L'artista di Sabriel Schermann (/viewuser.php?uid=411782)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Tutto
mi dice
che sto per prendere una decisione errata,
ma anche gli
errori sono un modo di agire.
Cosa vuole il
mondo da me? Che non corra i miei rischi?
Che torni da
dove sono venuta, senza avere il coraggio di dire di sì alla
vita?
(Paulo
Coelho –
Undici Minuti)
Una
ragazzina dalla pelle ambrata e un giovane dai capelli biondi si
esibivano al
centro della piazza principale del loro quartiere, davanti ai passanti.
La
ragazza faceva acrobazie e il giovane, truccato di bianco e con un
grosso naso
da clown, presentava un avvincente spettacolo di giocoleria.
Un’uniforme
a rombi colorata gli ricopriva l'intero corpo.
Le
palline da tennis gli scivolavano tra le mani come se scottassero e in
pochi
secondi realizzò un numero degno di arte circense.
La
ragazzina, stordita dalle continue giravolte, si fermò un
attimo a osservare un
passante immobile di fronte a loro, ipnotizzato dalla loro arte; ma
subito
quello fuggì via frettoloso, come scoperto nel bel mezzo di
un'azione illecita.
Interdetta,
la giovane sbirciò nella piccola scatola colorata posta
davanti a sé, senza
scoprire più di qualche centesimo.
Il
sole stava per tramontare e la gente si affrettava a tornare a casa.
Lei
osservava ognuno avviarsi veloce verso la sua meta, quando il suo
sguardo
raggiunse, quasi all'altro estremo della piazza, un uomo di
mezz'età poggiato
alla parete di una casa, intento ad osservarli.
I
capelli grigi erano leggermente mossi dal vento, la mano frugava
impaziente in
una tasca.
Pochi
secondi dopo ne estrasse un pacchetto di sigarette, se ne
portò una alla bocca
e la ragazza fece in tempo a vedere la fiamma dell'accendino brillare
davanti
agli occhi prima che una voce la distraesse dai propri pensieri.
«Noël,
che stai facendo? Ormai è tardi,
dobbiamo tornare a casa».
La
voce proveniva dal ragazzo accanto a lei, l'aspirante circense.
«E anche oggi
non abbiamo concluso
nulla» continuò lui rassegnato, raccogliendo la
scatolina ai loro piedi.
Si
conoscevano da più di tre anni e da un paio di mesi, quasi
ogni pomeriggio,
andavano in piazza ad esibirsi, con la speranza
di racimolare qualche moneta.
«Non
è vero» obiettò la ragazza,
«guarda»
aggiunse, facendosi scivolare sul palmo i pochi centesimi raccolti.
Il
giovane la scrutò con aria interrogativa, schiudendo gli
occhi alla luce del
sole all'orizzonte.
«Oh certo,
sicuramente con questi
soldi potremo pagarci la scuola!» borbottò,
facendole segno di tenersi il
denaro.
«Siamo
ricchi!» bofonchiò il
ragazzo in un tono neanche lontanamente soddisfatto, eseguendo un
assemblé¹
distorto.
La
ragazza sorrise, raggiungendolo.
«Prima o poi
ce la faremo»
sussurrò più che altro a se stessa, tornando a
guardare il punto in cui vide
quell'uomo.
Ma,
con sua sorpresa, era già sparito, lasciando dietro di
sé soltanto una
sigaretta mezza spenta.
«Ci vediamo
domani, d’accordo?» disse
il ragazzo, fissandola negli occhi.
Lei
annuì, voltandosi per tornare a casa, senza accorgersi che
lui non si era
voltato a sua volta, ma era rimasto lì a fissarla fino a
quando non scomparve
in mezzo alla folla.
~
Quando
Noël tornò a casa quella sera, la prima cosa che
vide fu la schiena della madre
spostarsi veloce accanto ai fornelli.
Mosse
timidamente un passo in avanti e il suo sguardo cadde accidentalmente
sul
tavolino accanto al divano, in cui una foto di famiglia campeggiava in
tutta la
sua bellezza.
Noël
rimase quasi ipnotizzata dal fascino della madre: i suoi capelli erano
scuri e
lucenti, gli occhi azzurri sembravano incantare l'autore della foto.
Poi
posò lo sguardo su di lei, sulla donna reale che armeggiava
in cucina,
osservandola meglio.
Sembrava
che la vecchiaia si fosse impossessata di sua madre prima ancora che
lei stessa
potesse accorgersene.
Mentre
saliva per la scala stretta che portava al piano superiore,
sentì una voce
borbottare: «Dovresti smetterla di stare fuori fino a
tardi!».
La
ragazza provò a difendersi, pur sapendo di non avere scampo:
«Ma sono solo le
sei e mezza, mamma!».
Sentì
la donna ribattere, ma non comprese ciò che disse, decidendo
di lasciar
perdere.
Si
gettò a peso morto sul letto, scaraventando le scarpe da
qualche parte nella
stanza e chiuse gli occhi.
Pensò
a Denis, ai suoi compagni di scuola, a quell'uomo misterioso che li
fissava
assorto.
Si
chiese che cosa stesse facendo in quel momento, e istintivamente se lo
immaginò
con una sigaretta in mano e il fumo che fuoriusciva lentamente dalle
labbra.
Pensò
a quella volta che, girovagando per le strade di Montmartre con sua
madre, notò
un quadro di un artista di strada decisamente inquietante.
Raffigurava
due sposi classici per torte nuziali, con l’unica differenza
della testa
mozzata dello sposo.
La
consorte teneva un mazzo di fiori rosa in mano e la sua espressione
pareva rilassata,
ma lui sulle mani penzolanti sui fianchi aveva il proprio sangue,
così come sul
collo spezzato.
Della
testa non c’era alcuna traccia.
Il
sangue proseguiva fino all'interno della camicia, aperta al primo
bottone, poi soltanto
la normalità.
Quando
sua madre lo vide le coprì gli occhi con i palmi,
borbottando qualche cosa sulla
decenza e il buon gusto.
Ma
Noël non le diede ascolto: nonostante lo stile cupo e tetro
del pittore, a lei
quel quadro piacque forse più di tutti quelli che aveva
visto fino ad allora.
Oltre
a una leggera angoscia, le trasmetteva anche un profondo senso di
naturalezza,
una sensazione di vita e di morte, di qualcosa che inizia ed
è destinato a terminare,
come tutte le cose.
Dopo
la cena, Noël salì in soffitta, come ogni sera.
Quel
piccolo ammasso di oggetti dimenticati era il suo nascondiglio
preferito,
nonché il luogo perfetto per riflettere su qualcosa che non
sapeva nemmeno lei
con certezza.
Tutto
o forse niente.
Forse
lo amava soltanto perché sul tetto c'era il vetro, e poteva
osservare la luna
splendere nel cielo e le stelle farle compagnia.
Ma
quella sera, non c'era luna a illuminarla.
Il
buio si era impossessato della volta celeste, e lei semplicemente
rimase lì,
nell'oscurità, a pensare a qualcosa che la facesse evadere
dalla realtà di
quell'ombra minacciosa.
~
Il
giorno seguente, durante una calda mattinata di giugno, Noël
si incamminava per
andare a scuola.
Quando
arrivò, il cancello era ancora serrato e gruppi di ragazzi
più o meno grandi di
lei si erano formati ai lati della lunga tettoia che lo proteggeva
durante le
giornate di pioggia.
La
ragazza si sedette svogliata in un angolo del muretto, guardandosi
intorno
spaesata.
Quella
era la sua città natia, quelle erano la sua scuola e le
strade in cui era
cresciuta, ma lei non si era mai abituata a tutto ciò.
Si
sentiva un'estranea in tutta quella familiarità, una
straniera.
Aveva
sempre percepito questa sensazione e sapeva che avrebbe continuato a
sentirla
forse per sempre.
Sua
madre le aveva spesso raccontato di quando, circa vent'anni prima, lei
e suo
padre emigrarono da Breslavia, in Polonia, in cerca di lavoro, di
benessere e
soprattutto di una vita dignitosa.
Ambientarsi
in una nazione straniera quando non si conoscono né la
lingua né la
quotidianità degli abitanti è difficile e a volte
estremamente demoralizzante.
Lei
arrivò quattro anni dopo, quando Paweł ed Ewa avevano
trovato ormai un lavoro
stabile ed erano riusciti, almeno in parte, a tralasciare la loro
origine e le
proprie abitudini per adeguarsi alla vita della capitale di un Paese
lontano.
Quando
scostò lo sguardo sulla strada, notò una
ragazzina osservarla curiosamente.
Non
l'aveva mai vista prima, non conosceva il suo nome né la sua
età, ma quando i
loro sguardi si incrociarono, la vide sorridere e avvicinarsi sempre
più.
Stava
quasi per allontanarsi, quando la giovane la salutò cordiale.
Così
si ritrovò a rispondere al saluto prima che lei stessa
potesse accorgersene.
«Il mio nome
è Samira» disse la ragazza
porgendole la mano con un brillante sorriso sulle labbra.
Il
suo viso era scarno e un tempo doveva essere stato rotondo, i capelli
castani
le ricadevano morbidamente sulle spalle.
«Sono nuova
qui. Sono arrivata tre
giorni fa da Nancy²»
continuò la giovane, senza spostare
lo sguardo dal viso di Noël.
Lei
sorrise distratta, infilandosi le mani nelle tasche piene di brandelli
di
fazzoletti.
Un
mormorio di stupore arrivò improvvisamente alle sue
orecchie, costringendola a
voltarsi.
«Wow! Io sono
stato a Nancy una
volta!».
Noël
osservò il suo amico stupita. Le labbra di Samira si
aprirono in un nuovo sorriso.
Poi
la campanella della prima ora suonò, e la conversazione
rimase sospesa
nell'aria.
Mentre
la nuova arrivata si affrettava verso la porta d'entrata, lo sguardo di
Noël si
soffermò su Denis.
Osservò
le sue labbra, più rosse del solito, e le guance imporporate
nonostante la
pelle lattea e il caldo asfissiante.
Il
ragazzo indossava dei pantaloni verdi lunghi fino al ginocchio e una
camicia
bianca con le maniche corte.
