, per qualche strano motivo, qualcosa in lui era cambiato. 
Temendo di perdere il controllo o di venir notata dai propri accompagnatori, Aralyn premette con foga l'indice sul tasto dei finestrini. Doveva assolutamente far entrare ossigeno pulito nell'abitacolo. Mentre il suo braccio destro non ne sentiva la necessità, lei ne aveva un bisogno irrefrenabile.
Pigiò e pigiò ancora, ma la discesa del vetro non sembrava mai abbastanza veloce. Che avrebbe fatto se, d'improvviso, la sua parte animale avesse preso il sopravvento? 
L'omone le schiaffeggiò il palmo, cercando di farla smettere: «Guarda che così rovini la mia piccina!» la rimproverò poi con tono severo. La ragazza si bloccò di colpo. Davvero, che diamine le stava succedendo? Fece sbattere un paio di volte le palpebre, rendendosi conto del fatto che avesse esagerato. Il finestrino era ormai completamente abbassato, eppure lei nemmeno se ne era accorta, smaniosa nel dover avere sempre più aria per pulirsi il corpo dal sentore inequivocabilmente affascinante di Josh.

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Dal proprio posto sul sedile posteriore, Joseph corrugò le sopracciglia non riuscendosi a spiegare il motivo per cui Aralyn si stesse comportando a quel modo. Cosa le era preso? Che soffrisse di una lieve forma di claustrofobia? No, era impossibile. L'aveva vista stare in altri abitacoli in tutta serenità, senza mai preoccuparsi dell'aria viziata o altro, quindi non poteva certo essere per un motivo tanto stupido: ma allora perché reagire così? 
Fece scivolare lo sguardo verso lo specchietto laterale presente sul lato di lei e, anche se non nitidamente, vide nelle sue guance riflesse uno stuolo di piccoli brividi. Che non si sentisse bene? Magari un qualche ramo dell'influenza la stava infreddolendo più del solito, spiegazione che certamente pareva avere più senso di quella precedente. Scosse quindi la testa, cercando di non concentrarsi troppo su di lei, come gli aveva suggerito di fare Garrel, peccato solo che, come gli era spesso capitato anche nel proprio clan, le cose vietate gli avevano sempre creato interesse maggiore. Tutto ciò che andava contro alle regole dei lupi a lui superiori, altro non era che il suo pane quotidiano -ma in questo caso doveva davvero desistere. Aralyn non solo era off-limits per chissà quale motivo imposto da quel gorilla, era anche una nemica e, soprattutto, un'Impura. Nessun Nobile gli avrebbe mai perdonato l'affronto di essersi interessato in tal modo ad una di quella specie, non sapendo che proveniva dal branco dei Menalcan, diretto discendente di Douglas.

Facendo un profondo respiro, Joseph scosse la testa e cercò di scrollarsi di dosso ognuno di quei pensieri, anche se a fatica. Provò a distogliere lo sguardo e puntarlo fuori dal finestrino, dove gli alberi avevano preso a susseguirsi senza logica, all'infinito. Il panorama rimase uguale per i chilometri seguenti, non cambiò nemmeno di una virgola durante la prima mezz'ora di viaggio, poi qualche cartello ed incrocio parvero mozzare quella monotonia. 
Si impose di conversare il meno possibile, di spostare lo sguardo giusto per circostanza, in modo da non dover avere alcun contatto con lei e, per una volta, fu grato a Garrel che senza saperlo mise a tutto volume la musica, limitando maggiormente le occasioni per relazionarsi tra loro.
Ogni tanto li udì accennare qualche commento sussurrato, ma non provò mai ad immischiarsi. Avrebbero potuto persino sparlare di lui, poco gli sarebbe importato.
Fu così che non accadde nulla d'interessante per la prima parte del viaggio, che venne definita tale nel momento in cui si fermarono ad un'altra anonimissima stazione di servizio, identica a molte altre che aveva incontrato durante il suo tragitto dalla Scozia a lì.
Furono tutti e tre costretti a scendere per sgranchirsi le gambe, azione indispensabile per la loro natura animale e a quel punto, volente o nolente, si ritrovò ad incrociare lo sguardo con Aralyn. Bastò un istante per mandare all'aria tutti i buoni propositi che si era fatto fino a quel momento e, involontariamente, gli sfuggì dalle labbra un saluto: «Ehi...» si ritrovò a dire a ridosso del viso di lei. A seguire poi, senza darsi tempo di pensare, si morse la lingua come punizione. Perché era così difficile mantenere la propria posizione? E così semplice cedere?
«Ehi. Ti serve qualcosa? Vuoi una merendina o una bibita? Entro nel negozio per pagare e magari può tornarti utile...» non la fece nemmeno finire di parlare. Una specie di onda gli nacque dentro con un impeto tutt'altro che aspettato: «Ti accompagno» disse frettolosamente, intimorito dal pensiero che potesse negarglielo «non si sa mai che ti servano un paio di mani in più» concluse con un sorriso abbozzato.
No, non c'era alcuna spiegazione a tutto ciò. Non era possibile scordarsi con così tanta semplicità di un odio secolare, eppure a lui capitava ogni volta che lei era nei paraggi. In pochi giorni Aralyn era riuscita senza far nulla a stravolgere le sue convinzioni ed i dogmi che i suoi confratelli gli avevano insegnato. Cosa avrebbero detto suo padre e suo fratello, sapendolo? E Kyle gli sarebbe stato ancora fedele dopo una cosa simile?
La ragazza corrugò le sopracciglia, giusto quel tanto da far trapelare lo stupore che sentiva dentro. Forse aveva creduto che si sarebbe rifiutato, o che avrebbe preferito restare nei paraggi di Garrel, chissà.
«Sì, certo... andiamo allora» con una mano fece segno di precederla, un invito a condividere del tempo da soli, anche se non avrebbe saputo dire chi, tra loro, lo desiderasse di meno. Camminarono uno di fronte all'altra in silenzio, cercando di non incasinare maggiormente la situazione -cosa più facile a dirsi che a farsi. Ad ogni passo il vento spingeva con più intensità il profumo di lei verso le sue narici, invitandolo a girare appena il capo per guardarla anche solo con la coda dell'occhio; eppure sapeva di non poterlo fare, di avere l'attenzione dell'altro licantropo appiccicata sulle spalle. Qualsiasi mossa avesse fatto prima di oltrepassare la porta della stazione di servizio, lui l'avrebbe vista e, certamente, gliel'avrebbe anche fatta pagare. 
I metri che li separavano dall'ingresso divennero quindi un'infinita tortura da sopportare: chi avrebbe ceduto per primo? Loro, mangiati dalle falcate improvvisamente più lunghe, o lui, troppo curioso per poter aspettare? Alla fine, vinse Joseph che, con un colpo secco del braccio, spalancò la porta, invitando Aralyn ad entrare.
Finalmente poteva guardarla per qualche secondo, inebriarsi del suo odore mentre gli passava davanti per mettere piede all'interno dell'edificio. Così inspirò a pieni polmoni il sentore di lei, trovandolo estremamente delizioso per appartenere ad un'Impura.
Perché non riusciva a tenere a mente gli insegnamenti di una vita? Per quale ragione il suo odio nei confronti di quel clan non era andato ad aumentare, con il passare del tempo vissuto al suo interno?
Entrarono entrambi, accompagnati da quelle domande. Non importava quanto poco prestasse loro attenzione, quei quesiti insistevano, continuavano a ronzargli fastidiosamente nella testa. Fu per quello che, tra gli scaffali del negozio, non riuscì a prestare realmente attenzione a quel breve e prezioso tempo concessogli con la ragazza. 
Quale tipo di maledizione gli avevano fatto i lupi di Arwen?

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Il viaggio riprese troppo presto e durò troppo a lungo per i gusti del povero Purosangue, ma a dispetto di ciò, quando la macchina si fermò, vicino a quello che sembrava essere un motel in disuso, Joseph non poté impedirsi d'impallidire. Era forse quel fatiscente edificio, la loro meta? Non poteva essere vero. Se la Tana gli era sembrata datata e un po' troppo piccola per un clan come quello di Arwen, il Rifugio gli apparve persino peggio.
Le insegne avevano smesso di funzionare da almeno dieci anni, venendo così sovrastate da uno spesso strato di ruggine, mentre le poche tapparelle abbassate sembravano essere il ricordo sbiadito di ciò che erano state un tempo. Qualche fioriera rigogliosa cercava di coprire le inferriate logore dei balconi, fallendo ogni tanto, mentre le macchine parcheggiate lì intorno davano l'idea di essere state abbandonate a causa di un qualche pericolo improvviso. 
Nonostante questo però, quando Aralyn balzò fuori dalla vettura sfoggiando un sorriso soddisfatto, il Menalcan dovette mettersi il cuore in pace. Sì, quella era la destinazione ultima del loro viaggio. Riluttante si decise a scendere a sua volta, senza però smettere di studiare l'ambiente intorno a lui. L'odore di lupi era abbastanza intenso da confermargli ulteriormente l'utilizzo ed identità di quel posto, cosa che involontariamente mise tutti i suoi sensi in allerta. Si trattava infatti di un nuovo territorio, gestito in chissà quale maniera da licantropi di cui non aveva mai visto la faccia e questo purtroppo per lui, aizzò la parte Nobile della sua natura. Qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe stato pronto per un attacco.
«Esternamente non è il massimo, lo so, ma le stanze sono confortevoli e il cortile interno è abbastanza vivibile. Purtroppo ci si deve accontentare, non siamo ricchi come certi Purosangue!» Garrel rise, picchiandogli sulla spalla e facendolo sussultare. Colto di sprovvista, il ragazzo sgranò gli occhi,cercando in tutti i modi di trattenere l'animale in lui e non saltargli al collo come il peggiore dei carnivori. Titubante, cercò di dare una spiegazione a quella reazione: «Sì, immagino... solo che... sbaglio o ve ne siete impadroniti da poco?» 
L'altro gli fece segno di seguirlo verso il bagagliaio e lì si fece aiutare a tirar fuori i vari borsoni e borsini. 
«Già. Essendo in perenne lotta con i Menalcan dobbiamo spostare alcuni membri del branco, in modo che ai loro occhi appaia che la nostra natura sia per lo più nomade. Se non ci hanno ancora scovati è anche per questo» si confidò tra un passaggio di oggetti e quello seguente. Garrel poteva anche nutrire per lui dell'inspiegabile risentimento, ma allo stesso tempo provava ad andarci oltre e colmare le lacune di un suo possibile e futuro compagno. Per il ragazzo, quel tentativo di scambio d'informazioni, apparve come una manna dal cielo.Finalmente qualcuno di un po' rilevante all'interno del clan aveva preso a raccontargli di più, a parlargli di strategie e trucchi; quanto sarebbe passato prima che lo informassero anche dei piani per il futuro?
Una voce arrivò alle loro spalle, interrompendo la conversazione proprio sul più bello e, quando Joseph si girò, si ritrovò a fissare un tizio riccioluto e grosso quasi quanto il gorilla al suo fianco: «Finalmente! È da ore che vistiamo aspettando». Con il busto l'uomo si sporse d'un poco dal balcone,mostrando un sorriso genuinamente felice. La portiera del bagagliaio si richiuse emettendo un tonfo e subito dopo, in risposta, si levò il tono profondo di Garrel «La prossima volta muovi il culo e vieni tu da noi, Fernando!Non immagini nemmeno quanto sia stato noioso fare il viaggio con una muta ed un pivellino». La confidenza con cui i due iniziarono a scambiarsi commenti dai lati opposti della strada fece sorridere persino il Purosangue che,accorgendosene, rimase stranito. Per quale ragione il loro buon umore stava influenzando anche lui? Da quando perdere cognizione del suo ruolo, sia con Aralyn che con tutto il suo branco, stava diventando così semplice? Soffermandosi un attimo a riflettere però, si rese conto che la cosa non andava poi a suo sfavore, ma che, a dirla tutta, gli permetteva di sembrare più coinvolto nella parte che si era scelto d'interpretare. Cosa c'era di più reale, di essere veramente parte di qualcosa? Convinto da quel ragionamento, Joseph smise di trattenere il sorriso e, mettendosi il borsone in spalla, attraversò il fiume d'asfalto che distanziava la loro auto dal Rifugio, ancora terribilmente brutto ai suoi occhi.
Seguendo la lupa con cui era arrivato fin lì, salì l'unica rampa di scale presente all'esterno, giungendo infine sul pianerottolo da dove "Fernando" li aveva salutati. Il licantropo era ancora nello stesso punto, intento ad aspettarli per poter proseguire. Non ci volle molto prima che la sua voce tornasse a riempire il silenzio con informazioni e domande. In primo luogo,salutò con un abbraccio Aralyn, che si ritrovò stretta tra due bicipiti tanto grandi da poter essere confusi con le sue cosce, poi si concesse una pacca fraterna con Garrel ed infine, si rivolse a lui: «Il giovanotto qui è nuovo, giusto?» si avvicinò di qualche passo, sorridendogli. «Piacere, sono Fernando, il custode di questo postaccio!» Protese la mano nella sua direzione ed il Menalcan non esitò ad afferrarla con la propria: «Josh, piacere». Per alcuni istanti l'altro rimase fisso a scrutargli il viso, quasi avesse notato qualche particolare curioso, poi, corrugando la fronte fece un'ulteriore domanda che, d'improvviso,raggelò il sangue del Nobile.
«Possibile che ti abbia già visto da qualche parte?» 
Joseph pregò il Dio Lupo di venirgli in soccorso, di far cambiare idea a quel tizio. Potevano essersi incrociati sul campo di battaglia, non lo negava,oppure poteva aver scorto in lui i tratti che lo accomunavano a suo fratello Gabriel, ma sperò vivamente che non fosse così.
La gola del ragazzo parve seccarsi, costringendolo ad esitare. Con quale scusa si sarebbe salvato ora? Su quanta fortuna poteva contare? E possibile che dovesse ogni volta finire a quel modo?
Per la seconda volta da quando era iniziata la sua missione, temette di essere veramente arrivato al capolinea, ma poi, quasi come una manna dal cielo,comparve Marion.
Sì, proprio quella barbie selvaggia stava venendo in suo aiuto.
«Ma certo che lo hai già visto! Era al Nacht Teufel un paio di giorni prima che tu tornassi qui!» la voce di lei, che solitamente aveva trovato a tratti fastidiosa, apparve come un canto angelico. Il riccio si volse verso di lei,sollevando le sopracciglia «Ah, davvero? Cavolo, non mi ricordavo proprio fosse stato lì!» tornò a fissarlo «Ma dopo una certa età è normale perdere i colpi, no?»
In quella vita, avrebbe voluto rispondergli il Purosangue, sarebbe stato meglio non perderne nemmeno uno.    
 


Yaga:
Oddio, finalmente mi sono rimessa in pari con parti revisionate e nuove pubblicazioni! Penso di non essermi mai sentita così soddisfatta. Ammetto che ci sono ancora tante cose da sistemare e correggere, ma per ora mi limiterò a fare il grosso. Voi? Avete visto le differenze? Cosa ne pensate?
Molte parti sono state tolte, altre nettamente modificate e alcune semplicemente sistemate, ma la sostanza resta quella.
Avete pareri? Consigli da darmi che non siano "devi velocizzarti"?
Let me know! Ci setiamo presto!


 

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Capitolo 25
*** Lui sa troppo ***




 24. Lui sa troppo
  
Aralyn tirò fuori dal borsone tutte le sue cose, appoggiandole accuratamente sulla moquette verde scuro macchiata qua e là dalla candeggina che, in un tempo passato, qualcuno doveva aver rovesciato per errore durante una qualche pulizia. Con i capelli ancora bagnati e l’asciugamano stretto intorno al corpo, aveva iniziato a disfare la valigia per quei pochi giorni, in particolar modo in previsione dei festeggiamenti che avrebbero fatto in onore del loro arrivo quella sera. Già prevedeva il peggio: i fiumi di birra e vino sarebbero corsi ad una velocità incredibile, persino a dispetto del fatto che, lì al Rifugio, la quantità di donne superava di una buona percentuale quella dei maschi. Più che per l’attacco, quella parte del clan era stata messa insieme per tenere insieme e lontani dai guai, quei lupi che in battaglia non avrebbero avuto vita lunga -in breve, in quel luogo c’erano i “pacifici” del branco e i pochi “guerrieri” presenti, non servivano ad altro che alla difesa dei confratelli.
Oltre la porta della stanza in cui la ragazza alloggiava, che sarebbe dovuta essere la numero 85, ma che sfortunatamente aveva perso da tempo l’otto, si sentivano già giungere le voci stridule di lupe alla disperata ricerca di addobbi per la serata. Grazie al cielo se ne era chiamata fuori, si ricordò con un sospiro. Non sopportava più l’idea di dover collaborare con altre donne all’infuori del campo di battaglia. Sì, c’era stato un tempo, fino ai suoi sedici anni, in cui anche lei aveva fatto parte di quel mucchio di licantropi inadatti per la guerra, ma poi Arwen era stato attaccato e irreversibilmente ferito dai Menalcan e lei, da brava sorella, aveva rivoluzionato totalmente la sua vita, maturando un odio incondizionato verso Douglas, i suoi figli e tutti i purosangue che riempivano le file del suo branco. Da quel momento, ogni cosa in lei era cambiata: il suo stile di vita, il suo temperamento e le passioni. Non aveva più dipinto, né tantomeno concesso molto tempo ai libri, come invece aveva continuato a fare suo fratello.
Sbuffando e cercando di allontanare quei pensieri, iniziò a rivestirsi, afferrando dal mucchio di indumenti le prime cose che le capitavano tra le dita. La voglia di partecipare alla serata sembrava scivolarle via di dosso ad ogni pezzo di stoffa che si infilava sulla pelle. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, c’erano altre cose ad infastidirla, oltre al vociferare concitato e confuso delle signorine al di là della sua porta. In particolar modo, non voleva vedere Marion, l’amica, provarci spudoratamente con il nuovo arrivato. In qualche strano ed inspiegabile modo, provava una sorta di fastidio e gelosia nei confronti di Josh, seppur non avesse alcun motivo per farlo. Era il suo opposto, spesso e volentieri arrogante, conscio dei suoi talenti, misterioso e pieno di segreti, ma anche affascinate, bello, abbastanza atletico e colto da accaparrarsi le attenzioni dell’Alpha ed i complimenti di Garrel. Quel tipo aveva tutto quello che qualsiasi femmina della loro specie avrebbe desiderato, ma lei non voleva farlo, anche se alle volte la forza di volontà sembrava vacillare terribilmente.
Allacciò i jeans, lasciandosi poi cadere sul materasso con uno sbuffo. Perché mai le cose avevano preso quella piega? Per quale ragione quel tipo aveva dovuto capitare proprio lì, nel suo clan?

 
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Una musica ambient, orribile per l’udito finissimo di Aralyn, faceva da sottofondo alle chiacchiere dei licantropi presenti nell’enorme sala da pranzo. Sulla lunga tavola coperta da una tovaglia floreale, se ne stavano piatti ricolmi di carne e pesce, qualche verdura grigliata e pane appena sfornato per l’occasione. Ogni volta che il suo sguardo si spostava, cadeva in punti in cui l’aria di festa sembrava sul punto di soffocarla. Avrebbe voluto dire di sentirsi a proprio agio, ma non era così. Rispetto alle celebrazioni che si tenevano alla Tana, lì mancava qualcosa di fondamentale: la ritualità, il fattore mistico e tradizionale che impregnava ogni singolo gesto. Seppur parte del clan, il Rifugio era un edificio ricolmo di licantropi ancora riluttanti nell’accettare la loro inumanità -erano più umani che lupi e lo si sentiva dal modo in cui il loro legame con la Madre Luna non prendeva mai il sopravvento. Prese un grosso respiro e poi provò a sfoderare un sorriso degno della miglior interprete teatrale, anche se più che un’espressione felice doveva aver sfoderato un ghigno sinistro. Non era brava a fingere in certe occasioni, per niente.
Un tocco alla base della schiena la fece sussultare, tanto che temette che oltre al cipiglio cattivo le si riversasse fuori dalle labbra un urletto stridulo e tutt’altro che piacevole, capace d’attirare su di lei ulteriori attenzioni. Con occhi sbarrati si volse verso colui che si era permesso di toccarla a quel modo e, nel constatare che si trattava di Garrel, Aralyn si ritrovò a tirare un enorme sospiro di sollievo. Finalmente qualcuno in grado di darle man forte, di risollevarle il morale.
L’uomo, sfoderando un sorriso completamente diverso da quello che aveva avuto lei fino a qualche secondo prima, l’invitò a sedersi a capotavola, lì dove di consuetudine si sarebbe messo il capobranco; ed in assenza di Arwen era lei a doversi far carico di tale ruolo. Fu la prima ad accomodarsi, dando il permesso a tutti gli altri di fare lo stesso. Garrel e Fernando ai suoi lati e, accanto a loro, Marion e Josh -la sorella dell’Alpha, i suoi bracci destri e gli altri guerrieri, poi coloro che semplicemente riempivano le file del clan.
Aralyn si guardò attorno, non del tutto a proprio agio nemmeno in quel momento. Per quale ragione le risultava così strano starsene lì in mezzo? Era davvero tanto diversa l’atmosfera? Si morse l’angolo del labbro cercando di far mente locale su cosa, in quei momenti, la stesse disturbando di più e quando infine ritornò con i pensieri sul momento, riscuotendosi, si rese conto d’avere addosso gli occhi di Josh. Corrugò le sopracciglia, ricambiando in parte quelle attenzioni, ma se lui poteva essere mosso da qualsiasi motivo, lei ne aveva solo uno: perplessità. Perché la stava fissando? Perché sembrava indagare ogni sua minima espressione? Cosa lo spingeva continuamente a starle addosso a quel modo? Forse stava ancora cercando di capire se avesse già parlato con Arwen della questione Menalcan o se ne avesse l’intenzione futura; o, in alternativa, poteva star meditando su come farle tenere la bocca chiusa.
Stolto!, si ritrovò a pensare lei decidendo, subito dopo, di mettersi a fissare il piatto ancora pieno, molto più allettante delle iridi color ghiaccio del nuovo arrivato. Con chi credeva di avere a che fare? Se pensava che avrebbe potuto manovrarla a suo piacimento si stava sbagliando di grosso. Lei era la sorella dell’Alpha, il suo braccio destro; quel ruolo se l’era guadagnato con sudore, lacrime e sangue, non avrebbe permesso a niente e nessuno di comprometterlo. Il Clan del Nord era la sua famiglia, il suo posto nel mondo, mentre Arwen era la sua ancóra, l’amore che aveva sempre voluto e cercato, o almeno questo era quello che aveva imparato a credere.
Con colpi secchi di forchetta -e quasi dimenticandosi il bon ton che una signorina come lei avrebbe dovuto tenere- si mise a staccare pezzi di salmone ed impilarli sulle verdure. Lo fece quasi sfogandosi, cercando di buttar fuori il disagio e l’improvviso nervosismo che l’aveva assalita, ma dopo il terzo boccone si rese conto di non aver per nulla fame e che il picchiare del ferro sul piatto aveva preso ad attirare su di lei sempre più sguardi. Così si bloccò. Guardò ancora una volta la tavolata e poi, sbuffando, decretò che fosse meglio uscire per prendere una boccata d’aria prima di continuare. I suoi pensieri e gli atteggiamenti che ne stavano derivando non giovavano affatto alla situazione già di per sé scomoda, doveva assolutamente darsi una calmata. Allontanando la sedia protese il busto verso Fernando e Marion, intenti a masticare e sorridere tra una chiacchiera e l’altra: «Vado a prendere una boccata d’aria» li avvertì, mettendo subito in agitazione l’amica. Quella fermò il movimento di mandibola, inarcando le sopracciglia chiare «Come mai? Tutto a posto dolcezza?» La preoccupazione nel suo tono sembrava quasi reale, ma Aralyn sapeva bene che in quel frangente, più che per lei, la donna era angosciata nel dover abbandonare la festa. A differenza sua, Marion non aveva alcun tipo di problema nell’adattarsi. La sua parte lupo e quella umana si alternavano alla perfezione, rendendola capace di vivere come una normale ragazza di trent’anni o una feroce creatura della notte.
Le sorrise, sforzandosi il più possibile «Sì, certo. Ho solo bisogno di un po' di frescura, qui fa caldissimo» e senza darle modo di indagare ulteriormente si alzò, procedendo a passo svelto verso una delle tante porte-finestra che davano sul terrazzino esterno. Fece una piccola pressione sulla prima maniglia che le capitò davanti e, sospingendosi appena, si ritrovò immersa nella brezza fresca delle sere autunnali, capace di trasportare fino alle sue narici il profumo di sottobosco. Fu una specie di liberazione. Sentì il peso del disagio levarsi dal petto e seppe, con assoluta certezza, di non poter più appartenere a quel mondo. Starsene lì, sospesa a metà tra la vita di una comune umana e quella di un mostro non faceva più per lei; ormai aveva abbracciato la sua indole di lupo, di licantropo, e nulla l’avrebbe riportata indietro. L’istinto prevaleva su ogni cosa, il piacere dello scontro, del sentirsi in piena sintonia con la natura circostante aveva la priorità sull’apparire “normale”, ma in quel luogo, lì al Rifugio, nessuno dei presenti se non coloro che appartenevano ad Arwen in tutto e per tutto, poteva provare e capire ciò. I licantropi a cui Fernando faceva da balia erano solo uomini e donne sfortunati, capitati nel posto e al momento sbagliato. Erano diventati tutti Cappuccetto Rosso, solo che in questa versione della favola il Lupo aveva avuto la meglio su di loro, costringendoli a cambiare per sempre. Bambini sopraffatti dal male, ecco come avrebbe potuto definirli.
D’un tratto, un cigolio alle sue spalle la fece sussultare nuovamente, esattamente come era accaduto con la mano di Garrel appoggiata alla base della schiena, ma a differenza di prima, questa volta non rischiò né di urlare, né si volse a controllare, certa che si trattasse proprio di lui, che come un fratello maggiore era corso in suo soccorso; poi però l’odore acre di nicotina riempì l’aria intorno a lei e, non riconoscendo il tabacco, le venne naturale corrugare la fronte. No, non si trattava dell’omaccione bruno, e nemmeno di Fernando, che le sigarette le odiava quanto i Purosangue. Di chi si trattava allora? Forse uno degli altri membri del clan? Uno di quelli che aveva denigrato fino a quel momento?
Voltando appena il capo e sfruttando la coda dell’occhio, cercò di scrutare nelle ombre serali e lì, a ridosso dell’uscita che aveva usato anche lei, scorse la silhouette longilinea di Josh.
Fu sopraffatta da un tuffo al cuore e si ritrovò a sentire il sangue defluirle dalle guance. Un formicolio quasi piacevole scese dagli zigomi lungo il viso, poi sul collo e le spalle, arrestandosi nel torace. Perché l’aveva seguita?
«Non sei brava a dire bugie» la punzecchiò con un sorriso a denti stretti, avvicinandosi con qualche passo lento. Nessuno lo aveva invitato a seguirla, eppure come suo solito lo aveva fatto, provocando in lei una sorta di fastidioso ed indesiderato piacere. Aralyn sentì quelle emozioni smuoversi dentro ad ogni falcata che lui compiva nella sua direzione, piccole onde che andavano a riversarsi verso la riva e quando si rese conto di ciò non poté far altro che sospirare, voltandosi definitivamente. Nonostante avesse visto quel tipo in decine di occasioni nell’ultimo mese, mai si sarebbe aspettata di ritrovarsi davanti al fascino quasi onirico che le rade luci serali regalavano alla sua figura.
«Dici? Eppure sono ancora viva e nessun umano sa della mia natura di lupo. Direi che questo basta a demolire la tua teoria» si mise una mano sul fianco, storcendo le labbra. Cercò di atteggiarsi in modo diffidente ed infastidito, tentando di allontanarlo. Ogni volta che le orbitava intorno le cose prendevano una piega strana, alle volte diventavano pericolose, altre pericolosamente intriganti.
Il ragazzo soffiò fuori dalle narici il fumo, che bianco si levò verso l’alto. Rimase muto alcuni istanti, momenti che a lei parvero tizzoni ardenti sotto alle piante dei piedi, ma alla fine trovò modo di proseguire «Quello è istinto di sopravvivenza, non vale!» Nuovamente rise, questa volta con più intensità, e fu difficile non trovarlo incantevole, ad Aralyn parve realmente impossibile. Chiunque lo avesse messo al mondo, doveva aver pregato Mànagarmr per renderlo un licantropo perfetto, così come avevano fatto i suoi genitori con Arwen.
«Istinto di sopravvivenza?» gli domandò, storcendo le labbra con fare divertito, trovandosi allegramente infastidita da quella risposta.
Josh continuò imperterrito, senza smettere di tendere le labbra come in un lungo scambio di battute «Quello che hanno tutti, anche se a voi del Nord non sembra essere molto sviluppato». Di fronte a quel commento, la ragazza si trovò spaesata, sentì i muscoli contrarsi. D’improvviso l’atmosfera si fece più tesa: «Che intendi?»
«Beh,» il ragazzo esitò, eppure il sorriso sul suo viso non si levò nemmeno per un secondo «andar contro i Menalcan e rubar loro qualcosa è un’azione suicida, non si può certo dire che abbiate un istinto di sopravvivenza tanto alto!»
Gli occhi di lei saettarono verso quelli di lui, cercandovi all’interno una qualsiasi spiegazione per quell’affermazione. Lui che ne sapeva? Chi gli aveva parlato del recupero del Pugnale? Josh non era ancora un membro effettivo del clan, a certe informazioni doveva restare estraneo il più possibile.
Gli si fece vicina, molto più di quello che avrebbe mai pensato di essere «Cosa ne sai di questa storia?» L’agitazione le crebbe dentro velocemente, tanto quanto la mente provò a trovare una spiegazione per quella sua affermazione -una motivazione sia positiva, sia negativa. Involontariamente i pensieri caddero sul giorno in cui lo aveva visto nella stessa strada in cui era presente il Purosangue ed il cuore accelerò senza alcun preavviso. Che fosse una spia? Che stesse meditando qualcosa? Ma lui corrugò la fronte, trovandosi quasi sconvolto dall’impeto con cui lei stava cercando di aggredirlo. Agli occhi di Aralyn il licantropo apparve spaesato, incredulo, quasi non avesse idea di quali pensieri potessero vorticarle nella testa.
Alzò le mani in segno di resa nei suoi confronti, poi inarcò le sopracciglia «Ehi, ehi, ehi! Mica ho detto qualcosa di strano. Me ne hanno parlato alcune persone alla Tana, non pensavo fosse un segreto!»
Come un fulmine a ciel sereno, la lupa avvertì il cuore rallentare. Oh, si disse, pensando a quanto doveva essere stata sciocca a partire con tanto slancio verso di lui. Mosse un passo indietro, liberandolo dalla sua presenza: «Te ne hanno parlato?»
«Sì, un paio di lupe. Mi hanno detto che una squadra dei vostri si è mossa contro di loro. Erano in cinque contro… beh, una ventina!»
Quanto poteva essere stupida? E quanto potevano esserlo le donne del suo clan? Era bastato un bel viso e qualche muscolo per far sciogliere le loro lingue, per far raccontare ad un estraneo una missione come quella, che doveva restare il più possibile segreta. Cosa sarebbe potuto succedere, se alle orecchie dei loro nemici fossero giunti i nomi dei membri del suo team?
Si morse le labbra, dando poi le spalle a Josh. Non potevano permettersi alcuna fuga d’informazioni ed ora, con quello sviluppo, non era più in vantaggio su di lui. Se Arwen lo avesse cacciato dal branco, lui avrebbe potuto svelare i loro segreti ed ucciderlo, seppur fosse la soluzione migliore, non le sembrava per nulla allettante come idea.
«Tieniti queste cose per te, se vuoi vita facile» affermò con una certa decisione nella voce, stringendosi le braccia al petto ed osservando al di là della balconata, riflettendo su come muoversi da quel momento in poi.

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Capitolo 26
*** Il gene che accomuna ***




25. Il gene che accomuna
 

Joseph si morse il labbro subito dopo aver rimesso piede nel marasma della cena, pentendosi di aver tirato fuori il discorso del Pugnale proprio con lei. Non sapeva nemmeno lui cosa l'avesse spinto a parlare di un simile argomento, forse il fatto che fossero finalmente soli, o forse perché Aralyn sembrava essere la persona più vicina ad Arwen; chissà quale tipo d'informazioni aveva, cosa nascondeva in quel corpicino minuto e tutto curve. La ragazza poteva essere sia una grandissima fonte di notizie, sia una temibile nemica, ma quando all'inizio si era alzato al suo inseguimento, non aveva certo pensato a nulla di tutto ciò. Il motivo per cui le era corso dietro si poteva riassumere in un solo modo: un mix di curiosità, paura e mancanza. Temeva che nel momento in cui avesse oltrepassato l'uscita non l'avrebbe più rivista per tutta la sera, separati in modo netto dalle loro posizioni nel clan e dalle compagnie che li avrebbero tenuti occupati con chiacchiere ed attività di poco conto; ma lui, in fin dei conti, era abituato ad eventi così "umani".
Ad ogni modo, a dispetto di quanto aveva sperato, una volta rientrati Aralyn era stata attenta a non avvicinarsigli più. Aveva ottenuto l'effetto contrario di ciò che voleva, l'aveva spinta a trovarlo nuovamente fastidioso, pericoloso -gliel'aveva letto nello sguardo. Non faticava quanto lui a mantenere simili distanze tra loro? In fin dei conti per Joseph la cosa stava diventando sempre più estenuante e, alle volte, gli pareva persino che anche per lei fosse così, ma si trattava di istanti brevi e labili, incapaci di restare per troppo tempo sul suo viso.
Il ragazzo scosse la testa, bevendo l'ultimo goccio di vino rimastagli sul fondo del bicchiere. Come avrebbe potuto interpretare quello strano interesse per lei? Era una specie di cotta? No, non poteva essere possibile. Non c'era mai stata nessuna donna capace di fargli provare sentimenti simili a quelli d'un invaghimento così sentimentale, tutte le relazioni che aveva avuto nel corso degli ultimi quindici anni erano state di sola corporeità. Qualche appuntamento, alcune chiamate di circostanza e notti trascorse insieme, ma erano comunque cose a cui non aveva dato alcun peso; non sarebbe certo stata un'Impura a fargli cambiare stile di vita. Che fosse allora una semplice perversione? Il desiderio involontario di ferire Arwen nella propria intimità? Oppure poteva essere semplicemente la voglia di rivalsa su di lei. A conti fatti, quella tizia l'aveva sempre trattato bruscamente, cogliendo ogni occasione possibile per ricordargli chi, tra di loro, avesse più potere ed influenza all'interno del branco.
Sì, sicuramente doveva essere per quel motivo.

 


 

 

Nei giorni seguenti, Garrel non perse l'occasione per portare avanti gli allenamenti. Poche ore, ma comunque sufficienti a non rendere quella trasferta una vera e propria vacanza. In una di quelle occasioni, l'omaccione saltò a pochi centimetri di distanza da Joseph, che rispose con un ringhio rabbioso, a tratti spaventoso. Tirò le orecchie indietro, allungando il muso e mostrando i denti con cattiveria, cercando d'apparire ancora più temibile di quanto già non fosse. Si osservarono a lungo, continuando a minacciarsi a suon di versi gutturali e movimenti lenti, circospetti. Si studiavano attentamente, seguiti a distanza dagli occhi curiosi ed indagatori di Fernando che, appoggiato non troppo lontano, stava probabilmente cercando di farsi una propria idea sul nuovo ragazzo scelto da Arwen.
Il fatto che quel tipo fosse lì, interessato a lui, fece sentire Joseph febbrile, ma anche teso. Nel suo inconscio, il ragazzo temeva che vederlo in azione potesse scatenare nell'altro un'esplosione di ricordi: doveva stare attento perché in più riprese aveva avuto modo di scontrarsi con quel mucchio di licantropi e, se anche uno solo di loro avesse riconosciuto le sue movenze, sarebbe stato per lui un guaio. Allo stesso modo però, non poteva farsi mettere i piedi in testa da Garrel, doveva dargli filo da torcere, in modo che potesse apparire agli occhi dei maschi del clan come un degno compagno e guerriero. Con quella convinzione ben impressa nella mente, Joseph si lanciò sull'altro animale, cercando di azzannargli il collo. Fu un movimento lesto e preciso che, però, non andò a segno. L'omaccione si scansò appena in tempo, sfruttando lo slancio della schivata per compiere a sua volta un nuovo attacco. Mirò alla testa, forse ad una delle orecchie, ma fu difficile da decretare visto che Joseph si piegò tanto da toccare il terreno con il petto facendo così chiudere le fauci del nemico sul vuoto.
Andarono avanti per un po', sfiorandosi appena con artigli e zanne, ma senza mai mettere a segno un vero e proprio attacco, poi, sopraffatti dalla stanchezza, si allontanarono l'uno dall'altro. Presero le distanze necessarie per permettere ai corpi di ritornare alla forma antropomorfa, in modo da rivestirsi in santa pace e correre a levarsi via di dosso sudore e terriccio, rimasti appiccicati alla pelle ed incastrati tra le chiome.
Joseph chiuse gli occhi, prese un grosso respiro e poi strinse i denti, avvertendo le proprie ossa allungarsi ed accorciarsi, spezzarsi e riassemblarsi. Come ogni mutazione, fu doloroso. Nonostante il cambiamento da un corpo all'altro fosse cosa normale e ripetuta decine di centinaia di volte da qualsiasi licantropo, la sofferenza non sembrava mai sparire; con il tempo si attenuava, ma restava, quasi a monito: "non dovresti farlo", pareva dirgli.
Quando anche l'ultimo arto fu ripristinato, poté riaprire le palpebre. A gattoni sul terreno secco si guardò attorno, prendendo nuovamente familiarità con il sé umano. Anche se le differenze erano minime, le si poteva chiaramente percepire. In forma ferina, l'udito raggiungeva livelli incredibili, così come la velocità o la vista. Se già di per sé un licantropo era nettamente superiore, in quanto abilità fisiche, ad una persona qualsiasi, le sue prestanze d'animale andavano ancora più in là, rendendolo molto più pericoloso persino di un lupo.
Fernando li raggiunse con passo svelto, quasi correndo. Tra le mani stringeva sia i vestiti del Purosangue, sia quelli del suo compare e, appena fu loro vicini, glieli lanciò con un sorriso enorme.
Appena ebbe le mani libere se le mise sui fianchi, iniziando a parlare a ruota libera «Cavolo, per essere una recluta te la cavi bene! Sono pochi quelli che tengono testa a questo bestione e... credimi, io c'ho messo un po'! Dove hai imparato? Non dirmi che apprendi in fretta perché in un mese non si raggiungono certi livelli!»
Joseph abbozzò a sua volta un mezzo sorriso, piegandosi per rimettere quantomeno i pantaloni. Per quanto non avesse nulla da nascondere o invidiare agli altri lupi, in quanto prestanza fisica ed aspetto, non si sentiva ancora abbastanza a proprio agio a stare nudo in mezzo ai membri del clan di Arwen. Già, per riuscire ad essere un combattente così bravo ci aveva impiegato quasi dieci anni, cosa che però non avrebbe mai potuto ammettere di fronte a quei due.
Prima che potesse rispondere però, la voce di Fernando tornò a riempirgli le orecchie, catturando la sua attenzione in maniera evidente. Una sola parola bastò ad ammaliarlo ed incuriosirlo, interrompendo persino la sua vestizione.
«Aralyn ci ha messo più di un anno, ricordi Garrel? Non aveva mai affrontato un altro licantropo in vita sua e Arwen l'ha affidata direttamente a noi, i più sadici e meno delicati. Al primo allenamento senza rendermene conto le ho inclinato tutte le costole mobili da un lato della gabbia toracica. Se la guardi bene si nota anche adesso. Ho temuto il peggio quel giorno!» ed una fragorosa risata seguì il commento. L'altro scosse la testa con dolcezza, infilando le braccia nelle maniche della canotta slabbrata. Nella sua espressione era chiaramente visibile una nota di tenerezza che, a dirla tutta, quasi pareva stonare su di lui.
«State parlando di quanto tempo fa? Perché li ho visti i suoi allenamenti e non mi sembra che fatichi molto a stare dietro a questo gorilla!» la curiosità prese il sopravvento su Joseph che, tutto d'un tratto, volle saperne di più; conoscerla indirettamente, attraverso i racconti di altri. Volente o nolente, quello sembrava essere l'unico modo per avere informazioni su di lei.
Garrel alzò gli occhi al cielo, forse tentando d'acciuffare nella memoria una data: «E' arrivata un paio di mesi dopo Arwen, ma comunque lui era già diventato capoclan... che dici, amico, saranno dieci anni ormai?» temendo di sbagliare clamorosamente si rivolse all'altro, cercando in lui una conferma.
Fernando annuì «Sì, forse uno o due in più. È da così tanto che ho smesso di tenere il conto!»
Erano arrivati quasi insieme, ma la cosa che più di tutte lasciava il Menalcan scettico, era il fatto che ogni volta che si parlasse di uno di loro, l'altro venisse tirato in mezzo. Se la discussione verteva sull'Alpha, lei ne era un'appendice e viceversa: perché? Che i suoi sospetti fossero fondati? Eppure lei aveva assicurato di non essere la compagna di quell'albino Impuro.
Seppur, a nemmeno una manciata di metri, ci fosse Garrel, Joseph osò un'ulteriore domanda, questa volta mirata a conoscere la natura del rapporto tra i due licantropi di cui stavano parlando. Chiudendo la zip della felpa e fingendosi del tutto indifferente alla questione chiese: «Sbaglio o sono molto affiatati? Cioè... li vedo sempre insieme, chiacchierano molto»
«Credo sia normale... insomma, se non si trovano tra di loro con chi dovrebbero farlo? Hanno gli stessi geni difettosi in fin dei conti!» ridacchiò l'ispanico, spostando poi lo sguardo dal Purosangue al proprio compagno d'armi: «Tu e Freyja non eravate così?»
Il gorilla finì il fiocco alla coulisse dei propri pantaloni, scrollando le spalle «Mia sorella ed io non siamo nemmeno paragonabili a quei due!» e con uno sbuffo si mise a camminare verso il Rifugio, incurante dello sguardo stupito ed in parte dubbioso del più giovane tra di loro.
Di che diamine stavano parlando? Un gene difettoso?


 


 

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Capitolo 27
*** Pericolo dietro l'angolo ***




26. Pericolo dietro l'angolo
 

Alla fine, persino per quella piccola gita fuori porta, giunse il momento dei saluti. Furono frettolosi e contenuti, soprattutto in previsione di una riunione abbastanza imminente. Fernando e Marion si sarebbero alternati con altri confratelli, in modo da prendersi una pausa dalla gabbia che, purtroppo, era il Rifugio
Il viaggio di ritorno procedette con molta più calma rispetto all'andata. Garrel si prese tutto il tempo necessario per far soste e osservare il panorama, ogni tanto donare qualche perla culturale a Josh, che secondo lui di quei posti non doveva sapere quasi nulla. Aralyn, sedutagli accanto come sempre, non prestò attenzione a nemmeno mezza parola del discorso, estraniandosi completamente dagli avvenimenti dell'abitacolo. Se ne rimase zitta a fissare al di là del vetro, soppesando qualsiasi tipo di preoccupazione e pensiero che purtroppo aveva accumulato in quell'ultimo mese e mezzo. I Menalcan le stavano ancora silenziosamente dando la caccia; il Duca avrebbe reclamato il Pugnale della Luna nel giro di poco tempo, appena fosse stato sicuro di non rischiare troppo; il ragazzo alle sue spalle doveva ancora provare il suo valore e la dedizione necessaria alla causa per cui Arwen lottava da anni – e questo solo per citare i problemi all'apparenza più preoccupanti. Istintivamente gli occhi le caddero sullo specchietto al lato della portiera, cercando il viso di Josh che, con stupore, si rese conto essere già rivolto nella sua direzione, quasi sapesse che prima o poi l'avrebbe desiderato. Il ghiaccio delle sue iridi la paralizzò, facendole raggelare il sangue. Come poteva precederla ogni volta? Perché ogni volta che cercava di studiarlo, si ritrovava ad essere lei la cavia presa in considerazione?

Si morse l'interno guancia, cercando di mantenere un'espressione neutra. Non doveva mostrargli quanto fosse sorpresa e infastidita dalle sue azioni, perché ogni emozione avrebbe potuto essere usata contro di lei, in un modo o nell'altro. Eppure, nel cercare di mantenersi salda, si ritrovò a fare i conti con una curiosità indesiderata, con domande che non avrebbero mai smesso di stupirla: perché la stava fissando ancor prima che lo facesse lei? Cosa stava cercando? O pensando? Che idee si era fatto su di lei, dopo quella breve vacanza e la permanenza nel clan? La stava studiando per una qualche ragione specifica o era semplicemente stato un caso? E più ne fissava il riflesso all'interno della goccia di specchio, più sentiva di non aver alcuna risposta o teoria a cui aggrapparsi. 
D'un tratto Garrel picchiò con il palmo sul volante, bofonchiando: «Mi state ascoltando? No, perché è maleducazione non dar retta agli adulti!»
Aralyn quasi sussultò, colta alla sprovvista dal rimprovero. Si era talmente estraniata d'aver perso cognizione di tutto ciò che le stava accadendo attorno – c'era solo Josh nei suoi pensieri e, a dire il vero, non sarebbe dovuto star lì. 
Sbattendo più e più volte le palpebre, si volse verso l'amico, interrompendo finalmente la calamitosa connessione con lo sguardo del ragazzo sedutole alle spalle.
«Come, scusa? Ero presa a guardar fuori» mentì, anche se non del tutto.
L'omone le lanciò un'occhiata interrogativa da sopra la spalla, ingranò la marcia e poi fece un sospiro prima di ricominciare da capo il suo discorso. Non amava essere ignorato, lo sapevano tutti coloro che lo conoscevano almeno in piccola parte. Garrel era un tipo autoritario, un veterano all'interno dell'esercito del Duca ed uno tra i primissimi licantropi ad aver giurato obbedienza e fedeltà ad Arwen Calhum, l'Alpha del Clan del Nord; aveva ragione a sentirsi offeso da quella poca considerazione. 
«Stavo chiedendo: vi andrebbe di fare un salto in un locale che c'è qui sulla strada per casa? Lo so che forse avevate altri piani, ma è comunque venerdì sera... un po' di svago non può certo farci male, no? Me ne ha parlato Fernando, dice che fanno ottimi drink e la musica non è poi tanto male».
Alle proprie spalle Aralyn sentì ridacchiare e poi, colta completamente in contropiede, venne sopraffatta da una folata d'aria pregna del profumo di Josh, così intenso e vicino da farle schizzare il cuore in gola. Avvertì la sua presenza con sconvolgente vicinanza.
«Ma li fanno ancora entrare gli anziani? Non è che poi ti viene un infarto nel ballare e ci resti secco?» domandò il ragazzo. La sua bocca parve essere a ridosso dell'orecchio di lei e, quando con una certa riluttanza la giovane guardò verso la propria spalla destra, si rese conto della mano di lui. Era balzato a ridosso del suo sedile senza alcuna premura o riguardo, ignorando completamente quali fossero le distanze che doveva tenere da lei.
Ma perché mai, al posto di essere infuriata, si sentiva ribollire di una sorta di... eccitazione? Per quale ragione il novellino aveva lentamente tramutato il fastidio in agitazione?
Garrel allungò un braccio verso l'altro, spingendolo contro il sedile con fare scocciato: «E tu? Come lo giustificherai il pannolino, all'ingresso?» gli disse di tutta risposta, controbattendo alla battuta sull'enorme differenza d'età. Per quanto l'omaccione fosse ancora un uomo avvenente e in ottima forma, i quaranta avevano ormai preso ad avvicinarsi con terrificante velocità, trasformandolo così in uno tra i più vecchi licantropi ancora presenti nel branco, ma soprattutto attivo nelle battaglie.
Avvertendo la presenza di Josh allontanarsi dal sedile, Aralyn si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo, socchiudendo appena gli occhi. Oh, quanto avrebbe voluto ringraziare l'amico, dirgli che per merito suo il cuore aveva ripreso a palpitare nel punto giusto del corpo, ma si trattenne, sapendo che anche una parola sbagliata avrebbe potuto fregarla.
Quale strano tipo di sortilegio le avevano fatto gli occhi del nuovo arrivato?


Il locale che Fernando sembrava aver tanto elogiato aGarrel, altro non era che un edificio grigio, un capannone in mezzo al nulla.Le macchine parcheggiate all'esterno lasciavano ampiamente intendere quanto ilposto fosse conosciuto ed affollato persino alle nove di sera. Dovettero quindigirare più e più volte per lo spiazzo in cemento prima di trovare un angolodove lasciare la vettura, cosa che per i primi minuti sembrò far titubarel'omaccione. Così appartata e lontana da una qualsiasi fonte luminosa, la suaauto sembrava essere esposta ad ogni sorta di pericolo: vandali, ladri epiromani. Non che dovessero temere dei criminali da strapazzo come quelli, infin dei conti ad essere veramente pericolosi erano loro, i lupi mannari.Chiunque avesse cercato guai, si sarebbe trovato alle calcagna le fauci di trebelve violente e assetate di sangue -una prospettiva che non avrebbe allettatonessuno.
Dopo quei primi istanti di titubanza però, si decisero ad entrare, abbandonandoal proprio destino la loro amata quattro-ruote.

Una volta superati i controlli di circostanza si ritrovarono faccia a facciacon odori di ogni tipo, capaci di stuzzicare nel modo peggiore il loro olfattoda segugi; dall'acre del fumo artificiale al dolciastro dello sciroppo, dalfastidioso sentore di fritto al nauseante sudore, da qualsiasi parte sigirassero venivano sopraffatti da folate stordenti. Aralyn si ritrovò più voltesul punto di girare i tacchi ed andarsene, tornando alla pace dell'abitacoloappena abbandonato, ma resistette sapendo quanto Garrel desiderasse distrarsialmeno per qualche ora.
Così, puntando dritta verso il bancone-bar, esordì: «L'ultimo paga!», ma nonseppe dirsi con certezza se i due compari alle sue spalle l'avessero in qualchemodo sentita. La musica era talmente alta da martellarle nel petto, facendolerimbombare la gabbia toracica come se fosse una cassa dell'impianto stereousato lì dentro. Le parve di essere il fulcro di quel suono assordante,l'origine della musica prodotta dal dj. Se per una persona normale quellabaraonda di suoni poteva apparire caotica, ad un essere della sua specie daval'impressione di un martello puntato alla testa. Certo, alle volte era piùsopportabile di altre, ma solo perché riusciva a mettere a tacere qualsiasitipo di pensiero scomodo -e lei avrebbe potuto dire di averne tanti al momento. 
Si mosse svelta, forse più di quanto riuscì a rendersene conto. Quando le suemani poggiarono sul finto marmo del bancone e si volse con il sorriso nelladirezione in cui era certa di trovare i due compari, si rese conto d'essersola. I lati delle labbra si piegarono verso il basso, facendo morirel'espressione allegra prima ancora che qualcuno potesse notarla. Forse in tuttoquel marasma non l'avevano sentita, o forse nello sgattaiolare cosìd'improvviso tra la folla avevano finito con il perderla di vista; entrambe leopzioni potevano essere plausibili. Provò a cercare con lo sguardo almeno unodei licantropi con lei, passando da un viso sconosciuto all'altro -più si sforzava,più però le sembrava impossibile individuarli.
Sconsolata sbuffò. Non era del tutto certa d'avere l'umore adatto per starsenelì a bere da sola, soprattutto visto cosa le frullava per la mente. Se avesseingurgitato più alcol del dovuto sarebbe finita a fare i conti con tutti idubbi e le paranoie che stava cercando d'evitare da giorni, nonché gliindesiderati pensieri per Josh. Senza rendersene conto, e nonostante fosse ciòa cui non voleva dar peso, si ritrovò a fare ancora un ultimo tentativo in mezzoalla calca: magari stavolta lo avrebbe trovato...
Di sfuggita le parve di scorgere Garrel, tanto alto da poter apparirecasualmente tra un movimento e l'altro, ma non ne fu del tutto certa. Seppur isuoi sensi fossero allenati, in mezzo ai suoni assordanti e alle luci soffuseavrebbe sfidato chiunque a riuscire ad orientarsi a dovere. Ad ogni modo,comunque, del novellino non riuscì a trovare alcuna traccia. Chissà dove erafinito, con chi si era appartato e se si stava divertendo. Chissà se l'aveva vistaallontanarsi e cosa aveva pensato nel sapere che se ne stava andando lontanodai suoi occhi – o lui la stava vedendo, in quel momento? Era impossibile dadire, c'erano troppe attenzioni estranee su di lei, sguardi che andavano adalternarsi per brevi istanti. In locali come quelli nessuno dava troppaimportanza agli altri, erano tutte persone di passaggio, incontri casuali eprivi di alcun valore: che Josh la stesse tenendo d'occhio da lontano o meno,lei non avrebbe mai potuto saperlo.
Del tutto rassegnata, si sporse un po' di più sul bancone, cercando d'attirarecon la scollatura l'interesse del barman. Ci mise più del previsto, perché infin dei conti era una ragazza d'aspetto mediocre in mezzo a decine di altrebellezze, chi più scosciata e chi meno. Si fece preparare un cocktail semplice,in modo da non dover aspettare per troppo tempo e, una volta messole sotto alnaso, ne bevve metà in un solo colpo, avvertendo le viscere bruciarefastidiosamente. Storse le labbra socchiudendo con forza le palpebre, provandoa non pentirsi della scelta fatta. Non beveva spesso, soprattutto al di fuoridelle terre del Clan, dove non poteva rischiare di perdere il controllo: nonpoteva nemmeno immaginare in che guai sarebbe finita se, con una sbornia"cattiva", avesse finito con il ferire e condannare un umano alla sua stessavita. Le poche volte in cui un Normalefiniva immischiato con i licantropi – o peggio ancora si ritrovava a diventareuno di loro – era per colpa dei Solitari,gli unici a poter eludere, anche se in piccola parte, le leggi del Concilio.
Mentre rifletteva su tutte quelle terribili eventualità, una presenza le siaffiancò. L'avvertì accanto a sé con una sorta di gelida intensità e, quandoanche il suo profumo le giunse alle narici, avvertì la pelle accapponarsi e legambe farsi terribilmente molli. Quel sentore di muschio e sangue lo aveva giàsentito altre volte prima, ed un tempo molto lontano le era persino piaciuto,ma ora, a distanza di quasi dieci anni, non si sarebbe mai più augurata diavvertirlo così nitido e vicino.
No, non può essere lui si dissestringendo i denti sulla lingua, chiunquema non lui!
«Possibile che qui, senza un paio di tette, non ti serva nessuno?» gli sentìdire con una punta d'insofferenza nella voce, un suono che era certa doveressere una specie di sussurro ad orecchie altrui, ma che a lei appariva persinopiù frastornante della musica che usciva dalle casse.
Il fatto che quel tizio fosse lì, esattamente accanto a lei e a nessun altro,doveva certamente avere un perché: e se Aralyn ci teneva a restarenell'ignoranza, a non avere nulla a che fare con lui, doveva andarsene il piùin fretta possibile.
Fece per defilarsi come se nulla fosse, ma la voce tagliente dell'altrolicantropo le arrivò alle orecchie come un monito crudele: «Ehi, ehi, ehi! Dovepensi di andare? Sono qui per te e mi scarichi a questo modo?» Il terrorel'assalì di colpo, facendole contrarre lo stomaco tanto che temette di vomitaretutta la vodka che aveva ingerito prima. Pregò di aver sentito male, di esserestata confusa per via della musica, ma non fu così.
«Allora, cosa posso offrirti? Almeno poi ci sediamo da qualche parte e parliamoun po', come i vecchi tempi» aggiunse, stavolta allungando una mano epoggiandola sul polso di lei. Aralyn si sentì mancare. Improvvisamente il puntoin cui la loro pelle si andava a toccare le sembrò prudere terribilmente. Se eravenuto fin lì per lei c'era un'unica spiegazione: Ophelia era a conoscenza delfurto del Pugnale della Luna
Avvertì un groppo in gola e seppe con certezza d'avere più paura di quanto sisarebbe mai immaginata in tutti i suoi incubi peggiori. L'uomo si passò le ditaingioiellate tra i capelli castani, dalle punte più scure, tinte di un cremisitalmente scuro e simile a sangue rappreso che la ragazza si domandò se nonfosse proprio quello, ciò di cui era intrisa la sua chioma. Il piercing allabbro rendeva il suo ghigno ancora più terrificante, regalandogli una bellezzaquasi perversa. La tirò per il punto in cui l'aveva afferrata, piano,nonostante la saldezza della presa: «Di cosa hai paura, piccola? Sono io, Dom».Sì, e proprio perché si trattava di Dominick non avrebbe mai fatto la cavolatadi allontanarsi da sola con lui.
Dandogli per un ultimo istante le spalle, provò a cercare con estremadisperazione Garrel, ancora sperduto tra la folla. Possibile che non livedesse, che non avvertisse la sua terribile paura? Se solo si fosse accortodel pericolo... 
Aralyn provò a farsi coraggio, a contrastare la nausea ed i tremori: «Senza ilmio branco non seguo il braccio destro di Ophelia» riuscì a dire. Conosceva ilpericolo a cui sarebbe andata incontro restando da sola con lui, così comesapeva che finché ci fossero state persone o i suoi compagni quel tipo nonavrebbe potuto torcerle nemmeno mezzo capello – non come era accaduto l'ultimavolta che erano rimasti da soli. Le dita di Dom si strinsero maggiormenteintorno al polso di lei, facendole sfuggire una smorfia dolorante. 
«Hai le palle di entrare a casa Menalcan ma non di uscire con me? Guarda che imiei compagni ci lasceranno soli, non interverranno per alcun motivo, puoistarne certa...» le sibilò a ridosso dell'orecchio. Con le dita iniziò a salirelungo il braccio di lei e, una volta arrivato vicino alla spalla aggiunse:«Solo noi, come ai vecchi tempi, quando vivevamo con il Duca». La cicatrice diAralyn a quel punto prese a bruciare, le sembrò che fosse ancora fresca, chegli artigli di Dominick si fossero appena staccati dalla sua carne che avevanopenetrato un decennio prima.
La terrificante consapevolezza che le sue mani la stessero toccando ancora lafece trasalire. Il suo essere così delicato nascondeva una voglia folle difarle male, lo sapeva, glielo aveva detto quella volta, mentre si vendicavasulla sorella del licantropo che gli aveva sottratto il ruolo di Alpha delNord.
«Non abbiamo n-nulla da dirci» gli rispose irrigidendosi per la troppa edindesiderata vicinanza. Avrebbe voluto scappare, sfuggirgli in mezzo allacalca, correre verso la macchina e sparire all'orizzonte; peccato solo che legambe fossero pietrificate. Per quale ragione, nonostante il tempo trascorso ele esperienze accumulate, riusciva ancora a soggiogarla nella morsa del terrorea quel modo? Perché nonostante sapesse di non essere più la giovane ed indifesaAralyn di una volta, con lui davanti tornava ad esserlo? 

Dom sorrise, mentre con la mano si ancorava sotto alla nuca della ragazza.Voleva a tutti i costi farla sentire debole, persa nella sua stretta. Era certavolesse farle presente chi, tra loro, reggeva le redini del gioco.
«Sono certo che ci siano moltissime cose di cui parlare, come ad esempio dovesi trova tuo fratello... o il Pugnale. Oppure potresti dirmi come hai fatto adentrare in casa di Douglas ed uscirne tutta intera. Però non temere, se crediche ti manchino le parole per adesso possiamo fare altro» e nei suoi occhiscuri la giovane fu certa di scorgervi una luce terribilmente deviata efebbrile. Subito dopo sentì la punta di un artiglio scivolarle lungo il latodel collo, minacciando pericolosamente la pelle e così distolse lo sguardo ilpiù velocemente possibile. Se avesse continuato a fissarlo gli avrebbe datomodo di leggere dentro di lei quanto la stesse spaventando, quanto ancorapotesse avere la meglio. 
Tirando un sorriso infastidito Aralyn tese il collo nella direzione in cuil'unghia sembrava darle meno fastidio: «N-no, non ti seguirò» disse ancora unavolta, cercando di opporsi alla bene e meglio.
«Io invece dico di sì»
Una voce fuoricampo, in qualche angolo alle sue spalle, s'introdusseall'interno della conversazione con una certa prepotenza, mozzandole il fiato.Seppur sovrastato in buona parte dalla baraonda di suoni, il tono apparveinconfondibile. L'aveva odiato per giorni, ma tutto d'un tratto le suonò meraviglioso,perfetto, amabile: «Eppure mi sembra che la signorina sia stata chiara, osbaglio?»
Josh. Le lacrime le salironoirrefrenabili verso gli occhi, riempiendole il petto di sollievo. Qualcuno allafine si era accorto di lei, del terrore che la stava paralizzando e delpericolo a cui sarebbe presto andata incontro. 
Dominick alzò il viso al di là della testa di lei, scrutando con un certofastidio colui che aveva osato interrompere la loro conversazione privata.Chiunque si mettesse in mezzo tra lui e ciò che più di tutto desiderava in undeterminato momento diventava automaticamente un nemico, un ostacolo da farcrollare – non importava che fosse umano o animale.
«Qualcuno ti ha invitato in questa conversazione?»
Le mani di Josh si poggiarono con estrema decisione sulle spalle di Aralyn che,improvvisamente, si sentì molto più sicura e stabile sulle proprie gambe. Se cifosse riuscita, si sarebbe persino appoggiata al suo petto per essere inglobatatra quelle braccia che ora silenziose si aggrappavano a lei per sfidare laminaccia che il segugio di Ophelia era.
«Sì, se stai infastidendo la mia compagna» sbottò, alzando la voce per esserecerto che l'altro lo sentisse. La ragazza avrebbe voluto vedere la scenadall'esterno, osservare l'espressione con cui il suo compare stava sfidando unaltro maschio sicuro di sé, con istinti sadistici e il testosterone allestelle.
La presa di lui l'attirò verso il proprio corpo e, nel farlo, l'artiglio diDom le graffiò la pelle, lasciandole un solco rossastro a mo' di mezza collana.Aralyn sentì il bruciore fastidioso della pelle irritata, dell'ennesimo marchioche avrebbe impiegato ore a rimarginarsi e, tutto d'un colpo, percepì quell'azionecome un atto suicida da parte sia sua sia di Josh.   


 

Yaga's Space:

Buonsalve lupacchiotti, come state? Avete gradito il nuovo aggiornamento? Con un po' di ritardo e qualche netta modifica al capitolo (che rispetto alla sua forma originale è stato diviso in due), siamo nuovamente tornati al fianco dei nostri carissimi licantropi. 

Aralyn deve fare i conti con il passato (rappresentato in questo caso da Dominick) e l'interesse indesiderato di Ophelia, un'altra Alpha purosangue che, purtroppo per lei, è minacciosa tanto quanto Douglas Menalcan (il padre di Joseph). 

Siete curiosi di approfondire questi nuovi personaggi? E quali impressioni vi hanno fatto?Fatemi sapere la vostra! Nel mentre torno al lavoro sul prossimo aggiornamento.

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Capitolo 28
*** Non lasciarla sola ***




27. Non lasciarla sola

Joseph cercò d'ignorare il più possibile la presenza tremante di Aralyn tra le sue braccia, dettaglio che però sembrava rendere assai difficile mantenere la calma. Più il corpo di lei reagiva negativamente alla presenza dello strano licantropo di fronte a loro, più a lui veniva voglia di caricare il colpo e stampargli un pugno dritto in faccia, preludendo così una rissa che d'improvviso bramava più di qualsiasi altra cosa. Il semplice fatto che lei si trovasse in difficoltà, che fosse persino spaventata dallo sconosciuto, animava nel ragazzo un desiderio inspiegabile ed insaziabile di proteggerla. Quella tipa poteva anche essere un'Impura, una nemica, ma era pur sempre la sua preda – una delle tante, avrebbe voluto erroneamente aggiungere.
Ciò che però lo tratteneva dal reagire come il classico maschio intento a segnare il proprio territorio, era la presenza quasi nauseante di umani. Tutta quella gente gli avrebbe impedito di compiere lo sporco lavoro che non vedeva l'ora di portare a termine, così come non gli avrebbe permesso di usare artigli e zanne o mutare anche solo di una virgola. 
Aralyn si schiarì la voce. Persino nell'assordante baraonda di melodie per le sue orecchie oscene, il Purosangue si concentrò esclusivamente su di lei – pur non interrompendo il contatto visivo con il momentaneo nemico.
«Lasciaci in pace Dom. Non ho nulla da dire né a te, né ad Ophelia».

Ophelia.

Quel nome prese una sfumatura tetra nella testa delragazzo, riportandogli alla mente aneddoti e discorsi che aveva condiviso conDouglas e Gabriel. Aveva conosciuto quella donna molti anni prima, durante iprimi incontri del Concilio a cui suopadre gli aveva permesso di partecipare. Se la ricordava con una particolarenitidezza: non troppo alta, bella, con occhi così violenti d'apparirenettamente in contrasto con il suo viso da bambola. E poi, ancora piùsconvolgente di tutto, il suo aspetto estremamente giovanile nonostante i quasisessant'anni. Chiunque l'avesse conosciuta, guardandola, non avrebbe mai dettoche superasse di così tanto alla maggiore età. Ophelia, per quello che avevapotuto sentire dai discorsi fatti dall'Alpha dei Menalcan, doveva aver trovatoun modo per evincere i segni del tempo; era una sorta di Dorian Grey dei lupimannari.
Senza rendersene conto strinse maggiormente la presa sulle spalle di Aralyn,ritrovandosi a disagio nel sapere il reale pericolo del nemico.
Joseph abbassò il viso accanto all'orecchio di lei, sussurrando: «Buttati inmezzo alla folla, vai via. Ti seguo in un attimo» e appena le sue mani siallontanarono dal corpo della ragazza, questa si dileguò. Come un lampo se lavide scivolare via dalle dita, correndo tra gli occupanti della pista da balloincurante delle spinte o delle gomitate. In meno di qualche secondo fu fuoridal suo campo visivo, rincuorandolo. Ora che lei era lontana, poteva occuparsidi quel tipo senza preoccuparsi di venir scoperto – peccato solo che quandorimise gli occhi su "Dom", lo trovò questi a sghignazzare.
«Pensi davvero che non ci siano miei uomini, fuori da qui? Le saranno addossoappena oltrepasserà l'ingresso, caro Menalcan» e a quelle parole il cuore delPurosangue prese un'accelerata improvvisa. D'improvviso il frastuono del localeprese a dargli talmente fastidio da risultare quasi insopportabile. Più dellaconsapevolezza che il segugio di Ophelia conoscesse la sua vera identità, ciòche lo spaventò fu sapere che aveva appena mandato Aralyn tra le fauci deinemici – rivali che adesso risultavano essere comuni, per cui sarebbe statodisposto a salvare persino lei, la vice di Arwen Calhum.
La stretta che gli si strinse intorno allo stomaco gli fece male, tanto checredette di vomitare e, senza alcuna logica, si buttò all'inseguimento dellaragazza, smanioso di raggiungerla, tenerla al sicuro. 
Si fece largo in mezzo a tutti, provando a fiutare il sentore che lei avevalasciato dietro di sé, inutilmente. Il sudore dei presenti copriva ogni tracciadi Aralyn, ma lui non si diede per vinto: l'avrebbe trovata prima che qualsiasipidocchioso lupo potesse metterle le zampe addosso. 
Continuando a correre si ritrovò presto fuori dal locale e, una volta lì,iniziò ad annusare l'aria. Fuori da quelle quattro mura di cemento senzafinestre sarebbe stato più facile scovarla, capire se fosse in pericolo o meno.
Dove sei andata?, le chiese come se potessesentirlo. Era la prima volta che si ritrovava ad essere così preoccupato perqualcuno, soprattutto di una donna.
L'ansia stava avendo la meglio su di lui, sul licantropo razionale che erasempre stato in quegli ultimi anni. A quel punto mosse qualche passo veloce indirezione dell'auto, sperando di poterla trovare lì; in fin dei conti era ilposto più sicuro di tutto quel parcheggio. A pochi metri dalla vettura, però,Joseph inciampò su qualcosa, ruzzolando rovinosamente a terra. Troppo occupatoa guardarsi attorno, aveva finito con il mettere i piedi tra i vestiti diqualcuno. Imprecando a denti stretti si mise a levare dalle scarpe il mucchiodi stoffa scura, tirando a destra e manca finché, quasi come un fulmine a cielsereno, non si rese conto di ciò che aveva davanti agli occhi: la maglietta diAralyn. Con foga si mise ad osservare attorno a sé, sull'asfalto umido dipioggia leggera che aveva appena preso a scendere; la felpa era finita sotto adun'altra vettura, mentre i jeans accanto alle prime radici intente a sovrastareil cemento e catrame.
Si era trasformata! Tutti quei resti erano inconfondibili indizi: ma perché?Che si fosse ritrovata alle calcagna i seguaci di Ophelia?
Rimettendosi in piedi fece un balzo degno del miglior felino, lasciando che ilproprio corpo si trasformasse, rompendo e ri-assemblando le ossa, del tuttoincurante del fatto che ci potessero essere o meno spettatori indesiderati. Inmeno di alcuni secondi i suoi indumenti furono ridotti a brandelli e, al postodel bellissimo ragazzo quale era, apparve un enorme lupo dal manto folto escuro, con saettanti occhi azzurri incastonati sul muso. Joseph era pronto perla caccia.
Le sue zampe si fecerolargo sul terreno fangoso, lasciando impronte lievi e tendendosi al limite purdi macinare strada - pur di raggiungere Aralyn e proteggerla da qualsiasi male.
Più correva, più l'odore sembrava farsi intenso nelle sue narici; seppur glisembrasse di non andare mai abbastanza veloce, stava riuscendo a raggiungerla.
Seguì la scia lasciata dalla sua pelle, fermandosi giusto ogni tanto per esserecerto di essere ancora sulla pista giusta, ma per il resto non si diede pacefinché, sorprendentemente, non se la ritrovò davanti.

Il cuore perse un colpo.

La lupa aveva il proprio muso talmente abbasso da sfiorare terra, le orecchietese dietro la testa e i canini sguainati - pronta ad attaccare. Circondata daaltri tre animali della sua stessa specie, Aralyn aveva tutta l'aria disentirsi minacciata ed in difficoltà. Non aveva modo di difendersi e lui ciavrebbe messo come minimo una manciata di secondi prima di raggiungerla:sarebbe quindi potuta succedere qualsiasi cosa, anche una tragedia.
Nel tempo che Joseph c'impiegò a valutare i pro e i contro, l'Impura attaccò, fiondandosi avidamente sulprimo nemico che si trovò a tiro. Stava cercando di difendersi alla bene emeglio, ma di quel passo non sarebbe riuscita ad uscirne indenne. Il ragazzodoveva agire, subito. Se desiderava vederla viva al sorgere dell'alba dovevaassolutamente andare in suo aiuto sfoderando tutti i trucchi che gli eranostati insegnati nel clan, anche a costo di compromettere la propria copertura.
I corpi dei licantropi, i loro versi, tutto si mischiava in una danza fatta diferocia e violenza, di graffi e zanne capaci di baluginare nel buio. 
Lasciandosi condurre dall'istinto animale si buttò addosso al nemico che a suoavviso sembrava essere il più minaccioso, riuscendo dopo molti tentativi adafferrargli tra le fauci il collo. Sentì la bestia agitarsi e guaire sotto allasua morsa, tentare di liberarsi prima di perdere coscienza o, peggio ancora,morire, ma il Purosangue non mollò lapresa fino all'ultimo. Attese pazientemente finché i movimenti dell'altro nonsi fecero più deboli, poi quando fu sicuro di non aver più nulla da temere,mollò la presa. Il corpo del nemico cadde al suolo, quasi immobile e ciò glidiede la certezza di potersi ora concentrare sui lupi restanti, nonché sulportare in salvo Aralyn.
Lo sguardo cristallino di Joseph saettò da un lato all'altro della zonaalberata, cercando d'individuare il punto esatto in cui la sua compagna sitrovava – cosa abbastanza complicata visto il continuo spostarsi, difendersi eattaccare.
L'individuò giusto nel momento in cui, con estrema cattiveria, spinse i propriartigli nel petto del nemico, riempiendosi le zampe di sangue scuro. Il pelochiaro le si macchiò orribilmente, ma agli occhi di lui, la cosa apparve quasiaffascinante. C'era una sorta di bellezza nel modo in cui anche lei potevamutare in una bestia, infierire e reagire come un vero esemplare degno diessere chiamato con il nome di "licantropo".
Per un attimo, nel vedere che anche lei aveva messo k.o. il proprio nemico, glisembrò che fosse finalmente finita, ma poi, con la coda dell'occhio e per puracasualità, si accorse del terzo lupo pronto ad aggredire Aralyn alle spalle.Era troppo occupata a rimettersi in sesto per accorgersi del pericolo e se nonavesse agito lui, la situazione si sarebbe presto ribaltata e rovinata. 
Prendendo la rincorsa con tutta la forza presente nelle zampe posteriori sifiondò su di lui, pregando che non agisse prima che potesse essergli addosso.L'impatto con cui il Menalcan colpì in nemico fece sì che potesse ritrovarsi invantaggio e attaccare ancora e ancora, fin quando senza rendersene conto non siritrovò a martoriare un cadavere. Si rese conto di non aver più nessunod'affrontare, di aver portato a termine ciò che si era prefissato di fare – aprescindere dal fatto che l'uomo di Ophelia potesse ora metterlo in unaposizione terribile, mandare in fumo qualsiasi cosa. L'aveva lasciato vivo, nellocale, senza assicurarsi che tenesse la bocca chiusa. Ma era davvero una cosacosì importante? Significava più del fatto che fosse riuscito a salvare la lupaalle sue spalle? 
Volse il muso in direzione di lei, scrutandola. Quel tipo avrebbe potutobenissimo dire ad Aralyn la verità, ma lei gli avrebbe creduto? In fin dei contisi trattava pur sempre della parola di un nemico contro di lui, il ragazzo chel'aveva appena protetta.
D'un tratto però, Joseph avvertì il terreno sotto i piedi farsi inesistente. Senzarendersene conto fu scaraventato ai piedi della sua compagna che, come seferita nell'orgoglio, gli si mise davanti ringhiando rabbiosamente. Gli fecescudo con il proprio corpo, piantonando le zampe a terra e mostrando i caniniin tutta la loro affilatezza.
Non doveva essere lui il cavaliere della situazione? 
Aralyn si scagliò sull'ultimo nemico rimasto, forse lo stesso che lui non avevafinito per un atto di, ora rivoltante, compassione. Tra tutte le cose che il Purosangue poteva dire di odiare, c'eracertamente l'essere sopraffatto dai nemici e poi difeso da... lei! Era un'Impura, una nemica, una femmina snervante che lo mettevacostantemente in difficoltà e sull'attenti - non poteva certo permettersi diaver un altro debito non saldato nei suoi confronti. Così con un colpo di renie stringendo i denti si issò, spintonando Aralyn e prendendo il suo posto alcospetto dell'odioso nemico.
Joseph gli andò incontro, mostrandosi minaccioso. Avrebbe fatto di tutto pertenere alto il proprio onore, ma l'altro iniziò ad agitandosi come un ossesso,a colpire ed azzannare l'aria rincorrendo la scia che lui si lasciava dietro,troppo veloce per essere preso Il Menalcan andò avanti a schivare il più alungo possibile, provando a sfiancare l'avversario per poi colpired'improvviso. Fece un balzo a destra, poi aa sinistra, fin quando una zampainfine non lo raggiunse, sbattendolo contro un masso. Il grosso licantropo nerosentì le ossa del cranio cozzare contro la pietra e l'urto gli face stranamentemancare l'aria. Il dolore parve rimbombargli in tutto il corpo come mai prima etemette davvero di essersi fatto più male del previsto, ma non demorse; lui eraun Purosangue, sant'Iddio! Non potevacerto farsi fermare da una cavolata del genere. 
Intorpidito dal dolore, il ragazzo provò a rimettersi dritto. Dovevaassolutamente portare a termine la caccia, dare una lezione al branco diOphelia, quei lupacci che si erano permessi d'infastidire Aralyn – piacere cheriteneva essere solo suo. Eppure fu lei a farlo. Prima ancora che lui riuscissea mettersi in posizione si fece strada verso il nemico, sguainò gli artigli egli tranciò di netto un tendine, azzoppandolo. In meno di qualche minuto ilsangue iniziò a riempirle il pelo, ad imbrattarle le ciocche chiare, le zampeed il corpo tutto.
Sotto un certo punto di vista, alquanto perverso e forse alimentato dall'intorpidimentodella botta, Joseph trovò la scena affascinante, molto più piacente diqualsiasi altra cosa avesse visto prima; non uno scontro o una mostra d'arte,un bell'abito o una corsa in mezzo ai boschi poteva competere con quel momento.Ammaliato dalla furia di lei, non mosse un muscolo fino all'ultimo. Quandoinfine la sua salvatrice ebbe finito con il corpo sotto di sé, si decise a riprenderela forma umana. Il Purosangue siritrovò nudo accovacciato nei pressi del masso su cui aveva sbattuto,avvertendo d'improvviso tutto il dolore farsi forte, molto più di quello cheavrebbe pensato. Nella testa ogni suono pareva rimbombare all'infinito, andandoa sbattere sulle pareti del cranio con violenza. Si sentiva debole e sul puntodi vomitare, completamente in balìa di quello che, dai primi sintomi, dava l'impressionedi essere un trauma cranico. Chiuse le palpebre, boccheggiando nel tentativo diaccaparrarsi un po' d'ossigeno in più. 
Nonostante lo scontro non fosse stato poi tanto cruento o faticoso – il più erastato giocato dal panico e dalla sorpresa – si era ritrovato a fare i conti conconseguenze davvero fastidiose. Quanto ci avrebbe impiegato a riprendersi?Sarebbe riuscito a tornare all'auto sulle proprie gambe? No, forse no. La vistanon ne voleva proprio sapere di tornare nitida, così come la nausea parevaaumentare con il colo compiere un movimento lieve. Se Gabriel o Douglas, maanche qualsiasi altro lupo del suo clan, avesse visto il modo in cui si eraconciato per una sciocchezza del genere, certamente gli avrebbero negato lapossibilità di competere per il ruolo di Alpha. Il degno figlio del capo deiMenalcan non poteva certo permettersi un simile smacco.
Come una manna dal cielo le mani di Aralyn gli presero il volto, riportandoloper qualche breve istante alla realtà, ben lontana dagli occhi della propriafamiglia o di chiunque altro se non lei. Aveva le guance ed il mento sporchi disangue e fango, anche se a lui sembrava difficile distinguere quale fosse uno equale l'altro. Se si sforzava con una certa intensità, poteva ancora riuscire adelineare davanti a sé qualcosa, ma non tutto. Non avrebbe saputo dire se l'emoglobinasul viso di lei fosse suo o del nemico appena abbattuto, se si fosse ferita ose stesse bene.
La ragazza schiuse le labbra, forse nel tentativo di dire qualcosa, poi lerichiuse. Joseph vide i suoi occhi dorati riempirsi di lacrime e, di fronte aquell'immagine temette il peggio. Cosa si stava perdendo? Forse aveva subito un'altraferita senza accorgersene?
Le prese la mano, cercando inutilmente di stringere. Le forze lo stavano abbandonando,ne era certo: era una sensazione troppo nitida, un ricordo indelebile del corpoper poter essere dimenticato.
«E' tutto okay, ce l'abbiamo fatta» provò a dirle con un sussurro, cercando diconsolarla. In quella sua espressione così preoccupata, Joseph vi lesse una tenerezzaindescrivibile, una dolcezza che non era sicuro di aver mai provato prima; c'eramai stato qualcuno, nella sua vita, che lo aveva guardato a quel modo?
Aralyn scosse la testa: «Ma perdi sangue! Ti sei fatto male per me» singhiozzò.Persino vedendo tutto sfuocato, il ragazzo non riuscì a non pensare che latanto scostante lupa sembrasse una bambina. 
«Non preoccuparti i-i...» senza alcun preavviso la sagoma scura di lei s'annerìed intorno a sé Joseph iniziò a non percepire più nulla.

Perfetto, i sensi lo avevano abbandonato. 
 

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Capitolo 29
*** Sopravvissuti ***




Sopravvissuti

Arwen sbatté il portapenne a terra con talmente tanta foga che le biro andarono a finire in ogni angolo dello studio, ma in particolar modo ai piedi nudi della sorella, ancora sporca di sangue e fango. Infossata in una felpa capace di arrivarle fino alle ginocchia, se ne stava ad occhi bassi davanti alla scrivania, imperterrita. Aralyn pareva non volerne sapere nulla di tutta quella storia, ma lui sì – lui voleva conoscere ogni minimo particolare di ciò che era accaduto poco più di un'ora prima. Garrel gli aveva giusto accennato l'essenziale, mentre lei si era occupata di medicare alla bene e meglio il nuovo arrivato, ma ora non aveva più scuse per evitare il discorso.
«Perché Dominick ti stava addosso?» ringhiò l'uomo, provando a trattenersi dall'afferrare qualche altro oggetto e scaraventarlo contro il muro.
Lei scosse la testa, alzando appena le spalle: «Ophelia sa del Pugnale, di me e della squadra. Volevano informazioni» ammise, conscia del fatto che mentire a suo fratello non avrebbe portato da nessuna parte. Se poteva parlare di tutto con qualcuno, quello era il suo Alpha.
«Lui ti si è avvicinato? Ti ha ferita o toccata?» se avesse dovuto essere completamente sincero con se stesso, gli fregava un gran poco delle motivazioni per cui quel cagnaccio aveva osato rivolgere la parola a sua sorella: era il semplice fatto che il pensiero di lei gli avesse sfiorato la mente, ad infastidirlo.
Dom era stato per anni suo compagno di battaglia, addirittura amico; avevano sempre condiviso tutto e, negli anni, aveva iniziato a sviluppare un certo interesse per Aralyn, cosa che Arwen non aveva mai considerato essere un problema. Ciò che però gli aveva fatto cambiare idea, era stata la scampata violenza che quel tipo aveva osato perpetrare nei confronti di sua sorella – una vendetta dovuta al fatto che il Duca avesse scelto l'albino per guidare il branco del Nord e non lui.
La ragazza si strinse nelle spalle, sapendo che una qualsiasi parola sbagliata avrebbe potuto scatenare l'inferno: «Arwen... sto bene. Josh mi ha salvata, è arrivato in tempo sia nel locale sia fuori». Provò a restare il più composta possibile, evitandosi di cedere alle emozioni.
«E se lui non ci fosse stato? Sappiamo entrambi che quel verme non ti avrebbe mai permesso di sfuggirgli, se fossi stata sola!»
L'Alpha sembrava non voler sentire alcuna ragione. Dominik era un pericolo, lo era sempre stato e non avrebbe smesso di esserlo fino al giorno della sua morte.
«Se lui non ci fosse stato, sarebbe intervenuto Garrel» sbottò lei, stringendo i pugni a tal punto da far sbiancare le nocche. Guardò con un certo astio il fratello, poi scosse la testa con veemenza: «E se nemmeno lui fosse stato in grado di fare qualcosa, avrei agito da sola. Non sono più la bambina che ha aggredito».
Già, era passato molto tempo, i cambiamenti erano stati tanti, quindi perché suo fratello non voleva prenderla sul serio? Era abbastanza matura da essere messa al comando di una missione suicida in casa Menalcan, ma non era cresciuta a sufficienza per tenere testa al cagnolino di Ophelia?
«Non ho detto questo, Ara. Quello che intendo è...» Arwen provò a giustificarsi, a far sembrare ciò che gli era sfuggito ben diverso da ciò che era, ma la ragazza non ci cascò.
«Qualsiasi cosa sia, non voglio saperla. Sono viva e sono qui. Il Pugnale è qui, cosa molto più importante! Ed ora, se non ti dispiace, fratello, andrei a controllare Josh, visto quello che ha fatto per me ed il clan».
Fu tremendamente difficile sorreggere lo sguardo dell'uomo senza scoppiare a piangere, ma Aralyn riuscì a farcela a dispetto del nervosismo. Girò sui propri talloni ignorando le repliche del fratello che, nel suo piccolo, stava ancora provando a chiarire con lei il proprio punto di vista, ed in men che non si dica, fu di fronte alla porta dello studio, intenzionata ad uscirvi e chiudere definitivamente il discorso.
Prima che potesse abbandonare la stanza però, la voce del capoclan la raggiunse: «Quando si sveglia digli che farà parte di questo clan. E' il minimo che possa fare per il licantropo che ti ha protetta al posto mio».


