Grandine estiva

di Ofeliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti non consenzienti ***
Capitolo 2: *** Discorsi da gradino ***
Capitolo 3: *** Con vicini così a che servono i nemici ***
Capitolo 4: *** Riunione di condominio bimestrale ***
Capitolo 5: *** Quel locale in centro ***
Capitolo 6: *** In vino veritas ***
Capitolo 7: *** E alla fine arriva Gilbert ***
Capitolo 8: *** Un amore fatto ad arte ***
Capitolo 9: *** Cena con cerimoniale spagnolo ***
Capitolo 10: *** Offerte che non puoi rifiutare ***
Capitolo 11: *** Litigio d'appartamento ***
Capitolo 12: *** Bacio d’addio che somiglia al saluto ***



Capitolo 1
*** Cambiamenti non consenzienti ***



A Elena,
la mia Italia Veneziano parecchio romana.



Grandine estiva





Era iniziato tutto come un imprevisto temporale di metà luglio. Quando Ludwig si era visto convocato nell’ufficio del capo dipartimento aveva passato tutto il percorso preso in un mulinello di pensieri che cercava di catalogare eventuali sbagli fatti durante il tirocinio o qualche danno all'ambiente lavorativo, senza però trovarlo.
Invece era stato trasferito in Italia. Aveva cercato di argomentare, o almeno di capire la motivazione di quella decisione così radicale, ma il suo superiore non sembrava capire la sua preoccupazione. Era stato lui stesso a raccomandarlo, lodando le sue capacità e commentando sul quanto fosse disposto a farlo avanzare con la carriera. Ludwig non poteva che essergliene grato, ma un simile imprevisto sembrava far deragliare ogni suo piano di una vita a Berlino. Tutto sommato si era scoperto a non protestare apertamente e si era ritrovato a fare le valigie con un biglietto per Roma. Gilbert aveva speso i suoi ultimi giorni a casa a prenderlo in giro sulla sua futura italianizzazione, ma l'ultima sera lo aveva portato fuori a bere insieme e lo aveva rassicurato sul fatto che se la sarebbe egregiamente cavato a vivere da solo. Lui non ne era molto convinto, ma aveva lasciato correre la cosa a favore della birra che non avrebbe avuto occasione di bere per un po'.
Nonostante i suoi foschi pensieri, però, si era sbagliato.
Si era innamorato.
Roma era un'antica signora che non ci aveva impiegato molto a conquistarlo. Nel giro di tre anni era riuscito ad ambientarsi ai suoi ritmi, ad apprezzarne le qualità e a riconoscerne i difetti. Il suo lavoro gli dava molta più soddisfazione ora che si trovava lì, e lentamente aveva lasciato morire i suoi timori in braccio alla vita romana che conduceva. Aveva trovato un appartamento non troppo lontano dall’ambasciata, un piccolo condominio infilato in un vialetto quasi anonimo e escluso dal caos cittadino che si consumava a pochi passi da lì. La tranquillità era stato il primo requisito che aveva concordato con l’agente immobiliare quando si erano avventurati alla ricerca e questi, affabile, sembrava aver colto in fretta le sue aspettative, presentandogli il luogo che ormai abitava da tre anni.
Certo era molto più piccolo rispetto a quello che condivideva con il fratello, ma una volta arredato a suo piacimento era riuscito a renderlo quanto più familiare e confortevole. Le sue finestre erano tutte rivolte verso il cortile interno, garantendogli il massimo del confort che poteva richiedere a una capitale. Il quartiere era piuttosto grazioso e non sembrava essere soggetto alla criminalità, aveva più volte girato l’isolato per tenere conto dei servizi e nonostante i continui paragoni con Berlino la sua perlustrazione era terminata a pieni voti.
Anche il vicinato non era male. Certo, non andava d’accordo con tutti, ma la persona con cui condivideva il piano era degna di rispetto e considerazione. Il signor Romolo era un romano fiero e valente, nonostante sbottasse scherzosamente quando lui usava qualche onorifico per parlargli, e Ludwig non avrebbe mai chiesto di meglio come vicino. Certo aveva un’età, che non gli ha mai rivelato, ma era sempre cordiale nei suoi confronti e ben disposto a scambiare racconti di fronte a una bottiglia di vino. Probabilmente era grazie a lui che Ludwig aveva iniziato ad apprezzarlo, collegando il sapore alcolico ai racconti dell’uomo. Questi erano a volte rocamboleschi e talvolta al limite del surreale, ma Ludwig non si era mai spinto a metterne in dubbio nemmeno una parola. Gli piaceva passare qualche serata in una simile maniera, con un uomo così ricco di esperienza e carisma.
Era un qualcosa che il nipote non aveva ereditato da lui.
Conosceva Lovino solo di vista, quando questi veniva a trovare il nonno. Inizialmente aveva trovato simile iniziativa encomiabile, almeno finché Romolo non aveva bonariamente commentato – di fronte al nipote stesso, tra l’altro – che questi venisse da lui solo pe spizzasse la pischella del piano di sotto. Aveva visto l’uomo avvampare, probabilmente perché colto in pieno fallo, e aveva accantonato anche il minimo interesse che poteva avere per un simile soggetto. Sapeva da Romolo che ci fosse un altro nipote, fratello minore di quello di prima, ma nella sua mente si era formata l’immagine di un Lovino più piccolo ma probabilmente con la stessa indole, il che l’aveva spinto a non interessarsi oltre.
Poi c’erano le visite di Gilbert.
Quelle erano spesso una tragedia, che faceva lievitare la sua bolletta per tutte le chiamate oltre confine che il fratello faceva al canile che teneva loro i cani, senza contare le perenni diatribe con la coppia che abitava al piano di sopra. Sembravano obbligatorie ogni volta che si presentava a casa sua senza preavviso ed era costretto ad accamparsi sotto la porta in attesa del suo ritorno, non avendo imparato dopo anni quali fossero i suoi orari lavorativi. Sembrava che infastidire i suoi vicini ormai era diventato uno sport.
Nonostante questo, la sua vita procedeva tranquilla.
Almeno finché il signor Romolo non era morto. Era successo in un tranquillo giorno di primavera, senza alcun segnale che lo preavvertisse. L’uomo si era spento sereno nel sonno, trovato quasi subito dalla sua famiglia che doveva venire a pranzo per la giornata di festa.
Una simile notizia l’aveva scioccato. Non ricordava molto dei giorni successivi, se non la veglia e poi il funerale. Si era presentato tutto il condominio, e curiosamente era stato Lovino a prendere le loro difese di fronte ai commenti materni sul come la loro presenza non fosse adeguata. Ludwig non aveva compreso niente delle loro strilla in romano stretto, ma alla fine era riuscito a dare il suo saluto a quel vicino così singolare che sarebbe rimasto impresso nella sua memoria per sempre.
Da quel giorno in poi, il suo piano era rimasto completamente in silenzio.

Un improvviso boato lo aveva fatto saltare dalla sedia, facendogli andare la sua colazione di traverso. Ludwig tossisce, cercando di darsi dei colpi al petto per riprendere a respirare. Guarda verso la direzione del corridoio, come se potesse vederlo attraverso la porta, chiedendosi cosa potesse averlo prodotto.
Forse era l’ascensore, bloccato da tempo immemore, che era finalmente caduto a causa della nulla manutenzione. Avrebbe dovuto farlo presente all’ultima riunione condominiale. L’ascensore era paragonabile a un reperto storico, e lui non l’aveva mai visto funzionare. Da quello che era riuscito a cogliere, non funzionava già dai tempi in cui Roderich ed Elizaveta si erano trasferiti lì ma nessuno aveva mai accennato a ripararlo. Sembrava quasi trattato come una reliquia che semmai fosse ripartita avrebbe portato distruzione al mondo intero. A poco erano valsi i suoi tentativi di chiamare un tecnico o sobbarcarsi totalmente i costi di un’eventuale riparazione. Nessuno sembrava essere ben disposto a farlo ripartire.
Sicuramente doveva andare a dare un’occhiata. Abbandonando la sua colazione Ludwig si trascina alla porta, aprendola e vedendo davanti a sé la porta dell’appartamento confinante aperta. Era passato circa un mese dalla morte di Romolo, e l’opzione più probabile erano dei nuovi inquilini. Sapeva che doveva presentarsi o almeno controllare che quel rumore provenisse dall’altro appartamento e non, come aveva pensato, dall’ascensore.
Ludwig socchiude la porta, ripassando mentalmente ciò che doveva dire, ma Lovino lo anticipa apparendo sulla soglia dell’appartamento.
« Che vuoi? »
« Ah, sei tu. » il suo tono sembra non piacere a Lovino, che assottiglia gli occhi. « Ho sentito un rumore, pensavo- »
« Pensavi male. »
« Non si è fatto male nessuno? »
« No. » quando era con lui Lovino sembrava essere di poche parole, il che era strano se ripensava a come Romolo lodasse i monologhi del nipote, definendoli degni delle grandi commedie. Ludwig non era d’accordo ma non aveva mai manifestato il suo pensiero ad alta voce. Di fronte a simile muro, in fondo, non aveva alcuna voglia di continuare.
« Allora ti saluto. » dice, prendendo la maniglia della propria porta.
« Tu quando te ne vai? » una simile domanda lo coglie di sorpresa, spingendolo a voltarsi nella direzione dell’altro uomo.
« Come scusa? »
« Quando te ne vai. Nel senso. Ti trasferisci e vai altrove. » ripete Lovino, scandendo le parole. Ludwig cerca di mantenere la calma, mantenendo la presa sulla maniglia.
« Non credo me ne andrò presto. »
« Peccato. » concluso simile scambio di battute Lovino sparisce nell’altro appartamento, lasciandolo da solo. Simili parole continuano a tornargli in mente tutta la giornata, rendendolo piuttosto confuso a riguardo. Non si spiega il perché Lovino gli abbia rivolto una simile domanda. La risposta gli giunge solo nel tardo pomeriggio quando torna a casa.
Roderich si trovava all’altezza del secondo piano quando lo trova. Ludwig si avvicina, venendo presto notato dall’altro uomo che muove la mano per farlo avvicinare.
« Buon pomeriggio. » dice allora lui, mentre osserva l’altro riprendere fiato. « Roderich, ne abbiamo già parlato, non puoi fare le scale e portare con te una borsa più pesante di quella che contiene i tuoi spartiti. » l’altro gli lancia un’occhiata ma sembra essere senza abbastanza fiato per rispondergli. Non aveva mai conosciuto una persona così singolare come Roderich. Certo, era un ottimo pianista piuttosto richiesto ma la sua forza fisica rasentava il nulla, tanto che più di una volta la moglie – o lui stesso, se lo trovava sulle scale – si era ritrovata a chiamare disperata l’ambulanza a causa dello sforzo troppo elevato sul suo debilitato fisico.
Ludwig prende con calma il sacchetto di plastica, ponderando se fosse un buon momento per insistere sulla riparazione dell’ascensore, ed insieme proseguono la strada verso il quarto piano. Elizaveta era già sulla porta, probabilmente aveva intuito che il marito fosse deceduto lungo il tragitto. Lui le allunga il sacchetto che teneva in mano, provocando il cambiamento dell’espressione della donna.
« Roderich, ancora? » esclama, battendo un piede, ma non ottenendo nient’altro che un rantolio che suonava tanto come una richiesta d’acqua. La donna allora si sposta dall’uscio, permettendo a Roderich di entrare finalmente in casa e scuote il capo, sconsolata. Poi alza il viso, sorridendo a Ludwig.
« Grazie, non so come ringraziarti per averlo aiutato. »
« Non c’è di che. »
« È che con questi ultimi cambiamenti sembra che pure mio marito voglia dare prova di chissà quale stupidità. »
« Che intendi? » Elizaveta si acciglia, guardandolo seria.
« Non lo sai? Strano. »
« Non so cosa? » un simile risvolto non gli piaceva. Rimanere all’oscuro non gli era mai piaciuto. Era per quello che Gilbert aveva rinunciato a organizzare feste a sorpresa.
« Ho incontrato Lovino stamattina, sai, il nipote di Romolo. Pace all’anima sua, eh. » la donna si fa un veloce segno della croce. « Abbiamo parlato un po’, e gliene ho pure dette quattro sul casino che ha fatto stamattina. Certo che spostare mobili a quell’orario solo lui lo può fare. »
« Elizaveta, ti prego, vieni al punto. »
« Ah, giusto. Abbiamo parlato e mi ha detto che ha ereditato la casa. » non era ciò che avrebbe voluto sentire. Ora si spiegava quella mattina e quella strana domanda. « Da quello che ho capito alla lettura del testamento è scoppiato il finimondo. Un po’ lo capisco, ha lasciato una casa come la sua a solo due nipoti invece che ai figli. »
« Due? » la donna alza le spalle, per dissimulare indifferenza.
« Sì, a Lovino e al fratello minore. »
No, decisamente la situazione non stava prendendo una buona piega. Se Lovino e il fratello avessero preso residenza, non aveva idea di come sarebbe cambiata la sua situazione. Certo con il signor Romolo i suoi ritmi non erano stati cambiati o stravolti, ma stranamente l’anziano uomo non era un vicino particolarmente rumoroso. Ciò non si poteva dire di Lovino e del suo fratello più giovane.
Forse doveva seriamente pensare di cambiare casa. No, gli dispiaceva. Aveva trovato quel luogo e non se ne sarebbe andato solo perché un burino con fratello annesso si sarebbe presto trasferito di fronte a lui.
« Ludwig, stai di nuovo pensando troppo? »
La voce di Elizaveta lo riporta alla realtà, spingendolo a salutarla e a scendere verso il proprio appartamento. Il piano sembrava tranquillo, e la porta di fronte alla sua era chiusa. Non proveniva alcun rumore. Probabilmente non c’era nessuno.
Ludwig apre la porta di casa, respirando l’aria tranquilla. No, non era disposto a lasciare quel posto così presto e di certo non quell’appartamento.
Magari, come spesso commentava Elizaveta, stava pensando troppo. Non era nemmeno sicuro che Lovino andasse ad abitare lì. Forse stava spostando i mobili per poter rendere la casa affittabile, il che gli sembrava l’opzione più probabile – o perlomeno quella che la sua mente sembrava desiderare di approvare al più presto – o semplicemente voleva venderli.
No, le tasse sugli immobili erano lievitate in quegli anni, sarebbe stato stupido lasciare l’appartamento vuoto. Già il condominio ne aveva ben tre, rendendo le spese condominiali un inferno, perdere un altro contribuente sarebbe stata una scocciatura.
Nonostante cercasse di non arrovellarsi troppo sulla questione, Ludwig era consapevole che ci avrebbe rimuginato sopra per tutta la sera. Non riusciva a rimanere tranquillo e la mancanza di informazioni lo stava uccidendo. Non aveva idea di cosa potesse succedere una volta che l’appartamento accanto fosse stato nuovamente abitato. Forse avrebbe davvero dovuto cercarsi un nuovo alloggio.
No, stava vedendo la situazione in maniera troppo drastica. Magari non sarebbe andata così e la situazione si sarebbe risolta in un modo completamente diverso. Non aveva alcun bisogno di pensarci troppo.

Per tutta la settimana successiva per tutto il condominio i suoni di mobili che venivano spostati, trascinati e mossi sulle scale avevano scosso il condominio. Non aveva fatto domande, ma aveva notato dei pezzi di arredamento nuovi sistemati temporaneamente sul pianerottolo una sera, confermando la sua ipotesi dell’appartamento nuovamente abitabile.
Ora rimaneva solo una questione. Non aveva idea di chi sarebbe stato ad abitare lì. Aveva preferito non indagare, almeno per il momento, come se una sua parola bastasse per cambiare il corso degli eventi.
« Buon pomeriggio. » Arthur era nel corridoio d’entrata. Era raro incontrarlo, per quanto ne sapeva l’altro uomo faceva il professore universitario e aveva orari completamente diversi dai suoi. Questi si volta in sua direzione, mentre controlla le lettere ritirate dalla cassetta.
« Ed eccone un altro. » si scordava spesso del pessimo carattere dell’inglese, anche a causa della poca frequentazione che ne faceva. In realtà Elizaveta aveva accennato qualcosa a riguardo delle storie che giravano su di lui come insegnante – incentrate soprattutto alla poca sopravvivenza dei suoi assistenti – ma non aveva voluto prestarci ascolto. Certo Arthur era dotato di un pessimo carattere, ma oltre a quello lui non aveva niente da recriminargli.
« Un altro? » Arthur sospira, come se avesse appena detto un’ovvietà.
« È appena passato il nipote del vecchio Romolo. »
« E ti ha salutato? »
« No, intendo l’altro nipote. Lovino non ha nemmeno idea di che cosa sia l’educazione. » ora era chiaro. Finalmente era arrivato il fatidico altro nipote. Nei suoi ricordi il signor Romolo ne parlava spesso in maniera fiera, ma in quel momento non riusciva a ricordarne il nome. Sicuro aveva un suono singolare. « Non assomiglia per niente a suo fratello. »
« Davvero? » Arthur si guarda attorno, per poi avvicinarsi.
« Sì. Sembra essere meglio. » dice, per poi allontanarsi. « Ma io non ti ho detto niente! » esclama, sparendo dentro il suo appartamento e chiudendo la porta sbattendola.
Ludwig non sapeva cosa pensare. Essere “meglio” negli standard di Arthur era un parametro bizzarro. Si parlava della stessa persona che durante una disinfestazione aveva proposto di sgomberare l’appartamento di Francis. E per quanto lui non avesse grande apprezzamento per l’altro uomo, aveva trovato simile proposta piuttosto drastica.
Pieno di pensieri raggiunge il secondo piano, trovandoci però Basch armato e la sorella che cercava di trattenerlo. Era uno scenario insolito. Entrambi strillavano in qualche dialetto strano, rendendogli impossibile comprendere la situazione. Non aveva idea se intervenire o meno, ma alla fine il senso civico prevale con prepotenza.
« Cosa è successo qui? » dice, rivolgendosi alla ragazza, sull’orlo delle lacrime. Questa si aggrappa con ancora più forza al fratello.
« Mio fratello dice che quelli al piano di sopra stanno pattinando! »
« Lo fanno!! » strilla allora Basch, tentando di farsi strada nonostante i tentativi di Erica di trattenerlo. « Quest’ultima settimana non hanno fatto altro che portare caos, io non posso più portare pazienza! »
La pazienza di Basch, però, non era tra le sue qualità e Ludwig questo lo sapeva.
« Lo so, Basch, ma sono qui da una settimana e probabilmente non hanno ancora ricevuto una copia del regolamento. Se ora tu andassi da loro, armato, saresti dalla parte del torto e non credo tu lo voglia. » Basch allora abbassa l’arma, guardandolo negli occhi.
« Ciò non toglie che pattinano. »
« Andrò io a parlarci, e li farò smettere se lo stanno facendo. » l’uomo assottiglia lo sguardo, ma abbassa definitivamente il fucile.
« D’accordo. » borbotta, tornando dentro casa, seguito da un’Erica che gli sorride grata per aver temporaneamente sbrogliato la situazione. Ludwig sospira, osservando le scale che l’avrebbero condotto al confronto con Lovino e probabilmente anche col fratello. Non voleva farlo, ma ormai la situazione lo costringeva.
Ogni gradino che faceva sembrava pesargli, ma gli permetteva di costruire un discorso diplomatico e conciliante che avrebbe perlomeno impedito un omicidio per quella sera. Giunto avanti alla porta lo aveva già ripassato due volte, e si sentiva pronto a parlare.
Prova a suonare il campanello.
Questo non emetteva alcun suono. Forse era rotto, Romolo non faceva mai caso a simili dettagli. Doveva bussare.
Una simile attività non lo attraeva, ma doveva almeno provarci. Tenta dando due colpi secchi al legno, che riecheggiano, e rimane in attesa. Passano diversi istanti ma non sente alcun rumore. Decide di riprovarci, ottenendo però lo stesso risultato.
Era strano. Forse Basch si era immaginato i rumori, troppo stressato dal lavoro. Dall’appartamento che aveva di fronte proveniva solo un assordante silenzio. Ritenta una terza volta, ottenendo comunque lo stesso risultato. Doveva desistere.
Non riusciva a spiegarsi quell’improvviso trambusto. Certo dei nuovi vicini avrebbero portato dei cambiamenti, ma non aveva mai immaginato che questi sarebbero stati così drastici. Decide di cenarci sopra, lasciando che le sue congetture scivolino nuovamente nell’oblio.
Solo quando ormai si stava preparando per dormire sente dei rumori di chiavi che giravano. I suoi nuovi vicini erano rientrati. Non sapeva se tentare un approccio nonostante l’orario. Lo sbattere della porta, però, gli fa intuire che non era un buon momento.
Era come aveva immaginato. I suoi nuovi vicini non avevano niente da spartire col precedente proprietario. Sicuro avrebbe dovuto acquistare dei tappi con le orecchie.
Al di là della porta si fa la quiete per cinque minuti, poi iniziano le urla. È un qualcosa che lo coglie di sorpresa, facendolo sobbalzare dal divano. Non aveva mai sentito qualcuno urlare in una tale maniera. Nell’altro appartamento stava succedendo qualcosa.
Con una certa urgenza Ludwig si alza, per poi fermarsi. Forse stava fraintendendo. Insomma, probabilmente era un litigio e non era affare suo mettercisi in mezzo – già doveva pensare alle beghe di Gilbert con Elizaveta, mettersi in mezzo ad altre discussioni sarebbe stato decisamente troppo –. No, questa volta non era affare suo. Se i suoi vicini non potevano rimanere tranquilli, non era affare suo mettere quiete.
Rimpiangeva tanto i tempi di tranquillità.
Ritorna sul divano, cercando di riprendere la sua lettura nonostante il rumore al di là del muro si stesse facendo sempre più insistente. Il suo cervello percepiva ancora il suono, ma aveva rinunciato a qualsiasi forma di interpretazione rendendo quindi il litigio come una sorta di molesto sottofondo che sarebbe presto finito.
Questo, però, non sembrava accennare a terminare, aumentando invece di volume. Ludwig era piuttosto sorpreso dalla vitalità che le due persone avevano per discutere furiosamente così a lungo in quell’orario. Era certo che stavolta non avrebbe fermato Basch se questi avesse voluto fare un raid nell’appartamento.
Certo anche lui aveva litigato diverse volte con Gilbert, ma mai così furiosamente e nemmeno così a lungo. Il più delle volte era perché i loro cani si mettevano ad abbaiare, facendo quindi in modo da terminare definitivamente ogni loro tentativo di alzare la voce. I due fratelli, invece, sembravano inarrestabili.
Ora che ci prestava attenzione, riconosceva la voce di Lovino e sentiva anche un’altra voce, dal timbro più pacato ma dai toni decisamente alti uguale. Probabilmente era il fratello.
Il suo orecchio non era ancora in grado di cogliere gli argomenti della discussione, ma intuiva che fossero tutt’altro che pacifici. Più sentiva le urla farsi acute e più desiderava infilarsi nel letto e fingere di non aver sentito niente.
Si stava apprestando ad eseguire ciò che si era preposto, quando l’improvviso rumore di un qualcosa di rotto non desta la sua attenzione. C’è improvvisamente il silenzio. Non era niente di buono.
Certo, forse lui era stato un po’ condizionato dalle sue ultime letture thriller che riguardavano per lo più intricate situazioni familiari e omicidi sanguinolenti, ma non riusciva più a sentirsi sereno. Forse avrebbe dovuto almeno bussare, per sincerarsi che fosse tutto a posto. Era il minimo che poteva tentare nel caso lì accanto fosse davvero successo qualcosa di grave.
Un altro rumore, un altro oggetto rotto, nuovamente il silenzio. Non stava prendendo affatto una buona piega. Ludwig abbandona il suo libro, alzandosi in cerca delle ciabatte e avviandosi a grandi passi verso la porta. Non riusciva a sentirsi tranquillo.
Sul pianerottolo c’era silenzio, come se niente di quello che aveva sentito fosse mai successo. Era tentato di andare a bussare da Francis, al piano di sopra, ma probabilmente avrebbe dovuto fare i conti anche con le battutine maliziose e domande inopportune, e non lo voleva.
Non gli rimane altro che bussare alla porta. Ludwig picchia piano le nocche contro il legno, sperando di riuscire ad attirare l’attenzione, ma di nuovo il silenzio è come un muro. Bussa ancora, ma ottiene sempre la stessa risposta.
Le urla riprendono, facendogli accapponare la pelle. Non era un buon segno. Stavolta riprende a bussare con più foga, cercando di farsi sentire, ed è tentato di urlare per richiamare l’attenzione, ma non sa chi chiamare. Non sa chi siano le persone che sono dentro, o se sia successo qualcosa di grave, se almeno deve chiamare l’ambulanza. I suoi tentativi non ottengono niente. Le persone al di là della porta sembrano non prestargli attenzione.
Ludwig si allontana dalla porta, indeciso sul che cosa fare. Chiamare la polizia gli sembrava affrettato, e l’ambulanza non si sarebbe fatta bastare le sue sommarie descrizioni. Visto il suo stato non era nemmeno certo di riuscire a parlare correttamente l’italiano. Le cose che poteva fare erano poche e le aveva già tutte esaurite. Tranne una.
Forse era l’opzione più rischiosa, ma doveva tentare anche quella. L’uomo prende un lungo respiro, cercando di caricarsi. Non sarebbe stato facile ma era quello che poteva fare. Era un suo dovere accertarsi che lì dentro stesse andando tutto bene.
Ludwig fissa la porta davanti a sé, osservandola quasi come fosse una rivale. Non era particolarmente massiccia, ma non sapeva ancora se sarebbe stato in grado di abbatterla con un solo colpo. Doveva provarci.
Fa un passo indietro, prendendo la carica e sbattendo contro la superficie di legno. Questa cigola, ma miracolosamente cede al primo colpo, permettendogli di entrare. Ludwig corre in direzione delle voci, stranamente più basse, nella speranza che non sia troppo tardi e finalmente trova la scena del crimine.
C’erano due uomini, che stavano ridendo, e dei cocci sul pavimento. Non sembravano essere feriti e, anzi, piuttosto divertiti. Uno di loro è Lovino, mentre l’altro gli assomiglia. Ha un’aria più delicata e meno aggressiva rispetto all’altro, e si tiene ancora l’addome, probabilmente per le risate.
E lì che finalmente entrambi lo notano, nel loro appartamento, con una spalla arrossata per l’impatto di poco prima. Ludwig arrossisce, rendendosi conto di aver con tutta probabilità frainteso tutta la situazione.
Aveva fatto un danno.

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Capitolo 2
*** Discorsi da gradino ***




« Che cazzo ci fai tu qui? » la domanda di Lovino era legittima. Ludwig stesso se la stava ponendo, per quanto con toni più pacati. Aveva frainteso il tutto, e ora ne stava pagando la conseguenza. L’imbarazzo aveva preso il controllo della sua mente, rendendolo incapace di articolare qualsiasi frase, facendogli solo aprire bocca e richiuderla come farebbe un pesce rosso. « Ti ho chiesto che cazzo ci fai qui. » ripete Lovino, facendo diversi passi in sua direzione.
« Lovino, calmati. Chi è? » Ludwig si sente grato per l’intervento dell’altro uomo, che finalmente riesce a identificare come il fratello minore.
« È il tedesco. » brontola allora Lovino, mentre l’altro sembra posare il suo sguardo su di lui. Emette un lieve verso di sorpresa, per poi sorpassare il fratello e avvicinarsi. Ora che lo vedeva più vicino, notava i capelli più chiari e i lineamenti più delicati.
« Come mai sei entrato nel nostro appartamento? » gli chiede lui, e Ludwig riesce solo a boccheggiare di nuovo. Messo a confronto con l’aria più disponibile dell’altro, la sua mente sembra calmarsi e finalmente il raziocinio riprende la direttiva.
« Ich- Io ho sentito urla e mi sono preoccupato e… » il fratello minore di Lovino alza una mano come per fermarlo, mettendolo in pausa.
« Mi dispiace se urlando abbiamo dato fastidio. » dice, con un sorriso, facendolo sentire un po’ sollevato.
« Lo capisco, ma io ho sfondato la porta- »
« Che cazzo significa che hai sfondato la porta? » sbotta allora Lovino, passandogli accanto per accertarsi dell’effettivo stato di questa. Era in effetti fuori dai suoi cardini. « Sto stronzo ha sfondato la porta. »
« Sì, Lovino, lo vedo. » commenta l’altro, che l’aveva raggiunto subito dopo. Il suo senso di colpa era divenuto una voragine. Non avrebbe dovuto fare un’azione simile.
« Mi dispiace, domani stesso contatterò il falegname per farla riparare- »
« E sarebbe anche il minimo! » esclama Lovino, toccando la porta e vedendola cadere definitivamente. Ludwig si avvicina, prendendola e tentando di rimetterla sui cardini, riuscendoci. Non si chiudeva, ma almeno poteva ancora rimanere in piedi. Sospira sollevato.
« Domani mattina sarà la prima cosa che farò. » Lovino continua a guardarlo male, e Ludwig non riesce a dargli torto. Ha sfondato una porta che non andava toccata, ficcando il naso in una faccenda dove lui non c’entrava per niente. La rabbia degli altri due gli sembrava la reazione più spontanea a riguardo.
« Lo spero per te. So dove abiti. »
« Lovino, dai, non insistere, ha detto che già domani verrà riparata. » nonostante il fratello cercasse di mantenere un’aria di conciliazione, Ludwig non si sentiva a suo agio.
« Se la situazione è a posto, credo sia meglio che io me ne vada. »
« Sì, decisamente. »
« Lovino! » esclama l’altro, per poi voltarsi nella sua direzione. « Buonanotte e a domani. »
Ludwig doveva sentirsi più sereno, sapendo di non essere incappato nelle ire di nessuno. Eppure anche una volta chiusa la porta dietro di sé non riusciva a rimanere sereno. Aveva agito d’impulso. Non era una cosa che faceva di solito. Non riusciva a spiegarsi come aveva potuto sfondare una porta in quella maniera. Ormai aveva a che fare con il fatto compiuto. Non gli rimaneva altro che aprire internet e cercare qualcuno che potesse riparare quella porta prima che divenisse una questione di stato.
Ludwig scorre la lista sullo schermo del telefono, guardando minuziosamente le recensioni e i servizi offerti da ogni singolo professionista, ma la sua mente continuava a spostarsi altrove, al suo agire troppo impulsivo per quella serata, al danno al quale cercava di rimediare il prima possibile e anche al fratello di Lovino. La sua memoria confusa e piena di adrenalina offuscava la sua mente, dandogli una vaga immagine del soggetto, ma gli era apparso decisamente più conciliante del fratello. Forse era un bene, oppure era un abbaglio preso dal suo stato di agitazione. Non sapeva dirlo.
Ormai era vicino alla mezzanotte, e doveva andare a dormire. Si segna il numero del falegname più convincente che trova, e si mette a letto, cercando di stemperare lo stato di ansia che continuava ad annebbiare la sua mente. Domani sarebbe stata una lunga giornata.

