That's how they slyther in di Greynax (/viewuser.php?uid=1126849)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'accompagnatrice inaspettata ***
Capitolo 2: *** Un cattivo auspicio ***
Capitolo 3: *** Il ferito ***
Capitolo 4: *** Due lettere, un risveglio ***
Capitolo 5: *** Una riunione malriuscita ***
Capitolo 6: *** Non-buon compleanno, Harry ***
Capitolo 7: *** Sopravvivere a Grimmauld Place ***
Capitolo 1 *** Un'accompagnatrice inaspettata ***
Accompagnatrice
Cinque
minuti alla undici, e nonostante la lettera di Silente Harry non
aveva avuto il coraggio di farsi molte aspettative. Se guardava fuori
dalla finestra era più che altro perché non c'era
molto di meglio da
fare. Edwige era a caccia, buon per lei. Era troppo tardi per mettersi
a fare i compiti (e prima era
troppo presto, e il giorno precedente era troppo in ansia, quello
ancora prima era troppo arrabbiato). Di preparare il baule non se ne
parlava, non avrebbe potuto sopportare l'idea di essere pronto a
partire con il preside e venire invece dimenticato lì dai
Dursley come
al solito, isolato da tutto e da tutti, messo in panchina senza nessuna
buona ragione apparente o, almeno, nessuna ragione che qualcuno si
degnasse di spiegargli.
Di leggere la Gazzetta del Profeta neanche a
parlarne. I giornali sparsi ovunque per la stanza piuttosto lurida si
dividevano in due categorie: i numeri che ormai conosceva a memoria e
quelli che a malapena era riuscito a leggere, nascosti sotto quelli
più
recenti. La Gazzetta di quella mattina rientrava nella prima categoria,
lo faceva sentire ancora più distante da tutto con i suoi
articoli un
po' riciclati sugli omicidi Vance e Bones, sul ponte crollato, sulla
tragedia a West Country. Nelle pagine interne, l'unico
articolo a
cui aveva
dato solo una scorsa veloce, con il cuore che sembrava raggrinzirsi
dolorosamente ad ogni battito e un peso improvviso sullo stomaco: "Ancora nessun commento sulle
condizioni
della giovane Ginevra Weasley", iniziava, per poi
continuare come tutti
gli altri articoli su quell'argomento. Un breve riassunto sulla
battaglia all'Ufficio Misteri, in cui venivano citati solo i nomi degli
studenti coinvolti (e solo quello di Harry veniva ripetuto
più volte),
mentre i membri dell'Ordine della Fenice venivano citati di sfuggita
come "tempestivo
intervento di alcuni Auror e volontari informati dei
fatti". Ancora nessun accenno su Sirius, e dalle lettere
del padrino
Harry aveva avuto la distinta impressione che niente fosse cambiato.
Che fosse ancora un reietto, un ricercato, ancora prigioniero a
Grimmauld Place, per quanto questo gli sembrasse assurdo. Se i membri
dell'ES erano eroi, se gli "Auror e volontari" lo erano altrettanto,
anche se meno citati... perché non Sirius? Ma le lettere che
riceveva
dal suo padrino non lo volevano o non lo potevano spiegare, vaghe come
tutto il resto della sua corrispondenza non troppo fitta con i membri
dell'Ordine della Fenice o Hermione, scritte con la stessa
scarsità di
informazioni di quelle che riceveva l'anno prima.
Da Ron, ancora nessuna lettera.
Stava
rimuginando di nuovo su questo, con una sferzata d'ansia che lo
costringeva prima a tamburellare col tallone contro il pavimento, e poi
a camminare per la stanza, ignorando la finestra, con le mani ficcate
nelle tasche dei jeans cadenti e una postura raccolta, nervosa, quando
sentì aprirsi una porta - la porta, quella
d'ingresso, la riconosceva -
e, subito dopo, la voce con toni insolitamente acuti di zio Vernon.
«E
lei chi diavolo è?!»
Non
volava così dall'ultima volta che aveva cavalcato la sua
Firebolt,
quindi troppo tempo fa in effetti, grazie alla Umbridge.
Toccava a
malapena i gradini con le suole mezze scollate delle scarpe da
ginnastica vecchie di Dudley, ma la discesa a rotta di collo ebbe uno
stop improvviso sul penultimo gradino. Restò
bloccato, aggrappato al
corrimano e con il corpo un po' sbilanciato in avanti. Non
osò
procedere oltre.
Era sempre meglio rimanere fuori dalla portata di
Vernon, cosa in realtà non difficile visto che col passare
degli anni
la sua pancia rischiava sempre più di arrivare ad avere una
portata
maggiore di quella delle sue braccia, ma non fu certo la prudenza a
bloccarlo là sulle scale, con gli occhi enormi di sorpresa e
gli
occhiali storti.
Non si aspettava Silente, è vero, però non si
aspettava neanche... questo.
Sull'uscio
della porta d'ingresso, esitante ma con la schiena dritta e il mento
alto, c'era... Esther? Jones? Un membro dell'Ordine della Fenice, di
questo Harry era certo. Abbastanza certo. Che fosse una strega, con
pochi contatti coi Babbani, era ancora più certo, dato
l'abbigliamento
a suo modo splendido, se vogliamo, ma ben poco adatto alla tranquilla
ordinarietà di Privet Drive.
Niente mantello, bensì qualcosa che
somigliava più a una vestaglia o a un kimono, sui toni di un
fucsia
aggressivo. Un vestito a fiori a mezzacoscia, e dei calzini bianchi di
spugna tirati sui polpacci forse un po' troppo ben torniti. Scarpe dal
tacco
vertiginoso, di un rosso acceso. Harry ebbe il tempo di chiedersi cosa,
esattamente, insegnavano a Babbanologia - e nel frattempo... Esther?
Heather? La donna stava parlando.
«Salve?
Credevo foste stati
avvertiti. Il Preside non è potuto venire, e... sono Hestia
Jones.»
cinquettò la strega, con le gote più rosse del
normale e un sorriso
ampio. Sporse appena il collo verso le scale, oltre lo strano trenino
di zio Vernon, Petunia e Dursley che, con fortuna alterna, cercavano
di sbirciare la donna e contemporaneamente nascondersi dietro la mole
dell'uomo. «Harry?
Il tuo bagaglio è... ehm, posso entrare?
Grazie...»
E la strega svicolò oltre i suo parenti, sembrava sempre
più a disagio, il suo sguardo non era mai fermo,
bensì saettava da uno
all'altro, confusa.
«Dovremmo
andare in fretta e... aspetti, ho
una lettera per.... Petunia?»
allungò esitante una pergamena
strettamente arrotolata verso sua zia, ma invece di prenderla la donna
si fece più piccola dietro a Vernon.
Harry attese ancora
un attimo (cosa c'era scritto in quella lettera e, a parte l'ovvio,
perché Petunia non la stava leggendo?) ma, dopo un attimo
troppo lungo
di immobilità si decise ad una ritirata ben poco graziosa
verso la
seconda camera di Dudley - o la sua camera, anche se le parole non
riuscivano ancora a suonargli giuste.
Quando scese di nuovo, a tempo record, niente nei
suoi parenti o in Hestia riusciva a dargli qualche informazione
ulteriore su quanto fosse successo. La strega sembrava ancora
più... a
disagio? O forse arrabbiata, a giudicare da come aggrottava le
sopracciglia. Nessuna pergamena in vista, non più. Ma i
Dursley erano
silenziosi, l'occasione per sfuggirgli era comunque ottima, quindi
Harry si fece avanti faticosamente col suo baule e la gabbia vuota di
Edwige.
Hestia tirò su un sorriso ampio ma ben poco
convincente. «Ottimo.
Possiamo andare. E... se vuoi salutare i tuoi zii io
posso...»
«Arrivederci» borbottò
Harry, piegato a metà e
goffo per il dover trascinare tutto il suo bagaglio. Udì dei
grugniti
venire dai suoi zii - da zio Vernon sopratutto, mentre Petunia si
limitò a un "hmmmm" a labbra contratte. Dudley rimase muto,
ancora impegnato nella difficile impresa di farsi il più
piccolo
possibile.
Hestia
esitò ancora sull'uscio, come in attesa di qualcos'altro, ma
la
vicinanza di Harry o forse le istruzioni ricevute la convinsero ben
presto ad allontanarsi dalla porta.
«Avevo
sempre pensato
che i Babbani fossero più... normali? Più simili
a noi»
si lasciò
sfuggire Hestia, durante il tragitto a piedi lungo la sonnolenta e
deserta Privet Drive.
Harry sentì una vampata calda sul viso, aprì la
bocca e
subito la richiuse. In che maniera ci si poteva giustificare quando la
propria famiglia riusciva ad essere così pessima da far
rivalutare i sentimenti d'uguaglianza addirittura a un membro
dell'Ordine della Fenice?
Alla fine gli uscì di bocca un verso involontariamente un
po'
buffo, forse di assenso, forse semplicemente un gemito, prima che la
perplessità tornasse di prepotenza nei suoi pensieri e gli
desse
modo di trovare un altro argomento di conversazione.
«Perché
il preside non è potuto venire?»
«Oh.
Ehm... c'è stato un incidente»
fece lei, vaga, con un sorriso che sebbene mostrasse i denti somigliava
pericolosamente a una delle smorfie a labbra strette di zia
Petunia. Non le donava affatto.
Harry si fermò di colpo, con il cuore nuovamente in gola.
«Un
incidente? Chi - cosa? Stanno tutti - stanno tutti bene? Sulla Gazzetta
non...»
«Pffff,
quella.
Figuriamoci se la Gazzetta del Profeta... be', in questo caso in
effetti è normale che non lo siano venuti a sapere, ma
comunque...»
«Chi
è morto?»
«Morto?
Oh, no. No, nessuno» si affrettò a
rispondere la strega, con una risatina veloce che suonava un po' troppo
acuta. «Si
tratta solo di un intoppo. Già, un intoppo. Niente di cui tu
ti debba preoccupare.»
Il viso
roseo di Hestia era nuovamente serio, con una strana nota di pena, di
pietà quasi, nella voce e nello sguardo.
«Hai
già fin troppe cose a cui pensare. Alla tua età,
poi. Di
tutte le cose ingiuste che possono succedere a qualcuno...»
«VOGLIO---»
sbottò Harry a pugni chiusi, ormai ben oltre i limiti
dell'umana
sopportazione, ma Hestia con una smorfia allarmata arrivò
direttamente a tappargli la bocca con una mano. Più che il
gesto
della strega fu la sorpresa ad impedire ad Harry di continuare comunque
a sgolarsi. Restò molto fermo a fissarla per un attimo,
finchè Hestia non lo lasciò andare.
«Scusa.
Scusa.» mormorò,
frettolosa, preoccupata e adesso ancora più chiaramente in
pena.
«Ma
è meglio non parlarne qui. Ti spiegheranno tutto quando
arriveremo tu-sai-dove.»
Harry non
era troppo sicuro
di sapere dove fosse quel "tu-sai-dove", ma si limitò a
fissarla
con occhi enormi e un'ansia non del tutto sotto controllo.
Hestia espirò lentamente ed allungò
un gomito in
direzione del ragazzo, come se si aspettasse di essere presa a
braccetto. «Credo
che qui vada bene. Andiamo?»
«Ehm...
in che senso?»
«Materializzazione
congiunta. Siamo abbastanza lontani e siamo abbastanza al sicuro,
abbiamo una specie di scorta...»
Chi? E dove? Harry vedeva solo i soliti prati regolari, le solite case
sonnacchiose, le automobili lustre parcheggiate nei vialetti tutti
uguali.
«Materializzazione...
congiunta?»
riuscì a ripetere, alla fine, perplesso.
«Oh.»
fece Hestia, ridendo appena. «Non ti
preoccupare. Basta che mi
prendi il braccio... ecco, così.... ci siamo? Può
non essere piacevole,
ma, be'...»
D'improvviso l'ambiente cambiò, ed Harry
non fu del tutto stupito nel trovarsi davanti al numero tredici di
Grimmauld Place. Sorprendentemente fu la sua cena - niente di
spettacolare, a dire il vero - ad essere confusa, dato che se la
sentì
improvvisamente in gola e fu costretto a rimandarla giù in
una specie
di conato all'incontrario.
«Mi
dispiace»
mugolò Hestia
Jones, con tutta l'onestà di questo mondo. «So
che non è
gradevole... sai cosa? Preferirei usare la scopa. Seriamente. Ma se ci
chiedono di spostarci così... mi raccomando, fai silenzio
all'ingresso.
Lo sai già? Sì? La madre di Sirius non ci
apprezza... non
che la cosa mi ferisca, ovviamente, ma è comunque piuttosto
fastidioso.»
In qualche modo Hestia si era
impadronita del baule e della gabbia vuota di Hedvige, e in qualche
modo questo andava più che bene per
lo scombussolato Harry, che riuscì ad oltrepassare
l'ingresso senza
allertare niente di fastidioso, quadro incluso.
Stava ancora combattendo contro le ginocchia un po' molli quando, dopo
appena un paio di passi nella cucina, si ritrovò
stretto
nell'abbraccio del suo padrino. E niente ebbe più
importanza.
Anche se
puzzava di alcool, anche se puzzava e basta, Sirius era
lì. Ridente e
sguaiato, con ben pochi pensieri alla quantità di ossigeno
che Harry
stava ricevendo durante quella strizzata affettuosa - e, subito dopo,
Lupin.
Per un momento Harry si aspettò un abbraccio, simile a
quello in cui l'aveva intrappolato Sirius appena un istante prima,
Sirius che ancora gli stava addosso, anche se in maniera meno invasiva.
Ma il lupo mannaro, dopo un attimo di esitazione, si limitò
a
stringergli piano una spalla e a parlare con la stessa voce mite che
Harry ricordava.
«Siamo
felici di vederti.»
Grimmauld Place era silenziosa e ammuffita come al solito, Hestia Jones
aspettava in disparte ed Harry non riuscì a fare a meno di
pensare, scioccamente, "ora va tutto bene" - anche se le voci di Lupin
e
Sirius erano basse e nella casa c'era, tutto sommato, troppo silenzio.
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Capitolo 2 *** Un cattivo auspicio ***
Accompagnatrice
«Tutto
bene, Harry?» chiese Remus, con il suo solito sorriso
gentile. Peccato per lo sguardo vacuo, quasi allucinato, per il modo in
un cui la pelle del viso segnato sembrava tirata sulle ossa - e si
ritrovò a chiedersi a che punto della fase lunare si trovavano,
mentre rispondeva con un brio esagerato.
«Sì. Sì, tutto bene. Non riesco a credere di essere
qui, pensavo di rimanere bloccato dai Dursley tutta l'estate, e... cosa
c'è?» s'interruppe, sbalordito, alle occhiate
rispettivamente scocciate e preoccupate che Sirius e Lupin lanciarono
in direzione delle scale. «È meglio se abbassi la
voce» replicò Lupin, mite, con una specie di smorfia
di scuse.
«Perché?» sussurrò lui, piano piano,
con un'occhiata confusa all'ingresso. «Per la mamma di Sirius? Ma
non...»
«Magari fosse solo lei il problema. No, abbiamo un altro
gradevolissimo... ospite» mormorò il suo padrino, con
un qualcosa di gelido nell'espressione e nella voce.
«C'è stato un incidente, Harry. E questo è il posto
più sicuro di cui disponiamo al momento, quindi lo stiamo usando
anche come... infermeria, diciamo» si affrettò a
spiegare Lupin, in tono vago e rassicurante, benchè la cupezza
del suo sguardo troppo fisso non aiutasse molto Harry a trattenere
l'ansia.
«Si può sapere cos'è successo?»
I due adulti si scambiarono uno sguardo veloce, poi Sirius gli
premette piano una mano dietro la schiena. «Ne parliamo dopo,
Harry. Dopo cena. Va bene, è un po' tardi, ma... hai fame?
Intanto che preparo qualcosa puoi sistemarti nella camera dell'altra
volta, che ne dici? E il tuo gufo?»
Si guardò brevemente attorno, con un'occhiata interrogativa ad
Hestia, rimasta immobile insieme ai bagagli sull'uscio della cucina, le
mani congiunte, l'espressione solenne.
«Credo che... riuscirà a raggiungermi?» mugolò, in effetti un po' insicuro.
«Era fuori, quando siete partiti? Nessun problema, vedrai che ci
troverà, figuriamoci. Però, nei prossimi giorni, è
meglio se non la lasci uscire più di tanto»
sbuffò. «Solite misure di sicurezza, insomma. Siamo ancora
bloccati qui. Io più di tutti» concluse, amaramente.
«Ma adesso che sanno che Voldemort è tornato credevo che...»
Sirius rise piano, amaramente, con la testa che ciondolava sconfitta.
«Kingsley sta cercando di convincerli a riesaminare il mio caso.
Peccato che il Ministero abbia già dovuto ammettere di essersi
giusto lievemente sbagliato sul ritorno della peggiore calamità
dei nostri tempi, e tra questo e il fatto che non sono ancora riusciti
a fare un singolo arresto degno di nota...» sospirò.
«Beh, diciamo che non hanno nessuna fretta di rispolverare
vecchie storie e altri sbagli. Ma non ti preoccupare. Vai a sistemare
la tua roba, su. Ne riparleremo dopo cena.»
Eppure sentiva di doversene preoccupare. Non era forse a causa della
prigionia di Sirius in quel posto disgustoso che aveva rischiato di
perdere il suo padrino appena pochi mesi prima? O a causa di Voldemort,
okay, alla fine era colpa sua... anche se neppure Piton aveva aiutato.
Lui e le sue stupide frecciatine a Sirius, lui e i suoi stupidi ritardi
nell'avvertire l'Ordine.
Ma era un po' difficile preoccuparsi ancora di questo mentre trascinava
il baule su per le scale ed erano i suoi alluci ad essere davvero in
pericolo.