 

Joseph si agitò, sentendo a poco a poco farsi più intenso un fastidioso dolore dietro la nuca. Il buio intorno a lui divenne sempre meno intenso, andando a dissolversi con lentezza. Le palpebre fecero fatica ad aprirsi, sembrando quasi appiccicate tra loro a causa di una colla, ma alla fine riuscì a dividerle, permettendo alla luce di ferirgli gli occhi. Quasi certamente doveva essere giorno, ma quale?
Rantolò, provando a coprirsi il viso con un braccio che, si accorse sin da subito, non era in grado di muovere; qualcosa lo stava bloccando, impedendogli di difendersi la faccia dai raggi del sole.
Che diamine stava succedendo?
Provò a fiutare l'aria, trovandola pregna di odori fin troppo familiari, a tratti rassicuranti e ad altri meno. Il profumo ferroso del sangue, che poteva indicare sia qualcosa di positivo, sia qualcosa di estremamente negativo, si andava a fondere alla perfezione con quello di Aralyn, creando una sorta di miscuglio piacevolmente ricco. Il ragazzo abbozzò un sorriso, tenendo comunque gli occhi semi-chiusi per abituarli pian piano al cambio di luminosità. Le due cose che preferiva di più nella sua vita da lupo, si stavano riunendo all'interno dei polmoni, accogliendolo nel mondo reale mentre Morfeo decideva in definitiva di levare le tende.
Per un'ultima volta tentò di svegliarsi e, quando finalmente riuscì a mettere a fuoco l'ambiente intorno a sé, si rese conto di trovarsi disteso nello stesso letto che aveva occupato per quasi un mese, quello che Arwen gli aveva assegnato al suo arrivo. Fu inevitabile corrugare le sopracciglia e domandarsi per quale ragione, in camera sua, ci fosse quel sentore strano, così alzò appena la testa, osservando il fondo della stanza.
A parte il marasma di vestiti lasciati sulla scrivania ed un armadio stretto ed alto, non c'era nulla lì con lui, però qualcosa, in tutto l'insieme, parve stonare. Ci mise qualche istante a capire, ma alla fine notò tanti piccoli dettagli: le coperte in cui era avvolto erano state tirate e fissate al materasso con precisione, mentre sul comodino accanto al cuscino se ne stavano medicinali vari e garze pulite. Oltre a questo, messa poco distante dal letto, c'era la sedia su cui era certo aver lasciato il pigiama il giorno prima. Perché era stata spostata? Chi lo aveva fatto? Ed i suoi vestiti dove diavolo erano finiti?
A fatica, Joseph si tirò a sedere. Il dolore alla nuca fece nuovamente la sua irritante comparsa, picchiandogli nel cranio come un martello. D'istinto si portò lì una mano, cercando di capire, e quando finalmente le dita sfiorarono quello che sembrava essere un cerotto, gli tornarono alla mente i ricordi della sera prima.
Erano andati a ballare: lui, Garrel e Aralyn. Lì si erano imbattuti nei cagnacci di Ophelia e, durante lo scontro in cui si era lanciato per difendere lei, era stato ferito. Dannazione!, pensò storcendo le labbra. Possibile che lui, il figlio di Douglas, un Purosangue nobile, si fosse fatto mettere k.o. con così tanta facilità? Con che faccia si sarebbe presentato di fronte alla lupa che aveva cercato di salvare? Sì, perché anche se era vivo, essere stato messo al tappeto a quel modo non era certo un motivo di vanto!
Si prese il viso tra le mani, bofonchiando: «Che idiota!» e, per tutta risposta, una voce gli rispose da qualche angolo non molto lontano.
«Oh, allora avresti preferito che mi facessero fuori?»
Gli occhi di Joseph balzarono verso la porta e lì, con una crocchia di capelli bagnati, trovò Aralyn. La vide sorridere, confusa, e la cosa lo lasciò di stucco – oltre a farlo improvvisamente sentire in imbarazzo. Cosa ci faceva lì?
Mordendosi la lingua provò a rimediare al proprio commento con una battuta: «Beh, sarebbe stata una grana in meno a cui far fronte!» e con una naturalezza inaspettata ricambiò il sorriso. Seppur non riuscisse a capire per quale ragione lei si trovasse in camera sua, sentì una sensazione piacevole e calda riempirgli lo stomaco, come se in fin dei conti quello dovesse essere il posto giusto in cui vederla.
La lupa si fece avanti, stringendo le mani intorno ad una tazza fumante: «Sì, e poi a farti da infermiera ci sarebbe stato Garrel» controbatté con una risata leggera e cristallina, accomodandosi poi sulla sedia. Ecco spiegato per quale ragione si trovasse accanto al letto e non nei pressi della scrivania.
«Come ti senti?» gli chiese interrompendo gli scherzi.
Joseph si concesse ancora qualche breve istante per contemplare la presenza di lei, poi si mise a valutare la propria salute, cosa che ancora non aveva avuto modo di fare.
«La ferita alla testa si diverte a dar fastidio, mentre i muscoli sono intorpiditi. Credo non ci sia altro da riferirle, signorina»
«Nulla che il medico non avesse previsto, bene. Ancora un paio di giorni e sarai come nuovo» fece lei, allungando il braccio verso il comodino e lasciandovi sopra la tazza. A così breve distanza, il giovane Menalcan riuscì a notare come, intorno agli occhi di lei, vi fossero i segni violacei della stanchezza: che non avesse dormito dal momento dello scontro? Per quale ragione? Aveva forse paura che il segugio di Ophelia potesse rispuntare? Oppure si era realmente presa cura di lui come se fosse la sua infermiera personale?
Fece per domandarle ancora qualcosa riguardo alle ferite, ma lei lo precedette: «Mi spiace tu sia stato coinvolto. Dominick ed i suoi... non ti avrebbero fatto nulla se non fossi stato lì con me» disse frettolosamente, stringendosi leggermente nelle spalle. Di fronte a quelle scuse, Joseph rimase senza parole. Possibile che stesse realmente succedendo?
«Quindi sei davvero speciale!» per la prima volta, in tutte le settimane trascorse dall'attacco a casa Menalcan, Joseph non volle ricavare nulla da quella conversazione. Ciò che desiderava era avere un momento di quieto confronto con una persona della sua specie, qualcuno che non fosse condizionato dal suo ruolo e dal nome con cui era venuto al mondo. Cercò, con quel commento di non approfondire il motivo per cui un altro clan le fosse alle calcagna, ma involontariamente ne ricavò l'esatto opposto.
«Non dir cazzate, è per via del Pugnale se quella gente ci sta addosso!» Le orecchie del ragazzo si tesero contro la sua volontà, afferrando ogni parola con estrema bramosia. Seppur non lo desiderasse, il suo istinto e la fedeltà verso il proprio clan ebbero la meglio.
«E credono che tu abbia informazioni di quel tipo?»
«Direi proprio di sì... Dominick ne ha la certezza, giustamente» come per far sembrare la cosa meno importante di quanto fosse, Aralyn si grattò dietro all'orecchio ingioiellato, distogliendo lo sguardo dal licantropo di fronte a sé.
Joseph si sistemò sul materasso, ora più attento: «Giustamente?»
Lei tirò un sorriso, provando a non dar ulteriore rilevanza allo scambio che si stavano ritrovando ad avere: «Quando fai parte della squadra d'élite del clan è scontato che tu sia a conoscenza di molte cose, non pensi?» e piegando appena il capo si rimise a fissarlo.
Lo stomaco di lui si strinse in una morsa tremenda. Aveva sentito bene? Aveva ammesso di essere uno dei lupi più importanti del branco senza usare nemmeno un giro di parole? Il ragazzo non poté crederci. Come se non bastasse, poi, il team di cui Aralyn aveva appena parlato doveva essere, quasi certamente, lo stesso che era entrato in casa sua, ucciso i suoi confratelli e rubato il cimelio per cui suo padre si era tanto dannato. Che fosse lei la femmina di cui aveva parlato il subordinato ritrovato vivo in mezzo ai morenti ed i cadaveri?
D'un tratto Joseph venne strappato dai propri pensieri. La ragazza aveva fatto un sospiro tanto rumoroso d'averlo completamente estraniato dalle mille domande che si era ritrovato ad affrontare.
«Comunque c'è altro di cui dobbiamo parlare. Vedi... ne ho discusso con Arwen e crediamo che sia arrivato il momento di farti entrare nel clan. Hai dimostrato di aver fegato e per lui questo basta» i loro sguardi si allacciarono nuovamente, questa volta con il medesimo intento: capire cosa passasse nella mente dell'altro. Era chiaro che per Joseph quella notizia fosse sia fonte di gioia, sia di preoccupazione, ma per lei? Aralyn in fin dei conti lo aveva scoperto in un vicolo con Kyle, un nemico, e oltre a quello aveva minacciato di ucciderlo strappandogli il cuore dal petto. Per quale motivo, quindi, aveva messo una buona parola con l'Alpha? Era bastato salvarla per farle cambiare idea su di lui?
Il Purosangue si grattò la tempia, costringendosi ad interrompere per qualche fugace istante il contatto visivo con lei.
«Perché lo hai fatto? Credevo non mi volessi qui... » si ritrovò a chiederle, cercando di capire se ci fosse sotto qualcosa di strano. Non poteva realmente credere di averle fatto cambiare idea così facilmente, perché in fin dei conti non si trattava affatto di una ragazza stupida o abbastanza ingenua da credere che il suo incontro con Kyle fosse stato solo una coincidenza.
Lei socchiuse appena le labbra: «Devo molto al Duca, quindi se posso riempire le sue file con gente valida, lo faccio. Tu puoi anche non avere la più pallida idea di chi sia o cosa professi, ma finché sei fedele ad Arwen e metti i bastoni tra le ruote ai Puri, sei utile».
La lingua di Joseph si mosse ancor prima che potesse rendersene conto, dando voce a domande che forse non si sarebbe mai permesso di fare: «E tu perché sei qui, per quale ragione lo fai? Credi in quello che dice? O ti senti solo in debito nei suoi confronti?» La curiosità aveva prevalso sul buon senso, permettendo a Josh, e non alla sua vera identità, di sfamare l'interesse che aveva preso a crescergli dentro per quella femmina.
Aralyn, probabilmente colta dall'istinto, s'irrigidì sulla sedia. Rimase zitta per un po', riflettendo sulla domanda che lui le aveva fatto. Chissà se l'aveva colta di sprovvista, se mai aveva riflettuto davvero sul motivo per cui lottava per un uomo del genere.
La vide prendere un grosso respiro, scuotere la testa: «Credo che a differenza di altri licantropi lui possa farmi avere una vita normale, un'esistenza in cui non debba sentirmi troppo inadatta» affermò poi, mentre le guance presero ad imporporarsi.
«E cosa cambia? Anche il Concilio accetta gli Impuri. Ophelia ne ha molti nel suo branco e...»
La ragazza lo interruppe bruscamente, incurante di ciò che lui stesse cercando di dirle.
«Hai mai avuto a che fare con lei? O con il Concilio?» il tono tagliente con cui gli si era rivolta lo aveva stupito. Per un momento gli parve davvero che lei fosse a conoscenza di cose a lui sconosciute. E come darle torto? In fin dei conti il figlio di Douglas non aveva conosciuto altra realtà se non quella umana e quella che i Menalcan avevano creato nella loro piccola cricca – la vita da mezzo-sangue era qualcosa a lui estranea e che gli era sempre stato detto dovesse essere tale.
La lupa sospirò appena, facendo perdere lo sguardo oltre la finestra illuminata da un tiepido sole invernale. Riprese il discorso con più pacatezza, cercando di non alterare né se stessa, né lo stato di salute del suo ospite: «Sì, Ophelia ci accetta, ma è sadica, le piace mettere costantemente in luce la differenza tra noi e loro. Mette i brividi alle volte. Il Concilio invece non ci dà mai grande importanza. Siamo carne da macello per loro, manichini con cui combattere e mettere al mondo altri della nostra specie per non estinguerci. Il Duca ci promette della meritocrazia, dell'eguaglianza, una vita diversa. Tu non sei stufo di continuare a nasconderti? Di dover stare attento a non importunare il lupo sbagliato o a dover abbassare la testa quando un Puro ti passa vicino? Io sì».
Forse per via della luce, forse per la posa che aveva assunto - Joseph non seppe dirselo, ma Aralyn gli parve incredibilmente affascinate e diversa da qualsiasi altra persona avesse conosciuto fino a quel momento. Era spinta a lottare a causa di un sentimento capace di fare bruciare l'anima.
Avrebbe voluto allungare una mano, sfiorarle una guancia e sentire la forza che le stava scorrendo dentro in quell'esatto frangente, ma si dovette trattenere; non era il caso di esporsi a quel modo.
«Ed i Menalcan ti spaventano?» le domandò poi, cercando di sedare un dubbio che non desiderava portare troppo a galla.
Gli occhi di lei si mossero come fulmini, fermandosi solo dopo aver trovato i suoi. L'intensità con cui si fusero insieme l'obbligò quasi a non sbattere le palpebre, in modo da impedire un possibile distacco.
Il tono secco della sua interlocutrice però lo schiaffeggiò, sfidando quel legame appena formatosi: «Mi spaventano Douglas ed i suoi figli, anche se non li ho mai visti. Mi spaventa l'idea che Arwen stesso non sia riuscito ad ammazzare quei bastardi e che anzi, ne sia uscito sconfitto. Il resto di loro è solo un ammasso di mannari».

"Solo un ammasso di mannari" se fosse stato detto da qualsiasi altra persona, Joseph l'avrebbe presa sul ridere, ma dalle labbra di lei quella definizione risultò mortificante. Sì, persino lui aveva constatato come fosse stato facile, per i sottoposti di Arwen, farsi beffa del suo clan, eppure non si sarebbe mai aspettato che agli occhi di Aralyn, i suoi uomini, non fossero altro che inutili manichini.
Amaramente, il ragazzo si lasciò sfuggire l'ennesimo commento, che però lei parve non udire, forse a causa del fatto che si era trattato di un sussurro a fior di labbra: «Eppure è sopravvissuto».

Già, un vero peccato.


 

Ania's Space: 
Ecco il capitolo in cui Joseph, finalmente, può festeggiare qualcosa. Dopo averle prese di santa ragione si è rifatto e, oltre a questo, ha avuto modo di conoscere maggiormente Aralyn.

Cosa posso dirvi riguardo a questo aggiornamento? Ah sì, era pieno di allusioni sessuali. A 16 anni dovevo essere stata assalita da un qualche attacco ormonale fuori controllo - grazie a Dio ho deciso di revisionarlo. Che ne pensate di questa versione "casta"? Ed in generale cosa mi dite dell'aggiornamento? Già v'immaginate il seguito?

Fatemi sapere :D

 

 

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Capitolo 30
*** Gatta ci cova ***


 


29. Gatta ci cova

Aralyn si accorse di aver detto troppo giusto nel momento in cui il viso di Josh si era accigliato. Chissà quale, delle sue parole, lo aveva turbato in quel modo. Forse il riferimento al fallimento di Arwen? O il fatto che temesse i Menalcan? Non avrebbe saputo dirlo.
Voltò l'angolo, cerando di trovare una risposta a quell'immenso quesito, ma appena mosse il primo passo verso il basso, sui gradini, si ritrovò a dover abbandonare tutti quei pensieri. I muscoli delle cosce si tesero in modo doloroso, ricordandole che ancora non si era presa cura di sé. I graffi che aveva riportato durante lo scontro si erano ormai rimarginati completamente, lasciando dietro di loro lividi che dal viola viravano verso il giallo, ma non per questo l'acido lattico aveva smesso di ricordarle quanto fossero state imprudenti le sue azioni.
Strinse i denti ed in contemporanea la presa sul corrimano, costringendosi a non fermarsi proprio lì, alla mercé dei confratelli che avrebbero potuto riempirla di domande. Fece un altro passo, poi ancora uno, fino a giungere alla fine della rampa e, nel momento in cui alzò lo sguardo dalla punta dei propri piedi con l'intento di fingersi perfettamente in salute, si rese conto d'aver di fronte a sè Eike. Il ragazzo le sorrise dolcemente, accennando un saluto che lei ricambiò svelta per non perdere troppo tempo – come detto, non aveva alcuna voglia di avere a che fare con altre persone.
«Ehi!» la richiamò lui prima che Aralyn potesse dileguarsi: «come sta Josh?»
La domanda arrivò più che aspettata; dopotutto non era un segreto che i gemelli avessero preso in simpatia l'ormai imminente membro del clan.
«Ha ripreso i sensi. La commozione deve starsi riassorbendo» disse secca, in modo che la conversazione non procedesse oltre, ma purtroppo per lei, più cercava di allontanarsi da determinate situazioni, più il destino le imponeva di restar ferma e sorbirsi qualsiasi cosa avesse in serbo. L'interlocutore a quel punto assunse un'espressione maliziosa, incrociando le braccia al petto ed osservando da capo a piedi la ragazza che, confusa, non poté evitarsi di chiedere: «Cosa guardi?» era chiaro che qualcosa non stesse andando nel verso giusto.
«La commozione alla testa gli ha fatto dire qualcosa di sconcio?»
La perplessità si fece ancor più evidente.
«Perché?»
«Hai le guance rosse. Cos'è, ti ha piacevolmente importunata?»
A quella domanda il panico prese il sopravvento. Aralyn corse verso la prima superficie in vetro che riuscì a trovare, provando a specchiarsi e constatare da sé se quanto diceva l'amico fosse vero. Si rimirò in ogni luce e prospettiva, ottenendo sempre lo stesso risultato: le guance tendevano evidentemente al colore dei pomodori.
Sbuffando, rinunciò a combattere contro l'evidenza, provando però a raccattare una scusa valida: «No, parla e recepisce benissimo. Deve essere stato lo sforzo delle scale» affermò, sapendo da sé che il motivo di tutto quell'imbarazzo era ben diverso.
«O quello dell'evitare di saltargli addosso?» Eike non demorse, facendo trapelare dal proprio viso sempre più malizia che, lei, ricambiò con un'occhiataccia tutt'altro che amichevole. Cosa stava cercando d'insinuare quell'odioso del suo amico? Che tra lei e Josh l'attrazione fosse evidente? Come, visto che stava cercando di mantenere le distanze da lui?
Con uno sbuffo ed una scrollata di testa, la ragazza s'allontanò dal vetro del mobile: «Tieni a bada le tue stupidissime fantasie Eike!» Rimproverò poi l'altro, sperando in cuor suo che fosse l'unico a sospettare di un flirt tra lei ed il nuovo arrivato. Meno persone glielo avrebbero fatto notare, meno avrebbe dovuto realmente considerare la cosa.
Fece per voltarsi e rimettersi in marcia verso la caffetteria, questa volta sicura di non aver dato al lupo altro modo per trattenerla, ma appena compì il primo passo, lo sentì bofonchiare un'ultima volta.
«Beh, secondo me succederà qualcosa. Me lo dice l'olfatto!»
E, senza farsi vedere, si morse le labbra. Forse un fondo di verità, nelle battute di Eike, c'era.


 

Arwen sembrò stupirsi nel vedere la sorella varcare la soglia della caffetteria. Da quando Josh era stato medicato e riportato nella sua camera, Aralyn non aveva fatto altro che stare con lui, assicurandosi che si rimettesse il prima possibile – una sorta di gesto caritatevole nei confronti di colui che si era ferito nel tentativo di proteggerla.
L'albino attese pazientemente al proprio tavolo, continuando a sorseggiare la propria tisana dalla tazza che teneva in mano. Studiò ogni gesto della sorella, fino al momento in cui non gli fu abbastanza vicina e, a quel punto, le fece notare qualcosa che lei sembrò non gradire: «Hai le guance rosse».
La lupa storse le labbra, mettendosi a sedere con una certa riluttanza, quasi le sue parole avessero sortito l'effetto di un repellente. Che fosse ancora arrabbiata con lui? Due giorni erano più che sufficienti per sbollire, quindi perché ostinarsi a quel modo? Non avevano certo discusso in chissà quale modo violento, dopotutto.
«Eike si diverte a mettermi in imbarazzo» rispose la lupa senza mai guardarlo in faccia, ma piuttosto allungando la mano e attendendo che gli venisse passata la tazza, come sempre quando se ne stavano vicini. L'Alpha non si fece pregare, ormai abituato a quel giocoso gesto che li accompagnava da quando ne aveva memoria e che, nel tempo, era diventata un'azione più intima e ricca di significati segreti.
«E cosa ti avrebbe detto di tanto sconvolgente?» le domandò lasciando la presa sulla ceramica calda.
Aralyn a quel punto si decise a lanciargli uno sguardo fugace, in parte tagliente ed in parte preoccupato: «Solite battute da "maschio"» gli rispose senza andare nel dettaglio e prendendo un lungo sorso di infuso alle erbe, quasi tagliando la testa al discorso.
Arwen la fissò compiere quel gesto, sperando che una volta finito d'ingurgitare la bevanda, sua sorella, riprendesse più nel dettaglio la narrazione – cosa che però non accadde. Come se nulla fosse, la ragazza cambiò completamente l'argomento della conversazione: «Josh ha ripreso i sensi, sai?» la vide nuovamente allontanare lo sguardo, questa volta in direzione degli addobbi addossati in un angolo - segno inconfondibile dell'imminente arrivo della cerimonia per il ragazzo. Per quale ragione però, la lupa sedutagli davanti, stava evitando qualsiasi tipo di contatto mentre parlavano? Gli stava forse nascondendo qualcosa? No, impossibile. Il suo braccio destro, sangue del suo sangue, non avrebbe mai potuto tenergli segreto qualcosa, soprattutto visti gli ultimi avvenimenti.
Con una mano, l'Alpha si ravvivò una ciocca: «Gli hai già dato la bella notizia?»
«Sì»
«E...»
Lei si morse le labbra, visibilmente occupata a soppesare i pensieri. Non era più convinta di far entrare il suo "salvatore" nel clan? Sperò che non fosse quello il motivo di tanta preoccupazione, dopotutto era stata lei ad insistere, a convincerlo che fosse la cosa giusta da fare. Non poteva certo fargli rimangiare l'offerta!
«Era ancora un po' frastornato, non credo abbia recepito bene il messaggio» riuscì a farle dire dopo alcuni secondi.
Fu inevitabile per l'uomo, a quel punto, corrugare le sopracciglia in segno di confusione. Sua sorella non sembrava essere entusiasta, men che meno, dal suo resoconto, sembrava esserlo Josh. Cosa ci poteva essere, di più gratificante, dell'entrare nel branco che si era scelto? Per lui nulla, ma forse per un Solitario le cose erano ben diverse.
Sorridendole, il fratello si riprese la tazza: «L'importante è che sia ciò che vuole. Se sceglie noi, ci sceglie per sempre» le ricordò, poggiando le labbra nello stesso punto in cui le aveva messe lei e bevendo.

 

*
Yaga
Ciao a tutti e ben approdati sul 29° capitolo! Seppur lentamente (ma mai quanto prima) ecco che arrivano gli aggiornamenti.
Cosa ve ne pare della storia so far? E dei cambiamenti apportati? Vorrei davvero poter sentire la vostra opinione a riguardo, ma soprattutto sapere cosa vi aspettate che accadda in seguito.
Spero di aggiornare presto, intanto vi saluto e v'invito a fare un giro anche sulle altre storie presenti sul mio profilo.

 

 
 

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Capitolo 31
*** Sconvolgenti Verità ***




30. Sconvolgenti Verità
 

Joseph sospirò, nuovamente deluso dall'assenza di Aralyn al suo capezzale. Non la vedeva da quasi due giorni e la cosa aveva iniziato ad infastidirlo più del dovuto. Era sparita nel nulla, lasciandolo solo con se stesso e gli eco di ciò che si erano detti.
Nel mentre, il medico gli aveva dato il permesso di riprendere a camminare e fare tutto ciò che aveva sempre fatto, mettendo in evidenza il suo recupero repentino: il trauma cranico sembrava essere ormai un ricordo, così come i lividi fantasmi.

Mise il piede sul pavimento del piano terra, concludendo la discesa lungo i gradini e, nello stesso istante, una folata di profumo lo colpì con una certa prepotenza, dandogli alla testa. Istintivamente s'immaginò di voltare il capo e trovarsi di fronte alla persona che più di tutti, in quel branco, desiderava incontrare, ma quando lo fece, la delusione ebbe la meglio.
«Finalmente ti rivedo su due zampe!» scherzò malamente Arwen, appoggiandogli una mano sulla spalla in segno di saluto: «Come stai, amico mio?»
Joseph rimase interdetto alcuni istanti, non riuscendo a capire per quale motivo l'odore di Aralyn provenisse in modo così pungente dalla figura dell'Alpha. Possibile che fosse il suo maglione a sapere di lei?


Involontariamente, nel petto del ragazzo si gonfiò un fastidioso senso di gelosia, come se quel tipo gli avesse portato via qualcosa che lui aveva ambito per lungo tempo. Non riusciva a controllarsi come avrebbe voluto, anche se era conscio di quanto fosse sbagliato provare simili sensazioni nei confronti di due soggetti che avrebbe solo dovuto voler vedere morti.
Con una certa riluttanza provò a tendere un sorriso: «Non posso lamentarmi» gli rispose mettendosi in movimento – era sceso per andare a fare colazione e non avrebbe lasciato che Arwen, con quel sentore appiccicato addosso, gli impedisse di riempirsi lo stomaco. 

Lo sguardo del capobranco si addolcì e, senza essere invitato, si mise a seguire il Purosangue in direzione della caffetteria. 
«Sai, stavo giusto venendo da te» disse l'albino, sorridendo in quel suo modo tanto lieve quanto ambiguo.
L'espressione del Menalcan si riempì di stupore ed il cuore gli si strinse lentamente nel petto. Seppur senza motivo, si ritrovò a pregare che non fosse trapelata una qualche informazione compromettente, che Dominik, attraverso la sua capoclan, non avesse deciso di giocare sporco e mettere Arwen al corrente della sua vera identità.

«Volevo assicurarmi che fossi pronto per l'iniziazione al clan. Ormai la Luna Nuova è in procinto di farsi vedere in cielo e questo è sicuramente il momento migliore per festeggiare l'arrivo di un nuovo fratello. Inoltre...» l'Alpha si guardò attorno, cercando di trovare le parole giuste per proseguire. Sembrava essere particolarmente teso, cosa inusuale per un tipo del suo calibro, ma alla fine riuscì a sbloccare la lingua: «Grazie. Senza il tuo intervento Aralyn non sarebbe qui, ora. È tutto ciò che ho e l'idea di perderla mi manda nel panico» la presa sul cuore del Nobile si fece tanto forte che temette di sentirselo schizzare in gola pur di non venir schiacciato: non riusciva a credere alle proprie orecchie. Sì, lo stava ringraziando per ciò che aveva fatto, ma allo stesso tempo stava ammettendo di essere in qualche modo legato alla ragazza, quella stessa lupa che aveva iniziato ad ammaliarlo con tanta maestria.
«E' il minimo. Insomma, era evidente che non le piacesse essere avvinghiata a quel tipo» si morse la lingua, provando a fingersi indifferente a tutta la questione.

Arwen gli fece segno con la mano di seguirlo: il discorso si stava facendo fin troppo delicato per poterlo continuare lì, in mezzo a tutti. 
C'impiegò un po' prima di riprendere la conversazione, lo fece solo quando furono al di fuori della Tana – la colazione poteva quindi dirsi andata in fumo.

«L'ha toccata? Intendo dire, le ha fatto del male?»
«No, non credo. Si è solo divertito a farle temere il peggio» stava mentendo, incomprensibilmente geloso di quella sera, del modo in cui si era sentito e di come lei lo aveva guardato. All'interno del locale, seppur controvoglia, non era stato capace di far uscire dal proprio campo visivo la ragazza - nemmeno per qualche secondo. Aveva avuto paura di perderla, di scoprirla tra le braccia di qualcuno che non avrebbe saputo desiderarla nella giusta maniera; e in quel seguirla a distanza aveva potuto vedere come il segugio di Ophelia le si era avvicinato, l'aveva sfiorata pericolosamente - ed era stato incontrollabile, a quel punto, pensare che se quel tizio le avesse torto anche solo un capello gli sarebbe saltato al collo, ignorando la presenza di tutti quegli umani.
Con la coda dell'occhio Joseph notò il modo in cui gli incisivi dell'Alpha si andarono a conficcare nelle labbra: «Avrei dovuto esserci io...» lo sentì mugolare rabbiosamente.
«Sinceramente non vedo per quale ragione tu ti debba colpevolizzare. Sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento»
«Forse,» l'albino sollevò un angolo della bocca: «ma il me di un tempo avrebbe sicuramente cercato d'impedirlo. O di non dar la possibilità a Dominik di fare una cosa del genere in futuro».
Fu a quel punto che il Purosangue, quasi senza rendersene conto, fece l'ennesimo commento scocciato, ben mirato ad un unico argomento: «Cosa non faremmo per le femmine che desideriamo...» potevano dirgli qualsiasi sciocchezza, ma non avrebbe mai smesso di credere che loro avessero in ballo qualcosa di più profondo di un semplice rapporto d'amicizia. Di tutta risposta, Arwen scoppiò in una fragorosa risata. Si portò una mano al viso, coprendosi la bocca per tentare di contenere l'ilarità che il commento dell'altro aveva creato.
Joseph si ritrovò sconvolto dalla reazione del nemico. Per quale ragione ogni volta che faceva allusioni di quel tipo si ritrovava ad avere a che fare con situazioni del genere? Non stava certo dicendo stupidaggini!

L'Alpha si fermò d'un colpo, costringendo il Menalcan a voltarsi per continuare a mantenere un contatto visivo. 
«Lei non è la mia compagna, Josh» disse il capoclan smettendo di sghignazzare: «Ci sono innumerevoli ragioni per cui non può esserlo, prima tra tutte il fatto che siamo parenti» concluse con una naturalezza che, improvvisamente, congelò il sangue nelle vene del ragazzo. Per un attimo temette di avere delle allucinazioni uditive, di aver capito male, ma quando Arwen riprese il discorso, fu certo delle proprie orecchie.
«Forse nel mio caso è meglio chiedersi cosa non si farebbe, per il sangue del proprio sangue».

 

_____________
Yaga's Space
Ed ecco che con questo colpo di scena si conclude il capitolo - ve lo sareste mai aspettato? Joseph ora sa che tra Arwen, il suo più acerrimo nemico, e Aralyn, quella che pare essere sempre più la sua crush, non c'è alcuna relazione amorosa (si fa per dire) ma una relazione di parentela. Come reagirà alla notizia? Gli darà peso? Chissà!

Intanto mi auguro che i capitoli revisionati siano di vostro gradimento.
Ci vediamo la prossima settimana con l'aggiornamento seguente. Buon week-end a tutti
:D

 

 

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Capitolo 32
*** Parte del loro mondo ***




30. Parte del loro Mondo
 

Joseph alzò gli occhi, posandoli sull'enorme porta della caffetteria. C'erano mille motivi per cui era sbagliato trovarsi lì e prendere parte a un rituale come quello, ma per riuscire a riportare onore al suo clan era disposto a tutto, anche a nuotare contro corrente e infrangere la morale che gli avevano sempre imposto di rispettare.
Fernando gli mise una mano sulla spalla, riportandolo alla realtà: «Ricordati una cosa» gli disse sorridendo, «usque ad finem».
Joseph corrugò la fronte, trovando quella frase estremamente peculiare: «Come?» 
«Fino alla fine. È ciò che farai per questo branco, sarà la tua promessa di lealtà. L'abbiamo fatta tutti prima di te» il sorriso che gli riservò parve la cosa più familiare che il ragazzo potesse incontrare in una simile situazione. Nemmeno la prima volta che aveva preso parte a quell'evento era accaduto; Kyle lo aveva fissato con il suo solito fare distaccato, augurandogli "buona fortuna" con un semplice cenno del capo e poi, una volta conclusa la cerimonia, gli si era affiancato per una stretta di mano. Tutt'altro mondo rispetto a ciò che sembrava aspettarlo al di là delle due ante in legno e vetro.

L'Impuro afferrò entrambe le maniglie: «Pronto o meno, è giunta l'ora» e così dicendo spinse, spalancando i battenti su una sala gremita di licantropi addossati gli uni agli altri in due ali. Ognuno di loro voleva essere in prima fila, assistere senza ostacoli alla cerimonia. Fu come trovarsi su un palco e dover proporre la propria recita personale, sapendo però che solo l'improvvisazione avrebbe saputo salvare la performance.

Al centro della scena, vestito leggero, Arwen se ne stava immobile ad aspettarlo al pari di un boia e, a quella vista, lo stomaco di Joseph diede l'impressione di doversi rigirare su se stesso. Possibile che persino nelle occasioni più innocue quell'albino riuscisse ad apparire tanto minaccioso? 
Alla sinistra dell'Alpha se ne stava Garrel, scuro in viso quanto nell'abbigliamento e dal lato opposto, più incantevole che mai, c'era lei. Per la prima volta il fiato del Purosangue si mozzò per la sorpresa, tanto piacevole quanto inaspettata: se quella era davvero Aralyn non poteva credere ai suoi occhi. 
Per lunghissimi istanti rimase imbambolato a fissarla, incapace di staccarle lo sguardo di dosso. Nel suo vestito color sangue sembrava essere una sorta di vestale della guerra – l'apoteosi per una belva al pari dei licantropi.

Fernando, rimasto accanto all'entrata, tossì lievemente cercando di ridestarlo dall'ipnosi provocatagli dalla visione della ragazza. Il Purosangue sobbalzò, scoprendosi del tutto perso in quella situazione. Per quale ragione non riusciva a restar lucido?
Fece un mezzo cenno con il capo per ringraziare l'uomo e poi, cercando di farsi coraggio, prese a camminare lungo il corridoio creato dalle due ali di persone. Le decine di occhi che sentiva su di sé parvero pesare come macigni, schiacciarlo a terra con l'intento di punirlo; sì, perché stava compiendo un gesto terribile – anche se era l'unico, lì dentro, ad esserne a conoscenza.

Più si avvicinava al patibolo su cui Arwen ed i suoi uomini più fidati lo stavano attendendo, più fece fatica a trattenere lo sguardo davanti a sé. Ogni passo portava con sempre maggiore intensità il profumo di Aralyn alle sue narici e, sotto alle vesti con cui si era presentata quella sera, diventava per lui ancora più complicato restare concentrato.
Resisti, si rimproverò. Non era lì né per il rituale né per lei, quindi non poteva farsi distrarre da simili sciocchezze – tutto ciò che stava facendo, si dovette ricordare ancora una volta, era per il suo clan, quello vero.

Joseph arrivò a ridosso dell'Alpha Impuro e, a quel punto, i muscoli gli si tesero con una tale intensità da fargli male. Se quell'uomo avesse avuto la terribile idea di trasformare la cerimonia in un massacro, a quella distanza, lui non sarebbe riuscito a fuggire. 
«Josh McRae,» iniziò a gran voce Arwen, richiamando il silenzio collettivo. Lo stomaco fece una nuova capriola su se stesso. 
«sei giunto a noi da poco, ma hai saputo farti valere in fretta. Hai dimostrato coraggio e abilità combattive, forza di volontà e mente fredda. E questo branco premia simili abilità» un brusio leggero serpeggiò intorno a loro, dando una sorta di consenso nei confronti di quelle parole. Il ragazzo avrebbe voluto voltarsi, guardare i visi di chi si era espresso a riguardo: nel suo clan non era mai stato possibile esprimere alcun giudizio fino alla fine del rituale – che un lupo fosse ben visto o meno, doveva restare un'opinione personale e segreta.
«Questa sera, con la benedizione di Mànagarmr, noi festeggiamo la Luna Nuova e te, che ti voti a noi».
Con la coda dell'occhio Joseph vide Garrel allontanarsi dal fianco del suo capobranco, passargli accanto, superarlo e mettersi poi dietro alla sua schiena; ne sentì la presenza con inquietante prepotenza, temendo il peggio. Senza preavviso gli mise le immense mani sulle spalle, bloccandolo. Se avesse voluto fuggire, non ne avrebbe avuto modo. Involontariamente la mente andò ad immaginare mille terribili scenari, in cui, ogni volta, lui si ritrovava a terra morente.
Seppur la cerimonia avesse un fine ultimo uguale per tutti i clan, la procedura che conduceva ad esso era ben diversa da quella a cui lui era sempre stato abituato.
Il cuore prese a corrergli veloce nel petto.
Morte, ecco cosa lo stava aspettando di lì a poco e, per un attimo, ebbe persino l'istinto di ribellarsi, cercare di sfuggire dalla presa dell'omaccione dietro di lui e aggredire Arwen, ma si trattenne.
«Bevi il sangue del Dio Lupo, del Padre che ci ha dato la vita» che con il tempo, sapeva bene, tutti i branchi lo avevano sostituito con del vino invecchiato e aromatizzato da erbe di varia natura – alle volte persino velenose.
Aralyn, munita di un calice dall'aspetto rovinato, si avvicinò a lui portandogli l'intruglio, prendendo il posto del consanguineo e posizionandosi difronte all'iniziato. A quel punto, fu impossibile per Joseph non guardarla – e lo fece come se l'incontrasse per la primissima volta.

Al posto di concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto fare, rimase fisso sul viso di lei – sui suoi occhi dorati, le guance appena arrossate e le bellissime labbra increspate. L'istinto dell'animale in lui s'agitò, chiedendogli disperatamente di toccare quella creatura.
Possibile che fosse solo un effetto collaterale della Luna Nuova?
Fece per aprir bocca e salutarla, completamente incurante della situazione in cui si trovava, ma lei lo precedette, alzando il calice tanto da frapporlo tra i loro sguardi.

«Concentrati» la sentì sussurrare a fil di voce, in modo che nessun orecchio potesse udire il rimprovero. E Joseph ci provò veramente ad ascoltarla – anche se avrebbe preferito tener gli occhi su altro.
La ragazza gli appoggiò il bordo del calice alle labbra e abbozzando un sorriso lo invitò a bere ciò che vi era all'interno. L'odore del vino lo stordì, ma mai quanto il sapore che, pizzicandogli la gola, gli fece dubitare della natura della sua composizione.
Non si trattava di semplice succo d'uva fermentato con erbe, c'era qualcos'altro al suo interno – un sapore familiare eppure sconosciuto che, inesorabilmente, il suo inconscio collegò al sangue.

Aralyn gli allontanò la bevanda da sotto al naso, abbozzando un sorriso comprensivo, poi si volse verso Arwen e compì gli stessi gesti che aveva riservato a lui; a differenza sua però, l'Alpha non parve soffrire affatto il saporaccio dell'intruglio e, quando ebbe finito, gli si avvicinò tanto da poggiare la propria fronte su quella del ragazzo.
«Luna inserviendum vocati sumus» gli occhi del capoclan a quella distanza sembrarono più vivi del solito, brucianti persino. Joseph sentì il loro calore scottargli il viso e non poté non notare quanto, effettivamente, fossero simili a quelli di lei. La parentela tra loro pareva essere sempre più evidente, ora che gli era stata fatta notare.
La voce dell'Alpha lo riportò con l'attenzione sul presente: «nos, sic faciemus: et sic terra filiorum agens illam de potestate nobis in perpetuum».
Il Purosangue ci mise alcuni istanti prima di riconoscere il giuramento alla causa del Duca e, mentre Arwen glielo ripeteva a ridosso del viso, lui si sentì sporco dentro. Seppur non realmente, stava per ripudiare le sue origini, per allontanarsi simbolicamente dal clan che gli aveva dato la vita.

Deglutì, lottando contro ciò che doveva fare e ciò che era giusto – ma troppa esitazione, constatò da sé, avrebbe dato la possibilità all'albino di scorgere nel suo sguardo i dubbi, la convinzione latente. Erano solo tre parole, nulla più: quale difficoltà doveva esserci, quindi?
E proprio mentre si poneva quella domanda, gli occhi si mossero verso Aralyn, spezzando il legame con l'Alpha.
Concentrati, gli saltò alla mente.
Sì, doveva concentrarsi sia sul momento che stava vivendo, sia sul fine ultimo che l'aveva spinto così lontano: sull'onore che doveva essere ristabilito e la vendetta che doveva portare a compimento. E così le parole uscirono: «Usque ad finem».

Il corpo del capoclan si staccò dal suo, alzando un braccio verso il cielo e dando conferma del compimento della cerimonia. Nulla era riuscito a rovinare il momento. Un boato gioioso riempì la sala, seguito dal rumore di piedi sbattuti sul pavimento tremolante della caffetteria. Il clan lo stava accettando, i nemici lo avevano accolto tra le loro braccia – e questa volta sul serio, niente avrebbe più potuto spingerlo lontano dal fianco di Arwen Calhum.

Questi gli sorrise, felice quanto i suoi licantropi di averlo ora all'interno della sua enorme famiglia. Con una mano, la stessa che sotto forma di zampa aveva dilaniato decine di nemici, l'Alpha gli afferrò la nuca poco sopra al coppino, portandosi la sua fronte ancora più vicina e compiendo così un gesto che al ragazzo parve fraterno, molto più di quelli che Gabriel gli avesse mai dedicato.

«Benvenuto, fratello» e così dicendo, diede via aifesteggiamenti.

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Capitolo 33
*** Parte del loro mondo (parte 2) ***


31. Parte del loro mondo (parte 2)
 

Joseph si abbandonò senza particolari freni ai festeggiamenti, passando ore a bere e scherzare con tutti. L'euforia di essere finalmente entrato a far parte delle grazie del clan nemico gli diede alla testa, facendogli completamente dimenticare il contesto reale. Passò così da un rintocco all'altro, fin quando il bisogno di prendere aria non si fece impellente: la temperatura nella sala era aumentata con l'aumentare dell'alcol all'interno degli stomaci.
Barcollando lievemente il ragazzo si fece strada lungo i corridoi della Tana, arrivando così fino al portico, dove l'aria gelida gli pizzicò le guance e provò a farlo rinsanire appena. L'Inverno stava ormai prendendo piede in tutta Europa, soprattutto lì.
Con un movimento istintivo s'infilò una mano nei pantaloni, estraendo il pacchetto malandato di sigarette – persino quel freddo non avrebbe dato tregua al suo vizio.
«Il festeggiato non dovrebbe assentarsi, son tutti qui per lui»
Probabilmente per via dell'alcol, Joseph non si accorse di una presenza alle sue spalle. Sussultò appena, voltandosi con sguardo grande di stupore, che si fece ancora maggiore quando riconobbe l'interlocutore nella penombra.
Aralyn piegò la testa da un lato, abbozzando un sorriso in segno di saluto.
Per qualche istante il Purosangue restò immobile, completamente ammaliato dalla figura accostata alla porta. Erano nuovamente ad un passo l'uno dall'altra, come durante la cerimonia, ma a differenza di quel momento non c'era più nessuno ad ostacolare una conversazione o un contatto di qualsiasi tipo.
Senza rendersene conto le sorrise di rimando, felice di vederla spuntare lì – e fu in quell'istante di totale contemplazione che, finalmente, si rese conto di un dettaglio a cui fino ad allora non aveva dato importanza: gli occhi.
Sia il taglio che il colore erano identici a quelli di Arwen, tanto simili d'apparire quasi identici. Il fiato a quel punto gli si mozzò in gola. Quale legame di parentela poteva creare una somiglianza del genere? Solo uno, lo stesso che accumunava Gabriel e lui.
Quella consapevolezza fu fastidiosa come ricevere uno schiaffo in pieno viso, secco e doloroso al pari di poche altre cose. Possibile che una simile ovvietà non gli fosse mai saltata alla mente? Era stato davvero così cieco da non notare nulla fino a quel momento?
«S-stai bene Josh?» la ragazza si chiuse nelle spalle, incrociando le braccia al petto per trattenere il calore e il disagio che d'un tratto la dovevano aver assalita, forse notando il deflusso di sangue che aveva colpito il viso di lui.
Stava bene? No, affatto.
Si sentiva un idiota, un completo imbecille. In quasi due mesi di permanenza in quel postaccio non aveva fatto altro che aggirarsi per il clan con enormi fette di salame messe sugli occhi, in modo da impedirgli di notare anche le cose più ovvie.
Un conato di vomito parve volerlo cogliere di sorpresa.
Provava schifo per sé stesso, per aver pensato che tra lei e suo fratello potesse esserci del tenero, per aver desiderato non un'Impura qualsiasi, ma bensì la sorella del suo più grande nemico.
Svelto si portò una mano alla bocca e vedendo Aralyn muoversi in suo soccorso cercò di recuperare un po' di ritegno, fermandola con l'altro palmo: «Sì. Sì, devo aver bevuto un po' troppo e a stomaco vuoto» mentì spudoratamente, voltandosi per prendere aria e allontanare gli occhi dalla figura di lei. Fece il più lungo dei respiri che avesse preso quella sera, provando a ritrovare la calma che d'un tratto aveva cercato di sfuggirgli dalle dita e, nel farlo, socchiuse gli occhi.
Tutto ciò però non parve fermare la lupa che, in meno di alcuni istanti, gli fu alle spalle, sfiorando con la punta dei polpastrelli il suo bicipite. Fu un tocco lieve, eppure Joseph fremette. Una scossa gli attraversò la pelle del braccio, percorrendo le linee d'inchiostro come strade verso il suo petto.
«E il freddo non è certo un amico in queste situazioni» gli fece notare, spostandosi con il busto in modo da guardarlo dritto in viso. Il purosangue avrebbe voluto distogliere lo sguardo da quello di lei, ma gli fu impossibile; la malia delle sue dita su di lui non gli permise di far nulla, se non annullare i pensieri che l'avevano sopraffatto poco prima.
Lo schifo nei confronti di Aralyn divenne sempre più tenue.
La ragazza abbozzò un sorriso: «Inoltre quella sottospecie di pozione ha la mistica capacità di ribaltare gli stomaci!» Il modo in cui provò a scherzare con lui fu di un'innocenza quasi irreale e, come uno schiocco di dita, annullò completamente le sensazioni di ribrezzo.
«Allora non è solo un mio problema...»
«No, tranquillo! Io vomitai l'anima all'indomani della cerimonia» lei rise ancora, stavolta allontanando la mano da lui e mettendosi a scrutare l'orizzonte che avevano difronte.
Joseph fece per aprir bocca, quando una folata d'aria gli solleticò nuovamente le narici, portando con sé un odore fin troppo minaccioso e familiare. I muscoli gli si tesero involontariamente e, con la coda dell'occhio, gli parve di notare una reazione simile anche da parte della ragazza.
Erano stati colti in flagrante nel bel mezzo di una chiacchierata "privata",dettaglio che certamente non avrebbe del tutto fatto piacere alla persona alle loro spalle. Uscendo dall'ombra, Arwen fece la sua comparsa, lanciando nella loro direzione uno sguardo indagatore.
Senza pronunziare mezza parole si affiancò alla sorella, cingendola con fare protettivo – fu impossibile per il Purosangue non far saltare gli occhi da un viso all'altro, accomunando i tratti. Erano fin troppo simili sotto alla luce tenue della luna, forse troppo, e il ragazzo dovette trattenersi dal volgere il viso, infastidito.
Schiarendosi la voce, l'Alpha parve farsi prepotentemente spazio tra di loro: «Mi spiace interrompere, ma credo che sia il caso che Aralyn rientri» lo sguardo passò da Joseph alla testa di lei, mentre una mano le risalì la pelle del braccio provando a scaldarla, «Con tutta quest'aria e la poca stoffa che hai indosso ti prenderai un malanno» fece infine, invitandola con una leggera pressione a seguirlo dentro. Fu in quell'istante che il giovane Menalcan si sentì realmente minacciato da entrambi, tanto uniti, apprensivi e gelosi da poter diventare un pericolo per i suoi piani. 

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Capitolo 34
*** Stessi occhi dorati ***




Same Golden Eyes

Le mani di suo fratello le si erano strette così tanto intorno al corpo d'averle fatto temere il peggio e, una volta arrivata in camera, pregò davanti allo specchio di non avere lividi nascosti sotto al vestito.
Seppur Arwen potesse sembrare innocuo ad occhi esterni, celava dentro di sé una forza e una rabbia che pochi avrebbero potuto affrontare – lei compresa.
Slacciò il fiocco dietro al collo e lasciò scivolare la stoffa lungo i fianchi.
Respirò piano prima di guardare il proprio riflesso, poi, con sguardo scrupoloso, cercò un qualsiasi segno scuro sulla pelle. Sapeva di essere delicata, ma sperò di non esserlo fino a quel punto.
Si girò e rigirò di fronte alla lastra riflettente e dopo alcuni lunghissimi secondi, aguzzando per bene la vista, notò una piccola macchia violacea all'altezza dell'anca, sull'osso più sporgente. Davvero le dita di Arwen erano arrivate fin lì?
Socchiuse appena le palpebre pigiandoci il polpastrello sopra e sentendo una piccola fitta di dolore allargarsi nella carne. Voleva essere certa di non star sognando, perché suo fratello negli ultimi anni non si era mai spinto così in là da lasciarle un segno; solitamente si limitava alle minacce o a qualche punizione leggera, giusto per farle capire che lui era il leader, mentre lei una sottoposta.
Si morse il labbro, continuando a fissare la macchietta grande quanto un centesimo e poi, rassegnata all'idea di averla addosso, si lasciò scivolare sul materasso, unico amico in quel momento.
Possibile che suo fratello fosse veramente geloso di Josh? Non avevano ancora finito di bisticciare per colpa sua?
Eppure, conscia di quell'ipotesi, non poté impedirsi di sorridere. Era lusingata dal fatto che Arwen si sentisse minacciato, in particolar modo perché raramente il suo sesto senso sbagliava – forse Josh aveva realmente preso a fissarla con interesse! Quale donna non si sarebbe sentita soddisfatta di una simile cosa? In fin dei conti si trattava pur sempre di un ragazzo bellissimo, un licantropo aitante e un maschio dall'innegabile charme.
Le guance presero lentamente a farle male, così provò a togliersi il sorriso dalle labbra, anche se le risultò più difficile del previsto. Fu certa, mentre si tirava il piumino al viso, che quella notte i suoi sogni sarebbero stati caldi e accoglienti come mai in quell'ultima settimana e tutto, per merito della persona che meno si sarebbe aspettata.

Aralyn l'indomani si era svegliata di buon grado, aveva partecipato alle attività di gruppo e persino al brunch organizzato in onore del nuovo membro del clan, il tutto senza mai lamentarsi o smettere di avere quel mezzo sorriso felice stampato in...       

Aralyn l'indomani si era svegliata di buon grado, aveva partecipato alle attività di gruppo e persino al brunch organizzato in onore del nuovo membro del clan, il tutto senza mai lamentarsi o smettere di avere quel mezzo sorriso felice stampato in viso. Non avrebbe saputo spiegarselo, ma si sentiva inspiegabilmente bene. 
Passo dopo passo si fece strada verso la propria stanza, salutando ogni singolo compagno presente. Regalò parole gentili a tutti, fin quando non arrivò a ridosso della porta e, a quel punto, rimase sconcertata. La sua avanzata si arrestò di colpo nell'istante in cui con gli occhi incrociò la figura di Josh, appoggiata infondo al corridoio in una posa d'attesa.
Fu una specie di visione che fece perdere il ritmo al cuore, spaesandola.
Nonostante l'aspetto scombinato a causa del sonno appena interrotto, ebbe su di lei uno strano ascendente, lo stesso che l'aveva assalita la sera precedente, quando lo aveva visto varcare la soglia della caffetteria.
Dal punto in cui se ne stava, Josh abbozzò un mezzo sorriso in segno di saluto, che lei ricambiò, avvicinandosi ancora di qualche metro: «Buongiorno anche a te» gli disse, abbassando la maniglia con l'intendo di entrare e chiudere così la conversazione. Se lui era lì, non era certo per incontrare lei.
Fece per attraversare la soglia quando, d'improvviso,sentì la mano di lui stringersi intorno al suo polso e spingerla con foga all'interno della stanza. Aralyn nemmeno riuscì a mettere a fuoco la situazione, ritrovandosi in balìa della forza di lui – avrebbe dovuto ribellarsi, lo sapeva bene, eppure il suo corpo non volle agire: possibile che l'istinto non la stesse soccorrendo?
In men che non si dica si ritrovò schiacciata contro la parete della propria stanza, il suono della serratura che si andava chiudendo nelle orecchie. Che fare?
Strinse le palpebre temendo il peggio, ma subito venne ammonita da Joseph, che ora le appariva come un possibile aggressore.
«No, no... non ti faccio nulla» le sussurrò. La sua voce apparve più calma di quanto la ragazza si sarebbe immaginata e, così, provò a sbirciare oltre le ciglia. Ciò che si ritrovò davanti fu il suo viso, estremamente vicino – tanto che scorgere tutte le screziature delle sue iridi fu semplicissimo. Il gioco di pagliuzze chiare e scure la stregò per alcuni istanti, tempo in cui si scordò completamente di essere schiacciata contro il muro e con i polsi bloccati.
«C-che vuoi fare?» gli domandò a fil di labbra, senza realmente rendersene conto. La stretta sui polsi si fece meno rigida e persino lo sguardo si addolcì:Joseph apparve poco convinto delle proprie azioni.
«Te l'ho detto, nulla. Avevo un dubbio e ora sono riuscito a metterlo a tacere».
Aralyn corrugò le sopracciglia.
«Quale era?» domandò, irrigidendosi nelle sue mani che, probabilmente percependo quella reazione, si staccarono del tutto da lei, tornando lungo i fianchi. D'un tratto tutta la paura che l'aveva assalita scomparve, lasciandola piuttosto piena di preoccupazione e incertezza.
Josh scrollò le spalle e volse lo sguardo, facendo inutilmente finta di non dare importanza alla motivazione che l'aveva spinto fin lì, nelle stanze di lei.
La mente della ragazza iniziò a ripercorrere a ritroso alcuni degli eventi che in quell'ultimo mese avevano coinvolto entrambi: domande, indagini, sguardi – e alla fine riuscì a trovare una risposta tanto valida da giustificare ogni cosa.
Muovendo un passo verso di lui, Aralyn si rese conto di quanto avesse cercato di tener nascosto quel dettaglio, di quanto poco si fidasse del nuovo arrivato da non aver ancora permesso a nessuno di dire ad alta voce la verità. Così,sarebbe toccato a lei: «Fratelli» disse secca, mordendosi subito dopo il labbro.
Le sopracciglia di Josh si alzarono. Chissà cosa lo stava stupendo, in quella rivelazione.
«Noi siamo fratelli, di sangue. Entrambi ci chiamiamo Calhum» ripeté, provando di essere più chiara.
«Avrei dovuto capirlo» ammise l'altro mordendosi il labbro inferiore, quasi fosse deluso. E la lupa non poté impedirsi di trovare quel gesto estremamente ammaliante. Un brivido le percorse la schiena e l'animale in lei provò a muoversi in direzioni che Aralyn non si sarebbe mai concessa il lusso di seguire, perora.
Il ragazzo scosse la testa, dandole le spalle ed iniziando a muoversi per i dieci metri quadrati della stanza: «Il modo in cui vi parlate nonostante lui sia l'Alpha, la gelosia reciproca, quegli sguardi...»
«Di che sguardi stai parlando?» La giovane sussultò. Possibile che persino dopo quella rivelazione sospettasse ancora di una relazione tra di loro? No, non poteva assolutamente permettergli di credere una simile cosa. Se i suoi sospetti fossero usciti dalle mura di quella stanza avrebbe messo in pericolo entrambi, sia lei, sia Arwen.
Era assolutamente necessario mettere a tacere quelle fantasie – in qualsiasi modo.
«Quelli "guai a chi me lo tocca"!» rise Josh, tornando nuovamente a fissarla.Sul suo viso non vi era altra traccia se non quella della comprensione, quasi sapesse di cosa stesse parlando.
Un peso enorme le si levò dal petto.
«Io non lo guardo a quel modo!»
Lui allargò il sorriso, sempre più divertito: «Sì che lo fai! Ma non devivergognarti, anche io ero così da bambino. Poi, a differenza tua, ho capito cheavevo a che fare con un emerito idiota» confessò, parlando di sé con piùnaturalezza di quanto avesse mai fatto negli ultimi tempi.
«Hai un fratello? E'... è umano?» Aralyn percepì la curiosità saltarle alla gola,smuovendo maggiormente ciò che già pareva essere irrequieto dentro di lei.
Josh per un attimo rimase interdetto, quasi quella domanda l'avesse colto alla sprovvista. Possibile che non si fosse accorto di averle svelato quel particolare?
«Sì... l-lui è umano, per questo ho troncato i rapporti»
«Capisco... è sempre dura abbandonare i propri cari» provò a consolarlo, certa che il discorso non dovesse per nulla piacere all'interlocutore.
Josh si passò la lingua sulle labbra, sorridendo nuovamente. Si fece vicino,passo dopo passo, inebriandola con il suo profumo selvaggio e, quando lei si sentì sopraffare dalla cosa, schiuse appena le labbra, certa che da un momento all'altro la situazione potesse prendere la classica "piega" da film – peccato solo che il ragazzo accanto a lei abbassò la maniglia.
«Disse la licantropa il cui fratello è a capo del clan» e così sussurrando,sparì oltre la soglia.
Davvero aveva creduto che potesse succedere qualcosa, tra loro?    

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Capitolo 35
*** Impossibile resistere ***




33. Impossibile resistere

Il corpo iniziò a fargli male. I muscoli erano tesi da troppo tempo e respingevano l'energumeno che aveva di fronte con tutta la resistenza che potevano vantare. 
All'ennesimo contraccolpo, gli venne naturale pensare che Garrel, in fin dei conti, si stesse divertendo a dargli contro in quel modo e senza sosta. D'un tratto, Joseph però lo vide arretrare e, pensando che stesse per dargli tregua, abbassò la guardia nel tentativo di concedersi un respiro di sollievo – eppure non ne ebbe tempo. 

Alle spalle dell'omaccione, un lupo dai toni caldi balzò da un masso sul campo d'allenamento, ringhiandogli contro con fare intimidatorio.

Aralyn, sussurrò il suo inconscio. Perché nonostante l'alto numero di esemplari come lei nel clan, il suo profumo era diventato inconfondibile, così come le pepite che si ritrovava al posto degli occhi.

Prima ancora che potesse mettersi in guardia, o capire cosa stesse succedendo, il Nobile la vide abbassare il corpo in segno di sfida.  Lo fissava con una scintilla febbrile nello sguardo, quasi fosse pronta a ucciderlo da un momento all'altro.
Non molto lontano dal punto in cui si trovavano, la risata di Garrel si levò verso di loro: «E' più feroce di quel che sembra, moccioso. Vado a bere, non farti ammazzare in mia assenza» disse poi, cercando inutilmente di distrarlo dalla fatica. Joseph lo guardò corrugando le sopracciglia, incapace di capire se il suo fosse un avvertimento reale o semplicemente un altro tentativo di prenderlo in giro - perché quel tipo aveva dimostrato a più riprese d'aver la battuta facile.
Aralyn ringhiò con più insistenza, riportando così la sua attenzione su di lei. Nonostante fosse piccola e poco minacciosa, proprio come Garrel aveva detto non essere, riuscì ad apparirgli perfetta nel ruolo di cacciatrice pronta ad avventarsi sulla preda; e infatti, gli fu addosso in pochi secondi, senza alcun tipo di preavviso, cercando con le fauci di azzannargli il polpaccio e metterlo k.o. prima ancora che se ne potesse rendere conto. 
Stanco per l'allenamento fatto fino a quel momento, il suo corpo reagì più lentamente di quanto avrebbe voluto. Il Purosangue, nonostante lo sventato attacco, si ritrovò ad avvertire sulla pelle della gamba il respiro bollente di lei e, di fronte a quella minaccia, fece ciò che non aveva ancora pensato di fare: correre. Così, ancora sotto lo sguardo vigile dell'altro maschio, Joseph si diede alla fuga.
Era sfiancato, certo, mentre lei era tanto fresca da non sentire nemmeno in parte la sua stessa fatica, quindi l'unico modo che aveva per cercare di sfiancarla, era una lunga corsa su e giù per il bosco – a occhio e croce, sia nella forma umana, sia in quella ferina, Aralyn non doveva vantare una buona resistenza nelle gambe; il suo corpo parlava più di quanto facesse lei. Per l'esperienza di Joseph, quelli con il fisico della lupa alle sue calcagna erano più abili negli attacchi veloci e feroci che in quelli lunghi e costanti: eppure, più si sforzava di mettere distanza tra di loro, più il giovane Menalcan avvertiva nei timpani il suono delle falcate dell'animale. Di quel passo quanto c'avrebbe messo a raggiungerlo?
Schivò tronchi abbattuti e cercò di mantenere l'equilibrio lungo le discese del terreno scosceso, ma lei non pareva per nulla faticare a seguirlo, anzi, con le sue quattro zampe era in grado di accorciare sempre più lo spazio tra le sue fauci e le gambe di lui.
Sentendosi eccessivamente minacciato, con un balzo il ragazzo si diede la spinta necessaria per agevolare la mutazione del proprio corpo umano in quello del lupo che era in realtà, mostrando, al pubblico silente composto d'alberi, quanto fosse facile per lui cambiare aspetto – esattamente come qualsiasi Nobile degno di nota.

Ora che fuggiva ad armi pari da Aralyn, gli sembrò di riuscire a muoversi con più facilità e scaltrezza. 

Nelle orecchie, i passi di lei si fecero sempre più lontani: che la sua tecnica stesse funzionando? Forse stava realmente riuscendo a batterla sul suo stesso terreno. 
Animato da quel pensiero, corse a perdifiato ancora per qualche minuto e quando gli parve che intorno a sé non vi fosse più alcuna presenza, Joseph iniziò a rallentare.
Tra le betulle bianche circondate dalle foglie autunnali, il figlio di Douglas non scorse nulla, se non la fauna addormentata del bosco.
Le sue zampe si fermarono, mentre i sensi si misero sempre più in allerta. Dentro di sé, una strana gioia iniziò a smuoversi: aveva dato filo da torcere alla sorella dell'Alpha, anzi, di Arwen, che erano ancora più soddisfacente – quindi battere i suoi bracci destri era possibile, pensò.
Così, perso a compiacersi di quel successo, abbassò le difese e non si rese conto dell'animale che, nascosto dietro ad un cespuglio, si scagliò su di lui con l'intento di atterrarlo.
Aralyn gli si fiondò addosso con tutta la furia di cui era capace e lui, vista la stanchezza che ormai aveva preso possesso del suo corpo, non riuscì né a schivare, né a evitare l'impatto. Uno contro l'altra, ruzzolarono per alcuni metri in mezzo al fogliame, fin quando un tronco non arrestò la loro corsa. 
Joseph colpì il fianco, sentì l'impatto con chiarezza, eppure non riuscì a provare alcun dolore perché troppo concentrato su altro. Mentre rotolavano, avvinghiati tra loro, la sorpresa lasciò il posto a qualcosa che gli riempì il corpo, dallo stomaco al centro del petto – e mentre la sua figura riprendeva le sembianze umane, si rese conto che si trattava di una risata irrefrenabile, sincera e del tutto inaspettata. 
Pian piano, durante il ritorno alla sua forma quotidiana, la pelle di Joseph venne solleticata dal pelo morbido di lei. Ne sentiva la consistenza intorno all'ombelico, altro fattore che, in tutto quel contesto, gl'impedì di trattenere il sorriso.
Sapeva di doversi fermare, ma non ci riuscì, riempiendo l'aria del suo timbro roco e profondo, eppure giocoso. Per la prima volta da anni, persino ancor prima di decidere di dedicarsi a quella missione suicida, si sentì leggero, privo di preoccupazioni o responsabilità. In qualche strano modo, avrebbe potuto dire di sentirsi libero.

Lentamente, forse molto più di quanto avesse fatto lui, anche la ragazza si decise di riprendere la sua forma antropomorfa.

«Si può sapere che hai?» Aralyn gli picchiò amichevolmente un pugno sul petto, incapace però di restare del tutto seria di fronte allo spettacolo di lui completamente in balìa del buonumore.
Joseph si sforzò d'aprire gli occhi nonostante le lacrime dovute all'incontenibile ilarità; gli veniva impossibile placare la propria reazione a tutto ciò.
Nonostante gli ostacoli però, riuscì a guardarla dritta in viso, incrociando lo sguardo con la sua chioma arruffata, gli occhi dorati e le guance arrossate per via dello sforzo. Era lì, sopra di lui e del tutto confusa – ed era bellissima. Per un solo istante, quella visione fece perdere consistenza alla realtà che lo circondava, rendendolo capace d'avvertire solo la sua presenza: come poteva quella tizia sembrargli tanto speciale? Cosa gli aveva fatto, una sorta di malia?
Al cospetto di quei dubbi, si convinse di dover interrompere il flusso di pensieri, così si mise le mani sugli occhi, mettendo una barriera temporanea tra di loro.

«Dannazione! Non mi divertivo così da anni» confessò, mentre la risata andava scemando e la sensazione del corpo di lei sopra al suo si faceva più nitida. Era calda, soffice e meno leggera di quanto si fosse sempre immaginato, eppure perfetta nel suo insieme, anche al di là dei palmi premuti sulle palpebre.
«Josh!» chiamandolo, la licantropa gli afferrò i polsi, costringendolo a spostare le mani: «Guarda che non stiamo giocando» gli fece presente, sorridendo con una naturalezza che al ragazzo parve indescrivibile. Quante volte l'aveva vista fare un'espressione del genere? Meno di quanto gli sarebbe piaciuto, visto il modo in cui le s'illuminava lo sguardo.
«Ah si? Eppure, mi pari divertita quanto me!» sfruttando le proprie abilità da lottatore torse le braccia, riuscendo così a liberarsi e invertire giocosamente i ruoli. Ora erano i polsi di lei a essere tornati nelle sue mani, esattamente come pochi giorni prima e, proprio come in quell'occasione, gli parvero incredibilmente fragili, al pari di giunchi.
Agitandosi, Aralyn provò inutilmente a liberarsi, finendo però con l'incitare maggiormente il ragazzo a proseguire lo scherzo. Con un colpo di reni, la tirò a terra accanto a sé. 
Distesi sul fianco, entrambi si lasciarono nuovamente andare a un'ondata di risate, quasi fossero bambini alle prese con i giochi d'infanzia. Erano in totale balìa della situazione, discostati in modo netto dalla realtà: lo sentiva lui, quanto pareva lei. A differenza di un simile momento però, Joseph si rese improvvisamente conto di una cosa: se ne stavano praticamente incollati l'una all'altro, completamente nudi dopo la mutazione. Conscio di ciò, avvertì il cuore accelerare e gli occhi scendere dapprima lungo il collo di lei, soffermarsi sulle clavicole sporgenti e riprendere la corsa verso il seno, coperto solo parzialmente dalle braccia. La pelle diafana di quella ragazza divenne una specie di Santo Graal capace di catturare ogni sorta di sua cellula. Era totalmente affascinato da ciò che di lei ancora non aveva visto, ma immaginato in silenzio ogni volta che gli si era presentata l'occasione.
A quel punto, forse rendendosi conto di dove si fossero soffermati gli occhi del Menalcan, il respirò di lei si mozzò e le attenzioni di Joseph tornarono vigili sul suo viso, in modo da notare ogni minimo cambiamento del suo stato d'animo. Fu a quel punto che il controllo del Purosangue andò del tutto perso, forse a causa dell'intensità con cui lo stava osservando, o forse semplicemente per via dell'eccessiva vicinanza. 
Un istinto involontario e primordiale gli montò in corpo e, senza rendersene conto, il figlio di Douglas finì con il tirarla a sé, facendo sì che le loro labbra s'incontrassero quasi a metà strada. Si premette a lei con un impeto che mai si sarebbe aspettato, schiudendo la bocca in sincrono con quella di Aralyn.

La stava baciando, si rese conto.
Stava compiendo il peggior tradimento che la sua famiglia avesse mai potuto concepire; perché lei era sbagliata, impura, una nemica e soprattutto la sorella di Arwen Calhum – ma nonostante questo, il fulcro del suo interesse dal primo giorno in cui l'aveva incontrata al Naucht Taufel.

Joseph si rimproverò di ogni slancio con cui la sua bocca s'impadroniva di quella di lei, ma nonostante questo non trovò mai la forza di smettere. Fu come se avesse da sempre aspettato quel momento; come se il primo, vero bacio lo stesse dando per la prima volta alla ragazza che stringeva ora a sé.
Il corpo della licantropa, premuto in parte contro il suo, s'irrigidì inaspettatamente, quasi d'improvviso avesse paura di ciò che stava succedendo tra loro: ma come poteva reagire così di fronte a qualcosa del genere? Non sentiva anche lei il desiderio di baciarlo, sfiorarlo o fare qualsiasi altra cosa che potesse avvicinarli maggiormente?

Lui sì, ogni istante sempre più.

«Josh...» la sentì mugolare tra un bacio e quello successivo. Lo stava chiamando, forse voleva dirgli qualcosa, ma a lui non interessava nulla che non fossero la sua bocca o il suo calore.
«Josh... ti prego!» facendo leva sui polsi che lui ancora teneva stretti, Aralyn si allontanò di colpo strisciando il fianco sul terreno secco. Aveva gli occhi grandi di spavento, le guance rosse e le labbra gonfie dopo i vari baci e, di fronte a quella vista, il Purosangue si sentì salire il cuore in gola: cosa aveva fatto?
Inorridito da ciò che nemmeno lui sapeva identificare, mollò la presa su di lei, liberandola definitivamente. Aveva esagerato, si disse, eppure non aveva fatto altro che guidare i movimenti di entrambe le bocche. Forse con quell'impeto l'aveva spaventata, oppure aveva affrettato troppo i tempi. Magari non si era accorto di aver stretto troppo la presa, o invece l'aveva spaesata la sua passione; non seppe dare una definizione o un'identità alla possibile minaccia che la giovane aveva visto in lui, in quello che stavano facendo.

La ragazza si mise velocemente in piedi, coprendosi le nudità alla bene e meglio con le braccia e guardandosi spaesata intorno, probabilmente cercando di orientarsi per fuggire via.

Nemmeno qualche minuto e Aralyn finalmente sembrò riconoscere la via di casa, così a passi svelti si mosse in quella direzione, del tutto incurante di chi si stava lasciando dietro.  

Che diamine le stava prendendo? E cosa era preso a lui?
In un attimo, addirittura senza riflettere sui propri gesti, il Nobile le fu al seguito con il chiaro intento d'impedirle di andar via senza chiarire la situazione in cui erano finiti: «Ara... Aralyn, aspetta!» quasi la supplicò, esitando giusto qualche istante prima d'accorciare la distanza che lei stava provando a mettere.

«Cosa?!» sbraitò la ragazza lanciandogli uno sguardo assassino. 
No, non sembrava per nulla intenzionata a farsi fermare.
«Io...» Joseph si morse le labbra, le stesse che avevano ancora il sapore di lei sopra: «io mi sono lasciato trascinare! Pensavo lo volessi anche tu» ed era proprio così: tutto ciò gli era passato realmente nella testa nel giro di pochissimi istanti. Aveva creduto di percepire qualcosa da lei, di sentirla reagire ai suoi stessi istinti e desideri. Era stata una sensazione viscerale, natagli nel profondo ventre e cresciuta in tutto il petto come un boato.
«Tu non ne avevi alcun diritto! Non puoi... non puoi fare tutto ciò che ti passa per la testa»
«Perché no?» le chiese, spalancando le braccia. Avrebbe davvero voluto entrarle nella testa, sentire ogni suo singolo pensiero e capire cosa fosse andato storto in tutta quella circostanza, eppure si dovette accontentare d'attendere una risposta, se mai gliel'avesse data.

La ragazza fermò la propria corsa: «Di te nemmeno mi fido!» ammise, sempre più rossa in viso e con gli occhi ricolmi di preoccupazione.

Joseph rimase impietrito. Innanzi a sé aveva la prima ragazza che lo avesse mai respinto, ma che lui aveva pian piano iniziato a desiderare e, come se ciò non fosse stato abbastanza, pur ignara di chi fosse realmente, era stata capace di rivangare limiti che lui pareva aver del tutto scordato.

Già, perché in fin dei conti lei era il nemico.  
 


 

Yaga's:

E dopo ben 33 capitoli siamo giunti al momento che tutti stavano aspettando \(ò.ò)/ : 
Il bacio tra i due protagonisti!

Lo so, ormai era diventato una sorta di chimera per voi lettori, eppure eccolo! Tanto agognato quanto insoddisfacente, no? Vi sareste mai aspettati una simile reazione da Aralyn?

In generale mi piacerebbe sapere la vostra opinione a riguardo, anche perché ho cercato (come in altri capitoli precedentemente) di restare abbastanza soft e realista al contempo - vi giuro che nella versione originale era un aggiornamento da bollino rosso!

Le cose, ad ogni modo, per i nostri lupacchiotti si stanno complicando e ancora non siamo al clou della narrazione.
Vi aspetto quindi al prossimo aggiornamento e nei commenti, 

bye!

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Capitolo 36
*** Nuovamente in gioco ***




35. Back in the Game

Rimase immobile al tavolo della caffetteria per un tempo che smise presto di tenere. Con i capelli ancora umidi e un paio di stracci messi addosso per non prendere troppo freddo, si guardava attorno in cerca di una qualsiasi cosa abbastanza interessante da tenergli impegnata la mente, perché Aralyn, con il suo rifiuto, l'aveva prosciugato di tutto.
Non aveva né voglia di tornare ad allenarsi, né di mettersi a chiacchierare con qualcuno – fosse stato per lui, si sarebbe dato solo all'inspirare ed espirare nicotina, peccato che i pacchetti rimastegli a disposizione fossero insufficienti per dargli pace.

Quella tipa lo aveva stravolto sotto ogni punto di vista. Le aveva permesso di ghermirlo con il suo profumo e d'incantarlo con i suoi sorrisi esplosi all'improvviso, asservendolo a quella che aveva tutto l'aspetto di essere un'infatuazione. Eppure, Aralyn era e restava il nemico. Era e sarebbe sempre stata l'altra metà di Arwen, il licantropo che aveva giurato di uccidere ben dieci anni prima e che si era ostinato a odiare perché, in fin dei conti, era giusto così.

D'un tratto si prese il viso tra le mani, sospirando.
Da quando aveva messo piede nella Tana, ogni cosa era andata allo sfacelo, lui per primo. Seppur stesse faticando ad ammetterlo, i mannari del Nord avevano in parte corroso il ferro dell'armatura che gli era stato insegnato di dover sempre indossare. Con lui, nonostante alle volte fossero stati sospettosi, si erano sempre comportati con un'umanità che gli era parsa eccessiva per via dell'educazione a cui era stato sottoposto, ma che invece in un luogo del genere aveva preso lo strano retrogusto del concetto di "famiglia" – eppure Joseph sapeva bene a chi doveva la propria lealtà e appartenenza. 
I licantropi di Arwen lo stavano lentamente, ma soprattutto involontariamente, allontanando dal suo obbiettivo ultimo, il tutto, semplicemente restando se stessi – un'immagine che ben si discostava dall'idea che gli era sempre stata dettata da Douglas, Gabriel o qualsiasi altro lupo del casato Menalcan.
Capiva per quale ragione fossero nemici, capiva benissimo molte cose, ma non certo perché fosse così difficile portare a termine, senza porsi scrupoli, la propria missione e, men che meno, continuare a detestarli.

Un moto di rabbia iniziò a farsi largo in mezzo alla frustrazione che lo aveva perseguitato dal momento in cui Aralyn era sparita tra il fogliame del bosco. La sentiva crescere sempre più, alimentata da ogni singolo pensiero che gli sfiorava la mente.
Si rese conto di desiderare di colpire il tavolo con entrambe le mani, sentire il dolore pungente attraversargli i palmi. Avrebbe voluto ribaltare il legno e mettersi a sbraitare contro tutto ciò che di quel posto aveva iniziato ad apprezzare, ma si trattenne; già di per sé aveva addosso abbastanza sguardi del clan.

Fece per alzarsi, nel tentativo di mettere a tacere quell'impeto con l'ennesima sigaretta della giornata, ma appena scollò il sedere dalla panca, Hugo ed Eike fecero la loro comparsa.
Uno gli si sedette di fronte, mostrando un immenso sorriso, l'altro lo affiancò, bloccandogli la via d'uscita: «Perché mai dovrebbe farlo?» gli sentì poi chiedere al gemello.
Se Joseph avesse potuto, si sarebbe concesso uno sbuffo: ecco che il piano che aveva ideato doveva essere rimandato!

«Ti sto solo dicendo che li ho visti, non che ci sia sotto qualcosa» Hugo si sporse appena, esasperato dall'insistenza del fratello.
L'altro allargò le mani: «Arwen non fa mai nulla senza un motivo! Potrebbe dirtelo anche Josh, che è qui da soli due mesi» e d'improvviso, il Purosangue venne tirato in mezzo alla discussione.
Colto di sorpresa, batté più volte le palpebre, provando a capire per quale ragione anche lui dovesse partecipare alla conversazione.
«Come?»

Il gemello sedutogli davanti sorrise nuovamente: «Lascialo perdere, mio fratello straparla» punzecchiò poi, spostando lo sguardo su quello che sembrava essere la sua fotocopia che, di tutto punto, sbatté le mani sulla panca, visibilmente offeso.
«Ma sei scemo? Io non straparlo! Dico solo che se Arwen ha ripreso ad allenare personalmente sua sorella è perché c'è qualcosa sotto»

A quelle parole, una scintilla scoppiò nel petto del Menalcan e la sua attenzione per il discorso fu totale. Ora, qualsiasi cosa avesse in programma, poteva tranquillamente attendere.
«Arwen sta allenando Aralyn?» domandò, forse usando più impeto di quanto avesse previsto.
I due licantropi seduti con lui si scambiarono qualche occhiata complice, quasi avessero scorto, nella sua reazione, qualcosa che nemmeno lui sarebbe riuscito realmente a identificare. Curiosità? Stupore? Gelosia? Qualsiasi cosa fosse, ad ogni modo, stava avendo la meglio sul suo buon senso.

«Sì, beh... vuole essere certo di mandarla in battaglia al meglio, suppongo» Eike scrollò le spalle, spostando lo sguardo intorno a sé, prima sulla tazza di latte, poi sulle proprie mani e infine sull'amico, sempre più agitato.
La stava preparando per cosa, esattamente? Erano già entrati in casa Menalcan, il Pugnale era stato rubato, quindi quale altra follia aveva in mente il più grande dei Calhum? E per quale ragione, tra tutti i suoi sottoposti, era proprio sua sorella quella che stava allenando?
Si morse con forza la lingua, sicuro che stesse per fare l'ennesima mossa rischiosa, ma non si fermò, non poteva impedirsi di scoprire di più su di loro. Inoltre, le informazioni che i gemelli avrebbero potuto dargli sarebbero, forse, state in parte capaci di riempire il vuoto che Aralyn aveva creato tra di loro solo quella mattina.
«C'è in vista qualche guaio?»
Hugo scosse la testa, così come il fratello: «Per quel che ne sappiamo, no, e di solito siamo abbastanza aggiornati a riguardo»
«E allora per cosa la prepara?»

Prima che uno dei due interlocutori riuscisse a rispondere però, un chiacchiericcio più animato si levò alle loro spalle, interrompendoli. Joseph vide i loro occhi spostarsi in direzione dell'ingresso e, seppur riluttante all'idea di dover aspettare ancora per poter ricevere la sua risposta, ne seguì a sua volta la traiettoria.

All'inizio faticò a distinguere l'oggetto di tanto interesse, ma poi, aguzzando la vista, si accorse di una chioma nivea e, al suo fianco, Aralyn. Come sempre Arwen aveva catturato l'attenzione generale, ma non la sua che, invece, fu totalmente rapita da sua sorella. La guardò con tutta l'intensità di cui era capace, sperando di riuscire a incrociare i suoi occhi anche solo per un istante – per sentirla vicina, per creare un legame di qualsiasi tipo, ma lei non cedette nemmeno per un momento.
 

Ovunque si girasse, andasse, o in qualsiasi stanza cercasse di nascondersi, Aralyn si sentiva addosso una preoccupazione impossibile da far sparire. Seppur avesse messo un freno a Josh, non poteva negarsi di aver tratto un incontenibile piacere da quel bacio, ma cosa sarebbe potuto succedere se Arwen l'avesse scoperto?
Dopo le mille scenate che lei stessa gli aveva fatto, era finita con il comportarsi esattamente come lui – anzi, peggio. Se suo fratello aveva dormito con una donna solo per mettere a tacere i desideri animali, lei aveva ceduto alle labbra di quel tipo perché, infondo, lo aveva voluto. In qualche modo non si era riuscita a controllare, aveva ceduto a un istinto viscerale.

Provando ad allontanare quei pensieri, si concesse un profondo respiro, girando subito dopo la pagina del giornale che stava fingendo di leggere da quasi mezz'ora. Se ne era stata lì a fissare lo stesso titolo per tutto il tempo, ma nemmeno per un istante era riuscita a prestargli reale attenzione. Nella sua testa, oltre il timore che suo fratello potesse sospettare qualcosa che nemmeno lei riusciva a definire con precisione, c'erano ancora gli scomodi pensieri che riguardavano Josh e, come se tutto ciò non bastasse, la stanchezza dovuta ai nuovi allenamenti a cui l'Alpha la stava sottoponendo ultimamente, gli stessi che le avevano regalato decine di nuovi lividi, come quello sullo zigomo che, per errore, sfiorò. La stilettata di dolore la fece sussultare, allontanando in fretta la mano dal viso; ormai nemmeno sapeva più quale parte del suo corpo non dolesse. Carne e spirito, entrambi sofferenti dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni – sia positivi, sia negativi.
Fece per concedersi un nuovo sospiro quando, il cuscino del divano su cui era seduta, nel centro esatto del salotto comune, si piegò sotto a un peso indesiderato.
Aralyn quasi sussultò. Si era concentrata tanto sui propri pensieri da estraniarsi totalmente dalla realtà, non solo dall'articolo del giornale.
Svelta volse la testa di lato e, ancor più spaesata, si rese conto di essere ora alla totale mercé del capoclan. Arwen le si era seduto accanto con il chiaro intento di far conversazione, cosa che invece lei avrebbe tranquillamente evitato per lungo tempo – quantomeno fin quando il sapore di Josh non si fosse levato dalle sue papille gustative.
L'albino allungò una mano verso la guancia di lei, passando con dolcezza i polpastrelli sull'area dell'ematoma: «Forse ho esagerato a torchiarti a questo modo» ammise, studiando nei minimi dettagli i bordi viola.
Aralyn lo lasciò fare, temendo che, allontanando in qualsiasi modo il viso, potesse dargli l'occasione d'insospettirsi – cosa che al momento avrebbe voluto evitare.
Inumidendosi le labbra provò poi a tendere un sorriso: «Hai fatto di peggio» scherzò, facendo di tutto per non incrociare lo sguardo di lui; temeva che l'arguzia di suo fratello potesse trovare indizi in ogni suo movimento.

«Vuoi dirmi che sono così cattivo?» la risata di Arwen le riempì le orecchie, rilassando in parte i nervi. Il fatto che fosse di buon umore, cosa rara, avrebbe potuto salvarla da un ipotetico interrogatorio a cui non era ancora pronta a rispondere.
«Diciamo che sai come farti odiare!»
Il capoclan alzò le sopracciglia, sorpreso dalla risposta. Con un'espressione a metà tra l'orgoglioso e lo stupito si guardò attorno, forse cercando di capire se qualcuno avesse udito il commento della sorella e stesse sghignazzando sotto ai baffi.
Compiendo un movimento del tutto inaspettato le cinse il collo con un braccio, tirandosela vicino – forse troppo per gli standard a cui erano abituati in quegli ultimi anni. Il cuore di Aralyn perse un colpo per poi mettersi a correre all'impazzata: e se qualcuno li avesse visti? E se uno dei suoi confratelli avesse iniziato a sospettare del loro legame? Eppure, l'unica a essere preoccupata sembrava lei. L'Alpha rideva e l'abbracciava con una naturalezza ben diversa dal solito, forse incurante del fatto che si trovassero alla mercé di tutti gli occhi del branco.
«Ah, sì? È questo ciò che pensi di me?» le domandò, con un inspiegabile tono alto. Lei strabuzzò gli occhi sempre più perplessa, ma prima che potesse chiedergli spiegazioni, udì a ridosso dell'orecchio un sussurro: «O hai altri modi, per definirmi?» La malizia nella voce dell'uomo fu tanto evidente che Aralyn per un istante non finì con l'ingozzarsi con la propria saliva. Tossì più e più volte, avvertendo l'inevitabile arrossarsi delle guance. Aveva davvero sfidato il proprio pudore per farle una battuta del genere?

 

Il capoclan prese a batterle sulla schiena: «Mi servi viva, sai? Ho news» fece tra un colpo e l'altro. 
«C-che?»

Arwen si sfilò dalla tasca posteriore dei jeans un foglio, che le mise svelto tra le mani, senza aspettare che i tossiti smettessero. Con un dito le indicò il punto esatto in cui riversare l'attenzione: «E' dal Duca, vedi?»
Lei annuì, facendo scorrere lo sguardo da una parola all'altra.

«I Menalcan sembrano essersi acquietati, ma dubitiamo entrambi che sia realmente così. Douglas non lascerebbe mai il Pugnale in mano nemica. Sta progettando qualcosa, una vendetta degna degli annali del Concilio e...» l'albino s'interruppe giusto il tempo per trovare la riga in cui s'iniziava a parlare di un'altra questione, poi riprese: «Ophelia sta tentando di aprire dei negoziati con il Duca. Vuole il potere, come tutti quegli schifosi Nobili... è per questo che ti ha fatta scovare da Dominik» al solo sentir pronunciare quel nome, un brivido gelido corse lungo la schiena della giovane, freddandole il sangue. Aveva scelto lei di partecipare al furto e quelle erano tutte le conseguenze che si sarebbe dovuta aspettare – gliel'aveva detto persino suo fratello quando, del tutto agitato all'idea di poterla perdere per sempre, le aveva proposto di prendere parte a quella folle missione.


«Hai un piano, vero?» si sentì uscire con un tremolio dalle labbra. Sapeva a cosa stesse andando incontro restando lì, guidando la squadra d'élite che Arwen stesso aveva formato negli anni, eppure per la prima volta in settimane ebbe paura del futuro.
Tutte le scelte che aveva preso negli anni l'avevano condotta in quel punto preciso, trasformandola nel bersaglio di tutti i nemici del clan e del suo Alpha. E se per lungo tempo era vissuta nella convinzione che tutto ciò fosse giusto, dovuto, soprattutto all'uomo di cui si era innamorata e che aveva il suo stesso sangue, ora non lo era più. Adesso c'era altro a mettere in discussione ogni certezza. 
Il capoclan si passò un pollice sul labbro, soppesando la situazione – doveva per forza avere un piano, pensò speranzosa Aralyn mordendosi il labbro. Se persino suo fratello non aveva idea di che fare, allora poteva sul serio iniziare a temere per se stessa.

«Sarebbe l'ennesima missione suicida, per te...»
La ragazza iniziò a sentir tremare anche le mani, così le allontanò dagli occhi del fratello: «Cosa mi ucciderebbe più velocemente? Ophelia Sinclair e Douglas Menalcan che cercano il Pugnale qui, o buttarmi in un altro sporco lavoro?»
Arwen tacque, valutando le parole della sorella; il peso che lei si sentiva gravare addosso doveva essere lo stesso che avvertiva lui – in fin dei conti entrambi si erano trovati nelle medesime condizioni, solo in momenti differenti.
«Non c'è nulla di poco rischioso, qui. Ogni giorno ha il sapore dell'ultimo»
«Allora meglio pensare a cosa nuocerebbe meno al clan. Dimmi della missione»
Il cuore ormai le stava pompando con talmente tanta forza nel petto che desiderò poterselo strappare e lanciarlo lontano. Una ragazza di ventitré anni non avrebbe dovuto prendere simili scelte, ma purtroppo un licantropo sì.

