The East Wind

di theastwind
(/viewuser.php?uid=1014557)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 001.Romance Dawn ***
Capitolo 2: *** 002. Prostitute ***
Capitolo 3: *** 003.Al lavoro! ***
Capitolo 4: *** 004.Il destino al tavolo 12 ***
Capitolo 5: *** 005.Non sembra un pirata ***
Capitolo 6: *** 006.Ballo, che passione! ***
Capitolo 7: *** 007.Soldi! ***
Capitolo 8: *** 008.Shanks il Rosso ***
Capitolo 9: *** 009. Pirati ***
Capitolo 10: *** 010.Ricercati ***
Capitolo 11: *** 011.Il Passaggio ***
Capitolo 12: *** 012.Le donne dei pirati ***
Capitolo 13: *** 013.Il mendicante ***
Capitolo 14: *** 014.Si parte! ***
Capitolo 15: *** 015.Shanks’s crew ***
Capitolo 16: *** 016.Il Vento dell'Est ***
Capitolo 17: *** 017.Vita di mare ***
Capitolo 18: *** 018.Sakè e... ***
Capitolo 19: *** 019.Terra ***
Capitolo 20: *** 020.Botta e risposta ***
Capitolo 21: *** 021.Una falcata sprezzante ***
Capitolo 22: *** 022.Lo schiaffo rivelatore ***
Capitolo 23: *** 023.Un'occasione per bere ***
Capitolo 24: *** 024.Una decisione difficile ***
Capitolo 25: *** 025.All'arrembaggio! ***
Capitolo 26: *** 026.L'importanza del disegno ***
Capitolo 27: *** 027.In cerca della Going Merry ***
Capitolo 28: *** 028.La Morgue ***
Capitolo 29: *** 029.Te aviso, te anuncio ***
Capitolo 30: *** 030.Sogno di una mattina di mezza estate ***
Capitolo 31: *** 031.Dejà vu ***
Capitolo 32: *** 032.Dejà vu (parte seconda) ***
Capitolo 33: *** 033.La fine di Little Wind ***
Capitolo 34: *** 034.Vento dell'Est, vento di paura ***
Capitolo 35: *** 035.Una grande sfuriata ***
Capitolo 36: *** 036.Uno sguardo al passato ***
Capitolo 37: *** 037.Esseri delicati ***
Capitolo 38: *** 038.La promessa ***
Capitolo 39: *** 039.I segni della passione ***
Capitolo 40: *** 040.Notte di tempesta ***
Capitolo 41: *** 041.Uomini e donne ***
Capitolo 42: *** 042.Un giorno di ordinaria pirateria ***
Capitolo 43: *** 043.Al villaggio di Neshua ***
Capitolo 44: *** 044.Helena ***
Capitolo 45: *** 045.Dolore ***
Capitolo 46: *** 046.Una dolorosa rimpatriata ***
Capitolo 47: *** 047.Spese ***
Capitolo 48: *** 048.Rabbia ***
Capitolo 49: *** 049.Il sabato del villaggio ***
Capitolo 50: *** 050.L'Alba ***
Capitolo 51: *** 051.Vent'anni ***
Capitolo 52: *** 052.La forza dell'autorità ***
Capitolo 53: *** 053.Il business dei pirati ***
Capitolo 54: *** 054.Salvii per un pelo! ***
Capitolo 55: *** 055.Caclas ***
Capitolo 56: *** 056.Talenti e virtù ***
Capitolo 57: *** 057.Una Scommessa di Principio ***
Capitolo 58: *** 058.Un Grande Amore ***
Capitolo 59: *** 059.Lady Blue ***
Capitolo 60: *** 060.Con la dolcezza si ottiene tutto ***



Capitolo 1
*** 001.Romance Dawn ***


1 – Romance dawn
Camminava con la testa china costeggiando le case a sinistra di una strada assolutamente vuota; ormai vagava da più di due ore senza meta, trascinando i piedi diventati bianchi di polvere nei sandali irriconoscibili. Quel luogo era un completo non senso: Jolly Town, la città dei pirati, seconda solo a Rogue Town (che peraltro aveva già visto), avrebbe dovuto brulicare di gente e di vita… eppure c’era un silenzio mortale, tipico di un posto che ha visto troppo sangue e troppa violenza. Non a caso, pensava col cuore gonfio, è la città dei pirati e i pirati, nonostante quanto affermasse Rufy, erano delinquenti, ladri e assassini, gentaglia della peggior specie... come Arlong. Quel pensiero le fece venire i brividi e le rammentò anche le esigenze fisiologiche che da un po’ si portava dietro: aveva urgentemente bisogno di un bagno, di un pasto caldo e magari anche di qualche parola affettuosa… Dopo le vicende di Arlong Park e quegli orribili otto anni nelle mani del pesce – sega dei mari orientali credeva che non avrebbe più sentito quel vuoto così pesante. Era sicura che le cose avrebbero potuto solo migliorare e che i suoi amici sarebbero stati sempre con lei, dopotutto Rufy gliel’aveva promesso, loro erano “compagni”. Era sicura che con lui avrebbe realizzato il suo sogno di disegnare la mappa del mondo e poi avrebbe voluto aiutarlo a diventare il Re dei Pirati, voleva esserci nel giorno del trionfo del suo amico. Le mancavano le bugie di Usoop, il respiro regolare del sonno di Zoro, le quotidiane idiozie di Rufy e, soprattutto in quel momento, i deliziosi piatti che le preparava il suo eterno spasimante Sanji (che tra l’altro le riservava sempre la porzione più abbondante tra le lamentele del capitano). In realtà ciò che le mancava di più era il senso di sicurezza che quei quattro le davano, le risate, la spensieratezza; aveva appena fatto in tempo ad abituarsi alla vita libera, precaria e allo stesso tempo sicura dei pirati che già si ritrovava al punto di partenza e senza nemmeno un berry.
Questo pensiero bloccò del tutto il suo incedere mentre due grosse lacrime scendevano giù rigando il viso polveroso e segnato dalla fame. Era caduta in mare, la cosa più banale che possa capitare ad un pirata… Non era passato nemmeno un mese da quando avevano lasciato la città di Gold Roger; in quei giorni aveva notato che le tempeste erano più frequenti, ma non vi aveva dato peso. Aveva previsto quella maledetta tempesta e avvertito tutti, ma non credeva che l’uragano sarebbe arrivato così velocemente; cominciava a capire perché il Grande Blu era chiamato il “cimitero dei pirati”. Lei e Usoop avrebbero dovuto ammainare la vela di poppa e sgombrare il ponte, gli altri si sarebbero occupati della vela principale, era così semplice… ci sarebbero voluti due minuti… E si sentiva molto stupida: si era messa a discutere con Usoop (adesso non ricordava più nemmeno perché) e le onde cominciarono ad alzarsi come grossi muri scuri da tutte le direzioni; la Going Merry sembrava uno di quegli origami di carta che sapeva fare Nojiko ed era sballottata dappertutto. Piangeva nel ricordare gli ultimi istanti sulla nave del futuro Re dei Pirati: la paura di affondare con tutti e tutto, il senso d’impotenza di fronte a tanta furia, il dolore per le botte che prendeva e, infine, il terrore per quella gigantesca valanga d’acqua che stava arrivando altissima e inevitabile come la morte… Soffocava ancora al pensiero di tutta l’acqua che aveva ingoiato e il ricordo dei tentativi disperati di salire in superficie ostacolati dalla forza crudele delle onde le piegò le gambe: cadde sulle ginocchia in mezzo al selciato polveroso di una città sconosciuta e vuota.
Per fortuna non poteva ricordare, perché non le aveva viste, le espressioni disperate dei suoi compagni che avevano assistito alla scena… Rufy era letteralmente impazzito: non aveva fatto in tempo ad allungarsi e, urlando il suo nome in mezzo alla furia degli elementi, aveva cercato di tuffarsi incurante del fatto che avrebbe peggiorato solo le cose, avendo la galleggiabilità di un pezzo di piombo. Zoro, invece, fu abbastanza lucido da trattenere il suo amico per un braccio: stava prendendo coscienza che per Nami non c’era più nulla da fare. Sanji, d’altro canto, era riuscito con molta fatica, insieme ad Usoop, ad ammainare la vela principale e non si era accorto che la sua amata era finita in mare: solo quando la nave si stabilizzò un poco, si accorsero di non avere più la loro navigatrice. Le espressioni frastornate e le urla di dolore si persero nella notte nera del Grande Blu per loro diventata improvvisamente silenziosa e immobile mentre il cielo e il mare sembravano volerli punire per l’insolenza di navigare in una rotta impossibile anche per i grandi pirati. Non sapeva se sperare che fossero vivi e disperati per la sua scomparsa oppure morti e quindi immuni dal dolore immenso che stava provando lei. Il forte pulsare della caviglia la fece tornare a quel presente di lacrime, polvere e sporcizia. “Ci mancava solo questa caviglia!” - pensava piena di rabbia, mentre si guardava attorno e vedeva una città vuota, appannata dalle lacrime e ferita dall’impietoso sole di un pomeriggio di metà luglio. Eppure i suoi amici erano forti, avevano sconfitto dei grandi pirati e anche qualche mostro marino, non potevano essere morti in una tempesta, per quanto terribile: insomma non era una fine degna per persone tanto speciali! Però erano pur sempre esseri umani...
Forse era il delirio di una febbre che avanzava, forse le erano finite le lacrime, oppure era la fiducia incrollabile nel suo improbabile capitano e nei suoi degni marinai, ma smise di piangere e si rialzò, cercando di raccogliere le energie fisiche e mentali. “Me la sono sempre cavata da sola, derubando quei babbei di pirati che popolano questi mari, posso farlo ancora, non credo di aver perso la mano… - disse tra se non senza una certa soddisfazione. - E’ anche vero, però, - continuò parlottando per tenersi compagnia – che non sono nelle condizioni migliori per affrontare nemmeno un vecchietto. Mi sa che stavolta i soldi me li dovrò guadagnare lavorando e poi prendere una barca e raggiungerli, magari stanno ancora navigando in zona per cercarmi…” S’interruppe pensando che i suoi amici erano completamente all’oscuro delle tecniche di navigazione e che quel genio del suo capitano aveva scambiato la rosa dei venti per arte contemporanea… a quel pensiero scoppiò a ridere e s’impose di non domandarsi più nulla, ma di agire: ogni istante era prezioso. Nella ritrovata lucidità notò che la città non era più tanto vuota: era finito l’orario del sonnellino pomeridiano e le strade cominciavano a popolarsi anche se con discrezione; guardò la posizione del sole e si accorse che erano passate molte ore da quando era arrivata in quella città un po’ lontana dal mare e dal villaggio di maniaci in cui era approdata. Era stata ripescata non lontano dalla costa da alcuni pescatori che stavano rientrando dopo una battuta fortunata: avevano bevuto molto e la prima cosa che sentì quando rinvenne fu il loro alito caldo impregnato di alcol, misto ad un importante odore di sudore che le consentì di restituire al mondo tutta l’acqua marina ingerita. I quattro marinai ubriachi la portarono al villaggio mostrandola come un trofeo all’osteria che era il loro ritrovo: la partita a carte per decidere chi se la sarebbe portata a letto finì a coltellate mentre Nami se la svignava dal retro salendo su un carretto pieno di paglia che l’avrebbe portata in città. Quando il proprietario del carretto si accorse di averle dato un passaggio si agitò e la cacciò via in malo modo. Nelle ultime ore ne aveva passate troppe e, nel tentativo di sottrarsi alle randellate del contadino infuriato, si era pure slogata una caviglia che le pulsava di dolore e si gonfiava a vista d’occhio; ma tutto questo ora non contava più: doveva trovare i suoi amici e sapeva che non avrebbe ricevuto la carità di nessuno. Così decise di cercare un lavoro.
Riprese a camminare stavolta a testa alta, fiera di se stessa per essere riuscita a sopravvivere fino ad allora e, per distrarre la mente dalle brutte avventure appena passate, cominciò a domandarsi come mai una città che non dava sul mare fosse meta così ambita dai pirati. Mentre camminava notava i negozi che si popolavano, le botteghe, le scuole, c’erano anche i musei e perfino un centro sportivo affianco alla base della marina militare e dell’esercito che giganteggiava su tutto; era evidente che in quella città circolavano i soldi a fiumi: le case erano tutte molto belle e grandi e la gente ben vestita e curata, c’erano molti bambini e i negozi erano enormi e vendevano di tutto. Le strade si affollavano sempre più così, per sfuggire alla curiosità delle persone che la vedevano così malconcia, abbandonò la strada principale per intraprendere una viuzza secondaria in cui campeggiava un’aria completamente diversa. La luce era più rada e le case, ammassate l’una all’altra, si soffocavano a vicenda, l’odore di frittura si mescolava a quello dell’immondizia ammucchiata ai lati della strada straripante di topi: il lezzo che la calura estiva sollevava era nauseante.
Barcollando, Nami arrivò in fondo a quell’inferno dei sensi e inciampò su un gradino tutto crepato cadendo addosso a qualcosa di morbido e pesantemente profumato. “Ehi, ma che fai… - rise una voce mielosa e divertita di donna. - Ma è una ragazza!! Oddio com’è conciata… Ragazze! Ragazze! Venite fuori! Aiutatemi!” Era svenuta, ma di quei momenti Nami avrebbe ricordato in seguito solo un confuso coro di voci strepitanti di donne, di colori vivaci, di abiti fruscianti e profumi impossibili da distinguere e da dimenticare… era finita in un bordello.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 002. Prostitute ***


2 – Prostitute
“Ehi! Mi senti? Come ti chiami, gioia?” Era la voce di una donna che profumava di vaniglia e violetta il cui viso Nami stentò non poco a mettere a fuoco; era appena rinvenuta e la donna che le stava accanto, perfettamente truccata e bellissima, aveva un ampio sorriso perlato e lo sguardo tenero e leggiadro che tante volte aveva visto negli occhi di Bellmer. “…Nami… – farfugliò - Mi chiamo Nami” . “Io Roxanne” - replicò la donna che doveva aver passato da un pezzo gli ‘anta’. “Ma si può sapere che t’è successo? Lascia perdere, hai l’aria di chi non mangia da giorni, prendi questo e aspetta un po’ che tra un’ora si mangia. – aiutò Nami a sedersi sul letto e le porse un pezzo di ciambella e un grande bicchiere di latte che lei trangugiò tutto d’un sorso, rischiando di soffocare: la donna la guardava col naso leggermente arricciato da un sottile disgusto subito sostituito da una franca risata a bocca larga. - Ah! Ah! Ah! Mi sa che non ci arrivi alla cena se mangi così...” Dopo aver divorato la ciambella, Nami si guardò attorno e scoprì un ambiente molto curato e pulito; era su un letto soffice e pieno di cuscini il tutto in un tripudio di tonalità del rosso e del rosa. Si scusò per aver sparso le briciole (che continuava a piluccare) sulle lenzuola immacolate e Roxanne riprese a parlare: “Senti piccola, tra meno di due ore comincio a lavorare e mi serve l’ufficio sgombro – disse facendo roteare la mano in aria con sarcasmo, indicando la camera da letto – ti ho preparato un bagno caldo e dei vestiti puliti, i tuoi sono da buttare. Quando hai finito, scendi nel salone di sotto che si mangia. Il bagno è lì!” - disse indicando una porta comunicante con la camera prima di uscire in tutta fretta. Nami non se lo fece ripetere due volte, si tuffò nella vasca, si strofinò a fondo immergendosi nei vapori del bagno più profumato della sua vita. Stentò a mantenersi sveglia e non poco l’aiutò il pensiero della cena che si avvicinava velocemente. Si asciugò e tornò a vestirsi in camera. Quando si osservò allo specchio con gli abiti che la signora le aveva lasciato comprese di essere in un bordello: non aveva mai visto una minigonna così “ascellare”, non si poteva muovere senza restare nuda e quella canottiera sembrava sottovuoto tanto era aderente. Si vergognava da morire ad uscire con quelli addosso, ma i suoi erano davvero da buttare via, quindi si fece forza e si decise a scendere. La casa era piuttosto grande e ci vivevano tantissime donne, tutte belle e ben curate: non che vi avesse mai pensato più di tanto, ma aveva sempre creduto che fosse un mestiere triste e che le donne lo scegliessero solo perché costrette dalla fame e dalla miseria. Non era cresciuta nel perbenismo, sua madre era una tosta: Bellmer era diventata un marine, aveva combattuto contro i pirati e le aveva insegnato a non bendarsi gli occhi con assurde credenze e pregiudizi… Su quelle scale infinite vedeva i volti, udiva le voci e sentiva i profumi di donne belle e giovani (alcune dovevano avere la sua età) che quella sera avrebbero accolto nei loro letti gente proveniente da tutto il mondo: delinquenti e uomini d’affari, commercianti e contadini magari in cerca di una botta di vita, mariti che scappavano da mogli impossibili e pirati, pirati e ancora pirati.
Più le osservava e più le ammirava, erano coraggiose e forti in modo diverso da Bellmer eppure gliela ricordavano tanto… “Se sapessero che ho bisogno di lavorare, mi offrirebbero un posto qui, ne sono certa… - pensò tra sé - sembrano così sicure e tranquille… loro sanno cosa fanno, però io… Alla sola idea che un pirata mi possa mettere le mani addosso… Ma che schifo! br…br…br” - e s’impose di non pensarci più, avrebbe sicuramente trovato un altro lavoro. Nel generale e frenetico andirivieni fermò una ragazza vestita solo di uno splendido completo intimo di pizzo blu notte e le chiese dove fosse il salone per il pranzo, lì sembravano esistere solo le camere da letto… La ragazza fermò la sua corsa, sollevò un sopracciglio e alla parola “salone” scoppiò a ridere. “E’ Roxanne che ti ha detto “salone”, eh? Non ancora si convince che è la bettola di un bordello… Scendi fino alle ultime scale e gira a destra, c’è un lungo corridoio che finisce con una scala a chiocciola. Non ti puoi sbagliare, è il posto più buio del palazzo…” - disse scappando via.
Nami percorse velocemente il tragitto incalzata da una fame tremenda e scese le scale a chiocciola pensando che la ragazza aveva detto bene: era proprio buio… infine aprì una piccola porta che dalle scale di sopra certo non si vedeva. A darle il benvenuto fu il forte odore di fritto misto ad alcol (che già cominciava a scorrere a fiumi) e fumo di sigari in pieno contrasto con le note dolciastre e balsamiche del bordello. Per non parlare della musica assordante di un gruppetto di strimpellatori su un palco rialzato che avrebbero dovuto essere arrestati già solo per il fatto di possedere degli strumenti musicali. Appoggiati ai tavoli e al bancone c’erano già i primi clienti, ma la serata non ancora decollava e se si parlava, ci si riusciva a capire: per questo sentì qualcuno chiamarla e vide Roxanne vicino ai liquori affaccendata con un paio di brutti ceffi, senz’altro pirati, sulla cui testa il governo doveva mettere una taglia già solo per le loro facce.
“Nami, che fai lì vieni, su! Non hai fame? Cos’è ti è bastata la ciambella? - le fece con un largo sorriso che lei, nonostante quei pirati e le vicende che aveva passato, riuscì a restituire. - Siediti qui – le disse indicando un posto dietro al bancone e lontano da quei campioni che stava servendo, quasi avesse intuito il suo disprezzo per loro – non ti daranno fastidio – continuò sottovoce – sono clienti di lunga data!” Le porse un abbondante piatto di carne e insalata, tantissimo pane, la frutta e l’immancabile ciambella con il latte di cui lei non fece restare nemmeno il ricordo sotto gli occhi divertiti e ironici della signora e dei due ceffi che già le sembravano meno disgustosi. Decise che Roxanne poteva aiutarla nel cercare un lavoro. “Grazie, signora – le disse con un sorriso – era una settimana che non mangiavo… - poi abbassando la voce – io non ho soldi con me, vorrei lavorare per ripagarla però…” “Ma stà zitta! – fece lei spazientita – era solo un po’ di carne!” “Grazie ancora – fece lei riconoscente e sorrise ripensando a quello che si era detta nel pomeriggio: “nessuno ti fa la carità!” – però, vede, io… – abbassando di più la voce – vorrei lavorare perché devo lasciare questa città e non ho soldi con me.” “Come vuoi, cara, qui c’è sempre lavoro per una donna… - disse lei sospirando mentre leggeva nello sguardo di Nami il timore di essere fraintesa – ho capito, ma tanto non te la farei fare lo stesso la puttana perché mi sa che non hai mai visto un uomo nudo nemmeno dipinto… Eh! Eh! Eh!” Nami sapeva di doversi sentire sollevata eppure era discretamente incazzata per tono derisorio della donna: “Lo so da me che non ho esperienza, vecchia gallina spennata, la tua è solo invidia perché sono più giovane e più carina di te!!” - rimuginava mentre già il rimorso l’assaliva pesando che Roxanne era stata molto gentile con lei e che, in fondo, era solo una battuta bonaria. Ma si irritava sempre quando la trattavano da mocciosa. “E allora che potrei fare?” – le domandò. “Mai fatto la cameriera? Sai servire ai tavoli? Prendere le ordinazioni? – s’informò la signora. “S-si, credo di sì, una volta ho lavorato nell’osteria di una mia amica, anche se solo per una sera…” “Allora per me va bene – concluse la donna – bada, però, - cambiando tono e diventando improvvisamente seria – che il difficile di questo lavoro è costituito dai clienti, avrai capito che qui arriva spesso la feccia dell’umanità. Se lavori come cameriera qui, non ti lamentare se ricevi pacche sul culo o volano le mani morte: i miei clienti non badano all’etichetta, sono sempre ubriachi e c’è una rissa ogni sera. Quando ti toccano o fanno commenti volgari, tu sorridi e vai avanti, se sculetti, fioccano le mance: con questa gente devi essere un po’ sgualdrina nell’animo.
La regola è: fagliela sognare a tutti e non darla a nessuno (se non pagano)” – concluse soddisfatta della sua filosofia. Nami sorrise pensando che il discorso non faceva una grinza e decise in un secondo che poteva farcela: l’unico problema era la paga, la signora non ne aveva ancora accennato e per lei era importante visto che una barca, per quanto piccola, costava tanto e avrebbe dovuto procurarsi alimenti, abiti di ricambio e libri di navigazione per tracciare una rotta che la riportasse approssimativamente nel luogo in cui era caduta. “Non voglio sembrarle ingrata – si decise Nami - ma posso sapere quant’è la paga? Ho un progetto da realizzare!” – disse con fermezza. La signora la squadrò per bene e disse: “Mi piaci, sei una tosta, vai diritto al sodo senza perdere tempo. La paga è di cento berry a sera e le mance sono tutte tue, puoi mangiare e dormire qui se non sai dove andare. Mi raccomando sii sempre carina e gentile coi clienti, sono filibustieri, ma portano un sacco di soldi: se ti comporti bene puoi realizzare il tuo progetto in pochissimo tempo. E vedi di non battere la fiacca! Le sfaticate mi fanno incazzare!” “Agli ordini!” – sorrise Nami mettendosi sull’attenti. Era stanca e la caviglia le faceva male, però era contenta e la signora le piaceva: avrebbe cominciato quella sera, la paga era molto buona, anche se non abbastanza per una barca in tempi brevi. Contava sulle mance e sapeva che prima o poi avrebbe trovato il pollo – pirata da ripulire della sua nave e dei suoi tesori.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 003.Al lavoro! ***


3 - Al lavoro!
“Signora…” “Roxanne, chiamami Roxanne, mi fa sentire meno vecchia.” “Ok. Roxanne, senti… io… non hai degli abiti un tantino più comodi? Questi non coprono gran che.” “Hai ragione, piccola, però quella che hai addosso è la divisa dell’osteria!! Magari ti do una taglia più grande così ti copre di più. Intanto vieni con me che ti mostro il locale e ti spiego la numerazione dei tavoli.” La signora ci mise un’ora per mostrare a Nami tutto il locale che contava ben 42 tavoli per la maggior parte disposti intorno al palco di quella improbabile orchestrina e che si allungava in una sorta di penisola: a Nami cominciò a sorgere il dubbio che forse la signora aveva attrezzato anche un night club e la sua ammirazione per quella straordinaria matrona cresceva sempre più. Poi c’erano gli immancabili sgabelli al bancone, per la precisione 18, puntualizzò la signora: “Per i solitari e per i depressi che hanno bisogno solo che qualcuno faccia finta di ascoltarli”. “E poi da qui si accede agli “uffici dell’amministrazione” – scherzò la signora indicando la porta che lei aveva varcato prima e che portava alle camere – e questa è la cucina, di fronte c’è l’ingresso. Seguimi!” Entrarono in cucina e la signora la presentò alle dieci ragazze vestite come lei che si stavano preparando per un’altra serata di fatica in mezzo ai pirati. “Ragazze, ascoltatemi un momento – le zittì la signora – questa è Nami e da stasera lavorerà qui. Aiutatela per i primi tempi. Datele una 44 così sta più comoda.” Poi verso Nami: “Se hai bisogno di qualcosa chiedi pure a loro e per qualsiasi problema c’è Denise – gliela indicò – è lei il capo quando io non ci sono.” “Ma non resti anche tu?” – fece ingenuamente Nami fra le risa generali, cambiandosi la divisa tirata fuori da uno scaffale. “Nami – fece una delle ragazze – gli uomini non vivono di solo pane… - altre risate – e Roxanne si occupa dello spirito!!” – e giù tutte a crepapelle. “Fai poco la spiritosa, bambina – la riprese la signora – ad ognuno il suo!!” - e se ne andò ridendo. Le risa passarono e le ragazze si guardarono impacciate tra loro fissando Nami poi quella che la signora aveva chiamato Denise si fece avanti e disse: “Ciao, io sono Denise e queste sono Sonny, Melissa (Melly è più veloce), Kim, Mery, Kyoko, Lynn, Minako e le due gemelle Ann e Doroty. Vedi quei due giganti in fondo a quell’angolo scuro? – disse aprendo di poco la porta della cucina, indicando due armadi seduti ad un tavolo che sorseggiavano con calma una birra – diciamo che quelli sono due buttafuori”. “E invece chi sono?” “Sono marines in borghese – continuò Denise – stanno sempre qui perché la padrona va a letto con l’ammiraglio e gli ha chiesto una scorta armata a difesa del locale, gli altri sono sparsi nei quartieri qui vicino pronti ad intervenire. Sono qui solo per proteggere noi e il locale dai pirati, ma non li arrestano perché sono i clienti migliori a meno che non capitino pezzi grossi: però se hai problemi con qualcuno, loro intervengono sempre con discrezione, puoi stare tranquilla. Adesso te li presento così sanno che sei una nuova, però non ti lasciare sfuggire che sono marines perché sennò succede il finimondo: per te, loro sono clienti come gli altri. Vieni con me!” – disse, trascinandola via. “Allora ragazzi, che vi porto? – fece allegra Denise – o volete che sia Nami a servirvi visto che è nuova?” – e lanciò loro un’occhiata significativa. “Perché no? Ehi nuova, ti chiami Nami vero? Sei davvero molto carina – disse il più giovane dei due, chiaramente rapito dalle gambe di lei che non smetteva di guardare – hai fatto la modella o la ballerina?” – cominciò a flirtare lui, subito interrotto dall’altro che doveva essere un suo superiore. “Smettila Hudson, non importunare la signorina. Denise, portaci due bistecche e altra birra, grazie” - concluse con autorità. Nami, piuttosto perplessa, tornò indietro con Denise, pensando non fosse il caso di fidarsi di quei due visto che erano più arrapati dei pirati che volevano spaventare e non avevano l’aria molto minacciosa: decise di procurarsi qualcosa di simile al suo vecchio bastone da minigonna smontabile che tante volte l’aveva aiutata in situazioni difficili. Cominciarono ad affluire molti clienti tutti, rigorosamente, pirati. In pochissimo tempo il salone si riempì dei più significativi esempi di filibustieri e ricercati di un certo livello. La cosa che Nami trovava divertente e irritante ad un tempo era che quei campionissimi sedevano proprio sotto i manifesti che li ritraevano e indicavano le relative taglie; si vedeva che sapevano benissimo della presenza della marina militare e la ignoravano con una sfrontatezza senza pari. Lavorava sodo e passava veloce tra i tavoli, li serviva e sorrideva gentile ai loro commenti volgari, sosteneva i loro sguardi eccitati e civettava con loro anche quando la costringevano a sedersi sulle loro ginocchia, la toccavano con le loro mani sudicie e avvicinavano le loro bocche puzzolenti… tutto questo per tornare sulla nave di quello che sarebbe diventato il loro Re, il loro nuovo mito, Rufy, il futuro Re dei Pirati. Per dimenticare quei pessimi elementi e le loro manacce pensava al suo capitano. “Certe volte – rifletteva tra se – mi domando se Rufy abbia mai conosciuto un vero pirata. Lui ha tutta una sua idea della vita di mare, un’idea molto poetica. La realtà – continuava desolata – è che è solo un ragazzino sognatore che certamente diventerà il Re dei Pirati, ma non sarà mai un vero pirata perché è troppo buono e invece i pirati sono delinquenti di mare, andrebbero tutti fucilati… - concluse amareggiata perché quei pensieri l’avevano messa di cattivo umore mentre serviva un’ennesima birra ad uno che più brutto proprio non poteva essere e le stava infilando una mano sotto la gonna che lei, sorridendo, pizzicò con malizia, ma che avrebbe volentieri troncato con una delle spade prese in prestito dal suo amico Zoro. “Zoro… non è simpatico come Rufy o Usoop, ma è un uomo di valore e lo stimo tantissimo. A pensarci bene – continuava tra se - ha un corpo bellissimo ed è così muscoloso…” “Ma cosa sto pensando!! – inorridì tra se – devono essere questi vapori malsani di alcol che mi danno alla testa – si scusò - però, in effetti, è vero…” Anche lui non era un vero pirata, come Rufy del resto, aveva classe ed un innato senso dell’onore: nemmeno in punto di morte avrebbe messo le mani addosso ad una ragazza in quel modo. “Ma forse Sanji sì…- si divertì a pensare lei – No, Sanji è un galantuomo ed ha un profondo rispetto per me, come per tutte le donne mentre Usoop è ancora ragazzino, non credo che ci pensi più di tanto” – concluse. Non riusciva davvero a capire perché pensasse ai suoi amici in quei termini… ma si sentiva dannatamente sola in mezzo a quella confusione: voleva sentirsi protetta da facce amiche e non da quei due energumeni della marina che, come gli altri, la mangiavano con gli occhi. Anche se cercava di distrarsi pensando a loro, la serata pareva non finire più. I pirati continuavano a bere come spugne, interi barili di birra e sakè venivano vuotati, tutti parlavano del Grande Blu, tutti avevano cicatrici e ferite da mostrare e tutti avventure da raccontare. “In quest’osteria il denaro scorre a fiumi - pensava Nami, prendendo le ordinazioni - se risparmiassero tutti i soldi che consumano bevendo, non avrebbero più bisogno di cercare i tesori e nemmeno lo One Piece, vivrebbero di rendita” - li schermiva lei che intanto accumulava mance a non finire nel solco del seno sempre scortata dagli sguardi arrapati dei pirati. Pensava alla barca che avrebbe comprato e di lì a qualche giorno, avrebbe cominciato a girare per cercare una libreria o una biblioteca per studiare le mappe e tracciare la rotta. Finalmente il locale cominciò a svuotarsi e nemmeno tanto lentamente: da un po’ erano entrate in azione “le ragazze di Roxanne”, come si facevano chiamare, e se li stavano portando in “amministrazione” per finire di spennarli a dovere; la serata volgeva al termine, si cominciava a respirare meglio e a rallentare il ritmo. Verso le cinque del mattino, distrutta (nel corpo e nello spirito), finalmente, Nami si allungò sul letto di una delle infinite stanze di quel palazzo: a sentire le altre ragazze era stata una serata fiacca.
Una voce lontana la chiamava, ma lei non riusciva proprio a tornare alla realtà: quando lo fece, mezzogiorno era passato da un pezzo. Non si sentiva un osso sano, la testa era tutta un dolore e aveva una fame esagerata: in quel tripudio di dolori, la caviglia si comportava bene e si univa allegramente al coro con quel suo continuo pulsare. Una voce insistente s’insinuò nel suo cervello e la riportò nel regno dei vivi. Era una delle gemelle (il nome lo avrebbe ricordato forse verso sera) che la chiamava perché di lì ad un’ora c’era il pranzo. Nami si era coricata ancora vestita e aveva fatto in tempo solo a togliersi le scarpe: finanche le mance le erano rimaste incastrate nel seno. La sua collega scese nel salone; lei si sedette sul letto e contò il denaro: aveva totalizzato 289 berry solo di mance più cento berry di paga per un totale di 389 berry. “Proprio un bel gruzzolo se si considera che ho lavorato” – rifletteva mentre si lavava – è vero, però, che si guadagna di più rubando ai pirati. Ma non posso farlo nell’osteria, ce ne sono troppi e sono tutti attivi e svegli. L’ideale è prenderli al mattino, mentre dormono per i bagordi, magari nelle camere del bordello – s’illuminò per il lampo di genio – sì, non devo dormire più fino a quest’ora. Devo mettermi a girare per la città, ho molte cose da fare!” Si cambiò con degli abiti che la gemella le aveva portato (visibilmente di seconda mano) e scese nell’osteria dove tutto il personale di quella grossa azienda dello svago era riunito per mangiare. “Ehi, Nami!! Ce l’hai fatta! Credevo fossi morta di stanchezza. Dor non ti sentiva nemmeno respirare e s’è spaventata. – disse Roxanne, bella più che mai e per niente stanca - Allora, Denise, che mi dici della nuova?” “E’ una gran lavoratrice e ieri sera ha fatto strage di cuori… finanche il bellissimo John ha perso la testa per lei.” Al nome di John (il marine arrapato) tutte cominciarono a cianciare e Nami concluse che i pirati della sera precedente avrebbero potuto apprendere molto da quelle disinvolte gonnelle in fatto di commenti volgari e apprezzamenti scabrosi. Lì, in mezzo a quelle donne, mentre mangiava, si sentì per la prima volta da quando era naufragata, tra persone amiche e disinteressate. E così si unì ai commenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 004.Il destino al tavolo 12 ***


4 – Il Destino al tavolo 12
Ormai era passata più di una settimana da quando aveva iniziato a lavorare all’osteria e le giornate (o meglio le serate) passavano tutte uguali. La mattina del nono giorno di lavoro Nami era riuscita ad alzarsi un po’ prima a fatica e aveva cominciato a girovagare per le stanze del bordello, ma di pirati nemmeno l’ombra: quei maledetti se ne andavano prima dell’alba per non essere beccati dalla marina e lei non riusciva a derubarli, era troppo stanca. Aveva preso a derubarli mentre lavorava, ma era davvero troppo rischioso: non se ne accorgevano perché lei li distraeva strusciandosi a dovere e concedendosi un po’ di più, però faceva correre un grosso rischio anche a Roxanne che le era tanto simpatica e con cui andava d’accordo. Il lavoro andava bene e in nove giorni aveva totalizzato poco più di duemila berry che però erano una miseria in confronto alla somma che le serviva: aveva chiesto in giro e la barchetta più misera non costava meno di centomila berry. Andando avanti così avrebbe raggiunto i suoi dopo dieci anni. Era abbastanza disperata anche perché oramai s’era fatta degli spasimanti fissi tra i pirati che tornavano solo per lei, dicevano; sganciavano molti soldi però si facevano sempre più intraprendenti: due l’avevano bloccata in un angolo buio nel retro del locale e se non fosse arrivato il collega di John, sarebbe finita male. Poi le risse aumentavano: l’ultimo sabato una ciurma di cinquanta elementi aveva messo a fuoco il locale per una bistecca e la marina era dovuta intervenire arrestando tutti. La matrona si era molto lamentata con l’ammiraglio che aveva risposto con un’alzata di spalle e per due o tre giorni non s’era visto nemmeno un filibustiere e le serate erano tranquille. Per avvicinare la clientela quella furbacchiona s’inventò una gara di ballo per ragazze, aperte a tutte quelle che volevano cimentarsi, votate dai clienti del locale. Quei maledetti lupi di mare non si sarebbero mai lasciati scappare un’occasione così ghiotta: vedevano di rado delle donne (prostitute e non), così la prospettiva che ce ne sarebbero state di giovanissime li aveva attirati come api al miele. Roxanne aveva organizzato le cose in grande. Aveva ottenuto il permesso dalla marina e dall’esercito (solo lei sapeva come) e attrezzato un palco con degli ampi scalini nella piazza che si apriva sul retro: i tavoli e le sedie erano stati spostati fuori e piazzati intorno al palco; le ragazze avrebbero dovuto servire di fuori visto che si prevedeva un afflusso record di pirati e di pubblico. Anche il numero di ragazze iscritte alla gara era stato grande… forse perché il premio per la prima classificata era di cinquecentomila berry? Forse… Nami era rimasta senza fiato quando l’aveva saputo: “Eccola, l’occasione della mia vita!! Devo vincere questi soldi così posso partire subito, evviva!!” Aveva implorato il permesso di prendersi una pausa solo per parteciparvi, poi sarebbe tornata al lavoro; non aveva mai ballato su un palco al centro dell’attenzione di tutti, però aveva visto le prove di alcune ragazze e aveva concluso che non doveva essere difficile. Lei doveva vincere a tutti i costi anche con la caviglia ancora gonfia a distanza di giorni, poi avrebbe avuto tempo e denaro per curarsi. In fondo se i suoi giudici erano pirati, bastava eccitarli tanto non ne capivano niente di ballo: loro votavano la più sexy e lei lo sarebbe stata a costo di ballare nuda! Così, nel fervore dei preparativi, arrivò la fatidica sera e la piazza cominciò a popolarsi: in meno di mezz’ora s’era riunita tutta la filibusta e Nami pensava che in effetti mancava solo il futuro Re dei Pirati… Cominciò quella serata tanto attesa e, per la verità, era abbastanza nervosa. Aveva preparato l’abito da indossare che altro non era che un mini-top esageratamente aderente e tendenzialmente trasparente e una lunga gonna piena di spacchi vertiginosi che, secondo la sua coreografia mentale, avrebbe tolto al momento giusto per restare con una mini talmente corta da sembrare una cintura. Infine aveva concordato le canzoni che l’orchestra avrebbe suonato per lei, le uniche che conosceva bene. Era nervosa perché non aveva potuto provare nemmeno un passo e le concorrenti erano tante e belle. Girava vorticosamente per i tavoli coccolando i suoi spasimanti e i pirati per convincerli con tutti i mezzi a votare per lei mentre li ripuliva a dovere. Non poteva più restare in quella città: stava passando troppo tempo e doveva ritornare dai suoi. Nel frattempo la gara era incominciata. La prova prevedeva due balli: uno singolo e uno di coppia con un ballerino molto famoso della zona dal fisico mozzafiato; molte ragazze si erano iscritte solo per conoscerlo. Su quaranta iscritte, Nami era l’ultima per colpa di Roxanne che si era fatta attendere nel darle il permesso: “Poco male - pensava lei - i pirati si ricorderanno meglio il mio nome… se riescono a restare in piedi!!” Mentre le ragazze salivano copiosamente sul palco, si esibivano e scendevano tra le acclamazioni selvagge dei pirati, Nami si faceva campagna elettorale promettendo favori che mai avrebbe elargito: non riusciva a pensare ad altro che al premio per questo ignorò a lungo il tavolo 12 in fondo a destra del palco, semi-avvolto dall’oscurità. “Nami!! Ma che fai, dormi? – la rimbeccò Roxanne – guarda che ci sono tre tizi al tavolo 12 che sono seduti lì da un secolo e aspettano che passi, quella è la tua zona!! Saranno morti di sete!!” “Oh, sì! Scusami, vado subito!!” Si avvicinò in tutta fretta al tavolo con gli occhi fissi sul taccuino e la mente alla gara, disse meccanicamente: “Buonasera, che prendete?” – aspettandosi la solita manata sul sedere, oramai da copione. E invece una voce allegra ed educata le rispose: “Buonasera, prendiamo tre boccali di birra, per ora - quasi scusandosi delle piccole dosi con i suoi amici – due bistecche, una con tanta insalata, l’altra con le patate; e per il mio amico, qui, tutto quello che resta nell’osteria…” - poggiando una mano sulla spalla dell’uomo più grasso che Nami avesse mai visto. I tre scoppiarono a ridere e anche lei non riuscì a trattenere le risa. “Per me un’altra cosa – aggiunse la bella voce, uscendo dall’oscurità e fissandola negli occhi con un largo sorriso – vorrei il mio piede!” Guardarono entrambi per terra e solo allora Nami si rese conto che da quando si era avvicinata gli stava pestando il piede che usciva fuori da sotto il tavolo. Era esterrefatta, tolse via il suo con lentezza cercando le parole adatte per scusarsi riuscendo solo a restare a bocca aperta. “M-mi dispiace… io ero… ero soprappensiero… mi scusi tanto…” - e tornò a guardarlo. “Non ti preoccupare… tanto di piedi ne ho due… Per il momento…. - disse ridendo subito seguito dai due casinisti che erano con lui. “Mostri marini permettendo…” – fece il grassone e giù a ridere mentre Nami ci capiva sempre meno, ma stentava a trattenersi ad unirsi a loro: la risata franca e sonora di quel Rosso era contagiosa. “Quanto siamo ridotti male… – e rideva – mi sa che in quella sigaretta che mi ha dato Ben prima c’era di tutto tranne il tabacco…” Poi si sforzò di tornare serio e la guardò dolcemente: “No davvero… non è niente… eri talmente presa dalla gara che non te ne sei accorta… può succedere a tutti! Ballerai anche tu?” – s’informò. “S-sì, sono l’ultima della serata, ma devo prima finire di lavorare…” - rispose lei rapita dal rosso acceso dei capelli di quell’uomo che le stava facendo piegare le ginocchia, tremare le mani e la voce nella gola secca. “Mi costringerai a fare le ore piccole per assistere alla tua esibizione… - e scosse la testa seriamente preoccupato per la sua salute – dovrò bere per tutta la notte!!” E le dedicò un nuovo sorriso che lei ricambiò a 44 denti e il cuore a mille. “Grazie… - farfugliò – vado a lasciare l’ordinazione in cucina, buona serata…” - disse, sentendosi i suoi occhi addosso e avvertendo una certa rigidità nei movimenti. “Una vera bellezza… - disse, dopo un minuto di silenzio, il grassone del tavolo 12 al Rosso – non trovi?” “E’ la ladra più bella che abbia mai visto” – rincarò il terzo elemento. Avevano assistito alle sue performance da Lupin III e ne erano rimasti impressionati: ad occhio e croce aveva totalizzato più di mille berry frugando nelle tasche di quei babbei arrapati e ubriachi. E adesso guardavano il loro capitano e ne aspettavano la reazione: con il mento appoggiato sulla mano e il volto serio girato verso la porta del retro dove era appena entrata Nami, Shanks il Rosso chiuse gli occhi e trasse un profondo sospiro.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 005.Non sembra un pirata ***


5 – Non sembra un pirata…
Appena in cucina, Nami si lasciò cadere su una sedia con l’ordinazione stretta in una mano mentre l’altra era premuta sulla bocca per impedirle di urlare: era sconvolta, stravolta e stanchissima. Il cuore le batteva forte nel petto e pompava sangue a fiumi, le ronzavano le orecchie e le girava la testa; aveva i brividi a caldo e uno strano languore per tutto il corpo, non riusciva a reggersi in piedi.
Doveva avere un’espressione davvero sconvolta tanto che le sue colleghe fecero cerchio intorno a lei, preoccupate per la sua salute: lei assicurò che era solo un po’ nervosa per la gara di quella sera. Non riusciva più a pensare alla gara… le bastava chiudere gli occhi e rivedeva il volto di quell’uomo dal sorriso dolcissimo, la voce suadente e i capelli color fuoco. Si fece forza, si mise in piedi, recuperando un po’ di dignità e si sforzò di pensare alla gara… tutto inutile.
“E ora come faccio? Lui resterà a guardarmi! E io non riesco nemmeno a stare in piedi!!”
Consegnò l’ordinazione a malincuore, era come cederlo alla sua collega cuoca che interruppe i suoi dolci pensieri:
“Ehi, Nami! Che vuol dire “a piacere” su questa ordinazione? Questo tizio cos’ha ordinato?”
“Fai anche a lui la carne, ma doppia porzione, poi vediamo cos’altro prende…” - sorrise lei, ripensando alla battuta del Rosso e tutta emozionata alla prospettiva di riportare i piatti a quel tavolo.
Ormai la gara era un pio ricordo e le concorrenti scivolavano via velocemente tra le urla generali e i bagordi che lei non sentiva più, crogiolata da un tepore fino ad allora sconosciuto. A svegliarla fu Denise:
“Insomma Nami, vabbè che sei emozionata per la gara, ma guarda che tu hai la responsabilità di dieci tavoli e ci sono il 5 e il 6 che devono ordinare ancora, muoviti! Tieni, porta questo all’11 e la birra all’1”.
I tavoli che lei serviva erano tutti nella stessa zona… avrebbe rivisto il Rosso, ma non poteva distrarsi né fargli vedere quanto l’aveva sconvolta, doveva essere un cliente come gli altri anche se prima si era comportata da babbea e anche se gli aveva sorriso coi denti del giudizio e gli occhi da triglia.
Si guardò al riflesso della porta di vetro, si aggiustò i capelli e si preparò psicologicamente a tornare nell’arena. Con i piatti e la birra in mano servì i tavoli cercando di non guardare il 12, ma sentiva i suoi occhi addosso e l’ansia cresceva in misura proporzionale alla voglia di guardarlo; era talmente concentrata su di lui che quando si accorse che il maniaco della mano sotto la gonna ci stava riprovando, era andato ben più in là del solito… I suoi riflessi erano stati addormentati dal languore che il Rosso le aveva messo nelle ossa e invece quello schifoso babbeo del tavolo 11 aveva pensato che finalmente lei ci stava… Si agitò tantissimo e la sua prima reazione fu di sollevare la gonna e montare il bastone di fiducia che si era procurata di nuovo, ma nel farlo incontrò lo sguardo del Rosso che la fissava con fermezza. Allora si calmò, si stampò un sorriso di circostanza sul viso, pizzicò la mano di quello schifoso e gli disse: “L’avrai quando mi avrai votata… bello!” - e scappò dentro più per la paura di guardare il Rosso che per la reazione del pirata.
“Nami, ogni volta che rientri in cucina sei sempre più sconvolta…. Tieni, questa è l’ordinazione del 12. Portagliela e digli che le bistecche saranno pronte tra cinque minuti… Ah, guarda che mi hanno detto che sono arrivati alla concorrente numero 25, non ti stancare troppo che tra non molto tocca a te!!” – le disse Denise, facendole l’occhiolino.
“Se tu sapessi che cosa ho in corpo…” - sospirò tra se ormai terrorizzata alla prospettiva di tornare al 12. Cercò di dominarsi e si avviò con la birra.
“Scusatemi se vi ho fatto aspettare… ma stasera c’è tanta gente!” - disse misurando la voce per evitare che le tremasse e li guardò uno per uno con tensione crescente, evitando gli occhi del Rosso.
“Stai tranquilla… non abbiamo fretta…” - rispose il grassone, cercando di colmare il vuoto lasciato dall’improvviso mutismo del suo capitano.
“La cuoca mi manda a dire che le bistecche saranno pronte tra cinque minuti. Mi sono presa la libertà di ordinare la bistecca anche per lei – fece Nami rivolta al grassone – in doppia porzione. Se poi vuole altro, non ha che da chiamarmi…”
“Lo farà… stanne certa! – si risvegliò improvvisamente il Rosso con una risata, guardandola con gli occhi che gli brillavano - L’ho portato qui apposta per farlo saziare… mi ha svuotato la nave e ha ancora fame!!”
Nami non capiva più niente, stava naufragando nei suoi occhi e ci mise un po’ a realizzare quello che le aveva detto il Rosso.
“Siete pirati??” – chiese incredula. “Non si vede?” – fece lui perplesso. Lei li guardò bene: “Sì, si vede… - concluse con una punta appena percettibile di delusione nella voce e tanta negli occhi. - Vado a vedere se sono pronte le bistecche...” - e corse via frastornata dalla notizia.
“Come può essere – pensava - che un uomo così dolce e gentile sia un pirata e pure capitano di una ciurma?… Ha uno sguardo diretto e sincero, se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, non può essere un pirata…”
Prese le bistecche e tornò da lui decisa a capire. Poggiò i piatti e stava per dire qualcosa quando lui la prevenne: “Scusa, mi dici dov’è il bagno? Devo lavarmi la mano!” - disse ironico, alzandosi. “Sì, ecco… per di qua…” – fece lei, indicando la via.
Poi rifletté, scoppiò a ridere e girandosi verso di lui lo apostrofò: “Perché una sola? Cos’è, l’altra è pulita? La laviamo la prossima volta?”
Lui rise di gusto e disse: “Siamo spiritose… Il fatto è che mi è rimasto un solo braccio e quindi mi lavo una sola mano!” Quando si rese conto della gaffe, si portò le mani sul viso per nascondersi e mormorò: “OH-MIO-DIO, CHE FIGURA… Mi perdoni è la seconda brutta figura che faccio con lei stasera…” – disse, scuotendo la testa desiderando sparire sotto terra per la vergogna.
“Ehi, non ti preoccupare! – e dolcemente le puntò l’indice sulla fronte e la spinse delicatamente all’indietro per scoprirle il viso – ti perdono perché sei una mocciosa – e le cacciò tanto di lingua – tanto lo so che entro la fine della serata ne farai un’altra… tipo sul palco! Io sarò lì a prenderti per il culo… Promesso!” – la rassicurò e se ne andò, salutandola con un cenno della mano verso il bagno.
“Mocciosa a me? Ma chi crede di essere quello? – sbuffò, andandosene in cucina e chiudendo la porta dietro di se appoggiandovi le spalle. - Mi ha cacciato la lingua come ai bambini…” - e intanto ripensava al gesto del dito e alla dolcezza della sua voce…
“Non sembra un pirata…” - concluse sospirando.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 006.Ballo, che passione! ***


006 – Ballo, che passione!
Le concorrenti scivolavano via e i pirati bevevano sempre più mentre il turno di Nami si avvicinava velocemente; era tornata più volte al 12 perché il grassone aveva veramente intenzione di svuotare l’osteria.
“Chissà come si chiama!?” – si domandava pensando al Rosso, ma aveva recuperato la sua freddezza e la sua determinazione: lei doveva vincere quella gara per tornare dai suoi amici e basta. Non riusciva più a sopportare quegli schifosi pirati che avevano più tentacoli dei polipi ed erano più viscidi dei serpenti; il Rosso e i suoi amici erano gli unici che non la importunavano, sembrava quasi che non si accorgessero che fosse una ragazza: bevevano come spugne, mangiavano e ridevano sempre, casinisti come tutti i pirati. “Forse sono checche??!” – pensò Nami, indispettita dal fatto che il Rosso non la guardava neanche più, mentre lei si sorprendeva a sbirciare di continuo le sue mosse.
“Basta, devo concentrarmi sulla gara… Può anche non guardarmi adesso, ma quando salirò sul palco lo farò urlare!! Sarò così sexy, ma così sexy da stenderlo! Così impara a darmi della mocciosa!! E se è checca, gli faccio cambiare sponda, uffa!” – si sentiva molto stupida, ma anche molto gasata.
Stava lavando i bicchieri quando sentì il presentatore annunciare la concorrente numero 36…
“Accidenti!! E’ tardissimo!!... Ragazze, mi vado a preparare!!” – urlò scappando nella sua stanza a prendere il vestito e darsi un tono.
Quella gran brava donna di Roxanne la stava aspettando davanti alla sua porta: “Ce ne hai messo di tempo.. Adesso è tardi, ma vediamo che si può fare…” – sospirò. Nami la guardò con aria interrogativa: “Ti farò vincere!!” – le spiegò Roxanne che voleva sinceramente che quella ragazzina tutto pepe realizzasse il suo “progetto”. Quando Nami uscì da quella stanza era irriconoscibile: sapeva di essere molto carina anche se non credeva alle lusinghe dei pirati ai quali bastava solo che respirasse… Eppure dovette riconoscere di essere splendida, un’altra persona, una donna! Alla faccia del Rosso che le aveva dato della mocciosa… “Ancora lui, basta! – pensò – Ma quando mi vedrà gli scoppierà il fegato!”
Era nascosta in un angolo buio del palco, dietro le quinte: da lì non poteva vedere i tavoli, nemmeno il 12. Aveva deciso che avrebbe ballato per lui; voleva eccitare quello stranissimo pirata che le aveva osato dare della mocciosa e decise di convogliare tutte le sue energie in una danza sensuale e travolgente ai limiti del proibito. Adesso aveva due obiettivi: i soldi e il Rosso.
“Bene signori… Siamo arrivati al termine della gara più piacevole che si sia mai vista con la concorrente numero 40, una ragazza che conoscete molto bene… Solo per i “Suoi clienti”, solo per “Voi”… NAMI!!” – era stata lei a dettare le parole e l’enfasi al presentatore (ennesimo cliente di mezza età di Roxanne) che le voleva molto bene. Non credeva di essere tanto popolare… Da tutti i tavoli si levò un gigantesco boato, applausi scroscianti, fischia e voci, tantissime voci di pirati ubriachi ed eccitati ai limiti dell’umana sopportazione.
E decise di dare loro il colpo di grazia.
Fece la sua apparizione sul palco all’inizio della musica lenta e suadente camminando a passi misurati e ancheggiando per improvvisare quella che, scoprì più tardi, era nota come “la danza del ventre”. Il suo bacino seguiva perfettamente la musica in un continuo avvolgersi di spirali e cerchi che partivano idealmente dal suo ventre e si chiudevano nei movimenti misurati e delicati delle sue braccia. I pirati che avevano solcato i mari dell’Est sapevano che quella era la danza della fertilità e della femminilità: in passato molti di loro erano stati incantati da quegli eterni movimenti che accomunavano le onde del mare, i cobra degli ipnotizzatori di strada coperti di polvere sotto il sole cocente e le morbide carni di donne brune e lucenti; ora, un’acerba ragazzina di diciotto anni li stava ricreando con una freschezza, una sensualità e una voglia di prendersi e prendere in giro che li abbagliò e fece calare su di loro il più meraviglioso dei silenzi.
La musica diventava sempre più incalzante e ritmica. Nami scorreva sul palco muovendo sapientemente le sue forme e la luce ne evidenziava i muscoli e le rotondità. Quando la musica cessò per lasciare spazio ad un assolo di bongos e tamburi, che lei accompagnò roteando su se stessa e intorno ad un uomo immaginario a cui stava offrendo la sua femminilità facendo scorrere le mani sul ventre, la maggior parte dei pirati smise di respirare per poi cadere in trance quando la musica ricominciò travolgente. Nami riprese a dimenarsi con foga scendendo dal palco per ballare fra i tavoli passando vicino ad ognuno di loro ed offrendo a tutti qualcosa di quel sogno di eterna bellezza; finito il giro, tornò ancheggiando sul palco per terminare la canzone, lasciandosi languidamente cadere sorridendo alla platea attonita dei suoi odiati-amati pirati.
La musica cessò e al frastuono di quell’accozzaglia di gemiti dell’orchestra più sgangherata dei sette mari, si sostituì un silenzio spiritato e incantato, assolutamente impensabile per la più grande riunione di filibustieri che si fosse mai vista.
Lucky Roux e Yassop erano rimasti coi boccali sollevati a mezz’aria interrotti dal corpo voluttuoso di Nami nel brindisi che le avevano dedicato: nonostante la gola secca, non riuscirono a ingoiare niente per un bel po’. Poi si girarono verso il loro capitano: lo trovarono abbandonato sulla sedia con la testa penzoloni all’indietro e la mano sullo stomaco, come se avesse mangiato tantissimo… L’aveva letteralmente steso.
Tutta la filibusta scoppiò in un immenso applauso, un boato che increspò l’acqua del mare del villaggio vicino e fece tremare il palco. Tutti in piedi i pirati gridavano il suo nome in delirio, eccitati e riconoscenti a quella ragazza che aveva risvegliato in loro piacevolissimi ricordi di seta, di incenso, di risate cristalline e tempeste spaventose in cieli color piombo. Applaudivano le sue colleghe e le prostitute che si erano concesse una pausa per vedere come se la cavava. Applaudiva commossa Roxanne per il trionfo di quella mocciosa determinata che le somigliava tanto. Applaudivano le concorrenti che dapprincipio avevano pensato fosse solo una sgualdrina della peggior specie e poi avevano cambiato idea nel vedere quanta passione ci metteva. Applaudivano Lucky e Yassop anche per il loro capitano di cui avvertivano tutto il turbamento e che non ancora si muoveva da quella posizione.
Cosa pensava Shanks? Difficile a dirsi. I due lo conoscevano bene e da tantissimi anni. “E’ un uomo eccezionale, il migliore” - pensava all’unanimità la sua ciurma. Il miglior amico che si possa immaginare: intuitivo, discreto, sempre disponibile, capace di ascoltare in silenzio per molte ore. Il miglior capitano che si possa immaginare: forte, deciso, spiritoso, allegro, paziente, coraggioso, altruista e sempre pronto a fare casino. Ma era anche estremamente riservato. Di una cosa erano certi: Nami aveva lasciato una traccia nel suo cuore anche se ancora non ne capivano l’entità.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 007.Soldi! ***


007 – Soldi!
La danza di Nami fu un autentico trionfo e lei stessa non riusciva a credere che quei pirati la stessero osannando con applausi, fischi, urla e canzoni da dieci minuti abbondanti tanto che non era necessario farle fare la seconda prova: la vittoria era schiacciante.
Eppure il bellissimo ed eccitatissimo ballerino insisté per fargliela eseguire e così dovette cimentarsi in un tango ad elevato contenuto atletico. Sotto lo sguardo invidioso ed altrettanto arrapato di tutti quei filibustieri, il mandrillo ballerino se la strusciava che era una bellezza. Quella gonna con gli spacchi malefici feriva gli occhi di tutti gli astanti scoprendo ritmicamente le sue gambe lucide di sudore e i muscoli che da un po’ aveva messo su a furia di trottare fra tavoli e pirati. Per non parlare degli effetti di luce sulla sua pelle e sul suo seno… il ballerino si stava sentendo male, ma non demordeva. Nami però era stanca di farsi palpeggiare da quel tizio bello e maleducato e poi doveva vincere, quindi doveva lavorarsi i pirati, non il ballerino.
Così, seguendo la musica, si staccò dal tipo in un nuovo assolo per avvicinarsi al limite del palco e mostrarsi del tutto a quella feccia dell’umanità (così la vedeva lei): ad un certo punto, complice l’orchestra e i suoi sforzi, si strappò la gonna da dosso, restando con una mini invisibile a gambe completamente nude e la lanciò sulla sua morta e quindi silenziosa platea. Tornò a ballare col ballerino che stava per mettersi a piangere per tutta quella merce in esposizione: lei gli si avvinghiò intorno al bacino con le gambe, conducendo quella danza peccaminosa mentre questi la reggeva per la vita e veniva, perdendo le forze.
Lei lo lasciò languire sul palco e, nella foga della danza, scese di nuovo tra quei vermi (più ballava e più li odiava) strusciandoseli a ritmo di musica e sculettando in faccia sempre più nuda e sempre più sudata mentre i suoi seni se ne andavano da tutte le parti e qualche filibustiere aveva cominciato a piangere davvero… Tornò sul palco saltellando e alla fine della musica si sedette sul bordo del palco in una posa non proprio da educanda, mostrando tutto il suo arsenale in primo piano. La musica era finita, ma a nessuno gliene fregava…
Il presentatore, che le voleva bene come ad una figlia, aveva girato la testa per non guardare e quindi era ancora in se. Salì sul palco e, senza aspettare gli applausi di una platea allo stremo, urlò: “La nostra principessa del ballo è Nami!!” - consegnandole un pesante sacchetto con i cinquecentomila berry del premio. Il contatto con la stoffa del sacchetto le fece pensare alla barca che avrebbe comprato e che aveva già visto, ai vestiti che avrebbe indossato (finalmente della sua taglia), ai libri che avrebbe studiato per raggiungere i suoi amici.
E allora urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: “Ragazzi!! Sto arrivando!!” - e scoppiò a piangere a dirotto.
Quel pianto risvegliò la marmaglia: erano talmente eccitati che se la dovevano fare lì, sul palco… Una ventina di filibustieri montò come un maremoto per prenderla: ma lei fu più svelta e, con l’aiuto del presentatore e di quello, più incisivo, dei marines, riuscì a svignarsela dietro le quinte, sopportando il peso della vittoria ovvero tutti quei complimenti e quegli auguri di conoscenti e non che si accalcavano intorno a lei che non capiva proprio niente: era in un'altra dimensione e riusciva solo a tenere stretto a se il sacchetto coi soldi.
Alla fine, Roxanne l’accompagnò nella sua stanza, facendole un mucchio di complimenti e cercando di nascondere la sua commozione. Quando furono sole le disse: “Ora te ne andrai, vero?” – fissandola con tristezza. “Sì, Roxanne… - rispose lei guardandola teneramente – sono stata benissimo, ma devo prendere il mare al più presto per trovare i miei amici. Non posso restare…” “Capisco… Bene, lo sapevo che ce l’avresti fatta, l’ho detto che sei una tosta.. Puoi restare qui fino a quando non sei pronta per partire… Ora riposati… intrattenere i pirati è faticoso… Buonanotte, piccola” - e la baciò sulla fronte. “Buonanotte” – le disse Nami, abbracciandola.

Quando si svegliò erano da poco passate le undici e un bollente raggio di sole le stava abbrustolendo la faccia. Spostò di poco la testa pesante come il piombo per sottrarsi a quella tortura e, nella ritrovata freschezza, cercò di rispondere a qualche domanda fondamentale: chi era? Dove si trovava? Che ore erano? Che cosa doveva fare? E soprattutto… perché? Provò a muovere le mani, ma erano schiacciate da qualcosa di pesante… guardò, riconobbe il sacchetto coi cinquecentomila berry e ricordò tutto in un lampo: una sferzata di adrenalina la percorse e scattò in piedi per iniziare la giornata più bella della sua vita dopo quella in cui Rufy aveva sconfitto Arlong. “Rufy, Zoro, Usoop, Sanji… sto arrivando, aspettatemi!!” – disse ad alta voce, si precipitò in bagno a lavarsi, si cambiò e uscì di corsa per comprare la barca.
Era davvero troppo felice per preoccuparsi delle sfumature violacee e del dolore martellante della sua caviglia; giorni fa aveva adocchiato la barca ideale sul catalogo in un negozio che trattava articoli per la pesca. Il negoziante le aveva detto che la barca era ormeggiata nel porto di quell’assurdo villaggio in cui era approdata con i pescatori ubriachi.
Zoppicava per la via, ma non se ne accorgeva per la fretta di raggiungere il negozio; entrò come un tornado facendo tintinnare i vetri della porta.
“Buongiorno! – tuonò, spaventando il commerciante – sono venuta a comprare quella barca di cui avevamo parlato qualche giorno fa…”
“Mhh? …Ah, …sì…, mi ricordo di lei… Mi dispiace – fece veramente rammaricato l’altro intuendo la portata della brutta notizia che stava per darle – ma l’ho venduta ieri… ad un pescatore… la sua era affondata con la tempesta di due settimane fa….”
Nami era il ritratto della delusione, ma insistette: “Non ne ha un’altra simile? Va bene anche se è più grande…” “Mi dispiace… – continuò lui scuotendo la testa – ora ho solo zattere da fiume...”
“Va bene, non importa… grazie e arrivederci” – disse lei girando sui tacchi e uscendo dalla porta con la testa fra le ginocchia.
“Ma sono proprio sfigata! - si disse - ora dovrò mettermi alla ricerca di un altro mezzo e chissà quanto ci vorrà…” - Alzò la testa, osservò la posizione del sole e concluse che doveva essere mezzogiorno e che non avrebbe avuto una barca quella mattina... - Mi conviene cercare una libreria o una biblioteca e procurarmi il materiale per la navigazione, così non avrò perso la mattinata.”
Ora che la delusione per la barca aveva smorzato un poco il suo entusiasmo, si accorse che la caviglia le faceva davvero male, non riusciva a poggiarla più e saltellava. Raggiunse a fatica la libreria che distava diversi isolati dal bordello e si stava preoccupando per il ritorno: capiva che non ce l’avrebbe fatta. La strada era animata e piena di gente che andava e veniva e lei cominciò a sentirsi in pericolo per via della gamba malconcia e della montagna di soldi che si portava dietro: duecentocinquantamila berry per la nave e tutto l’occorrente per la navigazione. Entrò in libreria a fatica e si accorse di avere l’affanno quando chiese al negoziante dove erano i libri di navigazione e se aveva carte nautiche della zona.
Non capiva perché, ma si sentiva stanca e molto debole; stentava a comprendere le parole del tizio dietro al bancone, ma seguì con lo sguardo il dito che puntava alla sua destra e si avviò.
Trovò diversi titoli interessanti e li poggiò sul tavolo lì vicino, ma di carte nautiche nemmeno l’ombra: si sedette pesantemente sulla sedia davanti ai libri e abbandonò la testa all’indietro ansimando e sentendo anche dei forti brividi di freddo. “Benone!! Mi sta salendo la febbre!!” – pensò ridacchiando della sua condizione e riflettendo sul caso di rimandare di qualche giorno la partenza.
Si raddrizzò con forza: “No, non posso aspettare!” Guardò davanti a se con decisione e il suo cuore impazzì: dall’altra parte del tavolo, seminascosto dai libri, il Rosso le stava sorridendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 008.Shanks il Rosso ***


008 – Shanks il Rosso
“Ciao, mocciosa! – la salutò con un larghissimo sorriso – Perché non puoi aspettare? Che devi fare?”
“Adesso calmati, chiudi la bocca, ricomincia a respirare e cancella quell’espressione da idiota che hai sulla faccia” – si disse Nami per recuperare un po’ di dignità visto che si sentiva il sex appeal di una ciabatta…
“Non sono fatti tuoi e non chiamarmi mocciosa…” – rispose indispettita anche dal fatto che si era appena ricordata che lui l’aveva ignorata per il resto della sera precedente.
Lui la fissava intensamente. “E ora perché mi guarda così?” – pensò disperata. “Invece, tu… che ci fa un pirata in una libreria? Non dirmi che sai leggere…” – abbaiò mordendosi subito le labbra, pentita della sua acidità… si sentiva vulnerabile, emozionata e questo non le piaceva…
“Sì, so leggere e scrivere… incredibile, vero? Non si capisce più niente in questo mondo: pirati colti, mocciose che vincono gare di ballo…” – ironizzò lui, guardandola di traverso e sempre sorridendo.
“Pirati colti?? – rispose acida – Scusami, ma mi viene difficile pensare ai pirati in termini di cultura… - li detestava – saresti più credibile se dicessi la verità: che mi hai seguita. Eri anche tu fra quegli elementi che si sono avventati sul palco?” Si rendeva conto di essere acida e stronza, ma non riusciva a farne a meno: sebbene avesse lo sguardo dolce e sincero e fosse un tipo a modo, era sempre un corsaro, membro a pieno titolo della feccia, della feccia e ancora della feccia dell’umanità. La verità, che non riusciva ad ammettere nemmeno a se stessa, era che quel pirata le faceva tremare le ossa e la voce e poi… era dannatamente bello. Lui le rise in faccia, spiazzandola.
“Forse ti sconcerterà sapere che non tutti i pirati sono così arrapati da saltare addosso alla prima mocciosa che si improvvisa ballerina – era assolutamente preso da quella ragazza – e poi a me piacciono le DONNE! La pedofilia non rientra nei miei affari…”
“Meglio così – ribatté lei piuttosto risentita – perché nemmeno l’assistenza agli anziani rientra nei miei affari…”
Il Rosso rideva: “Ci detesti, vero?” – le chiese, guardandola negli occhi.
“Ti pare strano? Siete la feccia dell’umanità: ladri, assassini e stupratori… Se non sei pedofilo, sei una rarità! – continuò – Sbarcate nei villaggi per saccheggiare e uccidere: rovinate la vita alle persone!! – e aggiunse con impeto – Siete dei delinquenti… Solo che andate per mare, così la gente per bene non può nemmeno godersi un viaggio… o una crociera… siete ovunque…” – concluse con l’affanno. Quel pirata era davvero strano: la guardava negli occhi, non diceva niente, ma ascoltava e sembrava capire… “Ma tanto è inutile parlare con voi: siete anche tarati e non avete idea di cosa sia il rispetto delle persone e della proprietà…” – infierì testarda. “Non ti conviene continuare ad offendere la categoria…” – fece lui sprezzante e subito interrotto da lei: “Perché? Non ho ragione? Che vuoi fare? Mi vuoi uccidere solo perché dico la verità?”
“No – rispose, ridendo con il volto disteso e spiazzandola a dovere – è solo che il furto non è una prerogativa dei soli pirati, dico bene? – le chiese, guardandola dritto negli occhi. Poi aggiunse perché lei aveva un punto interrogativo in faccia: “Non hai fatto altro che ripulire quegli idioti del loro denaro per tutta la sera: – le spiegò, scioccandola – sei una ladra anche tu!”
“Sì, li ho derubati… e allora? Questo non fa di me un’assassina…”
“E che ne sai? – disse lui con tranquillità – Se uno di quelli ti avesse scoperta? Anzi, no! – ricordò – E quello che ti ha messo la mano fra le cosce? Non gli stavi per spaccare la testa col tuo bastone? Mettiamo che con un colpo solo tu l’avessi ucciso perché ti stava toccando: non saresti diventata un’assassina?” – fece limpido.
“Non è la stessa cosa…” – reagì lei scuotendo la testa come se avesse sentito un’eresia.
“Lo vedi? – fece lui con lo sguardo triste – L’hai detto tu: non è la stessa cosa. E’ facile dire ladri e assassini: ma prima di giudicare faresti bene a pensarci su! Se tu l’avessi ammazzato, io non ti avrei giudicato un’assassina; se uno di quegli idioti di marines - buttafuori l’avesse ammazzato, tu l’avresti giudicato un assassino?” – le domandò, ammutolendola.
Lei distolse lo sguardo con un’espressione pensierosa, lui la guardava e la trovava davvero bellissima. Poi le sorrise e le chiese: “Allora che cosa devi fare di così urgente da non poter aspettare la guarigione della caviglia e della febbre che ti sta salendo?”
Lei decise di rispondergli per scusarsi della sua acidità. E poi voleva stare un po’ con lui. “Devo raggiungere i miei amici al più presto…” Poi rifletté: “Come sai della caviglia e della febbre??!... Si vede così tanto?”
“Eh, sì! Sei entrata zoppicando e ti sei buttata sulla sedia per leggere dei libri di navigazione… si può sapere che se ne fa una cameriera-mocciosa-aspirante ballerina di certi libri?? Guardi le figure?!” – era deciso a farla irritare, gli piaceva quando si agitava…
“Senti un po’ pirata d’acqua dolce… Ma chi ti credi di essere? Tre cicatrici in faccia non ti trasformano mica nel re dei pirati!! Sììì!! Ridi pure!! Arlong era un grandissimo fetente, ma almeno sapeva riconoscere i talenti! Io sono la migliore cartografa e navigatrice dei mari orientali… mentre tu hai l’aria di chi se vede una mappa, ci fa le barchette!!” – concluse mentre il Rosso le rideva in faccia senza il minimo ritegno.
Quando si calmò disse: “Arlong? Il pesce-sega? Gran brutto elemento, quello…” – scosse la testa, ma si astenne dal chiederle altro su di lui: non ci voleva molto a capire che non ne conservava un piacevole ricordo; adesso capiva perché odiava i pirati in quel modo.
“E i tuoi amici? Dove sono?” – chiese lei per tenere su la conversazione.
“Sono tornati alla nave. Dovevamo fare scorta soprattutto di sakè.”
“E tu perché non sei con loro?”
“E a te che importa?” – malignò lui.
“Ma va… cafone!” – e accumulò i libri davanti a se per isolarlo.
Lui si stava divertendo da morire, quella ragazza era un portento. “Dai stavo scherzando… non mi chiudere in mezzo ai libri... la cultura mi soffoca!!” - rise, riaprendo il varco. “Sono qui perché sono il capitano e il navigatore della mia nave e ho bisogno di libri e carte nautiche per tracciare le prossime rotte.”
“Ah, ecco! Quindi le hai tu le carte che cercavo! Forza, passamele che tanto tu le scambi per fazzoletti e ti ci pulisci il naso!” – e gli fece un largo sorriso che voleva dire “prendi e porta a casa, và”!
“Va bene, prendile pure…”
Guardava le carte cercando di domare il batticuore e la tensione per la presenza di quello stranissimo pirata dai capelli incredibili che non le toglieva gli occhi di dosso; all’improvviso sentì dei passi pesanti e un rumore di armi accanto al tavolo e alzò gli occhi: due giovani marines si erano fermati a debita distanza da loro e guardavano terrorizzati il Rosso. Alcuni nel locale avevano riconosciuto la testa rossa famosissima di quel pirata ed avvisato due marines di pattuglia in zona.
“Ti… ti… ti dichiaro in arresto… pirata!” – ma la voce gli tremava. Con una matita penzolante in bocca, Shanks girò lentamente la testa in direzione dei marinai e li guardò inespressivo.
“Come vorrei essere al posto della matita…” – si sorprese a pensare lei in preda ad una strana tremarella nelle ossa e nel ventre che mai aveva provato.
“Ti ho detto che sei in arresto… pirata!” – nel locale teso e silenzioso, la voce del marine era salita di due ottave e tremava sempre più. Aveva estratto la pistola e la puntava verso quello strano pirata. Nami lo guardava con il fiato sospeso: era un pirata, ma… così bello e così simpatico… Non voleva che fosse catturato. Il Rosso non sembrava per niente preoccupato, come se non vedesse la canna della pistola in direzione della sua tempia. Poi si girò verso di loro che indietreggiarono di colpo con un salto e la tremarella vistosa. Sorrise e disse:
“Non siete un po’ troppo giovani per morire?” – e lo chiese a titolo informativo, senza l’ombra di una minaccia… con lo stesso tono di chi chiede “hai sete?”
Nami chinò la testa e rise sommessamente: quel tipo era una comica continua… stava sfottendo due marines che gli puntavano la pistola in faccia senza la minima preoccupazione. “Non sfottere… pirata! – s’incazzò il ragazzo che teneva la pistola e deglutì – adesso ti faccio passare la voglia di prendermi per il culo!”
La maggior parte delle persone nella libreria scappò fuori: solo i più curiosi restarono a godersi la scena, ben lontani da quel tavolo. All’improvviso Shanks ghignò con un’espressione da maniaco dei sette mari che terrorizzò a morte tutti i presenti, fece sbiancare il volto ai due ragazzi in divisa ed esplodere il cuore nel petto di Nami che si sentì girare la testa, stordita da quello sguardo selvaggio e seducente. “Provaci.”
Ma i marines erano paralizzati. Shanks si alzò lentamente, si avvicinò a quello che teneva la pistola senza la minima apprensione nello sguardo. Quel ragazzo stava letteralmente morendo di paura e quando il Rosso gli fu abbastanza vicino, gli puntò la pistola praticamente nell’ombelico. “No…” – Nami si era portata le mani alla bocca e trattenne un sussulto: quel pirata deficiente se la cercava una pallottola nella pancia… Con calma e nel silenzio tesissimo della libreria, Shanks prese la canna della pistola e disarmò il marine paralizzato dal suo sguardo. Guardò la pistola e disse: “La prossima volta che vuoi ammazzarmi assicurati che la pistola sia carica e che non siate meno di cinquanta! Sparite!” – ordinò. Quei due indietreggiarono, sbatterono e inciamparono nei vari tavoli, rovesciando libri e sedie… sparirono di corsa mani e piedi.
Nel silenzio generale della libreria, Shanks tornò a sedersi di fronte a Nami che lo guardava esterrefatta con l’affanno: le sue condizioni di salute peggioravano sempre più. “Perché non li hai uccisi?” – chiese lei con difficoltà.
“Avrei dovuto??”
“Non so… sai… tu sei un pirata, loro marinai… hai avuto la meglio… in genere i tuoi simpatici colleghi non si fanno scrupoli…” – lo disse sfottendo.
Lui sorrise e distolse lo sguardo da lei: “Forse non sono così simpatico come i miei colleghi… Forse erano davvero troppo giovani per morire… Forse non rappresentavano nessun pericolo visto che avevano le armi scariche…” – e alzò le spalle. “Come ti senti?” – le chiese dopo un po’.
“Io bene… Sei tu quello non del tutto sano… – e ridacchiò - Adesso torno al bordello… – ma s’interruppe per l’affanno e il senso di spossatezza - Hai intenzione di comprarle?” – gli chiese accennando alle carte.
“No, volevo solo consultarle… le vuoi tu?”
“Sì… ma non oggi! – farfugliò lei allo stremo.
Poi raccolse le sue energie, si alzò (constatando con molto piacere che lui fece lo stesso da buon gentleman), lo guardò intensamente con gli occhi lucidi di febbre e non solo, gli sorrise e disse: “Ora devo andare, ciao Rosso!” – e si avviò lentamente verso l’uscita.
Era decisa a tornare al bordello, era l’unico posto che conosceva e Roxanne l’avrebbe certamente aiutata a trovare un medico… per quanta fretta avesse non poteva mettersi in mare in quelle condizioni!!
Camminava strascicando i piedi con una caviglia inservibile e la febbre altissima, le girava la testa e la confusione della strada la stordiva.
E poi quel Rosso, la sua risata, i suoi occhi dolci e profondi le tornavano in mente di continuo confondendosi con il resto, e sentiva voci, suoni, profumi che le facevano perdere il senso dell’equilibrio. Imboccò una viuzza scambiandola per quella che portava al bordello e invece non vi era mai stata; girò su se stessa e riprese a camminare quando si sentì chiamare, alzò la testa e vide l’ultima persona che desiderava incontrare: il tipo della mano sotto la gonna con una decina dei suoi che le stava venendo incontro.
“Ma guarda chi si vede… la nostra bellissima ballerina, ora anche ricca… – la apostrofò quel campione, mangiandosela con gli occhi – che ci fai tutta sola da queste parti? Sei venuta a darmi quello che mi avevi promesso??” Lei non aveva la lucidità necessaria per rispondergli a tono, ma capì subito che stavolta non avrebbe potuto glissarlo e cominciò a tremare anche per i duecentocinquantamila berry che aveva addosso. Lui le si avvicinò, la strattonò, la sbatté contro il muro e, tra gli incitamenti e gli sghignazzi della sua ciurma, cominciò a toccarla… Era troppo per lei che per il ribrezzo vomitò e svenne. “Ma che schifo!!” – fece lui e la buttò per terra. “Ehi capo, tu le donne le stressi! Ti cadono ai piedi!! Ah! Ah! Ah!” – fece uno di loro e tutti giù a ridere. “Ma guarda che c’è qui… Sono i soldi del premio!! Mi dispiace piccola, ma a noi servono di più…” – e raccolse il sacchetto.
Felici del bottino se ne andarono a spenderlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 009. Pirati ***


009 – Pirati…
Lei se n’era andata da un po’ e lui fissava la sedia che aveva ospitato uno dei sederi più belli che avesse mai visto. Avrebbe voluto seguirla: le sue condizioni di salute erano pessime, ma lei odiava i pirati…
Sospirando e continuando a pensare a lei, andò al bancone e pagò tutti i volumi che gli servivano per riprendere il mare sotto lo sguardo terrorizzato del proprietario che aveva assistito alla scena: era convinto che Shanks il Rosso lo avrebbe ammazzato credendo avesse chiamato lui i marines.
“Quant’è?” – chiese distratto, spiazzando il libraio.
“Centodieci berry…” – rispose questi con la voce che gli tremava.
“Arrivederci!” – gli sorrise quel pirata rosso di capelli, pagando e andandosene via, ammutolendo tutti i presenti che non respiravano neanche più.
“E’ tornata al bordello…” – pensava mentre camminava e riviveva i fantastici momenti della sua danza.
Era stata semplicemente divina: bella e sensuale, ricca di magia… gli era sembrato di essere catapultato in un’altra dimensione in cui c’erano solo loro due e lei gli ancheggiava intorno con quella pelle lucida sotto le lampade colorate del palco… E il ricordo tornava a farlo eccitare.
Ma i suoi pensieri furono interrotti dai bagordi di un gruppo di pirati che se la ridevano della grossa fuori da un piccolo locale coi tavoli all’aperto in una viuzza:
“Ah! Ah! Ah! Quella piccola puttana… - fece quello che la sera prima aveva messo la mano sotto la gonna di Nami – credeva che le andasse tutto liscio! – mentre passava loro accanto, Shanks tese l’orecchio con un filo non troppo sottile di preoccupazione – Così impara a non darmela subito!!”
“Eh, capo! Te la dovevi fare!! – fece uno dei suoi e poi si rivolse agli altri della ciurma che li avevano raggiunti – Vi ricordate la troietta di ieri sera? Quella che ha vinto i cinquecentomila berry ballando? L’abbiamo trovata poco fa in un vicolo… era ridotta proprio male: è svenuta mentre il capo se la faceva…” - a Shanks si bloccò il cuore e il respiro.
“Bravo!! Così si fa!” – gioì la ciurma.
“Ma non ne valeva la pena – fece sprezzante il capitano – me l’ha fatto ammosciare: era malata, vomitava… - poi aggiunse – comunque le abbiamo fregato i soldi!! – mostrò il sacchetto tutto contento – anche se non ci sono tutti, questi sono duecentocinquantamila testoni. Evviva la nostra ricca puttanella!!” – concluse con un brindisi.
“Al capo che fa svenire le donne!!” – rispose il gruppo alzando i bicchieri.
“All’idiota che fa vomitare le donne!!”- ribatté caustico Shanks andando loro incontro con un ghigno malefico. “Ehi, tu! Che vuoi? Cerchi guai?” – fece uno di loro. Shanks lo ignorò e andò direttamente verso il capo: era incazzato nero come non gli capitava da tanto e lo voleva morto.
“Quando ti faccio una domanda, tu devi rispondere!” – urlò quello del sacchetto estraendo la spada, avventandosi su Shanks per prenderlo alle spalle. Questi si voltò repentino girando su se stesso: in un secondo estrasse la spada, gli tranciò la testa di netto e la rinfoderò; era ancora più furioso perché l’aveva dovuta sporcare.
Nel riconoscerlo, uno del gruppo urlò sconvolto: “Oh, cazzo! Quello è Shanks il Rosso! Cazzo!” - è scappò via a gambe levate seguito da alcuni altri terrorizzati.
Il maniaco della mano era paralizzato dal terrore; incominciò a piangere e ad implorare una pietà che Shanks non ebbe: gli ruppe il collo sotto gli occhi iniettati di paura degli altri. Questi si armarono, ma lui li sistemò senza nemmeno dover riutilizzare la spada. “Che noia… – pensò quando ebbe finito con l’ultimo – facevano meglio a scappare…” – sbuffò mesto perché non era mai piacevole dover uccidere qualcuno. Oramai il bar era vuoto e nella viuzza, già abbastanza deserta, regnava il più teso dei silenzi. “Ora devo proprio andarmene…” – concluse triste, consapevole che in meno di dodici minuti tutta la marina avrebbe saputo della sua presenza e che non avrebbe più rivisto Nami.
Raccolse il sacchetto coi soldi e decise di riportarlo al bordello. “E’ meglio evitare il centro… – si disse, percorrendo vie alternative – busserò dal retro: meno mi si vede e meglio è…” – e intanto cercava Nami per quelle viuzze, sperando di trovarla ancora viva. Non sapeva dove cercarla: era preoccupatissimo e quasi correva tra quei vicoli sperando di trovarla… Sentiva un blocco allo stomaco.
Si era riavviata al bordello zoppicando e inciampando, perdendosi per le vie: poi era stata attratta da un gruppo di persone che schiamazzava intorno ai tavoli di un bar. Si avvicinò e riconobbe il maniaco della mano con il collo rotto e uno dei suoi che giaceva a parecchi metri dalla sua testa: era uno spettacolo raccapricciante e lei si sentì mancare mentre cercava il sacchetto coi soldi… “Figurati se le belve che li hanno uccisi lasciavano duecentocinquantamila berry… - e pensava – sembra sia passato un uragano…” – vedeva i corpi sparpagliati di quegli idioti che, tutto sommato, nessuno avrebbe rimpianto.
All’improvviso la vide seduta su uno scalino dell’entrata secondaria del bordello con la testa fra le gambe.
Si avvicinò piano e, nel silenzio del vicolo, la sentì piangere e gli si strinse il cuore. Lei alzò la testa, lo riconobbe, si asciugò gli occhi e lo guardò con la più grande quantità di odio e disprezzo che uno sguardo umano può contenere. Dose che lui s’aspettava.
“Ciao, pirata!” – gli disse sprezzante. Poi, cogliendo quel suo sguardo dolce e profondo, strinse le labbra per non ricominciare a piangere e distolse gli occhi.
“Perché piangi?”
“Niente… diciamo che sono triste!”
Poi notò un rigonfiamento sotto il mantello di lui e capì che si trattava di soldi:
“In effetti mi sembra abbastanza ricco – pensò – bene, il denaro viene e va e adesso, caro il mio pollo rosso, tocca a te!” – decise di spennarlo a dovere: era solo un pirata e dopo quello che le era appena capitato, non si sarebbe lasciata più sviare dai discorsi di quel tipo. “I pirati sono delinquenti – pensò con odio viscerale – e come tali vanno trattati!” – concluse, apprestandosi a fregarlo.
“Come mai sei qui? – gli chiese, cambiando troppo bruscamente d’umore e senza guardarlo negli occhi, facendogli capire che lo stava buggerando. – Sei venuto in cerca di compagnia femminile?” – aggiunse maliziosa.
Lui decise di giocare la parte del pollo: “Già! – ammise con fare arrapato – Devo affrontare un lungo viaggio…” “Peccato… siamo tutte a riposo ora, dovresti passare più tardi!”
“Ma io ho fretta…” - disse lui senza fingere: quella ragazza lo aveva fatto eccitare già dalla sera prima mentre ballava.
“Beh… se hai fretta – fece lei avvicinandosi e sculettando agitata – vediamo che si può fare…”
“Pensi di potermi aiutare?” – le sorrise allusivo mentre il cuore gli saliva nella gola e moriva dalla voglia di stringerla.
“Credo proprio di sì…” – gli disse fermandosi vicinissima a lui, agitata ed emozionata: non riusciva a crederci, ma aveva voglia di essere toccata da quel pirata, aveva voglia di baciarlo, di stringersi a lui… profumava di pulito, di buono e aveva una bocca splendida.
“Ma che mi prende?” – pensava smarrita, cercando di scrollarsi quei pensieri dalla mente, restandogli vicina. Ma il suo cervello si rifiutava di funzionare vicino a lui:
“E’ così caldo…” – avvertiva il calore che il corpo di lui sprigionava da sotto i vestiti e provava l’irresistibile tentazione di stringersi a quel pirata rosso, di fondersi con quel corpo bollente e profumato che le stava davanti, di sprofondare nel suo petto e dimenticare tutto e tutti. Era stanca di rischiare, di avere paura e di sentirsi sola: i suoi amici erano lontani, forse la credevano morta e adesso aveva anche meno soldi per raggiungerli.
“Oh… cielo…” - mai, prima di allora, il suo cervello era stato preso da quella strana confusione: non riusciva a ragionare, a formulare un pensiero e non sentiva più niente se non la voglia, il bisogno di stringersi a lui. Si dimenticò completamente di volerlo derubare.
“Non si può guardare…” – si ripeteva Shanks il Rosso senza riuscire a formulare altri pensieri mentre la guardava ora che gli era davanti e gli si offriva sebbene, lo sapeva, per fregarlo.
“E’ bella da far male…” – ed in effetti sentiva un peso allo stomaco se la guardava a lungo, un dolore sordo e prolungato che non gli dava pace. Il sangue gli era andato in ebollizione e i capelli gli si erano drizzati come chiodi quando lei si era avvicinata e aveva cominciato a recitare la parte della sgualdrina. Era una tortura osservare il seno che si sollevava e abbassava al ritmo del suo respiro agitato e le curve dei fianchi fasciate dai suoi certo non larghi vestiti… “Sto per sentirmi male…” – considerò tra se.
Faceva caldo come la sera prima quando era già al decimo boccale di birra e lei era salita sul palco come una regina, bella come la luna. Gli era piaciuta subito: da quando si era seduto al tavolo e l’aveva vista sgattaiolare fra gente della peggior specie, sudata e stanca… gli piacevano i suoi capelli e quello sguardo deciso da regina dei sette mari… il sorriso, le gambe; “insomma mi piace tutta…” – ammise a se stesso, ripensando alla chiacchierata in libreria e alla sua battuta pronta. E poi la danza… Gli aveva fatto tornare in mente quella fanciulla dal nome impossibile, i capelli di seta e dal sapore di zenzero: notti lunghissime sotto la luna crescente… Ma era stato un lampo… tutte le storie passate erano state cancellate da un solo giro di bacino di Nami e non era restato altro che il suo ancheggiare, le sue gambe, le sue braccia, la sua pelle illuminata da perline di sudore… Era così bella… quando aveva sentito il tipo della mano che diceva di averla violentata si era sentito soffocare e non ci aveva visto più dalla rabbia; comunque aveva già deciso di farlo fuori la sera prima per la libertà che s’era preso sulle gambe di lei: le sentiva già sue…
Adesso Shanks capiva che stava per cascarci davvero: “E’ troppo bella – si disse – se la tocco, non mi fermo più! La voglio.”
“Meno male – si dominò – non mi andava di aspettare…” – e fece per sfiorarle il viso, ma lei si scansò tutta agitata.
“Ehi… calma! – disse, dominando i sussulti – Prima gli affari… Ce li hai i soldi?”
“Certo… - rispose lui cercando di farla cedere – sono appena rientrato da una battuta fortunata: ho ripulito tre navi da crociera!” – s’inventò per farle schifo dato che lui stava per saltarle addosso.
“Bene…” - sorrise lei soddisfatta per aver beccato il pollo. Poi, cercando di domare i fremiti, gli passò le mani intorno alla vita senza sfiorarlo, cercando il sacchetto con i soldi.
“Non so cosa stai cercando… - fece lui con voce arrapata – ma è più in basso e davanti…” – era tranquillo visto che aveva nascosto i soldi nella borsa dei libri con una manovra degna di un prestigiatore.
“Beh… non mi dici quanto ti prendi?” – mentre pensava: - “L’adoro: non ha idea di che cosa sia una sgualdrina…”
“Dipende da cosa vuoi…” – rispose lei calata nel suo ruolo e spiazzandolo. Aveva smesso di frugare e gli rimaneva vicina con un atteggiamento che chiedeva coccole e non soldi per una virtuale prestazione sessuale. Lui la guardò per un po’ mentre lei non lo fissava: quel pirata pareva leggere negli occhi e avrebbe capito che stava morendo dalla paura e dalla voglia di stringersi a lui.
Shanks sentiva che stava per cedere e decise di dare una svolta alla situazione.
“In effetti, volevo farti una proposta un po’ particolare… Io sono molto legato ai miei uomini e non mi piace divertirmi da solo… – disse mentre lei inorridiva e tremava, intuendo quello che stava per proporle – che ne dici se ti stai un po’ con noi, magari qualche giorno, per… diciamo… per duecentocinquantamila berry?”
Lei sgranò gli occhi a quella somma, ma non sapeva proprio che cosa fare. Lui colse il suo turbamento e continuò: “E’ chiaro che prima di portarti da loro voglio vedere quanto sei brava – e s’avvicinò fino a sfiorarla mentre lei cercava di non tremare – sai… sono tipi piuttosto esigenti… - era arrapatissimo - E, come del resto saprai benissimo, il capitano ha anche qualche privilegio: incomincia il giro, poi tocca alla ciurma e poi di nuovo al capitano!!” – si chinò e con la bocca le sfiorò la spalla, facendole venire i brividi. Poi la prese di scatto, la incastrò tra se è il muro senza sfiorarla, ma restandole molto vicino:
“Magari possiamo cominciare adesso… - ridacchiò diabolico – Non sai quanto mi piace farlo in mezzo alla gente…” – e avvicinò la bocca al collo di lei che, nel sentire i suoi capelli sulle guance e il suo respiro sulla pelle, non riuscì a trattenere un sussulto, si irrigidì, divenne rossa come un peperone… e si bagnò.
Shanks si fermò a un pelo dal suo splendido collo, dominandosi a stento: quella ragazza gli piaceva tantissimo e stava per cedere davvero…
Scoppiò a ridere su di lei facendola quasi venire, tanto era eccitata: “Ho conosciuto migliaia di sgualdrine, ragazza mia… – scosse la testa sorridendo - Talmente tante che non puoi nemmeno immaginare e se tu sei una sgualdrina, io sono un ammiraglio… - poi aggiunse allontanandosi – non ti ho neanche toccata e sei quasi venuta: sei solo una mocciosa! I ragazzi mi ridono in faccia se ti porto sulla nave! Ah! Ah! Ah!”
Sapeva che la stava offendendo e gli dispiaceva, ma quella ragazzina doveva imparare che i pirati non erano tutti perfidi o babbei. Lei era il ritratto della vergogna e della rabbia: quell’idiota di un pirata l’aveva presa in giro tutto il tempo e lei si era pure eccitata… Adesso era incazzata nera e lo voleva morto. Estrasse in un lampo il suo bastone di fiducia, ma lui fu più veloce e con una manata la bloccò con le braccia alzate e le spalle al muro. Rimasero a guardarsi con l’affanno dell’eccitazione visto che lotte non ce n’erano state e poi erano ancora molto vicini... Ma lei non si perse d’animo: alzò di scatto la gamba per menargli una ginocchiata lì dove non batte il sole e lui si scansò per un pelo, scattando all’indietro e lasciandola libera:
“Oh… ma che caratteraccio!! – esclamò divertito da quella splendida ragazza che combatteva come una furia – Non hai senso dell’umorismo…”
“Te la faccio passare io la voglia di sfottere!” – gli sibilò, menandogli una scarica di bastonate che lui scansava con una certa difficoltà visto che era davvero veloce. Non era il caso di armarsi, ma… doveva stare attento: quella ragazza era una sorpresa continua… E infatti lei utilizzò l’ennesimo colpo di bastone come diversivo ed estrasse il pugnale dalla giarrettiera; lui se ne avvide per tempo, ma decise di non reagire… quella ragazza era solo spaventata e stanca, non un’assassina. Così rimase immobile a guardarla negli occhi con intensità; vide arrivare il coltello e non mosse un muscolo né batté ciglio quando lei ne fermò la punta appena ad un millimetro dal suo collo. Nami lo guardava esterrefatta e non ci capiva niente…
“Mi hai vista… Perché non ti sei scansato?” – gli chiese con l’affanno, pensando di trovarsi davanti ad uno non del tutto sano di mente. Lui la guardò, le sorrise dolcemente e le scostò i capelli dal viso sudato:
“Non è facile ammazzare qualcuno, vero? I pirati non sono tutti uguali…”
Quel gesto la confuse del tutto e lei cominciò a tirare su con il naso, mordendosi le labbra per non piangere e tenendo sempre il coltello sotto il suo collo. “E adesso perché piangi, mocciosa?” – le chiese ridendo e sfiorandole dolcemente la guancia, tutto preso dalla tenerezza per quella ragazza fantastica.
“Sparisci, stupido pirata! – lo lasciò andare con una spinta e gli diede le spalle per non farsi vedere frignare da lui. - Voi pirati siete solo assassini e stupratori, ladri e teppisti della malora dovreste annegare coi vostri tesori e le vostre navi…”
Nessuno, mai, l’aveva spiazzata a quel modo. Soprattutto non sopportava quello sguardo dolce e profondo e l’idea di sentirsi sfottere da un pirata che, chissà come, l’aveva fatta eccitare. Poi riprese, voltandosi verso di lui digrignando i denti dalla rabbia:
“Sei un idiota! Troverò altri da ripulire! Mi auguro che tu faccia la stessa fine di quegli stronzi che mi hanno rubato i soldi… - e continuò con gli occhi umidi – spero ti capiti quella ciurmaglia che li ha fatti fuori: loro già se lo meritano di più quel denaro!”
“Oh, grazie. – le fece lui davvero riconoscente, estraendo il sacchetto e poggiandoglielo in mano – Ma davvero non lo posso accettare: è tuo! Sei tu quella che ha ballato…”
“I soldi… - le uscì, riconoscendo il sacchetto che lui le consegnava - Li hai uccisi tu?” Era sconvolta, quel Rosso era una sorpresa continua.
“Sono un pirata… – si strinse lui nelle spalle, sorridendo e impartendole l’ennesima lezione della giornata.
Poi aggiunse: “Se avessi ballato io, mi avrebbero arrestato…” – riuscendo a farla ridere.
“Evviva! Ride! E’ bellissima!” – pensò con il cuore in gola

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 010.Ricercati ***


010 – Ricercati
Rimasero a fissarsi a lungo, contemplandosi in silenzio. Tutto, intorno a loro, era ovattato e opaco: esistevano solo loro due…
All’improvviso, però, si sentì un forte schiamazzo in strada e la voce di uno:
“Sparpagliatevi per le vie: dovete cercare un tizio con i capelli rossi… - poi aggiunse, distribuendo qualche foto – E’ Shanks il Rosso e sicuramente è ancora qui. E’ solo, ma non abbassate la guardia: è pericoloso! Andate!” “Sissignore!!”
“Cazzo! – si risvegliò all’improvviso lui, guardandosi intorno. Poi raccolse la borsa da terra, guardò Nami, che ricambiava lo sguardo piuttosto preoccupata, le accarezzò dolcemente la guancia e le disse: “Addio, mocciosa…” – e se ne andò.
Lo vide sparire nel buio del viottolo. “No… - le venne un lampo in testa – di là no… è un vicolo cieco…” – e prese a correre dietro di lui. “Accidenti che idiota che sono… - pensava mentre correva – mi preoccupo per un pirata!!” – ma non riusciva a dimenticare quanto le avessero fatto bene le sue carezze: sentiva ancora le sue dita sulle guance e quel suo sguardo acuto, intelligente, profondo. E così, all’affanno della corsa, si aggiunse anche quello causato dal suo cuore che esplodeva nel ricordare il sorriso sornione del pirata più dolce che avesse mai incontrato… Il vicolo finiva in una minuscola piazza senza uscite e senza porte: solo qualche finestra a partire dal primo piano. Arrivò e si guardò intorno, cercando una chioma rossa in cima a centottanta centimetri di maschio… Non vide nessuno.
“Mani in alto, ragazzina!” – una canna di fucile appoggiò la bocca sulla sua schiena e in breve fu circondata da un nutrito gruppo di marines.
“E’ lei… - in mezzo al gruppo, eruppe la voce del marine della libreria – stava seduta col Rosso… è della sua ciurma.”
“Dov’è il tuo capo? – un tenente le mollò uno schiaffo esagerato che la fece cadere a terra – avanti… parla puttana!”
Ma Nami stava cercando di riprendersi da quel sonoro ceffone mentre tutti i marines iniziarono a ghignare. “Ehi… lo sai che facciamo alle donne dei pirati?” – si avvicinò il tenente che l’aveva schiaffeggiata, armeggiando con la cintura dei pantaloni. Ma la sua voce fu sovrastata e interrotta da un colpo di pistola che riecheggiò per tutta la piazza. Con un nuovo occhio sulla fronte, il tenente si accasciò morto su Nami in mezzo al gruppo terrorizzato degli altri in divisa. “Dov’è?” – si giravano e rigiravano in preda alla paura senza riuscire a scorgerlo. E uno dopo l’altro caddero tutti morti con squarci enormi in tutte le parti del corpo. Con le mani in testa, accucciata per terra, Nami si sentiva schizzare di sangue e cercava di non impazzire per le urla raccapriccianti che sentiva intorno a se: qualche corpo le cadde addosso e lei gridò con tutto il suo fiato. Quando le urla finirono, si sentì prendere per mano, poi in braccio e vide il pavimento lordo di sangue che si allontanava… la visione panoramica di tutti quei morti le fece perdere i sensi per qualche secondo. Rinvenne perché si sentì appoggiare su uno scalino: il passaggio dal corpo caldo e accogliente di lui al freddo e duro scalino le fece tornare i sensi; lo sentì allontanarsi e, sforzandosi di aprire meglio gli occhi, vide la figura del Rosso sparire avvolta dal buio.
Lei, che era rimasta imbambolata a guardarlo come fosse un quadro, in quel momento realizzò che non l’avrebbe più rivisto e si sentì mancare: non poteva lasciarlo andare.
“Aspetta… ma dove pensi di andare? Ti rendi conto che la zona sarà circondata? – si alzò a fatica dal gradino e lo raggiunse - Vieni con me!” – e lo prese per il braccio, tirandoselo.
Lui la guardava perplesso, ma si lasciava trascinare: si sentiva stupido, lei odiava i pirati e con ogni probabilità lo avrebbe consegnato alla marina… Però… si fidava. Lo condusse per viottoli sconosciuti e talmente stretti da restarci incastrati, correndo come pazzi, saltando l’immondizia e respirando il lezzo della periferia; lei zoppicava tremendamente e saltellava non potendo contare su quella caviglia diventata come un panettone. Le stavano tornando le vertigini della febbre, ma non poteva svenire in quel momento…
“Per di qua!” – fece all’improvviso, girando a destra e imboccando quella che pareva un ombra e invece era una viuzza. Aprì una botola che sembrava un accesso per animali domestici e vi si infilarono mentre lui si sentiva mancare per un attacco di claustrofobia e perché davanti alla sua faccia c’era il sedere di lei fasciato in quella cosa che chiamarla gonna era azzardato… “Ma dove siamo?” – chiese quando la botola si richiuse dietro di lui e si sentiva costretto a rimanere gattoni in buco buio e marcio che lo stava uccidendo: odiava i luoghi chiusi abituato, com’era, al mare a agli spazi aperti.
“Zitto e seguimi! – rispose lei – non fare rumore!” – e ripresero a gattonare. Nel ritrovato silenzio dopo che il loro affanno era cessato, Shanks sentiva dei rumori e delle voci che si avvicinavano: erano marines che parlavano. Dopo un po’, lei gli disse piano: “Adesso fermati e siediti!” – e lui obbedì.
Nel buio e in quegli spazi ristretti, sentì che lei gli si sedette accanto e avvertì, non senza un brivido, la curva morbida dei suoi fianchi. Poi lei cercò il suo viso con la mano e quando si sentì punzecchiare, capì di avergli sfiorato la barba: a quel contatto entrambi chiusero gli occhi e si lasciarono andare ai fremiti, protetti dal buio. “Non parlare – fece lei tenendogli la mano sulla guancia e avvicinandosi a lui sussurrando – siamo sotto il bancone dell’osteria… tra poco usciamo.” – lo rassicurò.
Le voci dei marines si erano fatte più nitide e ora si capiva tutto il dialogo che si stava svolgendo nell’osteria: “L’avete trovato?”
“Nossignore!”
“Continuate a cercare, andate nelle stanze di sopra e frugate fino all’ultimo materasso: quel maledetto pirata starà sicuramente scopando prima di ripartire… Lo freghiamo nel suo momento migliore!!”
“Ehi babbeo… – fece una voce decisa di donna che Nami riconobbe essere Roxanne – ma non lo sai che a quest’ora non te la da nessuna? Non c’è nessuno di sopra: è troppo presto! Idiota! Se scopassi ogni tanto, lo sapresti anche tu!” Shanks e Nami non poterono trattenere una risatina soffocata ed emozionata come due bambini che giocano a nascondino felici di essersi nascosti insieme.
“E sta zitta troia! – fece l’altro stizzito, versandosi da bere a scrocco – E prega che non lo troviamo: se è qui, ti faccio chiudere baracca e burattini… vecchia puttana…” – aggiunse mentre Shanks la sentiva fremere di rabbia e le accarezzava i capelli per calmarla.
Era fantastica quell’intimità: sebbene fossero in un luogo chiuso e buio, dall’aria irrespirabile e in una posizione scomoda, erano felicissimi di stare insieme e di avere la scusa di toccarsi, di stare vicini… Erano accaldati e sudati per la corsa, eppure era bellissimo stare attaccati: la presenza dell’altro riusciva a distoglierli dalla claustrofobia che minava la salute mentale di entrambi…
“Signore! Non è nel bordello, signore!”
“Porcaccia… – fece quello mandando in frantumi il boccale di birra dopo averlo prosciugato – quel grandissimo figlio di puttana non scopa nemmeno…”
“Guarda… sicuramente più di te – ribatté Roxanne che non riuscì a trattenersi dal ridere – lui almeno li conosce gli orari del bordello!”
Shanks soffocò un altro risolino e sussurrò soddisfatto: “Brava!”
Per un po’ non si sentì nulla e Nami temette per la vita della matrona… Poi la voce del babbeo riprese: “Allora muoviamoci e cerchiamolo al porto del villaggio: se è ancora a terra, la sua nave sarà vicina!” – si sentì un grande frastuono di passi, tavoli e sedie rovesciate e porte sbattute.
Restarono ancora un po’ fermi e in silenzio per sincerarsi che quegli idioti se ne fossero andati davvero.
Poi lei disse: “Andiamo, Rosso” – e ripresero a gattonare.
“Ahia!” – fece all’improvviso dopo un piccolo botto.
“Che succede?” – sussurrò lui allarmato, bloccandosi dopo averle dato un colpo sul sedere con la testa perché si era fermata senza preavviso.
“Non toccarmi il culo… - l’avvertì lei per tutta risposta – Ho battuto la testa: mi ero scordata che la porticina è qui…” – aggiunse, aprendola.
“Poca cosa… – ribatté lui – sicuramente s’è fatta più male la porta…”
Finalmente uscirono e poterono rialzarsi: c’era pochissima luce che filtrava da una fessura e si intravedevano. “Che hai detto?”
“Che non ti devi lamentare che tanto la tua zucca vuota non ha riportato danni…” – spiegò lui serio.
“Finora ho dimostrato di riempirla più di quanto faccia tu con quella cosa color pomodoro che hai sulle spalle…” – ribatté lei stizzita.
“Non parliamo di colori perché il tuo è ridicolo! Mi chiamano Shanks il Rosso (non il pomodoro) e questo semina anche un certo terrore… mentre tu potresti tranquillamente farti chiamare Nami l’arancione che non è un bel dire e che non semina terrore, ma solo una gran voglia di ridere…”
“Cretino…” – rispose lei che si sentiva mancare, spingendolo per dirigersi verso la fessura con la luce che si aprì all’improvviso.
“Lo sapevo che c’entravi tu!!” – le disse Roxanne con un sorriso, spalancando la porta. “Roxanne…” – e svenne per la febbre altissima tra le braccia di quella dolce matrona.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 011.Il Passaggio ***


011 – Il passaggio
Quando aprì di nuovo gli occhi aveva un tetto sopra la testa.
Si guardò intorno, riconobbe una della stanze di Roxanne e si accorse che c’erano due persone con lei. “Bentornata piccola - la salutò una dolce voce che conosceva bene – com’è possibile che ti cacci sempre nei guai e poi finisci a smaltire in questo letto?”
“Ciao, Roxanne…” - farfugliò Nami, cercando di capire chi fosse il tipo che si affaccendava intorno a lei.
“Non ti preoccupare, è il dottore… – la rassicurò – adesso ti visiterà”.
La lasciò da sola col medico che le prescrisse una settimana di assoluta immobilità per la caviglia e per la febbre.
“Ragazza, la caviglia è conciata malissimo… guarirà, ma ci vorrà tempo - disse il dottore – l’hai portata ai limiti. La fasciatura che ti ho fatto è di tipo semi-rigido e va cambiata almeno una volta al giorno: ti lascio qui l’occorrente. Arrivederci”.
Roxanne rientrò e fece per dirle qualcosa, ma Nami la prevenne con il cuore in gola:
“Roxanne… dov’è il Rosso? Il pirata con i capelli rossi è qui, vero?”
“Sì… è qui fuori, sta parlando col dottore…”
“Fallo entrare…”- la implorò.
“Ehi, mocciosa arancione e malata! Come ti senti?” – le chiese, entrando sorridente.
Roxanne li lasciò un po’ da soli. Lei era seduta sul letto e lo guardava con le stelline negli occhi, quasi avesse visto il sole dopo una lunghissima notte di incubi: era proprio bello e aveva un sorriso dolcissimo che cancellò dalla sua mente, all’istante, le immagini truci a cui aveva assistito prima.
“Meglio di quanto ero costretta a respirare la tua puzza, sotto il bancone!” – rispose lei non riuscendo a trattenersi dal sorridergli a cuore aperto. Lui rise, cercando di non pensare al fatto di essere da solo con lei nella stanza di un bordello…
“A proposito: ho fatto mezz’ora di complimenti a Roxanne per la trovata del bancone! Chissà quanti pirati le sono grati per quel colpo di genio! E’ un fenomeno di donna!” – disse tutto ammirato mentre lei lo guardava male, punta da una sottile gelosia.
Shanks se ne avvide, si avvicinò al letto, si chinò su di lei, le spostò i capelli dalla fronte e disse: “E grazie anche a te… mi hai salvato la vita, mocciosa…” – smorzò la voce premendo dolcemente le labbra sulla fronte di lei, graffiandola con la barba e rischiando di farla svenire.
Avevano entrambi il cuore in gola perché sentivano che era tempo di saluti.
“Che farai ora?” – gli chiese senza riuscire a domare la preoccupazione.
“Devo riprendere il mare e allontanarmi da qui al più presto… sennò metto in pericolo anche i miei ragazzi…” – disse preoccupato.
“Sei uno strano capitano… – commentò lei, colpita dal tono che aveva usato nel dire “i miei ragazzi” – ti preoccupi per i tuoi uomini, i tuoi ragazzi…”
“E chiaro! – si stupì lui guardandola. Poi sorrise: - Noi siamo compagni!”
A quella risposta lei sgranò gli occhi, aprì la bocca ed emise un piccolo grido che smorzò con una mano sulle labbra: “Per un attimo mi è sembrato di vedere Rufy… lo ha detto allo stesso modo…” – e le s’inumidirono gli occhi, pensando al suo capitano che forse in quel momento la stava cercando disperato…
“Ho detto qualcosa che non va?”
“No… è che mi ricordi tanto una persona…” – rispose, mordendosi le labbra.
“E chi è? Il tuo ragazzo?” – le domandò, pregando e scongiurando che rispondesse di no.
“T’interessa, eh?” – gli chiese maliziosa.
“A dire il vero, no… - fece lui con disinvoltura – ma se fosse, vorrebbe dire che ho visto proprio tutto nella mia vita…” – ma non riuscì a concludere la frase perché scoppiò a ridere per la faccia delusa di lei.
“Sei solo un idiota! – commentò Nami tutta incazzata: quel deficiente di un pomodoro marcio faceva anche lo spiritoso… E continuò: - se ti sentisse Sanji, ti pesterebbe per bene…”
“Sanji? E chi è?”
Lei rimase soprappensiero e poi rispose con un sospiro:
“E’ il cuoco di bordo della nave pirata su cui sono imbarcata…”
“Fai parte di una ciurma? Allora com’è che odi tutti i pirati?”
“E’ una storia lunga… faccio la navigatrice!”
“Ah.”
Lei scoppiò a ridere pensando a Rufy – “Senza me si saranno arenati da qualche parte… Per il mio capitano la rotta è un participio passato…”
“Un pirata che non sa navigare? – e rise divertito - E’ lui che devi cercare?”
“Sì…” - E gli raccontò del naufragio e della necessità di raggiungerlo:
“Noi siamo compagni… lui mi ha salvata ed insieme dobbiamo andare al Grande Blu! Sarà preoccupatissimo, magari pensa che sono morta…” - concluse affranta.
“Ma quale preoccupatissimo!! - la schernì lui – Se il capitano dovesse mettersi a cercare ogni membro che muore o perde, non concluderebbe nulla nella sua vita! – e continuò con fare noncurante - Morta una navigatrice se ne fa un’altra! Vedrai che quello è già al Grande Blu, mica perde tempo a cercarti…”
Lei ci rimase male e rispose agitata:
“Lui non è come tutti quanti voi, pirati e delinquenti che ammazzate i vostri compagni pur di mettere le mani su un tesoro!! Per lui, il vero tesoro siamo noi! Hai capito? Siamo Noi! Lui non andrà al Grande Blu senza me… Me l’ha promesso! Noi siamo compagni!”
Era furiosa… nessuno poteva toccare Rufy! Ansimava per lo sforzo…
“Siamo nervosette? Dai non ti arrabbiare – le disse con un dolce sorriso – stavo solo scherzando. Nessun capitano con un briciolo di cervello vorrebbe perderti…” – e la guardò intensamente.
Seguirono attimi di imbarazzante silenzio. All’improvviso, e provvidenzialmente, qualcuno bussò alla porta. Era Roxanne:
“Nami posso entrare?”
“Certo…” – rispose lei sensibilmente sollevata.
“Beh, vi lascio sole…” – lui si diresse verso la porta.
“Te ne vai di già?” – gli chiese preoccupata.
Shanks rimase un po’ in silenzio dandole le spalle, sospirò e disse:
"Non senza te… – la sconvolse senza girarsi – non vuoi ritrovare il tuo prezioso capitano?”
“Sì!”
“Io devo navigare da quelle parti… se ti va, ti do un passaggio e non ti avventuri da sola per quelle zone, rischiando di naufragare di nuovo: così siamo pari, visto che mi hai salvato dalla marina… e poi sono ansioso di conoscerlo questo pirata speciale… Che ne dici?” – le sorrise.
“Grazie…” – fece lei tutta felice. “Ci vediamo domani…” – e uscì.
“A domani…”
Nami chiuse gli occhi e sospirò. Era troppo bello. Sarebbe salita sulla nave di Shanks… per ritrovare i suoi amici: non sapeva se essere più felice di stare con lui o aver trovato un passaggio per tornare dai suoi…
“Ohi! Ohi! Ohi! Cos’è quello sguardo sognante? Ci siamo innamorate del Rosso, eh? – disse Roxanne, interrompendo i suoi dolci pensieri – La mia piccola mocciosa si è innamorata!!” – continuò a schernirla. “Smettila… non è vero, mi piace un po’…” – ma non era credibile.
Era troppo felice per nasconderlo... si sentiva le guance rosse e gli occhi lucidi, da triglia: aveva voglia di urlare e torturava il cuscino.
“Decisamente ti piace… – constatò, guardandola - Allora raccontami qualcosa, dimmi che tipo è!? Mi sembra abbia un buon carattere… il resto te lo posso dire io…” – concluse allusiva.
A Nami si gelò il sangue:
“Che vuoi dire? Ci sei andata a letto?” – chiese, sbiancando in volto. La matrona capì di essere stata fraintesa: “Accidenti, sei proprio cotta!! Ma non ti preoccupare… lui non è mai stato qui… e non mi sembra un tipo da bordello! Prima intendevo dire che ti sei innamorata di un pirata molto famoso e con una grossa taglia sulla testa… – poi continuò illuminata in volto – Io ho occhio per certe cose… e se vale a letto anche solo la metà di quello che sembra… Ah! Come ti invidio!! Piccola sgualdrinella… Ah! Ah! Ah! Ottima scelta! Un giorno tornerai qui e mi dirai com’è sotto le lenzuola!!”
“Ma che dici!!” – disse lei col fuoco addosso, tappandosi le orecchie.
“Dico che quello ti farà urlare… Come sono felice per te!!” – continuò la matrona, ridendo a crepapelle.
“Smettila che ti sente!! E’ bellissimo, vero?”
“Vero! Proprio un gran pezzo di figo… Quello se ti prende, ti stressa...”
“E basta!!” – urlò Nami eccitatissima.
“Secondo me ci ha quattro chili di roba tra le cosce…”
“MA SEI UNA MAIALAAAA!!”
“Altro che Gold Roger… ce l’ha lui il GRANDE BLU!!!”
Andò avanti così per una buona mezz’ora…
Giù, seduto al bancone dell’osteria, Shanks sorseggiava il suo amato sakè e si sentiva immensamente felice. Ma perché gli fischiavano le orecchie?