Harry ci mise un bel po' a scendere di nuovo in cucina, e non
perché avesse incontrato difficoltà a mollare baule e
gabbia nella stanza in cui aveva vissuto così a lungo l'anno
prima. No, si era soltanto preso del tempo per curiosare colpevolmente
in giro, con una rabbia rancorosa che riusciva a spazzare via quasi
ogni remora. Era decisamente stufo di ricevere solo informazioni
centellinate con tutta la calma di questo mondo e, anzichè
combattere i due membri dell'Ordine per strappargli di bocca qualcosa,
aveva deciso di vedere con i suoi occhi chi stava passando la
convalescenza a Grimmauld Place. E, perché no, magari avere
qualche informazione di prima mano proprio da lui. O da lei, si
corresse mentalmente, dato che non gli avevano detto proprio un bel
niente sul ferito.
A quanto pare combattere Voldemort per la terza volta in quattro anni
non era ancora abbastanza per avere il diritto a una visione un po'
più completa della tragica situazione in cui si trovavano tutti
- e lui più degli altri.
Non aveva però fatto i conti con la più semplice,
scontata e fastidiosa delle difficoltà: le porte chiuse a
chiave. Scocciato e sempre più rabbioso ad ogni maniglia
strattonata, stava per tornare nella sua stanza a prendere il
coltellino regalatogli da Sirius quando dei passi su per le scale lo
fecero automaticamente scappare a nascondersi dietro l'unica altra
porta su quel piano a non essere serrata: quella del bagno.
Subito si maledisse per l'attimo di codardia. Alla fine non stava
facendo niente di sbagliato, aveva il diritto di sapere e di avere
risposte quando voleva lui, non quando gli altri si degnavano di
parlare.
Stava per uscire allo scoperto e pretendere ciò che gli si
doveva, ma oltre lo spiraglio della porta vide Lupin trascinare i piedi
lungo il corridoio e non ne ebbe più il coraggio. Aveva un'aria
così... sconfitta. Tutto, dall'espressione alla postura, lo
faceva somigliare a qualcuno in coda dietro a un carro funebre, con lo
sguardo assente di chi non se n'è ancora fatto una ragione.
Eppure la scodella che si portava dietro era un dettaglio
incoraggiante, no? Se era per il ferito, almeno voleva dire che
riusciva a mangiare...
Non ebbe il cuore di uscire allo scoperto, e a malapena riuscì a
tenere lo sguardo sulla figura distrutta di Lupin mentre l'uomo batteva
la bacchetta su una porta, l'apriva e spariva all'interno,
chiudendosela alle spalle un po' impacciato. Harry esitò quel
tanto che gli bastava per leggere ad occhi strizzati il cartello tutto
sommato elegante che avvertiva di "non entrare senza il permesso di
Regulus Arcturus Black". Poi sgusciò fuori dal bagno e scese le
scale, il più silenziosamente possibile, con un pensiero
involontario e un po' morboso in testa: mettere un ferito nella camera
di un morto forse non era la più luminosa delle idee.
Pareva di cattivo auspicio.
Hestia era sparita, notò, ma solo distrattamente. La vista di
Sirius ai fornelli non riuscì a cancellargli del tutto la
confusione e l'ansia dal volto, anche se il suo padrino ci mise un po'
ad accorgersi non solo della sua espressione, ma anche della sua
presenza: era troppo occupato a barcamenarsi tra bacchetta, padelle e
bicchiere sempre in mano - pieno di Whisky Incendiario, se il colore
del liquido e i precedenti del mago non lo ingannavano.
«È quasi pronto, giuro. Se non dovessi perdere tempo con
quelle stupide pappette sarebbe tutto molto più - oh, be', cosa
ci vuoi fare, sai com'è, la vita è sofferenza, anche
senza Dissennatori trova sempre la maniera di farti
penare» concluse, con una certa ironica allegria e la voce
sempre bassa, prima di accorgersi finalmente dell'aria lugubre del
figlioccio. Esitò a lungo mentre Harry prendeva posto, tanto che
agitò la bacchetta verso le pentole con un po' di ritardo,
quando già l'odore di bruciato aveva iniziato a farsi sentire.
«Mi... dispiace. Suppongo che siamo stati un po' troppo
misteriosi, non è vero?» disse, alla fine, con un
sorriso storto che pareva più una smorfia. «Ma è
stato un brutto colpo. Bada bene, quel bastardo non mi è mai
piaciuto e sono dell'opinione che comunque ha raccolto quel che ha
seminato, niente di più e niente di meno. E poi comunque lo
sapeva quel che rischiava... adesso perlomeno abbasserà un po'
la cresta.»
«Chi?» chiese Harry, spazientito, quasi esasperato,
buttando le mani per aria. «Si può sapere cosa...»
«Va bene, va bene. Solo non... insomma. Lo so, non migliora la
nostra situazione, anzi. Ma non è il caso di scoraggiarsi. Ce la
caveremo benissimo anche senza di lui. Voglio che questo sia chiaro,
perché...»
«Ed io voglio sapere cosa sta succedendo!»
sbottò Harry, anche se quasi si pentì dell'urlo quando
Sirius mandò di nuovo un'occhiata verso le scale.
Alla fine l'uomo sospirò e rimestò in una pentola. Harry
ebbe la distinta impressione che lo facesse solo per non guardarlo
negli occhi.
«Piton si è bruciato la copertura. L'hanno scoperto.»
Il silenzio che seguì fu lungo e pesante, e non perché
Harry non avesse niente da dire. Solo, non sapeva da che parte iniziare.
Era ancora lì con le labbra semiaperte e gli occhi sgranati
sotto le lenti degli occhiali vecchi e un po' storti quando Lupin
riemerse dai piani superiori, con la scodella in mano. Il che
offrì a Sirius l'opportunità di cambiare discorso.
Più o meno.
«Com'è andata?»
Remus scosse piano la testa, lo sguardo basso. «Niente da fare.»
Rimestò per un attimo nella scodella ancora piena col cucchiaio,
prima di lanciare un'occhiata in tralice a Harry. Aggrottò la
fronte. «Gliel'hai...»
«Com'è successo?» riuscì a chiedere Harry, con voce strozzata.
Gli altri due si scambiarono un'occhiata, e alla fine fu di nuovo Lupin a prendere la parola.
«Non ne siamo sicuri. Crediamo che abbia qualcosa a che fare con
l'assassinio di Emmeline Vance...» irrigidì la
mascella e mollò la ciotola vicino all'acquaio, in un gesto
nervoso. «Sappiamo... pensiamo, almeno... che sia stata torturata
prima di...»
La voce del lupo mannaro sfumò in un niente di fatto e fu
Sirius, mentre riempiva goffamente tre piatti di un misto informe di
verdura, carne e uova bruciacchiate, a riprendere da dove l'altro mago
si era interrotto.
«Sono tutte supposizioni. Piton aveva il guinzaglio lungo. Certo,
i suoi rapporti erano regolari - e quanto ci godeva, a fare il gradasso
durante le riunioni dell'Ordine - ma comunque non è che venisse
qui tutti i giorni. Passava un po' di tempo tra un incontro e l'altro,
e non è che sapessimo dov'era e cosa faceva ventiquattr'ore
su ventiquattro. Per fortuna. Quindi, insomma, potrebbero averlo
preso subito dopo la morte di Emmeline, oppure qualche giorno dopo.
Magari tutto questo non ha niente a che fare con lei, ma è
comunque una strana coincidenza. E Silente non crede molto alle
coincidenze, di questi tempi.»
Lupin annuì alle parole dell'altrò, e sembrò
ritrovare la voce. Ma il tono era quasi svagato, pronunciava le parole
lentamente, lo sguardo sempre basso.
«Sappiamo comunque che qualcosa deve averlo tradito. Ha saltato
la riunione immediamente successiva all'omicidio di Emmeline, ma questo
non ci ha messo particolarmente in allarme. Abbiamo iniziato a
preoccuparci davvero solo quando non si è fatto vedere neanche a
quella dopo, quando a rigor di logica sarebbe dovuto essere lì a
spiegarci cosa le era successo, come erano arrivati a lei, e quali
sarebbero state le prossime mosse dei Mangiamorte. Ci siamo
allarmati, ma non sapevamo dove cercarlo... credo che Silente avesse
qualche idea sui posti che frequentava abitualmente, ma neanche lui
aveva notizie da darci. Sembrava sparito nel nulla.»
Il "clack" del piatto appoggiato bruscamente sul tavolo di legno
graffiato e bruciacchiato non strappò nessuna reazione ad Harry.
Ascoltava e basta, con quell'aria un po' deperita non del tutto
dovuta agli scatti di crescita e alla generale sgraziataggine del corpo
di un adolescente.
Lupin serrò per un attimo le mascelle, come perso in ricordi
sgradevoli. Poi continuò a raccontare mentre Sirius, finito di
sistemare i piatti sul tavolo, si sedeva di fronte al suo e iniziava a
stuzzicare di malavoglia il contenuto con una forchetta.
«Eravamo allarmati ma non eravamo nel panico, non proprio.
Potevano esserci mille motivi per un silenzio prolungato... devi
capire, Harry, che era normale che il lavoro di Severus lo potesse far
sparire per qualche giorno. Entrambi i suoi padroni gli davano una
notevole libertà d'azione, ben sapendo che l'altro poteva
avergli dato qualche compito importante, e che il mantenimento della
copertura e la raccolta di informazioni avevano la priorità su
tutto. Abbiamo capito quanto fosse grave la situazione solo una
settimana fa.»
E qua intervenne Sirius che, dopo una forchettata pro-forma, era
passato nuovamente a bere lunghe sorsate di quello che, a giudicare
dall'aria smunta, era comunque il suo pasto preferito. Tanto che
appellò direttamente la bottiglia di Ogden, con un cenno
distratto della bacchetta, ignorando l'occhiataccia scoraggiata di
Remus.
«L'ha trovato Aberforth» e, all'occhiata vagamente
interrogativa di Harry, si affrettò a specificare. «Il
fratello di Silente. Piton è riuscito a Materializzarsi
nella cantina della Testa di Porco...»
Solo a questo punto la mente di Harry riuscì a fare qualcosa di
diverso dall'immagazzinare, inerme, la quantità di informazioni
sgradevoli che gli venivano offerte. Ebbe per un attimo la visione del
trascurato e così stranamente familiare oste della Testa di
Porco e - Silente aveva forse detto qualcosa a proposito di suo
fratello e di... capre? Ma intanto Sirius stava continuando a parlare,
ed Harry era piuttosto impegnato a mantenere un'espressione per lo
più neutrale. Non poteva farsi vedere inorridito, o preoccupato.
Avrebbero smesso sicuramente di parlare...
«Ci ha detto che Piton aveva un coltello a servomanico...»
«Serramanico» intervenne Lupin, tra una forchettata e
l'altra, masticata meccanicamente, lo sguardo perso nel vuoto.
«Sì, quello. E una bacchetta. Non la sua, a quanto pare.
Un'altra. Silente crede che sia riuscito a rubarla a un Mangiamorte.
Non siamo ancora riusciti ad avere la storia per intero da, be', dal
diretto interessato. Come ti puoi immaginare la Smaterializzazione non
gli è andata benissimo. E dire che pensava di dare il meglio di
sè sotto pressione...»
«Sirius» mormorò Lupin, in tono di avvertimento.
«E in più è rimasto con loro almeno per qualche
giorno, non sappiamo quanti, e... be', ti puoi immaginare. Anche se
fosse arrivato a destinazione integro e non Spaccato, non avrebbe
comunque avuto una bella cera. Gran begli amici, mh? E dire che erano i
suoi compagni fin dalla prima guerra - compagni di scuola, addirittura,
migliori amici, fidanzati, che ne so - diciamo che se non aveva
imparato già prima quale parte era quella giusta tra Ordine e
Mangiamorte adesso sicuramente si è fatto un'idea...»
«Sirius...»
«Comunque al momento non è in grado di dirci
niente» tagliò corto Sirius, con aria disinteressata.
«E possiamo solo fare congetture. Secondo Silente non sono
riusciti a strappargli niente di troppo importante, ed è
già qualcosa. Ma ne avremo la conferma solo quando Mocciosus
avrà finito di sbavarsi addosso...»
«Sirius!»
L'uomo sbuffò, e si versò un altro bicchiere. Per un
attimo Harry si chiese com'era umanamente possibile rimanere
indifferenti all'espressione così straziata ed angosciata di
Lupin - ma forse doveva aver preso una certa dose di faccia tosta dal
padrino, perché non riuscì a non fare un'altra domanda al
lupo mannaro.
«E tra quanto... cioè. Come sta?»
Lupin esitò, gli occhi bassi sul piatto. Sembrava combattuto e
il silenzio si prolungava già da qualche secondo di troppo
quando Sirius decise di esortarlo.
«Non so da cosa pensi di proteggerlo, Remus, ma ce l'abbiamo in
casa. A tempo indeterminato. È meglio spiegarglielo ora, prima
che lo veda.»
Lupin fece una smorfia, scoprendo denti che, seppure perfettamente
umani, sembravano pronti a mordere come se già fosse la
luna piena. Eppure il tono di voce era come sempre mite, un po'
sconfitto.
«È già migliorato molto. Hestia è riuscita a
mettere le mani sui trattamenti a cui hanno sottoposto i Paciock
dopo... quello che gli è successo, e...»
Alzò gli occhi solo un attimo su Harry, eppure sembrò capire subito a ciò che stava pensando.
«La situazione non è al livello dei Paciock. Li prendiamo
come esempio solo perché sono tra i pochi ad essere
sopravvissuti a qualcosa del genere, e il loro caso ci può
insegnare qualcosa su come comportarci.» accennò un
sorriso un po' forzato, ma nei suoi occhi c'era l'ansia di rassicurare,
a tutti i costi. «E l'incidente di Arthur - quando l'hai salvato
- ci ha aiutati molto. Davvero. Senza l'antidoto al veleno di Nagini
che hanno scoperto al San Mungo...»
«Mi ha comunque rovinato una quantità di lenzuola» borbottò Sirius, prima di un altro sorso.
«Sirius» fece Lupin, in tono di avvertimento, per l'ennesima volta.
«Penso che brucerò tutto comunque, anche quelle che
sembrano pulite» rincarò la dose, ostinato, con la
fronte aggrottata e lo sguardo basso, che si alzò solo quando
Lupin scostò la sedia.
Esitò un attimo, fermo, in piedi, con le mani sul tavolo. Sirius
lo guardava con aria quasi di sfida, Harry - Harry non sapeva proprio
più che fare. Lo guardava e basta. Una parte di lui voleva che
parlassero ancora di ciò che era successo, l'altra parte sentiva
di averne avuto effettivamente abbastanza di informazioni, e quasi
quasi era meglio prima...
«Vado a vedere se Severus ha bisogno di qualcosa»
annunciò alla fine Lupin, in tono neutrale, scostandosi dal
tavolo prima che loro avessero il tempo di dire o fare qualsiasi cosa.
Quando rimasero da soli Harry si trovò davvero spiazzato. Il
piatto davanti a sè non era troppo appetitoso, neanche dopo le
due settimane di Dursley, e probabilmente si era già
raffreddato. Eppure era l'unica cosa a cui potesse dedicarsi senza
pensare troppo. Prese la forchetta, mentre le sue emozioni cercavano di
rimettersi in pari con quanto appena saputo.
Sirius versò un'abbondante dose di Whiskey Incendiario nel
bicchiere di Harry. Fece spallucce. «Per aprirti lo
stomaco.» fece, incoraggiante. E pareva un po' come
l'abbraccio di inizio serata. Qualcosa di inutile, qualcosa di stupido,
quasi, qualcosa che cercava di mettere una pezza a ciò che non
poteva essere aggiustato.
Fu solo dopo, a cena finita e piatti lavati, che si rese conto di non
aver ottenuto nessuna informazione precisa nè sulle condizioni
del professore nè sul modo in cui questo "piccolo intoppo"
poteva influenzare i piani dell'Ordine della Fenice.
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Capitolo 3 *** Il ferito ***
ferito
Harry non aveva passato una bella notte.
Prima di addormentarsi aveva a lungo rimuginato sulla sconvolgente
scomodità di avere due braccia. E un collo. E troppe
articolazioni di cui preoccuparsi, su un materasso che sembrava opporsi
deliberatamente ad ogni tentativo di trovare un attimo di pace. Non
ricordava il momento preciso in cui la lotta era finita, sapeva solo
che il sonno l'aveva fatto scivolare verso un'altra battaglia,
altrettanto fastidiosa e solo un po' strana.
Al risveglio aveva serrato di nuovo gli occhi cisposi nel tentativo di
trattenere i brandelli del sogno, ma era stato abbastanza inutile. Gli
era rimasto addosso solo un senso di disgusto, di rabbia, di... paura?
Qualcosa del genere. Probabilmente Hermione l'avrebbe saputo definire
meglio, ma in sua assenza Harry poteva solo optare per un inefficiente
"sgradevole".
Ricordava il cigolio metallico di un'altalena, la vaga consapevolezza
di un movimento ai limiti del suo campo visivo. E il rosso, qualcosa di
rosso - qualcosa di pericoloso?
Si muoveva come si muoveva il vento.
No, forse questo non aveva senso. Comunque... era quella cosa
il motivo per cui non era stato esattamente un incubo, ma quasi? O
forse la chiazza di rosso non era importante, forse la ragione alla
base di quel brutto risveglio stava in un dettaglio dimenticato...
Harry buttò i piedi giù dal letto con solo un vago
accenno di frustrazione, ma mentre si trascinava verso il bagno era
già passato a sentirsi stupido per quel lungo attimo di
fissazione su un sogno così nebuloso. Non poteva venire da
Voldemort: era troppo vago e del tutto inutile. Non sentiva il bisogno
di uscire da Grimmauld Place per andare a ficcarsi in qualche trappola,
per dire. Questo gli bastava, ed era tutto palesemente okay. Aveva solo
dormito male.
Chiarito questo, si preparò di malavoglia ad affrontare la giornata.
L'emergenza luna piena lo colse impreparato solo per metà.