Suo fratello esitò. Il turbamento che aveva in viso parlava più di quanto avesse fatto lui.
«Ara...»
«Per favore» lo interruppe la ragazza, prendendosi il volto tra le mani e portandosi poi indietro i capelli: «Non voglio rimuginare sulle decisioni che prendo, quindi tu non invogliarmi a farlo. Ti ho chiesto della missione, parlami di quella nel modo più oggettivo possibile. Non ti ho rifiutato nulla fino a oggi, non lo farò adesso»
L'Alpha si staccò da lei, chinandosi in avanti con il busto. Aveva smesso di guardarla in viso, ma nel modo in cui i tendini delle mani presero a guizzare sotto la pelle, Aralyn capì cosa stesse pensando. Dopo tutto quel tempo aveva imparato a conoscerlo e, i discorsi che le aveva fatto prima di una qualsiasi missione, ormai li sapeva a memoria.
«Vorrei concordare uno scambio, con il Duca. Daremo a lui il Pugnale» il toc di una nocchia scoccata fece sussultare la lupa che, però, rimase in ascolto: «All'inizio pensavo fosse una buona mossa tenerlo con noi, qui alla Tana, ma adesso mi rendo conto che di questo passo avremmo alle calcagna troppi clan e... non siamo pronti per affrontare simili minacce. Lo abbiamo rubato per lui, quindi sarà a lui che lo daremo»
«Si tratterà di una consegna?»
Arwen sospirò: «Sì, pensavo a qualcosa del genere. Devo ancora parlarne nei dettagli al Duca, trovare un compromesso... qualcosa. Sarai alla completa mercé dei nemici, sappilo»
Tutti sarebbero potuti essere possibili candidati per quel viaggio, ma solo pochi avevano realmente le abilità per portare a termine il piano ideato dall'uomo sedutole accanto – e tra le scelte a disposizione c'era anche lei.
Aralyn sorrise nervosa, andando ad appoggiare la testa sulla spalla del fratello: «Non sarà la prima volta... inoltre, sono certa che saprai portarmi in salvo come sempre».

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Capitolo 37
*** Mi piaci ***




Mi piaci

Joseph socchiuse gli occhi, mentre lentamente lasciava uscire dalle labbra il fumo bianco della sigaretta. Era il primo momento di totale pace e solitudine che si concedeva in giorni, perché alla fine, aveva deciso di scaricare le proprie preoccupazioni, ma soprattutto ire, nell'allenamento – con chi, in quei giorni, era stato relativo.
Stare nelle mura della Tana era diventato impossibile, ovunque si girasse incontrava la schiena di lei, oppure il suo profumo o, ancora, voci che ricordavano la sua; insomma, persino la stanza che gli era stata assegnata aveva preso la connotazione di prigione.

Si raddrizzò contro la parete, passandosi poi la lingua sui canini affilati e chiedendosi se, prima o poi, sarebbe riuscito a togliersi dalla mente tutta quella baraonda di pensieri. Da quando, il figlio di Douglas Menalcan, si perdeva via con una femmina bastarda? Per quale ragione Aralyn si era presa tutti gli spazi della sua mente? Insomma! Aveva una missione da portare a termine, non poteva concedersi il lusso di una cotta, men che meno di quella.

Con un gesto di stizza buttò il mozzicone oltre il parapetto della finestra. Più ci rimuginava sopra, meno ne veniva a capo, soprattutto visto che mai prima gli era capitato di non riuscire a scrollarsi un pensiero o una persona dalla mente.

Doveva uscire da lì, dal covo dei nemici. Doveva cambiare aria, non vederla, sentirla nominare o udire la sua voce. Aveva assoluto bisogno di ritrovare un po' se stesso, Joseph, non Josh.
Forse, se avesse scovato i gemelli, Fernando, Marion o qualsiasi altro lupo a cui era concesso usare le automobili, avrebbe potuto fuggir via da quel posto per qualche ora – possibilità remota, certo, ma comunque reale.
Armandosi della felpa più pesante che aveva portato con sé, si lanciò fuori dalla stanza con il chiaro intento di placcare Hugo ed Eike. Quasi corse lungo il corridoio che portava alle scale e, una volta lì, fece i gradini a due a due, provando a velocizzare maggiormente la ricerca dei licantropi crucchi.
Arrivato alla base della rampa si sporse verso il piccolo salottino d'ingresso e, preso del tutto alla sprovvista, bloccò la propria corsa.
Non aveva fatto i conti con la possibilità che, in quella spasmodica ricerca, avrebbe potuto finire con l'imbattersi proprio nell'oggetto di tanto turbamento, così quando accadde, lo stupore fu totale. Aralyn se ne stava tranquillamente seduta sul divano in pelle, persa ad osservare qualcosa d'incomprensibile sullo schermo di uno smartphone. Ogni tanto i suoi occhi si fermavano per poi illuminarsi, scorgere un dettaglio che, Joseph si rese conto, voler conoscere a propria volta.
Così, senza alcuna cognizione di ciò che stava facendo, si avvicinò a lei, ignaro di quale reazione avrebbe potuto generare. Sarebbe stato il loro primo incontro solitario dopo il bacio nel bosco, il loro primo scambio di parole in giorni, eppure non temette a fatto l'arrivo di quell'istante.

Le arrivò tanto vicino che, quando lei se ne rese conto, per poco non le sfuggì di mano il cellulare a causa del sussulto. La ragazza batté più volte le palpebre, senza sapere esattamente che fare o dire, ma poi, probabilmente conscia del fatto che non sarebbe più potuta scappar via, tirò un sorriso a labbra strette: «Ehi» salutò con un filo di voce e lui rispose nello stesso modo, restando in attesa – di cosa però, ancora non lo sapeva.

«Ha-hai bisogno di qualcosa Josh?»
Oh, sì! Aveva bisogno di entrarle nella testa e capire cosa vi frullasse all'interno. Aveva bisogno che lei gli dicesse se il suo rifiuto era totale o solo dettato dal momento.
«Potremmo parlare, non pensi?»
Le guance di lei sì arrossarono appena, rendendola più dolce di quello che era nel suo ordinario e facendo chiaramente capire al Purosangue dove i pensieri le fossero caduti.

«Non del clan, immagino...»
Lui scosse piano la testa, infilando le mani in tasca: «No, infatti. Abbiamo qualcosa in sospeso, tu e io... vorrei far chiarezza» le confessò, più per poterla aver vicino, per stare del tempo con lei, che per altro.

Aralyn si morse il labbro, valutando la proposta e, nel compiere quel gesto, Joseph avvertì il desiderio di sostituire gli incisivi di lei con i propri. Era stato fin troppo piacevole baciarla e afferrarle quelle linee rosse, morbide e umide al punto giusto, e ogni gesto che involontariamente lei compiva, coinvolgendole, suscitava in lui ulteriore desiderio.

«Sì, credo sia giusto, però... che ne pensi se non lo facessimo qui? Sai... preferirei evitare interruzioni»

Il Purosangue si guardò attorno, scrutando tutti i presenti. Effettivamente, la Tana era il posto peggiore per affrontare una conversazione come quella, soprattutto con la minaccia di Garrel e Arwen a mettere tensione tra loro.
«Se è questo che vuoi, okay. A me interessa solo mettere in chiaro le cose»
«Perfetto. Prendo le chiavi del suv, dammi un attimo»
Era uscito dalla stanza per andare via da quel posto, per scordarsi di Aralyn per qualche ora e, invece, aveva finito con il fuggire per un tempo indefinito al fianco di lei. Cosa era andato storto, esattamente?
Fu così che, nemmeno mezz'ora dopo, si ritrovò in una tavola calda dai divanetti logori e l'odore di fritto a impregnare ogni angolo.
Joseph storse più volte il naso, per nulla certo che quel posto fosse adeguato al tipo di conversazione che avrebbero dovuto avere.
Seduta di fronte a lui, intanto, l'Impura aveva preso a massacrare una bustina di zucchero al pari di un antistress – certamente nemmeno lei si sarebbe potuta definire a proprio agio lì, inoltre la cameriera che aveva preso il loro ordine non pareva intenzionata a far ritorno dalla cucina.

Il Purosangue scosse la testa, facendo un sorriso nervoso: «Hai davvero una strana concezione di posto tranquillo» le fece notare, lanciando nel mentre qualche sguardo divertito agli strambi soggetti presenti attorno a loro.

Gli occhi di lei si mossero nella sua stessa direzione, indagando lo spazio.

«Quindi? Chi inizia?» 
Aralyn si morse le labbra, riportando lo sguardo sul tavolo: «Perché lo hai fatto?» domandò, senza mai osservarlo in viso. Per quale ragione lo stava evitando persino ora che erano soli?
Era interesse d'entrambi mettere in chiaro la situazione e, sicuramente, un contatto visivo avrebbe aiutato – però non poteva costringerla a guardarlo, se non era ciò che voleva.

«Perché un ragazzo bacia una ragazza? Dovresti saperlo alla tua età» cercò di schernirla, perché in quelle settimane aveva imparato che solo a quel modo avrebbe ottenuto la sua attenzione, cosa che al momento pareva essere di solo dominio della bustina di zucchero.
La ragazza continuò imperterrita a torturare la carta e a quel punto, forse in parte infastidito, Joseph la bloccò con una mano. Appoggiò le proprie dita su quelle di lei, facendole mollare la presa sul trastullo che si era trovata. Aralyn sussultò sotto al suo tocco, allontanandosi svelta. Forse le cose non sarebbero andate come sperato dal Nobile.
«Scemo! Intendo dire... perché io? E perché mi vuoi mettere nei casini? Oltre ad aver quasi lasciato sfuggire un nemico e avermi tirata in mezzo, ti stai mettendo contro Arwen, provandoci con me. Sono sua sorella, te ne rendi conto?» fece una pausa, osservandolo per la prima volta da quando erano saliti in auto per raggiungere quel posto. L'ansia nella sua espressione era evidente, persino un cieco avrebbe potuto notarla. Si concesse ancora un morso alle labbra, poi riprese: «A lui non piace che io sia il passatempo dei maschi del clan» ammise, mentre un lieve rossore prese a imporporarle le gote. Il ragazzo spalancò le palpebre, confuso da quelle parole. Sapeva bene che tra loro non ci sarebbe potuto essere nulla se non una semplice presa in giro, per lo più da parte sua, ma allo stesso modo sapeva che ciò che lo aveva spinto a baciarla, in mezzo al fogliame autunnale, era stato tutto tranne che il desiderio di un "passatempo".
Che dire, quindi? O semplicemente che fare? Inimicarsi Arwen a causa di un flirt con sua sorella avrebbe potuto compromettere l'intera missione – cosa che, il suo continuo perder tempo, sembrava aver già iniziato a fare.

«Cosa vuoi che ti dica, Aralyn? Ti ho baciata perché volevo farlo, perché in quel momento è stata l'unica cosa che mi è passata per la testa» Joseph allargò le braccia, in segno di resa. Non aveva motivo di mentirle – non in quel frangente quantomeno. Nuovamente, tentò d'afferrarle una mano, lasciata imprudentemente sul bordo del tavolo: «Non so né come, né perché okay? Però mi piaci. Mi piace la tua testardaggine, il modo in cui ti muovi per il clan, il tuo coraggio. Ci sono tanti gesti che fai che mi spingerebbero a baciarti ancora e ancora» la lingua prese a lasciar sfuggire i pensieri che per molto si era tenuto per sé, coltivandoli fino a quel punto: infatuarsi del nemico. 

Il Purosangue rimase fermo, in attesa di un qualsiasi gesto o parola da parte di lei, eppure nulla sembrava essere sul punto d'accadere. Aralyn se ne stava muta con la schiena curva e gli occhi sulle loro mani intente a sfiorarsi.
«Ascolta» sbottò lui, lasciando la presa e facendosi cadere sullo schienale imbottito. Starsene lì, senza ottenere alcun risultato, era più estenuante che evitarla per tutto il giorno: «sono grande abbastanza per accettare un rifiuto, quindi se il mio interesse per te non è ricambiato, dillo subito, almeno mi levo di torno»
«Non è questo il punto»
«Qual è allora?» il tono di Joseph si alzò di qualche decibel, facendo trasparire tutto il suo nervosismo. Si morse la lingua, conscio del fatto di star oltrepassando un limite che poche persone, in tutta la loro specie, avrebbero potuto giustificare.

Perché? Perché non riusciva a fermarsi? Per quale stupida ragione, il suo sangue Menalcan, non lo faceva rinsanire?
Avrebbe voluto trovare una risposta a tutte quelle domande, ma la verità era che tutto ciò di cui era certo, era che tra loro vi fosse una sorta di legame, una filo che si andava stringendo intorno ai polsi ogni giorno di più – tutto il resto gli era oscuro.
Se non fosse stato certo che, tra Puri e Impuri, non potesse nascere un'unione del genere, avrebbe sospettato dell'imprinting. Aralyn però era nata umana, non lupo, giusto? Quindi la questione era pressoché impossibile.

La ragazza si passò una mano tra i capelli, scuotendo le ciocche dorate: «Non voglio innamorarmi di qualcuno che potrei perdere» disse infine, riprendendo a seviziare le proprie labbra. Con gli occhi dorati si mise a vagare per il pavimento accanto ai loro piedi, forse imbarazzata dal discorso.
«Essere in questo clan vuol dire essere sempre in guerra. Lo hai visto anche tu, no? Dominik mi sta addosso, i Menalcan anche... che vita sarebbe? E se un giorno uno di noi uscisse in missione e non tornasse più?»
Lo stomaco di Joseph si strinse; in parte a causa di ciò che lei stava dicendo, in parte per via del fatto che sospettasse che la sua famiglia le fosse alle calcagna – cosa che, a dire il vero, tanto sbagliata non era.

«E' questo che ti frena? Aralyn, noi siamo...» il giovane tentennò appena, incerto sul termine più adatto da usare: «quel che siamo. La nostra vita sarà sempre minacciata dalla spada di Damocle che ci pende sopra la testa!»

«E allora fammi scegliere di non soffrire più del dovuto!» sbottò lei di risposta, stringendo i pugni.

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Capitolo 38
*** Il Pugnale ***




36. Il Pugnale

Aralyn socchiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dal profumo rimasto imprigionato nell'abitacolo dell'auto: quello di Josh. Era ovunque e le riempiva i polmoni, ma al posto di calmarla, la stava agitando sempre più. Così si passò le mani sul viso, rassegnata all'idea di non saper più che fare.

Lui le aveva detto, senza giri di parole, di provare qualcosa per lei, lasciandola estasiata e basita al contempo. Forse ad alta voce non lo avrebbe mai ammesso, ma anche lui aveva preso ad agitarle qualcosa dentro, oscurando pian piano il sentimento che per anni aveva riservato ad Arwen – e, con grande probabilità, era stato proprio quello il motivo per cui non aveva parlato a suo fratello di ciò che era successo in città, con il Menalcan.

Presa dal nervosismo si lasciò sfuggire un pugno contro il finestrino: ancora una volta aveva incasinato ogni cosa.

Aveva promesso ad Arwen eterna fedeltà, affetto al di là del concepibile e poi, spuntato da chissà dove, era arrivato Josh, stravolgendo ogni sua certezza. 
L'aveva affascinata in tanti piccoli modi e adesso, con quella confessione faccia a faccia all'interno di una tavola calda, era riuscito a far tremare le sue difese e certezze. Ma come avrebbe potuto valutare con serietà le sue parole? In fin dei conti aveva da poco accettato l'ennesima missione suicida. Se non fosse tornata cosa sarebbe potuto succedere? Che senso aveva costruire qualcosa con un'altra persona, se non vi era alcuna certezza di potersela godere? 
Aralyn aveva visto decine di coppie venire separate da una simile tragedia, ultima tra tutte Marion e il suo Luke, ma anche Fernando e sua moglie, l'amore della sua vita. Aveva visto Garrel perdere sua sorella Freya, aveva provato in prima persona la mancanza dei suoi genitori e il dolore di vedere Arwen in fin di vita.

Aveva fermato Josh per un semplice motivo: se si fosse lasciata andare con lui, avrebbe finito con l'innamorarsi e, quindi, temere il giorno in cui sarebbe nuovamente partita per la missione successiva – un lusso che il braccio destro dell'Alpha non poteva permettersi.

D'un tratto il petto le si gonfiò di lacrime. Possibile che fosse sempre tutto così complicato? Ogni sua scelta pareva portarla in un unico punto: in mezzo a un mare di guai.
Fece un grosso respiro e una piccola lacrima calda le corse lungo il viso. Quanto avrebbe potuto resistere? Perché ogni volta che lui le stava intorno si sentiva qualcosa agitare nello stomaco, una specie di gruppo di farfalle irrequiete – e più il tempo passava, meno riusciva a gestirlo.

 

Non passarono nemmeno ventiquattro ore che Arwen la convocò nel proprio studio. All'inizio si era ritrovata riluttante all'idea di presentarsi al cospetto di proprio fratello con uno stato d'animo tanto scosso, ma poi il suo senso del dovere aveva avuto la meglio, così era uscita dal fortino fatto di coperte e si era vestita per l'occasione. In pochi minuti poi, si era ritrovata di fronte all'uomo.

All'ennesimo tentativo di distogliere lo sguardo però, l'Alpha batté un piede a terra, per catturare la sua totale attenzione, ma Aralyn era ovunque con la mente, tranne che lì. 
Costringendosi ad adempiere ai compiti di vice, la ragazza spostò gli occhi sulle mani del capoclan, nel punto esatto in cui il Pugnale veniva stretto dalle dita.

«Ho parlato con il Duca» esordì l'albino, spostando il peso sullo schienale della sedia.
Il cuore di lei perse un colpo: in quel momento capì bene dove la conversazione stesse andando e la cosa non le piacque per nulla. «Lo scambio avverrà tra massimo un paio di mesi. Serve tempo a entrambi per mettere insieme la squadra migliore e il percorso più sicuro per raggiungere il luogo dell'incontro» se dandole quelle informazioni, Arwen stava pensando di tranquillizzarla, si stava sbagliando di grosso. Dopo la chiacchierata con Josh, niente che riguardasse la missione avrebbe potuto mettere a tacere le ansie.

Suo fratello parve notare subito il malessere della ragazza perché, a differenza di lei, aveva imparato a conoscerla al pari di uno dei suoi amati libri. 
Aralyn si sentì come una preda troppo vicina al cacciatore e dovette obbligarsi a non irrigidirsi sulla sedia, mentre lui si sporgeva sempre più verso di lei.

«Cosa ti turba?» le domandò, mentre una delle sue enormi mani abbandonava il pugnale per spingersi verso il suo viso, arrivando a sfiorarle dolcemente una guancia. Inaspettatamente il contatto le provocò brividi lungo la colonna vertebrale, spaesandola – possibile che due uomini riuscissero a metterla in difficoltà in egual misura? Però in lei qualcosa restò ben ancorato all'immagine di Josh che l'aveva torturata per tutta la notte: lui accaldato, nudo in mezzo al fogliame che aveva contornato il loro primo bacio.

Aralyn si sforzò d'apparire il più naturale possibile, così afferrò dolcemente la mano di lui e, in punta di labbra, ne baciò il palmo, nel punto esatto in cui una cicatrice pallida gli solcava la pelle. Era stata il primo segno che Arwen si era procurato lottando, così sottile e delicato da passare quasi inosservato – per molto tempo gliel'aveva invidiato, trovandolo un trofeo degno dei migliori campioni. 
La ragazza tese un sorriso: «Va tutto bene, sarà l'avvicinarsi della luna nuova a farmi apparire distratta» mentì poi, non sapendo esattamente dove trovare la forza per farlo. Fregare l'Alpha poteva essere sia pericoloso, sia difficile.

L'uomo si sporse ancora di più, appoggiandole con estrema tenerezza le labbra sulla fronte. Rimase lì per lunghi istanti, facendo accelerare il battito della sorella in modo vertiginoso – e se l'avesse scoperta? Se si fosse reso conto di quante mezze verità avesse iniziato a dirgli? 
E per la prima volta, nell'odore di suo fratello, Aralyn non trovò il totale e annichilante desiderio che era solito assalirla in simili occasioni. D'un tratto Arwen sembrava aver smesso di essere il suo mondo. Il cuore le salì in gola. Era davvero possibile? Sul serio l'Alpha aveva smesso di ammaliarla?
Prima che potesse ponderare per bene i propri pensieri, qualcuno bussò. Con un movimento brusco l'albino si staccò da lei, facendosi nuovamente cadere sulla sedia. 
In un attimo fu pronto ad accogliere chiunque si trovasse al di là della soglia, così lo invitò a entrare; a differenza di lei, il suo autocontrollo aveva quasi dell'incredibile.

Quando l'uscio si spalancò, Aralyn dovette costringersi a non sussultare. Si sarebbe aspettata chiunque, tranne lui. Sì, perché in quei tre mesi e mezzo, mai aveva visto Josh recarsi di propria spontanea volontà nell'ufficio del capoclan – e lì, a ridosso dello stipite, stupito quanto lei, apparve terribilmente affascinante, bello e... fuori luogo. Quel novellino non avrebbe mai dovuto vederla così vicina ad Arwen, con le guance arrossate e il battito a mille.
Il ragazzo corrugò la fronte: «Ho interrotto qualcosa?» nella sua voce la lupa poté percepire una sorta di sospetto, dettaglio che parve far aumentare il ritmo del cuore.

L'Alpha sorrise, scrollando con estrema nonchalance le spalle: «Solo qualche chiacchiera di circostanza» commento che sembrò invitare Josh a raggiungerli in prossimità della scrivania. Aralyn lo vide muovere falcate sicure nella sua direzione, avvicinandosi con sempre più pericolosità. Ogni centimetro in meno che li separava, era un giramento di testa a cui doveva far fronte.
Ci volle poco prima che, con estrema sorpresa, il licantropo si fermasse, piegando la testa da un lato.
La ragazza seguì il suo sguardo in direzione del tavolo su cui l'Alpha non si era accorto di aver lasciato qualcosa di terribilmente importante.
«Quello è ...?» Il suo indice si puntò sulla fodera del Pugnale e, involontariamente, Aralyn s'irrigidì. A parte lei e suo fratello, Garrel, Marion e Fernando, nessuno aveva ancora visto il cimelio così da vicino, ma soprattutto nelle loro mani – e ciò avrebbe potuto comportare qualcosa di estremamente grave.

Arwen allungò le dita sull'oggetto, rimettendosi a giocare con esso come se nulla fosse. Seppur inconsciamente, doveva star rivendicando la proprietà su quell'arma, un modo per evidenziare chi, tra di loro, fosse il vero capo.

«Già, un bell'affarino, non trovi?» la domanda retorica dell'Alpha ghiacciò il sangue della giovane. Cosa aveva in mente? Prima che Aralyn potesse supporre qualsiasi cosa, l'uomo riprese: «Dimmi pure cosa ti serve»

L'altro parve riscuotersi dai propri pensieri e, allontanando una ciocca ribelle dal viso, tornò al discorso: «Ehm... mi chiedevo se avessi già mandato qualcuno in città per il recupero delle scorte» «No, non ancora. Avevi bisogno di qualcosa in particolare?»
La ragazza osservò lo scambio in silenzio, sentendo un'inspiegabile ansia crescerle nel petto. Qualcosa le diceva che sarebbe toccato a lei accompagnarlo a fare rifornimento.
Josh annuì: «Il solito, a dire il vero» concluse rimettendosi le mani in tasca, le stesse che l'avevano stretta in mezzo al bosco e da cui le venne difficile staccare gli occhi.
Il capoclan accarezzò un'ultima volta il Pugnale, poi fece scoccare la lingua: «Ti accompagnerà mia sorella appena avremmo finito di concordare qualche ultimo dettaglio del Clan» e il cuore di Aralyn perse un colpo.

Sarebbero stati nuovamente soli – e temeva ciò che sarebbe potuto accadere.

Nel momento in cui aveva appoggiato gli occhi sul fodero del Pugnale, Joseph si era reso conto di quanto fosse vicino a ciò che cercava - allo stesso modo però, i fratelli Calhum si ergevano come un muro altissimo tra lui e il suo obbiettivo, mettendolo estremamente a disagio. 
Anche se Arwen non sembrava più essere la macchina da distruzione di un tempo, non poteva definirsi un nemico da sottovalutare – il fatto che se ne stesse tutto il giorno seduto a leggere, o chiuso nel suo studio, non precludeva la possibilità che in pochi secondi potesse saltargli al collo per strappargli la giugulare.

Così, appena fu fuori dall'alcova dell'Alpha Impuro, il giovane Menalcan prese a mordicchiarsi il pollice, provando a far mente locale.

Doveva trovare un modo per acciuffare il cimelio e sgattaiolare via senza finire in troppi guai, ma come? L'unica cosa a cui riusciva a pensare era Aralyn, al suo legame con il capobranco e a come potesse essere per lui un invalicabile ostacolo. La sola idea di usarla per arrivare al Pugnale gli faceva stringere lo stomaco, eppure sapeva da sé che era una delle poche strategie efficaci che potesse mettere in atto. Ingraziandosi lei si sarebbe avvicinato ancor di più a suo fratello e, così, forse sarebbe riuscito a entrare nella squadra d'élite – gli unici licantropi che già avevano avuto modo di toccare l'arma.

Provò più e più volte a togliersi dalla mente quei pensieri, ma non ci riuscì fino a sera, quando esausto chiuse gli occhi per dormire – ma anche nei sogni, il pensiero dei fratelli Calhum non lo abbandonò.

Così, il giorno seguente, munito del miglior sorriso e del suo invidiabile charme, il figlio di Douglas entrò in caffetteria con il chiaro desiderio di andare incontro all'Alpha. Avrebbe provato ad avvicinarsi maggiormente a lui senza usare la figura di Aralyn perché, in fin dei conti, considerarla un mezzo era qualcosa che lo infastidiva più di quanto avrebbe dovuto.

Appena Joseph varcò la soglia della mensa, i suoi occhi scorsero il soggetto del suo interesse seduto quasi da solo a un tavolo, intento a sorseggiare il solito caffè e leggere un libro. All'apparenza immerso totalmente nel suo mondo, Arwen non si fece sfuggire la presenza del giovane e, appena il Nobile gli fu accanto, alzò lo sguardo su di lui.
«Buongiorno»

Joseph fece un cenno con il capo: «Posso unirmi?» chiese subito dopo, indicando la panca vuota che aveva difronte. 
A quella distanza, e sotto la calda luce mattutina, i capelli dell'albino presero sfumature dorate, tanto intense da ricordare l'aura che avvolgeva Aralyn ogni volta che il sole le baciava la nuca. Quanta poca importanza aveva dato a tutti quei dettagli, fino a quel momento? Il Purosangue se lo chiese con l'amaro in bocca, ancora infastidito dall'ingenuità con cui aveva affrontato la missione per il primo periodo, dando per scontato che il Clan del Nord non fosse altro che un branco di poveri idioti.
L'uomo gli fece segno di accomodarsi e lui non esitò ad accomodarsi, scivolando sul legno scuro della panca.

L'Alpha chiuse il libro.

«A cosa devo questo onore?» chiese con la sua solita voce vellutata, mostrando un sorriso a labbra unite. Joseph ricambiò: «Nulla in particolare, volevo fare giusto un paio di chiacchiere, spero non ti dispiaccia» confessò, assicurandosi una ciocca dietro l'orecchio. Arwen scosse la testa, prendendo un sorso di caffè dalla propria tassa. Il collo, allungato verso l'alto, non mostrava nessun segno di barba, come se a una creatura del suo calibro fosse stato fatto il dono di dimostrare in eterno un'affascinate giovane maturità.
La tazza ritornò al suo posto sul tavolo: «Figurati, trovo sempre piacevole un po' di compagnia, anche se può non sembrare» e una flebile risata gli sfuggì dalle labbra.
Tutto ciò parve tanto naturale da confondere persino il Menalcan che, dopo essersi rimproverato e ricordato il motivo per cui fosse lì, riprese la farsa: «Penso sia una cosa comune» gli disse, spostando lo sguardo in basso e facendolo cadere sulla copertina del libro: «Cosa stavi leggendo?» Se doveva fingere una conversazione innocente, quella era forse la domanda migliore da fare. Il capobranco, con un movimento leggero della mano, allungò il libro verso l'interlocutore e, più sorpreso del solito, Joseph notò che si trattava di una vecchia stampa di "Anna Karenina". Perplesso aggrottò le sopracciglia. 
«Strano, vero?»

Sì, era una cosa strana, pensò, ma certamente non si poteva dire che un tipo del genere non ricordasse un qualche studente universitario o, addirittura, un affascinante professore di letteratura.

«Da te mi sarei aspettato qualcosa di più violento» scherzò il Nobile, passando nuovamente il tomo al proprietario.
«Già, non nego che sono solito leggere cose più avvincenti, ma con tutto il tempo che ho a disposizione mi concedo anche letture più... classiche!» anche lui rise, rimettendo le dita sulla copertina logora.

 

«Potresti andare in giro, oppure allenare il clan» osservò innocentemente Joseph, inconsciamente incuriosito dal motivo per cui Arwen non partecipasse a nessun tipo di attività fisica. Da quando aveva messo piede alla Tana, tutto ciò che gli aveva visto fare si poteva riassumere in qualche flessione e sollevamento pesi – oltre alla repentina apparizione e scomparsa il giorno del loro primo incontro.
L'interlocutore rise ancora: «Potrei, è vero, ma ho delle responsabilità a cui far fronte. Inoltre, non sono più tanto giovane, il mio ruolo ora si può riassumere in quello di stratega. Devo proteggere il Clan non solo con le zanne, ma anche con i piani, ma questo non puoi saperlo per adesso, non sei ancora un Alpha» Ed era vero, sotto un certo punto di vista. In fin dei conti, seppur Joseph fosse a capo di un gruppo di licantropi, a sua volta era un sottoposto di Douglas - non aveva mai dovuto occuparsi in prima persona dei disguidi o delle situazioni più spinose, non aveva dovuto prendere decisioni che avrebbero potuto piegare o innalzare il branco. Il suo ruolo era più simile a quello di un vice: doveva occuparsi solo della sua piccola fetta di lupi, mentre Arwen faceva tutto da sé.

«Quindi non ti allontani mai?»

L'Alpha si guardò attorno, forse provando a vedere se qualcuno si stesse facendo gli affari suoi: «Può capitare. Di tanto in tanto mi concedo qualche uscita con Aralyn, ma si tratta di poche ore» 
Joseph, immaginandosi quei due a cena insieme, non poté impedirsi di sorridere e trattenere un commento: «Anche perché tra voi due non so chi parla meno!» e, a dispetto di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da Arwen, anche lui sorrise, divertito dalla battuta.

«Sarà per questo che siamo fatti per stare insieme. I fratelli Calhum contro il mondo» udendo quelle parole, il buonumore di Joseph si dileguò d'un colpo e, alzando lo sguardo, scorse negli occhi dorati dell'Impuro una specie di monito: "stai lontano da lei".


 

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Capitolo 39
*** Non dovremmo stare insieme ***




37. We should not belong

Il Natale arrivò prima del previsto, si ritrovò a pensare Aralyn. I licantropi che ancora avevano una famiglia umana si allontanavano dalla Tana armati di pacchetti colorati e sorrisi gioiosi, mentre i pochi che restavano si lasciavano cogliere da una strana e innocente malinconia. Vedere quel luogo tanto vuoto era cosa inusuale, seppur la mancanza di chiacchiericcio donava finalmente pace alle orecchie.

Eike, stravaccato sull'enorme divano insieme al gemello, si lasciò sfuggire uno sbadiglio a inizio frase: «Ma qualcuno è andato a prendere l'albero per questo postaccio?» 
«Garrel, se non sbaglio» rispose Aralyn lasciando cadere la testa oltre lo schienale della poltrona. Al suo seguito si unì Hugo, precisando: «Si è fatto accompagnare da Josh» e, a quel commento, la ragazza si tirò dritta, corrugando la fronte. Quella reazione parve non passare inosservata agli occhi dei due che, senza trattenere un sorriso malizioso si sporsero verso di lei, mettendo in parte in mostra i canini.
«Oh-oh!» la punzecchiò il primo.
«Sbagliamo nel credere che il nuovo arrivato sia entrato nelle tue grazie?» proseguì l'altro, facendo sì che una sorta di calore la investisse senza alcun preavviso, arrossandole le gote. Aralyn avvertì l'imbarazzo farsi strada in lei, così come il desiderio di scappare in fretta e furia da quel luogo. D'un tratto, il pigro pomeriggio dicembrino si era trasformato in torrida estate.
Non aveva idea di cosa dire, come nascondersi o che fare.

Hugo scoppiò a ridere, indicandola: «Guarda che non ti giudichiamo! È un gran bel ragazzo e poi non dimentichiamo che ti ha salvato dal Segugio di Ophelia! A parer mio questo basta per giustificare il tuo interesse in lui»

La lupa si rese conto di quanto fosse inutile continuare quella conversazione: qualsiasi tentativo avesse fatto per negare l'evidenza, avrebbe solo insospettito maggiormente i gemelli. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, era stato proprio grazie a quel suo repentino salvataggio che aveva iniziato a considerare Josh da un'altra prospettiva. Certo, sin dal primo giorno in cui lo aveva visto il suo odore l'aveva intrigata, il suo aspetto preso a perseguitarla in sogno e, ora, con quella dimostrazione di coraggio e ferocia, aveva finalmente iniziato a smuovere qualcosa. C'era però da sottolineare come, sia Arwen, sia l'atteggiamento da donnaiolo del diretto interessato, stessero provando in tutti i modi a dissuaderla dall'avvicinarsi al nuovo arrivato più del dovuto.
Nuovamente lasciò cadere il capo all'indietro, sospirando. Possibile che non ci fosse una sola cosa, nella sua vita, che si potesse definire semplice?

«Dai Ara, non scoraggiarti così! Se fossi una donna anche io gli morirei dietro» confessò scherzosamente Eike, alzandosi e abbracciandola malamente, quasi schiacciandola sulla poltrona.
Già, e quello era uno dei tanti punti a sfavore di Josh. Con tutte le femmine presenti nel Clan, lei non era certo quella che più di tutte spiccava in bellezza, esperienza in fatto di uomini o altro; tutto ciò che la differenziava dal resto del branco erano doti più affini a un uomo, che a una donna.
«Senti» le braccia del ragazzo si allentarono, diminuendo la pressione del suo affetto su di lei: «andiamo in città. Ci prendiamo una buona cioccolata calda, compriamo qualche regalino anche noi e ti concedi un po' di shopping al femminile»
«Un appuntamento anche dall'estetista non ti farebbe male» appuntò Hugo in conclusione al fratello. A quelle parole, Aralyn si sentì il viso andare a fuoco. Cosa voleva dire con quel commento? Che appariva più trascurata del solito? Che il suo aspetto stesse drasticamente peggiorando?
«C-cosa?» provò a domandare, ma prima che potesse concludere la frase, i due si erano già messi dritti, uno in sua attesa accanto alla porta, uno alla ricerca delle chiavi di una qualsiasi vettura ancora presente nella Tana. 

La ragazza dovette correre loro dietro, cercando in tutti i modi di ottenere una qualche risposta. Si aggrappò al braccio di Hugo, scrollandolo più e più volte nel tentativo di fargli sputare il rospo, ma questi prese a ridere tanto forte da coprire qualsiasi rumore intorno a loro e, forse per questo motivo, non si accorsero del cigolio dei cardini della porta che, aprendosi, fece apparire nei loro campi visivi sia Garrel, sia Josh.
Al cospetto di quei due, intenti a portare dentro l'abete da decorare, Aralyn avvertì il cuore stringersi. Proprio come un demonio era apparso a lei dopo averlo invocato con quegl'imbarazzantissimi commenti.

I loro sguardi s'incrociarono e per poco non le si mozzò il fiato. Qualsiasi cosa avesse potuto dire in quel momento, non avrebbe mai potuto essere la negazione di quanto fosse bello e affascinante ai suoi occhi.
Eike, armato di chiavi, si avvicinò al fratello e all'amica pronunciando le peggiori parole che Aralyn avrebbe voluto udire in quel momento.
«Oh, guarda! Parlavamo proprio di te, Josh» l'altro corrugò le sopracciglia, certamente incapace di capire per quale motivo fosse oggetto dei loro discorsi.
«Davvero?» domandò mentre compiva gli ultimi passi all'interno della Tana, in modo d'aiutare Garrel ad appoggiare l'albero in qualche punto sicuro. Con un braccio si asciugò le poche gocce di sudore che gl'imperlavano la fronte: «Non pensavo di essere così interessante» scherzò, levandosi dalle mani i guanti da lavoro.
«Invece lo sei, per questo se vuoi venire in città con noi sei il benvenuto» fu Hugo questa volta a parlare e, quando Aralyn si volse nella sua direzione per lanciargli uno sguardo assassino, si ritrovò a fare i conti con un occhiolino tutt'altro che rassicurante. I gemelli stavano mettendo in atto un improbabile, quanto inaspettato piano per far stare lei e il nuovo arrivato nella stessa stanza per il maggior tempo possibile – ignorando completamente il casino in cui l'avrebbero messa.
Lo aveva respinto nemmeno una settimana prima e ora si sarebbe ritrovata a stretto contatto con lui.

La risposta di Josh arrivò dopo alcuni secondi, momenti in cui la lupa aveva sperato con tutta se stessa che lui rifiutasse, ma invece si ritrovò a fare i conti con un "certo!" del tutto inaspettato. A quel punto il panico l'avvolse senza alcun preavviso: cosa doveva aspettarsi, ora?
 


 

 

Per tutto il viaggio si era concentrata sul panorama oltre il finestrino, lasciando che i ragazzi si dessero alle chiacchiere più disparate. Aveva dovuto ricorrere a tutta la sua forza di volontà per ignorare la sensazione di avere lo sguardo di Josh sul copino, così come aveva dovuto muoversi svelta per ottenere il posto accanto al guidatore e rilegare così Hugo accanto al nuovo arrivato sui sedili posteriori.

Così, dopo una buona dose di chilometri, agli alberi si erano sostituiti i negozi del centro, illuminati in maniera eccessiva dalle decorazioni lampeggianti che i commercianti avevano appeso qua e là per portare nelle vie della città l'aria natalizia. L'aria intorno ad Aralyn era pregna del profumo delle caldarroste e delle frittelle calde, tanto invitanti da farle venire l'acquolina a ogni metro. 
Bimbi di ogni età, al seguito dei genitori, si dilettavano a fare lo slalom tra i passanti, andando più volte a sbattere contro i suoi fianchi e facendola sospirare. Odiava essere succube della calca, così come non le piaceva dover stare in mezzo a tanti rumori fastidiosi – ma quello era solo uno dei lati negativi delle festività e, nonostante le procurasse parecchio fastidio, riusciva a sopportarlo per il bene comune.

Con una certa riluttanza constatò che persino rifugiarsi dietro alle spalle dei gemelli non stava servendo a nulla, se aveva sperato di usarli come scudo, si era sbagliata di grosso.
All'ennesimo tentativo di evitare una testolina bionda intenta a rincorrere qualcosa, si ritrovò a sbattere involontariamente contro il fianco di Josh che, riflessi pronti, la cinse dolcemente con un braccio, impedendole così di cadere.
Sentendo la stretta intorno alla propria spalla, Aralyn avvertì il cuore bloccarsi in gola, mozzandole il fiato per alcuni istanti. Possibile che anche un gesto tanto innocente facesse reagire il suo corpo a quel modo?
Svelta tentò di divincolarsi: «Scusa» tossì poi, rimettendo qualche spanna tra di loro. Non poteva concedersi nemmeno un istante d'esitazione, soprattutto dopo il discorso alla tavola calda e ciò che aveva quasi evitato nello studio di suo fratello solo qualche giorno prima.
«Ti schifano a tal punto?» le domandò lui d'un tratto, ridacchiando e facendo un cenno vago con la testa in direzione del bambino che l'aveva appena sorpassata.
Lei lanciò un'occhiata fugace alle schiene dei gemelli, preoccupata che potessero prendere quel momento di chiacchiera tra loro due come incentivo per fare nuove battute maliziose, poi, deglutendo, si volse verso Josh che, illuminato dalle luci colorate dei festoni, apparve ancora più bello.

Aralyn si sentì sopraffatta da quell'immagine, dalle sensazioni che non riusciva a definire o controllare in sua presenza. In un angolo recondito del suo essere percepì il desiderio di volersi avvicinare ancora a lui, avvertire il suo calore sul corpo, il suo sguardo addosso, ma cercò di contenere il pensiero. Non era pronta a innamorarsi di uno come Josh.

Strinse i pugni nelle tasche, provando a farsi forza: «No... è che le loro grida mi danno fastidio. Ho i sensi un po' troppo reattivi in questi giorni». Usare la stessa scusa che aveva propinato ad Arwen avrebbe forse aiutato la sua situazione, ma dal sorriso malizioso che apparve sul viso di lui capì di non aver ottenuto il medesimo risultato: se suo fratello l'aveva lasciata stare dopo quella bugia, lui la stava prendendo come pretesto per fare o pensare qualcosa che la giovane si costrinse a non immaginare – in fin dei conti, quando si parlava di "sensi sensibili" in prossimità della Luna Piena, non ci si poteva limitare al considerare solo l'udito.

«Non sei l'unica...»

Il sussurro di Josh le provocò una reazione tutt'altro che desiderata. Si sentì investire da una vampata di calore e le fu subito chiaro che le guance stavano tradendo il suo tentativo di restare distante e impassibile.
Nonostante gli avesse messo in chiaro le sue intenzioni, lui pareva non voler demordere: avrebbe colto ogni occasione per travisare le sue parole, per lanciarle frecciatine di dubbia natura e... sfiorarla, così come aveva fatto poco prima – e in tutto ciò, quello che più la fece imbarazzare, fu la consapevolezza di non esserne infastidita ma, piuttosto, compiaciuta.

Joseph seguì gli altri verso un negozio malandato e, nel passare difronte alle vetrine, si accorse con un certo stupore del proprio riflesso, tanto diverso da quello che era solito osservare, eppure uguale. I capelli ormai si erano allungati e non vedevano il gel da mesi, così come i completi eleganti avevano lasciato il posto a giacche logore, jeans strappati e maglie larghe, ma più di tutto, ciò che lo lasciò interdetto, fu l'espressione. Aveva stampato in viso il sorriso più naturale e innocente che si fosse mai visto addosso. Il figlio di Douglas però non si era mai potuto permettere un'espressione così umana, non aveva mai sentito tutta quella spensieratezza riempirgli il corpo, men che meno si era mai potuto definire tanto felice – ma perché? 
Sbattendo le palpebre spostò la propria attenzione dal riflesso alla schiena di Aralyn: era lei l'origine di tutta quella serenità, gli bastò uno sguardo per capirlo. 
Lei, il suo sorriso, il suo Clan e quella vita – ogni cosa che la includeva aveva su di lui un effetto positivo e rilassante, forse troppo visto il mondo in cui avevano avuto la sfortuna di nascere. Un Nobile non avrebbe mai potuto trarre tanta pace, o piacere, da una come lei. Nonostante ciò, però, più provava a tenere a mente quel dettaglio meno gli veniva naturale allontanarsi da lei, che ormai era diventata calamita di ogni suo pensiero. Eppure erano così diversi...
Oltre al sangue nelle loro vene, che era comunque un dettaglio che Joseph avrebbe davvero dovuto tenere in considerazione, c'era un background totalmente diverso, degli ideali che non avevano mai condiviso e guerre combattute su due lati opposti del campo di battaglia. Come poteva quindi sentirsi così, con lei? Perché a ogni passo indietro che faceva, si ritrovava a farne il doppio nella sua direzione? 

 

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Capitolo 40
*** Per il Sangue ***




39. Per il Sangue

Natale passò e l'anno nuovo si presentò pigramente.
La Tana era ancora vuota, seppur alcuni membri del clan avevano già iniziato a far ritorno. Tra i presenti, l'aria pareva essere meno rilassata del dovuto, forse a causa di una notizia che aveva preso a correre per i corridoi, seppur incompleta: una nuova missione era alle porte e il tempo non pareva essere mai abbastanza clemente.

Arwen lanciò un'occhiata furtiva al calendario: febbraio si stava avvicinando e, insieme al compleanno di sua sorella, anche il giorno della partenza per consegnare il Pugnale al Duca era ormai imminente.
Aveva cercato in tutti i modi di convincere l'uomo a ritardare ancora di qualche settimana l'incontro, ma nulla era servito a fargli cambiare idea. Ora che aveva trovato un rifugio abbastanza sicuro in cui nascondersi, voleva ciò che gli spettava, perché i Menalcan, così come Ophelia, erano sulle loro tracce. Da un lato, la razionalità dell'Alpha dava ragione al Duca, dall'altro, la sua sensibilità era sempre più turbata dal pensiero di far partire Aralyn ancora una volta. La paura di poterla perdere lo stava lentamente logorando: lei era una parte essenziale del suo mondo, era l'ultima persona rimastagli, la sua famiglia; era il suo sostegno, l'unica certezza reale a cui poteva ancora aggrapparsi. Ogni volta che sua sorella metteva piede fuori dalla Tana poteva essere l'ultima occasione d'incrociare il suo sguardo o il suo sorriso. Lei oltrepassava l'uscio per andare a portare a termine il lavoro che sarebbe spettato a lui e, se solo quella gamba non gli fosse stata deturpata, non avrebbe mai dovuto costringerla a rimediare alle sue mancanze.

Con veemenza si morse il labbro, cercando di contenere la frustrazione.

Non era più l'uomo di una volta, alla prontezza fisica aveva dovuto sostituire l'intelligenza, alle abilità pratiche quelle strategiche - ma la forza per fare un simile cambiamento, per accettare quella condizione, gliel'aveva data proprio lei, sua sorella.
Aralyn gli era rimasta accanto nel bene e nel male, imparando a combattere tanto quanto medicare, a essere forte quanto una bestia prima che a essere un'adolescente - e lui la ripagava così, ogni volta.

Garrel lo fissò con circospezione, studiando la sua espressione; Arwen ne sentiva addosso lo sguardo e la cosa non lo aiutava affatto in un momento tanto delicato, così si riscosse, tornando alla conversazione: «Accompagnerai mia sorella e su questo non c'è alcun dubbio. Temo però che la tua presenza non sia sufficiente» confessò poi, senza temere d'infastidire l'orgoglio dell'amico.

L'altro distolse lo sguardo, concentrandosi sul posacenere lì accanto: «Fernando e Marion? Siamo sempre stati una squadra» suggerì facendovi cadere dentro la cenere. Non sembrava essersi offeso dalle parole dell'Alpha, quasi sapesse che ciò che temeva Arwen andava ben oltre alle sue capacità fisiche. Non avevano idea di quanti Menalcan fossero sulle tracce del Pugnale e quindi non potevano farsi cogliere di sorpresa - più erano, più avrebbero potuto contrastare le forze nemiche.

L'albino storse le labbra: «No, sareste troppo riconoscibili a muovervi nuovamente insieme» quella sarebbe stata la quarta missione che il suo squadrone, in un anno, avrebbe portato a termine: i loro visi avrebbero iniziato ad arrecare sospetti, se si fossero fatti vedere insieme ancora una volta. Avevano bisogno di licantropi aitanti e violenti, ma allo stesso tempo poco presenti accanto alla figura di Aralyn che, in questo modo, sarebbe passata inosservata. Meno attenzioni si fossero concentrate su di lei, meglio sarebbe stato per tutti.

«Cosa ne pensi dei gemelli? Certo, in battaglia bisogna tenerli sotto controllo, ma sono abbastanza aggressivi da far buon scudo ad Ara in caso d'attacco». La proposta di Garrel parve accendere una sorta d'interesse nei pensieri del capoclan che, valutando pro e contro dei due soggetti presi in causa, si ritrovò a concordare sul fatto che sarebbero potuti essere dei buoni elementi per una missione del genere. Di norma evitava di coinvolgerli per via della poca pazienza di cui facevano sfoggio, ma in un contesto del genere, dove di appostamenti non vi era alcuna traccia, avrebbero potuto amalgamarsi bene.
L'uomo si portò una ciocca bianca dietro all'orecchio adorno di orecchini: «Potrebbe funzionare... ciò che temo però è che succeda qualcosa a mia sorella. Non potrei perdonarmi la sua morte» si lasciò sfuggire. Seppur l'omone moro difronte a lui fosse il suo migliore amico e conoscesse ogni suo segreto, alle volte Arwen si sentiva imbarazzato nel confessare simili dettagli.

«Lasciami coinvolgere Josh, allora»

Gli occhi del capobranco baluginarono in direzione di Garrel. In quell'ultimo periodo aveva cercato di studiare al meglio il nuovo arrivato, affidandolo in particolar modo ai suoi vice, ma aveva anche visto nascere in lui un fastidioso interesse per sua sorella, cosa che lo aveva spinto ad allontanarlo da lei, ma, a differenza di altri, già una volta aveva protetto Aralyn e forse sarebbe stato in grado di farlo ancora.

«Quante possibilità ha di sopravvivere?» chiese infine, iniziando a cedere all'idea di coinvolgerlo. Se per salvare sua sorella doveva permettere a quel tipo di starle incollato per ben sette giorni, lo avrebbe fatto - la sua vita valeva più di una piccola gelosia.

Garrel si grattò la testa, soppesando la domanda: «Molte più di quelle che ha qualsiasi altro possibile candidato in questo branco. È veloce, Arwen, e anche agile» annotò con convinzione, schiacciando il mozzicone nel posacenere ormai ricolmo.
E se il suo migliore amico, il licantropo migliore che il clan potesse vantare, lo elogiava a quel modo, forse doveva essere realmente una buona ragione per farlo entrare in quella rocambolesca avventura.
Accarezzandosi la gamba offesa, l'Alpha annuì: «Mi fido di te. Se pensi che sia una buona scelta lo è anche per me».

 

Davanti al cipiglio severo di Arwen, la figura di Garrel venne sostituita con quella di Josh che, armato di occhiaie degne delle più estenuanti notti in bianco, si presentò giusto qualche ora dopo essere stato proposto per quella missione.

L'Alpha lo squadrò per alcuni minuti, senza però proferire alcun tipo di parola: voleva scorgere in lui qualcosa che fosse abbastanza valido da impedirgli di partecipare a quel viaggio, in modo da tenerlo lontano da Aralyn, ma più si sforzava, meno otteneva. Anche dopo la centesima occhiata, il ragazzo restava il pretendente migliore al posto vacante in quella nuova squadra. 
Marion era troppo bella per passare inosservata agli occhi di maschi infoiati come potevano essere i Menalcan, mentre Fernando era ormai un viso conosciuto - non si era risparmiato nessuna battaglia da quando Layla era morta.
Certo, anche Garrel era ormai una figura ricorrente nelle missioni, ma non avrebbe mai messo la sua vita, o quella di un altro membro del clan, prima della giovane Calhum o del Pugnale.

«Come mai volevi vedermi con tanta urgenza?» 
Arwen restò in silenzio, continuando a scrutare l'altro. Dietro a quell'aria stanca e inoffensiva riusciva a scorgere lo stesso sguardo che aveva avuto lui per molti anni: la rabbia tipica delle belve, il richiamo della vita selvaggia, l'essenza del lupo prima che l'uomo. Per questo, anche ostinandosi, non avrebbe trovato persona migliore a cui affidare sua sorella. 
«Ho una proposta da farti» esordì infine, mettendo fine al loop di pensieri che lo avevano tormentato fino a quel momento; e appena lo disse, Josh s'irrigidì sulla poltrona, forse intuendo la gravità della questione che sarebbero andati ad affrontare.

«Già sai che il Pugnale è qui» il ragazzo annuì: «Ebbene, dobbiamo liberarcene. Tenerlo alla Tana vuol dire mettere in pericolo il clan, cosa che non mi posso permettere» con una mano, l'albino si tirò indietro una ciocca pallida. Trovava stancante, ma soprattutto frustrante, continuare ad affidare ad altri ciò che invece avrebbe dovuto portare a compimento lui, eppure non poteva fare altrimenti - con quella sua stupida gamba non avrebbe mai potuto agire al pari di qualsiasi altro licantropo: sarebbe stato un peso, non una risorsa.
«Ho concordato uno scambio con gli uomini del Duca. Prenderanno loro in consegna l'arma e la porteranno a lui, il possessore più qualificato per custodire tale potere»
Gli occhi dell'Alpha si mossero appena in direzione dell'interlocutore, le cui sopracciglia si aggrottarono in un istintivo moto di confusione. Chissà a cosa stava pensando, se nella sua mente si era già andata a formare la bozza di un'ipotesi. Non doveva essere poi tanto scontato, per un novellino, pensare a quale proposta il capo del branco avesse intenzione di fargli, così Arwen riprese: «Purtroppo però ci si dovrà incontrare a metà strada, per la sicurezza di tutti... quindi ho intenzione di mandare alcuni dei miei migliori licantropi»
Josh si sporse in avanti, improvvisamente interessato alla conversazione. Sembrò quasi che avesse capito dove il discorso volesse andare a parare: «Cosa vuoi che faccia, esattamente?» domandò, mentre una luce febbrile prese possesso della sua espressione, rivelando del tutto la bestia in lui.

Sì, come aveva sospettato mesi prima e come Garrel gli aveva confermato, quel tizio era davvero un'ottima scelta, il membro perfetto per un clan come il loro.

«Che faccia parte di questa squadra»
«Sarei masochista ad accettare» sbottò subito Josh in risposta, lasciandosi ricadere sullo schienale.
Arwen si trovò colto alla sprovvista. I suoi occhi si fecero grandi per lo stupore e si scoprì senza parole. Nessuno, con quello sguardo feroce, aveva mai rifiutato una proposta del genere, nemmeno Luke che, a differenza dell'attuale ultimo arrivato, era ancora un bambino quando aveva preso parte alla sua unica e ultima missione. Possibile che sia lui, sia il suo vice, avessero sbagliato a riporre tanta fiducia in quel mannaro?
«Ma sarei stupido a non farlo» soffiò poi, senza alcun preavviso. Lo stupore dell'Alpha si fece ancora più intenso, anche se una nota di soddisfazione prese a echeggiargli nelle orecchie.
«Quindi accetti?» gli domandò, cercando di ottenere una risposta più concreta.
Josh si prese qualche istante, forse soppesando pro e contro, ma dal sorriso sinistro che gli apparve in viso, la sua risposta fu quasi scontata: «Sì. Per il mio clan questo e altro».

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Capitolo 41
*** Qualcosa è cambiato ***




39. Something has changed

Le prime cose che Joseph fece, una volta uscito dallo studio di Arwen, furono raccattare le proprie cose, mettersi addosso una tuta sgualcita e fuggire nel mezzo del nulla più assoluto, in un punto dove persino la linea telefonica faceva fatica a prendere. Corse per interminabili minuti, cercando di mettere più distanza possibile tra sé e la Tana, ma anche qualsiasi orecchio indiscreto che potesse udire le sue parole – anche se più che parlare, ciò che voleva fare era mandare un sms.
Dopo settimane di totale inutilizzo del proprio cellulare lo prese in mano con una certa estraneità, andando a cercare in mezzo ai vari contatti quello di Kyle. Era l'unica persona su cui potesse realmente fare affidamento e, attraverso lui, avrebbe informato il suo Alpha del piano del Duca. Anche se ancora non aveva idea di come e quando sarebbe avvenuto lo scambio, con il gps accesso avrebbe permesso ai suoi uomini di seguirlo ovunque e riconquistare l'oggetto di tanto interesse, il Pugnale.

"Faranno presto uno scambio, porteranno l'arma fuori dal loro quartier generale per consegnarlo agli uomini di quel Puro pidocchioso. Restate pronti ad agire, vi darò modo di trovarmi"

Fu conciso, dando pochi dettagli. In cuor suo, mentre premeva il tasto per l'invio, Joseph avvertì una sorta di fitta. Stava tradendo gli uomini di Arwen, che tanto erano stati gentili e umani con lui, per il proprio clan, per il sangue dei Menalcan che gli scorreva nelle vene – che bastardo! Eppure non poteva impedirsi di farlo.
Tra di loro la guerra andava avanti da anni, forse secoli e, nonostante tutto, i seguaci del Duca avevano più volte messo in ginocchio e umiliato i suoi confratelli: non poteva permettersi di essere clemente, nemmeno con gli uomini che Arwen Calhum gli avrebbe affiancato.
Nonostante la precaria stabilità della connessione, Kyle ci mise poco a rispondergli, rassicurandolo come solo lui sapeva fare. Lo avrebbe atteso fino all'ultimo, seguito, protetto e accompagnato nelle Lande Selvagge in qualsiasi momento, Joseph ne era certo e per questo non avrebbe avvertito nessun altro all'infuori di lui. Con pragmaticità, cancellò l'intera conversazione, tornando infine sui propri passi.
Purosangue era e tale sarebbe sempre rimasto, perché il suo sangue era più importante di qualsiasi altra cosa.

 

Aralyn scrutò fuori dalla finestra con una certa malinconia, facendo vagare lo sguardo tra le ombre della notte. Anche quell'anno, come ogni altro, era arrivato il suo giorno del suo compleanno, eppure tutto si poteva dire, tranne che ne fosse felice. In altre circostanze avrebbe accolto quel momento con un sorriso radioso e la voglia di festeggiare, ma, sfortunatamente, a differenza di qualsiasi altra volta precedente, la vicinanza con la nuova missione rendeva tutto più tetro – e se fosse stata l'ultima volta che si concedeva di soffiare su una manciata di candeline? E se non vi fossero stati altri compleanni da festeggiare, dopo quelle due settimane?
Non poteva negare che temesse il momento della partenza, così come non poteva negare di provare una sorta di riluttanza per quella missione; ma con che coraggio avrebbe potuto dire ad Arwen di non essere pronta? Di non voler partecipare allo scambio? Non poteva, perché il suo Alpha confidava in lei più di chiunque altro. Inoltre, era l'unica persona che potesse ancora mantenere viva la fama dei Calhum, l'ultima di loro che potesse dire di non essere morta o menomata.
Rifiutando il volere di suo fratello avrebbe portato disonore al Clan, spezzato il suo cuore e umiliato la sua figura – e la consapevolezza di ciò le fece venire le vertigini.

Alla sua età, dover fare i conti con tutte quelle responsabilità era nauseante. Eppure lo aveva sempre saputo. Dal giorno in cui i Menalcan avevano distrutto il glorioso sogno di Arwen di difendere gli Impuri, Aralyn aveva accettato quella condizione. Promettergli vendetta era equivalso a condannarsi.

D'un tratto, in mezzo a quei pensieri, si fece strada l'impellente desiderio di alcol. Doveva bere, affogare tutto quel malessere in mezzo a pozze di birra o qualsiasi altra cosa avesse trovato nella Tana; così si alzò di scatto dal pavimento, scivolando fuori dalla propria stanza. Alle tre del mattino, nel silenzio della settimana, nessuno si sarebbe accorto di lei, nemmeno i licantropi messi a sorvegliare il perimetro esterno: aveva ancora qualche ora prima del cambio della guardia.

A muoversi per i corridoi deserti, in completo silenzio, si sentì come un'ombra. Nonostante la pesantezza della mente avvertiva il corpo leggero, inconsistente. Era un fantasma che cercava redenzione e, per trovarla, avrebbe dovuto scendere fino alle cucine. 
In punta di piedi percorse la strada che dal piano superiore l'avrebbe condotta in mezzo alle leccornie nascoste tra credenze e frigoriferi e, solo quando fu lì, si concesse un sospiro.
Con tutto quello che aveva combinato in quell'ultimo mezzo anno si sarebbe dovuta dire fortunata a essere ancora viva, ma per quanto avrebbe potuto definirsi tale? Era entrata nel quartier generale dei nemici, li aveva uccisi e gli aveva rubato l'oggetto più prezioso che potessero vantare; settimane dopo aveva aggredito un loro membro uscendone illesa e, nello stesso periodo, aveva dovuto fare i conti con Dominik e il passato che aveva cercato di dimenticare – credeva ancora che il fato sarebbe stato dalla sua parte? Avrebbe voluto sperarci, ma non ne era capace.

Svelta allungò una mano verso le casse di birra che qualcuno aveva sapientemente impilato in un angolo e, compiendo un mezzo brindisi solitario, prese a bere. Non voleva più pensare a nulla, se ne fosse stata in grado si sarebbe strappata quei ragionamenti dalle sinapsi, ma non potendo, pregò che i fumi dell'alcol ne assopissero l'intensità.
Bevve una bottiglia dietro l'altra e, quando arrivò alla quarta, percepì su di sé una sensazione fastidiosa che però non seppe definire.
Non si trattava di nausea, né di capogiri; era piuttosto qualcosa che si trovava al di fuori del suo corpo, qualcosa che stava venendo prodotta da un'altra entità, così si volse alla ricerca di uno sguardo.

Con la coda dell'occhio intravide una figura acquattata nell'oscurità e, seppur malferma sulle gambe, provò ad aggredirla. Non voleva che nessuno la vedesse in quello stato, men che meno desiderava essere interrotta e, se per mantenere l'intimità di quel momento avrebbe dovuto aggredire uno dei suoi confratelli, non si sarebbe tirata indietro.
Le unghie appuntite, innaturalmente allungate a causa di un principio di mutazione, si andarono a premere leggermente sulla giugulare del malcapitato, ma prima che potesse dire o fare qualsiasi altra cosa, fu investita dal profumo familiare di suo fratello.

La ragazza si scansò dal corpo dell'Alpha, ritraendo zanne e artigli: «Mi hai allarmata» si scusò, velando però all'interno del tono una sorta di rimprovero. Arwen aveva l'incredibile, quanto snervante abilità di prenderla sempre alla sprovvista, sia quando si trattava di questioni umane, sia quando si parlava di licantropia.

L'uomo si lasciò sfuggire una risata sottile, staccando la schiena dalla parete su cui si era ritrovato schiacciato dopo l'aggressione. Con un'infinita dolcezza osservò la ragazza tornare verso il pianale su cui aveva abbandonato le birre: «L'alcol e l'insonnia giocano brutti scherzi, Ara. Come mai sveglia?»

«Esattamente tre ore fa ho compiuto gli anni e la prospettiva di vita che mi resta non è certo delle migliori. Direi che sono sveglia per festeggiare, cosa non lo so...» confessò, lasciando che il luppolo parlasse al suo posto. Forse, se fosse stata più lucida, avrebbe usato altre parole per confessare a suo fratello il disagio che aveva preso a logorarla dentro.
Lui le si fece vicino, seguendo i suoi passi fino all'isola nel centro della stanza. Nonostante tutto, i piedi scalzi dell'Alpha non ruppero troppo il silenzio e Aralyn si accorse della sua presenza alle spalle solo per via dell'ombra sulle piastrelle.
Involontariamente sentì i muscoli contrarsi – una strana tensione aveva preso possesso del suo corpo e, per un attimo, temette ciò che avrebbe potuto seguire.
«Vuoi che ti dia un motivo?» con una delicatezza che difficilmente si sarebbe potuta associare alla figura di Arwen, quest'ultimo prese a giocare con le punte pallide dei capelli della ragazza. Il susseguirsi di movimenti procurò alla ragazza un inaspettato piacere, nonostante qualcosa in lei le dicesse di non abbassare completamente la guardia, soprattutto perché si trattava pur sempre del suo Alpha.

Aralyn rubò un altro sorso dalla bottiglia che aveva aperto poco prima: «Ne avresti uno?» domandò poi, conscia di quale pericolo stesse andando incontro. Solo qualche mese prima avrebbe gioito ineluttabilmente per ciò che sarebbe potuto succedere in simile momento, ma ora, dopo ciò che era accaduto in quell'ultimo periodo, tutto ciò che desiderava era evitare a se stessa, ma soprattutto Josh, di far irritare il capoclan. Sì, perché quella sua sorta di maliziosa sfida, la riluttanza nello stare troppo vicina a suo fratello, altro non erano che effetti collaterali di un invaghimento che non si sarebbe mai aspettata riuscisse a soggiogarla. Inoltre, sapeva da sé, Arwen non era tipo da condividere le proprie cose – e lei era il suo tesoro più prezioso. A dimostrazione di ciò c'era il fatto che le avesse proposto d'andare in sposa a un altro capo branco, ma che poi non avesse mai più accennato alla questione, lasciandola perdere nel dimenticatoio di cose giuste da fare, ma non realmente desiderate.
Insomma, continuare a flirtare con suo fratello gli avrebbe impedito di vedere in lei il lento perire del sentimento che aveva nutrito nei suoi confronti per anni.

L'uomo a quel punto interruppe le carezze, afferrando, al posto dei capelli, il polso della ragazza e trascinandola a sé. Aralyn sentì il terreno sotto ai piedi farsi instabile, mentre costretta dalla forza di lui si ritrovò improvvisamente tra le sue braccia. Come mai era capitato prima, Arwen la teneva imprigionata tra le braccia e il proprio petto, fissandola con un'intensità che parve penetrarle gli occhi e arrivare dritta tra i pensieri.
Il cuore della lupa iniziò a battere con forza e più ella si rendeva conto che a quella distanza nulla sarebbe sfuggito al capoclan, più accelerava. La motivazione che le avrebbe dato era ormai chiara, solo che lei non si sentiva più pronta – ma come fermare un maschio Alpha?

Arwen si chinò senza far complimenti e, del tutto privo di inibizioni o remore, schiuse le labbra su quelle di lei, prendendosi il loro primo bacio.
La strinse sempre più, cercando d'impedirle qualsiasi resistenza e, in quel gesto, Aralyn vi trovò solo annichilante tenerezza. Aveva atteso quel momento per anni e ora che finalmente era arrivato, qualcosa in lei aveva smesso di desiderarlo; forse non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma sperò fino all'ultimo che una volta aperti gli occhi, al posto di suo fratello, ci fosse Josh – e le venne naturale paragonare il bacio d'ora, con quello che aveva scambiato con lui nel bosco.

Quando Arwen allontanò il proprio viso da quello di lei, si concesse una confessione: «Questo è il mio motivo. Tu e io che combattiamo per un futuro in cui nulla ci sarà più vietato» e un nodo le si andò a formare in gola, impedendole di trovare una qualsiasi risposta. Suo fratello amava lei e ciò per cui stavano combattendo nello stesso modo: senza esclusioni – e la cosa la fece sentire in colpa.

Il naso dell'Alpha sfiorò la punta del suo: «Ma fino ad allora, nulla di ciò che è successo stasera dovrà mai trapelare» annotò con una certa autorità, allentando la presa. Forse stava cercando di convincersi a lasciarla andare, o forse voleva solo godersi per qualche istante ancora il suo calore.
A farli sussultare e poi separare però, ci pensò qualcun altro.

Schiarendosi la gola, Garrel comparve dalla porta, lanciando loro un'occhiata tutt'altro che rassicurante: «Avresti dovuto pensarci prima di farlo nel pieno del nostro quartier generale» rimproverò Arwen.

Con fare nervoso si avvicinò, prese una bottiglia e rimise tra sé e i Calhum distanza.
«Ci sono limiti che non dovreste superare» bevve un sorso, mentre il cuore di Aralyn parve quasi fermarsi. Cosa sarebbe successo, ora? Garrel li avrebbe guardati in modo diverso da quel momento in poi? Li trovava ripugnanti, malati o altro? Oppure avrebbe capito? 
«Farò finta di non aver visto nulla, ma non azzardatevi più a fare o pensare una cosa simile. Forse non vi è chiaro, ma se vi avessero visti gli occhi sbagliati, avreste dovuto iniziare a temere per la vostra incolumità. Il Concilio non è clemente con i meticci» e a quel punto, quasi colta da un improvviso timore, Aralyn trovò la forza per spingersi via dal corpo dell'Alpha. Appena le mani di lui si furono staccate dal suo corpo, la ragazza si volse in direzione della propria camera, sparendo veloce tra le ombre della Tana.

 


 

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Capitolo 42
*** Risposte non gentilezze ***




40. Answers, not kindness

A pochi giorni dalla partenza, i membri della squadra scelta da Arwen si ritrovarono nel suo studio con il chiaro intento di pianificare insieme gli ultimi dettagli della missione. La tensione era palpabile nell'aria, tendeva i nervi di tutti come le corde di un violino e, più Joseph si guardava attorno, meno la sua certezza di riuscire a rubare il Pugnale era stabile. Ad accompagnarlo in quel lungo viaggio ci sarebbero stati i licantropi più promettenti del Clan, cosa che, seppur avesse messo in conto, non aveva realmente realizzato fino a quel momento. Aveva pressoché dato per scontato che a quella missione avrebbe partecipato anche Garrel, ma mai si sarebbe aspettato entrambi i gemelli e lei, Aralyn. Sì, era agile e veloce, ma non poteva definirsi forte – ogni volta che si erano allenati insieme era stato fin troppo facile atterrarla, o quantomeno lo era stato nel momento in cui era riuscito a prenderla; perché, quindi, sceglierla per un compito tanto difficile?

Arwen finì di scrivere, portandosi poi una mano alla tempia: «Scusate l'attesa, dovevo finire di segnarmi gli ultimi appunti, ci sono un po' di cose di cui parlare» con lo sguardo si mosse tra i presenti, soffermandosi solo qualche istante in più su sua sorella, forse rimuginando sulla scelta fatta. Con quale coraggio, un fratello maggiore, mandava a rischiare la vita il sangue del proprio sangue? Non si rendeva conto, che da uomo quale era, da Alpha, avrebbe dovuto caricare un simile fardello sulle proprie spalle e non su quelle di una ragazzina?
«La partenza è imminente, credo non serva ricordarvelo» con un movimento goffo, l'albino si tirò in piedi, facendo il giro della propria scrivania e poggiandovi sopra il peso. A Joseph non sfuggì quel suo muoversi con una certa fatica, quasi soffrisse un qualche dolore ai muscoli. Forse era stato talmente seduto d'aver fatto addormentare una delle gambe, o forse aveva preso una storta, ma nulla che pareva essere eccessivamente preoccupante. Lo aveva già visto faticare nel compiere alcuni gesti, probabilmente a causa di un effetto collaterale della sedentarietà in cui s'era costretto, considerò il figlio di Douglas.

«Ho pensato che fosse meglio per voi muovervi come un singolo gruppo, piuttosto che usare mezzi diversi. Non vorrei che vi attaccassero separatamente. Il Pugnale ha la priorità, quindi più siete intorno a lui, meglio è».

Soprattutto in previsione di un attacco dei Menalcan, pensò il ragazzo mordendosi l'interno guancia. 
I suoi uomini sarebbero stati alle loro calcagna fino all'ultimo in attesa di un comando, quindi avrebbe dovuto trovare lui il momento migliore in cui farli piombare sul gruppo d'Impuri – eppure avrebbe preferito non farlo. L'idea di vedere quei quattro fatti a brandelli dai sottoposti che aveva nel clan era un'immagine tanto fastidiosa d'averlo tenuto sveglio notti intere, soprattutto quando la sua attenzione ricadeva su Aralyn. E proprio su di lei, involontariamente, si ritrovò a far cadere lo sguardo.

La trovò seduta in un angolo, con il viso nascosto tra le mani, tesa.

Il solo pensiero di farla aggredire dai confratelli del branco gli metteva addosso una terribile sensazione, a metà tra la nausea e il nervoso. Lei non si meritava nulla di ciò che l'aspettava, eppure lui doveva fare la propria scelta: proteggerla sarebbe equivalso a ripudiare i Menalcan, ma farla massacrare significava far male alla ragazza per cui aveva iniziato a sentire qualcosa - quindi spezzarsi il cuore.

Joseph vide le mani di lei spingersi verso la fronte, tirare indietro i lunghi capelli chiari e liberare così le labbra: «Sei sicuro sia la soluzione migliore? Un'auto vuol dire un unico bersaglio» la sentì domandare, mettendo in dubbio il piano del fratello che, trovandosi sfidato, le si avvicinò con lentezza. Lo spazio tra loro, sempre meno ampio, mise in agitazione il purosangue, smuovendo in lui una sensazione di fastidio che avrebbe tanto voluto mettere a tacere – ma ormai sentiva Aralyn come una sua proprietà, perché il ricordo del loro bacio gli vibrava ancora nella mente con incredibile nitidezza.

«Due vuol dire avere meno protezione intorno a te. Se una avesse dei problemi tecnici finireste con il muovervi in solitaria, meno sicuri, così come agendo separatamente sareste più deboli» le rispose l'Alpha poggiando una mano sulla sua spalla e, in quell'istante, al giovane Nobile parve vedere la femmina sussultare, quasi presa alla sprovvista dal gesto del consanguineo; ma perché?

Garrel prese un sorso di birra, sciacquandosi la gola prima di parlare: «La meta?»
Arwen si volse nella sua direzione: «Croazia, nei pressi di Novigrad» rispose, lanciando poi uno sguardo fugace in direzione di una mappa malandata appesa alla parete. 
Joseph, così come gli altri membri della squadra, seguì la traiettoria degli occhi dell'uomo, scoprendo una puntina rossa nei pressi della costa appena sotto alla Slovenia. 
Era lontano, si disse. Se voleva che i suoi uomini li raggiungessero in tempo doveva avvertirli prima di lasciare la Tana, magari facendoli muovere già in direzione di quelle terre. Dalla Scozia era impensabile che arrivassero lì prima di loro, o che comunque riuscissero a rintracciarli prima dello scambio.

«Avremmo un alloggio?» chiese Eike, seguito subito dopo dal gemello.
«Chi incontreremo là?»

L'Alpha si allontanò dalla sorella, tornando in direzione della propria scrivania.
Prese tra le mani i fogli che aveva riempito di scritte fino a poco prima e, leggendo qualche piccolo dettaglio riportato lì sopra, cercò di chiarire tutti i dubbi: «Tra una settimana leverete le tende. Vi ho segnato i tragitti a mio avviso migliori e le tappe obbligate che dovrete fare. Sono due, più la meta finale. Ho elencato i pochi hotel e bed and breakfast disponibili e i ristoranti in cui potete mangiare qualcosa. Mentre siete in autostrada vedete di fermarvi solo quando l'auto arriva in riserva, meno tappe fate lì, meglio è» poi mise sul tavolo la carta, afferrando il proprio cellulare e iniziando a cercare qualcosa. Il giovane Menalcan, incuriosito, fece qualche passo verso il centro della stanza, arrivando accanto alla poltrona su cui Garrel se ne stava stravaccato.
Il capobranco volse l'aggeggio tra le proprie mani, mostrando una prima foto. Un uomo mulatto, dai lineamenti duri, troneggiava sul display con sguardo minaccioso: «La squadra del Duca sarà guidata da Vince, alcuni di voi dovrebbero ricordarlo» Aralyn e l'omaccione barbuto furono gli unici due ad annuire con convinzione e, una volta ricevuta la loro conferma, Arwen passò alla fotografia successiva, quella di un ragazzetto dai tratti orientali e i capelli sfumati in mille colori diversi.
«Poi ci sarà Ichigo e...» un ultimo cambio, questa volta sul viso di una donna riccia: «Sybille. Anche lei dovreste ricordarla» e ci fu un nuovo gesto d'assenso, questa volta anche da parte dei gemelli.

Joseph non aveva alcuna idea di chi fossero quei tre. Nei suoi ricordi di quegli ultimi dieci anni di lotte non riusciva a trovare un solo momento in cui li avesse mai incrocisti, così, sentendosi escluso dalla conversazione, si convinse che fosse giunto il suo momento di porre una domanda di qualsiasi natura in relazione alla missione: «Se fossimo attaccati nel mentre, prima di dare a questi tre il Pugnale?»
E, a dispetto di quanto aspettato, fu Aralyn a rispondergli, non l'albino: «Ammazziamo o mutiliamo quanti più nemici possibile. O noi, o loro, non ci sono vie di mezzo».
Inesorabilmente finì con il calare il proprio sguardo nuovamente su di lei e quando incrociò il suo, lo stomaco gli si strinse. Negli occhi e nell'espressione della ragazza non vi era alcun dubbio sul da farsi, credeva davvero in ciò che stava dicendo, eppure Joseph riuscì a scorgere in lei un lampo di paura – temeva il proprio destino, nonostante fosse pronta a corrergli incontro per il bene della sua gente. Quale dedizione!, si ritrovò a pensare. E quanta bellezza racchiusa in un semplice viso crucciato.

«Potrebbero essere numericamente superiori, i Menalcan hanno decine e decine di uomini» sottolineò, forse cercando di alimentare l'inquietudine che aveva intravisto in lei, convincendola a lasciar perdere quella missione. Farla aggredire dai suoi uomini stava diventando sempre più una decisione ripugnabile, tanto terribile da riempirgli la testa di pensieri sbagliati. Ma lei non demorse: «E noi cercheremo di abbatterli. Abbiamo massacrato venti dei loro uomini in quattro, cosa ci impedisce di farlo ancora? E poi, il Pugnale deve essere portato in salvo a qualsiasi costo, abbiamo perso troppo per farci sopraffare dai nemici proprio ora» ringhiò lei, mostrando i denti. Doveva certamente star cercando di coprire con belle parole le proprie paure, il Puro ne fu certo.

Eppure...
Eppure, se si fossero arresi e avessero spontaneamente consegnato il Pugnale a lui e i suoi uomini, una volta messi spalle al muro, avrebbe persino potuto pensare a un atto di misericordia: ferirli, spezzargli qualche osso e nulla più, lasciandoli così in vita. Lasciando Aralyn in vita.

 


 

 

Uscirono dallo studio di Arwen dopo più di due ore, armati di tutte le informazioni necessarie per la missione a cui avrebbero dovuto far fronte. Nessuno sembrava temere ciò che li stava aspettando, eppure il purosangue sapeva che sarebbero andati incontro a un massacro – la vendetta più equa dopo ciò che avevano fatto in casa di Douglas.

Aralyn fu l'ultima ad andarsene dalla stanza, concedendosi il lusso di scambiare ancora qualche parola con il fratello, ma ciò non impedì a Joseph d'attenderla a qualche metro dalla porta di quel luogo. L'osservò oltrepassare lo stipite ed entrare nel corridoio a occhi bassi, pensierosa più che mai dopo quella lunga riunione.
Senza esitare, e ansioso di conoscere quali pensieri le frullassero per la testa le andò incontro appena fu certo che l'Alpha non fosse al suo seguito.
«Ehi» la chiamò a sé, facendola improvvisamente tornare con i piedi per terra. La ragazza batté alcune volte le palpebre, forse cercando si mettere a fuoco la situazione.
«Ehi» lo salutò di rimando, provando ad abbozzare un sorriso che apparve terribilmente forzato. Sul suo viso c'erano i chiari segni della stanchezza, gli stessi che lui rivedeva nel proprio riflesso ogni mattina da quasi una quindicina di giorni e, così, gli venne naturale chiederle come stesse – forse i demoni che lo tenevano sveglio la notte potevano andare d'accordo con quelli di lei.

«Non dovrei stare bene?» gli rispose corrugando le sopracciglia e mostrando quanto non le piacesse ritrovarsi in una situazione del genere. Il purosangue non seppe dire se fosse solo la sua presenza a generarle tanto disagio, o se fosse per via della vicinanza alle orecchie di Arwen, che avrebbe potuto rivendicare la propria proprietà sulla sorella.

«Sei stanca... e aggressiva. Volevo solo assicurarmi che non ci fosse nulla a turbarti» si concesse il lusso di confessare, nascosto dietro all'alter-ego di Josh, che ogni giorno pareva sempre più prender possesso di lui.

Aralyn scosse la testa: «Non dovresti perder tempo a preoccuparti per me, non sono l'unica che sta andando incontro allo sfacelo» e poi provò a fuggir via dalla conversazione come suo solito. Cercava d'evitarlo in tutti i modi possibili, di tenere le distanze e provare a dar corpo al suo rifiuto, ma istintivamente lui la bloccò, afferrandola per il polso e cercando di trattenerla il più possibile. Il tempo a loro disposizione diventava sempre meno e Joseph, sopraffatto da desideri che non aveva mai sentito muoversi in lui, si rese conto di non volerlo sprecare in alcun modo.

«Ehi! Guarda che sto solo cercando di essere gentile» sbottò, stringendo la presa e strattonandola un poco verso il proprio viso. Si fissarono con estrema intensità e, nuovamente, la voglia di baciarla si fece impellente. Più il loro contatto visivo restava stabile, più lui desiderava non allontanarsi più, fermare il tempo e impedire al giorno della partenza d'arrivare, in modo da proteggerla.
«Ora ho bisogno di trovare delle risposte, non gentilezza» ringhiò ancora, esattamente come durante il confronto nello studio e, colto alla sprovvista da quella reazione, il purosangue mollò la presa su di lei.
Ogni tentativo di avvicinarsi ad Aralyn veniva bloccato in modo brusco. Ogni suo gesto gentile si trasformava in motivo di litigio, eppure non riusciva a impedirsi di farlo.

 

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Capitolo 43
*** Devi tornare ***




41. You must come back

I sette giorni che Arwen aveva lasciato loro passarono più velocemente di quanto chiunque si sarebbe aspettato e, d'un tratto, arrivò il momento della partenza. Aralyn si guardò attorno per un'ultima volta, cercando di memorizzare al meglio ogni angolo della propria stanza: il camino spento, l'armadio bianco in disordine, il tappeto dove si sdraiava per guardare i film, la cassapanca di legno, il letto a baldacchino con sopra le lenzuola impregnate del suo odore e delle ultime lacrime versate in gran segreto. Non era certa che avrebbe rivisto quel posto, così lo salutò come un amico che si va lasciando per sempre: soffrendo.
Chissà se si sarebbe mai addormentata nuovamente su quel materasso; se avrebbe conversato con suo fratello di fronte al focolare che accendevano ogni sera d'inverno. Chissà se quelle pareti sarebbero tornate a custodire i suoi sogni e i suoi pianti, oppure lo avrebbero fatto con qualcun altro del clan.

Prendendo un grosso respiro si decise che fosse giunto il momento d'andare, così, combattendo con l'esitazione, afferrò il borsone ricolmo di tutte le cose che le sarebbero potute servire per il viaggio. Lo sentì più pesante di quanto non fosse mai stato e, per la prima volta in sette anni, si convinse di averlo riempito per un unico viaggio, quello d'andata. 
Facendosi coraggio trascinò i piedi fuori dalla stanza, immettendosi nel corridoio. Lì, si ritrovò ad avere a che fare con una moltitudine di licantropi in sua attesa, pronti a salutarla, incoraggiarla e lasciarle qualche bacio d'arrivederci sulle guance. 
Seppur infastidita da tutte quelle moine, si costrinse a ricambiare ogni singola parola, sapendo da sè che ogni confratello stava, a modo proprio, cercando di farle sentire l'affetto che provava nei suoi confronti. In fin dei conti era stata per tutti un'amica, alle volte una guida, una protettrice e, soprattutto, la luce del loro Alpha. Lasciarla andare via senza il giusto calore sarebbe stato un rammarico collettivo.

Come procedendo lungo la via Crucis, Aralyn passò dal piano superiore all'ingresso della Tana, situato a quello inferiore. Sulla soglia si ritrovò entrambi i gemelli. Eike le sorrideva con dolcezza, quasi a cercare d'instaurare una sorta d'empatia, mentre Hugo le andò incontro sfilandole dalle mani il bagaglio, visibilmente troppo pesante per una ragazzetta come lei. Si guardarono tutti e tre, studiandosi, cercando di capire se le paure di uno fossero anche quelle dell'altro, finché in conclusione non arrivarono anche Garrel e Josh, entrambi accompagnati dal medesimo mormorio che aveva seguito lei.

L'omaccione sospirò: «Odio quando fanno così» ammise poi in una specie di sussurro, cercando di farsi sentire solo dai propri compagni.
«Vogliono solo sentirsi utili» puntualizzò uno dei due fratelli, sospingendosi al di là della porta e precedendo tutti nel cortile. 
Nolente, la giovane si ritrovò a faticare nel compiere le falcate verso l'uscita e, senza rendersene conto, finì con il ritrovarsi spalla a spalla con colui che aveva più di tutti cercato di evitare. Lui, forse notando la riluttanza di Aralyn nell'avvicinarsi all'auto, cercò di tirarle su il morale: «Andrà tutto bene» le sussurrò con un sorriso e lei, del tutto stupita dalla serenità con cui le stava rivolgendo un simile commento, sgranò gli occhi. Possibile che riuscisse a mantenere la calma anche in un momento del genere? Forse non aveva idea di ciò a cui stavano andando incontro, o forse voleva ignorare la gravità della situazione, ma ad ogni modo, nella sua espressione la lupa sentì di poter trovare una sorta di pace, anche se labile.

«Lo credi davvero?» gli domandò, abbassando lo sguardo sui propri stivali.
Josh soffiò dal naso, compiendo lo stesso gesto: «Mànagarmr veglierà su di noi... e poi siamo tutti qui per proteggerti»
A quelle parole, Aralyn sentì il cuore stringersi. Sì, erano tutti lì per assicurarsi la sua incolumità fino al momento dello scambio, anche lui, ma sarebbe davvero bastato?

Scosse la testa nel tentativo di scacciare i pensieri che già sapeva non se ne sarebbero andati fino alla fine di quel viaggio e poi, tornando a fissare lo spazio di fronte a sé, incrociò il viso di Arwen. Vide suo fratello lanciare loro un'occhiata bieca, ovviamente infastidito dalla sua vicinanza con il morettino al suo fianco e, a quel punto, accelerò il passo. Meno motivi per arrabbiarsi gli dava, meglio era, soprattutto dopo il bacio che le aveva dato.

L'Alpha si staccò dalla vettura a cui era appoggiato: «Hai preso tutto?» le domandò poi amorevolmente, prendendola in disparte. Lei annuì, sentendo l'agitazione farle ribaltare le viscere. A essere sinceri avrebbe voluto scordarsi qualcosa, avere una scusa per tornare indietro, ma l'abitudine aveva preso il sopravvento sulle sue mani, riempiendo il bagaglio con tutto il necessario.

Arwen la prese per le spalle, fece scendere le mani lungo le braccia e infine le afferrò le dita. Erano uniti in un intimo gesto d'affetto che a occhi altrui sarebbe potuto apparire fraterno, ma che nascondeva ben altro, e Aralyn non poté che sentirsi a disagio. Quali occhi avrebbero potuto vederli? Sicuramente quelli che meno avrebbe voluto addosso in un simile momento.
 

Il viso dell'albino era contratto in una smorfia dura che gli conferiva ancora più autorità, anche se nello sguardo vi era nostalgia, preoccupazione e amore. Per un istante le sembrò di tornare al giorno della partenza verso Villa Menalcan e, improvvisamente, seppe che anche lui stava temendo come lei il peggio. Non c'erano garanzie a consolarli, a calmare i loro cuori in tumulto. Non c'era nulla a cui aggrapparsi fino al giorno del ritorno, che poteva essere la settimana successiva o mai.
«Ho fiducia in te» le disse, staccando una mano dalle sue dita ed estraendo dalla tasca posteriore dei pantaloni l'involucro di cuoio che conteneva il Pugnale. Se lo girò e rigirò davanti agli occhi, per poi porgerglielo: «Ti ho affidato ogni cosa. La mia vita, una parte del clan, le missioni più importanti e il mio cuore Ara, e non mi hai mai deluso». L'artefatto passò da un Calhum all'altro e, nell'istante esatto in cui Aralyn se lo ritrovò nuovamente tra le mani, poté sentire il potere e la sacralità di quell'affare invaderle il corpo, trapassando la pelle, i muscoli e attaccandosi alle ossa.
Arwen le alzò il viso, in modo da poterla osservare in tutta la sua somigliante bellezza: «Questo è l'ultimo sacrificio che ti chiedo come guerriera» concluse, cercando di infonderle sicurezza.

