That's how they slyther in

di Greynax
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'accompagnatrice inaspettata ***
Capitolo 2: *** Un cattivo auspicio ***
Capitolo 3: *** Il ferito ***
Capitolo 4: *** Due lettere, un risveglio ***
Capitolo 5: *** Una riunione malriuscita ***
Capitolo 6: *** Non-buon compleanno, Harry ***
Capitolo 7: *** Sopravvivere a Grimmauld Place ***



Capitolo 1
*** Un'accompagnatrice inaspettata ***


Accompagnatrice
Cinque minuti alla undici, e nonostante la lettera di Silente Harry non aveva avuto il coraggio di farsi molte aspettative. Se guardava fuori dalla finestra era più che altro perché non c'era molto di meglio da fare. Edwige era a caccia, buon per lei. Era troppo tardi per mettersi a fare i compiti (e prima era troppo presto, e il giorno precedente era troppo in ansia, quello ancora prima era troppo arrabbiato). Di preparare il baule non se ne parlava, non avrebbe potuto sopportare l'idea di essere pronto a partire con il preside e venire invece dimenticato lì dai Dursley come al solito, isolato da tutto e da tutti, messo in panchina senza nessuna buona ragione apparente o, almeno, nessuna ragione che qualcuno si degnasse di spiegargli.
Di leggere la Gazzetta del Profeta neanche a parlarne. I giornali sparsi ovunque per la stanza piuttosto lurida si dividevano in due categorie: i numeri che ormai conosceva a memoria e quelli che a malapena era riuscito a leggere, nascosti sotto quelli più recenti. La Gazzetta di quella mattina rientrava nella prima categoria, lo faceva sentire ancora più distante da tutto con i suoi articoli un po' riciclati sugli omicidi Vance e Bones, sul ponte crollato, sulla tragedia a West Country.  Nelle pagine interne, l'unico articolo a cui aveva dato solo una scorsa veloce, con il cuore che sembrava raggrinzirsi dolorosamente ad ogni battito e un peso improvviso sullo stomaco: "Ancora nessun commento sulle condizioni della giovane Ginevra Weasley", iniziava, per poi continuare come tutti gli altri articoli su quell'argomento. Un breve riassunto sulla battaglia all'Ufficio Misteri, in cui venivano citati solo i nomi degli studenti coinvolti (e solo quello di Harry veniva ripetuto più volte), mentre i membri dell'Ordine della Fenice venivano citati di sfuggita come "tempestivo intervento di alcuni Auror e volontari informati dei fatti". Ancora nessun accenno su Sirius, e dalle lettere del padrino Harry aveva avuto la distinta impressione che niente fosse cambiato. Che fosse ancora un reietto, un ricercato, ancora prigioniero a Grimmauld Place, per quanto questo gli sembrasse assurdo. Se i membri dell'ES erano eroi, se gli "Auror e volontari" lo erano altrettanto, anche se meno citati... perché non Sirius? Ma le lettere che riceveva dal suo padrino non lo volevano o non lo potevano spiegare, vaghe come tutto il resto della sua corrispondenza non troppo fitta con i membri dell'Ordine della Fenice o Hermione, scritte con la stessa scarsità di informazioni di quelle che riceveva l'anno prima.

Da Ron, ancora nessuna lettera.

Stava rimuginando di nuovo su questo, con una sferzata d'ansia che lo costringeva prima a tamburellare col tallone contro il pavimento, e poi a camminare per la stanza, ignorando la finestra, con le mani ficcate nelle tasche dei jeans cadenti e una postura raccolta, nervosa, quando sentì aprirsi una porta - la porta, quella d'ingresso, la riconosceva - e, subito dopo, la voce con toni insolitamente acuti di zio Vernon.

«E lei chi diavolo è?!»
Non volava così dall'ultima volta che aveva cavalcato la sua Firebolt, quindi troppo tempo fa in effetti, grazie alla Umbridge.  Toccava a malapena i gradini con le suole mezze scollate delle scarpe da ginnastica vecchie di Dudley, ma la discesa a rotta di collo ebbe uno stop improvviso sul  penultimo gradino. Restò bloccato, aggrappato al corrimano e con il corpo un po' sbilanciato in avanti. Non osò procedere oltre.
Era sempre meglio rimanere fuori dalla portata di Vernon, cosa in realtà non difficile visto che col passare degli anni la sua pancia rischiava sempre più di arrivare ad avere una portata maggiore di quella delle sue braccia, ma non fu certo la prudenza a bloccarlo là sulle scale, con gli occhi enormi di sorpresa e gli occhiali storti.

Non si aspettava Silente, è vero, però non si aspettava neanche... questo.

Sull'uscio della porta d'ingresso, esitante ma con la schiena dritta e il mento alto, c'era... Esther? Jones? Un membro dell'Ordine della Fenice, di questo Harry era certo. Abbastanza certo. Che fosse una strega, con pochi contatti coi Babbani, era ancora più certo, dato l'abbigliamento a suo modo splendido, se vogliamo, ma ben poco adatto alla tranquilla ordinarietà di Privet Drive.
Niente mantello, bensì qualcosa che somigliava più a una vestaglia o a un kimono, sui toni di un fucsia aggressivo. Un vestito a fiori a mezzacoscia, e dei calzini bianchi di spugna tirati sui polpacci forse un po' troppo ben torniti. Scarpe dal tacco vertiginoso, di un rosso acceso. Harry ebbe il tempo di chiedersi cosa, esattamente, insegnavano a Babbanologia - e nel frattempo... Esther? Heather? La donna stava parlando.

«Salve? Credevo foste stati avvertiti. Il Preside non è potuto venire, e... sono Hestia Jones.» cinquettò la strega, con le gote più rosse del normale e un sorriso ampio. Sporse appena il collo verso le scale, oltre lo strano trenino di zio Vernon, Petunia e Dursley che, con fortuna alterna, cercavano di sbirciare la donna e contemporaneamente nascondersi dietro la mole dell'uomo. «Harry? Il tuo bagaglio è... ehm, posso entrare? Grazie...» E la strega svicolò oltre i suo parenti, sembrava sempre più a disagio, il suo sguardo non era mai fermo, bensì saettava da uno all'altro, confusa.
«Dovremmo andare in fretta e... aspetti, ho una lettera per.... Petunia?» allungò esitante una pergamena strettamente arrotolata verso sua zia, ma invece di prenderla la donna si fece più piccola dietro a Vernon.

Harry attese ancora un attimo (cosa c'era scritto in quella lettera e, a parte l'ovvio, perché Petunia non la stava leggendo?) ma, dopo un attimo troppo lungo di immobilità si decise ad una ritirata ben poco graziosa verso la seconda camera di Dudley - o la sua camera, anche se le parole non riuscivano ancora a suonargli giuste.

Quando scese di nuovo, a tempo record, niente nei suoi parenti o in Hestia riusciva a dargli qualche informazione ulteriore su quanto fosse successo. La strega sembrava ancora più... a disagio? O forse arrabbiata, a giudicare da come aggrottava le sopracciglia. Nessuna pergamena in vista, non più. Ma i Dursley erano silenziosi, l'occasione per sfuggirgli era comunque ottima, quindi Harry si fece avanti faticosamente col suo baule e la gabbia vuota di Edwige.
Hestia tirò su un sorriso ampio ma ben poco convincente. «Ottimo. Possiamo andare. E... se vuoi salutare i tuoi zii io posso...»
«Arrivederci» borbottò Harry, piegato a metà e goffo per il dover trascinare tutto il suo bagaglio. Udì dei grugniti venire dai suoi zii - da zio Vernon sopratutto, mentre Petunia si limitò a un "hmmmm" a labbra contratte. Dudley rimase muto, ancora impegnato nella difficile impresa di farsi il più piccolo possibile.
Hestia esitò ancora sull'uscio, come in attesa di qualcos'altro, ma la vicinanza di Harry o forse le istruzioni ricevute la convinsero ben presto ad allontanarsi dalla porta.


«Avevo sempre pensato che i Babbani fossero più... normali? Più simili a noi» si lasciò sfuggire Hestia, durante il tragitto a piedi lungo la sonnolenta e deserta Privet Drive.
Harry sentì una vampata calda sul viso, aprì la bocca e subito la richiuse. In che maniera ci si poteva giustificare quando la propria famiglia riusciva ad essere così pessima da far rivalutare i sentimenti d'uguaglianza addirittura a un membro dell'Ordine della Fenice?
Alla fine gli uscì di bocca un verso involontariamente un po' buffo, forse di assenso, forse semplicemente un gemito, prima che la perplessità tornasse di prepotenza nei suoi pensieri e gli desse modo di trovare un altro argomento di conversazione.
«Perché il preside non è potuto venire?»
«Oh. Ehm... c'è stato un incidente» fece lei, vaga, con un sorriso che sebbene mostrasse i denti somigliava pericolosamente  a una delle smorfie a labbra strette di zia Petunia. Non le donava affatto.
Harry si fermò di colpo, con il cuore nuovamente in gola.
«Un incidente? Chi - cosa? Stanno tutti - stanno tutti bene? Sulla Gazzetta non...»
«Pffff, quella. Figuriamoci se la Gazzetta del Profeta... be', in questo caso in effetti è normale che non lo siano venuti a sapere, ma comunque...»
«Chi è morto?»
«Morto? Oh, no. No, nessuno» si affrettò a rispondere la strega, con una risatina veloce che suonava un po' troppo acuta. «Si tratta solo di un intoppo. Già, un intoppo. Niente di cui tu ti debba preoccupare.»
Il viso roseo di Hestia era nuovamente serio, con una strana nota di pena, di pietà quasi, nella voce e nello sguardo.
«Hai già fin troppe cose a cui pensare. Alla tua età, poi. Di tutte le cose ingiuste che possono succedere a qualcuno...»
«VOGLIO---» sbottò Harry a pugni chiusi, ormai ben oltre i limiti dell'umana sopportazione, ma Hestia con una smorfia allarmata arrivò direttamente a tappargli la bocca con una mano. Più che il gesto della strega fu la sorpresa ad impedire ad Harry di continuare comunque a sgolarsi. Restò molto fermo a fissarla per un attimo, finchè Hestia non lo lasciò andare.
«Scusa. Scusa.» mormorò, frettolosa, preoccupata e adesso ancora più chiaramente in pena.
«Ma è meglio non parlarne qui. Ti spiegheranno tutto quando arriveremo tu-sai-dove.»
Harry non era troppo sicuro di sapere dove fosse quel "tu-sai-dove", ma si limitò a fissarla con occhi enormi e un'ansia non del tutto sotto controllo.
Hestia espirò lentamente ed allungò un gomito in direzione del ragazzo, come se si aspettasse di essere presa a braccetto. «Credo che qui vada bene. Andiamo?»
«Ehm... in che senso?»
«Materializzazione congiunta. Siamo abbastanza lontani e siamo abbastanza al sicuro, abbiamo una specie di scorta...»
Chi? E dove? Harry vedeva solo i soliti prati regolari, le solite case sonnacchiose, le automobili lustre parcheggiate nei vialetti tutti uguali.
«Materializzazione... congiunta?» riuscì a ripetere, alla fine, perplesso.
«Oh.» fece Hestia, ridendo appena. «Non ti preoccupare. Basta che mi prendi il braccio... ecco, così.... ci siamo? Può non essere piacevole, ma,  be'...»

D'improvviso l'ambiente cambiò, ed Harry non fu del tutto stupito nel trovarsi davanti al numero tredici di Grimmauld Place. Sorprendentemente fu la sua cena - niente di spettacolare, a dire il vero - ad essere confusa, dato che se la sentì improvvisamente in gola e fu costretto a rimandarla giù in una specie di conato all'incontrario.

«Mi dispiace» mugolò Hestia Jones, con tutta l'onestà di questo mondo. «So che non è gradevole... sai cosa? Preferirei usare la scopa. Seriamente. Ma se ci chiedono di spostarci così... mi raccomando, fai silenzio all'ingresso. Lo sai già? Sì? La madre di Sirius non ci apprezza... non che la cosa mi ferisca, ovviamente, ma è comunque piuttosto fastidioso.»
In qualche modo Hestia si era impadronita del baule e della gabbia vuota di Hedvige, e in qualche modo questo andava più che bene per lo scombussolato Harry, che riuscì ad oltrepassare l'ingresso senza allertare niente di fastidioso, quadro incluso.

Stava ancora combattendo contro le ginocchia un po' molli quando, dopo appena un paio di passi nella cucina, si ritrovò stretto nell'abbraccio del suo padrino. E niente ebbe più  importanza.
Anche se puzzava di alcool, anche se puzzava e basta, Sirius era lì. Ridente e sguaiato, con ben pochi pensieri alla quantità di ossigeno che Harry stava ricevendo durante quella strizzata affettuosa - e, subito dopo, Lupin.
Per un momento Harry si aspettò un abbraccio, simile a quello in cui l'aveva intrappolato Sirius appena un istante prima, Sirius che ancora gli stava addosso, anche se in maniera meno invasiva. Ma il lupo mannaro, dopo un attimo di esitazione, si limitò a stringergli piano una spalla e a parlare con la stessa voce mite che Harry ricordava.

«Siamo felici di vederti.»

Grimmauld Place era silenziosa e ammuffita come al solito, Hestia Jones aspettava in disparte ed Harry non riuscì a fare a meno di pensare, scioccamente, "ora va tutto bene" - anche se le voci di Lupin e Sirius erano basse e nella casa c'era, tutto sommato, troppo silenzio.






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Capitolo 2
*** Un cattivo auspicio ***


Accompagnatrice
«Tutto bene, Harry?»  chiese Remus, con il suo solito sorriso gentile. Peccato per lo sguardo vacuo, quasi allucinato, per il modo in un cui la pelle del viso segnato sembrava tirata sulle ossa - e si ritrovò a chiedersi a che punto della fase lunare si trovavano, mentre rispondeva con un brio esagerato.
«Sì. Sì, tutto bene. Non riesco a credere di essere qui, pensavo di rimanere bloccato dai Dursley tutta l'estate, e... cosa c'è?»  s'interruppe, sbalordito, alle occhiate rispettivamente scocciate e preoccupate che Sirius e Lupin lanciarono in direzione delle scale. «È meglio se abbassi la voce»  replicò Lupin, mite, con una specie di smorfia di scuse.
«Perché?»  sussurrò lui, piano piano, con un'occhiata confusa all'ingresso. «Per la mamma di Sirius? Ma non...»
«Magari fosse solo lei il problema. No, abbiamo un altro gradevolissimo... ospite» mormorò il suo padrino, con un qualcosa di gelido nell'espressione e nella voce.
«C'è stato un incidente, Harry. E questo è il posto più sicuro di cui disponiamo al momento, quindi lo stiamo usando anche come... infermeria, diciamo»  si affrettò a spiegare Lupin, in tono vago e rassicurante, benchè la cupezza del suo sguardo troppo fisso non aiutasse molto Harry a trattenere l'ansia.
«Si può sapere cos'è successo?»
I due adulti si scambiarono uno sguardo veloce, poi  Sirius gli premette piano una mano dietro la schiena. «Ne parliamo dopo, Harry. Dopo cena. Va bene, è un po' tardi, ma... hai fame? Intanto che preparo qualcosa puoi sistemarti nella camera dell'altra volta, che ne dici? E il tuo gufo?»
Si guardò brevemente attorno, con un'occhiata interrogativa ad Hestia, rimasta immobile insieme ai bagagli sull'uscio della cucina, le mani congiunte, l'espressione solenne.
«Credo che... riuscirà a raggiungermi?»  mugolò, in effetti un po' insicuro.
«Era fuori, quando siete partiti? Nessun problema, vedrai che ci troverà, figuriamoci. Però, nei prossimi giorni, è meglio se non la lasci uscire più di tanto»  sbuffò. «Solite misure di sicurezza, insomma. Siamo ancora bloccati qui. Io più di tutti»  concluse, amaramente.
«Ma adesso che sanno che Voldemort è tornato credevo che...»
Sirius rise piano, amaramente, con la testa che ciondolava sconfitta. «Kingsley sta cercando di convincerli a riesaminare il mio caso. Peccato che il Ministero abbia già dovuto ammettere di essersi giusto lievemente sbagliato sul ritorno della peggiore calamità dei nostri tempi, e tra questo e il fatto che non sono ancora riusciti a fare un singolo arresto degno di nota...»  sospirò. «Beh, diciamo che non hanno nessuna fretta di rispolverare vecchie storie e altri sbagli. Ma non ti preoccupare. Vai a sistemare la tua roba, su. Ne riparleremo dopo cena.»
Eppure sentiva di doversene preoccupare. Non era forse a causa della prigionia di Sirius in quel posto disgustoso che aveva rischiato di perdere il suo padrino appena pochi mesi prima? O a causa di Voldemort, okay, alla fine era colpa sua... anche se neppure Piton aveva aiutato. Lui e le sue stupide frecciatine a Sirius, lui e i suoi stupidi ritardi nell'avvertire l'Ordine.
Ma era un po' difficile preoccuparsi ancora di questo mentre trascinava il baule su per le scale ed erano i suoi alluci ad essere davvero in pericolo.

