But can you brave what you most fear?

di Crudelia 2_0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


But can you brave what you most fear?
 
 
 
 
 
 
Avanti.
Ancora uno.
 
Non sapeva da quanto tempo stava camminando, era stremato, ma non poteva smettere.
Ormai i suoi pensieri rincorrevano le stesse, solite, poche parole.
 
Ancora uno.
Avanti.
 
Il freddo mordeva la pelle, i piedi gelati. Le mani, pur strette sotto le ascelle, erano insensibili. Non osava guardare le dita: temeva di vederle blu.
 
Un passo ancora.
Un altro.
 
Camminare, non contava altro.
Smettere significava morire, rinunciare significava morire.
Tornare indietro forse avrebbe aiutato ad essere trovato, ma il destino che l'attendeva era peggio della morte.
 
Ancora uno.
Avanti.
 
Il vento lo costringeva ad avanzare con gli occhi socchiusi, le lacrime non riuscivano a scendere sulle guance che erano già ghiaccio.
I capelli frustavano il viso, facevano male.
 
Un passo.
Un altro.
 
Era fumo quello che vedeva in lontananza?
Impossibile dirlo, tutto vorticava: neve, vento, capelli, alberi, foglie, fiocchi, stelle, cielo.
 
Avanti.
 
Sembrava più vicino.
 
Avanti.
 
Ancora uno.
 
Avan-
 
 

"Secondo te è vivo?"
"Impossibile."

 
"È possibile che tu l'abbia già visto?"
"Non lo so... Ha un'aria familiare."

 
"Yelena dice che è un miracolo."
"Non fatico a crederci."

 
"Non può essere!"
"Ne sei sicura?"
"No, io... No,no. Non può essere!"

 
"Respira, forza!-
"Forza, non mollare. Respira!-
"Respira, dannazione, avanti!-
"Bene, bene... Resta con me."
 

 
La prima cosa che sentì fu il caldo.
Avvolgente, accogliente, famigliare.
Caldo.
 
La seconda fu qualcosa di morbido sotto la pelle.
Occupò un paio di minuti per capire che erano coperte e materassi. Non ci riposava sopra da così tanto tempo che si era dimenticato cosa si provava a sentirli a contatto con il corpo stanco.
 
La terza fu il dolore.
Ovunque, costante, pulsante.
Ogni respiro era una fitta che trapassava gola, addome e polmoni.
 
Avrebbe voluto aprire gli occhi, ma non osava immaginare il dolore che quel semplice, innocuo gesto gli avrebbe provocato.
Così tenne le palpebre serrate, concentrandosi sul respiro finché il dolore non naufragò nel mare del sonno.
 

 
Quando si svegliò nuovamente fu pervaso da una sensazione così curiosa che dapprima non riuscì a riconoscerla.
Era riposato.
Non ricordava nemmeno l'ultima volta che era successo.
 
Fece un respiro profondo.
Bene, niente dolore.
Ne fece un altro, aprendo gli occhi su una distesa marrone.
Ancora positivo, nulla faceva male.
 
"Oh! Ti sei svegliato!"
Voltò la testa di scatto e fu un errore. Digrignò i denti, ma ci vollero diversi minuti e respiri rotti prima che si placasse.
 
Qualcosa di fresco gli stava accarezzando la fronte, dolcemente.
Quel gesto aveva il sapore di un'infanzia passata in prati assolati e cortili aridi di sole.
 
"Devi fare attenzione, il tuo corpo deve ancora riprendersi."
Già, lo sapeva. Ferite di anni dovevano riprendersi.
Non che gli servisse, ancora qualche minuto di quel caldo e sarebbe ripartito.
Solo qualche minuto in più, il clima era troppo rigido per non concedersi quel lusso.
 
Forse avrebbe dovuto ringraziare.
Se c'era una cosa che aveva imparato era la gratitudine.
Gli avevano assicurato una vita meschina, ma era vita.
 
"Io..." Provò cauto. La voce arrochita grattò la gola come l'onda che erode gli scogli.
"No, non ti sforzare. Ci sarà tempo." La pezza lasciò la fronte e sentì dell'acqua muoversi vicino.
 