Involontariamente, la ragazza strinse la presa sul fratello. Non le importava se lui avrebbe potuto fraintendere, desiderava solo aggrapparsi a quelle mani un'ultima volta, sentirsi utile, rassicurata.

Quante volte suo fratello l'aveva salvata? Quante volte l'aveva protetta dalle cose peggiori? Trasportare per ottocento kilometri il pugnale che lei stessa aveva rubato era il minimo che potesse fare, soprattutto se in ballo c'era il destino di tutti gli Impuri. Quello era suo ultimo atto di fede nei confronti della visione del Duca, la stessa che il suo Alpha aveva condiviso da sempre.

«Torna da me, okay?»

«Sappiamo entrambi che potrebbe non succedere» lo interruppe la lupa, spezzando l'intimità di quel momento. Non voleva mentire: in quella missione c'erano tante possibilità che tornasse, quante quelle che non ce la facesse, era inutile fingere che avrebbe certamente fatto ritorno, meglio mettersi già il cuore in pace.

Arwen, preso da un impeto quasi irreale, la strinse a sé di fronte a tutti. Più di lei, avrebbe voluto non udire simili parole. Aralyn si ritrovò così immersa nel calore dell'altro, avvolta in una sensazione di protezione che le sembrava di aver scordato e, senza pensarci, si allacciò con le braccia ai fianchi di lui, stringendosi con vigore.

L'Alpha poggiò le proprie labbra sull'orecchio della sorella: «Io aspetterò comunque il tuo ritorno» sentenziò infine, depositandole poi un bacio sulla fronte. Quello era il loro arrivederci, anche se aveva il sapore di un addio. Aralyn avrebbe voluto fingere che fosse diversamente, ma più ci provava, più la realtà la prendeva a schiaffi.
Restarono incollati per minuti che parvero fin troppo brevi e quando lui si staccò, lei avvertì le lacrime appiccicarsi al cuore pur di non uscire, facendoglielo sentire pesante.
Ora doveva andare.


Yaga

finalmente i nostri eroi sono partiti per Novigard, ma cosa li aspetta veramente?
Joseph tradirà Aralyn o preferirà salvarla voltando le spalle al proprio clan? E questo, cosa potrebbe comportare? 

I capitoli che ci separano dai prossimi colpi di scena sono davvero pochi e, se non erro, con un'altra ventina arriveremo alla fine del primo volume (ma comunque dipenderà dalla revisione).

Ho giusto un'ultima domanda da farvi.
Se dovessi riuscire a mantenere la media di una pubblicazione a settimana, in quale giorno preferireste che avvenisse l'aggiornamento?

Per il resto, mi auguro che questo momento di tenerezza tra i fratelli Calhum vi sia piaciuto e che possiate continuare a seguire e supportare la storia <3 

Vi ringrazio per averla iniziata e letta fin qui, ma soprattutto per esservene in parte affezionati

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Capitolo 44
*** 42. Pensa prima di Agire ***




42. Think Before Act

L'aria salmastra colpì le narici ancor prima che potessero scorgere l'Adriatico da oltre il parabrezza. Aralyn fu costretta ad arricciare il naso più e più volte per evitarsi di starnutire in continuazione, ma dentro di sé non poté impedirsi d'avvertire una sorta di contentezza. Il mare lo aveva visto poche volte, soprattutto a causa dei luoghi che suo fratello, negli anni, aveva scelto come rifugio. Si erano sempre celati in zone boschive e di montagna, così le onde aveva dovuto imparare a conoscerle durante le missioni che l'avevano spinta da un lato all'altro dell'Europa e, alla fine, erano riuscite a farla tornare bambina ogni volta che entravano nel suo campo visivo.

Istintivamente, mossa dalla sensazione piacevole che si sentiva agitare dentro, volse lo sguardo verso Josh, curiosa di sapere quale effetto avesse su di lui quel panorama. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che evitarlo, conscia di quanto le sue parole, quella volta alla tavola calda, si fossero trasformate in una possibile verità.

"E se un giorno uno di noi partisse per una missione e non tornasse più?"

A partire erano stati entrambi, ma a tornare ancora non si sapeva. Con quale coraggio, quindi, si sarebbe lasciata andare ai sentimenti che aveva iniziato a provare per lui, sapendo che forse quelli potevano essere gli ultimi momenti che passavano insieme? Forse lo stesso con cui ora lo stava furtivamente cercando nell'abitacolo, bramosa di scoprirlo un po' di più.
Lo vide socchiudere gli occhi cristallini in un naturale gesto di piacere, per poi prendere grossi respiri dell'aria marina che s'insinuava nei polmoni grazie ai finestrini aperti, gli stessi che permettevano al vento di scompigliargli i capelli, dove lei si rese conto avrebbe tanto voluto passare le dita.

Involontariamente prese a torturarsi il labbro con gli incisivi, crucciandosi su ciò che sarebbe stato meglio fare: continuare a evitarlo nella speranza di non soffrire più del dovuto in caso fosse morto, o lasciarsi andare all'istinto nella speranza di non aver rimpianti, in caso fosse stata lei quella a finire nelle Lande Selvagge insieme a Mànagarmr? 
Prima che potesse anche solo darsi una vaga parvenza di risposta, Garrel la riportò alla realtà: «Quali alloggi ci ha consigliato tuo fratello?» La ragazza mosse svelta le mani nel portaoggetti di fronte a sé e, sotto a qualche fogliettino straccio usato per passare il tempo, ritrovò le annotazioni di Arwen. Ormai, per quanto le aveva lette, avrebbe dovuto conoscerle a memoria, ma vista la mente affollata da ben altri pensieri preferì non correre rischi.
Facendo scorrere lo sguardo sulle scritte fitte trovò ciò che stava cercando: «Ce ne sono un paio proprio a Novigrad, lì saremo un po' più al sicuro. Con tutti gli umani presenti i nemici non ci attaccherebbero mai apertamente. Sennò possiamo stare in un bed and breakfast improvvisato poco più fuori» suggerì, alzando lo sguardo sull'amico. L'uomo parve considerare con cura l'offerta e poi, dopo alcuni lunghissimi istanti, si rivolse ai passeggeri sul sedile posteriore: «Voi cosa suggerite?»

«Novigrad, senza alcun dubbio» decretò Hugo, chiudendo la console portatile che teneva tra le mani. Eike annuì: «Più servizi, più gente e più discrezione» aggiunse a sostegno della scelta del gemello.
Josh invece, spostando appena il viso all'interno dell'abitacolo, parve non avere alcun vero interesse nella conversazione. Dalla sua espressione Aralyn poté presagire che stesse pensando ad altro, qualcosa certamente più importante, per lui.
«Mi fido del vostro giudizio, dopotutto siete più avvezzi di me a queste cose» disse, riportandosi poi nella posizione iniziale. La lupa rimase qualche istante in silenzio e poi, convincendosi che non fosse il momento per soffermarsi sul ragazzo, mise fine alla conversazione: «Che la città sia».

Fu così che, per le ore successive, la tensione prese ad aumentare. Più la meta si faceva vicina, più la paura che i nemici spuntassero da qualche angolo della superstrada diventava forte.
Ormai erano quasi arrivati, mancavano poco più di ventiquattrore allo scambio e ciò non aiutava per nulla i nervi, inoltre, non avevano ancora ricevuto alcuna notizia da parte degli uomini del Duca.
Arwen aveva assicurato loro che, nel momento in cui fossero arrivati anche quest'ultimi nei pressi della cittadina costiera, li avrebbero informati tramite messaggio, chiamata o videochat, in modo che potessero organizzarsi al meglio, anche in base alle condizioni generali della situazione. Eppure nulla, nemmeno mezza parola – c'era quindi da preoccuparsi?

Garrel finalmente imboccò l'uscita per Novigrad e, quasi all'unisono, i presenti smisero di emettere qualsiasi rumore. Hugo, Josh e Aralyn presero a scrutare ogni singolo automobilista che passava loro accanto, sfrecciando al di là dei finestrini. Stavano cercando nei loro tratti, negli sguardi e in qualsiasi dettaglio del loro aspetto un indizio che potesse scagionarli dal sospetto di essere Menalcan, lupi di Ophelia o membri di qualsiasi altro clan appartenente ai quattro dignitari restanti del Concilio. Grazie al cielo, nessuno parve levare dubbi nei segugi che, con il cuore in gola, attesero il momento in cui l'auto si sarebbe fermata.

L'omaccione al volante parcheggiò in un angolo nascosto della cittadina e, per alcuni minuti, rimasero in totale silenzio in attesa di qualcosa d'imprecisato. Persino i loro respiri, seppur accelerati dall'agitazione del momento, sembravano essere inudibili – si erano trasformati in fantasmi, ombre nel pomeriggio a metà. 
La mano della ragazza si strinse intorno al fodero del Pugnale della Luna e l'argento vivo oltre il cuoio parve riuscire a pizzicarle la pelle. Fu rassicurante e al contempo fastidioso. Da un lato sapere di avere un tale potere celato nell'enorme tasca della felpa la faceva sentire pericolosa e invincibile, dall'altro, la coscienza di essere oggetto di interessi indesiderati la metteva terribilmente a disagio; sarebbe bastato un movimento sbagliato per perdere tutto.

Eike le si avvicinò: «Dovremmo scendere» sussurrò scrutando oltre il parabrezza.

«Per andare dove?» replicò Garrel ruotando d'un poco il busto, in modo da osservarlo meglio.

Dire che star lì era stenuante, poteva apparire come un eufemismo, eppure non c'era molto da fare: prima di decidere dove pernottare dovevano dare agli uomini del Duca ancora qualche minuto. Prima di fare un qualsiasi tipo di check-in volevano avere la certezza che tutto stesse procedendo a dovere. Se si fossero mossi in modo sospetto avrebbero finito con il lasciare tracce e ciò, avrebbe potuto compromettere la missione. In fin dei conti, se Vince e gli altri avessero fatto una brutta fine, la soluzione migliore d'adottare sarebbe stata quella di spingersi fino al rifugio del loro Alpha, dove molti più licantropi avrebbero potuto contrastare l'orda nemica e mettere in salvo l'arma.

Aralyn spostò lo sguardo dai compagni alla propria borsa, poi alla tasca dentro cui si poteva intravedere la sagoma del Pugnale. Cosa fare? Possibile che rispetto agli altri fossero arrivati con così tanto anticipo? Forse avrebbero dovuto contattarli, o forse avrebbero fatto meglio ad aspettare ancora un po'.

Però non potevano restarsene lì.

Esausta socchiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo: «Scendiamo, troviamo un letto su cui riposare, mangiamo e poi vedrò che fare. Nel mentre daremo a Vince ancora qualche ora» sentenziò, sperando che la sua decisione non venisse contrastata da qualcuno dei presenti – non aveva idea di cosa fare, la testa le doleva per i troppi pensieri e la pressione del momento.
Garrel grugnì, forse dubbioso riguardo alla scelta: «E se dovesse succedere qualcosa?»
«Pagheremo notte per notte, in modo che se dovessimo sgattaiolare via non ci saranno problemi con l'hotel. So che è rischioso, ma non possiamo stare qui in auto a guardarci intorno come degli ossessi, siamo bersagli troppo individuabili» di fronte a quella risposta nessuno parve avere più da obbiettare e quindi, recuperando tutti i bagagli, abbandonarono la familiarità dell'abitacolo per le strade sconosciute di Novigrad.

Muovendosi con circospezione si fecero largo per le viuzze baciate dal sole, arrivando infine a uno degli hotel più anonimi che avessero mai visto, circondato da qualche casupola rossiccia e dal suono dell'acqua contro gli scogli.
Dalla finestra della propria stanza Aralyn poteva vedere l'immensità del mare al di là di qualche tetto non troppo alto e, nonostante la totale frustrazione in cui si era ritrovata, riuscì per un istante a liberare la mente. Era lontana da casa, circondata da alcune delle persone più fidate che potesse avere e tutto ciò che la teneva legata alla vita di massacri e fughe a cui si era abituata, se ne stava appoggiato sulle lenzuola pallide.

Tanto piccolo d'apparire innocuo, pensò.

Un nuovo sbuffo le si levò dalle labbra, mentre appoggiata al parapetto del proprio balcone si volse ancora verso l'orizzonte. Come poteva tutta quella pace anticipare un tale e probabile macello? Come avrebbe potuto, quel luogo, diventare scenario della sua possibile morte?

Le mani presero a formicolarle. Se a Vince avrebbe dato ancora un paio d'ore, a suo fratello non poteva negare una telefonata. Aggiornarlo sulla situazione era inevitabile, così afferrò il proprio cellulare dalla tasca dei jeans e, senza ripensamenti o esitazioni fece partire la chiamata. Nemmeno un paio di squilli dopo, la voce di Arwen fece capolino dall'altra parte della cornetta: «Ehi... tutto okay?» Persino senza prestarvi grande attenzione, Aralyn poté udire il fiato corto del fratello, forse a causa di un'inaspettata corsa verso la scrivania.

«Dipende dai punti di vista» sospirò lei, iniziando a passeggiare lungo il modesto balcone: «Noi stiamo bene, non abbiamo incontrato imprevisti, ma gli uomini del Duca non ci hanno ancora contattati. Cosa dovrei fare?»
L'Alpha d'improvviso cambiò completamente tono, rilassandosi: «Il tuo istinto cosa ti dice?»
«Per adesso ho fatto fermare tutti in un hotel. Ci stiamo riposando. Pensavo di contattarli dopo cena... magari è solo questione di un paio d'ore» gli confessò, temendo in parte la sua reazione. Forse avrebbe dovuto chiedergli consiglio prima di agire, non a conti fatti.

L'uomo al telefono con lei sospirò e, inesorabilmente, la sorella se l'immaginò mentre tirava indietro la testa, passandosi una mano sul viso. Faceva sempre così quando qualcosa andava storto.

«Capisco... ora tu vedi di riposarti, magari fatti portare da Garrel a mangiare qualcosa, Vince lo contatto io. Appena ho sue notizie ti aggiorno, poi vediamo il da farsi, okay?» Persino in una simile situazione il suo lato fraterno riusciva a prendere la meglio su di lui – o forse si trattava di altro, di un sentimento meno lecito.
La giovane acconsentì, chiudendo la chiamata con un saluto mesto. Se anche Arwen stava iniziando a infastidirsi, forse qualcosa stava davvero prendendo una piega poco positiva – e l'urgenza di non far velocizzare troppo l'orologio del destino aggredì Aralyn alla gola. Come voleva spendere quella che avrebbe potuto essere la sua ultima sera? Cosa poteva fare, ora che era lontana da suo fratello e terrorizzata dall'idea di aumentare la propria lista di rimorsi?

Mossa da un pensiero tutt'altro che logico, si fiondò sul Pugnale, se l'infilò nell'orlo superiore dei pantaloni bloccandolo alla bene e meglio e lo nascose sotto alla felpa oversize, uscendo poi svelta dalla stanza.
La risposta pareva essere quasi scontata.

Percorrendo il corridoio fin quasi alla fine, la giovane si ritrovò di fronte a una porta identica alla propria e lì, prese a bussare con circospezione. Non voleva farsi scoprire, ma allo stesso tempo doveva riuscire a portare a termine ciò che aveva deciso di fare: passare del tempo con colui che si era imposta d'evitare.

All'ennesimo colpo, il battente s'aprì, rivelando ai suoi occhi una zazzera scura e scapigliata e uno sguardo stanco, ma comunque abbastanza magnetico da convincerla d'aver fatto la cosa giusta.
Josh sussultò, batté più volte le palpebre e prese a guardarsi intorno con una certa incomprensione: «E' successo qualcosa?» le domandò poi, forse rinunciando all'idea di capire perché, dopo quasi tre giorni passati a evitarlo, lei si trovasse lì. Torturandosi le labbra, Aralyn si rese conto di non essersi preparata in alcun modo ad affrontare quella situazione. Il cuore prese ad accelerarle nel petto, facendola sentire più confusa di quanto non fosse.
Cosa dirgli? Che scusa usare?
«I-Io...» prima che potesse formulare una frase sensata però, il cigolio di un'altra porta in procinto d'aprirsi la fece sussultare, mettendole addosso un'urgenza che le mosse la lingua: «Posso entrare?»
E senza dar modo al ragazzo di acconsentire od obbiettare, s'infilò nella sua stanza, passandogli accanto e facendosi strada nella tana del lupo.


 

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Capitolo 45
*** Confessioni ***




43. Confessions

Joseph osservò con stupore la schiena di Aralyn farsi strada all'interno della propria stanza – sospettava che la stanchezza gli stesse giocando qualche brutto scherzo, ma più istanti passavano, più le probabilità che non stesse sognando si facevano maggiori. 
Chiudendo la porta la seguì, spiando il modo in cui aveva preso a guardarsi attorno e studiare il suo eccessivo ordine, rimembranza del solito sé che non era riuscito a dimenticare. Nell'insieme, comunque, la situazione pareva essere stranamente confortante, quasi la figura di Aralyn fosse sempre stata nei luoghi da lui abitati, anche se in sordina, una sorta di immagine sfuocata agli angoli degli occhi; il fatto che fosse lì non generava in lui alcun disagio, ma piuttosto piacere, persino in prossimità dell'arrivo dei suoi confratelli. Lo rilassava vederla muoversi nella sua quotidianità, facendogli quasi credere che potesse davvero dimenticare tutto ciò che se ne stava al di là delle terre del Clan del Nord, di quel momento esatto, della porta di quell'anonimo hotel. In un'altra vita, forse, avrebbe potuto illudersi che il suo futuro, il loro, sarebbe stato così: riempiendo l'un l'altro i vuoti che non avevano mai avuto un nome o una forma – peccato che all'orizzonte vi fosse ben altro in arrivo. Già, perché i Menalcan stavano per mettere piede in Croazia, o forse erano già lì, in attesa di un suo comando che avrebbe messo fine alla farsa in cui aveva recitato per mesi, affezionandosi al ruolo che aveva interpretato.

Una stretta prese a torcergli lo stomaco e d'un tratto si rese conto di quanto fosse sbagliato trovarsi a desiderare la presenza di lei; perché le loro vite erano state create per non essere mai unite.

«Perché sei qui, Aralyn?» le chiese, sentendo in bocca il sapore più amaro che avesse mai saggiato. Senza rendersene conto aveva persino preso a stringere i pugni, impedendosi così di farsi sopraffare dalla frustrazione.

La ragazza di fronte a lui parve sussultare, venir stupita dalla domanda. Visibilmente imbarazzata cercò di tendere un sorriso: «Volevo far due chiacchiere, distrarmi un po'» rispose, lasciandosi cadere sul letto. Seduta sul bordo del materasso, con quell'espressione innocente, parve una sorta di bambina. 
Tra tutti aveva cercato lui, nonostante per quasi un mese, dal momento del loro primo bacio, avesse tentato di allontanarlo in tutti i modi. Cosa era cambiato?

«E io sarei la tua distrazione?»

Aralyn arrossì maggiormente, iniziando a mordersi il labbro e sviare lo sguardo di lui: «Sei anche uno dei tanti problemi» sibilò poi, incupendosi un poco; e con quella confessione, Joseph si sentì stringere maggiormente il nodo allo stomaco. Se per lei il "freno" era il suo ruolo nel clan, per lui avrebbe dovuto essere l'appartenenza elitaria al branco opposto - eppure, come aveva appena detto lei, erano entrambi sia il problema, sia la soluzione.

Joseph si chinò sulle ginocchia, in modo da mettersi più o meno alla stessa altezza di lei e osservarla in viso – quel conglomerato di tratti duri addolcito da mille espressioni dolci.
Rimase fermo alcuni istanti a fissarla, valutando quanto qualsiasi cosa potesse succedere, o lui fare, avrebbe poi fatto soffrire tutti e due; perché appunto, prima di tutto, erano male reciproco.

Se lei si trovava lì, però, voleva dire che a sua volta stava provando qualcosa, quindi perché non cogliere quell'occasione? Perché non conoscerla meglio? Perché non fingere per un'ultima volta?

«E ti andrebbe di distrarci davanti a qualcosa di caldo?» e quasi senza doverci pensare, un sorriso gli tese le labbra. Si sentì un mostro e al contempo l'uomo più contento di quell'angolo di terra nel farlo, conscio di starla conducendo nel tradimento peggiore che si potesse fare alla ragazza per cui si provava qualcosa.

La giovane si protese in avanti, quasi certamente cercando di scrutare nello sguardo di Joseph un qualsiasi motivo per rifiutare: «È pericoloso» gli ricordò, continuando a torturarsi il labbro.

«Ci sono io a prendermi cura del Pugnale» ribatté con fare malizioso, consapevole di non poterle promettere di salvare anche lei, nonostante lo volesse con tutto se stesso.

Vide Aralyn restare sorpresa dall'affermazione, forse venir addirittura sopraffatta da una sorta di delusione e ciò, purtroppo, gli ricordò quanto tutto fosse, e sarebbe sempre restato, un frangente labile delle loro vite. Però... però ci doveva essere un modo per evitare che i suoi confratelli l'aggredissero, ferissero o altro!

«Okay, allora andiamo» la sentì soffiare, per poi vederla alzare e dirigere verso la porta.

Armandosi della giacca, Joseph le corse dietro e, per i dieci minuti successivi, non fece altro che seguirla lungo i corridoi del loro alloggio, dopodiché per le strade ventilate della prima serata croata. Le stette accanto come un'ombra, senza però permettersi di dire nulla. Sapeva d'aver fatto una mossa sbagliata con quel commento, eppure mentirle alle volte diventava faticoso, quindi piuttosto che costringersi e rischiare di farsi scoprire, preferiva ovviare.

Così si mossero tra i pochi turisti e i tanti abitanti della città intenti a far ritorno alle proprie case o, come loro, a cercare un luogo in cui saziare gli stomaci vuoti.
Senza nemmeno consultarsi, entrambi cercarono di scovare la zona più tranquilla di Novigrad, sapendo che solo lì avrebbero potuto concedersi qualche ora di totale calma e intimità. Mossero un piede dietro l'altro, finché una piccola insegna dipinta a mano non catturò l'attenzione del Puro che, senza rendersene conto, afferrò Aralyn per il polso, costringendola a seguirlo fino all'ingresso.

Quello pareva essere il posto perfetto per stare insieme: piccole finestre avrebbero dato loro modo di osservare l'esterno senza però essere visti da occhi troppo indiscreti e lo spazio ridotto che sembrava contenere il locale gli avrebbe permesso d'avere la giusta intimità.

«Mangiamo pesce, ti va?» le disse una volta raggiunta la soglia, riprendendo a sorriderle. La lupa, dapprima confusa a causa dello slancio, si lasciò poi convincere senza grande fatica e, seppur visibilmente agitata, si fece condurre all'interno dell'edificio - una sola e ultima sera per dimenticare i doveri, ecco cosa si sarebbero concessi.
 

Nel momento in cui la presa di lui si era allentata e poi allontanata dalle sue mani, Aralyn aveva sentito dentro di sé crearsi una sorta di vuoto. Era stato un frangente e forse nemmeno se ne era accorta, ma aveva provato eccitazione per quel contatto.

Josh si occupò sia di scegliere il tavolo, un piccolo cerchio di legno nell'angolo più appartato, sia di ordinare per entrambi, azzardando persino due calici di vino che, visto il contesto in cui si trovavano, non era esattamente la cosa migliore da bere. I sensi non dovevano essere compromessi in alcun modo.

Prima ancora che uno di loro potesse intraprendere un qualsiasi tipo di discorso, il cellulare le vibrò in tasca e, svelta, lo estrasse dalla tasca della felpa per capire di cosa si trattasse, anche se quasi certamente doveva essere un messaggio di Arwen. Ancora non aveva ricevuto notizie da Vince, Sybille e Ichigo, quindi pregò con tutta se stessa che suo fratello avesse ottenuto più informazioni di quante ne avesse lei.

A onor del vero quando lo schermo fu sbloccato, nella chat comparve un aggiornamento riguardante quei tre. Per un attimo la lupa credette di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo, ma quando arrivò alla fine delle poche e concise frasi non riuscì a trattenere uno sbuffo.

Gli emissari del Duca sarebbero arrivati a Novigrad l'indomani, e tutto a causa di una gomma bucata in un'area isolata.

Come previsto, quella missione stava cercando di ucciderla; non solo grazie ai nemici, ma anche all'ansia che la stava logorando sempre più.

«Qualcosa non va?» Josh parve accorgersi subito del suo malumore e, quando lei alzò gli occhi dallo smartphone, lo trovò intento a scrutarla con estremo interesse. Il cuore saltò un battito e per un istante Aralyn credette di sentirsi male – nonostante tutto, la luce tenue della candela al centro del loro tavolo metteva in risalto la bellezza del ragazzo, esattamente come faceva la Luna e, sfortunatamente, la cosa riusciva ancora a incantarla e, anzi, al posto di abituarsi aveva finito con il venirne sempre più soggiogata.

Mordendosi le labbra provò a tornare con la mente alla realtà: «No, nulla. O meglio... gli altri arriveranno domani mattina. Saremo bloccati qui per tutta la notte» confessò.
«E temi che ci possano scoprire?»
Lei si lasciò cadere contro lo schienale, conscia che persino sforzandosi non sarebbe riuscita a nascondere la verità: «Tu no?» gli domandò poi, spostando lo sguardo sulle posate. Intorno a loro il chiacchiericcio confuso degli altri commensali pareva far buono scudo alla loro conversazione, quindi non si preoccupò delle proprie parole.
Josh alzò le spalle, scuotendo la testa: «Vorrei non pensarci, se devo essere sincero»
«Hai paura?»

Il ragazzo provò ad abbozzare un sorriso: «Credo» ammise poi, lasciando avvicinare il cameriere con i calici e aspettando che se ne andasse per riprendere il discorso. Aralyn fece altrettanto, ma i secondi d'attesa le misero addosso una strana agitazione; la mente aveva preso a rimuginare su ciò a cui sarebbero potuti andare incontro e, del tutto contraria all'idea di rovinarsi quel momento speciale, provò a scacciare i pensieri con un altro argomento.

«Da quanto sei...» per la prima volta si trovò a non saper che termine usare, come definirsi. In fin dei conti non aveva mai affrontato un discorso del genere in pubblico, perché bene o male, con chiunque avesse instaurato un legame all'interno del Clan, c'era stato poi modo di parlare del passato negli spazi comuni della Tana, ma con lui invece no. Aveva cercato tanto di tenere le distanze che, alla fine, si era ritrovata a non saper quasi nulla sul suo conto.

D'un tratto qualcosa le venne in mente, così si protese un poco verso di lui: «come me

Il licantropo parve stupirsi di quella domanda e, smettendo d'annusare il profumo del proprio Pinot, si mise a riflettere. Sembrò quasi che stesse scavando sotto a strati e strati di ricordi, in modo da scovare il momento esatto in cui era avvenuto il cambiamento, ma senza preavviso, poi, rispose: «Abbastanza da sapermi muovere in questo mondo» le sorrise.

Era una risposta vaga, eppure soddisfacente per le sue orecchie. Aralyn dopotutto sapeva bene che per ogni persona era diverso, ma era anche conscia del fatto che ricordare l'aggressione di un mostro non era poi cosa piacevole.

«Tu invece?»

Colta alla sprovvista spalancò le palpebre, stupendosi. Nessuno glielo aveva mai chiesto, in particolar modo perché bastava conoscere le origini di Arwen per sapere anche le sue, ma Josh non doveva aver mai conversato con suo fratello riguardo a simili sciocchezze.

Un sorriso le tirò le labbra: «Da sempre, non si vede?»

L'espressione di Josh si trasformò in una maschera d'incomprensione. La risposta di Aralyn parve confonderlo più di quanto fosse mai successo con qualcun altro: eppure che c'era di strano? Lei e Arwen erano nati lupi, da sempre avevano vissuto una vita a metà tra quella degli umani e quella di creature sovrannaturali. I loro ricordi si alternavano tra corse folli a quattro zampe per i boschi e giornate di scuola qualunque.

Klaus, loro padre, era diventato un mannaro poco dopo aver conosciuto Veronika, la madre, che invece era figlia di una donna qualsiasi e di un Alpha dell'Est Europa. I fratelli Calhum, quindi, erano venuti al mondo già affetti da licantropia, ma ciò avrebbe continuato a catalogarli come Impuri – la loro non era una discendenza pura.

«Non... non capisco» Josh lasciò perdere il vino, troppo preso dalla confessione.
«Beh, non c'è molto da capire. I miei erano già in queste condizioni quando siamo venuti al mondo»

«Quindi vuoi dirmi che siete sempre stati parte del clan del Duca?»

Aralyn scosse la testa, divertita: «Una cosa non rende scontata l'altra» fece notare, prendendo poi un sorso dal proprio calice. «I miei genitori son morti presto, quindi Arwen ha dovuto fare la scelta migliore per entrambi. Non potevamo stare soli, eravamo troppo piccoli. I servizi sociali ci avrebbero divisi e... e con questa natura non saremmo sopravvissuti per molto tempo, o almeno io» la nostalgia prese ad accarezzarle il cuore, risvegliando in lei i ricordi di un passato per cui, nonostante gli anni, non aveva mai smesso di sentire la mancanza: «Così ha trovato qualcuno che potesse prendersi cura di noi, e quella persona è stata Tristan Moreau, il Duca».

Come già le era capitato di mettere in luce in precedenza, durante la degenza di Josh, lei aveva scelto di combattere per quel Puro solo a causa di Arwen, perché era lui il suo Alpha, e se le chiedeva di appoggiare una causa, Aralyn lo faceva. Ammirava e in parte condivideva le ideologie di quel vecchio lupo, gli era grata per tutto ciò che aveva fatto per loro, ma se non fosse stato per suo fratello non avrebbe mai deciso di lottare a quel modo per lui.

Il cameriere comparve nuovamente, questa volta portando loro le pietanze ordinate. Il profumo di platessa al forno e salmone alla griglia inebriò la ragazza, facendole venire l'acquolina in bocca; nonostante ciò, però, prima di abbuffarsi come il suo stomaco le supplicava di fare, pose una nuova domanda: «Dimmi qualcosa tu, ora. Perché hai lasciato il Clan in cui stavi?»

Josh le sorrise, scrollando ancora una volta le spalle: «Tanti motivi a dire il vero. Volevo dimostrare il mio valore, credo» dopo di ciò prese a tagliare la propria pietanza, facendo sfoggio di maniere a cui Aralyn non sembrava essere avvezza.

«E con la tua famiglia? Sanno dove sei? Cosa... cosa gli hai raccontato?» domandò lei, incuriosita più di prima da lui. Voleva conoscerlo veramente, scoprire ciò che pian piano lo aveva condotto fino alle porte del Clan del Nord.

Il ragazzo prese un primo boccone: «Loro sono una classica famiglia altolocata e megalomane. Hanno una particolare ossessione per il potere e non si fermano davanti a nulla. Alle volte penso che sia stato un bene allontanarmi da loro, ma...» d'un tratto si fermò, visibilmente preso a soppesare le parole che avrebbe dovuto usare: «ma si torna sempre a casa, alla fine».
Lo sguardo di Josh si fece lontano, malinconico e, d'improvviso, Aralyn sentì il cuore stringersi dolorosamente nel petto.

Cosa stava cercando di dirle? Forse che se ne sarebbe andato?

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Capitolo 46
*** Dimentica i limiti ***




44. Forget the limits

Appena Aralyn mise piede fuori dal ristorante, con la pancia piena, si concesse un grosso respiro d'aria fresca. La salsedine le si infilò prepotentemente su per le narici, pizzicandole il naso e facendola starnutire più e più volte, esattamente come le era capitato durante il viaggio. 
Josh accanto a lei, preso ancora dalla disperata ricerca del pacchetto di sigarette, si ritrovò a ridacchiare sotto ai baffi di fronte a quella serie di versetti ridicoli.

«Smettila!» lo riprese subito, costringendosi a respirare con più lentezza per non venire nuovamente sopraffatta da quella sfilza di "etcù", ma la cosa parve non servire. Il ragazzo scosse la testa, mettendosi tra le labbra il filtro giallo: «Perché dovrei? È abbastanza ridicolo il fatto che ti dia fastidio la salsedine» le rispose con prontezza. Il sorriso pareva non volerglisi levare in alcun modo dal viso e, nonostante tutto, la lupa si scoprì felice della cosa.
Avevano passato una piacevole serata e, oltre a ciò, per qualche ora ogni cosa li avesse frenati o spaventati era sparita dalle loro menti.
«Si vede che non hai l'olfatto sviluppato come il mio» sottolineò sfacciatamente, cercando di colpirlo nell'orgoglio di lupo, cosa che sicuramente ebbe un certo effetto, visto che pericolosamente le si avvicinò. L'agitazione prese la meglio sulla ragazza. Perché mai si stava portando così vicino?
Ad ogni passo che faceva nella sua direzione, Aralyn avvertiva le gambe farsi sempre più molli.
Lo stomaco sembrò contorcerci, mentre il cuore accelerò notevolmente il ritmo. Se non ci fosse stata la brezza leggera a impedirglielo, avrebbe persino potuto dire di star sudando freddo.
Sfruttando la mano libera, Josh le prese una ciocca accanto alla guancia e, in un gesto lento e del tutto provocatorio, se la portò al viso: «Eppure il tuo profumo lo sento benissimo» le disse con sguardo languido, provando a metterla a disagio - cosa che non faticò ad accadere.
Aralyn sentì le guance prendere fuoco e la gola seccarsi, così, per non agitarsi ulteriormente, fece qualche passo indietro in un istintivo gesto di difesa. Perché tutto sommato non era ancora sicura di voler accorciare le distanze tra loro.
In lei, desiderio e paura, stavano lottando allo stremo per decretare un vincitore.
«Sei uno scemo» fece lanciandogli un'occhiata bieca. Sapeva che ogni sua frase sarebbe stata presa e mal'interpretata dalla mente contorta di lui, così si costrinse a passargli accanto senza aggiungere altro, ripercorrendo così la strada che avevano fatto all'andata - non poteva certo dargli modo d'infierire ancora a quel modo!
Grazie al cielo, il suo sesto senso seppe condurla nella direzione corretta. Le botteghe e i negozi avevano ormai abbassato le serrande, diventando ognuna uguale all'altra e le persone che prima avevano riempito le vie erano ormai al sicuro nelle proprie case - orientarsi non sarebbe poi stato tanto facile, per altri soggetti.
Josh le corse dietro, senza però smettere di sorridere. Doveva divertirsi davvero a prendersi gioco di lei!
Aralyn riusciva a sentire sia i passi veloci di lui, poco distanti dalle sue orecchie, sia il suo sogghignare continuo.
Avrebbe davvero voluto girarsi e invitarlo nuovamente a tacere, ma temette fino all'ultimo che potesse uscirsene con un altro commento simile a quello precedente, così procedette senza pause fino all'ingresso dell'hotel e lì, con un grosso respiro, valutò l'idea di abbandonare definitivamente il piano di restare con il ragazzo a fare ancora due chiacchiere, in modo d'allontanare qualsiasi paura la stesse per aggredire e non permettere ai rimorsi di aver la meglio su di lei, dopo.

Però...

Prima di varcare la soglia dell'entrata si volse, alzando senza pudore lo sguardo sul viso di Josh - quell'incantevole volto capace di far innamorare ogni donna, ammaliante e pericoloso come una rosa piena di spine.
«Posso farti un'ultima domanda?» e di fronte a ciò le sopracciglia del ragazzo si levarono in segno di stupore.
«È un interrogatorio?» scherzò, lanciando lontano il mozzicone della sigaretta.
Del tutto incapace di capire se stesse facendo o meno la cosa giusta, Aralyn tornò ad avvertire lo stomaco contorcersi, oltre che il cuore aumentare il ritmo. Rimase sospesa nei suoi dubbi per lunghissimi secondi, poi trovò la forza per aprir bocca: «Nel tuo vecchio Clan c'era qualche usanza strana? Cioè... facevate qualcosa di particolare per scongiurare il peggio?» e, seppur velato, in quella domanda aveva nascosto un altro significato.

Joseph batté più e più volte le palpebre, restando stupito da quel quesito e, soprattutto, non sapendo esattamente cosa rispondere. Provò a riportare alla mente tutto ciò che tra i Menalcan si usava fare per invogliare Mànagarmr a concedergli sia la grazia, sia un posto al suo fianco nelle Lande Selvagge se le cose fossero andate male, peccato solo che nessuna delle cose a cui pensò sembrava essere adatta al momento, così scosse la testa: «Nulla che si possa definire speciale» disse, improvvisamente vergognandosi di tutto ciò che aveva fatto negli anni.
Per qualche strano motivo sentì di averle fatto un torto lasciandosi andare ai piaceri della carne e ai sadistici rituali del proprio branco, eppure non avrebbe dovuto. Quando tutto ciò era successo nemmeno sapeva della sua esistenza.
Aralyn di fronte a quella risposta parve delusa. Forse dentro di sé stava aspettando una soluzione per calmare tutte le paure che la stavano mangiando viva o forse si aspettava da lui comprensione, ma aveva fallito.
Lo sguardo della ragazza si abbassò sulla punta degli stivali, allontanandosi dal volto del Nobile e impedendogli così d'indagare in lei, nelle sue iridi dorate. Cosa poteva fare per rimediare?
«Peccato» la sentì dire all'improvviso: «Avrebbe fatto comodo, non pensi?» Con la coda dell'occhio la vide torturarsi le mani oltre la tasca della felpa, lì dove probabilmente credeva di non essere scoperta, per poi abbozzare un sorriso a labbra strette.
Il Puro fu sopraffatto da un senso di spaesamento, quasi non si sarebbe mai aspettato una simile fine per la serata - dopotutto, il tempo passato insieme era sembrato piacevole per entrambi. Avevano parlato di tutto ciò che poteva essere interessante e, anche se non completamente e nemmeno troppo apertamente, le aveva parlato di sé. Non poteva rovinare tutto lasciandola da sola a fare i conti con le paranoie.
«Ara... » con il cuore in gola cercò di avvicinarsi a lei, provando in qualche modo a capire cosa le stesse frullando per la testa. Le si fece sempre più vicino, arrivando alla distanza perfetta per afferrarle le mani: «andrà tutto bene» le sussurrò, pregando dentro di sé di non star dicendo la più grande bugia della sua vita e aver ben interpretato il motivo del suo malumore.
Forse... forse avrebbe potuto indirizzare Kyle sugli emissari del Duca, far catturare e massacrare loro al posto di lei; sì, perché non gl'importava di nessun altro in quel momento, perché voleva preservarla, renderla libera d'incontrarlo ancora in futuro.
«Ti ricordi cosa ti ho detto alla tavola calda?» la sentì dire d'un tratto. I passi si bloccarono, lasciando tra loro un breve spazio vuoto capace di sembrare immenso. Cosa diavolo stava cercando di dirgli?
«Sì» ammise, sentendo poi aumentare l'amaro in bocca. Come avrebbe fatto a dimenticare il suo rifiuto? Lei era stata la prima a fargli dimenticare i limiti imposti da Douglas Menalcan, a fargli scoprire un mondo diverso dal proprio e, soprattutto, a fargli desiderare di poter proteggere un meticcio.
Era stata la prima a fargli sfiorare il sentimento più vicino all'amore che avesse mai potuto provare.
Lei a quel punto iniziò a sollevare lo sguardo, partendo da terra e alzandosi verso il volto.
«Per stasera, solo per questa sera... dimenticalo, okay?»

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Capitolo 47
*** Tu ed io ***




45. You and I

Aralyn, sentendo il cuore essere sul punto d'esploderle nel petto si spinse con la punta dei piedi verso l'alto, arrivando così alle labbra di Josh. Chiuse gli occhi con forza, schiuse le labbra su quelle di lui e gli cinse il collo con le braccia, quasi aggrappandosi al suo corpo. Lo baciò con lo stesso trasporto che aveva usato lui la prima volta e dentro di sé pregò con convinzione che non la respingesse – lo avrebbe capito, soprattutto dopo tutte le volte in cui aveva cercato di allontanarlo, ma sicuramente ne sarebbe rimasta ferita.

Si lasciò andare al desiderio che in quei mesi aveva preso a crescerle dentro e, appena lui ricambiò, si sentì ebbra. Non c'era più la paura di ritrovarsi distrutta, men che meno la preoccupazione di Arwen e la sua vendetta; solo loro due e ciò che stava succedendo.

Josh le afferrò la nuca, infilandole le dita tra i capelli. Fece una leggera pressione, spingendola così ancor più vicino a lui – e lei non provò nemmeno una volta ad allontanarsi. Si lasciò schiacciare contro le sue labbra umide, contro il petto oltre a cui si poteva sentire il cuore battere forte. Si concesse il lusso di percepirlo con tutti i sensi: ne respirò il profumo, anche se con irregolarità, saggiò il gusto della sua lingua, sentì il suono dei suoi battiti e ne toccò il collo bollente, avvertendo una scia di brividi correrle poi lungo la schiena.

Una follia, ecco cosa si stava concedendo.

Un'appagante pazzia.

E l'unica cosa imperfetta, in tutto quel momento, era la lontana consapevolezza che sarebbe arrivata una fine. Il tempo giocava terribilmente a loro sfavore, era il nemico più temibile per il sentimento che era nato e cresciuto nei corpi, arrivando finalmente a trovare una via d'uscita. Come poter combatterlo, quindi?

Sopraffatta da una vertigine, Aralyn allontanò appena le labbra da quelle di lui, cercando di respirare con più regolarità – dettaglio che non le era sembrato importante nel momento in cui aveva preso a baciarlo.


Sul viso di Josh comparve un'espressione accigliata, forse a indicare la confusione che aveva preso a vorticargli nella mente nell'istante in cui aveva sentito lei scostarsi e, prontamente, anche se con il fiato corto, chiese: «Che c'è?» I suoi occhi la indagarono in ogni dettaglio, sicuramente tentando di scoprire quale possibile motivazione l'avesse mossa.

Aralyn si morse le labbra, sentendo il cuore salirle ancor più in gola. Sapevano di lui, del vino che avevano bevuto e della nicotina che si era incastrata sulla punta della lingua – e seppur potesse apparire come un mix terribile, a lei piacque eccessivamente. Ne avrebbe voluto ancora e ancora, sentiva l'animale in lei ringhiare e graffiare per costringerla a ricominciare, ma la strada, e soprattutto l'entrata dell'hotel, non era il luogo migliore dove concedersi a simili cose; chiunque avrebbe potuto vederli: i gemelli, Garrel o persino i nemici. Però quella era una cosa loro, solo ed esclusivamente. Nessuno avrebbe potuto capire quanto, persino un semplice bacio, la scuotesse dall'interno facendola sentire piena.

Senza esitazione gli afferrò le mani, provando a invitarlo al riparo da sguardi indesiderati. Lui all'inizio fece una lieve resistenza, forse continuando a non capire per quale ragione il loro bacio si fosse interrotto, poi però sembrò capire la motivazione di tutto e, a passo svelto, la seguì al sicuro dentro l'edificio, ma la sua pazienza non durò a lungo.

Appena si ritrovarono nell'ascensore Josh si tirò Aralyn nuovamente vicino, premendo voracemente le labbra sulle sue e cingendola per la vita, poco sopra all'elsa del Pugnale. La ragazza sentì il bollore dei polpastrelli di lui oltrepassare persino la stoffa e raggiungerle la pelle, generando un lieve formicolio. Fu piacevole, forse come nulla che lei avesse mai provato prima, ma le parve persino di aver sempre cercato, negli altri, una sensazione del genere – e in un angolo oscuro della mente temette quel pensiero: poteva essere un principio d'amore? O forse... 
La campanella suonò, preannunciando l'apertura delle porte, ma Josh non parve dargli retta; aveva ben altro a cui pensare, ora che finalmente non lo respingeva più.

E senza smettere di rubarle baci, la condusse lungo il corridoio, fino alla sua porta – anche se prima vi furono un paio di tentativi falliti nel riconoscerla.

A quel punto, per la prima volta, fu lui a fermarla: «Dimmi di sì» le sussurrò a fior di labbra, puntando lo sguardo glaciale nel suo e, il modo in cui lo fece, le diede l'impressione di tornare al loro primo incontro – stava cercando di leggerle dentro.

Quindi avrebbe già dovuto conoscere la risposta.
 


 

 

Joseph si trovò perso dentro di lei, nella sua anima e nel suo corpo, nei suoi baci umidi e nella morbidezza della sua carne. Ogni sensazione che stava provando in quel momento gli sembrava essere amplificata all'infinito, una sorta di spasmo continuo. Le tolse la felpa senza badare a ciò che stava realmente facendo, strappando la stoffa in modo irreparabile. Desiderava sentire più pelle, più calore. Bramava la conoscenza delle sue forme e del suo amore in tutti i modi – non c'era più nulla d'importante, se non lei. Persino quando sentì l'elsa del Pugnale contro la mano non se ne preoccupò, ma anzi, lo sfilò dal fianco di Aralyn per buttarlo in terra in mezzo ai primi vestiti tolti.

Nonostante fosse il motivo per cui avesse fatto tanta strada e fatica, non aveva lo stesso valore di un altro bacio, anche se ormai era il centesimo.

Stringendo a sé la ragazza, Joseph si lasciò sedere sul materasso, passando le dita di una mano tra i capelli e l'altra sotto alla canottiera. La sentiva bollente e sotto ai polpastrelli gli parve di riuscire a percepire lo scorrere del suo sangue. Erano una cosa sola in quel momento, potevano avvertire l'altro con la stessa semplicità con cui riuscivano a sentire se stessi – e il motivo gli era sconosciuto.

Avrebbe quasi osato dire che, in tutta la sua vita, avesse sempre cercato in altre donne quello che ora Aralyn gli stava dando.

Si lasciò andare all'istinto, alla sua natura più intima, dimenticando completamente il mondo all'infuori di quella stanza, di quelle lenzuola.

Le loro discendenze, la guerra che li aveva perseguitati dal momento in cui erano diventati guerrieri divennero nulla. Finalmente poteva mettere a tacere i desideri che avevano preso a formarsi in lui dal momento in cui l'aveva conosciuta.
La sentì lambirgli ogni parte del corpo, dentro e fuori. Aralyn era ovunque: l'avvertiva tra le viscere, nei polmoni, tra i pensieri e sulla pelle – ma come si poteva definire una sensazione simile?

E nei vari movimenti che seguirono fu sopraffatto dai gemiti soffocati, suoni che echeggiarono nella mente come una malia, stringendogli con piacevole dolore il cuore, facendolo sentire per la prima volta completo, giusto per qualcuno che non lo considerasse solo un mezzo per mantenere o ottenere potere, come capitava con i Puri con cui aveva sempre avuto a che fare.

Aralyn era la donna che Mànagarmr e la Madre Luna gli avevano assegnato.
 


 

 

Joseph, seduto sulla moquette accanto alla porta-finestra, si concesse il lusso di osservare Aralyn nella penombra serale. Persa in un sonno privo di incubi e con i capelli arruffati sembrava non poter stare in un altro posto se non lì, davanti a lui. C'era qualcosa di terribilmente corretto nel vederla riempire il suo letto e le sue giornate, eppure non riuscì a gioirne del tutto – il fantasma dei Menalcan lo stava torturando dal momento in cui l'aveva vista chiudere gli occhi per accogliere Morfeo.

Quanto tempo avevano perso, arrivando a doversi già dire addio.

Sì, perché sapeva che se le avesse detto la verità non ci sarebbe stato alcun perdono, né amore, a cui aggrapparsi. Se se ne fosse semplicemente andato, invece, avrebbe potuto sperare in un futuro – sarebbe solo bastato aspettare il momento dello scambio: quando gli uomini del Duca avessero preso il Pugnale, avrebbe mandato Kyle a riprenderlo.

L'avrebbe salvata.
E un giorno, forse, avrebbe trovato il modo di tornare da lei.

Immerso in quei pensieri non si accorse dello sguardo di Aralyn, ora aperto e posato su di lui. Gli sorrise con una dolcezza infinita, salutandolo.
«Che fai?» la voce roca si versò fuori dalle labbra ancora arrossate per i troppi baci ricevuti e dati e Joseph, seppur pensieroso, non poté che desiderare di tornare da lei, tra le lenzuola che avevano ora il profumo d'entrambi, del loro amore sbagliato.

«Mi godo questo momento»
La ragazza non parve convincersi e, del tutto priva di attenzione per ciò che stava venendo nuovamente svelato, sollevò una parte del busto, mettendosi quasi seduta: «Più che felice mi sembri preoccupato» lo ammonì subito, portandosi poi le ginocchia al petto.

Come avrebbe mai potuto ferirla? O perderla? Non si sentiva abbastanza meschino per farlo – eppure c'era stato un tempo, non molto lontano, in cui lo era stato e, una volta tornato da Douglas, avrebbe dovuto tornare a esserlo.

Aralyn allungò una mano verso terra, recuperando una parte degli indumenti che lui le aveva tolto. Prese a rivestirsi lentamente, dando l'idea di essere sul punto di andarsene: voleva davvero lasciarlo? Perché a differenza sua non sembrava così restia al pensiero di allontanarsi?

«Stavo riflettendo su alcune cose» si affrettò a dire il Puro, provando a fermarla, a farla restare ancora un po', ma lei, al posto d'andarsene, lo raggiunse accanto alla finestra, strappandogli dalle dita quel che restava della sigaretta. 
«Cose che potrebbero riguardare questa missione e noi due?» 
Inaspettatamente, Joseph sentì una sorta di piacere nel sentirla riferirsi a loro come a un "noi", non gli era mai parso così bello appartenere a qualcuno.
«È così facile capire cosa mi passa per la testa?» scherzò, mettendosi a giocare con la coulisse dei pantaloni e lanciandole uno sguardo complice. Lei gli sorrise, questa volta con fare meno assonnato e tenero. La vide aprir bocca per dire qualcosa, ma prima che Aralyn riuscisse a trovare una battuta con cui ribattere, un suono dalla porta mandò in frantumi la loro intimità.

Qualcuno stava bussando, ma chi?
 

A entrambi si mozzò il respiro, mentre il cuore del Nobile accelerò d'improvviso. A quell'ora poteva essere solo una persona: Garrel. Certamente doveva star controllando la situazione, ma come avrebbe reagito trovando la sua protetta, mezza svestita, lì? 
«Che gli dico?» le domandò lui, sospettando che anche lei potesse aver avuto il suo stesso pensiero.
Aralyn si morse il labbro, abbassando lo sguardo verso il vuoto: «Spero non ci sia bisogno di dire qualcosa» e, a quel punto, sapendo di non poter perdere troppo tempo a riflettere, il ragazzo prese ad avvicinarsi verso la porta. Ad ogni passo, però, la sensazione spiacevole che lo aveva colto prese a intensificarsi, fin quando, a metà della stanza, un sentore strano lo fece fermare. Nell'aria stava aleggiando qualcosa di terribilmente familiare.


No, non era Garrel quello che stava bussando alla sua porta.

Sgranando gli occhi si rese conto di ciò a cui stavano per andare incontro e, voltandosi, lanciò uno sguardo terrorizzato verso la ragazza con lui che, inconsapevole di tutto, si fece avanti. Joseph cercò di fermarla, di farle capire la gravità della situazione: «Devi andare, Ara. Devi assolutamente fuggire!» le disse, scuotendola.
«Che succede?» la sentì chiedere con gli occhi grandi di sorpresa.
Avrebbe davvero voluto dirle ciò che li stava aspettando oltre il battente numerato, in quel momento, ma sapeva da sé che se lo avesse fatto non l'avrebbe più convinta ad abbandonarlo; sarebbe rimasta per proteggerlo, per dargli man forte in uno scontro che nessuno dei due avrebbe saputo affrontare.

Il Puro le mise in mano il Pugnale, trascinandola poi verso l'unica via di fuga disponibile – peccato solo che non riuscì a farle oltrepassare la soglia del balcone.

«Sono stufo d'aspettare, fratellino» si sentì arrivare dal corridoio e, subito dopo, con una spallata ben assestata, la porta fu spalancata sull'interno della stanza, rivelando l'imponente figura di Gabriel Menalcan, il primogenito di Douglas.

Suo fratello maggiore si ergeva minacciosamente nella cornice dello stipite, scrutandolo con eccessivo disprezzo. Ma cosa ci faceva lì? Non aveva certo passato l'informazione dello scambio anche a lui e Kyle... Kyle non lo avrebbe mai tradito, ma forse qualcun altro sì – dopotutto nessun sottoposto era realmente fedele a lui o a quel gorilla, l'unico licantropo a cui sapevano obbedire era loro padre.

Il cuore prese a pompargli pericolosamente nel petto e temette che potesse esplodergli da un momento all'altro. La mente gli si annebbiò, rivelando quanta paura stesse avendo la meglio su di lui. Avrebbe potuto frapporsi tra Gabriel e Aralyn, ma a quale prezzo? Se quello stronzo avesse capito la vera natura del suo rapporto con lei non avrebbe esitato nemmeno un secondo a compiere una strage, attaccandoli entrambi senza alcuna pietà – e ottenendo così due piccioni con una fava: eliminare il suo unico concorrente alla carica di prossimo Alpha della famiglia ed eliminare la sorella del suo più acerrimo nemico all'infuori del clan.

Inoltre, qualsiasi tentativo di scontro, in uno spazio così limitato, lo avrebbe portato a un tragico fallimento.

Joseph si volse un'ultima volta verso la ragazza alle sue spalle, ma quando ne incrociò lo sguardo si sentì male. Se fino a qualche istante prima Aralyn lo stava guardando piena di felicità, ora lo fissava con un innegabile terrore negli occhi; e un sottile velo di schifo.

«Fratellino?» la sentì sussurrare con voce spezzata, distrutta da quella verità.


Alla fine, persino contro la sua volontà, era venuta a conoscenza del suo segreto e, come aveva previsto, le era entrato dentro la carne come la lama del Pugnale che stringeva gelosamente al petto. No, non ci sarebbe stato nulla in grado di salvare lei e ciò che erano, insieme.
Il suo piano era andato in fumo ancor prima di prendere forma, rovinando qualsiasi possibilità di avere un futuro al fianco della donna di cui si era innamorato in quei mesi.

«Ara...» provò a dire, senza però sapere come proseguire. Qualsiasi cosa le avesse detto, suo fratello l'avrebbe usata per ferirli – fisicamente lei, emotivamente lui. Alle orecchie di Gabriel nulla sarebbe potuto sfuggire, in particolare non un'informazione come quella e, di fatto, con la coda dell'occhio Joseph lo vide muovere qualche passo nella loro direzione.
«Ma guarda un po'...» la sua voce tuonò nella stanza, seguita subito dopo dagli echi di guaiti e mugolii che avrebbero potuto significare una sola cosa: anche Garrel e i gemelli erano stati coinvolti nella retata della sua famiglia.
L'uomo sorrise sinistramente, mettendo in mostra i canini che volontariamente teneva affilati: «Una povera e piccola Impura nelle mani dei figli di Douglas. Quale fortuna che sia tu, dolcezza, ad avere ciò che stiamo cercando» e appena quelle parole furono pronunciate, il viso di Aralyn si fece esangue, mentre il suo sguardo vacuo.

Si era fidata di lui e l'aveva ripagata tradendola; alla fine, proprio come aveva previsto lei alla tavola calda, uno dei due sarebbe perito, abbandonando l'altro.

«Ti conviene non fare resistenza, anche perché dopo ciò che avete fatto qui dentro dubito che tu abbia le forze di opporti a uno di noi» le suggerì Gabriel, lanciando un'occhiata divertita verso le lenzuola sfatte. E Joseph avvertì il vuoto nello stomaco divorare ogni suo organo.

Li aveva spiati? Da quanto? Cosa sapeva realmente?
Aralyn strinse la presa sul Pugnale. Poteva ancora salvarla? Forse sì.

Sarebbe bastato ottenere l'arma, metterla k.o. in qualche modo e lasciarla lì – si sarebbe ripresa in qualche ora, sarebbe stata male, ma non avrebbe dovuto avere a che fare con gli artigli del primo erede della casata Menalcan.

Bruscamente, Joseph l'afferrò per le spalle, sbattendola contro il vetro dietro di loro. Sentì il colpo della sua schiena contro la finestra rimbombargli nelle ossa e poi un lieve sentore di sangue pizzicargli il naso. Seppur non fosse nei piani le stava facendo ancora più male di quanto avesse mai voluto.

«Ascoltalo, ti conviene» le sussurrò, pregandola di scorgere in lui il desiderio di evitarle una fine peggiore, cosa che però non parve passare nella mente del licantropo lì con loro.
«Non che la cosa possa evitarti la morte! Dopotutto se non lo facessi io, ci penserebbe il tuo Alpha a sgozzarti, sapendo che hai giaciuto con un Menalcan... o due» e il panico che Joseph vide comparire sul viso di lei, fu lo stesso che assalì lui. Suo fratello non si sarebbe risparmiato alcuna cattiveria pur di umiliare i membri del branco di Arwen.

Cosa fare, allora? Sarebbe davvero stato disposto a vedere Gabriel seviziare la sua femmina, pur di sperare in un atto di pietà?

Purtroppo, però, prima che potesse valutare seriamente quell'opzione, Aralyn prese a ringhiare e mutare il proprio corpo. Con un movimento svelto e del tutto inaspettato gli sfuggì dalle mani, abbassandosi con una flessione degli arti inferiori. Che diavolo le stava saltando in mente?

Usando l'elsa del Pugnale lo colpì sulla bocca dello stomaco, facendolo piegare su se stesso e, senza esitazioni, gli passò accanto per lanciarsi contro Gabriel.

Pazza!, pensò.
Adesso l'ammazza. Lui l'ammazza!

E poco ci mancò.

Suo fratello schivò il colpo e appena lei gli fu abbastanza vicina l'afferrò per la nuca, sbattendola violentemente contro la parete.

La testa di Aralyn contro il muro fece un rumore sordo, ma il colpo non sembrò destabilizzarla eccessivamente, soprattutto visto il suo stato ibrido tra il lupo e la ragazza che era e, notandolo, Gabriel attaccò nuovamente, questa volta senza alcuna pietà. Sapevano entrambi che in quello stato, se non l'avessero fermata in tempo, la licantropa avrebbe potuto avere qualche possibilità di ferirli e fuggire.

Nuovamente, Gabriel le si accanì contro. Con pugno la colpì al fianco, facendole emettere un gemito animale e perdere la presa sull'artefatto per cui stava avendo luogo tutto quel caos. Doveva averla colpita con più forza di quanto aveva fatto lui, avendo per la testa il chiaro intento di ammazzarla.

La ragazza cadde in ginocchio, stringendosi l'addome con entrambe le braccia grottesche e ansimando spasmodicamente. Joseph la sentì tossire un paio di volte, probabilmente vomitare i resti della cena e, del tutto in balìa degli eventi, percepì il suo lato ferino avere la meglio. Stava per trasformarsi. Il suo incontrollabile istinto animale voleva proteggere la propria compagna a tutti i costi – ma si stava pur sempre parlando di andare contro al proprio clan: che fare, quindi?

Gabriel non conosceva le mezze misure, non avrebbe perdonato a nessuno dei due il suo tradimento, se avesse deciso di difendere l'Impura, quindi come evitare a entrambi il peggio?

Lo vide chinarsi su di lei, tirarle i capelli per scorgere meglio l'espressione di dolore che Aralyn aveva stampata sul viso deformato: «La vostra forza è nulla, di fronte a un Puro» le disse sprezzante, osservando i lineamenti indefiniti che lentamente stavano tornando umani con il diminuire delle forze.
Ma lei non si arrese: «Eppure ai tuoi uomini ho fatto il culo!» la sentì sibilare e, quando Joseph si alzò per evitarle le conseguenze di quell'affermazione, vide un ultimo pugno partire dalla mano di suo fratello e colpirla in pieno viso.

Fu giusto questione di alcuni secondi, poi Aralyn perse i sensi.


 

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Capitolo 48
*** Nessun finale felice ***




46. No more Happy Endings

Il rumore delle nocche di Gabriel contro lo zigomo di Aralyn fu un suono raccapricciante alle orecchie di Joseph che, improvvisamente sopraffatto dal desiderio di proteggerla, si scagliò addosso al fratello inchiodandolo con la schiena al muro.

Ringhiando cercò di rimarcare il proprio territorio, ma, invece, ottenne  il contrario della reazione sperata. Non c'era preoccupazione o paura nell'espressione di fronte al suo viso. L'uomo lo guardò con occhi confusi e, vedendosi riflesso in quello sguardo tanto simile al suo, il ragazzo capì di aver fatto un passo falso. Qualsiasi cosa a cui lui tenesse, si ricordò, il maggiore dei figli di Douglas lo avrebbe usato per ferirlo – figurarsi se si trattava della ragazza di cui si era innamorato!

«Sei scemo?» gli vennr domandato, riportandolo così brutalmente con i piedi per terra.

Doveva assolutamente trovare un modo per evitare al maggiore dei Menalcan di scoprire cosa provasse veramente per quell'Impura, soprattutto visto che Gabriel, a differenza di altri fratelli, non era per nulla indulgente su certe cose; la sua mentalità rasentava quasi totalmente quella di loro padre e dei licantropi più vecchi e radicali. Le donne della specie di Aralyn, per loro, erano buone solo per una questione di "sfogo" - che fosse questo riferito ai desideri violenti della bestia, o ai capricci carnali dell'uomo. Un sentimento d'amicizia, o d'amore rivolto nei loro confronti era un comportamento imperdonabile.

Che rispondergli, allora? Come avrebbe potuto giustificare un simile gesto?

I suoi pensieri si mossero veloci nella mente, cozzando a destra e manca senza alcuna apparente logica, ma trovando, alla fine, una specie di soluzione.

«Non azzardarti ad ammazzarla! Ci serve» sputò fuori, sentendo le parole provare a far resistenza in gola; dopotutto, ciò che stava per dire sarebbe potuto diventare un'arma a doppio taglio: suo fratello avrebbe potuto trovare quella confessiome proficua per tutti o, diversamente, pensare l'esatto contrario. Joseph, per la prima volta, pregò quindi che Gabriel non fosse l'energumeno tutto muscoli e violenza che per anni aveva creduto fosse, ma che, sotto-sotto, conservasse ancora qualche neurone capace di fargli mettere al mondo un pensiero logico.

L'uomo di fronte a lui prese a ringhiare a sua volta, forse pronto a ribellarsi alla sua mancanza di rispetto che, con quel gesto, aveva nuovamente sfidato il suo orgoglio – cosa che da anni capitava ciclicamente, ma che aveva avuto origine una notte di tanto tempo prima, quando il ragazzo era intervenuto nello scontro tra Arwen e lui, ferendo e mettendo in fuga il nemico.

«Parla» venne incitato Joseph.
E, seppur restio, il giovane non se lo fece ripetere due volte: «Arwen...»  iniziò, sentendosi sempre meno sicuro: «Arwen tiene a lei più che a qualsiasi altra cosa» ammise infine, stringendo maggiormente la presa sul colletto della giacca dell'altro. La tensione prese a irrigidirgli i muscoli, arrivando persino a fargli male.

Per alcuni istanti rimasero fermi a fissarsi: uno cercando di capire se il consanguineo stesse mentendo, l'altro pregando mutamente qualsiasi divinità di sua conoscenza per scongiurare il peggio.

«Perché dovrei crederti?»

Il cuore del secondogenito di Douglas prese a pompare fin troppo velocemente: «È sua sorella, Gabe» soffiò, mollando la stoffa scura e lasciandosi cadere sulla moquette.
Lo aveva detto.
Alla fine aveva svelato la cosa che meno sarebbe stata opportuno dire.

Con gli occhi fissi in quelli dell'altro rimase seduto e in attesa, scongiurando la tragedia. E se avesse deciso di ucciderla proprio per via di quella parentela? E se la sua vendetta nei confronti di Arwen Calhum non fosse più un piatto da servire freddo?

Gabriel spostò lo sguardo sul corpo accasciato accanto al fratello minore, osservandolo ora con un nuovo e macabro interesse. 
Lo stomaco del ragazzo si ribaltò su se stesso.

Chissà quale folle idea stava vorticando nella mente dell'uomo.

«Il vecchio sarà felice della cosa» sibilò, lisciandosi il pizzetto curato: «Se portiamo questa cosetta a casa avremo un vantaggio su quel bastardo, inoltre potrei divertirmici un po'...»

Udendo quelle ultime parole, Joseph scattò nuovamente, questa volta senza ritrarre gli artigli e le zanne. Con un movimento lesto si frappose tra lo sguardo dell'uomo e la sagoma di Aralyn, ringhiando pericolosamente: «Scordati di avvicinarti a lei!» tuonò con voce gutturale. Anche a costo di farsi massacrare, non gli avrebbe permesso di avvicinarsi alla ragazza. Solo le sue mani avrebbero avuto il permesso di posarsi su quella pelle diafana, così come solo lui avrebbe potuto vederla umiliata – non avrebbe concesso né a suo fratello, suo padre o qualsiasi altro licantropo di riempirsi gli occhi con l'immagine agonizzante e ferita della donna che amava. Tra tutti, lui era l'unico da potersi permettere una tale visione; in fin dei conti sarebbe stata la punizione migliore per un infame del suo calibro.

«Oh... non dirmi che la cagnetta ti piace» lo provocò Gabriel avvicinando il viso al suo, forse provando a vedere se le sue parole generassero nel giovane una qualche sorta di reazione capace di tradirlo, ma Joseph resistette.

Ringhiò ancora, sentendo la rabbia smuoversi: «Non ti accaparrerai il mio successo. Sono stato io a catturarla»
«Chi mi dice che sotto a quelle lenzuola non sia stata lei a catturarti, fratellino? La carne dei maschi è debole» con una mano, l'uomo provò ad accarezzare la coscia nuda dell'Impura, ma prima che le sue dita potessero sfiorarla, l'altro lo bloccò. Il secondogenito di Douglas sapeva bene d'avere negli occhi una luce assassina, eppure non provò a nasconderla in alcun modo – in una maniera, o nell'altra, sarebbe riuscito a impedirgli di averla.

«Non se la mente è salda» rispose, stringendo la presa sul braccio del fratello.

«Nessuno mi assicura che la tua lo sia» Gabriel si liberò dalla morsa di Joseph, poi si rimise dritto e, nell'alto dei suoi centonovanta centimetri, parve diventare una minacciosa montagna: «Ma sarà il vecchio a decidere chi avrà il piacere di godere delle grida di questa... cosa» e, così dicendo, si volse verso l'uscita della stanza, dove le imprecazioni dei sottoposti li avvertivano della fuga degli altri membri della squadra.

Garrel e i gemelli Vogel erano riusciti a scampare quel massacro, ma l'unica persona che lui avrebbe voluto vedere salva, pensò abbassando lo sguardo sul livido che aveva iniziato a riempire lo zigomo di Aralyn, era stata l'unica a restare intrappolata nell'hotel.
 

Dal nero più totale, un odore nauseante prese possesso della coscienza di Aralyn, cullandola lungo il risveglio. Le prime cose che riuscì a distinguere furono il dolore atroce alla schiena, ai polsi e, infine, con meno intensità, al viso. Provò, nel dormiveglia, a ricordare come fosse riuscita a farsi male, ma ogni pensiero sfumava nel nulla. 
La testa le doleva, quasi una bomba vi fosse scoppiata all'interno e riportare a galla i ricordi, o mettere insieme un pensiero, pareva una tortura – eppure sapeva di dover rimembrare qualcosa: ma cosa, esattamente?

Mugolò cercando d'allontanare il fastidio, ma fu tutto inutile. Forse solo la pazienza avrebbe potuto aiutarla a mettere a tacere l'emicrania. Nonostante fosse la cosa migliore, si rese conto che il tempo era l'ultimo lusso che poteva concedersi e, sforzandosi, cercò d'aprire gli occhi. Le palpebre si separarono con estrema fatica, quasi le avessero incollato le ciglia insieme.

La luce fioca che si riversò nel suo campo visivo le strappò un altro verso e le venne quindi naturale alzare un braccio nel tentativo di proteggersi, ma il movimento le fu impossibile: un bracciale di qualche pesante e doloroso materiale le ancorava i polsi a terra.

Aralyn si sforzò di sollevare l'arto, senza però ottenere alcun risultato – il suo corpo era stremato, si opponeva brutalmente alla forza di gravità e quella di volontà, lanciandole stilettate paragonabili a tanti piccoli aghi infilzati nella carne. Perché?

C'impiegò qualche minuto, ma alla fine, vedendo le chiazze violacee sulla pelle e scavando nella memoria, riuscì ad associare quelle sensazioni a un ricordo: argento. La lega con cui erano fatte quelle dannatissime manette, altro non era che un metallo imbastardito dall'unica cosa realmente tossica per un licantropo.

Fu a quel punto che senza preavviso, ciò che era successo le tornò alla mente – portandosi dietro frustrazione, tristezza, paura e, soprattutto, un terribile male capace di andare ben oltre a qualsiasi altra sensazione fisica provata in precedenza. La consapevolezza di ciò che era Josh, o meglio, Joseph la uccise.

Il cuore prese a gonfiarsi nel petto.

Si era concessa al nemico.

Si era innamorata di un Menalcan e, per peggiorare la situazione, uno della più infima specie: l'erede diretto di Douglas, il frutto del suo seme malato.

Con che coraggio avrebbe potuto dire di avere ancora una dignità? O dei valori? Con che faccia tosta, persino nelle ultime preghiere, avrebbe chiesto perdono ad Arwen e tutto il suo clan?

La sensazione nello sterno si fece ancora più opprimente, schiacciandole i polmoni e provando a soffocarla. D'improvviso il bisogno d'ossigeno si fece impellente, ma l'aria intorno a lei sembrava essere troppo viziata e densa per riuscire a darle pace. Ogni respiro parve non riempirle le narici, così prese a boccheggiare, ma nulla: la sua mente si stava ribellando a quei pensieri, sfogandosi sul corpo.

Perché?

Strinse i pugni con rabbia, sentendosi una stupida.

Lo aveva sempre saputo, dannazione! Sin dal loro primo incontro si era detta che quel tizio le avrebbe portato guai, ma mai avrebbe sospettato una cosa del genere. Avrebbe dovuto restar fedele a se stessa e a suo fratello, tenendo a distanza Joseph e continuando a comportarsi come suo solito, invece aveva finito con il cadere nella più semplice e infame delle trappole: l'innamoramento.
 

Garrel guardò per un'ultima volta i gemelli. Sperava di trovare nei loro visi tumefatti e sguardi rabbiosi la forza per far partire la chiamata, ma ciò che vi lesse sopra fu tutto tranne che d'aiuto. C'era furia, desiderio di vendetta, ma c'erano anche frustrazione, sconforto e una tristezza che difficilmente si sarebbe potuta descrivere a parole; e tutto, a causa del fatto che sia Josh, sia Aralyn erano stati catturati dai Menalcan e, probabilmente, a quell'ora potevano essere morti – ma la certezza ancora non l'avevano.

Così, prendendo l'ennesimo grosso respiro, cercò nella rubrica il nome di Arwen. Grazie al cielo aveva avuto la premura di lasciare il proprio cellulare e la chiave di scorta nel portaoggetti dell'auto a cui, però, aveva dovuto sfondare un finestrino per poterla aprire.

Si erano messi in moto senza guardarsi indietro, del tutto sopraffatti dall'attacco nemico e, ora, ne pagavano le conseguenze: i sensi di colpa non sembravano sul punto di sparire. Ed era per quel motivo che dovevano avvertire il loro Alpha, consci però di star andando incontro a terribili conseguenze.

Non solo si erano lasciati sottrarre il Pugnale, avevano anche permesso ai Puri di prendere Aralyn – dettaglio che sicuramente avrebbe distrutto e infiammato Arwen come mai prima.

Alzò con riluttanza gli occhi al cielo e poi, con un unico colpo di dita, fece partire la chiamata.
Tolto il dente, tolto il dolore, si disse, conscio però di quanto fosse finta, in quel momento, una simile affermazione. Nulla avrebbe sanato il vuoto dato dalla perdita di quella ragazzina; non nel suo cuore o in quello dei gemelli e, men che meno, in quello del loro Alpha.

Sapeva bene quanto potesse essere intenso il dolore generato da una simile notizia, c'era passato anche lui molti anni prima, ma per il maggiore dei Calhum sarebbe stato ancora più atroce: lei era stata davvero il suo tutto.

La voce dell'albino, d'un tratto, fece capolino dal lato opposto della cornetta, riportando Garrel alla realtà.

Sentì il cuore stringersi sempre più e pregò con tutto se stesso di trovarsi all'interno di un incubo. Magari, strizzando forte gli occhi, avrebbe potuto svegliarsi e scoprire che nulla di ciò che era successo aveva realmente avuto luogo – il problema fu che, appena concepì quel pensiero, furono le lacrime a fare capolino.

«Sei da solo?» domandò al proprio capoclan, sperando che nessuno assistesse all'ennesima caduta di quello che, per anni, era stato considerato alla stregua di un dio dei lupi. Sì, perché Arwen alla fine era stato quello un tempo, poi i figli di Douglas Menalcan gli avevano portato via tutto.

«Ancora per poco, sto per andare a fare colazione» dal tono, Garrel poté capire che il suo migliore amico si stava già preparando a ricevere una brutta notizia, ma ancora non immaginava di quale entità si trattasse.

Bagnandosi le labbra, l'uomo si portò una mano alla fronte: «Forse è meglio che resti dove sei» gli suggerì poi. Ogni istante che passava lo rendeva sempre più nervoso e, se non fosse stato per la presenza di Hugo ed Eike, si sarebbe persino concesso il lusso di lasciarsi andare alle emozioni; eppure non poteva, doveva restare saldo per il bene di tutti, soprattutto lui.

«Vi hanno attaccati?» fu impossibile non notare l'agitazione nelle parole di Arwen, improvvisamente schiaffeggiato da una realtà che aveva certamente sperato fino all'ultimo non prendesse forma. Come dargli torto del resto? In ballo non c'era solo l'arma più mortale che un licantropo potesse maneggiare, c'era anche la vita della squadra d'élite del Clan del Nord.

L'uomo si morse il labbro. In che modo poteva dare al suo Alpha quella notizia? Come avrebbe evitato che si scatenasse il finimondo?

Sicuramente, si disse, se avesse avuto più tempo per riflettere e mettere insieme un buon discorso avrebbe potuto tentare di contenere la furia che di lì a poco sarebbe esplosa, ma così su due piedi, a nemmeno un'ora dall'accaduto, tutto ciò che riuscì a pronunciare fu un "sì".

«Ma non è l'unico problema...» aggiunse subito dopo, avvertendo la gola seccarsi: «Si sono portati via tutto. Il Pugnale, Joseph e... Aralyn» la voce di Garrel si ruppe proprio su quell'ultimo nome, tradendo il suo reale stato d'animo. Si sentiva in colpa per averla persa di vista, così come gli pareva di non essere altro che un fallito. Oltre a Freyja, aveva lasciato che i Menalcan si prendessero una parte della nuova famiglia che si era costruito e, il tutto, quasi senza lottare per proteggerla. Sì, perché in fin dei conti non aveva fatto altro che difendere se stesso e, vedendosi in svantaggio, sgattaiolare via alla ricerca di salvezza: ma a che costo?

Arwen tuonò: «Stai scherzando? Eh, Garrel?! Non puoi star dicendo sul serio... rispondimi! Dove diavolo è mia sorella?»

Con un sospiro l'uomo lo disse ancora, al pari di un mantra: «L'hanno portata via...» poi pigiò ancora di più gli incisivi nella carne: «Arwen... l'hanno portata via. Noi... noi non siamo riusciti a proteggerla» ci fu un lungo istante di silenzio, un momento in cui l'ansia prese a stringersi intorno allo stomaco, poi un frastuono assordante, colmo di grida disperate e al contempo furiose, gli ferì i timpani. Tutto il caos che Garrel udì provenire dall'altra parte della cornetta, fu la prova di quanto rumore potesse fare il cuore di un figlio di Mànagarmr mentre andava in pezzi – e persino nolente, in parte se lo sentì risuonare nel petto anche lui.



Ps. Dopo 46 capitoli mi auguro che la storia abbia iniziato a far breccia nel vostro cuore e, se così fosse e voleste saperne di più, vi informo che potete trovare i capitoli fino al 53 (se non di più) su Wattpad, dove aggiorno due volte a settimana.
Inoltre, citazioni e artwork sono disponibili sulla mia pagina instagram
( @aniayagalochuaine )

Mi auguro di ricevere vostri feedback e spero di ritrovarvi anche sul prossimo aggiornamento <3
A presto!

 

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Capitolo 49
*** Non ti lascio andare ***




47. Non ti lascio andare

Arwen alzò gli occhi sullo spazio intorto a sé, rendendosi conto che il proprio studio aveva ora l'aspetto del campo di battaglia più demoralizzante di cui avesse memoria. I suoi amati libri erano stati squarciati, distrutti, seviziati dagli artigli dell'animale che gli albergava dentro, mentre la scrivania era stata scaraventata dal lato opposto della stanza. C'erano segni di graffi su ogni mobile, righe di sangue a decorare le pareti e, guardandosi le mani, l'Alpha si scoprì pieno di tagli. Erano state le sedie spaccate, i cocci di vetro sparsi per terra; era stata la foga di mettere a tacere la terribile sensazione d'impotenza e rabbia che lo stavano mangiando vivo.

Sentiva di aver fallito.

Era conscio di aver giocato con il fuoco troppo a lungo e aver infine dato alle fiamme la propria casa – sì, perché Aralyn era proprio quello, il suo posto sicuro. E lui lo aveva volontariamente distrutto.

Con lei, stava ufficialmente e irreversibilmente perdendo tutto.

Era stato uno sciocco. Ebbro di vendetta aveva permesso a sua sorella di compiere ogni nefandezza e azione spericolata che gli era capitata a tiro e, al posto di proteggerla, aveva finito con il farsi difendere da lei, arrivando sino a quel momento. Cosa fare ora?

Chi pregare, dopo che Mànagarmr aveva deciso di voltargli le spalle?
Con che forza avrebbe sceso le scale e annunciato ai suoi uomini di aver perso l'ennesima sfida con i Menalcan, privandoli di una loro sorella? Certo, non era la prima a lasciarli, ma si trattava comunque di un membro fondamentale della loro famiglia.

Ma in particolar modo, come avrebbe fatto, lui, a sopravvivere alla sua mancanza?

I polpastrelli si premettero con foga sulla nuca, cercando in qualche modo di strappargli dalla testa tutti i pensieri, le fantasie, le immagini che vedevano la ragazza morta o torturata nei modi più brutali, eppure, più si sforzava di far sparire quelle visioni, più loro tornavano alla carica, colpendolo dritto al cuore.

Cosa avrebbero detto Veronika e Kalus del loro primogenito, che aveva mandato al macello la piccola Ara per puro vezzo personale?

Le unghie si fecero artigli e con una certa dolcezza graffiarono la carne. Arwen le sentì oltrepassare lo scalpo e subito dopo il calore del sangue colargli tra le ciocche pallide, scivolando infine sulla fronte e lasciandosi cadere a terra in piccole gocce.

Dove era la sua Aralyn? Cosa stava facendo? Era preda della paura o ormai compagna della Mòrrigàn?

A quell'ultimo pensiero, l'Alpha si sentì gelare le viscere.

No!, si rimproverò con veemenza, sua sorella non poteva essere morta! Lei condivideva i suoi geni, era nata per lottare e resistere a tutto, non avrebbe mai potuto lasciarlo con tanta facilità... vero?

Un rumore leggero di passi gli fece alzare lo sguardo in direzione della porta, anch'essa testimone della sua furia.

Poteva sentire il fetore della paura e dell'agitazione oltrepassare la soglia, entrambe prove inconfondibili del fatto che al suo clan non fosse sfuggito nemmeno un tonfo, un guaito o un ululato proveniente dal suo spirito a brandelli. Loro sapevano e, perciò, stavano venendo a domandare, peccato solo che non fosse pronto a parlare con nessuno.

Senza rendersene conto prese a ringhiare a denti stretti. Nella sua testa si stava andando a delineare un unico pensiero: doveva tenere quel macello, sia interiore, sia esteriore, segreto. Mostrare le sue debolezze ora sarebbe equivalso a farsi sfuggire di mano anche le ultime certezze rimastagli.

«Sparisci!» sbraitò nei confronti di chiunque si trovasse oltre la porta, sperando che fosse sufficiente ad allontanare l'impavido confratello, ma ciò che ottenne fu l'esatto opposto.

Seppur a fatica, l'anta si aprì lentamente, dando modo a una chioma dorata di fare la propria comparsa nel campo visivo dell'uomo. 
Il viso preoccupato di Marion si rivolse nella sua direzione, scrutando dapprima le condizioni dello studio e, subito dopo, come si era ridotto il licantropo che aveva dato origine a tutta quella baraonda.
Nella sua espressione si poteva chiaramente leggere preoccupazione, così come una terribile agitazione e il fantasma di un sospetto.

«Chi?» chiese la donna con voce tremante. Fu impossibile, per Arwen, sopportare quel suono. Con forza si strinse maggiormente la testa, portandosela in mezzo alle ginocchia. I muscoli lacerati della gamba gli lanciarono dolorose stilettate, ma nulla parve essere fastidioso come le fitte nel centro del petto.

Sapeva cosa doveva dire, il nome da pronunciare gli era perfettamente chiaro nella mente, ma chiamarlo ad alta voce lo avrebbe terribilmente reso reale. Finché restava un suo pensiero, poteva fingere che si trattasse di un orribile incubo.

Ma non lo era.

Marion si richiuse la porta alle spalle, procedendo poi in mezzo ai cumuli di macerie e arrivando fino a lui. L'Alpha sentì il suono dei suoi passi, i cocci di vetro scricchiolare sotto alle scarpe e, infine, il suo tocco gentile sugli stinchi.

«Arwen... te ne prego» la voce sempre più spezzata: «Chi?»

«Aralyn» sibilò in un sussurro, avvertendo le lacrime trovare la strada verso gli occhi. Se li sentì bruciare, rendendosi conto che di quel passo non sarebbe più riuscito a trattenersi – eppure doveva, dannazione! Un Alpha non si poteva permettere il lusso di frignare a quel modo, no?

I polpastrelli della donna si allontanarono dalle sue gambe: «Cosa?» domandò incredula. Con foga afferrò i polsi di lui, costringendolo a mollare la presa sulla nuca e alzare la testa: «Non prendermi per il culo, Arwen! Non puoi dire sul serio!»

Ma bastò guardarsi negli occhi per capire che non si trattava affatto di una bugia.
Così la bionda si alzò in piedi, prendendo a camminare avanti e indietro per la stanza, reggendosi la fronte con un palmo per riuscire a ritrovare la calma. Oh, e quanto avrebbe voluto dirle che era tutto inutile, che persino afferrando, torcendo e sfracellando oggetti non sarebbe riuscita a trovare pace.

«No-non può essere... lei... lei non può essere morta» disse infine singhiozzando. Con gli occhi chiari si rivolse verso l'uomo, forse tentando di trovare in lui una vaga traccia d'ilarità – Arwen però non era tipo da scherzi, lui non si abbassava a simili sciocchezze, quindi come poteva credere che il suo fosse un inganno?

«Che sia morta o meno, è in mano loro. È stato Garrel a dirmelo» e, messa al cospetto di quell'ultima confessione, Marion prese a strillare e dimenarsi. Si chinò su di lui stringendolo forte a sé mentre le lacrime gli bagnavano la pelle, ma persino in quel gesto, l'Alpha trovò solo desolazione. Nulla poteva colmare il buco lasciato da sua sorella.

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Capitolo 50
*** Non tutto è perso ***




Not All is Lost

Joseph rimase immobile di fronte alla poltrona su cui suo padre se ne stava bellamente seduto, fumando uno dei suoi preziosi sigari d'importazione, mentre lo scotch nel bicchiere lanciava riflessi ambrati sul pavimento di marmo. 
Il silenzio intorno a loro veniva interrotto solo dallo scrosciare della pioggia al di là della finestra, dove il temporale faceva da contorno ai numerosi ettari del giardino di Villa Menalcan, un edificio coloniale fin troppo austero per appartenere a degli assassini come loro.

Sentiva la tensione stringergli le spalle al pari del completo nero in cui, dopo mesi, si era dovuto nuovamente infilare, ritornando a essere l'erede del licantropo più potente del Concilio – e l'odiò, così come detestò se stesso e tutto ciò che aveva avuto origine da quel vecchio mannaro intento a prendere lunghe boccate dal sigaro.

Douglas lanciò un'occhiata dubbiosa a entrambi i figli, poi finalmente si decise a parlare: «Il Pugnale e la sorella minore di Arwen Calhum... potrei quasi dirmi soddisfatto del vostro operato» con un movimento lento scrollò la cenere accumulatasi sul cubano, senza però distogliere lo sguardo dai due. Nella sua espressione c'era la solita impassibilità che Joseph aveva sempre trovato fastidiosa – nulla trapelava, così come nulla si riusciva a capire.

«Il mio operato, padre» si ritrovò a dire il ragazzo, stringendo i denti. Era conscio che un simile commento sarebbe potuto essere mal interpretato dall'Alpha, ma non poteva certo permettersi di lasciare a Gabriel una qualche sorta di onore. Se avesse evidenziato il suo successo durante quella missione, forse Douglas gli avrebbe permesso di occuparsi personalmente di Aralyn – ed era tutto ciò di cui realmente gl'importava.

Suo fratello, dritto accanto a lui, finse di trattenere una risata: «Non mi pare che tu abbia fatto molto, a parte accoppiarti con quella femmina» puntualizzò lanciandogli un'occhiata maliziosa.
Come aveva previsto, quell'energumeno stava già provando a ridicolizzarlo di fronte agli occhi di loro padre, ma non glielo avrebbe permesso in alcun modo.

Piegando la testa nella sua direzione, Joseph gli si rivolse con un tono di superiorità tutt'altro che gradito: «A differenza tua, Gabe, so come costruire una farsa perfetta». I due si fulminarono. Né nelle loro parole, né nel modo di parlarsi, vi era alcuna traccia di collaborazione o affetto – l'uno voleva essere la causa del fallimento dell'altro, in modo da potersi avvicinare sempre più al titolo di futuro Alpha, anche se per ragioni diverse.

Douglas batté violentemente il palmo sul poggia-braccio della poltrona, mettendoli a tacere: «Possibile che non sappiate comportarvi come adulti?» li riprese, abbandonando definitivamente il proprio sigaro: «Quale è il vostro problema?»

Il primogenito gonfiò il petto, offeso: «Padre, ho una richiesta. Datemi la possibilità d'interrogare l'Impura» s'affrettò a dire poi, forse nel vago tentativo di ottenere una rivalsa sul moccioso lì con lui che, del tutto restio all'idea di dargliela vinta, controbatté.