Harry ci mise un bel po' a scendere di nuovo in cucina, e non perché avesse incontrato difficoltà a mollare baule e gabbia nella stanza in cui aveva vissuto così a lungo l'anno prima. No, si era soltanto preso del tempo per curiosare colpevolmente in giro, con una rabbia rancorosa che riusciva a spazzare via quasi ogni remora. Era decisamente stufo di ricevere solo informazioni centellinate con tutta la calma di questo mondo e, anzichè combattere i due membri dell'Ordine per strappargli di bocca qualcosa, aveva deciso di vedere con i suoi occhi chi stava passando la convalescenza a Grimmauld Place. E, perché no, magari avere qualche informazione di prima mano proprio da lui. O da lei, si corresse mentalmente, dato che non gli avevano detto proprio un bel niente sul ferito.
A quanto pare combattere Voldemort per la terza volta in quattro anni non era ancora abbastanza per avere il diritto a una visione un po' più completa della tragica situazione in cui si trovavano tutti - e lui più degli altri.

Non aveva però fatto i conti con la più semplice, scontata e fastidiosa delle difficoltà: le porte chiuse a chiave. Scocciato e sempre più rabbioso ad ogni maniglia strattonata, stava per tornare nella sua stanza a prendere il coltellino regalatogli da Sirius quando dei passi su per le scale lo fecero automaticamente scappare a nascondersi dietro l'unica altra porta su quel piano a non essere serrata: quella del bagno.
Subito si maledisse per l'attimo di codardia. Alla fine non stava facendo niente di sbagliato, aveva il diritto di sapere e di avere risposte quando voleva lui, non quando gli altri si degnavano di parlare.
Stava per uscire allo scoperto e pretendere ciò che gli si doveva, ma oltre lo spiraglio della porta vide Lupin trascinare i piedi lungo il corridoio e non ne ebbe più il coraggio. Aveva un'aria così... sconfitta. Tutto, dall'espressione alla postura, lo faceva somigliare a qualcuno in coda dietro a un carro funebre, con lo sguardo assente di chi non se n'è ancora fatto una ragione. Eppure la scodella che si portava dietro era un dettaglio incoraggiante, no? Se era per il ferito, almeno voleva dire che riusciva a mangiare...

Non ebbe il cuore di uscire allo scoperto, e a malapena riuscì a tenere lo sguardo sulla figura distrutta di Lupin mentre l'uomo batteva la bacchetta su una porta, l'apriva e spariva all'interno, chiudendosela alle spalle un po' impacciato. Harry esitò quel tanto che gli bastava per leggere ad occhi strizzati il cartello tutto sommato elegante che avvertiva di "non entrare senza il permesso di Regulus Arcturus Black". Poi sgusciò fuori dal bagno e scese le scale, il più silenziosamente possibile, con un pensiero involontario e un po' morboso in testa: mettere un ferito nella camera di un morto forse non era la più luminosa delle idee.
Pareva di cattivo auspicio.

Hestia era sparita, notò, ma solo distrattamente. La vista di Sirius ai fornelli non riuscì a cancellargli del tutto la confusione e l'ansia dal volto, anche se il suo padrino ci mise un po' ad accorgersi non solo della sua espressione, ma anche della sua presenza: era troppo occupato a barcamenarsi tra bacchetta, padelle e bicchiere sempre in mano - pieno di Whisky Incendiario, se il colore del liquido e i precedenti del mago non lo ingannavano.
«È quasi pronto, giuro. Se non dovessi perdere tempo con quelle stupide pappette sarebbe tutto molto più - oh, be', cosa ci vuoi fare, sai com'è, la vita è sofferenza, anche senza Dissennatori trova sempre la maniera di farti penare» concluse, con una certa ironica allegria e la voce sempre bassa, prima di accorgersi finalmente dell'aria lugubre del figlioccio. Esitò a lungo mentre Harry prendeva posto, tanto che agitò la bacchetta verso le pentole con un po' di ritardo, quando già l'odore di bruciato aveva iniziato a farsi sentire.
«Mi... dispiace. Suppongo che siamo stati un po' troppo misteriosi, non è vero?»  disse, alla fine, con un sorriso storto che pareva più una smorfia. «Ma è stato un brutto colpo. Bada bene, quel bastardo non mi è mai piaciuto e sono dell'opinione che comunque ha raccolto quel che ha seminato, niente di più e niente di meno. E poi comunque lo sapeva quel che rischiava... adesso perlomeno abbasserà un po' la cresta.»
«Chi?»  chiese Harry, spazientito, quasi esasperato, buttando le mani per aria. «Si può sapere cosa...»
«Va bene, va bene. Solo non... insomma. Lo so, non migliora la nostra situazione, anzi. Ma non è il caso di scoraggiarsi. Ce la caveremo benissimo anche senza di lui. Voglio che questo sia chiaro, perché...»
«Ed io voglio sapere cosa sta succedendo!»  sbottò Harry, anche se quasi si pentì dell'urlo quando Sirius mandò di nuovo un'occhiata verso le scale.
Alla fine l'uomo sospirò e rimestò in una pentola. Harry ebbe la distinta impressione che lo facesse solo per non guardarlo negli occhi.
«Piton si è bruciato la copertura. L'hanno scoperto.»

Il silenzio che seguì fu lungo e pesante, e non perché Harry non avesse niente da dire. Solo, non sapeva da che parte iniziare.
Era ancora lì con le labbra semiaperte e gli occhi sgranati sotto le lenti degli occhiali vecchi e un po' storti quando Lupin riemerse dai piani superiori, con la scodella  in mano. Il che offrì a Sirius l'opportunità di cambiare discorso. Più o meno.
«Com'è andata?»
Remus scosse piano la testa, lo sguardo basso. «Niente da fare.»
Rimestò per un attimo nella scodella ancora piena col cucchiaio, prima di lanciare un'occhiata in tralice a Harry. Aggrottò la fronte. «Gliel'hai...»
«Com'è successo?»  riuscì a chiedere Harry, con voce strozzata.
Gli altri due si scambiarono un'occhiata, e alla fine fu di nuovo Lupin a prendere la parola.
«Non ne siamo sicuri. Crediamo che abbia qualcosa a che fare con l'assassinio di Emmeline Vance...»  irrigidì la mascella e mollò la ciotola vicino all'acquaio, in un gesto nervoso. «Sappiamo... pensiamo, almeno... che sia stata torturata prima di...»
La voce del lupo mannaro sfumò in un niente di fatto e fu Sirius, mentre riempiva goffamente tre piatti di un misto informe di verdura, carne e uova bruciacchiate, a riprendere da dove l'altro mago si era interrotto.
«Sono tutte supposizioni. Piton aveva il guinzaglio lungo. Certo, i suoi rapporti erano regolari - e quanto ci godeva, a fare il gradasso durante le riunioni dell'Ordine - ma comunque non è che venisse qui tutti i giorni. Passava un po' di tempo tra un incontro e l'altro, e non è che sapessimo dov'era e cosa faceva ventiquattr'ore su  ventiquattro. Per fortuna. Quindi, insomma, potrebbero averlo preso subito dopo la morte di Emmeline, oppure qualche giorno dopo. Magari tutto questo non ha niente a che fare con lei, ma è comunque una strana coincidenza. E Silente non crede molto alle coincidenze, di questi tempi.»
Lupin annuì alle parole dell'altrò, e sembrò ritrovare la voce. Ma il tono era quasi svagato, pronunciava le parole lentamente, lo sguardo sempre basso.
«Sappiamo comunque che qualcosa deve averlo tradito. Ha saltato la riunione immediamente successiva all'omicidio di Emmeline, ma questo non ci ha messo particolarmente in allarme. Abbiamo iniziato a preoccuparci davvero solo quando non si è fatto vedere neanche a quella dopo, quando a rigor di logica sarebbe dovuto essere lì a spiegarci cosa le era successo, come erano arrivati a lei, e quali sarebbero state le prossime mosse dei Mangiamorte.  Ci siamo allarmati, ma non sapevamo dove cercarlo... credo che Silente avesse qualche idea sui posti che frequentava abitualmente, ma neanche lui aveva notizie da darci. Sembrava sparito nel nulla.»
Il "clack" del piatto appoggiato bruscamente sul tavolo di legno graffiato e bruciacchiato non strappò nessuna reazione ad Harry. Ascoltava e basta,  con quell'aria un po' deperita non del tutto dovuta agli scatti di crescita e alla generale sgraziataggine del corpo di un adolescente.
Lupin serrò per un attimo le mascelle, come perso in ricordi sgradevoli. Poi continuò a raccontare mentre Sirius, finito di sistemare i piatti sul tavolo, si sedeva di fronte al suo e iniziava a stuzzicare di malavoglia il contenuto con una forchetta.
«Eravamo allarmati ma non eravamo nel panico, non proprio. Potevano esserci mille motivi per un silenzio prolungato... devi capire, Harry, che era normale che il lavoro di Severus lo potesse far sparire per qualche giorno. Entrambi i suoi padroni gli davano una notevole libertà d'azione, ben sapendo che l'altro poteva avergli dato qualche compito importante, e che il mantenimento della copertura e la raccolta di informazioni avevano la priorità su tutto. Abbiamo capito quanto fosse grave la situazione solo una settimana fa.»
E qua intervenne Sirius che, dopo una forchettata pro-forma, era passato nuovamente a bere lunghe sorsate di quello che, a giudicare dall'aria smunta, era comunque il suo pasto preferito. Tanto che appellò direttamente la bottiglia di Ogden, con un cenno distratto della bacchetta, ignorando l'occhiataccia scoraggiata di Remus.
«L'ha trovato Aberforth» e, all'occhiata vagamente interrogativa di Harry, si affrettò a specificare. «Il fratello di Silente. Piton è riuscito a  Materializzarsi nella cantina della Testa di Porco...»
Solo a questo punto la mente di Harry riuscì a fare qualcosa di diverso dall'immagazzinare, inerme, la quantità di informazioni sgradevoli che gli venivano offerte. Ebbe per un attimo la visione del trascurato e così stranamente familiare oste della Testa di Porco e - Silente aveva forse detto qualcosa a proposito di suo fratello e di... capre? Ma intanto Sirius stava continuando a parlare, ed Harry era piuttosto impegnato a mantenere un'espressione per lo più neutrale. Non poteva farsi vedere inorridito, o preoccupato. Avrebbero smesso sicuramente di parlare...
«Ci ha detto che Piton aveva un coltello a servomanico...»
«Serramanico»  intervenne Lupin, tra una forchettata e l'altra, masticata meccanicamente, lo sguardo perso nel vuoto.
«Sì, quello. E una bacchetta. Non la sua, a quanto pare. Un'altra. Silente crede che sia riuscito a rubarla a un Mangiamorte. Non siamo ancora riusciti ad avere la storia per intero da, be', dal diretto interessato. Come ti puoi immaginare la Smaterializzazione non gli è andata benissimo. E dire che pensava di dare il meglio di sè sotto pressione...»
«Sirius»  mormorò Lupin, in tono di avvertimento.
«E in più è rimasto con loro almeno per qualche giorno, non sappiamo quanti, e... be', ti puoi immaginare. Anche se fosse arrivato a destinazione integro e non Spaccato, non avrebbe comunque avuto una bella cera. Gran begli amici, mh? E dire che erano i suoi compagni fin dalla prima guerra - compagni di scuola, addirittura, migliori amici, fidanzati, che ne so - diciamo che se non aveva imparato già prima quale parte era quella giusta tra Ordine e Mangiamorte adesso sicuramente si è fatto un'idea...»
«Sirius...»
«Comunque al momento non è in grado di dirci niente» tagliò corto Sirius, con aria disinteressata. «E possiamo solo fare congetture. Secondo Silente non sono riusciti a strappargli niente di troppo importante, ed è già qualcosa. Ma ne avremo la conferma solo quando Mocciosus avrà finito di sbavarsi addosso...»
«Sirius!»
L'uomo sbuffò, e si versò un altro bicchiere. Per un attimo Harry si chiese com'era umanamente possibile rimanere indifferenti all'espressione così straziata ed angosciata di Lupin - ma forse doveva aver preso una certa dose di faccia tosta dal padrino, perché non riuscì a non fare un'altra domanda al lupo mannaro.
«E tra quanto... cioè. Come sta?»
Lupin esitò, gli occhi bassi sul piatto. Sembrava combattuto e il silenzio si prolungava già da qualche secondo di troppo quando Sirius decise di esortarlo.
«Non so da cosa pensi di proteggerlo, Remus, ma ce l'abbiamo in casa. A tempo indeterminato. È meglio spiegarglielo ora, prima che lo veda.»
Lupin fece una smorfia, scoprendo denti che, seppure perfettamente umani, sembravano pronti a  mordere come se già fosse la luna piena. Eppure il tono di voce era come sempre mite, un po' sconfitto.
«È già migliorato molto. Hestia è riuscita a mettere le mani sui trattamenti a cui hanno sottoposto i Paciock dopo... quello che gli è successo, e...»
Alzò gli occhi solo un attimo su Harry, eppure sembrò capire subito a ciò che stava pensando.
«La situazione non è al livello dei Paciock. Li prendiamo come esempio solo perché sono tra i pochi ad essere sopravvissuti a qualcosa del genere, e il loro caso ci può insegnare qualcosa su come comportarci.»  accennò un sorriso un po' forzato, ma nei suoi occhi c'era l'ansia di rassicurare, a tutti i costi. «E l'incidente di Arthur - quando l'hai salvato - ci ha aiutati molto. Davvero. Senza l'antidoto al veleno di Nagini che hanno scoperto al San Mungo...»
«Mi ha comunque rovinato una quantità di lenzuola»  borbottò Sirius, prima di un altro sorso.
«Sirius»  fece Lupin, in tono di avvertimento, per l'ennesima volta.
«Penso che brucerò tutto comunque, anche quelle che sembrano pulite»  rincarò la dose, ostinato, con la fronte aggrottata e lo sguardo basso, che si alzò solo quando Lupin scostò la sedia.
Esitò un attimo, fermo, in piedi, con le mani sul tavolo. Sirius lo guardava con aria quasi di sfida, Harry - Harry non sapeva proprio più che fare. Lo guardava e basta. Una parte di lui voleva che parlassero ancora di ciò che era successo, l'altra parte sentiva di averne avuto effettivamente abbastanza di informazioni, e quasi quasi era meglio prima...
«Vado a vedere se Severus ha bisogno di qualcosa» annunciò alla fine Lupin, in tono neutrale, scostandosi dal tavolo prima che loro avessero il tempo di dire o fare qualsiasi cosa.
Quando rimasero da soli Harry si trovò davvero spiazzato. Il piatto davanti a sè non era troppo appetitoso, neanche dopo le due settimane di Dursley, e probabilmente si era già raffreddato. Eppure era l'unica cosa a cui potesse dedicarsi senza pensare troppo. Prese la forchetta, mentre le sue emozioni cercavano di rimettersi in pari con quanto appena saputo.
Sirius versò un'abbondante dose di Whiskey Incendiario nel bicchiere di Harry. Fece spallucce. «Per aprirti lo stomaco.»  fece, incoraggiante. E pareva un po' come l'abbraccio di inizio serata. Qualcosa di inutile, qualcosa di stupido, quasi, qualcosa che cercava di mettere una pezza a ciò che non poteva essere aggiustato.

Fu solo dopo, a cena finita e piatti lavati, che si rese conto di non aver ottenuto nessuna informazione precisa nè sulle condizioni del professore nè sul modo in cui questo "piccolo intoppo" poteva influenzare i piani dell'Ordine della Fenice.




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Capitolo 3
*** Il ferito ***


ferito
Harry non aveva passato una bella notte.
Prima di addormentarsi aveva a lungo rimuginato sulla sconvolgente scomodità di avere due braccia. E un collo. E troppe articolazioni di cui preoccuparsi, su un materasso che sembrava opporsi deliberatamente ad ogni tentativo di trovare un attimo di pace. Non ricordava il momento preciso in cui la lotta era finita, sapeva solo che il sonno l'aveva fatto scivolare verso un'altra battaglia, altrettanto fastidiosa e solo un po' strana.
Al risveglio aveva serrato di nuovo gli occhi cisposi nel tentativo di trattenere i brandelli del sogno, ma era stato abbastanza inutile. Gli era rimasto addosso solo un senso di disgusto, di rabbia, di... paura? Qualcosa del genere. Probabilmente Hermione l'avrebbe saputo definire meglio, ma in sua assenza Harry poteva solo optare per un inefficiente "sgradevole".
Ricordava il cigolio metallico di un'altalena, la vaga consapevolezza di un movimento ai limiti del suo campo visivo. E il rosso, qualcosa di rosso - qualcosa di pericoloso?
Si muoveva come si muoveva il vento.
No, forse questo non aveva senso. Comunque... era quella cosa il motivo per cui non era stato esattamente un incubo, ma quasi? O forse la chiazza di rosso non era importante, forse la ragione alla base di quel brutto risveglio stava in un dettaglio dimenticato...
Harry buttò i piedi giù dal letto con solo un vago accenno di frustrazione, ma mentre si trascinava verso il bagno era già passato a sentirsi stupido per quel lungo attimo di fissazione su un sogno così nebuloso. Non poteva venire da Voldemort: era troppo vago e del tutto inutile. Non sentiva il bisogno di uscire da Grimmauld Place per andare a ficcarsi in qualche trappola, per dire. Questo gli bastava, ed era tutto palesemente okay. Aveva solo dormito male.
Chiarito questo, si preparò di malavoglia ad affrontare la giornata.