Alzarsi era un incubo.
Non aveva dormito. Il suo sonno era stato agitato e confuso, rendendogli impossibile un riposo sereno. Non aveva idea di quando aveva dormito così male l’ultima volta.
Con fatica Ludwig si alza, infilandosi la tuta per la sessione di corsa mattutina. Correre gli piaceva, e l’attività fisica aveva il potere di rilassarlo. Si sentiva inquieto quella mattina, e soprattutto si sentiva osservato. Non riusciva a spiegarselo. Con una certa apprensione rientra in casa, infilandosi sotto la doccia. Si fa un veloce piano della giornata, mettendo in cima alla lista la chiamata al falegname. Questi, curiosamente, si dimostra ben disposto a venire nel giro di mezzora. Era un comportamento atipico a detta della propria esperienza, ma dentro di sé Ludwig è profondamente grato di poter risolvere il problema così velocemente. Prendendo dei grossi respiri raccatta coraggio e si avvia verso la porta dei vicini. Questa, stranamente, gli appare intatta dalla sua irruzione, ma ci bussa ugualmente.
Passa qualche istante, e finalmente il pezzo di legno viene scostato, rivelando il viso del fratello di Lovino. Questi lo osserva, inizialmente confuso, e poi gli sorride.
« Buongiorno. » gli dice, cercando di non morire di vergogna per ogni volta che la sua mente tornava alla serata precedente.
« Buongiorno. » gli risponde lui, con voce ancora assonnata. Probabilmente l’aveva svegliato.
« Ho chiamato per la porta, mi hanno assicurato che saranno qui tra mezzora. » fa una pausa, in attesa di una reazione che non arriva. « Ho pensato fosse giusto avvisare. »
L’altro si appoggia alla porta ancora non scardinata, e Ludwig si sente scrutato. « Visto che ci vorrà mezzora, perché non entri per un caffè? L’ho appena messo su. »
Una parte di lui non se la sente di accettare, ma si ritrova a seguire l’altro quasi ipnotizzato.
« Sai, Lovino è già al lavoro e mi annoio a fare colazione da solo. » gli dice lui, appoggiando la mano sullo schienale della sedia. « Non stare in piedi, accomodati. »
Si ritrova ad obbedire senza fiatare, osservando la cucina. Non era cambiata molto da quando il signor Romolo abitava lì, ma aveva un’aria diversa. C’era un tocco più delicato e accurato nella tovaglia sul tavolo, e persino negli stracci che pendevano accanto al lavandino.
« Ieri non abbiamo avuto il tempo di presentarci. Io sono Feliciano. » gli dice con un sorriso, allungando la mano che Ludwig stringe con riflessi pronti. Aveva dita delicate e sottili, insolite per un uomo.
« Mi chiamo Ludwig. »
« Un nome insolito. »
« Sono tedesco. » Feliciano fa un’espressione sorpresa, forse un po’ troppo teatrale. Probabilmente uno scherzo della sua mente stanca. Feliciano allora gli sorride, per poi volgere la sua attenzione verso la caffettiera. Aveva una figura sottile, ora che poteva osservarlo.
L’uomo si volta verso di lui, appoggiando due tazzine sul tavolo insieme allo zucchero, per poi versare il caffè. Lo faceva con un’abilità che si scopre a invidiargli. Le poche volte che aveva tentato di fare il caffè finiva per farci un disastro.
Feliciano invece finisce di riempire le tazze, per poi sedersi e prendere a sorseggiare dalla sua. Lui fa lo stesso, rendendosi conto di non aver messo lo zucchero, e si affretta a farlo, sotto lo sguardo dell’altro uomo.
« Sei da tanto tempo in Italia? »
« Ormai sono tre anni. »
« Parli bene l’italiano. » commenta Feliciano con un sorriso. Era un apprezzamento che riceveva spesso, nonostante le gaffe fatte nei primi mesi di permanenza.
« Mi piace molto la lingua. » l’altro annuisce, accondiscendente, riprendendo a sorseggiare il proprio caffè.
« Lavori qui? Oppure sei all’avventura? »
« Lavoro all’ambasciata. » non amava che gli si facessero domande personali, ma l’uomo che aveva di fronte sembrava avere il potere di ricevere ogni risposta che desiderava. Feliciano abbandona la sua tazzina, appoggiandosi sulla mano.
« Quella vicina a Villa Torlonia? »
« No, la mia è dalle parti di piazza Repubblica. »
« Bel posto, un mio amico abita da quelle parti. » Feliciano sembrava avere amici particolari, e persino molto ricchi. Aveva cercato un appartamento in zona, ma i prezzi erano decisamente da capogiro.
« Sì, lo è decisamente. » la sua risposta avrebbe certamente fatto calare il silenzio, probabilmente uno imbarazzato, costringendolo a cercare una scusa per potersi defilare velocemente.
« Lovino mi ha detto che conoscevi mio nonno. » l’espressione di Feliciano cambia, e Ludwig lo osserva alzarsi in piedi, raccogliere la sua tazza e offrirgli ancora un po’ di caffè che gentilmente rifiuta.
« Sì, siamo stati vicini per… diverso tempo. Era una brava persona. » non riesce a vedere l’espressione dell’altro, impegnato a lavare le stoviglie.
« Sì, lo era. Dopo che ha lasciato questa casa a me e Lovino sicuramente San Pietro gli aprirà le porte del paradiso senza problemi. » Ludwig emette uno sbuffo, nel tentativo di mascherare una risata divertita, e anche Feliciano ride, voltandosi nella sua direzione dopo essersi asciugato le mani. « Spero che anche noi due possiamo essere buoni vicini. »
« Spero non mi porterai rancore per l’incidente di ieri sera. »
« Ma certo che no! Quello che hai fatto è comprensibile, lo avrei fatto anch’io se fossi in grado di buttare giù una porta. »
Feliciano non assomigliava per niente al fratello, e nel constatarlo Ludwig si sente un po’ più sereno. Probabilmente la loro convivenza non sarebbe andata così male. Feliciano non sembrava un cattivo vicino, e non sembrava nemmeno condividere lo stesso temperamento del fratello. Era piacevole.
Il rumore di un citofono lo fa scattare in piedi. Era il suo.
« Credo sia il falegname. Vado ad aprirgli. » Feliciano annuisce, tornando ad asciugare il ripiano, e Ludwig si affretta a tornare al proprio appartamento, dando le indicazioni all’operaio che ci impiega un po’ a salire lungo le scale. L’uso dell’ascensore non era contemplato. L’uomo esamina i cardini, la struttura della porta, prende le misure con dei tempi che sembrano durare un’eternità. Feliciano è uscito sul pianerottolo e gli si è messo vicino a rimirare il lavoro dell’artigiano. Non ha più parlato, ed entrambi rimangono in attesa del responso.
« Allora, i cardini di mezzo sono andati, e vanno cambiati, ma è andata bene che la porta non si sia ammaccata perché sarebbe stato un casino portarne una fino a qua per cambiarla. »
Ludwig tira un sospiro di sollievo.
« Quanto tempo ci vorrà? »
« Mezza mattinata, massimo. » Feliciano tira un sospiro di sollievo.
« Visto, niente di grave. » Ludwig vorrebbe condividerne il buonumore, ma non ci riesce appieno.
« Sono contento. » risponde, controllando l’orario. « A lavoro terminato mi lasci una fattura, provvederò a saldarla. » il falegname non fa domande, concentrandosi sulla sua mole di lavoro, ma Feliciano sembra piuttosto contrariato.
« No, non serve. »
« È un mio dovere, è colpa mia se si è rotta. » Feliciano sospira, apparendo per niente soddisfatto. « Io ora devo prepararmi per il lavoro, ma passerò stasera per ritirare tutta la documentazione. » Feliciano allora gli sorride, dandogli il saluto prima che lui chiuda la porta.

« Buongiorno Ludwig. »
« Buongiorno Feliciano. »
« Anche oggi al lavoro? »
« Sì. » ormai erano diventate frasi di rito. Non riusciva a spiegarsi il perché le sue tempistiche coincidevano perfettamente con quelle di Feliciano, ma già da diversi giorni ogni mattina si ritrovava a fare le scale insieme al suo vicino. Una parte di sé era contenta di scambiare due parole al di fuori dell’ambito lavorativo, ma l’altro temeva di essere molto presto a corto di argomenti di conversazione. Feliciano, però, sembrava intuire la sua mancanza e compensava il loro dialogo di curiosità che lo avevano interessato.
Ludwig gliene era molto grato. Feliciano parlava tanto, e la sua dialettica era piuttosto vivace. Aveva una cadenza insolita, diversa da quella a cui era abituato. « …e quindi gli ho detto “non puoi muovere un affresco” ma questo non voleva starmi a sentire”. »
Feliciano faceva il restauratore. Probabilmente aveva una vastissima conoscenza dell’arte, e un po’ moriva dalla curiosità e della voglia di rivolgergli sempre più domande, costringendosi subito al contegno. Era consapevole che sarebbe stato inappropriato approfittarsi della gentilezza dell’altro in quella maniera.
« Mi stai ascoltando? » gli dice allora Feliciano, fermandosi e voltandosi a guardarlo. Ora che era qualche gradino più sotto sembrava ancora più piccolo.
« Sì. Mi interessa. » Feliciano lo scruta per qualche istante, per poi sorridergli e tornare al suo racconto. Con calma raggiungono il piano terra, e si danno il saluto.

« Ludwig, buon pomeriggio. »
« Buon pomeriggio Feliciano. »
« Tornato dal lavoro? » ancora una volta aveva incrociato Feliciano. « Io sono sceso per vedere se c’è posta. » aggiunge, guardandosi imbarazzato le ciabatte. Non ci aveva fatto caso, ma non importava. Si sentiva piuttosto stanco, ma una parte di lui aveva bisogno di essere almeno un po’ sociale. Con calma Ludwig si avvicina, dando un’occhiata alla propria casella postale. In realtà sapeva che non vi avrebbe trovato nessuna busta, ma si era ritrovato a mimare i gesti dell’altro uomo che osserva con curiosità la busta di plastica che teneva in mano. « Lì che c’è? »
« Ho fatto un po’ di spesa. » dice lui, alzandola, permettendo a Feliciano di osservarla con curiosità.
« Sento odore di fragole. » commenta questi, sorridendogli. « Spero tu abbia preso la panna. »
« No, me ne sono dimenticato. » dice, sospirando scocciato. Aveva fatto di tutto per evitare la calca alle casse e si era scordato una cosa così importante. « Me le mangerò così. »
« Io ne ho da prestarti. » Ludwig scuote la testa.
« No, non potrei mai chiedere una cosa simile. » Feliciano sospira, mentre lui prende la strada delle scale.
« Ma siamo buoni vicini! Se io ne avessi bisogno sono sicuro tu faresti lo stesso. » non aveva idea come ma Ludwig sapeva che Feliciano aveva centrato il punto. Si trova a girarsi nella sua direzione, e guarda Feliciano che sembra in attesa di una sua risposta. « Non farti pregare. »
Ludwig sospira, riprendendo a salire le scale, sentendo Feliciano seguirlo. Gli sembrava di approfittarsi della sua gentilezza. Una volta sul piano Feliciano lo intercetta, sparendo dietro la porta dell’appartamento. Era davvero un sacco gentile con lui, tanto che aveva la sensazione di non meritarselo.
« Ecco qui! » esclama Feliciano, apparendo sulla porta e dandogli in mano la bomboletta di panna montata. « Puoi ringraziarmi dopo! »
« Sei sicuro di volermela dare così? »
« Massì, le fragole vanno assolutamente mangiate con la panna. Te lo dice un esperto, fidati! » Ludwig sorride, stringendo meglio l’oggetto che aveva nelle mani.
« Allora ti ringrazio. »

Un lieve bussare alla porta lo distoglie dalla lettura del romanzo. Era insolito che qualcuno bussasse alla sua porta, soprattutto di domenica mattina. Confuso si alza sul divano, mettendo un segnalibro nella pagina dove si era fermato, e a lunghi passi si avvicina alla porta.
C’era Feliciano all’uscio.
« Scusami Ludwig, so che è domenica e che forse hai da fare, ma avrei bisogno di un favore. » non sapeva dire se fosse una sua impressione ma l’altro gli appare un po’ teso.
« Dimmi. »
« Non è che hai un po’ di zucchero da prestarmi? Mi sono accorto che è finito, e oggi sicuro non c’è qualcuno aperto qui vicino, forse potrei provare dallo spaccio- »
« Te lo posso prestare, ho un pacco in più. » il viso di Feliciano si distende, ma l’uomo pare mantenere una vaga tensione nel suo corpo. « Entra pure. »
Ludwig si dirige verso la dispensa, in cerca dello zucchero di scorta, non prestando particolare attenzione a quell’ospite inusuale. « Hai una bella casa. Molto tedesca. » commenta allora Feliciano, per poi portarsi la mano alla bocca imbarazzato. « Intendevo dire che ha un’aria molto organizzata. »
« Sono stato cresciuto con l’ordine. Se c’è qualcosa fuori posto non riesco a dormire la notte finché non è tornato tutto ordinario. » Feliciano ride, più sollevato, e poi guarda un’altra volta l’interno della casa.
« Certo che la forma è identica alla casa del nonno, ma ha un’aria completamente diversa. Forse è per via delle finestre. Qui non si sente il rumore del traffico. » Ludwig arrossisce, come se fosse stato colto in flagrante. Non c’era niente di imbarazzante nel desiderare una casa tranquilla. Era più il pensiero che lui e Feliciano pensassero in maniera affine, oppure che notassero gli stessi dettagli, a metterlo in imbarazzo.
« Sì ho scelto questa casa anche per la calma. »
« Anche quando quelli del piano di sopra scendono le scale. »
« Quello purtroppo era compreso nel pacchetto. » Feliciano ride, e persino lui si scopre a sorridere. L’altro si appoggia sullo schienale del divano, guardandolo direttamente.
« Ti piace vivere qui? » era una domanda personale. Solitamente lui si sarebbe infastidito e avrebbe cercato di chiudere la conversazione il prima possibile. Invece aveva di fronte lo sguardo chiaro di Feliciano che lasciavano trasparire una sincera curiosità, e lui non si sentiva messo a disagio.
« Tralasciando Francis e Antonio che urlano per le scale, sì. » Feliciano ride, torna dritto in piedi e gli si avvicina. Era raro che gli fosse così vicino. Ludwig deglutisce, lasciando che l’altro entri nel suo ambiente vitale. Feliciano allora allunga le mani, e prende il pacco di zucchero che ancora aveva con sé. Se n’era completamente dimenticato.
« A me piace vivere qui. » gli dice, sorridendo. « Spero potremo essere buoni vicini. Tu sicuramente lo sei. »
« Non sono certo di esserlo. » stranamente aveva la gola secca.
« Certo che lo sei! » esclama allora Feliciano, assumendo un’aria seria. « Sei disposto a prestarmi lo zucchero. È la prima regola da rispettare se vuoi essere un buon vicino. » Ludwig non era certo che fosse la verità, ma vedendo il viso sorridente di Feliciano non se la sentiva minimamente di argomentare almeno per quella volta.

« Credo sia saltata la luce a tutto il quartiere. » era una bella scocciatura. Certo non era la prima volta che succedeva, ma quei improvvisi e gratuiti black-out non facevano mai piacere. Ormai erano le nove passate, il buio avvolgeva la casa. A tentoni aveva raggiunto il mobile dove teneva la torcia, accendendola una volta presa, e si era diretto verso il pianerottolo dove c’erano già i due fratelli. Lovino nel vederlo aveva assottigliato lo sguardo, mentre Feliciano gli si era avvicinato, commentando su quanto l’esperienza fosse pessima. Non gli dava torto.
« Ehi, la sotto, va tutto bene? » era la voce di Elizaveta, dal piano di sopra. Ludwig vedeva una luce muoversi, probabilmente anche la donna aveva una torcia.
« Sì, qui tutto bene. »
« Qualcuno chiami l’amministrazione. L’acea. La nasa! » era stato Arthur. Si era affacciato alla tromba delle scale. Sembrava piuttosto irritato.
« Oppure chiamiamo il tuo assistente e lo facciamo correre per generare energia. Diventeremmo energeticamente indipendenti. » dice Laura, che si era affacciata. « Comunque mio fratello ha delle torce, vengono due euro l’una. »
« Come è possibile che tuo fratello riesce a fare lo strozzino pure in una situazione del genere? » esclama Antonio.
« È per questo che sei povero, spagnolo! » replica la ragazza, defilandosi sotto le risate divertite di gente che Ludwig non riesce a definire. Lovino allora si avvicina al corrimano, guardando in alto e tentando di fulminare qualcuno al piano di sopra. Ogni volta che c’era un black-out tutti loro si riversavano nel corridoio, rendendo il palazzo un po’ più vivace del solito.
« Se i black out qui sono così, potrei abituarmi. » dice a bassa voce Feliciano, che era rimasto accanto a lui per tutto quel tempo. « Non mi piace molto il buio. »
« Non durerà molto. » le poche luci illuminavano il viso teso di Feliciano, che allunga la propria mano nella sua direzione e tocca il bordo della sua maglia. In genere il contatto fisico lo infastidiva, ma poi guardava il viso nervoso dell’altro e non se la sentiva di scacciarlo. « È una cosa normale. Dovreste comprare delle torce, succede quasi regolarmente. » non era incoraggiante da dire, se ne rendeva conto, ma la sua mente era rimasta fissa alle dita di Feliciano che gli sfioravano involontariamente la pelle del braccio, impedendogli di fare pensieri completamente razionali.
« Non costringermi a venire lì sopra, stronzo! » lo strillo di Lovino lo riporta alla realtà, e probabilmente anche Feliciano che toglie la sua presa.
« Sì, rissa! » sente esclamare Laura, e poi quella più pacata di Ned che accettava scommesse su un eventuale scontro. Non preannunciava niente di buono. Feliciano allora si incammina verso il fratello, prendendolo per le spalle.
« Dai Lovino, non ti ci mettere anche tu. Già la situazione non è delle migliori. » l’altro scatta come se fosse stato colpito, ma sembra dare retta al fratello, ritirandosi dal corrimano. Finalmente la luce torna, e Lovino allora corre ad affacciarsi, vedendo probabilmente il suo contendente.
« Ti vedo, stronzo. » Antonio non sembra replicare, forse era stato portato via da Francis alla stessa maniera, ma non ha molta voglia di rimanere a indagare sulla faccenda. Era stanco e voleva solo tornare alla sua lettura, dimenticando il contatto con Feliciano che ancora bruciava. Non voleva pensarci.
« Ludwig. » la voce dell’altro lo riporta alla realtà, facendogli almeno spegnere la torcia.
« Sì? »
« Grazie. » gli sorride, facendolo arrossire imbarazzato.
« Non ho fatto niente di speciale. » Feliciano di fronte a lui sospira, ma riprende a sorridergli.
« Buonanotte Ludwig. »
« Buonanotte. » ignorando le nuove strilla, questa volta uno scambio di battute tra Arthur e Francis, chiude la porta di casa dietro di sé e si passa una mano sul volto. Si sentiva troppo stanco. Non riusciva a capire cosa l’avesse esaurito così velocemente. Per una volta non era lui a dover sedare le discussioni, di rito, tra i vari condomini.
Con calma ripone la torcia al suo posto, guardando poi il suo libro abbandonato sul divano. Non aveva più desiderio di leggere per la serata. Forse doveva provare ad andare a dormire.
Anche infilarsi a letto non lo stava aiutando. Continuava a rimanere lì, sdraiato, a fissare il soffitto con tante domande e, raro evento, senza alcuna risposta da dare. Certo la sua esistenza era cambiata da quando i due fratelli si erano trasferiti. Poteva dire di avere un’interazione che era condizionata da semplice interesse che Feliciano sembrava avere nei suoi confronti. Più ci pensava e più si rendeva conto che non sapeva molto di lui. L’altro faceva tante domande e forniva poche risposte alle sue, sembrava essere circondato da un velo di mistero minuziosamente costruito che gli faceva voglia di indagare per sapere.
No, non doveva. Lui stesso non amava rilasciare informazioni personali, ficcare il naso nelle faccende private di altri individui era un suo personale veto. Se Feliciano non voleva andare oltre al suo amore per la pasta, l’arte e la siesta non sarebbe stato di certo lui quello a insistere.
Sì, la faccenda non lo riguardava.
Per una volta era contento di andare d’accordo con i propri vicini nonostante le premesse e non avrebbe permesso a se stesso di rompere l’equilibrio che si era formato.
Ludwig sospira, rigirandosi nel letto. Era la cosa giusta da fare, e ora persino la sua nascente curiosità era stata sedata senza alcun problema. Poteva dormire tranquillo, eppure il sonno non sembrava giungergli in alcuna maniera. Con una certa stizza si alza dal letto, riprendendo il romanzo. Ora era sicuro di poter poi dormire.

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Capitolo 3
*** Con vicini così a che servono i nemici ***




Era andato a correre nonostante non avesse dormito che per poche ore. Sperava di riuscire a smettere di pensare almeno durante quello. Ci era riuscito, e una volta rientrato nel cancello del palazzo la sua mente era molto più sgombra e libera da pensieri di ogni tipo.
« Ludwig, buongiorno. » l’uomo sgrana gli occhi, alzando la testa per vedere Feliciano che si trovava sul balcone. Era una visione insolita.
« Buongiorno. » l’uomo gli sorride, rientrando in casa, e lui segue il suo esempio, salendo le scale cercando di mantenere lo stesso ritmo. Al pianerottolo c’è già Feliciano alla porta, che gli sorride. Ludwig non sa se rivolgergli ancora il saluto mattutino o fare un semplice cenno di intesa e rientrare in casa, e per una volta persino Feliciano gli appare a corto di idee per gestire la situazione.
« Vai a correre ogni mattina? » aveva la voce un po’ roca in quel momento, e il notarlo gli genera imbarazzo.
« Sì. »
« Io non ci riuscirei mai a farlo, fai un qualcosa di tutto rispetto. »
« Ci sono abituato. Quando ero in Germania andavo spesso a correre insieme a mio fratello. »
« Se io chiedessi a Lovino la stessa cosa credo mi butterebbe fuori di casa senza pensarci due volte. » ride allora Feliciano, seguito da lui. Una volta che le risa si fermano cala di nuovo il silenzio, e questa volta sembra essere più definitivo.
Con una certa riluttanza Ludwig saluta il suo vicino, entrando in casa e infilandosi sotto la doccia. Era triste che avessero esaurito gli argomenti di conversazione. Probabilmente sarebbero finiti a rivolgersi solo blandi saluti.
Si trova a considerare che non dovrebbe sentirsi così triste.
Durante la colazione sente suonare al campanello della porta. Probabilmente era Feliciano che aveva bisogno di qualcosa, quindi con un vago entusiasmo si alza da tavola e va ad aprire.
« Ma buongiorno! » era Antonio.
Durante quei anni non aveva interagito molto con lui. Non che questi fosse particolarmente sgradevole, nonostante il suo pessimo vizio di continuare a parlare con il coinquilino durante tutta la discesa lungo le scale fino al piano terra. Che poi Francis non era il suo coinquilino. Ludwig aveva visto la documentazione. Antonio non risultava nemmeno domiciliato in quella casa, eppure abitava lì da molto più tempo di lui, rendendo la sua condizione troppo singolare e probabilmente potenzialmente illegale. Non aveva idea di come poteva trattare un simile criminale, temendo un futuro arrivo della polizia che avrebbe sequestrato tutto il condominio e arrestato tutti loro.
« Hai bisogno di qualcosa? » sperava sinceramente di no, ma l’altro non sembrava del suo stesso avviso.
« Sì, volevo chiederti se avessi dello zucchero. » sembrava essere diventato un vizio quello di farsi prestare le cose, ma Ludwig era consapevole che non sarebbe mai venuto al codice del buon vicino e roteando gli occhi si dirige verso la dispensa, seguito da Antonio che chiude prontamente la porta dietro di sé. « Ok, parliamo di cose serie. »
Non era un buon segno. Antonio si avvicina, prendendolo per le spalle. Non era per niente un buon segno. « Devi presentarmi il tuo vicino. » la cosa lo coglie di sorpresa. Una parte di lui è lieta che non fosse una richiesta illegale, ma l’altro non era per niente contento. Non capiva perché dovesse fare una cosa simile.
« Perché dovrei? Puoi andare a bussare tranquillamente senza il mio aiuto. » Antonio toglie la presa, massaggiandosi una tempia con fare piuttosto scocciato.
« Ma ti pare? Non me lo posso permettere. »
« Perché dovrei presentarti io, poi? »
« Me l’ha detto Francis che tu vai molto d’accordo con loro. » era vero per metà, ma l’idea di presentare Antonio a Feliciano non gli piaceva per niente. « Io non ho lasciato una buona prima impressione e vorrei rifarmi. »
« Fossi in te lascerei perdere, nessuno lascia mai una buona impressione a Lovino. » Antonio aguzza lo sguardo. « Fidati, non è un guaio in cui vorresti cacciarti. »
« Non mi sembra di chiederti molto. Vai alla porta, bussi, io appaio da dietro e ci presenti. »
« Non riesco ancora a capire perché ti servo io per simile farsa. »
« Ora mi spiego perché sei ancora single. » l’occhiata che gli lancia non sembra intimidirlo più di tanto. Aveva l’impressione che Antonio fosse quel genere di persona che ormai non aveva più niente da perdere.
« Se non hai altro da chiedermi devo chiederti di andartene. »
« Non mi sembra di chiederti la luna. »
« Antonio, non insistere. » dice, cercando di spingerlo verso la porta, ottenendo solo l’altro uomo si aggrappasse a lui nel tentativo di non essere sbattuto fuori di casa.
« Aiuta un povero amico. »
« Noi non siamo amici. » tuona, aprendo la porta nel tentativo di staccarlo da sé. Sul pianerottolo, di fronte a loro, c’era Feliciano. E lui aveva ancora Antonio appiccicato addosso. La situazione era al limite del paradossale.
« Buongiorno. » dice allora lui, sorridendo. Antonio, finalmente, si stacca da lui e muove diverse volte lo sguardo nella sua direzione come a incentivarlo a fare qualcosa. Tentativo inutile, la sua mente sembrava essere in cerca di una spiegazione per quella situazione. « Sei un amico di Ludwig? » chiede quindi Feliciano, sorridendo nella direzione di Antonio. Finalmente qualcosa dentro di lui scatta.
« No, abita al piano di sopra. »
« Piacere, Antonio. » si presenta quindi l’altro, allungando una mano che sempre sorridendo Feliciano stringe.
« Sono Feliciano. Mi sono trasferito da poco e non ci siamo ancora incontrati. »
« Meglio tardi che mai. » ride Antonio, avvicinandosi di più all’altro. Ludwig percepiva la scena come se fosse lontana e come se lui non fosse presente in essa. Non c’era molto spazio per lui.
« Io devo tornare dentro. » dice più a se stesso, e non attende nemmeno un responso. Probabilmente gli altri due erano così presi a socializzare che non gli sarebbe importato più di tanto se si fosse defilato. Una volta chiusa la porta dietro di sé sospira.
Le sue interazioni col vicinato erano arrivate al capolinea. Era consapevole che Antonio fosse una persona più sociale e probabilmente più interessante come compagnia di quanto lo fosse lui. Feliciano avrebbe iniziato a farsi un piano di scale per chiedere il sale invece di bussare alla sua porta per scambiare due parole. Non gli faceva piacere pensarlo, ma era certo che sarebbe andata in quella maniera.
Dopo la colazione, però, sente bussare alla sua porta. Sperava che non fosse nuovamente Antonio che stavolta chiedere di metterci una buona parola anche con Basch. Con una certa stizza va ad aprire la porta nella speranza di chiudere la faccenda in fretta, trovando però davanti a sé Feliciano. Non sa che cosa dire, non riesce a capire cosa stia succedendo, se non che l’istante dopo Feliciano si stringe a lui in un abbraccio che lo fa irrigidire. Non si aspettava un simile gesto, ma lascia che l’altro continui a stringerlo per qualche secondo, per poi prenderlo per le spalle e cercare di scostarlo con gentilezza. Feliciano non sembra apprezzare, e si riattacca a lui senza alcun problema.
« Antonio ti può abbracciare e io no? » dice allora, alzando il viso e guardandolo. Aveva le sopracciglia corrucciate, ed era in effetti la prima volta che lo vedeva così da vicino.
« Antonio non mi stava abbracciando. » replica, cercando le parole giuste. « Lo stavo cacciando di casa e lui si era attaccato per non finire fuori. »
Qualcosa in Feliciano si irrigidisce, e Ludwig lo osserva staccarsi automaticamente, arrossendo. Probabilmente aveva frainteso la situazione, ma non gli dava poi così tanto torto. Qualsiasi occhio esterno lo avrebbe fatto.
« Mi dispiace. » mormora allora Feliciano con voce stridula, arrossendo sempre di più. « Ho agito d’impulso, e allora ho pensato se lui ti può abbracciare, lo posso far anch’io, siamo amici in fondo, ma lo capisco se non ti fa piacere essere toccato, non volevo essere invadente- »
Lo abbraccia.
Vorrebbe dire che lo ha fatto per farlo smettere di parlare, ma sa benissimo che non si tratta di quello. « Non sei stato invadente. »
« Ma ti ho messo a disagio. » pigola allora Feliciano, affondando il viso nel suo petto.
« Mi hai colto di sorpresa. » ammette lui, cercando di regolarizzare i propri respiri nella speranza di calmare Feliciano. « Ma l’hai detto tu, siamo amici. »
« Davvero? » chiedere allora lui, speranzoso, guardandolo un’altra volta nel viso. Ludwig si sente avvolgere i fianchi dalle braccia di Feliciano, che ricambia la stretta e appare più sereno rispetto a prima. Lui annuisce, ottenendo in cambio una stretta ancora più forte, e finisce con l’appoggiare il mento sul capo di Feliciano. Si stava cacciando in un grosso guaio.

