Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ali e radici ***
Capitolo 2: *** Terra di creature ***
Capitolo 3: *** Noi due e mille altri ***
Capitolo 4: *** Le infinite vie di Eltaria ***
Capitolo 5: *** Verità quasi innocente ***
Capitolo 6: *** Famiglie oltre la propria ***
Capitolo 7: *** La vecchia selva ***
Capitolo 8: *** Presente e futuro ***
Capitolo 9: *** Paura di un nuovo mondo ***
Capitolo 10: *** Errori in buona fede ***
Capitolo 11: *** La grotta delle ninfe ***
Capitolo 12: *** Cuore maturo ***
Capitolo 13: *** Vera e libera ***
Capitolo 14: *** Memorie mai vissute ***
Capitolo 15: *** Bambine di terra e di fuoco ***
Capitolo 16: *** Confessioni e verità nell'aria ***
Capitolo 17: *** Le sere di Notteterna ***
Capitolo 18: *** Non dame nè cavalieri ***
Capitolo 19: *** Estate d'amore e fortuna ***
Capitolo 20: *** Il pozzo dei desideri ***
Capitolo 21: *** Compagni di vita e magia ***
Capitolo 22: *** Lanterne di novità ***
Capitolo 23: *** Speranze in un candido tomo ***
Capitolo 24: *** I muti lamenti dell'aria ***
Capitolo 25: *** Natura impotente ***
Capitolo 26: *** L'occhio di mille tempeste ***
Capitolo 27: *** Vecchia casa, nuovo dolore ***
Capitolo 28: *** Il Giardino e la sua Eden ***
Capitolo 29: *** Errore umano e fatato ***
Capitolo 30: *** Prime nuove di un amore ***
Capitolo 31: *** Uniti ma feriti ***
Capitolo 32: *** Gli spiriti della foresta ***
Capitolo 33: *** Sfere e lacrime di cristallo ***
Capitolo 34: *** Segni di vita e d'inchiostro ***
Capitolo 35: *** Amor sacro e non profano ***
Capitolo 36: *** Il bianco amuleto ***
Capitolo 37: *** Dalla tranquillità al nulla ***
Capitolo 38: *** Al sicuro ma in prigione ***
Capitolo 39: *** Oltraggiare una maga ***
Capitolo 40: *** Mai veramente soli ***
Capitolo 41: *** Luce e buio nella vita ***
Capitolo 42: *** Passi oltre la nebbia ***
Capitolo 43: *** Sentieri d'amore e incertezze ***
Capitolo 44: *** Miracoli di pura vita ***
Capitolo 45: *** Mese di quiete e di nuove ***
Capitolo 46: *** Lieto vento d'autunno ***
Capitolo 47: *** La dama, il merlo e il futuro incerto ***
Capitolo 48: *** La comunità intorno ***
Capitolo 49: *** Attesa, speranze e fiori di perdono ***
Capitolo 50: *** L'amore anche negli astri ***



Capitolo 1
*** Ali e radici ***


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Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria

Capitolo I

Ali e radici

Era ancora notte, e l’unicorno che ci accompagnava si era ormai lasciato andare, abbandonandosi ad un trotto sciolto e privo di esitazioni. L’andatura perfetta per passeggiare dopo il galoppo che ci aveva condotto fuori dalla foresta. Lesti, i suoi zoccoli colpivano ritmicamente il terreno, e di attimo in attimo, complici forse le emozioni del momento, mi sentivo più leggera. Con gli occhi pieni di meraviglia come una bambina, il sorriso più luminoso delle stelle appena sopra di noi, e nel cuore la stessa gioia che un lupo o un’altra bestia della notte prova nel fissare la luna, esibendosi poi in un ululato segno di assoluta devozione. Inspirando, mi privai della capacità di vedere per assaporare meglio il momento, e nel farlo, mi tenni stretta a Christopher, che pur non tenendo ferme le redini del nostro baldo destriero, appariva calmo, mostrando un’assoluta fiducia nei confronti dell’animale. L’aria della sera mi lambì gentilmente i polmoni, scostandomi prima una e poi più ciocche ribelli dal viso. Nella quiete della notte, il mio amato si voltò a guardarmi, e stringendomi la mano, sorrise. “Sei felice adesso, vero? Questa vita sarà nostra, te lo prometto.” Disse poi, dando voce all’ennesimo e dolcissimo contratto orale che con una lacrima intenta a sfuggire  al mio controllo, firmai con un bacio. In quel momento, quello fra di noi fu un tocco lieve e quasi impercettibile, ma ad essere sincera, almeno allora la cosa non mi toccava. “E io ti credo. Ti credo e ti amo, custode mio.” Soffiai con dolcezza, non riuscendo quasi a parlare e dovendo sforzarmi per riuscire a farlo. Felice e orgoglioso, Christopher mi sfiorò la guancia con la mano, e per tutta risposta, quasi tremai. I miei non erano gesti né reazioni volute, dettate infatti unicamente dai sentimenti che da due lunghi anni ci legavano, ma lui, calmo come sempre, mi lasciò fare, pazientando perché mi sfogassi. “Ti amo anch’io, fatina. Ora e per sempre.” Rispose soltanto, stringendomi a sé in un delicato abbraccio mentre il paesaggio attorno a noi scivolava via. A quella frase, sorrisi, e riaprendo gli occhi tenuti chiusi per assaporare meglio il momento, lo vidi. Non più il sentiero che percorrevamo, ma una strada lastricata di ciottoli di ogni forma e dimensione. Sicuro di essere giunto a destinazione, l’unicorno nitrì nel fermarsi, e abbassando il capo, ci invitò a scendere dalla sua groppa. Annuendo, Christopher ed io smontammo senza una parola, e avvicinandomi, accarezzai piano il muso di quella così docile bestia. “Grazie, e a presto, bello.” Sussurrai, parlando dolcemente al solo scopo di non spaventarlo. A quelle parole, il cavallo si voltò a guardarmi, e puntando su di me i suoi grandi occhi scuri, nitrì con forza, come infastidito. “Buono, buono! Che ho detto?” quasi urlai, alzando bruscamente il tono della voce e non badando a quello che usai nel parlare. Stranamente divertito dalla scena, Christopher non trattenne una risata, e posandosi una mano sulla pancia per lenire un leggero dolore, si impose di calmarsi. Scottata da quel comportamento, misi il broncio e incrociai le braccia come una piccola pixie arrabbiata, poi mi decisi. “Si può sapere che hai da ridere, protettore dei miei…” sbottai, lasciando che le emozioni avessero di nuovo la meglio su di me. “Stivali? Amore, detesto contraddirti, ma con questo caldo porti i sandali.” Continuò lui, ignorandomi e non accennando a smettere di ridere. Ovvio era che non lo facesse con cattiveria, né che si stesse approfittando delle mie insicurezze, ma nonostante tutto la cosa mi irritava. Al suo fianco avevo imparato molto, ma ero ancora giovane, e in ambienti nuovi come quello i miei poteri sembravano spesso aver vita propria, e quella distrazione ne era una prova. “Va bene, scusa, sai che non volevo.” Replicai, vergognandomi di me stessa e di quell’insulto fortunatamente lasciato a metà. “No, scusami tu. È stato divertente, ma non avrei dovuto, e in ogni caso, quest’esemplare ha un nome. Se ha nitrito era per fartelo notare, ma in realtà è buono e dolce come i suoi simili. Vero, Xavros?” fu la risposta del mio amato, che lungi dal ferirmi, mi fece sorridere, riportando in un soffio la felicità sul mio volto. Per tutta risposta l’animale nitrì ancora, e nel farlo, strofinò il muso umido contro la mano di Christopher, avvicinatosi a sua volta per accarezzarlo. Mantenendo il silenzio, assistetti a quella scena senza interromperla, e muovendo delicatamente una mano sul fianco sensibile dell’animale, lo sfiorai piano con le dita, notando che sembrava aver impresso una sorta di marchio sottopelle. Leggero ma visibile, aveva la forma di un fiore, e abbandonandomi ad un pensiero, annuii ragionando e parlando con me stessa. A quanto sembrava, le fate non erano gli unici esseri magici a possederne, e sicura che un giorno avrei scoperto altro al riguardo, tacqui quella scoperta. Facendo poi saettare lo sguardo in più direzioni, osservai ciò che avevo intorno, scoprendo solo allora un altro villaggio simile a quello che io e il mio ragazzo ci eravamo lasciati alle spalle. Non proferendo parola, restai muta come un pesce, non potendo comunque negare che quel pensiero mi intristisse non poco. Ci eravamo trasferiti a cavallo di Xavros per iniziare una nuova vita, ma allo stesso tempo era lì che avevamo lasciato praticamente ogni cosa. I nostri ricordi, i nostri affetti e le abitudini di quella vecchia, che sforzandomi di sorridere ancora, non dimenticai ma sistemai in un angolo della mente, dando quindi inizio nel cammino o nel volo sulle mie piccole ma stabili ali all’esplorazione di quelle che per entrambi sarebbero state in breve profonde e importanti radici.



Salve di nuovo, cari lettori! Dopo la pausa rappresentata dalla raccolta ad essa collegata, la saga di Kaleia ritorna con la sua terza parte, e spero davvero che questo inizio vi piaccia. Ci rivedremo nel prossimo capitolo, ma ancora grazie a tutti per l'incrollabile supporto,


Emmastory :)  
 

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Capitolo 2
*** Terra di creature ***


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Capitolo II

Terra di creature

Già scesi dalla groppa del nostro cavallo, ora Christopher ed io camminavamo insieme. A passi lenti ma decisi, e mano nella mano come due adolescenti alla prima cotta. Tranquilla, lasciavo che la fresca brezza mi sfiorasse il viso e i capelli, e senza una parola, mi godevo la passeggiata. Sempre accanto a noi, Xavros  ci trottava accanto, sereno e rilassato mentre Christopher teneva salde le redini. Fra un passo e l’altro, mi voltavo a guardarli entrambi stupendomi della loro complicità, e come mossa da una forza invisibile, mi avvicinai per abbracciarlo, ricambiando il gesto con cui mi stringeva. Il suo braccio attorno alla mia spalla, ed io calma come sempre, intenta ad ascoltare i suoni della natura e quelli del mio cuore, impegnato in battiti di pura quiete mentre stavo al suo fianco. Sorridendo, incrociai il suo sguardo color speranza, e senza una parola, posai la testa sulla sua spalla, liberando un sospiro che non avevo idea di star trattenendo. Alla nostra vista in quella posa così romantica, Xavros battè uno zoccolo in terra, e scoppiando a ridere, gli accarezzai il dorso. “Cos’è, sei geloso? Tranquillo,  prima o poi troveremo una ragazza anche per te.” Scherzai, lasciandomi contagiare dall’umorismo che tanto mi aveva fatta arrabbiare in precedenza. Tutt’altro che offeso, l’unicorno mi spintonò giocosamente, e di lì a poco, un solo attimo mi sfuggì dalle mani. Perdendo l’equilibrio, quasi caddi, ma per mia fortuna, Christopher fu lì per sorreggermi. “Attenta, tesoro. Cosa fai, mi scivoli dalle mani?” chiese, afferrandomi appena in tempo perché non cadessi e azzardando a una battuta che mi fece ridere. “Non oserei, mio custode.” Risposi, veloce e innamorata come sempre, abbandonando la vergogna e perdendomi nel suo sguardo così magnetico e perfetto. Ipnotizzati l’uno dall’altra, restammo fermi per una bellissima eternità, congelati in quell’istante di puro amore. Di lì a poco, i miei sentimenti furono la mia guida, e sicura, posai lievemente le labbra sulle sue. Lenti, i secondi continuarono a scomparire dalle nostre vite, e poi, finalmente soddisfatti, ci staccammo. “Fortuna che c’ero, giusto, fatina?” disse lui, rompendo il silenzio creatosi fra noi e accarezzandomi piano la guancia, che da chiara e fresca divenne calda e rossa d’imbarazzo. “Già…” ebbi appena la forza di rispondere, ancora ebbra di felicità. Mantenendo il silenzio,  Christopher si limitò a sorridermi, e riuscendo finalmente a ritrovare la calma, tornai a concentrarmi su quello che era il nostro viaggio, e nello spazio di un solo momento, le mie mani lambirono appena il suo petto. Del tutto immobile, Christopher non ebbe reazione alcuna, e anzi continuò a camminare come se nulla fosse accaduto. Confusa, non seppi cosa pensare, e fra un passo e l’altro su quei ciottoli tanto duri, mi chiesi dove davvero stessimo andando. Curiosa e rapita dall’ambiente circostante, mi guardavo attorno facendo saettare lo sguardo in tutte le direzioni, notando che di tanto in tanto alcuni strani animaletti zampettavano per la nostra stessa strada. Divertita, piegai le labbra in un sorriso sghembo, per poi ricompormi e guardare ancora Christopher. “Amore, dov’è che stiamo andando?” chiesi, con uno strano dolore ai piedi e un principio di stanchezza nei muscoli. Non proferendo parola, Christopher mi strinse delicatamente un fianco, e dopo l’ennesimo sorriso pieno di luce e dolcezza, si decise a parlarmi. È una sorpresa per entrambi, tesoro mio.” Disse soltanto, tenendo viva la mia curiosità e il mio interesse. A quanto sembrava, teneva spesso i suoi segreti chiusi in cassaforte, e benchè in due anni di relazione ci fossimo sempre confessati ogni cosa, questo non era decisamente il caso. Seppur confusa, non posi altre domande, e dopo altro camminare, eccoci. Al centro di un villaggio mai visto prima, che gremito di gente, sembrava emanare luce e felicità proprie. Emozionata, mi voltai verso il mio ragazzo, e nel silenzio, lui mi strinse la mano. Prima che potesse parlare, però, un’altra voce sopraggiunse, sovrastando la sua. “Benvenuta ad Eltaria, giovane fata. Chi ti accompagna in questo luogo?” disse quella voce, sorprendendoci entrambi e lasciandoci quasi senza parole. Stranamente a disagio, provai a ingoiare il rospo e parlare, ma avevo la lingua impastata. “Christopher. L’ho soccorsa ormai tempo addietro, dopo che la foresta in cui viveva è andata in fiamme.” Rispose il mio amato, soccorrendomi verbalmente e facendo le mie veci. A quelle parole, la donna a noi dinanzi sbiancò, e diventando pallida come un lenzuolo, e portando la mano al cuore, ne controllò i battiti impazziti. “Alle fiamme? Povera cara, sarai così scossa! Venite, abbiamo ancora posto per dei forestieri, forza.” Continuò poi, non riuscendo a nascondere la sorpresa. Ancora incerti sul da farsi, Christopher ed io ci scambiammo una rapida occhiata d’intesa, e così anche Xavros, che a testa bassa, tremava di paura. “Può… può venire anche…” balbettai, paralizzata dalla paura e sentendo quella frase morirmi in gola. “Certo!” rispose in fretta la donna, preoccupata come e più di noi. In quel momento, non ero sicura di nulla, ma sotto muto consiglio del mio protettore, decisi di fidarmi. Fu quindi questione di attimi, e un nuovo viaggio ebbe inizio. Mentre il tempo scorreva, la paura e l’incertezza mi bloccavano, e fu solo camminandole accanto che la osservai veramente. La sua pelle aveva lo stesso colore del mio prezioso ciondolo, e i capelli, castani come i miei, le ricadevano lunghi e morbidi sulle spalle, intrecciandosi in boccoli degni di una principessa. Piccole e quasi invisibili, alcune foglie danzavano nel vento, e con esse anche fiori colorati di rosa e d’azzurro, che calmi quanto lei, si aprivano per sbocciare al sole. Un attimo di indecisione passato a riflettere portò ai miei ricordi le altre creature magiche esistenti oltre alle fate, e solo allora, capii che era una ninfa. Non ne ero sicura, né potevo esserlo, ma forse, con un pizzico di fortuna, avrebbe potuto istruirmi sui miei poteri proprio come il mio amato, o come le fate anziane. Ad ogni modo, e sempre più confusa, cercai ancora conforto in Christopher, che con le mani metaforicamente legate, si ritrovò  a non poter far altro che annuire con decisione. Inquieto, Xavros si muoveva appena, ed io fui letteralmente costretta a trascinarlo,re  “Su, vieni. Non ti farà del male.” Provai a dirgli, conservando nel cuore la speranza di potermi fidare a mia volta. Indeciso, l’unicorno non si mosse, e forse complici le sue forti emozioni, il magico corno che aveva in testa perse piccole stille di polvere magica. “Andrà tutto bene, avanti.” Ritentai, abbozzando un sorriso. Per mia fortuna, almeno quell’espediente parve funzionare, e riprendendo finalmente il suo cammino, Xavros accettò la mano della nostra nuova amica, e continuando a sfoggiare quel sorriso, sentii il nodo alla gola sciogliersi come neve al sole. “Sono Kaleia.” Dissi, presentandomi. “Io Aster, cara. È un piacere conoscerti.” Rispose in fretta la donna, imitandomi nel sorridere e acquistando finalmente una vera identità. Per qualche istante, il silenzio ci colse entrambe impreparate, e finalmente pronto a parlare a sua volta, Christopher lo ruppe come vetro, salvandomi da attimi di insopportabile imbarazzo. “Piacere nostro, signora.” Disse infatti, per poi stringermi la mano per l’ennesima volta, che dati i miei sentimenti fu esattamente identica alla prima. Ad essere sincera, non sapevo spiegarlo, e allo stesso tempo mi stupivo di cosa quel ragazzo, ormai uomo e mio marito, fosse capace di farmi. In soli due anni era riuscito a cambiarmi, rendendomi a suo modo una fata migliore, più forte e pronta ad affrontare le avversità della vita. Non da sola, certo, ma al suo fianco, uniti in una coppia dal legame indissolubile. A quel pensiero, sentii il cuore battere e riempirsi d’orgoglio, e appena un istante più tardi, il silenzio riempirsi ancora. “Fammi un favore, ragazzo, non chiamarmi signora. Qui ad Eltaria la cattiveria non ha posto.” Ancora una volta, fu Aster a parlare, e intromettendomi, non potei evitare di difendere il ragazzo che amavo. “Aster, ti prego, scusalo. Non era sua intenzione offendere.” Fui veloce a rispondere, provando subito vergogna per entrambi. “Tranquilla, Kaleia, non l’ha fatto. Piuttosto spiegami, lui è il tuo fidanzato umano?” chiese, dando voce a quella domanda solo dopo avermi opportunamente rassicurata. Improvvisamente incerta, mi bloccai di nuovo, e tremando come le foglie su cui avevo più d’un potere, esitai. “S-Sì.” Biascicai poco dopo, tenendo nascosta l’identità di Christopher almeno per quel momento. Grato del mio gesto, lui mi rivolse un lieve sorriso e regalò una carezza,  e deglutendo, sperai di sciogliere per la seconda volta il nodo che mi attanagliava la gola. “Sono felice di scoprirlo, sappiatelo.” Replicò Aster, sinceramente impressionata mentre osservava anche solo da quei gesti la profondità del nostro legame. Intimorita, nascosi la croce incisa sul polso sperando che non la notasse, e quando finalmente si fermò e il nostro cammino ebbe fine, mi ritrovai in una parte di quel nuovo villaggio mai vista prima. A primo impatto, tutto mi giunse simile alla vecchia comunità umana nella terra natale del mio fidanzato, e alzando lo sguardo, non vidi altro che lanterne organizzate in gruppi di tre elementi. Tutte vicine, vantavano tre colori. Il bianco, simbolo di novità, il verde, canonico segno di speranza, e infine il rosso, chiaro riferimento al forte, fortissimo sentimento che ci univa, e al quale io ero sempre svelta a dare un nome. In effetti, ce n’era uno soltanto, e quel nome era amore. Alla vista di quelle lanterne, quasi piansi, e come mossa da un istinto primordiale, convinsi Christopher a lasciare le redini del cavallo per baciarlo. Stringermi a lui e baciarlo con tenerezza e pazienza, suggellando per l’ennesima volta quella promessa d’amore che ci univa  e teneva uniti, e che mai, mai nella mia intera vita avrei lasciato spegnere. Orgogliosa di noi, Aster rimase a guardarci, e con lei un’intera tribù di strani animali che abitavano quei boschi. Conigli dalle corna appuntite, cuccioli dal pelo soffice e in tutto simile a piccole volpi, e perfino una piccola banda di scoiattoli, forse amici del mio Bucky, o forse parte di un’unica grande famiglia. Presa com’ero dal bacio, sentii appena i loro versi, e staccandomi quasi di malavoglia, lo vidi sorridere e stringermi le mani, e poi, posandomi un bacio sulla fronte fresca, pronunciare insieme alla nostra nuova amica, una sola frase. “Benvenuta ad Eltaria, fatina mia. Dove tutti gli esseri magici hanno sempre una speranza.” Fu così che a sera ricordai la mia giornata, facendo ordine fra i miei ancora nitidi ricordi e scoprendomi finalmente felice e non più estranea in quella nuova terra di creature.

 

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Capitolo 3
*** Noi due e mille altri ***


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Capitolo III

Noi due e mille altri

Passano i giorni, e in questo luogo tutto nuovo eppure familiare, già sentiamo di avere tutto. Dopo quella sorta di cerimonia fatta di luci e lanterne al mio arrivo, e quella frase che tanto somigliava a chissà quale antico sonetto, ero arrivata a dormire e riposare con il respiro calmo e il sorriso sulle labbra. Ormai la settimana era quasi finita, e Aster era stata così gentile da mostrarci un posto in cui vivere. “È del tutto temporaneo, ma se vorrete, potrete renderlo casa vostra. In quel caso, vi basterà avvisarmi, e io agirò di conseguenza.” Ci aveva detto, dando mostra della quieta professionalità che generalmente caratterizzava le vite di quegli umani che interagivano e trattavano con altri per questioni legate al loro lavoro. Per quanto ne sapevo, la nostra amica non ne aveva uno, e dopo aver sentito Christopher spiegare quanto un’onesta fonte di guadagno fosse importante, almeno nella sua parte di mondo, mi chiesi come facesse a mantenersi, e come quel tipo di problema si risolvesse a Eltaria e dintorni. Tacendo al riguardo, mi guardavo bene dal dirlo ad alta voce, ma tali stranezze umane mischiate a quelle del mio magico popolo avevano per me un che di divertente, che a volte cadeva anche nel comico. Ci ripensavo, e nel farlo, ridevo. Soltanto pochi giorni fa si era improvvisata agente immobiliare, per poi sparire dalla nostra vista e tornare al covo delle sue sorelle ninfe, lasciandosi dietro un sorriso e una scia di polvere magica. In piedi accanto alla porta, ero rimasta ferma a guardarla allontanarsi, non staccando gli occhi dalla sua esile figura fino a quando il colore della sua pelle non si fuse e confuse con quello della fitta vegetazione. Da ciò che avevo avuto modo di vedere, Eltaria si divideva bene fra rurale e naturale, umano e fatato, e al solo pensiero, sentivo nuove speranze germogliarmi in petto come tenere piantine pronte ad affrontare il mondo prima di tramutarsi in fiori, e nello stesso istante, quiete. Ora come ora, il tempo scorreva, e stretti nel più caldo degli abbracci, Christopher ed io eravamo insieme. Non gli avevo ancora detto nulla, e nonostante non lo sapesse, io avevo già preso la mia decisione. Quella casa, quella piccola e umile dimora sarebbe stata nostra. In silenzio, mi godetti la tenerezza di quel contatto, e ad occhi chiusi, espirai lentamente. Anche se per un solo attimo, mi parve di addormentarmi, e quando ci staccammo, seppur di malavoglia, restammo fermi a guardarci. Già rapita dai suoi occhi color speranza, persi ogni cognizione del tempo e dello spazio attorno a noi, e respirando ancora per calmare il turbinio di emozioni che avvertivo , provai a parlargli. “Chris…” soffiai, ancora preda dei miei sentimenti. “Sì, Kaleia?” chiese, per poi scivolare nel silenzio e attirarmi a sé con un solo gesto della mano. “Questo è solo il primo passo, non credi?” azzardai, con un passo indietro e una teatrale giro su me stessa, atto ad indicare tutto ciò che ci circondava. “Lo penso anch’io, piccola, e sappi una cosa. Non so quando accadrà, ma il prossimo sarà anche migliore, stanne certa.” Mi rispose, riuscendo per l’ennesima volta ad infondermi il coraggio che mi mancava e leggermi l’anima come una sorta di veggente. A volte, il solo pensiero mi straniva, ma forse complice il suo mestiere di protettore, lui era forse l’unica persona che conoscessi in grado di farlo. Mia madre e mia sorella potevano dire di conoscermi, e azzardando, di avermi vista crescere, e nonostante volessi ancora un gran bene ad entrambe, una settimana lontano dalle mie radici era bastata a insegnarmi che essermi trasferita e arrivata in un nuovo luogo, diverso dal mio suolo natio non era altro che un modo per me di crescere ed evolvere, allargando gli orizzonti che prima limitavo ad una selva e a un lago. Una decisione azzardata e una scelta del tutto irrazionale, dettata dalla mia voglia di restare accanto a chi amavo. Sapevo bene che nessuno mi avrebbe mai criticata, ma allo stesso tempo ero anche sicura di voler cambiare aria, mutar climi e ambienti, in un viaggio metaforico e al contempo reale. Quello appena compiuto mi aveva portata lontano dalla mia famiglia, certo, ma fu regalando un sorriso allo specchio e al mio amato, che finalmente, dopo attimi trascorsi in un silenzio interminabile, mi decisi. “Usciamo. Non da soli, ma con lei.” Proposi, improvvisamente felice e sorridente come una bambina. “Con Aster? Kia, non abbiamo idea di dove si trovi, non pensi di esagerare? Se proprio vuoi ti accompagnerò io, non c’è bisogno di scomodarla.” Replicò Christopher, d’accordo con me e al tempo stesso restio nel disturbare la cara ninfa dei boschi. “Hai ragione, penso solo che ci serva una guida. Questo è un posto nuovo, e…” provai a dire, scoprendomi distratta e colta in fallo da quella sorta di soprannome. Ad essere sincera, ricordavo ancora la prima volta che l’avevo sentito. A pronunciarlo, o meglio, scriverlo, era stata la piccola Lune, che ancora ferma nel suo mutismo per una ragione a me sempre ignota, non riusciva a parlare, trovando nella scrittura il suo unico mezzo d’espressione. A quel ricordo, mi bloccai, e superando il mio respiro spezzato, una sola domanda abbandonò le mie labbra. “Aspetta, come… come mi hai chiamata?” parole che liberai appena,  seguite da piccole, piccolissime lacrime che quasi sfuggirono al mio controllo. Svelta, ebbi appena il tempo di ricacciarle indietro, e sforzandomi per restare positiva, gli sfiorai la mano. “Scusa, tesoro. So che ti manca, non volevo.” Disse lui in risposta, accettando la mia delicata stretta mentre ci dirigevamo verso la porta. “Non fa niente, andiamo e basta, forse Aster ci raggiungerà più tardi.” Quella fu la mia unica replica, che veloce e concisa, riempì il silenzio per i secondi a venire. Finalmente pronti, Christopher ed io uscimmo di casa, per nulla sorpresi dal non vedere altro che un sapiente misto di strade e verde, di ciottoli e natura. Come al mattino, infatti, un coniglietto simile alla cara Sunny saltellava per strada, riportando un sorriso sul mio volto con qualche caratteristico e allegro versetto. “Da quando i conigli hanno le corna?” chiesi, confusa e stranita da quella vista appena sopra le orecchie di quel simpatico animale. “Le ha perché non è affatto un coniglio, anche se così sembra.” Spiegò Christopher, pur senza distrarsi e continuando a camminare. “Allora che cos’è? Sei sicuro che stia bene?” azzardai, più confusa di prima e ora anche preoccupata per la sua eventuale sorte. “Amore, ti sbagli, sta benissimo. Forse non ne avevi mai visti prima, ma per tutti i jackalope è più che normale, tranquilla.” Continuò lui, rassicurandomi ulteriormente e intrecciando le dita alle mie nel camminare. Annuendo, mi fidai di lui, e pur mantenendo il silenzio, ripetei mentalmente il nome di quella bestiola. Jackalope. Strano, vero, eppure esistente. Fra un passo e l’altro, mi fermai a pensare, e solo allora capii che il bosco in cui ero nata e cresciuta non rappresentava che un misero spicchio di tutto l’universo fatato. Sorridente come sempre, ripresi la passeggiata, e per la seconda volta, il cuore minacciò di scoppiarmi nel petto, nonché di schizzarne fuori alla prima occasione. Amavo Christopher, e ne ero sicura, ma che mi stava succedendo? Il nostro legame era davvero tanto forte? Sarebbe cresciuto e mutato ancora? E soprattutto, perché imparare da lui era sempre così interessante? Non lo sapevo, e con quegli strani interrogativi impegnati a galleggiare nei meandri della mia mente, non smisi di camminare, così concentrata su Christopher e sul paesaggio da non avere idea di aver appena messo piede fra l’erba più morbida che avessi mai avuto il piacere di calpestare. Non con cattiveria come certi umani, ovvio, ma anzi, con la leggerezza che spesso caratterizzava i passi di noi fate. “Questo sì che è il mio regno.” Commentai, soddisfatta e sollevata, anche se mai sazia delle novità del nostro nuovo mondo. Un attimo scomparve poi dalla mia vita con la sua solita scioltezza, e una voce alle mie spalle fu abbastanza da farmi sobbalzare. “Mi spiace, ma su questo avrei da ridire, signorina.” Disse, cogliendoci entrambi impreparati e disattenti. Con uno scatto fulmineo, mi voltai, e nello spazio di un momento, la paura scese, e l’improvvisa rabbia si raffreddò. “Aster!” chiamai, fintamente indispettita, ridendo di gusto e colpendole il braccio con inoffensiva violenza. “Perdonatemi, ma spaventare i distratti è troppo divertente. Tu sei appena arrivata, quindi è perfino più facile. Deciso nulla sul nido che vi ho trovato?” rispose lei, sperando che riuscissimo a metterci quel finto attacco alle spalle e trovassimo dentro di noi il coraggio di perdonarla. Divertita come e forse più di lei, mi persi in mille risate, e ritrovando la mia naturale compostezza, feci un gesto con la mano, come a pregarla di smetterla. “Terremo la casa, se è questo che intendi.” Le rispose Christopher, mettendo da parte l’ilarità e tornando ad essere serio almeno per un istante. “Perfetto! Dovrò solo parlarne con le mie sorelle, poi l’affare sarà fatto.” Replicò lei, felice e gioiosa come mai l’avevo vista. “Affare?” non potei evitare di chiederle, curiosa. “Ma certo, cara. Credi che solo gli umani abbiano un’economia propria? Quello che mi hai vista fare non è proprio il mio lavoro, o almeno lo è in minima parte.” Cinguettò lei in risposta, con gli occhi che brillavano di felicità e i fiori fra i capelli che si agitavano con ogni slancio emotivo. Finalmente più sicura, le sorrisi ancora, poi una domanda mi apparve nella mente. “Aster, hai… hai notizie di Xavros?” chiesi, con il pensiero che volava dritto verso il nostro caro unicorno. “Il cavallo? Sta bene, non preoccuparti. Ora che ne dite di un tour di questi boschi? Ho tempo libero, vi aiuto io.” Mi rispose, scacciando ogni mio timore e azzardando nel proporre quell’attività tanto strampalata. Qualcosa che a dire la verità non avevo mai fatto, e che in quel momento mi incuriosiva non poco. “Avevamo già iniziato, ma se vuoi, non c’è problema.” Quella fu l’unica risposta di Christopher, a seguito della quale, la nostra marcia ebbe inizio. Vidi di tutto. Scoiattoli, volpi, conigli, un altro jackalope e qualche lupacchiotto, e nel fitto di quella nuova foresta, migliaia di piccole luci, e assieme ad esse, un costante e continuo battito di leggerissime ali. Incuriosita, sfiorai con le dita quei minuscoli corpi di luce, e fu allora che capii. Erano pixie, dolcissime pixie nel loro stato primario, o larvale. Qualcosa di cui io ricordavo poco o nulla, ma alla cui vista, quasi piansi. Lottando contro me stessa, ricacciai indietro anche quelle lacrime, e scuotendo la testa, mi imposi di non pensarci. Riprendendo il cammino, mi guardai intorno, incrociando saltuariamente lo sguardo di alcuni gentili gnometti che alla mia vista si tolsero il cappello a punta, anche se lo stesso non valse per un gruppo di elfi, sempre armati di occhi freddi come pietre e sguardi capaci di gelare il sangue. Sorpresi dalla mia presenza, non parvero tollerarla, e uno di loro mi ignorò, dandomi le spalle con l’aria di chi ancora mi considerava un’intrusa. Per mia fortuna, i leprecauni furono clementi, e salutando, agitarono ad arte i loro nodosi bastoni da passeggio. “Facce nuove, Aster?” chiese uno di loro, con una voce e un accento che faticai a definire. “Sì, Seamus, sono appena arrivati, siate gentili. E da una voce agli abitanti!” rispose lei, ricambiando quel saluto e quasi urlando per farsi sentire. Annuendo, il piccolo uomo si esibì in un inchino, e una volta fatto, si congedò da noi con la cordialità ancora intenta a scorrergli nelle. In breve, dense nuvole nere scurirono il cielo, e a sera ormai fatta, rincasai al fianco del mio amato, felice di scorgere un muso amico sull’uscio di casa. “Red, amico mio! Vieni, c’è anche Willow!” chiamò, invitandolo a entrare e inginocchiandosi per accarezzarlo. Felice di rivedere il padrone, l’animale si rotolò sul pavimento fino a mostrare la pancia, e abbozzando un sorriso, imitai Christopher in quelle carezze. “Dov’eri finito? A spasso con la tua ragazza?” gli chiesi, ridacchiando divertita. “In realtà si potrebbe dire che è la sua compagna, o meglio, sua moglie. Lui e la sua lei sono sposati, proprio come me e te.” Una frase che ascoltai senza parlare, e alla fine della quale mi sciolsi come neve al sole, incontrandolo in un bacio pieno della nostra ormai solita dolcezza. Una delle poche cose di cui non avrei mai avuto abbastanza, nonostante l’abitudine e gli incessanti oltre che puri battiti del mio cuore. Felice, lo lasciai fare, imitandolo e sfuggendogli per mostrare la nuda pelle del collo, che restando a guardarmi con i sognanti occhi di chi ama, baciò lentamente e senza esitare. Un azzardo che gli concessi senza alcuna paura, in un attimo che mi provocò una miriade di brividi. Imponendomi il  silenzio, quasi gemetti, e poco prima di dormire, con la quiete della cucina come unica compagna, non scrissi che una lettera. “Care mamma e Sky, sono io, la vostra Kaleia. Sono arrivata da poco, ma vivere ad Eltaria è meraviglioso. Ora abbiamo una casa, e l’aiuto di nuovi amici. Almeno qui i giudizi non mi toccano, e neanche la paura. Spero che stiate bene, ma sappiate che potrete visitarci quando vorrete. Forse è presto per dirlo, ma sono certa che la comunità magica vi accoglierà a braccia aperte. Salutatemi Lucy, Lune e la loro famiglia, e dite a entrambe che mi mancano moltissimo. A presto, vi voglio bene, Kaleia.” Parole che scrissi ripensando alla mia famiglia e a quanto potessi mancar loro dopo la mia partenza, e che nonostante l’ora tarda e la luna già in cielo, affidai e misi nelle zampe di Red, perfetto viaggiatore nella buia notte. Preoccupata, quasi non dormii fino al suo ritorno, e cadendo preda del sonno dopo quelle che mi parvero ore, fui sicura di una cosa. Christopher ed io avevamo appena iniziato una nuova vita, e cosa più importante, dopo il provvidenziale aiuto di Aster non eravamo più soli. L’uno fra le braccia dell’altra, non lo saremmo mai stati, ma ora che tutto era diverso, e ora che c’erano nuovi e vecchi amici a sostenerci, avremmo potuto dirci felici e orgogliosi di noi stessi per il nostro nuovo e più recente traguardo. Una fata e un protettore uniti in un matrimonio al di fuori della legge magica, che seppur scomodo ai dettami della mia vecchia foresta, teneva salda la nostra unione e vivo il nostro amore, che come noi sarebbe rimasto in piedi. Innamorati, avremmo continuato a vivere combattendo una sorta di personale battaglia contro demoni invisibili, sicuri di poter vedere l’amore e la luce trionfare. Ad essere sincera, tremavo al pensiero di una ritorsione dentro o fuori da questi luoghi, ma allo stesso tempo, quasi non mi importava. Sempre al mio fianco, Christopher mi faceva coraggio, e in altre parole, in quella comunità tutta nuova ora vivevamo noi due e mille altri.

 

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Capitolo 4
*** Le infinite vie di Eltaria ***


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Capitolo IV

Le infinite vie di Eltaria

Il tempo scorreva come sempre, ma per quanto provassi, non riuscivo a dormire. Avevo riposato per poche ore, ma poi, complice il vento freddo fuori dalla finestra, mi ero svegliata. E per l’ennesima volta. Sfinita, mi rintanai di nuovo fra le coperte con ancora il mio smeraldo al collo, e la tenue luce, unita ad un movimento forse troppo sgraziato, disturbò l’invece quieto sonno di Christopher. Aprendo a fatica un solo occhio, non vide altro che una mia immagine distorta, poi, finalmente sveglio, abbozzò un sorriso stanco. “Tutto bene, amore?” chiese, con una sottile vena di preoccupazione nella voce. “Sì, scusa. Ho solo chiuso la finestra, sta tranquillo.” Risposi appena, tenendo la voce bassa per non fare troppo rumore. Ormai eravamo svegli, e la colpa, per così dire era mia, e nonostante fosse una vera e propria esagerazione, volevo che almeno Red e Willow passassero una buona notte. “Dì, hai freddo, ora?” mi chiese Christopher, premuroso come sempre. “no, perché?” risposi, scostandomi per fargli spazio e cercare una posizione più comoda. “Peccato, mi serviva una scusa per abbracciarti.” Replicò a bassa voce, dandomi un buffetto e sorridendomi, innamorato come sempre. “Christopher, sul serio? Non servono a niente, se vuoi fallo e basta.” Fui veloce a dirgli, ridacchiando divertita e assestandogli un affatto offensivo pugno sul braccio. “Va bene, allora vieni qui.” Rispose in un sussurro, attirandomi a sé con la mano libera e stringendomi delicatamente. Lasciandolo fare, mi godetti quel dolcissimo istante fra di noi, e attimi dopo, fui sorpresa da un bacio. Quasi senza fiato, tremai sotto il suo tocco, e abituandomi lentamente a quell’azzardo, assaporai le sue labbra e ogni singolo istante di quel contatto. “Amore…” lo chiamai appena, staccandomi per respirare. Senza una parola, lui si limitò a guardarmi, e prendendomi delicatamente la mano, si sdraiò con me, baciandone le dita ad una ad una. “Sì, mia dolcissima fata?” azzardò, con un sorriso che improvvisamente sembrava grondare malizia. Colpita da quella reazione, mi lasciai prendere la mano da una stranissima timidezza, e come congelata, non mi mossi né riuscii a parlare. “N-Niente, scusami, non… non so cosa…” balbettai di fronte a lui, penosa. Non sapendo cos’altro dire, mi ridussi al silenzio, e con il calore delle coperte e i miei ora confusi pensieri come unica compagnia, non sentii altro che il battito del mio cuore, così forte da essere udito chiaramente dal mio amato, che con gli occhi ancora fissi su di me, attendeva. “Kia, avanti, sai che mi preoccupo. Sfogati, ti prego.” Implorò, sfiorandomi ancora la mano e affondando gli occhi nei miei. Lo conoscevo, ma ad essere sincera non l’avevo mai visto comportarsi così prima d’ora. Frustrata dalle mie stesse indecisioni, mi morsi un labbro per calmarmi, e nervosa come mai prima, quasi non mi accorsi di essermi ferita. Non sanguinavo, ma passandoci la lingua per lenire il dolore, scoprii di averci lasciato i segni dei denti. “Tesoro, parlami. Per favore, sai che puoi dirmi tutto. Sono o non sono il tuo protettore?” insistette, apparendo ancor più preoccupato di prima. A quelle parole, mi fermai a pensare, e con il cuore in tumulto e le lacrime agli occhi, esitai. “Chris… io… insomma, vorrei tanto…” provai a dire, finendo per balbettare e perdere il filo del discorso, troppo complesso per fluire chiaramente dalle mie labbra. Ancora una volta, i dubbi mi dilaniavano, e come l’attesa, non li sopportavo. Credevo davvero che le insicurezze mi avessero abbandonata, e solo allora capii che non era così. In perfetta simbiosi con il mio stato d’animo, il ciondolo che avevo al collo prese a brillare di luce propria, e abbandonandomi ad un cupo sospiro, mi arresi. Grazie al cielo non soffrivo d’ansia, ma in un modo o nell’altro, dovevo calmarmi. Abbassando lo sguardo, presi il mio gioiello fra le dita, e senza proferire parola, lo strinsi nel pugno chiuso, non accorgendomi di aver ripreso a tremare. Sentivo di essere spaventata, ma ad essere sincera, non sapevo da cosa. Improvvisamente, dubitavo di qualsiasi cosa. Arrabbiata con me stessa, rischiai di conficcarmi le unghie nel palmo della mano. Perché dovevo essere così maledettamente volubile? Era forse colpa del mio cuore parzialmente umano? E soprattutto, ero davvero così debole? Come poteva essere? Non lo sapevo, e con tutte quelle domande impegnate a vorticarmi in testa, sospirai ancora. Fermo e inerme, Christopher assistette a quella scena senza muovere un muscolo, ma la mia vista in quello stato così pietoso fu troppo da sopportare.“Tranquilla, tesoro, tranquilla. Ne parleremo quando te la sentirai, d’accordo? Ora sdraiati. Qui con me, senza pensare.” Mi disse infatti, posandomi entrambe le mani sulle spalle ghiacciate. Ad occhi chiusi, fui scossa da un brivido, e annuendo lentamente, scelsi di dargli retta. Tornando a sdraiarmi, chiusi gli occhi, e di nuovo al sicuro fra le coperte, mi addormentai. Le ore notturne scorsero lente, e la mattina dopo, ogni traccia di quel malessere scomparve. Che scherzo era stato? Forse la mia natura instabile? Forse le voci? Sveglia da poco, preferii non pensarci, e con il sole che mi inondava il viso e l’aria fresca e leggera a spostarmi i capelli, sorrisi. “Non preoccuparti, sarà stata una sensazione, nulla di più.” Disse gentilmente Christopher, che mattiniero come e forse più di me, aveva stampata in volto la mia stessa felicità. “Lo spero, sai?” risposi di rimando, drizzandomi a sedere e stiracchiandomi come una gatta. Sveglia a sua volta, e a suo dire chiamata in causa, Willow si presentò alla porta della nostra stanza, e saltando sul letto, mi leccò la mano. Un gesto più tipico del caro Red, che comunque accettai di buon grado, regalandole una frettolosa carezza sulla testa. Grata di quel gesto, la gatta strusciò piano la testa contro le mie dita, poi, soddisfatta, tornò a terra con un lieve tonfo. Una scena che mi strappò un sorriso, e a seguito della quale, finalmente mi alzai dal letto. “Ti senti meglio, vedo.” Osservò Christopher, sinceramente sollevato e felice di rivedermi in piedi. La notte che avevamo passato non era stata delle migliori, certo, ma almeno ora non ci pensavo più, e di nuovo felice, mi strinsi a lui, avendo il piacere e la fortuna di ascoltare il calmo e regolare battito del suo cuore. Quasi istintivamente, chiusi gli occhi, e distratta da pensieri tutti miei, presi a giocare con la morbida stoffa del suo pigiama, avvertendo per la seconda volta una strana sensazione. Per mia fortuna nulla di simile a quanto avevo sperimentato nella notte appena trascorsa, ma al contrario, una sorta di piccola scarica elettrica attraverso le dita della mano che l’avevano sfiorato.  Stranita, mantenni il silenzio di quella scoperta, e prendendogli la mano, varcai la soglia della stanza. “Sì, grazie. A quanto pare non era nulla. Nulla che il mio protettore non riesca a curare.” Risposi, dando poi voce ad una battuta che speravo capisse. “Sono serio, Kaleia. Quello che ti succede non può essere normale. Ho allenato altre fate, e non è mai successo nulla. Niente voci, niente svenimenti, nulla. Il tuo è un caso raro, sai che è bene fare attenzione.” Replicò allora lui, con il tono che usava quando voleva metter fine agli scherzi o non ne era in vena. “Lo so, ma nessuna di loro era innamorata di te, vero?” dissi a quel punto, sinceramente incuriosita e sì, anche colpita da quella sorta di accusa. Scivolando nel mutismo, Christopher evitò di rispondere, e dopo qualche secondo trascorso a guardarmi, parlò ancora. “Vero.” Si limitò a dire, per poi sorridere e riprendermi la mano. Lasciandolo fare, l’accettai stringendola, e di lì a poco, un ennesimo abbraccio ci tenne uniti. “Sono solo preoccupato, perdonami. Tengo tanto alla mia bella fatina.” Disse poco dopo, felice e libero di esternare i suoi sentimenti. “Anch’io. Ho avuto paura quando ci siamo separati. Eri sparito, e non sapevo cosa pensare.” Ammisi, sconsolata a quel solo ricordo. “Lo capisco, tesoro, davvero, ma ora sono qui, e le cose non cambieranno.” Continuò, fornendomi il supporto di cui sentivo il bisogno e riportandomi alla calma. Caldo e potente quanto un monarca, il sole splendeva appena oltre la finestra, e non curandoci di far colazione, uscimmo. Il villaggio ci accolse con i suoi colori e la sua vivacità, e fra un passo e l’altro, ebbi il piacere di notare quanto umani e creature magiche fossero in sintonia anche lì. Elfi e leprecauni discutevano animatamente, pixie e folletti rincorrevano conigli e altri animali, mentre gli gnomi, più vecchi e stanchi, si limitavano ad osservare il panorama attorno a loro, uscendo solo per passeggiare o annaffiare le numerose aiuole di cui erano soliti prendersi cura. Di umani ancora nessuna traccia, ma in compenso, un paio di vecchi visi amici in lontananza. Sulle prime mi parve impossibile, ma aguzzando la vista li vidi. Al sicuro su un albero, a spulciarsi e godere il sole del mattino, il mio piccolo amico Bucky e la sua cara compagna, che squittendo debolmente e volgendo all’orizzonte gli occhioni scuri, sembrava felice. “Christopher, hai visto?” chiesi, indicando con lo sguardo il grande albero a cui mi riferivo. “Cosa?” azzardò lui, confuso. “Là, guarda! È Bucky! Finalmente!” risposi, alzando la voce e quasi urlando, tanta era la mia contentezza. Seguendo il mio sguardo e il gesto della mia mano, il mio amato non tardò a correggersi, e facendo schioccare la lingua, tentò di richiamarlo a sé. Imitandolo, quasi risi, e battendomi una gamba, chiamai il suo nome. “Bucky, vieni! Sono io, Kaleia!” tentai, restando ferma a guardarlo e sperando che il tempo non avesse cancellato il ricordo che aveva di me. Ad essere sincera, speravo che non mi avesse dimenticata, e dopo appena un istante, la conferma delle mie speranze. Voltandosi, lo scoiattolo rispose a quel richiamo,e felicissima, lasciai che mi corresse incontro. Quando fu abbastanza vicino da sfiorarmi, gli mostrai con calma la mano aperta, e arrampicandosi sul mio braccio, fu ben contento di raggiungere la mia spalla. Una vera e propria vetta per le sue piccole zampe, e una sorta di traguardo per cui mi complimentai. “Bentornato, topolino.” Gli dissi soltanto, regalandogli un sorriso e azzardando nell’accarezzargli il pelo con due dita. Squittendo dolcemente, il mio amico roditore accettò quelle carezze, e tenendo gli occhi fissi sul tronco cavo che aveva abbandonato, fu ben felice di mostrarmi ciò che nascondeva. Una scorta di ghiande, noci e nocciole, e proprio accanto, la sua compagna e ben sei piccoli. Minuscoli e ancora privi di pelo, non erano altro che dolci creaturine indifese, e alla loro vista, quasi piansi. Lasciando che mi sfogassi, Christopher mi prese per mano, e poco prima di allontanarci per dare alla giovane coppia l’intimità che chiedevano, azzardai nell’accarezzare anche la madre dei piccoli, che quieta e paziente, non osò ritrarsi. In quel momento, un guizzo d’ispirazione mi saltò in mente, e fu allora che trovai il nome perfetto per lei. Darlene. Dolce, elegante e dal tipico gusto francese, mi ispirava tranquillità, la stessa che avevo visto negli occhi di quella piccola mamma, e quando finalmente ci allontanammo, Bucky ruppe il silenzio con una serie di squittii. “È stato bello rivederti, a presto.” Sembrò dire, per poi ritirarsi nella sua nuova tana a guardia dei suoi cuccioli. Seppur più composto di me, anche Christopher finì per emozionarsi, e davanti a quello spettacolo naturale di sole e nuova vita ci baciammo, ignorando le metaforiche nuvole di pioggia che minacciavano di ostacolare la gioia e il benessere che provavamo insieme. Come mosse da una forza quasi mistica, le vere nubi in cielo si diradarono, e alle nostre spalle apparve un magnifico arcobaleno. Solo allora, un ricordo mi balenò in mente, e con esso la frase pronunciata da Aster appena pochi giorni prima durante la cerimonia di benvenuto in mio onore. Fiduciosa, ero sicura che non l’avrei mai dimenticata, così come non l’avrei fatto con la sua parte più importante. In questo luogo tanto ameno, tutti avevano una speranza, e ancora una volta, ne avevo avuto la conferma. Qui le creature magiche vivevano in completa armonia, la vita e l’amore prosperavano sbocciando ovunque, e solo grazie alla fede degli umani credenti e alle infinite vie della magica Eltaria.   

 

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Capitolo 5
*** Verità quasi innocente ***


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Capitolo V

Verità quasi innocente

Fermi. Era così che eravamo. Assolutamente fermi e stretti l’uno nell’abbraccio dell’altra, a godere di ogni secondo del bacio che ci aveva uniti. Felice e innamorata, quasi non riuscivo a respirare, e non avendo occhi che per il mio amato Christopher, provai per l’ennesima volta le stesse sensazioni di puro amore misto a giovane innocenza. Anche se da poco, eravamo diventati marito e moglie, ed era questo a rendermi orgogliosa e al tempo stesso spaventata. Stando ai miei ancora nitidi ricordi, la nostra unione aveva già superato mille tempeste, e pensandoci, mi scoprivo combattuta. Ad essere sincera, non l’avrei mai voluto, ma era come se la mia anima fosse divisa in due, esattamente come i miei talvolta instabili poteri. Conoscendomi, avevo ormai imparato ad accettare squilibri e scompensi nelle mie capacità, ma era in momenti come questi che avrei tanto voluto appartenere ad una sola delle due stirpi di cui facevo parte. Come sempre, il mio lato umano prevaleva senza sforzi su quello fatato grazie allo smeraldo che portavo al collo, e per tale ragione, apparivo ad occhi estranei come un’eterna indecisa. Ad ogni modo, sicura e sincera con me stessa, non avevo mai problemi ad ammettere quella che per me era la verità. Una parte di me avrebbe voluto nascondere ogni cosa, occultando il reale come la schiacciante prova di un delitto, ma un’altra, in costante e completo disaccordo con la prima, non esitava a ribellarsi. Forse stavo esagerando, e forse in molti non l’avrebbero accettato, ma non potevo mentire al mio cuore. Nei momenti di quiete, mi parlava dominando il resto dei miei pensieri e dando mostra della sua saggezza, ed era allora che sceglievo di reagire. Sapevo bene di non desiderare altro che la libertà di vivere l’amore con mio marito come ogni altra giovane coppia, vivere appieno quel rapporto nonostante le avversità, gridare al mondo intero la forza e la profondità dei nostri sentimenti, ma non potevo. Non potevo, e la ragione era una sola, riassumibile in una sola parola. Insicurezza. Uno stato d’animo tristemente comune nelle ragazze a me simili, su cui avevo ben poco controllo e che a volte sentivo premere sul petto fino a togliermi il respiro. Era opprimente, e nel tentativo di sfuggire a quell’affatto metaforico dolore, finivo spesso per nascondermi in un angolo di avvilenti delusioni, emulando senza volerlo il comportamento di una povera bestiola provata dal freddo e per questo alla costante e sempre fallimentare ricerca di un rifugio. Una metafora semplice, che dato il mio presente e i miei trascorsi, descriveva perfettamente come mi sentissi. Mantenendo il silenzio, scossi la testa nel tentativo di scacciare quegli odiosi pensieri, e quasi mugolando in quel bacio pieno d’amore e passione, decisi di concentrarmi sugli attimi di luce che vivevo accanto al mio Christopher. Soddisfatta, ne assaporai con calma gli ultimi istanti, e senza più ossigeno in corpo, mi staccai per riprendere fiato. Rassicurata dal suo sguardo, abbozzai un sorriso, e abbracciandolo ancora, immensamente grata di averlo al mio fianco nelle sfide della nostra vita insieme, sentii il cuore perdere un battito, e le ali fremere facendoci svolazzare attorno minuscoli frammenti della mia polvere di fata. Succedeva sempre quando mi perdevo nel verde dei suoi occhi, e rilasciando un sospiro di sollievo e beatitudine, sussurrai appena una sola frase. “Andiamo a casa.” Pregai, sicura di aver passato fin troppo tempo all’aperto e non desiderando compagnia dissimile dalla sua. In quanto fata della natura, sapevo bene che il verde era il mio elemento, ma lasciandomi guidare dai miei sentimenti, ero rimasta ferma e inerme mentre questi passavano in secondo piano. “Certo, andiamo.” Rispose subito Christopher, prendendomi delicatamente la mano e accarezzandola con dolcezza. Sorridendo, abbassai lo sguardo, e appena un istante più tardi lo posai sulle nostre dita intrecciate e sul magnifico anello che mi aveva regalato. Due simboli d’amore e unione, testimoni del sentimento che ci legava da anni. Fra un passo e l’altro, non rinunciai a guardarmi intorno, sorpresa di sentire l’erba ai nostri piedi trasformarsi nell’ormai famoso e già percorso acciottolato. Eravamo ormai arrivati alla strada, e solo pochi passi ci separavano dalla nostra meta. Lasciandomi trasportare dalle emozioni, sorrisi nel guardarlo, e ricambiando con una dolce stretta, mi accarezzò lievemente la schiena e i capelli. Più calma che mai, chiusi gli occhi,  e pur senza approfittare di quel momento, sentii il corpo invaso da un’ormai conosciuta sensazione di quiete. Non era la prima volta che la sperimentavo,  ma nonostante tutto, la mia reazione non cambiava. Mi sentivo ogni volta capace di ogni cosa, e tutto solo grazie all’amore di mio marito, mio compagno di vita e indomito protettore. Questi i miei pensieri in sua presenza, che all’arrivo a casa, trovarono il loro posto a metà strada fra la mia mente e il mio cuore. Girando un’aurea chiave nella serratura, entrai senza esitazione, e proprio allora, quella metaforica magia si spezzò. Contento di rivederci, Red ci corse incontro abbaiando festoso, e piantandoci le zampe al petto, rischiò di farci perdere l’equilibrio. Lottando per ritrovarlo, sopportai il suo dolce peso,  per poi spintonarlo giocosamente e regalargli qualche carezza. Agitando la coda, il nostro amico dal pelo rosso parve acquietarsi, e ritornando con le zampe per terra, fissò lo sguardo sulla porta ormai chiusa, poi sul pavimento. “Red, si può sapere cos’hai? Sta calmo.” Chiesi, accarezzandolo ancora e non ascoltando altro che un suo ringhio sordo. Confuso quanto e forse più di me, Christopher si guardò attorno, e fu allora che la vide. Abbandonata in terra, una bianca busta da lettere chiusa con della ceralacca color avorio, e al suo interno, una missiva che a dirla tutta speravo di ricevere. Sorpresa, la estrassi e dispiegai con cura, poi iniziai a leggere. “Cara Kaleia, sono la mamma. Sky ed io abbiamo ricevuto la tua lettera, e siamo davvero felici che tu abbia trovato il tuo posto nel mondo. Ci manchi, e forse un giorno riusciremmo a raggiungerti, ma sappi che il tuo messaggio ha fatto in breve il giro di tutto il bosco, e che con un pizzico di fortuna, tu e Christopher avrete dei vicini su cui contare. Non sarete soli a lungo, stanne certa. Con tanto affetto, Eliza.” Queste le parole che lessi in silenzio, e che inaspettatamente mi portarono quasi alle lacrime. A quanto sembrava, la mia partenza aveva sconvolto e rallegrato la selva in cui vivevo in precedenza, e a quel pensiero, un dolce sorriso mi increspò le labbra. Avvicinandosi, Christopher la lesse a sua volta, e nel silenzio, ci abbracciammo. Un contatto calmo e silenzioso, che facendoci perdere la cognizione del tempo che scorreva, rafforzò ancora una volta il nostro rapporto. Sempre scomodo alle leggi, certo, ma sorretto da una sapiente miscela di amore, rispetto, fiducia e verità. Innamorata com’ero, sentivo davvero di non potermi comportare da vigliacca o da bugiarda, e benchè sapessi che mantenere il segreto del mio amato era l’unico modo di continuare a vivere serenamente, da una parte non lo volevo, avendo come unico desiderio, nel profondo della mia anima divisa e tormentata dai dubbi, quello di essere me stessa al fianco di chi amavo, nonostante ogni gesto, ogni sorriso e ogni parola che rivolgessi a quelle genti facesse parte di una verità tutta nostra, e in altre parole, anche secondo la legge magica, quasi innocente.      

 

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Capitolo 6
*** Famiglie oltre la propria ***


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Capitolo VI

Famiglie oltre la propria

Sdraiata a letto, non dormivo. Non ero affatto stanca, né sentivo il bisogno di riposare, e con lo scorrere del tempo, fissavo il soffitto. Il silenzio era mio unico compagno, e in quella stanza che ora occupavo soltanto io, non c’era altro. Silenzio, quiete, calma. Annoiata, fissavo il soffitto, e instancabile, la sveglia sul comodino ticchettava, dandomi sui nervi. Voltandomi fino a darle le spalle, tentai di ignorarla, e in posizione fetale, scostai alcune ciocche di capelli dal viso. Il sole splendeva alto nel cielo, e nonostante nessuno oltre a me lo sapesse né l’avrebbe detto, ero triste. Per qualche strano motivo, la testa mi doleva, e le parole della lettera di mia madre continuavano a tornarmi in mente. Parlando e scrivendo anche a nome di Sky, si era detta felice di avermi vista crescere passando da piccola pixie a giovane fata, avermi accompagnato per un lungo tratto del viaggio della vita e avermi poi lasciata andare, felice e non più sola, nel giorno del mio matrimonio. Un’occasione che per nulla al mondo si sarebbe persa, in cui ero stata circondata dall’affetto dei miei cari, e che a mia volta non avrei mai dimenticato. Un altro mese stava per andarsene, e colta di nuovo dai dubbi, desideravo la solitudine. Me ne stavo lì sopra la coperta a pensare e lottare contro alcune piccole lacrime, e con il volto in fiamme e gli occhi già stanchi, espirai. Le stesse domande mi tormentavano di nuovo, e anche se almeno per ora non si trattava di quelle maledette voci, era come se anch’esse avessero fatto ritorno. Il tempo passava, ed io continuavo a pormi le stesse domande. Perché doveva essere così difficile? Perché non avevo avuto la fortuna di Sky? Christopher non poteva essere semplicemente umano? Quesiti dai quali mi lasciavo abbattere di giorno e di notte, e che nonostante i miei sforzi non trovavano mai una risposta. Scoraggiata, ormai non sapevo cosa pensare, e decidendomi ad uscire finalmente dal metaforico bozzolo rappresentato dalla mia stanza, mi incamminai verso il salotto, imbattendomi in Christopher. Nel mezzo del corridoio che mi separava dalla mia meta, evidentemente già alla mia ricerca. “Va tutto bene?” mi chiese, preoccupato. “Sì, avevo solo bisogno di pensare.” Risposi, veloce e sincera. “Si tratta di nuovo dei tuoi?” azzardò lui in risposta, muovendo un singolo passo in avanti e sapendo di star andando a toccare un nervo scoperto. Scivolando nel silenzio, quasi non risposi, e in preda alla vergogna, avvampai. “Sì…” mi limitai a rispondere, abbassando lo sguardo e fissandolo sul pavimento. “Kaleia, non farlo. Non ce n’è bisogno, e hai tutte le ragioni al mondo per stare così.” Disse allora Christopher, rincuorandomi e riuscendo ancora una volta a soccorrermi nel momento del bisogno. “Dai, vieni, se ne hai voglia usciamo.” Aggiunse poco dopo, regalandomi un sorriso. A quella proposta, non reagii, e tenendo bassi gli occhi, ruppi il silenzio con un sospiro. “Chris, non lo so, non… non me la sento.” Biascicai, con il morale metri e metri sotto terra. Annuendo, Christopher non mosse foglia, e tenendomi stretta la mano, mi accompagnò in salotto. Sedendosi con me, lasciò che mi accomodassi sulle sue ginocchia, e nello spazio di un momento, le nostre labbra si incontrarono. Lasciandolo fare, ricambiai quel bacio con amore e affetto, e fermandomi a guardarlo, finalmente sorrisi. “Va meglio adesso?” indagò, spezzando il silenzio creatosi fra di noi e accarezzandomi piano una guancia. “Molto meglio, grazie, mio custode.” Risposi, allargando quel sorriso e tornando a sedermi composta. Imitandomi, anche Christopher sorrise a sua volta, e improvvisamente, un suono ci distrasse. Basso e soffocato, giungeva alle mie orecchie come un ringhio sordo, seguito poi da deboli uggiolii e artigli che grattavano contro il legno. Innervosita, Willow si svegliò dal suo riposo sul tappeto, e con gli occhi fissi sulla porta, prese a muovere la coda come una frusta, soffiando e sputando. “Willow, smettila!” le intimai, scacciandola con un gesto della mano e alzandomi in piedi. Conoscendola, sapevo che non era mai stata aggressiva, ed ero convinta che il suo comportamento avesse una spiegazione logica e razionale, ma l’avrei scoperto solo aprendo. Decisa, afferrai la maniglia, e appena un attimo più tardi, non vidi altro che gli scuri occhi di Red, e proprio dietro di lui, un’esemplare che avevo già visto. Simile a lui, vantava un pelo più chiaro e delle leggere focature sulle zampe, e assieme a quelle, una vistosa ferita in prossimità dell’occhio destro. “Chris, guarda.” Pregai, aspettando che si avvicinasse e indicando con lo sguardo quel triste spettacolo. Il nostro amico color del fuoco, la sua compagna ferita e i quattro cuccioli. Ormai grandi abbastanza, si guardavano intorno e camminavano da soli, avendo comunque ancora bisogno del buon latte materno Sempre vicini, i quattro non si allontanavano, e al fianco della madre, se ne stavano lì seduti a guardarci. “Povera bestia, come può essere successo?” in quel momento, fu il mio amato a parlare, e avvicinandosi a lui, Red gli sfiorò un ginocchio con la zampa, in una triste e muta richiesta d’aiuto. “Dev’essere stato quell’incendio, ricordi?” ebbi appena la forza di dire, sentendo una ferita in fondo all’anima riaprirsi e sanguinare. In totale onestà, una parte di me avrebbe voluto dimenticare quello scempio, ma a quanto sembrava, non c’ero ancora riuscita. Provando istintivamente pena per quella famiglia, mi inginocchiai per accarezzare Red, e muovendomi con cautela, sfiorai il muso della sua compagna. “Resta con loro, vedrò cosa posso fare.” Disse allora Christopher, per poi scivolare nel silenzio e sparire dalla mia vista. Annuendo, feci ciò che mi era stato chiesto, e passando lentamente le dita nel pelo di ognuna di quelle volpi, attesi. In quel momento, mille ricordi di quel rogo mi affollarono la mente, e abbandonandomi ad un cupo sospiro, spostai lo sguardo sui pochi fili d’erba tanto coraggiosi da sfidare un terreno diverso da quello naturale. “Sii felice, i tuoi cuccioli non hanno un graffio. Sussurrai alla madre, che fra i due genitori appariva di gran lunga più provata. Non che Red non lo fosse, ovvio, ma se c’era qualcosa che la vita da fata e il mio elemento mi avevano insegnato, quello era il concetto di compassione. Era stato quel sentimento a spingere mia madre Eliza verso me e Sky molti anni prima, e sempre quella la ragione per cui la compagna del nostro furbissimo amico era ora sdraiata accanto ai suoi cuccioli, e a testa bassa, li leccava, rassicurandoli. “Non abbiate paura. Questo è un posto nuovo, ma staremo bene.” Sembrava dire, guardandoli con serietà mista ad incredibile dolcezza. Emozionata, le sorrisi, e affondando ancora le dita nel suo morbido pelo, sussurrai una sola frase. “Sei stata coraggiosa, come ogni madre.” Dissi, rivolgendo un altro pensiero alla famiglia che avevo lasciato e dalla quale non mi ero mai davvero separata. Per quanto ne sapevo, la distanza poteva essere crudele, e seppur capace di separare due o più corpi, non avrebbe mai potuto fare lo stesso con i cuori che questi ospitavano. Così, con quel pensiero in mente, ritrovai un attimo di felicità, e voltandomi verso la porta di casa ancora aperta, rividi Christopher. Mantenendo la parola data, era tornato, e deciso a fare quanto in suo potere per Red e i suoi cari, aveva portato con sé delle bende e un pò d’acqua fresca. Con un gesto della mano, lo invitai ad avvicinarsi, e cauto come sempre di fronte ad ogni situazione, avanzò con decisione mista a quiete, così da non spaventare quella povera famiglia. Guardinga la madre scattò in piedi, e parandosi davanti ai piccoli come per proteggerli, guardò il mio Christopher con occhi colmi d’odio. Aiutata dal ciondolo e dal mio elemento, io non avevo avuto problemi ad avvicinarmi, ma lo stesso non valeva per lui, che avvezzo alla magia ma sprovvisto di poteri simili ai miei, appariva agli occhi di quella volpe come un estraneo, e di conseguenza, un pericolo per le quattro piccole vite di cui era responsabile. “Fa attenzione.” Lo avvisai, lasciandomi trasportare dalla tensione e temendo una ritorsione da parte della volpe. Mantenendo il silenzio, Christopher si limitò ad annuire, e lento, mostrò la mano all’amica ferita, sicuro che avere un’idea delle sue intenzioni l’avrebbe aiutata. “Lascia che ti aiuti, non ti farò del male, le disse, accennando a un sorriso e osando nello sfiorarla. Calma e paziente, la volpe si decise, e sostituendo l’odio con la gratitudine, accettò ogni mossa del mio amato. Preciso e concentrato, le bendò l’occhio ferito, bagnando la garza prima di applicarla, così che la fresca acqua agisse da medicina, o almeno paliativo contro il sangue che ancora sgorgava. A lavoro finito, Christopher si allontanò per lasciarla ai suoi cuccioli, ma prima di andare, feci un’ultima carezza al caro Red, sicura che da allora in poi si sarebbe preso cura della sua famiglia. Non avrebbe vissuto in casa con noi, ma non importava. Ormai padre, aveva una vita propria, e per quanto sciocco potesse sembrare, ero felice per lui. Ad essere sincera, adoravo i cuccioli di ogni specie, e nonostante il mio cuore traboccasse d’amore per Christopher, sentivo che per noi non era ancora il momento. Non sapevo se ce ne sarebbe mai stato uno, ma nelle notti in cui non mi lasciavo prendere la mano dai ricordi, restavo sveglia e pregavo, non attendendo altro che una sorta di miracolo. Fiduciosa, mantenevo l’ottimismo, e poco prima che potessi rientrare in casa, non sentii altro che una voce. “Ragazzi! Grazie al cielo l’avete trovata!” diceva, attirando la mia attenzione e spingendomi a voltarmi. Incuriosita, scrutai il paesaggio, e solo allora, la vidi. Aster. La nostra amica ninfa, che ad occhi sgranati, correva verso di noi, agitatissima. “Cosa? Vuoi dire che è tua?” chiesi, indicando la volpe ancora sdraiata e ora intenta a nutrire i suoi cuccioli. “No, ma come voi creature naturali, anche noi ninfe reagiamo alle ferite della selva.” Rispose lei, seria, mentre chinandosi, tentava di richiamare a sé la volpe. “Anya, vieni, vieni!” tentò, battendosi più volte una gamba. Titubante, la volpe rimase a guardarla, e rialzandosi nonostante il dolore delle ferite, si riunì a colei che la cercava, e insieme, i sette sparirono. Grata di quella svolta così improvvisa ma positiva, salutai Aster con un sorriso e un gesto della mano, e di nuovo in casa in un pomeriggio che non tardò a diventare sera, passai le mie ore di veglia a sperare e immaginare il mio avvenire, sicura, dopo quella sorta di disavventura risoltasi al meglio, che un giorno avrei davvero trovato la pace che tanto cercavo, e che la realtà e i desideri di ogni persona nascondevano famiglie oltre la propria.    

 

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Capitolo 7
*** La vecchia selva ***


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Capitolo VII

La vecchia selva

Ancora una volta, si levava il giorno, e cordiale come sempre, il sole mi salutava solleticandomi il viso. Già sveglia, non gli davo alcun peso, e stropicciandomi gli occhi ancora cisposi e assonnati, trattenni uno sbadiglio. Quella che stavo per vivere era una giornata nuova, e per qualche strana e a me ancora ignota ragione, ero convinta che nulla avrebbe potuto rovinarla. Fuori dalla mia finestra c’erano aria pulita e uccellini che cinguettavano dedicandosi l’un l’altro canzoni d’amore, e sdraiata nella morbida trappola rappresentata dalle leggere coperte, riflettevo ancora una volta su quel sentimento. Cos’era davvero. Soltanto il luccichio negli occhi del mio amato o la delicatezza del suo tocco quando mi sfiorava? Il battito del mio cuore che accelerava ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano dentro e fuori casa? O forse la sensazione di calma, protezione e serenità che riusciva a procurarmi tenendomi stretta fra le sue braccia? Non lo dicevo, e restavo zitta, ma dati i nostri trascorsi e la durezza della legge magica che pendeva su di noi come una sorta di maledizione, quando si trattava di noi diventavo insicura come una bambina. Volendo proteggermi, provavo a negarlo, e così faceva Christopher, ma a volte non riuscivo davvero a smettere di pensarci. Eltaria era il nostro traguardo, e anche ora che l’avevamo raggiunto, continuavo ad avere dei ripensamenti. Di sera, fra una preghiera e l’altra, leggevo e rileggevo la lettera ricevuta da mia madre, e più lo facevo, più mi rendevo conto di quanto avesse ragione. Secondo lei, tutto prima o poi sarebbe andato per il meglio, queste metaforiche acque si sarebbero calmate, e noi avremmo potuto vivere la nostra vita, ma quando? Questa la domanda che assieme a mille altre mi ponevo ormai costantemente, nascondendo calde lacrime fra i cuscini del letto e abbandonando la sicurezza che cercavo sempre di ritrovare, per poi restare a guardare mentre scivolava via da me come sabbia rinchiusa nel vetro di una clessidra. Come ogni volta, quel quesito non trovava una risposta, ma appena sveglia, volevo conservare l’ottimismo, e sperare che almeno il sole odierno sarebbe stato più caldo e diverso. Così, con quel pensiero in mente, scossi la testa per scacciare quelli più brutti, e finalmente pronta, scostai le coperte per potermi alzare. Piano e con cautela, e solo per evitare di svegliare Christopher, ancora placidamente addormentato e con le labbra piegate nel debole sorriso di un bambino. Era strano a dirsi, ma era così che dormiva, e semplicemente guardandolo, arrivavo puntualmente a sciogliermi come neve al sole, sentendo un desiderio e una speranza farsi sempre più largo nel mio cuore. Eravamo ancora giovani, marito e moglie solo da poco tempo, eppure c’era qualcosa dentro di me che mi spingeva a desiderarlo, e un giorno, chi lo sapeva, avere anche una famiglia con lui. Intenerita da quei prospetti per un futuro speranzosamente non lontano, sorrisi a me stessa, e con il cuore in tumulto, sfiorai la coperta che lo avvolgeva. “Chris, amore? Sei sveglio?” chiamai, sdraiandomi nuovamente e scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. Seppur lenta, questa non si fece attendere, e attimi dopo, ebbi il piacere e la fortuna di ascoltare la sua voce. “Come te, fatina mia.” Disse soltanto, allargando il sorriso che già aveva in volto e sfilando un braccio da sotto il cuscino per stringermi a sé. Innamorata, lo lasciai fare godendomi il suo calore senza proteste, e osando, lo scossi dal torpore con un bacio. Veloce, certo, ma sempre dolce e delicato, come d’abitudine per entrambi. “Che c’è, hai qualche piano in particolare, stamattina?” chiese poi in tono calmo, parlando mentre mi accarezzava i capelli. Sulle prime, non risposi, e imbarazzo o meno, dopo istanti che parvero eterni, mi decisi a parlargli. “Sai, stavo pensando, e volevo far visita a mia madre.” Confessai, sentendo quel peso svanirmi dalle spalle e dal cuore. Tutt’altro che sorpreso, Christopher sorrise, e facendosi più vicino, coronò quel momento posandomi un lieve bacio sulla fronte. “Nostalgia delle vecchie radici, vero, Kia? Tranquilla, posso dire lo stesso.” Commentò, ridendo di gusto e non dimenticando di esprimere il proprio parere. Sollevata, rilasciai un sospiro di sollievo, e staccandomi da lui quasi di malavoglia, scelsi una veste pulita dall’armadio, poi sparii nel bagno di casa. Sicura di essere da sola, non chiusi a chiave la porta, e solo attimi più tardi, lasciai che l’acqua calda mi scivolasse sulla pelle, mondandomi ancora una volta dei miei dubbi e delle mie sciocche insicurezze. Poteva sembrare strano, e lo sapevo bene, ma nei momenti di tensione, quello era soltanto uno dei gesti quotidiani capaci di riportarmi alla calma. Ad esso seguivano la lettura di un libro, le fusa della gatta di casa, o anche solo del tempo trascorso a osservare un tramonto o il panorama fra le braccia di Christopher. Una sorta di abitudine presa quando non eravamo che fidanzati, e mai abbandonata, come invece era accaduto a quella di lanciar sassi nel lago. Non lo facevamo da molto, e ormai non contavamo di rifarlo, ben sapendo che riempire di rocce uno specchio d’acqua servisse a poco o nulla. Cos’eravamo, bambini. Assolutamente no, o almeno, non più. Persa come al solito fra fantasie e ricordi, non mi accorsi dello scorrere dei minuti, e dopo un tempo che mi parve indefinibile, fui pronta per vestirmi, ritrovandomi avvolta da nebbia e umido vapore. Finalmente pronta, lasciai il bagno, e in attesa di Christopher, mi sedetti in salotto. Sveglia ma ad occhi chiusi, Willow era accucciata sul divano, e con le zampe sotto al corpo, sembrava più comoda che mai. Alla mia vista, azzardò un debole miagolio, misto poi ad uno sbadiglio che la sua pigrizia le impedì di trattenere. Limitandomi a guardarla, non dissi nulla, e con movimenti lenti, iniziai ad accarezzarla. Altri secondi scomparvero così dalla mia vita, e con dando gli occhi alla finestra, li vidi. Gli stessi uccellini che avevo sentito cantare, appollaiati sullo stesso ramo e intenti a pulirsi le piume a vicenda. Un gesto tenero, che mi ricordava le carinerie degli innamorati come me e Christopher. Sorridendo, mi sedetti più comodamente sul divano, e spostando lo sguardo su Willow, mi accorsi che aveva cambiato posizione, acciambellandosi e facendo vibrare il pelo in basse fusa. Dandole i suoi spazi, decisi di allontanarmi, approfittando del suo sonno per dare un’occhiata ai libri sullo scaffale in legno. Sempre gli stessi, i tre che già avevo letto, e che chissà per quale motivo continuavano ad attirarmi come una luce farebbe con una falena. Indecisa, feci scivolare le dita sul frontespizio del candido tomo appartenuto alla famiglia di Christopher, e forse reagendo al mio tocco, o a quello dei raggi del sole, il lucchetto che lo teneva chiuso brillò di una tenue luce dorata, e spostando la mano, non mi azzardai a toccarlo ancora. Non sapevo perché, ma ero come spaventata, e distraendomi come potevo, ripensai ad una delle frasi che quel libro portava al suo interno. “Un protettore è sempre tenuto ad assicurarsi del benessere della fata che ha a cuore.” Ad essere sincera, non so come accadde, ma quello fu la prima a tornarmi in mente, e solo allora compresi ogni cosa. Perché dovevo essere così dannatamente insicura? Perché continuavo a dubitare quando sapevo di riuscire a fidarmi. Non ne ero sicura, e una parte di me non lo era di nulla, ma sforzandomi per restare positiva, finalmente rividi Christopher. “Sei pronta ad andare? E soprattutto sicura?” mi chiese, serio come mai l’avevo visto. Decisa, annuii, e poco prima che potessimo uscire, un ricordo si fece spazio nella mia mente. Il viaggio sarebbe stato lungo, non saremmo tornati indietro almeno per qualche giorno, e a fermarmi c’era un solo ostacolo. Willow. Era una gatta, e sapevo che i felini come lei erano rinomati per la loro indipendenza, ma nonostante tale consapevolezza mi fosse di conforto, allo stesso tempo non me la sentivo di lasciarla da sola. Voltandomi a guardarla, la scoprii ancora persa nel sonno, e in un attimo, ricordai. Nel nostro armadio, assieme ai vestiti, tenevamo anche il suo trasportino. Una sorta di piccola scatola con un cuscino e una porticina, perfetto per portarla con noi se mai avessimo voluto affrontare viaggi del genere. Con un gesto della mano, pregai Christopher di aspettarmi, e sparendo dalla sua vista, tornai indietro solo pochi istanti dopo, con quella casetta fra le braccia e un’idea nella mente. Willow non era certo un cane, né possedeva la stessa inclinazione all’obbedienza di Red, ragion per cui, dovetti trovare un modo per raggirarla, e convincerla, anche se con l’inganno, a sdraiarsi in quel giaciglio. Andai quindi alla ricerca dei suoi croccantini, ed estraendone una manciata dal sacco, li posai nella sua piccola ma accogliente tana, e in silenzio, attesi. “Che stai facendo?” mi chiese Christopher, confuso. “La convinco a venire con noi, non vedi? Non possiamo lasciarla qui, e sai che odia le costrizioni.” Risposi, con la voce bassa e i denti stretti, sperando che il nostro discutere non la distraesse né le facesse mangiare la foglia. Affamata com’era dopo il pisolino, la gatta non si fece pregare, e dopo attimi per me carichi di tensione, annusò il suo frugale pasto per poi mangiare tranquillamente, restando nel mentre ignara di tutto. “Si può sapere come hai fatto? Come facevi a…” non potei evitare di chiedere lo stesso Christopher, sorpreso. “Non ci vuole molto se ami gli animali e sei una fata della natura, sai?” gli feci notare, sussurrando ogni parola e avvicinandomi alle sue labbra pur senza toccarle, volutamente giocosa. “Hai ragione. Sono sbadato, e lo dimentico sempre.” Rispose subito lui, stando al mio gioco e prendendomi delicatamente il mento con due dita, così da costringere i nostri sguardi ad incontrarsi. A quella reazione, non mi scomposi, e con il sorriso e gli occhi di chi ama, lo baciai con impeto e passione, immediatamente dimentica di tutto ciò che ci accadeva intorno. Sapevo che scherzava, lo faceva per vedermi felice e tenermi la mente sgombra dai problemi, ed era anche per questo che lo amavo. Concentrata sul bacio e sulla sua presenza al mio fianco, non mi accorsi di nient’altro, e quando mi staccai, in trance e senza fiato, tornai brevemente al mondo reale, notando che Willow aveva completato il lavoro da sola, sfiorando la porticina della gabbia con la coda e richiudendosela alle spalle. “Chris, sei meraviglioso.” Soffiai a fior di labbra, ancora emozionata e con il cuore in tumulto. “E tu bellissima.” Replicò, riuscendo come sempre a sorprendermi e a farmi perdere il respiro. Come sempre, i giorni passavano lenti, e non ce n’era uno che scorresse senza che ringraziassi il cielo per avermi unita a quel ragazzo, nel tempo diventato mio marito. Dalle nostre tanto sospirate nozze era scomparso appena un mese o poco più, e di giorno in giorno, benchè li tacessi, i miei desideri non cambiavano, restando immutati e congelati in un tempo che ero sicura aspettassimo entrambi. Torturandomi le membra, speravo che Christopher capisse di cosa parlavo, poiché farlo mi portava a provare una stranissima sensazione di imbarazzo. Ora attendevo, e un giorno la verità sarebbe venuta a galla, e facendo di nuovo ritorno nel mondo dal quale mi ero momentaneamente assentata, mi avvicinai al trasportino di Willow per sollevarlo, e finalmente pronta, varcai assieme a Christopher l’uscio di casa. Insieme, camminammo fianco a fianco per un tempo che ci parve indefinibile, e sempre nascosta fra la vegetazione come per mimetizzarsi, la nostra amica ninfa non mancò di accorgersi di noi. “Salve ragazzi, chi è la vostra amica? E perché la gabbia, povera creatura?” indagò, preoccupata per la gatta, che intanto si era placidamente addormentata. “Si chiama Willow, Aster. Non potevamo lasciarla da sola ora che partiamo per un viaggio, sarebbe stato crudele.” Spiegai, facendo luce sulle nostre ragioni e appellandomi nel farlo al suo senso di giustizia. “Avete totalmente ragione, ma… viaggio per dove, se posso chiedere?” rispose subito lei, completamente  d’accordo mentre la curiosità la dilaniava. A riprova di ciò, anche i fiori fra i suoi capelli si erano svegliati, e avevano teso i petali come per cercare di sentirci. “Al mio bosco di nascita.” Risposi, tenendo per me il resto delle informazioni e restando indecisa su quando e come rivelarle. Conoscevo Aster da poco, ed era vero, ma nonostante tutto la reputavo un’amica, proprio come Marisa, che ormai non vedevo da un tempo decisamente troppo lungo. “Capisco. Fatemi sapere quando tornerete, e ricordate sempre che Eltaria è un luogo di speranza.” Replicò in fretta lei, per poi abbracciarci entrambi e andare per la sua strada. “Kaleia?” mi chiamò, voltandosi come se avesse appena ricordato chissà cosa. “Sì” titubai, incerta. “Che il tuo ritorno nelle terre di Primedia sia sgombro di pericolo, specialmente dopo ciò che vi è accaduto.” Disse lei, suonando all’improvviso criptica ed enigmatica. Confusa, mi limitai ad annuire, e ringraziarla ancora, e fra un passo e l’altro, mi voltai verso Christopher. “Cosa credi che intendesse? Gli chiesi, brancolando nel buio dei miei stessi dubbi. “Parlava della nostra meta, amore. Forse non lo ricordi perché eri troppo piccola, ma è il nome del luogo in cui sei nata. A quanto sembra, quell’incidente ha davvero intaccato la tua memoria.” Rispose, serio e fermo mentre mi stringeva la mano. “Già, lo credo anch’io, e parte di me vorrebbe che non fosse mai successo.” Ammisi, abbassando lo sguardo e fissandolo sul terreno, in evidente segno di tristezza. “Lo immagino, ma sappi che per quel che può valere, va bene anche così. Hai Eliza al tuo fianco, senza contare me e Sky. A quelle parole, sorrisi debolmente, e durante la marcia, vecchi e sbiaditi ricordi lottarono per tornare in superficie, e non riuscendo a dominarmi, venni colta dal mal di testa. Stringendo i denti, sopportai il dolore, e di nuovo sveglia, Willow si mosse già all’erta. Veloce, Christopher fu lì per sostenermi, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, si fermò per lasciarmi respirare e riprendere fiato. “Va tutto bene?” chiese poi, con la voce rotta e il panico negli occhi. “S-Sì, è stato… è stato un mancamento. Succede, se ci ripenso.” Biascicai appena, senza forze. Nonostante la fatica, lottai con stoicismo, e proprio quando pensai di dover gettare la spugna, un suono in lontananza mi riscosse. Quello che sentivo era un rumore di zoccoli, e per quanto ne sapevo, poteva significare una sola cosa. Xavros stava arrivando. Colpita, non capii come fosse possibile, ma poi guardai il mio ciondolo e il modo in cui brillava. Stando a quanto ricordavo, era già successo quando avevo invocato l’aiuto di Red durante le mie strenue ricerche di Christopher, e la mia improvvisa stanchezza doveva aver attivato un meccanismo simile. Alzando lo sguardo, sussurrai una lode, e tornando ad osservare l’orizzonte, lo vidi. Bianco e maestoso, l’unicorno che ci aveva guidati fino a queste terre, e che ora mi avrebbe aiutata a rimettere piede sul mio suolo natio. Grata, sorrisi nel vederlo arrivare, e avvicinandomi quanto bastava per toccarlo, lo accarezzai. Non perdendo altro tempo, Christopher gli salì in groppa, e io con lui. Dì lì a poco, il viaggio ebbe inizio, e proprio come Aster aveva sperato e predetto, fu privo di rischi. Per ore intere non vedemmo che la strada intenta a scivolare via, e poi, finalmente, i sentieri che per anni avevo calpestato. Ritornata nella mia terra, mi sentii al sicuro, e felice, inspirai a pieni polmoni, lasciando che mille profumi mi riempissero i polmoni. Lentamente, come accadeva ogni volta che annusavo un fiore. Giunti a destinazione, Christopher ed io liberammo il cavallo dal nostro peso, e di fronte alla porta della casa in cui ero cresciuta, bussai. Lasciandomi prendere la mano dalle emozioni, strinsi forte quella del mio amato, e sempre al sicuro nel suo trasportino, Willow ne sfiorò le sbarre con la zampa, tentando invano di uscirne. Fu quindi questione di attimi, e quando quella porta si aprì, non vidi altro che lacrime negli occhi di mia madre. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e non appena si sciolse, incrociai lo sguardo di Sky. Felicissima, anche lei mi strinse a sé, e contenta di essere di nuovo con lei, quasi piansi. Lasciandomi fare, lei accettò ogni lacrima che versai, e poco prima che ci dividessimo, lei mi sussurrò una frase all’orecchio. “Bentornata.” Si limitò a dire, concentrando in quella singola parola tutto l’orgoglio che ero sicura provasse per me. Lo stesso valeva per nostra madre, e nel resto di quella meravigliosa giornata, dimenticai qualunque cosa. La negatività, il dolore provato in precedenza, quello stranissimo mal di testa, tutto ciò che non era felicità. Felicità di aver rimesso piede, anche se per poco, nella mia vecchia selva.