L'emergenza luna piena lo colse impreparato solo per metà.
La licantropia di Lupin era qualcosa a cui evitava di pensare troppo spesso, un po' come gli esami di fine anno. Un conto era sapere, logicamente, della loro esistenza. Un altro era sentirla davvero, cosa che accadeva sempre all'ultimo secondo, quando nessun ripasso in extremis poteva salvarlo.
Solo l'atteggiamento di Sirius riusciva a distogliere Harry da una manciata di sensi di colpa - il fatto di aver appena paragonato una maledizione orribile e pericolosa a qualcosa di stupido come gli esami, o la sferzata d'ansia che gli aveva quasi fatto volare via il toast tra le mani nel ricordare quegli attimi potenzialmente letali in cui il professore si era trasformato così vicino a lui e ai suoi amici, mentre Peter coglieva l'occasione per abbandonare la nave come solo i topi sanno fare.
Lupin stava ancora cercando con un certo stoicismo di attirare l'attenzione di Sirius. Senza alzare la voce, per carità: stava palesemente tentando l'approccio della goccia d'acqua che spacca la roccia cadendo sempre nel solito punto. Peccato che l'Animagus sembrasse immune a questo metodo: mentre Remus elencava pozioni e orari di assunzioni per Piton, gufi da attendere e membri dell'Ordine da aspettare... Sirius frugava tutta la cucina alla ricerca del tabacco di Mundungus.
«C'era. Sono sicuro! Dung se lo dimentica sempre ovunque - dimentica tutto ovunque, fossi in lui mi ficcherei un paio di Ricordelle nelle mutande e farei finta di soffrire di orchite... Harry? Harry, non è che l'hai preso tu?»
«Io cosa?»
«Il tabacco. Non ti giudico, eh. Insomma, nel caso... figurati. A cose normali sarei decisamente solidale. Però lo sai che non posso uscire da questa dannata casa e...»
«Minerva mi ha sconsigliato di continuare con la Bevanda della Pace. Te l'ho scritto, insieme al resto, quindi mi raccomando. Non abbiamo ancora capito con cosa sostituirla, ma la cosa più importante è non dargli niente che contenga Pietra di Luna...»
«Ehm, no» riuscì a bofonchiare Harry in risposta al padrino, infilandosi a fatica tra la voce roca di Sirius e quella mite di Lupin, ciascuno impegnato a parlare praticamente da solo. Con lo stomaco un po' stretto si buttò, alla cieca, in un tentativo di far convergere le due conversazioni a senso unico.
«Perché avete dovuto, ehm, smettere con la Bevanda della Pace?»
«Perché è rischioso, Harry. Ad abusarne c'è il rischio di sprofondare in un sonno irreversibile...»
«E che gran perdita sarebbe.»
«...in più provoca una forte sonnolenza. Il che poteva anche essere positivo, durante i primi giorni. Ma adesso sarebbe meglio se Severus riuscisse a stare sveglio più di qualche minuto di fila...»
«Che Merlino ce ne scampi.»
Non era precisamente questo l'effetto che Harry sperava di ottenere. Sirius stava finalmente rispondendo a Lupin, okay, ma non riusciva a capire come fosse possibile punzecchiare in maniera così maligna una persona così stanca (preferiva concentrarsi sulla postura floscia del lupo mannaro, senza pensare troppo a come Remus sembrasse tutto denti mentre parlava, come li scoprisse con la smorfia rigida di chi sta per mordere e non per pronunciare qualche parola innocua).
Fu sulla scia di quell'ansia strana che Harry aprì di nuovo bocca.
«Vorrei aiutare anch'io» affermò, con una sorta di testardo candore, cercando di incrociare lo sguardo di Lupin.
L'attimo di totale silenzio e immobilità che seguì lo fece quasi pentire di aver parlato. Il sorriso più morbido del lupo mannaro lo rincuorò, l'occhiata basita e quasi allucinata di Sirius lo affossò di nuovo - e fu così che la sua nuova priorità fu quella di concludere la conversazione il prima possibile e, magari, scoprire se fosse possibile far Evanescere un intero essere umano. Se stesso o gli altri due maghi, a questo punto non sapeva più bene cosa augurarsi.
Purtroppo, nessuna di queste opzioni sembrava praticabile.
«Harry...» iniziò Lupin, a voce bassa, con una mano appena protesa verso la sua spalla e poi subito ritratta.
«Non voglio coinvolgerti in questa cosa. È già abbastanza sgradevole per un adulto, e tu hai già così tanto a cui pensare...»
Gli sembrava di risentire Hestia Jones, ma per fortuna l'imitazione della donna ebbe vita breve.
«Non voglio che tu ti addossi le parti più pesanti, diciamo, ma in effetti sarebbe utile se tu passassi un po' di tempo con Severus. Sembra che con i Paciock le visite abbiano aiutato, almeno parzialmente, a restituirgli un vago contatto con la realtà.»
«Ehm. Sssì. Ho... visto. Nel senso, la madre di Neville sembrava - a suo modo...»
«Esatto, Harry» annuì Remus, incoraggiante, anche se l'ostinato silenzio di Sirius stava diventando di una pesantezza agghiacciante.
«Ma ricordati sempre che la situazione non è buia come quella dei Paciock. Quindi, a maggior ragione, speriamo di ottenere qualche miglioramento sostanziale. La cosa più importante è non lasciarlo solo, senza stimoli. E se davvero te la senti...»
«Certo» disse Harry, subito, in una sorta di atto di ribellione - anche se evitò accuratamente lo sguardo del padrino per il resto della colazione.

«Ti faccio strada» annunciò Sirius qualche ora dopo, con un brio un po' inquietante, soprattutto considerata la crisi di mutismo e di broncio che l'aveva preceduta. Harry lo seguì trascinando i piedi. Il parquet consunto scricchiolava appena sotto le suole morbide delle sue scarpe da ginnastica, il corridoio angusto era reso ancora più opprimente dalla carta da parati già cupa in partenza e ulteriormente scurita da grosse macchie di umidità.
I passi più rumorosi del padrino, la vitalità rabbiosa dei suoi movimenti, stonavano come una risata a un funerale.
Agitò la bacchetta verso la maniglia della camera di Regulus senza neanche un'occhiata alla targa affissa dal fratello, poi la spalancò di scatto, con una specie di brusca spallata.
«Buooongiorno Mocciosus!» latrò, felice e sguaiato quanto un irlandese durante la scorsa Coppa del Mondo. Lo stato d'animo di Harry, invece, si avvicinava di più a quello del proprietario del campeggio.
Non riusciva a vedere molto. Un ammasso stropicciato di lenzuola sfatte, quello inferiore aveva lasciato scoperto un angolo di materasso nudo. Sopra, un piede. Una caviglia ragionevolmente pelosa, poi di nuovo il bianco ingrigito del lenzuolo accartocciato. Il resto del corpo si intuiva male, reso strano dalle pieghe del lenzuolo e dalla posizione incomprensibile assunta dagli arti, buttati di qua e di là in angolazioni scomode ed insensate. Indugiò per un attimo sulla curva spigolosa della spalla, coperta dal tessuto liso di una veste che gli sapeva un po' di Lupin. Poi tornò a guardare il volto del professore, premuto a una strana angolatura contro la testiera del letto. La bocca semiaperta, un'impronta di saliva essiccata che dall'angolo sinistro andava verso il mento.
No.
Di nuovo sul piede. Aveva unghie lunghissime, c'era da dire. Zia Petunia si sarebbe morsicata via le dita dallo stress, se Harry si fosse fatto vedere con le unghie in quelle condizioni.
Inspirò. Di nuovo la testa.
No.
Era la cosa più profondamente sbagliata che avesse visto fin'ora, e per quanto poteva vedere non c'entrava neanche niente con la sua idea di tortura, punizione o qualsiasi cosa i Mangiamorte avessero pensato di fargli. Era solo...
Gli veniva in mente la parola "umiliante". Se la rigirò per un attimo nella mente, stuzzicandola come una piccola ferita in bocca con la punta della lingua. La parola calzava abbastanza bene. E quindi, insomma, andava abbastanza male.
Distolse di nuovo lo sguardo su una palla rigonfia di bende abbastanza sudice e - dio, era la sua mano? Cos'aveva che non...
«Col senno di poi, in effetti, mi sa che l'ho peggiorato. Il che non era mica facile.»
La voce di Sirius riscosse Harry con la stessa efficacia di un Bolide lanciato a meno di dieci centimetri dal proprio orecchio.
«Uh?» riuscì a mugolare, soltanto. Felice di guardare Sirius e non Piton, almeno per mezzo secondo, soltanto finchè non si rese conto che l'espressione del padrino non gli piaceva del tutto.
«I capelli. Ho pensato, be', così è più igienico. No?»
Harry inghiottì l'ultima inspirazione di botto quando Sirius piazzò con fermezza la mano sulla testa di Piton. Le sue dita sembravano molto bianche contro il nero dei capelli mutilati in ciocche cortissime, irregolari. Come scampoli del piumaggio infantile di un pulcino, tinti di pece e incollati a casaccio sul cranio. A tratti si vedeva addirittura la cute, appena scurita da un'idea vaga di ricrescita.
Scacciò con rabbia il ricordo istantaneo della propria testa rasata, con quell'assurda frangia superstite per coprire la cicatrice.
«L'hai fatto tu?» riuscì a chiedere Harry, in un tono abbastanza alienato da poter forse suonare come indifferente.
«Una mia idea, già. Finchè era lui a lavarsi - o a non lavarsi, più probabile - poteva fare anche un po' quello che voleva. Ma adesso che tocca a noi tanto valeva semplificarci il lavoro» spiegò l'altro, con parte dei denti scoperti in una specie di smorfia e lo sguardo fisso sul volto sgraziato di Piton
Sirius contrasse le dita, gli spostò la testa come se stesse maneggiando un pallone da basket, scollandogli la guancia dalla testiera del letto. Quando il professore aprì gli occhi Harry fece un salto indietro, con un solo pensiero: la fuga. Perché questo era peggio di quando aveva ficcato il naso nel Pensatoio. Non sapeva mettere precisamente il dito sul perché e come fosse peggio, ma lo era.
Sirius sembrò notare il movimento brusco del ragazzo, perché rise piano. In maniera non del tutto gentile.
«Tranquillo. Le finestre sono aperte, ma dietro non c'è niente.»
Harry ci mise più di qualche istante a dare un senso alle sue parole. Una volta capito che era una metafora gli toccò di ragionarci ancora un secondo. E, quando ebbe finito, si sentì ancora peggio di prima.
Sirius spostò la mano, ripulendosela con molta enfasi contro la stuffa ruvida dei calzoni. Tra le sopracciglia di Piton era comparsa qualche ruga in più, ma non aveva un'espressione precisa sul volto. Con un po' di immaginazione si poteva forse dire che sembrava una persona con un gran malditesta che cerchi di dare un senso a qualcosa sentito di sfuggita, magari in una stanza piena di chiacchericcio.
Harry si irrigidì di nuovo quando il professore si mosse. Stese un ginocchio, allungò il braccio destro, ancora più lontano dal resto del corpo. Riuscì a vedere la punta delle dita sbucare dall'ammasso gonfio di bende che gli copriva la mano. Del medio, dell'anulare. Da qualche parte, sotto tutti quegli strati di garza, dovevano esserci anche le altre.
«Bene. Questo è quanto» disse Sirius, con le mani ficcate in tasca e la schiena ben dritta.
«Che dici, scendiamo? Sarà un secolo che non mi faccio una bella partita a Sparaschiocco, e mi sa che oggi Remus non è proprio dell'umore...»
Harry stava per acconsentire. Ma la voce del padrino aveva un che di petulante, e c'era qualcosa di non meglio definito che gli fece fare un'improvvisa inversione di marcia, quando già aveva la bocca aperta per dire un "sì".
«Ehm, no. No, preferisco - preferisco rimanere qui ancora un attimo. Remus ha detto che, ehm, che è una cosa utile.»
«Ah, be'» borbottò Sirius, senza più traccia di allegria. «Se l'ha detto Remus.»
Si chiuse la porta alle spalle forse con un po' più di forza del normale, e già al cigolio dei cardini Harry si era più o meno pentito dei suoi nebulosi buoni propositi. Buttò un'altra occhiata verso il professore. Gli occhi erano sempre aperti, ma vacui... vacui come quelli di Cedric, dovette ammettere con se stesso, tra un'inspirazione saltata e una strizzata allo stomaco. Ma almeno lui era vivo, anzi, continuava a muoversi. Senza fretta ma sempre un po' all'improvviso, scalzando ancora di più il lenzuolo dal materasso, aggrovigliandosi in posizioni evidentemente scomode.
Probabilmente avrebbe dovuto farci qualcosa. Sarebbe stato un gesto gentile.
Però non aveva tutta questa gran voglia di avvicinare le mani - e, soprattutto... poteva? Rischiava di fargli del male?
Forse sarebbe stato il caso di parlargli. Non sembrava davvero consapevole di avere visite, è vero, ma...

Alla fine, Harry passò semplicemente una mezz'ora a rigirarsi tra le mani una foto che aveva trovato nella stanza. La squadra di Quidditch di Serpeverde, con Regulus Black ben riconoscibile, nella stessa posizione in cui si era ritrovato Harry le poche volte che avevano fatto una foto tutti insieme. Si costruì una fantasia complicata e forse plausibile su come Grifondoro avrebbe potuto sconfiggere quel vecchio assortimento di giocatori, basandosi solo su corporatura e faccia degli avversari. Ogni tanto si chiedeva se qualcuno di loro fosse stato al cimitero. Se qualcuno avesse quasi ucciso i suoi amici all'Ufficio Misteri.
Intanto, Piton continuava a rigirarsi nel letto e a respirare piano.

Il resto della giornata aveva tutte le carte in regola per rivelarsi un vero e proprio inferno. Harry scese in cucina con la testa incassata tra le spalle, alzate quasi fino alle orecchie, pronto a subire qualsiasi occhiata, attacco o frecciatina.
Soprattutto, però, si sentiva stupido. Temeva di non essersi comportato come avrebbe voluto Remus - e di sicuro non si era comportato come voleva Sirius. E Piton, se avesse potuto reagire a quella visita? Meglio non pensarci. Harry era abituato a convivere con l'idea fissa della propria mortalità, ma aveva come il dubbio che la sua fine potesse essere meno dolorosa con Voldemort che con Piton. Se si fosse ricordato di quella visita. E se si fosse ripreso, c'era anche da mettere in conto questo piccolo dettaglio.
Alzò lo sguardo su Sirius, come a dirgli "va bene, fai del tuo peggio". A sorpresa, però, Sirius fece del suo meglio.

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Capitolo 4
*** Due lettere, un risveglio ***