« Dovrei organizzarvi un bel appuntamento a quattro. »
« Francis spero che tu non stia parlando seriamente. »
« Perché no? »
Non aveva mai avuto un buon rapporto con Francis, e perciò non riusciva a capire perché quella sera si era presentato da lui senza alcun preambolo o spiegazione della sua visita e si era messo ad elencare alcune delle idee più strampalate che aveva sentito.
« Ma poi a chi ti stai rivolgendo? »
« A te, Antonio, e ai due fratelli qui accanto. » dice fiero Francis, sorseggiando dalla tazza di tè che gli aveva comunque offerto. L’educazione, nonostante l’antipatia, era prevalsa.
« Tu pensi davvero che possa essere una buona idea? » Francis sbuffa, e lo guarda come se fosse un bambino che non cogliesse la situazione.
« Ora mi ricordo perché mi stai così sul cazzo. » brontola, accavallando le gambe. « Certo che penso che sia una buona idea, è la mia! »
« La tua ultima idea che io ho sentito riguardava l’allagamento del piano terra, quindi ho le mie ragioni per non darti retta. » e c’era un motivo particolare, che Arthur ci viveva e che una simile risoluzione per lui sarebbe stata un problema. Non aveva mai indagato sulla loro discordia, ma aveva idea che si trattasse di qualcosa di profondamente stupido.
« Quindi è un no? » la sua occhiata sembra essere esauriente, spingendo l’uomo ad alzarsi e a prendere la via della porta, fortunatamente con i suoi piedi. Ludwig lo segue per assicurarsi di chiuderla una volta che sarebbe stato fuori. C’era Lovino sul pianerottolo, e Francis non tarda a corrergli incontro, probabilmente per illustrargli chissà quale idiozia. Chiude la porta, lasciando fuori le imprecazioni che Lovino stava già strillando.
Non aveva idea di come Francis avesse potuto pensare una cosa simile.
Certo lui e Feliciano potevano definirsi amici, e fare un’uscita con lui era un’idea che, se doveva essere sincero, gli piaceva ma di certo non poteva prendere le connotazioni che aveva implicato Francis.
Uscire con Antonio e Lovino, poi. Sarebbe finito arrestato per un motivo o un altro, ne era sicuro. Non faceva per lui. Forse avrebbe comunque dovuto chiedere a Feliciano di andare a bere qualcosa insieme, interagire al di fuori dell’ambiente domestico poteva essere un progresso per la loro amicizia. E se Feliciano gli avesse detto di no? Non aveva alcuna certezza che la risposta sarebbe stata positiva. Non riusciva a decidersi sulla strada da prendere.
L’idea un po’ lo spaventava. Non aveva idea se avrebbe funzionato, ma una volta che pensava a Feliciano veniva pervaso da un certo ottimismo. Uno di quei giorni gliel’avrebbe sicuramente chiesto.

Avevano suonato ben due volte alla porta quando era sotto la doccia. Con una certa fretta Ludwig afferra l’asciugamano, avvolgendolo intorno alla vita, e corre verso la porta. Qualsiasi cosa fosse era sicuro fosse importante. Apre la porta, preparandosi a sentire delle pessime notizie.
« Apprezzo la visione Ludwig ma sono già felicemente sposata. » era Elizaveta. Arrossisce, stringendosi addosso l’asciugamano anche se questo non lo avrebbe di certo coperto di più. La donna pare intuire il suo disagio, ed entra in casa, permettendogli almeno di chiudere la porta.
« Volevo invitarti a bere da noi, la madre di Roderich ci ha mandato un pacco pieno di ottima birra, e ti volevo chiedere se avessi ancora dei braswurst, ma se ti vuoi offrire come pietanza principale a me va bene. » Ludwig arrossisce, ma è consapevole che Elizaveta sta scherzando.
« Me ne sono rimasti un paio, ma posso chiedere a Gilbert di inviarmene ancora. » la donna storce il naso nel sentire il nome di suo fratello, ma gli appare comunque soddisfatta.
« Allora ti aspettiamo stasera. Non essere troppo in anticipo. »
« Sì, sì. » mormora lui, aprendole la porta. Elizaveta gli sorride, attraversando la soglia.
« Buon giorno Feliciano. » il sangue gli si gela, e con fatica muove la testa, incrociando lo sguardo dell’altro uomo. Questo gli sembra inizialmente spaesato, ma poi lo guarda sorridere in direzione dell’altra donna. « Stavo invitando Ludwig a una bevuta di birra tedesca tra amici stasera, vuoi unirti a noi? »
« Birra tedesca? Io ci sto! Ho dello stanga in dispensa, con la birra dovrebbe andare bene. » gli occhi di Elizaveta si illuminano.
« Ora sì che si ragiona! Vi aspetto entrambi! » dice lei, prendendo finalmente le scale. Ludwig si ritrova solo, con Feliciano di fronte e solo un asciugamano addosso. La sua mente non ha idea di cosa dire, e si rimprovera per non essere furtivamente rientrato mentre gli altri due parlavano.
« Non hai paura di prendere freddo? » gli chiede allora Feliciano, piegando leggermente la testa di lato. Vorrebbe replicare che tanto ormai si era messo abbastanza in ridicolo, ma si trova ad annuire, iniziando a chiudere la porta, per poi fermarsi.
« Senti, Feliciano. » dice, cercando di ottenere la sua attenzione. Il suo sguardo era in basso, probabilmente lo stava mettendo in imbarazzo. « Mi chiedevo se, qualche volta, non oggi, ma in generale quando ti va, di andare a prenderci da bere qualcosa insieme. »
C’è una pausa da parte dell’altro, e a mente fredda si rende conto che persino lui esiterebbe. Stava ricevendo una simile proposta da un vicino mezzo nudo aggrappato alla maniglia della propria porta, sul pianerottolo del palazzo. Non era uno scenario rassicurante.
« Mi farebbe piacere. » gli risponde quindi lui, sorridendo. « Però ora ti prego rientra o ti ammalerai e non se ne farà niente del nostro impegno. » si scopre a sorridere, mentre chiude la porta dietro di sé e si passa una mano tra i capelli ancora umidi. Feliciano aveva accettato il suo invito. Si sentiva improvvisamente un adolescente, tanto era contento.
Un improvviso desiderio di starnutire, però, lo riporta alla realtà. Doveva tornare sotto la doccia, non aveva alcuna voglia di ammalarsi.

Alla fine erano andati insieme al piano di sopra, Feliciano aveva insistito di sentirsi a disagio nel presentarsi da solo in una casa che conosceva poco. Aveva voluto commentare che nel suo caso non si era fatto troppi problemi, ma alla fine avevano bussato ed Elizaveta li aveva accolti, aveva preso il cibo dalle loro mani e li aveva fatti accomodare accanto a Roderich che stava revisionando degli spartiti.
Ne era scaturita un’accesa discussione musicale.
Lui si poteva considerare un amatore, apprezzava la musica classica e andava ad assistere alle opere quando ne aveva occasione, ma Feliciano sembrava essere su un altro livello. Aveva una conoscenza che eclissava la sua, cosa che Roderich sembrava apprezzare. Feliciano aveva un’altra aria quando parlava di ciò che lo appassionava. Ludwig passava il tempo ad osservarlo discutere col pianista, non riuscendo a proferire parola.
Solo Elizaveta era riuscita a porre fine alle ostilità, mettendo sul tavolo i boccali e il cibo. Entrambi gli uomini, allora, avevano desistito dal discutere nonostante avessero lasciato inteso che quella non sarebbe terminata molto presto.
Si era parlato di lavoro.
Era stato nuovamente affascinato, e Feliciano aveva preso ancora un’altra luce ai suoi occhi. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, forse anche a causa della birra.
Feliciano aveva raccontato della restaurazione di un affresco di cui il nome gli era sfuggito, ma gli sembrava davvero appassionato del suo mestiere. Si spiegava la grazia e la cura con cui teneva gli oggetti, e anche i movimenti lenti e calcolati. Aveva un senso. Anche la coppia di coniugi era rimasta piuttosto colpita da lui.
« Questa birra è un sacco buona. » commenta quindi per finire Feliciano, appoggiando il proprio boccale sul tavolo e prendendo un pezzo di wurst. Ludwig stava iniziando a sentire l’effetto dell’alcool. Certo lo reggeva bene, ma iniziava finalmente a percepire la leggerezza che la bevanda alcolica sembrava donargli.
« A confronto pare che io strimpelli il pianoforte. » dice Roderich, bevendo a sua volta.
« Un tempo lo strimpellavi per farmi delle bellissime serenate, quindi non essere troppo severo con te stesso. »
Feliciano sorride, prendendo un altro sorso. Ludwig continua a guardarlo, come se non l’avesse mai visto in tutta la sua vita, e si trova a pensare che era quello l’appuntamento a quattro che avrebbe voluto veder organizzato. Arrossisce a un simile pensiero, cercando un contegno.
« E per favore, Feliciano qui è stato un’eccezione, ma se vi sento parlare di lavoro vi prendere una padellata. » Feliciano alza le mani in segno di resa, ridendo divertito e cercandolo con lo sguardo.
« Lo ha fatto con mio fratello. » dice allora Ludwig. « Due volte. »
« Erano meritate! » esclama piccata lei.
« Non ho detto il contrario. » replica allora, prendendo un altro sorso di birra.
« E poi non è colpa mia se tuo fratello è uno scocciatore. »
« Forse sei un po’ prevenuta nei suoi confronti. » Elizaveta gli lancia un’occhiataccia, ma è troppo rilassato per lasciare che la cosa influisca su di lui più di tanto. L’antagonismo che correva tra Gilbert ed Elizaveta non era affare suo e non ci avrebbe mai messo naso. Non voleva farsi domande su tante cose che riguardavano il fratello, e di certo non avrebbe iniziato adesso.
Feliciano ha l’accortezza di cambiare argomento, riprendendo il discorso e spostandolo in un’altra direzione, permettendogli di riordinare i pensieri. Si sentiva più leggero del solito, e la sua mente iniziava a focalizzare la coscia di Feliciano che era appoggiata contro la sua. Aveva un improvviso desiderio di toccarla.
No, non sarebbe stata la cosa giusta da fare. Con uno scatto allunga la mano verso il cibo, avrebbe aiutato a scacciare dalla testa i pensieri che aveva.
La serata procede in maniera più tranquilla, e riesce ad aggiungere persino qualche intervento nella focosa discussione che si era riaccesa tra i due uomini a riguardo della musica, e si conclude con i saluti alla porta.
« Fate attenzione mentre tornate. »
« Non c’è alcun problema. » dice Feliciano, appoggiandosi allo stipite della porta. L’alcol alla fine aveva fatto effetto anche su di lui. Elizaveta da loro un’altra occhiata preoccupata, ma alla fine li saluta entrambi, lasciandoli soli ad affrontare le scale.
« Se l’ascensore funzionasse non avremmo questi problemi. » brontola, facendo sorridere Feliciano.
« Credo dovremmo arrangiarci. » replica, mettendo un piede sul gradino e ondeggiando. Lui gli è subito accanto, tenendolo per il fianco. « Grazie. »
Lui non risponde, facendo un altro passo verso il basso, seguito dall’altro uomo. Il corpo di Feliciano è caldo contro il suo, e un secondo ondeggio lo spinge a stringerlo di più a sé, appoggiando l’altra mano sul muro. Fanno diversi gradini, poi Feliciano si ferma.
« Dici che la serata è andata bene? » chiede, improvvisamente serio.
« Credo di sì. »
« Gli sono piaciuto? Credi che ci inviteranno ancora? »
« Continuano ad invitare me che non sono un gran conversatore. » dice, ripetendo la frase dopo essersi accorto di averla detta in tedesco. « Tu sei molto più sociale e gradevole. » queste parole sembrano rincuorare Feliciano, che gli sorride e gli si avvicina.
« Sono contento che pensi questo di me. »
« Dico la verità. » l’altro sorride, passando una mano sul suo fianco e riprendendo la discesa verso il loro piano. Il suo intero corpo brucia e la sua mente non riesce a staccarsi dalla mano di Feliciano, almeno finché questa non si stacca. È solo in quel momento che finalmente la sua testa sembra riprendere a funzionare.
« Grazie per la serata. » gli dice lui, avvicinandosi per un abbraccio. Questa volta è più lento, come guardingo, in attesa, ed è lui stesso ad avvicinarsi e a stringerlo. Sente il cuore rimbombare nelle orecchie, e sente il profumo di Feliciano avvolgerlo, e si sente bene. Felice con se stesso, e felice di essere lì.
Era una sensazione che non percepiva da diverso tempo.
Non ha idea di quanto rimangano lì, in mezzo al pianerottolo, abbracciati, ma dopo un po’ Ludwig capisce che deve lasciare la presa su Feliciano, che tarda ad abbandonare il contatto. Questo si allontana di un passo. Ha le guance rosse e sorride in una maniera più delicata del solito.
« Buonanotte Ludwig. »
« Buonanotte. » l’uomo gli da un ultimo saluto, e poi entrambi si voltano verso le proprie porte. Lui fatica a mettere la chiave nella toppa, ma alla fine riesce nell’impresa e dopo un ultimo saluto entra finalmente in casa. Si chiude la porta dietro, appoggiandosi poi su di essa e scivolando per terra.
Il cuore ancora gli rimbombava nelle orecchie, e continuava a sentire caldo. Prende dei lunghi respiri, cercando di controllarsi, ma sapeva benissimo che in tutto quel tempo speso fuori lui moriva dalla voglia di baciare Feliciano. Era un bisogno impellente che l’alcool gli rendeva difficile tenere a freno.
Si passa una mano tra i capelli, non sapendo cosa fare.
Non ne aveva idea.
Di certo non avrebbe potuto baciarlo.
Oppure la sua era semplice frustrazione. Non lo capiva e la cosa lo faceva impazzire. Il non avere risposte era probabilmente una delle condizioni più frustranti che poteva vivere. Sospira, alzandosi in piedi.
La sua mente gli faceva tornare in mente il viso di Feliciano e l’idea che avrebbe dovuto almeno sfiorare le sue labbra quella sera, ma le ricaccia in un angolo della sua mente. Non avrebbe rovinato un buon rapporto per un capriccio egoistico.
Con stizza prende l’acqua, bevendone una generosa quantità, e va a letto, dove ad attenderlo ci sono solo sogni che non gli danno tregua per tutta la notte.

Alla fine era riuscito ad andare al lavoro nonostante un post sbornia piuttosto fastidioso, e al ritorno a casa sperava di riuscire a cenare e mettersi a letto per riposare ancora. Nell’atrio del condominio, però, c’erano Arthur e Basch. Non era un buon segno.
« Aspettavamo te. » sente brontolare il professore, e spera che qualsiasi cosa sia, non gli prenda più tempo del dovuto.
« Avete bisogno di qualcosa? » Basch annuisce, allungandogli il foglio che legge lentamente. Arrivato al termine, impallidisce.
« Come al solito, il presidente sarai tu. » era la scelta più ovvia, nessun’altro poteva ricoprire il ruolo di capo della riunione condominiale, o finiva sempre con le botte – e le scommesse su chi l’avrebbe spuntata –.
« Avete già deciso la data? » chiede, massaggiandosi una tempia.
« Scegli quella più consona, basta che sia dopo le sette di sera. » dice Arthur, incrociando le braccia al petto. « E assicurati di non farlo sapere al mangia escargot. »
« Credo dovrò farlo, o manderà Antonio al suo posto e lo sappiamo tutti come è finita l’ultima volta. Basch, come al solito su di te vige il divieto di portare qualsiasi tipo di arma. » il movimento delle sopracciglia che si corrucciano non gli sfugge, ma decide di non insistere, e salutando gli altri due prende le scale, iniziando a costruire mentalmente una scaletta di argomenti che avrebbe dovuto presentare durante la imminente riunione.
La sua uscita con Feliciano avrebbe dovuto aspettare.

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Capitolo 4
*** Riunione di condominio bimestrale ***



Aveva iniziato a notare che non importava la data, il mese o l’inclinazione del sole, ogni riunione condominiale si era sempre tenuta di martedì. Non era un giorno che considerava particolarmente di auspicio.
Di martedì il hard disc del suo pc aveva deciso di esplodere, costringendolo a ricopiare a mano pile di documenti – da lì in poi aveva imparato a fare i back up con una certa regolarità –. Sempre di martedì era finita la sua relazione universitaria, giusto una settimana dopo la sua laurea. Per non parlare che Gilbert era partito per il suo Erasmus in Russia di martedì, ed era anche tornato sei mesi dopo nella stessa giornata della settimana, per poi ammettere due settimane dopo – sempre di martedì – di non ricordarsi niente della sua esperienza semestrale da quelle parti.
Simile sventura sembrava essersi riversata tutta su quel giorno e concentratasi nelle riunioni condominiali dove si urlava, gente si picchiava e non si risolveva mai niente. Non era certo un caso che lasciassero a lui la parte organizzativa della faccenda – il suo proprietario di casa gli aveva lasciato piena potestà di agire come suo rappresentante in simile sede –. Anche quella volta aveva tentato di scegliere un altro giorno, ma dopo una breve consultazione della propria agenda si era reso conto che quella settimana era l’unica sera disponibile e che non poteva posticipare la riunione alla settimana prossima.
Aveva quindi stampato un bollettino con ora e data e l’aveva appeso all’entrata in modo che tutti potessero vederlo.
Era già certo che gli inquilini al primo piano non si sarebbero presentati.
Non gli rimaneva altro che rifinire gli ultimi dettagli.
Era rimasto immerso nel lavoro in quei giorni, chiudendosi su di esso e non lasciando niente e nessuno interferire. Non aveva visto molto nemmeno Feliciano, ora che ci pensava. Certo questo lo salutava quando lo vedeva, ma le loro conversazioni si erano fatte brevi perché la sua mente era altrove. Temeva di averlo offeso con un simile comportamento, ma non poteva porci alcun rimedio. Aveva tanto lavoro a cui stare dietro e non poteva permettersi di perdere il ritmo.
Alla fine era arrivata la sera, e anche l’orario. Si scopre a sospirare, raccogliendo i fogli su cui aveva preparato ogni argomento di discussione per quella riunione consapevole che non sarebbero riusciti ad arrivare nemmeno a metà.
« Non ci voglio andare! » sente esclamare Lovino, una volta che apre la porta di casa. « Vacci tu! »
I suoi vicini sembravano star discutendo, ma non era sicuro di volerci mettere naso. Non bisognava mai mettersi in mezzo alle discussioni, soprattutto tra fratelli. Ludwig sospira, attraversando la soglia di casa. Prima oltrepassava simile tempesta e prima sarebbe stato al sicuro.
« Buonasera. » era stato Feliciano a salutarlo. Aveva un’aria più domestica quella sera, era la prima volta che lo vedeva in quella maniera, ma in realtà erano diversi giorni che non riusciva a vederlo e probabilmente era la sua nostalgia a fargli credere una cosa simile.
« Buonasera. »
« Dove vai di bello? » la voce di Feliciano gli appare diversa, un po’ più stridula.
« Alla riunione condominiale. » replica come se fosse la cosa più scontata. « La organizzo sempre io. »
D’improvviso Ludwig vede la mano di Feliciano allungarsi verso la porta della sua casa, chiudendola di scatto e sente le imprecazioni di Lovino per un simile gesto.
« Ci sto andando anch’io! » esclama. Lui batte un paio di volte le ciglia, confuso da ciò che aveva appena visto, ma decide di lasciar ugualmente correre.
« Andiamo insieme? » il viso dell’altro sembra illuminarsi nel sentire quelle parole, e Feliciano prima si getta sulle sue spalle, ridacchiando, per poi camminare sulle sue gambe fino alla piccola sala al pian terreno.
La sua scelta era ricaduta su quel posto perché probabilmente il più neutrale. Incontrarsi a casa di qualcuno avrebbe certamente fatto incorrere in ogni tipo di protesta da parte di altri e lui aveva già i suoi grattacapi a riguardo.
C’era già Basch, seduto sulla sua sedia a braccia incrociate e con un fucile appoggiato allo schienale.
« Avevo detto niente armi. »
« È scarica. »
« Questo non ti giustifica. » Basch alza le spalle, incurante della sua critica, mentre Feliciano fa un giro particolarmente largo dal portatore dell’arma.
« Non mi piacciono molto. » sussurra poi quando gli è abbastanza vicino, e Ludwig gli passa una sedia pieghevole che Feliciano sistema non vicino a Basch. È il turno di Arthur di arrivare, questa volta già litigando con Francis. Se già litigavano prima di iniziare non aveva idea di come sarebbe andata a finire. Alla fine pure loro si sistemano, Francis accanto a Feliciano e Arthur nel raggio completamente opposto, limitandosi a fissarlo in cagnesco.
« Allora come sta andando, cherì? » chiede Francis, guardando Feliciano che lo osserva confuso.
« Che cosa? »
« Non fare il finto tonto con me. » aggiunge l’altro uomo, appoggiando il braccio sulla sua spalla con fare ammiccante. Ludwig vorrebbe intervenire, anche a causa dell’aria di disagio che aveva preso piede sul viso di Feliciano.
« Se te ne rimorchi un altro come la prenderà il tuo clandestino? »
« Ma fottiti Arthur. »
« Clandestino? » chiede allora Feliciano, guardando lui. L’uomo prende la sua sedia, avvicinandola alla propria, guardandolo come se fosse in cerca di informazioni.
« È solo un soprannome. » replica, cercando di apparire il più naturale possibile, ma Feliciano alza un sopracciglio e gli fa capire di non averci creduto nemmeno per un attimo. « Diciamo che Antonio non è proprio regolare da queste parti. »
« Ricordati di non farlo presente a Lovino che è capace di mandare in galera tutta la palazzina. » risponde allora Feliciano, assumendo un’aria più seria.
« State già litigando? » non aveva fatto caso a Elizaveta, che era già entrata dentro. « Cavolo, almeno fatemi salire per prendere la padella. »
« Ti prego, Elizaveta, siediti. » la donna mette le mani sui fianchi, guardandolo torva, ma poi segue il suo consiglio e prende il suo posto. Fa velocemente la sua conta, appurando che gli inquilini del primo piano alla fine non sarebbero stati presenti come ogni volta che non si parlava di finanza.
« Allora, riassunto breve. » inizia, alzandosi in piedi e dando una veloce occhiata ai presenti nella speranza di ottenere la loro attenzione. « Siccome è la solita riunione bimestrale non c’è molto da discutere. »
Feliciano alza una mano, non era un buon segno. Con un cenno gli permette di parlare. « È la prima volta che partecipo. » dice lui, sorridendo. « Di cosa parlate di solito? »
« Ci lamentiamo di Antonio. » dice Arthur.
« Ci lamentiamo anche dei tuoi incontri del club di Harry Potter se per questo. » replica subito Francis e Ludwig fulmina gli altri due con lo sguardo, nella speranza che ciò serva a placarli.
« Di solito esponiamo i problemi e approviamo risoluzioni se c’è qualcosa da pagare. » dice, cercando di dare un tono alla faccenda. Purtroppo ciò che avevano esposto Arthur e Francis era quello più affine alla verità. Non importava. Feliciano sembra accontentarsi delle loro risposte, e torna a guardarlo. Ludwig si schiarisce la voce, prendendo l’elenco che aveva preparato.
« Per primo, la siepe vicino al cancello avrà bisogno di essere potata. »
« Manderemo Antonio come sempre. »
« Ma è legale farlo lavorare? »
« Se non vuoi pagare un centino per un altro, sì. » Arthur storce la bocca, ma non commenta altro, mentre lui prende un altro grosso respiro. Non ce la poteva fare. Elizaveta, dal canto suo, non aveva aperto bocca. Sembrava concentrata a prendere appunti su un piccolo taccuino e non sembrava disposta a creargli problemi. Aveva notato quel comportamento da diverso tempo, ma finché non gli avrebbe recato fastidio avrebbe lasciato la cosa come stava.
« Comunque uno dei problemi della lista è il fatto che parli con Antonio per la tromba delle scale, Francis. Ho ricevuto delle lamentele. » l’uomo guarda in direzione di Arthur, ovviamente piccato.
« Puoi dire a loro di ficcarsi le loro lamentele nel- »
« Francis. » lo avverte con voce bassa, costringendo l’uomo a ritrattare le proprie dichiarazioni.
« Dico solo che dovrebbero farmele di persona. »
« Tu non le ascolti! » esclama Arthur. « Io non voglio stare a sentire ogni mattina voi due che vi comportate come due sposine. »
« Cos’è, sei geloso? »
« Ma chi cazzo vuoi che sia geloso? »
La situazione stava sfuggendo di mano e non era nemmeno a un quarto della sua lista. Al suo fianco, Feliciano aveva accettato un sacchetto di patatine che gli aveva offerto Elizaveta, sgranocchiandolo divertito, mentre questa continuava a prendere nuovi appunti con una velocità impressionante. Aveva paura di darci un’occhiata poi.
« Se volete sfidarvi a duello ho due pistole d’epoca che fanno al caso vostro. » dice allora Basch, attirando l’attenzione di tutti. I due uomini si guardano, improvvisamente più quieti, e si siedono nuovamente. Lui si schiarisce la voce, grato che la proposta di Basch avesse il potere di calmare i bollenti spiriti.
« Gli parlerò. »
« Lo dici a ogni riunione. » commenta piatto lui, incappando nella sua occhiataccia. « Personalmente non è un mio fastidio, ma come responsabile devo tenere conto di tutte le lamentele. »
« Vedrò cosa posso farci. » risponde allora Francis, e questa volta sembra convincerlo un po’ di più. Non credeva sarebbe stato semplice riformare Antonio, ma almeno lui aveva fatto il suo dovere. Sentiva lo sguardo di Feliciano su di sé durante tutto il processo, ma non riusciva a ricambiarlo. Forse si stava annoiando, oppure si era pentito di essere venuto. « Sempre se si possa fare qualcosa per quello che quando è ubriaco si spara a tutto volume “you’ll never walk alone”. Speranza vana ma tant’è. »
« E chi ti ha detto che sono io? »
« Io non ho fatto nomi. » Francis fa un sorrisetto, lieto di averlo colto il fallo. A quel punto anche a lui non rimaneva niente da aggiungere, se non sedersi e aspettare che avessero terminato. Arthur allora scatta in piedi, pronto ad avventarsi fisicamente sull’altro.
« È sempre così? » chiede allora Feliciano, al suo orecchio. Si ritrova ad annuire. Ogni volta lavorava allo sfinimento per proporre un programma serio che non veniva mai rispettato. Avrebbe dovuto lasciar perdere, certo, ma il suo senso del dovere glielo impediva. « È più divertente delle riunioni dove abitavo prima. »
Non sapeva molto della vita di Feliciano, e un simile dettaglio rimarcava la sua ignoranza in merito. « Non so come tu possa considerare divertente due uomini più vicini ai quaranta che ai trenta che si saltano alla gola. »
« Ha un suo fascino. » replica allora Feliciano, che gli allunga il sacchetto di patatine che lui, alla fine, accetta. Non gli rimaneva altro che attendere con pazienza la fine.
« E poi se sai che passa il postino che ti costa ritirare i pacchi? »
« Non sono il portiere! »
« Ma se ti comporti come tale! » quello era decisamente un classico. Una volta che Francis rinfacciava ad Arthur simile cosa spesso Basch scattava in piedi, cosa che vede succedere.
« Ha ragione! » esclama, e ormai Francis non si stupisce di avere l’appoggio dello svizzero su quel punto, tanto che sorride soddisfatto e vittorioso.
« Visto? » dice, indicandolo.
« Ma sta zitto. » replica Basch. « Non lo sto dicendo per farti un favore. »
« Allora perché parli? » scatta Arthur, avvicinandosi all’altro e incrociando le braccia al petto. « Se non hai intenzione di discutere seriamente, tanto vale stare zitti. »
« Ecco, diglielo! » non era nemmeno una novità che poi si sarebbero alleati contro chiunque cercasse di intromettersi nelle loro discussioni. Gilbert aveva definito quell’evento come preliminari. Lui aveva alzato un sopracciglio e aveva finto di non aver sentito simile commento. Stava di fatto che doveva ammettere che quei due lavoravano bene quando erano insieme, peccato che farli collaborare era un vero incubo.
Basch comunque stava passando in svantaggio, contro due avversari come quei due era difficile spuntarla da soli.
« Se queste sono le discussioni provvederò a mettere un coprifuoco sonoro. »
« Non ci provare! Roderich ultimamente suona il pianoforte dopo la mezzanotte, se non glielo permetti tanto vale aiutarlo a buttarsi giù dal balcone! » esclama Elizaveta, taccuino abbandonato sulle ginocchia.
« D’accordo, accantoniamo questa idea. » mormora, tracciando una linea sulla proposta. Almeno una delle cose era riuscito a determinarla.
« Certo mica possiamo avere un regime da caserma, a letto alle nove. » brontola Francis, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
« Beh tu inizi a lavorare da quell’orario in poi. » commenta Arthur, a braccia sempre incrociate.
« Mi stai dando della puttana, Arthur? »
« Chi, io? Certo che no. Non è certo l’unico mestiere che si può fare a quell’ora. »
« Stammi a sentire, tu, piccolo- »
« Davvero, ho delle ottime pistole per un duello, dovreste considerare l’idea. »
« No Basch. » si intromette allora lui, cercando di placare la situazione.
« E poi, insomma, dove la vorrebbe organizzare, nel cortile interno? » aggiunge Elizaveta, ma il sorriso sparisce sia dal suo volto sia da quello dei due litiganti. Sapeva a grandi linee quale fosse l’evento al quale avevano pensato gli altri tre, una sera il signor Romolo aveva accennato allo studente americano che Arthur aveva ospitato durante il suo dottorato in Italia. Non era finita bene, almeno non per Antonio che era stato inseguito da un simile soggetto, armato, per tutto il cortile interno. Inizialmente non ci aveva voluto credere, ma più viveva lì e più trovava le conferme sul fatto che le storie raccontate dall’uomo erano per lo più vere.
Per qualche momento si sente solo Feliciano che continua a sgranocchiare sereno, e poi entrambi gli uomini scoppiano in una risata nervosa.
« No, ma ti pare? »
« Un duello mi sembra un po’ troppo. » aggiunge Francis, e finalmente entrambi tornano a sedersi ai loro posti. Ora finalmente è di nuovo il suo turno di parlare. In verità qualsiasi cosa della sua lista avrebbe provocato una lite, ne era sicuro. Basch, ora, sembrava essere sul punto di provocare lui stesso un duello.
« Io avrei una domanda. » dice Feliciano, cogliendolo di sorpresa. « Io ancora non ho ricevuto le chiavi della cantina, e nemmeno quelle del terrazzo. A chi devo rivolgermi? » Ludwig non sa come essergli grato per una simile domanda, finalmente una richiesta normale.
« Dovresti inoltrare una richiesta all’amministratore, ma se vuoi posso farti una copia delle mie. » in genere avrebbe incoraggiato chiunque a seguire le regole, ma con Feliciano non era così immediato. Questo gli sorride, contento, e torna a mangiare felice.
« Sembrate andare d’accordo. » dice allora Francis, assottigliando lo sguardo.
« Infatti fanno spesso le scale insieme. » aggiunge Arthur, quasi dandogli nuovamente man forte.
« La tua abilità a non farti i cazzi tuoi mi sorprende, Arthur. » dice Francis, rovinando la sua nuova alleanza.
« Che cosa hai detto? »
« Non dirmi che te la sei presa. Lo sanno tutti, non servo certo io per farlo sapere. » le guance dell’inglese si arrossano, probabilmente è tanto infastidito da un simile commento.
« Scusa tanto se la mia vita non è così frizzante come la tua! » esclama, alzandosi nuovamente in piedi. Era l’inizio di un’altra discussione. La tregua era durata meno del previsto. « Io sono una persona seria. »
« Abbastanza seria da sapere tutto di tutti. » incalza Francis, ancora seduto e probabilmente divertito da un simile risvolto di eventi. Non sembrava essere conscio della valanga di rabbia che probabilmente l’avrebbe travolto, ma non era affare suo.
È un attimo prima che Arthur gli salti letteralmente alla gola, prendendolo per la collottola e strattonandolo più volte. « Dimmelo ancora, stronzo! » strilla, rosso in viso, mentre Francis si aggrappa alle sue mani nel tentativo di allentare la presa.
« Mi hai capito! » urla, e quello era il momento di intervenire. Si alza con uno scatto dalla sedia, dirigendosi verso i due uomini che avevano preso a strillare nelle rispettive lingue. Con uno strattone allontana Arthur, sorpreso dall’intrusione, mentre Elizaveta di mette di fronte a Francis per arginare un eventuale contrattacco.
« Concludiamo la riunione qui. »
« Io non ho finito! »
« Allora significa che finirai davanti alla polizia. » era la sua ultima minaccia, e funzionava sempre. L’astio tra i due sembra appianarsi, tanto che finalmente può lasciare Arthur andare. Questo senza un commento lascia la stanza, e ben presto sentono la sua porta di casa sbattere. È solo allora che Elizaveta si scosta ad Francis, permettendogli di passare. Anche questo non dice niente, prendendo a salire le scale.
« Prima o poi si sfideranno a duello. » è il commento di Basch, prima che raccolga il suo fucile e esca.
« Spero di no. » dice Elizaveta. « Tu stai bene? »
« Questa volta non mi ha tirato una testata. » risponde, facendo sorridere sollevata la donna.
« Posso lasciare a voi due il resto? » c’era Feliciano accanto a lui. Era rimasto al suo fianco per tutto il tempo, anche se per lo più come un silente spettatore.
« Si, certo. » replica lui, e la donna sorride di rimando, lasciandoli soli. Insieme risistemano le sedie, e una volta che chiudono la porta dello stanzino, i tre fratelli del primo piano fanno finalmente la loro apparizione. In realtà Ludwig poteva dire di conoscere Laura e Tim, che abitavano l’appartamento, mentre Sebastiaan era lo sfuggente fratello in giro per l’Europa ma che pagava ogni loro spesa condominiale. I tre sembravano piuttosto divertiti dalla serata trascorsa, ignari della tragedia che si era consumata pochi minuti prima. Il terzetto li saluta entrambi, e loro li fanno passare prima prendere la strada verso il terzo piano.
« È stato… movimentato. » dice Feliciano, dietro di lui.
« Faresti bene ad abituarti, è così ogni volta. »
« Davvero? »
« Questa volta mi è andata bene, a volte Arthur è pure più incazzato. » Feliciano non risponde, facendogli credere che il loro discorso fosse finito, ma poi sente la mano di Feliciano sulla sua spalla. Gli appare preoccupato. « Ma non è mai successo niente di grave, le schermaglie di Elizaveta con mio fratello, sono quelle che mandano sempre qualcuno all’ospedale. » Feliciano non appare sollevato, ma lo guarda respirare e togliere la mano. Non trovava qualcosa da dire.
Feliciano continuava a camminargli dietro, ma il silenzio tra di loro aveva assunto un’aria soffocante. Con le sue azioni lo aveva fatto preoccupare. Non voleva di certo farlo ma era ciò che era successo.
Una volta raggiunto il loro piano sa che devono separarsi, ma non ha voglia di concludere la serata in quella maniera.
« Senti, Feliciano. »
« Sì? »
« Mi chiedevo, non so se ti ricordi. » lo guarda negli occhi, cercando di non vacillare più di tanto. « Ti va di andare a berci qualcosa insieme questo sabato? »
Feliciano rimane in silenzio. Probabilmente se ne era già dimenticato.
Si sentiva un po’ un idiota, e stava decidendo come ritrattare la frase nella maniera più dignitosa possibile quando vede Feliciano battere il palmo della mano contro la porta, sorridendo. Era un gesto simile a quello che lo aveva visto fare anche prima, e poi il suo orecchio coglie delle imprecazioni al di là della porta.
« Mi farebbe piacere. » gli sorride, togliendo il contatto con la superficie di legno e avvicinandosi. « Hai qualche idea di dove andare? »
In realtà no, preso come era dall’organizzare l’ennesima riunione andata in fumo non aveva considerato nessuna opzione passabile. Quando usciva a bere con i suoi colleghi si ripiegava spesso su locali di stampo tedesco, rendendolo ignorante riguardo alla vita notturna in stile italiano. « In realtà non sono molto pratico di locali da queste parti. » Feliciano piega la testa di lato, sorridendo.
« Io ne conosco qualcuno carino. » dice, lanciandogli un’occhiata. « Lascia fare a me. »
Era imbarazzante che lasciasse organizzare la serata a lui nonostante fosse stato invitato, ma per una volta doveva cedere terreno ad una persona con molta più esperienza di lui. Stranamente non si sentiva in ansia come avrebbe dovuto, ma per tutta la sua vita l’alternativa era lasciar organizzare le cose a Gilbert e in quel caso davvero non poteva rimanere sereno. Feliciano gli sembrava più affidabile sotto quell’aspetto.
« Allora poi ci sentiamo per i dettagli. » gli dice, recitando una simile frase quasi in automatico. « Aspetta, credo di non avere il tuo numero. »
« Nemmeno io. » Ludwig arrossisce per la cosa, prendendo fuori il cellulare e registrando quindi il numero dell’altro, dandogli poi un veloce squillo. Feliciano tiene tra le mani il proprio telefono, osservando lo schermo. « Così sarà più facile parlare. » aggiunge, rimettendo l’apparecchio in tasca. « Buonanotte Ludwig. »
« Buonanotte. » lo guarda scomparire dietro la porta, e poi si volta verso la sua. Si sentiva piuttosto contento. Erano anni che non aveva un appuntamento. Scuote la testa. No, non era un appuntamento. Cioè, sì, lo era, ma era un appuntamento come amici. Non c’era nessun sottinteso né da parte sua né da quella di Feliciano.
Ci stava perdendo la testa. In realtà l’idea che fosse un appuntamento vero lo riempiva di vago entusiasmo.
Il suo telefono vibra, e sulla schermata appare il nome di Feliciano.
Sorride.
Appuntamento o meno il loro rapporto era progredito e di quello era contento. Non gli rimaneva altro da fare se non di tentare di non mandarlo a monte come i precedenti.