Dal
colletto spuntava una collanina di caucciù; Noël
non aveva mai capito il motivo
per cui il ragazzo non volesse mostrarla.
Tutt’a
un tratto, una frase le uscì ribelle dalle labbra: «Non mi avevi
mai detto di essere
stato a Nancy».
Il
ragazzo sfuggì al suo sguardo:
«Beh,
mica posso dirti: “Ei, sai che sono stato a
Nancy?”. Mi prenderesti per pazzo».
«Tu non
preoccuparti di quello che
potrei pensare io».
Denis
sorrise, percependo una punta di gelosia e forse invidia nella voce
della
ragazza, ma decise di non farci caso.
Così
si incamminò verso l'entrata, varcando il cancello e
lasciandola indietro.
Questa
volta fu lei ad osservare la sua schiena fino a quando il ragazzo non
varcò il
portone di vetro.
¹
Salto
della danza classica, eseguito inizialmente con una sola gamba,
atterrando
infine su entrambe.
²
Comune francese nel dipartimento della Meurthe e Mosella, al confine
con la
Germania.
Disclaimer: Questa
storia è stata scritta
nel 2014, durante la mia lunga pausa da EFP; sono state fatte delle
mere
modifiche estetiche, ma a livello stilistico non è stato
modificato quasi
nulla.
I
crediti per l’immagine non mi appartengono; ulteriori
creazioni del
proprietario potete trovarle sul suo profilo Instagram.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Camminando
per le strade che portavano al centro di Montmartre, Noël
lasciò che la sua
mente vagasse verso l'ignoto, verso qualcosa di piacevole ma anche
estremamente
pericoloso.
Qualcosa
che avrebbe potuto costarle tutto e non darle nulla in cambio.
Passò
davanti al cimitero, e notò distrattamente una piccola folla
formarsi davanti
all'entrata, probabilmente a causa di un imminente funerale, o forse di
uno
appena concluso.
Uomini
e donne vestiti di nero, alcune con cappelli eleganti, altri con scarpe
colorate
decisamente stonanti.
Nel
mezzo della folla, però, c'era un buco occupato da un
bambino con un
orsacchiotto in mano.
Lui
non era ben vestito come gli altri, e quando si volse verso di lei,
Noël fu
sicura di vedere una macchia sul suo viso, come un livido rossastro.
I
capelli del bambino erano chiari e lucenti alla luce del sole, ma i
suoi occhi
erano inquietanti.
Le
ricordava il protagonista di un quadro che sua madre
acquistò tempo prima per
pochi soldi, sostenendo che “due bambini donano un'aria di
ospitalità e
accoglienza all'interno della casa”.
La
tela, posta al centro del corridoio, raffigurava due fanciulli, un
maschio e
una femmina: la bambina indossava un vestitino azzurro estivo e
guardava
assorta qualcosa davanti a sé.
Il
bambino invece era voltato dalla parte opposta, e il suo sguardo aveva
evidentemente catturato qualcosa di inquietante.
Se
fosse stato per le due figure e il paesaggio sterrato sullo sfondo,
Noël
avrebbe apprezzato quella tela; ma dietro la porta semiaperta alle loro
spalle
una figura sfocata era appena visibile, come nascosta, nera e
rosseggiante.
Le
uniche caratteristiche comprensibili erano i capelli e le mani.
Queste
ultime erano sfumate, come in movimento, e sembravano voler afferrare
il
bambino, più vicino.
I
capelli invece erano di un colore verde petrolio e parevano dotati di
vita
propria, perché formavano una figura incomprensibile sopra
la testa di
quell'essere.
Peccato
che sua madre non si fosse accorta di quel piccolo dettaglio.
Le
gambe e i lunghi vestiti delle persone attorno a lui coprivano quasi
interamente il giovane, ma Noël sapeva che la stava guardando.
Così,
imbarazzata, si avviò di nuovo verso il centro, fino a
quando non arrivò alla
Basilica del Sacro Cuore.
Senza
nemmeno rendersene conto, la sua mente tornò a pensare a
Denis: erano giorni
che non lo vedeva né lo sentiva.
Si
sedette lentamente in un angolo della scala, lontano dai turisti.
Si
maledisse perché la sua mente vagava e rifletteva sempre
troppo, spesso più di
quello che avrebbe dovuto.
Denis
era apparentemente molto diverso da lei, più estroverso ed
espansivo e pareva
che tutto per lui fosse estremamente semplice.
Nessuno
lo obbligava a stare con lei. Non c'era nessun vincolo.
Poteva
andarsene quando voleva.
E
Noël sapeva che quando lui voleva qualcosa, se la prendeva e
basta.
~
Montmartre,
Parigi, settembre 2010
Una
bambina di undici anni camminava lentamente verso la scuola.
Era
il primo giorno e quella mattina aveva litigato con la madre,
insistente sul
fatto che doveva imparare ad essere autonoma e ad andare a scuola da
sola.
Frequentare
la scuola media significava anche questo.
Ricordava
ancora quando, tre anni prima, il primo giorno di scuola dovette andare
senza
nessuno.
Erano
appena tornati in Francia dalla Polonia, sua madre doveva lavorare e
suo padre
era troppo ubriaco per poter presenziare al primo giorno di scuola
della
figlia.
Arrivò
con un quarto d'ora di anticipo, nonostante l’edificio fosse
lontano dal suo
quartiere, e per quindici minuti rimase lì ad osservare i
bambini che presto
sarebbero diventati i suoi nuovi compagni.
Per
quindici minuti sperò che dalla terra sotto ai suoi piedi si
aprisse un varco,
risucchiandola e riportandola a Breslavia, dalla nonna Sofia, dagli zii
e dai
cugini.
Il
soggiorno era durato soltanto dieci giorni, ma erano stati
indubbiamente i
giorni più felici della sua vita.
In
quel momento, in piedi davanti al cancello della sua nuova scuola,
aveva odiato
i suoi genitori, quei bambini e perfino se stessa.
Avrebbe
voluto scomparire per sempre, oppure ricomparire in un'altra parte del
mondo
sconosciuta, ricominciando tutto daccapo.
E
tre anni dopo, mentre si avviava a passo lento verso la scuola, si
stupì di
ricordare esattamente ogni sensazione che provò stando
lì a fissare quegli
odiosi e insopportabili marmocchi.
Era
certa che quella mattina sarebbe arrivata nuovamente in anticipo e
avrebbe
provato ancora una volta quella sensazione di disagio ed emarginazione.
E
improvvisamente si chiese per quanto avrebbe continuato a sentirla, per
quanto
tempo sarebbe ancora andata a scuola e semmai ci fosse stato anche un
solo
attimo, nella sua vita, in cui si sarebbe sentita appagata e felice.
~
Ormai
erano le undici e mezzo del mattino di un sabato di giugno troppo
normale per
essere ricordato; Noël, invece di rientrare a casa, si diresse
verso il locale della
città, giusto per mettere qualcosa dentro il suo stomaco
vuoto e affamato.
Si
allontanò dalla Basilica e ripercorse la strada davanti al
cimitero, ma ciò che
vide fu soltanto un cancello grigio, opaco anche al sole, e poco oltre
un vuoto
sentiero di pietra.
Quando
arrivò, si sedette ad un tavolino accanto al vetro,
aspettando che qualcuno le
rivolgesse attenzione.
Riusciva
quasi a scorgere la casa di Denis da quella postazione.
Le
persiane della cucina erano aperte, ma la porta di vetro interna era
chiusa,
coperta da tende color avorio.
Fece
in tempo a vedere una donna bionda e robusta uscire sulla terrazza
quando,
improvvisamente, una voce la distrasse: «Cosa desidera,
signorina?».
Una
ragazza di circa vent'anni era comparsa davanti a lei, così
alta che sembrava
sovrastarla.
I
suoi capelli erano neri e i suoi occhi così grandi da
causare un certo disagio
a chi li incontrava.
«Una
spremuta, grazie» mormorò
Noël un po' imbarazzata, abbassando lo sguardo.
Appena
la donna si girò, una ragazzina di quindici anni dalla pelle
chiara prese posto
accanto a lei.
«Samira»
mormorò, con un accenno
di irritazione nella voce.
Aveva
ancora un'espressione stupita quando la ragazza le chiese il motivo per
cui si
trovava lì.
Noël
avrebbe voluto ribattere con la stessa domanda, ma si trattenne,
rammentando ciò
che le aveva detto Denis l'ultima volta che lo aveva fatto con lui.
«Non si
risponde ad una domanda con un'altra domanda» aveva detto con
voce seria e
calma, «è maleducazione».
Così
la ragazza fu costretta a rispondere con la verità.
«Avevo
fame».
Samira
la guardò con i suoi grandi occhi castani pieni di vita.
Noël
aveva fame, ma anche tanta paura.
«Come sta
Denis?».
Non
era riuscita a impedirsi di porgerle quella domanda.
«Avete
parlato?» continuò, giusto
per non far intendere alla ragazza che il giovane fosse il suo unico
pensiero.
«Oggi non
l'ho visto» sussurrò
Samira, «Ma mi ha parlato molto di te» aggiunse,
con un lieve sorriso.
La
ragazza fu compiaciuta nel sentire quell'ultima frase, ma non si
godette
appieno quella soddisfazione.
Pensò
che fosse il minimo che Denis potesse fare, ma in quel momento,
un'altra
domanda si faceva strada nella sua mente: se non era con lei, allora
dov'era
Denis?
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Quando
uscirono da scuola, Denis e Samira si ritrovarono praticamente uno di
fronte
all'altro.
In
dieci minuti, Denis scoprì che Samira abitava di fronte ad
un piccolo locale,
poco lontano da dove lui e Noël erano soliti esibirsi il
pomeriggio.
Dopo
averla salutata, sulla strada di casa, gli tornò alla mente
una scena avvenuta qualche
giorno prima.
Anche
se Noël non se n'era accorta, aveva notato anche lui l'uomo
che li osservava
intento a fumare, appoggiato ad una casa dall'altra parte della piazza.
Prima
di andarsene, aveva rivolto loro un ultimo sguardo, scomparendo poi
dietro le
case a schiera.
Quando
la ragazza scomparve tra la folla, Denis decise di seguirlo, e
ciò che scoprì
lo lasciò a bocca aperta.