4
«Charlotte Abbott, di forte tempra. Andata in sposa a Reginald Nott, di pacate attitudini.»
Era una cosa abbastanza soporifera, a voler essere onesti, ma non aveva avuto idee migliori. E, comunque, Piton non sembrava annoiarsi (non sembrava accorgersi di nulla, quindi insomma, poco male). Aveva addirittura gli occhi aperti, Harry se lo poteva far bastare, come incoraggiamento.  Passò alla riga successiva, con un sospiro.
«Co... Colleen? Colleen Prince, di bacchetta lenta. Andata in sposa a Theodore Yaxley, di focoso... ehm, di focoso...»
Temperamento, avrebbe dovuto dire, ma un suono inedito dal letto lo bloccò. Possibile che...?
Harry si staccò cautamente dalla sedia, l'alito dolciastro e un po' nauseante di Piton lo colpì con la forza di uno schiaffo mentre si chinava verso di lui, ma non importava. Aveva sentito qualcosa, ne era sicuro. Aveva parlato. Ne era quasi sicuro. Un mezzo verso l'aveva fatto, almeno. Basso basso, roco roco, ma c'era stato.
Sobbalzò con fin troppa enfasi quando un nuovo rumore piombò dall'uscio. Bussavano alla porta. Di certo non era Sirius - non sembrava un grande fan di tutta quella faccenda del bussare. Harry chiuse di scatto il libro, si sentì sollevato ma non del tutto sorpreso quando il viso tirato di Remus fece capolino nello spiraglio appena aperto.
Stava sorridendo, stanco, con l'aria malaticcia, ma il sorriso era caldo e schietto. Harry si ritrovò, suo malgrado, a rispondergli alla stessa maniera.
«Ehi. Disturbo?»
«No. Proprio no. Stavo solo...» ed agitò piano il libro. Lupin, entrando, gli diede un'occhiata un po' basita. Di riflesso, Harry lo girò per leggere di nuovo il titolo - silenziosamente, visto che quando si era azzardato a leggerlo ad alta voce si era impappinato senza possibilità di recupero: "Per linea femminile, disamina disarmante di magica genealogia".
«Non c'era molta scelta, nella biblioteca» aggiunse, goffo, a mo' di scuse.
«Sei stato nella biblioteca? Da solo? Non hai incrociato niente di troppo pericoloso, spero.»
«Certo che no, figurati.»
In realtà, un libro rilegato in pelle aveva cercato di mozzargli le dita. Ma, ehi, ci aveva messo ben poco a ridurlo all'obbedienza, il Libro Mostro dei Mostri l'aveva temprato - e i tagli erano così sottili da essere diventati praticamente invisibili, dopo averli tenuti sotto l'acqua corrente per qualche minuto.
«È andato tutto... bene, mentre non c'ero?»
Ed Harry si ritrovò con un sorriso ben cretino stampato sulle labbra.
«Benissimo. Sirius mi ha aiutato con i compiti di Trasfigurazione - li ho quasi finiti, tutti in un pomeriggio, è pazzesco» disse, con la voglia di aggiungere altro, ma sarebbe stato uno spreco. Non aveva le parole per spiegare quanto fosse stato bello e importante sedersi al tavolo della cucina di Grimmauld Place e lasciar parlare Sirius, di quanto fosse stato surreale farsi aiutare da qualcuno che suonava sveglio quanto e forse più di Hermione, ma che allo stesso tempo aveva una maniera così... scanzonata, di spiegare le cose. Tutto sembrava semplice, spiegato da Sirius. Era quasi surreale.
E chi se ne fregava, se a cena aveva bevuto un po' troppo? Se aveva iniziato a bere ben prima di cena, se i suoi aneddoti alla lunga erano diventati un po' troppo sconclusionati e quasi disturbanti. Niente poteva sconfiggere il piacere che aveva provato durante una cosa così fondamentalmente stupida come fare i compiti con lui - o nel venire a sapere dell'insospettata fase punk di sua madre a diciassette anni. Nevermind the Lilies*, aveva detto Sirius, ed Harry non l'aveva capita, ma aveva riso lo stesso.
Mentre ricordava, con il sorriso sulle labbra, lo sguardo era involontariamente fisso su Piton. E anche quello di Remus si era bloccato nella stessa posizione. Il silenzio era comodo, confortevole - fu il lupo mannaro ad interromperlo, a voce molto bassa.
«A volte è difficile volergli bene.»
«Eh? Ehm, sì. Cioè. Non so se siamo a questo livello, non è esattamente una delle mie persone preferite - è orribile dirlo adesso, vero? Però sarebbe anche abbastanza ipocrita cambiare idea solo perché...»
«Sirius. È difficile volere bene a Sirius» specificò Remus, con tutta la calma di questo mondo.
«Oh.»
«Ma non è colpa sua. Non del tutto. Lui... sono certo che lo capisci, Harry. A volte mi chiedo se non capisci più di tutti noi - e anche meglio di noi. In maniera più... giusta» mormorò Lupin, muovendo piano la bacchetta. Il lenzuolo inferiore tornò subito al suo posto, con l'angolo piegato ordinatamente sotto il materasso. Quello superiore si distese, leggero, sul corpo un po' sudato del professore. La cosa non gli strappò nessuna reazione, ma almeno non tornò a chiudere gli occhi.
Se era così facile, si chiese Harry, perché non l'aveva fatto anche Sirius? Perché aveva lasciato che il letto di Piton diventasse un irremediabile casino?
«In un mondo migliore» continuò Remus, con una tristezza nella voce che era quasi insopportabile «Sirius avrebbe avuto il tempo e l'opportunità per riprendersi. In un mondo perfetto, non sarebbe mai finito ad Azkaban.»
«Mh-mh» fece Harry - non aveva più molta voglia di parlare.
«Mi preoccupo per lui. Sempre. Perché non rischia solo di fare del male a se stesso, ma anche agli altri. Ed io non riuscirei a sopportare né una cosa, né l'altra.»
«È solo...» iniziò Harry, quando l'imbeccata di Remus fece saltare l'ultimo paletto che tratteneva la frana. Deglutì a finita. «È solo che non è giusto. Perché Piton non può - non può difendersi, adesso, e...»
«È inerme.»
«Sì. Quello» confermò Harry, serrando i denti subito dopo. Eppure doveva essere lui a ricominciare a parlare per primo, era necessario - non voleva sapere cos'avesse ancora da dire Lupin, proprio no.
«Però credo che Piton stia migliorando davvero. Cioè, prima avrei quasi giurato di averlo sentito parlare...»
Il lupo mannaro raddrizzò la testa con un piccolo scatto, tirò fuori un sorriso penoso.
«A volte lo fa. Ma non riesco mai a capire cosa dice... è come ascoltare una persona che parla nel sonno. Borbotta, non si riescono a distinguere le parole.»
«Ah.»
«Non ti ha spaventato, vero?»
«Spaventato? E perché, scusa?»
Remus scosse piano la testa.
«Niente. Scusami, forse sto straparlando. Sono un po'... stanco.»
«La luna piena è - insomma, è - è andato tutto bene?»
«Sì. Tutto bene» confermò Lupin, senza guardarlo. Ma anche i suoi paletti sembravano scricchiolare, in quella tarda mattinata estiva: aprì di nuovo bocca, quasi di malavoglia. «Niente più Antilupo» disse, sintetico, con gli occhi fissi su Piton.
«Oh» fece Harry, con un filo di voce, e non c'era nient'altro da dire.

Sirius era felice che Remus fosse tornato. Non l'aveva detto chiaro e tondo, questo no, ma d'improvviso l'atmosfera si era fatta pazzescamente rilassata - bastava evitare di pensare al ferito al piano di sopra, e tutto era quasi paradisiaco. Senza Kreacher, spedito a lavorare nelle cucine di Hogwarts, senza frecciatine tra i due adulti e senza il padrino di turno ai fornelli, Harry si sentiva felice. Si sentiva anche un po' in colpa, per questo fatto. Ma, semplicemente, non poteva farci niente.
Era vivo, era lontano dai Dursley. Remus cercava di aiutarlo con i compiti di Pozioni e Sirius continuava a correggerlo, ridendo. Così, cos'altro poteva fare se non ridere a sua volta?
Lo stava facendo di nuovo, quando sentì il ticchettio di un becco contro il vetro della finestra sudicia. Lo lasciarono da solo, senza fretta, mentre Harry faceva entrare la civetta e diceva, con un'ondata d'affetto «Ti sei portata dietro un amico, Edvige?»
Lei schioccò di nuovo il becco, con fare altezzoso, porgendogli la lettera assicurata alla zampa. Era un po' più curioso nei confronti dell'altro gufo - non lo conosceva, e il pacco che si portava dietro era proprio enorme - ma sapeva fin troppo bene che alla sua civetta non piaceva proprio sentirsi messa in secondo piano. Così, aprì per prima la sua lettera.

Harry,
Ho saputo dell'incidente con il pipistrello. Mi dispiace che sia rimasto impigliato in quella brutta maniera, e spero che la cosa si possa sistemare, anche se non è l'animale più simpatico che conosciamo. Se avete bisogno di aiuto non esitate a scrivermi, sarò anche bloccata dalla parte Babbana del mondo, ma ho ancora i miei libri. Ho già fatto qualche ricerca, in realtà. Non vedo l'ora di parlarvene. E succederà prima di quanto credessimo!
Tra un paio di giorni la professoressa McGrannitt dovrebbe accompagnarmi da voi, alla fine hanno ceduto: mi lasciano dare una mano con i problemi legali di Tartufo. Con un po' di fortuna riusciremo a far riesaminare il suo caso in tempi umani. So che con Fierobecco non è andata come speravamo, ma lavorare su tutti quei precedenti mi ha insegnato molto, e sono SICURA che stavolta sarà un successo! L'importante è trovare un metodo, da lì è tutto in discesa, e il metodo ce l'abbiamo già.
Tieni duro, Harry. Ancora per un paio di giorni.
Sempre con affetto,
Hermione

PS: ti prego, non pensare troppo male di Ron. Sono sicura che non ce l'abbia più con te, ma... più passa il tempo e più gli sembra difficile rompere il silenzio. Il problema è solo questo, Harry. Te lo giuro.

Solo, pensò Harry, scoprendo i denti. Fece lo sgambetto ad ogni pensiero ulteriore, subito, prima che la sua mente andasse là dove non doveva. E passò all'altro gufo. Lo liberò dal pacco, forse un po' troppo bruscamente, aprì di scatto la lettera allegata.

Ave, O Prescelto!
Non abbiamo potuto fare a meno di tenerci aggiornati (con la maggiore età ci è arrivato, finalmente, il tesserino ufficiale del Battagliero Club dei Pettegolezzi - nonchè di ricettazione di calderoni rubati!) e, come dire? Siamo orripilati. Mi raccomando, Harry: guanti di pelle di drago. Come se dovessi avvicinarti a uno Schiopodo Sparacoda. Non ti fidare, anche se dovesse sembrarti morto. Vigilanza costante, caro ragazzo!
Ma, nel caso in cui l'adrenalina dovesse venirti meno, ti alleghiamo qualche articolo divertente per passare il tempo. Il negozio va alla grande, quasi non ci si crede, e ci sembrava giusto farti avere qualche omaggio - usali con responsabilità, o Salvatore, mi raccomando!
Ginny ti saluta, ed è con immenso sollievo che ti annunciamo le imminenti dimissioni della piccola furia: dovrebbero scarcerarla entro questo fine settimana, finalmente. Non sappiamo se riuscirà a salire sull'Espresso per Hogwarts (sta bene, te lo giuro sulla testa di mio fratello - uno qualunque, tranne Percy che non vale) ma lo sai com'è la mamma. Appena Ginny tornerà a casa sarà un problema fargliela mollare. Com'è che avevi fatto, a rubare l'uovo a un drago in cova? Potremmo prendere ispirazione.
Nel frattempo, vigilanza costante! Ma forse l'avevamo già scritto.

Fred (e George)

Ginny ti saluta, lesse di nuovo Harry. E poi, un'altra volta ancora.
Ginny ti saluta, Ginny ti saluta. Ginny che sta bene, Ginny che sta per tornare a casa - Ginny strattonata via dal Velo, Ginny con la bocca storta e solo un occhio che si rovesciava a mostrare il bianco, mentre l'altro restava immobile - NO!
Lasciò andare la lettera come se scottasse, nascose le mani tra le cosce, premute fino a schiacciarle. Grato, almeno per il momento, di essere solo. Stava bene, davvero. Gli prudevano solo un po' gli occhi.

Stare con Piton era come stare da soli, il che sarebbe dovuta essere una cosa ben triste... ma Harry, in realtà, iniziava quasi ad apprezzare la non-compagnia. Perché no, d'altronde? Poteva starsene per i fatti propri e, contemporaneamente, sentirsi utile. Almeno faceva qualcosa di buono, mentre era bloccato a Grimmauld Place in attesa che il resto del mondo si muovesse. Era ben poca cosa, va bene, ma era qualcosa.
E poi iniziava a sospettare che i borbottii del professore fossero una specie di codice morse. Era ormai una quindicina di minuti che gli stava leggendo il tema estivo di Pozioni, e più di una volta gli aveva visto muovere le labbra. Forse c'era una pattern preciso, magari lo stava correggendo? Non che il professore si fosse mai dato chissà quale pena, per i compiti di Harry. Dei gran segni rossi di inchiostro e una T in un angolo, niente di più, niente di meno.
Comunque già da quel pomeriggio Piton gli sembrava un po' più "sveglio" di prima, checchè ne dicesse Remus.
«Il decotto, noto per le sue proprietà as... astiri... astiringenti? Mh. Non suona molto giusto. Astririn... mh. Astiringenti, quindi usato con successo in Pozioni Diminutive e...»
Piton allungò un braccio, con uno scatto nervoso. Le bende cambiate di fresco non miglioravano di molto l'aspetto fondamentalmente sbagliato della sua mano, ma Harry le guardava con occhio più tranquillo - il ritorno di Remus aveva riportato un minimo di ordine e di pulizia nella cosa, e di questo non poteva che essere grato. Lanciò comunque un'occhiata rancorosa verso il professore.
«Non è colpa mia, se per fare i suoi temi tocca ingoiare un dizionario. Mica è facile» gli fece notare, prima di schiarirsi la voce.
«...si evidenzia il suo uso in più di una tisana corrobrora - corroborante, grazie al---»
Harry non avrebbe voluto urlare. Non era proprio il caso. Ma la voce fece quel che gli pareva, completamente staccata dal cervello, quando senza preavviso Severus Piton scattò giù dal letto.

Era l'estate delle ferite alle mani, pensò Harry, mentre Silente gli sfilava davanti. Avrebbe voluto fargli qualche domanda - avrebbe voluto fargliene molte - ma si sentiva ancora un po' troppo frastornato. Meglio andare con la corrente, per il momento, anche perché era una corrente buona.
Remus sembrava ancora più pallido di prima, ma i suoi balbettii erano pieni di una felicità stranita, e Sirius non aveva lasciato il suo fianco neanche per un istante. L'espressione di Silente era tranquilla, il suo sguardo era gentile, e la mano annerita almeno non sembrava provocargli alcun dolore. Non doveva essere grave, anche se sembrava grave.
Erano tutti in fila per scortarlo verso la camera di Regulus, solo Lupin parlava, ma Harry non riusciva a seguirlo. Non del tutto. Stava dicendo che c'era voluto un po', per calmare Severus - ed era vero, supponeva, anche se dal canto suo era scappato immediatamente dal capezzale del ferito, si era nascosto in cucina e aveva lasciato che se ne occupassero loro - ma che era coerente, parlava ed era coerente, ed era incredibile...
«Ho bisogno di parlargli in privato, Remus» disse il preside, in tono quasi di scuse.
«Io - sì, certo, ovviamente. Credo che - credo che scenderò a fare un tè, sì» disse Lupin, con gli occhi ancora sbarrati. Ma ancora non si mosse, incrociò esitante lo sguardo di Silente. «Non... non credevo che sarebbe successo. Albus, non credevo che si sarebbe veramente svegliato» ammise, con voce rotta. Ma l'altro annuì tranquillamente, senza tracce di sorpresa o di rimprovero.
«A volte non abbiamo più la forza di sperare. E spesso, fortunatamente, siamo in errore. Gradirei anche un goccio di latte, Remus, se non ti è disturbo. Credo che anche a Severus farebbe piacere. Senza zucchero, grazie» e, detto questo, scivolò senza far rumore all'interno della stanza. Se ne stettero davanti alla porta chiusa per qualche istante di troppo. Il lupo mannaro fu il primo a muoversi, instabile e lento come un sonnambulo. Harry e Sirius si guardarono, senza dire una parola. Lo scricchiolio dell'ultimo gradino delle scale era un indicatore affidabile, Lupin era fuori portata. Lo sapevano.
E infatti scattarono contemporaneamente verso la camera di Harry, facendo a spallate nella foga di raggiungere per primi il pacco di Tiri Vispi Weasley - cosa gli era saltato in mente? Perché aveva fatto vedere le Orecchie Oblunghe a Sirius?

«Fai provare a me.»
«Hai già provato, è il mio turno. Questo dannato affare...»
«Silente avrà lanciato un Incantesimo Imperturbabile sulla porta, per forza non---»
«Non cercare di insegnarmi il mestiere, Harry. Ci fai solo una brutta figura.»
«Sì, ma---»
«Shhhh!»
Ebbero appena il tempo di scattare in piedi, appoggiare la schiena al muro e fingere indifferenza, prima che la porta si aprisse del tutto. Harry non osò farsi illusioni: era abbastanza sicuro che Silente avesse notato il lungo filo color carne che Sirius si era appena nascosto dietro la schiena. Ma non disse niente al riguardo, sorrise e basta, proprio pacifico.
«Sirius, mi dispiace dovermi imporre a quest'ora così tarda... ma avrei bisogno di Harry per sistemare una piccola faccenda, e già che sono qui preferirei approfittare dell'occasione.»
«Ha a che fare con Pit...»
«No. Faccende di Hogwarts, niente di particolarmente interessante... ti ricordi del professor Lumacorno, per caso?»
Sirius scoppiò a ridere, anche se solo per un attimo.
«Sfortunatamente sì, me lo ricordo proprio bene. Mai conosciuta una persona così pesante - in tutti i sensi. Ma non vedo cosa c'entri Harry.»
«Persuadere Horace a tornare si sta rivelando più complicato del previsto. E capisci bene che...»
«...capisco. Sì.»
Il suo padrino non sembrava felicissimo della cosa, però Harry aveva le sue priorità. Si schiarì piano la voce, giusto per ricordare a entrambi che era ancora lì.
«Mi fa piacere aiutarla, signore» annunciò, incrociando per un attimo lo sguardo di Silente.
«Grazie, Harry. Lo riporterò a casa tra un'ora al massimo, Sirius, non temere. Dopo una giornata simile, credo che tutti noi gradiremmo una buona nottata di sonno.»
«Mmmmhhh. E Piton?»
«Temo che Severus dovrà abusare ancora per un poco della vostra ospitalità.»
«Mh.»
«Gli troveremo una sistemazione più consona a breve, te lo prometto» aggiunse, rassicurante, con un sorriso tranquillo. Ma c'era qualcosa di non esattamente paziente, nell'occhiata che lanciò all'Animagus. E fu giusto con una vaga sensazione di disagio che Harry seguì il Preside fuori da Grimmauld Place.

Non era sicuro che il professor Lumacorno gli piacesse, ma ora che l'avevano convinto a tornare ad Hogwarts il problema non lo preoccupava più di tanto. Non quando le altre notizie erano così... be', epiche.
Poteva partecipare alle riunioni dell'Ordine, ad esempio. Ce ne sarebbe stata una tra due giorni, ed avrebbe avuto Hermione al suo fianco. Non riusciva a crederci, era come un secondo Natale a sorpresa - e la promessa delle lezioni private con Silente era un regalo ancora migliore! Finalmente le cose stavano andando per il meglio! Abbastanza, almeno. Ovviamente, in questa valanga di buone notizie doveva essercene almeno una negativa.
«Sarebbe il caso di fare un altro tentativo con l'Occlumanzia, Harry.»
«Ehm.»
«Capisco le tue riserve sull'argomento, ma ci troviamo in una situazione estremamente delicata. Sono comunque certo che stavolta non sarà un... fiasco totale, credo che si dica?» e sorrise, quasi divertito dalle sue stesse parole. «Confido nel fatto che la compagnia della signorina Granger possa esserti di aiuto. Scommetto che sarà entusiasta all'idea di studiare Occlumanzia con te.»
«Non sarebbe male, sì. Ma l'insegnante...»
«Sarà lo stesso dello scorso anno.»
«Ehm. Ce la farà? Cioè, nel senso...»
Il sorriso di Silente si fece abbastanza triste da costringere Harry a distogliere lo sguardo, imbarazzato.
«Severus Piton è una delle persone più resilienti che io abbia mai conosciuto. Ma apprezzo molto la tua considerazione, Harry. Il percorso non sarà facile, e una maggiore dose di... tatto nei confronti del tuo insegnante sarebbe molto gradita. Anche se temo» e qui si lasciò andare a un profondo sospiro «che le avversità non tirino fuori il meglio dal professor Piton. Dovrai avere pazienza, Harry.»
Ed Harry annuì, solenne.
«Avrò pazienza. Lo prometto.»