La licantropia di Lupin era qualcosa a cui evitava di pensare troppo
spesso, un po' come gli esami di fine anno. Un conto era sapere,
logicamente, della loro esistenza. Un altro era sentirla davvero, cosa che accadeva sempre all'ultimo secondo, quando nessun ripasso in extremis poteva salvarlo.
Solo l'atteggiamento di Sirius riusciva a distogliere Harry da una
manciata di sensi di colpa - il fatto di aver appena paragonato una
maledizione orribile e pericolosa a qualcosa di stupido come gli esami,
o la sferzata d'ansia che gli aveva quasi fatto volare via il toast tra
le mani nel ricordare quegli attimi potenzialmente letali in cui il
professore si era trasformato così vicino a lui e ai suoi amici,
mentre Peter coglieva l'occasione per abbandonare la nave come solo i
topi sanno fare.
Lupin stava ancora cercando con un certo stoicismo di attirare
l'attenzione di Sirius. Senza alzare la voce, per carità: stava
palesemente tentando l'approccio della goccia d'acqua che spacca la
roccia cadendo sempre nel solito punto. Peccato che l'Animagus
sembrasse immune a questo metodo: mentre Remus elencava pozioni e orari
di assunzioni per Piton, gufi da attendere e membri dell'Ordine da
aspettare... Sirius frugava tutta la cucina alla ricerca del tabacco di
Mundungus.
«C'era. Sono sicuro! Dung se lo dimentica sempre ovunque -
dimentica tutto ovunque, fossi in lui mi ficcherei un paio di
Ricordelle nelle mutande e farei finta di soffrire di orchite... Harry?
Harry, non è che l'hai preso tu?»
«Io cosa?»
«Il tabacco. Non ti giudico, eh. Insomma, nel caso... figurati. A
cose normali sarei decisamente solidale. Però lo sai che non
posso uscire da questa dannata casa e...»
«Minerva mi ha sconsigliato di continuare con la Bevanda della
Pace. Te l'ho scritto, insieme al resto, quindi mi raccomando. Non
abbiamo ancora capito con cosa sostituirla, ma la cosa più
importante è non dargli niente che contenga Pietra di
Luna...»
«Ehm, no» riuscì a bofonchiare Harry in risposta al
padrino, infilandosi a fatica tra la voce roca di Sirius e quella mite
di Lupin, ciascuno impegnato a parlare praticamente da solo. Con lo
stomaco un po' stretto si buttò, alla cieca, in un tentativo di
far convergere le due conversazioni a senso unico.
«Perché avete dovuto, ehm, smettere con la Bevanda della Pace?»
«Perché è rischioso, Harry. Ad abusarne c'è
il rischio di sprofondare in un sonno irreversibile...»
«E che gran perdita sarebbe.»
«...in più provoca una forte sonnolenza. Il che poteva
anche essere positivo, durante i primi giorni. Ma adesso sarebbe meglio
se Severus riuscisse a stare sveglio più di qualche minuto di
fila...»
«Che Merlino ce ne scampi.»
Non era precisamente questo l'effetto che Harry sperava di ottenere.
Sirius stava finalmente rispondendo a Lupin, okay, ma non riusciva a
capire come fosse possibile punzecchiare in maniera così maligna
una persona così stanca (preferiva concentrarsi sulla postura
floscia del lupo mannaro, senza pensare troppo a come Remus sembrasse
tutto denti mentre parlava, come li scoprisse con la smorfia rigida di
chi sta per mordere e non per pronunciare qualche parola innocua).
Fu sulla scia di quell'ansia strana che Harry aprì di nuovo bocca.
«Vorrei aiutare anch'io» affermò, con una sorta di
testardo candore, cercando di incrociare lo sguardo di Lupin.
L'attimo di totale silenzio e immobilità che seguì lo
fece quasi pentire di aver parlato. Il sorriso più morbido del
lupo mannaro lo rincuorò, l'occhiata basita e quasi allucinata
di Sirius lo affossò di nuovo - e fu così che la sua
nuova priorità fu quella di concludere la conversazione il prima
possibile e, magari, scoprire se fosse possibile far Evanescere un
intero essere umano. Se stesso o gli altri due maghi, a questo punto
non sapeva più bene cosa augurarsi.
Purtroppo, nessuna di queste opzioni sembrava praticabile.
«Harry...» iniziò Lupin, a voce bassa, con una mano appena protesa verso la sua spalla e poi subito ritratta.
«Non voglio coinvolgerti in questa cosa. È già
abbastanza sgradevole per un adulto, e tu hai già così
tanto a cui pensare...»
Gli sembrava di risentire Hestia Jones, ma per fortuna l'imitazione della donna ebbe vita breve.
«Non voglio che tu ti addossi le parti più pesanti,
diciamo, ma in effetti sarebbe utile se tu passassi un po' di tempo con
Severus. Sembra che con i Paciock le visite abbiano aiutato, almeno
parzialmente, a restituirgli un vago contatto con la
realtà.»
«Ehm. Sssì. Ho... visto. Nel senso, la madre di Neville sembrava - a suo modo...»
«Esatto, Harry» annuì Remus, incoraggiante, anche se
l'ostinato silenzio di Sirius stava diventando di una pesantezza
agghiacciante.
«Ma ricordati sempre che la situazione non è buia come
quella dei Paciock. Quindi, a maggior ragione, speriamo di ottenere
qualche miglioramento sostanziale. La cosa più importante
è non lasciarlo solo, senza stimoli. E se davvero te la
senti...»
«Certo» disse Harry, subito, in una sorta di atto di
ribellione - anche se evitò accuratamente lo sguardo del padrino
per il resto della colazione.
«Ti faccio strada» annunciò Sirius qualche ora dopo,
con un brio un po' inquietante, soprattutto considerata la crisi di
mutismo e di broncio che l'aveva preceduta. Harry lo seguì
trascinando i piedi. Il parquet consunto scricchiolava appena sotto le
suole morbide delle sue scarpe da ginnastica, il corridoio angusto era
reso ancora più opprimente dalla carta da parati già cupa
in partenza e ulteriormente scurita da grosse macchie di umidità.
I passi più rumorosi del padrino, la vitalità rabbiosa
dei suoi movimenti, stonavano come una risata a un funerale.
Agitò la bacchetta verso la maniglia della camera di Regulus
senza neanche un'occhiata alla targa affissa dal fratello, poi la
spalancò di scatto, con una specie di brusca spallata.
«Buooongiorno Mocciosus!» latrò, felice e sguaiato
quanto un irlandese durante la scorsa Coppa del Mondo. Lo stato d'animo
di Harry, invece, si avvicinava di più a quello del proprietario
del campeggio.
Non riusciva a vedere molto. Un ammasso stropicciato di lenzuola
sfatte, quello inferiore aveva lasciato scoperto un angolo di materasso
nudo. Sopra, un piede. Una caviglia ragionevolmente pelosa, poi di
nuovo il bianco ingrigito del lenzuolo accartocciato. Il resto del
corpo si intuiva male, reso strano dalle pieghe del lenzuolo e dalla
posizione incomprensibile assunta dagli arti, buttati di qua e di
là in angolazioni scomode ed insensate. Indugiò per un
attimo sulla curva spigolosa della spalla, coperta dal tessuto liso di
una veste che gli sapeva un po' di Lupin. Poi tornò a guardare
il volto del professore, premuto a una strana angolatura contro la
testiera del letto. La bocca semiaperta, un'impronta di saliva
essiccata che dall'angolo sinistro andava verso il mento.
No.
Di nuovo sul piede. Aveva unghie lunghissime, c'era da dire. Zia
Petunia si sarebbe morsicata via le dita dallo stress, se Harry si
fosse fatto vedere con le unghie in quelle condizioni.
Inspirò. Di nuovo la testa.
No.
Era la cosa più profondamente sbagliata che avesse visto
fin'ora, e per quanto poteva vedere non c'entrava neanche niente con la
sua idea di tortura, punizione o qualsiasi cosa i Mangiamorte avessero
pensato di fargli. Era solo...
Gli veniva in mente la parola "umiliante". Se la rigirò per un
attimo nella mente, stuzzicandola come una piccola ferita in bocca con
la punta della lingua. La parola calzava abbastanza bene. E quindi,
insomma, andava abbastanza male.
Distolse di nuovo lo sguardo su una palla rigonfia di bende abbastanza sudice e - dio, era la sua mano? Cos'aveva che non...
«Col senno di poi, in effetti, mi sa che l'ho peggiorato. Il che non era mica facile.»
La voce di Sirius riscosse Harry con la stessa efficacia di un Bolide lanciato a meno di dieci centimetri dal proprio orecchio.
«Uh?» riuscì a mugolare, soltanto. Felice di
guardare Sirius e non Piton, almeno per mezzo secondo, soltanto
finchè non si rese conto che l'espressione del padrino non gli
piaceva del tutto.
«I capelli. Ho pensato, be', così è più igienico. No?»
Harry inghiottì l'ultima inspirazione di botto quando Sirius
piazzò con fermezza la mano sulla testa di Piton. Le sue dita
sembravano molto bianche contro il nero dei capelli mutilati in ciocche
cortissime, irregolari. Come scampoli del piumaggio infantile di un
pulcino, tinti di pece e incollati a casaccio sul cranio. A tratti si
vedeva addirittura la cute, appena scurita da un'idea vaga di
ricrescita.
Scacciò con rabbia il ricordo istantaneo della propria testa
rasata, con quell'assurda frangia superstite per coprire la cicatrice.
«L'hai fatto tu?» riuscì a chiedere Harry, in un
tono abbastanza alienato da poter forse suonare come indifferente.
«Una mia idea, già. Finchè era lui a lavarsi - o a
non lavarsi, più probabile - poteva fare anche un po' quello che
voleva. Ma adesso che tocca a noi tanto valeva semplificarci il
lavoro» spiegò l'altro, con parte dei denti scoperti in
una specie di smorfia e lo sguardo fisso sul volto sgraziato di Piton
Sirius contrasse le dita, gli spostò la testa come se stesse
maneggiando un pallone da basket, scollandogli la guancia dalla
testiera del letto. Quando il professore aprì gli occhi Harry
fece un salto indietro, con un solo pensiero: la fuga. Perché
questo era peggio di quando aveva ficcato il naso nel Pensatoio. Non
sapeva mettere precisamente il dito sul perché e come fosse
peggio, ma lo era.
Sirius sembrò notare il movimento brusco del ragazzo, perché rise piano. In maniera non del tutto gentile.
«Tranquillo. Le finestre sono aperte, ma dietro non c'è niente.»
Harry ci mise più di qualche istante a dare un senso alle sue
parole. Una volta capito che era una metafora gli toccò di
ragionarci ancora un secondo. E, quando ebbe finito, si sentì
ancora peggio di prima.
Sirius spostò la mano, ripulendosela con molta enfasi contro la
stuffa ruvida dei calzoni. Tra le sopracciglia di Piton era comparsa
qualche ruga in più, ma non aveva un'espressione precisa sul
volto. Con un po' di immaginazione si poteva forse dire che sembrava
una persona con un gran malditesta che cerchi di dare un senso a
qualcosa sentito di sfuggita, magari in una stanza piena di
chiacchericcio.
Harry si irrigidì di nuovo quando il professore si mosse. Stese
un ginocchio, allungò il braccio destro, ancora più
lontano dal resto del corpo. Riuscì a vedere la punta delle dita
sbucare dall'ammasso gonfio di bende che gli copriva la mano. Del
medio, dell'anulare. Da qualche parte, sotto tutti quegli strati di
garza, dovevano esserci anche le altre.
«Bene. Questo è quanto» disse Sirius, con le mani ficcate in tasca e la schiena ben dritta.
«Che dici, scendiamo? Sarà un secolo che non mi faccio una
bella partita a Sparaschiocco, e mi sa che oggi Remus non è
proprio dell'umore...»
Harry stava per acconsentire. Ma la voce del padrino aveva un che di
petulante, e c'era qualcosa di non meglio definito che gli fece fare
un'improvvisa inversione di marcia, quando già aveva la bocca
aperta per dire un "sì".
«Ehm, no. No, preferisco - preferisco rimanere qui ancora un
attimo. Remus ha detto che, ehm, che è una cosa utile.»
«Ah, be'» borbottò Sirius, senza più traccia di allegria. «Se l'ha detto Remus.»
Si chiuse la porta alle spalle forse con un po' più di forza del
normale, e già al cigolio dei cardini Harry si era più o
meno pentito dei suoi nebulosi buoni propositi. Buttò un'altra
occhiata verso il professore. Gli occhi erano sempre aperti, ma
vacui... vacui come quelli di Cedric, dovette ammettere con se stesso,
tra un'inspirazione saltata e una strizzata allo stomaco. Ma almeno lui
era vivo, anzi, continuava a muoversi. Senza fretta ma sempre un po'
all'improvviso, scalzando ancora di più il lenzuolo dal
materasso, aggrovigliandosi in posizioni evidentemente scomode.
Probabilmente avrebbe dovuto farci qualcosa. Sarebbe stato un gesto gentile.
Però non aveva tutta questa gran voglia di avvicinare le mani - e, soprattutto... poteva? Rischiava di fargli del male?
Forse sarebbe stato il caso di parlargli. Non sembrava davvero consapevole di avere visite, è vero, ma...
Alla fine, Harry passò semplicemente una mezz'ora a rigirarsi
tra le mani una foto che aveva trovato nella stanza. La squadra di
Quidditch di Serpeverde, con Regulus Black ben riconoscibile, nella
stessa posizione in cui si era ritrovato Harry le poche volte che
avevano fatto una foto tutti insieme. Si costruì una fantasia
complicata e forse plausibile su come Grifondoro avrebbe potuto
sconfiggere quel vecchio assortimento di giocatori, basandosi solo su
corporatura e faccia degli avversari. Ogni tanto si chiedeva se
qualcuno di loro fosse stato al cimitero. Se qualcuno avesse quasi
ucciso i suoi amici all'Ufficio Misteri.
Intanto, Piton continuava a rigirarsi nel letto e a respirare piano.
Il resto della giornata aveva tutte le carte in regola per rivelarsi un
vero e proprio inferno. Harry scese in cucina con la testa incassata
tra le spalle, alzate quasi fino alle orecchie, pronto a subire
qualsiasi occhiata, attacco o frecciatina.
Soprattutto, però, si sentiva stupido. Temeva di non essersi
comportato come avrebbe voluto Remus - e di sicuro non si era
comportato come voleva Sirius. E Piton, se avesse potuto reagire a
quella visita? Meglio non pensarci. Harry era abituato a convivere con
l'idea fissa della propria mortalità, ma aveva come il dubbio
che la sua fine potesse essere meno dolorosa con Voldemort che con
Piton. Se si fosse ricordato di quella visita. E se si fosse ripreso,
c'era anche da mettere in conto questo piccolo dettaglio.
Alzò lo sguardo su Sirius, come a dirgli "va bene, fai del tuo
peggio". A sorpresa, però, Sirius fece del suo meglio.
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Capitolo 4 *** Due lettere, un risveglio ***
4
«Charlotte Abbott, di forte tempra. Andata in sposa a Reginald Nott, di pacate attitudini.»
Era una cosa abbastanza soporifera,
a voler essere onesti, ma non aveva avuto idee migliori. E, comunque,
Piton non sembrava annoiarsi (non sembrava accorgersi di nulla, quindi
insomma, poco male). Aveva addirittura gli occhi aperti, Harry se lo
poteva far bastare, come incoraggiamento. Passò alla riga
successiva, con un sospiro.
«Co... Colleen? Colleen
Prince, di bacchetta lenta. Andata in sposa a Theodore Yaxley, di
focoso... ehm, di focoso...»
Temperamento, avrebbe dovuto dire, ma un suono inedito dal letto lo bloccò. Possibile che...?
Harry si staccò cautamente
dalla sedia, l'alito dolciastro e un po' nauseante di Piton lo
colpì con la forza di uno schiaffo mentre si chinava verso di
lui, ma non importava. Aveva sentito qualcosa, ne era sicuro. Aveva
parlato. Ne era quasi sicuro. Un mezzo verso l'aveva fatto, almeno. Basso basso, roco roco, ma c'era stato.
Sobbalzò con fin troppa
enfasi quando un nuovo rumore piombò dall'uscio. Bussavano alla
porta. Di certo non era Sirius - non sembrava un grande fan di tutta
quella faccenda del bussare. Harry chiuse di scatto il libro, si
sentì sollevato ma non del tutto sorpreso quando il viso tirato
di Remus fece capolino nello spiraglio appena aperto.
Stava sorridendo, stanco, con l'aria
malaticcia, ma il sorriso era caldo e schietto. Harry si
ritrovò, suo malgrado, a rispondergli alla stessa maniera.
«Ehi. Disturbo?»
«No. Proprio no. Stavo
solo...» ed agitò piano il libro. Lupin, entrando, gli
diede un'occhiata un po' basita. Di riflesso, Harry lo girò per
leggere di nuovo il titolo - silenziosamente, visto che quando si era
azzardato a leggerlo ad alta voce si era impappinato senza
possibilità di recupero: "Per linea femminile, disamina
disarmante di magica genealogia".
«Non c'era molta scelta, nella biblioteca» aggiunse, goffo, a mo' di scuse.
«Sei stato nella biblioteca? Da solo? Non hai incrociato niente di troppo pericoloso, spero.»
«Certo che no, figurati.»
In realtà, un libro rilegato
in pelle aveva cercato di mozzargli le dita. Ma, ehi, ci aveva messo
ben poco a ridurlo all'obbedienza, il Libro Mostro dei Mostri l'aveva
temprato - e i tagli erano così sottili da essere diventati
praticamente invisibili, dopo averli tenuti sotto l'acqua corrente per
qualche minuto.
«È andato tutto... bene, mentre non c'ero?»
Ed Harry si ritrovò con un sorriso ben cretino stampato sulle labbra.