«È una mia prigioniera, spetta a me quel compito»

«Così puoi godertela ancora un po'? No, non ti permetterò di ridicolizzare il clan. Ammettilo che ti sei fatto fregare da quello che ha tra le gambe!» Gabriel arrivò quasi a ringhiare, mentre Joseph sentì l'impellente desiderio di saltargli al collo e azzannargli la giugulare, in modo da metterlo a tacere una volta per tutte. Se c'era qualcuno, all'interno di tutto il branco, capace di fargli perdere il controllo, quello era sicuramente suo fratello maggiore. Il primo figlio di Douglas aveva un vero e proprio talento nel fargli venire i nervi a fior di pelle.

«Eppure mi sembra che l'unico ad aver ingravidato delle umane qui sia tu» puntualizzò il ragazzo stringendo i pugni per evitarsi di compiere qualche sciocchezza e, al cospetto di quel commento, il loro Alpha sbuffò rumorosamente, interrompendo nuovamente il battibecco.

Tutti sapevano quanto fastidio gli desse quel fatto, così Joseph lo aveva citato per ribaltare la situazione: era una questione nettamente più grave di ciò che aveva fatto lui e, forse, sarebbe bastato a Douglas per chiudere un occhio e cedere alla sua richiesta.

«Tra tutti e due non so chi sia il più riprovevole. Uno va a letto con il nemico e l'altro mi porta in casa due bastardi. Potreste quasi essere la vergogna della famiglia, se non foste dei buoni guerrieri» un'espressione schifata gli riempì il viso, storcendogli la bocca.

«Ad ogni modo, Gabriel ha ragione. Non posso fidarmi ciecamente del tuo giudizio dopo quello che hai fatto» a quelle parole, il cuore del ragazzo perse un colpo. Sentì le viscere contorcersi e il sangue defluire dalle guance. Possibile che suo padre non riconoscesse il successo ottenuto? Nemmeno aver riportato a casa il Pugnale della Luna era servito a giustificare quelle azioni ai suoi occhi?

D'improvviso la consapevolezza di aver realmente perso Aralyn lo soffocò. Non poteva credere di aver combinato un simile casino e non saper nemmeno come uscirne.

«Però è stato per merito tuo se ho di nuovo il Pugnale, così come è merito tuo se ora abbiamo un vantaggio su Arwen. Sarà Kyle a occuparsi della ragazza» il battito di Joseph riprese e lo stupore gli riempì il petto. Aveva sentito bene? Suo padre gli stava regalando la possibilità di trovare una via d'uscita da quella scomoda situazione.

L'Alpha bevve un sorso di scotch: «È un tuo sottoposto, quindi potrai gestire tu le informazioni e dimostrarmi quanto sai mantenere il controllo su una situazione come questa, ma allo stesso modo non resterai da solo con lei o la vedrai in alcun modo, esattamente come chiede tuo fratello». Alle orecchie del ragazzo, quelle parole parvero la più bella notizia che potesse ricevere, seppur sapesse di essere ben lontano da potersi dire felice.

Aralyn era ancora in pericolo, prigioniera dell'odio del suo clan e condannata da una guerra che improvvisamente non gli pareva più tanto logica, ma quantomeno avrebbe potuto evitarle le atrocità che Gabriel aveva in serbo per lei.

Forse, in qualche modo a lui sconosciuto, sarebbe riuscito a chiederle scusa.

Un nuovo strattone, l'ultimo di una serie alquanto lunga, le fece uscire di bocca un verso agghiacciante. I polsi sembravano gridare pietà e la sensazione umida intorno alla pelle le fece capire di aver raggiunto il limite.

Aveva perso il conto delle ore passate lì, dei pensieri tragici a cui aveva dovuto far fronte e persino dei tentativi fatti per sfuggire alla morsa delle catene, sempre troppo resistenti. La paura, intanto, la osservava ribellarsi, pronta a saltarle addosso e soffocarla in qualsiasi momento di calma che si fosse concessa.

I crampi allo stomaco, dovuti alla fame, avevano lasciato posto ai giramenti di testa e la sete le aveva prosciugato la gola, rendendola un deserto.

Da quando era arrivata, una data imprecisata che aveva perso valore con la stanchezza, non era riuscita a chiudere occhio e così il corpo, piegato da altrettante mancanze, aveva iniziato a presentarle il conto – ma come poteva permettersi un po' di riposo, sapendo che i Menalcan sarebbero potuti piombare su di lei in qualsiasi momento? Per non parlare degli incubi; sapeva che sarebbero sopraggiunti senza alcuna pietà, logorando quel poco di fermezza che ancora le dava la forza di lottare.

Però era esausta, lo sapeva. Di quel passo, se non i nemici, sarebbe stata lei stessa a uccidersi.

Riluttante si lasciò andare contro la parete umida, scivolando a terra con un tonfo. La pelle delle cosce si riempì di brividi appena toccò terra e, senza alcun preavviso, le lacrime provarono a spingersi fuori dagli occhi per tradirla.

Non ce la faceva più, nonostante fosse lì da un tempo indefinito.

Non si era mai preparata alla prigionia, perché nella sua testa esistevano solo due opzioni: vincere o morire. Quello stato di stallo era terribile, la corrodeva come ruggine e non aveva idea di come affrontare tale reazione.

Poi, in lontananza, le giunse alle orecchie il suono ovattato di una voce.

Provò a mettersi dritta, ma appena le sembrò di essere stabile sulle gambe un capogiro l'assalì, facendole dubitare di essere in grado di affrontare qualsiasi cosa la stesse aspettando al di là dell'immensa porta di legno antico. Sentì il rumore stridulo di chiavistelli, poi vide l'anta ruotare sui cardini e aprirsi con un cigolio. All'inizio fece fatica a distinguere la sagoma che le si parò davanti, ma poi, nella penombra di quella che era la sua cella, riconobbe i ricci biondi, il viso severo e il completo grigio che aveva incrociato mesi prima in un dei tanti vicoli di Berna – e lo stomaco le si strinse dolorosamente.

Davanti a sé aveva il Menalcan con cui si era scontrata e che, ora, prendeva la terrificante connotazione di un alleato di Joseph – il suo amato aguzzino.

 

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Capitolo 51
*** Ciò che non è stato detto ***




What is left unsaid

Arwen lanciò un'occhiata truce in direzione del proprio migliore amico. La tensione non era scemata per un solo momento da quando era arrivato, tendendo i nervi fino allo spasmo: sarebbe bastata una sola parola sbagliata per far scoppiare la rabbia che l'Alpha servava in sé. Nonostante Garrel fosse il suo più vecchio e caro compagno, il fatto che avesse abbandonato Aralyn lo rendeva un bersaglio.

Stringendo i pugni, l'albino s'impose di non perdere il controllo, cosa che vedeva ogni minuto sempre meno facile: «Era viva?» domandò, senza però curarsi del tono. Per quanto quella perdita potesse gravare anche sulle spalle dell'uomo sedutogli di fronte, Arwen non era intenzionato a cedere all'indulgenza: un fallimento restava tale, sia che fosse stato compiuto con premeditazione, sia che fosse avvenuto per puro caso.

L'altro annuì: «Lo erano entrambi, suppongo vogliano ottenere da loro informazioni»
«Una supposizione non mi è sufficiente» ringhiò di rimando, aumentando la pressione sulle mani. Poté avvertire con chiarezza le unghie infilarsi nei palmi e bucare la pelle.

Di quel passo si sarebbe riempito d'inutili ferite.

Garrel lo fulminò con lo sguardo. Non era per nulla preoccupato della possibile reazione del suo leader, ma piuttosto sembrava pronto a tenergli testa.
«Ma è tutto quello che abbiamo, Arwen» sottolineò con teatralità, infastidendo maggiormente l'altro che, per non perdere la testa, colpì con forza il tavolo a cui era seduto; ormai il suo studio era inagibile e, piuttosto che niente, si era dovuto accontentare della sala comune, conscio che al di là di qualsiasi porta o finestra vi fossero le orecchie ben attente dei suoi sottoposti. 
Nessuno voleva farsi sfuggire l'occasione di capire cosa fosse successo.

«Ed è per colpa tua se non c'è altro!» sbraitò con talmente tanta foga da far allungare i canini. Sentiva i nervi talmente tesi da essere sul punto di spezzarsi, così come avvertiva il chiaro desiderio di afferrare ancora un qualsiasi oggetto e distruggerlo.

L'uomo non retrocesse. In meno di qualche falcata si ritrovò faccia a faccia con il suo capoclan e, mostrando a sua volta i denti, gli tenne testa: «Lo so bene! So perfettamente che lei era una mia responsabilità» ammise, soffiando dal naso. «Ho dovuto scegliere, Arwen. Morire tutti o provare a salvare qualcuno» e seppur fosse stata la mossa giusta da fare, l'Alpha non riuscì a giustificare quella scelta. Il suo qualcuno equivaleva a nessuno, se sua sorella non era contemplata.

«Con lei c'era Josh... pensavo l'avrebbe salvata. Lo aveva già fatto... mi sono sbagliato»

A quelle parole Arwen sentì le viscere stringersi. Anche lui aveva fatto lo stesso ragionamento; anche lui aveva pensato di inserire il novellino nella squadra con il chiaro intento di proteggere ancora una volta la ragazza, peccato solo che non ci fosse riuscito, mandando ogni cosa in frantumi.

Si erano sbagliati in due.

Mordendosi la lingua, l'albino si volse verso una delle tante finestre da cui la luce stava cercando d'entrare senza badare al loro cattivo umore: «Io devo riprendermela» sussurrò poi, sentendo la necessità di fare qualcosa per smettere di sentirsi impotente: «Cinque giorni. È il tempo che impiegheremo per organizzare un'offensiva».

«Mi hai fatto chiamare?» chiese Kyle entrando nelle stanze di Joseph. Da quando era tornato alla Villa, il giorno precedente, non avevano ancora avuto modo di parlare e la cosa, a suo giudizio, non prometteva nulla di buono. Gli occhi ghiacciati del suo superiore sembrarono più severi di quanto non fossero mai stati e nel calare su di lui parvero portarsi dietro la stessa tempesta che imperversava sui possedimenti del clan.

Lentamente, temendo ciò che lo stava aspettando, l'uomo si avvicinò al ragazzo, studiandone ogni movimento o espressione. C'era qualcosa di strano in tutta quella situazione, così come nell'aria sembrava essersi impregnata un'insolita tensione.

L'erede di Douglas si appoggiò con la schiena all'enorme porta-finestra che dava sul giardino, fronteggiandolo totalmente: «Già... è stato impossibile vederti nelle ultime ventiquattr'ore» gli fece notare poi, continuando a scrutarlo mentre si faceva vicino.

«Ho avuto da fare» si giustificò Kyle che purtroppo, in mancanza del suo vero Signore, aveva dovuto sottostare agli ordini diretti dell'Alpha ancora in carica. Avrebbe di gran lunga preferito vedere Joseph, parlargli, fare domande su ciò che era successo in quei mesi di lontananza, ma non aveva potuto fuggire dai suoi doveri. Eppure, ora che finalmente si era ricongiunto con il proprio migliore amico, si rese conto di non volergli chiedere altro che il motivo di quello sguardo duro - perché certamente gli stava nascondendo qualcosa.

«Sì, lo so. Hai incontrato la mia prigioniera» con un sospiro il ragazzo si staccò dal vetro, ritornando poi a guardare l'orizzonte grigio al di là della finestra: «Cosa ti ha detto?» domandò dopo alcuni istanti di totale silenzio, quasi avesse avuto bisogno di soppesare le proprie parole. 
Nel suo tono, notò l'uomo, vi era una freddezza forzata, quasi quell'argomento fosse per lui fonte di turbamento - e fu inevitabile per Kyle domandarsene il perchè.

Riluttante, prese posto su una delle sedie non troppo distanti dal punto in cui si trovava l'altro, in modo da poterlo scrutare meglio.

«A parte la variopinta varietà d'insulti? Nulla...» ammise: «nemmeno dopo qualche percossa» e nel dirlo spostò lo sguardo sulle nocche arrossate, lascito dei pugni che le aveva tirato nel tentativo di convincerla a parlare. Effettivamente, nonostante le lacrime e le grida di dolore, l'Impura non aveva dato alcun segno di cedimento. La sua fedeltà nei confronti del fratello e del Duca sembravano essere più salde di quanto ci si sarebbe aspettato da una ragazzetta del suo calibro.

«Non ti ha fatto domande?»
«Avrebbe dovuto?» più confuso che mai, Kyle alzò gli occhi sull'amico, trovandolo ora rivolto nella sua direzione, intento a scrutargli le mani. Persino senza sforzarsi, scoprì nell'espressione di Joseph un velo di puro odio. Sembrava detestare con tutto se stesso ciò che lui, galoppino del branco e di Douglas in persona, aveva dovuto fare a quella ragazza.

Perché?

Corrugando le sopracciglia si protese in avanti: «Devo essere messo al corrente di qualcosa?» chiese, convincendosi sempre più che ci fossero in ballo verità non dette in quella situazione. Eppure, in tutti gli anni che avevano passato al fianco l'uno dell'altro, tra loro non vi erano mai stati segreti - ogni cosa, dalla più eclatante alla meno conosciuta, era stata condivisa. Ma adesso, a differenza di qualsiasi altra occasione passata, qualcosa era evidentemente cambiato.

Ancora una volta il silenzio calò nella stanza, portando con sé più incertezze di prima; se il più maturo dei due non sapeva cosa aspettarsi, l'altro, probabilmente, cosa dire.

Che il giovane Menalcan avesse smesso di fidarsi di lui? No, impossibile. Non una sola volta lo aveva tradito, men che meno pensato di farlo. Nemmeno in un'occasione aveva preferito ubbidire ad altri invece che a lui. Più e più volte gli aveva offerto la propria vita senza alcuna esitazione, quindi perché tagliarlo fuori a quel modo e dopo ciò che aveva portato a termine? Cosa era accaduto nei mesi che avevano trascorso lontani?

Joseph si tirò indietro i capelli scuri, sospirando: «No» gli rispose poi, socchiudendo appena gli occhi. La frustrazione che lo stava corrodendo dentro era palpabile, per un momento Kyle parve sentirla un po' sua; ma fu questione di un istante, perché subito dopo lo vide scuotere la testa, dissipando in lui quella sensazione: «Non ora, quantomeno» aggiunse, riaprendo gli occhi sul panorama degli ettari verdi della Villa.

«Joseph, se è successo qualco-» provò a esortarlo, venendo però interrotto bruscamente.
«Te ne prego. Finiamola qui» gli chiese l'altro, lanciandogli la stessa occhiata severa con cui lo aveva accolto. Le iridi del ragazzo parvero trafiggergli la pelle al pari di stalattiti cadute al suolo e, con indiscutibile certezza, l'uomo capì che c'era davvero qualcosa d'impronunciabile a tormentare l'animo del suo Signore.

E lui avrebbe scoperto cosa, a qualsiasi costo.

Fuori dalla cella della prigioniera, Kyle si domandò se fosse corretto trovarsi lì. In qualche angolo recondito di sé sapeva di potersi recare da lei solo per estorcerle delle informazioni, ma era anche conscio che se voleva risposte, doveva provare a ottenerle anche dall'ultima persona pensabile. Così, stando attento a non farsi notare da nessuno, era sceso nuovamente nelle segrete di Villa Menalcan, spingendosi sino a quel punto.

Circospetto allungò una mano verso i chiavistelli che, a causa della ruggine, dovette girare lentamente, in modo da non produrre eccessivo rumore. Seppur fosse un membro d'alto rango del clan, non poteva permettersi di essere trovato in quel luogo all'infuori dei momenti in cui Douglas, Gabriel o Joseph gli ordinavano di presentarsi - le sue azioni sarebbero potute essere interpretate in qualsiasi maniera, persino nella peggiore, affibbiandogli l'appellativo di traditore.

Appena la serratura si sbloccò, l'uomo aprì l'anta, infilandosi nella cella e richiudendosi la porta alle spalle. Premuto contro il legno malconcio della soglia, attese in silenzio che qualche rumore gli giungesse alle orecchie, ma quando fu solo il silenzio a presentarsi, capì di averla fatta franca - per il momento.

Svelto fece saettare lo sguardo sulla figura di fronte a sé, ora rannicchiata in un chiaro gesto difensivo. Quella che si palesò innanzi ai suoi occhi fu una scena pietosa: la sorella del grande Arwen altro non era se non una bambina spaventata.

Con le gambe piene di lividi strette al petto e le braccia rovinate dall'argento presente nelle catene che la tenevano legata a terra, dava l'impressione di essere sul punto di morire. L'avevano massacrata nel giro di poco; un po' lui, con i cazzotti che le aveva dato in mattinata, un po' Gabriel quando l'aveva fatta trascinare nel furgone - e lì, mentre i suoi uomini l'imbottivano di sedativo, chissà quale altre atrocità aveva dovuto subire.

Kyle le si avvicinò lentamente, ma non vedendola reagire in alcun modo si domandò se, alla fine, non fosse morta veramente. Con la punta della scarpa le picchiettò il fianco, provando così a capire se potesse in qualche modo essergli d'aiuto. La colpì un paio di volte, finché, del tutto inaspettatamente, la ragazza non provò ad azzannargli la gamba con le fauci da lupo. I suoi canini si erano pericolosamente allungati, mentre i connotati del viso avevano preso una forma più ferina.

Con un sobbalzo le si allontanò: «Quindi hai ancora la forza per ribellarti» le disse, arretrando il necessario per poterla osservare nella sua interezza. L'Impura avrebbe potuto provare un nuovo attacco, ma da quella distanza, si assicurò l'uomo, non avrebbe ottenuto alcun risultato.

Ringhiando, la prigioniera tornò a rannicchiarsi: «Ne avrò fino al momento in cui non mi taglierete la gola» rispose poi, nascondendo in parte il viso. Non sembrava affatto disposta ad avere una normale e tranquilla conversazione con lui, ma questo a Kyle importò poco: ciò che davvero gli interessava era riuscire a carpire qualche indizio che potesse rivelargli il motivo del malumore di Joseph - e persino a suon di guaiti e ululati avrebbe potuto ottenere qualcosa.

«Potrebbe volerci un po'» sorridendole incrociò le braccia al petto, preparandosi a dover far fronte a un lungo ed estenuante scambio, esattamente come era accaduto qualche ora prima.

«Hai un nome?» le chiese dopo alcuni secondi. Nonostante sapesse quali fossero le sue origini, né Douglas, né Gabriel, l'avevano mai chiamata per nome, preferendo piuttosto riferirsi a lei con qualche termine dispregiativo: bastarda, meticcia, cagna o sgualdrina. Ma come biasimarli? Per la loro mentalità, e quella di buona parte del branco, gli Impuri erano alla stregua del letame; persino un umano aveva più dignità di loro.

La ragazza soffiò dal naso, stringendosi le ginocchia al petto. Ogni suo gesto parve dire con chiarezza che non gli avrebbe dato alcuna risposta; da qualche parte però, doveva pur iniziare la loro conversazione.

«Okay, visto che non me lo vuoi dire, ti chiamerò signorina Calhum» e, a quella sottospecie di battuta, la giovane reagì. Forse, si disse Kyle, sentir pronunciare il proprio cognome da un lurido nemico generava in lei abbastanza fastidio da farle cambiare idea - dopotutto era come se in parte si stesse riferendo anche ad Arwen, usando quel nominativo.

«Non azzardarti!»
«Dammi una risposta, allora, anche perché mi basta chiedere a qualcuno dei miei superiori per scoprirlo» l'incitò con tono duro, senza farsi vedere in alcun modo colpito dalla sua reazione.

L'Impura si morse le labbra, probabilmente capendo che in ogni caso erano i Menalcan ad avere il coltello dalla parte del manico.
«Aralyn» sussurrò poi, faticando a pronunciare il proprio nome. Doveva costarle non poco ubbidire alle sue richieste, sia che queste fossero di grande o di piccola entità.

«Perfetto, Aralyn. Ora che ne pensi di parlare un po' con me?»

Con sguardo schifato, la ragazza provò a dimostrargli quanto quell'approccio non avrebbe portato ad alcun tipo di risultato - non che ci avesse sperato, comunque.
Solo quella mattina, per farle pronunciare qualche insulto del tutto privo di utilità, era dovuto ricorrere alle maniere forti, colpendola più e più volte nella speranza che l'illusione di vederlo smettere li avrebbe condotti da qualche parte: confidare nel fatto che ora gli rispondesse senza fare alcuna resistenza era pressoché ridicolo.

«Ammazzami, piuttosto»

Fu impossibile per il Menalcan trattenere uno sbuffo: «Forse ne avrò modo, più avanti. Devo ancora vendicarmi del fatto che hai rovinato uno dei miei abiti preferiti» teatralmente abbassò gli occhi sulla giacca che stava indossando, immaginando al suo posto il meraviglioso panno Casentino a cui aveva dovuto dire addio dopo il loro primo incontro.

«Usque ad finem. Non tradirò mai il mio clan» un nuovo ringhio le uscì dalla gola, questa volta più gutturale. Si stava aggrappando alle promesse fatte al Duca, ma anche all'appartenenza al proprio Alpha; cercava di resistere riportando alla mente ciò che aveva di più caro, esattamente come ogni prigioniero - ma a lui non importava nulla, in quel momento, del suo clan: Arwen poteva benissimo restarsene dov'era.

Kyle si avvicinò a una delle umide pareti che componevano la cella e, senza staccarle gli occhi di dosso, sorrise: «Non dubito che tu sia un tipo difficile da convincere, ma se fossi qui per altro?» e a quella domanda, sul viso di Aralyn si andò a disegnare un'espressione confusa.
Sicuramente si stava chiedendo quale altro tipo d'informazione potesse volere uno come lui da lei, oppure se la stesse prendendo in giro o meno; in fin dei conti tutto poteva essere possibile - agli aguzzini piaceva sempre giocare con le vittime.

Immaginando qualche terribile scenario, l'Impura aumentò la stretta sulle proprie gambe, irrigidendosi. Con grande probabilità, la sua mente doveva averla portata a pensare a uno stupro, cosa che, a essere sinceri, lui non avrebbe mai commesso. Per quanto amasse i corpi delle donne e la sensazione di assoluto potere che poteva dargli una scopata, l'ultimo dei suoi desideri era quello di violare una cosetta sporca e del tutto indifesa come era lei ora.

«Altro?» la sentì sibilare. Vi era talmente tanta preoccupazione nella sua voce che, per poco, non fu sopraffatto da un nuovo moto di pietà.

Prendendo in mano la motivazione che lo aveva spinto sin lì, Kyle si decise a mettere fine ai vari convenevoli: «Joseph».

Appena Aralyn udì quel nome sentì la gola seccarsi, mentre il cuore prese a batterle forte nel petto. Avvertì i palpiti farsi intensi, tanto che per un istante temette le potessero spezzare le ossa della gabbia toracica uccidendola sul colpo, ma provò comunque a mantenere una sorta di contegno.
Che c'entrava Joseph Menalcan, ora? Per quale stupida ragione lo aveva dovuto citare?

Quel tizio non aveva neppure idea di quanto quelle sei lettere potessero graffiarle l'anima al pari delle belve che erano; non s'immaginava nemmeno quale forma di tortura fosse associare quel nome al viso del ragazzo che aveva iniziato ad amare.

Gli occhi presero nuovamente a bruciarle e seppe con certezza che portare alla mente anche un singolo ricordo che aveva condiviso con lui sarebbe equivalso a spezzare l'armatura che era stata costretta a indossare in quell'occasione.

Si morse il labbro, tanto d'avvertire il sapore del sangue pizzicarle la lingua. 
Cosa avrebbe dovuto dire?

«Feccia»
Traditore, la corresse la mente, ma non poteva certo ammettere di essersi totalmente fidata di lui, arrivando persino a innamorarsene ed essere stata tanto sciocca da venir fregata.

Kyle parve non convincersi: «Joseph Menalcan» ripeté ancora, questa volta con più fermezza. 
E per Aralyn fu un pugno dritto sulla bocca dello stomaco. La nausea l'investì con talmente tanta forza che credette di essere sul punto di vomitare persino le interiora.

Joseph Menalcan, non Josh, si ricordò.

Il nemico, non il licantropo che le aveva confessato i propri sentimenti. Non la persona che aveva tessuto una così fitta rete di menzogne da catturarla al pari di uno stupido insetto.

«Infame» rispose ancora, aggrappandosi a ogni pensiero negativo che l'aveva assalita per tutto il tempo che era stata rinchiusa in quella cella. Doveva trovare la forza per respingere il dolore, per riconoscerlo e odiarlo come era giusto che fosse - peccato solo che ogni sforzo sembrava essere vano, che si sentisse debole di fronte alle proprie emozioni.

Lui era il licantropo che aveva ferito suo fratello, la persona che lei aveva giurato di ammazzare per vendicare l'onore di Arwen - ma riusciva davvero a detestarlo con ogni fibra del proprio essere?

«Joseph Menalcan, l'uomo che si è infiltrato tra di voi» insistette Kyle, incapace di trovare soddisfazione nelle parole che Aralyn si costringeva a dire.

Joseph era l'assassino.
Il mostro.
La minaccia.
Il bastardo che le aveva spezzato il cuore.
L'aberrante erede di Douglas.
Lui era il male, l'eresia, il tradimento.
Era la rinuncia, il rimpianto.
Falso.
Meschino.
Egoista.
Sadico.

«Mi ha mentito! Bugiardo!» gridò infine, facendosi sopraffare dai sentimenti. Rendendosi conto del danno che si era appena auto-inflitta, si prese la bocca tra le mani, cercando di catturare nuovamente quella confessione e impedirle di giungere alle orecchie di Kyle - ma ormai era tardi, ciò che aveva detto non poteva più tornare indietro e, quando alzò lo sguardo su quell'uomo, capì la gravità di quello che aveva fatto.

Gli occhi grigi del mannaro si fecero grandi di stupore e le braccia strette al petto si allentarono. Aveva capito.

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Capitolo 52
*** Affari di Famiglia ***




50. Family Affairs

Marion rimase immobile mentre, seduta a uno dei tanti tavoli del locale in cui con Fernando, Garrel e i gemelli si era andata a rintanare, sorseggiava l'ennesimo drink, evitando così il malumore di Arwen. Eppure, nonostante fossero lontani dalla Tana e dall'ira dell'Alpha, non riuscivano a trovare nemmeno un argomento con cui distrarsi.

La mancanza di Aralyn, la possibilità che fosse ancora viva, tormentava ognuno di loro giorno e notte. Era un po' come la sorella minore di tutti e la sua perdita pesava in egual misura sui loro cuori.

«Non possiamo continuare così» sentenziò lasciandosi cadere sullo schienale della sedia. 
Ogni minuto che passavano lì, fermi a guardare il vuoto e bere alcol per non pensare, stava diventando una tortura che la sua mente non era più in grado di sopportare.
Gli sguardi dei quattro licantropi presenti con lei si levarono pigramente nella sua direzione.

Hugo, appoggiato con il mento sul tavolo, provò a dire qualcosa, ma la voce del fratello lo precedette: «E cosa proponi, Marion? Lo vedi anche tu in che condizioni siamo, inoltre il piano di Arwen non è certo d'aiuto!» 
Già, il piano.
Aveva cercato di non pensarci per tutte le ventiquattrore seguenti alla sua annunciazione, ma purtroppo era un fantasma che si sarebbe fatto pian piano sempre più reale, diventando tanto concreto da poter essere toccato - cosa che, nonostante l'affetto provato per Aralyn, avrebbe preferito non sfiorare.

Per quanto il loro Alpha potesse studiarlo e perfezionarlo nel poco tempo rimastogli, non avrebbe mai preso altra connotazione se non quella di un volontario massacro del clan.
Arwen aveva perso il controllo, li avrebbe portati allo sfacelo, ma nessuno trovava la forza per opporsi. Da un lato stavano ubbidendo al suo ascendente di leader, dall'altro stavano cercando di riportare a casa un membro fondamentale della loro famiglia - per non parlare del fatto che, segretamente, tutti desideravano vendicarsi dei Menalcan.

«Okay ma...» s'accorse di non saper come obbiettare. Non aveva idee o parole da esporre, solo preoccupazione, così abbassò il capo.
«Ma glielo dobbiamo. A entrambi» Fernando picchiò il proprio boccale vuoto sul tavolo, facendola sobbalzare. Sul suo viso c'era un'espressione incredibilmente severa, per nulla adatta ai suoi tratti, ma che Marion aveva già avuto il dispiacere di vedere.
«I fratelli Calhum hanno fatto tutto per noi, per il clan. Ti hanno accettata quando eri sola come un cane e avevi paura di te stessa, hanno salvato Hugo e Eike da morte certa» con lo sguardo l'uomo indicò ognuna delle persone citate, poi si puntò il proprio indice addosso: «Mi hanno dato un motivo per non farmi ammazzare dopo la morte di Layla» e la voce gli s'incrinò appena.

Sentire quelle parole fu come ricevere un pugno dritto allo stomaco. Sapeva benissimo di dover tanto ad Arwen e sua sorella, ma ricordare il motivo esatto per cui aveva un debito con loro era tutt'altra storia.
Mordendosi il labbro provò a difendere la sua riluttanza: «Però non lo abbiamo mai fatto per nessun altro! Quando tua moglie è morta il clan non è andato a chiedere sangue. Quando Frejya è sparita Arwen non ci ha mandati a reclamare le teste dei nemici. Aralyn... »

Garrel tuonò: «Aralyn è la ragione per cui abbiamo ancora un clan a cui appartenere! Se lei non si fosse presa cura di suo fratello ora chissà dove saremmo. Puoi avere tutta la fifa di questo mondo, Marion, ma non puoi pensare davvero di abbandonarla»
«E se fosse già morta?» gridò, avvertendo le lacrime iniziare a scivolargli lungo le guance. Aveva il cuore stretto in una dolorosa morsa, perché quel pensiero era atroce, ma non poteva illudersi che non vi fosse quella possibilità.

Scosse la testa con veemenza: «Io non voglio perdervi tutti!»

«E io non voglio vivere con il rimorso di aver perso tutta la mia famiglia a causa di quelle bestie!» un nuovo boato, seguito da un ringhio gutturale. Nessuno si sarebbe opposto al volere di Arwen, seppur fosse ovviamente una follia.
 


 

 

Quando la porta della sua prigione si riaprì, Aralyn non poté che stupirsi; Kyle era nuovamente lì, ma non avrebbe saputo dire se per interrogarla o torturarla con il nome e il ricordo di Joseph. 
Per un attimo le venne l'istinto di alzarsi e sfidarlo a viso aperto, ma più volte aveva provato a rimettersi dritta durante le ore di solitudine e, in ogni occasione, si era sentita mancare - rendersi ancora una volta ridicola era l'ultimo dei suoi desideri.

L'uomo non disse nulla, si avvicinò a lei con il suo solito sguardo strafottente e indagatore, cercando di metterla in difficoltà - e di risposta la ragazza emise un ringhio basso, incitandolo a non fare un passo in più del dovuto. Anche se quel Menalcan non sembrava essere tornato armato di cattive intenzioni, Aralyn non poteva permettersi di abbassare la guardia, né in quel momento, né mai.
Kyle allungò un braccio nella sua direzione e, di primo acchito, all'Impura venne l'istinto di scansarlo.
Non si fidava di lui, temeva che da un momento all'altro potesse colpirla in pieno viso o al centro dello stomaco, facendole vomitare le interiora. Eppure, con un movimento lento, l'uomo aprì il pugno, rivelando il palmo della mano su cui, del tutto inaspettatamente, Aralyn scorse qualche biscotto secco. Fu una piacevole sorpresa che le fece venire l'acquolina in bocca, mentre lo stomaco prese a parlare per lei. Svelta si strinse le braccia intorno al corpo, cercando di attutire i gorgoglii che stavano provando a tradirla.

Possibile che quel tizio riuscisse a metterla perennemente in difficoltà?
Ad ogni modo, il fatto che stesse compiendo un gesto carino nei suoi confronti era una cosa totalmente sospetta; nessuno, in quel clan, avrebbe mai fatto una cosa del genere, soprattutto per lei, la sorella di Arwen del Nord.

«Sono avvelenati?» domandò con un evidente scetticismo nella voce.

Kyle le sorrise, mettendo in mostra piccole fossette agli angoli della bocca e, senza dire nulla, spezzò l'angolo di uno dei biscotti, portandoselo poi alla bocca. Lo masticò di gusto di fronte agli occhi sgranati della giovane e poi, deglutendo disse: «Te l'ho già detto, se ti devo ammazzare voglio che sia un processo lento».
Quella fu la prova definitiva e, entusiasta per la prima volta dopo giorni, Aralyn gli rubò di mano il resto di ciò che lui le aveva portato.
Nemmeno ebbe premura di godersi il sapore. Tutti insieme, i biscotti sparirono tra le sue fauci, riempiendole le guance al pari di uno scoiattolo che fa scorta per l'inverno. E fu la cosa più dolce e piacevole che le fosse successa in quell'ultimo periodo - o almeno dopo aver scoperto la verità su...
Mordendosi l'interno guancia s'impedì di pensare a quel nome, ma ance a qualsiasi altra cosa lo riguardasse.
«Va meglio, Aralyn?» la voce del Menalcan prese la consistenza di un sussurro scambiato tra due complici e, subito dopo averle posto quella domanda, si piegò sulle ginocchia, in modo da essere più o meno alla sua altezza e poterla quindi fissare bene in viso, esattamente come ora poteva fare anche lei.
A quella distanza, la giovane poté scorgere ogni dettaglio di lui che fino ad allora le era sfuggito: la profondità dello sguardo, le decine di tonalità d'oro dei capelli e, inoltre, una sottilissima cicatrice che spuntava dal colletto della camicia, risalendo in verticale il lato del collo.

«Perché sei qui?» gli domandò pulendosi la bocca con il dorso della mano. Fu doloroso, più di quanto si sarebbe mai aspettata. Persino un gesto così naturale era diventato faticoso e, tutto, a causa di quelle fastidiosissime catene contenenti argento.

Il sorriso gli si allargò: «E' il mio compito star qui, sono il tuo aguzzino» le ricordò allentando un poco la cravatta e rimettendosi a fissarla; dettaglio che l'agitò notevolmente. Dopo la confessione che si era fatta sfuggire, data più dal tono e dall'emozione che dalle parole di per sé, le pareva che Kyle non volesse far altro che scavarle dentro, forse con l'intento di trovare ciò che di più doloroso aveva e usarlo contro di lei - anche se bene o male era già riuscito nel suo intento.

«Allora dovresti punirmi, non graziarmi»

«Touché!» l'uomo fece segno di resa: «Forse ho bisogno di capire di più e, per farlo, devi restare in forze»

Aralyn si sentì confusa: «Capire, cosa? E poi non finirai nei guai a tenermi in vita e non martoriarmi?» perché era ovvio che i Menalcan avrebbero voluto vedere i risultati dei suoi tentati interrogatori - cosa ben diversa da una pancia piena e un prigioniero in salute.

«Non ti preoccupare, avrò anche il piacere di malmenarti. Mi è davvero pianto il cuore nel buttare quel completo!» le disse, schioccando le dita in un gesto teatrale. Sul suo viso non scomparve mai il sorriso, sino al momento in cui non arrivò quella risposta: «E ciò che devo capire è qualcosa che non ti deve interessare» tagliò corto, messo evidentemente in una situazione scomoda. Peccato solo che Kyle non potesse immaginare con quale tipo di persona avesse a che fare, perché anche se stanca e malconcia, Aralyn era pur sempre una discendente di Alpha - e la sorella di uno dei licantropi più indesiderati e promettenti che si fossero visti negli ultimi dieci anni.

«Però mi riguarda» lo incalzò, protendendosi un poco in avanti e provando a leggergli nello sguardo la verità su quel commento.
E fu forse in risposta a quel suo tentativo che l'uomo abbassò gli occhi a terra: «Non sarei qui se fosse altrimenti».


 

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Capitolo 53
*** Metà ***




52. Half

Joseph osservò la scheda telefonica che aveva fatto sparire dal proprio cellulare giusto prima di rimettere piede nelle terre del clan, prevedendo che presto o tardi Douglas gli avrebbe chiesto un colloquio. 

E quel momento era infine arrivato. 

Nemmeno una manciata d’ore prima si era ritrovato faccia a faccia con il proprio Alpha e aveva dovuto raccapezzarsi alla bene e meglio per riuscire a scendere a patti con il sangue che gli scorreva nelle vene e lo spirito che si sentiva bruciare dentro.
Aveva consegnato al vecchio il proprio telefono, munito della sim card che utilizzava nel suo quotidiano prima della missione, ammettendo senza esitazioni di non aver ottenuto alcun contatto appartenente ai seguaci del Duca.
Peccato che fosse una bugia.
Tra l’indice e il pollice, ora teneva l’unica prova della sua menzogna – sì, perché lì dentro si sarebbero potuti trovare i numeri di Garrel, Fernando, i Gemelli, Marion e persino quello di Arwen. Li aveva tutti, ma non era intenzionato a cederne nessuno, anche se si trattava del suo clan.
Ma quella non era stata l’unica falsità che aveva dato in pasto a suo padre. Quando Douglas gli aveva chiesto la locazione del quartier generale nemico, lui aveva dovuto fare una scelta tutt’altro che facile e, alla fine, gli aveva parlato del Rifugio – perché sotto sotto sperava ancora che proteggere il resto del clan, quello più bellicoso, sarebbe potuto tornargli utile.

Forse, si era detto in quei due giorni, avrebbe potuto studiare un piano per liberare Aralyn.

Perso in quei pensieri, non si rese conto di suono che aveva preso a riempire la stanza. Probabilmente, la familiarità di quel rumore non aveva destato in lui alcuna preoccupazione, ma quando la voce di Kyle spezzò il silenzio, non poté evitarsi di sussultare e stringere la scheda nel pugno, dettaglio che all’altro non sfuggì.
«Cosa è?» con un’espressione turbata in viso, l’uomo gli si avvicinò sempre più. E Joseph si sentì minacciato da quella vicinanza come mai gli era successo; non c’era stato un singolo giorno, nei suoi ventisei anni, in cui aveva avuto timore del proprio migliore amico o di ciò che potesse pensare di lui.

«Affari miei» s’affrettò a rispondergli, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e facendo finta di essere più rilassato di quanto non fosse in realtà.
Kyle però era tutto tranne che stupido e, uno degli innumerevoli motivi per cui era diventato tanto importante tra i Menalcan, era il suo spirito d’osservazione: ai suoi occhi non sfuggiva nulla, così come il suo sesto senso sembrava poter leggere nelle persone.
Fu forse per questa ragione che non sembrò credere alla sua reazione: «Come è affar tuo la ragazza rinchiusa qua sotto?» e con la punta della scarpa batté sul pavimento in marmo.
I muscoli del ragazzo si contrassero e involontariamente si ritrovò a stringere i denti. Odiava sentir parlare di lei da qualsiasi persona appartenente al branco, soprattutto per via del fatto che nessuno di loro avrebbe potuto capirne la bellezza, o immaginare quanto averla tradita fosse per lui fonte di amarezza. I suoi uomini non sarebbero riusciti a comprendere il sentimento che sentiva per quell’Impura e che, ogni giorno, diventava sempre più logorante.

«Non ti deve interessare, Kyle» ringhiò, spostando lo sguardo sul suo vice, ma la cosa non parve intimorirlo in alcun modo.

«È la stessa cosa che ho detto a lei qualche minuto fa, sai? E vuoi sapere cosa mi ha risposto?» Il cuore di Joseph prese a pompare con più velocità, rivelandogli quanta tensione gli mettesse l’argomento – ma non avrebbe saputo dire, con assoluta certezza, se fosse per paura di ciò che Aralyn aveva detto o se fosse per il rischio a cui stava andando incontro. Cosa sarebbe potuto succedere alla sua amata, se lo avessero scoperto? Perché certamente la sua famiglia si sarebbe vendicata su di lei per le colpe che lui aveva commesso, punendo entrambi.

Kyle riprese, visibilmente incurante del fatto che il suo Signore non gli avesse ancora dato una risposta: «Può anche non interessarmi, però mi riguarda» con un movimento lesto si portò di fronte al giovane, mettendosi a fissarlo con un’intensità difficilmente trascurabile. 
Lo stava studiando, il Nobile ne fu certo. Il suo braccio destro stava analizzando ogni singolo movimento del suo viso per riuscire a trovare un solo dettaglio capace di tradirlo – e forse lo scovò prima di quanto Joseph potesse immaginare.

«Non faceva parte del piano, vero?»
«No» ammise dopo qualche istante di silenzio, sentendosi messo con le spalle al muro. Se con suo padre mentire era stato più semplice del previsto, con Kyle nemmeno la recita migliore avrebbe potuto funzionare. Si conoscevano troppo bene e, anche se aveva deciso di tenergli segreto tutto ciò che era accaduto fino a quel momento, lui lo avrebbe scoperto, con o senza il suo aiuto.

L’uomo si portò una mano al viso: «Dimmi che è meno grave di quanto credo» sussurrò poi, lanciandogli un’occhiata supplichevole a cui, ovviamente, il ragazzo non poté rispondere con un assenso.
E al cospetto della sua esitazione, l’altro fu colto da un’evidente frustrazione. Con una manata il sottoposto mandò in frantumi il bicchiere appoggiato sul tavolo accanto al suo Signore, macchiando di vino il pavimento. Fu un gesto che Joseph comprese, sapendo che se i ruoli si fossero invertiti, anche lui avrebbe reagito a quel modo e, conscio di come la discussione sarebbe potuta evolvere, si spostò verso la porta: «Andiamo» ordinò poi con un gesto del capo.

«Non possiamo ignorare la questione!» sbraitò Kyle, del tutto in balìa di ciò che non sapeva ma poteva solo immaginare.

Il figlio di Douglas rispose mostrando le zanne: «Ma non possiamo nemmeno parlarne qui» gli fece notare, spalancando la porta e mettendo in evidenza la pericolosità del luogo in cui si trovavano – e fu sufficiente per convincere l’altro a portare quella questione al di fuori della Villa.

***

Sotto a ombrelli scuri, con le scarpe a lasciar orme nel fango, i due si allontanarono da qualsiasi membro del branco che potesse costituire una minaccia, ma appena Kyle sembrò sentirsi abbastanza sicuro da intavolare nuovamente il discorso, non esitò a farlo – usando addirittura toni che non si sarebbero potuti definire appropriati.

«Sei un imbecille!» disse scuotendo più e più volte la testa, ancora visibilmente incredulo di fronte all’enormità del guaio combinato. 
La mandibola contratta fu un chiaro segno del nervosismo che lo stava logorando e, notandolo, Joseph sentì l’impellente bisogno di tornare ancora una volta indietro nel tempo e impedire a tutto quello che era capitato di succedere. 
Il suo vice aveva quindi ragione, non era stato altro che un perfetto idiota; era riuscito a mettere nei guai chiunque, soprattutto lei – e non c’era stata notte, da quando l’aveva baciata sull’entrata dell’hotel, che gli incubi non l’avevano assalito, facendolo svegliare in un bagno di sudore.

E ogni volta andava sempre peggio.

«Come è successo? Come è stato possibile che tu ti sia invischiato in una situazione del genere?» con occhi grandi di domande, Kyle volse lo sguardo nella sua direzione e Joseph, accanto a lui, non poté evitarsi di storcere la smorfia.

«Se lo sapessi me lo sarei evitato» rispose, anche se poco convinto – dentro di sé sapeva che, se gli fosse stato concesso il dono di poter viaggiare nel tempo, sarebbe comunque tornato nel clan di Arwen, da lei per poterla portare lontano da tutta quella tragedia; però temeva di ammetterlo.

L’altro scosse la testa: «Davvero? Perché credo che la forma corretta sia “glielo avrei evitato”» sottolineò lanciandogli un’occhiata bieca, probabilmente avvicinandosi sempre più alla soluzione del rebus. Kyle lo avrebbe capito, sarebbe riuscito a scoprire ogni cosa.

Il ragazzo si morse il labbro, incassando il colpo.

«Non l’ho scelto» sibilò, mettendosi a fissare la punta delle proprie scarpe.

«Sì, invece… perché se davvero non fosse così allora…» d’un tratto la figura accanto a Joseph si fermò, abbandonando il suo fianco, e lui fu costretto a fermarsi e girare il viso oltre la propria spalla per riuscire a guardarlo.
Il viso del suo migliore amico era ora una maschera d’incredulità. Con le palpebre spalancate, Kyle lo stava fissando al pari di un fantasma; persino il pallore del viso pareva non promettere nulla di buono.

«No…» soffiò, rimettendosi a scuotere il capo con sempre più veemenza.
E la cosa bastò al figlio di Douglas per capire. Fu la prova inconfondibile di essere infine stato scoperto – e non si trattava del fatto che si stesse comportando da doppiogiochista, quanto più il perché di quel suo atteggiamento.

Ora non c’era più nessuna menzogna o mezza verità tra loro.

L’altro gli si fece vicino, afferrandolo per il colletto della giacca con una foga che mai aveva usato nei suoi confronti e Joseph non riuscì a sorreggerne lo sguardo: sapeva di essere dalla parte del torto, di essere lui quello sbagliato – perché nessun Menalcan sarebbe mai caduto così in basso da innamorarsi di una meticcia.

«La ami?» domandò Kyle con un ringhio, ma non vi fu alcuna risposta.

Nella tasca della giacca Joseph strinse il pugno, sentendosi ancora una volta impotente di fronte al fato, lo stesso che lo aveva fatto nascere in quel clan, che gli aveva regalato quella piccoletta dallo sguardo dorato e che gliel’aveva anche portata via.

«Joseph! Rispondimi, sant’Iddio!» continuò a urlargli l’amico, stringendo la presa sulla giacca e mostrando le zanne. Nel suo tono fu difficile capire se vi fosse più rabbia, frustrazione, paura o ansia, dettaglio che fece tendere i muscoli del ragazzo fino al punto di far male.

Un nuovo strattone e un altro incitamento, questa volta con più forza, portarono il Nobile al limite e, senza rendersene conto, sbraitò: «Sì!» e, a dispetto di quanto si fosse immaginato, avvertì quella confessione come una liberazione. Fu come stappare una bottiglia troppo gonfia, bucare un palloncino pieno d’acqua.

Così alzò lo sguardo sull’altro, convinto per la prima volta della propria posizione in quel mondo. Guardò Kyle con un’intensità di cui aveva creduto non essere capace, provando a fargli sentire la stessa fermezza che ora lo stava invadendo.
«Così tanto da mandare tutto a puttane?» gli chiese il vice dopo alcuni istanti di silenzio, allentando la presa e continuando a scrutarlo.

«Se serve, la seguirò nelle Lande Selvagge».

***

Aralyn guardò il soffitto sopra alla sua testa, provando a immaginare come fosse la vita oltre quel pezzo di pietra ammuffita. Cosa stavano facendo i Menalcan? Quali perfidi piani stavano cercando di mettere in atto? Ma soprattutto, cosa stava facendo lui? Si pentiva almeno un minimo del modo in cui le aveva spezzato il cuore?
No, certamente quello doveva essere l'ultimo dei suoi pensieri. Quale folle si sarebbe innamorato del nemico, mettendo a rischio ogni cosa? Non certo un Purosangue, ma una stupida come lei sì.

Con un sospiro spostò lo sguardo sulle proprie ginocchia, sempre più livide. Aveva cercato in tutti i modi di liberarsi dalle catene e, per la maggior parte dei fallimenti, era finita a terra con un tonfo, riempiendosi così la pelle d'inutili chiazze violacee.
Nemmeno trasformarsi era riuscito ad aiutarla, anzi, a causa dell'argento aveva finito con il rovinarsi maggiormente la carne dei polsi, creando segni rossi da cui il sangue aveva lentamente preso a uscire. All'apparenza non sembrava essere nulla di eccessivamente grave, ma se non avesse curato quelle ferite si sarebbe presto ritrovata a far i conti con una fastidiosissima infezione.

Per non parlare del modo in cui aveva rovinato la maglietta e gli slip che aveva indosso, unici scudi tra il suo corpo e gli occhi dei Menalcan.
Le maniche si erano scucite in prossimità delle spalle, mentre il colletto si era rovinosamente slabrato.
Prendendo un grosso respiro, la giovane picchiò piano il cranio contro la parete umida della cella, provando a capire dove stesse sbagliando – perché era ovvio che, se i risultati non arrivavano, era per colpa sua, da qualche parte ci doveva essere un errore.
Un "toc-toc" leggero, contro l'enorme anta di fronte a lei, la fece sussultare, anche se, a dire il vero, ogni rumore che non fosse lei stessa a produrre era fonte di brevi momenti di panico. Quel luogo era gremito di nemici, chiunque sarebbe potuto arrivare a lei per farle le cose peggiori. Il cuore prese a correrle nel petto, tanto velocemente che si ritrovò a temere che potesse scappare via dalla gabbia toracica, abbandonandola. Chi poteva essere? Kyle era già passato e le aveva chiaramente fatto capire che non potesse muoversi liberamente per le segrete della Villa. Ad andarla a trovare con troppa frequenza, avrebbe innescato una serie di sospetti che a nessuno dei due interessava creare; quindi si doveva certamente trattare di qualcun altro, ma chi?

Forse quell'energumeno di Gabriel Menalcan aveva deciso di farle sputare qualche informazione da sé, o forse... Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò ansiosa, agitata, del tutto in balìa di sensazioni che non avrebbe dovuto provare – perché era dannatamente sbagliato dopo ciò che le aveva fatto.

«A-avanti» biascicò con voce roca, tipica di chi non parla da ore; anche perché, oltre che con se stessa, non c'era nessuno con cui intavolare una discussione.

L'anta si aprì con un cigolio, rivelando una figura che, seppur familiare, non aveva nulla a che fare con chi aveva sperato.
I boccoli biondi e la stazza leggermente meno pronunciata tradivano il licantropo che si era presentato a farle visita. Ma non aveva detto che ogni volta che si recava lì, al di fuori degli ordini di Douglas e dei suoi figli, rischiava grosso?
Tutta la sua eccitazione si spense in un istante, facendole morire la scintilla nello sguardo.

«A quanto pare non sei felice di vedermi» l'apostrofò subito lui, forse notando la delusione che l'aveva colta appena lo aveva riconosciuto – sì, perché i suoi occhi riuscivano a vedere ciò che doveva restar segreto.

Aralyn dovette distogliere lo sguardo e nascondere il viso dietro alla tenda di capelli chiari, cercando di non farsi vedere mentre, amareggiata, si mordeva il labbro inferiore provando a trattenere le lacrime.
Perché ci sperava ancora? Perché il suo cuore proprio non ne voleva sapere di odiarlo? Eppure ci sarebbero potuti essere decine di "se" e "ma" a fare da contorno a quel sentimento.

Lenta si riaccovacciò a terra, stringendo le gambe al petto.
Avrebbe tanto voluto essere nella propria stanza, avvolta nel profumo familiare delle sue coperte o tra le braccia di Arwen, Garrel o Marion, in modo da poter singhiozzare al pari di una bambina, ma più i suoi occhi calavano sugli angoli della cella, più la consapevolezza di non poter più avvertire quella sensazione si faceva concreta.

«Devo farti un paio d'altre domande» i passi di Kyle si fecero sempre più vicini, tanto che per un istante credette che, alzando lo sguardo, se lo sarebbe ritrovato a pochi centimetri dal naso, ma il suo odore non si fece mai tanto intenso.

«Non sono dell'umore» sbottò storcendo le labbra e stringendo ancor di più le braccia intorno alle gambe. No, non aveva la minima voglia di fare quattro chiacchiere con lui o con chiunque altro: tutto ciò che si ritrovò a pensare era che quello strazio doveva finire – e non si trattava solo dell'aspetto fisico e mentale di ciò che percepiva.

Con una mano strinse la stoffa sopra al cuore, provando a mettere a tacere il battito irregolare che aveva trasformato il suo petto in una sorta di gran cassa.

Kyle, notando le sue reazioni, si permise un sorriso a metà, scrutandola da capo a piedi: «Non credo tu abbia scelta»
«Il silenzio è una scelta» sibilò lei con rabbia, lanciandogli un'occhiata tutt'altro che amichevole. Se le catene non gliel'avessero impedito, gli sarebbe saltata al collo sperando di recidergli la giugulare, in modo da metterlo a tacere.

Quel tizio riusciva a risultarle odioso e al contempo apprezzabile, in un alternarsi confuso paragonabile solo a una parvenza di bipolarismo. C'erano volte in cui la sua ombra sul pavimento diventava confortante e, altre, in cui il suono dei suoi passi le faceva torcere le budella.

«Non qui, Aralyn. Non con me»

E soffocando una risata la giovane Calhum scrollò la testa: «Certe frasi le trovi scritte in quegli squallidi libri d'amore che vendono al supermercato, o te le studi la notte?» e se aveva sperato di ottenere da parte sua una risata, si ritrovò invece a sbattere nuovamente la testa contro la parete, mentre una grossa mano le si stringeva al collo.
Il fiato le si mozzò in gola e, per la prima volta dopo un tempo ancora indefinito, si ritrovò ad avere paura di Kyle e di ciò che avrebbe potuto farle in quel momento.

«Non sto scherzando, ragazzina! Qui c'è in ballo qualcosa di davvero grave, chiaro?» e, del tutto in balìa dello spavento, Aralyn annuì come meglio riuscì.
Se una semplice battuta era stata in grado di scatenare la sua ira, forse si trattava davvero di una questione della massima importanza – il problema era solo capire quanto lei fosse fondamentale per arrivare a una qualche conclusione.

Mollando la presa su di lei, il Menalcan fece qualche passo indietro. Doveva volerla vedere nella sua interezza per riuscire a prevedere qualsiasi mossa capace di metterlo in difficoltà, anche se, legata come era ai muri della cella, non avrebbe saputo come colpirlo.

«Ora, rispondimi senza fare i capricci. È una questione fondamentale per me» riprese dopo qualche istante, infilando le mani in tasca e buttando aria fuori dal naso.
«Per te?» si ritrovò a chiedere lei totalmente confusa. 
Non era il lacchè di Douglas e i suoi figli? Per quale ragione, quindi, ciò che stava cercando erano informazioni di puro interesse personale?
Perché ormai appariva ovvio che metterle le mani addosso fosse l'ultimo dei suoi desideri - lo faceva poco e controvoglia, non puntando a parti vitali e men che meno usando tutta la forza con cui l'aveva aggredita  la prima volta.

Kyle si morse le labbra, ondeggiando da un lato all'altro come la marea: «Già. Mi serve sapere una cosa per poter decidere come comportarmi» le rivelò poi, lanciandole uno sguardo ambiguo che Aralyn non seppe identificare. La stava forse prendendo in giro? O le nascondeva qualcosa?
Deglutendo, la ragazza si mise in attesa, sentendo lo stomaco rigirarsi nella pancia al pari di una centrifuga.

Qualsiasi cosa sarebbe uscito dalla sua bocca, pensò, non le sarebbe piaciuto – e infatti così accadde. 
Senza mezzi termini il Puro le domandò la cosa peggiore che si potesse chiedere a una vittima di tradimento e, inevitabilmente, la giovane fu scossa da brividi incontrollati.

«Ami Joseph?»

Il tempo parve fermarsi, ma il dolore no. Aralyn sentì il peso della sua colpa gravare sulle spalle, tanto da riuscire a schiacciarla a terra e privarla dell'aria nei polmoni. Fu atroce, quasi come la prima volta che aveva ucciso qualcuno – ma se quella sensazione con il tempo si era assopita e dissipata, perché intrinseca nella sua natura animale, questa pareva non avere alcuna fine.

Poteva benissimo provare a dimenticare, sforzarsi di trasformare ogni piacere in ribrezzo, ma nulla sarebbe cambiato: Joseph restava una presenza assillante, in parte sublime, in parte terribile. E forse solo la morte, che si convinse non sarebbe arrivata troppo tardi, sarebbe riuscita a strapparle da ogni fibra del suo essere la rimembranza del tempo trascorso insieme e del sentimento formatosi nel tempo- quello che adesso disprezzava con tutta se stessa perché incapace di abbandonarla del tutto, a prescindere da ciò che era accaduto.

Avrebbe preferito non rispondere, tenersi quel peccato per sé, ma sapeva anche che ciò che l'altro stava cercando non era una rivelazione, bensì la conferma a un sospetto che già aveva - perché era stata lei a fregarsi un paio d'incontri prima.

Ancora una volta si ritrovò a soffocare una risata: «Chiamalo masochismo» confessò Aralyn, sentendo subito dopo un nodo di lacrime bloccarsi in gola. Che senso aveva negarlo ancora, o quantomeno provarci? Non c'era più nulla da salvaguardare, ormai tutto era andato distrutto.

Kyle sbuffò, portandosi una mano alla bocca.
Si mosse ancora di qualche passo per la cella, soppesando ciò che gli era appena stato detto e, poi, si volse nuovamente nella sua direzione: «Preferisco definirla follia» e, quando i loro sguardi s'incrociarono, l'Impura vide negli occhi del nemico una velata ironia. Forse stava cercando di farle apparire quella situazione meno grave di quanto fosse, ma chiunque, della loro specie, avrebbe detto il contrario. 
Il futuro Alpha dei Menalcan non avrebbe mai amato una sostenitrice del Duca, e la cosa si faceva ancor meno probabile nel momento in cui, quest'ultima, era stata data alla luce da un ventre un tempo umano.

Era il sangue che scorreva loro nelle vene a decretare il destino che li attendeva – e a riempire di disprezzo i loro cuori. O quantomeno quello di lui.

Senza preavviso l'uomo si chinò, mettendosi faccia a faccia con lei.

Rimase flesso sulle ginocchia per interminabili secondi, concedendosi di guardarla senza però proferir parola e poi, dopo aver probabilmente riflettuto sull'informazione ottenuta, socchiuse gli occhi: «Credimi, vorrei tanto che non vi foste mai incontrati». Così dicendo allungò una mano sul suo viso, posando una carezza del tutto fuori luogo sulle guance sporche di polvere e lacrime di Aralyn.

Il suo palmo ruvido scivolò lento lungo il profilo del viso, concedendosi una lieve esitazione nei pressi del mento.

Bastò un istante per farle temere il peggio, ma ancor meno a farle tremare il petto - perché vedeva negli occhi di lui una pietà ben diversa da quella a cui, negli anni, era stata abituata.

Sì, ciò che aveva fatto era la colpa più grande di cui si sarebbe potuta macchiare e lui lo sapeva.


Yaga:
Buongiorno lupolettori, come state?
Sono qui per rubarvi ancora qualche minuto, in modo da fare un recap generale sulla storia; spero leggiate queste brevi righe e non mi vogliate linciare una volta arrivati alla fine :D


Allora, prima di tutto mi scuso per l'assenza di questi ultimi giorni. Ho dato priorità a Wattpad , dove "WB: a tale of love and war" è stata finalmente conclusa. Una vera soddisfazione, se devo essere onesta (anche se c'è ancora molto da sistemare). E sono quindi qui per dirvi che manca poco alla fine, una dozzina di capitoli e nulla più. Resistete! Anche perchè spero ne valga la pena.

Sto cercando di presentarvi questi ultimi capitoli in blocchi singoli e non in parti separate come sull'altra piattaforma, ma se la lettura dovesse risultare troppo pesante, fatemelo sapere! Provvederò a dividere il testo in parti più piccole.
Oltre a ciò, su Instagram potete trovare fanart, citazioni e artwork riguardanti la storia, quindi non perdete l'occasione di scoprire tutti questi extra.

Mi auguro che "Half" sia stato di vostro gradimento e che possiate tornare al più presto a leggere le (dis)avventure dei nostri eroi!



 

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Capitolo 54
*** Perdita ***




53. Loss

Kyle allontanò la mano dal viso di Aralyn, senza però smettere di guardarla. D'un tratto quel visino allungato e pallido gli pareva la cosa più fragile del mondo in cui vivevano. Vedeva nitidamente, nello sguardo di lei, la fatica con cui provava a trattenere le lacrime, a non lasciarsi logorare da qualcosa che non aveva voluto, eppure le era capitata e capì, con annichilante certezza, che il filo rosso che si era stretto intorno ai loro cuori, quello della giovane Calhum e del suo padrone, era più spesso di qualsiasi altro avesse visto prima – e tagliente come una lama. Si trattava di un imprinting sotto ogni punto di vista, non poteva essere altrimenti. Se Joseph era disposto a tradire la sua famiglia, l'unica spiegazione era quella - perché nella natura di un purosangue il branco era ciò per cui si moriva e si sopravviveva, ma lui era disposto a rinunciarvi.

«Ci vediamo domani, Aralyn. Riposa» sussurrò dopo qualche istante, rimettendosi finalmente in piedi e tornando sui propri passi. Prima di oltrepassare il portoncino però, si fermò ancora una volta, lanciandole un'ultima occhiata. 
Il guaio in cui il suo Signore si era ficcato non era più grande di un metro e sessantacinque, con dei lunghi capelli biondi e gli occhi pieni di dolore. Era il frutto di tutto ciò che Douglas odiava: figlia di umani divenuti licantropi, discendente di Alpha e dalla parte del Duca – sarebbe bastato solo che fosse stata un uomo e avrebbe fatto l'en-plein.
Già, lei era una minaccia per tutto ciò che aveva conosciuto fino a quel momento, soprattutto il suo migliore amico, eppure aveva l'aspetto della cosa più innocua in cui lui si era mai imbattuto.

Svelto si richiuse la spessa anta dietro la schiena e poi, a ritroso, tornò in superficie, lì dove i suoi confratelli si aggiravano per le stanze della Villa senza badare a lui. Li scrutò uno a uno, ricordando ogni singola parola dispregiativa che negli anni avevano rivolto agli Impuri.

Li avevano definiti feccia, luridi bastardi. Li avevano paragonati agli escrementi degli animali meno apprezzabili e, ora, se avessero scoperto che uno dei loro futuri leader sarebbe stato disposto a tradire ogni cosa in cui credevano per salvare una di loro, non avrebbero sprecato tempo a saltargli al collo e ucciderlo nel modo peggiore – Joseph però non si meritava una fine del genere. Tra tutti loro era quello più diverso dal patriarca Menalcan e, Kyle ne era certo, se fosse salito al comando del branco avrebbe potuto trasformare la loro famiglia.

Con un morso secco si colpì la lingua, ferendosi.

C'erano così tante cose sbagliate in quella situazione e, l'unica giusta, era anche quella che sarebbe apparsa più disonorevole.

Che fare quindi? Salvare il corpo del secondogenito di Douglas rischiando di condannare per sempre la sua anima, oppure perdere tutto per riuscire a liberarlo della colpa di cui si era vestito?

L'uomo scosse con veemenza la tasta e subito dopo, convincendosi di non aver altra scelta, si mosse per i lunghi corridoi dell'edificio, scansando persone e ricambiando saluti con cenni vaghi.
Il cuore gli martellava il petto come pochissime volte gli era capitato e gli parve che alle orecchie non potesse giungere altro rumore se non quello. Era sordo nei confronti del mondo esterno, ma eccessivamente sensibile ai suoni prodotti dalla tensione interiore.

Sapeva di star facendo qualcosa di terribile, eppure non riuscì a fermarsi.

Corse su per le scale che collegavano i primi due piani, poi per quelle successive e, infine, si ritrovo al cospetto di una porta tanto familiare quanto per la prima volta minacciosa.
Il legno pallido lo fissò di rimando, quasi lo stesse mettendo di fronte alle possibili conseguenze a cui sarebbe andato incontro, ma tutto ciò parve non far vacillare a sufficienza la sua volontà e, con un movimento lesto, certo che nulla avrebbe potuto intralciarlo, abbassò la maniglia, infilandosi nella stanza.
Vi scivolò dentro conscio che nessuno avrebbe sospettato qualcosa e, una volta al sicuro oltre la porta, si concesse un lungo sospiro.
Da quella scelta non sarebbe più potuto tornare indietro, si ricordò.
Nonostante questo però non vedeva altra soluzione e, se la Madre Luna fosse stata contraria alla sua decisione, glielo avrebbe fatto capire in qualche modo, ma nessun segno sembrò arrivare, così compì il primo passo a fatica, poi il secondo con più facilità e gli altri furono solo una conseguenza di quel sollievo sempre più grande.
Stava facendo la cosa giusta, si disse dopo ogni falcata. Stava agendo per l'interesse del suo Alpha. Con una sicurezza che aveva acquisito negli anni, imparando a conoscere quella camera da letto e Joseph come le sue tasche si fece strada tra l'arredo, fermandosi solo di fronte all'unico luogo in cui avrebbe potuto trovare una cosa tanto piccola quanto importante per quella situazione. Era certo che il figlio di Douglas avesse messo il frutto della discordia nel luogo che a suo avviso fosse più sicuro nella Villa, visto che su di sé sarebbe stato un rischio, e l'uomo gliene fu grato.
Così, nascosto nel doppiofondo del comodino, messo accanto ad alcune lettere di Leah Menalcan, Kyle trovò l'oggetto del suo interesse: la sim card che Joseph aveva  fatto sparire per poter salvaguardare i nemici. 

In quei circuiti, c'era la soluzione a tutto.

 

Il tempo per Aralyn passò tra una dormita turbolenta e ore di momentanea lucidità, in cui i dolori e la paura prendevano la meglio.

Dopo la conversazione con Kyle si era convinta che nulla avrebbe potuto farle più male della consapevolezza che sarebbe stato il licantropo di cui era innamorata a mettere fine alla sua vita, senza provare per lei alcuna pietà.
E le preghiere alla Madre Luna, in cui la supplicava di riprendersi quel sentimento che tanto avrebbe voluto non provare, erano diventate una nenia con cui si era addormentata, sognando a ripetizione il momento in cui gli artigli di Joseph si sarebbero premuti nella sua carne, strappandole la vita.

Dapprima li aveva visti tagliarle la giugulare, poi aprirle il petto e, infine, prendersi il cuore che le batteva nel petto – per lui sfortunatamente. La cosa che più di tutto però l'aveva fatta svegliare a ripetizione, era stato il dolore che aveva sentito ogni volta, quasi fosse vero.

Ciò che interruppe i suoi incubi quell'ultima volta però, fu l'eco di un tuono che percepì ovattato, ma comunque spaventoso per le sue orecchie di animale in gabbia. Sussultò con un gridolino e senza rendersene conto si raggomitolò in un angolo della cella, guardandosi attorno con occhi sbarrati.
Le ci volle un po' prima di capire che non si trattava certo dell'arrivo di qualche Menalcan e, quanto fu certa di non essere in pericolo, si concesse un sospiro.

Ogni momento lì dentro stava diventando una tortura. Tutti i suoni che giungevano da oltre la spessa anta in legno le mozzavano il fiato, così come l'assoluto silenzio le metteva ansia.

Possibile che non udendo alcuna confessione da parte sua la lasciassero stare? Possibile che Gabriel non scendesse in quel luogo puzzolente per punirla del sangue che le scorreva nelle vene? Forse Kyle stava muovendo fili che lei difficilmente avrebbe capito come essere utili in quella guerra per il potere e, per questo, nessuno a parte lui era ancora andato a farle visita.

E, proprio come se con quel pensiero lo avesse chiamato, il licantropo fece la sua apparizione. Per un istante la giovane rimase interdetta, incapace di capire se si trattasse ancora dell'ennesimo incubo o lui fosse reale e pronto a fare il suo dovere, torturandola psicologicamente – ma anche fisicamente – per far vacillare la sua forza di volontà e strapparle qualche altra informazione.

Il licantropo le lanciò un'occhiata truce, molto più dura di qualsiasi altra le avesse rivolto fino a quel momento e nettamente in contrasto con quello che era successo durante il loro ultimo incontro.

Le si avvicinò a passo svelto, ma Aralyn non seppe come comportarsi, così rimase immobile nel suo angolino ad aspettare un segno, una parola, o qualsiasi cosa che potesse spiegarle ciò che avrebbe seguito – lui però non fiatò fino a quando non le fu quasi addosso e, troneggiando sopra di lei, le porse una mano: «Alzati» le ordinò subito dopo in un sussurro. La sua espressione era una maschera di autorità e fermezza che alla prigioniera parve monito per qualcosa di terribile. Che fosse arrivato il giorno della sua esecuzione?

Scosse la testa, intimorita. Improvvisamente il suo sesto senso aveva preso a dirle di non fidarsi, di rifiutare quella mano perché l'avrebbe solo messa nei guai.

Kyle però non parve affatto intransigente sulla questione e, senza nemmeno invitarla nuovamente ad accettare il suo gesto, l'afferrò per il polso livido, strattonandola.
Aralyn avvertì una sensazione lancinante invaderle il braccio, al pari di decine di spine intente a bucarle la carne e dovette stringere i denti per non guaire.
«Ho detto no!» Disse poi con un filo di voce, provando a ribellarsi alla bene e meglio con le poche forze rimastale in corpo. Non aveva alcuna intenzione d'ubbidirgli, eppure i suoi tentativi di opporsi parvero sempre più simili a buchi nell'acqua; lui era nettamente più forte m e, volente o nolente, lei avrebbe finito con il cedere al suo ordine.

«Dannazione ragazzina! Stai ferma!» il ringhio che uscì dalla gola del Menalcan fu agghiacciante e l'Impura non poté impedirsi di sussultare nuovamente. Lo stomaco le si strinse in una morsa nauseante e la gola si seccò d'un colpo, lasciandola afona. Perché? Perché dopo ciò che le aveva detto, dopo la dolcezza con cui era parso capire il suo dolore, ora la trattava a quel modo?

La mano libera dell'uomo le si strinse sul viso, schiacciandole le guance per impedirle di dire qualsiasi altra cosa: «Se non ci vuoi morti entrambi, taci» le sibilò a ridosso del naso, tanto vicino che Aralyn riuscì persino a vedere i movimenti della sua lingua oltre le mura di denti acuminati.

Lo stomaco le si attorcigliò ancora, questa volta più lentamente, seppur altrettanto dolorosamente – e temette di poter vomitare da un momento all'altro la sua dose quotidiana di biscotti secchi, quella che lui faceva costantemente finta di dimenticare nella cella.

Kyle si prese qualche secondo per scrutarla, forse tentando di capire se, lasciandola, lei avrebbe nuovamente provato a ribellarsi. Furono secondi lunghissimi in cui, stranamente, alla ragazza parve poter vedere nello sguardo di lui una sorta di cambiamento – una scintilla tristemente complice gli illuminò il grigio delle iridi e, di conseguenza, la sensazione di diffidenza provata nei suoi confronti prese a scemare sempre più, fino ad annullarsi.

Fu a quel punto che, inaspettatamente, il licantropo mollò la presa su di lei, invitandola poi con un gesto a porgerle entrambe le braccia.

A differenza di prima, Aralyn stavolta non esitò, certa che non avrebbe osato colpirla o strattonarla ancora.

L'uomo osservò con riluttanza i polsi di lei, scrutando le ferite per capirne la gravità e poi, senza alcun'apparente logica, prese a parlare con più dolcezza, ma non meno tensione in volto.

«Non ho idea di come andranno le cose per te, Aralyn, ma spero che la Madre Luna sia clemente, che ti dia una possibilità» i suoi occhi si alzarono in quelli di lei, cercando d'instaurare una sorta di empatia: «So che non potrai mai credere alle mie parole dopo tutto ciò che è successo, ma ho bisogno che tu non le dimentichi, che te le imprimi nella mente come una preghiera»

«Che vorresti dire? Cosa sta succedendo?» lo interruppe con voce tremante e occhi grandi di paura, ma Kyle parve non udire nemmeno mezza sillaba di ciò che lei gli domandò.

Mordendosi le labbra e sospirando strinse la presa sui suoi arti, riprendendo subito il discorso che aveva iniziato.

«Joseph sarebbe disposto a morire per saperti in salvo. E io non posso ignorare il suo desiderio. È il mio migliore amico, l'unico Alpha ha cui ho giurato lealtà e, in cuor mio, è al pari di un fratello. E tu sei ciò a cui lui tiene di più»

Stavolta, l'impeto con cui Aralyn rispose fu tanto violento che divenne impossibile ignorarla: «Non dire cazzate! Non azzardarti a dire bugie tanto infime» si sentì pugnalare tra le scapole e le lacrime le si bloccarono in gola al pari di un nodo impossibile da sciogliere: «Non mi avrebbe fatto tutto questo, non avrebbe tradito me o la mia famiglia se ci tenesse» si ritrovò a singhiozzare, conscia di star apparendo come una bambina capricciosa.

Avrebbe tanto voluto poter credere a quelle parole, lo desiderò con tutta se stessa, eppure a dirle tutto ciò non c'era Joseph, bensì Kyle – e per quel che ne sapeva, voleva già dire molto sulla veridicità dei suoi sentimenti per lei.

L'uomo scosse la testa: «Tu invece che avresti fatto? Aralyn, se ti chiedessi di scegliere tra lui e il tuo clan, tu cosa faresti?»

  «Io...» al cospetto di un simile quesito la ragazza non seppe che rispondere. D'un tratto si ritrovò la gola secca e la mente vuota, nemmeno la riluttanza nell'accettare le parole di Kyle sembrò abitarle ancora i pensieri. 
Lei avrebbe tradito Arwen e tutti gli altri per quel ragazzo? Forse, o forse no. Non aveva mai pensato a quella eventualità, così come non aveva mai pensato di potersi innamorare di un licantropo che non fosse suo fratello – eppure era successo, così come sarebbe potuto succedere che i ruoli s'invertissero.

Non ricevendo alcuna risposta, l'uomo mollò la presa sulle sue mani. Si mise a frugare con una certa insistenza nelle tasche e, solo dopo alcuni istanti, ne tirò fuori una piccola chiave arrugginita.
«Qualsiasi cosa avresti fatto, ti avrebbe portata a ferire qualcuno» senza esitazioni infilò la punta dell'oggetto nella serratura prima di uno e poi dell'altro lucchetto che, aprendosi, caddero a terra con un tonfo. Le manette si aprirono cigolando, liberandola dalle catene che per quei giorni erano state la sua unica compagnia.
«Ora io ti chiedo di capire. Non accusarlo di un destino di cui siamo tutti succubi, così come non ti sto dicendo di perdonarlo, ma solo di non colpevolizzarlo come se ferirti fosse stato il suo unico obbiettivo».

Il cuore di Aralyn iniziò a battere sempre più forte: «Che stai facendo?» gli domandò, passando incredula lo sguardo umido sui suoi polsi seviziati dall'argento e poi sul viso di lui. Era una domanda retorica, lo sapeva bene, eppure non riuscì a impedirsi di farla.

«Proteggo il mio Signore salvando te» ammise Kyle di getto, quasi si fosse ripetuto quella frase all'infinito. Sentire la sua voce dar forma a quelle parole fu per l'Impura come essere investita da un getto d'aria calda; le sue viscere si fecero più tiepide, il suo corpo meno malfermo e la preoccupazione mutò in sorpresa.
Aveva sentito bene? La stava liberando?

Il Menalcan si tolse la cravatta dal collo, la strappò e, con una premura quasi irreale, le fasciò le ferite.
«Fuori piove a dirotto, se per errore dovessi sporcarti con il fango i tagli s'infetterebbero rovinosamente» constatò facendo l'ultimo nodo. Sia nella sua espressione, sia nella sua voce, Aralyn non riuscì a trovare una sola cosa che potesse tradirlo e, inevitabilmente, si convinse della bontà del suo spirito - e del fatto che le stesse veramente cercando di regalarle la libertà.

Kyle non era lo schifoso purosangue che aveva creduto che fosse, ma solo una vittima delle ideologie del branco in cui era nato, esattamente come ognuno di loro.

«Se ci scoprono siamo morti, lo sai?»
«So che se non ti porto via da qui le vittime saranno innumerevoli» e, concludendo, la prese per la mano, trascinandosela dietro.

 

La mano di Aralyn nella sua parve infinitamente fragile, un agglomerato di ossa che, se avesse stretto poco di più, sarebbe andato in frantumi. E dentro di sé riuscì ad avvertire l'eco del desiderio di proteggerla, lo stesso che aveva dovuto provare Joseph fino all'ultimo momento.

Per quanto avesse trovato il loro sentimento sbagliato, gli venne fin troppo semplice capire per quale ragione Joseph avesse iniziato a provare per lei qualcosa; riusciva a sovrapporre senza fatica l'immagine di ora con il ricordo che aveva di lei e del loro primo scontro. Doveva essere stata una tipa temeraria, decisa e sicura delle proprie azioni prima che il figlio di Douglas le spezzasse il cuore, trasformandola in una cosetta innocua e spaventata.

Tenendosela dietro la schiena, in modo da nasconderla, la trascinò lungo i corridoi delle segrete, pregando che nessun confratello avesse deciso di rintanarsi lì per un qualsiasi motivo: una pomiciata veloce, un pisolino fuori luogo o una tirata di qualche strana droga umana.

«Ci scopriranno, lo sai?» la sentì biascicare in un sussurro, mentre circospetti svoltavano per l'ennesimo corridoio. La zona delle celle, tanto quanto la Villa vera e propria, poteva risultare labirintica agli occhi di un estraneo, ma a lui, che in quei luoghi c'era cresciuto, orientarsi venne fin troppo semplice; non doveva nemmeno pensare alla disposizione delle stanze o al punto in cui la strada si diramava in direzioni differenti.

«Se stai zitta, no» la rimproverò subito, mordendosi la lingua per non paragonarla a un uccello del malaugurio e poi, rallentando, aggiunse: «Manca un'ora all'alba, il clan è quasi completamente addormentato, se ci muoviamo con cautela possiamo sgattaiolare via senza alcun problema»
«Ti sei studiato ogni cosa?»
«È bastato sfruttare le conoscenze che ho accumulato» le fece notare, tirandola un poco più vicina. Aveva bisogno di sentirsela accanto al pari di un'ombra, in modo da essere certo che non potesse sfuggire dalla sua presa - e quando fu certo di non poterla perdere riprese a camminare.

Kyle sentiva i muscoli dolergli, troppo tesi per riuscire a compiere tutti quei movimenti senza concedersi pause, peccato solo che il tempo a loro disposizione fosse sempre meno. Temeva, più di chiunque altro, di venir scoperto. Se fosse accaduto, oltre che deludere se stesso e Aralyn, avrebbe distrutto il piano perfetto creato apposta per aiutare Joseph.
Stava facendo tutto per lui, perché mai lo aveva visto tanto distrutto come in quel periodo, ma soprattutto perché mai gli aveva sentito dire con tanta fermezza che sarebbe morto per qualcuno.

Circospetto condusse entrambi lungo una piccola scala a chiocciola dai gradini di pietra e, una volta in cima, si bloccò a ridosso dell'uscita.

Una porta, ecco cosa li separava da una possibile e imminente fine.

Se avesse cambiato idea in quel momento, forse avrebbe risparmiato a entrambi il linciaggio e avrebbe potuto continuare a vivere il suo quotidiano come sempre, ma se invece era intenzionato a proseguire, avrebbe dovuto dire addio alla sua famiglia – sperando che il clan di lei non avesse comunque intenzione d'ucciderlo dopo averla portata in salvo. Avrebbe piuttosto preferito diventare uno dei tanti Solitari presenti nel Nord Europa.

Acquattandosi, l'uomo cercò di udire se oltre al legno vi fosse qualcuno: passi, parole, sbadigli... qualsiasi cosa potesse essere utile, ma nulla giunse ai suoi timpani. Potevano procedere.

Aprì la porta con lentezza, sbirciando nel corridoio che collegava quell'angolo dell'edificio all'androne su cui dava l'ingresso della Villa, la loro unica via di fuga – e come previsto non vide nessuno.  Ci fu un solo istante in cui credette d'avvertire una sorta di sollievo; una sensazione talmente labile che si dissipò con il primo battito di ciglia.
Però non potevano concedersi il lusso di assaporare ogni momento in cui la tensione si faceva meno opprimente e, una falcata dopo l'altra, stando attenti a non produrre alcun rumore, si fecero largo sul marmo chiaro. Lo sguardo del purosangue baluginò da un angolo all'altro dello spazio, provando a capire se le ombre che colpivano pareti e pavimento potevano essere sinonimo di pericolo o semplici allucinazioni date dai lampi che riempiva il cielo fuori dalle mura di casa Menalcan.
Ogni volta che un tuono squarciava il silenzio della notte il cuore gli saltava in gola, facendogli credere di aver destato i sospetti di qualcuno dei confratelli, ma nulla accadde e in pochi minuti giunsero nell'androne. Possibile che fosse tutto così semplice? Possibile che fossero tutti occupati con Morfeo? Eppure doveva esserci un gruppo di licantropi addetti al controllo della Villa, soprattutto ora che nelle loro celle si nascondeva la sorella di Arwen e nell'ufficio di Douglas il Pugnale – erano tornati a essere il bersaglio sia del branco di lei, sia del Duca.

Fu quando l'uscita si palesò loro davanti e il suo cuore parve farsi un poco più leggero che, inaspettatamente, Aralyn inciampò sui propri passi. Kyle sentì il proprio braccio venir strattonato, poi un tonfo riempire il "quasi" silenzio intorno a loro e, prima che se ne potesse rendere conto, lei era a terra con il viso esangue. Il terrore di aver mandato tutto a quel paese sconvolse lui quanto lei e, veloce, si chinò per rimetterla in piedi; impresa più facile a dirsi che a farsi. Le gambe della ragazza tremavano come foglie e il suo corpo pareva non essere più in grado di combattere la forza di gravità.
I quasi quattro giorni passati a digiuno stavano giocando il loro ruolo e nemmeno i biscotti secchi che ciclicamente le portava, insieme all'acqua che Douglas si era premurato di farle avere per non vederla morta prima del previsto, parevano essere d'aiuto.

Dovette supplicarla per riuscire a farla stare dritta in qualche modo: «Ti prego, resisti. Siamo vicini» le sussurrò a ridosso dell'orecchio.
E lei di risposta annuì, forse convincendosi di dover stringere i denti e resistere. Lo spinse piano verso la porta che divideva il dentro con il fuori, riprendendo a stringerli la mano con forza, quasi invitandolo a trascinarla dietro di sé in quella fuga contro il tempo e la vendetta dell'Alpha Menalcan.

Il Puro non se lo fece ripetere due volte, così, armandosi di tutta la forza di volontà che aveva in corpo, riprese a muoversi, anche se non poteva negare che quel tonfo avesse aizzato in lui una fastidiosa ansia. Magari alle sue orecchie era apparso più sonoro di quanto fosse in realtà, ma non poteva dire con sicurezza che fosse passato inudito anche ad altri; in fin dei conti si trattava pur sempre di un clan dalle discendenze nobili, i loro sensi erano superiori a quelli di licantropi qualsiasi.
Un piede dietro l'altro e l'udito in allerta li condusse fuori in pochi secondi e, baciati dalle prime luci dell'alba e dalla pioggia fine, si misero a scendere i gradini che univano i giardini al terrazzo. 
La salvezza era solo a meno di mezzo chilometro da loro, lì dove i primi alberi spuntavano e conducevano nella foresta intorno alla magione. I piedi nudi di lei picchiavano sulla pietra umida producendo dei fastidiosi "ciak-ciak", mentre la vista veniva importunata dalle gocce d'acqua.  Potevano farcela, si disse Kyle accelerando il passo, ma sfortunatamente per loro il tonfo di Aralyn non era passato inosservato e, come un agghiacciante strillo, il Puro udì la voce di un confratello dare l'allarme, gridare il suo nome con accanto l'epiteto peggiore che gli avesse mai sentito affibbiare: traditore.

Il cuore perse un colpo.

La speranza andò in frantumi al pari di un bicchiere.

Persino con le migliori intenzioni ed entrambi nel pieno delle forze, scappare da una ventina di purosangue era un'impresa al limite dell'impossibile – lo sapeva fin troppo bene. La minaccia maggiore, inoltre, sarebbe stata se Gabriel avesse deciso di occuparsi di persona della questione.
Lui non era abbastanza forte per contrastarli, né altrettanto veloce da seminarli tutti. Si sarebbe fatto valere, certo, ma il rischio di mettere in pericolo Aralyn andava ben oltre a ciò che in quel momento poté pensare.

Erano spacciati, o quantomeno lo sarebbe stata lei, viste le sue condizioni.

Il suo piano stava pian piano sfumando e, così, non avrebbe potuto impedire alla guerra di scoppiare - lo sapeva bene, gli era stato riferito. Così dovette prendere una decisione nel minor tempo possibile, in modo da non rovinare tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento – ma soprattutto non tradire la fiducia e il giuramento al suo Signore che, ancora ignaro di tutto, avrebbe ottenuto due piccioni con una fava: un alibi e la salvezza della donna di cui era innamorato.

Accelerando la corsa trascinò Aralyn ai margini della selva e lì, inaspettatamente, mollò la presa su di lei.

La vide sgranare gli occhi e cercare le parole per domandargli cosa stesse per succedere, ma lui la precedette: «Adesso devi correre, okay? Fallo come se avessi la Morrigan alle calcagna». Lei però non parve convinta e, aggrappandosi alla manica della sua giacca, provò a protestare: «Devi guidarmi Kyle! Non so come uscire da questo posto» e fu facile notare come nelle sue parole vi fosse il tentativo di nascondere la preoccupazione.

«Tu inizia ad andare. Io corro più veloce di quanto possa fare una mocciosetta Impura» rispose, provando a scrollarsela di dosso, ma i suoi tentativi parvero inutili, Aralyn era agganciata al suo completo con incredibile solidità – il tempo però stava scarseggiando e la Villa aveva preso a riempirsi di voci e ringhi confusi, non potevano restare lì a dar vita a un'inutile scenetta strappalacrime.

Doveva farla allontanare.

Ritraendo il braccio le fece perdere l'equilibrio, bloccandola poi a pochi centimetri da sé. A quel modo l'avrebbe guardata dritta in viso e, cercando di farle capire la fermezza della sua decisione, l'avrebbe esortata a precederlo: «Aralyn, ci rivedremo, okay? Non posso lasciarti vivere tranquilla dopo che per colpa tua dovrò dire addio a un altro dei miei completi preferiti!» e sorprendendo dapprima se stesso, si ritrovò a sorriderle dolcemente, come due vecchi amici che si salutano prima di una partenza.

Seppur fosse una nemica e avesse avuto modo di conoscerla solo grazie a poche ore passate in una cella umida e puzzolente, aveva involontariamente iniziato a provare per lei una sorta d'empatia, forse a causa del fatto che fosse la lupa destinata al suo migliore amico.

Nonostante non parve essere del tutto convinta da quel tentativo di rassicurazione però, la ragazza annuì, forse capendo di non poter più esitare: «Ti aspetto ai margini nord del bosco, segui il muschio» e, riluttante, la vide girare le spalle, lanciargli ancora qualche sguardo preoccupato e poi mettersi a correre malamente sul terreno fangoso: un'immagine che gli rese il cuore sempre più leggero.

Lei avrebbe avuto ancora una possibilità.