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 012.Le donne dei pirati ***


012 - Le donne dei pirati
Si girava e rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno: aveva caldo e freddo insieme, brividi e fremiti continui, un languore impossibile nelle ossa e una dolcissima confusione in testa… E non era tutta colpa della febbre.
“Si chiama Shanks… – pensava sospirando e torturando il cuscino – è un bel nome… bello come lui…” – rabbrividiva, ricordando il bacio dolcissimo che lui le aveva stampato sulla fronte. Aveva la vaga impressione di aver già sentito parlare di lui, ma non riusciva proprio a concentrarsi e pensare: sapeva solo che ogni volta che le tornavano in mente il suo sorriso, il suo profumo, la sua bocca e la sua risata, il languore le invadeva il cervello e i brividi non la lasciavano in pace un solo istante… E poi le sue parole, la sua voce allegra e profonda e il suo sguardo dolce, diretto, sincero… un vero sogno! In tutto quel delirio, forse, avrebbe potuto anche prendere sonno se non che la prospettiva di rivederlo l’indomani e di partire con lui, lanciava una mega scarica di adrenalina che le impediva di rilassarsi e riportare sangue e pressione a livelli accettabili. In pratica era troppo emozionata per dormire, non faceva che pensare a lui e quell’assurdo stato confusionale durò tutta la notte: solo all’alba, oramai fiaccata da una notte di passione, prese sonno.
“Quant’è bello…” – fu l’ultimo pensiero della veglia.
“Ehi piccola… Avanti svegliati…” – le sembrò di sentire una dolce voce che, in un’altra dimensione, la chiamava. “Cazzarola – ragionava tra se Roxanne, guardandola dormire della grossa con gli occhi tutti pesti, tipici di una notte insonne – questa non ha dormito per niente…” – e sorrise, intuendo di chi fosse la colpa... Tornò a scuoterla più forte: “Ehi… Nami… – lei aprì gli occhi, ma era anni luce distante – c’è una persona qui fuori che ti cerca… – e le sorrise maliziosa – è quel tuo splendido amico pirata, quel tuo Rosso…”
A quelle parole Nami tornò immediatamente al presente, sgranando gli occhi e saltando a sedere sul letto con l’affanno: “E’ qui? – quasi urlò e aggiunse senza aspettare la risposta – Non farlo entrare! – era tutta agitata – mi devo lavare e aggiustare… Non farlo entrare!” – e si alzò in preda agli estrogeni barcollando e inciampando per andare nel bagno sotto gli occhi pieni di lacrime della matrona che rideva da soffocare, mezza stesa sul letto. Sulla porta del bagno si girò verso di lei e, in preda alla confusione mentale, le chiese:
“Perché ridi?” L’altra faticò non poco a chiudere la bocca, si asciugò gli occhi e le rispose:
“Eri praticamente in coma… ma mi è bastato solo sussurrarti che qui fuori c’è quel tuo magnifico Rosso che sei saltata su come una molla… E’ pazzesco che ti fa l’amore…” – e rideva.
Ma smettila… Quale amore!! - e cercò di dominare il batticuore – Ma è qui, vero?” – era la sola cosa che le interessasse.
“No…” – rispose l’altra ricominciando a ridere e invitandola a tornare nel letto con un gesto.
“Che stronza che sei… - sospirò Nami, infilandosi di nuovo nel letto, delusa e sollevata nel sapere che lui non era ancora arrivato – che scherzo stupido!”
“Il dottore ha detto che ti devi riguardare… forse non ti conviene andare con quel tipo… ogni volta che lo vedi ti stressi… - e la guardò dolcemente – Non hai dormito, vero? Notte di fuoco…”
Nami abbassò lo sguardo e si coprì il viso con le coperte per celare tutto il rossore.
“Questo si chiama “colpo di fulmine”… ma quando vi siete conosciuti?”
“La sera della gara… era al tavolo 12…”
“Quel tavolo che non ti decidevi a servire? – si stupì Roxanne – Ma guarda il destino! – e continuò – abbiamo fatto due chiacchiere, ieri, mentre il dottore ti visitava… è un tipo allegro e simpatico, ride sempre…”
“Ha un sorriso dolcissimo…”- sospirò Nami colta dai languori per l’ennesima volta.
“Ah! Ah! Ah! – rise la matrona vedendola così innamorata - …E’ vero, piccola… anche a me è sembrato molto dolce… più che altro, è a modo, gentile e questo è abbastanza raro tra i pirati… – e continuò – Sì… mi sembra una brava persona e del resto tu sei una ragazza molto sveglia… - ragionava quasi tra se - però stai attenta! La gentilezza non è un sentimento. E poi salirai su una nave di pirati che non conosci e viaggerai per mare…”
“Ma io sono già una pirata…”
“Lo so… si vede, me ne sono accorta subito… - e aggiunse – ma il fatto è che ti stai innamorando di quel tipo… e lui è un vero pirata… Mi sembra a posto, ma potrei sbagliarmi e non voglio che soffri!”
Nami la guardava con un grosso punto interrogativo in faccia. “I pirati – le spiegò – non sono persone normali e tu lo sai… Non si legano mai a nessuno proprio a causa della loro vita: hanno tantissime donne, una o più di una in ogni porto ma allo stesso tempo nessuna, sono abituati ad uccidere e a rubare… la violenza non li sconvolge e per loro è un’abitudine…”
“Lo so…” – sospirò Nami, ripensando agli uomini pesce.
“Cerca di conoscerlo bene prima di… – e si decise – prima di andarci a letto e di legarti a lui… Tu non sei ancora abbastanza grande per riuscire a controllare certe cose: ti innamori di lui e sei convinta che la vostra sia una storia importante, la storia della tua vita e poi lui, al primo porto in cui sbarca, se ne va a puttane…”
Nami stringeva le labbra e avvertiva un dolore sordo in fondo all’anima.
“Succede… – e sospirò profondamente – molto più spesso di quanto puoi immaginare: né puoi metterti a fare scenate o a gridare… un pirata è un pirata, non un marito, un compagno, o il padre dei tuoi figli… I pirati sono nomadi: non amano le case, i muri, le strade e le città. Non vogliono obblighi e responsabilità, hanno bisogno di muoversi in continuazione sennò muoiono, appassiscono… sentono parlare di un tesoro e volano via! Ti svegli una mattina che sono spariti dalla tua vita e tornano, se tornano, dopo dieci o vent’anni! E non è attaccamento al denaro… non per tutti almeno! Alla prima occasione mollano tutto e tutti perché non riescono a stare in uno stesso posto per più di un giorno, lo spirito di avventura e la voglia di viaggiare li spingono a migrare come gli uccelli… e il tuo Rosso non fa eccezione… ce l’ha scritto in faccia!” Lei la guardava male, ma taceva.
“Non mi fraintendere: ti ho detto che mi sembra una brava persona, molto dolce e simpatico… Ma è un pirata e un brav’uomo è una cosa diversa da un bravo pirata; sta cercando anche lui lo One Piece, vive su una nave, gira armato, è pieno di cicatrici… e si vede già dai capelli: è pura dinamite… - rise - come ti ho detto, quello ti fa esplodere se ti scopa… ma non puoi legarlo… Come ci provi, lui scapperà.”
“Ma io non voglio legarlo!”
“Lo so… ho capito – tentò di farsi seguire la matrona – quello che voglio dirti è che loro non accettano legami, di nessun tipo! Non si rendono conto di quanto sia doloroso per una donna innamorata vederli andarsene con altre o assistere alle loro innumerevoli partenze o passare davanti alle loro facce sorridenti su cui pendono le taglie che qualcuno incasserà per farli fuori! Non lo capiscono, non lo immaginano!”
“Che devo fare?” – chiese lei mesta. Capiva le buone intenzioni di Roxanne e sapeva che aveva ragione ma… Shanks le piaceva da morire… era semplicemente fantastico.
“Non lo so… - scosse la testa l’altra – dirti che non ti devi innamorare di lui è una cazzata perché già stai fregata… e comunque queste cose non si possono controllare… L’unico consiglio che mi sembra azzeccato è questo: cerca di controllarti e di controllare lui… aspetta a finirci a letto… perché stai sicura che lui ci proverà con te!” Nami la guardava sconvolta e rossa in volto come i capelli del suo amore.
“Dici?”
“Ma certo! Tu sei molto bella… lui gli occhi ce l’ha e se n’è accorto! E poi i pirati non aspettano certo un invito ufficiale a mettere le mani addosso…” – aggiunse con sarcasmo. Lei diventava sempre più rossa.
“Se lui ti toccasse o ti baciasse, tu lo prenderesti a schiaffi? – e la guardò, scuotendo la testa – Ma guardati… non vedi l’ora! – e rideva – non aspetti altro… – e continuò – Si sa… a diciotto anni la pelle brucia e il sangue bolle, basta pochissimo per finire orizzontali… e poi se dai un dito ad un pirata, quello si prende tutto il braccio e tu lo sai… Perciò ti dico: cerca di conoscerlo, di parlarci e capire quello che vuoi da lui. Può essere che ti faccia sangue e basta, te lo vuoi solo scopare, ma di lui non te ne frega niente… ecco… se è così, hai il mio benestare e la mia invidia: consumatelo e succhiagli la salute a quel grandissimo pezzo di figo… - e ridevano come invasate – stressati a cavalcare quel meraviglioso stallone e gridate come ossessi… increspate le acque del mare con le vostre urla!”
“E smettila di dire tutte ‘ste porcate…” – Nami si stava eccitando alla sola idea…
“…Però – riprese Roxanne, calmandosi e tornando seria – se capisci che non puoi vivere senza lui, che gli vuoi bene e che ti rende felice anche con un sorriso allora… – e strinse le labbra – allora allontanati, non cercarlo e lascialo libero. Solo così se torna da te o resta con te, è perché l’ha scelto lui, è quello che vuole… - e aggiunse – ma non smetterà mai, questo è certo, di essere un pirata. Se vorrai stargli vicino, devi sapere che non avrà mai una casa che non sia sull’acqua e abbia le vele, emigrerà in continuazione e combatterà rischiando la vita perché questo è un pirata. Quindi devi accettare di ritrovarti sola da un momento all’altro perché se c’è una cosa che i pirati non offrono è la sicurezza… e invece per una donna è fondamentale. Ecco perché in giro non si vedono molte mogli di pirati e tutte quelle che ci sono li vedono una volta ogni quindici anni… – fece una breve pausa e ricominciò - E in ogni caso, se fai l’amore con lui, ci stai insieme per un po’, lui diventa parte di te e il distacco, inevitabile perché è un pirata, sarà così doloroso da farti impazzire… e sarà ancora peggio se avrai dei figli…”
“Ma dai… quali figli?! Ho diciotto anni!”
“A parte il fatto che i figli capitano… non si programmano… e poi io il primo l’ho avuto a diciassette anni… con un pirata!” – le urlò in faccia Roxanne, agitata. Nami rimase sconvolta nello scoprire parte della vita privata di quella donna sempre così discreta, misurata…
“Mi dispiace, Roxanne… io non lo sapevo…” - provò a scusarsi mogia.
“Non devi scusarti con me… - le accarezzò la testa la dolce matrona, sorridendo – sto solo cercando di evitarti quello che è capitato a me… i pirati sono difficili da capire e da trattare: ci vuole una grande forza e una estrema lucidità che manca quando si è innamorati… - e aggiunse – può anche darsi che il tuo Rosso perda la testa per te (e non è difficile) ti voglia con se… ma è meglio che non ti fai illusioni… Inoltre, e come se non bastasse, loro amano rischiare la vita: - e la voce le tremò - da un momento all’altro finiscono in pasto agli squali o ai mostri marini (e mi sembra che il tuo amico ci sia andato parecchio vicino) o la marina può catturarli e giustiziarli… - e all’improvviso la guardò con un grosso dolore in fondo allo sguardo - Con che cuore assisti all’esecuzione del tuo uomo?” – le chiese con le lacrime agli occhi in preda ai suoi orribili ricordi.
Nami la guardò piangere per la prima volta e prese a frignare anche lei… restarono abbracciate a piangere per un po’ poi Roxanne si distaccò, si asciugò il viso e le disse:
“Porcaccia miseria… - e sorrise – io non volevo farti piangere né metterti paura… sii forte e svelta come sei sempre e cerca di far capire al tuo Rosso chi comanda… innamorati pure, ma sappi che le donne dei pirati devono essere più forti dei pirati stessi e devono fare i conti con la loro amante fissa: la bandiera nera!” – la baciò sulla fronte, le asciugò le lacrime e si alzò.
“Adesso alzati e preparati… il tuo Rosso sarà qui tra poco e devi essere bellissima! Ci vediamo dopo, piccola!” – e uscì lasciando Nami sconvolta e pensierosa.

I suoi quattro stracci e le sue cose, soldi inclusi, riempirono uno zaino che lei poggiò sul letto in attesa di incontrare Shanks. Guardava fuori pensando alle parole di Roxanne e al suo Rosso, troppo bello per essere vero: la luce solare, coperta da grossi nuvoloni che si stavano addensando, entrava verticale nella stanza e le diceva che mezzogiorno era passato da un pezzo. Shanks sarebbe arrivato nel pomeriggio e lei decise di fare due passi e magari comprare qualcosa prima di mettersi in viaggio.
Arrivata in centro fu colpita dalla grande mobilitazione militare per le strade: c’erano marines ovunque e nemmeno un filibustiere in giro; c’erano un trambusto ed un frastuono pazzeschi, militari che correvano da una parte all’altra, pochissimi civili in giro, manifesti in ogni dove e negozi presidiati.
Fu presa dalla pelle d’oca: appesi ai muri e inchiodati ai pali c’erano i manifesti che ritraevano la testa sorridente del suo dolcissimo Rosso su cui pendeva la spaventosa somma di quattrocentottanta milioni di berry; c’erano anche le facce dei suoi due amici che lei aveva visto all’osteria e altri ancora.
“Non credevo si potesse arrivare a taglie del genere… - pensava sconvolta da quella taglia esagerata, chiedendosi come fosse possibile che quella faccia sorridente e sorniona potesse spaventare così tanto la marina militare – non mi sembra così pericoloso… Non è neanche tanto robusto…”
Arrivò con apprensione nella piazza centrale dove c’era un raduno di soldati intorno ad un gruppetto di pirati in ceppi: riconobbe la banda del maniaco della mano che Shanks aveva trucidato e si nascose dietro un pilastro ad ascoltare.
“Allora pezzo di merda… - un simpatico tenente stava interrogando i pirati – magari ti faccio morire per ultimo se mi dici dove s’è nascosto quel grandissimo figlio di troia…”
“Non lo so! – singhiozzava l’altro dopo che ne aveva prese da tutto il battaglione – Ma che cazzo vuoi da me? Mica sono uno dei suoi… quello ha rotto il collo al mio capo con una mano sola e ha staccato la testa del mio amico…” – e il pirata tremava ancora.
“Ha fatto bene! – rispose con un ghigno il tenente, tirandogli un calcio – a me fa piacere quando vi ammazzate tra di voi, brutti stronzi che rompete il cazzo alla gente… ma io devo prendere quella checca dai capelli rossi… Ha ucciso venti uomini della sesta divisione est… venti ragazzi tra i diciotto e i venticinque anni… Quell’infame deve morire! – disse con rabbia - Era qui ieri pomeriggio e sappiamo che è ancora in zona… si può sapere come ha fatto a volatilizzarsi? La strada che conduce al porto è tutta bloccata e pattugliata, non può scappare… - e lo pestò di nuovo – Non è un mago… è solo una viscida serpe rossa… me lo dici o ti devo ammazzare perché non mi servi a niente?”
“NON LO SOOOOOOO!” – gridava quello da far tremare i muri, spandendo urla raccapriccianti per tutta la piazza. Nami era terrorizzata: se lui fosse tornato al bordello per prenderla, l’avrebbero catturato e giustiziato… “Poveri ragazzi… - pensava dei marinai – ma se non ci fosse stato lui…” – rabbrividì al pensiero di quello che le avrebbero fatto: pensavano che fosse dei suoi. In preda alla disperazione e alla paura raccolse uno dei manifesti con la bella faccia sorridente del suo dolce pirata e se la mise in tasca; riprese a camminare, passando di portico in portico per evitare la pioggia che da un po’ cadeva fitta e diventava sempre più forte.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 013.Il mendicante ***


013 – Il mendicante
In preda ai brividi e al dolore della caviglia che ricominciava a farsi sentire, si sedette su un gradino di marmo accanto ad un cencioso mendicante e a pochi passi da un grosso supermercato, in genere molto frequentato, colmo di marines in assetto da battaglia. Guardava tutto quel via vai e la pioggia che ora cadeva fortissima, schizzava e rimbalzava sui ciottoli della via, bagnando i suoi piedi e l’immenso e logoro mantello del cencioso vicino a lei: stava pensando a lui e pregava solo che si fosse nascosto in capo al mondo… Inoltre, tremava all’idea che, per non farsi catturare, avesse ripreso il mare senza lei… anche se, in tal caso, l’avrebbe capito e perdonato. Scosse la testa cercando di scrollarsi quei pensieri tristi di dosso quando fu interrotta da una voce palesemente eccitata alla sua sinistra che la chiamava:
“Ehi… Ballerina…”
“Ciao John…” – sospirò scocciata nel riconoscere il marine che le rompeva le palle quasi tutte le sere e più dei filibustieri.
“Che ci fai qui tutta sola?”
“Compere” – rispose laconica.
Lui si avvicinò, la guardò come una brocca d’acqua fresca in pieno deserto e le disse, sghignazzando:
“Beh… anche se sono in servizio, che ne dici di stare un po’ assieme?” – era già ai limiti dell’eccitazione mentre Nami era sempre più scocciata. Senza aspettare la risposta, il marine squadrò il mendicante e gli menò un sonoro calcio per farlo scansare che lo fece ruzzolare per terra:
“E levati dalle palle sacco di merda!” - prese il suo posto, ridacchiando.
“Ma allora non ci sembri… - sbottò lei incazzata – ci sei! Hai fatto le scuole differenziali? Dalle tue parti non si chiede permesso?”
“Ad un mendicante?! – e sghignazzò – Piuttosto ti ho fatto un favore: adesso hai questo stallone accanto a te e non un vecchio sacco di pidocchi…”
“Sai che salto di qualità!” – rispose lei, alzandosi per aiutare quel povero cumulo di stracci che si era rialzato a fatica e riavviato verso un altro scalino.
“Quando ti arrabbi, sei uno schianto!” – disse il marine, menandole una sonora pacca sul sedere che le fece anche male, ma ignorò per quieto vivere. Raggiunse il cencioso, lo aiutò a sedersi sul gradino e vide, con grande sollievo, che quell’idiota maleducato era stato chiamato per un ennesimo pattugliamento sotto l’acqua. “S’è fatto male? – si preoccupò rivolta al mendicante che scosse lievemente la testa china infilata in un grosso cappuccio – Mi dispiace per quello che è successo…” – tentò di scusarsi.
“Voglio le caramelle all’anice!” – fu l’unica cosa che il tipo cencioso riuscì a dire.
“Eh?”
“Voglio le caramelle all’anice!” Lei ci rimase un bel po’ sconvolta e poi scoppiò a ridere:
“Va bene… ho capito… vuole le caramelle all’anice… - e si alzò per entrare nel supermercato – mi aspetti qui, gliele vado a prendere…” – e si allontanò, scortata dallo sguardo attento del cencioso.
Quando tornò al gradino, la pioggia e il cencioso erano spariti…
“E ora che ci faccio con queste? A me non piacciono nemmeno!” – e se ne tornò, sbuffando, al bordello.
Rimase con la maniglia della porta dell’osteria in mano per un bel pezzo. Oramai il suo Rosso doveva essere arrivato, ma lei aveva paura di aprire e scoprire che non c’era e che era stato catturato dalla marina.
Si fece coraggio, e in preda all’apprensione, aprì la porta e si guardò intorno: lo vide che rideva a crepapelle con Roxanne, bello come il sole, appoggiato al bancone e beveva qualcosa, sicuramente, sakè…
“Ah… Eccola qui!” – fece la matrona, dedicandole un occhiolino senza farsi vedere dal Rosso.
“Ciao mocciosa…” - la salutò con un sorriso larghissimo e uno sguardo molto dolce.
Lei, felicissima di rivederlo in buona salute, domò il batticuore che quel sorriso le aveva suscitato:
“Allora… chiariamo una cosa Rosso… io mi chiamo Nami… lo so che voi pirati siete tarati, ma non è un nome difficile e se ti impegni, ce la puoi fare a ricordartelo…” Ma lui continuò.
“Sai mocciosa? Roxanne mi stava appunto aggiornando su tutte le cazzate che combini… - e rideva, mangiandola con gli occhi tanto era bella – so che ti crollerà il mondo addosso… ma sulla mia nave non ci sono i frollini che usi tu per fare colazione… e nemmeno la marmellata… - se la sfotteva – piccolina… come farai mocciosetta? – e si rivolse alla matrona ridendo – Roxanne, ma come faccio? Io non li so cambiare i pannolini ai bambini… Magari ci penserà Yassop che ha sicuramente più esperienza!”
Lei avvertì un certo fastidio nel vedere quanta intesa ci fosse tra quei due e nel sentirsi dare della mocciosa da lui: voleva sembrargli una donna, voleva eccitarlo non fargli tenerezza!
“Mi devo rassegnare – disse acida, punta dalla gelosia – vedo che per te anche Nami risulta difficile… la natura è stata davvero crudele…”
“Eh… lo so che mi capisci! – ridacchiò lui che era un maestro del botta e risposta – noi due siamo molto simili... Del resto anche con te la natura non è stata proprio benevola…” – e con la mano accennò al suo corpo.
“Se stai cercando qualcuno che ti strappi l’altro braccio, l’hai trovato!” E lui ricominciò, preso dal gioco:
“Non puoi prendertela con il mio braccio solo perché ti mostra come sei: brutta, tappa e grassa… - le spiegò, ridendo – sei alta un metro e una scemenza, brutta come la bonaccia quando si è inseguiti dalla marina – lui e Roxanne ridevano come pazzi - e grassa come il mio amico Lucky che, però, è decisamente più bello di te… – continuava divertito e incantato dal bellissimo volto sconvolto di lei – Ieri mi domandavo che cosa mi ricordasse la tua testaccia dura… poi l’ho capito: una zucca marcia! Avete lo stesso colore…”
“Avvisami quando hai finito così mi sveglio… - ribatté lei, sbadigliando – e cerca di non stenderti mai in un campo coltivato a pomodori sennò con te ci fanno la salsa… – e ridacchiò malefica – ma guarda che colore di capelli e ti metti pure a sfottere… oltre ai frollini, sulla tua nave mancano gli specchi ed è un bene per te… non ti rovini la salute!!”
“Scusate se interrompo la battaglia – fece Roxanne troppo divertita dalle schermaglie di quei due – ma io mi devo allontanare un attimo: prendi quello che vuoi, offre la casa…” – disse a Shanks.
E lui: “Lo fai solo perché adesso mi accollo questo guaio…” – accennando a Nami.
E lei, andandosene: “…Infatti mi sento in colpa… porta un sacco di spese…”
“SMETTETELA!” – urlò Nami, facendo tremare il locale.
Il silenzio e la tensione sostituirono Roxanne…
“Quando vuoi partire?” – gli chiese per interrompere quel pesante mutismo.
“La nave è pronta, dipende da te!!” – rispose lui senza guardarla con i brividi lungo la schiena e agitato come mai.
“Se per te non è un problema avere feriti a bordo, vorrei partire al più presto… non sopporto che pensino che sia morta” – disse lei angosciata.
“Avere feriti è un problema solo se veniamo attaccati, ma tu sei una mocciosa e non sai combattere quindi, ferita o no, sei sempre una palla al piede…” – disse lui ostentatamente serio.
“Ma che bastardo! – fece lei sconvolta e divertita – tu ci gioghi a calcio con la galanteria… Chi ti ha detto che non so combattere!? Ehi Rosso, guarda che io ero ufficiale della banda di Arlong e se mi gira, col mio bastone di fiducia ti ritrovi rasato che nemmeno te ne accorgi!!”
Cercava di concentrarsi per rispondergli a tono, ma se lo mangiava con gli occhi: era bellissimo con un corpo da urlo ostentato con estrema disinvoltura. Quella camicia quasi completamente aperta la ubriacava: si vedeva tutto e di più, ogni piega dei pettorali e quei malefici addominali; si sorprendeva a guardarlo in mezzo alle gambe ed era la prima volta che le succedeva… si sentiva una sgualdrina della peggior specie ed era terrorizzata dall’idea che lui se ne accorgesse, ma non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. E poi quella mano che non stava ferma un momento… Shanks aveva le dita sottili e anche delicate contrariamente a tutti gli altri pirati che possedevano solo un paio di zampe. Le piaceva anche il suo modo particolare di stare seduto sullo sgabello del bancone dell’osteria: una gamba appoggiata sull’altra come se fosse la posa più naturale del mondo… si vedeva che era snodato.
Ma ciò che le toglieva il fiato era la sua bocca: aveva una bocca meravigliosa, bellissima e lei non riusciva a pensare ad altro che a baciare le sue labbra, mordicchiarle, leccarle… in un tripudio di emozioni viveva e moriva su ogni sillaba, su ogni parola, su ogni pausa e su ogni sorriso.
“A calcio ci gioco con le cazzate che spari… – ribatté lui ridendo e risvegliandola. Poi riprese – Vabbè, mettiti pronta che lasciamo la città appena viene buio. Ricordati di portare le medicine e le fasciature che ti ha dato il dottore: fai scorta di quello che ti serve. Alle carte nautiche e ai libri di navigazione ci ho già pensato io”. Rimasero un po’ in silenzio poi lui notò la sua faccia un po’ preoccupata.
“Qualcosa non va?”
“No è che fra poco sarà buio… come mai hai tutta questa fretta?”
“Sei anche sclerotica? Me l’hai detto tu che vuoi partire al più presto!!”
“Ma così non posso prendere niente!! I negozi stanno già chiudendo e io ho solo un vestito di ricambio…” – si lagnò lei.
“Sono desolato, mia principessa, di non poterle assicurare il giusto decoro…” - disse lui, fingendosi sconsolato con un profondo inchino. Lei colse il sarcasmo, ma si emozionò lo stesso quando la chiamò “mia principessa”. “Non sfottere, cretino! Io mi lavo… non come voi puzzoni di pirati che ignorate l’esistenza del sapone…”
“Il fatto è – disse lui serio – che c’è movimento in giro e la marina mi sta cercando. Stanno già pattugliando le coste: ho detto a Ben di tenersi al largo e di incontrarci a mezzanotte a Nord del villaggio dove c’è un piccolo molo naturale. Lì il mare sembra abbastanza profondo e credo che basti per il pescaggio del Vento dell’Est anche se non ho avuto modo di osservare meglio… - Poi aggiunse scherzando – Che sfiga se ci incagliamo!” Lei rimase silenziosa per un po’ e poi chiese:
“Ma come hai fatto ad arrivare fino a qui senza farti beccare? In giro è pieno di marines…”
Lui finì il suo sakè, la guardò con un espressione da puro maniaco, facendola eccitare e le disse:
“Voglio le caramelle all’anice!” – rifacendo la voce del mendicante e prendendo le caramelle che lei aveva comprato.
“Eri tu??” – chiese sconvolta con un filo di voce.
“Già! – e mangiò due caramelle tutto felice come un bimbo – Ne vuoi una?”
“No… Ti sei travestito da mendicante per sfuggire alla marina…” – ragionava ancora perplessa ed emozionata, ricordando di essere stata seduta con lui sullo stesso scalino, di averlo aiutato a tirarsi su e… del calcio violento di quell’idiota che aveva colpito il suo Rosso!
“La marina crede che i pirati siano tutti idioti che girano spavaldi per le strade in grossi gruppi, felici di combattere in mezzo alla gente e fare stragi…” – aggiunse, scartando un’altra caramella.
“E perché non me l’hai detto che eri tu? Pensavi che avrei fatto la spia?” “No… no… non volevo coinvolgerti nel caso mi avessero catturato…” E aggiunse dolcemente: “Mi dispiace non averti potuto evitare quella grossa pacca sul sedere… E anche quello schiaffo di ieri… Devono aver fatto molto male!” – mentre lei lo guardava incantata.
“Ma perché eri lì?”
“Bazzicavo da quelle parti per comprare le caramelle a Lucky… Lui ne va matto e si era scordato di prenderle prima di salire sulla nave… e poi dovevo venire da te… Arrivato lì ho visto il supermercato presidiato e un cencioso che fa spese è abbastanza raro… - mentre lei rideva per il suo modo di dire “cencioso” – stavo decidendo il da farsi quando ti ho vista e ho pensato di farle comprare a te…”
“Bene… adesso mi ridai i soldi… Con il triplo di interessi!”
“Ma non esiste!”
“Ehi… Io ho rischiato la pelle per comprare le caramelle al pirata più ricercato della città… Come minimo devo avere il mio tornaconto!”
“Ma io non ho alcuna intenzione di pagarti…” – rideva lui.
“Terrò il conto...” – sibilò lei che sapeva essere una grandissima usuraria.
“Sì… sì… brava! Tu conta… che prima o poi verso tutto!” – l’assicurò lui ridacchiando e scartando un’altra caramella.
Ma aveva qualche difficoltà per via di una grossa contusione alla mano. Lei se ne avvide e gliela prese fra le sue, mandandogli il cuore in orbita: “E’ stato il calcio di quell’idiota… ti fa molto male? – e gliel’accarezzò, tamponando la ferita con un fazzoletto. – Come ha fatto a colpirti la mano?” Lui respirò per normalizzare la voce che sentiva non proprio ferma:
“Ho cercato di proteggere zone più delicate: quel deficiente aveva mirato allo stomaco o più giù…”
Quel contatto inaspettato li ammutoliva e imbarazzava, lei se ne avvide e cercò di scrollarsi il languore: “Comunque… ha fatto bene! – gli ridacchiò malefica, poggiando delicatamente la mano di lui sul bancone e alzandosi dallo sgabello – vado a prendere un disinfettante… meno male che ci pensa la marina a prendervi a calci…” – e si allontanò tutta agitata mentre lui la guardava incantato.
“Io quel molo non l’ho visto quando sono arrivata… sei sicuro?” – gli chiese, riprendendo il discorso della fuga verso il villaggio di pescatori, quando tornò con la cassetta del pronto soccorso e cominciò a medicarlo molto lentamente per prolungare quel contatto che si godettero fino in fondo.
“Certo che sono sicuro, mocciosa!! – sbuffò lui – Non si vede dalla strada e nemmeno dal villaggio. Non c’è un sentiero che porta lì e quindi non possiamo arrivarci con un carretto!”
“E come ci andiamo? – s’informò lei, cominciando a temere il peggio – Non a piedi, vero?”
“A cavallo!”
“Ma io non sono mai andata a cavallo!!” – si preoccupò, finendo di medicarlo.
Guardarono soddisfatti la medicazione e la fasciatura. “Infatti tu vai a piedi… a cavallo ci vado io – riprese serafico lui. Poi aggiunse scocciato – Che palla che sei. Non sai fare niente… Ho detto bene: sei una palla al piede!!”
“Magari tu sai fare qualcosa in più perché hai vissuto di più… ops! Parecchio di più! – disse indispettita perché lui aveva ragione – Fai attenzione! Le tue vecchie ossa artritiche potrebbero non reggere i colpi del cavallo. Non ti preoccupare comunque: mi porterò scopa e paletta per raccogliere i tuoi pezzi…”
“Mi posso anche far male – iniziò lui serio, agitando la mano – ma mai quanto ne farai tu al povero cavallo con tutto quel grasso…”
“IO NON SONO GRASSA!”
“Ma dai… sii sincera almeno con te stessa! Sei un barilotto… - e aggiunse acido, ridendo come un matto – io non mi formalizzo, anzi… a me l’abbondanza piace: le ragazze grassocce sono robuste, simpatiche e hanno molto seno… - continuò, sconvolgendola – ma tu sei grassissima e piena di cellulite, debole visto che svieni in continuazione e pure antipatica e scorbutica come una cocorita zitella!! – e affondò, accennando al seno di lei – E poi dov’eri quando hanno distribuito i seni? O l’hanno dato anche a te, ma t’è scivolato nel sedere ingrossandolo in quel modo?”
Lei respirava a fondo per domare l’istinto assassino che le stava montando insieme alla voglia di strappargli quei capelli antipatici come lui; istintivamente, si era coperta il seno con le braccia e lo guardava sconvolta da tanta insolenza e cafonaggine. Quel gesto di difesa lo mandò in delirio: rideva già completamente pazzo di lei e nervoso come non era mai stato con nessun’altra. Mai aveva avuto tanta favella, mai si era sentito così preso, così agitato ed emozionato, mai così maleducato e cafone con una donna anzi… si era sempre comportato da gentleman e tutte lo ricordavano come un uomo molto dolce (e un vero demonio sotto le lenzuola...)
Lei lo guardò ridere ancora per un po’ e poi si riprese: “La tua stupida opinione di pirata vale un tanto alla dozzina né mi interessa sembrarti carina o mi preoccupa che il mio seno non ti piaccia… – e aggiunse maliziosa – lo conosci il proverbio della volpe e dell’uva, vero?”
Lui le rideva in faccia scuotendo la testa per smontarla.
E lei riprese: “Io ho fretta di riprendere il mare… ma capisco che devi avere una cifra di arretrati… e mesi di navigazione possono corrodere i piccoli cervelli bacati e portarli allo stato in cui si trova il tuo… – e gli fece un largo gesto con la mano – questo è il posto adatto a te, stupido pirata… - e lo disse con un certo disprezzo perché le sue battute l’avevano ferita – ma ti avverto che se ti sei sviluppato come il tuo cervello, alle ragazze di Roxanne gli fai solo il solletico!”
E stava per rincarare la dose quando sopravvenne Roxanne.
“Allora quando partirete?” – s’informò con un velo di tristezza.
“Appena fa buio” – rispose Shanks, finendo di ridere.
“Vi serve qualcosa?” – fece lei, cercando di rendersi utile e distrarre la mente dall’imminente partenza di Nami. “Il Conte, qui, non mi dà il tempo di comprare niente! – rispose Nami ancora incazzata - magari… posso portarmi la divisa dell’osteria che ho addosso? Poi qualcosa m’inventerò…”
“Certo che sì” – la rassicurò.
“Sicuro! che la lasci a fare? - intervenne Shanks - Non servirebbe a niente!… Nessuna qui ha la tua taglia – disse gonfiando le guance, dandole dell’obesa – sono tutte magrissime!!”
“Faccio finta di non aver sentito…” - sbuffò lei inorridita.
Risero tutte le sue colleghe e le prostitute. Rise Roxanne che aveva un groppo in gola per la tristezza e il presentatore sul palchetto del night che l’aveva adottata come una figlia.
Rise Shanks mangiandosela con gli occhi.
Ma Nami aveva un velo di preoccupazione in fondo all’anima: “Oddio… forse sono davvero grassa?!”

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 014.Si parte! ***


014 – Si parte!
“E’ ora…” – la informò Shanks con un sorriso.
“Ok…” – fece per raccogliere le sue cose, ma lui la prevenne e si prese lo zaino: lei apprezzò molto e si apprestarono a lasciare l’osteria.
“Pesa quasi quanto te! – si lagnò – Povero cavallo! Una mocciosa obesa è già troppa per la sua schiena, se poi ci si mette anche lo zaino obeso…”
Lei avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma davvero non poteva: Shanks aveva un fisico perfetto… che lei non faceva che guardare…
Si girò, abbracciò tutte e si strinse a lungo a Roxanne.
Fecero una gran fatica per non piangere. Shanks le guardò in silenzio.
“Prenditi cura di lei…” – gli disse la matrona.
“Lo farò” – l’assicurò lui con un sorriso.
“Grazie di tutto, Roxanne! Ti voglio bene” – sbottò Nami, misurando la voce per non piangere.
“Anch’io ti voglio bene, piccola. Torna quando vuoi…” – rispose lei mentre già due lacrime scendevano silenziose nascoste dalla notte.
“Mi mancherai…” – aggiunse, singhiozzando quando quei due erano già lontani.
Camminarono in silenzio per un po’ e lui non diceva nulla per darle il tempo di riprendersi dall’addio. Sapeva quanto fosse duro quell’aspetto della vita di mare: dover salutare gli amici per proseguire verso il tuo obiettivo senza voltarti indietro. Era sempre così: come ti affezionavi a qualcuno lo dovevi lasciare… Si fermarono sotto un portico al buio per via di un battaglione di marines che passava in marcia: erano vicini, silenziosi e piuttosto emozionati.
Poi Shanks si tolse il mantello e lo diede a lei mentre lui indossava quello da cencioso, le lasciò lo zaino e le bisbigliò:
“Adesso mettiti questo, siediti e fa la cenciosa – scoppiarono a ridere tutt’e due - resta qui nel buio, non ti muovere per nessuna ragione: io vado a prendere il cavallo e torno subito!”
“Aspetta… - lo richiamò lei preoccupata – voglio venire con te!”
Lui la guardò e scosse la testa: “E’ meglio di no… in due attiriamo di più l’attenzione… i cenciosi sono esseri solitari…” – e lei tornò a ridere: le piaceva il suo modo di dire “cenciosi”.
Lui si avviò e lo vide sparire nel buio.
Era seduta pensando a lui e cercando di imitarlo nell’interpretazione del perfetto mendicante quando sentì dei passi e la voce di due marines che presto si allontanarono; era molto tesa: il suo Rosso sembrava in gamba, ma aveva la mano ferita e se l’avessero scoperto, tutti i marines della città gli sarebbero piombati addosso. E poi lo aveva capito che Shanks avrebbe “preso in prestito” uno dei cavalli di quel riccone, che abitava in una grossa villa in centro, dalle mani lunghe e sempre unte, cliente fisso del bordello, nonostante avesse una moglie e tre figli.
Si decise: doveva andare ad aiutarlo… se lo avessero catturato non se lo sarebbe mai perdonato… le piaceva troppo e già ne sentiva la mancanza. Raggiunse velocemente la casa di quel tipo e si appostò in una zona d’ombra… conosceva bene la città e soprattutto quel quartiere fatto di viottoli e vicoli stretti e tortuosi che si diramavano dalla via principale. Sentì del movimento dentro la stalla: Shanks stava sellando il cavallo, ma aveva dovuto faticare non poco per tranquillizzarlo e ogni tanto scalciava… Lei rimase in silenzio e in ascolto: le sembrava di sentire dei passi in avvicinamento e delle voci… si chinò nella zona più buia e tese l’orecchio. “Quel Rosso mi ha rotto le palle… - era la voce di John – oramai sono due giorni che pattugliamo in lungo e in largo la città anche sotto la pioggia e non lo troviamo… ma se lo becco, i capelli glieli faccio diventare bianchi dalla paura…”
“E sta zitto Hudson… - lo rimproverò il suo collega – la gente dorme e non stiamo facendo una passeggiata… - e aggiunse da uomo saggio – se lo incontri, vedi di filartela a chiamare rinforzi perché ho sentito dire che quello i capelli te li fa cadere solo con lo sguardo…”
Quei due sarebbero passati proprio mentre Shanks usciva col cavallo…
Lei respirò a fondo e si tolse il mantello del suo Rosso (che si era tenuta addosso aspirandone il profumo), lo mise nello zaino che nascose all’ombra, si tirò la gonna più su (a livelli allarmanti) e sfoderò uno dei suoi cavalli di battaglia: l’ubriaca!
“Attento… sento dei rumori…” – disse il collega di John.
“Quindici pirati sulla… hic… sulla cassa del morto… hic… hic… Oh! Oh! Oh! hic… hic… e una bottiglia di rhum…” Da dentro la stalla, Shanks riconobbe la voce di Nami e si preoccupò nel sentire il suo cuore che non batteva più:
“Quella piccola incosciente…” - adesso era proprio nervoso.
“Alt! Chi va là!” “Ciaoooo – strascicò quel saluto per mezzo minuto – ragazzi che ci fate soli soletti da queste parti?” “Ehi… c’è la ballerina più sexy dei mari orientali…” – sbavò subito John.
“E tu che fai qui?” – s’informò il collega che cercava di darsi un tono, ma se la mangiava con gli occhi pure lui. “Il signor Delanus… eh! eh! eh! – e inciampò per finire tra le braccia del collega di John, tutto contento – ha fatto una festicciola per me… - e rise – dice che sono brava… hic!”
Shanks osservava la scena dalla porta della stalla di poco socchiusa mentre forniva al cavallo qualche zolletta di zucchero per farlo stare calmo.
“E’ un genio!” – pensava, ammirando la sua ragazza che, però, se li strusciava troppo per i suoi gusti… “Immagino…”- fece il collega di John il cui corpo reagì immediatamente nel sentirla attaccata a se.
“Ops! – fece lei maliziosa, strusciandosi – Ehi… David – lo chiamò per nome mettendogli la tachicardia – tua moglie è una donna davvero fortunata… hic… hic… l’avevo preso per la spada!!” – e ridacchiò ubriaca mentre quei due partivano in delirio e Shanks subiva un travaso di bile…
“Insomma solo a me non vuoi darla…” – s’intromise John stizzito.
“Ma che dici… marine! Hic! Hic! – e gli accarezzò i capelli – stasera è la vostra serata… quel vecchiaccio non m’ha fatto sentire niente… Che fortuna! – disse convinta – ho incontrato due maschi finalmente…”
“No… senti… - la respinse David – io sono sposato… - ma soffriva – e poi siamo in servizio e non possiamo…” “Ma che cazzo dici! – sbottò John – da quando la conosciamo è la prima volta che questa ci sta e tu dici che non possiamo!?” – non poteva crederci.
“Dobbiamo trovare il Rosso… questo è l’ordine… non scopare!”
“Ma io me ne frego del Rosso e di tutti gli altri colori… – continuò convinto – io mi devo fare questa pupa, ora! Sennò chissà quando mi ricapita!”
“Dai… non litigate… hic! – ridacchiava eccitata – tanto ce n’è per tutti!… – e prese John per mano – inizio con te… o vi piace a tre?”
John la seguì, ma l’altro rimase immobile in preda all’atroce scelta tra la fedeltà e il testosterone.
“Davanti a quella colonna – diceva ad un John in delirio – tu intanto pensaci…” - disse a David che rimaneva ancora immobile.
Shanks era preoccupatissimo, ma non si poteva muovere o avrebbe mandato all’aria tutti i suoi sforzi: sentì qualche sospiro e dei gemiti e cominciò a stare male…
“Ehi David… - lo chiamò lei dal buio – porta la spada… hic! – e rise ubriachissima – John l’ha dimenticata… per l’emozione è svenuto…”
L’altro accorse preoccupato di non far scoprire niente allo stato maggiore e, una volta arrivato, si beccò una sonora bastonata tra collo e capocollo, raggiungendo il suo collega nel mondo dei sogni…
“Ehi Rosso…” – sussurrò e lui la raggiunse con il cavallo: la trovò intenta a ripulire i due marines anche delle armi…
“Che fetente che sei… - si schifò lui tutto ammirato per quella meravigliosa pirata dalle gambe mozzafiato – ottimo lavoro, ma la prossima volta limitati a fare la cenciosa.” – la rimproverò e lei scoppiò di nuovo a ridere per via di quel modo di dire “cenciosa”.
Erano contentissimi di essere di nuovo insieme anche se Shanks aveva qualcosa da ridire sui suoi metodi… Montò a cavallo con un salto, prese lo zaino che lei aveva recuperato, tese la mano a Nami e l’aiutò a montare: “Mettiti comoda che se dobbiamo galoppare, ti devi reggere a me – e aggiunse – rimettiti il mantello che è nero e ti difende dalla luce della luna e tieni il viso basso.”
E si avviarono verso il villaggio di pescatori.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 015.Shanks’s crew ***


015 – Shanks’s crew
Ormai erano partiti al passo da un po’ e stavano in silenzio per non richiamare la marina e perché erano emozionati: in quell’atmosfera irreale si abbandonarono ai propri pensieri.
“Credo di aver fatto una grande cazzata… - pensò lui un po’ depresso – mi sono trattenuto troppo e l’ho invitata sulla mia nave semplicemente perché mi piace, mi piace da morire… Ma lei è di un’altra ciurma non la mia navigatrice… prima o poi ci saluteremo, io ho solo rimandato di qualche tempo… questo vuol dire essere pirati!! Sto già male…”
E si era sentito male davvero quando stava per salutarla al bordello: non voleva lasciarla andare via, non voleva rischiare di non rivederla. Adesso sentiva il suo profumo e si rendeva conto che le era vicinissimo… la intravedeva nella luce chiara della luna e gli scossoni ritmici dell’andatura del cavallo li facevano sfiorare. Lui reggeva le briglie e lei portava lo zaino su una spalla: il silenzio irreale era interrotto solo dal rumore degli zoccoli sul piccolo sentiero adiacente una grandissima pineta.
Nami stava a testa china e fissava il terreno, la pancia del cavallo, la staffa, il piede di Shanks, il suo pantalone e la parte in cui i loro corpi si sfioravano… era così emozionata che non respirava nemmeno; ogni tanto uno scossone li avvicinava, ma erano straordinariamente rigidi e riuscivano a non toccarsi. I suoi capelli lasciavano intravedere un lembo di collo… Shanks aveva il sangue in ebollizione; si accorse che stava per baciarla sul collo perché le aveva sfiorato i capelli col naso e gli veniva da starnutire… si allontanò con un movimento impercettibile.
“Accidenti… se riesco a passare questa notte senza violentarla, mi faccio frate! – scherzò tra sé per distrarsi. Poi si fece serio – devo smetterla di pensare a lei, ha più o meno l’età di Rufy, è una ragazzina… mi sento un pedofilo!! E poi, che figura ci farei coi ragazzi se sapessero che sono pazzo di una mocciosa?”
La fissò perso: “Ma guarda quanto è bella! E’ uno spettacolo… – e rifletté sconsolato - Diciamocela tutta: lei è bellissima e giovanissima. Magari le piaccio un po’, ma non ha nemmeno vent’anni e io ne ho trentasette, sono proprio vecchio per lei. A quell’età le persone si dimenticano in fretta, io ne so qualcosa. Se continuo così, perdo completamente la testa… - e pensava – me la voglio fare qua… sul cavallo, ora e per tutta la notte! – e ripensava – Ma guardala… è una mocciosa… E sicuramente è ancora vergine… – sospirò - speriamo di incontrare i suoi amici al più presto perché non resisterò a lungo…”
“Shanks…” – lo chiamò dolcemente senza alzare la testa, interrompendo il suo tormento e facendolo trasalire: era la prima volta che lo chiamava per nome.
“Mhmm?”
“Scusami per come mi sono comportata ieri… mi dispiace!”
“Non ti preoccupare… - rispose lui, cercando di non farle sentire che stava per saltarle addosso – non hai tutti i torti a detestare i pirati…”
E di nuovo un silenzio impossibile.
“Però avrei preferito che non mi seguissi: in genere quando do un ordine, i miei uomini lo rispettano…”
“Ma io non sono un tuo uomo…”
“Lo so… - insisté lui – ma le navi hanno delle regole e al capitano tocca farle rispettare… – e le sorrise, visto che oramai i loro occhi si erano abituati alla luce della luna e si potevano guardare – magari non ce l’ho la faccia di uno che sa il fatto suo… però se sono il capitano, ci sarà un motivo… - e concluse – ora salirai sulla mia nave e diventerai una dei miei… cerca di ricordarlo!” – e lei sentì i brividi lungo la schiena per quel tono pacato, ma incontestabile.
“D’accordo… - e lo guardò con un sorriso che gli mise la tremarella – scusami capitano…”
Lui sentiva le ossa liquide…
“Ma poi si sa che i mocciosi sono testardi… - rise – dovevo saperlo… prova a dire ad un bambino “non fare questo” e dagli le spalle: stai sicura che lo farà… e così ragioni pure tu!”
Lei si indispettì: se andava avanti così, non l’avrebbe mai considerata una donna e mai l’avrebbe guardata… “Prego… non mi ringraziare se ti ho salvato un’altra volta dalla marina… non ce n’è bisogno…”
“Guarda che me la sarei cavata anche senza te… io schivavo la marina quando tu ancora facevi “ué ué” nella culla!”
“Ma io, proprio considerando la tua età, ho pensato bene di intervenire!”
“Ma non avevi detto che l’assistenza agli anziani non rientra nei tuoi affari?”
“Beh, ho dovuto cambiare linea… mi devi aiutare a ritrovare i miei!”
Si guardarono a lungo e lui le disse:
“Già… devo fare i complimenti al tuo capitano… Sei una professionista!” – e le sorrise, facendole scoppiare il cuore.
Restarono ancora un po’ in un silenzio teso e all’improvviso lei disse: “Grazie per quello che stai facendo… Se non ci foste stati tu e Roxanne, non credo che sarei ancora viva” - e alzò il volto verso di lui guardandolo con gli occhi lucidi, cotta a puntino.
“Adesso che faccio? La bacio, urlo o che?” – si chiese lui ai limiti della resistenza.
Poi le sorrise e le disse: “Ma quale grazie!! Pensi che quei cinquecentomila berry siano ancora tuoi? E chi me le paga le spese per mantenerti a bordo con quello che mangi? - sospirò - mi sono accollato un nuovo Lucky Roux, dovrò assaltare almeno due navi da crociera a settimana!!”
“Stupido! – fece lei divertita e preoccupata al tempo stesso – finiscila con questa storia. Io non sono grassa e non mangio tanto! Come ti permetti di dire che sono una nuova Lucky? Tu ci guadagni solo ad avermi a bordo… magari finalmente riesci ad imbroccare la rotta per il Grande Blu ora che c’è un navigatore!!”
Lui sorrise tra se: “Bravo! Continua così che sei sulla strada giusta per la santità… – poi disse – tra non molto lasceremo questo minuscolo sentiero per passare in strada… vedi? Già si vede il mare… Meno male, cominciavo a soffocare in quella città!!”
Percorsero l’ultimo tratto del sentiero in silenzio interrotto solo da lui che le disse: “Vedi quei piccolissimi aloni in mezzo al mare lì a sinistra? Sono le luci schermate di due navi della marina… non sembrano molto grandi e per fortuna sono lontane dal Vento dell’Est… ma ho il sospetto che non siano sole. Credo che ce ne siano altre pronte a partire. Non mi piace combattere, speriamo bene…” – concluse mentre lei lo fissava preoccupata.
“E meno male! Intanto, però, quei babbei che mi avevano fregato i soldi li hai sterminati… e hai falciato venti marines in una volta!” – pensava e all’improvviso le tornarono in mente le parole di Roxanne: “Se vale a letto la metà di quello che sembra… Ti farà urlare!!”
Chinò la testa per soffocare un gemito e nascondere il rossore.
“L’unica cosa che non mi convince… – riprese lui serio – è che non abbiamo incontrato nessuno lungo il sentiero… Credo che ci saranno dei posti di blocco lungo la strada…”
“Come vuoi fare?”
Lui fermò il cavallo per pensare e poi le disse con un ghigno: “Tattica del cavallo di Troia!”
“Eh?” Lui le spiegò le sue intenzioni e lei scoppiò a ridere:
“E questa è una “tattica”? Allora non era una prima impressione: tu non sei normale… – e si eccitò con le stelline negli occhi – E’ di una semplicità impossibile! Mi piace!”
Si guardarono e capirono di essere fatti l’uno per l’altra: s’erano gasati per quella trovata assurda e ridacchiavano tutti felici mentre preparavano il cavallo… L’enorme mantello da cencioso fu fissato alla sella per formare una sorta coperta da viaggio; Nami rimase in groppa mentre Shanks si aggrappò alla pancia dell’animale, nascosto dal mantello pronto a spostarsi e ad assecondare ogni movimento del cavallo. Diede le istruzioni a Nami su come portare il passo e si avviarono per la strada: lui, appeso a testa all’ingiù alla pancia del cavallo, non faceva che pensare all’entusiasmo di quella ragazzina nel correre il rischio di stare allo scoperto; era completamente cotto e preoccupato: sarebbe scattato come una belva se solo avessero pensato di farle del male!
Camminarono così per un po’ quando una torcia si parò davanti al cavallo di Troia:
“Alt! Chi va là!”
“Buonasera… soldati…” – fece lei avvolta dal mantello del suo Rosso per dimostrare che era in viaggio.
I marines la guardarono e la riconobbero.
“Ehi… ma tu non sei quella cameriera che ha vinto i cinquecentomila berry ballando? – fece uno tutto contento e si rivolse al collega – Io c’ero… È stata fantastica!”
“Grazie…” – sorrise lei dolcemente.
“Dove stai andando?” – s’informò un superiore.
“Parto… devo tornare dalla mia famiglia: mi stanno aspettando…”
“E come te ne vai?”
“A cavallo!” – mostrò l’animale con un gesto della mano.
“Lo sai che in questa zona c’è la banda di Shanks il Rosso? Sono pirati pericolosissimi… non puoi andare da sola…”
“Ma non era stato catturato? – si stupì lei.
“Cosa?”
“Il Rosso è stato catturato…vero?” – fece preoccupata.
“Ma che dici ragazzina…”
“Beh… io mi sono messa in viaggio appunto perché ho ricevuto la notizia da Hudson, quello che sta sempre nell’osteria del bordello… – e si finse preoccupata – oddio… e se si è sbagliato?”
I marines la guardavano allibiti.
“Ero indecisa se partire o meno… poi sono arrivati John e David che volevano brindare perché avevano finito di pattugliare le strade: il Rosso è stato catturato… Infatti voi siete gli unici marines che ho incontrato… in città è tutto tranquillo… l’osteria è piena di pirati… - e sospirò – meno male che ho finito di lavorare con quei maniaci!” “E lo stato maggiore non ci diceva niente?” – si stupì uno.
“Forse non hanno fatto in tempo… da quando c’è quel tenente idiota… – fece un altro e tutti a scuotere la testa in segno di approvazione – Sai quando è stato preso?”
“Mah… di preciso no… però hanno detto che era appena giunta notizia della sua cattura quando sono venuti a brindare tutti felici…”
“Ma porca puttana! – sbottò uno di loro – sono due giorni che non torno a casa per trovare quel grandissimo pezzo di merda… e poi lo prendono e non ci dicono niente!! Quando torno, prima faccio un macello allo stato maggiore e poi vado nella cella di quel maledetto pirata e lo impicco con le sue budella!”
“Oh… ma quanto è grasso questo cavallo! – fece un altro, menando un pacca sul collo della bestia – ha una pancia enorme!” E lei tremò per il suo Rosso che sicuramente stava faticando una cifra a stare aggrappato a testa all’ingiù…
“Ho intenzione di fermarmi poco… deve essere robusto!” – E riprese:
“Ragazzi… scusate… ma io devo proseguire per arrivare nella città di Joke Town e imbarcarmi su una nave che mi porti dalle mie parti… sono già abbastanza in ritardo… sapete se troverò altri posti di blocco?”
“No… tutte le unità sono al villaggio dei pescatori… - riprese il brontolone del gruppo – sempre che loro non siano stati avvisati di già… – e si rivolse al collega – Non ce ne possiamo andare, vero?”
“No, dobbiamo aspettare l’ordine di smobilitazione del comando…”
“Ti pareva… – sbuffò l’altro. Poi guardò Nami e sorrise – Vabbè pupa… fa buon viaggio e torna a ballare per noi.”
“A presto…” – mandò loro un bacio e si riavviò lentamente come le aveva detto Shanks.
“Come va l’adrenalina?” – le chiese la pancia del cavallo dopo un po’.
“Insomma…”
“Accostati a quegli alberi sulla destra…” – non vedeva l’ora di togliersi da quella posizione: gli facevano male tutti i muscoli. Lei fece come gli aveva detto, si fermò e smontò con qualche difficoltà da cavallo, ma appena lui poggiò un piede a terra sentì dei passi e dovette aggrapparsi di nuovo.
“Ehi bellezza… - erano due dei marines di prima – perché ti sei fermata?”
Dalla voce, Shanks e Nami capirono che si trattava di guai… Lei cercò di mantenere la calma:
“Per fare pipì… ma non vedo come possa interessarvi…”
“Certo che ci interessa… - e sghignazzarono – visto che non dobbiamo più catturare il Rosso… abbiamo pensato di tenerti compagnia lungo il viaggio…”
“Preferisco viaggiare da sola… e poi non dovevate aspettare l’ordine di smobilitazione?”
“Certo… ma anche noi dobbiamo fare pipì…” – sghignazzarono, avvicinandosi.
Lei tirò fuori il bastone, pronta alla lotta, ma Shanks si lasciò cadere dalla sua posizione, rotolò verso di loro e li uccise, tagliandogli la gola senza emettere il minimo rumore sotto lo sguardo sconcertato di Nami che era rimasta immobile.
Lui ripulì il pugnale, lo reinserì nella gamba del pantalone, si girò verso di lei e le disse triste: “Mi dispiace… ora toccava a me!” Poi saltò in groppa all’animale, recuperò il mantello da cencioso, se lo mise sulle spalle e le tese la mano: “Dobbiamo scappare… tra poco verranno a cercarli e scopriranno tutto!” Lei lo guardò ancora sconvolta, rimise il bastone a posto e salì in groppa dietro di lui: “Adesso andiamo al galoppo: tieniti a me e cerca di assecondare i movimenti del cavallo, altrimenti cadi!”
E lei, tutta emozionata e ancora scossa dalla freddezza con cui lo aveva visto farli fuori, gli cinse la vita e appoggiò la testa sulla sua schiena, aspirando il suo odore in preda alla confusione; lui partì al galoppo come un invasato anche per non sentire i brividi che il suo tocco gli aveva messo nelle ossa. Erano completamente fuori di testa… Nami, abbracciata a lui, ne sentiva tutti i muscoli e il calore, cercando di non strofinargli il seno sulla schiena: non voleva fargli capire che le piaceva… Non riusciva ancora a dimenticare quell’orribile scena di lui che tagliava il collo ai due marines: era stata proprio truce… E stava male…
“E’ un assassino… come gli altri pirati…” – pensava mentre non riusciva ad accettare che le piacesse così tanto stare abbracciata ad un pirata che aveva ammazzato già decine marines in due giorni e cercava di conciliare il suo volto sorridente con quello minaccioso che aveva accompagnato la fine di quei due arrapati… Il cavallo era lanciatissimo e lei riusciva solo a premere il viso contro la schiena larga e calda di lui mentre le sue mani, arpionate ai fianchi di Shanks, ne sentivano il movimento dei muscoli: il galoppo era troppo forte per riuscire anche a non toccarsi, non strofinarsi… Con la testa appoggiata alla sua schiena e il cuore in subbuglio, spesso cedeva alla fortissima tentazione di lasciarsi andare e s’appoggiava completamente a lui spiazzandogli il cuore e togliendogli il fiato, cercando di non pensare che la dolcissima pressione che sentiva sulla schiena era il seno di lei…
E così anche Shanks, dalla sua, stava abbastanza male: sapeva cosa stava pensando Nami… Le aveva ideate tutte per non dover uccidere nessuno, aveva finanche messo in pericolo quella ragazzina fantastica con la trovata del cavallo di Troia… Ma non era servito a nulla: aveva già fatto troppe vittime tra pirati e marinai… Nami gli piaceva da morire e non voleva sembrarle un assassino… lei detestava i pirati… E ora l’aveva visto troncare, freddamente, altre due stupide, ma giovani vite.
“Che idioti… - pensava furioso tra se mentre lanciava il cavallo ad un ritmo impossibile – ma non potevano farsi le seghe invece di rompere le palle alla mia ragazza?”
Si accorse che avevano lasciato la strada solo quando lui rallentò il ritmo, tornando al passo. Lei si distaccò un po’ dalla sua schiena, creando un nuovo silenzio tra loro:
“Siamo arrivati?” – gli chiese per colmare quell’abisso. Capiva che lui si sentiva in colpa per quello che era successo.
“Quasi…” – rispose con un po’ d’affanno per l’emozione, la lunga galoppata e la tensione di averla delusa.
Lei rimase un po’ soprappensiero in silenzio, tornò a poggiargli la testa sulla schiena e gli disse:
“Grazie Shanks, mi hai salvata da uno stupro sicuro…” – e lo strinse un po’, facendogli bollire il sangue nelle vene. Lui tirò un sospiro di sollievo e rise, scaricando tutta la tensione:
“Mah… secondo me erano ubriachi… non si spiega sennò…”
“Cosa non si spiega?” – s’incazzò lei, pizzicandogli i fianchi.
“Ahia! Mi fai male…. Smettila mocciosa… non è colpa mia se il buio nasconde le tue “sgrazie” e i pervertiti ti cercano… – e ragionò, fingendosi sconvolto – erano proprio arrapati!”
“Sei una stupida triglia!” – gli lasciò la vita e gli diede una spinta, tutta incazzata.
All’improvviso lui smontò da cavallo. “Tu resta su! Con quella caviglia non servi a niente…” – e sghignazzò. “Smettila!!”
S’inoltrarono negli alberi per un po’ e poi lui le disse: “Ora dobbiamo proseguire a piedi per cinque minuti. Il cavallo lo lasciamo qui, tornerà da solo in città. Poggia le mani sulle mie spalle e calati, ti tengo io. Vedi di atterrare sul piede buono, se ne hai uno…” “Grrrhh!” – ringhiò lei e fece come le aveva detto.
Poggiò le mani sulle sue spalle e si lasciò scivolare contro di lui che la tratteneva per la vita… Shanks sentì ogni curva di lei e la poggiò per terra con delicatezza: costringendosi ad ignorare le immediate reazioni del suo corpo, concluse che alle finali di castità avrebbe incontrato il Papa.
“Oddio… oddio… mi ha stretta!” - pensava lei mentre cercava di non far piegare le ginocchia ora che era in piedi… Si mise a salutare il cavallo per non ricordarsi dell’ampiezza delle sue spalle, del calore del suo corpo e della forza del suo braccio; soprattutto non voleva pensare al languore e all’umidità che aveva addosso… All’improvviso Shanks si mise a fischiare come un merlo; a quel richiamo rispose un altro merlo e lui disse: “Seguimi, sono arrivati.”
Camminarono in fila per un po’ e arrivarono ad uno strapiombo non molto alto in cui finiva la vegetazione e incominciavano gli scogli. Lui le prese la mano e cominciarono a scendere: “Che bello! Mi tiene per mano!” - pensò tutta felice, godendosi la sua mano calda. Poi intravide un guscio di noce semi – nascosto e, per un attimo, temette che fosse quello il Vento dell’Est; scoppiò a ridere.
Shanks si fermò allarmato, si girò, la guardò e le chiese sconcertato: “Ma che fai? Ridi da sola?”
“E’ quello l’Uragano dell’Est?” – gli chiese con le lacrime agli occhi.
“Ma va… scema – replicò lui cominciando a ridere – è una lancia. – Scosse la testa – Tu non sei normale…” – e ripresero a camminare ridendo. - “E ridi piano, mocciosa…” Quando furono sulla lancia, una voce disse:
“Capo, ma che cazzo fischi a fare se poi le tue risate si sentono a miglia di distanza?

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 016.Il Vento dell'Est ***


016 – Il Vento dell’Est
Due omaccioni remavano silenziosamente e la lancia scivolava veloce sull’acqua; Nami non riusciva a vedere i loro volti e stringeva forte lo zaino, trattenendo quasi il respiro per non alterare i movimenti della barca.
Dopo una buona mezz’ora, uno dei due disse:
“Ci siamo!” - E ripropose la performance del merlo a cui qualcuno rispose.
Shanks le prese la mano in silenzio e l’aiutò a salire da qualche parte che lei non capì e che poi scoprì essere un portellone che dava direttamente nella stiva; qualcuno la prese e la issò su.
Uno ad uno salirono tutti; Shanks cominciò a camminare e tutti lo seguirono in silenzio. Alla fine arrivarono a prua che già le vele erano issate e la nave si muoveva in direzione Nord-Nord Ovest.
Sembrava una nave fantasma: non si sentiva un rumore o un bisbiglio, non una corda che tirasse o una bandiera che sventolasse; sembrava che non ci fosse nessuno.
Lui si allontanò avvolto nell’oscurità per ripresentarsi dopo cinque minuti.
“Vieni con me e non far rumore” – le bisbigliò in modo impercettibile.
Percorsero tutto il ponte ed entrarono in coperta. Alla fine di un lungo corridoio Shanks aprì l’ultima porta sulla destra e le diede il passo, cosa che lei apprezzò molto; entrarono in una cabina ben tenuta e zeppa di libri.
“Questa – bisbigliò sbrigativo lui – è la mia cabina: dormi qui. Non fare rumore per nessuna ragione al mondo: siamo circondati dalla marina… meno male che il cielo s’è coperto… Forse dovremo combattere! – sbuffò – Se dovesse succedere, chiuditi dentro e non aprire a nessuno fino a quando non torno io. Mi raccomando… non uscire per nessun motivo fino a quando non torno. Il bagno è lì.” – disse puntando l’indice a sinistra.
Andò verso un mobile, aprì un cassetto: prese un grosso coltello che sistemò nell’altra gamba del pantalone, un paio di pistole cariche che piazzò nella cintura e un lungo filo sottilissimo che intrecciò fra le dita.
Si girò verso Nami, lesse lo sconcerto nei suoi occhi e disse sorridendo: “Non si sa mai…” A
ndò verso la porta, prese la maniglia, si girò e le disse dolcemente:
“Buonanotte”.
Sparì.

Quella fu una notte molto lunga per l’equipaggio del Vento dell’Est.
Shanks riuscì a portare la nave fuori dalla rete che la marina aveva tessuto, piazzando strategicamente ben cinque navi a tre alberi e due piccole; il cielo l’aveva aiutato restando coperto e il vento rinforzava da Est favorendo la fuga.
Ormai era passata più di un’ora da quando aveva individuato l’ultima unità della marina e non se ne vedevano né sentivano altre, non una luce schermata, non un infrangersi di onde contro gli scafi… eppure non si sentiva tranquillo: il sangue non ancora tornava alla temperatura normale e non era tutta colpa di Nami…
“No, ora no! – si disse – non pensare a lei, resta concentrato che qua sennò finisce in una carneficina e muore pure lei…” – a quel pensiero si irrigidì per lo sconcerto; no, non poteva permetterlo…
Alzò la testa e sospirò. Nel mentre un piccolissimo spiraglio si aprì tra le nuvole e individuò l’alone di una vela a meno di mezzo miglio dalla prua del Vento dell’Est: gli si gelò il sangue. Dall’altezza e dalla posizione della vela intuì che doveva essere una nave ammiraglia messa lì come ultimo baluardo per impedirgli la fuga, era di traverso e di sicuro portava non meno di duecento marinai armati fino ai denti: a quella velocità il Vento dell’Est l’avrebbe speronata, affondando.
Non poteva passarle vicino, se ne sarebbero accorti e, avvisando le restanti navi, avrebbero lanciato un attacco massiccio e fatale.
“Ammainate le vele, tutta a babordo”. - Bisbigliò.
“Poveri ragazzi” - disse triste tra se pensando ai marinai dell’ammiraglia. Poi ordinò inflessibile:
“Priorità lumacofono. Nessun ferito, massimo silenzio.”
La nave scivolò a forza di inerzia per la restante distanza e si accostò dolcemente all’ammiraglia.
Sotto la coltre nera e cupa di un cielo prossimo alla tempesta, Shanks e i suoi uomini si riversarono come gatti sul ponte della nave della marina tagliando gole, trafiggendo petti, torcendo colli con una rapidità impressionante: seminavano morte come un gas velenoso. Non si sentì un gemito e nemmeno un lamento, non un colpo di pistola…
Nami guardava fuori dall’oblò aperto della cabina del suo nuovo capitano senza vedere né sentire nulla e pregò che andasse tutto bene.

Nell’aspettare il ritorno di Shanks si era stesa sul suo letto perché la febbre si era rialzata e la caviglia le faceva male; ripensava ai momenti passati con lui e a come si sentiva bene quando erano vicini…
Non si faceva illusioni: sapeva che in quel momento il suo Rosso stava seminando più morte della peste, ma non riusciva ad odiarlo, anzi…
“Non ci sono scuse… un uomo che ammazza un altro è un assassino” - aveva sempre pensato, però il suo Rosso…
“Se giri per il mondo, devi essere pronta a tutto! Come disse Rufy quel giorno: “la regola è rischiare la vita”; se non combatti, la vita la perdi e basta. Non deve essere stato facile per Shanks prendere la decisione di trucidarli: ma per passare di qui dobbiamo puntare sul fattore sorpresa altrimenti è la fine di tutto. E noi dobbiamo passare… dobbiamo ritrovare Rufy e gli altri…”
“E’ una questione di scelte… - continuò amareggiata, ma rassegnata – quando scegli di diventare pirata perché ti va di rischiare la vita e vivere l’avventura in libertà, scegli anche di diventare ladro e assassino. Puoi solo cercare di ridurre il danno limitando gli scontri ed evitando i combattimenti. Ci sono però delle battaglie che vanno combattute per forza…” – concluse al limite della veglia con il dubbio atroce che forse le riusciva facile perdonare quel pirata  semplicemente perché le piaceva… le piaceva da morire.
“Ti prego, Shanks, torna presto…” – e s’addormentò.

Si svegliò di soprassalto per un piccolo rumore: quella notte aveva il sonno leggero.
Vide Shanks seduto alla scrivania intento a tamponarsi il sangue di un taglio su una guancia con una garza: aveva passato il filo intorno al collo dell’ammiraglio… ma quello era un tipo tosto e con le ultime forze aveva cercato di piazzargli un coltello nell’occhio. Per fortuna era riuscito a schivarlo, ma di tutto questo non disse nulla a Nami e lei non glielo chiese.
Lei si alzò di scatto, gli corse incontro col cuore in gola e restò in piedi ad osservarlo.
“Come va la caviglia?” – le chiese mentre lei gli prendeva il tampone dalla mano e lo applicava con delicatezza sulla guancia poco sotto quelle tre cicatrici molto sexy…
“Mi fa un po’ male… ma non è niente…” – rispose, sperando di non scoprire altre ferite.
“Cos’è, io combatto e tu dormi? Bella vita quella delle donne! Se rinasco, voglio cambiare sesso…” - scherzò, sforzandosi di sorridere nonostante avesse un blocco allo stomaco per tutti quei morti.
Lei intuì il suo dolore e non disse niente: aveva il cuore grosso e un nodo in gola, non voleva vederlo triste, non era da lui; non sapeva che dirgli per aiutarlo e si sentiva inutile.
“Grazie, infermiera… - sorrise triste, alzandosi dalla sedia – torna a dormire, è stata una giornata molto lunga. Buonanotte”. Si avviò verso la porta e l’aprì.
“Shanks!” – lo chiamò lei in quel modo che gli metteva i brividi.
Lo raggiunse, gli mise una mano sulla guancia ferita e lo baciò sull’altra:
“Buonanotte.”
Chiuse la porta dietro di lui tutta emozionata.
Restarono appoggiati a quella porta a lungo…

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 017.Vita di mare ***


017 – Vita di mare
Dopo aver passato una buona mezz’ora con la fronte appoggiata alla porta della sua cabina, respirando a malapena e cercando di dominare il tumulto che aveva nel cuore, Shanks il Rosso si avviò lentamente verso la prua.
Oramai il pericolo era passato e le vele sfruttavano ogni sussurro del vento da cui la nave prendeva il nome.
Il bacio di Nami non aveva che peggiorato il suo stato d’animo già abbastanza tormentato.
Aveva provato a fare una scommessa con se stesso: “cerca di non ammazzare nessuno per una settimana intera”… non gli era stato possibile vincerla!
“Per mare si incontra un numero impressionante di imbecilli! – considerava con una certa rabbia tra se – non sanno quando è il caso di lottare e quando è inutile… – poi continuò amareggiato – la conosco da meno di tre giorni e mi ha già visto fare una carneficina… si vede che odia i pirati e fa bene!”
Però lui… non aveva mai avuto nessun dubbio sul suo destino: lo aveva capito fin da quando era alto come un soldo di cacio che avrebbe fatto il pirata. Aveva il sangue caldo e detestava i muri, le case, le strade… amava solo il mare, il sakè… e ora anche Nami.
Sospirò… “Ma da quando mi lascio sconvolgere dal bacio della buonanotte di una ragazzina? – si schernì. - Mi sto rincoglionendo…”
Poi gli tornarono alla mente gli attimi passati dietro la porta lottando con se stesso per non sfondarla, tornare dentro e tenerla sveglia per le successive 24 ore facendola urlare fino a farle seccare la gola. Lei non lo sapeva, ma aveva corso un rischio! Lui aveva il sangue caldo in tutti i sensi e nemmeno con il combattimento aveva scaricato l’adrenalina.
La stanchezza si faceva sentire e andò a coricarsi al suo posto preferito: il castello di prua; con la testa poggiata su un rotolo di corda si addormentò sotto lo sguardo vigile della Stella Polare.

Lo svegliò il rumore di un’onda anomala contro lo scafo e si accorse che stava spuntando l’alba; si mise a sedere e accolse la mattina con un gran sorriso come se il sole nascente avesse cancellato tutti i turbamenti della sera precedente e il vento gli portasse nuova energia.
Aveva dormito pochissime ore, ma si sentiva abbastanza riposato e tanto felice.
Cominciò un’altra giornata a bordo del Vento dell’Est e Ben Beckman, che aveva già fumato tre sigarette, raggiunse il capitano a prua: “’giorno Shanks!” – farfugliò, masticando un po’ di tabacco mentre se ne preparava un’altra.
“Buongiorno a te! – rispose allegro il capitano – dormito bene? Mhm! Mi stai facendo venir voglia di una sigaretta…” – disse, guardando il suo amico che rullava…
“Tieni… - gliela porse con la scatola dei fiammiferi – ma non sono certo io che ti faccio venir voglia di una sigaretta…” – aggiunse, pungendolo nel vivo come solo lui sapeva fare.
Shanks si accese la sigaretta, gli restituì i fiammiferi, chiuse gli occhi, aspirò profondamente il fumo e lo sbuffò via sorridendo: “E’ vero… Ma per me sei solo un amico, mi dispiace ma non sei il mio tipo…” – disse ridendo.
“Lo so…” – rispose Ben con fare triste, masticando e fumando tabacco senza guardarlo.
Rimasero un po’ in silenzio a fumare e a guardare il mare, intrattenendo un dialogo muto fatto di intuito e di affiatamento che anni di navigazione insieme avevano cementato.
“Tanti auguri capitano… - concluse Ben, spegnendo la sigaretta col piede – ti informo che sei innamorato.”
E se ne andò a svegliare il resto dell’equipaggio.

Oramai tutti sulla nave sapevano che c’era una donna a bordo e che era pure molto carina: cominciavano a scalpitare e, approfittando del fatto che Nami dormisse ancora, Shanks li aveva convocati in sala pranzo per prendere il caffè e fare due chiacchiere. Uno ad uno si riunirono nel salone, presero il caffè, si accomodarono come solo i pirati sanno fare e attesero che il loro capo cominciasse a parlare. Shanks era in piedi davanti ad un grosso oblò che dava sul ponte e fissava il mare, cercando le parole per dire quello che doveva e non far trapelare quello che provava.
“Capo, ci siamo tutti…” – fece Yassop impaziente.
“Quando si tratta di donne avete sempre fretta, eh?” – scherzò senza girarsi.
Risero tutti tranne Ben: solo lui intuiva cosa provava il suo migliore amico.
“E scherza……è il solito!” - sorrise tra se.
“Datevi una calmata, branco di arrapati! - cominciò – non so cosa vi abbiano detto, ma è una ragazzina, non ha nemmeno vent’anni…”
“E che ti frega?? Basta che ha tutto quello che serve!!” – ribatté una voce. E di nuovo risate.
“Ehi capo, non so tu, ma per me a quindici anni è femmina!!” – fece un altro e giù commenti irripetibili che graffiavano l’anima innamorata di Shanks, martire silenzioso dei suoi uomini.
“Grazie capo… - se ne uscì Johnathan, uno dei più giovani della ciurma, venerandolo con le mani giunte e suscitando l’ilarità di tutti, Shanks incluso – Lo sapevo che eri il migliore, la mia guida… pensi proprio a tutto! – e fece finta di mettersi a piangere commosso – Non posso esprimere un desiderio e tu subito me lo esaudisci... grazie, grazie… ti seguirò ovunque…”
“E smettila… - rideva – è una navigatrice, non una sgualdrina…”
A quelle parole cominciarono a venerarlo sul serio:
“E vai!! Finalmente anche le donne in questa ciurma!! SIIII!!”
“Cos’è sentivate la mancanza di un navigatore?”
“Non te la prendere capo… come navigatore nulla da ridire, ma a tette stai messo male!!” – e ancora risate.
“Dai capo… – fece un altro – sei bellissimo, ma ti manca qualcosa… Diciamo che non sei il mio tipo!!” – e giù a crepapelle.
“E me lo dici adesso, dopo tutti questi anni insieme? E’ per i miei capelli? Non ti piace il colore? Se vuoi, lo cambio… mi faccio biondo.... Mh… Statemi a sentire… - cambiò tono – dico sul serio: è una ragazzina e poi ha avuto una brutta avventura e non sta molto bene… l’ho incontrata a Jolly Town che cercava i suoi amici pirati. Le ho promesso che l’avrei aiutata così dopo, tutti insieme, faremo una grandissima festa…” – disse convinto.
“Sìììì!!” – urlò la ciurma.
“Questo vuol dire – riprese il capitano quando le urla si calmarono – che lei resterà a bordo per un po’ anche se non so quanto” – deludendo quelli che speravano di ampliare gli arruolamenti alle donne.
Poi li guardò con decisione uno per uno e disse:
“Ho una richiesta da farvi… – iniziò serio - Lei… è molto bella – disse, sforzandosi di mantenere un tono normale – e molto giovane. Non ama i pirati anzi ci odia con tutta se stessa nonostante sia membro di una ciurma: credo che Arlong il pesce sega le abbia giocato un brutto tiro quando era piccola e pensa che siamo tutti una massa di assassini, stupratori, ladri e chi più ne ha ne metta. Non scherzo se vi dico che non ci può vedere… E voi vi chiederete perché l’ho portata a bordo e perché ha accettato: non lo so… - ammise, ammutolendoli tutti – forse perché si sente un po’ sola da quando ha perso di vista i suoi, forse perché ne ha passate tante e… - finì di parlare visto che stava per dire “forse perché ho perso la testa per lei…”
Poi riprese: - Comunque cerchiamo di essere gentili con lei – continuò, misurando le parole per non implorarli – e facciamola sentire del gruppo. Se possibile, non saltiamole addosso e rispettiamo la sua intimità. Evitiamo scenette del tipo: “Ops! Mi sono sbagliato non è questa la mia cabina!!” – mentre tutti ridevano – “Oh cielo! Ma ci sei tu qui? E da quando?” – e ancora risate – “Ehi tesoro ti porto la colazione in camera… da letto” o ancora “Ti lavo io la schiena o ti spalmo la crema solare…” – aggiunse mentre i suoi uomini finivano di ridere – Per piacere… vi chiedo solo un po’ di dignità e di… galanteria. Fino a quando resterà qui è meglio evitare di girare nudi o mezzo nudi, di sputare, bestemmiare, smadonnare, di fare gli arrapati; togliamo di mezzo i pornazzi e diamoci una ripulita!” - E li guardò schifato: “Che schifo che fate… – ragionò ad alta voce mentre tutti lo mandavano a fanculo e gli rispondevano a tono.
Quando smisero di dire cazzate, lui riprese serio: "Nami è molto carina, ma anche molto ragazzina… Cerchiamo di non spogliarla con gli occhi e dimentichiamoci di farlo con le mani… Proviamo a fare i papà! – e i suoi ridevano – Yassop ci darà una mano… Non ha altri abiti al di fuori di quello che ha addosso: quanto prima ci fermiamo in un mercato e le faccio fare spese; ma per ora si veste per modo di dire, i panni glieli ha forniti un bordello… - poi aggiunse, misurando la voce: - Ragazzi, non ve lo devo dire io: le donne sono diverse da noi. E poi lei è piccola, una mocciosa ed è molto vulnerabile in questo periodo… Perciò proteggiamola, facciamo che cambi idea sui pirati e che le resti un buon ricordo di noi quando se ne tornerà dai suoi. Grazie.” – concluse con un nodo in gola. “Ragazzi non ce la faccio a continuare… sparatemi vi prego!” – avrebbe voluto aggiungere, ma non ce ne fu bisogno: tutti avevano avvertito la sua sofferenza e ne rimasero sconvolti. Per la prima volta da quando lo conoscevano, Shanks il Rosso stava chiedendo loro qualcosa: di rispettare i suoi sentimenti per quella ragazza… “Lo farò senz’altro!” - decise ognuno dentro di se.

Nami ci mise parecchio prima di svegliarsi completamente. Nel sonno pesante e leggero della mattina aveva sentito delle urla in lontananza, ma non era riuscita a tornare al presente. Sentiva la morbidezza del cuscino e stava troppo comoda in quel letto che aveva un profumo che le piaceva tanto…
“Ah, ecco!! – disse sbarrando gli occhi mentre il cuore subiva un’accelerata e diffondeva forza e calore a tutto il corpo – è il profumo di Shanks!!” – esclamò, immergendo il viso nel cuscino, aspirando e baciando quella massa di piume che non gli somigliava per niente e che la lasciò fortemente insoddisfatta.
Poi si guardò intorno e osservò la cabina, soffermandosi sulla porta dove lo aveva baciato…
“Oddio, come ho potuto? – si disse rossa in volto, ricordandosi della sua guancia morbida, della pelle fredda di chi è stato all’aperto, della barba che le aveva graffiato il mento e punto le labbra e dei suoi capelli che le avevano sfiorato la fronte. E poi il suo profumo…
Abbracciò il cuscino in preda alla passione più cocente che avesse mai provato e si buttò nel letto colta da un nuovo languore che le scioglieva le ossa.
Poi il respiro le si fermò quando le tornò in mente la sensazione che lui avesse tremato quando lo aveva baciato… “No, ero io quella che tremava… però se così fosse…”
L’idea che quello splendido pirata potesse provare anche un solo brivido per lei la stese.
Rimase a guardare il soffitto della cabina del suo nuovo e bellissimo capitano con il cuscino stretto fra le braccia e la bocca aperta, aspettando che i battiti del suo cuore tornassero regolari.
Quando le sembrò di aver recuperato un minimo di normalità, si alzò e si lavò cambiandosi con una mini, mini a ancora mini gonna e una canottiera lisa e corta che mostravano tutto.
Chiamarli vestiti era esagerato… però così Shanks l’avrebbe guardata… almeno un po’: tremava all’idea che lui potesse guardarle il seno o le gambe come gli altri pirati…
“Però se è uomo, e lo è, lo farà, deve farlo…”
Per distrarsi dai continui pensieri peccaminosi che il Rosso le ispirava, decise di sistemare alcune cose, rifare il letto e lavare quei quattro cenci che aveva con sé.
Andò al cassetto che Shanks aveva aperto la sera prima e prese il filo rimasto per farci uno stendino per i panni: pensava che vi avrebbe trovato altre armi e invece c’erano alcune penne, una bussola vecchissima e un piccolo ritratto di donna dai capelli color fuoco che gli somigliava tantissimo. Senza alcun dubbio era sua madre… avevano lo stesso sguardo sincero e dolce… Poi notò qualcosa che le fece fermare il cuore: sotto al ritratto c’era il manifesto da ricercato di Rufy.
“Come mai ce l’ha?” – s’insospettì e quasi si sentì mancare. “Ma non può essere un cacciatore di taglie! E’ un pirata!!” – si disse senza riuscire comunque a spiegarsi quel manifesto che lui conservava insieme al ritratto di sua madre…
Sentì un rumore sul ponte e pensò fosse lui: “Magari s’incazza se sa che ho frugato nel suo cassetto… - si morse un labbro a quella prospettiva e rimise tutto a posto senza riuscire a stendere i suoi cenci e senza vedere cos’altro ci fosse nel cassetto.
Uscì dalla cabina e si diresse verso quello che sembrava il ponte, da cui proveniva la luce e arrivò a prua cercando con gli occhi il suo Rosso.
“Ciao, Nami” – fece una voce. Si voltò e riconobbe il grassone del tavolo 12.
“Ciao” – gli sorrise quando si accorse che già a quell’ora del mattino aveva un cosciotto di pollo (?) in mano. “Dormito bene?” – s’informò lui, affaccendandosi intorno a delle cime.
“Molto bene” – e intanto cercava il modo di chiedergli di Shanks senza dare nell’occhio.
“A proposito… Sei stata fantastica l’altra sera, hai ballato benissimo, te li sei meritati tutti quei soldi…” – si complimentò.
In quel momento giunsero Ben e Yassop che parlottavano fra loro: era stato Ben ad aiutarla a salire sulla nave di notte, ma lei non l’aveva visto, era troppo buio…
Lui la guardò… era davvero bella alla luce del sole: capiva tutto il turbamento di Shanks.
“Ciao, Nami… - fece Yassop – come stai? E’ bello rivederti, sono felice che viaggerai con noi. Una di queste sere devi ballare per noi: sei un talento! Ah, ti presento il vice comandante: Ben Beckman.”
“Piacere di conoscerti, Nami” – fece lui biascicando tra il tabacco che masticava e quello che fumava, osservandola attentamente.
“Piacere mio, Ben…” – rispose lei, cercando di capire perché la guardasse così.
“Ehi ragazzina, ce l’hai fatta a svegliarti! – sghignazzò Shanks andando verso di lei – Non sei mica su una nave da crociera!!”
“Non ti preoccupare, si vede… - ribatté lei con il cuore in festa – nessuno partirebbe per le crociere se fossi tu il comandante… Perché facciamo rotta verso Sud adesso?” – gli chiese.
Lo sconcerto fu generale.
“Ehi… questa ti fa il pelo e il contropelo…” – commentò Lucky.
“Niente di speciale per un navigatore con un minimo di esperienza” – ribatté lei.
Shanks rimase colpito dalla sua sicurezza, ma non lo diede a vedere.
“Dobbiamo fermarci su un’isoletta che ultimamente è stata la nostra base per prendere tutto l’occorrente per il grande viaggio… ci arriveremo verso sera.”
Desiderava restare solo con lei, ma capiva che era meglio rimanere in gruppo per limitare le occasioni…
“Shanks!! Mostrale la nave se vuoi, qua resto io….” – fece Ben noncurante.
A Shanks esplose il cuore in gola.
“Sei un vero bastardo, me lo fai apposta??” – pensò tra se maledicendolo.
“Ti va?” – chiese a Nami che non desiderava altro che restare sola con lui.
Felicissima, assentì con un cenno del capo.
Passarono la restante parte della mattinata a visitare la nave, sfottendosi a vicenda e ridendo come pazzi, ubriachi l’uno dell’altra e senza mai toccarsi, inconsapevoli delle occhiate divertite dell’equipaggio del Vento dell’Est che, per la prima volta, vedeva il suo capitano innamorato.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 018.Sakè e... ***


018 – Sakè e…

Arrivarono sull’isola che ormai era passato il tramonto.
Nel pomeriggio Nami era tornata a letto perché la caviglia le dava problemi e perché quella mattinata di risate con il Rosso l’aveva sfiancata.
Il Rosso, d’altro canto, non se la passava meglio… era distrutto per il continuo stato di eccitazione, ma certo non poteva dormire: aveva molto da fare per preparare il grande viaggio.
Per la fretta di arrivare all’isola nessuno, tranne Lucky Roux, fece la pausa pranzo: la sera ci sarebbe stato un festone per la nuova arrivata.
Quando arrivò l’ora della cena, tutti si riunirono intorno al fuoco: i barili di birra e il sakè avevano già conquistato le prime file, ospiti speciali di qualsiasi riunione della banda di Shanks il Rosso.
“Accidenti – pensava lei – ma guarda che pirati casinisti! E’ vero che sono nuova… ma secondo me non c’è una serata in cui non festeggiano, c’è sempre una buona ragione per imbottirsi di sakè!” – rifletteva mentre guardava il suo Rosso ridere e divertirsi con i suoi amici.
“Ah! E’ bellissimo… - pensava, mordendosi e torturandosi le labbra – è sempre di buon umore… È così allegro… - diceva, perdendosi nella sua risata - è splendido quando ride: stira le labbra e gli si fanno quelle piccolissime rughe vicino agli occhi… e poi… ha un culo…”
Tutto di Shanks il Rosso cominciava ad apparirle estremamente erotico.
Seduto a terra con le gambe incrociate, beveva e brindava con i suoi amici mentre lei moriva ogni volta che la bocca di lui toccava il bicchiere, ogni volta che mordeva un cosciotto come quelli che mangiava Lucky, per i bagliori che il fuoco spandeva sulla sua pelle, per i suoi gesti e la sua risata così spontanei eppure così studiati… studiati per farla impazzire.
Si muoveva e parlava con estrema disinvoltura, si comportava spesso da bimbetto ingordo e idiota, faceva scherzi e diceva cazzate, sempre perfettamente consapevole della sua sensualità. Avvertiva che c’era un dialogo muto tra loro, un dialogo fatto di gesti, di sguardi sfuggenti e indifferenti, di luci ed ombre che riflettevano i chiaro-scuri della sua anima e del suo corpo, intrappolati dal fascino e dalla sensualità di un uomo il cui carisma si avvertiva a decine di metri di distanza e che, anche ubriaco, restava il perno, il punto di riferimento di una ciurma intera.
Lo guardava e lo riguardava, non si saziava mai, non le bastava mai: non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, si ubriaca del rosso caldo e avvolgente dei suoi capelli esaltato dalle fiamme del fuoco allegro che gli scoppiettava davanti, delle ombre tracciate dal suo corpo muscoloso, delle pieghe della sua camicia, dai suoi occhi scintillanti che non si posavano mai su di lei eppure non la perdevano di vista.
Non sapeva se desiderare di essere guardata a sua volta oppure ignorata… viveva sulle spine e nel terrore che lui potesse girarsi all’improvviso e sorprenderla a fissarlo con l’espressione di un merluzzo avariato che, purtroppo, non riusciva a contenersi: era così bello da mozzarle il fiato.
Esalava sesso e ancora sesso da tutti i pori, non riusciva a pensare ad altro che ad attaccarsi alla sua bocca percorrendo ogni piega di quel malefico corpo muscoloso e pieno di cicatrici che pareva le dicesse: “scopami, scopami, scopami”!
E la sua mente impregnata di estrogeni le proiettava l’immagine di lei che si alzava, lo raggiungeva con calma misurata, gli si spogliava davanti, gli si accovacciava addosso e se lo strusciava per tutta la notte con il suo corpo fra le gambe spalancate il suo volto fra i seni.
Ma i suoi sconci pensieri furono interrotti da Lucky che già da un po’ la chiamava senza ottenere risposta.
“Nami! Che fai, dormi? – le disse con la voce impastata – Avanti… ora sei della ciurma e non puoi essere astemia… giusto idiota?”

“Cosa?” – chiese Shanks con fare distratto anche aveva sentito tutto; non smetteva mai di osservarla tanto che se lei avesse fatto un respiro irregolare, lui lo avrebbe saputo prima.
“Ho detto: possiamo accettare qualcuno nella nostra ciurma se non beve?”
“Eh no…” – rispose il capitano convinto.
“E allora vai col sakè!” – urlò Lucky versandone un bel bicchiere a Nami che lo guardava perplessa.
“Ma è una mocciosa… - iniziò Shanks – non può bere alla sua età: il sakè non è acqua… non lo regge!! Yassop ti ricordi se c’è un po’ di latte in cucina?” – stava già contando i secondi, non più di tre, in cui lei avrebbe reagito.
“Fondo bianco!” – lo sfidò con uno sguardo che gli mise il fuoco nelle vene.
“Ohh! Fondo bianco!” – la rifece uno e tutti a ridere.
“Nami – iniziò Lucky con l’espressione del maestro – Beata gioventù incosciente… ma lo sai che stai sfidando il guardiano e sommo sacerdote del dio sakè? Guarda che lui è oltre il fondo bianco… è in uno stadio superiore… - e tutti a ridere. – Quella fase l’ha superata da tempo… Ora vive in un mondo in cui non ci sono buoni e cattivi, ma solo ubriachi…” – e anche Shanks rideva.
“Lui non conosce altre unità di misura che il barile e la botte di sakè. Per esempio senti che risponde ora: quanto pesa il Vento dell’Est?” – mentre tutti stavano soffocando con le lacrime agli occhi.
“Tremilacinquecentoventitre barili!!” – fece lui pronto.
“Lo vedi? – le chiese Lucky convinto – E’ un’autorità in fatto di sakè: una sera, per la ciuca forte, si è messo a convertire la stazza della nave in barili di sakè… - disse, ridendo – e il giorno dopo s’aspettava pure che gli facessimo i complimenti…” – e tutti esplosero in un boato mentre Shanks, con la mano in faccia, si vergognava da morire di quegli altarini che certo non gli davano l’aria del bel tenebroso…
Lei lo osservava rapita. Aveva le guance rosse e gli occhi lucidi: adesso che era imbarazzato era ancora più bello, le veniva voglia di saltargli addosso, però non voleva ritirare la sfida. Ripeté ancora più spavalda:
“Fondo bianco!”
“Non hai speranze… nanetta!” – le rispose lui e, nell’euforia generale, diede il via alla gara trangugiando il suo bicchiere di sakè come fosse acqua di fonte.
“Ma non puoi accettare la sua sfida! – protestò Lucky, convinto fosse una lotta impari – almeno fissate delle tappe con un numero fisso di bicchieri! – disse a Nami – guarda che quello non conosce la parola fine se non è qualcun altro a dirla!! Facciamo dieci bicchieri e vediamo se ci arrivi…” – propose e lei accettò.
Quando venne il suo turno si fece silenzio e lei, che aveva già un suo passato da spugna, impiegò pochissimo a prosciugare tutto d’un fiato quel quarto di litro di alcol con grande stupore da parte della ciurma.
Anche Shanks rimase colpito, ma non lo diede a vedere, impegnato com’era a finire il suo secondo bicchiere della sfida e dodicesimo dell’intera serata.
Arrivarono senza nessuna difficoltà al decimo bicchiere mentre un silenzio ammirato circondava Nami e le sue prodezze alcoliche.
Shanks, già sull’alticcio andante, la guardava e se la mangiava con gli occhi: lei beveva e rivoli di sakè le scivolavano sul collo e finivano nel solco del seno; aveva la lava nelle vene e non riusciva a pensare ad altro che a far l’amore con lei dopo averle leccato via tutto il sakè di dosso…
Il limite della gara fu elevato a venti bicchieri.
A turno bevevano, fissandosi al di sopra del bordo del bicchiere e mangiandosi con gli occhi mentre l’alcol uccideva anche gli ultimi rimasugli di inibizioni e paure… avrebbero dato qualunque cosa per essere il bicchiere dell’altro e stavano letteralmente impazzendo dalla voglia di fare l’amore anche lì davanti a tutti.
Nami non ce la faceva più, ma non voleva cedere: era stata lei a lanciare la sfida e comunque s’aspettava almeno che Shanks rallentasse il ritmo… E invece lui era fresco e riposato come se fosse agli inizi: si rendeva conto che non poteva proprio competere…
E così, suo malgrado, dovette dichiararsi satura al diciottesimo, sancendo la vittoria scontata di lui che non provava nemmeno gloria: aveva battuto una ragazzina!!
“E’ la donna ideale per Shanks! – pensò ognuno dentro se – beve quanto lui!”
“Benvenuta, Nami!!” – le urlò l’equipaggio del Vento dell’Est, accogliendo quella nuova spugna.

 

Shanks stava cercando di farsi passare quella sbronza della gara con Nami: non aveva bevuto tanto e, disteso a pancia all’aria sulla spiaggia, guardava le stelle di una splendida notte d’estate.
Pensava a lei e a quel sakè che aveva addosso…
“Magari è evaporato – pensava con la gola secca e i fremiti – ma la sua pelle ne conserverà ancora il sapore… - e si torturava ad immaginare quei rivoli fra i suoi seni e a cosa ne avrebbe fatto volentieri lui.
Bel modo - si disse – di bere il sakè…”
Perso in quei pensieri impuri, si stava addormentando sotto una luna estremamente luminosa quando fu riportato alla realtà da alcuni colpi di tosse, poco lontani da lui. Si alzò di scatto, improvvisamente sobrio, e andò in direzione dei rumori.
Trovò la sua sbronzissima ragazza che vomitava pure l’anima sul bagnasciuga: stava quasi affogando.
La osservò divertito ed eccitato. Era in ginocchio con la faccia immersa nell’acqua che cercava di lavarsi…
All’improvviso cadde completamente in mare e sarebbe morta annegata se Shanks, ridendo come un pazzo, non l’avesse ripresa e portata all’asciutto.
Era svenuta…
“E’ proprio una mocciosa: un goccio di sakè ed è svenuta sbronza…”
Respirava a malapena e aveva la bocca semiaperta, i capelli bagnati e scomposti, i vestiti zuppi e tutti attaccati addosso: si vedeva tutto…
Shanks fu assalito dal desiderio: non voleva guardarla, ma non poteva… non era più padrone dei suoi occhi… e della sua mano…
E allora prese a toccarla dolcemente: iniziò dai capelli che scostò dal viso e fermò dietro l’orecchio, poi scese per la guancia e si fermò alla bocca.
“Se la bacio – pensava, ridacchiando – la mia lingua le finisce tra le tonsille: le faccio una pulizia degna di un dentista…” – concluse, scuotendo la testa.
Avrebbe voluto fermarsi al viso di lei e indugiò sulle sue labbra, ma aveva troppa voglia di toccarla e di nuovo la sua mano sfuggì al controllo…
Con un dito, fece lo stesso percorso dei rivoli di sakè di qualche ora prima.
Dalla bocca cominciò il suo tour sul mento e poi giù, lentamente, per il collo proseguendo imperterrito, e sempre più eccitato, fino a quando glielo permise la scollatura della canottiera.
Così infilò le dita nel solco del seno, percorrendo quelle pieghe sconosciute, bagnate, calde, morbide… dovette mordersi un labbro per evitare di urlare e di strapparle i vestiti di dosso.
Era senza reggiseno e la canottiera, cortissima già di suo, si era leggermente alzata mentre l’aveva riportata all’asciutto… Shanks fece il resto.
Non poteva proseguire dalla scollatura… e la mano non gli apparteneva più oramai: s’infilò nella canottiera da sotto e le accarezzò il ventre e poi il busto fino a bloccarsi davanti a quelle meraviglie che ondeggiavano l ritmo del respiro di lei…
Si sentiva male…
“Fermati qui…” – diceva alla sua mano, ma senza crederci davvero.
Le sfiorò il seno sinistro con la punta delle dita pigiando un po’ e accorgendosi che erano sodi proprio come apparivano… In preda al testosterone raggiunse pianissimo il capezzolo prendendolo fra l’indice e il medio e sentendo che stava per venire…
Lei si mosse un po’ e lui la lasciò immediatamente, guardandola arrapato come mai nella sua vita.
Poi i suoi occhi ribelli fissarono le sue gambe nude e gli venne da piangere per tutta quella meraviglia in esposizione: erano bagnate e lucide sotto una luna da lupi mannari…
E cominciò a toccarle la caviglia slogata e sempre viola, ma in via di guarigione: poi continuò a salire su godendosi i suoi muscoli e la pelle liscia dai riflessi d’argento.
Si fermò ad accarezzare la rotula cercando di dominarsi per non andare oltre… Non ci riuscì…
Riprese la sua marcia verso il peccato sulla coscia di lei, spostandosi verso l’interno e infilando la mano nel piccolo spazio che la sua posizione di ragazzina addormentata gli concedeva.
Oramai la perlustrava sotto la gonna e vicino all’inguine…
Sentì una leggera peluria sotto i polpastrelli e trasse un profondo sospiro per non gemere e quando toccò il tessuto delle mutandine, si sentì rabbrividire e mancare…
“Non posso… ma che cazzo sto facendo?” – si chiese incredulo mentre ritirava lentamente la mano, incontrando una strana giarrettiera.
Curioso, sollevò di poco la gonna:
“Il bastone… - sorrise tra se, pensando che adesso se lo meritava ripetutamente sulla testa – mi sono comportato come quell’idiota che ho ammazzato: la sto toccando mentre dorme, che schifo che faccio… sono un maniaco! – si disse senza riuscire a smettere di tenerle la mano fra le cosce. – Oltre che ladro e assassino, sto diventando pure stupratore di ragazzine: il massimo della feccia dell’umanità… il più grande arrapato dei sette mari! – poi pensò, continuando a toccarla – Nami, svegliati e dimmi che ti piace… non la smetto più… apri gli occhi e dimmi che posso sfilarti le mutande… dimmi solo un “sì”, al resto ci penso io…” – si sentiva sull’orlo della follia e non riusciva più a contenere l’eccitazione.
Poi chiuse gli occhi… Era sempre riuscito a controllarsi, non perdeva mai la calma, nemmeno quando gliela buttavano in faccia. Se c’era una cosa che detestava, era lo stupro, non gli era mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello: il rispetto delle donne era sacro, ma…
Mai aveva avuto tanta voglia…
“Perché con lei è diverso? – si chiedeva mentre continuava a godersi quel contatto morbido e caldo, impedendosi di perlustrare luoghi più nascosti e mai così tanto desiderati. – Perché non riesco a controllarmi?”
Nel timore che lei potesse svegliarsi all’improvviso e sorprenderlo in un atteggiamento che non avrebbe avuto scuse, fece scivolare via la mano dalle sue cosce e mentalmente ringraziò il mostro marino che gli aveva tolto il braccio sinistro:
“Non potrei controllare anche l’altro…” – si disse con la gola secca.
Chiuse gli occhi e sospirò.
La prese in braccio, la strinse a se immergendo il viso nel suo corpo morbido e caldo e la riportò nella sua tenda, mentre tutti gli altri dormivano.
La stese sull’amaca e la guardò a lungo dormire, lottando con se stesso per non baciarla.
“E’ meglio se me ne vado…” - si convinse.
“Buonanotte, mocciosa…” – pensò sorridendo, tornando in spiaggia.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 019.Terra ***


019 – Terra

Un mal di testa di quei livelli proprio non se l’aspettava.
Distesa sull’amaca della sua tenda, un po’ lontana dagli altri, fissava davanti a se con un’espressione inebetita e languiva in preda al pulsare selvaggio delle sue tempie.
Ricordava pochissimo della sera precedente: la gara, il sapore del sakè… e lui.
Il cuore cominciò a farsi sentire nel petto acutizzando, se possibile, il dolore e diffondendo una vampata di calore in tutto il corpo.
Era stata eccitata per tutta la sera: ricordava di aver pensato solo a come spogliarlo, dove toccarlo, quanto baciarlo… Adesso ricordava anche quella grandiosa vomitata sul bagnasciuga e poi niente più…
“E allora com’è che sono qui?” – si chiese mentre le si insinuò l’atroce dubbio che qualcuno l’avesse vista, riportata nella tenda e magari l’avesse riferito a Shanks, procurandogli sei mesi di materiale per prenderla in giro.
“Se sa che ho vomitato tutto, non mi lascia più in pace con la storia della mocciosa…” – si disse alzandosi e sentendosi comunque felice alla prospettiva che lui la sfottesse.
Era in piedi e si sforzava di trovare il baricentro, guardando per terra e fissando le sue gambe che le ricordavano qualcosa…
Poi arrossì: aveva fatto un sogno molto erotico in cui Shanks certo non aveva fatto da spettatore e di cui adesso ricordava quasi tutto… si eccitò di nuovo.
“E basta… – si disse con le ginocchia tremanti e il passo incerto, persa nei languori – la devo smettere di pensare a lui e di eccitarmi anche quando mi saluta… È un pirata e se sa che mi fa sangue, mi salta addosso… - sospirò – magari…”
Cercò uno specchio: aveva bisogno di accertarsi delle sue condizioni estetiche prima di tornare in mezzo agli altri e non sembrare una ciabatta, ma di specchi neanche l’ombra…
Nella tenda entrava una luce forte e perpendicolare: doveva essere più o meno mezzogiorno e si sentiva qualche voce un po’ distante.
“Saranno in spiaggia…” – pensò agitata, contando i secondi che mancavano per rivedere il Rosso.
Si aggiustò come poté e uscì, lasciandosi ferire da un sole impietoso e un caldo infernale che le bombardarono la testa: adesso aveva anche fame e sete.
Fece pochi passi e trovò una tinozza di acqua dolce che il suo premurosissimo capitano le aveva messo a disposizione: immerse la testa in quella freschezza, la trascinò dentro la tenda e si lavò. Voleva profumare come una rosa per lui.
Si cambiò con quei quattro cenci e fece il bucato.
“Che schifo questi vestiti… – ragionava, guardandoli male – sono vecchi e logori… però… - si riscaldò – sono aderenti e corti e lui mi guarderà…” – pensò eccitata, tirando ancora più su, se possibile, quella mini e sentendosi tanto sgualdrina.
Uscì da lì tiratissima in preda ai calori di cui il sole non era l’unico responsabile e andò in direzione della spiaggia e delle voci: la nave era attraccata in rada e una lancia faceva da spola per caricare barili e casse.
Davanti a lei c’era un metro e tanto di maschio dai capelli rosso fuoco e due spalle larghissime, evidenziate ancora di più dal mantello nero; parlottava con Lucky che cominciava ad agitare il cosciotto in aria…
“Sei sempre il solito! – gli urlava il grassone tutto agitato – Io ti avevo chiesto una cortesia: comprami le caramelle all’anice e non le mangiare… non era difficile da capire… neanche per te!” – Shanks gli rideva in faccia e teneva in mano il sacchetto delle caramelle che aveva già dimezzato.
“Ma quanto sei taccagno! – e rideva – sulle navi pirata si divide tutto e tu non vuoi dare qualche caramella al tuo capitano?”
“Qualche caramella? Te lo sei finito il sacchetto! – e respirava a fondo per non picchiarlo – Mi spieghi perché ti metti voglia di tutto quello che ho io? E’ da quando avevi otto anni che fai così… Oramai sono trent’anni che ti sopporto…”
“Ecco… - fece l’altro serio – si può sapere com’è che non ancora ti ci abitui? Visto che lo sai… che ti ci incazzi a fare?”
A quelle parole Lucky perse del tutto la pazienza e gli menò il cosciotto in testa… ma Shanks si scansò per tempo e lo bloccò con un morso strappandone un bel pezzo, ingurgitandolo e ridendo come un pazzo.
“Ma sei un maiale!! – e urlò sconvolto alla ciurma – Oh… ragazzi! Quest’idiota famelico ha toccato il fondo… mi ha morso il cosciotto!!” - era distrutto: tutti sapevano che i suoi cosciotti erano intoccabili.
E sotto gli occhi divertiti di Nami e della ciurma, Lucky prese a rincorrere il suo capitano, a lanciargli addosso tutto quello che aveva a tiro e gli urlava cose irripetibili; il grassone, nonostante la sua mole imponente, era agile e Shanks dovette trovare rifugio su un albero lì vicino.
“Tanto dovrai scendere di lì… - gli urlò Lucky con l’affanno – io sarò quaggiù e ti strapperò quei capelli da idiota che mi stanno sul cazzo da trent’anni!!” – ma era sovrastato dalle risate di Shanks che si divertiva come un ragazzino: quelle litigate facevano parte della sua amicizia con Lucky da trent’anni ed erano rimaste invariate nonostante l’età adulta di entrambi.
Nami fece un giro per mangiare qualcosa e aspettare che il suo Rosso scendesse dall’albero; ritornò dopo mezz’ora e lo trovò che guardava il mare e i suoi uomini affaccendarsi: le volgeva la schiena e stava consultando, tutto assorto, una mappa della zona.
Lei lo guardò rapita per un bel po’ indecisa se avvicinarsi e basta, avvicinarsi e toccarlo o avvicinarsi e abbracciarlo…
Si avvicinò fino a sfiorarlo e gli puntò un dito dietro la schiena:
“Mani in alto pirata… Sei in arresto!”
“Mi ammazzi se ne alzo una sola? – rise lui, guardandola da sopra la spalla – non è che sono eccentrico… Ma ho solo questa!!” – e alzò il braccio che reggeva la mappa.
“Fa vedere… che le mappe non sono per te!” – disse lei avvicinandosi fino a sfiorargli il braccio con il seno mentre entrambi avvertivano il sangue fluire e defluire in ogni capillare.
Shanks avvertiva il suo profumo e le guardava le gambe stordito dal ricordo della sera precedente e della sua mano che si era sentita a casa fra quelle  cosce…
“Benone… il buongiorno si vede dal mattino! – pensava smarrito perché lei lo teneva in scacco con il seno quasi sul suo braccio - sono eccitato a dovere già a mezzogiorno perché una ragazzetta gioca con il fuoco e si struscia…”
“Mah… - si riprese – magari non sono questo granché di navigatore, e non è vero, però con le mappe ho un rapporto migliore di quello che tu hai con il sakè!!” – aggiunse, freddandola e guardandola con un ghigno.
Lei divenne rossa e si irrigidì:
“Che vuoi dire?” – domandò, temendo il peggio.
“Che ti ho vista sulla spiaggia che vomitavi pure l’anima!! – la derise lui – Ragazzina impertinente che non riesci a fare fondo bianco nemmeno con il latte… Eri talmente fatta che hai immerso la testa nell’acqua e sei svenuta rischiando di annegare… – poi aggiunse – meno male che t’ho vista e riportata nella tenda!!” – ridacchiò, pensando: - “Non prima di averti palpeggiata a dovere, piccola e arrapante mocciosa mezza nuda” – la guardò eccitatissimo.
Lei ci rimase sconvolta, ma si riprese:
“Eh, già… - e inacidì la voce – ma non posso proprio competere con anni e anni e anni di bevute… – calcando gli anni – si sa che i pirati sono grandi bevitori - aggiunse mentre lui la guardava divertito – e si sa che finiscono tutti in compagnia nel grande calderone della cirrosi…”
Lui la interruppe ridendo:
“Mi spiace deluderti, ma il mio è un signor fegato: reggerà ancora per molto…”
E di nuovo lei:
“Meglio per te… ma l’alcol favorisce l’invecchiamento e tu hai già sul groppone i tuoi bei 45 anni che ti porti malissimo… - mentì spudoratamente – fra qualche giorno non ci vedrai più perché la pelle che avanza dalle rughe ti coprirà gli occhi… - e rideva tanto da non poter continuare.
“Innanzitutto io ho 37 anni – precisò, ridendo lui – e nessuna ruga se non qualcosa dovuta alla salsedine e al sole… – e affondò – ma tu sei piccolina, che ne sai di rughe? - E le diede la stoccata finale – Però penso che non le avrai mai: sei troppo obesa per lasciare spazi alla pelle… devi solo continuare ad ingrassare con regolarità come stai già facendo egregiamente e conserverai un viso bruttissimo, ma giovane, per sempre…”
Lei s’incazzò perché lui lo diceva convinto.
“Vedo che sei già sulla via dell’alcolismo… - e sorrise diabolica – Lo sai che quando si beve tanto, molte cose non funzionano più? Non mi vedresti tanto brutta se tutto ti funzionasse come deve… – disse allusiva – Mi spiace per te perché nonostante i tuoi 55 anni (nel frattempo sei invecchiato a vista d’occhio) sei ancora giovane per l’andropausa – si stavano divertendo come pazzi – ma credo che nessuna se ne accorgerà o piangerà per questo…” – concluse felice di averlo ammutolito… per il momento.
Ma Shanks, da buon filibustiere, si stava domandando se fosse il caso di farle sapere a modo suo che tutto gli funzionava al massimo, anzi gli funzionava troppo…
Comunque non poteva proprio perderla quella battaglia:
“Guarda… è proprio perché tutto mi funziona a dovere che ti vedo come sei: brutta, grassa, tappa e mocciosa… - infierì – e se non mi funzionasse così bene forse, ma proprio forse e su un’isola perfettamente deserta (e proprio perché sono un tipo altruista), potrei anche fartelo questo favore…” – concluse ridendo e guardandola di traverso mentre lei era diventata viola dalla rabbia e lo odiava come mai.
Aveva un’espressione ferita e incazzata nera e lui, che in un primo tempo si era messo a ridere, adesso si pentiva perché niente era più bello e dolce di lei che gli teneva il muso e che stava per rispondergli qualcosa di estremamente violento…
Lo salvarono Yassop e Ben che vennero a cercarlo e se lo portarono via.

“Che stronzo…” – era l’unico pensiero che riusciva a formulare da quando, quella mattina, Shanks le aveva osato dire che le avrebbe fatto solo un favore ad andare al letto con lei.
“SONO IO CHE TI FACCIO UN FAVORE!!” – urlò, lanciando il sapone contro la porta del bagno del suo capitano bello, ma idiota.
“Perché me la prendo tanto? – si diceva, asciugandosi le lacrime di rabbia che se ne fregavano dei suoi tentativi di contenimento – Perché mi interessa così tanto la sua stupida opinione di pirata?” – si chiedeva mentre raccoglieva il sapone e si rimetteva a strofinare quei cenci che trovava orribili visto che Shanks non la degnava di uno sguardo.
Era tornata in cabina perché pioveva a dirotto e non c’era un alito di vento: per cambiarsi doveva aspettare che quello schifo di panni si asciugasse nella cabina di quel malefico e idiota rosso.
Si era sentita una caccola quando lui, così nettamente, le aveva detto che non l’interessava… invece lei lo trovava attraente, gli piaceva tutto… insomma era cotta, era pazza di lui già da quando gli aveva pestato il piede all’osteria e quello era l’unico motivo per cui l’aveva seguito.
L’aveva sconvolta, l’aveva stregata e non riusciva a pensare ad altro che a lui, alla sua voce e alla sua dolcezza (quando non la sfotteva).
Sapeva che quell’idiota di prim’ordine amava sfottere e avere l’ultima, ma il suo tono era convincente: riusciva a farla sentire una ragazzina cicciona, bruttissima e tappa; lei si avvicinava per eccitarlo e destare la sua attenzione e lui la smontava come un castello di carte…
Era furiosa soprattutto con se stessa per non essere riuscita a rispondergli a tono: quella rispostaccia da idiota l’aveva ferita, si era sentita uno schifo…
Lei si era tutta acconciata, lavata, cambiata, profumata come una rosa per lui e quel deficiente non solo non aveva fatto una piega quando lei lo strusciava (e invece tutti gli altri pirati le sarebbero saltati addosso), ma le aveva detto chiaro e tondo che aveva il sex appeal di un totano!
Ci era rimasta troppo male e, sempre asciugandosi gli occhi, tornò al cassetto per prendere il filo che gli avrebbe volentieri passato intorno al collo: ritrovò il ritratto di sua madre, la bussola, le penne… c’era ancora il manifesto di Rufy e la sua faccia sorridente che le mancava da morire.
Non vedeva l’ora di riabbracciarlo e allontanarsi da quel bellissimo e idiota pirata che la stava torturando:
“I pirati sono sempre pirati – pensava amareggiata – li conoscono tutti i modi per far soffrire le persone…”
Sollevò il manifesto di Rufy e un foglio cadde per terra: non era proprio un foglio, ma una fotografia che le mozzò il respiro.
In una mano reggeva la faccia sorridente del suo amico e in un'altra una foto che ritraeva il suo amatissimo Rosso, seduto a quello che sembrava il tavolo di un’osteria che giocava a far prendere il cappello di paglia di Rufy ad un bambino che senz’altro era Rufy: aveva una faccia incazzata e tirava i capelli di Shanks che invece si divertiva da morire, rideva a bocca larga, era felice…
Poi in un lampo si ricordò di quando conobbe Rufy che, riferendosi al suo cappello, disse che era il suo tesoro, che gliel’aveva regalato un suo amico…
Ricordò di come aveva pianto, spiazzandola, quando Bugy gliel’aveva sfregiato…
Ora ricordava quello che aveva gridato:
“Questo è il cappello della promessa fatta a Shanks!!” – e come aveva picchiato a sangue quell’idiota…
Parlavano di un uomo con i capelli rossi e Rufy lo adorava, era il suo idolo…
E capì.
Con il cuore in subbuglio continuava a fissare quella foto…
“Oh… Rufy… Shanks…” – rimase a fissare il pavimento con le due foto in mano.
“Ecco da chi ha preso la voglia di diventare pirata…” - e si ricordò anche di quando, al bordello, Shanks le disse:
“Noi siamo compagni!” - come ripeteva sempre Rufy.
Ora ricordava anche di aver indossato quel cappello mentre Rufy menava botte da orbi ad Arlong, ricordava di averlo ricucito dopo lo scontro con Bugy…
“Oddio… - si sconvolse – mi sono innamorata di Shanks, l’amico di Rufy… - pensando che se avesse saputo a chi apparteneva quel cappello, non l’avrebbe più restituito…
Tornò a guardare la foto.
Shanks aveva ancora il braccio sinistro, era più giovane di dieci anni eppure era invecchiato pochissimo: sempre bello, muscoloso e sorridente…
Rufy era tale e quale: aveva la stessa faccia che lei conosceva e, lo vedeva già in quella foto, era attaccatissimo a Shanks. 