 

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Capitolo 8
*** Presente e futuro ***


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Capitolo VIII

Presente e futuro

Silenzio. Calore e silenzio. Attorno a me non c’era altro, ed ero tornata a casa. Di nuovo accanto a mia madre, non avevo esitato ad abbracciarla, perdonando le lacrime che l’avevo vista versare, e lo stesso era accaduto con Sky, che riuscendo finalmente a gettare le armi e la metaforica corazza con cui si proteggeva, aveva anche lei affidato a un sussurro la felicità provata nel rivedermi, e lasciandola fare, avevo atteso che si sfogasse. Diverse come eravamo, avevamo certamente avuto nel tempo i nostri dissapori, ma per tutta la durata di quell’abbraccio, e forse anche oltre, quegli screzi passarono tutti in secondo piano. Li ricordavo ancora, ovvio, ma ciò non significava che gli dessi più chissà che importanza. Quando finalmente ci staccammo, mi fermai a guardarla negli occhi, e l’azzurro dei suoi si fuse con quello dei miei. “Mi siete mancate entrambe, davvero.” Ammisi, con la voce rotta dall’emozione e il cuore ancora intestardito da ciò che provavo. Veloce, batteva come impazzito, e per la prima volta in tanto tempo, la colpa, come scherzosamente amavo definirla, non era di Christopher. Mi aveva accompagnato nel viaggio di ritorno, e ora se ne stava tranquillo e in disparte, lasciando che mi godessi il tempo con mia madre e mia sorella. “Ci sei mancata anche tu, Kaleia, e non solo a noi.” Rispose poco dopo Sky, rompendo il silenzio creatosi nella stanza e riuscendo a cogliermi di sorpresa. Confusa, non seppi cosa dire, e alla vista di un altro mazzolino di viole proprio sul tavolino in legno del salotto, capii. A quanto sembrava, la mia non più così piccola amica Lucy aveva davvero avuto nostalgia di me nel tempo che avevo trascorso ad Eltaria, e quei fiori, evidente e tangibile simbolo della nostra amicizia, ne erano la prova. Nonostante la distanza e il tempo, non l’avevo certo dimenticata, e pur con il desiderio di rivederla, abbracciarla e stringerla fortissimo dentro di me, scossi la testa, e mantenendo la calma, tentai di dissimulare l’accaduto. Per quanto ne sapevo, Christopher ed io non saremmo rimasti lì per molto, e ad essere sincera, volevo davvero godere di ogni secondo utile. Così, con il sorriso sempre stampato sulle labbra, lasciai uscire Willow dal suo trasportino, e calma come sempre, la mia amica color dell’ebano strusciò la testa contro il mio palmo aperto, e miagolando appena, iniziò a fare le fusa. Fu quindi questione di un attimo, e la vidi cambiare posizione solo per rotolarsi in terra e mostrare la pancia. Un atteggiamento più tipico di un cane, che mi fece ridere come pochi. Guardandola, Christopher rise a sua volta, e ben presto, anche Sky si unì alla nostra ilarità. Divertita, mi distrassi per un attimo, e seguendo mia madre in cucina, mi sedetti a tavola con lei, e gettando un occhio all’orologio appeso al muro, scoprii che quella che le lancette segnavano era l’ora perfetta per una vera e propria tradizione di famiglia. Era tutto iniziato quando non ero che una piccola e innocente pixie, e come me anche Sky, ma se c’era qualcosa di cui discutere in famiglia, fosse questo un problema o anche una serie di buone notizie, ognuna di queste trovava la libertà davanti a tre tazze. Due di buon latte per noi, una di caffè per nostra madre. Crescendo, avevamo sostituito il latte con la stessa e scura bevanda di colei che ci aveva adottate, e in quel pomeriggio ancora pieno di sole, lei non tardò a prepararlo per tutti, compreso Christopher, che frenando l’entusiasmo di mia madre con un gesto della mano, si negò quel piccolo piacere. “Non per me, Eliza, ti ringrazio.” Le disse infatti, fermandola prima che riuscisse a riempire quella quarta tazza. “Sei sicuro? L’hai almeno mai provato? È buono, davvero.” insistette lei, affatto contenta di quella risposta e con la caffettiera calda ancora in mano. “Non ne dubito, ma non mi è mai piaciuto, sul serio.” Continuò il mio amato, calmo e sincero con sé stesso oltre che con lei. “D’accordo allora.” Si limitò a rispondergli lei, arrendendosi a quell’evidenza e portando in tavola tre tazze anziché quattro. Lenta e precisa, le posò una per una su un vassoio di metallo, che ben presto trovò il suo posto sul tavolo. Improvvisamente timida, non seppi se accettare o meno, e dimenticando l’etichetta, Sky non perse tempo, afferrando la propria e mandando giù il primo, caldo, sorso di caffè. “Nulla da raccontare, ragazzi?” ci chiese poi, voltandosi a guardarci e andando dritta al punto. Sorpresa dal suo interesse, fui grata e felice di quella domanda, e incoraggiata dalla stretta di Christopher sulla mia mano, parlai. “Sky, mamma, Eltaria è fantastica. Avevate ragione, ora non siamo soli, anzi, quel bosco è pieno di creature magiche, strani animali mai visti, e un villaggio simile al nostro. Finora non abbiamo avuto problemi, ci hanno accolti a braccia aperte.” Spiegai, con un seme di gioia nel cuore e nella voce. Orgoglioso, Christopher mi strinse la mano con forza ancora maggiore, e ignorando il leggero dolore che provai, mi voltai a guardarlo. Attimi più tardi, mi persi nei suoi occhi, e riportata alla realtà da un miagolio di Willow, mi riscossi, calmandomi solo dopo qualche sorso di caffè. Contenta e senza pesi sulle spalle, passai il resto della giornata con mia madre e mia sorella, e sedute sul divano, osservammo le ore rincorrersi fra una parola e l’altra. Dopo un tempo indefinibile, il silenzio calò fra di noi, e approfittando del momento, mi scambiai con Christopher un’occhiata d’intesa. Capendo al volo, lui non proferì parola, e completamente dimentica della presenza dei miei familiari nella stanza, lo baciai. Altri secondi scomparvero così dalla nostra vita, e innamorato perso di me, Christopher prese in fretta il controllo di ogni secondo di quel contatto, godendo del calore delle mie labbra, e quella volta, ne ero sicura, anche del loro sapore. In breve, la sera scese anche a Primedia, e con la mente il cuore pieno di lucenti speranze, abbattei l’ultima barriera che davvero mi separava dalla pace interiore. Finalmente l’avevo ritrovata, e felice come mai ero stata, fui certa di voler proseguire su quel cammino, grata di aver accanto la mia famiglia, e chi poteva dirlo, anche altri alleati nell’esteso arco di tempo fra presente e futuro.

 

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Capitolo 9
*** Paura di un nuovo mondo ***


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Capitolo IX

Paura di un nuovo mondo

Già alto, il sole stamattina è un bimbo dispettoso, e se quella di oggi è un’ennesima bella giornata, io davvero non me la sento di alzarmi. Sono ancora a Primedia, al mio bosco di nascita assieme alla mia famiglia, addormentata in quella che era la mia vecchia stanza. Le coperte leggere ma calde mi proteggono dalla fresca brezza che spira appena fuori dalla finestra, e così anche Christopher. Perso in un sonno più profondo del mio, respira lentamente e in modo regolare, e sdraiata al suo fianco, sento il battito del suo cuore rimbombarmi nelle orecchie. Adesso è calmo, e con una mano distrattamente posata sul suo petto, sorrido. Non vorrei svegliarlo, ma la risatina che mi lascio sfuggire senza volerlo tradisce la mia presenza. “Già sveglia, vero, Kia?” chiede, ridestandosi lentamente dal suo torpore e aprendo gli occhi con non poca fatica. “Sì, tesoro. So che è presto, perdonami.” Rispondo, diventando all’istante pallida come un cencio e abbassando lo sguardo in segno di vergogna. “Cosa? No, amore, guardami.” Mi prega in risposta, sorridendo leggermente e afferrandomi il mento con due dita, così che i nostri sguardi possano incrociarsi. Muta, non faccio che obbedire, e di lì a poco, il silenzio ci avvolge entrambi. “Mi dispiace, davvero.” Provai a dire, biascicando ogni parola e sentendo di avere la lingua impastata. Fermo e inerme, Christopher si limitò a guardarmi, e in un attimo, un abbraccio ci unì l’uno all’altra. “Sta tranquilla, d’accordo? Non hai colpe, sul serio.” Continua poi, rassicurandomi e accarezzandomi la schiena. Lasciandolo fare, mi scopro senza parole, e ancora sdraiata al suo fianco, stavolta non esito nel baciarlo, felice di averlo accanto in ogni momento della mia vita. Eravamo tornati a Primedia nella tranquillità  più assoluta, ma dati i nostri trascorsi, ero quasi sicura che la quiete non sarebbe durata molto, ragion per cui approfittavo di ogni nostro istante insieme. Felice, Christopher si abbandonò a quel bacio, e chiedendo con la lingua l’accesso alla mia bocca, sperò di approfondirlo. Innamorata, non mi sottrassi al suo affetto, e quando ci staccammo per respirare, mi ritrovai persa nei suoi occhi. “Cielo, Chris, è stato…” commentai, faticando ad esprimermi e sentendo quella frase morirmi in gola. Sorridendo debolmente, Christopher si astenne dal farlo, e poco dopo, una sola frase abbandonò le sue labbra. “A volte dimentico quanto voi piccole naturali siate attive fin dal mattino, sai?” scherzò, smorzando la situazione con quel solito pizzico di ironia che tanto mi irritava ma che avevo ormai imparato ad amare. “Capisco perfettamente, amore mio.” Risposi soltanto, stando al suo gioco e avvicinandomi quanto bastava per stabilire un nuovo, dolce contatto. Sorpreso dalla mia lieve irruenza, Christopher raggelò per un istante, ma poi sentendosi amato e al sicuro, riuscì a ricomporsi. “Sai sempre cosa fare, e mi piace.” Disse, riprendendo la parola e scompigliandomi amorevolmente i capelli. Ridacchiando divertita, mi difesi con uno scoppio di innocente magia, e improvvisamente, un rumore fu lì per distrarci. Ero sicura di averlo già sentito, e alzando gli occhi al cielo, conclusi che doveva essersi trattato di mia sorella. Per quanto ne sapevo, era felice per noi, ma nonostante tutte le volte in cui l’avevo vista sorridere e sentita complimentarsi per la forza della nostra unione, la sua indole bonaria non le impediva certo di giocarci qualcuno dei suoi soliti e divertenti tiri mancini, come bussare alla porta della stanza per spezzare la magia fra di noi, reale o metaforica che fosse. “Abbiamo compagnia.” Azzardò Christopher, ormai abituato al modo di fare di Sky, sempre schietta ma mai senza modi. “Esatto, credo sia meglio muoverci prima che mia madre si metta in testa strane idee.” Replicai, terminando quella frase per entrambi e togliendomi le coperte di dosso, ormai pronta ad alzarmi. In genere preferivo i risvegli lenti e graduali, e malgrado l’intervento di Sky non fosse stato poi così  gradito, capii che aveva ragione. Amavo Christopher, ed era vero, ma c’era altro nel mondo oltre all’amore, e se fosse dipeso da me, avremmo passato il resto della giornata fra le coperte, e la sorpresa che avevo in mente per una giovanissima amica non avrebbe mai visto la luce. Ormai in piedi, mi vestii in fretta, e a lavoro finito, non mi curai neanche di far colazione. Ad essere sincera, non avevo alcuna fame, e date le mie intenzioni, i pasti potevano attendere. “Chris, tesoro, te la senti di far visita a Lucy. Non la vediamo da molto, e vorrei salutarla.” Proposi, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. “Perché no?” mi rispose, con un lieve sorriso a increspargli le labbra. A quelle parole, annuii con decisione, e convinta, gli presi la mano. “Perfetto, allora andiamo.” Dissi poco dopo, lasciando che il volto della mia amica pixie mi tornasse in mente. A sette anni, cresceva sana e forte, e non avendo sue notizie da un tempo che non riuscivo a definire, speravo che fosse ancora la bambina che ricordavo, bella, dolce e spensierata, senza le tipiche ombre e il buio della vita a offuscare i suoi sogni e desideri. Utopici in quanto ancora piccola e ingenua, certo, ma pur sempre tali, e come tutti degni di rispetto. Poco prima di uscire, avvisai mia madre e accarezzai Willow, e non vedendo Sky da nessuna parte, ipotizzai che fosse già uscita, e probabilmente intenta a fissare l’acqua del lago abbracciata al suo Noah. Fra un passo e l’altro, il mio pensiero andò anche alla cara Lune, tenera sorellina di Lucy ormai sempre più vicina ai cinque anni e ancora afflitta da un grave problema di mutismo. Preoccupati, i genitori non sapevano cosa avesse potuto causarlo, né da cosa dipendesse, e nonostante anch’io brancolassi nel buio a riguardo, tenevo le dita incrociate, attendendo di scoprire se e quando sarebbe guarita. Così, minuti interi scomparvero dalle nostre vite, e fermandosi prima di me, Christopher indicò con lo sguardo una casa da noi poco distante. Confusa, aguzzai la vista, e fu allora che la vidi. Quasi ai limiti del bosco come molte altre, la nostra meta, dimora di due adorabili bambine e della loro famiglia. Respirando profondamente, mossi qualche incerto passo in avanti, poi bussai. Ai miei rapidi colpi seguì il silenzio, e in pochi istanti, la porta si aprì con uno scatto. Calma e composta, mi preparai ad essere accolta, e istanti dopo, la rividi. “Kaleia! Non posso crederci, sei tornata!” disse, felice di rivedermi e già pronta a stringermi in un abbraccio. Annuendo, sorrisi e mi avvicinai a lei, lasciando che la distanza fra di noi diventasse minima. “Sì, Isla, è vero, anche se non per molto, devo dire.” Risposi appena, sempre sfoggiando quello stesso sorriso anche quando quell’abbraccio si sciolse. “Perché? Anche tu hai cambiato casa?” chiese la donna, confusa e stranita dalle mie parole. “Sì. Tornare alle radici fa bene di tanto in tanto, ma ora che Chris ed io siamo sposati, abbiamo preferito compiere anche questo grande passo. Forse e azzardato, e lo so, ma… aspetta, che significa…” spiegai, restando incredula alle sue ultime parole. In risposta, Isla si spostò dall’uscio di casa, e invitandoci ad entrare, ci mostrò l’assoluto disastro che regnava fra quelle mura. Pareti bianche e spoglie, dettagli fuori posto, e scatole di cartone praticamente ovunque. Sola e annoiata, Sunny giocava con quelle vuote nascondendosi al loro interno, e pur divertita da quella scena, non reagii. “Verrete anche voi ad Eltaria? Avete già comprato una casa?” chiesi, spinta da una genuina curiosità. “Esatto. Inizialmente ero io a non volerlo, ma dobbiamo pensare al futuro delle bambine. Entrambe imparano quello che possono da me o dalle fate più anziane, ma nessuna di loro riesce a risolvere il problema di Lune, e forse cambiare aria le farà bene. Cosa ne dici?” rispose poco dopo, descrivendo in dettaglio la situazione familiare e attendendo un mio giudizio. “A volte non sembra, ma cambiare, o almeno provarci, a volte è la cosa migliore.” Proruppe Christopher, precedendomi e offrendo una sua opinione e un punto di vista. “Grazie, Christopher, davvero. Potendo partiremmo anche subito, Lucy ne è entusiasta, ma Lune non fa certo i salti di gioia, sapete? È in momenti del genere che vorrei riuscire ad aiutarla.” Continuò, soffrendo per la sua piccola e abbandonandosi a un cupo sospiro. Provando istintivamente pena per lei, compresi di non poter ascoltare oltre, e decisa ad agire, le parlai. “Isla, non dire così, non serve. Sei una madre meravigliosa. Fai tutto il possibile per le tue bambine, so che daresti anche la vita per loro se fosse necessario. Sapresti dirmi dov’è la loro stanza?” indagai, sicura di riuscire a darle una mano. “La trovi in fondo, sulla sinistra. E per favore, non inciampare.” Mi rispose, pregandomi di fare attenzione e indicando il corridoio che avrei dovuto seguire con un gesto della mano. Annuendo, ripassai mentalmente quel percorso, e seguita da Christopher, giunsi a destinazione solo qualche minuto dopo. “Lucy? Lune?” chiamai. “Posso entrare?” da parte loro nessuna risposta, e oltre quel duro legno, soltanto la dolce voce della prima e il pianto della seconda. Frustrata, finii per innervosirmi, e notando la figura di Sunny dall’altro lato del corridoio inghiottito dal buio, mi battei piano una gamba per invitarla ad avvicinarsi. Obbedendo, la coniglietta saltellò fino ad arrivare al mio fianco, e cauta, la presi in braccio. Subito dopo, bussai ancora, e almeno allora, la porta si aprì. “Ciao.” Mi disse appena la stessa Lucy, che ai miei occhi appariva stanca, triste e provata da chissà quale profondo dolore. “Va tutto bene?” provai a chiederle, certa di star ponendo una domanda del tutto retorica. “No. Lunie è ancora triste perché cambieremo casa. Crede che andando via lasceremo qui tutto, inclusi i suoi pupazzi e Sunny.” Replicò la pixie, lasciandomi entrare e sedendosi per terra, sconfitta. Triste come mai l’avevo vista, Lune dava le spalle ad entrambe, restando a guardare con disprezzo la propria immagine riflessa nello specchio appeso al muro, proprio accanto ai lettini di entrambe. “Su, lascia che le parli io.” Sussurrai alla sorella, pregandola di farsi da parte. Annuendo, la bambina non se lo fece ripetere, e in un attimo, io e Christopher le fummo accanto. “Lune?” tentai, incerta. “Via.” Rispose questa, spintonandomi e allontanandosi da me senza alzarsi, quasi strisciando sul tappeto della stanza. “Per favore, voglio solo parlarti.” Insistetti, parlandole con dolcezza e tenendo lo sguardo fisso sulla sua schiena, ora rivolta a me come al resto del mondo. “No, via.” Replicò la piccola, testarda e amareggiata, mentre alzandosi in piedi, si dirigeva verso il baule dei propri giocattoli e ne estraeva alcuni peluche, stringendoseli al petto uno per uno. Mosso a compassione, anche Christopher decise di fare un tentativo, e avvicinandosi quanto bastava, si abbassò fisicamente al suo livello. “Ti vedo triste, piccola. Dai, vuoi dirmi cos’è che ti turba? Se non vuoi non devi, ma poi non potrò aiutarti, e neanche Kia.” Disse, spiegandosi in termini comprensibili a una pixie della sua età e azzardando nel pronunciare quello che per lei era il mio nome, nel tempo divenuto anche un nomignolo d’affetto. “Casa.” Disse soltanto la bambina, continuando ad accarezzare il pelo di ognuno di quei pupazzi con le piccole mani che si ritrovava. In silenzio, osservavo, e pur non parlando, notavo tutto. Le lacrime che fino a poco tempo prima le avevano solcato le guance, il visetto contratto in una smorfia di dolore, le piccole ali ritratte, e il corpicino scosso dai tremiti del pianto. Soffrendo per lei, tentai di avvicinarmi, ma Christopher mi fermò. “Penso io a lei, tesoro.” Sembrò voler dire, sollevando una mano e chiudendo gli occhi, calmo come il mare in una giornata priva di vento. “Casa, hai detto? Mamma Isla dice che vi trasferirete, sbaglio?” le chiese, parlandole in tono gentile, per poi tacere e restare in attesa. “No.” Quella fu l’unica risposta della pixie, di nuovo arrabbiata e chiusa in quello che era sempre stato il suo problema. “Resto.” Aggiunse poi, decisa e al sicuro sul suo lettino, circondato da peluche di ogni forma e dimensione. Stando ai racconti di Lucy, doveva averne centinaia, ma in quel momento, riconobbi i sei che aveva preso dal baule, e che ora stringeva di nuovo al petto. Un cane, un gatto, un coniglio, una volpe, un procione e un uccellino. Tutti giocattoli che mi ricordarono i miei amici animali, fra cui Bucky, Red e Midnight, e che per lei dovevano avere un gran significato, oltre che un valore affettivo. Ad essere sincera, la capivo, e ricordando i miei andati tempi di bambina accanto ad Eliza, mi lasciai prendere la mano dalle emozioni, e triste a mia volta, non arrestai la corsa sul mio viso di alcune lacrime. “Piccola…” sussurrai appena, con voce spezzata. Sentendo la mia voce, la bambina alzò lo sguardo, e fissandoci, riuscimmo in qualche modo a comunicare, scoprendo l’una i segreti dell’altra. Ero ancora giovane, e anche se la mia fanciullezza era ormai andata, io e lei eravamo incredibilmente simili. Anch’io avevo pianto, tremato, provato l’impulso di nascondermi e gridare, proprio come lei in quel momento. A quanto sembrava, il piano di Christopher aveva funzionato, e sorridendo per ridarle sicurezza, mi avvicinai. “Andrà tutto bene, pixie. Tutto bene. Vecchia o nuova, una casa è sempre una casa, e nessuno viene mai lasciato indietro.” Le spiegai, tenendola stretta fra le braccia e sussurrando ogni parola, con la folle paura di spaventarla e di farle del male. “Famiglia?” rispose lei, incerta. “Sì, famiglia.” Le feci eco io, stringendola con forza ancora maggiore. Lentamente, lei ricambiò l’abbraccio con più decisione rispetto a prima, e quando anche Lucy si unì a noi, e Sunny non restò in disparte, intrufolandosi a sua volta, una tenue luce color dell’oro, offuscata solo da quella del giorno ancora vivo appena fuori dalla finestra della stanzetta, le ricoprì il corpo, indicando subito la gioia che la piccola provava dopo aver sofferto la paura di un nuovo mondo.

 

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Capitolo 10
*** Errori in buona fede ***


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Capitolo X

Errori in buona fede

Era fatta. Non credevo che mi sarebbero bastate soltanto le parole, ma era fatta. Il nostro abbraccio si era sciolto da poco, e ora Lucy e Lune mi guardavano con occhi diversi. Una sempre calma e decisa, l’altra nuovamente piena di speranza, con la paura provata in precedenza ridotta in cenere. Silenziosa, anche Sunny sollevò lo sguardo per incatenarlo al mio, e mossa a compassione da quei grandi occhioni scuri, sorrisi debolmente, poi la presi in braccio. “Andiamo?” azzardò Lune, parlando lentamente e sentendo la gola pizzicare e dolere per lo sforzo. “Certo, vieni.” Le rispose Christopher, sorridendole e offrendole la mano, che la bambina afferrò con decisione e prontezza. Senza proferire parola, mi scambiai con lui un’occhiata d’intesa, e sempre tenendo in braccio Sunny, camminai. Tranquilla, Lucy mi camminava accanto, ed ergendosi sulle punte per aprire la porta della stanza, sorrise. “Eltaria.” Sussurrò, parlando più con sé stessa che con noi. “Finalmente, vero?” le dissi, ricambiando quel dolce sorriso e stringendole la mano che intanto aveva trovato posto nella mia. “Sì.” Si limitò a rispondere, quasi tardando a farlo e mostrando una concentrazione che mai avevo visto. Felice per lei, non aggiunsi altro, e muovendoci lentamente nell’autentico marasma che ancora imperversava nel corridoio, superammo ogni scatola e ogni mobile fuori posto, e una volta attraversato, quel metaforico campo minato non ci apparve più come tale. “Sono pronte.” Dissi a Isla, che calma e paziente era rimasta ad attenderci appena fuori da quella porta, con il viso in una maschera di pura tensione. Alle mie parole, questa scomparve dal suo viso, e sollevata, mi strinse in un abbraccio. Avvicinandomi, la lasciai fare, e prendendovi parte, le sfiorai la schiena con movimenti lenti e rassicuranti. “Andrà tutto per il meglio, sta tranquilla.” Aggiunsi, parlando piano per non essere udita dalle bambine, ancora ferme al fianco di Christopher e incerte sul da farsi. Ad ogni modo, il mio espediente parve non funzionare, e incuriosita, Lucy ruppe il silenzio con una domanda. “Perché vi abbracciate? Non stiamo andando via, lei verrà con noi.” Chiese, per poi completare quel pensiero con una più che giusta osservazione, sempre dettata dalla dolcezza dei suoi sette anni. “Lo so, pixie, sono solo tanto felice. Rispose semplicemente la madre, con alcune piccole lacrime negli occhi e la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito. “Amica?” tentò a quel punto Lune, sorridendo. “Esatto, tesoro, perché è mia amica.” Disse ancora Isla, rispondendo alla figlia minore e scivolando nel silenzio mentre guardava dritto davanti a sé, ammirando un paesaggio che aveva già osservato infinite volte. Nella quiete del momento, anche Oberon fece il suo ingresso sulla scena, e facendo propria la felicità della moglie, l’attirò a sé regalandole un sorriso, e attimi più tardi, la porta di casa si riaprì. Insieme, camminammo per alcuni interminabili secondi, finchè fermandomi, non trovai una soluzione perfino migliore. Voltandomi verso Christopher, cercai la sua approvazione, e annuendo, lui diede il suo assenso. Conoscevo i miei poteri, e ormai avevo piena fiducia nelle mie capacità, ma ciò non toglieva che l’incanto impresso nella mia mente fosse facile, così, ad occhi chiusi, inspirai a fondo, e concentrata, strinsi il mio ciondolo in un pugno chiuso. Di lì a poco, il gioiello iniziò a brillare di luce propria, e una sorta di piccola scarica elettrica si agitò al suo interno. Uno spettacolo completamente normale agli occhi del mio amato, ma non a quelli di Isla e Oberon, né delle bambine, che entrambe a bocca aperta, non riuscirono a distogliere lo sguardo. “K-Kia?” chiamò una di loro, spaventata. “Non preoccuparti Lune. Kia sta bene, e ci porterà a casa. La rassicurò Christopher, posandole una mano sulla spalla senza staccare gli occhi da me, mentre la mia magia si ultimava e gli effetti si mostravano nel resto dei secondi a venire. Riaprendo gli occhi, restai in attesa, sperando ardentemente di essere riuscita nel mio intento. Per altri secondi, nulla, poi un caratteristico rumore di zoccoli. Colpita dalle mie stesse abilità, sobbalzai, e nel fitto della foresta, lo vidi. Xavros. Maestoso e al galoppo, e stavolta non da solo, poiché accompagnato e guidato da Aster, che tenendo salde le redini, gli stava in groppa. “Hai chiamato?” indagò la ninfa, contagiandoci tutti con la sua radiosa felicità. “Sì, scusa lo scarso preavviso, ma a quanto pare, il villaggio si espanderà ancora.” Risposi, voltandomi e mostrandole quelli che presto ne sarebbero diventati i nuovi occupanti. “Una famiglia? Splendido!” commentò lei, con la gioia sul volto e negli occhi. “Su, andiamo. Il viaggio sarà lungo, non vorrete fare tardi.” Continuò poi, agitata per qualcosa che nessuno di noi capì. Pur non comprendendo la sua fretta, Christopher ed io non attendemmo oltre, e mano nella mano, ci preparammo a salire in groppa al cavallo. Alla nostra vista, però, Aster fu lì per fermarci. “Aspettate! Siete in tanti, il povero Xavros si stancherà.” Ci fece notare, smontando solo per dare tregua all’animale e andare alla ricerca di un modo per dare davvero inizio a quel viaggio. Non proferendo parola, parve estraniarsi da noi, e guardandola potei giurare di riuscire a vedere una sorta di ombra oscurarle lo sguardo. Confusa, guardai Christopher, e privo di risposte, lui si strinse nelle spalle. “Ne so quanto te.” Parve voler dire, stranito. Ad ogni modo, quella scena si protrasse solo per pochi secondi, allo scadere dei quali, improvvisamente stanca e rabbuiata, Aster riuscì a far comparire una carrozza fatta di legno d’albero, erba e foglie, e scusandosi con lo sguardo per quanto era successo e avevamo visto, lasciò cadere l’argomento con sdegno. “Bene, ora possiamo andare.” Si limitò a dire, per poi riprendere posto in groppa a Xavros e afferrare di nuovo le redini. Incerte, le bambine salirono in carrozza con l’aiuto dei genitori, mentre io mi appoggiai a Christopher, prendendo tranquillamente posto al suo fianco. Pochi istanti dopo, il sentiero a noi dinanzi scivolò via con ogni passo dell’unicorno, e in silenzio, con la mano stretta in quella di Christopher e gli occhi persi altrove ad ammirare il bosco che lentamente scompariva, non vidi altro che il verde, le piante e alcuni animali, che forse intristiti all’idea di vedermi andar via e perdere un’amica, sollevarono le zampe come per salutarmi. Ferma, una coppia di cervi branì intonando un addio, e con loro uno stormo d’uccelli proprio sopra le nostre teste. Con lo sguardo volto al cielo, salutai con la mano, e presa ancora una volta dai ricordi, dovetti chiudere gli occhi per non piangere. Stavolta non toccava a me, a trasferirsi era la famiglia della mia dolce amichetta Lucy, ma nonostante i due mesi quasi giunti al termine, ricordavo ancora la moltitudine di sentimenti provati durante il mio primo vero viaggio ad Eltaria. Come membri di un gruppo unito e compatto, ora lasciavamo Primedia per tornarvi, e con il ritmico suono degli zoccoli di Xavros a donarmi tranquillità, una vista in lontananza risvegliò i miei sopiti nervi. La mia casa. La mia vecchia casa, ancora abitata da mia madre e mia sorella, sembrava vuota. Sì, vuota. Le luci spente, le tende tirate fino a coprire le finestre e impedire l’accesso della luce, in una parola, desolata. Che era successo? Perché non erano lì per salutarmi? E soprattutto, dov’erano ora? Domande che si aggirarono nella mia mente furtive come ladre, e alle quali, anche guardando Christopher alla ricerca di risposte, non riuscii a rispondere. Il mondo cambiava in fretta, ed era vero, ma cosa stava succedendo? Perché mi sentivo così felice e allo stesso tempo così piena di dubbi? Sarebbero mai scomparsi del tutto? Cosa ci attendeva? Non lo sapevo, ma con lo scorrere del tempo e lo scurirsi del cielo che si preparava a tingersi di nero, non ebbi che paura. Stretta fra le braccia del mio amato, tentai con tutte le forze di scacciare i brutti pensieri, e sfiorandogli senza volerlo il petto, avvertii per l’ennesima volta quella stranissima sensazione, come di corrente elettrica intenta a serpeggiarmi fra le dita. “Va tutto bene? Stai bene?” mi chiese in un sussurro, abbassando il tono di voce per non farsi udire che da me. Guardandolo negli occhi, annuii a fatica, e cedendo ad una nuova tentazione imposta dai miei sentimenti, non esitai a baciarlo, non dando alcun peso alla presenza dei nostri due amici seduti proprio lì accanto, né a quella delle loro due figlie, ormai entrambe prossime al sonno. Unicamente concentrato su di me, anche Christopher prese parte a quel bacio, e stringendomi a lui in un abbraccio in tutto simile ad un porto sicuro, fui decisa ad abbandonarmi a quell’istante, lasciando che il mio cuore e la mia mente ottenebrati d’amore facessero il resto. Il pensiero di esagerare e spingermi troppo oltre date le due metà del mio cuore era sempre presente, ma non mi importava, e ignorando fastidio e dolore, dimenticai per un attimo ogni cupo scenario formatosi nella mia mente. Il tempo passava e stava passando, certo, ma nonostante tutto non avevo dimenticato la signora Vaughn e sua figlia Marisa, che peraltro non vedevo da tempo, ed era allora che le mie paure diventavano ansie. Stavano forse cercando di aiutarmi o mandarmi dei segnali? Incerta e spaventata, mi imposi di non pensarci, e quando quel meraviglioso bacio ebbe fine, mi rifugiai per il resto del tempo fra le braccia di Christopher, e addormentandomi, scivolai in un’incoscienza fortunatamente priva d’eventi. Il sole ci sorprese entrambi soltanto la mattina dopo, e con la presenza in cielo del dorato sole, forse agevolata dalla confusione del mio risveglio, una voce si fece spazio nella mia testa. “Non durerà. Vuoi salvarti e salvarli, ma non durerà.” Disse, per poi tacere e svanire così com’era arrivata. Sussultando, scossi la testa, e sperando che Christopher non mi notasse, tacqui quell’orribile scoperta. Le voci erano tornate con un’oscura promessa, e non appena scesi dalla carrozza di Aster, tremante e provata, rischiai di cadere. Per mia fortuna, Christopher e Isla furono lì per sorreggermi, e ritrovando l’equilibrio, respirai a fondo, pronta a varcare di nuovo le porte di Eltaria e immergermi nel mondo che stavo lentamente imparando ad amare. Emozionate come non mai, Lucy e Lune si guardavano intorno con mille stelle negli occhi, e sentendosi importante in quel luogo di fate e creature magiche, la seconda provò perfino a spiegare le ali e volare, riuscendoci solo per pochi secondi e rovinando poi fra l’erba. Preoccupati i genitori si precipitarono per aiutarla, sollevati nel vederla rialzarsi da sola e poi scoppiare a ridere a crepapelle. Divertita, risi a mia volta, e come me anche Christopher, che camminando, mi chiese mutamente di seguirlo. Annuendo, iniziai a camminare al suo fianco, e in lontananza, proprio sotto le colorate lanterne che avevano segnalato il mio arrivo in questi boschi, una figura mai vista. Forse un’altra umana, o forse una fata anziana, che comunque, anche sforzandomi, non riuscii a riconoscere. Spostando lo sguardo, mi concentrai sul mio cammino, ma la sua voce, forte e decisa, ci colse impreparati. “Voi!” gridò, con la rabbia in corpo e l’occhio invelenito. Atterriti, Christopher ed io ci avvicinammo, e rimasti in disparte, Isla e Oberon non osarono interferire. A quella donna loro non interessavano, e a quanto sembrava, ci aveva trovato e scelto. Non sapevo ancora per cosa, ma l’avrei scoperto presto, e lenta e silenziosa, Aster si unì a noi, restando però a debita distanza da quella che  probabilmente riconobbe come sua simile. Voltandomi, la pregai mutamente di arretrare, ma testarda, lei non mi diede ascolto. Ad ogni modo, dopo altro camminare fummo al suo cospetto, e guardandoci con occhi di ghiaccio, la sconosciuta parlò ancora. “Chi siete? I vostri nomi, subito.” Ordinò, secca. “Kaleia.” Risposi soltanto, trascinando l’unica parola che sapevo facesse parte della mia identità di essere umano oltre che magico. “E tu, ragazzo?” chiese poi, rivolta al mio amato ancora ridotto al mutismo. “Christopher.” Disse, senza la più pallida ombra di esitazione nella voce. “Bene. Fata e umano, giusto?” continuò la donna, indagando e scrutandoci con quegli occhi color dell’avorio resi freddi e glaciali dalla rabbia che intanto continuava a scagliarci contro. “G-Giusto.” Biascicai, iniziando inconsciamente a tremare come la voce che aveva faticato a uscirmi dalla bocca. Stranamente soddisfatta, la donna scivolò nel silenzio, e dopo attimi di quiete tale da rendermi sorda, una piccola voce si levò nell’aria. Mi voltai. Lucy. Sfuggita ai suoi genitori, aveva raggiunto me e Christopher, e con i pugni chiusi e un’aura di rossa rabbia attorno al corpo, lottò per prendere la parola e non piangere davanti a quell’adulta per lei così minacciosa. “No! No, non è vero! Loro sono miei amici, e si amano! Sei cattiva con loro, cattiva! Come ti permetti? Sono marito e moglie! Fata e protettore!” un urlo chiaro e forte, che in quel mattino appena accennato parve impietrire e sconvolgere l’intera foresta. In risposta, alcuni uccelli spiccarono il volo, il leggero vento tacque di colpo, e il freddo mi frustò la schiena. Mortificata, non seppi cosa dire, e balbettando scuse che in realtà non trovai, quasi scoppiai a piangere. Dando le spalle al mio Christopher, scappai via da lui e dal resto dei miei amici, troppo addolorata per affrontare quella realtà. Non potevo crederci. Eravamo riusciti a nascondere quel segreto e mantenerlo tale così da vivere serenamente, e in un solo istante, era tutto finito. Ora anche Eltaria conosceva il mio peccato, e vivere mi sarebbe stato impossibile. Forse quella donna mi avrebbe perdonata, o forse il mio amato ed io avremmo dovuto ritirarci altrove e tornare al nostro punto di partenza, e seppur con il sangue in fiamme per la collera, non riuscii a dare la colpa alla povera Lucy. Giovanissima e innocente, aveva alzato la voce per dar vita a un’opinione, che per quanto vera e nobile potesse essere, agli occhi degli abitanti suonava come un abominio o una grave e orribile colpa. Voltandomi ancora, rimirai i miei passi, e con le lacrime agli occhi mentre incontravo i suoi, lasciai che il mio cammino diventasse corsa, sperando invano che fuggire mi rendesse libera da me stessa, dal mio amore, da una pixie e dai suoi errori in buona fede.





Un buon pomeriggio ai miei cari lettori. A tutti voi il capitolo che stando alla mia tabella di marcia avrebbe dovuto essere online ieri, ma che ha visto la luce solo oggi. Mi scuso, ma non sono riuscita a fare di meglio, e prima di andare, ci tengo a informarvi che le prossime pubblicazioni saranno "sparse" diciamo così, per motivi da me indipendenti. Dopotutto, l'istruzione viene prima, vero? Comunque sia, grazie ad ognuno di voi per tutto il vostro supporto,


Emmastory :)
 

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Capitolo 11
*** La grotta delle ninfe ***


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Capitolo XI

La grotta delle ninfe

Ero fuggita. Non ce l’avevo fatta, non avevo retto alla pressione, ed ero fuggita. Attorno a me non c’erano altro che il verde, la foresta, i sentieri e i ciottoli che con ogni passo mi lasciavo alle spalle. Piangendo, faticavo a respirare e a vedere dove stessi andando, tanto che a più riprese rischiai di inciampare e cadere, ma in quel momento, la cosa non mi toccava. Avevo di nuovo la mente confusa, il respiro corto e lo stomaco in subbuglio, e fermandomi, mi imposi una pausa per respirare. Non riuscivo ancora a crederci. Com’era potuto accadere? E perché non avevo replicato, parlato o provato a difendermi? Semplice, la colpa era della paura, sempre e soltanto di quel sentimento che da tanto mi dimorava dentro, alle volte dilaniandomi dall’interno come uno schifoso parassita. Arrestando la mia corsa, la trasformai in cammino, e fra un passo e l’altro, non feci altro che calciare una roccia solitaria. Piccola e tonda, questa rotolava dopo ogni mio colpo, e anche se a dirla tutta lo speravo, quel suono non riuscì a distrarmi. Triste e sconsolata, sospirai amaramente, e già stanca, trovai rifugio all’ombra di un albero. Sedendomi sull’erba, mi chiusi a riccio, e con le gambe al petto, attesi guardando in basso. Così, innumerevoli attimi scomparvero dalla mia vita, e dopo un’apparente eternità trascorsa nell’ozio mi rimisi in piedi. Sospirando ancora, mi redarguii da sola, maledicendo me stessa e la mia innata debolezza d’animo. Rimasta da sola, iniziai a pensare, e fu allora che rividi tutto. Ogni sfumatura, ogni dettaglio, ogni scena che aveva caratterizzato quel momento, che soltanto ora potevo dividere in tre fasi. Il ritorno mio e di Christopher in queste terre, lo sguardo di quella donna, e le urla di Lucy. “Sei cattiva con loro.” Aveva detto, dando inizio ad un discorso lodevole per una bambina della sua età. “Sono miei amici e si amano.” Aveva aggiunto, sicura di sé stessa e della verità che stava raccontando. Poi, proprio in nome di quest’ultima, aveva avuto cura di non dimenticare il dettaglio più importante, che mi aveva spinta a piangere, darle le spalle e scappare via, via da lei da tutti gli esseri che avevo intorno. Non ero sicura di nulla, ormai dovevano essere passate ore, ma ricordavo ancora lo sguardo di Christopher, colmo di dolore e apprensione mentre mi voltavo. “Aspetta.” Avrebbe voluto dirmi, pregandomi di tornare indietro e ripensarci, così da affrontare anche quella minaccia insieme, come avevamo sempre fatto, ma stavolta non ne avevo avuto il coraggio, e con le lacrime agli occhi, avevo trovato nella fuga la strada più facile. Mossa sbagliata, lo sapevo, ma stando ai miei cupi sentimenti e ad una reazione impulsiva, avevo compiuto ugualmente, trovando nella solitudine un’unica compagna. In silenzio, alzai lo sguardo, e incontrando l’azzurro del cielo ormai prossimo a diventare plumbeo, fermai la discesa di alcune lacrime dalle mie guance al terreno. Il tempo passava, e seppur arrabbiata sia con me stessa che con il resto di quel mondo, non riuscivo proprio a sfogarmi, né a rinnegare i miei sentimenti. I miei forti, fortissimi sentimenti per l’uomo che amavo, mio protettore, fidanzato e poi marito. Eravamo ormai sposati, ed era vero, ma che rapporto poteva essere il nostro se non eravamo liberi di viverlo? Un fallimento, com’ero arrivata a credere in precedenza. Ancora una volta, della metaforica pioggia cadeva bagnando il mio povero corpo, migliaia di dubbi mi tormentavano, e di nuovo in piedi, sentii il petto dolere e il respiro spezzarmisi. Colta da un’improvvisa nausea, per poco non rimisi anche l’anima, e posando ancora una volta lo sguardo sul terreno, strinsi entrambi i pugni. Senza volerlo, mi ferii una mano, e alla ricerca di sollievo, chiusi gli occhi, per poi riaprire la mano ferita e affidare la mia guarigione ai miei poteri. Per pura sfortuna, fallii nel mio intento, e non appena riprovai a calmarmi sfiorando la corteccia di quell’albero, non vidi altro che una bolla di appiccicosa resina esplodere e lasciare indietro i suoi stessi residui. Piccoli problemi in cui incorrevo quando lasciavo che le emozioni avessero la meglio su di me, seguiti poi da una mancata possibilità di risollevarmi. Per quanto ne sapevo, se estratta dagli alberi in modo corretto la resina era perfetta per curare le ferite superficiali, ma ora che quella bolla era esplosa, non c’era più nulla da fare. Sospirando, cambiai idea e obiettivo, e guardando dritto di fronte a me, rimasi in attesa di un cambiamento. Di lì a poco, un fruscio ai miei piedi mi distrasse, e abbassando pigramente gli occhi per scoprire di cosa si trattasse, capii che un mucchietto di foglie era caduto dall’albero dove mi ero riparata. Più triste di prima, non mossi un muscolo, e in lontananza, notai un luccichio fin troppo conosciuto, poi sentii il mio nome. “Kaleia?” un tentativo come un altro di attirare la mia attenzione, e un richiamo al quale risposi guardandomi subito intorno. “Sì? Chi… cosa?” biascicai, sempre più stanca e senza forze. Non riuscendo a dire altro, chiusi gli occhi, e rischiando di scivolare nella grigia incoscienza, dovetti sforzarmi per non crollare. Affrettandosi, quell’indistinta figura si fece più vicina, e nonostante fosse coperta da una sorta di nebbia, forse semplicemente il risultato della mia stanchezza, potei giurare di riuscire a riconoscerla. Alta, esile e slanciata, in una parola, Aster. Spossata, chiamai appena il suo nome, poi fui inghiottita dal nero. Così, altre ore si susseguirono, e con gli occhi chiusi e il respiro frammentato da un improvviso dolore, quasi non udii il mio battito cardiaco. Intanto, la voce che sentivo continuava  a chiamarmi, ma io non potevo rispondere. “Kaleia? Kaleia! Dolce Dea, Kaleia, svegliati!” il mio nome ripetuto più e più volte, seguito da una preghiera che non riconobbi. Persa in quello stato di semicoscienza, non riuscii quasi a muovermi, e agitandomi appena, avvertii una strana sensazione sulle labbra. Delicata e dolce, come i frutti che da bambina ero solito rubacchiare dai rami degli arbusti per poi mangiarli. Colta alla sprovvista, riaprii gli occhi con non poca fatica, e solo allora la vidi chiaramente. La mia amica ninfa proprio davanti ai miei occhi, impegnata a torreggiare su di me, protettiva. “Grazie al cielo.” Biascicò, vedendomi finalmente sveglia. “C-Come? Aster, non… non capisco, che è successo? Sento solo un gran dolore… al petto.” Balbettai, faticando a trovare le parole per esprimermi, così come l’equilibrio, scarso e possibile soltanto grazie al solido tronco d’albero dietro di me. “Sta tranquilla, adesso va tutto bene. Scusa, ma darti quella mora era l’unico modo di riaverti fra noi. Avevi bisogno di mangiare, e ti rendi conto di essere quasi disidratata?” mi spiegò lei, non riuscendo a nascondere l’affatto sottile vena di preoccupazione che aveva nella voce. Confusa, scossi la testa, e riflettendo, capii. Come colpita da un fulmine, mi drizzai a sedere. “Santo cielo, Christopher!” gridai, perdendo il controllo delle mie emozioni e non badando al tono che utilizzai nel parlare. “Va bene, ora ascoltami. Lui sta bene, stiamo tutti bene, d’accordo? Ce la fai ad alzarti?” mi rispose allora Aster, riportandomi finalmente alla calma e completamente la frase con quella domanda. Senza proferire parola, mi limitai ad annuire, e accettando la sua mano come una vera ancora di salvezza, riuscii a rialzarmi. “Dove sono gli altri?” non potei evitare di chiedere, stranita. “Al sicuro. Adesso vieni, c’è un posto che devi vedere.” Quella fu la risposta di Aster, che giunse alle mie orecchie come chiara ed enigmatica al tempo stesso. Ancora debole, le arrancai accanto, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, lei fu lì per sostenermi. Lasciandola fare, ritrovai l’equilibrio, e dopo altro camminare in quella foresta sapientemente mescolata a una vera e propria giungla urbana, arrivammo. Davanti ai miei occhi non c’era che una grotta ben nascosta e scavata nella roccia, brulicante al suo interno di vita. Ci volle del tempo prima che i miei occhi si abituassero all’oscurità, ma quando accadde, con l’aiuto di alcune lingue di fuoco accese e già prossime a spegnersi, li vidi. Christopher, Lucy, Lune, i loro genitori, e incredibilmente, anche Sky, Noah e nostra madre. Emozionata, quasi non riuscii a parlare, e boccheggiando alla ricerca di quelle giuste, non trovai parole belle abbastanza da descrivere come mi sentissi. Così, con il cuore in tumulto e gli occhi velati da lacrime figlie di una gioia a dir poco immensa, abbracciai prima mia madre, poi l’uomo della mia vita. “Christopher… mi dispiace Non avrei dovuto, non volevo fuggire Avremmo dovuto restare, e affrontarla insieme, e...” Biascicai, ferita e con ancora in mente i ricordi del mio comportamento in quel giorno ormai quasi scomparso. Quella frase non conobbe mai la sua fine, ma come sempre, il mio amato ebbe come primo pensiero quello di confortarmi. “Non dirlo, fatina mia. Hai avuto paura, è del tutto normale. Può dirlo anche Aster. Vero, cara?” mi sussurrò all’orecchio, accarezzandomi la schiena e scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Rinfrancata da quelle parole, non dissi altro, e alzando lo sguardo, lasciai che i nostri sguardi si incrociassero. Ci ritrovammo così, verde nell’azzurro, e attimi dopo, la luce di migliaia di piccolissime pixie ancora grandi quanto lucciole illuminò l’ambiente circostante. Paralizzata dall’emozione, osservai ogni secondo di quello spettacolo, e sempre in testa alla nostra marcia, la stessa Aster mi offrì di nuovo la mano. “Chris, Kaleia, venite.” Pregò, chiamandoci a sé con voce bassa ma dolce, quasi angelica. Annuendo, ci unimmo a lei, e solo pochi istanti più tardi, la fioca luce delle pixie si riflesse nell’acqua di un lago poco distante. Appena dietro di noi, protetta da quelle mura di solida roccia, una cascata scorreva muovendo e rimescolando costantemente quelle acque, e calma come sempre, una coppia di cigni vi nuotava tranquillamente, rivolgendoci appena uno sguardo e tornando poi a concentrarsi su un moto a dir poco perpetuo. Due esemplari bianchi come neve, un maschio e una femmina, simboli d’amore e devozione per gli umani, noi fate e tutti gli esseri come noi. “Quella è Promise, amica mia.” Sussurrò Aster, abbassando ancora la voce al solo scopo di non disturbare quel magnifico esemplare. “Bellissima, non trovi?” mi chiese poi, notando il mio sguardo di pura e semplice adorazione. “Sì.” Sussurrai appena, incapace di staccare gli occhi da quelli del cigno, ora fermi nei miei. Sorridendo debolmente, Aster mosse qualche passo indietro, e giunta al fianco di Christopher, che ancora mi stringeva la mano accarezzandola dolcemente, gli parlò. “L’altro invece è Honor, e c’è una ragione se vi ho portati qui.” Disse soltanto, per poi scivolare nel silenzio e attendere che ci voltassimo. Incuriositi, non sprecammo altro tempo, e nel silenzio di un breve istante, lei schioccò le dita. Per tutta risposta, miriadi di foglie si mossero in un vento costante, e nel buio, mille luci del colore del mio elemento. Colpita, non ebbi parole, non il tempo né il modo di proferirne in presenza di ciò che vidi, ovvero decine e decine di giovani tutte simili ad Aster. Ninfe come lei, tutte calme e sorridenti. “Adesso capite, vero? Quella che ho recitato al vostro arrivo non era una semplice formula. Quella che vi ho raccontato è sempre stata la verità, e ora che nostra cugina Amelie è per voi una minaccia, io e le mie sorelle vi proteggeremo. Faremo di tutto per farvi sentire al sicuro. Contate su di noi, e soprattutto, benvenuti alla grotta delle ninfe.”

 

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Capitolo 12
*** Cuore maturo ***


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Capitolo XII

Cuore maturo

Al sicuro. Finalmente, Christopher ed io eravamo al sicuro. Agli occhi di altri, una spelonca come quella in cui ci eravamo rifugiati poteva sembrare una trappola, ma non certo ai nostri. Lento, il tempo scorre come l’acqua del laghetto dei cigni Honor e Promise, e nel silenzio dell’oscurità, mi sento protetta. Protetta da coloro che più amavo, e con la mano stretta da un’altra. Stavolta si tratta di Lune, che piccola e spaventata, si erge piano sulle punte per guardarmi con quei suoi grandi occhi scuri. “Kia, salva? Salva?” chiede, sforzando quelle parole, parole che a quattro anni una bambina, non dovrebbe neanche conoscere. Restando ferma a guardarla, quasi non ho la forza di rispondere e sentendo un’ennesima lacrima rotolarmi sulla guancia, non riesco a fermarla, e confortata dalla presenza del mio amato e dei miei familiari, scossi la testa per calmarmi e ragionare. Seppur inquieta, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. “Sì, piccola, è salva adesso.” Le rispose una voce alle mie spalle, che nello spazio di un momento scoprii appartenere ad Aster. Voltandomi a guardarla, mi sforzai di sorridere, e avvicinandomi, l’abbracciai ancora. Al nostro silenzio si frappose il rumore dell’acqua che scorreva fra le mura di roccia, e rinfrancata da quel gesto d’affetto, mi staccai da lei. “Grazie.” Biascicai appena, sentendo il fiato sparirmi dalla gola mentre questa si chiudeva dolorosamente. “Aster, davvero, grazie. Tu non sai… non sai cosa tutto questo significhi per noi.” In quel momento fu Christopher a parlare, con un tono a metà fra il mesto e il riconoscente. Non proferendo parola, mi scambiai con lui un’occhiata d’intesa, e i miei occhi, sempre azzurri come il vasto oceano, brillarono di felicità. Guardandomi, nessuno l’avrebbe detto, ma anche fra le lacrime, ero felice, e lo ero davvero. “Posso solo immaginarlo, ragazzi, e sappiate che esiste sempre una via d’uscita.” Ci rispose lei, per poi scivolare nel silenzio e attendere una qualsiasi risposta. Per sua fortuna, questa non arrivò mai, e sempre vicina a Lucy e Lune, finalmente smisi di piangere. Abbassando lo sguardo, incontrai ancora i suoi occhioni di bambina, e stringendola a me, la consolai. “Sono libera adesso, Lunie. Te lo prometto.” Le sussurrai, accarezzandole amorevolmente i capelli. Lasciandomi fare, la pixie si ridusse al silenzio, e in risposta, come se in qualche modo mi avessero capito, le altre sue minuscole simili mostrarono la loro luce. Una luce verde, del colore della speranza, unico colore assieme a pochi altri in cui nel tempo avevo imparato a credere. La mia esperienza con Christopher m aveva aperto gli occhi alla tradizione delle lanterne, e ricordavo bene che se il giallo simboleggiava la gioia, il significato del verde era la speranza, e con lo sguardo fisso stavolta su quel soffitto di pietra, sospirai. Ora stavamo bene, ed era vero, ma mentre il tempo scorreva, anche quella certezza cominciava a vacillare. Ansiosa, mi guardai intorno, e non vedendo altro che mura, sentii il cuore accelerare i propri battiti. “Chris…” chiamai, già quasi senza forze. “Kaleia, amore!” quasi urlò, correndomi incontro e riuscendo a impedire che cadessi, per poi guardarmi negli occhi e stringermi a sé, protettivo. “Pixie, stai bene?” azzardò mia madre, preoccupata. Improvvisamente confusa, quasi non sentii la sua voce, e mugugnando parole senza senso, per poco non svenni. Svelte, Aster e Sky si avvicinarono, e adagiandomi in terra senza farmi alcun male, mi permisero di chiudere gli occhi e riposare. Di lì a poco, il mondo attorno a me prese a ruotare vorticosamente, e lentamente, ogni cosa attorno a me perse colore. Ad essere sincera, non sapevo cosa mi stesse accadendo, e scivolando nell’incoscienza, attesi, riuscendo a sentire a malapena il battito del mio cuore e lo scorrere del mio caldo sangue. “Aster, che succede? Ti prego, dimmi che sta bene.” Implorò Christopher, preoccupato e divorato dall’ansia. Ormai incosciente, non potevo sentirlo, ma il cuore batteva ancora. Non solo per permettermi di vivere ma anche e soprattutto per lui. Eravamo sposati, ero sua moglie, la sua fata prediletta, e lui teneva a me. Restavo in silenzio, a volte aprivo bocca solo per dirgli che lo amavo, e proprio ora che volevo farlo, parlare e ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto e faceva per me, non potevo. Un’ennesima ondata di malessere, per fortuna diversa dalle altre mi aveva investita e travolta, e con il viso pallido e quasi esangue, restavo lì, su quel pavimento di fredda roccia. Anche ad occhi chiusi, mi sentivo come osservata, riuscendo a riprendermi quasi per miracolo e sussultare quando la mano di Aster mi sfiorò il petto. “Si riprenderà, ha soltanto avuto un eccesso di magia.” Spiegò, mantenendo una calma che avrei potuto unicamente definire mostruosa. “Un… un cosa?” chiese Sky, prendendo la parola diventando a sua volta pallida come un cencio. “Calma, figlia del vento, calma. Non è la prima volta che ne vedo uno, e non è letale, sappi solo che accade se una fata giovane come lei riceve troppi stimoli. I boccioli hanno cercato di comunicare con lei per darle coraggio, e la sua magia ha cercato di reagire, e il suo corpo non ha retto. È stabile, ma ha bisogno di riposo.” Quelle furono le parole di Aster, che dando mostra delle sue conoscenze di magia e forse anche medicina del nostro mondo, riuscì a calmare mia sorella. “Boccioli, hai detto? È così che voi ninfe chiamate le pixie?” azzardò a quel punto Lucy, ancora tremante di spavento ma sinceramente incuriosita. “Esatto, piccina. Per noi dei boschi tutto è diverso, e forse un giorno anche loro potranno giocare con te.” Continuò la mia amica, sorridendo debolmente e scostandosi dal viso una ciocca di capelli. Per qualche istante non si udì altro che il silenzio, poi un’altra dolce voce riempì l’aria. “Adesso?” era Lune, che spaventata quanto e forse più della sorella, era riuscita a malapena a parlare, e ora cercava nel gioco una distrazione dal resto delle proprie emozioni. Nel buio, la luce azzurra che le incorniciava il corpo era ben visibile, e muovendo qualche incerto passo in avanti, mia madre si offrì di consolarla. “No, Lune. Mi dispiace, ma ora non si può. Kia non si sente bene, e deve riposare.” Le disse soltanto, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla. Annuendo, la piccola rimase muta, e pochi attimi più tardi, la terra tremò leggermente. “Non è giusto, non è proprio giusto.” Disse Lucy, con i pugni stretti e il corpicino scosso da tremiti sempre più evidenti. Colpito, il resto dei presenti si fermò a guardarla, e a bocca aperta, Aster notò qualcosa che gli altri non videro. Tacendo la sua scoperta, attese che la piccola si calmasse, ma invano. “Christopher, diglielo anche tu. Tu e Kia vi amate tanto, eppure guarda come sta. È bloccata, costretta a soffrire per colpa della ninfa cattiva. A me non piace!”pregò la piccola, lamentandosi di quella realtà che ancora non comprendeva mentre la terra sotto i suoi piedi non voleva saperne di acquietarsi. “Lucy…” la richiamò la madre, tentando di rassicurarla. “No! Dico davvero, questa è un’ingiustizia!” replicò la bambina, pestando i piedi e mantenendo un perfetto equilibrio anche dopo una nuova scossa. Esasperata, Aster chiuse gli occhi, e sollevando una mano, diffuse tutt’intorno una calma a dir poco mistica. “Ragazzi, basta. Calmatevi, tutti quanti.” Disse, seria e calma al tempo stesso. Punta sul vivo da quelle parole, Sky reagì a quelle parole con un’occhiata carica di veleno, e respirando profondamente, si impose il silenzio. “Aster, noi non…” tentò Christopher, più confuso e sconvolto di prima. Ancora persa in quel pietoso stato, non riuscivo a muovermi né a parlare, ma forse a causa della grandezza dei miei poteri, riuscivo a sentire la mia anima e quelle dei miei amici agitarsi. Assieme a queste, mille pensieri si mossero nella mia mente, e forse per la prima volta nella mia vita, riuscii ad ascoltare voci diverse da quelle che erano solite tormentarmi. Troppo stanca per concentrarmi a dovere, non capivo davvero cosa dicessero, ma era come se stessero cercando di parlarmi, sussurrando una sorta di strano, vecchio e dimenticato mantra che non comprendevo. Avrei voluto svegliarmi, rialzarmi e calmare le acque, ma non potevo, e sforzandomi, diedi voce ad un rantolo strozzato, che in un attimo spezzò la tensione in quel quasi sacro luogo. Nello spazio di un momento, Christopher mi fu accanto, e con lui anche il resto della mia famiglia. Veloce, il mio amato cercò il mio polso, constatando con gran sollievo la presenza del mio battito cardiaco. Ero viva. Non mi muovevo e avevo spaventato tutti, ma ero viva, e quando finalmente riaprii gli occhi, fu come tornare a respirare dopo un lungo periodo di apnea. Di lì a poco, spalancai gli occhi, e il cuore, ancora furioso nel mio petto, riuscì ad acquietarsi. “Kaleia!” chiamò mia madre, incredula. “Dea Onnipotente, ma allora stai bene!” esclamò Aster, sollevata e felice all’idea di rivedermi in forze. “S-Sì, a-almeno credo. Sapete, è stato… strano.” Balbettai, riacquistando a  poco a poco la capacita di esprimermi e parlare normalmente. “Davvero, e dimmi hai visto o sentito qualcosa mentre non eri con noi?” chiese la mia amica, stavolta realmente preoccupata, forse perfino più di prima. Incerta sul da farsi, non proferii parola, ma chiamando a raccolta le mie forze e il mio coraggio, mi decisi. Quel gruppo di umani e creature magiche era per me come una famiglia, e in quanto membro, ognuno di loro doveva sapere. “Sì.” Esordii, convinta. “Non saprei come dire, è stato come se qualcuno, da lontano, cercasse… di parlarmi. Non capivo cosa dicesse, ma non era da solo, e forse… forse mi incoraggiava.” Aggiunsi poco dopo, continuando a parlare e terminando quella frase in quel modo così criptico. Ascoltando senza interrompere, Aster si limitò ad annuire, e avvicinandosi, mi posò delicatamente la mano sul cuore. Il battito calmo e regolare non la sorprese, e ritraendola con un sorriso lieve, parlò ancora. “Sei davvero un caso raro, creatura naturale. È passato molto tempo, e il tuo viaggio può continuare. Quando il cammino sarà impervio, e il cielo triste e oscuro, resta con chi ami, e il tuo cuore conserverai puro.” Parole che ascoltai in religioso silenzio, proferite come una poesia vecchia più del nostro mondo. Ad essere sincera, non ero sicura di cosa si trattasse, se di una formula magica, un incantesimo o solo un semplice aforisma, ma qualunque fosse il caso, ora non importava. Il mio benessere fisico e psicologico erano le uniche cose a contare, specialmente dopo il mio svenimento, e dopo un lungo lasso di tempo trascorso a meditare nell’angolo riservato ai cigni in quella grotta, mano nella mano con il mio Christopher, presi senza esitare la decisione più importante della mia vita. Sempre al suo fianco, stavolta avrei detto la verità anche ad Amelie, pronta a lottare e combattere perciò in cui credevo, proprio come diceva Aster, con l’aiuto della mia forza di volontà, di coloro che mi amavano, e della purezza nascosta nei battiti del mio cuore ora maturo. 





Un buongiorno ai miei lettori, che hanno aspettato così tanto per questo capitolo. Perdonatemi ancora il silenzio, ma lo studio e gli impegni si accavallano sempre, anche se ora riesco a gestirli meglio. Comunque sia, spero che queste righe abbiano incontrato il vostro favore. Vi ringrazio tutti indistintamente, ci rivedremo nel prosieguo delle vicende di Kaleia,


Emmastory :)     
 

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Capitolo 13
*** Vera e libera ***


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Capitolo XIII

Vera e libera

Ripresami dopo il mio sonno in quella grotta, ero ancora circondata da coloro che mi amavano, e in silenzio, ascoltavo lo scorrere dell’acqua e del tempo. Silenziose, alcune piccole pixie mi svolazzavano intorno come farfalline, e Sky era ancora con me. Infastidita, le scacciava come se fossero stati insetti, e divertito, Noah rideva con lei. “Non ti piacciono?” le chiese, confuso e stranito da quei gesti nervosi. “No, sono carine, ma anche noiose.” Rispose lei, tesa e con lo sguardo fisso sull’acqua del laghetto. Stranita a mia volta, mi fermai a guardarla, e fu allora che le vidi. Lacrime. Piccole e quasi invisibili, ma pur sempre lacrime. Non avevo idea di cosa le stesse accadendo, e restando in silenzio, le posai una mano sulla spalla. “Sky…” chiamai, a voce bassa. “Non è niente, Kaleia, tranquilla.” Replicò, veloce ed evasiva. Seppur preoccupato, rispettai la sua quiete, e incontrando prima gli occhi di nostra madre e poi quelli di Aster, tremai. Un brivido mi scosse corpo e anima, e indietreggiando, per poco non caddi. Ritrovando in fretta l’equilibrio, cercai subito un appoggio, trovandolo non appena appoggiai la schiena alla parete di roccia. Al contrario della mia amica ninfa, le sue sorelle si erano già ritirate nell’ombra, e sempre vicina, Lucy faceva del suo meglio per confortarmi. “Come stai? Sky oggi sembra triste.” Osserva, tenera e dolce come sempre, scivolando poi nel silenzio mentre attende una mia risposta. Distratta, punto lo sguardo in avanti, felice di scoprire che anche Noah fa ciò che può per consolarla. Lui e Sky stanno insieme da tempo, è un bravo ragazzo, tiene a lei e le vuole bene, e mentre le pixie non smettevano di tormentarla, ora lei era scoppiata a ridere. A quanto sembrava, una di loro si era spinta troppo oltre nel volo, finendo per perdere il controllo delle piccole ali e lasciarsi trasportare dai venti che spiravano attraverso le crepe nei muri della grotta, sforzandosi di mantenere un seppur goffo equilibrio e fallendo, ritrovandosi poi in terra e tentando di riprendere il volo. “Lo è stata per un momento, Lucy. Guarda, ora sorride.” Le dissi, accennando anch’io a un sorriso e prendendole la manina. Felice, la bambina mi lasciò fare, e attimi più tardi, anche la sorellina si unì a noi. A quattro anni, ancora non parlava correttamente, e se lo faceva, usava solo parole singole, ma la sua famiglia c’era come abituata, e ben presto ogni membro era arrivato a convincersi che ce l’avrebbe fatta. Forse non oggi, forse non domani, ma ce l’avrebbe fatta. Ricordavo ancora il giorno in cui giocando aveva finito per perdersi nel bosco senza più riuscire a tornare indietro, proprio come Lucy, persasi però durante il rito di passaggio al fianco dei suoi genitori. Era stato allora che l’avevo trovata, e che tempo dopo avevo trovato anche Lune. Sola, spaventata e con le mani costellate di ferite simili a morsi. Scuotendo la testa, mi liberai in fretta da quel pensiero, e in un solo istante, la sua voce mi permise di tornare alla realtà. “Fatina?” mi chiamò, quasi spaventandomi. “Sì?” risposi, rialzando lo sguardo e incontrando il suo, che luminoso e profondo, mi colpì come pochi. Sorridendo, la piccola si avvicinò di qualche passo, poi indicò un punto lontano. “Guarda.” Disse dolcemente, mentre il suo corpo iniziava a splendere di una tenue luce color dell’oro. Stando ai miei ricordi, indicava felicità nelle fatine come lei, e guardando in direzione di ciò che indicava, rividi Christopher. “Tutto bene, tesoro? Ti sei…” azzardò, muovendo passi lenti e incerti verso di me. Fra una mossa e l’altra, non diceva nulla, e perfino la frase che aveva pronunciato si era interrotta. “Cosa?” indagai, indecisa. Incerta sul da farsi, mi limitai a guardarlo, poi la verità mi travolse come un’onda di marea. “Sì.” Risposi soltanto, decisa. Nel farlo, scattai in piedi come una molla, e felice ma sempre lontana, Aster sorrise. Proprio come me, anche lei osservava ciò che aveva intorno restando pacificamente chiusa nel silenzio, e ora che sorrideva, io potevo dirmi felice. Ero restia ad ammetterlo, ma ora capivo che la grotta in cui viveva con le sorelle era davvero un luogo sicuro, e animata da una forza che non credevo di possedere, sentii la mia energia magica agitarsi in risposta. Non stavo più male, quella sensazione era positiva, e per la prima volta, conoscere i miei poteri era bellissimo. Il mio ciondolo a forma di foglia brillò di luce propria, e orgoglioso, Christopher mi tese la mano. “Sei pronta?” chiese poi, serio. Annuendo, mi ritrovai a sorridere e a spazzar via la tristezza, e accettando quella mano come una vera ancora di salvezza, gliela strinsi. Cogliendomi di sorpresa, Christopher mi strinse a sé, e lasciandomi stringere, non osai interrompere quel momento. Eravamo insieme, lo amavo e mi fidavo, e concentrata sul battito del mio cuore, desiderai solo poter restare ferma in quell’abbraccio, come immobile in quell’attimo perfetto. Guidata dai sentimenti, coronai quel momento con un bacio, e dapprima sorpreso, il mio amato mi strinse le mani con forza ancora maggiore, sorridendo in quel contatto e non tardando ad approfondirlo. “Sì, sono pronta.” Risposi non appena ci staccammo, già ebbra di felicità. In completo silenzio, Christopher si limitò ad ascoltarmi, e in silenzio, uscimmo tutti dalla grotta. Vicini o lontani, tutti i miei amici avevano assistito a quel momento, e con loro la mia famiglia, e mia madre, con le lacrime agli occhi, ora non riusciva a smettere di piangere. Fortuna volle che le sue fossero lacrime di gioia, e che osservandola per un istante, un sorriso mi increspasse le labbra. Non era la mia vera madre, e lo sapevo, ma lo era stata per tutto questo tempo, ragion per cui allontanarla e cancellarla dalla mia vita sarebbe stata una pazzia. Come avrei potuto dopo tutto ciò che aveva fatto per me, prendendomi con sé e crescendomi assieme a mia sorella come sua figlia, salvandoci entrambe da un oscuro e funesto destino di orfane? Quella la domanda che a volte non facevo che pormi, e che pregando volgevo anche al cielo, sperando ardentemente in un futuro migliore per ognuno di noi. Pensavo a me, a Christopher e al nostro amore, all’avvenire di Sky e Noah, ad augurare ogni bene a Lune e alla sua non più così piccola sorella Lucy, e seppur da molto meno tempo rispetto agli altri, avevo iniziato a sperare anche per Aster. Non sapevo molto di lei, e avrei scoperto altri dettagli solo parlandole, ma questo non mi impediva di considerarla amica, e avvolta dalle coperte e dalla quiete notturna, pregare per lei. Così, con quei pensieri in testa, muovevo ogni passo con sicurezza, stringendo la mano di colui che amavo e non sentendo altro che il suono dei miei passi uniti a quelli del resto dei miei congiunti. C’eravamo tutti. Io, Christopher, Sky, nostra madre, Aster, Lucy, Lune, Isla e Oberon. Imitandoci, anche loro camminavano tenendosi per mano, e abbassando lo sguardo, notai che una delle bambine mi si era avvicinata abbastanza da riuscire a tirare lievemente un lembo della mia veste. “Sei forte, Kia, forte.” È Lune, che dolce come sempre, fa quanto in suo potere per infondermi coraggio. Commossa, trattenni le lacrime, e scambiandomi con Christopher una veloce occhiata d’intesa, sentii il cuore battere veloce. Ero emozionata, e quella piccola pixie aveva ragione. Mi giudicavo fragile, eppure ero forte, così forte da essere riuscita a difendere l’amore per mio marito fino a quel momento. Sincera con lui e con me stessa, avevo sempre dato ascolto al mio cuore, anche ora che non avevo idea di cosa sarebbe accaduto. Per quanto ne sapevo, sia ninfe che fate erano anime gentili, ma data la precedente reazione di Amelie alle parole di Lucy, ora dubitavo. Ansiosa, mi guardai intorno cercando di capire dov’ero, e ormai lontana dalla spelonca, sospirai. Pochi passi, solo pochi passi e avrei vissuto il momento più importante della mia vita, che ora sembrava davvero appesa ad un filo. Amelie avrebbe potuto accettarci come esiliarci, ma come capii solo guardando Christopher, valeva la pena tentare. “Non possiamo arrenderci, ora, Kaleia.” Mi disse, sussurrando ogni parola per farsi sentire dalle bambine, a suo dire ancora troppo piccole per capire. Per niente d’accordo con lui, credevo il contrario, e mentre il sogno di costruire una famiglia al suo fianco era ancora vivo dentro di me, rispettavo quell’opinione come facevo con qualunque altra, e innamorata come sempre, ora attendevo. Il viaggio era stato lungo, ma finalmente eravamo giunti a destinazione, e proprio davanti a noi, seduta sul suo trono di foglie, rami e viticci, Amelie scrutava l’orizzonte. Improvvisamente impacciata, non seppi come muovermi, e incoraggiata da Aster, mossi qualche passo in avanti. “Puoi farcela, in fondo è ancora una di noi.” Disse soltanto, sempre sicura e fiera delle sue origini. Annuendo, ebbi appena la forza di sorridere, e dopo meri secondi di silenzio, sentii ancora l’unica voce che le mie stesse emozioni mi avevano quasi spinta a odiare. “Bene, bene, bene. Chi abbiamo qui? La fata innamorata e il suo caro protettore? Un vero onore rivederti, Kamila. ” Irritata, sostenni il suo sguardo, e una sola occhiata bastò a farmi infuriare. Mordendomi la lingua, mi imposi il silenzio. Il sibilo di quella ninfa iniziava già a farmi ribollire il sangue nelle vene, e il solo fatto che avesse sbagliato a pronunciare il mio nome lasciava trapelare tutto l’odio che provava per me. Ovvio era che in quell’istante quel sentimento fosse reciproco e ricambiato, ma lei non lo sapeva, e soltanto elevandomi al di sopra di lei mi sarei salvata. Respirando a fondo, mi preparai a parlare, ma all’improvviso, la voce del mio amato precedette la mia. “È Kaleia.” Corresse aspramente, la calma che pian piano lo abbandonava. “Chris, no. La battaglia è nostra, non agirai da solo.” Replicai, restando al suo fianco e sperando che le mie parole riuscissero a calmarlo. “Hai ragione.” Si limitò a rispondermi, a denti stretti e con il respiro già corto. Era strano a vedersi, e a me non era mai successo, ma per lui era diverso, e accadeva spesso, praticamente ogni volta che si arrabbiava. Adirata come e più di lui, avanzai ancora, e sorprendentemente, anche Lucy. Nervosa, stringeva i pugni, e a testa alta, fissava la donna che ora consideravamo una nemica. Rimanendo ferma e inerme, sussultai, e solo allora, la terra iniziò a tremare. Era successo durante la mia ultima discesa nell’incoscienza, e fattasi più vicina, ora anche Aster aveva lo sguardo serio, gli occhi fissi su quella scena. “No.” Esordì la bambina, agitandosi e quasi piegando il terreno al suo volere. “Devi smetterla.” Aggiunse poco dopo, mentre le vibrazioni attorno a noi si facevano sempre più forti. Spaventata, trasalii, e con il terrore nell’anima, mi scoprii paralizzata. Provavo a muovermi, ma non ci riuscivo, e intanto quel moto non accennava ad acquietarsi. Deciso, Christopher mi prese per mano attirandomi a sé per proteggermi, e con lo scorrere del tempo, osservammo insieme il prosieguo della scena davanti ai nostri occhi. “Devi smetterla.” Ripetè Lucy, con la rabbia nella voce e nei gesti della mano, ancora saldamente stretta a pugno. “Loro… sono miei amici, e si amano. Si amano davvero, perché non vuoi… capirlo?” il suo discorso proseguì lento, scandito da pause legate alla quasi totale instabilità dei suoi poteri, che come la terra, ora più calma, avevano già iniziato a vacillare. Del tutto sorda alle parole della pixie, la ninfa si alzò in piedi, e richiamando a sé la natura con un gesto della mano, ordinò al mormorio terreste di tacere. “Tutto qui quello che sai fare, piccolina? Sei troppo giovane, ma dovresti sapere che ci vuole molto di più per affrontare una ninfa. Considerala una lezione, d’accordo?” le rispose, per poi tornare a guardarla e aprire di scatto la mano. Al suo comando, innumerevoli viticci si sollevarono dall’erba, fallendo nell’intrappolarla per un soffio. Veloce, la pixie riuscì ad evitarli, ma nonostante tutto non lo fu abbastanza, e mai doma, una di quelle verdi catene le si strinse attorno al piede, immobilizzandola. “Lucy!” gridò sua madre, precipitandosi ad aiutarla. Ferita, la bambina provò a divincolarsi, ma la presa era troppo forte, e lamentandosi per il dolore, cadde in ginocchio. Per sua fortuna, la madre riuscì a liberarla, e non osando arrendermi, tenni alta la guardia. Preoccupata per Lucy, mi voltai appena a guardarla, felice di scoprirla al sicuro fra le braccia della sua famiglia. Paralizzata dal terrore, non riuscii a muovermi ancora, e ormai deciso a farsi valere, Aster prese la parola. “Amelie, ti prego, ascoltali, e lasciala andare, è soltanto una bambina.” La pregò, giungendo le mani e sperando di convincerla. “Aster, dici sul serio? Li difendi anche tu?” le rispose quest’ultima, per nulla impressionata. “Amelie!” insistette la cugina, testarda. Di lì a poco, il silenzio cadde attorno a noi, e dopo un tempo che ci parve indefinibile, gli eventi ripresero a scorrere. “E sia, cuginetta, dimmi. Parlami e dammi una sola ragione per cui dovrei crederti e lasciargli vivere questa menzogna.” Ancora una volta, fu la voce della stessa Amelie a riscuoterci, e spaventata, mi limitai a fissarla, un onnipresente terrore nei miei poveri occhi. Interdetta, Aster aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Prendendomi la mano, Christopher mi incoraggiò ad avanzare ancora, e insieme, ci ritrovammo a pochi metri da lei. Fu quindi questione di attimi, e ci ritrovammo vicini, verde nel veleno e nell’azzurro. “Se permette, lo farò io, Amelie.” Stavolta fu Christopher a parlare, e ridotta a un calmo e religioso silenzio, attesi. “Che coincidenza, il cavaliere salva sempre la donna amata, giusto?” proruppe la ninfa, interrompendolo. “Già, e sarà così anche in questo caso. Vede, Kaleia, non è soltanto la mia fata, è mia moglie, la donna che più amo, e stia sicura che è lo stesso anche per lei. La nostra amica Lucy non stava mentendo, ha visto il nostro amore crescere, proprio come ora sta accadendo anche a lei. È una pixie, ma presto sarà fata, e le auguro davvero di vivere in un luogo, anzi, un mondo come questo. Abbiamo scelto Eltaria pensando al vostro mantra, lo ricordate?” quello fu il discorso del mio amato, che pieno di verità e dolcezza, sperai riuscisse a far breccia nel cuore della donna. Colpita, questa fu scossa da un brivido, e protendendo una mano in avanti, cercò la mia. Insicura, accettai il suo gesto con riluttanza, e non appena le nostre dita si intrecciarono, lei ritrasse la mano, terrorizzata. “Cielo, no! Chi è stato?” chiese, sostituendo improvvisamente la rabbia alla paura. Confusa, non seppi cosa dire, e fu allora che lo notai. Passato in secondo piano fino ad ora, lo strano simbolo incisomi sul polso in prossimità del mio segno c’era ancora, e non appena lo vidi, sentii mille ricordi farsi spazio nella mia mente. I miei continui svenimenti, il giorno in cui l’avevamo incontrata per la prima volta, la sorta di seduta spiritica a cui avevo preso parte, la visione momentanea della mia vera madre, e poi quello strano simbolo che per lungo tempo avevo nascosto e sopportato, paragonandolo ad un livido testardo nello scomparire. Una croce in una macchia di nero inchiostro, che agli occhi della ninfa apparve come una maledizione. “L-La strega.” Balbettai, timorosa come mai ero stata. “Zaria Vaughn?” azzardò Amelie, volendo sincerarsi della sua vera identità. “Esattamente. Hanno cercato il suo aiuto prima del mio, e gliel’ho promesso, ma ora quello che manca è  il tuo. A pochi passi da noi, ora anche Aster cercava di salvarci, e ancora sconvolta da quella nera croce, la ninfa non parlava, mostrandosi restia anche a sfiorarmi. “Decidi, Amelie. Con o senza speranza, adesso.” La incalzò Aster, forzandola a compiere quella scelta di vitale importanza. A quelle parole, la ninfa esitò ancora,e  chiudendo gli occhi, mi riprese la mano. A voce bassa e quasi inudibile, diede vita a una sorta di formula che non capii, e in un attimo, quel simbolo e tutto il mio dolore sparirono. Sollevata,  sorrisi al mio amato, e fu allora che capii che non era finita. “Fidatevi di me, Amelie. Fidatevi, e sappiate che sarò al suo fianco per sempre. Mi è stata assegnata come fata da proteggere, ma io l’ho scelta come fata da amare. Lei lo sa, ma voglio che lo sappiano tutti. Voi, questo bosco e le vostre sorelle. È entrata nella mia vita per una ragione, e se questa è amarmi a sua volta, allora l’amerò con tutto me stesso, fino alla fine del tempo.” Parole semplici, belle e pure, colme dell’amore che provavo per quell’uomo. L’uomo che oltre ad essere il mio protettore era anche il mio migliore amico, era stato il mio ragazzo, e ora era mio marito. Sopraffatta dalle emozioni, scoppiai a piangere, e quando mi colse di sorpresa con un bacio, non osai rifiutarmi. Felice e innamorata, concentrai in quel contatto tutta la passione che ci univa, e restando stretta a lui, respirai a fondo, chiudendo gli occhi e non sentendo attorno altro che pace. Come già sapevo, non ero più sola, avevo lottato e vinto questa battaglia, al termine della quale, professandogli per l’ennesima volta amore eterno, lo baciai ancora, incurante della platea di visi amici ancora intenta a fissarci. “Ti amo.” Gli dissi più volte, sorridendo in quel bacio e abbandonandomi a quel momento, con la cui fine, potei finalmente respirare e dar sfogo ai miei sentimenti, senza più vergognarmi o doverli nascondere. Strettamente connessa alle mie emozioni, quel giorno la mia magia fu più potente che mai, e lasciando il verde per tornare a casa, sentii il cuore leggero, e voltandomi, vidi l’ombra di un sorriso sul volto della dura Amelie. Una ninfa all’apparenza diversa dalle altre, ma che forse mossa a compassione dalle parole del mio amato, ora ci permetteva di vivere il nostro amore rendendoci felici, e soprattutto dandomi modo di essere, come avevo sempre voluto, vera e libera.