Fu la curiosità a spingerlo ad aprire gli occhi, lo sconcerto gli impedì di pentirsene immediatamente.
Una cascata di capelli biondissimi, grandi occhi azzurri, pelle bianca.
Elsa, regina di Arendelle e dei ghiacci, era seduta al suo fianco.
 

 
Il sole sulla pelle era tiepido e divino.
Ci aveva messo cinque giorni per riuscire ad alzarsi dal letto da solo, ma quel momento l'aveva aspettato anni.
 
Cinque giorni ed era in piedi.
Avrebbe preferito meno, ma non sapeva come muoversi.
Il silenzio gli sembrava l'idea più opportuna, non rivelare il suo vero nome l'unica certezza.
Si ritrovò a ringraziare la poca igiene in cui era stato costretto a vivere per avergli procurato i lunghi capelli e la barba incolta.
 
La vide da lontano, prima che lei si accorgesse della sua figura in piedi senza sostegno.
Stava mettendo un pentolino sul fuoco, parlando con un abitante di quello strano popolo dalla pelle olivastra e i vestiti di pelle.
 
Osservò il sole baciarle i capelli: ancora non credeva fosse davvero lei.
La sua analisi attenta attirò la sua attenzione. I loro sguardi si incrociano e dovette usare tutta l'autoconvinzione di cui era capace per cedere che non fosse la causa della stretta che aveva avvertito allo stomaco.
 
Si avvicinò e il sorriso, rivolto a lui, gli sembrò la più strana, incongruente, immeritata delle ricompense.
 
"Ti sei alzato." Dovette alzare la testa per guardarlo.
La guardò negli occhi. Deglutì.
"Ti gira la testa?"
Scosse la testa.
"Allora." Aveva una bisaccia tra le mani, la poggiò sul fianco mentre sistamava il peso su un piede. "Visto che stai abbastanza bene da ignorare i miei consigli di non alzarti da solo, mi dici come ti chiami?"
Lo sapeva, sarebbe successo. Stava aspettando.
"Franz."
Abbastanza simile, poteva andare.
"Franz." Ripeté, un vago sorriso sulle labbra.
Dio, come suonava sulla sua bocca.
"Piacere di conoscerti, Franz." Gli tese la mano. "Io sono Elsa."
Esitò. Poteva toccarla, senza che lei capisse?
I secondi parvero dilatarsi mentre la sua mano si avvicinava.
La pelle era delicata e morbida. Fredda.
Si ritrovò a sorridere.
 
Occhi negli occhi rientrarono, quei pochi passi in realtà lo avevano stancato.
La osservò mentre si muoveva nella piccola capanna e un pensiero iniziò a nascere nella sua mente.
Poteva rifarsi una vita? Hans, Franz che differenza avrebbe fatto?
 
 

Sperava solo sarebbe bastato.

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


But can you brave what you most fear?
 
 
 
 
Il coniglio girava sul fuoco facendo cadere gocce di grasso che sfrigolavano tra le fiamme. Il tramonto stava sfumando nella notte e sapere che aveva contribuito alla cena per tutto il popolo gli dava una strana soddisfazione.
Si alzò per spennellare la carne con un rametto di alloro e fu costretto a scostarsi i capelli. Aveva scoperto che non gli dispiaceva tenerli lunghi, se puliti.
Quella mattina l'avevano portato ad una pozza d'acqua calda: avevano fatto convergere correnti tiepide nell'unico punto in cui il sole non smetteva mai di battere.
Era scettico all'inizio, ma quando si era immerso aveva sentito le spalle sciogliersi. Ci era voluto tempo per grattare anni di sporcizia accumulata sulla pelle, ma quando aveva finito si era immerso finché il ragazzo che l'aveva accompagnato gli aveva chiesto se stesse annegando.
 