«Benissimo. Sirius mi ha
aiutato con i compiti di Trasfigurazione - li ho quasi finiti, tutti in
un pomeriggio, è pazzesco» disse, con la voglia di
aggiungere altro, ma sarebbe stato uno spreco. Non aveva le parole per
spiegare quanto fosse stato bello e importante sedersi al tavolo della
cucina di Grimmauld Place e lasciar parlare Sirius, di quanto fosse
stato surreale farsi aiutare da qualcuno che suonava sveglio quanto e
forse più di Hermione, ma che allo stesso tempo aveva una
maniera così... scanzonata, di spiegare le cose. Tutto sembrava
semplice, spiegato da Sirius. Era quasi surreale.
E chi se ne fregava, se a cena aveva
bevuto un po' troppo? Se aveva iniziato a bere ben prima di cena, se i
suoi aneddoti alla lunga erano diventati un po' troppo sconclusionati e
quasi disturbanti. Niente poteva sconfiggere il piacere che aveva
provato durante una cosa così fondamentalmente stupida come fare
i compiti con lui - o nel venire a sapere dell'insospettata fase punk
di sua madre a diciassette anni. Nevermind the Lilies*, aveva detto
Sirius, ed Harry non l'aveva capita, ma aveva riso lo stesso.
Mentre ricordava, con il sorriso
sulle labbra, lo sguardo era involontariamente fisso su Piton. E anche
quello di Remus si era bloccato nella stessa posizione. Il silenzio era
comodo, confortevole - fu il lupo mannaro ad interromperlo, a voce
molto bassa.
«A volte è difficile volergli bene.»
«Eh? Ehm, sì.
Cioè. Non so se siamo a questo livello, non è esattamente
una delle mie persone preferite - è orribile dirlo adesso, vero?
Però sarebbe anche abbastanza ipocrita cambiare idea solo
perché...»
«Sirius. È difficile volere bene a Sirius» specificò Remus, con tutta la calma di questo mondo.
«Oh.»
«Ma non è colpa sua.
Non del tutto. Lui... sono certo che lo capisci, Harry. A volte mi
chiedo se non capisci più di tutti noi - e anche meglio di noi.
In maniera più... giusta» mormorò Lupin, muovendo
piano la bacchetta. Il lenzuolo inferiore tornò subito al suo
posto, con l'angolo piegato ordinatamente sotto il materasso. Quello
superiore si distese, leggero, sul corpo un po' sudato del professore.
La cosa non gli strappò nessuna reazione, ma almeno non
tornò a chiudere gli occhi.
Se era così facile, si chiese
Harry, perché non l'aveva fatto anche Sirius? Perché
aveva lasciato che il letto di Piton diventasse un irremediabile casino?
«In un mondo migliore»
continuò Remus, con una tristezza nella voce che era quasi
insopportabile «Sirius avrebbe avuto il tempo e
l'opportunità per riprendersi. In un mondo perfetto, non sarebbe
mai finito ad Azkaban.»
«Mh-mh» fece Harry - non aveva più molta voglia di parlare.
«Mi preoccupo per lui. Sempre.
Perché non rischia solo di fare del male a se stesso, ma anche
agli altri. Ed io non riuscirei a sopportare né una cosa,
né l'altra.»
«È solo...»
iniziò Harry, quando l'imbeccata di Remus fece saltare l'ultimo
paletto che tratteneva la frana. Deglutì a finita.
«È solo che non è giusto. Perché Piton non
può - non può difendersi, adesso, e...»
«È inerme.»
«Sì. Quello»
confermò Harry, serrando i denti subito dopo. Eppure doveva
essere lui a ricominciare a parlare per primo, era necessario - non
voleva sapere cos'avesse ancora da dire Lupin, proprio no.
«Però credo che Piton
stia migliorando davvero. Cioè, prima avrei quasi giurato di
averlo sentito parlare...»
Il lupo mannaro raddrizzò la testa con un piccolo scatto, tirò fuori un sorriso penoso.
«A volte lo fa. Ma non riesco
mai a capire cosa dice... è come ascoltare una persona che parla
nel sonno. Borbotta, non si riescono a distinguere le parole.»
«Ah.»
«Non ti ha spaventato, vero?»
«Spaventato? E perché, scusa?»
Remus scosse piano la testa.
«Niente. Scusami, forse sto straparlando. Sono un po'... stanco.»
«La luna piena è - insomma, è - è andato tutto bene?»
«Sì. Tutto bene»
confermò Lupin, senza guardarlo. Ma anche i suoi paletti
sembravano scricchiolare, in quella tarda mattinata estiva: aprì
di nuovo bocca, quasi di malavoglia. «Niente più
Antilupo» disse, sintetico, con gli occhi fissi su Piton.
«Oh» fece Harry, con un filo di voce, e non c'era nient'altro da dire.
Sirius era felice che Remus fosse
tornato. Non l'aveva detto chiaro e tondo, questo no, ma d'improvviso
l'atmosfera si era fatta pazzescamente rilassata - bastava evitare di
pensare al ferito al piano di sopra, e tutto era quasi paradisiaco.
Senza Kreacher, spedito a lavorare nelle cucine di Hogwarts, senza
frecciatine tra i due adulti e senza il padrino di turno ai fornelli,
Harry si sentiva felice. Si sentiva anche un po' in colpa, per questo
fatto. Ma, semplicemente, non poteva farci niente.
Era vivo, era lontano dai Dursley.
Remus cercava di aiutarlo con i compiti di Pozioni e Sirius continuava
a correggerlo, ridendo. Così, cos'altro poteva fare se non
ridere a sua volta?
Lo stava facendo di nuovo, quando
sentì il ticchettio di un becco contro il vetro della finestra
sudicia. Lo lasciarono da solo, senza fretta, mentre Harry faceva
entrare la civetta e diceva, con un'ondata d'affetto «Ti sei
portata dietro un amico, Edvige?»
Lei schioccò di nuovo il
becco, con fare altezzoso, porgendogli la lettera assicurata alla
zampa. Era un po' più curioso nei confronti dell'altro gufo -
non lo conosceva, e il pacco che si portava dietro era proprio enorme -
ma sapeva fin troppo bene che alla sua civetta non piaceva proprio
sentirsi messa in secondo piano. Così, aprì per prima la
sua lettera.
Harry,
Ho saputo
dell'incidente con il pipistrello. Mi dispiace che sia rimasto
impigliato in quella brutta maniera, e spero che la cosa si possa
sistemare, anche se non è l'animale più simpatico che
conosciamo. Se avete bisogno di aiuto non esitate a scrivermi,
sarò anche bloccata dalla parte Babbana del mondo, ma ho ancora
i miei libri. Ho già fatto qualche ricerca, in realtà.
Non vedo l'ora di parlarvene. E succederà prima di quanto
credessimo!
Tra un paio di
giorni la professoressa McGrannitt dovrebbe accompagnarmi da voi, alla
fine hanno ceduto: mi lasciano dare una mano con i problemi legali di
Tartufo. Con un po' di fortuna riusciremo a far riesaminare il suo caso
in tempi umani. So che con Fierobecco non è andata come
speravamo, ma lavorare su tutti quei precedenti mi ha insegnato molto,
e sono SICURA che stavolta sarà un successo! L'importante
è trovare un metodo, da lì è tutto in discesa, e
il metodo ce l'abbiamo già.
Tieni duro, Harry. Ancora per un paio di giorni.
Sempre con affetto,
Hermione
PS: ti prego,
non pensare troppo male di Ron. Sono sicura che non ce l'abbia
più con te, ma... più passa il tempo e più gli
sembra difficile rompere il silenzio. Il problema è solo questo,
Harry. Te lo giuro.
Solo,
pensò Harry, scoprendo i denti. Fece lo sgambetto ad ogni
pensiero ulteriore, subito, prima che la sua mente andasse là
dove non doveva. E passò all'altro gufo. Lo liberò dal
pacco, forse un po' troppo bruscamente, aprì di scatto la
lettera allegata.
Ave, O Prescelto!
Non abbiamo
potuto fare a meno di tenerci aggiornati (con la maggiore età ci
è arrivato, finalmente, il tesserino ufficiale del Battagliero
Club dei Pettegolezzi - nonchè di ricettazione di calderoni
rubati!) e, come dire? Siamo orripilati. Mi raccomando, Harry: guanti
di pelle di drago. Come se dovessi avvicinarti a uno Schiopodo
Sparacoda. Non ti fidare, anche se dovesse sembrarti morto. Vigilanza
costante, caro ragazzo!
Ma, nel caso in
cui l'adrenalina dovesse venirti meno, ti alleghiamo qualche articolo
divertente per passare il tempo. Il negozio va alla grande, quasi non
ci si crede, e ci sembrava giusto farti avere qualche omaggio - usali
con responsabilità, o Salvatore, mi raccomando!
Ginny ti saluta,
ed è con immenso sollievo che ti annunciamo le imminenti
dimissioni della piccola furia: dovrebbero scarcerarla entro questo
fine settimana, finalmente. Non sappiamo se riuscirà a salire
sull'Espresso per Hogwarts (sta bene, te lo giuro sulla testa di mio
fratello - uno qualunque, tranne Percy che non vale) ma lo sai
com'è la mamma. Appena Ginny tornerà a casa sarà
un problema fargliela mollare. Com'è che avevi fatto, a rubare
l'uovo a un drago in cova? Potremmo prendere ispirazione.
Nel frattempo, vigilanza costante! Ma forse l'avevamo già scritto.
Fred (e George)
Ginny ti saluta, lesse di nuovo Harry. E poi, un'altra volta ancora.
Ginny ti saluta,
Ginny ti saluta. Ginny che sta bene, Ginny che sta per tornare a casa -
Ginny strattonata via dal Velo, Ginny con la bocca storta e solo un
occhio che si rovesciava a mostrare il bianco, mentre l'altro restava
immobile - NO!
Lasciò andare la lettera come
se scottasse, nascose le mani tra le cosce, premute fino a
schiacciarle. Grato, almeno per il momento, di essere solo. Stava bene,
davvero. Gli prudevano solo un po' gli occhi.
Stare con Piton era come stare da
soli, il che sarebbe dovuta essere una cosa ben triste... ma Harry, in
realtà, iniziava quasi ad apprezzare la non-compagnia.
Perché no, d'altronde? Poteva starsene per i fatti propri e,
contemporaneamente, sentirsi utile. Almeno faceva qualcosa di buono,
mentre era bloccato a Grimmauld Place in attesa che il resto del mondo
si muovesse. Era ben poca cosa, va bene, ma era qualcosa.
E poi iniziava a sospettare che i
borbottii del professore fossero una specie di codice morse. Era ormai
una quindicina di minuti che gli stava leggendo il tema estivo di
Pozioni, e più di una volta gli aveva visto muovere le labbra.
Forse c'era una pattern preciso, magari lo stava correggendo? Non che
il professore si fosse mai dato chissà quale pena, per i compiti
di Harry. Dei gran segni rossi di inchiostro e una T in un angolo,
niente di più, niente di meno.
Comunque già da quel pomeriggio Piton gli sembrava un po' più "sveglio" di prima, checchè ne dicesse Remus.
«Il decotto, noto per le sue
proprietà as... astiri... astiringenti? Mh. Non suona molto
giusto. Astririn... mh. Astiringenti, quindi usato con successo in
Pozioni Diminutive e...»
Piton allungò un braccio, con
uno scatto nervoso. Le bende cambiate di fresco non miglioravano di
molto l'aspetto fondamentalmente sbagliato della sua mano, ma Harry le
guardava con occhio più tranquillo - il ritorno di Remus aveva
riportato un minimo di ordine e di pulizia nella cosa, e di questo non
poteva che essere grato. Lanciò comunque un'occhiata rancorosa
verso il professore.
«Non è colpa mia, se
per fare i suoi temi tocca ingoiare un dizionario. Mica è
facile» gli fece notare, prima di schiarirsi la voce.
«...si evidenzia il suo uso in più di una tisana corrobrora - corroborante, grazie al---»
Harry non avrebbe voluto urlare. Non
era proprio il caso. Ma la voce fece quel che gli pareva, completamente
staccata dal cervello, quando senza preavviso Severus Piton
scattò giù dal letto.
Era l'estate delle ferite alle mani,
pensò Harry, mentre Silente gli sfilava davanti. Avrebbe voluto
fargli qualche domanda - avrebbe voluto fargliene molte - ma si sentiva
ancora un po' troppo frastornato. Meglio andare con la corrente, per il
momento, anche perché era una corrente buona.
Remus sembrava ancora più
pallido di prima, ma i suoi balbettii erano pieni di una
felicità stranita, e Sirius non aveva lasciato il suo fianco
neanche per un istante. L'espressione di Silente era tranquilla, il suo
sguardo era gentile, e la mano annerita almeno non sembrava provocargli
alcun dolore. Non doveva essere grave, anche se sembrava grave.
Erano tutti in fila per scortarlo
verso la camera di Regulus, solo Lupin parlava, ma Harry non riusciva a
seguirlo. Non del tutto. Stava dicendo che c'era voluto un po', per
calmare Severus - ed era vero, supponeva, anche se dal canto suo era
scappato immediatamente dal capezzale del ferito, si era nascosto in
cucina e aveva lasciato che se ne occupassero loro - ma che era
coerente, parlava ed era coerente, ed era incredibile...
«Ho bisogno di parlargli in privato, Remus» disse il preside, in tono quasi di scuse.
«Io - sì, certo,
ovviamente. Credo che - credo che scenderò a fare un tè,
sì» disse Lupin, con gli occhi ancora sbarrati. Ma ancora
non si mosse, incrociò esitante lo sguardo di Silente.
«Non... non credevo che sarebbe successo. Albus, non credevo che
si sarebbe veramente svegliato» ammise, con voce rotta. Ma
l'altro annuì tranquillamente, senza tracce di sorpresa o di
rimprovero.
«A volte non abbiamo
più la forza di sperare. E spesso, fortunatamente, siamo in errore. Gradirei anche un goccio di latte, Remus, se
non ti è disturbo. Credo che anche a Severus farebbe piacere.
Senza zucchero, grazie» e, detto questo, scivolò senza far
rumore all'interno della stanza. Se ne stettero davanti alla porta
chiusa per qualche istante di troppo. Il lupo mannaro fu il primo a
muoversi, instabile e lento come un sonnambulo. Harry e Sirius si
guardarono, senza dire una parola. Lo scricchiolio dell'ultimo gradino
delle scale era un indicatore affidabile, Lupin era fuori portata. Lo
sapevano.
E infatti scattarono
contemporaneamente verso la camera di Harry, facendo a spallate nella
foga di raggiungere per primi il pacco di Tiri Vispi Weasley - cosa gli
era saltato in mente? Perché aveva fatto vedere le Orecchie
Oblunghe a Sirius?
«Fai provare a me.»
«Hai già provato, è il mio turno. Questo dannato affare...»
«Silente avrà lanciato un Incantesimo Imperturbabile sulla porta, per forza non---»
«Non cercare di insegnarmi il mestiere, Harry. Ci fai solo una brutta figura.»
«Sì, ma---»
«Shhhh!»
Ebbero appena il tempo di scattare
in piedi, appoggiare la schiena al muro e fingere indifferenza, prima
che la porta si aprisse del tutto. Harry non osò farsi
illusioni: era abbastanza sicuro che Silente avesse notato il lungo
filo color carne che Sirius si era appena nascosto dietro la schiena.
Ma non disse niente al riguardo, sorrise e basta, proprio pacifico.
«Sirius, mi dispiace dovermi
imporre a quest'ora così tarda... ma avrei bisogno di Harry per
sistemare una piccola faccenda, e già che sono qui preferirei
approfittare dell'occasione.»
«Ha a che fare con Pit...»
«No. Faccende di Hogwarts, niente di particolarmente interessante... ti ricordi del professor Lumacorno, per caso?»
Sirius scoppiò a ridere, anche se solo per un attimo.
«Sfortunatamente sì, me
lo ricordo proprio bene. Mai conosciuta una persona così pesante
- in tutti i sensi. Ma non vedo cosa c'entri Harry.»
«Persuadere Horace a tornare si sta rivelando più complicato del previsto. E capisci bene che...»
«...capisco. Sì.»
Il suo padrino non sembrava
felicissimo della cosa, però Harry aveva le sue priorità.
Si schiarì piano la voce, giusto per ricordare a entrambi che
era ancora lì.
«Mi fa piacere aiutarla, signore» annunciò, incrociando per un attimo lo sguardo di Silente.
«Grazie, Harry. Lo
riporterò a casa tra un'ora al massimo, Sirius, non temere. Dopo
una giornata simile, credo che tutti noi gradiremmo una buona nottata
di sonno.»
«Mmmmhhh. E Piton?»
«Temo che Severus dovrà abusare ancora per un poco della vostra ospitalità.»
«Mh.»
«Gli troveremo una
sistemazione più consona a breve, te lo prometto»
aggiunse, rassicurante, con un sorriso tranquillo. Ma c'era qualcosa di
non esattamente paziente, nell'occhiata che lanciò all'Animagus.
E fu giusto con una vaga sensazione di disagio che Harry seguì
il Preside fuori da Grimmauld Place.
Non era sicuro che il professor
Lumacorno gli piacesse, ma ora che l'avevano convinto a tornare ad
Hogwarts il problema non lo preoccupava più di tanto. Non quando
le altre notizie erano così... be', epiche.
Poteva partecipare alle riunioni
dell'Ordine, ad esempio. Ce ne sarebbe stata una tra due giorni, ed
avrebbe avuto Hermione al suo fianco. Non riusciva a crederci, era come
un secondo Natale a sorpresa - e la promessa delle lezioni private con
Silente era un regalo ancora migliore! Finalmente le cose stavano
andando per il meglio! Abbastanza, almeno. Ovviamente, in questa
valanga di buone notizie doveva essercene almeno una negativa.
«Sarebbe il caso di fare un altro tentativo con l'Occlumanzia, Harry.»
«Ehm.»
«Capisco le tue riserve
sull'argomento, ma ci troviamo in una situazione estremamente delicata.
Sono comunque certo che stavolta non sarà un... fiasco totale,
credo che si dica?» e sorrise, quasi divertito dalle sue stesse
parole. «Confido nel fatto che la compagnia della signorina
Granger possa esserti di aiuto. Scommetto che sarà entusiasta
all'idea di studiare Occlumanzia con te.»