Dietro
l'ultima casa, una villetta rosa poco lontano dalla piazza, c'era
quello che
assomigliava in tutto e per tutto a una bottega.
Non
sapeva se l'uomo fosse entrato lì dentro, ma non aveva
saputo resistere alla
curiosità di vedere che cosa ci fosse all'interno.
La
porta era aperta e non c'erano insegne né volantini che
facessero presupporre
che quello fosse un luogo frequentato da qualcuno.
Appena
varcò la soglia, osservando l'ampio spazio dinanzi a
sé, il suo pensiero andò a
Noël.
Era
sicuro che sarebbe impazzita se l'avesse visto.
C'erano
quadri ovunque: appesi alle pareti, su cavalletti alti e bassi, tele
grandi e
più piccole.
In
un angolo nascosto dell'atelier c'erano altre tele, tutte dipinte con
colori
sgargianti e allegri, ancora incomplete.
Denis
pensò che quel laboratorio appartenesse al proprietario di
qualche galleria, o comunque
a qualcuno abbastanza famoso da poter vivere dipingendo.
Fece
un passo in avanti, e il suo spazio visivo aumentò.
Un
quadro particolare attirò la sua attenzione, ma si accorse
ben presto che si
trattava di ben tre quadri, che, uniti insieme, formavano un'unica
figura.
Un
piccolo spazio di parete bianca li separava l'uno dall'altro.
Si
trattava di un tramonto sul mare con colori ad olio.
Il
cielo colorato dal sole era stato dipinto di un arancione vivo e la
schiuma del
mare era bianca e azzurrina sulla spiaggia: una barca solitaria faceva
capolino
in lontananza, dove l’acqua era più scura e
pericolosa.
Il
sole era già scomparso dietro le onde, ma sembrava aver
lasciato sulla sua scia
una luce immensa.
Per
un attimo, Denis chiuse gli occhi, immaginando di essere lì,
potendo quasi
percepire sui piedi nudi il solletico della schiuma e la sua
delicatezza.
Quando
il ragazzo riuscì a distogliere lo sguardo dal quadro, lo
posò su un’altra
tela, altrettanto affascinante: il profilo di una donna si estendeva
per tutta
la sua lunghezza, a eccezione del filo di sfondo grigio appena visibile
sulla
parte inferiore del quadro.
Era
voltata di schiena e sembrava riversa sul pavimento.
Tuttavia,
non sembrava morta e non c'era alcuna traccia di sangue.
Poteva
essere deceduta naturalmente, svenuta o semplicemente addormentata.
I
capelli erano biondi come paglia, e il suo corpo nudo sinuoso e
sensuale.
Le
gambe erano piegate l'una sull'altra, i glutei sodi, la vita e i
contorni del
corpo dipinti divinamente.
Denis
pensò che non avrebbe fatto fatica ad immaginarla anche dal
lato opposto.
Ogni
particolare sembrava avere un senso; l'unica caratteristica che non
poteva
conoscere era il viso.
Era
coperto dai capelli, che si riversavano sulla superficie fredda come un
corpo
esausto si accascia al suolo.
La
donna era semplice, non indossava gioielli né fermagli.
Estasiato
da tutta quella bellezza e con una leggera paura di essere scoperto,
Denis
lasciò il laboratorio, con la promessa di tornare.
Il
giorno seguente non ne parlò con Noël,
né con nessun altro.
Il
sabato arrivò e passò in fretta, e dopo di esso
un altro ancora.
Quando,
quella mattina, vide un filo di sole illuminare la parete della propria
camera
da letto, intuì che i genitori dovessero già
essere in piedi.
Lasciò
vagare la sua mente tra ricordi recenti e passati, gioie e dolori, fino
ad
arrivare a quel giorno nella bottega.
Si
rammentò dei due quadri e della miriade di altre pitture che
aveva visto.
Aveva
sbirciato anche in quelle ancora da terminare, ma non aveva capito
quasi nulla,
perché ne mancava una buona parte.
Si
chiese a chi appartenesse quell'atelier così ordinato, chi
avesse pitturato quelle
tele così belle, e chi fosse quella donna senza veli
nell'ultima tela che aveva
avuto il coraggio di osservare.
Poi,
un pensiero che non avrebbe voluto pensare gli invase la mente: i
capelli
biondi divennero rossi, la pelle lattea diventò
più scura.
La
differenza tra la donna del quadro e quella della sua fantasia era che,
questa
volta, Denis poteva immaginare chiaramente il suo viso e tutte le sue
espressioni.
Con
la sua immaginazione sognò di sfiorare quelle gambe, quel
ventre e di poter
stringere quei seni, torturarli con baci leggeri e passionali,
comprimerli tra
i denti.
Quando
un rumore lo riscosse dai suoi pensieri erotici, se ne
vergognò lievemente,
domandandosi come poteva provare un tale desiderio per qualcuno che
fino a quel
momento aveva considerato soltanto un'amica.
Così,
mentre due ragazze chiacchieravano in un modesto locale di Montmartre a
pochi
passi dalla piazza principale, un ragazzo dai capelli d'oro camminava
frettoloso verso la parte opposta della città, oltre le case.
Forse,
soltanto per scoprire una verità che non aveva il coraggio
di accettare.
~
Creutzwald,
Mosella, aprile 2004
Era
una notte buia e rigida a Creutzwald, e Denis aveva freddo e sonno.
Sapeva
che presto avrebbe dovuto svegliarsi per prendere il treno diretto a
Parigi.
Non
era mai stato nella capitale, era nato e cresciuto lì, in
quel piccolo comune
poco lontano da Nancy, in quella baracca che sua madre si ostinava a
chiamare casa.
Era
un piccolo edificio di legno, gelido ma accogliente, con il necessario
per
vivere.
Negli
ultimi anni sua madre aveva faticato molto per riservargli una
minuscola
cameretta, con un letto, un comodino e una lampada ad olio.
Ma
gli spiragli delle finestre mezze rotte d'inverno non risparmiavano
nessuno, e
spesso in tutte le stanze della casa – che erano soltanto tre
– si congelava.
Quella
notte Denis era irrequieto, e non aveva voglia di restare solo.
Pensò
a suo padre, Julian, di cui sua madre parlava spesso.
Di
suo padre Denis sapeva soltanto che era tedesco, e che probabilmente
era
tornato in Germania prima della sua nascita.
Molte
volte si domandava il motivo per cui avesse lasciato sua madre, una
donna così
bella quanto testarda.
Nathalie,
una ragazza magra e minuta sui trentacinque anni, quella notte dormiva
profondamente quando Denis cominciò a piangere sommessamente
nel suo letto.
Sentiva
le lacrime bruciargli gli occhi e scendere velocemente sulla federa del
cuscino, inzuppandola.
Aveva
pensato ad una bugia da poter raccontare alla madre per poter dormire
con lei:
avrebbe potuto dire che aveva visto uno spirito, meglio se quello di
suo padre,
entrare nel suo letto o comparire oltre il vetro della finestra.
Anche
se suo padre non lo conosceva affatto.
Fantasticava
di frequente su come fosse il suo volto e ogni volta compariva qualcosa
di
nuovo, qualche particolare in più.
Si
alzò lentamente, camminando scalzo lungo i centimetri che lo
separavano dalla
donna, infilandosi poi silenzioso nel suo letto.
Si
strinse alla sua vita, avvolgendosi le braccia calde intorno al corpo.
Sentiva
il suo respiro leggero vibrare nell'aria ed era sicuro che se ci fosse
stata un
po' di luce, avrebbe potuto vedere il suo ventre alzarsi e abbassarsi
ritmicamente.
Sembrava
che Nathalie non l'avesse sentito, ma si mosse un poco, avvicinandolo a
sé.
E
solo in quel momento, con i pensieri avvolti nella bugia di un
fantasma, Denis
si addormentò.
Sognò
un uomo e una donna su un treno diretto a Parigi.
~
Quando
Noël arrivò a casa quel giorno, era ormai
pomeriggio e si era preparata ad una
lunga ramanzina della madre e, se avesse avuto sfortuna, anche da parte
di entrambi
i genitori.
Quando
aprì la porta, tuttavia, ci fu soltanto silenzio.
Fece
due passi in avanti, entrando in soggiorno, sbirciando dentro la cucina.
«Mamma?»
provò a chiamare.
Lo
ripeté un paio di volte, per poi convincersi che non ci
fosse davvero nessuno
in casa.
Aveva
fame, ma aveva avuto appena i soldi necessari per acquistare una
spremuta.
Ne
aveva bevuto soltanto un sorso quando un uomo entrò
tranquillo, appoggiandosi
al balcone.
Fece
appena in tempo a vedere la cameriera avvicinarsi a lui quando Samira
la tirò
per un braccio, facendola alzare bruscamente.
«Andiamo»
le sussurrò, e Noël fu
costretta a lasciare una moneta – tutto ciò che
aveva – sul tavolo prima di
correre fuori, lontano dal locale.
Sconcertata
e irritata, la ragazzina alzò un po' la voce quando le
chiese cosa diavolo le
fosse passato per la testa.
«È
mio padre» disse Samira agitata
e affannata dalla corsa.
«Quell'uomo»
aggiunse, «è mio padre».
Noël
la osservò sorpresa: l'uomo con la sigaretta in mano nella
piazza era suo
padre?
Stentava
a crederci, ma decise di farlo.
«Mio padre
è un pittore» iniziò
Samira, «qui ha molte più opportunità
di lavoro».
Arrivate
al centro del piazzale, la ragazzina si guardò intorno, come
alla ricerca di
qualcosa.
Poi
invitò Noël a seguirla.
«Vieni con
me» disse, svoltando
dietro le case a schiera.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Quando
Denis arrivò davanti alla bottega, sbirciò subito
l'interno del laboratorio: la
porta era di nuovo aperta e sembrava lo invitasse a entrare: era una
tentazione
a cui faceva fatica a rinunciare.
Così
varcò nuovamente l’ingresso, accertandosi che non
ci fosse nessuno.
All'interno
il silenzio regnava su tutto e, appena entrato, il giovane si
trovò la tela del
tramonto davanti agli occhi.