"Non ho mai visto una trappola del genere, dove hai imparato a cacciare?" Chiese Ryder al suo fianco. Erano due giorni che gli stava accanto, e non aveva smesso un momento di parlare.
"Da bambino." Rispose. Che voleva dire tutto e niente.
"Beh, amico, sei stai bravo."
Ignorò la pacca sulla spalla continuando a guardare il fuoco.
Lo sapeva che era stato bravo, aveva passato l'infanzia ad osservare i fratelli partire e tornare carichi di prede. Quando osservare non era più abbastanza aveva iniziato a seguirli. Erano stati costretti a insegnargli prima che si facesse male cercando di imitarli.
 
Il coniglio finì mezzo giro, quindi allungò le foglie per insaporirlo ancora.
Il gesto venne interrotto dal ragazzo che gli diede un colpo di gomito. "Hey, guarda là!"
Seguì la direzione del suo sguardo e la gola diventò secca.
 
Elsa stava camminando accanto ad una ragazza, un paio di bambini correvano ridendo ai suoi piedi. Tra le braccia teneva un cesto di frutta.
Era strano vederla interagire tra il popolo in quel modo: senza formalità, senza titoli. Come se fosse una di loro.
Stava sorridendo, le guance di una lieve sfumatura rosa, come se avesse appena corso.
Incrociò i suoi occhi, e fu lesto ad abbassarli sul fuoco.
Amava osservare: tutti in generale, lei in particolare. Eppure odiava attirare la sua attenzione, il timore costante che lei capisse chi si nascondeva sotto quel nome fittizio.
Ora che i capelli rivelavano il loro naturale e distintivo colore rossiccio quel timore si era concretizzato in un peso nello stomaco.
 
"Franz."
Percorse la sua figura fino alle iridi chiare.
Se anche fosse stato davvero un forestiero avrebbe capito subito che non faceva parte dei Northuldri.
"Posso?" Si sedette sulla pietra accanto senza aspettare una risposta.
Rimasero in silenzio, ogni tanto Hans allungava l'alloro sul coniglio, mentre intorno a loro il villaggio iniziava a prepararsi per la notte.
Ryder sembrava svanito, per la prima volta ne sentì la mancanza.
 
"Ti senti meglio?" Elsa lo stava osservando, probabilmente da molto prima della domanda.
Annuì semplicemente, aggiungendo un ceppo al fuoco.
"Non parli molto." Aveva inclinato la testa nella sua direzione per continuare l'analisi più dettagliatamente.
E dire che in quei giorni di tempo per guardarlo ne aveva avuto.
"Non sono un chiacchierone." La voce era roca da anni di silenzio, era difficile che in prigione trovasse ottimi compagni e argomenti di conversazione.
Parlare era un rischio, il silenzio invece...
"O forse non vuoi dirci qualcosa." Gli occhi socchiusi nascosero un lampo malizioso.
Maledettamente intuitiva.
Ritenne più saggio ignorare l'affermazione.
La donna sospirò. "Da dove arrivi?"
"Da ovest, penso." Si passò una mano tra i capelli. Aveva iniziato a dirigersi a sud, ma presto si era trovato in quella foresta e perdere l'orientamento era stato fin troppo facile.
"Non lo so." Ammise, le mani abbandonate in grembo.
Si voltò verso la regina e quasi sussultò nel trovare i suoi occhi così attenti e così vicini.
Ma cosa le era successo?
"Non hai fatto neanche una domanda da quando sei qui." Ed era strano, lo sapeva. Nessuno non ne avrebbe fatte trovandosi in un luogo sconosciuto dopo aver perso i sensi.
"Ryder mi ha detto tutto." Parlava sempre, è vero. Gli aveva raccontato tutte le leggende dei Northuldri che avevano finito per confondersi in un groviglio nella sua mente.
Ma, ancora, non era una risposta.
La verità era che non poteva chiedere ciò che davvero avrebbe voluto senza rivelare la sua identità.
Elsa continuò a scrutarlo negli occhi come se fosse alla ricerca di qualcosa che poteva trovare solo nei suoi recessi più profondi.
Hans sostenne lo sguardo, perdendosi a sua volta negli occhi chiari.
Come poteva mai essersi accorto di quante sfumature di colore contenevano quelle iridi?
Alla fine la regina parve soddisfatta, e sorrise.
"Hai ragione, parla sempre." Si alzò, stiracchiando le braccia sopra la testa. "Il tuo silenzio deve farlo soffrire."
Si ritrovò a sorridere, suo malgrado.
Elsa iniziò ad allontanarsi, non prima di lanciargli un'ultima occhiata. "Mangia qualcosa, Franz. Ancora non hai recuperato tutte le forze."
 