E conscio di ciò, Kyle si volse verso l'orda di confratelli che aveva preso a riversarsi fuori dalla Villa. 
Li vide corrergli incontro con occhi iniettati di sangue e corpi deturpati dalla mutazione, ma non retrocesse e, men che meno, pensò per un solo secondo di darsi alla fuga.

Si sfilò la giacca, strappò i bottoni della camicia ormai fradicia e, lanciando un ultimo sguardo a quella che aveva definito come casa sua per trent'anni, scorse Douglas e i suoi figli sul terrazzo.

Ora il suo tradimento era ufficiale. Il tentativo di rimettere più o meno le cose a posto iniziato.

Alzò il pugno verso il cielo grigio, si riempì i polmoni d'aria e in un ultimo grido si rivolse proprio a Joseph: «Usque ad finem!»

Fino alla fine con te.
Il giuramento al Duca.


 

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Capitolo 55
*** Con te, per sempre ***




53. With you, forever

Joseph rimase paralizzato, incapace di dare una spiegazione a tutto quello che i suoi occhi stavano vedendo.
Il suo migliore amico aveva alzato il pugno al cielo, gridando la sua condanna a pieni polmoni e, oltre a questo, si era nuovamente macchiato le mani di una colpa che avrebbe dovuto essere sua.

Kyle aveva liberato Aralyn. Proprio lui, l'uomo più scettico e diffidente che il Nobile avesse mai conosciuto, aveva dato alle fiamme il suo futuro per proteggerlo. Ancora.

Il cuore gli si strinse in una morsa che difficilmente sarebbe riuscito ad allentare, già lo sapeva; perché da quel momento le cose sarebbero solo potute peggiorare.
Possibile che stesse davvero succedendo? Possibile che non ci fosse un modo per impedirlo?
Gabriel, sul fianco opposto del loro Alpha, grugnì: «Sbaglio o quello è il tuo amichetto?»
Nel tono della sua voce si poté chiaramente udire un mix di incredulità e appagamento, quasi non si fosse aspettato altro che un fallimento del fratellino - e sicuramente avrebbe fatto di tutto per far credere a Douglas che il tradimento di Kyle, altro non era che quello di Joseph.

«Cosa vorresti insinuare?» domandò lui in un ringhio, lanciandogli un'occhiata veloce prima di tornare alla scena di fronte a loro.

Il suo vice si era levato giacca e camicia, tentando di assumere le sembianze ferine - peccato che la mole eccessiva di suoi confratelli intenti a malmenarlo non gli avrebbero lasciato modo di reagire, men che meno fuggire. Ormai le conseguenze delle sue azioni erano prevedibili.

Suo fratello s'infilò le mani in tasca, sogghignando: «Vediamo un po'... il tuo lacchè è un traditore e la prigioniera fuggita la tua sgualdrina, non è che il vero problema sei tu?»

Joseph sentì la rabbia montare nel petto. 
Ciò che più lo infastidiva non erano certo le supposizioni di Gabriel, quanto più l'arroganza con cui additava quei due licantropi a lui tanto cari - e nettamente più valorosi di quanto il primogenito Menalcan sarebbe mai potuto essere.
Sì, perché loro combattevano e agivano per il bene altrui, non certo per interesse personale. Avevano dei valori, dei sogni, non mire arriviste e manie di grandezza.

Prima che potesse rispondergli a tono però, la voce di Douglas si levò sul terrazzo, bloccando il battibecco tra i figli: «Joseph ha fatto tanto per il clan, in questi ultimi mesi, son certo che non ci deluderà» e, con un gesto della mano, si rivolse al mucchio di lupi intenti a seviziare il traditore, invitandoli ad avvicinarsi.
Per un istante il ragazzo si chiese cosa, quel folle uomo, avesse in mente, ma poi, vedendo il gruppo di confratelli muoversi svelti verso la Villa, un'ipotesi prese a vorticargli nella mente.

La stretta al cuore aumentò. Tanto che credette di poter avere un mancamento.
In quasi ventisei anni di vita, mai gli era capitato di provare simili sensazioni, sopratutto paura e rammarico.
Sapeva di essere lui la causa scatenante di quel macello, di aver innescato la miccia della tragedia a cui avrebbero dovuto ora far fronte e la cosa lo sconvolse più del dovuto.

Già, perché il casato era famoso per tante cose, ma non certo la clemenza.

Douglas non avrebbe mai lasciato correre una mancanza di rispetto come quella, anzi, aveva condannato licantropi per molto meno - come ad esempio Gabriel che, quando aveva annunciato di aver ingravidato un'umana, era rimasto tre giorni nelle segrete, venendo di tanto in tanto colpito con un frustino di cuoio duro.

Così Kyle venne trascinato fino ai piedi dei tre leader del branco e, lì, fatto inginocchiare contro la sua volontà con un colpo alle gambe. Cedette come un edificio nel pieno di una demolizione e, persino dal punto in cui Joseph si trovava, a un paio di metri più in alto, riuscì a sentire il rumore delle ossa di lui sul terreno umido.
Un suono ovattato che gli fece stringere i denti.

Ci fu un istante, lungo quasi una vita, in cui il ragazzo credette di star per vomitare, ma tentò di resistere fino all'ultimo - una sola mossa sbagliata avrebbe potuto compromettere qualsiasi sacrificio fatto per Aralyn, anche quello. E, nonostante sapesse che avrebbe dovuto lottare e difendere il suo migliore amico, sapeva anche che Kyle lo avrebbe odiato per sempre se avesse in qualche modo compromesso il suo piano quasi perfetto.
Mettere sui piatti della bilancia quell'uomo e la ragazza che ora correva senza sosta nei boschi, inseguita da chissà quale lurido mannaro suo confratello, era qualcosa che gli pesava sul cuore in maniera nauseante. Non riusciva a dare un valore reale a quelle due figure che erano il suo tutto - o forse ci riusciva, ma faticava ad ammetterlo senza sentirsi uno schifoso vigliacco.

Nuovamente il destino aveva deciso di metterlo di fronte a una scelta tutt'altro che semplice; perché se avesse protetto Kyle e si fosse immolato per lui, ma Aralyn fosse stata nuovamente catturata, non avrebbe potuto restarle accanto e salvate almeno lei.

Douglas si portò in avanti, appoggiando le mani affusolate e piene di anelli sul parapetto in pietra, per poi abbassare lo sguardo su Kyle, quasi stesse facendo calare l'ascia del boia sul suo collo. Le sue enormi spalle non fecero trapelare nemmeno un'emozione, tanto rilassate da far quasi credere che nulla, del casino successo, fosse realmente avvenuto.

«Credo sia inutile dire cosa mi aspetti che tu faccia, figliolo» e con la coda dell'occhio chiaro si fermò sul viso del secondogenito, preso alla sprovvista.

Joseph poté sentire il sangue defluirgli dal viso e la gola farsi secca, tanto che faticò a credere vi potessero ancora uscire parole. 
Il cuore sembrò gonfiarsi fino a scoppiare, ma la gabbia toracica lo teneva ben ancorato nel petto, in modo che non potesse mai smettere di fargli male.
Avanzò di un passo, sentendosi le gambe terribilmente molli, poi d'un altro e, senza guardare oltre al parapetto annuì.

Sì, sapeva perfettamente cosa Douglas si stesse aspettando da lui.

Lo sapeva, ma non avrebbe voluto farlo.

In quel momento pregò tutte le divinità dei Licantropi di fargli perdere coscienza di sé e di ciò che aveva intorno, perché solo a quel modo si sarebbe potuto dimostrare al pari del figlio che il suo Alpha avrebbe sempre voluto - e non vivere nel rimorso di aver distrutto sia la vita del suo migliore amico, sia quella della donna che amava.
Eppure non accadde nulla di tutto ciò. Ad ogni gradino in meno che lo separava dal suo braccio destro, la consapevolezza di star per diventare un assassino si faceva reale - non che fosse il suo primo omicidio, certo, ma sicuramente sarebbe stato quello che più di tutti gli avrebbe lasciato un segno, un solco così profondo che non sarebbe mai guarito. E il senso di colpa prese a mordergli le caviglie, esattamente come una bestia selvaggia.
Il Nobile si fermò di fronte all'altro, sentendo lo stomaco ribaltarsi tra le altre viscere con eccessiva intensità.

Stava per succedere, ne era certo.

Kyle alzò gli occhi su di lui, provando a dirgli tutto ciò che a voce non avrebbe mai potuto fare. Il viso era rigato qua e là da piccole linee di sangue, mentre chiazze violacee avevano preso a formarsi su zigomi, braccia e torace, costellandogli il corpo di segni che non lo avrebbero più abbandonato; testimoni del tradimento compiuto nei confronti di Doglas e dell'atto di totale lealtà e sottomissione rivolto a lui, l'unico Alpha che avesse mai realmente riconosciuto come proprio.
I suoi profondissimi occhi grigi, capaci di oltrepassare qualsiasi corazza, si puntarono nello sguardo del ragazzo. Gli trapassarono le membra e, d'un tratto, parvero perdonarlo.
L'amico sembrò dirgli che era consapevole del fatto che ciò che lo attendeva era la giusta conseguenza alla felicità che gli aveva donato con la salvezza di lei. Gli disse che anche quella volta, così come tante altre, non aveva alcuna paura di morire, se questo significava proteggerlo e saperlo più vicino a diventare il potente licantropo che era destinato a essere dalla notte in cui era venuto al mondo.

«È libera» sussurrò poi, facendosi sfuggire un'unica e impavida lacrima. 
Fu la prima volta che Joseph lo vide perdere compostezza a quel modo, ma anche la prima in cui si ritrovò realmente a realizzare quanto odiasse il suo stesso clan, nonché Douglas e Gabriel - e tutto ciò che si frapponeva tra lui e la felicità che aveva sempre segretamente agognato.

Kyle si rivolse a Douglas: «Ti aspetto nelle Lande Selvagge, lurido vecch-»

Crack.

Un colpo secco, un movimento fulmineo.

Con il viso dell'amico stretto tra le mani, Joseph si ritrovò a combattere con il nodo di lacrime stretto in gola.
Gli aveva spezzato il collo senza nemmeno dargli modo di capire cosa stesse succedendo. Gli aveva dato una morte veloce, indolore e abbastanza teatrale da scagionarlo da qualsiasi accusa Gabriel avrebbe mai potuto muovere, persino dopo la condanna di Kyle. E si sentì un mostro al pari dei due che ora lo fissavano compiaciuti dall'alto del loro terrazzo, ebbri di ciò che avevano appena visto accadere.

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Capitolo 56
*** Tornare (1/2) ***





54. Back (1/2)

Aralyn udì la voce di Kyle squarciare il rumore della pioggia sulle fronde intorno a lei e, seppur il suo cuore parve lacerarsi, s'impose di non fermarsi. Sapeva di essere ancora braccata dai Menalcan, anche se il loro odore, così come i rumori delle loro zampe sul terreno, erano nascoste dalle stesse intemperie che le stavano ostacolando la fuga. Quanti erano? Ma soprattutto, dove erano? Più lei correva, imbrattandosi piedi e gambe di fango, più le sembrava di poter sentire le loro presenze avvicinarsi. Forse si trattava solo di un orribile scherzo della paura, ma non poteva permettersi di escludere alcuna evenienza, soprattutto in quel momento, dispersa nel nulla più assoluto e sola come non lo era mai stata in tutta la sua vita.

Però lui si stava immolando per lei.
Lui stava cercando di salvarla, di darle un vantaggio notevole sugli inseguitori.
E il motivo, a detta sua, era per il volere di Joseph.

Però... però avrebbe dovuto fermarsi, fare retro-front e correre in suo aiuto; perché era la cosa giusta da fare, eppure la più pericolosa.
Nonostante questa consapevolezza, comunque, le sue gambe non si fermarono mai, continuando a macinare metri su metri e allontanandola dal quartier generale di quei mostri.
Passo dopo passo cercò in tutti i modi di non perdere mai di vista il muschio sui tronchi – indicava il nord e, per quanto ne sapesse, quello era il punto in cui Arwen le aveva sempre detto di andare – purtroppo però, le enormi gocce che cadevano dal cielo le impedivano di poter vedere con chiarezza.
Saltò oltre a un tronco caduto e, per puro miracolo, non scivolò sul terreno viscoso.

Il cuore le si bloccò in gola per lo spavento. Un solo sbaglio avrebbe potuto compromettere lo sforzo di Kyle, il suo sacrificio, così come trasformarsi avrebbe comportato il rischio d'infettare le ferite – per non parlare del fatto che con i polsi conciati a quel modo, le zampe anteriori avrebbero potuto tradirla in qualsiasi momento.

Sforzandosi, provò a spingere con più convinzione sulle punte dei piedi, dandosi lo slancio necessario per compiere falcate più ampie e percorrere così distanze più lunghe.
Eppure, la preoccupazione di essere ancora troppo lenta si fece sempre più concreta. Ma una fine ci doveva essere, no? Il bosco prima o poi sarebbe finito e forse, si disse, avrebbe potuto imbattersi in qualche umano capace di proteggerla da un nuovo rapimento – perché ai loro occhi il mondo dei lupi doveva restare un segreto, questa era la prima regola del Concilio.

Distratta da quei pensieri, non si accorse che uno dei suoni che fino a qualche momento prima le erano sembrati solo delle allucinazioni si era fatto sempre più vicino, raggiungendola. Fino all'ultimo credette di essere lontana da qualsiasi pericolo, di poter vedere l'ombra della salvezza dietro quell'ultimo tronco che in realtà ne precedeva sempre altri. Così, quando il Menalcan balzò nella sua direzione, Aralyn venne colta alla sprovvista.
Sentì il suo corpo peloso sbatterle addosso e farla ruzzolare malamente al suolo, mentre l'osso di una spalla le usciva dalla sede, facendola guaire. Chiuse le palpebre, le strizzò forte, ma nulla riuscì a mettere a tacere il dolore. Le sembrò di soffocare, tanto trattenne il respiro, eppure non accadde – o almeno non nei trenta secondi successivi all'impatto. Ogni istante di esitazione però, dava al nemico la possibilità di saltarle addosso e azzannarle il collo, uccidendola. Ma come contrastarlo? Con la spalla in quelle condizioni, i polsi ancora deboli e le forze del tutto assenti non c'era alcuna possibilità che potesse sopravvivere a uno scontro.
D'istinto si morse le labbra, deglutendo il nodo di lacrime che stava tentando di formarsi in gola dal momento in cui aveva udito la voce di Kyle. Ciò che non si poté impedire di fare però, fu il pensare un'ultima volta a Joseph, il licantropo che, dicendo di provare qualcosa per lei, aveva finito con il condannarla a morte – e subito dopo pensò ad Arwen, chiedendogli perdono per aver infranto la promessa fatta otto anni prima e per essersi innamorata del peggior lupo che avesse mai potuto incontrare. Eppure, mentre se ne stava lì a rantolare nel fango e chiedere scusa a dei fantasmi, si rese conto che il tempo stava passando, ma del Menalcan che l'aveva colpita non vi era più alcuna traccia.
Come se fosse stata alle prese con un incubo, tentò di spalancare le palpebre per guardarsi attorno.
Nella tenue luce che filtrava tra i rami però, non scorse nulla, se non cespugli e dislivelli del terreno.

Possibile che si fosse immaginata tutto? Che si fosse ferita da sola?

Con un colpo di reni, e stringendo la mano sulla spalla malconcia, si tirò dritta, volgendo lo sguardo in ogni sacrosanta direzione.
Fece un passo indietro, provando a sentire se ci fosse qualche altro suono oltre lo scroscio continuo, ma il suo respiro affannato e la pioggia ostacolavano prepotentemente i suoi sensi, impedendole di capire.

Che fosse il caso di ricominciare a correre?

Avrebbe tanto voluto farlo, ma i piedi parvero ancorati nel fango. Provò più e più volte a riprendere la fuga, eppure non ci riuscì. Perché?
Perché il suo corpo aveva deciso di ribellarsi?
Gli occhi presero a bruciare e la consapevolezza di aver mandato tutto in fumo si fece opprimente.

Kyle si era condannato per niente.

Ciò che però le impedì di scoppiare in un pianto senza freni, fu l'ombra che scorse con la coda dell'occhio e che, d'improvviso, le raggelò il sangue nelle vene.
L'avevano raggiuta, ne fu certa.

La gola le si seccò, impedendole di emettere anche un semplice sibilo. Nemmeno gridare le era più concesso, Mànagarmr e la Madre Luna avevano infine deciso di voltarle le spalle, forse a causa del peccato che aveva commesso – giacere con il nemico, amarlo e per lui tradire la fiducia del proprio Alpha. Già, perché mai avrebbe trovato il coraggio di dire ad Arwen di ciò che era successo tra loro, del fatto che aveva smesso di provare per lui amore nel momento in cui Joseph Menalcan era entrato nella sua vita. Sì, ci aveva messo un po' a capirlo, ma sin dal loro primo incontro aveva avvertito per lui sensazioni mai provate prima.
Il respiro di Aralyn si fece più affannato e nuovamente chiuse gli occhi nel tentativo di non vedere l'imminente attacco. Non volva in alcun modo guardare in faccia la morte. E mentre le sue palpebre si strizzavano per impedirle di scorgere anche solo uno spiraglio della tragedia che si sarebbe compiuta, qualcosa di soffice e caldo prese a strofinarsi contro il suo fianco, cercando di attirare tutte le sue attenzioni.
Titubante, la ragazza sbirciò da oltre le ciglia, cercando di capire cosa stesse succedendo.
L'enorme animale accanto a lei, completamente bagnato e sporco di fango e sangue, dava tutto tranne che l'impressione di volerla ferire e, osservandogli bene il dorso, sotto al pelo scuro Aralyn riuscì a scorgere un tatuaggio che le parve fin troppo familiare. Usando la mano del braccio sano scostò appena il manto e, quando fu certa di non star sbagliando, si concesse un sussulto. Le ci volle un po' per riconoscere l'odore di quella bestia, ma unito al tatuaggio sulla schiena non poté che convincersi di chi aveva di fronte. Commossa, si avventò sul licantropo, scoppiando in un pianto senza freni: «Fernando!» singhiozzò facendo sprofondare il viso nel pelo.

Non poteva crederci.
Dopo tutta la fatica fatta, la prigionia e quella fuga contro il tempo, dove le speranze si erano fatte sempre più labili, era riuscita a ritrovare un amico – uno vero e pronto a riportarla a casa.

 

In macchina, Aralyn non si staccò per un solo secondo dalla coperta con cui Fernando l'aveva avvolta, mantenendo inoltre un silenzio quasi religioso. Sembrava tutto, fuorché intenzionata a parlare, fin quando, una volta immessi nella superstrada, non si decise a mettere a tacere i dubbi che le assillavano la mente.
«Come mi hai trovata? O come facevi a sapere che ero ancora viva?» Non si volse verso di lui, ma piuttosto preferì restare con lo sguardo ben puntato sulle corsie che avevano accanto.
Fernando non poté che sospirare. Sapeva bene che prima o poi le domande sarebbero arrivate, ma non si era preparato alcuna risposta – aveva preferito pensare a come portarla in salvo, a come evitarle di diventare l'ennesima vittima dei Menalcan, esattamente come era capitato a sua moglie, ad Arwen, Luke e tanti altri.
Con una mano si accarezzò la testa rasata e poi, con una certa gravità, parlò: «Me lo hanno detto» ammise.

«Chi?»

«Uno» e nel dirlo alzò le spalle, quasi a farla sembrare un'informazione di poco conto, anche se non lo era affatto. 
La ragazza però non demorse, esattamente come ci si sarebbe aspettato da lei e, girando finalmente il viso verso di lui, ripeté: «Chi?» la durezza del suo tono parve non voler accettare una risposta vaga, ma piuttosto quella reale e completa che, a furia d'insistere, avrebbe trovato.
L'uomo si morse la lingua. Come poteva dirle che erano stati i nemici a dargli quell'informazione? E come le avrebbe spiegato il motivo per cui si era fidato di loro?
«Si chiama Kyle. È uno di loro» soffiò infine, pronto a sorbirsi una strigliata che avrebbe potuto fare invidia a quelle di Arwen. Eppure, dal suo fianco non giunse nessun suono. Aralyn non sbottò, men che meno parve aver qualcosa da ridire, così, del tutto confuso, Fernando spostò lo sguardo su di lei e quando ne incrociò il viso, si accorse essere rigato da sottili lacrime.
«S-stai pi-piangendo?» le domandò, sempre più incapace di capire. Sì, quell'uomo gli aveva spiegato alcune cose, ma certamente non aveva detto nulla riguardo al rapporto che aveva con lei – doveva forse preoccuparsene?

«È lui che mi ha liberata. È morto per me» con una mano, la giovane si coprì gli occhi, cercando di nascondere il dolore che non avrebbe dovuto provare, soprattutto per un Puro.
Sconvolto, l'uomo si decise ad accostare. Nonostante i Menalcan fossero alle loro calcagna, avevano messo abbastanza distanza da concedersi qualche minuto di pausa, in modo da chiarire per bene quell'irreale situazione.
«No. Lui... lui mi ha detto che aveva un debito nei confronti di Josh, per questo mi avrebbe condotto a te. Ara... i purosangue non muoiono per noi» mollando la presa sul volante, girò il busto in modo da poterla guardare per bene, eppure, più la fissava, più vedeva un fagottino triste e malconcio soffrire per una persona che non avrebbe dovuto valer nulla per lei.

«A quanto pare sì, se è un ordine dell'Alpha» singhiozzò Aralyn portandosi le gambe al petto e stringendole a sé con la mano che ora aveva liberato gli occhi, visto che dopo averle riassestato la spalla malconcia, ancora non gliel'aveva vista muovere.

Fernando corrugò la fronte, sentendo una strana tensione tendergli i muscoli. Faticava a capire cosa la giovane Calhum volesse dirgli, eppure non si arrese. In qualche angolo oscuro di sé voleva dare un perché alle perverse dinamiche che avevano spinto un Menalcan a contrarre un debito con un Impuro e, poi, a sacrificarsi per un'altra di loro.

«Che vorresti dire? Ara, che è successo?»

La vide mordersi con forza le labbra, ferirsi e combattere contro la propria coscienza per rivelare la verità, sicuramente più destabilizzante di quanto lui potesse immaginare.
Mosso da una tenerezza fraterna, le prese una mano, portandosela al cuore: «Ehi, dolcezza. Puoi dirmi ciò che vuoi, sono qui per te» ed era vero. Aveva macinato centinaia di chilometri in poco meno di due giorni per poterla portare in salvo prima che Arwen scatenasse l'inferno; si era fidato di un nemico sconosciuto solo per potersi dire di averci almeno provato, a liberarla e, alla fine, c'era riuscito.

«Josh...»
Vedendola in difficoltà le baciò la mano, abbozzando un sorriso: «Lo so che ti piace e ti assicuro che porteremo in salvo anche...»
«È Joseph Menalcan, il figlio di Douglas» lo interruppe lei, voltandosi con gli occhi pieni del dolore più intenso che Fernando potesse dire di aver visto sul viso altrui, ma che si rese conto aver provato a sua volta.
Allibito, allentò la presa su di lei.

Che? 
Aveva sentito bene? 
Era forse uno scherzo?

Scuotendo la testa tentò di farsi nuovamente confessare quella terribile verità e, quando lei abbassò lo sguardo, stringendo le palpebre, capì che non si trattava di una menzogna. Per mesi, il figlio del licantropo che più di tutti aveva odiato, aveva vissuto con loro. Aveva riso con il clan, mangiato con i loro confratelli. Si era allenato con lui, avevano parlato di moltissime cose e, alla fine, si era rivelato l'erede di uno schifoso Menalcan. E dalla sofferenza di Aralyn, era persino riuscito a far innamorare di sé la sorella di Arwen Calhum.
Ma non si trattava nemmeno di un semplice innamoramento, gli occhi di lei parlavano di altro, di un sentimento che Fernando aveva sentito scorrergli nelle vene, regalandogli le gioie più grandi e le tragedie più atroci.
Se però Aralyn era stata fregata da un imprinting, anche lui doveva esserne stato coinvolto – e ciò avrebbe spiegato il motivo della telefonata e della fuga della ragazza. Joseph doveva davvero aver messo lei prima del branco.

«Ara...»

Lei strinse forte la sua presa, facendolo tacere: «Non dirlo ad Arwen. Ti prego» con sempre più lacrime a rigarle il viso, puntò il suo sguardo in quello dell'uomo, supplicandolo con una tale intensità da farlo sentire intontito: «Giurami che non glielo dirai, che c'inventeremo una scusa... Per favore Fernando. Non posso dirgli che amo un Menalcan, non posso dirgli del casino in cui mi son cacciata!»
No, non potevano. Il loro Alpha l'avrebbe punita in modo esemplare, soprattutto perché si trattava del licantropo che aveva mandato in frantumi la sua vita, perché una notte di otto anni prima gli aveva reciso in modo permanente parte dei muscoli della gamba, azzoppandolo.
Arwen sarebbe persino stato disposto a esiliare sua sorella, se fosse venuto a conoscenza dell'amore di lei per il secondogenito di Douglas.

 

 

 

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Capitolo 57
*** Tornare (2/2) ***




54. Back (2/2)

Quando l'alba iniziò a colorare il cielo di rosa, l'auto entrò nello spiazzo davanti alla Tana, dove una surreale calma sembrava essersi impossessata di ogni stanza. Solo un paio d'impavide luci fuoriuscivano dai vetri delle finestre e il canticchiare sommesso di qualche uccello faceva da sottofondo. L'atmosfera che permeava intorno a loro sembrava essere satura di mille cose: tensione e stanchezza, rabbia e nostalgia. Chiunque, persino un estraneo, mettendo piede lì, si sarebbe accorto che l'aura serena di qualche settimana prima era completamente svanita, lasciando posto a qualcosa di più oscuro e poco definito.
Fernando, accanto ad Aralyn, deglutì. Poteva sentire la tensione strizzargli lo stomaco, mentre il desiderio di non entrare nell'edificio si faceva soffocante – potevano ancora andarsene ed evitarsi qualsiasi casino.
Immerso in quei pensieri, quasi non si accorse del modo in cui lei gli si rivolse, spezzando il silenzio che aveva avuto la meglio dopo decine di chilometri: «Casa» sussurrò la giovane prima di girarsi verso di lui con occhi pieni di lacrime.

E l'uomo capì.
Riuscì senza difficoltà a leggerle nel pensiero, a sentir riecheggiare in sé i sentimenti che dovevano agitarsi in lei.

C'erano contentezza e sollievo, certo, ma soprattutto paura e sofferenza, come se tornare a casa volesse davvero mettere un punto a tutto ciò che era successo fino a quel momento – inoltre, Aralyn avrebbe dovuto affrontare Marion, Garrel e in particolare suo fratello. Avrebbe dovuto arrancare scuse, ovviare dettagli, essere meticolosa nella scelta delle parole. Doveva mettere a tacere tutte le voci e le immagini nella sua testa, in modo da sopravvivere al vuoto che Joseph Menalcan aveva iniziato pian piano a scavarle dentro.

«Ti ricordi cosa mi hai promesso?»

Fernando annuì.
Sì, si ricordava perfettamente ciò che lei gli aveva supplicato di tacere, così come si era ripetuto fino alla nausea le bugie che avrebbe dovuto tessere per riuscire a salvarla sia dai suoi ricordi, sia dalla furia di Arwen.
Nuovamente le prese una mano, portandosela alle labbra: «Andrà tutto bene, non ti abbandono» disse poi, spegnendo definitivamente il motore della vettura.

Aralyn avvertì qualcosa di caldo riempirle il cuore e subito dopo, girandosi nuovamente verso l'edificio, una lacrima si permise di scenderle lungo la guancia. Nemmeno se la ricordava più, la sua casa. Era stata via così poco, eppure le pareva di non tornar lì da anni.

Facendosi coraggio e ingoiando il groppo di paura che sentiva in gola, decise infine di mettere piede fuori dall'abitacolo e fronteggiare qualsiasi cosa la stesse aspettando – soprattutto l'Alpha. E, al solo pensarlo, Arwen fece la sua apparizione sulla soglia.

Avvolto in un maglione leggero, l'albino si fece largo sul portico. Persino da quella distanza, la sorella poté scorgere i cerchi viola intorno agli occhi, il pallore atipico del suo viso e la confusione nello sguardo. I lunghi capelli, lasciati sciolti come raramente accadeva, si muovevano intorno alla sua figura longilinea, facendo notare come l'aria gelida del mattino stesse annunciando il loro arrivo. 
Suo fratello era lì, davanti ai suoi occhi e a soli pochi metri da lei.

Alla fine, la Madre Luna aveva esaudito le sue preghiere. Erano nuovamente insieme, come da quando ne aveva memoria – dal giorno in cui Veronika e Klaus li avevano lasciati.

Senza rifletterci, Aralyn balzò fuori dalla vettura, mettendosi a correre come una forsennata lungo il cortile. A piedi scalzi si mosse nella sua direzione, ignorando il dolore dei sassi sotto alla pianta e il freddo pungente degli ultimi giorni d'inverno sulla pelle. Non c'era nulla, in quel momento, più importante di riabbracciare suo fratello.

In meno di una manciata di secondi gli saltò al collo, incurante del fatto che quello slancio avrebbe potuto fargli perdere l'equilibrio – dopotutto, la gamba di lui già faticava ad avere a che fare con il suo solo peso, figurarsi con anche i suoi cinquantatré chili.

Eppure, a dispetto di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, braccia forti la strinsero con avidità, mentre dita calde si infilarono nel cespuglio di capelli sporchi, reggendola sempre più saldamente. Un profumo tanto penetrante quanto familiare le si insinuò nelle narici, annullando ogni pensiero – dalla paura di dovergli mentire, al ricordo di ciò che era accaduto fino a quel momento.

La ragazza strinse le gambe intorno alla vita di lui, aggrappandoglisi come mai prima. Non c'era stata una singola volta in cui, da quando Arwen era diventato Alpha, si fossero stretti a quel modo.

Fu appagante, tanto che non riuscirono a dire nulla per interminabili minuti. Tutto ciò che era certa stessero facendo entrambi, era bearsi della presenza dell'altro, della consapevolezza di essere riusciti ancora una volta a far aspettare la morte.

Le venne da piangere nuovamente e, nonostante si fosse più volte ripromessa di non farlo in sua presenza, prese a singhiozzare a ridosso della sua spalla, bagnandogli gl'indumenti.

«Sei tu! Sei viva!» le sussurrò a ridosso dell'orecchio, aumentando la stretta sul suo corpicino malconcio e dolorante. 

Aralyn annuì con foga, continuando a bearsi del calore di suo fratello.
«Sei qui, Ara... sei tornata da me».

E involontariamente, una fitta al cuore spezzò la gioia in cui si era totalmente lasciata andare. 
Era tornata da lui, ma non nel modo in cui Arwen avrebbe voluto.


 

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Capitolo 58
*** Questo mio sentimento ***




55. This feeling of mine

«Parlami».

Per quanto Arwen ci provasse, sua sorella sembrava essersi tramutata in una statua. Tutto quello che Aralyn riusciva a fare era storcere la bocca quando, con la massima premura, Marion pigiava il cotone imbevuto di disinfettante sulle ferite ai polsi. Oltre a quei piccoli gesti, nulla riusciva a scalfire il suo silenzio, nemmeno lo sguardo implorante dell'Alpha.

L'uomo strinse ancora di più i pugni, chinandosi verso di lei tanto da poter avvertire il suo respiro: «Ti sto pregando, Aralyn, dimmi cosa è successo» ma la ragazza si limitò a scuotere la testa e farsi sfuggire un guaito tutt'altro che rassicurante.

La corsa per la libertà le aveva segnato le gambe con lividi e graffi lievi, ma i segni appena sotto le mani, che si protraevano quasi fino a metà avanbraccio, parlavano di una prigionia che l'albino diede per scontato essere stata spiacevole. E nonostante sua sorella non avesse ancora spiaccicato parola riguardo a ciò che aveva vissuto, lui si sentì riempire d'odio. Chissà cosa avevano osato farle quei luridi Menalcan!

«Cosa devo fare per farti parlare?» sbottò infine, mentre la disperazione iniziava lentamente ad avere la meglio sulla sua pazienza. L'avevano violentata? Minacciata? Le avevano tagliato la lingua? Doveva assolutamente sapere.

Fu Fernando a intervenire, spezzando l'ostinato silenzio della lupa.
Con una mano afferrò la spalla del suo Alpha, tirandogli il busto leggermente indietro e mettendo spazio tra i due fratelli. Sul viso, un sorriso dolce, ma tutt'altro che opportuno, provò a placare la crescente tensione tra loro: «Nulla, Arwen. Dalle del tempo. Sta bene, è sana e salva e ha solo bisogno di orientarsi. Nessuno di noi è mai stato prigioniero di qualche clan nemico, tua sorella deve solo capire di essere a casa». Subito dopo averlo detto, lo vide lanciare uno sguardo su Aralyn che, visibilmente più rilassata, annuì.

L'albino però odiava quella situazione, detestava l'idea di non poter sapere tutto e subito, di entrarle nella testa e far suoi tutti i ricordi di quei sette giorni di lontananza, di cui quattro di prigionia.

Sua sorella cacciò nuovamente un verso, facendolo sussultare. Marion aveva preso a fasciarle il primo polso, ma con grande probabilità aveva stretto troppo sulla pelle infiammata, facendo dolere le carni dell'amica – e fu snervante, così come tante altre cose. Aralyn non si meritava nessuno dei segni che portava addosso, eppure ne aveva decine; ad ogni indumento che si levava, se ne scoprivano di nuovi e Arwen provava uno schiacciante senso colpa per tutti i lembi di pelle interrotti da strisce di croste sottili.

«Ti dirò tutto, non preoccuparti» la sentì sussurrare poi. Fu un suono terribilmente dolce e confortante, la sua voce. Un'eco simile al canto lontano delle sirene. Nonostante ciò, però, il suo sguardo non si allontanò mai dai bendaggi, anche se lui pregò per tutto il tempo che, da un momento all'altro, si rivolgesse nella sua direzione, riempiendo i suoi occhi con l'interezza di un viso che gli era mancato ogni giorno per tutta quella settimana e che, purtroppo, aveva persino creduto di non rivedere più.

«Abbiamo molto di cui parlare»

«Ti ascolterò fino all'alba di domani, se necessario» le rispose di getto, mollando la presa sulla scrivania e cadendo ai suoi piedi, supplichevole. Si ritrovò inginocchiato davanti alla ragazza, le mani sulle sue ginocchia nude e chiazzate d'ematomi, la gamba completamente in balìa del dolore per quel gesto spontaneo e gli occhi sgranati verso la visione delle labbra di lei. Bramava le sue parole, le verità che ancora gli stava tacendo - desiderava il suo racconto, in modo d'avere un pretesto per lanciarsi senza remore contro il clan di quei Puri.

Finalmente lo sguardo di Aralyn calò con sorpresa su di lui e il suo corpo reagì al primo contatto dopo l'abbraccio scambiatosi in cortile. Un'ombra di paura le trapassò le iridi, confondendolo. Perché sembrava essere tanto sconvolta da quel gesto? Perché non comprendeva la brama di conoscenza che lo stava corrodendo?

Una stretta allo stomaco prese a fargli temere che, qualsiasi cosa fosse successa a Villa Menalcan, sua sorella non avrebbe più apprezzato nello stesso modo un suo tocco, così come quello di qualsiasi altra persona.

A interrompere quel flusso di pensieri però, fu ancora una volta Fernando: «Basterà meno, amico. Sono poche cose complesse, quelle che avete da dirvi».

Una boccata d'aria, poi un'altra ancora, seguita a ruota da un lancinante dolore al centro della gabbia toracica. Aralyn dovette mordersi la lingua per non scoppiare in un mare di lacrime e singhiozzi.

Lasciata sola nelle docce comuni, si concesse il devastante lusso di ricordare ogni singolo istante di ciò che era accaduto, prendendosi il tempo necessario per sentire la lama della colpa infilarsi nelle membra e squarciarle il corpo.

Nessun morso ricevuto in battaglia aveva mai bruciato a quel modo, nessuna frattura era mai parsa così irreparabile e, men che meno, si era sentita gli organi tanto doloranti.

Non solo aveva involontariamente tradito tutto ciò in cui, per anni, aveva lottato – non creduto, o quantomeno non del tutto -, ma aveva anche lasciato che un perfetto sconosciuto si sacrificasse per lei, senza far nulla per ricambiare, nemmeno ringraziarlo. Kyle si era immolato per amore di Joseph, l'aveva liberata e protetta a prescindere da cosa lei rappresentasse e, come ricompensa, lo aveva lasciato morire da solo, come un traditore.

Soppresse un altro singulto, tappandosi la bocca con entrambe le mani.

Non avrebbe dovuto gioire di quella morte? In fin dei conti non erano altro che estranei, avevano condiviso poco più di una manciata di ore in una cella puzzolente, nulla più.

Eppure perché non riusciva a scrollarsi di dosso quelle terribili sensazioni? Dopotutto, volenti o nolenti e a dispetto di ogni azione compiuta, Kyle e Joseph Menalcan erano e sarebbero sempre stati nemici per lei; avevano ucciso decine di suoi conoscenti, sputato su di lei e la sua specie, inveito contro il loro desiderio di essere considerati al pari di qualsiasi altro licantropo e... e avevano ridotto Arwen a una sottospecie di menomato fisico, seviziando il suo orgoglio e l'Alpha che era sempre stato.

Ciò però non serviva affatto a lenire il dolore, anzi, sembrava amplificarlo.

E come avrebbe fatto a dire a suo fratello di loro? Come avrebbe fatto a raccontargli gli eventi di quegli ultimi giorni senza farsi sopraffare dalla soffocante sofferenza che le riempiva il petto? Come avrebbe potuto parlargli di lui, del suo doppiogioco, senza che il cuore le esplodesse?

Rannicchiata sotto al getto d'acqua, che aveva creduto potesse attutire qualsiasi suo singhiozzo, non si accorse del rumore di passi alle sue spalle.

Enormi mani le si appoggiarono dolcemente sulla schiena nuda, accarezzando i lasciti di Gabriel Menalcan – eppure lei non riuscì a far altro che continuare a stringersi su se stessa, provando a contenere ogni singola sensazione che stava provando.

I palmi di chiunque fosse alle sue spalle scesero sui fianchi e, in meno di qualche secondo, Aralyn si ritrovò seduta sui jeans bagnati di un uomo. Con la testa andò a sbattere su un petto duro e dal profumo familiare, mentre alle orecchie le giunsero sibili di conforto.

Si aggrappò come una disperata alla maglia tra lei e il corpo di Fernando e, senza esitazioni, si lasciò andare al pianto.

«Va tutto bene, dolcezza» con le dita l'uomo prese ad accarezzarle la chioma fradicia, stringendola sempre più a sé: «Ce la farai, Ara. Anche se fa male non morirai, te lo assicuro»

Ma lei non rispose.

Come poteva sopravvivere a tutto quello? Perché anche se la morte di Kyle avrebbe pian piano smesso di farla sentire in colpa, l'amore che provava per Joseph non l'avrebbe mai lasciata libera; di quei ricordi, ne era certa, non ne avrebbe scordato nemmeno uno, continuando a sognare i baci che si erano dati e i sorrisi che avevano scambiato in quell'anonima stanza d'hotel, fino al momento in cui lui non l'aveva pugnalata alle spalle.

E la sua assenza, si rese conto, sarebbe diventata ogni giorno peggiore.
L'avrebbe logorata, tormentata ogni volta che, chiudendo gli occhi, l'inconscio avrebbe avuto la meglio sul raziocinio. 
Avrebbe sentito quel vuoto crescere al pari di una perdita, come se tra loro si fosse posto il muro della morte – perché prima o poi, era scontato anche solo pensarlo, avrebbero dovuto fare i conti con le faide dei clan. Uno di loro, presto o tardi, avrebbe dovuto scegliere tra la persona nel suo cuore e la famiglia a cui doveva ogni singolo respiro passato e futuro.

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Capitolo 59
*** Ti seguirò ***




56. I'll follow you

Ventiquattro ore.

La fuga di Aralyn era avvenuta solo il giorno prima, ma per Joseph sembrava essere trascorsa un'eternità.

Non aveva fatto altro che entrare e uscire dallo studio di Douglas, rispondendo a qualsiasi domanda gli venisse rivolta su Kyle, che ormai doveva essere stato seppellito da qualche confratello in un angolo remoto degli acri della Villa. 
Nessuno lo aveva ritenuto degno di essere accolto nelle Lande Selvagge con i dovuti onori dei licantropi, men che meno quelli del loro casato.
Per tutti lui non era altro che uno schifoso traditore, ma per il secondogenito dell'Alpha era qualcosa di diametralmente opposto. Era la persona migliore che si potesse avere al proprio fianco, un compagno leale, un eroe folle, un guerriero che per chi amava avrebbe compiuto imprese titaniche - e lui lo aveva ucciso senza esitazioni, ma non certo rimorsi; quelli, sfortunatamente, se li sentiva muovere alle spalle al pari di fantasmi e, se si fosse concesso il lusso di sfilarsi di dosso la maschera dell'erede di quel casato, certamente lo avrebbero aggredito con il chiaro intento di soffocarlo. Ad ogni modo però, non poteva ancora lasciarsi sopraffare da loro - non ora che tutti gli occhi del clan, alleati o meno, erano puntati su di lui.

Seppur fossero separati dal velo sottile frapposto tra morte e vita, comunque, Joseph non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per ciò che aveva fatto: Kyle gli aveva guardato le spalle ancora una volta, gli aveva ridato un misero stralcio di serenità, ben lontano però dall'avvicinarsi alla felicità provata in quel branco di lupi a metà.

Con un sospiro, il ragazzo schiacciò il mozzicone della sigaretta nel posacenere, lanciando un ultimo sguardo malinconico verso l'orizzonte. 
Quanto avrebbe voluto non essere lì. Quanto desiderò potersi spogliare del nome dei Menalcan per fuggire lontano e tornare alla vita che aveva condotto fino a una settimana prima, in mezzo al clan di Arwen e con lei.

Eppure, non gli era possibile.

Doveva restare per riuscire a deviare le informazioni, per impedire a Gabriel e Douglas di mettersi sulle giuste tracce di quel branco. Doveva tener duro e sopportare la solitudine che lo avrebbe accompagnato da quel momento in poi, perché il suo migliore amico era morto, la ragazza che amava non avrebbe più voluto vederlo per il resto dei suoi giorni e Leah, sua sorella, non sarebbe tornata a Villa Menalcan se non per motivi seri – e per quel che ne sapeva, al momento non ve n'era nessuno.

Sarebbe rimasto per pagare il suo debito con Mànagarmr, che aveva risposto alle sue preghiere trovando un modo per risparmiare Aralyn.

E chissà dove era lei, ora. Chissà se aveva rivelato a tutti il suo tradimento, se aveva giurato vendetta o chiesto alla Madre Luna di farlo uccidere nel peggiore dei modi. Chissà se si era già buttata tra le braccia di suo fratello, provando a dimenticare il sapore dei suoi baci con le labbra di lui. Perché purtroppo era un'eventualità da non sottovalutare e lui le aveva dato un pretesto per vendicarsi e voler dimenticare tutto - dal primo incontro al primo bacio, dall'unica notte passata insieme alle promesse che avrebbero potuto farsi.

A quel pensiero, la rabbia gli fece ribollire il sangue nelle vene. Detestava anche la sola idea che qualcun altro potesse sfiorarla, bearsi del suo profumo, riempirsi gli occhi con quel sorriso dolce, in particolare se si trattava di Arwen Calhum – ma soprattutto odiava non poter più essere lui a gioire di tutto ciò.
Lui che, stringendosi una mano al petto, poteva ancora avvertire i lasciti del calore e della completezza che Aralyn gli aveva donato, nonché l'ombra della vita che aveva tanto anelato durante l'adolescenza e che gli era sempre stata negata.

Con una fastidiosa freddezza si ricordò ancora d' aver combinato un casino tanto grande da non saper come ignorarne le conseguenze, dalla prima all'ultima e, in un gesto incontrollato, colpì il posacenere, mandandolo in frantumi e riversando fuori i resti delle sigarette fumate fino a quel momento.

Arwen alzò gli occhi sulla sorella, aspettando una risposta. Le aveva chiesto cosa fosse successo in quei quattro giorni di prigionia, senza domandarle nulla in particolare. Voleva che lei si sentisse libera di parlargli di ciò che più credeva fosse opportuno e, dalle sue parole, lui avrebbe trovato gli appigli per indagare.
Aralyn si grattò la nuca, spostando lo sguardo ovunque tranne che sull'albino. Pareva quasi che avesse paura, che stesse cercando di nascondergli qualcosa, ma ormai non poteva più evitarsi di affrontare quel momento e, volente o nolente, lui le avrebbe strappato almeno uno stralcio di confessione.
«Ci hanno attaccati nel cuore della notte...» iniziò lei, venendo però subito interrotta.
Per quanto l'Alpha fosse partito con buoni propositi, ciò che desiderava era solo il racconto di quello che nessuno, a parte lei, aveva vissuto.

«Parlami di quello che non so, Ara. Di come vi hanno attaccato penso di aver sentito già abbastanza» involontariamente, Arwen prese a mordersi il labbro, provando a trattenere l'agitazione; ogni secondo di silenzio che lei faceva passare, però, tentava la sua pazienza. Non avrebbe mai pensato di dover far tanta fatica per riuscire a parlare con Aralyn di una missione, della sua fuga o di qualsiasi altra cosa che non fossero i sentimenti che nutrivano l'uno per l'altra, eppure eccoli lì.
La ragazza si lasciò andare a un lungo e pesante sospiro, spostando infine lo sguardo su di lui.
Lo fissò con occhi vacui, lontani. Lo fissò con il chiaro intento di dirgli che, qualsiasi cosa gli avesse detto, non avrebbe mai capito; ma lui era disposto a tutto pur di farlo, pur di riuscire ad avvicinarsi a lei come sua sorella lo aveva fatto durante la sua degenza.

«Siamo stati fregati, Arwen, ecco cosa è successo» Aralyn fece una pausa, socchiuse le palpebre per riuscire a soppesare meglio le parole e, quando le riaprì, nel suo sguardo si era fatta viva una durezza insolita per lei: «Siamo stati così ciechi da non notare uno di loro tra noi» disse infine.
A quelle parole, il cuore dell'Alpha perse un colpo e la confusione prese a muoversi in lui. La sua mente però, in un lampo, trovò un nome e un volto a cui associare il commento della sorella e, quando si rese conto di ciò che tutto quello volesse dire, capì di essere stato uno stupido.

«Josh...?»

Lei annuì, mentre il petto prese a gonfiarsi, probabilmente a causa della rabbia o della frustrazione.
«Josh... o Joseph Menalcan, vedi tu come preferisci chiamarlo».

Nuovamente il cuore dell'uomo perse un colpo, mentre lo sconvolgimento ebbe la meglio su di lui, mozzandogli il fiato.

Joseph?
Quel Joseph? Stava forse parlando dello stesso licantropo che aveva condannato la sua vita da otto anni a quella parte? No! Non poteva essere lui. Non poteva essersi scordato di quel tipo, del suo odore o del suo ringhio soffuso dopo ciò che gli aveva fatto. Il suo sesto senso non poteva averlo tradito a tal punto da fargli considerare quella feccia come un amico, un alleato.

Eppure...

Aralyn si alzò dalla poltrona, avvicinandosi a lui e prendendogli una mano tra le proprie. Si mise ad accarezzargli il dorso, soffermandosi sui tendini tesi: «L'ho pensato anche io» sussurrò poi, seguendo le vene sotto la pelle: «Come abbiamo fatto a non riconoscere il figlio di Douglas? Non ne ho idea, ma è successo» confessò, forse mettendosi subito dopo la lingua.
Il contatto tra loro però, non riuscì a distrarre Arwen dalla questione principale, così come le parole di lei. Ciò che sua sorella gli aveva rivelato andava ben oltre a qualsiasi cosa si sarebbe potuto aspettare, lo aveva stravolto. Pensare ad altro pareva difficile, uno sforzo che Arwen non era certo voler fare.
Nuovamente, la ragazza riprese il discorso, cercando di chiarire la situazione: «Eravamo così preoccupati che i Menalcan si sarebbero presentati a noi a frotte, che non ci siamo accorti ci avessero già trovato. Però Arwen...» le mani di lei smisero di accarezzare la sua. L'Alpha si accorse di quel cambiamento solo a causa della pressione che ora stavano esercitando sul dorso e sul palmo.

Con le sopracciglia aggrottate spostò tutte le sue attenzioni su di lei, scrutandole il viso da cima a fondo.

«Però...?» le domandò, senza capire dove volesse andare a parare con quella sospensione. Come poteva mettere dei "ma" in un discorso del genere? Come poteva cercare di difendere i Menalcan? Non si trattava di un clan qualunque, ma dei loro acerrimi nemici, del branco il cui Alpha possedeva il potere di cambiare le sorti di ogni singolo licantropo in Europa – sorti legate a leggi che impedivano agli Impuri di essere considerati degni di partecipare alle scelte e sedute del Concilio, che li differenziavano in modo evidente dai Nobili.

Sua sorella si morse il labbro inferiore, aggrottando poi le sopracciglia: «Però ti devo confessare che è stato lui a lasciarmi libera. Joseph ha organizzato la mia fuga... Credo che si sentisse in debito» quella frase aizzò Arwen come poche altre e, senza riflette, sfilò la propria mano dalla presa di lei. 
Con un movimento repentino si tirò dritto e, involontariamente, le afferrò il colletto della maglia, tirandola bruscamente verso di sé. La strattonò tanto che Aralyn per un attimo parve perdere l'equilibrio e, se non ci fosse stato il suo braccio nel mezzo, probabilmente avrebbe finito con lo sbattere contro la scrivania.

«Cosa diamine stai dicendo? In debito? I Nobili non sono e non si sentiranno mai in debito con noi!» gridò a ridosso della guancia di lei, ora pallida come un cencio. Stava ringhiando e il viso aveva preso connotati tutt'altro che innocui. Vedeva chiaramente la paura, mista al riflesso delle sue zanne, negli occhi della ragazza, ma ciò non gl'impedì d'imprecare a causa di quella sua stupida affermazione.

Perché mai Joseph Menalcan avrebbe dovuto sentirsi in debito? Al massimo avrebbe potuto sentirsi colpevole, ma di ché, visto che per sua natura e formazione odiare gli Impuri era cosa normale? Perché avrebbe dovuto salvare Aralyn?
E poi, una scintilla gli trapassò la mente. Un sospetto che non volle chiedersi se avesse fondamenta o meno. Possibile che lo avesse fatto per lei e lei soltanto? Possibile che un Menalcan, in più tra i peggiori, si fosse invaghito della sua Ara?
Nonostante non avesse nulla a confermare quell'ipotesi, la cosa fu sufficiente a convincerlo a non cambiare i propri piani.
Se il figlio di Douglas aveva anche solo una vaga mira ad appropriarsi di ciò che era suo, lui gli avrebbe fatto cambiare idea.

«Una settimana da ora, Ara, ricordatelo bene, poi ripagherò quel bastardo con la stessa moneta con cui ha pagato me otto anni fa» e, furente, mollò la presa.


Aralyn provò a colpire il sacco da boxe, ma appena il pugno arrivò a destinazione mugolò di dolore. La guarigione stava procedendo più lentamente del solito e, nonostante i due giorni passati e le cure di Marion, i miglioramenti nel suo fisico faticavano a farsi vedere.
Di quel passo, si disse, non sarebbe mai riuscita a rimettersi in sesto per prendere pare all'attacco che suo fratello aveva annunciato di voler ancora portare a termine. Una follia a cui era certa lui non avrebbe rinunciato – non ora che conosceva la vera identità di Joseph.
Prima di entrare nello studio del suo Alpha, era certa che Fernando gli avesse già detto tutto, invece lui non era nemmeno stato convocato e lei, alla fine era stata la miccia della sua rabbia.

Infuriata per essersi fatta fregare a quel modo, provò a dare nuovamente un colpo al sacco, ma ciò che ottenne fu l'ennesima stilettata di dolore e il guaito che ne seguì. No, in meno di una settimana non avrebbe fatto alcun progresso se non si fosse totalmente dedicata al riposo, ma ciò avrebbe comportato anche una preparazione inferiore per il combattimento e, visto i pochi allenamenti a cui aveva preso parte nell'ultimo periodo, non era certa avrebbe potuto partecipare attivamente.
Sbuffando, Aralyn picchiò la fronte sull'involucro dell'oggetto di fronte a sé.
Che fare, quindi? Come riuscire a impedire ad Arwen di morire? O di fargli uccidere Joseph?

«È inutile che ti alleni, Ara. Tuo fratello non ti ha compresa nel suo attacco» il vocione di Garrel risuonò per tutto il magazzino degli attrezzi, arrivando dritta ai suoi timpani.
Crucciata, la ragazza si volse verso di lui: «Che vorresti dire?»

«Quello che ho detto. Tu non vieni» nonostante la serietà con cui la stava fissando, la ragazza non poté che trovare quella risposta uno scherzo di pessimo gusto. Non poteva esserci alcun fondo di verità in quelle parole.

Aralyn soffocò una risata: «Sì, certo...»
L'uomo strinse le enormi braccia al petto, squadrandola con un'espressione ancor più torva in viso; peccato che dopo Joseph, non avrebbe più creduto alle parole di nessuno, se non quelle del suo Alpha – l'unico che, nonostante tutto, non le avrebbe mai mentito.
«Ara, non sto scherzando» affermò, avvicinandosi sempre più: «Il capo ti ha messa alla guida dei licantropi che hanno scelto di non partecipare a questa battaglia» concluse infine, arrivando a poche spanne da lei. Ora, a distanza così ravvicinata, volente o meno, Aralyn dovette ammettere di non vedere in lui alcuna traccia d'ilarità – il ché voleva dire che non si trattava affatto di una presa in giro. Suo fratello l'aveva realmente esclusa dall'attacco ai Menalcan.

Incredula, la lupa si scagliò contro l'amico, afferrandogli la pelle degli avanbracci con le unghie affilate – più simili ad artigli che a qualsiasi cosa potesse essere definita umana.

«Non può farlo!» sbottò, sgranando gli occhi, ma Garrel non parve affatto cedere. La sua espressione rimase immutata, anche se nello sguardo gli si poté leggere una sorta di compassione – dettaglio che mandò ancor più su tutte le furie la sorella dell'Alpha.

«Io devo partecipare a questa cosa» nel dirlo però, la voce prese un'incrinatura tutt'altro che piacevole. Sì, perché la paura di restare all'oscuro di ciò che sarebbe potuto succedere ad Arwen o Joseph la mandava in crisi – non poteva né permettersi di perdere uno, né l'altro.

«Non sei nelle condizioni per farlo, lo sai anche tu».
E, senza rifletterci, infilando gli artigli nella carne dell'omaccione di fronte a lei, Aralyn sputò il commento più crudele che si fosse mai fatta sfuggire: «Io? Io sono la cosa migliore che sia capitata a mio fratello! Sono nella fottuta squadra d'élite di questo clan... uno storpio non può decidere del mio destino!»

Non capì la gravità delle proprie parole fin quando, negli occhi scuri dell'amico, non apparve un annichilante sconvolgimento. La sorpresa di Garrel la colpì dritta nello stomaco e, appena si rese conto di aver additato suo fratello nel peggiore dei modi, si sentì un mostro.
Per anni aveva aggredito qualsiasi persona si rivolgesse a lui in quella maniera, sapendo quanto la cosa lo avesse ferito e quali tipi di sofferenze avesse dovuto affrontare, eppure ora si ritrovava a essere esattamente al loro posto; se il gorilla di fronte a lei avesse deciso di colpirla, non l'avrebbe affatto biasimato.

Lui però non si mosse. Rimase fermo a guardarla in quel modo umiliante, facendola sentire sempre peggio.

«I-io... io non volevo dirlo»

Garrel a quel punto si scrollò di dosso le sue unghie, sospirando.
«Credi che non sappia che la sua sia una follia? Siete entrambi in pessime condizioni. Tu ferita, lui menomato e fermo da anni. Però...» lo vide abbassare lo sguardo, portarlo sui segni rossi che lei gli aveva procurato: «però preferisco perdere un Alpha, che due. Se tuo fratello non dovesse sopravvivere...»
Aralyn lo fermò subito, iniziando ad agitare la testa con foga: «No. Non dirlo. Non azzardarti a farlo Garrel» la voce spezzata, le guance rosse come pomodori. Sapeva benissimo cosa stesse per dirle – e non volle sentirlo.

«Ascoltami Santi'iddio!» urlò, afferrandole le spalle e scuotendola: «Se lui muore, tu ne prenderai il posto! Sei l'unica a poterlo fare».
Per quanto terribile, il commento del licantropo aveva fondamenti di verità, ma a prescindere da questo, lei non avrebbe mai rinunciato a partire al loro fianco. Poteva anche essere l'unica a poter sostituire Arwen nel clan, ma non lo avrebbe fatto, non dopo ciò che era successo e ciò che sentiva agitarsi dentro al solo pensiero di tornare dai Menalcan.
Alpha o meno, sarebbe scesa in battaglia con i suoi confratelli, impedendo a Joseph e Arwen di ammazzarsi a vicenda.

 


 

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Capitolo 60
*** Il divario tra di noi ***




57. The gap between us

Con un sopracciglio alzato e un dito a tener la tempia, Arwen osservò la sorella da cima a fondo, scrutando il modo in cui, furente, aveva deciso di presentarsi da lui. Si era aspettato una sua visita, soprattutto dopo aver annunciato ufficialmente la decisione di perpetrare l'attacco, ma certamente non avrebbe mai sospettato che lei lo venisse a sapere in così poco tempo.

«Io vengo con te» la sentì ringhiare.

Nolente quindi, dovette chiudere il plico di fogli che teneva nell'altra mano e su cui, minuziosamente, aveva messo le basi per il suo progetto d'attacco.

Cinque giorni, il countdown era iniziato, ma seppur Aralyn fosse stata fisicamente pronta, Arwen aveva per lei altri piani, soprattutto visti i sospetti che avevano preso ad assillarlo: «Preferirei ti occupassi del clan. Ci sono molti confratelli che non possono e non vogliono partecipare». Quello era il compito più adatto a lei, al sicuro e lontano dalla furia dei Menalcan, ma in particolare al riparo da possibili ulteriori ferite.

La ragazza, a falcate furiose, si avvicinò a lui fino ad arrivare a un soffio dal suo naso. Occhi negli occhi, l'Alpha si sentì immergere nel calore delle sue iridi vagamente dorate, tanto che dalla rabbia della sorella parve venir scottato. 
Per un attimo il fiato gli si mozzò, incapace di capire se fosse per via della sorpresa o della bellezza di cui lei si era vestita in quel momento. Alterata, in conflitto con il suo lupo interiore, Aralyn diventava ancora più interessante ai suoi occhi – lo aveva scoperto anni prima.
«Con che coraggio mi vuoi tagliar fuori?» gli domandò, senza mai smettere di fissarlo, ma prima che Arwen potesse anche solo valutare una risposta, la giovane riprese, incalzante: «In questa guerra siamo sempre stati in due. I fratelli Calhum, insieme, per sempre. Lo hai detto tu, no? Quindi non puoi andar là senza di me. Non puoi azzardarti a lasciarmi indietro, non dopo ciò che ti hanno fatto l'ultima volta» lentamente, lo sguardo di lei si fece umido, tradendo la sicurezza con cui si era presentata a lui. E quella paura, la preoccupazione di vederlo tornare nuovamente ferito, smosse qualcosa nella sua memoria, ricordandogli tutti i giorni e le ore che la sorella aveva trascorso al suo fianco, accudendolo.

Cocciuta come era su quella questione, l'Alpha era certo che non avrebbe ceduto. La possibilità di poterlo perdere, si disse, doveva essere per Aralyn una specie di trauma – ma la problematica era reciproca, soprattutto dopo quella settimana.

«Vogliamo parlare di cosa hanno fatto a te? Sei fuggita per miracolo! Chi mi assicura che verrai graziata anche stavolta? Sì, siamo noi due, solo noi due... e se dovessi finire nelle Lande Selvagge né Klaus, né Veronika avrebbero pietà di me, sapendo ciò che ti ho fatto fare e subire» sussurrò con dolcezza, accarezzandole piano una guancia e provando a giustificare la sua decisione; nonostante dubitasse potesse servire a qualcosa.
I fantasmi dei loro genitori lo avrebbero assillato fino alla nausea, se non avesse quantomeno provato a dissuaderla. Avrebbe persino potuto ordinarle di non seguirlo, di ubbidire al suo volere, ma era sicuro che lei non avrebbe mai rinunciato a quella missione, sapendo cosa la stava spingendo a insistere tanto.

Aralyn avrebbe trovato un modo per seguirlo, per lottare al suo fianco in qualsiasi modo.

«Ciò che ho fatto e subìto sono state mie scelte, Arwen, ed è anche una mia scelta venire con te e vendicarmi di tutto ciò che abbiamo passato per colpa di quei Puri» lo spazio tra di visi dei due fratelli si accorciò ancora, facendo quasi sfiorare la punta dei loro nasi. Il respiro di lei lo colpiva ritmicamente, scaldandogli le guance e, involontariamente, il cuore pompò con più potenza.

«Se mi ami, fammi partire con te» sibilò lei, in modo che quell'ultima frase fosse solo per l'Alpha, al pari di un segreto.


4 giorni, 18 ore e 53 minuti

 

Joseph si trascinò per i corridoi di Villa Menalcan lanciando sguardi circospetti intorno a sé, anche se tutto ciò di cui gl'importava realmente qualcosa, era arrivare nella propria stanza e nascondersi sotto alle lenzuola, mettendo forse a tacere i pensieri scomodi.

Aveva corso per ore ed ore in mezzo al bosco che circondava quell'enorme magione, provando a ritrovare sul terreno le orme di una persona che ormai era lontana, sia da lì, sia da lui. Aveva saltato tronchi caduti, massi, dislivelli del terreno e rincorso suoni di dubbia origine, arrivando persino a sentir dolere le zampe da lupo – che ora erano le stesse gambe che tremanti provavano a portarlo fino alla stanza.

Era stato il suo ennesimo tentativo per sfogare tutta la frustrazione che aveva accumulato, senza però riuscirci veramente, perché alla fine aveva finito sia con il pensare a Kyle, sia con il pensare a lei. Però era stato il modo più efficace per liberarsi degli scagnozzi di Gabriel che, a differenza di Douglas, non aveva ancora smesso di dubitare di lui – era convinto, in modo assoluto, che dietro alla liberazione di Aralyn ci fosse lui. E come dargli torto, del resto? Era stato il primo, se non il solo, a vederli nella stessa stanza d'hotel con addosso i segni inconfondibili del piacere, quindi l'azione di Kyle non aveva fatto altro che alimentare il suo sospetto che, quello successo tra loro, non fosse solo un atto fine al successo della missione.

Compiendo un'ultima falcata, giunse alla porta della propria stanza e, senza più curarsi di ciò che gli stava attorno, attraversò la soglia con un sospiro.
Finché non avessero avuto una rivalsa sul Duca e i suoi, il primogenito dell'Alpha non avrebbe smesso di torturarlo; questa era l'unica certezza rimastagli.

Il giorno seguente, come ormai accadeva da troppo tempo, Joseph si svegliò in un letto eccessivamente grande per lui soltanto. Oltre a percepirlo vuoto, quasi vi dovesse essere qualcun altro a riempirlo, gli sembrava che le lenzuola non si scaldassero mai abbastanza, facendogli continuamente sentir freddo.

Le palpebre pesanti cercarono di persuaderlo dall'alzarsi, ma lui, imperterrito, ignorò i segnali del corpo, tirandosi su a fatica. Non c'era notte in cui gli incubi si risparmiassero di fargli visita, momento in cui il suono delle ossa rotte di Kyle smettesse di rimbombargli nella mente. Non c'era buio a consolarlo, solo il viso esterrefatto di Aralyn nell'istante in cui, finalmente, scopriva la sua vera natura, quello di uno squallido Menalcan. Ed era sempre lei, poi, a trasformare i suoi sogni in visioni terribili. La vedeva gridargli contro, venir nuovamente sbattuta al muro dalle immense braccia di Gabriel e, nel peggiore dei casi, se la ritrovava sanguinante e morente tra le mani – a ucciderla, sempre lo stesso licantropo: lui.

Con un grugnito spostò le lenzuola mal avvinghiate al suo corpo e, nel farlo, rivelò piccole macchie rossastre e resti di terra – doveva essersi addormentato senza nemmeno accorgersene, troppo stanco per riacquistare realmente lucidità anche nei momenti di veglia, quando con il fiato corto spalancava gli occhi e si costringeva a non chiamare il nome di lei.

Ogni chiazza era testimone della corsa sfrenata a cui si era dedicato il giorno precedente, provando a distrarre la mente dalla sofferenza. Parlava di come non si fosse mai fermato, del modo in cui imperterrito avesse cercato di attraversare rovi e schivare massi, ottenendo ben pochi risultati.

Sbuffando, si prese il viso tra le mani, cercando di strofinare gli occhi e riprendere un minimo di contegno. Senza Kyle a portargli il caffè e discutere delle ultime news però, tutte le mattine faticavano a prendere il giusto ritmo; e la mancanza di voglia di incontrare altre forme di vita non aiutava certo l'umore.

Il clan iniziava ad andargli stretto.

Così come l'idea di dover, un giorno, prendere il posto di suo padre – anche se Gabriel, a parte l'ignoranza palese, era ben più indicato di lui per un simile ruolo.

Sì, perché Joseph aveva smesso di provare anche quel minimo piacere che sentiva in precedenza quando varcava la soglia di Villa Menalcan. Né il suo posto all'interno della prestigiosa compagnia di famiglia, né tra i suoi confratelli, riuscivano più a riempirlo come i mesi che aveva trascorso tra i nemici. Le risate e il calore provato con loro erano estranei alla vita che aveva sempre condotto lì – e gli mancavano tanto quanto Aralyn.

Il mondo che gli avevano fatto scoprire era ben più allettante di quello che aveva sempre conosciuto e difeso.

Però ora era lì, e ci sarebbe dovuto restare per tutti il tempo necessario a proteggere la licantropa che amava, quindi si fece forza e, con un colpo di reni, si issò dal materasso per andare a lavarsi via di dosso i resti del trastullo del giorno prima.

Sotto al getto d'acqua fredda, scelta apposta per costringersi ad abbandonare i resti del sonno, si tolse di dosso ogni residuo di terra e sangue. Tolse tutto, lasciando il proprio corpo adorno solo dei segni indelebili delle fauci e degli artigli, e dell'inchiostro che per anni si era fatto mettere sottopelle.

La schiuma copriva i disegni, mentre l'acqua li liberava dal soffocante bianco dal profumo di pino silvestre; ma persino coperti, non avrebbe potuto dimenticare nemmeno uno di quei tatuaggi. I musi dei lupi che si andavano a inerpicare dal polso alla spalla preannunciavano feroci battaglie; gli intarsi che vi si arrovellavano attorno, ricordavano alcuni manufatti appartenenti alla cultura celtica, da dove la loro stirpe si dicesse prendesse origine e le ombre chiamavano agli occhi il ricordo delle notti di Luna, quei meravigliosi momenti in cui potevano concedersi di essere davvero chi la Madre aveva scelto che fossero.

Ogni centimetro di epidermide aveva qualcosa da dire, una storia da raccontare: quella degli umani che potevano diventare belve e quella delle belve che mai sarebbero potute tornare umane. In breve, la differenza che divideva Puri da Impuri. 
I Menalcan dal Clan del Nord. 
Lui da Aralyn Calhum.

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Capitolo 61
*** Ultima possibilità ***


58. Last Chance

4 giorni, 18 ore, 37 minuti

Aralyn usò l'ultima arma che aveva a disposizione: quell'amore malato che li aveva uniti da sempre – e per farlo dovette ricorrere a tutta la forza di volontà che sentiva in corpo. Spinse fuori dai denti quella supplica, gettandola addosso ad Arwen conscia che fosse una bomba a orologeria, poi attese.
Ogni secondo di silenzio, però, le faceva sempre più contorcere le budella. Non aveva idea di come lui avrebbe potuto reagire, men che meno sapeva come affrontare le conseguenze delle sue parole. Sì, perché il suo Alpha avrebbe certamente costruito castelli di sabbia su quel sentimento da lei millantato, mutato pian piano con la presenza di Joseph al suo fianco. A differenza di quello per il fratello però, quello che provava per il Puro, era un sentimento che continuava a viverle dentro, al pari di un fuoco fatuo – labile, eppure impossibile da estinguere.
Il viso dell'albino diventò una maschera di stupore, quasi non si fosse aspettato una simile dichiarazione. La fissò con una curiosità che Aralyn temette. Era certa che suoi occhi indagatori avrebbero potuto scorgere in lei qualche sorta di dubbio, ma dalla sua bocca non uscì nulla, solo respiro caldo.
Che non vedesse la crepa formatasi tra loro dopo il primo bacio che aveva dato a quel traditore, durante un innocente allenamento all'aria aperta? Possibile che non si accorgesse del vuoto che si era formato tra loro dopo che era stata sua? Era possibile che Arwen fosse tanto cieco? Forse, ebbro del suo sentimento animale, non riusciva a rendersi conto che ora, in lei, viveva qualcosa di più umano – un amore fraterno che non sarebbe più mutato.
Mordendosi la lingua per impedirsi di dire qualcosa di sbagliato, si rimise dritta, senza però arretrare. Ferma in mezzo alle gambe dell'Alpha, alla mercé di qualsiasi sguardo indiscreto, vista la poca intimità del portico, rimase in attesa di qualcosa che nemmeno lei seppe definire.
La reazione di Arwen però non fu quella aspettata e, afferrandole con poca grazia un polso, la fece nuovamente chinare all'altezza del suo viso, sfoderando un ghigno che alla ragazza fece tremare le ginocchia. La prese poco sotto alle croste dovute all'argento, nella parte ancora livida del braccio – e strinse, tanto che Aralyn si dovette imporre di non storcere la smorfia.

Era pazzo? Non si rendeva conto del dolore che le stava procurando?

Il capobranco, nuovamente a un soffio dal viso di lei, ringhiò: «Se non ti fosse chiaro, ragazzina, è proprio perché provo determinate cose per te, che non ti voglio vedere sgozzata da un lurido Menalcan».
Una motivazione certamente più logica di quanto la ragazza volesse ammettere, ma che comunque non l'avrebbe fermata dal compiere il suo dovere - non voleva alcun conto in sospeso con Joseph e, se per farlo avrebbe dovuto impedire ad Arwen di ucciderlo, allora gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote.
Ad ogni modo, nell'obiettare, la voce le tremò, ma non poteva certo dargliela vinta così; non poteva lasciarlo partire senza di lei.

«Eppure non ti ha mai fermato, questo amore. Quando ti faceva comodo ero la prima a essere buttata nella mischia. Non sono forse le tue fauci e i tuoi artigli? Allora come puoi negarmi questa battaglia?»

Un guizzo febbrile passò negli occhi dell'uomo e prima che potesse rendersene conto, Aralyn si trovò con la schiena sbattuta contro un palo in legno, mentre le dita di lui le si stringevano al collo – furiose quanto il loro proprietario per quella mancanza di rispetto.
Fu scontato, con quella reazione, attirare su di loro i pochi occhi presenti in cortile, ma ciò non servì a calmare il capobranco che, ancora più imbestialito di quanto potesse essere stato nei giorni precedenti, provò a rimetterla in riga.

«Non osare parlarmi così» le disse a denti stretti, mentre i connotati del viso prendevano a mutare, seguiti da un raccapricciante suono di ossa in continuo movimento.
Seppur nolente, la ragazza-lupo si ritrovò a pentirsi di aver osato tanto, di avergli sbattuto in faccia quel fatto – dopotutto lei era sempre stata la prima ad accettare senza esitazioni quelle missioni e, quando agli inizi Arwen si era ritrovato restio a farla partire, lei si era infilata senza permesso all'interno dei bagagliai delle auto in partenza, provando a dimostrargli quanto fosse degna di essere il suo gladiatore in quell'arena di belve.
Cosa cambiava, ora?
Perché non la riteneva più degna?
Che temesse di poterla perdere sul serio, dopo quello che era successo?

«Io sono il tuo Alpha, Aralyn, che tu lo voglia o no, quindi se dico che resti qui, lo fai» ringhiò ancora, questa volta avvicinandosi tanto da toccarle la punta del naso.
Ma lei era testarda, avrebbe dovuto saperlo visto che era una dote comune e, quindi, a dispetto della paura provata in quel momento, riprese con il piano iniziale. Una lacrima le corse giù dall'angolo dell'occhio, bollente come il sole estivo: «N-non t-ti lasc-scio» si sforzò di biascicare, anche se la presa al collo non aiutava affatto il suo tentativo. Arwen stringeva, incurante di quanto male le stesse facendo. La stava punendo per aver osato sfidare la sua autorità, come i primi tempi dopo la convalescenza; e una sola parola sbagliata avrebbe potuto far sì che i suoi artigli si puntassero sulla giugulare, minacciandola in modo concreto.

«T... io t-ti amo trop-troppo per p-per-perder-ti» mentì, aggrappandosi un'ultima volta al suo cuore e cercando di graffiarlo a tal punto da farlo cedere; cosa che d'un tratto parve avere una qualche sorta di effetto su di lui.

L'uomo mollò la presa, si morse il labbro e volse la testa in un gesto di resa.
Passò le lunghe dita in mezzo alla chioma pallida e poi, dopo alcuni istanti di totale silenzio, fece saettare lo sguardo su di lei, mozzandole il respiro.
Cosa le avrebbe fatto? Quali parole le avrebbe rivolto?

«Se ti comando di andar via, però, lo fai. Non accetto insubordinazioni, Ara. Questa non è una cazzata, lo capisci? Ho bisogno di sapere che sopravvivrai a me e ai Menalcan».

E, sentendo una perversa gioia scaldarle il petto, Aralyn annuì, fiera di aver almeno ottenuto il permesso di seguirli.

3 giorni, 8 ore, 7 minuti

Aralyn osservò la finestra per qualche istante, lasciando che gli occhi si riempissero della luce tenue del mattino marzolino. 
Aveva passato la notte sveglia a osservare il mondo intorno a sé; la fauna dormiente e la flora viva, gli astri intenti a danzare sopra la sua testa con una lentezza invidiabile – e a compiacersi. Provava una sorta di appagamento sapendo che, alla fine, aveva ottenuto ciò che desiderava: tornare a Villa Menalcan, proteggere sia suo fratello, sia il licantropo che le aveva spezzato il cuore e poi, finalmente, dirgli addio - senza lasciare nessun debito in sospeso.

Era una follia, certo, lo sapeva bene anche lei, eppure non poteva impedirsi di desiderare di vederlo un'ultima volta – e poi cancellarlo per sempre dalla propria memoria. Lo doveva a Kyle prima che a chiunque altro. Doveva a quel martire la consapevolezza che lei, infine, avesse accettato l'aiuto di Joseph Menalcan, ma che per il bene di entrambi e il dolore che le dilaniava il petto ogni volta che il suo nome si faceva completo nella mente, aveva deciso di abbandonarlo.

Dopotutto, persino se non l'avesse tradita a quel modo, non avrebbero mai potuto stare insieme. Il Duca, così come suo fratello, avrebbero reclamato il sangue del suo casato fino alla fine dei tempi, e lei, da brava soldatessa, avrebbe dovuto portarglielo.

Questo avrebbe quindi sottointeso la morte di uno di loro – anche perché, per un Puro, specialmente se Nobile, lasciare il proprio branco era cosa assai rischiosa. Molti clan, come i Menalcan, ma anche quello di Ophelia e di altri membri del Concilio, non vedevano di buon occhio gli esili, piuttosto, preferivano uccidere il malcapitato che voleva allontanarsi da loro, in modo che la sua discendenza non potesse mai né macchiarsi, né tornare a reclamare il proprio posto nel branco.

La tolleranza, in certi ambienti, rasentava il nulla.

Con uno sbuffò, Aralyn volse lo sguardo verso la cassapanca infondo al letto, lì dove, con estremo anticipo e attenzione, aveva posto gli indumenti che avrebbe indossato per l'ultimo viaggio verso Joseph. Sì, perché mai sarebbe tornata, mai gli avrebbe permesso di ghermirla e ferirla nel modo in cui aveva fatto. Avrebbe ripreso a considerarlo solo un nemico, un licantropo da cui tenersi lontana, ma il quando, era ancora da definire.

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Capitolo 62
*** Il dado è tratto ***




59. The dice is cast

2 giorni, 17 ore e 15 minuti

Svegliata dagli incubi e convinta a scendere dal letto a causa del tremendo frastuono al piano inferiore, Aralyn si decise ad andare a indagare. Vestita dei pochi lembi di stoffa che componevano il suo pigiama, scese le scale con gli occhi ancora carichi del sonno che da troppo tempo era diventato irrequieto.
Già all'ingresso, dove la porta era stata lasciata aperta, riuscì a scorgere qualche dettaglio fuori posto e, appena le capitò accanto qualcuno di familiare, lo bloccò per una spalla.
Fu Brie, la stessa lupa con cui aveva litigato qualche tempo prima, la sfortunata vittima del suo placcaggio. A prescindere dall'insofferenza provata nei suoi confronti, la giovane Calhum provò a non farsi sopraffare e, con la bocca ancora impastata e la voce roca, le domandò cosa stesse succedendo - in fin dei conti, la partenza per la Scozia era stata fissata in tarda serata, un simile caos era quindi difficile da spiegare.
L'altra si volse con lei verso il cortile esterno, dove fin troppe auto stavano occupando lo spiazzo e, alzando le sopracciglia scure e spesse, rispose come se nulla fosse: «È arrivato un po' di aiuto. Tuo fratello ha chiamato degli amici qualche giorno fa, ma qualcuna è per noi, per andare al Rifugio e portar via gli altri».

Già, si disse, perché Arwen le aveva trovato un sostituto in un batter d'occhio, affidando proprio a Brie il compito di condurre i loro confratelli impossibilitati alla battaglia, o troppo pacifici per prenderne parte, lontano dai luoghi che Joseph aveva conosciuto, in modo da proteggere il branco.

Aralyn corrugò le sopracciglia, confusa: «Che intendi con "ha chiamato degli amici"?»
«Beh, che ha chiesto aiuto per recuperare il Pugnale della Luna... non eravate più di una ventina a voler partire, quindi sono arrivati altrettanti licantropi del Duca» e, a quell'informazione, il sonno parve scivolarle completamente via di dosso.

Senza salutare si mosse svelta verso la caffetteria e lì, spalancando le porte con entrambe le braccia, si trovò al cospetto di quello che, in tutto e per tutto, dava l'idea di essere un plotone d'attacco sovrannaturale.
Lo stupore la travolse con tanta intensità da lasciarla immobile sulla soglia, mentre persone viste, conosciute ed estranee le passavano accanto o le lanciavano occhiate curiose.

Sgranò gli occhi, provando poi a dire qualcosa che però non prese forma.
Non aveva mai visto, in quello spazio della Tana, tanti licantropi pronti alla battaglia. Ognuno di loro era munito di zaino, vestiti scuri e comodi, sorrisi beffardi che avrebbero dovuto nascondere la preoccupazione di non tornare più, ma che lei riuscì a decifrare, sapendo di essere la prima a sfoggiare simili espressioni in situazioni del genere.
Fece per addentrarsi lì in mezzo, ma prima che potesse muovere anche solo un passo, una pacca al centro della schiena la spinse oltre la soglia, facendole rimbombare il colpo nella cassa toracica e mozzandole il fiato. La sorpresa, inoltre, non aiutò affatto, costringendola a prendere enormi boccate una volta riacquistato l'equilibrio.

«La bella addormentata è scesa dalla sua torre!» Garrel le si affiancò, sorridendo appena sotto al pizzetto scuro, ma fu questione di pochissimi secondi perché poi, il suo sguardo tornò sulla folla di fronte a loro e dalle labbra uscì un commento che fece rizzare i peli ad Aralyn. «Ed è riuscita a convincere il suo Re a farla partecipare all'ennesimo gioco del massacro» disse a nessuno in particolare, quasi stesse valutando la cosa tra sé e sé.

«Lo hai saputo?» deglutì lei, alzando gli occhi sul viso dell'omaccione al suo fianco.

«So quanto sei caparbia, mocciosa, così come so che voi donne avete sempre un asso nella manica. Il tuo però è stato alquanto sleale...» un'occhiata bieca la colpì in pieno viso, facendole schizzare il cuore in gola. Garrel era, come Marion, il solo a conoscere le dinamiche tra lei e Arwen. Le disapprovava in egual modo, ma a dispetto della sua collega non s'intrometteva più del dovuto, conscio che le cose proibite erano, per i Calhum, al pari del Santo Graal.

Incassando il colpo, Aralyn prese a torturarsi le labbra, riportando lo sguardo sui corpi di fronte a loro, intenti a muoversi, toccarsi per poi allontanarsi.
Ciò che li aspettava, prendeva ora una vera e propria consistenza.

«Non potevo abbandonarvi» sussurrò dopo alcuni istanti di contemplazione.

«Non potevi abbandonare noi, Arwen o la tua personale vendetta? Perché c'è differenza, Ara, e questa volta le possibilità di tornare interi, o vivi, son davvero poche, meno dell'ultima missione».

La pressione degli incisivi sul labbro aumentò: «Questa volta non c'è alcun traditore tra noi, però. Combatteremo come un clan e lo faremo per i confratelli che avremmo accanto» sentenziò, sentendo subito dopo una sorta di nausea provare ad aver la meglio sul suo stomaco.
Il vuoto che le provocava la coscienza di Joseph Menalcan era una sensazione reale, sempre più annichilante in lei - e fingere di non andare al macello per rivederlo le costava fin troppa fatica.

Come si sarebbe comportata, una volta arrivata al suo cospetto? Ciò che l'aveva spinta tra le sue braccia sarebbe tornato a farle visita? Oppure, finalmente, il ribrezzo per un lurido traditore si sarebbe palesato con la dovuta intensità?
Non ne aveva alcuna idea e, forse, quella era la cosa che la preoccupava di più.
D'un tratto, in mezzo alla ressa di persone, la chioma lucente del loro Alpha si palesò, accompagnata da un sorriso così innocente e naturale che Aralyn faticò a crederlo vero, ma di cui comprese l'origine.
Otto lunghissimi e interminabili anni passati seduto a una scrivania, immerso in libri che narravano d'imprese epiche che lui non avrebbe più potuto compiere e che, ora, terminavano con quella folle decisione d'ignorare i limiti imposti dai muscoli lacerati.
Arwen aveva bramato quel momento più di qualsiasi altra cosa al mondo e con la scusa di dover difendere l'onore del sangue del proprio sangue, della donna a cui aveva donato il suo amore, poteva finalmente lanciarsi contro i nemici e non sentirsi un povero menomato. Certamente, nel suo immaginario, lei gli avrebbe dato la forza per lottare, sopravvivere e, forse, riguadagnarsi un po' del lustro perduto - ma la realtà avrebbe portato a tutti il giusto conto e la giovane lo sapeva bene.
Accanto a suo fratello, comunque, Aralyn poté notare la figura riccioluta di Vince, intento a sua volta a sorridere. Eccoli lì, due vecchi amici, compagni di avventure e addestramenti, pronti ad affiancarsi ancora una volta contro il nemico comune: Douglas.
Con l'amaro in bocca, la ragazza si rivolse nuovamente al licantropo al suo fianco: «Credi che ce la possa fare? La sua... la sua gamba reggerà?»

L'altro soppesò attentamente le parole da usare, visibilmente turbato dell'imminente attacco, ma alla fine trovò il modo per esprimere il proprio pensiero: «In forma d'uomo dubito che possa sopportare anche solo un centinaio di metri, ma... ma nella sua forma di lupo può ancora essere temibile, Ara. Avrà altre tre zampe a sostenerlo, inoltre ci saremo noi a difenderlo. È il nostro Alpha, non potremmo mai abbandonarlo, lo sai meglio di me» e Aralyn avrebbe voluto dire di sì, che lo sapeva, ma non era così. Il loro sangue portava gli stessi geni e, un capoclan, per quanto inesperto e soggiogato dalla volontà, non avrebbe mai potuto totalmente abbassare la testa di fronte a un altro della sua stessa natura - e purtroppo, lei era esattamente come Arwen sotto quel punto di vista.

2 giorni, 16 ore e 58 minuti

Gabriel, dal lato opposto dell'enorme tavolo su cui stavano pranzando, alzò gli occhi nella sua direzione, scrutandolo. Joseph poté avvertire il suo sguardo passare su ogni parte visibile di sé e, come era già accaduto in passato, se ne sentì terribilmente infastidito. Così, posando coltello e forchetta e abbandonando la costata sotto al suo naso, ricambiò l'occhiata, cercando di apparire altrettanto minaccioso. Per un istante rimasero immobili a fissarsi, mentre Douglas, certamente riluttante all'idea di rovinarsi l'appetito, continuava imperterrito a tagliare e masticare.

«Qualche problema, Gabe?»

L'altro alzò un angolo della bocca, abbozzando un sorriso beffardo. In lui tutto esprimeva superiorità: il modo in cui si rivolgeva agli altri, gli sguardi che lanciava, le espressioni che faceva - e al fratello tutto ciò non era mai piaciuto. C'era qualcosa, in Gabriel, che racchiudeva tutti i lati peggiori di loro padre, escluso l'acume e la furbizia; quest'ultima dote latente, capace di palesarsi solo in alcuni rari momenti.

In lui, i muscoli e la forza bruta avevano la meglio su tutto il resto. La sua sete di violenza però era ben vista agli occhi di gran parte dei sottoposti - cosa che, purtroppo, non aveva mai giovato alla fama di Joseph in mezzo al clan.

L'uomo prese un sorso di vino: «Nulla d'importante. Mi stavo solo domandando come ci si sentisse a venir traditi dal proprio braccio destro. Sai, i miei non si azzardano nemmeno a lanciarmi un'occhiata bieca, per paura che li faccia fuori...» poggiò nuovamente il calice sul marmo della tavola, poi riprese: «Inoltre, se la faceva con la stessa sciacquetta che ti sei fatto tu, da quel che ho capito... sennò non si spiegherebbe il motivo per cui l'ha liberata». Un'espressione sempre più divertita prese a riempirgli il viso, generando nell'altro un desiderio quasi incontrollabile di afferrare la lama accanto al proprio piatto e lanciargliela contro. Quale piacere sarebbe stato, colpire e lacerare le carni di quell'idiota, si disse, mordendosi la lingua a tal punto da farla sanguinare.

Per quale motivo doveva ancora parlare a quel modo di Kyle? Non provava alcun rispetto per i morti?