 

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Capitolo 14
*** Memorie mai vissute ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
Capitolo XIV
 
Memorie mai vissute
 
Ancora una volta, una nuova alba. L’ormai conosciuto e ripetitivo gioco astrale di sole e luna aveva avuto inizio e fine, e con essa, il re del cielo aveva ritrovato il suo posto in quel così vasto regno, oggi terso e per fortuna libero dalla pioggia. Dopo l’incontro con Amelie, degenerato quasi in scontro, Christopher ed io non c’eravamo arresi, e come noi, neanche i nostri amici. Il viaggio verso casa sembrava ora più lungo del solito, ma non ci importava. Il tempo scorreva lento, e con esso anche la strada che percorrevamo. Nulla di diverso da un semplice sentiero in terra battuta, probabile opera degli umani più curiosi di Eltaria, mossi dal desiderio di conoscere il mondo circostante, fatto da anni, secoli o forse millenni anche di creature magiche. Tranquilla, mi muovevo lentamente, e restando vicina a Christopher, osservavo il cielo sopra di noi. Chiare e leggere, alcune nuvole si lasciavano sospingere dal vento, e quasi senza volerlo, sorrisi. “Qualche pensiero, fatina?” mi chiese il mio amato, sfiorandomi appena la mano mentre camminava. “Un bel pensiero.” Risposi, sincera sia con lui che con me stessa. Alle mie parole, Christopher non ebbe reazione alcuna, eccezione fatta per un sorriso simile al mio, e in quel momento, forse a causa del sole che splendeva su di noi o della naturale bellezza che vantava ai miei occhi, appariva perfino più luminoso. “Ne sono felice.” Commentò soltanto, stringendosi a me con la noncuranza che i momenti insieme gli avevano insegnato a mostrare. La sua non voleva essere una mancanza di rispetto, ma ci amavamo, e loro ci conoscevano, ragion per cui, fermandosi a guardarci, Oberon e Isla annuirono, come a voler dare la loro approvazione. Incerta, mi voltai, avendo la fortuna e il piacere di notare che anche Sky non aveva nulla da ridire. Difatti, e a giudicare dalla serena espressione che aveva dipinta in volto, anche lei era felice per noi, tanto che fra un passo e l’altro intrecciò le dita a quelle del suo Noah. Nel silenzio, osservai anche Lucy, che sempre vicina a noi, ora ci trotterellava accanto. “Sono orgogliosa di te, di voi.” Disse, sorridendo e avvicinandosi per abbracciarmi. Lasciandola fare, ricambiai quel sorriso, e attimi più tardi, un suono squarciò l’aria. Colta alla sprovvista, alzai lo sguardo, e fu allora che lo vidi. Ranger, il falco di Noah, volava in cerchio proprio sopra le nostre teste, come a voler dare una sorta di avvertimento. Confusa, non seppi cosa dire né pensare, e voltandomi verso Sky, cercai aiuto. Era la sua fidanzata, a sua volta possedeva Midnight, un merlo, e benchè le due specie non fossero poi così simili, sperai che avesse delle spiegazioni. “Ne so quanto te.” Mi fece capire, muta e con il solo uso dello sguardo. “Sta calma, d’accordo, è solo qui per farci visita, e ti assicuro che è felice per voi quanto noi.” In quel momento, fu proprio la voce di Noah a distrarmi, e finalmente tranquilla, riuscii a rilassarmi. “Ha uno strano modo di dimostrarlo.” Commentai, ancora sorpresa e c’era da dirlo, anche spaventata. Stando ai miei ricordi, non vedevo quell’uccello solcare i cieli da molto, e lo stesso valeva per Midnight, ma mentre le lancette del tempo continuavano a muoversi senza sosta, mi divertivo a perdermi fra i miei pensieri e immaginare il loro futuro. Per quanto ne sapevo, Red era già padre, e anche Bucky aveva avuto una famiglia, ragion per cui era logico pensare che dopo la stagione degli amori, anche loro avessero avuto quella fortuna. Scuotendo la testa, tornai a concentrarmi sul presente e sul mio cammino, e proprio lì, a pochi metri da me, un dettaglio. A prima vista, un petalo di un fiore, e a una seconda occhiata, non certo uno qualsiasi. “Kaleia, guarda.” Mi pregò Sky, indicando quel preciso punto del sentiero colorato di un pallido rosa. Obbedendo a quella sorta di ordine, feci ciò che mi era stato chiesto, e in quell’istante, tutto mi fu chiaro. “Un fiore di ciliegio?” azzardai, meravigliata ma confusa da quella scoperta. “Sì, e pare che Ranger l’abbia pescato proprio per te.” Rispose subito Noah, fiero del suo compagno piumato, affidando un sorriso al cielo poco prima di richiamarlo a sé. Nello spazio di un momento, un fischio riunì falco e umano, e tutti insieme, continuammo per quella strada. Come sempre, il tempo scorreva, e di minuto in minuto, il viaggio sembrava allungarsi. Non avevo fretta di tornare a casa, e guardandomi intorno, dovevo ammettere di sentirmi davvero bene, forse per la prima volta nella mia vita. Era bello stare con i miei amici, scherzare con loro e lasciarmi prendere dall’euforia dei nostri momenti, che solo qualcuno più in alto di noi sapeva quanto sarebbero durati. Conoscendomi, sapevo bene che il pessimismo non era mai stato una parte di me, ma non potevo certo negare che il tempo passato al fianco di Christopher mi avesse insegnato qualcosa. Sentendomi parlare, in molti mi avrebbero dato dell’inguaribile romantica, o continuato a proteggere e far valere idee secondo le quali io e lui non avremmo neanche dovuto dare inizio a una relazione a loro dire sbagliata quanto la nostra, ma ci amavamo, e per noi quella era l’unica cosa a contare. Camminando, mi guardavo indietro anche metaforicamente, ed era allora che capivo. Non ero sola, io e Christopher non lo eravamo mai stati. Per tutto questo tempo non avevamo avuto altro che supporto da chi ci amava, e ora che anche la ninfa Amelie ci aveva accettato, io e lui potevamo dirci contenti e orgogliosi di noi stessi e di tutte le battaglie che avevamo combattuto. La sorta di profezia che avevo sentito da Aster era piena di incognite e mi lasciava piena di dubbi, ma almeno per ora non volevo pensarci. Passo dopo passo, Eltaria si avvicinava, e quando finalmente rimisi piede sull’acciottolato cittadino, conservando quel fiore di ciliegio nella tasca della veste, mi fermai, cercando per un attimo la mano di Christopher. La nostra meta era chiara, e presto saremmo arrivati a casa, ma se c’era una cosa che volevo fare era varcare quella soglia assieme a lui. Voltandomi a guardarlo, lo sentii stringermi la mano, e scossa da un brivido, non resistetti oltre, baciandolo. Di nuovo, e come sempre, dimentica di tutto e tutti. Tenera e adorabilmente appiccicosa, Lune ci era rimasta accanto, e separandosi dai genitori che ancora la cercavano, si fermò a guardarci, avendo per noi una sola domanda. “Scuola?” ci chiese, timida e triste all’idea di vederci andar via. Mantenendo il silenzio, sentii il cuore sciogliersi, e abbassandomi al suo livello, le parlai, posandole una mano sulla spalla. “Lunie, io non devo andare a scuola, ma alla tua età tu sì, e presto, fidati di me. Ti farai tanti amici, conoscerai elfi, folletti e fatine, e sarà come se io non ti avessi mai lasciato. Ora va dalla mamma, avanti.” Le dissi soltanto, rassicurandola e stringendola in un delicato abbraccio prima di lasciarla andare. Annuendo, la pixie ascoltò il mio consiglio, e correndo verso la madre, si lasciò sollevare, sentendo i piedini staccarsi da terra e guardando il mondo da un’altra prospettiva. Con le lacrime agli occhi, salutai i miei amici, e con loro anche Sky e mia madre, che ancora sprovviste di una casa nei dintorni, si ritrovarono costrette a tornare a Primedia. Non volevo, al solo pensiero mi piangeva il cuore, ma per quanto la detestassi, quella era la realtà. Così, in quel mattino ancora pieno di sole e prossimo a sfumare in pomeriggio, aprii la porta di casa con un solo giro della chiave e una lieve spinta, ed entrando, presi posto sul divano. “Sono a casa.” Pensai, non appena i miei muscoli si rilassarono. Felice quanto e forse più di me, Christopher non si fece attendere, e unendosi a me, mi abbracciò, tenendomi stretta e facendomi sentire al sicuro. “Allora, a cos’è che pensavi là fuori?” mi chiese poi, serio e dolce al tempo stesso, riuscendo a cogliermi impreparata. Tanto interdetta quanto imbarazzata, mantenni il silenzio, e con un leggero tremito a scuotermi il corpo, mi morsi un labbro. Eravamo sposati, ed era vero, ma anche se i dubbi che ancora avevo vertevano su altro, per un istante parlarne mi sembrò assurdo. Sempre sincera sia con lui che con me stessa, non volevo rovinare quel momento di quiete e calma fra di noi, ma quando la sua mano si posò sulla mia spalla, e l’altra si strinse alla mia infondendomi il coraggio che mi mancava, mi decisi. “A noi, Chris. A noi e al fatto che finalmente possiamo essere noi stessi.” Ammisi, calma e non più ansiosa e con il cuore e la mente liberi da un peso che trasportavo da ormai troppo tempo. “Finalmente è proprio la parola giusta, sai, fatina mia?” mi chiese lui in risposta, con un sorriso furbo  a increspargli le labbra. Annuendo, non dissi altro, e veloce, coprii le sue labbra con le mie, assaporando ogni secondo di quel contatto, avida dell’amore e delle attenzioni che la mia insicurezza mi aveva impedito di godermi davvero. Intuendo il mio volere, Christopher sorrise, e divertito, mi morse le labbra con malizia e gioco insieme. “Kaleia…” mi chiamò, quasi senza fiato. “Sì?” risposi appena, con il cuore in tumulto e il corpo di nuovo scosso dai tremiti. “Amore, sei fantastica.” Replicò, non riuscendo a smettere di sorridere e baciandomi ancora, mentre con mani abili mi accarezzava la schiena e i capelli. Rapita dal suo sguardo e da quel modo di fare, mi lasciavo amare e modellare come creta, e staccandomi quasi di malavoglia, respirai a fondo. “Ti amo, mio custode.” Gli sussurrai a fior di labbra, avvicinandomi pur senza toccarle davvero. “Ti amo anch’io, mia splendida fata. Tantissimo.” Quella sua unica risposta, preludio dell’ennesimo, dolce, caldo e tenero bacio che ci unì in quel pomeriggio di sole e speranze, e che giunte la sera e poi la notte, ci avvicinò come mai prima di allora. Di attimo in attimo, le nostre effusione si intensificarono, e completamente concentrati l’uno sull’altra, non avevamo intenzione di fermarci. Innamorata, lo lasciai fare senza sottrarmi, e all’improvviso, la sua prossima mossa mi tolse il respiro. Deciso, Christopher mi prese per mano, e convincendomi ad alzarmi, mi sollevò da terra. Sorpresa, lottai per dominare i tremori di quel momento, e fidandomi, attesi. Ad occhi chiusi come una bimba in attesa di un regalo, fremendo d’impazienza per quello che sarebbe accaduto nei momenti a venire. Quando li riaprii, felice ed eccitata, assistetti alla conferma delle mie speranze. Ancora fra le braccia di Christopher, mi stringevo a lui con la folle paura di cadere, ma quando questo non accadde e mi adagiò sulla fresca coperta, gli sorrisi. “Chris, no… aspetta.” Pregai, incerta e nervosa. Lo amavo, lo amavo davvero, e quelle effusioni avevano acceso in me desideri inequivocabili, ma ancora una volta, ecco che esitavo. Nel tentativo di calmarmi, portai la mano al petto, scoprendo solo allora la velocità con cui il mio cuore stesse battendo. Paziente e preoccupato al tempo stesso, il mio amato rimase a guardarmi, e conscio dei miei desideri, depose un solo bacio sulla mia guancia. “Non faremo nulla che non vorrai, tesoro.” Disse poi, rassicurandomi come solo lui sapeva fare. Rinfrancata da quelle parole, gli rivolsi un ennesimo sorriso, e chiudendo gli occhi, calmai la mente e il cuore, preparandomi a quello che sarebbe stato uno dei momenti più importanti della mia vita. Non l’unico, poiché ero certa che ce ne sarebbero stati altri, e da quella notte in poi, tutti al fianco dell’uomo che ero orgogliosa di poter chiamare mio marito. “Kia, no, non farlo.” Mi avvisò, serio. “C’è una cosa che devi vedere.” Aggiunse poco dopo, sorprendendomi come mai prima. Spinta dalla curiosità e dal mio amore per lui, tornai a guardarlo, e in quel preciso istante, qualcosa di totalmente inaspettato. Sempre lui, sempre il mio Christopher, ma quella notte sotto una luce diversa, e non solo a causa della fioca luce della lampada sullo scrittoio poco distante. Emozionata, non seppi cosa dire, e camminando lentamente, mi si avvicinò con la brama negli occhi. Appariva calmo, si sforzava di esserlo, ma gli ormai quasi tre anni al suo fianco mi avevano insegnato molte cose, e ora sapevo, sentivo che come anche lui non attendeva altro. Nel suo sguardo c’era malizia, ma non certo sadismo né perversione, e onorata del mio posto accanto a lui, sollevai una mano per accarezzargli il viso. Lenta, la mia mano si mosse sulla sua guancia, e per tutta risposta, le mie ali si mossero da sole, spargendo attorno a noi una luce argentata. “È uno dei tuoi poteri o sei soltanto felice di vedermi?” sussurrò appena, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una mia risposta. Colta alla sprovvista, tacqui a mia volta, e sfiorandomi il mento con due dita, costrinse i nostri sguardi ad incrociarsi. Silenziosa, quasi non respiravo, e il mio cuore aveva ripreso a battere come impazzito, non volendo saperne di smetterla. Sopraffatta da quei sentimenti, boccheggiai alla ricerca d’aria e parole, e quando finalmente le trovai, queste fuggirono dalle mie labbra senza che potessi controllarle. “N-Non lo so, la mia magia…” balbettai, insicura. “Kia, tesoro, non ci hai mai pensato? È l’amore, è quella la vera magia. Tutto questo succede perché mi ami.” Spiegò, ricambiando la carezza che gli avevo regalato e facendo uso di una calma a dir poco mostruosa. “Quindi?” azzardai, confusa. “Guarda. Dammi la mano e guarda.” Rispose lui di rimando, più serio di prima e con un dolcissimo sorriso ancora sulle labbra. Annuendo, feci ciò che mi era stato chiesto, e in un attimo, la mia mano, al sicuro nella sua, si avventurò sulla sua nuda pelle. In silenzio, non avvertii altro che il suo calore, e all’improvviso, qualcosa di diverso. Aguzzando la vista, tentai di indagare, e guidata dai miei sentimenti, diedi voce a una sola domanda. “Chris… da quando?” parole che pronunciai senza il coraggio di finire quella frase, di fronte alle quali il mio amato sorrise con fare quasi paterno. “Da anni, piccola mia. Non tutti i protettori scelgono di averne uno, ma io sì.” Rispose infatti, dissipando ogni mio dubbio e zittendomi con un bacio. Calma, godetti del contatto delle nostre labbra per infiniti secondi, e soddisfatta, mi staccai da lui. “Amore, ma è… è meraviglioso, non credevo che…” soffiai, balbettando ancora e non provando altro che vergogna. “Sai una cosa, amore? Neanch’io. Non ne ero sicuro, ma sei stata tu. Tu mi hai aiutato a decidere.” Rivelò lui in quel momento, prendendomi la mano e portandosela alle labbra per baciarla con dolcezza. Sorpresa, lo lasciai fare, e ormai senza parole, non potei far altro che fissare quel tatuaggio. Piccolo eppure pieno di significato, era impresso proprio accanto al suo cuore, e raffigurava, insieme, una spada e una rosa. Ad essere sincera, ricordavo ancora un parallelismo simile, dove io ero la rosa e lui la spina, ma ora era tutto diverso, potevo vivere davvero senza nascondere i miei sentimenti, sicura che lui mi avrebbe protetta e sostenuta nelle mie debolezze, proprio come i due disegni lasciavano intendere. Accarezzando quel simbolo, indietreggiai, lasciandomi ricadere sul materasso. “Pronta, mia fata?” mi chiese allora Christopher, calmo e deciso al tempo stesso. “Pronta, custode.” Non tardai a rispondere, allargando le braccia per accoglierlo e vivere con lui il resto di quella magica notte. Non avendo occhi che per me, il mio amato non attese oltre, e di lì a poco, tutto accadde con disarmante lentezza. Una scia di roventi baci e lascive carezze si avventurarono prima sul mio collo e poi sul resto del mio corpo, e mentre il tempo sembrava fermo e il buio della notte era nostro compagno, io mi irrigidivo senza volerlo, dando voce e vita a gemiti di vero amore. Dapprima lievi, poi sempre più forti, in corrispondenza alle azioni del mio amato, che agendo con calma, si preparava a farmi sua nello stesso modo in cui mi baciava e stringeva a sé quando eravamo insieme, ossia in modo tenero e paziente, anche quando, ormai lungi dal cambiare idea, prese possesso di me per quella che sapevo essere la prima volta. Forse solo la mia, forse di entrambi, ma in ogni caso stupenda. Così, fra indecisioni e sentimenti, divenni sua, per poi addormentarmi al suo fianco e rifugiarmi fra le sue braccia, sussurrando prima di addormentarmi mille parole d’amore. “Ti amo.” Soffiai con dolcezza, ancora persa nella quiete di una veglia prossima a mutare in sonno. “Ti amo anch’io, Kaleia, anch’io.” Mi rispose il mio Christopher, stringendomi a sé e accarezzandomi i capelli, esausto dopo l’amore e le rivelazioni di quella notte. Sfinita, mi abbandonai infine fra le sue braccia, giungendo le mani in preghiera e sperando ardentemente che la forza  e la profondità del nostro amore mi restituisse il coraggio e la forza d’animo che credevo perse, così che potessi davvero concentrarmi sul mio avvenire e non su ciò che notavo grazie alla sempre spensierata infanzia delle mie amiche pixie, per me divisa in scorci di passato e memorie mai vissute.     
 
 
Saluto tutti i miei lettori in questa sera d'estate. Come avete visto, i nostri due innamoratissimi Christopher e Kaleia si sono abbandonati alla passione, per la prima volta,e insieme. Se ora lei ha abbandonato definitivamente le insicurezze, lui le ha rivelato il segreto di un tatuaggio dal significato profondo quanto il loro amore. Ci rivedremo nel prossimo capitolo, ma intanto grazie come sempre del vostro supporto, ed ecco una foto per i più curiosi fra voi,
 
Emmastory :)
 
 
Christopher-s-tattoo

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Capitolo 15
*** Bambine di terra e di fuoco ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XV

Bambine di terra e di fuoco

Ancora stanca dopo il riposo, faticavo a svegliarmi a dovere, e aprendo gli occhi non poca fatica, mi ritrovai costretta a richiuderli per proteggermi dal sole. Per quanto ne sapevo, la principale fonte di vita delle piante dopo l’acqua, e per certi versi, anche quella dei miei poteri. Frastornata, mi tirai le coperte fin sopra il mento, e lamentandomi sommessamente, sospirai. Rigirandomi fra le coperte, incrociai lo sguardo di Christopher, che sveglio come me ma affatto disturbato dalla troppa luce, sorrideva. “Buongiorno, moglie.” Disse in un sussurro innamorato, attirandomi a sé e cingendomi un braccio attorno alle spalle, dolce come sempre. Lasciandolo fare, mi strinsi a lui, accoccolandomi comodamente e posando la testa sul suo petto. Eravamo sposati da poco, ed era vero, ma se ogni altra donna si sarebbe sicuramente abituata in fretta, lo stesso non era ancora accaduto a me. Potendo sentire le mie parole e scoprire ciò che pensavo, gli umani più scettici si sarebbero limitati a fissarmi con il ghiaccio negli occhi e nel cuore, ed ero sicura che se fosse accaduto, voltandomi li avrei ignorati. Sapevo bene che era strano a dirsi, eppure quel titolo mi suonava ancora alieno e inadatto, ma nonostante tutto così bello da farmi emozionare e battere il cuore. Senza parole, rimasi li a guardarlo, osservando prima il luccichio presente nei suoi occhi e poi la figura asciutta nascosta dalla coperta. Data la nostra posizione, il lenzuolo lo fasciava quasi completamente, eccezione fatta per il petto ampio e le spalle larghe, e per pura fortuna, anche il tatuaggio che avrebbe per sempre avuto impresso sulla pelle. Come sempre, eravamo insieme, come sposa e consorte. Il suo ruolo come mio protettore non avrebbe mai perso la sua rilevanza, ovvio, ma ora che eravamo riusciti a tornare alla vita di sempre, liberi dagli ostacoli affrontati in passato, restavo ferma e inerme di fronte al mio presente, ed era bellissimo. Avrei potuto impegnarmi e cercare altre parole per descrivere quello che provavo, ma una parte di me era sicura che non ce ne fossero. In improvviso imbarazzo, portai una mano al cuore, riuscendo a sentire il suo battito furioso, così concitato da arrivare quasi a echeggiare nella stanza stessa. “Buongiorno, marito.” Risposi di rimando, emulando il suo tono di voce e serpeggiando fra le lenzuola fino a sfiorarlo. Finalmente abbastanza vicina, mi calmai istantaneamente, e con me anche il mio cuore. Innamorata, gli sfiorai la guancia con le labbra, e prendendomi il viso fra le mani, Christopher mi sorprese con un bacio. Guidata dai sentimenti, non mi sottrassi al suo affetto, e sorridendo in quel contatto, vi partecipai con passione, cercando nel mentre di non esagerare. Mi conoscevo, e detestavo farlo, quasi quanto perdere il controllo dei miei poteri. Rimembrando i miei trascorsi, non riuscivo a togliermi dalla mente i momenti in cui era successo, e sopraffatta ogni volta dalla paura, finivo per iniziare a tremare come un povero coniglio spaventato. Tutto ciò era per me causa di vergogna, e più il tempo scorreva, peggio mi sentivo. Scuotendo la testa, mi liberai in fretta da quei pensieri, e non avendo di nuovo occhi che per mio marito, assaporai le sue labbra godendo di ogni istante, finchè tiranna, la mancanza d’aria non ci costrinse a separarci. “Come ti senti?” mi chiese, curioso e soddisfatto. “Ti amo, Chris. Sento che ti amo che potrei restare qui per sempre.” Risposi appena, faticando a dar voce ai miei pensieri e notando che il mio giovane cuore innamorato aveva ripreso ad agitarsi. Emozionata, mi avvicinai per un ennesimo bacio, e più che contento, lui mi lasciò fare. “Siamo decise, quest’oggi, vero?” azzardò poco dopo, guardandomi negli occhi. “Esattamente.” Replicai, svelta, accennando poi a un sorriso che sciolse il cuore di entrambi. Intenerito da quella risposta, Christopher mi concesse un ultimo abbraccio, e liberandosi dalle coperte, si sedette sul letto, lo sguardo fisso sull’immagine riflessa nello specchio. Incuriosita, sbirciai a mia volta, e fu allora che mi rividi, sempre uguale e senza alcun dettaglio fuori posto. Il corpo esile, la chioma bruna, gli occhi azzurri e le ali scintillanti come ogni fata che si rispetti. Ritrovandomi a imitarlo, mi sedetti accanto a lui, e pur senza alzarmi, raccolsi da terra la mia veste da notte. Veloce la infilai, e una volta in piedi, sparii nel bagno di casa. La calda acqua della doccia non si fece attendere, e in silenzio, lasciai che mi scorresse timidamente sul corpo, cancellando la stanchezza tipica del primo mattino. Una volta pronta, attraversai il corridoio per raggiungere il salotto, ma spinta dalla curiosità, tornai in camera da letto. Per quanto ne sapevo, Christopher non sprecava mai un attimo di tempo nel prepararsi, ma oggi era diverso. Preoccupata, mi chiesi cosa potesse turbarlo, e incontrando il verde dei suoi occhi, esitai. “Va tutto bene?” azzardai, muta e con il solo uso dello sguardo. Indeciso a sua volta, Christopher non seppe cosa dire, e proprio allora, la sua felicità si spense, soppiantata da una tristezza che mai gli avevo visto dipinta in volto. “Vieni qui.” Mi pregò, sconsolato. Annuendo, mi sedetti con lui, e provando una gran pena, gli strinsi la mano. “Tesoro, vuoi parlarne?” tentai, incerta e dubbiosa. “Solo se tu vorrai ascoltarmi.” Rispose lui, con lo sguardo basso e fisso sul pavimento in segno di dolore e vergogna. “Certo, perché non dovrei?” fui svelta a rispondere, sicura che nulla mi avrebbe mai spinta ad abbandonarlo. Il silenzio che seguì le mie parole fu tale da rendermi sorda, ma all’improvviso, un suo cupo sospiro. “Kaleia, io ti amo. Finalmente siamo sposati, e non potrei chiedere di meglio, davvero, ma è passato troppo tempo dalla mia ultima visita alla mia famiglia e al mio villaggio.” Quelle furono le sue uniche parole, che ascoltai in silenzio e con il cuore in gola, temendo ancora una volta per l’incolumità di entrambi. Pur senza volerlo, diedi inizio a un pianto silenzioso, e lottando per ricacciare indietro alcune piccole lacrime, non potei far altro che liberarle. Avevo provato e fallito, e stringendomi all’uomo che tanto amavo, cercai come potevo di infondergli il coraggio che mille e mille volte lui aveva reso a me. “Amore, mi dispiace, io… non lo sapevo…” biascicai, mortificata. Alle mie parole, Christopher non ebbe reazione alcuna, salvo poi alzarmi il mento con due dita e costringermi a guardarlo. “Non provare a fartene una colpa, d’accordo? Non ne avevi idea, ed è vero, ma troveremo il tempo per tornare da loro. Mia madre, mio padre e mia sorella possono aspettare, dato che oggi è un giorno importante.” Disse poi, mutando bruscamente tono di voce e facendolo passare da calmo a iroso. Confusa, non seppi cosa dire, e ridotta al silenzio, mi limitai ad annuire. “Che vuoi dire?” indagai poco dopo, sinceramente incuriosita. Rincuorato dalla mia reazione, Christopher sorrise debolmente, e prendendomi la mano, mi invitò ad alzarmi. “È ancora presto, e lo scoprirai fra poco, ora aspettami qui.” Pregò, per poi accarezzarmi dolcemente una guancia e sparire dalla mia vista. Rimasta sola in compagnia dei miei dubbi, ingannai il tempo guardando fuori dalla finestra, con gli occhi fissi su un panorama che avrebbe tolto il fiato a chiunque. Il cielo azzurro, la città piena di vita, elfi, leprecauni e gnomi tutti concentrati sulle loro vite, e ultimi, ma non per importanza, i soliti animaletti intenti a scorrazzare per le strade cittadine. A quella vista, sorrisi di cuore, e aprendo la finestra, inspirai a pieni polmoni. Eltaria era davvero diventata la mia casa, e ora potevo esserne sicura. Di lì a poco, altri minuti scomparvero dalla mia vita, e totalmente rapita da quello spettacolo urbano e naturale insieme, quasi non mi accorsi del ritorno di Christopher nella nostra stanza. “Vieni, o faremo tardi.” Mi disse soltanto, afferrandomi un polso e incitandomi a seguirlo. Annuendo, camminai al suo fianco, e uscita di casa, mi guardai attorno, non scoprendo nulla di diverso. Come avevo visto poco prima, la natura e il villaggio di Eltaria sapientemente mescolati insieme, uniti in un mosaico di vitree eppure vivide tessere sempre capaci di fornire ogni volta dettagli differenti. Curiosa come non mai, lasciai vagare lo sguardo e la mente, e fra un passo e l’altro, un’idea. Christopher aveva detto di voler far visita ai suoi genitori, ritornare a Primedia e ricongiungersi alla sua famiglia, ma poi sembrava aver cambiato idea, e ora eravamo lì, proprio al centro della piazza principale del nostro luogo di maggior speranza. “Che ci facciamo qui?” chiesi, frastornata da migliaia di idee al riguardo e da altrettanti tentativi di capirlo da sola. “Vedi quelle case?” replicò in fretta il mio amato, stranamente divertito da quel mio senso di smarrimento. “Sono le otto del mattino, e non è domenica, perciò…” spiegò poi, lasciando quella frase in sospeso al solo scopo di incuriosirmi. “Cosa?” non potei evitare di chiedere, confusa e stranita. “Guarda.” Si limitò a rispondermi, scrutando l’orizzonte e non più le case attorno a noi. Di lì a poco, della calma non rimase che un ricordo, poiché decine o forse centinaia di bambini uscirono  ognuno dalla propria abitazione, sempre accompagnati da genitori comprensivi eppure incapaci di tenere il loro passo. Ad essere sincera, non avevo idea di cosa stesse succedendo, ma non appena vidi Lucy e Lune correre verso l’ignoto seguite a stento dai genitori, sentendo il lontananza il debolissimo suono di una campana, ricordai ogni cosa. Lune aveva accennato a una sorta di scuola in questo così magico luogo, e volendo solo salutarle, sollevai e agitai una mano perché potessero vedermi. Distratte, non mi notarono, ma lo stesso non valse per la loro madre, che raggiungendole entrambe, le convinse a rallentare, per poi voltarsi e iniziare a camminare verso di me. “Lucy, Lune, aspettate! Ci sono Chris e Kaleia!” gridò, sperando di farsi sentire anche in quell’autentico marasma di pixie e folletti. Felici, le piccole sorrisero, e correndo, mi furono subito accanto. “Kaleia! Mi hanno presa, ci credi? Mi hanno presa!” esclamò Lucy, felicissima mentre sventolava una bianca busta da lettere con sopra un sigillo mai visto prima. “Anche me!” disse allora Lune, faticando come al solito ad esprimersi ed ergendosi sulle punte per un abbraccio. Felice e orgogliosa, realizzai il suo desiderio, poi presi delicatamente la lettera dalle mani della sorella maggiore. Cauta, aprii la busta, e in silenzio, lessi ogni riga della missiva al suo interno. “Gentilissimi signori Hall, siamo lieti di informarvi che le vostre figlie Lucy e Lune sono state scelte per frequentare un intero ciclo scolastico nella prestigiosa Penderghast, scuola di Arti ed Elementi per fatine e folletti magici e perfetti.” Parole che mi stupirono, lasciandomi piacevolmente senza fiato e con il cuore gonfio di gioia per le mie piccole amiche. “Congratulazioni, Lucy.” Dissi, abbassandomi al suo livello e stringendola in un delicato abbraccio. Non osando opporsi, la piccola ricambiò quella stretta, e non appena ci separammo, notai qualcosa che prima di allora avevo solo intravisto. Proprio come per tutte le fate, anche sul polso della bambina albergava un segno, che diverso dal mio, aveva la forma di una roccia, evidente simbolo della nuda terra e indice dei suoi poteri. Scivolando nel silenzio, sorrisi sia a lei che a me stessa, e poco dopo, un’altra voce mi distrasse dai miei pensieri. “Io?” si trattava di Lune, che ancora piccola e messa inavvertitamente in ombra dalla sorella, ora si sentiva sola, e avvicinandosi, guardava alternativamente me e Christopher, andando alla ricerca della nostra approvazione. “Io?” ripetè, sentendosi ignorata. “Anche tu sei una brava fatina, Lunie. Oggi andrai a scuola, e vedrai, tutti i tuoi insegnanti lo noteranno.” Stavolta fu il mio amato a parlarle, rivolgendole uno sguardo sincero e scompigliandole amorevolmente i capelli. D’accordo con lui, cercai la sua mano per stringerla, e prima che potessi farlo, quella di Lucy si mosse verso la mia. “Ci accompagni?” chiese, con voce dolce e quasi angelica. Abbassando lo sguardo, tornai a guardarla, e notando l’infantile innocenza nei suoi occhi, mi scoprii disarmata, incapace di risponderle. “Lucy, piccola, Kaleia ed io abbiamo tanto da fare, lei ha ancora i suoi allenamenti, e…” provò a dirle Christopher, salvandomi dalla trappola che mutismo e incertezza sembravano avermi teso. “Ti prego, Chris!” insistette la bambina, non dando segni di cedimento. “Sì, ti prego!” le fece eco Lune, cantilenando nell’imitarla. “Va bene.” Concessi, non riuscendo più a trattenermi e lasciandomi sfuggire una piccola risata. Ormai sicure di aver vinto quella piccola battaglia, le piccole esultarono con gioia, e camminando al fianco di Isla, presi la mano di Lune. Felice, questa mi sorrise, e non appena le sue dita sfiorarono le mie, notai ancora quel dettaglio. A soli quattro anni, anche Lune aveva un segno sulla pelle, che diverso dalla sorella, recava la forma di una piccola fiamma. Muta ma sorpresa, capii che alla piccola si legava il fuoco, e stringendo la presa, sperai che percepisse il mio orgoglio. Così, il nostro viaggio accanto alle bambine ebbe inizio, e dopo un tempo che ci parve indefinibile, Christopher ed io raggiungemmo quell’ormai famosa scuola. Penderghast, quello era il suo nome. Tanto grande quanto austera, vantava un alto cancello di ferro, una bandiera sempre svettante nel cielo, e poco sopra alle porte principali, una P maiuscola verde brillante. Sentendo di nuovo l’orgoglio farsi spazio nel mio cuore, abbracciai le mie piccole amiche per l’ultima volta, per poi lasciarle alla madre e al loro nuovo futuro di studentesse, augurando loro il meglio nel loro viaggio alla scoperta dei loro poteri, di cui potevo solo immaginare la grandezza. Abbastanza lontana perché non mi vedessero piangere di gioia, mi voltai a guardarle, e i miei occhi si posarono sui loro marchi, che in armonioso accordo con le loro capacità, le avrebbero presto rese bambine di terra e di fuoco.     

 

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Capitolo 16
*** Confessioni e verità nell'aria ***


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Capitolo XVI

Confessioni e verità nell’aria

Stavamo tornando a casa, e un altro giorno era sempre più vicino ad andarsene. Il pomeriggio era arrivato da poco, e per pura fortuna, la bella stagione resisteva ancora. La bella estate era ormai alle porte, e a testa alta, respiravo a fondo, contando letteralmente i giorni che mi separavano dal suo inizio. Diametralmente opposta all’inverno, era il periodo dell’anno in cui i miei poteri erano più forti, e come ben sapevo, anche quello della mia nascita. Ricordavo ben poco della mia infanzia, ed era vero, ma almeno questo ricordo era rimasto intatto, e in silenzio, chiusi gli occhi per qualche istante. Calma e paziente, non vidi altro che il buio, e poco più tardi, colorati sprazzi di ricordi che mi ostinavo a stringere caparbia fra le dita. Semplicemente me stessa, piccola e quasi invisibile, grande quanto le pixie che avevo visto alla grotta e che Aster chiamava boccioli. Una vera e propria sfera di luce del colore del mio elemento, al sicuro in una crisalide come un bruco destinato a diventare farfalla. Ovvio era che il mio destino fosse diverso, e che crescendo, avessi pian piano imparato a conoscere i miei poteri e le preziose abitudini che avrebbero agevolato la mia vita da fata. Le ali che ormai non nascondevo, la calma che mi sforzavo di conservare e poi perdevo, perfino la stanchezza che sopraggiungeva se mi allenavo troppo. Ormai erano passati anni dalla mia fanciullezza, ma nonostante tutto ci tenevo ancora, poiché dopo uno strano incidente di cui non avevo quasi più memoria e la conseguente scomparsa dalla mia vita dei miei genitori, cercavo di concentrarmi sulle cose belle, sicura che i brutti ricordi non avrebbero potuto inseguirmi per sempre.  Lenta, camminavo tenendo la mano di Christopher, e riaprendoli, sentii il calore del sole sulla pelle. Non più tiepido come in inverno, ma caldo come me lo aspettavo. Felice, il mio amato mi sorride, e voltandomi a guardarlo, non riesco a parlare. Stavolta a bloccarmi non è l’insicurezza, ma l’amore. Esatto, l’amore. Il sentimento che finalmente tutte le ninfe accettano, che mi fa battere il cuore e mi toglie il respiro, portandomi a desiderare di poter fermare il tempo così da poterne godere per sempre. Secondo alcuni, è passeggero, come le nuvole e gli uccelli in volo, ma non per me. Conoscendomi, so di averci sempre creduto, di non aver fatto altro che sognare il mio avvenire, che ora si stava lentamente trasformando in presente e concretizzando al fianco di mio marito. Era strano a dirsi, e forse esageravo, ma nella mia mente e nel mio cuore c’eravamo soltanto noi due. Io che così giovane avevo avuto la fortuna di incontrarlo, e lui che andando contro le leggi del bosco aveva sfidato mille tempeste pur di unirsi a me. Ora eravamo sposati, e proprio come lui, anch’io non potevo chiedere di meglio. Tacevo, e rifugiandomi nella quiete ancora non riuscivo a dirlo, ma da qualche tempo mi sentivo come se mancasse qualcosa. Vivere al suo fianco era bellissimo, lo amavo e lo avrei amato per sempre, ma a volte, specialmente nelle notti calme e senza il vento a scuotere le fronde degli alberi, pregavo. A mani giunte come un fedele di fronte al suo Dio, pregavo. Al sicuro fra le coperte, attendevo un miracolo, ma per ora, niente. Il nulla più totale. Silenzioso, ora Christopher ha ripreso a camminare, e guardando dritto di fronte a sé, mi appare più calmo di prima. “Chris?” azzardo, incerta e dubbiosa. “Sì, Kia?” risponde, concentrato sul lungo cammino a noi dinanzi. “Pensi… a qualcosa in particolare?” non posso evitare di chiedere, spinta da un’improvvisa curiosità. Distratto, Christopher quasi non risponde, e alzando lo sguardo, lo fissa sull’azzurro e terso cielo appena sopra di noi. “Il tempo passa in fretta, vero, fatina mia?” replica, ponendo a sua volta una domanda. “C-Cosa?” biascico, improvvisamente attonita. Confusa, non so cosa pensare, ma all’improvviso un ricordo mi si affaccia nella mente, ed è allora che capisco. “Già, forse anche troppo, non credi?” ho la sola forza di rispondere, per poi scivolare nel silenzio e chiudere gli occhi perché non mi veda versare altre lacrime. Per mia sfortuna, il mio espediente non funziona, e preoccupato, mi stringe forte la mano, accarezzandola con il pollice come se volesse invitarmi a parlare. Ora come ora, però, sono combattuta. Stiamo tornando a casa, ho il cuore che batte e non mente, ma è davvero il momento? È davvero arrivata l’ora di parlare e dirgli chiaramente ciò che voglio? Dar voce al desiderio che esprimo ormai da tempo? “No.” Sussurro, parlando con me stessa. Grazie al cielo, non riesce a sentirmi, e sollevata ma non certo calma, torno a guardarlo. È quindi questione di un attimo, e i nostri sguardi si fondono. Restiamo lì, insieme, mano nella mano e occhi negli occhi. “Dicevo sul serio, sai? Insomma, pensa a quelle due pixie. Sembra ieri che giocavamo insieme a nascondino nella foresta e ti chiedevano il permesso di accarezzare Bucky, te lo ricordi?” Quelle le sue parole, che vere e sincere, hanno come poche altre il potere di commuovermi. Emozionata, sento gli occhi bruciare, e traditrici, alcune lacrime mi rigano il volto senza che io riesca a fermarle. “Ricordo.” Riesco a malapena a rispondere, con la voce corrotta da un pianto figlio di una gioia che fatico a contenere. “Kaleia, tesoro, non piangere. Te l’ho già detto, hanno una famiglia, e ora saranno istruite a dovere, anche prima di diventare adulte come noi. Cosa c’è? Hai paura?” indaga, preoccupato come e forse più di prima, mentre con la mano libera mi accarezza il volto e cancella ogni lacrima. “No, Chris, è che…” titubo, impacciata e penosa. “Che?” mi incalza, invitandomi ad aprirmi. Proprio allora, mille pensieri iniziano a vorticarmi nella mente, e con il cuore in tumulto e il mio smeraldo che brilla di luce propria, mi decido. “Ascolta, mi è difficile dirlo, ma sappi che… ci spero anch’io. Forse non oggi, forse non domani, ma in un futuro nostro, e soprattutto… soprattutto con te, amore mio.” Confesso, trascinata dalle mie emozioni nell’unico vortice dal quale non vorrei mai uscire. Le parole fluiscono chiare dalle mie labbra, ma poi c’è una pausa di silenzio da parte di entrambi, e aspetto. L’attesa mi uccide, il petto gonfio d’amore mi duole, ma aspetto, e all’improvviso, sono senza fiato. Christopher mi bacia, mi abbraccia e mi toglie il respiro, e con il cuore che trabocca d’amore per lui, non tardo a ricambiare, partecipando a quel contatto con passione e staccandomi quasi di malavoglia. Attimi dopo, le sue parole sono un vero toccasana per la mia anima. “Sai una cosa? Te lo prometto. Avremo un momento, un futuro e una famiglia nostri, fidati di me, mia dolce fata.” Una confessione perfino più pura, vera e profonda della mia, che lasciandomi senza parole, mi spinge a baciarlo ancora una volta, osando sempre di più, ancora e ancora. Tremando, non mi spingo oltre i miei limiti, e tornando finalmente a casa, mi sento più leggera, come se un enorme peso mi sia appena scomparso di dosso. Così, giunge la sera, e finalmente più calma, giro la chiave nella serratura, ma non prima di perdermi ancora una volta negli occhi dell’uomo che amo e salutare le lucciole che intanto sono arrivate a farci visita. Bucky non è con loro, ma sdraiandomi a letto, rivolgo un pensiero anche a lui e alla sua Darlene, sicuramente impegnati con la loro nidiata di piccoli. Creaturine indifese alle quali pensavo con il sorriso nei momenti di calma, e che proprio come i due minuscoli genitori, avrebbero sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Stanca ma serena, mi addormentai quasi subito, e felice come non mai, sento di nuovo il sapore della libertà, quella sera affiancata anche da verità e confessioni ancora nell’aria.

 

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Capitolo 17
*** Le sere di Notteterna ***


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Capitolo XVII

Le sere di Notteterna

Sempre al sicuro fra le mie coperte, avevo sperato e pregato per tutta la notte rivolgendo i miei pensieri al cielo, alla luna e alle sue preziose compagne stelle, e ora che il sole era tornato a splendere dando mostra della sua potenza come monarca del cielo, ero sveglia e tranquilla, e per qualche strana ragione, il ciondolo che avevo al collo pulsava, emettendo come al solito una luce color smeraldo e agitando la piccola carica elettrica al suo interno. Curiosa, lo presi delicatamente fra le dita, e solo allora, smise. Ormai sveglia, mi alzai dal letto togliendomi di dosso le coperte e facendo attenzione a non disturbare Christopher, sveglio come me ma ancora restio ad alzarsi. Lenta, mi avvicinai allo specchio e osservai l’immagine riflessa all’interno, diversa da quella che ero solita vedere se solo si osservava un dettaglio. I miei capelli. Lunghi e bruni, a detta di Christopher sempre bellissimi, ma quella mattina in completo disordine. Tranquilla, aprii un cassetto andando alla quasi frenetica ricerca di una spazzola, e attenta a non farmi male, mi dedicai subito ad alcuni nodi, incluso uno dannatamente difficile da sciogliere. Ancora sdraiato a letto, Christopher non tardò a notarmi, e in silenzio, sorrise. “Sai di essere perfetta ai miei occhi, vero, Kia?” commentò, sincero e beffardo, quasi a volermi prendere in giro. “Lo so, tesoro, ma perché fermarmi se posso esserlo perfino di più?” indagai, divertita e innamorata come sempre. “Sul serio? Allora continua, oppure…” rispose il mio amato, con la testa sul cuscino e lo sguardo fisso su di me. Di lì a poco, alcuni secondi scomparvero dalla mia vita, e annuendo lentamente, obbedii a quella sorta di ordine, e fingendo indifferenza realmente non provata, continuai da dove mi ero interrotta, lottando contro quei maledetti nodi e sciogliendoli uno per uno, sforzandomi per ignorare il dolore derivante da uno dei più ostici. “Oppure?” chiesi, imitando il suo tono e guardandolo a mia volta. Sorpreso dalla mia reazione, Christopher sorrise ancora, e completamente concentrato su di me, mi attira a sé con un gesto della mano. “Vieni qui.” Mi chiamò, tentandomi. Colta alla sprovvista, sentii il cuore perdere un battito, ma il suo sguardo magnetico e perfetto ebbe la meglio su di me, e quel gesto un vero invito. Decisa, mi mossi con grazia felina, e giunta al letto, gli tesi la mano. Preziosi istanti divennero nebbia, le nostre dita si sfiorarono, e in un attimo mi ritrovai con lui. Presa dal momento, lasciai che mi stringesse, e contagiata dal suo modo di fare, mi ritrovai a sovrastarlo, sentendomi improvvisamente amata, e come diceva, bellissima. Le nostre emozioni esplosero in quel momento, e baciandoci, dimenticammo il resto. Attorno a noi soltanto l’amore, e oltre quello, nient’altro. Non la primavera prossima a darci le spalle, non il cinguettio degli uccelli, né il brusio della vita cittadina poco oltre il bosco, niente. Nel silenzio, soltanto il battito dei nostri cuori uniti, e in breve, i nostri corpi vicini e desiderosi di sfiorarsi, come se entrambi fossimo nati per completarci a vicenda. Cadendo preda delle mie stesse emozioni, lo baciai, premendo le labbra contro le sue e assaporandole lentamente, provando in quel momento l’assurda sensazione di star mordendo un frutto proibito. Un modo di dire come tanti altri, lo sapevo, ma al tempo stesso la frase perfetta per descrivere e indicare cosa sentissi e cosa mi accadesse quando ero al suo fianco. Era semplicemente bellissimo, specialmente ora che sapevo di essere del tutto libera di esprimere i miei sentimenti e viverli come volevo, senza più assurde restrizioni a rendermi ansiosa e bloccarmi fino a renderli un fuoco di paglia. Deciso quanto e forse più di me, Christopher non tardò a prendere il controllo di quel contatto, sorprendendomi nel chiedere con la lingua l’accesso alla mia bocca. Come tanti, un altro azzardo che accettai di buon grado, abbozzando un sorriso a fior di labbra non appena ci staccammo. “Ti amo, lo sai?” sussurrai appena, per poi avvicinarmi ancora e mordergli le labbra per gioco. Lasciandomi fare, sopportò quel leggero dolore, poi, soddisfatto, mi strinse a sé. “Kaleia, amore…” biascicò, faticando a respirare. “Sì?” risposi, con il cuore che ancora batteva e non voleva saperne di smetterla. Il silenzio che seguì quell’istante fu tale da rendermi sorda, e solo allora, un suono alla finestra. Confusa, mi voltai, e fu allora che lo vidi. Midnight, il merlo che ad essere sincera non credevo sarei mai stata felice di rivederla. Sapevo bene che erano passati anni da allora, ma ricordavo ancora le ferite che mi aveva lasciato sulle braccia, quando guidato e influenzato dalla gelosia di Sky, aveva soltanto eseguito degli ordini, impartendomi a modo suo una lezione. Tempo dopo Sky ed io eravamo riuscite a far pace appianando i nostri dissapori, ma nonostante tutto, lui sembrava odiarmi ancora. Non ne ero sicura né potevo esserlo, certo, ma qualcosa mi diceva che l’oro dei suoi occhi non nascondesse che astio nei miei confronti. Ad ogni modo, l’atmosfera fra me e Christopher si era ormai spezzata, e rimettendomi in piedi, mi avvicinai alla finestra. “Chi non muore si rivede.” Commentò proprio lui, sorpreso almeno tanto quanto me di rivedere quel pennuto dalle piume color catrame. “Incredibile, vero?” risposi di rimando, preparandomi ad aprirla e lasciando cadere gli occhi su un dettaglio. Piccolo e a prima vista importante, un biglietto era stato legato alla sua zampa con un cordino, e incuriosita, lo lasciai entrare, per poi accarezzargli piano le piume e prendere delicatamente quel foglio fra le dita. “Chris, vieni. Vieni a vedere.” Pregai, non trovando parole adatte a descrivere cosa avessi fugacemente letto su quella bianca carta. Annuendo, il mio amato non si fece attendere, e togliendomi di mano quella sorta di lettera, la lesse a sua volta. Curiosa come mai ero stata, attesi il suo verdetto senza proferire parola, incrociando però le dita dietro la schiena e sperando ardentemente che non si trattasse di brutte notizie. Dati i nostri trascorsi, ne avevamo ricevute fin troppe, ed ero certa che un’altra non avrebbe fatto altro che scombussolarmi, facendo prima tremare e poi cadere il fragile castello di carte che rappresentava la mia vita. Un giorno sarebbe diventato una roccaforte, o almeno lo speravo, ma se quel giorno non era oggi, non mi lamentavo. “Avevi ragione, è importante.” Disse Christopher, distraendomi dai miei pensieri e rompendo il silenzio creatosi fra di noi. “Sul serio? Di che si tratta?” chiesi, curiosa e incerta al tempo stesso. “A quanto pare, Eltaria stasera è in festa, e siamo stati invitati.” Mi rispose lui, tranquillo, guardandomi per un attimo negli occhi e regalando una frettolosa carezza a quel nero merlo viaggiatore. Senza dire altro, staccò lo sguardo dal mio, e fissandolo su quel maestoso volatile, lo scacciò con un gesto della mano, guardandolo poi solcare i cieli alla ricerca della sua padrona. A quelle parole, i miei pensieri volarono verso Sky, e ammirando il panorama visibile appena fuori da quella finestra, osservai la vita scorrere nel villaggio. Christopher diceva sul serio, e poco lontano da noi, Eltaria si preparava a una nuova ricorrenza. Non sapevo di cosa si trattasse, ma lo sguardo e il sorriso che Christopher rivolse ai passanti distratti e impegnati con i preparativi della festa fu abbastanza per convincermi che l’avrei scoperto presto. Era ancora mattina, il pomeriggio sarebbe arrivato presto e poi sarebbe seguita la sera, e solo allora saremmo scesi fino alla piazza principale per unirci ai festeggiamenti. Senza proferire parola, continuavo a osservare quello spettacolo con occhi pieni di meraviglia, e senza distogliere lo sguardo, azzardai una sola domanda. “Hai mai preso parte a questa festa, prima?” provai a chiedere, insicura della risposta. “Sì, da bambino. Non ricordo molto, solo tanta musica e cibo squisito. Ti piacerà, vedrai.” Mi rispose Christopher, cercando la mia mano e stringendola delicatamente. Ascoltandolo, non osai interrompere, e quando il silenzio cadde nella stanza, mi allontanai dal davanzale. Una fresca brezza aveva iniziato a spirare, e la mia camicia da notte era decisamente troppo leggera, ragion per cui, aprendo l’armadio, andai alla ricerca di una veste più pesante. “Mi daresti un minuto?” non potei fare a meno di chiedere, trovandomi improvvisamente in imbarazzo di fronte al mio lui. Annuendo, Christopher si allontanò fino a raggiungere la porta della stanza, e afferrando la maniglia, la abbassò e ne uscì, dandomi la privacy che avevo chiesto e di cui avevo bisogno. Rimasta sola, ispezionai di nuovo l’armadio alla ricerca di qualcosa da mettere, passando in rassegna un numero imprecisato di grucce e scartando i vari abiti uno per uno. Frustrata, chiusi i pugni con forza tale da rischiare di conficcarmi le unghie nei palmi delle mani, e proprio quando credetti di aver perso la speranza e di dover rinunciare alla festa, eccolo. Semplice, sobrio ed elegante, un vestito scuro, sui toni del blu notte, perfetto per la serata che Christopher ed io avremmo presto vissuto. Con un lampo di vittoria negli occhi, lo staccai dalla gruccia a cui era appeso, e stendendolo sul letto, lo indossai, avendo cura di sistemarlo al meglio perché mettesse in risalto la bellezza di cui il mio amato marito continuava a ricordarmi, e della quale, non mi costava ammetterlo, andavo fiera. A lavoro finito, ammirai la mia immagine riflessa nello specchio, e con un giro su me stessa, sbattei piano le ali. Leggera, qualche stilla di polvere magica raggiunse il pavimento, e sorridendo, mi sentii perfetta. Soddisfatta, uscii dalla stanza, raggiungendo Christopher in salotto e lasciando che si facesse giudice del mio aspetto. “Allora, come sto?” indagai, esibendomi in una piroetta e attendendo che parlasse. “D’incanto, tesoro. Non avrai rivali, stasera.” Commentò, decisamente impressionato. Orgogliosa di me stessa, non mi trattenni dal sorridere, e muovendo un solo passo in avanti, allargai le braccia perché potesse stringermi. Avvicinandosi a sua volta, Christopher esaudì il mio desiderio, e ancor prima che avessi tempo e modo di capire, un bacio coronò quel momento fra di noi. Caldo e tenero come tanti, privo della malizia che era solita prendere il sopravvento nei nostri momenti d’intimità. Conoscendomi, cercavo sempre di controllarmi così da non tirare troppo la corda, ma in alcuni casi non riuscivo davvero a trattenermi, e in momenti come quelli, mi abbandonavo completamente alla passione. Ovvio era che nessuno di noi due avesse mai nulla da obiettare, ma sin dall’inizio del nostro rapporto, la felicità reciproca era sempre stata la più solida delle basi. In altri termini, se lui era felice, lo ero anch’io, e vederlo giù di corda intristiva anche me. “Va a prepararti, ti aspetto.” Gli dissi a voce bassa, accarezzandogli piano la guancia prima di vederlo andar via. Annuendo, il mio custode mi diede ascolto, e sparendo dalla mia vista per alcuni minuti, mi lasciò sola e in compagnia di Red e Willow, entrambi placidamente addormentati. Uno sul tappeto del salotto con la coda a fargli da cuscino, l’altra sul divano, comoda e acciambellata come al solito. Cauta, le regalai qualche carezza sperando di non svegliarla, anche se pur non volendo dovetti averlo fatto poiché nel silenzio non sentii altro che il dolce e ritmico suono delle sue fusa. Ritirando la mano, la guardai svegliarsi, e attendendo che si stiracchiasse a dovere, le grattai la testa. Grata, la gatta miagolò debolmente, e scendendo dal divano, andò a giocare con la canna che avevo da poco appeso al muro, dalla cui estremità pendeva una farfalla. Un giocattolo come tanti altri, che stando a ciò che già in passato avevo avuto modo di vedere, lei adorava. A quella vista, fui felice per lei, e guardandola divertirsi, non emisi un fiato. Poco dopo, Christopher fece il suo ritorno in scena, e fu allora che lo vidi. Magnifico in un completo di giacca e cravatta, se possibile perfino più bello del solito. A bocca aperta, non trovai parole per esprimermi, sentendole morirmi in gola come era accaduto con mille altre. “Tesoro….” Lo chiamai, estasiata. “Sei fantastico.” Aggiunsi poco dopo, faticando a parlare tanta era la mia sorpresa. “Felice di piacerti tanto, cara.” Rispose lui, con il solito sorriso dolce stampato in volto e un’ormai caratteristica luce negli occhi, la stessa che tempo addietro mi aveva fatto perdere la testa per lui. “Vogliamo andare, mia dolce fata?” azzardò poi, stirando le labbra in un altro sorriso e offrendomi  romanticamente il braccio. Piacevolmente sorpresa dal suo modo di fare, sentii un lieve rossore imporporarmi le guance, e camminando verso di lui, accettai quell’offerta. “Certamente, mio valoroso custode.” Risposi, stando al gioco e imitandolo in quel tono a metà fra l’usuale e l’antico. Fu quindi questione di attimi, e insieme varcammo la soglia di casa alla volta della piazza, pronti a  unirci a quella sera di festeggiamenti. Fra un passo e l’altro, mi guardai saltuariamente intorno, notando di volta in volta nuovi dettagli, primo fra tutti, la piazza gremita di persone. Umani, fate a me simili, elfi, pixie, folletti, e perfino un gruppo di gnomi e uno di leprecauni, entrambi intenti a prendersi cura dei loro affari, fatti di vendite di cibi che non avevo mai visto né assaggiato o di strani ninnoli a me nuovi. Seppur curiosa, non mi allontanai da Christopher, e non ci volle molto prima che alcuni visi amici ci riconoscessero. Confondendosi fra la folla a causa della sua statura, Lucy fu la prima a notarci, seguita dai genitori e dalla sorellina Lune. “Kaleia! Sei venuta! Felice Notteterna!” Disse, correndomi incontro per salutarmi.”Lucy, ciao! Hanno invitato anche me, visto?” le risposi, lasciandomi abbracciare e stringendola delicatamente a me, con quello di farle male come ultimo desiderio. Tranquilla, la pixie mi lasciò fare,e  staccandosi da me, tornò dai genitori. “È bello vederti, Kaleia, davvero.” proruppe improvvisamente Oberon, posandomi gentilmente una mano sulla spalla. Poco lontana, sua moglie Isla annuì, e salutandola cordialmente, mossi qualche passo in avanti, così da avvicinarmi a un’insolitamente timida Lune. Per quanto ne sapevo, lei e sua sorella avevano iniziato la scuola da poco, e speravo che farsi degli amici l’avrebbe aiutata ad aprirsi, ma a quanto sembrava, non era stato affatto così, o almeno non ancora. Quasi inginocchiandomi, mi abbassai al suo livello, e avendo cura di non spaventarla, le parlai. “Ti diverti, Lunie?” le chiesi, scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. “Kia, prendi? Prendi?” rispose lei, voltandosi fino a evitare il mio sguardo e indicando con il dito una delle bancarelle che avevo già visto, abbellita da palloncini colorati e giocattoli di ogni sorta. Guardando nella sua stessa direzione, scoprii che puntava il dito verso uno di quei globi di gomma colorata, e mossa a compassione, guardai prima Isla, poi Christopher. Silenziosa, la prima si strinse nelle spalle con aria afflitta, e il secondo rimase in silenzio, rigido come un’asse di legno. “Dici che possiamo?” sussurrai, sperando che la bambina non riuscisse a sentirmi. Per mia fortuna, la pixie fu sorda alle mie parole, e annuendo, il mio amato mi mostrò una moneta. Piccola e dorata, con il disegno di una stella su una faccia e quello di una luna dall’altro. “Sì, ora va e rendila felice.” Rispose appena, emulando il mio tono di voce e spingendomi dolcemente verso la bancarella. Distratta, quasi persi l’equilibrio, e sforzandomi di mantenerlo, mi ritrovai faccia a faccia con il negoziante, un elfo dal fisico asciutto e l’aria tranquilla. Notandomi, abbozzò un sorriso sghembo, poi parlò. “Non sei un pò troppo grande per un emporio di giochi, mia fatata amica?” azzardò, prendendomi bonariamente in giro. Divertita, risi senza arrabbiarmi, e con la moneta stretta in mano, indicai uno dei palloncini. “Uno, prego.” Dissi soltanto, posando la moneta sul bancone. “Ottima scelta, un solo rublo di luna, cara.” Rispose appena l’elfo, tendendo la mano per ricevere il denaro. Più veloce di lui, gli indicai la moneta già sul suo bancone, e nascondendo un improvviso imbarazzo, la aggiunse alle altre, che teneva in un sacchetto. “La ringrazio, signor…” provai a dire, inciampando su quell’ultima parola. “Duilin.” Rispose il caro elfo, tendendo di nuovo la mano perché gliela stringessi. “Kaleia.” Replicai, dando inizio e fine alle dovute presentazioni. Felice di conoscermi, il negoziante sorrise ancora, e con un filo ormai legato al polso, tornai dalla mia amica pixie. “Lune, guarda. È per te.” Le dissi, sciogliendo quel nodo e mostrandole il palloncino, che bianco come la neve, vantava al centro il disegno di un arcobaleno. Felice, la piccola mi abbracciò, e combinando dei semplici poteri di levitazione al vento che aveva preso a soffiare, si divertì a guardarlo librarsi nell’aria, passandolo di tanto in tanto alla sorella e improvvisando un gioco. Non provando che orgoglio, i genitori restarono in disparte, allontanandosi di qualche passo mentre le figlie si divertivano così da esaminare le varie attività di quella sorta di fiera, ben attenti a non allontanarsi troppo e poter continuare a controllarle. In silenzio, mi unii al loro gioco per qualche minuto, e come me anche Christopher, ma poi, nel bel mezzo del nostro divertimento, il palloncino scoppiò, dissolvendosi in una pioggia di coloratissima polvere magica. Tutt’altro che tristi, le bambine risero a crepapelle, e quasi fuggendo da noi, non dimenticarono di salutarci, per poi sparire alla ricerca dei loro genitori e di altri compagni di gioco. “Buona serata!” gridò Lucy, salutandoci con la mano mentre correva. “Grazie!” disse poco dopo Lune, seguendo la sorella e alzando la voce per farsi sentire. “Prego, piccolina!” risposi, affidando le mie parole al vento perché potesse udirmi davvero. Poco prima di andare, la giovanissima pixie si voltò verso di me, e improvvisando un incantesimo forse imparato a scuola, mi lanciò un bacio. Svelta, lo raccolsi come una sfida, e di nuovo vicina a Christopher, esplorai il resto della piazza, lasciandomi contagiare dalla miriade di melodie che serpeggiava nell’aria. Deciso a divertirsi ancora, il mio amato si sciolse in qualche passo di danza, e cogliendomi di sorpresa, mi guidò in un vero e proprio passo a due al centro esatto della piazza. Seguendo ogni sua mossa, spostai la mia attenzione su di lui, e ben presto, volando su quella sorta di pista, conclusa quella dolce danza con un bacio che attirò l’attenzione di molti passanti fieri del nostro amore, che applaudirono quando finalmente ci voltammo per un inchino. Improvvisamente stanca, andai alla ricerca di una panchina dove riposarmi, e trovandola, li vidi. Ad uno ad uno, i miei amici più cari e i membri della mia famiglia, e sorprendentemente, anche quella del mio amato. Sfortunatamente troppo lontani per sentirmi o vedermi, ma tutti impegnati ognuno in una propria attività. Sky e Noah seduti ai piedi di un albero, l’uno fra le braccia dell’altra mentre lui suonava la chitarra, Aster che con un libro in mano leggeva favole ad alcune minuscole pixie che le svolazzano intorno, Marisa e sua madre Zaria a sorseggiare una calda bevanda a qualche passo dalla bancarella di uno gnomo, e ultimi ma non per importanza, i  genitori e la sorella di Christopher intenti ad ascoltare Noah e lodare le sue doti di musicista, completamente ignari della mia presenza e di quella del figlio. Aguzzando la vista, li osservai attentamente, e voltandomi verso colui che amavo, sussurrai una sola frase. “Avevi detto di volerli rivedere, è la tua occasione.” Dissi soltanto, sfiorandogli un braccio e regalandogli un sorriso per incoraggiarlo. Teso e nervoso, Christopher si irrigidì sul posto, notando qualcosa, o meglio, qualcuno, che io non vidi. Con la mano nella mia, provò a calmarsi, ma quando anche quell’espediente fallì, si mise più comodo sulla panchina, respirando a fondo. Incredula, tentai di consolarlo a mia volta, e ormai sicura che quello non fosse il momento adatto, lo allontanai da loro, provando a distrarlo e indicando di nuovo il centro della piazza, dove altre coppie di fate e folletti ballavano allegramente, seguendo la musica di flauti e altri strumenti. Così, fra un passo di danza e l’altro, completai quella sorta di missione, vivendo assieme al mio amato protettore la prima delle ormai famose sere di Notteterna.

 

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Capitolo 18
*** Non dame nè cavalieri ***


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Capitolo XVIII

Non dame né cavalieri

La notte era buia, e non dormivo. Ad occhi aperti, fissavo il soffitto della mia camera da letto, rigirandomi fra le coperte e incontrando solo allora lo sguardo di Christopher. Sveglio come me, non proferiva parola, e lentamente, dischiuse le labbra in un sorriso. “E così sei sveglia anche tu.” Osservò, sorpreso. Per quanto ne sapevo, fra noi due ero io quella che di solito faceva fatica ad addormentarsi e che riposava poco quando ci riusciva, e sapere che capitava anche a lui mi preoccupava non poco. Ad essere sincera, non sapevo da quanto gli accadesse, e con il tempo che scorreva e il vento che spirava gentilmente fuori dalla finestra aperta, mi accoccolai a lui. “Che ti succede?” chiesi, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. “Pensavo.” Rispose appena, con lo sguardo fisso su di me e una mano nella mia. In quel momento, la sua forte stretta mi colse impreparata, ma sopportando quel leggero dolore, restai a guardarlo con sincero interesse, sicura che quella così misera risposta non bastasse a soddisfare la mia curiosità. Pensava, sì, ma a cosa? A ciò che gli avevo detto? A noi e alla futura famiglia che mi aveva promesso? Alla sua, ancora ferma a Primedia. Non ne ero sicura, né potevo esserlo, e stringendolo a me in un delicato abbraccio, gli sfiorai la guancia con le labbra. “Vuoi… che ne parliamo?” azzardai, andando a toccare un nervo scoperto. In silenzio, Christopher negò con un cenno del capo, e accettando quel gesto, permise a un debole sorriso di spuntargli sul volto. “Prima tu.” Mi sussurrò a fior di labbra, serio e giocoso al tempo stesso. Divertita, sorrisi a mia volta, e stringendogli le mani che teneva nascoste fra le coperte, esitai per un attimo. A quanto sembrava, era davvero riuscito a leggermi nel pensiero un’altra volta, e quella era anche per quello che lo amavo. Non eravamo sposati da molto, e lo sapevo bene, ma nonostante tutto, al suo fianco io stavo benissimo. Mi conosceva, mi proteggeva, teneva a me e mi voleva bene. Certamente più distaccate nei confronti dei loro protettori, altre fate non avrebbero certo detto lo stesso, ma per me la vita al suo fianco era a dir poco perfetta. Svegliandomi, aprivo ogni volta gli occhi, ma quando si trattava di stare insieme e ritrovarci l’uno accanto all’altra, mi sembrava sempre di farlo per la prima volta, per poi vedere un mondo inizialmente grigio prendere pian piano colore, mentre guardarlo significava riuscire a vedere la mia intera vita riflessa nelle sue iridi color speranza. Felice quanto e forse più di noi, nei momenti di calma il sole colorava il cielo, e il fischio del vento, più dolce e meno lugubre del solito, pareva deciso a intonare una canzone tutta nostra. Ora che il buio regnava sovrano, l’unica luce visibile era quella della luna sui nostri corpi vicini e abbracciati unita a quella di migliaia o forse milioni di piccole stelle, e tranquilla, mi preparai a dare nuovamente voce alla verità. Così, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono, e in un ultimo, cruciale istante, cambiai idea. Stringendo forte la sua mano, me la portai al petto, e scivolando ancora nel silenzio, attesi. Non volevo forzare quel momento, né tantomeno rovinarlo, ma desideravo davvero che capisse ciò che provavo. Il tempo si muoveva senza che nessuno di noi potesse fermarlo, neanch’io con i miei poteri, e quella notte non era diversa. Il cielo era di nuovo scuro e quasi tinto di nero, illuminato solo da alcune stelle fattesi via via più coraggiose, e mentre oltre il vetro della finestra anche la luna ci faceva compagnia, io non parlavo. Gli tenevo la mano sul petto, e una parte di me si agitava pregandomi di farlo, ma io resistevo. In soli tre anni ne avevamo passate tante, forse perfino troppe, ma tacevo. Alzando lo sguardo, mi persi nel suo, e lenta e delicata come una farfalla al suo primo battito d’ali, toccai appena il suo tatuaggio con le dita. Piano, così da fare attenzione e aver cura di non fargli alcun male. Senza che lo volessi, una singola lacrima mi sfuggì dall’occhio, e svelto, Christopher fu lì per asciugarla. “Buon Dio, sei così… così perfetta.” Sussurrò, con un sorriso a illuminargli il volto e il cuore che non tardava a rispondere, e che io sentivo battere forte sotto la mia mano. “E tu per me, tesoro.” Risposi, azzardando nel farmi più vicina e catturando le sue labbra con le mie per un bacio. Semplice, certo, ma in quel momento diverso dagli altri, che come tanti non avevo  intenzione di dimenticare. “Tu per me.” Ripetei, sicura e innamorata, guidata come sempre da quei sentimenti che ogni giorno sentivo crescere e mai vacillare. Ad occhi chiusi, Christopher mi lasciava fare, e volendo improvvisamente osare, lo spinsi fino a farlo sdraiare, allungandomi su di lui fino a sovrastarlo. “Ti amo, lo sai.” Biascicai nel buio, guardandolo fisso negli occhi e godendo nel vederlo sorridere e tremare al tempo stesso. Non di paura, ma per le mille diverse emozioni che a quanto sembrava ero in grado di scatenare dentro di lui. Per quanto ne sapevo, il nostro rapporto era profondo e lo sarebbe stato per sempre, e sorridendomi, il mio amato diede voce al proprio cuore. Senza parlare, ma stringendomi a sé e tenendomi stretta come poco prima, lasciando che mi rilassassi e mi abbandonassi a lui. In un solo attimo, la mia fiducia fu nelle sue mani, e così il mio corpo e il mio spirito. Insieme, ci baciammo e adorammo l’un l’altra per un tempo infinito, fino a che spossati, non crollammo sul letto, stanchi ma ebbri di felicità. Sfiniti dal nostro amore, ci svegliammo soltanto la mattina dopo, quando un rapido sguardo alla sveglia sul comodino mi riportò alla realtà. Il sole era già alto, le lancette segnavano le dieci, e annoiata, la spensi con un gesto frettoloso e del tutto privo di grazia. Poteva sembrare sciocco o infantile, e lo sapevo bene, ma dopo quella magnifica notte e ciò che aveva portato con sé, non avevo alcuna voglia di alzarmi. Non per tristezza, non per malattia, ma almeno in quell’istante, semplice accidia. “Chris…” chiamai, le parole restie a lasciare la mia bocca. “K-Kia?” mugolò, sforzandosi per dare un senso al mio nome, unico lemma che percepii chiaramente. “Buongiorno, mio pigro protettore.” Scherzai, voltandomi a guardarlo scrollarsi il sonno di dosso e ridacchiando come una bambina. Mi conoscevo, e la paura di esagerare o adirarlo era sempre dietro l’angolo, ma nonostante tutto sapevo che non sarebbe mai accaduto, e che se mai una lite avesse di nuovo minacciato di dividerci o fosse mai riuscita in quell’intento, gli anni al suo fianco mi avevano avvalorato una tesi che non avevo mai avuto timore di dimostrare. La comunicazione  e la felicità reciproca erano da tempo alla base del nostro rapporto, che ero orgogliosa di vedere ogni giorno più solido. Calma, mi fermavo a pensare, ed era allora che ricordavo. Tutti i nostri problemi, tutti i periodi più bui, tutte le sfide della nostra vita, finora superate. Come? Amandoci. Soltanto amandoci. Agli occhi e alle orecchie di altri, un ragionamento privo di senso, ma non alle mie, mai. Durante i festeggiamenti della scorsa notte, Sky ed io ci eravamo solo intraviste, e preoccupata per Christopher, avevo preferito non strafare, ma qualcosa mi diceva che se fossimo riuscite a parlarci, lei mi avrebbe abbracciata, si sarebbe complimentata per il mio abito e il mio aspetto, e poi, anche solo tramite lo sguardo, per ciò che lentamente stavo diventando. Non più una ragazza, ma lentamente una donna, che lottando con le unghie e con i denti, faceva quanto in suo potere per difendersi e trovare il suo posto nel mondo. Percorrevamo strade diverse, e nessuno avrebbe mai potuto negarlo, ma anche lei provava gli stessi e identici sentimenti per Noah, suo primo e unico amore, unico ragazzo che riuscisse a convincerla ad essere sé stessa e spogliarsi della corazza che usava per difendersi. Sveglia da poco, mi guardai allo specchio, e colpita da quello che era un semplice discorso frutto della mia talvolta troppo fervida immaginazione, scossi la testa, impedendo alla tristezza di trascinarmi con sé verso il basso. Così, alcuni attimi scomparvero dalla mia vita, e seduta sul letto, mi voltai verso Christopher. “Ti senti meglio?” chiesi, preoccupata e in pensiero. “Sì.” Rispose soltanto, quell’unica parola stavolta svelta a fuggirgli dalle labbra, come un segreto che dopo una rivelazione smette di essere tale. Non proferendo parola, mi limitai ad ascoltarlo, e cauta, gli posai una mano sulla spalla. Da allora in poi, fra noi non ci fu che una sola battuta di silenzio, e rompendola come vetro, parlai. “Dì, hai… hai davvero voglia di rivederli?” tentai, incerta e dubbiosa, sperando ardentemente di non ferirlo. Sulle prime, lui non rispose, e la sua quiete risvegliò la mia ansia. Dominata dalla mia parte razionale, non aveva fatto altro che dormire beata nei meandri del mio animo, e ora, proprio in quel momento tanto importante, rieccola. Per pura fortuna non ne avevo mai sofferto, ma data la frequenza con cui tendeva a presentarsi, avrei potuto benissimo dare esattamente quell’impressione. Stoica, mi imposi la quiete, e come per magia, con il mio smeraldo al collo e la sua luce ora tornata a brillare intensamente, ritrovai la calma. Un altro istante svanì nel vento, e la voce del mio amato fu abbastanza forte da distrarmi. “Certamente. Continuare ad evitarli non mi servirà a nulla, e ormai sento che è arrivato il momento.” Dichiarò, deciso. Orgogliosa di lui, gli regalai un sorriso e strinsi la mano, e approfittando di quel momento, lui si avvicinò di colpo, zittendomi con un bacio. Colta alla sprovvista, lo guardai, e seppur smarrita, lo lasciai fare, sentendomi amata e al sicuro. “Ne sono felice, sai?” risposi, riprendendo la parola non appena ci staccammo. “Anch’io, Kaleia, specialmente ora che tu verrai con me.” Quella fu la sua ultima frase, che alle mie orecchie giunse come l’imperioso ordine di un potente monarca. Per quanto ne sapevo, il mio Christopher non era un uomo di nobili origini, ma a me non importava. In fin dei conti era già profondamente innamorata, lo amavo per lo splendido uomo che era, e nonostante tacessi a riguardo, certa che a volte le parole potessero essere superflue, sapevo che sfarzo e ricchezza non mi sarebbero serviti. Tranquilla, mi alzai in piedi, e camminando al suo fianco, gli tenni la mano. Lenti ma decisi, pochi passi ci avvicinarono alla porta di casa, e aprendola, la varcai con lui. Di fronte a noi soltanto la bella Eltaria e l’ignoto di sentieri ancora inesplorati, e nel mio cuore, fra un passo e l’altro, la certezza che per vivere un amore bastasse essere umani anche se magici, e non dame né cavalieri.

 

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Capitolo 19
*** Estate d'amore e fortuna ***


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Capitolo XIX

Estate d’amore e fortuna

La porta era ancora aperta, e Chris ed io eravamo ancora insieme. Mano nella mano, pronti a rivedere e affrontare i membri delle nostre rispettive famiglie. Per quanto ne sapevo erano solo in visita, attirati dalle sere di Notteterna come falene da una forte luce, e prendere di nuovo parte ai festeggiamenti sembrava l’occasione perfetta per ricongiungerci. Fiduciosa, gli strinsi la mano, e in silenzio, ci incoraggiammo a vicenda. Era mattina presto, il sole splendeva e giocava nel cielo, nascondendosi di tanto in tanto dietro alcune bianche nuvole, che ognuna con una forma propria, mi ricordavano un gioco che ero solita fare con Lucy. Era facile. Ci sdraiavamo sull’erba, alzavamo lo sguardo verso il cielo e lo osservavamo per un tempo indefinito, divertendoci a scorgere ogni volta nuvole diverse. Ovvio era che non avessero mai forme precise o definite, ma che piccola com’era, ad ancora sei anni, si divertisse a usare la fantasia. Vedeva di tutto. Animaletti, fiori, piantine, una volta perfino una pixie simile  a lei. Aveva iniziato la scuola da poco, e mentre il tempo scorreva ignorando pesantemente ognuna delle sue creature, e io tendevo a preoccuparmi anche ora che il mio futuro appariva roseo, lei viveva la sua vita per quella che era, semplice e facile, come quella di ogni bambina, umana o magica che sia, dovrebbe essere. Ora ha appena sette anni, sua sorella è sempre più vicina ai cinque, ed entrambe crescono sane e forti, così come i loro poteri, che in assenza di un protettore miglioravano di giorno in giorno proprio grazie alle lezioni di magia impartite dalla prestigiosa Penderghast. Isla, la madre, non me ne aveva ancora parlato, e ora che camminavano verso la piazza principale, epicentro della festa, forse avrebbe avuto l’occasione di farlo. Ad essere sincera non ne ero sicura, e a dirla tutta non lo era di nulla, eccezione fatta per l’amore che provavo per Christopher. Il ricordo della notte passata al suo fianco era ancora vivo nella mia mente, e fra un passo e l’altro, non riuscivo a non voltarmi per cercare  e incontrare il suo sguardo. Fingendosi distratto, lui faceva lo stesso, anche quando scossi la testa nel tentativo di concentrami su quella che per noi era diventata una missione. Colta alla sprovvista dal suo modo di fare, risi al solo scopo di dissimulare l’accaduto, e cedendo per l’ennesima volta alla tentazione che ci univa come l’amore, lo baciai. Lasciandomi fare, mi tenne stretta a sé per un tempo che mi parve infinito, e non appena ci staccammo, ormai senza fiato, azzardai una sola domanda. “Finalmente, vero?” dissi appena, la voce ancora rotta dall’emozione del momento. “Cosa?” chiese lui, confuso e stranito. “I tuoi. Sono persone squisite, lo sai, e anch’io non vedo l’ora di rivederli, specialmente ora che…” continuai, pronunciando ogni parola a velocità impressionante, riuscendo però a fermarmi appena in tempo. Conoscendomi, sapevo di essere incline a lasciarmi prendere dalle emozioni, e c’erano momenti in cui queste avevano davvero la meglio su di me, portandomi a esagerare, dire o fare troppo, proprio come in quel caso. Grazie al cielo riuscii a fermarmi in tempo, ma il mio silenzio  gli fece quasi mangiare la foglia. Più confuso di prima, si fermò a guardarmi, e senza più muovere un passo, mi prese le mani. Delicatamente e dolcemente, come faceva ogni volta, con quelli di spaventarmi e farmi male come suoi ultimi desideri. “Specialmente ora che cosa, signorina?” azzardò, serio e giocoso al tempo stesso, nella voce la sottile vena di malizia a cui il nostro rapporto mi aveva abituata. Veloce, mi ridussi al silenzio, e senza proferire parola, negai con la testa, sperando vivamente che lasciasse cadere l’argomento. Per mia sfortuna, questo non accade, e non appena il mio espediente fallì, sentii una strana stretta al cuore, un dolore misto allo smarrimento legato alla sua insistenza. Non voleva spaventarmi, ne ero certa, ma nonostante tutto, ora quasi tremavo. Ci eravamo amati, avevamo già avuto occasione di stare insieme, e come gli avevo detto i miei desideri erano chiari, ma poteva essere? Potevo essere, o forse ero sin da ora incinta del suo bambino? Silenziosa come un gufo nella notte, quella domanda si era sinistramente infiltrata nella mia mente e nel mio cuore, sfiorando a poco a poco anche le crepe della mia anima. “Può essere?” mi chiedevo, parlando con me stessa negli ormai rari momenti di solitudine, coronati e resi perfetti proprio dall’amore che mi legava a colui che, per legge o per fortuna, aveva scelto di proteggermi. Dato ciò che ci accadeva intorno, preferivamo vivere la vita con la stessa leggerezza delle nostre amiche pixie, e rincuorata dalla costante presenza di Christopher al mio fianco e del mio ciondolo al collo, dovevo ammettere di essermi presa una sorta di vacanza dall’addestramento, che ad essere sincera, non vedevo l’ora di ricominciare. Non sapevo quando sarebbe accaduto, certo, ma una parte di me non aspettava altro. Non volendo perdere l’abitudine, mi esercitavo da sola quando potevo, concentrandomi su esercizi e incantesimi di levitazione e localizzazione. Era così che staccavo le ghiande dagli alberi che incontravo sul mio cammino, per poi posarle a terra nella speranza che qualche scoiattolo, con un pò di fortuna il mio Bucky o qualche membro della sua famiglia le trovasse, e sempre quella la ragione per cui riuscivo a restare in contatto con la mia anche a distanza. Far loro visita era del tutto diverso, e non lo negavo, ma quando proprio non potevo spostarmi, la capacità di concentrarmi e seguire l’energia e la traccia magica di Sky, collegata a mia madre a causa del loro rapporto, e al fatto che ogni abbraccio o manifestazione d’affetto lasciasse dietro di sé piccole stille di polvere magica si rivelava estremamente utile, in special modo quando non dormivo o faticavo a riposare mentre pensavo al suo futuro. Ora che mi ero sposata e avevo raggiunto Eltaria lasciandomi Primedia alle spalle, poteva contare solo sulla compagnia di Sky, ma ora anche quella non tardava a diventare merce rara data la sua sempre crescente complicità con Noah. Li avevo visti entrambi appena il giorno prima proprio al festival di Notteterna, e speravo davvero che si fossero fermati, e con loro anche nostra madre e i genitori del mio amato. Fra un passo e l’altro, mi perdevo nel verde dei suoi occhi, e non riuscendo a distogliere lo sguardo, a volte sospiravo, completamente innamorata. Vicini, avevamo ripreso a camminare mano nella mano, e all’improvviso, la sua voce mi distrasse. “Sto aspettando, mia fatina. Sono paziente, ma non troppo sai? Avanti…” disse, incalzandomi teneramente e quasi forzandomi a parlare, desideroso di carpire i miei segreti. Spaventata, sentii il corpo scosso da altri mille tremiti, e stringendo le sue mani con forza ancora maggiore, mi preparai a parlare. La verità era una, ma ancora non potevo esternarla, ragion per cui, speravo che una piccola bugia bianca detta a fin di bene riuscisse a convincerlo. “Ora che siamo sposati, tesoro. Sono sicura che vorranno vedere quanto siamo legati adesso, non credi, mio dolce protettore?” quelle le uniche parole che riuscii a pronunciare, vantando una calma che definirei mostruosa. In fin dei conti, fingevo solo di provarla, e mentre i miei tremori si calmavano lentamente, finalmente decisi a cessare, azzardai nel sorridere, per poi lasciare che mi prendesse il viso fra le mani e baciasse. Di lì a poco, un solo attimo sparì dalle nostre vite, e il bacio che ci unì fu in quel momento profondamente diverso dagli altri. Sapevo di averlo già pensato, e lo ricordavo bene, ma ora sentivo che non ci fossero parole migliori per descriverlo. Caldo, tenero, dolce e delicato, ma al contempo intriso di tutte le promesse che mi aveva fatto negli anni. Quando ci staccammo, mi sentii senza fiato, e con il cuore in tumulto, per poco non caddi, crogiolandomi nel calore dell’abbraccio che seguì quel momento. “Certo, mia dolcissima fata. Sai che ti amo, sai che puoi fidarti.” Mi sussurrò all’orecchio, mentre, ferma fra le sue braccia, respiravo lentamente, più calma che mai. Fermandomi a guardarlo, deposi un solo bacio sulla sua guancia, e tornando alla realtà, continuai a camminare. “Non vedo l’ora.” Gli risposi, allargando il mio sorriso e contando letteralmente i passi che mi separavano dalla piazza. Sopra di noi, il cielo era azzurro, e la strada scivolava via con ogni nostra mossa, liscia come l’olio. Tranquilla, mi guardavo intorno alla ricerca dei miei familiari, e proprio quando credetti di essere arrivata troppo tardi e averli persi di vista, eccole. Sky e nostra madre Eliza, in piedi accanto alla bancarella di uno gnomo. Avvicinandomi, sperai di coglierle di sorpresa, e in quell’esatto momento, mille profumi diversi riempirono l’aria. Cioccolata, vaniglia, fragola, lamponi e more, il che poteva significare una sola cosa. Lo gnomo in questione era un cuoco provetto. Sorridendo, mossi ancora qualche passo, e sotto muto consiglio di Christopher, mi concentrai abbastanza da far tremare le fronde di alcuni alberi. Il mio espediente funzionò alla perfezione, tanto che Sky, spaventata, si voltò di scatto, e protendendo una mano in avanti, concentrò la sua energia in un incantesimo inverso al mio, che calmando quel vento, finalmente la fece accorgere di me. Uno scherzo innocente che avevo orchestrato già tempo prima, di fronte al quale rise come una bambina. “Kaleia! Anche tu qui? Piccolo il villaggio, vero?” disse, sorridendo e stringendomi in un delicato abbraccio, più che felice di vedermi. “Vero.” Mi limitai a risponderle, ridacchiando divertita. Rimasta di spalle, mia madre si voltò in quel momento, e fu allora che mi vide. Sorpresa, spalancò la bocca coprendosela con la mano, e dolce come sempre, mi premette lievemente le labbra sulla fronte. Più che contenta di rivederla, la lasciai fare, e spostando lo sguardo su Sky, comunicai con il solo uso dello sguardo, chiedendole di Noah. Non volevo prenderla in giro, né ridere di lei, solo sapere. Talvolta troppo veloce nel giudicare, lei finì per fraintendermi, battendo un piede a terra e incrociando le braccia al petto. “È seduto lì all’ombra. Ha anche la chitarra, lo vedi bene, impicciona? Raggiungi i tuoi suoceri, piuttosto.” Mi disse, per poi ignorarmi e voltarsi verso il fidanzato, che notandola, le soffiò un bacio da quella distanza. Pur lasciandole spazio, la vidi sorridere e arrossire, poi replicare quel gesto e allontanarsi a sua volta. in breve, i due furono di nuovo l’uno fra le braccia dell’altra, e poco lontano da me, in paziente attesa, Christopher sorrideva.”Kaleia, vieni!” chiamò, sollevando un braccio perché potessi vederlo. Imitandolo, i suoi genitori mi sorrisero a loro volta, e felice come un’adolescente alla prima cotta, corsi da lui. Nello spazio di un momento, pochi battiti d’ali ci unirono, e sopraffatti dall’emozione, ci abbracciammo. “Tesoro...” sussurrò al mio indirizzo, con un tono a metà fra il dolce e il supplichevole. Mi amava, mi amava davvero, l’avevo sempre saputo e ora ne avevo l’ennesima conferma, poiché con i tempi che correvano e le novità che ci circondavano, il meraviglioso sentimento che ci animava scorrendoci come sangue nelle vene faceva lo stesso con molti altri. Sky e il suo giudizioso chitarrista Noah, Isla e il suo paziente marito Oberon, Lucy e la sorellina Lune, e come capii proprio in quel mattino ormai sfumato in pomeriggio, anche Aster, che passeggiava tranquillamente, abbracciata a un uomo che non avevo mai visto. Più alto di lei, le sorrideva guardandola con amore, e nonostante la distanza gli permettesse di mescolarsi agli umani, un solo sguardo mi permise di capire che anche lui, come lei del resto, era una creatura magica. Per metà umano e per metà capra, o in altri termini, un satiro. Sorridendole, la salutai, e in silenzio, lei ricambiò quel gesto. “Buona fortuna, mia amica ninfa.” Pensai, affidando quelle parole al vento e sperando che questo gliele recapitasse, come spesso in questo villaggio accadeva con le lettere. Spostando lo sguardo, tornai alla realtà dalla quale mi ero estraniata, e stringendo la mano ai genitori del mio Christopher, ne approfittai per salutarli con calore, stupendomi però di non vedere Leara. Non ci frequentavamo da molto, e nonostante tutte le mie attenzioni fossero rivolte proprio a mio marito, lei era sempre rimasta mia amica, e sperando di non risultare scortese, mi guardai intorno. “Signori Powell, vostra figlia?” chiesi infine, stranita dalla sua assenza. Confusi, i genitori si voltarono, e pur non trovandola, non si preoccuparono, e anzi, tornarono a guardarmi. “Chiamaci pure per nome, cara, e non preoccuparti. Ora che Lea può finalmente vedere il suo ragazzo, si è come dimenticata di noi. Insomma guardala!” mi rispose sua madre Andrea, orgogliosa della felicità della figlia che a detta sua e del marito, conosceva già da tempo e aveva da poco trovato un modo di stargli vicino. Non avevo idea di come si fossero conosciuti, e chiedendo mutamente lumi a mio marito, lo vidi stringersi nelle spalle e muovere le dita nell’aria, come se stesse suonando uno strumento. Fermandomi a pensare, immaginai un pianoforte, e solo allora, capii. La tecnologia umana era al di fuori della mia portata, ma restando a guardarla da una debita distanza, stringendomi in silenzio al mio dolcissimo sposo, fui felice anche per lei, ormai pronta a vedere iniziare una nuova estate colma d’amore e fortuna.   

 

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Capitolo 20
*** Il pozzo dei desideri ***


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Capitolo XX

Il pozzo dei desideri

Seguendo le ormai conosciute e ripetitive regole di un gioco astrale vecchio come il mondo, il mattino si era ormai trasformato in pomeriggio, e abbandonando i toni dell’azzurro, il cielo aveva prontamente adottato quelli del rosso, del rosa e del viola, e in quel quieto pomeriggio, il sole si stava preparando a tramontare. Stanco dopo un altro giorno nel suo vasto regno, trovava come sempre rifugio dietro ai monti, abbassandosi di minuto in minuto fino a scomparire. Del tutto presa dall’euforia della festa, non badavo affatto allo scorrere del tempo, e lo stesso valeva per il mio sposo e per il resto dei cittadini, tutti liberi di divertirsi. Era strano a dirsi, eppure avevo sentito delle strane voci riguardo questo coloratissimo festival, stando alle quali, l’ultima sera sarebbe stata la più importante, e dati alcuni dettagli, simile a una sfilata di moda o qualcosa del genere. Curiosa, attendevo in silenzio, e ancora ferma fra le braccia del mio amato, ora respiravo a malapena, a occhi chiusi e con il cuore traboccante d’amore per lui. Colta alla sprovvista da alcune lacrime che non riuscì a fermare, sua madre non riuscì a trattenersi dal piangere, e fiero della complicità che esisteva fra di noi, anche suo padre rimase a guardarci, approfittando del momento per stringere a sé l’amata moglie. “Era ora, vero, figliolo?” azzardò, orgoglioso del figlio ormai adulto e pronto a iniziare una vita propria, lontano dal caldo  e accogliente nido familiare. “Hai ragione, papà. Non c’è creatura qui ad Eltaria che non sappia cos’abbia fatto per lei. Pensaci, ci siamo conosciuti quando era solo una fata, e oggi è mia moglie.” Quella la risposta che diede, e che ascoltai con il cuore in tumulto e le lacrime agli occhi. Sforzandomi, lottai contro me stessa per non piangere, e stringendomi a lui con forza ancora maggiore, lo sorpresi con un bacio. Lasciandomi fare, lui non osò sottrarsi, e quando finalmente ci staccammo, non esitai a ricompormi per salutarli a dovere, e sicuri di poter restare da soli, ci allontanammo. Lentamente e senza troppo rumore, quasi fossimo stati ragazzini alla prima cotta. Emozionata, ascoltai il mio cuore battere così forte da poter essere udito nella leggera confusione attorno a noi, e senza una parola, intrecciai le mie dita alle sue. “Chris…” lo chiamai, con voce dolce e quasi angelica. “Sì, Kaleia?” rispose lui, con un sorriso sul volto e un ormai caratteristico luccichio negli occhi verdi. Parenti e amici non l’avevano mai notato, ma quella piccola luce splendeva ogni volta che era felice o emozionato, ed era bello sapere di esserne la causa. Fra un passo e l’altro, abbassai lo sguardo per fissarlo sul terreno, ma quando lo rialzai, il mio cuore parlò per me. “È stato bellissimo, sai?” dissi soltanto, la voce di  nuovo rotta dall’emozione del momento. “Cosa?” azzardò lui, fingendosi ignaro di quanto accaduto poco prima. “Quello che hai detto, e davanti ai tuoi genitori. Non l’hai detto solo per impressionarli, vero?” replicai, spiegando lentamente ogni cosa e permettendo a quel dubbio di rovinare la perfetta atmosfera creatasi fra di noi. Ad essere sincera, non avrei mai voluto, ed ero certa che mi amasse, ma sperando di non aver commesso l’ennesimo passo falso, attesi. Lunghi attimi scomparvero quindi dalla mia vita, e di nuovo a occhi bassi per un’improvvisa e inspiegabile vergogna, lo sentii posarmi una mano sulla schiena, per poi incatenare il suo sguardo al mio e stringermi in un abbraccio. Colpita, quasi non reagii, e istintivamente al sicuro, ricambiai quella stretta, godendo del calore dei nostri corpi così vicini. Si era trattato solo di un abbraccio e nulla più, ma dati i nostri trascorsi e i miei sentimenti per lui, anche un gesto di quel calibro diventava estremamente importante. Non raro, certo, ma incredibilmente importante e prezioso, come le gemme e i dobloni nascosti nei forzieri sotto la sabbia di un’isola deserta, o l’oro che i leprecauni nascondevano e custodivano gelosamente, secondo alcuni alla fine di ogni arcobaleno. Senza una parola, mi beai di quel momento, e respirando lentamente, gli sfiorai il petto con le dita. Calmo come era solito essere, Christopher non mosse foglia, e troppo concentrata su di lui, quasi non mi accorsi che aveva smesso di camminare. “Siamo arrivati, signorina.” Disse, serio ed enigmatico al tempo stesso, con lo sguardo fisso su qualcosa che non riuscivo a vedere. Confusa, mi guardai intorno come un cucciolo spaurito, e fu allora che lo vidi. Nascosto dalla vegetazione, un pozzo su cui mai avevo posato gli occhi. Incuriosita, mossi qualche incerto passo in avanti, e sorridendo, Christopher mi guidò con calma, fermandosi solo quando fummo abbastanza vicini da toccare con mano le pietre con cui era stato costruito. “Come… Come sapevi che era qui? È parte del festival?” indagai, incerta e dubbiosa. “Tesoro, il pozzo è sempre stato qui. Non hai mai visto qualcuno avvicinarsi?” replicò lui, ridacchiando divertito. Fingendo indignazione realmente non provata, gli assestai un affatto offensivo pugno sul braccio, per poi sfiorargli la guancia con le labbra e ridere con lui. “Sei sempre il solito.” Lo rimbeccai, accennando a un broncio che tenni solo per pochi secondi, allo scadere dei quali cedetti alla tentazione di baciarlo. Innamorato, Christopher assaporò le mie labbra con voglia, e facendo uso della sua solita eppur lieve irruenza prese il controllo di quel contatto, sorprendendomi e portandomi a sorridere anche in quel bacio. Completamente assorta, non  mi accorsi di nient’altro, e dimenticando perfino il mondo che ci circondava, mi abbandonai fra le sue braccia. In perfetta simbiosi l’uno con l’altra, ci baciammo fino a non avere più fiato in corpo, e boccheggiando in cerca d’aria, mi allontanai per un solo istante, per poi tornare metaforicamente sui miei passi e accarezzargli il viso. “Un rublo per i tuoi pensieri?” azzardai, curiosa. “Più che altro, mia cara, si tratta di una richiesta.”Spiegò lui, sincero e innamorato, con gli occhi ancora fissi nei miei. Profondamente innamorata, sostenni il suo sguardo, e mantenendo il silenzio, osai nell’accarezzargli il viso. “Ovvero?” tentai, sperando di convincerlo a parlare. “Amami. Amami, mia Kaleia, proprio come hai sempre fatto.” Pregò, pronunciando quelle parole con una dolcezza infinita. Ascoltandolo, sentii il cuore sciogliersi, e agendo d’istinto, quasi senza pensare, frugai per un attimo nella tasca della mia veste, estraendone una piccola e aurea moneta. Un rublo di luna, che piccolo e prezioso come lo ricordavo, ora brillava al solo mentre lo stringevo in mano rigirandomelo fra le dita. Soltanto guardandomi, Christopher mi convinse ad agire, e seguendo il suo muto consiglio, lo lasciai cadere in quello specchio d’acqua, restando poi lì ferma ad ascoltare fino a udire un lieve tonfo. A occhi chiusi, espressi un solo desiderio, e dando ancora una volta retta all’istinto, mi posai una mano sul ventre. Non lo dicevo, lottavo per tacere la realtà, ma se c’era una cosa che davvero desideravo era proprio quella. In altri termini, se Christopher sperava nel mio amore, io aspiravo ad altro. A una tenera pixie o a un adorabile folletto da stringere fra le mie braccia e amare per il resto della vita, come ci eravamo promessi in una notte di confessioni sopite e passioni mai taciute. Rimasta a mani vuote, mi allontanai, e stringendogli la mano per riprendere il cammino e tornare a casa, li notai. Uno ad uno, in una fila composta e ordinata, tutti i miei amici. Sky e il suo fidanzato Noah, Aster e il satiro di cui si era innamorata, Lea e il misterioso gentiluomo che aveva avuto la fortuna e il piacere di incontrare alla tecnologica maniera degli umani, Lucy e Lune con i loro genitori, e perfino Red e il mio piccolo Bucky, usciti dalle tane per imitarci in quel gesto a dir poco simbolico, ossia affidare speranze e sogni a una moneta gettata in un magico pozzo dei desideri.   