«Non sarebbe male, sì. Ma l'insegnante...»
«Sarà lo stesso dello scorso anno.»
«Ehm. Ce la farà? Cioè, nel senso...»
Il sorriso di Silente si fece abbastanza triste da costringere Harry a distogliere lo sguardo, imbarazzato.
«Severus Piton è una
delle persone più resilienti che io abbia mai conosciuto. Ma
apprezzo molto la tua considerazione, Harry. Il percorso non
sarà facile, e una maggiore dose di... tatto nei confronti del
tuo insegnante sarebbe molto gradita. Anche se temo» e qui si
lasciò andare a un profondo sospiro «che le
avversità non tirino fuori il meglio dal professor Piton. Dovrai
avere pazienza, Harry.»
Ed Harry annuì, solenne.
«Avrò pazienza. Lo prometto.»
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*riferimento a Nevermind the
Bollocks, album dei Sex Pistols del '77. La fase punk di Lily per me
è canon, sappiatelo. James l'aveva trovata incomprensibilmente
divertente e Sirius aveva anche cercato di andarle dietro, il punk era
coerente con la sua immagine pubblica, ma in segreto era un grande fan
dei Bee Gees. Staying alive, Sirius. Staying alive!
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Capitolo 5 *** Una riunione malriuscita ***
riunione
L'abbraccio di
Hermione era decisamente come se l'era aspettato: stretto e
persistente, con un contorno di capelli in bocca e nel naso. Lo fece
ridere e tossire, mentre la professoressa McGrannit li osservava in
disparte, con una certa dose di indulgenza - ma neanche troppa. A
quanto pare era stata lei ad essere di scorta, la notte che Harry aveva
abbandonato Privet Drive. Appiattita sotto le macchine, mimetizzata tra
i numerosi gatti girovaghi della signora Figg. E aveva più di
qualche parolina da dirgli, sulla maniera con cui si era rivolto a
Hestia Jones.
Ormai abituato a Sirius e Remus, sentirsi nuovamente fare una ramanzina
fu un'esperienza abbastanza strana. Ma non del tutto spiacevole, anche
perché il lupo mannaro non era mai troppo lontano. Silenzioso e
serio, ma con lo sguardo gentile, fermo all'angolo del tavolo come se
qualcuno se lo fosse scordato lì. Però la professoressa
fu abbastanza svelta a spostare l'attenzione su di lui, quasi non prese
fiato tra la ramanzina a Harry e la domanda successiva.
«Severus?»
«È di sopra, Minerva. In camera.»
«Sai se ha intenzione di scendere?»
«Uh... no. No, suppongo di no.»
«Bene. Allora salirò io.»
«Non... credo che sia una buona idea.»
«Non sono così decrepita da non poter affrontare una rampa di scale, Remus.»
«Certo, ma Severus non sembra essere dell'umore per...»
«Il che vuol dire che è perfettamente in sè, e
quindi in grado di ricevere visite» puntualizzò, con la
durezza della voce un po' rovinata dal sorriso tirato sulle labbra
sottili.
«...giusto. Ti accompagno.»
Hermione aspettò finchè i passi dei due adulti non
svanirono, prima di aggrapparsi al gomito di Harry.
«Allora?» sussurrò, molto piano, con occhi enormi.
«Ehm. Allora... cosa?»
«La situazione. Com'è? È... è tanto brutta?»
«Ehm, no. No, va tutto abbastanza bene.»
«Tu stai bene?»
«Io? Certo. Perché?»
Hermione esitò, mordicchiandosi il labbro inferiore. Se i suoi
denti fossero rimasti com'erano un tempo, in quel momento sarebbe
sembrata il criceto più tormentato del mondo. «Non lo so.
Supponevo solo che l'atmosfera fosse... abbastanza pesante. Sono tutti
molto preoccupati.»
«Tutti?»
«La McGrannitt, principalmente. be', per ora ho incontrato solo
lei. Ti hanno detto qualcosa, sulla riunione di oggi?»
«No. Cioè - in effetti sì. La signora Weasley non
ci sarà. Devono ancora dirle che siamo stati ammessi come, ehm,
spettatori alle riunioni dell'Ordine, e... credo che nessuno si senta
pronto ad affrontarla, ecco. Quindi non le hanno detto di oggi, e i
gemelli rimarranno con lei per distrarla, credo che vadano tutti a
trovare... sai, Ginny. Però il signor Weasley ci sarà, e
credo anche Bill o Charlie—»
«Hai saputo di Fleur? Verrà anche lei?»
«Fleur - quella Fleur?»
Hermione sbuffò, con un'espressione truce che di solito
riservava giusto alle bibliografie incomplete. «Già.
È entrata nell'Ordine - e anche in casa Weasley. Lei e Bill
pensano di sposarsi, il prossimo anno.»
«Oh. E questa è una cosa negativa perché...»
«Aspetta la riunione e lo vedrai. O forse no. Spero di no. Spero
che si dia un contegno» sbuffò, di nuovo, mentre Harry non
sapeva se sentire ilarità o panico. Ricordava fin troppo bene le
difficoltà di Ron con Fleur, e gli stava venendo un mezzo
sospetto che Hermione potesse essere gelosa. Nascondendo un sorriso,
sperò con tutto se stesso che ai due non venisse mai la malata
idea di mettersi insieme. Sarebbe stata la fine di ogni amicizia, era
ovvio, bastava vedere quanto spesso litigassero già ora, una
relazione non poteva che rovinare ulteriormente le cose.
Ma tanto l'amicizia era già bella che finita, si ricordò
Harry, con l'ennesima fitta colpevole. Ed era stata colpa sua, non di
Hermione.
«Sai se Piton ci sarà? Alla riunione.»
«Mh? Ah, sì. Dovrebbe. Lui, Tonks, Malocchio...» il
ragazzo iniziò a contare sulle dita, con la fronte corrucciata.
«Quindi sta...»
«Oh. Sì. Sì, sta bene.»
Hermione si limitò a lanciargli uno sguardo molto scettico, e
Harry ficcò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle. Era
colpa della McGrannitt, se era così preoccupata? Cosa le aveva
detto di preciso? Ma non aveva troppa voglia di indagare, quindi si
limitò a sostenere la propria posizione.
«Davvero. Okay, non l'ho più visto da quando si è
ripreso, ma - insomma, prima in effetti era conciato abbastanza male.
Non si muoveva, cose così» spiegò, ai propri piedi
più che ad Hermione. «Cioè, in effetti si muoveva,
però hai capito cosa intendo. Non è che camminava per
casa, ecco. Adesso, invece...»
«Ma hai appena detto di non averlo più visto.»
«No. Però so che la notte scende e si fa da mangiare da
solo. Lascia sempre i piatti sporchi nel lavandino, Sirius sta dando di
matto per questa cosa.»
Peccato che Hermione non sembrasse trovare l'informazione divertente
quanto Harry. Che, schiarendosi la voce, trovò la maniera di
cambiare discorso.
«Sai che ho conosciuto il nuovo professore di Difesa? Colleziona studenti, pensa un po'.»
E così il resto della mattinata passò, tra resoconti e commenti, senza toccare altri argomenti spiacevoli.
Dopo pranzo Hermione insistè per dare una mano coi piatti.
Perché la magia era più veloce, sì, e Sirius
poteva usarla liberamente... ma Sirius era anche al terzo bicchiere, e
la ragazza sembrava scandalizzata e preoccupata in parti uguali.
Neanche Harry si sentiva del tutto tranquillo: il nervosismo del
padrino, la maniera in cui si muoveva e chiaccherava a voce un po'
troppo alta, erano contagiosi.
I membri dell'Ordine della Fenice arrivarono alla spicciolata - per
prima Tonks, a cui avevano dato l'orario sbagliato, in anticipo di
un'ora, nel tentativo (riuscito) di non farla arrivare in ritardo.
Shaklebolt arrivò poco dopo, imperscrutabile e tranquillo come
al solito, insieme a Malocchio - ben poco imperscrutabile e sereno,
invece. Controllò la cucina quattro volte, prima di sedersi e
chiedere come stava il Mangiamorte. Tonks gli lanciò
un'occhiataccia, Sirius rise forte. Non smise neanche quando il
sovracitato Mangiamorte entrò nella stanza, scortato da Remus e
dalla professoressa McGrannitt. Harry fece appena in tempo a notare che
Piton non aveva fatto grandi sforzi per essere presentabile - il danno
causato dalle scarse doti di parrucchiere di Sirius non era mutato di
una virgola, e i capelli sembravano anche un po' sporchi. I vestiti che
indossava erano ancora palesemente quelli di Lupin, sfilacciati e
abbastanza informi. Sulle guance scavate aveva un'ombra scura di barba
non fatta, e non gli donava affatto. Stava continuando la sua analisi
ad occhi spalancati (Hermione aveva anche la bocca mezza aperta, e
Harry si rese conto solo in quel momento di non averla avvertita in
anticipo del nuovo look del professore) quando la sua visuale venne
offuscata da un viso molto sorridente e molto, molto, molto bello.
«Harrì!» cinguettò Fleur, piazzandogli un
bacetto per guancia, prima di passare un paio di minuti a inondarlo di
ciarle allegre sul matrimonio, su Gabrielle e su altre cose che il
ragazzo non riuscì veramente a sentire. Gli ci volle un po' per
tornare a concentrarsi davvero, e quando ce la fece tutti erano
già al proprio posto. Anche Silente, entrato quasi in sordina,
che strizzò gli occhi con aria dolorante quando per sbaglio
usò la mano ferita per rifiutare il bicchiere che Sirius stava
cercando di offrirgli. Nonostante la piccola fitta di preoccupazione,
la presenza del preside era rassicurante come al solito. Malgrado
tutto, sembrava così... sereno.
Harry chinò la testa per nascondere un sorriso di sollievo, poi
fece scorrere lo sguardo lungo il tavolo. Tonks aveva allegramente
accettato il whisky offerto da Sirius, anche se un po' era finito sul
tavolo mentre la donna si sedeva sulla sedia già puntata da
Remus, che aveva appena finito di servire il tè. Il lupo mannaro
alla fine si mise accanto a Tonks, senza battere ciglio davanti alla
sua solita goffaggine, al modo in cui gli aveva rubato la sedia di
fianco a Sirius all'ultimo minuto. Fleur era ovviamente accanto a Bill,
impegnata a sistemargli una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio,
mentre al loro fianco Shacklebolt sembrava guardarli con un certo
sottile divertimento. Era difficile esserne sicuri, con la sua faccia
da sfinge.
Piton era incastrato tra la McGrannitt e Arthur Weasley. La prima
sembrava abbastanza disinteressata al vociare della stanza, se ne stava
tranquilla a mescolare con il cucchiaino nella sua tazza, teneva lo
sguardo basso. Il signor Weasley invece aveva appoggiato un gomito sul
tavolo e si era proteso verso il professore, gli stava dicendo
qualcosa, ma molto piano. Forse avrebbe dovuto urlare, invece,
perché l'uomo non lo stava davvero considerando di striscio. Se
ne stava seduto tutto sommato composto, solo con la testa un po' bassa.
Teneva lo sguardo fisso davanti a sè, le braccia sotto il tavolo
e, a giudicare dall'espressione, sembrava semplicemente scocciato.
Continuò ad ignorare il signor Weasley - e l'occhio magico di
Moody, che sembrava rimanere sempre su Piton. Harry quasi
sobbalzò quando Silente si alzò in piedi, ottenendo un
immediato silenzio. .
«Signori, credo che sia meglio iniziare» annunciò,
prima di sorridere al signor Weasley. «Arthur? Ci sono
novità, a proposito della tua ottima idea dell'ultima
riunione?»
«Sta andando tutto per il meglio, abbiamo un sacco di nuovi
numeri sulla... rubrica telefonica? Una cosa affascinante, il loro
sistema di numerazione, con tutti quei prefessi -
scusate. Insomma, adesso copriamo un buon numero di famiglie con Nati
Babbani. Possono contattarci in qualsiasi momento, o quasi, anche senza
magia. E grazie all'aiuto di Filius forse non ne avranno neanche
bisogno: gli incantesimi di protezione che ha messo sulle ultime due
case Babbane sono davvero eccellenti, e...»
Dopo un po', però, l'attenzione di Harry iniziò a
scemare. Iniziative a protezione dei Babbani, ricerche su incantesimi
protettivi, reclutamenti. Tutto molto giusto e molto interessante, a
suo modo, ma anche abbastanza deludente. E, alla lunga, soporifero.
Sarà stata la digestione, sarà stato il fatto che l'unica
persona che aveva (o avrebbe dovuto) avere qualcosa di veramente grande
da dire se ne stava in perfetto silenzio, ma Harry un po' si pentiva di
aver avuto aspettative così alte sulle riunione. Gli
cascò l'occhio proprio su Piton, che oltre ad essere così
silenzioso sembrava anche non essersi mosso di un millimetro
dall'inizio della discussione. Non pareva neanche ascoltare, in
realtà, e per un lungo attimo Harry dovette frenare l'impulso di
alzarsi e andare a schioccargli le dita davanti agli occhi. Giusto per
controllare che non avesse avuto una ricaduta. L'aspetto non era dei
più rassicuranti, bisognava ammetterlo.
Mentre le chiacchere continuavano (la McGrannitt stava spiegando
qualcosa su Nati Babbani e ammissione a Hogwarts, qualcosa in cui
c'entrava una piuma e qualcos'altro) gli occhi di Harry si erano ormai
bloccati in direzione del professore, anche se la sua mente vagava
altrove e l'attenzione era relativa. Almeno finchè l'uomo non
fece sbucare la mano destra da sotto il tavolo, per sollevare la tazza
di tè che gli era stata piazzata davanti.
Un'inspirazione simile a un sibilo, alla sua sinistra, lo
informò che anche Hermione aveva visto tutto. Piton si stava
aiutando anche con la mano sinistra, e il movimento era lento, come se
provasse un piacere maggiore nel calore della porcellana che nell'idea
di bere un sorso. Il medio della mano destra terminava, di colpo, alla
seconda nocca. Affettato a metà, per così dire. Il
moncherino rimanente sembrava un residuo perlopiù inutile,
mentre il dito indice mancava del tutto: l'incavo del pollice
continuava irregolare e gonfio fino al medio. Harry, con una calma che
sapeva un po' di shock, capì finalmente perché la mano
bendata gli fosse sembrata così sbagliata, grottesca.
E Piton capì che aveva capito, evidentemente, quando con uno
scatto piccino degli occhi si ritrovò a guardare per sbaglio in
quelli del professore.
Harry ebbe una visione improvvisa, velocissima - le bende sudicie, la
bava essiccata sul mento - e strizzò le palpebre. Le mutande di
zia Marge, pensò, tentando di mandare avanti quell'immagine, di
trattenere il resto, di fargli vedere solo ciò che voleva lui.
Dudley che si fruga nelle mutande per risistemare la mercanzia. Zia
Petunia che guarda la tv, con la sua postura da mantide religiosa.
Ma era troppo tardi e, comunque, non era mai stato un granchè
con l'Occlumanzia. Vide Piton scoprire i denti un po' storti,
inspirare, prepararsi a parlare, ed aspettò inerme il commento
dell'uomo - che, però, non arrivò. Al suo posto
sentì la voce pacata di Silente.
«Severus?» disse, soltanto, e Piton spostò lo
sguardo su di lui. Di nuovo abbastanza inespressivo, solo con un
sopracciglio lievemente inarcato.
«Senza il tuo rapporto non ha molto senso cercare di coordinare i
nostri Auror» spiegò il preside, con aria quasi colpevole,
anche se lo sguardo era attento e molto fermo, non particolarmente
gentile.
L'altro annuì, un movimento rigido e quasi automatico,
riappoggiò lentamente la tazza al suo posto, senza neanche bere.
Fece sparire di nuovo le mani sotto il tavolo, e solo dopo
parlò. La voce era solo un po' roca, aveva lo stesso tono piatto
e sdegnato che usava in classe per commentare le pozioni di Neville.
Tutto molto familiare e, per questo, tutto molto assurdo. Harry si
sarebbe aspettato qualcosa di diverso.
«Conoscete già i punti salienti. Per meglio dire, non
posso confermare nè smentire le ipotesi di cui sono stato
informato. Al massimo posso confutare quelle più idiote.»
Sirius si versò un altro bicchiere, Malocchio sbuffò
rumorosamente, Fleur arricciò il naso. In generale,
sembrò che un'ondata di scontento passasse lungo il tavolo,
bloccata giusto da qualche scoglio di ansia e preoccupazione qua e
là. Harry non sapeva bene da che parte schierarsi.
«Non sembra esserci nessun collegamento diretto con la morte di
Emmeline Vance. Non sono a conoscenza dei dettagli, ma non mi risulta
che si sia lasciata... sfuggire qualcosa di rilevante. Non su di me,
nè sui piani dell'Ordine. L'incidente è stato causato dal
fallimento all'Ufficio Misteri, se proprio vogliamo trovare un rapporto
di causa-effetto tra gli avvenimenti passati. Gli è stato
impossibile sfruttare la stampella offerta dalla Profezia, non è
riuscito ad ascoltarla, e quindi il Signore Oscuro è diventato
ulteriormente... instabile. Paranoico.»
Sembrava aspettarsi una nuova ondata di sbuffi e borbottii, o almeno,
fece una pausa proprio precisa per contenerli tutti prima di
ricominciare a parlare.
«Chiunque abbia un minimo di cervello, a questo tavolo» e
scoprì i denti irregolari in una smorfia, con una sfumatura
scettica nella voce «può capire come questa sia
un'informazione fondamentale. La maniera in cui sta trattando i suoi
seguaci creerà senz'altro delle spaccature. Sfortunatamente,
quando ha deciso di concentrare le sue attenzioni su di me, ha davvero
trovato una spia. Per puro caso.
Se la tortura fosse invece stata priva di risultati, nel giro di
qualche mese si sarebbe trovato in inferiorità numerica. Capite
bene - o meglio, spero ma non credo che
capiate - che quando il sistema di punizioni e ricompense diventa
illogico, quando gli uomini più fidati rischiano la morte senza
motivo apparente, il gruppo non può più essere coeso. La
paura avrebbe potuto fare ancora da collante solo per un periodo
limitato di tempo.»