Deglutendo a fatica, Joseph provò a contenere la rabbia, a mandarla giù insieme alla saliva. 
Gabriel sapeva sempre quale squallido commento fare per aizzare la bestia in lui. Non importava il contesto, il primogenito di Douglas aveva sempre qualche parola denigrante o battuta snervante da rivolgergli.

«Anche se fosse? Non ho alcun interesse nelle dinamiche ricreative di Impuri e traditori. Se Kyle ha avuto modo di star con quella, sono solo affari suoi. Poteva scegliersi lupe molto più esperte e affascinanti all'interno del nostro branco». 
Quanto gli pesò rispondere a quel modo. Quanto si sentì la lingua sporca dopo aver definito in quella maniera lei, eppure sapeva di non poter fare altrimenti. Lasciare nella mente di suo fratello troppi dubbi sarebbe equivalso a dargli un pretesto per indagare di più e agire alle sue spalle e, visto che il suo migliore amico ormai era perso, non poteva comportarsi diversamente per tenerla lontana dalle grinfie di quell'uomo.

Ciò però non bastò a mettere a tacere il primogenito di Douglas che, scrollando le spalle, punzecchiò nuovamente: «Eppure nemmeno tu ti sei evitato l'avventura di una notte con lei...»

L'istinto animale di Joseph prese a graffiare le pareti interne del suo corpo, chiamando sangue e dolore. Quanto detestava, anche solo l'idea, che suo fratello potesse riempirsi la bocca con simili parole, o la mente con pensieri del genere. Lui, tanto viscido, sadico e repellente, non doveva nemmeno osare parlare di lei, men che meno di ciò che era accaduto a Novigrad.

Prendendo un grosso respiro e provando sul serio a contenersi al meglio, il ragazzo si protese verso l'altro: «Ancora mi domando quale, delle tante botte che hai preso in questi anni, sia quella che ti abbia rincoglionito a tal punto, fratello» disse fuori dai denti, cercando di non permettere alla sua parte ferina di avere la meglio e mutarlo per compiere un omicidio - cosa che invece, Gabriel, faticò a fare.

Il suo viso si piegò in una smorfia furiosa, mentre i denti si allungavano, le labbra viravano verso una tonalità scura e la pelle si piegava per permettere alle ossa di rompersi e ricomporsi.

Bastava supporre che fosse un perfetto idiota, per fargli perdere il controllo.

Fu però grazie a Douglas che la trasformazione dell'uomo venne interrotta.

L'Alpha picchiò il palmo della propria mano sul tavolo e, facendo sobbalzare le stoviglie, catturò in un solo istante l'attenzione dei figli. L'autorità che possedeva grazie al suo ruolo alle volte era opprimente, riusciva a mettere a tacere persino i suoi eredi - ormai adulti e nel quasi pieno della loro forza.

«Tacete, sant'Iddio!» ringhiò, lanciando a entrambi occhiate furenti. L'azzurro delle sue iridi parve trapassare la pelle e provare a congelare le ossa, tanto da far faticare i due a voltare il capo nella sua direzione.

«Il traditore è morto, lo abbiamo messo a tacere per sempre. Se tuo fratello, Gabriel, è complice di ciò che è accaduto, avrà ciò che merita, ma per ora ha fatto il suo lavoro e ha debellato il male nel clan» continuò, stringendo sempre più la presa sulle posate: «A riguardo di quella femmina, non voglio più udire nulla. Avevamo la sorella di Arwen Calhum, una dei pupilli del Duca, e ciò che siamo riusciti a fare equivale al niente. Potevamo torturarla nel peggiore dei modi, farla supplicare pietà, umiliarla e qualsiasi altra cosa... invece siamo solo stati capaci di farla fuggire» sbottò, quasi sputando per la rabbia.

E udendo quelle parole uscire dalla bocca di proprio padre, Joseph si sentì sollevato. Pensare a tutto ciò che Aralyn avrebbe dovuto passare, se fosse rimasta lì o tra gli artigli di suo fratello, e che invece era riuscita a scampare, lo rincuorò.

Conoscendo le dinamiche del proprio clan, sapeva quanto atroce sarebbe stata per lei la permanenza lì - ma Kyle l'aveva salvata, sia liberandola, sia evitandole simili sofferenze.

Douglas si asciugò le labbra con un panno, catturando nuovamente le attenzioni di entrambi i figli: «Ora, per l'amor di Týr, pensiamo a ciò che abbiamo e che possiamo usare contro i fantocci di Carlyle» disse con più calma, riacquistando il suo solito contegno.

Involontariamente, Joseph sentì i muscoli tendersi e il cuore accelerare nel petto. Cosa aveva in mente suo padre? Quali altre cattiverie aveva intenzione di perpetrare nei confronti del Clan del Nord o del Duca stesso?

«Sappiamo la posizione del loro quartier generale, quella che Joseph ci ha indicato, quindi dobbiamo iniziare a valutare un'azione offensiva»

Il battito del suo cuore rallentò, tanto che temette potesse interrompersi del tutto. Aveva previsto che Douglas, presto o tardi, si sarebbe convinto ad attaccare il Rifugio, ma non avrebbe certo pensato che la cosa potesse accadere subito dopo ciò che era accaduto lì.
Come avrebbe fatto ad avvertire quei poveri lupi indifesi? Non poteva certo chiamare i suoi conoscenti alla Tana e dirgli di portare in salvo tutti! Chi gli avrebbe creduto, ora che la sua vera identità era stata svelata?
Inoltre, con gli occhi di Gabriel puntati su di sé in continuazione, non poteva rischiare di far scoprire il doppiogioco a cui aveva preso parte dal momento in cui era tornato a Villa Menalcan.

Che fare, quindi?

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Capitolo 63
*** 60. Tu, il bugiardo ***




60. You, the liar

2 giorni, 12 ore e 32 minuti

Quando Douglas lo aveva mandato a chiamare, Joseph aveva avvertito la tensione colpirlo come un pugno in pieno viso. Il cuore gli era guizzato in gola e la paura che suo padre avesse scoperto qualcuna delle sue bugie si fece reale.

Ovviamente, se lo stava convocando nelle proprie stanze e non gli aveva detto nulla durante il pranzo, si doveva trattare di qualcosa di estremamente importante, perché l'Alpha dei Menalcan non poteva lasciar nulla al caso.

Così, facendosi forza e provando a resistere alla nausea, si fece strada fino alla sua porta e lì, dopo aver bussato, restò in attesa della voce dell'uomo. Per quale ragione lo voleva vedere? Forse una delle sue menzogne aveva finito con il tradirlo o, forse, Gabriel aveva insospettito loro padre con la sua sceneggiata.
Ad ogni modo, qualsiasi cosa fosse, il ragazzo pregò con tutto sé stesso che ciò che lo stava attendendo oltre la soglia non fosse una punizione – ne aveva già subite tante in passato, così come le aveva viste peggiorare nel corso degli anni; perché il cuore di pietra del patriarca della sua famiglia non era affatto una favola data in pasto ai nemici per farlo apparire più temibile, era reale e non si addolciva nemmeno al cospetto dei suoi stessi figli.

Udendo un vago richiamo da oltre la porta, Joseph si permise d'entrare, stando attento ad ogni singolo movimento. 
Se con Arwen, Aralyn e tutto il loro clan aveva dovuto inscenare una farsa quasi perfetta, con suo padre non poteva permettersi neanche un errore; per Douglas, privare un licantropo della propria vita non era gran cosa e, a prescindere da chi si trattasse, un tradimento non veniva perdonato. Quante volte, dal giorno in cui aveva finalmente ottenuto l'onore di diventare un adulto, il secondogenito del casato si era ritrovato a portare a termine omicidi di quella natura? Troppe.

Aveva lacerato corpi, azzannato arterie, fracassato crani e spezzato colli senza mai farsi domande. Era il volere del suo Alpha dopotutto, ma da quando la vittima di quell'efferratezze era stato Kyle, il ragazzo non era più riuscito a guardarsi allo specchio nello stesso modo. Ogni vita tolta, ora, gli pesava addosso, anche se l'istinto di sopravvivenza e autoconservazione cercava in tutti i modi di dirgli di smetterla con quei pensieri.

Già, perché il vecchio che lo stava aspettando vicino al proprio laptop era, in tutto e per tutto, un assassino senz'anima, annegato nell'autocompiacimento di essere invincibile grazie ai suoi lupi - e purtroppo lui, faceva parte di quel branco.

Abbozzando un sorriso, Joseph salutò il padre: «Volevi vedermi?» 
Provò in tutti i modi a mantenere la calma, ma dentro di sé si sentiva morire, preoccupato in modo eccessivo da ciò che avrebbe potuto attenderlo. E se d'un tratto le mani avessero preso a tremargli?

«A quanto pare...» l'uomo allontanò in modo strano la faccia dallo schermo, cercando di vedere le scritte attraverso le lenti degli occhiali. Ormai Douglas aveva superato la soglia dei sessant'anni, arrivando quasi a sfiorare i settanta, ma nonostante qualche vago acciacco dovuto al suo involucro umano, risultava ancora essere temibile in forma ferina; il lupo più massiccio che al figlio fosse mai capitato di vedere. Né Gabriel, né Garrel o Fernando potevano dirsi altrettanto grossi.

Con il viso scavato e la montatura in carbonio ben appollaiata sulla punta del naso, l'Alpha finalmente decise di abbandonare il pc per rivolgersi verso l'erede. Lo scrutò per qualche istante, soppesando sia il suo portamento, sia il completo scuro che aveva deciso d'indossare; era la prassi, perché nessun Menalcan che fosse risultato trasandato o privo di eleganza poteva permettersi di conferire con lui – una delle tante e stupide regole a cui bisognava sottostare in quel branco.

«Dobbiamo parlare, Joseph, di Arwen e tutto il suo... mucchio di ibridi» alle volte, sembrava che faticasse persino a definirli lupi. Che non li avesse mai considerati degni di appartenere a un casato, o che fossero per lui esseri inferiori, era cosa ben nota, ma che arrivasse a considerarli tanto squallidi era qualcosa che ancora si faticava a realizzare, anche se non ne aveva mai fatto segreto.

Il ragazzo sentì i muscoli tendersi e la gola seccarsi, ma s'impose in tutti i modi di restare saldo al proprio piano e fingere totale ignoranza: qualsiasi cosa suo padre gli avesse detto, lui avrebbe cercato di non tradirsi.

«Ti ho già dato tutte le informazioni che mi hai chiesto o potevano essere utili. Cosa ti serve d'altro?»

Douglas si levò gli occhiali, scrollando la chioma ancora incredibilmente scura, per la sua età: «Quanto pensi ci metteranno, a tornare? Se non per il Pugnale, quantomeno per l'onore della loro consorella, ma comunque non si lasceranno sfuggire il pretesto per colpirci».

A quella domanda, improvvisamente, le paure del giovane si fecero meno assillanti e, muovendo qualche passo in direzione del padre, si mise a ponderare la risposta che avrebbe dovuto dargli.

Che fosse davvero quello il motivo per cui lo aveva fatto chiamare?

«No, non lo hanno mai fatto» confermò, mentre lentamente si faceva passare gli incisivi sul labbro inferiore: «Non sono molti, Arwen ha perso gran parte dei lupi "aggressivi" in questi anni. Sicuramente dovranno valutare i pro e i contro di un attacco, prima di agire, inoltre...»

«Inoltre?» lo incalzò subito Douglas, più che ignaro di come potesse proseguire il discorso, curioso di sapere a quale conclusione fosse arrivato il figlio. Joseph lo capì dal modo in cui, con l'indice e il pollice, il vecchio licantropo di prese il mento e si mise a seguire i suoi movimenti.

Per la prima volta in anni, suo padre lo stava realmente considerando come il suo vice, come Gabe. Che avesse rivalutato il suo valore, dopo la missione tra i nemici e l'uccisione di Kyle?

«Inoltre, credo che la loro priorità non sia attaccarci, quanto più trovare un nuovo quartier generale. La nostra minaccia è meno reale di quanto loro credano, al momento, ma non possono permettersi di tralasciare la cosa. Arwen ha troppo a cuore i membri "passivi" del suo clan» sentenziò, contraendo subito dopo la mascella. Sperò con tutto sé stesso di aver soddisfatto le aspettative dell'Alpha, in modo da potersi concedere un sospiro dopo tutta la tensione.

Douglas abbozzò una sorta di sorriso, sempre troppo ambiguo per essere realmente definito tale e poi, giocherellando con gli occhiali nell'altra mano, fece le sue considerazioni.

«Ho pensato anche io a questa eventualità, oltretutto è passata solo una settimana dalla fuga di sua sorella» i loro sguardi s'incrociarono e Joseph provò a farsi vedere impassibile, nonostante sentisse l'argomento toccargli corde nascoste e che avrebbe tanto voluto restassero mute. Non doveva dar modo, alle teorie del fratello, di instillare dei dubbi in loro padre: se quel vecchio avesse anche solo sospettato di un suo possibile coinvolgimento emotivo nei confronti di un'Impura, avrebbe dovuto dire addio a tutto – soprattutto a lei. Sì, perché quell'Alpha l'avrebbe cercata in ogni angolo d'Europa, l'avrebbe trovata e le avrebbe strappato l'anima dalle carni nel peggiore dei modi; il tutto, solo per punirlo.

«Arwen però è vendicativo, quindi verrà a cercarci. Dobbiamo essere pronti».

«Certamente, padre. Vuoi che faccia tornare il resto del clan alla Villa? In qualche giorno potremmo avere tutti qui» e, nel dirlo, sperò vivamente che Aralyn fosse tanto lungimirante e persuasiva da convincere suo fratello a non agire per lungo tempo, in modo che coloro che sarebbero tornati per difendere il quartier generale dei Menalcan, avessero anche la possibilità di essere rispediti al loro posto.

Visti i precedenti e ciò che era accaduto tra loro però, la speranza non sarebbe servita a molto.

1 giorno e 21 minuti

La Tana era vuota, mentre il cortile gremito. Il rumore di motori e gli schiamazzi dei mannari riempivano ogni angolo della loro proprietà, facendole tremare le gambe. Stavano partendo. In poco più di ventiquattrore avrebbero dato il via alla guerra e chissà quanti di loro sarebbero tornati.

Aralyn socchiuse gli occhi, stringendo i pugni nelle tasche della felpa. 
Aveva paura, ma non avrebbe saputo dire con esattezza di cosa. Temeva la morte? Con una certezza quasi annichilante. La sua? In parte. Quella di suo fratello? Anche. Quella di Joseph? Assolutamente, anche se non avrebbe mai osato dirlo.

Aveva timore dei Menalcan? Sì, delle loro fauci affilate, delle loro mani viscide, delle loro catene corrosive e del puzzo della cella in cui l'avevano segregata per giorni.

Era preoccupata di incontrare nuovamente il ragazzo a cui, anche se solo per un giorno, aveva donato tutta sé stessa? Quasi certamente, ma anche in questo caso non si sarebbe mai permessa di dirlo.

Qualsiasi cosa l'avesse aspettata una volta salita in auto, aveva lo stesso peso di un incubo. Già sapeva che il petto le si sarebbe schiacciato ad ogni città che avrebbero superato, avvicinandoli a Villa Menalcan e tutto ciò che essa rappresentava.

Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare, allontanandola da tutti quei temibili pensieri.

Arwen la stava chiamando da dentro l'edificio e, il motivo, Aralyn temette di saperlo. Ormai aveva fatto il passo più lungo della gamba, aveva ostentato qualcosa che non le apparteneva più, ma che per lui era reale – perché era certa che suo fratello mai avrebbe potuto concepire l'idea che lei, sì, proprio lei, si potesse innamorare di un Nobile Puro.

Così, seppur riluttante, la ragazza diede le spalle al cortile pieno di gente per inoltrarsi nella Tana – quel luogo che aveva già pianto una volta, ma che adesso era pronto ad accogliere nuove lacrime d'addio.

Si mosse lenta per l'ingresso buio, arrivando fino alla base delle scale. Il sole aveva smesso d'illuminare quelle stanze, eppure, grazie sia ai sensi di lupo, sia all'abitudine, riuscì a evitare ogni intralcio.

Il suo Alpha, toccato dai primi raggi della Luna Crescente, se ne stava all'altro capo della rampa. 
Nonostante non vi fosse alcun motivo per sentirsene minacciati, Aralyn non poté evitare di stringersi nelle spalle ed esitare sul primo gradino: «Che c'è?» La sua voce fu poco più che un sussurro e ribalzò lieve sulle pareti, giungendo comunque fino all'altro.

Arwen non disse nulla, la fissò per qualche istante e poi le fece cenno con il capo di seguirlo; dove, però, non fu chiaro.

Cosa aveva in mente? Un'ultima dichiarazione d'amore? Un bacio rubato prima di prepararsi alle Lande Selvagge? Ogni possibilità poteva essere presa in considerazione e accettata, pur di permetterle di partire.

Davanti a quelle prospettive, la ragazza si morse la lingua. Se fossero sopravvissuti entrambi, avrebbe mai trovato la forza di dirgli che qualcosa, in lei, era cambiato per sempre? Sarebbe stata abbastanza forte da assumersi le conseguenze dei suoi errori, tanti che ormai faticava a tenerne il conto?

Un passo dopo l'altro salì le scale, raggiungendo il piano superiore e ritrovandosi al cospetto dell'enorme schiena di suo fratello – quella che aveva sempre visto allontanarsi per le missioni, riempirsi di graffi con il passare degli anni; quella a cui si era aggrappata in lacrime il giorno in cui lui aveva provato ad abbandonarla, perché troppo debole e ridicolo per essere ancora chiamato Alpha.
La osservò a lungo, come se la stesse rivedendo per la prima volta dopo tantissimo tempo. Le sue spalle erano larghe, provate dal peso di tutte le responsabilità di cui si era fatto carico e degli amici che aveva dovuto seppellire, compresi i loro genitori.

«Prima di partire...» il tono di suo fratello sembrò velluto sulla pelle; caldo, piacevole e troppo calmo per essere quello di un uomo in procinto d'andare incontro alla morte. Il suo viso si volse piano, ma quando furono nuovamente faccia a faccia, la sensazione di malessere di Aralyn divenne più opprimente: «ho una domanda».

La saliva faticò a scenderle lungo la gola, così come non riuscì a fare nemmeno un abbozzo di sorriso. Cosa le stava per chiedere? In quale ferita avrebbe infilato le dita, pur di farla sentire in balìa del suo potere?

«Okay. Chiedi».
«Perché Joseph Menalcan ti ha lasciata libera? Quale debito aveva nei tuoi confronti?»

Un brivido freddo le salì lungo la schiena, si fece strada sotto la nuca per arrivare poi a ghermirle il viso. Il vuoto che le si creò nello stomaco parve tanto intenso da volersi mangiare ogni fibra di lei.

E seppe di essere fottuta.

«Perché me lo stai domandando?» La voce tradì la calma che stava provando a ostentare. Si spezzò giusto sul finire della frase, rivelando tutta la preoccupazione che aveva deciso di assalirla.

«Stavo pensando a tutta la situazione, ieri. Ho cercato di mettere insieme i pezzi del puzzle, la tua versione, quella di Fernando e persino le informazioni che avevo già, eppure qualcosa non mi torna» con un passo le si fece vicino, sovrastandola con la sua stazza. Aralyn si trovò completamente spaesata. L'ombra che suo fratello le stava riversando addosso risultava essere terribilmente soffocante e finì quasi a boccheggiare.

Che dire ora? Qualsiasi cosa avrebbe compromesso la sua posizione.

«Perché un Puro, un Menalcan direttamente legato a Douglas, dovrebbe liberare mia sorella?» sibilò, compiendo un altro passo e quasi schiacciandola al muro che separava il corridoio dalla fine delle scale.

Lei scosse la testa con sempre più veemenza. Vedeva gli occhi di lui rilucere nelle tenebre, puntarla come quelle di un cacciatore con la preda – e sapeva da sé che, se Arwen le si fosse scagliato contro, lei certamente non avrebbe avuto alcuna via di fuga. Non c'era abbastanza spazio per sfuggirli e, a quella distanza, anche con la sua gamba malandata, sarebbe riuscito a prenderla.
«C-che stai insinuando?»

Il volto dell'albino si andò ad affiancare a quello di lei. Aralyn poté sentire il respiro bollente di suo fratello passarle lungo la guancia, poi accanto all'orecchio per infilarsi tra le ciocche bionde e scivolare lungo il collo. Stava prendendo grossi respiri, riempiendosi le narici con il suo odore e, d'un tratto, sentendosi così schiacciata dalla sua presenza minacciosa, le lacrime presero a scenderle lungo le guance.
Le sentì scorrere addosso come lava, bruciare quanto il fiato dell'uomo che adesso, in punta di dita, le spostava la chioma dietro la spalla, per poi abbassare un angolo della felpa e della maglia.

Il naso di lui stava percorrendo la sua pelle al pari di una mappa fatta di tracce olfattive.

E lo avrebbe trovato. Se si fosse impegnato, se avesse usato ogni suo gene animale, avrebbe scoperto, ancora incastrato su di lei, l'odore di lui. L'impronta di Joseph. Il lascito di ciò che avevano condiviso.
Perché un maschio lasciava sempre il proprio sentore sulla sua femmina – anche se non si vedevano per lungo tempo. Certo, andava dissipandosi nel tempo, ma si parlava di lunghe settimane, non certo di una decina di giorni.

Pianse, Aralyn, senza però emettere nemmeno un rumore; troppo spaventata da ciò che sarebbe successo di lì a poco.

Così, quando le ricerche di Arwen si fermarono, anche il suo cuore parve smettere di battere.

Suo fratello si allontanò da lei, guardandola in un modo che mai si sarebbe aspettata potesse fare. La fissò con talmente tanta delusione e schifo che per un istante le sembrò che le gambe cedessero, ma invece rimasero ferme a sorreggerla, paralizzate.

Il suono di ossa in movimento le riempì le orecchie e le fece tremare le viscere.

«A-Arwen... t-ti giuro che... ti giuro che non lo sapevo» le lacrime, se possibile, divennero ancora più copiose e il sale sulle labbra fece dolere ogni singolo segno lasciato dai morsi. Sarebbe morta, si disse, stringendo le braccia al petto in un inutile gesto difensivo. Cosa credeva di fare, contro la furia di lui?

Lo sapeva, dannazione! Lo aveva saputo sin dal principio. Sia che Joseph fosse stato un Menalcan o un semplice lupo, il suo Alpha non le avrebbe mai perdonato l'amore per un altro – il fatto che fosse un nemico, uno dei più infimi, altro non era che un motivo per buttarla a calci fuori dal clan, sempre se non avesse deciso di ammazzarla prima.

Fossilizzata contro il muro, osservò il volto di lui diventare sempre più simile a quello di un mostro. I suoi vestiti si tesero fino al limite, mentre il corpo restava sospeso a metà della mutazione.

I muscoli presero a guizzargli sotto la pelle sempre più ricca di peli e i canini divennero vere e proprie lame capaci di minacciare chiunque.
In quel momento, non era né umano, né lupo e, per questo, inquietante persino agli occhi di lei.

Aralyn si fece ancora più piccola e terrorizzata: «È s-successo prima... prima che scoprissi chi fosse!» Eppure, nemmeno le lacrime, o la verità, sembrarono scalfire la sua rabbia. La corazza di ribrezzo di cui Arwen si era vestito poteva far invidia a qualsiasi armatura di adamantio.

Possibile che Mànagarmr, Fenrir, la Madre Luna, la Morrigan, Odino e qualsiasi altra divinità a cui i licantropi fossero fedeli, l'avessero tradita in quel momento e a quel terribile modo? Era questo il prezzo che avrebbe dovuto pagare per la morte di Kyle e il sentimento che aveva provato per il nemico?

Il pugno che suo fratello caricò le passò accanto al viso prima ancora che potesse rendersene conto e, per lo spavento, si ritrovò priva di respiro e con il rumore bianco a farle scoppiare la testa. 
L'aveva schivata di un soffio, facendo sbattere le nocche tra i suoi capelli e contro il muro alle sue spalle. Sì, sapeva bene che il suo Alpha era capace di tale violenza, ma in un angolo recondito di sé aveva sperato fino all'ultimo che capisse il suo errore, che si rendesse conto che altro non era stato se non un incidente di percorso – anche se lo era diventato solo dopo che lui si era rivelato per il Nobile che era.

«Se morirai in questa guerra, Ara, saprò che gli dèi ti hanno ripagata per ciò che hai fatto. Non hai tradito solo la mia fiducia, ma anche quella di ogni compagno morto in questi anni» sputò il licantropo, mentre la peluria bianca sul suo corpo, rizzata, indicava quanto stesse provando a contenersi dall'aggredirla.

«Se sopravvivi, vedrò cosa farmene di una come te» e, senza aggiungere altro, lasciò che la mutazione recedesse, riportandolo alla forma antropomorfa – cosa che, comunque, non servì affatto a tranquillizzare la giovane. Persino nolente, Aralyn non avrebbe potuto impedirsi di sentire, da pare del fratello, l'odio che ora provava nei suoi confronti.

Con un ultimo sguardo malevolo, Arwen s'incamminò verso il cortile, lasciandola lì a sé stessa e, appena lui fu abbastanza lontano, un conato di vomito l'aggredì senza pietà, facendole riversare fuori tutta la tensione accumulata in quei minuti.

Chi avrebbe pregato, adesso?
In quale modo sarebbe riuscita a chiedere perdono?

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Capitolo 64
*** Così vicino, così lontano ***




61. So close, so distant

16 ore e 47 minuti

Aralyn sorseggiò la tisana calda che teneva tra le mani, scrutando oltre le tendine pallide del motel in cui, la sua e un altro paio di vetture del branco, avevano scelto di fermarsi. Si erano separati in modo equo tra i vari agglomerati urbani intorno all'area in cui Villa Menalcan si ergeva, così da non destare sospetti, studiare le condizioni climatiche e riposare almeno qualche ora prima del fatidico scontro con i Puri – eppure, tutto ciò a cui lei riusciva a pensare, era che fosse a un passo da Joseph e a tre camere di distanza da Arwen.

Inesorabilmente, un sospiro le si riversò fuori dalle narici, catturando le attenzioni della compagna di stanza. 
Marion le si avvicinò con il termos in mano, facendo aleggiare per la camera il profumo di mirto e bacche e provando a capire dove lo sguardo dell'amica fosse rivolto, senza però ottenere grossi risultati, visto che Aralyn non stava osservando nulla in particolare.

«Lo so, anche a me fa schifo questo tempo!»

La giovane Calhum tirò un angolo della bocca, fingendo un sorriso. Non era affatto dell'umore per parlare, men che meno per sforzarsi di far credere che tutto fosse okay: dentro di lei c'era una baraonda che faticava a mettere a tacere, nonché la sensazione di schifo che suo fratello le aveva fatto provare per sé stessa. C'era così tanta confusione tra i suoi pensieri che, qualsiasi cosa esterna, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.

Nonostante questo, Marion non era tipa da cogliere simili desideri e, in momenti vuoti, preferiva passare all'azione, riempiendo il silenzio con discorsi vuoti.

Versando un altro po' di tisana, la riccia riprese: «Tutta questa pioggia mi mette malinconia, ma tu più che triste mi sembri turbata. Paura?» un'espressione dolce le si appollaiò sul viso, tradendo la finta superficialità con cui aveva intrapreso quel discorso. Qualcosa, nel suo sguardo, sembrava volerle dire che un po' la capiva.

«Per voi, più che per me» soffiò Aralyn, stringendosi involontariamente nelle spalle. Stranamente, a dispetto di quanto avesse creduto fino al giorno prima, non temeva per la propria incolumità come avrebbe dovuto, ma temeva di vedere uscire dal quartier generale nemico tutti, tranne le persone più importanti della sua vita – che comunque si potevano contare sulle dita di due mani.

«Per Arwen, più che per noi. Sbaglio?»

Sentendo pronunciare ad alta voce il nome del fratello, la ragazza avvertì un brivido freddo correrle lungo la schiena e fermarsi sotto la nuca.

In parte Marion aveva colto il focus delle sue ansie, in parte le aveva spiattellato in faccia quanto i suoi desideri fossero egoisti, ma non per questo se ne vergognò. Lei non era un eroe da film d'azione o da libro strappalacrime, non aveva a cuore il benessere del mondo. Lei era il lupo che provvedeva al branco a cui apparteneva, ma anche l'umana che inseguiva disperatamente e da troppo tempo una libertà a tratti labile e la propria felicità. 
Aveva scelto di combattere per il Duca Carlyle Simmons in modo da restare vicina a suo fratello, entrare nelle sue grazie e non venir più abbandonata, così come si era innamorata di lui per legarlo a sé in modo indissolubile, conscia che un simile rapporto avrebbe scatenato le ire del Concilio e condannato entrambi – ma almeno sarebbero rimasti insieme, anche nelle Lande Selvagge. Le sue, erano state tutte scelte prive di buoni propositi, così come era stato per vezzo personale che si era svestita della sedicenne innocente che era stata un tempo, per indossare pian piano la corazza di soldato e assassino.

Aralyn aveva fatto tutto ciò per sé, per sentirsi indispensabile, per spezzare l'egemonia che i Purosangue avevano su quelli della sua specie e farla sentire priva di doveri nei confronti di un uomo che, altro non era, se non i rimasugli di una famiglia andata persa troppo presto. E ora, ancora per egoismo, avrebbe voluto che lui la liberasse dai sensi di colpa, riprendendola senza esitazioni con sé, ma per farlo, doveva restare vivo.

La giovane prese un nuovo sorso: «Ho fatto un casino...» sbuffò poi, senza però rivolgersi a qualcuno in particolare. La donna al suo fianco, comunque, accolse quel commento in modo inaspettato.
«Far promesse d'amore a un uomo, per regalare il tuo cuore a un altro? Sì, in effetti non è stata la tua mossa migliore...»

Le palpebre della ragazza si spalancarono. Che ne sapeva Marion? Per quale ragione dalla sua bocca, con la solita malizia amichevole, erano venute fuori quelle parole?

Le sopracciglia si andarono a unire al centro della fronte, ma prima che potesse formulare anche solo il preludio di una frase, l'altra riprese: «La Tana ha occhi e orecchie ovunque, dolcezza. Garrel ed io eravamo appena fuori la porta d'ingresso, per evitare che gli altri vi disturbassero. Pensavamo lui volesse un momento di intimità con te, ma a quanto pare...»

Aralyn avvertì il cuore stringersi e le lacrime pizzicarle gli occhi.

Quanto era stata ingenua! Era ovvio che la sua migliore amica avesse scoperto qualcosa. 
Durante il viaggio le aveva rivolto la parola solo in rare occasioni, riversando il suo chiacchiericcio sui sedili posteriori, poi l'aveva coccolata con quella tisana fin troppo dolce – due premure che, se non avesse saputo del suo umore a terra, non le avrebbe mai concesso.

Con gli incisivi, la giovane prese a torturarsi il labbro.

«Come pensi di comportarti?» Marion lasciò appoggiare la testa al muro, mentre con sguardo indagatore provava a leggerle dentro. Lo si poteva notare dal modo in cui, i suoi occhi chiari, se ne stavano fissi sul viso dell'amica.

«Impedendogli di morire?» la voce uscì roca, già troppo corrotta dalla tristezza. Quanto avrebbe voluto evitarsi tutta quella situazione, tornare indietro nel tempo e fare scelte diverse.

L'altra soffocò una mezza risata, abbassando gli occhi verso le proprie scarpe: «Beh, quello è un buon punto di partenza, ma io non mi riferivo solo alla situazione con Arwen». 
Sentendosi sempre più tesa, Aralyn non riuscì a impedirsi di avvertire in bocca il sapore amaro di ciò che l'aveva condotta fin lì. Un amore inaspettato, un tradimento affilato quanto la lama del Pugnale della Luna – e chissà se anche quel pezzo di argento avrebbe fatto altrettanto male.

«Non c'è altra situazione da affrontare» sbottò, lanciando un'occhiata torva accanto a sé e provando a mettere a tacere la curiosità della bionda che, però, non si fece affatto intimidire. Marion, cocciuta come era, avrebbe potuto sfidare chiunque, persino lei. A parte quando si trattava del loro Alpha, non c'era alcuna autorità in grado di zittirla.

«Ah no? Da quello che so, un imprintig dovrebbe impedire alle parti coinvolte di uccidersi a vicenda. Cosa pensi di fare quando Arwen si scaglierà addosso al licantropo che ami?» domandò, stringendo le braccia al petto e fissandola con una serietà che poco le si confaceva.

E, senza preavviso, un senso di spaesamento colpì Aralyn sulla bocca dello stomaco al pari di un pugno. 
Si era costretta a pensare che tra lei e un Menalcan non potesse formarsi un legame del genere, perché impossibile e sbagliato, eppure tutto sembrava dire il contrario; non avrebbe faticato a quel modo a odiarlo se fosse stato altrimenti, così come non avrebbe sentito tanto intensamente il dolore generato dalla verità o vuoto lasciato da lui. Kyle non si sarebbe mai immolato per loro, se a unirli fosse stata una semplice cotta, o una notte di passione senza fondamenta. 
Però c'era una guerra nel mezzo, una faida che aveva avuto origine ancor prima che lei venisse al mondo e, volente o nolente, loro erano schierati ai lati opposti del campo di battaglia.

Pregare Fenrir d'impedire che suo fratello e Joseph non s'incontrassero, era l'unica cosa che le era rimasta da fare, perché lei non sarebbe stata in grado di voltare le spalle a nessuno di loro due.

 

7 ore e 15 minuti

Il tramonto tinse il cielo di uno strano arancione, mente nuvole bluette vi nuotavano dentro, sporcandosi appena con quel colore. A Joseph parve quasi di trovarsi di fronte a un quadro e, sfiorato dalla brezza fredda lasciata dalla pioggia, si concesse il lusso di godere di quel panorama.

Intorno a lui, a parte qualche voce proveniente dall'interno della Villa, o dal parcheggio dove alcuni confratelli discutevano degli affari appena conclusi, non vi era nulla. Né il canticchiare squillante degli usignoli, né il suono delle fronde scosse da quel venticello leggero – e la nostalgia gli riempì le viscere.

La Tana, costruita ai piedi delle montagne e immersa nel verde più selvaggio, pullulava sempre di rumori piacevoli. Quando si svegliava la mattina, il cinguettare allegro lo accoglieva nel mondo reale, mentre a sera le cicale cullavano il suo sonno – un dettaglio che, lì, aveva preso la connotazione di fantasia. Sì, perché i vetri spessi e le pareti di pietra impedivano alla natura di venire a disturbare le orecchie dei Menalcan, ma allo stesso tempo, impedivano che all'esterno venissero udite le grida dei prigionieri, di coloro che venivano puniti, o i piani della famiglia più potente del Concilio.

Quanto avrebbe voluto togliersi gli abiti eleganti e fuggire in mezzo agli alberi che circondavano i giardini della Villa, in modo da illudersi ancora una volta di poter attraversare il sottobosco e ritrovarsi in Austria, al fianco di Aralyn. Peccato che non potesse nemmeno oltrepassare il cancello della magione, figurarsi arrivare fin là.

Gabriel lo teneva d'occhio al pari di un investigatore privato, mentre suo padre si aspettava che organizzasse al meglio sia il rientro dei confratelli lontani, sia l'attacco al Rifugio che, pregò, a quell'ora fosse già stato sgomberato.

Con un sospiro abbandonò la contemplazione del cielo, volgendosi verso l'edificio alle sue spalle.

Immensa, la Villa si alzava per poco meno di una decina di metri, stagliandosi bianca contro le nuvole che si stavano portando via il brutto tempo. Non aveva nulla di minaccioso, eppure poteva essere descritta come uno dei luoghi che più puzzavano di morte. La sua famiglia aveva abitato lì per quasi quattro generazioni, macchiando ogni stanza di sangue, sia amico, sia nemico, ma nessuno pareva mai essersi reso conto di quanto, nel tempo, fosse diventata ripugnante.
Come aveva fatto, per quasi ventisei anni, a dormire sogni tranquilli tra le sue pareti? Possibile che nemmeno uno, dei suoi sottoposti, avesse mai sentito le grida dei licantropi uccisi o rivisto il sangue su pavimenti e muri?

Perché, da quando Aralyn era arrivata lì, lui non aveva fatto altro che rivedere tutti i lupi di Arwen che aveva ammazzato in quel luogo, così come, se si distraeva per troppo tempo, gli sembrava di udire la voce di Kyle parlargli di mille cose – tutti ricordi degli anni passati l'uno accanto all'altro. In alcuni momenti, addirittura, gli pareva di tornare bambino, quando al posto del fantasma del suo migliore amico, tra i corridoi e le stanze, lo aveva affiancato quello di sua madre. Già, perché come detto, Douglas non aveva risparmiato né nemici, né amici. Per lui, solo coloro che gli restavano fedeli sempre e comunque, avevano il privilegio di sopravvivere.

Gabe aveva sempre dimostrato totale asserzione per loro padre, così, quelle piccole sviste di sette e cinque anni, chiamate Elizabeth e Oscar, gli avevano solo procurato qualche frustata e giorno rinchiuso nelle segrete a patire fame e dolore. Ovviamente, qui due mocciosi erano stati spediti nei collegi più lontani e prestigiosi che Douglas avesse trovato, perché, se non Puri, quantomeno i suoi primi nipoti avrebbero dovuto essere intelligenti. Non addestrati come veri Menalcan, in modo che i nemici potessero avere la meglio su di loro e liberare il vecchio dall'incombenza di uccidere il sangue del proprio sangue, ma comunque pronti a lavorare nella società di famiglia.

In quanto a lui, Joseph aveva potuto vantare solo qualche pugno allo stomaco e calcio nei reni, perché i suoi atti di ribellione si erano sempre limitati all'evitare i doveri che gli spettavano, ma chissà cosa ci sarebbe stato in serbo per lui se si fosse scoperto del suo amore per una nemica. 
Se lo chiedeva ogni giorno, così come si chiedeva dove lei fosse o cosa stesse facendo.

In quella prigione dalle linee coloniali, tutto ciò che si poteva permettere per non compiere qualche sciocchezza era pensare ai sacrifici fatti e a quello che lo aveva fatto sentire diverso dal Nobile che era in realtà.

Perché era certo che, presto o tardi, avrebbe trovato un modo per rivederla, se avesse evitato di farsi uccidere prima da suo fratello o il loro Alpha.


 

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Capitolo 65
*** La Villa è vicina ***





62. The Villa is near

Un'ora

Aralyn osservò il condotto di scolo da cui, mesi prima, lei e la sua squadra erano usciti per fuggire dai segugi nemici. Nelle ombre della sera, spezzate solo dalla luna in Primo Quarto, il tunnel pareva ancora più minaccioso di quanto non le fosse sembrato la prima volta, ma nonostante ciò ormai erano giunti fin lì, pronti a dar battaglia e sacrificare se stessi per una vendetta a tratti comune, ma specialmente di Arwen.

Involontariamente, il suo sguardo si posò sulle spalle larghe del fratello che, ancora, non le aveva rivolto mezza parola, ignorandola nel peggiore dei modi; e più lui le negava le sue attenzioni, più lei sentiva il bisogno di avvicinarsi e stringergli la mano, chiedergli scusa e ricordargli che non si sarebbe mai azzardata a tradirlo – o quantomeno, non coscientemente.

Garrel si acquattò, fiutando l'aria e mettendosi in ascolto dei suoni che arrivavano dal fondo di quel condotto lungo una ventina di metri e che, sfortunatamente, li avrebbe lasciati ancora a qualche miglio dalla Villa.

«Se usiamo questo tragitto, dovremmo arrivare là in poco meno di un'ora» sentenziò, valutando l'andamento generale che avrebbe dovuto tenere tutto il branco e, soprattutto, considerando quello del più lento di loro.
Senza correre come forsennati, in modo da evitare inutili sprechi di forze, avrebbero impiegato il triplo del tempo, ma nessuno gli era alle calcagna, né avevano fretta di colpire.

Arwen sembrò soppesare le sue parole, anche se era stato lui, prima del furto del Pugnale, a indicare quella via di fuga come la più sicura. Rimase in silenzio alcuni istanti e, poi, con una pacatezza quasi inappropriata per la situazione, si volse verso i lupi al suo seguito: «Un gruppo parte in avanscoperta, se ci sono Menalcan almeno lo sapremo prima che tutto il branco venga ucciso. Volontari?»

I gemelli furono i primi ad alzare le mani e saltellare come bimbi verso il loro Alpha, entusiasti all'idea di poter dimostrare il proprio coraggio e, soprattutto, di poter iniziare a massacrare qualcuno.

A dispetto dei loro modi amichevoli e del loro aspetto innocuo, erano in realtà veri e propri omicida. La cosa più inquietante, ad ogni modo, erano i sorrisi che comparivano sui loro musi da lupo quando il sangue prendeva a scorrere a fiotti dai corpi nemici.

Insieme a quei due, anche Fernando si fece avanti. La morte, purtroppo, era l'ultima cosa a spaventarlo – ciò che più di tutto lo agitava, era l'idea di dover sopravvivere per altri anni alla moglie e, quindi, ogni scusa era buona per proporsi nelle attività peggiori.
Vedendolo avanzare però, Aralyn non riuscì a evitarsi di sentire la necessità di tirarlo per un braccio e riportarlo in mezzo agli altri, in modo da impedirgli di andare tra i primi.

I volontari comunque non si fecero attendere e, appena il gruppo fu pronto, partì quasi di corsa, sparendo in mezzo all'oscurità del tunnel. Più le loro figure si allontanavano, meno la ragazza sembrava essere sicura di voler proseguire. Stavano davvero andando al macello, ma nessuno dei presenti pareva temere la mannaia che li aspettava oltre quel condotto in disuso.


I passi dei gemelli e Fernando si sentirono per alcuni minuti, rassicurando tutti collettivamente e, quando anche questi furono inghiottiti dall'ignoto di fronte ai compagni, Arwen fece un cenno. Coloro rimasti indietro presero a camminare sulle orme dei sei in avanscoperta, superando il capoclan e fiutando l'aria malsana dovuta all'acqua stagnate sul terreno.

Si mossero con circospezione, avanzando a coppie in modo ordinato. La fermezza con cui procedevano aveva dell'incredibile, frutto di anni e anni di scontri e fughe, di vite plasmate dalla quotidianità violenta in cui erano stati catapultati.

Aralyn lasciò che Marion la precedesse insieme a Garrel. Avrebbe voluto accompagnarla lei però, come le era stato insegnato dalle strategie dell'Alpha e ormai sapeva bene da sé, per ogni membro veloce ci doveva essere uno, o più, feroce, in modo da creare l'offensiva perfetta. 
Così, appena venne il suo turno, al posto di trovarsi accanto qualche sconosciuto massiccio e dalla faccia cattiva, si scoprì affiancata proprio da suo fratello che, se non fosse stato per il suo consueto problema, sarebbe stato il più minaccioso del clan. Escludendo corse o movimenti troppo lesti, l'Alpha era ancora pericoloso, cosa che lei non poteva essere certa si confacesse alla sua personale descrizione.


Arwen l'accompagnò silenzioso all'interno del cunicolo, piegandosi per non picchiare la testa e procedendo con una cautela preoccupante – forse temeva d'inciampare e ridicolizzarsi di fronte ai suoi uomini in un momento tanto delicato. Doveva essere per quel motivo che aveva ignorato il loro disguido e deciso di avanzare con lei, dopotutto era la sola ad aver assistito a tutti i suoi momenti peggiori.

Timidamente, la ragazza alzò gli occhi sul profilo di lui, studiandone l'espressione. Le sopracciglia erano piegate in modo d'aguzzare la vista notturna, mentre le labbra strette in una linea dura che le fece pensare che mai si sarebbero aperte ancora. Non le avrebbe parlato nemmeno in quel frangente – eppure in un momento del genere avrebbe tanto voluto che la sua voce le riempisse le orecchie, in modo da confortarla.
Solo un suono sembrava però volerle fare compagnia, ed era quello delle suole dei loro anfibi sul pavimento melmoso, ma nonostante questo non sembrava essere sufficiente, il suo cuore diventava sempre più simile alla gran cassa di una batteria.

Davvero il suo odio nei confronti dei Menalcan era così profondo da lacerare anche il loro legame? Possibile che l'avrebbe realmente lasciata morire senza perdono, condannandola a vagare da sola per le Lande Selvagge?

Nessuna delle loro divinità avrebbe mai accettato un licantropo ripudiato dal proprio Alpha, nemmeno rivolgersi a Fenrir in persona sarebbe stato sufficiente a farla riunire con i suoi cari nell'aldilà. 
A quel pensiero, lo stomaco le si ribaltò.
La speranza di poter rivedere i suoi genitori, gli amici persi e i compagni caduti era sempre stata l'unica cosa capace di farle affrontare anche i pericoli peggiori – perché se doveva morire per l'amore di Arwen, almeno avrebbe voluto ottenere una mera consolazione.

Fu in quel momento che, con la coda dell'occhio, si accorse di un impedimento proprio di fronte al piede di lui e, con un movimento lesto della mano, lo placcò prima che potesse inciampare.

Le dita di Aralyn si strinsero sull'addome dell'uomo, afferrando la stoffa del maglioncino leggero. Per un istante la sorpresa la colse alla sprovvista e il fiato le si mozzò in gola: come si sarebbe dovuta comportare ora?


I fratelli Calhum rimasero immobili a fissare entrambi nella stessa direzione, lì dove i loro corpi si incontravano per poco più di qualche centimetro di pelle. Il silenzio parve farsi sempre più rumoroso nelle orecchie di lei e, d'un tratto, il nodo che da ore le bloccava le parole in gola si sciolse: «Il tronco». Non fu altro che un sussurro, ma parve rimbombare in tutta la lunghezza del canale di scolo. 
Era la prima frase che si scambiavano dopo più di una giornata e, purtroppo, in quel momento fu anche l'ultima. 
Arwen si lasciò sfuggire un semplice grugnito, riprendendo imperterrito a procedere. Non voleva darle alcuna soddisfazione, men che meno concederle il lusso di una risposta e, così, il profilo tagliente di lui venne sostituito dalla schiena, l'unica parte della sua siluetta che la ragazza poté osservare in tutta la sua interezza – e stranamente non ebbe su di lei lo stesso effetto di altre occasioni. Improvvisamente quelle spalle larghe e il trapezio muscoloso che aveva ammirato per tutta l'adolescenza si trasformò in una simbolica parete invalicabile.

Vedendolo allontanarsi senza alcuna esitazione, Aralyn fu colta da un irrefrenabile desiderio di corrergli dietro, afferragli un braccio e supplicarlo un'ultima volta di dimenticare ciò che aveva scoperto su di lei, ma non lo fece. In un angolo recondito di sé si convinse che, se si fosse fatta vedere così miserabile, non avrebbe fatto altro che alimentare il senso di schifo che ora suo fratello provava nei suoi confronti. Così, stringendo i denti tanto da tagliarsi la lingua, riprese con solennità la marcia verso l'uscita del tunnel, stando bene attenta a non raggiungere mai Arwen. Si mosse nella sua ombra, provando a farsi forza. Ciò a cui però non era preparata, era che ogni passo in avanti che compiva, le gambe si facevano più molli, minacciandola.

Cosa stava temendo, ora? Ancora il fantasma di Joseph Menalcan, che si faceva sempre più concreto, oppure la consapevolezza che il suo Alpha avrebbe persino potuto decidere di abbandonarla?

Non lo sapeva, anzi, qualsiasi certezza a cui si fosse aggrappata in quell'ultimo periodo era diventata tanto labile da farle temere di essere sul punto di scomparire con loro.

Zitta, procedette a occhi bassi. Lasciò che i vaghi riflessi sull'acqua melmosa la conducessero fino all'altro capo di quel malsano percorso e, una volta giunta alla fine, sollevò lo sguardo pregando di non incrociare più la schiena di Arwen – cosa che, sfortunatamente, non accadde.

La sua sagoma era ancora lì e non sembrava affatto volersene andare. Il modo in cui le sue spalle se ne stavano tese in direzione di quello che era il quartier generale nemico parlava più di quanto potesse fare l'Alpha; era pronto alla battaglia, un animale rabbioso in cerca di vendetta – sia da solo, sia al fianco del suo branco. Che lei gli fosse dietro, decisa a sostenerlo in quel folle piano, poco importava ormai.

Ma Aralyn era disposta a tutto pur di dimostrargli che mai lo avrebbe tradito. Si dovevano troppe cose per potersi fare un torto di quel tipo; e volente o nolente, glielo avrebbe fatto capire anche a lui.

«Bene, iniziate a liberarvi dei vestiti. Se li lasciamo qui l'odore di fognatura dovrebbe coprire i nostri. Trovate dei cespugli, del fogliame... qualsiasi cosa che possa essere usato come nascondiglio per pantaloni, maglie e scarpe» gli sentì dire, per poi vederlo muovere le mani e afferrarsi i lati del maglione.
La ragazza seguì ogni suo movimento con sguardo curioso. Era la prima volta che lo vedeva prepararsi allo scontro, spogliarsi delle vesti umane per indossare quelle del lupo assetato di sangue – non vi era mai stato alcun precedente: i fratelli Calhum non si erano mai conosciuti in una circostanza del genere, nonostante fossero insieme da... sempre. Solo nei suoi sogni da ragazzina innamorata si era immaginata nelle spoglie animali e al fianco del capoclan, entrambi ebbri di una furia che non avrebbe saputo descrivere se non con "viscerale".

Sarebbero stati in grado di coordinarsi? Di coprirsi le spalle l'un l'altra? Beh, certamente lei lo avrebbe fatto; avrebbe accompagnato Arwen dentro al covo delle bestie per proteggerlo, ma non sapeva dire se lui fosse disposto a fare altrettanto.

Così, mestamente, abbassò lo sguardo sulla punta degli anfibi per poi spostarlo nuovamente sulla carne del fratello – e trattenne il fiato.

La schiena dell'albino era pallida, anche se un accenno olivastro ne tradiva l'omogeneità; un tempo aveva visto il sole caldo dell'Italia, le spiagge afose della Spagna, ma poi si era fatta imprigionare sotto lembi di stoffa più o meno grandi, nascondendone la bellezza. I muscoli guizzavano sotto l'epidermide, quasi non avessero aspettato altro che quel momento. Parevano scoppiettanti come fiamme alimentate a benzina e, ad arricchire quell'immagine a tratti irreale, un arabesco di cicatrici che copriva poco più della metà della pelle.

Il lascito della Morrigan.
I cimeli del sé guerriero.

Chissà quanti altri segni si sarebbero aggiunti quella notte; chissà quanta carne gli sarebbe rimasta ancora addosso dopo quella battaglia, pensò Aralyn, sentendo l'amaro in bocca farsi sempre più intenso. Vederlo agonizzante per colpa sua era forse tra le cose peggiori che le potevano venire in mente in una simile occasione, ma poi d'un tratto, vedendo le mani dell'uomo scendere alla cintola, le sue gambe ebbero l'istinto di muoversi. 
Se si fosse tolto le brache, cercando di restare in piedi, la sua gamba lo avrebbe tradito e messo in ridicolo davanti a tutti.
Nella testa della giovane, doverlo aiutare era un'azione naturale; lo aveva fatto decine di volte, ma prima che potesse effettivamente avvicinarsi, s'interruppe.

Davanti a tutta quella gente, il suo gesto sarebbe stato visto come una mancanza di rispetto, un modo per ridicolizzare la sua virilità, nonché l'ennesimo pretesto per darle contro e ricordarle in quale situazione avesse messo il suo stesso Alpha.

Aralyn dovette quindi stringere i denti, convincendosi a non agire – non in quel momento, quantomeno – e afferrando la zip della propria felpa prese anche lei a spogliarsi dei vestiti umani. Ormai non c'era più tempo per provare a farsi perdonare a parole o con azioni così insignificanti, se voleva farsi anche solo rivolgere la parola avrebbe dovuto fare qualcosa di più eclatante – come salvargli la pelle.

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Capitolo 66
*** L'inizio ***




63. The Beginning

17 minuti

Aralyn abbassò il muso fino a sfiorare il terreno umido. L'odore di terriccio le s'infilò nelle narici con prepotenza, tanto da farle temere di starnutire senza freni – un dettaglio che, in quel momento, non poteva assolutamente essere dato per scontato. Il singolo rumore sbagliato e tutti loro sarebbero finiti sbranati; perché la Villa era vicina, forse troppo. Nelle sue linee coloniali si stagliava a qualche miglio da loro, animata qua e là da alcune luci che ben facevano capire cosa stesse succedendo al suo interno. La cena doveva essere finita da poco e, se avessero atteso ancora un po', sarebbero riusciti a coglierli di sorpresa, assalendo coloro in procinto di coricarsi.

Avrebbe voluto dire di essere pronta, ma più il suo sguardo restava sull'edificio, più il suo cuore accelerava il battito, tradendola. Era tutto okay? Era davvero preparata ad affrontare tutto ciò che la stava aspettando? Probabilmente no.

Con uno sbuffo spostò le proprie attenzioni altrove, scrutando i dintorni in cerca di qualche possibile nemico. Osservò le siepi curate, i lampioni da terra che mestamente illuminavano il vialetto, ma ciò che più di tutto l'attrasse fu altro: il punto in cui aveva abbandonato Kyle. Con il cuore stretto in una morsa soffocante, si concesse il terribile privilegio di osservare quell'angolo di mondo con il petto pieno di malinconia. Lì, proprio in quel luogo esatto, aveva lasciato che si sacrificasse per lei – o per Joseph, anche se era ancora difficile dirlo.

Per un istante lo stomaco le si torse tanto da farle credere di essere sul punto di vomitare, ma non poteva permetterselo. Tutto ciò che aveva vissuto in quell'ultimo periodo tornò a farle visita, facendole diventare molli le ginocchia.

Come poteva essere tornata lì, in quel medesimo spicchio di Scozia, dopo quello che era successo? Era corretto che avesse rimesso piede in un luogo tanto nocivo per lei? Volse lo sguardo provando a scacciare i pensieri, ma quando questi si fermò su Arwen la risposta le balenò nella mente con un'annichilante limpidezza.

Sì.

Per proteggere ciò che restava del suo passato, della sua famiglia, era giusto che fosse tornata – anche se suo fratello non lo avrebbe più ammesso con tanta facilità.

Guardandolo, si rese conto di come, nonostante le parole dette e le maledizioni fatte, fosse legata a lui. Avevano affrontato ogni sfida, quella che ora li separava era soltanto l'ennesima prova che, una volta conclusa, avrebbe consolidato maggiormente il loro rapporto.

A distrarla da quella contemplazione però, ci pensò Marion.

Le si mise accanto, puntando il muso verso il cielo e lo spicchio di Luna che vi stava in mezzo. Se avessero potuto parlare, la donna le avrebbe certamente detto di restare calma, respirare e ricordare a sé stessa che il clan era al suo fianco per qualsiasi evenienza; ma Aralyn già lo sapeva. Il suo branco l'avrebbe lasciata indietro solo per un motivo: un ordine uscito proprio dalle labbra dell'uomo con cui aveva condiviso tutta la sua esistenza – dettaglio che, pregò, fosse solo una remota possibilità.

Arwen si mosse di qualche passo, avanzando e raggiungendola sulla seconda linea di lupi – anche perché più avanti, a causa del suo manto chiaro, non poteva andare, seppur fosse chiaro che lo desiderasse con tutto il suo essere. Sicuramente, dopo tutto quel tempo, il suo sangue aveva preso a ribollirgli nelle vene insieme all'eccitazione e, a dimostrarlo, furono le fiamme che la ragazza scorse nel suo sguardo. Erano talmente grandi e intense da farle temere che potessero saltar fuori dalle iridi e mettere al rogo tutta la vegetazione che gli stava attorno.

Peccato solo che la volontà non fosse sufficiente in una situazione come quella.

Timidamente, Aralyn fece scivolare i suoi occhi su una delle zampe posteriori del lupo e, irrigidendosi appena, scorse l'enorme cicatrice sulla pelle. Era pallida e nettamente più scavata nella carne di quanto non fossero quelle presenti sulla schiena, terribilmente lunga e visibile.

Nove punti, le ricordò la mente. La persona che lo aveva soccorso ne aveva apposti abbastanza da essere certo che i lembi di pelle non si aprissero più, ma ciò non aveva impedito che gli rimanesse uno sfregio di tale entità.

Studiando quel segno però, la giovane lupa non poté evitare di chiedersi se quell'arto fosse pronto a sostenere suo fratello. Poteva reggere le corse, i salti e respingere gli attacchi dei Menalcan? Poteva riportarlo fuori dal loro covo tutto intero? Lo sperò. Con tutta sé stessa.

L'Alpha, forse accorgendosi delle sue indesiderate attenzioni, girò il muso verso di lei, facendola sussultare.

Per il tempo più lungo che fosse mai trascorso in quegli ultimi giorni, Arwen si mise a fissarla con talmente tanta intensità che Aralyn temette di venir mangiata dalle sue pupille. A cosa stava pensando? Stava forse cercando di dirle qualcosa? Non avrebbe saputo dirlo. In quel momento e sotto quelle sembianze, le veniva terribilmente difficile capire cosa gli passasse per la mente.

Per qualche minuto cercò di sostenere il suo sguardo, di dar forma a ciò che si nascondeva dietro a quel gesto, ma alla fine, con l'amaro in bocca, si ritrovò a rinunciare a quell'impresa. Forse, anche se era difficile ammetterlo, la stava fissando per un'ultima volta, in modo da imprimersi bene in mente l'immagine della persona che un tempo era stata il suo tutto, mentre ora vacillava nel niente. Che fosse il suo tentativo di dirle addio?

Riluttante, la lupa si ritrovò ad abbassare la testa e guardare altrove.

Era combattuta, incapace di difendersi dalle sue stesse emozioni. Non aveva alcuna idea di come resistere alla pressione che il suo amore per Joseph le metteva addosso, rovinando tutto ciò che aveva costruito in una vita intera – e non ebbe nemmeno il tempo per rifletterci, perché un ringhio basso e gutturale si levò dal suo fianco, dando il via all'attacco.

Piccoli gruppi si mossero svelti tra i tronchi degli alberi che fino a quel momento gli avevano fatto da scudo, schermandoli agli occhi dei nemici che avrebbero potuto entrare o uscire dalla Villa. Le zampe dei confratelli si alzavano e abbassavano emettendo suoni attutiti dal fogliame umido, tanto leggeri da essere difficilmente uditi anche da chi gli era accanto.

Arwen sembrava aver studiato ogni minimo dettaglio: dalle condizioni climatiche alle sue cliniche, riuscendo a creare il contesto perfetto in cui agire. Che fosse una coincidenza o meno, ad ogni modo, poco importava – tutto sembrava essere a loro favore, anche se ognuno di loro era conscio di quanto le apparenze potessero essere ingannevoli; Aralyn forse lo era più di chiunque altro lì in mezzo.

Vide Garrel avanzare senza alcuna esitazione, affiancato da Fernando e seguito dall'Alpha, e pregò silenziosamente che quella strategia fosse sufficiente a coprire suo fratello. Nelle sue sembianze ferine, infatti, il più grande tra i fratelli Calhum non passava certo inosservato. Non si trattava solo del suo manto, a tradirlo c'era anche la stazza ben poco inferiore a quella degli amici.

Le proporzioni parlavano chiaro: se il più vecchio tra quei tre vantava quasi cento chili di muscoli e più di un metro e ottanta d'altezza nella sua forma umana, da animale non sarebbe stato da meno, ma Arwen era ben trenta chili in meno e qualche centimetro più basso, quindi in forma di lupo, se non fosse stato un capobranco, non si sarebbe spiegata la sua mole. A prescindere da ciò però, agli occhi della giovane non poté che apparire meravigliosamente temibile e terribilmente instabile, molto più di quanto fosse stato in passato – e lo seguì senza nemmeno rifletterci. Fu un istinto primordiale e privo di logica a cui non seppe resistere.

Quella era la belva a cui aveva giurato fedeltà e, finalmente, avrebbe potuto vederlo in azione.

Come un'orda d'ombra, il clan scese lungo gli ultimi avvallamenti del terreno e, coperti dall'oscurità della notte, si fecero strada fin sotto all'edificio. Tutti i presenti si acquattarono a ridosso delle pareti: le lingue a penzoloni fuori dalle fauci, i respiri corti e le orecchie tese. Erano in attesa.

Da oltre le finestre di Villa Menalcan però non giungeva alcun suono. I vetri spessi bloccavano ogni tipo di rumore e, questo, era per loro un terribile svantaggio.

Aralyn avrebbe tanto voluto mordersi le labbra, ma si dovette accontentare di qualche mera imprecazione tra sé e sé – come avrebbero fatto a capire cosa stava succedendo all'interno di quell'orribile edificio? I nemici avrebbero potuto averli già scoperti, ma chiusi al di fuori di quella bolla che era il quartier generale dei Purosangue, i lupi di Arwen non avrebbero mai potuto saperlo.

Proprio quest'ultimo, pochi metri più avanti di lei, cercò di muovere qualche passo in direzione dell'entrata e, nel farlo, la sorella si ritrovò a notare un certo tremore da parte della gamba offesa. Non era nulla di evidente, eppure lei riusciva a percepirlo; dopo tanti anni sapeva riconoscere ogni minimo segnale. Così, per evitare qualsiasi possibile ribaltamento, con uno slancio gli passò accanto, superandolo e muovendosi lesta verso la scalinata che conduceva alla porta principale – la loro, sarebbe stata un'entrata in scena eclatante, sarebbero entrati in postaccio a testa alta, tronfi dello smacco che avrebbero arrecato a ognuno di quei Nobili. Volevano colpirli, prima che nei corpi, nell'orgoglio.

Il suo Alpha la guardò con occhi grandi di confusione e, per un solo momento, Aralyn pensò che stesse provando per lei un qualche sentimento paragonabile alla preoccupazione; perché se temeva per lei, avrebbe voluto significare che ancora ci teneva, che non aveva realmente smesso di amarla – poco importava sotto quali vesti.

La lupa però non esitò, perché se gli avesse dato modo di raggiungerla, certamente le avrebbe impedito di proteggerlo.

Lentamente, e stando attenta a non compiere alcun passo farlo, si avvicinò alla porta, evitando con estrema accortezza di passare di fronte a qualsiasi finestra – anche se le luci erano spente, oltre alle tende vi sarebbe potuto essere chiunque. Possibile, però, che i Menalcan non avessero ancora installato alcun sistema di sicurezza? Dopotutto già una volta, seppur dal retro, lei e i suoi compagni erano riusciti a penetrare nella Villa e, in seguito, grazie a Kyle, anche uscirne.

Douglas era uomo di tradizioni, questo lo sapeva chiunque avesse avuto modo di sentirne parlare; la tecnologia, al di fuori della vita da licantropo, era però un elemento fondamentale per i suoi affari, quindi perché non sfruttarla anche lì? Che temesse un attacco da parte di qualche hacker? Che volesse tenere i propri misfatti lontani da qualsiasi possibile testimone? Era difficile dirlo. Seppur fosse un vecchio dalla mentalità ancora più antica, sotto certi punti di vista, restava misterioso ed emblematico come pochi altri licantropi del suo calibro – Ophelia e il Duca erano forse gli unici a potergli essere paragonati.

Ad ogni modo, sistema di sicurezza o meno, schiacciandosi contro la parete Aralyn si ritrovò a mutar nuovamente forma. Le sue ossa si ruppero e riassemblarono in poco, ma il rumore che emisero parve riecheggiare ovunque intorno a lei, quasi vi fosse un microfono all'interno della sua pelle.

Mutò completamente, ritrovandosi così nuda e inerme a ridosso di una parete capace di trasudare sadismo e superiorità – esattamente come ogni membro di quel clan.

Se avesse dovuto essere totalmente sincera, avrebbe osato dire di provare schifo nel toccarla con le spalle o qualsiasi altra parte del proprio corpo, soprattutto visto cosa le era accaduto solo qualche giorno prima, però resistette all'istinto di staccarsi dalla pietra fredda e, muovendo qualche passo malfermo sul terrazzo, si avvicinò sempre più a quella che era la porta d'ingresso. 
Con le dita si tenne ancorata alla facciata della Villa, quasi temesse di poterla perdere, mentre lo sguardo baluginava in qualsiasi direzione. Si osservò intorno al pari del segugio che era quando la Luna Piena faceva capolino nel cielo e, lanciando di tanto in tanto qualche sguardo furtivo a suo fratello, procedette verso l'obbiettivo. Doveva essere prudente, se non voleva essere presa in contropiede da qualcuno dei nemici.

Si acquattò di fronte alle enormi ante in spesso legno di cirmolo, un'essenza che Douglas doveva aver scelto con minuziosa attenzione per evitare che l'odore del sangue si spargesse troppo al di fuori dell'edificio e lì, pregando tutti gli dei a cui il Duca le aveva detto di essere fedele, sbirciò dal buco della serratura.

Grazie al cielo nessuna chiave era inserita al suo interno, ostruendole la visuale, ma ciò di cui si rallegrò meno fu la presenza di una manciata di licantropi nemici, tutti intenti a chiacchierare e battere in lungo e in largo la superficie dell'androne.

Aralyn si morse la lingua, spostando di slancio il viso dalla fessura. 
Poggiò il capo sullo spigolo del piedritto, imprecando tra sé e sé, furiosa.

Per quale ragione, aveva sperato che il piano inferiore della Villa fosse vuoto? E possibile che Arwen non ci avesse pensato? No, lui lo aveva sicuramente previsto; l'unica differenza era che non gliene importava affatto. Ciò che ora importava realmente al fratello, altro non era che il cuore del figlio minore di Douglas – perché quella promessa, il giuramento che aveva fatto a Joseph di strappargli il cuore dal petto, lei lo aveva imparato proprio dal suo Alpha. Era certa che se lo sarebbe andato a prendere, ignorando persino il Pugnale.

Dannazione, si disse aumentando la pressione dei denti tanto da tagliarsi un angolo della lingua: dannazione, dannazione e dannazione ancora!

Nonostante la minaccia però, non poteva tirarsi indietro – non aveva ancora il potere sufficiente per opporsi al sangue del proprio sangue e, a dire il vero, mai lo avrebbe voluto. Inoltre, a peggiorare la situazione, c'erano i fiati di qualche decina di confratelli sul suo collo, tutti pronti a dar battaglia e vendicarsi.
Così, seppur conscia del pericolo, alzò la mano sinistra, indicando con le dita il numero di nemici che era riuscita a scorgere.

Sapeva che l'Alpha la stava guardando, era perfettamente consapevole di aver i suoi occhi ben fissati addosso, quindi, quando lo vide emergere con il muso dal fondo della breve scalinata in pietra, non si stupì affatto.

Arwen fece avanzare alcuni dei suoi uomini che, al pari di fulmini scuri, si precipitarono accanto a lei, alcuni persino sul lato opposto della porta. Erano in cinque adesso, tutti silenziosi e con gli sguardi famelici tipici delle belve finalmente libere dalle proprie gabbie.

Eike riprese la sua forma umana e, dall'altro piedritto, le sorrise con una complicità che, per la prima volta da quando era tornata nel branco, le scaldò il cuore. Qualsiasi atrocità avesse preso forma all'interno delle stanze della Villa, la sua famiglia le sarebbe rimasta accanto – con o senza il loro Alpha.

Il ragazzo si sporse a sua volta verso la serratura, gattonando come un ladro fin sotto al buco, poi sbirciò dentro la fessura e, constatando da sé la quantità di Menalcan presenti in quell'area dell'edificio, fece segno all'albino e altri di avvicinarsi.

Il conto alla rovescia ormai era prossimo allo zero. Aralyn percepiva quella consapevolezza in modo tetro e fastidioso. Il suo sesto senso le parlava chiaro, la stava mettendo in guardia.

«Pssst!» fece Eike, riportandola con i piedi per terra. 
Per un istante le parve quasi di sbattere il coccige contro un masso, tanto rimase sorpresa e sconvolta. La ragazza si volse subito verso di lui. Gli occhi sgranati e il cuore occupato a far male e tentare di esplodere nel petto. Persino le lacrime avevano preso a inumidirle la sclera – perché d'un tratto si sentiva così intimorita e indifesa? Perché, oltre al già appurato disaccordo morale tra ciò che voleva e ciò che sapeva giusto, ora ci si metteva anche quell'annichilante timore?

«Al tre, Ara. Al tre spalanchiamo la porta» lesse sulle labbra dell'amico.

E se la porta fosse stata bloccata? E se i Menalcan già sapessero del loro arrivo?

Eppure, mentre l'altro tornava dritto sulle sue fragili gambe umane, lei non riuscì a far altro che imitarlo, compiendo il medesimo gesto.

Le mani di lui si poggiarono sul battente tenuto stretto tra le fauci di una testa di lupo in piombo.
«E' una follia» mimò lei con la bocca, scuotendo la testa e guardandolo dritto in viso prima di afferrare a sua volta l'anello. Qualcosa non andava, se lo sentiva sottopelle come se fosse stato una ciste. In più, la lega con cui era fatto quel maniglione parve ripudiare la sua carne, volerla allontanare quanto più possibile da lì, ma quando Eike con un sorriso prese a contare, Aralyn seppe di non aver più tempo – e al tre, così come ci si sarebbe aspettato dal braccio destro dell'Alpha, eseguì i suoi ordini.

Con un colpo di reni tirò a sé l'enorme anta, facendola cigolare sui cardini e aprendo il varco in cui far passare l'orda di confratelli. Sentì i muscoli delle braccia bruciare per lo sforzo, mentre il vuoto allo stomaco prendeva a farsi sempre più grande.
Chiuse gli occhi per paura, temendo che una volta dischiuso l'uscio i nemici si fossero fatti trovare pronti al loro arrivo e quando li riaprì, pochi istanti dopo, non fece nemmeno in tempo a guardare all'interno dell'androne. Una fiumana di manti bruni e ringhi violenti le passò accanto smuovendo il vento e facendo danzare decine di ombre sul pavimento; così la ragazza si ritrovò a balzare indietro di un passo per timore che potessero azzannare persino lei, vista la foga - e, a occhi grandi di meraviglia e terrore, si ritrovò a pensare un'unica cosa: doveva raggiungere Arwen prima che lui trovasse Joseph, perchè la guerra, quella vera, aveva finalmente avuto inizio.

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Capitolo 67
*** Solo a un passo di distanza (1/2) ***





64. Just a foot apart (part 1)

Le gambe di Aralyn presero a muoversi veloci tra i ringhi soffocati di belve troppo occupate a darsi contro, respingersi e azzannarsi per occuparsi realmente di lei, ma nonostante questo avrebbe dovuto prestare attenzione a ciò che la stava circondando, soprattutto vista la pericolosità del luogo e situazione in cui si stava addentrando. La sua mente era però offuscata, ottenebrata da un unico pensiero: trovare quel licantropo, il lupo per cui si era gettata in quel massacro sapendo di poter perdere qualsiasi cosa; e stavolta, in palio, non c'era solo la sua vita, bensì decine di altri elementi che fino a quel momento non avevano mai davvero avuto importanza – di qualsivoglia cosa si trattasse, ad ogni modo, in quel preciso istante non volle soffermarcisi troppo: doveva raggiungere il suo obbiettivo prima che fosse troppo tardi.
Purtroppo per lei però, non aveva idea di dove andare o come orientarsi all'interno di quell'edificio - l'unico luogo che aveva realmente conosciuto era stata la cella sotterranea dove l'avevano imprigionata per quattro giorni. Oltre a ciò, guardandosi intorno, non vide altro che enormi bestie dalle fauci spalancate, pronte ad azzannare qualsiasi pezzo di carne gli fosse capitata a tiro; e lei, in quella forma umana, altro non diventava se non la preda perfetta. Non c'era alcun dettaglio che potesse ricondurla al luogo in cui Arwen si era diretto e, più  cercava tra gli spiragli di vuoto intorno a sé, più perdeva cognizione dello spazio.
Distratta come era, avrebbe potuto essere aggredita nel peggiore dei modi in qualsiasi istante, anche se la possibilità non pareva preoccuparla minimamente - era il sangue di qualcun'altro a farla tremare, un fluido tanto dolce quanto terribilmente amaro, il cui solo pensiero aveva lo stesso effetto di un cappio alla gola.
In preda alla foga, la giovane balzò oltre ai corpi pelosi di alcune bestie, andando così a sbattere contro le pareti perimetrali dell'androne. Qua e là, con la coda dell'occhio, riusciva a scorgere sul marmo chiaro del pavimento piccole schegge di vetro da cui aveva provato a tenersi lontana e che erano sinonimo del fatto che lo scontro si stesse protraendo ovunque nelle terre dei Menalcan – al cospetto di quella considerazione, si rese conto che se non si fosse spicciata non sarebbe mai riuscita a battere tutta la proprietà del Clan nemico per trovare Arwen e Joseph.
Mossa da quel terribile pensiero, ma soprattutto intimorita dall'idea di aver troppo poco tempo a disposizione, provò a tendere le gambe e compiere falcate più lunghe, ora incurante delle ferite che si sarebbe potuta procurare a piedi scalzi sulla moltitudine di cocci sparsi.
Un solo minuto di ritardo avrebbe potuto segnare drasticamente l'esito di quella notte, della battaglia e del suo futuro – lo sentiva con tanta chiarezza d'apparire come una sorta di aspro sapore sulla lingua.

D'un tratto, intenta a chiedersi da che parte andare e a cercare con lo sguardo il manto pallido di suo fratello, finì con il mettere la pianta del piede in qualcosa di caldo e fastidiosamente viscoso e, prima ancora che se ne potesse rendere conto, con il sedere si ritrovò in una pozzanghera rossa e nauseante. Non riuscì nemmeno ad avvertire la mancanza d'equilibrio o il vuoto allo stomaco per quanto la caduta avvenne velocemente e la sua mente se ne stava altrove – anche se non molto lontano.
Sentì la pelle della coscia sporcarsi, ricoprirsi di qualcosa che nella sua testa aveva un nome ben definito e che, stranamente, le fece salire in gola un conato che non seppe nemmeno lei come trattenere.
Il sangue non le era mai apparso tanto ripugnante come in quel momento. Persino la belva in lei, che aveva imparato a bramare quel liquido carminio, sembrò volersi allontanare dalla chiazza scura in cui era finita per levarsi di dosso i resti di un qualsiasi licantropo a cui non volle dare un nome; che fosse uno dei suoi confratelli, o un purosangue, poco le interessava - le sue priorità erano ben altre ora.

Una cosa però non poté evitarsi di pensare: la guerra faceva schifo.
Nonostante fino a qualche mese prima avesse gioito nel far parte di tanto macello, ora se ne sentiva lontana, quasi quel mondo non le piacesse più in egual maniera; forse perché adesso il destino la stava mettendo di fronte a una scelta tanto stomachevole, cioè lasciar morire il sangue del proprio sangue o colui che nemmeno con un coltello puntato alla gola riusciva a odiare, o forse perché non si era mai ritrovata nel mezzo di due fazioni che in nessun modo avrebbero potuto vivere in pace.
Così, poggiando una mano nel liquido caldo riverso sul pavimento, provò a rimettersi in piedi, ma il palmo scivolò inaspettatamente, facendola ribaltare all'indietro e picchiare la nuca sul marmo sporco.
L'impatto fu atroce.
Il colpo le rimbombò nel cranio con più forza di quello che si sarebbe mai immaginata e per un attimo avvertì gli occhi riempirsi di lacrime e lo spazio dilatarsi intorno a sé. Non riusciva più a capire cosa fosse vicino e cosa lontano.
A denti stretti imprecò, domandandosi come fosse possibile che, in situazioni del genere, dove il pericolo trasudava persino dal più piccolo dei dettagli presenti, si ritrovava sempre con il cadere e farsi male. Davvero Fenrir, figlio di Loki, era tanto meschino da volerle mettere i bastoni tra le ruote a quel modo? Oppure aveva preso lo stesso pessimo umorismo del padre?
Ad ogni modo però, mordendosi la lingua, Aralyn si decise di non poter né aspettare che il dolore svanisse, né che la stanza intorno a lei smettesse di vorticare, così fece un nuovo tentativo e, questa volta, riuscì quantomeno a mettersi in ginocchio.

Un passo per volta, anche se di fretta, sarebbe riuscita a riprendere la sua ricerca.

Guardandosi di bieco si rese conto di avere quasi metà corpo macchiato di rosso e, seppur sapesse di non poterlo fare, desiderò scappa via e distogliere l'attenzione da quell'orrido macello. Ovunque il suo sguardo calasse però, il color carminio pareva non volerla abbandonare.
Intorno a lei c'erano sempre più lupi dilaniati dall'odio altrui. Le belve si ammassavano le une sulle altre, le fauci lanciavano saette in ogni direzione e gli occhi, iniettati di furia, baluginavano accanto alla ragazza come lame nel buio. Le venne difficoltoso persino riconoscere i confratelli dai nemici – erano tutti così simili, feriti e iracondi da farle temere di non trovare più musi amici.

E ne ebbe paura.

Per la prima volta dopo anni si sentì catapultata indietro nel tempo, quando Arwen l'aveva messa di fronte a un vero massacro, battezzandola a guerriero del Clan – aveva poco più di sedici inverni alle spalle e il suo mondo si accingeva a cambiare per sempre, esattamente come lei.
Rivisse l'annichilante sensazione di non aver controllo sui propri muscoli, irrigiditi dalla preoccupazione di non sopravvivere; percepì il respiro farsi corto, ma anche la sensazione di disorientamento che non provava più da innumerevoli missioni. Era nuovamente una bambina intimorita da ciò che la stava aspettando, preoccupata di non sopravvivere e deludere, così, la persona più cara che avesse accanto.

Fuori controllo, sia le mani strette a pugno sia il labbro inferiore presero a tremarle.

Non aveva idea di cosa fosse meglio fare; fermarsi, mutare e dar man forte agli amici, oppure continuare la sua ricerca? Ma come poteva ignorare le intenzioni di suo fratello, la sua sete di vendetta e il nemico che stava cercando? Dopotutto era arrivata fin lì per quello, per evitarsi un cuore spezzato e, in particolar modo, di perdere colui a cui sentiva di dover tutto.
Qualsiasi scelta avesse preso però, ne sarebbero convenute terribili conseguenze.
Persa nel mezzo di quei pensieri, troppo impegnata a scoprirsi impreparata di fronte a una situazione così tragica, la ragazza si accorse troppo tardi di un muso furioso puntato verso di lei. Volse lo sguardo giusto in tempo per vedere le zampe del lupo flettersi e il suo corpo balzare nel punto in cui si trovava.

Fu una visione agghiacciante.
Il cuore le schizzò in gola e il tempo parve rallentare a tal punto che riuscì a scorgere ogni dettaglio di quell'immenso animale – magnifico come ogni purosangue, eppure dannatamente pericoloso.
La mente di Aralyn si offuscò di colpo, annullando ogni cosa intorno a lei e tutto ciò poté concepire fu una sorta di scusa disperata nei confronti di una persona che sarebbe potuta apparire come indefinita.

Ti ammazzeranno. E sarà tutta colpa mia.

Sì, perché in fin dei conti non era più per sé che temeva il peggio, o quantomeno non del tutto, ma per colui che la stava attendendo in un qualsiasi angolo di quell'enorme magione.
La ragazza rimase a occhi sgranati, mentre il licantropo si avvicinava sempre più a mezz'aria.

Lo vedeva. 
Vedeva con estrema limpidezza il modo in cui i suoi denti le si sarebbero conficcati nella carne. Poteva persino immaginarsi il dolore che avrebbe provato, il nuovo colpo che il suo corpo avrebbe preso contro il pavimento. Percepì la sensazione di bava calda intorno alla pelle lacerata, quasi la loro collisione stesse già avvenendo, ma grazie al cielo, prima che il nemico potesse realmente sfiorarla con una sola zanna, un nuovo lupo si scagliò verso di loro.
Il suo manto scuro saettò all'angolo dell'occhio di Aralyn, mentre la sua muscolatura, picchiandole contro, la fece ruzzolare per qualche centimetro nella pozza di sangue, portandosi via il Menalcan.
Il guaito del Puro stridette contro i timpani della giovane, mentre tutto il resto si fece ovattato alla sua percezione; ciò che le venne naturale pensare in quel frangente furono le parole che le erano state rivolte nei giorni prima: nessuno del branco l'avrebbe lasciata morire, i suoi compagni l'avrebbero protetta fino all'ultimo - perché se Arwen fosse perito, lei sarebbe diventata il nuovo Alpha.

Deglutendo, alzò lo sguardo verso l'immenso ammasso di pelo scuro che erano i due lupi e, trattenendo il fiato, scorse Garrel lacerare quanta più carne possibile dell'avversario. Di lui riconobbe l'odore, ma soprattutto la ferocia - peculiarità inconfondibili di un uomo che era stato al suo fianco per lunghissimo tempo.
Immobile, Aralyn osservò la scena, aspettando che il nemico smettesse definitivamente di contorcersi e, quando finalmente accadde, l'energumeno si girò verso di lei. Il suo sguardo severo fu un chiaro rimprovero verso la negligenza che stava dimostrando in un momento di tale delicatezza e, annuendo a un commento mai espresso, la giovane si rimise dritta.
Avrebbe dovuto trasformarsi, lo sapeva, ma in forma umana riusciva ad avere una panoramica migliore su tutta la sala - se avesse saputo da che parte dirigersi però, non le sarebbe servito restare in quelle sembianze.

Un lampo le attraversò i pensieri, così puntò il proprio interesse sul compagno.

«Lui dove è?» domandò con voce rauca prima che l'amico fuggisse via, certa che lui sapesse più di quanto volesse far credere; e Garrel, seppur visibilmente riluttante, spostò gli occhi verso la scalinata in marmo che portava al piano superiore, lì dove alcuni mannari avevano preso a rincorrersi per aggredirsi senza pietà.
Era lontana, constatò, si trovava infatti sul lato opposto dal punto in cui era lei, eppure, se suo fratello aveva imboccato quella direzione, la giovane non sarebbe stata da meno.
Non temeva il caos che si frapponeva tra loro, men che meno la possibilità di dover abbattere qualche Menalcan.

Aralyn strinse i pugni e, iniziando a muovere qualche passo deciso, prese poi a correre in mezzo alle belve.
In lontananza poté percepire una sorta di abbaio da parte del confratello che era corso in suo aiuto, ma prontamente si impose di non prestargli alcuna attenzione; non poteva più perder tempo.
Sapeva bene che Garrel stava cercando di dissuaderla dal seguire suo fratello, ma nonostante questo lei non avrebbe mai ceduto a quella richiesta – non quando di mezzo c'erano le uniche due persone a cui avesse mai realmente regalato un pezzo del proprio cuore. Non poteva restar lì e far finta di non sapere che uno dei due avrebbe ucciso l'altro!
Compiendo una sorta di balzo, le ossa della ragazza presero a frantumarsi e riassemblarsi, mentre la pelle pallida si riempiva di pelo cinereo. Rimise piede a terra a metà del cambiamento e, seppur rallentata dalla mutazione, non smise un solo istante di avanzare. Che le si parassero davanti dei nemici o meno, Aralyn non diede alcun segno di cedimento. 

Mostrò i denti appuntiti, ringhiando in modo gutturale e minaccioso; schivò assalti laterali e tenne testa a quelli frontali, cercando sempre di scalfire i propri avversarsi senza però dedicar loro troppe energie – ogni volta che qualcuno arrancava, o arretrava, lei si muoveva veloce in modo da fuggir via; dopotutto la scaltrezza era il suo unico punto forte.

Qualche artiglio indesiderato riuscì comunque a raggiungere la sua carne, ma nulla di tanto grave da bloccare la corsa verso l'immensa scalinata su cui, in sequenza di quattro gradini per volta, procedette con estrema rapidità.
Non c'era nulla capace di ostacolarla, né le chiazze cremisi, né pezzi di qualche corpo e, men che meno, gli sguardi supplichevoli di altri figli di Mànagarmr – anche se, ogni volta che oltrepassava un qualche confratello in difficoltà, sentiva il cuore dolere. Loro non l'avrebbero mai abbandonata, mentre lei lo stava facendo senza mostrare alcun risentimento. Certamente qualcuno l'avrebbe odiata, ma se fosse riuscita a salvare Arwen nessuno avrebbe osato rimproverarle una simile scelta.

Una volta arrivata in cima, volse il capo prima da un lato e poi dall'altro, finché con la coda dell'occhio scorse Hugo ed Eike nel loro manto rossiccio,  ricoperti in parte dal sangue nemico e circondati da uno stuolo di licantropi agonizzanti. La loro foga aveva avuto la meglio su ben una manciata di purosangue, cosa che non le piacque affatto.
Trattenendo il fiato, la lupa si convinse ad andare loro incontro. Dentro di sé però, avvertì lo stomaco contorcersi.

Quando li aveva incontrati per la prima volta, la loro fama tra le creature della notte era quasi al pari di quella di un serial killer tra gli umani e, nonostante fosse armata di meno sicurezza di quella che aveva raccolto negli anni a seguire, li aveva affrontati con meno timore di quel momento. E se in preda a qualche raptus avessero attaccato anche lei?
Era qualcosa di improbabile, certo, ma non impossibile. La loro furia in battaglia lasciava ben poco spazio alla razionalità e, in forma ferina, il loro autocontrollo diventava ancora più labile. La coscienza umana sembrava quasi assopirsi, lasciando posto solo alle bestie, per questo Arwen tendeva a farli partecipare a poche missioni.

Aralyn mise una zampa davanti all'altra con più cautela di quanta ne avesse usata fino a quel momento, senza però valutare l'ipotesi di cambiar strada, conscia del fatto che se i gemelli si trovavano in quell'esatto punto della magione poteva essere solo per un motivo: assicurarsi che il loro Alpha non venisse sorpreso da qualche altro nemico – perché sicuramente gli eredi di Douglas gli avrebbero dato già fin troppo filo da torcere.
A nemmeno un paio di metri dai due fratelli, la giovane vide i loro sguardi saettare nella sua direzione in modo febbrile. Le loro pupille non sembravano possedere più nulla di umano e, con il suo riflesso ben stampato nel mezzo, presero ad assottigliarsi maggiormente.
I Canis Rufus di fronte a lei si girarono lentamente, mostrando sempre più le lunghe zanne dalle tinte rossastre, testimoni di infilzate selvagge e impietosità nei confronti della fazione opposta. I loro musi si arricciarono minacciosamente e, per un istante, Aralyn smise di avanzare.

I suoi arti parvero diventare di roccia, incapaci così di muoversi in qualsiasi maniera.
Sentì il cuore iniziare a batterle spasmodicamente nel petto e seppe con annichilante certezza, dal modo in cui le orecchie degli amici si mossero, che anche loro potevano udirne l'andamento – cosa che, purtroppo per lei, quando si trattava di aver a che fare con dei predatori non era mai buona cosa. Solo le prede avevano paura. Solo coloro che sapevano di poter avere la peggio tremavano al cospetto dei lupi; eppure, in quel preciso momento, la giovane Calhum non riuscì a far altro che sentirsi al pari di un coniglio.
Se i gemelli avevano realmente abbandonato la lucidità della loro essenza umana per buttarsi anima e corpo nello scontro, lei non sarebbe mai riuscita a oltrepassarli – lo sapeva talmente bene da desiderare di fuggire via.