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*riferimento a Nevermind the Bollocks, album dei Sex Pistols del '77. La fase punk di Lily per me è canon, sappiatelo. James l'aveva trovata incomprensibilmente divertente e Sirius aveva anche cercato di andarle dietro, il punk era coerente con la sua immagine pubblica, ma in segreto era un grande fan dei Bee Gees. Staying alive, Sirius. Staying alive!









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Capitolo 5
*** Una riunione malriuscita ***


riunione
L'abbraccio di Hermione era decisamente come se l'era aspettato: stretto e persistente, con un contorno di capelli in bocca e nel naso. Lo fece ridere e tossire, mentre la professoressa McGrannit li osservava in disparte, con una certa dose di indulgenza - ma neanche troppa. A quanto pare era stata lei ad essere di scorta, la notte che Harry aveva abbandonato Privet Drive. Appiattita sotto le macchine, mimetizzata tra i numerosi gatti girovaghi della signora Figg. E aveva più di qualche parolina da dirgli, sulla maniera con cui si era rivolto a Hestia Jones.
Ormai abituato a Sirius e Remus, sentirsi nuovamente fare una ramanzina fu un'esperienza abbastanza strana. Ma non del tutto spiacevole, anche perché il lupo mannaro non era mai troppo lontano. Silenzioso e serio, ma con lo sguardo gentile, fermo all'angolo del tavolo come se qualcuno se lo fosse scordato lì. Però la professoressa fu abbastanza svelta a spostare l'attenzione su di lui, quasi non prese fiato tra la ramanzina a Harry e la domanda successiva.
«Severus?»
«È di sopra, Minerva. In camera.»
«Sai se ha intenzione di scendere?»
«Uh... no. No, suppongo di no.»
«Bene. Allora salirò io.»
«Non... credo che sia una buona idea.»
«Non sono così decrepita da non poter affrontare una rampa di scale, Remus.»
«Certo, ma Severus non sembra essere dell'umore per...»
«Il che vuol dire che è perfettamente in sè, e quindi in grado di ricevere visite» puntualizzò, con la durezza della voce un po' rovinata dal sorriso tirato sulle labbra sottili.
«...giusto. Ti accompagno.»

Hermione aspettò finchè i passi dei due adulti non svanirono, prima di aggrapparsi al gomito di Harry. «Allora?» sussurrò, molto piano, con occhi enormi.
«Ehm. Allora... cosa?»
«La situazione. Com'è? È... è tanto brutta?»
«Ehm, no. No, va tutto abbastanza bene.»
«Tu stai bene?»
«Io? Certo. Perché?»
Hermione esitò, mordicchiandosi il labbro inferiore. Se i suoi denti fossero rimasti com'erano un tempo, in quel momento sarebbe sembrata il criceto più tormentato del mondo. «Non lo so. Supponevo solo che l'atmosfera fosse... abbastanza pesante. Sono tutti molto preoccupati.»
«Tutti?»
«La McGrannitt, principalmente. be', per ora ho incontrato solo lei. Ti hanno detto qualcosa, sulla riunione di oggi?»
«No. Cioè - in effetti sì. La signora Weasley non ci sarà. Devono ancora dirle che siamo stati ammessi come, ehm, spettatori alle riunioni dell'Ordine, e... credo che nessuno si senta pronto ad affrontarla, ecco. Quindi non le hanno detto di oggi, e i gemelli rimarranno con lei per distrarla, credo che vadano tutti a trovare... sai, Ginny. Però il signor Weasley ci sarà, e credo anche Bill o Charlie—»
«Hai saputo di Fleur? Verrà anche lei?»
«Fleur - quella Fleur?»
Hermione sbuffò, con un'espressione truce che di solito riservava giusto alle bibliografie incomplete. «Già. È entrata nell'Ordine - e anche in casa Weasley. Lei e Bill pensano di sposarsi, il prossimo anno.»
«Oh. E questa è una cosa negativa perché...»
«Aspetta la riunione e lo vedrai. O forse no. Spero di no. Spero che si dia un contegno» sbuffò, di nuovo, mentre Harry non sapeva se sentire ilarità o panico. Ricordava fin troppo bene le difficoltà di Ron con Fleur, e gli stava venendo un mezzo sospetto che Hermione potesse essere gelosa. Nascondendo un sorriso, sperò con tutto se stesso che ai due non venisse mai la malata idea di mettersi insieme. Sarebbe stata la fine di ogni amicizia, era ovvio, bastava vedere quanto spesso litigassero già ora, una relazione non poteva che rovinare ulteriormente le cose.
Ma tanto l'amicizia era già bella che finita, si ricordò Harry, con l'ennesima fitta colpevole. Ed era stata colpa sua, non di Hermione.
«Sai se Piton ci sarà? Alla riunione.»
«Mh? Ah, sì. Dovrebbe. Lui, Tonks, Malocchio...» il ragazzo iniziò a contare sulle dita, con la fronte corrucciata.
«Quindi sta...»
«Oh. Sì. Sì, sta bene.»
Hermione si limitò a lanciargli uno sguardo molto scettico, e Harry ficcò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle. Era colpa della McGrannitt, se era così preoccupata? Cosa le aveva detto di preciso? Ma non aveva troppa voglia di indagare, quindi si limitò a sostenere la propria posizione.
«Davvero. Okay, non l'ho più visto da quando si è ripreso, ma - insomma, prima in effetti era conciato abbastanza male. Non si muoveva, cose così» spiegò, ai propri piedi più che ad Hermione. «Cioè, in effetti si muoveva, però hai capito cosa intendo. Non è che camminava per casa, ecco. Adesso, invece...»
«Ma hai appena detto di non averlo più visto.»
«No. Però so che la notte scende e si fa da mangiare da solo. Lascia sempre i piatti sporchi nel lavandino, Sirius sta dando di matto per questa cosa.»
Peccato che Hermione non sembrasse trovare l'informazione divertente quanto Harry. Che, schiarendosi la voce, trovò la maniera di cambiare discorso.
«Sai che ho conosciuto il nuovo professore di Difesa? Colleziona studenti, pensa un po'.»
E così il resto della mattinata passò, tra resoconti e commenti, senza toccare altri argomenti spiacevoli.

Dopo pranzo Hermione insistè per dare una mano coi piatti. Perché la magia era più veloce, sì, e Sirius poteva usarla liberamente... ma Sirius era anche al terzo bicchiere, e la ragazza sembrava scandalizzata e preoccupata in parti uguali. Neanche Harry si sentiva del tutto tranquillo: il nervosismo del padrino, la maniera in cui si muoveva e chiaccherava a voce un po' troppo alta, erano contagiosi.
I membri dell'Ordine della Fenice arrivarono alla spicciolata - per prima Tonks, a cui avevano dato l'orario sbagliato, in anticipo di un'ora, nel tentativo (riuscito) di non farla arrivare in ritardo. Shaklebolt arrivò poco dopo, imperscrutabile e tranquillo come al solito, insieme a Malocchio - ben poco imperscrutabile e sereno, invece. Controllò la cucina quattro volte, prima di sedersi e chiedere come stava il Mangiamorte. Tonks gli lanciò un'occhiataccia, Sirius rise forte. Non smise neanche quando il sovracitato Mangiamorte entrò nella stanza, scortato da Remus e dalla professoressa McGrannitt. Harry fece appena in tempo a notare che Piton non aveva fatto grandi sforzi per essere presentabile - il danno causato dalle scarse doti di parrucchiere di Sirius non era mutato di una virgola, e i capelli sembravano anche un po' sporchi. I vestiti che indossava erano ancora palesemente quelli di Lupin, sfilacciati e abbastanza informi. Sulle guance scavate aveva un'ombra scura di barba non fatta, e non gli donava affatto. Stava continuando la sua analisi ad occhi spalancati (Hermione aveva anche la bocca mezza aperta, e Harry si rese conto solo in quel momento di non averla avvertita in anticipo del nuovo look del professore) quando la sua visuale venne offuscata da un viso molto sorridente e molto, molto, molto bello.
«Harrì!» cinguettò Fleur, piazzandogli un bacetto per guancia, prima di passare un paio di minuti a inondarlo di ciarle allegre sul matrimonio, su Gabrielle e su altre cose che il ragazzo non riuscì veramente a sentire. Gli ci volle un po' per tornare a concentrarsi davvero, e quando ce la fece tutti erano già al proprio posto. Anche Silente, entrato quasi in sordina, che strizzò gli occhi con aria dolorante quando per sbaglio usò la mano ferita per rifiutare il bicchiere che Sirius stava cercando di offrirgli. Nonostante la piccola fitta di preoccupazione, la presenza del preside era rassicurante come al solito. Malgrado tutto, sembrava così... sereno.
Harry chinò la testa per nascondere un sorriso di sollievo, poi fece scorrere lo sguardo lungo il tavolo. Tonks aveva allegramente accettato il whisky offerto da Sirius, anche se un po' era finito sul tavolo mentre la donna si sedeva sulla sedia già puntata da Remus, che aveva appena finito di servire il tè. Il lupo mannaro alla fine si mise accanto a Tonks, senza battere ciglio davanti alla sua solita goffaggine, al modo in cui gli aveva rubato la sedia di fianco a Sirius all'ultimo minuto. Fleur era ovviamente accanto a Bill, impegnata a sistemargli una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, mentre al loro fianco Shacklebolt sembrava guardarli con un certo sottile divertimento. Era difficile esserne sicuri, con la sua faccia da sfinge.
Piton era incastrato tra la McGrannitt e Arthur Weasley. La prima sembrava abbastanza disinteressata al vociare della stanza, se ne stava tranquilla a mescolare con il cucchiaino nella sua tazza, teneva lo sguardo basso. Il signor Weasley invece aveva appoggiato un gomito sul tavolo e si era proteso verso il professore, gli stava dicendo qualcosa, ma molto piano. Forse avrebbe dovuto urlare, invece, perché l'uomo non lo stava davvero considerando di striscio. Se ne stava seduto tutto sommato composto, solo con la testa un po' bassa. Teneva lo sguardo fisso davanti a sè, le braccia sotto il tavolo e, a giudicare dall'espressione, sembrava semplicemente scocciato. Continuò ad ignorare il signor Weasley - e l'occhio magico di Moody, che sembrava rimanere sempre su Piton. Harry quasi sobbalzò quando Silente si alzò in piedi, ottenendo un immediato silenzio. .
«Signori, credo che sia meglio iniziare» annunciò, prima di sorridere al signor Weasley. «Arthur? Ci sono novità, a proposito della tua ottima idea dell'ultima riunione?»
«Sta andando tutto per il meglio, abbiamo un sacco di nuovi numeri sulla... rubrica telefonica? Una cosa affascinante, il loro sistema di numerazione, con tutti quei prefessi - scusate. Insomma, adesso copriamo un buon numero di famiglie con Nati Babbani. Possono contattarci in qualsiasi momento, o quasi, anche senza magia. E grazie all'aiuto di Filius forse non ne avranno neanche bisogno: gli incantesimi di protezione che ha messo sulle ultime due case Babbane sono davvero eccellenti, e...»

Dopo un po', però, l'attenzione di Harry iniziò a scemare. Iniziative a protezione dei Babbani, ricerche su incantesimi protettivi, reclutamenti. Tutto molto giusto e molto interessante, a suo modo, ma anche abbastanza deludente. E, alla lunga, soporifero. Sarà stata la digestione, sarà stato il fatto che l'unica persona che aveva (o avrebbe dovuto) avere qualcosa di veramente grande da dire se ne stava in perfetto silenzio, ma Harry un po' si pentiva di aver avuto aspettative così alte sulle riunione. Gli cascò l'occhio proprio su Piton, che oltre ad essere così silenzioso sembrava anche non essersi mosso di un millimetro dall'inizio della discussione. Non pareva neanche ascoltare, in realtà, e per un lungo attimo Harry dovette frenare l'impulso di alzarsi e andare a schioccargli le dita davanti agli occhi. Giusto per controllare che non avesse avuto una ricaduta. L'aspetto non era dei più rassicuranti, bisognava ammetterlo.
Mentre le chiacchere continuavano (la McGrannitt stava spiegando qualcosa su Nati Babbani e ammissione a Hogwarts, qualcosa in cui c'entrava una piuma e qualcos'altro) gli occhi di Harry si erano ormai bloccati in direzione del professore, anche se la sua mente vagava altrove e l'attenzione era relativa. Almeno finchè l'uomo non fece sbucare la mano destra da sotto il tavolo, per sollevare la tazza di tè che gli era stata piazzata davanti.
Un'inspirazione simile a un sibilo, alla sua sinistra, lo informò che anche Hermione aveva visto tutto. Piton si stava aiutando anche con la mano sinistra, e il movimento era lento, come se provasse un piacere maggiore nel calore della porcellana che nell'idea di bere un sorso. Il medio della mano destra terminava, di colpo, alla seconda nocca. Affettato a metà, per così dire. Il moncherino rimanente sembrava un residuo perlopiù inutile, mentre il dito indice mancava del tutto: l'incavo del pollice continuava irregolare e gonfio fino al medio. Harry, con una calma che sapeva un po' di shock, capì finalmente perché la mano bendata gli fosse sembrata così sbagliata, grottesca.
E Piton capì che aveva capito, evidentemente, quando con uno scatto piccino degli occhi si ritrovò a guardare per sbaglio in quelli del professore.
Harry ebbe una visione improvvisa, velocissima - le bende sudicie, la bava essiccata sul mento - e strizzò le palpebre. Le mutande di zia Marge, pensò, tentando di mandare avanti quell'immagine, di trattenere il resto, di fargli vedere solo ciò che voleva lui. Dudley che si fruga nelle mutande per risistemare la mercanzia. Zia Petunia che guarda la tv, con la sua postura da mantide religiosa.
Ma era troppo tardi e, comunque, non era mai stato un granchè con l'Occlumanzia. Vide Piton scoprire i denti un po' storti, inspirare, prepararsi a parlare, ed aspettò inerme il commento dell'uomo - che, però, non arrivò. Al suo posto sentì la voce pacata di Silente.