«Ma questo non è successo. N'est-ce pas?La punizione
è divontata giusta, almeno ai loro occhi. A me sombra più
utile parlare di quello che...»
«C'è ben poco di utile. Vedo già qualche buco nella
tua storia, Piton. E non ne sono sorpreso» borbottò
Malocchio, interrompendo Fleur, senza neanche guardarla. Davanti a lui
Tonks sobbalzò, con un sibilo di dolore: aveva evidentemente
cercato di tirare al suo mentore un calcio sotto il tavolo, beccando
però la gamba di legno invece di quella vera.
«Posso continuare?» chiese Piton, e stava addirittura
sorridendo. Senza allegria, e senza osare guardare in direzione di
Moody. Puntò invece Sirius, allargando il sorriso, abbassando la
voce. «A meno che non abbiate tutti un tempo illimitato da
passare seduti a questo tavolo, la cosa veramente utile sarebbe
rimandare i commenti alla fine.»
Quelli del padrino, se l'udito di Harry non lo ingannava, non erano
comunque molto costruttivi. Gli sembrava di avere sentito distintamente
un "testa di cazzo" provenire dalla sua direzione.
«Il concetto alla base del mio ragionamento rimane. La
Maledizione Cruciatus, pur essendo uno spauracchio più che
sufficiente, è un male conosciuto. Un normale rischio del
mestiere, una malattia professionale, se vogliamo. Ma quando la tortura
diventa più fantasiosa...»
«In che modo?» chiese Bill, piano. La voce era pacata, lo
sguardo molto attento. Per un attimo Harry pensò che Piton non
sarebbe riuscito a mantenere l'ironia morbosa con cui stava affrontando
l'argomento, non davanti alla domanda diretta dello Spezza Incantesimi.
Ma, dopo un istante di pausa, si limitò a continuare a parlare
come se nulla fosse, come se nessuno l'avesse interrotto.
«È estremamente probabile che aver scoperto il mio doppio
gioco possa alimentare la paranoia del Signore Oscuro. Anche se
ciò non fosse, quello che ha fatto - e come lo ha fatto - ha
creato un precedente pericoloso. Date le premesse, credo che la
tensione tra i Mangiamorte non farà che aumentare. Ci sono
sempre state delle defezioni, anche durante la prima guerra, ma i nuovi
sviluppi promettono di rendere la cosa così comune da poter
essere... sfruttabile. Credo che dovremmo concentrare i nostri sforzi
in questa direzione. Offrire un'alternativa valida. Mostrarci come la
parte vincente, come la scelta più ragionevole per sopravvivere
alla guerra, l'unica alternativa a una morte inutile per una causa che
non riusciranno mai a godersi. Si disgregheranno anche senza nessun
intervento da parte nostra, è vero, ma preferirei ritrovarmi con
almeno una percentuale di disertori dalla nostra parte, anzichè
avere davanti quattro o cinque gruppi di Mangiamorte distaccati da
quello principale, tutti comunque con la precisa idea di uccidere i
membri dell'Ordine.»
«Quindi è questo quello che ci offri, Piton? Un po' di
psicologia da due soldi su Voldemort e sui tuoi amici Mangiamorte, un
sacco di parole vuote e... basta?» intervenne Sirius,
all'improvviso, con la voce appena impastata.
«Avrei potuto offrire una casa e godermi un anno sabbatico. Ma,
per mia fortuna, hai già adempiuto tu a questo rischiosissimo
compito.»
«Severus?»
Fu la voce di Lupin ad interrompere l'improvviso tramestio di sedie
scostate - quella di Sirius, e quelle di chi aveva intenzione di
trattenerlo. Piton non si mosse affatto, anche se la postura sembrava
più rigida e rattrappita di prima. Si limitò a guardare
il lupo mannaro, che lo fissava di rimando, con la mano alzata come uno
studente in attesa del permesso di prendere la parola. Cosa che Piton
non gli diede, e che Remus alla fine non aspettò.
«C'è un dettaglio più... pratico ed immediato, di
cui dovremmo parlare. Non siamo riusciti a riconoscere la natura di
alcune ferite, né a capire come trattarle. Eppure non ho potuto
fare a meno di notare che si sono rimarginate. Suppongo che te ne sia
occupato tu, da solo? Se è così, forse potresti...»
«No.»
«Come, scusa?»
«Ho detto: no.»
Non sembrava curarsi particolarmente degli sguardi di tutti, sempre
fissi su di lui, quando sollevò di nuovo la mano mutilata.
Sembrò considerarla un attimo, con occhio critico, spassionato,
e solo una vaga traccia di disgusto. «Credo di non aver bisogno
di evidenziare l'ovvio, gli effetti dell'incantesimo subito. E non ho
informazioni ulteriori da fornire. Ho semplicemente tentato una
contromaledizione che mi sembrava si adattasse alla ferita, e ha
funzionato. Per quel che poteva funzionare. Posso fornire dettagli
sulla contromaledizione, nient'altro.»
«Credo ci sia anche qualche altro dettaglio che puoi fornirci,
Piton. Trovo piuttosto... curioso che tu non ci abbia ancora raccontato
niente della tua fuga» intervenne Malocchio, entrambi gli occhi
fissi sull'ex-Mangiamorte. Che tornò a nascondere la mano sotto
il tavolo e abbassò finalmente lo sguardo. Se ci si poteva
basare sui muscoli delle guance incavate, stava stringendo i denti.
Alla fine parlò, con lo stesso tono di prima, brusco ma non
particolarmente coinvolto.
«Non sono informazioni rilevanti, Moody. Ma se proprio vogliamo
perdere tempo... mi sono trovato da solo con Selwyn. Non si aspettava
di ritrovarsi con una lama nel piede, ha lasciato cadere la bacchetta,
l'ho presa. Prima che arrivassero i rinforzi ho avuto il tempo di
spezzare un paio di incantesimi anti-Smaterializzazione, abbastanza per
fuggire. Ragionevolmente intero, anche se non del tutto: credo di
essermi Spaccato. E questo è quanto.»
«È morto?» chiese Tonks, in tono quasi casuale.
«Selwyn? Sì.»
«Ne sei sicur—»
«Sì.»
«Hai parlato di una lama.»
«Sì. Avevo un coltello.»
«Non ti avevano perquisito?» intervenne Shacklebolt,
placido come al solito, senza alcuna espressione. La sua voce era molto
calma, quella di Tonks vagamente incuriosita, in maniera quasi
amichevole.
«Sì. Ma non è gente abituata a preoccuparsi di ciò che non è magico.»
«Cos'hanno usato? Magicum Revelio?»
«Sì. E incantesimi di Appello.»
«Ma non hanno trovato il coltello.»
«No. Non ci hanno pensato.»
«Perché Selwyn era da solo?»
«Era di guardia.»
«Non era lì per interrogarti?»
«No.»
«Perché?»
«L'interrogatorio era stato sospeso» rispose Piton,
aggrappandosi un po' di scatto alla tazza davanti a sè,
goffamente, con la mano mutilata. «E sarebbe proprio il caso di
sospendere anche il vostro» borbottò, rancoroso, con
un'occhiata a Silente. Silente che non era ancora intervenuto,
nè lo fece in quel momento.
«Perché l'interrogatorio era stato sospeso?» insistè Kingsley.
Harry vide Silente fare un piccolo cenno con la testa. Piton
continuò a guardarlo, senza espressione, senza parlare, mentre
Tonks lo spronava con voce più gentile.
«Vogliamo solo capire meglio come si sono svolti i fatti. La cosa
potrebbe tornarci utile, lo sai quant'è probabile che qualcuno
di noi si ritrovi nella stessa situazione di Emmeline, o di Amelia... o
tua. Qualsiasi informazione tu abbia potrebbe salvare delle vite.»
«Dopo che sei stato scoperto la nostra principale fonte di
informazioni sui Mangiamorte è svanita. Lo capisci, questo.
Quindi, se ti è rimasto ancora qualcosa di utile...»
intervenne Shacklebolt. Ma non sembrarono essere le sue parole a far
decidere l'uomo, gli strapparono solo una smorfia. Non lo guardava
neanche, teneva gli occhi scuri fissi su Silente. Il preside
annuì di nuovo, e solo dopo Piton aprì bocca.
«Ho dovuto dargli... qualcosa. Al Signore Oscuro. Un dettaglio su
cui rimuginare. Qualcosa che potesse distrarlo abbastanza a lungo da
darmi una piccola pausa, ma che non mettesse in nessun modo l'Ordine a
rischio.»
«Di che dettaglio si tratta?» chiese Tonks, incoraggiante,
mentre tutto il tavolo sembrava trattenere il respiro. Ma Piton non
rispose, si limitò a bere il suo tè. Fu Silente ad
intervenire.
«Il dettaglio in questione è già stato discusso
privatamente tra me e Severus. Avete la mia parola...»
scandì bene, guardando a turno i presenti, senza concentrarsi su
nessuno in particolare. «...che la sua valutazione è
esatta. Ciò che ha confessato a Voldemort non ci ha messo in
pericolo, in nessuna maniera.»
Sirius aveva di nuovo la bacchetta in mano. Se ne stava perfettamente
immobile, ma Remus si affrettò a spegnere con la mano un paio di
scintille che, dalla punta, erano cascate sul tavolo. Era l'unico a
sembrare sull'orlo di uno scoppio di magia più o meno
involontario, ma l'ansia e la sfiducia si leggevano a chiare lettere
sul volto di tutti... o quasi.
Fu Tonks la prima a parlare di nuovo. Aprì le braccia, si
sventolò le ascelle, mormorò «Fiù, certo
che... che fatica!»
Il suo tentativo di smorzare la tensione non ebbe molto successo.
Passarono più di un'ora a bisticciare sull'attuale collocazione
di Harry ed Hermione. I Weasley, inclusa la neo-acquisita Fleur,
portarono avanti una campagna decisamente battagliera per cercare di
portarseli via, alla Tana. Arthur si premurò di specificare che
non era per sfiducia verso Severus, che sarebbe semplicemente stato un
piacere averli come ospiti per un paio di giorni, ma il figlio e la sua
compagna ci misero ben poco a smentire quella versione. Malocchio
suggerì quello che, a giudicare dalla descrizione, doveva essere
un rifugio antiatomico. Kingsley parlava addirittura di trasferirli
all'estero. Sirius rovesciò la sedia ed urlò a lungo, un
po' contro tutti, in ordine sparso. Aveva argomentazioni meno pratiche
e più sentimentali per volerli lì, e probabilmente era
una fortuna che Remus menzionasse l'Incanto Fidelius e le protezioni
lasciate dalla famiglia Black, mentre l'altro si limitava a berciare
che era "il suo dannatissimo figlioccio" e la decisione quindi spettava
al "dannatissimo padrino". Harry gradiva molto la sua presa di
posizione, ma riteneva che la decisione spettasse a lui. Che era
proprio lì, davanti a loro, nel caso se lo fossero scordato.
Stava per alzarsi e dirlo ad alta voce - ma Hermione gli fece cenno di
no con la testa, gli strinse forte il braccio, e lui richiuse la bocca
dopo un profondo sospiro. La McGrannitt, con una mano appoggiata sulla
spalla di Piton, li castigò tutti perché si stavano
comportando come bambini. Il professore era probabilmente d'accordo con
la sua diagnosi, ma non ebbe alcuna reazione. Non alle sue parole, non
al contatto fisico, e neanche alle urle indignate degli altri.
Silente li lasciò sfogare, neutrale e silenzioso. Sciolse la
riunione solo quando la maggior parte delle voci erano diventate troppo
roche per gridare ancora in maniera efficiente.
«È stato... disturbante» ammise Hermione, quando
finalmente riuscirono a nascondersi entrambi in camera di Harry. Il
ragazzo annuì con foga, e l'amica continuò a parlare,
corrucciata, mentre tirava nervosamente i fili del copriletto un po'
rovinato. «E mi dispiace dirlo, ma credo che Malocchio... credo
che abbia ragione. C'è qualcosa che non va, nella storia di
Piton. Hai visto come l'ha presa alla lontana? Tutto quel discorso
sulle dinamiche interne, sullo sfruttare i disertori - sono d'accordo
con lui, va bene, ma c'era veramente poca sostanza. Ha dato pochissime
informazioni, e gliele hanno dovute praticamente strappare di
bocca.»
«Credi che abbia mentito?»
«Non lo so. Non... credo. Non direttamente. Per omissione magari
sì, ma non penso che abbia detto bugie vere e proprie.»
«Forse è per quello che l'hanno scoperto. Cioè,
durante la riunione l'abbiamo capito tutti che stava cercando di
infinocchiarci in qualche maniera. E se l'abbiamo capito noi...»
«Non credo, Harry. Non sarebbe sopravvissuto neanche alla prima
guerra se non fosse stato bravo a mentire, no? È più
probabile che oggi la cosa sia stata così evidente
perché, be'... perché non sta bene.»
«Ma sì che sta bene, te l'ho già spiegato. Prima
stava male, ma adesso... fa quasi paura, da quant'è normale.
È in forma, fidati. A modo suo, va bene, però...»
«Harry. Non può
stare bene, dopo quello che ha passato. Credo sia possibile che non
abbia mentito per chissà quale sua agenda, ma solo perché
non riusciva ad affrontare l'argomento. Per il trauma, per...»
«Oppure potrebbe essere tutta una montatura. Andiamo, Hermione.
Se fosse stato per questo sarebbe almeno sembrato - non lo so, nervoso.
Spaventato. Triste? Invece a me pareva solo scocciato, il che avrebbe
senso se stava cercando di fregarci e capiva di non esserci riuscito
del tutto. Potrebbe non essere davvero dalla nostra parte...»
«A volte la mente delle persone reagisce in maniera... strana. E
Piton non è mai sembrato troppo normale, no? Alla fine torniamo
sempre su questo punto, tutti gli anni. E la risposta è sempre
la solita, Harry: Silente si fida di lui. E noi ci fidiamo di Silente.
Vero?»
Harry esitò, e quando aprì bocca per spiegarle che la
cosa era un po' più complicata di così un foglio di
pergamena scivolò da sotto la porta. Restarono a guardarlo, in
apnea, mentre volava con precisione e nonchalance verso le mani di
Harry. Lo acchiappò quasi automaticamente, sopra c'erano
scarabocchiate solo poche parole, in uno stampatello irregolare: "Occlumanzia, 21:30, biblioteca". Passò il foglio a Hermione, inspirò profondamente.
Restarono a guardarsi a lungo, in silenzio, e l'ansia era identica su entrambi i visi.
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Capitolo 6 *** Non-buon compleanno, Harry ***
Buon compleanno harry
«Aspetta - non ti sei portato niente per scrivere?»
«...scrivere?»
«È una lezione, Harry.
Ti fa così schifo prendere appunti? Va bene, tieni questo foglio
- aspetta, dovrei avere una penna di riserva...»
«Secondo te se la prende, se non scriviamo con le piume?»
Harry vide l'orrore e il panico fare
capolino negli occhi di Hermione - ma il tempo era già scaduto.
Piton era appena entrato, chiuse la porta dietro di sè con un
movimento svelto della bacchetta e un inquietante rumore di serratura
chiusa tre volte. La buona notizia era che sembrava riuscire ad usare
la bacchetta con la mano mutilata, anche se l'occhio allenato di Harry
bocciò la stretta strana delle dita rimaste come "a rischio
anche con l'Expelliarmus meno riuscito di Neville". Un combattente in
meno, quindi. Ammesso e non concesso che il Serpeverde avesse mai avuto
intenzione di fare qualcosa anche in prima linea, invece di rimanersene
comodo nelle retrovie con la sua dubbia utilità di spia.
L'altra buona notizia era che,
sebbene non camminasse proprio alla perfezione, Harry l'aveva visto
zoppicare molto peggio dopo l'incontro con Fuffy. Si congratulò
con se stesso per l'insistenza con cui affermava che Piton stesse bene:
tutto lo confermava. Anche la maniera odiosa con cui iniziò la
lezione.
«Suppongo che la signorina
Granger conosca già la risposta ad ogni domanda, retorica o
meno. Quindi, se volesse direttamente deliziarci con la definizione
imparata a pappagallo senza che io debba aprire bocca...»
Harry, per un attimo, pensò
che Hermione avrebbe resistito. Seduta dritta dritta sul bordo della
sedia scompagnata, con il quaderno sulle cosce e il labbro inferiore
tra i denti - quasi tremava dalla voglia di rispondere, ma per un
attimo sembrò farcela a mantenere il silenzio. L'unico rumore,
nella biblioteca, era quello di un qualcosa che sembrava correre dietro
le scaffalature di libri. Un piccolo qualcosa, un qualcosa con molte
zampe.
«Puoi cominciare dalla
definizione di Legilimanzia» aggiunse Piton, con i denti storti
scoperti in una smorfia di sdegno. Sembrava molto pallido - più
del normale, insomma. Ma, anche se la voce era fioca e piuttosto roca,
bastò per far crollare Hermione.
«L'Occlumanzia viene definita
come "l'arte magica e mentale del compartimentalizzare". Ciò
permette di difendere la propria mente da attacchi esterni, mantenendo
integri e nascosti i propri pensieri e ricordi. Ci sono diverse
correnti di pensiero sulla tecnica corretta da utilizzare per
proteggere la mente, ma c'è un generale consenso sul fatto che
il solo oscuramento non sia l'approccio più efficace: si
preferisce, infatti, ibridare l'oscuramento con la più avanzata
commutazione...»
Harry si era già perso.
L'unica cosa che aveva capito era che la quantità di
informazioni sembrava decisamente maggiore a quella che il bastardo gli
aveva dato durante le sue lezioni. Il sovracitato bastardo
sembrò seguire un ragionamento più o meno simile,
perché stavolta snudò i denti in direzione del ragazzo e
gli parlò in tono basso, molto lento.