Era evidente che si volevano un gran bene.
Non sapeva cosa pensare…
In un primo momento aveva pensato di correre dal suo magnifico Rosso e urlargli in faccia che lei era la navigatrice di Rufy (e avere la scusa di abbracciarlo), ma poi si era ricordata che lui l’aveva fatta incazzare e le aveva detto che non lo interessava.
A quei pensieri si sentì stringere il cuore e rimise tutto a posto: avrebbe potuto anche prendersela nel vedere che lei frugava nelle sue cose…
E poi si vergognava di quello che provava per quell’uomo:
“E’ l’amico di Rufy… gli viene qualcosa se sa che mi sono innamorata di lui, se sa che muoio dalla voglia di…” – ma non riuscì a finire la frase perché arrossì violentemente.
Persa in una grandissima confusione riprese a stendere quei cenci che aveva lavato, finì di sistemare le sue cose e uscì dalla cabina sentendo la chiamata per il pranzo.

 

“Avrà finito di lavarsi…” – sbuffò Shanks pensando che doveva entrare nella sua cabina per prendere dei libri e che oramai erano due ore che la sua ragazza cazzeggiava nel bagno.
Si era sentito un grandissimo stronzo per averla trattata da cafone dei sette mari: lei era così dolce e così bella…
“Magari l’ho fatta piangere… devo trovare il modo di scusarmi…” – ragionava tra se mogio mogio.
Arrivò dietro la porta e bussò. Nessuna risposta.
Bussò ancora più forte. Niente.
Ammaccò la porta e la chiamò ripetutamente, piuttosto preoccupato.
La sfondò senza pensarci su ed entrò come il diavolo della Tazmania: la cabina era vuota, andò verso il bagno ma lei non c’era.
Si calmò, pensando che forse non l’aveva vista scendere e che, in fondo, l’isola era piccola e popolata solo dal suo equipaggio. Si ricordò dei libri e si diresse verso la sua libreria che non riusciva a contenere tutti i volumi che comprava e leggeva in un giorno, ammucchiandoli in grosse colonne che partivano da terra.
Era soprappensiero: si domandava dove fosse finita la sua dolcissima ragazza e pensava che, poco prima, aveva sperato di trovarla addormentata nella vasca da bagno, completamente nuda…
“Poi… - pensò eccitato – sarebbe stata la mia festa! – e aggiunse – Ma perché non riesco a pensare ad altro che a farmela dalla mattina alla sera? Nuda o vestita che sia ho sempre voglia! Già la stavo per stuprare vestita… - sospirò – chi mi trattiene se la trovo nuda che dorme? – poi immaginò – Entro nella cabina, la trovo nuda che sta dormendo: io non resisto e la sbatto ripetutamente nella vasca da bagno e fuori, sul ponte, all’albero maestro, al castello di prua... – continuò, facendosi del male – Poi, sempre scopando come lepri, ce ne andiamo sulla spiaggia (in fondo sono un tipo romantico) e la porto a vedere le stelle, la luna… quello che vuole! Lei può guardare quello che vuole: intanto, io me la trombo! – ragionava ridacchiando eccitato – Poi, alla fine e sempre scopando, ritroviamo i suoi amici e lei gli dice: “Oh, ma lo sapete che questo pervertito qui… mi ha fatto gridare per tutto il viaggio? E’ il re degli arrapati! Mi ha scopata dalla mattina alla sera!!” Grande figura! Il suo capitano mi strapperà l’altro braccio e pure qualcos’altro… Poi mi ucciderà… se non mi sono già ammazzato da solo per la fatica di trombarla al ritmo selvaggio che ho in mente…”
Ma i suoi tormenti si interruppero bruscamente quando qualcosa di freddo e umido gli si appiccicò in faccia, facendolo trasalire: scattò all’indietro e rimase a bocca aperta.
Quando, dopo un po’, realizzò che si trattava di un paio di mutandine con un simpatico panda che gli faceva l’occhiolino, si sedette a terra e cominciò a ridere.
Rise quasi fino a soffocare:
“Non è possibile! – pensava ad intermittenza tra uno scoppio di risa e l’altro – ma come si può voler scopare con una che ha le mutande col panda!? E’ proprio una mocciosa…”
“Che cazzo ridi!! – urlò lei sconvolta rientrando di corsa nella cabina e trovandolo che rideva con le lacrime agli occhi, seduto per terra con la testa ribaltata all’indietro, incapace di fermarsi. – Uffa! – pensava tra se in preda alla disperazione – Noooo! Adesso mi prenderà per il culo per sempre… che figura!! Oddio… no! - quanto avrebbe voluto stendere un completo intimo come quello che aveva addosso la prostituta al bordello… e invece lui aveva scoperto quelle mutande vecchie e logore, da bambina appunto. E si vergognava da morire: – Ho perso davvero ogni speranza con lui…” - concluse con un sospiro triste mentre lui soffocava dalle risate.
Si avviò verso quell’improbabile stendino, tolse le mutande e gli altri panni e se ne andò via depressa e in silenzio senza riuscire a guardarlo.
Lentamente Shanks smise di ridere rendendosi conto di averla ferita di nuovo:
“Ma io non ridevo di lei… - e scoppiò di nuovo a ridere – ma di me… l’unico pirata al mondo che trova eccitanti le mutande col panda… Ah! Ah! Ah!”
Poi ripensò al suo viso triste e rosso di vergogna che non l’aveva guardato ed era scappato via:
“E’ dolcissima…” – pensò, perso di lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 020.Botta e risposta ***


020 – Botta e risposta

Lei lo evitò per tutto il giorno: non mangiò a pranzo e nemmeno a cena.
Lui non la cercò per quanto desiderasse passare qualche ora con lei: capiva che si sentiva uno schifo e temeva che l’avrebbe presa in giro a morte…
“Ha ragione… appena la trovo la distruggo! Con una cosa del genere ho materiale per sfotterla per tre mesi!” – ridacchiò tra se contentissimo e sempre più innamorato.

La vide da lontano verso tarda sera che andava a fare due passi e la seguì.
Si fermò sul bordo di un promontorio non molto alto che dava sul mare e sulla spiaggia, guardava le stelle e una meravigliosa luna rossa… rossa come i suoi capelli.
Ne sentiva la mancanza: l’aveva evitato per tutto il giorno per non farsi sfottere…
Era proprio triste e si sentiva una schifezza: Shanks non la guardava mentre lei non faceva che mangiarselo con gli occhi, Shanks non la toccava e lei già gli aveva dato un bacio e si era avvicinata troppo, Shanks la trattava da ragazzina e lei aveva messo in bella mostra quelle assurde mutande da lattante che lui aveva scoperto e di cui, ovviamente, aveva riso fino a soffocare.
“Ma come posso pretendere di interessarlo? – pensava triste, fissando la luna più bella che avesse mai visto. – Crede davvero che sia una mocciosa! E poi… ha detto che mi farebbe solo un favore…”

Era troppo depressa: capiva di aver sbagliato a non farsi vedere, avrebbe dovuto affrontarlo con dignità altrimenti avrebbe intuito di piacerle e poi sarebbe stata una vittima… Doveva sembrare tranquilla: in fondo era lui a non dover essere interessato alla sua lingerie!
Ma i suoi pensieri furono bruscamente interrotti da una dolce voce, vicinissima al suo orecchio:
“Non stare proprio sul bordo del promontorio… con tutto il tuo peso rischi di farlo franare…” – e le ridacchiò nell’orecchio, inondandola di brividi.
Erano vicinissimi e lei sentiva il calore del corpo di lui sulla schiena e sulle spalle nude, respirava a malapena, cercando di addomesticare il cuore che aveva cominciato a dare di testa.
Lui era ancora più emozionato e stava faticando una cifra per non stringerla a se e baciarle la spalla, il collo, spogliarla e farsela lì… in bilico tra la vita e la morte; ne sentiva il profumo della pelle, dei capelli e la luce rossa della luna creava riflessi impossibili su di lei, evidenziandone la pelle di pesca.
Voleva prenderla a morsi…
“Non sarà certo il peso del tuo cervello a farci precipitare…” – ribatté acida, cercando di dare un tono decente alla sua voce tremante.
Lui rise di gusto e le tirò piano i capelli in segno di rimprovero:
“E ti sembra questo il modo di salutare il tuo capitano? Ma l’educazione dove l’hai lasciata?”
“Forse dove l’hai abbandonata tu… idiota e cafone! Fino a prova contraria sei tu quello maleducato…”
“Ah… sei arrabbiata, eh? – e ridacchiò di nuovo nel suo orecchio – sei distrutta perché ho infranto i tuoi sogni, dicendoti che non farei l’amore con te nemmeno morto…” - Era troppo contento di sentirla arrabbiata per quello che le aveva detto.
E lei lo interruppe:
“Mah! Morto sicuro mi va meglio… chissà… magari combini finalmente qualcosa grazie al rigor mortis!”
Lo lasciò a bocca aperta.
Si girò verso di lui con un ghigno da un orecchio all’altro e lo guardò con un’immensa soddisfazione negli occhi:
“Uno a zero per me…” – disse tutta contenta.
Nel vedere la sua faccia soddisfatta, lui avvertì parecchio fastidio: non gli capitava quasi mai di non avere l’ultima… ma doveva ammettere la sconfitta, non gli veniva in mente niente!
“Porcaccia” – pensava, mordendosi un labbro, in preda al nervosismo e cercando disperatamente un argomento. Ma poi si guardarono e scoppiarono a ridere, ancora vicini al promontorio e ancora vicini l’uno all’altra.
“Ma quale uno a zero… Magari cinque a uno per me! – e continuò – Fai bene a sperare nel rigor mortis perché non ci sarà uomo sano di mente e con un organismo funzionante che deciderà di sacrificarsi con il tuo grasso traballante!”
Ma lei lo guardava con quell’espressione soddisfatta da schiaffi che gli ricordava di aver perso una battaglia…
“Anzi… - riprese agitato – sai che c’è di nuovo? Ti do un saggio del mio altruismo… Adesso ti butto dal promontorio così ti risparmio quest’umiliazione…” – e la spinse piano all’indietro, trattenendola dolcemente (ma fermamente) per il braccio.
Sentendosi cadere, lei si aggrappò al suo braccio attaccandolo a se… e rimasero vicini per un po’ emozionati con il sangue in ebollizione e una luna bastarda che li invitava a lasciarsi andare…
Il languore li stava fiaccando e lei reagì per prima:
“Guarda… - fece seria, spingendolo verso il baratro – immagino come ti senti dopo la batosta che ti ho dato… so che vuoi farla finita e non ti voglio ostacolare… – e lo spingeva mentre lui resisteva e rideva – gliela comunicherò io la notizia ai tuoi e insieme faremo una grandissima festa… Volevo dire veglia…”
“Che stronza che sei… - e ridevano, spingendosi e godendosi i loro corpi che si sfioravano – è incredibile… non riesco a spostarti per quanto sei grassa! Mi arrivi alla vita… ma sei nana? Lo sai che sulle navi i nani portano sfiga? Per non parlare delle nane femmine…”
“E sarei io la nana? Ma guardati… non dirmi che pensi davvero di essere un uomo alto? Dì la verità… hai i complessi di inferiorità con Ben che è alto più di due metri… Per questo porti gli infradito coi tacchi… per sembrare più alto! Miniatura di pirata… Shanks il nano! Un personaggio delle fiabe… – ridevano e si pizzicavano le braccia e i fianchi – sembri la versione bonsai di una pianta di pomodoro…”
“Oh! Un po’ di rispetto per il tuo capitano! E che cazzo! – le urlò in faccia ridendo – Ti informo che io sono alto un metro e ottanta centimetri, non solo ottanta come nel caso tuo… - e la spingeva vero il basso – adesso inginocchiati e chiedimi scusa come si conviene sennò ti sbarco a calci nel culo, rischiando di perdere il piede in mezzo a tutto quel lardo…” – e la spinse proprio sull’orlo.
Lei sentì il vuoto sotto un piede e impallidì… si aggrappò e si strinse a lui in preda alla paura, facendo esattamente il suo gioco di vecchia volpe che era pronto a cingerla alla vita con il braccio…
Ora l’emozione s’era trasformata in eccitazione nel sentire i loro corpi così vicini anche se non completamente attaccati: lei si era aggrappata ai lembi della camicia di lui, poggiava le braccia contro il suo petto e ne sentiva il calore e il profumo.
E poi quel braccio che le girava intorno alla vita, ma non la toccava…
L’emozione la fiaccava e le girava il mondo in testa.
E lui la prese in contropiede:
“Lo vedi che sei arrapata? Adesso mi tocchi pure… levami le mani di dosso!! Ti ho detto che non ho intenzione di sacrificarmi con te… mi hai preso per un missionario? …hai troppi difetti, sei troppo brutta… ho una mia reputazione, cosa credi!? E poi ho paura di soffocare con tutta la tua ciccia… io voglio vivere!” – e rideva mentre lei si staccava, rossa d’imbarazzo.
“Ma sai che voglia…” – lo spinse all’indietro, sprezzante e troppo emozionata per continuare a rispondere.
E lui continuò:
“Te l’ho detto che non hai speranze con me e continui a provarci… Addirittura mi abbracci con la scusa di cadere… È vecchia questa! Almeno sii originale… – e la guardava felicissimo del suo imbarazzo – fattene una ragione, mocciosa… ma guarda – ragionava ad alta voce – puzza ancora di latte ed già così arrapata… tutte a me capitano!”
“Oh… - si riprese lei, spingendolo – quanto sei montato! Ma quando comincerai a guardarti nello specchio? O a sentire quanto puzzi? Avanti, cerca di essere sincero con te stesso: ma come puoi pensare di arraparmi? Ti piacerebbe… - e sghignazzò – ma non ci pensare più di tanto… sennò, vista la tua età, ti viene un arresto cardiaco!”
“Lo so che vorresti che ti convincessi coi fatti del contrario… – fece lui allusivo – E’ vecchia anche la tattica dell’orgoglio di maschio da preservare… ma io sono un tipo moderno: non me ne frega di quel che si dice e puoi credere quello che vuoi! – e la guardava innamorato – Quindi, come ti ho detto, non mi avrai nel tuo letto nemmeno per sbaglio… - e ricominciò a ridere – e vedi di non fare sognacci con me che mi fa schifo la sola idea!”
E lei si ricordò del sogno della sera precedente e arrossì violentemente. Poi si riprese e ghignò molto malefica:
“Tu invece puoi farli… hai il mio permesso… in fondo ti sono rimasti solo quelli: un po’ di umanità… e che diamine!” – aggiunse, scuotendo la testa.
Lui rimase un’altra volta a bocca asciutta e questo lo mandò in bestia mentre lei rideva a crepapelle:
“Due a zero… Rosso! No, non piangere piccolino… t’ho fatto la bua? – gli fece un buffetto sulla guancia - Ma non devi provare a fare l’intelligente se sai di avere poco cervello… - e si sconvolse – Non lo sapevi? Me lo potevi chiedere… Te l’avrei detto io… - e infierì – Tre grandissime “C” deve avere un uomo: il cuore, il cervello e… – e rise – Dove li hai lasciati?”
Lui era inviperito… non aveva mai perso una battaglia, tanto meno due!!
E lei, piegata in due, rideva come una pazza mentre anche lui rideva innamorato perso di quella ragazza dalla riposta a saetta, troppo simpatica, intelligente, bella, dolce e sexy…
Lei gli ghignò di nuovo in faccia:
“Beh… ora è meglio che andiamo a dormire… con tutte le botte che hai preso chissà quando sei stanco…”
“No, io vado a dormire… - e riprese a spingerla – tu muori: non posso tollerare la tua insolenza di mocciosa arrapata… – e la pizzicava – chiedimi scusa con convinzione e forse posso perdonarti…”
“Ahia… mi fai male idiota… Dì la verità: ti vergogni! Shanks il Rosso ha perso due battaglie con una ragazzina… Che figurone con i tuoi amici filibustieri… Quattrocentottanta milioni di berry buttati all’aria…” – rispose, pizzicandolo a sua volta e cercando di non farsi spingere.
Ma lui era decisamente più forte e lei scivolava verso il baratro:
“Scusami… scusami… - cominciò ad urlare, ridendo – scusami capitano!”
“Ah, ecco – fece lui soddisfatto – ma ti voglio più convinta!”
Lei si staccò da lui, si ricompose e si fece seria:
“E’ giusto… scusami capitano… mai, nessun membro della ciurma deve far notare al suo capo quanto è idiota… - e scosse la testa convinta – è una regola fondamentale della pirateria che ho ignorato: ti chiedo perdono… - e ricominciò a ridere mentre lui la guardava storto – scusami se ti ho dimostrato che hai venti grammi di cervello… Ah! Ah! Ah!” – e di nuovo a ridere come una pazza.
“Ok… volevo farti scegliere come morire, ma ci ho ripensato – disse serio – ti getto in pasto agli squali, come vuole la tradizione piratesca, non prima di averti torturata a modo mio… - e lei rideva emozionata per quello sguardo da pirata maniaco – in genere lascio ai ragazzi il piacere di torturare i prigionieri, ma con te farò un’eccezione! – ridacchiò da puro squilibrato mentre lei si bagnava – Preparati… sarai torturata da Shanks il Rosso!” - e la prese alla vita, spingendola verso il bordo del promontorio.
Lei urlò quando si sentì afferrare. La presa la fece ridere e inarcarsi e le fece il solletico mentre Nami respingeva la sua mano come poteva, ma le risate e l’emozione la fiaccavano.
Quanto era bello sentirsi toccare da lui…
Le piaceva sentire le sue dita sui fianchi e dietro la schiena che si muovevano per farla ridere e invece la facevano eccitare e illanguidire, il suo profumo e quel braccio, solo uno eppure così veloce e forte che non la lasciava andare mai, la sua voce che rideva e la sua bocca: si sentiva felicissima e stordita, non ci capiva niente, non sapeva se e quando sarebbe giunto il momento di lasciarsi andare alle carezze e non capiva cosa voleva lui…
Shanks giocava e rideva felice come non era da tantissimi anni con quella ragazza morbida e bella, liscia e profumata, dolce e forte, assolutamente divina che riusciva a fargli dimenticare tutte le schifezze e gli orrori che la sua vita di pirata gli piazzava sotto gli occhi ogni giorno.
Non gli era mai capitato prima di non sapere che fare…
La stava toccando e le piaceva: con un’altra donna sarebbero bastati due minuti per rotolarsi sull’erba e sotto la luna… ma lei…
Lei era lei.
Era completamente eccitato e la voleva subito, ma era troppo piccola…
E, soprattutto non sapeva perché, ma… aveva paura di rovinare tutto, di bruciare i tempi…
“Ma porcaccia miseria ladra… – bestemmiava tra se, cercando di controllarsi – non resta niente di me… mi sto facendo le pippe mentali di checca da rivista… già lo vedo il titolo dell’articolo: “I tempi dell’amore” e tutti i consigli per non sciupare tutto… - sospirò, guardandola e fermandosi un attimo – è troppo piccola…”
Ma lei approfittò del suo momento di pausa e, con un gesto repentino, gli prese la mano e la morse:
“Ahia! – urlò lui, risvegliandosi dai suoi sogni ad occhi aperti – ma sei deficiente?!… è l’unica mano che ho e tu me la mordi? – e prese a ridere sconvolto, guardando i segni dei denti di lei sulla pelle – Ma quanta fame hai? Cazzo… perciò sei così grassa: sei pure cannibale! – e la spinse definitivamente – basta… faccio un favore alla società e alla mia ciurma se ti elimino… nessuno se ne accorgerà – e scuoteva la testa – Mi spiace, ma io non tollero il cannibalismo…” – riusciva ad essere serio e convincente e lei iniziò ad avere paura.
“Fermati… - la voce le tremava mentre rideva – dai… basta, Shanks! – oramai il baratro era vicinissimo – No… smettila – era sotto di lei – Noooooo!” – urlò da increspare l’acqua del mare.
Si aggrappò alla vita di lui e gli si strinse contro, premendo la faccia contro il suo petto e graffiandogli la schiena con le unghie… mentre lui la riportava al sicuro.
Con la faccia immersa nel suo corpo, sentì i sussulti delle sue risate: quel deficiente si stava divertendo assai… Per la verità, stava anche per venire nei pantaloni per colpa di quella ragazza avvinghiata a lui stretta stretta che tremava come una foglia e in preda all’affanno…
“Ehi… sei viva? – le chiese, accarezzandole la testa mentre si godeva il viso di lei sul petto nudo. – Cazzarola… s’è spaventata davvero…” – pensò perplesso.
Lei si staccò lentamente, guardandolo truce e spaventata… era un cencio, bianca come un lenzuolo:
“Sei un idiota senza precedenti e, spero, successori… - aveva l’affanno per la paura e l’eccitazione di avere il viso attaccato a lui – mi sono spaventata a morte…” – e sospirò per riprendersi.
“Hai avuto paura solo perché sono un pirata… - le disse lui serio, rimproverandola – e perché non ti fidi di me… si può sapere che cos’è che ti fa detestare tanto la categoria?” – voleva saperlo, voleva sapere tutto di lei…
Lei lo guardò negli occhi e poi fissò la luna.
Era dispiaciuta: aveva avvertito nel tono di Shanks un po’ di risentimento… lui aveva capito che, in effetti, non riusciva a fidarsi.
E senza fiducia reciproca non poteva esserci altro…
“Non voglio parlarne…” - riuscì a rispondere con la voce bassa e roca, ripensando alle vicende di Arlong Park e a quegli orribili otto anni.
Lui si rassegnò, per il momento, e sospirò:
“Capisco…”

Adesso stavano tutt’e due in silenzio: non sarebbero andati a dormire per nulla al mondo, ma non potevano continuare a stare soli e lontani dagli altri sotto quella luna irripetibile…
“Chissà quante risate s’è fatta!” – disse lui all’improvviso, guardando Nami per interrompere quel silenzio pesante.
“Chi?” – cascò lei dalle nuvole.
“La luna… E chissà quante altre cazzate ha sentito…” – sorrideva con lo sguardo preso da una luna inimmaginabile che si era senz’altro accorta che tutto quel prendersi in giro faceva parte del modo di corteggiarsi di quei due esseri umani…
“Secondo me – riprese lui assorto – le facciamo anche un po’ pena!”
“E perché?”
“Io credo che dall’alto della sua posizione ci guardi e dica: “Che idioti che siete… vi sbattete tanto e vi sentite importanti, ma gira e rigira siete tutti uguali… sono secoli che vi comportate sempre allo stesso modo! Che palle!” – concluse, ridendo.
Lei lo guardò innamoratissima perdendosi nella luce calda che la luna spandeva sulla pelle di lui… ne addolciva i lineamenti:
“E’ proprio bellissimo…” – pensò con le ossa liquide.
“La luna non pensa… - intervenne, catalizzando subito l’attenzione di lui – lei stia lì solo per noi…”
Shanks la guardava sconvolto con il sangue a cubetti: proprio non se l’aspettava una dichiarazione d’amore in quel momento e così all’improvviso. Si sentì morire…
Ma lei non s’era accorta del suo turbamento e continuava:
“…E’ lì per tutti gli esseri viventi della terra… Che deve pensare la luna? L’unica cosa che conta è quello che pensiamo noi… siamo noi quelli che vivono: lei sta lì per essere guardata!”
E lui tornò quasi a respirare:
“Malefica… – pensava, cercando di far tornare il cuore nella sua sede naturale – m’è venuta una sincope… potevi pure dirlo che stavi parlando dell’umanità… idiota! – e gli tremavano le ginocchia.
“Che tipa! – si riprese – e poi dicono che gli uomini sono egocentrici e cinici…”
“Non è questione di egocentrismo… - gli sorrise – la luna non pensa, sta lì e a noi piace guardarla… ci tiene compagnia – e lo guardò – toh! Un pirata romantico!” - lo sfotté. Lui rise:
“La luna è la luna! Non è che sono romantico, ma non ce n’è un’altra ed è bellissima, colora le cose, le rende belle o brutte, illumina la notte e quando alzi il naso c’è sempre… o quasi…” – e sorrise.
Lei lo guardava rapita…
“Riesce addirittura a rendere guardabile anche te…” – e rideva.
“Però non riesce a fare niente per te… – s’incazzò lei - Sei proprio romantico o ti stai sforzando per far colpo su di me?”
“E perché dovrei? Tu sei già cotta di me!” - sorrise mordendosi il labbro, domando la voglia di baciarla.
Fece per pestargli i piedi con forza, ma lui si scansò ridendo e saltando all’indietro, mentre lei si sentiva il cuore insieme al cervello…
“Che idiota montato…” – brontolò, cercando di domare il batticuore mentre lui finiva di ridere.
Il silenzio era diventato davvero incandescente…
“Ora è proprio tardi… - disse, staccando gli occhi dalla luna e tornando a posarli sul suo sole personale… - andiamo a dormire che io ho da fare domani… e anche tu, navigatrice! – e tornò a sfotterla – E poi i bambini devono andare a nanna presto… a proposito… Yassop te l’ha cambiato il pannolino? Ci ha pensato Eddie alla pappa?”
“E il ruttino me l’hai fatto fare tu!” – lo interruppe furiosa mentre lui si faceva in quattro dalle risate.
“Ti devo leggere una favola?” – s’informò sempre più bastardo, seguendola visto che si era avviata verso le tende senza aspettarlo.
“Ti canto la ninna nanna?” – continuò, raggiungendola mentre lei camminava e lo ignorava.
Arrivarono davanti alla tenda di lei.
“Non è che hai paura dell’uomo nero?”
E lei perse la pazienza:
“NO! E’ l’uomo rosso che mi ha rotto le palle!”
Lui scoppiò di nuovo a ridere.
Poi la fissò a lungo, guardandola dolcemente…
C’era un silenzio infame…
Si chinò su di lei, le sfiorò la spalla con il dorso della mano e le diede un lungo bacio sulla guancia che lei ricambiò subito e che mandò in fumo le restanti ore di sonno di entrambi:
“Allora buonanotte, piccola…”
Con il cuore in festa, si allontanò nell’oscurità.

E così era arrivata l’alba di un nuovo giorno senza che nessuno dei due avesse potuto chiudere occhio…
“Sono fatto…” – ammise, stendendosi sull’amaca della sua tenda con il cuore in subbuglio per quel bacio divino. Lei era semplicemente unica: fresca e liscia, profumata e soffice come i petali di rose, bella e ancora bella, più di quella luna spettacolare, più del mare e delle stelle. E poi era troppo simpatica e intelligente.
Il cuore gli stava scoppiando e viveva in un mondo di brividi.
Lei non aveva una cellula celebrale sana: tantissima la tensione e i languori per quel pirata dal corpo muscoloso e profumato, il sorriso sempre pronto e la capacità di essere serio e babbeo allo stesso tempo.
E quel bacio.
“E’ vero… è solo un bacio della buonanotte… - si diceva per non lasciarsi andare ai sogni ad occhi aperti – ma… – e si disperava – ma che devo fare? Come mi devo comportare? – e ripensava alle parole di Roxanne – se fosse meno deficiente, mi potrei avvicinare di più… ma se lo faccio, mi sfotte!”

“Ehilà… buongiorno!” – li salutò il capitano quando raggiunse la sua ciurma che cominciava ad alzarsi e, quindi, a dire e fare cazzate.
Lucky e Ben discutevano di cime e, vedendolo arrivare, il grassone iniziò:
“Senti Ben… non mi fare incazzare… ti ho detto diecimila volte che questa cima non è stata fatta bene… non è una questione di nodi… è proprio la maglia che non va… - e aggiunse quando Shanks fu abbastanza vicino da ascoltare – cazzarola… non capisci un cazzo… mi sembra quasi di parlare con Shanks…”
“Vaffanculo Lucky… eh?” – gli rispose questi di prima mattina. Ma il suo amico continuò:
“Adesso capisco perché ti ha fatto vice-comandante… - sospirò - così non ha complessi di inferiorità nel confronto con un vice più intelligente…”
“Oh… ho proprio voglia di fare un caffè…” – esordì Shanks per terrorizzarlo: se c’era una cosa che il capitano non sapeva proprio fare, era il caffè e se c’era una cosa che Lucky detestava, era il caffè di Shanks.
“Ci ho pensato io al caffè…” – una dolcissima voce bloccò del tutto le sue funzioni respiratorie.
Lei sollevò un lembo della tenda dalla quale era nascosta e gli sorrise dolcemente creando il vuoto dentro di lui; gli portò una tazza di caffè, realizzando in parte uno dei suoi sogni nel cassetto: essere svegliato con la colazione a letto da una donna impossibile… da Nami.
“Oh… che sono ste preferenze? – era di nuovo quel brontolone di Lucky – perché a lui il caffè? Fallo fare a lui… e vedi se se lo beve! – e aggiunse – se lo getta alle piante, brucia il terreno…”
Ma quei due, felicissimi di rivedersi, si erano già persi ognuno negli occhi dell’altro mentre Lucky e Ben sorridevano tutti meravigliati di leggere quell’espressione da pesce lesso sul volto del loro capitano: se lo avessero preso a cannonate, non se ne sarebbe accorto…
“Mi stai avvelenando per stanotte?” – le chiese, sorridendo tutto contento.
“Sì… perciò mi prometti di berlo lo stesso?”
E di nuovo a ridere, ubriachi l’uno dell’altra già di mattina presto.
“Non partiamo nemmeno oggi, vero?” – chiese lei, sorseggiando il suo caffè e pensando a tutti gli argomenti del mondo per tenerlo vicino a se il più possibile.
“No… è bonaccia…”
Morivano dalla voglia di toccarsi e si stavano mangiando con gli occhi: ricordavano le spinte e i pizzicotti della notte precedente, il calore dei loro corpi attaccati e quel mezzo abbraccio rubato sotto le stelle… Erano completamente cotti e si fissavano in silenzio, fingendosi immersi nei propri pensieri.
Un altro silenzio infame…
“Nami… - la chiamò Lucky – posso averlo anch’io un caffè finalmente decente?”
E lei riprendendosi:
“Avevo preparato questa tazza apposta per te…” – e ne prese un’altra fumante per quel tipo tanto grasso quanto simpatico. Gli sorrise e gli diede un bacio sulla guancia, porgendogli il caffè e mandando in bestia il capitano.
“E non fare quella faccia… Shanks… la prossima volta il bacetto me lo darai tu… promesso!” – mentre il suo amico lo guardava malissimo con il cuore in subbuglio e Ben si nascondeva da qualche parte per ridere senza farsi vedere.
Lei finì il suo caffè e disse:
“Ragazzi io me ne vado a fare un tuffo… ci vediamo più tardi…” – e s’allontanò scortata dallo sguardo innamorato del comandante del Vento dell’Est e quello divertito dei suoi amici.
“Non ti allontanare dalla riva!” – le urlò lui preoccupato.
“Sì… papà!” – gli rispose, ridendo e allontanandosi.
“Lucky… - sibilò il capitano quando fu scomparsa dalla sua vista – fai di nuovo lo spiritoso quando c’è lei e ti faccio dimagrire con il metodo di Shanks il Rosso: una settimana, dieci chili!”

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 021.Una falcata sprezzante ***


21 – Una falcata sprezzante
Shanks stava lucidando la spada per ammazzare il tempo; lei era andata a fare il bagno e avrebbe voluto seguirla, se non altro per vederla in costume…
“Ma non ce l’ha il costume!!” – pensò, prendendo fuoco all’istante. E il caldo era già atroce: c’era una bonaccia spaventosa e una cappa di umidità che impediva qualsiasi movimento… avrebbe dato qualunque cosa per una piccola brezza che spazzasse via quell’aria stagnante. E tornava a pensare a lei… a quanto era bella e dolce, alla notte che avevano trascorso insieme, alle risate e ai pizzicotti, a quel bacio e alla sua pelle che aveva la stessa consistenza dei petali di rosa. E quei pensieri lo facevano sudare, torturandosi ad immaginarla in slip e reggiseno mentre faceva il bagno…
“Sono un vecchio porco…” – e ci dava dentro a lustrare la sua arma preferita mentre di tanto in tanto guardava il mare per individuarla e tenerla sotto controllo. L’isola era piccola e protetta da una grossa scogliera che formava una splendida laguna: per ormeggiare il Vento dell’Est aveva dovuto fare i miracoli e riuscire a fare passare la sua nave in un minuscolo accesso. Ma non stava tranquillo: la zona era infestata di squali...
“Se solo uno di quegli idioti pescecani prova a graffiare quella sua meravigliosa pelle, lo ammazzo a morsi!” – e puliva la spada sempre più a fondo.
“Ehi… idiota… - l’apostrofò Lucky parecchio dietro alle sue spalle che si affaccendava intorno al fuoco – dov’è quella gnocca? E’ quasi ora di pranzo!”
“Lucky…” – lo ammonì il capitano mentre tutti ridevano e cominciavano a prenderci gusto nel punzecchiarlo.
“Oh… oggi pomeriggio – esordì Rosetta, rivolto al capitano – per dimostrarti il nostro affetto e la nostra annegazione…”
“Abnegazione…” – lo corresse Ben sfumacchiando.
“Quanto cazzo sei ignorante…” – si schifò Lucky.
“Perché?! Tu lo sapevi?!” – lo sfotté Rosetta di rimando.
“Oh… ragà... Non mettete in dubbio la cultura di Lucky… - intervenne Shanks ridacchiando – lui è andato a scuola!”
“Ci sei andato anche tu, idiota… solo che correvi dietro alle gonnelle e non capivi un cazzo!” – e tutti a ridere.
“Comunque… – riprese Rosetta – per dimostrarti quella cosa lì, tutti a fare il bagno con Nami! Dobbiamo proteggerla… ci sono gli squali!!” – e di nuovo tutti a ridere.
“Ragazzi non vi disturbate… tutta questa dedizione per il vostro capitano… mi commuovete!” – Shanks continuava a pulire la spada e rideva sommessamente per quella ciurma di idioti e arrapati che gli avrebbe fatto passare i guai con Nami.
“No… insistiamo… - Rosetta era partito – il mare è pericoloso e noi la sorveglieremo molto da vicino… – ridevano tutti perché Shanks non si girava, ma sapevano che tra un po’ si sarebbe messo ad urlare – e mi porterò anche l’attrezzatura da sub: devo avere una buona visibilità…”
Silenzio da parte del capitano.
“E gli squali – continuò – sono attratti dalla lingerie femminile… dovremo darle una mano a togliersela!”
“E BASTA!” – sbottò Shanks ridendo, rosso in volto con il sangue caldo, infilzando la spada in uno scoglio mentre la sua ciurma increspava l’acqua del mare con il suo solito boato di risate. 

“Accidenti che profumino…” – li trovò quasi tutti riuniti che già cominciavano a bere: per la verità erano pochi quelli seduti… L’equipaggio del Vento dell’Est mangiava in piedi, cazzeggiando e ridendo intorno al fuoco che scoppiettava allegramente.
Shanks la vide arrivare molto prima degli altri, ma finse di accorgersi di lei solo quando i suoi cominciarono a ronzarle intorno, ricoprendola di attenzioni un po’ perché era l’unica donna, tra l’altro bellissima e giovanissima, della ciurma e un altro bel po’ perché volevano mandare in bestia il capitano che ostentava indifferenza.
“Ciao piccola… - Duca le si avvicinò e le prese la mano – Yassop mi ha detto che sei una ballerina eccezionale… una di queste sere ci cimentiamo in un tango perverso…” – sapeva che stava rischiando la vita, ma era troppo bello vedere Shanks che sbuffava vapore dalle orecchie, rosso in volto come nei capelli.
“Certo…” – rispose tutta contenta, cercando di capire se lui avesse ascoltato.
“Ehi… ehi… qua dobbiamo fare tutti un tango con Nami… anzi… - Rosetta non perdeva occasione di dire o alludere a porcate – ci dobbiamo fare una lambada stretta stretta e tutti nudi…”
“Va bene…” – rideva di quella ciurma di arrapati: erano diversi dagli altri pirati e, nonostante le loro aperte allusioni, si comportavano da fratelloni… non erano subdoli e squallidi; si sentiva protetta e a suo agio e in due secondi era diventata la mascotte del gruppo.
E mentre i suoi amici se la palleggiavano ricoprendola di attenzioni e coccolandosela a turno, lui faceva finta di non guardare, ma se la mangiava con gli occhi: fissava quelle sue gambe lunghe e muscolose, lucide e delicate…
“E’ uno spettacolo… - sospirava tra se cercando di non farsi sorprendere a sbavare come una lumaca – ha un cuore al posto del culo…” – e gli passavano per la testa pensieri inconfessabili mentre seguiva con lo sguardo le curve dei fianchi e del seno che gli toglievano il fiato: si sentiva perduto ed emozionato, spiazzato allo stesso modo di quel giorno di tanti anni prima in cui, per la prima volta, aveva immerso i piedi nella sabbia del deserto.
La vista di tutta quella sabbia, di quell’immenso e selvaggio territorio l’aveva stordito e le dune sinuose che si perdevano a vista d’occhio intorno a lui gli erano sembrate da subito fianchi di morbide donne adagiate mollemente sopra un grande letto.
E di nuovo gli tornò in mente l’ancheggiare della sua danza, le sue curve muoversi nello spazio e nel tempo appropriandosi anche della quarta dimensione se mai ce ne fosse stata una: si perdeva nei movimenti delle sue ginocchia, delle sue mani e dei suoi capelli che si fondevano con l’aria in un divenire di movimenti impalpabili che ne sottolineavano la morbidezza.
Lei rideva e sorrideva grata per quelle attenzioni che la facevano sentire meno sola e non sapeva che ogni volta che sorrideva a Shanks esplodeva il cuore: aveva le guance rosse un po’ per il sakè e un altro po’ per le lusinghe di quei pirati completamente diversi da quelli che aveva conosciuto… Si sentiva felice e stordita nell’essere al centro dell’attenzione di un’intera ciurma che, per la prima volta, non se la voleva fare né le voleva comunque far del male.
Finalmente non era sola, come da quando aveva perso Rufy e i suoi.
E intanto Shanks si perdeva nella sua bocca sorridente e rossa.
“Guarda quelle guance grassocce...” - che avrebbe volentieri mordicchiato.
Rosicchiava un osso di pollo da circa mezz’ora in preda alla voglia di lei mentre un caldo violento innalzava di più la temperatura del suo sangue e lei si muoveva leggiadra tra i suoi come un angelo.
“Stai fregato…” – gli disse senza mezzi termini Ben che già da un po’ osservava il suo amico bere ogni movimento di Nami e ogni sorriso.
Lei si lasciava festeggiare da quei pirati e, ogni volta che si voltava verso di lui non riusciva a beccare i suoi occhi, ma sentiva il suo sguardo addosso: ostentava intimità e confidenze con gli altri forzandosi più del solito per attirare la sua attenzione e, da quella mattina, non ancora riuscivano a parlarsi, a stare vicini.
Era andata a fare un lungo bagno anche per non stargli sempre attaccata, ma prepotente tornava il ricordo della notte precedente e  di quei meravigliosi momenti passati così vicina a lui, al suo petto e poi il solletico, il suo profumo e la sua dolcissima risata.
Avrebbe voluto avvicinarsi o semplicemente destare la sua attenzione per parlare un po’, stare insieme, ma quell’idiota si comportava come se non la vedesse, come se l’avesse nel gruppo da sempre: chiacchierava con Ben, un po’ distante dagli altri e sembrava assolutamente normale.
“E invece io… - pensava mentre addentava un cosciotto simile a quello di Lucky – non faccio che dire e fare cretinate, faccio la diva per farmi notare, sembro una trottola e lui non mi vede nemmeno…” – e se la prendeva con se stessa perché era nervosa e con quel pirata perché la costringeva a recitare.
Cercava di non tenergli troppo gli occhi addosso, ma era ubriaca delle sue labbra, di quella bocca così sensuale da farle girare la testa: era bella quando rideva e anche nelle rare occasioni in cui era serio, ma le faceva salire un groppo in gola quando sorrideva, quando sorrideva a lei…
“Ma guarda che colore…” – pensava ridacchiando sempre più innamorata di quell’uomo che aveva un casco di fiamme al posto dei capelli e che al sole risplendevano come sottilissimi fili di corallo.
Non era mai rimasta a guardare tanto tempo un uomo…
Eppure ne aveva conosciuti di ragazzi carini e anche bellissimi!
Però Shanks era qualcosa di più che semplicemente bello: era sensuale, affascinante e, per certi versi, anche misterioso. Aveva girato tantissimo e in due giorni le aveva raccontato decine di avventure, aneddoti, leggende con le stelline negli occhi e tanta passione mentre lei beveva ogni parola dalla sua bocca e veniva ogni volta che lui stringeva le labbra, sorrideva, faceva una smorfia…
Si comportava con grande semplicità e allegria e lei non si capacitava che un idiota di quei livelli, sempre ubriaco, sempre disarmato, sempre a ridere potesse spaventare così tanto da giustificare una taglia spropositata che si poteva vedere solo al Grande Blu.
“E’ tutto bello… - pensava, mordendosi le labbra nei bagordi della ciurma che la vedevano lontana da lui e in adorazione… - la sua bocca, i suoi capelli, la sua mano… il suo culo!” – e sospirava.
In quel frangente lui si voltò verso di lei e gli sguardi s’incontrarono, mandando in tilt il cuore di Nami: Shanks la guardò intensamente per un attimo, mettendole il fuoco nelle vene e poi… le cacciò la lingua!

Stava mangiando una mela e guardava quei pirati cadere uno ad uno vittime dell’alcol che avevano ingerito: era ora di sonnellino pomeridiano e la ciurma di Shanks prendeva quel momento sul serio. Intorno a lei s’era fatto vuoto e dormivano tutti.
“Vuoi un paio di pantaloni?” – le chiese Shanks chinandosi all’improvviso su di lei, facendole esplodere il cuore mentre pensava:
“Ti prendo a morsi…”
“No… grazie… la gonna è più comoda…” – e il suo cuore scioperava.
“Sei sicura?”
E lei maliziosa, alzando il viso verso di lui:
“Cos’è ti tormentano le mie gambe?”
E lui serissimo:
“Mi tormentano i tuoi peli…”
Lei ci rimase folgorata.
La sua faccia sconvolta e delusa lo fece strozzare con un boccone di pollo dalle risate e corse ad immergere la testa in un barilotto di birra lì vicino… quando si riprese, la guardò che lo stava fucilando con lo sguardo.
“Sei solo un idiota… – ci era rimasta male e, mentre quel cretino cercava di riprendersi, aveva dato un’occhiata alle sue gambe – non ho i peli…”
“Io li vedo.” – insisté lui.
Lei sapeva che in effetti li aveva, ma era quella peluria leggera e bionda che aveva su tutta la pelle… non si vedevano e poi erano pochissimi…
“Non sono lunghi e non si vedono… sono biondi… Che deficiente che sei…” – ma il suo tono non era sicuro: non si era mai preoccupata dei peli… non ne aveva bisogno… le sue gambe erano sempre andate bene così… però lui…
“Non sono deficiente… - lui rideva come un matto – ce li hai più lunghi dei miei… io li ho visti quindi sono lunghi…”
“Forse perché non fai altro che guardarmi le gambe… - e aggiunse sprezzante – non riesco proprio a capire come tu possa valere quattrocentottanta milioni di berry…”
“Cinquecento. – s’intromise una voce poco lontana – Cinquecento milioni di berry.” 

Nami guardò il tizio strano avvicinarsi con una falcata elegante e un po’ sprezzante: non avrebbe mai creduto che si potesse avere un passo sprezzante, ma quel tipo ce l’aveva.
“Però… - pensava mentre lo guardava avvicinarsi – è molto affascinante…”
Shanks era diventato serio e guardava il tipo che gli stava davanti molto attentamente, ma quella innaturale espressione durò meno di una frazione di secondo: esplose il suo solito sorriso un po’ sornione.
“Ehi, Occhi di Falco…”
“Occhi di Falco?” – era incredula: davanti a lei c’era il tizio che aveva ridotto Zoro in fin di vita.
Questi dopo aver scoccato un’occhiata profonda e silenziosa al Rosso, guardò Nami e le accennò un saluto, sfiorando la tesa dell’immenso cappello che lo contraddistingueva.
“Ormai sono già due volte in due mesi… - scherzò Shanks – cos’è, sentivi la mia mancanza? Mi devo preoccupare?” – gli chiese allusivo.
“E’ proprio deficiente…” – pensarono insieme Nami e Drakul Mihawk, guardandolo ridere.
Shanks il Rosso era l’unico essere umano in grado di fargli venire da ridere, ma era troppo orgoglioso per darlo a vedere. Lo guardò con quella sua tipica aria di sufficienza e disse:
“La marina ha alzato la taglia sulla tua testa per il disastro a Jolly Town… cinquecento milioni di berry.”
Il silenzio accolse quella rivelazione e a Nami esplose il cuore in gola: non solo tutti i cacciatori di taglie avrebbero cercato di fargli la festa, ma con la testa di quel pirata meraviglioso, anche se troppo idiota, ci avrebbe potuto comprare cinque volte il villaggio di Coco.  E inorridì di se stessa per quei pensieri…
Guardò Shanks che non fece una grinza; era strano… non il solito caprone idiota e ubriaco che le faceva girare la testa. Sorrideva rilassato, ma era attento e avvertiva che quei due stavano conducendo un dialogo tutto loro di cui lei non capiva assolutamente niente.
“Andiamo a fare due passi…” – propose all’improvviso senza curarsi di lei che in meno di dieci secondi rimase sola.

“Un rialzo di venti milioni non è abbastanza per spingerti a tornare qui…”
Gli fece capire chiaro e tondo che poteva arrivare al sodo.
“Il 15 ottobre, ci sarà un incontro tra tutti gli esponenti del Governo centrale e della marina a Midwest Town…”
Camminavano piano sulla spiaggia in direzione della lugubre imbarcazione di Mihawk che continuò:
“La pubblicizzano come una festa, ma è un summit… importante… ci sto andando…”
“Mhmmmm…” – riuscì a replicare Shanks.
“Si parlerà di molte cose… Immagino sarai uno degli argomenti trattati…” - lo avvisò Occhi di Falco.
“E’ probabile.”
“Soprattutto dopo il disastro di Jolly Town… L’hai fatta grossa, l’ammiraglio di Jolly Town era potente.”
“Lo so.”
Un’altra pausa.
“Hai compagnia…”
Si erano fermati davanti alla barca a forma di bara e fissavano entrambi le fiamme delle candele che da circa vent’anni, terrorizzavano i sette mari e il Grande Blu.
“Di chi si tratta?”
Mihawk restò un po’ pensieroso e poi aggiunse:
“Non sono riuscito a sapere altro… ma c’è movimento in giro, l’operazione è grossa, sono parecchi e ti stanno addosso…”
“Mhmmm… - replicò e aggiunse  - che palle!”
“Bene… Adesso me ne vado: passavo da qui e ti ho avvisato.”
“Grazie… ma perché non mangi qualcosa con noi?”
“No… ho già mangiato e poi i tuoi uomini mi odiano ancora per quella volta…”
Si avviò verso la sua barca, ma all’improvviso si fermò, restando in silenzio:
“Sei troppo vecchio per lei!” – sentenziò dopo un po’.
“Lo so.”
“Con una donna accanto, un pirata ha i giorni contati.”
“Ce li ho comunque, no?” – sorrise, alzando le spalle e disarmandolo.
Seguì un certo silenzio mentre Mihawk risaliva sull’imbarcazione e spiegava le vele.
“Ci vediamo Shanks…”
“Lo spero…” - fece la voce da checca.
Cercando di trattenere le risa, Occhi di Falco riprese il mare.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 022.Lo schiaffo rivelatore ***


22  – Lo schiaffo rivelatore

Il suo Rosso e quel tizio strano si erano allontanati già da un po’ e lei si guardava attorno: nessuno della ciurma pareva accortosi di nulla visto che dormivano come ghiri sparsi un po’ qua e un po’ là. Ripensava all’inedita espressione attenta di lui e siccome la curiosità è femmina, stava morendo dalla voglia di sapere che cavolo avevano da dirsi di così segreto da doversi allontanare; un po’ c’era rimasta male: conosceva da poco Shanks e comunque non faceva parte della sua ciurma, ma l’idea che ci fossero segreti tra loro o che lui la lasciasse fuori delle cose che lo riguardavano le dava fastidio.
Voleva sapere tutto di lui e subito. 

“Ciao Lucky…”
“Ehi… la mia navigatrice preferita…” – l’apostrofò il grassone tutto felice, scuotendo il cosciotto in segno di saluto; aiutò quei casinisti patentati a preparare la cena mentre aspettava che lui si facesse vivo.
La cena iniziò e finì, ma di Shanks nemmeno l’ombra.
Si divertiva con quei simpaticoni, ma la mancanza del capitano che faceva sempre più casino di tutti si sentiva… e poi lei si sentiva agitata: non aveva fame né sete, si guardava e riguardava intorno, scrutava il fogliame e il bosco per scorgerlo, ma lui non si vedeva arrivare.
“Senti… – sbottò rivolta al grassone non riuscendo più a trattenersi e morendo dalla voglia di sapere. Si fece coraggio e lo chiese chiaro e tondo: – ma dov’è Shanks? Non mangia?”
“No… - farfugliò Lucky tra un morso e l’altro al cosciotto, cercando di non farle capire che si aspettava quella domanda da circa due ore – ha detto che non aveva fame ed è andato a dormire…”
Lei si sentì tristissima e vuota: comprese che non l’avrebbe visto  quella sera e tutto intorno a lei divenne inutile. Lucky la guardava di sottecchi e si rendeva conto che con quella notizia le aveva rovinato la serata, ma non poteva farci niente: del resto il suo amico aveva orari impossibili e certe volte andava a dormire alle sei del pomeriggio e lo si rivedeva dopo le sei del giorno successivo…

Dopocena aiutò Eddie e gli altri a sistemare tutto:
“Lascia stare Nami… va a dormire – le disse Yassop premuroso visto che la piccola aveva quasi l’età di suo figlio e si era calato perfettamente nel ruolo di papà – ci pensiamo domani. Buonanotte.”
“Buonanotte…”

“Ma quale buonanotte!!” – pensava, camminando verso la spiaggia con la testa all’altezza delle caviglie, scontenta per quella giornata in cui lui le aveva rivolto la parola un paio di volte e solo per prenderla in giro. E si arrabbiava con se stessa perché il suo umore variava in relazione alle bizze e alle abitudini di un pirata che conosceva da meno di una settimana, le era diventato già indispensabile e le mancava come l’aria sott’acqua dal momento in cui era andato a fare due passi con Occhi di Falco.

Arrivò in spiaggia ancora più depressa considerando che nemmeno in preda alla malattia del sonno se ne sarebbe andata a dormire rinunciando a stare un po’ con lui; invece a quel pirata la sua presenza pareva del tutto indifferente…

La luna era chiara, splendente e si specchiava nel mare, orgogliosa della sua ineguagliata bellezza, inondandolo di mille riflessi d’argento liquido che illuminavano tutta la notte e la spiaggia: si vedeva davvero bene e l’aria era calda e frizzante, tipica di una notte estiva. Camminava sul bagnasciuga godendosi l’acqua calda della sera con i sandali appesi alle dita e il benefico massaggio che il mare esercitava sulla sua dolorante caviglia.

All’improvviso si fermò perché poco distante da lei e dal bagnasciuga vide un paio d’infradito che conosceva molto bene: il cuore le esplose nel riconoscerli, ma smise definitivamente di respirare quando si accorse che Shanks era steso sulla sabbia avvolto nel mantello e le dava le spalle.
Restò in un silenzio teso e spiritato a guardarlo; sembrava dormisse profondamente con i piedi quasi immersi nella sabbia e la testa poggiata su un rotolo di corda… lo sentiva respirare.
Non seppe mai quanto tempo rimase a fissarlo indecisa se proseguire o avvicinarsi, rischiando di svegliarlo e magari mandarlo in bestia.
Alla fine si decise: voleva vederlo e poi lei era una ladra specializzata nel derubare i pirati… sapeva essere molto silenziosa e decise di avvicinarsi; non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Fece qualche passo verso di lui, ma si fermò in preda all’incertezza… respirò per calmarsi e proseguì.
Silenziosa come un gatto si avvicinò, si inginocchiò dietro di lui e lo guardò, perdendosi in quelle spalle larghe e nel busto che si sollevava e si abbassava al ritmo del respiro; fissò quei capelli impossibili e si accorse che li aveva umidi… aveva fatto il bagno e del resto la notte era troppo bella per non nuotare.
Sorrise presa dalla tenerezza per quel pirata immaginandolo mentre sguazzava e si divertiva sicuramente come un ragazzino.
Ma quel sorriso le restò ghiacciato sulle labbra…
Fu un lampo: in meno di un secondo lui si girò su se stesso saltando come una molla e senza un benché minimo segnale di preavviso le mollò un ceffone di rovescio che la spinse con violenza all’indietro, facendole sbattere la testa contro la sabbia e le saltò addosso puntandole la lama di un pugnale sotto il collo.
“Hai cinque secondi di tempo per dirmi chi sei e che vuoi…” – sibilò Shanks.
Era talmente terrorizzata che non disse niente.
Lui, che non ancora la metteva a fuoco nel chiarore della luna, quando sentì il seno morbido sotto di se e il suo profumo si sentì mancare:
“Ma tu…” – era sconvolto, non ci poteva credere e le teneva quell’affilatissimo pugnale sotto il collo.
“Mhmmmm…” – piagnucolò lei dal dolore: una lama da 25 centimetri le sfiorava allegramente il collo e aveva buscato uno schiaffo da dieci chili che le aveva quasi staccato la testa… la tempia le impazziva di dolore ed era convinta di aver perso l’occhio in mezzo alla sabbia.
“Ma porca… – gli sfuggì dannandosi, ritraendo la lama e fissandola con sguardo severo - Mi spieghi perché ti sei avvicinata come una ladra?”
Lei non diceva niente in preda alla tremarella perché quel pirata era quasi completamente steso su di lei… e poi quello schiaffo l’aveva stordita… sentiva il suo respiro agitato, il suo corpo caldo che la inchiodava alla sabbia… non capiva più niente.
Ed era già completamente bagnata.
Oramai vedeva bene nell’oscurità e si accorse che le si stava gonfiando la guancia per l’enorme botta che le aveva dato: gli si spezzò il cuore.
“Sei un’incosciente… - e sempre semi steso su di lei le scostò i capelli dal viso e le accarezzò lievemente la guancia, addolorato: era convinto che fosse uno dei tanti idioti che popolano il mare in cerca di fortuna e cinquecento milioni di berry da spendere per aggiustarsi l’esistenza. Lei aveva battuto la testa con violenza e quello schiaffo per poco non le aveva fatto perdere i sensi: ci aveva messo forza… - idiota… i pirati dormono armati… – le spiegò – ci dobbiamo guardare le spalle anche quando dormiamo e se tu ti avvicini furtiva, io penso che sei un nemico…”
“Non volevo svegliarti…” – farfugliò lei con i denti semi traballanti che si sentiva girare la testa per il ceffone più forte che avesse mai preso e l’emozione di stare letteralmente sotto di lui.
“Ti fa molto male? Adesso andiamo da Lucas e ti fai vedere la testa… - le passò la mano sotto il capo, terrorizzato dall’idea che avesse sbattuto contro una pietra – dove ti fa male?” – le chiese, sfiorandole la cute e sperando di non sentire sangue.
La sentiva sotto di se… sentiva tutto, ma cercava di non pensare a certe cose visto che era stato ad un passo dall’ammazzarla. Lei non riusciva ad immaginare altro che ingabbiarlo fra le sue gambe, ma le tremava il cuore al solo pensiero…
“Un po’ più su…” – il cuore le impediva di parlare tanto le batteva forte a causa di quel corpo caldo, profumato e agitato che le era addosso – ecco... lì… ahia!”
Si accorse di averle fatto solo un bernoccolo e si rilassò: rise.
“E’ solo un bernoccolo… tra l’altro è grosso come il tuo culone!!”
“Idiota… - rise lei di rimando, ubriaca di lui ed eccitatissima perché Shanks rideva, sussultando su di lei – appena mi riprendo ti carico di bastonate… E poi è lo schiaffo che mi fa male…” – lo disse per farlo sentire in colpa ancora un po’ e perché quando non la sfotteva era dolcissimo e premuroso; avrebbe voluto che quei momenti non finissero più.
Anche lui non aveva tutta questa fretta di staccarsi: si era eccitato fin dal momento in cui si era accorto che era lei, ma non le era steso completamente addosso e quindi stava piuttosto tranquillo… Ma sotto il suo petto c’era quel maledetto seno agitato e stavano sfacciatamente vicini… Si puntellava sul gomito per non spalmarsi addosso a lei completamente ed evitare di parlarsi nelle gengive, ma erano comunque vicinissimi e sentivano i loro respiri caldi e agitati sulla pelle e il calore dei loro corpi attaccati.
E un odioso dolore cominciò a farsi sentire nel suo petto.
“Non voleva essere uno schiaffo… – e le accarezzò di nuovo la guancia – era un pugno… e il fatto che tu sia ancora viva dimostra che sono fuori forma…” – rideva emozionato.
“No no… credimi… - lo rassicurò, ridendo – sei in forma eccome! Aiutami a ritrovare l’occhio per piacere…” – e Shanks rideva innamorato fatto di lei.
I sussulti delle risate facevano sfiorare i loro corpi con movimenti ritmici e decisamente conturbanti… Si sentivano morire ad ogni contatto.
“Ops… è quella cosa tonda e viscida che ho appena pestato con il gomito? – e ridevano con i cervelli fuori uso, bruciati dalla passione e dalla voglia di rotolarsi nella sabbia per tutta la notte – Che schifo… anche il tuo occhio è grasso come te!”
“E smettila… Quanto sei idiota…” – rise lei, rilasciando la testa all’indietro che si poggiava ancora sulla mano di lui, mostrandogli tutto il collo che lui guardò come un vampiro; mordendosi le labbra, distolse lo sguardo per non partire all’arrembaggio più dolce della sua vita.
Ancora quel dolore…
Lei tornò a guardarlo dolcemente e sollevò una mano. Gli sfiorò il braccio e ne sentì i muscoli in tensione per puntellarsi: era tonico, caldo, forte…
E si sentiva protetta.
“Mamma mia quant’è bello… è stupendo.” – pensava con gli occhi a forma di cuore.
Poi gli accarezzò i capelli:
“Hai fatto il bagno…” – e lo disse con l’espressione di chi voleva dire: “Mi piaci Shanks… mi piaci da morire…”
“Sì… l’acqua è splendida…” – ma stava per cedere: ce l’aveva sotto di se, lei non aspettava altro e tra qualche secondo non avrebbero più ragionato…
Nami alzò l’altra mano, percorse le sue spalle, gli accarezzò tutt’e due le guance e gli accarezzò i capelli: quanto le piacevano quei capelli rossi e inconfondibili, lucidi e perennemente scomposti dal vento, ribelli e selvaggi come lui.
“Oh… mio dio… - pensava felicissima – Shanks mi è addosso!! E’ la notte più bella della mia vita…” – e non riusciva a respirare per via di un grosso nodo in gola che non aveva mai avuto prima… nell’attesa che lui la baciasse non respirava neanche più.
Sfiorò con le dita la guancia segnata da quelle tre cicatrici mentre Shanks quasi tratteneva il respiro.
“Come te le sei procurate?” – gli chiese con un sussurro.
Di nuovo quello strano dolore al petto. Per esorcizzarlo, iniziò:
“E’ stata una donna… s’era incazzata perché mi trombavo la figlia e voleva che mi dedicassi anche a lei…”
“MA CHE CAZZATA!!” – sbottò lei mentre lui scoppiava a ridere della sua faccia delusa e gelosa; cercò di sottrarsi alla dolcissima pressione del corpo di Shanks per andare via.
Quell’idiota era riuscito a spezzare un’atmosfera magica.
“Ma scusa… sei stata tu a chiedermelo!” – si difese, ridendo e bloccando i polsi di Nami sulla sua testa; così facendo si stese del tutto su di lei, completando l’eccitazione di entrambi.
“Già! Ma non ti avevo chiesto di raccontarmi le cazzate!” – la voce le tremava.
“E che ne sai che è una cazzata?” – la folgorò lui con quel suo tono pacato e dannatamente sicuro. Lei sentì una fitta al petto.
Il colletto della camicia di lui le sfiorava la pelle tanto erano vicini: si mosse un poco e l’angolino le finì sotto il naso, procurandole uno starnuto che finì in faccia a Shanks.
“Che schifo!” – borbottò.
“Ben ti sta! Latin lover da strapazzo! – non gliela perdonava quella cattiveria – Adesso te lo dico io perché hai quelle cicatrici: è la stata la reazione di una povera sfigata che ti ha visto nudo! Poverina! Evidentemente non aveva un microscopio e ha pensato che non avessi il cazzo!” – era infuriata.
Lui rideva che gli si contavano i molari.
“Accidenti che linguaccia!” - pensava mentre soffocava dalle risate e sopportava stoicamente il morbidissimo corpo di Nami sotto il suo che si agitava, cercando di ignorare quel dolore che cresceva inesorabilmente.
“Potrebbe anche essere… - e rideva – che l’ho fatta gridare così tanto da risvegliare la belva che c’era in lei… - aggiunse mentre lei lo guardava stordita, incazzata, ma eccitatissima – In fondo scopare assomiglia ad una lotta, no? – le chiese, alludendo chiaramente alla loro situazione e facendole esplodere il cuore – E poi non sarebbe la prima femmina che dopo l’accoppiamento cerca di ammazzare il maschio! Insomma… fanno così molte specie animali!” – era proprio convinto.
Nami era ai limiti della sopportazione:
“E fanno bene! A parte le scopate non servite a niente!”
“Beh… e ti pare poco!? E lei è stata anche fortunata: io me la cavo con la spada… - ridacchiava mandrillo - ma sai quanti “uomini”, per così dire, non “sanno dare di scherma”? – e rideva come un invasato per la faccia sconvolta di lei. Poi la stoccata finale: - Ma poi tu che ne sai, sei solo una mocciosa!” – fece con aria sufficiente.
Lei perse il lume della ragione.
“Togliti di dosso, pirata idiota e pervertito!” – si dimenava per sciogliersi dalla sua splendida prigione, ma era fiaccata dall’eccitazione che aumentava tanto più che si muoveva e lui le stava addosso, la bloccava e rideva continuando a schiacciarla e a mantenere altissimo il suo tasso di umidità...
“Perché? Vuoi stare sopra?”  
Se avesse avuto i polsi liberi, Nami lo avrebbe schiaffeggiato a sangue!
“Adesso ti ammazzo!”
“Senza accoppiamento?” – le chiese serio con lo sguardo torbido, spiazzandola e misurando la voce per non rivelare quanto fosse roca e alterata da un desiderio sempre più difficile da contenere.
“Mio dio… quanto è bella…” – e impazziva per quella ragazzina che quando si infuriava con lui era così dolce… così irresistibile.
Ancora quel dolore…
A lei esplose il cuore in gola e restò senza parole: era a dir poco sconvolta e lui ne approfittò. Si accomodò meglio su di lei salendo un po’, avvicinando la bocca a quella di Nami e sempre continuando a bloccarle le braccia sulla testa. Per via della posizione, il seno di lei era completamente schiacciato contro il suo petto.
E restarono a guardarsi persi negli occhi e nella bocca dell’altro in un silenzio teso e assurdo che solo due cuori innamorati possono permettersi: non riusciva a capire se quella proposta fosse reale o solo uno dei soliti scherzi di Shanks…
“Ci stai pensando, eh? – chiese ironico, ridacchiando mentre il dolore cresceva – Immagino ti trovi spiazzata: brutta come sei, non ti sarà mai capitata un’offerta così…”
Quella frase la ferì: le veniva da piangere, ma non voleva dargli quella soddisfazione.
“Ma come sei gentile! – sibilò ferita – Beh… allora… visto che sei così bello, così affascinante, non ti sarà mai capitata una risposta del genere…” – e riuscì a piegare un ginocchio per menarglielo dove non sarebbe ricresciuto più nulla.
Lui, accortosi del pericolo imminente, riuscì a scansarsi all’ultimo secondo e lei si liberò. Alzò la gonna e montò il suo bastone di fiducia in un attimo, rimettendosi in piedi.
“Come la metti adesso?” – gli ghignò, facendo roteare il bastone soddisfatta, piazzandoglielo sotto il mento e bloccandogli il polso con il tacco della scarpa mentre lui, ancora steso, la guardava affascinato e completamente sedotto e poi dalla sua posizione vedeva tutto…
E accettò la sfida.
Sollevò di scatto una gamba e menò un calcio al bastone per farglielo volare via, ma lei, che aveva previsto la mossa, assecondò il suo colpo e non lo risentì: mentre lui con uno scatto di reni si rimetteva in piedi e si preparava a saltarle addosso lei sollevò l’altra estremità del bastone e lo sorprese.
Riuscì ad evitare la bastonata fra le gengive per un nanocapello…
“Sei una mocciosa, ma ti batti bene quasi quanto un uomo…” – e rideva.
“Vorrei poter dire lo stesso di te!” – e gli versò addosso una scarica di bastonate cento volte superiore a quella che gli aveva riservato nel vicolo del bordello. Lui si scansava come poteva, ma stavolta l’aveva fatta arrabbiare per davvero: non si sarebbe fermata presto.
La guardava negli occhi mentre lottava e ci vedeva solo odio; si sentiva sconcertato, non era normale perdere le staffe in quel modo per uno scherzo, anche se di cattivo gusto… Capiva che quell’odio era antico, non era rivolto a lui, ma lei si batteva davvero come una furia, come se avesse qualcun altro davanti. L’aveva vista eccitarsi, illanguidirsi e poi di colpo arrabbiarsi e diventare una belva: gli stava scaricando addosso solo rabbia repressa.
E decise di farla finire di sfogare.
Evitava di attaccare nonostante la voglia si sbatterla a terra e tenerla a gambe aperte per un anno intero, ma faticava a contenere i suoi attacchi: era troppo bella, troppo sexy ed era fiaccato dall’eccitazione.  
E infatti mentre bloccava l’ennesimo colpo di bastone diretto alla sua zucca rossa con il braccio, lei ne approfittò per menargli un calcio al ginocchio e farlo cadere: ci riuscì.
“Cazzo…” – pensò lui, cascando sul ginocchio e vedendo arrivare un colpo micidiale che gli avrebbe spappolato il cranio. Sollevò il mantello con il braccio e si avvolse, sparendo nel nulla.
“Dove sei? Scappi?” – ringhiò lei con l’affanno.
“Sono qui.” – le sussurrò nell’orecchio: era esattamene dietro di lei che non si capacitava di come avesse fatto a dileguarsi in quel modo…
Shanks fece per prenderla alla vita, ma lei si inginocchiò repentinamente e scivolò fra le sue gambe per tornare a rialzarsi dietro di lui che, prima di potersi accorgere di qualcosa, si beccò un sonoro calcio nel fondo schiena che lo gettò a terra a pancia all’ingiù.
Lei gli saltò addosso e gli bloccò il polso dietro alla schiena, tenendolo ben stretto; siccome lui era più forte, ci si stese sopra per fermarlo con il suo peso.  
“Ho vinto… pirata!” – l’ultima parola era carica di un odio antico e terribile. Glielo sibilò nell’orecchio, completamente stesa su di lui che rimaneva immobile e silenzioso.
“Non dici niente? Ti brucia la sconfitta?”
“Mah… bastava dirlo che volevi stare sopra!”
Lei era sconvolta dal suo tono assolutamente tranquillo:
“Fai il duro quanto ti pare… - sghignazzò, calmandosi e rendendosi conto, con affanno crescente, di essere completamente stesa su di lui e di schiacciargli il seno sulla schiena – fate sempre così quando  perdete miseramente…” - il suo tono era caustico. - Non ti puoi muovere…” – osservò con un’immensa soddisfazione nella voce.
Rimasero per un certo tempo in silenzio con i cuori che battevano da sembrare bongos e l’emozione di essere di nuovo attaccati: l’affanno della lotta ritornò affanno da eccitazione.
“Ti sei calmata adesso?” – le chiese dolcemente, girando la testa verso di lei e sentendo il suo respiro caldo sulla guancia.
I loro occhi si incontrarono, ma, timidi, non riuscirono a fissarsi a lungo.
Ancora quel dolore.
Nami capiva di aver avuto una reazione esagerata e si pentiva da morire di avergli dato quei calci: il suo era stato solo uno scherzo e comunque Shanks era Shanks.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa che riparasse in qualche modo al brutto spettacolo che aveva appena dato, ma non ci riusciva; persa nel suo corpo caldo e accogliente, immerse il viso nei ciuffetti scarlatti dietro la nuca di lui e restò in silenzio.
“Sei una dolcezza, Nami…” – pensò Shanks emozionato nel sentirla addosso a se; con quel profondo dolore al petto, capiva che la sua ragazza doveva aver vissuto un autentico inferno per colpa dei pirati. Aveva una ferita larga e profonda che lui, purtroppo, contribuiva a far sanguinare.
La sua dolcissima navigatrice aveva bisogno di ridere.
La mano di lui era bloccata dietro la schiena e sotto il ventre di Nami che lo teneva per il polso: così prese a solleticarle e pizzicarle il ventre con le dita.
Lei iniziò a ridere, ma era già ai limiti del desiderio per quelle dita che le massaggiavano la pancia:
“Smettila… - e rideva nei capelli di lui, ad un passo dall’abbandonarsi – ma che fai? Lasciami la pancia…” – rideva e sospirava, dimenandosi senza lasciarlo andare, in preda alle sensazioni più piacevoli che avesse mai provato.
“Come faccio a lasciarti la pancia?! – si difese – E’ talmente grande! Sta praticamente ovunque!! Ahia! Mi sembra di avere Lucky sulla schiena! Ahiaaaa!!”
“LA MIA PANCIA NON E’ GRASSA!!”
Cercò di godersi ancora un po’ quei massaggi, ma l’eccitazione che le dita di Shanks le procuravano divenne insopportabile: si alzò di scatto, mettendosi seduta sul sedere rotondo e muscoloso di lui in una posizione non proprio pudica; gli lasciò il polso.
“Non è quella la posizione giusta…” - ridacchiò Shanks eccitato, lanciando un’occhiata di forte apprezzamento alle gambe nude di lei.
Lei ghignò di rimando e disse con tono innocente:
“Mi dispiace, ma la mamma mi ha insegnato solo la mia…”
E scoppiarono a ridere:
“Bella questa! – commentò divertito. Poi aggiunse, cambiando tono – hai ragione… adesso rimedio subito!” La fece sobbalzare con un nuovo scatto di reni e con una mossa repentina, si girò su se stesso lasciandola ricadere, formando una candela perfetta…
Ora era davvero spaventata.
“MA CHE FAIIII?” – urlò da increspare l’acqua del mare, rossa in volto ed imbarazzatissima. Si rialzò immediatamente, ma Shanks si mise seduto e tirò su le ginocchia, bloccandola e attaccandola a se. Nami era talmente divaricata che la gonna le si arrotolò su, lasciandola praticamente in mutande.
Gli mise una mano in faccia per impedirgli di guardare in basso mentre con l’altra non sapeva se liberarsi prima dalla sua morsa, tirare giù la gonna o picchiarlo a sangue.
E Shanks rideva, rideva da stare male, rideva del dolcissimo imbarazzo di lei che giocava a fare la donna, ma poi gli attaccava una mano in faccia, accecandolo, per evitare di farsi vedere in mutande, che cercava il contatto fisico, ma quando diventava serio, vero, impegnativo, diventava rossa come un peperone e si dibatteva come una morsa da una tarantola…
In preda al dolore crescente, distese le gambe e la lasciò libera: lei si alzò un po’ per aggiustarsi la gonna, ma, quando provò ad allontanarsi, lui le saltò addosso, stendendosi di nuovo su di lei, permettendole, però, di tornare a chiudere le gambe.
“Io sono un pirata… – sussurrò, avvicinando le labbra alle sue – non mi piace stare sotto!” – le disse quasi sulla bocca mentre l’affanno di entrambi tradiva un’emozione incontenibile.
“Oh… mio dio…” – pensò lei con l’ultimo barlume di lucidità sentendo il suo respiro caldo sempre più vicino e accorgendosi anche di un piccolo, ma meraviglioso dolore su una coscia che la fibbia dei pantaloni di lui le infliggeva.
Guardò la sua bocca socchiusa e non resse più l’emozione di averlo così vicino: per orgoglio e, quindi, evitare di cedere per prima e baciarlo, gli morse il mento, sottraendosi a quella splendida tortura. Con gli occhi chiusi sentiva il sapore della sua pelle, la sua barba punzecchiarle le labbra e il respiro di lui bloccarsi per un po’ e riprendere, sempre più agitato.
Shanks era ai limiti: completamente eccitato, sempre più innamorato e dolorosamente consapevole del ruolo che quella ragazzina dolcissima cominciava a ricoprire nella sua vita.
“Non… - gli tremavano le parole – non mordermi… – mormorò con la voce roca mentre la pressione dei denti di lei non diminuiva e la sentiva tremare – non provocarmi ancora, ragazzina -  il dolore saliva vertiginosamente – io… mordo per davvero.”
Lei si fermò un attimo e lo guardò con dolcezza e malinconia. Poi chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro:
“Allora fallo.” – sussurrò.
Il cuore di lui esplose.
Ignorò il dolore e prese a morderla con dolcezza…
Si spostò piano mordicchiandola, lungo la mandibola per passare su quella guancia morbida e fresca che gli piaceva da morire.
La sentiva sciogliersi e abbandonarsi sotto il passaggio dei suoi denti e delle sue labbra, sentiva i suoi fremiti e il suo respiro convulso mentre iniziava a strofinarsi contro di lei…
“Shanks…” – lo chiamò sospirando e stava per venire.
Il vuoto… Poi la sua voce che lo chiamava… E il cuore gl’impazzì di dolore come non gli era mai capitato prima, annebbiandogli la vista. Si fermò a guardarla con l’affanno per riprendersi e farsi passare quel dolore, ma niente da fare… anzi… Più le stava attaccato e più si sentiva mancare il fiato, l’anima, la vita… e il dolore al petto diventava sempre più acuto.
Riusciva a sentire le vibrazioni di lei, i suoi fremiti, i suoi brividi e quel respiro agitato; a fatica riuscì di nuovo a metterla a fuoco… la guardò negli occhi e si perse nei suoi grandi iridi nocciola mentre ora nel petto aveva una vera e propria battaglia e si sentiva prossimo all’infarto.
Aveva un’espressione sconvolta ed era bianco come un cencio, tanto che lei si preoccupò:
“Che hai? – gli chiese con apprensione – Shanks, ti senti bene?”
La vedeva muovere le labbra, ma non riusciva a sentirla tanto era forte il battito del suo cuore e il dolore che gli procurava.
“Shanks!” - lo chiamò spaventata. Riuscì a liberarsi dalla sua morsa e mettendogli le mani sulle guance, cominciò ad accarezzarlo preoccupata.
Le sue mani un po’ fredde lo riportarono al presente.
“Mhmmm?” – il dolore si attenuò sensibilmente e i suoi battiti tornarono quasi normali.
“Come ti senti? Hai una faccia! Perché non mi rispondi?”
Lui ci mise un po’ a risponderle, ma poi esplose il suo solito sorriso sornione che le faceva scoppiare il cuore e, stavolta, il dolore toccò a lei:
“Mi sono ricordato che tu sei cannibale! – e prese a ridere come uno scampato alla morte – A conti fatti, i tuoi morsi sono più pericolosi dei miei… - e le accarezzò la guancia sorridendo – sì… sono più pericolosi… mocciosa grassoccia!” – e lo disse col tono di chi vuol dire “amore mio”.
Lei avvertì il contrasto tra il tono e le parole e rimase a fissarlo inebetita mentre lui finiva di ridere. Non ci capiva granché: prima era stato dolcissimo, poi era diventato crudele e spietato e l’aveva ferita divertendosi come un matto… Poi di nuovo dolcissimo… E adesso di nuovo a sfotterla…
“Però mi piace… - pensava disperata – mi fa impazzire…”
Prese ad accarezzargli di nuovo le guance e i capelli; lo sentiva, lo sapeva che lo stava guardando con gli occhi da triglia e per l’emozione non riusciva nemmeno a tenerli aperti, ma il punto era che quell’uomo dai capelli rossi, con tre cicatrici sull’occhio sinistro e senza un braccio le piaceva come nient’altro e nessun altro: era così bello e così dolce da non sembrare vero, profumava di pulito e rideva sempre.
“E’ come il mare… - pensava innamoratissima – immenso…”
Serrava la bocca per non dirgli che stava provando tutte le emozioni che un cuore umano può provare e riusciva solo ad accarezzargli i capelli e il viso per assicurarsi che fosse davvero lui, che non fosse un sogno…
Shanks si sentiva come se avesse bevuto diciotto barili di sakè…
E stava male: gli girava la testa, il dolore al petto non ancora gli passava e ora sapeva solo che doveva staccarsi da quella ragazza troppo bella, troppo dolce…
Fece un tentativo disperato, cercando di tornare padrone della situazione:
“E’ tardi… Andiamo a dormire… Se domani rinforza, partiamo subito...” – ma non ci credeva davvero.
Lei non aveva alcuna intenzione di andare a dormire senza lui: continuava ad accarezzargli il viso e i capelli, implorandolo con lo sguardo di non alzarsi da lei, di non staccarsi, di non andare via…
“Shanks… io…” – provò a dire qualcosa mentre chiudeva gli occhi annegati nell’emozione, ma lui, in preda al panico, la prevenne:
“Andiamo a dormire… – quasi la implorò – sono un po’ stanco…”
Lei si sentì morire.
“Sì… certo…” – ma non riusciva a smettere di accarezzarlo.
“Ti fa ancora male la testa?” – e non riusciva a staccarsi da lei.
“Un po’…”
“E allora per farmi perdonare ti porto in braccio, ok?” – non la voleva lasciare, oramai erano diventati una cosa sola…
Lei assentì col capo tutta contenta.
“Aggrappati al collo che ti tengo io…”
E si alzò trascinando pure lei che si stupì nel constatare quanto fosse forte: da terra si alzò come se nulla fosse, sollevando anche lei che gli restava avvinghiata e gli passava le gambe intorno alla vita, stringendolo nella morsa più piacevole che un uomo possa provare.
Quando fu in piedi, riprese:
“…Così faccio anche un po’ di pesi…” – e rideva emozionato mentre lei gli pizzicava le spalle piano e si avviavano verso la tenda.
Il percorso fu dannatamente breve per entrambi, morsi com’erano dalla passione e da quell’abbraccio impossibile da dimenticare: si stringevano così tanto da farsi male, avvinghiati fino a soffocare mentre lei premeva la testa contro quella del pirata più sensuale e idiota, dolcissimo e caprone che avesse mai conosciuto e si ubriacava con il suo profumo.
Teneva le mani immerse nei suoi capelli godendosi anche l’umidità che ancora conservavano e con le dita insinuate nel collo della camicia, gli sfiorava la nuca e ne seguiva le linee; aggrappata al suo collo, alle sue immense spalle davvero sperava che non riuscisse a trovare la tenda… avrebbero vagato tutta la notte abbracciati. Lo stringeva per imprimersi ogni sensazione e sapeva che appena si fosse staccata dal suo corpo bollente, sarebbe morta.
Lui arrivò in fin di vita alla tenda:
“Sto per morire…” – sapeva che appena si fosse staccato da lei sarebbe morto per infarto visto che il dolore non accennava a passare oppure avrebbe preso a sanguinare abbondantemente e gli girava la testa mentre si dirigeva verso l’amaca.
Con delicatezza si chinò e l’adagiò su quel letto pensile come una bimba addormentata e finalmente si distaccarono, strappando i loro cuori: lui le restò vicino ancora per un po’ mentre si guardavano nella fitta penombra, distrutti da quei minuti di fuoco…
“Scusami se mi sono comportato da idiota… volevo solo scherzare! – e fece una pausa per riprendersi – Ah… scusami anche per il pugno, il bernoccolo e il coltello… – rise piano e aggiunse: - la prossima volta un paio di schioppettate e facciamo subito, d’accordo?”
Lei scoppiò a ridere, ma la guancia le faceva male…
“E’ stata colpa mia… scusami tu per averti svegliato…” – mormorò, morendo per la voglia delle sue labbra.
“Non ti preoccupare… mi riaddormenterò… - mentì spudoratamente: sapeva che non avrebbe più chiuso occhio per i successivi tre mesi. E ragionò soprappensiero: - e poi tu mi hai solo svegliato… invece io ti stavo per ammazzare…”
Lei rise di nuovo persa nella dolcezza di quei momenti.
Ancora un silenzio atroce.
“Buonanotte, piccola…” – e le premette delicatamente la bocca socchiusa sulla guancia dello schiaffo; lei alzò le braccia, gli accarezzò il viso e quei capelli unici... poi lo cinse al collo e ricambiò appassionatamente il suo bacio:
“Buonanotte, capitano…”
Nella tenda c’era un filo di luce e si vedevano poco… ma potevano sentire i loro corpi caldi e i loro respiri agitati. Per questo si accorse che lui si era tolto il mantello solo quando se lo sentì addosso:
“Copriti… questa notte la temperatura si abbasserà… farà freddo…”
“E tu? Torni in spiaggia?”
“Non ti preoccupare… vado nella mia tenda…  - si allontanò silenzioso – a domani….”
“A domani…”Avvolta nel suo mantello caldo che profumava di lui, si addormentò felice.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 023.Un'occasione per bere ***


23 – Un’occasione per bere

Shanks non si sentiva benissimo… 

Subito dopo aver riportato quella dolcezza nella tenda aveva cercato di stendersi sulla sua amaca per dormire un po’, ma stava male. 

Avrebbe voluto portarla subito dal suo amico dottore, ma non erano  riusciti a staccarsi...

“Ma che m’è preso?” – si domandava in preda alla confusione che si era impadronita di lui da quando lei lo aveva chiamato con quel dolce sussurro mentre la mordeva. E poi quello strano dolore mai provato prima… 

Il cuore continuava a fargli male e gli esplodeva ogni volta che riandava con la mente a quei momenti in cui... finalmente…

Era stato steso su molte donne nella sua vita, ma nessuna, mai, lo aveva fatto sentire il Re dei Pirati con un semplice sorriso; nessuna, mai, gli aveva procurato un mezzo infarto solo con lo sguardo.

Steso su di lei si era sentito in capo al mondo, il padrone di tutti i mari e delle terre emerse e non gliene fregava più niente dello One Piece, della Marina militare e della taglia spropositata che gli pendeva sulla testa.

Non era riuscito a pensare ad altro che al suo seno, al suo respiro agitato, alla morbidezza del suo ventre e alle sue mani che non smettevano di accarezzarlo, ai suoi occhi nocciola: non si sarebbe staccato da lei nemmeno morto, ma non avrebbe potuto continuare a stare steso su di una ragazzina di diciotto anni che a volte sembrava così bambina e a volte così adulta… non avrebbe potuto continuare a starle appoggiato addosso con noncuranza senza dirle che…

“Non è possibile… no…” – e gli scoppiava il petto. 

Non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso.

E ancora quel dolore sordo e insistente…

Si era insinuato nel suo petto da quando l’aveva conosciuta, si faceva abbondantemente sentire quando erano vicini e aveva cominciato a crescere diventando terribile, insopportabile mentre erano ad un passo dal far l’amore: partito in quarta, tutto spavaldo, aveva detto a se stesso che sarebbe stata come le altre volte solo un po’ più divertente… quella ragazza era così carina quando si infuriava, era così dolce quando gli teneva il muso…

Aveva mentito a se stesso e lo sapeva già mentre le raccontava quella cazzata sulle cicatrici, mentre si divertiva a torturarla un po’: per esorcizzare quel dolore, per non sentire il suo cuore dare di testa, l’aveva provocata, l’aveva fatta infuriare, ingelosire. 

Credeva che così facendo, non lo avrebbe sentito, avrebbe messo il bavaglio alla sua anima che glielo urlava in faccia da quando le aveva parlato la prima volta…

“Non può essere…” – si girava e rigirava nell’amaca senza trovare pace a quel dolore e alla sua anima confusa e tormentata.

Non aveva potuto continuare, baciarla, toccarla.

Quel malefico dolore che non ancora lo lasciava in pace, aveva continuato a tormentarlo anche quando lottavano e lei lo guardava con un odio ingiustificato e feroce, quando aveva immerso il viso nei suoi capelli restando stesa sulla sua schiena in un silenzio che parlava da se, quando le era saltato addosso intenzionato a prenderla, ma poi  si era perso nei suoi occhi, naufragando in quel mare color nocciola di cui, lo aveva capito e per questo stava male, non avrebbe mai più potuto fare a meno e nel quale mai e poi mai avrebbe trovato una rotta da seguire…

Quell’urgenza di starle attaccato e la necessità di staccarsi al più presto gli avevano fatto girare la testa, l’avevano stordito e di lì a poco le avrebbe urlato che doveva sparire dalla sua vita, cercare i suoi amici da sola, ma allontanarsi da lui e velocemente…

Non si era mai sentito così confuso, smarrito e vulnerabile: lei avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa e sarebbe stato indifeso, completamente nelle sue mani; era in balia della volontà di un’altra persona e questo gli rammentava atroci ricordi che credeva sommersi per sempre dal mare di avventure che aveva vissuto.

Steso sull’amaca, in preda al delirio e al dolore, la sua anima glielo urlò un’altra volta in faccia, stavolta talmente forte da rischiare di farlo cadere…

L’amava.

L’amava da morire, l’amava tutta, l’amava ancora di più quando si arrabbiava con lui, quando gli teneva il broncio. Amava il suo corpo morbido e caldo, amava i suoi capelli color zucca, amava i suoi occhi nocciola, la sua bocca rossa, la sua pelle di pesca profumata, le sue guance grassocce. 

Quando era con lei si sentiva un dio, un dio felicissimo, un dio non più solo.

Ma l’amore, per un pirata, rappresentava l’inizio della fine.

E ripensava alle parole di Occhi di Falco che, del resto, non gli avevano detto nulla che non sapesse già:

“Con una donna accanto, un pirata ha i giorni contati…”  

 

Non riusciva più a respirare e sentiva solo confusione.

Si alzò e, barcollando, si diresse verso le tende degli altri; diede inavvertitamente un calcio ad alcune stoviglie e fece un certo baccano.

Cadde a terra seduto: gli girava il mondo in testa.

“Oh… Shanks! Che succede?” 

Ben che era di guardia, aveva sentito i rumori ed era accorso in mutande. 

“Niente…” – ma gli bastò sentire la voce del suo amico... Si rialzò di scatto, si infilò saltellando i pantaloni, e corse verso la tenda del medico di bordo.

“Lucas… Svegliati… Lucas”

“Ohmmm… Mhmmm… - aprì gli occhi – Ben… cosa c’è? Che succede?”

“Il capo sta male… vieni forza!”

A quelle parole il sangue di Lucas si gelò: in un attimo saltò giù dall’amaca, prese la cassetta e corse fuori facendo mangiare la polvere al vice.

“Che cazzo hai fatto? Che ti succede? Sei bianco come un morto!” – era quello più agitato e lo fece stendere sull’erba.

“Adesso sto meglio… - confessò Shanks che si sentiva anche debole – ma ho una confusione in testa… - si portò la mano alla fronte per asciugarsi il sudore freddo – e prima mi ha fatto male il cuore…”

“Il cuore??” – Lucas era veramente preoccupato e aveva preso a strillare.

“Abbassa la voce… così svegli tutti! - rise – e che cazzo!”

Lucas gli tolse la camicia e auscultò il cuore. Dopo un po’ gli disse:

“Fai un grosso respiro…”

Shanks eseguì e Lucas restò in silenzio.

“Un altro…”

Il capitano eseguì.

“Tossisci…”

“Ti sei agitato, vero?”

“Mhmmm…” – mormorò per assentire: adesso era anche molto stanco.

“Hai avuto un incubo?”

“No… ero sveglio…”

“Mhmmm… - ora era Lucas a mormorare – il cuore sta a posto, capo… Non ci sono soffi e nemmeno battiti irregolari. In effetti il ritmo cardiaco è un po’ accelerato, ma non c’è aritmia e del resto, sei ancora giovane per preoccuparti dell’infarto…”

Ben guardò il suo amico e capì al volo.

“Come va, ora?” – gli chiese pensieroso.

“Molto meglio… - sbadigliò – non vi preoccupate, tornate a dormire…”

“Va bene…. Però prendi questo calmante…”

“E perché?”

“Hai avuto un forte choc… - gli spiegò Lucas consapevole che il suo capitano aveva subito uno stress emotivo piuttosto violento – e i postumi ti impediranno di dormire e riprenderti se non prendi qualcosa… E invece tu devi riposare.”

Shanks sospirò, ma ingoiò la pillola senza protestare: non gli piacevano i farmaci, ma aveva un disperato bisogno di dormire. 

Lucas rimase a guardarlo ancora un po’: adesso era seduto, si era infilato la camicia e osservava in silenzio il suo vice e il suo medico che lo fissavano preoccupati. Sospirò:

“Andate… Non vi preoccupate, sto bene.”

“Ok… io vado… ma se c’è qualcosa chiamami subito, non fare l’idiota!” – e s’allontanò consapevole del fatto che non avrebbe ripreso sonno tanto facilmente: Shanks non aveva mai avuto bisogno di un dottore tranne quando aveva perso il braccio… Aveva una salute di ferro.

“Deve essersi spaventato…” – il buon Lucas pensava si trattasse di un grosso spavento.

“Ce la fai a tornare nella tenda o ti ci devo portare io?” – chiese Ben dopo un po’,  sfumacchiando.

“Non sono mica ubriaco…”

“Avresti dovuto mangiare qualcosa stasera…”

“Non avevo fame.”

Ben sbuffò forte il fumo e chiese:

“Nami?”

A Shanks esplose il cuore un’altra volta, ma quel dolore malefico era più attenuato. Non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo:

“Non ti ci vuole un dottore – scherzò Ben, vedendolo il colorito tornare sulle guance del suo amico – ma un prete! Sposatela e falla finita!”

 

“Ahia…” – fu la prima parola che disse il giorno dopo quando aprì gli occhi.

Tutta la parte destra le faceva un male cane e testimoniava insieme al mantello del suo Rosso che l’avvolgeva tutta, che quello che era successo la sera prima non era stato un sogno… 

Era successo per davvero!

E allora l’adrenalina percorse tutto il suo corpo insieme alla felicità: erano stati stesi insieme per un tempo indefinito e lui l’aveva coccolata, accarezzata. Poi l’aveva presa, stretta e portata in braccio fino all’amaca… e poi quel bacio fantastico… Si vergognava nel riandare con la mente ai minuti passati lottando con lui, quelli passati a cercare di coprirsi un po’ per via della gonna che le era salita su, della manata in faccia per impedirgli di guardare… ma poi tornava a fremere, pensando agli attimi in cui si era stesa sulla sua schiena con il viso immerso nei suoi capelli, poi… i suoi morsi… quegli strani minuti passati in balia del desiderio, quei suoi occhi prima caldi e dolci e poi freddi come il ghiaccio mentre si comportava da cafone e idiota e la feriva senza motivo. 

E quel suo strano malessere… di colpo era diventato bianco come un cencio, aveva smesso di respirare come se fosse stato pugnalato alle spalle… 

E poi di nuovo la sua dolcezza, il suo respiro, il suo corpo caldo e muscoloso che la schiacciava contro la sabbia, la sua mano dietro la testa e tutte le carezze che si erano fatti, le risate, i suoi capelli, il suo profumo e… il suo ceffone!

“Ahia... che male!” – non poteva nemmeno abbassare o alzare la palpebra che sentiva grosse fitte di dolore. Avrebbe voluto andare da Lucas per farsi medicare, ma poi avrebbe fatto fare una figuraccia al suo Rosso… E languiva nell’amaca in preda al dolore e al dubbio di sapere che fare… prima o poi l’avrebbero vista.

“Sei sveglia?”

La voce di lui proveniva da fuori alla sua tenda.

“Sì…” 

Entrò, lasciando filtrare un filo di luce.

E di prima mattina si sentì esplodere il cuore nel seguire con lo sguardo il suo profilo disegnato dalla luce e dalle zone d’ombra netta e scura: era davvero bellissimo.

Lui si avvicinò all’amaca entrando nella zona d’ombra in cui lei si trovava.

“Come ti senti? Adesso andiamo da Lucas…” 

“Non ti preoccupare… sto bene…” – non voleva costringerlo ad ammettere che era stato lui, anche se per sbaglio, a picchiarla.

“Ci sta aspettando… e poi devi farti vedere il bernoccolo: se cresce più del tuo culo è grave…”

“E smettila!” – e scoppiò a ridere indispettita: quell’idiota la sfotteva di prima mattina. Ma ridere le faceva male e le sfuggì un piccolo gemito di dolore che spaccò in due il cuore di Shanks.

“Andiamo, dai… - si decise, riprendendosi il mantello e sistemandolo sulle spalle – e vedi di muoverti con le tue gambe che non posso rischiare l’ernia come ieri sera…”

“Idiota… io non peso tanto… e poi nessuno ti aveva chiesto di prendermi in braccio: l’hai fatto tu, di tua iniziativa…”

“Mi volevo allenare, ma ho visto che non ancora posso arrivare a certi sforzi…”

Si mise in piedi accanto a lui e, oramai, nella penombra si distinguevano abbastanza: erano ancora emozionati e presi dalla dolcezza dei ricordi della sera precedente anche se Shanks cominciava a stare male perché intravedeva che cosa le aveva combinato in faccia.

“Andiamo…” – la prese per mano e uscirono dalla tenda.

Quando, alla luce del sole, vide lo splendido viso di Nami deturpato da un diffuso gonfiore sulla guancia destra e dal relativo occhio nero e gonfio, si sentì morire e la sua espressione sconvolta la addolorò.

“Non fa niente… - cercò di consolarlo – è stato un incidente…”

“No… - era disperato – è che credevo che non avresti potuto essere più cessa di come già sei e invece mi sbagliavo…” – e il suo tono era estremamente serio.

“Sei un idiota… riesci solo a dire cazzate… ci vado da sola da Lucas!” – si riprese la mano e si avviò infuriata.

 

“Ma porca…” – esplose Lucky seguito dagli altri quando la videro. Tutti la raggiunsero e fecero cerchio intorno a lei.

“Che t’è successo?” – Yassop era sconvolto come gli altri.

“Niente…” - ma non sapeva che inventarsi.

“Sono stato io… - ammise Shanks, sconcertandoli tutti – si è avvicinata mentre dormivo e l’ho scambiata per un nemico…”

“Allora stai bruciato! - Lucky l’avrebbe fucilato – Ma come cazzo fai a scambiare la piccola Nami per un nemico?”

“Mi dispiace…” – era proprio addolorato.

“Ragazzi… non mi sono fatta niente… davvero… - non voleva che lo biasimassero: in fondo non l’aveva fatto apposta - mi passerà presto e poi le ha prese anche lui…” 

E tutti scoppiarono a ridere cominciando a dire cazzate e far casino già di prima mattina mentre Lucas, che cominciava a capirci qualcosa, le spalmava un olio puzzolente sulla faccia che però le portò immediato sollievo.

“Questo coso puzza che appesta… – iniziò Lucas decisamente sollevato perché il suo capo non aveva poi niente di così grave… – ma vedrai che il gonfiore sparirà in meno di tre ore… a noi serve come il pane visto che ci facciamo sempre male…”

“Che schifo…” – mormorò lei in preda alla nausea.

“Già… ora oltre che grassa, brutta e tappa, sei anche puzzona...” – di nuovo lui.

“E’ solo colpa tua…”

“La puzza sarebbe anche sopportabile se tu non fossi così cessa!!”

“Vaffanculo idiota!!” – e gli lanciò un sandalo senza riuscire a colpirlo mentre lui rideva talmente tanto che gli si vedeva lo stomaco.

 

“Ma quando partiamo?” – gli chiese quella sera poco prima di cena, vedendo che non si apprestava a lasciare l’isola.

“E’ un periodo di bonaccia e non c’è vento… – fece lui intuendo la sua frenesia – e, a meno che tu non voglia trainare la nave a nuoto, non ci possiamo muovere: nel frattempo è tutto pronto… dobbiamo aspettare solo che rinforzi… – poi la rincuorò – appena c’è un alito di vento, ci muoviamo!”

Erano seduti vicini davanti al fuoco e lei ancora non riusciva a dimenticare quella meravigliosa notte che li aveva visti eccitatissimi e stesi insieme sulla spiaggia ad accarezzarsi e coccolarsi. 

E moriva di dolcezza ricordando le sue carezze, il suo respiro agitato, il suo corpo muscoloso e bollente e quei momenti passati avvinghiata a lui mentre si lasciava riportare nella sua tenda… Quei capelli bagnati, le sue spalle, la sua nuca, il suo profumo e… il suo corpo fra le gambe…

Non trovava pace nel riandare con la mente a quei fantastici momenti e adesso lo guardava parlare e ridere con i suoi amici.

Persa nei bagliori che il fuoco allegro del Vento dell’Est spandeva sulla pelle di lui, riusciva ad ammettere a se stessa che amava quel pirata dai capelli rossi, lo amava da morire, amava il suo carattere dolcissimo e sincero, allegro e spensierato, lo amava tutto.

Si sentiva felice nonostante lui la prendesse in giro, nonostante le dicesse che era una mocciosa, brutta, grassa e tappa e nonostante le ripetesse di non avere speranze con lui…  

“Prendi! – le porse una strana conchiglia, interrompendo i suoi dolci pensieri  – assaggia!”

“Come si mangia? – chiese, guardandola storto: non aveva un bell’aspetto… - e come si prende?” – s’informò visto che colava uno strano succo.

“Apri la bocca…” – fece lui dolcemente, aiutandosi con le dita e infilando il contenuto dell’ostrica nella sua bocca. Lei lo lasciò fare e gustò più le dita di Shanks che il mollusco: si guardarono accecati dal desiderio… – “ma è viscido…” – aggiunse schifata.

“Però è buono, vero? Non lo tenere in bocca, assaggialo!” – esclamò in un improvviso silenzio della ciurma in cui tutti si girarono a guardarli e loro divennero viola. Qualcuno disse:

“E vai capo… Tattica delle ostriche, eh?!” – chiese, imbarazzando Shanks da morire fra le risa generali. 

Lei lo guardò con aria interrogativa e, quando ripresero i bagordi, lui le disse sconcertato:

“Solo tu non lo sai che le ostriche sono afrodisiache!” – mentre lei trasaliva e arrossiva violentemente, temendo e sperando davvero in una meravigliosa notte d’amore con lui…

Ma Shanks fu perentorio:

“Lo so che ti piacerebbe… ma non posso mangiare tutte le ostriche che servono! Ce ne vogliono almeno tre chili per farmi scordare che sei una mocciosa, brutta, grassa e tappa… – disse convinto come se fosse la cosa più naturale del mondo – più un altro chilo per le mutande col panda… E le ostriche in grandi quantità fanno male!” – concluse seriamente preoccupato per la sua salute.

“Te l’avevo detto che l’alcol t’ha ridotto male… ti ci vuole una nave di ostriche per fartelo funzionare… stronzo!” – sibilò, guardandolo malissimo.

Quando smise di ridere, Shanks le disse:

“Domani mi racconterai della tempesta e mi farai uno schizzo della nave così prepareremo i dati per la griglia di ricerca…”

Ma la sua bellissima ragazza stava ancora pensando alla faccenda delle ostriche e moriva dalla voglia e dalla paura di restare sola con lui che, in mezzo ai bagordi del suo equipaggio, la guardava come se fosse lo One Piece…

“Ehi Nami… – la chiamò Yassop – perché non ci parli un po’ della tua nave, dei tuoi compagni? Raccontaci qualcosa, dai!”

E tutti ad incitarla con brindisi e urla…

“Sì dai… - si unì Shanks, dedicandole un dolce sorriso – parlami un po’ di quel tuo fantastico capitano…” – e lo disse con una notevole dose d’invidia visto che poteva tenersi stretto quella navigatrice…

Lei decise che era ora di presentarsi… ricambiò quello sguardo e quel sorriso, si alzò, si schiarì la voce e disse:

“La nave si chiama Going Merry – esordì, sorridendo – è piccola, ma molto robusta – e sospirò pensando al suo campo di mandarini. – Siamo in cinque, per ora…” – e si girò verso Shanks sorridendogli felice.

“Il capitano - gli disse con un larghissimo sorriso – si chiama Rufy!!”

Se l’aspettava, ma non credeva che lui avrebbe tremato così: aveva tremato dentro, era sbiancato in volto e aveva chiuso gli occhi nel silenzio muto e sconvolto di tutto l’equipaggio… 

“Sì, Shanks – riprese tutta contenta – è proprio Rufy…”

Dire che erano tutti sconvolti è poco…

I cuori di tutti quei filibustieri si erano fermati nello stesso momento e non ancora si riprendevano: guardavano il loro capitano e ne aspettavano la reazione.

Shanks trasse un profondo sospiro, si dominò e si girò verso di lei:

“Rufy? Tu sei la navigatrice di Rufy?” – la voce gli tremava.

“E’ lui che devo cercare…” – lo informò lei con un filo di voce, persa nei movimenti delle sue labbra.

La faccia sconvolta e, a dirla tutta, disperata di lui le fece venire un dubbio:

“…Perché fai quella faccia? Non gliel’hai dato tu il cappello di paglia?”

Lui aveva la mano premuta sulla bocca e la guardava con gli occhi sgranati, realizzando la verità: 

“OH! CAZZO! Noooo… - era disperato - Mi sono innamorato della navigatrice di Rufy… Magari è anche la sua ragazza… Peggio di così non può essere…”

La fissò ancora un po’ in un silenzio sconvolto e poi scoppiò a ridere: era felice di aver ritrovato un membro della ciurma del suo amico speciale di gomma e gli tornarono in mente i fatti di dieci anni prima, il cappello e la promessa che il piccolo gli aveva fatto…

Intanto moriva dentro per la consapevolezza di dover mettere sul suo amore per Nami una grossa pietra…

Uno scoglio.

Quando videro il loro capitano ridere, tutti gli altri lo seguirono, commossi e felici di quell’incontro ai limiti dell’immaginabile: poi si alzarono e versarono fiumi di sakè benedicente sulle teste del loro capo e di Nami che restavano lì inebetiti mentre tutto l’equipaggio del Vento dell’Est li stringeva in un grande abbraccio.

 

Mangiarono e bevvero fino a scoppiare: il sakè era il grande protagonista della serata e, altre a quello, Shanks aveva già fatto fuori tre barili di birra. 

“Ma dove se la mette?” – pensava smarrita lei.

Aveva parlato di Rufy e del suo sogno, di quanto era attaccato a quel cappello e delle avventure che avevano vissuto insieme sotto lo sguardo commosso e dolce di Shanks, perso in un’altra dimensione e stranamente silenzioso.

“E come vi dicevo – continuò lei un po’ bevuta e felicissima - siamo in cinque, per ora, ma Rufy vuole anche un musicista e un dottore a bordo…”

“Scommetto che trova più urgente il musicista, vero?” – chiese, ridendo Shanks, sicuro della risposta. 

“Già…” – ammise lei imbarazzata, fra le risa generali. Poi continuò:

“Oltre a me, comunque, nell’equipaggio ci sono - cominciò ad enumerare con le dita - Zoro…”  

“ZORO?” – fece all’unanimità la ciurma sgomenta. 

“Zoro, il cacciatore di pirati? – intervenne Shanks piuttosto colpito.

“Sì… lui…”

Scese il silenzio fra tutti e Shanks rimase un po’ soprappensiero poi disse: 

“Oh! Ragazzi! L’aveva detto che avrebbe trovato dei compagni più in gamba di voi!” - e scoppiò a ridere, pensando che aveva creato un mostro… Un grande. 

Quando anche l’ultimo di quei pirati smise di complimentarsi virtualmente con Rufy offrendo dei brindisi, Nami continuò:

“Poi c’è Sanji, il cuoco che Rufy ha costretto a seguirci al ristorante Baratie dopo aver sconfitto Don Krieg…”

“DON KRIEG?” – nuovo sconcerto tra i filibustieri.

“Non male… un idiota in meno!” – Shanks diventava sempre più euforico.

“Infine c’è Usoop…” – ma s’interruppe perché Yassop saltò in piedi e la prese per le spalle, scuotendola. 

“Usoop?? Hai detto proprio Usoop??” – non poteva essere più sconvolto e Nami cominciava ad avere paura.

“Smettila Yassop… le stai facendo paura!” – sibilò Shanks che tornò subito a sorridere ed esultò:  

“Fantastico, adesso sai che tuo figlio è diventato un pirata… e sta con Rufy!!”

Nami era sconvolta. 

“Usoop è tuo figlio?” – quasi urlò.

Ma Yassop non ascoltava più nessuno… era così felice che cominciò a piangere a dirotto, nascondendo la faccia fra le ginocchia mentre tutti gli altri gli si accalcavano intorno facendogli gli auguri e bagnandolo con boccali di sakè e birra.

Quando la ressa attorno a lui si allentò un poco, Nami gli si avvicinò e l’abbracciò commossa: 

“Ah! Come sono contenta! Ti sta cercando…” – gli disse, asciugandosi le lacrime e continuò sotto lo sguardo non proprio benevolo di Shanks, piuttosto geloso – Ma lo sai che ha dato un pugno al Capitano Kuro perché aveva parlato male di te? Insieme abbiamo sconfitto la sua cricca, è un ragazzo coraggioso!”

“Ma Kuro è morto… Fu giustiziato dalla marina tre anni fa” – intervenne Ben incredulo.

“No, non era affatto morto… - lo rassicurò lei – si era finto morto per non essere più ricercato dalla marina. Ha recitato la parte del maggiordomo presso una famiglia ricca del villaggio “prendendosi cura” di una ragazzina che si era ammalata dopo la morte dei suoi genitori che, tra l’altro, lui stesso aveva ucciso. Poi ha fatto tornare i suoi uomini per far saccheggiare il villaggio e far morire la ragazza dopo averle fatto firmare il testamento in suo favore…”

“Ricordavo che fosse una bella merda…” – si schifò Shanks.

Poi lei si rivolse di nuovo a Yassop che aveva ancora gli occhi lucidi e l’ascoltava ansioso: 

“Pensa che era pronto a difendere da solo il villaggio e la sua amica Kaya… noi gli abbiamo solo dato una mano… è stata una lotta molto dura, ma lui si è comportato da grande… Kuro ci faceva un po’ paura!” – ammise lei.

“Beh, raccontaci i particolari… - la esortò Lucky – ci piacciono le lotte all’ultimo sangue…”

Lei raccontò per filo e per segno della battaglia e della vittoria sempre abbracciata a Yassop, contentissima che quella ciurma fosse così simile e legata alla sua; solo Shanks non si divertiva del tutto: quell’intimità con Yassop proprio non gli piaceva, ma non poteva darlo a vedere. 

“La gelosia è una brutta bestia…” – si diceva mentre partecipava ai festeggiamenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 024.Una decisione difficile ***


24 - Una decisione difficile

Oramai la ciurma era stata decimata dall’alcol.

Intorno al grande falò mezzo spento erano rimasti in pochissimi e fra loro non riuscivano a sentirsi, disturbati com’erano dal russare degli altri: Yassop s’era addormentato felice sulla pancia morbidissima di Lucky Roux e Nami aveva deciso di fare due passi per smaltire i fumi dell’alcol e rinfrescarsi.

“Che serata…” - pensava tra se. 

Adesso capiva molte cose… 

Rufy li aveva conosciuti quando era piccolo e ne aveva assorbito la voglia di vivere e l’amore per l’avventura. Si ispirava chiaramente a Shanks che aveva saputo costruire un grande affiatamento fra tutti, voleva essere un uomo come lui e ci stava riuscendo… Ecco perché aveva insistito sull’essere compagni, ecco perché ci teneva tanto… 

Ed ecco perché era così idiota! 

Shanks era il suo idolo, un uomo da imitare, la sua idea di pirata… 

Shanks sempre Shanks…

“E’ fantastico!” – sospirò ad alta voce, tenendo i piedi in ammollo nell’acqua, guardando il cielo stellato, pensando al suo inimitabile Rosso e a quanto le sarebbe piaciuto essere il bicchiere di sakè che portava alla bocca…

“Che cos’è fantastico?” – le domandò lui, avvicinandosi un po’ barcollando e mettendo i piedi in acqua.

Lei non l’aveva sentito arrivare e ora lottava per dominare i sussulti e l’emozione sotto una luna piena decisamente ideale per una notte d’amore…

“…E’ fantastico che ho incontrato il padre di Usoop… - s’inventò. - Sei ubriaco fradicio, eh? Che schifo, non ti reggi neanche in piedi…” 

Ripensava alla sera precedente e sperava in una nuova notte di emozioni… 

“E allora? C’era parecchio da festeggiare e il capitano ha delle responsabilità: deve assaggiare il propellente per vedere se è buono e degno dei suoi uomini, per esempio…” – per lui era una missione.

“E tu l’hai preso sul serio il tuo ruolo, eri calatissimo nella parte… t’ho visto analizzare quei barili a fondo… dovevi essere sicuro che fosse davvero buono…”

“E’ un lavoraccio, ma qualcuno deve pur farlo..” – rispose lui serio.

“Che nobiltà d’animo… nella filibusta c’è un santo e io non lo sapevo…”

“Santo lo sono davvero… - pensò, divorandola con gli occhi – se non ancora ti faccio la festa…” - ridacchiò con l’occhio mandrillo.

“Perché mi guarda così?” – si chiese agitata. Distolse lo sguardo, cercando di calmarsi.

“Cos’è questo? – le chiese con la voce roca sfiorandole, con le dita, la spalla con il tatuaggio – E’ da un po’ che me lo domando…” - aggiunse avvicinandosi di più e continuando a toccarla dolcemente.

“E’ un tatuaggio… - rispose emozionata e rigida lei, cercando di non farsi tremare la voce – una girandola e un mandarino…” - aggiunse senza girarsi.

Erano talmente vicini da sentire il contatto dei loro vestiti: Nami bruciava e avrebbe voluto gridare per il respiro di Shanks che le sfiorava la pelle e le muoveva i capelli. Ripensava alla faccenda delle ostriche e si domandava che intenzioni avesse il suo Rosso…

“Oddio…oddio… che faccio?” – era in preda al panico.

Lui non riusciva a smettere di toccarla: era così bella e fresca… con il volto immerso nei suoi capelli ne sentiva il profumo e la morbidezza mentre infilava lentamente le dita sotto la spallina della canottiera per tirarla giù; il sangue gli bruciava le vene e si chinò per baciarle la spalla… 

All’improvviso gli tornò in mente la faccia tutta contenta di Rufy così come ritratta sul manifesto e si sentì uno schifo: riuscì a fermarsi appena in tempo, rendendosi conto di star perdendo la finale di castità col Papa. 

Con un grandissimo sforzo si dominò, si allontanò lentamente e in modo impercettibile; con una forza d’animo mostruosa disse, normalizzando la voce: 

“Vicino al tatuaggio c’è una cicatrice, un taglio di coltello… – disegnandone delicatamente i contorni col pollice – chi te l’ha fatta?”

“Io… - rispose lei con le ossa liquide – ma è una brutta storia e non voglio parlarne… - aggiunse per non rovinare quella serata speciale.

“Come vuoi… - rispose, bisbigliandole dolcemente quasi nell’orecchio, facendola rabbrividire – ma vedi che prima o poi me la dovrai raccontare…” – l’avvertì serio, smettendo di toccarla con suo grande rammarico.

Restarono per un po’ in un silenzio teso. 

“Lo sai? Anche io ho un tatuaggio…” – aggiunse dopo un po’, tanto per dire qualcosa e farle dimenticare quel suo approccio.

“E dov’è la novità? – scattò lei nervosa per via dei tristi ricordi legati al tatuaggio e dell’eccitazione - …lo fate tutti… per voi pirati è un obbligo marchiarvi e marchiare anche gli altri!! E’ l’appartenenza alla banda! Bisogna farlo per forza sennò ve lo scordate!! – aggiunse sprezzante, cercando di scrollarsi l’eccitazione e mettendoci quel tono acido che le veniva naturale quando si trattava di pirati… 

E il suo Rosso, purtroppo, non faceva eccezione.

Shanks rimase un po’ in silenzio e poi replicò:

“Lo so di essere un pirata… anche senza tatuaggio… E non ho bisogno di marchiare i ragazzi per riconoscerli… – continuò amareggiato e a voce bassa – mi spiace se non sono scemo come i pirati che conosci tu… – aggiunse deluso – ma vedo che per te non fa molta differenza… – e si voltò, allontanandosi silenzioso.

Poi si fermò e aggiunse, dandole le spalle:

“La stima è una cosa importante sulla mia nave…” 

“Stupida… - pensava tristissimo – io non t’ho fatto niente… Non sono quella mezza sega di Arlong… se lo prendo, me lo faccio ai ferri! – e concluse proprio depresso e amareggiato – non potrà mai amarmi davvero…”

Lei si era accorta di essere acida e ingiusta già mentre finiva di parlare: Shanks era dolcissimo e molto sensibile… Capiva di averlo ferito e si sentiva morire, ma non sapeva come fare per riprendersi: era così bella quella sua espressione triste e crucciata e lei lo amava da morire, le stava sanguinando il cuore.

“Shanks… – lo chiamò, raggiungendolo - scusami… Perdonami… – e voltò il viso per evitare di piangere: Arlong continuava a torturarla ancora e la faceva litigare con l’uomo più dolce del mondo – non lo faccio apposta…”

Ne aveva passate troppe nei suoi diciotto anni: la vita con gli uomini pesce le aveva insegnato ad essere avara di carezze e coccole, a doversi aspettare sempre fregature. In preda al dolore per averlo ferito e alla delusione per la sua incapacità di lasciarsi andare anche con un uomo tanto dolce, due lacrime se ne fregarono dei tentativi di contenimento e scivolarono giù: 

“Non lo faccio apposta… io non penso che tu sia scemo… lo sai... – e deglutì - ogni volta che scatto così, tu fammelo notare e non ci restare male perché non ce l’ho mai con te… Prima o poi… smetterò di essere così acida, mi passerà… spero!”

Si morse un labbro, cercando di smetterla di frignare davanti a lui che, a sua volta, si sentiva distrutto e non riusciva ad immaginare che cosa avesse potuto farle Arlong di così atroce…

“Ehi… - Shanks non sopportava più di vederla piangere e le fece una piccola carezza sulla guancia – com’è prima mi tratti male e poi ti metti a piangere? Non dovrei essere io a frignare? Smettila, dai… non è niente! Non ci sono rimasto male…” – mentì spudoratamente.

E si sentì ancora più arida: lui riusciva ad essere dolce per tutt’e due.