Il resto della settimana stava trascorrendo senza problemi. Continuava a non vedere Feliciano troppo spesso, ma ora che aveva il suo numero l’altro compensava la comunicazione con notizie che trovava interessanti e meme. La sua galleria si era riempita di quelli, e non aveva cuore di cancellarli perché Feliciano lì creava.
Si sentiva un po’ sciocco a tenere in alta considerazione una cosa simile, ma la sua memoria continuava a riempirsi e lui non sapeva cosa farci.
Una volta che la loro comunicazione si era spostata sul digitale, comunque, aveva l’impressione che fosse più sciolta. Aveva tutto il tempo per riflettere sulla risposta da dare, e la conversazione così sembrava proseguire liscia e senza alcun intoppo. Ne era piuttosto grato.
Il suo telefono vibra, e Ludwig prende il telefono, aspettandosi di trovarci un messaggio di Feliciano, ma trovando invece quello di Gilbert che gli chiedeva di chiamarlo quando avrebbe potuto. Non era un buon segno, e con una scusa si defila dall’ufficio, infilandosi in corridoio e digitando il numero del fratello. Questi risponde subito.
« Ehi, West. »
« È successo qualcosa? Non dirmi che ti sei dimenticato di nuovo di pagare una bolletta e sono venuti- »
« È morto Axel. » le parole di Gilbert erano lapidarie. « Certo non se lo aspettava nessuno, era già condannato quando lo abbiamo preso, ma se n’è andato nel sonno questa notte. »
« Lo hai portato dal veterinario? »
« Sì, pensavo di seppellirlo in giardino. »
« Vuoi che venga? » c’è una pausa dall’altro capo del telefono.
« No, so che sei impegnato. E dubito che ti lascerebbero andare per la morte di un cane. » Ludwig sospira, continuando a chiedere domande quasi in automatico a cui Gilbert risponde in maniera altrettanto meccanica. Una volta chiusa la chiamata Ludwig si appoggia al muro, senza realmente vedere davanti a sé.
Axel era il primo cane che lui e Gilbert avevano adottato, considerato già spacciato e nonostante questo aveva vissuto una decade insieme a loro. Ora non c’era più. Era come se l’ultima parte della sua infanzia si fosse infranta. Non si sentiva troppo bene, ma era consapevole di dover tornare a lavorare.
Ora non era certo di come si sarebbe presentato quel sabato.

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Capitolo 5
*** Quel locale in centro ***



Una volta giunto il sabato il suo umore non si è per niente risollevato. La sua mente tornava alla sua casa in Germania e sul come avrebbe dovuto farci ritorno al più presto. Non riusciva a trovare niente che potesse fargli tornare il buonumore, e per un momento aveva pure considerato di disdire l’appuntamento con Feliciano, pentendosi subito dopo di un simile pensiero. Aveva preso quell’impegno e doveva portarlo a compimento.
Feliciano comunque continuava a mantenere il segreto sulla loro meta, stuzzicando almeno un po’ il suo interesse. Non passava giorno che non lasciasse qualche piccolo indizio che coglieva la sua curiosità, ma non abbastanza da farlo giungere a qualsiasi tipo di conclusione. Era stato tentato di parlargli del proprio lutto ma aveva desistito, non voleva appesantire altre persone con un suo problema personale.
Non aveva incrociato Feliciano quella mattina, e ora che era arrivata la sera non aveva idea di cosa mettersi. Certo non aveva chissà quale scelta, ma voleva comunque dare una buona impressione. Alla porta bussano, spingendolo ad andare ad aprirla. Era Feliciano, che in un attimo l’aveva squadrato da capo a piedi. Si sente improvvisamente nudo.
« Certo la scelta è audace, ma credo potrebbe ugualmente andare. » commenta, facendolo arrossire.
« No, non sono ancora pronto! Sono ancora le sette. » esclama. Feliciano allora sgrana gli occhi, indietreggiando di un passo.
« Scusa. » sussurra, imbarazzato. « É  che sono tanto contento di uscire, poi il posto dove andiamo è un sacco particolare, me l’ha consigliato un mio amico, e dobbiamo andarci in metro quindi- » lui alza una mano per bloccare il fiume di parole, scostandosi per invitarlo a entrare.
« Non ti preoccupare. » replica, vedendo l’altro tremare, probabilmente dal nervoso. « Anzi, apprezzo che tu sia in anticipo. » Feliciano si volta verso di lui, ancora visibilmente nervoso. Con un gesto lo invita ad accomodarsi, nella speranza di cavargli il genere di locale in cui sarebbero andati. Doveva anche controllare di avere abbastanza soldi nel portafoglio.
« Io vado a cambiarmi. » gli dice, per poi prendere la strada verso la propria stanza e chiudere la porta dietro di sè. Si sentiva improvvisamente agitato all’idea di spogliarsi con un altro uomo a pochi metri di distanza da lui. Non era certo la prima volta che gli succedeva, anche con un uomo nella sua stessa stanza, ma sembrava aver completamente dimenticato quella sensazione di imbarazzo e tensione che faceva tendere ogni cellula del suo corpo.
Il suo armadio ora gli appariva come un temibile avversario, e qualsiasi capo d’abbigliamento che possedeva gli sembrava inadatto.
Dopo diverse prove aveva optato per un vestiario semplice, non troppo formale e possibilmente comodo. La serata per lui sarebbe stata lunga.
Una volta riaperta la porta cerca con lo sguardo Feliciano, che si trovava davanti al ripiano dove teneva le sue foto di famiglia. O meglio, le fotografie di Gilbert e dei loro cani. L’altro uomo sembrava molto preso dalla sua osservazione, tanto che fa un balzo sorpreso quando lo sente avvicinarsi.
« É  tuo fratello? » gli chiede, indicando l’unico essere umano presente in tutte quelle fotografie.
« Sì. »
« E tutti questi cani? »
« Sono quelli che abbiamo adottato o che abbiamo avuto in affidamento. »
« Sono tanti. » ora che le guardava, la figura di Axel spiccava tra gli altri. Probabilmente perché gli mancava. Entrambi rimangono in silenzio, almeno finché Feliciano non gli tira la manica.
« Sei pronto ad andare? » chiede, sorridendo.
« Mi metto le scarpe e lo sono. » l’altro sembra compiaciuto dalla sua risposta e lo precede all’entrata. Ludwig lo segue, si assicura di chiudere la porta e si affida completamente alla sua guida. Era strano prendere i mezzi senza avere una meta specifica, e non aveva mai dimenticato la sensazione di smarrimento provata quando per la prima volta il suo autobus aveva preso una deviazione senza alcun tipo di avviso. Ora che aveva Feliciano vicino, però, temeva un simile risvolto un po’ di meno.
La sua mente durante tutto il tragitto era stata distratta da Feliciano, che aveva ripreso a parlare, tanto che era sicuro che non sarebbe mai stato in grado di ripercorrere quella strada alla stessa maniera. L’altro però sembrava così sicuro di quello che stava facendo da trasmettergli un vago senso di sicurezza.
Una volta fuori dalla metro e dopo due autobus il percorso si era fatto più tortuoso tra le vie del centro, almeno finché non erano giunti ad una piccola piazza nel centro storico che sembrava sfuggire all’occhio comune. Era tentato di cercare quel posto sulla mappa ed era certo che non sarebbe stato in grado di trovarlo.
C’era una piccola fontana su uno dei lati della piazza, circondata da un qualche tipo di pianta rampicante che sembrava emettere un lieve bagliore alla luce fioca dei lampioni. C’erano poche persone, e la maggior parte di loro si stava dirigendo verso la loro stessa meta. Una piccola e discreta enoteca.
« Certo, so che preferisci la birra, ma hai detto che ti piace anche il vino quindi credo il posto che ti piacerà. »
« Mi fido. » gli risponde, ottenendo un sorriso raggiante. Una volta entrati Feliciano si dirige subito verso un cameriere, che non tarda a farli accomodare al più presto.
« Ho fatto bene a prenotare. » gli dice, indicando con un cenno del capo la breve fila di persone a cui era stato detto di attendere. « Sarebbe stato imbarazzante portarti qui e farti rimanere in piedi. »
Si sentiva riempito di premura, e non riesce a smettere di sorridere debolmente nemmeno quando il cameriere porta loro il menù. Feliciano ci impiega un’infinità a scegliere cosa mangiare, ma entrambi optano per la stessa bottiglia di vino e la loro cena può finalmente iniziare.
« Sono contento che il posto ti piaccia. » dice allora Feliciano, appoggiandosi su una mano e piegando la testa di lato.
« É  molto… caratteristico. » dice, dopo una ricerca della parola più adatta. La posizione appartata del tavolo, la loro sistemazione uno di fronte all’altro, la luce soffusa. Tutto lo faceva pensare a un appuntamento in piena regola. Probabilmente era quello che desiderava.
« Nemmeno io ci sono mai stato. » ammette l’altro, sorridendo. « Ho passato l’intera serata a leggermi le recensioni di questo posto. »
« Ne è valsa la pena? »
« Lo sapremo una volta aperto il vino. » a quelle parole arriva il cameriere, portando loro la loro scelta, aprendola e elogiandone le qualità. In effetti, mentre lo sorseggiava, Ludwig ammetteva che fosse piuttosto buono. Feliciano fa lo stesso, rivolgendosi al cameriere e facendosi lasciare la bottiglia.
Erano nuovamente soli.
« É  un po’ che non ci vediamo. » esordisce Feliciano, sorridendo. « É  successo qualcosa? » la sua mente va subito alla chiamata avuta col fratello, ma scaccia quel pensiero. Non doveva appesantire la serata.
« Roderich ha cambiato repertorio, è passato a suonare Haydn alle due di notte. »
« Ed è un bene? »
« Per quanto ne so è il preferito di Elizaveta. »
« É  molto romantico. » dice Feliciano. « Intendo, che lui suoni simili pezzi per lei. » Ludwig torna a respirare, annuendo. Si sentiva messo sotto esame per ogni parola o movimento.
« Quelli che abitano sopra di te non sembrano apprezzare. Una volta ho sentito Francis urlare di suonare almeno Debussy. » Feliciano sorride, divertito.
« Lo ha fatto? »
« Elizaveta ha replicato che il marito non accettava commissioni. »
« Non sono sorpreso. Sembrano molto affiatati. »
« Lo sono. » vede l’altro assottigliare lo sguardo, prima di assumere un’aria più curiosa.
« Come fai a dirlo? »
« Non lo so. É  una sensazione. » Feliciano davanti a lui torna a rilassarsi, e sorride al cameriere che appoggia gli antipasti e li lascia nuovamente da soli. « Un matrimonio così mi da l’impressione di essere felice. »
« Non tutti hanno questa fortuna. » dice allora Feliciano, guardando nel suo calice di vino e prendendone un sorso.
« Lo penso anch’io. » dice, imitandolo. « Pensavo fossi un tipo più romantico. »
« Lo sono! » esclama Feliciano. « Sono un vero esperto dell’amore. Se hai problemi con la tua fidanzata puoi rivolgerti a me! » Ludwig sorride, e prende un sorso di vino. Era improbabile che si sarebbe mai rivolto a Feliciano per problemi di cuore con le donne, ma non era certo di volerglielo dire. Apprezzava però la buona volontà.
« Per ora non credo ce ne sia alcun bisogno. » replica. « Non sono fidanzato. »
« Come no? Credevo che per come sei fatto fossi già prossimo al metterti l’anello al dito. »
« Hai una tale pessima immagine di me? » Feliciano emette una risatina. « Comunque sono sempre stato troppo focalizzato sul mio lavoro. »
« Ti capisco. Quando lavoro non sento nemmeno quando qualcuno mi rivolge la parola. » lo vede arrossire. « Forse sto esagerando. »
« No, lo capisco. » l’altro uomo appare più sereno. « Quello che fai richiede certamente tanta passione e anche più concentrazione. »
« Mi lusinghi. Lovino non fa altro che ripetere che il mio lavoro è inutile. »
« Restaurare opere d’arte è un lavoro fondamentale. Senza l’arte non saremmo diversi dagli animali. »
« É  un concetto piuttosto severo. »
« Forse lo è. Ma voleva essere un complimento. »
« L’avevo capito. »
Feliciano continuava a stupirlo, a coglierlo di sorpresa. Se fino a poco prima lo aveva sempre pensato come un vicino di casa spensierato e rilassato, la luce di quella sera glielo presentava come un uomo completamente diverso. Appassionato del suo lavoro e consapevole di ciò che amava.
« Comunque è ammirevole che sei riuscito a trovare lavoro subito dopo l’università. » dice, cercando di darsi una calmata.
« Che intendi? »
« Insomma, sei molto giovane e già ti dedichi a lavori importanti. Qualcuno avrà notato il tuo talento. » a quel punto Feliciano scoppia a ridere, e cerca di coprirsi la bocca per non alzare la voce e non farsi notare. Ludwig lo osserva per un po’, chiedendosi cosa avesse detto di sbagliato.
« Se non sapessi come sei fatto penserei che ci stai provando con me. »
« Che intendi? »
« Ludwig, io ho passato la trentina d’anni da un po’. » il vino che stava bevendo per poco non gli va di traverso.
« Stai scherzando. » dice, cercando di non tossire.
« No. »
« Mi stai davvero dicendo che sei più grande di me? » Feliciano inarca un sopracciglio, cercando di trattenere un’altra risata.
« A quanto pare sì. » una simile rivelazione lo aveva colto di sorpresa. Feliciano sembrava essere nel pieno dei vent’anni eppure ora scopriva che aveva una decade in più. Certamente non li dimostrava. Certamente non sembrava essere più grande di lui, eppure era così. « Mi sembri sconvolto. »
« Solo, mi sembri così giovane. »
« É  di famiglia. Persino nonno è arrivato fino ai sessant’anni senza un capello bianco. Spero di avere la stessa fortuna. »
« Sono sicuro di sì. » è nuovamente il turno del cameriere di interromperli, l’uomo appoggia i loro piatti e dopo una breve presentazioni li lascia di nuovo da soli. La sua scelta si era rivelata molto buona, tanto da destare persino la curiosità di Feliciano.
« Me lo fai assaggiare? » lui annuisce, allungandogli la forchetta quasi senza pensare. Vede Feliciano arrossire, il che lo fa irrigidire. Aveva agito d’impulso, come se fosse stato a casa con Gilbert, e ora non sapeva se proseguire o ritrattare la sua azione. Feliciano, comunque, allunga il suo corpo in direzione della posata e assaggia il contenuto, per poi ritirarsi.
« É  buono. Vuoi sentire il mio? » non aveva idea di cosa rispondere, e l’altro sembra intuire il suo disagio, prendendo l’iniziativa e mettendo una piccola parte sul suo piatto. Gli sorride, ancora pieno di imbarazzo, e lo assaggia. Rimangono in silenzio fino al termine della pietanza, e lui inizia a percepire nuovamente il disagio del silenzio.
« Mi avevi detto che tu e tuo fratello avevate dei cani. »
« Sì, un paio. »
« Mi è sembrata più una dozzina dalle foto. »
« Facevo volontariato in un canile, mio fratello lo fa ancora. »
« Deve essere stato bello. » commenta Feliciano.
« Non quando Gilbert, la mattina presto, li sguinzaglia in giardino al ritmo di “who let the dogs out”. Non ridere, il vicinato ci odia abbastanza per questo motivo. » Feliciano si copre la bocca, ma è visibilmente divertito.
« Non ti sarai mai annoiato. »
« Con mio fratello? Credo che sia impossibile, ovunque vada succede qualcosa. É l’unico che ha mai avuto il coraggio di infastidire Elizaveta, e pure quello che è finito per ben due volte in pronto soccorso a causa di concussione da padellata. Ha persino battuto il record di Francis, lui si era fermato a una. »
« Mio nonno mi aveva accennato di questo, ma ho sempre pensato che avesse esagerato. Ora inizierò a pensare che pure la storia del pony nell’ascensore sia vera. »
« No, quella penso sia davvero la storia romanzata dell’ascensore rotto. Non ci ho mai creduto. »
« Sì, in effetti dubito che nell’ascensore del condominio potesse davvero trovarsi un pony maritato con una senatrice. » entrambi sospirano, vittime del racconti di Romolo. Quell’uomo ne aveva sempre una da raccontare. « Sarebbe davvero assurdo. »
« Il signor Romolo aveva tanta fantasia. »
« Dillo a me. Da bambino ha convinto Lovino che fossero gli scoiattoli a fare la pipì nel letto, e lui ci ha creduto fino alle elementari. Magari questo non dirgli che te l’ho detto. » Ludwig si passa il pollice e l’indice sulle labbra, per fargli capire che il suo segreto era al sicuro con lui.
La serata stava andando piuttosto bene, nonostante le sue ansie. La bottiglia di vino stava finendo e avevano iniziato a consumare il secondo.
« Ora che ci ripenso, ogni giorno con mio nonno era un’avventura. Non ho mai avuto la percezione che fosse un uomo anziano. » Feliciano sembrava parlare più a se stesso che a lui, ma poi lo vede sollevare il viso e sorridergli. « Di certo non posso dire di essermi annoiato quando ero bambino. »
« Sono sicuro che hai dei ottimi ricordi di lui. » il sorriso di Feliciano si trasforma, diventa un po’ più malinconico.
« Sì, è così, ma preferisco pensare a questa cena e fare in modo che anche questa sera diventi un bellissimo ricordo. » ormai non riusciva a capire se era sincero imbarazzo a farlo arrossire oppure era il vino, ma arrivato a quel punto della cena non gli importava più di tanto. Era consapevole del fatto che ogni volta che Feliciano piegava la testa, o si aggiustava i capelli, o incurvava le labbra all’angolo destro la sua mente li percepiva come flirt. Non gli rimaneva altro da capire se non che fossero volontari o meno.
« Sono sicuro che lo sarà. » Feliciano apre bocca, appare confuso, ma riprende la sua aria spensierata e allunga la mano verso il calice, portandolo accanto al suo bicchiere e picchiettandolo leggermente contro il suo.
« A questa serata allora. » si trova ad annuire e finisce di bere la sua parte, sentendosi più rilassato. Seguono racconti d’infanzia, quei pochi che Feliciano ammetteva di ricordare insieme al fratello, lui aggiunge i propri insieme a Gilbert, ridono della propria ingenuità infantile.
Le risate terminano quando si tratta di pagare il conto, che per una volta riesce a vincere lui nonostante le proteste di Feliciano a riguardo.
« Allora io offro il gelato. » esclama, aggrappandosi al suo braccio una volta che sono usciti all’aria. Nonostante fosse notte inoltrata nell’aria si sentiva ancora il calore estivo che permeava la città. Era certo che per tornare indietro avrebbero dovuto prendere un taxi.
« D’accordo. » si trova a dargli retta, convincendosi che ormai tanto valeva farlo. Feliciano lo porta in un luogo che sembra conoscere bene. Anche in quel caso l’altro impiega tanto tempo per scegliere i sapori che gli piacciono di più, ma alla fine riescono ad uscire dalla gelateria, sistemandosi seduti su un muretto lungo la strada.
« Mamma mia, il gelato di qui mi era mancato così tanto. »
« Come mai? »
« Non lo so. Quando sono al nord non ne ho mai trovato di così buono. Forse è perché ha lo stesso sapore della mia infanzia. »
« Cioè? » gli chiede lui, abbozzando una risata.
« Non so come spiegarlo. » risponde Feliciano, prendendo un’altra leccata dal suo cono. « É  più buono. »
Lui non inquisisce oltre, cercando di non guardarlo in maniera troppo avida. La luce del lampione illuminava Feliciano in maniera particolare, rendendolo come una figura immortalata in una fotografia. Non sembrava nemmeno un essere umano.
Era rimasto comunque a fissarlo più del dovuto. « …vevo detto che dovevi prendere la nocciola. » lo sente dire, e batte un paio di volte le ciglia. Feliciano allunga il cono nella sua direzione. « Avanti, assaggia. » un simile gesto lo coglie di sorpresa, se fosse nelle sue condizioni normali avrebbe gentilmente declinato, ma ormai aveva trascorso la serata con Feliciano, avevano già condiviso il cibo, e mettere bocca dove fino a poco c’era stata la sua non gli sembrava più così inadeguato.
Con calma lecca uno strato del gelato, portandosi una mano sulla bocca. « É  buono. » risponde, facendolo sorridere. Feliciano riavvicina il gelato a sé, riprendendo a mangiarlo proprio dal punto in cui lui l’aveva toccato. Aveva un qualcosa di erotico con quel gesto. Non se lo spiegava.
Non si dicono più niente, nonostante riesca a percepire lo sguardo dell’altro su di sé, ma non si sente a disagio. Era da tanto tempo che non riusciva a godersi serenamente una serata estiva, e finalmente grazie a Feliciano ci stava riuscendo. L’aria calda della notte lo faceva sentire bene, e così anche la presenza di Feliciano al suo fianco.
Finiscono il gelato, e con calma si avviano verso la strada principale alla ricerca di un taxi. Feliciano estrae il telefono dalla tasca, impallidendo. « Tutto ok? » lui annuisce, nonostante il visibile nervosismo.
« É Lovino. Mi sono scordato di dirgli quando tornavo. » lo osserva armeggiare con il cellulare, concentrandosi sulle sue dita sottili. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. E non era certo colpa del vino. Doveva concentrarsi per cercare un taxi, più che altro.
Per fortuna non ci impiegano così tanto come avevano temuto, e il viaggio di ritorno trascorre in completo silenzio. Nemmeno il tassista era di troppe parole. Una volta arrivati Feliciano insiste a pagare, e lui si sente improvvisamente troppo stanco per mettersi a discutere con lui. Con calma apre il cancello, facendo passare l’altro. C’era odore di bagnato, probabilmente Antonio aveva innaffiato la siepe. Feliciano si trascina fino al portone del palazzo, aspettando che sia lui ad aprire anche quella porta. La serratura scatta, permettendo loro di entrare nell’atrio. Erano ormai le tre di notte, quindi tentando di fare il meno rumore possibile salgono le scale, Feliciano inciampa costringendolo a sorreggerlo per il resto della salita. Sembrava improvvisamente più stanco di lui.
« Lasciami qui, Lud. Posso dormire sul pavimento. » roteando gli occhi passa una mano sul suo fianco, spingendolo a camminare insieme a lui. «Davvero, in questo momento mi sembra tanto comodo. »
« Credo che il tuo letto in questo caso lo sia di più. »
« Lo sarebbe se ci fossi dentro anche tu. »
« Non scherzare. »
« Non scherzo. Mi dai l’idea di essere un enorme, caldo peluche. »
« Fa già caldo di suo, che ti servo io? » Feliciano lo fissa con lo sguardo annebbiato, come se cercasse una risposta senza trovarla.
« Soffro di freddo. » dice, assumendo un tono fintamente serio.
« E io soffrirò le urla di tuo fratello domattina se non ti riporto a casa. » Feliciano corruccia le labbra, con contento di simile risposta, ma non protesta più, facendosi accompagnare per le scale. Quando raggiungono il loro piano sembra passata un’eternità e gli sembra di aver svegliato tutto il condominio facendo rumore. Feliciano è ancora appoggiato al suo fianco, ma sembra più lucido rispetto a quando stavano salendo.
« Hai le chiavi? » l’altro le prende dalla tasca, sventolandole.
« Ovvio. »
« Allora buonanotte. » Feliciano sembra sul punto di dire qualcosa, ma finisce con l’avvicinarsi e lo abbraccia con improvviso trasporto. Lui si irrigidisce, non sapendo come rispondere a quell’inaspettata manifestazione d’affetto.
« É  stata una bella serata. Mi sono divertito tanto. » Ludwig si sente felice, e riesce a ricambiare la sua stretta. Feliciano emette una lieve risata, ma non da alcun cenno di volersi togliere. Lui si sente bene, per la prima volta in quei giorni. Feliciano era riuscito a fargli dimenticare le sue preoccupazioni e i suoi problemi, anche se solo per una serata. Aveva un dono.
« Feliciano? »
« Sì? »
« Credo sia meglio che tu torni a casa. »
« Perché? »
« Ho l’impressione che se continui così ti addormenterai in piedi. » l’altro uomo emette uno sbuffo, apparentemente divertito.
« Non è colpa mia se sei comodo. » non trova niente da replicare, ma lo accompagna comunque fino alla sua porta, guardandolo maneggiare le chiavi e infilarle nella toppa, per poi girare il chiavistello. Questa fa un suono meccanico, e finalmente la porta si apre.
« Allora buonanotte. » gli dice, togliendo l’ultimo contatto fisico che avevano. Lui sente improvvisamente freddo, ma non se ne lamenta, guardando Feliciano fino all’ultimo istante e solo dopo che la porta si è chiusa si dirige verso la propria.
Una volta dentro prende dei lunghi respiri, infilandosi sotto la doccia e cercando di mettere in ordine i pensieri. Era stata una bella serata, forse addirittura un po’ troppo per lui. Feliciano era stato affascinante, ammaliante, piuttosto seducente nei suoi confronti. Non sapeva dire se fosse un qualcosa di naturale o volontariamente diretto a lui.
Doveva solo chiedersi se fosse quello ciò che voleva. Dentro di sé sapeva la risposta. Lui voleva che Feliciano fosse interessato a lui. Era un qualcosa che la sua razionalità aveva tentato di reprimere, ma arrivato a quel punto doveva ammettere a se stesso che l’interesse che provava non era per niente amichevole.
Avrebbe dovuto fare un passo in avanti, ma un vago timore di aver frainteso la situazione si annidava in un angolo della sua mente. D’altronde lui aveva una maniera di approcciarsi completamente diversa, forse per l’altro era la normalità.
Getta la testa sotto il getto d’acqua, cercando di rifletterci in maniera più chiara possibile. Voleva capire cosa fare, ma ormai dovevano essere le quattro di mattina e lui sapeva che non avrebbe cavato fuori nessuna buona idea. Sapeva solo che doveva fare un tentativo, il come e il dove erano ancora una grande incognita.
Una volta uscito dalla doccia si infila a letto, prendendo in mano il libro nella disperata ricerca del sonno, ma non riesce nemmeno a vedere il testo davanti a sé. La sua mente ripercorre la serata, analizza ogni dettaglio, maledice di essere stata deviata con del buon vino. Non poteva pensare in maniera lucida.
Sentendosi stanco appoggia il libro sul comodino e spegne la luce, infilandosi sotto le lenzuola. Dalla finestra proveniva una lieve brezza, ma nemmeno quella riusciva a togliere la sua attenzione dalla serata e da Feliciano. Continua a pensare al suo sorriso, alle sue dita sottili, a quel gelato condiviso e ai loro ultimi istanti insieme. No, non c’era niente di fraintendibile in quello.
Non poteva rimanere passivo di fronte a tali provocazioni. Doveva provare, vincere o fallire nel tentativo. Rimanere fermo non l’avrebbe portato da nessuna parte, se rimanere così non avrebbe mai saputo come sarebbe stato baciare l’altro. Simile pensiero lo fa arrossire, facendolo tornare come quando aveva dato il suo primo bacio, ed è allora che finalmente riesce a sprofondare in un breve e disturbato sonno.