Questa
volta però, prese coraggio e si addentrò al
centro della grande stanza; da lì
poteva vedere quasi tutte le tele esposte.
Il
suo sguardo catturò in un attimo una moltitudine infinita di
colori, miscugli
di tinte, tele enormi e altre minuscole.
Nonostante
molte non le avesse viste precedentemente, gli sembrava di conoscerle
tutte a memoria.
In
particolare, si mise ad osservare un quadro più piccolo
degli altri, appeso
all'apice di una parete.
Era
troppo in alto per essere notato da un occhio che non sapesse dove
cercare, ed
era troppo piccolo per essere osservato bene dal centro della stanza.
Così
Denis si avvicinò un poco, scoprendo ad ogni passo
particolari unici: si
trattava di un quadro ambientato in un bosco, al centro un bambino
suonava un
pianoforte.
La
foresta occupava quasi l'intero quadro e solo un piccolo spazio era
riservato
al pianista.
I
colori andavano dal giallo paglia al verde militare, e ciò
dava alla tela
un'atmosfera estremamente enigmatica.
Gli
alberi erano spogli di ogni foglia e nonostante quasi tutto il quadro
pullulasse di vegetazione, solo i rami superiori erano visibili.
Il
musicista era una figura confusa e sfocata, intrappolata dentro una
foresta di tronchi
sottili.
I
tasti del pianoforte erano appena visibili, e il terreno su cui era
poggiato
sembrava privo di erba e arbusti.
Soltanto
all'orizzonte, sfumato, si vedeva ogni tanto qualche spiraglio di luce.
Sembrava
che nonostante la nudità dei fusti, i raggi del sole non
riuscissero a
penetrare in quella foresta.
Denis
si chiese perché un quadro così bello era stato
appeso così in alto, in un
posto inosservato e nascosto.
Un
improvviso rumore di passi arrivò alle sue orecchie,
provocandogli un brivido
lungo la schiena.
Così,
spaventato e turbato, Denis si nascose in un'altra stanza, oltre una
porta
chiusa.
E
se avesse incontrato qualcuno?
~
Quando
Noël sentì la chiave girare nella toppa della
serratura, il cuore prese a
batterle forte.
Aveva
dimenticato di essere sola in casa, ed era stesa sul letto con il
diario in
mano, dopo aver mangiato abbondantemente.
C'era
una volta una ragazza che aveva visto la
strada dei sogni..., iniziava
la frase, e a mostrarglielo
era stata proprio la sua peggior nemica...
Ma
subito smise di scrivere: una figura alta e barcollante irruppe nella
stanza,
accomodandosi accanto a lei.
«Ciao papà»
mormorò
Noël quando l'uomo incontrò il suo sguardo,
tentando di sbirciare tra le pagine
aperte.
L'odore
stantio dell'alcol raggiunse subito l’olfatto della ragazza.
Il
padre le sorrise assente, chiedendole che cosa stesse scrivendo.
Lei
non rispose, piegando il diario sulla pancia, in modo da nasconderlo
dal suo
sguardo invadente.
«Hai
bevuto?» gli chiese, forse
sapendo già la risposta.
La matita spuntata rotolò sul
pavimento.
«Solo un
po'» rispose il padre, fissandola
negli occhi.
Poi
la strinse inaspettatamente in un caloroso abbraccio, e Noël
sentì per la prima
volta il suo cuore battere come quello di un uomo.
Stettero
così per qualche minuto, fino a quando non la
lasciò andare, rompendo il
silenzio.
«Pisz»
sussurrò,
«scrivi, Noël».
Poi
si alzò e se ne andò, chiudendo la porta dietro
di sé.
Interdetta,
la ragazza tornò a scrivere, pensando a quel pomeriggio, a
ciò che aveva visto
nella bottega del padre di Samira.
Pensò
a come avrebbe reagito Denis alla vista di tutte quelle tele
meravigliose.
Pensò
a ciò che avrebbe detto se avesse saputo che ora Samira era
diventata anche sua
amica.
Sarebbe
stato felice? Oppure questo l'avrebbe in qualche modo infastidito?
Quella
ragazza non era poi così antipatica.
Si
chiese dove fosse stato il giovane per tutto quel tempo, se fosse
tornato a
casa.
E
soprattutto, si promise di tornare nella bottega, ma decise che per il
momento
non gli avrebbe detto nulla.
Non
ancora.
Sarebbe
stato il suo segreto.
E
continuò a scrivere.
...aveva
visto un mondo, un mondo fatto di tele e di
sogni impossibili, di colori e di desideri.
~
Il
rumore dei passi si fece sempre più vicino, fino a quando
Denis non comprese
che probabilmente c'era qualcun altro nel laboratorio oltre a lui.
Stette
accovacciato in un angolo per una decina di minuti, fino a quando il
rumore non
cessò, tornando da dove proveniva.
In
preda al terrore di essere scoperto, il ragazzo si era rifugiato dietro
una
porta bianca e, immobile, era rimasto ad ascoltare.
Se
quella porta fosse stata aperta, per lui sarebbe stata la fine.
Il
cuore gli batteva forte in petto e la paura era talmente intensa da non
osservare
nemmeno per un attimo l'ambiente circostante.
Così
si alzò lentamente, inspirando ed espirando come dopo
un’estenuante corsa,
rendendosi conto che ciò che aveva visto fino a quel momento
non era per nulla
un laboratorio.
La
vera bottega era in quei venticinque metri quadri di stanza piena di
tele
intatte, pennelli puliti e colori di ogni tipo.
In
un barattolo vide un po' di pittura, forse preparata apposta con due
tinte
diverse.
In
un angolo si trovavano due sedie attigue coperte da dei veli da sposa
con delle
cornici di legno poggiateci sopra.
Le
setole dei pennelli erano morbide e pulite sotto il suo tocco, i colori
chiusi
nei propri barattoli.
Dentro
una scodella azzurra c'erano vari aggeggi per scrostare, tinteggiare,
ripulire.
Tuttavia,
fu quando volse lo sguardo che rimase stupefatto: quattro sedie
sorreggevano
quattro tele, di cui tre parevano terminate.
Al
centro, una tela vergine, bianca come cotone.
Denis
cominciò ad osservarle in ordine, avvicinandosi stupefatto.
La
prima tela raffigurava un uomo e una donna nudi e abbracciati nel bel
mezzo di
un atto sessuale.
La
donna aveva i capelli lisci e castani, la testa reclinata all'indietro.
La
sua bocca era semiaperta e le mani strette sulle spalle del compagno.
L'uomo
la guardava assorto, e Denis non capì se perso nel piacere o
nella bellezza della
donna.
Aveva
il petto scolpito e le mani stringevano le cosce dell'amante, posta di
lui.
Erano
seduti su un semplice sgabello di legno e l'atmosfera chiara e luminosa
faceva
presumere fosse giorno.
Gli
occhi della donna erano chiusi, e i suoi capelli sembravano svolazzare
in un
vento immaginario.
Sembravano
persi entrambi nel piacere più puro.
Denis
notò con stupore che le unghie delle mani della donna erano
dipinte di rosso.
Chiunque
avesse ritratto quelle figure, aveva fatto sicuramente un buon lavoro,
curando
ogni dettaglio.
L'ultimo
quadro a destra invece raffigurava una donna sdraiata su un letto,
completamente
denudata, eccetto i genitali, coperti da un lenzuolo sottile.
I
suoi occhi erano chiusi e pareva addormentata.
I
capelli erano sepolti sotto la testa, e non si riusciva a distinguerne
il
colore.
Il
corpo era sottile e ossuto, il seno tondo e magro, le braccia scarne e
le cosce
smilze.
Al
lato destro della tela, una poltrona di legno, un lembo di una tenda
bianca e
un'ombra, probabilmente di un'altra donna.
Forse
anche lei spoglia di ogni vestito: si potevano notare chiaramente i
contorni
del seno e del viso nell'oscurità.
Sembrava
avere qualcosa di affilato in mano, simile ad un coltello o una lama.
Anche
quel quadro, come quello appeso alla parete nel laboratorio accanto,
inquietava
notevolmente chi lo osservava.
Il
pittore doveva avere una visione molto ristretta dell'amore e del
sesso: una
visione quasi sadica, come se l'affetto non potesse esistere senza
dolore,
senza pena, anche fisica.
Il
secondo quadro a destra, quello che Denis aveva riservato per ultimo,
rappresentava invece una donna allo specchio.
Il
suo corpo nudo era visibile di schiena: la sua pelle era scura e
abbronzata, il
suo corpo fragile come lo stelo di un fiore.
Specchiarsi
nuda pareva sembrare naturale alla ragazza.
A
differenza delle altre due tele, non c'era malizia né
erotismo nei suoi
movimenti.
Tutto
in lei sembrava estremamente naturale e autentico.
Denis
pensò che potesse avere la sua età, ma la sua
espressione riflessa era molto
triste.
I
suoi occhi erano scuri come la chioma, ma questa sembrava cadere sotto
il suo
tocco.
Per
un attimo, Denis immaginò quei quadri esposti in una grande
galleria ai piedi
della Torre Eiffel, indovinando le espressioni di chi li osservava e li
acquistava.
Osservò
qualche secondo la tela bianca, vedendoci di sfuggita un'immagine
riflessa.
Poi
aprì lentamente la porta, e, accertatosi che non ci fosse
nessuno, uscì di
fretta, pensando di aver visto tutto ciò che ci fosse da
vedere.
Non
credeva che presto sarebbe tornato ancora.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Siccome
la madre non era andata a salutarla quando era tornata, Noël
pensò che fosse
arrabbiata con lei.
Così,
dopo mille ripensamenti, uscì di fretta dalla propria
stanza, riponendo il
diario e la matita nel cassetto della scrivania.
Andò
dritta verso le scale, bloccandosi al primo scalino.
Un
suono di singhiozzi trattenuti sembrava provenire da qualche parte
della casa: Noël
poteva udirli chiaramente da quella postazione.
Pareva
un pianto silenzioso, o almeno tale voleva essere,
Uno
strascico di lamenti sussurrati, rimasti prigionieri forse troppo a
lungo nella
gola del disperato.
Noël
non ci mise molto a capire di chi si trattasse e da dove provenissero.
Tornò
nella propria stanza a passi lenti, senza chiudere la porta.