Guardò Eike, pregando che riconoscesse il suo odore, ma lui non smise per un solo istante di ringhiare nella sua direzione, poi spostò gli occhi su Hugo che, a sua volta, abbassò il capo verso terra, flettendo le zampe. Non era un buon segno, affatto, eppure se gli avesse permesso di fermarla era certa che il peggio sarebbe arrivato presto. Arwen aveva già fin troppo vantaggio su di lei e in forma di lupo si muoveva con una velocità che pochi confratelli, nel Clan, potevano vantare: la sua gamba diventava un problema solo quando si parlava di scontri o imboscate.
Così, rammentandosi che oltre i gemelli avrebbe forse trovato Joseph e suo fratello, riprese a camminare verso di loro, seppur con fatica.

Li temeva davvero? Sì. Credeva sul serio che avrebbero potuto farle del male? Sì, perché conosceva da sé il potere dell'animale nascosto nel profondo di tutti loro.

Nonostante il timore mise una zampa davanti l'altra, senza abbassare mai lo sguardo. Doveva in qualche modo mantenere una parvenza di autorità sui due, così continuò ad accorciare la distanza tra loro. Quando finalmente fu a pochi centimetri dai Vogel sentì con chiarezza su di sé il respiro di uno, ma anche il ringhio dell'altro nelle orecchie – a prescindere da quelle minacce però doveva resistere.
Si convinse a non arrestare la propria l'avanzata tra Eike e Hugo, pregando ancora una volta tutte le divinità a cui le era stato insegnato far riferimento, trattenendo il respiro e muovendosi con lentezza. Se avesse fatto un qualsiasi movimento brusco avrebbe dato loro un motivo per saltarle addosso, ma se invece avesse mantenuto la calma, i gemelli forse avrebbero risparmiato la povera sorella dell'Alpha.
Riluttante strinse i denti nel momento in cui avvertì il naso umido di uno di loro avvicinarsi troppo al fianco, poi alla coda. Sapeva che la stavano studiando, che si stavano accertando della sua identità soprattutto visto il fatto che era ricoperta come loro di sangue non suo, ma non per questo riuscì a rilassare un solo muscolo; e se avessero confuso l'odore nemico per suo? In quanto tempo sarebbe riuscita a fuggire dalle loro fauci?
D'un tratto, senza alcun preavviso, lo stesso licantropo che aveva preso a snasare il suo corpo lanciò un ululato tanto intenso che, per lo spavento, Aralyn balzò in avanti portandosi la coda tra le gambe. Come un lampo mise nuovamente distanza tra lei e i ragazzi, realizzando solo dopo alcuni istanti quanto grave fosse stato quel gesto – ora sì che avrebbe dovuto temere ciò che quei due avrebbero potuto farle, eppure, quando percepì il tempo scorrere e nessun dolore giungere da una qualsiasi parte di sé, non poté far altro che chiedersi se non si fosse immaginata tutto.

Possibile che quell'ululato fosse stato solo un'allucinazione? L'ennesimo scherzo di un fato un po' troppo burlone?
A prescindere da quella possibilità però, non si trattenne ulteriormente per scoprirlo e, di gran lena, si rimise a correre per i corridoi augurandosi di non trovare più alcun intralcio: il suo cuore non avrebbe potuto reggere una quantità di stress eguale o superiore a quella appena provata e, inoltre, per ciò a cui stava andando incontro doveva riservare tutte le proprie forze.

Arwen sapeva dove andare, in che punto trovare Douglas e, possibilmente, la sua prole. Non esitò nemmeno un istante per nessuno dei corridoi che gli si pararono davanti, macinando falcate su falcate.
Non corse, conscio che mantenere per troppo tempo una velocità sostenuta avrebbe influenzato la resistenza della sua zampa posteriore, ma non per questo si concesse il lusso di perdere tempo – dentro di sé, il desiderio di vendicarsi di Joseph Menalcan ribolliva al pari di un vulcano in procinto d'eruttare.

Lui gli aveva sottratto ogni cosa: il suo onore, le sue abilità motorie, la sua fama e, soprattutto, l'amore di Aralyn, legandola a sé in modi che l'albino nemmeno volle immaginare – perché se davvero si fosse trattato di un imprinting, non avrebbe saputo come guardare la sua Ara nello stesso modo di sempre.
Nella mente dell'uomo, sua sorella non poteva appartenere ad altro licantropo se non lui. Erano stati insieme da quando ne aveva memoria, si erano protetti l'un l'altra; avevano sfidato il mondo intero diventando i pupilli del Duca, gli Impuri più ammirati delle intere schiere di Carlyle. Niente avrebbe dovuto separarli, eppure quel Nobile pareva essere riuscito a troncare in modo netto il loro legame.

Il capobranco rallentò sempre più il passo, costringendo anche Fernando a diminuire l'andamento e, fiutando l'aria, avvertì il nauseante odore dei sigari che Douglas era solito gustarsi. Non avrebbe confuso quel tanfo con nulla al mondo, gli si era conficcato nelle narici già dalla prima volta che aveva avuto il dispiacere di incontrarlo.

Seguì la scia lasciata dal sigaro, scoprendo così la sua origine. Il sentore nauseabondo proveniva da oltre una porta a doppio battente posizionata proprio di fronte a loro, a meno di qualche metro dal punto in cui si trovavano e, seppur chiusa, non lasciava alcun dubbio: loro erano lì.

Gli uomini a capo di quel casato si stavano nascondendo oltre due rettangoli di legno al pari di codardi, lasciando i confratelli in balìa della ferocia degli uomini del Nord.
Possibile? Arwen non seppe che risposta darsi. Per quel che ne sapeva, il patriarca dei Menalcan era tra i licantropi più presuntuosi e sicuri di sé che il Concilio potesse vantare – e suo figlio Gabriel non era da meno -, quindi perché celarsi allo scontro?
Qualsiasi fosse stata la loro motivazione poco importava, il maggiore tra i Calhum doveva prendersi la propria rivincita, punirli per lo smacco arrecatogli otto anni prima e, soprattutto, per aver fatto prigioniera Aralyn. Il Pugnale, che era stata la scusa con cui era riuscito a ottenere un aiuto dal Duca, non generava più alcun interesse in lui – che fosse diventato la ricompensa per la sua vittoria o meno era irrilevante.

Con un cenno del muso invitò il proprio sottoposto a farsi avanti, ad aprire per lui il varco verso l'Alpha di quel Clan, cosa che Fernando non si fece ripetere due volte. Non provava più alcuna paura, la morte non era nulla per un uomo che aveva già perso tutto ciò che amava, per questo ubbidì al pari di un automa.

Il licantropo mutò più velocemente di quanto il suo Alpha gli avesse mai visto fare, avanzando imperterrito verso il pericolo. Nei suoi passi vi era una sicurezza invidiabile, una riluttanza verso le possibili conseguenze che pochi altri avrebbero saputo vantare.

Arwen scrutò da lontano il tatuaggio sulla sua schiena dell'amico diventare sempre più visibile a ogni passo che compiva nella direzione della porta e, quando finalmente gli fu di fronte, era ormai diventato completamente umano. L'albino l'osservò in silenzio, benedicendo la sua lealtà e i sacrifici che per lui aveva compiuto in quegli anni e, se fosse stato accolto nelle Lande Selvagge, chiese a Fenrir di condurlo dalla donna che aveva perso, in modo da dargli finalmente pace.

Fernando afferrò entrambe le maniglie con le mani, prese un grosso respiro e poi spalancò le ante di quelle che dovevano essere le stanze di Douglas, aprendo una feritoia proprio sulla scrivania da cui il vecchio lupo aspettava il suo nemico.

Al fianco del Nobile, uno sulla sinistra e uno sulla destra, se ne stavano i suoi figli, tutti e due piegati sulle enormi zampe artigliate. Avevano le zanne in bella vista, pronte ad addentrarsi senza remore nella carne degli usurpatori che avevano osato sfidarli – a quella vista, un brivido di piacere corse lungo la spina dorsale di Arwen. Nemmeno nei suoi sogni più appaganti aveva potuto saggiare tanta eccitazione, estasi nel sapere che il sangue scarlatto di Gabriel, Joseph e Douglas Menalcan si sarebbe potuto riversare ai suoi piedi.

Così prese ad andargli incontro senza alcuna fretta, gustandosi ogni istante delle sensazioni che aveva creduto perse nella sua memoria.

 


 

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Capitolo 68
*** Solo a un passo di distanza (2/2) ***




64. Just a step away (2/2)

Arwen Calhum, seppur a qualche metro di distanza da lui, apparve come una specie di fantasma maligno venuto alla Villa per reclamare le teste di coloro che avevano osato sfidarlo - e Joseph, con il tradimento che aveva compiuto, sarebbe certamente stato sulla sua lista nera.

Ciò che più di tutto lo lasciò stranito però, non fu la presenza di quel licantropo, quanto più l'assenza della sorella al suo fianco. Il suo arrivo era stato previsto, quasi dato per scontato - anche se le tempistiche erano rimaste un dubbio fino a quel momento -, ma la mancanza di Aralyn invece no; non avrebbe mai pensato che potesse assentarsi a una simile occasione.

In lui si aprì una sorta di vuoto ricordando quel nome e, per un solo istante, temette che se si fosse trovata lì, in quell'enorme edificio saturo di morte, potesse essere già stata sopraffatta dai suoi confratelli; in fin dei conti solo un'eventualità del genere poteva giustificare il fatto che non c'era. Eppure, valutando attentamente l'atteggiamento dell'albino di fronte ai suoi occhi, il giovane notò una certa calma nel suo avanzare verso le stanze di Douglas, passi fin troppo ponderati per qualcuno che poteva aver perso la persona più cara al mondo. Quel modo di agire, si convinse, voleva dire solo una cosa: lei stava bene, o quantomeno era al sicuro.

Con la coda dell'occhio, Joseph scorse Gabriel avanzare di qualche zampata verso il nemico e, istintivamente, gli venne d'ammonirlo con un ringhio. Sapeva benissimo quanto il fratello desiderasse avere una rivalsa su quel mannaro, erano anni che non perdeva occasione per sbraitare ai quattro venti il suo odio nei confronti di quel tipo, ma se si fosse lanciato contro Arwen avrebbe dovuto fare prima i conti con Fernando - abbastanza piazzato e preparato da potergli tenere testa più di quello che avrebbe potuto immaginare - e ad affrontare l'Alpha nemico poi, sarebbe toccato a lui.

Non era una prospettiva capace di attrarlo, affatto, eppure sapeva essere più possibile di molte altre.

Ferire quel lupo, si ricordò amaramente, sarebbe stato come far del male ad Aralyn stessa e la sola idea gli face torcere in maniera innaturale le budella. Il suo corpo si ribellava ancor prima che la mente potesse mettere realmente insieme uno scenario tanto ripugnante, cosa che, volente o nolente, non avrebbe saputo come affrontare.

Se avesse trovato un modo per mettere fine a quello scempio però, avrebbe sicuramente fatto di tutto per portarlo a termine, ma ovunque si girasse non trovava vie di fuga.
Nonostante il suo desiderio di mettere fine al caos riversatosi nella Villa, sapeva che nessuno gli avrebbe dato retta: la pace era un'utopia a cui solo lui stava anelando, lì dentro. Né Douglas, né l'albino che a falcate lente si stava avvicinando, avrebbero mai deposto le armi. 
Le faide tra Puri e Impuri ormai imperversavano da fin troppo tempo e chi aveva la fortuna, o sfortuna, di nascere in un clan altolocato come il suo, si ritrovava a venir istruito all'odio ancor prima che a cacciare - e di conseguenza, le fazioni opposte imparavano a difendersi e contrattaccare con sempre più ferocia.

Dalle sue spalle, un suono roco avanzò per tutto lo spazio, facendosi strada fino ai due ospiti ormai sulla soglia dello studio. 
Joseph riconobbe la risata di suo padre senza nemmeno doversi voltare e seppe, con assoluta certezza, che quel vecchio non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione per sfidare la già labile pazienza del nemico - aveva un certo talento nel incrinare quella altrui.

«Guardate un po' chi si rivede... il principino bastardo ha deciso di tornare a infastidire i nostri occhi con il suo sudicio manto» e sicuramente, con la bocca, doveva aver fatto una smorfia schifata - non si sarebbe mai rivolto diversamente a uno della specie di Arwen. Persino nei confronti di Aralyn aveva dato sfoggio di una variopinta selezione di termini irrispettosi e volgari che più volte avevano fatto vacillare la maschera d'indifferenza del figlio.

L'altro non si mosse. Puntò con eccessiva intensità i suoi occhi dorati, molto più luminosi del solito, sulla figura di Douglas, ma non trapelò da lui altro che fastidio; stranamente, l'Alpha dei Menalcan non stava ottenendo il risultato sperato.

Fu Fernando, invece, a rispondere a tono al vecchio, ottenendo un suono gutturale direttamente da Gabriel che, come era giusto che fosse, tentò di mettersi in mezzo per fare il suo dovere di figlio, braccio destro e sottoposto.

«Almeno non puzziamo come voi. Cos'è, vi siete lavati il pelo con lo scarico del cesso? Vi informo che con Eau de Toilette s'intende altro...»

Solo in quel momento, spostando gli occhi nuovamente su di lui e fissandolo con più attenzione, Joseph notò come quel tipo apparisse strano rispetto a come lo aveva conosciuto nei mesi passati. Non era il suo corpo nudo, dai muscoli contratti e dai tatuaggi sbiaditi a sembrargli diverso, men che meno il tono con cui si stava rivolgendo all'avversario. In lui, dietro all'espressione fintamente feroce, si poteva scorgere una sorta di apatia se si aguzzava la vista, quasi in realtà non fosse lì - e, soprattutto, non gl'importasse di star rischiando la propria vita. Era la luce nelle sue pupille, tenue quanto una fiamma in procinto d'estinguersi, a donargli un aspetto differente e scostante. Non che potesse apparire poi tanto diverso, ora che si trovavano sui lati opposti di uno stesso campo di battaglia, eppure c'era dell'altro; cosa però, era difficile da immaginare.

E se fosse stata solo una strategia, invece? Stava forse cercando di destabilizzare i suoi avversari, mostrandosi così indifferente di fronte alle loro zanne sguainate?

Qualsiasi ragione si fosse nascosta dietro a quel comportamento comunque, non gli avrebbe permesso di evitarsi guai.

Certo, il giovane avrebbe preferito non doverli sfidare, ma non poteva nemmeno permettersi di arrendersi - sarebbe certamente andato incontro alla morte, visti i trascorsi. 
Con lui fuori dai piedi oltretutto, Gabe avrebbe certamente preso il potere sul loro casato e cercato vendetta. Una prospettiva ancor più fastidiosa, perché ciò che avrebbe fatto al Clan del Nord andava oltre a quello che invece Douglas aveva fatto in quegli anni.

Se suo padre era uno spocchioso assassino accecato dal potere, suo fratello era la primadonna del branco: doveva far "di più" - essere più minaccioso, più temuto; doveva versare più sangue e ottenere più controllo sui Menalcan e il Concilio stesso.
Il loro Alpha attaccava i nemici con criterio, valutando quanto guadagno avrebbe potuto ricavare dalla questione, mentre l'erede lo faceva al solo scopo di ottenere fama e rispetto dai confratelli - uccidere tutti quegli Impuri con brutalità e senza badare alle conseguenze era esattamente ciò che ci si doveva aspettare da lui.

Ma Aralyn era ancora viva e, finchè lo sarebbe stata, seppur a distanza e colpevole di averla spezzata, Joseph l'avrebbe protetta anche da quella sottospecie di famiglia che si ritrovava.

Se avesse dovuto scegliere tra lei e Gabe, non avrebbe esitato nell'uccidere l'uomo che condivideva il suo sangue.

Il pugno del vecchio dietro di lui colpì con rabbia la scrivania, catapultandolo con violenza alla realtà: «Profanate le mie terre, entrate in casa mia e osate mancarmi di rispetto... con che coraggio? Feccia siete e feccia rimarrete. Le vostre viscere non son buone nemmeno per concimare le piante qui intorno» disse con un tono del tutto inaspettato rispetto al gesto appena compiuto. Era meno teso di quanto si sarebbe potuto immaginare, ma soprattutto conservava ancora la superiorità che lo contraddistingueva da tutti gli altri mannari.

«Le tue invece sono perfette per l'orto della Tana!» La lingua di Fernando schioccò, forse evidenziando l'irrispettosità del commento o la soddisfazione nel riuscire a rispondere a tono a quel Nobile. Doveva sicuramente provare un certo compiacimento nello sfidare il nemico così apertamente, ma sfortunatamente per lui, invece che colpire l'orgoglio di Douglas, il suo gesto si tramutò in un segnale. Le orecchie del maggiore tra gli eredi dell'uomo si portarono all'indietro, decretando l'inizio dello scontro.

Gabriel balzò sugli ospiti a una velocità inaspettata e, involontariamente, il fratellino si ritrovò a fare altrettanto.

Arwen scartò di lato giusto in tempo per evitarsi una zampata sul muso, ma nel compiere quel movimento non fece altro che diminuire involontariamente lo spazio tra sé e Joseph.

Il ragazzo se lo ritrovò a nemmeno un paio di metri, così vicino da poter sentire il suo fiato uscire dalle fauci spalancate. 
Fu un attimo, poi se lo vide piombare addosso.

Menomato o meno, ai suoi occhi apparve come il più veloce animale con cui avesse mai avuto lo spiacevole onore di scontrarsi.

Gli dèi, imprecò in un lampo, avevano quindi deciso di non favorirlo più. 
Lo scontro era ormai inevitabile e, quindi, anche la frattura con lei.
Qualcuno sarebbe morto, ma chiunque fosse stato, non sarebbe stato in grado di proteggerla.

Joseph provò a evitare l'impatto, ma il suo scatto non sembrò abbastanza repentino. Il ringhio di Arwen tuonò contro i suoi timpani e in un istante seppe di non poter più aggrapparsi ad alcuna speranza.

Corse come una disperata senza mai guardarsi indietro, men che meno attorno. I suoi occhi non vedevano altro che il colore della paura: una sorta di bianco lattiginoso attraverso cui le immagini apparivano sbiadite. 
Si muoveva quindi per tentativi, sperando che all'ennesima svolta presa, le sue zampe l'avrebbero condotta nel posto giusto. Eppure lei macinava metri e metri, trovandosi sempre di fronte a vicoli ciechi.

Possibile che la Villa fosse tanto labirintica? Da fuori non le aveva mai dato l'impressione di nascondere un numero così elevato di stanze e corridoi - ma nonostante si stesse muovendo svelta, non ne vedeva mai la fine.

Chissà se Arwen era già giunto al suo obbiettivo. Chissà se stava ancora combattendo o la sua gamba lo aveva già tradito. Chissà se le sue fauci si erano già strette intorno alla giugulare di... No!
Fermò quel pensiero sul nascere, mettendosi a scuotere il capo con violenza.

Respirare le venne faticoso.

Non voleva nemmeno dare alito a quell'ipotesi.
La sua sopportazione era già eccessivamente al limite per riuscire a far fronte anche a quella raccapricciante idea - eppure doveva odiarlo, doveva desiderare la sua fine, ma non ci riusciva. Sapeva che quella era la cosa giusta da fare, quella che chiunque si sarebbe aspettata da lei, ma nonostante questo finiva sempre con l'arrancare.

Forse aveva smesso di combattere i suoi stessi sentimenti nel momento in cui Kyle le aveva donato la libertà o, forse, non sarebbe mai riuscita a contrastare il volere di coloro che li avevano messi al mondo - gli Dèi, quelle entità rarefatte che i licantropi sentivano accanto a sé, ma che non avevano mai visto. Dopotutto un imprinting non poteva essere altro che il capriccio di Aine e Fenrir, Loki, la Madre Luna e tutti gli altri. Quale essere, con un minimo di misericordia, altruismo e umiltà, poteva mai legare in modo indissolubile due persone? Nessuno, soprattutto sapendo la situazione in cui si trovavano - gli Dèi erano però gli unici a poter rispondere a quella descrizione.

Con un colpo di reni la lupa fece nuovamente dietro front e, arrivando all'imbocco del quinto vicolo cieco a cui era andata incontro, sentì il desiderio di tornare umana e iniziare a gridare dalla disperazione: non ce la faceva più - e se le sue urla avessero attirato le attenzioni sbagliate, poco le sarebbe importato in quel preciso momento.

Voleva mettere a tacere ogni cosa, dai rumori che sentiva giungere in lontananza, fautori di disperazione e furia, alle sensazioni scomode che le impedivano di gestire con lucidità la situazione.

Aralyn era letteralmente in balìa di ciò che non poteva controllare, ma subire e non evitare. Le sembrò di essere finita in un agghiacciante trip, un po' come quelli in cui le era capitato di ritrovarsi dopo aver partecipato ai riti antichi, appresi dal Duca e dai lupi più anziani, o il giorno della sua accettazione ufficiale nel clan - ed era così dannatamente sfiancante.

Lì, in mezzo a quel corridoio vuoto in cui sentiva riecheggiare i versi orripilanti dei licantropi al piano inferiore e dove strisciate di sangue scuro segnavano i percorsi dei morenti, la lupa si domandò quanto ancora avrebbe retto. Le sue gambe tremavano, il corpo si rifiutava di obbedirle a dovere e, nonostante non avesse ancora confutato o scongiurato qualsiasi tipo di tragedia, l'unica cosa che poteva dire certa era l'opprimente sensazione di essere lacerata dentro, al centro del petto, ma comunque sotto la carne; nei muscoli, nelle ossa, nel cuore.

Troppi errori e menzogne, così come troppe atrocità, l'avevano condotta fino a quel punto - e desiderò non esserci mai arrivata.

Per la prima volta, guardandosi attorno, Aralyn pregò Manàgmar di riprendersi la sua vita di lupo. Non la voleva più.

Se fosse nata umana, solo ed esclusivamente tale, non avrebbe dovuto far fronte a nulla di tutto ciò. Non una lotta per la propria vita né un omicidio; non una famiglia dimezzata né un amore indesiderato. Non un clan a cui dover dare tutta sé stessa e, soprattutto, nessuna condanna a vivere in eterno incompleta - sì, perché chiunque fosse morto quella sera, avrebbe lasciato in lei un vuoto incolmabile.

Se Arwen fosse sopravvissuto, Joseph sarebbe perito.

Se il figlio di Douglas avesse vinto il maggiore dei Calhum, lei sarebbe rimasta sola a combattere contro un mondo troppo meschino.
Eppure sapeva che la guerra tra il suo branco e i Menalcan avrebbe avuto fine solo con la vita di un Alpha - quale però, era ancora un'incognita.

Aralyn mosse qualche passo incerto verso l'ennesima direzione che le parve non portare ad alcuna destinazione, ma prima che potesse addentrarsi troppo in profondità, un guaito catturò la sua attenzione.
Era vicino, molto. Aveva una tonalità che le solleticò la mente e, muovendosi svelta tra i ricordi, fece riaffiorare un giorno di molti mesi prima, quando Fernando si era fatto male durante un allenamento. Uno strappo, nulla di ché, ma comunque dalle sue labbra ferine era uscito un suono fin troppo simile.

Si trattava di lui, ne fu certa, così con uno scatto tornò sui propri passi, indietro di qualche metro. Fu un corridoio lungo e spazioso ad accoglierla - una porzione di Villa che i suoi occhi avevano ottenebrato totalmente quando era passata di lì la prima volta e, infondo, quest'ultimi incontrarono la siluetta di un lupo seduto su una grossa scrivania. Aveva pelo striato, era vecchio e altri non poteva essere se non Douglas Menalcan.

Aralyn lo vedeva in quel momento per la prima volta e, persino da quella distanza, le fece sentire addosso un certo ribrezzo.
Era immenso, esattamente come qualsiasi Nobile Puro. Il manto sembrava essere nettamente più folto e morbido di quello di un qualsiasi licantropo come lei e i suoi occhi, due pozze nere quasi completamente prive di iride, si muovevano frenetici per la stanza in cui si trovava, seguendo qualcosa. 
La giovane provò un misto d'odio e schifo nei suoi confronti, ritrovandosi a combattere tra il desiderio di saltargli al collo e spezzarglielo e quello di andare via.

Se l'Alpha Menalcan era lì però, Arwen non poteva poi essere lontano.
Per un attimo rimase immobile a studiare la figura di quel mannaro, troppo confusa su cosa fosse meglio fare, ma alla fine fu un lampo a riportarla con i piedi per terra. Davanti al vecchio, in una sequenza di movimenti veloci, comparvero delle bestie altrettanto grosse, rabbiose.
La prima le mozzò il fiato per la violenza con cui si stagliava sul nemico, mentre la seconda le fece perdere un colpo al cuore.

Sgranò gli occhi tanto da sentirli bruciare e la vista, improvvisamente, tornò limpida.
L'unico a poterle generare una reazione simile era colui che aveva pregato di non rivedere più, ma che aveva sognato ogni singola notte da Novigrad - Joseph era lì, a solo qualche passo da lei.

Esattamente come la morte.

 

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Capitolo 69
*** La mia vita per te ***





65. My life for you


Aralyn si ritrovò congelata, incapace sia di avanzare sia di tornare indietro. In lei non vi era altro che sorpresa, ora.

Era lì.

Lui era esattamente davanti ai suoi occhi, eppure, mentre ne seguiva la scia, le sembrò terribilmente lontano. 
Ne percepiva l'odore, i versi. Vedeva i suoi muscoli contrarsi, il pelo muoversi nel vento come se tante piccole mani avessero deciso di passarvi attraverso. Le sue iridi di ghiaccio brillavano sul muso contratto in un'espressione di pura ferocia, mentre le zanne baluginavano minacciosamente a destra e manca, provando a impaurire e allontanare Arwen.
Era bello e maestoso persino più dell'ultima volta che lo aveva visto combattere in quella forma e nonostante le costasse ammetterlo, non poté evitarsi di paragonarlo a Manàgmar stesso - era vero, infondo, che i Puri fossero diversi da loro, più imperiosi, eleganti e brutali; e ciò la lasciava senza fiato. Ogni suo movimento pareva far parte di una danza eseguita sulle note baritonali e profonde di un canto di guerra, la stessa che anche suo fratello stava sentendo.
La silhouette di uno si susseguiva all'altro, mentre i loro artigli cercavano della carne in cui conficcarsi per strappare, ferire, martoriare.
Più lei guardava, più sentiva il cuore gonfiarsi di meraviglia per poi esplodere di dolore, così in un circolo vizioso che le parve non poter avere più fine. 

Erano lo spettacolo migliore a cui si potesse assistere, ma al contempo il peggiore. E inaspettatamente, la giovane si trovò a sentire nel petto anche un lieve sollievo nel saperlo reale. Per giorni aveva cercato di tenersi lontana da lui e dal suo ricordo - fallendo diverse volte -, arrivando persino a credere che Joseph non fosse altro che un sogno; ma adesso lui era lì, concreto. Se si fosse spinta un po' più in là avrebbe addirittura potuto sfiorarlo, avvertirne il calore.
Gli era mancato in un modo difficile da descrivere a parole: silenziosamente e con costanza, come una goccia che a furia di cadere crea un solco nella roccia - ed erano stati lontani solo una settimana, come sarebbe successo se fosse stata una vita intera?

La lupa mosse una zampa in avanti, incantata dal pensiero di essergli così vicina da poterlo finalmente toccare, ma fu un nuovo guaito a spezzare la malia in cui si era ritrovata prigioniera. 
Facendo scattare il capo, portò la propria attenzione dall'altra parte dello spazio visibile, notando Fernando venir preso in contropiede da quello che lei riuscì a identificare come Gabriel Menalcan, il primogenito di Douglas, il fratello di Joseph e, soprattutto, il suo aguzzino - ricordava perfettamente il suo viso nella camera dell'albergo che per una sola notte aveva condiviso con il traditore, esattamente come la sua voce, che prese a rimbombarle nella testa al pari di un fastidioso latrato.

L'istinto animale, nel momento esatto in cui realizzò tutto ciò, parve riaffiorare in lei con una violenza inaspettata, divenire un geyser. Quell'uomo improvvisamente si tramutò nel suo unico bersaglio, mentre il resto rimase sospeso fuori dalla sua mente - anche se, purtroppo per lei, non era immobile come avrebbe sperato. Né Arwen, né il suo avversario, avrebbe smesso di puntare alla trachea l'uno dell'altro.

Aralyn puntò le zampe a terra, fletté gli arti anteriori e in meno di qualche istante si ritrovò lanciata verso l'energumeno nero che stava mettendo in difficoltà il suo compagno.
Sentì l'aria sferzarle il viso, il pavimento farsi sempre meno consistente sotto ai polpastrelli e le ci volle poco meno di una manciata di secondi per balzare addosso al purosangue con le fauci spalancate. Gli si riversò addosso convinta di avere la medesima forza di uno tsunami, certa di star facendo qualcosa di utile, ma dovette rivalutare le sue aspettative.
Azzannò la prima porzione di pelle che le capitò a tiro, senza studiare alcuna strategia; una premura che si rimproverò presto di non aver preso. Se lo avesse ferito a una zampa avrebbe limitato - o quantomeno rallentato - i suoi movimenti; se gli avesse morso un orecchio sarebbe riuscita a stordirlo a sufficienza per permettere a Fernando di rimontare; se avesse colpito il collo avrebbe potuto procurargli una lesione che, con l'andare dello scontro, sarebbe potuta risultargli fatale, ma invece si ritrovò a sprecare il suo unico vantaggio: l'effetto sorpresa.

Non era né possente, né forte, tanto meno poteva dirsi resistente - tutto ciò che l'aveva sempre caratterizzata erano la velocità e la scaltrezza, in casi rari la rabbia; nulla che in quel momento avesse potuto contrastare Gabriel, un vero e proprio macigno se paragonato a lei.

Fu quando gli si ritrovò addosso che si pentì di quella fretta, della stupidità con cui aveva infine agito, sopraffatta da una sé che era rimasta nascosta fino all'ultimo.

Sotto ai denti la giovane poteva ben sentire la carne di lui, molto più dura di quanto si fosse aspettata e il cui sangue era tanto dolce da nausearla, ma la cosa non parve consolarla affatto. Sì, perché il figlio dell'Alpha resistette meglio di come aveva immaginato, ritrovandosi a compiere solo qualche passo vacillante lateralmente. Il contraccolpo con il corpo di lei lo spostò poco e soprattutto non lo stordì a dovere - inoltre, dalla sua gola non emerse altro verso se non un ringhio gutturale. E il cuore prese a batterle forte nel petto.

Cosa aveva fatto? In che guaio si era cacciata?

La lupa mollò immediatamente la presa, si acquattò a terra e facendo leva sulle gambe provò a colpirlo in qualche punto più critico, ma lui si fece trovare ancor più preparato. Era vero che gli eredi di quell'Alpha Puro erano bestie inarrestabili e con spiccate doti per lo scontro; i loro geni avevano una marcia in più rispetto a quelli di un qualsiasi altro mannaro, anche di lei.

Il Menalcan arretrò, poi caricò il colpo. Aralyn dovette scartare inaspettatamente di lato per evitare di venir afferrata dalle tenaglie che erano le sue arcate dentarie, scivolare sul pavimento e mettere qualche centimetro tra loro - perché non poteva fare altrimenti, non era abbastanza addestrata per far fronte a un licantropo del genere e, di quel passo, le sue tanto elogiate qualità offensive sarebbero diventate inutili. Gabriel sembrava invincibile.

Con il muso rasente terra, la lupa ringhiò, pregando dentro di sé di trovare un'idea abbastanza buona da permetterle di scampare al guaio in cui si era volontariamente immischiata; la mente però era vuota, non riusciva a mettere insieme nulla di efficace.

Dannazione!, si disse con lo stomaco stretto in una morsa ferrea. Nessuno le aveva mai detto che avrebbe dovuto affrontare un nemico tanto difficoltoso in una situazione così critica. In più non era lucida, affatto. Se la sua sé animale era rivolta verso quello scontro, come le aveva dimostrato la foga di soccorrere un compagno, la parte umana non riusciva a pensare ad altro che a ciò che stava accadendo alle sue spalle.

Chi stava avendo la meglio? Chi, invece, stava rischiando di perdere per sempre?

D'improvviso, oltre la sagoma del bestione che aveva di fronte, vide comparire Fernando. Si era ripreso giusto in tempo per evitarle un male assicurato e come era giusto che fosse era tornato a reclamare il suo sfidante.

Con la bocca spalancata e i denti in bella mostra si avventò nuovamente su Gabriel, riuscendo dove lei aveva fallito.

Un peso le si levò dal petto.

La stazza dell'amico gli conferiva una forza nettamente superiore a quella di lei e, grazie al cielo, il suo tempismo era altrettanto repentino - quante volte le aveva salvato la pelle in quell'ultimo periodo? Ormai Aralyn ne aveva perso il conto.

Una volta scampati a quella battaglia avrebbe dovuto ringraziarlo fino allo sfinimento. Sempre se fosse riuscita a restare tutta intera.

I due maschi ruzzolarono a terra con un tonfo, allontanandosi da lei in modo rassicurante, ma subito si rimisero a quattro zampe e presero ad azzuffarsi con più foga di quanta ne avessero mostrata prima. L'odio reciproco trapelava da ogni verso che si riversava fuori dalle fauci.

I loro artigli fendettero l'aria, permettendogli di colpirsi a vicenda, anche se mai in maniera preoccupante. Erano graffi che non sarebbero riusciti a mettere k.o. l'uno o l'altro licantropo, ma solo a rallentarli.

Il pelo di entrambi si scurì maggiormente in alcuni punti, mentre il sangue prendeva a colare giù dalle prime ferite. Piccole gocce rosse caddero a terra, venendo subito dopo calpestate dai polpastrelli e trasformate in lunghe scie carminie. 
I loro grugniti percossero più e più volte le orecchie della ragazza, ma nonostante il fastidio che le stavano arrecando il suo sguardo si perse altrove, dall'altro lato della stanza - lì dove Arwen tentava senza freni di sopraffare Joseph.

Mentre suo fratello assaliva e si spingeva sempre più vicino all'avversario con unghie e denti, il Puro non faceva altro che difendersi e ringhiare, quasi non avesse alcuna intenzione di reagire alle offese del nemico. Perché? 
Voleva forse farsi ammazzare? 
Come poteva ignorare il fatto che l'albino non l'avrebbe lasciato andare finché non fosse stato a un passo dalla morte?

Poi, senza che potesse realmente rendersene conto, Aralyn si sentì sbalzare lontano e le immagini davanti a lei diventarono parte di un turbinio quasi psichedelico. 
Il terreno sotto le sue zampe scomparve per interminabili secondi, mentre il vuoto allo stomaco le fece salire un conato di vomito in gola. 
Non fece in tempo a realizzare la gravità della situazione che, con una fitta lancinante al fianco, si ritrovò a sbattere sul granito del pavimento. Fu un colpo che le mozzò il fiato, tanto intenso da stordirla.

Cosa stava succedendo?

Svelta sollevò il capo, puntando gli occhi nella direzione in cui si trovava prima. Seppur con qualche secondo di totale confusione, lentamente vide avvicinarsi a sé la figura ripugnante e minacciosa di un lupo che aveva sperato non si preoccupasse mai di lei e della sua presenza lì: Douglas Menalcan, l'Alpha.

Il cuore di Aralyn smise di battere, facendola rabbrividire.

No.

Non poteva davvero essersi preso la briga di attaccare proprio lei.

Cosa avrebbe fatto ora? Un conto era tentare di sfidare un licantropo giovane e con poca esperienza, un conto era diventare il bersaglio del capobranco stesso. 
Il panico divenne una specie di cappio alla gola, così stretto da farle improvvisamente sentire l'urgenza di boccheggiare. Non aveva mai dovuto fare i conti con un licantropo di tale importanza, nemmeno si era permessa il lusso di sognare così in grande. 
Nonostante nelle sue vene scorresse lo stesso sangue di Arwen, Aralyn non aveva neanche una volta osato definirsi al pari di un Alpha. 
Come poteva sperare di tenere testa a quel tizio? Persino Carlyle aveva preferito rintanarsi in chissà quale angolo d'Europa piuttosto che affrontare a viso aperto il capofamiglia Menalcan, il possessore del Pugnale e il capo del Concilio. E se anche il Duca temeva la sua forza, lei come pensava di riuscire a sopravvivere?

Senza attendere oltre, la ragazza si rimise sulle proprie zampe, ignorando il dolore alle ossa che sentiva essersi ormai incrinate sotto alla carne del fianco. Provò a scattare in una qualsiasi direzione, ma prima che riuscisse realmente ad allontanarsi, Douglas le fu addosso, graffiandole il lato della coscia posteriore. 
I suoi artigli le penetrarono la carne, ma non abbastanza da lacerare in modo serio muscoli o nervi.

Aralyn guaì, per un attimo temette di perdere l'equilibrio, ma non demorse e spinse ancora sulla zampa infortunata, riuscendo a correre nei pressi della scrivania riversa a terra.

Vi si rifugiò dietro al pari di un animale in trappola, cercando di nascondere sé stessa oltre il legno: ma cosa credeva di ottenere così? Il suo avversario non era certo uno stolto, men che meno i suoi occhi erano rovinati dall'età - doveva certamente averla vista rintanarsi lì, doveva quindi sbrigarsi a decidere come agire, più tempo trascorreva in balìa della preoccupazione, meno ne avrebbe avuto per trovare una soluzione.

Se il capoclan nemico si fosse mosso con la lentezza di prima, forse sarebbe riuscita a trovare una via d'uscita da quella situazione, ma se invece le fosse piombato addosso con la furia tanto decantata dai suoi nemici, allora, non avrebbe avuto altra scelta che provare a respingerlo - come, era ancora una terribile incognita.

La lupa diede svelta un'occhiata alla ferita, trovandosi il manto sporco di sangue e la carne viva a spuntare tra i peli pallidi. Osservò quel taglio con circospezione, certa che se avesse stretto i denti e lasciato correre l'adrenalina in corpo non le avrebbe dato alcun problema.
Sì, doveva fidarsi della propria sé animale, era l'unica soluzione.

Contraendo la mandibola alzò nuovamente lo sguardo oltre la scrivania, scrutando la stanza. Le orecchie irte e in ascolto, ma a parte Gabriel e Fernando intenti a correre fuori dallo studio e i grugniti di suo fratello e Joseph, non vi fu altro capace di catturare la sua attenzione.

Perchè Douglas non c'era? Dove si era cacciato?

Il panico la prese alla gola, il cuore iniziò a battere senza sosta e, quando poi si volse, ne vide l'enorme muso a pochi centimetri da sé.

Volle gridare, ma anche se fosse stata umana si sarebbe trovata la gola secca. Desiderò stringere le palpebre e riaprirle altrove, ma le venne impossibile staccare gli occhi da quelli di lui, così diversi da quelli del licantropo che amava, eppure altrettanto profondi.

Mossa dalla paura provò a spingersi indietro con le zampe, ma il piano in legno le si schiacciò contro la schiena ammonendola: nessuna via di fuga.

Era spacciata.

Morta!

Si era condannata da sola.

Le fauci di Douglas si aprirono e rivoli di bava scesero lungo le zanne. Era così vicino che il suo alito le riempì il naso e la paura le ottenebrò la mente.

Che fare?

Ora che Fernando era corso all'inseguimento di Gabriel, chi l'avrebbe salvata?

Nessuno.

Erano tutti troppo occupati a sfamare la propria vendetta personale per occuparsi di lei. Non c'era più alcun membro del clan pronto a difenderla - e fu proprio questo a far scoppiare il suo istinto di sopravvivenza, quello che nelle ultime ore non aveva fatto altro che scattare a intervalli irregolari.

Giusto qualche istante prima che le fauci dell'Alpha provassero a stringersi sul suo collo, Aralyn s'acquattò a terra, coda tra le gambe, orecchie basse e torace contro il pavimento, scivolando tra le zampe di lui il più velocemente possibile, ma soprattutto, mutando.

Mentre il muso di Douglas andava ad azzannare del legno duro e privo di vita, lei tentava il tutto per tutto pur di non morire a quel modo.

Le sue ossa si ruppero talmente alla svelta che nemmeno riuscì a sentire dolore, riassemblandosi poco prima che lui potesse rendersene conto. Era nuovamente umana, un bersaglio mobile nettamente più facile da trovare e colpire, ma se il suo corpo avesse retto ancora qualche trasformazione, forse sarebbe riuscita a fuggir via da lui e mettersi in mezzo a Joseph e Arwen prima che... le sue pupille incontrarono lo scenario che meno avrebbe desiderato scorgere.

I denti di suo fratello erano ben ancorati nella spalla del secondogenito di Douglas che, visibilmente riluttante e sofferente, provava in tutti i modi a levarsi  di dosso l'albino.

Quell'immagine le fece accapponare la pelle e la necessità di andare in suo soccorso divenne tanto intensa farle venire il vomito.

Non poteva essere vero.
Non voleva che lo fosse.

Tra tutti gli incubi che aveva fatto nelle ultime notti nulla era paragonabile alle sensazioni che si sentiva smuovere ora nel ventre. Una sorta di baraonda, un inferno racchiuso tra le viscere del suo corpo.

Grugnendo si mise in piedi.

Doveva liberarsi di Douglas prima che lui potesse avere la meglio su di lei e poi, precipitarsi da Joseph il più in fretta possibile.

Se Arwen doveva davvero ripudiarla, almeno con quel gesto lo avrebbe fatto per un buon motivo - lo stava per tradire ancora, ma almeno non sarebbe stato doloroso quanto perdere l'uno o l'altro uomo e sopravvivergli.

Con i piedi sporchi di sangue si mise a correre per la stanza alla ricerca di un qualsiasi oggetto contundente da poter usare per difendersi, lasciando dietro di sé tracce di un intenso rosso. Arrancò verso una parete su cui se ne stavano due spade incrociate, i cui foderi mostravano in tutta la loro opalescenza il valore di quei monili. Quella visione fu una specie di lampo che le squarciò i pensieri, portandola inevitabilmente a fiondarcisi addosso.
Erano la sua arma più potente in quel momento e se ne stavano lì, a qualche manciata di centimetri sopra alla sua testa, quasi aspettandola.

Aralyn, sbattendo contro il muro, allungò il braccio nel disperato tentativo di raggiungerle. Tese ogni muscolo fino allo spasmo, sentendo i polpacci bruciare, le dita irrigidirsi pur di toccare il cuoio, eppure non sembrava mai essere abbastanza vicina. Nemmeno saltare sembrava essere sufficiente e, più cercava di far veloce, più i passi di Douglas le rimbombavano nelle orecchie.
Erano alle sue spalle, lo percepiva chiaramente.
Il suo fiato era vicino, lo sentiva viaggiare per la stanza e graffiarle la schiena.

Ormai l'aveva puntata, era la sua preda - e seppur non la temesse, come dimostrava la sua lentezza nell'andarle incontro, non le avrebbe lasciato scampo.
Dopotutto era pur sempre un'Impura.

Il cuore della ragazza martellava sempre più nel petto, dandole l'idea di essere sul punto di spaccarle il torace e uscire. Avvertiva il dolore con molta più lucidità di quanto non sentisse tutto il resto, ma nonostante il terrore, provò comunque a perpetrare nel suo ultimo e disperato piano - perché era certa che qualsiasi tentativo di fuga sarebbe stato vano, ma soprattutto, se lei gli fosse sfuggita, lui si sarebbe vendicato su...

Arwen!

Nel momento esatto in cui lo pensò, suo fratello fece capolino nella scena, parandosi tra lei e Douglas a denti sguainati.
Fu un istante di totale sorpresa, in cui la ragazza non seppe se si stesse trattando di un'allucinazione o della realtà. L'uomo però era lì, riusciva a percepirne l'odore, il calore, ogni cosa.

La sua presenza non era frutto dell'immaginazione, ma qualcosa di concreto - poteva sentirlo con ognuno dei sensi.
Era tornato da lei, pronto a prendersene cura a dispetto di tutto ciò che le aveva detto in quegli ultimi giorni. Gli occhi di Aralyn si riempirono di lacrime, una gioia amara le invase il corpo. Alla fine aveva scelto di perdonarla, giusto? Non poteva essere altrimenti. L'avrebbe lasciata in balìa di Douglas se non avesse cambiato idea!

I due licantropi si fissarono con astio, presero a ringhiarsi contro più minacciosamente che mai e, d'un tratto, osservando la silhouette scura dell'Alpha nemico, un sussulto la fece tornare con i piedi per terra. Non c'era più la gioia per il perdono di suo fratello a riempirle la mente, men che meno le due spade appese al muro che con tanta fatica aveva provato a prendere. Tutto ciò che la sua mente riuscì a concepire fu il viso di lui.
Se Arwen era lì voleva dire un'unica cosa: il suo vero nemico era... No! Non poteva essere vero - ma allora perché la sua testa non voleva girare in alcuna direzione? Perché d'improvviso ogni cosa pareva essersi rarefatta? Come mai nel punto dove prima sentiva palpitare con tanta insistenza ora c'era solo silenzio?  
Ma soprattutto, per quale motivo le sembrava di aver perso per sempre qualcosa?



 

Yaga:

Avete presente il disagio? E' ciò che ho provato io nello scrivere questo capitolo.
Nel momento esatto in cui ho concluso la prima frase si è scatenata in me una guerra: la consapevolezza di non saper scrivere questo genere di parti e il bisogno di dover pubblicare, arrivando così a un passo dalla fine.

Lo trovo orribile, eppure necessario.

Penso che quando sarò più lucida e avrò preso le distanze dal primo volume proverò a riscriverlo, ma davvero, so di aver deluso buona parte di voi con questo aggiornamento.

Nella mia testa è tutto molto più chiaro, lineare e pronto per essere raccontato - poi metto mano alla tastiera e ciò che riverso su word mi pare l'esatto contrario di ciò che dovrebbe essere. 

Detto ciò, aspetto di sentire le vostre opinioni; sicuramente saprete farmi vedere/notare cose che mi sfuggono.

Al prossimo capitolo.
All'epilogo.

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Capitolo 70
*** Un cuore sciocco e coraggioso ***





66. A brave and foolish heart

Doveva voltarsi, capire.

Doveva farsi forza e scoprire se davvero Arwen avesse compiuto l'atrocità più mostruosa a cui la sua mente stesse pensando. Eppure non riusciva a far nulla se non osservare come la sagoma bianca di suo fratello fosse striata di macchie rosse, scure - il suo manto era neve macchiata dal peccato, pensò Aralyn stringendosi le mani al petto con talmente tanta forza da sentire le proprie unghie minacciare la carne.

Pian piano il vuoto in lei prese a crescere all'unisono con i versi minacciosi dei due Alpha, intenti a studiarsi a distanza prima di attaccare realmente. Nessun folle, se non lei, avrebbe sfidato un nemico che non conosceva - anche se in guerra tutto era lecito e nulla recriminabile.

Con il cuore schiacciato nella trachea, la giovane provò a deglutire, ma la saliva non parve voler scendere. 
La possibilità che vi fosse il cadavere di Joseph, ad aspettarla, stava involontariamente dando vita a una ribellione del corpo; forse di quel passo si sarebbe annullato, come avrebbe voluto che invece facessero i pensieri e le decine di terribili immagini che vi vorticavano in mezzo. Crepitavano in lei al pari di fiamme e la benzina che gli veniva versata sopra non trovava fine - più si sforzava di bloccare quelle visioni apocalittiche, più loro trovavano modo di peggiorare.
Era doloroso, al contempo asfissiante. Era come venir area viva pur non provando bollore.
Possibile che una sola persona potesse sentire tutte quelle emozioni percependosi comunque vuota? Possibile che essere legati da un imprinting volesse dire quello?

Il ringhio di Arwen la riportò con brutalità alla realtà e, appena vide Douglas Menalcan piombare su di lui e farlo arretrare di qualche passo, si scansò di lato per evitare di essere travolta dalla loro foga.
Aralyn arrancò, spostandosi a tentoni sul pavimento. Il viso rivolto verso i due animali, gli occhi sgranati e dentro... nulla. Non riusciva né ad avere paura, né a sentire dolore. Avanzava a ritroso verso il muro più vicino, ma non sapeva esattamente perché; in fin dei conti, se le fosse successo qualcosa ora, cosa sarebbe potuto cambiare? Niente, dopotutto aveva già perso la persona per cui, in realtà, era andata fin lì.

Un palmo dietro l'altro mise spazio tra sé e i due lupi, fino a quando con un brivido il polso sfiorò qualcosa di caldo e soffice.

La giovane sussultò.

Qualcosa, come una sorta di vocina, la invitò più volte dal desistere dallo scoprire di che si trattasse, ma lei si fece trovare sorda. Quel tocco era ammaliante, l'attirava come una sorta di litania infinita - un richiamo a cui la sua natura mannara non seppe opporsi. Con il respiro mozzato, la ragazza abbassò lo sguardo oltre la propria spalla e lì, come addormentato, se ne stava lui.

Doloroso come non mai, un battito parve squarciare il silenzio che era diventato padrone del suo petto e, sgranando gli occhi, Aralyn si sentì sopraffare dalle lacrime.

Joseph!, gridò la sua mente, prendendo poi a chiamarlo con una sciocca insistenza, quasi lui potesse sentire i suoi pensieri, come se il loro legame oltrepassasse la fisicità dei corpi e potesse renderli telepatici.

In un movimento del tutto istintivo, privo di qualsiasi premeditazione, gli afferrò il muso e se lo portò vicino, lasciando che la punta le sfiorasse la pelle. Studiò il suo pelo insanguinato, le palpebre chiuse e il naso umido, dove a intermittenza irregolare si muovevano le narici.

Respira... si ritrovò a constatare con talmente tanto stupore da temere di essersi fatta sfuggire un qualsiasi verso, eppure quando si volse verso Douglas e Arwen li trovò intenti a darsi contro, del tutto incuranti di lei. Aveva tempo.
Aveva qualche fugace istante per stargli accanto, toccarlo, ricordarsi il suo profumo e percepirne la presenza che ogni notte aveva riempito i suoi incubi.

In un sussurro spezzato tornò dal licantropo tra le sue dita: «Non andare via. Resta qui» biascicò con la bocca già impastata dal pianto che aveva trattenuto fino a quel momento. Le lacrime avevano preso a colarle silenziose lungo le guance, ma lei nemmeno se ne era resa conto, troppo occupata a saperlo vivo
Ciò che aveva provato era stato una chimera, il fantasma di un'eventualità agghiacciante e distruttiva, ma nulla più. E quindi una speranza forse c'era, una possibilità di salvarlo dalla rabbia di suo fratello esisteva - e quella consapevolezza le bastava per ignorare tutto il resto.

Aralyn prese a esaminare il corpo del purosangue - morsi sparsi ne ornavano la pelle sotto al pelo appiccicato dal sangue, ma l'unica ferita che poteva essere il motivo della sua perdita di coscienza doveva essere un colpo preso alla testa, o almeno era ciò che le era stato insegnato in anni di allenamento.
Così prese a tastargli l'enorme nuca, provando a ricordare dove, mesi prima, lo scontro con i seguaci di Ophelia aveva lasciato il suo ricordo. Sapeva trovarsi poco dietro all'orecchio, ma la moltitudine di pelo le ostacolava la percezione.

Dove diamine era?

Un rantolo la costrinse a riportare lo sguardo sul muso di Joseph e lì vide le palpebre schiudersi appena, lasciando uno scorcio sul cielo racchiuso nelle sue iridi.

Fu una gioia così intensa da scaldarle le viscere e farle infiammare le guance, nulla che avesse mai provato prima e paragonabile solo al loro primo bacio o alla notte passata insieme. Le colmò ogni buco emotivo che quella guerra le aveva creato nell'anima.

A quella visione e assuefatta dall'emozione lo strinse a sé con impeto, ignorando il dolore che avrebbe potuto procurargli: «Il tuo cuore è mio. Io te lo strapperò dal petto, hai capito?» prese a dirgli, schiacciando le proprie labbra a ridosso delle sue orecchie, quasi in una sorta di bacio. Lo minacciò come molte settimane prima, quando aveva conosciuto Kyle e, alla stessa maniera però, gli stava facendo una promessa.
Joseph ad ogni modo non reagì, rimase immobile; una specie di bambola tra le sue braccia. 
L'aveva sentita?
Era riuscito a capire il significato di quelle parole?

Ma prima che Aralyn potesse controllare da sé, un vocione riecheggiò per la sala, chiamandola. E non si trattava di un'allucinazione o chissà che, Gabriel Menalcan le stava letteralmente inveendo contro dalla soglia dello studio.

Il suo petto villoso si alzava e abbassava velocemente, mentre lunghi segni cangianti ne segnavano la carne. I capelli scompigliati, gli occhi cristallini rivolti nella sua direzione, furenti, ne esaltavano la bellezza che, purtroppo per lei, in quel momento le ricordò con eccessiva evidenza quella del fratello minore - colui che ancora stringeva a sé.
Erano così simili, eppure diversi.
Due facce d'una stessa medaglia che la giovane Calhum non volle mettere a confronto.

«Cagna!» le gridò, puntando l'indice al centro del suo viso: «Ora ti ammazzo!» continuò poi, muovendo i primi passi nella direzione in cui si trovava lei. Lunghe linee viscose gli ornavano gli arti e, per un solo momento, ad Aralyn parvero tatuaggi di guerra, capaci di trasformarlo in una vera e propria reincarnazione di Belatucadros.

Le viscere le si strinsero e d'improvviso si rese conto di dover ancora una volta cercare di sopravvivere - cosa che iniziava davvero a starle stretta.

La ragazza allontanò le mani da Joseph con un'infinita malinconia, sentendo il cuore stringersi e il vuoto riprendere in parte possesso di lei, ma in pochi secondi fu nuovamente sulle proprie gambe e pronta a respingere il nemico - in particolare perché non aveva altra scelta, anche se non conservava alcuna speranza di vittoria.

Gabriel, da bravo guerriero, le fu addosso molto più velocemente di quanto il suo barcollare avrebbe potuto far credere. Agile, lei si abbassò in avanti cercando di schivare le sue enormi braccia, pregando tutto il Pantheon nordico di graziarla. Caricò un pugno e, confidando di essere abbastanza precisa, colpì con le nocche lo stomaco dell'uomo, usando tutta la forza che aveva - non molta, visto ciò che aveva dovuto affrontare fino a quel momento.
Appena sentì il suono degli addominali contro le sue ossa, Aralyn scivolò di lato, provando ad allontanarsi, ma purtroppo per lei al figlio di Douglas non sfuggì e, afferrandola per una spalla, la sbatté a terra con violenza.

Il contraccolpo fu doloroso, le ossa parvero venir scosse con eccessiva brutalità e nuovamente la vista le si appannò - ma non aveva tempo né per farsi sopraffare, né per restare in balìa del dolore.

Così, con un colpo di reni, si levò dalla traiettoria delle mani di lui giusto qualche momento prima di venir presa per il collo. Il sollievo d'aver scampato un simile pericolo però fu breve, perché i suoi riflessi fulminei non impedirono al Puro di acciuffare con le dita ciocche bionde e tirarle, riportandola a sé.

La lupa inveì.

Non importava quanto provasse a sfuggirgli, ogni volta quel mostro riusciva a prenderla - che le sue azioni fossero tanto prevedibili? Possibile che per il primogenito dell'Alpha lei fosse un libro aperto? Eppure era sempre sopravvissuta, sfuggita ai pericoli peggiori, ma non a lui. E se nel suo destino la parola fine dovesse essere scritta dalle mani di quel lurido Nobile?

Si ritrovarono entrambi a terra, con il Menalcan a troneggiare in parte su di lei - poteva sentirne il respiro caldo e dolciastro sul viso umido, intravederne da oltre le ciglia socchiuse l'espressione arcigna, in parte vittoriosa.

E le fece schifo, esattamente come il padre; come avrebbe dovuto essere per qualsiasi membro di quel clan di spocchiosi purosangue.

Aralyn ringhiò e scalciò e nel muoversi come una forsennata riuscì a colpire con una ginocchiata la giuntura tra braccio e avambraccio dell'aggressore, facendogli perdere l'equilibrio. Con un grugnito, Gabriel picchiò il viso a terra e la sorpresa dovuta alla botta permise che la stretta sui capelli di lei si allentasse, dandole modo di rotolare via; pur rinunciando a qualche ciocca.

Ansimando si fece strada lontano da lui, cercando con lo sguardo un appiglio. Ormai doveva rinunciare alle due spade o all'ennesimo miracolo: se si voleva tirar fuori da quella situazione doveva riuscirci da sola.

«Fermati, brutta sgualdrina!»
La voce del nemico tuonò, vicina.
Nonostante la mole di muscoli quel licantropo era reattivo, riusciva a incalzare la preda con una velocità quasi impensabile per il fisico che si ritrovava; e ciò non le piaceva, anzi, la preoccupava ogni istante di più.

Come fermarlo? In che modo avrebbe potuto sopraffarlo?

I suoi occhi viaggiarono ovunque per la stanza, incontrando porte, quadri, scaffali e ornamenti inutili. Nulla pareva apparirle capace di contrastarlo se non Arwen, che sfortunatamente era impegnato a non farsi azzannare dall'Alpha nemico. 
L'unica soluzione era quindi allontanarsi da lì, mettere quanto più spazio possibile tra lei e l'avversario. Forse, sgattaiolando via, avrebbe incontrato qualcuno in grado di aiutarla; i gemelli ad esempio non dovevano poi essere tanto lontani da dove si trovava e, se fossero stati ancora ottenebrati dalla loro indole assassina, sarebbero riusciti a massacrare quel bestione.

Fece per alzarsi e correre verso l'uscita dello studio, ma qualcosa finì per bloccarla a metà del movimento. Un dolore atroce al polpaccio le fece perdere lucidità e un grido le si riversò fuori dalla gola, graffiandole le corde vocali.

Sentì il sangue colarle lungo la pelle, bollente, e in un gesto del tutto incontrollato si volse all'indietro con il viso contorto in un'espressione di totale rabbia.
Le unghie di Gabriel erano ancorate nel suo arto e in faccia aveva stampato un sorriso beffardo, quasi a rinfacciarle l'ennesima fuga andata in malora. Fu forse quello a scatenare in lei una furia animale che le fece compiere un movimento tutt'altro che opportuno, rigirando gli artigli nemici nei tagli e peggiorando le ferite, ma comunque sganciandola dalla presa e dandole modo di spingersi verso l'uomo che aveva deciso di sfidarla.

Con dita munite di lame organiche calò su di lui, infilzandolo tra il collo e le spalle in modo da diminuirgli la mobilità delle braccia - quelle stesse che più volte avevano cercato d'imprigionarla in qualche stretta soffocante e, soprattutto, mortale.

Aralyn premette le proprie unghie nella carne, andando così in profondità da percepire del viscido sulle dita, una sorta di liquido denso e appiccicaticcio dall'odore familiare che, d'un tratto, le ricordò quanto in passato avesse desiderato poter ferire e dilaniare il corpo del licantropo che ora stava provando a ucciderla. 
Era lui l'origine di tutti i suoi mali: la ragione per cui Arwen era stato ferito, il motivo per cui il suo amore con Joseph era stato fatto a pezzi e, ora, di quel dolore. Uccidendolo forse non avrebbe ottenuto nulla, anzi, dubitava fortemente di poter riuscire in tale impresa, ma fargli passare lo stesso male che aveva e stava provando tuttora lei era qualcosa a cui poteva anelare con facilità - così pigiò nel muscolo e, ringhiando in modo gutturale, lasciò che una sorta di mutazione le regalasse artigli sempre più lunghi e letali.

Il Menalcan emise un urlo soffocato, storcendo la smorfia in un'espressione di sofferenza. I suoi occhi si levarono su di lei colmi di puro odio, colpendola dritta in mezzo al torace. Erano uno specchio in cui si vide riflessa, in cui scorse tutti i danni che quella guerra le aveva lasciato addosso - e si trovò orribilmente cambiata. Era segnata ovunque e, in particolare, si notò meno innocente, più cresciuta. Fu grazie a quell'istante di momentanea distrazione che, cogliendola alla sprovvista, Gabriel azzannò con i propri denti umani l'avambraccio più vicino a sé.

Una nuova stilettata la fece gridare e, ritraendo gli artigli, ma soprattutto senza valutare i pro e contro di quel gesto, tirò all'uomo una testata tanto forte che si sentì venir meno. Un capogiro le oscurò la vista, mentre brividi freddi le corsero dalle guance alla schiena e poi giù lungo tutto il corpo.

Il cranio di quello schifoso purosangue era duro come la roccia!, riuscì a pensare portandosi una mano alla fronte, lì dove ancora riusciva a sentire rimbombare l'impatto e la carne pulsare. Possibile che ogni parte di lui fosse tanto resistente?
La pelle una corazza, gli addominali uno scudo e adesso pure la testa al pari di un masso!
La ragazza dovette mordersi la lingua per non inveirgli contro ma, piuttosto, ritrovare lucidità e rifugiarsi dietro una delle porte presenti sul perimetro dello studio.

Frapporre qualcosa tra lei e quel colosso era di vitale importanza dopo tutti i danni che le aveva procurato in quella manciata di attacchi.

Per fortuna l'adrenalina fece il suo lavoro, così, in pochissimi minuti, la vista tornò nitida, permettendole di sgattaiolare verso l'anta in legno più prossima.

Dietro di sé, Aralyn lasciò gocce scarlatte che Gabriel, con qualche secondo di ritardo su di lei, prese a fiutare per individuarla - forse, si disse la giovane, la sua percezione visiva stava faticando a tornare: lo aveva colpito con così tanta forza? Eppure lei era ancora abbastanza lucida da mettersi a correre... per quel che le permetteva il polpaccio ferito. Nemmeno il tempo di mettere a fuoco la gravità del danno però, che l'uomo balzò in piedi con il chiaro intento di raggiungerla per vendicarsi.

Persino dopo ciò che gli aveva fatto lo trovò veloce, in poche falcate l'avrebbe acciuffata. Le sue gambe erano nettamente più lunghe di quelle della lupa, un suo passo quasi equivaleva a due dei suoi e, se non si fosse sbrigata, questa volta le avrebbe davvero fatto assaggiare l'Inferno.

La ragazza arrivò a un paio di metri dal suo rettangolo di momentanea salvezza quando, il sentore di qualcosa alle sue spalle, la fece sussultare. 
Era lì, l'aveva in pugno.

Sentì nuovamente i capelli venir sfiorati dalle grosse dita del Puro e chiuse le palpebre, stringendole forte per impedirsi d'immaginare ciò che ne sarebbe seguito. 
Allungò le braccia difronte a sé, scongiurando qualsiasi cosa di farle raggiungere ciò che tanto anelava e,  con la mano, riuscì ad afferrare la maniglia d'ottone, abbassandola e subito dopo tirandola verso l'esterno.

Ma non c'è salvezza, pensò con un nodo di lacrime in gola.

Eppure l'anta si spalancò, accogliendola in un luogo sconosciuto e richiudendosi subito dopo con un tonfo.

I piedi di Aralyn si impigliarono in un tappeto che non riuscì a vedere, facendola cadere in ginocchio nella penombra notturna di un ambiente profumato al gelsomino. Con gli occhi ancora chiusi e il respiro affannato si lasciò andare ai singulti, incapace di trattenerli ancora.
Lui sarebbe arrivato, pensò.
L'avrebbe presa per i capelli e tirata in mezzo alla sala, oppure le avrebbe spaccato il cranio contro un qualsivoglia oggetto duro che avesse trovato - e Gabriel ci sarebbe riuscito senza fatica, dopotutto conosceva quella casa a menadito. 
Sì, lui era un'ombra alle sue spalle, si sarebbe beato nel vederla spirare.

Ma allora cosa stava aspettando? Voleva davvero che il terrore la torturasse in quella maniera?

Dei suoni ovattati le giunsero alle orecchie, ma la paura che aveva provato fino all'ultimo parve troppo intensa per darle modo di prestargli attenzione.
Si strinse nelle spalle, premendosi le braccia al petto.

Sentiva bruciare il segno lasciato dalla corona di denti del figlio di Douglas, così come sotto al sedere avvertiva il sangue farsi meno copioso e iniziare ad addensarsi.

Quanto dolore stava provando? Troppo per un corpicino morbido e delicato come il suo. Quanto era intimorita? Al pari di un bambino lasciato solo nel buio più pesto.
Però era viva, no? Già, lo era, così come le era parso fosse Joseph; ma perchè?

Sbarrando gli occhi si rivolse verso la porta. Serrata. Statica. Minacciosa. Come mai?
Gabriel non era forse dietro di lei, a un passo dal suo collo? Perché non entrava, cosa lo stava trattenendo?

Lenta si mise dritta, osservando il legno con dubbio. 
Versi animali provavano a far capolino lì dentro, eppure restavano fuori, quasi bloccati. Era racchiusa in una sorta di bolla, dove solo il fantasma delle sue paure riusciva a sfiorarla.

Un piede dopo l'altro, Aralyn andò loro incontro.

Con le dita sfiorò la porta, accompagnandosi in un inchino fino al buco della serratura da cui, con il fiato mozzato, si mise a sbirciare. In quello spicchio di spazio che metteva in comunicazione i due ambienti non vide altro che figure fulminee, scure. Ogni tanto spuntava la scia bianca di Arwen, una sorta di flash che le fece perdere più volte il ritmo cardiaco e che, improvvisamente, le ricordò chi ci fosse dall'altra parte e a cosa li avesse lasciati - entrambi.

Il cuore parve bloccarsi del tutto. L'immagine di Joseph prese a riempirgli la mente, tanto che le sembrò fosse un palloncino all'interno del cranio. La gamba di suo fratello non aveva ancora ceduto, permettendogli di contrastare con una certa facilità i diversi avversari - anche chi aveva volontariamente scelto di non tenergli testa - ma quanto avrebbe retto ancora? Non lo sapeva e, guardandosi, constatò di non aver riportato alcuna ferita eccessivamente grave e che quindi doveva tornare di là, sia da suo fratello, sia dal licantropo di cui era innamorata. Salvarli tutti e due era l'unica cosa davvero importante.

A quel pensiero, gli incisivi le si premettero sulle labbra con forza, tagliando la pelle secca. Non poteva più restarsene lì, era necessario che trovasse una soluzione, un modo per essere d'aiuto a tutti; ma come, visto che Gabriel la stava aspettando? Se si fosse azzardata a mettere piede fuori da quella stanza lui le sarebbe andato incontro senza esitazioni, puntando alla sua giugulare - e certamente sarebbe riuscita a prenderla questa volta, viste le condizioni in cui versava. Allo stesso modo, se non si fosse spicciata, avrebbe condannato entrambi gli uomini più importanti della sua vita.

Aralyn strinse ancor più la morsa e, quando il sapore ferroso del sangue prese a riempirle la bocca, decise di distogliere lo sguardo e portarlo lontano dalle immagini che tanto alimentavano i suoi sensi di colpa.

Intorno a lei, nella penombra di quella che ora riconosceva come una camera da letto, ritrovò quadri antichi e i mille occhi di teste imbalsamate: cervi, cinghiali, antilopi... vi era ogni genere di animale che si potesse definire veloce o robusto. Se ne stavano lì, appesi alle pareti al pari di trofei, ma soprattutto, guardandola. Tutte le paia di pupille presenti erano rivolte verso di lei, minacciandola, facendola sentire nel posto sbagliato - cosa che, a dire il vero, era una caratteristica generale della Villa.

Proprio di fronte al suo viso, un enorme letto a baldacchino se ne stava immacolato, quasi nessuno vi dormisse da anni. Il legno scuro era elaborato, inciso con minuzia dalle mani di chissà quale falegnamente, anche se, di tanto in tanto, si potevano scorgere i rovinosi segni lasciati dalle unghie di un qualche mannaro. 
Era inquietante. 
Con le sue coperte spesse trasudava segreti inconfessabili, perversioni che alla giovane sembrarono in qualche modo vive, concrete nell'aria intorno a sé, impossibili da coprire anche con quel nauseante profumo di gelsomino.

Un brivido le fece accapponare la pelle, come se una carezza lieve le fosse stata fatta al centro della schiena, invitandola ad avvicinarsi per essere sopraffatta dalle memorie maligne di chi li dentro vi doveva essere morto; ma a prescindere dallo schifo che poteva generarle quel luogo doveva farsi forza e avanzare, trovare un'arma, una qualsiasi: ciò che era importante è che avesse una qualche utilità.

Un coltello, una daga, un lazo, un fucile o una pistola - non le interessava il metodo, ma solo il risultato.

Aralyn si mise svelta ad aprire i cassetti di tutti i mobili e della scrivania, trovandovi all'interno scartoffie, libri, ninnoli pregiati e poco più. Ribaltò gli oggetti sulle mensole, si arrampicò sugli scaffali dell'unica libreria presente alla ricerca di un nascondiglio segreto, eppure non trovò nulla.
Più ravanava lì in mezzo e meno quella camera da letto pareva appartenere davvero a un Menalcan. Nel suo immaginario le loro stanze erano ricolme di passaggi segreti, lame minacciose a ornare i muri o macchine di tortura a fare da arredo.

Volgendo il capo si decise a ridurre ancora la distanza tra sé e il materasso, così si chinò sui comodini accanto a quel lurido talamo e tastò ogni centimetro di legno in preda all' agitazione, facendo ribaltare alcune cornici d'ottone. All'inizio non aveva dato loro alcun tipo di importanza, ma quando nel muoversi vi appoggiò sopra un piede, crepando il vetro, gli concesse un istante di fugace contemplazione. Magari avrebbe scoperto qualcosa di utile, valutò.

Sfiorando con le unghie la ragnatela di crepe sul vetro, si rese conto di aver pestato una foto vecchia, ingiallita dal tempo. Un ritratto di famiglia che mai si sarebbe aspettata di vedere in un luogo tanto ostile. 
In quello scatto c'erano i Menalcan al completo: Douglas, dieci anni più giovane e con meno rughe; suo figlio Gabriel, identico a come era ora, solo un po' più smilzo e senza barba; poi Joseph - oh, Joseph! - un ragazzetto poco più che adolescente vestito di tutto punto, lo sguardo perso altrove e il cipiglio annoiato, bello esattamente come lei se lo era immaginato nei giorni di pigra tranquillità e, infondo, due femmine. C'era una bambinetta identica a quelli che Aralyn identificò come i fratelli; le sue guance erano rosee e gli occhi grandi e, accanto, aveva una donna sottile come un giunco, dai lunghi capelli castano scuro, quasi neri, e  quelle stesse iridi di cui la giovane si era innamorata. Pareva stanca, malata, eppure le mozzò il fiato per quanto era bella. 
Doveva essere la moglie dell'Alpha, la stessa che Arwen diceva fosse stata uccisa da Douglas in persona in una notte di luna piena.

Quella quindi, constatò l'Impura deglutendo, altro non era che la stanza del patriarca del Clan.

Fu in quel momento che, spostando appena lo sguardo nei dintorni, quasi ad associare tutta la robaccia lì presente al suo proprietario, la sua attenzione venne attirata da qualcosa. Un riflesso lieve, come una specie di vago bagliore, portò il suo sguardo sulle doghe lignee sotto al materasso. Non seppe dire cosa fosse, nella sua mente non vi era nulla se non la vocina assillante della  coscienza che con veemenza le ricordava quanto tempo stesse perdendo, eppure non le diede retta. Ciò non la distrasse abbastanza da allontanarsi da lì e ricominciare la ricerca; piuttosto, aguzzando la vista, provò a trapassare il buio che si addensava in quel rettangolo di stanza.

La ragazza allungò le dita quanto più possibile, appiattendosi con il corpo sul pavimento gelato. Sentì il seno farle male per la pressione, le ossa del bacino premere contro al granito nel tentativo di diventare quasi un tutt'uno, ma alla fine sfiorò i contorni dell'oggetto, riconoscendoli.

Sgranò gli occhi in un gesto di totale sorpresa e, incurante di ciò che avrebbe potuto causarle un simile contatto, ne afferrò la parte più lucente.

Era la prima volta che toccava dell'argento senza alcuna protezione, le era stato insegnato d'evitarlo in ogni modo se non voleva mostrare al mondo umano la sua vera natura o venire in qualche maniera deturpata dal suo potere, ma in quel momento non le importò di alcuna conseguenza, aveva ben altro che il proprio corpo a cui pensare.

Così, appena Aralyn toccò la lama di quell'artefatto sentì la carne delle dita venir bruciata da qualcosa simile ad acqua bollente, una sorta di ustione la fece sobbalzare. Fu così doloroso che dovette allontanare l'arto, mordersi la lingua per non urlare e stringere le palpebre per non scoppiare nuovamente a piangere.

Stupida! si disse, scrutando i danni riportati e dando finalmente un nome definitivo a quell'oggetto.

I polpastrelli erano arrossati, la pelle gonfia e in procinto di dar sfogo a piccole bolle - una visione che le diede il voltastomaco, ma che non la dissuadette dal tentare un'altra volta. 
Non importava se l'argento l'avesse corrosa fino alle ossa, lei avrebbe preso quello stupido Pugnale della Luna e lo avrebbe usato per uccidere qualsiasi Menalcan le si fosse parato innanzi; meglio ancora se fosse stato proprio Gabriel la sua vittima.

Cosa c'era di più importante di portar via Arwen da quell'edificio? Se lui si fosse allontanato, evitando di lasciarci le penne, anche Joseph sarebbe sopravvissuto.

A quel punto, Aralyn rimise mano sull'artefatto, questa volta con molta più convinzione. Tirandolo verso di sé, provò a liberarlo dal nascondiglio che Douglas si era premurato di trovargli, allontanandolo dagli occhi indiscreti di qualsiasi ladro.

Il bruciore si fece più intenso a ogni secondo di contatto: aghi di fuoco presero a penetrarle la carne con sempre maggiore intensità, spingendosi dal palmo lungo il polso, fino ad arrivare al morso che aveva sull'avambraccio. Le parve persino di sentir ribollire i bordi della ferita per quanto quella sensazione fosse forte e destabilizzante - ma non era la prima, e men che meno sarebbe stata l'ultima, sofferenza della sua vita.

Diede uno strattone, secco, e d'improvviso sentì cedere il blocco che tratteneva l'arma. Forse stava davvero per riuscire a riprenderselo!

Tirò ancora, questa volta con la certezza di poter ottenere ciò che desiderava e, prima che riuscisse realmente a rendersene conto, si ritrovò con la schiena contro il muro, il braccio destro quasi completamente insensibile e gli occhi pieni di una visione che le apparve idilliaca.

Eccolo! pensò, è lui!

Senza la sua custodia in cuoio lavorato si presentava con tutt'altro aspetto, ma nulla, nella sua perfezione, riusciva a dire qualcosa che non fosse "Morte". Era scritto in ogni incisione, nel modo in cui le teste di lupo si susseguivano sulla superficie liscia della lama per arrivare in prossimità della punta.

Magnifico e mortale, esattamente come lo aveva percepito la prima volta.

Di fronte a tale visione un ghigno soddisfatto le riempì il viso. Aveva l'arma perfetta, il cimelio più temuto dal mondo a cui apparteneva, il mezzo con cui avrebbe salvato sé stessa, Arwen e Joseph - era lì, accanto a lei e pronto per essere usato. Come però, sarebbe rimasto ancora per un po' un dubbio. Non aveva mai brandito un pugnale in tutti i suoi anni di vita, perché tutto ciò che le era sempre bastato era stato il suo corpo animale, ma d'improvviso quella notte non aveva avuto più alcun valore. Loro, i capostipiti Menalcan, erano forti, molto più di quanto fosse lei dopo tutto il tempo passato ad allenarsi, esattamente come le aveva raccontato il fratello anni prima; la sua immaginazione però non si era mai spinta così in là, nemmeno quando lui era tornato a casa in quello stato pietoso - una parte di lei, la più illusa, aveva sempre creduto di poter tenergli testa un giorno, ma la realtà l'aveva schiaffeggiata con una certa violenza, lasciandole addosso i segni della furia del primogenito del capoclan.

L'artefatto che ora la fissava dal pavimento invece era il modo migliore per accorciare quel divario e aiutarla a contrastare tutta la violenza che stava avendo la meglio su di lei, Arwen e il branco.

Così, ebbra di quelle sensazioni si protese verso l'oggetto, ma le falangi parvero tutto tranne che intenzionate a piegarsi per afferrarlo. In qualche modo il suo corpo si stava opponendo a ulteriori danni. 
L'arto le tremava terribilmente e un alone di sangue copriva buona parte dell'epidermide. Se il bruciore dell'argento era sparito non si poteva dire altrettanto dei postumi del suo potere. Ma sarebbe stato permanente?

Un rumore tuonò sulla porta della stanza e lei sussultò, colta alla sprovvista.

Le sue attenzioni saettarono verso l'anta in legno e, d'improvviso, capì che non c'era più tempo per perdersi in simili sciocchezze. 
Aveva lasciato Arwen da solo a vedersela con due nemici e, solo quello, avrebbe dovuto farla sentire orribile, la più miserabile e vigliacca tra i membri del clan. Per questo doveva accantonare tutti quei pensieri e correre da lui, così, seppur non fosse mancina e si trovasse a disagio, afferrò l'elsa del Pugnale con la mano sinistra e in uno scatto si portò verso la maniglia d'ottone. L'abbassò senza riflettere, venendo investita dalla luce artificiale dello studio da cui era fuggita solo pochi minuti prima. 
Qualsiasi cosa vi fosse stata oltre, pensò, le sarebbe andata incontro armata di quanta più volontà fosse riuscita a trovare dentro il proprio corpo.

Non c'erano altre alternative, dopotutto.

Subito dopo aver superato la soglia, Aralyn venne accecata dalla diversa luminosità tra i due spazi, così fu costretta a coprirsi con un braccio, in modo da evitare qualsiasi effetto indesiderato. Per colpa di quel movimento però, dovette ridurre la propria visibilità e così non si accorse della vicinanza con un qualche licantropo che, nella foga dello scontro, le andò addosso sbattendola a terra.

«Merda!» le sfuggì colpendo il coccige contro il rialzo del camino. Non era nemmeno riuscita a farsi largo nella battaglia che la sua stabilità umana l'aveva già tradita - quel corpo non era adatto a una simile situazione, eppure se si fosse trasformata non sarebbe riuscita a tenere il Pugnale, tornando nuovamente inutile.

Si morse il labbro, provando a mantenersi il più lucida possibile. Non era né il momento, né il luogo giusto per demoralizzarsi o perdersi in sciocchezze.

I ringhi si agitavano nello spazio intorno a lei, anche se non avrebbe saputo dire da quale direzione arrivassero esattamente - le ci volle qualche istante prima di riuscire a riprendere completo controllo sui propri occhi e, a quel punto, scorse qualcosa che non avrebbe voluto vedere.

Arwen era bloccato in un angolo, spalle al muro. Aveva un occhio chiuso a causa del sangue che vi colava sopra e la gamba offesa era piegata in modo preoccupante. Nonostante il netto svantaggio però, continuava a minacciare i propri nemici con le zanne. Non si sarebbe arreso fino all'ultimo, come un vero soldato, ma ciò gli sarebbe costato la vita se lei non si fosse sbrigata.

Sia Douglas sia Gabriel gli erano addosso, pronti a ucciderlo in qualsiasi momento e, di conseguenza, a liberarsi per sempre di una delle più fastidiose spine che il Duca avesse cercato di infilzare nei loro fianchi.
Minare le file di Carlyle era tutto ciò che interessava loro e, qualsiasi occasione gli si fosse presentata, l'avrebbero colta.

Dannazione!
Dannazione, dannazione, dannazione! Ripeté tra sé e sé più volte, sentendosi soffocare di fronte alla possibilità di essersi mossa con davvero troppa lentezza e aver così mandato tutto a quel paese - non bastava Joseph privo di sensi, da cui sarebbe voluta correre ignorando il mondo intero, ora anche suo fratello stava per essere sopraffatto. Ma se uno era momentaneamente al sicuro, sia perché si trovava nel proprio territorio, sia perché l'unica persona a volerlo morto era ora occupata, l'altro non poteva assolutamente dirsi in salvo. E lei doveva prendere una decisione. Alla svelta.

Aveva sempre combattuto per lui, sacrificando ogni cosa - e quell'occasione non sarebbe stata da meno.

Così Aralyn si gonfiò il petto d'aria. In fin dei conti era armata, quindi nel bene o nel male sarebbe riuscita a essere d'aiuto, no?

«Ehi, vecchio stronzo!» gridò dal suo angolo, sentendosi una folle. Se avesse liberato Arwen di quell'uomo almeno, forse gli avrebbe dato modo di trovare una soluzione al guaio in cui si erano cacciati. Gabriel dopotutto aveva subìto molte più ferite, quindi non doveva essere poi tanto in forze d'affrontare lo scontro con il suo acerrimo nemico, constatò la ragazza. Forse suo fratello avrebbe potuto in qualche modo tenergli testa o fuggire via; sarebbe bastato quello.

Chi rispose però, non fu l'Alpha, bensì il figlio maggiore.

Douglas nemmeno la degnò d'uno sguardo, semplicemente allargò il ghigno, infastidito da quell'epiteto. 
L'aveva sentita, ma era una pulce così piccola in confronto al fratello che non valeva le sue attenzioni - ma quelle del suo lacchè sì.

Gabriel la puntò con il suo muso ferino, negli occhi un lampo assassino. Chissà quanto doveva aver sofferto il fatto che gli fosse sfuggita e quanto, adesso, la desiderasse morta.

Aralyn riuscì a immaginarsi nuovamente i denti di lui addosso, ma si costrinse a non andare oltre; non volle pensare a quanto male le avrebbe fatto o quali atrocità avrebbe deciso di perpetrare nei suoi confronti - sapeva che sarebbero state le peggiori che avrebbe mai subìto, se non le ultime.

Il Puro la caricò, allargando le fauci ancor prima di esserle addosso.
Bramava la sua vita più di qualsiasi altra cosa, era così ovvio! Eppure doveva resistere, colpirlo con l'arma che stringeva tra le dita prima che lui potesse ucciderla o Arwen sopperire a Douglas.

Veloce! Vai via veloce, s'incitò nel percepire la presenza del lupo sempre più vicina, asfissiante.
Sapeva bene di non poterlo contrastare in una circostanza del genere, forte di una spinta che le sue gambe animali rendevano ancora più minacciosa; doveva assalirlo quando era fermo, in modo da essere certa di colpire il punto giusto e impedire alla lama di uscire dalla carne prima del dovuto.

Così, in un movimento lesto, scartò di lato, sfuggendo di qualche centimetro ai denti di lui.
Il fiato di Gabriel però le sfiorò il piede, spaventandola più di quanto potesse credere. Persino con tutta la volontà del mondo, conscia di dover dare una possibilità di salvezza agli altri, temette di morire.

Gattonò via quanto più agilmente le permisero le ferite e allo stesso modo si mise dritta, afferrando alla bene e meglio l'elsa con entrambe le mani, puntando poi con decisione la lama del Pugnale verso il suo aggressore.

Tremava, ma provò comunque a non darlo a vedere. E se avesse fallito? Sarebbe stata la fine dei Calhum, del branco e della loro battaglia per un'uguaglianza da troppo tempo negata.
In quel frangente, sentendo il peso delle responsabilità comprimerle il torace, si permise di deglutire.

Gabriel, dall'angolo in cui prima si trovava lei, la studiò con un certo ribrezzo nello sguardo.
Doveva aver capito con cosa lo stava minacciando e, per questo, aveva arrestato la sua foga, ma non l'avanzata. Ad ogni zampa in avanti di lui, lei muoveva un passo indietro. 
Doveva trovare ridicolo che una come lei tenesse con tale speranza un oggetto destinato a esseri nobili come i purosangue.
Aralyn avrebbe voluto dirgli qualcosa d'effetto, fargli sentire il pericolo, concretizzare il rischio a cui stava andando incontro e fargli capire quanto poco le importasse ciò che lui credeva  - eppure non le venne in mente nulla, se non il pensiero che le gambe le stessero diventando ogni minuto sempre più molli.

Era lui quello intimidatorio, lui ciò che più di tutto la spaventava.
Ed era ridicolo no? Dopotutto era tornata lì per essere lei a generare paura in Gabriel, non il contrario.

Si aggrappò all'arma con forza, stringendo la mandibola per impedirsi di cedere.
Resistere, le bastava quello: compiere un ultimo atto di fede e augurarsi che qualcosa potesse accadere per salvarli tutti. Ma non poteva più chiedere benevolenza agli Dèi, l'avevano già graziata a sufficienza quella notte. Era sola e si doveva bastare, non c'era nessuno a proteggerla, ora.

Immersa in quei pensieri non si accorse di essere giunta oltre il centro della stanza, alla mercé di chiunque; così, quando dal nulla un guaito la fece distrarre, il cuore le si incastrò in gola, bloccandole il respiro. 
Fu il monito familiare di un pericolo imminente, il verso con cui suo fratello provò un'ultima volta a proteggerla da un destino infame, sempre pronto a colpirli alle spalle.

Un istante, nulla più. Quello fu il tempo che le bastò per scorgere l'ombra di Douglas piombarle sopra con un salto. 
I suoi artigli le calarono addosso prima che il corpo potesse prepararsi all'impatto, entrarono nella carne con una violenza che le parve innaturale per un vecchio del suo calibro. Le lacerarono la pelle, i muscoli dell'addome e, forse, persino le viscere, procurandole un dolore talmente intenso che un brivido freddo la scosse nel profondo, preannunciando il peggio.

Quello, era morire veramente, si disse.

L'equilibro venne meno e la gravità la spinse a terra.
Douglas l'aveva colpita nel profondo, questa fu l'unica cosa certa. Le sue unghie erano penetrate poco sotto alle costole che gli aveva incrinato, logorando qualcosa che probabilmente doveva essere per lei vitale.

Bastardo! Inveì un'ultima volta, guardandolo con un misto d'odio e stupore nello sguardo, lo stesso che trovò sul suo viso animale, ora troppo vicino per non vederne la nauseante cattiveria.
Aralyn si sentì cedere, avvertì il proprio corpo umano perdere sensibilità e, prima che ogni cosa potesse sparire dalla sua percezione, distolse l'attenzione dal nemico per lanciare un ultimo saluto oltre le spalle di Gabriel Menalcan, lì dove incontrò gli occhi di Joseph, sbarrati di paura.
Fece un mezzo sorriso, poi la botta della nuca contro il granito cancellò ogni cosa intorno a lei, anche il dolore.

Possano Manàgmar, Arawn e la Madre Luna avere pietà di noi.



The End

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