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Capitolo 6
*** In vino veritas ***



Era passata una settimana da quella serata.
Ludwig non capiva cosa avesse fatto di sbagliato. Non era più riuscito a vedere Feliciano. Certo l’uomo rispondeva ai suoi messaggi, non sembrava per niente indispettito nell’essere contattato, ma la sua presenza era diventata un qualcosa di sfuggente e intangibile per lui. Non riusciva più a incontrarlo.
Forse aveva davvero frainteso il tutto. Così erano trascorsi dei giorni ed era nuovamente arrivato un sabato. Non aveva il coraggio di invitarlo ad uscire, così aveva scelto un museo da visitare e ci aveva trascorso dentro tutta la giornata. Mentiva a se stesso se diceva di non pensare a Feliciano. I suoi pensieri tornavano puntualmente a lui. Era certo di non aver sbagliato niente, ma una simile reazione lo aveva spiazzato. Forse Feliciano si era pentito e lo stava evitando per quella ragione. La mattina si era svegliato, aveva riconsiderato la serata e aveva scelto di non voler più parlare con lui. Non riusciva a spiegarsi perché.
Il ritorno a casa gli pesa, ma era stanco dalla giornata che aveva trascorso in solitudine e desiderava solo dare un’occhiata ai documenti che si era portato dal lavoro, per poi infilarsi a letto in compagnia del suo nuovo libro. Dall’appartamento di fronte al suo non giunge un suono, e lui si trova a sospirare, entrando in casa. Si era così abituato al saluto di Feliciano che non riceverlo lo faceva sentire a disagio.
In casa regna il silenzio, e per una volta Ludwig lo trova soffocante. La serata continua a scivolargli addosso, ma si sente così demotivato che non ha alcun desiderio di cucinare qualcosa. Si siede sul divano, scorrendo con lo sguardo i documenti, senza realmente vederli. Continuava ad analizzare il suo comportamento, senza trovare delle effettive falle in esso. Qualsiasi cosa avesse allontanato Feliciano sicuro non sarebbe riuscito a porci alcun rimedio.
Un gentile bussare lo desta dai suoi pensieri, spingendolo a voltarsi verso la porta. Solo una persona bussava in quella maniera. Si alza di scatto, inciampando nei suoi piedi, ma riesce ad arrivare alla porta e ad aprirla. C’era Feliciano di fronte a lui. Sentiva l’impulso di abbracciarlo, ma si trattiene, cercando di mantenere una dignità.
« Tutto bene? » gli chiede lui, sorridendo. Era lo stesso sorriso che ormai riempiva la sua mente.
« Sì, sì. Sto bene. »
« Mi fai entrare? » lui si scosta in maniera quasi meccanica, facendolo passare e chiudendo la porta dietro di sé. L’altro uomo alza il braccio, facendogli notare una bottiglia di vino. « Dobbiamo festeggiare. »
« C’è qualche ricorrenza particolare? »
« Certo che sì. » annuisce Feliciano. « Mi hanno finalmente pagato l’ultimo lavoro di restauro. » gli aveva accennato qualcosa a riguardo della diatriba riguardo quella faccenda, ma Feliciano stesso l’aveva liquidata in poche parole e questa era stata archiviata nell’angolo della sua mente.
« Questa è una buona notizia. » dice, guardandolo appoggiarsi allo schienale del divano.
« É  un ottima notizia. É  per questo che ho portato il vino. »
« Vino? »
« Per festeggiare. » l’altro sembra dirlo come se fosse la cosa più naturale al mondo. « Hai dei calici? »
« Credo di averne. » Feliciano sembra compiaciuto e lo osserva sedersi, andando poi in cerca di due calici di vino e di un cavatappi. Il secondo lo trova senza troppi problemi, ma per i primi non esita a farsi qualche pensiero in più. Gli sembravano troppo scialbi per quello che si apprestavano a celebrare. Non riusciva a capire nemmeno perché Feliciano volesse festeggiare una cosa simile, con lui poi. Sarebbe stato più sensato che lo facesse con Lovino, non con un vicino conosciuto un mese fa con il quale aveva avuto un appuntamento durante il quale l’aveva conquistato senza riserve.
Lo aveva ammesso a se stesso, Feliciano gli interessava, ma il lato più paranoico del suo carattere metteva sempre in dubbio l’interesse dell’altro, facendogli pensare di aver ingenuamente frainteso.
« Ludwig? » la voce di Feliciano lo richiama alla realtà, facendogli afferrare in fretta i due calici e tornare verso il salotto. Non voleva che nell’attesa Feliciano cambiasse idea.
« Sì, arrivo. » quando rivede l’altro, il viso di questi è raggiante. Con cura appoggia i due bicchieri sul tavolino, per poi prendere la bottiglia che era ancora in mano a Feliciano e aprirla con un certo tatto. Versa ad entrambi, per poi prendere il calice e offrirlo a Feliciano, che lo accetta e ne prende un sorso.
« É  più buono di quello che mi aspettavo. » ne prende un sorso anche lui, osservando il liquido scuro.
« Ha un sapore particolare. »
Tra di loro cala il silenzio, ma Ludwig non sa dire se si sente a disagio o meno.
« Sai, ho pensato molto a sabato scorso. » inizia Feliciano, spostando lo sguardo su di lui. Si scopre a deglutire, nervoso. « Mi sono reso conto che non so molto di te, Ludwig. »
« Sai dove abito. » dice, rendendosi conto della sciocchezza pronunciata. Feliciano emette uno sbuffo divertito, e immagina non se la sia presa.
« Questo depone a tuo favore. » commenta, prendendo un altro sorso. « Intendevo che ho tante informazioni, ma non credo di sapere di te come persona. »
« Cosa vuoi sapere? » non era da lui aprirsi in quella maniera, ma dà la colpa al vino e allo stomaco vuoto anche se ne aveva preso un solo sorso. La verità era che si sentiva ubriaco di Feliciano. Questi sembra rimuginare seriamente sulla risposta da dargli.
« Facciamo così. Io prendo un sorso di vino, e ti faccio una domanda. Tu dovrai rispondere nella maniera più sincera possibile. Una volta finita sarà il tuo turno. » si trova ad annuire. Aveva già giocato a qualcosa di simile quando era all’università. Non gli sembrava niente di nocivo o pericoloso.
« D’accordo. Inizia pure. » Feliciano prende un lungo sorso d vino, come se dovesse farsi coraggio, e si volta nella sua direzione.
« Hai mai preso delle multe? »
« Una volta, quando dovevo andare a prendere mio fratello dall’aeroporto. » Feliciano sembra compiaciuto, e lo fissa. Lui prende un sorso, pensando sulla domanda da porre all’altro.
« Sei mai stato all’estero? » Feliciano arriccia il naso nel sentire simile domanda, ma sembra pensarci seriamente.
« Sono stato in Francia per un corso d’aggiornamento, e andavo spesso con mio padre in Austria. »
« Sei capace di parlare tedesco quindi? »
« Eh no, questa domanda te la devi tenere, è il mio turno. » Ludwig arrossisce per essere stato ripreso, ma osserva Feliciano finire il suo bicchiere, e si premura di riempirlo mentre questi pensa alla domanda da fargli.
« Hai dei tatuaggi? » arrossisce.
« Sì. »
« Dove? Fa vedere! » Ludwig sospira, tirandosi su la manica destra della maglietta, e Feliciano si avvicina, osservando la figura stilizzata di un’aquila nella parte interna del braccio. Percepisce le sue dita toccare il lembo di pelle, accarezzarlo piano. « Wow, sembra un sacco figo. Io non potrei mai, mi sembra fare un sacco male. »
« In realtà non più di tanto. » risponde, abbassando poi la manica mentre Feliciano tornava al suo posto.
« Tocca a te. » il vino scivola giù per la sua gola, e si trova a fissare il soffitto in cerca di una domanda adatta. Non desiderava farne di troppo personali, anche se la curiosità si stava facendo strada verso di lui.
« Mai passato la notte sveglio fino alla mattina? »
« Intendi la mia normale giornata lavorativa? » replica Feliciano, sorridendogli. Entrambi ridacchiano, e Ludwig percepisce il calore farsi forte. Era certamente il vino. Anche le guance di Feliciano si erano arrossate, e credeva non si trattasse del calore estivo.
Un altro sorso di vino, un’altra domanda.
« La tua prima ragazza? » sembrava che Feliciano l’aveva battuto sul tempo. Era indeciso se essere sincero o aggirare la domanda, ma arrivato a quel punto ormai la prima opzione gli sembrava quella più scontata.
« Non ho mai avuto ragazze. » fa una pausa, cercando di ordinare i pensieri. « Ho avuto un ragazzo all’università, però, e anche uno gli ultimi due anni delle superiori. »
« Oh. » Feliciano non dice altro, e lui non alza lo sguardo. Ha paura di scoprire il disgusto nei suoi occhi, e preferisce non guardarlo mentre si alza dal divano e se ne va. Passano diversi secondi, ma non succede niente. « Ludwig, è il tuo turno. » la voce gentile dell’altro lo riporta alla realtà. Feliciano si trovava ancora lì, non sembrava sconvolto o disgustato da lui. Si sente più sollevato, e finisce il suo bicchiere, che viene subito riempito dall’altro.
« Hai fumato spinelli? »
« Durante le superiori non hai idea quanti. Ora ho smesso, li fumo solo prima di andare alle cene di famiglia. » una simile risposta lo diverte, e Ludwig si sente scivolare, lasciandosi quindi andare verso il pavimento che gli sembrava più fresco. Feliciano lo raggiunge quasi subito, con bicchieri e bottiglia. Sembrava determinato a far continuare il gioco.
Lo osserva bere nuovamente.
« Io e Lovino siamo troppo rumorosi come vicini? »
« Questa è una domanda a trabocchetto? » Feliciano ride, tentando di dargli una spinta.
« Tu rispondi e poi vedrò che dire. »
« No, non particolarmente. Trovo che Francis e Antonio abbiano un podio difficile da farsi soffiare anche con nuova concorrenza. »
« Io e Lovino saremmo la concorrenza? »
« Credo che quando litighiate vi senta persino Arthur dal piano terra. » Feliciano gli sembra arrossire, e lo guarda rifugiarsi dietro al suo bicchiere di vino. Anche lui ne beve un po’, sentendosi sempre più accaldato. Sentiva quasi il bisogno di togliersi la maglietta, ma in presenza di Feliciano si sentiva piuttosto restio a farlo.
« La tua domanda? »
« Vai d’accordo con tuo fratello? » il viso di Feliciano si storce in una lieve smorfia, e il suo sguardo vada oltre la finestra.
« Direi di sì. Ho passato così poco tempo con lui che non so nemmeno che genere di persona lui sia. » Feliciano fa una pausa, volgendosi poi verso di lui. « Sai, i nostri genitori hanno divorziato quando eravamo bambini. Mio padre mi ha preso con sé, mentre Lovino è rimasto qui con mamma. L’unica cosa che ci ha mai tenuti uniti era il nonno, che pretendeva che ci fossimo entrambi per le feste. Certo la sua premura non è bastata per renderci due fratelli uniti. » lo osserva passarsi una mano sul viso. « Quindi ci vado d’accordo come con un coinquilino perennemente incazzato e al quale non va mai bene niente di quello che fai. »
Sente il bisogno di scusarsi per averlo forzato ad una simile confessione, ma il respiro dell’altro è regolare e non sembra essersi arrabbiato con lui.  Questa volta bevono insieme, e finiscono nuovamente il vino nei calici. Feliciano riempie per entrambi, osservando poi la bottiglia quasi vuota.
« É  un vero peccato che il nostro gioco stia per finire. » commenta.
« Ho una bottiglia in dispensa. » dice subito lui, stupendosi della sua reazione. Feliciano sorride, apparendogli più sornione, e lo guarda alzarsi in piedi, appoggiandosi sul divano e camminare verso lo stanzino. Accende la luce, rendendosi conto di come lui e Feliciano fossero ormai nella penombra, e non fa fatica a trovare la bottiglia, prendendola e tornando al suo posto. Il salotto era illuminato solo dalla luce esterna proveniente dalla finestra aperta, rendendo l’atmosfera particolare. Ludwig deglutisce, tornando a sedersi e appoggiando la bottiglia lì accanto.
« Dove eravamo? » chiede, mentre Feliciano beve.
« Era il mio turno. » gli dice, per poi schioccare le labbra. « Mai fatto sesso in pubblico? »
« No! » esclama lui, arrossendo. Feliciano ridacchia divertito dalla sua reazione. « Tu sì? » lo osserva roteare platealmente gli occhi, abbozzando un sorrisetto sarcastico. Tra di loro cade il silenzio, e lui non sa quale domanda inventarsi. Di certo non avrebbe raccolto la sua provocazione.
Un altro sorso di vino, un’altra domanda.
« Quale è la cosa che ti piace più di me? » vede Feliciano trattenere il respiro, e guardarlo dritto negli occhi. Era contento di aver finalmente una posizione di vantaggio nei suoi confronti. Osserva il suo rossore espandersi dalle guance fino alle orecchie, facendogli assumere lo stesso colore di un pomodoro maturo.
« Non voglio suonare banale, Ludwig. » dice, sussurrando. La sua voce era bassa, difficile da sentire, quasi spezzata dall’imbarazzo. « Mi piaci perché sei diverso. »
« Diverso male? »
« Diverso da tutti quelli che mi circondano. Sono talmente abituato alla mia famiglia, ai miei temporanei colleghi, ai miei vicini, che sei l’unico che mi sta dando delle certezze in questo momento. Quando penso a te so che posso contare sul tuo aiuto. »
« Come fai a dirlo? Ci conosciamo da così poco. »
« Questo è vero. » replica lui, mentre il suo rossore ritornava solo nelle sue guance. « Eppure ogni volta che io avevo bisogno di te ci sei sempre stato, anche se si tratta di sciocchezze. »
Doveva dargli ragione, non sarebbe mai riuscito a prevalere completamente su uno come lui. « Non sottovalutarti, tengo tanto alla tua compagnia. »
Nessuno lo aveva mai fatto sentire così. Certo, era abituato a sentirsi dire di essere responsabile, quello affidabile e sul quale si poteva contare, ma per la prima volta aveva la parvenza di un complimento piuttosto intimo. C’era un qualcosa di ammaliante nei modi di fare di Feliciano. Poteva anche dire di essere sceso a prendere la posta, e simile frase in bocca a lui avrebbe sempre assunto una sfumatura diversa da quella che chiunque altro potesse dargli. « Ho esagerato? » gli chiede lui, appoggiandosi sul divano. Le sue guance sono ancora rosse, e la luce esterna illumina il contorno del suo viso. Poteva davvero essere un quadro, che solo lui aveva occasione di ammirare in un’esposizione allestita unicamente per la sua persona.
« No, per niente. » Feliciano ride, si allunga verso di lui, toccano nuovamente i bicchieri e riprendono a bere. Non proferiscono parola per un po’, ma Ludwig non ne sente realmente il bisogno.
« Il tuo dolce preferito. » dice all’improvviso Feliciano, appoggiandosi per poterlo guardare meglio.
« Cosa? »
« Quale è il tuo dolce preferito? » ripete, scandendo.
« La torta della foresta nera. »
« Avrei detto la sacher. »
« Sono così stereotipato ai tuoi occhi? » Feliciano ridacchia, divertito. « É come se io assumessi che il tuo dolce preferito sono i cannoli. »
« Ma io amo i cannoli! » esclama lui, ridendo. « Però preferisco il panettone con l’uvetta e Lovino mi odia per questo. »
« Non gli do torto. »
« Ludwig! » ridono ancora, godendosi l’atmosfera. Lui riprende il calice di vino, prendendone un altro sorso. Aveva una domanda per Feliciano ed era curioso di conoscerne la risposta.
« Il tuo primo bacio? » l’altro uomo si ferma, lo guarda, apre leggermente la bocca. Sembra non avere parole da dire, oppure è in cerca di quelle giuste. « Se non vuoi parlarne non sei obbligato. »
« No, non è quello. » mormora Feliciano, sorridendo debolmente. « É una storia un po’ insolita. »
« Perché? » l’altro sorride enigmatico, tornando a guardare verso la finestra aperta.
« Avevo undici anni. » dice, sistemandosi come se stesse per raccontare una lunga storia. « Era la prima vacanza che facevo con mio padre da quando lui e mia madre avevano divorziato. Ero abbastanza triste e non avevo molta voglia di socializzare. »
« Comprensibile. » Feliciano emette uno sbuffo divertito.
« Già. Comunque eravamo in vacanza e nello chalet vicino c’era questo ragazzino che sembrava avere un paio di anni in meno di me, e sembrava mi odiasse. Non c’era giorno che mi tirasse palle di neve o mi guardasse male. »
« Sembra l’incipit di qualche romanzo. »
« Oh, lo era. Conta che all’epoca non sapevo una parola di tedesco e lui non conosceva l’italiano, quindi quando sono andato a chiedergli perché mi trattava così è scappato senza voltarsi indietro. Questo per i primi giorni, poi suo padre ha avuto l’accortezza di introdurci. In quella settimana siamo diventati amici. Non ci capivamo per niente eppure ho solo ricordi felici di quella vacanza. »
Lui lo guarda, confuso. Non sembrava rispondere minimamente alla sua domanda, ma probabilmente anche Feliciano stava risentendo dell’alcool e aveva preso la storia molto alla larga. Alla fine la faccenda gli interessava.
« Comunque era arrivato l’ultimo giorno per lui, o almeno è quello che ho capito io, dato che il giorno dopo non c’era più. La cosa ironica è che non ricordo nemmeno il suo nome. Ricordo solo di avergli dato il mio bastone da sci come ricordo e lui per ricambiare mi ha baciato. »
Qualcosa in lui si ferma. La sua mente smette di funzionare, e torna a quell’inverno durante la sua infanzia, l’ultima volta che era stato in vacanza con il padre. Ricordava la neve, i suoi primi tentativi di sciare e il ragazzino della baita accanto. Aveva archiviato quella memoria da diverso tempo.
« Feliciano. » dice, voltandosi verso di lui. « Eri dalle parti di Corvara? »
« Sì, perché? »
« Avevi una cuffia bianca e una sciarpa verde che ti scivolava sempre via? » Feliciano si blocca, sgranando gli occhi.
« Come fai a saperlo? » non sa cosa dire. Era una memoria della sua infanzia, una che aveva seppellito dal successivo lutto, con la quale non si era mai davvero confrontato. Quel ragazzino era stato la sua prima cotta, la prima certezza. « Ludwig, come fai a saperlo? »
« Ero io. »
Cala il silenzio. Non sapeva se voleva sbagliarsi o meno. Forse avrebbe dovuto fare più domande. Forse si stava sbagliando e avevano avuto un’esperienza simile. Eppure ricordava come era stato felice di ricevere quell’oggetto, e di come lo aveva baciato d’impulso. Di tutto il tempo che aveva trascorso con quel ragazzino, anche se non ne aveva compreso nemmeno una parola.
« Stai scherzando. »
« Non credo. Chiedimi qualcosa. » Feliciano gli appare più fragile, i suoi occhi iniziano a guardare in giro, come se fossero in cerca di qualcosa.
« Una volta mi hai offerto qualcosa. »
« Quella volta che sei arrivato tardi al ristorante e la cucina era chiusa e io ho saltato il pranzo per dare a te il mio piatto. » Feliciano si porta una mano sulla bocca, apparendogli scioccato.
« Eri tu. »
Scende il silenzio. Si trovava davanti a quello che poteva definirsi il suo primo e ingenuo amore. Si sentiva in imbarazzo, ora che nella sua mente riaffioravano i ricordi di quel periodo.
« Il destino è ironico. » mormora Feliciano, riprendendo il suo calice.
« Perché? »
« Siamo qui dopo vent’anni. Io pensavo non ti avrei rivisto più. » in cuor suo si trovava a dargli ragione. La memoria di quel ragazzo era sfumata nella convinzione di essere un incontro unico nella vita. « Ma hai ancora quel bastone? »
« No. All’aeroporto non me l’hanno fatto passare. » sospira, e Feliciano ride. « Non ridere, piansi per tutto il volo a causa della cosa. »
« Addirittura. »
« Non era cosa da tutti i giorni ricevere un regalo simile. »
« Col senno di adesso lo trovo così stupido. »
« Il me bambino lo aveva trovato molto originale. » ridono insieme. « Ma ero certamente più creativo all’epoca. »
« Io ora so il tedesco. » commenta Feliciano. « Non avremmo difficoltà a comunicare. » lui si scopre a sospirare, prendendo un sorso di vino.
« Non lo so. Parte del tuo fascino era perché non capivo cosa dicessi. »
« Mi preferisci muto? »
« Non ho detto questo. » Feliciano si sistema meglio, avvicinandosi di più a lui.
« Comunque mi devi spiegare perché mi lanciavi le palle di neve. » si scopre ad arrossire di più, distogliendo lo sguardo.
« Non avevo idea di come attirare la tua attenzione. »
« Potevi chiedere a tuo padre. »
« Era banale. » Feliciano emette uno sbuffo divertito, e si appoggia sul suo fianco. Gli sembra di bruciare, ma cerca di non focalizzarsi troppo. « Non mi andava di presentarmi in quella maniera. »
« Hai proprio ragione, è molto meglio sfondare la porta. Molto d’effetto. » lui arrossisce ancora di più, sotto la risatina divertita di Feliciano. « Non ti porto rancore. »
« Lo spero. » entrambi si guardano sorridere, godendosi il momento.
« Perché mi hai baciato? » chiede allora Feliciano, improvvisamente serio. Non sapeva che risposta dargli. Certo lo aveva baciato d’impulso da bambino. Era stato pure un bacio disastroso, affrettato, per niente soddisfacente se pensava a quelli successivi che aveva ricevuto, eppure ora che era tornato alla sua mente sembrava essere quello più speciale di tutti.
« É stato istintivo. »
« Perché? »
« Credo avessi una cotta per te. » Feliciano sgrana di nuovo gli occhi, deglutendo. Lui osserva ogni parte del suo viso contrarsi, concentrandosi sulle labbra. Avrebbe volentieri tentato di replicare l’esperienza.
« Davvero? » la voce di Feliciano era più rotta, più bassa. Lo guardava serio, ma lui non riusciva a mantenere lo sguardo. La sua mente ormai era fissa sul bacio, e sul suo desiderio di replicarlo. Si sente la gola secca.
« Sì. » vorrebbe aggiungere che la cotta ce l’ha ancora adesso per lui, ma simile frase rimane bloccata nella sua gola. Feliciano sorride, e torna ad appoggiarsi sulla sua spalla, il viso nella sua direzione. Lui ne osserva le ciglia corte, gli occhi ora scuri, la forma del naso, e scende fino alle labbra. Il suo intero corpo pare bruciare dal desiderio di avere quel bacio.
Feliciano non parla, ma lo guarda dritto negli occhi. Ludwig non sa cosa stia vedendo nei suoi occhi, ma lo percepisce staccarsi da lui, e poggiare la propria mano sulla sua. Le sue palpebre si abbassano, e il suo viso si fa più vicino. Vorrebbe stringerlo a sé, e appoggiare le labbra su quelle di Feliciano, ma si rende conto di quanto sia l’altro a dettare il ritmo del loro movimento. Si percepisce avvicinarsi lentamente, vede Feliciano piegare il volto e percepisce l’altra sua mano sulla spalla. Lui fa lo stesso, accarezzandogli la guancia, gesto che l’altro sembra apprezzare. Percepisce la sua pelle morbida al contatto, e finalmente riesce ad avvicinarsi al suo viso. Feliciano continua a tenere gli occhi socchiusi, e lui fa lo stesso, deciso a godersi il momento al massimo. Lo percepisce sempre più vicino, sente il suo respiro sulle labbra, lo sente mischiarsi al suo. Le punte dei nasi si toccano, e anche lui si piega leggermente, riuscendo già a percepire il labbro di Feliciano sfiorare il suo.
« Ludwig! » d’improvviso la voce di Elizaveta lo fa scattare, facendolo ritrarre da Feliciano. « Tuo fratello sta urlando di essere nudo sul balcone, e se non ci pensi tu a lui, ci penserò io! » lui batte le ciglia, confuso, togliendo la mano dal viso di Feliciano che sembra ancora confuso dalla situazione, e si alza quasi automaticamente, avvicinandosi al balcone. Era certo che fosse la voce di Elizaveta.
« Cosa? » chiede, appoggiandosi sulla ringhiera, cercando il viso della donna.
« Hai sentito. Tuo fratello sta da Francis e non ho idea di come tu non faccia a sentire il casino che stanno facendo. » lui si passa una mano sul viso, cercando di calmarsi, e il suo sguardo cade su Feliciano, ancora seduto ai piedi del divano, rosso in viso. « Comunque ti consiglio di andare a recuperarlo prima che ci denuncino tutti per disturbo della quiete pubblica e oscenità. »
« Sì, lo farò, grazie. » la donna sembra soddisfatta dalla sua risposta, e rientra, lasciandolo solo, con Feliciano che si era alzato e gli si era avvicinato.
« Scusami. » mormora in sua direzione. « Devo andare. »
« Ti accompagno. »

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Capitolo 7
*** E alla fine arriva Gilbert ***