Si asciugò gli occhi:

“Ovviamente quello che ti dico quando mi sfotti lo penso davvero…” – e si sorrisero, di nuovo in pace con il mondo. E riprese:

“Allora… dov’è questo tatuaggio? E che cos’è?”

“Se te lo faccio vedere, rischi di arraparti… - ragionava perplesso – perché è sotto la camicia…” – indicò il fianco destro.

“Allora tieniti tutto il tuo sex-appeal… Ma perché sei così scemo? Spiegamelo… ci sarà un motivo, no?” – e lui rideva.

Poi si aprì di più la camicia, innalzando sensibilmente la temperatura del sangue di lei, si girò verso la luna e le mostrò uno strano disegno: faticava a metterlo a fuoco per colpa dell’oscurità e dei muscoli di quell’uomo che addirittura facevano ombra tra di loro…

“Eh certo che mi eccito… ma guarda qua! – pensava lei, sospirando e cercando di concentrarsi sul tatuaggio che cominciava a capire – Ma vedi se in mezzo ai muscoli ci deve avere le ombre… ma perché è così bello?” – e non riuscì a resistere all’impulso di sfiorargli la pelle disegnata e seguire le linee del tatuaggio: era caldo e tonico e lo sentì rabbrividire sotto le dita…

“Lo vedi che ti arrapi? – la svegliò lui che con tre barili di alcol nelle vene non era questo campione di autocontrollo e non avrebbe sopportato la vicinanza di lei per altri cinque minuti senza violentarla ripetutamente – ti avevo già detto che non mi devi toccare… per favore manteniamo le distanze!” – e rideva eccitatissimo.

“Smettila di dire cazzate… è la fenice, vero?”

“Già…”

“Come mai?” – era molto curiosa, voleva sapere tutto di lui e subito.

“La leggenda dice che la fenice rinasce dalle proprie ceneri: trae nuova forza dalle sconfitte e dalle disfatte… e così ho fatto io in un periodo molto triste della mia vita…” – fece assorto.

“Che è successo?” – lo incalzò lei, preoccupata.

“E’ una brutta storia e non voglio parlarne… – le ripeté le sue parole e continuò, prendendole il mento fra le dita e accarezzandole l’angolo della bocca con il pollice – quando mi racconterai di te, io ti parlerò di me… nel frattempo ci deve bastare quello che pensiamo l’uno dell’altra…” – e si guardarono negli occhi innamorati pazzi, in un silenzio assurdo.

Concluse quella serata indimenticabile con un lungo bacio sulla guancia di lei che tremava in preda alla febbre:

“Buonanotte, mocciosa…”

“Non sia mai detto che perdo una battaglia…” – si disse addolorato, tornando dagli altri e pensando alla sua gara personale di castità.

 

“Da quando lei è qui non si dorme più…” – considerava, fissando il cielo stellato, coricato su un’amaca e pensando al rischio che aveva corso. 

“Ti rendi conto che hai provato ad andare a letto con la navigatrice di Rufy? Cretino senza frontiere… - si diceva, sentendosi una schifezza, un rifiuto della società con i sensi di colpa che si ammucchiavano come la neve – Come ho potuto? L’ho toccata mentre dormiva, me la sono quasi fatta nel sonno… poi, l’altra sera, con la scusa del solletico… e, pure dopo aver saputo che è zona di Rufy, ho tentato di sedurla con la storia del tatuaggio… – e sospirò con il cuore in gola, ricordando – e ieri sera? Non ne parliamo, và… Devo dimenticarla, me la devo levare dalla testa… – si diceva con la morte nel cuore – non deve succedere niente tra noi…” – sospirando di sollievo e rammarico nel non aver insistito con la faccenda delle ostriche.

E continuava, rigirandosi nell’amaca:

“Brutto imbecille di fama mondiale… ti sei salvato per un pelo! Coglione d’eccellenza, ti basta un po’ di sakè per saltare addosso ad una mocciosa? Cosa credi che non l’abbia capito che muori per lei? Non è mica scema… – si diceva, sentendosi uno schifo non solo per i bagordi… - E’ splendida… però è anche stronza… potrebbe coprirsi un po’ di più… quelle non sono le gambe di una mocciosa… quella mini è proprio mini… è ingiusta nei miei confronti… – poi sospirò – Non ci sono scuse... sono un maniaco! Perché dormono tutti? Come fanno? Qualcuno mi dia una botta in testa!” – implorava tra se.

Si alzò di scatto in preda alla forte eccitazione, si mise a correre verso la spiaggia, si buttò in acqua vestito e prese a nuotare per scaricare tutta l’adrenalina; dopo due ore di nuoto continuato, bagnato ma tranquillo, tornò all’amaca e s’addormentò. 

 

Mentre Shanks si dava al nuoto mondiale battendo i delfini in velocità, in una tenda appartata e un po’ distante, Nami aveva gli attacchi di tachicardia ripensando a ciò che era successo quella sera. Non sapeva che pensare, ma tremava. 

Per fortuna non s’era accorta che lui la stava per baciare: lei sapeva solo che le aveva sfiorato la spalla e le era salita la febbre…

“Che serate… Prima mi sfotte, poi mi bacia, poi mi sfotte di nuovo e dopo ancora mi tocca… Non ci capisco niente… e poi, perché non mi tocca di più? – si chiedeva in preda ai calori per via di quelle serate sempre più eccitanti. Ripensava a quell’idiota che il suo eccitantissimo Rosso aveva ucciso e che, prima che svenisse, le aveva toccato il seno e rimesso la mano fra le cosce… - Che schifo… - rabbrividiva, ricordando. E si bagnò, pensando a quanto le sarebbe piaciuto sentire la mano di lui sotto la gonna, fra le sue gambe (le stava salendo la pressione a livelli allarmanti), sul suo seno… E considerò: - con tre barili di birra nelle vene i pirati si avventano pure sugli scogli… Ma non mi calcola nemmeno di striscio quando è sobrio… sono una mocciosa… – pensava delusa – Magari non è andato oltre perché non era del tutto ubriaco… Domani già non si ricorderà più niente… - e concluse - e poi io lo preferisco sobrio, almeno posso a capire se fa sul serio o no…”

 

Si svegliò starnutendo ripetutamente… Aveva i vestiti umidi e la testa dolorante: 

“Benone, buongiorno raffreddore!! – si complimentò con se stesso per la geniale trovata del bagno di mezzanotte – Beh, almeno mi sono salvato da una notte di dolore…” -  si scusò.

Si alzò barcollando in preda al più grande mal di testa dei mari orientali e, con un solo occhio aperto, si mise a fare un caffè che già dal profumo si preannunciava micidiale. 

Guardava la fiamma e ripensava ai loro momenti insieme: il solletico e quel suo meraviglioso corpo morbido e caldo contro di lui, le sue risposte a saetta, i suoi sorrisi, le sue scuse e le sue lacrime quando si era accorta di averlo ferito… E la sua pelle morbida, liscia e fresca e ancora la voglia indomabile di tirarle giù la spallina della canottiera e farla sua…

Il ricordo lo fiaccò e l’eccitazione imminente distribuì parecchio sangue, acutizzando il mal di testa; tra l’altro si era sentito geloso e trascurato perché lei aveva abbracciato Yassop, poi aveva tentato di sedurla giù in spiaggia… 

“Che idiota… – si diceva inorridito da se stesso – sto impazzendo per la navigatrice di Rufy… Una che ha l’età del figlio di Yassop… E adesso che faccio?” – si chiese, fissando la fiamma da farsi lacrimare gli occhi.

“Mi sa che se ti dico buongiorno, ti offendi… – gli disse Ben guardandolo schifato, masticando il tabacco del mattino.

“Mhmm… – mormorò Shanks - Vuoi il caffè?”

“No, ha la tua stessa faccia…” - sibilò l’altro mentre s’accendeva l’immancabile sigaretta.

Shanks trovò una tazza pulita in mezzo a delle cianfrusaglie e, sbadigliando, si versò quel liquido preoccupante… quando lo assaggiò, rimase senza fiato per due minuti.

“Non voglio passare per il detective dell’anno, ma credo tu abbia dimenticato lo zucchero…”  -  sbuffò Ben.

“Già… la mia lingua non serve più a niente, non potevi dirmelo prima?” – farfugliò il capitano, domando i conati di vomito.

“Non sarebbe cambiato nulla… fai comunque schifo” 

“Buongiorno Ben – fece Lucky Roux; guardando schifato il capitano disse – a te non lo dico, schifezza…”

“Non me lo merito…” - concordò Shanks, abbandonando la testa dolorante all’indietro e poggiandola su di un grosso rotolo di corda. Il vice e il grassone si scambiarono un’occhiata significativa e tornarono a guardarlo preoccupati.

“Lucky, vuoi un po’ di caffè con quel cosciotto?” – rise Shanks mentre la testa gl’impazziva di dolore.  

“Scordatelo! Te l’avevamo già detto che non dovevi fare più il caffè che ti esce una merda… bevitelo tu!” – borbottò, mordendo il suo immancabile cosciotto.

Shanks sapeva che erano preoccupati per lui e gliene era grato. 

“Quando hai intenzione di partire?” – s’informò Ben.

“Al più presto, ma credo che per oggi non se ne parli: il vento è il grande assente della giornata, speriamo che domani rinforzi… – si sforzò di concentrarsi. – Oggi tracceremo la rotta e la griglia di ricerca per la nave di Rufy, sperando che non sia colata a picco nella tempesta” – disse quasi tra se, temendo l’istante in cui si sarebbe seduto a tavolino con lei per concordare la rotta.

“Vado io a sistemare la nave – disse Ben, fissandolo di traverso – vedi di riprenderti… dal caffè”. Fece un cenno a Lucky e si allontanarono.

“Grazie… ragazzi!” – sospirò il capitano.

 

Si era appisolato da qualche minuto e quando aprì gli occhi, la ragazza più bella del mondo era seduta di fronte a lui e lo guardava con un’espressione disgustata.  

“Se possibile, oggi sei anche più brutto del solito…” – esordì lei con un sorriso, felice di rivederlo sveglio dopo circa un quarto d’ora che, indisturbata, se lo mangiava con gli occhi mentre dormiva.

Nel sonno lui aveva un’espressione rilassata e soddisfatta e sembrava stesse facendo un bel sogno. La testa rilasciata all’indietro pigiava il collo della camicia e ne allargava l’apertura davanti, mostrando molto più di quello che in genere si vedeva… quanto la tormentavano quella camicia bianca sempre aperta… quelle spalle larghe e poi quel rigonfiamento dei pantaloni, sotto la cintura: si sentiva molto sgualdrina, ma proprio non riusciva a non guardare.

“Buongiorno anche a te nanetta…” – mormorò lui senza riuscire a non sorriderle a cuore aperto. 

“Dalle tue condizioni fisiche deduco che oggi non partiamo…”

“E mica lo soffio io il vento! Ti sei accorta che è bonaccia, vero? Ma se ti va di remare… fa’ pure! Comunque Ben sta mettendo tutto pronto così possiamo partire appena rinforza.” 

“Oggi potremo almeno tracciare la rotta…” 

“E  la griglia di ricerca, che è più impegnativa…”

“La griglia di ricerca? Cos’è?”

“Che affarone ha fatto Rufy! Non sai nemmeno cos’è una griglia di ricerca!!” - si finse scandalizzato.

“Meno male che sai tutto tu… - s’indispettì lei. – Invece di tirartela perché non mi dici che cos’è e la fai finita?”

“E’ bellissima quando si agita…” – pensò cotto. Poi si riprese di colpo:

“Il mare è piuttosto grande… te ne sarai accorta! - esordì con sarcasmo – una volta tracciata la rotta ed individuato il punto in cui presumibilmente sei caduta dalla nave, è necessario creare una mappa della zona in cui cercare fatta di coordinate. Per farlo dobbiamo ricostruire la potenza approssimativa della tempesta, delle correnti d’acqua e dei venti; dobbiamo ipotizzare che alla Going Merry si sia spezzato il timone e quindi sia andata alla deriva e soprattutto dobbiamo individuare, il più precisamente possibile, dov’è che sei caduta”. 

Lei lo guardava rapita: parlava e gesticolava come se il mondo fosse tutto suo e prendesse vita dalle sue labbra; era così intelligente, interessante e piacevole da ascoltare… la sua voce la incantava. 

Uscì di colpo da quell’universo parallelo in cui lui era tutto e lei lo guardava con gli occhi e la bocca di una triglia appena pescata quando lui le disse serafico: 

“Sono convinto che non hai capito niente di quello che ho detto…”

“Non è facile seguirti, sei così noioso… - mentì spudoratamente – ma ho capito… Cos’è quello che hai in mano? Sakè?” – domandò, riferendosi al bicchiere di caffè che Shanks non era riuscito a finire…

“No è caffè…”

“Buono!!” – fece lei più per voglia di toccarlo che per voglia di caffè. 

Voleva bere dove aveva appena bevuto lui… Gli sfiorò le dita nel prendere la tazza ed entrambi sentirono un brivido lungo la schiena.

Lo bevve, e per poco, non si sentì male: 

“Ma fa schifo! E’ orribile! Chi è il responsabile di questo disastro?” – inorridì mentre Shanks iniziava a ridere. 

“Sei stato tu!! - s’inalberò – Hai tentato di avvelenarmi! Ora me la paghi…” – e si allungò verso di lui cercando di rovesciaglielo sulla testa. 

Ma lui le prese il polso ridendo e impedendole ogni movimento. 

Continuarono a giocare felici per un bel po’.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 025.All'arrembaggio! ***


025 - All’arrembaggio!

“Capitano!!” – urlò Teschio che quella mattina era di vedetta.

“Sì, dimmi…” – Shanks stava per iniziare a preparare i dati della griglia di ricerca e masticava delle foglioline di menta per togliersi il pessimo sapore del suo caffè dalla bocca.

“Porcaccia… che schifo… sono proprio negato per il caffè…” – pensava, domando ancora i conati di vomito che gli salivano.

“Nave merci a Sud-Est… In avvicinamento…”

Nami, poco distante, ascoltava attenta.

“Che bandiera batte?”

E Teschio ghignò:

“Compagnia delle Indie Occidentali!”

Tutta la ciurma esplose in un enorme boato di “Yeah!”, “Urrà!” e “Vai!” che fece venire i brividi a Nami: sembravano impazziti e per il povero bastimento si profilavano guai in vista.

Shanks ghignava come solo lui sapeva fare e fissava assorto una mappa della zona. Poi prese un cannocchiale e raggiunse la postazione di Teschio su di un enorme albero. Nami lo vide arrampicarsi come una scimmia: rimase a fissare nel cannocchiale per un po’ e poi scese, continuando a ghignare.

“Poverini… - e ridacchiava mentre i suoi cominciavano ad affilare le armi – devono essere a corto di navi se caricano in quel modo un veliero a tre alberi… chissà come mai?” – chiese sarcastico.

“Perché le abbiamo ridotte sul lastrico quelle checche!” – rise Rosetta.

“Certo che ti diverti a rovinarli…” – commentò Ben avvicinandosi e ghignando nel suo fumo.

“Però tentano sempre di riprendersi… - replicò lui, ridendo disinvolto della rovina che creava mentre Nami lo guardava ed ascoltava con una certa delusione in fondo all’anima – quel veliero deve essere nuovo, è lindo e pinto…”

“Chissà quanto l’hanno pagato…” – commentò Lucky che, insieme agli altri, s’era avvicinato al capitano per ascoltare gli ordini. 

“E chissà quanto l’hanno caricato… - intervenne Yassop – la linea di galleggiamento è sparita… secondo me ci facciamo 5 testoni in una botta sola…”

“Già… e questo vuol dire che non s’è lavorato bene… - li rimproverò lui – hanno ancora tanti soldi, troppi… avevo scommesso con Mihawk che avrei fatto dichiarare bancarotta alle checche in meno di un mese e sto perdendo! – scherzava sempre più disinvolto mentre Nami serrava la bocca e lo guardava sconsolata e profondamente delusa – non mi piace perdere le scommesse, tanto meno con Occhi di Falco… - e raccontava, scuotendo la testa preoccupato – è già in vantaggio per aver affondato due flotte più di me! – e inspirò con forza – allora, vogliamo spegnere per sempre le speranze della Compagnia delle Indie Occidentali?” 

“SIIIII!!” – tuonò la banda del Rosso.

“Per una volta… - iniziò Lucky – non puoi gridare “all’arrembaggio” come tutti i pirati normali?”

“Ma io non sono un pirata normale…” - ghignò da squilibrato.

Poi si fece serio e assunse un’aria decisamente malvagia.

“Aspettiamo che si avvicinino a Punta Laos, li affianchiamo e li abbordiamo… - e continuò estremamente serio – ho intenzione di vincere la scommessa: derubateli di tutto, sgozzate il capitano e l’equipaggio davanti a tutti, sul ponte principale, così è sicuro che non ci riproveranno più - Nami si era portata le mani sulla bocca: le parole di Shanks erano una sentenza di morte – rinchiudete i bambini nella stiva, li venderemo al prossimo mercato; delle donne – e ghignò arrapato – ci occuperemo con calma… ferite gli uomini e gettateli agli squali!!”

“SIII!” – gioì la ciurma di rimando.

C’era chi leccava le lame, chi caricava le pistole, Ascia lustrava l’arma da cui prendeva il nome, Ben accarezzava fumando il suo fucile e Shanks aveva imbracciato la sua bellissima spada.

Erano tutti pronti.

Nami teneva premute le mani contro la bocca per non urlare: non ci poteva credere che fosse il suo Rosso, non poteva credere che quell’uomo tanto dolce e sensibile fosse così crudele… Ci sarebbe stata una carneficina e una volta feriti, tutti gli uomini avrebbero attirato gli squali di cui la zona era infestata… Nessuno si sarebbe salvato e avrebbero fatto una morte orribile. I bambini sarebbero stati venduti ai mercanti di schiavi e le donne… 

“Oddio… no… – era in preda al panico… - dove sono capitata? Rufy…” – avrebbe dato qualunque cosa per avere Rufy, Zoro, Usoop e Sanji vicini… e invece era finita nella ciurma del pirata più spietato dei sette mari. Non era possibile che quel demonio con i capelli rossi fosse il suo dolcissimo Rosso, l’amico di Rufy, l’idolo di Rufy… Non ci poteva credere e si stava sentendo male per la delusione cocente.

Shanks e i suoi si voltarono tutti insieme a guardarla: lei ricambiò quello sguardo terrorizzata, premendosi le mani contro la bocca.

All’improvviso Shanks le urlò:

“SCHERZETTO!” – e scoppiò a ridere, seguito dagli altri: Ben cercava di mantenere un po’ di dignità, ma la risata di Shanks era contagiosa… li si stava slogando la mascella.

Nami ci mise un po’ a reagire, ma quando lo vide ridere forte da lasciar cadere la spada per terra, s’iinfuriò:

“Non sei solo tu… SIETE TUTTI DEGLI IDIOTI! Altro che la banda del Rosso… LA  BANDA  DEGLI  IDIOTI!”  

Cercò di controllarsi e non fucilarli tutti, ma era troppo arrabbiata con quei pirati che osavano pure farle scherzi così crudeli:

“Tale capitano, tale ciurma! Vi meritate gli uni con gli altri… IDIOTI! – ma quelli ridevano, vedendo la sua faccia rossa di chi ha preso un grosso spavento ed era tutta agitata – che scherzo IDIOTA! Anche tu, Ben! Mi sembravi quello più sano!” 

Shanks, Rosetta e Lucky stavano rischiando l’embolia: Shanks aveva appoggiato la fronte sulla spalla di Lucky e lo si vedeva solo sussultare, non respirava più e ogni tanto gli cedevano le ginocchia mentre il suo amico si teneva la pancia che gli andava da tutte le parti. Rosetta s’era seduto per terra e si teneva la testa fra le mani in un ultimo gesto di disperazione. Ben si era allontanato per ridere in pace e Yassop avrebbe voluto smettere perché non gli andava di ridere in faccia ad una donna che, tra l’altro, era un’amica di Usoop, ma…

Shanks aveva ragione: quando si arrabbiaa, Nami era irresistibile.

“Quando t’incazzi… – era Shanks tra uno scoppio e l’altro – sei ancora più cessa del solito!”

“Senti chi parla… Il re della passerella! Il Re dei Cessi! – era troppo infuriata, ma le sue parole si perdevano nel boato di risate che non accennava a diminuire – Non è che hai mangiato il frutto di Idiot-Idiot?”

La ciurma del Vento dell’Est rideva da increspare le acque e lei urlò:

“L’AVETE MANGIATO TUTTI… IDIOTIIIII!”

 

E dopo mezz’ora si sentiva ancora qualche sussulto di risate.

Lei se n’era tornata nella sua tenda perché non voleva stare nemmeno un minuto di più in contatto con quella ciurma di deficienti il cui capitano era la somma e la sintesi della deficienza oceanica…

“Il Re dei deficienti… Il più grande idiota dei sette mari… - e s’incazzava perché sapeva che l’idea dello scherzo era partita da lui e tutti gli altri vi avevano aderito senza battere ciglio… – ti credo… è la sua ciurma di deficienti!”

Si sforzava di tracciare qualche mappa della zona e di studiare un po’, ma era troppo infuriata e di tanto in tanto sbatteva la penna sul tavolino e prendeva a camminare su e giù nella tenda per calmarsi.

“Che scherzo stupido…” – ricordava quanto s’era spaventata e il mondo che le era crollato addosso perché il suo Rosso aveva dato degli ordini irripetibili, orribili e crudeli…

Il suo dolce Rosso…

“Il più grande caprone dei sette mari!” – sbottò, urlando.

“E’ qualcuno che conosco?” – le chiese, ridendo da fuori alla sua tenda.

E lei uscì come una locomotiva, portando uno specchio con se:

“Guarda qui che te lo presento!” – e gli mise lo specchio sotto il muso mentre lui riprendeva a ridere innamoratissimo di quella ragazza così dolce che si divertiva a tormentare e che lo faceva divertire da matti. 

“Dovevi vedere la tua faccia… - e continuava a ridere, mostrando anche i denti del giudizio – avevi una faccia sconvolta…”

“Hai idea di cosa hai detto? Erano ordini orribili, cose mostruose…”

“Ehi, ragazzina… - lui divenne improvvisamente serio – sono cose “ordinarie”, non mostruose per un pirata e tu dovresti saperlo…”

“Rufy non le fa!”

“Per ora…”

“No… Rufy non le fa!” – gli ripeté, alzando la voce.

Lui la guardò intensamente e lei si sentì l’anima allo scoperto.

All’improvviso Shanks le sorrise dolcemente, le accarezzò quella ciocca di capelli ribelli che le cadeva sempre in avanti e la fermò dietro l’orecchio:

“Lo so che non le fa… – si voltò per andare via e aggiunse: - vieni che dobbiamo preparare la griglia per la ricerca della Going Merry…” 

Lei rimase a fissare quelle sue immense spalle e poi sbottò:

“E tu?”

“Io cosa?” – chiese lui senza voltarsi.

“E tu… le fai?”

Il silenzio dominò la scena a lungo poi Shanks, sempre senza voltarsi, le rispose:

“Tu che pensi?”

Lei fremette, ma non rispose.

Shanks si allontanò.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 026.L'importanza del disegno ***


026 – L’importanza del disegno

“Ma - che - schifo! – commentò Shanks quando Nami gli mostrò lo schizzo che rappresentava la Going Merry – E’ vero che ti avevo chiesto un disegno approssimativo della nave… ma potevi pure provare ad impegnarti!”

“Lo sapevo che l’avresti detto! Cominci ad essere prevedibile, capitano…” - rispose lei sottolineando il “capitano” e mettendogli l’agitazione nelle vene.  

“Non è che forse mi hai raccontato una balla e non sai disegnare? Un vero cartografo ha anche una buona mano!” – s’impuntò lui - Un bimbo di cinque anni, ubriaco, saprebbe fare meglio!”

“Questa è la Going Merry… se non ti piace, dillo al tuo amico Rufy! Così ti prende a pugni al posto mio…”

Lui si mise a ridere. 

“Va bene… Adesso descrivimi la tempesta e cerca di non farmi addormentare…” 

“Tu sei Shanks il Bastardo, non il Rosso…”

Avevano messo da parte la piccola discussione avuta nella mattinata: non era il caso di arrabbiarsi o litigare per una cosa tanto stupida e la voglia di stare insieme e sfottersi un po’ era più forte di qualsiasi dubbio.

E così sotto lo sguardo dolce e attento di lui, Nami raccontò la sua brutta avventura e descrisse la forza del vento, l’altezza delle onde e la furia della tempesta.

Mentre lei riviveva quegli orribili istanti, Shanks la guardava… la guardava… la guardava parlare ed emozionarsi, ripassando con la mente quegli avvenimenti: non gli bastava mai, non si saziava mai.

Provava un’ammirazione sconfinata per la sua straordinaria forza d’animo e per la precisione nel ricordare i particolari. 

Si sentiva il cuore sulle labbra, avrebbe dato anche l’altro braccio se fosse servito a farlo tornare indietro nel tempo per esserci in quei momenti in cui avrebbe dovuto essere protetta. 

“Quando trovo Rufy – pensava fra sé – gliele suono di santa ragione. Come ha potuto lasciarla cadere?”

Erano seduti vicini con le schiene appoggiate ad un albero un po’ distanti dal resto della ciurma che era nel pieno della siesta del pomeriggio caldissimo di mezza estate. Erano entrambi scalzi e sudati: lui non riusciva a smettere di guardarle le gambe che lei muoveva e si massaggiava, un po’ civettuola, per scongiurare i gonfiori estivi… tralasciando poi le goccioline di sudore sul collo che finivano inevitabilmente nel solco del seno…

“Smettila di guardarla… idiota!!” – si diceva senza riuscire ad addomesticare i suoi occhi, feriti da tanta bellezza.

Le cicale cantavano forte, ma loro non sentivano niente presi com’erano l’uno dall’altra. Parlavano piano per non svegliare gli altri e respiravano ancora meno per non mostrare l’agitazione di essere così vicini.

“Hai i piedi grandi…” – disse lei all’improvviso. Non riusciva più a trattenersi: doveva toccarlo almeno un poco altrimenti sarebbe morta.

Così, con la scusa di confrontarli, avvicinò la gamba a quella di lui e appoggiò il piede al suo, tremando come una foglia.

“Certo che sono grandi… - rispose lui, godendosi quel contatto – devono reggere un metro e ottanta di uomo… - poi aggiunse – i tuoi sono minuscoli perché sei tappa…”

“Peccato che non rispetti le proporzioni anche nel cervello… hai materia grigia appena sufficiente per una gallina di trenta centimetri… stupido Rosso!!” – sibilò infuriata e allontanò il piede.

E lui se la rideva alla grande: sfotterla era il suo hobby preferito… Se la prendeva sempre.

“Dai non fare così!...” – fece dire al piede che avvicinò al suo strofinandolo e bloccandole il fiato. 

Avrebbe continuato a toccarla per tutto il giorno, ma il piedino era troppo eccitante: non che le cose cambiassero di molto, comunque… lui era già eccitatissimo. Per scaricare l’elettricità che correva in quel contatto disse serio, distaccandosi:

“E mi raccomando… non prenderlo per un piedino!”

“E’ chiaro!” – tuonò lei con il cuore in gola, colta in flagrante nello stesso pensiero.

“No perché – continuò lui, preso dal gioco – ci faccio pure la mia porca figura coi ragazzi che non la prendono bene se pensano che il comandante del Vento dell’Est fa il piedino ad una mocciosa!”

“Dì piuttosto – s’incazzò lei – che ci fai la tua porca figura se sanno che ci hai provato a farmi il piedino e io ti ho presentato il mio bastone di fiducia!”

Shanks aveva le lacrime agli occhi per le risate e lei, nonostante cercasse di fare l’arrabbiata, lo guardava incantata e felice di riuscire a farlo ridere così tanto: quanto le piaceva quel suo carattere sempre allegro e quanto le piaceva vederlo ridere con lei… e anche di lei…

“Mi sento uno schifo! – concluse mesta – Più mi prende per il culo, più l’amo!”

 

Quando smise di ridere, cercò di ricomporsi e continuare il discorso che stavano facendo:

“Comunque, è stata una tempesta violenta, anche se non eccessiva…  penso che potremo restringere di qualche miglio l’area di ricerca…” – aggiunse, prendendo appunti e cercando di distrarre la mente dalla voglia di abbracciarla.

“Mhmm!” – riuscì ad aggiungere lei.

Il silenzio si fece pesante.

“A che pensi?” – le chiese con intimità e all’improvviso, facendole tremare le ossa e spiazzandole il cuore.

“A te, a cos’altro sennò?” – gli avrebbe volentieri gridato in faccia e invece gli confessò l’altra cosa a cui stava pensando:   

“Al mio campo di mandarini sulla Going Merry..”

“Hai un campo di mandarini sulla nave?”

“Sono solo tre piante che Rufy cerca sempre di ripulire… è un ricordo del mio villaggio, della mia gente, di mia sorella e di mia madre. Mi mancano tanto…” – sospirò.

“Perché non me ne parli un po’?” – la invitò lui con il più dolce dei sorrisi.

E lei, persa nei suoi occhi, gli parlò del campo di mandarini, di sua sorella Nojiko e di sua madre Bellmer, di Genzo e di tutta la sua gente e del suo villaggio: era come donargli un pezzo di se, ma omise del tutto le vicende di Arlong Park e l’intervento di Rufy.

“E così hai una sorella? – chiese lui interessato. – E’ più grande di te, vero?”

“S-sì… ma perché ti interessa?” – e la sua voce aveva un filo non troppo sottile di gelosia.

“Perché siete sorellastre e non vi somiglierete. Quindi, sicuramente, è molto carina al contrario di te che sei bruttissima, grassa e anche tappa!” 

“Invece tu… tu sei un modello! Un indossatore! Ma ti pagano a cottimo per essere bastardo? No, perché in questo caso puoi smettere di fare il pirata, vivi di rendita… - poi continuò risentita – E poi dici un sacco di cretinate perché io non sono brutta né grassa né tappa e se non ti piaccio, sono solo fatti tuoi…”  

“Hai ragione – concordò lui un po’ pentito – sono solo fatti miei…”

E pensò:   

“Sono solo fatti miei se ho perso la testa per una ragazzina…”

Shanks non si sentiva proprio bene. Avrebbe voluto finire di preparare i dati per la griglia, ma non ce la faceva: si sentiva debole e cominciava ad avere i brividi; in quell’afa impressionante lui aveva freddo e il forte pulsare alle tempie che si portava dal mattino si era riacutizzato. All’improvviso sospirò e appoggiò la testa all’albero.

“Che hai, Shanks?” –  chiese lei preoccupata.

“Solo il mal di testa che mi merito per la sbronza di ieri – sbuffò lui subito pentito di aver destato il ricordo della sera precedente – e poi questo caldo… Se non fossi così stanco, mi butterei in acqua…” 

Ma s’interruppe scosso da un brivido di freddo. Aveva le guance rosse e l’affanno. Lei si mise in ginocchio, si avvicinò e appoggiò la bocca sulla sua fronte sudata:

“Hai la febbre, Rosso!” – gli disse dolcemente, distaccandosi.

“E con la scusa mi baci…” – ridacchiò lui con l’affanno, gli occhi chiusi, rosso di febbre e di emozione per quel suo tocco dolce e delicato.

“Idiota… con il viso si sente meglio – ma lui peggiorava – che posso fare?” – gli chiese preoccupata.

E lui, oramai preda del delirio:

“Dammi un altro bacio…”

E lei gli prese delicatamente la testa fra le mani, avvicinò la bocca alla sua fronte e lo baciò a lungo: lui credette di sognare e anche in seguito giurò che fosse solo il delirio di un malato. 

Quando staccò le labbra ustionate da quella fronte bollente, Shanks aveva perso i sensi.

 

“Dorme ancora…” - si sentì rispondere Ben qualche ora dopo che Shanks era svenuto: nello sgomento del momento era la prima persona a cui Nami aveva pensato. 

Quando Ben sentì che il suo amico aveva perso i sensi, per poco non ebbe un collasso, ma non lo diede a vedere: Nami lo percepì dallo sguardo e avvertiva che la riteneva in qualche modo responsabile.  

Mentre lei preparava un letto all’ombra per il suo Rosso, Ben se lo caricava sulle spalle e in tutto questo affaccendarsi per la stessa persona non riuscirono a dirsi una parola. 

“Resta con lui finché non si sveglia.” – fu l’unica frase che il vice riuscì ad articolare.

E dopo sette ore lei era ancora lì e non se ne sarebbe andata.

Da parte sua Ben sapeva che lei c’entrava abbastanza con gli scompensi psico-fisici di Shanks e capiva anche che non ne aveva colpa. Solo, lo irritava il dubbio che quella ragazzina non potesse neanche immaginare cosa veramente provasse per lei il comandante del Vento dell’Est. 

“Shanks non è mai svenuto, nemmeno quando stava per morire dissanguato! - pensava irritato tra sé – e adesso una mocciosa di diciotto anni l’ha steso. L’ho sempre detto che il suo punto debole è il cuore…”  

Avevano viaggiato insieme per mezzo mondo e vissuto per vent’anni gomito a gomito, coprendosi e salvandosi la vita a vicenda innumerevoli volte: ora non sapeva come aiutarlo e questo lo innervosiva tantissimo.

 

Nami aveva passato quelle ore accanto al suo Rosso cercando di disegnare la griglia di ricerca e alla fine era soddisfatta del suo lavoro: quando si sarebbe svegliato, gliel’avrebbe fatta vedere sventolandogliela sotto il naso. In questo modo era riuscita ad allontanare anche l’immotivato senso di colpa che lo sguardo di Ben le aveva messo addosso.

In quelle ore aveva anche studiato il bellissimo volto di Shanks, i suoi incredibili capelli, la sua sensualissima bocca e ne aveva provato a fare un ritratto col carboncino: il risultato le piaceva, era esattamente come lui. Era riuscita a cogliere la sensazione di protezione e di tranquillità che lui le dava e ne era entusiasta.

Aveva provato anche a baciarlo nel sonno, ma nella tenda era un continuo via vai di pirati preoccupati per la salute del loro capitano: si doveva accontentare di guardarlo.

 

Arrivò l’ora della cena e Lucky passò a vedere come stava il suo amico e a portare qualcosa da mangiare per Nami. Poi, richiamato dai bagordi del resto del gruppo e incitato da lei che voleva restare sola con il suo Rosso, se ne tornò dai suoi amici cosciotti.

Ora, forse, poteva stare più tranquilla.

Si sedette sul letto e lo osservò a lungo rapita, naufragando nel volto dell’uomo più bello che avesse mai visto.

“Sei bellissimo, Shanks…” – gli sussurrò piano, temendo di svegliarlo, ubriaca di lui. Stava morendo dalla voglia di toccarlo e dalla paura che se si fosse svegliato all’improvviso, le cose tra loro sarebbero irrimediabilmente cambiate in peggio…

Era coperto da un lenzuolo: aveva avuto attacchi di freddo, di brividi per la febbre e l’avevano avvolto: ora che si era sfebbrato, si era divincolato ed era coperto fino alla cintola. Non aveva più il mantello…

“Chissà come l’ha perso? – si domandò, guardando il braccio assente e quel rigonfiamento che mancava nella camicia. – che fisico… - sospirò – ha un corpo meraviglioso! E guarda che mano… - disse, prendendo delicatamente quella rimasta, tenendola fra le sue – insieme dovevano formare una gran coppia…” - e le immaginò inevitabilmente sui suoi seni.

“Ma non succederà mai – pensò amareggiata – per lui sono una mocciosa… e magari anche troppo piatta…” - guardandosi il seno perplessa.

Lui fece un respiro irregolare e lei trasalì.

Dopo un po’ tornò padrona di se e guardò in preda alle fiamme quella dannata camicia sempre aperta che le prometteva cose meravigliose e irraggiungibili.

“Guarda che corpo… - pensava, mordendosi le labbra – anche quando dorme ha i muscoli in tensione… - poi considerò – e che addominali… Sembrano i gradini di una scalinata…”

“Qualcuno dovrebbe dirglielo che è maleducatamente bello… - diceva per distrarre la mente dal pensiero di infilare le mani sotto la camicia – e anche che lo stupro non è una prerogativa dei soli uomini…”

Siccome i suoi ormoni cominciavano ad avere la meglio e più volte le era venuto in mente di slacciargli i pantaloni e perlustrarne l’interno, si obbligò a fissare i suoi lucidissimi capelli rossi, scomposti e selvaggi che ne riflettevano pienamente il carattere: li sfiorò e, facendosi coraggio, vi infilò le dita pettinandoglieli all’indietro, scoprendo la fronte segnata da quelle tre cicatrici. 

“Senza cicatrici e barba avrebbe la faccia troppo delicata, quasi da bambino… – pensò innamoratissima – mi sa che è stato contento quando gliele hanno fatte: adesso è il ritratto della pirateria…” – concluse sorridendo.

“Mi sono innamorata di un pirata… - si disse sospirando – non l’avrei mai creduto: ma lui non è come Arlong – e rabbrividì a quel confronto improponibile – è dolcissimo…” – e i suoi pensieri finirono lì perché, nel sonno, lui dischiuse la bocca facendola impazzire.

Rimase immobile ad osservare quella sorgente di desiderio con una sete crescente fino a quando la sua mano si mosse da sola e sfiorò, in modo quasi impercettibile, le sue labbra: erano calde, morbide e un po’ screpolate dalla salsedine, dal sole e dal vento.

Tremava al pensiero che lui potesse svegliarsi o chiudere la bocca, ma non riusciva a fermarsi: iniziò a perlustrare delicatamente l’interno allargando di poco la fessura e immergendovi il dito e godendone il calore e l’umidità.

Non aveva mai baciato nessuno e mai nessuno le aveva fatto provare quel bisogno così impellente: l’immagine di lei che appoggiava la bocca sulla sua le mozzò il fiato. Si avvicinò lentamente, trattenendo il respiro con il cuore che si dimenava nel petto:  

“Se continua a battere così, si sveglia…”  

Aveva ancora il dito infilato nella sua bocca calda e morbida e si accorse di essere vicinissima perché avvertì sul volto il suo respiro caldo e regolare. E si sorprese a pensare:

“E’ il respiro della vita… della mia vita – poi gli sussurrò quasi sulla bocca e pazza di lui – ti amo Shanks, ti amo da morire…” 

All’improvviso la fulminò l’immagine di lui che le bloccava il dito coi denti, facendole fare la più grande figura di merda dei sette mari e ritrasse il dito:

“Shanks è capace di fare una cosa simile… - pensò agitata – e se dovesse continuare a parlarmi, mi prenderebbe in giro per sempre…”

 

“Cos’è successo?” – domandò piano il capitano per non svegliare Nami che si era addormentata con la testa appoggiata sul bordo del letto al vice quando lo vide apparire all’entrata della tenda. 

“Sei svenuto…” 

“Dev’essere stato il bagno di ieri notte… non mi ha fatto benissimo… E lei perché è qui e da quando?” - domandò in preda alla catalessi.

“Eri con lei e ti abbiamo messo a nanna…” – scherzò Ben senza sorridere.

“Dorme…” – sussurrò Shanks accarezzandole i capelli sparpagliati sulle lenzuola. Poi si alzò, la sollevò stringendola a se, la mise delicatamente sul letto e la coprì: non la baciò giusto perché c’era Ben che odiava le smancerie…

Uscirono fuori dalla tenda che c’era la luna calante.

“E’ la prima volta che ti vedo svenire…” – disse Ben.

“E’ la prima volta anche per me…” - lo informò Shanks.

“Credi che sia normale?”

“Non lo so… è la prima volta che sono innamorato….”

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 027.In cerca della Going Merry ***


027 – In cerca della Going Merry

“Per essere la prima griglia che disegni non è niente male…” – le concesse, pensando che era una cartografa eccezionale e ammirando la griglia che lei aveva disegnato mentre dormiva.

“Lo so che è fatta bene… l’ha fatta la migliore cartografa dei mari dell’Est!”

“Ma sei comunque una principiante… - la punzecchiò lui – La griglia non serve a niente se non ci associ una carta geografica della zona di ricerca!”

“Ah! – sospirò delusa per essere stata presa in castagna, mentre Lucky e Yassop le facevano comunque i complimenti.

Lui si diresse verso una cassa di legno, ne estrasse alcune mappe geografiche, penna e calamaio e si sedette al tavolo: con estrema disinvoltura riportò la griglia fatta da Nami su una mappa della zona e sospirò preoccupato.

“Che succede?” – lei aveva imparato ad allarmarsi quando Shanks smetteva di sorridere.

“Niente… Mi scazzo perché la zona di ricerca è molto larga e questo vuol dire che ti dovrò sfamare ancora per un po’ di tempo! Come farò?” – si disperò.

“Ma che stronzo! – fece lei sollevata, ma indispettita – Ma non riesci a dire qualcosa di intelligente ogni tanto? Quando partiamo?”

“Domani mattina, se il vento tiene. Copriremo la zona della griglia in poco meno di due mesi di navigazione.”

“Meno male… Ci vediamo dopo, devo finire di fare il bucato prima di partire…” - e corse via.

Lui la seguì con lo sguardo. 

Nonostante il sedere di Nami gli facesse sempre un certo effetto, questa volta sospirò per un altro motivo…

 

“Forza… spara la brutta nuova! – fece Ben, accendendosi la ventesima sigaretta della giornata – Perché le hai mentito?”  

“Da quello che vedo, forse è meglio sperare che la Going Merry sia colata a picco nella tempesta!”

“Spiegati meglio…” 

“Guarda qua! – e gli mostrò la mappa con la griglia – Come vedi, la zona di ricerca si estende per tutto questo grosso tratto di mare e copre queste isolette ad Est e questa penisola a Nord: qui c’è una delle basi della marina. Diciamo che è di rappresentanza: quei babbei ci si riuniscono per occasioni mondane insieme ai cacciatori di taglie… Il 15 ottobre ci sarà una festa, l’ho saputo da Mihawk che vi parteciperà…” 

Poi aggiunse preoccupato: 

“Se la Going Merry non è già affondata, potrebbe essere intercettata dalle numerosissime navi della marina che incroceranno in questo tratto di mare per raggiungere la base. Lo stesso si può dire nel caso il timone sia partito per la furia della tempesta… L’unica speranza è che Rufy l’abbia fatta arrivare nelle insenature di una di queste isolette riparate dai grandi traffici…”

“Se la marina lo cattura, come facciamo a liberarlo?” – gli chiese Ben che aveva capito tutto.

“Non lo so… qualcosa m’inventerò! – Poi aggiunse, sorridendo – Non pensiamo al peggio! Può darsi che se la cavi da solo o che non si faccia intercettare… In ogni caso – disse guardando il suo vice negli occhi – io ci sarò”.

 

L’indomani mattina il Vento dell’Est salpò di buon’ora con un forte vento in poppa e il cielo limpido.

Shanks non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso, ma non si sentiva tranquillo: pensava che per quanto forti, Rufy e la sua ciurma nulla avrebbero potuto contro tutte le unità della marina, tutti i cacciatori di taglie che si sarebbero trovati in quelle acque; inoltre, anche se la tempesta non era stata eccessiva, la nave poteva essere andata alla deriva col timone fuori uso e loro potevano essere affamati e quindi debilitati… Più ci pensava e più le probabilità di trovarli lontani dai guai si affievolivano…

Era scosso da questi tristi pensieri e fissava il mare da prua quando la sua attenzione fu attratta da qualcosa di strano e di nuovo: qualcuno stava cantando a squarciagola, ma non era una delle solite voci cavernose e brille che era abituato a sentire sulla nave… 

Era Nami che sforzava l’ugola, affaccendata in qualcosa nella sua cabina…

I pirati l’ascoltavano, sorridendo: era bello sentire la voce di una donna cantare in mezzo al mare.

“A quell’età l’anima ti vola…” - sorrise tra se il capitano che ascoltava deliziato la sua amata.  

 

Nella cabina del suo nuovo e splendido capitano, Nami cantava felicissima e camminava ad un metro da terra.

Il suo fantastico Rosso, se n’era accorta subito, era un pirata speciale e pure legato a Rufy… Certo, i suoi amici le mancavano e sarebbe stato splendido navigare tutti insieme: sarebbe stata una vita di risate… Ma intanto era troppo contenta di stare sulla nave di Shanks, in mezzo a quei casinisti convinti che la vita per mare fosse un continuo fluire di birra e sakè…

E Shanks… 

Shanks era il massimo: idiota e cafone, scemo e anche deficiente, distratto e maldestro (quando entrava in cambusa non ne usciva se non rompeva un paio di piatti), dispettoso e linguaccia… Ma sapeva essere dolcissimo e affettuoso, sincero e spontaneo, altruista e generoso… 

“E poi… è bellissimo!” – e riprendeva a torturare il cuscino.

“Ha un sacco di qualità per essere un pirata…” – pensava ad alta voce per cercare di frenare la sua mente sempre più innamorata che oramai non riusciva più a trovare difetti in quel pirata rosso di capelli e di carattere che le stava facendo vivere momenti indimenticabili.

Come quella sera sotto una luna rossa spettacolare.

Riandava con la mente al solletico che lui le aveva fatto e alla voglia di lasciarsi andare alle carezze e alle coccole che le aveva bloccato il respiro e riusciva ancora a stordirla.

Come quella notte in spiaggia.

Erano stati stesi insieme e attaccati a lungo, si erano accarezzati e avvinghiati stretti stretti… non riuscivano più a separarsi.

E ancora… le sue dita sotto la spallina della canottiera, il suo respiro sulla pelle, i suoi dolcissimi baci della buonanotte… 

Ma i suoi sospiri furono interrotti da un forte bussare alla porta:

“Avanti…”

“Oh… hai smesso di farci venire il mal di testa? – la salutò lui dedicandole, inconsapevolmente, il suo più bel sorriso – Sei talmente stonata che temevo che Eddie stesse spennando una cornacchia per cucinarla oggi a pranzo!”

Lei lo guardò innamoratissima e stregata dal suo sorriso. Ci mise un po’ a realizzare il dolce saluto di lui… quando lo fece, la sua espressione cambiò così tanto che Shanks scoppiò a ridere:

“Ah… l’hai capita adesso… - e scosse la testa – dovrò ricordarmi di fare battute più alla tua portata…”

Lei lo guardò delusa e incazzata:

“Buongiorno anche a te, idiota! – e s’inviperì ancora di più – Sai… il fatto che i tuoi uomini ridano alle tue stupide battute non vuol dire che siano così esilaranti… Non t’è mai capitato di pensare che essendo il capitano non vogliono contraddirti?” – infierì mentre lui la guardava divertito ed eccitato: era dannatamente sexy quando si agitava.

Lui non reagì e si limitò a guardarla.

“Che hai da guardare? Perché sei venuto a scocciare?”

“Per darti una notizia che ti farà felicissima…”

“Hai avvistato la nave di Rufy?”

“No… è pronto il pranzo, cicciona!”

Lei inspirò per calmarsi e sibilò:

“Hai cinque secondi di tempo per uscire da qui e portarti dietro la tua puzza di caprone…” - ma lui rideva.

“Sennò che mi fai?”

“Guadagno cinquecento milioni di berry!!” – gli urlò, lanciandogli addosso un sandalo che andò a sbattere contro la porta della sua cabina che lui chiuse repentinamente.

 

“Ciao, bellissima!” – l’accolse Lucky con un gran sorriso seguito dagli altri quando entrò nella sala pranzo.

Si sforzò di non guardarlo, non subito almeno e mentre si lasciava andare a confidenze ed effusioni con gli altri, sentiva i suoi occhi addosso che non ne perdevano un movimento e che lei aveva sempre più voglia di guardare.

“Avanti… sedetevi, idioti…” – sbuffò Ben che aveva una fame bestiale, ma quelli, tutti presi dalla nuova e bellissima navigatrice del Vento dell’Est non si decidevano a cominciare…

“Ragazzi… lasciatela sedere a tavola… - intervenne lui avvicinandosi e facendo impennare il battito cardiaco di lei – sennò comincia a mordere anche voi e iniziando da te, Lucky…” –  scoppiò a ridere di quei due.

“Non ti preoccupare per lui, Nami… - ribatté il grassone perché lei si era infuriata di nuovo – campa di queste cose e si diverte con poco… lo vedi? Ride come un moccioso e ha il cervello di un moccioso: sono vent’anni che lo alimentiamo con i migliori mangimi a base di pesce per fargli aumentare il quoziente intellettivo e portarlo a quello di un merluzzo, ma non ci riusciamo… - e ridevano tutti – Abbiamo fallito miseramente, ma ci siamo affezionati lo stesso…”

“Beh… allora non vi aspetto più… inizio a piluccare il mio mangime senza di voi…” – replicò lui.

Tutti i filibustieri nel casino esagerato presero posto intorno al tavolo enorme della sala pranzo:

“Nami… il tuo posto è lì…” – le indicò Eddie e a lei esplose il cuore quando si accorse che si sarebbe seduta accanto a lui che, stranamente, non disse niente.

E iniziò il pranzo più teso della sua vita.

Tutta intenta a mangiare educatamente, a non sbrodolarsi addosso, a non sfiorarlo, a non guardarlo troppo, a percepire ogni suo movimento, ogni sua parola: sentiva tutta la sua parte sinistra (quella che dava verso di lui) estremamente sensibile e tutte le molecole del suo corpo che si spostavano verso di lui.

Era rigida ed emozionata: le tremavano le mani, cercava di concentrarsi e partecipare ai discorsi di quei casinisti da mal di testa, ma avvertiva il silenzio e uno strano clima ovattato che riguardava solo loro due.

Shanks si comportava normalmente o così pareva: rideva e scherzava, ma stranamente non le rivolgeva la parola tutto preso dai bagordi generali; lei sapeva, però, che lui la osservava.

“Ah… Nami… - fece Eddie risvegliandola e catapultandola di colpo al centro dell’attenzione – dì un po’ qual è il tuo piatto preferito?”

Si fece di colpo silenzio e tutti si girarono a guardarla, sorridendo.

“La salsa di mandarini.”

“Quella agrodolce?”

“Sì. Perché me lo chiedi?” 

“Io cucino ad ognuno, a turno, il suo piatto preferito e volevo sapere il tuo…”

“Che pensiero gentile… grazie Eddie!” – e gli sorrise grata mentre tutti restavano incantati a guardarla e il capitano li trucidava con lo sguardo.

I bagordi ripresero e lei si estraniò questa volta non per Shanks.

La salsa di mandarini…

La stava preparando Bellmer per fare la pace quel giorno in cui avevano litigato per colpa sua; poi Arlong…

Fremette di rabbia e dolore, fissando un fantastico timballo degno delle mani di Sanji, stringendo le dita intorno alle posate da farsele diventare bianche.

Shanks se ne accorse.

I suoi atroci ricordi furono spazzati via da una forchetta estranea che invadeva il suo piatto e prelevava campioni, neanche tanto piccoli, del suo timballo.

“Oh… Rosso… che è sta storia? Tu non ce l’hai un piatto? Non ti basta il tuo pasticcio di verdure?”

Il silenzio più teso e terrorizzato era sceso sulla tavola.

“Cosa hai detto? – Shanks era rimasto con la forchetta in mano, incredulo – Di cosa è fatto il mio pasticcio?” - era terrorizzato dalla risposta che lei stava per dargli.

“Eh… se non lo sai tu che ce l’hai nel piatto!”

Eddie voleva morire e quando Shanks si voltò verso di lui si fece rosso peperone e poi viola melanzana: il capitano odiava le verdure, tutte le verdure indiscriminatamente.

Quel pasticcio di verdure e formaggi con una lieve panatura era l’unico modo per farli assumere un po’ di fibre: era diventato il suo piatto preferito e tutti, tranne lui, sapevano di cosa fosse composto.

La decisione di fregarlo con il pasticcio, Eddie l’aveva presa molti anni prima di comune accordo con Lucas, il medico di bordo: come un bimbetto capriccioso si rifiutava di seguire una dieta equilibrata ed erano costretti a ricorrere a questo assurdo espediente per mantenerlo in salute.

“Eddie… di cosa è fatto questo pasticcio?” – e lo chiese come la Santa Inquisizione.

Nami avrebbe voluto sprofondare e sparire. 

Aveva scoperto inavvertitamente un altarino e ora guardava gli altri con le mani in faccia per la disperazione: era una di quelle cose per le quali il capitano di una nave pirata poteva tranquillamente uccidere i suoi… Arlong non avrebbe esitato un istante.

Ma già si sentivano risate sommesse.

“Ecco, capo… io… ma tu… ne hai bisogno…” 

“In che senso?”

“E poi chi ti vuole sentire che non cachi per due mesi?” – Ben non riuscì a trattenersi mentre tutti cominciavano a ridere sul serio.

“Lo sapevi?” – il capitano non ci poteva credere: anche il suo migliore amico nella cospirazione! 

Nami capì la situazione e scoppiò a ridere.

“Fammi capire… - e rideva di quel Rosso davvero impossibile – hai mangiato questo pasticcio per anni senza sapere che conteneva verdure? Sei così idiota che i tuoi sono costretti a fare i salti mortali per farti mangiare le verdure?”

“Taci, mocciosa…” – lui la guardava malissimo: si preannunciava terreno fertile per le prese in giro di lei.

“Mocciosa a me? Sei sicuro di non essere seduto sul seggiolone? Piccolino… ti devo frullare la carne? Vuoi un omogeneizzato o ti basta il latte con i biscottini?”

E tutti a ridere per le battute a raffica di quella ragazzina che per tutto il pranzo se lo mise sotto i piedi come uno zerbino. 

 

“Bravo!” - si disse compiaciuto. Era riuscito a far passare un’altra giornata senza violentarla: 

“Vai così che lo stai stracciando il Papa!” – s’incitava, affacciato al parapetto di prua, godendosi un limpido quarto di luna.

All’improvviso si ricordò del bacio che lei gli aveva dato prima che svenisse e si riscaldò.

“Non riesco ancora a capire se è stato un sogno o se era vero – considerò tra se – ma di sicuro è stato quel gesto a farmi svenire…”

Un paio di mani interruppe le sue considerazioni coprendogli gli occhi da dietro, abbracciandolo; immerso nei suoi dolci pensieri non aveva sentito che qualcuno gli si era avvicinato alle spalle.

“Spero tu non sia uno dei miei uomini… - fece divertito ed eccitato – perché sennò ti sbarco a calci nel culo nel primo bordello che troviamo così ti dai una sfogata!”

Lei cominciò a ridere e si allontanò, passandogli le mani sulle spalle e poi dietro la schiena, facendogli venire i brividi.

“Dì la verità… hai avuto paura??” – lo schernì allusiva.

“Uff! Ho ancora la tremarella…” – si finse sollevato, girandosi verso di lei mentre l’adrenalina gli scioglieva ogni ombra di stanchezza nelle ossa.

“Fra un paio di giorni avvisteremo una delle isole comprese nella griglia… - la informò – Sei pronta a riabbracciarli?” – avvertendo una fitta al cuore all’idea di lasciarla tornare da Rufy.

“Sono pronta a dargliele di santa ragione se non mi hanno tenuto bene i mandarini!!” – scherzò energica lei.

“Rufy li avrà senz’altro mangiati tutti: lui mangia… poi si vedrà se è frutta del diavolo…” – disse lui ridendo, ripensando al disastro di dieci anni prima.

“Tu c’eri quando è diventato di gomma?”

“Sì… si era arrabbiato con me e non mi voleva più parlare… io mi ero distratto e quando tentai di riallacciare, aveva già divorato metà frutto di Gom Gom per un danno totale di centomila berry! Mi arrabbiai tantissimo! Voleva fare il pirata a tutti i costi e fino a poco prima mi aveva avvilito dicendo che lo dovevo prendere nella ciurma, che sapeva nuotare bene e aveva un pugno più micidiale di una pistola... Poi mi sono girato un secondo ed è diventato di gomma… Se ci ripenso, mi viene da strozzarlo!!”

“Io lo avrei fatto per i centomila berry…” 

“Io mi sono arrabbiato perché il suo sogno era fare il pirata e capivo la frenesia che aveva nel sangue… da piccolo ero come lui!”  

Poi ci fu una lunga pausa fra di loro che li mise sulle spine.

“Sì, lui è speciale… - concordò Nami – Mi sono sempre chiesta da chi avesse preso quella passione e quell’idea di pirateria che mi ha spiazzata e convinta a seguirlo… Adesso che ti ho conosciuto – aggiunse, misurando la voce per non fargli sentire quanto fosse emozionata – capisco perché sei il suo idolo, perché ti ha difeso a morsi lottando con Bugy, perché ha pianto quando quel cretino ha sfregiato il cappello… e perché… ti vuole così bene.”

Lui era piuttosto imbarazzato e non disse niente. E lei riprese: 

“Prima di morire, mia madre disse a Nojiko e a me che le donne non devono essere meno forti degli uomini e che non avremmo mai dovuto smettere di lottare e pentirci di essere nate… perché il mondo è pieno di cose bellissime, tutte per noi…” - si fermò perché aveva l’affanno. Poi lo guardò, tremando con gli occhi lucidi. 

Si avvicinò e lo baciò a lungo sulla guancia sempre tremando. 

“Io… io credo che tu sia una di queste cose bellissime, Shanks. Buonanotte!” – gli sorrise rossa in volto e scappò nella sua cabina.

Lui rimase immobile e assolutamente muto: mai… nessuno gli aveva detto che era “una cosa bellissima per la quale la vita era degna di essere vissuta”.

“Mi sa che sono morto – pensò felicissimo e innamoratissimo – mi sembra di essere in Paradiso…”

Sospirò.

“Buonanotte, amore mio…”

 

Dopo poche ore di sonno agitato, Shanks decise di alzarsi e fare due passi sul ponte della nave; non faceva che ripensare alle parole di Nami…

Lei era stata dolcissima e lui si sentiva già il Re dei Pirati, il padrone del mondo:  

“E’ COTTA DI ME…” - aveva pensato con l’anima fra le nuvole e un sorriso da un orecchio all’altro, sentendosi leggero come il Gabbiano Johnathan Livingstone. 

Passato, però, lo stato di eccitazione e di delirio continuo in cui lei lo metteva, a cui si era oramai abituato e da cui faticava a togliersi, si sentiva giù di corda.

“L’ho combinata grossa… Fino a quando ero io a morire per lei, nessun problema… riuscivo a controllare la situazione. Adesso è lei che non tiene le mani a posto e non so se sono abbastanza forte da respingere gli assalti… Ma quale forte! - sospirò – se mi tocca di nuovo, la sbatto così tanto all’albero maestro da fare ammainare le vele!” - e rise in preda alla forte eccitazione. Poi decise, serio: 

“Stiamo per incontrare Rufy… forse dovremo salvarlo dalla marina, se non è già morto… In ogni caso devo tenerla a debita distanza: a quell’età gli ormoni sono sempre in festa anche nelle donne… i miei, ubriachi di sakè, non hanno mai smesso di festeggiare… - E pensava – come glielo dico che sono pazzo della sua navigatrice? Magari è anche la sua ragazza! Comunque non me la lascerà… - era disperato e si sentiva morire a quella prospettiva - Gli viene una sincope! E mi prende per un vecchio porco… - e ripensava depresso: - Non deve succedere niente tra noi… Devo dimenticarla… È troppo piccola… troppo bella e troppo dolce… E poi per lei è solo una cotta… di sicuro le passerà in fretta, ha solo diciotto anni! - si disse in preda alla tristezza – Non devo cedere…”

Oramai aveva consumato quel pezzo di ponte, camminando avanti e indietro in preda al tormento:

“Che idiota… come ho fatto ad innamorarmi come un adolescente? Non possiamo stare insieme…” - era l’unico pensiero che riusciva a formulare, considerando la sua posizione e la vita che conduceva alla quale non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

“Le ci vuole uno che la possa rendere davvero felice, - si diceva guardando il mare e la spuma bianca delle onde che diventava quasi fosforescente nella notte - uno che stia con lei per sempre e che magari la sposi per mettere su una famiglia! Io non posso darle niente di tutto questo… non posso nemmeno garantirle che domani sarò ancora vivo… - considerò convinto. - E poi… già sarà difficile dimenticarla se non è successo niente… Ma se torna con Rufy, come deve, dopo che ci siamo sfogati per bene, io non vivrò più… sarò finito come pirata e come uomo! Insomma la mia missione è la castità fino a quando non se ne va… poi mi chiudo da qualche parte con dieci bellissime donne e vediamo se riescono a guarirmi…” – concluse poco convinto.

 

“Forse ho sbagliato… - si girava e rigirava nel letto in preda ai dubbi – forse non dovevo dirglielo… – e ripensava agli ammonimenti di Roxanne – ma io…”

Nami non era riuscita a chiudere occhio ed aveva alternato momenti di sonno agitato a veglie allucinanti nelle quali si chiedeva se quella sua confessione fosse stata opportuna.

“Praticamente gli ho detto ti amo… - e si girava – e adesso... che succederà? – e si rigirava – è diventato tutto rosso quando l’ho baciato…”

Ma non si pentiva di quello che aveva fatto: lei gli voleva bene, le piaceva quel suo carattere sornione e sempre allegro, la faceva divertire e la rilassava.

E oramai l’alba era arrivata, ma il sole non ancora si impadroniva del cielo per via di una densa foschia che circondava tutto il legno pirata. Sentiva le voci dei pirati sul ponte che si affaccendavano con cime, gomene, fiocchi e vela maestra.

“C’è sempre trambusto su una nave pirata…” – pensava, restando stesa nel letto del suo Rosso.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 028.La Morgue ***


28 - La  Morgue

“Capooooooo!!” – Teschio, quando ci si metteva, urlava da far accapponare la pelle.

“Cazzo ti urli, Teschio? – sbottò Shanks, precipitandosi fuori dal quadro e correndo sul ponte – Ma perché mi devi far venire un infarto ogni volta?”

“Scusa… - gli urlò la vedetta – c’è un veliero a Sud…” – cercava di scorgere meglio tra la foschia impossibile.

“E allora? Sono le altre navi che devono tremare… non noi… e invece io mi terrorizzo ogni volta che n’avvisti una: mi fai venire i brividi con le tue urla… Sono complessato dagli arrembaggi!!” – e tutti a ridere.

Teschio fissava nel cannocchiale.

“Il fatto è che questa volta è davvero un bastimento di merci… - e aggiunse, cambiando tono – è davvero delle Indie Occidentali…” 

Shanks distolse lo sguardo da Teschio e lo rivolse al suo fumoso vice che ricambiò con un’espressione assorta. Come al solito s’erano capiti al volo. Si rivolse di nuovo a Teschio: 

“Dammi la distanza!”

Ma Teschio fissava con insistenza nel cannocchiale. All’improvviso esplose un larghissimo sorriso e si girò verso il suo capitano ridendo come una iena: 

“…Non è sola… capo… È una flotta!”

Sulla nave esplose un boato di urla e risate: pirati gasatissimi per quello che poteva essere il colpaccio di una vita…

Ma il silenzio era il protagonista assoluto tra il capitano e il suo braccio destro che si scambiarono una nuova, significativa occhiata.

 

“Nami!! – bussò Lucky alla porta della sua cabina facendola saltare dal letto spaventata dal suo tono esagitato – Nami! Sei sveglia?”

“Entra pure Lucky…”

Il signore dei cosciotti entrò tutto trafelato:

“Ciao, piccola! Il capo ci vuole tutti in sala pranzo tra cinque minuti… muoviti a salire: è urgente!”

“Che succede?” – dalla cabina si sentiva la grande mobilitazione che regnava sulla nave.

“Una flotta… - Lucky era davvero gasato – una flotta in avvicinamento!”

“UNA FLOTTA?” 

 

“Ci siamo tutti?” – chiese il capitano entrando fra due ali di ciurma in trepida attesa, riunita nel grande salone comune che fungeva da sala pranzo e riunioni.

“Sì…” – fumò Ben.

“Chissà quanti tesori porteranno quelle cinque bagnarole…” - Rosetta sbavava e si lisciava le mani mentre il capitano raggiungeva il suo posto e si preparava a parlare.

“Dobbiamo tenerci pure un altro galeone per portarci via tutto quello che ruberemo… hi, hi, hi…” – e tutti a sghignazzare troppo felici di ripulire la Compagnia delle Indie Occidentali, vera e propria società di ladroni e delinquenti con l’autorizzazione del Governo.

Shanks portò con se una grande mappa della zona, ma non l’aprì. 

“Capo… Siamo pronti per l’arrembaggio!” – esordì Ascia tutto contento mentre un boato di urla e incitazioni esplodeva dal ventre della nave, da quel salone, faceva venire i brividi a Nami e smuoveva il mantello di Shanks.

“Ragazzi… – sapeva che stava per dare loro una pessima notizia, ma proprio non poteva farne a meno – noi… non andremo all’arrembaggio di quelle navi… Anzi… dobbiamo virare di 45 gradi a tribordo.”

Il silenzio assoluto accompagnò quella rivelazione che sconvolse, ma rincuorò, anche Nami.

“Ma perché?” – Lucky era l’unico ancora in grado di parlare e Ben, che sapeva già tutto, fumava in silenzio. 

“Vedete… il veliero che ha visto Teschio è il primo di cinque enormi bastimenti, galeoni con ciascuno non meno di trecento marinai che battono la bandiera della Compagnia delle Indie Occidentali…”

“E allora? Mica abbiamo paura? – Yassop non si trattenne più – ti ricordi quella volta al largo di Marakaibo? Non abbiamo affrontato ben mille marinai senza problemi?”

Nessuno riusciva a capire la reticenza del capitano. Senza la sua autorizzazione il legno pirata non si poteva muovere, ma le regole della filibusteria erano chiarissime: andare all’arrembaggio era un diritto di tutto l’equipaggio… al capitano competeva dirigere l’attacco, gestire la strategia e dare gli ordini, ma di fronte ai bottini i pirati erano tutti uguali.

Non poteva decidere per tutti… mai nessuno di loro aveva mai messo in discussione la sua autorità e la saggezza delle sue decisioni: Shanks era coraggioso e tra loro esisteva un’armonia perfetta, ma… adesso era come se stesse rinunciando a prendere il tesoro di Gold Roger!

Rinunciare ad un arrembaggio di quei livelli non era da lui.

“Ma capo…” – avevano tutti le spalle a terra per la delusione.

Lui li guadò uno per uno: avrebbe fatto volentieri a meno di scendere nei particolari, ma i suoi uomini, i suoi amici, esigevano una spiegazione. 

“Ragazzi… Mi dispiace…”

Ii suoi lo fissavano in un silenzio fortemente deluso.

Lui sospirò, scambiò una nuova occhiata con Ben e si decise:

“Il fatto è che… ho il sospetto che non siano affatto navi mercantili…”

Quella rivelazione sparse un silenzio preoccupato fra i suoi.

“Cosa te lo fa pensare?” – Lucky, che aveva già fiutato la puzza di bruciato, lo conosceva da troppo tempo per pensare si trattasse di vigliaccheria.

“Perché la rotta che stanno seguendo non è da linea mercantile…”

“Ma una rotta è una rotta!” – Rosetta, al pari degli altri, non capiva.

“Non tutte le rotte sono uguali… Non nella Morgue.” – interloquì Nami, cominciando a capirci qualcosa.

Shanks la guardò con sgomento e i loro occhi s’incontrarono: non erano ancora riusciti a parlarsi dalla sera prima in cui lei gli aveva chiaramente detto che l’amava e l’aveva reso il Re dei Pirati in un attimo. L’incontro dei loro occhi li fece tremare mentre la perplessità era ancora la grande protagonista della scena fra il resto dell’equipaggio.

“La Morgue?” – Duca, come gli altri era il ritratto della curiosità.

E lei riprese a spiegare:

“Le navi commerciali non attraversano questo tratto di mare: qui di rotte mercantili non se ne trovano perché è il nido, il rifugio dei filibustieri dei mari dell’Est… - e continuò, spiegando – le compagnie lo sanno e si tengono alla larga!” 

“Questo mare è dei pirati – continuò Shanks guardando quella fantastica navigatrice che ne sapeva una più del diavolo – e quindi è frequentato solo da pirati, marinai e cacciatori di taglie. Quella flotta non è di semplici navi mercantili… è uno specchio per allodole!”

“E chi sono allora?” – la domanda serpeggiava nel gruppo.

“La marina sta già iniziando la grande mobilitazione per la festa di Midwest Town…” – suggerì, sperando abboccassero.

Ma gli altri lo guardavano perplessi: la ricostruzione di Shanks era credibile, ma qualcosa non tornava.

“E passano di qua? – intervenne Duca, folgorato da un pensiero – perché passano di qua con tutti i pirati che ci sono? Se li cercano i guai?”

Quella era la domanda a cui Shanks non avrebbe voluto rispondere e infatti tentennò un po’. Stava per dire qualcosa quando Rosetta lo prevenne:

“Buttalo a mare questo brodetto che puzza! – era uno dei famosi proverbi di Rosetta che non mancava di suscitare risate anche in quelle circostanze – non ci stai dicendo la verità o tutta la verità… Perché mai la marina, come dice Duca, per organizzare una festa passa per il covo dei suoi nemici? Con tutti i pirati che ci sono… Lo fanno apposta per farsi passare la stitichezza con la diarrea che gli facciamo venire per la paura!” – e tutti a ridere per quel fantastico Rosetta.

“Forse non passano di qui per caso… e forse non sono marines!” – lapidario come sempre, Piombo vide tutti i suoi compagni di navigazione girarsi verso di lui che però, fissava Shanks il quale ricambiava assorto il suo sguardo.

“Che vuoi dire?” – ad Ascia tremò la voce per quello che, insieme agli altri, aveva intuito. 

Tutti i filibustieri furono folgorati dallo stesso pensiero nello stesso istante e si voltarono a guardare il capitano con un’aria sconvolta.

“Per mille lische di pesce-cane…” – Rosetta, come gli altri, aveva il mento per terra dallo stupore.

Shanks li guardava di rimando con la faccia di chi è stato colto in castagna.

“Sì, sono cacciatori di taglie e… stanno cercando me.”

 

“Francis…”

“Eccomi, capo!”

“Vai a dire a Nami che tra mezz’ora si sbarca!”

“Ok.”

Affacciato al parapetto di prua, guardava la ripida e profonda insenatura di Cool Island che si avvicinava e diventava sempre più grande. 

Molti pensieri gli ronzavano in testa: aveva dovuto cambiare rotta per evitare di finire fra le mani di ben 1500 cacciatori di taglie che stavano battendo in lungo e in largo la zona per beccarlo.

Mihawk gliel’aveva detto che li aveva addosso, ma non credeva si sarebbero fatti vivi tanto presto.

Represse un fremito di rabbia: stava giocando a rimpiattino con dei mercenari della peggior specie come un mozzo alle prime esperienze, stava fuggendo e… non poteva fare diversamente.

“Devo ritrovare Rufy… - si diceva per placare il suo orgoglio ferito – e… devo proteggere Nami.” – e il cuore gli esplose.

Nami…

Non riusciva ancora a credere a quello che gli aveva detto solo la sera prima, il suo bacio emozionato, i suoi occhi lucidi, le sue guance grassocce e rosse.

Sorrise tutto contento e si accorse, con grande stupore, che il nervosismo gli era passato in un istante: non gliene fregava poi granché dell’orgoglio di filibustiere ferito. 

Lei non doveva correre pericoli, di nessun genere.

Era la sola cosa che gli interessava.

 

Rimase a fissare la maniglia della porta per molto tempo con il cuore in gola.

Sentiva i passi dei pirati sul ponte che lasciavano il Vento dell’Est per sbarcare sull’isola in cui il capitano aveva deciso di attraccare all’ultimo momento. Nami aveva consultato le mappe della zona e ne aveva dedotto che Shanks era un autentico stratega.

Quell’isola era eccezionale: offriva un’insenatura ampia e profonda, con la vegetazione alta e rigogliosa e un’entrata molto stretta. Nessuno li avrebbe trovati lì e se anche fosse stato, l’imboccatura era talmente stretta da consentire il passaggio di un galeone alla volta. Quella flotta avrebbe dovuto entrare in fila indiana permettendo a Shanks di affondarle una alla volta e non affrontarle tutte insieme.

Comunque non era certo per le qualità di generale di Shanks che adesso lei tentennava a scendere: non le aveva rivolto la parola per tutto il giorno e tremava all’idea di restare da sola con lui.

Si pentiva da morire di avergli detto quelle cose la sera prima e ora non sapeva come comportarsi, che fare, che dire; si sentiva ancora più vulnerabile del solito, più fragile. Lui avrebbe potuto approfittarne.

“Forse… devo far finta di nulla… - pensava con il batticuore – io gli ho detto solo che è una cosa bellissima, mica gli ho detto “ti amo”!!?? – cercava di convincersene – e poi… insomma, non l’ho baciato… cioè… sì, ma sulla guancia…” – ma chissà perché non riusciva a tranquillizzarsi.

Un forte bussare alla porta interruppe i suoi tormenti.

“Avanti…” – mormorò con una voce improbabile: aveva riconosciuto il modo di bussare del suo amore e il cuore le partì in testa coda; quando lo vide farsi avanti, passando dalla penombra alla luce della sua cabina e i lineamenti di lui farsi nitidi e definiti, fu colta dai brividi e dalle vertigini. Sentiva le ginocchia instabili, il sangue bruciarle nelle vene, la gola seccarsi all’istante e gli occhi gonfi e lucidi: sapeva di avere l’espressione di una triglia andata a male e questo la rese ancora più nervosa.

Era tesa come la corda di un violino.

“Ciao…” – mormorò e subito si pentì di aver parlato perché aveva una voce indecente.

“Ciao…” - lui non se la passava meglio. Stava per saltarle addosso: era talmente bella con gli occhi lucidi, le guance rosse, le mani e la voce tremanti che gli girava la testa. Cercò di riprendersi visto che nessuno dei due era il ritratto della loquacità:

“Beh… perché non scendi? Ti sei affezionata alla cabina?”

Lei sorrise, ma non riuscì a dire nulla: qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata sovrastata dai battiti del suo cuore.

Non sapeva se avviarsi verso la porta: lui era piazzato davanti all’entrata e non era sicura di riuscire a sopportare una distanza inferiore ai due metri da lui senza svenire.

Shanks rimase a guardarla incantato per un po’ e tutto contento del suo dolce imbarazzo; poi si girò e in silenzio si diresse verso la porta, precedendola.

“Comunque vedi di sbrigarti a scendere – riprese più lucido – ho bisogno che mi aiuti a fare una cosa…”

“Certo! Che cosa?” – Nami fu subito a disposizione. Qualsiasi cosa per lui.

Shanks si fermò proprio sotto il telaio della porta, si girò a guardarla di nuovo e disse serissimo:

“Ti devi mettere davanti all’imboccatura dell’insenatura per ostruire il passaggio alla flotta…” – ma non riuscì a proseguire perché scoppiò a ridere come un invasato.

Nami ci mise due secondi di più a precipitare dal mondo incantato in cui era finita, credeva, con l’uomo più fantastico del mondo: la sua espressione stordita portò Shanks ad un passo dall’embolia.

“Che idiota… - mormorò senza rabbia, ma con lo stesso tono di chi scopre una grande verità – che idiota… - non ancora riusciva a crederci, ma si ricollegò immediatamente al presente, vedendolo soffocare dalle risate – STUPIDO CAPRONE!!” – gli urlò in testa e se ne andò tutta infuriata.

 

“Allora ragazzi… che mi dite?” – chiese il capitano ai suoi che erano tornati dal giro di perlustrazione che aveva ordinato prima di sbarcare.

“C’è un piccolo villaggio a dieci minuti da qui, verso Nord.” – rispose Ascia.

“Marines, cacciatori di taglie, mercenari, pirati?” - elencò Shanks ridendo.

“Nada. – riprese Ascia – solo contadini e pescatori che stanno mettendo su una festicciola di paese…”

“Grande! Andiamo anche noi! – s’entusiasmò il capitano sotto gli occhi innamorati, ma ancora incazzati, di Nami – troviamo un’osteria e ci godiamo la festa. Domattina salpiamo presto.”

Tutti contenti, si avviarono trotterellando alla festa di paese.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 029.Te aviso, te anuncio ***


029 – Te aviso, te anuncio

Quanto ad ospitalità, il piccolo villaggio di Cool non aveva nulla da invidiare a località più grandi e attrezzate: poche case, una scuola, una farmacia e… ben dieci osterie!

La gente del posto aveva la vitalità e l’allegria nel sangue: ogni settimana si organizzava una festa di paese e, nella piazza principale in cui si affacciavano tutti i locali pubblici ci si dava a baldoria, canti, danze e grandissimi banchetti.

Era una quelle serate...

Arrivarono nella piazza principale che fervevano i preparativi e nonostante fossero pirati nessuno badò a loro.

“Perfetto. Oramai non facciamo paura più a nessuno: propongo di dedicarci alla pesca!” – suggerì Yassop che, come gli altri, non si capacitava che a nessuno gliene fregava che erano arrivati i pirati.

 

“Questa sì che è gente che capisce…” – singhiozzò Rosetta strafatto di alcol mentre ingurgitava d’un fiato un ennesimo mezzo litro di birra e rideva tutto contento di quella fantastica e inaspettata sosta.

In meno di mezz’ora, la banda del Rosso si era integrata alla grande nella comunità e mentre i suoi ragazzi apprendevano molte cose sulle feste e sulla baldoria, Shanks faceva due chiacchiere con il sindaco del paese. 

“E’ la nostra caratteristica, diciamo la nostra attrattiva turistica… - spiegava il sindaco, nonno Fete, ad un più che compiaciuto Shanks – abbiamo deciso di farlo per un motivo ben preciso…”

Shanks era il ritratto della curiosità: lui era dell’avviso che non occorresse un motivo particolare per darsi ai bagordi, ma non disprezzava l’idea di festeggiare per qualcosa.

“Come vede, in questo villaggio ci sono soprattutto uomini: è un villaggio di pescatori e contadini. Distiamo mezza giornata di cammino dalla città di Cape che sta in collina e queste feste settimanali servono per… come dire…” - il buon vecchio non trovava le parole adatte.

“Ho capito… ho capito… – lo aiutò Shanks, ridendo – non bisogna essere filibustieri per arrivarci…”

Intanto la festa era entrata nel vivo: un piccolo gruppo di musicisti suonava su un palchetto rialzato ed erano affluite molte fanciulle venute dalla città in piccoli gruppi e attorno a loro ronzavano interi sciami di maschi a caccia. 

“Alcune sono proprio carine… - pensava, seduto al tavolo con il sindaco che gli raccontava la storia della sua vita mentre guardava le numerose bellezze confluite in piazza – però… però Nami è una dea!”

Se questi erano i suoi pensieri, badava bene a non mostrarli: si era allontanato apposta dal gruppo dei suoi a parlare con il sindaco,  avvicinandosi di più alle ragazze per farla ingelosire. Si sentiva un immaturo, un adolescente a comportarsi così, ma voleva provocarla, voleva farla arrabbiare, voleva vedere quelle guance grassocce diventare rosse di gelosia.

Da quando erano arrivati lì l’aveva ignorata e se n’era filato verso il sindaco: voleva darle l’impressione di aver attaccato bottone con il nonnetto per guardare più da vicino le ragazze e le dava le spalle.

Sentiva gli occhi di lei addosso e avrebbe dato qualunque cosa per girarsi, guardarla e scoprire se stava rodendosi come in cuor suo desiderava: sapeva che il suo comportamento non era proprio ortodosso, però… non ne poteva fare a meno.

 

Seduta dietro ad un boccale di birra che Lucky, senza indugio, le aveva messo sotto il naso, Nami fissava sconsolata le spalle di Shanks.

A parte la cretinata di qualche ora prima, lui non le aveva rivolto la parola per tutto il giorno e, appena sbarcato, si era immerso nella folta compagnia femminile intorno al tavolo del sindaco che, data l’età, aveva già abbandonato il campo. Si sentiva un’estranea, un soprammobile: i ragazzi erano già tutti ubriachi, i bagordi la circondavano eppure si sentiva sola. L’unico in grado di farla stare bene si dedicava ad altre donne che, le aveva già inquadrate con l’occhio clinico della donna innamorata, lo avvicinavano troppo per i suoi gusti…

Non sapeva che pensare e che fare: forse Shanks lo stava facendo apposta per farla ingelosire oppure, dato che era un pirata, si comportava così e basta. Il dubbio la uccideva e si sentiva prossima alle lacrime: lo sapeva di essere stata stupida a innamorarsi di un pirata, più grande tra l’altro, ma lei gli voleva bene, lo amava davvero.

“Lo fa perché sa che mi piace… - pensava arrabbiata, delusa, ma innamorata persa – non gliel’avessi mai detto!” – si dannava tra se.

“Dai Nami…hic hic - la incitò Lucky, prossimo al coma etilico – bevi!! I boccali non stanno lì p… hic… per essere guardati!!”

Guardò il boccale con aria assente per un po’ poi tornò a guardare le spalle di Shanks ancora rivolte verso di lei.

“No, - decise ad un tratto, recuperando la lucidità - non mi faccio prendere in giro da un pirata!”

E tutto d’un fiato, scolò il primo di una lunga serie di boccali.

 

Oramai si era fatta notte fonda: Shanks aveva creato una comitiva intorno al tavolo del sindaco che, da un pezzo, era andato a dormire. Rideva, scherzava, mangiava, beveva e flirtava con le numerose donne presenti come fosse la sua festa.

Ne era diventato l’ospite d’onore: la sua personalità travolgente, il suo carisma, il suo umorismo, la sua sensualità, il suo fascino di filibustiere avevano già fatto diverse vittime tra le numerose gonnelle presenti al tavolo del sindaco eppure… eppure si sentiva dannatamente vuoto, assente, a metà.

Si sforzava con una fatica immane di ignorare e non guardare l’altra sua dolcissima metà che aveva lasciata con gli altri per torturarla un po’: non riusciva a stare fermo un istante, pareva gli bruciasse la sedia, aveva un caldo esagerato, la gola secchissima, era su di giri e il suo più grande desiderio era girarsi e guardarla. E se avesse notato anche solo un piccolo segnale di gelosia, l’avrebbe trascinata in mare, strappato i vestiti a morsi e scopata fino alla fine del mondo!

Intanto da un po’ erano cominciate le danze: le coppie finalmente formate, o prossime ad esserlo, avevano cominciato a darci dentro e si scatenavano nella piazza.

Shanks si accorse che le donne del suo gruppetto altro non aspettavano che essere invitate, ma, con suo grande stupore, non ci si riusciva a vedere con un’altra a ballare.

“Però l’idea non è male…” – pensava, sempre con il solo intento di far impazzire la piccola Nami che, sicuramente si stava rodendo, quando, con suo grande sgomento, la scorse farsi avanti tra i ballerini che trascinava Duca per una mano. Questi fece appena in tempo a lanciare un’occhiata fortemente significativa al suo capitano prima di essere scaraventato al centro della piazza da quella ragazzina ubriaca di alcol e gelosia. 

E quell’occhiata voleva dire esattamente:

“Non mi uccidere, ti prego.”

 

Nami doveva avere un’espressione intraducibile in termini terrestri: tutte le coppie nel bel mezzo del ballo si fermarono per fare spazio ai due nuovi entrati e tutti ammutolirono, musicisti inclusi, colpiti dalla foga con la quale quella ragazzina si trascinava dietro il pirata.

Nel silenzio sconcertato della piazza, urlò ai musicisti:

“TANGO!”

E iniziò il tango più passionale, più viscerale, più sensuale che Shanks avesse mai visto.

La musica iniziò lenta e lei partì con un assolo, danzando intorno agli spettatori riunitisi in cerchio mentre Duca la guardava sconvolto dalla parte opposta.

Il tizio che suonava la fisarmonica intuì subito le intenzioni di quella ragazza bellissima e ubriaca fradicia e aumentò il ritmo: Nami si avvicinò a Duca e lo abbracciò stretto, facendo esplodere il cuore di Shanks che, ignorando il mondo intero, si era alzato da tavola di colpo, rovesciando la sedia e fissava sgomento il suo timoniere e la sua donna ballare talmente stretti l’uno all’altra da fermare la circolazione sanguigna.

Lei prese a strusciarsi a ritmo di musica a Duca che non ci aveva messo niente ad eccitarsi e a farsi prendere dal ballo: sapeva che il suo capitano lo avrebbe appeso per le palle all’albero maestro, usato come bersaglio per il lancio del pugnale e obbligato Ben a spegnere i mozziconi delle sigarette fra le sue chiappe, ma non ci poteva fare nulla: Nami era bellissima, era stata lei ad iniziare e poi… erano anni che non trovava una compagna così brava e così atletica. 

Intanto la musica era entrata nel vivo e quei due ballavano affiatati come se non avessero fatto altro negli ultimi vent’anni: volteggiavano abbracciati con le gambe intrecciate e perfetta sincronia, alternando casquè in cui lei lo imprigionava tra le gambe, uccidendo Shanks, ad assolo in cui si strusciavano ai limiti della decenza.

“Sono morto… sono morto… sono morto…” – si ripeteva disperato Duca mentre con Nami faceva una cosa che esulava dal concetto di ballo.

Il ritmo era incalzante e i loro volteggi creavano sensibili spostamenti d’aria che sferzavano gli astanti rapiti dalla bravura dei due ballerini e soprattutto di quella ragazza che, ad un certo punto, si staccò dal pirata per un nuovo assolo: cominciò a muovere le gambe con grande sensualità mentre a Shanks si piegavano le ginocchia e voleva scoppiare a piangere perché lei, avvitandosi su se stessa, con le mani si alzava la gonna a livelli preoccupanti, si accarezzava i fianchi, i seni…

Gli girava la testa e dovette appoggiare la mano sulla spalla di un giovanotto con cui aveva riso tanto fino a quel momento e che, come lui, non capiva più niente. Quell’altro non si era accorto di nulla con il mento a terra ed una pozza di bava ai piedi.

Avrebbe voluto prenderlo a pugni visto che stava guardando come un lupo mannaro la sua ragazza, ma avrebbe dovuto prendere a pugni pure gli altri trecento partecipanti alla festa! 

E non fece in tempo a ragionare oltre che quella piccola strega gli tolse anche l’ultimo barlume di lucidità: finì l’assolo intorno al corpo di Duca, strusciandolo, toccandolo e avvinghiandolo. 

L’assolo finì e la musica riprese travolgente. 

Preso dalla musica, fu lui ad abbracciare Nami e insieme affrontarono la parte più impegnativa e veloce di quel tango: ballarono ad un ritmo pazzesco e sempre crescente, muovendo gambe, braccia e volti con un sincronismo impensabile per due corpi distinti, stringendosi e strofinandosi tanto che Shanks era convinto di essere morto. 

Non sentiva più il cuore battere.

All’aumentare del ritmo crebbe anche l’adrenalina, ridevano e si divertivano come pazzi; quando la musica e il ritmo giunsero all’apice e i movimenti divennero frenetici, Nami lasciò andare un urlo liberatorio che accompagnò lo scoppio dei cuori di tutti i presenti che, presi dall’emozione, si unirono all’urlo e cominciarono ad applaudire selvaggiamente senza riuscire ad aspettare la fine del tango più figurato e più intenso mai realizzato.

Quell’urlo diede il colpo di grazia a Shanks: era pazzo di rabbia e gelosia, avrebbe fatto una strage e stava faticando una cifra a contenersi. Conosceva perfettamente il tango, era un discreto ballerino, ma non gli risultava che portasse le persone all’orgasmo e comunque a lui non era mai successo.

E non poteva credere che lei… con Duca poi! 

Ma la musica non era ancora finita e quei due continuavano a dimenarsi ad un ritmo proibito, ballando, strusciandosi, avvitandosi e avvinghiandosi nel ritrovato ed eccitato silenzio degli spettatori.

All’improvviso, Duca la prese da dietro e la strinse a se e alla vita e, sconvolgendo tutti, ballarono in quella posizione un tango dal ritmo indecente, riuscendo a rimanere coordinati nei passi andando avanti e indietro e continuando a volteggiare senza sosta.

Si apprestarono a concludere il ballo: lei si girò di nuovo verso il suo compagno che le sollevò una gamba e se l’avvinghiò intorno alla vita, stringendola a se (oramai sapeva di avere i minuti contati) mentre volteggiavano vertiginosamente e lei, a ritmo di musica, lasciava andare all’indietro la testa e il busto mimando un vero e proprio orgasmo avvinghiata impudicamente alla vita di Duca che la faceva letteralmente volare.

Si staccarono di nuovo per completare il giro in nuovi volteggi e, finalmente, la musica finì e con essa il martirio di Shanks, in un casquè profondo e indecente che vide Nami avvinghiata con le gambe ai fianchi  di Duca.

Shanks, i ballerini e tutto il paese erano senza fiato.

Nami si staccò dal compagno, gli prese la mano ed insieme dedicarono un profondo inchino alla platea ammutolita che esplose in un grandissimo applauso; due erano quelli che non si divertivano appieno: Shanks con il fegato ridotto ad una poltiglia per la rabbia e la gelosia e… Duca che contava i minuti che gli restavano da vivere.

 

Semi nascosto dalla platea che continuava ad applaudire i due ballerini, il comandante del Vento dell’Est cercava di dominarsi: era incazzato nero. Non gli interessava sapere di chi fosse la colpa, né se fosse di qualcuno: sapeva solo di voler menare le mani e la spada, appesa alla cintura, chiedeva sangue.

Non se la sarebbe mai aspettata una scena del genere: lei gli aveva detto chiaro e tondo di essere cotta di lui, tremava ogni volta che erano vicini, non riusciva a guardarlo negli occhi senza arrossire e poi… ballava quella cosa indecente con Duca? Era solo indeciso sull’ordine degli omicidi da commettere: prima Duca o prima Nami?

Non sapeva di essere geloso, non aveva mai avuto modo di scoprirlo, ma adesso stava letteralmente impazzendo di gelosia.

Ma i suoi oscuri pensieri furono interrotti dal giovanotto accanto a lui: con una mano si reggeva la fronte e con l’altra diede una pacca sulla spalla di Shanks.

“Oh… - era sconvolto e in evidente stato di eccitazione – per tutte le feste del mondo… mai vista una gnocca simile! – Shanks lo guardava come un alieno – ma hai visto che cosce? Ha due chiappe tonde e sode! – l’altro aveva il mento a terra – E che tette! So io come deve stare una femmina così: - e fece un largo e significativo gesto - a pecora!” – concluse convinto, lanciando una gomitata mandrilla a Shanks, aspettandosi dal filibustiere quei commenti che solo i pirati sanno elaborare…

Invece quel pirata dai capelli rossi era pallido come un cencio e restava in silenzio, fissando attonito avanti a se nella direzione dei due ballerini ancora attorniati dalla folla al centro della piazza. 

“Oh amico… ti senti bene? – e rise, inconsapevole del rischio che stava correndo – t’ha distrutto, eh? Vabbè… non ti preoccupare: mi sa che là ce n’è per tutti!!” – e scoppiò a ridere di nuovo.

Oramai doveva decidere: uccidere tutti o comportarsi da uomo.

Per fortuna del villaggio di Cool, scelse la seconda via, come al solito.

Si girò verso il tipo e lo guardò con un larghissimo sorriso che, chissà perché, non apparve spontaneo e spaventò a morte il ragazzo:

“Ti sbagli… Ce n’è solo per me: lei è mia.” – disse con gelida calma.

All’altro cedettero le ginocchia e cascò seduto a terra, piegato dalla paura:

“E’… E’… E’…” – non riuscì a dire altro.

“Già… è la mia ragazza…” – ghignò, provocandogli una sincope.

Il tipo aveva già cominciato a piangere convinto che quel pirata gli avrebbe staccato la testa con quella spada più grande di lui e invece Shanks, con passo deciso, si allontanò in direzione del tavolo a cui era seduto prima di quel malefico tango che gli aveva rovinato la serata. Intanto non si era accorto che la musica era ripresa e che Nami e Duca si erano avviati nella sua  stessa direzione.

“Ciao… hic!... Rosso!”- lo salutò lei barcollando, rossa per la fatica, la birra e… l’emozione di parlargli di nuovo: era completamente fatta, ubriaca fradicia.

“Toh… la ballerina! – sibilò lui che l’avrebbe volentieri frustata. Poi guardò Duca e aggiunse gelido come un iceberg – e il ballerino…”

Quando Duca incrociò lo sguardo del suo capitano, desiderò di essere già morto.

Lei, tutta contenta che lui avesse assistito alla sua esibizione, si sentì girare la testa e si appoggiò a Duca che le era ancora vicino e che, oramai, pregava sottovoce per lo sguardo assassino del suo capo:

“Vorrei ballare ancora, ma mi gira la testa…” - mormorò Nami rivolta al suo amore.

“Allora vai a sederti…” - suggerì serafico il comandante del Vento dell’Est che doveva fare due chiacchiere amichevoli con il suo timoniere.

Ma lei, per tutta risposta, fece due passi verso di lui; si aggrappò ai lembi della sua camicia, alzò lo sguardo e gli sussurrò, tutta emozionata e con le guance rosse:

“Quante volte una donna deve chiederti di ballare per farti muovere?”

Lui rimase senza parole: lei lo prese per mano e, delicatamente, se lo trascinò nel centro della piazza dove gli altri si davano a memorabili lenti.

Quando vide Nami portarsi dietro il suo capitano sconvolto, Duca tirò un lunghissimo ed altrettanto profondo sospiro di sollievo: forse non sarebbe morto quella sera.

 

“Perfetto… - mormorò, fermandosi e voltandosi verso di lui – la musica sta per iniziare...” – e mai prima di allora era stata così emozionata.

Si guardarono per un eterno istante e poi lei gli si avvicinò con il cuore a mille e poggiò le mani sulle sue spalle, tremando come una foglia: avrebbe voluto abbandonarsi contro di lui, abbracciarlo, ma si sentiva svenire al solo pensiero.

Le mani di lei sulle spalle lo riportarono al presente: la guardò intensamente, ma lei non riuscì a sostenere i suoi occhi e subito distolse lo sguardo mentre cominciavano a dondolarsi al ritmo di una canzone dolcissima.

Nami non capiva più niente e faticava a mantenersi lucida: aveva ballato con Duca, attaccata come un adesivo, un tango impossibile e, come in tutte le altre volte della sua vita, non aveva avuto problemi…  erano sempre gli uomini ad eccitarsi e non le interessava. 

A lei piaceva ballare e basta. 

Sapeva che quel ballo andava fatto guancia a guancia e per questo aveva quasi costretto Shanks a seguirla! Ma ora… ora che ce l’aveva davanti, a malapena riusciva a sfiorargli le spalle ubriaca fradicia di birra e di lui, persa nel suo profumo, nel calore che il suo corpo sprigionava, ingabbiata dalla sua sensualità. Le tremavano le gambe, le cedevano le ginocchia, le girava la testa e a malapena gli sfiorava le spalle con le dita, quasi per non infastidirlo.

Si era riempita di birra per riuscire ad avvicinarlo e superare la brutta situazione che si stava creando, per avere la scusa di ballare con lui, per abbracciarlo almeno un po’ ed ora non riusciva nemmeno a guardarlo, a parlargli a ridere e scherzare come al solito.

All’improvviso sentì la calda mano di lui appoggiarsi sul suo fianco e sussultò, assalita dalle vertigini: ebbe un mancamento e Shanks, prontamente, si fece avanti per sorreggerla. 

Il terrore e la voglia di toccarlo la fecero riprendere.

“Forse hai bevuto un po’ troppo… - mormorò lui, smuovendole i capelli sulla fronte con il respiro - …mocciosa…” 

Nami non riuscì a dire niente per il cuore incastrato tra le tonsille: il respiro di lui sulla fronte le aveva fatto realizzare che si erano avvicinati di più. Intanto la mano di lui sul fianco scottava e le toglieva il respiro.

“O forse hai ballato un po’ troppo…- riprese lui sussurrando, sempre più vicino - …mocciosa…” – calcò l’ultima parola.

Nami si fece leggermente indietro per respirare: non era sicura di riuscire a sopportare una tale vicinanza dal suo amore dolcissimo e bellissimo; davanti ai suoi occhi c’era il collo di lui, il suo mento barbuto, la sua bocca meravigliosa e, poco più giù, quella distesa di pettorali sotto una camicia che più provocante non avrebbe potuto essere e che le acuirono il senso di smarrimento che già provava e la stordiva.

“…Smettila… - deglutì, fissando innamorata persa la bocca di lui e aggiunse visto che quella parola, detta in quel tono, pareva un’implorazione – smettila di chiamarmi mocciosa…”

“Ma lo sei…” - replicò lui sempre sussurrando dolcemente.

“Non è vero…” – non capiva più niente e tanto meno era in grado di articolare risposte più adeguate. Quelle labbra l’avevano stregata.

“Sì che è vero…” - rispose lui in tono accondiscendente. 

Poi le lasciò il fianco e le prese il mento tra le dita, facendola tremare. Con il pollice le accarezzò l’angolino della bocca mentre lei, ingabbiata dalla passione, cercava di mantenere un po’ di lucidità e quasi tratteneva il respiro per non fargli sentire tutte le sue palpitazioni, ma non resse più quando le dita di lui presero a scorrere sulla sua pelle, verso l’orecchio, andando ad infilarsi tra i suoi capelli e sistemarsi dietro la nuca. Chiuse gli occhi, sentendosi davvero morire:

“Sei ubriaca fradicia… per un pochino di birra…” – la derise dolcemente lui, accarezzandole la nuca delicatamente mentre Nami  sospirava e tremava con gli occhi chiusi e umidi per la forte emozione, la testa reclinata all’indietro e poggiata sulla sua mano in preda al desiderio e alla dolcezza.

Mentre le accarezzava dolcemente la testa e la nuca, Shanks la guardava stregato: era di nuovo sua, di nuovo insieme a lui.

“Sei bellissima…” – pensava, morendo dalla voglia di stringerla e baciarla; adesso lei era completamente sua e se l’avesse stretta a se, avrebbero passato una notte indimenticabile, meravigliosa, unica.

Ma quell’amore era pericolosissimo per entrambi e forse, mentre continuava ad accarezzarla dolcemente, lui non si sentiva pronto per una tale felicità.

All’improvviso Nami gli si accasciò dolcemente addosso svenuta e lui la strinse a se, innamorato e triste: il suo colpo, lo sapeva, non falliva mai. 

La prese in braccio e la riportò alla nave seguito dai suoi per riprendere il mare.

Quella notte strana era finita: l’alba stava sorgendo.

 

Il titolo di questo capitolo, come avete potuto notare, è tratto da una famosissima canzone che tutti conosciamo: sebbene ad essa mi sia ispirata per il tango di Nami e per il significato sotteso al capitolo, il titolo del brano è di proprietà del suo autore e ogni diritto s’intende riservato.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 030.Sogno di una mattina di mezza estate ***


030 – Sogno di una mattina di mezza estate

Stesa sul letto della cabina che il suo nuovo e bellissimo capitano le aveva ceduto, in una mattina di mezza estate Nami fantasticava con il cuscino tra le braccia che avrebbe voluto si trasformasse nel fisico mozzafiato del padrone di casa…

Ripensava al suo grande sorriso: quelle labbra la sfottevano e la baciavano e lei non pensava ad altro; quella mano la sfiorava con eleganza e lei quasi non respirava; quegli occhi la guardavano e lei sentiva l’anima allo scoperto.

“Sono pazza di lui - ammise sospirando - e se non l’ha capito, è davvero idiota…” – e ripensava alla sua confessione e all’imbarazzo di lui che aveva sentito tremare mentre gli augurava la buonanotte con un delicato bacio sulla guancia.

Erano passati cinque giorni da quella sera in cui gli aveva detto che era una cosa bellissima, la cosa più bella che le fosse mai capitata e… quattro giorni dal loro primo ballo che avrebbe voluto un tantino più intimo, ma l’emozione incontenibile l’aveva tenuta ad un metro di distanza da lui che l’aveva presa in giro un po’, però poi l’aveva accarezzata, le aveva infilato la mano tra i capelli e moriva di dolcezza ricordando il suo tocco delicato che l’aveva portata in paradiso. Poi era svenuta.

“Che idiota che sono! Se non fossi svenuta…” 

Ma il cuore le si fermò all’idea che il suo tocco, le sue carezze fossero solo il delirio di una ragazza innamorata e ubriaca fradicia.

“No… non può essere…” 

Cercava di convincersene, ma in quei giorni Shanks l’aveva ignorata o almeno avrebbe voluto pensarlo per illudersi un po’ e invece si era comportato come al solito senza nessun segno di imbarazzo o emozione.

“Che cosa prova per me?” – si domandava con il cuore in gola, ripensando a tutto ciò che era successo da quando si erano conosciuti e si dannava per sapere cosa fare: le parole di Roxanne l’avevano proprio spaventata, ma almeno sapeva che amava Shanks, lo amava da morire.

Spesso si sorprendeva a pensare se non avesse potuto rivederlo da un giorno all’altro o se si fossero allontanati e si sentiva morire alla prospettiva di non rivedere il suo volto, il suo sorriso, i suoi occhi che avevano il mare dentro… E poi quando non sentiva la sua voce per un po’, dava di testa!

Era sempre dolcissimo e anche quando la sfotteva aveva una luce calda in fondo allo sguardo che le metteva sicurezza addosso e calore nel cuore. E poi era sempre allegro e di buon umore, non si arrabbiava mai, rideva sempre e con lui si sentiva felice e a posto con il mondo: la proteggeva e sapeva che nel momento del bisogno lo avrebbe avuto accanto a se.

Avrebbe voluto avvicinarsi di più e strappargli qualche carezza, qualche bacio, ma in quei giorni era davvero inavvicinabile: stava sempre in mezzo alla mischia, era l’anima e il capo della sua ciurma di uomini casinisti che, più che un branco di pirati, sembrava un gruppo di amici in continuo viaggio sulla rotta delle risate!

E poi non sapeva da dove cominciare… Era talmente innamorata e lo desiderava così tanto che credeva che se l’avesse toccato, sarebbe esplosa!

Più del bacio della buonanotte non riusciva proprio a fare… era costretta ad aspettare che facesse lui la prima mossa, sempre. 

E quando la faceva, il suo tocco era leggero e delicato, mai volgare e mai gretto, l’esatto contrario dei pirati che aveva conosciuto fino ad allora: dolce e sensibile, intelligente e colto, ne sapeva una più del diavolo, bello e ancora bello con quelle tre cicatrici che la facevano impazzire e quell’espressione da maniaco dei sette mari che la eccitava all’istante.

Riusciva ad essere idiota e serio allo stesso momento, forte e dolce come quella sera che c’era rimasto male per la sua acidità e aveva messo su il muso… si era sentita perduta nel vederlo così triste e amareggiato: da allora si imponeva di pensare a lui non solo come un pirata, ma come un uomo, l’uomo che le aveva fatto perdere la testa.

Roxanne le aveva detto di capire prima di tutto che cosa provava per lui e di cercare di conoscerlo:

“Adesso so di amarlo… - pensava sul letto di quell’uomo fantastico – o almeno credo che sia così: non riuscirei a resistere senza il suo sorriso…” - e ripensava a quella sera in cui l’aveva maltrattato e si era intristito: si era sentita malissimo e desiderava solo rivedere il suo sorriso…

“Ma lui che prova? – si domandava di nuovo disperata – che vuole da me? Mi sfotte e poi si avvicina, ma sempre poco… mi bacia sulla guancia e mi stringe pochissimo…”

Rabbrividiva nel ricordare le parole di sua sorella Nojiko:

“Se due persone si piacciono, succede subito qualcosa! Se non accade nulla è perché una delle due non vuole…”

Non voleva credere in quelle parole, però Shanks non si decideva a fare una mossa in più: 

“Probabilmente mi considera solo la navigatrice di Rufy e per lui sono come una sorella minore – e le veniva il panico a pensarlo – o una ragazzina da proteggere in attesa di riportarmi da Rufy…” – e si dilaniava al pensiero di suscitargli tenerezza e sentimenti di fratellanza.

In preda ad una triste confusione, grande quanto il Vento dell’Est, si lavò e sciacquò quei cenci che non riuscivano ad asciugarsi per via della grande umidità: aveva tutti gli abiti bagnati e si dovette coprire con un asciugamano.

Poi guardò il piccolo armadio del suo impossibile Rosso e l’aprì: trovò camicie e pantaloni, alcuni anche molto vecchi. In preda ai languori, aspirò il profumo di pulito che lui si portava sempre dietro:

“Non devo fargli tenerezza… deve eccitarsi! Io mi metto ad annusare i suoi vestiti… muoio se mi parla nell’orecchio e lui mi considera una sorellina?” – e scuoteva la testa in preda al fuoco.

Emozionata, indossò una sua camicia, aspettando che passasse l’umidità… ovunque… 

Prese uno dei tantissimi volumi del suo meraviglioso capitano e si mise a leggere sul letto: c’era un titolo davvero interessante.

 

Passò molto tempo a leggere assorta fino a quando il caldo divenne insopportabile e si accorse che era arrivato mezzogiorno, ma non le andava di tornare nella mischia e tra l’altro non poteva: i suoi vestiti erano ancora zuppi.

“C’è quell’altro libro che volevo comprare…” – ragionava tra se, alzandosi e andando verso la libreria; il volume che parlava del Grande Blu, molto rinomato, era sull’ultimo ripiano e si stirò per prenderlo.

In punta di piedi scalzi sotto gambe che più nude non potevano essere con un braccio alzato, cercava di arrivare oltre le sue possibilità: la camicia, larga già per Shanks, le scivolava via dalla spalla sinistra, le scopriva tutto il tatuaggio e gran parte della schiena… 

E si stirava sempre più:

“Rufy… Quanto ti invidio! – disse ad alta voce - Devo prendere la sedia…”

All’improvviso un braccio in manica di camicia arrotolata si avvicinò e sorpassò la sua mano, prese il volume e glielo porse in modo da cingerla senza toccarla. 

Lei, pietrificata in quella posizione, smise di respirare e fissò la libreria davanti a se con gli occhi sgranati: era emozionata e molto spaventata.  

Sentiva il calore del corpo di lui, il suo respiro un po’ alterato tra i capelli e sulla spalla e lunghi brividi le percorrevano la schiena… chinò la testa per guardare la mano che reggeva il libro e sincerarsi che fosse davvero lui, che non fosse un sogno… 

“Lo vedi che sei tappa? – aveva la voce bassa e roca per dominare un affanno incontrollabile. - Ecco il libro…” – e glielo porse.

“Grazie… - sussurrò lei in preda ai brividi e alla febbre, alzatasi all’improvviso.

In quella tremenda confusione sentì la guancia di lui affiancarsi alla sua mentre il suo cuore esplodeva con un fracasso assordante; Shanks guardò il libro e ridacchiò – e tu leggi ‘ste cose impegnative? Ma soprattutto… tu leggi?” 

Lei non reagiva: era troppo emozionata, non capiva più niente.

Restarono ancora un po’ silenziosi, assorti e vicinissimi: poi, a bruciapelo, lui fece un passo avanti e i loro corpi si toccarono, annegandola di brividi:

“Stai tremando…” – le sussurrò piano nell’orecchio.

Il braccio di lei era rimasto alzato a mezz’aria e prese a sfiorarle la mano delicatamente…

“Hai fatto bene a non prendere la sedia… me l’avresti rotta, cicciona!” – e intanto giocava con le sue dita.

Nami cercò di reagire e mantenere la calma.

“Sai a che ti serve… - deglutì per farsi tornare una voce decente - tanto non sai leggere… non esiste che ti sia seduto alla scrivania a studiare tutti questi volumi…” – e si sentiva male.

“Certo che li ho letti… - e avvicinò la bocca all’orecchio, quasi uccidendola – ho letto tanti di quei libri che tu, mocciosa, non vedrai mai nella tua vita…” – le disse “mocciosa” sfiorandole la pelle con le labbra, facendola sussultare e tremare di nuovo.

“Perché tremi? – sospirò leggermente - Hai paura di me? – ridacchiò diabolico – oppure hai solo voglia di me?” - e finì la frase nell’orecchio di lei, mordicchiandoglielo e facendosi strada fra i capelli.

“Smettila…” – lo implorò tremante con gli occhi chiusi.

“Perché? – ridacchiava – cos’è non ti piaccio?” – le chiese, infilando la mano nella camicia: l’appoggiò sul suo ventre nudo e la strinse forte contro di se per farle sentire tutta la sua eccitazione… - vuoi dirmi che non ti piace?”

“Oh… Shanks…” - le gambe non la ressero più e si dovette aggrappare ad un ripiano della libreria in preda all’affanno e ai brividi che la sovrastavano e la stordivano. Si sentiva davvero morire, tremava tutta con le ginocchia instabili e non sapeva che fare: conservare un po’ di dignità o lasciarsi andare… 

Non capiva assolutamente più niente.

La bollente mano che lui le aveva infilato sotto la camicia era completamente aperta e appoggiata direttamente sul suo ventre nudo: con il pollice le accarezzava i contorni dell’ombelico e  minacciava di scivolare giù… per disattenzione… di entrambi!

“Sei rotonda… - continuò lui, strusciandola - e molto morbida, troppo… e guarda che pancia… - le accarezzava il ventre sotto la camicia – se non fossi così inguardabile, penserei che sei incinta…”

Era tesa e rigida: fra le sue gambe, nude, c’era Shanks che la stringeva tanto e le si strofinava contro, spingendola con il bacino verso la libreria, respirandole nell’orecchio. Era eccitatissima…

Per ogni sua carezza gemeva, si bagnava e tremava: addosso aveva le mutandine però ora erano da buttare via.

All’improvviso la mano di lui prese a salire lentamente, ma inesorabilmente e il cuore di lei rallentò progressivamente i battiti… Sentì le dita del suo amore percorrere delicatamente il suo ventre, il busto e poi… smise completamente di respirare quando se le sentì passare tra i seni. 

E finalmente li toccava, li soppesava e li stringeva uno ad uno, sentiva le dita di lui intorno al capezzolo, il calore della sua pelle, il suo respiro affannato, la sua bocca sul collo, la sua barba che la graffiava e punzecchiava, i suoi capelli e quel Rosso eccitato che si strusciava contro di lei e la spingeva, facendole sentire tutto…

Si sentiva morire, sull’orlo della follia, della fine del mondo; le gambe la reggevano a stento, si sentiva mortificata nel non riuscire ad evitare di gemere e bagnarsi per ogni sua palpata e per i denti e la lingua di lui sul collo; aveva voglia di gridare tanto era il piacere che non riusciva a contenere, ma ogni volta la voce le moriva in petto, soffocata dalla dolcezza e dall’intensità delle carezze di Shanks. 

Non capiva niente e le girava la testa, sentiva una dolcissima e sconfinata paura, ma voleva di più, sentiva di dover allargare le gambe e permettere a quel pirata indemoniato di far quel che voleva…

Leggendole nel pensiero, Shanks le lasciò i seni e spostò le sue dita sulla schiena di lei: delicatamente e lentamente cominciò a scendere, facendola inarcare.

“Shanks…” – mormorò con un filo di voce.

Quando sentì la mano di lui accarezzarle il sedere e finirle nelle pieghe più intime, per l’emozione e la tensione si sentì svenire, ma lui la sostenne e riprese a strofinarsi contro di lei. Poi, con delicatezza e decisione la divaricò per tirare giù le mutandine, piano ma inesorabilmente mentre lei si irrigidiva terrorizzata in preda all’affanno e per poco non scoppiava a piangere: finì di tirarle giù scorrendo le dita sulle cosce, le sfilò completamente e gliele mostrò come un trofeo.

Si guardarono per un lunghissimo secondo, si guardarono con il fuoco nelle pupille e il respiro mozzato dall’inevitabile, dal necessario; lui lasciò cadere le mutandine di lei e tornò ad avvinghiarla, a strusciarla e a rimetterle la mano tra le cosce di nuovo, e istintivamente, chiuse. 

Nami si sentì di nuovo divaricare e la mano di lui ricominciò a salire per fermarsi sull’orlo dell’abisso… era bagnata e calda e non respirava più in attesa…

Nami s’inarcò e si sentì schizzare via il cervello per la mano di Shanks che la stava perlustrando e le piaceva, le piaceva da morire. Lasciò che lui l’accarezzasse dentro, non avrebbe chiuso le gambe mai più… le lasciò aperte e abbandonate completamente in balia di quel pirata, lasciò che lui la esplorasse con quella sua dannata e metodica calma mentre i suoi denti le mordevano il collo e lei colpiva la libreria incapace di impedirsi di gemere e sussultare.

E poi… poi lui si riprese la mano e si aprì i pantaloni mentre lei aspettava con l’affanno e non sapeva che fare, era in preda al panico…

Sentì il frusciare dei bottoni che scivolavano via dalle asole e il proprio battito cardiaco salire vertiginosamente, sentì il respiro di lui farsi più agitato e il suo bloccarsi, sentì la sua mano caldissima appoggiarsi sulla schiena per piegarla di più in avanti mentre le sue stringevano convulsamente il ripiano della libreria, sentì le sue ginocchia cedere mentre si infilava fra le sue gambe e la vita sfuggirle quando lo sentì spingere.

Si morse un labbro per non urlare e… si svegliò.

 

“Oh… mio dio… - mormorò con l’affanno, un solo occhio aperto, il libro abbandonato sul letto e le mani sul viso, cercando di far tornare pressione, cuore e respiro a parametri normali – era un sogno… porca miseria… sembrava vero!” – e si accorse di dover lavare di nuovo le mutandine.

Ma era fiaccata e stanchissima, vittima dei languori e dell’eccitazione che ci avrebbero messo due giorni buoni per abbandonarla: si girò a pancia all’ingiù con il viso immerso nel cuscino per soffocare l’affanno e la voglia di alzarsi e raggiungerlo ovunque fosse sulla nave per continuare quel sogno…

“Non ce la faccio più!” – ripeteva con una strana sete, una sensazione di vuoto nel cuore e… nel ventre che la intristiva: non era fame né sete, non era sonno né bisogno di far pipì…

Era un altro bisogno, un’altra necessità che sentiva in modo crescente da quando lo conosceva.

Tremava nel letto, con il cuore in subbuglio e tanta voglia di urlare: voleva solo continuare quello che era stato interrotto, avrebbe dato qualunque cosa per riaddormentarsi e finire il sogno… 

Rimase con il cuscino tra le braccia e l’affanno per molto tempo in preda ai brividi, al delirio e alla confusione… voleva solo farsi passare quello stato pietoso che la costringeva a languire sul letto del suo amore senza il suo amore, l’unico che avrebbe potuto aiutarla…

Piegata dalla necessità, finì da sola quello che il suo Rosso aveva cominciato nel sogno…

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 031.Dejà vu ***


031 – Dejà vu

Non aveva granché fame: Lucky era passato a chiamarla per il pranzo visto che erano tutti riuniti, ma lei aveva risposto che preferiva farsi una dormita.

Non se la sentiva di rivedere Shanks: la eccitava troppo e non ancora le passava il languore per il sogno più erotico e reale che avesse mai fatto. Se si fossero rivisti, lui gliel’avrebbe letto negli occhi e, quel che peggio, non l’avrebbe soddisfatta…

“Figurati… - pensava amareggiata – se sa una cosa del genere, mi sfotte fino alla Linea Rossa…”

 

Subito dopo pranzo, Shanks percorreva fischiettando il lungo corridoio del Vento dell’Est: era talmente preso dal pensiero e dalla voglia di lei da dimenticarsi completamente che la sua cabina fosse occupata… arrivò dietro la porta e l’aprì con il cuore tra le nuvole.

E la vide, seduta sul suo letto che leggeva un libro, indossava solo una sua vecchia camicia, aveva le gambe incrociate e perfidamente nude e mordicchiava una matita con la quale di tanto in tanto prendeva appunti su un foglio.

Rimase incantato da quella meraviglia in esposizione che studiava assorta, incurante dell’umidità, del caldo infernale e, soprattutto, delle temperature tropicali che stavano scaldando il sangue del suo capitano, scottandogli le arterie: era davvero troppo bella e sexy e gli veniva da piangere.