«La signorina Granger non ha
il dovuto riguardo verso i meno... dotati. Possiamo fermarci
all'oscuramento, per ora. Ed immagino che qualcuno, in questa stanza,
sappia dirmi la definizione anche di questo.»
«Oh. Ehm, quindi posso...?
Sì. Ecco, signore, si tratta di un blocco totale. Un atto di
forza e di pieno controllo che svuota completamente la mente, rendendo
così difficilmente accessibili i—»
«Granger» disse Piton, a
voce molto bassa. Sembrava tutto denti e naso, il disprezzo ben
stampato sui lineamenti aspri lo abbruttiva ancora di più,
abbastanza da ammutolire la ragazza. «Se tu potessi trattenere
solo per un istante questa tua irritante... sollecitudine, forse ti
renderesti conto che anche il nostro "ripetente" dovrebbe ormai essere
in grado di rispondere.»
«Sì, ma—»
«Troppo faticoso? O forse ti stai annoiando, Potter?»
«No, ma io—»
«Strano. Eppure stiamo
ricapitolando degli argomenti che abbiamo già affrontato, anche
se a un livello più adatto alle tue insulse capacità
mentali. Forse neanche stavolta sto riuscendo ad attirare la tua
attenzione?»
Harry optò per un cauto e molto rigido silenzio.
«Ancora più strano. No?
Davo per scontato un maggiore interessamento, dopo che la tua
incompetenza ha rischiato di mietere più di una vittima.»
Harry serrò i denti. Piton continuò, inesorabile.
«Ma certamente il Prescelto
non ha bisogno di applicarsi in qualcosa. Di sicuro c'è un deus
ex machina dietro l'angolo, no? Amici più brillanti, o qualche
malconsigliato martire pronto a fargli da scudo...»
I ragazzi rimasero in perfetto
silenzio. Harry neanche respirava, non si fidava delle parole che
avrebbero potuto uscirgli di bocca insieme all'espirazione.
Alla fine fu Piton a lasciarsi andare a un profondo respiro.
«Potter. Quali sono stati i tuoi unici successi, durante le nostre lezioni?»
«Io... successi?»
riuscì a mormorare, con la bocca aperta come quella di un pesce
che soffoca. Era felice che Piton sembrasse aver cambiato approccio, ma
la domanda l'aveva messo più in crisi delle frecciate
precedenti. L'altro sbuffò, si appoggiò alla scrivania
con la mano ancora sana. Sembrava l'unica cosa a tenerlo ancora in
piedi, osservò Harry, con un certo distacco.
«Sto cercando di essere gentile,
Potter. Ci sono state due occasioni in cui hai raggiunto ciò che
un idiota potrebbe definire "parziale successo". Illuminaci.»
«Io... uh... l'ho... fatta smettere?»
«Come?»
«Ho - ho lanciato degli incantesimi.»
«Volontariamente?»
«Più o meno. Non il primo.»
«Una fattura pungente.»
«Ehm. Già. E poi un... sortilegio scudo.»
«E che informazioni hai tratto, da questa tua bravata?»
Che è particolarmente
disturbante vedere un bambino piangere in un angolo, e poi trovarsi
davanti il mostro di rancore che quel bambino è diventato.
Avrebbe voluto rispondere così, ma pensò a un po' di
cose, tutte insieme, e tacque. Pensò a Silente, che gli chiedeva
lo sforzo di un po' di pazienza. Pensò a...
Riflettendoci meglio, non era il
caso di pensare troppo a niente. Non con un Legilimens davanti.
Così si limitò a stringersi nelle spalle.
«Signorina Granger? Vuoi di nuovo correre in soccorso del tuo compagno?»
Hermione aprì la bocca. Poi la richiuse, diffidente. Quando si decise a parlare, lo fece con una certa lentezza.
«In teoria un attacco esterno
potrebbe far perdere la concentrazione al Legilimens, ed interrompere
così il contatto. Riuscire a lanciare un incantesimo sottintende
un certo grado di oscuramento, ma non credo sia sufficiente
a—»
«Riguardo all'utilizzo di un sortilegio scudo, signorina Granger.»
«Oh. Io... non sono sicura, signore.»
«Ah no?» fece Piton,
improvvisamente mellifluo. E, prima che Harry potesse pensare di fare
alcunchè, puntò la bacchetta verso Hermione. Fece appena
in tempo a scattare in piedi, con un urlo già in fondo alla
gola, quando un suono alla porta bloccò tutti. Era come un...
raspare di zampe contro il legno? Molto forte, molto insistente. E,
subito dopo, un bussare così violento da far quasi tremare la
sedia sotto il sedere di Hermione.
«PITON! APRI QUESTA DANNATA PORTA - ORA!»
Sirius. Ovviamente. Harry non sapeva
se sentirsi sollevato o preoccupato. Notò, con la coda
dell'occhio, che il professore aveva teso maggiormente il braccio, e
che la bacchetta era puntata ora verso la porta. Con l'altra mano
continuava a reggersi alla scrivania.
«Black. Stai interrompendo una lezione, approvata dal Preside, quindi—»
«APRI! QUESTA! DANNATA PORTA... oh, fottiti - bombarda!»
Harry ed Hermione si coprirono il
viso quasi all'unisono - Piton no, picchiò solo col posteriore
contro l'angolo della scrivania, gli occhi strizzati. E, in mezzo alle
macerie della porta, ecco Sirius. La bacchetta levata, lo sguardo non
meno allucinato di quando, ridotto a poco più di uno scheletro,
era pronto ad uccidere Peter Minus.
«Cosa sta succedendo. Piton - te l'avevo detto. Volevo essere presente! Non ti permetto di—»
«Di insegnare, Black? Oh, non
ti preoccupare. L'ego del tuo figlioccio è già un
ostacolo sufficiente, non riuscirei ad insegnargli niente neanche
se—»
«Non ti permetto. Non nella
MIA casa. Non con il MIO Harry - e non con Hermione! Tu, piccolo
sudicio...» ed iniziò a camminare verso la scrivania.
Harry non era spaventato all'idea di fermarlo - però forse, in
effetti, ripensandoci, un pochino lo era.
«Sei consapevole, vero, del
fatto che ho le stesse identiche preoccupazioni riguardo ai tuoi
contatti con questi due ragazzi? Io, almeno, non sono uno
schifoso—» iniziò a sbottare Piton, ma i ragazzi non
scoprirono mai che sfumatura di "schifoso" fosse Sirius: un pugno del
suddetto impattò improvvisamente con il viso magro del
professore.
Tutti sentirono il "crack" nitido e
nauseante del naso che si spezzava, tutti videro il sangue che colava
dalle narici, in un fiotto fin troppo copioso. Nessun riuscì a
fare niente, finchè Remus non piombò nel caos generale
con urla molto giuste ed Epismendo lanciati con premura.
E così finirono di nuovo
nella camera di Harry, un sedere per letto, gli sguardi bassi. Almeno
fino a che Hermione non alzò i suoi, graziosi e molto seri.
«Non mi avevi detto di aver usato degli incantesimi contro Piton.»
«Ehm.»
«Cos'è successo, quando hai usato il sortilegio scudo?»
«Io ho... sono... sono entrato
nei suoi pensieri. Credo che non se l'aspettasse. Ho visto cose che -
sono private, Hermione. Scusa ma non...»
«Capisco» lo
interrompè lei, senza nessuna particolare emozione e la fronte
corrucciata. Dopo un lungo silenzio, ebbe solo una domanda.
«Cosa stava cercando di dire a Sirius?»
«Non lo so. Codardo? Sai com'è Piton. Anche se, onestamente, tra i due...»
«Pensavo solo che...
sai...» iniziò Hermione, interrompendosi però a
metà strada, con le labbra contratte.
«So cosa?»
«Niente. Sono io che penso
troppo, di sicuro» minimizzò lei, con un sorriso esitante
e un'occhiata all'orologio polveroso appeso al muro. «E mi stavo
quasi scordando... buon compleanno, Harry.»
«Come?»
«Auguri. È passata la mezzanotte, vedi?»
Harry vedeva, ma avrebbe preferito accorgersene in tutt'altro frangente.
La mattina dopo, non si accorse di
non avere regali in fondo al letto. Non ipotizzò neanche l'idea
che i regali fossero stati rimandati a una festa di compleanno, non
ebbe neanche un pensiero sull'argomento, non ebbe neanche mezza
delusione. Si limitò a trascinare i piedi nudi verso il bagno,
ad aprire l'acqua ed aggrapparsi con entrambe le mani al lavandino.
Perché il sogno era tornato, ed era rimasto disturbante. Il che
non aveva senso. Il cigolio dell'altalena non era una cosa negativa -
ci era andato, al parco giochi. Da solo e depresso, ma c'era andato. Ed
era tutto okay. E la cosa rossa... adesso capiva, si ricordava che
erano capelli. Rossi, però non di un "rosso Weasley". Abbastanza
vicino, ma non proprio uguale. Harry, però, supponeva che fosse abbastanza uguale.
«Mi sento solo in colpa per via di Ginny» disse, allo specchio.
«Spero vivamente che questa "Ginny" sia una degna compagna Purosangue» rispose lo specchio.
Harry schizzò acqua, sapone e
dentifricio contro il vetro. In quella casa, anche l'arredamento del
bagno era razzista. Finito ciò che doveva, scese ovviamente
verso la cucina.
Non la riconobbe subito. Aveva i
capelli neri, molto lunghi e dritti dritti, i lineamenti affilati e
pallidi. Pensò a Morticia Addams, ricordò come la serie
fosse uno degli spauracchi maggiori dei Dursley. Troppo
anticonformista. Poi la donna gli sorrise, e finalmente tutti gli
indizi andarono al loro posto: era Tonks.
Sirius era seduto di fianco a lei,
Remus aveva un braccio intorno alle spalle dell'Animagus - lo tolse,
non appena si accorsero di Harry. Sirius aveva la Gazzetta del Profeta
tra le mani magre, e non erano molto ferme.
«Chi è morto?» chiese Harry, senza vergogna e senza pudore.
Lupin si infilò le mani in tasca, guardò un po' tutti prima di rispondere.
«Hestia Jones.»
«Hestia...»
«Non leggere la
Gazzetta» intervenne Tonks, con un tono così duro che
quasi non ne riconobbe la voce. Ma poi la donna sospirò, e tutto
tornò come doveva essere. «Il Ministero sta bloccando la
maggior parte delle informazioni, i resoconti della Gazzetta non
sono... esatti.»
Sirius continuava a tenere il giornale tra le mani. Gli occhi non si muovevano, non stava leggendo. Il silenzio era pesante.
«Ero sulla scena. La scorsa
notte. Supponiamo che sia stato un - un omicidio/suicidio. Il cadavere
di Hestia non era l'unico, c'era anche un Mangiamorte non identificato.
Dalla ricostruzione, pensiamo che Hestia abbia... spaccato la fiala di
una pozione che nessuno dovrebbe respirare. Si è uccisa. Insieme
ad uno dei suoi aguzzini. Gli altri, se c'erano, sono riusciti a
fuggire. E questo è quanto.»
Harry, con la gola secca e una
sensazione di irrealtà addossò, cercò di prendere
la Gazzetta a Sirius. Lesse, velocemente. "MAGGIOR ATTENZIONE SU
MAGAZZINI POZIONISTICI - Hestia Jones, venticinque anni, ha perso la
vita dopo la frattura di fiale non adatte alla consumazione umana.
Rilevato il cadavere di un acquirente, per il momento il corpo degli
Auror segue la pista di un incidente pozionistico. Impiegata da cinque
anni presso "Rimedi Rivoltanti di Madama Myrtle", Hestia Jones ha
mantenuto un curriculum completamente privo di errori prima del tragico
incidente che..."
Harry alzò di scatto gli
occhi molto verdi su Tonks, che si limitò a scuotere la testa.
«Era un Mangiamorte. Abbiamo visto il Marchio. Supponiamo
che abbiano cercato di sorprenderla sul posto di lavoro, e che... e che
Hestia si sia difesa come meglio ha potuto» affermò,
rigida, con un tono quasi militaresco. Aggrottò la fronte.
«Ci stiamo ancora lavorando, comunque. Forse, una volta raccolte
abbastanza prove, anche la Gazzetta...»
Remus calò una mano sulla
spalla della donna. Strinse appena. Lei chiuse gli occhi, ed Harry
restò a guardare in silenzio mentre i capelli di Tonks si
facevano più corti, più sbarazzini, ma sempre di un nero
assai lugubre.
«Devo tornare al lavoro»
annunciò Tonks, alzandosi con cautela, come se fosse fatta di
vetro. Sorrise a Remus, ed era un sorriso triste. Un sorriso sincero,
un sorriso che faceva quasi male. «Cerca di prenderti cura di te.
Va bene?»
E poi lanciò un'occhiata
verso Sirius, con molta meno tenerezza. «E... mi
raccomando» disse solo, all'Animagus, che in tutta risposta la
guardò male. Harry rimase fermo e zitto dov'era, fu la donna a
raggiungerlo, con un sorriso mesto.
«Buon compleanno, Harry»
disse, piano. E, davanti alla faccia del ragazzo, rise. Abbassò
ulteriormente la voce. «Se vuoi rispondermi con un "gran bel
compleanno del cazzo" - puoi. Non faccio una piega. Ma... su con la
vita. Okay?»
Ed Harry sorrise di malavoglia: non potè fare altrimenti.
Non si aspettava niente da Ron, e
niente ricevette. Non si aspettava niente dai Weasley in generale,
nonostante l'appoggio di Arthur e di Billy e di Fleur, ma qualcosa
arrivò - dolci e torte e una poesia dei gemelli su Piton, in cui
"caccola stupefacente" faceva rima con "impegno indecente", e che era
firmata non solo "Fred e George", ma anche "Ginny". Harry la
piegò con cura, pensando di leggerla meglio più tardi.
Da Hermione ebbe più o meno
ciò che si aspettava, un paio di libri sull'Occlumanzia vecchi e
stravecchi e pallosi, più un altro paio di rassegne Babbane su
qualcosa che si chiamava "PTSD", e che Harry non capiva del tutto, ma
supponeva fosse qualcosa di intelligente.
Da Sirius ebbe un abbraccio, e un
set di Gobbiglie placcate in oro che lo fece sentire molto ricco e
molto in colpa. Da Remus ebbe solo lo sforzo più grande: una
festa di compleanno, con il fantasma di Hestia nascosto in fondo ad
ogni brindisi e una torta solo di poco meno goffa di quella che Hagrid
gli offrì al suo undicesimo compleanno.
Eppure si sentì il più
fortunato di tutto il mondo quando, con vari livelli di stonataggine,
tutti gli invitati (pochi) gli cantarono "buon compleanno" con
un'allegria che copriva ogni difetto.
Da Piton non si aspettava nulla. E
invece, nascosto da una carta da pacchi anonima, Harry scartò un
altro libro: Le mie prime Pozioni, un libro dai tre ai sei anni, pieno
di figure allegre. Probabilmente doveva essere una frecciata maligna,
ma Piton non sapeva che i Dursley gli regalavano calzini spaiati e
grucce per vestiti: quindi, tutto sommato, non fu un regalo malvagio.
E, quando la festa stava per finire,
scese addirittura dalla sua camera. Con il naso aggiustato e la
camminata sempre goffa, trasfigurò il whisky incendiario in
acqua ed alzò il bicchiere per un brindisi.
«Al sedicesimo compleanno di
Harry Potter» disse, con l'ironia in fondo alla voce. «Non
capirà mai quanto sia stato complicato tenerlo in vita
fin'ora» concluse, con una delle sue solite smorfie, ma Remus
brindò insieme a lui ed Harry sorrise, solo un pochino.
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Capitolo 7 *** Sopravvivere a Grimmauld Place ***
sopravv
Harry
riuscì a stare seduto con Hermione per un'oretta buona, con i
gomiti sul tavolo e le mani intrecciate dietro la nuca, gli occhi fissi
sulle pagine ingiallite di un poderoso tomo che non sembrava neanche
scritto in inglese. Ma a quel punto la ragazza gli suggerì
gentilmente di andare a farsi un giro, se proprio non riusciva a
smettere di battere il tallone contro il pavimento con la stessa
velocità di una mitraglietta.
«No. È una cosa
importante, voglio aiutarti» borbottò lui, nascondendosi
dietro il libro con una nuova ventata di determinazione. Neanche trenta
secondi dopo aveva iniziato a schioccare la lingua e a fare brevi
pernacchie con la bocca. E fu così che venne temporaneamente
espulso dal gruppo di studio per preparare l'appello di Sirius.
Non aveva scopo o direzione. In
compenso si sentiva pieno di noia ed insofferenza, e questo faceva
abbastanza schifo. Non era ancora stata stabilita la data della
prossima riunione dell'Ordine, le lezioni di Occlumanzia erano state
interrotte per "difficoltà organizzative" - più nello
specifico, Sirius voleva essere assolutamente presente e Piton, be',
era assolutamente Piton, quindi la possibilità di un accordo
sembrava ancora lontana. Hermione era impegnata con le sue ricerche, e
Harry... per essere il Prescelto, c'era da dire che aveva davvero poco
da fare. Gli adulti non facevano altro che sabotarlo, ed iniziava ad
avere il sospetto che la sua partecipazione alle riunioni fosse in
realtà un contentino lanciato di malavoglia nel tentativo di
tenerlo buono.
Come al terzo anno, quando vagava
per Hogwarts mentre gli altri si godevano Hogsmeade, a venirgli in
aiuto furono i gemelli Weasley. Indirettamente, questa volta. Ma c'era
una discussione in corso dietro la porta del poco compianto Regulus, e
non riusciva a distinguere le parole. Le Orecchie Oblunghe, guarda
caso, erano state inventate proprio per queste evenienze.
«Severus, ti rendi conto che tutto questo è assurdo?»
«Quindi drogare Mocciosus va bene, drogare Black è un'eresia. Interessante.»
«Non lo definerei "drogare".