 

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Capitolo 21
*** Compagni di vita e magia ***


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Capitolo XXI

Compagni di vita e magia

Silenziosa come i gufi che nidificavano sugli alberi del bosco e sui tetti delle case, la notte era scesa lenta, e con la mano ancora stretta in quella di Christopher, tenevo alto lo sguardi per fissare il cielo. Inspirando a fondo, lasciai che la gentile e fresca aria della sera mi lambisse i polmoni, e tenendo gli occhi chiusi, sentii il mio amato stringermi la mano con forza ancora maggiore. Di lì a poco, il silenzio ci avvolse entrambi, e così il buio, con quella del mio ormai famoso ciondolo come unica luce in quella notte. Reagendo forse alla mia magia, alla mia compostezza, ai miei sentimenti, o a chissà quale altro stimolo esterno di quel momento, riuscii a sentire di tutto. Il sibilare del vento attorno a noi, il quieto bubolare di quegli stessi gufi che credevo addormentati nei loro nidi, perfino il leggerissimo battito d’ali delle falene attratte dalle lanterne appese in tutta Eltaria. Veloce, anche il mio cuore non tardò a rispondere, e battendo come impazzito, quasi mi impedì di respirare. Per una volta, la positiva colpa di tutto non era da imputarsi a mio marito, ma proprio allora, fu la sua voce a distrarmi. “Tutto bene, tesoro?” chiese, voltandosi a guardarmi negli occhi. Distratta, sentii e vidi la magia spezzarsi, e con essa anche la mia concentrazione. “C-Cosa?” farfugliai, imbarazzata. Muto come un pesce, lui si limitò a guardarmi, e in quell’istante, capii. “Sì, s-scusa. Ero distratta, perdonami. Sarà la calma qui intorno, ma ho come perso il controllo dei miei poteri. Chi lo sa, forse è anche l’aria di festa, tu che ne dici?” Risposi, lasciando che un innocente sorriso mi spuntasse in volto e sperando che la mia innata sbadataggine bastasse a farlo ridere. Era strano a dirsi, e lo sapevo bene, ma mi piaceva vederlo felice, e in un rapporto come il nostro, che ci teneva uniti da circa tre anni, era proprio quell’emozione a contare più di tutto, perfino più dell’amore. Spesso persi l’uno negli occhi dell’altra, ce lo siamo ripetuti con lo sguardo migliaia di volte, sentendoci puntualmente rinascere l’uno fra le braccia dell’altra, meravigliandoci di quanto fortunati potessimo essere nella nostra reciproca gioia, ma riflettendo, che senso ha amarsi se non si è felici? Nessuno ci pensa, ma in realtà quello è il rischio peggiore che una coppia possa correre. Vivere, diventare tale e poi spezzarsi, ma per un motivo o l’altro tentare la via dell’insistenza lastricata spesso di trappole e insidie, salvo poi rendersi conto di aver sbagliato solo quando è ormai troppo tardi, e alla fine di tutto, soffrire in silenzio. Grazie al cielo, non si trattava del nostro caso né di nessuno che conoscessi, e rincuorata da quel pensiero, sorrisi a me stessa. Premuroso come sempre, Christopher mi strinse a sé e sorprese con un bacio sulla guancia, e facendosi più vicino, mi sussurrò qualcosa all’orecchio. “Credo proprio di sì, sai?” disse soltanto, risvegliando con quelle parole tutta la mia mai sopita curiosità. “Sì?” azzardai, mentre gioco e malizia mi danzavano negli occhi adombrandomi lo sguardo. “Sì.” Mi fece eco lui, attirandomi a sé e abbracciandomi stretta, per poi sollevarmi il mento con due dita e costringere i nostri sguardi ad incontrarsi. Paralizzata dall’emozione, non mi mossi, e sostenendo il suo, color della speranza che mai più sognavo di perdere, abbandonai le mani nelle sue, concedendo ad entrambi un bacio che nessuno di noi avrebbe osato rifiutare. Letteralmente con le spalle al muro, cercai in quel contatto la sua protezione, e mai, mai avrei desiderato che finisse. Tiranno come al solito, qualcuno al di sopra di noi disegnò altri piani, e all’improvviso, un soffio di vento ci riportò alla realtà. Così riaprii gli occhi che ormai non ricordavo di aver chiuso, e barcollando alla ricerca di equilibrio, lo ritrovai solo pochi istanti dopo. “Cos’è stato?” chiesi, confusa e stranita. “Non lo so, ma la notte è ancora giovane. Non vorrai sprecarla, vero?” rispose Christopher sorridendo dolcemente, ogni traccia di malizia ormai scomparsa dal suo volto. Incerta sul da farsi, indugiai nel silenzio, ma qualcosa, forse proprio il suo sorriso o quel caratteristico luccichio che gli brillava negli occhi ogni volta che proponeva uno strappo alle regole, mi spinse a reagire. “Vero.” Replicai, imitandolo in quell’unica parola e unendomi a lui nel viaggio opposto a casa. Stavamo tornando, ormai pronti a sdraiarci a letto e riposare, ma era come se all’improvviso non ne avessi più voglia, e che il desiderio di dormire fosse stato sostituito da quello di divertirmi e ridere con chi amavo. Ormai convinta, annuii con decisione, e camminandogli accanto, non lasciai mai la sua mano. Di lì a poco, non udimmo altro che il suono dei nostri passi quasi perfettamente sincronizzati, e tornati alla piazza principale, ci lasciammo sconvolgere dalle novità. Come la sera prima, anche stavolta c’erano lanterne e luci ovunque, creature magiche in ogni angolo della strada, e decine di bancarelle già aperte, piene di giocattoli, dolci e strani oggetti magici mai visti prima. “A cosa tocca stasera?” indagai, curiosa come una bambina. “Guardati intorno.” Mi rispose appena lui, rapito dallo spettacolo di luci appena sopra le nostre teste. Fidandomi, spostai lo sguardo altrove, e fu allora che la vidi. Tenuta in piedi da uno gnomo che non conoscevo, una bancarella piena di giocattoli simili a quelli venduti ai bambini dall’elfo Duilin, che come i suoi palloncini, legati con un filo a degli appositi supporti per evitare che volassero via, sembravano appesi al solido soffitto di legno, e messi in palio come piccole vittorie se si tentava la fortuna in un gioco apparentemente facile. Come per magia, che almeno stavolta riuscivo a controllare, le mie gambe si mossero da sole, e afferrando il polso di Christopher, lo invitai a seguirmi. “Chris, guarda! Non sono adorabili?” cantilenai, indicando uno dei tanti peluche visibili anche da quella distanza. Piccoli, certo, ma abbastanza grandi da essere tenuti in braccio o stretti al petto, avevano tutti sembianze diverse, e ce n’erano di tutti i tipi. Fate come me, pixie dalle delicate ali d’argento, anche elfi e teneri folletti. Guardando nella mia stessa direzione, anche lui si accorse di quei balocchi, e con un sorriso che potei unicamente definire paterno, mi sfiorò la mano. “Cos’è, ne vuoi per caso uno?” mi chiese, scherzando. “Ne vinceresti uno? Per me?” pregai, giungendo le mani per dare ancora più valore a quella richiesta. Mantenendo il silenzio, Christopher non disse nulla, ma quando l’espressione sul suo volto si ammorbidì e il sorriso divenne più largo, capii di aver vinto. Inorgoglita da quel piccolo successo, cercai la sua mano per l’ennesima volta, e ritrovandomi con lui sotto la bianca luce di alcune lanterne che illuminavano le strade, un nuovo particolare attirò la mia attenzione. Forse per la prima volta, prestai attenzione al volto dell’ometto a capo di quella bancarella, scoprendo solo allora che mi era estraneo, ma che per qualche strana ragione condivideva una stranissima somiglianza con quello al banco dei dolci. Fermandomi a pensare, conclusi che avrebbero potuto essere gemelli, ma un secondo ragionamento mi portò a scartare quell’ipotesi. Per quanto ne sapevo, gli gnomi spesso si somigliavano fra di loro, e molte volte l’unica cosa a differenziarli era il colore dei loro vestiti, o la punta dei loro buffi cappelli, talvolta dritta come una stecca o pendente come un fiore prossimo ad appassire. A differenza degli abiti, quelli non cambiavano quasi mai, essendo infatti solitamente rossi come fragole mature. Ad ogni modo, non sapevo ancora quale delle tante tesi potesse essere valida, ragion per cui, più curiosa di prima, provai a chiedere. “Mi scusi, ci siamo già visti? Ha un viso familiare.” Dissi, per poi tacere nell’attesa di una risposta. Sentendomi arrivare, il piccolo uomo si voltò, e con un sorriso, mi porse la mano. “Salve, cara fata naturale. A dire il vero no, non ricordo di aver mai fatto la tua conoscenza, ma se vuoi, possiamo rimediare.” Rispose soltanto, sfiorandomi le dita con la cordialità di un uomo d’altri tempi. Lusingata, ridacchiai come una ragazzina, e osservando con la coda dell’occhio ogni eventuale reazione di Christopher, fui sollevata nel notare che non appariva geloso. Lo conoscevo, ero sicura che un sentimento del genere non rientrasse nelle sue corde, e a dirla tutta, spesso la cosa mi rendeva felice. Per quanto ne sapevo, non aveva mai motivo di esserlo, ed era bello camminare con lui e farmi stringere in mille abbracci sapendo che nessun’altra fata l’avrebbe distratto da me. Nonostante lo scorrere del tempo, i ricordi del nostro matrimonio erano ancora impressi nella mia mente, così come quelli del giorno in cui mi aveva difesa da Amelie. Stando alle parole che allora aveva pronunciato, mi aveva scelta come fata da proteggere e amare, e ora che ero sua moglie, e lui mio marito, eravamo finalmente liberi di farlo. Spesso tacevo, provavo a nasconderlo per colpa della vergogna, ma io provavo lo stesso per lui. Non era soltanto il mio protettore, no, era molto di più, e come solo pochi al di fuori delle nostre rispettive famiglie sapeva, era l’uomo della mia vita. Ridestandomi dai miei pensieri, annuii lentamente, poi gli tesi la mano perché me la stringesse. “Io sono Kaleia, lui Christopher.” Dissi tranquillamente, presentandomi e facendo le veci del mio amato. “Piacere di conoscervi entrambi, ragazzi. A proposito, sono Roderick.” Replicò lo gnomo, stringendo la mano ad entrambi e dando uno sguardo alla miriade di pupazzi attorno a noi. “Interessati a uno di questi?” azzardò poco dopo, sul volto un sorriso di bonario scherno. “Ne ho promesso uno a questa signorina.” Spiegò Christopher, facendomi arrossire. Forse la scelta delle parole era stata intenzionale, o forse no, ma qualunque fosse la verità, non importava, o almeno non in quel momento. Non avrei indagato per scoprirlo, ovvio, ma una cosa era certa. Adoravo il suo modo di fare, dolce quando eravamo insieme e serio se si trattava di proteggermi, e assieme a questo, anche tutti i soprannomi che mi affibbiava fra uno scherzo e l’altro. Signorina era uno dei tanti, e fra altri più ovvi spiccava fatina, e più tranquilla che mai, mi appoggiai al suo braccio con amore, sfiorandolo con le dita per tutta la sua lunghezza. “Non mi chiedi quale vorrei?” non potei evitare di chiedere, sorpresa nel non sentirlo chiedere il mio parere. “Certo che no, che sorpresa sarebbe altrimenti?” rispose subito lui, controllandosi le tasche per estrarne qualche moneta. “Bastano, vero?” chiese, improvvisamente insicuro. “Per più di un tentativo. Ora tranquillo, la tua dama aspetterà.” Lo rassicurò Roderick, sul volto la calma di un monaco in preghiera. Chiusa nel silenzio, mi scambiai con lui un’occhiata colma d’eloquenza, incoraggiandolo. Per tutta risposta, lui si limitò ad annuire, e un attimo dopo, il gioco ebbe inizio. Semplice come pochi, consisteva nel far cadere una piramide di bottiglie lanciando una palla, e non osando parlare per non distrarlo, attesi, sperando segretamente di poter mettere le mani su uno di quei dolcissimi giocattoli. Fu quindi questione di attimi, e la prima delle tre piramidi sapientemente allestite si sgretolò davanti ai miei occhi. “Abbiamo un vincitore!” dichiarò Roderick, mentre, felice per noi, si voltava verso quella miriade di morbidi balocchi. “Allora? Quale fra i tanti?” chiese poi, pronto a consegnare a Christopher il premio che gli spettava. “Quella.” Rispose appena lui, indicando un pupazzo che inizialmente non riuscii a identificare. “Ottima scelta.” Commentò Roderick, spostandolo dallo scaffale a cui apparteneva. Emozionata, attesi, e ad occhi chiusi, mi imposi di non sbirciare. Alcuni istanti scomparvero così dalla mia vita, e avvicinandosi ancora di più a me, Christopher decise di parlarmi. “Per te, Kaleia.” Disse in un sussurro innamorato, porgendomi quel morbido premio. Emozionata, lo accettai senza parlare, e aprendo solo allora gli occhi tenuti chiusi fino a quel momento, scoprii la verità. Fra le mani avevo una pixie, una dolce e tenera pixie. Era soltanto una bambola di pezza, ed era vero, ma era un regalo, ed io ero felice. “Ti piace?” azzardò lui, accarezzandomi una guancia. “L’adoro, Chris. È soltanto una bambola, ma l’adoro.” Confessai in quel momento, scoprendomi preda delle mie stesse emozioni. “Sai perché te l’ho presa? Indagò lui, con la dolcezza nella voce e nello sguardo. Con il cuore in tumulto, non riuscii a parlare, e negando con la testa, mi ridussi al silenzio. “N-No, perché?” balbettai poco dopo, incerta. Sorridendo, Christopher quasi non rispose, e proprio quando credetti di non sentire più la sua voce, questa trovò la libertà nel silenzio di quella notte. “Perché tu sei la mia pixie.” Quella la risposta che ascoltai senza interrompere, e che accettai con un bacio, un bacio che ci unì per gli infiniti attimi a venire. Innamorato, Christopher mi lasciò fare, e proprio allora non sentii altro che i dodici rintocchi della mezzanotte. Felicissima, mi abbandonai completamente a quel contatto, stringendomi a lui e tenendogli ancora le mani, e staccandomi solo quando il bisogno d’aria divenne troppo grande da sopportare. Colpito, Christopher sorrise, e quasi inconsciamente, sempre rapita e irretita dal suo sguardo, mi morsi un labbro. Ignorando quel dolore, mi concentrai su di lui, e raccogliendo la bambola finita in terra in quel nostro attimo di profondo romanticismo, me la portai al petto. Di nuovo in imbarazzo, non ebbi parole per esprimere la mia felicità, e con le lacrime agli occhi, mi sforzai di trovare quelle più giuste. “Christopher, grazie. Grazie davvero.” Riuscii a dire a malapena, poco prima di rifugiarmi fra le sue braccia e decretare quello appena vissuto come inizio perfetto per un quarto giorno fatto di festa e magia. Stanchi, Christopher ed io ci addormentammo su una panchina, mano nella mano come fidanzati, e il mio ultimo ricordo di quella fantastica notte furono le stelle e la luce della luna sui nostri corpi. Ci svegliammo insieme soltanto la mattina dopo, quando a nostra insaputa i festeggiamenti erano tutt’altro che finiti, e anzi ricominciati un’altra volta. Stando a ciò che avevo scoperto proprio da Christopher, i giorni e le sere di Notteterna erano cinque, ed essendo arrivati alla quarta, speravo di viverla più serenamente e intensamente che potevo, e per mia fortuna, in mio aiuto accorsero numerosi visi amici. Primi fra tutti, i membri della mia famiglia, poi Leara, la sorella di Chris finalmente libera dai genitori,e con mia grande sorpresa, accompagnata da un ragazzo che non ricordavo di aver visto. Più alto di lei, con i capelli castani e gli occhi dello stesso colore, e quel delicato accenno di barba che non disdegnavo ma che in genere preferivo non vedere. In genere non ne parlavo con altri, e mantenendo il silenzio, ora non osavo interferire. Una parte di me avrebbe voluto presentarsi, ma un’altra, in completo disaccordo con la prima, dissentiva, ragion per cui, veloce come mai prima, andai alla ricerca di una distrazione, così da allontanarmi senza destare troppi sospetti. Una sola occhiata permise a Chris di mangiare la foglia, e fatti pochi passi, fui lontana da loro. Rimasta da sola, passeggiai per la piazza come ero solita fare, e in lontananza, intravidi Lucy e Lune accompagnate dai loro genitori. “Isla! Oberon!” chiamai, sperando che potessero sentirmi. Per mia fortuna, i due adulti risposero a quella sorta di richiamo, e così anche le bambine, seguite però da uno strano eppure simpatico animaletto. Piccolo e agile, aveva le sembianze di un lupacchiotto, e a giudicare dall’adorabile espressione dipinta sul muso, e dal modo che aveva di esibirsi in corti latrati alternati a ringhi, e ululati stonati come campane, capii che doveva essere un cucciolo. “Piccole! E lui chi è?” salutai, per poi azzardare quella domanda e regalare qualche carezza al nuovo arrivato. “Si chiama Rover, ed è il mio Arylu.” Rispose Lucy, calma e sorridente mentre si abbassava al suo livello per accarezzarlo. “Ar… che cosa?” non mi trattenni dal chiedere, confusa e stranita da quel termine. “Arylu.” Ripetè la bambina, scandendo piano ogni lettera. “È con me da poco. Oggi a scuola era un giorno speciale, e ognuno di noi poteva sceglierne uno. Lunie voleva un Pyrados, ma l’ha scelto un’altra sua compagna, sai? E un folletto invece ha preso uno Slimius. A me fanno schifo!” continuò a spiegare, raccontando per filo e per segno quella giornata tanto importante. “Sul serio? E dimmi, se il tuo è un cucciolo, gli altri cosa sono?” chiesi, sinceramente interessata. “Cuccioli anche loro. Rover è una specie di cagnolino, ma i Pyrados sono draghi, e gli Slimius delle ranocchie bavose.” Aggiunse poco dopo, rispondendo tranquillamente e dissipando con quelle parole tutti i miei dubbi. Continuando a camminare, raggiungemmo insieme una panchina, e sedendoci, proposi mutamente a Lune di venire in braccio. Annuendo, la piccola non si fece attendere, e ben presto mi ritrovai a stringerla, accarezzandole saltuariamente i capelli scuri. “Sai, Lucy, non credo che le ranocchie siano poi così brutte. In fondo sono animaletti anche loro, non credi? Non ci rimarresti male se qualcuno ti dicesse che lo sei? O che magari non sei brava con gli incantesimi anche se ti impegni? Non è carino, cosa ne pensi?” provai a chiederle, nel tentativo di farla ragionare sul peso di quelle parole anche senza offenderla. “Hai ragione, me l’ha detto anche la mamma.” Si difese lei, la voce dolce rovinata dalla tristezza. “Non fa niente, piccola. Hai sbagliato e hai capito, è questo che conta, adesso tu e Lune andate pure a giocare, d’accordo? Chris ed io vi raggiungeremo più tardi.” Le dissi, rincuorandola come meglio potevo, per poi abbassarmi al suo livello e posarle una mano sulla spalla. Annuendo, la piccola non se lo fece ripetere, e voltandosi, sfiorò quella della sorellina. Seguendola, anche Lune andò via con lei, e quando furono lontane, le vidi spiegare le alucce e volar via alla volta di mille avventure fatte di giochi infantili. A quella vista, un nodo di pianto mi si fermò in gola, e scuotendo la testa, mi imposi di restare calma. Di lì a poco, quel senso di tristezza mi colse impreparata, e rialzandomi in piedi, andai alla ricerca della bancarella più vicina, così da distrarmi, e per qualche attimo, non pensare. Chiudendo gli occhi, presi in mano il mio ciondolo e svuotai la mente, lasciandomi guidare da ciò che sentivo. Una per una, tante scie magiche tutte diverse. Quella di Sky, fredda e sfuggente come il vento che controllava, quella di Aster, vicina alla natura proprio come la mia, l’energia magica delle mie amiche pixie, una legata alla nuda terra e l’altra al caldo fuoco e ultima, ma non importanza, proprio quella che apparteneva a me, e che forse avevo lasciato a Christopher sotto forma di lucenti stille di polvere magica. Non succedeva spesso, ma nei nostri momenti insieme tendevo a perdere il controllo delle mie ali oltre che dei miei poteri,  e il loro movimento così frenetico doveva esserne la causa. Divertita, risi al solo ricordo dei nostri momenti insieme, e più veloce del vento, un desiderio mi colpì arrivando quasi a folgorarmi, e affamata, mi diressi verso il banco dei dolci. “Roderick, ciao. Cos’hai preparato oggi?” chiesi, posando una mano sul bancone e nascondendo l’altra nella tasca della veste, alla ricerca dei rubli di luna necessari a pagare per il mio acquisto. Ad essere sincera, avevo già le idee chiare su cosa prendere, ma volevo sentire cos’avesse da offrire prima di decidere davvero. “Roderick? No, no, signorina fata, lei sta parlando di mio gemello venditore di premi, io Boris!” rispose quest’ultimo, che solo allora capii di aver confuso con un suo simile. Stando alle sue parole, lui e il mio nuovo, minuscolo amico erano gemelli in tutto diversi, inclusi l’accento e il modo di parlare, più distinti e marcati in lui piuttosto che nel fratello. “Dolce Dea, mi scusi, non… non era mia intenzione…” biascicai, nervosa e piena di vergogna. “Non si preoccupi, signorina. Capita con gemelli, sa? No è problema. Io Boris.” Replicò lo gnomo, infondendomi la sicurezza che mi mancava e offrendo la mano in segno di saluto. “Kaleia.” Fui veloce a rispondere, felice di fare la sua conoscenza. Silenzioso, lo gnomo si fermò a guardarmi, come ipnotizzato. Confusa, mantenni il silenzio, poi lo vidi voltarsi, come per dissimulare chissà che accaduto. Non dando troppo peso alla cosa, decisi di non badarci, e rompendo il silenzio, indicai una pasta alla fragola. Non riuscivo a spiegarmelo, né sapevo il perché, ma erano giorni che in casa non cercavo altro, nonostante la mia condizione, ancora ignota perfino allo stesso Christopher, non fosse poi così vistosa né in stato avanzato. Stringendomi nelle spalle, preferii concentrarmi per gustarla al meglio, avvertendo sulla lingua e sul palato una vera esplosione di sapori. Cioccolato, crema e fragole, tutti insieme e sapientemente mescolati per creare quella delizia. Senza volerlo, mi lasciai sfuggire un gemito d’apprezzamento, e lasciando andare la piccola posata d’argento, non mi stupii di sentirla cadere con un tonfo sul tovagliolo. “Buona, vero? Fatta con fragole direttamente da bosco!” chiese, attendendo di ascoltare la mia opinione pur senza voltarsi, probabilmente troppo impegnato per guardarmi. “Sì, era buona, ti ringrazio, Boris, a… a presto.” Risposi, la fretta improvvisamente padrona del mio animo. Non saprei dire perché, ma dopo quel dolce corsi via da lui, forse complice anche l’imbarazzo di quel momento. Possibile che avesse già notato qualcosa? Che noi fate vivessimo la gravidanza in maniera diversa rispetto alle donne umane? Probabile, ma non ne era sicura, e tornando a sedermi sulla panchina di pochi minuti prima, osservai ciò che avevo davanti agli occhi. Christopher che ancora discuteva con il ragazzo della sorella e appariva nervoso, pixie e folletti intenti a giocare e a rincorrersi, seguiti talvolta dai propri nuovi e magici amici conosciuti in quell’importante e forse ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di un’estate calda ma piena di gioia, e anche da qualche sporadico jackalope probabilmente affamato dei dolci di Boris, o magari semplicemente contagiato dai divertimenti dei più piccoli. Seduta a osservarli, salutai di nuovo Lucy e Lune, e notandomi, Christopher tornò da me. “Com’è andata? Dici che è quello giusto?” chiesi, riferendomi al ragazzo di Leara. Non ci avevo parlato, non lo conoscevo davvero e non avevo un’opinione, ma ciò non significava che non volessi ascoltare la sua. “Si chiama Danny ed è un tipo tranquillo, sai? Si vede che le vuole bene, spero solo che la tratti con rispetto. È più grande di me, certo, ma è pur sempre mia sorella, capisci?” mi spiegò, con lo sguardo lontano dal mio e tristemente fisso sul terreno. “Chris, amore, tranquillo. Capisco come ti senti. Non ho mai avuto dubbi quando si trattava di Noah, ma Sky è felice, e fidati, anche Leara vorrebbe che tu lo fossi per lei.” Gli risposi dolcemente, prendendogli la mano e accarezzandola con dolcezza, come lui faceva con me nei momenti di sconforto. “Grazie, tesoro.” Sussurrò lui in risposta, sinceramente grato. Silenziosa, rispettai la quiete di quel momento fra noi, e in breve, l’imbrunire ci fece visita. I più piccoli giocarono in strada fino al tramonto, e poco più tardi, a sera, ci sedemmo sull’erba poco distante assieme a Sky e Noah, così da osservare ancora le stelle e prepararci nel sonno alle meraviglie che il cielo ci avrebbe mostrato nella famosa ultima sera di Notteterna. Sdraiata sull’erba, la sentii pungermi la pelle, e rimanendo sveglia, vidi Sky accoccolarsi accanto a Noah, finendo prima fra le sue braccia e poi sulle sue ginocchia. Poco dopo, lo stesso valse per Aster e per il suo amato, che ancora non conoscevo e che con un pizzico di fortuna lei mi avrebbe presentato in futuro. Quel quarto giorno ebbe così la sua fine, e con l’inizio del quinto, avvertii una nuova scia magica in avvicinamento. Seppur guardinga, mi sforzai di non darlo a vedere, e camminando per la piazza mentre stringevo la mano di Christopher, lo pregai perché ci fermassimo di nuovo da Roderick. “Perché? Non ti basta un solo peluche? Ti amo, lo sai, ma i rubli di luna non crescono sugli alberi.” Mi chiese, per poi completare quella frase con quella giusta osservazione. Aveva ragione, stavo esagerando e lo sapevo, ma nonostante tutto, tacevo stavolta ben due realtà. La possibilità che un’altra vita stesse iniziando appena sotto al mio cuore, e l’ancora muto desiderio di ricambiare la gentilezza ricevuta con quella bambola, la stessa che avevo stretto al petto dormendo al suo fianco su un letto d’erba e sotto una coperta di stelle. “Chris, per favore! Me ne basterà uno solo! Avevo fame, e ho speso i miei per un pezzo di dolce!” insistetti, lamentandomi come la pixie che da anni avevo smesso di essere. Mosso a compassione dalle mie proteste, Christopher mi accontentò, e pronta, mi preparai a lanciare, socchiudendo un solo occhio per prendere meglio la mira. Tranquilla, mi concessi solo pochi istanti per decidere, e non appena lanciai, il fragoroso suono di mille vetri infranti raggiunse le mie orecchie. Sorpresa, guardai dritto di fronte a me, e fu allora che capii. Il gioco era finito, e io avevo vinto. “Voltati.” Chiesi a Christopher, facendo suonare quella frase come un ordine. “Come vuoi, fatina mia. Sorprendimi pure.” Rispose lui, dandomi pazientemente le spalle e attendendo che facessi la mia scelta. “Va bene quello in alto.” Dissi al mio amico gnomo, costretto a salire su una scala appoggiata contro un muro per accontentarmi. Più veloce di lui, gli risparmiai la fatica facendolo levitare con un incantesimo, e a lavoro finito, mi porse il giocattolo. Piccolo e morbido quanto la bambolina che avevo ricevuto, aveva le fattezze di un folletto con uno scudo in mano, e rappresentava una perfetta replica di Christopher in una delle mie tante e tante fantasie. “Puoi guardare, amore mio.” Gli sussurrai all’orecchio, stringendomi a lui anche ora che non poteva vedermi. Scostandomi da lui, gli concessi lo spazio necessario a muoversi, e con un passo indietro, rimasi ferma ad ammirare l’espressione sul suo volto. Un misto di orgoglio e felicità, che si trasformò in piccole e silenziose lacrime. “Kaleia, tesoro mio…” mi chiamò, gli occhi resi lucidi a causa di un pianto che avrebbe solo voluto liberare. Provando pena per lui, soffrii in silenzio, e avvicinandomi, lo accolsi fra le mie braccia. “Sfogati, amor mio, sfogati. Te l’ho presa perché sei il mio protettore, hai capito? Il mio dolce, dolcissimo protettore.” Sussurrai, accarezzandogli la schiena con piccoli movimenti circolari. Stando a quanto ricordavo, lo faceva per me ogni volta che ci stringevamo e aveva voglia di coccolarmi, e ora sentivo di voler fare qualcosa per lui. Ovvio era che per quanto tenere queste non risolvessero ogni problema, ma in certi casi perfino il falso effetto placebo era abbastanza. Rincuorato da quel gesto, mi strinse a sé con forza ancora maggiore, e dimentica degli occhi del nostro amico su di noi, lo baciai con tutta la passione di cui ero capace, così da avere l’onore e la fortuna di vederlo sorridere ancora. Come sempre, il pomeriggio non tardò ad arrivare, e con il sole che splendeva fiero, quasi sfidando la luce delle lanterne che nulla potevano contro la sua dorata magnificenza, mi staccai per riprendere fiato, poi lo incontrai in un nuovo contatto forse più sincero e profondo del primo, reso magico dallo sfarfallio di polvere magica alle mie spalle. Finalmente soddisfatta, diedi nuovamente respiro ad entrambi, e per quanto lieve, una sorta di squittio attirò la mia attenzione. Voltandomi, sperai di rivedere Bucky, ma al suo posto trovai Bandit, il procione di Major. Non lo vedevo dal giorno del mio matrimonio, ma a quanto sembrava, ora aveva fatto il suo ritorno sulla scena, e quel piccolo ladro dal muso nero e la coda ad anelli ne era la prova. Più loquace del solito, rompeva il silenzio con squittii precisi e modulati, come se cercasse l’attenzione di qualcuno in particolare. Il mio primo pensiero andò a Sky, che attratta da quel suono, comparve all’improvviso, la mano sul cuore come per controllarne i battiti ed essere sicura di non star sognando. Io e Christopher eravamo da un lato della piazza, lei dall’altro, da sola. Muta, mi limitai a guardarla, e lei fece lo stesso con me, andando quasi a cercare la mia approvazione. Annuendo, feci un gesto con la mano, e con lacrime e stelle negli occhi, lei corse verso il piccolo animale, per poi inginocchiarsi e abbracciarlo, stringendolo forte. “Bandit, sei qui! E questo vuol dire che Major è con te. Buon Dio, mi è mancato così tanto!” quasi urlò, bagnando di lacrime il pelo del dolce animaletto, che intanto squittiva e le sfiorava le guance con i baffetti per consolarla. Allentando la presa su di lui, lei lo liberò, e in silenzio, questo le offrì qualcosa. Piccolo e scuro, dello stesso colore di una ghianda, ma diverso. Incuriosita, Sky annusò il dono con fare circospetto, poi lo assaggiò, e ingoiando quel boccone, sorrise. Era un cioccolatino al suo gusto preferito, ovvero proprio la nocciola. A quella scena, per poco non mi commossi, e in quel pomeriggio così denso di emozioni, guardai immobile la loro unione come fata e protettore farsi totale. Felici di rivedersi, i due si abbracciarono, e anche da quella distanza, grazie ai miei poteri connessi alla magia che avevo intorno, carpii una sola frase della loro conversazione. “Non sarai più sola, Sky, lo giuro.” Parole sincere di un protettore legato alla fata che protegge, e che da ora in poi, ne ero sicura, avrebbe protetto per sempre. Natura magica o meno, in quelle parole avevo scorto una promessa, e felice per mia sorella e per quella che sarebbe stata la sua crescita come fata oltre che come persona, le regalai un sorriso pur senza muovere un passo, e restando a guardare quello spettacolo raggiungere, come peraltro le belle sere di Notteterna, il sipario davanti ai miei occhi, ormai certa che fate, protettori, pixie, folletti e animali magici fossero destinati a restare per sempre compagni di vita e magia.



Buonasera, lettori miei. Non portavo avanti questa saga da ormai un mese, ma oggi ne ho finalmente avuto il tempo. Perdonatemi l'attesa, ma i motivi non dipendevano da me. Ad ogni modo, non ho certo dimenticato Kaleia e la sua storia che ancora deve concludersi, e come avete visto, qui si sono concluse le festività di Notteterna. Da ora in poi, la vita per umani e creature magiche tornerà alla normalità, ma sarà davvero così? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, ma intanto grazie di tutto il vostro supporto, e a presto,


Emmastory :)


E a proposito di novità, perchè nel capitolo ce ne sono, di che animaletti parlava Lucy? Prego, lasciate che ve li mostri.


Arylu-mod



Pyrados



Slimius

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Capitolo 22
*** Lanterne di novità ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXII

Lanterne di novità

E così, dopo ben cinque giorni di festa, umani e creature magiche erano stati costretti a tornare alla loro quotidianità. La sera era scesa sul bosco, eravamo tornati a casa da poco, e sdraiata a letto, ancora non dormivo. Appena fuori dalla finestra, la selva riposava tranquilla, ma al contrario di lei, restavo sveglia. Tenevo gli occhi chiusi, ma per qualche arcana ragione, non riuscivo ad addormentarmi. Il silenzio era mio compagno, e respirando piano per non far rumore, attendevo di scivolare nel sonno. I minuti scorrevano lenti, e mi sembrava di essere sempre più vicina alla mia onirica meta, ma proprio allora, qualcosa, o meglio, qualcuno, mi distrasse. “Ancora pensieri, amore?” era Christopher, che ancora sveglio proprio come me, restava sdraiato al mio fianco per stringermi a sé e accarezzarmi lentamente la schiena e i capelli. “No, o almeno non brutti.” Risposi tranquillamente, con un sorriso stanco a incresparmi le labbra. “È un bene, sai? Dimmi, senti… senti ancora quelle voci?” replicò lui, alternando parole a carezze e coccolandomi teneramente. Scivolando nel silenzio, lo lasciai fare, e pur senza parlare, scossi la testa. “Non di recente, perché?” chiesi, confusa e stranita. Paziente, rimasi in attesa di una risposta che per mia sfortuna non arrivò mai, e nel buio della notte, notai qualcosa. La stagione estiva ci aveva già convinti a usare coperte più leggere, e faceva caldo, ma all’improvviso, le sue mani erano diventate fredde, ed era come restio a parlarmi. Preoccupata, alzai lo sguardo fino ad incontrare il suo, e nell’oscurità, i miei zaffiri si fusero ai suoi smeraldi. “Chris… chiamai, il suo nome un sussurro donato al vento. “Tesoro, non è niente, è solo che ricordo ancora cosa ti è successo. So che non è stato nulla di grave, che anche Aster era lì per aiutarti, ma ho avuto paura.” Questa la confessione che riempì il silenzio creatosi fra di noi, che ascoltai senza una parola e che inaspettatamente mi ferì il cuore e l’anima. Più ansiosa di prima, incontrai di nuovo i suoi occhi, e facendomi più vicina, cercai la sua mano sotto la coperta. “Christopher, custode mio, non devi averne. Mi alleni da tanto, e sei sempre con me, cosa potrebbe andare storto?” azzardai, abbozzando un sorriso e sperando di riuscire a calmarlo. Per mia sfortuna, fallii in quell’intento, e la sua risposta, secca e decisa come un tuono che squarcia il cielo, arrivo prima di quanto mi aspettassi.“È proprio questo il punto, Kaleia! Sei la mia fata, e dovrei proteggerti, ma adesso non ci riesco, e non so perché!” gridò, con la voce corrotta da un misto di rabbia e tensione. Silenziosa, mi avvicinai per abbracciarlo, ma con mia grande sorpresa, lui si ritrasse, e liberandosi dalle coperte, si sedette sul letto, prendendosi la testa fra le mani e restando lì fermo a respirare pesantemente, tutto mentre mille lacrime minacciavano di rovinargli lungo le guance. Provando istintivamente pena per lui, non esitai nell’avvicinarmi, e non appena lo fui abbastanza da sfiorarlo, lo abbracciai. Non era la prima volta che lo vedevo così triste, e anzi, dall’ultima non era passato poi così tanto tempo, ma nonostante tutto, ora sembrava diverso. Se la prima volta si era limitato a lamentarsi, ora era arrivato vicino a piangere, e ora, a pochi centimetri da me, tremava. “Chris, tesoro mio… ti prego, sta calmo, respira.” Implorai, sentendo a mia volta il bisogno di piangere. Lottando contro me stessa, tentai di controllarmi, ma le mie stesse emozioni mi tradirono. Lo amavo, lo amavo davvero, e vederlo in quel modo mi faceva piangere il cuore. Nel silenzio, lo abbracciai ancora, e in quel preciso istante, un lampo di genio mi illuminò la mente. Alzandomi in piedi, mi avvicinai a un cassetto, e aprendolo, ne estrassi le due bambole che ci eravamo regalati a vicenda. Infantili, certo, ma per noi piene di significato. Con mani tremanti, afferrai la mia, e solo istanti più tardi feci lo stesso con la sua. “Le vedi, Chris?” azzardai, l’ombra di un dolce sorriso di nuovo sul mio volto. Lento, il mio amato sì voltò verso di me, e con il respiro finalmente più regolare, annuì. “Sì, e ti ringrazio.” Rispose, con la voce bassa e ridotta a un sussurro. “Prego, mio custode.” Replicai appena, emulando il suo tono di voce e tornando al suo fianco sul letto. Così, mi sdraiai ancora, e chiudendo nuovamente gli occhi stanchi, Christopher ed io ci addormentammo insieme, abbracciati come gli innamorati che eravamo, e che ne ero sicura, saremmo sempre stati. Poco prima di abbandonarmi al sonno, strinsi la mia bambola. Cucita a mano, aveva sul viso di pezza un sorriso innocente e simile a quello di una bambina, per cui ogni emozione aveva un valore e un’importanza fondamentale. A pochi centimetri da lei, a letto come noi, c’era anche il folletto che avevo regalato a Christopher. La finta spada sembrava brillare sotto la luce della lampada sullo scrittoio unita a quella della luna, e lo stesso valeva per lo scudo, impreziosito da un intricato disegno che ricordava un quadrifoglio. Superstizione o meno, un simbolo di fortuna tanto per gli umani quanto per le fate, e di fronte al quale non dissi nulla, limitandomi a sorridere per un ultima volta prima di tracciarne il contorno con le dita. Movimenti piccoli e calcolati, che per qualche motivo mi conciliarono il sonno. Nuovamente tranquilla, riposai per le ore a venire, e sveglia nel cuore della notte per una strana e improvvisa sensazione di freddo sulla pelle, notai un particolare. La luce del mio ciondolo, e poco più in là, proprio in mezzo alle nostre coperte, le due bambole che sorridendo si tenevano per mano. Ad essere sincera, le credevo semplici giocattoli, ma a quanto sembrava, erano anche capaci di iniziare, anche se brevemente, una vita propria. Sorpresa, vidi il folletto farmi l’occhiolino, e attimi dopo, la pixie addormentarsi. Ero attonita. A quanto sembrava, la magia era davvero capace di qualunque cosa, perfino di infondere la vita, e seppur confusa, tornai a dormire dopo quella sorta di rassicurazione, imitando i peluche mentre stringevo il mio amato in un abbraccio, raggiungendolo nel sonno e lasciandomi cullare dal battito del suo cuore. Ci svegliammo entrambi soltanto la mattina dopo, e inaspettatamente piena di energie, fui la prima a svegliarmi. Felice, sfiorai il braccio di un ancora dormiente Christopher, e chiamando dolcemente il suo nome, attesi. “Tesoro? Sei sveglio?” indagai, ridacchiando divertita. Attorno a me solo il silenzio, e da parte sua, nessuna risposta. “Chris, avanti!” insistetti, fingendo rabbia realmente non provata. Ancora una volta, un silenzio di tomba, e con un ennesimo e genuino sorriso stampato in volto,  mi preparai a fare la mia mossa. Dai, perché mi stai…” provai a dire, sfiorando con le dita la parte del letto che solitamente occupava. Con mia grande sorpresa, non sentii nulla, e più confusa di prima, scostai la coperta. Fu quindi questione di un attimo, e davanti a me scoprii il vuoto. “Ignorando…” biascicai, tristissima. Scuotendo la testa, mi imposi di calmarmi, e alzandomi dal letto, osservai la mia immagine riflessa nello specchio. La camicia da notte spiegazzata dall’uso, i capelli leggermente fuori posto, e ultimi, ma non per importanza, i miei occhi. Azzurri e profondi come il mare, e in quel momento pieni di lacrime. Era bastato un attimo, e la mia gioia si era trasformata in tristezza. Strettamente connesso con le mie emozioni, il mio ciondolo smise di brillare, e privo di luce, divenne grigio e privo dei suoi poteri, e tenendolo delicatamente fra le dita, sospirai. Non sapevo cosa fosse successo, e se una parte di me, quella umana, voleva scoprirlo o almeno tentare di indagare, un’altra, quella magica, mi parlava sussurrandomi di restare dov’ero e attendere il suo ritorno. In quel momento, era come se la mia anima fosse divisa in due. Indecisa, mi sedetti sul letto, e ancora una volta, rividi la mia immagine. Ero triste, non avevo risposte, e preoccupata, non sapevo cosa fare. Tornando a letto, sperai che il riposo mi aiutasse a calmarmi, ma chiudendo gli occhi, non vidi che il suo viso, e proprio allora, decisi. Non avevo idea del perché Christopher si fosse allontanato, ma l’ozio non era mai stato nelle mie corde, specialmente in momenti di quel calibro. Nuovamente sicura di me stessa, mi rimisi in piedi, e uscendo dalla stanza, attraversai il corridoio. Sveglio come me, Red fu lì per salutarmi, e felice, mi piantò le zampe sul petto, rischiando di farmi cadere. Colta alla sprovvista, lottai per mantenere l’equilibrio, e inginocchiandomi, gli regalai qualche frettolosa carezza sulla testa. “Red, hai visto Chris? L’hai visto?” gli chiesi, la preoccupazione nella voce mascherata da finta gioia di vederlo. Per tutta risposta, l’animale guardò prima la porta di casa, poi me, e agitato, ruppe il silenzio con un debole uggiolio. Fermandomi a guardarlo, strinsi i pugni arrivando quasi a conficcarmi le unghie nei palmi delle mani, e in quell’istante, il suono che tanto aspettavo di sentire. La porta di casa si aprì con uno scatto, e solo allora, il mio amato protettore fece il suo ingresso sulla scena. “Christopher! Amore, ero così preoccupata! Dov’eri?” non potei evitare di chiedere, con mille dubbi per la testa e il cuore che batteva come impazzito. “Calma, calma, via! Ero fuori per una passeggiata, sai che mi aiutano a distendere i nervi.” Replicò lui, tranquillo come mai ricordavo di averlo visto e con le labbra stirate in un dolcissimo sorriso. “Hai ragione, scusa, ma non potevi avvertirmi?” risposi di rimando, la rabbia nuovamente raffreddata dalla preoccupazione. “Kia, per favore, dormivi come un angelo, non potevo disturbarti in un giorno così speciale.” Continuò Christopher, serio e romantico al tempo stesso mentre mi si avvicinava, pronto a stringermi fra le sue braccia e sperare nel mio perdono. Dando retta al mio cuore, gli concessi quella sorta di fuga, e lasciandomi abbracciare, sentii i nostri cuori battere all’unisono, insieme, come se fossero stati creati per trovare un ritmo tutto loro. Ad occhi chiusi, mi crogiolai nel suo calore, e approfittando di una mia distrazione, mi sfiorò il viso in una carezza, poi ci baciammo. Un altro tenero contatto orale al quale non mi sottrassi, e che firmai partecipando assieme a lui alla danza più vecchia del mondo. Osando di più, chiesi con la lingua l’accesso alla sua bocca, felice di non vedermelo negato, e sospirando nel sentire la sua che giocava con la mia. “Sei misterioso, mio caro custode, che ti succede?” chiesi scherzando non appena ci staccammo, troppo felice per riuscire a restare seria. “Niente, mia cara fata naturale, niente. Ho solo ricordato una cosa, nient’altro.” Rispose lui in un sussurro innamorato, approfittando del momento per continuare ad amarmi e mordermi le labbra per gioco. Sorpresa da quel leggero dolore, per poco non gemetti, e sorridendo forse per l’ennesima volta dall’inizio di quella giornata, trovai pace nei suoi occhi chiari, e facendomi sempre più intraprendente, osai ancora, sfiorandogli a poco a poco il petto con le dita. “Che cosa, amor mio? Hai parlato di un giorno speciale, riguarda per caso me?” azzardai, fintamente ingenua mentre giocavo con la stoffa leggera della sua camicia. Divertito, lui si limitò a guardarmi, e con il cuore che già traboccava d’amore per lui, sentivo di minuto in minuto una giusta impazienza crescermi dentro. I dubbi di poco prima erano ormai spariti, e ora che lui era tornato ed eravamo insieme non m’importava di nient’altro. “Indovinato, signorina. Anche se non posso dirti altro, per ora.” Rivelò in quel momento, perfino più enigmatico di prima. “Sul serio? Neanche un piccolo indizio?” pregai, sinceramente curiosa e interessata. Seppur bloccata a letto dalla tristezza, avevo comunque dato un’occhiata al calendario, e avevo già capito di cosa stesse parlando, ma saperlo mi rendeva perfino più curiosa, e pur provando a contenermi, fallivo. In altri termini non stavo più nella pelle, e fremevo dalla voglia di scoprire cosa nascondesse. “Cosa? Certo che no, piccola mia. Che sorpresa sarebbe altrimenti?” mi fece notare, sempre serio e sicuro di sé, attorno a lui quella solita aura di mistero capace di stregarmi, forse perfino più potente del dolce sapore dei suoi baci. Annuendo, decisi di provare a calmarmi, ed ergendomi sulle punte per un altro bacio, gli diedi tregua. Non volevo aspettare, ed era vero, ma aveva ragione, e qualunque cosa stesse preparando, era per me, e a quanto sembrava, ne valeva davvero la pena. Quel secondo bacio non durò molto, qualche secondo e nulla più, ma molto più tranquilla, l’accettai di buon grado, e ormai pronta a dare inizio alla mia giornata, raggiunsi la cucina per prepararmi un caffè. Bastarono pochi minuti, e non appena la caffettiera fu calda e pronta, riempii una sola tazza. Ne avrei preparate due, ma a Christopher non piaceva, e a quel solo pensiero, ridacchiai da sola. Fra di noi non c’era che amore puro e vero, ma la sola consapevolezza di non averlo mai visto gustare questa scura bevanda aveva per me del comico. Io stessa l’avevo provato per la prima volta ad appena diciott’anni, poco prima che ci conoscessimo e che le nostre vite si legassero indissolubilmente, e mi ero subito innamorata di quel sapore, secondo per me solo a quello delle sue labbra. Fra un sorso e l’altro, fantasticai sulla sua potenziale sorpresa, e lasciando la tazza sporca nel lavandino per occuparmene più tardi, tornai in salotto. “Buone nuove, mio custode?” sussurrai con dolcezza, tentando di convincerlo a tradirsi e parlare. “Sì, tesoro. Apri la porta, vuoi?” rispose subito lui, sollevando appena una mano per accarezzarmi il viso, il suo tocco vellutato capace di irretirmi e provocarmi ogni volta una miriade di brividi. Obbedendo a quella sorta di ordine, mi avvicinai alla porta fino ad afferrarne la maniglia, abbassandola e rivelando di attimo in attimo il panorama a noi dinanzi. A lavoro finito, mi scostai per fargli spazio e scoprire finalmente cosa nascondeva, e camminando lentamente, mi fu subito accanto. Mantenendo il silenzio, mi regalò un’altra carezza, e prendendo un ampio respiro, ruppe il silenzio con un fischio ben modulato. Ormai abituata a sentirlo, mi preparai all’arrivo di Ranger, ma al suo posto comparve Bucky. Accompagnato dalla sua amata Darlene, teneva fra le zampe una rosa rossa, e come lui, anche la sua compagna. Non contento, Christopher schioccò le dita, e uno ad uno, i loro sei cuccioli scesero da uno dei tanti alberi del bosco, portando ognuno un fiore fra le zampe. Tutti uguali, tutte rose, che solo allora capii far parte di un mazzo diviso in parti uguali. Soltanto otto, meno di quante se ne vedessero in genere in un bouquet tradizionale, ma non m’importava. Con le lacrime agli occhi, chiamai a me i miei piccoli amici, e prendendo ognuna di quelle rose fra le dita, ne inspirai il loro profumo, e facendo attenzione alle spine, me le strinsi al petto. “Chris, sono… sono meravigliose, grazie.” Biascicai, felicissima. “Lieta che ti piacciano, amore mio.” Rispose semplicemente lui, stringendomi a sé in un delicato abbraccio e donandomi l’ennesimo, dolce e caldo bacio di quella giornata. “Non è finita, sai?” mi disse poi, stuzzicando ancora una volta la mia curiosità. “Davvero? Dici davvero?” chiesi, stregata dalle sue parole. “Dico davvero, tesoro. Adesso vieni, un altro regalo ti aspetta.” Rispose lui, sciogliendo lentamente quell’abbraccio e offrendomi la mano. Annuendo, l’accettai senza proteste, e camminando al suo fianco, contai mentalmente i passi che mi separavano dalla seconda delle mie sorprese. Prima che potessi accorgermene, giungemmo alla comunità umana di Eltaria, e proprio lì ad aspettarmi, trovai Lucy, Lune e la loro famiglia. Felici di vedermi, le bambine mi corsero incontro, e fra le due, Lune fu la prima ad abbracciarmi. “Tanti auguri, Kia.” Disse, scivolando nel silenzio mentre si stringeva a me. Lasciandola fare, quasi piansi, e poco dopo, anche Lucy si unì a noi. “Queste sono per te. Come la prima volta, ti ricordi? Viole in amicizia.” Spiegò, consegnandomi solo allora un nuovo e piccolo mazzo di viole dai petali sgargianti. Emozionata, non seppi cosa dire, e voltandomi a guardare Christopher, mimai con la bocca una sola frase. “Come hai fatto?” indagai, fuori di me dalla gioia. “Magia, tesoro, magia.” Rispose, sussurrando cautamente ogni parola. Seppur con il sorriso sulle labbra, finii per piangere, e voltandomi, sentii la bambina tirare lievemente la manica della mia veste. “Questa invece è da parte di tua mamma Eliza, aprila quando sarai a casa, va bene?” mi disse, consegnandomi una bianca busta da lettera. “Lucy, piccola, sei così dolce! Grazie! Lo farò, stanne certa.” Risposi, con la voce rotta dall’emozione e gli occhi già velati dalle lacrime. “Buon compleanno, Kaleia.” Disse allora sua madre Isla, sorprendendomi come e forse più delle figlie. Ringraziandola, strinsi anche lei in un abbraccio, e poco prima di tornare a casa con Christopher, sentii un debole latrato. Incuriosita, mi voltai, e solo allora vidi Rover, il cucciolo di Lucy, avvicinarsi abbaiando. Inginocchiandomi, lo accarezzai ringraziando di cuore anche lui, e salutando ognuno dei miei amici, tornai a casa assieme al mio amato. Per nostra fortuna, il viaggio non fu lungo, ma fra un passo e l’altro, un dubbio mi si affacciò nella mente. Potevo davvero nascondere quel segreto ancora a lungo? No, no di certo. Ormai decisa, attesi di rientrare in casa, e con l’arrivo della notte, poco prima di andare a dormire, lessi seduta in poltrona la lettera di mia madre. “Cara Kaleia, sono sempre io, la tua mamma. Sky è stata la prima a ricordarsi di oggi, sai? Ci spiace davvero non essere lì con te in un giorno così speciale, ma sappi che ti vogliamo bene, e che con l’aiuto della tua cara amica ninfa, torneremo appena possibile. Nell’attesa, ricorda le mie parole, e abbi fiducia in Christopher. Ti ama e ti amerà per sempre, stanne certa. Siete insieme per più di una ragione, lo sapete, perciò amatevi l’un l’altra, coltivate questo sentimento, e soprattutto, sostenetevi a vicenda. La tua famiglia crede in te, e il vostro amore resterà tale solo se crederete in voi stessi. Buon compleanno, mia dolce e piccola pixie.” Parole che lessi in silenzio, nella quiete di un salotto illuminato da una fioca luce, e a fatica a causa delle lacrime che sgorgavano copiose dai miei occhi, e alle quali la mia mente e il mio cuore reagirono alla stessa maniera. Fu allora che capii che era davvero arrivato il momento, che nascondere la realtà non aveva più senso, e che se solo ci avessi provato, presto avrei fallito. Decisa, raggiunsi in fretta la camera da letto, e guidata unicamente dai sentimenti, sorpresi Christopher con un abbraccio. Colto alla sprovvista, ebbe appena il tempo di reagire, e zittendolo con un bacio, non gli diedi modo di parlare. Ancora una volta, condussi quella romantica danza, e in un attimo, mi fu accanto. Ci ritrovammo così sdraiati l’uno accanto all’altra, stretti in un abbraccio preludio di altre mille effusioni. Fra un attimo e l’altro, queste si intensificarono, e non resistendo alla tentazione, chiusi gli occhi, dando mutamente carta bianca al mio amato marito. Solo pochi istanti più tardi, mi sfiorò la pelle con mille baci, e completamente in suo potere, sussultai. Il nostro amore ardeva ancora, la lettera di mia madre diceva il vero, ma per quanto il desiderio di appartenergli fosse intenso e irrefrenabile, dovetti resistere. Irrigidendomi, deglutii sonoramente, e drizzandomi a sedere proprio davanti a lui, mi preparai a dar voce a una verità troppo a lungo taciuta. Lenta, mi assicurai che lo specchio alle nostre spalle mostrasse la mia intera figura, e in silenzio, mi sfiorai il ventre non ancora pronunciato. “Kaleia, ma cosa…” balbettò lui, confuso da quell’improvviso cambio di marcia da parte mia. “Chris, tesoro, devo… devo dirti una cosa. È troppo importante, non posso più aspettare.” Dissi appena, faticando ad esprimermi e a respirare correttamente. Ci stavamo amando, adoravo i suoi baci e non avrei voluto che smettesse, ma avevo già atteso fin troppo, ed era ormai ora di dar voce a quanto covavo nel cuore da tempo. Spaventata, non trovai il coraggio, e improvvisamente, la sua reazione mi colse di sorpresa. Abbassando lo sguardo, mi imitò nell’accarezzarmi l’addome ancora piatto, e in quel momento, una sola frase abbandonò le sue labbra. “Kia, amore, non sarai…” provò a chiedermi, non avendo cuore di andare avanti e sentendo quella frase morirgli in gola. “Sì, Chris, sono incinta.” Replicai, con la voce spezzata e mille nuove lacrime agli occhi. “Aspetta, cosa?” chiese allora lui fissandomi, incredulo. “Incinta. Saremo genitori, riesci a crederci?” ripetei, completando quella frase con quella semplice domanda. Ad occhi sgranati per la sorpresa, Christopher non riuscì a parlare, ma in compenso ebbe tempo e voglia di baciarmi, rubandomi il respiro. Lasciandolo fare, abbandonai le mani nelle sue, e ben presto, resistergli fu inutile. Quella notte, il nostro fu un reciproco dono d’amore, e dopo quella rivelazione che fu per lui una scoperta e l’emozione vissuta al suo fianco, mi addormentai serenamente, ma non prima di sentirlo augurarmi un buon compleanno, che ero sicura di non dimenticare in quanto migliore della mia vita, e rivolgendo una preghiera al cielo notturno non appena scoprii che la comunità magica avrebbe presto reagito alla notizia, liberando in cielo bianche lanterne di novità.

 

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Capitolo 23
*** Speranze in un candido tomo ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXIII

Speranze in un candido tomo

Passavano i giorni, e con l’andare di ognuno, osservavo la mia vita scorrere lenta, scivolandomi dalle dita. Ormai era arrivata l’estate, e liberi dal consueto appuntamento con la scuola e con i loro studi di magia, i piccoli futuri maghi della Penderghast si godevano l’inizio delle loro vacanze, e concentrata sul panorama visibile appena fuori dalla mia finestra, sorridevo. Non dicevo nulla, ma sorridevo. In casa regnava il silenzio, e gli unici rumori erano quelli del mio calmo respiro e delle occasionali fusa di Willow, addormentata al centro del mio letto ma stranamente ancora capace di produrre quella sinfonia che sembrava aver composto con le sue stesse zampe. Ancora addormentato, Christopher aveva sul volto lo stesso sorriso di sempre, placido e tranquillo come quello di un bambino. Voltandomi a guardarlo, non osai disturbare, e posando una mano sul vetro della finestra chiusa, attesi. Non sapevo di preciso cosa, forse un segno, un raggio di sole o una manifestazione dell’alba davanti ai miei occhi, ma comunque qualcosa che mi convincesse a essere felice, come una sorta di auspicio di buona fortuna. Distratta da uno scintillio alle mie spalle, mi voltai ancora, sorridendo nel notare che le due bamboline, ancora sul mio letto e vicine ai nostri cuscini sembravano aver in qualche modo udito il mio desiderio, spargendo gocce d’argento fra le lenzuola. Poco dopo, animandosi ancora, improvvisarono un balletto al solo scopo di farmi ridere, e forse impedito dall’armatura, forse dalla coperta o dalla presenza di Willow, il piccolo folletto di pezza finì per cadere, e in un goffo tentativo di rialzarsi, strizzarmi l’occhio. Imitando il suo minuscolo cavaliere, la pixie sorrise a sua volta, e sedendosi sul bordo di quel candido giaciglio, decise di aver completato quella sorta di missione, sdraiarsi ad occhi chiusi, per poi smettere di muoversi e lasciare che la magia defluisse dal suo corpo. Ad essere sincera, non avevo idea di come ci riuscissero, ed era probabile che attingessero a quella che senza volerlo spandevo nell’aria e nella casa intera, ma scuotendo la testa, decisi di non badarci. Quel  buffo diversivo mi riportò alla mente un ricordo di Bucky, che in un freddo giorno d’inverno, vedendomi con il viso schiacciato sul cuscino e come riversa in una pozza delle mie stesse lacrime, aveva avuto un’idea simile alla loro. Facile eppure difficile, semplice eppure importante, ovvero far tornare un sorriso sul mio volto. Ormai da qualche giorno avevo preso una decisione, ed era stata proprio questa a spingermi a spostare il calendario dal muro della cucina a quello della mia stanza, così da poter controllare giorno per giorno la crescita del miracolo che ancora viveva e sopravviveva dentro di me. Al sicuro nel mio corpo, proprio sotto il mio cuore, e in altre parole, la sua prima vera culla. Tranquilla, posai la mano sul mio ventre non ancora pronunciato, e proprio allora, il mio ciondolo, ben nascosto sotto la camicia da notte leggera, parve acquisire vita propria, e pulsando a reagire a quella minima mossa. Veloce ma controllata, la piccola scarica elettrica al suo interno si agitò leggermente, e in risposta, minuscole scintille del colore del mio elemento mi sfuggirono dalle mani. Sorpresa, non riuscii a fermarle, ma orgogliosa di me stessa e del traguardo che presto avrei raggiunto, chiusi gli occhi. Fu quindi questione di attimi, e il nero mi avvolse. Calma, non vidi più nulla, eccezione fatta per una fusione di rosso e verde che non riuscii a spiegarmi. Confusa, riaprii subito gli occhi, e frastornata da quella sorta di visione, mi presi la testa fra le mani. In quel momento, un leggero dolore mi colse di sorpresa, e non riuscendo a sopportarlo, ruppi il silenzio con un debole lamento. Drizzando le orecchie, Willow fu la prima a svegliarsi, e guardandomi con i suoi occhi sinceri e profondi, uno azzurro, l’altro marrone, miagolò appena, preoccupata per me. “Va tutto bene? Stai bene?” sembrava chiedere, con lo sguardo fisso su di me e il corpo scosso da tremiti lievi ma evidenti. “Tranquilla, micia, non è niente.” Dissi, sperando che le mie parole riuscissero a confortarla. Scivolando nel silenzio, mossi qualche passo verso di lei per accarezzarla, ma più veloce di me, lei si preparò a raggiungermi. Saltando giù dal letto, incontro il pavimento con un tonfo e un miagolio sordi, poi si strusciò contro le mie gambe, reclamando come al solito un misto di cibo e attenzioni. “Accarezzami, dai, andrà tutto bene.” Parve voler dire, con un sorriso sul muso color della notte e uno strano ritmo nei propri passi, cadenzati e lievi come quelli di una ballerina. “Micia, ho detto che non è niente. Ti coccolerò più tardi, ora va via.” Insistetti, irritata dalla sua continua ricerca d’attenzione. Silenziosa come un gufo o uno dei tanti topi che cacciava, finalmente la gatta obbedì, e fissando lo sguardo sulla porta, pregò mutamente che venisse aperta. Un altro lieve miagolio disturbò la quiete, e aspettando che si scostasse, realizzai il suo desiderio. “Ecco, vai, va ad aspettarmi in cucina.” Continuai, la voce bassa per non essere udita che da lei. Obbedendo a quella sorta di ordine, Willow sparì nel corridoio, e in quel momento, un altro suono attirò la mia attenzione. Sbadigliando, Christopher si preparava ad alzarsi, e stiracchiandosi pigramente, si rigirò fra le coperte. Una sola mossa gli permise di incontrare il mio sguardo, e con il cuore già in tumulto, mi avvicinai lentamente. “Buongiorno, amore mio.” Gli dissi dolcemente, la mano che intanto andava alla ricerca della sua in quel groviglio di morbida stoffa. “Buongiorno, fatina. Cosa fai, giochi con le bambole e parli con i gatti?” rispose lui di rimando, ricambiando quel dolce saluto e azzardando quella domanda. Ridacchiando, sfiorai la coperta con le dita, e giocando, anche la stoffa del suo pigiama. “Tesoro, è tipico di noi naturali, non ricordi? Siamo innamorati, dovresti saperlo.” Gli feci notare, divertendomi con le parole e godendo di quell’attimo di quiete fra di noi, sentendo il cuore battere forte nel petto e la mente seguirlo solo istanti più tardi, quando, non riuscendo a trattenermi, mi sporsi per baciarlo. Sorpreso, Christopher rimase immobile, salvo poi ricredersi e prendere parte a quel contatto. Semplice e veloce, ma in qualche modo diverso da tutti gli altri che ci eravamo scambiati. Dettato in quel momento dall’istinto, dai sentimenti che provavo e dalla voglia che avevo di stare con lui. Mai doma, la mia magia prese il sopravvento, e viaggiando per la stanza, fece tremare prima il vetro della finestra, poi il vaso in cui da poco avevo deciso di tenere le viole ricevute da Lucy per il compleanno. Investiti da quella polvere color argento, i fiori parvero brillare di luce propria, e ognuno dei petali moltiplicarsi, come in una strana, e divertente, non potevo negarlo, infiorescenza. Colpito, Christopher rise e sorrise nel bacio, e costretta a staccarmi da lui, mossi una mano per mettere fine all’incantesimo. “Non so cosa sia appena successo.” Confessai, provando leggera vergogna nell’ammettere quella piccola colpa. Divertito, Christopher si lasciò sfuggire l’ennesima risata, per poi tacere e scompigliarmi amorevolmente i capelli. “No, non preoccuparti. Succede quando ti lasci prendere dalle emozioni, l’hai dimenticato?” replicò lui, fissandomi con sguardo paterno e perdonandomi quell’innocente marachella. Istanti dopo, il silenzio cadde ancora nella stanza, e rimettendomi in piedi, sperai che si alzasse. Quasi leggendomi nel pensiero, Christopher si liberò delle coperte, e raggiungendomi con appena qualche passo, mi strinse a sé. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e innamorata come sempre, mi sentii al sicuro fra le sue braccia, sentendo e vedendo la vita scorrermi attimo per attimo davanti agli occhi chiusi. Il nostro primo incontro, il nostro primo bacio, i miei allenamenti, il giorno del mio matrimonio e adesso questo. Avevo ventidue anni, ero sposata con l’uomo dei miei sogni e della mia vita, ed ero incinta del suo bambino. Essendo quello che vivevo appena il primo mese di gravidanza, non avevamo idea di cosa fosse, se un maschio o una femmina, ma almeno per il momento, Christopher ed io non volevamo pensarci. Entrambi credenti, reputavamo la creatura ancora nascosta sotto il mio cuore il dono di qualcuno più in alto di noi, e a quanto sembrava, ora quello stesso qualcuno stava ascoltando le mie preghiere. Ricordavo ancora di essermi addormentata a mani giunte dopo la mia prima notte d’amore, e anche qualche tempo prima d’allora, quando il desiderio di una famiglia restava celato dentro di me e invisibile agli occhi di tutti. Premuroso, Christopher mi sfiorò il ventre ancora piatto, e riprendendo la parola, finì per stupirmi. “Ricordi ancora cosa dice il libro?” mi chiese, con l’amore negli occhi e l’ombra di un dolce sorriso ferma sul volto. “Un protettore è sempre tenuto ad assicurarsi del benessere della fata che ha a cuore.” Una risposta che diedi quasi senza pensare, con la voce bassa e ogni grammo della mia fiducia riposta nelle mani di colui che amavo. Ascoltandomi parlare, Christopher mi posò le labbra sulla guancia, e approfittando di quel momento, non tardai nel voltare il viso per prendere il controllo di quel bacio e approfondirlo. Lasciandomi fare, lui non osò sottrarsi a me, e in silenzio, mi rifugiai ancora fra le sue braccia. Quel tenero momento ci tenne uniti per un tempo indefinibile, e quando ci staccammo, ormai privi d’aria e fiato, ci ritrovammo per l’ennesima volta ad ammirarci l’un l’altra, come vittime di chissà quale potentissimo sortilegio. Distratto, lui prese a giocare con i miei capelli, e divertita, arrossii in volto. Notandomi, Christopher non mi diede tregua, e scherzando, azzardò un’altra domanda. “E poi cosa succede, piccola?” tentò, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. Confusa, non seppi cosa dire, e guardando il mio amato negli occhi, sperai nel suo aiuto. “Avanti, lo sai! È come se…” iniziò, sicuro che riuscissi a completare quella frase. “Come se i loro cuori si unissero per sempre.” Finii per lui, guardandolo ancora una volta con gli occhi di chi ama. Dolci, sinceri e pieni di luce, com’erano sempre stati sin dall’inizio del nostro rapporto sbocciato in amore. “Esatto, fatina mia.” Replicò a quel punto Christopher, sorprendendomi con l’ennesimo bacio che non mi trattenni dal ricambiare. Sempre a occhi chiusi, respirai a fondo per godermelo al meglio, e attimi più tardi mi sentii leggera, libera e soprattutto amata e al sicuro, come intrappolata in una bolla di sapone. Spesso imbarazzata, finivo per tacere, e quando non lo facevo, il mio cuore non voleva saperne di smettere di battere, anche ora che quasi non parlavo, godendomi la dolcezza a cui mio marito mi aveva abituata. Era bello stare con lui, avere dei momenti di quiete e intimità quando i problemi della nostra vita non tornavano a tormentarci. Grazie al cielo, ora succedeva molto di rado, e nonostante lo scorrere del tempo, a volte non riuscivo a smettere di pensarci. Silenziosa, scossi la testa per liberarmi da quei pensieri, e finalmente più tranquilla, mi voltai, catturata subito dal paesaggio visibile appena fuori dalla finestra. Il caldo sole estivo dava nuova vita a erba e fiori, e le timide gocce di rugiada mattutina brillavano sotto i suoi raggi, invitando chiunque a fermarsi e ammirare lo spettacolo della natura viva e salva dalla rovina del cattivo tempo. Felice, strinsi la mano al mio amato, e limitandosi a sorridermi un’ultima volta, Christopher si chinò a baciarmi l’addome ancora poco pronunciato e senza visibili tracce di ciò che avremmo mostrato con orgoglio soltanto in un futuro non troppo lontano. Quella mattina, sostituii il mio solito caffè con una tazza di latte e miele, e persa in un viaggio a metà fra ricordi e aspirazioni, trovai conforto nella sua presenza e speranze fra le pagine di un bianco e candido tomo.

 

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Capitolo 24
*** I muti lamenti dell'aria ***


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Capitolo XXIV

I muti lamenti dell’aria

Sono ancora seduta in cucina, la tazza di ceramica ancora fra le mie mani. Il latte caldo misto al dolce miele ha un profumo caratteristico e invitante, e inspirando a fondo, lo sento invadermi le narici. Lentamente, bevo gustandone il sapore, e mentre questo mi scivola giù per la gola, mi sento bene. Non ansiosa, non stressata, semplicemente bene. Fra poco sarà ora di colazione, e se sia Red che Willow si svegliano dal loro sonno, aprendo appena gli occhi e avvicinandosi, già pronti a mendicare, io non ho fame. Ora come ora, la loro compagnia mi fa sorridere, e improvvisamente, un leggero dolore mi distrae. Spaventata, penso subito mio bimbo ancora non nato, al fatto che forse sin da ora ci sia qualche problema, ma abbassando lo sguardo, tiro un sospiro di sollievo. È Willow, che imitando Red, ha imparato anche lei a piantarmi le zampe sulle gambe ogni volta che ha fame o cerca attenzioni. Forse triste, forse solo annoiata, miagola e mi guarda, e pregandola di scostarsi con un cenno della mano, mi chino ad aprire un’anta sotto il lavello, unico posto dove teniamo i suoi croccantini. Seppur selvaggio, anche Red non li disdegna, anche se preferisce uscire e andare a caccia da sola, così da affinare le sue innate abilità venatorie senza perderle. So che è una volpe, so che è nella sua natura, in quella della compagna e in quella dei suoi cuccioli, ma nonostante tutto, la consapevolezza che un animale dovesse forzatamente ucciderne un altro per mangiare, evitando così di spezzare un’invisibile catena mi intristiva non poco. Per fortuna non arrivavo alle lacrime, ma solo perché sapevo che in un modo o nell’altro, la natura avrebbe trovato un proprio equilibrio. Tante erano state le notti in cui, in questo bosco e in quello di Primedia, avevo sentito cuccioli piangere e adulti lottare, a volte per fame, a volte per vivere, e ogni volta, chiudendo gli occhi, respiravo a fondo, abbracciando per qualche attimo il cuscino al solo scopo di calmarmi. Un’abitudine che avevo preso da bambina, e che lontano da occhi indiscreti, mantenevo anche in età adulta. Ovvio era che spesso mi addormentassi fra le braccia di Christopher o al suo fianco, ma quando preferivo la freschezza e la morbidezza del mio cuscino, lui non osava lamentarsi, e anzi, mi incoraggiava. Era infantile, e lo sapevo, ma sapevo anche che abitudini come quella erano dure a morire, e ogni sera, prima di sdraiarmi e scivolare nel sonno, contavo le stelle e i loro piccoli miracoli, uno dei quali doveva essere proprio l’inizio della mia relazione con lui. Non sapevo se una cosa del genere fosse accaduta ad altre fate prima di me, non avevo idea di cosa loro provassero per i propri, se sincera ammirazione, riconoscenza, o amore come nel mio caso, ma a volte, fermandomi a pensare, concludevo che qualunque cosa fosse, doveva essere bellissima. Chiusa nel silenzio, mi ritrovavo a riflettere su quesiti del genere, stupendomi ogni volta delle risposte che trovavo. Sempre confermate dai fatti, e finora mai dalle parole, notavo sostanziali differenze anche solo guardando mia sorella e osservando il suo comportamento. Era successo tutto durante l’ultima sera di Notteterna. Christopher ed io eravamo insieme, decisi a goderci ogni momento di quella festa ormai vicina a concludersi, e tutti i nostri amici erano con noi. Fra i tanti, spiccavano Sky e Major, riunitisi grazie a una pura casualità. Silenziosa, evitavo di dirlo ad alta voce, specialmente ora che erano tornati l’uno nella vita dell’altra da così poco, ma ancora una volta, due parti di me confliggono. Quella razionale, sicura che il legame fra fata e protettore non si spezzi né logori mai, e che vicini o lontani, questi si ritroveranno sempre, e quella emotiva e romantica, convinta invece che i due non si sarebbero mai rivisti se non fosse stato per Bandit. Tanto goloso quanto veloce, aveva corso in lungo e in largo per la piazza alla ricerca di cibo, per poi raggiungere la bancarella di Roderick e rubare alcuni cioccolatini. Certa del suo animo dolce e gentile, non credetti ai miei occhi quando lo vidi trasportare con sé la sua refurtiva, ma tutt’altro che arrabbiata, risi nel guardarlo, divertita dalla maschera nera che aveva sugli occhi, e che a dirla tutta, gli conferiva davvero l’aspetto di un ladro che si muoveva furtivo nella notte, e che scelta la vittima, colpiva, fuggendo prima di essere scoperto. “Bel lavoro, Bandit.” Avevo pensato, parlato con me stessa e lottando contro le lacrime che minacciavano di scendermi dagli occhi. Per poco non mi ero commossa, avevo quasi pianto, e poi, fra le mille luci delle lanterne accese tutte intorno a noi, l’avevo visto. L’abbraccio che li aveva uniti. Forte e sincero come la promessa di un amico fidato, e che quella sera, portava con sé una promessa. “Non sarai più sola, Sky, lo giuro.” Le aveva detto, facendola piangere come una bambina e stringendola a sé, rinnovando con quel gesto la reciproca fiducia che esisteva fra loro. Felice per lei, l’avevo lasciata a quel momento senza interferire, e nonostante sapessi che era tornata a casa con nostra proprio alla fine della festa, oggi non sentivo nulla di suo, né qui né altrove. Confusa, continuavo a provare, stringendo prima gli occhi e poi il mio ciondolo per concentrarmi, ma nulla. Nessun indizio, nessuna stilla del suo potere, nemmeno la minima traccia di polvere magica. Intristita da quel pensiero, posai la tazza e l’esiguo resto del suo contenuto sul tavolo, e raggiunto il salotto, posai una mano sul vetro della finestra. Freddo, il contatto con quella superficie risvegliò in me sensazioni spiacevoli, e abbandonando i miei sentimenti alla cupezza di un sospiro, desistetti. Sola, mi sedetti sul divano con lo sguardo basso e la testa fra le mani, e preoccupato, Red si avvicinò per consolarmi. Un suo debole uggiolio ruppe il silenzio, e battendomi una gamba, lo invitai a farmi le feste. Un gesto che in genere compiva anche da solo, ma che ora gli avevo espressamente chiesto per avere un pò di compagnia. Decisa, provai ancora, ma per mia sfortuna, niente. Stremata, mi sedetti più comodamente sul divano, e per poco Red non vide quel movimento come un invito a imitarmi. “No, sta fermo.” Gli dissi, sollevando una mano e associandola a quel comando. Drizzando le orecchie Red si sedette, e solo pochi istanti più tardi, un suono fin troppo conosciuto mi costrinse a voltarmi. Passi. Quelli che sentivo erano passi. Leggeri e quasi inudibili, nascosti alla mia vista dal buio del corridoio, e appartenenti ad un’unica persona. Christopher. Non volendo farlo preoccupare, mi sforzai di apparire calma, ma come mi aspettavo, non ci riuscii, e ben presto, quella farsa smise di reggere. “Kia, amore! Che c’è, il piccolino già ti stressa?” chiese, ridacchiando divertito e sedendosi accanto a me sul divano, ignaro dei miei pensieri e di ciò che mi accadeva intorno. Stavamo insieme da ben tre anni, lo conoscevo e lo amavo, e sapere che già si preoccupavo del nostro futuro bambino mi rendeva felice, ma seccata, mi voltai a guardarlo, rilasciando poi un ennesimo sospiro. “Chris, no. Non si tratta di questo, e poi come sai che è un maschio? Sono incinta di poche settimane, soltanto un mese, per l’amor del cielo!” sbottai, già esasperata. Colto alla sprovvista, lui non seppe come reagire, e alzando le mani in segno di resa, si alzò, e lentamente, si allontanò di qualche passo. A quella vista, scossi la testa, e incredula, protesi una mano in avanti. “No, aspetta.” Pregai, sperando nel suo perdono. Avevo sbagliato e lo sapevo, e come sempre, con un’insicurezza pari a quella di una bambina, ora attendevo di vedere come la situazione si sarebbe evoluta, pregando che ogni cosa seguisse il mio volere. Più cupo di prima, il silenzio tornò a riempire la stanza, e con uno sforzo che mi parve immane, mi alzai a mia volta. “Aspetta.” Ripetei, con la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito. “Non volevo.” Confessai, abbassando lo sguardo e annegando in un mare di vergogna. “Non volevo, è che…” balbettai poco dopo, penosa. “Cosa, Kaleia? A me puoi dirlo. Sono o non sono il tuo…” provò a rispondere lui, sentendo quella frasi morirgli in gola a causa mia. Certa di ciò che stesse per dire, sollevai una mano per fermarlo, e fatti pochi passi, gli fui accanto. “Protettore, esatto. E forse puoi aiutarmi.” Risposi, trovando finalmente il coraggio di spiegare le mie ragioni e calmarmi. “Certamente. Siediti e raccontami tutto.” Replicò lui, con il sorriso di cui mi ero innamorata sempre presente sul volto. Annuendo, non mi feci attendere, e prendendo nuovamente posto accanto a lui sul divano di casa, mi avvicinai per stringerlo e tenergli la mano, sicura che almeno allora sarei riuscita a liberarmi del peso che all’improvviso sentivo sul cuore. Uno stratagemma che credevo di veder funzionare, ma che contro ogni previsione, fallì come a volte succede con il più puro degli intenti. “Si tratta di Sky. Non la trovo, non la vedo e non la sento. So che è tornata a casa, ma il mio incantesimo non funziona! Di solito riesco a capire dove sia, maledizione!” piagnucolai, affranta e delusa dal mancato controllo che ora avevo sui miei poteri. Non riuscivo a capire. Ciò che dicevo era vero, e solitamente mi orientavo o trovavo e scoprivo ciò che mi serviva proprio tramite la localizzazione, e lo stesso incantesimo poteva essere usato per seguire scie e tracce magiche appartenute ad altri esseri a me simili, ma stranamente, non ora. Confusa e frustrata, mi morsi un labbro, e a pugni chiusi, rischiai di ferirmi conficcandomi le unghie nel palmo della mano. Da quel momento in poi, mi sentii persa. Persa in un mondo mio e lontano da quello reale, ma non per questo piacevole da abitare. Senza volerlo, mi ero allontanata e staccata dalla realtà, tanto che ora la voce del mio amato, sempre sorridente e sempre lì per aiutarmi, si era ridotta a un’eco distante e lontana. Sorpresa, trasalii, e scuotendo la testa, tornai subito indietro. Fu quindi questione di un attimo, e la mia vista si annebbiò poco prima di tornare quella che era, chiara e limpida. Di nuovo me stessa, mi rimisi in ascolto, e dopo un tempo che non riuscii a definire, scandito da innumerevoli carezze e un abbraccio che quasi non volli sciogliere, le parole che tanto desideravo sentire. “Non devi preoccuparti, né avere paura. Andrà tutto bene, e se vuoi ridere, da la colpa al piccolino. Cresce lentamente, questo lo sai, ma è dentro di te, e proprio per questo interferisce con la tua magia. Non hai niente che non vada, ma succede, e se vorrai, potrò spiegarti qualsiasi cosa ti serva, e perché no, trovarti un guaritore.” Parole che ascoltai in religioso silenzio, e che in quella mattina soltanto internamente burrascosa, mi diedero ancora speranza. Avevo avuto paura, ma non era successo niente, e il mondo non stava certo finendo. Sentimenti del genere erano comuni, ed era probabile che la colpa fosse proprio dell’esserino che portavo in grembo. A quanto sembrava, si stava già formando, e attingere dai miei poteri era il suo modo di esplorare il mondo esterno e ancora sconosciuto. Finalmente tranquilla, espirai, e stringendo la mano di Christopher con rinnovata  sicurezza, mi riposai con lui sul divano fino a sera, quando, andando finalmente a dormire e riposando il corpo e la mente stanchi, non sentii qualcosa. Oltre la finestra aperta e l’infinita distesa di stelle davanti ai miei occhi, il sibilo del vento. Dapprima gentile, poi sempre più freddo e ostile, decisamente troppo per essere naturale. Incuriosita, mi svegliai subito, e scostando dolcemente il braccio che il mio amato mi aveva cinto attorno alle spalle, rimasi in piedi al centro della stanza, con gli occhi chiusi e un palmo aperto proteso in avanti, così da analizzare quella che capii essere magia o almeno provarci. Pur costretta a sforzarmi, mantenni quella posa per alcuni minuti, e aiutata anche dal tenue bagliore del mio ciondolo, capii. Non mi ero sbagliata, e Sky non era lontana, ma l’incanto che aveva affidato al vento che riusciva a controllare aveva l’amaro sapore della tristezza. Incerta sul da farsi, non fui sicura di nulla, se non del fatto che qualcosa stava davvero accadendo, che mia sorella soffriva nella notte approfittando del suo silenzio, e che quelli che sentivo non erano altro che i muti lamenti dell’aria.     

 

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Capitolo 25
*** Natura impotente ***


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Capitolo XXV

Natura impotente

Contrariamente a ciò che pensavo, usare la magia nel mezzo della notte per sentire e seguire la traccia magica di Sky mi aveva come debilitata, e pur avendo dormito per ore, con le mie leggere coperte a farmi da scudo contro il freddo che sfidando l’estate già si preparava a tornare, quasi volesse anticipare l’autunno. La stagione più mite dell’anno, che a ogni suo arrivo mi faceva sorridere mentre osservavo le foglie staccarsi dagli alberi a cui appartenevano e andavano a posarsi sul terreno, restando unite negli ultimi colorati istanti di vita prima della morte, dopo la quale non diventano altro che l’ombra di sé stesse, e poco dopo, colorata polvere nel vento. Faticando a svegliarmi, mi tirai la coperta fin sopra al mento, e sospirando mestamente, mi voltai a guardare Christopher. “Tesoro…” lo chiamai, con la voce bassa e rovinata dal sonno. “Che c’è, Kia? Pensi ancora a tua sorella?” mi chiese, voltandosi a guardarmi e scivolando nel silenzio. Calmo, attendeva una risposta, e conoscendomi, non mi avrebbe mai forzata a parlare se non avessi voluto. Triste, non dissi una parola, e muta come un pesce, annuii. Sorridendo debolmente, Christopher tentò di rincuorarmi, e ignorandolo, mi rigirai fra le coperte. Sapevo che mi amava, ne ero certa ormai da anni, ma in un momento del genere, con il pensiero di Sky che continuava a torturarmi le membra, ero anche sicura che l’amore non mi sarebbe servito. Lo desideravo, ed era vero, ma allo stesso tempo non me la sentivo. Con quale coraggio potevo abbandonarmi al romanticismo se mia sorella, la mia unica sorella, soffriva a quel modo? Ad essere sincera, non sapevo cosa la turbasse, e fermandomi a pensare, compresi che la sua decisione di affidare i suoi malesseri proprio al vento che controllava doveva avere un senso. Per quanto ne sapevo, poteva essere sia freddo che caldo, sia gentile che tagliente, e quella mattina, decidendomi ad alzarmi e osservare il panorama visibile dalla finestra della stanza, notai qualcosa. La cittadina appena fuori appariva agitata, e con essa, anche lo stesso vento, che ormai lontano dalla sua solita calma, scuoteva le fronde degli alberi, spaventava umani e animali e faceva tremare i vetri delle finestre. Stoico, il sole continuava a splendere mantenendo il controllo sul suo regno purtroppo non più azzurro e terso, e senza parole, rimasi ferma a guardare. Onesta con me stessa e con gli altri, cercavo sempre di essere positiva, di reagire di fronte alle difficoltà, e perfino di lottare con i denti e le unghie quando si trattava dei miei amici e dei loro problemi, facendo quanto in mio potere nel tentare di risolverli. L’avevo fatto quando Lucy si era addossata parte della colpa per quanto riguardava i miei svenimenti, quando sua sorella Lune ancora si autopuniva mordendosi le mani di fronte alla consapevolezza di non riuscire a parlare, quando Christopher aveva avuto dubbi sul desiderio di rivedere la sua famiglia prima e sulla sua competenza come mio protettore poi. In tutte quelle occasioni, io c’ero sempre stata, assieme ai miei amici avevo sempre lottato e vinto, ma ora, proprio ora che anche indirettamente qualcuno mi chiedeva aiuto, io non riuscivo. Ero come bloccata, congelata negli istanti che uno per uno sparivano davanti ai miei occhi come umida nebbia. Provando pena per Sky, posai una mano sul freddo vetro della finestra, sentendolo tremare per l’ennesima volta. Preoccupato, Christopher si alzò dal letto, e attraversando la stanza, mi fu accanto. “Ti manca molto, non è vero?” azzardò, sicuro di star andando a toccare un nervo scoperto. Voltandomi a guardarlo, negai con un solo cenno della testa. In realtà aveva ragione, non potevo negarlo, ma il mio malumore non dipendeva da quello. Sky era mia sorella, le volevo bene, e sapere di non potermi muovere per lenire le sue pene mi stringeva il cuore, facendo sanguinare copiosamente una ferita che la figlia dell’aria, come Noah amava chiamarla, aveva provocato. Persa nei miei ora cupi pensieri, sentii un groppo in gola, e con uno sforzo che mi parve immane, inspirai a fondo per calmarmi. Istintivamente, mi protessi il ventre con una mano, e solo allora, sempre ferma e debole come spesso accadeva dopo i miei svenimenti, guardai il mio protettore. Accennando un sorriso, provò a farmi felice, e rinfrancata da quel gesto, intrecciai brevemente le mani dietro al suo collo. “Credi che starà bene?” non potei evitare di chiedere, preoccupata come non mai per la povera Sky, costretta a crescere prima del tempo e a costruirsi una dura corazza per proteggersi da eventuali nuove ferite, di volta in volta sempre più gravi e profonde fino all’anima. Inizialmente non capivo perché esitasse, perché nascondesse le ali e perché provasse un misto di vergogna e paura nel mostrare il suo vero essere di fata, e anche se ci era voluto del tempo, alla fine avevo compreso ogni cosa. Poco dopo il mio fidanzamento con Christopher, anche lei aveva trovato la felicità in Noah, ma stando a ciò che vedevo, al paesaggio che si lamentava lanciando vere e proprie urla, e alla realtà che sembrava disfarsi davanti al mio corpo inerme, ora probabilmente non era più così. Lontana com’ero, non conoscevo la verità né ero sicura di nulla, e nel mezzo di quell’autentico e innaturale marasma, una sola cosa era certa. Dovevo aiutarla, o almeno provarci. Senza proferire parola, tornai a specchiarmi negli occhi del mio protettore, e la sua reazione confermò ognuno dei miei timori. “La conosci, Kia. Sai che è sensibile anche se non lo mostra, e ora quello che accadeva a te sta accadendo anche a lei.” Spiegò, calmo e serio al tempo stesso. Ascoltandolo parlare, mi ridussi al silenzio, e di lì a poco, la nostra stretta si sciolse come neve al sole. “Intendi…” provai a dire, sentendo quella frase morirmi in gola senza conoscere mai una vera fine. “Esatto.” Mi rispose lui, mantenendo la sua storica compostezza e stringendo la presa sulla mia mano, che intanto aveva cercato e trovato con la sua. Di lì a poco, il silenzio calò nella stanza, e con lo scurirsi del cielo anche in pieno mattino, non sentii altro che freddo. Tremando, lo sentii pungermi la pelle come migliaia di minuscoli aghi, e con la mano libera sempre sul ventre, restai ad osservare il panorama e il paesaggio, entrambi rovinati dalle emozioni di mia sorella, ora fuori controllo per ragioni che non comprendevo. Pur conoscendola, non avevo piste da seguire, e nonostante non fossi sola, il freddo e la paura mi paralizzavano. Un solo passo falso avrebbe potuto peggiorare la situazione fino a farla precipitare, e cauta, fissai lo sguardo sulla porta della stanza ancora chiusa. “Dobbiamo fare qualcosa, e forse so chi può aiutarci.” Dichiarai, decisa. Annuendo lentamente, Christopher fu lì per sostenermi, e afferrandomi un polso, mi pregò di rallentare. Testarda, tentai di dimenarmi, ma all’improvviso, un guizzo di memoria mi saltò in mente. Proprio sotto al mio cuore custodivo una vita, il bene più prezioso che possedevo, e per quanto preoccupata potessi essere, non avrei mai osato metterlo in pericolo, non adesso che questo si nascondeva dietro ogni angolo. Scuotendo la testa, mi liberai dai brutti pensieri, e stringendo la mano del mio amato con forza ancora maggiore, mi preparai a lasciare la stanza e uscire di casa, alla volta di una dimora ormai conosciuta. Stando ai miei ricordi, la grotta delle ninfe non era lontana, e in quanto più saggia ed esperta, a mio parere Aster era l’unica in grado di riportare la quiete ad Eltaria, luogo di assoluta pace in cui ora la natura che tanto amavo mi appariva avvelenata e impotente.