All’improvviso lei alzò la testa e il cuore le esplose in petto:

“Ma buongiorno! – esordì con tono sarcastico sforzandosi di non far tremare la voce – lo sai dalle mie parti c’è una stana usanza? pensa un po’… bussano alle porte prima di entrare! Incredibile, vero?”

Lui, preso in castagna, scoppiò a ridere e rispose:

“Guarda, sei talmente insignificante, che mi ero scordato di averti dato la mia cabina… così sono entrato e ti ho vista che facevi finta di leggere!” – emozionato, si diresse alla libreria, dopo aver richiuso la porta.

Lei, realizzando che erano soli e avvertendo la strana sensazione del dejà vu, aggiunse con agitazione crescente:

“No, ma accomodati, non stare sulla porta!” - rispose sempre più agitata mentre lui, arrivato davanti alla libreria, si voltò a guardarla divertito ed eccitato, ricominciando a ridere.

“Ti ho detto che mi sono dimenticato di te!” - ripeté lui con tono derisorio scandendo le parole come una cantilena e con il viso rosso per essere stato preso in castagna.

“Sì, dimenticato… - disse ironica - dai, ci hai provato! - aggiunse maliziosa - Non ti si può biasimare… alla tua età si campa di queste cose!”

Lui, adocchiando le sue gambe nude, si morse un labbro e ricominciò a ridere sempre più eccitato:

“E di cosa camperei? Di vederti fingere di studiare sul mio letto? Mi verrebbe qualcosa di grave se ti vedessi nuda…”

E lei di rimando con aria maliziosa:

“Lo credo bene! E’ un privilegio non concesso a tutti e tu chissà da quanto tempo non vedi una donna! - e aggiunse, affondando – e chissà da quando non realizzi…” 

Lui, sempre più stuzzicato, le dedicò una divertita occhiata di sbieco e, serissimo, la folgorò: 

“Vuoi sapere quand’è stata l’ultima volta che ho scopato?”

Lei si irrigidì, comprendendo all’istante di essersi messa con le spalle al muro, ma lui non le diede il tempo di replicare: 

“Ah! Ho capito! Vuoi farti qualche calcolo per sapere se oggi è il tuo giorno fortunato! – e rise perché lei lo guardava truce – Comunque anche se non sono affari tuoi, ti accontento. L’ultima volta che ho realizzato, come dici tu, è stata… - e si fermò a ricordare – sì: poco prima di arrivare al bordello, la sera della gara… a Jolly Town! – e sospirò con fare eccitato per farla ingelosire – Gran culo e trentadue anni di esperienza sul campo… – infierì, vedendola diventare verde – mi sono scordato il nome, ma il soprannome “mani di fata” chi se lo scorda! – lei si mordeva la lingua e lui ridacchiò fingendosi soprappensiero – no no… non me lo scordo! – e aggiunse – m’ha fatto sudare… -  E concluse - comunque dovresti saperlo… avrai sentito le sue urla, no?” – ghignò malefico.

Lei provò un’enorme ondata di fastidio mista a rabbia, si sentiva distrutta, ma stavolta se l’era proprio voluta… Distolse lo sguardo da lui in preda alla gelosia.

“Non ci credo… – si riprese – sennò perché sei venuto a vedere la gara di ballo? Non eri già a posto? Che te ne fregava di mocciose ballerine se stavi già a posto?” – e il suo sembrava uno sfogo.

“A dire il vero è stato Lucky a scegliere il posto… - alzò le spalle – io avevo solo fame… dopo tutta quella ginnastica! Sapeva che lì si mangia bene e ci siamo seduti… - e aggiunse freddo come il ghiaccio: - un pirata si ferma solo per due motivi: per fare rifornimento e per scopare… il resto si può fare anche in nave!”

Lei lo guardò con il vuoto nel cuore mentre lui godeva del suo splendido viso deluso e aggiunse:

“Quindi è meno di dieci giorni… mi spiace mocciosa, ma per avermi fra le tue cosce ci vorrà qualcosa come almeno un anno di astinenza!” – e le rise in faccia.

Non era da lui essere così cafone, sfacciato e insensibile, ma lei era adorabile e fremeva nel vedere la sua reazione: voleva farla ingelosire a tutti i costi… e poi dalla sua aveva un significativo quantitativo di alcol nelle vene che lo rendeva particolarmente eccitabile e non lo lasciava pensare ad altro.

Con tutto lo sdegno di cui era capace, arrabbiatissima e con una grossa fitta di gelosia nel cuore immaginandolo con un’altra, Nami replicò di getto:

“Per stare fra le mie cosce? – rise sprezzante e molto convincente – Non esiste che un pirata finisca tra le mie cosce…”

Ma quel furbacchione, consapevole di aver centrato il bersaglio ed emozionatissimo per la reazione di lei, non aveva alcuna intenzione di demordere e lasciarle l’ultima:

“Eh… - sospirò - come si vede che sei una mocciosetta verginella! Un pirata è pirata anche sotto le lenzuola e, se avessi solo anche un minimo di esperienza, sapresti che avermi tra le cosce ti cambia la vita!”

A lei il cuore schizzò in gola e il batticuore le fece mancare il respiro, immaginandolo tra le sue gambe e ricordando il sogno allucinante di qualche ora prima; lui, in piedi e appoggiato alla libreria, la guardava eccitatissimo, cercando di controllare il suo respiro e non farle intuire che stava per saltarle addosso.

Nami lo osservava in tutta la sua statura, rapita da quella espressione sorniona e calmissima, quel sorriso assolutamente sicuro e padrone della situazione, con la mano appoggiata sul fianco in atteggiamento di sfida che sollevava il mantello e metteva in bella mostra, ancora di più e se ce ne fosse mai bisogno, il suo fisico asciutto e tonico.

Nonostante le venisse da perdere il filo dei pensieri quando lo guardava, cercò di concentrarsi perché doveva assolutamente uscire da quel vicolo reso cieco da lui che continuava a trattarla da bambina, così cambiò tattica, socchiuse gli occhi e lo guardò in modo molto significativo: 

“Beh se pensi che sia una mocciosa e che non abbia esperienza – esordì con un tono da bambina innocente e indecente che gli fece drizzare tutti i peli – aiutami tu, Shanks! Fammi diventare donna! - e aggiunse con la voce roca - imparo in fretta, sai?”

La schiena di Shanks fu attraversata da un lungo brivido caldo solo a sentire quel tono gutturale che tradiva in lei un desiderio potente e autentico e si sentiva prossimo a venire nei pantaloni: 

“Questa sgualdrinella se la cerca proprio una lezione… - pensò eccitatissimo - Adesso te lo faccio vedere io il Grande Blu… arrapante mocciosetta sempre più nuda, ti faccio strillare talmente tanto che Rufy ti ritrova seguendo le urla!”

Se fossero stati un po’ più vicini, Nami avrebbe visto distintamente quanto lui fosse eccitato, le sue pupille dilatate, il respiro agitatissimo di chi cerca di controllarsi… 

Un silenzio tesissimo e l’odore del sesso riempivano tutta la stanza.

“Allora pirata… - lo esortò, stendendosi languidamente sul letto – cambiami la vita!” 

Lui inspirò per controllarsi, distolse lo sguardo sul pavimento e con una voce molto roca e bassa, sibilò, ai confini della resistenza: 

“Smettila ragazzina, sei ancora troppo piccola per certi giochetti…”

E lei, consapevole della tensione che aveva generato, imperterrita lo invitò:

“Allora crescimi tu…”

Lui strinse le labbra per domare un altro grosso fremito e il batticuore, e siccome stava per cedere e di lì a poco l’avrebbe aperta come un’ostrica, rise, scaricando la tensione:

“In larghezza hai già fatto tutto da sola… Grassona! E poi guarda bene sotto la schiena… Mi sa che ti sei stesa sul tuo orsacchiotto!” - e si girò dandole la schiena perché non avrebbe potuto sopportare neanche un minuto di più la visione delle sue gambe nude in bella mostra sul letto e finse di scegliere dei volumi dalla libreria.

“Piuttosto… come mai non sei venuta a pranzo?” – ma la voglia di saltarle addosso non ancora gli passava.

“Non avevo fame…” 

“Tu che non hai fame?” – si sconvolse lui.

“Cretino!” – ringhiò lei per via di quel suo tono stupito e del fatto che, nonostante il suo aperto invito, Shanks non avesse fatto una piega.

Lui rimase un po’ in silenzio e poi si girò di nuovo a guardarla:

“Capisco… allora è una cosa seria!” – esordì con il tono di uno che ha scoperto una grande verità.

Lei lo guardò con aria interrogativa e lui riprese:

“Beh… in fondo me n’ero accorto e la conferma l’ho avuta oggi a pranzo: una mocciosa cicciona come te che salta i pasti fa subito dottore o…”

“O cosa?” – chiese lei distratta, rimettendosi a leggere il libro.

“Oppure… s’è innamorata!” – aggiunse con un larghissimo sorriso e le stelline negli occhi.

E lei, cercando di addomesticare quel suo cuore ribelle, rispose, fingendo di leggere:

“Scusa… hai detto qualcosa di intelligente?”

Lui rideva e si mordeva le labbra sempre più emozionato e innamorato. Lei non lo guardava, leggeva (o faceva finta) e lo ignorava: quei giochini lo stavano stuzzicando parecchio…

“Non lo so se è una cosa intelligente… - riprese, avvicinandosi lentamente e con solennità a lei e al letto… - ma di sicuro è credibile: tu sei una mocciosa cicciona, brutta…”

E lei lo interruppe, girando la pagina con molta rigidità nelle dita:

“E tappa… sei prevedibile!”

“Non sono prevedibile: sei tu che sei così… - avrebbe voluto aggiungere “irresistibile” – così mocciosa… - e riprese, spiegando – Le mocciose brutte, grasse e tappe della tua età, si innamorano facilmente – e rideva – si accorgono che lui, ovviamente, non le guarda nemmeno per sbaglio e si chiudono in camera distrutte a piangere e mangiare di nascosto la cioccolata per sfogarsi! – e aggiunse, ridendo – come hai fatto tu oggi… Hai visto che non ti cago e sei a pezzi…”

“Mhmm!” – riuscì ad aggiungere lei distratta, fingendo di leggere e pensando a quanto fosse vicino alla verità… 

“E poi ci hai anche provato, ma ti è andata male…” – e se la mangiava con gli occhi.

Oramai lui era vicino al bordo del letto e sull’orlo del baratro…

Di sottecchi, lei guardava al di là del foglio e vedeva i suoi pantaloni attaccati al letto, riusciva a sentire il calore che il corpo di lui sprigionava e sentiva i suoi occhi addosso…

E tutt’e due avvertivano crescere la tensione in quella stanza in una calma irreale.

Shanks riprese testardo:

“Comunque sei una mocciosa originale: fai addirittura finta di acculturarti per farti notare…”

“Scusa… - lo interruppe lei – se proprio devi stare qua a rompere, puoi almeno abbassare la voce così riesco a fingere di acculturarmi meglio? Anche perché fingevo pure prima che tu entrassi da quella porta senza chiedere il permesso e cominciassi a scocciare come solo tu sai fare e vorrei continuare a fingere di finire il capitolo!” 

“Quindi stai davvero studiando?” – si stupì mentre lei sbuffava.

“Allora starò zitto! – e, finalmente, ruppe gli indugi e si sedette accanto a lei sul letto, mandando in orbita il cuore di entrambi – ti sorveglierò per vedere se finisci davvero il capitolo e dopo ti interrogherò per mostrarti che non ci avrai capito niente anche se stento ancora a credere che tu sappia leggere: è pura fortuna se non lo tieni al contrario il libro…” – mosse la mano per indicare il volume che lei leggeva e le sfiorò il braccio, facendole drizzare tutti i peli.

Nami si sentì morire: realizzò in un attimo che erano seduti sul letto da soli e lei aveva addosso solo le mutandine e la camicia di Shanks; si sentì vulnerabile, emozionata, spaventata, illanguidita. 

Capì di essersi messa in un altro vicolo cieco, uno che le faceva una grande e dolcissima paura… Deglutì e provò a scherzare, maliziosa:

“E alla fine non hai potuto resistere: sei sul mio letto!”

E lui, prontissimo:

“Ma non tra le tue cosce! - e si sistemò proprio dietro la schiena di lei, avvicinandosi il più possibile e tanto da poter affiancare la guancia a quella di Nami e vedere il libro e aggiunse - anzi, mi metto qui dietro proprio per eliminare ogni dubbio e poi… - ridacchiò facendole sentire quanto fossero vicini - io non ti piaccio, giusto? Quindi non ti distraggo se mi metto qui per vedere che leggi…” – e guardò il volume da sopra la spalla sinistra di lei che era nuda e con il tatuaggio in bella vista, cercando in tutti i modi di contenersi e non baciarla.

Chinandosi su di lei le fece sentire il suo respiro sulla pelle e le chiese: “E tu mi vuoi far credere di leggere e capire queste cose impegnative?”

Lei non reagiva… era troppo emozionata, non capiva più niente:

“Io questa scena l’ho già vissuta…” – pensava in preda ai languori.

Lui, affiancato al suo viso, adocchiava golosamente la sua pelle di pesca e ne sentiva il profumo: l’avrebbe presa a morsi e leccata tutta a cominciare da quelle guance morbide e lisce per finire con quelle perfide gambe nude che, disgraziatamente, il libro non nascondeva del tutto e lo stavano torturando.

Shanks avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al posto della sua camicia che si poggiava sulla pelle di lei, sul suo seno nudo, sui suoi fianchi e avrebbe dato tutto e pure di più per essere al posto delle sue mutande, anche col panda…

Lei voleva leggere o almeno riuscire a fingere con convinzione, ma quel pirata le respirava sulla guancia, nell’orecchio e sulla spalla ed era così vicino, ma così vicino da farla svenire: cercava di dominare il suo cuore impazzito, convinta che lui riuscisse a sentirlo e, quindi, a sfotterla.

E poi la dilaniava l’idea di essere soli, nella sua cabina, sul letto, così vicini e lei era anche mezza nuda: pensava al sogno atrocemente reale che aveva fatto quella mattina e temeva e sperava che adesso il suo Rosso glielo realizzasse…

Restarono il quella posizione ancora per un bel po’ immobili e muti, tutti presi dalle loro emozioni, dai loro respiri e fremiti: si studiavano e attendevano, col cuore in gola, che uno dei due facesse il primo passo verso il baratro.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** 032.Dejà vu (parte seconda) ***


32 – Dejà vu (parte seconda)  

Poi lui si decise:

“Ho letto questa pagina due volte… possibile che non ancora la finisci? Sei lentissima come una bimbetta di sei anni alle prime letture o fai finta…” – le sussurrò, muovendole i capelli col respiro.

“Io leggo per capire… quindi mi ci vuole solo un po’ più di tempo… ancora due righe e puoi girare pagina…” – e finse di finire di leggere.

Poi insieme mossero la mano per voltare pagina e si sfiorarono, rilasciando scintille, spandendo brividi in tutta la stanza e seccando del tutto le loro gole. 

Lei tremò come una foglia.

“Stai tremando…” – le sussurrò nell’orecchio e prese a sfiorarle la mano delicatamente. E tutto preso da lei e dall’alcol che gli circolava nelle vene, le recitò:

Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: da quel giorno più non vi leggemmo avante.” – glielo sussurrò nell’orecchio e intanto giocava con le sue dita.

“Cos’è?” – chiese lei, godendosi il suo tocco delicato e ricambiando quel dolcissimo gioco fatto di polpastrelli che si sfioravano e dita che non osavano incrociarsi.

“E’ un passo molto bello di un’opera altrettanto bella, che tu, ovviamente, non hai letto… mocciosa. Come non hai letto questo libro…” – e il suo respiro le fece il solletico sul collo: chinò la testa da un lato per soffocare i brividi, toccando la bocca di lui con la fronte.

“E smettila… ma non hai niente da fare capitano? – disse, allontanando la mano dalle sue dita per non ricordare cosa lui ne aveva fatto nel sogno… - l’avrai letto da qualche parte e ti vanti di aver studiato tutta l’opera…” - cercava di controllarsi e non pensare a quel che stava succedendo in quella stanza.

“E invece l’ho letta tutta… - chinò di più la testa e avvicinò la bocca all’orecchio di lei, quasi uccidendola – non hai nemmeno idea di quanti libri ho letto… mocciosa!” – le disse “mocciosa” sfiorandole la pelle con le labbra, facendola sussultare e tremare di nuovo.

“Perché tremi? - sorrise sussurrando - Non dirmi che hai freddo! E’ troppo leggera questa camicia? – mormorò, sfiorandone il colletto con le labbra – o forse hai freddo perché sei mezza nuda… – e ridacchiò eccitatissimo – comunque è strano: è estate e oggi è una giornata caldissima… - sorrise - e poi con tutto quel grasso dovresti stare a posto anche al polo nord!”

“Finiscila…” - riuscì a rispondere lei, stordita perché quella situazione era dannatamente simile al sogno.

“Ci sarebbe anche un’altra ipotesi…” – le sussurrò dolcemente nell’orecchio, prendendo il lobo tra le labbra.

“Q-quale? Mhmmm…” – stava male. Chiuse gli occhi, inclinando la testa da un lato e godendosi le labbra di lui.

“Ma mi hai detto che non ti piaccio, sono un pirata…”

“Mhmmm.” – stava trattenendo i sussulti.

“Che so… Magari non stai tremando per il freddo… - le sussurrò, muovendo i capelli di lei con il naso e immergendovi il viso – forse…  - e sospirò nei suoi capelli - forse tremi per me…”

Nami era completamente soggiogata dal respiro caldo di lui tra i capelli e dalle sue labbra che la sfioravano delicatamente; incredula, cercava di resistere e non lasciarsi andare: “Eh sai… prima che entrassi tu l’aria era respirabile…” – rispose sforzandosi di normalizzare la voce, ma sentiva che stava per cedere. 

Lui rise piano fra i suoi capelli, facendola rabbrividire e riprese:

“Diciamo che prima che entrassi io l’aria non era incandescente… - e l’attirò dolcemente verso di se, facendola appoggiare al suo petto, la strinse alla vita e accostò la guancia alla sua. L’abbracciò con passione – Hai caldo adesso, eh?”

Le mancò il respiro… Appoggiava la schiena sul petto del suo Rosso, ne sentiva il respiro, i muscoli e il profumo; sentiva il contatto della loro pelle nei punti in cui i vestiti non coprivano; sentiva i fremiti di lui e la dolcezza del suo abbraccio…

Lui le soffiava leggermente nell’orecchio e sul collo per torturarla e distrarla; lei sentiva la sua guancia e la barba sulla pelle… 

Non riusciva a capire se fosse reale quanto stava succedendo, il cervello non le funzionava più, non riusciva a far altro che a pensare e a sentire il calore del corpo di Shanks che la ingabbiava dolcemente nella morsa del suo abbraccio.

“Ma che fai....” – mormorò, annegando nell’adrenalina nel sentire la bollente mano di lui infilarsi sotto la camicia e appoggiarsi direttamente sul suo ventre nudo; con il pollice le accarezzava i contorni dell’ombelico...

Gli prese la mano per spostarla da lì, per fermarla…

Ma finì per accarezzarla.

Le loro gambe erano attaccate.

“Sei grassissima, ma guarda che pancia!… - le sussurrò con la voce malferma, accarezzandole il ventre sotto la camicia – quando ti deciderai a metterti a dieta? – la toccava dolcemente e lentamente per farla inzuppare per bene mentre lei stentava a trattenere i gemiti che quelle carezze le generavano – cicciona…” - le sussurrò proprio nell’orecchio.

Nami era tesa, rigida e si bagnava ad ogni carezza: quei massaggi erano tremendi, delicati e allo stesso tempo vigorosi e sembrava la stesse suonando come uno strumento musicale; Nami comprese di colpo che lui la stava preparando al dopo e l’immagine del suo ventre pieno di lui le fece perdere i sensi quel qualche secondo… rinvenne perché lui la strinse di più, respirandole nell’orecchio. 

Shanks sentiva il ventre di Nami scottare, doveva essere eccitatissima e tuttavia restava in silenzio, non dava segni di cedimento… 

“Non far finta di non sentire niente… non ti sforzare - le sussurrò in preda alle fiamme: i suoi sforzi per non lasciarsi andare lo facevano eccitare ancora di più – lo so che ti piace… lo sento! Non è questo che volevi? Non volevi essere “cresciuta”?” – e le morse la guancia e l’orecchio.

Lei si sentì morire, ma cercò di resistere, incredula che il suo sogno più grande si stesse inaspettatamente realizzando…

“Perché mi mordi? Mi hai preso per panzerotto?” – e lui rise sulla sua guancia mentre la mordeva.

“Quanto sei morbida…” – mormorò con la voce carica di desiderio mentre se la strusciava, prendendola a morsi: se la voleva letteralmente mangiare…

“Lasciami… sai di birra… sei ubriaco fradicio, vero? – chiese delusa - Non è il caso che ti sacrifichi così visto che sono tanto inguardabile… nessuno ti obbliga a toccarmi e strusciarti contro una mocciosa brutta, tappa e grassa…” – cercò di divincolarsi da quella fantastica prigione, ma non ci credeva davvero con l’affanno e la voce alterata dal desiderio.

“Hai ragione, sono ubriaco… - ammise - ma mi hai chiesto di “farti diventare donna” - ridacchiò – non posso ignorare il tuo appello: ne hai così tanta voglia… ti ho detto che sono un tipo altruista, un po’ di umanità e che diamine!”

La riprese, le cinse di nuovo il braccio intorno alla vita, poi le arpionò il ventre e se la strinse a se dal bacino per farle sentire tutto…

A lei esplose il cuore e non capì più niente.

Quell’idiota era imbevuto di alcol e si voleva divertire, pensò Nami  lottando con se stessa per non lasciarsi andare.

Ma non ci riuscì…

Anche se con una certa dose di delusione, non riuscì a resistere e reclinò la testa all’indietro abbandonandola contro quella di lui sospirando, strofinando la guancia contro la sua e, sentendo che anche lui fremeva, con l’affanno riuscì solo a mormorare sulla sua barba: 

“Smettila… ti prego… Shanks… non ce la faccio più!” – con il cervello in tilt, sempre più inondata dai languori, completamente bagnata e con le fiamme nel ventre che lui continuava ad accarezzare.

“Sssstss… Non dire niente… non è niente…” – le rispose dolcemente sul viso con la voce roca e profonda, alterata dal desiderio e dall’affanno, punzecchiandola e graffiandola con la barba mentre lei lasciava cadere il libro, si girava leggermente verso di lui e si perdeva nel volto e nel corpo di quell’uomo assurdo, godendosi quella barba che in altri pirati, lì al bordello, le aveva suscitato conati di vomito e che ora la faceva gemere di desiderio.

Lei cercò la sua mano, intrecciarono le dita e incrociarono le gambe, chiudendosi in un abbraccio senza fine, sospirando e lottando per mantenere le loro bocche distanti: sapevano che non avrebbero sopportato anche il piacere di baciarsi… desideravano solo stare vicini, per il momento; stare vicini e strofinarsi fino a sanguinare, respirandosi e coccolandosi.

Nel sentire la gamba di lui che si strofinava delicatamente, ma di continuo fra le sue, lei strinse le cosce e fu assalita da una prima, fortissima ondata di piacere che le partì dal ventre, le percorse tutta la schiena e le fece schizzare via il cervello; gemette sulla sua barba cercando di smorzare un po’ la voce:

“Oh… mhmm… Shanks…” - ma era già abbondantemente venuta.

E si respirarono a lungo, guancia contro guancia, con le labbra secche e la gola arsa dal desiderio, gli occhi chiusi e il sangue in ebollizione, i cuori e i polmoni che non riuscivano a stare dietro al bisogno di ossigeno che avevano; si tenevano le mani per non toccarsi, non subito almeno…

Si amavano e desideravano così tanto che non sapevano da dove cominciare e se sarebbero sopravvissuti a tutta quell’emozione: la sola idea di stare attaccati li uccideva e, per la seconda volta in vita sua, Shanks si sentì mancare dal desiderio e di nuovo gli si annebbiò la vista… Si respirarono sulle guance, attaccati come una garza su una ferita, aspettando, invano, che i loro respiri tornassero regolari e il loro bisogno venisse in parte smorzato…

Sentivano una strana sete e cercavano di deglutire, la pelle che si toccava, scottava ad entrambi e le labbra non riuscivano ad inumidirsi: le loro mani, intrecciate forte, tremavano e le dita erano diventate bianche per la pressione di tenersi a vicenda. 

E lui capì che non avrebbe fatto l’amore con lei quel giorno:

“Per certe cose occorre un minimo di lucidità…”

Riuscì a ricollegare il cervello per qualche secondo:

“Cos’è, la mia gamba ti ha fatto perdere il segno? – le sussurrò, ridendo emozionato e felicissimo – Sono riuscito a distrarti?” – e prese a strofinare le labbra sulla guancia di lei, smorzando le parole e la voce in tantissimi baci. 

La baciava piano e ripetutamente sulle guance, sugli occhi, sulla fronte, sul mento, vicino all’orecchio e in prossimità della bocca, facendo attenzione a godersela un po’ alla volta: il suo cuore sarebbe esploso ad averla tutta insieme. La stringeva a se mentre la baciava e si perdeva nella morbidezza delle sue curve.

“Shanks…” – lo chiamava mentre si prendeva quei baci meravigliosi e ricambiava come poteva, ma la passione l’accecava e non riusciva a dosarsi, era confusa, fremeva, bruciava, finendo spesso per cercare con la bocca quella di lui che si scansava all’ultimo momento. Non capiva se sentirsi felice o triste: lui era meraviglioso, dolcissimo e… eccitatissimo, la stringeva appassionatamente, i suoi baci la stordivano e si sentiva in paradiso, ma… non la baciava sulla bocca, sapeva di birra e le sembrava troppo bello per essere vero! 

Non le era mai successo prima e non sapeva come comportarsi: voleva baciarlo, ma non sapeva da dove cominciare e poi lui si scansava… voleva toccarlo… gli avrebbe strappato i vestiti di dosso, ma era completamente sfasata dal calore del corpo di lui, dal suo profumo, dalle sue carezze così delicate eppure così mirate.

Si sentiva completamente sconvolta: non riusciva a crederci che lui la conoscesse così bene, che sapesse dove, quando e quanto toccarla, che riuscisse a rendere sensuale anche un bacio sulla guancia. 

E aveva paura… temeva di non essere brava, temeva di mostrare tutta la sua inesperienza sul campo… mentre lui la baciava era letteralmente terrorizzata dall’idea di non coinvolgerlo, di annoiarlo…

Tesa, si girò completamente verso di lui che le passò il braccio intorno alla vita e se la spalmò addosso… lei lo abbracciò forte perché aveva paura di perderlo da un momento all’altro. 

Shanks sentì la pressione del seno di lei, nudo sotto la camicia e mosso dal suo affanno, e per poco non venne: tremò vistosamente per l’emozione e lei lo sentì smorzare un sospiro sulla sua guancia. Tutta contenta, cominciò a capirci qualcosa…

Ma lui non le diede il tempo di riflettere ulteriormente perché le infilò la mano nella camicia, dietro la schiena per solleticarla poco sopra il sedere facendola fremere ad ogni carezza e perdere il controllo ad intermittenza.

“Shanks…” – lo chiamava quando non reggeva più, gemeva e sussultava contro di lui, baciandolo sul mento, sulle guance e sul collo.

 “Non parlare, non dire niente… – la implorò, mormorando e sospirando sul suo viso – adesso ci passa!” – e si mordevano le guance e il mento per non baciarsi, per non urlare a tutto il mondo che si amavano da morire… che non riuscivano a stare separati, che si dovevano toccare per non appassire e che i loro cuori non avrebbero retto ancora per molto a quel tripudio di emozioni ed autocontrollo immotivato eppure necessario.   

Lo volevano da quando si conoscevano… non erano riusciti più a pensare ad altro e capivano che i giorni vissuti prima di conoscersi non erano serviti a niente, non erano mai stati vissuti… 

E soprattutto si sentivano a casa…

…Come se si conoscessero da sempre, si fossero lasciati per un certo tempo e poi ritrovati quella benedetta sera al bordello.

Era così bello e dolce che pensavano di non meritarselo…

“Non è possibile…” – era l’unico pensiero che lui riusciva ad articolare mentre la baciava e la toccava senza esagerare e cercando di non perdere il controllo: era troppo preziosa… troppo bella… troppo dolce… e troppo mocciosa…

“Non è possibile… E’ troppo bello per essere vero…” – e faticava a non stendersi sul letto e su di lei…

“Ti amo…” – era l’unico pensiero che lei riusciva ad articolare mentre lui la baciava e la toccava dolcemente e si stringeva a quell’uomo meraviglioso, a quel pirata unico nel suo genere. 

Non era mai stata innamorata prima, ma non aveva dubbi…

“Ti voglio bene, Shanks… ti amo da morire…” – gli disse nell’orecchio, ma senza voce: aveva paura di sciupare tutto. Lui, ubriaco com’era, non avrebbe capito niente e sapeva, già mentre stavano così attaccati, che non sarebbe più successo…

Si stringeva felicissima e tristissima a lui, a quel suo corpo fantastico, gli toccava quei capelli unici al mondo come lui, cercando di imprimersi sulle mani, sulla pelle e sulle labbra il calore ed il sapore di lui e di farseli bastare per tantissimo tempo. E capiva anche che due mani, una bocca, un corpo solo, un cuore solo non le sarebbero bastati ad amarlo come meritava e provava un dolore sordo in fondo all’anima, si sentiva smarrita.

Mentre avrebbe dato qualunque cosa per fermare il tempo in quei meravigliosi istanti, gli morse l’orecchio e infilò le mani nella camicia, accarezzando e percorrendo eccitatissima le pieghe e i rigonfiamenti del fisico scolpito del suo amore che ad ogni sua carezza fremeva e rabbrividiva, godendosi la pressione del seno contro il suo petto e cercava di dominarsi per non prenderla lì, su quel letto.

Si perdeva nel corpo morbido e caldo della ragazza più dolce che avesse mai conosciuto e che lo stringeva da soffocarlo: mosse via la mano dalla schiena e, a stento, riuscì a resistere alla tentazione di toccarle il sedere. Le accarezzò il fianco.

Con il viso immerso nei ciuffetti scarlatti di lui, Nami trattenne il respiro quando sentì la mano di Shanks scorrere giù lungo la sua coscia quasi fino al ginocchio.

Ma per poco non perse i sensi quando la sentì risalire verso il sedere e soffocò i gemiti sul collo di lui, aggrappandosi, quando sentì le sue dita insinuarsi sotto la stoffa delle mutandine.

“Ti prego…” – mormorò con un filo di voce senza sapere come avrebbe voluto finire la frase: “ti prego… no” o “ti prego… sì”.

Sentiva la pelle della gamba di Nami scottare e rabbrividire sotto il passaggio delle dita e per un po’ restò a godersi la morbidezza della carne sotto le mutandine, continuando ad accarezzarla dolcemente, obbligandosi a non andare oltre e cercando di restare concentrato sull’affanno di lei sul collo e il seno che ritmicamente e convulsamente premeva contro di lui.

“Oh mio dio… mi sento male… - pensava e le stampava i segni dei suoi denti su quelle guance lisce e morbidissime – non dovevo… - mentre lei lo baciava, lo toccava e lo abbracciava stretto stretto, strofinandosi a lui, innamorata persa – è così piccola... che idiota che sono…” – si disse, sapendo di aver innescato una reazione a catena: da quel momento sarebbe stato quasi impossibile stare separati…

Non ce la faceva più a controllarsi:

“Ti amo… - le diceva disperato dentro se e chiudeva le labbra su di lei per evitare di dirglielo davvero – ti amo da morire, piccola… sei mia!” – e viveva il solito delirio confuso e doloroso che provava sempre con lei.

Aveva bisogno di dirglielo, di dirle che con lei non era la stessa cosa che con le altre… Si prendeva i suoi piccoli e dolcissimi baci, le sue mani, i suoi morsi… e sentiva quel malefico dolore sordo in fondo all’anima: ogni contatto con lei lo annegava di una strana felicità, immensa e malinconica… voleva staccarsi per dirle che l’amava come non gli era mai successo e, probabilmente, non gli sarebbe capitato mai più, ma non ne aveva le forze.

Avvertiva tutta la passione di lei, tutta la foga dei suoi diciotto anni e si sentiva schiacciare e gelare di fronte a quello che la sua leggerezza di idiota aveva liberato nell’aria: non desideravano altro, ma erano riusciti a controllarsi per tutto quel tempo. 

Aveva deciso di non far succedere niente fra loro per rendere il distacco meno doloroso e invece una mattinata senza vederla, qualche boccale di birra di troppo e i suoi giochetti di ragazzina mezza nuda l’avevano fregato…

Ora avrebbero sofferto per davvero.  

Le mani di lei sotto la camicia si facevano più audaci e lui non riusciva più a trattenersi…

“Mocciosa… - la chiamò con un sussurro e la voce roca – che ne dici di ricominciare a leggere?” – la implorò.

Lei avvertì la sofferenza nella sua voce e si staccò a malincuore crollando seduta fra le gambe di lui, dolcemente stanca.

Si guardarono con l’affanno, sconvolti per quello che era successo: avevano le labbra rosse e la faccia stravolta…

Lei fissò la stupenda bocca di lui ed ebbe una fortissima ondata di desiderio: chiuse gli occhi e socchiuse la bocca indecisa se desiderare che quel dannato bisogno delle labbra di lui le passasse in fretta o fosse soddisfatto. 

Lui si chinò per baciarla, ma si fermò appena in tempo:

“Ci manca solo che la bacio… E poi per lei forse sarà il primo, il più importante…” - considerò nonostante la passione avesse bruciato tutte le sue cellule celebrali.

Nami sentì un contatto caldo, ma ruvido sulla sua bocca: erano le dita di Shanks che percorrevano quelle linee deliziose che non osava baciare mentre lei stringeva la mano di lui fra le sue.

“Ascolta… – mormorò lui serio dopo un po’ – se ti faccio una domanda, mi prometti di rispondere sinceramente?” – le chiese, continuando a toccarle la bocca delicatamente.

“Sì” – rispose subito Nami, pazza di lui e baciandogli le dita.

“Ora che le mutande col panda sono bagnate… - chiese, sconvolgendola e indicando i panni stesi nella cabina – addosso hai quelle col pinguino?” – aggiunse, incominciando a ridere.

“SEI UNO STRONZO! – tuonò lei nel silenzio della nave. 

Poi aggiunse rossa in volto per l’imbarazzo e la delusione: 

“L’hai fatto solo per prendermi in giro!?”

“E’ chiaro: te l’ho detto già che non hai speranze… ti dovevi mangiare la foglia…Ma eri troppo arrapata per pensare… – e le rideva in faccia – Lo sapevi che ti toccava… Non ancora ti dicevo niente sulle mutande! - E si stupì - Davvero pensavi di passarla liscia?” – la smontò con un ghigno. 

Nami lo fissava stordita. E lui incominciò:

“Se il disegno fosse diverso, tipo il mio teschio di pirata, potrei metterle come vela di riserva: sono grandi come la vela principale…” – aggiunse, ridendo mentre lei lo guardava truce e a bocca aperta.

“Quando me le sono trovate in faccia – riprese, guardandola che era rossa di rabbia e di vergogna – mi sono domandato: 

“Shanks, ma da quando in qua c’è un lottatore di sumo sulla tua nave?” Hai un culo di tutto rispetto… mocciosa!” – concluse, ridendo.

“Come ti permetti?” - ma non riuscì ad aggiungere altro: era troppo sconvolta.

“Comunque – riprese lui ancora più stronzo – quella è un’ottima arma contro lo stupro: mettiamo che incontri un branco di pirati arrapatissimi che passano sopra al fatto che sei brutta, grassa e tappa… (ed è difficile!) – continuò – ti strappano i vestiti e si trovano di fronte al panda che gli fa l’occhiolino… – e rise – non ti stuprano più perché gli si è ammosciato e tu sei salva! Ottima idea! Brava! – poi aggiunse – Sempreché tu l’abbia fatto apposta e non, come penso, perché ignori l’esistenza della lingerie di pizzo o in cotone, DA  DONNA… - e concluse scuotendo la testa – sei una mocciosa e ti vesti da mocciosa!”

“E poi – continuò a torturarla imperterrito – ci ho messo un po’ a capire che era disegnato sulle tue mutande… Per un attimo ho temuto di ospitare un vero panda nella mia cabina: era a dimensioni naturali! – e infierì – Povere mutande: non deve essere facile seguire le espansioni del tuo culone! Tra l’altro ingrassi sempre più! – e le tirava la pancia, sotto la camicia.

Lei era sconvolta… Non ci capiva più niente e non riusciva a rispondergli a tono… Si alzò di scatto e fece per allontanarsi, ma lui fu più veloce, la raggiunse, la trattenne per un braccio e la bloccò alla vita, facendola trasalire:

“Non mi scappi, mocciosa! Ho appena cominciato! – le disse dolcemente nell’orecchio – Dovevi immaginarlo che ti avrei presa per il culo fino a stare male… E adesso, soffri!” – ghignò, tenendola stretta a se e tormentandola con le sue battute per molto tempo. 

Doveva assolutamente farle dimenticare quel pomeriggio meraviglioso.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** 033.La fine di Little Wind ***


33 - La fine di Little Wind

 

“Idiota…” – non le venivano in mente altri aggettivi per quel cretinissimo pirata dai capelli rossi che il giorno prima, di pomeriggio, era entrato nella sua cabina senza bussare, si era seduto sul suo letto, l’aveva presa in giro, l’aveva torturata, l’aveva provocata, l’aveva eccitata, l’aveva abbracciata, toccata, baciata, morsa e poi, invece di cominciare a fare sul serio, l’aveva presa in giro per le mutande col panda e l’aveva smontata come un burattino, se l’era messa in tasca come una moneta…

Ora sarebbe stata una vera vittima.

“Idiota…” – quel cretino non aveva capito che lei gli voleva bene davvero, che lo amava… pensava che fosse solo una ragazzina alla sua prima cotta e si era divertito, tanto per passare un pomeriggio diverso.

Non faceva che ripensare ai suoi baci, alle sue carezze, alla sua voce dolce e roca, al sapore della sua pelle, al suo corpo caldo e profumato e a quella barba che la faceva impazzire. Per non parlare di quella gamba che solo muovendosi fra le sue le aveva procurato il primo orgasmo della sua vita…

Ed era una tortura forzarsi a non ritornare con la mente al suo tocco delicato, leggero e per niente volgare: niente mano sul seno o fra le gambe… e da lui non le avrebbe fatto certo schifo!

Shanks funzionava in modo diverso dagli altri pirati… aveva fatto davvero le scuole differenziali.

“Eppure si è eccitato…” – si dannava, ricordando quella cosa esagerata dietro di lei che le aveva fatto drizzare i capelli in testa: magari era una ragazzina e ancora vergine… però con tutti i pirati che aveva incontrato aveva imparato a capire come e quando un uomo si eccitava…

E Shanks era uomo… su questo non potevano nutrirsi dubbi e, a giudicare da quello che aveva sentito, Roxanne aveva visto giusto…

Doveva avere un mostro fra le gambe! 

Arrossiva per via di quei pensieri incontrollabili che l’avevano tenuta sveglia per tutta la notte.

“Idiota…” – non era riuscito a capire che quella sera lei non gli aveva detto che era una cosa eccitantissima (anche se era vero), ma una cosa bellissima per la quale la vita era degna di essere vissuta… lei aveva voluto dirgli che gli voleva bene: come avrebbe potuto essere più chiara di così?

E invece lui l’aveva presa in giro tutto il pomeriggio per le sue mutande, tenendola per la vita e poi riportandola sul letto, costringendola a sedersi.

Alla fine, le aveva detto:

“Ah… adesso sto proprio meglio… avevo il fatto delle mutande proprio sullo stomaco… - e rideva – che bello… così impari ad osare di avere l’ultima con il tuo capitano…” – mentre lei lo guardava truce.

“Sei un idiota… un grandissimo idiota…”

“No… sono un pirata…”

“Un pirata idiota!”

“A me non piace perdere le battaglie… dovevi immaginarlo che ti avrei torturata per le mutande, prendendomi la rivincita per quella sera! E poi – la guardava innamoratissimo – fai sempre la svelta e stavolta non sapevi che dire? Potevi anche provare a ribattere… se non l’hai fatto è perché sai che ho ragione: quelle mutande sono assurde!”

“Forse non me l’aspettavo che mi sfottessi!

“E perché?” – le chiese, fingendo di cascare dalle nuvole per mostrarle che, per lui, non era successo niente di importante.

Lei lo guardò malissimo e lui riprese.

“Sai quando ho portato un paio di mutande simili alle tue? Quando avevo SEI ANNI! – le urlò in faccia ridendo – Me le sono messe una sola volta e giusto perché me le aveva comprate mia madre: una sera scesi in giardino, la chiamai di fuori, me le tolsi e le bruciai! Lei mi promise che non me le avrebbe comprate più… e tu, invece, le porti ancora a diciotto anni… vergognati! Quindi hai il corpo di una mocciosa di diciotto anni e il cervello di una di sei… sei uno scandalo… un monstrum vel prodigium! Non fare quella faccia: prima o poi ti spiegherò che cos’è… mocciosa ignorante! – e si alzò dal letto a malincuore mentre lei lo trucidava con lo sguardo – Adesso riposati che hai avuto un pomeriggio stressante… - e scoppiò a ridere mentre lei andava in bestia – domani attracchiamo e magari riesci a rimediare alle mutande col panda!! Ah! Ah! Ah!”

E rimase a guardarla che stava ancora seduta sul letto, bella come la luna e il mare al mattino presto; non se ne sarebbe andato via da quella cabina per nulla al mondo, ma non poteva trattenersi… e poi lei lo stava odiando!

“E ALLORA PERCHE’ NON TE NE VAI?” – gli urlò, presa da una crisi di nervi, vedendo che lui restava a guardarla con uno strano e fastidiosissimo sorrisetto.

Lui le rispose serio:

“Sto aspettando il bacio della buonanotte…”

E lei perse la testa:

“IO  TI  DO  IL  CALCIO  DELLA  BUONANOTTE!! STUPIDO ROSSO, IDIOTA!” – cominciando a tirargli tutto quello che le capitava tra le mani e finendo a colpirlo ripetutamente con il cuscino, infuriata e, in fondo, divertita da quell’uomo assurdo che si prendeva i colpi, incapace di sottrarsi per via delle fortissime risate che lo fiaccavano e lo facevano soffocare…

“IO TI STACCO L’ALTRO BRACCIO E POI TI STRAPPO QUEI CAPELLI ANTIPATICI COME TE E FACCIO PURE UN FAVORE A LUCKY… PIRATA DEFICIENTE… ESCI SUBITO DI QUI!! - e ansimava per la rabbia e lo sforzo di colpirlo col cuscino al ritmo di ogni parola che diceva – NON TI FARE PIU’ VEDERE, HAI CAPITO? ALTRIMENTI TI AMMAZZO A BASTONATE E VEDRAI CHE ANCHE RUFY MI DARA’ RAGIONE!”

Ma lui rimaneva immobile, piegato in due e appoggiato di schiena alla parete con la bocca spalancata e un principio di soffocamento da risate; rideva, rischiando di morire per via della faccia delusa e incazzata nera della sua ragazza che più lo faceva ridere e più lo faceva innamorare.

Gli si piegavano le ginocchia e non riusciva a stare in piedi: il diaframma, tutti gli addominali e i muscoli facciali gli facevano male; aveva sempre pensato che sarebbe morto ridendo e ora ci credeva davvero…

Lei, stanca di colpirlo e delusa perché le sue proteste non sortivano effetto, rimase a guardarlo ridere con un’espressione forzatamente disgustata: lo amava così tanto che vederlo ridere in quel modo, anche di lei e in quelle circostanze, le faceva bene, era felice…

Si girò, tornò a letto e rimise a posto il cuscino e tutte le cose che gli aveva tirato, aspettando che se ne andasse spontaneamente o, almeno, la smettesse di ridere…

E mentre lei sistemava la cabina di quel malefico idiota rosso, lui, sempre ridendo, le dava una mano, fermandosi di tanto in tanto per riprendere fiato e farsi passare quel dolore al fianco, tipico di chi ha riso fino al limite…

Alla fine, e sempre ridendo, si asciugò le lacrime che scendevano copiose, si avvicinò a lei e le mise la mano sulla spalla, aspettando che gli passasse l’ennesimo scoppio di risa per dirle qualcosa mentre lei si irritava.

Ma non ci riuscì… 

Le mise la mano dietro la testa, l’avvicinò, la strinse di nuovo e a lungo a se e le poggiò la bocca sulla guancia, mandandole in orbita il cuore: lui l’abbracciava stretta e lei sentiva i sussulti delle sue risate.

Cercò di smettere di ridere, ma riuscì solo a dirle nell’orecchio, sussultando:

“…Sei… – e rideva – sei gra – era senza fiato – aaa… nde… - rideva – buo… - ancora risate – nanotte mmm – stava male – moccio… sa” – e di nuovo piegato in due, la lasciò e si diresse barcollando e ridendo verso la porta della cabina.

Si lasciarono ancora più innamorati.

 

E ripensava alle vicende del giorno prima mentre si preparava per scendere dalla nave che, da un quarto d’ora, era attraccata nel porticciolo del piccolo villaggio di Little Wind, chiamato così, dicevano le guide della zona, dai primi abitanti che avevano costruito poche case in una pianura che si estendeva all’interno. 

Quella pianura era sempre pettinata da una leggera e piacevolissima brezza.

L’isola di Nesheri (nella quale era situato il villaggio) era discretamente grande e molto frastagliata: Shanks aveva studiato le mappe della zona, per la verità abbastanza imprecise, e aveva deciso di sbarcare in quel minuscolo villaggio per diversi motivi.

In primo luogo non c’erano basi e postazioni della marina militare, era piccolo e riparato dai grandi traffici, quindi molto tranquillo; avrebbe così evitato la città di Nautilus a un’ora di navigazione verso Sud che ospitava un piccolo contingente di marines: un po’ era dispiaciuto… quella città era famosa e desiderava proprio visitarla.

In secondo luogo non aveva intenzione di fermarsi a lungo, ma solo il tempo di chiedere qualche informazione su Rufy e i suoi, sperando fossero passati di là… 

Inoltre voleva anche dell’acqua potabile che cominciava a scarseggiare.

Infine, e non certo ultimo per importanza, doveva navigare il più velocemente possibile e risparmiare tempo per quando sarebbe stato costretto ad ormeggiare il Vento dell’Est per via delle assurde e famose tempeste che si scatenavano in quel grosso tratto di mare.

Affacciato al ponte della nave osservava alcuni abitanti del villaggio riunirsi sul molo con il sindaco in testa, pronti a ricevere degnamente i pirati: dovevano essere molto attaccati alla loro terra.

“Mhmm… intenzioni bellicose…” – rimuginava ancora di buonumore per via del giorno più divertente della sua vita: Nami lo aveva fatto letteralmente sbellicare dalle risate per tutta la sera e parte della notte.

Quella mocciosa era un vero portento!

E non riusciva a prendere sul serio nemmeno le facce truci degli abitanti di quel villaggio: decise di andare a fare due chiacchiere col sindaco, ovviamente solo e disarmato, per fargli capire che non voleva invadere il paese, ma solo sapere se avevano visto una nave con quattro ragazzi a bordo di cui uno con un cappello di paglia…

“Shanks… - lo fermò Ben per il braccio mentre si apprestava a scendere – non mi piace… portati la spada…”

“Ma poi pensano che li vogliamo invadere…” - obiettò lui che, per certe cose, era più deficiente di Rufy.

E così scese dalla nave in tutta calma e sul molo trovò la sua bellissima ragazza che si stava stiracchiando:

“Ehi… mocciosa… - e riprese a ridere istintivamente non appena la vide – immagino che vai per spese… - e rideva – mi raccomando: sai cosa comprare!”

“Vaffanculo, Rosso!”

“Vabbè… ma sappi che il capitano sbarca sempre per primo… - le ricordò, guardandola storto e aggiunse - …ma per questa volta ti perdono… capisco l’urgenza dei tuoi acquisti!” – e ricominciò a ridere.

 

Si avvicinò al tipo in testa al gruppetto che brandiva una pala e lo fissava con un’aria ostile; Shanks non vi badò e sorrise:

“Lei dev’essere il sindaco di Little Wind…” – se fosse stato meno preso dalla sua dolcissima mocciosa, avrebbe intuito subito che non si trattava di contadini e commercianti…

“Diciamo di sì… qui non c’è niente, è un piccolo villaggio! Che volete?”

“Niente di troppo preoccupante… - replicò il capitano, cercando di tranquillizzarlo – siamo anche disarmati… - gli fece notare – io sono Shanks il Rosso e loro i miei uomini! Non abbiamo intenzione di invadere il villaggio: vogliamo solo sapere se avete visto una nave pirata, un teschio con un cappello di paglia sulla bandiera e…”

“No.”

“Vabbè… poteva almeno farmi finire di parlare…” - ragionò Shanks, ridendo della maleducazione del tipo e ancora fatto per le risate che la sua mocciosa gli aveva procurato la sera prima. E continuò:

“Ho capito… adesso ce ne andiamo, però prima vorrei prendere dell’acqua dal vostro pozzo: ce n’è rimasta poca sulla nave…”

“Mhmmm… – troncò il sindaco che dopo un attimo, cambiò all’improvviso espressione come folgorato: lo guardò con un ghigno e, dandogli le spalle, si allontanò con gli altri. 

In breve, lui e Nami restarono soli sul molo.

“Mocciosa… mi sa che ti devi tenere quelle mutande ancora per un po’… - le sorrise – e mi sa anche che abbiamo solo il tempo di prendere l’acqua… tra dieci secondi, ripartiamo…”

Poi si voltò verso i suoi e chiamò:

“Johnny, Lucky, Francis… portate i barilotti dell’acqua che andiamo al pozzo! – e aggiunse, ghignando – uno l’ho già preso io!!” – disse accennando a Nami che gli era affianco.

“Quanto sei stupido!” – urlò lei incazzata mentre lui rideva.

Questi eseguirono e raggiunsero il capitano: insieme se ne andarono al pozzo a caricare l’acqua, seguiti da Nami che voleva dare una mano a portare almeno una damigiana.

Arrivarono in tutta tranquillità al pozzo che era nel centro di quel villaggio calmo e silenzioso, ma fatto di troppi occhi. Finalmente, ricominciava a ragionare come un pirata:

“Ben ha ragione… qui c’è qualcosa che non va… - e si guardava intorno con fare distratto, fischiettando – non ci sono bambini né anziani né donne! – e si stupiva, notando che non c’erano panni stesi al sole, vasi di piante e tutto ciò che denota la presenza femminile – un paese senza donne?” – ma l’idea che non fosse proprio un villaggio non ancora lo sfiorava anche se si sentiva preoccupato, soprattutto per la sua preziosa ragazza che aveva fiutato l’aria malevola e gli camminava affianco, sempre più vicina.

“Shanks… - lo chiamò lei, sussurrando – ci stanno spiando…”

“Già… stammi vicina che adesso ce ne andiamo!”

I tre della ciurma erano gli unici armati del gruppetto: Ben aveva insistito con loro… finirono di caricare l’acqua e si avviarono verso la nave mentre Shanks si girava per aiutare Nami a liberarsi del peso.

“Da qua… mocciosetta deboluccia – le sorrise, oramai irreversibilmente innamorato – e spicciati a salire a bordo…” – ma si interruppe perché lei, all’improvviso, gli si buttò addosso, abbracciandolo forte.

“Ehi… datti una calmata! – rise tutto contento ed emozionato – Non è che puoi saltarmi addosso ogni volta che ti gira… - e pensava: - Sì che puoi…”

Ma lei alzò la testa pallidissima, lo guardò con l’occhio di chi è più di la che di qua e gli sussurrò:

“Scappa…” – e s’accasciò.

D’istinto le mise il braccio dietro la schiena per sorreggerla, ma qualcosa gli tagliò il palmo della mano… Il sangue gli si gelò nelle vene e, in preda al terrore di scoprire quello che temeva, si forzò a guardare dietro la schiena di lei.

“Issate le vele, levate l’ancora… ai remi…presto! – ordinò il vice che dall’alto del ponte della nave aveva capito tutto - Shanks! Sali, muoviti!” – gli urlò dal parapetto di prua.

Ma per lui il tempo si era fermato e le voci gli giungevano ovattate: con la mano che gli sanguinava a fiotti, le sfilò il coltello dalla schiena, scoprendo una lama piuttosto grossa, da macellaio, che lasciò cadere a terra.

Sorreggeva il corpo inerme di Nami, priva di sensi, bianca come un cencio e con una larghissima macchia di sangue sulla canottiera, oramai rossa, che gocciolava.

E non sentiva più il proprio cuore…

“Shanks… Sali, cazzo! – Ben era disperato.

Ma era incapace di pensare…

Sentì dei rumori davanti a se e vide un gruppo nutrito di omaccioni e ceffi poco raccomandabili pieni di cicatrici e tatuaggi, uscito da chissà dove, avvicinarsi a lui e alla sua piccola e moribonda mocciosa, armati fino ai denti…

“Porca puttana… Shanks… - Lucky lo strattonò – scappiamo… alla nave, muoviti!”

Ma lui riusciva solo a guardare Nami e quel coltello più grande di lei e aveva il vuoto nel cervello.

“Muoviti - gli disse serissimo Lucky - sennò lei muore… - e la guardarono tutt’e due, per nulla preoccupati degli elementi che si stavano avvicinando – guarda che ferita: ha bisogno urgente di un dottore, di sangue… non puoi aspettare…”

Finalmente capì che il suo amico aveva ragione e reagì. 

Le premette il braccio sulla ferita e corse come un disperato verso la nave appena in tempo visto che stava per ripartire senza di lui…

Quei ceffi presero a seguirlo e a provare a colpirlo, ma Lucky e gli altri che erano armati e Yassop dalla nave, lo coprirono e riuscirono a salpare giusto in tempo.

Stringendola a se si precipitò da Lucas, che aveva assistito alla scena ed era già pronto: la poggiò sul letto della sua cabina e, senza riuscire a dire una parola, restò a guardare il suo amico che con un pugnale tagliava anche l’ultimo vestito di Nami e cercava di tamponarle la ferita che sanguinava abbondantemente. 

Quando cominciò a suturarla, ricucendo la sua splendida schiena, dovette uscire per respirare ed evitare di spaccare tutto: stava per eruttare come un vulcano…

Si precipitò sul ponte a guardare quel villaggio infame, colonia di ex carcerati ed ex pirati che avevano pensato di fare il colpo grosso uccidendo Shanks il Rosso, accoltellandolo alle spalle: ma lei aveva visto tutto e lo aveva protetto con il suo corpo, abbracciandolo… si era presa nella schiena quella lama da macellaio lanciata da un codardo senza precedenti per salvarlo…

“Scappa…” – era stata l’ultima cosa che aveva detto e lui sapeva che poteva essere l’ultima cosa che le avrebbe sentito dire: il taglio era troppo largo, la lama troppo grossa e aveva perso troppo sangue…

“Scappa…” – quella parola e la sua voce gli rimbombavano nel cervello e cominciò a sentirsi male.

“Armate i cannoni…” – bisbigliò in preda al mal di stomaco e alla nausea.

I suoi ci rimasero un po’ scioccati… non era da lui sparare con i cannoni contro un villaggio, ma eseguirono senza battere ciglio: era incazzato nero e, quel che peggio, non avrebbe avuto l’opportunità di sfogarsi.

“Pronti a fare fuoco, capo…” – lo informò Yassop con un filo di voce: tutti sapevano quanto fosse innamorato di quella ragazzina e che l’anima del loro capitano era precipitata tra le fiamme…

“Fuoco.” – mormorò lapidario.

E i cannoni del Vento dell’Est tuonarono, facendo rimbombare l’aria.

“Pronti”

“Fuoco.”

E di nuovo:

“Pronti”

“Fuoco.”  

E Little Wind scomparve dalle carte geografiche.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** 034.Vento dell'Est, vento di paura ***


34 – Vento dell’Est, vento di paura

 

Le fiamme e il fumo si levavano alti nel cielo sopra quello che, pochi secondi prima, era il villaggio di Little Wind; tutta l’isola aveva sentito i colpi di cannone, le esplosioni e le colonne di fumo avevano invaso gran parte della terraferma.

“Nave pirata a Nord-Nord Ovest!”

Ormai il piccolo contingente di marines e gli abitanti della città di Nautilus erano in allarme.

 

I suoi cannoni sparavano ancora e Shanks il Rosso si era precipitato di nuovo nella cabina che ospitava la sua ragazza a pancia all’ingiù, bianca e svenuta mentre Lucas finiva di suturare la sua meravigliosa schiena, deturpata da una stramaledettissima lama da macellaio diretta a lui.

Era su quel letto che, la sera prima, li aveva visti tutti presi a coccolarsi, strofinarsi, baciarsi, toccarsi, mordersi… la ricordava morbida, calda, viva e rossa d’eccitazione e ora, l’immagine di lei su quello stesso letto, bianca e immobile lo stava uccidendo, si sentiva malissimo, non aveva un muscolo che non gli facesse male ed era pallido come un cencio anche per via della mano che continuava a sanguinare a fiotti.  

“Shanks… fatti vedere la mano…” – gli consigliò Lucky senza avvicinarsi. Più di chiunque altro, sapeva che bastava pochissimo per farlo esplodere quando aveva paura e, in quel momento, Shanks stava letteralmente morendo dalla paura di perderla.

Lucas aveva finito da un po’ con Nami che sanguinava molto meno, ma era ancora priva di sensi; si era voltato verso il suo capo e non lo guardava…

“Allora?” – gli chiese Shanks con un filo di voce e il cuore in gola, sentendosi morire perché quella scena gli ricordava qualcosa.

“Non so che dirti… - e lo guardò dispiaciuto – ha quasi smesso di sanguinare e la ferita è profonda e larga, ma non ha leso nessun organo vitale…”

“Però ha perso troppo sangue…” – l’interruppe lui con la morte nel cuore, intuendo che gran parte della colpa era sua per non essere riuscito a mantenere la solita lucidità, restando imbambolato sul molo di quel malefico villaggio: avrebbe dovuto precipitarsi dal suo amico subito, all’istante e adesso, per la sua stupidità, la gioia della sua vita stava per morire.

“Non disperarti… - si avvicinò Lucas per rincuorarlo, ma Lucky lo guardò da dietro le spalle di Shanks e gli accennò un no con la testa che lo fece bloccare all’istante. Riprese: - se riusciamo a trovare del sangue, ce la fa senz’altro… anzi… il vero punto è che se riesce a superare le prossime due ore, è salva: è giovanissima e i tessuti non ci mettono niente a rigenerarsi…”

Ma Shanks sentiva di star per vomitare e faticava a domare i conati che gli salivano copiosi.

“Capo… - lo risvegliò Lucas – sei pallido come uno straccio… fammi vedere la mano…”

“Non è niente…” – e non era davvero niente rispetto al dolore allo stomaco e alla fatica di non vomitare.

“Fallo dire a me… e poi t’è rimasta solo quella… curatela!” – e, anche a rischio di scatenare l’ira di Shanks, lo prese per il braccio e lo costrinse a sedersi sulla sedia per medicargli la mano.

Questi non reagì, facendo sospirare di sollievo tutti i presenti nella stanza e si lasciò medicare e suturare quel taglio davvero grosso.

“Shanks… - lo chiamò Ben entrando di corsa avvolto in una nuvola di fumo – siamo nelle acque della città di Nautilus… che facciamo? Attracchiamo?”

“Sì.”

“Guarda che c’è la marina e ci hanno già avvistati…”

“Attracchiamo!” – e finalmente tornò padrone di se e delle reazioni del suo organismo, di nuovo lucido e sollevato all’idea di arrivare in una città: avrebbe trovato il sangue per Nami a costo di doverlo succhiare da ciascun abitante uomo, donna o bambino che fosse…

Guardava il suo amico suturargli la mano e si faceva il training autogeno che lo aiutava sempre nei momenti delicati:

“Io sono il capitano… non devo perdere la calma, non devo perdere la pazienza e la lucidità: tutto si sistemerà, ce la farò anche stavolta… non posso perderla, non devo perderla… non è possibile!” – ma gli tremavano le ossa visto che l’esperienza gli aveva già mostrato tutti i suoi limiti.

Aveva la testa bassa per la nausea e sentiva nell’aria l’insicurezza e la perplessità dei suoi uomini:

“Contano su di me… non devo cedere!”

E reagì.

Alzò la testa con un sorriso, sconcertandoli tutti, Ben e Lucky inclusi:

“Ehi… che sono quelle facce? Da quando l’equipaggio del Vento dell’Est ha paura della marina? – ridacchiò, assumendo quell’espressione da maniaco dei sette mari che faceva bagnare Nami all’istante, metteva di buon umore i suoi e terrorizzava i nemici. – Preparatevi: andiamo a caccia di sangue!”

“SIII!!” – tuonò la ciurma, gasatissima. 

 

Nautilus si chiamava così perché aveva dato i natali al famosissimo Capitano Nemo, uomo eccezionale e di grande valore, tra l’altro, il mito di Shanks quando era piccolo. Ma di tutto questo, ora, al capitano del Vento dell’Est non gliene fregava niente:

“Armate i cannoni…”

“Non vorrai sparare su dei civili?” – Ben credette che la brutta avventura a Little Wind avesse minato del tutto la salute mentale del suo amico.

“E’ meglio che sanno da subito con chi hanno a che fare!”

“Guarda… - gli disse Ben avvicinandosi per calmarlo – sono tutti schierati sul molo… non sono molti e non hanno cannoni…”

“Ammainate le vele, gettate l’ancora… attracchiamo qui!”

“Ma perché?” – Ben ci capiva sempre meno.

“Perché questa è la distanza che i cannoni coprono: io scendo con Lucky, Yassop, Francis, Lucas e Nami e andiamo armati fino ai denti… Tu resti qui e ti tieni pronto a scatenare l’inferno al mio segnale: se Nami muore o mi girano le palle, io questa città la elimino dalle carte geografiche come ho fatto con Little Wind!”

“Fuma!” – gli disse Ben per tutta risposta, porgendogli la sigaretta.

L’altro lo guardava con aria interrogativa.

“So come ti senti, ma non fare vittime innocenti… come Nami! – mentre all’altro si gelava il sangue nelle vene – uccidi tutti quelli che ti impediscono di salvarla, ma solo quelli: gli altri non c’entrano niente! – e aggiunse, ridendo - e ricordati che io non sparo ad un cazzo di nessuno solo perché a te ti girano le palle!”

E Shanks scoppiò a ridere, eternamente grato a quell’amico con cui smussava gli angoli più pericolosi del proprio carattere sanguigno… si accese la sigaretta e con la fumata rilassante, si apprestò a scendere dalla nave.

 

La lancia arrivò velocemente nel porto di Nautilus: gli uomini di Shanks remavano come disperati, lanciando la piccola imbarcazione ad una velocità notevole.

Lucas e il suo capitano osservavano Nami, ancora priva di sensi e bianchissima, in braccio a Shanks che non l’aveva voluta cedere a nessun altro. 

La stringeva a se senza premere, delicatamente… aveva bisogno del suo corpo caldo e morbido, non ci avrebbe rinunciato per niente al mondo e sempre per niente al mondo avrebbe detto a Rufy:

“Non sono riuscito a proteggerla…”

Aveva la responsabilità di riportargli la sua navigatrice, se l’era assunta lui stesso, invitandola sulla sua nave e l’avevano accoltellata per colpa sua… perché era un pirata e nemmeno un pirata normale: non avrebbe mai potuto diventare il suo uomo, mai avrebbe potuto stare con lei e fare tutte le cose che le coppie normali fanno…

Già era impossibile stare insieme per via dell’età, delle loro vite così diverse e di quei loro caratteri così ribelli… lei sarebbe stata in sempre in pericolo: chiunque, per guadagnare la grossa taglia sulla sua testa, avrebbe potuto rapirla, torturarla o stuprarla per farlo uscire allo scoperto oppure ucciderla o mutilarla semplicemente perché il mare è pieno di idioti oltre che di pesci… e lui non avrebbe potuto nemmeno respirare sapendo di esporla ai rischi della vita di mare. 

“Non voglio perderla… – si diceva mentre la teneva attaccata a se, ne respirava il profumo e si perdeva nel suo corpo morbido che gli diventava sempre più indispensabile – e per non perderla non posso prenderla…”

Questa atroce decisione fu sottolineata da Yassop:

“Capo… c’è la marina…” – erano a pochissimi metri dalla banchina. 

Lui la consegnò a malincuore a Lucas e si alzò sulla lancia in tutta la sua statura con quell’espressione determinata famosa in tutti i mari e che preludeva sempre a sanguinosi epiloghi; i mormorii provenienti dalla banchina cessarono di colpo e si voltò verso i marinai che lo fissavano con i fucili spianati.

Nel silenzio tesissimo osservato anche dal mare che si guardava bene di far sentire il suo sciabordio, un ufficiale tentò con voce malferma:

“Sono il tenente di vascello della nona divisione Est, mi chiamo Muron…”

“Io sono Shanks il Rosso – l’interruppe lui con gelida calma, per niente disposto a sentire le presentazioni altrui e a perdere tempo prezioso – siete a tiro di cannone… levatevi dalle palle e chiamatemi un dottore: qui c’è una ragazza ferita. Collaborate e non faremo vittime, ma il primo che si mette sulla mia strada è morto.”

Nel sentire quelle poche e chiare idee, dette in quel modo, tutti i presenti deglutirono a fatica. 

I marines erano terrorizzati: sebbene armati fino ai denti e più numerosi, sapevano che il Rosso li valeva tutti i cinquecento milioni di berry che aveva sulla testa… Ognuno ricordava a memoria i passi del suo dossier: non era possibile non conoscerlo…

Non era un pirata normale… 

Era una delle forze che reggevano l’equilibrio del mondo e che dominavano la Rotta Maggiore.

Era uno dei quattro imperatori.

E sul suo dossier (la marina ne aveva uno per ogni pirata conosciuto) ci si poteva organizzare un banchetto: era uno dei fascicoli più grossi su scala mondiale.

I marinai di stanza nella città di Nautilus avevano pensato seriamente di disertare quando, qualche ora prima, avevano avvistato la sua nave che incrociava a largo dell’isola di Nesheri. Poi era scomparsa per un po’ per farsi sentire di nuovo con quelle cannonate che avevano spazzato via Little Wind.

E adesso ce l’avevano davanti quel pazzo scatenato…

Tremavano tutti e alcuni avevano finanche paura di guardarlo troppo: chissà, avrebbe potuto anche incazzarsi! I pirati erano così strani… delinquenti senza scrupoli…

Anche se alcuni veterani che l’avevano incontrato ne avevano parlato bene nelle varie riunioni della marina, descrivendolo come una persona a modo, spiritosa e che rideva sempre, il dossier non parlava affatto delle risate che ci si poteva fare con il Rosso…

Centinaia di pagine per dire che non se le cercava, ma quando si armava, non faceva prigionieri.

Era uno dei più grandi spadaccini del mondo ed un combattente imprevedibile: sobrio o ubriaco era sempre pericoloso, armato o no era necessario stargli alla larga, dormiva con un occhio aperto, niente lo spaventava ed era estremamente abile nel combattimento. 

Qualsiasi cosa, in mano a lui, poteva trasformarsi in un’arma.

Sapeva usare ogni genere di arma da taglio, armi da sparo con una mira precisa, non disdegnava fili, stiletti, ferretti per capelli, lacci di scarpe, tacchi di scarpa da donna, bombe, bombe incendiarie e la lista era molto lunga. 

Era agile e veloce, rapidissimo e nel combattimento la sua arma vincente era la creatività… ogni cosa lo ispirava e ne usciva sempre fuori. 

E migliaia erano i rapporti dei marinai sopravvissuti agli scontri da cui ne usciva vittorioso con espedienti assurdi, a volte da solo a volte aiutato dai suoi degni compagni. 

Assolutamente sconcertante era il suo modo di vivere: non assaltava i villaggi e le città, anzi, la marina sapeva che la sua era una ciurma casinista che si divertiva da matti ovunque sbarcasse. 

Le persone che li avevano conosciuti ne conservavano un piacevole ricordo, ma quando incontravano un ostacolo sulla loro strada, lo spazzavano via e le volte in cui le strade del Rosso e quelle della marina s’erano incrociate, quest’ultima le aveva prese e di brutto. 

Come qualche giorno prima al largo di Jolly Town…

La scena che si presentò all’alba sconvolse pure i pescatori che si domandavano come mai una nave ammiraglia andasse alla deriva senza nessuno a bordo: si vociferava che la banda del Rosso avesse trucidato tutti gli esseri viventi sulla nave e la notizia del filo intorno al collo dell’ammiraglio aveva fatto il giro del mondo e scosso tutta la marina militare…

Aveva girato tutti i mari del mondo, entrava e usciva dalla Rotta Maggiore a piacimento e la sua taglia, esagerata già dagli inizi della sua carriera di pirata, dopo il disastro a Jolly Town era stata aumentata nella speranza che l’immensa concorrenza nella pirateria e i cacciatori di taglie risolvessero questo rosso problema, spina nel fianco per una Marina in difficoltà.

Ma tutti sapevano che sarebbe stato veramente difficile riscuotere quella taglia.

Consapevoli di tutti questi altarini, i marinai, a cui non aveva fatto un buonissimo effetto l’aver sentito i cannoni di quel grosso galeone da guerra tuonare su Little Wind, fissavano la lancia, cercando di capire che cosa avrebbero dovuto fare e guardavano il loro capo, il tenente, che già aveva fatto una fatica immensa per rivolgersi a quel demonio coi capelli rossi e ora sudava, spaventato dallo sguardo deciso e pronto a tutto di quel tipo che solo con gli occhi aveva già conquistato la città…

Inchiodati dalla paura, i marines e i cittadini assistettero inebetiti, allo sbarco dei pirati che scesero dalla lancia con grande tranquillità: il capitano teneva in braccio una ragazza molto bella e bianca come un morto, priva di sensi.

E la stringeva appassionatamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** 035.Una grande sfuriata ***


35 – Una grande sfuriata

 

“Allora? Dove sono i dottori?” – chiese appena sbarcato, nel silenzio generale. Ma il silenzio continuava ad imperversare e lui, se possibile, si stava innervosendo ancora di più: stava per dare di testa quando un signore distinto e molto alto uscì dalla mischia, scansò i militari che gli si paravano davanti e lo raggiunse con un sorriso:

“Buongiorno, il mio nome è Ananshi e sono il sindaco di questa città…”

“Buongiorno a lei… - l’educazione lo confortava – mi spiace essere piombato qui minacciando, ma ho urgenza di trovare un medico o meglio ancora un ospedale: la… mia… - e sospirò - questa ragazza ha perso molto sangue…”

“Mi segua, l’ospedale è da questa parte!” – e si avviarono tutti a seguire quel signore ben vestito e dal portamento elegante.

I marines, che in primo tempo avevano cercato di fermarlo, non si opposero più all’intenzione di aiutare i pirati. Il Rosso faceva molta paura, ma il suo comportamento non era minaccioso: si capiva che l’unica cosa che desiderava era salvare quella bellissima fanciulla da cui non riusciva a staccarsi.

 

Un’ora dopo era seduto in una corsia di ospedale completamente vuota per via della paura che suscitava in tutto il personale medico e paramedico; con la testa appoggiata ad una parete che più bianca non poteva essere, cercava di farsi passare l’emicrania infame che scatta a tutti dopo ore di tensione e concentrazione: la città si era abituata alla loro presenza, i marines non gli avevano dato fastidio, ma continuavano a ronzargli intorno e, quel che più contava, Nami era fuori pericolo.

Adesso lei dormiva con una flebo, in una stanza in fondo a quel corridoio, scortata dai suoi e lui cercava di rilassarsi, ma sapeva che gli sarebbe stato difficile.

Prima che il suo instancabile cervello si rimettesse in moto, sentì dei passi vicino a lui e qualcuno che gli si sedette accanto.

Girò la testa e si stupì nel constatare che era quel Muron, il tenente della marina che aveva zittito appena arrivato: gli porgeva un bicchiere fumante con un sorriso.

“Bevi… hai una faccia…” 

“Grazie… ne ho bisogno… anche se è avvelenato.” – gli sorrise di rimando.

L’altro scoppiò a ridere e scosse la testa:

“No… che faccio, gioco a perdere? I tuoi mi scannano!! E poi non è nel mio stile uccidere qualcuno con il veleno, a me piace combattere lealmente e ad armi pari…”

“A me, invece, non piace proprio combattere – e sorseggiò quel caffè che gli rimise in corpo dieci dei vent’anni che quella brutta faccenda gli aveva tolto – né ad armi pari né dispari.”

“Lo so… sei un tipo strano tu. E’ la tua donna?”

Shanks abbassò lo sguardo:

“E’ come se lo fosse.”

“Sono contento che ce l’abbia fatta… deve essere terribile perdere la donna che ami… - e sospirò – Beh… comunque sono venuto a dirti che ho avuto un incontro col sindaco e abbiamo deciso che non faremo rapporto allo stato maggiore e che potete restare qui quanto volete. Puoi dire ai tuoi di sbarcare… Non è necessario che state rintanati. – Shanks lo guardava fisso e quello continuò: 

In questa città i pirati non capitano spesso perciò ci sono pochi marines… E poi sappiamo che voi non fate danni e siete piuttosto tranquilli: mi sembri un tipo ragionevole e so che non ci daremo fastidio… Personalmente, poi, non ho alcuna avversione per la tua categoria… mi sono arruolato in marina per seguire una tradizione familiare vecchia centinaia di anni e perché mi piace il mare… quindi abbiamo una cosa in comune! - E si alzò, sorridendo: - Benvenuto a Nautilus, Shanks!” 

Lui ricambiò il sorriso e finì il suo caffè decisamente sollevato di non dover combattere mentre l’altro si allontanava.

“Questo… - disse il tenente all’improvviso, fermandosi in mezzo al corridoio – è il mio modo di ringraziarti per aver spazzato via quel villaggio di idioti e delinquenti: ci sono cose che un marine proprio non può fare… non hai idea di che spina nel fianco mi hai tolto!!” – e rise, andandosene.

“E’ stato un piacere…” – mormorò lui, guardando il bicchiere. 

 

Riuscì ad alzarsi da lì solo dopo due ore passate a normalizzare il respiro e cercando di calmare la tachicardia che lo tormentava da quando lei gli era svenuta addosso dissanguata.

Aveva mandato Francis a comunicare a Ben che era finito lo stato d’allerta e potevano rilassarsi: in quella città non avrebbero avuto problemi o almeno sperava visto quello che valeva il suo intuito…

Già si era mostrato idiota e per nulla all’altezza del suo compito di capitano nello scendere disarmato in un villaggio popolato da facce tanto brutte: Ben era stato più saggio… anzi, più lucido.

Ma lui era tutto preso dalla sua mocciosa:

“Che idiota… - si tormentava in preda ai sensi di colpa – mi sono fatto sorprendere come un novellino… nemmeno quando avevo diciassette anni ero così deficiente e pare che con l’età uno dovrebbe migliorare! – e sospirava – mi sono innamorato come un adolescente sbarbatello… non ho capito niente di quello che succedeva e, se non ci fosse stata lei a proteggermi, adesso i miei uomini sarebbero in cerca di un nuovo e, spero, meno deficiente capitano… E lei… - e scuoteva la testa – è assurdo: mi sono fatto salvare la vita da una ragazzina, sono talmente cretino che per continuare a vivere devo ringraziare una mocciosa che mi è saltata addosso per proteggermi… - e si sentiva un grosso rifiuto tossico industriale - dovrebbe essere il contrario, dovrei essere io a proteggerla, ma non sono più capace nemmeno di guardarmi le spalle… E’ tutto così bello da quando c’è lei che mi ero scordato che vivo in un mondo di merda…”

 

Camminava a testa bassa in quel silenziosissimo ospedale in cui medici e non continuavano il loro lavoro e lo guardavano incuriositi, passandogli piuttosto alla larga, ma le più simpatiche erano le suore: ogni volta che ne incontrava una, questa si dava a grossi segni della croce.

“Magari è il colore dei miei capelli che fa tanto peccaminoso…” – sorrise, immaginando tutte le battute che la sua dolce linguaccia avrebbe potuto produrre su quell’argomento.

 Si fermò sulla porta della stanza di lei: prima di uscire voleva sapere come stava e guardare quel volto che gli mancava come l’aria sott’acqua.

La porta era aperta e lei stava a pancia all’ingiù con una grossa medicazione sulla schiena sotto la casacca dell’ospedale, una flebo nel braccio e guardava perplessa il lungo tubicino che le finiva nelle vene, giocherellandoci con le dita: si sentiva debole e non riusciva nemmeno a pensare.

“E’ sveglia…” – gli venne da piangere e urlare per la gioia e il terremoto nel cuore che aveva sentito nel rivedere i suoi occhi di nuovo aperti: le gambe gli cedettero, dovette appoggiarsi alla porta e, con il cuore in tumulto, ricacciò indietro le lacrime che stavano per sottrarsi al suo controllo.

Lei vide del movimento rosso davanti alla porta e, quando lo riconobbe, il cuore le esplose nel petto, fiaccandola ancora di più e togliendole il respiro:

“Ciao Rosso…” – aveva un filo di voce impastata che le tremava per l’emozione.

“Ciao mocciosa…” – adesso il mal di testa aveva delle proporzioni esagerate e sentiva che stava per cedere e mettersi a frignare come un bambino.

Fece qualche passo in avanti, si fermò un po’ distante dal letto di lei e si guardarono a lungo e in silenzio, stregati e innamoratissimi. 

Lui, che non aveva niente di sano in corpo, era troppo emozionato per riuscire a dire qualsiasi cosa: gli bastava rivederla… sentire la sua voce lo aveva folgorato.

Lei era stanca e respirava a malapena… lo guardava in tutta la sua statura, persa in quel suo corpo meraviglioso e quel volto impossibile da non amare…

“Come stai?” – gli chiese tutta felice.

E scatenò l’inferno.

 

“COME VUOI CHE STIA?” – tuonò lui in tutta la corsia, facendo drizzare i capelli in testa al personale medico e paramedico, alle suore che avevano cominciato a dire il rosario per proteggersi dalla furia di quel pirata indemoniato dai capelli color del peccato, ai suoi uomini che si precipitarono fuori e a debita distanza dalla porta della stanza di Nami, al tenente che faceva due chiacchiere con Ben, a Ben che faceva due chiacchiere con il tenente, al sindaco della città che mai aveva visto l’acqua del mare incresparsi per delle urla e, infine, a Nami che lo guardava sconvolta e incredula dal suo letto di ragazzina ripresa per i capelli.

“IDIOTA!! – urlò incazzato e addolorato – CHE CAZZO T’E’ SALTATO IN MENTE DI FARE!? CHI TI CREDI DI ESSERE?”

“Ma io…”

“STA ZITTA! STO’ PARLANDO IO! - l’ospedale era diventato silenzioso come un cimitero – STUPIDA RAGAZZETTA DEFICIENTE!  PENSI CHE NON MI SAPPIA DIFENDERE DA SOLO? E COME CREDI CHE SIA ARRIVATO A 37 ANNI? FACENDOMI SALVARE DI VOLTA IN VOLTA DA MOCCIOSE IDIOTE E INCOSCIENTI COME TE?”

“Shanks…”

“HO DETTO ZITTA! STA PARLANDO IL CAPITANO, MALEDIZIONE! - le suore avevano cominciato a spargere acqua benedetta in giro… - NON CAPISCI UN CAZZO! APPENA VEDO RUFY GLI SPACCO LA TESTA! NON HAI IDEA DI COSA SIA IL RISPETTO! NESSUNO TI HA INSEGNATO A VIVERE SU UNA NAVE PIRATA? VEDIAMO DI ESSERE CHIARI: IO SONO IL CAPITANO DI QUESTA NAVE E, TI PIACCIA O NO, FINO A QUANDO STAI SUL VENTO DELL’EST, FAI QUELLO CHE DICO IO! IO SBARCO PER PRIMO E SALPO PER ULTIMO! IO DECIDO SE PUOI SBARCARE ANCHE TU E, D’ORA IN AVANTI, TI PROIBISCO DI  SALVARMI LA VITA!”

“‘azzo…” - commentò Lucky sottovoce, rivolto agli altri tutti tirati che non respiravano neanche più: era la prima volta che Shanks dava in escandescenza in quel modo e sembrava stesse per abbattersi un tifone nell’ospedale.

Un medico fece per entrare nella stanza, ma il grassone lo bloccò per tempo:

“Dove pensa di andare?” – quel dottore cercava la morte.

“E’ un ospedale non un’osteria - fece questi – non può gridare così!”

“Fallo andare… - intervenne ironico Rosetta, bianco in volto, rivolto a Lucky – vada, vada… - esortò il dottore – voglio vedere come dice a Shanks il Rosso di non urlare…” – e ridacchiava nervoso.

“Lasci stare… - intervenne di nuovo Lucky - se non lo fa, dovete ricoverare anche lui…”   

E continuò mentre nella sua voce si inseriva un grosso dolore:

“CON QUALI PAROLE AVREI DOVUTO DIRE A RUFY DI AVERTI LASCIATO MORIRE PERCHE’ TU SEI TALMENTE INCOSCIENTE DA  PRENDERTI LE COLTELLATE AL POSTO MIO? CHE COSA AVREI DOVUTO DIRGLI? CHE MI SONO LASCIATO SALVARE DA TE E PER QUESTO TI HO LASCIATA MORIRE? SEI UNA STUPIDA!! – e fremette, stringendo il pugno da farselo sanguinare di nuovo. - NON SOLO MI DEVO GUARDARE LE SPALLE UNA CONTINUAZIONE… ADESSO LE DEVO GUARDARE ANCHE A TE PER IMPEDIRTI DI FARE CAZZATE! LO SAPEVO CHE NON SAI COMBATTERE... MA CHE FOSSI ANCHE COSI’ IDIOTA… - e continuò, sfogando tutto il dolore che aveva dentro e ferendola con la voce che gli vacillava – NON T’AVESSI MAI CONOSCIUTA… NON T’AVESSI MAI PORTATA SULLA MIA NAVE!! STRONZA!!”

A quelle parole lei si sentì trafiggere il petto… era debole, ma aveva proprio due cose da dire a quel deficiente montato:

“Non  sei  l’unico  che  si  pente…”

“TI HO DETTO CHE STO PARLANDO IO!”

“E quindi? - gli rispose sprezzante - Ehi! Ma chi credi di essere? Io parlo quanto e quando mi pare e tu non proibisci un bel niente…” - e s’incazzò ancora di più: quel tipo doveva proprio smetterla di trattarla come una bambina. 

Continuò sempre controllando la voce:

“Maleducato! Come ti permetti di alzare la voce con me? Con una donna?!”

“Ma quale donna!! Ragazzetta idiota…” – sapeva di essere nel torto, ma era troppo infuriato. Lei lo interruppe:

“Senti un po’… hai bisogno di darti una sfogata, vatti a fare un bagno e levati dalle palle perché se arrivo a riprendere le forze, ti combino il servizietto che quei deficienti volevano fare a te e ci becco pure i cinquecento milioni di berry…”

“Zitta… sta’ zitta…” – ripetevano in cuor loro gli uomini di Shanks per evitare che al loro capo venisse un collasso.

Lui spalancò la bocca in preda allo stupore, ma lei riprese con maggiore foga e dolore:

“Cosa ti preoccupa di più? L’idea che potessi morire o di dover ammettere che non sei riuscito a fare qualcosa? Ti preoccupa solo di aver fatto il tuo dovere con Rufy… perché - e ingoiò a fatica – io sono la navigatrice di Rufy e tu mi devi riportare da lui sana e salva e questo è tutto, giusto? – e alzò la voce – IO NON SONO UNA COSA! TU NON MI RIPORTI DA NESSUNA PARTE! E’ UNA VITA CHE MI MUOVO E VIAGGIO DA SOLA!”

“E sei finita a fare la cameriera in un bordello…”

Il suo tono sprezzante la fece sollevare sul letto, si levò la flebo, sgomentandolo e si girò verso di lui, puntandogli un dito contro:

“Sempre meglio che diventare un PIRATA… - e lo disse in quel modo schifato che gli metteva tristezza – Tu non sei nessuno per dirmi che cosa fare, quando farlo e dove… io faccio quello che voglio…”

“Sulla mia nave fai quello che dico io!”

“Non ci siamo capiti… - disse lapidaria – voi pirati NON E-SI-STE-TE per me, non contate nulla come non contano le vostre regole e le vostre usanze… e se questo non ti sta bene, io continuo il mio viaggio da sola e tu va dove ti pare… – aggiunse, addolorata mentre Shanks si sentiva morire per quelle parole – nessuno… NESSUNO – tuonò in tutto l’ospedale – può impedirmi, mai, di fare, parlare o muovermi! – e ricominciò ad urlare in preda ai suoi orribili ricordi – IO SONO LIBERA! LA LIBERTA’ ME LA SONO GUADAGNATA DOPO OTTO ANNI DI PRIGIONIA PER COLPA DI BASTARDI PIRATI COME TE ED ORA SONO IO CHE DECIDO… – e sibilò – Se non vuoi che ti ricapiti la brutta avventura di oggi, impara a guardarti le spalle da solo e senza distrarti per le cazzate!”

Lucky e gli altri avrebbero voluto entrare per tappare la bocca a quella ragazzetta insolente: mai il loro capo aveva urlato così e mai nessuno gli si era rivolto in quel modo ed era sopravvissuto per raccontarlo… tra poco si sarebbero ammazzati.

Adesso nella stanza regnava il più teso dei silenzi. L’ospedale sembrava abbandonato e la città inesistente: nessuno osava fiatare o si muoveva per non produrre nemmeno uno scricchiolio…

Quei due pirati innamorati si guardarono tristi e arrabbiati, vuoti e feriti, prossimi alle lacrime: se le erano date di santa ragione. Con l’anima a pezzi, Shanks chiuse gli occhi, le diede le spalle e mormorò:

“Non abbiamo altro da dirci.” 

Uscì dalla stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** 036.Uno sguardo al passato ***


36 – Uno sguardo al passato 

 

I medici le avevano rimesso la flebo e l’avevano visitata: ancora un paio d’ore e avrebbe potuto essere dimessa non prima di un pasto abbondante.

Adesso era seduta sul letto e piangeva in preda ai rimorsi per la scena di prima, per le brutte parole e i brutti toni che entrambi avevano usato. Paradossalmente, di tutto quello che era successo e di tutto quello che si era urlato, a farle male erano proprio le sue parole, sibilate con l’intento di ferirlo…

Si dannava per averlo fatto, ma Shanks riusciva proprio a farle perdere il lume della ragione quando la trattava da ragazzina o anche se solo provava a dirle cosa fare, cosa dire, come comportarsi e come pensare: ogni volta che succedeva, anche se scherzava, le tornavano in mente in un lampo gli orribili momenti passati nelle grinfie di Arlong e dei suoi scagnozzi e perdeva le staffe, si trasformava in una tigre ferita e in gabbia, pronta ad azzannare chiunque. Anche lui che, però, pensava tra un singhiozzo e l’altro, non ci era andato per il sottile e quel “non t’avessi mail conosciuta, non t’avessi mai portata sulla mia nave, stronza!” detto con quel tono addolorato e furioso era stato una pugnalata… un’altra…

Una mano le accarezzò i capelli delicatamente e lei, con la faccia immersa nelle mani, sollevò la testa pensando e sperando fosse lui e invece era Lucky.

“Ciao Lucky…” – era troppo esausta per nascondere la delusione.

“Lo so che avresti voluto che fosse quell’idiota rosso… – e sorrise – ma lui ha bisogno di molto tempo in solitudine per riflettere… e non gli riesce nemmeno tanto bene: non è abituato!” 

Lei scoppiò a ridere mentre Lucky si sorprendeva a pensare a quanto fosse fortunato il suo amico ad aver trovato quella ragazza d’oro…

“Dov’è adesso?” – gli chiese, asciugandosi le lacrime.

“Penso in spiaggia… va lì quando ha qualche problema…”

E riprese:

“Devo ammettere che l’hai fatto proprio infuriare… brava! Non è facile.”

“Non sfottere… non ci tenevo mica… no…” – e scesero altri due lacrimoni: avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro nel tempo e non farlo arrabbiare con lei… le mancava da morire quella sua espressione dolce e, soprattutto, il suo bellissimo sorriso.

“Hai sentito?”

L’altro accennò un sì con la testa:

“Hai un’idea di quanto urlavate? Vi avranno sentito fino al Grande Blu…”

“Mi dispiace… io non le penso davvero quelle cose sui pirati…”

“Non ti preoccupare… - la interruppe – è normale che odi la categoria: siamo fatti un po’ a modo nostro e Shanks non fa eccezione… E comunque ci aveva avvertiti che non ci puoi vedere…” 

“No… non voi…” 

“Lo so che ci vuoi bene, così come so quanto vuoi bene a lui…”

E lei arrossì, chinando la testa.

“E poi lo sai meglio di me che non è cattivo… è solo un po’ idiota! 

“Ma perché si è arrabbiato con me? E’ stato un incidente…” - era sconvolta: la reazione di lui non era stata per niente normale.

Lucky abbassò lo sguardo e mormorò:

“Ha avuto paura.”

“Paura? – lei ci capiva sempre meno – cose del genere sono ordinarie per i pirati… non mi pare un tipo pauroso…”

“Non paura per se stesso… Paura per te…” - stava cercando il modo di non dirle che s’era spaventato da morire perché l’amava da morire. E spiegò:

“Quando dice che stai sulla sua nave, non vuole dire che devi scattare ai suoi ordini, ma ti informa che da quel momento, tu sei parte della sua famiglia e non vuole perderti…” - fece una pausa e riprese - “E’ un pirata un po’ particolare… - concordò Lucky, cogliendo le sue perplessità – e c’è una ragione per cui è così…”

 

“Oooohhhh…”

Era sempre la stessa storia: quando camminavano per la via principale di East Peack, non si sentiva altro… ogni uomo, ogni donna e perfino ogni bambino non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle due persone.

Gli uomini, poi, che fossero o meno in età riproduttiva, avevano la bava alla bocca e le donne masticavano l’amaro fiele dell’invidia.

“Ehi Rossa!!” – i fischi e le urla arrapate di alcuni marines di pattuglia per la via principale si levarono alti nel cielo, squarciando il silenzio ammirato che circondava quei due.

“Ehi… idioti in divisa… – ringhiò un cerino alto mezzo soldo di cacio con la testolina rossa, rivolto al folto gruppo di marines – che avete da guardare?”

“Smettila, Shanks… fai il bravo dai!” 

Lui li guardò malissimo, ma la voce della sua mamma riusciva sempre a calmarlo.

 

“Ti guardano perché sei bellissima…” – le disse quel pomeriggio mentre l’aiutava a sistemare la spesa.

“E tutte le ragazze guardano te… A proposito, giovanotto! – fece lei, prendendolo sulle ginocchia – la maestra mi ha detto che hai baciato una ragazza… È la tua fidanzatina?” – gli chiese.

“Non lo so… – le rispose lui che già da piccolo non voleva impegni – è simpatica e poi la sua bocca sa di fragola…” – aggiunse mentre la mamma scoppiava a ridere.

“Senti, amore mio – era il modo in cui si chiamavano quando stavano soli – sono contenta che ti trovi bene e che hai già tanti amici… - continuò – ma le ragazze sono delicate: mi raccomando, devi essere sempre gentile con loro e bravo come sei con me!” – gli insegnava mentre lui le accarezzava quella immensa massa di capelli color fuoco.

“Vabbè…”  - rispose distratto.

“No, Shanks è importante quello che ti sto dicendo… quando diventerai un uomo…”

“Ma io sono già un uomo!” – l’interruppe lui offeso.

“E’ vero… - lo accontentò – tu sei già il mio ometto… però quando diventerai ancora più grande, incontrerai tante ragazze: brutte o belle, giovani o vecchie, more o bionde che siano tu dovrai trattarle sempre bene come tratti me… – poi aggiunse – e dovrai essere gentile e ricordarti che sono delicate. - Poi lo rimproverò – E mi piacerebbe che ti impegnassi di più a scuola: la maestra mi ha detto che sei sempre distratto e guardi fuori. Lo so che devi fare il pirata, ma vuoi essere un pirata ignorante?”

“Sì, ma lei ci fa fare la matematica…” – provò a scusarsi lui che si sentiva male quando l’amore suo lo rimproverava.

“Ma lo sai che la matematica è importantissima per i pirati? Come le tracci le rotte? E come studi le stelle per orientarti in mare aperto?” – gli ricordava mentre lui la guardava ammirato: la sua mamma sapeva tutto.

“Shanks voglio che vai bene a scuola: quando torno a parlare con la maestra mi deve dire che sei il migliore della tua classe. Me lo prometti?”

“Sì!” – le rispose lui. Ogni richiesta della sua mamma era un ordine: l’adorava, era tutto per lui, era l’amore suo.

“Bravo il mio angioletto rosso…” – e passarono ore a coccolarsi.

 

Erano solo loro due. 

Fin da piccolo si era assunto il ruolo di uomo di casa e la sua dolcissima mamma lo riempiva di coccole e tenerezze cercando, comunque, di farlo crescere indipendente, forte, libero, maturo e rispettoso del prossimo. 

Lui non aveva mai conosciuto suo padre: lei gli aveva detto solo che era un pirata molto famoso e anche molto simpatico.

“Aveva la tua stessa risata… – gli disse un giorno che lui volle sapere qualcosa in più – e i tuoi stessi occhi… Era un tipo simpatico: mi faceva sempre ridere!” – aggiunse, persa nei dolci ricordi.

“Anche io voglio fare il pirata, mamma!” – le rispose lui tutto felice dal basso dei suoi otto anni.

“Lo so, Shanks - sorrideva lei tutte le volte, infinite, in cui glielo ripeteva – diventerai un grande pirata come tuo padre…”

 

“Ehi… venite tutte!! C’è il piccolo rosso!”

Una fiumana di ragazze vestite da coniglietto e altre adorne di piume si radunò in un lampo intorno a quel mezzo metro di moccioso rosso: con il cappello di paglia troppo largo per la sua testolina che gli calava sugli occhi, dalla penombra della tesa, osservava perplesso tutte quelle donne intorno a lui che lo riempivano di coccole e baci, palleggiandolo e vezzeggiandolo.

“Dov’è mamma?”

“Com’è dolce… ma lo sai che sei uno zuccherino? Adesso te la chiamo…”

“Isabel! Isabel! C’è il tuo ometto!”

“Ciao Shanks…” 

“Ciao ma…” – e ogni volta che la vedeva gli sembrava di vedere il sole.

“Amore mio… - lo prese in braccio e gli sussurrò nell’orecchio – quante volte devo dirti che non voglio che vieni qui? E’ tardissimo… che ci fai ancora in piedi?”

“Ma quando torni a casa? E’ mezzanotte!”  - piagnucolò lui.

“Ti prometto che da domani tornerò puntuale, ma tu devi promettermi che non verrai più qui… – non voleva che suo figlio la vedesse in “tenuta da lavoro”: Shanks era tutto quello che aveva, viveva per lui… - promettimelo, Shanks!” 

“Mhmmmm” – assentì lui con la testa un po’ imbronciato.

 

“A Shanks non piaceva che sua madre lavorasse tutte le sere e in mezzo a quegli idioti che urlavano e sbavavano - raccontava Lucky, perso nei ricordi, a Nami che seguiva tutta attenta – lui non ci capiva molto dal basso dei suoi otto anni, ma intuiva che le cose che dicevano non erano proprio carine… Pensa che non gli fregava nemmeno di sapere che lavoro facesse: lei aveva provato a spiegarglielo, ma per lui tutto quello che faceva andava bene purché tornasse a casa la sera e stesse con lui…”

E sospirò:

“Detestava e detesta restare da solo…”

Fece una pausa e riprese:

“Allora veniva spesso da me perché la mia famiglia è grandissima e c’era sempre tanto casino… Ogni volta che lo vedeva, mio padre ci portava nella sua bottega e insieme ci divertivamo a provare le armi che produceva: faceva l’armaiolo ed era tutto contento che sia io che Shanks fossimo appassionati di spade, pugnali e pistole – e rise, ricordando – ovviamente questo tutto all’oscuro delle donne di casa e della mamma di Shanks… E la mamma di Shanks – e sospirò, preso dai ricordi - la mamma di Shanks era una donna incredibilmente bella… Oh Nami se sapessi quanto era bella… – Lucky era partito nei suoi ricordi e aveva gli occhi lucidi mentre raccontava - aveva i capelli lunghissimi e lucidi, di un rosso violento, acceso, ancora più intenso di quello di Shanks, la pelle chiarissima e due occhi verdi come il mare delle isole. Ma la cosa più irresistibile era la sua dolcezza mista ad una forza d’animo ineguagliabile. 

Era bella, ma bella da morire… 

Quando arrivarono in città, trovò subito lavoro con quel suo corpo da sirena e mi ricordo anche che da quel momento le affluenze al bordello triplicarono… - rise - era una spogliarellista, la più bella e la più sensuale anche dopo il parto… Agli inizi fu difficile per lei ambientarsi: gli uomini le sbavavano dietro e le donne la evitavano e la odiavano a vista d’occhio, ma lei riuscì a conquistare tutti con il suo sorriso e la sua dolcezza… finanche mia madre, che era decisamente all’antica, finì con l’adorarla!

Ma chi l’adorava davvero e viveva per lei era Shanks… erano una cosa sola, si capivano al volo e si sorridevano a centoventi denti: lui faceva il maschio di casa, faceva proprio tutto quando lei era stanca per il lavoro. Se stava giocando con me e gli altri e lei lo chiamava, mollava tutto e tutti e scappava via da lei e non faceva nemmeno in tempo a salutarti.

Credimi se ti dico che erano in simbiosi…

Per lui non c’era niente e nessuno più importante di lei.

Quante volte gli dicevo che se avesse fatto il pirata, avrebbe dovuto staccarsi da lei… - e sorrideva – lo sai che mi rispondeva? 

“Lucky io sarò il capitano e mi porterò la mamma per i sette mari… - mimava Shanks da piccolo - a chi sta bene si imbarca e a chi non piace la solfa può anche andarsene!”

E io gli dicevo che era pericoloso, ma lui rispondeva convinto:

“La proteggo io.”

E Nami sorrideva tutta presa da quel campione, dolcissimo fin da bambino. Lucky riprese:

“Shanks, come ora, non s’incazzava mai… rideva sempre e per questo tutte le bambine erano pazze di lui… C’erano solo tre cose che lo facevano e lo fanno incazzare nero e perdere le staffe: il tradimento, la paura e l’offesa alle persone che ama…”

S’interruppe, con un’espressione frastornata mentre riviveva quei ricordi e riprese:- Me lo ricordo… come fosse ieri – rabbrividiva – me lo ricordo quel giorno che stava per cominciare la lezione di ginnastica a scuola… Io ne avevo il terrore perché ero grasso fin da piccolo, ma Shanks era bravo, in ginnastica era il migliore: era piccolo e mingherlino, ma cocciuto fino all’estremo, agile e veloce… - Lucky cambiò tono – Quel giorno in cortile c’erano diverse classi… era una bella giornata e quasi tutti facevamo ginnastica così Shanks ed io, pur frequentando classi diverse per via dell’età, ci ritrovammo insieme… Mi ricordo che l’aria profumava di mare ed eravamo tutti contenti perché finita l’ora saremmo scappati sugli scogli a tuffarci e nuotare…

 

“Oh… James!! Che mira di merda che hai!” – urlò il piccolo Shanks rivolto al suo compagno di classe perché aveva mandato il pallone in orbita.

“Ma dov’è finito?” – gli chiese Lucky che non aveva visto la traiettoria della palla.

“E’ laggiù… - indicò col dito – vabbè… vado a riprenderla io…” – e si avviò correndo e saltellando, guardando il mare che dalla sua scuola distava meno di due minuti.

“Accidenti… - pensava il piccolo Shanks intrufolandosi in una piccola intercapedine artificiale a livello del terreno – ma guarda dove si è infilata sta palla…” – e con molta difficoltà riuscì a riprendersela.

“Beh… che hai fatto ieri sera? Sono passato a casa tua per vedere se volevi uscire, ma non ti ho trovato…” – due professori di ginnastica stavano chiacchierando e Shanks sentì per caso la loro conversazione.

“Sono andato al night… - fece l’altro tutto contento – alcuni miei amici da fuori sono venuti a vedere quella puttana rossa che è diventata famosa… ti credo!! Ci ha due tette…”

Shanks rimase immobile, folgorato nell’intercapedine.

“Ah quella…” – fece l’altro subito presente.

“Di femmine così non se ne vedono tutti i giorni… dopo ce la siamo sbattuti a turno…”

 

Nami si era portata le mani sulla bocca e guardava Lucky con gli occhi sgranati: questi continuò ancora in preda ai brividi di paura.

“Shanks uscì dall’intercapedine silenzioso, ci rilanciò la palla e io lo vidi andare dritto verso quei due… - Lucky era ancora scosso – non l’avevo mai visto in quello stato, aveva uno sguardo… Per nulla al mondo avrei voluto essere al posto di quei due idioti… Aveva solo dieci anni, ma li prese a calci in faccia, una furia… un moccioso mingherlino che mise ko due maestri di ginnastica: li ridusse talmente male da fargli fare un mese di ospedale! Uno lo devastò con un solo pugno e gli procurò un’emorragia interna con un calcio; all’altro (quello che era stato più volgare) lo pestò a sangue e… – fece una pausa, ricordando – si slacciò la cintura dei pantaloni per impiccarlo… Cazzo, lo voleva uccidere con la cintura dei pantaloni, non ragionava più! Gli altri professori arrivarono giusto in tempo: ci vollero tre adulti per staccarlo da quelli… aveva intenzione di ucciderli… credimi, Nami, se fosse stato armato, non ci sarebbero state speranze…”

Lucky rimase un po’ in silenzio:

“In quel momento capii che diceva sul serio quando affermava che voleva fare il pirata: lo era già nel sangue, come suo padre. Successe un casino a scuola e la mamma di Shanks fu mandata a chiamare… lui fu sospeso per cinque giorni e i maestri furono allontanati dalla scuola… – e rideva – anche perché furono loro a chiedere il trasferimento: mentre lo staccavano da loro e se lo trascinavano via con la forza sentii Shanks (che intanto aveva fatto i lividi pure a quelli che se lo portavano via) urlare queste parole, terrorizzandoli a morte:

“Non ho finito con voi… Vi ammazzo! Giuro che il giorno che ci rivedremo sarà il vostro ultimo giorno!”   

“Per i giorni successivi tutti avevano paura di lui, ma Shanks era tornato quello di sempre: rideva e scherzava… ma da allora anche i bulli più bulli preferirono girargli alla larga… Il fatto che sua madre fosse una spogliarellista faceva dilagare i commenti a scuola e nel quartiere, ma nessuno più si azzardò farli arrivare all’orecchio di Shanks… erano tutti terrorizzati.”

 

Lucky e Nami si fissarono in silenzio per parecchio tempo poi il grassone riprese come se non avesse detto nulla…

“Sua madre era tutto per lui, la chiamava “amore mio” – a Nami esplose il cuore in gola nell’immaginare la dolce voce di lui chiamarla così - ed io ero l’unico a saperlo perché era una cosa solo fra loro due: non voleva che sentisse la mancanza di un uomo in casa, di affetto… Sapeva che lei era sola al mondo a causa sua, perché era rimasta incinta di lui con un pirata e la sua famiglia benestante l’aveva cacciata di casa. Lei aveva rinunciato a tutto pur di stare con lui… il fatto di ritrovarsi soli, abbandonati da tutto e tutti, poverissimi e costretti ad abbandonare la loro città li rese inseparabili, legati… una cosa sola.”

Sospirò e riprese:

“Erano davvero una cosa sola… perciò quando lei morì, una parte di lui morì con lei.”

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** 037.Esseri delicati ***


37 – Esseri delicati

 

Con i piedi in ammollo nel mare, Shanks fissava le stelle cercando di calmarsi.

Aveva urlato con Nami, le aveva detto delle cose orribili in preda al nervosismo e alla paura e ancora adesso era triste, vuoto, addolorato, con tanta voglia di piangere: erano anni che non si spaventava così… 

Erano esattamente ventitré anni.

Fissava davanti a sé aspettando che i battiti del suo cuore tornassero normali, mordendosi un labbro per non piangere… ad un certo punto la stanchezza lo vinse e gli si piegarono le ginocchia: barcollando, fece qualche passo indietro e si sedette sul bagnasciuga.

“Stavo per perderla…”

Cercava di recuperare la calma, ma non gli era possibile: ricordava perfettamente quella paura, quel dolore, quell’angoscia.

Li ricordava perfettamente nonostante fossero passati ventitré anni; sotto quelle stelle, ricordava nitidamente quei maledetti giorni in cui lei morì e lui perse tutto: l’infanzia, l’adolescenza, il suo candore, il suo mondo, le coccole, le sue certezze e… anche la verginità.

 

Lei era rimasta a letto malata per una settimana.

Lui aveva quattordici anni e pensava fosse solo un po’ di febbre: chiamò il dottore che non lo fece entrare nella stanza mentre la visitava.

Shanks ricordava ancora i minuti passati in soggiorno a fare su e giù aspettando che il dottore uscisse da lì e quando vide l’espressione del medico, il suo cuore andò in mille pezzi.

Quel buon vecchio non aveva figli e lo conosceva da quando era arrivato: voleva un gran bene a quella peste dai capelli rossi che faceva le scorribande nel suo giardino per rubargli la frutta e che aveva guarito dagli orecchioni e dal morbillo.

Avrebbe voluto trovare le parole per dirglielo, ma il suo povero, vecchio cuore non resse al dolore e cominciò a piangere davanti a quel moccioso rosso che lo guardava con il vuoto negli occhi e senza l’ombra di una lacrima.

“Che cos’ha?” – gli chiese con l’immenso coraggio che aveva sempre avuto e che si sarebbe portato fino alla fine dei suoi giorni.

“Shanks… mi dispiace – farfugliò fra le lacrime e la dentiera il buon vecchio – ma tua madre… ha la sifilide…” – aggiunse, singhiozzando.

“E che è?” 

“E’ una malattia, una brutta malattia… - spiegò quello fra le lacrime che non riusciva a trattenere – non posso fare niente, sta morendo…” – disse il dottore, cascando su una sedia per il dolore; un mese più tardi sarebbe morto di crepacuore: non riuscì più a riprendersi dalla morte di quella donna straordinaria e dagli avvenimenti che seguirono.

“Come si prende?” – continuò testardo lui.

“E’ una malattia frequente tra le donne che fanno il suo mestiere… - spiegò l’altro ai limiti dell’infarto.

Shanks sapeva da quando aveva otto anni sua madre faceva la spogliarellista e anche la prostituta ed era orgoglioso della sua tostissima mamma: sapeva anche che era un mestiere pericoloso, ma ignorava l’esistenza delle malattie a trasmissione sessuale.

Poi un fulmine… 

Ora ricordava che lei aveva avuto una discussione con un pirata: lui era andato a trovarla al bordello diverso tempo prima e gli avevano detto che era impegnata. Sentì rompere un vaso o qualcosa di vetro e la voce di sua madre che prese a male parole un ceffo che uscì ridacchiando, sbronzo e stronzo dalla stanza: Shanks lo guardò malissimo, ma evitò di perdere la calma.

Quando rivide sua madre, la trovò sconvolta che piangeva sul letto: da allora non era più stata bene.

“E’ stato lui…” – sibilò e uscì sfondando la porta mentre il dottore si sentiva male.

Ricordava ancora il suo cuore in tumulto, la corsa verso la casa di Lucky e i due violenti calci con cui sfondò la saracinesca della bottega del padre del suo amico che stava finendo un lavoro: faceva l’armaiolo, creava pistole e spade.

Ricordava di aver mandato in frantumi con un pugno la piccola bacheca che conteneva il suo miglior lavoro, la spada che ancora adesso portava alla cintura; ricordava di aver travolto prima Lucky che si era svegliato per il fracasso della saracinesca e poi suo padre che cercò di fermarlo.

Ricordava di aver preso due pugnali e una pistola trovati lì e ricordava anche gli sguardi terrorizzati di Lucky e della sua famiglia che non osarono più avvicinarsi: doveva avere l’espressione di un terrorista.

Ricordava la corsa verso il porto e quella nave orribile ancora ormeggiata; ricordava quegli idioti che stavano ridendo e bevendo sulla nave e i loro bagordi; ricordava le loro espressioni stordite quando lo videro saltare sul ponte e le grida della gente del suo quartiere, avvertita dalla famiglia di Lucky, che voleva salvare quel moccioso suicida da quei barbari.

Poi buio. 

La sua mente ritornò quando sentì le urla terrorizzate della gente che affollava la banchina e che lo guardava sgomenta mentre con una mano teneva la spada lorda di sangue e budella e con l’altra reggeva, per i capelli, la testa gocciolante di quel pirata di Neanderthal morto con il terrore dipinto sul volto: davanti a lui quella nave schifosa bruciava con fiammate altissime e puzzolenti.

Sgomentando i presenti, Shanks lanciò la testa di quell’essere tra le fiamme con noncuranza e tornò a casa lentamente.

Ancora adesso, sotto stelle simili a quelle della notte più brutta della sua vita, ricordava il volto scavato e sofferente dell’amore suo che morì senza riuscire a parlargli, a dirgli addio, a guardarlo per l’ultima volta.

Ancora adesso, sotto quelle stelle riviveva tutto il dolore di aver perso il suo amore, il suo cuore, le sue certezze e ricordava tutte le lacrime che versò, seduto sugli scalini della porta di casa, immobile per sette giorni e sette notti, con la testa fra le gambe, ignorando tutti quelli che si avvicinavano per aiutarlo a superare quel momento orribile.

“Vattene Lucky…” – disse al suo amico senza alzare la testa quando questi cercò di farlo reagire. 

Fu l’unica cosa che riuscì a dire in sette giorni.  

 

Poi, per la stanchezza e l’angoscia, cadde steso sul selciato di fronte casa sua a fissare le stelle della settima notte senza il suo amore con il vuoto cosmico nel cuore che non gli batteva neanche più.

Ricordava un profumo pesante ed un volto di ragazza comparsi all’improvviso, una collega di sua madre che gli si avvicinò, gli sorrise e lo sollevò di peso, mettendolo in piedi dopo una settimana di immobilità assoluta.

Ricordava che lo prese per mano, lo condusse a casa sua, lo portò nel suo bagno e lo spogliò completamente mentre lui non riusciva neanche a domandarsi che intenzioni avesse.

Ricordava l’acqua profumata della tinozza, il corpo caldo e morbido di lei, il suo profumo, le sue mani che percorsero ogni tratto di lui, la sua bocca che non lo risparmiò e, infine, il ritmo dell’accoppiamento che gli mise nelle ossa e gli restituì i battiti del cuore.

Ricordava come si sentì diverso, perduto e nuovo, ma non più solo; sentì la vita tornargli nelle vene.

Quando venne, sentì di aver perso quel legame speciale con sua madre, una parte di se che non avrebbe mai più riavuto, la sua infanzia, i giochi e le coccole; nell’istante immediatamente successivo riebbe il controllo di tutto il suo corpo, della sua mente e del suo cuore, si sentì vivo e straordinariamente lucido, assaltato da quel tripudio di sensi che lo strattonò al presente, rendendo nitidi i contorni delle cose e delle persone.

Ricordava che passò ore ed ore a far l’amore con questa ragazza più grande di lui… lei gli insegnò a muoversi, a baciare, a toccare le donne per trattarle bene; gli insegnò ad amare e a coccolare quegli esseri delicati dentro e fuori che avrebbe rispettato per sempre.

 

E ricordava come, dopo quegli avvenimenti, nessuno osò più avvicinarsi, come tutti avessero paura di lui… tutti tranne Lucky.

“Ciao, Shanks!” – gli disse Lucky mogio mogio raggiungendolo in spiaggia al tramonto qualche settimana dopo quei fattacci; la spiaggia era la sua nuova casa, oramai viveva lì.

Ricordava il volto addolorato, segnato da lacrime e notti insonni del suo amico che credeva di averlo perso per sempre.

“Ti prego, dimmi qualcosa…” - lo implorò Lucky con la voce rotta.

“Parto. – gli rispose lui senza smettere di guardare il mare – Vado a fare l’apprendista pirata, ho trovato già la nave su cui imbarcarmi…”

“Non finisci la scuola?” – gli chiese l’altro terrorizzato dall’idea di non rivederlo più.

“No… Mi metterò a studiare da solo… E comunque non potrei continuare: sono ricercato oramai… - scosse la testa, pensando che non ancora diventava pirata e già era ricercato dalle autorità… - e poi… hanno tutti paura di me… - fece triste – li vedo sai? Li vedo i loro occhi terrorizzati, pensano che sia pazzo… e forse hanno ragione! – poi aggiunse – ho sempre voluto fare il pirata e non posso restare ancora qui, ogni cosa mi ricorda lei…” – disse, stringendo le labbra e forzandosi a non piangere.

 “Non te ne andare… - lo pregò l’altro – tu sei il mio migliore amico: se te ne vai, che farò? – gli chiese, piangendo – E poi mi avevi detto che mi avresti portato con te a fare il pirata, me l’avevi promesso…”

“E dammi il tempo! – esclamò lui, guardandolo e sorridendo per la prima volta da quando non aveva più sua madre – Tu finisci la scuola – gli disse, alzandosi e andando verso di lui – io divento pirata, trovo una bella nave e torno a prenderti!” – gli promise.

“Ok, capo! – fece Lucky tutto contento, abbracciandolo – Torna presto.”

E se ne andò, camminando piano sul bagnasciuga. Fischiettava.

 

Adesso, sotto quelle stelle luminose, ricordava che mentre si allontanava dopo aver salutato Lucky, aveva giurato a se stesso che mai più si sarebbe legato di nuovo a qualcuno…

Mai più avrebbe amato così incondizionatamente e profondamente, mai più avrebbe riposto le sue certezze in qualcun altro, mai più sarebbe appartenuto a qualcuno.

“Le persone muoiono… – pensava mentre si apprestava a realizzare il sogno della sua vita – ma il dolore resta. Non devo più affezionarmi a nessuno così se muore, non soffro…”

Ma non ci era mai riuscito. 

Adesso, mentre le stelle luccicavano nel cielo e nel mare, si rendeva conto che non era mai riuscito a non affezionarsi: voleva bene ai suoi uomini, a Rufy, a tutti gli amici che aveva incontrato navigando per mezzo mondo e a tutte le donne con cui era stato…

Ma nessuna di loro, mai, gli aveva estorto un “Buonanotte amore mio”, vero e intenso come quelli che diceva alla sua mamma quando lo metteva a letto e come quello che aveva detto a Nami: nonostante molte donne l’avessero amato, non era mai più riuscito a dirlo, a chiamare una donna “amore mio”.

Non si era mai sentito così coinvolto, così preso e ubriaco di una donna come con Nami, non si era mai sentito così sicuro e a posto con il mondo come quando era insieme a lei che quella sera gli aveva detto chiaramente che l’amava, rendendolo il pirata più felice dei sette mari.

E adesso, la brutta avventura di Little Wind gli aveva sbattuto la verità in faccia: l’amava così tanto che era diventata parte della sua vita… 

Ora come allora, se l’avesse persa, avrebbe di nuovo provato quel dolore infinito che si portava ancora dentro, la sensazione netta di aver perso parte di se stesso, il vuoto, la solitudine.

E si spaventava pensando che gli era bastata poco più di una decina di giorni per perdere la testa per lei, per farla entrare nella sua vita e sentiva un grosso fremito di rabbia nel constatare che una ragazzina di diciotto anni l’aveva reso di nuovo vulnerabile, di nuovo bambino solo pestandogli il piede.

Aveva scelto la via del pirata, l’aveva strutturata a modo suo: i suoi uomini erano i suoi amici e lui li adorava, ma erano in grado di difendersi e sapeva che mai e poi mai li avrebbe persi.