Era una terapia medica necessaria - e sì, lo so, non abbiamo
potuto chiamare un Medimago qualificato, ma tutti erano d'accordo sul
fatto che la Bevanda della Pace—»
«Molto comodo, Lupin. Vi siete divertiti, immagino.»
«Severus...»
«Di certo non avevo i miei vestiti addosso, quando mi sono svegliato. Vi siete fatti quattro risate o...»
«Severus - no.
No! Ti prego - capisco quello che stai facendo, e... no. Lo sai che non
è vero. Ci stai usando come pretesto per sfogarti e lo capisco,
ma... no. Non c'è bisogno di cadere così in basso.»
E con grande sorpresa di Harry, all'altro capo di un lungo filo color carne, Piton ebbe ben poco da ridire.
«È disgustoso»,
fu tutto quello che sbottò, e Harry ebbe un non raro momento di
completa sintonia con Sirius. Non aveva afferrato del tutto il
problema, ma il tono di Piton era più che abbastanza per fargli
prudere le mani.
«Obiezione accolta, Severus,
ma comunque non ho intenzione di far... scivolare qualche goccia di
Distillato della Morte Vivente nel bicchiere di Sirius. Non per
permetterti di condurre le lezioni di Occlumanzia come vuoi tu.»
«Tipico. Prendi le difese
dello psicopatico con quattordici anni di Azkaban alle spalle - e
sarebbero dovuti essere almeno diciannove, dopo l'esilarante scherzo
che mi avete fatto—»
«Ancora? Eravamo ragazzini! Questo non ci giustifica, ma almeno...»
«Almeno cosa, Lupin? Almeno cosa?!»
Per le ultime parole Harry avrebbe
anche potuto accartocciare le Orecchie Oblunghe ed infilarsele in
tasca, il tono era pericolosamente alto. Ma il lungo silenzio che
seguì lo sfogo di Piton gli fece tendere ancora di più
l'orecchio.
«Cercherò di aiutarti,
Severus. Di lasciarti lavorare. Lo sai che la protezione dei ragazzi
è anche la mia priorità.»
«Già. Per questo hai rischiato di sbranarli, appena due anni fa.»
«Ma lo farò a modo
mio» continuò Lupin, fingendo di non averlo neanche
sentito. «E non a modo tuo.»
«Bene.»
«...bene.»
«Vattene, Lupin.»
Harry fece appena in tempo a
ripescare le Orecchie Oblunghe prima che Remus aprisse la porta. Dopo
di quello aspettò ancora un po', contò a lungo, con gli
occhi chiusi. Gli sembrava giusto così. Arrivato a
milleduecentonove, però, sbucò dal suo nascondiglio e
seguì il lupo mannaro.
«Ciao» gli disse, in
mancanza di incipit migliori. Remus, impegnato a raggruppare i
frammenti della porta della biblioteca, gli rivolse un'occhiata
abbastanza sorpresa e un sorriso appena accennato.
«Ciao, Harry. Tutto bene?»
«Sì» rispose lui,
velocemente. Un giorno avrebbe capito perché tutti avessero
sempre quella domanda sulle labbra, appena lo vedevano, ma oggi non era
quel giorno. «Hai bisogno di una mano?» chiese, invece.
«Se ti piacciono i
puzzle» replicò Lupin, con aria divertita. «È
più facile aggiustare qualcosa se tutti i pezzi sono più
o meno nella posizione di partenza» spiegò, mentre
iniziava a litigare con i frammenti di porta ancora ancorati ai cardini.
Lavorarono in silenzio per tre secondi circa, poi Harry si sentì scivolare le parole di bocca, quasi involontariamente.
«Ehm... riguardo a Piton...
siamo davvero sicuri che - be', che ci si possa fidare?»
riuscì a dire, trattenendo una parola ogni tre, per amore della
diplomazia. O per rispetto verso Remus, più che altro.
Lui annuì, senza cambiare
espressione. «So che non ha tenuto un comportamento...
rassicurante, negli ultimi giorni, ma sì. Possiamo
fidarci.»
Harry aspettò ancora un
attimo, perché di sicuro doveva esserci dell'altro. Una
spiegazione, un... qualcosa. Ma sembrava proprio che il lupo mannaro
avesse chiuso il discorso, così il ragazzo aprì bocca di
getto, prima ancora di capire cosa ne sarebbe venuto fuori.
«Ma è un - cioè, non è rassicurante,
come hai detto tu. Lo sai, vero, che le lezioni di Occlumanzia
sembravano peggiorare il problema invece di migliorarlo? Non mi ha
aiutato. In nessuna maniera, mai. E poi nessuno sa com'è andata,
quando l'hanno scoperto. Non sappiamo cosa gli sia successo davvero,
non sappiamo—»
Lupin sembrò preso in
contropiede, lo stava fissando in maniera un po' peculiare. Fu quello,
più che la voce del licantropo, ad interrompere il ragazzo.
«Lo sappiamo, Harry.»
«Lo - cosa?»
Remus sospirò, storse appena
le labbra e fece scivolare lo sguardo da tutt'altra parte. «Lo
sappiamo» si limitò a ripetere, asciutto.
«Ma durante la riunione...»
«Non ha voluto parlare, lo so. Però l'aveva già spiegato a Silente, e Silente l'ha detto a me.»
«Ma perché...»
«Perché a me? Non lo
so. Suppongo sia stata la sua maniera di ripagarmi... e di dirmi che
è rimasto un mio problema. Te ne sei occupato fin'ora e adesso
sai tutto, sai perché l'hai dovuto fare. Quindi, già che
ci siamo, per il momento continua ad occupartene tu. Una cosa del
genere.»
«Quindi sai anche cos'ha detto a Voldemort?»
«Non a chiare lettere, ma temo di averlo intuito.»
«Intui—va bene. Okay. Non me lo vuoi dire, vero? E non sei neanche un po' preoccupato?»
«No, nient'affatto» replicò lui, totalmente placido, finendo di estrarre i frammenti dai cardini.
«Okay, okay. Ma allora cosa sai, scusa? Cosa sai con certezza, senza intuizioni o altra roba.»
«Più di quanto avrei
voluto, onestamente» ammise l'altro, pulendosi le mani contro i
calzoni prima di estrarre la bacchetta.
«Sì, ma cosa!»
«Harry...»
«Avete iniziato a farmi
partecipare alle riunioni, credevo che la musica fosse finalmente
cambiata! E invece no, è sempre la solita solfa, non mi dite
mai...»
«Non è la mia storia. Non sono io, a doverla raccontare. Reparo.»
Harry non si distrasse affatto,
mentre la porta si ricomponeva più o meno perfettamente ai piedi
di Remus, ma prima che potesse tornare a parlare la voce del lupo
mannaro si fece sentire di nuovo. Con una stanchezza profonda,
così simile e così diversa dalla solita calma.
«Capisco che sia difficile,
Harry. Non dovresti essere costretto ad affrontare niente di ciò
che ti è capitato ultimamente, e non dovresti essere costretto a
studiare l'Occlumanzia. Non alla tua età, e di certo non con
Severus. Se potessi evitartelo lo farei, ma non posso. Silente vuole
che tu riesca a padroneggiarla, ed io non ho voce in capitolo. Sirius
non ha voce in capitolo, Molly non ha voce in capitolo - nessuno ce
l'ha. Siamo in guerra, e possiamo solo chinare la testa davanti a
ciò che va fatto.»
«Sì, ma Piton...»
«...ha i suoi problemi, Harry.
Sta reagendo meglio di quanto sperassi ma peggio di quanto fosse
auspicabile, e non ne sono stupito. Sto facendo il possibile per
cercare di far superare questo momento a tutti nella migliore maniera
possibile, te lo giuro, ma non - nessuno può fare miracoli,
Harry.»
«Vorrei solo capire, sapere qualcosa! È tutto un "fidati Harry, fidati Harry", ma come faccio?!»
«Non lo so»
mormorò Lupin, e davanti alla sua voce sconfitta Harry non
riuscì a trovare altre parole. Si limitò ad aiutarlo a
rimettere la porta sui cardini, sentendosi un po' stupido e molto
insoddisfatto.
Piton iniziò a frequentare
con una certa assiduità le zone comuni, con notevole scorno di
Sirius. La tensione era tale che quasi non si riusciva a mangiare,
tutto perdeva sapore nell'aria densa di caldo e umidità della
cucina. Remus aveva sconsigliato di tenere aperte le finestre troppo a
lungo, qualcosa a che fare con gli incantesimi di protezione della
casa. Quindi, niente finestre aperte. E niente corrispondenza troppo
fitta, per paura che intercettassero i gufi. Niente gita a Diagon Alley
per comprare il materiale per l'anno scolastico, ci avrebbe pensato
qualcuno dell'Ordine. Neanche l'arrivo dei risultati dei GUFO e della
nomina a Capitano della squadra di Quidditch riuscirono a portare un
raggio di luce, e non solo perché il suo voto in Pozioni metteva
del tutto la parola "fine" all'ambizione di diventare un Auror. Quello
sarebbe stato al massimo un dettaglio vagamente amaro. No, ciò
che affossò l'umore nella stanza fu Piton. Che pretese di vedere
le lettere con i risultati e fece una smorfia, commentando entrambi i
fogli con un "ridicolo" a denti stretti. Seguì una lunga
interrogazione sugli esami. Chi, cosa aveva chiesto, come avevano
risposto. Alla fine Hermione era quasi in lacrime, e Harry si sentiva
vagamente omicida.
Piton sembrava però aver
trovato una specie di accordo con Lupin. Le lezioni di Occlumanzia
funzionavano così: Remus sbucava praticamente dal nulla,
radunava tutti senza preavviso e si metteva di guardia, fuori dalla
porta. Non furono mai disturbati, e Harry sperava che il colpevole
fosse uno dei numerosi "mal di testa" di Sirius - una maniera gentile
di riferirsi ai postumi di una sbornia, supponeva - e non qualche
goccia di pozione in uno dei suoi numerosi bicchieri quotidiani. C'era
qualcosa (più di qualcosa) che lo faceva sentire sporco e
colpevole, in tutta la faccenda, ma se ci fossero state delle pozioni
di mezzo... supponeva che si sarebbe sentito peggio.
Il comportamento di Piton non lo
aiutava a tenere a bada i sensi di colpa: si era ammorbidito,
probabilmente faceva parte del patto con Remus, era l'unica spiegazione
logica. Oh, era odioso come sempre, poco ma sicuro - però non
scavava a fondo. I ricordi che gli strappava dalla mente, quand'era il
suo turno, erano... neutrali. Niente Squarta che lo rincorreva, niente
zia Petunia, niente zio Vernon, niente Dudley. Niente cimitero, o
Ufficio Misteri. Nessuna traccia di Cho, nessuna traccia di Ron. Solo
un mucchio di ricordi generici, nè troppo belli nè troppo
brutti. La volta che era andato a trovare Hagrid e aveva messo un piede
in una pozzanghera - o almeno, sperava che quello fosse solo fango. La
frazione soporifera di una lezione di Storia della Magia. Un
allenamento di Quidditch sotto la pioggia, un pranzo in Sala Grande
durante il quale non era successo niente di particolare.
Neanche Hermione sembrava troppo
turbata, dopo che Piton aveva abbassato la bacchetta e interrotto il
contatto con lei. Pareva tranquilla, faceva un sacco di domande un po'
troppo specifiche e complicate sul come e perché Occlumanzia e
Legilimanzia funzionassero in una certa maniera. Piton rispondeva a
monosillabi, a volte la ignorava e basta. Ogni tanto si lasciava andare
a una nuova tirata su come dovessero mantenere il livello delle lezioni
il più basso possibile, sia mai che il prezioso Potter
rischiasse di sforzare minimamente il suo cervello.
Finiva tutto con la stessa minaccia
dell'anno precedente: dovevano svuotare la mente prima di andare a
dormire, se non l'avessero fatto se ne sarebbe accorto. Ma faceva molto
meno paura, adesso che Harry riusciva ad allontarsi su un paio di gambe
belle ferme e senza un mal di testa così forte da rischiare di
accecarlo.
Si esercitavano insieme, prima di
andare a dormire. Hermione cercò anche di aiutarlo con qualcosa
che si chiamava "meditazione guidata", ma ad Harry sembrava più
stupido che utile. Quando non gli veniva da ridere finiva con il
distrarsi, non c'era verso. Dopo qualche tentativo la ragazza se ne
tornava nella sua camera, più spazientita che incoraggiante, con
gli occhi gonfi di sonno e i piedi che non si staccavano mai un
granché dal pavimento.
Dopo la prima settimana passata
insieme ammisero che non aveva senso starsene in due camere separate.
Nessuno dei due riusciva a dormire molto, meditazione o meno, ed
Hermione sosteneva che ci fosse un insieme molto variegato di cause.
Una tra tutte, il fatto di essere barricati in casa senza niente di
preciso da fare, senza orari e senza routine, senza la
possibilità di muoversi. Alle due di notte, in tono un po'
impastato, gli elencò con molta convinzione (e con grande
perplessità di Harry) tutti gli sport che avrebbe iniziato a
fare non appena uscita da Grimmauld Place. Tra questi, ovviamente, non
c'era il Quidditch. Quello ce lo metteva il ragazzo: le spiegò
che una volta arrivato a Hogwarts avrebbe saltato il banchetto della
Sala Grande, e tanti saluti a tutti. Avrebbe preso la sua scopa -
finalmente! - e sarebbe letteralmente volato verso il campo di
Quidditch. Aveva una mezza idea, tra l'altro, di non scendere mai
più di lì.
Alle tre di notte Hermione gli
chiese scusa: in effetti aveva ragione, i libri sul disturbo da stress
post-traumatico che gli aveva regalato erano un po' troppo tecnici.
Harry ammise che non aveva neanche capito per cosa stesse "PTSD". Dopo
un quarto d'ora di sbuffi e risate sottovoce, capitolò del tutto
e le disse che, in effetti, forse non l'aveva capito perché non
li aveva neanche letti.
Hermione gli tirò un cuscino, e il sonno era ancora molto lontano dall'arrivare.
Quando lo fece, per Harry
tornò il cigolio dell'altalena. Un paio di gambe nude, dei
pantaloncini di jeans così striminziti che Molly li avrebbe
trasfigurati in una gonna alla caviglia ben prima che Ginny potesse
raggiungere la porta di casa... ma il rosso dei capelli della ragazza
continuava a non essere della sfumatura giusta. Lei non si girò
a guardarlo, camminava quasi saltellando, la strada era sconosciuta e
la risata della ragazza gli suonava strana - strana almeno quanto la
sensazione di minaccia che lo fece sudare più dell'aria umida
nella stanza. Ma forse tutto andava bene, perché la luce aveva
assunto una sfumatura più fioca e fredda e lui non temeva gli
imprevisti. La lingua di un serpente assaggiava l'aria e tutto andava
bene, era rassicurante sentire le scaglie della creatura sotto le dita.
Ginny, si disse di nuovo Harry, dopo
essersi svegliato all'improvviso. Era Ginny. Il serpente? L'incontro
con il Basilisco, probabilmente. Ginny in pericolo, Ginny e il
Basilisco, tutto tornava. Ginny e Voldemort, volendo essere più
simbolici. I jeans molto molto corti - be', supponeva che a sedici anni
fosse abbastanza normale, e se proprio doveva essere onesto con se
stesso (alle cinque del mattino era molto facile, essere onesti con se
stessi) Cho si era ritrovata ben più svestita in più di
un sogno. Contando anche quelli ad occhi aperti, anche se di ciò
non era molto fiero. Ma insomma, alla fine... tutto regolare. Si
sentiva disturbato solo per una questione di stress e sensi di colpa,
non c'era bisogno di diffidare di un sogno ricorrente, confuso e banale
com'era.
Harry si congratulò con se
stesso: ormai era praticamente uno psichiatra. D'altra parte era una
qualità abbastanza necessaria, se si voleva sopravvivere a
Grimmauld Place.
Si riaddormentò male e
all'orario sbagliato, fu Remus a svegliarlo. Bussando, come al solito,
ma il preavviso non fu molto utile: non c'era maniera di mimetizzare la
presenza di Hermione, e anche se i letti erano separati e i pigiami
perfettamente al loro posto c'era comunque poco spazio di manovra:
erano un po' troppo grandi per dormire nella stessa stanza, per motivi
abbastanza ovvi, che solo un adulto con poca lungimiranza poteva
pensare.
Sfortunatamente, Remus apparteneva
appunto a questa categoria. «Ragazzi, non vorrei sembrarvi...
be'. Però, Hermione - non me lo aspettavo da te. Ti hanno
affidata a noi, abbiamo noi la responsabilità, e non vorrei
che...»
Harry era troppo imbarazzato per
aprire bocca - Hermione si riprese un po' prima, ma le giuste proteste
e spiegazioni non sembrarono convincere del tutto il lupo mannaro.
Avrebbe voluto essere maggiormente di aiuto, entrare in
"modalità avvocato" con la stessa facilità di Hermione.
Ma era davvero ancora troppo poco sveglio per riuscire a fare qualcosa
di più che sentirsi sprofondare.
Quando scese, con la vergogna ancora
addosso, Piton era in cucina. Con la sua mano sbagliata e quella giusta
strette attorno alla Gazzetta del Profeta, sbirciò solo un
attimo oltre le pagine. Riusciva a sembrare teso e indifferente nello
stesso momento.
«Buongiorno, Potter»
disse, con tutto il disprezzo di questo mondo. La prima pagina della
Gazzetta invitava a non frequentare luoghi Babbani particolarmente
affollati, per non rimanere coinvolti in eventuali attacchi. Sirius,
con una pipa spenta in mano e gli occhi gonfi, seguiva i movimenti
delle pagine come un cane seguirebbe i movimenti del panino del
padrone. Voleva i cruciverba, ma Piton non aveva ancora finito di
leggere, grazie tante. Le voci fecero in fretta ad alzarsi, e non era
ancora mezzogiorno.
Bisognava essere quasi uno psichiatra, per sopravvivere a Grimmauld Place.
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NdA:
Buon San Valentino? Come regalo, ecco qua l'ultimo (per ora) capitolo ambientato a Grimmauld Place.
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