 
 
La notte era fredda.
Ecco cosa non amava, il freddo.
Quella regione sembrava formata da fiordi e neve, nient'altro.
Ben poco per una persona cresciuta tra prati, alberi da frutto, spiagge assolate e venti tiepidi.
Era dolce la libertà, ma aveva il sapore di qualcosa di terminale.
Andarsene ora, prima di lasciare troppe tracce ed essere troppo coinvolto era la scelta migliore. Non voleva chiedersi quanto vantaggio fosse riuscito a guadagnare sulle guardie questa volta: le prime tre fughe si erano concluse dopo un paio di giorni, l'ultima era resistito per cinque, ma non voleva sfidare troppo la sorte.
Doveva solo allontanarsi, allontanarsi, allontanarsi e ricominciare.
Addio Hans delle Isole del Sud, addio ambizioni di conquistare ricchi regni, addio titoli, nobiltà e fratelli.
Soprattutto, addio prigionia, e tutto ciò che comportava.
 
Si assicurò la bisaccia alla vita con un altro nodo, non avrebbe permesso che il vento gliela strappasse questa volta.
Si allontanò di qualche passo dalla radura che ospitava il villaggio e, prima di immergersi nella foresta, alzò lo sguardo alle stelle per scegliere la direzione da seguire.
Chissà quando avrebbe potuto farlo di nuovo, nascosto dalle fitte foglie.
 
"Te ne stai andando?"
Si voltò di scatto. Non l'aveva sentita.
Gli sfuggì un sorriso stanco. "Tempo fa mi sarei accorto che qualcuno mi stava osservando."
Elsa alzò un angolo della bocca, le braccia incrociate.
"Nessuno ti costringe a restare, se vuoi andartene basta dirlo. Ti aiuteremmo."
"Sto scappando." Non era quello che voleva dire, la bocca l'aveva tradito.
La donna alzò le sopracciglia, sorpresa. "Da noi?"
Quanto poteva ammettere, ancora?
"No." A quella domanda una risposta sincera gliela doveva. "No, ma verranno a cercarmi."
Si aspettava altre domande, ma non arrivarono.
All'improvviso la consapevolezza di sapere che per due volte la stessa donna gli aveva salvato la vita lo colpì tanto da essere dolorosa.
Ma non poteva permettersi il senso di colpa.
"Potremmo aiutarti, se tu lo volessi." Sussurrò, si era avvicinata così tanto che non faticò a sentire quelle parole.
Scosse la testa. Stava per parlare di nuovo, ma Elsa gli prese le mani.
"Franz, qualsiasi cosa tu abbia fatto, puoi ricominciare."

Ed è quello che farò. Lontano da qui, lontano da te.
Ma non lo disse, ammutolito.

"Qui nessuno ti giudicherà."
Furono i suoi occhi, ancora più della pelle morbida e fredda che gli accarezzava le dita, a convincerlo. La precisa sfumatura di azzurro che aveva il mare del suo castello, l'azzurro del cielo estivo, del ghiaccio che lei controllava così bene.
Furono gli occhi a farlo cedere. Hans crollò sulla terra dura e umida, senza accorgersi dei brividi che dal suolo salivano sulla sua schiena.
Si sentì scostare i capelli e alzò lo sguardo. Elsa gli stava di fronte, sorridendogli con dolcezza e comprensione. La mano scese sulla guancia e catturò una lacrima che non si era accorto di aver versato.
Chiuse gli occhi, sospirando e appoggiandosi alla sua carezza.
 
Si chiese cosa avrebbe fatto se soltanto avesse saputo.
 
 
 

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