Ma l’amore, adesso lo sapeva, era una cosa completamente diversa, un sentimento viscerale che gli toglieva il fiato: Nami stava diventando sempre più parte di lui e anche quando ce l’aveva davanti agli occhi ne sentiva la mancanza… non riusciva a respirare senza lei, non riusciva a ragionare.

Adesso realizzava che non poteva farne più a meno.

Finanche il giorno prima, mentre stavano abbracciati ed erano così stretti da sembrare una cosa sola, lui ne aveva sentito la mancanza e più le stava attaccato più gli diventava indispensabile: la visione di lei moribonda su quello stesso letto lo aveva rigettato nel panico e nella disperazione che credeva sepolti da parecchio tempo e per sempre.

“Le ragazze non sono gli unici esseri delicati…” – sospirò triste, perdendosi nel mare scintillante di un’ennesima e splendida notte estiva della sua vita di pirata.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** 038.La promessa ***


38 – La promessa

 

Il silenzio dopo il racconto era interrotto solo da Nami che piangeva disperata per l’infanzia del suo Rosso molto simile alla sua…

“Chissà quanto è stato male…” – e singhiozzava.

“Ascolta… - le disse Lucky – a parte il fatto che non devi mai dirgli che te l’ho raccontato sennò mi ammazza, cerca di capirlo: ha dovuto urlare per sfogarsi. Se non l’avesse fatto, sarebbe morto perché non ha avuto nemmeno l’occasione di combattere e pestare quegli idioti e scaricare l’adrenalina… In ogni caso dovresti averlo capito che per lui noi siamo tutto e la nave è la sua casa. Nessuno del gruppo è mai morto o ha lasciato la pirateria perché siamo uniti, siamo una cosa sola e lui lavora ogni giorno della sua vita perché continui ad essere così…”

E riprese:

“Adesso che sei dei nostri è così anche con te: tra l’altro tu sei la navigatrice di Rufy e lui lo adora… in questi dieci anni non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a lui e a quanto lo faceva ridere… - e rise – quel moccioso ci ha fatto sbellicare dalle risate per tutti i mesi che siamo stati in quel villaggio! Non ci decidevamo a partire… e poi... lì… – fece una pausa - ci ha lasciato il cappello e il braccio…”

“Come il braccio?”

“Non lo sai?”

“No…”

“Mi stupisce che Rufy non alte l’abbia detto… - e le raccontò visto che lei moriva dalla curiosità - un giorno, al villaggio, un gruppo di banditi ci ruppe le palle e il loro capo spaccò, senza motivo, una bottiglia di sakè in testa a Shanks davanti a Rufy; lui non reagì per non ribaltare il locale di Makino… Rufy si arrabbiò e, in quell’occasione, mangiò il frutto di Gom Gom…”

“Ah… ecco…” – lei cominciava a capirci qualcosa, finalmente.

“Qualche giorno dopo, mentre noi eravamo in giro, Rufy aggredì  i masnadieri, ma ebbe la peggio e dovemmo intervenire. Il masnadiero scappò in mare, portandoselo via come ostaggio e lo gettò in acqua, ma non era più in grado di nuotare e un grosso mostro marino, dopo aver ingurgitato il masnadiero, pensava di prendere il dessert con Rufy: Shanks arrivò nuotando come un disperato e lo salvò giusto in tempo, ma il mostro prese l’ammazzacaffè con il suo braccio sinistro… - e concluse – Erano già molto legati, ma da quel giorno divennero inseparabili fino alla nostra partenza; Rufy voleva fare il pirata e venire con noi, ma Shanks non gli diede il permesso… era troppo piccolo e sarebbe stato solamente di intralcio: così gli consegnò il cappello, facendogli promettere di diventare un grande pirata… da allora tra loro c’è un grosso legame invisibile.”

Lei restava muta e pensava a tantissime cose.

“Ora… tu fai parte della ciurma di Rufy e per lui averti a bordo è un onore, anche se spesso si comporta da idiota e ti sfotte… non devi arrabbiarti se tenta di proteggerti, né devi sentirti una cosa… protegge anche noi che siamo pure più vecchi di lui! E’ il suo modo di fare e noi lo seguiamo perché siamo d’accordo con lui, ci piace e ci diverte. Lui protegge noi e noi proteggiamo lui: come una famiglia dove tutti sono importanti e indispensabili… adesso lo sei anche tu!”

“E allora perché gli pesa così tanto che l’abbia protetto io?”

“Perché è orgoglioso, no?”

“Come ti senti?” - fece una voce alla porta.

“Ciao Ben… ciao a tutti…”

L’intero equipaggio del Vento dell’Est era compresso nella stanza di ospedale sotto gli occhi attoniti del personale in corsia: avevano raggiunto Lucky e la navigatrice così tanto cara a Shanks, tutti preoccupati di sapere come stava.

“Tutto bene?” – Yassop si preoccupava manco fosse sua figlia: l’idea che fosse un’amica di Usoop gli aveva dato carta bianca a proteggerla e farle da papà ad interim

“Sì sto bene…” – diceva mentre, senza esitazione, Lucas le apriva la casacca dell’ospedale sulla schiena per guardare la ferita.

“Ehi – gli sussurrò Rosetta nell’orecchio – se ti vede il capo, ti impicca per le palle all’albero maestro: non la prende benissimo se sa che spogli la sua ragazza!”

“Ma zitto… devo vedere se sanguina… - e si rivolse a Nami – non fare movimenti bruschi e non ti agitare… aspetta che sia ben rimarginata per immergerti nell’acqua e, per un po’, non stenderti a pancia all’aria, ma solo all’ingiù: io parlo con i medici e prendo tutto il materiale necessario per curarti in nave… ah! Parlo anche con Eddie… devi mangiare cose sostanziose: hai perso troppo sangue…”

“D’accordo!”

“Ci hai fatto preoccupare…” – sfumacchiò Ben ancora nervoso per le urla che aveva sentito e per la brutta avventura che aveva alterato il solido equilibrio dell’umore di Shanks; nessuno aveva avuto il coraggio di far notare a quei due metri di pirata che in ospedale non si poteva fumare…

“Mi dispiace… Non volevo creare tanti fastidi… - ma pensava a lui e a quanto le mancava la sua bella faccia sorridente – sono contenta che siate passati a trovarmi…”

“Scherzi, vero? – fece Duca – l’unica cosa che ci scoccia è che non abbiamo potuto portare sakè o birra qui dentro… comunque stasera faremo baldoria all’osteria e una bella festa perché stai bene…”

“Mi sa che la dovremo fare senza Shanks…” – aggiunse lei distrutta per averlo ferito e fatto arrabbiare.

“Forse… - sbuffò Ben – magari questa sera non ci sarà… meno male!”

“Sì – si unì Yassop – meno male che lo hai fatto incazzare: almeno stasera non berrà… e che palle! Si beve sempre tutto lui come una spugna con la scusa di assaggiare il propellente per vedere se è buono e beve come un battaglione di soldati… Non ci lascia niente!” 

Rimasero in silenzio per un po’ e all’improvviso Eddie urlò:

“Un applauso per Nami e il suo coraggio!” – e tutti a battere le mani con sincronia una sola volta, un unico colpo secco.

“Questo è il famoso applauso del Vento dell’Est che ti ringrazia – disse Lucky – di avergli salvato la vita… anche se è idiota e beve più di tutti, non ne possiamo proprio fare a meno!”

“Senti…”

In quell’istante entrò una graziosa infermiera che ammutolì tutti mentre Lucky rimase incantato dall’enorme bistecca al sangue che portò per Nami.

“Signorina… il dottore dice che la deve mangiare tutta… e solo lei!”- e fulminò le stelline negli occhi del grassone.

“Va bene…” – Nami aveva una fame da lupi.

L’infermiera uscì e Lucky fissò perso quella meraviglia.

“Mi stavi dicendo qualcosa…” – gli ricordò Nami, attaccando la carne sotto lo sguardo invidioso di lui.

“Ah… sì! - e guardava tutto preso dal bisteccone, ma si riprese – senti… quando hai finito quella piacevole missione ed esci di qui, vai da lui. – e la vide rattristarsi – Non ti preoccupare… gli sarà passata e non strillerà più. – si alzò perché gli era venuta una fame indegna e non l’avevano fatto entrare in ospedale con il suo cosciotto… - Vai da lui e lavoratelo… quello è un moccioso cresciuto troppo in fretta e, ogni tanto, ha bisogno, come tutti del resto, di essere coccolato: sii dolce con lui che ne ha passate tante e vedrai che ti chiederà scusa… sicuramente si sta torturando l’anima per aver alzato la voce con te, ma perde le staffe solo quando ha davvero paura! – la informò – tu oggi gli sei quasi morta addosso e lo choc è stato per tutti molto forte…” – e pensò - “figurati per lui che non vive più senza te!” 

“Buon appetito… adesso io vado a spolpare una decina di cosciotti… ci vediamo stasera!” – e se ne uscì incalzato da una certa fame seguito dagli altri.

“Grazie ragazzi.”

 

L’avevano dimessa da circa mezz’ora e non riusciva a decidersi se andare o no in spiaggia.

Si sentivano i bagordi della ciurma nell’osteria sulla via principale e lei, piano piano aveva raggiunto la spiaggia: guardava da lontano, ma non vedeva granché e non sapeva che fare.

“E se è ancora arrabbiato? E se non mi vuole più vedere? - si chiedeva disperata ripensando alla frase con cui se n’era andato – magari vado da lui e mi caccia…” 

Si fece forza e si avviò molto lentamente, scendendo sulla spiaggia larga e lunga di quella città: la sabbia era fresca e in cielo c’era uno splendido e nitido spicchio di luna, di quelli che, se guardati bene, sembrano avere davvero un naso come quello che dipingono i bambini…

Si sentiva debole, ma quella bistecca era stata provvidenziale: era riuscita a tirarla su anche dopo quell’incontro di fuoco con lui che quando lui aveva iniziato ad urlare, aveva mutato il suo bellissimo volto in una maschera di dolore, paura e rabbia; si era spaventata davvero ed era convinta che non l’avrebbe più rivisto sorridere…

Quel meraviglioso pomeriggio di coccole che lui le aveva concesso, solo perché ubriaco e per prenderla per in giro, le sembrava lontano anni luce ed era solo il giorno precedente. 

Guardò la luna:

“E pensare che a quest’ora, ieri, eravamo abbracciati… - sospirò distrutta – e adesso non so nemmeno se mi vorrà rivedere…”

Alzò la testa e vide una sagoma in piedi, alcuni metri avanti a lei che teneva i piedi in ammollo fino al ginocchio e guardava il mare.

Guardò le spalle, la statura, il mantello, i suoi inconfondibili capelli e lo riconobbe. Si sentì tremare le ossa… non sapeva che fare…

Cominciò ad avvicinarsi piano con il cuore a mille e titubante con il terrore di sentire la sua voce all’improvviso e nel silenzio interrotto solo dalle onde che la mandava via e le diceva che non voleva più vederla…

Entrò in acqua cercando di fare il minor rumore possibile e gli arrivò dietro la schiena…

Rimasero a lungo in silenzio, consapevoli ognuno della presenza dell’altro, intenti nel cercare le parole migliori (o quelle più giuste) per dire ciò che sentivano.

“E’ pericoloso… - iniziò lui con la voce non proprio ferma, senza girarsi – è pericoloso avvicinarsi alle spalle di un pirata in maniera furtiva… siamo sempre armati…”

“Lo so che come essere furtivo ho ancora molto da imparare… - sospirò lei con il cuore gonfio – te ne accorgi sempre…”

“Però… - deglutì lui per assicurarsi una voce decente - però sei perfetta come guardia del corpo… - e, sempre senza voltarsi, rise, sciogliendo il gelo nel cuore di lei – grazie… per avermi salvato la vita.”

E lei gli si avvicinò e lo abbracciò stretto da dietro, immergendo il viso nella sua schiena larga e calda, tenendolo per la vita; mentre lei si disperava per tutte le cose perfide che gli aveva detto, lui la sentiva tirare su col naso dietro la sua schiena e cercava di trattenersi dal frignare anche lui per la gioia di risentire il suo corpo caldo e morbido attaccato a se, finalmente e di nuovo vivo.

“Mi dispiace… - mormorò con la voce rotta – mi dispiace… non volevo dirti quelle cose…” – e si alzò in punta di piedi per immergere il viso nei suoi capelli rossi e morbidi, aspirandone il profumo, distrutta dal ricordo di lui che urlava. 

“Shanks… - e piangeva - …perdonami…”

“E per cosa? – chinò la testa all’indietro per avvicinarla a quella di lei, perdendosi nella sua dolcissima morsa – ti devo perdonare per avermi salvato la vita?”

“…Perdonami… non le penso davvero quelle cose… hai ragione… sto sulla tua nave e faccio quello che dici tu… - e strofinava la testa contro la sua schiena, contro la sua nuca e nei suoi capelli – ma… non ti arrabbiare più con me…”

Lui si distaccò un po’ e si girò verso di lei:

“Se scopro che ti sei pulita il naso con i miei capelli, altro che arrabbiarmi… ti ammazzo!” – e scoppiarono a ridere mentre lui le asciugava le lacrime. Riprese:

“E’ incredibile… - rise, accarezzandole con le dita la guancia bagnata – mi salvi la vita rischiando la tua, finisci in ospedale, subisci una mezza trasfusione, ti strillo addosso come un invasato, ti dico delle cose tremende e tu mi chiedi scusa?” – e resisteva all’impulso di abbracciarla sia per non cedere alla passione che sarebbe tornata padrona sia per non riaprirle la ferita sulla schiena.

Restarono un po’ in silenzio a guardarsi: avevano una cosa da chiarire e non riuscivano a dirsela. Poi lui si decise e parlò con la voce bassa:

“Non pensavo davvero… - non trovava le parole giuste – non volevo dire che… - e sospirò, incapace di articolare un pensiero che non fosse “ti amo” – …non è vero che non volevo conoscerti… - si accorse che detto così era piuttosto banale – è stato uno sfogo – annaspava – io…”

E lei lo salvò:

“Lo so. - gli prese la mano e la tenne a lungo sulla guancia, strofinandosela contro e baciandola mentre le lacrime di rimorso non smettevano di uscire – anche io non volevo... ero arrabbiata, scusami…”

Shanks la guardava: vederla piangere gli spaccava il cuore, ogni lacrima di lei gli toglieva un anno di vita… ed era sempre lui a farla piangere.

“Adesso smettila! – non ce la faceva più - Stiamo bene tutt’e due, no? Sei una pirata! Noi pirati non piangiamo… mai – e riprese emozionato – Sono io che ti devo chiedere scusa per le stupidaggini che ho detto: mi sono spaventato a morte… non voglio che qualcuno mi privi del piacere di sfotterti quando ne ho voglia…”

“Idiota…” – rise lei tra le lacrime, tenendo la mano di lui sulla guancia.

“Comunque ho fatto male a spaventarmi… dovevo immaginarlo che con tutto quel grasso non ti saresti fatta niente! La lama t’ha solo graffiato la schiena…”

E lei gli morse la mano.

“Ma non è colpa mia! – rideva lui, cercando di riprendersela e sottrarla alle fauci della sua adorata mocciosa – Che c’entro io se nemmeno i coltelli da macellaio riescono a superare quell’enorme strato di grasso che ti avvolge?”

Ma lei stringeva più forte.

“Ahia… E lasciami la mano! Peccato che pesi come una chiatta da fiume sennò ti potevo portare sulle spalle e stare sempre tranquillo… – ma lei mordeva – sei anche a prova di proiettile? Aaah! Mi fai male! Dì un po’: resisti anche alle spade? No perché così magari… - e rideva mentre lei mordeva sempre più, ma senza infierire – posso sfidare Occhi di Falco e stare tranquillo… sai che colpo! Ad ogni suo fendente mi giro di schiena e tu pari tutto… Divento famosissimo per essere sopravvissuto alla Spada Nera!” – ridevano tutt’e due, innamorati pazzi e felicissimi di stare di nuovo insieme.  

Dopo un po’ lei gli lasciò la mano e lo guardò seriamente:

“Io… volevo avvisarti… - e tirò su con il naso – avevo visto con la coda dell’occhio del movimento dietro ad una casa e… non so perché ho pensato che volessero ucciderti… mi sono avvicinata per dirtelo, ma poi ho sentito un fortissimo colpo dietro la schiena che mi ha stordita…”

“Lascia stare… non mi devi spiegare niente…” – l’interruppe lui che voleva dimenticare al più presto quella brutta avventura.

“No ascolta… – ansimava ed era molto stanca, ma quella cosa doveva proprio dirgliela – io non sapevo se sarebbe stata una coltellata o un colpo di pistola… né sapevo se sarebbe successo subito. Volevo solo avvisarti e non era nelle mie intenzioni parare il colpo: non ci ho pensato. – e sospirò – Ma se potessi tornare indietro, lo rifarei – gli fece tremare le ossa – una, cento e mille volte… non ho avuto paura e non ne ho adesso… Se dovesse succedere di nuovo, io lo rifarò e tu non potrai impedirmelo… - e gli accarezzò la guancia con quelle tre cicatrici che le piacevano da morire – perché non voglio perderti né rischiare di perderti…”

Lui la guardava triste e innamorato: capiva perfettamente quello che voleva dire.

“Tu proteggi me e io proteggo te, questo è il patto. Non voglio… - e due nuove lacrime scesero giù silenziose, riuscendo a comprendere perfettamente il dolore che Roxanne aveva provato – non voglio vederti morire…” – e lui tremò.

“Promettiamo di guardarci le spalle a vicenda…” – e gli porse il mignolo per la promessa.

“D’accordo… – mormorò Shanks pazzo di lei, porgendole il mignolo – ma cerchiamo di non fare gli eroi a tutti i costi… - si morse un labbro – perché neanche io non voglio perderti né rischiare di perderti...” – e stavolta tremò lei. 

Seguì un silenzio infame.

“…E comunque io… - disse lei avviandosi lentamente verso l’osteria, tenendolo per il mignolo – per cinquecento milioni di berry ci avrei sprecato anche qualche colpo di cannone…”

“Io non ci avrei proprio provato… - replicò lui, seguendola contento – perché se un pirata vale cinquecento milioni di berry, ci sarà pure un motivo, no?”

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** 039.I segni della passione ***


39 – I segni della passione

 

“Che cesso!” – pensò non appena si vide riflessa nello specchietto mezzo scheggiato che quei pirati usavano per radersi. Sul Vento dell’Est gli specchi erano latitanti.

Subito dopo la partenza, all’alba, si era rintanata in cabina e aveva dormito in una sola tirata fino alle cinque del pomeriggio: non s’era mai sentita così stanca, spossata.

E anche dopo aver aperto gli occhi, era rimasta a languire nel letto incapace di muovere anche un solo muscolo: i dottori e anche Lucas l’avevano avvertita che si sarebbe sentita uno straccio nei giorni a venire, ma… non credeva che si sarebbe sentita così straccio!!

Distrutta.

Era riuscita a mettersi in piedi solo intorno alle sette e, subito, Lucas l’aveva costretta ad una visita di controllo.

“La ferita va molto bene… - aveva commentato compiaciuto il medico di bordo mentre lei ci aveva messo mezz’ora a rivestirsi con l’affanno come fosse la cosa più faticosa del mondo – ma non ti stancare… una coltellata nella schiena non è una puntura di zanzara! Adesso vai a mangiare che Eddie è già pronto!”

Lei aveva ripreso a trascinarsi a fatica quando un pensiero l’aveva folgorata.

“Lucas hai uno specchio?”

“Mh?”

Si sentiva troppo debilitata e temeva che il suo aspetto non fosse da meno: doveva assolutamente accertarsi delle sue condizioni estetiche prima di rivedere il suo tesoro.

E quando ebbe tra le mani quella lamina d’argento tutta rovinata e scheggiata per poco non svenne: aveva le occhiaie che sembravano fondi di bottiglia, la pelle tutta a pieghe per le lunghe ore di sonno, gli occhi rossi e gonfi, il naso rosso, i capelli arruffati e spettinati, le labbra viola e il volto bianchissimo, quasi anemico…

Notando la sua espressione disperata, Lucas intervenne:

“E’ normale… - cercò di rincuorarla a modo suo – hai perso molto sangue… stavi per morire! E’ come se avessi avuto una forte anemia… ma già domani andrà molto meglio!”

E lei bisbigliando perché faticava anche a parlare:

“…Va bene… ma come me lo spieghi questo?” – fece accennando ad un diffuso rossore e qualche foruncolo sulle guance, sul mento e… una sorta di herpes sul labbro inferiore. 

“Non lo so…- Lucas fece spallucce – qualcosa ti ha irritato… magari le lenzuola dell’ospedale erano ruvide… ti sei strusciata contro qualcosa di ruvido…” – concluse distratto il buon medico, dandole le spalle per pulire gli attrezzi del mestiere senza vedere che la povera Nami aveva recuperato tutto il suo colorito e stava per svenire di nuovo.

In meno di un secondo si era ricordata che non erano state certo le lenzuola dell’ospedale a combinarle quel guaio!

Il “ruvido” contro cui si era strusciata fino a farsi male, in quel momento, stava da qualche parte sulla nave…

Si guardava nello specchio e arrossiva sempre più: ogni ferita, ogni brufolo testimoniava un bacio, un morso, i primi contatti con la sua barba che l’aveva pizzicata e a cui, dopo pochissimo, si era abituata… Era stata lei a premere le labbra su di lui, a ferirsi con il suo mento barbuto, a strofinarsi contro di lui fino a sanguinare.

Adorava la barba di Shanks.

Ed ora era invasa dallo sfogo della sua pelle irritata, testimone, pulsante e doloroso, del primo pomeriggio di passione della sua vita.

“Mettici questo… - le si avvicinò Lucas che parve non notare l’imbarazzo di lei e il suo strano colorito – così almeno non ti pizzica.”

“Grazie.” – e scappò a mangiare.

 

Dopo un’ora era di nuovo nella sua cabina.

Non sapeva se sentirsi triste o felice per aver evitato Shanks: se l’avesse vista in quelle condizioni, l’avrebbe sfottuta a morte; anche se era un normale sfogo, quell’escrescenza sulle labbra sembrava un vero herpes, si sentiva il volto gonfio e deforme, uno schifo. 

Però una giornata senza vederlo era una giornata inutile.

Sospirando andò verso il letto per tirare fuori carta e penna e fare un altro ritratto del suo bellissimo Rosso quando sentì dei rumori provenire dal bagno e rimase in ascolto con il fiato sospeso perché aveva riconosciuto i passi di lui.

Con il cuore in gola, si avvicinò alla porta socchiusa e sbirciò all’interno tremando all’idea che la scoprisse a spiare e che la vedesse in quelle condizioni, ma non riuscì a farne a meno. 

Si appostò dietro la porta con il cuore impazzito e la tremarella nelle ginocchia per la voglia e la paura di vederlo nudo, spiava con l’occhio che si stava deformando per adattarsi alla fessura, ma l’unica cosa che vedeva era uno stupido oblò!

Ma dopo un po’, ad un’occhiata più attenta, lo stupido oblò rivelò tutta la sua utilità.

Fuori era buio e la stanza illuminata sicché Nami cominciò a mettere a fuoco la restante parte del bagno che si rifletteva nel vetro.

All’improvviso vide qualcosa muoversi e riconobbe subito un fortunatissimo asciugamani di lino legato alla vita del suo amore, unico indumento di uno splendido pirata nudo e tutto bagnato: la povera Nami stava già venendo perché l’oblò era all’altezza giusta e rimandava l’immagine del sedere rotondo di lui, delle sue gambe slanciate, della sua schiena muscolosa e… dei suoi perfidi addominali.

“ODDIO… Quanto è bello!” – si morse un labbro per non gridarlo mentre si godeva il suo amore che si asciugava con calma facendola venire ad ogni passata e canticchiava di tanto in tanto.

Non si poteva guardare l’effetto della stoffa che si poggiava sul sedere di lui: sottile com’era, esaltava ogni piega, ogni movimento e minacciava di cadere da un momento all’altro lasciandolo come l’aveva fatto la mamma perché se l’era avvitato talmente a vita bassa da sembrare uno spogliarellista pronto per uno spettacolo…

“Uno spogliarellista… - pensò Nami con gli estrogeni che vagavano liberi nel suo corpo – come sua madre… è figlio d’arte… solo per me…” – non ragionava più… 

Poi, all’improvviso, lui sparì dall’oblò risvegliandola e le sfuggì una piccola imprecazione che le fece gelare il sangue, temendo di essere scoperta: rimase in ascolto del suo cuore impazzito e dei rumori nella stanza, ma tornò a respirare quando lo vide ricomparire nell’oblò.

Era di profilo si riusciva a vedere il tatuaggio che le aveva mostrato quella sera: adesso, con la luce, poté ammirarne le fattezze, ma non si poté concentrare più di tanto dalla sua prospettiva partecipava alla sagra del pacco e non capiva più niente.

“AAAhhh… – fu l’unico monosillabo che sospirò a lungo nel mangiare con lo sguardo quel rigonfiamento fra le lunghe gambe di lui che tracciava una certa ombra e sottolineava la sua presenza con vigore - …scopami, ti prego…” – mormorò scivolando silenziosamente a terra, piegandosi sulle ginocchia inservibili e abbandonando la testa all’indietro, fiaccata dai languori.

Poi tornò a guardare e rimase senza fiato quando lui si voltò verso il vetro e fece per sciogliersi l'asciugamano dalla vita: lei rimase immobile e gelata senza riuscire a smettere di guardare.

“Fallo… fallo… spogliati, dannazione…” – imprecava dentro di se perché lui era rimasto con la mano poggiata sull’allacciatura del pezzo di lino; non poteva sapere che il suo Rosso stava cercando distrattamente i vestiti puliti e infatti quando li vide, mormorò ad alta voce, ghiacciandola:

“Ah! Eccoli!” 

Li raggiunse, sparendo dall’oblò e deludendola a morte.

Aspettò ancora un po’ che comparisse di nuovo nel vetro e trasalì quando lo vide, vestito purtroppo, affacciarsi all’oblò: scrutava il mare con fare pensieroso mentre lei lo mangiava con gli occhi perché, anche vestito, era stupendo.

Shanks aveva finito di lavarsi e quindi lei decise di allontanarsi dalla porta visto che stava per uscire e fece un po’ di rumore per farsi sentire; infatti lui comparve subito sulla soglia del bagno.

Con il cuore in festa, non riuscì a non sorriderle.

“Buonasera… ti sei alzata finalmente - e richiuse la porta del bagno dietro di se – fai parte del popolo della notte…”

Ma lei si affaccendava in qualcosa alla scrivania e gli dava le spalle.

“Sono molto stanca… - disse emozionata senza voltarsi – e del resto i dottori me l’avevano detto che avrei dormito tanto…”

Lui ci restò un po’ male nel vedere che lei non si voltava, ma continuava ad armeggiare intorno alla scrivania, ignorandolo.

“Eddie ti aspettava per la cena… hai mangiato?” – s’informò, avvicinandosi a lei.

“…Sì… – era sempre più nervosa: tra poco Shanks l’avrebbe vista… - Oddio… che faccio?” – era disperata. Lui si avvicinava inesorabile…

Appena le fu vicino, lei soffiò nella lampada e spense la luce.

“Mah… - lui ci rimase sconcertato – che diavolo fai? – e scoppiò a ridere – non è che spegnendo la luce pensi che ti salterò addosso? Sei cessa comunque, anche al buio!” – ma lei si era dileguata e diretta verso il bagno.

“Ecco… se c’è una cosa che mi fa eccitare è il nascondino…” – pensò lui. Nami si era mossa nel modo più furtivo e silenzioso che conoscesse: era convinta di essere riuscita a disorientarlo e sperava di infilarsi nel bagno di soppiatto. Aveva appena afferrato la maniglia quando si sentì schiacciare di faccia contro la porta dal corpo caldo, profumato e muscoloso di lui che la spingeva e strusciava spudoratamente da dietro e le sussurrò sul collo e fra i capelli con la voce roca:

“Tana per te. Ti ho trovata… - sospirò profondamente - hai voglia di giocare stasera?” – era già eccitatissimo e, nell’oblio dell’eccitazione, aveva completamente dimenticato i suoi buoni propositi che gli tornarono in mente di colpo come una frustata.

“Mhmmm…” – sospirò la povera Nami zuppa. 

L’eccitazione la fiaccò ancora di più: era troppo stordita, troppo stanca per mettere ordine nei suoi pensieri e nelle sue sensazioni.

Si abbandonò completamente.

Lui cercò di darsi una calmata, appoggiò la mano su quella di lei che teneva la maniglia: aprì la porta del bagno e, siccome erano ancora attaccati e la spingeva, finirono nella stanza dove la luce era accesa. Con l’ultimo barlume di lucidità e in preda al terrore di farsi vedere in quello stato, Nami si staccò da lui e gli diede di nuovo le spalle, avviandosi verso la scatola che conteneva quei pochissimi cosmetici che si era portata dietro dal bordello. Ma non vi arrivò mai perché Shanks la bloccò per un braccio e la strattonò per riattaccarla a se:

“Beh… si può sapere che hai stasera?” – le chiese prendendola alla vita e allacciandola emozionato: da che si ricordasse non c’era mai stata una donna che gli ispirasse tanto sesso. Ma lei cercò ancora di divincolarsi dalla sua splendida presa: la paura di apparirgli un cesso era troppo forte e tra l’eccitazione e la debolezza fisica stava per svenire.

“Nessuno… - ridacchiò lui prendendo tempo per evitare di infilare la mano tra le gambe di lei che sentiva instabili e tremanti – nessuno fugge a Shanks il Rosso…” - le prese il viso per farla voltare verso di se e gli apparve a capo chino.

Provò a sollevarle il mento con la mano, ma lei resistette e lo scansò.

“Ehi… che mi nascondi? – ridacchiò lui che cominciava ad intuire qualcosa – perché non vuoi farti vedere?”

“Lasciami in pace…” – provò a scappare, la lui la bloccò di nuovo.

“Dai… tanto lo so che sei cessa… di che ti vergogni?” – si stava divertendo un mondo: quando gli fuggiva, quella mocciosa era così sexy…

“Smettila… esci di qui! Ho da fare!”

E lui bastardo più del solito:

“Aahhh!! Ti devi radere! – esclamò con il tono di chi ha avuto una folgorazione – ti è cresciuta la barba per questo non vuoi farti vedere! – e lei cercava di divincolarsi, ma Shanks la teneva saldamente – e che problema c’è? Io e i ragazzi ci radiamo sempre insieme: è un modo di creare affiatamento, di sentirsi del gruppo… dovresti farlo anche tu, ormai sei dei nostri…”

“Stupido… idiota…” – imprecava lei in preda alla tremarella: quel pirata la stringeva e avvinghiava in continuazione e, tra poco, l’avrebbe vista… Si dibatteva come poteva, ma era stanca, eccitata, illanguidita e… non aveva tutta questa voglia di liberarsi dalla sua morsa… Era così forte, così muscoloso…

All’improvviso lui la lasciò andare e lei si allontanò:

“Mhmm… - commentò Shanks con fare preoccupato – mi sa che mi hanno chiamato sul ponte – e lei sospirò di sollievo – ma quando torno, non mi scappi!” – le promise ghignando.

Nami lo sentì uscire e cadde sulle ginocchia confusa e stordita per l’abbraccio di lui, per l’eccitazione e… il sollievo. Chiuse gli occhi e sospirò.

“Scherzetto!” – mormorò lui ridendo, spaventandola a morte e parandosi davanti a lei.

Nami sgranò gli occhi e smise di respirare nel trovarselo davanti: il cuore non le batteva più.

“Oh… no…” – l’unica cosa che pensò.

E lui rideva come un invasato:

“Ah… è questo che tentavi di nascondere? E facevi bene! – era troppo contento: adesso l’avrebbe presa in giro fino alla fine del mondo e questo gli avrebbe dato la scusa per restare con lei ad oltranza… - Sei brutta, grassa, tappa e adesso anche brufolosa! Con l’herpes! Ma che schifo!”

E le si sedette di fronte preparandosi ad una di quelle performance… “Cessa e ancora cessa! – lei lo fissava stordita; non c’era bisogno che lo dicesse lui: ci si sentiva già di suo e non aveva le forze per reagire. Poi lui si avvicinò parecchio al viso di lei che cominciò a tremare; la osservò per bene:

“Se non fossi così cessa, penserei che quello che hai in faccia è lo sfogo dovuto… - e fece una pausa in cui lei smise di respirare – dovuto a qualche svitato che ti ha baciata!” – lo disse come un’eresia, quasi sfottendosi da solo.

Lei l’avrebbe volentieri strozzato con le sue mani mentre trasaliva e passava tutti i colori dell’iride. Poi si fece forza e si alzò, ghignando:

“Già… - ammise sarcastica – ma se così fosse, me ne ricorderei… Insomma, quando uno ti bacia, te lo ricordi, no? – chiese disinvolta e maliziosa - E invece io non mi ricordo niente… devono essere state le lenzuola dell’ospedale, erano ruvide!” – concluse, lasciandolo silenzioso sul pavimento.

Si avviò lentamente verso il letto, ma dopo pochissimo lui la raggiunse: stava per avvinghiarla alla vita e farle ricordare a modo suo quello stupendo pomeriggio quando lei perse l’equilibrio.

“NAMI!” – gridò preoccupato correndo verso di lei; riuscì a prenderla appena in tempo e se la ritrovò addosso che gli cacciava tanto di lingua e gli rideva in faccia:

“Scherzetto!” – mormorò esausta, ma felice perché lui era la sua ombra, la sfotteva, ma non l’abbandonava mai…

Lui scosse la testa per scacciare via quell’espressione preoccupata e spaventata che sapeva di avere mentre la teneva stretta a se:

“Che stupida… - rise – che mocciosa impertinente e arrapata! Le pensi tutte per farti abbracciare, eh? – e rideva – Tanto non ti bacio! E non è questione di herpes e lo sai! Sei cessa anche al buio!”

Si rialzarono ridendo e con quelle poche forze che aveva, Nami provò a picchiarlo e spingerlo mentre lui reagiva e si difendeva come poteva; alla fine, distrutta da quei minuti di gioco, lei si sedette sul letto perché era davvero ai limiti della stanchezza.

“E’ inutile che ti metti sul letto tanto non ti faccio niente!” – la smontò lui ghignando.

“Non rischio niente… lo so… - ribatté lei con l’affanno – con uno della tua età non sto tranquilla!” – e gli rise in faccia mentre lui subiva il colpo.

“Stanca, ma sempre stronza…” – commentò Shanks divertito mentre le metteva un dito sulla fronte e la spingeva all’indietro: si divertivano da morire giocando insieme.

Ma per la stanchezza lei cedette, si stese sulla schiena nonostante la ferita e le uscì un piccolo lamento.

“No… non così… - intervenne lui preoccupato, rialzandola – lo sai che non devi stenderti di schiena…” – ma lei non lo sentiva più: oramai si era addormentata, vittima della debolezza.

La guardò perso per un tempo indefinito poi si passò le morbide braccia di lei intorno al collo e la sistemò sul letto stringendola delicatamente, innamoratissimo; resistette a lungo alla tentazione di stendersi con lei e abbracciarla per tutta la notte.

“Se si trova in queste condizioni, è solo colpa mia…”

Sospirò.

“Sono un uomo di burro…” – mormorò, uscendo da quella stanza che profumava di lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** 040.Notte di tempesta ***


40 - Notte di tempesta

 

“Andiamo…” – le disse Lucas il quarto giorno da quando avevano ripreso il mare: era un medico pignolo fino all’eccesso che non le permetteva mai di eccedere, di fare movimenti bruschi o di abbracciare il suo Rosso…

Per la verità era lui che non si lasciava avvicinare vittima, diceva, del continuo daffare che c’era sul Vento dell’Est: era sempre molto occupato, non riuscivano più a restare soli; era davvero doloroso dividere spazi così ristretti, guardarsi, parlarsi e non potersi toccare.

In realtà sapevano entrambi che lui la evitava.

Lo eccitava, questo era evidente, ma non riusciva a capire perché lui fosse così controllato: le sembrava di essere chiara nei comportamenti, di averglielo fatto capire in tutti i modi che lo desiderava.

Viveva un autentico inferno nell’averlo sotto gli occhi e non poterlo toccare, avvicinare; c’erano dei momenti in cui credeva di impazzire: lo guardava e si sentiva soffocare, mentre un dolore sordo e ritmico le si inseriva nel basso ventre e non l’abbandonava più… - “forse mi sta per tornare il ciclo…” - pensava disperata mentre mangiava con gli occhi il suo Rosso che, tranquillamente, la ignorava.

Si sentiva continuamente eccitata, passava ore a sforzarsi di non pensare a lui e poi finiva a guardare per intere giornate i ritratti e gli schizzi col carboncino che faceva: era una brava disegnatrice, ma quelle figure bidimensionali la lasciavano insoddisfatta, soprattutto quando realizzava che lui era a pochissimi passi da lei… 

“Forse si è spaventato per quello che gli ho detto… in effetti assomigliava tanto ad una dichiarazione in piena regola! – sospirava nel tormento – Adesso pensa davvero che sia una mocciosa, ha visto che mi sono innamorata di lui e mi tiene a distanza… Ha visto che per lui è facile avermi e non gli interesso… Tanto ci sto lo stesso anche se mi prende in giro…” – si diceva, ripensando a come lo aveva implorato dicendogli che non ce la faceva più… 

Arrossiva ancora al ricordo di lei che gli si strofinava contro e, ad ogni sua carezza, gemeva e si bagnava senza riuscire a controllarsi.

Si sentiva un’idiota: lui aveva dimostrato di sapere perfettamente dove e come baciarla, toccarla, che ritmo imprimere alle carezze per farla fremere e lei non ci aveva capito niente… era stato tutto così confuso, non sapeva da dove cominciare e quei meravigliosi contatti l’avevano stordita e fiaccata. Non era riuscita a reagire per restituirgli quelle sensazioni e far fremere anche lui.

“Ha capito che mi sono innamorata di lui e anche che non ho esperienza… magari si aspettava qualcosa di più… forse mi dovevo spogliare…” - pensava con il cuore in gola e l’atroce dubbio di non essere stata all’altezza delle aspettative di quell’uomo che amava più dei mandarini, del denaro, dei suoi amici e… di se stessa.

“Forse per lui potevo essere solo un’avventura che però non vuole più - poi con le lacrime agli occhi – Tanto chissà quante donne bellissime conosce! Magari ha una ragazza in ogni porto e io sto qui a logorarmi… dopotutto è un pirata… Io gli ho dato un paio di baci sulla guancia come fanno le mocciose… E poi con quelle mutande… ma dove mi presento? – e le si fermava il cuore all’idea che lui non l’avesse esplorata più a fondo per via di quella orribile lingerie - E questi vestiti fanno schifo, mi stanno piccoli… mi sa che sono ingrassata davvero… – s’interrompeva per soffiarsi il naso e asciugarsi gli occhi – Forse piacevo solo a Sanji e mi sono montata la testa pensando di essere irresistibile… anche Sanji è un ragazzino e non ha esperienza, invece lui è un uomo…” – e si disperava in quello stato d’animo pietoso in cui ogni ragazza innamorata si ritrova almeno una volta nella vita.

Nemmeno il suo Rosso, d’altra parte, se la passava meglio. 

Si era alzato come un muro fra loro e si parlavano pochissimo… non si sfottevano nemmeno più!

 Tutto preso dal pensiero di trovare Rufy nelle mani della marina e di tenerla a distanza, Shanks evitava ogni contatto con lei e la ignorava con estrema disinvoltura riuscendo a mentirle, guardandola negli occhi.

Sapeva che lei stava soffrendo visto che la osservava di continuo. 

Ma anche lui passava delle giornate tremende quando la vedeva avvicinarsi e s’inventava qualcosa da fare o si chiudeva ore intere a sistemare la stiva o a studiare libri che conosceva a memoria o dichiarava di avere sonno e andava a dormire ad orari impossibili pure per le galline… Gli bastava chiudere gli occhi per rivederla e si ammazzava di lavoro per non pensare a lei. 

Gli mancava tantissimo, si sentiva soffocare e gli sembrava di non avere più l’anima… i ricordi di lei che lo baciava e lo toccava, tutti i fremiti e il suo corpo di cui lui aveva avuto il possesso totale, sommati alla lontananza accendevano e riacutizzavano il desiderio che lo teneva sveglio per notti intere.

Poi sapeva che lei bruciava quasi quanto lui e non voleva darle spazio per avvicinarsi: non sarebbe stato capace di dominare un altro assalto.

“E’ vero… - ammetteva a se stesso – quel pomeriggio è stata tutta colpa mia… non dovevo provarci con lei, lo sapevo che avrebbe ceduto… a quell’età non reggi, ma era bellissima – si scusava – mezza nuda… ed io ero ubriaco e poi non la vedevo da molte ore… - ma poi si riproponeva la stessa decisione di sempre – Non deve succedere più niente fra noi: lei è troppo giovane e dolce per essere spennata da un pirata… non è giusto. E poi tornerà da Rufy e io l’amerò per sempre e non sarò più capace di vivere bene, già ne sento ora la mancanza e siamo sulla stessa nave. – poi rifletteva – Se la scopo, è finita! Posso anche prendere i voti che tanto non riuscirò a stare più con nessun’altra, sarò finito come uomo e come pirata… per una mocciosa che ha infinite storie davanti a se con uomini che la renderanno sicuramente più felice di quanto posso fare io…”

E così, consolandosi con i dolci ricordi che li legava, finiva per cercare sempre più la compagnia dei suoi uomini per non pensare a lei, alle sue gambe, al suo seno e a tutto quello che doveva guardare e non toccare; non beveva nemmeno più: sapeva di essere molto vulnerabile quando era brillo.

Era la sua decisione e l’avrebbe rispettata fino in fondo.

 

Un giovedì sera, steso al suo posto preferito, il capitano del Vento dell’Est guardava le stelle, ricordava la sua danza e sorrideva ripensando a come si era dispiaciuta nell’avergli pestato il piede all’osteria e alla faccia imbarazzatissima di lei quando le aveva fatto notare che aveva un braccio solo.

“Shanks…” – lo chiamò Ben, appoggiato al parapetto della nave.

“Ehi, Ben… cosa c’è?” - chiese lui, scendendo dal castello di prua.

“Ci sarà tempesta…” 

Preso dai suoi dolci pensieri non si era accorto che l’aria stava cambiando.

“Porcaccia… è vero!! Viene da Ovest!” - disse girandosi nella direzione del vento. Rimase ad ascoltare cosa gli diceva l’aria e annunciò: 

“Non si avvicina velocemente, credo che ci raggiungerà tra qualche ora... possiamo sfruttare il vento ancora un po’…”

“Che hai in questi giorni? Sei nervoso…” – biascicò nel tabacco il vice.

“Vorrei sposarla e scoparla dalla mattina alla sera, non necessariamente in quest’ordine, ma comunque non posso…” – avrebbe voluto rispondergli, ma gli confidò l’altro suo cruccio:

“Sono preoccupato… Temo che Rufy sia stato catturato dalla marina… Ma dove vai?” – gli domandò sconcertato, vedendo che lui se ne n’era andato e che stava parlando da solo.

“Vado a dormire…” - rispose l’altro lapidario.

“Ma ti stavo parlando…” – obiettò, ridendo.

“Sei una lagna… e io ho sonno. – Poi si girò, lo guardò e gli sorrise diabolico, sbuffando il fumo - Sono sicuro che troverai qualcun altro che ti ascolterà volentieri… Buonanotte!” – e sparì.

“Non ce n’è uno normale su questa nave! – rideva tra se – Ma non posso andare da lei… finiremmo a far l’amore per consolarci a vicenda… e io perderei col Papa la mia gara di virtù. Ah! Ho voglia di bere, bere, bere e dimenticare tutto e tutti, anche lei…”

 

La tempesta si stava avvicinando secondo le sue previsioni: svegliò un paio di uomini, insieme ammainarono le vele e sgombrarono il ponte. Nelle vicinanze non c’erano scogli né isole, ma solo mare quindi non temeva di incagliarsi e di colare a picco. 

“Comunque la tempesta non mi pare sto gran che… - meditava, guardando le nuvole – il vento è quasi calato e il mare non s’ingrossa. C’è solo tanta elettricità in aria, credo ci sarà il festival dei fulmini...” – concluse tutto contento perché le saette gli piacevano da morire. Erano espressione di energia pura, potenza e velocità.

Sorrideva ricordando che tutte le volte in cui c’era una tempesta sua madre correva a riprenderlo giù in spiaggia quando era alto come mezzo barile di sakè: tutti si rintanavano in casa e lui scappava fuori a guardare il cielo affascinato da tanta potenza. Per non farsi trovare si nascondeva e la madre lo chiamava per ore…

“Poverina, quanti malanni le ho fatto prendere…” - sorrideva in preda ai ricordi. 

Alla fine sua madre si era fatta furba e lo attirava in casa dicendogli che aveva fatto una torta: era l’unico modo per farlo rientrare e ogni volta ci cascava…

“Ma non è vero… non hai fatto la torta!!” – si lagnava lui deluso.

“Shanks, non puoi uscire quando c’è brutto tempo, i fulmini potrebbero colpirti… Muori, hai capito?”

“Tanto io farò il pirata… - diceva mentre la mamma gli asciugava i capelli e lo coccolava – starò sempre fuori quando fa brutto tempo…”

“Va bene… Ma adesso va a dormire… Buonanotte…” 

“Ma…” 

“Che c’è?”

“Domani me la fai la torta?”

 

Il festival dei fulmini era iniziato da un po’ e lui era rientrato per evitare di beccarsi un’altra febbre: doveva tenersi in forma perché Rufy avrebbe avuto bisogno di una mano…

Pioveva a dirotto e si coricò mezzo nudo sull’amaca di una cabina in fondo al corridoio: faceva un caldo da denuncia e, siccome non riusciva a prendere sonno, contava i secondi che passavano tra il lampo e il tuono per controllare l’avvicinarsi del temporale.

Si era appisolato da poco quando un fulmine lo svegliò di colpo:  

“Accidenti che botta! - pensò guardando fuori dall’oblò e restando steso – m’è passato quasi tra le gengive! – poi ancora un altro fortissimo – Saranno tutti svegli, oramai… – un altro ancora – E vai! Che belli! Guarda che forza! – un altro esattamente davanti all’oblò – Ma che meraviglia! Mi fanno male le orecchie…”

Mentre cercava di recuperare l’udito tra un botto e l’altro, gli sembrò di sentire bussare alla porta; si alzò pensando a qualche problema alla nave, si mise il mantello sulle spalle e andò ad aprire.  

Non gli piaceva farsi vedere mezzo nudo; gli piaceva ancora meno da quando aveva perso il braccio… 

Non che si sentisse deforme e nemmeno si era mai fatto problemi di estetica, ma… ci teneva molto alla propria intimità e, soprattutto da quando aveva perso il braccio, evitava di mostrarsi: capiva che poteva non piacere a tutti guardare la parte mancante e quindi non si separava mai dal mantello. 

“Chissà cosa ne penserebbe Nami…”

“Ciao…” – fece timidamente lei quando aprì la porta.

“Ciao…” – farfugliò lui col cuore in gola e decisamente spiazzato da quell’apparizione di mezzanotte.

“Posso?” – gli chiese, vedendo che era rimasto immobile e non l’aveva invitata ad entrare, tremando all’idea che le dicesse di no.

“S-sì, certo!” – disse, guardandola entrare e richiudendo la porta. 

In quell’istante un fulmine vicinissimo illuminò tutta la cabina e Shanks si accorse, con suo grande sgomento, che anche lei era mezza nuda: portava solo una delle sue camicie ed era scalza…

“Oh porca… Questa cerca l’apocalisse…” – pensò sconvolto e a bocca aperta mentre il sangue cominciava la sua impennata di gradi centigradi. 

Poi tentò di ricomporre la sua faccia in un’espressione normale e le disse: 

“Ehi, mocciosa! Non mi dire che hai paura dei fulmini perché sennò ti prendo per il culo fino al Grande Blu…” – scherzò per non eccitarsi.

“Non ho paura dei fulmini …in genere… - corresse lei – è solo che questi ci cadono sulla testa... Ma come fai a stare così tranquillo? Non hai paura che la nave prenda fuoco?”

“Oddio… non ha la camicia…” – pensò lei in preda ai languori.

“Mah! Non proprio… Può succedere… ma la mia nave è rivestita di materiale ignifugo!” – replicò soddisfatto. 

“Piuttosto sono io che sto per prendere fuoco” – pensò, guardandola.

Seguirono attimi di pesante silenzio interrotto solo dai fulmini.

“Shanks… - lo chiamò come solo lei sapeva fare, mettendogli la tachicardia – Perché non li ritroviamo? Dimmi la verità!” – gli chiese, guardandolo negli occhi.

“Mhmmm! Vorrei sbagliarmi, ma potrebbero essere stati catturati dalla marina…” –  sospirò.

“Oh, no! – si disperò lei - E ora come facciamo?”

“Non è detto che sia così... abbiamo ancora parecchio mare da perlustrare!” – ma lei teneva il viso basso e restava in un silenzio affranto.

“Dai, piccola… non preoccuparti! – fece lui con il cuore sulle labbra, avvicinandosi – Fidati di me, se è così li libereremo, te lo prometto!” – le alzò il viso con la mano e le sorrise.

Lei si avvicinò di più e poggiando la fronte e le mani sul suo petto gli disse: 

“Certo che mi fido di te…” – finalmente erano di nuovo vicini.

“Ecco… mi sono fatto fregare… mi ha incastrato, che bello!” – pensò smarrito.

Un fulmine fortissimo per poco non ruppe l’oblò e la sentì tremare e trasalire. 

“Ehi, stai tranquilla… non è entrato qui…” – scherzò, mettendole la mano sulla testa come per proteggerla.

Per tutta risposta lei fece scivolare le mani sul suo corpo e gliele passò dietro la schiena, gli si strinse forte contro alzando la testa per poggiare la fronte contro la sua guancia e la bocca sul suo collo; infine, gli diede il colpo di grazia: allargò le gambe e le incrociò con le sue.

“OH! CAZZO!” – fu l’unico pensiero che lui riuscì ad articolare, eccitandosi perché sentiva di tutto e di più del corpo di lei.

Il profumo dei suoi capelli che morbidi com’erano gli accarezzavano la pelle, le sue mani tremanti dietro la schiena, la sua bocca calda sul collo, il suo morbidissimo seno schiacciato contro di lui e i relativi capezzoli inturgiditi, il suo respiro affannato e il contatto diretto della loro pelle visto che lei aveva la camicia aperta che le scivolava via dalla spalla sinistra e gli mostrava il tatuaggio. 

Ma ciò che davvero lo dilaniava era la dolce prigionia delle sue gambe... non ci passava uno spillo tra loro e lui sentiva tutto…

Era praticamente nuda.

Lei non sapeva cosa aveva fatto, sapeva solo che non desiderava altro che lui… solo lui. 

Si era alzata da un letto tormentato e bagnato di sudore, con una tempesta di fulmini fuori e una ormonale dentro, era arrivata dietro alla sua porta e aveva bussato in preda alla più cocente delle passioni: se lui non avesse aperto, lei l’avrebbe sfondata a calci e ora se non la prendeva, avrebbe preso a calci anche lui. 

“Che faccio? Questa vuole la guerra…” – pensò, guardando la scrivania seminascosta dall’oscurità e immaginandola già stesa lì mentre urlava da sovrastare i tuoni…

Attaccata a lui come un adesivo, la sentiva tremare agitata. 

“Calmati! Respira a fondo e conta fino a dieci, anzi no a venti…” – si disse per recuperare un po’ di lucidità, ma dovette contare fino a 50…

Poi fece scivolare la mano lungo la schiena di lei sentendola fremere e inarcarsi. La infilò sotto la camicia e la strinse forte a se: aspirò il suo profumo e le baciò i capelli cercando di dominarsi, si morse la lingua per ignorare la sua eccitazione e quella di lei, ignorò la bocca di Nami attaccata al suo collo che lo riempiva di piccoli baci che diventavano morsi, contenne la sua tremarella e i suoi fremiti, evitò di pensare alle gambe di quella ragazza in preda alla passione che lo fasciavano tremando e di tanto in tanto cedevano contro di lui e cercò di restare pietrificato in quella posizione per non scatenare quello che sarebbe stato l’uragano di sesso più devastante della storia.

Lei si godette ogni piega del corpo muscoloso di Shanks, il suo odore di maschio eccitatissimo, il poderoso volume nei suoi pantaloni, la sua agitazione, il suo respiro affannato e malamente controllato, la sua pelle calda e profumata, la forza del suo braccio che la teneva schiacciata contro di lui e si graffiò la fronte e le guance con la sua barba cercando di non piangere: aveva capito che non le avrebbe concesso di più.

Rimasero in quella posizione e sfogarono in quel meraviglioso abbraccio giorni di desiderio che non si esauriva mai, respirandosi e coccolandosi in silenzio fino a quando la tempesta si allontanò per un tempo indefinito, oltre la normale percezione. 

Alla fine lui, distrutto, si distaccò con un grosso sforzo, le accarezzò la guancia e la baciò sulla fronte: 

“La tempesta è passata… torna a dormire, piccola!”

Lei uscì senza fare rumore.

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** 041.Uomini e donne ***


041 – Uomini e donne

 

“Perché non mi ha toccata? – si domandava tra le lacrime che non smettevano di uscire - Perché non ha voluto fare l’amore con me? Ci sono andata anche mezza nuda… Ho diciotto anni, non sono piccola… - rimuginava disperata pensando alla frase con cui l’aveva congedata – Gli altri pirati non ci avrebbero nemmeno pensato su… perché Shanks non si decide? Allora è vero: sono una mocciosa e non gli piaccio!” – concluse, singhiozzando in preda allo sconforto più grande della sua vita. 

“Se due persone si piacciono, – le ritornavano in mente le parole di Nojiko, qualche tempo prima - succede subito qualcosa… se non accade niente, è perché uno dei due non vuole…” – aveva ragione lei, come sempre…

Non riusciva più a pensare… piangeva.

 

Andò a passo spedito verso il ponte della nave e uscì fuori per lasciarsi bagnare dalla pioggia che ormai stava cessando del tutto: voleva che il cielo l’aiutasse a spegnere l’incendio che aveva sotto pelle.

“Oh mio dio…” – mormorò sconvolto con le ginocchia instabili per la fortissima eccitazione - Ma quelle matrone lì al bordello non potevano spiegarle qualcosa? Per esempio che se una donna entra nella camera di un uomo in quella tenuta, finisce orizzontale?” - si dannava in preda allo sconforto, rivolto al cielo scuro che mostrava sprazzi di stelle brillantissime.  

“Ma insomma… qui il pirata sono io… sono io che devo andare all’arrembaggio… E invece… non fa che assaltarmi, mi sento una nave passeggeri…” – concluse ridendo disperato, scivolando con la schiena poggiata al bompresso della nave e continuando a guardare un cielo del tutto indifferente all’inferno che aveva nel cuore e nel basso ventre…

 

“Ma che cazzo fa?” – domandò preoccupato Yassop al vice mentre guardava il suo capitano con il sole sulla faccia che fissava le onde sollevate dalla sua nave, in piedi e pericolosamente in bilico sul castello di prua.

“Credo che abbia bisogno di nuotare…” – biascicò Ben nel fumo mentre gli altri accorrevano sul ponte un po’ in apprensione.

“Ammainate le vele…” – ordinò sottovoce il vice e non finì di dirlo che Shanks spiccò un salto e si lasciò cadere in acqua.

“Ma è scemo… questa zona è piena di meduse velenose…” – si preoccupò Lucky.

“Non s’è mai preoccupato degli squali… figurati se gli frega delle meduse…” - sospirò Ben che cercava di non mostrarsi preoccupato, ma sentiva che il suo amico stava male.   

“Perché non riemerge?” – si preoccupò Duca.

“Perché crede di essere un uomo pesce! - si stizzì Lucky, dannatamente in pensiero – Cazzo, ma che fa? Aspetta l’embolia?”

 

Shanks non voleva riemergere: in acqua stava troppo bene.

Se è vero che gli uomini sono formati per il 70% da acqua, lui era convinto di essere per il 95% formato da acqua salata…

Si era buttato perché la pioggia non gli aveva fatto passare l’eccitazione e la voglia di tornare sui suoi passi, sfondare la porta della sua cabina e tenerla a gambe aperte per un mese o fino a quando uno dei due non fosse morto di sesso…

E se fosse stato solo sesso, il problema non si sarebbe posto neanche: ma lei era speciale, lei era lei… 

Però adesso, finalmente, il mare lo stava curando: era rimasto a nuotare sott’acqua ad una discreta profondità e guardava emozionato quello spettacolo che da sempre gli faceva scordare tutto.

Poche cose gli piacevano come il mondo sommerso.

I pesci gli passavano vicinissimi, per nulla impensieriti da quella presenza estranea, tanto da sentire il movimento delle loro pinne sulla pelle: certe volte gli facevano male, lo colpivano.

E tutto quel meraviglioso blu… tutti quei toni del blu: in basso quello cupo e spaventoso e il alto quello leggero e chiaro, tendente al verde…

Per non parlare dell’effetto della luce solare che filtrava dalla superficie: si metteva a faccia all’insù e guardava il cielo così come glielo raccontava il mare, così come lo vedevano i pesci.

E non si preoccupava di respirare, se ne scordava sempre…

Fin da bambino faceva un sogno ricorrente: quello di gettarsi in mare, aprire la bocca e respirare come i pesci… E sentiva l’acqua che filtrava nei polmoni e, invece di appesantirsi e annegare, lui respirava, restava leggero e poteva nuotare senza dover riemergere: dapprima provava un grande sgomento, poi sorpresa e infine un’immensa felicità… felicità di essere libero anche dall’onere di respirare per restare in vita.

Ma era solo un sogno e la sua natura di essere umano  s’imponeva: doveva tornare su e respirare.

Se per questo, sognava anche di volare…

E gli veniva da ridere mentre nuotava per riemergere:

“Che idiota… - pensava tra se – saranno tutti preoccupati…”

 

“Stai schierando una faccia più brutta dell’altra…” – gli disse Ben quando, più tardi, lo raggiunse al castello di prua.

“Mi sa che questa è la peggiore…” – rispose lui che proprio non aveva voglia di sorbire i commenti caustici del suo amico.

“Fumati qualcosa…” – lo invitò il vice, tendendogli una sigaretta.

“Potrebbe aiutarmi solo se ci fossero foglie di cacao… - sospirò il capitano, pensando a quanto si era eccitato e alla discreta calmata che quel bagno gli aveva dato.

“I ragazzi si sono preoccupati… in genere lo fai quando non ti vede nessuno…” 

“Oggi non potevo aspettare…” – rispose Shanks, prendendo la sigaretta e accendendola.

“Forse non te ne sei accorto, ma eri circondato da un banco di meduse velenose… e qualche simpatico squalo.” - lo informò Ben con tono di rimprovero.

“No… non me ne sono accorto…” 

“E’ una cosa seria, eh?” – chiese il vice puntando direttamente al sodo.

Shanks sorrise, avvolto nel fumo e non disse nulla, perdendo lo sguardo nell’orizzonte.

“E allora queste cazzate non le puoi fare più… - gli spiegò l’altro – quando ti leghi a qualcuno non puoi rischiare la vita in quel modo… non è più solo tua!”

“Lo so… è per questo che non mi voglio legare a lei…”

“Troppo tardi…” – dichiarò senza mezzi termini il suo amico, gettando via la sigaretta e lasciandolo solo con i suoi pensieri.

 

Era passato mezzogiorno e Nami non si decideva ad uscire dalla cabina: temeva lo sguardo di Shanks, quello pieno di tenerezza che lei avrebbe scambiato per compassione. E poi aveva pianto per tutto il tempo, bagnando cuscino, materasso e coperte, esaurendo tutti i fazzoletti della zona e le proprie energie: si era addormentata all’alba e ora vedeva una ciabatta riflessa nello specchio con le occhiaie, gli occhi rossi e gonfi, il naso da bevitore accanito e i capelli tutti scomposti. 

“Se mi vede ora, vomita…” – stava di nuovo pensando a lui.

 

Aveva cercato di evitarlo per tutto il giorno ed era uscita dalla cabina solo col buio per nascondere quella faccia improponibile e perché aveva bisogno di un po’ d’aria.

Andò a prua e si affacciò al parapetto, offrendo il viso al vento, ascoltando il rumore dell’acqua contro lo scafo e quello della bandiera nera che annunciava la presenza di Shanks il Rosso, il suo Rosso.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro nel tempo e impedirsi di fargli capire in modo così netto che lo voleva, che lo desiderava, che lo amava: rimpiangeva quei primi giorni in cui almeno si sfottevano, comunicavano…

“Buonasera, mocciosetta!” – la salutò la voce del suo amore, mentre lei si irrigidiva e trasaliva. 

Il suo Rosso l’aveva raggiunta al parapetto di prua, era affianco a lei.

“Era ora che ti facessi vedere, mocciosetta” – riprese e calcò la parola “mocciosetta” apposta per farla arrabbiare – Dormito bene o dovevo coccolarti di più?” – s’informò bastardo dentro con una voglia disperata di baciarla.

Lei capì che cercava di superare l’imbarazzo per quello che c’era stato e riportare il loro rapporto a quello di sempre e ne fu contenta:

“In fondo è meglio così – si disse rassegnata – tanto non mi darà di più, per lui sono una mocciosetta…”

“No… - gli rispose, sbuffando – dopo ho avuto gli incubi… – e s’informò – Nessun danno alla nave?”

Ma lui la guardava con un’espressione di disgusto che le fece gelare il sangue.

“Perché mi guardi così?” – gli chiese allarmata, temendo di essere veramente orribile e sentendosi smarrita.

“No è che…– fece lui seriamente sconvolto - Non ci vediamo da ieri sera e sei ingrassata a vista d’occhio…”

“MA VAFFANCULO!” – tuonò lei facendo increspare l’acqua.

E Shanks rideva come un matto mentre lei lo guardava incazzata e sollevata allo stesso tempo.

“Che lo cerchi a fare lo One piece? Tu sei già il Re… - e urlò – DEGLI STRONZI!”

“Perché ti incazzi? – le chiese lui ridendo – Vuol dire che lo sai di essere grassa… vuol dire che ho ragione…”

“Ma quando hanno distribuito i cervelli tu dov’eri?” – gli chiese, facendolo  di nuovo scoppiare a ridere.

E continuarono così per ben due ore.

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** 042.Un giorno di ordinaria pirateria ***


42 – Un giorno di ordinaria pirateria

 

Nella tarda mattinata di mercoledì raggiunsero una delle minuscole isole comprese nella griglia: Shanks non contava di trovare Rufy e i suoi come invece sperava quella splendida navigatrice che gli toglieva il sonno.

Quel suo sesto senso, che aveva fin dalla nascita e che nella sua lunga esperienza di pirata aveva affinato, gli diceva che non avrebbe trovato Rufy e gli altri troppo presto.

Per questo non si sconvolse più di tanto quando i suoi tornarono con una faccia scura dal giro di perlustrazione:

“Niente, capo” 

“Vabbè, grazie ragazzi! – e pensò – Mi sa che è roba di marina, qua!” 

Alzò lo sguardo e sorprese la sua bellissima ragazza ad osservarlo preoccupata e disse, sorridendo, alla sua ciurma prossima alla tristezza:

“Ehi, ragazzi! Che sono quelle facce? Dopotutto siamo solo agli inizi della ricerca e quest’isola è ai margini della griglia… – poi aggiunse mentendo – era probabile che non li avremmo trovati qui! Vedrete che li troviamo che stanno facendo baldoria da qualche parte… – sghignazzò – felici di non dover sfamare la loro grassa navigatrice…” 

Nelle risate generali lei lo guardò truce e se ne andò infuriata.

 

Shanks decise di aspettare l’indomani e di non salpare subito: il mare si era ingrossato e le onde non promettevano niente di buono… dispose affinché la nave fosse ormeggiata in una zona riparata.

“Se stanotte calma, ripartiamo…” – e fissava il cielo.

 

“Si mangia!” – l’informò Ben, passandogli accanto sfumacchiando.

“Non ho molta fame… - rispose il capitano – magari vengo più tardi: vado a fare un bagno!” - e s’allontanò in direzione della spiaggia. 

In realtà non aveva alcuna intenzione di fare il bagno, ma doveva assolutamente passare la notte in solitudine e non farsi trovare da Nami che aspettava l’oscurità per avvicinarlo e avvinghiarsi: la decisione di tenerla distante non ammetteva pause tanto meno notturne… 

Già avevano passato notti indimenticabili!

Non poteva permetterle di avvicinarsi, soprattutto dopo quella notte di tempesta che lo aveva portato ad un passo dalla follia: se l’era spalmata addosso, quasi completamente nuda che fremeva dalla voglia di fare l’amore.

Oramai si era convinto di essere un santo, un autentico martire.

“Però non posso mancare tutte le sere!” – pensava preoccupato per i suoi ragazzi:

“Un vero capitano non manca mai.”

La sua vocazione alla santità lo portò a stendersi sul fondo di una lancia ormeggiata in spiaggia e a coprirsi con un telo, mimetizzandosi e nascondendosi da tutto il mondo, mocciose comprese…

E senza nemmeno l’ombra del sonno, aspettò l’alba. 

La cena iniziò e si concluse pure senza che Shanks facesse la sua apparizione: Nami si era abituata a quelle assenze del capitano. Passare la serata senza lui era un vero martirio, sembrava non finisse mai e nonostante la simpatia e la vitalità del resto della ciurma, non riusciva a smettere di pensare al suo mitico Rosso che faceva sempre più casino di tutti. Intuiva che c’entrava qualcosa con le sue assenze e, a parte evitare di cercarlo sempre e stargli attaccata come una sanguisuga, non sapeva che fare: Shanks sapeva che lei ne era innamorata persa e la evitava, evitava di essere assaltato.

E mentre la ciurma mangiava e beveva lei si sentiva triste e vuota.

 

Durante la cena erano stati tutti piuttosto tranquilli, fino a quando Lucky Roux non scoppiò a ridere all’improvviso, sconcertandoli tutti.

“E mo’ che ti prende?” – s’informò Ben, spolpando una bistecca enorme. 

“Stavo ripensando… - e rideva – stavo ricordando la festa di S. Valentino della marina…” – ma non finì di dirlo che tutti i pirati esplosero un boato di risate che piegò i rami degli alberi intorno a loro e per poco non spense le fiamme del fuoco che avevano acceso. Rosetta lacrimava e persino Ben smise di mangiare per mettersi una mano in faccia e soffocare le risa.

Nami li guardava e rideva con loro: quei pirati ridevano sempre di gusto e la loro allegria era contagiosa, ma non ci capiva granché. Quando il boato, dopo un po’, si calmò, chiese:

“Che è successo?”

E di nuovo risate e nessuno riusciva a spiegarle niente perché stavano tutti male dal ridere: Lucky era ai limiti, Yassop aveva perso la faccia nel piatto e finanche Piombo, che non rideva mai e poi mai, aveva le lacrime agli occhi.

“Uffa… voglio sapere anch’io!”

“La sera… - Yassop provò – la sera di… Ah! Ah! Ah!” – ma non ce la fece.

Passò una buona mezz’ora così: ogni tanto qualcuno provava a smettere di ridere e non ci riusciva, lasciandola ancora più curiosa: non riuscivano ad andare oltre “la sera di S. Valentino” che rischiavano l’embolia.

Alla fine, fiaccati da un’ora abbondante di risate ai limiti dell’umana sopportazione, Lucky prese a raccontare.

“La sera… - ma smettere di ridere era proprio difficile – la sera di S. Valentino di dodici anni fa… - e rideva, seguito dagli altri tutti ansiosi di rivivere quella notte memorabile – Ben, Yassop, Rosetta, Duca, io e quell’idiota dai capelli rossi eravamo a Rogue Town… 

C’eravamo fermati solo noi perché dovevamo fare compere veloci e non volevamo incontrare nessun marine – e giù tutti a ridere mentre lui si asciugava le lacrime e si soffiava il naso con un grande fazzoletto. Riprese: - c’eravamo fermati in un’osteria e avevamo sentito che c’era una festa della marina lì vicino dove tutti quegli idioti si erano riuniti con le loro donne per festeggiare S. Vale… - ma rideva troppo – Vale… - ancora risate, seguito da tutti – …nti…no…”

Si fermò un pochino nei sussulti generali e riprese:

“Eravamo conciatissimi, ubriachi fradici e cominciammo a fare casino come al solito... Così venne il padrone dell’osteria che ci disse queste parole:

“Signori, scusate… ma dietro quella parete c’è una festa della marina militare ed io non voglio guai… se sanno che siete pirati, vi arrestano e mi fanno chiudere…”

Lucky continuò: - “Altro che osteria! Noi non avevamo capito un cazzo: era un ristorante rinomato con tanto di sala conferenza e nell’altra ala del palazzo c’era la festa di quegli stronzi in divisa… - rantolavano tutti dalle risate – ci avevano fatto entrare solo perché temevano che avremmo spaccato tutto sennò… allora – riprese Lucky – quel campione di capitano che abbiamo, ci disse:

“Oh! E che cazzo! Si festeggia senza Shanks il Rosso? Non s’è mai vista una roba così… andiamo!”

 “Io… Io – Lucky tossì per le forti risate, rischiando l’embolia – tutti noi credevamo stesse scherzando e invece quell’idiota si era alzato che voleva partecipare per davvero alla festa della marina… c’era tutta la base di Rogue Town!

“M’ha fatto cagare sotto dalla paura, quel deficiente! – lo maledisse Rosetta fra le lacrime – mai come quella volta ho avuto voglia di abbandonarlo!”

Ben non diceva ancora niente e continuava a sussultare con una mano in faccia.

“Allora… con la morte nel cuore ci alzammo per seguire il campione… - riprese Lucky – ed entrammo nella sala gremita di marines che ballavano tutti in alta uniforme…”- e ricominciarono i boati di risate.

“Un signore ben vestito… - Lucky si stava sforzando di continuare a raccontare – si avvicinò tutto trafelato a Du… - e sussultava – Du… – non ce la faceva più tra le risa generali – Du…ca… a  - riprese fiato - e gli disse: “Oh… finalmente siete arrivati! Tra quindici minuti tocca a voi!”

E di nuovo tutti a farsi male dal ridere.

“Ci… aveva… - era Rosetta che stava malissimo – ci aveva scambiati per artistiiiii!!…” – non ci poteva ancora credere a distanza di dodici anni. Duca era entrato per primo e, siccome era quello più normale e nelle luci soffuse non aveva visto le facce da galera che lo seguivano, quel signore li aveva scambiati per gli artisti che aveva ingaggiato quella sera.

Ora anche Nami rideva a crepapelle: scambiare quei loschi figuri per artisti era il massimo della deficienza…

“Allora… - Lucky Roux riprese – quel coso rosso-deviato si mise a seguire il tipo e noi con lui… non te la dico la paura di passare tra un’intera base di marines che ballano… E quello camminava come se fosse ad una riunione di filibustieri: ci mancava solo che si fermasse a salutare qualcuno! - e si fermò un pochino mentre tutti ridevano – io l’avevo capito cosa gli passava per quel cervello bacato, ma non ci volevo credere!”

“Io no… - rideva Rosetta – io davvero non me l’aspettavo!” – quella sera Rosetta decise che avrebbe seguito Shanks il Rosso pure all’inferno: avrebbe fatto crepare dal ridere anche Belzebù. 

“Arrivammo dietro le quinte del palchetto… – riprese Lucky – e quando quello ci vide alla luce per poco non gli prese un colpo! – continuò – Shanks tramortì tutti quelli che stavano lì e ci disse:

“Beh… prepariamoci, no?”

Ben scuoteva ancora la testa incredulo mentre rideva rosso in volto e cercava un boccale di qualsiasi cosa che l’aiutasse a far scendere quel boccone di bistecca che non voleva abbandonare la sua gola.

“Ci costrinse a cambiarci… - Lucky rideva da stare male – a lasciare le armi dietro le quinte e… – sussultava – e… mandò B… B… Ben…nn a fare… – non riusciva ancora a crederci - a fare… il pre….sen… ta… tore…e…ee!!” 

Tutta la ciurma stava per morire, Nami non ce la faceva più perché le facevano male tutti i muscoli e Ben Beckman non sapeva più come vergognarsi per quella serata: se l’avesse visto la gente del suo villaggio…

Ricordava troppo bene la serata più imbarazzante della sua vita.

 

“Allora, ragazzi… hic! Hic! – li radunò il capitano più improbabile che avrebbe mai incontrato nella sua vita – adesso lasciate le armi qui; tu, Duca, di all’orchestra di mettere una musica movimentata e tu, Ben, vai a presentarci!!”

“Ma che cazzo dici! – Ben non ci poteva credere – io non vado da nessuna parte! Io ho una faccia, non sono come te che hai due chiappe al posto delle guance!!”

Shanks rideva:

“Ehi… che vuoi dire?”

“Che hai la faccia come il culo!” 

“Disobbedisci al capitano tuo? Forza corri a presentarci che sennò ti metto a fare il mozzo!” – e lo spinse fuori dalle quinte.

Ricordava ancora tutto il suo imbarazzo e anche una certa apprensione davanti a quei settecento marines in alta uniforme che lo guardavano in silenzio dopo avergli dedicato un lungo applauso mentre qualcuno cominciava a notare che non somigliava per niente al presentatore di prima.

“Ehmmm… signore e signori… - smadonnava dentro se: quando avrebbe avuto sotto le mani quell’idiota rosso… - vi presento…” – ma non sapeva chi cazzo presentare!

“…I rossi!” – suggerì Shanks da dietro le quinte.

“Ma vedi… – sospirò – I rossi!” – e lo disse con l’enfasi di uno che dice: “vi presento gli idioti!”

Scese in tutta furia dal palco e a debita distanza dai marines: quella performance non se la sarebbe persa per nulla al mondo…

Le luci si abbassarono per restare puntate solo sul palco.

La musica iniziò e quel pirata sfregiato e rosso di capelli entrò ballando come uno morso da una tarantola seguito dai suoi nel casino una musica esagerata che spaccava i timpani.

Ben ricordava che riuscì a richiudere di nuovo la bocca solo il giorno successivo…

Tutti i marines rimasero a guardare allibiti, ma smisero completamente di respirare quando videro quel tizio rosso, che sembrava una faccia conosciuta, cominciare a spogliarsi seguito dal panzone e dagli altri che erano con lui.

Ben si sedette per terra e iniziò a ridere…

“Oddio… no! – e rideva – oddio no! Che deficiente!” 

Se non l’avesse visto con i suoi occhi, mai e poi mai avrebbe creduto che uno dei più famosi pirati del mondo, ricercato con la già notevole somma di duecento milioni di berry sulla testaccia, avesse improvvisato uno spogliarello in piena regola davanti a settecento marines…

Le donne s’erano tutte gasate e guardavano interessatissime i corpi muscolosi di quei meravigliosi pezzi d’uomo che si dimenavano sul palco sempre più nudi… E poi anche il panzone non era niente male…

Nami guardava allibita la ciurma del Vento dell’Est che ancora soffocava dalle risate mentre Lucky continuava a raccontare: il suo Rosso nudo su un palco…

“E io non ci sono mai!” – smadonnò ridendo, seguita dagli altri. 

Cinque pirati che ballavano sul palco spogliandosi.

I marines che erano in prima fila avevano riconosciuto la testa rossa di quell’idiota che, serissimo, aveva lanciato la camicia, seguito dagli altri, all’arrapatissima platea femminile, ma non riuscivano a muoversi: erano convinti fosse un’allucinazione, un incubo…

“Ditemi che non è lui…” – mormorò l’ammiraglio della base di Rogue Town, il predecessore di Smoker, tra il divertito e il terrorizzato: Shanks il Rosso era conosciuto come un’autentica furia in battaglia… un demonio. Era uno dei quattro imperatori della Rotta Maggiore. C’era da farsi venire un infarto.

Acclamazioni selvagge e urla di donne eccitatissime si levarono quando Shanks e i suoi si slacciarono la cintura dei pantaloni e se li tolsero, restando in mutande…

“Che facciamo, ammiraglio?” – chiese un tenente in preda al nervosismo perché la sua ragazza sbavava come una lumaca e aveva fatto a cazzotti con un’altra per prendere uno dei pantaloni che quei maschi muscolosi, pieni di cicatrici e tutti sudati avevano lanciato dal palco.

La musica continuava assordante e Ben incrociò lo sguardo attento e allo stesso tempo ubriaco del suo capitano idiota che ballava come se nulla fosse fra le urla selvagge e le mani sempre più lunghe di ragazze arrapatissime che volevano farselo a tutti i costi:

“No… - Ben lo guardò terrorizzato – no, Shanks… - diceva tra se – no… LE MUTANDE NOOOO!”

Non finì di dirlo che quel essere irripetibile si sfilò le mutande…

Nella sala calò il silenzio più assoluto: l’orchestra smise di suonare allibita, i suoi lo guardarono increduli e indecisi se seguirlo o meno e la platea si era fatta silenziosissima…

Gli uomini avevano il mento a terra e le donne erano decisamente spiazzate…

Nami non respirava più.

Lui continuava a ballare mosso da un ritmo interiore e incurante del vuoto cosmico che lo circondava mentre sventolava le sue mutande sulla testa come una bandiera; alla fine lanciò anche quelle che finirono sopra la faccia della moglie dell’ammiraglio!

“OH CAZZO! CAZZO!” – Ben era davvero preoccupato.

Questa, sconcertando tutti, si mise a gridare con le mutande di Shanks in faccia:

“EVVIVA I PIRATIIIII!”

E la baldoria riprese più rumorosa di prima mentre anche gli altri si sfilavano le mutande, mostrando parecchio materiale alle femmine in sala che sbavano e urlavano da crepare i vetri alle finestre.

Ben, con la coda dell’occhio, vide del movimento e si alzò di scatto: dall’alto del palco, mentre ballava, anche Shanks l’aveva notato e aveva guardato i suoi…

Ad un suo cenno si dileguarono dietro le quinte.

 

Ben Beckman ricordava ancora la corsa forsennata per le vie di Rogue Town, ancora piuttosto popolata, dietro i culi nudi del suo capitano e dei suoi compagni; ricordava ancora le risate fragorose di Shanks che correva e rideva come un bambino con solo gli infradito addosso e il cappello di paglia con le mani tutte impegnate per le armi che aveva fatto appena in tempo a recuperare.

Mai più avrebbe dimenticato la sensazione di farsela addosso e di soffocamento da risate mentre correva a perdifiato e affianco a lui la pancia enorme e nuda di Lucky Roux ballava la samba, la paura di essere catturato dalla marina e l’ammirazione per quella faccia da culo di Shanks…

E mai più avrebbe scordato il boato di risate che li accolse sul Vento dell’Est quando gli altri li videro tornare in quelle condizioni: rischiarono davvero di essere catturati perché nessuno voleva prendere ordini da un capitano che nudo come l’aveva fatto la mamma, in piedi al castello di prua, con la spada in mano urlava:

“Levate le ancore, mollate gli ormeggi, spiegate le vele, ai remi!”

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** 043.Al villaggio di Neshua ***


43 – Al villaggio di Neshua

 

Riordinava la cabina e sistemava i ritratti di Shanks che sfornava continuamente per sentirlo vicino e vederlo sempre: sospirò.

Ormai era già un mese che stava sulla nave di quel meraviglioso Rosso che le aveva sconvolto la vita, cambiato l’esistenza… osservava un Rosso a carboncino sorridente con quello sguardo sornione e divertito che lo caratterizzava e che le aveva fatto perdere la testa, un Rosso dolce come lo zucchero e idiota come un caprone quando ci si metteva che profumava di pulito, di buono con una bocca meravigliosa in grado di baciare e sfottere con la stessa disinvoltura…

Proprio non riusciva a non pensare a lui e alla voglia di spogliarlo, di toccarlo e baciarlo che le ispirava.

Quella notte di tempesta le era rimasta nel cuore e nel ventre: ci era andata con la precisa intenzione di fare l’amore… ne aveva una voglia disperata e non riusciva più a sopportare la lontananza da lui, dal suo corpo, dalla sua mano, dalla sua bocca.

Lui continuava a parlarle a sfotterla come se non fosse mai successo niente… 

“Cerca di stendere un velo pietoso sulla mia stupidità… - pensava  non perdonandosi di essersi strusciata a lui senza ritegno – praticamente gli ho detto: “Eccomi… sono tua!” – e inorridiva di se stessa.

E il suo cervello innamorato riandava a quei momenti passati attaccata a lui che se la stringeva da soffocarla, al suo petto largo, caldo e muscoloso… da perdersi…

“Basta!” – con il fuoco addosso corse a raggiungerlo.

 

“Tra meno di un’ora attracchiamo…” – disse Shanks sorseggiando il caffè che la sua ragazza aveva appena fatto mentre la guardava mangiucchiare i biscotti che Eddie aveva sfornato apposta per lei.

“Eddie? – lo chiamò sempre fissandola e trovandola più golosa del cioccolato – perché non me li hai mai fatti i biscotti? Toccano solo alle nane?” – fece un po’ risentito mentre lei gli cacciava tanto di lingua.

“Ma capo… - si stupì l’altro mentre tutti lo guardavano sconcertati – non lo sapevo che ti piacevano i dolci… me lo potevi dire! Io sono anche pasticciere…”

“Vuoi dire… che mi sono perso vent’anni di torte e biscotti?” – chiese il capitano quasi piangendo.

“Mi dispiace… – Eddie era addolorato, voleva bene al suo capitano – ma davvero non l’avrei mai sospettato: mi sono specializzato in torte salate e rustiche perché ho visto che anche quando siamo a terra mangiate tutti salato e non fate la spesa per i dolci…”

“Mangiamo salato perché così beviamo di più…” – intervenne serio Rosetta.

“No… – piagnucolava Shanks in preda alla disperazione – chi me li restituisce vent’anni di dolci? E ora come faccio?” – mentre la sua ciurma lo guardava sconvolta.  

“Lo sai che sei idiota, vero? – si sincerò Lucky, scuotendo il suo cosciotto – ma che ti credi che la gente ti deve leggere nel pensiero? Secondo te è facile intuire che a Shanks il Rosso piacciono le torte e i biscotti?” – mentre tutti cominciavano a ridere e Nami lo guardava presa di tenerezza per quel suo Rosso dolcissimo.  

E il grassone continuò:

“Non parli mai! Non t’ho mai sentito dire mi piace questo o non mi piace quest’altro… Si risolve subito: Eddie – si rivolse al cuoco, ghignando – al capitano piacciono le torte che siano alla frutta o al cioccolato non importa, i biscotti e i gelati… - disse mentre Shanks lo guardava storto – i gelati lo mandano in delirio…” - e rideva.

“…’Cazzo ti ridi? – fece Shanks – a te non piacciono i cosciotti? E chi t’ha mai detto niente… Ti ricordi se ti ho mai preso per il culo per la storia dei cosciotti?” – e prese a ridere anche lui.

“Io non ti sto prendendo per il culo e sì… tu mi hai sempre preso per il culo per i cosciotti…”

“Non è vero…”

“Sì che è vero! E lo sai quand’è che hai smesso? Quando te l’ho suonato in testa, t’ho messo con le spalle per terra e ti ho costretto a chiedermi scusa…” – e ridevano tutti quanti, ricordando quella mitica scena.

“Com’è? Com’è? – fece subito Nami interessata – Non mi lasciate fuori! Se c’è da ridere del vecchiaccio, ci devo essere anch’io…”

“Rispetto a te anche Rufy è un vecchiaccio… mocciosa tappa” – sibilò lui, ghiacciandola con lo sguardo.

“Magari l’hai rimosso quel giorno! – riprese Lucky – ma ti ricordo che mi hai fatto incazzare con la storia dei cosciotti e io ti ho preso, te l’ho suonato in testa e ti ho bloccato per terra con il culo in faccia… - disse ridendo – fino a quando non mi hai chiesto scusa…”

“Sì ma tu mi hai messo il culo in faccia! – si scusò Shanks – E non è stato bellissimo! Avrei detto qualsiasi cosa per farti togliere… Mi hai schiacciato il naso!” – aggiunse mieloso.

“Meglio… così ti ho acconciato quel brutto muso! – ribatté lui ridacchiando – E ancora Eddie… al capitano piace anche la frutta, tutta la frutta…”

“Basta… l’ha capito…” – tentò di fermarlo Shanks.

“E soprattutto gli piacciono le fragole e le ciliegie: com’è dolce! Al capitano piacciono le fragoline – se lo pigliava per il culo che era una bellezza – per non parlare delle fragole con la panna… - e si rivolse agli altri mentre il suo capo l’odiava - l’aveva avvilita a quella poveretta di sua madre! – poi si rivolse di nuovo a lui – c’ero io quel giorno che ti sei messo a pestare i piedi facendo i capricci da moccioso che eri, urlando e piangendo che volevi le fragole con la panna…” - oramai tutti ridevano mentre Shanks era rosso di vergogna e lo rincorreva per pestarlo a dovere.

“Fermati Lucky! – gli ordinò, ridendo – Fatti prendere e tieni buono il cosciotto che te lo metto dove non batte il sole, figlio di una grandissima…”

Ma Lucky continuava:

“E ne vogliamo parlare della volta dei fichi? Eh?”

“NO!” – tuonò Shanks.

“SI!” – lo ignorò la ciurma troppo curiosa.

“Quella volta, una delle tante, che hai ripulito gli alberi del dottore!? – si rivolse ai ragazzi – Partiva la mattina che mi diceva: “Lucky oggi è raccolta di fichi!” e si preparava già a scuola vuotando lo zaino, procurandosi l’uncino per abbassare i rami… un vero agricoltore! Ma quella volta il dottore t’ha fregato… Eh! Eh! Eh! – rideva mentre il suo amico lo trucidava con lo sguardo. Si rivolse di nuovo all’equipaggio – Aveva fatto una quindicina di fichi mentre io gli dicevo di andarcene e di lasciar stare… il dottore uscì di casa lentamente per dargli tutto il tempo di scappare o ideare una scusa…”

“Non è vero… - ribatté Shanks – non m’aveva visto…”

“Guarda che quello sapeva che gli fregavi la frutta ancora prima che ti venisse in mente di farlo! – l’informò Lucky – Non sai quante volte mi ha detto: “Ma che devo fare con quel tuo amico rosso? E’ una peste… Perché non me la chiede la frutta? Io gliela do volentieri, ma così mi rovina solo le piante…” E io gli rispondevo che ti allenavi per fare il pirata… e che non c’era niente da fare: eri marcio dentro…”

Shanks lo guardava sconvolto.

“Allora uscì di casa – riprese a raccontare Lucky – e questo genio di comandante che abbiamo, pensò bene di nascondere quei fichi ultra maturi nel cappello di paglia. Gli si avvicinò come un angioletto, un boy scout, un chierichetto e gli disse candido candido, pensando di prendere per il culo un uomo sessant’anni più vecchio di lui: “Dottore, ecco il suo giornale!”

“Quindi eri stronzo dentro fin da piccolo…” – concluse Nami.

“Mhmmm!” – riuscì a risponderle il suo Rosso, guardandola male.

“E quel furbastro del dottore gli diede una bella lezione: prese il giornale, lo ringraziò, poggiandogli la mano sul cappello e schiacciando tutti i fichi… - l’equipaggio rideva – Dovevate vederlo il dottore che parlava con questo campione che sudava latte di fichi e aveva una macedonia in testa! Ben ti sta – si rivolse a Shanks – ti ha tenuto un’ora sotto il sole con uno shampoo agli estratti di fico… Tua madre t’ha dovuto lavare dieci volte i capelli per toglierti quello schifo da dosso mentre tu piagnucolavi…”

“Io non ho mai piagnucolato!”

“E quella volta che mio padre è tornato da quel viaggio? Te lo ricordi, vero? Aveva riportato tre chili di cioccolata assortita! – gli urlò con l’affanno nel tentativo di sottrarsi alla presa di Shanks che veniva trattenuto e ostacolato dai suoi, troppo interessati a scoprire certi altarini – Bastardo! Ti sei mangiato tre chili di cioccolata, ti rendi conto? La mia cioccolata! Davanti a tutti noi hai cominciato con quella fondente e hai finito con quella bianca… E quella poveretta di tua madre t’ha fatto ricoverare… - e rideva – Ragazzi è stato a letto in ospedale con sei giorni di indigestione: i medici pensavano che non ce l’avrebbe mai fatta. Ti sta bene! Così ti stanno bene pure le tre carie che ti sono uscite! E…”

“Sta zitto! – gli sibilò Shanks, guardandolo malissimo e puntandogli contro un dito minaccioso – Non dire altro… Lucky, non continuare perché sennò ti faccio dimagrire a modo mio…”

 “E soprattutto – affondò Lucky guardandolo negli occhi, ridendo come un matto e creando atmosfera – Ti sta bene quel mese sul cesso che ti sei dovuto fare… Ragazzi! Ha avuto trenta giorni di sedute spiritiche sul cesso… la sagra della cacarella, non riusciva a smettere!” 

Oramai il Vento dell’Est era una sola grande risata per le prodezze del suo capitano, pirata dei dolciumi… 

Il porto del villaggio di Neshua era avvolto da una leggera foschia e gli abitanti non riuscivano a capire da dove provenissero tutte quelle risate.

 

“Lucky – fece il capitano sbarcando – noi scendiamo per un po’: tu, da solo, ripulisci tutta la nave, timone incluso con lo spazzolino da denti! Quando torno, la voglio trovare che risplende! Eh! Eh! Eh!” – e ghignò malefico.

“Contaci capo! – rispose lui mettendosi sull’attenti e ghignando di risposta – Ehi, Nami… compragli il gelato… ma non al cioccolato: non possiamo navigare col cesso sempre occupato!” – e tutti ripresero a ridere. 

“E invece me lo compro poi il cesso lo faccio pulire a te!”

 

“Uff… – sbuffò il capitano guardandosi gli infradito – mi s’è rotta la ciabatta destra… devo cercare un calzolaio…” – e si sedette sulla banchina per vedere meglio.

“Ma comprane di nuovi… - intervenne Nami – questi hanno più anni di te!”

“Non posso – fece lui serio – se ne vanno già troppi soldi per rimediare alle tue mutande col panda… – e ghignò, guardandola – di quella taglia te le devi far fare su misura e chissà quanto costano…”

“Stronzo di un pirata – sibilò lei – dammi la mano che ti accompagno a comprare il gelato, piccolino! Eh! Eh! Eh!”

Shanks stava maledicendo Lucky per averle fornito materiale per sfottere… Ma il suo rimuginare fu interrotto da qualcuno che gli toccava i capelli.

Nel silenzio generale della ciurma e del villaggio terrorizzato dallo sbarco dei pirati, una vocina disse:

“Che bei capelli!”

Shanks si girò e vide una miniatura di gitana che gli toccava i capelli a due mani e glieli tirava e gliel’accarezzava e gliel’aggiustava.

“E questa piccola parrucchiera chi è?” – domandò, guardandola bene e cercando di capire dov’è che l’aveva già vista. 

Aveva i capelli mossi e neri come l’avorio, la carnagione scurissima e gli occhi color del buio: era una bambina di cinque o sei anni, molto bella con un sorriso bianchissimo e la mania di toccargli i capelli.

“Signorina, come ti chiami?” – s’informò Shanks, sopportando in silenzio quella tortura.

“Giada… – fece lei guardandolo ammirata sempre manipolando la testa di Shanks – voglio i capelli come i tuoi… signore!”

“Giada! Giada, dove sei!” – la chiamava una voce preoccupata che si avvicinava a loro.

“Mi sa che la mamma ti sta chiamando, Giada…” – l’informò Shanks che la prese in braccio e si alzò per avvicinarla alla voce.

Nami lo guardava innamorata, persa nelle meravigliose sensazioni che prova ogni donna nel vedere l’uomo dei suoi sogni insieme ai bambini: la piccola lo stava letteralmente torturando e lui era dolcissimo e così affettuoso!

“Quanto t’invidio, Giada…” – osservando come era abbracciata a Shanks.

“Ecco la mamma…” – e la fece scendere mentre la piccola correva in direzione di una sagoma che si avvicinava.

“Meno male… ti ho trovata… - poi guardò Shanks preoccupata – mi scusi se le ha dato fastidio, io…” – e rimase senza parole.

“Shanks?” – chiese incredula mentre anche lui la riconosceva.

“Helena…” – disse lui con un filo di voce.

“Oh mio dio! AHHH!” – urlò lei come una pazza saltandogli addosso, felicissima, smorzando la voce in un abbraccio che li tenne uniti per un bel pezzo mentre Nami si sentiva male, verde di gelosia.

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** 044.Helena ***


44 – Helena

 

Si sciolsero dall’abbraccio dopo un po’ di tempo e si guardarono ridendo, felicissimi di rivedersi dopo vent’anni…

“Ecco dov’è che l’avevo vista! - le disse quando si riebbe dalla sorpresa – ti somiglia come una goccia d’acqua…” – e infatti, Helena e Giada erano diverse solo nelle dimensioni: sembravano due gitane, ma la mamma era una donna bellissima, talmente bella da ammutolire tutta la ciurma.

“Si vede che è mia figlia perché abbiamo avuto la stessa reazione quando ti abbiamo visto la prima volta: “Che bei capelli!” – rise lei guardandolo con le stelline negli occhi.

“Come sei cambiato… Sei un uomo ora! – gli disse ammirata, accarezzandogli il volto e i capelli mentre Nami si sentiva morire – Vedo i segni della pirateria: cicatrici, barba… Che diavolo t’è successo? – gli toccò le braccia – E il braccio?” – si sconvolse, sentendo che mancava qualcosa all’appello. 

“Una decina di anni fa un mostro marino mi ha trovato saporito… - scherzò lui alzando le spalle – mi voleva tutto, ma io non potevo trattenermi per cena e così ho lasciato il braccio a fargli compagnia! – e concluse – Sono cose che capitano!”

“Poco male… – ribatté lei, riprendendosi – l’importante è che t’è rimasto tutto a posto lì al Grande Blu… – disse allusiva mentre entrambi scoppiavano a ridere – è la tua parte migliore…” – adesso ridevano tutti. Solo Nami non riusciva a divertirsi: anzi cominciava ad odiarla per benino… Dai modi e dalla loro intimità aveva intuito che erano stati insieme ed erano troppo contenti di rivedersi: stavano ancora abbracciati e ridevano felici. 

E poi Helena era bellissima e molto formosa…  

Quando furono fatte le presentazioni, questa le scoccò un’occhiata profonda, ma non disse nulla.

“Ragazzi! – disse la bella mora – Vi invito tutti a casa mia, ci facciamo una bella mangiata…”

“SIII!!” – urlò la ciurma a cui non serviva certo un invito per fare baldoria e si avviarono a seguire quella bellezza, il loro capo e la piccola parrucchiera che gli stava sulle spalle, aggrappata ai capelli.

A Nami si stringeva il cuore: sembravano una famigliola e si sentiva esclusa… 

“Insomma, alla fine ti sei sposata? – chiese Shanks facendo saltellare la piccola sulle spalle – e questa bambolina è tua figlia: accidenti, mi sento vecchio… - e s’incuriosì – e i tuoi come stanno? hai altri figli? Fammi conoscere subito tuo marito…” – ma s’interruppe vedendo che su di lei era scesa un’ombra.

Si fermò, la guardò profondamente, le accarezzò la guancia, mentre Nami si sentiva morire, e le chiese preoccupato:

“Ehi, bellissima… che hai? Che cosa c’è?” 

Lei sospirò e lo guardò triste:

“Mio padre è morto tre anni fa… E quindici mesi fa il mio Diego l’ha seguito…” – mentre a Shanks si fermava il cuore.

“Il signor Enrico… – disse triste ricordando quel brav’uomo. Poi si sconvolse - Diego? Tuo marito è morto?” 

“Già… - fece lei – ma non parliamone adesso! Dobbiamo festeggiare, stasera! Non essere triste per me!” – gli disse, baciandolo sulla guancia mentre Nami voleva fucilarla.

Continuarono a camminare, parlando dei vecchi tempi e di persone che conoscevano, ma Shanks aveva un vuoto nel cuore: quello sguardo triste e addolorato negli occhi di Helena era una novità, non l’aveva mai visto. Se la ricordava sempre allegra e con tanta voglia di vivere, sempre pronta a ridere e a far l’amore: adesso era distrutta con l’anima a pezzi e lui non sapeva come fare per aiutarla.

 

A Shanks facevano ancora male le orecchie per colpa della signora Esmeralda, mamma di Helena, che gitana era davvero, che l’aveva riconosciuto subito e, davanti ai suoi uomini divertiti, l’aveva salutato con una tirata d’orecchie chiamandolo “ragazzaccio rosso” come aveva fatto per quei sette mesi in cui il diciassettenne Shanks aveva lavorato presso la sua fattoria.

La casa di Helena, infatti, era un gigantesco casolare di campagna in un promontorio verdissimo che dava sul mare: la veduta era fantastica e tutto il terreno intorno costituiva la tenuta della sua famiglia.

Era una vera e propria azienda agricola con tanto di allevamento di maiali, buoi e pure un maneggio: lì, il futuro comandante del Vento dell’Est, aveva lavorato per sette mesi subito dopo essere sbarcato dalla nave su cui aveva fatto apprendistato con Bugy il Clown.

Sempre lì aveva imparato i segreti della terra, quelli della lavorazione del legno e a cavalcare come un fantino, tanto che il padre di Helena avrebbe voluto farlo gareggiare, ma lui si era sempre rifiutato.

“Pilot è morto di vecchiaia… - lo informò la bella bruna – e nessuno più è riuscito a lanciarlo come facevi tu!” 

Pilot era un bellissimo stallone nero come i capelli di Helena che il padre le aveva regalato per il suo quindicesimo compleanno e che Shanks lanciava al galoppo quasi tutte le mattine all’alba divertendosi come un matto.

“Io sono rimasta dell’idea che avevate lo stesso carattere – continuava lei – vi trovavate bene perché a tutt’e due piaceva il pericolo di correre come il vento sul bordo del promontorio, rischiando di cadere nel vuoto… te lo ricordi come gridavi? Sì dai… di come gridavi quando raggiungevi il massimo della velocità e l’adrenalina ti schizzava dalle orecchie? Svegliavi tutto il villaggio… eri diventato il nostro gallo, quando ti sentivamo urlare, ci alzavamo!” – e ridevano presi dai ricordi mentre Nami non si perdeva neanche una parola e soprattutto un gesto.

In mezzo ai bagordi della ciurma del Vento dell’Est, i due ritrovati ridevano e parlavano dei vecchi tempi, occhi negli occhi, isolati dal mondo mentre Nami si rodeva nel vedere quanta intimità ci fosse fra loro e quanto poco la cacasse il suo Rosso: adesso c’era solo quella stronza di Helena, bellissima, femminilissima e con un seno esagerato che catalizzava l’attenzione di Shanks, rendendola trasparente e insignificante.

 

Oramai parlavano dei bei tempi da ore mentre la ciurma, gli altri figli di Helena e sua madre avevano ceduto al sonno della siesta del pomeriggio: la parrucchiera personale di Shanks non la smetteva di torturarlo affascinata com’era da quel signore con i capelli rossi e lucidi che rideva sempre e si lasciava pettinare, tirare e acconciare la testa.

Nami, poi, era troppo interessata a quello che succedeva tra quei due e certo non c’era spazio per il materasso.

Chiacchierava con Lucky, Ben e Yassop che, nonostante morissero di sonno, non volevano lasciarla sola a rodersi per via del loro capitano tutto preso dalla bella mora.

“Quando vidi il manifesto da ricercato con la tua faccia mi si fermò il cuore… - raccontava la bella mora – e quando lo riportai a casa, mio padre stappò una bottiglia in tuo onore e facemmo festa!” 

“L’ho fatta anch’io…” – confessò lui che poi riprese:

 “Ma… - fece ridendo e richiamando l’ennesimo ricordo – ti ricordi di quando tuo padre ci scoprì nudi nella stalla? – sospirò – non ne ho mai prese così tante!”

Anche lei rideva:

“Ma tanto lo sapeva da un sacco di tempo… Me lo disse quando partisti per fare il pirata… gli piacevi… e comunque era un tipo piuttosto moderno!”

“E mica tanto! Non so se te l’ha mai detto, ma quel giorno mi venne a prendere in spiaggia e mi disse che potevamo fare i maiali tutto il tempo, ma che se ti avessi messo incinta, o ti sposavo o mi castrava! - e ricominciò a ridere – Detto da lui mi preoccupai abbastanza…”  

“No… non lo sapevo questo…” – e giù a ridere a crepapelle inconsapevoli che il cuore di Nami stava sanguinando.

Lo sapeva che Shanks avesse avuto altre storie prima di conoscerla e poi loro due non stavano neanche insieme… Ma era innamorata e sentirlo parlare con una sua ex, ancora così avvenente, che lo guardava in quel modo, di tempi in cui scopavano come lepri non la faceva stare benissimo… aveva un groppo in gola e l’anima piena di graffi a cui si aggiungevano quelli che le procurava Shanks ogni volta che sorrideva alla sua ritrovata amica.

E la invidiava: lei almeno era riuscita a stare con lui, a far l’amore con lui… Erano stati insieme per sette mesi e, a giudicare dalle risate che si stavano facendo, si dovevano essere divertiti anche una cifra…   

 Si sentiva inutile e trascurata, gelosa fin nel midollo di una donna che aveva tutta l’età per stare con lui, che l’aveva toccato e baciato come lei solo sognava di fare e che adesso gli stava attaccata con estrema disinvoltura, quasi non si rendesse conto di sfiorare l’uomo più bello del mondo…

E poi lei lo abbracciava e lo sbaciucchiava sulle guance in continuazione, lo accarezzava e ridevano l’uno sul volto dell’altra tutti presi dai loro ricordi e dalle loro risate.

Avvertiva un dolore sordo e profondo nell’anima e si sentiva davvero una mocciosa guardando quella donna bellissima con delle curve impossibili e dalla pelle lucida che pareva uscita da un quadro: lui la guardava tutto preso e felice, dolce con lei, dolorosamente bello e altrettanto irraggiungibile.

Si rendeva conto, improvvisamente, di essere stata solo una stupida nel pensare e sperare di destare la sua attenzione, di eccitarlo, di farlo innamorare: aveva conosciuto troppe donne, aveva girato e vissuto troppo per trovarla interessante.

“Ha ragione quando dice che sono una mocciosa…” – pensava mentre due lacrime silenziose si affacciavano al mondo, gridando attenzione e lei le ricacciava giù e le sue mani si torturavano a vicenda.

E quel pomeriggio in cabina? Che cos’era stato? 

“Sono l’unica donna sulla nave… - ragionò delusa – e tra l’altro innamorata persa di lui… Era normale che ci provasse! – e concluse – E’ stato anche troppo corretto: sapeva che se voleva, poteva avermi tutta e in qualsiasi momento… Che cretina sono stata!” – si disse mentre ora le lacrime minacciavano di scendere copiose e lei lottava con tutta se stessa per trattenerle.

Avrebbe voluto arrabbiarsi con lui e odiarlo, ma non ci riusciva: si era comportato da gentiluomo e non aveva approfittato di lei…

“Magari non l’ha fatto perché gli faccio proprio schifo…” – pensò con il cuore in frantumi, rischiando di perdere il controllo e mostrare a Shanks l’inferno che stava vivendo.

Doveva assolutamente allontanarsi da lì… sapeva che non avrebbe retto di più e si ricompose per prepararsi ad abbandonare la scena.

All’ennesimo scoppio di risa di quei due si alzò di scatto mentre gli occhi di tutti i superstiti erano su di lei:

“Ehi… scusate se ho fatto rumore – bisbigliò, fingendosi imbarazzata – …fa troppo caldo e vado a fare un bagno… ci vediamo stasera…” – e si allontanò sensibilmente sollevata sotto lo sguardo pensieroso di Shanks e quello di Helena che fissava il suo amico.

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** 045.Dolore ***


45 – Dolore

Quando scomparve alla loro vista, i tre uomini di Shanks riuscirono finalmente a dormire e lui riprese a chiacchierare con la sua amica, avvertendo la mancanza della sua ragazza.
Aveva di proposito rivangato quei ricordi di sesso sfrenato con la bella mora per vedere la sua reazione, ma lei non aveva versato una lacrima né battuto ciglio anche se aveva ascoltato tutto.
In realtà l’aveva fatto per farle schifo… 
Doveva allontanarla a tutti i costi, non bastava più contenere le sue avances: era necessario troncare ogni sua iniziativa sul nascere, doveva farle capire che tra loro non c’era niente…
Ma averla sulla nave era un continuo tormento, una tentazione, un chiodo fisso: non ancora riusciva a capire come aveva fatto ad allontanarla quella notte di tempesta che gli era rimasta nel sangue. Quando l’aveva stretta a se, si era accorto che quella piccola incosciente non aveva addosso nemmeno le mutande… ci era andata proprio con l’intenzione e lui non si era mai sottratto ai desideri delle donne con cui era stato.
La passione lo bruciava, non aveva più un nervo sano, si buttava in mare di continuo e quando la guardava le cercava dei difetti, ma non li trovava: era pazzo di lei, l’amava da morire, se non la vedeva per un’ora, dava di matto, prima di vederla aveva fame e sete e dopo averla rivista gli passava tutto e sentiva solo un grosso vuoto in gola, nel cervello… e in mezzo alle gambe.
Aveva il sangue sempre a temperature impossibili, si muoveva come uno zombie sbattendo e rovesciando tutto quello che toccava, non riusciva più nemmeno a maneggiare la spada senza tagliarsi, mangiava pochissimo e non beveva più (preoccupando a morte i suoi uomini). 
Certe volte era talmente fatto da confondere Nord e Sud e le lasciava fare la navigatrice a tempo pieno: lui era in grado solo di eccitarsi.
E poi non dormiva più… Se solo si azzardava a chiudere gli occhi per riposarsi, faceva dei sogni indecenti pure per un filibustiere e si svegliava in condizioni impossibili da raccontare anche a se stesso…
In quel delirio era sbarcato sull’isola di Helena: con lei, in quei sette mesi, aveva fatto sesso con la S maiuscola…  ci avevano dato dentro fino a stare male, complici l’età giovanissima e un grande feeling che era sempre stato, e continuava ad essere, amicizia.
Quando aveva consultato la carta geografica, aveva tratto un profondo sospiro: non sapeva se avrebbe rivisto la sua amica e, nell’ipotesi positiva, aveva pensato di darsi una grande sfogata con lei…
Ma poi, quel grandissimo figlio di un cane che si chiama amore, gli aveva impedito anche solo di pensare una cosa del genere: lui voleva la sua mocciosa, voleva solo lei e nessun’altra…
E adesso aveva cercato di farla cedere, di farle schifo, di farsi odiare.
Ma lei, con grande dignità, si era allontanata, lasciandolo cuocere nel suo brodo…
“E’ fortissima…”- pensò, sospirando mentre Helena interrompeva i suoi pensieri e gli diceva:
“Ehi… Giada ti adora… si è addormentata addosso a te… - e sorrise – guarda che farla addormentare è impossibile…”
Lui guardò la sua parrucchiera, finalmente stanca, che gli aveva lasciato un groviglio di rovi in testa tutti scomposti e doloranti e disse:
“Ma io sono particolarmente palloso… è facile dormire in mia compagnia…”
“Mica tanto…” – fece lei allusiva e ricominciarono a ridere.
Poi lui riprese:
“Non credi sia meglio metterla a letto? Forse sta scomoda addosso a me…”
E, mentre Nami piangeva in mare tutte le sue lacrime, si alzarono per andare in camera dei ragazzi.

“Io… non avrei mai pensato di vederti innamorato!” – esclamò Helena, osservando il suo amico diventato improvvisamente muto che portava in braccio la sua bambina e la metteva a letto.
Lui sorrise, ma rimase silenzioso e soprappensiero per un po’ e poi disse:
“E io non avrei mai pensato di vederti quello sguardo triste…”
Lei abbassò gli occhi.
“Lo sapevo… non ti sfugge niente! – e rise – Siamo da buttare via oggi!”
Uscirono dalla camera e andarono nel soggiorno che Shanks aveva frequentato per sette mesi e di cui conservava molti e piacevoli ricordi. 
Si fermò davanti ad una grande foto in cui un uomo alto e molto robusto con un largo sorriso stringeva la sua amica.
“Parlami di Diego… – si girò verso di lei con un dolce sorriso – avrei voluto conoscerlo…” – doveva smetterla di pensare a lei e aiutare la sua amica…
Nel sentire il nome di suo marito le si riempirono gli occhi di lacrime.
“No… Shanks…” – disse scuotendo la testa mentre lui ci rimaneva di sasso nel vederla piangere per la prima volta.
“E invece sì… – insisté lui – parlami di Diego, descrivimelo! Dimmi com’era quel furbacchione che ti ha sposata…” – le chiese, accarezzandole i capelli cercando di farla sfogare.
E lei crollò come una diga stracolma di dolore.
“Mi manca, Shanks! – urlò tra i singhiozzi nascondendo la faccia fra le mani – Mi manca da morire!” – mentre lui la guardava addolorato pensando che l’amore era proprio una carogna e riduceva le persone a larve umane che dipendevano dagli altri…
“Non ce la faccio! Non è vero che sono forte come diceva lui… - e piangeva – è tutto più vuoto, non riesco nemmeno a sopportare i colori! – urlò in faccia al suo amico che aveva già il cuore a pezzi di suo e la guardava sgomento – Non mi piace più niente, non voglio fare più niente e… odio tutti quelli che mi stanno intorno, compresi i miei figli!” – aggiunse, sconvolgendolo.
“Non doveva lasciarmi sola! – ricominciò a gridare di nuovo – Non è giusto! Adesso che faccio? Come vado avanti? Io non sono forte! Era lui quello che tirava avanti tutto, che pensava a tutto… lui c’era sempre, era sempre con me… e io l’amavo da morire e mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciata mai…” – si sfogava mentre Shanks riusciva a capire perfettamente quel dolore e stava male.
Lei pianse e urlò per un bel po’ mentre il suo amico l’ascoltava in un silenzio addolorato con la magra consolazione di essere riuscito almeno a farla sfogare.
“E poi… - aggiunse disperata – lo sto dimenticando… Shanks, sto scordando la sua faccia, i suoi capelli e la sua bocca… – e lo guardava con gli occhi annegati e il viso segnato dal dolore – e quando meno me l’aspetto lo sogno come in quella fotografia - disse puntandola - che mi parla o beviamo il caffè la mattina o – concluse singhiozzando – che legge una favola ai ragazzi!”  
“E allora io – aggiunse in preda allo sconforto – mi sento morire di dolore perché già nel sogno mi rendo conto che non è vero, che lui non c’è più… e quando mi sveglio il posto accanto a me è vuoto!” – urlò mentre anche Shanks voleva piangere, ma capiva che adesso toccava a lui essere forte per entrambi.

Pianse ancora a lungo mentre lui la guardava singhiozzare e si sentiva inutile come mai: non riusciva a dirle niente che fosse di consolazione.
Capiva perfettamente quel dolore: lo aveva sentito anche lui per una settimana intera e negli anni seguenti la morte di sua madre.
Sapeva anche che qualcosa di estremamente somigliante lo avrebbe provato quando si sarebbe separato da Nami…
“E poi… – riprese lei ridendo tra le lacrime – mi manca il suo modo di fare l’amore! Mi manca che mi baciava a lungo e mi prendeva in giro – e lui sorrise pensando a quel pomeriggio in cui aveva fatto una cosa simile con la sua mocciosa adorata – mi manca che mi faceva il solletico e mi prendeva all’improvviso!” – e rideva fra i singhiozzi.
“Shanks, che cosa devo fare?” – gli chiese in preda alla disperazione.
Lui si alzò, visto che erano ore che stavano seduti al tavolo del soggiorno a guardare quella foto, le prese la mano e l’aiutò a mettersi in piedi come aveva fatto quella ragazza con lui ventitré anni prima: poi l’abbracciò, stringendola a se mentre lei finiva di sfogarsi.
“Io non posso aiutarti – esordì, coccolandola – non c’è rimedio alla morte e tu lo sai come lo so io – lei era la sola, oltre a Lucky, a conoscere la faccenda della morte di sua madre – però non dire che odi tutto, anche i tuoi figli! Lo so che ti ricordano lui, come tutto qui intorno… È normale! Però non è vero che li odi… dico bene?” – le domandò, sorridendo.
Lei assentì col capo piangendo.
“E poi se potessi tornare indietro nel tempo, sapendo come va a finire, lo sposeresti lo stesso, vero?”
“Sì…”
Rimasero ancora un po’ in silenzio e le chiese all’improvviso, spiazzandola: 
“Noi siamo stati bene insieme?”
“Certo! – gli sorrise lei sinceramente – Se non avessi conosciuto Diego ti sarei venuta a cercare per costringerti a sposarmi! – rise – e mi sarei portata papà che sapeva essere molto convincente…” – e scoppiarono a ridere.
“Però – riprese lui – Diego era una cosa diversa da quella che abbiamo vissuto noi due…” – e cominciò a strusciarsela piano.
“Già…”
“Se ti capitasse una cosa come quella che c’è stata tra noi, bella e divertente, ti dispiacerebbe?” – e la spiazzò di nuovo.
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che quello che c’è stato con Diego, chiamalo amore se vuoi, non ci sarà più con nessun altro! – le disse, ferendola – Con lui se n’è andato quell’amore che non riavrai più! – e lei singhiozzava – Lui è stato con te per un certo periodo della tua vita: ora non c’è più e appartiene al passato! Non trattenerlo, lascialo andare via! Come hai dimenticato me, devi dimenticare anche lui: lo so che il paragone è improponibile, ma lui non c’è più e non tornerà, stanne certa!”
“Questo, però, non vuol dire che devi rimanere sola! I tuoi figli, la tua casa e la fattoria, possono anche andare avanti senza la presenza di un uomo, ma tu no! – le disse deciso – Ti ricordi che cosa mi dicevi quando eravamo soli nella stalla dopo averci dato dentro per ore? Che la cosa che cercavi in un uomo era la sua presenza costante, che non ti lasciasse mai e che tornasse a dormire sempre vicino a te… e io, ovviamente, ero l’esatto contrario dei tuoi desideri… – aggiunse, ridendo. E concluse – perciò non ci siamo innamorati…”
E continuò:
“Ma Diego evidentemente era così… e tu ora devi trovare un altro uomo che stia sempre con te e non ti faccia dormire sola… - e se la strusciava… - Sei troppo bella e giovane per fare la vedova! Hai ammutolito i miei ragazzi con le tue curve mozzafiato e scommetto che non ti mancano i calabroni che ti ronzano intorno…” – le disse, ridendo mandrillo sempre strusciandola.
“No, non mi mancano…” – ammise lei sorridendo.
“E scommetto anche che qualcuno di questi calabroni ti ha suscitato pensieri impuri…” - e ridevano mentre il lavoro di bacino di Shanks cominciava a fare effetto.
Lei non diceva niente sentendo il suo corpo che reagiva come non faceva da mesi.
“E magari ti sei sentita in colpa per quello che hai provato… - le disse intensificando i suoi sforzi – però, se una volta diventato pirata, avessi saputo che non riuscivi più a stare con nessun altro, io ci sarei rimasto malissimo… Prova ad immaginare quanto ci resterebbe male Diego se sapesse che per venerare un fantasma, ti neghi ad altri uomini in carne ed ossa e che potresti amare magari in modo diverso…” 
E se la lavorò definitivamente. 
“Dimmi che non stai sentendo niente! Dimmi che non ti piace…” – la sfidò attaccandola al muro, baciandole e mordendole il collo in preda ai sensi di colpa con la sua mocciosa.
“Oh… Shanks…” - sospirò lei di nuovo eccitata dopo tanto tempo mentre aspirava quell’odore di uomo che le mancava da quindici mesi e sentiva il calore di una persona che la stringeva e la riportava alla realtà fatta di sensi e piccole cose che un fantasma non poteva darle…
Poi le sollevò la gonna, le sfiorò la gamba e la divaricò stringendola a se come tanti anni prima, facendola venire.
“Sei talmente bella che ti farei tornare ad urlare come quando avevi quindici anni!” – e risero, ricordando quei mesi di delirio… mentre lui si distaccava con un pudore che non gli si addiceva e lei lo guardava sconvolta e divertita nel vederlo così innamorato di quella ragazzina.
“Magari trovi un tipo simpatico che ti fa ridere e che, sicuramente, ti ama da morire e tu piano piano impari ad amarlo: lui ti sta vicino e dorme con te ogni sera… non è e non sarà mai Diego, ma avrà un altro nome, un altro volto e un altro odore e tu gli vorrai bene e ti piacerà averlo accanto… – e s’inventò, ridendo – andrete a fare la spesa, al mare, in gita coi ragazzi e scoperete come lepri anche se, mi dispiace per te, non arriverà mai ai miei livelli…”   
“Beh… - disse lei maliziosa, sorridendo e asciugandosi le lacrime – mi dovrò accontentare visto che sei tutto suo! - e gli scoccò un’occhiata significativa, sottolineando il “suo” - Glielo devo dire che hai un ritmo selvaggio… - mentre lui arrossiva – che cominci ad allenarsi! – e aggiunse, ridacchiando – Ma ti devo informare che anche Diego non se la cavava male… Anzi… E’ riuscito a farmi dire “Basta, non ce la faccio più…” e tu invece no”.
“Forse perché a quindici anni eri un’infoiata! – rise lui sconvolto – magari con l’età ti sei data una calmata! Però era un mito! Come c’è riuscito a farti dire “Basta!”?… Mi riducevi una larva, la mattina non riuscivo ad alzarmi e tuo padre mi rincorreva, dicendo: “Brutto teppista rosso! E’ chiaro che non ce la fai a zappare se ti scopi mia figlia tutte le sere! Lasciala dormire ogni tanto la mia bambina!” 
Helena era grata a quel fantastico amico rosso a cui era sempre riuscita a confidare tutto e con cui aveva un’intimità infinita: era riuscito a farla sfogare, a farla ridere, a farla eccitare e farla sentire di nuovo viva come non era da mesi.
“Grazie Shanks!” – gli disse mentre la luce del tramonto filtrava dalle finestre disegnando le sagome di due amici avvinghiati che ridevano e si coccolavano.