 

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Capitolo 26
*** L'occhio di mille tempeste ***


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Capitolo XXVI

L’occhio di mille tempeste

Fino a pochi attimi prima mi ero sentita debole, impotente e senza forze, e avevo rischiato più volte di scoppiare in lacrime nell’udire le metaforiche eppure reali grida della foresta che il mio elemento mi permetteva di scorgere nel mezzo del silenzio più totale, quando, cadendo, perfino uno spillo avrebbe fatto rumore. Ormai sicura della sua fonte, avevo deciso di uscire di casa, anche Christopher si era unito a me senza perdere tempo, e ora, insieme, correvamo. Non facevamo altro che correre, e con ogni passo, la testa mi doleva come mai aveva fatto prima. Per quanto ne sapevo, non ero malata, né avevo la febbre, e costretta a fermarmi, presi un respiro profondo. “Kaleia, amore, stai bene?” chiese Christopher, con lo sguardo serio e la voce rotta dalla preoccupazione. “Sì, certo, dobbiamo… dobbiamo…” provai a rispondere, faticando ad esprimermi e sentendo ogni parola trascinarsi fuori dalla mia bocca come una preda morente ma ancora viva fuori dalla tana del proprio aguzzino. A quella vista, il mio amato sbiancò, diventando pallido come un cencio, e più severo che mai, arrestò la sua corsa. “Fermati.” Mi ordinò, in tono duro. Sorpresa, non me lo feci ripetere due volte, e lottando per respirare, avvertii un nuovo dolore, stavolta al fianco. Eravamo fermi, ed era vero, ma quasi ignorandoci, crudeli e incapaci di perdono, il tempo e il vento continuavano a scorrere e soffiare, mentre ogni istante e ogni folata mi ferivano, arrivando puntualmente a scuotermi il corpo e l’anima, lasciandomi quasi senza respiro. Poco dopo, il silenzio fu tale da renderci sordi, e tenendoci per mano, marciammo ancora. La nostra corsa si era trasformata in un cammino di morte, dolore e distruzione, poiché ovunque mi guardassi non vedevo altro che questo. Rami spezzati, alberi sradicati, fiori appassiti e animali spaventati. Uniti, una madre e i suoi leprotti avevano trovato rifugio sotto un mucchio di foglie secche, e come loro, anch’io stavo ancora tremando. Fra un passo e l’altro, mi passavo le mani sulle braccia per ritrovare il calore ormai perso e scaldarmi, ma senza successo. Stoico, Christopher non diceva una parola, ma i suoi occhi e il suo povero corpo parlavano per lui. Potevano essere passati dieci minuti, o forse anche meno, e sforzandomi perfino per deglutire, sentii il respiro spezzarmisi nuovamente in gola. Dopo il vento, anche il freddo iniziava a plagiarci, e nonostante fosse estate, attorno a noi sembrava pieno inverno. “Chris, la grotta.” Dissi appena, le mie parole un sussurro gelato. Mantenendo il silenzio, lui si voltò a guardarmi, poi annuì. “Hai ragione, muoviamoci. Sembrò voler dire, stringendosi nella sua giacca leggera e cercando la mia mano ancora una volta. Un gesto d’amore e complicità davanti al quale spesso sorridevo arrossendo come una bimba intimidita, ma che in quel preciso momento, assumeva tutt’altro significato. “Sono qui per te, puoi fidarti.” Cinque parole che non diceva, ma che il suo sguardo mi comunicava. Spaventata, mi voltai a guardarlo, e fu allora che davvero mi calmai. Nonostante la legge che vigeva al bosco e il pensiero comune, lui non era soltanto il mio protettore, ma anche mio marito, e quella era solo una delle centinaia o forse migliaia di ragioni per cui lo amavo così tanto. Ad unirci era stato il caso, o come le anziane non avrebbero esitato a dire, la legge stessa, ma a me, a noi, non importava. Ci eravamo rimasti accanto in ogni momento, in quelli di calda luce e freddo buio, senza mai separarci né lasciarci andare. Era successo, e non lo negavo, e ogni volta, come lui stesso amava dirmi, facendo sapientemente ricorso a uno dei tanti adagi umani, aveva calmato la mente e il cuore, lasciando che questo agisse da bussola e lo riportasse da me. Divorata dalla tensione, mi concentravo su quei pensieri per mantenere la calma, e all’improvviso, un altro, totalmente diverso mi balenò in mente. I miei amici. Dov’erano? Che era successo loro in questa catastrofe? Stavano bene? E se erano feriti, si sarebbero ripresi? Tutte domande che mi ponevo in silenzio, torturandomi le membra. Tesa, continuavo a guardarmi intorno con occhio indagatore, affidandomi anche alle capacità del mio ciondolo, ma niente. Ci provavo, ma tristemente, niente. Non avvertivo alcuna scia magica, eppure ero sicura di esserne circondato. Non vedevo né sentivo Lucy, Lune, sua madre Isla, suo padre Oberon, e nemmeno la piccola Sunny, che nel pelo aveva e avrebbe sempre avuto tracce della magia delle padroncine. Fra un passo e l’altro, continuavo il mio viaggio verso la grotta, e pur non potendo distrarmi o avvicinarmi a loro, speravo ardentemente che non gli fosse accaduto nulla di infausto. Insicura, continuavo a pregare, e con le mani fredde e il cuore in tumulto, tenevo lo sguardo alto e dritto di fronte a me. Scuotendo la testa, mi riscossi da un ennesimo brivido, e con la tensione e la preoccupazione sempre fermi nel suo animo, Christopher non riusciva a staccare gli occhi da me. “Come ti senti? Va tutto bene? Vuoi… vuoi che ci fermiamo?” chiese, la voce addolcita eppure spezzata dai sentimenti. Innamorata come sempre, gli regalai un dolce sorriso, e proprio allora, un’improvvisa stanchezza mi fece barcollare. Svelto, Christopher fu lì per sorreggermi per evitare che cadessi, e ben presto, un secondo sorriso mi si dipinse in volto. Felice, il mio amato sorrise a sua volta, e nel mezzo di quel disastro, le nostre labbra si sfiorarono. Tremante come una foglia in autunno, trovai conforto fra le sue braccia, e per qualche sporadico attimo, non provai più paura né dolore. Ad occhi chiusi, mi godetti quel momento, e restando abbracciata a lui, potei solo dire che era bellissimo. Nulla di dissimile da un abbraccio, qualcosa che avevo sperimentato più e più volte, ma comunque bellissimo. Lì, in mezzo alla foresta, circondati da un vero inferno, eppure felici. Quella sola consapevolezza mi rendeva felice, e in un gesto lento e pieno di tenerezza, gli presi la mano, posandomela sul ventre. Proprio lì riposava la creatura che un  giorno avremmo accolto come nostra nella famiglia che avevamo intenzione di creare, e dopo interminabili secondi di silenzio, ci baciammo ancora. Concentrata, non pensai ad altro che a quel contatto, e quando ci staccammo, avidi sia d’amore che d’aria, tornammo a non aver tempo che per la nostra missione. Fortunatamente più tranquilla, camminai lentamente, e nonostante il solito fare guardingo affinato nel tempo, azzardavo ogni tanto qualche sorriso e qualche stretta di mano, così che Christopher sapesse che stavo bene e che nulla mi turbava. Tutto ciò era vero soltanto in parte, ma si era preoccupato già abbastanza per un solo giorno, e amandolo profondamente, forse perfino di più di quanto amassi me stessa, non intendevo causargli altro dolore. Così, con lo sguardo fiero e il corpo più rilassato, finalmente notai qualcosa. incredibilmente, il freddo aveva cessato di esistere, e così anche il vento, che aveva taciuto dando tregua agli alberi e alla natura che avevamo intorno. Abbassando poi gli occhi, li fissai sul terreno, iniziando inconsapevolmente a contare i passi che ci separavano dalla nostra meta. Chiudendo gli occhi, trassi un nuovo respiro, e incrociando lo sguardo di Christopher, mi strinsi nelle spalle, chiedendomi perché mi fissasse con così tanta insistenza. “A quanto pare, tua sorella si è calmata.” Disse soltanto, scherzoso come al solito. Tacevo, non lo dicevo quasi mai, ma era stato anche il suo modo di fare ad avermi attratta e spinta fra le sue braccia, come succedeva alle falene ogni volta che incontravano la luce. In molti guardandole le avrebbero chiamate stupide, avrebbero dato loro delle pazze, ma sicuramente non io. Vederle schiantarsi contro le lanterne mi faceva ridere, certo, ma nonostante questo, io le reputavo coraggiose e determinate, decise a raggiungere ciò che amavano anche se quest’ultima le avrebbe uccise. Pensandoci, ricordavo bene che qualcosa di simile era successo anche a me poco dopo l’inizio della mia relazione con Christopher e l’avvento del ciondolo che teneva sotto controllo le due parti della mia anima, una umana e l’altra fatata, e per fortuna, come spesso ripetevo, le stelle avevano deciso di sorridermi, e sin da quel bellissimo giorno, avevo potuto godere a pieno dell’amore del mio fidanzato, che oggi guardavo negli occhi, e fra un sorriso, un sospiro innamorato e un battito del mio giovane cuore, ero felice e orgogliosa di chiamare mio marito. Preso da me fino all’inverosimile, Christopher provava le stesse cose, e ne ero sicura, specialmente perchè ogni volta scorgevo nuovi dettagli di puro amore nel verde dei suoi occhi e nel caratteristico luccichio che li pervadeva quando era felice. “Probabilmente mia madre è con lei.” Risposi, abbozzando in quel momento un sorriso che non raggiunse i miei occhi. Triste a quel solo pensiero, e al dolore che la mia povera mamma doveva star provando mentre soffriva per Sky, feci il resto della strada con gli occhi bassi e le mani nelle tasche della veste, e quando lo rialzai, la vidi. La grotta. La meta che tanto avevamo agognato, finalmente davanti a noi. Sorpresa, rimasi a bocca aperta, e sfiorando il braccio di Christopher, sperai d attirare la sua attenzione. “Chris, tesoro, guarda. Siamo arrivati.” Dissi in un sussurro, con il fiato corto per l’incredulità. Contento come e forse più di me, lui quasi non riuscì a parlare, e annuendo lentamente, mi decisi. “Andiamo.” Gli feci capire, prendendogli la mano e compiendo al suo fianco gli ultimi passi di quel viaggio. Sicuro di sé e del nostro obiettivo, il mio amato mi seguì senza proteste, e di lì a poco, eccoci. Finalmente, dopo quelle che ci erano sembrate ore di cammino, arrivati sani e salvi alla grotta delle ninfe. Quasi aspettandosi il nostro arrivo, Aster e le sue sorelle ci accolsero con muto calore, e con loro anche Anya, la compagna di Red. Ora lui non era con noi, ma da ciò che vedevo ogni volta che al mattino chiedeva di uscire per raggiungere la sua nuova e più recente tana, cambiata dopo l’incendio che aveva rovinato parte di Primedia e del mio bosco di nascita, mai davvero lontano dai suoi cuccioli. Quattro, due maschi e due femmine, tutti il ritratto della salute. A differenza loro, la madre aveva una cicatrice in prossimità dell’occhio, ma da ciò che vidi salutandola, la garza che Christopher ed io avevamo applicato aveva fatto il suo lavoro, e unita alla magia curativa delle ninfe, lenito quella ferita fino a farla sparire. Intenerita dalla vista dei suoi piccoli, li chiamai a me battendomi una gamba, e veloci, i quattro corsero nella mia direzione, dando inizio a una buffa gara e sfidandosi l’un l’altro per ottenere la mia attenzione. Ridendo divertita, li accolsi fra le mie braccia, e dopo qualche carezza, tornai a concentrarmi sul problema più importante. Rialzandomi da terra, incontrai lo sguardo di Aster, e tesa come mai l’avevo vista, questa non riuscì a sorridere. Era felice di vedermi, lo notavo guardandola, ma la luce nei suoi occhi fu presto sostituita da un freddo glaciale, mentre le foglie e i fiori nei suoi capelli perdevano lucentezza. “Qualcosa ti turba, mia cara. Lo sento.” Disse, la voce un basso e roco mormorio che risuonò nella caverna. “E hai ragione. Si tratta di mia sorella. Non so se l’hai vista, se tu e le tue sorelle avete notato qualcosa, ma la tempesta che c’è stata…” l’ennesima frase che pronunciai e lasciai in sospeso, troppo spaventata e indecisa per completarla. Avrei potuto, ovvio, ma nonostante Aster fosse mia amica, ero mortalmente certa che il peso del suo eventuale giudizio mi avrebbe schiacciata. “È stata lei a causarla, lo sappiamo.” Rispose un’altra voce, diversa e più profonda, confusa, non seppi da dove o da chi provenisse, e solo allora un nuovo volto smise di nascondersi nell’ombra. “Carlos!” chiamò lei, attonita. “Aspetta, chi?” non potei evitare di chiedere, più confusa di prima. “Scusate, ragazzi. Voi non lo conoscete, ma lui è Carlos, il mio…” tentò di rispondere Aster, balbettando per la vergogna e guardandoci come se ci avesse notati per la prima volta. “Aster, ninfetta mia, che ti succede? Hai per caso paura a presentarmi ai tuoi amici? Ci siamo già visti, non credi sia ora che conoscano il mio nome?” le fece notare il misterioso individuo, che in quel momento assunse per me una vera identità. Nel silenzio della spelonca, un ricordo si fece spazio nella mia mente, e fu allora che capii. Avevo davvero visto prima quell’uomo, e il suo essere per metà umano e per metà capra confermò le mie teorie. Ricordavo bene, ed era un satiro, ma non uno qualunque, bensì quello che aveva rubato il cuore della mia cara amica. “Un attimo, io so chi sei!” dissi con convinzione, quasi urlando e dando vita a un’eco infinita. “Esatto, cara fata naturale. Sono Carlos, il ragazzo di Aster.” Continuò lui, sorridendo debolmente, negli occhi a metà fra l’oro e l’ambra la calma tipica della scintillante acqua del lago dei cigni. Sempre loro, sempre gli stessi, sempre Honor e Promise, ai quali sorrisi muovendo appena una mano come per salutarli. Notandomi, i due rimescolarono l’acqua con le ali, e incuriositi, alcuni boccioli volarono verso di me. Tranquilla, attesi che fossero abbastanza vicini da essere sfiorati, ma per mia sfortuna, quel momento non arrivò mai. “Carlos! Mi metti in imbarazzo!” protestò poco dopo Aster, arrossendo in volto e pestando i piedi come una bambina. Facendo uso di una calma che avrei definito mostruosa, il suo ragazzo non si scompose, e al contrario, si limitò a guardarla, e non appena i loro sguardi si incrociarono, un bacio unì le loro labbra. Immobile, Christopher ed io guardammo il loro amore fiorire, e assieme a questo, anche una chiazza d’erba ai loro piedi. Una sorta di malfunzionamento dei suoi poteri e anche dei miei, anche se almeno in quell’occasione la colpa non era mia. Sorridendo con la bocca e con gli occhi, mi sforzai di trattenere una risata, e guardando altrove, diedi loro la riservatezza che si meritavano. Quel momento fra di loro non durò poi molto, e con la sua fine, la mia amica tornò ad essere sé stessa. Spazzolandosi la veste con le mani, sperò di liberarla dalla polvere magica che la sporcava, e a lavoro finito, tornò a guardarmi, e dalle sue labbra fuggì una sola frase. “Kaleia, ascolta. So, anzi, sappiamo che quello che succede a Sky e alla foresta è orribile, ma per fortuna non è grave, ma solo un forte legame vi farà uscire dall’occhio di mille tempeste.”  

 

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Capitolo 27
*** Vecchia casa, nuovo dolore ***


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Capitolo XXVII

Vecchia casa, nuovo dolore

Solo poche ore avevano abbandonato il bosco, fuggendo come i poveri animali che avevo visto sparire nella selva durante il mio viaggio verso la grotta delle care ninfe, e non riuscendo a parlare, tacevo. Con Christopher al mio fianco, non ero certo sola, ma nonostante tutto, la paura era tornata ad annidarsi nel mio animo. Respirando a fatica, mi guardai nervosamente intorno, e quasi senza volerlo, mi morsi il labbro. “Kia, tesoro, tranquilla, sai che non ti fa bene.” Mi sussurrò, avvicinandosi lentamente di qualche passo, abbastanza da riuscire ad abbracciarmi. Colta dal freddo dettato forse dall’aria che ci spirava attorno, lo lasciai fare, e crogiolandomi nel suo calore, inspirai tenendo gli occhi chiusi, di nuovo felice. “Bene, così, pensa anche al piccolino.” Continuò poco dopo, il tono gentile e la voce bassa per calmarmi. Annuendo lentamente, lasciai uscire l’aria attraverso la bocca, e reagendo prontamente alle mie emozioni, il mio ciondolo prese a brillare di una luce verde come il mio elemento. La natura che anche in quella spelonca avevo attorno, e che circondandomi mi faceva sentire a casa. Stando alla quiete appena fuori da quelle mura di roccia, Sky e la sua tempesta sembravano essersi calmate, e in silenzio, volsi lo sguardo altrove. Fu quindi questione di un attimo, e il magnifico lago dei cigni Honor e Promise entrò nel mio campo visivo, e con esso anche il luccichio dell’acqua in cui nuotavano. Lieti di vedermi, parvero farmi entrambi una sorta di occhiolino, e sorridendo, mi portai una mano al ventre. Ancora piatto e affatto pronunciato, certo, ma sempre indice della mia attuale condizione. In attesa da poco, alcune volte mi ritrovavo a fantasticare sull’arrivo del mio bambino, su quanto sarebbe stato bello tenerlo fra le braccia, sentire i suoi primi vagiti, vederlo dormire beatamente nella sua culla, e su tutte quelle cose a cui sicuramente mia madre aveva pensato prima di adottarmi. Allora non avevo che sei anni, non ero certo una neonata, e a dirla tutta neanche Sky, che di anni ne aveva otto, ma conoscendo quell’umana forse meglio di me stessa, ero sicura che avesse provato le stesse identiche sensazioni guardandoci giocare, divertirci  e vivere la vita come le pixie che eravamo, senza problemi né pensieri  a turbare le nostre piccole menti. Ormai erano passati più di dieci anni, ma non m’importava. Era bello ripensarci, rivedere ogni volta l’immagine del suo viso richiamata alla mia mente dai miei stessi ricordi, e proprio ora, ritrovarmi in una situazione così simile a una che lei aveva già affrontato. Mancava ancora molto, e lo sapevo, ma Christopher ed io avevamo già deciso, e avremmo rivelato il mio segreto alle nostre rispettive famiglie al momento giusto. Ora quel che conta è aiutare Sky, unirci e prestarle soccorso prima che sia troppo tardi. In genere non sono così fatalista, tutti i miei amici possono confermarlo, ma in questo preciso momento, pur godendomi lo spettacolo offerto dai cigni e dalla presenza di mio marito al mio fianco, che cercandomi mi ha abbracciata e ora mi stringe la mano, soltanto una parte di me è davvero tranquille. Fra le due in cui il mio animo si divideva, proprio quella umana, più emotiva e a volte meno razionale. Pensavo a mia sorella e al suo futuro, ma anche al minuscolo esserino che avevo più e più volte giurato di proteggere. Non l’avevo mai detto a nessuno, neanche a Christopher, ma per come la pensavo, il desiderio di schierarsi in prima linea per i più deboli era sempre stato un istinto umano. Era stato quello a spingermi ad aiutare Lucy quando si era persa, Lune quando la paura di mutar climi e ambienti la bloccava, e Christopher con i suoi dubbi sul riuscire ad amarmi e allenarmi al tempo stesso. Sorridendoci, la fortuna aveva voluto che ognuno dei loro problemi trovasse una soluzione, e malgrado spesso sostenessi di non aver fatto molto, ma anzi, solo il mio dovere di amica, loro rispondevano che mi sbagliavo, a volte neanche verbalmente, e solo con un abbraccio o un sorriso. Persa in quei ricordi, schiusi le labbra in uno pieno di luce, e all’improvviso, sentii la stretta sulla mia mano farsi più forte. Sorpresa, spostai lo sguardo, e fu allora che lo vidi. Christopher. Preoccupato, si era fatto ancora più vicino, e ora sembrava non voler lasciarmi andare. Innamorata, lo lasciavo fare gioendo di ogni più piccolo gesto d’amore e attenzione, certa con ogni minuto che passava che ben presto le cose sarebbero cambiate andando sicuramente per il meglio. Forse sbagliavo, e forse ero troppo ottimista, ma ignorando gli sguardi, i pensieri e le opinioni altrui, avrei continuato ad esserlo. Tacendo ogni volta, mi imponevo il silenzio a riguardo, ma era stata proprio quella parte del mio carattere a rendermi la persona, la fata che ero, e se proprio dovevo essere sincera, anche a conferirmi una parte dei miei poteri. Il segno che avevo sul polso aveva un significato e un valore inequivocabili, certo, ma c’era qualcosa dentro di me, una sorta di sesto senso, che mi suggeriva quella strana ipotesi. Probabilmente era solo mia, e per questo non aveva alcun credito, eppure ne ero convinta. In fin dei conti, la magia legata alla natura non era stata creata per offendere, ma anzi, per l’esatto contrario, ossia difendere, cosa che io non facevo altro che continuare a fare sin dal giorno in cui l’avevo scoperto. Ricordavo ancora il giorno in cui allenandomi assieme a Christopher mi ero punta con una spina, e solo allora le radici e i viticci che ero in grado di far spuntare dal terreno si erano trasformati in un rovo. Tutto era dipeso dalle mie emozioni, mandate fuori controllo proprio dal dolore di quella ferita, simile ad una che avevo cercato di curare spalmandovi sopra della resina. Avevo tentato, ma troppo debole, avevo fallito, e a volte, ripensandoci, tendevo a provare le stesse sensazioni. Una vista orribile per gli occhi del mio amato, che vinto dalla preoccupazione, non esitava mai a consolarmi. Volendo essere sincera, dovevo ammettere che c’erano ancora tante cose che non conoscevo sul suo mondo e sul mio, ma fiduciosa, affidavo ogni dubbio prima a lui e poi a una preghiera, conservando nel cuore la speranza di vederli dissiparsi uno per uno, finendo poi per svanire come nebbia portata via dal vento. Aria che ora non si muoveva se non gentilmente, e che più calma, riuscivamo a sopportare. Brillando meno intensamente, anche il mio ciondolo parve calmarsi, e notando l’ambiente attorno a noi perdere lentamente luce e colore, capii che il mattino era diventato pomeriggio, e che anche questo si preparava a lasciarci. Stanca, mi coprii la bocca con una mano per uno sbadiglio, e anche prima che potessi lamentarmi, Aster e le sue sorelle agirono per noi, stendendo sul pavimento di pietra dei giacigli di foglie e rami d’albero. Incerta sul da farsi, esitai, ma la compostezza di Carlos, in piedi accanto a lei e con un braccio stretto intorno alla sua spalla, mi convinse. “Fate pure, noi riposeremo con i boccioli. Sono ancora piccoli, non riescono ad addormentarsi da soli.” Ci disse, tranquillo come al solito mentre si allontanava in compagnia della fidanzata, diretto verso l’angolo opposto della grotta. Lenta, mi sdraiai facendo attenzione ad ogni movimento così da non farmi male, e mai lontano, Christopher scelse di imitarmi. Quando finalmente chiusi gli occhi, il sonno non tardò a cogliermi, e nella quieta notte animata solo dal frinire dei grilli e dal bubolare di alcuni gufi, passai una buona notte. Così, alcune ore scomparvero dalla mia vita senza lasciare alcuna traccia, e poco prima di addormentarmi definitivamente, ripensai a mia madre e a ciò che doveva star provando ora che era tornata con Sky a casa al bosco di Primedia. Dormendo, sprofondai in un sonno quasi privo di sogni, eccezione fatta per alcune immagini che pregai non corrispondessero al vero. Il mio bosco di nascita, la mia vecchia casa e la camera di Sky, ridotta a un disastro dai suoi poteri ormai fuori controllo. Non volendo pensarci, evitavo ance di dirlo, ma a quanto sembrava, lei era ancora nella nostra vecchia casa, fortunatamente non costretta ad affrontare da sola quel profondo, nuovo e a me ancora sconosciuto dolore.

 

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Capitolo 28
*** Il Giardino e la sua Eden ***


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Capitolo XXVIII

Il Giardino e la sua Eden

La notte appena trascorsa è stata tranquilla eppure brusca, e viverla è stato come guardare due facce di una stessa medaglia, che ogni vincitore osserva tenendola al petto e rigirandosela fra le dita. Tranquilla perché avevo riposato, perché il battito del mio cuore si era calmato e così anche il costante vociare dei miei pensieri, mai muti di fronte a tutte le sfide di questa vita, che a volte ingiusta e piena di periodi bui, a volte clemente e luminosa quanto e forse perfino più del caldo sole mattutino, ognuno di noi conduce al meglio delle proprie possibilità. Un discorso applicabile tanto a quella umana quanto a quella fatata e degli altri esseri magici, che riflettendo, facevo in modo di sfruttare appieno, già sicura che la mia esistenza non sarebbe stata eterna. Leggera eppure illuminante, una nuova e recente lettura delle pagine del bianco libro di magia appartenuto alla famiglia di Christopher mi aveva aperto gli occhi sulla durata della vita di fate e altri esseri, e malgrado ciò che avessi trovato mi avesse fatta sorridere, altri dettagli avevano sortito l’effetto contrario, facendo sparire ogni traccia di gioia dal mio volto. Era accaduto ormai qualche tempo fa, e sin da allora, due sole frasi mi erano rimaste impresse in mente come chiodi fissi. “In ambienti favorevoli, l’esistenza di fate e altri esseri non è certo effimera, e anzi, può essere paragonata a un cammino privo di insidie e ostacoli, specialmente se, nel caso di una fata, questa ha un protettore e una famiglia al suo fianco.“ Poche righe che avrei fatto del mio meglio nel ricordare nei momenti più difficili, seguite  però dalla conclusione di un capitolo e dall’inizio di un altro, che introdotto da una sorta di avvertimento, vantava fra le sue righe parole del tutto diverse, e nonostante non ne parlassi né avessi il coraggio di rivelarlo, quasi macabre. “Fate, folletti e altre creature, generalmente spiriti buoni, vengono costantemente cambiati, segnati e formati dall’ambiente che li circonda, e lo stesso può accadere al loro vivere, reso in circostanze negative, infauste e sfavorevoli progressivamente più arduo. Sin dalla sua creazione e dall’ingresso in questo mondo, la creatura in questione è come destinata a creare dei legami con coloro che la circonda. Se accade, allora ha fortuna, ma questa scema quando e se si spezzano. Lentamente, in special modo per ciò che riguarda gli esseri leggiadri e alati, la luce dentro di loro si spegne, e dopo un ultimo respiro e un morente sfavillio, forse ultima richiesta d’aiuto o spasmo di vita, nient’altro da fare.“ Come era accaduto con tanti di quel dannatissimo libro nero, che ormai sembravo aver perso e che gioivo alla sola idea di non rivedere, anche questo, appartenuto però a un libro bianco, positivo e diverso, anche questo era stato un passaggio letto di notte e prima di dormire, nella forse vana speranza che le informazioni venissero elaborate e immagazzinate più in fretta durante il sonno. Sotto consiglio di Christopher, ne leggevo sempre qualche pagina, passo o paragrafo in caso di dubbi, e stando a ciò che avevo potuto e potevo vedere, funzionava. Giunta l’ora di dormire, mi sdraiavo al suo fianco con aria più rilassata, scoprendomi al risveglio piena di energie, con una forza tale da sollevare il mondo. Mi sentivo bene, e anche secondo le speranze sapientemente disseminate eppure nascoste in quel candido tomo, era anche grazie a lui. Grazie alla sua presenza, al suo costante supporto e al suo incrollabile sostegno, tutti ingredienti che chissà quale delle fate o delle streghe più anziane, ormai certa della bontà dei cuori di entrambi, sembrava aver mescolato in un metaforico calderone, che fra un attimo e l’altro, sotto un occhio attento e una fiamma lenta, ribolliva di magia. Buona e positiva come la loro sapeva essere, e fonte di gioia per ognuno di noi. Ormai sveglia, mi stiracchiai come una gatta reprimendo appena uno sbadiglio, e muovendomi lentamente, quasi strisciai in terra, evitando con ogni mossa di svegliare il mio caro Christopher. Ad occhi chiusi, dormiva ancora beato, e a quella vista, non riuscii a impedire a un sorriso di spuntarmi in volto. Lo osservai per qualche secondo, e con il cuore già agitato dai miei ormai chiari e forti sentimenti, rimasi come incantata. Era bello come lo ricordavo, e nessun dettaglio era fuori posto. Lo stesso dolcissimo viso di cui mi ero innamorata, la postura rilassata e il battito presente e regolare. Segnali a volte impercettibili, a volte semplicemente ignorati, che per me significavano molto, specialmente dopo le mie ultime letture. Quello che mi aveva regalato non era soltanto un libro, ma un vero manuale di magia, di strane e a volte divertenti curiosità su di essa, che sapevo, o almeno speravo, fosse riuscito ad aiutare altre fate prima di me. Per quanto ne sapevo, Christopher era stato il mio primo ed unico protettore, ma pur sapendo di non essere stata la sua unica fata, una parte di me vedeva l’essere allenata da lui come un onore, e lo stesso valeva per il rapporto che stavamo costruendo. Aveva allenato altre fate in passato, ed era vero, ma in compenso non aveva mai amato nessuna di loro oltre a me, e piena di gioia e d’orgoglio al solo pensiero, mossi ad arte le dita, e concentrando l’energia nelle punte, diedi vita a una chiazza d’erba morbida, punteggiata di fiori di ogni colore. Una composizione a dir poco perfetta, e in tutta onestà un risultato che non mi aspettavo, dettato però dalle emozioni che ora sentivo dentro di me. Lieve e quasi invisibile, un’aura dorata mi circondava il corpo, e scoppiando a ridere come una bambina, per poco non svegliai anche i boccioli che avevo intorno. Vicini e come abbracciati gli uni agli altri, erano tutti addormentati, e a poca distanza da loro, Aster e le sue sorelle riposavano beate, facendo a turno per svegliarsi e prendersi cura di ognuno di quei piccoli miracoli. Silenziosa, assistevo senza intromettermi, certa che ogni ninfa sapesse cosa fare, e scene di quel genere, delicate come i fiori a me dinanzi, avevano il potere di scaldarmi il cuore. Camminando piano per non far rumore, mi avvicinai al lago, e restando ferma ad osservare il moto dell’acqua e il nuoto dei cigni, sfiorai appena l’acqua con le dita. Gentile, il silenzio mi avvolse arrivando a cullarmi, e poco dopo, una voce alle mie spalle mi riportò alla realtà. “Kaleia?” mi chiamò, soave come poche. Incuriosita, mi voltai, e solo allora capii che si trattava proprio di Aster. “Ti piace così tanto il lago?” indagò, scherzosa. “Come? Mi… mi rilassa, ecco.” Spiegai, improvvisamente imbarazzata. Mantenendo il silenzio, Aster non disse nulla, ma la sua quiete fu più che eloquente. Questa si protrasse per alcuni secondi, e spezzata come un ramoscello, cessò d’esistere non appena lei riprese la parola. “Tranquilla, noi ninfe non giudichiamo gli ospiti, e nemmeno gli amici. Se proprio ti va, puoi continuare.” Disse soltanto, abbozzando un sorriso, mentre i fiori nei suoi capelli reagivano a loro volta, aprendosi e sbocciando nuovamente. “Dì, pensi a qualcosa?” mi chiese poi, con una domanda diretta e capace di cogliermi alla sprovvista. Impreparata, esitai, e in quel preciso istante, una sorta di rombo nel cielo rispose per me. Stando a quanto ricordavo, il sogno che avevo fatto era più simile ad un incubo, e malgrado non avessi potuto vederla, la pioggia doveva esserne stata una componente, in quanto ogni suo attimo era privo di colore, mentre l’unico esistente era il grigio, tono di cui il cielo era solito tingersi al suo arrivo. “Esatto.” Mi limitai a dirle, per poi scivolare nel silenzio e rimettermi in piedi. Stordita dal sonno, per poco non caddi, e barcollando, accettai una mano amica. Non la sua, ma al contrario quella di Carlos, che mai lontano dalla fidanzata, si era avvicinato per aiutarmi. “Dovresti fare attenzione.” Mi avvisò, la voce bassa ma udibile e ridotta a una sorta di mormorio. “Ti ringrazio.” Risposi appena, sorpresa da quel tono che non mi aspettai. “È stato un piacere.” Replicò allora lui, aiutandomi a rialzarmi e regalandomi un sorriso. Calma e tranquilla, tornai a guardare Christopher, scoprendolo ancora placidamente addormentato. “Credi che dormirà ancora per molto?” fu la domanda di Aster, tanto curiosa quanto sorpresa. Per nulla preoccupata, non dissi una parola, e limitandomi a sorridere, notai un solo movimento in lontananza. Nonostante la pioggia all’esterno della grotta, alcuni timidi raggi di sole filtravano da alcune crepe scolpite come finestre nella roccia, e seppur pigramente, il mio Christopher si stava svegliando. “Scusa, dicevi?” azzardai, trattenendo una risata e voltandomi a guardare Aster, con il viso color dell’erba scurito dalla vergogna legata a quell’osservazione. Non mi ero offesa, e lui non l’aveva neanche sentita, ovvio, ma  a quanto pareva, la comunità delle ninfe era suscettibile anche a parole come quelle. Lontane dalle offese che conoscevo ma non usavo, e di fronte alle quali non reagii. “Va tutto bene, querida, tranquilla. Non hai sbagliato, vedi?” la rassicurò il suo amato, guardandola con i veri occhi di chi ama. “Dici, tesoro? Eppure mi è sembrato… scortese.” Biascicò lei in risposta, ancora profondamente imbarazzata. Tornando a guardarla, provai pena per lei, e riavvicinandomi, le posai una mano sulla spalla. “Aster, davvero, non era un’offesa. Ne esistono tante, alcune sono perfino orribili, ma questa non era fra quelle.” Provai a dirle, pronunciando ogni parola con la lenta gentilezza che l’avevo vista riservare ai suoi dolci boccioli. Come sempre, solo semplici pixie e folletti ancora nel loro stato primario, che come avevo scoperto tempo prima, nella sua parte del mondo magico avevano un altro nome. “Sei proprio sicura?” insistette lei, ancora bloccata in quella metaforica posizione di stallo emotivo. Sospirando lievemente, non mossi foglia, ma avvicinandomi, le posai una mano sulla spalla. “Nessun problema.” Tentai di farle capire, annuendo lentamente e facendole il dono di un sorriso. Sempre ferma nelle sue incertezze, andò alla ricerca di conforto negli occhi del suo ragazzo, e per sua fortuna, quest’ultimo fu lì per sostenerla. “Calmate, mi joya, calmate.” Le sussurrò, sfiorandole appena il viso con la mano in una dolce carezza. Emozionata, lei non mosse un muscolo, e nello spazio di un momento, un abbraccio lì uni, seguito da un bacio che coronò quel momento. Allontanandomi, evitai di disturbarli, e fatti pochi passi, mi ricongiunsi a Christopher, sveglio ma restio ad alzarsi dal suo letto di verdi foglie, e offrendogli la mano, attesi che me la stringesse. “Alla fine ce l’hai fatta a svegliarti, vero, pigrone?” chiesi, osando sfiorargli la guancia con le labbra e prendendolo bonariamente in giro. “Non so cosa sia stato, ma ho sentito qualcosa, e poi non sono così pigro.” Si difese lui, accettando quel gesto d’affetto e reagendo di fronte a quella che definiva un’accusa. “Dici di no? Dai, non mentire, dormivi come un ghiro!” continuai, convinta di quell’idea e desiderosa di portare avanti quel gioco, già sicura di come si sarebbe concluso. Divertito quanto e forse più di me, Christopher rise, e in un attimo, anche noi ci baciammo, dimenticandoci per l’ennesima volta di tutto il resto. Pochi istanti svanirono così dalla nostra vita, e con una nuova e dorata aura attorno al corpo, godetti del contatto delle nostre labbra, chiedendo con la lingua l’accesso alla sua bocca. Senza freni né controllo, la mia magia si riversò nella spelonca, e ben presto, altri fili d’erba si unirono alla chiazza che avevo creato in precedenza, arrivando a formare un magnifico tappeto. “Allora? Contenta del risultato?” mi chiese a quel punto Christopher, staccandosi da me quasi di malavoglia. Confusa, lo guardai senza capire, ma tornando ad essere me stessa, lo vidi. Un intero prato pieno di fiori proprio ai nostri piedi, sorprendentemente opera mia. Conoscevo i miei poteri, certo, ma come spesso capitava, mi ero lasciata prendere la mano da quel momento d’amore, e tolte loro le briglie, ecco cos’era capitato. Nulla di grave, anzi, una vera e propria foresta in miniatura. Distraendomi per un attimo, concentrai il pensiero sulle piccole pixie e sui minuscoli folletti ancora addormentati, e solo allora, una tenera idea mi balenò nella mente. Come in una visione, li immaginai giocare e rincorrersi volando goffamente, e non trattenendo una risata, presi delicatamente la mano di Christopher. “Decisamente, mio caro. A quanto pare non sono l’unica a vincere, non credi?” gli risposi furbamente, non mancando poi di fargli notare quel dettaglio. “Hai ragione, fatina mia.” Fu svelto invece  a dire lui, approfittando di una mia distrazione per un altro bacio, più profondo e meno tenero del primo, che come mille altri, accettai senza proteste. “Sai una cosa, amore?” azzardò poi, non avendo occhi che per me. “Cosa?” indagai, improvvisamente incuriosita. “Quello strano rumore non ha più alcuna importanza, e pensa, ad avercela sei tu.” Quella fu la sua risposta, che dolce e sincera, mi tolse le parole e il fiato dalla bocca. Più innamorata che mai, mi strinsi a lui in un abbraccio, ma all’improvviso, qualcosa cambiò. Tutt’altro che tranquilla, sentii la mia gioia mutare, e staccandomi bruscamente, mi guardai una mano. Nessuna ferita, nessun dolore, solo il mio segno e la caratteristica forma, ma dentro il mio ciondolo una strana luce del solito colore, mentre sulla mia pelle, lo stesso dei miei occhi. L’azzurro che tanto mi piaceva, ma che allo stesso tempo, collegai alla tristezza. Assieme all’oro della gioia e al rosso della rabbia, anche quello era un colore delle nostre aure principali, e che nonostante l’amore per Christopher, non riuscii a ignorare. “Kaleia, cosa… che ti prende?” non potè fare a meno di chiedere, confuso e stranito. “Il rumore, Chris. Quello di cui hai parlato.” Iniziai a dire, parlando mestamente. “Sì? Avanti dimmi, non tenermi sulle spine.” Mi incalzò, curioso e preoccupato al tempo stesso. “Credo che fosse un tuono, e questo può significare soltanto una cosa.” Continuai, la voce sempre uguale e priva di un vero tono. Era strano, ma mi sembrava di non averne, e con esso, di aver perso anche le emozioni. Ero triste e lo sapevo, ma allo stesso tempo, mi sembrava di essere diventata un automa. Chiudendo gli occhi, scavai fra i miei ricordi, ma non trovai nulla. Non mi era mai successo prima, ma sempre aggrappata alla mia parte razionale, compresi che anche comportamenti di questo genere dovevano essere legati alle mie capacità. Ormai quel ricordo stava sbiadendo, scomparendo come altri che il tempo mi aveva come costretta dimenticare, ma era così che mi ero sentita poco prima di svenire a causa di uno stranissimo eccesso di magia. Che stesse succedendo di nuovo? Che mi stessi solo indebolendo? Che il mio bambino cercasse di interagire facendomi del male senza volerlo? Non lo sapevo, ma ora barcollavo, e protendendo una mano in avanti, chiamai, quasi invocai il nome di Aster. “Aiuto.” Biascicai, non riuscendo quasi a parlare. Veloce come mai l’avevo vista, lei corse verso di me, e stringendomi a sé, mi sorresse con tutte le sue forze. “Kaleia, vieni. Vieni, non è niente, ci sono qui io, avanti.” Disse, pronunciando ogni parola al solo scopo di confortarmi. Annuendo, la seguii senza lottare, e come me anche Christopher e Carlos, entrambi al mio fianco in quella che mi parve una marcia infinita. Lenta, mi mossi con loro fino a uscire dalla grotta, e proprio allora, crollai a terra. Stanca, spossata, quasi senza energie, e con un solo nome e un solo obiettivo in mente. Sky. In ginocchio, posai la mano a terra, e inspiegabilmente di nuovo calma, vidi prima il bianco, poi l’argento della sua scia magica. Sapevo che era lontana, che era tornata a Primedia con nostra madre, ma allora perché? Perché riuscivo a sentirla così vicina? La prima ipotesi fu il nostro legame di sorelle, ma fui costretta a scartarla, poiché di nuovo in piedi e piena di energie, sotto una pioggia fredda ma leggera, notai qualcosa. Non molto lontano da quel luogo di ninfe, una radura mai vista, piena di piante, erba e alberi dai fiori rosa, che a una seconda occhiata, riconobbi essere di ciliegio. “Kaleia, tesoro, stai meglio, vero?” fu la sola domanda di Christopher, che parlò con voce spezzata e rovinata dalla preoccupazione. “Sì, mi è già successo. È uno dei miei poteri, e ora so dov’è Sky, andiamo.” Risposi, veloce e decisa. Perfino più veloce di me, lui fu subito al mio fianco, e felicissima, presi a correre verso quella distesa d’erba, ripetendomi con ogni passo una sola frase. “Devo trovarla. La sento vicina, devo trovarla.” Mi dicevo, accelerando il passo con ogni secondo che scorreva. Rallentati dalla stanchezza, i miei amici mi arrancarono accanto, ma non mi fermai, non quando scorsi un viso conosciuto in mezzo al verde. Con più fretta di prima, accelerai ancora il passo, e senza una parola, strinsi i denti sotto lo sforzo dei muscoli. Fu quindi questione di attimi, e con il loro scadere, tutto fu chiaro. Una coppia. Una giovane coppia abbracciata su un ponte di legno ricavato da un tronco curvo, e fra i due, l’unico ragazzo che non mi aspettavo di vedere. “Noah?” chiamai, incredula e senza fiato per la corsa. Spaventato, lui si voltò di scatto, e notandomi, si ritrasse. “K-Kaleia! Cielo, cosa… cosa ci fai qui?” chiese, le parole strascicate e il respiro accelerato da quella che riconobbi immediatamente come vergogna. Non sapendo cosa dire, lui si ridusse al silenzio, e in quel momento, scoprii la presenza della ragazza al suo fianco. Non un’umana, né tantomeno una fata, bensì qualcosa di diverso. Ne avevo visti pochi in vita mia, ma avrei riconosciuto quelle orecchie a punta fra mille. Esile e dal fisico asciutto, con gli occhi grandi e color dell’ambra, quella ragazza era un’elfa. Scioccata dal silenzio di entrambi, sentii una giusta rabbia crescermi dentro, e non tenendo a freno la lingua, per poco non urlai. “Potrei farti la stessa domanda. Perché non sei con Sky?” gli chiesi, parlando a denti stretti e sputando veleno. A sentire quel nome, l’elfa spostò lo sguardo dal vuoto al mio viso, e con una calma che avrei unicamente potuto definire mostruosa, parlò a sua volta. “Sky? Ma è semplice, l’ha lasciata! Ora sta con me, non è vero, amore mio?” disse soltanto, la voce stridula e schifosamente dolce. Lo ero anch’io, non potevo negarlo, ma pur adorando il romanticismo, ero sicura che non avrei mai raggiunto quei livelli. Giovane e ingenua, quella ragazza mi appariva decisamente troppo infantile. Irosa, la ignorai, e concentrata su Noah, attesi. Non chiesi, nulla, ma attesi. Mille domande mi affollavano la mente, Sky stava male, e conoscendola, lui doveva sapere qualcosa, avere almeno uno dei tanti indizi che sentivo mancassero all’appello come vitree tessere di un mosaico. “Eden…” disse invece, riferendosi alla ragazza e pregandola di tacere. “Cosa? È vero! Non vorrai mentire a quella tua amica ora che sei così felice!” continuò quest’ultima, ignara di tutto, perfino della lite che minacciava di scoppiare fra noi. “Eden, non… insomma, aspettami, arrivo subito.” Provò ancora Noah, sperando ardentemente di distrarla e salvarla dalla mia muta collera. “Va bene, non metterci troppo, d’accordo? Sai che mi manchi.” Replicò lei, assurdamente felice mentre saltellava verso un punto imprecisato d quell’angolo di foresta. Scuotendo la testa, non seppi cosa pensare, e troppo arrabbiata per ascoltarlo, lo spintonai in malo modo, attraversando quel ponte senza più un fiato. Quando finalmente fui abbastanza lontana, cercai il conforto e l’appoggio di Christopher, che fermo, parve negarmelo. “Chris… mi dispiace, d’accordo. Non era mia intenzione, ero così arrabbiata… l’hai visto anche tu, vero?” soffiai, ferita dalla vista del ragazzo di mia sorella con qualcuno di diverso da lei. “Sì, e non approvo, ma sai che non devi stancarti. Ne va della salute del bambino, non puoi affaticarti tanto.” Rispose lui, virando la conversazione su tutt’altro argomento e non facendo altro che alimentare la mia rabbia. Sul punto di esplodere, strinsi i pugni fino a farmi male, e proprio oltre il ponte, sentii qualcosa. Tanto veloce da risultare violenta, la corrente di un fiume, e sulla riva, una famigliola di ranocchie simili a quelle che Lucy mi aveva descritto. Forse semplici rane, forse magici Slimius, non ne ero certa, ma nonostante la loro vista, i loro salti e il loro gracidare, non riuscii a sorridere. “Vuoi riposare, Kia? Se vuoi possiamo, davvero. Ti farebbe bene, almeno siediti.” Mi chiese, trasformando poi quella domanda in una preghiera che non ascoltai. “No, Chris. Tutto questo è troppo importante. Riposerò quando saremo a casa da lei.” Decisi, stoica. “Se te la senti…” sussurrò lui, parlando più con sé stesso che con me. Spostando appena lo sguardo, incrociai il suo, e in quel momento, l’azzurro della mia attuale aura si fece perfino più intenso. Si stava preoccupando davvero, l’apprezzavo e lo capivo, ma malgrado sapessi che il nostro bambino e la sua salute erano importanti, ora non riuscivo a pensare che a Sky. La vista di Noah e di quell’elfa mi aveva infuriata, e mi sembrava di essere diventata un’altra persona. Impulsiva, collerica, diversa. Camminando lentamente, mi sentii malissimo, e con me anche il mio piccolo, di cui mi accorsi solo abbassando lo sguardo e scorgendo una luce color del cielo. Forse stava bene e voleva rincuorarmi, forse soffriva a sua volta, non lo sapevo, ma con mia sorella come unica priorità oltre a lui, o chi lo sapeva, forse lei, resistetti durante quel così lungo viaggio, ignorando freddamente qualunque creatura mi si avvicinasse. Conigli come Sunny, volpi come Red, scoiattoli come Bucky, perfino i simpatici jackalope che avevo visto durante il festival di Notteterna. Concentrata, restavo ferma nelle mie decisioni, e a sera, fui costretta a fermarmi. Stanchissima, mi sedetti sotto a un albero, e abbracciando Christopher, mi scusai più e più volte. Lui pensava a me, si preoccupava per me e per il nostro piccolo, e io lo trattavo in quel modo. Che persona stavo diventando? La gravidanza mi stava cambiando davvero così tanto? Ancora una volta, ero piena di dubbi, e la cosa non mi piaceva, come anche la piega presa dai miei comportamenti. Ormai senza forze, dormii sotto quell’albero, e stretta al mio amato, notai due luci. Una azzurra, che avevo già visto, e proprio accanto, una più tenue, pallida e rosea. Un probabile tentativo del mio corpo di comunicarmi qualcosa che non capii, ma allo cui vista, Christopher e Aster sorrise. Qualche tempo prima, mi aveva suggerito di cercare insieme un guaritore, e prima di addormentarmi, presi quella decisione da sola. Almeno per il momento, quel ruolo sarebbe toccato a lei. Ore dopo, quando il mattino riprese a splendere, giungemmo insieme a Primedia, e bussando timidamente alla porta di casa, attesi che venisse aperta. In silenzio, non osavo ammetterlo, ma avevo paura. Avevo già esagerato arrabbiandomi, e che sarebbe successo se avessi detto o fatto la cosa sbagliata davanti alla mia famiglia in un momento come questo? I dubbi e l’ansia mi dilaniavano, ma non c’era tempo per pensarci. Dovevo rivedere Sky. Nervosa, bussai ancora, e dopo altri secondi di attesa, ecco che vidi mia madre aprire la porta. “Kaleia! Grazie al cielo sei qui, entra!” disse, non perdendo un attimo per stringermi brevemente a sé e lasciarmi entrare. Annuendo, ricambiai quella stretta sfiorandole piano la schiena, e uno per volta, Chris, Aster e Carlos provarono a seguirmi. “Ragazzi, vi prego, aspettate. Di questo possiamo occuparci noi due.” Pregai, facendo segno solo al mio amato di seguirmi. Veloce, questo non si fece attendere, e in un attimo, varcò la soglia. “Sei arrivata al momento giusto, non so più cosa fare. La sua camera è un disastro, e in più è inconsolabile. Potresti provare a parlarle?” azzardò mia madre, con un tono che fece suonare quelle parole come una supplica. “Certo, mamma. Chris ed io ci andiamo subito.” Risposi, facendomi strada verso la sua stanza e attraversando il corridoio finchè non la trovai. Incerta sul da farsi, bussai dando al legno della porta due soli colpi, e come mi aspettavo, non ricevetti risposta. Piena di risorse, decisi di provare a usare la magia, e immaginando di renderlo più leggero, riuscii a spostarlo. A incantesimo ultimato, mossi qualche passo nella stanza, trovandola esattamente come le immagini del mio incubo me l’avevano descritta. In completo disordine, con i suoi libri preferiti fuori posto, i vestiti abbandonati in terra e come scagliati fuori dall’armadio, una parte delle coperte e un corpo sotto ciò che ne restava, che potei unicamente concludere appartenesse all’unica fata che cercavo. Senza cercare l’interruttore della luce, mi feci strada nel buio per aprire la finestra, e muto come un pesce, Christopher non osò intervenire. Avrebbe voluto, ma questa era una faccenda fra sorelle, e lui lo rispettava. Lentamente, afferrai e spostai una sola maniglia, e nello spazio di un momento, la luce del sole illuminò la stanza. “Sky?” tentai, incerta e dubbiosa. “Andate via. Non voglio vedere nessuno.” Rispose lei, per nulla intenzionata a uscire da quel protettivo nido. Silenzioso eppure pronto a scattare per difendere, il suo merlo Midnight se ne stava appollaiato sul suo trespolo a poca distanza dal letto, fissandoci entrambi con occhi dorati e colmi d’odio. “Avanti, non puoi continuare così. So cos’è successo, so che fa male, ma non puoi vivere in questo caos per il resto della vita.” Le dissi, parlando gentilmente e assicurandomi di scegliere le parole giuste. La conoscevo, sapevo che era fragile in un momento come quello, e la parola, il gesto o qualunque altra mossa sbagliata avrebbe potuto significare un altro accesso d’ira, e chissà cosa per le persone e gli oggetti coinvolti. “Invece sì che posso, come lui può passare il resto della vita con quell’elfa.” Rispose lei, sfogando la rabbia che provava con ogni parola. “Sky, ti prego. Noah era…” riprovai, non avendo modo né tempo di finire la frase. “Felice con lei, giusto? Può anche restarci, non m’importa.” Replicò, non volendo sentire ragioni. Sconfitta, mi ridussi al silenzio, ma sicura che nessun discorso avrebbe funzionato, mi fermai a guardarla, e scorgendo i suoi occhi pieni di lacrime, le scostai i capelli dal viso e accarezzai piano la schiena. “Sai una cosa? Può davvero restare con lei, non mentivo. Può riprendersi le sue parole, le sue false promesse e tutte le sue dannate bugie, a me non importa.” Continuò, insistendo su un punto già toccato e facendosi letteralmente male da sola, poiché con ogni parola, altre lacrime si aggiungevano a quella che già aveva sul volto. Soffrendo per lei, l’abbracciai, e ben presto fu il turno di Christopher, che vicino a lei come un fratello, le sussurrò solo poche parole. “Siamo con te Sky, in tutto quello che stai passando. Questa l’ultima frase che le dedicammo, e che lasciandola sola nella sua stanza, le permettemmo di considerare nel silenzio della solitudine. Da allora in poi, la sua porta si richiuse alle mie spalle, e avvisando Aster e Carlos, non mi sentii di negar loro ospitalità, e neanche mia madre. Seduta con loro sul divano, osservai a lungo il caminetto privo di fiamme, e senza più nulla da dire e fare, attesi il pomeriggio e poi la notte, quando anche nel sonno riflettei su ciò che era accaduto. Finalmente sapevo perché Sky aveva sofferto e soffriva tanto, e capivo che la colpa non era di quel magnifico Giardino ma della sua Eden.





Come di consueto nelle mie note, saluto tutti voi, miei lettori. Questo capitolo mi ha portato via molto tempo, e lo pubblico con leggero ritardo nonostante l'ormai solita "scaletta" dei cinque giorni, ma spero non importi. Precisazioni a parte, qui finalmente scopriamo cosa succede a Sky, e a quanto pare, il suo Noah non è il ragazzo innamorato che le ha sempre detto di essere, ma sarà davvero così? Avrà delle spiegazioni? E a proposito, se le parole di Sky vi ricordano qualcosa, è perche sono tratte e ovviamente tradotte da una canzone di Demi Lovato, Really don't care. Su quello che accadrà per ora non svelo niente, ma ringrazio di cuore ognuno di voi per tutto il vostro incrollabile supporto. Ci rivedremo nel prossimo capitolo,


Emmastory :)
 

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Capitolo 29
*** Errore umano e fatato ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXIX

Errore umano e fatato

Tornata al mio bosco di nascita, avevo finalmente rimesso piede nella mia vecchia casa, approfittando dell’occasione per rivedere mia madre, o per meglio dire, come ripetevo ogni volta, la donna che mi aveva adottata e cresciuta, e che ormai reputavo tale. Al solo pensiero, un sorriso non tardava a spuntarmi in volto, salvo poi svanire come umida nebbia portata via dal vento. Ottimista come sempre, mi sforzavo di trovare i lati positivi di ogni cosa, ma almeno oggi, non sembro riuscirci. Essere di nuovo a casa mi rende felice, ovvio, ma allo stesso tempo, sapere che mia sorella non è lontana, e anzi, rintanata in una stanza tutta sua ad appena poche porte di distanza dalla mia mi stringe il cuore. Amareggiata, mi rigiro fra le coperte abbandonandomi ad un cupo sospiro, e sempre attento, Christopher non manca di notarlo. “Tutto bene?” chiede, pur sapendo di star andando a toccare un nervo scoperto. “Vorrei poterlo dire, Chris.” Rispondo poco dopo, con la voce bassa e il tono distante, di chi è perso in un mondo proprio e sembra pensare a chissà cosa. Un comportamento sbagliato, forse perfino patetico, che a tratti mi rende fredda e insensibile, ma che dati i miei pensieri, perfino più cupi del mio attuale stato emotivo, non riesco ad evitare. Non vorrei, ovvio, ma è come se la tristezza di Sky mi abbia contagiata. Fuori è ancora estate, eppure sento freddo, Chris ed io ci siamo baciati, e non ho sentito nulla, perfino il piccolo che porto in grembo ha smesso di provare a rincuorarmi. Affranta, sbuffo forse per l’ennesima volta, e affondando il viso nel cuscino, attendo. È morbido e fresco come sempre, ma in questo frangente, è una vera lastra di ghiaccio. Con uno sforzo, scosto da me le coperte, e con lo sguardo fisso sulla finestra chiusa, non ho la forza di parlare. Mi sento malissimo, vorrei solo addormentarmi e sperare che questo così orribile periodo passi per entrambe, ma non riesco a dormire, e purtroppo o per fortuna, la voce di Christopher mi riporta alla realtà. “Kia, mi dispiace, ma non c’è molto che tu possa fare. Sky ora sta soffrendo, ma anche quel dolore passerà, vedrai.” Poche parole che ascolto distrattamente, e che sento arrivarmi alle orecchie come ovattate. Decisamente troppo stanca per farlo, sono sicura di non aver usato né la magia né il mio ciondolo, ma nonostante tutto, non odo che un’eco distante, unita a una sensazione di freddo, confusione, dolore, rabbia e infine rammarico. È come essere chiusa in una bolla, provare a uscirne e doversi arrendere. Sono di nuovo impotente, mia sorella ha bisogno di me e non riesco a reagire. “Tu dici?” quasi mi costringo a rispondere, con un improvviso groppo in gola e la voce ridotta a un soffio e poi a un sussurro. “Certo. Noah è mio amico, lo sai, e poi ho visto come la guarda.” Una risposta che come la prima per poco non sento, ma alla quale mi volto lentamente nella sua direzione, come una falena catturata da una forte luce. A occhi sgranati, ripetei mentalmente ogni parola, poi capii. Parlava al presente, come se ogni cosa potesse tornare alla normalità con un colpo di magia o in un battito di ciglia, e benchè  una parte di me lo desideri ardentemente, purtroppo non è possibile. È incredibile. Sono un essere magico, e ora non ho poteri, ho una parte umana, e questa mi indebolisce, una mia simile è in difficoltà e non muovo un dito, e cosa ancor peggiore, più ci penso, peggio mi sento. Lento, il tempo scorre muovendosi nonostante la nostra quiete, e se il sole splende, non sorrido. Come posso in un momento del genere? Un solo attimo scompare così dalla mia vita, e sdraiata su un letto dal quale non riesco a muovermi, tengo la mano ferma sul ventre, e decisa a calmarmi, respiro. Complice, l’aria del mattino mi sfiora i capelli, e sorridendo appena, anche Christopher mi si fa più vicino. “Va meglio?” ritenta, con una vena di preoccupazione nel tono di voce che fatica a tenere calmo. “Sì, ti ringrazio.” Tre sole parole che pronuncio con convinzione, e che precedono un mio secondo sorriso, stavolta fortunatamente più luminoso. “Tesoro, vieni qui…” mi sussurra, il tono più lieve e addolcito dai sentimenti. Annuendo, non mi faccio attendere, e solo pochi istanti più tardi, rieccoci lì abbracciati come nella notte appena trascorsa, come i fidanzati che eravamo stati durante il nostro periodo di convivenza proprio in questa stessa casa, in cui mia madre Eliza mi ha vista crescere fino ad oggi. Come sempre, il tempo è trascorso lentamente, e finalmente di nuovo felice, mi accorgo di quante cose siano cambiate. Ormai sono incinta di quasi due mesi, restare calma in una situazione di questo calibro è difficile, ma so che devo farlo, per il bene del folletto o della pixie che mi porto dentro. Un esserino forse magico, forse umano, o forse un misto di entrambe le cose proprio come me. Non era ancora nato, e non potevo saperlo, ma già gli volevo bene, e stringendomi al mio amato Christopher, gli coprii dolcemente le labbra con le mie, giurandogli solo allora amore eterno. Lui stesso l’aveva fatto nel giorno del nostro matrimonio, io ricordavo bene di aver ricambiato definendolo l’uomo della mia vita, ma chi lo sapeva, in un mondo strano come quello in cui vivevamo, fatto in egual modo di magia e umanità, forse ripeterlo avrebbe rafforzato il concetto, e molto probabilmente il mio amore per lui. Ne ero convinta, sapevo che nessuno ci avrebbe separati, e ogni notte pregavo perché tutto andasse per il meglio. Il pessimismo si era impadronito di me per pochi attimi, ma ora era tutto passato, ero come stata colpita da un male e poi guarita, e solo grazie a lui. Due mesi sono ancora pochi, ma sorrido soltanto pensandoci, e felice di quel primo bacio, non mi sottraggo a un altro, che lento e profondo, mi sottrae lentamente il respiro. All’improvviso faccio fatica, il nero mi avvolge e il tempo si ferma, e se una parte di me è conscia della realtà che ci circonda, vorrei restare ferma così per sempre, al sicuro fra le braccia di chi amo, tranquilla e senza pensieri a torturarmi la mente e le membra. Il nostro personale angolo di pace è racchiuso nelle quattro mura della mia stanza di bambina prima e ragazza poi, ma all’improvviso, la calma si spezza come una corda, e qualcuno bussa alla porta. “Kaleia, vieni! C’è la colazione!” è mia madre, che decisamente troppo zelante, stamattina pare aver già fatto il giro delle camere per avvisarci tutti, me compresa. Colta di sorpresa, mi libero dalla dolce trappola delle coperte e sciolgo l’abbraccio che mi unisce a Christopher, e con i piedi per terra e il mio leggero pigiama ancora indosso, mi ritrovo davanti allo specchio della stanza, leggermente in disordine eppure presentabile. Felice, approfitto del momento per un ultimo bacio da parte di mio marito, che incapace di negarmelo, mi sfiora delicatamente la guancia con le labbra, quasi come se avesse paura di farmi male. Un’altra delle mille cose che adoro di lui, a cui a volte non riesco a smettere di pensare. Sono fortunata, mi sento tale, e gioisco quando stiamo insieme, sforzandomi di mantenere la calma anche ora che per qualcuno il mondo minaccia di smettere di ruotare. Scuotendo la testa, mi libero in fretta da quel pensiero, e attraversando il corridoio, mi ritrovo ben presto in cucina. Già seduta a tavola, mia madre ci ha aspettati prima di sorseggiare il suo caffè, e a quanto, lui ed io siamo gli ultimi. Sperando di non disturbare, Aster ha chiesto una tisana, e così anche Carlos, ma contrariamente a loro, Sky quasi non mangia né beve nulla, e anzi, cincischia e muove appena il cucchiaio nella sua ciotola di latte e cereali. Un’altra abitudine alquanto infantile che ancora non ha abbandonato, ma per la quale non la giudico. In fin dei conti, non sarei una buona sorella né una brava persona se lo facessi, e optando per il mio solito latte, non dimentico di aggiungervi il miele che ultimamente tanto mi piace. Decisa, mi sporgo quanto basta per raggiungere la mensola dove il vasetto chiuso con un tappo e un cordino troneggia indisturbato. Goffa come al solito, barcollo e quasi cado, ma per fortuna, Carlos è lì per aiutarmi. Molto più alto rispetto alla media, raggiunge quasi i due metri, e data quella stazza, raggiungere quell’ormai famoso vasetto per lui non è che uno scherzo. “Tieni.” Si limita a dire, dischiudendo le labbra in un debole sorriso. “Grazie.” Replico subito, arrossendo leggermente in volto a quella gentilezza. Quella che provo non è vergogna, ma anzi imbarazzo. Avevo tutto sotto controllo, ero sicura di farcela da sola, e improvvisamente ecco che lui giungeva in mio soccorso. “De nada.” Rispose poco dopo, pronunciando solo poche parole in una lingua che non compresi. Confusa, guardai Aster, ma quando non rispose, limitandosi a sorridere ricambiando il mio comportamento alla grotta, capii che non si trattava di nulla di brutto. Data la situazione, ipotizzai che si stesse semplicemente rendendo utile, e tornando a sedermi, bevvi solo qualche sorso del mio latte ora piacevolmente caldo e addolcito, azzardando anche nel mordere qualche biscotto. Una chicca come tante che a volte mi piaceva concedermi come da bambina, e che mangiai in silenzio. Fra un morso e l’altro, però, guardai Sky, triste nello scoprirla ancora così abbattuta. Provando pena per lei, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono, e come se non bastasse, fu proprio nostra madre a fermarmi. “Lasciala stare, le serve tempo.” Mi fece capire, posando la mano sulla mia. Annuendo lentamente, mi ridussi al silenzio, e volgendo per un attimo lo sguardo altrove, notai Midnight appollaiato sul suo solito trespolo spostato stavolta nel salotto poco distante, e poco dopo, l’assenza di Willow. Ormai viveva a casa nostra, era rimasta ad Eltaria e senza di noi era sola, ma non mi preoccupai. Stando a quanto ricordavo, le avevo lasciato una ciotola piena di cibo, un’altra colma di latte e giocattoli a volontà, ragion per cui, anche in solitudine sarebbe stata benissimo. Con le finestre e le porte chiuse non sarebbe certo riuscita a scappare, e ora che la camera che Chris ed io dividevamo era vuota, aveva tutti gli anfratti e lo spazio del mondo per dormire, incluso il nostro talamo nuziale, che lei tanto adorava. A quel pensiero, mi lasciai sfuggire una risata, ma acquietandomi di colpo, mi scambiai un’occhiata con i miei amici prima e con Christopher poi, e ormai decisi, ci preparammo a tornare indietro. Non tanto per la cara gatta, quanto per riprendere le nostre personali vite lasciate in pausa, noi due con una sorta di crescita personale data anche quella del nostro futuro bambino, e Aster e Carlos, sempre innamoratissimi, con quella che brulicava dentro e fuori dalla loro amata grotta. Incerta sul da farsi, titubai per pochi secondi, ma al loro scadere, le parole giuste fluirono chiare dalle mie labbra. Detestavo sparire a quel modo, così in fretta e senza un preavviso, ma dovevo, e nonostante sapessi che mia madre mi avrebbe ospitata anche per sempre, scelsi di comune e muto accordo con mio marito di lasciarla alle sue solite mansioni, alle quali si aggiungeva anche l’attenta cura di Sky in un momento come questo. “È stato bello, rivedervi, ma dobbiamo tornare. Per favore,  mamma, abbi cura di lei.” Dissi soltanto, sinceramente felice nel pronunciare quelle parole. “Anche per noi, pixie. Fa buon viaggio, e dammi tue notizie, nel tempo, d’accordo?” rispose lei, sorridendo apertamente e attirandomi a sé per un veloce abbraccio. Lasciandola fare, non riuscii a negarglielo, e proprio quel pomeriggio, salutando lei e mia sorella per l’ultima volta, diedi inizio al viaggio verso casa. A piedi e senza l’aiuto di Xavros, a noi tutti ci vollero ore, ma una volta arrivati, stanchi ma felici, ci separammo andando ognuno per la propria strada. Poco prima che potessi farlo, però, la voce di Aster filtrò nella selva, interrompendo proprio allora il flusso dei miei pensieri.“Kaleia, aspetta.” Mi pregò, protendendo una mano in avanti. Obbedendo a quella sorta di ordine, mi voltai, notando nei suoi occhi un luccichio di gioia mista a tristezza. “Sono qui, dimmi.” Concessi, tranquilla. “Vedi, c’è… c’è un rito, fra noi ninfe, che forse può aiutarti.” Esordì, scivolando poi nel silenzio alla ricerca delle parole più giuste a spiegarsi. In silenzio, la invitai a continuare con un solo gesto della mano, e in un attimo, lei riprese la parola. “Se proprio non possiamo comunicare, usciamo dalla grotta, e che piova o ci sia il sole, affidiamo un messaggio al vento, bruciando la carta che lo contiene. In breve, questa diventa cenere che si muove con esso, e la Dea ci assicura che funziona.” Continuò poco, dopo, apparendomi serena e allo stesso tempo turbata. Era mia amica, la conoscevo bene, e stando ai miei ricordi, condividevamo lo stesso elemento anche se in modo diverso, e a quanto sembrava, doveva aver compreso come mi sentissi a causa di Sky. Il suo dolore era diventato di entrambe, e ora anche Aster sembrava averlo come introiettato, provandolo a sua volta. Durante alcune visite alla grotta, l’avevo vista farlo anche con quello dei boccioli, che ancora troppo piccoli per volare, ci provavano comunque, finendo ogni volta per fallire e restare fermi per qualche tempo prima di tentare ancora. Sola con quei pensieri, tornai in casa dopo averla ringraziata, e sedendomi in cucina, afferrai carta e penna per scrivere una lettera “Sky, sono io, Kaleia. Mi dispiace davvero molto per ciò che stai passando, e fidati, hai e avrai sempre tutto il tempo del mondo per metabolizzare questo dolore, mentre io e Christopher resteremo al tuo fianco, proprio come tutti quelli che ti amano. Sei forte, sorellona, e non solo perchè padrona dei venti. Considera queste parole, abbi cura di te, e sappi che ti vorrò sempre bene, Kaleia, o come ancora ricordo, e come tu ti diverti a chiamarmi, signora dei roditori.” Parole che scrissi quasi senza pensare, e allo stesso tempo con delle vere lacrime negli occhi, che in più di un momento avevano rischiato di scivolare sulla carta e macchiarla rovinando l’inchiostro, ma che per fortuna ero sempre riuscita a fermare in tempo. Con la vista offuscata da quell’umida coltre, quasi barcollai verso la mia stanza, e aprendo la finestra, la posai sul davanzale. Stringendo entrambe le mani sul cornicione, mi preparai a compiere quel così importante passo, e pur non potendo bruciarla, usai la magia per affidarla al vento, che andando a dormire, sperai riuscisse a portarla a destinazione. Rimanendo sveglia a lungo, mi crogiolai come al solito nell’amore di Christopher e nel calore di un suo abbraccio, non riuscendo a smettere di sorridere nel momento in cui la sua calda mano mi sfiorò il ventre non ancora gonfio, sicura che un giorno avremmo davvero visto ciò che ora nascondeva. C’erano tante, tantissime cose che non sapevo sul mio e sul suo mondo, da come una gravidanza si sarebbe svolta nel mio caso a che strana lingua Carlos avesse parlato, ma ora non volevo pensarci, e scivolando piano nel sonno, sempre fra le braccia di colui che amavo, mi preparai al futuro e alle sue sorprese, belle o brutte che fossero, mentre Sky, sempre a Primedia, meditava su sé stessa, sulla sua reazione e su quel dannato errore, in parte umano e in parte fatato.            
 

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Capitolo 30
*** Prime nuove di un amore ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXX
 
Prime nuove di un amore
 
Con l’arrivo del mattino, il sole si levava alto nel cielo, e ad occhi chiusi, rifiutavo di svegliarmi, mugolando senza volerlo frasi prive di senso e rigirandomi fra le coperte, con la forse vana speranza che quel tessuto così leggero potesse proteggermi dalla luce e dal calore dell’astro re del cielo. Infastidito tanto quanto me, Christopher finì per imitarmi, e pur senza aprire gli occhi, trovò la mia mano nascosta sotto al cuscino, stringendola. “Buongiorno, tesoro.” Sussurrò poco dopo, con la voce calma ma ancora rovinata dal sonno. “Buongiorno amore mio.” Non tardai a rispondere, l’ombra di un sorriso già presente sul mio volto. Ancora stanca, mi stiracchiai pigramente, e voltandomi verso di lui, lo incontrai nel primo abbraccio di quella giornata, seguito da un bacio colmo di dolcezza e decisione al tempo stesso. Chiusa in un silenzio di pura gioia, ora non osavo più parlare, e con la quiete di quel caldo mattino come mia unica compagna, sorrisi in quel tenero contatto, assaporandone lentamente ogni secondo. Quasi ignorandoci, il tempo continuò a scorrere, e in breve persi perfino la capacità di respirare, ma quando finalmente ci staccammo, inspirai a fondo, specchiandomi solo allora negli occhi dell’uomo che più amavo. Stavamo insieme da circa tre anni, e lo sapevo, ma nonostante tutto, ogni giorno con lui sembrava davvero essere il primo. Mi svegliavo al suo fianco ogni mattina, orgogliosa di essere entrata a far parte della sua vita prima e della sua famiglia poi, e anche oggi, con la luce del giorno che splende nel cielo, e la sua presenza nella mia, sono felice. Distesa sul letto, non riesco a smettere di guardarlo, e mantenendo il silenzio, lui osa leggermente, accarezzandomi piano le spalle, le braccia e cercando quella stessa mano che ora ha lasciato, sorprendendomi nel portarsela alle labbra e baciarne le dita ad una ad una. “Chris, tesoro, cosa stai…” biascicai appena, quelle due sole parole che faticarono a uscirmi dalle labbra. “Niente, Kaleia. Tu oggi non devi pensare a niente, soltanto a riposarti, d’accordo?” rispose lui, con voce calma e suadente mentre mi fissava. Nuovamente ridotta al silenzio, mi ritrovai ad annuire, e nello spazio di un momento, scoprii l’amore nel suo sguardo e in ognuno dei suoi gesti. Lento, sfiorò con le labbra ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere, provocandomi con ogni istante una miriade di brividi. Confusa, non mossi un muscolo, e incerta sul da farsi, mi limitai a guardarlo. “Sì, ma cosa…” balbettai. “Fidati, amore mio, fidati e sta tranquilla. Oggi andrà tutto per il meglio, mi credi?” rispose lui, continuando da dove si era interrotto e dissipando con quelle parole tutti i miei dubbi. Mi aveva colta di sorpresa, ed era vero, ma allo stesso tempo mi aveva chiesto di fidarmi, e con il cuore in tumulto, non riuscii a negarmi a lui. Fu quindi questione di un attimo, e ad occhi nuovamente chiusi, espirai lentamente, pronta a godermi quel momento. Di lì a poco, non vidi più nulla, e concentrata solo sulla sensazione di quiete e pace che riusciva a darmi, lo sentii muoversi su di me con lentezza calcolata ed esasperante. Sicuro di sé e di ciò che stava facendo, sembrava non aver intenzione di darmi tregua, ma forse complici le emozioni del momento, nulla importava. In quanto fata, ero l’unico essere magico fra noi due, ma a giudicare dal suo comportamento, ero stata costretta a ricredermi. Era successo più volte, e quella non era certo la prima, ma c’erano davvero stati momenti in cui non avevo fatto altro che chiedermi se davvero fosse così. Per quanto ne sapevo, gli umani non possedevano mai poteri speciali, e se così sembrava, la realtà giungeva in mio soccorso svelando le inclinazioni e le abilità nascoste di ognuno, e forse era proprio questo che vedevo ora. Nel caso di Christopher, l’inclinazione ad amarmi e a prendersi cura di me, a prendere sul serio il suo lavoro di protettore e a trasformarlo assieme a me nella sua ragione di vita. Persa in quegli attimi di puro amore, mi lasciavo modellare come creta da mio marito, e al primo segno di protesta, un gemito che non riuscii a trattenere, lui non si scompose, e senza più una parola, mi invitò al silenzio, posandomi un indice sulle labbra. “Tranquilla.” Ripeté ancora, la voce calda e arrochita dalla passione nata fra di noi. Annuendo lentamente, non osai adirarlo, e pur senza volerlo, presa dal momento e da una sempre crescente eccitazione, mi morsi un labbro. Un gesto istintivo che non riuscii a evitare, e di fronte al quale il mio amato non osò reagire. Gli piacevo, gli piacevo in quel modo, e in quella nuova, calda e bellissima mattina d’estate, tutto fu perfetto. Tesi eppure leggeri, gli attimi si susseguirono veloci, e tornando finalmente alla calma, riaprii gli occhi per incontrare i suoi, non riuscendo però a credere a ciò che vidi. Non mi stava più amando, come i tremori del mio corpo e del mio cuore anche lui si era fermato, e ora, tranquillo e innamorato come mai l’avevo visto, aveva sostituito all’amore la tenerezza, e sorridendo, si limitava ad accarezzarmi il ventre ancora piatto. Ricambiando il sorriso, lo imitai in quel gesto, sfiorandogli nel farlo anche la mano. “Ti credo, lo sai?” gli dissi in un sussurro, confessando per l’ennesima volta ciò che pensavo. Silenzioso, lui non fece che guardarmi, e avvicinandosi, mi sorprese con un nuovo bacio, diverso dai precedenti. Dolce, caldo, tenero e privo dell’irruenza che mi aveva mostrato, nel quale mi sciolsi come candida neve al sole. Lasciandolo fare, non approfittai di quel momento, e così com’era arrivato, quel contatto mi sparì dalle labbra. “Anch’io. Anch’io credo in te, fatina mia. Dì, ti va di alzarti?” rispose appena, con il solito tono tranquillo che nel tempo avevo imparato ad amare. “No, preferisco riposare, se per te va bene.” Soffiai con dolcezza, decisamente troppo rilassata per lasciare quel nido di candide coperte. “Certo, certo che mi va bene. In fondo non devi affaticarti, non ricordi?” concesse gentilmente lui, guardandomi come sempre con i veri occhi di chi ama. “Grazie.” Sussurrai in risposta, regalandogli un sorriso e sistemandomi più comodamente sul letto. Lasciandomi fare, Chris non mosse foglia, e alzandosi da quel giaciglio, lasciò la stanza. Rimasta da sola, lo pregai di chiudere la porta, ma distratto, non riuscì a sentirmi. Posando la testa sul cuscino, tentai di ignorare alcuni spifferi di aria fredda, e di nuovo al sicuro sotto le coperte, attesi. Non avevo sonno, non volevo dormire, ma il tempo al suo fianco mi aveva istruita, e stando ai miei ricordi, quel suo comportamento poteva significare una sola cosa. Era sempre dolce, ed era vero, ma qualcosa mi diceva che la situazione sarebbe presto cambiata. Forse esageravo, forse analizzavo troppo, ma dando uno sguardo al corridoio ancora deserto, mi convinsi che la porta, rimasta aperta, non era certo un caso. Ad occhi chiusi, finsi di dormire, e alcuni minuti dopo, la conferma delle mie speranze. “Kia? Kia, svegliati.” Pregò, sedendosi sul bordo del letto e scuotendomi leggermente. Colta alla sprovvista, sgranai gli occhi, e fu allora che lo vidi. A poca distanza da entrambi, sulla scrivania della stanza un vassoio d’argento con quella che era la mia colazione. Pane tostato, uova e succo d’arancia. Sorpresa, non seppi cosa dire, e pur mantenendo il silenzio, non resistetti alla tentazione di baciarlo. Felice e rilassato, mi accolse fra le sue braccia, e senza una parola, gli sfiorai la guancia con le labbra. Desideravo altro, non lo negavo, ma allo stesso tempo non volevo esagerare.Quasi leggendomi nel pensiero, lui non osò sottrarsi al mio affetto, e divisi solo dallo scadere di quei pochi secondi, parlai. “Chris, per me?” chiesi, scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. “Sì, Kia. Per te. Perché ci tengo.” Spiegò, serio come mai l’avevo visto. Con il cuore gonfio di gioia e d’amore per lui, prolungai il mio silenzio,  ma sorridendo ancora, indicai con lo sguardo il vassoio. “Allora posso? Anche solo un morso, per favore.” Pregai, affamata di cibo come d’attenzioni. Silenzioso, Christopher si limitò ad annuire, e liberandomi dalle coperte, me lo posò sulle gambe, così che potessi mangiare senza sforzarmi troppo. Sinceramente grata di quel gesto, assaggiai prima quel toast così invitante e perfettamente dorato, mentre con la forchetta già in mano, mi preparai a provare le uova. Anche queste perfette come il pane, saporite e nutrienti, specialmente data la mia condizione. A pasto finito, sorseggiai piano il succo d’arancia, e già seduta sul letto, provai ad alzarmi. Lentamente, senza sforzare i muscoli che da giorni sentivo rigidi, e più veloce di me, Christopher riuscì a precedermi. “Piano.” Mi ammonì, preoccupato. Volendo solo aiutarmi, mi cinse un braccio attorno alle spalle, e facendo ciò che mi era stato chiesto, mi alzai senza troppa foga, e una volta in piedi, attraversai la stanza al suo fianco. “Ecco, vieni.” Sussurrò appena, accompagnandomi in ogni passo fino alla porta. “Chris, stai esagerando, sarò anche in attesa, ma ancora capace di camminare, sul serio.” Replicai, innervosita da quel suo modo di fare. Lo amavo, non avrei mai smesso di farlo, ma se c’era una cosa che non riuscivo a sopportare, era proprio quella. “Va bene, scusa.” Rispose subito lui, allontanandosi di qualche passo e alzando le mani in segno di resa. “Ce la faccio, non preoccuparti.” Lo rassicurai, tranquilla. Tutt’altro che iroso, lui ricambiò quel sorriso, e poco dopo, mano nella mano, lasciammo la stanza per raggiungere il salotto, e fra un passo e l’altro, un improvviso dolore mi sconvolse. Spaventata, mi bloccai sul posto, portando per istinto una mano proprio sul ventre, come a proteggere quel piccolo non nato. “Kaleia!” quasi urlò lui, di nuovo in allarme. “No, non… non è niente, sul serio.” Provai a dirgli, tentando di rassicurarlo come pochi attimi prima. “Sei sicura?” azzardò, incerto e dubbioso. “Sì, non…” farfugliai, non avendo però tempo né modo di finire quella frase. A quella vista, Christopher sbiancò, e terrorizzata, diedi voce alla peggiore delle ipotesi. Una sola fra le tante, ovvio, ma l’unica che mai avrei voluto rivelare. “Mi sbagliavo.” Dissi soltanto, troppo tesa per dire altro. “Come? Che significa?” indagò lui, con una vena di preoccupazione nella voce e una maschera di tensione dipinta sul volto. “Di solito si muove, e lo sento, ma non fa mai male. Ora… è terribile! Aiutami.” Risposi a denti stretti, mentre quel dolore lancinante cresceva a dismisura e il tempo stringeva. Incerto sul da farsi, Christopher si guardò intorno, e notando la porta di casa ancora chiusa, si precipitò ad aprirla. “Andiamo.” Disse poco dopo, invitandomi a seguirlo. Annuendo lentamente, mossi qualche passo nella sua direzione, e in quell’istante, il dolore parve cessare. Ringraziando il cielo, uscii finalmente di casa, e stringendo forte la mano di Christopher, sperai che avesse una soluzione. Nervosa, feci saettare lo sguardo in più direzioni, e solo allora, un ricordo si fece spazio nella mia mente. Isla e Oberon. Per pura fortuna, casa loro non era poi così distante dalla nostra, e costretta a camminare anziché correre, attraversai la selva fino a raggiungere il suo limite, e proprio allora, eccola. Celata alla vista come molte altre, la dimora della famiglia Hall. Fermandomi per riprendere fiato, lasciai che Christopher bussasse al mio posto, e dopo pochi colpi sul duro legno, le voci dei miei amici riempirono il silenzio. Vicina alla porta, sentii subito quella di Isla. “Arrivo!” diceva, affrettandosi per accogliere chiunque bussasse, e in quel caso, benché lei non lo sapesse, proprio noi. Di lì a poco, innumerevoli attimi cessarono d’esistere, e quando finalmente la porta si aprì, Isla e suo marito neanche salutarono. Mi avevano già vista, avevano notato il mio volto contratto in una smorfia di tristezza, ed erano sicuri che non ci fosse tempo da perdere. Veloce, Oberon fu il primo ad avvicinarsi, e seguito dalla moglie, e solo attimi dopo dalle bambine, si sforzò di sollevarmi. Preoccupate, Lucy e Lune restarono a guardare, e imitando il padre, la prima si assicurò di non essere lasciata indietro con la sorellina. Alla sua vista, sorrisi nel tentativo di rassicurarla, e anche lei cercava di restare calma, ma i suoi occhi scuri, tradivano altro. “Lucy… sto…” balbettai, sfinita. Troppo stanca per dire altro, avvertii il peso delle mie povere palpebre, e non vedendo che il buio, sperai per il meglio. Non ero svenuta, ma appena cosciente, e fra un istante di buio e uno di soffusa luce, ogni voce mi giunse come ovattata. “Cos’è successo? Si sentiva bene? Ha mangiato? Da quanto tempo aspetta?” pochi quesiti che riuscii a carpire anche in quella sorta di dormiveglia, e che mugolando parole e frasi senza senso, tentai di risolvere. Ci provai, ma tutto fu inutile, poiché scivolando nel più cupo dei silenzi, non vidi che l’oscurità fino alla fine di quel misterioso viaggio. Ad essere sincera, non saprei dire quanto tempo trascorsi in quel così pietoso stato, solo che al mio risveglio l’intera comunità delle ninfe era lì attorno a me. “Aster… Carlos…” tentai, esausta. Troppo tardi, da parte loro nessuna risposta, o per meglio dire, una sola frase che non riuscii a capire. “No va a pasar nada, Kaleia. A tus niños no va a pasar nada.” Pronunciata in una lingua che ancora non conoscevo né capivo davvero, mi spaventò a morte, e ormai priva di energie, quasi smisi di lottare. Di lì a poco, ogni cosa perse colore, e respirando appena, non ebbi la forza necessaria a muovermi. Il buio mi avvolse per un tempo indefinibile, e quando ritornai in me per la seconda volta, vidi Aster e due sue sorelle chine su di me. Se lei mi spremeva del succo di more sulle labbra come per nutrirmi, le altre due mi tenevano la mano andando alla ricerca del mio battito cardiaco, e preoccupatissimo, Christopher passeggiava nervosamente, in un costante e continuo andirivieni. Con uno sforzo, provai a drizzarmi a sedere sul pavimento di roccia, ma le ninfe mi fermarono, e proprio in quel momento, una terza si fece avanti. Confusa, mi voltai in direzione del suono dei suoi passi, e in quel momento, la riconobbi. “Amelie?” chiamai, incredula. “Ciao, Kaleia. Sei fortunata, sai? Il tuo protettore ha fatto bene a portarti qui. Possiamo aiutarti, ma dovrai collaborare, d’accordo?” rispose lei, gentile come mai era stata. “Amelie, grazie al cielo! Dimmi, Kia sta meglio?” le chiese Christopher, preoccupato come e forse più di prima. Evitando il mio sguardo, la ninfa si concentrò sul suo, e dopo una pausa di silenzio, decise di parlargli. “Come vedi è sveglia, quindi sta bene. Ora le basta sdraiarsi, e noi faremo il resto.” Spiegò, tranquilla. Annuendo, Christopher si voltò a guardarmi, e con il solo uso dello sguardo, mi pregò di cooperare. Fidandomi di lui, attesi per un attimo prima di sdraiarmi sulla roccia, notando solo allora che un’altra delle ninfe aveva provveduto a prepararmi un nuovo giaciglio di foglie. Lenta, Amelie si chinò su di me, e senza una parola, mi sfiorò il ventre con la mano. Non sapendo cosa aspettarmi, raggelai al suo tocco, e rigida come un’asse di legno, strisciai in terra nel tentativo di ritrarmi. “Calma, fata naturale. Vuoi o non vuoi vedere il tuo bambino?” mi chiese lei, accennando un sorriso e mostrando una strana luce bianca al sicuro nel suo palmo. “Sì, ti prego. Devo sapere se sta bene.” Risposi, seria e decisa come non mai. “Perfetto, dammi un attimo, vuoi?” replicò subito lei, sempre sfoggiando quel luminoso sorriso. “Chris, vieni.” Sussurrai dolcemente, tendendogli la mano e restando in attesa. Avvicinandosi, mi fu accanto con pochi passi, e prendendomi delicatamente la mano, annuì in direzione di Amelie. Ricambiando quel gesto, lei accennò a un ennesimo sorriso, e con una sola mossa della mano, diretta verso la parete di roccia, mostrò quello che tanto aspettavamo di vedere, e nel silenzio, ciò che aspettavamo di sentire. Ignara di tutto, mi aspettavo un solo bambino, ma lì, proprio davanti a me, a noi, ben due. Due neonati in tutto il loro tenero splendore, e immancabilmente, i loro due minuscoli cuoricini che battevano. Felicissima, aguzzai la vista per vedere meglio, e in quel momento, una piccola e solitaria lacrima mi rotolò lungo la guancia. “Chris, guarda. Riesci a crederci?” biascicai, non riuscendo davvero a credere ai miei occhi. “Ben due figli… Kaleia, è meraviglioso.” Commentò a bassa voce, come a non voler essere udito che da me. “Proprio così. Sono gemelli, miei cari, e stanno benissimo.” Disse allora Amelie, intromettendosi nella nostra conversazione al solo scopo di rassicurarci. “Sai già cosa sono? Voglio dire, si vede?” non potei evitare di chiedere, ansiosa. Sulle prime, la ninfa non rispose, e solo pochi istanti dopo, negò con un cenno del capo. “Mi dispiace, ma non è ancora il momento, si capirà solo in seguito, ma per ora potete stare tranquilli. Sono il ritratto della salute, vedete?” disse soltanto, quel sorriso colmo di gentilezza ancora stampato in volto. Rinfrancata da quelle parole, la ringraziai con il solo uso dello sguardo, e voltandomi a guardare mio marito, non scorsi altro che gioia nei suoi occhi, e lasciandomi abbracciare, spossata ma felice, mi addormentai tranquillamente, ma non prima di vedere ognuno dei miei amici godersi lo spettacolo offerto dalle prime nuove di un amore.
 