Aveva fatto le scale in fretta e furia per salire al piano di sopra, e aveva atteso nervoso che Francis gli aprisse la porta. Ora che ci faceva caso, proveniva un casino infernale dall’appartamento che aveva davanti. Il proprietario aveva aperto poi la porta mentre Feliciano, con passo più calmo, lo raggiungeva. Lo scenario che si presentava davanti a lui era meglio di come lo aveva immaginato.
Per fortuna suo fratello non era nudo, ma solo in mutande. Nel constatarlo Ludwig tira un sospiro di sollievo, raggiungendolo.
« West! » esclama questi, avvicinandosi e passandogli il braccio lungo le spalle. « Finalmente sei qui. »
« Perché non mi hai avvisato che venivi? » gli chiede in tedesco.
« Volevo farti una sorpresa. » si trova a sospirare nervoso. Suo fratello, che non sapeva una parola di italiano e non aveva la minima idea di come orientarsi a Roma, era riuscito a giungere sano e salvo al suo condominio e non l’aveva avvisato. « É colpa tua che non eri in casa. »
« É crudele abbandonare il proprio fratellone. » fa eco Francis, in italiano, ma lui gli lancia un’occhiataccia che lo spinge a non aggiungere altro. La sua testa prende a girare un po’, forse per via dell’alcol e soprattutto a causa di quello stress improvviso. Non che volesse male a Gilbert, ma doveva ammettere quanto il fratello fosse difficile da gestire. E non poteva farlo soprattutto adesso che aveva Feliciano per le mani. Le sue labbra pizzicavano ancora per quel bacio mancato. Era frustrante.
« Gilbert, per favore, rivestiti. Dove hai lasciato la valigia? » l’altro uomo sbuffa infastidito, indicandogli lo zaino che aveva l’aria abbandonata nelle vicinanze della porta. C’era anche Feliciano alla soglia. Aveva un’aria spaesata, ma non accennava di voler entrare. Si trova a sospirare, pensando a quello che avevano passato solo cinque minuti prima. Di certo l’occasione, ora, non si sarebbe ripetuta.
« Tutto ok? » gli chiede, una volta che gli è vicino. Lui sospira, passandosi una mano tra i capelli.
« Sì. » lo dice con un tono forse troppo duro, e osserva il viso di Feliciano irrigidirsi. « Mi spiace, credo dovremmo rimandare la serata. »
« Lo penso anch’io. Credo sia meglio che io ti lasci parlare con tuo fratello. Buonanotte Ludwig. »
« Buonanotte. » con un certo peso nel cuore lo guarda prendere le scale, e poi si gira verso il terzetto che stava ancora dentro l’appartamento. Era entrato anche Antonio nel suo campo visivo. Ora che ci faceva caso tutti e tre erano completamente svestiti. Sperava di poter cancellare una simile visione dalla sua mente presto.
Gilbert, comunque, camminava per l’appartamento in cerca dei vestiti che gli rimanevano, mentre Francis e Antonio si erano entrambi seduti sul divano con aria cospiratoria. Non gli piaceva per niente, ma di certo doveva aspettare il fratello.
« Serata interessante? » chiede allora Francis, con sorriso malizioso.
« Non credo di dover rispondere a uno che non ha niente addosso. »
« Eri con Feliciano? »
« Feliciano? » chiede allora Gilbert, curioso.
« Il vostro nuovo vicino. » risponde Francis, in inglese. « Ludwig non te l’ha detto? »
« Ho la faccia di uno che ne sa qualcosa? » brontola allora Gilbert, infilandosi i pantaloni. Non voleva sapere perché se li fosse tolti. « Abbiamo dei nuovi vicini? » dice rivolgendosi a lui.
« Sì, i nipoti di Romolo. »
« I nipoti? Quel vecchiaccio aveva accennato a dei nipoti. Come sono? »
« Prega di non incappare in Lovino. » gli risponde Francis, sistemandosi meglio sul divano.
« Ehi, non parlare male del mi niño. »
« Il tuo cosa? » dice Francis, cercando di reprimere una risata. Lui li osserva, vede il fratello mezzo rivestito e decide che la sua sopportazione aveva retto abbastanza per quella sera. Cercava di mandare via la frustrazione per quel bacio, ma non ci riusciva.
« Gilbert, andiamo. » sibila all’indirizzo del fratello. Questi, stranamente, non se lo fa ripetere due volte. Lui si carica in spalla lo zaino e si lascia seguire dal fratello, che saluta gli altri due, promettendo loro di tornare una volta che avrebbe risolto con lui. Con una certa urgenza Ludwig scende le scale, spinge il fratello dentro casa, e incrocia le braccia.
« Sono qui per te West! » esclama Gilbert, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. « Io lo so che sei triste per la morte di Axel, e so che le tue ferie sono ad ottobre, ovviamente, quindi mi sono sentito magnanimo e ho deciso di venire per tenerti compagnia finché non ti riprendi un po’. »
Axel. Lui si era completamente dimenticato di Axel perché… Feliciano, era lui a riempire la sua mente in quel momento, e non dava alcun cenno di andarsene. Non riusciva a darsi torto.
« Gilbert io sono molto occupato- »
« Piuttosto, come sono i nostri nuovi vicini? Ho visto prima, quello era proprio carino! »
« Nostri? »
« Sono tuo fratello, è come se abitassi qui. »
« Quando incontrerai Lovino credo ritratterai questa frase. »
« Non mi sottovalutare, quest’ultimo anno mi sono esercitato con l’italiano. » lui sospira, spingendosi verso la camera da letto, in cerca di asciugamani da dare al fratello. « Sono fluentissimo. »
« Non ne dubito. Cerca di non spaventare nessuno. » Gilbert emette uno sbuffo infastidito, ma non gli risponde, dandogli un attimo di tregua. « Cerca anche di non infastidire Elizaveta. »
« Abitano ancora sopra? »
« Sì. » un sorriso per niente benevolo si disegna sul viso del fratello, facendogli capire che il suo soggiorno sarebbe stato tutt’altro che tranquillo.

Gilbert aveva portato della birra dalla Germania. É calda una volta che la aprono, ma alla fine entrambi finiscono col berla, una sorta di memento per il loro trapassato e amato animale domestico. Quando lui si sveglia la mattina successiva, la mattina è già tarda, e il suo mal di testa non è così atroce come temeva.
Gilbert era ancora sonoramente addormentato, e lui si alza con cautela, spingendosi in cucina per u po’ d’acqua. La serata di ieri era stata così surreale che stava iniziando a mettere in dubbio di averla vissuta.
Feliciano era nella sua mente. Quel quasi bacio continuava a tornargli, a renderlo frustrato. Era una sospensione che lo tormentava, un millimetro dal sapere se sarebbe andata bene o meno. Non ne poteva nemmeno parlare con l’altro perché Gilbert aveva la sorprendente capacità di essere inopportuno in qualsiasi luogo, e di certo gli avrebbe fatto domande alle quali non sarebbe stato in grado di rispondere.
Alla porta bussano, e lui la guarda come se fosse un’allucinazione. Non sapeva dire se fosse la sua mente a produrre quel suono o se fosse in effetti la persona che desiderava vedere in quel momento. Si trascina fino alla porta, aprendola. Era Feliciano.
Per un primo momento è felice di vederlo, ma quello subito dopo è consapevole di avere i capelli arruffati, le occhiaie e probabilmente accenni di barba, che completava un aspetto trasandato e per niente piacevole da guardare. L’altro uomo lo fissa per un lungo istante, ma poi gli sorride.
« Sono venuto a portarti dell’aspirina. » lui boccheggia, guardando il flacone che l’altro teneva nelle mani, indeciso su cosa replicare. « É colpa mia se ieri ci siamo sbronzati. »
« No, no, affatto. » si sente in imbarazzo, il suo sguardo continua a focalizzare le labbra di Feliciano, ma è piuttosto certo che l’altro non vorrebbe essere baciato da un tizio in condizioni come le sue.
« Ludwig va tutto bene? » lui sente che niente sta andando bene, e la sua mente fa fatica a creare un pensiero coerente. « Mi dispiace averti disturbato. »
« Non mi hai disturbato. » l’altro lo osserva, confuso. « É solo che ieri ser- »
« Weeeeeest. » l’urlo di Gilbert riecheggia per l’appartamento, e lui si trova a voltarsi di scatto verso la propria stanza, guardando il fratello uscire da essa. « Ti prego dimmi che hai qualcosa per il post sbornia. »
« Strano che tu soffra comunque di post sbornia. » si trova a borbottare, rientrando nell’appartamento. Sente Feliciano seguirlo, probabilmente incuriosito dalla specie di animale che poteva emettere quel verso.
« Feliciano, ma chi cazzo ha urlato? » improvvisamente appare Lovino dall’altro appartamento, anche lui con i capelli arruffati e apparendo poco ben disposto a essere conciliante. « Ma che cazzo, ma uno la domenica mattina può riposare tranquillo o devo trasferirmi in un convitto? »
A grandi passi Lovino entra nel suo appartamento, guarda prima il fratello, poi lui, e solo alla fine focalizza Gilbert che stava ancora all’entrata della camera da letto. Lo osserva sgranare gli occhi, e poi tornare a prestare attenzione al fratello.
« Non dirmi che ti sei fatto pure lu- » alla velocità della luce Ludwig vede Feliciano scattare in direzione del fratello, tappandogli la bocca e trascinandolo oltre la porta.
« Passo dopo a vedere come stai. »
Lui rimane ad osservare il punto dove fino a prima erano i suoi vicini, per poi voltarsi in direzione del fratello che sembrava star vivendo il post sbornia molto meglio di come facesse lui.
« Ma non era lo stesso di ieri? »
« Sì. »
« Aspetta, ma lì accanto non abitava un vecchio? »
« Il signor Romolo è morto questa primavera. »
« Cazzo, è un anno sfigato questo. » lui lo fulmina con lo sguardo, mettendosi a preparare un po’ di acqua per l’aspirina. « Però ci hai guadagnato. »
« Che intendi dire? »
« Lo sai cosa voglio dire. » Ludwig percepisce la sua pazienza scendere di livello, ma decide di non dare troppa retta a Gilbert, quindi aspetta che la sua medicina finisca di sciogliersi e intanto si gira in direzione del fratello, appoggiandosi al bancone della cucina.
« Qualsiasi cosa tu voglia dire, Gilbert, non importunare i nostri vicini. Già me la devo vedere con Elizaveta. »
« Quella donna è cotta di me. »
« Quella donna ti ha mandato al pronto soccorso due volte, Gilbert. »
« Le vie dell’amore sono misteriose. » lui rotea gli occhi, scocciato, ma lascia correre. La fissazione del fratello nei confronti di Elizaveta era diventato qualcosa di leggendario. « Ma non ho problemi a spostare il mio obiettivo. »
« Non farlo. »
« Perché no? » lui rimane in silenzio, non sapendo cosa dire. Certo di Lovino non gli importava molto, ma l’idea che suo fratello potesse stare troppo vicino a Feliciano non incontrava la sua sopportazione. « Non mi dire! Ci vai a letto! » esclama allora Gilbert, riportandolo nella realtà. Lui si sente tingere le guance di imbarazzo, scattando in piedi.
« Non è vero. »
« Non mentirmi, West. Dì i tuoi problemi di cuore al tuo fratellone. » Gilbert non era capace di mantenere segreti, e certamente era un pessimo consigliere. Confidargli di quel qualsiasi cosa fosse successo la sera prima non gli sembrava la migliore idea da mettere in pratica.
« Non ho niente da dire. »
« Allora ho campo libero. »
« Ho l’impressione che prima o poi mi chiameranno perché hanno trovato il tuo cadavere in qualche cassonetto. »
« Suvvia, West, sono sopravvissuto a sei mesi in Russia. Ormai niente può farmi fuori. » Gilbert non nominava spesso il suo Erasmus, e lui aveva intuito che non ne volesse parlare, eppure di tanto in tanto simile argomento saltava fuori nei momenti più inaspettati.
« Mi stai confermando che ti sei unito alla mafia russa? »
« Non ho detto questo. » replica Gilbert, mettendosi le mani sui fianchi. « Vado a farmi una doccia, spero tu abbia ancora quella lozione presa nel negozio dal nome strano. » lui alza di nuovo agli occhi al cielo, mettendosi a preparare la colazione nel frattempo. La sua mente non riusciva a focalizzarsi su nient’altro che su un particolare, e aveva l’impressione che l’avrebbe perseguitato per tutta la giornata.
Alla sua porta bussano di nuovo, e dopo una veloce occhiata alla porta del bagno, Ludwig va verso l’entrata, aprendo a Feliciano. « Scusa, non volevo disturbarti. »
« Non lo stai facendo. » lo osserva sorridergli.
« Hai preso qualcosa contro il mal di testa? » la sua premura lo faceva sentire imbarazzato, ma in una maniera completamente nuova.
« Sì, mi sento meglio. »
« West, chi c’è alla porta? » suo fratello, puntualmente, aveva interrotto il suo tentativo di chiarire la situazione, e lo sente arrivare nella sua direzione. Si gira, notando il come sia ancora fradicio e con un solo asciugamano addosso. Si sente sbiancare e quasi desidera mettersi tra lui e Feliciano, ma ormai è troppo tardi.
Osserva Feliciano sgranare gli occhi nel vedere Gilbert, e qualcosa dentro di lui smette di funzionare.
« Oh, sei tu! » esclama intanto Gilbert, avvicinandosi ancora, mentre lui continuava a tenere la mano sulla porta, non reagendo.
« Molto piacere, sono Feliciano. » dice l’altro uomo, parlando direttamente in tedesco. Non aveva nemmeno bisogno di tradurre, come invece doveva fare con Romolo. La sua presenza lì era superflua.
« Io sono il fratello di questo qui, ti avrà sicuramente parlato di me! » non guarda nemmeno l’espressione di Feliciano, ritirandosi dentro l’appartamento e smettendo di ascoltare. Non vuole nemmeno rimbeccare Gilbert per l’acqua che ha sparso per il pavimento, vuole solo fare colazione e fingere che suo fratello, mezzo nudo, non stia parlando con quello che era il suo vicino. La sua mente non riusciva a coniare un altro appellativo a Feliciano in una situazione simile.
In fondo non erano molto di più di quello. Il quasi bacio non significava niente, se era un quasi.
Dopo un po’ sente la porta chiudersi, e controlla che Gilbert non sia uscito sul pianerottolo in quelle condizioni, ma lo vede rientrare nel salotto con aria piuttosto soddisfatta. Non era mai un buon segno.
« Abbiamo un appuntamento West. »
« Un cosa? »
« Un appuntamento. Feliciano è stato così carino e mi ha invitato a fare un giro in centro. »
« Buon per te. » non ne era contento, ma non voleva renderlo troppo palese.
« Mica tanto, ha detto di portarsi dietro anche te. » quello l coglie di sorpresa, facendolo voltare verso il fratello.
« Cosa intendi? »
« Ha detto che lui non sa bene il tedesco e ha aggiunto che sarebbe meglio ci fossi anche tu, nel caso avessimo delle incomprensioni. Mi farai da reggi candela, West! » lui si percepisce sospirare, ma lascia cadere la faccenda. In realtà era in cerca di una scusa da propinare a entrambi, non aveva alcuna voglia di andare con loro e probabilmente sentire i suoi stessi sentimenti soffocare. Di certo Gilbert era interessato a lui, e Feliciano sembrava aver ricambiato l’interesse dato quell’inusuale invito.
Si sentiva improvvisamente il cuore pesante, e ne aveva compreso la ragione.

Alla fine aveva ceduto alle insistenze di Gilbert. Si era vestito, aveva sopportato le lunghissime sfilate del fratello, lo aveva convinto a indossare vestiti leggeri ed erano usciti sul pianerottolo. Feliciano non c’era ancora, e lui si impunta con tutta la sua forza di volontà per impedire a Gilbert di andare a suonare al loro campanello. Per peggiorare la giornata gli mancava ancora una volta la presenza di Lovino.
Dopo dieci minuti finalmente Feliciano fa capolino dalla porta, salutando entrambi. Si era cambiato e aveva un’aria diversa dal solito, o almeno diversa a quella a cui era abituato.
« Possiamo andare. » dice allora lui, e iniziano a scendere le scale. Gilbert non coglie l’occasione di parlare, riempiendo Feliciano di domande delle quali sa già la risposta, ottenuta da lui mezzora prima. Durante tutto il tragitto percepisce Feliciano gettargli qualche occhiata, ma non se la sente di ricambiarla.
Una volta fuori dalla metro si spostano verso la parte turistica del centro e Feliciano inizia ad illustrare brevemente la zona. Lui smette di ascoltarlo, concentrandosi sui dettagli degli edifici che li circondavano. Era passato diverso tempo dall’ultima volta che aveva visitato qualche monumento, e stava iniziando a percepirsi contento per esser uscito. Più avanti c’erano Gilbert e Feliciano che parlavano, e sembravano divertiti. Poi Feliciano si volta verso di lui, facendogli segno di avvicinarsi. Lui si trova a seguirlo in maniera ipnotica, e si ferma solo quando è vicino a loro.
« Tutto bene? »
« Sì, è ok. »
« Io e Feliciano pensavamo di prenderci un gelato, sei con noi? » annuisce, e Gilbert si porta più avanti, improvvisamente entusiasta. Feliciano rimane a camminare al suo fianco, anche se non parla. Lui percepisce le punta delle sue dita sfiorare le sue, ma non riesce a togliere la propria mano come vorrebbe. Desidera afferrarla, tenerla nella sua, ma sa di non poterlo fare.
« Sei sicuro che ti andava di uscire? »
« Cosa intendi? » Feliciano riprende a guardare in avanti, sembra non voler incrociare il suo sguardo.
« Mi sembri un po’ scostante oggi. Ieri sembravi diverso. » arrossisce, e nota che lo è anche Feliciano. Sembrava non aver dimenticato cosa fosse successo la sera precedente, e non voleva lasciarla cadere nel dimenticatoio.
« Sono solo un po’ stanco. Non è niente di serio. »
« Meno male. » l’altro torna a guardarlo, e gli sorride. Lui si sente più leggero, e percepisce ancora la pelle di Feliciano contro la sua. « Mi chiedevo se ti andava di venire con me ad una festa. »
« Una festa? Credo mio fratello sia la persona più adatta a cui fare questo tipo di richiesta. »
« É un’esposizione d’arte. Credo tu sia un compagno migliore per una serata simile. »
Non aveva idea di cosa rispondergli. Ne era certamente incuriosito, eppure la sua mente era ferma all’idea di essere stato definito un compagno da Feliciano. Di certo l’altro non ci stava girando intorno, e quindi decide che nemmeno lui l’avrebbe più fatto.
« Mi farebbe molto piacere andare con te. » lo osserva arrossire, e finalmente Gilbert li richiama, facendoli avvicinare per scegliere i gusti. Una volta fuori la sua mente torna all’ultima volta che avevano preso il gelato insieme, ma credeva che non avrebbero replicato simile scena di fronte a suo fratello.
« Comunque come mai sei venuto in Italia, Gilbert? » chiede Feliciano, continuando a mangiare il suo gelato dalla coppetta.
« Perché sono un bravo fratello! Il nostro cane di famiglia è morto e sapevo che West fosse depresso, quindi sono venuto per consolarlo! » Feliciano batte un po’ le ciglia, confuso, per poi non parlare più, continuando a mangiare.
« Perché lo chiami West? » Ludwig osserva il fratello gonfiare il petto, come se stesse per raccontare la storia del secolo. Non era raro che il suo nomignolo destasse la curiosità altrui, e Gilbert era sempre disposto a spiegarlo.
« Quando eravamo bambini, o meglio, quando Ludwig era bambino, la nostra camera aveva due finestre. Una orientata a est, e una a ovest. I nostri letti pure, e il suo era sotto la finestra che dava al tramonto, quindi io ho avuto l’idea geniale di chiamarlo West. »
Feliciano emette una lieve risata, e pure lui si rende conto di quanto simile racconto sia sciocco. Certo Gilbert non aveva mai smesso di chiamarlo in quella maniera, e non dava segno di voler smettere, e lui non aveva intenzione di farci qualcosa a riguardo. Simile nomignolo lo faceva sentire un po’ speciale.
« É carino. Il massimo dei soprannomi che mi ha dato Lovino è stato quello di “infame amico delle uvette”. » Gilbert lo guarda confuso, e lui si trova a dover tradurre simile espressione e spiegargliela.
« É un peccato che tuo fratello non sia voluto venire con noi. »
« Era stanco. » commenta Feliciano con una smorfia. Il loro giro prosegue, e il suo sguardo non si stacca da Feliciano, che sembra vivere e respirare in quell’ambiente. Di tanto in tanto gli lancia qualche occhiata, di sfuggita, e lui si trova a ricambiarla. Le loro mani ancora non si tengono, ma ora continua a percepire la pelle dell’altro sulla sua molto più spesso.
Con calma osservano il sole tramontare tra gli edifici, e infine si infilano nella metro, tornando a casa. Gilbert sembrava quello più entusiasta di tutta la faccenda. Era da un po’ che non lo vedeva in quella maniera. Feliciano era di nuovo al suo fianco, più vicino del solito, ma la cosa non gli dispiaceva più di tanto. Finalmente riusciva a sentirsi a suo agio con lui. Ora doveva iniziare a fare lo stesso con quello che provava. Non sarebbe stato facile ma avrebbe dovuto provarci.
Lentamente tornano a casa, e solo una volta giunti al loro pianerottolo Feliciano lo ferma.
« Ludwig, posso parlarti un momento? » gli ha parlato in italiano, e lui si blocca, guardando il fratello che non aveva capito. Questi, comunque, non sembra interessato al loro discorso e prende subito le scale verso il piano di sopra.
Era sicuro di doverlo andare a recuperare tra un paio d’ore e che sarebbe stato un processo inutilmente lungo. Sospira, dando la sua attenzione su Feliciano.
« É successo qualcosa? »
« Volevo parlarti di ieri. » lui sente qualcosa morire dentro, teme ciò che Feliciano sta per dire, ma cerca di mantenere una compostezza che percepisce faticosa. Ha paura delle parole di Feliciano per la prima volta.
« D’accordo. » l’altro abbassa lo sguardo, prendendogli le punte delle dita. Il suo contatto è caldo e piacevole, e tutto ciò che aveva desiderato.
« Non credo di aver ancora trovato le parole giuste. » si ferma, lui vede il suo rossore. « É che scoprire che eri tu quel ragazzino è stata una grossa sorpresa. »
La tensione accumulatasi nel suo corpo si perde completamente, tanto che si sente d’improvviso molto debole. Spera che Feliciano non se ne accorga. Questi però continua a guardare in basso e gioca con le sue dita, non lo guarda mai direttamente.
« Insomma, capisci che intendo? » annuisce, ma sta mentendo. Non lo capiva. Percepiva il contatto con la mano dell’altro e desiderava baciarlo in quel momento, fino allo sfinimento, ma sapeva di non poterlo fare. Feliciano era lì, di fronte a lui, e si stava aprendo. Non doveva rovinare un momento simile con i suoi desideri. « Possiamo entrare in casa tua? Non mi sento tranquillo a parlarne qui. »
Lui annuisce e gli apre la porta, facendolo passare e chiudendola poi dietro di sé. Feliciano si sta torturando le mani, e istintivamente gliene prende una come aveva fatto lui poco prima. Questi sembra sorpreso, ma non la tira via.
« Quello che volevo dire, ecco, è che io… » qualsiasi cosa gli voglia dire, sembra che sia difficile da dire. Lui sorride, cercando di essergli di incoraggiamento, stringendogli piano la mano. « Non so, l’incontro con te mi aveva segnato davvero tanto. »
« Mi dispiace. »
« No, intendo che l’ha fatto in positivo. Quel periodo è sempre rimasto nella mia mente, ogni volta che iniziavo una relazione. Non credo di averlo mai dimenticato. » Feliciano prende un lungo respiro, prima di riprendere. « Credevo anche che non avrei mai avuto occasione di rivederti. »
« Nemmeno io. » il sorriso di Feliciano diventa più malinconico.
« Però siamo qui. E tu, tu hai ammesso che… » ora è il suo turno di diventare rosso. « Forse sto viaggiando un po’ troppo. » vorrebbe dirgli che non si sbaglia, che lui prova nuovamente la stessa cosa, ma la sua bocca rimane in silenzio. Non si sente ancora pronto ad affrontare un simile discorso. Continua solo a tenere la mano di Feliciano, che lentamente la sfila e gli sorride.
« Ci vediamo questo giovedì, d’accordo? » non vuole lasciarlo andare, ma deve farlo.
« Feliciano. »
« Sì. »
« Ne riparleremo? » Feliciano gli sembra sorpreso, ma gli sorride ugualmente.
« Certamente. »

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Capitolo 8
*** Un amore fatto ad arte ***