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** 046.Una dolorosa rimpatriata ***


46 - Una dolorosa “rimpatriata”
 
Aveva pianto disperata, aggiungendo altra acqua a quella del mare sollevata in potenti bracciate cercando di sfogare tutto il malessere che aveva dentro…
Adesso era buio e doveva tornare dai ragazzi, da quella bella stronza di Helena e dal suo dolce e irraggiungibile Rosso che sicuramente erano ancora lì a cicalare tutti presi dai loro ricordi.
Aveva il volto segnato dal dolore, ma la consolavano il favore delle tenebre e lo scarso interesse che suscitava nel suo adorato: ora c’era solo quella…
Quei due erano stati insieme per sette mesi e alla gelosia si aggiungeva l’angoscia che Shanks potesse innamorarsi di nuovo di lei, che decidesse fermarsi lì, che… Un pensiero terrificante la folgorò, fermandola di colpo a metà nuotata:
“E se decidono di fare una rimpatriata nella stalla? – pensò mentre il cuore le si gelava - Oddio… no… Ma lui è libero… E poi è un pirata… Se la mangia con gli occhi… - e si sentiva dilaniata dal dolore alla sola idea che il suo Rosso potesse decidere di concludere in bellezza la serata con Helena – ti supplico, Shanks, non farlo…” – implorava tra sé mentre tornava dagli altri con l’inferno nel cuore e consapevole che non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo.
 
Li trovò tutti riuniti intorno al tavolo sotto i portici come a mezzogiorno: quei pirati casinisti non facevano altro che mangiare e bere presi dai loro bagordi.
Non vedeva ancora il suo Rosso e cominciò ad avere la tachicardia:
“No… No… No…” – correndo disperata verso i ragazzi, era l’unico monosillabo che riusciva a dire, cercando con gli occhi il suo dolce amore che le stava facendo passare i guai.
Aveva già gli occhi umidi, quindi non scorse la piccola Giada che le corse incontro tutta contenta e per poco non la pestò; poi la prese in braccio e la strinse disperata: detestava sua madre, ma quella pupetta, come la chiamava Shanks, era un vero tesoro, un angioletto.
“Ciao pupetta… - le uscì, mordendosi un labbro pensando che finanche la piccoletta riusciva a stare più con il suo Rosso di quanto poteva fare lei – andiamo a mangiare?”
“No… – rispose la piccola, protendendosi e puntando il dito dietro le sue spalle – andiamo dal signore con i capelli rossi…” – mentre a Nami si gelava il sangue nel girarsi e scorgere Shanks poco distante, appoggiato ad un albero che la osservava.
Si guardarono persi l’uno negli occhi dell’altra per un lunghissimo minuto poi lui si avvicinò lentamente mentre Giada fremeva per tornare a toccargli i capelli e allungava le mani, sbilanciando Nami che si sentiva il cuore in gola e l’affanno.
“Stavo… - iniziò lui con il cuore a mille e un groppo in gola – stavo per venire a cercarti… sei sparita.”
“Ho fatto una nuotata…” – mormorò lei, evitando i suoi occhi per non fargli vedere che aveva pianto.
Shanks si avvicinò, si fermò a pochissimo da Nami e accostò il volto alla piccola permettendole di afferrargli i capelli: erano talmente vicini da poter sentire i loro respiri e il fruscio dei capelli di lui torturati dalla bimba.
Nami sentiva lo sguardo di Shanks addosso che le bruciava la pelle e nonostante morisse dalla paura di guardare, non riuscì a fare a meno di incontrare quegli occhi che amava più di tutto, che le toglievano il respiro, che sapevano mettersi in comunicazione con la sua anima, che erano le porte di un mondo dolce e inesplorato…
E restarono così vicini a guardarsi come se si fossero rivisti dopo mesi, tesissimi, innamoratissimi e con l’affanno crescente per i loro cuori impazziti mentre naufragavano negli occhi dell’altro… tutto grazie alla piccola e laboriosa parrucchiera che dal basso dei suoi cinque anni, non poteva nemmeno immaginare il dolore e l’amore che la circondavano.
Nami non riusciva più a sopportare quella vicinanza dolorosa, lo sguardo dolce e profondo di Shanks che la fissava in silenzio: quella situazione non era normale, non erano mai stati così vicini a guardarsi occhi negli occhi senza dire una parola. E si perdeva, naufragava in quello sguardo senza frontiere, in quegli occhi scuri e decisi che contenevano tutto ciò che c’era di infinito, grande e bello.
Lui si era sentito perduto quando Nami se ne era andata a fare il bagno: aveva provato a torturarla, ma lei si era sottratta al suo gioco… E ora la vedeva bella come mai e lui, innamorato perso, era obbligato a guardarla e a starle vicino per non morire, per non sentirsi a metà e per riuscire a respirare. Ne aveva sentito la mancanza mentre consolava la sua amica, mentre metteva a letto quella piccoletta, mentre cercava di non pensare alla disperazione di Helena per aver perduto il suo Diego: adesso lei gli era davanti, lo guardava con quegli occhi rossi e gonfi di un lungo pianto e gli chiedeva solo amore.
L’incontro dei loro occhi cominciò ad essere doloroso e Shanks impresse una svolta alla situazione:
“Ehi, pupetta…” – distolse lo sguardo sulla piccola mentre Nami continuava a guardarlo innamorata.
“Io mi chiamo Giada…” – l’interruppe lei.
Nami e Shanks sorrisero a quella precisazione.
“Va bene, Giada – riprese lui – andiamo a mangiare?”
“No…” – era troppo intenta a toccargli faccia e capelli.
“E se ti do un bacetto? Andiamo?”
“Sì…”
Lui sorrise dolcemente alla bimba, si avvicinò di più facendo esplodere il cuore di Nami che lo fissava adorante e schioccò un bacetto sulla guancia della piccoletta, che pizzicata dalla barba, scattò all’indietro e si grattò.
La povera Nami non riusciva più respirare: Shanks le era di nuovo vicino, anche se non per lei e i suoi capelli erano sul suo viso…socchiuse gli occhi intenta ad aspirarne il profumo e goderne la morbidezza.
“Mio dio quanto sei bello…” – le venne da gridare, ma riuscì solo a stringere le labbra per dominare le sue emozioni. 
E Shanks le diede il colpo di grazia.
Si girò lentamente verso di lei, le accarezzò lievemente la guancia facendole tornare gli occhi umidi, chiuse gli occhi e la baciò delicatamente vicino alla bocca, intento ad aspirare il suo profumo misto alla salsedine.
Rimasero a lungo attaccati e sofferenti per via della pelle che si toccava e che scottava ad entrambi, dei loro respiri agitati che non riuscivano a contenere e del pulsare selvaggio dei loro cuori che cercavano di ignorare, ma che li stordiva.
Shanks, con il cuore in gola, la sentì tremare e fremere; lei chiuse gli occhi e abbandonò la testa contro quella di lui.
“Non ce la faccio più…” – pensavano entrambi, distrutti da quel contatto che diventava sempre più frequente e necessario; Nami avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo e se e non staccarsi più da quello strano uomo che la faceva sentire viva e felice solo con un’occhiata e sempre con un’occhiata sapeva gettarla nella disperazione.
Poi lui si staccò, strattonato per i capelli dalla bimba che voleva riaverlo tutto per sé, la prese in braccio e si allontanò in silenzio, lasciando Nami nel baratro della follia.
 
Durante la cena si ripropose lo stesso copione del pomeriggio: Shanks ed Helena erano tornati a parlottare fra loro, ridendo e scherzando, sempre più vicini e sempre più intimi.
Nami guardava e ingoiava, ancora scossa per il bacio che lui le aveva dato senza un motivo, una parola e stava rischiando veramente di impazzire ora che lui la ignorava di nuovo e guardava la sua avvenente amica e le sue curve impossibili.
Mentre Nami viveva un autentico inferno, la ciurma del Vento dell’Est si dava ai bagordi e all’alcol coadiuvata dall’allegria contagiosa e godereccia del personale dell’azienda agricola di Helena che dai tempi di padron Diego non si divertiva così: cantavano e ballavano mentre il fuoco spandeva bagliori allegri su tutti tranne che sulla bella navigatrice.
“E’ proprio bellissima…” – pensava distrutta mentre osservava quella splendida gitana cui il fuoco non faceva che esaltare il colore bruno e caldo della pelle e la lucentezza dei capelli; così come non le sfuggiva lo sguardo perso di Shanks che fissava la sua amica come un miraggio, chiaramente abbagliato dalla sua bellezza.
All’improvviso uno dei dipendenti della fattoria, imbevuto d’alcol, gridò:
“Ballate!! Donna Helena… ballate per noi!!” – e tutti ad incitarla con acclamazioni fragorose.
“E’ vero!! – le sorrise dolcemente Shanks preso dai ricordi – tu sei una ballerina di flamenco o qualcosa del genere, se non ricordo male… visto che mi logoravi e non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti!”
“Quando ballavo nuda per te, era perché non mi avevi fatto stancare abbastanza!” – e scoppiarono a ridere di nuovo provocando un’ennesima emorragia nel cuore innamoratissimo di Nami che si sentiva morire.
“Balla per me…” – le sussurrò dolcemente Shanks stringendola delicatamente.
“Ballo! Ballo! Ballo!” – si unì a gran voce il resto della banda che non scorse la luce abbandonare gli occhi di Nami, scenderle sulle guance e bagnarle le mani.
La bellissima bruna si alzò creando silenzio e si sistemò al centro dei bagordi mentre Shanks beveva ogni suo movimento: iniziò a muoversi con grande maestria al ritmo della musica che s’intonava perfettamente al caldo di una luminosa notte estiva.
E tutti ammutolirono davanti al frusciare selvaggio delle vesti colorate della padrona di casa, davanti al luccichio dei suoi monili che risuonavano al ritmo della musica, davanti ai suoi lucidissimi capelli d’ebano e alla sua pelle che tra i riflessi lunari e quelli del fuoco aveva già fatto molte vittime tra i filibustieri.
“Sa anche ballare…” – Nami era disperata.
Soffriva tremendamente nell’accorgersi di non poter nemmeno pensare di competere con una tale bellezza: Helena era bella, simpatica, intelligente, colta, mandava avanti una fattoria di quei livelli, era affascinante, era passionale e molto caliente… Sapeva ipnotizzare anche le donne con il suo flamenco.
E Shanks non le toglieva gli occhi di dosso, era chiaramente pazzo di lei, la guardava come non gli aveva mai visto fare.
Assistette alla danza di Helena da dietro un grosso velo di lacrime. 
 
Oramai s’era fatto tardi ed erano rimasti davvero in pochi intorno al tavolo sotto l’immenso porticato della casa di Helena e si sentivano solo le loro voci che ancora bisbigliavano: avevano bevuto abbastanza e ridacchiavano felicissimi attaccati l’uno all’altra mentre la luna piena osservava indifferente e immobile il tormento di Nami che sentiva crescere il suo malessere.
Avrebbe dato qualunque cosa perché uno dei due si addormentasse sul colpo, smettendola di cicalare e ignorarla, avrebbe dato qualunque cosa per essere al posto della bella mora: la notte era troppo ideale per sprecarla dormendo…
Ad un certo punto i suoi timori si concretizzarono.
Shanks scoppiò a ridere in preda all’ennesimo ricordo subito seguito da Helena e poi le disse dolcemente:
“Mi sei mancata…”
E la baciò.
Lei assistette a tutta la scena memorizzando per sempre ogni particolare del momento più brutto della sua vita dopo aver visto Arlong sparare a Bellmer: l’espressione di Shanks mentre le si avvicinava, il modo in cui chiuse gli occhi e, infine, la sua bocca socchiusa che si poggiò su quella di Helena. 
 Nello stesso istante in cui le labbra del suo Rosso toccarono quelle di Helena, il cuore di Nami fece la stessa fine di un vaso di cristallo che cade dal terzo piano. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quei due che restarono attaccati a darci dentro per un po’… le sembrava un incubo, non riusciva a crederci.
Poi Shanks si distaccò dalla bocca della sua amica e le sorrise con le labbra umide spazzando via anche i pezzetti più piccoli di quello che qualche minuto prima era il cuore di Nami; infine, le fece un cenno di intesa, si alzarono, la prese per mano e disse con noncuranza rivolto ai superstiti:
“Noi ce ne andiamo… Ci vediamo domani, buonanotte!”
E si allontanarono in direzione della spiaggia e della luna, mano nella mano.
 
“E’ proprio un cretino…” – pensò Ben, guardando il suo migliore amico che si allontanava mano nella mano con la bella mora, evitando gli occhi di Nami per non costringerla a preoccuparsi anche di mascherare il suo dolore.
Lucky, Yassop e Ben, nel silenzio ovattato della sera, erano convinti di aver sentito quel fragile cuore andare in mille pezzi: trattenevano il respiro, cercando di capire se fosse ancora viva…
Yassop la osservava con il cuore gonfio: quella ragazza era un’amica di suo figlio e poi era tanto dolce e così innamorata di quel coglione di Shanks…
“Ma che idiota…. – pensava pieno di rabbia – gli farei un buco tra gli occhi… Sta rovinando tutto!”
Lucky, che non amava le mezze misure, pensava:
“Domattina lo appendo per le palle all’albero maestro…”
“Speriamo che sappia quello che fa…” - si dissero tristi in cuor loro.
 
“Era proprio necessario baciarmi?” – gli domandò Helena con un sospiro quando furono in spiaggia e lontani dal gruppo.
Ma lui rimaneva in silenzio, immobile e rivolto verso il mare.
Lei gli girò intorno e lo vide con gli occhi serrati e la mano sulla bocca mentre si mordeva il labbro fino a sanguinare e non respirava nemmeno: cercava di non piangere.
“Shanks…”
Lui alzò la mano aperta: le chiedeva solo cinque minuti… per riprendersi…
 
Oramai quei due se ne erano andati da un po’.
Con gli occhi asciutti e il volto disteso, Nami si girò verso i suoi compagni di navigazione che la guardavano smarriti e disse sorridendo, riuscendo ad essere convincente:
“Ho mangiato tantissimo… Ragazzi vado a dormire che domani è mercato e mi devo alzare presto… - poi s’informò – vi serve qualcosa?”
“Adesso non saprei… – fece Lucky spiazzatissimo – te lo faccio sapere domani che anch’io mi devo alzare presto…”
“Allora… buonanotte!” – disse lei spensierata e se ne andò.
“Seguiamola… – dispose Ben troppo preoccupato – non mi piace quello sguardo: le donne innamorate sono capaci di tutto… e facciamo piano!” 
La seguirono, ma lei entrò nella stanza che la padrona di casa le aveva assegnato e si mise a letto.
Yassop, incurante della privacy di Nami, si arrampicò su un albero e la sorvegliò a lungo: gli altri erano ai piedi di quella grossa pianta, pronti ad intervenire.
 
Dopo un bel po’ lui si lasciò il labbro che sanguinava e si girò verso la sua amica:
“Grazie – sorrise e disse con un filo di voce tremante – per aver retto il gioco…” – guardandola con gli occhi umidi.
 “Sei sicuro di aver fatto la cosa giusta?” – s’informò lei mentre gli asciugava il labbro con un fazzoletto.
Qualche ora prima aveva preso la decisione di spezzarle il cuore… durante quel bacio che lui stesso non aveva saputo evitare.
Stava diventando sempre più facile avvicinarsi e stare attaccati, sempre più facile e necessario; il profumo di lei, il suo respiro, la sua pelle, gli mancavano da togliere il fiato… e poi aveva visto i suoi occhi rossi e gonfi, doveva aver pianto tutte le sue lacrime nel vederlo così preso dalla sua ritrovata amica: insomma, non aveva saputo resistere… e se non ci fosse stata la piccola Giada, sarebbe finita come desideravano da quando si conoscevano…
“Non ho mai fatto una cosa più giusta… – le sorrise con la voce rotta mentre due grosse lacrime bagnavano la mano di Helena – lo vedi che è proprio una mocciosa? - le chiese con la voce carica di dolore, tirando su con il naso, chiudendo gli occhi e cercando di contenersi – Aveva gli occhi pesti… oggi pomeriggio s’è messa a piangere… Non ha capito niente…” – e crollò in ginocchio sulla sabbia piegato dal dolore di averle spezzato il cuore.
“Mi hai chiesto di reggerti il gioco e io l’ho fatto – fece lei inginocchiandosi davanti al suo amico distrutto, asciugandogli le lacrime che non riusciva a controllare – ma credo che tu stia sbagliando…”
“Da quando la conosco non faccio altro…” – mormorò lui in preda allo sconforto fra i singhiozzi.
“Perché la vuoi allontanare?”
“Perché siamo troppo legati… – spiegò disperato, cercando di asciugarsi gli occhi senza riuscirci – lei è così giovane… ed io ho più del doppio dei suoi anni… Fa parte di un’altra ciurma e… se ne andrà quanto prima: la sto accompagnando a ritrovare il suo capitano che, tra l’altro, è pure un mio amico… – e tirava su col naso – Mi sento un moccioso frignone… – e rise – ma com’è possibile che riesci sempre a farmi dire tutto?” – chiese dolcemente alla sua amica ripensando a vent’anni prima e a come lei era riuscita a fargli parlare di sua madre e farlo sfogare.
“Forse perché siamo amici? – tirò ad indovinare lei scherzando – Comunque non mi sembra così disperata la situazione…”
“Come no? – l’interruppe lui – C’è davvero troppa differenza d’età… E Rufy se la porterà via: potrei non rivederla più…”
“E allora prendila con te!” – se ne uscì lei, convinta del colpo di genio.
“Ma che dici!? Se Rufy mi somiglia anche solo di striscio, non la lascerà andare mai… e poi io… non la voglio con me!” – e seguirono attimi di silenzio in cui lei lo squadrava attentamente.
“Ho capito… – sospirò – almeno sii sincero con te stesso! Tu hai paura! – disse mentre lui tremava nel sentirsi buttare in faccia la verità – Tu hai solo paura di perderla… come è successo con tua madre…”
Lui cadde seduto sulla sabbia e rimase in silenzio a guardarla con il volto rigato dalle lacrime.
“Ho ragione, vero?”
E Shanks le sorrise fra le lacrime:
“Non voglio perdere anche lei… non ce la farei… non sono così forte… – e chinò la testa in preda alla disperazione - Non due volte nella stessa vita… - singhiozzava in preda ad un immenso mal di stomaco – no…”
“Non è detto che la perdi…”
“E invece sì… già ci sono andato parecchio vicino… - si disperò lui – sono piuttosto sfigato in queste cose” – e rideva tra le lacrime, cercando comunque di contenerle.
E lei provò a tirarlo su di morale.
“Oh… meno male che ci vediamo ogni vent’anni! – mentre lui rideva e piangeva – senti un po’… ma da quand’è che non piangi?” – gli chiese dolcemente per sfotterlo un po’ e farlo ridere.
“Vent’anni…” – rispose lui ridendo fra le lacrime.
“Visto che ogni volta che ci vediamo finiamo per frignare - disse lei asciugandosi di nascosto le lacrime nel vederlo così disperato e cercando di essere forte per tutt’e due – o non ci vediamo più o ci vediamo con regolarità…” – e l’abbracciò stretto mentre lui finiva di versare gli arretrati.
Shanks pianse a lungo fra le braccia di Helena che alla fine gli chiese:
“L’ami così tanto?”
Lui accennò un sì con la testa.
“Mi sto legando sempre di più… Non c’è giorno in cui non mi accorgo di amarla da morire… - si disperò – e io non voglio avere bisogno di nessuno! Mi devo bastare da solo… non devo dipendere da nessuno…”
“Però non ci riesci…” – fece lei sconsolata: era solo riuscita a farlo sfogare.
“No…” – confessò singhiozzando lui, scuotendo quella massa di capelli rossi, cercando di controllarsi e sentendosi il più grande fallito dei sette mari.
 
Nami si era messa a letto, ma non riusciva a prendere sonno.
Però non riusciva nemmeno a piangere.
E nemmeno a pensare.
Aveva il vuoto assoluto nel cuore e nel cervello: completamente svuotata di ogni emozione, cercava di ascoltare il suo cuore e non si preoccupò più di tanto quando non lo sentì battere per un po’.
Rimase a fissare il soffitto e la luce della luna che filtrava dalla finestra e dalla tenda: tracciava uno strano disegno sull’intonaco, ma non riuscì a capire che cosa fosse…
Si addormentò con quel dubbio.

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** 047.Spese ***


047 – Spese
Aveva da poco aperto gli occhi e dalla finestra entrava una luce obliqua e diretta, dava ad Est e s’illuminava con le prime luci dell’alba.
Guardava le forme che il nascente sole disegnava sulle pareti e ripensava alla luce della luna della sera precedente, una luna splendente che aveva illuminato due sagome che, mano nella mano, si erano allontanate verso la spiaggia.
E allora, come un torrente, si sentì travolgere dalla disperazione nel realizzare che la notte era passata e il suo Rosso l’aveva trascorsa con un’altra donna mentre lei dormiva da mocciosa quale era.
Ma non avrebbe potuto farci niente, non avrebbe potuto opporsi: lui era libero di stare con chi voleva e di fare sesso con chi voleva…
Era piegata sul letto in preda ad un fortissimo mal di pancia e non riusciva a respirare; il sole si levava alto e indifferente alle sue sofferenze come aveva fatto quella stronza di luna della sera precedente.
“E adesso come faccio?” – si ripeteva terrorizzata all’idea di rivederlo e di scoprire sul suo viso i segni di una notte d’amore, all’idea che lui potesse intuire l’inferno che aveva vissuto e stava vivendo.
Poi, all’improvviso, si ricordò dei morsi e dei baci di quel pomeriggio, del bacio della sera precedente e si sentì male: in preda alle vertigini, perse l’equilibrio e si sbilanciò sul letto cadendo per metà, sbattendo la testa sul pavimento.
 
I tre marinai di Shanks si erano addormentati solo all’alba ai piedi dell’albero: avevano fatto i turni per sorvegliare Nami ed evitare che commettesse sciocchezze.
“Ehi, ragazzi! – fece una voce allegra – Che fate qui?”
Si svegliarono di soprassalto e, quando videro che si trattava del loro capitano idiota, scattarono in piedi incazzatissimi pronti a menargliene di santa ragione.
“Brutto idiota…” - esordì Lucky subito bloccato da Ben con un cenno della mano. Poi questi si rivolse a Shanks, guardandolo malissimo:
“Non mi interessa che cosa hai fatto né perché l’hai fatto – mentre l’altro si scioccava – ma oggi non ci dire niente: non ti vogliamo sentire!” – e se ne andarono sdegnati mentre Shanks li mandava a fanculo con un cenno della mano.
Poi guardò il posto in cui li aveva trovati, alzò gli occhi e riconobbe la finestra della stanza che Helena aveva assegnato alla sua dolcissima ragazza. Abbassò lo sguardo, sorrise tra sé e ringraziò i suoi amici per aver vegliato su di lei.
 
Si riprese perché sentì qualcuno bussare forte alla porta.
Riuscì a mettersi in piedi sentendo una strana umidità, si girò a guardare il materasso e lo vide macchiato di sangue.
“Ecco… - sorrise di dolore, pensando che non avrebbe proprio potuto passare la notte con Shanks – mi sono tornate, evviva!” – si disse con sarcasmo andando ad aprire la porta barcollando.
Quando l’aprì per poco non le venne un infarto: Helena, quella stronza, l’era venuta a svegliare per beffarsi di lei.
“Posso entrare?” – le chiese la bella mora.
“La casa è tua…” – rispose lapidaria, dandole le spalle, controllando le mani che voleva stringere intorno a quel collo che cercò di non guardare per non scorgere i segni che il suo Rosso le aveva lasciato di sicuro…
Tornò al letto perché le girava la testa.
La donna entrò, chiuse la porta dietro di sé e restò a guardarla.
Nami invece la evitava: non voleva vedere i segni della notte che aveva passato con Shanks, non voleva mostrarle che la odiava e la invidiava con tutta sé stessa.
“Da uno a dieci, quanto mi stai odiando adesso?” – le chiese la padrona di casa, fissandola con fermezza.
“E perché dovrei? – le sorrise Nami, mentendo spudoratamente e con convinzione, spiazzandola – Non ti conosco nemmeno!”
Helena la guardava sconcertata: quella ragazza aveva lo sguardo del pirata ed era decisamente forte, una roccia…
“Ecco perché Shanks è pazzo di lei – sorrise tra sé – è come lui: pirata e pericolosa… È granitica!”
“Meglio così… - si riprese Helena che notò la macchia sul materasso – ti sono tornate, eh?”
“Mi dispiace… è successo mentre dormivo…”
“Non fa niente… sono cose che capitano…” – riuscì a replicare la mora che voleva farle una proposta e non sapeva da dove cominciare. Poi si fece forza:
“Se ti vuoi lavare, il bagno è in fondo al corridoio, sulla destra – le spiegò – e non ti preoccupare per il letto: ci penserà Marta, la signora che mi aiuta a mandare avanti la fattoria… – e aggiunse – Gli altri si sono alzati da un po’ e hanno già mangiato: ti consiglio di mettere qualcosa sotto i denti… Fa caldo e il tuo flusso è piuttosto abbondante, potresti svenire…”
“Grazie, sei gentile!” – le sorrise di nuovo Nami, gelandole il sangue.
Ma la mora continuò imperterrita.
“Io devo andare al mercato… e… Shanks… mi ha detto che devi comprare qualcosa… – sentiva l’elettricità che aveva liberato pronunciando quel nome e aspettava la tempesta – magari… possiamo andarci insieme?” – propose in attesa del tifone.
“Perché no? – ridacchiò Nami, facendole tremare la colonna vertebrale e aggiunse - Tra una mezz’ora?”
“Ok…” – accettò Helena, sospirando di sollievo nell’uscire da quella stanza al Polo Nord.
“Ehi, Shanks… - si disse, ridacchiando tra sé – mi sa che tra voi due il moccioso sei tu…”
Nami si lavò e cercò di ricomporsi per affrontare quella giornata.
Nello specchio si vedeva come quando faceva parte della banda di Arlong…
Ora doveva comportarsi come durante quegli otto anni: Arlong le aveva ucciso la madre e lei aveva fatto parte dei suoi partecipando alle vicende del gruppo degli uomini pesce; Shanks le aveva distrutto il cuore e lei ora faceva parte della sua banda…
Doveva solo fingere che tutto andasse bene.
“In fondo non mi sono sbagliata… - pensò mentre due grosse lacrime violavano il coprifuoco che si era imposta – i pirati sono sempre pirati… E anche stavolta Rufy mi salverà portandomi via da lui e restituendomi la libertà…” – si diceva, sapendo che le sarebbe stato particolarmente difficile liberarsi del suo amore per il comandante del Vento dell’Est…
Si schiaffeggiò forte per riprendersi, smise di piangere, si stampò un sorriso in faccia e scese a far colazione, ripetendosi:
“Non è successo niente, non è successo niente, non è successo niente…”
 
Shanks era tornato al porto con i suoi e si affaccendava sulla nave senza riuscire a smettere di pensare a lei. Era terrorizzato al pensiero di rivederla, di scoprire che aveva pianto, che era stata male per lui…
E poi i suoi tre amici lo guardavano schifati e lui cominciava ad innervosirsi.
Stava per smadonnare quando sentì la vocina della sua parrucchiera personale che lo chiamava e gridava alla mamma di fermare il carretto vicino a quel “signore con i capelli rossi”.
“Ciao, pupetta!” – le rivolse un largo sorriso che gli restò ghiacciato sulla faccia quando si accorse che sul carretto c’era anche lei…
Aveva difficoltà a deglutire e si sentiva le ossa instabili: per la prima volta in vita sua una donna lo faceva tremare!
Lei non sembrava più lei… La sua personalità l’avvolgeva come un’aura e si poteva tagliare con il coltello, era calma e tranquilla, troppo tranquilla e bella, ma così bella che Shanks voleva urlare. Lei scese dal carretto con eleganza e semplicità, stordendolo e piegandogli le ginocchia.
Andò verso di lui e si fermò prima di dirigersi alla nave:
“Ciao, Rosso! – lo salutò sorridendo come sempre mentre a lui esplodeva il cuore – sto andando al mercato, ti serve qualcosa? Mi vuoi dare gli infradito così cerco un calzolaio? Ehi Lucky, allora mi dici che ti serve che sto andando?” – chiese al grassone che si era fermato poco distante da loro, cercando di non essere indiscreto.
Rimase a guardare Shanks negli occhi con una serenità troppo perfetta e il vuoto assoluto aspettando una risposta e lui, mai in vita sua, aveva sentito di dover abbassare lo sguardo…
Riuscì a dominarsi e a guardarla di rimando, ma si sentiva male e aveva i brividi.
“No, ci vado io dal calzolaio…” - replicò con un filo di voce mentre lei rispondeva con un – “Ok…” – e passava oltre.
Parlottò un po’ con Lucky e poi salì sulla nave a prendere i soldi mentre gli uomini che avevano assistito alla scena ed Helena si guardavano in silenzio.
 
Il mercato era un po’ fuori città e si svolgeva con cadenza settimanale.
Lungo la strada Helena avrebbe voluto scambiare due chiacchiere con Nami, ma questa si era messa a giocare con sua figlia, la parrucchiera di Shanks, e la bella mora era preoccupata per la piccolina: Nami non aveva uno sguardo normale…
Arrivarono al mercato e lei comprò tutto, sfogando nello shopping parte della frustrazione che provava e riempiendosi uno zaino di cioccolata: avrebbe dovuto ancora viaggiare su quella nave e aveva bisogno di un forte sostegno per affrontare il suo Rosso (che malgrado tutto rimaneva tale) e gli spazi ristretti in cui vivevano.
Quando lo aveva visto salutare la piccola, le si era fermato il cuore e quel suo splendido sorriso le aveva rimesso il fuoco nelle vene, sciogliendo in parte l’inverno che aveva dentro; non c’era niente da fare: lui era lui e restava il suo Rosso, l’uomo dei suoi sogni, dolcissimo e bellissimo come sempre.
Quando gli aveva parlato si era sentita tremare dentro e l’aveva guardato, sforzandosi di non pensare che sulla sua pelle c’erano ancora i baci, i morsi e le mani di quella stronza che, in una scala da uno a dieci, lei odiava 200. Per non parlare dell’effetto che quel labbro spaccato le aveva procurato nel cuore… non voleva neanche immaginare come se l’era procurato.
“In fondo, però, - sospirava, acquistando molti e bellissimi vestiti – la colpa non è di nessuno se non mia che mi sono innamorata di un pirata bello e più grande di me…” – e si sorprendeva a domandarsi per ogni capo che prendeva se e quanto sarebbe piaciuto a Shanks.
E così rimediò alle mutande con il panda, cercando di non piangere ripensando a quel pomeriggio e alla barba, al respiro e alla bocca di lui che quella bastarda si era goduta per tutta la notte (ora la odiava 400) e rimediò alla divisa del bordello, mordendosi le labbra per non lasciarsi andare ai ricordi di lui al tavolo 12, di quando lui le disse che era grassa e la sua taglia non sarebbe servita alle colleghe…
Comprò due paia di sandali nuovi, creme profumate e altre chincaglierie luccicanti che la facevano stare meglio e sentire più donna; comprò saponi, shampoo, bagnoschiuma, spugne riempiendo una borsa enorme che, con grande difficoltà, rovesciò sul carretto sotto lo sguardo perplesso di Helena con cui ancora non si degnava di scambiare una parola.
Passeggiando silenziosa per le bancarelle, ripercorreva con la mente tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni, le espressioni del suo Rosso e i suoi sorrisi: guardava tutto e toccava gli oggetti appesi senza riuscire a creare niente.
Il suo cervello era un contenitore di immagini, luoghi, volti e sensazioni: non si sentiva granché bene e barcollava in preda alla confusione, debole per via del ciclo, con quel mal di pancia onnipresente e quel seno gonfio e dolorante…
In tutto quel marasma di impulsi celebrali arrivò davanti alla bottega del calzolaio cercando il suo Rosso con gli occhi, ma senza insistere: riprese a camminare.
Non riusciva a formulare pensieri di nessun tipo: non una frase, non un sussurro, non un “quanto viene questo?” o un “mi pare piuttosto caro”. Prendeva gli oggetti, li mostrava al negoziante e con la mano porgeva il prezzo che decideva lei: nessuno riusciva a strapparle una parola.
Ad un certo punto della passeggiata, la pupetta di quella mega stronza di Helena le tirò le dita che pendevano inerti dalla sua mano e le disse:
“La mamma ha detto che dobbiamo tornare…. È tardi!”
Lei abbassò lo sguardo e le sorrise, seguendola con gli occhi mentre tornava dalla sua mamma che da lontano la guardava preoccupata.

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** 048.Rabbia ***


048 – Rabbia

Shanks l’osservava rapito appena fuori della bottega del calzolaio: si era nascosto per non farsi vedere da lei mentre aspettava la riparazione dei suoi infradito a cui era molto affezionato.
L’aveva vista comprare cose bellissime e inutili, passeggiare come un fantasma senza spiccicare una sillaba e provarsi abiti, scarpe e gioielli ad una velocità vertiginosa.
E si sentiva un rifiuto della società.

Lentamente, Nami tornò al carretto depositando le ultime cose che aveva comprato, impiegandoci del tempo sotto gli sguardi non proprio tranquilli di Shanks e di Helena che non si era accorta della presenza del suo amico.
All’improvviso si sentirono schiamazzi e urla provenire dalle bancarelle in fondo e tutti si dileguarono in un secondo lasciando ogni cosa com’era; Helena, che si era allontanata un attimo, raggiunse in fretta e furia il carretto con la bimba in braccio gridandole:
“Nami, salta su… Andiamocene!”
Ma lei non si era mossa da quella posizione e teneva lo sguardo fisso rivolto ai cinque energumeni che le si avvicinavano ridacchiando: erano balordi della zona che i giorni di mercato si divertivano a tormentare commercianti e cittadini.
Shanks era già pronto a farli fuori nel caso avessero anche solo pensato di toccare la sua mocciosa ed estrasse la spada.
“Buongiorno, donna Helena… - fece quello che presumibilmente era il capo – stavamo giusto per fare una capatina da te… Abbiamo saputo che il raccolto del grano è stato abbonante…” - mentre a Shanks saliva la pressione nel rendersi conto che la sua amica non gli aveva confidato di essere taglieggiata da quei cretini.
Poi quello guardò Nami arrapatissimo e chiese alla mora che intanto era scesa dal carretto dopo aver sistemato sua figlia:
“E lei fa parte del tuo raccolto? O ti sei messa ad allevare anche certe bestiole da compagnia?” – mentre fissava il seno di Nami che lo guardava per nulla preoccupata e anzi… piuttosto sfrontata.
Prima che Shanks si avviasse per farli fuori, Helena lo precedette per tirare via Nami e farla salire sul carretto.
Ma nell’avvertire il contatto con lei, Nami esplose come un vulcano:
“NON MI TOCCARE… STRONZA!” – tuonò in tutto il mercato facendo drizzare i capelli a tutti, balordi inclusi.
Shanks era sconvolto e la guardava senza respirare.
I cinque idioti erano rimasti paralizzati da quell’urlo, ma si ripresero subito e risero:
“Ehi, hai fatto incazzare questo zuccherino… - fece il capo che si rivolse a Nami e le disse – cos’è non ti piace essere toccata? Scommetti che se ti tocco io, cambi idea?”
E lei alzò lo sguardo e lo fissò con un’espressione da maniaca:
“Scommetti che se mi tocchi, ti taglio le palle?” – e ghignò.
Shanks era rimasto immobile a guardare quella furia di ragazza, assolutamente sedotto della pirata più sexy dei sette mari. Se la stava letteralmente mangiando con gli occhi quella mocciosa così dolce e fragile, forte e coraggiosa allo stesso tempo…
“Che fegato – pensò, cotto di lei – l’adoro! E’ la donna dei miei sogni: bella e spietata…”
Gli energumeni la guardavano piuttosto scioccati: non erano abituati a certi incontri e quella ragazzina dalle gambe bellissime li aveva spiazzati. Però era mingherlina e non poteva fare granché…
“E fammi vedere come fai…” – fece l’altro toccandole il seno mentre Shanks smetteva di respirare.
In un attimo, Nami estrasse un pugnale dalla giarrettiera e glielo piazzò fra le gambe mentre Helena copriva gli occhi alla sua bambina e Shanks rabbrividiva, immaginando il dolore dell’energumeno che lanciò un urlo agghiacciante e si accasciò a terra.
Gli altri rimasero scioccati ed immobili e questo costò loro la vita: con il coltello insanguinato si avventò sul primo davanti a lei e gli tagliò la gola senza pensarci su e stava per fare la stessa cosa col terzo che invece si scansò per tempo e le bloccò la mano.
Ma con l’altra lei gli strizzò forte le palle mentre Shanks si lasciava andare ad un tifo da stadio e la guardava soddisfatto: 
“Se la cava da sola…” – capì al volo, rinfoderando la spada.
Il gigante, piegato dal dolore la lasciò andare e lei gli piazzò un gomito sulle tempie senza esitare, gli riservò il suo bastone di fiducia che gli suonò prima nelle palle e poi in testa mentre scansava i due che si erano avventati e che persero l’equilibrio, cadendo in avanti.
Infine, ai due caduti completò il trattamento rovesciando una baracca di frutta.
Shanks era in preda alle fiamme, la trovava fantastica: il combattimento l’aveva fatta sudare e lui si era eccitato da morire… Non riusciva a credere che la sua Nami dolce e innamorata fosse la stessa donna bella e forte che aveva sistemato alla grande cinque brutti ceffi che taglieggiavano la città:
“Sì è lei…” – sospirava.

Rimase nascosto agli occhi di Nami e l’osservava con il cuore sospeso in aria mentre lei recuperava il coltello e lo ripuliva dal sangue con la camicia di uno di quegli idioti che avevano finito di vagabondare per la città.
Poi, sconvolgendolo di nuovo, si girò di scatto verso Helena, che la fissava terrorizzata e, con grande freddezza e altrettanta precisione, lanciò contro di lei il pugnale facendolo passare tra quella massa di capelli neri e piantandolo contro il palo di una bancarella.
Shanks sentì il cuore fermarsi e, per un attimo, temette davvero che l’avesse uccisa; Helena era rimasta vicino a sua figlia coprendole gli occhi, immobile.
“Non ti ammazzo – disse Nami con l’affanno, guardandola e puntando il dito mentre gli occhi, suo malgrado, le si riempivano di lacrime – non ti ammazzo solo perché lui ti vuole bene… – come se avesse ripreso un discorso interrotto poco prima – Ma ricordati questo: SHANKS E’ MIO!” – urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, facendosi sentire in tutto il villaggio mentre a lui veniva la pelle d’oca e stringeva le labbra per domare il suo cuore che scoppiava. 
“E’ IL MIO ROSSO, HAI CAPITO? Non ti permetterò di portarmelo via! Non ti azzardare più a toccarlo! Stronza! La prossima volta… te lo giuro… la prossima volta che lo tocchi il pugnale te lo ficco nel cuore!”
Cadde sulle ginocchia singhiozzando e poi svenne. 

Mentre aiutava la sua amica ad issare Nami sul carretto Shanks non sapeva che dirle vedendola così pallida e spaventata; ripensava alle sue parole, a quell’urlo in mezzo alla gente che diceva a tutti che lui le apparteneva…
“Sono il suo Rosso…” – pensava, sospirando con il cuore grosso, innamorato fino al midollo e ancora scosso dalla scena più improbabile a cui avrebbe mai pensato di assistere.
Nami l’aveva proprio scioccato e sebbene lo sguardo troppo tranquillo e freddo di quella mattina gli avesse messo una strana tremarella addosso, non riusciva ancora a credere a quello che i suoi occhi avevano visto e le sue orecchie sentito…
“Non fare quella faccia, Shanks… - rise Helena all’improvviso, riprendendosi da quella brutta avventura – hai visto che non è poi tanto mocciosa?” – e gli strizzò l’occhio.
“Mi dispiace…” - fece lui guardandola senza scorgere più i segni della paura.
“Lo sapevo che l’avrebbe fatto perciò l’ho invitata al mercato…”
“Sapevi che avrebbe tentato di ucciderti?” 
“Non proprio… - corresse lei – ma sapevo che se la sarebbe presa con me… se la vedessi con un altro, il tuo primo impulso non sarebbe di farlo fuori?”
“Già…”
“Lei pensa che abbiamo passato la notte insieme e mi detesta, mi detesta da morire: l’hai sentita… non mi ha uccisa solo per non farti soffrire… - e aggiunse – fossi in te, non tenterei più di allontanarla… sei il suo Rosso! – e rise – mi piace… c’ha più palle di te! Non ha paura di urlare al mondo che ti vuole bene nonostante tu le abbia spezzato il cuore… ieri sera…” – e s’interruppe perché Nami stava per rinvenire.
“Vattene… non farti vedere… Tu non hai visto niente!” – gli intimò mentre lui si dileguava.

Aprì gli occhi e subito dovette richiuderli per via della luce del sole che, impietosa, la feriva mentre si sentiva tirare i capelli da Giada che per le teste aveva una vera e propria mania.
All’improvviso si ricordò di tutto quello che era successo al mercato, si mise a sedere di scatto sentendosi di nuovo mancare e faticando a tenersi dritta mentre il mondo le girava in testa; guardava quella maledetta mora che guidava il carretto come se non fosse successo niente.
Helena si girò verso di lei, fermò il cavallo, le sorrise e le chiese:
“Da uno a dieci quanto mi detesti adesso?” 
Nami la guardava sconvolta, chiedendosi se quella avesse proprio intenzione di morire quel giorno…
“E a te cosa ti frega se ti odio?” – le rispose caustica, cercando di dominarsi dal saltarle addosso e ucciderla a morsi.
“Mi importa perché mi sei simpatica e perché abbiamo un carissimo amico in comune… – e insisté – da uno a dieci quanto mi detesti?”
“Undici…” – rispose serafica.
“Ancora a undici? – si finse sconvolta l’altra – Ancora a undici nonostante tu abbia già tentato di uccidermi?” – chiese mentre Nami si sentiva uno schifo per quello che era successo, sperando non arrivasse mai alle orecchie di Shanks.
La mora rimase un po’ soprappensiero e poi decise di rompere le uova nel paniere al suo amico.
“E se ti dicessi che – cambiò tono per sottolineare la portata della notizia che stava per darle – e se ti dicessi che ieri sera non è successo niente fra me e lui? Quanto mi odieresti?”
Nami la guardava sconvolta con il cuore sospeso in aria.
“Che vuoi dire?” – chiese con un filo di voce.
“Che Shanks ed io siamo solo buoni amici: siamo stati insieme vent’anni fa per circa sette mesi, ma ieri sera non abbiamo fatto sesso come pensi tu… - affondò – e se fossi meno bambina, te ne saresti accorta…”
Nami la guardava immobile e sconvolta: sembrava troppo bello per essere vero, non voleva crederci…
“Non fare quella faccia… - sorrise divertita Helena – credimi, non ti sto mentendo: ieri sera – continuò la mora sospirando – Shanks ha voluto restare solo con me per consolarmi e aiutarmi a superare la morte di mio marito avvenuta circa quindici mesi fa… Te ne sarai accorta che è un tipo sensibile!” – e la guardò storto.
Nami non ancora si riprendeva, ma subito le chiese senza mezzi termini: 
“E allora perché ti ha baciata?”  
“E che ne so? Chiedilo a lui! – rise Helena guardandola dolcemente – Sei proprio innamorata di Shanks, eh? E’ il tuo Rosso, giusto? E allora stagli vicina e comportati bene con lui che ne ha già passate troppe…”
Ma Nami non mandava giù la faccenda del bacio ed Helena riprese:
“Non ti lascerai abbattere da un bacio? – la sfotté mentre lei andava su tutte le furie e la guardava storto - Non puoi essere gelosa del suo passato, mettere il muso quando incontra le donne con cui è stato e tentare di ucciderle solo perché sei una ragazzina insicura che pende dalle sue labbra! – Nami l’avrebbe squartata – Shanks ha bisogno di una donna forte e determinata: sta a te convincerlo che sei quella giusta!” – concluse Helena energica, riavviando il carretto.
Ma Nami non l’ascoltava più: quelle parole le avevano tamponato la ferita al cuore che dalla sera prima non faceva che sanguinare e che l’aveva portata a minacciare una donna che conosceva da meno di 48 ore e odiava da una vita.
Il suo Rosso non aveva fatto l’amore con lei e le parole di quella bella mora che lo conosceva da una vita le avevano messo addosso tanto ottimismo, voglia di vivere e di tornare da lui per ridere e sfottersi come sempre. 
“Tre…” - fece all’improvviso Nami, sorridendole grata.
“Cosa?”
“Da uno a dieci, ti detesto tre…”

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** 049.Il sabato del villaggio ***


49 – Il sabato del villaggio
 
Shanks era distrutto: tornò in fretta alla nave, passò davanti ai suoi uomini correndo e si chiuse nella cabina che ora ospitava la sua ragazza.
Si buttò sul letto che da un po’ accoglieva le sue meravigliose curve e immerse il viso nel cuscino per aspirarne l’odore e, finalmente, riuscì a prendere sonno, confermando quello che aveva intuito già da un po’: che poteva dormire solo se l’aveva accanto a se.
 
Si svegliò dopo mezzogiorno, tranquillo e riposato.
Guardava il soffitto della sua cabina e ripensava alla notte precedente che l’aveva visto spezzarle il cuore e piangere con Helena esattamente come vent’anni prima.
Una notte si era addormentato come un sasso, facendo uno dei soliti incubi frequenti dopo la morte di sua madre e che lo lasciarono in pace solo a distanza di qualche anno.
Sentendolo piangere nel sonno, Helena l’aveva svegliato e costretto a raccontarle tutto, facendogli confessare anche quanto si sentisse solo: era sempre stato un bambino coccolato dalla sua dolcissima mamma, figlio unico, e per certi versi viziato, di una donna che aveva avuto una vita difficile.
L’aveva lasciato all’improvviso a quattordici anni e lui, che si faceva chiamare uomo già a cinque, era invece, e lo sapeva benissimo, un bambino che, in preda alla paura di restare solo, aveva sterminato una nave carica di pirati e si era spaventato a morte per quello che aveva fatto.
Poi se ne era andato a fare il pirata e dall’infanzia era passato direttamente all’età adulta: voleva avere una nave tutta sua, una ciurma di amici tutta sua, girare il mondo e conoscere gente, tanta gente da riempire quel maledetto vuoto che si portava dietro da quella sera.
Si era detto e ripetuto che stava bene da solo, così era libero di fare quel che voleva e di andare dove voleva; si gettava in battaglia come una furia tanto non aveva paura di niente e nessuno; era forte e determinato perché così i suoi uomini potevano contare su di lui ad occhi chiusi; era sempre pronto ad ascoltare e a ridere, a dare una mano a chi ne aveva bisogno e le cose che lo facevano incazzare si contavano sulle dita di una mano.
Si era costruito inattaccabile: il suo unico scopo era quello di non poter essere ferito nell’anima, di non dover più soffrire.
E ci era riuscito: era diventato un pirata famoso e temuto, un pirata di fama mondiale, uno dei più grandi, amato e rispettato dai suoi uomini, aveva girato tutti i mari, aveva anche un fan sfegatato (Rufy) che lo adorava, aveva amici sparsi in tutti i continenti e anni ed anni di risate e avventure: la sua vita gli piaceva da morire.
Le volte, da allora, in cui aveva sofferto veramente erano state pochissime.
Aveva perso un braccio e gli era dispiaciuto, per un attimo aveva pensato di essere finito come pirata… non era stato facile imparare a vivere senza una mano, a fare tutto con maggiori difficoltà, a guardarsi nello specchio e vedersi a metà, mutilato…
Però Rufy si era salvato e questo era ciò che contava di più… se avesse conservato il braccio senza riuscire a salvarlo, allora avrebbe sofferto davvero, avrebbe visto morire il suo amico per colpa di quel coglione di masnadiero che senz’altro era stato indigesto al mostro marino… Tutto sommato, quindi, il braccio era davvero poco se paragonato al dolore che avrebbe provato per la morte di quel tipo gommoso che si portava a spasso per i sette mari il suo adorato cappello di paglia.
Con le donne poi era sempre stato molto onesto, all’inizio di ogni storia aveva sempre chiarito la sua prospettiva: lui era un pirata e non voleva legami di sorta. Doveva viaggiare e girare, poteva morire da un momento all’altro e l’idea di fare il marito o, peggio, il padre lo faceva soffocare.
E ora che pensava di stare tranquillo, di aver trovato la formula dell’inattaccabilità e non poter più soffrire, il destino aveva giocato il jolly e gli aveva mandato quella splendida e intelligentissima ragazzina, dal carattere forte e deciso, dolce e sensibile, navigatrice, ladra e pirata, unica nel suo genere, che di guai sicuramente ne aveva passati tanti ed era, lo sapeva e per questo l’amava da impazzire, decisamente più matura di lui, forte come lui non sarebbe mai stato.
Lei si lasciava sfottere e maltrattare, baciare e toccare, lasciava che lui giocasse con i suoi sentimenti e si comportasse come quel bamboccio che era e continuava ad amarlo imperterrita, riuscendo anche a minacciare con un pugnale una donna che conosceva da poche ore per farle capire fin dove poteva spingersi e dove no.
Senza pensarci più di tanto, Nami aveva urlato a tutto il villaggio di Neshua che lui le apparteneva, era il suo Rosso…
E quel vuoto che sentiva dentro e l’opprimeva nei momenti di solitudine e, il che è lo stesso, di intensa confusione, immenso, silenzioso e spaventoso spariva, si dissolveva quando lei lo guardava con quei dolcissimi occhi nocciola e diventava una calda luce avvolgente quando gli era vicina, quando gli camminava accanto.
Lui che era convinto di non poter appartenere più a nessuno, che pensava di essere completamente libero, aveva trovato una diciottenne con più palle di tutta la sua ciurma messa insieme (come aveva intuito subito Helena), una ragazza dolce e cara, ma pronta a difendere la sua proprietà a morsi e coltellate: e lui era suo… suo e basta!
Non faceva che ripensare a quell’urlo che gli aveva fatto venire i capelli bianchi: il cuore gli era esploso nel petto, mandando in mille pezzi il guscio di acciaio in cui era avvolto e gli impediva di dipendere, di appoggiarsi e di farsi aiutare da qualcuno.
E quando lei aveva urlato “Shanks è mio!”, aveva urlato ciò che sapeva da quando la conosceva: lei gli aveva pestato il piede e lui si era innamorato seduta stante, lo aveva rapito alla solitudine e ora sapeva che, in effetti e nonostante tutti i suoi sforzi, loro stavano insieme da quando si erano parlati la prima volta.
Erano due, una coppia, una cosa sola.
Si faceva in quattro per trovare ciò che li divideva, li separava e invece erano uguali, conducevano la stessa vita, amavano le stesse cose, avevano sofferto tutt’e due e si volevano bene, un bene immenso, profondo e sincero che se ne fregava dell’età, della pirateria, della libertà, del Grande Blu, della morte e del dolore.
Le aveva fatto credere di essere stato con Helena per convincerla e convincersi che fosse solo una ragazzina, per negarle quella femminilità che gli offriva senza esitazione da quando lo conosceva: lei non aveva nessuna paura di legarsi a lui e rischiava anche di più visto che poteva restare incinta a diciotto anni…
E invece era lui ad aver paura di far l’amore con lei e di scoprire quello che già sapeva: che sarebbe stato talmente bello, talmente dolce, talmente unico, da impedirgli di condurre una vita simile a quella che viveva da vent’anni; sarebbe stata la svolta, quell’esperienza che avrebbe chiuso il cerchio tracciato dalla collega di sua madre in quella notte di ventitré anni prima in cui aveva perduto solo la verginità.
Per certi versi era rimasto un bambino frignone e pauroso, capace di affrontare da solo interi bastimenti carichi di filibustieri e uscirne vincitore, ma incapace di mettersi in gioco veramente, di amare incondizionatamente e in profondità e di rischiare, di nuovo, quel dolore immenso che si prova quando si perde qualcuno che è diventato parte di sé stessi.
E capiva che nel momento esatto in cui avrebbe deciso di stare con lei, avrebbe scelto di diventare uomo, un uomo vero, di cambiare di nuovo la sua vita, per sempre…
Avrebbe scelto anche di fare a meno di lei, sopportandone la mancanza: sarebbe tornata da Rufy che certamente non gliel’avrebbe lasciata per nulla al mondo e del resto lui non gliel’avrebbe chiesto…
Loro erano compagni.
 
Adesso si sentiva meglio.
Non aveva preso una decisione, ma ci capiva qualcosa in più e aveva fatto chiarezza dentro di sé.
Si alzò a malincuore da quel letto che sapeva di lei e si ricompose, guardandosi attorno e riconoscendo i segni della presenza femminile:
“Ma da quando ci sono le tendine agli oblò?”
 
Era pomeriggio inoltrato ed era di nuovo nella sua stanza, felice.
Si sentiva leggera e aveva voglia di cantare anche se il seno e la pancia gonfi le facevano ancora male ed era debole: certo, Shanks aveva baciato Helena davanti ai suoi occhi… però… le parole della bella mora l’avevano comunque rincuorata.
Quei due non erano innamorati e questo le bastava.
Restava solo da capire perché Shanks si fosse comportato in quel modo:
“Forse sono io che ho interpretato tutto nel peggiore dei modi perché – e ripensava alle parole di Helena - sono una mocciosa che pende dalle sue labbra: sono talmente innamorata di lui da vedere tutto nero… però pure lui è parecchio strano…” – si disse, ripensando al bacio che aveva dato alla sua amica.
Ma era davvero troppo felice, debole e dolorante per riuscire a trovare il bandolo in quella intricata matassa.
Si provò tutti gli abiti che aveva comprato e ci mise una lunga ora a scegliere quello che avrebbe indossato la sera: ci sarebbe stata una festicciola in paese con balli e canti, birra e sakè e quei casinisti di pirati non se la sarebbero persa per nulla al mondo.
Avrebbe indossato un abito nuovo, mutande nuove, scarpe nuove e sarebbe stata la ragazza più profumata e fresca del villaggio solo per lui anche se non sperava più di tanto di destare la sua attenzione:
“Figurati – pensò con una fitta – se quello mi caca… E se dirà qualcosa, sarà per prendermi per il culo…
 
Uscì dalla camera tutta contenta e carica di boccette di liquidi profumati e colorati per fare un bagno ristoratore: arrivò davanti alla porta e la trovò semichiusa…
Dall’interno provenivano rumori e bisbigli: si mise ad ascoltare attenta. Riconobbe la voce di Shanks che sospirava e gemeva:
“Fai piano… no… mi fai male! Ecco… brava…”
Smise di respirare in preda ad un orribile presentimento…
Si fece forza, aprì la porta e, completamente in apnea, entrò come un ninja senza fare il minimo rumore.
Trovò Shanks immerso nella vasca da bagno con l’acqua fino alla gola e la testa rilasciata all’indietro che subiva i trattamenti della sua piccola parrucchiera personale che aveva le stelline negli occhi con quella testa rossa e lucida finalmente alla portata dei suoi sessanta centimetri e poteva torturarlo a piacere.
Nella sua piccola e dolce testolina di apprendista parrucchiera, già stava immaginando di usare tutte le cremine e le lozioni per le sue bambole e si sentiva felicissima, ridacchiava tra sé e lisciava i capelli straordinari di quel signore che ogni tanto la inondava di schizzi, facendola divertire come una pazza.
Nami trasse un profondo respiro, uscì dal bagno senza fare rumore, riaccostò la porta, riprese le sue cose e tornò in camera, lasciandosi andare pesantemente sul letto senza respirare in preda alla debolezza post trauma, ascoltando i sordi battiti del suo cuore che finalmente aveva ricominciato a funzionare: chissà perché aveva pensato di trovare il suo Rosso e la mora insieme nella vasca da bagno.
Chiuse gli occhi e cominciò a ridere scaricando la tensione che si era impadronita di lei: rideva istericamente come chi ha visto il fondo dell’abisso in cui stava per cadere e l’aveva scampata per un pelo.
Poi sentì Helena che dalla cucina chiamava Giada per la merenda e i passettini per le scale della piccola che si precipitava dalla mamma.
Dopo un po’ di tempo, nel silenzio di quell’immenso casolare, avvertì il rumore dell’acqua, il frusciare di asciugamani e i passi del suo Rosso nel bagno a poca distanza da lei: in preda ai calori associava a quei suoni i movimenti del suo splendido capitano che aveva approfittato della pausa merenda della parrucchiera per svignarsela alla chetichella.
Si alzò, corse verso la porta bruciando dalla voglia di aprirla, precipitarsi in bagno e buttarsi nella vasca insieme a lui che non doveva essere ancora completamente vestito…
Lo sentì scendere in cortile.
 
Raggiunse il resto della ciurma in tutta calma e solo quando scese il buio: si era guardata e riguardata nello specchio trovandosi decisamente carina e comunque meglio delle settimane precedenti…
Aveva passato ben due ore a decidere se truccarsi o no, se indossare gioielli o no, se mettere i tacchi o no… tutto per andare incontro ai gusti del suo Rosso.
“Ma come cavolo gli piacciono le donne?” – si domandava in preda all’isterismo mentre cambiava look in continuazione.
Alla fine si scazzò, smadonnò per un po’ e si mise un bel completino con una minigonna sul celeste scuro e una canottiera bianca, legata dietro il collo che lasciava la schiena quasi completamente scoperta, mettendo in bella mostra tatuaggio e relativa cicatrice: si guardò e si trovò carina anche perché quella canottiera le ingrossava il seno così non doveva sentirsi una tavola da surf rispetto a quel tripudio di curve che era la bella Helena.
Calzò i sandali nuovi e si mise due gocce di profumo dietro le orecchie.
“Mi trucco o no?” – era il grande dilemma.
Rimase mezz’ora a guardarsi in preda al dubbio e alla fine optò per un leggerissimo velo di rossetto.
 
“OH – MIO - DIO…” – fu il commento di Jonathan, uno dei più giovani della ciurma, quando la vide avvicinarsi illuminata dalle lampade dei portici della casa di Helena.
Gli altri rimasero in silenzio e la mangiavano con gli occhi: finanche Ben sbuffava il fumo con impeto, tradendo una palpitazione irregolare del ventricolo sinistro, Lucky aveva quasi lasciato cadere il suo cosciotto e il mento e Yassop si domandava come diavolo faceva suo figlio a navigare con quella bellezza e ad essere ancora sano di mente…
Non cercò il suo Rosso: sapeva che si era già avviato con Helena al villaggio e aveva lasciato parte della sua ciurma ad aspettarla.
In un silenzio castigato, quei poveretti si avviarono per scortarla al villaggio mordendosi i calli nel pensare che, fin dall’inizio, il capitano aveva fatto capire loro che lei era sua…
 
Arrivarono che la festa era già nel vivo e molti si davano alle danze: fra questi Shanks e Helena facevano la loro figura divertendosi come vent’anni prima.
Helena era bellissima e risplendeva sotto la luce della luna e delle lampade colorate:
“Sei uno spettacolo – le disse Shanks – e sento già alcuni ronzii - aggiunse ridendo – Sono loro i calabroni, vero? – le chiese accennando verso un piccolo sciame di maschi a caccia - Mi stanno uccidendo con lo sguardo: credo che non ancora mi scaraventano da qualche parte giusto perché sono un pirata…”
Lei rideva emozionata e un po’ brilla: il suo caro amico le aveva fornito il propellente per abbattere anche le ultime inibizioni e, visto che c’era, le aveva tenuto compagnia… Erano abbastanza fatti.
Poi la strinse e le chiese nell’orecchio:
“Sto per avere una scarica di pugni in faccia… - e rideva – ce n’è uno veramente incazzato che mi guarda più truce degli altri: è lui il candidato con maggiori probabilità?”
“Già… ma un po’ di gelosia non guasta mai… - poi aggiunse maliziosa – strusciami!”
“Sì vabbè… sei sempre la solita… - rise lui – ma questi hanno una voglia esagerata di farmi la pelle… ci vado male… se mi danno un morso, mi avvelenano – e rideva – sono tutti grossi! Non ho speranze, spero solo che i ragazzi arrivino in fretta…” – e se la strusciò abbondantemente mentre il capo calabrone diventava viola.
“Ahia! – rise, nascondendo la faccia nei capelli di lei – mi sa che l’ho fatto incazzare nero… aiuto… Ben… – lo vide avvicinarsi minaccioso e temette la rissa – beh… piccola, t’ho fatta girare abbastanza!” – finì il giro e la consegnò fra le braccia del tipo che doveva essere parecchio innamorato, lo guardò, gli sorrise e gli fece un cenno d’intesa che voleva dire: “E’ tutta tua! Lavoratela!” 
 
Adesso stava a guardare quei due darci dentro e sorrideva contento di aver aiutato la sua amica, evitato la rissa e fatto felice quel tipo grande e grosso che doveva avere un cuore d’oro, tutto innamorato della bella mora.
Poi la sua attenzione fu attratta da un altro gruppo di giovani e meno giovani che, all’improvviso, si era alzato e, con sincronia, aveva puntato in direzione ovest come un branco di cani da caccia:
“Avranno visto qualche papera…” - continuò nel suo paragone venatorio e s’incuriosì vedendo che tra i puntatori c’erano anche i suoi con la bava alla bocca.
“È grave – pensava, restando seduto perché gli girava la testa – se anche Ben alza un sopracciglio: vuol dire che è scesa una dea tra noi…”  
Poi un fulmine:
“…Se c’è Ben…” – si alzò di scatto improvvisamente sobrio e lucido e la vide…
Era lei la dea.
Guardava ammirata le coppie che ballavano in mezzo ai tavoli disposti su due grosse file senza preoccuparsi degli sguardi degli astanti: cercava il suo Rosso con gli occhi.
La guardò e, se ancora possibile, si innamorò di nuovo e di più.
“OH - MIO - DIO…” – mormorò senza emettere un suono dalla gola secca, adocchiando la fanciulla più bella della festa e rendendosi conto che una fiumana di maschi le si stava avvicinando lenta, ma inesorabile…
Aveva già l’affanno e si precipitò verso di lei correndo come un pazzo, passando per le zone buie come un gatto e avvicinandosi furtivo da dietro raggiungendola.
Tutti gli altri lo guardarono storto, ma lui accennò un “No” con la testa fissandoli uno per uno con un’espressione molto simile a quella che aveva terrorizzato il mostro marino al villaggio di Rufy…
Le si avvicinò ancora di più alle spalle che guardava neanche fossero di cioccolata, sentendosi mancare: non la vedeva dalla mattina, quella mattina al mercato in cui aveva gridato con tutto il suo fiato che lui le apparteneva, era il suo Rosso e che era tranquillamente pronta ad ammazzare per lui.
E in un lampo ricordò quel bacio della sera precedente, i suoi occhi rossi e gonfi, la sua espressione addolorata mentre lui si affaccendava con la sua amica…
“E tu sei la mia mocciosa…” – si disse, guardandola innamorato perso. Si chinò su di lei, avvicinò la bocca al suo orecchio, avvertì il profumo e sorrise.
“Se stai aspettando – le sussurrò piano con il cuore in gola mentre lei trasaliva nel riconoscere la sua voce e s’irrigidiva, arrossendo – che qualche bel ragazzo inviti a ballare la mocciosa più brutta, tappa e grassa della festa, stai solo sprecando del tempo: non vedo missionari nelle vicinanze…” – e rise, facendola rabbrividire.
“Allora siamo in due – ribatté lei restando immobile, emozionata per la vicinanza del suo dolcissimo Rosso – non ci sono neanche le suore di carità a questa festa… – e aggiunse ridendo – però potresti provare con quelle simpatiche vecchine tue coetanee lì in fondo, quelle che fanno l’uncinetto… non dico di ballare, - affondò mentre oramai erano partiti tutt’e due - ma sono convinta che potresti insegnare loro tutto sul punto a croce…”
E ridevano presi l’uno dall’altra, vicini, felicissimi di sfottersi e di essere di nuovo insieme: sentivano i sussulti delle loro risate, i loro vestiti che si sfioravano e i rispettivi profumi, faticando molto per non cedere alla tentazione di lasciarsi andare…
“Dovresti essere a letto a quest’ora… - mormorò lui soffiandole leggermente nell’orecchio per farla rabbrividire, godendosi i suoi capelli sul viso – le mocciose devono dormire e poi domattina salpiamo…”
“Non potevo dormire… - ribatté lei – ti avrei lasciato solo visto che Giada è già a nanna da un po’: qualcuno dovrà pure sacrificarsi…” – mormorò cotta a puntino, appoggiando la guancia contro quella di lui che si sentì fluire tutto il sangue al cervello.
Le adocchiava golosamente collo, spalle e tatuaggio e si perdeva nei riflessi ambrati della sua pelle, sentendosi mancare: lei aveva la tachicardia e una immensa e dolcissima confusione in testa che le faceva venire le vertigini e perdere l’equilibrio.
Rimasero per un po’ a ridere felici, guancia a guancia mentre i loro cuori continuavano a festeggiare e le loro ossa a tremare.
“Oh… Shanks…” – le girava vorticosamente la testa e la passione la stordiva mentre si lasciava andare catturata dal calore del corpo di lui, dal suo profumo e dalla sua guancia barbuta.
“Non mi va di fare l’uncinetto – sussurrò lui all’improvviso e piano, cambiando tono, strofinando la guancia contro quella di lei – e mi sa che sono parecchio ubriaco, ma… - e aggiunse eccitato con la voce che tremava – mi piace il tuo vestito… mi piace il tuo profumo e voglio ballare con te…” – le disse baciandola e mordicchiandola ripetutamente, stringendola a se come aveva fatto in quel pomeriggio meraviglioso mentre lei sentiva la vita defluire dalla spina dorsale, veniva e sveniva addosso al suo Rosso.

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** 050.L'Alba ***


50 – L’alba

 

“Ma porca…” – fu la prima frase che riuscì ad articolare quando si svegliò prestissimo e poco prima dell’alba nel suo letto. Ricordava le luci e la musica della sera precedente, tutti i preparativi per sconvolgere il suo Rosso, la dolce voce di lui comparsa all’improvviso alle spalle, il suo profumo e il suo respiro sulla pelle e soprattutto le sue parole, quel bellissimo pirata che, per la prima volta, le aveva fatto dei complimenti… Aveva detto:

“Mi piace il tuo vestito… mi piace il tuo profumo e voglio ballare con te… - comunque non prima di aver precisato - mi sa che sono parecchio ubriaco!”

“E io che faccio? SVENGO!” – s’incazzò con se stessa per aver mandato all’aria quella che poteva essere la notte migliore della sua vita.

“Nooooo…” – si disperava in preda ai languori per via di quei dolci ricordi mentre torturava il cuscino e voleva battere la testa da qualche parte.

Si era sentita male per tutta la giornata precedente: mal di pancia, di seno gonfio e pesante, di gambe, di testa e un continuo stato di debolezza che, insieme alle manovre di attracco del suo Rosso, l’avevano fatta svenire; poi, quando lui l’aveva ricoperta di dolci baci e stretta a se, lei, già eccitatissima, era venuta, perdendo i sensi.

“E’ vero… - sospirava delusa e amareggiata – sono proprio una mocciosa: mi eccito già solo se mi parla nell’orecchio… proprio non riesco a resistere!” – e si alzò per scendere nell’immenso cortile,  prendere un po’ d’aria fresca e vedere l’alba.

“Chissà se mi ha riportata lui… – pensò, guardandosi e trovandosi ancora vestita come la sera precedente. Poi sbuffò - Che idiota che sono - si disse disperata pensando di aver sprecato la sola occasione che lui le aveva concesso da quando lo conosceva – adesso chissà se mi capiterà di nuovo!”

 

“E’ proprio un bel posto! – guardava dal bordo del promontorio, che dava sul mare, il cielo che si tingeva dei colori dell’alba e i primissimi raggi del sole che sfioravano l’acqua – Shanks deve essersi divertito una cifra…” – ripensava alle parole di Helena che raccontava di lui e Pilot che correvano come pazzi esattamente dove ora lei stava ammirando il panorama.

Ma guardare giù verso il mare e la spiaggia le dava le vertigini e dovette tirarsi indietro e sedersi mentre si godeva, nel fresco della mattina, quel sole nascente che la salutava, sfiorandola coi suoi raggi pallidi eppure bellissimi.

Era scalza, seduta ai piedi di un grosso albero con la schiena nuda appoggiata alla corteccia e giocherellava con i raggi obliqui del sole, facendoli passare fra le dita dei piedi, pensando a lui e al fatto che da quando lo conosceva niente era più come prima.

Tutto le sembrava più bello, più dolce e aveva sempre una musica costante in testa… Anche la tavoletta di cioccolata al latte che stava addentando per placare, o almeno smorzare, quel bisogno di lui e i suoi ormoni sempre in subbuglio, sembrava la migliore cioccolata che avesse mai assaggiato.

E comunque era sicuramente meno dolce delle sue labbra…

 

“Così oltre che brutta, tappa e grassa, diventi pure brufolosa…” – la salutò la voce più dolce del mondo facendola trasalire e strozzare con un quadratino di cioccolata.

Si girò e riconobbe il suo Rosso che reggeva per i manici due grossi boccali e una borsa: sorrideva divertito mentre pensava seriamente di prenderla a morsi a cominciare dal collo per finire con la cioccolata.

“Lo vedi che sei tu che mi fornisci continuo materiale per prenderti per il culo? – continuò, sedendosi accanto a lei emozionato – Sei solo una mocciosa che mangia la cioccolata di nascosto e poi s’incazza se le dico che è grassa…”

Lei si riprese:

“La tua è solo invidia… perché ti sei perso vent’anni di dolci e perché non te ne darò neanche un pezzetto…” – e, con i tamburi nel cuore, tornò a mordere la tavoletta per non addentare lui.

“E’ vero…” 

“Ed è subito sakè…” – fece abbastanza preoccupata per la sua salute visto che salutava il nuovo giorno con un notevole quantitativo di alcol, accennando ai due boccali. Lui la guardò di traverso e gliene consegnò uno con un liquido denso e dal forte odore.

“E’ latte appena munto… è ancora caldo: l’ho preso dalla stalla poco fa… mi dispiace non portarlo sulla nave, ma non si conserva… – e aggiunse – bevilo, ti fa bene e magari la smetti di svenire…” – concluse ridendo.

Lei arrossì e chinò la testa sentendosi una caccola…

“Mi hai riportata tu?”

“Mhmm…” – disse lui nel boccale per assentire, trangugiando tutto felice quella montagna di latte.

“Mi dispiace, Shanks…” – mormorò in preda ai sensi di colpa, pensando di avergli rovinato la serata, costringendolo a tornare alla fattoria prima del tempo.

Lo guardò dispiaciuta ma poi scoppiò a ridere nel vedere un grosso baffo di panna sotto il naso che lui si leccò attraverso, eccitandola  di prima mattina.

“Che ti ridi? Che succeda a me è normale… vedrai che risate mi faccio quando lo bevi tu e ti si ferma sui baffetti che non dovresti avere…”

“IO NON HO I BAFFI!!” 

“E allora bevi e vediamo…”

Bevve e lui scoppiò a ridere.

“Guarda lì… - disse ridendo – passi tranquillamente per uno dei miei uomini: hai dei mustacchi degni di un messicano…”

“Che idiota che sei… - fece lei sprezzante – devi sempre dire cazzate… la panna sulle labbra si ferma a tutti… Mi volevo far perdonare dandoti metà della tavoletta e ora non lo faccio più…” – e ritornò a morderla. 

“E io mi mangio la ciambella che ha fatto apposta per me Helena ieri sera” – disse come un bimbo dispettoso, facendola diventare verde di gelosia.

“Ti andrà di traverso…” – sibilò mentre lui rideva, apriva la borsa che portava pezzi di ciambella e ne addentava uno.

Ne prese un altro e lo consegnò a lei.

“Mangia! E bevi tutto il latte… – la guardò dolcemente – in questi giorni ti devi alimentare bene visto che perdi strani liquidi…” - e scoppiò a ridere mentre lei arrossiva per l’imbarazzo e non lo guardava.

“Quella stronza… perché non si fa i cazzi suoi?!” - non riuscì a trattenersi dal dirlo ad alta voce mentre Shanks si divertiva troppo e se la mangiava con gli occhi.

“Quella stronza, come la chiami tu, non mi ha detto niente – lea rimproverò dolcemente – l’ho capito da solo. Ieri sera mi sono avvicinato a te e sei svenuta… Allora ho pensato che due erano le cose: - e numerò con le dita – una, ti piaccio da svenire – disse mentre lei tremava e diventava di tutti i colori, trasaliva e sudava – due, perdi liquidi… Tu che dici?” – le chiese ridendo, guardandola negli occhi, innamorato cotto.

E lei rispose agitata, spingendolo:

“C’è sempre la terza soluzione: che puzzavi talmente tanto da farmi perdere i sensi!! Cretino!” – sentendosi stupida, innamorata e completamente in balia di quel pirata che si stava divertendo da morire alle sue spalle.

E lui rideva, rideva quasi fino a soffocare: avrebbe dato qualunque cosa per prenderla lì davanti al sole nascente, al mare, a quell’albero…e  adesso aveva davvero voglia di cioccolata…

“Mi era venuta in mente anche quell’ipotesi - replicò per cambiare discorso e toglierla dall’enorme imbarazzo in cui si trovava, mentre si mordeva le labbra per sfogare il bisogno di mordicchiare quelle guance rosse che gli stavano davanti – ma ieri mi sono fatto un signor bagno, in una vera vasca…” – sospirò tutto contento.

“Lo so…” - lo spiazzò lei.

Lui si sentì fremere: non gli piaceva essere osservato a sua insaputa soprattutto dopo la storia del braccio e soprattutto da lei…

“Cos’è ti metti anche a spiare adesso?” – chiese un po’ caustico.

“Sai che voglia!” – fece lei di rimando senza accorgersi del suo turbamento.

“Ma sei proprio arrapata…” 

“Ma vaffanculo! Sei proprio un montato… - s’incazzò lei, dandogli una nuova spinta – Te la credi tantissimo… Io stavo per andare in bagno e ho sentito dei rumori… la porta era aperta e ho visto che c’eri tu e… Giada che ti manipolava i capelli tutta contenta… - e rise, presa di tenerezza per la piccola – è pazza dei tuoi capelli, è parrucchiera dentro… Aveva le stelline negli occhi…”

“Mi ha incastrato! – ammise lui – Mi sono addormentato nella vasca: mi ha svegliato per chiedermi se mi poteva lavare i capelli – e rise – Se le avessi detto di no, sarebbe scoppiata a piangere… ci teneva proprio! E per mezz’ora mi ha mostrato tutte le cremine che voleva usare e mi ha spiegato a cosa servivano: una per lisciare – raccontò, rifacendo la voce della piccola – una per lavare, una per farli lucidi, eccetera! Ne aveva una montagna… avevo voglia di piangere e chiedere aiuto…” - Poi s’inalberò: 

“E tu hai visto il tuo capitano prigioniero di un’apprendista parrucchiera e non sei corsa a liberarlo? Ma che ti tengo a fare? Da oggi fai il mozzo tanto il navigatore sono io… e pulisci anche i cessi!”

“Ma non esiste… - rispose lei, ridendo – non posso essere degradata da te, ma solo da Rufy! E’ lui il mio capitano…”

“Adesso sei sulla mia nave e fai quello che dico io…”

“Sì? Avanti, ordinami qualcosa!!” – lo sfidò, guardandolo negli occhi eccitatissima, mettendogli la tachicardia.

“Comincia col darmi la cioccolata…”

“No.” 

“Disobbedisci al tuo capitano? – le domandò con il sussurro roco di chi à già al limite dell’eccitazione sopportabile. Cominciò ad avvicinarsi lentamente a lei – Non ti conviene sfidarmi, ragazzina: sono abituato ad avere tutto quello che voglio e ho i miei metodi di persuasione… Dammi la cioccolata!”  

Ma lei non si allontanava e, sempre più eccitata, non sentiva più il cuore che aveva smesso da un po’ di fare il suo indispensabile dovere.

“No.” – ripeté, tremando.

Lui la guardò con quell’espressione da maniaco dei sette mari e lei si bagnò seduta stante, faticava a respirare perché era vicinissimo, ne sentiva il respiro e le sue dita le bloccavano il mento…

“Forse è il caso di ricordarti che sono un pirata – disse ridacchiando sulla bocca di lei, sfiorandole il naso col suo – …prendo tutto quello che voglio e non sono abituato a sentirmi dire di no…” – socchiuse e avvicinò la bocca per baciarla.

Lei stava per morire: i loro nasi si toccavano, i suoi capelli le invadevano la fronte, sentiva il calore del suo respiro sulla bocca, la sua mano che le bloccava il mento e non riusciva a capire se le labbra di lui la stavano già sfiorando oppure no… chiuse gli occhi e socchiuse le labbra aspettando quel momento meraviglioso e cercando di dominare i sussulti e la tremarella mentre Shanks giocava con la sua bocca e la teneva in scacco…

Poi, di colpo, sentì una sferzata di aria fresca e i capelli di lui sul viso: aprì gli occhi e constatò che invece di baciarla, quel deficiente di fama mondiale aveva dato un morso alla tavoletta di cioccolata che lei, in preda alla passione, aveva completamente dimenticato, sollevata a mezz’aria.

La tavoletta le sfuggì di mano per restare appesa alla bocca di Shanks, rosso in volto che rideva di lei, rischiando di soffocare.

“Te l’ho detto che prendo tutto quello che voglio!” – e rideva emozionatissimo nel vedere la sua faccia delusa che lo guardava malissimo e sulla fronte aveva scritto: “TI ODIO!”

Lei non sapeva proprio che fare.

“Mi prende sempre in giro… - pensava addolorata mentre lo guardava che rideva fino a stare male e si mangiava la cioccolata – mi frega sempre… e io mi lascio sempre fregare…” – era amareggiata e si vergognava da morire, rossa di dolore per essere così vulnerabile con lui.

“E’ vero… sei solo UN PIRATA!” – urlò incazzata e ferita, rovesciandogli addosso la borsa piena di pezzi di ciambella che lui si era portato dietro. – IDIOTA!” - si alzò per andare via perché quella risata beffarda era davvero insopportabile. 

Ma lui la trattenne per il polso, guardandola dolcemente: restarono così per un po’ di tempo durante il quale Shanks si domandò che cosa avrebbe dovuto fare. Ci era andato troppo vicino, stava per baciarla per davvero e allora tutti i suoi sforzi di tenerla lontana per rendere meno doloroso il distacco inevitabile, sarebbero andati in fumo e si sarebbero ridotti come due larve dipendenti l’uno dalle labbra dell’altra: non poteva permetterlo!

Ma l’amava troppo per lasciarla andare così delusa da lui.

“Lasciami andare idiota… - ringhiò - così ti vado a chiamare la tua amica tettona e vi divertite un po’ come ai vecchi tempi…” – misurava la voce per non farsela tremare.

“Ci mancava la scenata di gelosia ... “- rispose lui sprezzante per celare tutta l’emozione che aveva dentro. 

Quella battuta la folgorò e perse il lume della ragione: gli menò uno schiaffo che riecheggiò per tutto il promontorio, increspò l’acqua del mare e gli fece andare la guancia in ebollizione.

Lo prese per il bavero e lo guardò malissimo:

“Ehi… stupido pirata… - gli sibilò – ricordati che a differenza tua io ho due mani e le so usare! Stai attento, perché quando perdo strani liquidi non sono tanto dolce di sangue…”  

Ma lui non la lasciava e la guardava fissa: 

“Non sono così mocciosa da farmi prendere in giro da te, idiota! – e ringhiò in preda alla rabbia, scuotendolo – Non ho tempo da perdere per giocare con te… Adesso, però, ti vado a chiamare una che ne ha da buttare e cazzeggiate un po'...”  

E aggiunse disprezzandolo al massimo, trattenendo a stento le lacrime con tanto dolore in fondo all’anima:  

“E stai tranquillo per la ciambella: se le fai un bel servizietto, te la rifà!” 

“E’ così che la voglio… – pensava lui immobile e in preda alle fiamme – dura, spietata: è la regina dei pirati… voglio sposarla ora!” 

Quello schiaffo l’aveva sconvolto. Nessuna donna l’aveva mai picchiato e del resto lui non ne aveva mai dato motivo, era sempre stato molto dolce con tutte, ma Nami lo aveva fatto innamorare, l’aveva stregato. Non aveva mai conosciuto una donna così... ora era completamente cotto: se lei l’avesse schiaffeggiato un’altra volta, l’avrebbe stesa sull’erba con la forza, scopandola per una settimana intera.

“E se lo faccio a te il servizietto? – le chiese diabolico e arrapatissimo, riprendendosi da quel delirio e cercando la scusa per violentarla – me la rifai tu?”  

Lei lo guardò dall’alto in basso con disprezzo, domando il batticuore che quella proposta inaspettata le aveva creato nel petto.

“Non ho bisogno di servizietti… – sorrise disinvolta, ma con gli occhi lucidi: quell’idiota non voleva proprio capire… – Considerata la tua età, quando tu sei sfinito io ancora non sento niente! Perché sprecare tante energie con me? Hai già la tua splendida mora che ti coccola… - e tornò a ringhiare, scuotendolo e ricordando quel maledetto bacio – Non dovrai faticare granché per soddisfarla visto che per un misero bacio ti ha subito sfornato qualcosa…”

Lui se la mangiava con gli occhi, non poteva amarla di più… gli stava esplodendo il cuore:

“Ah… è il bacio il problema… - ghignò - proprio non lo mandi giù, eh?” – infierì stronzo come mai, cercandosi un altro schiaffo per poterla assaltare…

Lei si morse un labbro per non urlare poi lo inchiodò alla corteccia dell’albero guardandolo malissimo e inspirò per mantenere la calma; lui stava impazzendo dalla voglia di farsela e la guardava come un’isola dopo 12 mesi di navigazione continuata.

E riprese, inspirando profondamente.

“No, non è quello il problema… – e aggiunse con la voce che tremava – ma se quello era un bacio, allora dai un nome a questo…”

E lo baciò: si avvicinò di più e premette semplicemente le labbra su quelle di lui che si sentì cedere i vasi sanguigni e schizzare via il cervello.

Erano emozionatissimi e tutti presi da quel contatto caldo, morbido e vivo, troppo a lungo desiderato: labbra contro labbra, credevano di sognare, ma i loro respiri agitati sulla pelle erano reali come erano reali le lacrime che Nami non riuscì a trattenere e che caddero sul viso di lui. Con gli occhi sbarrati dallo stupore e dalla forte emozione, Shanks ancora non riusciva a crederci che lei lo stesse baciando e si sentì scoppiare di gioia.

“Quanto sei stupido… - pensava mentre lo baciava e piangeva – idiota… io ti voglio bene…”

Shanks non aveva più niente di sano in corpo: sentiva tutto il dolore di lei, tutto il suo amore, la sentiva sussultare per i singhiozzi mentre le sue mani stringevano convulsamente il bavero della camicia… seppure estremamente casto, quel bacio era pieno dell’amore di Nami che continuava a bagnarlo con le lacrime. Lui socchiuse le labbra per ricambiare quella meraviglia, le lasciò il polso e le accarezzò la guancia, asciugandole le lacrime. Ma Nami era preda dei singhiozzi oramai e si dovette staccare: lui, con il cuore in frantumi, guardò la cosa più bella del mondo che aveva le labbra rosse e irritate per la barba di lui, umide per via delle lacrime che uscivano dai suoi occhi chiusi e tirava su col naso cercando, invano, di controllarsi.

“Sei uno stronzo… – gli disse senza riuscire a smettere di piangere – non capisci niente o fai finta di non capire… ti odio…”  

La guardò intensamente col cuore grosso e le asciugò le lacrime con le dita, ma lei scansò la sua mano e si alzò per andare via.

“No…” – fu l’unica cosa che Shanks riuscì a dire nel vederla andare via così… aveva il cuore a pezzi, non poteva lasciarla andare.

Sotto un sole oramai padrone del cielo e un caldo che cresceva sempre più, Shanks la rincorse, la raggiunse e la bloccò prendendola alla vita e con impeto l’abbracciò, stringendola forte a se e rischiando di farla morire:

“Mi dispiace… scusami per tutto… perdonami se in questi giorni mi comporto peggio del solito… - le sussurrò, sfiorandole la guancia con la bocca mentre lei cominciava ad impazzire - Non ti arrabbiare… lo sai che i pirati non sono tanto normali…"

La strinse a lungo, ma lei non accennava a volergli parlare e continuava a piangere; lui la lasciò, le si mise davanti e tornò ad asciugarle le lacrime.

"Dai piccola…ti prego! Non vale la pena sprecare tante lacrime per un pirata idiota, smettila di piangere - non sopportava di vederla piangere e ingoiava con difficoltà visto che nella gola aveva il cuore – finiscila… Sei o no una pirata? E poi se continui, rischio di frignare anch’io: - e le prese il mento per fissarla negli occhi – quello che fa male a te fa male anche a me… perché… tu… tu sei la mia mocciosa, giusto?” – e le sorrise con gli occhi lucidi.

A quelle parole anche a lei esplose il cuore e riuscì solo a guardarlo con la bocca piegata all’ingiù come i bambini. E lui riprese distrutto:

"Io… stavo solo scherzando… lo sai che l’ultima cosa che voglio è ferirti… - disse rosso in volto, tutto emozionato – è solo che… sei così carina quando ti arrabbi… - le confessò, spostandole delicatamente i capelli dal viso - mi piace sfotterti, te la prendi sempre e poi anche tu lo fai… È così da quando ci conosciamo.” 

E aggiunse con il cuore sulle labbra:

“Dammi un altro schiaffo, ma non tenermi il muso…”

“Te lo meriteresti…” – mormorò lei con un filo di voce.

“Lo so… – ammise, tornando a stringerla, immergendo il viso nei suoi capelli, respirando il suo profumo e godendosi il suo corpo caldo e morbido – però… adesso… ti prego… stai con me, stringimi forte, abbracciami come sai fare tu e non te ne andare… – la implorò, stringendola di più mentre lei si sentiva di nuovo morire. 

Nami alzò le braccia e gli cinse il collo passando le mani nei meravigliosi capelli del suo Rosso e lo abbracciò forte mentre lui con la mano aperta sulla sua schiena nuda la stringeva forte a se; restarono per un bel pezzo in quella posizione e lei, avvinghiata a lui che la stringeva appassionatamente, credette davvero di essere in Paradiso e si sentì felicissima e perduta nel corpo di quell’uomo impossibile da capire e così facile da amare.

“Ma perché è così strano? – si domandava disperata e felice, godendosi quel meraviglioso momento. – Che vuole da me?”

Poi lui si distaccò con l’affanno e le chiese.

“Mi perdoni?”

“Davvero sono carina quando mi arrabbio?”

“Beh… carina… che parola grossa! – rise lui innamorato – Quando ti arrabbi, ti si fanno le guance rosse e perdi quel colorito cinereo che preoccupa un po’, smaltisci qualche etto e, nel complesso, sei più guardabile!”

“Vuoi partecipare alla sagra degli schiaffi?” – chiese lei ridendo mentre lui le asciugava le ultime lacrime.

“No no… Voglio solo che mi perdoni…”

Lei gli sorrise e gli fece “sì” con la testa, riportando il sole nella giornata di lui che sentì una grande carezza calda sul cuore.

Le prese la mano, le baciò il palmo tutto contento e le disse:

“Mi piace il tuo profumo… mi piace il tuo vestito e… voglio finire di fare colazione con te. – se la trascinò fino all’albero. – Vieni… prima che le formiche si portino tutto via…”

Come in quel pomeriggio stupendo, la fece sedere fra le sue gambe, appoggiare al suo petto, le porse il bicchiere di latte e le disse, ridendo emozionato:

“E’ vero… sono un pirata… con la mania dell’agricoltura: questo l’ho munto apposta per te stamattina…” - le accarezzò a lungo il viso mentre lei si sentiva il cuore fra le nuvole.

“Davvero?”

“Ma certo, piccola… sei tu la mocciosa del Vento dell’Est! Per favore bevilo - e le sorrise - così se, per ipotesi assurda e ubriaco fradicio, ti invito a ballare, tu non svieni di nuovo costringendomi a fare l’uncinetto con le vecchine…”

Finirono di fare colazione restando abbracciati e dividendo tutto: ciambella, latte e cioccolata; chiacchiere, risate, coccole e prese in giro.

E fu la colazione più dolce della vita di entrambi.

 

Helena e Shanks si salutarono con un lungo abbraccio sul molo del porto dopo che la bella mora, con le lacrime agli occhi per l’ennesima partenza di quell’amico impossibile da tenere fermo, gli aveva riempito la nave di ogni ben di Dio e anche di latte, purtroppo non molto per via della difficoltà di conservazione, per quella mocciosa che gli aveva rubato il cuore.

Nami li guardava non più gelosa e anzi piuttosto contenta: quella sosta al villaggio di Neshua le era stata propizia e Shanks era stato dolcissimo con lei. E poi era felice e orgogliosa di quel suo Rosso capace di portare solo gioia e risate a spasso per i sette mari e che aveva tantissimi amici…

Le vele erano issate e l’ancora levata….

Sul ponte del Vento dell’Est, il capitano, sbracciandosi, urlò alla sua amica che lo salutava dal porto:   

“Quando torno, voglio conoscere tuo marito!!”

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** 051.Vent'anni ***


51 - Vent'anni!
 
“Dov’è Nami?” – chiese il capitano raggiungendo il suo stato maggiore nella sala pranzo che cominciava ad ospitare i pirati riuniti per la cena del terzo giorno da quando avevano lasciato il villaggio di Neshua.
“L’ho vista con Eddie, in cucina…” – gli rispose Ben sfumacchiando.
“Ah… Ben – lo chiamò il capitano, tornando su suoi passi perché s’era ricordato di una cosa – Non mi piace che alzi un sopracciglio quando la vedi…” – gli disse ridendo, facendo il geloso e senza dover fingere troppo.
“Scusami… cercherò di controllarmi…” – sbuffò l’altro.
Scese in cucina in tutta fretta per chiamarla e dirle che era pronta la cena: non vedeva l’ora di rivederla e, mentre scendeva le scale a due a due, pensava a quanto la sua nave gli piacesse di più da quando c’era lei…
Ben gli sembrava addirittura bello!
Entrò in cucina come un tornado, tutto felice con un sorriso a 44 denti che gli rimase freddato sulla faccia.
Nami ed Eddie stavano affiancati e attaccati l’uno all’altra, ridevano e facevano qualcosa dando le spalle alla porta:
“Oh... Eddie sei fantastico!” – disse lei, ridacchiando tutta contenta.
“Modestamente…” – s’inorgoglì lui.
Shanks rimase sulla porta a guardare quei due affaccendarsi, ridacchiare contenti e troppo vicini per i suoi gusti… uscì senza far rumore e tornò mogio mogio in sala pranzo cercando di non pensare a niente, ma senza riuscirci.
Più tardi i due raggiunsero gli altri e si cominciò a mangiare.
“Ehi… Rosso! – lo chiamò sottovoce lei nei bagordi della cena a cui stranamente il capitano non partecipava – Che ti prende? Ti sono tornate anche a te? Non hai detto una parola… sei triste?” – gli chiese con un velo di preoccupazione.
“No… niente…” – mormorò lui, guardandola e detestandosi nel sentirsi geloso.
E pensava.
 
Oramai erano due giorni che Nami si chiudeva in cambusa con Eddie e lui non riusciva a passare nemmeno pochi minuti con lei: si sentiva trascurato e avrebbe volentieri appeso Eddie all’albero maestro per capire che cazzo stava succedendo.
Lei non lo cercava più, non restavano più soli e nemmeno in compagnia…
“Dov’è Nami?” – chiese per l’ennesima volta a Ben.
“Vorrei poterti dare una risposta diversa…” – sbuffò l’altro che vedeva crescere l’apprensione e il nervosismo nel suo amico e da un lato si divertiva e dall’altro si preoccupava.
Shanks sapeva essere buono e caro, paziente e tollerante, ma quando s’incazzava erano guai seri e l’unica soluzione era sparire dalla sua vista per un po’ e aspettare che sbollisse.
E lui s’incazzava solo quando si sentiva tradito o aveva paura.
Così dopo aver finito di cenare e aver visto un’altra volta che quei due se n’erano andati via insieme, con una scusa si alzò e li seguì silenzioso come un ninja, si appostò dietro la porta della cucina, la socchiuse e ascoltò.
“Ragazzi… io capisco l’urgenza e mi fa piacere, dico sul serio! – bisbigliò Ben rivolto ai due - Sono contento… ma Shanks sta per perdere la pazienza e tu, Eddie, lo sai come diventa quando s’incazza… Se continua questa tresca, vi ammazza tutt’e due ed io non posso fermarlo!” – il sangue di Shanks si coagulò a quelle parole dette dal suo migliore amico.
“Almeno tu vai a tenerlo tranquillo ogni tanto…” – aggiunse il vice rivolto a Nami.
“No – fece questa con fermezza – da qui non mi muovo!”
Era troppo addolorato… gli faceva male tutto…
“Non è possibile – si ripeteva disperato mentre andava al castello di prua e cercava refrigerio al suo sangue che si avvicinava pericolosamente all’ebollizione – non è possibile… Lei sta con me… è mia.” – e respirava profondamente cercando di calmarsi e non credere a quella vocina che gli diceva che i suoi amici e la sua donna lo stavano prendendo in giro, lo fregavano…
Si distese, cercando invano di prendere sonno…
All’improvviso sentì dei passi sul ponte e si alzò per vedere chi fosse: Ben stava facendo la sua solita fumata che conciliava il sonno.
“Ben!” – lo chiamò, saltando come un gatto dal castello di prua.
“Eccolo! Ora sono guai…” – pensò il vice guardando come aveva saltato, sapendo che Shanks si muoveva in quel modo solo quando era nervoso e la temperatura del sangue era abbastanza alta far bollire l’acqua.
Mhm?” – gli rispose, cercando di mantenere la calma.
“Tutto bene?” – gli chiese l’altro che lo conosceva da troppo per non capire che gli stava nascondendo qualcosa e che si era innervosito nel sentirsi chiamare.
“Certo… vuoi una sigaretta?”
“Sì…” – disse e poi pensò – “E’ meglio che fumo così mi do una calmata!”
“Non hai mangiato niente a cena e nemmeno a pranzo…” – gli fece osservare Ben per tenerlo impegnato in conversazione e fare in modo che non si muovesse da lì.
“Già… non avevo molta fame.” – e lo guardava storto, incazzandosi sempre di più visto che il suo amico fumava con sufficienza come se nulla fosse e invece sapeva benissimo che stava per succedere l’apocalisse.
“Ti vedo nervoso – sibilò Shanks ai limiti – perché non ti confidi con me? Siamo amici, no?” – e lo disse col tono di un terrorista che minaccia la fazione opposta e non come un amico preoccupato dei pensieri dell’altro.
“Beh... – fece lui sospirando e sapendo che oramai era sulla via della guerra – come te, sono un po’ in pensiero per Rufy e i suoi: non li troviamo…”
“NON DIRE CAZZATE!!” – esplose Shanks nel silenzio della nave, facendo tremare tutta la chiglia e ghiacciare il sangue ai suoi uomini.
“Eh… se lo sai già cos’è che mi preoccupa, perché me lo chiedi?” – fece l’altro troppo divertito alzando le spalle. Ma era anche piuttosto preoccupato.
Shanks respirò a fondo per cercare di dominarsi… ma non ci riuscì.
“CHI CAZZO PENSI DI PRENDERE PER IL CULO??” – gridava da increspare l’acqua senza preoccuparsi minimamente di eventuali navi della marina che potevano incrociare e magari attaccare.
Sulla nave di Shanks il Rosso era sceso il ghiaccio e se, per sbaglio, avesse incrociato tutta la marina, tutti i cacciatori di taglie e tutti i nemici del mondo, Shanks li avrebbe sterminati solo con lo sguardo: niente lo faceva più incazzare del tradimento, per lui era impensabile tanto che non sopportava la vista di un traditore e lo uccideva subito, non voleva neanche sentirlo…
E riprese.
“ALLORA – CHE - COSA - STA - SUCCEDENDO?” – chiese sforzando l’ugola, arrivando a toni che non credeva di avere e scandendo le parole per farsi sentire bene da tutta la sua ciurma e, visto che c’era, pure dai pesci.
“Non gridare che poi ti fa male la gola…” – rispose l’altro troppo divertito pensando che quella scena valeva bene la scarica di pugni che il suo amico stava per rovesciargli addosso.
Per tutta risposta l’altro ridacchiò con una faccia da maniaco dei sette mari che lo gettò nel panico.
“Adesso sono proprio morto…” – pensò il vice.
“Hai ragione… – disse abbassando la voce e sibilando come un cobra - allora Ben, te lo chiedo per l’ultima volta e poi ti getto a pezzi nel mare… – lo informò – che cosa sta succedendo su questa nave che io non so?” – mentre spegneva la sigaretta, stritolandola nella mano senza accorgersi che scottava.
“Ma quando si muovono?” – pensava il vice che vedeva il suo amico guardarlo sempre più truce e leggendo una certa dose di dolore in fondo al suo sguardo.
“Te lo dico, però tu promettimi di stare calmo e non perdere la testa…” – esordì questo cercando di prendere tempo subito interrotto da Shanks:
“IO NON TI PROMETTO UN CAZZO!! Se non che se non me lo dici subito, faccio un macello! Tutto quello che succede su questa nave io lo devo sapere! CHE STA SUCCEDENDO IN CAMBUSA?”
“Ecco… vedi… da quando lei è qui… tu…” – e s’interrompeva smadonnando dentro di sé nell’attesa che quegli idioti si muovessero.
Shanks perse la testa:
“CHE COSA C’ENTRA LEI? – gli chiese, urlando disperato, prendendolo per il bavero – BEN!! CHE SUCCEDE?”
Stava davvero pensando di aver chiuso con il mondo quando da sopra le spalle di Shanks vide sventolare un drappo bianco e tirò un sospiro di sollievo. Ma il suo amico, incazzatissimo e addolorato, lo teneva ancora stretto e di lì a poco l’avrebbe scaraventato in mare…
“Io… non posso aiutarti – disse, fingendosi addolorato – credo che tu debba vedere con i tuoi occhi… e renderti conto da solo della verità… mi dispiace Shanks.” – e stava facendo una fatica immensa per non ridere.
Shanks lo lasciò senza una parola con il cuore vuoto e in subbuglio; prima indietreggiando, guardandolo truce e poi voltandosi, si precipitò in cucina, deciso a capire fino in fondo.
Fece le scale quattro a quattro seguito da Ben che non voleva perdersi la scena per nulla al mondo, mise la mano sull’impugnatura della spada e si accorse, con un certo sollievo, di non essere armato: sfondò la porta con un potente calcio e sentì un gemito soffocato nel buio.
Non c’era nessuno…
Entrò piano e rimase ad ascoltare i battiti del suo cuore…
Gli sembrò di sentire qualche risatina soffocata e allora sbottò come un vulcano:
“BASTAAAAA!”
E all’improvviso si accesero le luci e un intero barilotto di sakè gli finì addosso inzuppandolo mentre tutti i suoi uomini gli si accalcavano intorno sfottendolo e festeggiandolo.
Nami gli si avvicinò e lo baciò sulla guancia, facendogli una dolce carezza per spostargli i capelli zuppi di sakè dalla faccia.
“Ma che cazzo, capo! – sbottò Teschio dolorante – Ma ti paiono calci da dare? La porta m’è finita tra le gengive…” – e tutti a ridere mentre Shanks rimaneva allibito e cercava di capirci qualcosa.
Poi sentì una pacca sulla spalla, si girò e riconobbe Ben che gli ghignava con la sigaretta fra i denti:
“Te l’avevo detto che dovevi vedere con i tuoi occhi…”
“Che succede?” – riuscì a dire dopo un po’ quando si fece silenzio intorno a lui perché i suoi uomini erano preoccupati nel non vederlo reagire.
“Ti abbiamo fatto uno scherzo… - gli spiegò Nami, restandogli vicina tutta emozionata – e una festa! I ragazzi mi hanno detto che oggi compi vent’anni di pirateria…”
“Sono vent’anni che rompi le palle per i sette mari, capo!!” – urlò qualcuno e tutti a ridere.
“E’ vero… – si ricordò lui e la guardò – ma tu perché stai sempre in cambusa con Eddie?” – era la cosa che lo preoccupava di più e la sua ciurma era tutta sorpresa nel vederlo così innamorato di quella ragazzina.
“Vieni con me… - fece lei tirandolo per la mano e conducendolo fra due ali di ciurma tutta ristretta in cucina – ecco!”
Con un ampio gesto a due mani gli mostrò quello che lei ed Eddie avevano fatto: una fedele riproduzione del Vento dell’Est con tanto di vele spiegate e bandiera nera sullo sfondo con il simbolo di Shanks il Rosso… una gigantesca torta a forma di galeone… il suo galeone.
Lui la guardò con la bocca spalancata per cinque minuti abbondanti e le stelline negli occhi che diventavano sempre più numerose e luccicanti.
Non riusciva a dire una parola… era talmente sconvolto da non riuscire ad articolare un pensiero…
“Beh… ti piace?” – gli chiese Nami che fremeva senza riuscire a lasciargli la mano.
Lui sospirò e disse, ridendo emozionatissimo:
“Io mi mangio tutto il castello di prua, l’albero maestro e lo scafo…”
“Eh sì… noi che facciamo? Guardiamo te?” – gli fece Lucky e tutti ricominciarono a festeggiarlo.
“Ma come?” – chiese ancora incredulo guardando quella meraviglia.
“L’idea è stata di Nami quando ha saputo che oggi facevi vent’anni di scorribande – lo informò Eddie – è venuta da me e mi ha illustrato il progetto: insieme lo abbiamo realizzato…”
“Sì… ma ha fatto tutto lui… - intervenne lei felice di poter raccontare i dettagli al suo Rosso che la guardava innamoratissimo e felicissimo – hai un cuoco eccezionale! Un vero artista… guarda: è uguale al Vento dell’Est!” - e si lasciava trascinare da quella meravigliosa ragazza che gli illustrava tutti i passaggi e le fasi della lavorazione, quanti ingredienti, le difficoltà, eccetera mentre l’ascoltava e voleva sposarla in quell’istante e farci tanti figli da riempire tre navi grandi come la sua.
“Però un bel po’ di merito ce l’ho anch’io… - s’intromise Ben – se non altro perché stavo per essere ucciso, il che non è bellissimo…” – e guardò il suo amico, sbuffando fumo.
“Scusami Ben…” – fece il capitano sinceramente dispiaciuto mentre l’altro lo perdonava con un cenno della mano.
“Allora… stiamo aspettando che Eddie crei una nave della marina che attacchi il Vento dell’Est? – chiese Lucky impaziente - Andiamo all’arrembaggio della nostra nave?”
“Mi dispiace mangiarla… - se ne uscì Shanks mentre gli altri lo guardavano truce – ci avete lavorato tanto…” – disse rivolto a Nami ed Eddie.
“Ma il suo scopo è proprio quello di essere mangiata dai suoi occupanti… - spiegò Eddie che gli diede un coltello – Forza capo! Dividi di nuovo con noi questi bellissimi vent’anni!” – e tutti a ridere e festeggiare, commossi e affezionati a quel capitano straordinario, unico nel suo genere.
“Cazzo… non lo sapevo che eri anche poeta…” – replicò Shanks, prendendo il coltello e apprestandosi a tagliare la sua nave.
“Io voglio le spade! – fece Yassop – quelle della bandiera dietro il teschio!”
“Io la prua…”
“Io le poppe!!” – esclamò quel maniaco di Rosetta fra le risate generali, le cazzate e nel casino esagerato che il legno del Vento dell’Est conosceva oramai da vent’anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** 052.La forza dell'autorità ***


52 - La Forza dell'Autorità
 
Disteso a guardare le stelle dal suo posto preferito, il comandante del Vento dell’Est era ancora scosso dalla festa che la sua splendida ragazza gli aveva organizzato: avevano mangiato torta e bevuto sakè fino all’alba, riducendosi come cenci e cantando a squarciagola… Lui, come tutti i festeggiati, era stato il più conciato, il più fatto ed era arrivato mani e piedi al castello di prua a farsi passare quella mega sbronza che aveva invalidato lui e i suoi per tutto il giorno successivo.
Guardava uno dei cieli più stellati che avesse mai visto e pensava a lei, a quella sua idea, tipicamente femminile, di festeggiare vent’anni di scorribande: come tutte le donne anche lei aveva la mania delle ricorrenze e degli anniversari.
La torta era buonissima e se l’erano fatta fuori tutta nell’arco di una notte: lui aveva ingurgitato mezzo Vento dell’Est per non prenderla a morsi davanti a tutti i suoi uomini.
E ricordava di come si era infuriato con Ben: stava per ammazzarlo temendo gli nascondesse una tresca tra Eddie e Nami; avrebbe ucciso anche Eddie e chiunque gli si fosse messo davanti.
In realtà aveva pensato che il suo amico era piuttosto strano, ma tanta era la paura di perderla che non ragionava più:
“E’ incredibile come sia riuscito bene lo scherzo… – ragionò Ben tra una tirata e l’altra quando lo raggiunse al castello di prua, il giorno dopo. – Ci sei cascato in pieno…”
“Sei un bravo attore…” – gli rispose il capitano che sapeva dove stava andando a parare il suo amico.
“Diciamo che quando c’entra lei, non capisci più niente!”
Shanks sorrise e gli chiese:
“Tu lo sapevi dall’inizio?”
“Ci ha presi uno per uno e ci ha descritto il piano… – e sorrise – ci ha anche minacciati che se ti avessimo fatto capire qualcosa, ci avrebbe preso a bastonate!”
“C’è da preoccuparsi… Quella mena!” – lo informò Shanks ridendo e ricordando il loro incontro-scontro nel vicolo del bordello.
Ben aspettava che il suo amico si confidasse e gli spiegasse perché cavolo non si decideva a mettersi insieme a quella ragazzina che amava con tutto se stesso e che gli voleva un bene dell’anima: ma Shanks non era tipo da confidenze facili…
Aveva chiesto a Lucky di raccontargli che cosa c’era nel passato di quell’uomo che non era un pirata normale: era troppo sensibile, troppo gentile e a modo per non aver passato i suoi guai; amava la compagnia dei suoi uomini, ma aveva bisogno di molto tempo per se e certi giorni doveva restare solo, pensava sempre, adorava i bambini e passava le ore a giocare con loro quando poteva, non gli piaceva combattere e, se era costretto, diventava di cattivo umore, soffriva nel vedere morire la gente ed era generoso:
“Se trova lo One Piece, è capace di dividerlo equamente con tutta la filibusta…” – pensava il suo migliore amico che lo capiva al volo e gli voleva un gran bene, ma non riusciva a farlo parlare.
 
“Che bello…” – e ripensava a quella mattina che avevano passato abbracciati a parlare, ridere e mangiare; Shanks era stato fantastico con lei, un vero tesoro…
Sembravano fidanzati!
Avrebbe voluto farsi spiegare il motivo per cui era così strano, perché certi giorni la trattava da mocciosa, pareva non la guardasse nemmeno e certi altri la stringeva così tanto da soffocare; perché la sfotteva e torturava, ma poi la baciava e si eccitava quando la stringeva.
Avrebbe voluto affrontare l’argomento: dirgli chiaro e tondo, come non si fosse abbastanza capito, che lo amava, che voleva stare con lui… ma già era difficile affrontare l’argomento con il capitano di una nave pirata e poi con lui diventava decisamente impossibile: dopo quella meravigliosa mattina, continuava a comportarsi come se nulla fosse, come se quel suo atteggiamento fosse normale…
E quel bacio?
“Oddio l’ho baciato!!” – le tremavano le ossa al ricordo di quel contatto che non faceva che tornare prepotente con la sua morbidezza, il suo calore e il suo profumo. E poi... Quando si erano stretti in quell'abbraccio intenso, l'aveva sentito... l'aveva sentito il cuore di lui impazzire e quasi sfondargli il petto: era emozionato e lei aveva creduto di morire di felicità.
Ma adesso Shanks si comportava di nuovo come se non fosse successo nulla.
Non stavano spesso soli e quando succedeva, lui era sempre indaffarato e non la calcolava nemmeno di striscio: non la cercava mai… era sempre lei che si avvicinava e lui si limitava a non respingerla.
E le pensava tutte per capirci qualcosa in più, ma le restava in testa solo una mega confusione e lui certo non aiutava a fare chiarezza.
 
Più tardi si ritrovarono soli al ponte di comando: quando lui la vide entrare, come al solito, il cuore gli esplose in petto.
“Abbiamo coperto poco meno del trenta per cento della zona compresa nella griglia…” – l’informò tanto per non scoraggiarla: anche se erano tutti presi dai loro sentimenti, il motivo per cui stavano insieme era ritrovare Rufy…
“Mhmmm!” – riuscì a replicare lei avvicinandosi a lui lentamente e in modo impercettibile: aveva un bisogno disperato di toccarlo… anche di toccare solo i suoi vestiti… le mancava il fiato.
Ma lui con fare distratto, si allontanò, affaccendandosi intorno a delle carte nautiche distanti il più possibile da lei.
“Domani attraccheremo nella città di Caclas… è bella e molto grande… Lì ci fermeremo perché secondo me sta per arrivare una cosa esagerata che chiamarla uragano è uno scherzo…”
“Sì, l’ho sentito nell’aria…” – rispose lei triste per quel bisogno insoddisfatto.
“Come va la schiena?” – chiese lui tanto per tenere su la conversazione.
“Molto meglio… Lucas dice che domani potrà togliere i punti di sutura…”
“Spero che non resti la cicatrice… – sospirò preso dal timore di vedere la sua splendida schiena deturpata… - ti ci manca solo una cicatrice per essere ancora più mostruosa…”
“Senti chi parla… - s’incazzò lei – tu sei la sagra della cicatrice!! Ma che palle! Non riesci proprio a fare a meno di dire cazzate?” – era furiosa: stava morendo dalla voglia di lui e quell’idiota la sfotteva e si allontanava… non poteva essere più nervosa.
Lui sentiva tutto il suo nervosismo e l’aria incandescente che regnava al ponte di comando, ma non poteva cedere… quella ragazzetta doveva capire che non avrebbe potuto esserci nulla tra loro e mentre si sforzava di tenerla distante, stava malissimo.
“Secondo te, tra quanto arriverà l’uragano?”
“Credo sia dietro di noi… – sussurrò preoccupato – lo sai anche tu che le tempeste di questa zona sono distruttive e molto veloci… non so se mantenendo questa velocità di cinque nodi giorno e notte, riusciamo a lasciarcela alle spalle o prenderla di striscio…” – ma s’interruppe perché lei si era avvicinata per consultare le mappe della zona e il suo cuore aveva preso a dare di testa; si rese conto che gli tremava vistosamente la penna in mano e la poggiò sul tavolino allontanandosi da lei lentamente, ma inesorabilmente…
Lei tutta presa dalla mappa, non s’era accorta delle manovre del suo Rosso:
“Senti capitano… - esordì, scuotendo la testa – non voglio contraddirti, ma… dobbiamo aumentare la velocità e portarla ad almeno dieci nodi se vogliamo sperare di lasciarla dietro di noi…”
“Perché?” – il suo tono convinto e serio l’aveva preoccupato: amava trattarla da mocciosa, ma l’aveva capito all’istante che quella ragazzina meravigliosa navigava come un vecchio lupo di mare e sapeva tutto sui fenomeni atmosferici. Con un grosso sforzo di umiltà, Shanks aveva già dovuto ammettere a sé stesso che era molto più competente di lui…
E lei iniziò:
“A parte il fatto che questa carta è piuttosto imprecisa e non rappresenta bene la zona… Devi sapere che questo tratto di mare è caldo: qui e qui, - indicò con il dito sulla carta mentre lui ammirava la perfezione delle sue mani – passano due correnti di acqua calda che sembrano quasi due fiumi sottomarini.
Le tempeste sono forti e particolarmente veloci perché a questa latitudine, l’aria è più fredda e contrasta con l’acqua calda dell’oceano che evapora velocemente, creando nuvoloni enormi…”
“Lo so… - interruppe lui più per scuotersi dal languore e dall’emozione di averla così vicina – ma non vedo cosa c’entri con la velocità delle tempeste…”
“E non mi interrompere! – gli pizzicò la mano, sfogando in parte quel dannato bisogno di toccarlo che non le passava. E riprese: - le tempeste partono da qui… – e indicò un punto a Sud, non troppo lontano alle loro spalle – e viaggiano a velocità normali… ma poi arrivano nel punto in cui ci troviamo esattamente noi e incontrano i vapori delle correnti calde che si uniscono e che viaggiano nella stessa direzione di questi venti di tempesta… e come se non bastasse, a questa latitudine, come è ovvio, l’aria è più fredda e in questo periodo spirano venti in quota ghiacciati: tutto questo può unirsi, e credo lo stia già facendo, spinge e accresce la tempesta per tutto il tratto di mare nel corridoio delle due correnti calde, nella nostra direzione… – e concluse – Abbiamo sentito l’aria di tempesta oggi e penso che la vedremo già domattina a poppa: il vento sta salendo lentamente, ma sta salendo…”
“Va bene… aumentiamo la velocità a dieci nodi...” – accettò lui tutto preso mentre lei lo guardava innamorata e felice che la tenesse in così alta considerazione. E riprese:
“Dobbiamo allontanarci da qui al più presto possibile perché domani verso mezzogiorno, più o meno, la tempesta sarà dove siamo noi e diventerà un velocissimo uragano che ci raggiungerà in meno di un’ora…”
E lui si sconvolse…
“In meno di un’ora??”
“Già…”
“Allora è meglio spiegare tutte le vele di riserva… e portare la nave alla velocità massima…”
“E quale è?”
“In mano a me può superare i quindici nodi!” - fece orgoglioso.
“Accidenti…” – disse lei ammirata.
“No dico… – e se la tirava orgogliosissimo – stiamo parlando della mia nave… vieni con me, adesso ti faccio vedere come soffia il Vento dell’Est!”
Uscirono da lì e si diressero sul ponte, non c’era nessuno:
“Ehi… razza di ubriaconi e scansafatiche!! Qui nessuno è come turista! – e gridò visto che non si vedeva nessuno in giro – se non vi presentate sul ponte in meno di trenta secondi da adesso, vi faccio bere il mio caffè per una settimana!!”
“No… no… - si sentì da ogni parte mentre un’orda di pirati raggiungeva il capitano – aspetta… capo! Io ci sono, sono qui: guardami!!”– diceva ognuno mentre qualche elemento, che evidentemente stava in bagno, uscì chiudendosi le brache e altri avevano la faccia pesta di chi si è appena svegliato, Eddie aveva le mani piene di pasta e farina, Lucas era pronto con il disinfettante, Lucky aveva dimenticato il suo cosciotto nella foga di evitare il caffè del suo amico, Ben aveva in una mano il fiammifero e nell’altra la sigaretta e correva, tentando di accenderla e Shanks rideva di loro mentre tutti lo mandavano a fanculo…
“Quanto cazzo sei idiota…” – fu il commento di Lucky Roux spingendolo mentre tutti sottoscrivevano, scuotendo la testa.
Quando si riprese, disse alla sua ciurma:
“Più passano gli anni e più mi fate schifo…”
“Tu invece ci piaci tanto... ti seguiamo per il tuo bel culo!!” – disse Rosetta e tutti a ridere.
“…’Cazzo dici! Ti piacerebbe ma il culo non te l’ho mai dato e mai lo farò! Rassegnati!”
“E’ chiaro… ci hai le chiappe di un neonato… te lo sfondo…”
“E BASTA! C’E’ UNA DONNA A BORDO! – urlò e si girò verso di lei – Puoi tapparti le orecchie per dieci secondi? Ho da dire qualcosa di estremamente sconcio…” – ma lei rideva da mostrare i denti del giudizio.
E riprese:
“La nostra navigatrice è preoccupata: tra poco ci raggiunge un uragano e dobbiamo portare la nave al massimo… Issate tutte le vele di riserva, feccia dell’umanità – e prese la sua mocciosa, facendole esplodere il cuore: con la mano le tappò l’orecchio e la strinse a se per tapparle anche l’altro e sussurrò – altrimenti vi inculo uno ad uno per tutto il viaggio e vi potete iscrivere nel coro di qualche chiesa come voci bianche!”
“Era meglio il caffè…” – rise Lucky, seguito dagli altri avviandosi ad eseguire gli ordini.