Era
sicura che al piano di sotto non ci fosse nessuno e che tutte le
persone
presenti nella casa erano nella camera da letto di fianco alla sua, a
trattenere dei singhiozzi che, se liberati, Noël era sicura
sarebbero stati
feroci e insostenibili.
Chiuse
piano la porta, prendendo nuovamente il diario tra le mani.
A
volte la chiamavo senza sapere, e quando sentivo
rimanevo lì, probabilmente soltanto per darle il tempo di
asciugarsi l'ultima
lacrima.
~
Creutzwald,
Mosella, aprile 2004
Quella
mattina la madre lo svegliò presto e, appena aprì
gli occhi, Denis la vide già abbigliata
e acconciata, chiedendosi quando aveva avuto il tempo di fare tutto
ciò.
Con
voce impastata dal sonno e gli occhi chiusi, aveva chiesto alla donna
se
potesse dormire ancora un po', ma lei lo scrollò con forza,
ordinandogli con
voce irritata di tirarsi in piedi e mangiare in fretta qualcosa,
poiché quella
mattina avrebbero avuto molto da fare.
Tempo
dopo, ripensandoci, Denis si chiese se non glielo avesse domandato
soltanto per
rimanere ancora in quel letto, respirando il suo odore e sfiorando i
capelli
che erano rimasti incollati al cuscino.
Sapeva
che non ci sarebbe stato nulla da fare quella mattina.
Si
alzò, accorgendosi di aver dormito con gli abiti
giornalieri; ma non se ne curò,
pensando che non aveva più importanza.
Non
li avrebbe indossati più.
Si
sciacquò il viso con l'acqua raccolta il giorno prima, e ne
bevve un sorso.
Andò
in cucina e staccò due o tre morsi di pane.
Era
duro e secco, e Denis non aveva fame.
Seduto
su una sedia, osservò la madre armeggiare sul tavolo e per
la prima volta provò
un’ira intensa verso di lei.
Pensò
che forse suo padre aveva fatto bene a lasciarla sola,
perché non si meritava
altro.
Sistemandogli
la chioma chiara, la madre gli venne accanto, guardandolo negli occhi.
«Diventerai
un grande uomo» gli
disse, e lui avrebbe voluto sputarle in faccia il pane che ancora aveva
in
bocca.
Nel
suo sguardo non c'era amore, e Denis non si ricordava nemmeno l'ultima
volta
che la donna gli avesse fatto qualche carezza o dato qualche bacio.
Quando
chiuse la porta della loro povera casa di Creutzwald, il bambino
pensò che non
l'avrebbe vista più nella sua vita.
Si
sbagliava. L'avrebbe rivista cinque anni dopo, in televisione, in un
servizio
che parlava di una donna morta suicida nella sua piccola e povera casa
di
campagna, molto lontano da Parigi e da Montmartre.
Secondo
gli investigatori la donna si era impiccata legando una corda al
soffitto,
senza un apparente motivo.
La
trovarono i suoi datori di lavoro, i proprietari della miniera di
carbone poco
lontano dall’abitazione.
Quel
freddo giorno di aprile, Denis e sua madre ci misero un po' a
raggiungere la
stazione, e quando arrivarono, Sarah e Benjamin erano già
là, con un sorriso
enorme stampato sulle labbra.
Non
ci fu un solo momento in cui Denis mise in dubbio il loro affetto, ma a
sua
madre pensò tante volte, male e bene; ebbe infiniti
ripensamenti, ogni volta
più profondi.
Dopo
otto anni smise di pensarci, ma sapeva che, anche se era morta, lei era
sempre
lì, nella sua memoria, pronta a domandargli chi fosse
veramente e se avesse mai
avuto dei dubbi sui propri genitori adottivi.
E
a suo padre, non pensava più spesso nemmeno a lui.
L'immagine
che aveva creato di lui col tempo svanì come vapore
nell'aria.
Sarah
e Benjamin non sapevano dove vivesse la madre, né come si
chiamasse.
Quel
giorno, prima che il treno partisse, la donna si accovacciò
dinanzi a lui come
quella mattina in cucina, questa volta senza osservarlo negli occhi.
Si
tolse la collana che portava al collo e la mise al suo.
Era
un po' lunga per un bambino come lui, ma la tenne sempre, giorno e
notte, per
otto lunghi anni.
Anche
quando scoprì della morte della madre, anche quando conobbe
Noël.
La
nascondeva sotto la maglietta, non voleva che nessuno la notasse.
Era
come una sorta di segreto, con la sola funzione di ricordargli chi
fosse e da
dove venisse. Qualcosa in cui gli altri non c'entravano nulla.
Probabilmente
l'aveva perdonata.
Forse
l'aveva fatto solo cinque anni dopo, o forse non l'aveva mai odiata
davvero.
C'era
solo una cosa che, nonostante tutto, Denis non riusciva a dimenticare:
il
momento in cui lei alzò lo sguardo e, fissandolo con i suoi
occhi castani e
vuoti, gli disse soltanto una parola, l'ultima che il bambino avrebbe
sentito
pronunciare dalle sue labbra.
Vivi.
Quella
parola non smise mai di far parte della sua memoria, e tempo dopo
decise che
era giunto il momento di metterla in atto.
Dopo
il telegiornale, quella sera, Denis si infilò nel letto e
pianse.
Gettò
lacrime salate, le sentiva bruciargli gli occhi, scendere sulle guance,
nella gola,
lasciando scie infuocate al loro passaggio.
Non
piangeva da anni e non lo aveva fatto nemmeno quando la vide scomparire
lentamente a bordo di un treno.
Prese
in mano il ciondolo della collana, inondandolo di lacrime, portandoselo
alle
labbra e cominciando a baciarlo.
Erano
baci lievi, leggeri, ma portavano con sé dolore e nostalgia,
assenza e anche un
po' di tristezza.
Dentro
di sé sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter
rivedere anche solo per
un breve istante quei capelli castani appartenenti alla donna che si
era
impiccata nella stessa casa in cui era venuto al mondo.
E
quando comprese che davvero non avrebbe potuto farlo più, un
moto di malinconia
lo invase ancora una volta, liberandolo solo qualche ora dopo in un
sonno turbato
e irrequieto.
Quella
collana di gomma naturale sarebbe stata l'unica cosa che lo avrebbe
legato alla
sua famiglia per sempre.
~
Un'altra
settimana passò in fretta e finalmente la scuola
terminò.
Noël
era riuscita a scampare al rimprovero della madre, che non disse nulla
quando
la vide comparire dietro la porta della propria camera.
Il
giorno prima aveva intravisto Samira fuori dalla scuola, ma sembrava
avere
molta fretta e non la fermò.
Nonostante
fosse giugno inoltrato, la ragazza indossava un cappellino leggero e i
capelli
sembravano essere stati completamente rinchiusi all'interno.
Quell'ultima
settimana avevano passato molto tempo insieme, e Noël non
aveva più dubbi sul
fatto che fosse una ragazzina in gamba e di buon animo.
A
volte la vedeva con Denis, ma quasi le piaceva osservarli mentre
parlavano.
Talvolta
si avvicinava in una postazione in cui era sicura non potessero notarla.
Osservava
le labbra carnose del ragazzo, gli occhi azzurri e piccoli luccicare ai
raggi
del sole.
I
capelli che, con il riflesso della luce, parevano quasi rossi,
nonostante
fossero chiarissimi.
E
il suo viso, la mascella prominente che tanto avrebbe voluto baciare.
Le
piaceva tutto di lui, e più cresceva, più sentiva
di desiderarlo profondamente.
Pensò
che prima di morire avrebbe dovuto assolutamente assaggiare quelle
labbra
rosee, sfiorarle e lambirle ancora, fino ad arrossarle.
Semmai
lo avesse avuto, gli avrebbe indubbiamente lasciato i segni del proprio
passaggio.
Quel
sabato mattina Noël uscì di nuovo a stomaco vuoto,
incamminandosi verso la piazza,
sollevando lo sguardo, osservando la Basilica del Sacro Cuore.
Era
alta e imponente sopra di lei: quel giorno lassù doveva fare
molto caldo.
Attraversò
la piazza, andò oltre le case; si chiese che cosa stesse
facendo Denis in quel
momento.
Pensò
che avrebbe dovuto parlargliene. O forse no.
Forse
era meglio così.
Quando
oltrepassò anche l'ultima casa rosa, vide che la porta del
laboratorio era
aperta.
Così
ci sbirciò all'interno, e, non trovando nessuno,
entrò.
Quadri
di tutte le dimensioni si stagliavano innanzi ai suoi occhi, imponenti
e
profondi.
La
volta prima si erano fermate soltanto dieci minuti, ma aveva avuto modo
di
osservarne la maggior parte.
Ma,
ora che li rivedeva, le pareva di non averli mai visti prima.
Ad
ogni sguardo scopriva qualcosa di nuovo, un particolare che
precedentemente non
era riuscita a cogliere.
Forse
era la solitudine, o forse la paura di essere scoperti.
Soprattutto
il quadro del tramonto, le pareva bellissimo: poteva quasi sentire la
schiuma dell'acqua
sulle dita, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, la
sabbia
sottile che si deformava sotto al suo tocco.
Sognò
di camminare lungo la battigia, da sola, per la prima volta.
Sognò
il sole svanire dietro l'immensità blu, e il colore del mare
confondersi con il
celeste del cielo pronto ad accogliere la notte.
Sognò
di restare lì, sdraiata sulla sabbia, con un ragazzo biondo
accanto e di
potersi tuffare nuda con lui.
Ma
un rumore improvviso le ricordò che era soltanto un sogno ad
occhi aperti.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
«Ciao»
sentì dire Noël ad una voce
sconosciuta alle sue spalle.
Il
cuore prese a batterle forte e la paura si impossessò di lei
come potrebbe
farlo con qualcuno che è appena stato colto nel bel mezzo di
un'infrazione
gravissima.
Quando
si volse, però, ciò che vide fu soltanto il volto
di un uomo sorridente.
I
capelli grigi sembravano incollati al capo, la pelle era scura e
consumata dal
sole, ma gli occhi erano pieni di vita, grandi e vivaci.
Ebbe
l'impressione di averlo già visto da qualche parte.