Feliciano gli aveva chiesto di vestirsi in maniera formale.
Gilbert non si era risparmiato con le prese in giro per tutto il tempo che aveva trascorso davanti allo specchio. Inizialmente suo fratello aveva protestato, volendosi unire anche lui, ma una volta saputo che si trattava di una mostra tutto il suo entusiasmo a riguardo si era spento, e si era ritirato sul divano senza troppe proteste.
Alla fine era riuscito a trovare la combinazione migliore e finalmente si era messo l’anima in pace. La sua immagine allo specchio lo soddisfava. Non gli rimaneva altro che aspettare Feliciano, che non gli aveva più risposto per tutto il pomeriggio. Era un comportamento strano, ma non aveva voluto insistere troppo, lasciandosi il pomeriggio per riflettere. Aveva pensato tanto a ciò che si erano detti.
Finalmente lo ammetteva. Feliciano gli piaceva, e voleva piacergli a sua volta. Aveva messo insieme i pezzi dei suoi sentimenti e aveva compreso che pure l’altro non desiderava essergli semplicemente un amico. Sapeva di dover fare qualcosa, eppure ogni volta che pensava di vedere Feliciano qualcosa in lui si scioglieva, rendendolo facilmente maneggiabile nelle mani dell’altro.
Con calma si dà un’ultima controllata allo specchio, per poi uscire dalla camera. Gilbert era ancora sul divano.
« Esci, West? »
« Sì, torno tardi. »
« Non preoccuparti, stasera vado da Francis, sai, nel caso avessi bisogno della casa libera. » si sente arrossire, e tira un coppino in testa al fratello, cercando di levargli l’espressione maliziosa.
« Ti prego di non fare sciocchezze mentre non ci sono. » Gilbert non gli risponde, ma è piuttosto certo che avrebbe dovuto tenere il telefono vicino per ogni evenienza.
« Non ti ansiare West, so che la serata per te è importante. » si trova a guardare il fratello, ma non trova le parole giuste con cui rispondergli. Gilbert aveva decisamente ragione, la serata che si prospettava per lui era fondamentale.
Una volta uscito sul pianerottolo, Feliciano non c’è, e lui cerca di non appoggiarsi alla porta nel timore di sporcarsi. Era certamente in anticipo, ma era la sua smania che l’aveva portato a uscire così presto. La porta di Feliciano si apre, e finalmente la persona che aveva desiderato tanto esce dall’uscio.
« Ludwig? »
« Sì. »
« Scusa se ci impiego così tanto, è che la cravatta mi sta dando un po’ di problemi. » lui sospira, avvicinandosi.
« Posso? » Feliciano non sembra reagire, ma poi gli si avvicina, offrendogli il collo. Lui armeggia velocemente con la stoffa, facendogli un nodo che reputava soddisfacente. « Ecco fatto. »
Feliciano guarda in basso, gli sorride. « Grazie, non so come farei senza di te. Vado a mettermi le scarpe e sono subito da te. »
Lo osserva tornare dentro, e lasciare la porta aperta. Può osservare la figura dell’altro dalla sua posizione, in quella mise alla quale non era abituato, alla sua figura che si chinava ad allacciare le scarpe lasciando intravedere la curva del suo-
Scuote la testa, spostando lo sguardo. Non poteva di certo degradare la figura di Feliciano a quello.
« Ora sono pronto. » sente dire, e si sposta per farlo passare. « Lovino, io esco! Non aspettarmi alzato! » dall’interno dell’appartamento sente provenire qualcosa, ma non riesce a coglierne il significato, perché Feliciano chiede subito la porta.
Con calma si avviano verso l’uscita. Feliciano gli appare particolarmente silenzioso, e non sa che dire. Vorrebbe fare domande, ma non ne trova alcuna adatta.
« Per fortuna che ci sei tu a farmi arrivare puntuale, o Kiku ci lascerebbe entrambi a piedi. »
« Kiku? »
« Ah, mi sono scordato di parlartene. É un mio amico, andiamo con lui all’esposizione, altrimenti col cavolo che riuscivo a imbucarmi a una festa simile. »
Feliciano sembrava conoscere un sacco di gente strana. Una volta fuori dal cancello la prima cosa che nota è una limousine, e sposta lo sguardo su Feliciano in cerca di risposte. Questi sorride, scostandosi e aprendo la portiera, infilandosi velocemente dentro la macchina. Lui rimane a fissare il vuoto per un attimo, e poi decide di seguire l’altro dentro. Con cura abbassa la testa per non battere contro il tettuccio, e finalmente entra nell’ambiente. Feliciano si era seduto, e gli stava facendo segno di avvicinarsi. Seduto di fronte a lui c’era un altro uomo. Sembrava sperso nel vuoto, ma poi lo vede spostare lo sguardo su di lui.
« Questo è Ludwig, te ne ho parlato. » l’altro annuisce, esibendosi in un lieve inchino. Lui si sente di ricambiare, e finalmente prende posto accanto a Feliciano.
« Io sono Kiku. » gli dice. Aveva un tono di voce particolare, come se non appartenesse al loro stesso mondo. « É la prima volta che porti qualcuno con te. » dice a Feliciano, che sorride.
« Finalmente ho trovato qualcuno che apprezza l’arte come l’apprezzo io. » si sente intimamente lusingato, e persino Kiku appare sorpreso da simile constatazione.
« É curioso. » si sente nuovamente osservare, questa volta percependo un cipiglio critico. Lo stava valutando, ne era sicuro. « Che lavoro fate, Ludwig? »
Era strano sentire un linguaggio cortese, ma considerando come già fosse particolare la persona che aveva davanti non aveva più molto di cui stupirsi.
« Lavoro all’ambasciata tedesca. » vede l’altro piegare lievemente la testa.
« Un italiano, un tedesco e un giapponese. Potrebbe essere l’inizio di una barzelletta. » dice Feliciano, sorridendo divertito.
« O una riunione dell’asse. » commenta Kiku, ottenendo un sospiro esasperato da parte di Feliciano.
« Vedo che sei hai ancora un senso dell’humour molto pessimista. »
« É la mia natura. » nonostante avesse sempre più l’impressione di come quei due fossero diversi, sembravano andare molto d’accordo. Forse era a causa di Feliciano, che aveva un atteggiamento che lo portava a essere piacevole a chiunque avesse il piacere di interagirci. Non ne aveva alcuna idea, sentiva il suo corpo vicino al proprio e prestava attenzione ai discorsi degli altri due.
Una volta che la limousine si ferma, Kiku li ferma dall’uscire. « Ci tengo ad avvisarvi, ci sono esponenti molto importanti a questa serata. Non fate sciocchezze. Parlo soprattutto con te, Feliciano. »
« Non preoccuparti, ho Ludwig con me! » risponde lui, afferrandogli il braccio. L’altro uomo sembra soddisfatto dalla situazione, e finalmente esce dall’abitacolo. Lui lo segue, trovandosi davanti a una sontuosa villa. Nuovamente non sa dire di dove si trovi, ma ormai ha iniziato a farci l’abitudine con Feliciano. Osserva l’autista prendere una valigetta e consegnarla a Kiku, che inizia ad avviarsi. Feliciano lo segue subito dopo, spingendolo a chiudere quella strana fila che avevano creato.
C’erano già diverse persone all’interno, e il corridoio era già disseminato di opere d’arte. Vorrebbe fermarsi ad osservarle, ma Feliciano lo intercetta, portandosi accanto a lui.
« Non fermarti. Quelle che espongono qui sono sempre delle croste. » sussurra al suo orecchio, prendendolo sotto braccio. Si sente in imbarazzo per la cosa, ma non vuole essere duro con se stesso. Era la prima volta che partecipava a una festa dell’élite romana. Doveva rimanere con Feliciano per tutto il tempo, e il pensiero non gli dispiaceva. Sentiva il suo braccio sul proprio e si sentiva felice.
Seguono entrambi Kiku dentro la sala principale, illuminata ad arte per far risaltare un palcoscenico al centro. « Credo faranno dipingere qualcuno sul momento. » mormora Feliciano, lasciandogli il braccio. Lui si trova ad annuire, e finisce per perdere di vista entrambi gli accompagnatori con cui si era presentato. Non aveva alcuna idea di cosa dire nel caso qualcuno avesse fatto domande sulla sua presenza lì. Dopo poco, però, si rende conto che a nessuno importava l’identità dei presenti una volta varcata la soglia. Un cameriere gli offre un calice di champagne, che lui accetta mentre osserva una prima opera.
L’atmosfera era soffusa, rendendo il quadro che aveva di fronte più reale di come lo immaginasse. Ne osserva i dettagli, li imprime nella sua mente, cerca di capire quale tecnica sia stata usata e anche di coglierne l’autore. Non c’era alcuna targhetta esplicativa dell’opera, spingendolo a fantasticare sull’eventuale soggetto che aveva di fronte.
Una volta risolto il mistero del primo pezzo passa con calma all’altro. Questa volta era un paesaggio di montagna, probabilmente le alpi. Si trova a sorridere ingenuamente, cercando di coglierne i dettagli. Ogni albero, ogni sfumatura della roccia, ogni traccia di neve, sembravano tutti dipinti con molta cura.
« Ti piace quello che vedi? » una voce sconosciuta lo ridesta dalla sua perlustrazione, e si trova a voltarsi verso un altro uomo. La luce soffusa rende difficile vederne chiaramente i tratti, ma gli sta sorridendo. Annuisce.
« Sì, è uno splendido paesaggio. » l’altro uomo annuisce, facendosi più vicino.
« L’artista l’ha dipinto apposta per farsi osservare. »
« Non ne dubito. » parla quindi un’altra persona dietro di loro, e Ludwig si volta per vedere Feliciano, sorridente. « É certamente un ottimo pezzo da acquistare. » l’uomo fa qualche passo avanti, portandosi tra di loro. « Peccato che non sia in vendita. » l’altro fa una lieve smorfia, ma si allontana.
« Ti ho perso di vista. » dice, mentre Feliciano allunga la mano verso il colletto. Lui glielo lascia fare, e sente le dita dell’altro avvicinarsi alla pelle della sua gola mentre glielo sistemava.
« Non preoccuparti, ora ci siamo ritrovati. » la luce rendeva anche Feliciano diverso. Era una visione simile a quella avuta durante la loro cena insieme, e ora la situazione si stava replicando. « Hai trovato qualcosa di interessante? »
« Guardavo in giro. » Feliciano emette una lieve risata.
« I quadri esposti qui sono interessanti, ma sono una minima parte del patrimonio privato del padrone di casa. »
« Cosa intendi dire? » Feliciano fa una pausa, sembra indeciso su cosa dire di preciso.
« Intendo che nelle sue stanze, nascoste, ha opere d’arte che è troppo geloso di mostrare agli altri. » simili parole lo colgono di sorpresa. « Non hai idea di quanti collezionisti privati vengano a queste feste per cercare di riuscire a dare solo un’occhiata. »
« Anche tu? »
« No, io qui cerco solo clienti. » ora che lo guardava, Feliciano aveva un’aria diversa. Sembrava più serio, più maturo. Più professionale, se doveva essere sincero, e ne capiva il motivo. « Ma non stasera. Oggi voglio godermi la tua compagnia. »
Simili parole lo fanno arrossire, tanto che prende un sorso dal bicchiere e cerca di dissimularlo. Avrebbe voluto avere la stessa scioltezza nel parlare in maniera così spontanea, ma sapeva di non averla.
« Sono contendo di trascorrere la serata in questa maniera. » risponde, facendo sorridere l’altro.
« Allora continuiamo il giro. Posso comunque dirti qualcosa a riguardo dei dipinti esposti. »
La serata prosegue con più calma, e Ludwig si lascia andare alla voce di Feliciano che, probabilmente con esperienza, gli racconta qualcosa di ogni quadro che hanno davanti. Nessuno pare importunarli, anche se con la coda dell’occhio vede aumentare il numero di persone che li segue a distanza, incuriositi dalla narrazione di Feliciano. Una scintilla di gelosia si accende in lui, e desidera avere la voce di Feliciano solo per sé, che non fosse ascoltata da altri.
Entrambi vengono richiamati da un uomo che era al centro della sala e che aveva dietro di sé un ragazzino molto giovane.
« Sono lieto della vostra presenza oggi. Vedo volti nuovi e vecchi. » dice, guardandosi intorno. « Spero la mia ospitalità sia stata gradita. » si alza un lieve applauso, che l’uomo riceve con una certa deferenza. Si avvicina, curioso, e sente Feliciano fare lo stesso. Gli tiene la mano, ora, e lui la stringe della sua. Gli sembra la cosa più giusta da fare.
« Ma non fare caso a me, so che volete vedere questo giovane prodigio all’opera. » l’uomo lascia il centro della casa, lasciando il centro dell’attenzione ad un ragazzino spaurito. Questi si guarda intorno con occhi grandi e chiari, per poi prendere tavolozza e colori e dirigersi verso l’enorme telo.
Sente Feliciano tirare la mano, e si percepisce allontanare da lì. Guarda l’altro uomo, che ha un’aria piuttosto cospiratoria.
« E se ti dicessi che possiamo assistere a della vera arte, Ludwig, tu cosa mi diresti? » lui batte un paio di volte le ciglia, confuso, ma si trova ad annuire. Feliciano continua a tenergli la mano e camminano al lato della sala, almeno finché non intravedono Kiku. Feliciano, allora, lo lascia andare. « Rimani qui. » mormora, avvicinandosi poi all’altro uomo. Questi non sembrava minimamente interessato all’evento principale, tanto che gli dava le spalle e fissava distratto oltre la finestra. Una volta che Feliciano gli è vicino sembra reagire alla sua presenza. Questi gli si fa vicino, gli parla all’orecchio, e sorride quando questo annuisce. Feliciano torna da lui, riprendendogli la mano.
« Andiamo. » lui si lascia condurre, ed escono silenziosamente dalla villa. Kiku ha di nuovo la valigetta in mano, e si trova a chiedersi se riguardasse la loro destinazione. Il loro percorso non è particolarmente lungo e si svolge in silenzio. Lui pensa alla mano di Feliciano ancora nella sua, e alla serata che sta trascorrendo. Era consapevole che non avrebbe più avuto occasioni come quella.
Kiku si ferma davanti ad un portone, e finalmente apre la valigetta. Dentro, ordinate, c’erano chiavi scintillanti ed elaborate. Si trova a guardare Feliciano, che gli sorride in risposta, e la porta davanti a loro si apre. Lentamente salgono le scale mentre la grande porta si chiude dietro a loro. Una volta sul piano davanti a loro si staglia una grande finestra e la visione notturna della città. Un panorama unico e sconosciuto ai più.
« Da questa parte. » dice loro Kiku, e loro lo seguono senza proferire parola. Li fa entrare in un lungo corridoio disseminato di quadri e statue. Il primo che vede lo coglie di sorpresa. Lo aveva visto solo una volta dentro il libro di storia dell’arte. Era di una collezione privata, e ora lo aveva davanti. Con calma si avvicina, rimirando la fattura del dipinto.
« É molto bello vero? » si scopre ad annuire, guardandolo. Feliciano appoggia il viso contro la sua spalla, ed entrambi tornano a contemplare l’immagine.
« Come possiamo stare qui? »
« Kiku è amico della nobiltà, qui. La sua efficienza e discrezione lo ha fatto diventare il padrone delle chiavi di tutta Roma. »
« Conosci persone singolari. » Feliciano annuisce, ma rimane appoggiato al suo braccio. Con calma si spostano ad osservare un altro dipinto, più esplicito, ma ugualmente attraente. Feliciano gli parla, racconta quello che sa, e lui aggiunge le proprie conoscenze e riguardo. Lentamente passano da marmo d’arte a tela dipinta, parlando piano, come se fossero in un luogo sacro. Sente Feliciano vicino e nel sentirlo inciampare passa una mano sul suo fianco per sorreggerlo. L’altro sembra apprezzare e fa lo stesso, mentre raggiungono Kiku, che apre loro un’altra porta.
La stanza successiva è molto più grande ed è spoglia. Si guarda confuso, ma poi osserva Kiku indicare in alto e alza gli occhi. L’affresco sul soffitto dipinge il paradiso, e le luci sapientemente posizionate fanno apparire lo scenario come ultraterreno.
« Credo sia in parte opera di Raffaello. » mormora Feliciano. « Sono sicuro che almeno le basi siano le sue. »
« Come fai a dirlo? »
« Le sue figure sono uniche. Le riconoscerei ovunque. » si trova a guardare lo stesso punto che l’altro sta fissando, in cerca di risposte. Feliciano sembrava sinceramente in estasi. La loro visita prosegue in una sala attigua, piena di nuove opere d’arte, e la loro pacata conversazione riprende. Ormai non fa nemmeno caso alla mano di Feliciano, gli sembra quasi che debba rimanere lì nella propria.
« E questo è l’ultimo. » dice Kiku, attirando la loro attenzione.
« Grazie per questo favore. » l’altro uomo esegue un breve inchino, e estende la mano verso l’uscita.
« Dobbiamo andare. » una volta fuori li coglie la brezza notturna, e quando guarda l’orologio si rende  conto che sono le due di notte.
« Abbiamo fatto tardi. » mormora Feliciano, passandosi le mani sulle braccia per scaldarsi.
« Sicuramente la festa di là è ancora in pieno svolgimento. Potete tornare lì. » dice Kiku, camminando davanti a loro.
« Non credo, avranno finalmente messo in circolo qualche sostanza nuova e saranno strafatti. » brontola Feliciano. Ludwig lo osserva tremare leggermente e si toglie la giacca, appoggiandola sulle sue spalle. L’altro lo osserva grato e se la infila meglio. L’effetto è piuttosto buffo vista la differenza tra i loro corpi, ma si sente più tranquillo nel saperlo al caldo.
« Probabilmente hai ragione. Ormai avranno riaccompagnato quel povero ragazzo a casa, non è rimasto niente se non un’élite annoiata. »
Ludwig osserva gli altri due uomini, evidentemente più esperti di lui di quel tipo di società. Lui non era mai stato a contatto con essa, e di certo non ne avrebbe avuto più l’occasione. « Allora vi riaccompagno a casa. » dice quindi Kiku, facendo aprire la porta dall’autista e infilandosi in macchina. Feliciano annuisce, per poi fermarsi.
« Ludwig, tu vuoi rimanere? » lui nega con la testa. La sua serata era stata con Feliciano, e così sarebbe finita.
« No, non ha senso rimanere quando tu vuoi andartene. » non sa se Feliciano sia arrossito sotto la luce dal lampione, ma lo osserva infilarsi in fretta nella macchina, e con più calma lo segue. Il tragitto si svolge nuovamente nel silenzio, ma Feliciano è nuovamente appoggiato sulla sua spalla e lui non ha alcuna voglia di parlare.
La macchina si ferma, e lui si trova a dover scuotere piano l’altro uomo, che si passa una mano sul viso.
« Grazie della serata Kiku. » mormora, e anche lui si trova a ringraziare di riflesso. L’uomo fa un altro inchino, e poi chiude la porta, mentre lui cerca le chiavi di casa. Con calma allunga le mani nella tasca della giacca, ancora addosso a Feliciano, che è girato in direzione della macchina, probabilmente ancora per salutare l’altro.
Con calma apre la porta, per poi prenderlo per mano e portarlo dentro. Feliciano ride debolmente, e nuovamente in silenzio fanno le scale. Era la seconda volta nel giro di poco tempo che rientravano così tardi, e stavolta era contento che non fossero sbronzi.
Una volta sul pianerottolo si ferma, indeciso su cosa dire.
« Grazie per la bella serata. » Feliciano piega la testa di lato, sorridendo.
« Grazie a te per avermi detto di sì. »
« Non ho mai avuto occasione di vedere così tanto. »
« Non ci vuole molto, basta chiedere alla persona giusta. E poi volevo tirarti su il morale. »
« Cosa intendi? »
« Gilbert mi ha raccontato del vostro cane di famiglia. » una parte di lui si stringe, addolorata e imbarazzata per simile rivelazione. « So che non abbiamo questo gran rapporto perché non me ne hai parlato, ma volevo comunque fare qualcosa per te. »
Qualcosa dentro di lui si stringe ancora di più. Con calma si avvicina a Feliciano, e lo stringe a sé. « Grazie. » mormora contro di lui. Feliciano avvolge le mani sui suoi fianchi, lasciandosi andare a quel contatto. Non ha idea di quanto tempo rimangono così, ma quando si stacca si percepisce a farlo controvoglia.
« Avrei preferito me lo dicessi tu. » mormora allora Feliciano, abbassando lo sguardo. « Siamo amici, no? »
La sua domanda era più che legittima, eppure lui sapeva che non era quella la verità. Lui non era amico di Feliciano, lui non voleva essere suo amico.
« No, non lo siamo. » qualcosa negli occhi di Feliciano si spezza, ma lui continua a tenerlo vicino a sé. Gli prende il viso, tentando di tenerlo accanto. « La verità è che io non posso considerarti un amico, Feliciano. » le parole nella sua gola di fanno più pesanti. Sa che sta per cambiare tutto ciò che lo circonda, e non sa come reagirebbe l’altro alle sue parole, e forse sta per fare un grandissimo errore, ma lo deve dire. « Tu mi piaci. »
C’è improvvisamente silenzio. Silenzio da parte di Feliciano, silenzio nella sua mente. « Io non ti ho detto di Axel perché ogni volta che ti vedo qualsiasi cosa passa in secondo piano. Sono giorni che penso solo a noi due che ci siamo quasi- »
Viene interrotto dalle labbra di Feliciano sulle sue. L’altro gli getta le braccia al collo, alzandosi probabilmente sulla punta dei piedi. Lui porta le mani sui suoi fianchi, attirandolo fino a sé. Mentirebbe a se stesso se dicesse di non averci pensato a come sarebbe stato baciarlo.
E baciare Feliciano era diverso. Aveva baciato altra gente, eppure ora aveva tra le mani la prima persona che avesse mai baciato. Non era strano. Lo sentiva perfetto. Percepiva le sue labbra morbide, il suo profumo che nonostante la serata non era svanito, il suo lieve tremare per essere in punta di piedi. Era tutto perfetto.
Lentamente Feliciano si stacca, e lo guarda negli occhi. Anche lui aveva desiderato la stessa cosa, lo comprende.
Lo percepisce avvicinarsi con più calma, e piega il viso di lato, stringendolo a sé e permettendogli di tornare sui suoi piedi. Dal sorriso che sente capisce che Feliciano apprezza il suo gesto. Questa volta il loro contatto è meno improvviso, più dolce e calcolato e gliene è grato. Feliciano gli dà diversi baci sulle labbra, uno dopo l’altro, facendolo arrossire. Gli appare particolarmente contento. Sente una delle sue mani passargli tra i capelli, e lui per replicare gli tocca il viso.
Non sente alcun bisogno di parlargli, i baci che si stanno scambiando parlano già abbastanza.
Non sa dire quanto tempo sia passato da quando hanno iniziato a baciarsi, ma quando finalmente si staccano col fiato corto e le labbra che pizzicano, Ludwig capisce che di tempo speso a baciarsi ne hanno speso abbastanza. Quelle di Feliciano sono arrossate, e lo vede portarsi una mano alla bocca.
« Buonanotte, Ludwig. » mormora, e gli rivolge un breve saluto, per poi vederlo sparire dietro la porta di casa. Rimane lì a fissare il vuoto per un po’, cercando di capire se ciò che aveva vissuto fosse frutto di qualche allucinazione.
No, tutto ciò che aveva provato era reale. Feliciano tra le sue braccia era reale, l’averlo baciato era più che reale. Il solo pensiero del suo sapore in bocca bastava per fargli girare la testa. Prende un lungo respiro, prendendo le chiavi e aprendo la porta, percependosi sorridere. Gilbert non c’era. Probabilmente non lo aveva visto rientrare ed era rimasto a dormire al piano di sopra. Forse era un bene, non aveva alcuna voglia di dare spiegazioni o essere particolarmente descrittivo.
Con calma si sposta verso la camera da letto, iniziando a spogliarsi. Sentiva ancora su di sé le mani di Feliciano, erano una sensazione che non se ne stava andando. Gli piaceva.
Una volta cambiato si rende però conto di come mancasse un pezzo al suo completo. La giacca era rimasta tutto il tempo addosso a Feliciano. Si percepisce arrossire al pensiero dell’altro che portava addosso qualcosa di suo. Un gesto innocente si era trasformato in qualcosa di terribilmente malizioso.
Sospira.
Sarebbe stata una buona scusa per poterlo rivedere l’indomani dopo il lavoro. Era certo che dovevano comunque parlare della loro situazione e chiarire.
Con un leggero sorriso si butta sul letto, affondando il viso dentro il cuscino. Tutto quello lo avrebbe fatto il giorno successivo. Ora, in quel momento, rimaneva su di lui la sensazione delle labbra di Feliciano sulle sue, delle sue braccia sulle spalle, del suo corpo premuto contro il proprio. Ed era felice così.

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Capitolo 9
*** Cena con cerimoniale spagnolo ***



Aveva dormito per poche ore, ma una volta sveglio continuava a sentirsi in piena fibrillazione. A stento credeva di essere davvero riuscito a baciare Feliciano. Forse la sua era stata una mera illusione, ma ogni volta che ci pensava la sua mente riproponeva il tocco delle sue labbra sulle proprie e di come fosse stato piacevole stringerlo tra le braccia.
Certo alla fine era stato Feliciano a baciarlo, ma ogni dettaglio diventava irrilevante ogni volta che tornava a pensarci.
Con fatica Ludwig si alza dal letto, decidendo di essercisi rotolato sopra come un adolescente alla prima cotta un po’ troppo, e si sposta in cucina. In casa c’è silenzio, probabilmente Gilbert stava ancora dormendo nell’appartamento del piano di sopra e sicuramente doveva andare a recuperarlo prima di andare al lavoro.
Con calma Ludwig fa colazione, si veste, ed esce di casa tenendo sempre d’occhio l’orologio. Sulla porta c’è un post-it, che stacca osservando una calligrafia sottile e piuttosto frettolosa.
« Hai lasciato a me la giacca. Vieni a riprenderla quando puoi. » legge ad alta voce. Si era completamente dimenticato della giacca. Controlla velocemente l’orario, decidendo che aveva ancora tempo per recuperare quella e poi salire per recuperare anche il fratello. Con calma si avvicina alla porta dei vicini, e bussa piano. Forse non era una buona idea e Feliciano, dopo la serata trascorsa, stava ancora dormendo.
« Arrivo. » sente dire dall’altro lato della porta, e improvvisamente si rende conto che non sa cosa dire una volta che lo avrebbe avuto di fronte. Non aveva idea di cosa si dicesse ai ragazzi che hai baciato la sera prima e ai quali abiti accanto. « Ludwig, buongiorno. »
Il viso di Feliciano è assonnato, lo vede strofinarsi un occhio.
« Ti ho svegliato? »
« No, affatto. Ti aspettavo. »
« Sono qui per la giacca. » Feliciano lo guarda per un momento, e gli sorride.
« Vado a prenderla. » lui rimane alla porta, congratulandosi con se stesso per essere riuscito a non mettersi in imbarazzo durante quella breve conversazione. Osserva la figura di Feliciano sparire in una stanza attigua, e poi uscire con la sua agognata giacca. « Ecco qui. » gli dice Feliciano, mettendogliela in mano.
Dovrebbe dire qualcosa, ne è consapevole, ma non ha idee. Feliciano sembra però intuire la sua situazione, e si sporge per primo, avvicinandosi al suo viso. Questa volta è lui a toccargli il volto per avvicinarlo a sé, e Feliciano gli si stringe, baciandolo. Questa volta è una sensazione diversa, e Ludwig sente la lingua dell’altro sfiorare le proprie labbra. Lo stringe a sé, portando l’altra mano sul suo fianco, cercando di non far cadere a terra la sua giacca. La sua mano si tende, desiderosa di infilarsi sotto la camicia, ma lui cerca di mantenere il controllo, concentrandosi sul bacio che Feliciano stava approfondendo.
Era caldo e piacevole, e doveva ammettere che ci sapeva fare. Lui non aveva tanta esperienza, ed erano passati anni dall’ultima relazione, quindi farsi guidare dall’altro gli sembrava un’ottima idea. Sente le labbra di Feliciano schioccare, allontanarsi dalle sue.
Questa volta è di nuovo lui a baciarlo, e l’altro sospira soddisfatto contro le sue labbra, unendole in un altro bacio. Non si vorrebbe mai staccare da lì, e qualsiasi altro pensiero passa in secondo piano nella sua mente. Ora è focalizzata totalmente su Feliciano, e non ha alcuna intenzione di cambiare idea.
« Ma che piccioncini! » l’improvvisa voce di Francis lo riporta alla realtà. Con uno scatto si allontana da Feliciano, confuso anche lui da simile interruzione, e si voltano entrambi in direzione delle scale. Sull’ultimo gradino c’era Francis. Non presagiva niente di buono. « È così rincuorante vedere l’amore così presto di mattina. » dice, passandosi una mano sul viso. « Non pensi anche tu, Antonio? »
Ludwig si percepisce impallidire mentre vede l’altro uomo sbucare da dietro le spalle dell’altro. « Se io avessi visto qualcosa, certo. » brontola, portandosi accanto all’altro uomo e lanciandogli un’occhiata. « Ho sbattuto contro la tua schiena. » Francis gli lancia un’occhiataccia divertita, prendendo poi il proprio coinquilino per le spalle e spingendolo verso le altre scale.
« Oh, non fate caso a noi. Se hai bisogno, Ludwig, posso tenermi tuo fratello ancora per un po’. » lui arrossisce, staccandosi quindi da Feliciano, confuso quanto lui.
« Stavo salendo da te per recuperarlo. » dice, cercando di mantenere un tono di serietà. Difficile da fare se pensava al fatto che li avessero beccati due persone che non erano capaci di tenersi una singola informazione solo per sé.
« Ma certo. » cantilena Francis. « Puoi salire con calma, noi ti aspettiamo. »
« È meglio se salgo adesso, devo andare al lavoro. » Francis inarca un sopracciglio, lanciando una veloce occhiata a Feliciano, e poi rotea gli occhi, continuando a spingere Antonio, confuso da simile comportamento.
« Io- »
« É meglio che tu vada. » gli dice Feliciano, sorridendo. Gli appare teso, forse nemmeno a lui faceva piacere l’idea di essere stati visti. Non riusciva a dargli torto.
« Sì, grazie per la giacca. » il sorriso che gli rivolge gli sembra più naturale, e Feliciano si avvicina per un altro bacio, che lui è felice di ricevere, per poi prendere le scale e arrivare alla porta di Francis. Era sinceramente preoccupato dall’eventuale stato del fratello, ma non aveva più molto tempo a disposizione. Doveva portarlo a casa e poi uscire, senza deviazioni. Con calma suona alla porta, e ben presto Francis viene ad aprirgli, con espressione maliziosa.
« Sei stato veloce. » cantilena, ma lui lo ignora, cercando con lo sguardo Gilbert. Questo era seduto sul divano e si stava massaggiando le tempie. Non era un buon segno.
« Gilbert, avanti, devi tornare a casa. »
« West? » borbotta quello, aumentando il ritmo del suo massaggio. « Che ore sono? »
« É l’ora che ti riporto giù. »
Gilbert in post-sbornia era curiosamente più malleabile, e lui ne è particolarmente grato. Infatti il fratello si alza in piedi, obbediente, e saluta un’ultima volta gli altri due uomini. Con calma lo fa scendere le scale, e lo porta in casa. La situazione di Gilbert non gli appare disperata, ma gli allunga comunque dell’acqua con aspirina preparata in precedenza. Gilbert gli sembra grato e beve tutto, buttandosi poi dritto sul divano. Quando lo controlla si accorge che si è già addormentato, quindi gli mette addosso una coperta e chiude la porta di casa, avviandosi al lavoro.
La giornata trascorre tranquilla, e Gilbert poi dà segno di essersi svegliato e di stare bene, e la sua mente allora si rilassa, pensando a quella mattina e a Feliciano. Ciò che era successo gli metteva addosso diversi dubbi. Tante domande si erano affacciate alla sua mente, ma al termine della giornata lavorativa non riesce a trovare risposta a nessuna.
Con fare sconsolato ritorna a casa, e fa stanco le scale, giusto per trovare Lovino davanti alla porta di casa. Non era per niente un buon segno.
« Tu! » esclama l’altro, puntandogli il dito addosso. Si sente confuso, e passa lo sguardo dal viso arrabbiato all’indice puntato nella sua direzione. « Come hai osato? »
« Cosa? »
« Tu, mio fratello non lo devi toccare! Hai capito!! » la sua mente ci impiega un po’ a registrare le imprecazioni di Lovino, ma una volta incanalate non ci mette molto a fare i conti. Fratello. Feliciano. Toccare. Bacio.
Alla fine la notizia era arrivata a lui. Probabilmente non ci aveva impiegato molto, il telefono senza fili che mettevano in piedi Francis e Antonio era in grado di arrivare dall’altro lato della città nel giro di mezza giornata.
« Lovino, ma che cazzo? » Feliciano d’improvviso sbuca fuori dalla porta dell’appartamento, avvicinandosi al fratello.
« Ma che cazzo lo dico io! » strilla l’altro, venendo quindi afferrato dal fratello che cerca di trascinarlo via, nonostante i suoi tentativi di divincolarsi. Feliciano lo guarda negli occhi, sembrandogli sinceramente dispiaciuto.
« Ne parliamo dopo. » gli dice.
« Tu non gli parlerai mai più! » urla Lovino, per poi essere buttato senza grazia dentro l’appartamento, seguito quindi da Feliciano. Giusto in tempo per vedere la scena Gilbert apre la porta, confuso almeno quanto lui. L’altra porta si chiude, e lui percepisce chiaramente degli strilli così acuti che non sembravano provenire da due esseri umani. Gilbert fa un passo in avanti, ma lui lo spinge dentro e chiude la porta dietro di sé.
Le urla si sentono anche dentro il suo appartamento, e probabilmente le sta sentendo tutto il palazzo. Sente un alternarsi di bestemmie, di “sono un cazzo di adulto” e “hai rotto il cazzo Lovino” dalla voce che identifica come quella di Feliciano. Non aveva mai avuto l’occasione di percepirlo così arrabbiato, e non voleva mai incappare nella sua furia in quella maniera. Dal canto suo Gilbert aveva aperto un pacchetto di patatine, e nonostante non ci capisse niente sembrava divertirsi un mondo per la situazione surreale creatasi.
Dopo una ventina di minuti le urla di affievoliscono.
« Non vai a controllare? » gli chiede divertito Gilbert, e lui gli lancia un’occhiata da sopra il giornale che stava leggendo. Come una delle poche volte della sua vita, era sinceramente preoccupato. Un lato di lui voleva andare a bussare, a sapere come stesse Feliciano o se fosse successo qualcosa, ma temeva di venire divorato direttamente sullo zerbino.
Dopo cinque minuti bussano alla sua porta, e lui titubante va ad aprire.
« Hai un minuto? » chiede Feliciano, sorridendo, e lui annuisce, uscendo sul pianerottolo e socchiudendo la porta. « Mi dispiace se hai dovuto assistere a una scena simile. Non si ripeterà. » lui deglutisce, ma si scopre ad annuire.
Feliciano lo fissa per qualche momento. « Mi rendo conto di non aver dato una buona impressione. » sospira, abbassando lo sguardo. era vero, di certo non si aspettava che lui avesse un simile tratto caratteriale.
« Noi due non ci conosciamo molto bene. » gli dice, prendendogli il volto e spingendolo a guardarlo. « Ma ciò non toglie che possiamo conoscerci meglio. » Feliciano abbozza un sorriso e lui si trova a guardare i suoi occhi lucidi.
« Anche se mio fratello è un cagacazzi assurdo? » lui si trova a emettere uno sbuffo per mascherare una risata, ma alla fine lo bacia, trovando finalmente una risposta alle sue domande. Lui e Feliciano avevano una relazione, senza alcun dubbio.

La settimana successiva era stata un’autentica passeggiata. Certo aveva ancora il fratello a cui badare, ma la sua novella relazione mi faceva sentire decisamente più leggero. Feliciano non aveva cambiato molto la loro routine, ma si trovavano comunque a fare spesso le scale insieme. Al primo piano sfuggiva ad entrambi un intenso amoreggiamento, più di una volta.
Anche quel pomeriggio Ludwig riesce a intravedere la figura di Feliciano che lo attende all’entrata, ma sembra essere orientato alla piccola bacheca. Lui attraversa la porta, avvicinandosi quindi e prendendolo per i fianchi. Feliciano emette un verso divertito, e lui lo bacia sulla tempia, improvvisamente disinibito. Non avrebbe mai pensato che la presenza dell’altro potesse renderlo più sciolto.
« Cosa guardi? »
« A quanto pare sabato Antonio ha invitato tutti ad una cena sul terrazzo. » anche lui allora guarda il volantino colorato, che illustrava il citato invito. L’ultima frase invitava a scrivere della propria partecipazione così avrebbe saputo per quanti cucinare.
« Tu ci andrai? »
« L’idea sembra carina. e poi per una sera non dovrò sorbirmi Lovino che critica qualsiasi cosa io cucini, quindi credo proprio che scriverò il mio nome. Hai una penna? » lui gli sorride, prendendola dalla propria ventiquattrore, e lo osserva scrive entrambi i loro nomi sul foglio. Feliciano lo guarda, e lui nota il vasto rossore sulle sue guance.
« Ho fatto qualcosa di sbagliato? » l’altro scuote la testa, e si appoggia sul suo corpo. Sente il suo calore addosso, e continua a tenergli i fianchi. « Andiamo di sopra? » Feliciano annuisce, gli prende la mano, e si avvia alle scale.