 
Una buonasera a voi, miei lettori. Ormai è notte, questo primo novembre sta già scemando, ma con un nuovo capitolo pronto aggiorno la storia di Kaleia. Dimenticandoci per un attimo di Sky, torniamo a concentrarci su di lei, e su come la sua gravidanza procede. Incinta di soli due mesi, si gode l'amore e le attenzioni del marito, ma ha paura quando inizia a star male, e per quello c'è una spiegazione. Non funziona così nella realtà umana, ovvio, ma è il contrario in quella fatata, poichè il bambino è strettamente connesso alla madre sin dall'inizio. Arrivata alla grotta delle ninfe grazie al tempestivo intervento di alcuni visi amici, è colta da un eccesso di magia, e Carlos, Aster e le sue sorelle sono lì per lei. Come si vede, lui parla spagnolo, e la frase che lei sente significa "Non succederà niente, Kaleia. Ai tuoi bambini non succederà niente. Che dire poi dell'ecografia? Non è stata emozionante? Grazie davvero a tutti del vostro supporto, in particolare a crazy lion, che legge in silenzio e mi aiuta con i dettagli di questa parte di storia, e al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 31
*** Uniti ma feriti ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXXI

Uniti ma feriti

In un battito di ciglia, un nuovo eppure vecchio gioco astrale si era ripetuto ancora una volta, e con il sole a solleticarmi il viso, apro gli occhi a fatica, proteggendomi da quella luce timida ma accecante. Sono appena sveglia, non sento niente se non proprio quella sensazione di calore sulla pelle, e all’improvviso, scomparsa l’adrenalina, eccolo. Il dolore, lo stesso dolore sentito poco prima di svenire, forse un semplice caso, una reazione allo stress o un tentativo dei miei bambini di rincuorarmi in un momento come questo tramite quello che le ninfe chiamavano eccesso di magia, forse perfino qualcosa di diverso, ma ora non importava. Non volevo pensarci, solo riposare e sperare che stessero bene. La mia condizione non era grave, anzi, ero certa che presto mi sarei rimessa in piedi, ma a quanto sembrava, non era ancora il momento. Indolenzita, mi rigirai sul fianco alla ricerca di una posizione più comoda e un minimo sollievo dal dolore, e grazie al cielo, ogni acciacco scomparve non appena mi voltai. Confusa, mi guardai intorno alla ricerca di Christopher, e aguzzando appena la vista, lo scoprii in piedi accanto al lago dei cigni, intento a giocare con uno dei boccioli e parlargli dolcemente. “Avanti piccolino, puoi farcela, so che puoi.” diceva, rivolgendo a un futuro folletto e incoraggiandolo a provare a volare. A quella vista, sorrisi debolmente, e pur sicura che non avrebbe imparato prima dei tre anni di vita, quando le  sue ali sarebbero state grandi abbastanza da riuscire a permetterglielo, trovai tenero quel gesto, e rompendo il silenzio, presi la parola. “Chris, è troppo presto. Non vedi quant’è piccolo?” dissi soltanto, facendogli notare quel suo errore con dolcezza. Voltandosi a guardarmi, lui sorrise a sua volta, poi si avvicinò, e inginocchiandosi, mi prese per mano. “Lo vedo, amore, ma tutti hanno bisogno d’aiuto una volta o l’altra. Sai bene che prendo il mio lavoro sul serio. Che c’è, non lo ricordi più?” mi chiese, scherzoso come al solito, capace di trovare ilarità anche nei momenti più seri. “Certo. Certo che lo ricordo, mio custode.” Risposi, soffiandogli quelle poche parole sulle labbra appena prima di un bacio che ci tenne uniti per i secondi a venire. Un contatto dolce, caldo e tenero, con lo strano eppure unico potere di calmare i battiti del mio cuore e al tempo stesso accelerarli, farmi sentire serena e al sicuro, e tranquilla come non mai. Senza volerlo, finii per chiudere gli occhi, e non vedendo altro che il buio, mi strinsi a lui alla ricerca di conforto. Silenziosi, gli ospiti della grotta rimasero a guardarci, e sia Carlos che Aster, innamorati almeno tanto quanto noi, si emozionarono nel notare ancora una volta la profondità del nostro amore. “Algo asì nunca habia pasado. No crees, mi amor?” Un’altra frase in quella lingua che non capivo, ma che data la situazione, compresi essere una sorta di esclamazione di sorpresa o qualcosa di simile. “No, nunca, corazón.” Tre sole parole che Aster pronunciò in risposta, ma che nonostante il sorriso che le accompagnò, non riuscii a intuire. “Chris, sai cos’hanno detto?” azzardai, sempre più confusa. Intenerito dalla mia curiosità, Christopher mi riservò un sorriso più dolce degli altri, e accarezzandomi una guancia, si preparò a parlare. “Per te è una lingua nuova, fatina. Si chiama spagnolo. Lui ha detto che una cosa del genere non è mai successa, riferendosi a noi, e lei invece gli ha dato manforte. L’ha chiamato “suo cuore.” Spiegò, tranquillo e rilassato mentre mi sfiorava la guancia. “Suo cuore?” gli feci eco io, emozionata. “Santo cielo, è così dolce.” Commentai poi, sorpresa. “E anche vero per tutti e quattro, non trovi?” fu veloce a rispondere lui, per nulla impressionato dalle tenere effusioni che i nostri due amici si stavano scambiando. “Già, hai ragione. Dì, credi che potrei impararlo?” replicai con tranquillità, poco prima di azzardare quella domanda. Sorpreso e stupito dalla mia forza di volontà, il mio amato si limitò a guardarmi, e non appena pochi istanti svanirono nel vento, si ridusse al silenzio, accennando appena un nuovo sorriso. “Certamente, amore. Nessuno potrà mai vietartelo.” Disse poco dopo, sincero e innamorato come non mai. Con il cuore in tumulto, per poco non piansi, ma imponendomi a mia volta la calma, non dissi altro, e nel silenzio di quel mattino appena spuntato, parlai con me stessa. “Come nessuna potrà mai vietarmi di amarti, Chris.” Come tante, anche queste furono parole che mi rimasero nella mente e nel cuore, scolpite e dipinte come statue o graffiti nella roccia. Persa in un silenzio tutto mio, mi rimisi in piedi, e concentrando l’energia nelle punte delle dita, decisi di fare ciò che andava fatto, e regalare a quel minuscolo folletto almeno qualche istante di meraviglia. Ancora troppo piccolo per volare davvero, avrebbe imparato con il tempo, ma fu fermandomi a pensare che compresi che Christopher aveva ragione. In fin dei conti, chi ero per negare la gioia a quella creatura? Nessuno, ecco chi. Tranquilla, diedi vita a un incantesimo di levitazione, e trasportato dalla mia magia, il folletto, o bocciolo, come diceva Aster, riempì la caverna della sua risata cristallina e infantile. Orgogliosa anche dei più goffi dei suoi tentativi, e abbassando lo sguardo, lo fissai ancora una volta sul mio ventre. Sempre piatto, sempre affatto visibile, ma nonostante tutto capace di nascondere e custodire la vita, anzi le vite che mi portavo dentro. Distratta, provai ad accarezzarlo, e reagendo, il mio ciondolo brillò di luce propria, riportando a galla i ricordi del giorno già scomparso. Eravamo arrivati alla grotta solo grazie a un pizzico di fortuna, avevo avuto paura ed ero perfino svenuta, ma alla fine era andato tutto per il meglio. Se c’era qualcuno da ringraziare, quelli erano Christopher, Amelie, Lucy e la sua intera famiglia, cucciolo compreso, che ora se ne stavano tutti in disparte, ognuno preso da diverse mansioni. Se Amelie restava con le sorelle, e Aster con il suo fidanzato, la mia amica pixie giocava con la sorellina sul pavimento di roccia a poca distanza da me, improvvisando un gioco che guardandola, ricordai subito. Sedute l’una di fronte all’altra, le due si colpivano le mani a vicenda tenendole alte di fronte a loro, e poi, dopo ogni scoppio di magia, recitavano una sorta di formula. Concentrata, tentai di ricordarla, e proprio in quel momento, mi apparve in mente, chiara e inconfondibile. Magimani, ecco qual’era. Intanto, il loro piccolo Rover giocava per conto suo, rincorrendosi la coda e sparendo in una nuvola color sabbia non appena la trovava, per poi ricomparire in tutt’altro punto della grotta. A quella scena, risi di cuore, e quasi commossa dalla loro innocenza, distolsi lo sguardo per evitare di emozionarmi troppo. Era stato bello vedere i risultati della mia prima ecografia, i corpicini dei miei due futuri figli ancora intenti a formarsi a dovere, sentire il battito dei loro minuscoli cuori in perfetta sincronia, regali che ogni madre riceveva costantemente, e che io avrei conservato anche dopo la loro crescita e il loro ingresso nell’età adulta. Pensieri ai quali mi abbandonavo nell’attesa del lieto evento, e che mi cullavano durante il sonno e poco prima della veglia. Ad ogni modo, ormai in piedi e troppo annoiata per restar chiusa fra quelle mura, mi riavvicinai a Christopher. “Che dici, ti va di uscire?” proposi, desiderosa di far quattro passi, sgranchire le gambe e perché no, anche rivedere quel magnifico Giardino di cui in precedenza avevo avuto solo un assaggio. Annuendo, Christopher si preparò a seguirmi, voltandosi verso Amelie per cercare una conferma, e prima che potessimo lasciare quel luogo, L’Arylu di Lucy insistette per seguirci. Piccolo e nero, vantava delle focature marroni sul petto e su parte delle zampe, mentre anche la lingua aveva lo stesso colore. Abbaiando felice, ci corse incontro, e imbarazzata, la padroncina fece del suo meglio per fermarlo. “Rover, no! Aspettaci!” gridò, sperando di richiamarlo all’ordine. Voltandosi verso di lei, il cucciolo si sedette, e agitando la coda, diede vita a piccole scosse all'interno della grotta stessa, mentre un piccolo cumulo di terra comparve proprio dov’era seduto. Tornato alla calma, non si mosse, e guardandola con i suoi occhioni scuri, attese.“Sono stato bravo?” parve volerle chiedere, con la lingua colorata che gli spuntava fuori dalla bocca. “Dobbiamo chiedere il permesso prima di fare qualcosa, capito?” gli disse, abbassandosi al suo livello e accarezzandogli la testolina pelosa. Incapace di star fermo e in silenzio, il cucciolo abbaiò ancora, poi si calmò. “Ecco, bravo cucciolo.” Continuò la bambina, orgogliosa di lui. Felice, il cagnolino si godette quelle carezze, e dopo una sorta di via libera da parte di Amelie, uscimmo. Seguita da Lucy e Lune, salutai le ninfe ringraziandole dell’aiuto, e sorridendomi, queste mi imitarono. Di lì a poco, il viaggio verso il Giardino ebbe inizio. Incuriosito dal mondo circostante, il piccolo Rover continuava a guardarsi intorno, abbaiare e correre mettendosi in testa alla nostra marcia, e Lucy rideva di lui, divertita dal non riuscire a stargli dietro. “Però! È veloce!” commentai, sorpresa. “Tipico di un cucciolo curioso, amore.” Rispose Christopher, per nulla impressionato e anzi divertito dalle scorribande dell’animaletto. Della stessa taglia di un cagnolino, ma con le sembianze di un lupacchiotto, dolce e adorabile nella sua ingenuità. Ignorandolo, Chris ed io continuammo a camminare, e fatti pochi passi, notai qualcosa. Proprio davanti a noi, un lungo ponte di corda sapientemente ricavato dal legno d’albero, e per tutta la sua lunghezza, alberi di ciliegio. Colpita, sentii il respiro spezzarmisi in gola, e stringendo la mano di Christopher ne approfittai per un abbraccio. “Baciami, amore, ti prego.” Supplicai, ritrovandomi a non desiderare altro che il contatto delle sue labbra sulle mie. Silenzioso, lui non si fece attendere, e accontentandomi, parve dimenticare qualunque cosa. Improvvisamente, le nostre amiche pixie erano come scomparse, con loro anche l’amico Arylu, e pochi istanti più tardi, perfino ogni suono e rumore attorno a noi. Gli unici ancora esistenti erano i battiti dei nostri cuori, che sicuri e continui, ci facevano quasi male, minacciando di schizzarci via dal petto alla prima occasione. Innamorata com’ero, non trovai pace, e avida di lui, chiesi con la lingua l’accesso alla sua bocca, sospirando quando il nostro bacio si fece più profondo. Non l’avevo mai pregato a quel modo, non ne avevo mai avuto né sentito il bisogno, ma a quanto sembrava, il lento avanzare della mia condizione portava con sé anche cambiamenti del genere. Distratte dai loro giochi le pixie ci ignorarono, e sospinte forse dal vento, forse dalla mia magia senza controllo e libera di scorrere, mille e mille foglie rosa caddero dai rami fino a formare un tappeto ai nostri piedi, e sempre più emozionata, osai ancora, sentendo il mio amato gemere mentre la mia lingua si intrecciava alla sua. Emozionata quanto e forse più di lui, finii per imitarlo, ma in quel preciso momento, ogni cosa ebbe fine. Sorpresi, ci staccammo subito, e fu allora che lo notai. Veloce come il vento, Ranger, il falco di Noah, che volando appena sopra di noi, per poco non perse il controllo. Spaventata, mi protessi il viso con un braccio, e aguzzando la vista, notai il suo padrone in lontananza. Sfidando il moto d’aria creato dalle ali del falco, tentai di avvicinarmi, ma invano. Il vento era troppo forte, i miei muscoli improvvisamente deboli, e lui, lontano e irraggiungibile, triste come mai l’avevo visto. Facendo ancora ricorso alla magia, tentai di dominare l’aria, e per pura fortuna, anche quella tempesta cessò. Attonita, non seppi cosa pensare, ma quando finalmente anche Ranger tornò alla calma, provando a posarsi sulla spalla di colui che l’addestrava, rimase invece sospeso a mezz’aria, confuso nel vederlo allontanarsi senza una ragione apparente. Provando istintivamente pena per lui, mossi qualche passo in avanti pregandolo di fermarsi, ma con il vento fermo e la voce ancora spezzata dalla paura, non riuscii a farmi sentire. Pallide come cenci, anche le pixie tornarono da noi, e tremante, Rover si accucciò accanto a Lucy, trovando poi rifugio proprio dietro di lei. “Ho paura.” Sembrò voler dire, rompendo il silenzio con un debole uggiolio. “Ho paura anch’io, Rover, anch’io.” Gli risposi in un sussurro, l’ultimo che riuscii a proferire mentre guardavo Noah allontanarsi sempre di più. Contrariamente a ciò che pensavo, ora Eden non era con lei, e rimasti soli, sia lui che Sky provavano le stesse cose. Spostando lo sguardo, lo fissai su Christopher, e scambiandomi con lui un’occhiata d’intesa, capii. Vicini o lontani che fossero, lui e mia sorella avevano ancora dei sentimenti l’uno per l’altra, amandosi e odiandosi a vicenda e nello stesso momento. Sapevano di amarsi ancora, di sentire ancora i propri cuori battere nel silenzio, ma detestavano non poterselo dire, lui perché confuso dal rapporto con Eden e lei perché ferita dal suo abbandono. Se lei si sentiva usata, lui si reputava un idiota, e ora, solo in assenza dell’elfa, non riusciva a smettere di pensare a lei. Poco prima che se ne andasse, avevo visto il dolore nei suoi occhi, ma per pura sfortuna, non il coraggio di cui avrebbe dovuto avvalersi per decidere di fare, o meglio, rifare il primo passo. Geloso e desideroso di difendere il padrone ed evitargli altra sofferenza, Ranger era intervenuto per dividerci, e in quel pomeriggio passato da luminoso a cupo, rimasi ferma su quel ponte a riflettere, e con lo sguardo rivolto al fiume appena sotto di noi, a piangere. Soffrivo, e se accadeva c’era una ragione, in quanto lo facevo per una coppia che ormai non era più tale, e per due innamorati uniti ma feriti.  
 
 
Un buon pomeriggio ai miei lettori. Mi scuso del ritardo nella pubblicazione del nuovo capitolo, ma il freddo e il brutto tempo degli ultimi giorni mi avevano davvero messa KO. Ora sto meglio, e sono finalmente riuscita a scrivere il prosieguo della storia della nostra fata Kaleia, ora più che mai in pena per la sorella che ancora soffre per amore. Vi ringrazio di cuore di tutto il vostro supporto, ci rivedremo nel prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 32
*** Gli spiriti della foresta ***


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Capitolo XXXII

Gli spiriti della foresta

Il vento si era calmato, la tempesta era cessata, e ora c’eravamo solo noi. Christopher ed io, entrambi sul ponte che portava al Giardino. Troppo triste per sorridere, rimasi a guardare mentre altri rosei petali cadevano, e ad occhi bassi, ascoltavo il costante e continuo sciabordio dell’acqua del fiume. Veloce, la corrente trascinava con sé quei poveri petali strappandoli alla vita, e per un solo istante, mi pentii di aver usato la magia. A dire il vero non avevo scelto di farlo, era sfuggita al mio controllo a causa delle mie emozioni, che ora cupe e non più positive, sembravano avere effetto su qualsiasi cosa avessimo intorno. Grazie al cielo la natura non soffriva, e in silenzio, non osavo parlare, concentrando l’energia magica altrove, verso il mio centro, così che anche accidentalmente, non potesse più far danni. Sospirando mestamente, spostai lo sguardo dal letto del fiume al viso di Christopher, che con la sua mano sulla mia, a sua volta sembrava non aver parole. “Non vuoi proprio restare?” mi chiese, premuroso e sicuro che una passeggiata fra quell’erba mi avrebbe fatto bene. “No.” Risposi soltanto, negando con la testa e tornando a osservare il paesaggio che avevo di fronte. Semplice, colorato, pieno di vita e sempre uguale, come in una fotografia. Da qualunque angolo la osservassi, sempre la stessa. Acqua che scorreva, rane che gracidavano, di tanto in tanto qualche coniglio e il suo simpatico zigare, ma ora come ora, solo il cupo silenzio dell’attesa scandito proprio dai suoni della natura. Non riuscivo a crederci. Era il mio elemento, fonte di vita mia e del mondo intero, ma nonostante tutto non riuscivo a gioirne. Presa dallo sconforto, abbassai ancora gli occhi, fissandoli sul legno del ponte che tuttavia non percorrevamo. Fermi nello stesso punto da quelle che sembravano ore, sia io che Christopher non abbiamo davvero voglia di muoverci, e l’aver assistito a una sorta di tragedia non aiuta. Ora come ora, il pensiero di Sky e Noah separati continua a tornarmi alla mente, e dopo un tempo indefinibile, da parte mia una sola decisione. “Andiamo a casa, dai.” Poche parole sussurrate a un vento fermo, a bassa voce così che solo il mio amato potesse sentirmi, un desiderio che lui non ebbe cuore di negarmi. Annuendo, mi prese per mano, e tristi e sconsolati, ripartimmo.  Fra un passo e l’altro, cercai di alleggerire quella così cupa quiete abbozzando un sorriso, e come se mi leggessero il pensiero, anche i miei bambini fecero lo stesso, ma per uno sporadico momento, mi parve di vedere qualcos’altro. Una luce come tutte le altre volte, certo, ma stranamente di un colore diverso dal solito. Non azzurra, non rosea, ma rossa. Seppur spaventata, tacqui quella scoperta, e istintivamente più vicina a Christopher, camminai più piano. Per quanto ne sapevo, il Giardino attorno a noi era pieno di meraviglie, e negatività o meno, avevo intenzione di godermelo. Sforzandomi di apparire tranquilla, volsi nuovamente lo sguardo altrove, e fu allora che li vidi. Fiori dai petali color dell’oro, un albero dai frutti rossi e succosi simili a lamponi, e poco più in là, in una buca sapientemente scavata nel terreno da uno dei tanti animali selvatici che lo popolavano, provviste di ogni tipo, dai frutti alle foglie, forse già mangiucchiate o forse conservate per un pasto futuro. A giudicare da ciò che osservai, probabilmente il bottino di un jackalope, di una volpe, o forse di un semplice e affamato coniglio. A quella vista, sorrisi,e solo allora, un ricordo di Bucky mi si affacciò nella mente. Padre da ormai qualche tempo, aveva ben sei cuccioli a cui badare, e tenuta sveglia dai miei pensieri, potevo giurare di aver sentito lo scalpiccio delle sue esili zampette propagarsi per tutta la foresta. Avanti e indietro, avanti e indietro, continuamente, e solo per dare il meglio di sé nel prendersi cura della sua famiglia. Attenta quanto lui, la compagna Darlene lo aiutava come poteva, e pur non avendola mai vista lasciare il nido se non per brevi periodi, potevo immaginare che prendersi cura di ben sei piccoli non fosse uno scherzo. Pensosa, ipotizzai che avessero ormai raggiunto i due mesi, e che stavano lentamente imparando cosa fossero l’indipendenza e l’autonomia, carpendo ogni lezione possibile proprio dai genitori, adulti esperti nell’arte della sopravvivenza. Nati ad Eltaria, i piccoli erano fortunati, e al solo ricordo dei loro squittii, mi lasciai sfuggire una risata. Confuso, Christopher si fermò a guardarmi, e in risposta scossi il capo, lasciando cadere l’argomento. Senza dire altro, ripresi a camminare, e tornata all’unico sentiero nel bosco che ci avrebbe ricondotti a casa, sentii il mio ciondolo agitarsi e poi brillare, e i miei poteri farsi subito più intensi. Stando ai miei trascorsi, non era la prima volta che succedeva, ma almeno allora, non sapevo cosa quel picco di energia significasse. Stordita da quell’improvvisa tensione, mi appoggiai a lui in cerca di supporto, e veloce, Christopher mi cinse un braccio intorno alle spalle. “Tranquilla, sarà il cambio d’ambiente.” Disse, il tono calmo e rassicurante. Sorridendo debolmente, accettai quelle parole senza proteste, e poco dopo, nel fitto della foresta che era e sarebbe stata la mia dimora, un suono basso e soffocato, al mio udito vagamente simile ad un pianto. Avanzando lentamente, mi portai un indice alle labbra non chiedendo che silenzio, e proprio lì, nella parte più fitta della boscaglia, qualcosa di totalmente inaspettato. L’uno accanto all’altro, due esemplari di Arylu. Un adulto e un cucciolo, uniti in una sorta di commovente abbraccio destinato a sciogliersi come neve al sole, specialmente quando con un altro passo scoprii la verità. Colpita, stentai a crederci, ma guardando meglio, notai subito del sangue. “Santo cielo, Chris, guarda…” sussurrai, sconvolta. Incuriosito, anche lui seguì il mio sguardo, e con muto sconcerto, mi lasciò la mano. “Poveri, una madre e il suo piccolo. Come credi sia successo?” non potè evitare di chiedere, incredulo. “Non lo so, ma di sicuro non è naturale, poche ferite sanguinano tanto.” Risposi appena, più concentrata sul cucciolo che sulla madre. Tenero e indifeso, restava vicino al suo corpo senza vita, e mossa a compassione da quel tentativo di risvegliarla da un sonno che non comprendeva, ricacciai indietro alcune lacrime, e avvicinandomi, provai a parlargli. “Ciao, piccolino. Mi dispiace, sai? Immagino che ti proteggesse, ma ora che non c’è più, se vuoi posso essere io la tua mamma.” Biascicai appena, parlando gentilmente e accarezzandogli il pelo dalle focature azzurre. A quell’ultima parola, l’animaletto drizzò le orecchie, e agitando la coda, cercò rifugio fra le mie braccia. Non avendo frequentato una scuola come ora facevano Lucy e sua sorella, non c’era molto che sapessi sulle creature magiche diverse da quelle naturali come scoiattoli o volpi, ma avevo sempre sentito dire, sia dalle anziane che da mia madre Eliza, che per ognuna arrivava presto o tardi il momento di scegliere, e a quanto sembrava, quel piccolo e dolce Arylu aveva scelto me. Felice, dischiusi le labbra in un sorriso, e rimettendomi in piedi, mi battei una gamba per richiamarlo a me. Incerto, il cucciolo si guardò indietro, e con gli occhietti fissi sulla madre che gli appariva addormentata, si esibì in un goffo ululato simile a un lamento, e voltandosi, decise di seguirci. Di lì a poco, un tempo apparentemente fermo riprese a scorrere, e tornati a casa solo al calare del buio, Chris ed io ci preparammo per andare a letto, e dopo la cena, già al sicuro sotto le coperte, indicai al cagnolino un posto in cui dormire. Una cuccia improvvisata da un cuscino che non avremmo usato, e che presto avremmo sostituito con una vera e propria. Poco prima di chiudere gli occhi, ci abbracciamo e augurammo la buonanotte, ma ore dopo, nella più tetra oscurità, mi risvegliai sentendo una voce. “Come ti sei permessa…” mormorò, in tutto simile al sibilo di un serpente. “A-A fare cosa?” chiesi, emulando quel tono e sperando che il mio ora dormiente Christopher non riuscisse a sentirmi. “A restare con lui tanto a lungo, giovane fata. Abbiamo chiuso un occhio sulla tua insistenza, ma adesso guardati. Non solo innamorata, ma perfino incinta, in attesa di un miracolo che nessuno spiegherà mai. Siamo stati pazienti, ma ora che vuoi coinvolgere altre creature noi non siamo più d’accordo.” continuò, per poi concludere quella frase con un ennesimo sussurro. Impietrita, guardai la mia immagine riflessa nello specchio, e pur non notando nulla di diverso dal normale, non mancai di accorgermi di quella stessa luce. Rossa, sinistra, forse perfino malvagia, che mi gelò il sangue nelle vene. Disgustata da ciò che vidi, scossi la testa infinite volte, e poi, tenendomela fra le mani, piansi. “No… no… non hanno fatto niente! La colpa di tutto questo è mia, non loro! Non sono neanche nati, abbiate pietà! Di loro e di Chris, ve ne prego!” risposte che diedi con la voce spezzata e rovinata dalle lacrime, e che per poco non si trasformarono davvero in grida disperate. Tristissima, mi scossi nei singhiozzi, e allarmato, lo stesso Christopher finì per svegliarsi. “Kia, stai… stai piangendo? Che succede?” azzardò, confuso e stranito dal sonno. Muta come un pesce, provai ad aprire la bocca e parlare, ma prima che potessi farlo, riecco quella dannata voce, a cui ora parevano essersene aggiunte altre. “Sì, Kaleia, che è successo? Avanti, prova a spiegarglielo. È tuo marito, tu lo ami, non dovrebbe essere difficile, vero? Lasciaci indovinare, hai paura?” diceva, prendendosi gioco di me in quella posizione di così vulnerabile stallo. Scuotendo il capo, tentai di scacciarla, e senza volerlo, ricorsi anche ad uno scoppio di magia che illuminò a giorno la stanza, e svegliato da tanto rumore, anche il dolce Arylu ai piedi del mio letto parve mettersi in ascolto. Seduto composto, ma a labbra ritratte in un ringhio sordo. Come Christopher, che ancora mi fissava senza capire, anche lui cercava di proteggermi, ma che fare? Come spiegare a lui, a entrambi, quello che era appena accaduto? Ero certa che sarebbero rimasti lì a guardarmi, a chiedersi di cosa stessi parlando, o a dubitare della mia sincerità. Attonita, guardai Chris, e respirando a fondo, mi decisi. “Tesoro, io… noi dobbiamo…” biascicai, non trovando le parole adatte a esprimermi. “Kia, calma. Respira e sta calma. Sono qui e ti ascolto, non c’è nessuno, vedi?” rispose lui, posandomi una mano sulla spalla e incoraggiandomi mentre tremavo come una bestiola spaventata. “Ti sbagli, Chris, ti sbagli. Sono le voci, sono tornate e mi hanno parlato, e forse faranno del male ai bambini. Dobbiamo andar via di qui, capisci? Restare è pericoloso, non posso permettere che…” lunga e interminabile, una risposta e una spiegazione che diedi solo in parte, poiché improvvisamente, lui riuscì a zittirmi. A mia completa insaputa, un bacio aveva già unito le nostre labbra, e arrendendomi a lui, lo lasciai fare senza oppormi. Il nostro fu un contatto dolce, sincero, colmo della passione che ci univa e che non mancavamo di mostrare, di fronte alla quale mi scioglievo ogni volta. “Kaleia, tesoro, basta. Ho sentito abbastanza, va bene? La situazione è grave, ma c’è ancora qualcosa che possiamo fare.” Mi disse non appena ci staccammo, serio come mai prima. “Ossia?” azzardai, con il cuore in tumulto e le membra funestate dai dubbi. “Provare a contattare Marisa. Mi avevi già parlato di queste voci, e per quanto ne so lei e sua madre sono le uniche a parlare agli spiriti della foresta.”  

 

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Capitolo 33
*** Sfere e lacrime di cristallo ***


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Capitolo XXXIII

Sfere e lacrime di cristallo

Tremavo. Il buio mi avvolgeva, e in quel momento, tremavo. Non riuscivo a smettere di farlo, né a ritrovare il calore che sentivo di aver perso. Attorno a me regnava ancora l’estate, le coperte erano troppo fresche e leggere, ma ora come ora, questo non era il problema. Avevo freddo, certo, ma quella sensazione era come innaturale, e con il corpo scosso da tremiti sempre più evidenti, calmati solo in parte dalla presenza di Christopher al mio fianco, non osai muovermi, riconoscendo per l’ennesima volta nel suo abbraccio un vero porto sicuro. Stretti l’uno all’altra, ci eravamo appena scambiati un bacio reso amaro dai nostri ora cupi sentimenti, ma sforzandosi di sorridere e confortarmi, lui non osava allontanarsi. “Kaleia, amore… va tutto bene. Mi senti? Tutto bene.” Diceva, ripetendosi costantemente e accarezzandomi piano la schiena e i capelli. Gesti che amavo e a cui ero abituata, ma che almeno allora non sembravano sortire alcun effetto. Quelle strane voci sembravano scomparse, e ancora non credevo a quanto era appena successo. Ero sveglia, sapevo che non avrebbe potuto essere un sogno, né tantomeno un’allucinazione, e nonostante una parte di me desideri che tutto questo non sia reale, il mio desiderio non si realizzerà mai, e ogni cosa apparterrà al vero. Il vecchio libro che non vedevo da tempo, le loro voci, il marchio che la strega mi aveva inciso e che ora non avevo più sulla pelle, quegli strani avvertimenti, tutto. Confusa, non sapevo cosa pensare, e non appena mente e cuore si calmarono, respirai a fondo. “D’accordo.” riuscii a malapena a dire, sforzandomi di restare calma. “Ecco, visto? Adesso non va meglio?” mi chiese Christopher, preoccupato ma premuroso come sempre. “Sì.” risposi debolmente, con il respiro spezzato dall’emozione. La risposta che diedi fu sforzata, indebolita dalla mia stessa voce, e per certi versi, non del tutto veritiera. Ora stavo meglio, ed era vero, ma ero certa che lo stesso non si potesse dire dei miei bambini. Come ogni madre, e come immaginavo anche la mia, li custodivo appena sotto il mio cuore, e avrei fatto di tutto per proteggerli, perfino dato la vita se fosse stato necessario. Intimorita, guardai verso il basso, fissando lo sguardo sul mio ventre sempre piatto, e accarezzandolo con mani tremanti, sperai per il meglio. Non sentivo nulla, e avevo paura, ma pur non ricevendo da parte loro nessun segnale, immaginavo. Per quanto ne sapevo, ogni madre, umana o magica che fosse, era sempre strettamente connessa al proprio figlio non nato, e se i movimenti che in genere sentivo ne erano la prova, la loro assenza mi straniva. Forse avevano paura a loro volta, restavano in silenzio per non essere uditi o percepiti da quelle voci che ora sapevo essere spiriti, o forse era già troppo tardi, e il rosso, che nella mia mente aveva ora due significati, amore e pericolo, li aveva consumati. Il solo pensiero mi atterriva, e scuotendo la testa, pregai di riuscire a liberarmene in fretta. “Chris…” chiamai, già stanca e con la voce che faticava a uscirmi dalla bocca. “Sì? Dimmi, sono qui.” Replicò lui alla svelta, allertato da quel richiamo. “Non li sento.” Confessai, sentendo il peso che avevo sul cuore minacciare di schiacciarmi come un insetto. A quelle parole, Christopher sbiancò diventando pallido come un cencio, e con il terrore negli occhi, quasi non riuscì a parlare. “Santo cielo, Kia, allora…” biascicò infatti, lasciando che quella frase gli morisse in gola senza mai trovare un completamento. Restando in silenzio, mi limitai ad annuire, e attimi dopo, lo abbracciai. “Mi dispiace, tesoro mio. Mi dispiace.” Sussurrai al suo indirizzo, distrutta dal dolore che provavo, e che ora aveva raggiunto come l’anima anche i nostri cuori, stringendoli in una morsa. Quella di perderli era una paura costante, un dolore che spesso provavo e che cercavo di lenire concentrando il pensiero su altro, sulle cose belle che c’erano nella mia vita e che mi avevano dato la forza di reagire e continuare a lottare fino a quel momento, che ora, però, svanivano nel nulla. Tristissima, piansi fra le braccia di colui che amavo, e scivolando a sua volta nel mutismo, lui mi permise di sfogarmi. Non potevo crederci. Il mio corpo avrebbe dovuto ospitare i miei figli e la loro vita, ma ora questa era stata cancellata. Con le lacrime agli occhi, attesi invano di sentire la sua voce rassicurarmi e il suo tocco riportarmi alla calma com’era già accaduto in precedenza, ma per mia sfortuna, niente di tutto questo accadde. Prepotente, la quiete rischiò di renderci sordi, e alla ricerca di conforto, mi strinsi al mio lui. Di lì a poco, il silenzio cadde nella stanza, e nel buio della notte, una luce e una speranza. Nel cielo tinto di nero apparve una stella cadente, e voltandoci a guardarla, Christopher ed io ci stringemmo la mano. Colpita, sciolsi il nostro abbraccio solo per strofinarmi gli occhi a causa dell’incredulità, ma proprio allora, un’altra, poi un’altra ancora. Fiduciosa, sorrisi debolmente, e nel silenzio, strinsi la sua mano con forza ancora maggiore, per poi sollevarla e posarmela sul petto, all’altezza del cuore. Lo stesso cuore che lo amava e che ora batteva come impazzito di fronte a quella sorta d’indizio o di rivelazione, che speravo essere di buon auspicio per entrambi. Ad essere sincera, non sapevo cosa fosse successo, ma a quanto sembrava, qualcuno più in alto di noi sapeva come aiutarci, e la pioggia di stelle cadenti doveva essere un segno. Concedendomi del tempo per pensare, concentrai il pensiero su Sky, e fu allora che capii. La prima delle ipotesi era e sarebbe sempre stata valida, ma lasciandomi travolgere e bagnare da un metaforico fiume di ricordi, rievocai nella mia mente l’immagine di mille e mille stelle sulla foresta, proprio come era successo a Primedia. Il mio bosco di nascita, che in altre occasioni avevo potuto visitare, e che qualcosa, forse il fato, forse solo un desiderio d’appartenenza e delle solide radici connesse ad altre spuntate qui ad Eltaria, mi impediva di dimenticare. D’improvviso, un guizzo di memoria mi saltò  in mente, e le parole del mio amato tornarono a galla fra i miei ricordi, risuonando in me come un’eco distante e infinita. “Provare a contattare Marisa.” Così aveva detto, riuscendo con quelle parole a infondermi il coraggio che tanto cercavo. Veloce, provai ad alzarmi in piedi, ma in un attimo subii il contraccolpo, e il dolore mi costrinse a star ferma. Ormai muta, non parlavo, e pur avendo ricevuto e interpretato i segni e poi deciso, ora il mio corpo si rifiutava di obbedire. Stoica, lottai contro la stanchezza, e in quel momento, qualcosa dentro di me scattò. L’istinto materno prese a parlarmi, e più decisa che mai, mi preparai a lasciare la stanza. Da quel momento in poi, dimenticai tutto. Il buio che presto avrei dovuto affrontare, il freddo vento che intanto aveva iniziato a spirare, il dolore che ogni sforzo fisico mi costringeva a sopportare. Ancora giovane, mi reputavo una fata inesperta e che ancora stava imparando, ma nonostante tutto provavo, anche con l’avanzare della mia condizione. Lenta, questa progrediva senza farsi sentire, ma io ne avvertivo gli effetti, e cauta, mi assicuravo di non strafare. Ad ogni modo, la situazione era seria, se non addirittura critica, e dovevamo agire. Era strano a dirsi, ma era come se all’improvviso il mio benessere non importasse, non ora che in mente avevo solo quello dei miei figli. “Chris, muoviti, non abbiamo molto tempo.” Dichiarai, facendo suonare quella frase come l’ordine di un potente monarca. Non proferendo parola, annuì soltanto, e in un attimo, fummo pronti a partire. Così, con uno scatto degno di un felino, afferrai la maniglia della porta ancora chiusa, e all’improvviso, un suono mi distrasse. Debole e dolce al tempo stesso, un latrato del mio nuovo piccolo Arylu, che troppo triste all’idea di restare da solo in quella stanza così buia, protestava teneramente, insistendo per non essere lasciato indietro. Mossa a compassione dalla sua adorabile fierezza, mi abbassai per accarezzarlo, e grato, lui mi leccò la mano. Abbaiando ancora, agitò la coda, e ridacchiando divertita, lo invitai a seguirci. Felice, il cagnetto liberò un ultimo latrato, e l’aria si raffreddo all’istante, riempiendosi piano di fiocchi di neve. Uno spettacolo tenero tanto quanto lui, di fronte al quale sorrisi, e con la cui fine, mi scoprii sollevata. Ora stava imitando Bucky oltre che Christopher, ma troppo concentrata per dar peso ad altri ricordi mi decisi. Pronta a uscire, strinsi la mano al mio protettore, e giunta oltre la porta di casa, spiccai il volo. In quanto fata, non avrei mai toccato altezze inimmaginabili, e volare poteva essere rischioso data la mia condizione, ma non importava. Così, fra un battito d’ali e l’altro, un minuscolo aiutante al mio fianco e il mio Christopher stretto a me in quel viaggio di speranza, solcai i cieli alla ricerca di un’amica, l’unica che avrebbe potuto aiutarmi dividendosi fra i suoi potenti incantesimi, lucenti sfere e amare lacrime di cristallo.
 
 
Una buonasera a tutti i miei lettori. Anche stavolta sono in ritardo con la pubblicazione del nuovo capitolo, e me ne scuso, ma con tanto da fare, e poco tempo per scrivere non sono riuscita a fare di meglio. Brutte notizie per la povera Kaleia, che ora più che mai sembra mettere in pericolo sè stessa per proteggere chi ama, ovvero i suoi figli, per i quali forse c'è ancora una speranza. Voi che ne pensate? Attendo di scoprirlo, ma non temete, ci rivedremo nel prossimo capitolo,
 
Emmastory :) 

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Capitolo 34
*** Segni di vita e d'inchiostro ***


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Capitolo XXXIV

Segni di vita e d’inchiostro

E così, quel viaggio era iniziato. Nascosta nel buio e nel silenzio della notte, mi muovevo lentamente, con cautela, come se ogni battito d’ali avesse un valore. In circostanze normali non ci avrei pensato, ma ora era tutto diverso. Spiccare il volo era un rischio, e se una parte di me lo sapeva, e il mio corpo quasi rifiutava di obbedire, un’altra dissentiva. Ancora una volta, parte umana e parte magica lottavano affinché una vincesse sull’altra, così da avere sudi me il totale controllo. Grazie al cielo, avevo ancora al collo il mio ciondolo, unico strumento magico capace di sedare quell’eterna lite e permettermi di vivere serenamente. Strano potere o meno, era prima di tutto un regalo di Christopher, che sempre stretto a me mentre esploravo il cielo tinto di nero e punteggiato di piccole stelle, non mancava di scambiarsi con me sguardi e occhiate d’intesa. “Stai andando benissimo.” Sembrava dire, quando il suo abbraccio si faceva più forte. “Ce la faremo.” Pareva aggiungere, ogni volta che le nostre mani si sfioravano e l’azzurro dei miei occhi incontrava il verde dei suoi. Così, con una nuova speranza nel cuore, continuavo quel viaggio senza fermarmi, ricevendo a mia insaputa aiuto proprio dall’alto. Impegnate come me in un volo tutto loro, alcune lucciole danzavano nella notte facendomi da guida, e fidandomi, le seguivo. Il tempo scorreva lento, e fra un attimo e l’altro, lasciavo che il mio sguardo si posasse sul sentiero appena sotto di me, non sentendo altro che i latrati del mio piccolo Arylu, spesso accompagnati dalla luce che il suo corpo era apparentemente in grado di sprigionare ogni volta che usava i suoi poteri. Era quella la ragione per cui le focature sul suo pelo ne acquistavano una propria, e sempre quella la caratteristica grazie alla quale aveva ottenuto il suo nome. Cosmo. L’avevo scelto rifacendomi al cielo e alla sua immensità, agli astri e alle stelle che osservavo quotidianamente, ogni volta che il sole scendeva. Era così che la luna faceva capolino fra le nuvole, che le sue minuscole e fulgide compagne l’affiancavano, e che l’intero bosco si preparava a riposare, per poi risvegliarsi e affrontare il giorno successivo. Ora come ora, Christopher ed io siamo forse gli unici a non dormire, eccezione fatta per alcuni gufi che volano nella quiete di questa notte, disturbata soltanto dal loro bubolare. Stando a ciò che mi è successo, sono in volo per una causa nobile e un motivo ben preciso, ovvero proteggere i miei figli, ma nonostante tutto, se lo spirito è forte, la carne è debole, e il vento che ha iniziato a soffiare non mi è d’aiuto. Dovrebbe sostenermi, ma è tiranno, mi ostacola, e stanca come mai prima d’ora, rallento, sentendo il corpo e le ali deboli. Attenta nonostante l’oscurità che mi avvolge, riesco a fermarmi attimi prima del peggio, sicura che perfino oltre il freddo vento, la tetra oscurità e la bianca e pallida luna, qualcuno sia dalla nostra parte. Lenta, mi preparo a tornare sulla terraferma, e non appena ci riesco, le ginocchia quasi non mi reggono. Per il vento e per la stanchezza, barcollo e quasi cado, ma per mia fortuna, Chris è lì per sorreggermi. “Piano, piano, sta tranquilla.” Sussurra, con una vena di preoccupazione nella voce. “G-Grazie.” Balbettò, così stanca da non riuscire a parlare. Stremata, mi avvicino a un albero, e per qualche arcana ragione, la corteccia è sorprendentemente morbida e non dura. A quanto pare, la natura attorno a me sta reagendo ai problemi della mia vita, e pur non potendo muoversi, gli alberi fanno quello che possono per aiutarmi. Sanno che ho bisogno di riposare, e sembrano decisi a fare la loro parte. Grata, poso la schiena contro un tronco spesso e a occhi chiusi, respiro lentamente. Innumerevoli attimi scompaiono così dalla mia vita, e distrattamente, cerco la presenza e il conforto di Christopher. È vicino, e almeno per un istante, appare sollevato. A dire il vero non riesco a vederlo, ma anche il suo respiro si è fatto più calmo. Mentre riposo, il silenzio mi avvolge ancora, e improvvisamente, una presenza al mio fianco mi fa sobbalzare. Spaventata, riapro subito gli occhi, ed è allora che lo vedo. Accucciato fra l’erba, Cosmo tiene la testa sulle mie gambe, e preoccupato a sua volta, prova a confortarmi leccandomi una mano. Dati i suoi poteri collegati al freddo, la sua lingua è ghiaccio sulla mia pelle, ma almeno ora non tremo, e anzi, lascio che quella sensazione mi scivoli sulla pelle. “Grazie, Cosmo.” Biascico, sorridendo debolmente. Tranquillo, il cucciolo agita piano la coda, e smettendo di leccarmi, si fa spazio fra le mie braccia così che possa accarezzarlo. Realizzando il suo desiderio, affondo le dita nel pelo nero e azzurro, e godendosi le mie attenzioni, lui si calma quasi istantaneamente. “Sei un bravo Arylu, Cosmo. Un bravo Arylu.” Poche parole che sussurro con convinzione, e che giunte alle sue orecchie, lo rendono orgoglioso. Giocando, gonfia il petto, assumendo proprio allora la posa più goffa che abbia mai visto. Seduto sulle zampe posteriori, si attende un premio, ma per  sua sfortuna non ho nulla da dargli, almeno finchè un ricordo non mi torna in mente. Comprendendo il mio dolore, gli alberi della foresta sono generosi, e con una mano ferma sul tronco di quello alle mie spalle, mi concentro. Decisa, sussurro qualcosa a me stessa, e quando la ritraggo, eccolo. Il risultato del mio incantesimo, ovvero una bolla di resina indurita e grande quanto una caramella, perfetta per l’occasione. “Va bene bello, sta fermo… Fermo…” gli ordino, seria eppure tranquilla. Drizzando le orecchie, il lupacchiotto non se lo fa ripetere, e in breve diventa una statua di granito. Orgogliosa, attendo solo pochi secondi, allo scadere dei quali, lo accontento. Guardandoci senza una parola, Christopher ridacchia divertito, ma proprio allora, un suono ci distrae. Di  a poco, la tensione prende il posto dell’ilarità, e più veloce e attento di noi, anche Cosmo scatta sull’attenti. Con lo sguardo rivolto verso l’ignoto, osserva e ascolta un fruscio fra i cespugli, e per un attimo, temo il peggio. Per quanto ne so, i lupi non hanno mai abitato questi boschi, ma il debole ringhio del mio piccolo compagno mi induce a ricredermi. Con l’istinto materno a parlarmi, la mia prima reazione è quella di provare a volar via, ma sono troppo debole, e agendo d’istinto, Chris afferra un ramo. Silenzioso, attende che il pericolo sgusci fuori dall’ombra, e dopo un tempo interminabile, ecco che il nostro avversario si rivela a noi. Contrariamente a ciò che pensavamo, si tratta solo di un coniglio, che alla nostra vista, non osa muoversi, annusando alternativamente l’aria e il terreno, e notando il ramo che Christopher ha con sé, e poi Cosmo, ai suoi occhi un potenziale predatore, si volta e fugge spaventato. “Grazie al cielo non era niente.” Penso, parlando con me stessa. Provando ancora a rialzarmi, barcollo solo leggermente, e sempre vicina a una quercia per evitare di cadere, tengo la mano ferma sul tronco fino a sentirmi stabile. Tornando a concentrarmi sul mio respiro, mi assicuro che sia regolare, e finalmente più calma, mi volto verso Christopher. “Primedia dovrebbe essere vicina, andiamo.” Lo esorto, sicura di non voler perdere altro tempo. Quello che avevamo visto era solo un coniglio, ma avevamo avuto fortuna, e dati i nostri trascorsi, le voci e il resto, non avevo certo intenzione di provocare il fato. Mi sento meglio, ma non è il momento di cantare vittoria, e con quello di allontanarsi come ultimo desiderio, sia Christopher che Cosmo mi restano accanto. Uno mi aiuta a camminare cingendomi un braccio attorno alle spalle, l’altro, piccolo ma veloce, prima ci segue, poi si mette in testa alla nostra marcia, deciso a difenderci da qualunque pericolo. Data la sua età, dubito che abbia mai dovuto lottare contro qualunque fiera e affrontato le ombre che da tempo sembrano seguirmi, ma nonostante tutto, sorrido. È bello vederlo così,  fiero e stoico, pronto a dimostrare a me e al resto del bosco che nulla lo intimidisce nonostante la sua taglia. Coraggioso, ovvio, ma in parte, anche se lui stesso si rifiuta di ammetterlo voltandosi a guardarci per infonderci il coraggio che ci manca, anche irresponsabile. È soltanto un cucciolo, i suoi poteri non sono ancora sviluppati a dovere, ma forse il tempo trascorso con la madre gli ha insegnato qualcosa. Solo il tempo e il destino conoscono la risposta, e mentre uno scorre e l’altro non cambia, già scritto fra le pagine di un metaforico libro che ogni umano sogna di leggere, io mi fermo. Non vorrei, ma sono costretta, e la causa è una sola. Dolore. Acuto, inaspettato e pungente, mi spinge a chiudere gli occhi e stringere i denti, mentre Christopher, onnipresente al mio fianco, si stringe a me, impedendomi ancora una volta di cadere. “Kaleia!” mi chiama, la sua voce un urlo strozzato dalla paura mista alla consapevolezza di non voler attirare l’attenzione. Il popolo di Eltaria e pacifico, e lo stesso si può dire degli animali che ne abitano la selva, ma se c’è qualcosa che ho imparato in passato, precisamente dall’incontro con Midnight, degenerato poi in scontro, è che per quanto calma e apparentemente addomesticata, ogni belva è imprevedibile. Spaventata, serro le labbra per non gridare, ma il dolore è troppo forte, e un suono mi sfugge dalle labbra. Agendo d’istinto, abbasso gli occhi, notando solo allora l’unica cosa che mai avrei voluto vedere. Proprio come le altre volte, una luce, che per mia, anzi nostra sfortuna, stavolta è diversa. Non è azzurra né rosea, né tantomeno rossa, ma anzi, nera. Paralizzata dal terrore, non riesco a smettere di guardare, e in quel preciso istante, altri ricordi del libro della famiglia del mio amato si fanno spazio nella mia mente. “Superstizione o meno, le lanterne sono simboli umani collegati al mondo magico, e ogni colore ha un significato ben preciso. C’è il giallo, simbolo di gioia, il verde, indice di speranza, il rosso che indica l’amore, e molti altri, ma fra i tanti, ogni creatura, di qualunque specie sia, deve sperare di non veder mai nero. ” pesanti e allo stesso tempo crudamente vere, parole che avevo letto una sera prima di dormire, quando non riuscendoci, avevo pensato di portare avanti le mie ricerche sul mio mondo, così da comprenderlo al meglio ed espandere la mia conoscenza. C’ero riuscita, e conoscere i lati negativi del mio vero essere giocava a mio favore, ma a quanto sembrava, non in questo caso. Più debole che mai, mi sentii venir meno, e determinata a non vedere il mondo intorno a me svanire come polvere nel vento, rimasi lì ad occhi chiusi, a pensare e a concentrarmi. “Non adesso, Kaleia. Non adesso. Fallo per loro.” Mi ripetevo, stoica e irremovibile. Con il volto contratto in una smorfia di dolore, Christopher mi strinse a sé con forza ancora maggiore, ma la sfortuna, regina di quella così cupa notte, sorrise maliziosamente, per poi voltarci le spalle e decidere per noi. Fu quindi questione di attimi, e sentendomi più morta che viva, per poco non cedetti. Ormai stanca di lottare, una parte di me non si dibatteva più, non facendo invece altro che urlare di dolore, ma un’altra, probabilmente la mia parte umana, continuava a combattere e andare avanti, sicura di poter affrontare e vincere anche questa battaglia. Con gli occhi appena aperti, chiamai il mio amato per nome, e reagendo prontamente, lui fu lì per sollevarmi e portarmi via da quel luogo. “Kaleia, tesoro, sono qui. Sono qui e andrà tutto bene, hai capito? Non ti lascerò andare, intesi?” disse, correndo per la foresta senza curarsi più di nulla, ignorando il pericolo e non avendo nella mente e nel cuore altro che me. Troppo debole per parlargli, cercai dentro di me la forza di trasformare pochi rantoli in parole, e quando finalmente ci riuscii, solo due abbandonarono le mie labbra. “Ti… ti amo.” Tentai, la voce sempre più bassa con ogni respiro. “Sì, ti amo anch’io, fatina, non arrenderti. Non adesso, va bene? Pensa ai bambini!” una risposta che fra una attimo di incoscienza e l’altro sentii appena, e che sorridendo debolmente, capii essere più vera di tante altre. Detta con il cuore e non solo con la bocca, contribuì a darmi la forza necessaria per andare avanti, perfino quando il buio mi avvolse e il mio battito, debolissimo, minacciò di lasciarmi. Ben presto, anche respirare divenne faticoso, e persa nel buio, attesi e pregai. Non a mani giunte, ma pregai, sperando ardentemente che qualcuno più in alto di me potesse ascoltarmi. Per tutta risposta, un’ennesima stella cadente illuminò il cielo solcandolo in silenzio, e sospesa fra il vincere e il perdere, rischiai di non sentire più nulla. Testarda e attaccata alla vita, lottai per rimanere concentrata, e vicina alla terra, percepii ogni reazione. Lo spirare del vento in quell’infinita notte, il fruscio delle foglie e dei rami degli alberi, la lenta danza di ogni singolo filo d’erba, e tante, tantissime piccole voci che cercavano di farsi sentire. “Puoi farcela, Kia, puoi farcela, avanti.” Queste le frasi pronunciate da quei piccoli miracoli, che giungendo alle mie orecchie come ovattate, mi aiutarono a perseverare, e che grata, ascoltai con il cuore pieno di letizia. Qualcuno oltre a Christopher e alla mia famiglia credeva in me, e seppur effimera, quella sola consapevolezza mi cullava, proteggendomi ogni volta da tutti i miei timori. Privata della capacità di vedere, mi affidai ai miei altri sensi, e seppur ormai appesa ad un filo, non abbandonai la speranza. Stando a ciò che ricordavo, nel tempo lei non aveva mai abbandonato me, ragion per cui voltarle le spalle sarebbe stato da codardi. Plagiato dal dolore, il mio corpo stava per arrendersi definitivamente, ma io mi rifiutavo, e sicura di me stessa e di ciò in cui credevo, insistevo ancora nonostante tutto, puntando metaforicamente i piedi come una bambina. L’oscurità mi avvolgeva, ma io sapevo di essere più forte, e proprio quando credetti di aver perso quella battaglia, eccoci. In un attimo, tutto mi fu chiaro. La corsa del mio Christopher si era arrestata, una porta era stata aperta, e poche frasi erano state scambiate, fra lui e qualcuno che stentai a riconoscere. “Santo cielo, Chris! Che è successo? Stava bene prima? Cos’ha fatto? E cos’è quel bagliore?” domande legittime data la mia condizione, alle quali il mio amato non rispose, concentrato non su cosa fosse accaduto, ma su come far tornare ogni cosa alla normalità. Come sempre, proteggermi era la sua priorità più importante, e orgogliosa, ricordai ancora una volta quanto lo amavo. Sforzandomi, finii per rantolare, e agendo d’istinto, lui mi accarezzò la guancia. “No, non sforzarti, amore mio. Sei al sicuro, adesso. Siamo da Marisa, capito?” mi sussurrò poi, la solita vena di preoccupazione a rovinargli il tono di voce. Perfino più debole di prima, non ebbi modo di esprimermi, e non riuscendo a fare altro che mugugnare parole senza senso, decisi di fidarmi. Fino ad allora il suo amore non mi aveva mai tradita, e nonostante avessimo avuto degli screzi in passato, ora nessuno contava. Volevo solo guarire, risvegliarmi e stare bene, per lui, per la mia famiglia e per la nostra, che avremmo potuto costruire o perdere in un soffio o un battito di ciglia. Di lì a poco, un minimo istante di conoscenza mi riportò alla realtà, e con la vista offuscata da un misto di dolore e stanchezza, non distinsi quasi nulla, eccezione fatta per la figura di colui che amavo affiancata da quella della mia amica, che seria e preoccupata, continuava a parlargli. Ad essere sincera, non capii cosa si dissero, ma in ultimo istante di ancora attiva presenza, la vidi consegnargli una pietra e un foglio di carta. Scivolando ancora nell’incoscienza, quella notte non fui sicura di nulla, se non di aver appena scoperto deboli segni di vita e d’inchiostro.  

 

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Capitolo 35
*** Amor sacro e non profano ***


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Capitolo XXV

Amor sacro e non profano

Sostituendosi al buio, la luce vinse un’ennesima e strenua battaglia per regnare sulla foresta, e faticando a svegliarmi, fui accolta da un lancinante dolore alle tempie. Anche se solo per pochi istanti, non vidi nulla, ma allo stesso tempo fu come fissare il sole. Frastornata, mi schermii gli occhi per proteggermi, e quando finalmente il bianco nulla smise di stringermi fra le sue spire come un venefico serpente, capii, e ogni ricordo, seppur sfocato, tornò presto al suo posto nella mia mente. Il volo, l’inizio del viaggio, la pausa forzata, i tentativi della foresta, e poi l’oblio. Finalmente sveglia, mi scoprivo in un letto non mio, e provando a liberarmi delle coperte, per poco non caddi, debilitata da un capogiro. Colta dal dolore, mi lamentai a denti stretti, e sorprendentemente, una sorta di voce rispose. Dolce e quasi angelica, ma non umana. Era Cosmo, che sgusciando da sotto il letto, teneva le zampe ben piantate sulla coperta, preoccupandosi per me. A quanto sembrava, doveva aver vegliato su di me per tutta la notte, e a tradirlo c’erano gli occhietti appena aperti e il respiro spezzato da continui sbadigli. “Cosmo!” chiamai, felice di rivederlo. “Hai fatto tu la guardia, vero?” chiesi poco dopo, sforzando un sorriso e accarezzandogli piano la testa con la mano. Per tutta risposta, l’Arylu abbaiò festoso, e volendo starmi vicino, azzardò un tentativo di unirsi a me su quel giaciglio. “No, fermo, fermo! Sono sveglia!” quasi urlai, scoppiando a ridere e alzando improvvisamente la voce, non badando al tono che utilizzai nel parlare. Drizzando le orecchie, il cucciolo tornò a sedersi, e composto, si limitò a guardarmi, l’azzurro dei suoi occhi fisso in quello dei miei. Contagiata dalla sua tenerezza, gli regalai un sorriso, e non appena si avvicinò per leccarmi una mano, il mio mal di testa scomparve. Sapevo bene di non essere guarita, o almeno non del tutto, ma nonostante le sciocchezze di quel lupacchiotto e il suo goffo teatrino, la mia preoccupazione era una sola, o per meglio dire, due. Ora che ero sveglia, che sarebbe successo ai miei bambini? Ce l’avevano fatta? Si erano ripresi dopo il mio svenimento? O era troppo tardi? Domande che mi vorticavano in testa come uno sciame di affamate locuste, voraci come sempre ma stavolta incapaci di trovare un lauto pasto. Se questo accadeva c’era una ragione, ossia la mancanza di risposte a ognuno di quei quesiti. Con un nuovo sforzo, scalciai via le coperte e mi misi a sedere sul letto, e con la mente e le membra torturate dai dubbi, e lo sguardo fisso sulla porta ancora chiusa, attesi. Le risposte che cercavo non arrivarono certo in fretta, e dopo un tempo che non fui in grado di definire, scandito comunque dal ticchettio di un orologio appeso al muro e dal silenzio di una metallica sveglia sul comodino, la porta in legno si aprì rivelando due figure, una delle quali riconobbi all’istante. “C-Chris?” titubai, impacciata. Era strano, stentavo a crederci, eppure il mal di testa era tornato. Mi ero fidata della cura di Cosmo, ma dati i suoi poteri ancora acerbi, l’effetto doveva essere già svanito. “Kia, sei sveglia. Meno male, ero passato a controllarti, per vedere come stavi.” Disse appena, la voce bassa eppure udibile, corrotta da un sentimento che non riuscii a identificare. Forse preoccupazione, forse rimorso per non avermi aiutata prima della mia completa discesa nel buio, forse l’amore che provava per me nascosto in quel tono così criptico. Non ne ero sicura, e dato il momento non lo ero di nulla, ma allo stesso tempo, nient’altro importava. Lui era tornato da me, e con un sorriso sul volto e più di un battito nel cuore, provai ad avvicinarmi. Per mia sfortuna, quel tentativo fu inutile, e quando il dolore alle gambe mi costrinse a restare seduta, ridacchiai come una bambina, e con un gesto della mano, lo pregai di avvicinarsi. Annuendo, lui non si fece attendere, e in un attimo fu al mio fianco. Seduto e in disparte, adesso Cosmo si limitava a guardarci, e con la lingua appena fuori dalla bocca, agitava la coda. “Sta meglio, visto? Ed è grazie a me.” Sembrava dire, intelligente e fiero. Non avendo occhi che per Christopher, allargai le braccia per accoglierlo fra le mie, felice di vederlo ricambiare quel gesto e stringermi a sé. “Amore… sei sempre fantastico con me, sai?” gli sussurrai, sincera e innamorata. “Sembra che faccia parte del mio lavoro, vero?” rispose lui, azzardando quella domanda al solo scopo di divertirmi. “Però?” tentai, sicura che avesse altro da aggiungere. “Però fa parte di me, ed è così da quando ci siamo conosciuti.” Replicò lui, sorridendo appena e sfiorandomi le guance, che a quel tocco andarono a fuoco, imporporandosi all’istante. “Non ci lasceremo mai, giusto, custode?” continuai, rincarando la dose e perdendomi nel verde dei suoi occhi, che mi ricordavano la speranza che mai avrei osato perdere, così come la capacità di credere nei miei sogni. Sogni di cui lui faceva parte, e nei quali da tempo annoveravo la nostra famiglia, perfino da prima che questa diventasse una realtà. Dopo la perdita di conoscenza non sapevo se i nostri piccoli fossero sopravvissuti o se la malvagità degli spiriti ce li avesse portati via, ma nonostante questo volevo sperare, aspettare e sperare per il meglio, stringendogli la mano mentre mi accompagnava come aveva sempre fatto in quel viaggio chiamato vita. Per un pò nessuno di noi due disse nulla, ma con lo scadere di pochi secondi, forse abbastanza da formare un minuto, la sua voce mi distrasse da tutti i miei pensieri. Voltandomi a guardarlo, gli sfiorai piano una guancia con la mano, e prendendola nella sua, lui l’abbassò. “Già, mai, fatina, non ora che qualcuno oltre a noi potrà conoscere il nostro amore.” Quella la sua unica risposta, sincera quanto e forse più delle mie parole, colme dell’amore che provavo per lui. Tacendo a riguardo, quasi non avevo il coraggio di espormi e parlarne, ma se per molti era un sentimento astratto, per noi aveva un nome, un volto e una vera identità, ovvero proprio le nostre. La sua nel mio caso e la mia nel suo. Tranquilla, gli presi di nuovo la mano, e in silenzio, lui si sdraiò al mio fianco. Incuriosito, Cosmo trotterellò verso il letto, e all’improvviso, un suono alle sue spalle lo spinse a voltarsi. Qualcuno aveva bussato alla porta, e giunto in silenzio, aveva consegnato qualcosa. Sospettoso, il cagnolino si affrettò ad annusarla, e raccogliendola da terra, si avvicinò per mostrarcela. Con occhio attento, Christopher fu il primo ad esaminarla, e poco dopo, sempre in silenzio, me la porse. Incerta, sfiorai quel foglio con mani tremanti, e con una piccola ma affatto amara lacrima a solcarmi il volto, lessi senza una parola. Era una lettera di Sky, e una per una, le sue parole mi colpirono senza ferirmi, innocenti e inoffensive come morbide piume. Fra una riga e l’altra, mi asciugai gli occhi, e in quel mentre, qualcosa cadde dalle pieghe di quella lettera. Una strana pietra bianca simile al mio ciondolo, probabilmente una sorta di amuleto. Tornando a fissare lo sguardo sulla porta, ricordai i colpi sul legno, e chiudendo gli occhi mentre respiravo, una nuova luce parve splendere su di noi. Ora anche Marisa cercava di aiutarci, e fra un attimo e l’altro, rivolsi il pensiero anche a Sky, che ancora infelice, ma fortunatamente più calma, ammetteva di voler provare a fare la cosa giusta prima che fosse troppo tardi, prima che il suo amore per Noah, ancora fonte di dolore e gioia allo stesso tempo, appassisse come un tenero fiore nato nelle disgrazie dell’inverno. Rilassata come non mai, mi addormentai accanto a Christopher, stringendo al petto quella bianca pietra e scivolando nella quiete di un pomeriggio pieno di sole, certa di aver fatto quanto in mio potere per dimostrare che nonostante le liti, le incomprensioni e le effimere apparenze, l’amore poteva essere solo sacro e non profano.





Anche stasera aggiorno praticamente per il rotto della cuffia, e sperando che il capitolo vi sia piaciuto, vi lascio anche una foto che mostri l'aspetto, nonchè la bellezza della pietra appena ricevuta da fata e protettore. Apprendista strega, Marisa cerca di aiutarli come può, ma sarà abbastanza? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, ma intanto grazie di tutto il vostro supporto,


Emmastory :)


Crystal 
 

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Capitolo 36
*** Il bianco amuleto ***


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Capitolo XXXVI

Il bianco amuleto

Dopo il pomeriggio era scesa la sera, e al sicuro come sempre fra le braccia di Christopher, dormivo beata, cullata come una bambina dal battito del suo cuore. Tranquillo, lo sentivo battere in perfetta sincronia con il mio, e mentre entrambi riposavamo, ancora stanchi dopo il viaggio che ci aveva finalmente condotti alla nostra amica, qualcosa cambiò all’istante, facendoci sobbalzare. Aiutata o forse punita dal mio sonno leggero, fui la prima a svegliarmi, e con me anche Cosmo, che sdraiato ma allerta e con le orecchie dritte, aveva già ritratto le labbra e ringhiava sonoramente. Spaventata, incrociai in fretta il suo sguardo, e con un gesto della mano, lo pregai di arretrare. “Nasconditi.” Sussurrai, sperando che chiunque fosse dietro la porta non riuscisse a sentirmi. Con un’espressione di serietà dipinta sul muso, il mio Arylu obbedì senza fiatare, e veloce, sparì sotto al letto, chiudendo gli occhi nella speranza di non essere visto. “Kaleia, ma cosa…” balbettò Chris, appena sveglio e confuso tanto dal sonno quanto da quel rumore. Proprio come lui, anch’io ero sveglia da poco, ma data la situazione, era come se lo fossi già da un pezzo. Era strano, non ricordavo che mi fosse mai successo, o forse ora i ricordi fuori posto ingannavano la mia memoria, ma non sentivo altro che pura adrenalina nelle vene. Per quanto ne  sapevo, la paura era in genere la caffeina delle emozioni, e poteva allo stesso tempo rivelarsi alleata e nemica, o in altri termini, un’arma a doppio taglio. Riusciva a tenerti sveglio se la lasciavi agire, per poi bloccarti e impedirti di ragionare se solo osavi contrastarla. In quel momento, il cuore mi martellava nel petto, la mia magia fremeva per sfuggirmi dalle mani, e tremavo. Ancora una volta, la colpa non era da imputarsi al freddo, ma a qualcosa che vidi non appena la porta della stanza minacciò di aprirsi cigolando sinistramente. Terrorizzata, mi bloccai sul posto, e se Christopher rimase fermo a tenermi la mano per rassicurarmi, Cosmo ruppe il silenzio con un debole uggiolio. Che poteva essere? Un viso amico? Uno perlomeno conosciuto? O un altro di quegli spiriti da affrontare? Non lo sapevo, ma mentre il tempo scorreva, il mio corpo parlava per me, e la mia magia diventava sempre più difficile da controllare. Malgrado non volessi, era tornata in superficie per permettermi di difendermi, e dato ciò che ci accadeva intorno, ricordandomi la scena madre di un film dell’orrore poco prima del suo macabro finale, le carezze di Christopher servivano a poco. Lo amavo, lo amavo da sempre, ma nonostante questo ora non riuscivo a calmarmi. Riducendomi al silenzio, serrai le labbra, e solo quando fui sicura di poter uscire allo scoperto, parlai. “Hai sentito anche tu, vero?” gli chiesi, in tono serio e perentorio. “Sentito cosa?” rispose lui, incerto e dubbioso. Sveglio da meno di me, forse non comprendeva davvero la gravità della situazione, e se una parte di me temeva il peggio, sicura di non uscire viva dalle mura che avrebbe dovuto garantirmi la salvezza, un’altra confliggeva letteralmente con la prima, portandomi a chiedermi come facesse a mantenere la calma, calma che avrei unicamente potuto definire mostruosa. “Quello.” Mi limitai a rispondere, per poi scivolare nel mutismo e attendere il ritorno dei colpi che ero sicura di aver già sentito al risveglio. Non più sul legno della porta, ma sul pavimento. Lenti e cadenzati, mi gelavano costantemente il sangue nelle vene, e governata da mille emozioni diverse, tutte negative, non sapevo cosa pensare. Dentro di me c’erano paura, terrore, panico, dolore e infine rabbia. Dov’era Marisa? Perché non era qui ad aiutarci, e soprattutto, perché sembrava scomparsa proprio ora che avevamo più bisogno di lei? Non ne avevo idea, e con l’andar del tempo, ogni indecisione mi rendeva più tesa e nervosa che mai. A denti stretti, tornai a guardare, e andando alla ricerca di conforto, cercai la sua mano, che forse per la prima volta in tutto quel tempo, lui non mi offrì. Seppur sorpresa, non mossi foglia a riguardo. A quanto sembrava, ora capiva, e felice di non essere l’unica in ascolto e attesa di qualunque segnale come un attenta investigatrice, approfittai del silenzio fra noi per pensare, trovando a ogni suono una spiegazione logica. C’erano stati i rumori sul legno, quindi qualcuno aveva bussato, poi quelli sul pavimento, probabilmente qualcuno che camminava, e ormai onnipresente, il costante e continuo scodinzolio della coda di Cosmo, che senza volere la sbatteva contro le coperte finite in terra. “Cosmo, smettila!” gli ordinai, innervosita. Uggiolando, il cagnetto smise di agitarsi, e proprio allora, l’aprirsi della porta e la luce di una lampadina illuminarono la stanza. Colta alla sprovvista, mi voltai di scatto in quella direzione, tirando solo allora un sospiro di sollievo. Grazie al cielo era Marisa, e rilassando ogni muscolo del corpo, comprese le mani fino a quel momento strette a pugno, lasciai che l’energia magica defluisse dal mio corpo, rendendomi come sempre inoffensiva. A poco a poco, la tensione nella stanza scomparve fino a sciogliersi completamente, e camminando verso di noi, la nostra amica strega non tardò ed esaminarci, squadrandoci da capo a piedi con aria preoccupata. “Ragazzi, per fortuna state bene! Kaleia, ti prego, dimmi che hai ricevuto il gioiello nella lettera.” Si affrettò a dire, la voce spezzata e corrotta da un turbine di emozioni. “Gioiello?” azzardai, confusa e stranita. “Sì, era piccolo e bianco. Un cristallo, per la precisione.” Spiegò lei, seria come mai ricordavo di averla vista. Confusa, tornai a frugare fra le coperte in cui avevo dormito e proprio sotto al cuscino, assieme all’ormai famoso ciondolo capace di mantenere stabili i miei limiti di fata, ritrovai quella pietra, caratterizzata stavolta da una differenza. Non più bianca come in precedenza, ora era diventata grigia e priva del suo originale splendore. “Cosa… cosa vuol dire?” non potei evitare di chiedere, mentre il cuore tornava a battere come impazzito. Silenziosa e concentrata, Marisa si limitò a osservare quel monile con attenzione, e dopo un’interminabile battuta di silenzio, riprese la parola. “Mi spiace dirvelo ragazzi, ma siete in guai seri, a questo punto.” Disse appena, tenendo la voce bassa per non essere udita che da noi. “Come? Che significa? Per favore, spiegati.” Quella volta fu Christopher a parlare, nervoso e preoccupato come mai prima. Amandolo con tutto il cuore, potevo dirlo di conoscerlo perfino meglio di me stessa senza timore di esagerare, e nello spazio di un momento, gli occhi della nostra più cara amica tornarono a fissarci, profondi e indagatori. Per quanto ne sapevo, un modo come un altro di esaminare coloro che aveva intorno, come quando guardava intensamente nella sua nebbiosa sfera di cristallo, anche se ora le sfere erano addirittura quattro, ovvero i nostri occhi. Nei miei, più chiari, leggeva un misto di paura e confusione, mentre in quelli del mio amato, leggermente più scuri, sembrava scorgere chiare note di determinazione. Ora che le acque sembravano essersi calmate, mi avvicinai a lui per lasciarmi stringere, e pur non interrompendo quel momento, la cara strega non esitò a parlarci, dando voce a una verità per noi già consolidata dal tempo. “Gli spiriti vi hanno trovato, hanno scoperto di voi, e con ciò che vi sta accadendo, non sopportano i danni che gli state arrecando.” Continuò, facendo suonare quelle frasi perfino più tetre e spaventose di quanto non fossero. La sua voce, in genere dolce e gentile, si era ora fatta grave e profonda, simile a quella della madre, quando fra un discorso simile a quello e qualche strano colpo di magia, mi aveva metaforicamente e fisicamente forzata ad allontanarmi dal mio stesso protettore, che a suo dire mi stava lentamente annullando. Testarda, innamorata e forse ingenua, non avevo voluto darle ascolto, e ora ecco che altre forze esterne, probabilmente esseri impuri nati dalla magia nera, cercavano di impartirmi la stessa lezione che lei aveva tentato di impartire a me. Frustrata, sentii mille lacrime bruciarmi e inumidirmi gli occhi, e stringendomi ancora di più fra le braccia di colui che amavo, per poco non urlai. “No, non anche tu, ti prego.” Piagnucolai, delusa. “Perché? Perché nessuno capisce?” aggiunsi poco dopo, la voce spezzata dal pianto che ormai non mi sforzavo più di trattenere. “Kia, amore…” tentò Christopher, sempre vicino a me e desideroso di aiutarmi. “No, Chris, non ci provare. Non vedi? Ci sbagliavamo. Non volevamo ferire né adirare nessuno, eppure ci sbagliavamo. Tu ami me, io amo te, ma è sbagliato. È tutto sbagliato! Io e te non siamo fatti per stare insieme, ma abbiamo insistito, e ora anche i nostri figli soffriranno, e per cosa? Per colpa nostra…” continuai, sentendo una giusta rabbia crescermi dentro con ogni parola. In realtà non ce l’avevo con Marisa né con lui, ma avevo solo bisogno di sfogarmi, e non osando interferire, entrambi mi ascoltarono. Scivolando nel mutismo, attesi una qualunque reazione da parte di Marisa, e proprio quando pensai di averla disarmata, arrivando perfino a credere che tutto fosse perduto, lei parlò ancora. “Kaleia, ascolta…” iniziò, sicura di star per toccare un nervo scoperto. “Sì?” concessi, sentendo la gola bruciare e dolere per lo sforzo. “So che è difficile, e dovreste accettarlo come direbbe mia madre, ma ora lei non è qui, e avete già una soluzione. Il marchio che avevi sulla pelle non era d’aiuto, o se lo era non ha funzionato e ha peggiorato le cose, ma la pietra… quella pietra potrà salvarvi.” Più puro e semplice del precedente, quello fu il resto del suo discorso, che Christopher ed io ascoltammo senza interrompere, e al termine del quale, io l’abbracciai, tenendola stretta a me come con ogni amica che si rispettasse. In quanto strega come sua madre, anche se ancora ferma al rango di apprendista, anche lei avrebbe dovuto ostacolarmi, ma lasciandomi completamente andare e piangendo ancora fra le sue braccia, capii perchè non lo faceva, e perché si ostinava a combattere per noi. In due sole parole, lei sapeva. Sapeva che aiutarmi era sbagliato, sapeva che farlo avrebbe causato solo altro squilibrio nell’intero mondo magico, ma nonostante tutto, ogni eventualità sembrava non toccarla, sfiorandola appena come il tocco di chi davvero mi amava. Paziente, era rimasta in silenzio mentre mi sfogavo, mi avevo perfino sentita menzionare i miei futuri figli, e nella quiete di quell’appena accennato imbrunire, la vidi sorridermi prima che ne se ne andasse, e grata per tutto ciò che aveva appena fatto, restai chiusa in quella stanza con in mano nuove certezze e speranze, specialmente quando sotto la benefica luce della luna, quel grigio cristallo consumato dal potere di quei cupi spiriti tornò a splendere e a riempirmi di gioia, riacquistando davanti ai nostri occhi increduli le originali sembianze di bianco amuleto.

 

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Capitolo 37
*** Dalla tranquillità al nulla ***


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Capitolo XXXVII

Dalla tranquillità al nulla

Alla sera sopraggiungeva la mattina, e la luce soppiantava le tenebre. La notte appena trascorsa era stata per me movimentata e piena d’ansia, e se per fortuna non ne soffrivo, ora iniziavo ad avere dubbi anche su quel fronte. Stando a ciò che avevo sentito dire nella comunità umana riguardo alla gravidanza, un periodo come quello che stavo attraversando avrebbe dovuto essere leggero, tranquillo e soprattutto privo di stress, ma dato ciò che Chris ed io stavamo passando, non riuscivo a stare calma, e con ogni istante che passava, sentivo due idee lottare per farsi spazio nella mia mente. Una, positiva, mi incoraggiava ad andare avanti e combattere perciò in cui credevo, affidarmi a Christopher e battermi per il nostro amore come avevo sempre fatto, ma un’altra, negativa e sicuramente figlia di quei dannati spiriti che da poco avevo imparato a scacciare, mi parlava continuamente, a volte perfino con più insistenza rispetto alla prima, arrivando perfino ad urlare per convincermi del suo volere. Silenziosa, non avevo cuore di ammetterlo, ma se c’era una cosa che quegli spiriti volevano era vedermi ferita, da sola e incapace di rialzarmi, di rimettermi in piedi e continuare questa battaglia per me, anzi per noi, troppo importante. Più silenzioso del solito, Christopher non osa intromettersi. Preoccupata, mi voltai fino a incontrare il suo sguardo, e proprio sotto la coperta, notai qualcosa. Vinto dalla stanchezza, si era addormentato prima di me, e rimanendo immobile per tutta la notte, non aveva fatto altro che stringermi la mano. Al ricordo della sua stretta nella notte ormai scomparsa, sorrisi debolmente, e nello spazio di un momento, lui fece lo stesso. “Ti senti bene, vero?” chiese, calmo e tranquillo. “Sì, Chris, ti ringrazio, e poi…” risposi soltanto, la voce bassa ma non certo triste, e il cuore sempre colmo d’amore per lui. “Cosa?” azzardò, confuso e stranito. Sorridendo ancora, strinsi la presa sulla sua mano, e guidandola sapientemente con la mia, gli permisi di sfiorarmi il ventre. Ero in attesa ancora da poco, ma il terzo mese si stava avvicinando, e con i piccoli sempre connessi a me fin dall’inizio del loro metaforico viaggio verso la loro stessa vita, riuscivo sempre a sentire i loro movimenti, di giorno in giorno più evidenti e sempre in accordo con il passare del tempo. Lenta, l’estate avanzava fin quasi a trascinarsi, ma oggi, nonostante lo splendere del sole e la presenza in cielo di nuvole bianche, trovo difficile essere felice, e a riprova di ciò sorrido appena. Il ricordo di ciò che è successo è ancora nella mia mente, ma almeno ora non voglio pensarci, e concentrata, resto ferma fra le lenzuola. Passano così alcuni minuti, e nel silenzio della stanza in cui dormivamo, eccoli. I nostri piccoli, sicuramente vicini nel mio grembo e ognuno sicuro dei propri spazi, a giudicare da ciò che sento, un solletico piacevole anziché imbarazzante, probabilmente intenti a muoversi, girarsi e fare le capriole nella mia pancia. Non potevo vederli, era ancora troppo presto, ma nulla mi impediva di usare l’immaginazione, che ancora fervida nonostante l’età adulta, non mi abbandonava mai. “Dici che stanno bene?” tentò, con una vena di preoccupazione nella voce, simile a quella che avevo mostrato nel guardarlo. “Sì, Chris, ne sono sicura. Il cristallo ha funzionato, non li senti?” replicai, terminando quella frase con quella domanda. Alle mie parole, Christopher non rispose, ma un suo sorriso e un’ennesima stretta di mano furono più che eloquenti. Tranquilla, lasciai che mi cingesse un braccio attorno alle spalle, e ad occhi chiusi, non dissi più nulla. I momenti a venire furono pura tranquillità, e presi dalla quiete del momento, restammo fermi l’uno fra le braccia dell’altra. Era bello. Bello stare insieme, bello sapere di essere al sicuro, e sapere che qualcuno, un’amica strega, ci avrebbe protetti. Ad ogni modo, la bellezza è la prima a sfiorire, e improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. In guardia, Cosmo fu il primo ad accorgersene, e sbucando goffamente dal groviglio delle nostre coperte, iniziò ad abbaiare furiosamente. Deciso, avanzava solo per tentare di affrontare il nostro potenziale nemico, ma sicura di non averne, almeno per il momento, mi avvicinai per calmarlo. “Cosmo, no. No, sta buono, è Marisa.” Dissi soltanto, parlando con lo stesso tono gentile che avevo usato nell’adottarlo. Non volendo sentire ragioni, il mio Arylu insistette ancora, e dopo meri attimi di silenzio, l’aria tornò a riempirsi dei suoi latrati. Volendo solo proteggerci, ora ringhiava, e con ogni passo, era sempre più vicino alla porta. Ansioso all’idea di essere scoperto, Christopher si alzò dal letto, e abbassandosi al suo livello, lo afferrò per la collottola, così da non fargli male. Per tutta risposta, l’animale gli si rivoltò contro, e per poco non lo morse. “Cosmo!” gridai, seccata. Non volevo farlo, sapevo di sbagliare, ma data la situazione, quello mi sembrava l’unico modo di acquietarlo. Spaventato, il lupacchiotto si ridusse al silenzio, ma anche tremando, non spostò mai lo sguardo dalla porta ancora chiusa. Nuovi istanti scomparvero così dalla nostra vita, e fu allora che capii. Il nostro Arylu faceva bene a difenderci, ed ero sicura che ogni suo comportamento avesse una motivazione, ma a quanto sembrava, quei colpi erano una sorta di avvertimento.  Chiudendo gli occhi, protesi una mano in avanti, e concentrata sull’incantesimo che avevo in mente, avvertii i poteri della mia amica ancora nell’aria. Grazie al cielo non si trattava di sua madre, e non appena mi sentii nuovamente al sicuro, annuii. “Sentito qualcosa?” provò a chiedere Christopher, sorpreso. “È lei. È davvero Marisa, aprile.” Risposi, finalmente tranquilla e libera dall’ansia. Annuendo, Chris fece ciò che gli era stato chiesto, e piombando ancora nel silenzio, attesi. Poco dopo, la mia magica intuizione si rivelò esatta, e la mia amica si mostrò oltre la soglia. “Scusatemi, non volevo causare scompiglio.” Esordì, tesa quanto e forse più di noi, la voce tremante e incerta. “Nessun problema, Marisa, vieni.” Concessi gentilmente, scostandomi per farla entrare. Sorridendo debolmente, la giovane strega mosse qualche passo in avanti, e solo allora notai che portava qualcosa. Cauta, reggeva un vassoio e alcuni piatti da portata, che a una seconda occhiata capii essere la nostra colazione. Nulla di troppo elaborato, solo una tazza di latte e cereali dalle strane forme che ricordavo però di aver già visto, e in una ciotola, di metallo come il vassoio, quella del nostro caro lupacchiotto. Croccantini che ero abituata a vedere e servire anche a Willow, forse comprati apposta per il mio Arylu o forse l’ultimo ricordo che Marisa aveva della sua gatta. Da tempo lei viveva con me, aveva trovato nella mia casa un rifugio perfetto, e mi sarei assicurata personalmente del suo benessere anche ora che ero lontana. La strada che ci separava era lunga, certo, ma ora non importava. Per quanto ne sapevo, le ninfe come Aster reagivano al dolore della natura perfino prima di fate come me, ragion per cui lei era la persona giusta a cui chiedere aiuto. Così, dopo un breve appunto mentale, tornai a concentrarmi sulla mia amica apprendista, e seria, lei si sedette con noi. “Prego, non fate complimenti. Immagino abbiate fame, dopo…” provò a dire, non riuscendo però a finire quella frase a causa di nervi e tremiti sempre più evidenti. Empatico come al solito, il piccolo Cosmo si avvicinò per offrirle conforto, e divertita dal suo goffo tentativo di aiutare, lei sorrise e gli accarezzò la testa. “Grazie, piccolino. Va a mangiare, va bene? Gli disse, indicandogli la ciotola lasciata in un angolo della stanza. Con un sorriso stampato sul muso, il cucciolo le obbedì, e ridacchiando, lo guardai mangiare felice. “Almeno lui è sistemato.” Commentò a quel punto Christopher, grato del silenzio creatosi nella stanza. “Già, ma fareste meglio a insegnargli a non abbaiare a chiunque in quel modo. Anche mia madre vive qui, lo sapete.” Rispose allora lei, seria. Sorpreso da quella reazione, Christopher non rispose, ma al contrario di lui, io annuii. Aveva ragione, lo sapevo bene, e se era riuscita ad accoglierci in casa era stato solo grazie a un colpo di fortuna. Guardandola negli occhi, ripetei quel gesto, poi parlai. “Ci stiamo lavorando, ma grazie, sin da adesso.” Dissi, sinceramente grata di tutto quello che aveva fatto e stava facendo per noi. Non volendo pensarci, non lo ammettevo, ma la situazione era delicata, e nonostante nessuno oltre a lei ci avesse ancora scoperto, ogni giorno in quella casa e quella stanza era una sorta di miracolo, e ogni errore, nostro o da parte del nostro magico e zelante animaletto, avrebbe potuto letteralmente spingerci nuovamente al punto di partenza, ovvero proprio dalla tranquillità al nulla.    