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** 053.Il business dei pirati ***


53 - Il Business dei Pirati
 
Affacciata alla prua della nave, osservava le stelle di una notte splendente e infida, tipica di ogni vigilia di uragano: la luna era troppo luminosa, le stelle troppo numerose e l’aria, sfacciatamente bugiarda, si atteggiava ad una tranquillità che pareva non poter essere mai mutata…
Nami sapeva benissimo che di lì a qualche ora, la tempesta avrebbe raggiunto il corridoio delle correnti calde e avrebbe iniziato la sua impennata di potenza e velocità, raggiungendoli in cinque o sei ore…
“Meno male che il Vento dell’Est è velocissimo…” – pensava preoccupata di preservare il suo Rosso e la sua nave (la cosa a cui lui teneva di più) dalla furia del tifone che si sarebbe scatenato in quelle acque l’indomani.
Le tornava in mente la faccia contenta e soddisfatta di quel meraviglioso pirata che le aveva rubato il cuore quando le aveva mostrato l’apparato delle vele di riserva della sua nave…
“Guarda qui… - le aveva detto quando la feccia dell’umanità dei suoi uomini, così li aveva chiamati, si era decisa a spiegare le vele – ho fatto ampliare la metratura delle vele di riserva portandola a quella delle vele principali… in pratica, rispetto ad un altro galeone della stessa stazza, il mio è veloce più del doppio anche per via del telaio e della struttura che ho fatto modificare in un piccolo villaggio da un artigiano e la sua squadra… – e rise ricordando – era brutto come la pestilenza e non rideva mai… però era un mago con gli attrezzi e per i galeoni aveva una vera e propria passione! Il lavoro è venuto dodici milioni di berry, ma ne è valsa la pena…”
“Dodici milioni? – si sconvolse lei – e dove li hai presi?”
“Diciamo… diciamo che la marina, un paio di navi da crociera ed altri galeoni pirata mi hanno gentilmente e spontaneamente finanziato…”
“Ma non è giusto… – intervenne lei con le spalle a terra – hai ripulito la gente per farti la nave…”
“No, il mio stile è diverso! Nessun attacco ai passeggeri… ho ripulito la società: ho sequestrato le navi e ho chiesto il riscatto, tutto qui… - e aggiunse – E non ti preoccupare che non sono i pirati i soli delinquenti al mondo… pensa che le navi da crociera come quelle merci sono assicurate per migliaia di milioni di berry anche dagli attacchi di pirati… Attaccandole e sequestrandole noi non facciamo altro che il gioco degli armatori che ottengono somme spropositate dalle compagnie di assicurazioni e, queste ultime, da quelle di riassicurazione… - e alzò le spalle – quindi i pirati sono un male necessario… come le donne!”
Lei lo guardava perplessa e lui riprese:
“Insomma, le navi devono essere assicurate contro i pericoli dei viaggi in mare e fra questi ci siamo anche noi: siamo compresi nel prezzo, nel sistema… - e scosse la testa convinto – quindi se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto un Don Krieg, per esempio, che oltre tutto è anche un assassino patentato… A quelle due navi è andata bene… a me non piace ammazzare, ma Don Krieg ci gode, è peggio di uno squalo…”
“Ma stai dicendo sul serio? – lo schernì lei – Ma come fai a dirle così grosse!! I pirati, compresi nel sistema??” – gli chiese con sarcasmo.
“E’ chiaro… - rispose ridendo – “quanto è bello parlare con te!” – pensò felice e riprese: - gli armatori, i cacciatori di taglie, la marina, le società di assicurazione, i cantieri navali, i negozi di souvenir e finanche la città di Gold Roger si reggono sul business creato dai pirati! Personalmente ho scelto questa vita perché non posso stare lontano dal mare e fermo in uno stesso luogo per più di mezza giornata: i muri, le case e il traffico delle città mi uccidono e soffro di claustrofobia a grossi livelli… mi piace l’avventura e conoscere gente sempre diversa – alzò le spalle – la prospettiva di arricchirmi mi coinvolge fino ad un certo punto… Ma non tutti i pirati la pensano come me: Bugy non vive senza denaro, è letteralmente innamorato dell’oro e dei tesori, a Don Krieg piace la violenza e nella pirateria ha trovato la sua via… Mihawk vive per combattere... potrei continuare così per ore… Ma noi tutti amiamo la libertà a 360 gradi: niente disciplina né regole se non quelle che ci diamo noi stessi ed è questa la ragione dell’esistenza dei pirati… non possiamo vivere secondo regole che non abbiamo stabilito noi!” – esclamò convinto.
Lei lo guardò perplessa per un po’ e poi scoppiò a ridere:
“Allora aveva visto giusto… sei un filosofo!”
“Ma dai… - e rise anche lui – che significa filosofo? Io ho scelto la mia via: fare il pirata. Su di me ci mangiano milioni di persone in tutto il mondo e io, per rifarmi la nave e continuare a farli mangiare, ho “preso in prestito” i finanziamenti necessari per rendere il Vento dell’Est eccezionalmente veloce… tutto qui. Il denaro è sempre in circolo: oggi agli armatori, domani a me e di nuovo agli armatori che non ci perdono mai… Quella volta ho fatto un calcolo approssimativo dei soldi che la Grand Line Shipping Lines ha riscosso dai Lloyds per le due navi che ho sequestrato e mi sono venuti i capelli bianchi… Nemmeno se trovassi lo One Piece diventerei così ricco!!” – disse, creando suspense nel cuore di lei.
“Beh… allora? Quanti soldi erano?” – incalzò lei a cui il denaro faceva sempre un certo effetto e perché il suo Rosso sapeva tutto e raccontava le cose così bene…
“Forse è meglio se ti siedi… mocciosa venale!” – e rideva.
“Avanti… quanti soldi erano?” – e gli tirava la manica della camicia.
Si avvicinò a lei e le sussurrò nell’orecchio, facendola rabbrividire:
“Ogni nave ha fruttato all’armatore ben due miliardi…”
Lei spalancò la bocca e gli occhi diventati a forma di berry:
“Non so neanche come si scrive…”
“Guarda! – rideva lui – ti sono venute le stelline negli occhi! Spegnile: ci vorranno mille vite da saccheggiatore a grandi livelli per raggiungere la somma di una sola nave… Allora i miei dodici milioni sono bruscolini e costituiscono un finanziamento per la mia attività di pirata e per quella, decisamente più redditizia, degli armatori!!” – concluse con l’aria di chi la sa lunga.
Lei lo guardò per un po’, affascinata dalla sua parlantina e da tutte le cose che sapeva:
“Hai sbagliato mestiere, Rosso! Dovevi fare l’avvocato…”
 
Adesso fissava quel mare infido e ripensava a quel fantastico pomeriggio in cabina: lo sapeva e se l’era ripetuto fino alla nausea che lui era ubriaco e poi gliel’aveva detto senza mezzi termini che s’era trattato di una cosa momentanea, che non aveva nessuna speranza con lui…
Ma gli mancavano le sue carezze, la sua mano sicura che sapeva dove toccarla e con che ritmo, la sua bocca, il suo respiro caldo sulla pelle, la sua barba e la sua voce nell’orecchio…
E poi quella tremenda notte di tempesta… avrebbe dato qualunque cosa per risentire di nuovo il suo corpo caldo e tonico contro il suo, i suoi fremiti e… quella cosa impressionante che le premeva contro!
Avrebbe preferito non fosse successo niente: almeno adesso non avrebbe sofferto per una vera e propria crisi d’astinenza e non riusciva a credere che per lui non fosse successo niente di importante.
“E’ vero… di fatto non è successo niente, però…” – e si dannava per non essere riuscita a controllarsi e ad essere un tantino più distaccata: gli aveva dimostrato senza mezzi termini che la faceva eccitare e si sentiva un burattino che quel pirata poteva usare quando voleva magari per passare un altro pomeriggio movimentato.
E la cosa che la faceva più irritare era che lei non aspettava altro…
Il Vento dell’Est scorreva velocemente sull’acqua sfruttando ogni sussurro di una piacevolissima brezza che, di lì a poco, si sarebbe trasformata in una forza distruttiva, le vele erano tutte tirate e gonfie e a prua già si vedeva il faro della città di Caclas che avrebbero raggiunto l’indomani.
Il porto era situato in una grossa baia esposta ad Est e per questo riparata dall’uragano che stava arrivando, come loro del resto, da Sud: il problema era imboccare l’entrata del porto che non era eccessivamente grande… Se poi l’uragano fosse sopraggiunto mentre viravano per ripararsi, una minima manovra sbagliata avrebbe scaraventato il Vento dell’Est sugli scogli, fracassandolo in mille pezzi…
“Certo che se fossi io il capitano, non riuscirei a chiudere occhio… – pensava, sapendo che quell’incosciente dai capelli rossi stava russando della grossa sul castello di prua, alle sue spalle, per nulla preoccupato dell’apocalisse che li stava inseguendo – anzi… io già non riesco a chiudere occhio!” – sbuffò tesissima, andando al posto preferito del suo capitano.
Salì piano e lo vide girato su un fianco, con la testa appoggiata ad un rotolo di corda e le dava le spalle: sapeva che quello era il suo posto preferito e mai aveva osato metterci piede quasi per una strana forma di pudore… come se quella fosse la sua stanza e lei non ne volesse violare l’intimità…
Ma era troppo tesa per prendere sonno da sola. Rimase a guardarlo respirare con una voglia immensa di stendersi accanto a lui…
“Mocciosa… – la chiamò all’improvviso, facendola trasalire – cos’è hai paura del buio?” – e rise.
Lei si riprese e, mentre lui si girava, rispose stizzita:
“No idiota… ti sembrerà strano, ma l’idea di avere una tromba d’aria sul collo non mi fa dormire benissimo!” – e pensava: “Che deficiente, non capisce niente!!”
“Il navigatore che ha paura di un uragano? Stiamo messi bene!”
E lei sospirò:
“Ma perché ti devo spiegare tutto? Solo Rufy poteva esserti amico: siete idioti allo stesso livello! Non è l’uragano che mi fa paura… sei tu!”
“Perché?” – lui cascava dalle nuvole, mettendosi a sedere.
“Perché tu domani dovrai imboccare l’entrata di un porto esposto ad Est virando a tribordo di novanta gradi con un uragano che sopraggiunge da Sud… come farai? E soprattutto: COME PUOI DORMIRE?”
E lui la guardò di traverso.
“Non ti fidi del tuo capitano? – scherzò - Sono vent’anni che guido questa nave e forse non posso ancora definirmi un lupo di mare, però… penso di farcela ad imboccare il porto! E se non ci riesco… Beh! Ci avrò provato!” – alzò le spalle, sconcertandola.
“Shanks… ti prego – lo implorò lei, mettendogli l’agitazione nelle vene (gli piaceva da matti quando lo chiamava per nome) – fai il serio, una volta almeno…”
“Sono serio, Nami… - le disse, guardandola negli occhi e chiamandola per nome a sua volta, facendole piegare le ginocchia – Ma non posso prometterti che imboccherò il porto e salverò tutto… Se facessi una cosa del genere, non sarei serio… Per mare non sai mai cosa ti capita ed è abbastanza facile morire schiantandosi sugli scogli per una manovra in situazioni pericolose: posso sbagliare o essere fortunato… domani si vedrà!”
Aveva uno sguardo limpido e deciso, assolutamente rilassato e padrone della situazione: si sentiva molto più tranquilla e sapeva che nella lotta tra l’uragano e il suo Rosso, questi ne sarebbe uscito senz’altro vincitore.
Ma non voleva comunque andare a dormire da sola…
Adesso lui rideva tutto preso dalla tenerezza per quella ragazza incredibile che conosceva gli abissi e l’atmosfera come le sue tasche, ma aveva paura di dormire da sola…
“Vieni qui…” – le disse dolcemente con un sorriso, invitandola con la mano.
Lei non se lo fece ripetere un’altra volta e si avvicinò a lui.
“Siediti…” – e le sistemò il rotolo di corda dietro la schiena, facendo attenzione alla ferita. Prese una coperta da una grossa botola affianco a lui e la sistemò addosso a sé alla sua mocciosa tutta emozionata:
“Siamo seduti vicini… con la stessa coperta… che bello!” – pensava felicissima.
Si avvolsero in quel grande abbraccio e rimasero silenziosi per diverso tempo, tutti presi dai loro corpi che si sfioravano e dai loro respiri misurati per controllare l’emozione…
“Uffa… lo sapevo che ci voleva la coperta più grande… te la sei presa tutta tu con quel tuo culone!” – e se la tirò via, lasciandola scoperta.
E lei prese a ridere innamoratissima:
“Lo sapevo… Lo sapevo che avresti fatto l’idiota… - e cercava di riprendersela – ma sei sicuro di avere 37 anni? Non è che ti sei sbagliato dandotene 30 di più?” – e si tiravano la coperta, mandando all’aria tutta la sistemazione accurata di prima.
“Ma dai! Quanto sei grassa! Ma perché devo soffrire il freddo per quel tuo enorme culo? Lui può resistere con tutto il grasso… io no!”
“Il mio culo non è grasso! E poi tu hai anche il mantello… - e si contendevano la coperta come due ragazzini – ma insomma, tutti gli altri uomini si levano le giacche e i mantelli per coprire le donzelle e tu mi sficchi la coperta di dosso!! Ma che egoista!”
“Ma tu non sei una donzella!”
“Ah, no? Ripetilo se hai il coraggio!” – e lo prese alla gola per strozzarlo.
“No, no… stavo scherzando… è vero sei una donzella… grassa, ma donzella!” - e lei che lo colpiva piano, ma ripetutamente, rideva e amava sempre più quel pirata assolutamente speciale e dolcissimo, unico e meraviglioso.
Sbadigliava, vinta dal sonno, rideva, lo colpiva e pensava:
“Ti amo, ti amo tantissimo, Shanks…

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** 054.Salvii per un pelo! ***


54 - Salvi per un pelo!
 
Si godette un’alba tanto splendente quanto bastarda.
Quel sole nascente mentiva spudoratamente dicendo a tutti che sarebbe stata una giornata di bel tempo e invece si stava preparando l’inferno…
Adesso era solo al castello di prua, si sentiva riposato e aveva dormito abbastanza dopo aver riportato Nami in cabina…
Mentre giocavano e si divertivano come pazzi, lei si era addormentata quasi di colpo, cascando su di lui: in un primo tempo, la vecchia volpe aveva pensato si trattasse di un espediente poco originale per abbracciarlo, ma poi s’era reso conto che lei dormiva davvero.
E cercava ancora di smaltire l’emozione ricordando che lei lo stava strozzando per una delle cretinate che diceva:
“Avanti… fammi coprire…” – e gli teneva le mani al collo senza stringere mentre lui rideva come un matto.
All’improvviso, lei aveva appoggiato la fronte alla sua con l’affanno e poi, scivolando con il viso su quello di lui, s’era addormentata di colpo, accasciandosi sul suo petto.
E lui l’aveva tenuta addosso a sé, godendosela per un bel po’, mordendola e baciandola, stringendola e toccandola, sentendosi uno schifo per non riuscire a trattenersi dal desiderarla e dal toccarla; decise di riportarla in cabina solo quando si accorse che stava per baciarla sulla bocca e la passione lo aveva preso così tanto che se avesse cominciato, avrebbe anche finito, con o senza lei…
“Il vero problema – pensava, guardando un’alba da quadro di impressionista – è che io la voglio… non è tanto che lei lo sappia o meno… io non devo desiderarla, ma non ci riesco… - e si perdeva nel ricordo, recente, del suo corpo morbido e caldo, di quelle sue guance lisce e morbidissime che non riusciva a non mordere, del suo seno maledettamente sodo schiacciato contro di lui, delle sue gambe e delle sue braccia coperte da quella peluria leggera e bionda, della sua pelle di pesca profumata… - aiuto… aiutatemi…” – e languiva con la fronte appoggiata al parapetto di prua della nave, vittima della voglia di lei e di quel suo apparato riproduttivo mai domo che, da quando la conosceva, faceva gli straordinari.
“… Mio dio… non è possibile… quanto è bella…” – si disperava.
“Sì è davvero bellissima – disse una voce alle sue spalle con un chiaro tono sarcastico – ma non è il caso di ammalarsi per un’alba…”
E risero tutt’e due, l’uno accendendosi una sigaretta, l’altro battendo ripetutamente la fronte sul parapetto, cercando di scrollarsi il desiderio di dosso:
“Che stronzo che sei… Ben!”
Ma l’altro rideva.
“Ci godi, eh? – e rideva anche lui – Ma sai che risate mi faccio quando capiterà a te!”
“Sì, ma adesso tocca a te! – e sfumacchiò – Comunque è vero: è proprio uno splendore… ti capisco.”
“Dammi una sigaretta… – lo implorò, alzandosi da quella posizione, barcollando verso il suo amico e ridendo di eccitazione – io non so davvero come faccia Rufy a navigare con lei… secondo me, non ha ancora fatto lo sviluppo e quindi vivono tutti in grande fratellanza… sennò non si spiega!”
“Il fatto è – gli disse quel gran saggio del suo vice – che tu sei innamorato di lei… E’ bellissima, ma tu la vedi come una dea e la trovi irresistibile…”
“E’ meravigliosa…” – sospirò, cercando di ricomporsi.
“Allora è proprio vero… - considerò Ben – pensavo fosse solo una diceria e invece è vero che gli innamorati sospirano sempre… guardati: sembri una ciminiera…”
Rimasero un po’ in silenzio e poi il vice disse:
“Sento l’odore della tempesta… pensi che faremo in tempo ad entrare nel porto?”
“Se il vento tiene sì… ma se cala come succede sempre prima di un tornado, rimaniamo fermi davanti all’entrata del porto e siamo spacciati…”
“Ah… e che facciamo?”
“Spero solo di poter usare gli arpioni.” – sospirò il capitano.
 
“Eccola…” – mormorò Nami, guardando quell’esercito di nuvole che si avvicinava velocemente quando, oramai sveglia, uscì dalla cabina e raggiunse tutti gli altri che, a poppa, guardavano inebetiti il cielo che si stava oscurando, il mare che diventava cupo e minaccioso e il vento che saliva tirando le vele e spingendo la nave ad una velocità superiore ai quindici nodi.
“Buongiorno, meteorologa…” – le sorrise il suo amore.
“E’ arrivata… Tra un paio d’ore ci è addosso… - calcolò lei con un filo di voce – tra quanto arriviamo a Caclas?”
“Verso mezzogiorno se manteniamo questa andatura… perdiamo tempo nel virare… - rispose lui concentratissimo – il problema è che il vento deve rimanere costante per le prossime due ore, ma se c’è una cosa che non è costante negli uragani è proprio il vento…”
“Oh… Shanks… e se strappa le vele?” – chiese preoccupata.
“Non m’importa… le tengo su fino a quando non iniziamo la manovra: dobbiamo guadagnare ogni metro sull’uragano… tanto è sicuro che la nave non ne uscirà illesa… guarda che sta arrivando… - indicò con un gesto della mano rivolto alla furia in avvicinamento – l’importante è che nessuno si faccia male o si perda in acqua…”
E si rivolse ai suoi mentre ora il mare cominciava a farsi sentire pure su un galeone grande come il Vento dell’Est:
“Ragà, qua la situazione è nera: Caclas è a meno di due ore da qui e la tempesta ci investirà in pieno tra due ore… in teoria abbiamo tempo sufficiente per la manovra, ma in pratica no… ci sono troppe variabili, perciò tutti ai vostri posti e tenetevi bene. Al mio primo segnale ammainate la Sirena, al mio secondo segnale ammainate Alba e Tramonto e al terzo segnale ammainate tutte le vele… Yassop, Francis e Johnny… tenetevi pronti con gli arpioni di tribordo!”
“Sì capo!”
“Duca e Ascia... voi al timone… io mi avvicinerò e vi darò le istruzioni al momento… tenetevi pronti e attenti: non potrò ripeterlo due volte l’ordine!”
“Ok, capo!”
Si girò verso di lei:
“Mocciosetta... quando il tempo peggiorerà, entra in cabina e restaci…”
“Ma io posso aiutarti…”
“Lo so… mi sei già stata di grande aiuto, ma sul ponte saresti in pericolo e siamo davvero già in troppi… e poi mi avevi promesso che avresti eseguito le mie istruzioni, te lo ricordi?” – le chiese con un dolcissimo sorriso.
“Mhmmm…” – chinò la testa: il suo Rosso aveva ragione, come al solito…
“Grazie… così stò più tranquillo anche perché se cadi, finisci a fondo con quel culone…”
“E basta!”
“Sei sicura di non aver mangiato la frutta del diavolo che, stranamente, ti si è fermata solo nelle chiappe?”
Lei lo pizzicava e lo guardava truce mentre dietro le sue spalle si stagliavano nuvole talmente nere e basse che sembrava toccassero l’albero maestro.
“Rosso… che razza di nomi sono Sirena, Alba e Tramonto?”
“Beh… Sirena è la vela principale e l’abbiamo chiamata così perché un giorno Lucky l’ammainò come la faccia sua e chiusa sembrava una sirena su uno scoglio… Alba e Tramonto sono le due vele laterali di riserva che, al momento della costruzione, volgevano una ad Est ed una ad Ovest… alba e tramonto appunto!”
“Ah… senti… - si ricordò lui – ho cambiato idea… mi puoi essere d’aiuto: quando vai in cabina, tieni l’orecchio teso e cerca di sentire la mia voce – lei ascoltava tutta attenta il tono serissimo del suo Rosso – al mio segnale ti sposti dall’altro lato della nave per bilanciarne i movimenti ed evitare di ribaltarci…” – ma non poté finire per le sue risate e le botte che lei gli rovesciò addosso.
“STRONZO! E io che ti sto pure a sentire! Deficiente! IDIOTA!”
“Ma perché t’incazzi? Fai compagnia a Lucky… finalmente su questa nave c’è chi bilancia il mio amico e riusciamo a navigare dritti sull’asse orizzontale…” – ma lei lo picchiava e lo pizzicava.
Un’onda anomala e particolarmente forte la sbatté contro di lui e finirono abbracciati con i visi attaccati e le bocche vicinissime; le braccia di lei giravano intorno alla vita di lui, i nasi si sfioravano e si guardavano le labbra di colpo arse e secche mentre il battito cardiaco di entrambi era sospeso fino a data da destinarsi…
Persi nei loro respiri contenuti, ma affannati e caldi, a loro sembrò un’eternità, ma restarono così per una frazione di minuto e cioè fino a quando lei, presa dalla passione, strofinò il viso contro quello di lui, chiuse gli occhi e si alzò in punta di piedi per baciarlo, ma Shanks, sfruttando un’altra onda potente che li allontanò, fece leva contro la fronte di lei e si sottrasse per tempo a quella fantastica prigionia…
“Vai in cabina… - le disse con un filo di voce che si perse nel fragore delle onde e dei primi fulmini – è ora…”
E lei scomparve in coperta.
 
Mentre il suo capitano teneva sotto controllo la tempesta, lei languiva sul suo letto con il cuscino tra le braccia e lo baciava, per nulla soddisfatta, cercando di farsi passare il desiderio delle sue labbra…
“Che bocca… - e ripensava a quelle splendide labbra socchiuse che non aveva baciato per colpa di una stupida onda… - oh… ma che sfiga…” – e si dannava, vittima dei languori per quella morbidissima fessura che non aveva potuto assaggiare…
 
Lui guardava l’uragano e, per quanto preoccupato, era convinto che non sarebbe stato mai potente come quello che avrebbe scatenato con lei su un qualsiasi ripiano orizzontale… o anche verticale o obliquo…
“Non mi formalizzo…” - si disse, guardando onde alte come il suo galeone che si stagliavano come grossi muri scuri in tutte le direzioni.
Il vento era selvaggio e le vele del galeone di Shanks il Rosso cominciavano a cedere riducendosi a brandelli, gli alberi erano provati e le cime volavano da ogni parte. La pioggia grossa, pesante e molto veloce e le onde gigantesche e violente contribuivano a trasformare le vele in colabrodo: molti uomini cadevano o scivolavano sul ponte della nave che cambiava continuamente asse, impennandosi e inabissandosi di parecchi metri sconcertando anche quei veterani del mare.
Erano vicinissimi al porto di Caclas ed era tempo di virare…
Il tutto doveva svolgersi in una manciata di minuti.
“Ammainate la Sirena!” – tuonò in tutto il ponte nel fragore della tempesta e, con una certa difficoltà, la vela principale del Vento dell’Est, lacera, si mise a riposo.
Ma Teschio, il responsabile della Sirena, non riusciva a scendere dall’albero maestro:
“Che succede Teschio?” – gli urlò Shanks dal ponte.
“Una cima… il vento mi ha incastrato con una cima!” – e cercava di liberarsi con il coltello, ma la posizione era scomoda; all’improvviso una forte ondata lo fece sobbalzare e perse il pugnale in mare mentre le oscillazioni lo facevano dondolare a testa all’ingiù appeso per una gamba da una cima che non lo mollava.
Sembrava un burattino, un fuscello… dondolava come un pendolo e Shanks non poteva fare niente…
“Cerca di reggerti al maestro quando ti ci avvicini… Yassop!! Vieni qui!! – e quello si presentò all’istante – Riesci a colpire la fune che tiene legato Teschio?”
Quello guardò in alto e poi Shanks.
“Non so…” – non era proprio sicuro di farcela: Teschio ondeggiava di brutto e quasi compiva giri completi intorno all’albero maestro cercando di evitare di prenderlo in pieno e poi la nave oscillava troppo ed era facile perdere l’equilibrio. C’era il rischio di colpire Teschio…
“Teschio!! – lo chiamò Shanks – devo tornare al ponte! Adesso ti libera Yassop!”
“Ma capo!” – Yassop lo guardava sconcertato con un’espressione che voleva dire esattamente: “Ma che cazzo prometti? Va a finire che l’ammazzo!”
Lui se ne avvide e tornò sui suoi passi verso Yassop:
“Fammi capire… pensi di non farcela?” – e il tono non era proprio amichevole.
“Già!” - e guardava il suo capitano zuppo di pioggia e di sudore che parevano trasformare in sangue i suoi capelli che gli volavano da ogni parte per via della furia del vento; lo fissava negli occhi color piombo come le nuvole alle sue spalle.
“E che cazzo ti tengo a fare? Per pensare di non farcela?”
Yassop provò a dire qualcosa, ma il suo capitano l’interruppe:
“E allora sono proprio un deficiente se ti ho permesso di combattere al posto mio con uno dei più grandi tiratori del mondo che voleva la mia testa a Rogue Town… - gli ricordò – eh sì… sono proprio un emerito idiota se ho lasciato che ti battessi con Daddy Masterson!”
L’altro tornò a guardare Teschio, vittima delle onde e del vento:
“Potrei ucciderlo…” – sussurrò in mezzo al fragore dei tuoni.
“Se non lo fai tu, lo farà l’uragano… - rispose mesto Shanks, reggendosi ad una cima per evitare di scivolare su quel ponte che sembrava scosso da un fortissimo terremoto. – Quando ti ho imbarcato sulla mia nave sapevo di prendere il migliore tiratore del mondo! – e cambiò tono, sfottendo - Devi farcela… anche perché sennò la pistola te la metto dove sai tu!” – e rise, andandosene al ponte.
“Spero che Rufy non diventi così idiota… lo spero per Usoop!” – si disse, ridendo il miglior tiratore del mondo.
Shanks corse di nuovo al ponte di comando: con la vela maestra ammainata, la velocità rallentò sensibilmente e fu possibile individuare il braccio Sud del molo, quello più esposto, a poche decine di metri da loro: era formato principalmente da scogli naturali e qualcun altro artificiale.
“Timone!! Venti gradi a tribordo!” – la nave virò verso l’imboccatura del porto e le onde, che prima prendevano la poppa cominciarono ad assalire la parte laterale dello scafo, scuotendo il galeone.
Shanks sapeva che non poteva continuare a lungo e, aspettando il riflusso di un’onda appena passata, ordinò un’altra virata di dieci gradi che, grazie all’onda immediatamente successiva, li spinse quasi nell’insenatura a un centinaio di metri dalle acque calme.
Un fulmine per poco non centrò in pieno l’albero maestro… con il sangue ghiacciato si girò a guardare e capì che, il fragore del tuono aveva coperto il colpo di Yassop che, con la sua mira da campione, aveva centrato in un colpo solo la fune e liberato Teschio. Questi, bianco come un cencio per la paura e lo sballottamento, dopo essere sceso in fretta e in furia dal maestro, vomitò pure l’anima sul ponte.
“Sei grande, Yassop…” – si disse Shanks tornando a guardare la bocca dell’insenatura che era piccola e stava per mancare:
“Ammainate Alba e Tramonto!!” – urlò a squarciagola e la velocità si ridusse ancora e precipitò del tutto perché il vento cessò quasi di colpo lasciandoli in una sorta di bonaccia…
“Oh cazzo…” – Shanks alzò lo sguardo verso il tifone e le due trombe d’aria che, di lì a poco, si sarebbero unite all’oceano chiudendo la gloriosa storia del Vento dell’Est.
“Oh porca puttana! – urlarono due a poppa, vedendo arrivare una cosa gigantesca che superava il concetto di onda per piazzarsi meglio in quello di montagna – che facciamo, capo?”
“Questa la prendiamo… - mormorò lui, impotente – aggrappatevi tutti!! – urlò e la sua voce fu smorzata da una immensa cascata d’acqua che gli precipitò addosso e lo scaraventò a prua facendogli percorrere mezzo ponte della nave a ruzzoloni; sbatté la testa al bompresso a cui si aggrappò con quell’ultimo briciolo di lucidità che aveva.
 
“Shanks… - e si sentiva schiaffeggiare – come stai? Stavi per svenire!” – Lucky era preoccupato visto che non aveva nessun cosciotto in mano: lo aveva dovuto staccare dal parapetto e cercava di capire se avesse ingoiato acqua.
Lui alzò la testa verso il suo amico e da dietro le sue spalle vide precipitare verso di loro l’albero maestro… Diede uno spintone a Lucky che ruzzolò a tribordo mentre lui rotolò a babordo evitando l’albero e, con la testa sanguinante che gli girava, corse di nuovo verso la leva del timone per vedere se erano ancora tutti lì.
Poi si girò verso l’insenatura, la vide scivolare via e si disperò…
“Calmati…” - respirò a fondo, guardando un’altra montagna d’acqua che s’avvicinava.
“Ammainate tutte le vele!!” – e d’un colpo solo tutte le altre rimaste furono chiuse, grazie anche alla quasi totale mancanza di vento che non ancora riprendeva a spirare e avrebbe ricominciato come una furia di lì a pochissimo, buttandoli sugli scogli.
Fortunatamente quella montagna d’acqua era un’onda anomala e non si infranse sul ponte, ma sollevò il Vento dell’Est da babordo spingendolo direttamente nell’insenatura in cui piombò precipitando da un’altezza considerevole, spezzando la parte terminale del bompresso.
“SIII!! – urlò Shanks nel fragore della tempesta – che culo! – ma altre onde arrivavano potentissime visto che non erano ancora nelle acque calme e non avevano virato del tutto: in pratica stavano puntando diritto verso l’altro braccio del molo – timone: venti gradi a tribordo!! – e ancora - arpioni di tribordo! Puntate… Fuoco!”
La virata portò la nave di Shanks a 45 gradi dalla posizione originaria, esponendola al rischio di ribaltarsi per via delle altre montagne d’acqua che sopraggiungevano amichevoli:
“Arpionati!!” – gridò tutto esaltato Yassop la cui mira andava celebrata con i fuochi d’artificio mentre Shanks pensava – “Meno male che ci sei tu…”
“TIRARE!!” – e le bobine del Vento dell’Est presero a trattenere la nave lontano dal molo Nord dell’insenatura mentre lui urlava di nuovo - “Venti gradi a tribordo!!” – e la nave faceva un’altra virata che la rendeva estremamente vulnerabile, ma resisteva senza ribaltarsi.
“Issate Alba!” – urlò mentre Ben, che si occupava di Alba, lo guardò perplesso, ma eseguì.
Alba tornò a gonfiarsi e colse una straordinaria folata da Sud – Ovest che spinse la nave di filato e velocemente dentro la baia nelle acque calme…
“Mollate gli arpioni! Issate Tramonto!” – e la nave recuperò la traiettoria rettilinea in acque calme e con venti ridotti per via delle montagne che giravano dietro la città di Caclas e arginavano la furia dell’uragano…
“Timone venticinque gradi a tribordo!” – e, finalmente, il Vento dell’Est puntò in direzione della banchina immensa di quella città battuta dalla pioggia e dal vento che, però, non poteva immaginare cosa stesse accadendo in mare aperto.
“Ammainate le vele… gettate l’ancora!!” – ordinò, infine, con un filo di voce.
Il Vento dell’Est, logoro e irriconoscibile con cinquanta sfinitissimi pirati a bordo, languiva nelle acque calme, ma battute da una pioggia torrenziale della città di Caclas: gli abitanti, chiusi nelle loro case, non s’erano accorti che erano arrivati i pirati.

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** 055.Caclas ***


Chapter 55 - Caclas
 
Era rimasta aggrappata al letto del suo capitano che, fortunatamente, era piantato nel pavimento.
Tutto quello che non era stato ancorato alle travi di legno era volato via, sbattuto da ogni parte: i libri erano tutti sparpagliati in giro e qualcuno le era finito in testa, la sedia rovesciata, i vestiti di lui erano stati vomitati via da un armadio che certo non poteva vantare una tenuta stagna, il cassetto della scrivania aveva lasciato andare il manifesto e la foto di Rufy, il ritratto di sua madre e qualche simpatico pugnale.
E poi c’erano tutti i ritratti che lei aveva fatto col carboncino nelle ultime settimane: il soggetto era, ovviamente, Shanks e tutte le sue espressioni. Dopo la brutta faccenda di Little Wind, aveva potuto aggiungere un inedito Rosso infuriato che già nel ritratto faceva paura…
Era bianca come uno straccio e aveva cercato di dominare il mal di mare che, in quell’occasione, avrebbe colpito e invalidato perfino Gold Roger il più vecchio fra tutti i vecchi lupi di mare…
Con lo stomaco in subbuglio, uscì dalla cabina per vedere come stavano gli altri: non si sentiva nessun rumore se non quello della pioggia che picchiava insistentemente la nave e la voce del suo Rosso non si faceva più sentire.
Arrivò sul ponte battuto da una pioggia violenta, cercando di non scivolare sul legno viscido e non inciampare nelle cime appese da tutte le parti: la barra del timone era danneggiata, l’albero maestro spezzato, tutte le vele ridotte a brandelli e la parte finale del bompresso era finita in mare…
Si guardò intorno e vide i corpi esanimi dei pirati sparpagliati sul ponte, incuranti della pioggia torrenziale che li bagnava. Ben si stava riprendendo dalla fatica ed era seduto con la schiena appoggiata al parapetto della nave: cercava di accendersi una sigaretta, ma con tutta l’acqua che c’era in giro non era un’impresa facile.
Cercò il suo Rosso con gli occhi e lo trovò al ponte di comando, steso a pancia all’aria che fissava inebetito un cielo spaventoso che calava acqua manco fosse una cascata, zuppo fin dentro le ossa e con un taglio sulla fronte abbastanza grosso che sanguinava ancora…
“Shanks!!...” – lo chiamò tutta preoccupata, raggiungendolo.
S’inginocchiò vicino a lui e lo scosse:
“Oh… Shanks… come stai? – lui si mise a sedere e la guardò senza espressione – come ti senti? Dimmi qualcosa!” – lo implorò non vedendolo reagire.
Con un lembo di maglietta, gli asciugò il sangue sulla fronte che gli stava finendo negli occhi.
“Shanks… - la voce le tremava e stava per mettersi a piangere, visto che non reagiva: forse la botta in testa gli aveva fatto perdere la memoria… - sono Nami… non mi riconosci?”
“Shanks?” – fece lui, sorpreso.
“Oddio no…– era disperata. – Sono Nami… non ti ricordi di me?”
Lui la guardò con la fissità tipica dell’ottuso e poi mormorò:
“Mi ricordo solo…”
“Che cosa? Che cosa?” – oramai piangeva.
“…Solo… che sei mocciosa…” – e scoppiò a ridere talmente forte da sovrastare i tuoni.
Lei chinò la testa, cercò di respirare per calmarsi, ma fu tutto inutile:
“IDIOTA!” – lui rideva e sputava ancora l’acqua che aveva bevuto mentre lei aveva deciso di ucciderlo.
“IO TI AMMAZZO! STUPIDO, IDIOTA, DEFICIENTE, CRETINO!!! – e lui rideva da farsi male e scansava le botte che la sua ragazza gli scaricava addosso – STRONZO! Ma perché sei così scemo? Perché mi devi far spaventare e incazzare?” – e lottavano sotto la pioggia.
Lui era sfinito: l’uragano, la tensione e le risate l’avevano fiaccato. Le teneva i polsi per evitare di prendere altri schiaffi e rideva come un matto:
“Sei proprio una bambina… - e rideva – credi a tutto quello che ti dicono…”
“Non sfottere… - fece lei delusa – io mi ero preoccupata!”
“Dovevi… – e rideva – Ah! Ah! Ah! Dovevi vedere la tua faccia… ti sei messa a frignare, eri uno spasso! – rideva per non saltarle addosso – piccolina… avevi paura che mi fossi scordato di te?”
“Vaffanculo, idiota…” – fece per liberarsi e ci riuscì.
Per lo sfinimento, Shanks il Rosso, si accasciò semisvenuto tra le sue braccia e lei, inginocchiata sul ponte, lo strinse a sé fino a quando Ben e gli altri non trasportarono in coperta tutti i feriti, capitano incluso. Lei tremava con l’affanno, rossa in volto e completamente zuppa a causa della testa rossa del suo amore immersa fra i suoi seni e lo stringeva delicatamente a sé. Perso in quell’abbraccio caldo e bagnato per via della pioggia torrenziale, a metà strada tra la veglia e la perdita dei sensi, Shanks sentiva il profumo di lei, il suo respiro e la morbidezza del suo seno sul viso…
“Ora posso anche morire…” – pensò.
 
Tornò del tutto al presente, sentendo che qualcuno gli asciugava il viso e i capelli: aprì gli occhi e riconobbe Nami che gli passava addosso, delicatamente, un asciugamano. Era steso nel letto della sua cabina e la guardava affaccendarsi mentre lei lo fissava truce:
“Vedi di non perderla davvero la memoria perché ora non ti credo più!”
“Va bene…” – sorrise tutto contento per le coccole di lei.
Ben aveva deciso all’ultimo istante di portare Shanks nella cabina di lei: gli altri letti ancora decenti erano tutti occupati e sapeva che la ragazza si sarebbe presa volentieri cura del suo amico che, del resto, sarebbe stato felicissimo di vedere la sua donna invece del suo brutto muso… Ma Nami si era mostrata reticente e nervosa all’idea di andare da lei… alla fine non s’era potuta opporre…
Quando Ben entrò nella cabina e vide tutti i ritratti di Shanks sparsi per terra, lei divenne viola di vergogna; il vice adagiò il capitano semicosciente sul letto e l’aiutò in silenzio a raccogliere tutti i disegni prima che quell’idiota dai capelli rossi si svegliasse del tutto. Alla fine, le aveva detto:
“A me non sembra così bello…” – scoppiarono a ridere e lei, decisamente sollevata, lo ringraziò per la discrezione che le aveva promesso.
Adesso c’era un infame silenzio in cabina e lei si affaccendava per non pensare agli occhi di lui che le stavano addosso e non ne perdevano un movimento:
“La nave è ridotta male…” - disse tanto per interrompere quel silenzio assurdo e non pensare che lui era steso nel suo letto ed erano soli…
“Già…” - riuscì ad aggiungere lui dopo un po’ perso nei lineamenti di lei con una grande voglia di mordicchiarle quelle guance…
“Che facciamo?”
“Beh… siamo già a Caclas, troverò qualcuno che faccia le riparazioni necessarie…” - e se la mangiava con gli occhi.
“L’albero maestro non c’è più – lo informò, continuando ad asciugargli il collo, il petto, la mano e le spalle, molto lentamente per goderselo a lungo e non guardarlo negli occhi – il bompresso è sparito e le vele sono tutte strappate: ci vorrà un sacco di soldi…”
“Mhmmm” – replicò lui a cui non gliene poteva fregare di meno delle riparazioni, preso, com’era, da quelle meravigliose e grassocce guance da mordere, quel collo bagnato da prendere a succhiotti e quel seno malefico in cui avrebbe volentieri immerso di nuovo la faccia, magari nudo…E si riprese:
“Troverò anche i soldi…” – ma aveva troppa voglia di lei e sentiva che stava per cedere.
“Se vuoi… – disse lei con un filo di voce per via della tensione che cresceva in quella stanza – puoi prendere i cinquecentomila berry del premio… a me non servono!” – e si girò verso di lui, non riuscendo a resistere alla tentazione di guardarlo.
Ora era proprio innamorato.
“Quanto è dolce…” – aveva il cuore sulle labbra.
“E’ il mio modo di ringraziarti per avermi salvato la vita… - disse tutta emozionata per quel suo sguardo pieno di tenerezza – sei stato grande… – e si chinò su di lui, fermandosi a pochissimo dalle sue labbra, accarezzandogli la guancia e il mento – solo tu potevi vincere contro un uragano…” – e fece per baciarlo.
“Shanks!... – Lucky irruppe in cabina come un tornado – OPS! – fece imbarazzatissimo per aver interrotto ciò non avrebbe dovuto essere interrotto – scusate… me ne vado…”
Ma l’incanto era rotto ormai.
“IDIOTA!” – pensarono entrambi, incazzati e imbarazzati.
“Che succede, Lucky?”
“Ha smesso di piovere e la gente, tra poco, uscirà per le strade… La marina potrebbe darci fastidio… e Teschio s’è rotto un braccio, precipitando… Sbarchiamo? Lo portiamo in ospedale?”
Richiamato dalle sue responsabilità di capitano, Shanks si alzò a malincuore da quel letto per seguire Lucky; uscì dalla cabina scortato dallo sguardo innamorato di lei.
 
Qualche ora dopo, la pioggia era un pio ricordo e stava per tramontare un sole fortissimo che, in breve, aveva asciugato quasi del tutto i brandelli di vele, rimasti sul Vento dell’Est.
Teschio con un braccio ingessato e gli altri pirati feriti, riempiti di fasciature, erano già stati dimessi.
La gente di Caclas non faceva caso più di tanto ai pirati: la città era grande e diverse navi avevano trovato rifugio nel porto… erano tutte conciate male e il Vento dell’Est non spiccava di molto.
Sotto lo sguardo impotente dei feriti, i pirati ancora sani e il capitano, rimuovevano i detriti e tutto ciò che era da buttar via, facendo un calcolo approssimativo dei danni.
“Shanks… qui ci vogliono non meno di quattrocentomila berry… – gli disse senza mezzi termini il vice sulla banchina quando finirono – e dobbiamo trovare qualche pio artigiano che costruisca vele come quella che avevamo… Le altre possono essere tranquillamente riparate, ma la Sirena è morta… ce ne vuole un’altra! Non so se sarà facile… E poi ce li abbiamo quattrocentomila berry?”
“No… ne abbiamo solo centocinquantamila…” – mormorò il capitano, ripensando al bacio che lei stava per dargli e che lui, arrapato come era, non sarebbe riuscito ad evitare: se la stava mangiando con gli occhi…
Lei, che aveva passato quelle ore dannandosi per via di quel nuovo bacio mancato, li raggiunse sulla banchina facendo impennare il battito cardiaco del suo capitano che la vide scendere dalla nave, sfiorata dai raggi del sole morente, bellissima come sempre e in grande contrasto con il Vento dell’Est che era conciato da buttare via…
Ma non poteva farle vedere che pensava ancora al bacio… doveva mantenere le distanze con lei e fare finta di niente: era necessario per la salute mentale di entrambi.
Si avvicinò a Ben e a lui che sentiva crescere la tensione in sé e l’affanno per via del suo seno ondeggiante e di quelle sue gambe sempre nude…
“E smettila di guardarla… maniaco!” – si disse, schiaffeggiandosi col pensiero.
“Ehi… che facce!! – esclamò lei, cercando di non pensare alla bocca del suo capitano – pare che siete usciti da un uragano!” – e sghignazzò.
“Infatti… ma qualcuno dormiva mentre noi altri ci facevamo in quattro!!” – replicò lui col cuore in gola e le ginocchia instabili.
Lei stava per dire qualcosa, ma davanti a loro passò la parte restante dell’albero maestro portata da una decina di pirati: la osservarono in silenzio.
Lui sospirò:
“Beh… è inutile stare qui a piangere e tormentarsi… troviamo un’osteria, riposiamoci e beviamoci sopra… La notte e l’alcol portano consiglio!”
“Veramente io sapevo che solo la notte porta consiglio…” – replicò lei sarcastica.
“Sapevi male!”
“Che idioti…” – concluse Ben, sfumacchiando

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** 056.Talenti e virtù ***


Chapter 56 - Talenti e Virtù
 
La brutta avventura in mare aperto non aveva scalfito la vitalità godereccia di quei pirati… Nell’osteria del porto avevano bevuto come sempre e si erano divertiti alla grande, festeggiando il fatto di essere ancora vivi e in buona salute.
Shanks festeggiava insieme agli altri sotto gli occhi di Nami che lo guardava e non si spiegava perché bevesse succhi di frutta…
Anche i suoi uomini erano sconcertati e quando aveva chiesto alla cameriera di portargli un litro di succo di arancia e carota, nell’osteria s’era fatto silenzio e tutti gli occhi si erano impuntati su di lui.
Lucas s’era alzato di scatto, improvvisamente lucido, e dalla cassetta degli strumenti ne aveva estratto repentinamente un termometro ficcandoglielo in bocca mentre lui, già nervoso per l’astinenza alcolica e sessuale, cominciava a smadonnare.
“Sto benissimo!” – sbottò decisamente di cattivo umore, togliendosi il termometro e trangugiando quel succo che gli piaceva, ma non era sakè…
E la guardò storto:
È tutta colpa tua che sei troppo bella e troppo mocciosa!” – avrebbe voluto dirle…
 
“Adesso vengo anch’io…” – disse a Ben che faceva l’infermiere del gruppo e trasportava i pirati conci sulla nave per passare le ultime ore della notte.
Era rimasto solo nell’osteria: tutti erano andati via e finanche Nami, che lui aveva volutamente ignorato per tutta la serata (per smontarla e farle dimenticare la faccenda del bacio), se n’era andata via mogia.
Aveva desiderato restare solo nell’osteria per tutta la sera perché una cosa gli aveva fatto tornare in mente sua madre e i pomeriggi piovosi che passavano insieme: un pianoforte a coda, nero.
Lui, da aspirante pirata, non aveva mai imparato a suonare anche se sua madre era una brava pianista: il nonno materno di Shanks era stato ricco e le aveva insegnato a suonare… per continuare a farlo anche in miseria lei aveva comprato un pianoforte a coda nero di terza mano…
Quando pioveva e non poteva fare grosse scorribande nei vari giardini o tuffarsi da scogli impossibili, Shanks si sedeva sul divano e ascoltava la sua meravigliosa mamma suonare il pianoforte e ondeggiare quella massa di fuoco che aveva al posto dei capelli… se la ricordava bravissima.
Adesso si pentiva di non aver mai imparato a suonare seriamente: conosceva le note e i tempi, sapeva leggere gli spartiti, ma non era mai riuscito a suonare decentemente e non gli piaceva fare una cosa che non gli riusciva bene…
Eppure, tantissime volte aveva avuto bisogno di una valvola di sfogo che non fosse una battaglia, di un modo per esteriorizzare i suoi pensieri e le sue impressioni… non ci era mai riuscito. Del resto, la vita del pirata non permetteva di dedicarsi agli acquerelli per catturare i colori del cielo al tramonto o all’alba che lo ammutolivano e lo spiazzavano ogni volta come la prima volta; né poteva navigare con un pianoforte a coda sul ponte della nave!
Ora guardava quella meraviglia lucida e nera e aveva voglia di toccarla… la stessa voglia che aveva di toccare Nami.
Non aveva bevuto un goccio, non l’aveva guardata quasi mai, non le aveva parlato e ora aveva l’anima in subbuglio e qualcosa doveva pur fare… si sentiva il cuore in gola e il battito accelerato, guardava il pianoforte e avvertiva la necessità di fargli dire quello che provava, di farlo vibrare come le sue emozioni, di tradurre quei pensieri che gli facevano scoppiare il cervello in qualcosa che si potesse vedere o sentire!
“State chiudendo?” – chiese alla cameriera che lo fissava da dietro il bancone.
“Non ancora…”
“Posso?” – chiese, accennando al pianoforte.
“Certo.”
Si avvicinò lentamente allo strumento, si sedette allo sgabello e guardò a lungo i tasti bianchi e neri…
 
“Shanks! Vacci più piano… - diceva la voce della sua mamma – così stacchi i tasti! Il pianoforte va accarezzato…” – e gli faceva vedere come si suonava.
Ma lui era un ragazzino irruente.
“Oh… ma non ci riesco! Perché tu ci riesci bene?” – si scazzava.
“Perché sono più delicata… fai finta che mi fai una carezza e vedi che il suono esce meglio…”
 
Adesso aveva un braccio in meno e tanta voglia di accarezzare qualcuno…
E cominciò a suonare con naturalezza sotto lo sguardo sconvolto di Ben che non conosceva quel lato artistico del suo amico, di Nami pazza di lui a livelli allarmanti per quella dolcissima melodia e di Lucky che, ricordandosi della mamma del suo amico, cominciò a frignare in silenzio. Erano rimasti pietrificati sull’uscio del locale ad ascoltarlo mentre lui neanche se n’era accorto.
A Lucky pareva di rivedere quella donna bellissima e molto dolce con tutti che era stata il suo primo amore… spesso, quando erano piccoli e andava a trovare Shanks, le chiedeva di suonare proprio la melodia che il suo amico stava stappando a quei tasti con una mano sola e tanta passione.
E lui, pirata-pianista, pensava a Nami e a tutta la felicità che gli dava; pensava alla paura di perderla e a quanto la desiderasse; alla sua bocca e alla sua risata; alla sua voce e ai suoi occhi nocciola e innamorati… innamorati di lui. Era felice e triste al tempo stesso, ma almeno adesso riusciva a dirlo, con le note, ma a dirlo!
Del suo ristretto e nascosto pubblico, solo Ben riuscì a non piangere: Lucky frignava per la mamma di Shanks, Nami perché era innamorata persa di lui e la cameriera perché non aveva mai visto un pirata suonare il pianoforte ed era troppo sconvolta dalla passione che lui ci metteva.
Quando smise di suonare, lasciò il vuoto in tutti quei cuori, ma si sentiva decisamente meglio: era riuscito a dire che l’amava, che le voleva bene ed era riuscito a suonare decentemente seguendo il consiglio della sua mamma che aveva funzionato alla grande.
Aveva immaginato di accarezzare la sua mocciosa!
 
“Andiamo… forse s’incazza se sa che abbiamo ascoltato!” – mormorò Ben con la sigaretta tra i denti, scosso per il talento del suo amico e per quella melodia che gli confermava, una volta di più, il grande cuore del suo capitano.
“Perché piangi, Lucky?” – gli chiese lei asciugandosi, a sua volta, le lacrime.
“Perché quella musica la suonava sempre sua madre…” – e riprese a frignare per l’atroce fine di quella donna fantastica che aveva saputo crescere un pirata eccezionale.
 
E mentre quelli decidevano di andarsene, lui fissava i tasti tutto contento e assorto:
“Cazzarola… so suonare! – si stupì non poco, ricordando di non essersi inceppato nemmeno una volta e di aver eseguito correttamente la melodia – certo… con l’atro braccio sarebbe stato ancora meglio… ma va benissimo così!”
Le sue elucubrazioni furono interrotte da due mani che gli si posarono sulle spalle e gli accarezzarono il collo e la schiena, si sentì abbracciare da dietro e un seno che si strofinava contro di lui il cui corpo reagì immediatamente: era davvero convinto che fosse la sua dolce ragazza sempre pronta ad assaltarlo…
Invece lei era ancora nascosta e si stava sentendo male per colpa di quella cameriera che si prendeva tutte quelle libertà con il suo Rosso:
“Calmati, Nami…” – Lucky la tratteneva per le braccia perché lei voleva spaccare tutto in testa a quella puttanella che si strofinava contro il suo uomo che, vittima dell’astinenza, della tensione di allontanarla sempre e del continuo stato di eccitazione, nonostante la decisione di tenerla distante, si abbandonò, chiuse gli occhi e si prese quelle mani che cominciarono a perlustrarlo sotto la camicia.
Per la verità era abbastanza stupito che lei si muovesse così sapientemente, ma tanta era la passione e tanta l’eccitazione che non stava lì a sottilizzare…
“Andiamo via…” – le disse Lucky.
“Che cazzo dici? Quella si sta scopando Shanks!” – era sconvolta e addolorata.
“Appunto… - le fece notare l’ovvio – e noi non possiamo stare qui a guardare...”
Si mordeva le labbra in preda alla rabbia e alla delusione: per due volte erano stati lì lì per baciarsi, stavano per fare l’amore ed ora…
“Tu credi che sia una cosa importante e poi lui, nel primo porto in cui sbarca, se ne va a puttane!” – le rimbombavano in testa le parole di Roxanne e piangeva con il cuore a pezzi, incredula e disperata.
“No… Shanks…” – era distrutta mentre Lucky e Ben se la trascinavano via, confortandola e domandandosi che cazzo passasse per la testa del loro amico.
Il loro amico, d’altro canto, stava passando un fantastico quarto d’ora con quella che credeva Nami: chinò la testa all’indietro e sentì la bocca di lei sul collo e le sue mani infilarsi nei pantaloni…
“Ehi… mocciosa arrapatissima…” - gemette per quella tipa che lo massaggiava sapientemente in mezzo alle gambe e gli infilò la lingua in bocca senza pensarci su.
Era stanco morto e non vedeva bene nell’oscurità, ma riconobbe all’istante che quello non era il sapore della sua pelle: spalancò gli occhi, con il sangue ghiacciato e riconobbe Nina, la cameriera.
Era sconvolto, completamente scioccato e pensò con una delusione enorme:
“Non è lei… che schifo!!” – e non l’aveva mai pensato di nessuna donna… tra l’altro la cameriera era piuttosto carina, anzi una vera bellezza, ma… non era lei.
Non sapeva che fare: scrollarsela di dosso gli pareva brutto e da villano, ma era l’unica cosa che voleva fare e sentiva che gli salivano i conati di vomito per quella lingua che gli solleticava le tonsille, appartenente, sicuramente, ad una delle migliori baciatrici dei mari dell’Est.
E si stupiva…
“Oh… Questo vuol dire essere innamorati? Benone! Lo sapevo che non mi avrebbe funzionato più…” – pensò visto che l’eccitazione gli era passata all’istante e non rispondeva più alle carezze di lei, ai suoi sforzi; cercò di allontanarla con la mano, ma riuscì solo a staccare la bocca da quella di lei le cui mani continuavano a darsi da fare nei suoi pantaloni.
“Senti… - le disse, ridendo visto che era l’unica cosa sensata da fare – è inutile che ti sforzi… è morto!!”
“Che t’è successo?”
“Ecco… credevo – e si fece forza – credevo fossi un’altra… la mia ragazza…”
“E che problema c’è?” – lei non capiva.
“E’ che voglio lei…”
“Aspetta… aspetta… mi stai dicendo che non vuoi farlo… che le sei fedele?” – non poteva essere più sconvolta.
“Già.”
“Ma che razza di pirata sei?”
E lui sorrise, alzando le spalle:
“Un pirata innamorato…

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** 057.Una Scommessa di Principio ***


Uscito dall’osteria, fissava le stelle cercando di mettere ordine negli avvenimenti di una giornata molto movimentata.
“Allora e ricapitolando: ci ha investiti un uragano, alcuni uomini si sono fatti male, stava per baciarmi per ben due volte, ho la nave sfasciata, non ho abbastanza soldi per aggiustarla, ho suonato il pianoforte, una ragazza mi stava scopando senza che io capissi che non era lei, l’ho rifiutata, mi s’è ammosciato, ho fatto cilecca e non mi era mai successo prima… nient’altro? Sicuro che non mi sfugge niente? – si domandava ad alta voce – Ma la serata non è finita… C’è qualcuno che vuole ammazzarmi? – urlò per la via – Nessuno vuole tagliarmi la testa e consegnarla alla marina? Nemmeno una schioppettata?”
“E sta zitto, coglione! - rispose una voce scazzatissima ad una finestra – Se ci tieni tanto a morire, ci penso io a tapparti quella fogna per sempre e la smetti di rompere le palle alle quattro del mattino!! Qui c’è gente che domani deve andare a lavorare!”
“Ah… ecco! - bisbigliò, ridendo piano per non svegliare nessuno – mi pareva strano che la serata si concludesse così… – e rideva – Che bella la vita!” – sospirò tutto felice, guardando le stelle.

Arrivò alla nave e riconobbe i suoi due amici e Nami sulla banchina che gli camminavano davanti, stranamente in silenzio.
“Ehi ragazzi!” – li chiamò e li raggiunse, facendo trasalire la sua ragazza che si asciugò le lacrime in fretta e in furia per non farsi vedere frignare di gelosia.
“Che fate ancora in piedi? Anzi… tu che fai ancora in piedi, mocciosa?” – le chiese tutto contento di poterla sfottere ancora un po’ in quella giornata eccezionale.
Ma lei non gli rispondeva e stentava a trattenersi dal riempirlo di pugni e piangere; i suoi amici lo guardavano imbarazzatissimi e lui non ci capiva niente.
Prima che potesse domandare qualunque cosa, Ben gli chiese:
“Come mai sei qui?”
E lui precipitò dalle nuvole:
“E’ il Vento dell’Est, no? E’ ancora la mia nave, vero?”
“Pensavo ti saresti trattenuto di più…”
“No… perché? Ve ne siete andati tutti!”
“Ma tu eri in dolce compagnia!” – avrebbe volentieri gridato lei, ma, sentendo che fremeva, Lucky se la trascinò via - “S’è fatto tardi… andiamo a dormire… - disse il grassone e la prese sottobraccio, facendo infuriare Shanks – vieni Nami, ti volevo chiedere una cosa su quel fatto delle correnti calde di stamattina che…”.
“Non ti preoccupare… - le disse sottovoce quando furono abbastanza lontani – non è successo niente! A Shanks non piace essere così veloce… - e rideva, tutto contento di poterle dare quella bella notizia – stai tranquilla piccola… e fidati! – le strizzò l’occhio – noi facciamo tutti il tifo per te…”
“Ma che è successo?” – chiese il confuso capitano al suo vice quando quei due si allontanarono.
“Fuma…” – e gli diede una sigaretta.
“Vabbé… mi sembra un modo degno di finire questa giornata…”

Non si svegliarono tardi: avevano molto da fare per cercare l’artigiano che avrebbe riportato il Vento dell’Est al suo aspetto originario.
Ben e Shanks erano in sala pranzo e bevevano il caffè: la porta era socchiusa e Nami, che si era alzata dopo una notte insonne spesa a ripensare a tutto quello che era successo il giorno prima, passò là davanti e origliò, suo malgrado.
“Chi l’ha fatto sto caffè?” – chiese il capitano disgustato.
“Yassop.”
“Esoneriamolo, per cortesia… non è per lui.”
“Sta zitto, non fiatare… che il tuo è una ciofeca!” – Ben stava già fumando.
“Forse è meglio rifarlo… se lo beve qualcun altro, – e stava pensando a lei – sviene!”
“Lo rifaccio io… - e lo guardò storto – è meglio per tutti!”
“Vaffanculo, Ben…prima o poi, imparerò…”
Seguì un lungo silenzio in cui ognuno era immerso nei propri pensieri.
“Carina la cameriera dell’osteria…” – fece il vice, fingendosi interessato: quella ragazzina, così innamorata di lui, aveva pianto come una fontana e gli si era spezzato il cuore… voleva aiutarla. Era convinto che Shanks non avesse scopato con la tipa dell’osteria perché il suo amico era pazzo di Nami, non era uno che amava le performances veloci e poi, in fin dei conti, per certe cose occorrono comunque dei tempi tecnici che non c’erano stati!
“Già…” – replicò lui soprappensiero, ricordando gli approcci di lei e i suoi conati di vomito mentre Nami sentiva il suo cuore fermarsi e pendere dalle sue labbra.
“Non ha fatto altro che fissarti per tutta la sera…” – infierì Ben che voleva sapere a tutti i costi.
“Infatti ci ha provato…”
“Ah… e quando?”
“Quando ve ne siete andati…”
“E com’è andata?”
Shanks lo guardò perplesso:
“Ehi Ben… ma che ti prende? Sei così a corto che vuoi anche i dettagli? Oggi ci fermiamo in una bella edicola attrezzata e ti compro il tuo bel pornazzo della domenica…” – e rideva sconvolto.
Nami, nonostante l’apprensione e la paura di sentire quello che temeva, si portò le mani alla bocca per soffocare le risate per la battuta del suo Rosso e del suo modo di dire “pornazzo”: si stava sbellicando e le colavano le lacrime dagli occhi.
“Ma che deficiente… Ma che cazzo me ne frega? Era per fare due chiacchiere… ma vaffanculo!” – Ben rideva e smadonnava.
“Fai bene a comprare il pornazzo… - ridevano tutti e tre – e poi me lo passi perché ieri con quella non è successo niente… Non m’andava e non mi chiedere perché…” – e Nami si sentì di nuovo la vita nelle vene e ora le lacrime erano di gioia.
“Non te lo chiederò… non me ne frega!” – e finì il suo caffè, sensibilmente sollevato.

“Ciao…” – gli disse timidamente quando Ben uscì dalla sala pranzo e lei entrò per bere il caffè che il vice aveva rifatto.
“Ciao, mocciosa” – e sorseggiò il caffè per domare il cuore impazzito: non l’aveva vista entrare.
Lei ripensava al giorno prima: ai due baci mancati, alla serata in osteria che li aveva visti distanti perché lui l’aveva ignorata e alle mani e alle strusciate di quella grandissima troia di cameriera a cui avrebbe strappato i capelli uno ad uno… Lui si era lasciato andare, si era fatto toccare da quella…
“Lei sapeva dove toccarlo… - pensava mogia, guardando la camicia di lui e ricordando le mosse di lei della sera precedente – io invece… Gli accarezzo la guancia! – e sbuffò tristissima – sono proprio una mocciosa…”
E bevevano entrambi in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri mentre il capitano, allontanatosi per evitare contatti con lei, fissava un oblò e le dava le spalle, sentendo continuamente i brividi lungo la schiena.
“Oggi cerchiamo chi riparerà la nave?” – gli chiese per stabilire un minimo di comunicazione tra loro.
“Sì… Dovrà pur esserci un maestro d’ascia in questa grande città… - e le chiese senza voltarsi verso di lei - tu che farai?”
“Ti aiuto a cercarlo!”
“Ma non dovresti fare degli acquisti?” – e rise.
Lei si scazzò:
“Ma che ti frega?! Non è più importante la nave delle mie mutande?”
“L’hai detto tu… - si difese lui ridendo – lo vedi che hai la coda di paglia?”
Lei sbuffò e poi disse:
“Allora… posso aiutarti a riparare la nave? So che non hai abbastanza soldi…”
“Te l’ha detto Ben?” – si girò e la guardò serio.
“No… no… non fare quella faccia… - cercò di calmarlo – mica ci vuole qualcuno che me lo dica! L’ho visto da sola che i danni superano i trecentomila berry… Io ho parecchio denaro e non mi serve tutto… Lasciami contribuire…”
“No.”
“Perché?”
“Perché non voglio. La nave è mia e me la vedo io!”
“Ma Shanks…”
“Non insistere, Nami.” – la bloccò perentorio.
E lei s’incazzò:
“Allora sei tu il moccioso della situazione… Stupido, orgoglioso e all’antica!”
“Mhmmm!” – Shanks le volse di nuovo le spalle per ignorarla e non guardarla mentre si arrabbiava: era un vero schianto quando si agitava…
Lui la ignorava e questo la mandava in bestia:
“Sei rigido… - urlò agitata - sei troppo rigido e hai una visione stereotipata delle donne! E sei anche maschilista!”
“Niente altro?” – fece lui, sbadigliando.
Lei lo osservò per un po’ e decise di cambiare tattica. Ridacchiò:
“Sono convinta che sarai costretto a saccheggiare qualche casa, negozio o nave per trovare i fondi… alla tipica maniera dei pirati: ecco perché pensi di farcela da solo!”
E lui, che evitava gli scontri, ma non si sottraeva mai ad una sfida si girò verso di lei e le chiese:
“Che vuoi dire? Parla chiaro!”
“Che se dovessi lavorare come tutti gli esseri umani, non raggiungeresti mai la somma di quattrocentomila berry: io ne so qualcosa!! Le navi costano tantissimo e se avessi dovuto contare sui soli soldi del lavoro di cameriera, a quest’ora sarei ancora in cerca di una barchetta… - e si decise – Ti sfido! Ti sfido Shanks detto il Rosso – a lui venne la tremarella da eccitazione imminente – a trovare quattrocentomila berry guadagnati col sudore della fronte nel breve arco di tre giorni a partire da oggi! Se li trovi, le riparazioni te le potrai pagare tu… sennò dovrai accettare che una donna ti ripari la nave!” – e lo disse calcando quest’ultima frase per stuzzicare il suo orgoglio di gentleman all’antica, a tratti, maschilista.
“Guarda che se voglio, i soldi li trovo entro oggi!” – l’informò lui con aria di sufficienza.
“Immagino… – fece lei sarcastica di rimando – ma non sono ammessi saccheggi, furti, scippi, distruzioni, sequestri, rapine, omicidi e nessun ricorso alla violenza. Si deve trattare di un lavoro: autonomo o subordinato, singolo e senza l’aiuto dei tuoi uomini, che non si basi sulla pirateria… Niente spada e pistola, quindi!” – e gli tese la mano della scommessa.
“Allora li ho già trovati! – s’illuminò lui tutto contento di cogliere l’occasione di farla ingelosire, prendendole la mano (quel contatto fece venire i brividi ad entrambi) – Mi basta farmi pagare per “realizzare”, come dici tu, e mi posso comprare un nave nuova di zecca!” – e rideva della faccia verde di lei la cui mano adesso tremava nella sua.
“Non sognare… - lo smontò incazzatissima, ghignando – hai solo tre giorni di tempo non tre vite per trovare un’anima disperata disposta a pagare un berry per venire a letto con te…”
“Ognuno sa il fatto suo… - alzò le spalle con noncuranza, sempre tenendole la mano che poteva essere divisa solo da una terza persona – puoi non credermi, ma ti assicuro che la somma di centomila berry a notte mi è stata realmente offerta da una ricchissima e bellissima quarantenne nel villaggio di Ammond: le era morto il marito da un anno e mi chiese di farle compagnia per almeno una settimana...” – concluse soddisfatto di aver ammutolito quella mocciosa insolente a cui non riusciva a lasciare la mano anche perché era troppo bella quella sua espressione crucciata e gelosa.
Lei lo guardava triste e, suo malgrado, gelosa: non sapeva se doveva credere a quelle storie… Shanks non era un bugiardo e sapeva anche che se faceva il cafone a quei livelli, era solo per farla ingelosire e arrabbiare.
Comunque non le piaceva sentirlo parlare delle storie che aveva avuto e di come scopava con le altre donne visto che non ancora riuscivano a concretizzare e la voglia cresceva ogni giorno di più.
“A me non interessa come li trovi… - disse lapidaria – e non può certo definirsi gentleman un uomo che si vanta delle sue passate esperienze con una ragazza anzi… direi che fa scadere la personalità di chi racconta già alle orecchie di una persona mediamente intelligente. – lui, folgorato, si sentiva uno schifo – Il patto è semplicemente questo: trova quattrocentomila berry in tre giorni, lavorando onestamente. Il resto non conta: se ce la fai, ti paghi la nave, sennò accetterai il mio denaro e l’ennesima lezione di vita che ti impartirò!” – e lui la guardava sconvolto e innamoratissimo, ammutolito da quel discorsetto che gli aveva detto chiaro e tondo che stava scadendo nel pecoreccio e che, se continuava così, avrebbe perso di valore ai suoi occhi…
Yassop entrò e li trovò che si tenevano la mano:
“Ciao, Yassop… abbiamo fatto una scommessa… rompi?” – chiese lei, accennando alle mani unite.
“Certo… - e alzò la mano per spaccare la promessa – Promettete?”
“Promettiamo!” – dissero in coro quei due innamorati mentre lei guardava la mano di Yassop e Shanks guardava lei…
E le mani furono sciolte.

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** 058.Un Grande Amore ***


Lui, Ben e Lucky girarono a zonzo per la città cercando un buon artigiano, ma erano tutti occupati per via delle riparazioni delle numerose navi che avevano trovato rifugio nel porto. Di quel passo non avrebbero ripreso il mare nemmeno tra una settimana e loro dovevano salpare velocemente.
Camminavano in silenzio in quelle strade affollate e pensavano ognuno ai fatti propri.
Shanks, soprattutto, aveva un turbine di pensieri che si accavallavano nel cervello: aveva scommesso con quella mocciosa insolente e agguerrita femminista che sarebbe riuscito a trovare i soldi, ma non aveva proprio idea di come fare… Comunque non era preoccupato più di tanto: qualcosa si sarebbe inventato e avrebbe evitato di farsi pagare le riparazioni da lei…
“E’ assurdo…” – gli sfuggì ad alta voce.
“Cosa?” – Ben fumava, guardandosi attorno e Lucky ascoltava attento.
“Eh?”
“Hai detto: è assurdo!... Cos’è assurdo?”
“Pensa che Nami vuole pagare le riparazioni con i soldi del premio!” – e lo disse come se fosse un’eresia.
“Questa sì che è una notizia! – gioì il suo amico sotto lo sguardo sconcertato del capitano – Allora dobbiamo solo trovare un maestro d’ascia e magari riusciamo ad apportare qualche miglioria agli alberi di poppa che hanno quel lieve difetto di struttura…”
“Ma sei sicuro di fumarti il tabacco? – lo fulminò Shanks con lo sguardo. – Che cazzo dici? Sei fuori?”
“Perché? Che ho detto?”
Shanks fermò il suo passo in una viuzza meno frequentata e più silenziosa:
“E secondo te io permetto ad una mocciosa di diciotto anni di ripararmi il Vento dell’Est? No dico… e poi la faccia dove la metto? Quanti zeri devo togliere alla taglia che ho sulla testa? – e si sconvolse – Ma che hai nel cervello?”
“No… che hai tu nel cervello?! – si stupì Ben – Fammi capire: io non so ballare e quindi premi non ne vinco, ma sono un mastro vasaio con una tradizione di cinquecento anni… I Beckman producono ceramiche e terracotta da mezzo millennio…” – aggiunse con orgoglio.
“Beato te che hai un cognome!! Io non ho nemmeno quello…” – sbuffò Shanks un po’ triste.
“Stavo dicendo, prima che mi interrompessi, che so tutto sulle ceramiche e la terracotta… e quando siamo a corto di liquidi, come adesso, tu non mi impedisci di contribuire con la mia arte!”
“Ma non è la stessa cosa!”
“Perché no?”
E lui che non riusciva a capire:
“Quei soldi sono suoi... se li è guadagnati: non possiamo prenderli!”
“Anche io me li guadagno quando faccio vasi, anfore e ciotole…”
“Sì… ma tu… con lei è diverso!”
E Lucky, che fino a quel momento era stato zitto, intervenne con veemenza:
“E’ diverso solo perché è donna? O è diverso perché ne sei innamorato e non ammetti che possa provvedere per te? O perché è più piccola?”
Shanks vedeva lo sguardo diretto e convinto del suo amico e sentì le sue convinzioni in fatto di donne vacillare…
“…Per tutti questi motivi…”
“Me n’ero già accorto da un po’, ma non ti ho mai detto niente perché non me n’è mai fregato niente: ognuno vive come gli pare, però… tu non capisci un cazzo in fatto di donne!!” – campione di diplomazia, agitò il cosciotto in aria.
“Cosa?” - Shanks lo guardava come se fosse un alieno e Lucky riprese.
“Innanzitutto sta sulla nave, deve rispettare certe regole e fa parte dell’equipaggio quindi deve contribuire perché non solo è giusto per noi, ma anche per lei che deve sentirsi parte del gruppo, come hai detto tu quando è arrivata! Poi sicuramente si sente in dovere di contribuire perché questi danni li abbiamo sopportati per ritrovare Rufy e gli altri, ha tanti soldi, pensi a tutto tu e non deve mai spendere niente quindi ha provato a fare quello che ognuno di noi fa su questa nave da vent’anni: contribuire perché si sente del gruppo! Per noi è del gruppo dal momento che ce l’hai presentata, ma tu, che ti sei innamorato, non riesci ad inquadrarla nella ciurma: per te è una bambina che stai riportando a casa e la proteggi a 360 gradi…”
“Non dovrei?” – Shanks vacillava.
“No… perché sarà anche piccola e dolce, ma è una pirata, è una ladra, una vera professionista, ha fregato orde di pirati e babbei all’osteria, non è così ingenuotta e tu lo sai…”
“Che vuoi dire?” – Shanks era sull’incazzatura andante.
“Non mi fraintendere, testa di cazzo!! – Lucky si divertiva a trattarlo male da circa trent’anni – quella ha passato un sacco di guai, credo, per colpa dei pirati… ha viaggiato e vissuto molto per i suoi diciotto anni e sa benissimo quello che vuole: non è giusto che la proteggi così tanto anche perché non ne ha bisogno, non lo vuole… tu non sei suo padre! È grande e i fatti suoi se li sa vedere: così la soffochi e la rendi davvero una mocciosa!”
“C’è anche il fatto – intervenne Ben – che lei ti ama e vuole aiutarti a riparare la cosa a cui tieni di più: la nave. Il suo è un regalo e i regali delle donne, dovresti saperlo, non si rifiutano mai…”
“Ma il fatto che sia una donna per voi non conta niente?” – chiese lui che con tutti quei bei discorsi non aveva dimenticato il punto fondamentale: certe cose le fanno gli uomini e altre le donne!
“Che razza di discorsi fai!! - replicò Lucky – si vede che sei figlio unico e non hai avuto quattro sorelle come me… In casa io e mio padre non contavamo un cazzo! Come provavamo a dire una parola erano pugni sul muso!! I compiti non sono rigidi… Mia sorella Sarah lo diceva anche quando vi frequentavate: sei un maschilista e pure rigido!”
“Me l’ha detto anche Nami…” – li informò mogio.
“Se continui a trattarla da mocciosa, la limiti, la soffochi… lei è la tua ragazza non la tua navigatrice!!”
Shanks arrossì violentemente a quelle parole e i suoi due amici scoppiarono a ridere fragorosamente per quell’inatteso imbarazzo.
“SMETTETELA DI RIDERE!!” – urlò lui inviperito e ancora rosso in volto. Poi Lucky riprese:
“Ti piacerebbe che lei ti dicesse che cosa puoi fare e cosa no? Cosa dire e dove andare? Certo che no! E tu non puoi dirlo a lei… e concluse compiaciuto per la sua sapienza – Uomini e donne sono fondamentalmente uguali anche se funzionano in modo diverso…”
“Comincia a trattarla come una donna, Shanks! - fumò definitivamente Ben – anche perché lo è!”

“Credo che dovremo arrivare al villaggio di Zantec… è vicino e non ci mettiamo niente a raggiungerlo: qui gli artigiani sono tutti impegnati con le commesse della marina e degli armatori per tutte le navi danneggiate dall’uragano… avrebbero tempo per i pirati solo se minacciassimo di saccheggiare la città…” – li informò il capitano a pranzo nell’osteria del porto, di ritorno dalle strade di Caclas.
“Oggi pomeriggio andrò al villaggio e troverò qualcuno: voi finite di sgombrare tutti i detriti e preparate la nave per la riparazione…” – e tutti si allontanarono per il sonnellino del pomeriggio e poi riprendere il lavoro, lasciando l’osteria vuota e silenziosa.

Gli unici rumori che si sentivano erano il cucchiaio di Shanks che giocava con il piatto visto che non aveva granché fame, le cicale di un caldissimo pomeriggio estivo che davano concerti all’aperto e l’affaccendarsi della cameriera che la sera prima gli aveva messo le mani nei pantaloni.
“Ciao Rosso… posso sedermi?” – chiese, accennando al posto accanto a lui al tavolo dell’osteria: non l’avrebbe più lasciato solo con quella…
“Sì…” – rimase con il cucchiaio in mano a guardarla mentre si sedeva accanto a lui e ripensava a quelle parole che l’avevano avvertito di comportarsi bene altrimenti rischiava di non interessarla più:
“Che tipa… – pensava, guardandola – è dolcissima, ma… mi ha rimesso a posto con due parole…” – provava una profonda ammirazione per lei e un amore sconfinato.
“Non hai fame?” – gli chiese, accennando al piatto ancora pieno.
“Non molta… fa caldo.”
“Già… anch’io non ho mangiato niente… e poi – sbadigliò - ho tanto sonno! Stanotte non ho dormito…”
Era girata verso di lui e gli sfiorava la gamba del pantalone con il ginocchio, godendosi quel contatto sotto il tavolo che le metteva una piacevole tensione nel cuore: la sua gamba nuda avvertiva il calore del corpo di lui attraverso la rudezza del cotone del pantalone, indurito dalla salsedine e dal vento.
A lui, poi, il cucchiaio tremava in mano e cercava di non mostrare l’agitazione per quel contatto: non poteva sentirlo da sotto il pantalone, ma sapeva che le sue gambe erano lisce e calde e si stava sentendo male…
Lei, che non si accontentava più del ginocchio, chinò la testa in avanti e la posò sul braccio di lui, appoggiato sul tavolo: quello strano cuscino fatto di una manica di camicia arrotolata e un braccio muscoloso e caldo le risultò subito comodo per un grandioso pisolino.
Chiuse gli occhi persa in quel contatto e nell’odore del suo Rosso che la guardava incantato e spiazzato di fronte alla perfezione dei suoi lineamenti e della sistemazione che quei morbidissimi capelli avevano trovato sul volto della mocciosa più dolce del mondo…
Restarono in quella posizione a lungo, fino a quando lei prese sonno davvero, le scivolò la testa verso lo spigolo del tavolo e non se la spaccò giusto grazie ai riflessi del suo Rosso.
“Mi sono addormentata davvero?” – gli chiese, rialzando la testa con un occhio aperto e la voce impastata.
“Te l’ho detto che non devi fare le ore piccole, mocciosa! Alla tua età si deve dormire…” – disse sorridendo e le accarezzò la testa come ai bambini, mandandola in bestia.
“Non sono una mocciosa! Smettila di trattarmi da bambina… ho diciotto anni!” – e lo guardò eccitata: gli avrebbe fatto un servizietto da urlo sotto quella dannata camicia sempre aperta e lui la trattava da poppante! E le venivano i nervi nel ripensare a come lo aveva toccato quella scrofetta dietro il bancone che ora faceva finta di niente e che invece lei avrebbe volentieri ucciso!
Si alzò di scatto delusa e amareggiata e si allontanò verso l’uscita dell’osteria.
“Ma forse… - le venne da pensare mentre se ne andava – non devo arrabbiarmi… forse se comincio a fare finta che non mi interessa che mi chiami mocciosa, la smetterà…” – e tornò sui suoi passi, lentamente e molto silenziosamente.
Lui l’aveva vista andar via e non aveva tentato di fermarla: meno contatti avevano e meglio era…
“Forse dovrei smetterla per davvero di trattarla da bambina… ma se lo faccio, ci finisco a letto e non devo…” – ma il suo pensiero fu interrotto da due mani che si infilarono nella camicia e iniziarono a massaggiargli il collo e le spalle.
Aveva la pelle calda e lei seguiva con le dita le pieghe e le curve delle immense spalle di lui, godendosi anche quel punzecchiare della barba del suo collo e finendo per perdersi nei ciuffetti scarlatti sulla nuca:
“Oh… che velocità!! Ti è già passata! – ridacchiò e aggiunse - Cominciamo a prenderci delle libertà?” – era preoccupato perché lo mangiavano i brividi per quelle dita che lo studiavano e cercava di trattenere i sospiri di piacere.
“No… è solo che ci tengo alla salute del mio capitano e gli sto preparando i muscoli al duro lavoro della terra!” – ridacchiò vicino al suo orecchio, continuando a massaggiarlo e perdendo il viso in quei suoi capelli morbidi.
Lui rise per mascherare i gemiti che cominciavano a farsi strada per via di quelle carezze che si facevano sempre più intense e audaci:
“Me l’hai già trovato tu il lavoro? Anche se ho una mia esperienza in materia agricola e me la cavo discretamente, non ho alcuna intenzione di mettermi a zappare per vincere la scommessa!”
“E come farai?” – gli chiese quasi sulla guancia, tutta felice perché sentiva che il suo tocco gli piaceva; cominciava a sentire il sangue in ebollizione con la fortissima tentazione di strofinare le labbra sulla sua barba, ma cercava, comunque, di dominarsi per non farsi sfottere…
“Hai detto che non ti interessa come… - ridacchiò per farle tornare in mente il dubbio che se la facesse con altre donne a pagamento – ma stai tranquilla che troverò i soldi: le vie di Shanks sono infinite!” – e rise, gelando l’approccio di lei, triste e di nuovo in preda al dubbio.
“Dì un po’…. tu che farai oggi pomeriggio? Andrai per mutande?” – e le rise in faccia.
“Idiota…” – lo pizzicò sulle spalle e sui trapezi, piano per non fargli male davvero mentre lui rideva innamorato e felice.
Lei rimase un po’ in silenzio ad osservare i lineamenti di lui, la sua guancia barbuta, il naso e il modo in cui gli ricadevano i capelli: con il cuore bloccato dall’amore pensava di non aver mai visto niente di così bello.
“Shanks… - cedette alla tentazione e scivolò con le braccia verso il basso, avvinghiandolo al collo da dietro e schiacciando la guancia contro quella di lui – mangia qualcosa… Non credi di essere troppo magro?”
Emozionatissimo, ricambiò quella stretta, tenendola per le braccia che gli passavano sotto il mento.
“Dici? – si stupì – ma non ho molta fame, ultimamente… – pensava troppo a lei – e poi faccio i miei buoni settantacinque chili… – e rise – come te!”
E lei gli stritolò il collo:
“Che deficiente! Io non faccio settantacinque chili!! – gli urlò nell’orecchio, assordandolo. – E comunque tu ne fai di meno di settanta…” – aggiunse a titolo informativo.
“Ma se mi sono pesato… – e ricordò che l’ultima volta era stata tre mesi prima quando Lucas pesò lui e gli altri per la visita annuale a cui li costringeva per tenerli in buona salute – sono passati tre mesi… - ammise.
“Non devi essere scheletrico… Sennò la spada pesa più di te… sei meno forte… - lo strinse di più – e corri più rischi…”
“Il fatto è che – iniziò lui serio – sul Vento dell’Est si soffre di più la fame rispetto agli altri galeoni.”
“Perché?” – lei, terrorizzata, pensava a qualche malattia o qualche problema della nave.
“Perché ci siete tu e Lucky… Noi altri si deve fare la dieta sennò come si fa?”
“Ma come devo fare con te? – gli chiese quasi rassegnata mentre lui rideva come un matto. – Perché sei così idiota? Ti diverte così tanto prendermi in giro?”
“Non puoi neanche immaginarlo…” – le confessò innamoratissimo.
“Vabbè…” – sospirò, stringendolo appassionatamente.
“Ah… finalmente ti sei rassegnata!”
“Che devo fare? Tanto non la smetterai mai!” – e premette il viso contro il suo collo e la sua guancia.
“Oh! Brava!” – era soddisfatto ed emozionato.
Per tutta risposta lei gli baciò la guancia.
Lui, tutto contento, cercò di conservare ancora un po’ di dignità…
“Mi devi spiegare come mai hai ceduto così subito… non è da te!”
“Perché sei grande… - e gli prese la guancia tra le labbra – sei riuscito ad imboccare il porto con un uragano violentissimo senza riportare grossi danni…” – e strofinava il viso contro il suo in preda alla passione che cresceva inesorabile.
Poi, all’improvviso, rise tra i suoi capelli, ubriaca di lui:
“Non deve essere facile comandare una nave così grande… - gli disse con la bocca e con le mani che non smettevano di toccarlo – chissà quante schifezze hai visto in questi vent’anni, quanti idioti hai incontrato… - e lui si sentiva liquefare le ossa da quelle parole che gli accarezzavano il cuore - per Rufy sei un mito… – tremavano tutt’e due. - Riesci ad essere te stesso in ogni situazione, ridi e scherzi sempre, non ti arrabbi mai e non perdi la pazienza, sei un pirata fuori dal comune… - erano emozionatissimi e lei gli parlava sulla guancia, facendogli sentire anche i denti – e sei forte: i tuoi uomini vivono per te, contano su di te e tu ci sei sempre, sai sempre cosa dire, che fare… Sei l’anima del Vento dell’Est… Tu sei il Vento dell’Est.”
E concluse tremando e cercando di dominarsi.
“…Io ti… – e creò parecchia suspense nel cuore di lui che sentì tremare le ossa – io ti ammiro tantissimo – mentre lui ricominciava a respirare – ti ammiro anche se sei idiota, mi sfotti e mi tratti da mocciosa… capisco che con qualcuno te la devi pure prendere… ti devi sfogare… - lo baciò a lungo sulla guancia – sono contenta… - gli disse tremando – di essere la tua valvola di sfogo…” – e strofinava la bocca sulla sua pelle, stringendolo fortissimo con le mani infilate sotto la sua camicia.
Rimasero un bel po’ in silenzio stretti stretti.
“Dì la verità piccola… Hai voglia di coccole oggi?” – sorrise, strofinando la guancia contro la sua con un grosso nodo in gola per la forte emozione.
E lei, stringendosi di più:
“Un po’… - era emozionatissima: forse quell’idiota faceva il serio una volta tanto… – non vuoi?” – pregava e scongiurava che rispondesse di sì.
“Solo… – deglutì, cercando di dominare l’affanno – che è strano che le cerchi da un pirata…”
“No… non è strano… – e ricominciò a baciarlo pianissimo e ripetutamente sulla guancia e sul collo, tornando a godersi quella sua meravigliosa barba e la sua pelle calda e profumata… – tu sei un pirata speciale…”
Lui stava collassando… la stanchezza per l’uragano, la tensione, l’eccitazione e la sua coscienza che gli vietava di prendersi le sue carezze e i suoi baci lo distruggevano e il cuore gli faceva male nel sentirla attaccata a se.
“Non devo lasciarmi andare…” – ma era più là che qua sentendola tremare e rabbrividire contro di lui. Avrebbe voluto reagire, ma non sapeva proprio che fare: la sua volontà era completamente annientata dai baci caldi e asciutti di quella ragazza, dai suoi fremiti, dalle sue dolcissime carezze, dalle sue mani che lo studiavano:
“Però sei orgoglioso, maschilista e sempre idiota…”
“Non è vero…” – aveva il cuore in subbuglio nel sentire le vibrazioni di lei.
“Sì che è vero… – e riprese, ridendo felicissima perché lui si lasciava toccare e baciare - ma sei anche altruista e… – doveva dirglielo… doveva dirglielo che era una miscela esplosiva e le faceva scoppiare il cuore solo con lo sguardo, che l’aveva fatta innamorare come una pazza e che non l’avrebbe lasciato mai più… – e sei tanto dolce e sensibile…”
Temeva di lasciarsi andare di più perché l’avrebbe sfottuta per un anno intero, ma aveva letteralmente perso la testa e ora, abbracciata a lui, non riusciva più a controllare i suoi pensieri e le palpitazioni del suo cuore innamorato – è bello stare con te… sei caldo… …e i tuoi capelli sono così morbidi… profumano…” – oramai non ragionava più, vittima della passione.
Lui non avrebbe potuto essere più felice di così: rischiava il collasso per quella meravigliosa ragazza origine e causa di tutti i suoi dolori e dei suoi piaceri, dolcissima e bellissima che gli si strofinava contro e lo stringeva forte…
“Il mondo è ai miei piedi…” – pensava con un sorriso larghissimo mentre si prendeva i baci, le carezze e i brandelli di dichiarazione d’amore della sua mocciosa.
Ma doveva reagire, assolutamente:
“Hai ragione… mocciosa… - le accarezzava la guancia libera – sono d’accordo con te quasi al cento per cento… – e rideva per scaricare l’emozione – tranne che per idiota, orgoglioso e maschilista, mi sento di sottoscrivere pienamente tutto quello che hai detto…”
Ma lei non parlava più, teneva il viso e la bocca schiacciati contro la sua guancia e lo stringeva forte: non riusciva a vedere niente oltre lui, non voleva niente altro e l’abbracciava da soffocarlo per paura di perderlo.
Non si era mai sentita così: si era sempre bastata da sola, aveva viaggiato e derubato, rischiato e riso, pianto e amato.
Ma niente… niente era paragonabile a Shanks e a tutto quello che le suscitava: era lui il vero uragano, una meravigliosa forza della natura, l’uomo della sua vita…
E non se ne sarebbe mai allontanata. Mai.

Era un po’ preoccupato: lei non reagiva e respirava a malapena.
E le chiese per riprendere un minimo di dialogo:
“Senti… Davvero ti dà fastidio se ti chiamo mocciosa?”
“Certe volte… Quando capisco che non stai scherzando e lo pensi davvero…”
“Ehi… - e girò la bocca sulla sua guancia, facendole scoppiare il cuore – io non lo penso davvero… mai! – le sorrise e, non riuscendo a resistere, le mordicchiò quella guancia morbida e fresca – Lo so benissimo che non sei una mocciosa…” – e smorzò la voce inondandola di baci.
Presero fuoco all’istante.
“Shanks…”
Lei si sentì morire di desiderio e tremò talmente forte da far tremare anche lui che, con uno sforzo sovrumano, si distaccò lentamente dal suo viso e la guardò fisso; lei teneva lo sguardo basso per non mostrargli l’anima:
“Ti va un gelato?” – ci voleva qualcosa di veramente fresco…
“Sì…” – mormorò, accennando con la testa.
“Allora andiamo… - si alzò – ho visto una bellissima gelateria stamattina…” – e si avviarono mano nella mano.

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** 059.Lady Blue ***


059 - Lady Blue
 
Che pomeriggio! – pensava mentre cavalcava verso il villaggio di Zantec per cercare quel benedetto maestro dascia che si sarebbe occupato di sistemare la nave – Benone!! Siamo cotti tutt’è due… Insieme non accocchiamo mezzo neurone sano… come faremo?” – e si disperava per quel giorno, sempre più vicino, in cui avrebbe dovuto lasciarla tornare da Rufy.
Non riusciva ad allontanare dagli occhi il suo dolcissimo sorriso tutto felice dietro una coppa di gelato più grande di lei, tutto il casino che avevano fatto per scegliere i gusti, le prese in giro, le risate, il sorriso forzato di una commessa sullorlo dellesaurimento per quei due pirati rincoglioniti e innamoratissimi che pensavano più ad accarezzarsi che a decidere se con il limone stava meglio lamarena o il cioccolato…
E tutto lamore che gli aveva riversato addosso tra baci e carezze in pochissimi minuti…
La sposerei tutti i giorni solo per poterle dire ogni volta che la voglio…” – perso nei suoi sospiri arrivò al villaggio di Zantec.
 
Oh... oh… non spingete!” – fu il suo commento appena sceso da cavallo in quel villaggio in cui si sentiva finanche il suo respiro…
Non cera unanima… e capì che non avrebbe trovato nessun artigiano.
E nel silenzio generale sentì un boato…
Che fame!” – il suo stomaco cominciava a richiamare lattenzione e cercò unosteria o qualcosa di simile.
In dieci minuti, percorse tutte e tre le vie del villaggio, ma non vide nessun locale pubblico, solo case; con le spalle a terra per la fame e la delusione tornò al cavallo e con lui divise le zollette di zucchero…
Il caldo era davvero atroce e decise di farsi un bagno visto che non aveva combinato niente in quella gita; tra laltro in quel villaggio non cera nessuno che potesse sconvolgersi nel vederlo senza camicia.
Perdere il braccio era stato un colpaccio: lui era nato mancino e, per fortuna, si era sempre allenato ad essere ambidestro, ma pensava mancino… era mancino dentro. La cosa che più gli mancava era la libertà di prendere, spogliarsi e buttarsi in acqua senza doversi curare delle persone intorno…
Non si sentiva brutto o deforme… le questioni di estetica non lavevano mai interessato più di tanto e, per fortuna, sua madre era stata una donna bellissima e lui ne era il ritratto sputato; capiva, però, che quellincidente aveva scalfito la sua sicurezza interiore, limmagine che aveva di sé e, umanamente, temeva di suscitare curiosità o magari ribrezzo...
Restare senza un braccio alla giovanissima età di ventisette anni lo aveva scosso e amareggiato, ma non poteva dimostrarlo altrimenti Rufy si sarebbe portato i sensi di colpa a vita: i bambini sono facilmente suggestionabili e, del resto, lui non centrava niente…
Quel villaggio non aveva spiaggia, ma solo scogli.
Legò il cavallo ad un piccolo albero, si spogliò e si tuffò, recuperando trentanni di salute in quellacqua limpida e fresca, verde e cristallina che gli mostrava tutto il fondo roccioso sotto i suoi piedi.
Mhmm?” – qualcosa, attaccata agli scogli, attrasse la sua attenzione e si tuffò per guardare meglio.
Dopo un po’ riemerse con un grande ghigno:
Mocciosa… - disse ad alta voce pensando a lei – ho trovato il denaro!”
 
Fossi in te mi accontenterei della rinfrescata e me ne andrei al più presto…”
Shanks si voltò verso gli scogli e vide un piccolo vecchio rugoso, dalla pelle scura e dura, seduto vicino ai suoi vestiti che fumava una pipa; lo fissava con due occhietti azzurrissimi e molto vivi.
Perché?”
Fai finta di non aver visto quello che hai visto…” - e tirò con la pipa.
Sì… ho capito. Ma perché dovrei fingere che sotto i miei piedi non c’è un patrimonio?” – stava troppo bene in acqua e sguazzava, guardando quel signore che, sicuramente, era un pescatore.
Perché appartiene alla famiglia Chaplam…” - e tirò.
Questa poi!! – esclamò sarcastico - quello che è in mare non appartiene a nessuno! – aggiunse categorico Shanks che aveva scelto quella vita proprio perché il mare era libero da ogni costrizione, proprietà o scartoffia – quindi i Chaplam non hanno un bel niente!”
E quello sbuffò:
Un altro giustiziere, eh? Non vi esaurite mai… perché non provi a dirlo ai fratelli Nico e Cross? – si fece unaltra tirata e cambiò discorso – Hai dato unocchiata al villaggio?”
Sì… un mortorio…” – commentò Shanks, uscendo dallacqua dato che il vecchio non di decideva ad andarsene: si stava scazzando con se stesso perché si preoccupava del giudizio di un vecchio grinzoso.
Quello, nel vederlo uscire, ridacchiò ed esclamò:
Ehi ragazzo…. Sembri una carta geografica… sei pieno di cicatrici, stai messo peggio di me che ho ottantasei anni…. – e accennò al braccio – squalo?”
Mostro marino…”
E come hai fatto a sopravvivere?” – si sconvolse il vecchio.
Questione di sguardi… – mormorò Shanks infilandosi la camicia – Che centra il villaggio con le ostriche da perle che fanno da moquette agli scogli? Questo è il posto più ricco che abbia mai visto…” – ma capì allistante.
Nel vedere la sua faccia illuminata il vecchio riprese:
Ti stai domando come mai un villaggio seduto su una simile ricchezza sia anche così povero?”
Qualcosa di simile.”
I fratelli Chaplam trattano gioielli… sono i proprietari della catena di negozi di gioielleria più estesa nel nostro oceano… - e fumò – hai mai sentito parlare dei gioielli di Lady Blue?”
No.”
E se ti dicessi che si tratta di quella pubblicità su cartellone che ripropongono ogni estate in cui compare una gnocca di sirena che ci ha tra le tette uno zaffiro che fa giusto due chili?”
Ho capito…” – fece lui subito presente visto che stava per piantarsi contro il molo di una cittadina perché lui e tutti i suoi erano rimasti incantati a guardare lo zaffiro…… E riprese:
Bello… quello zaffiro…”
Già…” – sospirò arrapato il vecchino.
Stiamo sempre parlando dello zaffiro…”
Echiaro.”
Shanks rideva della vitalità di quel mezzo metro di cristiano rattrappito:
Oh… nonno… Datti una calmata che sennò ti viene qualcosa… quella gnocca era davvero da infarto: non ci pensare troppo!”
Quello sbuffò con aria da saccente e gli disse:
Ehi… Rosso! Augurati di arrivarci a scopare ancora a settantasette anni come ho fatto io…”
Settantasette anni? Nonno… sei appena diventato il mio eroe… - rise e riprese il discorso che stavano facendo – e allora?”
I fratelli Nico e Cross detengono il monopolio sul commercio e la lavorazione delle pietre preziose e delle perle… Quando scoprimmo che questa zona è zeppa di ostriche da perle, e molte sono nere, qualche imbecille fece circolare la notizia e quelli piombarono come avvoltoi… Hanno requisito tutto il tratto di mare e ci impediscono finanche di fare il bagno…”
" "E' assurdo – Shanks scosse la testa: per lui era semplicemente inconcepibile che qualcuno potesse farsi passare per il padrone del mare… Mare e proprietà erano due concetti che non andavano per niente daccordo!
Anche mio figlio lo diceva sempre… - sospirò il vecchio – e per difendere la sua idea ha lasciato una moglie e due figli piccoli per colpa di quei due bastardi… lhanno ammazzato, annegandolo con una pietra ai piedi qualche metro più in la…” – indicò con la mano che teneva la pipa.
Shanks ascoltava e provava un grosso fastidio: era abituato alle morti e alle schifezze, ma quelle storie di prepotenze e appropriazioni indebite lo facevano proprio incazzare…
Mi dispiace… – rispose sinceramente e lontano anni luce dalle frasi di circostanza. Aggiunse, stupito: - E voi non ancora li uccidete?”
Dopo la fine di mio figlio nessuno ci ha più provato e poi questo è un villaggio di vecchi: i giovani preferiscono la città di Caclas…”
Sì… ma è una questione di principio! – fece convinto – Nessuno può avere il mare… Nessuno!”
Sai che me ne frega delle questioni di principio ad ottantasei anni dopo che per una stupida questione di principio mi hanno ammazzato il mio unico figlio? Che si portassero allinferno le perle, gli scogli e pure il mare!” – il vecchio fremeva, cercando di trattenere le lacrime per il suo dolore inconsolabile davanti a quel pirata Rosso sconosciuto che lo guardava, fortunatamente, senza ombra di pietà negli occhi: non voleva sembrare il solito vecchio piagnucoloso dalla lacrima facile…
Beh… comunque io non riconosco nessuna autorità e proprietà….– disse Shanks, sistemandosi il mantello sulle spalle – e ho deciso di prendere qualche perla che mi servirà per riparare la nave…”
I Chaplam non te lo permetteranno…”
E lui ghignò con quellespressione da maniaco dei sette mari che faceva eccitare Nami allistante e terrorizzava le persone, vecchino incluso…
Non è ancora nato chi può impedirmi di fare qualcosa!”
Salì sul cavallo e si girò a salutare il vecchio:
Ciao Nonno… Ci vediamo domani che vengo a pescare… - e gli sussurrò interessato – e mi dirai come hai fatto a mantenerti attivo fino a settantasette anni!”
Ti puzza la vita, eh?” – pensò il vecchio, vedendolo andare via.

Ritorna all'indice


Capitolo 60
*** 060.Con la dolcezza si ottiene tutto ***


060 - Con la dolcezza si ottiene tutto
 
La rivide verso sera allosteria quando si presentò con una fame da lupi: era bellissima con un nuovo completino fatto di una canottiera e una mini agli occhi di Shanks sempre più mini…
Capo…– lo chiamò Yassop - abbiamo un artigiano?”
Mmmhmmm” – scosse la testa, addentando una bistecca più grande del cosciotto di Lucky.
Allora hai trovato un lavoro…” – indagò lei, ancora scossa per quel pomeriggio dolcissimo in cui era stata ad un passo dal chiedergli di sposarla…
Si era ripresa dalla trance verso le cinque quando lui se ne era andato già da un po: ricordava la tensione del contatto sotto il tavolo, la voglia incontenibile di stringersi a lui e poi… solo confusione.
Si era sentita persa nel suo corpo caldo e nei suoi capelli, il suo profumo laveva ubriacata e la passione le aveva completamente bruciato il cervello. Era stata una spirale, un crescendo di emozioni: non credeva che le sarebbe bastato così poco per perdere il controllo di sé, ma più restava attaccata a lui più il suo cervello faceva acqua da tutte le parti e diceva esattamente ciò che pensava come quando gli aveva detto che era caldo e i suoi capelli erano morbidissimi…
Ancora scuoteva la testa in preda alla vergogna per non essersi controllata, ma non riusciva a non abbandonarsi completamente: lo amava troppo per poter ragionare e con lui si sentiva in unaltra dimensione dove il resto non cera e non contava se non come unombra di lui o un suo riflesso.
Qualsiasi cosa facesse o dicesse le piaceva e non faceva che accrescere lamore che provava: non contava più che fosse un pirata, un assassino o un ladro… non contava che la trattasse da bambina o la proteggesse in modo asfissiante né che pensasse che le donne hanno certi ruoli e gli uomini altri e non fosse possibile cambiarli…
Shanks era dolce, Shanks era bello come il sole e immenso come il mare, Shanks la faceva ridere, la faceva eccitare, era serio e babbeo allo stesso tempo, forte e coraggioso, scoppiava a ridere come un bambino, raccontava le storie così bene che pareva di esserci, era colto, intelligente e un grande navigatore…
Ma la cosa che laveva fatta davvero innamorare era la sua grande sensibilità e il suo altruismo: la sua vera forza stava nel cuore, un cuore grandissimo!
Quel miscuglio di forza e dolcezza, di decisione e sensibilità laveva fulminata e viveva in un mondo in cui tutto esisteva in relazione a lui: la sua nave, i suoi uomini, i suoi vestiti, il cielo sopra la sua testa, il mare sotto di lui…
E sospirando, ricordava ancora le coccole e le carezze in gelateria dove, per scegliere i gusti delle due enormi coppe, avevano impiegato mezzora, mandando in tilt una commessa esaurita… e poi quellidiota le aveva schiacciato la faccia nel gelato, mangiandolo via dalle sue guance su cui sentiva ancora la pressione dei suoi denti e delle sue labbra.
Si era eccitata tantissimo…
Era talmente innamorata che non riusciva nemmeno ad ingoiare il gelato per via del grosso blocco in gola: lui glielo fregava sotto il naso e lottavano con i cucchiai come fossero spade.
E scuoteva ancora la testa in preda alla vergogna, ricordando quanto aveva riso con le stelline negli occhi, innamorata fatta di lui con lespressione di unorata al cartoccio, quanti baci gli aveva dato dove capitava mentre lui divorava il gelato, quante carezze sul viso e fra i capelli, quanto gli aveva tenuta stretta la mano…
No… non lho trovato il lavoro… ma vedrai che avrò tanti soldi con poca fatica…” – le ghignò nuovamente allusivo mentre lei lo trucidava con lo sguardo e si risvegliava dal torpore che laveva invasa di nuovo.
Ma come faccio ad essere innamorata di uno tanto idiota?” – pensò perplessa, guardandolo spolpare a fondo quella bistecca come se non mangiasse da anni.
 
Oggi trovo un maestro dascia… il tempo delle buone maniere è finito!” – si disse la mattina dopo, giovedì, camminando per le vie di Caclas.
Già aveva adocchiato il tipo che faceva al caso suo: aveva una bella squadra e lavorava bene.
Arrivò nella piazza in cui si apriva la bottega e si fermò di fronte al proprietario che stava disegnando la vela maestra di un galeone della marina.
Unombra invase il suo lavoro e questi alzò lo sguardo verso il tizio con i capelli rossi che era già passato un paio di giorni prima:
Ah… di nuovo lei…” – e si rimise a lavorare sbuffando.
Buongiorno anche a lei…” – gli piaceva far notare agli altri tutta la loro maleducazione.
Le sembrerà assurdo, ma per fare una vela ci vuole più di un giorno… – esordì con sarcasmo – quindi la mia risposta è sempre la stessa…”
Shanks non aveva proprio voglia di giocare con quel tipo bravo, ma antipatico:
Quanto le ha offerto la marina per quella vela?”
Ho detto…”
Senta… Lei già mi sta sul cazzo… - tagliò corto – e se continuiamo a parlare, mi finisco di innervosire e non mi va… Mi piace restare calmo… Voglio la vela che ha appena disegnato e la voglio entro tre giorni!” – quello lo guardava con il mento a terra per lo stupore, piuttosto spaventato dallo sguardo di quel tipo rosso di capelli e dagli occhi espressivi. Ma si fece forza:
E se la mandassi a fanculo?”
E Shanks ghignò:
E se le dicessi che con me nessuno è mai riuscito a finire la parola vaffanculo”?”
Quello lo guardò e gli passò un lampo di paura negli occhi: lo sguardo di quel tipo non prometteva nulla di buono…
La marina mi offre…”
Io le pagherò il doppio di quello che le ha offerto la marina… non voglio più neanche sapere quanto… - fece sbrigativo – ma la voglio montata sulla mia nave entro tre giorni insieme alle vele di riserva, al bompresso e allalbero maestro…”
Ma…”
Ho detto che voglio la mia nave NUOVA per il doppio di quello che le ha offerto la marina e la voglio entro domenica! Si chiama Vento dellEst e voglio che la riparazione sia degna di quel nome… - e aggiunse – dica a quelli della marina militare che se non gli sta bene essere servita per seconda, di venire a parlare con me, con Shanks il Rosso… - e ghignò unaltra volta – se ne hanno il coraggio…”
Al tizio della bottega i capelli si stavano sbiancando per la paura…
Lei è…” – mormorò in preda al panico, cercando di ricordare quanti zeri aveva la taglia che pendeva sulla testa rossa di quel tipo.
Già… e farebbe meglio a guardare bene in faccia le persone che intende mandare a fanculo perché non tutti la prendono con filosofia… - aggiunse – faccia un buon lavoro e non avrà a pentirsi di aver lavorato per me, ma veda di trattare bene la mia nave perché divento particolarmente violento quando non sono soddisfatto… - concluse – faccia tutti i sopralluoghi che vuole: i miei uomini – e quello tremò quando lo disse – sanno già che dovrà passare e sono a sua disposizione per tutto laiuto che le occorre. E’ un veliero a tre alberi e porta una bandiera nera il cui teschio mi somiglia come una goccia dacqua… non faticherà a riconoscerla…” – gli disse, ridacchiando malefico, finendo di terrorizzarlo.
Va…va bene…”
Ci vediamo domani!” – ordinò.
E tornando alla nave, pensava soddisfatto:
Con la dolcezza si ottiene tutto!”
 
Nel pomeriggio tornò al villaggio attrezzato di tutto punto per andare a pesca di ostriche: conosceva i segreti del mestiere anche perché con Lucky aveva fatto, da piccolo, delle grandiose immersioni in cerca di perle e quando le trovavano, spendevano tutti i soldi in gelati e dolcetti…
Trovò il vecchino che lo aspettava sullo scoglio del giorno prima:
Ehi… Rosso! Ma allora è vero… hai deciso di suicidarti!”
E perché? Io so nuotare!” – sorrise disarmante.
Si spogliò, sinfilò un paio di pugnali nelle gambe dei pantaloni e si tuffò:
Ne prendo qualcuna anche per te? – e rise – Magari finisci i tuoi giorni alle Bahamas circondato da gnocche da sogno e ritorni a scopare come un ossesso!! I soldi fanno miracoli… – e aggiunse – io ti seguo e insieme andiamo a cambiare il nome alle isole Vergini!”
Al vecchio stavano cascando gli ultimi denti per le risate, guardava la testa rossa di quel tipaccio sparire fra gli abissi e dirigersi verso gli scogli.
Le ostriche stavano ad una decina di metri sparse su tutta la scogliera: facendo attenzione alla compensazione, alle murene e i barracuda, ripulì una dozzina di scogli in tre ore di immersioni continuate sotto lo sguardo piuttosto invidioso del vecchio che si ricordava di quando faceva quelle stesse cose.
Alla fine, distrutto, uscì da lì pieno di ostriche, con un sacchetto attaccato alla cintura.
Ehi nonno… – e si sedette accanto a lui a riprendere fiato – ti va qualche ostrica? – e con un coltello ne aprì un paio, mangiandole tutto contento – Mhmmm… ci vuole il limone, ma va bene lo stesso…” - e ne porse una al vecchio che gli fece volentieri compagnia.
Ne finirono una ventina in silenzio. Una volta sazio, Shanks prese il sacchetto e disse:
Guarda qui!!” – e ne estrasse più o meno cento perle di cui una nera.
Bleah! – si schifò il vecchio – per queste porcherie hanno ucciso il mio Dave…”
Sei sicuro che non ne vuoi qualcuna?”
Non le voglio neanche vedere…”
Capisco… ma forse farebbero comodo a tua nuora e ai tuoi nipotini… - sussurrò Shanks – non è facile per una donna sola tirare avanti una casa e dei bambini… - pensava alla sua fantastica mamma costretta a darsi ai pirati per sfamarlo e farlo studiare – pensa a loro… - e gliene consegnò alcune per un valore di un milione di berry – non te le do tutte perché ci devo rimettere a posto la nave… e se tua nuora ti chiede dove hai preso i soldi, non dirle che vengono dalle perle sennò non li vorrà! Le donne sono orgogliosissime!! – rideva, pensando a lei – e sincazzano come aspidi per niente…”
Il vecchio lo osservava spiazzato dal gran cuore di quel pirata.
Non si finisce mai di imparare… - considerò ad alta voce tutto ammirato – credevo che, a parte i Chaplam, i pirati fossero la peggior feccia dellumanità, ma mi sono dovuto ricredere! Del resto, la tua reputazione ti ha preceduto Shanks…”
Mi conosci?”
Ho sentito parlare di te da un moccioso con un cappello di paglia…”
RUFY?” – si sconvolse, scattando in piedi.
Già… è capitato in questo villaggio più di una settimana fa…”
Come sta? E i suoi amici? La sua nave?” – era emozionatissimo.
Non stava benissimo… Anzi erano tutti disperati… uno di loro, uno spadaccino, mi ha raccontato che hanno perso un compagno in una tempesta! Erano distrutti e quel ragazzo col cappello di paglia non se ne faceva una ragione…”
Immagino…”
Ricordo che rimase seduto su uno scoglio per ore ed ore a guardare il mare e il cappello di paglia… io mi avvicinai perché era davvero disperato, mi faceva un popena e gli chiesi il perché fissasse in quel modo il suo cappello… - raccontava ad uno Shanks tutto preso – Lui mi disse che gli dava forza… Era lunico modo per non rinunciare ad andare avanti:
Ho fatto una promessa ad un uomo… gli ho promesso che sarei diventato il re dei pirati, ma non so se ce la farò ora che…” - e il vecchio sinceppò perché non ricordava il nome di quella persona – “ora che… non c’è più…”
Nami?” – laiutò Shanks.
Sì! E come lo sai?”
La conosco… ho pescato questa perla nera per lei…” – sospirò innamorato.
Ahhh! – fece il vecchio mandrillo – immagino che sia bella come questa perla… hai una faccia da triglia di tre giorni… - e ridacchiò – sei innamorato perso! Però loro mi dissero che era morta! Com’è che la conosci?”
Ecaduta in mare, ma si è salvata e poi, a Jolly Town ci siamo incontrati ora è sulla mia nave e sto cercando Rufy per riportargliela!”
Capisco… - disse il vecchio, pensando che il mondo era davvero minuscolo – comunque il moccioso era disperato e non sapeva nemmeno dove andare, ma non voleva cercarsi un altro navigatore… ha detto che si sarebbe arrangiato da solo e che sarebbe andato avanti solo per mantenere la promessa… mi disse che laveva fatta ad un pirata speciale… - aggiunse – E io, che non mi faccio mai i cazzi miei, gli chiesi chi poteva mai essere questo pirata speciale e lui mi rispose che si chiamava Shanks il Rosso… e ho ricollegato…”
Povero Rufy…” – mormorò Shanks tutto triste perché non aveva modo di far sapere al suo amico che quella fantastica ragazza era ancora viva. E riprese:
Quindi ha puntato al Grande Blu?!”
Pare di sì… ma quel moccioso non sa nemmeno dove è il nord… non ci arriverà mai!”
Shanks rimase in silenzio per un poriflettendo sul percorso da prendere poi riprese:
Beh… io vado! – disse, tutto contento, alzandosi. – Però non mi hai detto come hai fatto a mantenerti attivo fino alla veneranda età di settantasette anni! Ehi, nonno… certe cose le devi divulgare.”
Rhum.” – rispose laconico e saccente.
NO?!”
Già…”
E gli fece tutto interessato e speranzoso:
Credi che il sakè vada bene lo stesso??”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3659049