«Ti
piace?» chiese l'uomo con voce
roca, senza smettere di sorridere.
Lei
si avvicinò: «Moltissimo».
I
loro sguardi si incrociarono per qualche istante.
«L'ho dipinto
qualche anno fa,
quando ero ancora a Nancy.
Lì
non c'è il mare e un giorno avevo tanta voglia di
vederlo».
L'uomo
non si accorse che Noël stava trattenendo il respiro. Aveva
occhi soltanto per
il quadro.
«Così
decisi di dipingerlo io
stesso; in questo modo avrei potuto vederlo ogni volta che avessi
voluto».
L'uomo
sorrise ancora, senza mostrare i denti.
«Non ti
sembra di essere davvero
su quella spiaggia?» le chiese con occhi allegri.
La
ragazza annuì timidamente: credeva di aver appena compiuto
un reato, invece lo
sconosciuto pareva non essere per nulla infastidito dalla sua presenza.
Poi
le rivolse un ultimo sorriso, prima di spalancare una porta bianca che
si
confondeva con la parete.
Lei
lo fermò a metà strada.
«Allora...non
è arrabbiato?» gli
domandò con apprensione.
L'uomo
si volse, ma questa volta la sua espressione era molto seria.
«Perché
dovrei esserlo?» sussurrò,
«se ti piacciono, è giusto che li
guardi».
Fece
una pausa, sbattendo le palpebre.
«È
giusto che, almeno qualche
volta, tu faccia quello che ti va di fare».
Poi
scomparve dietro la porta.
Noël
rimase impietrita e sorpresa dalle parole dell'uomo.
Pensò
che a volte basta soltanto osservare le cose da un altro punto di
vista, e
tutto può cambiare.
Avrebbe
potuto entrare in quella bottega ogni volta che avesse voluto.
In
fondo, glielo aveva detto lui.
Mentre
se ne andava, improvvisamente ricordò: i suoi occhi, la
fiamma dell'accendino e
il fumo della sigaretta, settimane prima nella piazza.
Poi
si arrestò, rimanendo immobile sulla soglia, con occhi
spalancati.
La
prima volta che aveva messo piede nella bottega era stato grazie a
Samira.
E
ricordò che la ragazzina aggiunse che era di suo padre.
Il
cuore cominciò nuovamente a batterle forte e la testa a
girarle
pericolosamente.
Dopo
un attimo in cui tutto le parve buio, Noël riprese a
riflettere e varcò la
soglia con un avvincente sorriso stampato sulle labbra.
Ora
sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Bastava
soltanto percorrere la strada dei sogni.
~
Quando
Noël vide sua madre, quella domenica mattina, le
sembrò un fantasma con le
occhiaie e i capelli troppo lunghi per una donna di soli quarant'anni.
Le
andò vicino, la salutò, percependo un odore di
alcol e sigaretta uniti insieme,
creando una mistura decisamente disgustosa.
Si
sedette al tavolo e ingoiò due ciambelle con la ricotta,
sorseggiando del latte
dal sapore così forte da lasciarle un disgustoso retrogusto
in bocca per tutta
la mattinata.
Quel
giorno lo passò a casa, disegnando sul suo diario.
Abbozzò
una strada sterrata contornata da alberi verdeggianti e rigogliosi, e
intorno
al sentiero dei sassi, ciascuno con delle parole incise sulle
estremità.
Molte
non erano nemmeno visibili, ma nelle pietre più vicine si
potevano leggere
chiaramente dei nomi: Sofia, Jan, Marek e Stefan, e infine, negli
ultimi più
vicini Paweł ed Ewa.
Poi
disegnò una ragazza dai capelli rossi, immobile al principio
del sentiero.
Era
voltata di schiena e il viso non era visibile, ma Noël avrebbe
giurato che ci
fosse un velo di timore negli occhi.
Forse
aveva soltanto paura di intraprendere quella strada.
Forse
perché non voleva allontanarsi dalle pietre più
vicine.
Alla
fine del sentiero si intravedeva un cartello di legno.
Ci
mise tutta la mattina a disegnarla.
La
chiamò “La strada dei sogni”.
~
Quando
Denis incontrò Samira quel giorno, notò subito
un'aria stanca sul suo volto.
I
suoi occhi non brillavano più al sole, i capelli erano meno
lucenti del solito.
A
osservarli bene, erano proprio diversi; persino il colore pareva
cambiato.
«Ti devo
mostrare una cosa» gli
disse impaziente la ragazza, conducendolo oltre la piazza.
Il
cuore di Denis perse un battito ad intraprendere quella strada.
Ad
ogni passo, un ulteriore velo di sudore gli imperlava la fronte.
Bastava
arrivare fino alla casa rosa per scorgere la bottega.
Ancora
due passi,
pensò, solo due passi e ci
siamo.
Poi
oltrepassarono anche quella, e le paure di Denis si placarono.
«Benvenuto
nell'atelier di mio
padre» annunciò la ragazza con un sorriso stanco.
Denis
rimase immobile sulla soglia, fissandola con sguardo allibito.
«Tranquillo, puoi
entrare» lo rassicurò, «tutti possono
entrare qui» sorrise.
Poi
lo spinse dentro, mostrandogli gran parte delle tele.
Denis
le conosceva molto bene, ma ascoltare la loro storia era interessante.
Il padre
di Samira aveva cominciato a dipingere all'età di tredici
anni.
«I
suoi genitori erano appassionati di pittura e un giorno lo portarono a
Parigi,
in una galleria alle rive della Senna.
Lui
passò ore ad osservare i quadri degli artisti della
galleria, cercando un senso
alle loro opere, un significato particolarmente affascinante, ma
raramente
trovò qualcosa che lo affascinò.
Alloggiarono
due giorni a Montmartre, e lui ebbe modo di notare anche gli artisti
della
strada per la Basilica.
Sarebbe
rimasto ore e ore a guardarli dipingere, mescolare i colori,
spennellare
cautamente per dar vita anche solo al minimo dettaglio»
spiegò la giovane.
Quell'anno,
il padre di Samira si innamorò di moltissime tele.
Sentiva
l'eccitazione e la commozione degli artisti di strada scorrere nelle
vene e
nelle loro opere.
Poteva
quasi toccare il loro tormento interiore, e il loro orgoglio di
mostrarlo al
mondo.
Quando
tornò a Nancy, provò a dipingere.
Nel’arco
di un paio d'anni, raffigurò sulla parete della propria
stanza da letto un
quadro bellissimo.
Di
giorno lo nascondeva dietro al comodino e i genitori non se ne
accorsero mai.
Non
volle mai mostrarlo a nessuno e, nonostante l'avesse terminato ormai da
molto
tempo, era sempre insoddisfatto e lo ritoccava in continuazione.
Poi,
un giorno abbastanza vicino a quel sabato, volle andarsene da quella
casa e
ordinò che tutto venisse distrutto.
Ma
prima che la palla demolitrice buttasse giù il muro, Samira
fece in tempo a vederlo,
anche se per pochi istanti.
Quando
uscì, si chiese perché volesse distruggerlo.
Non
capì, ma non chiese mai una spiegazione.
Farlo
avrebbe significato confessare ciò che aveva visto, e sapeva
che lui non glielo
avrebbe mai perdonato.
Improvvisamente,
osservandola mentre raccontava, Denis si chiese perché
Samira non parlasse mai
della madre.
Pensò
alla donna del terzo quadro nella stanza accanto.
Poteva
essere lei quella donna misteriosa? Oppure la ragazzina era stata
soltanto un
errore di gioventù?
Lui
non conosceva suo padre, ma se lo immaginò con una sigaretta
in mano, a
dipingere quella tela bianca nel laboratorio accanto.
Immaginava
le mani sudate scorrere sul pennello sporco di colore, e un po' di
cenere cadere
sulla tela.
Quando
se ne andarono, il ragazzo lanciò un'occhiata al quadro
appeso alla parete in
alto, come per controllare se fosse ancora al proprio posto.
Era
sicuro che Samira non fosse a conoscenza della sua esistenza; il suo
campo
visivo non l'avrebbe contemplato comunque.
Così
se ne andò con la figlia di un pittore misterioso, oltre la
casa rosa, verso la
piazza.
Sapeva
che sarebbe tornato.
Ma,
questa volta, non avrebbe più osservato nulla.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Noël
non sapeva come aveva avuto il coraggio di farlo.
Forse,
ne aveva semplicemente sentito il bisogno, quella notte in soffitta.
La
luna splendeva nel cielo e la illuminava nel suo minuscolo angolo
dietro la porta.
Stette
soltanto qualche minuto, poi tornò al piano di sotto, nella
sua
camera, preparando uno zaino in silenzio.
Poi
tornò in soffitta per prendere il suo diario, ma
improvvisamente le
cadde dalle mani, sbattendo violentemente a terra, aprendosi in due.
La
ragazza rimase immobile qualche secondo ma, non sentendo alcun
rumore, lo raccolse e cercò di ripiegare la pagina rovinata.
Nell'angolo
piegato c'era una piccola scritta blu, minuscola ma leggibile: non
mi avete mai conosciuto.
Lo
chiuse violentemente, riponendolo di nuovo a terra, esattamente al
centro della stanza; non lo avrebbe portato con sé, ma
lì sarebbe
stato al sicuro.
Poi
scese le scale a passi felpati, afferrò delle banconote dal
portafoglio della madre e uscì silenziosamente di casa.
Non
ci ripensò nemmeno un secondo. Non si volse.
La
luna piena illuminava il suo viso serio e determinato, e gli occhi
brillavano; quell'espressione, per chi la conosceva, poteva fare
persino paura.
Era
un'espressione pericolosa.
L'espressione
di qualcuno che ha tutta l'intenzione di prendersi ciò che
vuole, a
qualsiasi costo.
Passò
davanti al cimitero, davanti al locale, alla casa di Denis, ma non si
volse mai.
Sapeva
che avrebbe soltanto trovato persiane serrate e un tavolino solitario
al centro dell'ampia balconata.
Percorse
silenziosamente la strada degli artisti e quando arrivò alla
Basilica, non si trattenne a guardarla.
Sapeva
che sarebbe stata sempre la stessa, bianca e imponente davanti a
Montmartre.