«Severus?» disse, soltanto, e Piton spostò lo sguardo su di lui. Di nuovo abbastanza inespressivo, solo con un sopracciglio lievemente inarcato.
«Senza il tuo rapporto non ha molto senso cercare di coordinare i nostri Auror» spiegò il preside, con aria quasi colpevole, anche se lo sguardo era attento e molto fermo, non particolarmente gentile.
L'altro annuì, un movimento rigido e quasi automatico, riappoggiò lentamente la tazza al suo posto, senza neanche bere. Fece sparire di nuovo le mani sotto il tavolo, e solo dopo parlò. La voce era solo un po' roca, aveva lo stesso tono piatto e sdegnato che usava in classe per commentare le pozioni di Neville. Tutto molto familiare e, per questo, tutto molto assurdo. Harry si sarebbe aspettato qualcosa di diverso.
«Conoscete già i punti salienti. Per meglio dire, non posso confermare nè smentire le ipotesi di cui sono stato informato. Al massimo posso confutare quelle più idiote.»
Sirius si versò un altro bicchiere, Malocchio sbuffò rumorosamente, Fleur arricciò il naso. In generale, sembrò che un'ondata di scontento passasse lungo il tavolo, bloccata giusto da qualche scoglio di ansia e preoccupazione qua e là. Harry non sapeva bene da che parte schierarsi.
«Non sembra esserci nessun collegamento diretto con la morte di Emmeline Vance. Non sono a conoscenza dei dettagli, ma non mi risulta che si sia lasciata... sfuggire qualcosa di rilevante. Non su di me, nè sui piani dell'Ordine. L'incidente è stato causato dal fallimento all'Ufficio Misteri, se proprio vogliamo trovare un rapporto di causa-effetto tra gli avvenimenti passati. Gli è stato impossibile sfruttare la stampella offerta dalla Profezia, non è riuscito ad ascoltarla, e quindi il Signore Oscuro è diventato ulteriormente... instabile. Paranoico.»
Sembrava aspettarsi una nuova ondata di sbuffi e borbottii, o almeno, fece una pausa proprio precisa per contenerli tutti prima di ricominciare a parlare.
«Chiunque abbia un minimo di cervello, a questo tavolo» e scoprì i denti irregolari in una smorfia, con una sfumatura scettica nella voce «può capire come questa sia un'informazione fondamentale. La maniera in cui sta trattando i suoi seguaci creerà senz'altro delle spaccature. Sfortunatamente, quando ha deciso di concentrare le sue attenzioni su di me, ha davvero trovato una spia. Per puro caso. Se la tortura fosse invece stata priva di risultati, nel giro di qualche mese si sarebbe trovato in inferiorità numerica. Capite bene - o meglio, spero ma non credo che capiate - che quando il sistema di punizioni e ricompense diventa illogico, quando gli uomini più fidati rischiano la morte senza motivo apparente, il gruppo non può più essere coeso. La paura avrebbe potuto fare ancora da collante solo per un periodo limitato di tempo.»
«Ma questo non è successo. N'est-ce pas?La punizione è divontata giusta, almeno ai loro occhi. A me sombra più utile parlare di quello che...»
«C'è ben poco di utile. Vedo già qualche buco nella tua storia, Piton. E non ne sono sorpreso» borbottò Malocchio, interrompendo Fleur, senza neanche guardarla. Davanti a lui Tonks sobbalzò, con un sibilo di dolore: aveva evidentemente cercato di tirare al suo mentore un calcio sotto il tavolo, beccando però la gamba di legno invece di quella vera.
«Posso continuare?» chiese Piton, e stava addirittura sorridendo. Senza allegria, e senza osare guardare in direzione di Moody. Puntò invece Sirius, allargando il sorriso, abbassando la voce. «A meno che non abbiate tutti un tempo illimitato da passare seduti a questo tavolo, la cosa veramente utile sarebbe rimandare i commenti alla fine.»
Quelli del padrino, se l'udito di Harry non lo ingannava, non erano comunque molto costruttivi. Gli sembrava di avere sentito distintamente un "testa di cazzo" provenire dalla sua direzione.
«Il concetto alla base del mio ragionamento rimane. La Maledizione Cruciatus, pur essendo uno spauracchio più che sufficiente, è un male conosciuto. Un normale rischio del mestiere, una malattia professionale, se vogliamo. Ma quando la tortura diventa più fantasiosa...»
«In che modo?» chiese Bill, piano. La voce era pacata, lo sguardo molto attento. Per un attimo Harry pensò che Piton non sarebbe riuscito a mantenere l'ironia morbosa con cui stava affrontando l'argomento, non davanti alla domanda diretta dello Spezza Incantesimi. Ma, dopo un istante di pausa, si limitò a continuare a parlare come se nulla fosse, come se nessuno l'avesse interrotto.
«È estremamente probabile che aver scoperto il mio doppio gioco possa alimentare la paranoia del Signore Oscuro. Anche se ciò non fosse, quello che ha fatto - e come lo ha fatto - ha creato un precedente pericoloso. Date le premesse, credo che la tensione tra i Mangiamorte non farà che aumentare. Ci sono sempre state delle defezioni, anche durante la prima guerra, ma i nuovi sviluppi promettono di rendere la cosa così comune da poter essere... sfruttabile. Credo che dovremmo concentrare i nostri sforzi in questa direzione. Offrire un'alternativa valida. Mostrarci come la parte vincente, come la scelta più ragionevole per sopravvivere alla guerra, l'unica alternativa a una morte inutile per una causa che non riusciranno mai a godersi. Si disgregheranno anche senza nessun intervento da parte nostra, è vero, ma preferirei ritrovarmi con almeno una percentuale di disertori dalla nostra parte, anzichè avere davanti quattro o cinque gruppi di Mangiamorte distaccati da quello principale, tutti comunque con la precisa idea di uccidere i membri dell'Ordine.»
«Quindi è questo quello che ci offri, Piton? Un po' di psicologia da due soldi su Voldemort e sui tuoi amici Mangiamorte, un sacco di parole vuote e... basta?» intervenne Sirius, all'improvviso, con la voce appena impastata.
«Avrei potuto offrire una casa e godermi un anno sabbatico. Ma, per mia fortuna, hai già adempiuto tu a questo rischiosissimo compito.»
«Severus?»
Fu la voce di Lupin ad interrompere l'improvviso tramestio di sedie scostate - quella di Sirius, e quelle di chi aveva intenzione di trattenerlo. Piton non si mosse affatto, anche se la postura sembrava più rigida e rattrappita di prima. Si limitò a guardare il lupo mannaro, che lo fissava di rimando, con la mano alzata come uno studente in attesa del permesso di prendere la parola. Cosa che Piton non gli diede, e che Remus alla fine non aspettò.
«C'è un dettaglio più... pratico ed immediato, di cui dovremmo parlare. Non siamo riusciti a riconoscere la natura di alcune ferite, né a capire come trattarle. Eppure non ho potuto fare a meno di notare che si sono rimarginate. Suppongo che te ne sia occupato tu, da solo? Se è così, forse potresti...»
«No.»
«Come, scusa?»
«Ho detto: no.»
Non sembrava curarsi particolarmente degli sguardi di tutti, sempre fissi su di lui, quando sollevò di nuovo la mano mutilata. Sembrò considerarla un attimo, con occhio critico, spassionato, e solo una vaga traccia di disgusto. «Credo di non aver bisogno di evidenziare l'ovvio, gli effetti dell'incantesimo subito. E non ho informazioni ulteriori da fornire. Ho semplicemente tentato una contromaledizione che mi sembrava si adattasse alla ferita, e ha funzionato. Per quel che poteva funzionare. Posso fornire dettagli sulla contromaledizione, nient'altro.»
«Credo ci sia anche qualche altro dettaglio che puoi fornirci, Piton. Trovo piuttosto... curioso che tu non ci abbia ancora raccontato niente della tua fuga» intervenne Malocchio, entrambi gli occhi fissi sull'ex-Mangiamorte. Che tornò a nascondere la mano sotto il tavolo e abbassò finalmente lo sguardo. Se ci si poteva basare sui muscoli delle guance incavate, stava stringendo i denti. Alla fine parlò, con lo stesso tono di prima, brusco ma non particolarmente coinvolto.
«Non sono informazioni rilevanti, Moody. Ma se proprio vogliamo perdere tempo... mi sono trovato da solo con Selwyn. Non si aspettava di ritrovarsi con una lama nel piede, ha lasciato cadere la bacchetta, l'ho presa. Prima che arrivassero i rinforzi ho avuto il tempo di spezzare un paio di incantesimi anti-Smaterializzazione, abbastanza per fuggire. Ragionevolmente intero, anche se non del tutto: credo di essermi Spaccato. E questo è quanto.»
«È morto?» chiese Tonks, in tono quasi casuale.
«Selwyn? Sì.»
«Ne sei sicur—»
«Sì.»
«Hai parlato di una lama.»
«Sì. Avevo un coltello.»
«Non ti avevano perquisito?» intervenne Shacklebolt, placido come al solito, senza alcuna espressione. La sua voce era molto calma, quella di Tonks vagamente incuriosita, in maniera quasi amichevole.
«Sì. Ma non è gente abituata a preoccuparsi di ciò che non è magico.»
«Cos'hanno usato? Magicum Revelio?»
«Sì. E incantesimi di Appello.»
«Ma non hanno trovato il coltello.»
«No. Non ci hanno pensato.»
«Perché Selwyn era da solo?»
«Era di guardia.»
«Non era lì per interrogarti?»
«No.»
«Perché?»
«L'interrogatorio era stato sospeso» rispose Piton, aggrappandosi un po' di scatto alla tazza davanti a sè, goffamente, con la mano mutilata. «E sarebbe proprio il caso di sospendere anche il vostro» borbottò, rancoroso, con un'occhiata a Silente. Silente che non era ancora intervenuto, nè lo fece in quel momento.
«Perché l'interrogatorio era stato sospeso?» insistè Kingsley.
Harry vide Silente fare un piccolo cenno con la testa. Piton continuò a guardarlo, senza espressione, senza parlare, mentre Tonks lo spronava con voce più gentile.
«Vogliamo solo capire meglio come si sono svolti i fatti. La cosa potrebbe tornarci utile, lo sai quant'è probabile che qualcuno di noi si ritrovi nella stessa situazione di Emmeline, o di Amelia... o tua. Qualsiasi informazione tu abbia potrebbe salvare delle vite.»
«Dopo che sei stato scoperto la nostra principale fonte di informazioni sui Mangiamorte è svanita. Lo capisci, questo. Quindi, se ti è rimasto ancora qualcosa di utile...» intervenne Shacklebolt. Ma non sembrarono essere le sue parole a far decidere l'uomo, gli strapparono solo una smorfia. Non lo guardava neanche, teneva gli occhi scuri fissi su Silente. Il preside annuì di nuovo, e solo dopo Piton aprì bocca.
«Ho dovuto dargli... qualcosa. Al Signore Oscuro. Un dettaglio su cui rimuginare. Qualcosa che potesse distrarlo abbastanza a lungo da darmi una piccola pausa, ma che non mettesse in nessun modo l'Ordine a rischio.»
«Di che dettaglio si tratta?» chiese Tonks, incoraggiante, mentre tutto il tavolo sembrava trattenere il respiro. Ma Piton non rispose, si limitò a bere il suo tè. Fu Silente ad intervenire.
«Il dettaglio in questione è già stato discusso privatamente tra me e Severus. Avete la mia parola...» scandì bene, guardando a turno i presenti, senza concentrarsi su nessuno in particolare. «...che la sua valutazione è esatta. Ciò che ha confessato a Voldemort non ci ha messo in pericolo, in nessuna maniera.»
Sirius aveva di nuovo la bacchetta in mano. Se ne stava perfettamente immobile, ma Remus si affrettò a spegnere con la mano un paio di scintille che, dalla punta, erano cascate sul tavolo. Era l'unico a sembrare sull'orlo di uno scoppio di magia più o meno involontario, ma l'ansia e la sfiducia si leggevano a chiare lettere sul volto di tutti... o quasi.
Fu Tonks la prima a parlare di nuovo. Aprì le braccia, si sventolò le ascelle, mormorò «Fiù, certo che... che fatica!»

Il suo tentativo di smorzare la tensione non ebbe molto successo. Passarono più di un'ora a bisticciare sull'attuale collocazione di Harry ed Hermione. I Weasley, inclusa la neo-acquisita Fleur, portarono avanti una campagna decisamente battagliera per cercare di portarseli via, alla Tana. Arthur si premurò di specificare che non era per sfiducia verso Severus, che sarebbe semplicemente stato un piacere averli come ospiti per un paio di giorni, ma il figlio e la sua compagna ci misero ben poco a smentire quella versione. Malocchio suggerì quello che, a giudicare dalla descrizione, doveva essere un rifugio antiatomico. Kingsley parlava addirittura di trasferirli all'estero. Sirius rovesciò la sedia ed urlò a lungo, un po' contro tutti, in ordine sparso. Aveva argomentazioni meno pratiche e più sentimentali per volerli lì, e probabilmente era una fortuna che Remus menzionasse l'Incanto Fidelius e le protezioni lasciate dalla famiglia Black, mentre l'altro si limitava a berciare che era "il suo dannatissimo figlioccio" e la decisione quindi spettava al "dannatissimo padrino". Harry gradiva molto la sua presa di posizione, ma riteneva che la decisione spettasse a lui. Che era proprio lì, davanti a loro, nel caso se lo fossero scordato. Stava per alzarsi e dirlo ad alta voce - ma Hermione gli fece cenno di no con la testa, gli strinse forte il braccio, e lui richiuse la bocca dopo un profondo sospiro. La McGrannitt, con una mano appoggiata sulla spalla di Piton, li castigò tutti perché si stavano comportando come bambini. Il professore era probabilmente d'accordo con la sua diagnosi, ma non ebbe alcuna reazione. Non alle sue parole, non al contatto fisico, e neanche alle urle indignate degli altri.
Silente li lasciò sfogare, neutrale e silenzioso. Sciolse la riunione solo quando la maggior parte delle voci erano diventate troppo roche per gridare ancora in maniera efficiente.


«È stato... disturbante» ammise Hermione, quando finalmente riuscirono a nascondersi entrambi in camera di Harry. Il ragazzo annuì con foga, e l'amica continuò a parlare, corrucciata, mentre tirava nervosamente i fili del copriletto un po' rovinato. «E mi dispiace dirlo, ma credo che Malocchio... credo che abbia ragione. C'è qualcosa che non va, nella storia di Piton. Hai visto come l'ha presa alla lontana? Tutto quel discorso sulle dinamiche interne, sullo sfruttare i disertori - sono d'accordo con lui, va bene, ma c'era veramente poca sostanza. Ha dato pochissime informazioni, e gliele hanno dovute praticamente strappare di bocca.»
«Credi che abbia mentito?»
«Non lo so. Non... credo. Non direttamente. Per omissione magari sì, ma non penso che abbia detto bugie vere e proprie.»
«Forse è per quello che l'hanno scoperto. Cioè, durante la riunione l'abbiamo capito tutti che stava cercando di infinocchiarci in qualche maniera. E se l'abbiamo capito noi...»
«Non credo, Harry. Non sarebbe sopravvissuto neanche alla prima guerra se non fosse stato bravo a mentire, no? È più probabile che oggi la cosa sia stata così evidente perché, be'... perché non sta bene.»
«Ma sì che sta bene, te l'ho già spiegato. Prima stava male, ma adesso... fa quasi paura, da quant'è normale. È in forma, fidati. A modo suo, va bene, però...»
«Harry. Non può stare bene, dopo quello che ha passato. Credo sia possibile che non abbia mentito per chissà quale sua agenda, ma solo perché non riusciva ad affrontare l'argomento. Per il trauma, per...»
«Oppure potrebbe essere tutta una montatura. Andiamo, Hermione. Se fosse stato per questo sarebbe almeno sembrato - non lo so, nervoso. Spaventato. Triste? Invece a me pareva solo scocciato, il che avrebbe senso se stava cercando di fregarci e capiva di non esserci riuscito del tutto. Potrebbe non essere davvero dalla nostra parte...»
«A volte la mente delle persone reagisce in maniera... strana. E Piton non è mai sembrato troppo normale, no? Alla fine torniamo sempre su questo punto, tutti gli anni. E la risposta è sempre la solita, Harry: Silente si fida di lui. E noi ci fidiamo di Silente. Vero?»
Harry esitò, e quando aprì bocca per spiegarle che la cosa era un po' più complicata di così un foglio di pergamena scivolò da sotto la porta. Restarono a guardarlo, in apnea, mentre volava con precisione e nonchalance verso le mani di Harry. Lo acchiappò quasi automaticamente, sopra c'erano scarabocchiate solo poche parole, in uno stampatello irregolare: "Occlumanzia, 21:30, biblioteca". Passò il foglio a Hermione, inspirò profondamente.
Restarono a guardarsi a lungo, in silenzio, e l'ansia era identica su entrambi i visi.

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Capitolo 6
*** Non-buon compleanno, Harry ***


Buon compleanno harry
«Aspetta - non ti sei portato niente per scrivere?»
«...scrivere?»
«È una lezione, Harry. Ti fa così schifo prendere appunti? Va bene, tieni questo foglio - aspetta, dovrei avere una penna di riserva...»
«Secondo te se la prende, se non scriviamo con le piume?»
Harry vide l'orrore e il panico fare capolino negli occhi di Hermione - ma il tempo era già scaduto. Piton era appena entrato, chiuse la porta dietro di sè con un movimento svelto della bacchetta e un inquietante rumore di serratura chiusa tre volte. La buona notizia era che sembrava riuscire ad usare la bacchetta con la mano mutilata, anche se l'occhio allenato di Harry bocciò la stretta strana delle dita rimaste come "a rischio anche con l'Expelliarmus meno riuscito di Neville". Un combattente in meno, quindi. Ammesso e non concesso che il Serpeverde avesse mai avuto intenzione di fare qualcosa anche in prima linea, invece di rimanersene comodo nelle retrovie con la sua dubbia utilità di spia.
L'altra buona notizia era che, sebbene non camminasse proprio alla perfezione, Harry l'aveva visto zoppicare molto peggio dopo l'incontro con Fuffy. Si congratulò con se stesso per l'insistenza con cui affermava che Piton stesse bene: tutto lo confermava. Anche la maniera odiosa con cui iniziò la lezione.