 

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Capitolo 38
*** Al sicuro ma in prigione ***


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Capitolo XXXVIII

Al sicuro ma in prigione

Erano passate appena poche ore, e in quel pomeriggio di sole e calma, le parole e l’avvertimento di Marisa continuavano a tornarmi in mente. “Fareste meglio ad insegnargli a non abbaiare a chiunque in quel modo.” Aveva detto, seria come mai l’avevo vista. “Anche mia madre vive qui, lo sapete.” Aveva aggiunto poco dopo, senza che quell’espressione severa lasciasse il suo volto. Annuendo, le avevo dato ascolto, e ringraziandola, ero rimasta a guardarla mentre andava via, richiudendosi lentamente la porta alle spalle e sparendo nel corridoio al solo scopo di non essere notata. Rimasta con Christopher, ora riposo dopo la leggera colazione che Marisa ha offerto ad entrambi, e in silenzio, ancora mi sforzo di sorridere. Già sazio, Cosmo siede proprio sotto la finestra, e con lo sguardo alto e fiero, spera di poter guardare fuori dalla finestra. Sfortuna vuole che la sua taglia sia ancora uno svantaggio, e divertita dai suoi numerosi tentativi di arrampicarsi letteralmente sul davanzale e scoprire il mondo oltre queste mura, rido. Incuriosito, Chris segue il mio sguardo, e con la mano nella mia, ride a sua volta. “Dici che si arrenderà?” chiede, lasciandosi sfuggire un risolino. “Non credo.” Rispondo appena, improvvisamente troppo concentrata su di lui per badare al piccolo Arylu. Dì lì a poco, il silenzio cade nella stanza, e sento le mani tremare. Ora che il mio corpo è libero dall’influsso negativo di quei maledetti spiriti, il sole sembra splendere di nuovo, e questo sembra avere ripercussioni sui miei poteri. Grazie al cielo, positivi, perché con ogni istante che passa avverto uno strano pizzicore, simile a quello provocato dai movimenti dei miei bambini sotto al mio cuore. “Tu… tu credi ancora che andrà tutto bene?” azzardo, disturbando la quiete creatasi fra di noi e avvertendo una strana stretta al petto. Dissimile dalle altre, non mi comunicava dolore né gioia, ma bensì paura e indecisione. Sin da quando ci eravamo innamorati, lui non aveva fatto altro che proteggermi onorando una promessa fatta a sé stesso, a me e alla sua famiglia, ma con i tempi che correvano, non sapevo più di chi fidarmi. Il ritorno a Primedia avrebbe dovuto essere sinonimo di felicità, e l’avrei tanto voluto, ma nonostante i miei sforzi e le mie speranze di riuscire a renderlo tale, non lo era. indeciso, il mio amato non rispose, e voltandosi a guardarmi, indicò qualcosa oltre il letto. “Non pensarci adesso, guarda là.” Mi disse soltanto, un dolce sorriso a increspargli le labbra che già mille e mille volte avevo avuto la fortuna e l’onore di sfiorare. Confusa, sostenni il suo sguardo senza capire, e quando finalmente mi voltai, lo vidi. Un foglio di carta abbandonato sul comodino accanto al nostro morbido giaciglio. Incerta sul da farsi, lo sfiorai con mani tremanti, e ancora una volta, il mio ciondolo assunse vita propria brillando intensamente, e potei giurarci, perfino più di tante altre. Bastò un attimo, e tutte le tessere di quel vitreo mosaico trovarono un posto, permettendomi di mettere ordine nella confusione che ora regnava sovrana nella mia mente. Muta, mi lasciai travolgere e bagnare da un fiume di ricordi, e uno ad uno, questi si replicarono nella mia mente. Rimembrai così il mio arrivo a casa di Marisa, lo svenimento e due figure indistinte poco prima che il buio mi avvolgesse, intrappolandomi nell’incoscienza. “È di Sky.” Riuscii a malapena a dire, sentendo le corde vocali vibrare e rischiare di spezzarsi. “Esatto. Se ci pensi, le stelle cadenti sono state opera sua, e forse il rito delle ninfe ha funzionato.” Quella fu la risposta di Christopher, che non riuscendo a smettere di sorridere, ora mi dava coraggio. Spostando per un attimo lo sguardo, incrociai di nuovo il suo, e fiduciosa, mi concentrai sulla lettera appena ricevuta. “Cara Kaleia, sono io, tua sorella. Ho ricevuto da poco la tua lettera, ma perdonami se non ti ho subito dato una risposta. Avrei voluto, davvero, ma come saprai il mio umore non è dei migliori, e dopo quello che è successo con Noah, non sono certo al massimo della forma. Nostra madre fa quello che può per aiutarmi a stare meglio, e anche se so che ce la mette tutta, non credo che delle semplici parole possano guarirmi. Sto male, soffro ancora, ma sorrido sapendo che anche tu e Chris mi siete accanto, e spero di rivedervi presto entrambi, poiché forse, con voi al mio fianco riuscirò finalmente ad affrontare il mio dolore. Noah mi manca molto, e vorrei che lo sapesse, ma nonostante il soffiare del vento, non riesce a vedermi né a sentire la mia voce. Non lo vedo da molto, non riesco neanche più a piangere, e Midnight si rifiuta di consegnargli i miei messaggi. Non so cosa stia accadendo, so solo di sentire un gran peso sul cuore, e se penso a lui e a ciò che abbiamo passato, è come restare senza respiro. Eliza insiste nel curarmi, crede che mi stia ammalando, ma come avrai capito, non si tratta di questo, e la mia salute non è a rischio. Ti prego, scrivimi quando puoi, dimmi che almeno voi state bene, datemi un altro motivo per sorridere, Sky.” Quelle le parole che componevano quella missiva, che lunga e sofferta, mi dava modo di comprendere meglio mia sorella e il suo attuale stato d’animo. Come aveva ammesso in quelle righe, soffriva per amore, il suo cuore era come spezzato, e il mio piangeva di fronte alla consapevolezza di non poter far nulla per aiutarla, o almeno non adesso. Negli ultimi tempi non avevo fatto altro che pensare a lei, dormire giungendo le mani in preghiera e restare sveglia solo per rivelare tracce della sua energia magica, di giorno in giorno sempre più debole. A quel solo pensiero, mi sentii mancare, e in un attimo, le pagine del libro della famiglia di Christopher furono più chiare che mai, e prepotenti, soppiantarono gli altri ricordi. Scrivendo, Sky aveva menzionato nostra madre Eliza, quindi non era da sola, ma in assenza di Noah, un legame importante nella sua vita aveva cessato di esistere, e nonostante le sue parole non lo spiegassero chiaramente, i suoi poteri si stavano indebolendo. Sopraffatta dalle mie emozioni, scivolai nella tristezza, e con un’ormai solita aura azzurra a incorniciarmi il corpo, piansi. “Kia, amore, che succede? Desideravi così tanto avere notizie di tua sorella! Cos’è, ti senti male?” come al solito, le frasi del mio Christopher furono piene di conforto, ma in quel frangente il solo suono della sua voce non sortì l’effetto sperato, e a occhi chiusi, mi sfogai fra le sue braccia. “Chris… non si tratta… non si tratta solo di questo.” Provai a dire, sentendo la gola dolere per lo sforzo e le parole trascinarsi a fatica. “Allora cosa c’è? Dai, parlamene. Sai che la tristezza non fa bene ai piccoli.” Continuò lui con leggera insistenza, preoccupato tanto per me quanto per i figli ancora non nati che portavo in grembo. Con gli occhi velati dalle lacrime, mi sforzai di guardarlo, e non appena ci riuscii, crollai ancora. “A quanto pare non fa bene neanche a lei.” Dissi soltanto, con la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito. Premuroso come al solito, Christopher mi strinse a sé, e accarezzandomi la schiena e i capelli, si assicurò di fare quanto in suo potere per calmarmi. Conoscendomi, sapevo di essere sempre stata sensibile ed emotiva, e la mia attuale condizione non era certo d’aiuto. Disperata, piombai nel silenzio, e con uno sforzo che mi parve immane, gli porsi delicatamente la missiva appena letta. Vera, straziante e commovente, mi aveva già spinta alle lacrime, che anche adesso, mentre ero al sicuro fra le sue braccia, non volevano saperne di fermarsi. Senza dire altro, Christopher la lesse a sua volta, e quando finì, il nostro abbraccio si fece perfino più forte, e al calar della notte, non dormii per ore intere. Contagiato, Cosmo ci raggiunse quasi strisciando sul pavimento, e avvicinandosi, si unì brevemente a noi, salvo poi chiudere gli occhi e rompere il silenzio con un debole uggiolio. Sveglia nel mezzo dell’oscurità, mi fermai a pensare, e immergendo piano le dita nel pelo del mio cucciolo, che tanto mi ricordavo un infinito manto astrale, mi calmai istantaneamente, sentendo il cuore rallentare e ogni muscolo del corpo rilassarsi. Pensosa, volsi uno sguardo e un pensiero alla luna, che come sempre, pallida e magnifica, mi avrebbe guidata nelle mie sere senza sogni. Un debole sorriso comparve così sul mio volto, ma sparendo nel giro di un attimo, divenne subito amaro anziché sincero, e quando mi addormentai, già esausta e priva di forze, imparai una preziosa lezione. Al mondo non si è mai gli unici a soffrire, e nonostante ogni sfida della vita, si può e deve sempre trovare la forza di rialzarsi, anche quando tutto sembra perduto, e quando, come proprio ora stava accadendo sia a me e Chris che a Sky seppur per motivi ovviamente al contempo simili e diversi, ci si sente al sicuro ma in prigione.

 

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Capitolo 39
*** Oltraggiare una maga ***


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Capitolo XXXIX
 
Oltraggiare una maga
 
Con il mattino già alla finestra, il sole è il primo a svegliarmi. Stanca, ho ancora gli occhi assonnati e cisposi, ma stiracchiandomi come una gatta, riesco a dare inizio alla mia giornata. Sforzandomi, reprimo uno sbadiglio, e disturbato dal muoversi delle coperte, anche Christopher si riscuote dal torpore in cui è caduto. "Buongiorno, custode mio." Sussurro appena, innamorata e felice di vederlo. È presto, siamo entrambi svegli da poco, lui ha i capelli in disordine e il pigiama sgualcito, ma dati i miei sentimenti per lui, non posso fare a meno di sorridere. Basta un attimo, e il mio cuore risponde, e non appena mi sfiora la guancia con la mano, all'improvviso dimentico tutto. Mi sembra di perdere la memoria, e allo stesso tempo di conservarne le parti più importanti. All'improvviso quasi non mi importa di essere tornata a Primedia, di essere una sorta di criminale in fuga dalle leggi del bosco in cui sono nata, nè di star letteralmente lottando per farmi valere, ma al contrario, nei miei occhi, nella mia mente e nel mio cuore ci sono solo Christopher e i nostri bambini, la nostra futura famiglia, o in una parola, noi. Completamente distesa e felice, mi perdo per l'ennesima volta nel suo sguardo color speranza, e quando ogni dettaglio della stanza scompare fondendosi con la nebbia tipica dell'inverno, la sua voce è l'unica cosa capace di riportarmi alla realtà. Dolce e calda, libera nell'aria solo poche parole, e ancora una volta, resto ad ascoltarlo ritrovandomi quasi senza respiro. "Buongiorno a te, mia fatina. Tutto bene oggi?" una domanda come tante altre, che data l'attuale situazione unita ai nostri trascorsi, ha un grande valore, come l'amicizia che mi lega a Marisa. Giovane apprendista strega, ci aiuta come può andando contro il volere della madre, dura e fredda come il ghiaccio ma ligia al dovere, e nonostante oggi non l'abbia ancora vista, spero accada presto. Casa sua è per noi una vera ancora di salvezza, ma concentrandomi sul presente, cerco di non pensare ai ricordi, fra cui ora si annovera anche la lettera di Sky. Ancora restia a trasferirsi ad Eltaria, non riesce a decidersi a lasciare il nostro bosco di nascita, forse perchè le ricorda Noah e l'inizio della sua storia d'amore, o forse è l'unico luogo che davvero le riporti alla mente i nostri genitori. Ad essere sincera, io stessa a volte mi chiedo cosa possa essere successo, che fine abbiano fatto, perchè ci abbiano abbandonate, e soprattutto il perchè di quella luce bianca. Uno dopo l'altro, decine di interrogativi simili rischiano di creare una metaforica valanga e travolgermi, ma scuotendo la testa, non lo permetto, ritrovando in Christopher una roccia e un punto fermo, sinonimo di salvezza dalle ingiustizie che ora siamo costretti ad affrontare. Pensandoci, mi capita di paragonare quest'intera faccenda a una tempesta, e lui al porto sicuro che raggiungo ogni volta che lo abbraccio. Anche stavolta, il suo magnetico sguardo mi infonde fiducia, e sfiorandogli la mano, finalmente ho la forza di parlare. "Sì, amore, benissimo. Sempre, quando sono con te." Una frase semplice eppure piena di significato, chiara testimonianza di come la sua sola presenza mi faccia sentire. Non che non lo sappia, ovvio, ma nonostante tutto a volte non riesco a trattenermi dal dar voce a verità del genere, e ripeterle mi sembra l'unico modo di consolidarle. Lento, ora il tempo scorre, e se noi siamo svegli, qualcuno non lo è. Ad occhi chiusi e ancora sdraiato ai piedi del letto, Cosmo dorme ancora, e il suo lieve respiro crea brina e piccoli fiocchi di neve in tutta la stanza. Spostando per un attimo lo sguardo, ridacchio come una bambina, e divertito, anche Christopher si unisce alla mia ilarità. Poco dopo, mosso da un vento costante ma innaturale, uno di quei fiocchi parve danzare fra le coperte, e fermandomi a osservarlo, lo fissai intensamente. Placido e tranquillo, il nostro caro Arylu non l'aveva certo creato intenzionalmente, ma qualcosa, una sorta di sesto senso, se così poteva essere chiamato, mi indusse a credere che avesse un vero significato, e non appena lo sfiorai, come per incanto questo non si sciolse, diventando invece un cristallo fra le mie mani. Sorpresa, ebbi timore di stringerlo troppo e vederlo svanire, ma contro ogni aspettativa, riuscii a saggiarne la fredda consistenza con le dita. Silenzioso, Christopher ammirava a sua volta quella scoperta, e con un sorriso pieno d'amore e orgoglio, mi invitò ad alzarmi dal letto. Annuendo, feci ciò che mi era stato chiesto, e camminando verso la finestra, mi appoggiai al davanzale, e finalmente pronta, soffiai, permettendo a quel cristallo di neve di sparire nell'aria. Chiusa in un affatto lugubre silenzio, lo guardai volteggiare nella fresca aria del mattino, pregando che raggiungesse mia sorella e le infondesse la speranza che tanto chiedeva nella sua lettera, e volgendo di nuovo lo sguardo verso il groviglio di coperte che mi ero lasciata alle spalle, anche se solo per un istante, giurai di poter vedere Cosmo aprire un solo occhio e poi richiuderlo, come a voler controllare cosa fosse successo e accertarsi che non fosse nulla di infausto. Poi, così come si era svegliato, il cucciolo tornò a dormire, ignorando nel suo sonno perfino il quieto aprirsi della porta della stanza. Come le altre volte, questa cigolò appena, e attratta da quel suono, mi voltai nella sua direzione. "Grazie al cielo..." soffiai, grata di vedere la nostra cara Marisa sulla soglia. Notandomi, lei rimase ferma, e protendendo una mano in avanti come per fermarmi, e sconvolta, mi bloccai. Contrariamente a me, Christopher era calmo e sereno, e sembrava aver già capito cosa ci aspettava. Confusa, lo guardai andando alla ricerca di risposte, ma niente, da parte sua neppure un fiato. Che stava succedendo? Perchè non parlava? Non lo sapevo, ma il suo sguardo, prima magnetico e perfetto, ora stranamente freddo come il ghiaccio, fu vicino a spaventarmi. "Chris... che cosa..." biascicai, più confusa di prima. Muto e immobile, lui non disse nulla, ma spostando nuovamente lo sguardo su Marisa, capii. Era passato molto tempo da allora, ma ricordavo quella sorta di ombra nei suoi occhi, la stessa che li aveva percorsi nel giorno in cui aveva tentato di aiutarmi scrutando il futuro nella sua sfera di cristallo. Quel giorno non era accaduto nulla, non aveva visto altro che nebbia, ma ora le cose erano cambiate. Interdetti, lei e il mio si scambiarono una sola occhiata d'intesa, e annuendo, lei si decise a parlare. "K...Kaleia... dovete..." balbettò, il tono corrotto da un misto di paura e dolore. "Fare cosa, Marisa, cosa? Diccelo, per favore." La incalzai, mentre il terrore minacciava di impossessarsi anche di me. Era incredibile. Attimi prima c'era stata la calma, ora un caos lento e indescrivibile. Ad occhi sgranati, mi limitai a guardarla, ma da allora in poi, solo silenzio, e oltre questo, un tonfo sordo. Fu quindi questione di un attimo, e il suo corpo esanime incontrò il pavimento in legno. Stoica, lei tentò di reagire, e in quel momento, un'ultima parola abbandonò le sue labbra. "A-Andarvene." Una preghiera rivolta a entrambi, capace di atterrirci e gelarci il sangue nelle vene. Terrorizzata, sperai di star sognando, ma quando scossi la testa e nulla cambiò, me ne convinsi. Era reale. Tutto questo era reale. In preda all'ansia, provai a raggiungere Christopher, ma all'improvviso sentii i muscoli diventare di ghiaccio, e un'altra figura emergere dall'ombra. Di lì a poco, il tempo parve fermarsi, e raggelando, la riconobbi. "Signora Vaughn!" urlò Christopher, attonito. Cosa le ha fatto? È sua figlia!" continuò poco dopo, nel disperato e forse vano tentativo di riportarla alla ragione. "Mia figlia, caro protettore? Mia figlia? La vera figlia di una donna come me non oserebbe aiutare due come voi! Cosa vi avevo detto? Cosa? Avevamo parlato dei rischi legati al vostro rapporto, anche io ho cercato di proteggervi, ma voi mi avete ignorata, avete consultato le ninfe e non me. Come avete potuto?" Un discorso breve, eppure crudamente vero, che spiegava esattamente ognuno dei passi metaforici e reali che avevamo compiuto fino a questo momento. Per quanto ne sapevo, Marisa aveva sempre cercato di nasconderci da lei per paura di una qualsiasi ritorsione, ma ora era troppo tardi, e tutto era finito. La nostra buona stella aveva smesso di brillare, e offuscata dal buio della nera magia della donna, forse era definitivamente scomparsa, o forse restava a guardare, impietrita come noi che sembravamo essere giunti a una sorta di capolinea, faccia a faccia con un tetro avvenire, ovvero la scoperta di ciò che accadeva nel decidere di oltraggiare una maga. 
 
 
Un buon pomeriggio ai miei cari lettori. Oggi torno da voi con un capitolo alquanto breve ma intenso, soprattutto nel finale, in cui Kaleia e il suo amato capiscono che niente e nessuno può nascondersi agli occhi di una strega del calibro di Zaria Vaughn? Che succederà ora? Marisa si riprenderà? E soprattutto, che ne sarà di fata e protettore? Lo scoprirete nel prosieguo della storia, ma intanto ringrazio ognuno di voi per l'incrollabile supporto, augurandovi di trascorrere un felice e sereno Natale. A presto, con il prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 40
*** Mai veramente soli ***


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Capitolo XL
 
Mai veramente soli
 
Respiravamo appena, e il tempo sembrava essersi fermato. Sconvolta da quanto era appena accaduto, non riuscivo a staccare gli occhi dall'ora esanime corpo di Marisa, e con il fiato sospeso, sentivo il cuore diviso in due metà opposte, perfettamente uguali eppure diverse. Da una parte il dolore e la preoccupazione per la salute e l'incolumità della mia amica, dall'altra l'odio, la rabbia verso sua madre, la donna che dandola alla luce le aveva offerto il prezioso dono della vita. Come aveva potuto? Quella l'unica domanda che la mia mente non faceva altro che replicare, e alla quale, anche in silenzio, trovavo presto una risposta. Regole. Stando a ciò che ci aveva detto, quella ragazza ormai non era più sua figlia. Lo era stata, certo, ma aveva perso quell'identità, quell'assoluto privilegio solo dopo aver tentato di aiutarci. Ero attonita, non riuscivo ancora a crederci, e sempre al mio fianco, Christopher restava a guardarla, vantando nello sguardo color smeraldo emozioni miste ma simili alle mie. "Signora Vaughn..." tentò, non riuscendo quasi a parlare. "Non preoccuparti, giovane protettore. Mia figlia sta bene." Si limitò a rispondere la strega, fissandoci con l'unico occhio ancora salvo dalla cecità che le oscurava la vista. "Bene?" chiesi, incredula, con il cuore che intanto aveva preso a martellarmi nel petto, battendo come impazzito. "Certo, mia cara fata, certo. Quello che vedete è soltanto un incantesimo. L'ho usato più volte, sapete? Specialmente quando era una bambina." Continuò poco dopo, seria e c'era da dirlo, malvagia. Confusi, Christopher ed io ci limitavamo a guardarla, ma per quanto mi sforzassi, i miei occhi restavano fermi, immobili su quel punto esatto del pavimento in legno. Stringendo i pugni, cercavo di calmarmi, ma era tutto inutile. C'erano troppe emozioni nel mio cuore e troppi pensieri nella mia mente, troppi dubbi su cosa fare e non fare, su quale fosse la mossa giusta e quale quella sbagliata. Nervosa, nascosi una mano nella tasca del vestito, rilasciando subito un sospiro di sollievo. Per pura fortuna il cristallo era al suo posto, al sicuro, dove quell'orrida strega non l'avrebbe mai trovato, o almeno così speravo. Nervosa, lo sfiorai appena con le dita, e stringendolo, respirai a fondo. Stando a ciò che ricordavo, non era un monile come gli altri, ma bensì, almeno a detta di Marisa, l'unico che avrebbe potuto aiutarci. Preoccupato, Christopher si voltò a guardarmi per un istante, e pur tremando, lo rassicurai. "Sto bene." Sussurrai al suo indirizzo, mentendo e sapendo di mentire. Annuendo, lui accennò a un debole sorriso, e il silenzio fra di noi si ruppe come vetro non appena udimmo di nuovo la voce della strega. "Sempre testarda, la mia Marisa, sin da piccola, ve l'assicuro. Per anni l'ho controllata, protetta e avvisata riguardo questo mondo e il suo ordine, e ha sempre ascoltato, ma non ora. Non da quando voi siete entrati nella sua vita. Vi rendete conto di ciò che avete fatto?" dure come sassi, le sue parole ci raggiunsero colpendoci in pieno, e indietreggiando, come se quei colpi fossero reali e non semplici metafore, portai una mano al ventre. Ormai ero in attesa da quasi tre mesi, il mio stato e la mia condizione continuavano a progredire, e con ogni giorno che passava, ero sempre più in ansia. Non se soffrivo, era ovvio, e potevo ritenermi fortunata, ma nonostante tutto, i segnali c'erano, e a volte era impossibile ignorarli. Tremavo, sentivo il cuore accelerare, il petto mi doleva e continuava a farmi male anche dopo minuti interi, e stranamente, anche senza pensieri a turbarmi, avevo voglia di piangere. Non stavo affatto bene, ma stoica, affermavo il contrario, e con una mano ferma e l'altra protesa in avanti, sempre allo scopo di proteggere i miei futuri bambini, avanzi. "Kaleia, no, aspetta, sei..." Pregò Chris, posandomi una mano sulla spalla nel tentativo di fermarmi. Conoscevo le sue intenzioni, sapevo che tentava di proteggermi, così come sapevo di amarlo, e di fidarmi ciecamente, ma già decisa, lo ignorai, e sostenendo lo sguardo e l'ira della strega, mi preparai ad afrontarla. Silenziosa, lei mi fissò a lungo, squadrandomi da capo a piedi, ma io non demorsi, e raccogliendo le mie forze e il mio coraggio, parlai. "Davvero?" esordii, sarcastica. "Crede davvero di spaventarmi, signora?" chiesi poco dopo, sfidandola con la voce. "Crede davvero che un incantesimo come questo ci impietrirà entrambi? Lei stessa ha ammesso che non è letale, perciò abbia coraggio, e risponda a una domanda. Non farebbe mai del male a Marisa, vero?" continuai poco dopo, improvvisamente calma e sicura di me stessa. Colta alla sprovvista, la strega sgranò gli occhi, e abbassando una mano fino a chiuderla a pugno, quasi non si espresse. "N-No... non... alla mia bambina." Balbettò poi, dopo una pausa di silenzio che parve durare anni. "Esatto." Replicai a quel punto, sollevando entrambe le mani e mostrandole solo allora ciò che da tempo nascondevo. Era strano, eppure Chris ed io non avevamo fatto altro, incerti sul da farsi e sull'esistenza di un'altra soluzione, ma ora tutto era diverso. Le cose erano cambiate, le carte in tavola erano state rimescolate, e proprio davanti a noi, una metaforica regina appariva in stallo, o in altre parole, proprio sotto scacco. Scivolando nel silenzio, indietreggiai fino a sentire la mano di Christopher cercare la mia, e ricambiando quel gesto, arretrai ancora, sicura di aver già parlato abbastanza. Orgoglioso, lui mi sfiorò una guancia con la mano, e facendosi più vicino, mi sussurrò una frase all'orecchio. "Ci sono io qui, Kia." Cinque parole, fra cui anche un simpatico diminutivo del mio nome che ormai accettavo di buon grado, e che per qualche strano motivo mi fece sorridere. Ricordavo bene il primo giorno in cui l'avevo sentito, e allietata da quel pensiero, per poco non mi estraniai dal mondo, sentendomi libera e leggera come gli uccelli che più volte avevo visto solcare il cielo al mattino. Avevo provato a difendermi, lo sapevo, e sapevo anche di aver fatto un buon lavoro, ma dentro di me speravo fosse abbastanza, poichè ora non toccava più a me, ma a qualcuno di diverso. A Chris, che serio come nel giorno della disputa con Amelie, sembrava non attendere altro, o in altri termini, quella che preferivo chiamare occasione. Un'occasione di starmi accanto, aiutarmi e proteggermi, portando avanti quello che per lui non era soltanto un lavoro, ma anzi, la vita di entrambi. Mi amava, mi amava davvero, così tanto che a volte stentavo a crederci, arrivando a ringraziare il cielo e interrogare le stelle, domandando loro cosa avessi fatto per meritare un uomo del suo calibro al mio fianco. Mute, queste non rispondevano mai a voce, ma al contrario, a modo loro, proprio come ora, silenziosa e in disparte, potevo vedere. "Ascolti, Zaria, giusto?" in quel momento, la voce del mio amato spezzò la quiete scesa nella stanza, e ignorandolo, la donna non rispose, concentrandosi invece sul corpo della figlia ancora a terra. "Non osare parlarmi." Sibilò, sputando veleno e continuando a sforzarsi e torreggiando sul corpo della figlia, la bambina che lei stessa aveva partorito. Lenta, fece fatica a sollevarlo, e notandola, mossi ad arte le dita di una mano, concentrando lì la mia energia magica per facilitarle il lavoro. Forse non avrei dovuto, certo, ma Marisa era mia amica, e incosciente o meno, meritava di meglio che restare sdraiata su un duro e inospitale pavimento in legno. Così, concentrata, mi assicurai che levitasse senza rischi fino al letto e alle coperte che fino a poco tempo prima mi avevano accolta, e a quella vista, la donna sbiancò, diventando pallida come una morta. "Tu... Kaleia... tu hai..." balbettò, penosa. Mantenendo in silenzio, mi limitai ad annuire, sicura che le parole fossero superflue, ma poco dopo, quasi contro la mia volontà, una sola frase abbandonò le mie labbra. "Sì, Signora Vaughn. Lei non lo sa, ma farei questo ed altro per un'amica." Ammisi, solidamente ferma  in quella convinzione. Almeno allora non stavo mentendo, e ferree regole o no, Marisa sarebbe sempre stata la mia migliore amica, l'unica oltre a Sky che si fosse prodigata per aiutarmi a rialzarmi ogni volta che cadevo. Colpita dalle mie parole, la strega si ridusse al silenzio, e con le lacrime agli occhi, serrò le labbra. Confusa, la guardai senza capire, e attonito, Christopher fece lo stesso, ma evitando di scomporsi, capì che il suo lavoro non era finitò, così provo ancora. "Zaria, la prego, ci ascolti. Sa perchè siamo venuti qui, non lo neghi. Fra tanti in questo regno, lei è stata la prima ad agire, a decidere di offrirci il suo aiuto, come anche sua figlia. Abbiamo avuto i nostri dissapori, e credete che nulla li cancellerà, ma perchè non tentare? Perchè non fermarvi, non riflettere anche solo per un attimo e dare a me e Kaleia, alla nostra famiglia, una possibilità di realizzarci?" Un discorso chiaro, profondo e soprattutto vero, che ascoltai senza interrompere, e con la cui fine, mille lacrime minacciarono di sfuggirmi dagli occhi, per poi vincere una metaforica battaglia e rigarmi il viso senza controllo. Con uno sforzo, evitai che accadesse, ma non appena li richiusi, compresi di aver perso. Libere, le lacrime mi rotolarono lungo le guance, e facendo quanto in mio potere per restare in silenzio, incontrai ancora una volta lo sguardo di quella potente maga, e con una mano sempre ferma sul ventre, in un gesto a metà fra amore e protezione, sperai ardentemente che capisse. Christopher le aveva già parlato, aveva usato proprio la parola famiglia, ma nonostante la purezza delle nostre intenzioni, ossia vivere continuando ad amarci fino a coronare quel sogno che da tanto attendevamo di veder tramutato in realtà, la scelta restava a lei, mentre noi, di nuovo muti, restavamo in attesa. Fu quindi questione di un singolo attimo, la quiete fu tale da renderci sordi, e sul suo viso lessi qualcosa, l'unica espressione che mai avrei voluto rivedere. Avevo sperato, pregato, scongiurato il cielo che non succedesse, supplicato la mia buona stella perchè le cose cambiassero in meglio, ma al contrario, proprio davanti ai nostri occhi, il peggio. "Famiglia?" ripetè la donna, lasciando che quella singola parola echeggiasse nella stanza. "Famiglia?" disse ancora, la voce sempre più bassa e cavernosa, ridotta a un roco mormorio appena decifrabile. "Pensate davvero che quella che avrete possa mai essere una famiglia? No, non se ne parla. Sapete una cosa? Non m'importa. Non m'importa se siete venuti a chiedere il mio perdono, il mio aiuto o la mia benedizione, perchè sappiatelo, io non ve la concederò. Ora fuori da questa casa, voi e il botolo che vi accompagna!" quelle furono le sue ultime parole, un crescendo di accuse e malcelato astio nei nostri confronti, alle quali nessuno di noi reagì, prendendo come unica decisione quella di fare ciò che ci era stato chiesto. Annuendo mestamente, tutti e tre la seguimmo aspettando che ci mostrasse la porta di casa, fra noi ormai solo il gelo, e a poca distanza da me e Chris, Cosmo, con la coda fra le zampe. Voltandosi, uggiolò debolmente nell'osservare un'ancora dormiente Marisa, e tentato, mosse perfino qualche passo verso di lei, ma con uno scatto degno di un felino, la strega gli sì parò davanti, sbarrandogli la strada. "Ho detto fuori di qui. Non mi hai sentita, piccolo Arylu?" gli disse appena, gelida. Cocciuto e combattivo, Cosmo non si diede per vinto, e prima di lasciare quelle mura, mi decisi a mia volta, afferrando saldamente la mano del mio Christopher. "Cosmo ha ragione, non possiamo andarcene. Non prima di aver salutato Marisa." Dichiarai, irremovibile. Per un breve tempo, solo il silenzio, poi, finalmente, la risposta. "E sia, ma solo perchè anche lei ci terrebbe." Concesse, scostandosi per lasciarci passare. Ringraziandola con il solo uso dello sguardo, avanzai cautamente verso il letto, e non appena fui abbastanza vicina da toccarla, mossi lievemente la coperta per coprirle meglio le spalle, così che anche durante il sonno indotto da quell'incantesimo non avesse freddo. Un pensiero per molti patetico, ma per me pregno d'importanza, poichè nonostante non lo dicessi ad alta voce, e preferissi mostrarglielo, le volevo un gran bene, e quella, come tante altre, era stata un'ennesima dimostrazione. Sorridendo debolmente, permisi a Cosmo di posare le zampe sulla coperta e salutarla a modo suo, ossia leccandole piano il viso con la lingua appiccicosa e colorata. Ultimo a muoversi, Chris rise di gusto, e veloce, sfiorò la mano della nostra amica ormai scivolata fuori da quel giaciglio, e solo allora, notai qualcosa. Simile a quello che avevo ricevuto proprio da Christopher nel giorno del nostro matrimonio, un argenteo anello risplendeva, piccolo ma prezioso. Seppur curiosa, non mi azzardai a toccarlo, ma mentre la strega restava ferma ad aspettarci, ignara di tutto, qualcos'altro accadde. Come per incanto, Marisa parve svegliarsi, e mugolando parole prive di senso, tentò di sfilarsi quel gioiello come poteva. Veloce, l'aiutai, e non appena mi avvicinai per ridarglielo, lei chiuse la mano. Confusa, mi scambiai con Christopher una sola occhiata d'intesa, e notando un'ormai caratteristica luce nei suoi occhi, capii. Proprio come il cristallo bianco e simbolo di novità secondo le credenze di noi fate, anche quello doveva essere una sorta di oggetto magico, e a noi non toccava che scoprire a cosa servisse. Muta come un pesce, tacqui quella scoperta, e minuti più tardi, ormai lontani da quella dimora, sospirai. Avevamo parzialmente perso e vinto quella battaglia, e con il tempo, ci sarebbe sicuramente stata una guerra. Fortunatamente metaforica e non reale, ma non per questo meno pericolosa. Colta dal freddo vento che aveva iniziato a spirare, imputai la colpa di tutto alla sorta di lite avuta con quella dannata strega, e andando alla ricerca di conforto, mi strinsi al mio Christopher. "Chris..." chiamai appena, le gambe già dolenti e i muscoli provati dal clima stranamente algido. "Va... va tutto bene?" non potè evitare di chiedermi, emulando senza volerlo il mio tono di voce. "Sì, almeno credo. Tu riesci a capire dove siamo. Con questa nebbia non vedo più nulla." Ebbi la sola forza di rispondere, per poi lamentarmi aspramente. Non ero arrabbiata, la colpa non era certo sua, ma ora, oltre al vento, anche la nebbia. Frustrata, calciai una roccia sul nostro cammino, e indebolita, dovetti reggermi a lui per evitare di cadere. Veloce, Christopher fu lì per sostenermi, e stringendomi fra le sue braccia, mi permise di sfogarmi. Contrariamente a ciò che pensava, e che era accaduto in passato, non piansi nè urlai, limitandomi invece a sospirare. Di nuovo ansiosa, cercai il mio gioiello, ma precedendomi, lui mi strinse con forza entrambe le mani.  "Kaleia, guardami. Guardami." Ordinò, serio. Rispondendo a quella sorta di richiamo, sollevai lo sguardo fino ad incontrare il suo. "Bene, ora vedremo se gli allenamenti stanno funzionando, d'accordo? Concentrati. Chiudi gli occhi e concentrati, io sarò qui." Aggiunse poco dopo, non mutando tono di voce e facendo suonare quelle parole come l'ordine di un potente monarca. Annuendo, feci ciò che mi era stato chiesto, e perdendo metaforicamente il dono della vista, acquisii il pieno controllo della mia energia magica, e ben presto, anche la scia di molte altre. Per mia sfortuna, un momento che non durò molto, ma abbastanza da permettermi di capire dove fossimo. Come in ogni altro bosco, anche qui c'erano erba, fiori e alberi, ma oltre a loro, anche altre creature magiche, come mia sorella, la cui scia, rafforzata dal vento che soffiava rischiando di congelarmi, aveva in quel momento lo strano potere di attirarmi. Decisa, mi voltai nella direzione indicata dalla mia mente, e insieme, Chris ed io ci rimettemmo in marcia, seguiti da un Cosmo sempre intelligente e fiero, che ci seguiva a testa alta, concentrato sul nostro cammino sotto migliaia di lucenti stelle. Fra un passo e l'altro, l'energia di Sky divenne sempre più forte, fino a quando, dopo un tempo che nessuno di noi fu in grado di definire, non scorsi una casa. Piccola ma accogliente, la stessa in cui ero cresciuta. "Siamo arrivati." Dissi, felice e orgogliosa di essere riuscita ancora una volta a orientarmi nella selva. Sorridendo, Christopher mi cinse un braccio attorno alle spalle, e innamorato come sempre, mi sfiorò appena la guancia con le labbra. Lasciandolo fare, non mi sottrassi al suo affetto, e abbracciandolo ancora, gli dedicai una sola frase. "Grazie. Grazie, mio dolce custode." Poche parole rivolte all'uomo che più amavo, e alle quali, anche non rispondendo in alcun modo, lui mostrò immnensa gratitudine. "Prego, fatina mia." Disse poi, dopo un tempo che come sempre mi parve indefinibile. "Ora che fai, bussi tu?" aggiunse subito dopo, scherzando e distraendomi da pensieri ben lontani dalla realtà. Sorpresa, mi staccai da lui scattando all'indietro, e scoppiando a ridere, mi ricomposi. Alcuni attimi si susseguirono veloci, e chiudendo la mano a pugno, bussai. Una, due, tre volte, sperando che il vento cessasse e la porta venisse aperta. Mai fermo, il tempo continuò a scorrere, e dopo poco, finalmente rividi le due persone che da tanto, troppo tempo aspettavo di rivedere. Mia madre e mia sorella. "Mamma!" quasi urlai, felicissima. "Kaleia, tesoro! Cosa vi è successo? Entrate! Cielo, sapevo dell'avvicinarsi dell'autunno, ma non di questa bufera!" commentò lei in risposta, preoccupata e felice al tempo stesso. Poco lontana, Sky esitò prima di abbracciarmi, e scostandosi, mi indicò il divano di casa. Tranquilla, mi sedetti, e battendo una mano sul posto accanto a me, invitai una sola persona. Piccolo e veloce, il lupacchiotto ai miei piedi recepì il messaggio sbagliato, e con un balzo, occupò lo spazio che avevo riservato a Christopher. "Cosmo!" lo richiamai, fintamente arrabbiata. Capendo al volo, il cucciolo scese dal divano, e finalmente libero di farlo, il mio amato prese posto accanto a me. Felice, gli sorrisi, e chiudendo gli occhi mentre mi lasciavo abbracciare, ignorai i quesiti di mia madre e gli sguardi di mia sorella, che pur non riuscendo a mettere da parte la preoccupazione, mi mostrarono per l'ennesima volta quanto la famiglia potesse essere importante, e quanto fortunati potevamo ritenerci io e Christopher, che con una al nostro fianco, non eravamo mai veramente soli.   
 
 
Un nuovo saluto a tutti i miei lettori, buonasera! Che ne pensate del capitolo? Dato ciò che è successo, lo definirei dolceamaro, ma voi che dite? Attendo di scoprirlo, e intanto vi avverto che sarà l'ultimo del 2019, ma non abbiate paura, l'anno che sta per arrivare porterà con sè mille sorprese per fata e protettore, vedrete. Per adesso vi saluto, ma ringraziandovi sentitamente, vi auguro ancora buone feste, e soprattutto buon 2020,
 
 
Emmastory :)

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Capitolo 41
*** Luce e buio nella vita ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XLI

Luce e buio nella vita

Un viaggio, un nascondiglio, una fuga e un luogo di pace. Questi quattro segni, quattro nodi in una falsa corda a cui Christopher ed io ci affidavamo, tirando e stringendo con forza per paura di cadere nel baratro del nulla. Era già successo, e lo sapevamo bene, ma ogni volta eravamo riusciti a rialzarci e arrampicarci di nuovo, certi che anche scivolando, saremmo stati presenti l’uno per l’altra, pronti a sostenerci a vicenda nel bene e nel male. Un sentiero ci aveva riportati all’unica casa che non avrei mai smesso di visitare, e felice, sorridevo. Non parlavo, ma sorridevo, sentendo con ogni attimo i miei nervi distendersi e i miei muscoli rilassarsi. Ero nuovamente tornata alle mie radici, e non avendo occhi che per Christopher, ora quasi ignoravo mia madre e mia sorella, che alla mia vista, avevano avuto reazioni diverse. Per fortuna entrambe positive, ma non per questo uguali nel significato. Difatti, se una non aveva fatto altro che riempirmi di domande alle quali ancora non rispondevo, troppo concentrata sull’uomo che amavo per darle davvero ascolto, l’altra si era limitata a guardarmi e mostrare un sorriso debole ma convincente, che per qualche ragione non raggiungeva i suoi occhi. Tranquilla, mi avvicinai ancora di più al mio Christopher, e anche lui dimentico della mia piccola famiglia lì accanto a noi, continuava a guardarmi, accarezzarmi e stringermi la mano. “Chris, tesoro?” azzardai, sicura che l’atmosfera stesse diventando in egual misura tesa e imbarazzante. “Sì, Kaleia?” rispose lui, dolce come sempre e ancora distratto dalla miriade di sentimenti che provava per me. “Mia madre è proprio qui accanto.” Gli feci notare, indicandola con il solo uso dello sguardo e riuscendo solo allora a riportarlo alla realtà. A quelle parole, lui si irrigidì all’istante, e passando subito da innamorato a serio, si voltò a guardarla. “Scusaci, Eliza, a volte non so cosa ci succede, vero, amore?” spiegò, mostrando un sorriso colmo d’innocenza e concludendo il discorso con quella domanda. “Già, è vero.” Mi limitai a rispondere, arrossendo in volto come una bambina colta in flagrante a combinare qualche marachella. “Via, ragazzi, non preoccupatevi. In fondo siete innamorati, è anche giusto che ve lo dimostriate.” Disse allora mia madre, regalandoci un sorriso e lasciando cadere l’argomento con molta fretta, forse perfino troppa. Confusa, non seppi cosa pensare, e incrociando nuovamente l’azzurro degli occhi di Sky, uguale al mio, capii ogni cosa, e improvvisamente, mi sentii malissimo. Avevo letto la sua lettera, scoperto delle sue sofferenze riguardo Noah, e ora mi comportavo così, dedicandomi a Christopher come se nulla fosse. Vergognandomi come una ladra, desiderai solo scomparire, essere inghiottita dal terreno e sprofondare per sempre, ma con mia grande sorpresa, lei sollevò una mano come e la mosse appena, quasi con noncuranza. “Tranquilla, Kia, va… va tutto bene.” Riuscì a dire poco dopo, con quegli ultimi lemmi che faticarono a uscirle dalla bocca. “Dici davvero? Ne sei sicura?” chiesi, improvvisamente incerta. “Sì, non c’è problema. Eliza ha ragione, in fondo vi amate.” Replicò lei, abbozzando un nuovo sorriso e fermandosi a guardarci per qualche istante, spostando poi l’occhio attento sulle nostre mani unite. Di lì a poco, un silenzio di tomba cadde fra noi, così forte da renderci sordi, e respirando a fondo, attesi che qualcuno avesse il coraggio di romperlo. Passarono così altri interminabili, secondi, e finalmente, sentii qualcosa, un cambiamento nella voce di mia madre. Nessuna parola, solo un tentativo strozzato da un nodo alla gola. Il sorriso che ci aveva mostrato pochi attimi prima aveva ormai lasciato il suo volto, trasformatosi lentamente in una maschera di preoccupazione e dolore. Taceva, tentava in tutti i modi di nasconderli, ma in quanto sua figlia, seppur adottiva, riuscivo a notarlo, specialmente ora che sembrava improvvisamente vicina a piangere. Non riuscendo a trattenersi, versò qualche lacrima, e veloce, mi avvicinai per confortarla. “Mamma…” soffiai al suo indirizzo, con voce flebile e rotta dall’emozione. Con il cuore stretto in una triste morsa, la strinsi a me in un nuovo e delicato abbraccio, e la sua reazione non tardò ad arrivare, semplice e chiara ai miei occhi ancora increduli. Rimasto in disparte, ora Christopher non osava intervenire, sicuro che quel momento fosse solo mio e di mia madre, così rimasi con lei anche mentre altre calde lacrime le solcavano il volto. “Non è niente, pixie, sta… sta tranquilla. È solo che ho riletto quel… quel dannato libro, e ora so cosa potrebbe succederti. Mi dispiace, non avrei dovuto!” parole che pronunciò a fatica, quasi strozzandosi nel pianto, e che ascoltai in silenzio, stringendola a me con forza ancora maggiore e confortandola come potevo. Decisa a vivere la mia vita per quella che era, avevo preso la sana abitudine di concentrarmi sulle gioie che mi regalava, ma non appena notai quel vecchio, polveroso e oscuro tomo ancora nella libreria, mi bloccai all’istante. Aveva ragione, quel libro era lì ed esisteva ancora, e la copertina, che raffigurava una stella racchiusa in una strana forma geometrica, non lasciava certo presagire nulla di buono. Poteva sembrare strano, sciocco o addirittura folle, ma a quanto sembrava, c’era ben poco che il mio trasferimento ad Eltaria potesse fare ora. Non mentivo, ero felice della vita che vivevo, ma a quando sembrava, il passato aveva solo ora ripreso ad inseguirmi, e quello che avrebbe dovuto essere un momento di gioia e riconciliazione, si era trasformato in qualcosa di diverso, ossia l’imbrunire più tetro che avessi mai vissuto. Così, dopo svariati tentativi di consolare mia madre, rivolsi l’attenzione anche a mia sorella andando alla ricerca di spiegazioni che alla fine ricevetti, ma che lei diede criticamente. Mi aspettavo di comprendere lo scopo del crollo emotivo di nostra madre, ma ciò che ascoltai con l’arrivo della notte non fu che una frase, un augurio di buona fortuna seguito da un abbraccio e da una porta chiusa. Giunta nella mia vecchia stanza, teatro di ognuno dei miei giochi infantili, tentai di affidarmi alla luna e alle stelle, scoprendole mute, assenti, e coperte da una nebbia che non poteva certo essere casuale. Qualcosa nel mio intero mondo stava cambiando nuovamente, e nonostante mi fidassi di tutti i miei amici, della mia famiglia e di chi mi stava intorno accompagnandomi in questo viaggio, ora naufragavo, finita alla deriva, in piedi davanti al confine che segnava l’alternarsi di luce e buio nella mia vita.    

 
 
 
Ancora una volta buonasera, miei lettori. Come vi avevo detto, ci ritroviamo insieme in questo primo giorno del nuovo anno, e anche se ormai sta per finire, spero l'abbiate trascorso serenamente vicino a coloro che amate. Kaleia qui non ha avuto la stessa fortuna, ma che ne pensate? Lei e il suo amato riusciranno ad avere la vita che sognano e meritano? Lo scopriremo insieme, ma intanto vi ringrazio come sempre di tutto il vostro supporto. Al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 42
*** Passi oltre la nebbia ***


Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XLII

Passi oltre la nebbia

Lenta e interminabile, un’altra notte passava, e sveglia, ero tornata a fissare la luna nel cielo tinto di nero. In circostanze normali non reagirei, sicura che insieme a me anche il mondo riposi, ma non oggi, o meglio, non stasera. Dovrei essere tranquilla, respirare a fondo e provare a riaddormentarmi, ma non ci riesco, e con mille nuovi dubbi a torturarmi la mente e le mente, perfino guardare il cielo è doloroso. L’oscurità mi avvolge, la luna fatica a splendere, e le stelle non brillano, forse spaventate e troppo timide per rischiarare le tenebre attorno a loro. Dormiente e ignaro di tutto, Christopher riposa, e voltandomi a guardarlo, sospiro. Lo guardo dormire, e vorrei svegliarlo, ma stringendo i pugni, cambio idea. Quello che sto affrontando è solo un nuovo periodo di stress sia fisico che psicologico, e nonostante sia il mio protettore, davvero non me la sento di disturbarlo. Così, pochi attimi svaniscono dalla mia vita, e il mio pensiero va a noi. A me e lui insieme, e a tutte le tempeste, reali e metaforiche che abbiamo affrontato. Diversi screzi ci hanno allontanato l’uno dall’altra in passato, e lo so bene, ma se c’è una sola altra certezza che alberga nel mio cuore legata a quanto ami quell’uomo e il resto della nostra futura famiglia, è unita alla consapevolezza di voler continuare ad allenarmi e migliorare, così da poter agire e difendermi da sola senza essere considerata un peso per nessuno. So bene che Christopher non mi accuserebbe mai di qualcosa del genere, e nonostante tutto, credo che lo stesso valga per Sky. I miei ricordi sono offuscati dal tempo e da quella dannata luce bianca, ma ricordo di aver avuto più di una lite anche con lei, e se molte di quelle appartengono a un tempo in cui non eravamo che pixie, bambine appena capaci di volare, camminare e orientarci nel bosco, uno solo di quei litigi non sparirà mai dalla mia mente. La primavera aveva da poco fatto visita a queste terre, nell’aria c’erano il profumo della gioia e dei fiori, ma allo stesso tempo, anche quello del velenoso rancore. Christopher ed io stavamo insieme solo da pochi mesi, quasi un anno, e Sky era gelosa. Sì, gelosa, proprio di me che ero, sono e sarò sempre sua sorella. Inizialmente aveva fatto fatica ad ammetterlo, ma poi si era spiegata, e con un abbraccio e qualche parola di conforto, eravamo riuscite a riappacificarci. Sulle prime, dovetti ammettere a lei e a me stessa di non capirla, di non sapere quale fosse il motivo che l’avesse spinta a chiedere al suo Midnight di farmi del male, ma poi, all’improvviso, le sue parole erano bastate ad aprirmi gli occhi. Incapace di tacere il suo dolore, aveva ammesso di provare nei miei confronti e in quelli di Christopher, non riuscendo a sopportare la nostra vista insieme. Non ci odiava, e lo sapevo bene, ma a quanto sembrava, almeno allora il nostro affiatamento era come tossico per lei. Concedendomi del tempo per pensare, alla fine avevo capito ogni cosa, e ogni tessera di quel vitreo e intricato mosaico aveva trovato il suo posto. Come biasimarla? Dopo il nostro abbandono, era stata costretta a crescere prima del tempo per prendersi cura di sé stessa prima e di me poi, e come se questo non fosse abbastanza, fra noi ero stata la prima a maturare, a scoprire il mio elemento, ad acquisire il controllo dei miei poteri e perfino a trovare un protettore. Lei la chiamava gelosia, ma riflettendo carpivo nelle sue parole un senso di inferiorità e manchevolezza, che era fortunatamente scomparso dalla sua vita con l’arrivo di Major. Ormai non lo vedevo da molto, e li avevo visti insieme solo durante le sere di Notteterna, mentre per quanto riguardava Noah, la situazione era diversa. Divorato da un misto di vergogna, dolore e sofferenza, anche lui era ad Eltaria, e stando a ciò che avevo potuto osservare da lontano sul ponte di legno che portava al Giardino, era riuscito a lasciarsi Sky alle spalle, e pur soffrendo, ad andare avanti, ritrovando l’amore in Eden, un’elfa di questa selva. Sdraiata a letto, a volte ripenso a quel giorno, scoprendo la parte più razionale di me sempre fermamente convinta di una cosa. Lui non lo dice, ma non l’ama davvero, e più che vero amore, in lei ha trovato un ripiego, una sorta di temporanea panacea contro il dolore che dimenticare Sky, o almeno provarci, gli provoca. Silenziosa e con le mani giunte, prego per loro e per me stessa, non dimenticando di rivolgere un pensiero anche a Marisa e a coloro che mi aspettano proprio ad Eltaria. Esausta, chiudo gli occhi scivolando nella grigia incoscienza, conservando nel cuore la speranza di un domani più sereno. Ore dopo, mi risveglio, e con il sole che splende nel cielo e gioca nascondendosi dietro le nuvole, dispettoso come un bimbo, spero che le mie preghiere siano state ascoltate. Per fortuna Christopher non si è accorto di nulla, e incantata, non vorrei davvero svegliarlo. Sorridendo, lo guardo riposare, calmo e rilassato, ma all’improvviso, qualcosa dentro di me cambia, e non resistendo oltre, mi avvicino per baciarlo. In breve, le nostre labbra si sfiorano, e seppur colto alla sprovvista, lui ricambia all’istante. “Kaleia…” mi chiama appena, sorpreso. “Sì, custode mio? Devi dirmi qualcosa?” azzardo, giocosa e sicura di averlo già stregato. “No, amore, nulla.” Risponde lui, stirando le labbra in un sorriso sghembo. “Nulla se non che ti amo.” Aggiunge poco dopo, sporgendosi abbastanza da sfiorarmi ancora e stringermi a sé. Lasciandolo fare, mi godetti la permanenza fra le sue braccia, e muovendomi con lui, finii per sovrastarlo. Ferma e inerme, non approfittai di quel momento, e perdendoci l’uno negli occhi dell’altra, ci scoprimmo senza parole. Calma e felice, le reputai superflue per esprimere il nostro amore, e con il cuore che mi batteva impazzito nel petto, lo baciai ancora. Paziente, lasciò che fossi io a condurre quella passionale danza, che conobbe fine solo quando non ebbi più respiro. “Sempre il solito adulatore, vero, Chris?” chiesi non appena ci staccammo, innamorata come non mai. “Sempre, cara, e mai diverso da come mi conosci.” Replicò subito lui, emulando il mio tono di voce e il mio sorriso, che in momenti come quelli non lasciava mai il mio volto. Divertita, risi di vero cuore, e in quel momento, un suono ci distrasse. Confusa, spostai lo sguardo verso la porta ancora chiusa, e dopo una battuta di silenzio, lo sentii di nuovo. “Pare che qualcuno non abbia imparato le buone maniere.” Commentò Christopher, sicuro dell’identità di chi era venuto a disturbarci. Spinta dalla curiosità, tornai a guardarlo, poi capii. “Cosmo, smettila. Non grattare alla porta.” Dissi, alzando la voce per farmi sentire anche oltre il duro legno. Altro silenzio seguì le mie parole, e con il suo spezzarsi, un debole latrato. “Grazie.” Continuai poco dopo, terminando solo allora quella sorta di conversazione con l’Arylu. Di lì a poco, il silenzio tornò a regnare fra noi per qualche istante, e mal sopportandolo, spostai l’attenzione su altro. Proprio come ricordavo, il vaso con i fiori ricevuti in dono da Lucy l’anno prima era ancora lì, e stranamente, le viole non erano appassite. Non ne ero sicura, né potevo esserlo, ma forse alcune stille della mia magia si erano sciolte nell’acqua quando avevo tentato di rianimarle, e attingendo a quelle, la pianta era rimasta in vita. A quel ricordo, sorrisi, e allontanando da me la coperta, mi alzai. Cauta, cercai le mie pantofole accanto al letto, e infilandole, camminai verso lo specchio della stanza. Fu lì che vidi il mio riflesso, e a poca distanza da quest’ultimo, l’armadio. Chiuso ma non a chiave, attirò la mia attenzione, e lentamente, ne aprii una sola anta. Ancora una volta, vidi il mio riflesso anche in quello specchio, e sorprendentemente, una lacrima mi rigò il volto. Scuotendo la testa, la scacciai, e respirando a fondo, tentai di calmarmi. Fu quindi questione di un attimo, e il mio sguardo cadde su qualcosa di diverso. La mia veste. La solita veste che in genere sostituivo al pigiama, che in quel momento riportò alla mia mente un ricordo preciso. Stando a ciò che avevo sentito dire dalle genti di Eltaria, l’ultima sera di Notteterna avrebbe dovuto concludersi con una sfilata di moda o qualcosa di molto simile, e troppo impegnati ad osservare il ritorno di Major nella vita di Sky, Chris ed io ce l’eravamo persa. Ammetto che sarebbe stato bello poterla vedere, e forse anche partecipare, ma ora anche quell’occasione apparteneva al passato, e considerando il nostro presente, non importava. Concentrandomi, riuscii a tornare alla realtà, e la voce di Christopher irruppe nel flusso dei miei pensieri.“È proprio vero, non imparerà mai.” Disse, confondendomi all’istante. “Scusa, cosa?” indagai, incerta. “Cosmo. Non imparerà mai se non gli insegniamo.” Ripetè, per poi spiegarsi e posarmi una mano sulla spalla. Sorpresa da quel tocco, mi ritrassi senza volerlo, sentendo il mio ciondolo agitarsi come la mia anima. “Kia, cosa… cosa c’è? Ti senti bene?” azzardò allora lui, preoccupato. “Sì, sì, non è niente, stavo… stavo pensando.” Mi affrettai a replicare, spaventata. Sforzandomi, tentai di non tremare, ma ogni tentativo si rivelò vano, e cercando la mano del mio Christopher, lo pregai di uscire dalla stanza. “Chris, ho fame, sarà… sarà ora di colazione, non credi?” provai a dire, sentendo però la voce tremare e le corde vocali rischiare di spezzarsi con ogni parola. “Certo, ma sei sicura che vada tutto bene? Puoi parlarmene, lo sai.” Insistette lui, con la voce corrotta dalla preoccupazione che avevo scorto nei suoi occhi solo poco tempo prima. Aveva ragione, potevo parlargli senza bisogno di mentire, ma per qualche arcana ragione, non me la sentivo. Nervosa, feci saettare lo sguardo in più direzioni, e proprio allora, il mio ciondolo si mosse di nuovo. Colta alla sprovvista, barcollai, e portando una mano alla tempia per lenire un improvviso dolore, me ne convinsi. Erano le voci, stavano tornando, e mentre quel malessere aumentava, per un attimo ne sentii una sussurrare sinistramente. “Te l’abbiamo già detto, non puoi salvarli, Kaleia. Non te stessa, non loro né chiunque ti ami. Arrenditi, giovane, fata, arrenditi.” Frasi alle quali non mi sarei mai abituata, che mi atterrivano e spaventavano a morte, facendomi improvvisamente sentire debole e spaesata, fuori da questo mondo e da quello umano, o in altre parole, sospesa fra entrambi, in balia delle due distinte parti della mia anima, che per proteggermi da quegli attacchi, sembravano nuovamente impegnate a combattere fra di loro. Terrorizzata, strinsi forte la mano di Christopher, che agendo d’istinto, mi riportò subito a letto. Sedendomi, sentii il cuore accelerare, e con il respiro reso pesante da quell’agonia, non riuscii a parlare. Improvvisamente, ogni cosa attorno a me perse colore, e la voce del mio amato mi giunse ovattata. “Kaleia, tesoro, svegliati. Reagisci e svegliati. Torna in te e svegliati.” Tentativi di incoraggiarmi che in mille altre forme avevo già ascoltato, e di fronte ai quali, chiamando a raccolta le mie forze e il mio coraggio, non riuscii a restare ferma. Il tempo passato a lottare contro gli spiriti mi aveva insegnato ogni loro tecnica, fra cui proprio quella di sfiancare psicologicamente la vittima, e poi far scempio di ciò che ne rimaneva. Ci stavano riprovando, e avevo paura, ma non sarei diventata loro, mai. Così, con una mano chiusa a pugno e l’altra ancora stretta in quella di Christopher, respirai a fondo, e per un solo istante, mi parve di annegare. Paralizzata, incrociai il suo sguardo, e abbracciandomi, lui fu lì per me, pronto come sempre a confortarmi. “Grazie al cielo…” sussurrò appena, grato di non avermi perso. “Chris, scusami. Scusa, non volevo, avrei dovuto…” Balbettai in risposta, non sapendo cos’altro dire e tentando in ogni modo di giustificarmi. “No, non dirlo nemmeno. Non avresti dovuto fare niente. Quei dannati spiriti non si arrendono, ma tu sei più forte di loro, mi hai sentito?” fu svelto a replicare lui, più serio di quanto non fosse mai stato. Ad essere sincera, non l’avevo davvero mai visto così prima d’ora. Era felice di riavermi con sé, certo, ma anche arrabbiato, tanto che guardandolo, temetti il peggio. In preda alla collera, sfogò la tensione su un cuscino, e quando finalmente riuscì a calmarsi, lasciammo la stanza. Quelli appena trascorsi erano stati momenti terribili, nessuno di noi due poteva negarlo, ma sedendomi a tavola per la colazione, guardai prima Sky e poi mia madre, consumando quel pasto senza una parola ma sorridendo per non destare sospetti. Non era giusto, avevano il diritto di conoscere la verità e lo sapevo, ma qualcosa, una voce appartenuta non agli spiriti ma alla mia coscienza, mi diceva che non era ancora il momento giusto, che ci sarebbe stato, ma che non era quello attuale. Guardandomi, mia madre sorrise a sua volta, poi abbassò lo sguardo, e capendo al volo, mi sfiorai appena il ventre. Un gesto a dir poco universale per le donne nella mia condizione, che lei, muta ma orgogliosa, comprese senza una parola. Mantenendo il silenzio, non dissi altro, ma guardando Sky, la incoraggiai a imitare nostra madre. Confusa, lei mi guardò senza capire, e pochi attimi più tardi, lei sorrise ancora. Dati i trascorsi di entrambe, fu bello vederla così felice per una notizia data solo in parte e quasi in segreto, che avrei però davvero rivelato alla famiglia solo a breve. Così, con il cuore nuovamente gonfio di gioia, cercai la mano del mio Christopher stringendogliela da sotto la tavola, e tranquilla, riuscii a vedere una luce alla fine di quel tunnel,  e nonostante ogni mossa prima di quel momento sembrasse rivelarsi vana e la paura per questa situazione e mille altre forse non sarebbe mai scomparsa, anche stavolta sapevo che se uniti, avremmo potuto affrontarla, o in altri termini, iniziare a muovere i primi passi oltre la nebbia. 

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Capitolo 43
*** Sentieri d'amore e incertezze ***


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Capitolo XLIII

Sentieri d’amore e incertezze

Un mattino calmo e d’oro, un gioco di sguardi, e una notizia data in silenzio. Pochi dettagli utili a riassumere ciò che era accaduto negli momenti appena trascorsi. Ancora seduta in cucina, non osavo muovermi, e persa in una miriade di pensieri tutti miei, non guardavo più né mia madre né mia sorella. Ad ogni modo, se io sembravo congelata negli istanti di un tempo immobile almeno tanto quanto me, loro avevano già ripreso le loro mansioni e le loro abitudini. Finalmente calma dopo il crollo emotivo avuto quasi senza una ragione, cessato solo quando avevo scelto di stringerla fra le mie braccia, ora mia madre era impegnata a preparare la colazione per noi e il caffè per sé stessa. A quella vista, un debole sorriso mi spuntò sul volto, e poco dopo, a una speranza accadde lo stesso. Piccola e quasi invisibile, germogliò piano nel mio cuore e prese posto nella mia anima, e nonostante avessi sempre pensato a questa come a una metafora, ora scoprivo che forse per noi fate non era così. Una volta tanto non provavo dolore, e la leggera stretta al petto che mi colse di sorpresa fu piacevole, simile a quella che sentivo ogni volta che Christopher mi regalava un bacio o un momento tutto nostro. Sempre al mio fianco, rafforzava la stretta sulla mia mano ancora al sicuro sotto la tavola, e rischiando di arrossire, abbassai lo sguardo. “Chris?” lo chiamai, tranquilla. “Sì?” rispose appena lui, lo sguardo fermo sul panorama visibile appena fuori dalla finestra. Nulla di diverso dalla natura che eravamo abituati a vedere anche dalla nostra casa a Eltaria, ma in ogni caso bellissimo. Forse sbagliavo a ripetermi, forse ero di parte dato il mio elemento, ma per ora non importava. Cercando l’aiuto di Marisa ero tornata alle mie radici qui a Primedia, ero davvero felice, e attendevo solo il momento più giusto per raccontare una verità tutta mia, o come trovavo più corretto dire, nostra. Sì, nostra. Tale in quanto mia e di Christopher, che come sapevo e non avrei mai avuto il coraggio di negare, era il padre dei miei bambini. Esseri ancora non nati e fortunatamente al sicuro sotto al mio cuore, anche dopo quello che era successo con quei maledetti spiriti. Ad essere sincera, ero sicura che non avrei mai dimenticato nulla di quel giorno, né di quelle strane possessioni, ma come avrei potuto? Scuotendo la testa, mi costrinsi a farlo almeno per il momento, e tornata alla realtà, guardai Christopher. “Credi che abbia capito?” azzardai, con il benessere dei piccoli come primo pensiero fisso in mente. “Tesoro, è tua madre, e gliel’hai appena detto, dovrebbe essere sorda per non sentirti e cieca per non vederlo, avanti.” Mi rassicurò lui in risposta, tranquillo. Rinfrancata dalle sue parole, sospirai di sollievo, e in silenzio, mi rilassai. Totalmente ignara della mia conversazione con il mio amato, mia madre rimase concentrata sulla colazione, e dopo un tempo che non riuscii a definire, la vidi voltarsi e posare in tavola ben tre piatti. Uno per me, uno per Christopher, e l’altro per Sky. Silenziosa come e forse più di me, cincischiava con i waffle appena ricevuti, trascinando appena la forchetta sul piatto senza alcuna traccia di fame. Senza una parola, si sforzava di sorridere, ma per sua sfortuna, nonostante sperasse di non destare sospetti, ogni suo tentativo non raggiungeva i suoi occhi. Era mia sorella, la conoscevo bene, e capivo quando qualcosa non andava. Dopo quello che ci era successo da bambine, era come stata costretta a crescere prima del tempo, e qualcosa mi diceva che anche dopo anni, soffriva ancora. Incrociando il suo sguardo, le chiesi mutamente cosa non andasse, ma come mi aspettavo, lei non rispose. “Non ho niente.” Mi diede modo di capire, pur mentendo e sapendo di mentire. Preoccupata, mi concessi una leggera insistenza, e già seccata, lei sfuggì dai miei sguardi, sicura che non potevano inseguirla. Aveva paura, si notava moltissimo, e benchè non sapessi davvero di cosa, potevo senza alcuno sforzo immaginarlo. Anche per quello attendevo a parlare, ad aprirmi e a raccontare ciò che nascondevo e covavo nel cuore, proprio per non ferirla ulteriormente. “Sky?” sussurrai appena, sperando che la sua rabbia si dissolvesse come la nebbia di poco tempo prima. Sempre senza aprire bocca, lei tornò a guardarmi, e fu allora che finalmente la rividi sorridere. Stavolta era sincera, lo vedevo bene, e contenta per lei, le regalai un nuovo sorriso. Nonostante tutto quello che la turbava, lei riuscì a imitarmi, e vicina a Christopher, mi feci coraggio. È ora, non credi?” indagai, incerta sul da farsi. “Solo se sei tu a volerlo, fatina.” Mi rispose lui, sincero e innamorato, ma con la voce bassa perché io fossi l’unica a udirlo. “Va bene.” Lasciai intendere, annuendo lentamente e lasciando le posate sul tovagliolo accanto al mio piatto. Cauta, mi alzai in piedi, e a quella vista, Sky sgranò gli occhi. Sorpresa, nostra madre finì per imitarla, e non riuscendo a smettere di sorridere al solo pensiero di ciò che stavo per dire, rischiai nuovamente di diventare rossa in volto. “Puoi farcela. Sono la tua famiglia.” Mi disse, parlando con il solo uso di uno sguardo dolce e pieno d’amore. Fidandomi ancora una volta di colui che amavo, mi preparai a parlare, e respirando a fondo, attesi che il mio cuore si calmasse. Per quanto ne sapevo, parlare in pubblico non era mai stato un problema, ma lo stesso non valeva per la mia timidezza, l’unica cosa che nel tempo mi aveva quasi impedito di essere me stessa e avvicinarmi a Christopher. non volendo neanche pensarci, non ne parlavo, ma a volte mi fermavo a pensare, immaginando cosa sarebbe potuto accadere se quel giorno, proprio nel bosco in cui ero nata, passando da sfera luminosa a pixie, trasformandomi solo anni dopo in fata a tutti gli effetti, io e lui non ci fossimo incontrati. Avrei davvero trovato l’amore in un folletto, in un’altra creatura magica o in qualcuno di diverso da lui? Avrei potuto formare con lui quel legame esclusivo e dettato dalle leggi che insieme, rifuggivamo? Non lo sapevo, e anche riflettendo non avevo modo di esserne sicura, e fra i mille dubbi che si rifiutavano di lasciare la mia mente, c’erano anche le mie certezze, tutte nascoste, o meglio, custodite nel mio presente. Diviso in mille attimi della vita che vivevo con lui, in un noi al quale pensavo quotidianamente, che ora, stando a ciò che nascondevo dentro, stava per espandersi e crescere ancora di più. “Sky, mamma, io…” tentai, ritrovandomi a balbettare e a farmi pena da sola. “Pixie, va tutto bene?” azzardò proprio lei, preoccupandosi come ogni madre. Ridotta al silenzio, annuii soltanto, e scambiandomi con Chris una singola occhiata d’intesa, ottenni da lui la spinta necessaria a continuare. “Nasconderlo non ha più senso, e per me, per noi questo è un giorno importante. Sono incinta.” Rivelai in quel momento, lasciandomi prendere la mano dalle emozioni. A riprova di ciò, sentii la voce spezzarsi proprio su quell’ultima parola, e nulla potè prepararmi alle reazione di mia sorella. Colta alla sprovvista, nostra madre già piangeva di gioia, ma lei, muta, si limitò ad avvicinarsi per abbracciarmi. Felice, non mi sottrassi al suo affetto, e lasciandola fare, ebbi appena il tempo di sentirla sussurrarmi qualcosa all’orecchio. “Congratulazioni, sorellina, spero davvero che tu possa essere felice.” Una frase semplice alle orecchie di altri, ma bellissima alle mie, in quanto anche piena di significato. Emozionata, non negai alla donna che mi aveva cresciuto la possibilità di stringermi, e così, in quel mattino ormai sfumato in pomeriggio, mi crogiolai nell’affetto della mia famiglia, sentendomi sempre più tranquilla con ogni secondo che passava. Certo, Marisa e sua madre Zaria non erano lontane, proprio per colpa di quest’ultima gli spiriti e il mio passato cercavano vendetta, ma con le lacrime agli occhi, mi imposi la calma, e attimi dopo, agognati istanti di felicità. Ancora una volta, vivere accanto a chi amavo era come camminare seguendo ogni volta sentieri diversi, che con ogni passo scoprivo essere fatti d’amore e d’incertezza.



Come capita spesso, auguro buonasera ai miei cari lettori. Torno dopo quasi un mese con un nuovo capitolo di questa storia, e malgrado non sappia quando riuscirò a scrivere e farvi leggere il prossimo, per ora vi lascio questo, in cui la nostra cara fata, per alcuni fuorilegge, ha finalmente il coraggio di rivelare una verità a lungo taciuta. Per sua fortuna, la famiglia la sostiene, ma sarà così anche oltre le mura domestiche? Lo scopriremo insieme, ma per ora grazie davvero a ognuno di voi, e al prossimo capitolo,

Emmastory :) 
 

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Capitolo 44
*** Miracoli di pura vita ***


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Capitolo XLIV

Miracoli di pura vita

C’ero riuscita. Una parte di me non riusciva ancora a crederci, ma c’ero riuscita. Colta alla sprovvista da più eventi, ero stata costretta ad attendere forse più del dovuto, ma alla fine avevo dato alla mia famiglia, piccola ma pur sempre tale, la bella notizia. Lenta, l’estate continuava a trascinarsi, e il suo calore scemava con ogni giorno che spariva dalle vite di ognuno di noi, ma nonostante tutto, continuavo a sorridere. Presto l’autunno avrebbe bussato alle porte dei boschi e dei villaggi, svegliando o sorprendendo ognuno degli abitanti, e seppur conscia degli effetti del freddo sui miei poteri, ora non ci pensavo. Di nuovo a casa con Sky e con nostra madre, non riuscivo a smettere di sorridere, e davanti alla muta letizia di una e alle lacrime dell’altra, mi avvicinai, concedendo a entrambe un nuovo abbraccio, simbolo d’affetto, speranza e unione familiare. Silenziosa, ora non parlavo più, crogiolandomi invece nell’amore di coloro che mi avevano vista crescere e maturare con lo scorrere del tempo. Quieto, non si fermò neanche stavolta, e dopo attimi che a malapena sentii scorrermi sulla pelle, quell’abbraccio si sciolse. Tranquilla, ripresi la mano di Christopher, e perfino più contento di me, lui mi precedette, stringendomi a sé con dolcezza infinita. Lasciandolo fare, sentii il cuore battere lentamente, e respirando piano come per non far rumore, spostai lo sguardo su di lui. In un attimo, ci ritrovammo l’uno negli occhi dell’altra, verde nell’azzurro. “Glielo mostriamo?” gli chiesi, sperando segretamente che riuscisse a comprendermi. Stringendosi nelle spalle, lui ricambiò il mio sguardo senza capire, e svelta, mi sfiorai la tasca della veste. Solo allora, Christopher si illuminò di colpo, e annuendo, indietreggiò di qualche passo. Pronta, cercai il gioiello ricevuto da Marisa, e sempre controllandomi la tasca, lo sfiorai appena con le dita. Non il cristallo che proteggeva me e i miei bambini, ma bensì l’altro anello, argenteo come quello ricevuto nel giorno in cui il mio cuore si era unito al suo. Sorridendomi, mi fece coraggio, e incuriosita, mia madre avanzò verso di noi. “Tutto bene? Cosa confabulate?” azzardò, confusa ed emozionata al tempo stesso. Affatto sorpresa dalla  sua reazione, mi lasciai sfuggire una piccola risata, e colta in flagrante, confessai. “Volevamo che vedeste questo, mamma.” Dissi appena, estraendo quel piccolo monile dalla tasca e aprendo la mano perché potesse vederlo meglio. Riducendosi al silenzio, lei e Sky lo osservarono a lungo, e all’improvviso, la voce di quest’ultima mi fece sobbalzare. “Ho già visto quest’anello.” Disse, decisa e sicura dei suoi ricordi. “Davvero?” indagai, curiosa. “Sì, era in un vecchio libro di magia, proprio qui in casa.” Continuò lei, sempre più seria. A quelle parole, vidi nostra madre irrigidirsi leggermente, e non riuscendo a mantenere la calma, cercare di interrompere la sua stessa figlia. “Sky, cara, ne sei proprio sicura? Sei certa di non averlo immaginato?” replicò al suo indirizzo, tentando invano di depistarla. Confusa quanto e forse più di prima, mi astenni dal commentare, e tesa come mai l’avevo vista, mia madre scosse la testa, poi si decise, e pronta, prese la parola. A quanto sembrava, mentire non era proprio nelle sue corde, e conoscendosi, sapeva di non poterlo fare, o almeno non di fronte alle sue figlie. Nervosa, aveva tentato di allontanare la curiosità di Sky e quelli che in me aveva scoperto essere sospetti, e per nulla abituata a quella sorta di doppio gioco, era arrivata a desistere. “Ragazze, quello… quello non è un semplice anello. Kaleia, da chi…” tentò, la voce rotta dall’emozione e spezzata come l’ala di un uccellino ferito. “L’ho avuto da Marisa, perché me lo chiedi?” risposi, concludendo quella frase con un’altra domanda. “Bene, meglio così. Sky, pixie, hai ragione, anch’io l’ho già visto, e voglio che sappiate che è molto importante. Se la tua amica te l’ha dato, Kia, dev’esserci un motivo, e io credo di sapere quale sia.” Aggiunse poco dopo, coerente ed enigmatica al tempo stesso. “Ossia?” tentai, sentendo la testa scoppiare a causa di mille dubbi. Era incredibile. Christopher ed io eravamo tornati al mio, anzi al nostro bosco di nascita con delle buone notizie, e ora scoprivo che ce n’erano altre anche da parte della mia famiglia. Frastornata, dovetti sedermi, e se Christopher non tardò a seguirmi, lo stesso non valse per Cosmo, che ignaro di tutto, restava sdraiato sul tappeto del salotto. Forse dormiva, o forse non ci aveva sentito, ma nonostante questo decisi di perdonarlo. In fin dei conti era solo un cucciolo, non c’era molto che potessi pretendere da lui, ma non appena arrivai a pensarlo, ecco che a sua volta decise di entrare in scena. Preoccupato, mi trotterellò accanto, e uggiolando debolmente, mi piantò le zampe sulle ginocchia, chiedendo di essere preso in braccio. Mossa a compassione, realizzai il suo desiderio, e sollevandolo, gli permisi di accucciarsi sul mio grembo. Ad essere sincera non sapevo se fosse sbagliato data la mia condizione, se il suo peso avrebbe potuto nuocere ai miei piccoli, ma imponendomi la calma, mi convinsi di stare esagerando. Agitato, il lupacchiotto continuò a fissarmi con i suoi grandi occhi azzurri, e in silenzio, non seppi cosa dirgli. Nervoso come e forse più di noi, teneva la coda ferma anziché scodinzolare, e sorpresa da un brivido, tremai. “Ragazze, c’è qualcosa che non vi ho ancora detto. Di recente ho fatto delle ricerche, e probabilmente per questo Sky ricorda quel monile.” Iniziò a dire nostra madre, criptica e improvvisamente piena di segreti. Spinta dalla curiosità, rimasi in ascolto, e poco dopo, le sue parole mi colpirono come un pugile farebbe con il suo avversario. Indecisa, si richiuse nel silenzio, ma per fortuna mia e di Sky, Christopher riuscì ad incoraggiarla. “Sta tranquilla, Eliza, e ti prego, continua.” Le disse soltanto, per poi scivolare nel mutismo e cercare la mia mano. Più veloce di lui, incontrai la sua per prima, e stringendola, fui invasa da un’ormai conosciuto senso di calore e sicurezza. Lentamente, la mia gravidanza si stava protraendo, ed era vero, ma nonostante fosse iniziata solo da poco, io non perdevo mai di vista i suoi comportamenti, sicura che se era così dolce, buono e premuroso con me, di sicuro lo sarebbe stato anche con i bambini. A dirla tutta, speravo davvero che fosse un buon padre, e a quanto sembrava, le mie aspettative coincidevano con delle già affermate certezze. Restando stretta a lui, attesi che mia madre riprendesse a parlare, e finalmente serena, lei ritrovò la sua voce. “Grazie, Chris. Tu e Kaleia non avete nulla di cui preoccuparvi, ma sappiate che non è un comune gioiello.” Continuò, decisa e piena di fiducia sia in noi che in sé stessa. “E allora cos’è?” non potè evitare di chiedere Sky, tanto curiosa quanto impaziente. Imitandola, anche Cosmo piegò la testa di lato, e rompendo il silenzio con un mugolio, non chiese che dettagli. “Quell’oggetto è una reliquia, capito, cucciolotto? Reliquia.” Gli rispose, regalandogli un sorriso e scandendo bene quell’ultima parola. Divertita dal suo buffo modo di cercare di assomigliarci, rise di gusto, e sporgendosi quanto bastava, gli fece anche una carezza sulla testa. Chiudendo gli occhi, Cosmo si godette il suo affetto, e quando in risposta le leccò la mano, fui scossa da un nuovo brivido. Stavolta caldo e non freddo come il precedente, al quale reagii posandomi appena una mano sul ventre. “Va tutto bene, piccoli, tranquilli. Siete, con me, zia e nonna.” Sussurrai al loro indirizzo, lasciando che l’ombra di un sorriso mi spuntasse in volto. Premuroso come sempre, anche Christopher fece lo stesso, e perdendoci di nuovo l’uno negli occhi dell’altra, ci baciammo, incuranti di chiunque avessimo attorno. Per un attimo, non pensammo a nulla se non al nostro amore, e poi, pronta e rincuorata da quella scoperta, protesi una mano in avanti, aspettando. Quasi leggendomi nel pensiero, mia madre mi rese l’anello, e annuendo lentamente, lo indossai per la prima volta. Memore di quanto accaduto grazie ad Amelie alla grotta delle ninfe, chiusi gli occhi, e calma, mi concentrai sui miei figli. Aiutata da Christopher, non ebbi paura di nulla, e non appena li riaprii, eccoli. Racchiusi in una sorta di bolla di luce, candida e fioca, entrambi i bambini che aspettavo con ansia di mettere al mondo. Emozionata, per poco non piansi, e lo stesso valse per mia madre e mia sorella, che quasi senza parole, si voltarono a guardarmi. “Kaleia, sembrano… sembrano già bellissimi.”  Commentò mia madre, asciugando appena in tempo una piccola e solitaria lacrima già intenta a rotolarle lungo la guancia. “Già, ha ragione, e sono… sono miei nipoti.” Aggiunse Sky, felice ma ancora incredula. “Hai usato la parola giusta, Sky, e non vedo l’ora che possano conoscerti.” Le dissi soltanto, felice e orgogliosa di averla sentita esprimere un parere di quel calibro. Ad essere sincera, temevo ancora una reazione diversa dati i suoi attuali problemi con Noah, ma in breve, al pomeriggio si sostituì la sera, e finendo per addormentarmi senza volere sul divano di casa, potei dirmi orgogliosa di me stessa per il passo che avevo compiuto, e soprattutto amata da chi avevo intorno, anche ora che avevo avuto il coraggio di condividere con loro il frutto dell’amore mio e di Christopher, due figli che seppur piccoli e ancora non pronti a raggiungerci in questo mondo, io e lui vedevamo come miracoli di pura vita.

 

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Capitolo 45
*** Mese di quiete e di nuove ***


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Capitolo XLV

Mese di quiete e di nuove

Veloci, gli ultimi giorni d’estate si erano come rincorsi sul calendario, mentre le pagine, mosse dal vento, reale, magico o artificiale che fosse, si muovevano anch’esse senza sosta, e proprio oggi, tutto è cambiato. Un cerchio rosso attorno alla data odierna mi fa capire che è domenica, l’ultima prima dell’inizio di un nuovo mese, e con questo, di una nuova stagione. Più calmo dell’estate, e per questo lento e lieto, l’autunno si prepara a bussare alle porte del bosco e di tutti i suoi abitanti, e legata come sono alla natura, riesco già a sentirne la vicinanza. Ad essere sincera, non so se lo stesso valga per le mie simili benedette dal mio elemento, ma anche ora, mentre cammino per la foresta, lo sento. Il vento che cambia d’intensità e direzione, il sole che non sembra più forte e potente come prima, l’erba che ha smesso di cresce e appare perfino più timida del solito, e ultime, ma non per importanza, le foglie, tutte saldamente strette ai loro alberi ma consce del loro destino, che ben presto le porterà a cambiar colore, stancarsi, smettere di lottare e adagiarsi in terra, formando un magnifico tappeto per chi cammina ma non per sé stesse. Tranquilla, quasi non mi guardo intorno, e guidata sia da Christopher che dal mio ciondolo, non scorgo alcun segno di pericolo. Sollevata, inspiro a fondo, e attimi più tardi, espiro. Non succede niente, tutto attorno a noi è calmo, e abbassando lo sguardo, noto che Cosmo ci segue. Silenzioso, non abbaia come al solito, e con lo sguardo dritto in avanti, resta in silenzio, voltandosi a guardarci solo quando ci sente o vede rallentare. “Che vi succede? Andiamo, o non arriveremo mai.” Sembra voler dire, agitando la folta coda e fissandoci con i suoi grandi occhi azzurri. “Sì, arriviamo, Cosmo, tranquillo.” Gli dissi, fermandomi per qualche istante e affrettando appena il passo così che smettesse di guardarsi indietro. Passeggiavamo e basta, volevamo solo goderci l’aria di quel mattino spuntato da poco, ma lui sembrava avere altri piani. Silenziosa, mi guardavo bene dal parlare o giudicarlo ad alta voce, ma bastò un attimo, e all’improvviso, tutto fu più chiaro. Ormai era passata qualche settimana, ma ricordavo ancora bene il giorno in cui, camminando per questa stessa selva, ci eravamo imbattuti di nuovo nel corpo della madre del nostro piccolo amico. Ormai ferito da tempo e privo di vita, ma nonostante tutto perfettamente conservato. Incredula, avevo finito per voltarmi verso Christopher alla ricerca di lumi, spiegazioni e conforto, ma in risposta, lui non aveva fatto altro che stringersi nelle spalle. “Ne so quanto te.” Aveva sussurrato, incerto come mai prima d’allora. Spaventata, avevo sentito un brivido corrermi lungo tutta la schiena, e poi, in lontananza, notato un lampo di magia. Bloccata dall’insicurezza, non ero più riuscita a muovermi, e poi, per fortuna, eccola. Aster, che mossa dal proprio istinto, si era nuovamente dedicata alla cura della foresta attorno alla grotta sua e delle sorelle, e che per puro caso, aveva anche lei notato quel corpo. Sorpresa, si era precipitata verso il cadavere, e veloce, aveva posato una mano su quel pelo un tempo morbido e ora ispido. Non volendo intralciarla, mi ero subito fatta da parte, e con me anche Christopher, ma non Cosmo. Ancora piccolo, ma coraggioso nonostante tutto, lui si era invece fatto avanti, e riconoscendo in quell’esemplare adulto la propria madre, aveva ringhiato e abbaiato nel tentativo di spaventare la nostra amica ninfa. “È la mia mamma, vai via, via!” quelle le parole che potendo avrebbe sicuramente pronunciato, e che nonostante le nostre differenze, e forse proprio grazie ai miei poteri, giunsero alle mie orecchie, alla mia mente e al mio cuore come forti, chiari e al tempo stesso crudamente vere. Una scena triste, a dir poco straziante, alla quale avevo assistito con non poche lacrime negli occhi e sul viso, sconvolta. Lasciandolo fare, però, Aster non si era mossa, e calma e gentile come sempre, si era invece avvicinata, per poi inginocchiarsi al suo fianco, prenderlo in braccio e sussurrargli qualcos’all’orecchio. “Non le ho fatto alcun male, piccolino. Era ferita, ma adesso sta meglio, ed è in un posto migliore.” Frasi che quel giorno riuscii a udire solo sforzandomi, e alle quali mi sforzai di non reagire, sicura che altrimenti sarei nuovamente scoppiata a piangere. Ringraziando Aster con il solo uso dello sguardo, c’eravamo allontanati, e da allora, almeno per Cosmo la vita ad Eltaria era cambiata, diventando nuova e diversa. Aiutato dalla nostra amica, sembrava essere riuscito a metabolizzare il dolore di quella perdita, a comprenderla e accettarla senza dimenticare, neanche ora che ci spingeva a continuare quel cammino privo di una vera meta. Accelerando il passo, si era messo in testa alla nostra marcia, e con il respiro accelerato sia dallo sforzo che da un caldo ancora ostinato e persistente, appariva svelto e deciso, con in mente una destinazione tutta sua. Mantenendo il silenzio, mi voltai verso Christopher, e sorridendo appena, lui mi sfiorò la mano. “È solo un cucciolo, vediamo dove va.” Mi disse, incoraggiandomi a seguirlo. Annuendo, mi avvicinai a lui così da averlo accanto, e intuendo il mio volere, lui mi cinse un braccio attorno alle spalle. Da allora in poi, camminammo così, uniti come sempre. Lenti, i minuti ci parvero ore, e quando finalmente arrivammo, e io rialzai lo sguardo tenuto basso per evitare rocce e radici, eccola. Proprio davanti a noi, la piazza principale di Eltaria, spoglia delle bancarelle messe in piedi durante le sere di Notteterna, e a dirla tutta completamente vuota, ma nonostante questo, e a giudicare dalle decine di lanterne bianche appese e occupate a penzolare proprio sopra le nostre teste, simbolicamente piena. A quanto sembrava, la mia condizione non era certo passata inosservata, e per mia fortuna, agli occhi degli abitanti questa appariva davvero come un miracolo, che secondo le leggi del luogo e le parole di quei maledetti spiriti, nessuno avrebbe mai spiegato. Improvvisamente calmo, Cosmo si sedette, e abbaiando, ci richiamò a sé. Ancora straniti da quella sena, Chris ed io ci eravamo fermati per raccogliere le idee e letteralmente respirare, ma per lui non era finita. Felice per un motivo che solo lui conosceva, continuava a camminare e correre per la piazza, e fra un latrato e l’altro, ad attirare l’attenzione dei passanti. Volendo essere sincera, dovevo ammettere di non sapere cosa stesse facendo, né di conoscere la ragione dietro il suo gesto, e tanto divertita quanto silenziosa, lasciai correre. Stringendo la mano di Chris, quasi non mi accorsi del fiume di gente improvvisamente riversatosi in strada, né delle mie due piccole amiche pixie nascoste nella calca. Felicissimo, Cosmo continuava ad abbaiare, e con ogni secondo che passava, la piazza si riempiva. In breve, non ebbi quasi spazio per muovermi, e letteralmente sommersa dal mare di abitanti, per poco non piansi, felicissima. Era appena mattina, il sole era alto nel cielo, e il tempo e la stagione stavano cambiando, ma fermandomi a riflettere, capii. Ancora memore di quanto accaduto a sua madre, e di come la sua vita fosse cambiata grazie a me e Aster, aveva scelto di ricambiare a modo suo quel favore così grande. Circondata da visi amici e volti nuovi, dovetti sforzarmi per non crollare davanti a tutti, e non riuscendo a trattenermi, baciai Chris con tutta la dolcezza e l’amore di cui ero capace. Innamorato, lui mi lasciò fare, e quando ci staccammo, dopo quel contatto e un abbraccio durato per interminabili secondi, spostai tutta la mia attenzione su Cosmo, chinandomi e battendomi una gamba per averlo vicino. Obbedendo, il mio lupacchiotto non si fece attendere, e in silenzio, strinsi anche lui, che scodinzolando, parve voler parlare ancora. “Grazie, bello, grazie davvero.” Gli sussurrai, stringendolo a me e affondando le dita nel suo pelo folto e morbido. Così, ferma e in ginocchio proprio davanti a lui, non resistetti oltre e piansi di fronte a quell’intera platea, per poi rialzarmi e lasciarmi abbracciare nuovamente da Christopher, sempre vicino e pronto a sostenermi anche in quell’istante. Con gli occhi ancora velati dalle lacrime, alzai lo sguardo, e posandolo su quelle lanterne, mi sentii fortunata, amata e speciale, poiché Cosmo, piccolo lupo dal grande cuore, aveva fatto quanto in suo potere per dimostrarmi un concetto tanto semplice quanto profondo. Io lo avevo adottato salvandolo dalla vita nella selva senza sua madre, che vedendolo sarebbe stata orgogliosa, e stando al suo modo di pensare, l’intera comunità di Eltaria, umana e magica insieme, avrebbe nuovamente fatto lo stesso con me. Tornando a casa, ringraziai ognuno dei presenti, e sdraiata a letto a riposare, senza spostare le coperte e con ancora i vestiti addosso, pregai Christopher di raggiungermi e di restarmi accanto. Annuendo, lui non si fece attendere, e innamorati, ci scambiammo insieme mille dolci, calde e tenere effusioni, ancora sorpresi da quanto profondamente e velocemente la vita potesse cambiare, anche in una stagione normalmente connessa con la morte, e ai primordi di un mese di quiete e di nuove.  