Osservò
la città illuminata dall'alto: il fiume da lì
sembrava infinito e
la notte donava una luce particolare alla torre.
Parigi
sembrava non dormire mai. Niente in quel posto avrebbe mai avuto
fine.
Ma
lei sarebbe presto andata via da lì. Era l'unica soluzione
concepibile.
Prima
però, avrebbe fatto un ultimo viaggio: avrebbe visitato
ciò che le
interessava e l'avrebbe fatto da sola. Era elettrizzata da questo
pensiero.
Un
sorriso quasi malvagio si allargò sulle sue labbra.
Finalmente era
libera, libera e sola, come non lo era mai stata prima.
~
Non
avendo fatto colazione quel giorno, dopo essere usciti dalla bottega,
Denis e Samira si diressero al locale di fronte alla casa della
ragazza.
Il
giovane ordinò una tazza di cappuccino e, mentre addentava
un
biscottino alla cannella, Samira gli fece delicatamente notare un
fatto interessante.
«La
scorsa settimana sono venuta qui con Noël e mi ha chiesto di te».
Denis
smise di masticare e fissò la ragazza negli occhi.
«Sembrava
molto preoccupata. Innervosita da qualcosa, direi».
Effettivamente,
non parlavano più come una volta e anche lui aveva notato
dei
cambiamenti in lei.
«Io
non so niente»
si affrettò a rispondere,
ingoiando rumorosamente.
Denis
aveva intuito che la ragazza aveva altro per la testa: si erano
allontanati moltissimo l'uno dall'altra e, anche se non glielo aveva
detto espressamente, mai come allora aveva sentito la sua mancanza.
«Credo
che tu le piaccia»
sussurrò
Samira
all'improvviso.
Lui
continuò a mangiare, senza particolare stupore.
Non
ci aveva mai pensato prima e stentava a crederci.
Ma
il discorso terminò lì e Denis vide la ragazza
stringere gli occhi,
come se le dolesse qualcosa.
La
vide toccarsi il petto. Il
pomeriggio lui la portò fino alla Basilica e lei
lasciò scorrere il
fiume sotto il suo sguardo che, per un attimo, tornò a
brillare.
Ormai era sera ed era ora di tornare a casa.
Solamente
qualche ora dopo, su quella collina sarebbe tornata una giovane in
fuga.
Avrebbe
preso il traghetto e avrebbe attraversato la Senna in solitudine,
così come aveva programmato, abbandonando Montmartre per
sempre.
O
almeno così credeva.
~
Quando
arrivò davanti alla Torre Eiffel, Noël rimpianse di
non aver preso
il suo diario.
Avrebbe
voluto scrivere, disegnare osservando i turisti camminare incerti e
ammirare il panorama anche a quell'ora della notte.
Sapeva
che quella era soltanto una torre di ferro rimasta lì per
sbaglio,
par
hasard,
avrebbe voluto dire.
Sapeva
che avesse addirittura negato l'accesso a Hitler.
E
improvvisamente, davanti ai suoi occhi scorsero veloci delle
immagini, le grida, il caos della storia che la Francia aveva
ospitato, come sul nastro di un film: la belle époque, la
Prima
Guerra Mondiale, la Seconda e i deportati ebrei, il Velodromo dove
vennero rinchiusi, le sfilate,
come le chiamavano i nazisti, nelle strade verso i campi.
E
se fosse stata una di quegli ebrei? Quanti bambini e ragazzini della
sua età erano morti in quei campi? E nei treni? E per le
strade?
Aveva
soltanto avuto fortuna, era nata nel momento giusto.
Suo
padre era un mezzo alcolizzato, suo madre una donna depressa e
infelice e lei una ragazzina a metà strada, incerta sul
proprio
futuro come tutti gli adolescenti e incapace di realizzare i propri
desideri: ma che cos'era questo davanti alla devastazione di una
guerra, magari a causa di una bomba, oppure di una pallottola di
qualche cecchino?
Niente.
Niente,
pensò.
Un
vuoto le si formò in gola, e gli occhi le si fecero lucidi.
Avrebbe
voluto riabbracciare la madre e il padre, chiedere loro scusa per
ciò
che aveva fatto, per ciò che era e non era stata.
Si
sforzò di non piangere e le lacrime non scesero.
Si
chiese che cosa stessero facendo in quel momento, se fossero
preoccupati o sollevati.
Forse
non si erano nemmeno accorti della sua assenza.
Prima
o poi ci si accorge della mancanza di chiunque,
le disse una volta Denis.
Oh,
Denis.
Era
scappata soltanto da qualche ora e già le mancava
così tanto.
Istintivamente,
se lo immaginò da bambino, un bambino biondo, debole e
fragile e le
venne un'immensa voglia di abbracciarlo, di piangere tra le sue
braccia, di consolarlo.
Lui
era sempre allegro e spontaneo con lei e lei era sempre stata quasi
arrogante con lui.
Ma,
nonostante tutto, lui aveva deciso di restare.
Avrebbe
tanto voluto dirgli che gli voleva bene, che non lo voleva lasciare
andare.
Ma
sapeva che non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Così
rimase lì, accovacciata su una panchina di fronte alla
Torre, con le
lacrime a pungerle gli occhi, in una notte senza luna che sarebbe
stata presto dimenticata.
~
Quando
prese il pennello in mano, Denis non resistette alla tentazione di
toccarne la liscia peluria.
Era
morbida e delicata sotto i suoi polpastrelli e quasi gli dispiacque
intingerla nella pittura.
Ma
aveva un progetto in mente.
Aveva
raccolto un po' di colori e dell'acqua e si era seduto su una sedia
davanti alla tela bianca del laboratorio nascosto della bottega.
Come
al solito non c'era nessuno e la porta era aperta.
Così
Denis si mise comodo e cominciò a dipingere.
Intinse
il pennello nel bianco, cominciando dal fondo: dipinse un sottile
margine, poi immerse il pennello sporco in un colore grigio scuro,
dipingendo i due estremi inferiori della tela: ne uscì un
colore
simile a quello di una nuvola carica di pioggia.
Fu
quando intinse il pennello nel colore rosso che la porta del
laboratorio si spalancò scoprendo una figura esile dai
capelli grigi
e gli occhi chiari.
Le
rughe erano visibili sul suo viso e sembravano cedere al peso della
pelle.
Lo
sguardo era stanco e la chioma unta ma, quando lo notò, le
labbra
gli si aprirono in un debole sorriso.
Denis
si alzò bruscamente con il cuore in gola, prima di essere
fermato:
«Resta
pure»
gli disse
lo sconosciuto,
dirigendosi verso il grande tavolo al centro della stanza. «Non
sapevo proprio che cosa dipingere su quella tela.
È
come se le immagini
avessero smesso improvvisamente di trasmettermi la loro poesia»
aggiunse, afferrando un piccolo pennello.
Denis
era rimasto sbigottito e immobile per tutto il tempo, fino a quando
l'uomo non prese la maniglia della porta, con l'evidente intenzione
di andarsene.
Allora
ebbe il coraggio di parlare.
«Posso...?»
Il
ragazzo non riuscì a terminare la frase e lui rimase sulla
soglia,
con la mano ancora stretta alla maniglia.
Si
guardarono per qualche istante, quando l'uomo si diresse verso il
giovane, fermandosi a pochi centimetri dal viso, con aria minacciosa.
Denis
notò che impugnava il pennello come un'arma.
«Non
permettere mai a nessuno di fermarti quando vuoi fare qualcosa»
sussurrò.
Il
ragazzo lo guardò perplesso, sempre più confuso
da quell'assurda
situazione.
Quella
frase sarebbe valsa anche davanti ad una violazione di
proprietà, a
un omicidio oppure una rapina? Era questo che credeva quell'uomo?
Poi
lo vide distogliere lo sguardo, puntandolo sulla tela bianca.
«Non
capisco»
disse calmo, «che
cos'è?»
«Non
l'ho ancora finito».
Denis
si passò una mano fra i capelli dorati.
L'uomo
lo guardò con l'espressione di un matematico che ha appena
trovato
la soluzione all'enigma a cui lavora da giorni.
«Lei
è il padre di Samira?»
osò
poi il ragazzo.
Il
corpo dell'uomo si tese bruscamente e Denis vide il suo sguardo
vagare da una parte all'altra della tela: avrebbe giurato che, in
realtà, sapesse bene che cosa dipingere.
«Tu
conosci mia figlia?»
Lo
guardò finalmente negli occhi e Denis quasi si
pentì di averlo
domandato.
Il
giovane asserì, osservandolo dirigersi nuovamente verso la
porta.
«Aspetti,
mi dica almeno come devo chiamarla!»
«Non
avrai bisogno di chiamarmi. Quando avrai bisogno di me, io
sarò qui»
rispose lo sconosciuto, chiudendosi la
porta alle spalle.
E
Denis rimase lì, con un pennello ormai secco tra le mani, in
una
bottega che aveva il volto di quell'uomo.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
La notte Noël dormì su una panchina scomoda, poco lontano dal Campo di Marte, il giardino su cui si innalza la torre simbolo della Francia.
Fece molta fatica ad addormentarsi e non ebbe il coraggio di chiudere gli occhi.
Sembrava che la torre la sovrastasse e che volesse rimproverarla per ciò che aveva avuto il coraggio di fare. Lo stesso successe i giorni seguenti; la notte faceva freddo, anche se era giugno, e anche se cercava di reprimerla, Noël aveva una paura immensa.
Vagando solitaria per Parigi per la prima volta, aveva preso pienamente coscienza di ciò che era e soprattutto di ciò che erano le proprie possibilità, ma sapeva di non poter tornare indietro. Aveva compiuto una scelta e avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
Ma la vera e propria angoscia doveva ancora arrivare.
Quel giorno, diretta a nord – est di Parigi, passò davanti al cancello chiuso di una biblioteca e se non fosse stato per quella strana ragazza non se ne sarebbe nemmeno accorta: una donna sui trent'anni, alta e snella e con una sigaretta in mano passeggiava avanti e indietro di fronte all'entrata, evidentemente aspettando che si aprisse.
Di tanto in tanto si portava la sigaretta alle labbra e inspirava, i capelli morbidi sciolti sulle spalle, il vestito rosa svolazzante.