«Suppongo che la signorina Granger conosca già la risposta ad ogni domanda, retorica o meno. Quindi, se volesse direttamente deliziarci con la definizione imparata a pappagallo senza che io debba aprire bocca...»
Harry, per un attimo, pensò che Hermione avrebbe resistito. Seduta dritta dritta sul bordo della sedia scompagnata, con il quaderno sulle cosce e il labbro inferiore tra i denti - quasi tremava dalla voglia di rispondere, ma per un attimo sembrò farcela a mantenere il silenzio. L'unico rumore, nella biblioteca, era quello di un qualcosa che sembrava correre dietro le scaffalature di libri. Un piccolo qualcosa, un qualcosa con molte zampe.
«Puoi cominciare dalla definizione di Legilimanzia» aggiunse Piton, con i denti storti scoperti in una smorfia di sdegno. Sembrava molto pallido - più del normale, insomma. Ma, anche se la voce era fioca e piuttosto roca, bastò per far crollare Hermione.
«L'Occlumanzia viene definita come "l'arte magica e mentale del compartimentalizzare". Ciò permette di difendere la propria mente da attacchi esterni, mantenendo integri e nascosti i propri pensieri e ricordi. Ci sono diverse correnti di pensiero sulla tecnica corretta da utilizzare per proteggere la mente, ma c'è un generale consenso sul fatto che il solo oscuramento non sia l'approccio più efficace: si preferisce, infatti, ibridare l'oscuramento con la più avanzata commutazione...»
Harry si era già perso. L'unica cosa che aveva capito era che la quantità di informazioni sembrava decisamente maggiore a quella che il bastardo gli aveva dato durante le sue lezioni. Il sovracitato bastardo sembrò seguire un ragionamento più o meno simile, perché stavolta snudò i denti in direzione del ragazzo e gli parlò in tono basso, molto lento.
«La signorina Granger non ha il dovuto riguardo verso i meno... dotati. Possiamo fermarci all'oscuramento, per ora. Ed immagino che qualcuno, in questa stanza, sappia dirmi la definizione anche di questo.»
«Oh. Ehm, quindi posso...? Sì. Ecco, signore, si tratta di un blocco totale. Un atto di forza e di pieno controllo che svuota completamente la mente, rendendo così difficilmente accessibili i—»
«Granger» disse Piton, a voce molto bassa. Sembrava tutto denti e naso, il disprezzo ben stampato sui lineamenti aspri lo abbruttiva ancora di più, abbastanza da ammutolire la ragazza. «Se tu potessi trattenere solo per un istante questa tua irritante... sollecitudine, forse ti renderesti conto che anche il nostro "ripetente" dovrebbe ormai essere in grado di rispondere.»
«Sì, ma—»
«Troppo faticoso? O forse ti stai annoiando, Potter?»
«No, ma io—»
«Strano. Eppure stiamo ricapitolando degli argomenti che abbiamo già affrontato, anche se a un livello più adatto alle tue insulse capacità mentali. Forse neanche stavolta sto riuscendo ad attirare la tua attenzione?»
Harry optò per un cauto e molto rigido silenzio.
«Ancora più strano. No? Davo per scontato un maggiore interessamento, dopo che la tua incompetenza ha rischiato di mietere più di una vittima.»
Harry serrò i denti. Piton continuò, inesorabile.
«Ma certamente il Prescelto non ha bisogno di applicarsi in qualcosa. Di sicuro c'è un deus ex machina dietro l'angolo, no? Amici più brillanti, o qualche malconsigliato martire pronto a fargli da scudo...»
I ragazzi rimasero in perfetto silenzio. Harry neanche respirava, non si fidava delle parole che avrebbero potuto uscirgli di bocca insieme all'espirazione.
Alla fine fu Piton a lasciarsi andare a un profondo respiro.
«Potter. Quali sono stati i tuoi unici successi, durante le nostre lezioni?»
«Io... successi?» riuscì a mormorare, con la bocca aperta come quella di un pesce che soffoca. Era felice che Piton sembrasse aver cambiato approccio, ma la domanda l'aveva messo più in crisi delle frecciate precedenti. L'altro sbuffò, si appoggiò alla scrivania con la mano ancora sana. Sembrava l'unica cosa a tenerlo ancora in piedi, osservò Harry, con un certo distacco.
«Sto cercando di essere gentile, Potter. Ci sono state due occasioni in cui hai raggiunto ciò che un idiota potrebbe definire "parziale successo". Illuminaci.»
«Io... uh... l'ho... fatta smettere?»
«Come?»
«Ho - ho lanciato degli incantesimi.»
«Volontariamente?»
«Più o meno. Non il primo.»
«Una fattura pungente.»
«Ehm. Già. E poi un... sortilegio scudo.»
«E che informazioni hai tratto, da questa tua bravata?»
Che è particolarmente disturbante vedere un bambino piangere in un angolo, e poi trovarsi davanti il mostro di rancore che quel bambino è diventato. Avrebbe voluto rispondere così, ma pensò a un po' di cose, tutte insieme, e tacque. Pensò a Silente, che gli chiedeva lo sforzo di un po' di pazienza. Pensò a...
Riflettendoci meglio, non era il caso di pensare troppo a niente. Non con un Legilimens davanti. Così si limitò a stringersi nelle spalle.
«Signorina Granger? Vuoi di nuovo correre in soccorso del tuo compagno?»
Hermione aprì la bocca. Poi la richiuse, diffidente. Quando si decise a parlare, lo fece con una certa lentezza.
«In teoria un attacco esterno potrebbe far perdere la concentrazione al Legilimens, ed interrompere così il contatto. Riuscire a lanciare un incantesimo sottintende un certo grado di oscuramento, ma non credo sia sufficiente a—»
«Riguardo all'utilizzo di un sortilegio scudo, signorina Granger.»
«Oh. Io... non sono sicura, signore.»
«Ah no?» fece Piton, improvvisamente mellifluo. E, prima che Harry potesse pensare di fare alcunchè, puntò la bacchetta verso Hermione. Fece appena in tempo a scattare in piedi, con un urlo già in fondo alla gola, quando un suono alla porta bloccò tutti. Era come un... raspare di zampe contro il legno? Molto forte, molto insistente. E, subito dopo, un bussare così violento da far quasi tremare la sedia sotto il sedere di Hermione.
«PITON! APRI QUESTA DANNATA PORTA - ORA!»
Sirius. Ovviamente. Harry non sapeva se sentirsi sollevato o preoccupato. Notò, con la coda dell'occhio, che il professore aveva teso maggiormente il braccio, e che la bacchetta era puntata ora verso la porta. Con l'altra mano continuava a reggersi alla scrivania.
«Black. Stai interrompendo una lezione, approvata dal Preside, quindi—»
«APRI! QUESTA! DANNATA PORTA... oh, fottiti - bombarda!»
Harry ed Hermione si coprirono il viso quasi all'unisono - Piton no, picchiò solo col posteriore contro l'angolo della scrivania, gli occhi strizzati. E, in mezzo alle macerie della porta, ecco Sirius. La bacchetta levata, lo sguardo non meno allucinato di quando, ridotto a poco più di uno scheletro, era pronto ad uccidere Peter Minus.
«Cosa sta succedendo. Piton - te l'avevo detto. Volevo essere presente! Non ti permetto di—»
«Di insegnare, Black? Oh, non ti preoccupare. L'ego del tuo figlioccio è già un ostacolo sufficiente, non riuscirei ad insegnargli niente neanche se—»
«Non ti permetto. Non nella MIA casa. Non con il MIO Harry - e non con Hermione! Tu, piccolo sudicio...» ed iniziò a camminare verso la scrivania. Harry non era spaventato all'idea di fermarlo - però forse, in effetti, ripensandoci, un pochino lo era.
«Sei consapevole, vero, del fatto che ho le stesse identiche preoccupazioni riguardo ai tuoi contatti con questi due ragazzi? Io, almeno, non sono uno schifoso—» iniziò a sbottare Piton, ma i ragazzi non scoprirono mai che sfumatura di "schifoso" fosse Sirius: un pugno del suddetto impattò improvvisamente con il viso magro del professore.
Tutti sentirono il "crack" nitido e nauseante del naso che si spezzava, tutti videro il sangue che colava dalle narici, in un fiotto fin troppo copioso. Nessun riuscì a fare niente, finchè Remus non piombò nel caos generale con urla molto giuste ed Epismendo lanciati con premura.

E così finirono di nuovo nella camera di Harry, un sedere per letto, gli sguardi bassi. Almeno fino a che Hermione non alzò i suoi, graziosi e molto seri.
«Non mi avevi detto di aver usato degli incantesimi contro Piton.»
«Ehm.»
«Cos'è successo, quando hai usato il sortilegio scudo?»
«Io ho... sono... sono entrato nei suoi pensieri. Credo che non se l'aspettasse. Ho visto cose che - sono private, Hermione. Scusa ma non...»
«Capisco» lo interrompè lei, senza nessuna particolare emozione e la fronte corrucciata. Dopo un lungo silenzio, ebbe solo una domanda.
«Cosa stava cercando di dire a Sirius?»
«Non lo so. Codardo? Sai com'è Piton. Anche se, onestamente, tra i due...»
«Pensavo solo che... sai...» iniziò Hermione, interrompendosi però a metà strada, con le labbra contratte.
«So cosa?»
«Niente. Sono io che penso troppo, di sicuro» minimizzò lei, con un sorriso esitante e un'occhiata all'orologio polveroso appeso al muro. «E mi stavo quasi scordando... buon compleanno, Harry.»
«Come?»
«Auguri. È passata la mezzanotte, vedi?»
Harry vedeva, ma avrebbe preferito accorgersene in tutt'altro frangente.

La mattina dopo, non si accorse di non avere regali in fondo al letto. Non ipotizzò neanche l'idea che i regali fossero stati rimandati a una festa di compleanno, non ebbe neanche un pensiero sull'argomento, non ebbe neanche mezza delusione. Si limitò a trascinare i piedi nudi verso il bagno, ad aprire l'acqua ed aggrapparsi con entrambe le mani al lavandino. Perché il sogno era tornato, ed era rimasto disturbante. Il che non aveva senso. Il cigolio dell'altalena non era una cosa negativa - ci era andato, al parco giochi. Da solo e depresso, ma c'era andato. Ed era tutto okay. E la cosa rossa... adesso capiva, si ricordava che erano capelli. Rossi, però non di un "rosso Weasley". Abbastanza vicino, ma non proprio uguale. Harry, però, supponeva che fosse abbastanza uguale.
«Mi sento solo in colpa per via di Ginny» disse, allo specchio.
«Spero vivamente che questa "Ginny" sia una degna compagna Purosangue» rispose lo specchio.
Harry schizzò acqua, sapone e dentifricio contro il vetro. In quella casa, anche l'arredamento del bagno era razzista. Finito ciò che doveva, scese ovviamente verso la cucina.

Non la riconobbe subito. Aveva i capelli neri, molto lunghi e dritti dritti, i lineamenti affilati e pallidi. Pensò a Morticia Addams, ricordò come la serie fosse uno degli spauracchi maggiori dei Dursley. Troppo anticonformista. Poi la donna gli sorrise, e finalmente tutti gli indizi andarono al loro posto: era Tonks.
Sirius era seduto di fianco a lei, Remus aveva un braccio intorno alle spalle dell'Animagus - lo tolse, non appena si accorsero di Harry. Sirius aveva la Gazzetta del Profeta tra le mani magre, e non erano molto ferme.
«Chi è morto?» chiese Harry, senza vergogna e senza pudore.
Lupin si infilò le mani in tasca, guardò un po' tutti prima di rispondere.
«Hestia Jones.»
«Hestia...»
«Non leggere la Gazzetta» intervenne Tonks, con un tono così duro che quasi non ne riconobbe la voce. Ma poi la donna sospirò, e tutto tornò come doveva essere. «Il Ministero sta bloccando la maggior parte delle informazioni, i resoconti della Gazzetta non sono... esatti.»
Sirius continuava a tenere il giornale tra le mani. Gli occhi non si muovevano, non stava leggendo. Il silenzio era pesante.
«Ero sulla scena. La scorsa notte. Supponiamo che sia stato un - un omicidio/suicidio. Il cadavere di Hestia non era l'unico, c'era anche un Mangiamorte non identificato. Dalla ricostruzione, pensiamo che Hestia abbia... spaccato la fiala di una pozione che nessuno dovrebbe respirare. Si è uccisa. Insieme ad uno dei suoi aguzzini. Gli altri, se c'erano, sono riusciti a fuggire. E questo è quanto.»
Harry, con la gola secca e una sensazione di irrealtà addossò, cercò di prendere la Gazzetta a Sirius. Lesse, velocemente. "MAGGIOR ATTENZIONE SU MAGAZZINI POZIONISTICI - Hestia Jones, venticinque anni, ha perso la vita dopo la frattura di fiale non adatte alla consumazione umana. Rilevato il cadavere di un acquirente, per il momento il corpo degli Auror segue la pista di un incidente pozionistico. Impiegata da cinque anni presso "Rimedi Rivoltanti di Madama Myrtle", Hestia Jones ha mantenuto un curriculum completamente privo di errori prima del tragico incidente che..."
Harry alzò di scatto gli occhi molto verdi su Tonks, che si limitò a scuotere la testa. «Era un Mangiamorte. Abbiamo visto il Marchio.  Supponiamo che abbiano cercato di sorprenderla sul posto di lavoro, e che... e che Hestia si sia difesa come meglio ha potuto» affermò, rigida, con un tono quasi militaresco. Aggrottò la fronte. «Ci stiamo ancora lavorando, comunque. Forse, una volta raccolte abbastanza prove, anche la Gazzetta...»
Remus calò una mano sulla spalla della donna. Strinse appena. Lei chiuse gli occhi, ed Harry restò a guardare in silenzio mentre i capelli di Tonks si facevano più corti, più sbarazzini, ma sempre di un nero assai lugubre.
«Devo tornare al lavoro» annunciò Tonks, alzandosi con cautela, come se fosse fatta di vetro. Sorrise a Remus, ed era un sorriso triste. Un sorriso sincero, un sorriso che faceva quasi male. «Cerca di prenderti cura di te. Va bene?»
E poi lanciò un'occhiata verso Sirius, con molta meno tenerezza. «E... mi raccomando» disse solo, all'Animagus, che in tutta risposta la guardò male. Harry rimase fermo e zitto dov'era, fu la donna a raggiungerlo, con un sorriso mesto.
«Buon compleanno, Harry» disse, piano. E, davanti alla faccia del ragazzo, rise. Abbassò ulteriormente la voce. «Se vuoi rispondermi con un "gran bel compleanno del cazzo" - puoi. Non faccio una piega. Ma... su con la vita. Okay?»
Ed Harry sorrise di malavoglia: non potè fare altrimenti.

Non si aspettava niente da Ron, e niente ricevette. Non si aspettava niente dai Weasley in generale, nonostante l'appoggio di Arthur e di Billy e di Fleur, ma qualcosa arrivò - dolci e torte e una poesia dei gemelli su Piton, in cui "caccola stupefacente" faceva rima con "impegno indecente", e che era firmata non solo "Fred e George", ma anche "Ginny". Harry la piegò con cura, pensando di leggerla meglio più tardi.
Da Hermione ebbe più o meno ciò che si aspettava, un paio di libri sull'Occlumanzia vecchi e stravecchi e pallosi, più un altro paio di rassegne Babbane su qualcosa che si chiamava "PTSD", e che Harry non capiva del tutto, ma supponeva fosse qualcosa di intelligente.
Da Sirius ebbe un abbraccio, e un set di Gobbiglie placcate in oro che lo fece sentire molto ricco e molto in colpa. Da Remus ebbe solo lo sforzo più grande: una festa di compleanno, con il fantasma di Hestia nascosto in fondo ad ogni brindisi e una torta solo di poco meno goffa di quella che Hagrid gli offrì al suo undicesimo compleanno.
Eppure si sentì il più fortunato di tutto il mondo quando, con vari livelli di stonataggine, tutti gli invitati (pochi) gli cantarono "buon compleanno" con un'allegria che copriva ogni difetto.
Da Piton non si aspettava nulla. E invece, nascosto da una carta da pacchi anonima, Harry scartò un altro libro: Le mie prime Pozioni, un libro dai tre ai sei anni, pieno di figure allegre. Probabilmente doveva essere una frecciata maligna, ma Piton non sapeva che i Dursley gli regalavano calzini spaiati e grucce per vestiti: quindi, tutto sommato, non fu un regalo malvagio.
E, quando la festa stava per finire, scese addirittura dalla sua camera. Con il naso aggiustato e la camminata sempre goffa, trasfigurò il whisky incendiario in acqua ed alzò il bicchiere per un brindisi.
«Al sedicesimo compleanno di Harry Potter» disse, con l'ironia in fondo alla voce. «Non capirà mai quanto sia stato complicato tenerlo in vita fin'ora» concluse, con una delle sue solite smorfie, ma Remus brindò insieme a lui ed Harry sorrise, solo un pochino.

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Capitolo 7
*** Sopravvivere a Grimmauld Place ***


sopravv
Harry riuscì a stare seduto con Hermione per un'oretta buona, con i gomiti sul tavolo e le mani intrecciate dietro la nuca, gli occhi fissi sulle pagine ingiallite di un poderoso tomo che non sembrava neanche scritto in inglese. Ma a quel punto la ragazza gli suggerì gentilmente di andare a farsi un giro, se proprio non riusciva a smettere di battere il tallone contro il pavimento con la stessa velocità di una mitraglietta.
«No. È una cosa importante, voglio aiutarti» borbottò lui, nascondendosi dietro il libro con una nuova ventata di determinazione. Neanche trenta secondi dopo aveva iniziato a schioccare la lingua e a fare brevi pernacchie con la bocca. E fu così che venne temporaneamente espulso dal gruppo di studio per preparare l'appello di Sirius.

Non aveva scopo o direzione. In compenso si sentiva pieno di noia ed insofferenza, e questo faceva abbastanza schifo. Non era ancora stata stabilita la data della prossima riunione dell'Ordine, le lezioni di Occlumanzia erano state interrotte per "difficoltà organizzative" - più nello specifico, Sirius voleva essere assolutamente presente e Piton, be', era assolutamente Piton, quindi la possibilità di un accordo sembrava ancora lontana. Hermione era impegnata con le sue ricerche, e Harry... per essere il Prescelto, c'era da dire che aveva davvero poco da fare. Gli adulti non facevano altro che sabotarlo, ed iniziava ad avere il sospetto che la sua partecipazione alle riunioni fosse in realtà un contentino lanciato di malavoglia nel tentativo di tenerlo buono.
Come al terzo anno, quando vagava per Hogwarts mentre gli altri si godevano Hogsmeade, a venirgli in aiuto furono i gemelli Weasley. Indirettamente, questa volta. Ma c'era una discussione in corso dietro la porta del poco compianto Regulus, e non riusciva a distinguere le parole. Le Orecchie Oblunghe, guarda caso, erano state inventate proprio per queste evenienze.