Buonasera! Saluto voi lettori dopo quasi un mese di silenzio per motivi da me indipendenti, e torno con questo capitolo che trasuda speranza per Chris e Kaleia, anche dopo un flashback come quello mostrato, nonchè cosa sia capace di fare, quando ama, il miglior amico dell'uomo. Un gesto di puro amore disinteressato, non trovate? Grazie davvero di tutto il vostro supporto, e al prossimo capitolo,


Emmastory :)   
 
     

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Capitolo 46
*** Lieto vento d'autunno ***


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Capitolo XLVI

Lieto vento d’autunno

È ormai pomeriggio, e tornata a casa da poco, mi godo il sole e la compagnia di Christopher. La mia condizione prosegue lenta, uno sporadico dolore alle gambe mi spinge a riposare, e non volendo restar sola, ho scherzosamente richiesto che mi restasse accanto, e così è stato. Ora siamo insieme, sopra e non sotto la coperta del letto che condividiamo, e in silenzio, il vento e le sue dita mi spostano i capelli. “Tesoro?” azzarda, con quella stessa voce calda e dolce che riconoscerei ovunque. “Sì?” rispondo, lo sguardo prima perso nel vuoto oltre l’orizzonte alla finestra e poi nel suo. “Ora lo sanno in tanti, visto?” mi fa notare, per poi scivolare nel silenzio e continuare ad accarezzarmi i capelli. Piano, come se fossero stati fili di seta. Ad occhi chiusi, lo lasciai fare, e respirando a fondo, ripresi la parola. “Già, e grazie al cielo ci accettano.” Soffiai al suo indirizzo, completamente rapita dai suoi gesti. Sdraiata al suo fianco, quasi non mi muovevo, spostandomi solo per cercare posizioni di volta in volta più comode. Ero incinta di soli quattro mesi, ma dopo così tanta attività e stress, sia fisico che psicologico, le caviglie iniziano già a non darmi tregua. Preoccupato, Cosmo mi ha perfino ceduto il cuscino su cui dorme, e pur sorridendo, non me la sono sentita di privarlo del suo giaciglio. “No, Cosmo, non mi serve, tranquillo.” Gli ho già detto più volte, ridacchiando come una bambina nel vederlo voltarsi e riportarlo indietro, per poi girare su sé stesso infinite volte prima di accucciarsi. “Sei sicura? Sono solo preoccupato.” Prova a dire ogni volta, nonostante sappia che alle mie orecchie non giunge nulla di diverso da adorabili mugolii. Mossa a compassione da quei tentativi di tirarmi su il morale, stirai le labbra in un ennesimo sorriso, e tornando a guardare Christopher, non attesi né resistetti alla tentazione di baciarlo. Paziente, lui non si sottrae al mio amore, e anche appena ci stacchiamo, ricambia subito, innamorato e affamato di me. Mentre il tempo scorre, la gravidanza sembra cambiarmi il carattere oltre che il corpo, e ultimamente i miei sentimenti hanno sempre la meglio. Se prima ero guidata dai sentimenti, ora anche i miei ormoni sembrano avere lo stesso compito, e con ogni giorno che passa, mi guidano in questo cammino. Ad essere sincera, non vedo l’ora di raggiungerne la meta, così da fermarmi e stringere finalmente fra le braccia i miei bambini, e il calendario appeso al muro ne è la prova. Ora come ora, Christopher ed io non siamo sicuri di nulla, ma nonostante tutto non ho potuto evitare di afferrare un pennarello e cerchiare in rosso una data, quella che secondo stime puramente arbitrarie, indicherà la nascita dei miei piccoli. “Chris…” biascico, già senza fiato per la miriade di baci che ci unisce. “Kia, amore…” risponde appena, la voce ridotta a un sussurro innamorato mentre continua, imperterrito, a baciarmi e rendermi metaforicamente sua. Inquieto, il cuore mi batte già nel petto, sembra impazzire con ogni suo gesto, e malgrado sia già pronta, succube di ogni sua mossa, mi trovo costretta a fermarlo. “Christopher, sul serio, basta. Non… non adesso.” Ho appena la forza di sussurrare, sentendo la mente e il cuore in completo disaccordo. “D’accordo, d’accordo, scusa. Mi sono lasciato prendere la mano.” Replica, scostandosi e ritirando la mano così da non toccarmi. Da allora in poi, fra noi cade il silenzio, e confuso, perfino Cosmo si sveglia dal suo riposo in un angolo della stanza. Conoscendo il mio amato protettore perfino meglio di me stessa, sono certa di non averlo offeso, ma l’espressione dipinta sul suo volto esprime pura tristezza, così, guidata ancora una volta dal cuore e da ciò che sento, lo abbraccio. “Ti perdono, custode mio, ma… soltanto la mano?” scherzo, di nuovo desiderosa di distrarmi, estraniarmi dal mondo e ridere con lui. “Va bene, anche il braccio, contenta?” risponde poco dopo, inizialmente stranito da quella battuta. “Estasiata.” Non manco di replicare, affidando quell’unica parola a un sospiro di beatitudine. In breve, il silenzio torna a farci visita, e così come si erano interrotte, le sue carezze riprendono, lente e rilassanti. Non muovendo foglia, inizio ad avvertire i loro effetti, e all’improvviso, un tenue bagliore ci distrae entrambi. “Che… che succede?” indaga, con una sottile vena di preoccupazione nella voce. “Nulla, Chris, nulla. Anzi, credo che piaccia ai piccolini.” Veloce e sincera, la mia risposta arriva solo pochi istanti più tardi, e dopo altra quiete, l’unico suono che non mi aspettavo. “Perfetto, ora hanno anche fame.” Commentai, fingendo rabbia realmente non provata. “Però! Che esigenti!” rispose poco dopo Christopher, stando al mio gioco e aiutandomi ad alzarmi. “Su, non incolparli. Significa solo che sanno quello che vogliono.” Fui svelta a replicare, già orgogliosa di loro. Lenta, mi rimisi in piedi, e sempre al mio fianco, Chris fu lì per sostenermi. Gentile, mi tese la mano, e seguendolo, gli sorrisi. “Sai una cosa, fatina?” tentò, già immensamente divertito. “No, cosa?” chiesi, non riuscendo a tenere a freno la curiosità. “Forse è presto per dirlo, ma scommetto che somiglieranno alla mamma.” Quella l’unica frase che abbandonò le sue labbra, di fronte alla quale, sempre fintamente in collera, sorrisi appena, pronta ad accettare quella metaforica sfida. “Scommetti cosa? Un bacio o soltanto qualche rublo di luna?” non potei evitare di chiedere, negli occhi chiari segni d’amore e malizia. Decisamente interessato, Christopher si ritrovò a imitarmi, e in un attimo, nel bel mezzo del corridoio che portava alla cucina, fui di nuovo fra le sue braccia. “Perché non scegli tu, mia protetta?” mi sussurrò all’orecchio, stringendo dolcemente la presa attorno alla mia vita. “Vieni qui…” lo pregai, convinta all’istante da quelle parole. Bastò un attimo, e la nostra vicinanza si trasformò in un contatto. Un bacio dolce, tenero e caldo, forse il migliore che ci fossimo mai scambiati. “Saggia, scelta, tesoro mio.” Mi rispose poco dopo, la voce ridotta ancora una volta a un sussurro innamorato. Chiusa in un silenzio tutto mio, mi limitai a guardarlo, e allontanandomi, seppur di malavoglia, tornai finalmente alla realtà. Pochi passi mi condussero così in cucina, e con movenze simili a quella di un automa, aprii la dispensa. Da ormai qualche giorno, Christopher faceva spesso compere a mia insaputa, avendo comunque cura di soddisfare le mie voglie, di giorno in giorno sempre più strane. Era strano a dirsi, e lo sapevo bene, ma se un giorno desideravo unicamente pane tostato, in un altro toccavo soltanto miele e tisane alle erbe, mentre l’ultimo periodo era dedicato alle fragole.  Tranquilla, aprii un pensile tirando fuori una vaschetta colma, e respirando a fondo, contenta e rilassata, andai a sedermi sul divano di casa. Sapevo bene che non avrei dovuto, che pur facendo attenzione avrei potuto sporcare, ma negli ultimi tempi vedevo quelle dolci fragole come un premio, e in quanto tale, sempre pronto da gustare ovunque volessi. “Ne vuoi una?” non potei evitare di chiedere, fermandomi appena prima di riempirmi la bocca. “No, cara, ma qualcun altro sì, a quanto pare.” Rispose semplicemente Christopher, riferendosi a qualcosa che inizialmente non vidi. “Come?” azzardai in risposta, alzando di colpo la voce e non badando al tono che utilizzai nel parlare. Tornando a guardarmi, il mio amato si preparò a rispondermi, ma ancor prima che potesse farlo, una voce alle sue spalle rispose per lui. Era Cosmo, che approfittando della porta rimasta aperta, era sgattaiolato fuori dalla stanza, desideroso della nostra compagnia. “Cucciolotto!” lo chiamai, divertita e felice di rivederlo. Continuando ad abbaiare, lui mi corse incontro, e allargando le braccia, mi aspettai di accoglierlo. Stando a quanto ricordavo, quel piccolo mascalzone aveva acquisito la strana eppure adorabile abitudine di saltare sul divano proprio come la cara Willow, che addormentata su uno dei cuscini delle sedie in cucina, ora ci ignorava. Contro ogni mia previsione, si sedette, e fissandomi con i suoi dolci occhioni, azzurri proprio come i miei, attese agitando la coda. “Dammi una fragola, dai! Dammi una fragola, una sola!” pregava, la folta coda così veloce da sembrare irriconoscibile. “Va bene, cagnetto, però aspetta, va bene? E anzi, su.” Concessi, per poi chiudere il pugno e sollevarlo appena sopra la sua testa. Confuso, il lupacchiotto mi annusò la mano, e tutt’altro che soddisfatta, ritirai quella delizia dalla sua vista. “Su, ho detto, Cosmo, su!” ripetei, incoraggiandolo. Testardo, il cucciolo rimase fermo dov’era nella speranza che cedessi, e poi, all’improvviso, si alzò su due zampe. Sorridendogli, decisi di premiarlo, e non appena riaprii la mano, lui quasi divorò quella minuscola fragola. “Grazie!” parve voler dire, gustandola appieno e leccandosi i baffi. “Tu guarda, l’hai anche ammaestrato?” mi chiese Christopher, rimasto in silenzio ad osservare la scena fino a quel momento. “Addestrato, amore. Usa le parole giuste, è praticamente un cane, non una scimmietta da circo.” Corressi gentilmente, per poi vedere il mio piccolo amico ripetere quel gesto e sperare di ricevere un’altra leccornia. “Va bene, padrona degli animali, hai ragione.” Concesse lui in risposta, inscenando sdegno mascherato come sempre da amore per me. Divertita da quella pantomima tutta nostra, scoppiai a ridere, accettando, pur senza voltarmi, un bacio pieno di passione. “Cielo, Chris, sai sempre come essere…” provai a dire, scoprendomi improvvisamente interdetta. Fu questione di un solo attimo, e rigida come un’asse di legno, mi precipitai alla finestra. Come al solito, la vista non mi ingannava, al pomeriggio si stava sostituendo l’imbrunire, e anche se solo per qualche misero secondo, potei giurare di vedere due volatili solcare i cieli. Insieme e mai divisi, prima Midnight e poi Ranger, che volando insieme, riempirono il cielo e il silenzio di stridii inconfondibili. Mantenendo la calma, posai una mano sul davanzale, e frugandomi nella tasca della veste con la mano libera, ne estrassi qualcosa. Ancora una volta, non il cristallo né l’anello di Marisa, entrambi al sicuro sulla mia mano o proprio in quella tasca, ma bensì un singolo petalo rosato. Secondo il caro Noah, appartenuto in origine a un albero di ciliegio sempre in fiore, che il suo amico piumato aveva trovato e raccolto proprio per me. Rimanendo ferma e inerme, non attesi che le nuvole, e poi, con il buio a coprire la foresta, lo lasciai andare e volteggiare nel vento. Un gesto già compiuto un precedenza con un algido fiocco di neve, ora ripetuto proprio con quel petalo, un segno di benessere dato con il cuore gonfio di speranza mentre avvertivo sulla pelle lo spirare dell’ora più lieto vento d’autunno.

 
 
 
Anche stavolta, una buonasera a tutti i miei lettori. Ora come ora, tutta l'Italia non se la cava affatto bene, ma a quanto sembra, almeno Christopher e Kaleia sono felici, e possono sperare in un futuro migliore per sè e per i propri futuri figli. Vi ringrazio come sempre del supporto, ci risentiremo nel prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 47
*** La dama, il merlo e il futuro incerto ***


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Capitolo XLVII

La dama, il merlo e il futuro incerto

Era bastato un attimo, e mi ero allontanata dalla finestra. Dalla sera era trascorso un tempo che non ero stata in grado di definire, e ora, a notte fonda, non facevo che ripensarci. Silenziosa com’ero ma non mi piaceva essere, restavo sdraiata a letto senza nemmeno un fiato, sacrificando la mia posizione preferita per il bene dei bambini. Di solito preferivo giacere sullo stomaco, ma al momento non mi è certo possibile, perciò eccomi lì, a fissare il soffitto bianco e spoglio, in completo e perfetto contrasto con la mia mente. Sospirando cupamente, spero di non disturbare Christopher, ma all’improvviso la mia mano è più veloce del mio pensiero, e quasi come se quel movimento facesse ormai parte di un riflesso condizionato, cerco prima la sua mano, poi il suo abbraccio. Tutt’altro che tranquilla, mi stringo a lui, e non appena risponde, imitandomi, scopro che è sveglio. “Chris?” chiamo, sussurrando appena. “Sì? Cos’hai, va tutto bene?” replica, il suo primo pensiero rivolto a me e al mio stato di salute. Fermandomi a pensare, riconosco che tanta dedizione abbia del lodevole nei miei confronti, ma almeno ora il problema non siamo né io né i piccoli, che come al solito riposano appena sotto il mio cuore, ma al contrario, i miei pensieri. Non dormo da ore, se ci riesco sogno, e l’unica cosa che vedo è quel petalo di rosa che volteggia nel vento. So bene che è un simbolo di benessere, le parole di Noah e il libro di magia della famiglia di Chris lo confermano, ma mentre il tempo scorre, tre domande mi tormentano come quegli spiriti ora muti. Avrà raggiunto Sky? Lei l’avrà raccolto? Ma soprattutto, avrà compreso le mie vere intenzioni? Non ne sono sicura, non posso esserlo, e in silenzio, aspetto. Pur senza muovermi dall’abbraccio di Chris, tendo l’orecchio al mondo esterno, e dopo quella che sembra un’eternità, eccolo. In lontananza, il solito stridio di Midnight accompagnato anche stavolta da quello di Ranger. Vicini l’uno all’altro, solcano i cieli insieme ormai da ore, e per la prima volta in questa nottata senza fine, sentire i loro versi mi riempie di speranza. Attento e allarmato al tempo stesso, anche Cosmo si sveglia per controllare, e zampettando verso la finestra, si sforza per alzarsi su due zampe come gli ho insegnato, ma sfortunatamente, non vede nulla. Confuso, sposta lo sguardo in più direzioni, e mosso solo dall’istinto, rompe il silenzio con qualche piccolo ululato. “Cosmo, silenzio.” Gli ordino, seria ma mai arrabbiata. Drizzando le orecchie, il mio Arylu obbedisce, e in un istante, la calma, spezzata solo da quei caratteristici stridii regna sovrana. Spinta dalla curiosità, mi libero dalle coperte per alzarmi, ma all’improvviso, afferrandomi un polso, Christopher mi ferma. “Kia, no. Non muoverti. Non li senti? Ascolta, non è con te che comunicano.” Mi fa notare, serio come mai prima d’ora. Mantenendo il silenzio, lo guardo senza capire, e non appena la sua presa sul mio polso si allenta e il mio ciondolo prende vita brillando nell’oscurità della notte, tutto acquista un senso. È questione di un istante, e quando finalmente chiudo gli occhi e riesco a calmarmi, le sento. Sempre metaforiche e mai reali, le parole dei due uccelli, che stando a ciò che vedo fuori dalla finestra, si evitano pur volando insieme, ma solo per non intralciare l’uno la traiettoria dell’altro. I loro discorsi notturni sono pure grida, urla di dolore da me già sentite in precedenza, quando a soffrire era soltanto la natura proprio per mano di mia sorella, e ora più che mai, chiare come il sole che ancora non è spuntato. Ci vorranno ore prima che accada, ne sono certa, e di nuovo al sicuro fra coperte leggere, attendo. Spaventato, Cosmo uggiola e prega di potersi avvicinare a noi, e non appena glielo concedo, sale a fatica sul letto, mordendo per aiutarsi un lembo della coperta. Volendo rassicurarlo, Chris ed io gli regaliamo a turno qualche carezza, e poco dopo, lui fa lo stesso con me. Vivo quanto i miei poteri, il mio ciondolo brilla ancora al buio, e colta da un freddo improvviso, tremo impercettibilmente. Quasi per istinto, porto una mano al ventre, e per pura fortuna, sento che va tutto bene. I miei figli non si muovono, ma la tenue luce che emettono mi conforta, e così, coprendomi al meglio, spero davvero che Sky riesca a sentire quello che la natura cerca di dirle. Anche stavolta soffre, e nonostante la colpa non sia sua, io rischio di piangere. Non riesco a crederci. Appena ieri tutto sembrava andar bene, e ora nulla è al suo posto. Il vento non soffia, le stelle non cadono, nascosta fra le nuvole la luna non brilla, e con l’aria piena di strazianti lamenti, rifletto. Il freddo mi blocca, quasi non riesco a muovermi, e se il tempo atmosferico è l’ultimo dei miei problemi, lo stesso non vale per Sky, che probabilmente ignara di tutto questo, soffre a sua volta. Ad occhi chiusi, ancora non dormo, e concentrandomi, ho la sensazione di riuscire a vederla. È a letto come me, ma se le coperte le fasciano il corpo, lo stesso discorso non è applicabile al suo cuore, ancora visibilmente ferito e sanguinante dopo quelli che lei considera la rottura di un rapporto e un conseguente allontanamento da parte del ragazzo che più ama. I minuti stanotte mi sembrano ore, ma finalmente, ecco la conferma che cercavo. Troppo stanca perfino per piangere, Sky rimane sdraiata dov’è, con lo sguardo assente rivolto al paesaggio scuro della notte, e più in alto, una luna pallida e invisibile cerca a sua volta di consolarla. Lentamente, ognuna di noi raccoglie i cocci della propria anima, provando a rimetterli insieme per nascondere o almeno provare a curare ferite che solo noi siamo in grado di vedere, ma sfortuna di entrambe, ogni sforzo si rivela tristemente vano. Ancora una volta, sono troppo lontana per aiutarla, e lei non ha la forza di reagire. Sono quasi sicura che non dormirò, e sveglia, non sento altro che quei lamenti uniti a qualcosa di diverso, e al mio udito vagamente simile ad un pianto. A quanto sembra, la mia condizione acuisce temporaneamente le mie capacità di fata, e seppur consapevole di dover essere felice, non riesco a gioire. Non ora, non mentre qualcuno di così vicino a me soffre in questo modo. innervosita da mille domande, ignoro il mio ora dormiente protettore, e alzandomi dal letto, raggiungo la cucina. L’ora è tarda, l’orologio appeso al muro sembra fermo, anche con la finestra aperta l’aria che respiro è pesante, ma memore delle parole di Aster e del rito suo e delle sorelle ninfe, afferro in fretta un foglio e una penna, decidendomi finalmente a scavare ancora più a fondo nei miei ricordi e agire, facendo l’unica cosa che lei stessa mi ha chiesto di fare. Così rimango da sola, e lentamente, intreccio parole. “Cara Sky, sono sempre io, Kaleia. Non ho risposto abbastanza in fretta alla tua ultima lettera, e quasi me ne vergogno, scusa. Sappi che non era mia intenzione, e che da ora in poi farò davvero il possibile per aiutarti. Tu stessa mi hai chiesto di scriverti e darti un motivo per sorridere, e ora io ti chiederò soltanto una cosa. Pensaci. Non c’è un vero bisogno di descriverteli uno per uno, ma lo farò comunque. Tu, regina dei venti, puoi sorridere, puoi farlo davvero. Hai molto per cui farlo, iniziando dall’amore di Eliza e finendo con quello per Noah. So che forse non mi crederai, sentiti libera di ignorare queste prossime righe se questo è il caso, ma lui ti ama ancora, non ha mai smesso di farlo. L’ho visto per caso al Giardino di Eltaria, quella che è giunta a te è stata solo una stupida voce, ma lui non prova nulla per Eden, nulla. Gli ho parlato brevemente quel giorno, gli ho chiesto perché non fosse con te, e nonostante non abbia risposto, io ho visto il dolore nei suoi occhi quando si è allontanato da quell’elfa. Sarò sincera, so bene che non c’è molto altro che possa dirti per provare a convincerti, perciò se stai ancora leggendo, ascolta il tuo cuore. Chiudi gli occhi, resta in silenzio e ascoltalo davvero. Fidati di me come di te stessa, datti tempo e perdona chi ami, ma per favore, non lasciare che il tuo animo sia freddo come il vento che controlli, né che questa e quelle a venire diventino notti di tempesta. A presto, e non mollare, come dicevi a me quando eravamo bambine, Kaleia.” Parole tanto crude quanto vere, dovevo ammetterlo, ma in ogni caso pregne del significato e del sentimento che sin dall’inizio avevo immaginato di comunicare trasponendo quei miei pensieri su carta. Una lettera che riportai nella mia stanza, piegai e affidai al vento, compiendo per la terza volta un gesto semplice ma importante. Ad essere sincera, non sapevo se Sky avesse davvero trovato quel petalo, o se questo rito avrebbe funzionato, ma con le mani giunte e il corpo scosso da tremiti che non calmai, la mia certezza fu una sola. Come mia sorella, e come la natura, anch’io attendevo, crescevo, vivevo, gioivo e soffrivo, e di nuovo sdraiata, in attesa di un nuovo giorno e delle novità che mi avrebbe mostrato, ero sicura di non voler vivere più una notte come quella che ormai stava svanendo, e che avrei ricordato, fino al mattino e anche oltre, come notte della dama, del merlo e del futuro incerto.



Di nuovo salve a tutti i miei lettori. Mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento della storia, anche stavolta per motivi che non dipendono da me. Stasera riesco a pubblicare, e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio ogni di voi del supporto costante, ci rivedremo nel prossimo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 48
*** La comunità intorno ***


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Capitolo XLVIII

La comunità intorno

Dopo la notte, il giorno, e dopo le tenebre, la luce. Come ogni giorno, anche oggi assisto a una diarchia benevola  e prima di disordini, e stiracchiandomi, pigra come una gatta, scopro di non essere da sola. Sveglio a sua volta, anche Cosmo mi resta accanto, e mentre una piacevole brezza spira appena fuori dalla finestra rimasta aperta, lui piega le orecchie e sposta la testa di lato. “Ciao! Che c’è, è un brutto momento?” sembra chiedere, respirando lentamente e tenendo la lingua colorata fuori dalla bocca. “Buongiorno, cucciolo. Dormito bene?” rispondo appena, con il tono gentile che sono abituata a riservargli ma la lingua ancora impastata dal sonno. “Lui sì, ci scommetto, ma a me non lo chiedi?” azzarda una voce alle mie spalle, che in un attimo riconosco essere quella di Christopher. “Chris, certo! Scusa, ma è venuto a svegliarmi, perciò…” tentai di rispondere dopo un attimo di silenzio, imbarazzata e colta alla sprovvista. “Via, sta tranquilla. Credi davvero che mi sia arrabbiato?” rispose subito lui, sorridendo dolcemente e sfiorandomi la mano da sotto le coperte. “E se così fosse, custode?” gli chiesi, mangiando la foglia e decidendo di stare al gioco. Come altri, anche questo uno tutto nostro, che aveva inizio spontaneamente e in qualunque situazione, se uno dei due fingeva verso l’altro rabbia realmente non provata. In fin dei conti ci amavamo fin troppo per farci del male, a vicenda, e ora, silenziosa e con un sorriso di giocosa malizia stampato in volto, attendevo. “Saresti adorabile.” Semplice eppure inaspettata, la sua risposta ha il potere di stranirmi, e in un attimo ci baciamo. Senza neanche aver tempo di accorgermene, mi ritrovo fra le sue braccia, e dimenticandomi della presenza di Cosmo, lo sento mugolare lì accanto a noi, e con la coda dell’occhio, noto che si copre il  muso con le zampe. Un modo come un altro di mostrare la vergogna che prova nel vederci insieme, comune praticamente a qualunque animale abbia abitato in questa casa eccetto Willow, che sempre calma e silenziosa come un monaco in preghiera, ci ignora. Tante sono state le volte in cui ho cercato di coinvolgerla o distrarla svegliandola dai suoi innumerevoli pisolini, ma poche sono state quelle in cui c’ero riuscita, salvo poi vederla richiudere gli occhi e sprofondare di nuovo nel sonno. Presa com’ero dal bacio, non ci badai minimamente, e assaporando con voglia le labbra dell’uomo che più amavo, inspirai il suo profumo. Forte e deciso come il caffè che io assaggiavo e lui non beveva, e per qualche strana ragione che solo il mio cuore innamorato comprendeva fino in fondo, per me fonte di sicurezza e protezione. Interminabili minuti sparirono così dalle nostre vite, finchè, bisognosi di respirare, non fummo costretti a staccarci. Chiusa in un silenzio tutto mio, rimasi a guardarlo con occhi sognanti, e imitandomi, Christopher mi strinse in un abbraccio. “Ti è piaciuto?” chiese, regalandomi un sorriso e mordendosi le labbra che da poco mi ha concesso. “L’ho adorato, protettore mio.” Sincera e dettata più dal cuore che dalla mente, quella fu l’unica risposta che riuscii a dargli, per poi scivolare nuovamente nel silenzio e perdermi nei suoi occhi. Eravamo sposati da quasi un anno, e a volte più ci pensavo, più ero felice. I suoi baci e le sue carezze significavano molto per me, mi calmavano quando non riuscivo a rilassarmi, e mi emozionavano sempre quando meno me l’aspettavo. Tranquilla, affidavo a lui le mie emozioni oltre al mio cuore, ben sapendo che le avrebbe custodite. La luce del sole di oggi si vede appena, e in quest’autunno appena iniziato, mi sento bene. Non posso esserne sicura, è ovvio, ma qualcosa, una sorta di sesto senso, se così può essere chiamato, mi spinge a credere che Sky abbia ricevuto la mia lettera. Da ormai qualche ora, il suo merlo e il falco di Noah hanno smesso di lamentarsi, e a quel solo pensiero, sorrido. Lenta, mi volto verso il calendario appeso al muro, e guardandolo distrattamente, noto un numero scritto accanto alla data di oggi. Piccolo eppure chiaramente visibile, un numero, e a una seconda occhiata, un cinque. “Chris, sei stato tu?” azzardo, curiosa. “Sì, perché?” risponde, scostando da sé le coperte e sedendosi sul letto per vedere meglio. “Niente, mi sembrava strano. Già cinque mesi, hai visto?” replicai dopo qualche istante di silenzio, sorridendogli. Veloce, mi sorprese, cingendomi un braccio attorno alle spalle, e lasciandolo fare, espirai. Senza dire altro, mi portai una mano al ventre leggermente pronunciato, e assieme a me, anche lui. “Credo sia il momento giusto per conoscere qualcuno.” Disse poco dopo, con la mano sulla mia e la voce ridotta a un sussurro innamorato. “Sì, tesoro? E chi sentiamo.” Indagai, calma e sinceramente incuriosita. “Garrus, mia cara. La persona perfetta per noi in un periodo come questo.” Rispose subito lui, serio e innamorato come mai l’avevo visto. Era strano, inusuale anche solo pensarci, ma la mia condizione sembrava avere il potere di cambiare anche le persone che mi stavano attorno e mi volevano bene, così, fidandomi, gli presi la mano. Ad essere onesta non avevo ancora capito a chi si riferisse, ma stando a ciò che avevo letto nel libro di magia appartenuto alla sua famiglia, un protettore era sempre tenuto ad aver cura della felicità e del benestare della fata che allenava, ragion per cui, non avevo nulla da temere. Sotto suo consiglio, mi vestii per affrontare al meglio la giornata, e uscendo di casa, lo seguii. Testardo e restio all’idea d restare da solo, Cosmo protestò fino a convincerci a portarlo con noi, e così, attaccato il guinzaglio al suo collare, lo accontentai. In breve, ci ritrovammo a passeggiare prima per la foresta e poi per il villaggio, scoprendo, in una via poco distante da quella che conduceva al vecchio pozzo dei desideri, un vero e proprio negozio. In tutto simile alle bancarelle allestite da Duilin, Roderick e Boris durante le sere di Notteterna, e diverso solo per ciò che riguardava la grandezza. Costruito interamente di legno, sembrava piccolo solo all’esterno, risultando, soltanto quando Chris ed io ci decidemmo ad entrare, enorme. Guardandomi intorno, meravigliata, non riuscii a credere ai miei occhi. Più camminavo, più particolari notavo, e in altri termini, vidi di tutto. Decine, forse centinaia di scatole di cartone su altrettanti ripiani, ricolme di oggetti di ogni tipo. Scettri come quello della mia giovane amica Lucy, che conoscevo e che non avevo mai usato, libri di magia come di semplice lettura umana, lanterne decorative uguali a quelle che vedevo appese ovunque, bambole e giocattoli che mi ricordarono quelli della dolce Lune, e ultimi, ma non per importanza, cristalli e altre lanterne. A quella vista, un attimo di confusione mi colse di sorpresa, e non appena svanì, un guizzo di memoria mi saltò in mente. Anche se solo per qualche istante, il ricordo della mia nascita, e la consapevolezza che una di quelle lanterne mi avesse ospitato. Emozionata, sorrisi al mio Christopher stringendo la presa sulla sua mano, e senza proferire parola, lui tornò ad accarezzarmi. Senza proferire parola, accettai il suo affetto, e notandoci, il proprietario si avvicinò cordialmente. “Bienvenus à vous dans la Maison de la Magie, mes amis!” si annunciò a noi, parlando in una lingua che non capii. Anche se lentamente, mi stavo abituando allo spagnolo di Aster e Carlos, ma se quella era più facile e intuitiva, questa non lo era affatto, o almeno non per me. “Mi… mi scusi?” biascicai, confusa come mai prima d’allora. “Garrus, ti prego, risparmia il francese alla mia donna, va bene?” s’intromise allora Christopher, riprendendo la parola e facendo le mie veci. “Ma Christopher, è la lingua dell’amore!” insistette il negoziante, serio e convinto delle sue idee. “Falso. Qualsiasi lingua può esserlo se parlata a dovere.” Gli spiegò il mio amato, mantenendo la calma e stroncando una sorta di lite sul nascere. “Va bien, cosa vi porta qui da me?” chiese allora l’uomo, che fermandomi a guardare scoprii essere un folletto. “Mia moglie è incinta di cinque mesi, credi di poterci aiutare?” si limitò a dirgli Christopher, tranquillo mentre continuava a stringermi la mano. “Certamente! Qualunque articolo qui dentro sarebbe perfetto per una coppia come voi. Per ora fate pure un giro, chiamate se avete bisogno di aiuto, d’accordo?” concesse il folletto, regalandoci un sorriso mentre tornava dietro il bancone. “Oppure, se proprio volete, ho anche un’assistente.” Non mancò di farci notare, gentile come pochi. “Bea! Abbiamo clienti, vieni!” chiamò poi, poco prima di sparire nel retro, sicuramente per una questione di inventario. Fu quindi questione di pochi minuti, allo scadere dei quali, a quel richiamo rispose una ragazza. Alta e slanciata, poteva avere ad occhio e croce qualche anno più di me, degli occhi color miele, e i capelli lunghi ma di una sfumatura che non identificai. Un biondo scuro quasi mischiato al rosso delle fragole, ma non per questo meno affascinante. “Beatrice, futura negoziante, per ora apprendista e al vostro servizio. Posso aiutarvi?” ci chiese, non dimenticando di presentarsi amabilmente nonostante un lieve tremore le scuotesse il corpo. “Piacere nostro, Bea. Volevamo solo dare un’occhiata, hai qualche consiglio? E scusami, ti spiace se ti chiamo così?” le risposi, tranquilla e gentile come il suo capo, volendo solo fare amicizia. “Per niente, ma tu sei?” replicò lei, sorridendo appena e tendendomi la mano perché gliela stringessi. “Kaleia. Kia, se preferisci, mentre lui è mio marito, Christopher.” continuai poco dopo, veloce e sincera. “Incantata, signori miei. Venite, abbiamo più d’un corridoio dedicato.” Si limitò a rispondere lei, più calma e professionale mentre ci guidava nel negozio. Fra un passo e l’altro, nessuno di noi disse nulla, e lentamente, il mio sguardo cadde su mille articoli diversi, primi fra tutti le lanterne, i vestitini e i giocattoli. Sonagli, cubi colorati, bamboline e pupazzetti di ogni forma e dimensione, ma tutti, nessuno escluso, con un viso tondo e un’espressione felice e sorridente. Sempre in silenzio, non dissi una parola, ma intenerita, accarezzai il manto pomellato di un cervo di peluche, mentre Christopher, che si limitò a sorridere debolmente e guardarsi intorno con occhi pieni di orgoglio e meraviglia, sfiorò con le dita il dorso di un dinosauro dal collo lungo e morbido. Così, dopo quelle che mi parvero le ore più lunghe ma più belle della mia vita, sentii mille farfalle nello stomaco. Seppur usciti a mani vuote, Chris ed io avevamo appena iniziato a prepararci concretamente per l’arrivo dei bambini, e con il cuore gonfio di gioia e amore, anche al mio arrivo a casa scoprii una sorpresa. Proprio sull’uscio, un cesto di vimini pieno di fiori e frutta, e più in fondo, un semplice foglietto di carta. Incuriosito, Cosmo lo prese in bocca per mostrarmelo, e realizzando il suo desiderio, ne lessi mentalmente ogni parola. “So che non è molto, ma io, la foresta e tutto il villaggio faremo il possibile per aiutarvi. Siate felici, l’amore è un’occasione prima, e un dono poi, Marisa, o Misa, Vaughn.”Immacolato e all’apparenza anonimo, un vero e proprio biglietto d’auguri, che strinsi al cuore e intascai mentre una singola lacrima mi solcava il volto. Felicissima, avevo trovato verità nelle metaforiche parole di Cosmo, scoprendo per l’ennesima volta che in tutto questo non ero affatto sola, e che al contrario, avevo l’intera comunità intorno.

 

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Capitolo 49
*** Attesa, speranze e fiori di perdono ***


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Capitolo XLIX

Attesa, speranze e fiori di perdono

 
Davanti a noi il sole e il silenzio, e in cielo una luce appena visibile e sui toni dell’oro misti a quelli del rosa. In altre parole, l’alba. Scivolata nel sonno appena dopo aver letto il biglietto ricevuto da Marisa, mi ero svegliata di buon’ora, e tranquilla, ora mi guardavo attorno. Ad essere sincera non me l’aspettavo, ma proprio come me, anche Christopher è già in piedi. Se io sono ancora sdraiata sotto le coperte, lui non fa altro che guardare la sua immagine riflessa nello specchio e sorridermi, adulandomi come solo lui sa fare. “Tesoro…” lo chiamo appena, a voce bassa perché solo lui possa udirmi. “Sì, Kia?” risponde, emulando quel tono che tanto gli piace e voltandosi a guardarmi. A giudicare dall’espressione dipinta sul suo volto, è tanto curioso quanto preoccupato, e sorridendo debolmente, spero di riuscire a calmarlo. La notte appena trascorsa è stata tranquilla, disturbata e movimentata solo dal movimento dei miei piccoli che scalciavano, e che anche ora, appena sveglia riuscivo a sentire. “Si può sapere che stai facendo? Che senso ha avuto alzarti prima di me?” gli chiedo, lamentosa e viziata come una bambina. Divertito, lui non stacca gli occhi dai miei, e il suo sorriso, luminoso come sempre, mi fa battere il cuore. “Cara, è forse un crimine rendermi presentabile… proprio per te?” non tarda a rispondere, mentre dolce come sempre, abbandona lo specchio e si avvicina. Innamorata, lo lascio fare, e scostando le coperte, mi scosto per lasciare che mi abbracci, ma più veloce di quel che pensavo, si limita a sedersi sul bordo del letto, per poi sporgermi e posare le labbra sulle mie. Sorpresa, quasi non riesco a respirare, ma basta un attimo, e il tempo si ferma. Ci stiamo soltanto baciando, eppure mi sento sua. È mio protettore oltre che mio marito, tutta la mia fiducia sarà per sempre riposta fra le sue mani, e così, ferma in un attimo letteralmente sospeso nel tempo, mi godo quel bacio. In breve, il tempo fra di noi si fa tiranno, e siamo costretti a staccarci, ma tanto decisa quanto furba, approfitto di una sua distrazione per prendergli la mano e attirarlo a me. Basta un attimo, e ci ritroviamo vicini, a pochi centimetri l’uno dall’altra. “Non riesci proprio ad alzarti, oggi, vero?” commenta, bloccato in quella posizione mentre mi sorride. “No, e davvero non voglio. Perché non restiamo qui?” azzardò, con un improvviso alone di malizia ad adombrarmi lo sguardo. Ad essere sincera, non so davvero cosa mi stia succedendo, ma ultimamente sembro fatta così. Come al solito non ho occhi che per lui, e so che mi ama, ma di questi tempi la sua sola vista accende in me mille desideri. Nulla di troppo drastico o profondo, data la mia condizione non potremmo spingerci troppo oltre, e se la sua presenza è l’unica cosa in grado di calmarmi, il letto è il giaciglio perfetto per la mia pigrizia. Spero sia momentanea, o la mia abitudine di passeggiare ne soffrirebbe. Divertendomi anche con poco, rido al solo pensiero, e quasi leggendomi la mente, Christopher mi stringe a sé. “Sai che dovremo uscire da qui prima o poi?” mi avverte, serio ma innamorato come mai mi sembra di averlo visto. “Tu dici? Chi l’ha deciso?” ribatto, sempre ferma nella mia decisione di restare al suo fianco, imbozzolata fra le coperte. Sconfitto a parole, lui esita, e ho appena il tempo di finire la frase, quando si allontana ancora, aprendo la finestra della stanza e facendo entrare la fresca aria del mattino. “Il sole già sorto, fatina cara, e non solo. Ti basta come spiegazione?” insiste ancora, determinato. “Affatto, protettore mio. Ti toccherà essere più convincente, non credi?” testarda, continuo a lottare nella speranza di vederlo arrendersi, dimenticare ogni cosa e tornarmi accanto, e all’improvviso, proprio quando credo stia per cedere, un cigolio. Distratta, dovevo aver lasciato la porta socchiusa prima di addormentarmi, e lento ma deciso, Cosmo spinge appena, riuscendo ad aprirla e a mostrare il suo dolce musetto. “Più convincente di lui, amore?” scherza Christopher alla sua vista, sicuro di non poter competere con un Arylu. “Va bene, mi alzo, sei contento, cagnetto?” sbuffo, fingendo rabbia e fastidio realmente non provati. Voltandomi a guardarlo, scopro che ha in bocca il suo guinzaglio, e scambiandomi con Chris un’occhiata d’intesa, capisco all’istante cosa voglia dire. “Meglio muoversi, o la farà in casa.” Commenta lui, leggendo nel pensiero del cucciolo come nel mio. “Va bene, ma lo porterai tu. Sai come la penso riguardo agli sforzi.” Chiarisco, tutt’altro che interessata ad occuparmi, almeno per oggi, di un cagnolino energico quanto lui. “D’accordo, ma uscirai comunque, o sbaglio? In fondo l’aria fresca non può che farti bene, giusto, piccola naturale?” continua lui in risposta, ora più tranquillo e con a cuore sempre e solo i miei interessi. “Giustissimo, dolce protettore.” Mi limito a rispondere, per poi avvicinarmi abbastanza da toccarlo e stringermi a lui, restandogli accanto fino a sentirmi rinata. È questione di un bacio, un contatto dolce, caldo e tenero, e ancora una volta, non vedo più nulla. L’aria alle mie spalle mi solletica il viso, e cogliendomi alla sprovvista, anche un altro dei miei sensi. Trasportato dal vento, c’è il profumo di un fiore, e in un istante, mi gira la testa. Staccandomi in fretta da Christopher, mi allontano per non farlo preoccupare ancora, e per pura fortuna, non vomito. Grazie al cielo i conati sono scomparsi da qualche tempo, e più il tempo scorre, muovendosi senza sosta, più ansiosa sono di conoscere i bambini. Stando al calendario e alle pagine che oscillano continuamente, oggi non è un giorno di festa, e secondo il colore neanche domenica, ma nonostante tutto, sono felice. Christopher ha ragione, quello che abbiamo davanti è un giorno completamente nuovo, restare in casa equivarrebbe a sprecarlo, e come se non bastasse, Cosmo è già stato chiaro. “Usciamo? Usciamo? Dai, usciamo!” continua a chiedere, la lingua colorata sempre fuori dalla bocca mentre mi guarda. “Va bene, va bene, basta insistere!” scherzo, immensamente divertita. Ormai ha circa quattro mesi, sta crescendo, e ogni volta, le sue simpatiche trovate riescono a farmi sorridere. Non prenderà mai il posto di Bucky, ormai cresciuto e impegnato con la sua famiglia di ben sei roditori, ovvio, ma nonostante questo, è mio amico oltre che il mio animale domestico, e in quanto padrona, so che devo esserne responsabile. Così, mi decido a iniziare la giornata, e dopo una doccia e un cambio d’abito, esco. Veloce, Christopher non perde tempo, e continuando a incalzarci, il nostro piccolo Arylu sembra avere di nuovo piani tutti suoi. Nervoso ed eccitato alla sola idea di mettere il naso fuori di casa, sbatte la coda contro il pavimento, e seduto, ci aspetta. Sorridendo, sento il cuore sciogliersi di fronte alla sua tenerezza, e assicurando il guinzaglio al suo collare, mi preparo ad aprire la porta. Come sospettavo, non arrivo a farlo, poiché l’Arylu, testardo e adorabile, scalpita. “Aspetta…” lo prego, seria e tranquilla mentre il mio sguardo si incatena al suo. Obbedendo a quella sorta di ordine, Cosmo si calma all’istante, e finalmente più rilassato, sembra capire che non muoverò un passo finchè non smette di agitarsi. “Bene, andiamo, bello.” Annuncia allora Christopher, orgoglioso di lui e in completo accordo con i metodi che ho scelto per educarlo. È strano a dirsi, ma se prima era scettico, era sembra essersi convinto, anche se inizialmente io e lui non mostravamo che inutili ma divertenti giochetti. Così, il tempo non smette di scorrere, e insieme, ci ritroviamo nella selva. Attorno a noi tutto è calmo, e con l’aria del mattino a sfiorarmi gentilmente le spalle, la schiena e i capelli, non trovo neanche un dettaglio fuori. È autunno, ma la natura su cui poso gli occhi è ancora viva nonostante la stagione, e a poca distanza, una nidiata di jackalope saltella per strada. Incuriosito, Cosmo si prepara ad inseguirli, ma fermandomi a guardarlo, riesco a dissuaderlo. “Non pensarci, Arylu.” Gli intimo, sempre seria ma mai realmente cattiva. Per tutta risposta, lui rompe il silenzio con un debole uggiolio, e con gli occhi nei miei, mostra quello che ha tutta l’aria di essere un caratteristico broncio infantile. “Perché no? Non gli faccio male!” Come tante, o per meglio dire tutte, un’altra delle frasi che non può né potrà mai pronunciare, ma che il suo sguardo color del cielo e il suo musetto ora imbronciato comunicano perfettamente. È questione di istanti, e mentre tento di riportare questo piccolo predatore alla ragione, la voce del mio amato mi ridesta dai miei pensieri. “Vuoi che lo porti io?” azzarda, trattenendo a stento una risata. Divertita, certo, ma di comprensione più che di scherno. “Cielo, prego! Lo staremo anche educando, ma basta un nonnulla e diventa incontrollabile.” Sbotto, già seccata. È solo un cucciolo, e gli voglio bene, certo, ma il progredire della mia condizione agisce costantemente sul mio umore, e nonostante non voglia, a volte non riesco a impedire che si noti. “Proprio come i piccolini, vero?” mi fa notare Christopher, concentrato su un ricordo che non riesco a identificare. Confusa, lo guardo senza capire, e in un attimo, tutto mi è chiaro. Si riferisce appena a circa un’ora fa, quando un improvviso attacco di nausea mi ha quasi spinta a rimettere anche l’anima. “Già. Forse non sanno che la loro mamma adora la natura, tu cosa ne pensi?” rispondo, ridacchiando e unendomi alla sua ilarità. “Probabile, cara.” Si limita a dirmi, concentrato più sul cammino di Cosmo che su di me. “Ma vedrai, presto starai molto meglio.” Aggiunge poco dopo, guardandomi con gli occhi di chi ama. Lasciandolo fare, cerco la sua mano solo per stringerla, e nel farlo, scorgo nello sguardo che mi rivolge l’orgoglio che già prova all’idea di diventare padre. “E con loro fra le braccia.” Concludo per lui, felicissima. Annuendo, Christopher resta in silenzio, e guardando dritto di fronte a me, scopro che ci siamo ormai allontanati da casa, che questa non è più visibile oltre gli alberi, e che proprio davanti ai nostri occhi, sembra comparsa come per magia la grotta delle ninfe. “Che dici, possiamo entrare?” indago, improvvisamente tesa e incerta sul da farsi. Stando a ciò che ho imparato nel tempo, e letto nel libro di magia ricevuto dal mio Chris in un momento di noia, le ninfe erano da sempre spiriti buoni come le fate a me simili, ma per qualche strana ragione, ero convinta  di dover chiedere una sorta di permesso prima di entrare. Immobile, resto dove sono, e in completo accordo, Christopher annuisce, mentre per nostra sfortuna, nonché decisamente felice all’idea di fare nuove conoscenze, Cosmo riesce  a liberarsi del guinzaglio, e sfuggito al nostro controllo, parte in avanscoperta. Da allora in poi, non riesco a richiamarlo, e non potendo fare più nulla, non vedo altro che un piccolo missile a quattro zampe, ancora disobbediente e fin troppo curioso. Frustrata, mi ritrovo costretta ad entrare per recuperarlo, e non appena metto piede sulla roccia, eccolo. Felicissimo, abbaia come un matto, e girando su sé stesso, cerca di giocare con i boccioli, che cresciuti dall’ultima volta che li ho visti, sono ormai alti e grandi come piantine, saldamente ancorati al terreno. Mossa a compassione, non ho cuore di sgridarlo, e notandomi, Aster e il suo ragazzo mi salutano da lontano. “Kaleia!” mi chiama la prima, sorridendo apertamente. “Aster, santo cielo, scusa. Non disturbiamo, vero?” non posso evitare di chiedere, mortificata. “Como? No, por què? Cosmo no tiene culpa, ves como juega?” con mia grande sorpresa, la risposta che attendo non arriva da lei,   ma dal suo fidanzato. “Grazie al cielo…” sospiro, sollevata. Preoccupato, Christopher si affretta a raggiungermi, e alzando le mani in segno di resa, sorride appena. “No pasò nada, no? Que hizo el perro?” chiede, parlando la sua stessa lingua e facendo uso di uno spagnolo a dir poco perfetto. “No, nada, tranquilo, Chris.” Lento e cadenzato, il botta e risposta fra Carlos e mio marito continuò per qualche altra battuta, e meravigliata, rimasi a guardarli. “Sai come ci riescono?” chiesi ad Aster, che al contrario di me, non era rimasta metaforicamente a bocca aperta. “Non chiedermelo. Io stessa cerco di imparare, e Carlos è un ottimo insegnante, ma a quanto pare ci vorrà tempo prima che le nozioni mi si fissino in testa.” Scherzò lei in risposta, evidentemente già abituata a conversazione di quel genere. “Questo mi consola.” Le feci notare, felice di non essere la sola a non capire una parola di ciò che dicevano. Stringendomi nelle spalle, mi guardai intorno, e abbassandomi, mi battei una gamba. “Cosmo, vieni!” chiamai, sperando che mi ascoltasse. Drizzando le orecchie, il cagnolino non si fece attendere, e non appena fu abbastanza vicino, gli rimisi il guinzaglio. Correndo per tornare da me, aveva portato con sé un rametto con cui giocare, ma decisa, riagganciai subito il guinzaglio al suo collare. “Questo dovrebbe calmarti.” Sussurrai, parlando con me stessa. Lentamente, le lancette del tempo continuarono a muoversi, e dalle ombre della caverna giunse una voce. “Cuccioli. Tipico di loro, voler sempre giocare, vero, Kaleia?” sorpresa, mi voltai, e fu allora che la vidi. Alta e slanciata come il resto delle sue sorelle, Amelie. La ninfa che in passato non aveva fatto altro che odiarmi, e che ormai da tempo, mi appoggiava, dimostrandosi pronta ad aiutare ogni volta che poteva. “Vero.” Le feci eco nel risponderle, tenendo lo sguardo istintivamente basso al solo scopo di non adirarla. Per quanto ne sapevo, detestava essere fissata troppo a lungo, e memore di quanto accaduto nel giorno in cui Lucy aveva deciso di sfidarla nel tentativo di difendere il mio onore, restai al mio posto. “Non dirmi che pensi ancora al nostro incidente? Su, alza gli occhi e guardami. Sarai qui per una ragione o l’altra, sbaglio?” replicò lei alla mia vista, le labbra increspate da un sorriso di puro scherno. “In verità siamo qui per il cane, Amelie.” Disse Christopher al suo indirizzo, distraendosi dal suo scambio di battute con Carlos per difendermi e fare le mie veci. “Bene, pare già essere tornato accanto a tua moglie, Chris. Non ha causato problemi, ma qualcosa mi dice che state dimenticando un dettaglio.” Gli rispose lei, seria e gentile al tempo stesso, i tratti del viso ingentiliti dalla calma. Confuso, il mio rimase lì a guardarla, poi all’improvviso capì. “Kia, credo voglia visitarti.” Mi disse, stringendomi una mano e abbozzando un mezzo sorriso. “Sul serio? Perfetto! Vedi, Amelie, gli ultimi mesi sono stati movimentati, se controllassi i piccoli mi faresti un favore.” Risposi, imitandolo in quel mezzo sorriso e muovendo qualche incerto passo verso la ninfa. “Certamente, cara naturale. Sdraiata e sta tranquilla, non ci vorrà molto.” Mi rassicurò lei, sempre sfoggiando quel sorriso incoraggiante. Annuendo, feci ciò che mi era stato chiesto, e attenta, trovai posto su un letto di erba e foglie. Compiaciuta, la ninfa sorrise ancora, e anche se per un solo istante, il tocco della sua mano e la bianca luce che vidi mi gelarono la pelle. Attimi dopo, riflessa su una delle pareti di roccia, la seconda delle mie solite ecografie, che mostrava, come aspettavo e speravo di rivedere, i miei bambini. Sempre teneri, sempre bellissimi, fortunatamente in ottima salute, e stando all’immagine, sorridenti, ma grandi quasi il doppio dell’ultima volta. Orgogliosa, non potei fare a meno di sorridere a mia volta, anche quando Christopher cercò la mia mano e Cosmo tentò di leccarla. Senza parole, mi godetti la scena, notando solo allora che se uno dei due dormiva, l’altro si succhiava il pollice. “Visto? Stanno benissimo anche adesso, nonostante quello che temevi.” Disse poco Amelie, distraendomi dalla moltitudine dei miei pensieri. Non sapendo cosa dire, mantenni il silenzio chiedendomi come facesse a saperlo, se fosse a conoscenza delle voci e degli spiriti che mi facevano visita, ma cercando di non pensarci, mi imposi la calma. Di lì a poco, il silenzio tornò a regnare nella grotta, e distratto da qualcosa che non vidi, forse un gioco di luci o uno stormo di uccelli, Cosmo decise di romperlo con un debole uggiolio. “Preoccupato anche tu, perrito?” azzardò Carlos, prendendolo bonariamente in giro. Ignorandolo, il mio giovanissimo amico si lamentò ancora, e guardandolo, capii. Era distratto, ed era vero, ma ad attirare la sua attenzione non erano luci, ombre o uccelli di sorta, bensì proprio il mio controllo medico. “Cosa vuole, ora? Conoscere i suoi fratellini?” tentò Amelie, ridacchiando come una bambina. “Potrebbe anche essere, sai?” le rispose appena Christopher, abbassando per accarezzarlo. Grato di quel gesto, Cosmo si ridusse al silenzio, e agitando la coda, quasi non si accorse della piccola lastra di ghiaccio formatasi appena sotto le sue zampe. Una scena comica, dovevo ammetterlo, e probabilmente legato ai suoi poteri privi di controllo a causa della giovanissima età. “E sia. Tu e tua moglie siete pari, caro protettore. Sono un maschio e una femmina.” Veloce e inaspettata, una notizia che ascoltai senza interrompere, e a seguito della quale, sentii di avere le lacrime agli occhi. “Chris, hai sentito?” chiesi, felice ma ancora incredula. “Sì, fatina, ho sentito. Dì, non sei contenta?” mi rispose lui, innamorato perso di me come dei nostri futuri figli. Ancora non nati, ma ormai con ogni giorno più vicini al traguardo rappresentato dalla vita vera, il cui solo pensiero mi riempiva di gioia. “Stai scherzando? Certo che lo sono!” fui svelta a rispondere, con voce rotta dall’emozione e il cuore in tumulto. “Grazie, Amelie, grazie davvero.” Aggiunsi poco dopo, tendendole una mano perché mi aiutasse a rialzarmi. Poco dopo, le nostre mani si sfiorarono, e afferrando la sua, mi rimisi in piedi. Avvicinandomi, ne approfittai per abbracciarla, e lasciandomi fare, lei mi strinse a sé. “Di nulla, Kaleia, e aspetta, noi ninfe abbiamo ancora qualcosa per voi.” Disse poco dopo, parlando mentre ancora mi teneva stretta e indietreggiando poi di qualche passo. “Davvero? E cosa?” chiesi, curiosa come la pixie che non ero più da tempo. “Questo.” Rispose un’altra delle sorelle, uscendo a sua volta dall’ombra con in mano un sacchetto di tela. A quella vista, Christopher annuì, e prendendomi la mano, lo accettò assieme al suo contenuto. Soddisfatti e grati del loro aiuto, lasciammo la grotta, e poco prima di tornare a casa, lasciai che il costante e continuo tintinnio di quelle che avevo scoperto essere monete mi ricordasse qualcosa. “Chris, vieni, Bea ci aspetta.” Dissi, già decisa riguardo la mia prossima mossa. “Come? Perché lei e non Garrus?” replicò lui, scoppiando in una fragorosa risata divertita. “Mi sta antipatico!” quasi urlai al suo indirizzo mentre scherzavo e correvo, più svelta di lui. “Aspettami!” mi gridò in risposta, lasciandosi contagiare e alzando la voce perché lo sentissi. Dandogli retta, arrestai la mia corsa, e ridotta al silenzio, rientrai assieme a lui nel negozio del caro folletto. “Buon pomeriggio.” Azzardai appena, sentendo un campanello tintinnare e annunciare il nostro arrivo. “Chris, Kia, benvenuti! O dovrei dire bentornati?” ad accoglierci furono la voce e la presenza di Bea, che felice di rivederci, non esitò a salutarci abbracciandoci. “Ciao a te, cara, immagino tu sappia perché siamo qui.” Si limitò a dirle Christopher, calmo ma contento. “Notizie dei vostri pargoli?” provò a chiedere lei, emozionata alla sola idea. “Esatto! Non mi crederai, ma dopo sei mesi abbiamo scoperto il sesso di entrambi.” Esclamai, portandomi una mano sul ventre ormai gonfio. “Davvero?” chiese allora lei, spinta dalla curiosità. “Sì! E sai una cosa? Sono maschio e femmina.” Non esitai a rivelare, stringendomi al mio Christopher e lasciandomi abbracciare. “A questo punto non avete che da scegliere, mes amis.” S’intromise Garrus, nascosto dietro al bancone mentre leggeva una rivista. Conoscevo il suo lavoro, a giudicare da come interagiva con i clienti ero sicura che gli piacesse, ma a dirla tutta avevo più fiducia in Beatrice. “Garrus, sul serio?” gli disse Christopher, già esasperato. “Pardon, amico, è il mio modo di scherzare.” Rispose soltanto il folletto, quasi ignorandoci entrambi. Ricambiando quella sorta di favore, restammo con Bea, e seguendo i suoi consigli, iniziammo il nostro primo, ma non certo unico, giro di compere. Con occhio attento e critico, osservammo decine, forse centinaia di tutine colorate, scegliendone alcune in base alle nostre preferenze. Rosa o bianche per la bimba, occasionalmente con dei disegni sul tessuto, e almeno per il momento sui toni dell’azzurro o del grigio per il bimbo. Dopo le tutine, scelsi di dare un’occhiata ad alcuni vestitini scelti con lo stesso criterio, e solo dopo, ben due culle in legno di betulla, con disegnati sopra dei fiori bianchi conosciuti come germogli di fata, bianchi come la neve e grandi come ninfee. Dopo il vestiario e le culle, fu il turno dei giocattoli. Guidati dall’istinto, Chris ed io ci lasciammo influenzare dai classici, scegliendo i giochi già visti in precedenza, ovvero qualche sonaglino color argento, dei cubi colorati con sopra le lettere dell’alfabeto così che i piccoli imparassero giocando, e ultimi, ma non per importanza, i peluche. Cagnolini, gattini, Arylu, Pyrados, Slimius, perfino jackalope, ma proprio come avevamo già deciso in precedenza, un cerbiatto e un dinosauro, tutti di morbida pezza. A lavoro finito, non dimenticammo di saldare il conto, e sicuri di non poter portare a casa quella spesa da soli, mi fermai a pensare. Gentile come al solito, Beatrice si offrì di aiutarci, e come lei anche Garrus, ma sempre pieno di risorse, Christopher ebbe un’idea. Spostandoci all’esterno, mi incoraggiò a richiamare Xavros, e dopo solo pochi minuti di attesa, lui fu lì per noi, letteralmente al nostro servizio. Fiero di poter dare una mano, o per meglio dire uno zoccolo, ci aiutò a trasportare la nostra grande spesa portandola in groppa, mentre noi, a terra e al suo fianco, tenevamo ognuno le redini. Seguendoci senza un fiato, Cosmo infilò il muso nelle buste piene di giocattoli, ma veloce, decisi di correggerlo. “Non sono per te, signorino.” Gli ricordai, con quello di vederlo rovinarli uno per uno come ultimo pensiero. In breve, quello fu il mio sesto mese d’attesa, e all’alba del settimo, Chris ed io ci impegnammo fino allo spasimo per trasformare l’unica stanza ancora vuota di casa nostra in una nursery. Lavorammo in coppia fino a sera, reclutando per scherzo anche Cosmo e Willow, ben contenti di aiutarci trasportando secchi di vernice e pennelli. Già sicuri sulla scelta del colore, lasciammo che si sfogassero imbrattando di impronte di zampa una miriade di fogli di carta e teli di stoffa stesi per terra, e dopo un tempo che parve infinito, le pareti furono pronte. Dipinte a mano, di un giallo tenue e rassicurante, che ricordava il colore e l’energia del sole. Creativa come al solito, disegnai sui muri mille animali diversi, e finalmente soddisfatta, quella notte scivolai nel sonno fra le braccia dell’uomo che tanto amavo, notando, prima di addormentarmi definitivamente e mentre chiudevo la finestra, un volto conosciuto. Triste e con il morale a pezzi, Noah, che camminando senza meta stringeva in mano dei fiori. Data la distanza, non riuscii a capire cosa fossero, ma nonostante tutto, ripensando alla loro situazione e alla nostra, compresi che quegli ultimi tempi erano divisi fra attesa, speranze e fiori di perdono.  
 
 
 
Buonasera! Con leggero ritardo rispetto a quando avrei voluto, ma alla fine ecco il penultimo capitolo di questa parte della saga. Vediamo Christopher e Kaleia che continuano a destreggiarsi con il progredire della gravidanza di lei, e in previsione del lieto evento, come la coppia gestisce i preparativi, se così vogliamo chiamarlo. Sullo sfondo e sul finale si rivede Noah, e la nostra protagonista ha le sue teorie, ma riuscirà nel suo intento? La risposta a questa e probabilmente altre domande nel prossimo capitolo, che chiuderà questa parte della storia. Ringrazio sentitamente ognuno di voi per l'incrollabile supporto, sappiate che per me conta moltissimo, e a presto, con il prossimo aggiornamento,
 
Emmastory :)

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Capitolo 50
*** L'amore anche negli astri ***


Luce-e-ombra-III-mod Capitolo L

L’amore anche negli astri

Era così passato un altro mese, e stranamente già sveglia e piena di energie, ero stata la prima ad alzarmi. Troppo stanchi per seguirmi, Christopher e Cosmo erano rimasti a letto, e se uno dormiva sdraiato su un fianco, l’altro restava nella sua cuccia. Addormentato, placido e tranquillo, fra le zampe solo tanti sogni e un giocattolo tutto suo. Resistente ma già rovinata dai suoi morsi, una semplice corda dai fili colorati annodata in più punti, che nei momenti di noia Christopher ed io ci divertivamo a rubargli per il solo gusto di vederlo ringhiare e partire all’attacco per riprendersela. “Ridatemela, è mia!” sembrava dire ogni volta, ringhiando a denti stretti e indietreggiando per convincerci a lasciarla. Scoppiando a ridere, lo lasciavamo vincere senza lottare, e felice, lui si allontanava con il suo bottino. Con lo scorrere del tempo, quel cucciolo cresceva proprio come il mio ventre ormai gonfio, che sentivo quando guidata dall’istinto materno, vi posavo sopra la mano. Silenziosa, stamattina non sento altro che il suono del silenzio, spezzato solo dalle sporadiche e ritmiche fusa della cara Willow, acciambellata sul divano di casa e senza alcun problema a turbare la sua mente di cacciatrice. Sorridendo debolmente, mi fermo a guardarla, ed è allora che capisco. Willow non è altro che un gatto. Per alcuni solo una semplice palla di pelo menefreghista e priva di sentimenti, ma per altri, come me, un’amica. Rimasta a Primedia assieme alla madre Zaria, ora Marisa non è con me, ma sono sicura che vedendomi mi capirebbe. Prima che l’adottassi salvandola dalle grinfie della donna, la cara Willow apparteneva proprio a lei, ed ero certa che capisse perfettamente cosa si provava nel lasciare che le si accoccolasse in braccio, fino ad arrampicarsi e fare le fusa sul suo petto, per poi addormentarsi e quasi spingerla a fare la stessa cosa, cullandola con quel placido suono a bassa frequenza, finchè poco prima di dormire non pensasse che alla sua fragile amica felina. Era capitato a lei, e negli ultimi tempi succedeva sempre più spesso anche a me. Ad essere sincera, non saprei dire con precisione cosa quel giorno mi avesse spinto a portarla a casa e scegliere di prendermene cura, e qualunque fosse la verità, non avevo più alcun interesse a scoprirla. Per quanto ne sapevo, non tutti avevano una tale fortuna, e il tempo mi aveva insegnato che la parte migliore di averla in casa non era vederla, ma in momenti come quello, sentire la sua quieta presenza, il suo miagolio dalle mille diverse sfumature, la sua inappropriata irruenza,  e in alcuni casi perfino l’invadenza che mostrava nel piantarmi gli artigli di una zampa nel braccio mentre ero impegnata in qualunque altra cosa, fosse questo leggere, rilassarmi assieme a Christopher, giocare con Cosmo o anche occuparmi delle faccende domestiche. In molti sono pronti a scommettere che gli animali non abbiano un’anima, ma solo perché non avendone mai avuto uno non hanno mai vissuto una tale esperienza. Colta dall’emozione, sento alcune lacrime rigarmi il volto, e so che a farmi piangere saranno sicuramente gli ormoni fuori posto, ma non appena le asciugo, non m’importa che dei miei piccoli. Li attendo da otto mesi, sorrido davanti alla consapevolezza di essere quasi arrivata al metaforico traguardo che mi permetterà di abbracciarli e stringerli a me per la prima volta, e intanto, sola e con quella di Willow e Cosmo come unica compagnia, anche in cucina ora che mi hanno seguita, aspetto. Attenta ai consigli di Christopher e Amelie, oggi mi concedo una semplice tazza di latte e cereali. I cari vecchi Fairy O’s, gli stessi che mangiavo da bambina. In totale onestà non ho mai capito il loro funzionamento, ovvero la ragione per cui cambiassero costantemente forma, ma l’unica cosa certa era che nei miei tempi di pixie, quelli nella mia scodella somigliassero sempre a foglioline, mentre quelli di Sky avevano l’aspetto di piccoli moti d’aria, stilizzati e impressi in quella che assaggiando, ogni volta scoprivo essere un misto di mais e avena. Tranquilla, riempii il primo cucchiaio, e solo dopo aver gustato a dovere quel boccone, mandai giù. Il sapore neutro e leggermente dolce stupì me e il mio palato, e continuando a mangiare, fui sicura di star facendo, fra tante, l’ennesima scelta migliore per i miei figli. In fondo, nonostante la dolcezza erano pieni di fibre, e il latte mi conferiva il calcio che assieme ad altri minerali, comprese le vitamine, a dir poco essenziali, integravo più volte al giorno tramite svariate tisane, tutte deliziose e con la firma del mio amato Christopher. Dolcissimo, metteva a frutto quella strana ma utile dote, e sorridendo, fra un sorso e l’altro non mancavo mai di ringraziarlo. Ad ogni modo, erano passati anni dall’ultima volta, ma quei cereali erano sempre buonissimi, proprio come li ricordavo. Fu questione di semplici istanti, e sveglio da poco, Cosmo mi si avvicinò, ed ergendosi sulle zampe posteriori, come ben ricordavo di avergli insegnato, iniziò a mendicare. Fingendo rabbia e fastidio realmente non provati, mi voltai per ignorarlo, ma sicura che il risultato delle sue azioni fosse una mia colpa, mista allo strano impulso che avevo avuto di coccolarlo e viziarlo sin da quando aveva posato per la prima volta le zampe sul mio tappeto, che ancora tenevo steso nel salotto dato il probabile freddo di un’ancora mite autunno prossimo a trasformarsi in inverno, ancora una volta non riesco a resistere, e abbassandomi al suo livello, lo accarezzai, affondando le dita nel pelo nero e dalle focature azzurre, che come spesso ripetevo parlando con Christopher, mi ricordava una vera e propria coperta di stelle. Mossa a compassione, gli regalai un sorriso, e attraversando la cucina, gli indicai la sua ciotola. “Credevi che mi fossi dimenticata, cucciolotto?” gli chiesi, scherzando mentre ridevo e sollevavo il sacco dei suoi croccantini. Data la mia condizione così avanzata, a dire il vero non dovrei, ma Christopher non era presente per aiutarmi, ma sapevo che pesava appena un chilo, così, ignorando quello sforzo, mi rimisi in piedi. Impaziente e affamato, Cosmo non aspettava altro, ma nonostante questo, si fermò a guardarmi. “Che dici, posso?” mugolò appena, sperando nella mia approvazione. Ad occhi estranei poteva apparire inusuale, e lo sapevo bene, ma faceva tutto parte dell’addestramento. “Buon appetito.” Gli risposi soltanto, con un pollice in alto in segno d’assenso. Felice, l’Arylu replicò con un latrato, e veloce come un fulmine, iniziò a mangiare. Poco dopo fu il turno di Willow, che più calma e posata, mi raggiunse dopo il suo pisolino sul divano, mi guardò per un attimo e poi si sedette davanti alla propria ciotola vuota, chiudendo gli occhi e leccandosi una zampa con fare totalmente disinteressato. “Versa pure, cara. Non ho molta fame oggi.” Pare proferire, con un solo miagolio che distratta da altro sento appena. Lenta, mi assicurai di riempire anche la sua ciotola, e poi, sciacquando la mia scodella dopo la colazione, mi accorsi di un dettaglio. Stando alla data sul calendario, ormai mancava poco al compleanno di Sky, nata proprio in autunno e benedetta perciò dai poteri del vento, ma per mia sfortuna, la lontananza mi impedisce di farle il regalo che vorrei. Mi dispiaceva, non potevo negarlo, e pur fissando quel numero, trovai conforto nella consapevolezza di poter rimediare. Di lì a poco, l’istinto materno riprese a parlarmi, e quasi dimentica dei miei due amici a quattro zampe, sorrisi sfiorandomi lo stomaco. I suoi nipotini non sarebbero venuti al mondo nello stesso giorno della sua nascita, ma qualcosa mi diceva che sarebbero comunque stati il regalo perfetto. Nuovamente felice, li sentii muoversi e scalciare leggermente, segno che almeno secondo il parere di Amelie, mia magica infermiera, e Carlos, assistente improvvisato, tutto stava andando per il meglio. Dati i trascorsi miei e di Christopher, compreso l’inaspettato arrivo degli spiriti pronti a invadere prima la mia mente e poi proprio il mio corpo nel tentativo di portarmeli via, stentavo a crederci, ma anche la mia terza e ultima ecografia mostrava il regolare andamento della gravidanza, i loro corpicini ormai totalmente formati e perfettamente posizionati al parto, ossia con le testine rivolte verso una luce che non vedevo l’ora di mostrare ad entrambi. Orgogliosa, sentii una speranza fiorirmi in petto, e minuti dopo, seduta sul divano a girare lentamente le pagine del libro di magia dei Powell, riflettevo. Leggevo e leggevo, ma nonostante i miei sforzi, non trovavo nulla sul miracolo che insieme io e lui ci avvicinavamo a compiere. Stranita, consultai l’indice, poi capii. Odiandoli con tutta me stessa, mi rifiutavo di credere a loro e alle loro parole, ma a quanto sembrava, avevano ragione. La legge magica sconsigliava il nostro amore, ma secondo le mie ricerche lo supportava, e per ciò che riguardava un’eventuale progenie, nata da due stirpi differenti, nulla. Sconsolata, richiusi il libro, e ancora una volta, ricordai le poche frasi impresse nella mia mente e nel mio cuore poco prima del matrimonio. Christopher mi amava, mi amava davvero, nel tempo il suo compito era sempre stato quello di proteggermi e aver cura del mio benessere, e innamorata come sempre, ero certa che non avesse mai fallito. Memore dell’inizio del nostro rapporto, avvertii una sorta di mistico e antico potere scorrermi nelle vene, e animata proprio da quella forza, provai lo strano impulso di guardare fuori dalla finestra. Incuriosito, Cosmo non tardò a seguirmi, ma poi, distratto dal perpetuo moto della sua stessa coda, inizia a rincorrerla, girando in tondo fino a perdere l’equilibrio e rovinare in  terra. Per fortuna il tappeto attutì la sua caduta, e come se nulla fosse stato, riprese quel gioco, divertendosi da solo. Divertita, ridacchiai nel sentirlo borbottare fra sé e sé, e protendendo una mano in avanti, lasciai che una scia color speranza si librasse nell’aria. Nulla di complesso, un incantesimo a dir poco basilare, che raggiunta la terra, i fiori e l’erba, avrebbe donato loro il vigore perduto nella stagione. Passarono le ore, e finalmente, anche Christopher decise di alzarsi. “Buongiorno, amore.” Mi salutò, venendomi incontro e stringendomi a sé, per poi tacere nell’attesa di una risposta. “Buongiorno a te.” Mi limitai a dirgli, tranquilla e innamorata. “Già mangiato?” mi chiese poi, attento e premuroso come solo lui sapeva essere. “Sì, grazie, e anche i piccoli.” Risposi appena, la voce bassa ma addolcita dai sentimenti. “Bene, ottimo. Ormai manca poco, e non vedo l’ora.” Commentò lui di rimando, orgoglioso. “Anch’io. Pensa, ti chiameranno papà.” Replicai, spostando l’attenzione su quel tenero dettaglio prima di perdermi nei suoi occhi. “E chiameranno te mamma, fatina mia.” Non mancò di dirmi lui, rivolgendomi un sorriso debole unito a un sussurro innamorato. Sospirando, non ebbi più parole, e completamente rapita da lui e dal suo sguardo, sempre magnetico e perfetto, lo baciai. Le nostre labbra si avvicinarono e unirono per attimi interi, allontanandosi delicatamente solo quando decidevamo di darci tregua, solitamente poco prima di riprendere da dove c’eravamo interrotti. Estasiata, abbandonai le mani nelle sue, scoprendomi così presa da non riuscire a pensare ad altro, fin quando, cogliendoci alla sprovvista, una luce non rischiò di accecarci. Agendo d’istinto, lo lasciai andare, e abbassando lo sguardo, mi calmai all’istante. Erano solo i bambini, o per meglio dire uno dei loro soliti calcetti, che più forte degli altri, aveva trovato sfogo anche in quel fascio chiaro e brillante. “Stai bene?” azzardò il mio amato, il tono serio e corrotto da una vena di preoccupazione. “Sì, non era niente, solo un movimento, nulla di…” provai a dire, sorpresa dal mio stesso respiro spezzato come i fuscelli che camminando ero solita calpestare. Allarmata, cercai di riprendere fiato, e fallendo, strinsi di nuovo la sua mano. Senza proferire parola, Christopher si limitò ad osservarmi, e proprio allora, una nube di tempesta gli scurì lo sguardo. Mi conosceva, mi amava, a volte riusciva perfino a leggermi l’anima, e sicuro di aver visto il dolore nei miei occhi almeno mille volte, decise. “Non è niente, puoi stare tranquilla, significa solo che hanno voglia di venire al mondo. Ti hanno spaventata?” mi spiegò, completando quel discorso con quella domanda. “Non molto.” Ammisi, con il corpo scosso da un tremito che fermai all’istante. “Bene, perfetto.” Si limitò a rispondermi, sorridendo appena. Fidandomi, gli rivolsi un sorriso, e teneramente ingelosito dalla nostra vicinanza, Cosmo mugolò in protesta. “Dovete proprio?” sembrò chiederci, coprendosi il muso con la zampa in preda all’imbarazzo. Il pelo nero macchiato d’azzurro m’impedì di notarlo a dovere, ma potei giurare di averlo visto arrossire. Divertita, ridacchiai, e ignorandolo, Chris ed io ci stringemmo di nuovo le mani. “Ti amo, tesoro.” Mi sussurrò sulle labbra, senza però baciarmi davvero. Abituata a quel modo di fare, non mi  sottrassi al suo affetto, e sempre accanto alla finestra, volsi lo sguardo al panorama appena fuori. Silenzioso e solitario, uno scoiattolo saltellava nell’erba, e aguzzando la vista, scoprii con leggero disappunto che non si trattava di Bucky. Ormai non lo vedevo da tempo, ma non ero preoccupata. Come me e Christopher, anche lui ora aveva una famiglia sua, e allietata ogni sera dal dolce sibilo del vento unito agli armoniosi versi di mille animali simili a lui, grandi o piccoli che fossero, mi addormentavo con il sorriso sulle labbra, tranquilla e rassicurata dalla consapevolezza che tutto sarebbe andato per il meglio. Lento, il mattino si trasformò in pomeriggio, poi in sera, e sfuggendo sia dalla nostra vista che dal calendario costantemente mosso dal vento, un altro mese ci scivolò via dalle dita. In breve, l’autunno divenne inverno, e ripensando a Sky, sospirai cupamente. Non sapevo se fosse più uscita di casa nonostante il malumore, ne se avesse davvero festeggiato il suo compleanno, ma fermandomi a pensare, compresi che probabilmente non ne aveva avuto alcuna voglia. Non osavo biasimarla, certo, in fondo chi avrebbe voluto distrarsi con una festa avendo in mente pensieri come i suoi? Come ne avrebbe gioito? Per quanto ne sapevo, Noah l’aveva cercata ancora, sempre stringendo in mano un mazzo di fiori, e lei, presa dallo sconforto e dal dolore che la sua sola vista le provocava, lei doveva aver rifiutato. Intristita da quei ricordi, quasi piansi, ma per tutta risposta, rividi quelle luci. Una azzurra e l’altra rosea, intermittenti e potevo dirlo, felici. Erano i miei bambini, non erano neanche nati, e già cercavano di consolarmi. “Ci siamo qui noi, mamma.” Provavano a dire, affidando alle loro piccole luci quello che ancora non potevano comunicare. Commossa, sentii il cuore perdere un battito, e rinfrancata dal loro supporto, finalmente mi calmai. Da allora in poi, fu questione di ore, e dopo un’altra colazione, le mie solite faccende e qualche pagina di un libro, quella mattinata cambiò radicalmente. Cogliendomi di sorpresa, una fitta di dolore mi sconvolse, e stringendo i denti per non gridare, guardai Christopher. Impegnato a leggere il giornale, si era accomodato lì accanto a me, e scossa da quella sensazione, mossi una mano per abbassarlo, togliendolo dalla sua vista. Notandomi, ignorò quel foglio stampato e il resto delle notizie che conteneva, e preoccupato, non esitò a prendermi la mano. Gli anni al mio fianco gli avevano insegnato a riconoscere ogni sfumatura del mio modo di essere e fare, e ciò valeva anche per i miei stati d’animo, che legati alla mia condizione, gli fecero mangiare la foglia. “Vieni, ti porto dalle ninfe.” Dichiarò in quel momento, deciso. Annuendo, non persi altro tempo, e seguendolo, ben presto gli fui accanto. Lenta, mi sforzai per non restare indietro, ma fatti pochi passi, altro dolore, e poi una stranissima sensazione. “Chris…” biascicai, intimorita. “Kia, tesoro, va tutto bene, hai capito? Tutto bene. Non preoccuparti, chiamerò Carlos e sarai al sicuro.” Mi rispose subito lui, serio come mai l’avevo visto. Annuendo, inspirai a fondo, e con uno sforzo che mi parve immane, chiusi gli occhi. Scivolando nel silenzio, mi concentrai fino a non vedere altro che due scie di diverso colore danzare nel buio che avevo intorno. Una scura ma forte e rassicurante, come la terra su cui camminavo, e l’altra, più chiara e leggera, simile all’acqua che spesso sentivo scorrere al lago poco distante dalla mia casa materna o al fiume nel Giardino di Eltaria. “Christopher!” insistetti, allarmandomi ancora non appena provai ancora quella strana sensazione, dolore misto a qualcosa di bagnato sulla pelle. Non sapendo cosa pensare, temetti per i bambini, ma per pura fortuna, o forse per opera di un fato benevolo, appena uscimmo di casa, eccoli. Insieme, e seguiti dalle loro bambine, Isla e Oberon. “Kaleia! Dolce Dea, è il momento!” quasi urlò la prima, sforzandosi però di restare calma per non spaventare le sue pixie. “Tranquilla. Sta tranquilla e lascia che ti aiuti.” Disse appena il secondo, stringendomi in un delicato abbraccio e osando nel sollevarmi da terra. Lasciandolo fare, non opposi resistenza, e abbassando lo sguardo, notai le mie due giovanissime amiche. Nervosa, Lucy restava in silenzio tentando di consolare la sorellina, che intanto tremava e sembrava sul punto di piangere. Sconvolta da un ennesima fitta di dolore, trattenni un lamento, e per tutta risposta, lei scoppiò in lacrime. “Kia, no…” la sentii mormorare, scioccata. Preoccupata ma razionale, Lucy le parlava per offrirle conforto, ma nonostante questo, Lune appariva inconsolabile. “Sta male. Sta male. Ho paura.” Continuava a ripetere, non riuscendo a capire cosa mi stesse accadendo. Provando pena per lei, tentai di sorridere, ma quando a quel tentativo sopraggiunse ancora una volta il dolore, strinsi i denti. Spaventata, iniziai inconsapevolmente a tremare, e chiudendo gli occhi, sperai per il meglio. Da allora in poi, ogni secondo ebbe valore, e solcando i cieli con l’aiuto dei miei amici, raggiunsi finalmente la grotta delle ninfe. Teso, Christopher fu il primo a farsi avanti, e con lui Oberon, che si affrettò a lasciarmi andare e a trovarmi un posto dove riposare. Non volevo dormire, ma quella sensazione si faceva pressante, e dovevo sdraiarmi. Seguendo ogni sua mossa, trovai rifugio nel mio solito giaciglio di erba e foglie, lo stesso che usavo per i miei controlli. “Amelie…” chiamai, frastornata. “Sono qui, Kaleia. Siamo tutte qui, ma ora non sforzarti. È tutto normale, stai solo avendo le tue prime contrazioni. Sta calma e respira, va bene? Fai come ti dico, sta calma e respira.” Veloce  e precisa, quella fu l’unica risposta che mi diede, in tutto simile a un comando che eseguii appena dopo un breve cenno della testa. In un attimo, i rumori che avevo intorno mi giunsero ovattati, ad eccezione della sua voce. Con gli occhi appena aperti, vidi chiaramente la sua sagoma affiancata da quelle di Aster e Carlos, e poco più in là, proprio al mio fianco, Christopher. In silenzio, non diceva nulla, ma stringendomi la mano, mi incoraggiava. Grata di quel gesto, sentii il respiro farsi più regolare, e in un istante, tutto parve tornare alla normalità. Isla aveva ragione, forse era davvero arrivato il momento di dare alla luce i miei bambini, e aguzzando la vista, scorsi vicino al lago dei cigni due lanterne vuote e prive di un vero colore. Confusa, non seppi cosa pensare, e troppo stanca per farlo a dovere, mi addormentai. Alcune ore passarono veloci, e quando mi risvegliai, ancora stranita ma più in forze di prima, udii il bubolare di un gufo, scoprendo così che era notte fonda. Nel silenzio, la voce di Christopher fu la prima a distrarmi. “Ti sei svegliata, dormigliona.” Scherza, prendendomi bonariamente in giro al solo scopo di farmi ridere. Contagiata dal suo umorismo, gli rivolsi un sorriso stanco, e voltandomi, rividi Cosmo e Willow seduti l’uno accanto all’altra. “E loro que hacen aquì?” tentò Carlos alla loro vista, mischiando senza volerlo la sua lingua e la nostra. “Ospiti, corazòn. Avranno seguito Kaleia fin qui, immagino.” Gli rispose Aster, parlando lentamente e ripagandolo con la stessa moneta. Per quanto ne sapevo, anche lei stava imparando lo spagnolo grazie a lui, e nonostante capissi appena, mi limitai ad annuire, sperando che perdonassero la mia ignoranza. Divertita da quello scambio di battute, mi lasciai sfuggire una risata, e volendo solo aiutarmi e tenermi compagnia, tutti i presenti tentarono di distrarmi dal dolore e dalla paura chiacchierando o raccontandomi di loro, come Lucy, che mi raccontava della scuola, Lune, che disegnava e poi mi mostrava i suoi capolavori sempre diversi, tutti ambientati nella grotta dove eravamo riuniti in attesa di quel lieto evento, Isla e Oberon, genitori delle piccole pronti a rassicurarmi ripetendomi costantemente che non avrei sentito nulla, o che se fosse accaduto non sarebbe stato certo grave, Aster felice delle futura generazione che presto avrei messo al mondo e grata di essere stata scelta assieme alle sorelle come mia personale guaritrice, lo stesso Carlos, elevato a quel rango nel momento del bisogno, Chris, che continuava a rassicurarmi e accarezzarmi con la sua solita delicatezza, e ultimi, ma non per importanza, Cosmo e Willow, entrambi con i loro occhi nei miei e due espressioni di pura calma dipinte sul muso. Fermandomi a pensare, guardai proprio quel cucciolo combinaguai, ricordando solo allora il gesto che annunciandomi alla comunità aveva compiuto per me. Nobile e simile ad un sacrificio, la ragione per cui i cieli di tutta Eltaria erano illuminati dalla luce di bianche lanterne oltre che da quella delle stelle. Stanca, espirai per calmarmi, e finalmente pronta, cercai e strinsi la mano di Christopher con forza ancora maggiore. “È il tuo momento, fatina.” Mi sussurrò all’orecchio, fiero di me. Annuendo, scelsi nuovamente di fidarmi, e quella notte, con mille fulgide compagne su in cielo, e interminabili ore di spossante travaglio, il miracolo che tanto aspettavamo. Prima dei due gemelli, la mia piccola Delia, venuta al mondo due minuti prima della mezzanotte, e che appena nata aveva l’aspetto di una sfera luminosa dello stesso colore del mio elemento. Con occhi pieni di meraviglia, l’avevo vista svolazzarmi intorno come una lucciola nel tentativo di starmi accanto, mentre sotto il consiglio di Amelie le permettevo di posarsi sulla mia mano, avendo però paura di chiuderla, con il timore di stringere troppo e farle del male, e poi, solo due minuti dopo, Darius. Suo fratello, anche lui una minuscola sfera luminosa, che si posò accanto alla sorellina, uguale a lui, almeno per il momento, in tutto e per tutto. Felicissima, non riuscii a non piangere, e sorpreso dalle sue stesse emozioni, anche Christopher finì per imitarmi. Dopo il lieto evento, nella grotta non si udì che il silenzio, finchè Amelie, silenziosa ma preparata, non si avvicinò a noi portando con sé le due lanterne che avevo notato ore prima. “Prego, ragazzi.” Disse soltanto, mentre ce le porgeva. Accettando quell’offerta, attesi che si spiegasse, e leggendo la confusione nei miei occhi, riprese subito la parola. “Come avrete capito, queste lanterne non sono certo ordinarie, e al contrario saranno la culla dei vostri figli per i due mesi a venire. Solo allora si trasformeranno, e la loro forma magica li abbandonerà. Da allora in poi avranno un aspetto umano, ma il loro elemento si paleserà a breve. Congratulazioni.” Quello fu il discorso di Amelie, che chiaro e semplice, ci apparve allo stesso tempo colmo di sentimento. Ridotti al silenzio, Christopher ed io ascoltammo senza interrompere, e quando finalmente finì, a turno l’abbracciammo. Volendo unirsi a quel momento, il nostro gruppo di amici si avvicinò, e lasciandoli fare, pensai e piansi, imparando in quella lunghissima notte una lezione che ben presto identificai come verità. Non sapevamo cosa sarebbe successo, se i nostri figli, una pixie e un folletto, sarebbero stati simili a noi o meno, ma non importava. Stremata, finii per addormentarmi circondata dal loro affetto, e volgendo prima di arrendermi un ultimo sguardo alla luna e al suo brillare, capii che se davvero si cercava, anche il quel lieto giorno d’inverno, l’amore poteva trovarsi ovunque, anche negli astri.




Di nuovo buonasera a tutti voi, miei lettori. Come avevo preannunciato, questo cinquantesimo capitolo chiude questa parte della saga dei nostri Chris e Kaleia, che finalmente vivono il momento per loro più importante, il frutto del loro amore, i loro bambini. Una fatina e un folletto, che rivedremo nel seguito della storia. Ringrazio come sempre ognuno di voi per il vostro supporto, sappiate che mi motiva moltissimo. Ci rivedremo presto, nel prosieguo di queste avventure,


Emmastory :)

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