Nonostante non facesse nulla di particolare, Noël pensò possedesse una classe che aveva visto in poche persone fino ad allora. Possedeva la grazia di una dama reale, la bellezza vera e profonda di chi ha vissuto una vita densa di emozioni e di chi è pieno di saggezza.
Poi il mozzicone si spense e lei lo gettò a terra, schiacciandolo energicamente con una suola.
Improvvisamente, senza che entrambe se ne rendessero conto, i loro sguardi si incrociarono e la ragazzina le sorrise leggermente, forse per giustificare la sua curiosità, o forse no.
Ma la donna si voltò dall'altra parte, camminando dandole le spalle, e Noël continuò per la sua strada. Si allontanò un poco e si volse, vedendola concentrata su un cartello del cancello ancora serrato.
D'improvviso, provò un'enorme paura di quella donna. Paura delle persone come lei, così perfette.
E se da adulta fosse diventata così? Che cosa avrebbe fatto, e che cosa sarebbe successo?
Poi si mise quasi a correre, allontanandosi il più possibile da lì, da quella donna, da Parigi.
Il mattino dopo si sarebbe svegliata molto presto e si sarebbe messa subito in viaggio.
Voleva andare al Quartiere Latino. Prima però, avrebbe fatto una sosta al Pantheon e alla Sorbona.
Poi avrebbe continuato a percorrere la strada dei sogni.
~
La mattina del giorno seguente Denis tornò alla bottega, riprendendo il lavoro da dove lo aveva interrotto.
Erano tre giorni ormai che non sentiva Noël ed era preoccupato. Non era mai passato così tanto tempo senza che si sentissero.
Così quel pomeriggio decise di andare a casa sua: quando arrivò, suonò due volte prima che una donna dagli occhi rossi e stanchi e i capelli in disordine gli venisse incontro.
Ewa attraversò rapidamente il vialetto e, senza nemmeno salutarlo, gli fece una domanda che lo lasciò perplesso: «Dov'è Noël?»
I suoi vestiti erano semplici e sembrava che non si fosse mossa di casa da qualche giorno. I suoi occhi si assottigliarono alla potente luce del sole.
«Pensavo che lei lo sapesse» rispose Denis, «sono qui per questo».
La donna lo guardò come se possedesse una risposta, qualsiasi essa fosse, e solo allora il ragazzo notò un piccolo ciondolo azzurro al suo collo, un cuore decisamente stonante in quel contesto.
Poi, una frase.
«È scomparsa ieri» mormorò la donna sul punto di piangere. «Ieri mattina non c'era e nemmeno ieri sera è tornata a casa!»
Denis rimase un attimo sconcertato. Tutto intorno a loro era immobile.
«Perché non chiama la polizia?» riuscì soltanto a domandare il giovane. La donna non rispose e lo guardò supplichevole, con le lacrime agli occhi e una mano chiusa a pugno sulla bocca.
Lui la guardò intensamente e in quel momento le fece un'immensa tenerezza: sembrava una bambina innocente e Denis poteva sentire le parole volare nell'aria: Salvami.
~
Quella sera Noël aveva molta fame: era quasi un giorno intero che non metteva nulla sotto i denti. Decise di entrare in un modesto locale poco lontano dal Pantheon e prese posto accanto alla finestra.
Sapeva di non poter resistere ancora per molto. Sapeva che, se avesse voluto sopravvivere, sarebbe dovuta tornare a Montmartre e allora chissà che cosa sarebbe successo.
Tentò di guardare fuori: le luci del locale erano forti e luminose e i loro riflessi le impedivano di ammirare il paesaggio esteriore. Di tanto in tanto vedeva qualcuno passare e entrare, e le parole si accumulavano le une sopra le altre creando soltanto tanto rumore.
I soldi le sarebbero bastati ancora per qualche giorno; poi avrebbe dovuto cavarsela completamente da sola.
Spostando lo sguardo, vide un uomo e una donna eleganti sedersi al tavolo di fianco al suo e due giovani ridere spensierati al tavolo anteriore.
Tutti sembravano divertirsi, tranne lei: pensava di essere scappata per trovare la sua strada, ma in realtà era tutto un gioco.
Tutte le strade sono uguali: non conducono da nessuna parte.
Una musica classica la distrasse dai suoi pensieri. Ci volle un po', ma la melodia zittì tutti e in pochi minuti all'interno del locale ci fu completo silenzio.
La sua visuale si spostò sul piccolo palco al centro del locale, dove una figura alta e muscolosa si ergeva in tutta la sua bellezza.
Ma un attimo dopo la musica terminò, dando inizio ad un'altra: la figura iniziò a muoversi e a ballare e ben presto tutti rimasero ipnotizzati dalla sua danza. Una benda bianca gli copriva gli occhi e i suoi piedi si muovevano veloci scalzi sulla sabbia sparsa sul palcoscenico.
Sembrava un grande angelo che danzava al cospetto di Dio.
I muscoli erano scolpiti sul suo petto e Noël rimase incantata dall'atmosfera che era riuscito a creare quel ragazzo in poco tempo attorno a sé. Quando la danza terminò, l'uomo scese dal palco e scomparì dietro i pesanti tendoni rossi, la musica terminò e il brusio rianimò il locale.
Era stato magnifico. Anche se era durato poco, tutti ne erano rimasti conquistati. Quel giovane pareva sceso dal cielo apposta per illuminare Parigi e farla sognare con la sua grazia.
Fissò il palco ancora qualche minuto, sperando che tutto a un tratto lo sconosciuto ricomparisse e ricominciasse la sua danza.
Improvvisamente, si ricordò una frase di Burroughs: la cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili.
Da quel momento in avanti avrebbe fatto soltanto ciò che le andava di fare.
Nient'altro.
~
Śródmieście, Breslavia, agosto 2007
Una bambina dai capelli rossi e un nastro rosa sulla testa rise rumorosamente alle parole della nonna. Camminando, poteva vedere le case a schiera rosse, verdi e blu accostate le une accanto alle altre.
Lontano, alla fine della strada, un breve rivolo d'acqua scorreva, azzurro e pulito in una giornata limpida come quella di agosto di quell'anno.
Per la strada, la bambina guardò incuriosita alcuni gnomi di ferro con ai piedi delle insegne, ma non riuscì a leggere ciò che ci fosse scritto, perché la nonna la trascinò subito verso il fiume.
Ne vide altri, ma ancora non sapeva che erano il simbolo di Breslavia per eccellenza e che ce ne sarebbero stati ovunque sul loro cammino.
La donna teneva stretta la manina della bambina raccontandole la sua storia, e lei gradiva immensamente tutto ciò.
Camminando lungo il fiume, raccontava della Seconda Guerra Mondiale, di come la Polonia fosse stata rasa al suolo dalle bombe, di come lei fosse riuscita fortunatamente a sopravvivere. Le raccontò di suo padre, che un giorno partì per Varsavia e non tornò più.
Nonna Sofia possedeva una fattoria con un immenso terreno e la bambina, durante quel breve soggiorno aveva avuto modo di accarezzare la lana soffice delle pecore, farsi leccare le mani dalle capre, imparare a mungere le mucche e raccogliere le uova delle galline.
Ogni mattina il gallo la svegliava col suo canto squillante e ogni volta che scendeva le scale per la colazione la nonna era già in piedi, pronta per lavorare. In dieci giorni le insegnò a cucire, a ricamare e a piantare i semi delle verdure nel terreno.
Quando era in sua compagnia Noël era felice e spensierata. Furono giorni magnifici per lei.
La casa della nonna era grande, e a lei era stata affidata la vecchia camera dell'unico fratello di sua madre, Michał. Lui ora viveva in un'altra città e la sua stanza era quasi vuota, a eccezione del piccolo armadio, il letto e una fotografia sul comodino.
Era la foto di un uomo con i capelli completamente bianchi e gli occhi grigi come pietre levigate dalle onde del mare; il naso era storto e le labbra parevano secche e consumate dal tempo.
Nella foto, l'uomo aveva la bocca socchiusa, ma non sembrava un sorriso ciò che aveva dipinto in volto: pareva più un ghigno di stupore, come se l'autore della foto l'avesse immortalato di sorpresa, senza alcun preavviso.
Nell'angolo inferiore dell'immagine si intravedeva il lembo di una maglia azzurra, forse un maglione di lana.
«Nonno Stefan...»
L'anziana donna si sedette sul letto. «Sfortunatamente tu non l'hai mai conosciuto, tesoro».
Emise un lieve sospiro: «È stato un bravo marito e un buon padre».
In quei giorni, Noël aveva avuto modo di conoscere anche i suoi cugini, Marek e Stefan.
Marek aveva quattordici anni e spesso se ne stava in disparte, con gli adulti. La bimba non riusciva a capire se lo facesse solo per sentirsi grande o perché veramente si annoiava con loro.
Un giorno la nonna le chiese di raccogliere le ultime pesche dal grande albero, esattamente al centro del suo terreno, poco lontano dalla casa.
Marek fu l'unico a volerla accompagnare; camminarono l'uno di fianco all'altro, osservando il cielo al confine del campo verde e improvvisamente lui le chiese come si vivesse in Francia, se fosse diverso e migliore.
Noël farfugliò qualcosa e il cugino sembrava non avere voglia di insistere.
«Vuoi andartene da qui?»
Invece di raccogliere i frutti, il ragazzo si accasciò ai piedi della pianta. Lei lo imitò, senza ripetere la domanda.
Stettero in silenzio per quelli che parvero minuti, quando finalmente Marek rispose con un sospiro rassegnato.
«Tak. Sì, Noël».
Lei comprese e non rispose. Restarono a guardare l'orizzonte fatto di grano e campo e cielo.
Cielo azzurro come quello di Montmartre.
«E dove vorresti andare?»
Il ragazzo esitò. «Non lo so. Via e basta».
Note d'autrice:
Rileggendo ed editando questo capitolo mi sono resa pienamente conto di quanto scrivessi male sei anni fa ^^''
Per cui ora mi rivolgo ai lettori che mi seguono: notate delle differenze sostanziali tra questa storia e le più recenti? Quali sono secondo voi?
Non abbiate paura di offendermi, sono curiosa!
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