«Severus, ti rendi conto che tutto questo è assurdo?»
«Quindi drogare Mocciosus va bene, drogare Black è un'eresia. Interessante.»
«Non lo definerei "drogare". Era una terapia medica necessaria - e sì, lo so, non abbiamo potuto chiamare un Medimago qualificato, ma tutti erano d'accordo sul fatto che la Bevanda della Pace—»
«Molto comodo, Lupin. Vi siete divertiti, immagino.»
«Severus...»
«Di certo non avevo i miei vestiti addosso, quando mi sono svegliato. Vi siete fatti quattro risate o...»
«Severus - no. No! Ti prego - capisco quello che stai facendo, e... no. Lo sai che non è vero. Ci stai usando come pretesto per sfogarti e lo capisco, ma... no. Non c'è bisogno di cadere così in basso.»
E con grande sorpresa di Harry, all'altro capo di un lungo filo color carne, Piton ebbe ben poco da ridire.
«È disgustoso», fu tutto quello che sbottò, e Harry ebbe un non raro momento di completa sintonia con Sirius. Non aveva afferrato del tutto il problema, ma il tono di Piton era più che abbastanza per fargli prudere le mani.
«Obiezione accolta, Severus, ma comunque non ho intenzione di far... scivolare qualche goccia di Distillato della Morte Vivente nel bicchiere di Sirius. Non per permetterti di condurre le lezioni di Occlumanzia come vuoi tu.»
«Tipico. Prendi le difese dello psicopatico con quattordici anni di Azkaban alle spalle - e sarebbero dovuti essere almeno diciannove, dopo l'esilarante scherzo che mi avete fatto—»
«Ancora? Eravamo ragazzini! Questo non ci giustifica, ma almeno...»
«Almeno cosa, Lupin? Almeno cosa?!»
Per le ultime parole Harry avrebbe anche potuto accartocciare le Orecchie Oblunghe ed infilarsele in tasca, il tono era pericolosamente alto. Ma il lungo silenzio che seguì lo sfogo di Piton gli fece tendere ancora di più l'orecchio.
«Cercherò di aiutarti, Severus. Di lasciarti lavorare. Lo sai che la protezione dei ragazzi è anche la mia priorità.»
«Già. Per questo hai rischiato di sbranarli, appena due anni fa.»
«Ma lo farò a modo mio» continuò Lupin, fingendo di non averlo neanche sentito. «E non a modo tuo.»
«Bene.»
«...bene.»
«Vattene, Lupin.»
Harry fece appena in tempo a ripescare le Orecchie Oblunghe prima che Remus aprisse la porta. Dopo di quello aspettò ancora un po', contò a lungo, con gli occhi chiusi. Gli sembrava giusto così. Arrivato a milleduecentonove, però, sbucò dal suo nascondiglio e seguì il lupo mannaro.

«Ciao» gli disse, in mancanza di incipit migliori. Remus, impegnato a raggruppare i frammenti della porta della biblioteca, gli rivolse un'occhiata abbastanza sorpresa e un sorriso appena accennato.
«Ciao, Harry. Tutto bene?»
«Sì» rispose lui, velocemente. Un giorno avrebbe capito perché tutti avessero sempre quella domanda sulle labbra, appena lo vedevano, ma oggi non era quel giorno. «Hai bisogno di una mano?» chiese, invece.
«Se ti piacciono i puzzle» replicò Lupin, con aria divertita. «È più facile aggiustare qualcosa se tutti i pezzi sono più o meno nella posizione di partenza» spiegò, mentre iniziava a litigare con i frammenti di porta ancora ancorati ai cardini.
Lavorarono in silenzio per tre secondi circa, poi Harry si sentì scivolare le parole di bocca, quasi involontariamente.
«Ehm... riguardo a Piton... siamo davvero sicuri che - be', che ci si possa fidare?» riuscì a dire, trattenendo una parola ogni tre, per amore della diplomazia. O per rispetto verso Remus, più che altro.
Lui annuì, senza cambiare espressione. «So che non ha tenuto un comportamento... rassicurante, negli ultimi giorni, ma sì. Possiamo fidarci.»
Harry aspettò ancora un attimo, perché di sicuro doveva esserci dell'altro. Una spiegazione, un... qualcosa. Ma sembrava proprio che il lupo mannaro avesse chiuso il discorso, così il ragazzo aprì bocca di getto, prima ancora di capire cosa ne sarebbe venuto fuori.
«Ma è un - cioè, non è rassicurante, come hai detto tu. Lo sai, vero, che le lezioni di Occlumanzia sembravano peggiorare il problema invece di migliorarlo? Non mi ha aiutato. In nessuna maniera, mai. E poi nessuno sa com'è andata, quando l'hanno scoperto. Non sappiamo cosa gli sia successo davvero, non sappiamo—»
Lupin sembrò preso in contropiede, lo stava fissando in maniera un po' peculiare. Fu quello, più che la voce del licantropo, ad interrompere il ragazzo.
«Lo sappiamo, Harry.»
«Lo - cosa?»
Remus sospirò, storse appena le labbra e fece scivolare lo sguardo da tutt'altra parte. «Lo sappiamo» si limitò a ripetere, asciutto.
«Ma durante la riunione...»
«Non ha voluto parlare, lo so. Però l'aveva già spiegato a Silente, e Silente l'ha detto a me.»
«Ma perché...»
«Perché a me? Non lo so. Suppongo sia stata la sua maniera di ripagarmi... e di dirmi che è rimasto un mio problema. Te ne sei occupato fin'ora e adesso sai tutto, sai perché l'hai dovuto fare. Quindi, già che ci siamo, per il momento continua ad occupartene tu. Una cosa del genere.»
«Quindi sai anche cos'ha detto a Voldemort?»
«Non a chiare lettere, ma temo di averlo intuito.»
«Intui—va bene. Okay. Non me lo vuoi dire, vero? E non sei neanche un po' preoccupato?»
«No, nient'affatto» replicò lui, totalmente placido, finendo di estrarre i frammenti dai cardini.
«Okay, okay. Ma allora cosa sai, scusa? Cosa sai con certezza, senza intuizioni o altra roba.»
«Più di quanto avrei voluto, onestamente» ammise l'altro, pulendosi le mani contro i calzoni prima di estrarre la bacchetta.
«Sì, ma cosa!»
«Harry...»
«Avete iniziato a farmi partecipare alle riunioni, credevo che la musica fosse finalmente cambiata! E invece no, è sempre la solita solfa, non mi dite mai...»
«Non è la mia storia. Non sono io, a doverla raccontare. Reparo.»
Harry non si distrasse affatto, mentre la porta si ricomponeva più o meno perfettamente ai piedi di Remus, ma prima che potesse tornare a parlare la voce del lupo mannaro si fece sentire di nuovo. Con una stanchezza profonda, così simile e così diversa dalla solita calma.
«Capisco che sia difficile, Harry. Non dovresti essere costretto ad affrontare niente di ciò che ti è capitato ultimamente, e non dovresti essere costretto a studiare l'Occlumanzia. Non alla tua età, e di certo non con Severus. Se potessi evitartelo lo farei, ma non posso. Silente vuole che tu riesca a padroneggiarla, ed io non ho voce in capitolo. Sirius non ha voce in capitolo, Molly non ha voce in capitolo - nessuno ce l'ha. Siamo in guerra, e possiamo solo chinare la testa davanti a ciò che va fatto.»
«Sì, ma Piton...»
«...ha i suoi problemi, Harry. Sta reagendo meglio di quanto sperassi ma peggio di quanto fosse auspicabile, e non ne sono stupito. Sto facendo il possibile per cercare di far superare questo momento a tutti nella migliore maniera possibile, te lo giuro, ma non - nessuno può fare miracoli, Harry.»
«Vorrei solo capire, sapere qualcosa! È tutto un "fidati Harry, fidati Harry", ma come faccio?!»
«Non lo so» mormorò Lupin, e davanti alla sua voce sconfitta Harry non riuscì a trovare altre parole. Si limitò ad aiutarlo a rimettere la porta sui cardini, sentendosi un po' stupido e molto insoddisfatto.

Piton iniziò a frequentare con una certa assiduità le zone comuni, con notevole scorno di Sirius. La tensione era tale che quasi non si riusciva a mangiare, tutto perdeva sapore nell'aria densa di caldo e umidità della cucina. Remus aveva sconsigliato di tenere aperte le finestre troppo a lungo, qualcosa a che fare con gli incantesimi di protezione della casa. Quindi, niente finestre aperte. E niente corrispondenza troppo fitta, per paura che intercettassero i gufi. Niente gita a Diagon Alley per comprare il materiale per l'anno scolastico, ci avrebbe pensato qualcuno dell'Ordine. Neanche l'arrivo dei risultati dei GUFO e della nomina a Capitano della squadra di Quidditch riuscirono a portare un raggio di luce, e non solo perché il suo voto in Pozioni metteva del tutto la parola "fine" all'ambizione di diventare un Auror. Quello sarebbe stato al massimo un dettaglio vagamente amaro. No, ciò che affossò l'umore nella stanza fu Piton. Che pretese di vedere le lettere con i risultati e fece una smorfia, commentando entrambi i fogli con un "ridicolo" a denti stretti. Seguì una lunga interrogazione sugli esami. Chi, cosa aveva chiesto, come avevano risposto. Alla fine Hermione era quasi in lacrime, e Harry si sentiva vagamente omicida.

Piton sembrava però aver trovato una specie di accordo con Lupin. Le lezioni di Occlumanzia funzionavano così: Remus sbucava praticamente dal nulla, radunava tutti senza preavviso e si metteva di guardia, fuori dalla porta. Non furono mai disturbati, e Harry sperava che il colpevole fosse uno dei numerosi "mal di testa" di Sirius - una maniera gentile di riferirsi ai postumi di una sbornia, supponeva - e non qualche goccia di pozione in uno dei suoi numerosi bicchieri quotidiani. C'era qualcosa (più di qualcosa) che lo faceva sentire sporco e colpevole, in tutta la faccenda, ma se ci fossero state delle pozioni di mezzo... supponeva che si sarebbe sentito peggio.
Il comportamento di Piton non lo aiutava a tenere a bada i sensi di colpa: si era ammorbidito, probabilmente faceva parte del patto con Remus, era l'unica spiegazione logica. Oh, era odioso come sempre, poco ma sicuro - però non scavava a fondo. I ricordi che gli strappava dalla mente, quand'era il suo turno, erano... neutrali. Niente Squarta che lo rincorreva, niente zia Petunia, niente zio Vernon, niente Dudley. Niente cimitero, o Ufficio Misteri. Nessuna traccia di Cho, nessuna traccia di Ron. Solo un mucchio di ricordi generici, nè troppo belli nè troppo brutti. La volta che era andato a trovare Hagrid e aveva messo un piede in una pozzanghera - o almeno, sperava che quello fosse solo fango. La frazione soporifera di una lezione di Storia della Magia. Un allenamento di Quidditch sotto la pioggia, un pranzo in Sala Grande durante il quale non era successo niente di particolare.
Neanche Hermione sembrava troppo turbata, dopo che Piton aveva abbassato la bacchetta e interrotto il contatto con lei. Pareva tranquilla, faceva un sacco di domande un po' troppo specifiche e complicate sul come e perché Occlumanzia e Legilimanzia funzionassero in una certa maniera. Piton rispondeva a monosillabi, a volte la ignorava e basta. Ogni tanto si lasciava andare a una nuova tirata su come dovessero mantenere il livello delle lezioni il più basso possibile, sia mai che il prezioso Potter rischiasse di sforzare minimamente il suo cervello.
Finiva tutto con la stessa minaccia dell'anno precedente: dovevano svuotare la mente prima di andare a dormire, se non l'avessero fatto se ne sarebbe accorto. Ma faceva molto meno paura, adesso che Harry riusciva ad allontarsi su un paio di gambe belle ferme e senza un mal di testa così forte da rischiare di accecarlo.

Si esercitavano insieme, prima di andare a dormire. Hermione cercò anche di aiutarlo con qualcosa che si chiamava "meditazione guidata", ma ad Harry sembrava più stupido che utile. Quando non gli veniva da ridere finiva con il distrarsi, non c'era verso. Dopo qualche tentativo la ragazza se ne tornava nella sua camera, più spazientita che incoraggiante, con gli occhi gonfi di sonno e i piedi che non si staccavano mai un granché dal pavimento.
Dopo la prima settimana passata insieme ammisero che non aveva senso starsene in due camere separate. Nessuno dei due riusciva a dormire molto, meditazione o meno, ed Hermione sosteneva che ci fosse un insieme molto variegato di cause. Una tra tutte, il fatto di essere barricati in casa senza niente di preciso da fare, senza orari e senza routine, senza la possibilità di muoversi. Alle due di notte, in tono un po' impastato, gli elencò con molta convinzione (e con grande perplessità di Harry) tutti gli sport che avrebbe iniziato a fare non appena uscita da Grimmauld Place. Tra questi, ovviamente, non c'era il Quidditch. Quello ce lo metteva il ragazzo: le spiegò che una volta arrivato a Hogwarts avrebbe saltato il banchetto della Sala Grande, e tanti saluti a tutti. Avrebbe preso la sua scopa - finalmente! - e sarebbe letteralmente volato verso il campo di Quidditch. Aveva una mezza idea, tra l'altro, di non scendere mai più di lì.
Alle tre di notte Hermione gli chiese scusa: in effetti aveva ragione, i libri sul disturbo da stress post-traumatico che gli aveva regalato erano un po' troppo tecnici. Harry ammise che non aveva neanche capito per cosa stesse "PTSD". Dopo un quarto d'ora di sbuffi e risate sottovoce, capitolò del tutto e le disse che, in effetti, forse non l'aveva capito perché non li aveva neanche letti.
Hermione gli tirò un cuscino, e il sonno era ancora molto lontano dall'arrivare.
Quando lo fece, per Harry tornò il cigolio dell'altalena. Un paio di gambe nude, dei pantaloncini di jeans così striminziti che Molly li avrebbe trasfigurati in una gonna alla caviglia ben prima che Ginny potesse raggiungere la porta di casa... ma il rosso dei capelli della ragazza continuava a non essere della sfumatura giusta. Lei non si girò a guardarlo, camminava quasi saltellando, la strada era sconosciuta e la risata della ragazza gli suonava strana - strana almeno quanto la sensazione di minaccia che lo fece sudare più dell'aria umida nella stanza. Ma forse tutto andava bene, perché la luce aveva assunto una sfumatura più fioca e fredda e lui non temeva gli imprevisti. La lingua di un serpente assaggiava l'aria e tutto andava bene, era rassicurante sentire le scaglie della creatura sotto le dita.

Ginny, si disse di nuovo Harry, dopo essersi svegliato all'improvviso. Era Ginny. Il serpente? L'incontro con il Basilisco, probabilmente. Ginny in pericolo, Ginny e il Basilisco, tutto tornava. Ginny e Voldemort, volendo essere più simbolici. I jeans molto molto corti - be', supponeva che a sedici anni fosse abbastanza normale, e se proprio doveva essere onesto con se stesso (alle cinque del mattino era molto facile, essere onesti con se stessi) Cho si era ritrovata ben più svestita in più di un sogno. Contando anche quelli ad occhi aperti, anche se di ciò non era molto fiero. Ma insomma, alla fine... tutto regolare. Si sentiva disturbato solo per una questione di stress e sensi di colpa, non c'era bisogno di diffidare di un sogno ricorrente, confuso e banale com'era.
Harry si congratulò con se stesso: ormai era praticamente uno psichiatra. D'altra parte era una qualità abbastanza necessaria, se si voleva sopravvivere a Grimmauld Place.

Si riaddormentò male e all'orario sbagliato, fu Remus a svegliarlo. Bussando, come al solito, ma il preavviso non fu molto utile: non c'era maniera di mimetizzare la presenza di Hermione, e anche se i letti erano separati e i pigiami perfettamente al loro posto c'era comunque poco spazio di manovra: erano un po' troppo grandi per dormire nella stessa stanza, per motivi abbastanza ovvi, che solo un adulto con poca lungimiranza poteva pensare.
Sfortunatamente, Remus apparteneva appunto a questa categoria. «Ragazzi, non vorrei sembrarvi... be'. Però, Hermione - non me lo aspettavo da te. Ti hanno affidata a noi, abbiamo noi la responsabilità, e non vorrei che...»
Harry era troppo imbarazzato per aprire bocca - Hermione si riprese un po' prima, ma le giuste proteste e spiegazioni non sembrarono convincere del tutto il lupo mannaro. Avrebbe voluto essere maggiormente di aiuto, entrare in "modalità avvocato" con la stessa facilità di Hermione. Ma era davvero ancora troppo poco sveglio per riuscire a fare qualcosa di più che sentirsi sprofondare.

Quando scese, con la vergogna ancora addosso, Piton era in cucina. Con la sua mano sbagliata e quella giusta strette attorno alla Gazzetta del Profeta, sbirciò solo un attimo oltre le pagine. Riusciva a sembrare teso e indifferente nello stesso momento.
«Buongiorno, Potter» disse, con tutto il disprezzo di questo mondo. La prima pagina della Gazzetta invitava a non frequentare luoghi Babbani particolarmente affollati, per non rimanere coinvolti in eventuali attacchi. Sirius, con una pipa spenta in mano e gli occhi gonfi, seguiva i movimenti delle pagine come un cane seguirebbe i movimenti del panino del padrone. Voleva i cruciverba, ma Piton non aveva ancora finito di leggere, grazie tante. Le voci fecero in fretta ad alzarsi, e non era ancora mezzogiorno.

Bisognava essere quasi uno psichiatra, per sopravvivere a Grimmauld Place.

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NdA:
Buon San Valentino? Come regalo, ecco qua l'ultimo (per ora) capitolo ambientato a Grimmauld Place.

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