Antonio era stato elusivo sulla faccenda. Lui aveva tentato, da solo e anche con Feliciano, di capire se dovesse portare qualcosa o dare il proprio contributo in qualche maniera, ma Antonio li aveva dismessi entrambi, dicendo che sarebbe stato contento anche della loro sola presenza all’evento.
Alla fine, fatto curioso, avevano scelto di partecipare tutti. Persino Arthur.
Probabilmente tutti erano rimasti incuriositi da quello strano invito, oppure era l’idea di avere cibo gratis che alla fine era prevalsa. Lui non ne aveva idea, ma alla fine ci sarebbe andato insieme a Feliciano. All’ultimo aveva anche aggiunto in nome del fratello, e si era dovuto sorbire le battutine di Francis sul come la sua fiamma gli facesse dimenticare persino il suo stesso sangue. Lo aveva ignorato, ma alla fine aveva scoperto che Gilbert sapeva già di tutta la faccenda, rendendo il suo gesto ancora più imbarazzante.
La fatidica sera era arrivata. Gilbert si era avviato prima di lui, adducendo ad un aiuto che aveva assolutamente promesso, e lui l’aveva lasciato andare senza fare domande. Qualsiasi fosse la faccenda che necessitasse del suo aiuto non intendeva metterci il naso.
Feliciano come suo solito bussa alla sua porta. « Ludwig, sei ancora qui? »
Lui si affretta ad aprire, trovando l’altro uomo con diverse bottiglie in mano. Gliene prende qualcosa, gesto che Feliciano apprezza. « Meno male che sei qui, Lovino si è dimenticato di prendere la sua parte e io non ho abbastanza mani. »
« Anche Lovino è già salito? »
« A quanto pare sì, era di un nervoso insopportabile per tutto il pomeriggio. » lui non trova niente da replicare, e prende le chiavi, chiudendo la porta dietro di sé. Feliciano gli è davanti, e sembra dondolare lievemente sotto il peso delle bottiglie. Con calma raggiungono la porta del terrazzo, e lui si affretta ad aprirla, facendo passare l’altro.
Non era stato spesso in quella parte del palazzo, ma la zona sembrava essersi trasformata. Il sole ancora non accennava a tramontare, ma erano state attaccate diverse lanterne che probabilmente sarebbero state accese dopo. Accanto intravedeva dello zampirone, unica arma valida contro le zanzare. C’erano già diverse persone lì, e lui segue Feliciano, appoggiando quindi le bottiglie sul tavolo già apparecchiato.
Mancavano solo gli inquilini del primo piano, e poi sarebbero stati al completo. C’era qualcosa di strano nell’aria ma non ha tempo d chiedersi cosa sia che suo fratello gli si getta addosso.
« West! » esclama. « Finalmente sei qui! »
« Sono venuto puntuale. » replica, mentre Gilbert gli passa una mano lungo le spalle.
« E meno male, altrimenti ti saresti perso la bomba. »
« Cosa? »
Il loro discorso viene interrotto da Laura, che aveva sonoramente aperto la porta, trascinando i suoi due fratelli. Il terzetto era una rara visione tra quelle mura, ma Antonio saluta affettuosamente tutti e tre e li invita tutti a prendere posto. La tavola era piena di cibo e il tramonto rendeva tutto molto suggestivo.
Antonio aveva cucinato un sacco di pietanze spagnole per l’occasione. Non aveva mai avuto occasione di provare qualcosa di suo, e ora che lo faceva ne era pentito. Antonio cucinava parecchio bene.
La serata procede liscia, e nonostante Lovino di tanto in tanto lo guarda male, niente va storto. Lui è seduto tra Gilbert e Feliciano, e di tanto in tanto scambia due parole con entrambi. É solo una volta svuotati i piatti per una terza volta che Antonio si alza in piedi, dal capotavola. Sembra piuttosto serio, nonostante abbia ancora un sorriso sul volto.
« Signori e signore, vorrei la vostra attenzione. » Ludwig lo osserva tenere il calice, la sua mano trema appena. « Devo fare un annuncio importante. »
« Te ne torni in Spagna? » brontola allora Arthur, facendo imbronciare l’altro.
« Non spoilerare! » esclama, piccato. Simile frase cogli di sorpresa l’altro, che batte le ciglia.
« Cos- »
« Ebbene sì, lunedì torno finalmente a casa. » dice Antonio, sorridendo. « Ho voluto fare una bella cena prima di partire, così da lasciare un bel ricordo. » Ludwig dà un’occhiata al fratello, che non sembrava per niente sorpreso. Probabilmente lo sapeva già, o l’aveva intuito. Feliciano, al suo fianco, sembra genuinamente colto alla sprovvista.
« No, ma davvero? » esclama Laura, accanto a lei persino Sebastiaan aveva distolto gli occhi dal suo palmare, stupito.
« Non credevo questo giorno sarebbe mai arrivato. » dice Basch, e persino Erica si trova ad avere un’espressione triste.
« Dovrò suonare qualcosa di adatto al pianoforte. »
« Non serve caro. » dice Elizaveta, fermandolo. Antonio ride divertito, e Ludwig sposta lo sguardo su Francis, che allunga il suo bicchiere per picchiettarlo con quello dell’amico. Ha un’aria insolitamente triste. Non era sorpreso di vederlo in quella maniera.
« Al tuo viaggio. » dice, ottenendo un sorriso entusiasta da parte di Antonio.
« Non ti preoccupare, tornerò ad infestare il tuo appartamento prima o poi. »
« Non ci pensare proprio. » replica Francis, sorridendo divertito. « Finalmente potrò portare della compagnia notturna senza avere paura che tu ti metta a cucinare la paella alle due di notte. »
« Sempre meglio di svegliarsi abbracciato a Gilbert. » punzecchia l’altro, e tutti e tre gli uomini rabbrividiscono, probabilmente preda di chissà quale ricordo del quale non voleva essere partecipe. In tutto questo, Lovino sembrava essere rimasto in silenzio. Sembrava una statua, tanto era immobile. Continuava a fissare Antonio, e lui non si spiegava il motivo.
« É un vero peccato non aver avuto occasione di conoscerci meglio. » dice allora Feliciano, alzandosi in piedi e allungando il proprio bicchiere per brindare ad Antonio. L’altro accetta, e bevono insieme. « Non è vero Lovino? »
« Cosa? » dice l’altro, finalmente reagendo all’ambiente che lo circondava. « Che hai detto? » Feliciano lo fissa per un momento, e si siede.
« Ho detto che è un peccato non essere uscito più spesso con Antonio. »
« Chissà come mai. » replica acido lui, prendendo un sorso dal suo bicchiere. Feliciano gli lancia un’occhiataccia, ma Lovino non sembra reagire ad essa.
« Lovino, lascia che faccia un brindisi anche a te. » dice allora Antonio, alzando il suo calice. Lovino sgrana gli occhi, portandoli sull’altro uomo. « Grazie per la tua compagnia. »
Ludwig batte le ciglia, confuso da un simile sviluppo degli eventi. Non aveva idea che quei due fossero amici.
« Ehi, se lo fai a lui devi fare un brindisi così anche a me! » strepita Gilbert.
« E anche a me che con te ci ho vissuto tutti questi anni. » aggiunge Francis. Antonio ride divertito dalla situazione, ma poi brinda anche con i calici degli amici. Lentamente l’uomo fa il giro del tavolo, brindando con tutti per un motivo o per un altro. Quando gli è di fronte Ludwig si sente in imbarazzo, non trovando un motivo per brindare. Antonio picchietta il proprio bicchiere con il suo, sorridendo cordiale.
« Grazie per il favore. » dice, per poi bere, e passare a Gilbert, che si era attaccato al suo braccio per capire di cosa l’altro stesse parlando. Ludwig osserva la figura di Antonio, confuso. Era così abituato a vederlo che la sua assenza sarebbe stata una cosa strana da vivere. Era come se si fosse conclusa un’epoca di quel palazzo, e Antonio se ne stava portando via un pezzo.
« Basta, io me ne vado. » dice allora Lovino, alzandosi malamente in piedi.
« Ma come? Manca ancora il dolce. »
« Non lo voglio. » ringhia quindi lui, e a grandi passi prende la via della porta nel completo silenzio dei presenti. Persino Antonio rimane senza parole, ma poi questi appoggia il proprio bicchiere sul tavolo.
« Datemi un momento, torno subito. » dice, sparendo anche lui dietro la porta.
« É un po’ strano fare la festa senza il festeggiato. » mormora Laura, abbassandolo sguardo sul suo piatto.
« Se volete festeggiare qualcuno, io sono sempre disponibile. » dice Gilbert, ma lui si rifiuta di tradurre la frase in italiano. Laura, invece, sembrava capire il tedesco e la osserva lanciare un’occhiata divertita in direzione di suo fratello.
Dopo poco vedono Antonio rientrare, ma da solo. Ha un’aria piuttosto insolita, ma una volta che si sente i loro sguardi puntati addosso riprende a sorridere. « Lovino ha un carattere proprio difficile, non vuole ammettere per niente che gli mancherò! »
A quel punto è il turno di Feliciano di alzarsi da tavola. « Se vuoi posso parlarci io, è stato davvero maleducato. »
« No, non c’è alcun bisogno. Ci siamo già detti addio. » replica Antonio, mettendolo a sedere con un gesto della mano. « Ora dovrò dire addio a tutti voi. »
La serata riprende con più calma, ma Ludwig percepisce la lieve tensione che aveva lasciato l’abbandono di Lovino. Avrebbe voluto chiedere a Feliciano se ne sapesse qualcosa, ma non era certo il momento migliore di parlarne. Sospira, prendendo dei churros che Antonio aveva messo sul tavolo come dolce.
La serata si stava concludendo in maniera strana. Certo le lanterne rendevano il terrazzo un luogo particolare, e c’era della musica non troppo alta che alleggeriva l’atmosfera, eppure riusciva ad avvertire l’aria del cambiamento più radicale. E molto era cambiato dall’inizio di quell’estate. L’uomo che si era appoggiato sulla sua spalla era il suo partner, una novella relazione. Gli sembrava che fosse passata un’eternità da quando lo aveva visto per la prima volta.
Ora, invece, Antonio se ne andava e con lui una parte della sua quotidianità. Era una sensazione strana ma alla quale si sarebbe presto abituato.
« É una bella serata. » mormora Feliciano, prendendogli il braccio e sistemandosi meglio sulla sua spalla.
« Vero. »
« Vorrei che non finisse mai. » lo desiderava anche lui, ma non aveva il coraggio di ripeterlo. era il primo a sapere il come niente fosse eterno e duraturo nella vita, ma non se la sentiva di rovinare l’atmosfera, quindi appoggia la propria mano sopra a quella di Feliciano, che sorride contento.
Quelli del primo piano sono i primi a congedarsi, e Antonio saluta con affetto tutti loro. Sembrava essere piuttosto legato con loro, ma non aveva idea di quando fosse successo. I successivi sono Basch e la sorella, e Antonio in segno di buona fede gli stava donando dei dolci.
Quando fu il turno della coppia sposata, Ludwig lo osserva abbracciare entrambi con trasporto, sussurrando qualcosa all’orecchio di Elizaveta e ottenendo in risposta un sonoro scappellotto. I saluti con Arthur sono tesi, ma Antonio riesce a dargli qualche pacca sulla spalla e a congedarlo con un certo affetto.
Rimangono solo lui e Feliciano, insieme a Gilbert.
« Andiamo? » chiede, voltandosi verso il fratello.
« Eh no, deva aiutarmi a portare giù questo tavolo! » esclama Francis, afferrandolo per un orecchio. « Non credere di scapparmi. » Gilbert strilla qualcosa a riguardo di maltrattamento, e viene presto trascinato via dall’altro.
« Non rimanete che voi. » dice allora Antonio, e Feliciano si protende in un lungo abbraccio. « Non ti ingelosire eh! » gli dice, facendo l’occhiolino. Consegna anche a loro dei dolci. « Vi auguro ogni bene. » aggiunge, facendo arrossire entrambi, e insieme prendono le scale. Le scendono in silenzio, tenendosi per mano, e una volta davanti alla porta si baciano. Feliciano sembra contento di un simile saluto, ma poi si stacca da lui, lo saluta e scompare dietro la sua porta. Lui fa lo stesso, rientrando in casa, e si siede sul divano, respirando l’aria della sera.
Qualcosa stava cambiando per sempre.

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Capitolo 10
*** Offerte che non puoi rifiutare ***



Antonio era andato via in pompa magna, e l’aria del palazzo era mutata completamente. Era come se mancasse un pezzo fondamentale della sua quotidianità. Le giornate si erano rallentate, ma non la sua mole di lavoro. Anzi, con l’estate sembrava aumentare a dismisura. A fatica Ludwig riusciva a tornare a casa, combattendo il caldo asfissiante, e una volta a casa passava il tempo prima della cena con Feliciano, che sembrava non volersi allontanare troppo da lui.
La loro relazione stava andando sorprendentemente bene, anche se era appena iniziata. Spendevano tanto tempo a parlare degli interessi in comune e a discutere delle questioni su cui divergevano. Non importava quanto cercasse di argomentare, l’altro continuava a preferire il panettone al pandoro e persino per lui sembrava una preferenza davvero estrema. Poi finalmente Gilbert tornava a casa, dopo essere stato da Francis, e Feliciano abbandonava la sua casa per tornare nella propria.
« Senti, Kiku mi ha chiesto di uscire questo venerdì, e ha detto che non è un problema se vieni anche tu. » la sua mente torna alla serata in cui aveva conosciuto l’uomo giapponese, e a ciò che simile conoscenza aveva portato. Non poteva che essere più che ben disposto ad incontrarlo nuovamente.
« Ti va bene che venga anch’io? » Feliciano sorride, divertito, e annuisce.
« Kiku è un tipo solitario, se ti ha nominato devi avergli fatto un’ottima impressione. » un tale complimento lo fa arrossire, e si scopre a distogliere lo sguardo dal viso di Feliciano, che si acciglia. « Ma tu guarda, stai già pensando ad un altro uomo! » esclama.
« No, non potrei mai! » risponde subito lui, cercando di non arrossire di più. Feliciano gonfia le guance, ma dopo una seconda occhiata riesce a cogliere il divertimento nella sua espressione. L’altro lo abbraccia, stringendolo a sé, e lui ricambia il gesto. Per un po’ rimangono così, e poi Feliciano alza il viso, in cerca di un bacio che lui gli da senza alcun problema. Sente le sue mani muoversi sul suo corpo, e scendere fino al suo fondoschiena. Un simile gesto lo fa arrossire, ma non toglie il contatto con le labbra, lasciando che l’altro faccia rimanere le mani dove stanno.
Dopo un po’ è Feliciano a porre fine al loro bacio, e gli sorride. « Ci sentiamo. » gli dice, lasciandolo lì a fissare il vuoto.

« Ma sei davvero sicuro che va bene che vengo anch’io? » Feliciano rotea gli occhi, stringendogli il braccio e facendogli fare altri scalini. Non aveva un buon presentimento per quella uscita. Certo la sua presenza era legittimata, quasi richiesta, ma non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di fare da incomodo per tutto l’incontro.
« Mamma mia, Ludwig! » esclama l’altro. « Per la millesima volta, sì, gliel’ho anche chiesto e ti ho mandato lo screen con la risposta. » lui sospira, lasciandosi condurre lungo le ultime rampe di scale. « Dai che dobbiamo andare a prendere la metro. »
Questa volta avrebbero dovuto fare affidamento a se stessi. Ludwig si lascia condurre da Feliciano per tutto il percorso, ignorante sul luogo della loro destinazione.
« Se non ti andava di venire potevi dirmelo. » mormora Feliciano, dopo essersi seduto. Lui sospira.
« Mi andava di venire. Mi sento solo un po’ nervoso. »
« È Kiku, non morde. »
« Non è così semplice. » replica lui. « È comunque una persona che conosco poco, e non sono a mio agio in simili situazioni. » Feliciano si ammutolisce, poi appoggia la propria mano sulla sua.
« Ci sono io con te. » gli dice sorridendo, e ciò lo fa sentire un po’ più sereno. « Non sei da solo. »
« Lo so. Grazie. » il resto del tragitto prosegue in maniera più serena, e Feliciano stesso appare più rilassato. Con calma raggiungono il locale designato per l’appuntamento, e trovano Kiku lì davanti. Questi nel vederli esegue un breve inchino, e li invita ad entrare. Feliciano una volta vicino lo abbraccia, ma simile gesto non sembra infastidire l’altro uomo, che lo accetta con pacifica rassegnazione.
« Buon pomeriggio. » dice poi nella sua direzione.
« Anche a lei. » ricambia quindi lui, e tutti e tre proseguono il tragitto verso un tavolino appartato. Era un luogo particolare, nuovamente nel cuore del centro ma nascosto agli occhi dei più. Era un mistero sul come Feliciano conoscesse simili luoghi, o che almeno conoscesse persone che lo conducevano lì. Feliciano ordina un caffè, e lui fa lo stesso, mentre Kiku prende un tè freddo.
« É insolito che sia tu a chiedermi di vederci. » inizia quindi Feliciano, appoggiandosi sul palmo della mano.
« Sono qui per un motivo. » replica l’altro uomo, mettendo quindi sul tavolo una busta sigillata. Feliciano la guarda un attimo, e qualcosa dentro di lui si irrigidisce.
« É lavoro, vero? » Kiku annuisce, allungandogliela.
« Sì. A quanto pare hai attirato l’attenzione all’ultima festa. » simile affermazione non gli fa piacere, ma l’arrivo del cameriere interrompe ogni suo sentimento di rimostranza. Questi appoggia sul tavolo le loro ordinazioni e si defila in fretta. « In realtà ne ho ricevuto diverse, ma conoscendoti ho selezionato quella migliore. »
Feliciano sospira, ma prende comunque la busta e la apre. Dentro c’è un nutrito plico di fogli, ma lui non ha il coraggio di sbirciare per vedere di che cosa si tratta. Guarda invece l’espressione di Feliciano, che passa da rigida e annoiata ad una molto più sorpresa e interessata.
« Questa proposta è seria? »
« Ho chiesto delle conferme, ovviamente, prima di proportela. » vede Feliciano scorrere freneticamente lungo i fogli, guardare in cerca di chissà che cosa, con l’espressione che si faceva sempre più eccitata. Non l’aveva mai visto in quella maniera.
« Davvero, è una cosa fantastica, Ludwig- » nel chiamare il suo nome qualcosa dentro l’altro si ferma, e l’espressione contenta si incrina un po’. Non ne comprende il motivo, ma vede l’altro appoggiare sul tavolo i fogli, con fare più composto rispetto a prima. « Grazie per l’offerta Kiku. Ci devo pensare. »
L’altro uomo alza leggermente un sopracciglio, e sembra confuso, ma non dice niente e prende a sorseggiare il suo tè. « La scelta è la tua, io sono solo un tramite. Posso solo dirti che sono interessati a te abbastanza da attendere una tua risposta. » Feliciano sorride, abbassa lo sguardo.
« Non so come farei senza di te. » dice, sorridendo. « Conosci un sacco di gente importante. » Kiku alza lievemente le spalle, ma ora sta guardando lui. Ludwig non capisce il motivo, ma si percepisce profondamente scrutato e messo sotto esame.
« Non importante abbastanza. » risponde con un debole sorriso, facendo tornare i propri occhi su Feliciano. Da un ultimo sorso al proprio tè, e poi si alza in piedi. « Io devo congedarmi. É stato un piacere passare il tempo in vostra compagnia. Feliciano, quando avrai una risposta contattami, il cliente vuole avere una risposta, positiva o negativa che sia. » l’uomo annuisce, sorridendo.
« Non ti preoccupare, te lo farò sapere. » Kiku si inchina e se ne va, lasciandoli da soli. Feliciano riprende in mano i fogli, rimettendoli nella busta. Ancora non aveva idea di cosa si trattasse. L’altro sembra percepire il suo sguardo, perché prende la busta e la appoggia sul divanetto accanto sé, togliendolo definitivamente dalla sua vista. « Ora che ci penso, siamo rimasti soli, ed è il nostro primo appuntamento. » gli dice, facendolo arrossire per una simile nomea. Appuntamento. Gli sembrava di essere una adolescente, non un uomo adulto, ma nel vedere il viso sorridente di Feliciano non può fare altro se non sorridergli di ricambio.
« Potremmo andare da qualche parte insieme. »
« Sì, è un’ottima idea. A quest’ora le gallerie non dovrebbero essere troppo affollate. » lui annuisce, lasciandosi condurre lungo le antiche vie del centro, godendosi l’atmosfera. Non può tenerlo per mano, ma di tanto in tanto l’altro sfiora casualmente il dorso della sua, o gli si fa improvvisamente vicino, e si sente bene in quella maniera. Sul viso di Feliciano non c’è più nessuna ombra, e sembra quasi che l’episodio di prima non fosse mai avvenuto.
C’era tante cose che ancora non conosceva di Feliciano, ma lentamente gli veniva voglia di venirci sempre più a contatto, piacevole o sgradevole che fosse. Non aveva idea se l’altro volesse lo stesso da lui, e non gliene dava torto. Avevano appena iniziato una relazione, e ci certo arrabattarsi su queste cose non era ancora giunto il momento.

« Io te l’avevo detto che questo film faceva paura. » con vago sconforto Ludwig accende la luce, giusto per vedere il suo ragazzo con fratello annesso nascosti tra i cuscini del divano non può fare altro che sospirare. Certo Gilbert era un gradasso, ma non riusciva mai a reggere oltre dieci minuti di film, ma l’insistenza di Feliciano nel vederlo per poi aggrapparsi a lui urlando destavano in lui più di una perplessità.
« Oh, meno male che ora c’è la luce. » borbotta Gilbert, tornando a sedersi in maniera più composta. Feliciano si passa una mano tra i capelli, tremando ancora un po’.
« Pensavo che lo avrei retto. » commenta, cercando poi qualcosa con lo sguardo. Sembrava aver cercato lui, tanto che una volta avvistato gli sorride. « Come mai a te non fa paura? »
« Sono cose finte. »
« Sì ma sullo schermo sembra tutto così vero! » esclama Gilbert, portandosi nuovamente la mano sulla testa. Lui alza gli occhi al cielo, sedendosi accanto a Feliciano. « É evidente che hai preso da mamma. » borbotta quindi, ricevendo un’occhiata. Feliciano, tra di loro, li guarda entrambi.
« Possiamo guardarci qualcosa di più leggero. » propone, sorridendo.
« Io devo andare in bagno. » dice quindi Gilbert, alzandosi e defilandosi in fretta. Ludwig sente la porta sbattere, e torna a dare la sua attenzione a Feliciano.
« Hai ancora paura? »
« Un po’. » risponde lui, facendosi vicino al suo corpo. Aveva notato che col tempo Feliciano si era fatto molto più fisico nei suoi confronti. La cosa non gli dispiaceva, ma doveva fare i conti con i suoi stessi limiti sul contatto fisico. Desiderava toccarlo, ma c’era sempre una voce nella sua testa che continuava a ripetere sul come conoscesse Feliciano da poco, sul come non era sicuro di volerlo toccare di più, e sul proprio pudore. Con una certa cura gli accarezza la testa, gesto che l’altro sembra apprezzare.
« Questa serata è andata così, ma possiamo sempre rimediare la prossima. »
« No, domani sera credo la passerò a casa con Lovino. » dice improvvisamente Feliciano. Gli sembra un po’ dispiaciuto, ma non comprende la ragione. « Io starei volentieri con te, ma lui è ancora di cattivo umore e vorrei stargli vicino. »
« Lo capisco, non ti devi spiegare a me. » Feliciano gli sorride, e poi si alza dal divano, tenendogli la mano per spingerlo ad alzarsi.
« Gilbert, io torno a casa! » esclama in direzione della porta del bagno. L’altro sbuca fuori da essa quasi subito.
« Ma come? » dice, piccato. « E la nostra serata horror? »
« Credo non dovremmo replicarla, ma possiamo comunque vederci qualcosa una di queste sere. »
« Ci conto! » esclama Gilbert, sparendo quindi di nuovo nell’altra stanza. Ludwig si dirige verso la porta, accompagnando Feliciano, che gli sorride. L’altro indugia un poco sulla soglia, lo guarda, e lui lo stringe a sé all’improvviso. Feliciano emette un verso di sorpresa, ma si lascia stringere e baciare. Non avrebbe scambiato quella sensazione per nulla al mondo.

« Pensi che io sia assillante? » gli chiede all’improvviso Feliciano, giocherellando con il ghiaccio dentro al proprio bicchiere. Lui si trova a stringere lievemente la presa sul proprio, ponderando la domanda. Feliciano gli aveva chiesto di uscire insieme dopo il lavoro, e lui aveva accettato, prendendosi quindi quell’insolito aperitivo. Se avesse risposto alla domanda di certo Feliciano avrebbe voluto una risposta articolata.
« No, non lo sei. »
« Lovino dice di sì. Non riesco a capire che sto facendo di sbagliato. » Feliciano sospira, alzando lo sguardo. « Per una volta che sono io a voler riprendere i rapporti con lui e fare il buon fratello è lui a fare l’isterico asociale. »
« Probabilmente sta avendo un momento no, anche Gilbert ne ha. »
« Il suo momento no dura da due settimane. » brontola Feliciano, passandosi una mano sul viso. « Certo non vincerò il premio del fratello presente e premuroso, ma il suo comportamento nei miei confronti è talmente gratuito… »
« Forse dovresti lasciarlo stare. »
« Per poi sorbirmi le sue frecciate passivo aggressive? » si irrigidisce, non sapendo più cosa dire. Feliciano ribatteva con efficacia a qualsiasi cosa dicesse. L’altro stringe le labbra, apparendo dispiaciuto. « Scusa, non so cosa mi sia preso. »
« Sei nervoso a tua volta, è comprensibile. » Feliciano abbassa il proprio sguardo, ma non aggiunge altro, facendo scendere un silenzio piuttosto pesante tra di loro. Lui non sa cosa dire, e non sa nemmeno da che lato prendere la questione. Il suo telefono vibra, e si trova a leggere il messaggio del fratello che gli annunciava che avrebbe trascorso la cena da Francis. Da quando era partito Antonio, Gilbert sembrava non volersi schiodare dall’appartamento al piano di sopra. Certo sapeva che tutti e tre avevano una chat dal nome delirante e che si sentivano ugualmente spesso, ma era ben conscio che un cellulare era una magra consolazione rispetto alla solida presenza di un amico vicino. Lui stesso aveva sperimentato una forte nostalgia di casa, e ogni volta che tornava dalla Germania la sensazione non lo abbandonava.
« Che dici, torniamo a casa? » lui si trova ad annuire, facendosi portare il conto e convincendo Feliciano a lasciarlo saldare a lui. L’altro si acciglia, ma glielo lascia fare. Non si parlano per tutto il tragitto, e probabilmente ad occhio esterno non sembrano nemmeno viaggiare insieme.
Una volta attraversato la soglia del palazzo Ludwig sente il proprio tempo scorrere inesorabile, e il momento in cui avrebbe dovuto dirgli qualcosa più vicino. Non sapeva cosa.
Una volta sul pianerottolo Feliciano gli sorride, ma è un’espressione un po’ forzata. Aveva fatto un errore.
« Mi dispiace per questa serata. » si scopre a dire lui, cogliendo di sorpresa l’altro. Feliciano apre un poco la bocca, ma non ne esce alcun suono. « Voglio dire, mi dispiace averti messo di pessimo umore. »
L’altro scuote la testa. « No, scusami tu, non dovevo gettarti addosso i miei problemi personali. »
« Avrei comunque dovuto tirarti su il morale ma non ho detto niente. »
« No, davvero, scusami, avrei dovuto- »
« E che due palle che siete, Feliciano! Entra in casa e non mettere in piedi una scenetta drammatica. » dice Lovino, aprendo la porta dell’appartamento. Simile comparsa lo irrigidisce, facendolo quasi scattare in piedi. L’altro uomo rimane alla porta, a braccia incrociate.
« Adesso vengo Lovino, fammi finire qui. » l’altro emette un verso di disappunto, ma rientra in casa, lasciandoli soli. Feliciano appoggia una mano sullo stipite della porta, e fa fatica ad incrociare il suo sguardo.  « Non so cosa dire. » mormora.
« Se non te la senti, non è importante. Salutiamoci qui. » per la prima volta, non si baciano per dirsi arrivederci. Un po’ gli dispiace, ma nemmeno lui ormai era dell’umore per farlo.
Una volta in casa Gilbert lo guarda, confuso. « L’ultima volta che avevi quell’aspetto ti aveva lasciato- »
« Gilbert, non ne voglio parlare. » l’altro fa un’alzata di spalle.
« Se non ne vuoi parlare, almeno possiamo berci sopra. » non è da lui accettare così facilmente una tale proposta, ma con un vago sconforto si trova a prendere due bottiglie dal frigorifero e a bere insieme al fratello fino a tarda sera.

Avevano fatto un’uscita insieme a Kiku.
Ludwig non sapeva dire se fosse un appuntamento organizzato o se Feliciano avesse insistito perché presenziasse come terzo incomodo. Certo la situazione tra di loro era decisamente calma, ma aveva la sensazione che non stesse andando come doveva.
Kiku, comunque, aveva libero accesso a qualsiasi luogo d’arte e una simile opportunità non voleva farsela sfuggire. L’uomo era silenzioso, ma li aveva condotti entrambi attraverso passaggi sconosciuti ai più e tramite porte solitamente non aperte per ammirare capolavori desiderati da persone di tutto il mondo.
Aveva ascoltato Feliciano parlare di un dipinto specifico, e Kiku aveva aggiunto le sue conoscenze a riguardo. Anche lui aveva commentato, più volte, e la loro visita stava lentamente proseguendo.
Alla fine si erano separati. Lui era rimasto affascinato da una scultura ed era rimasto indietro, anche se non aveva alcuna fretta di raggiungere gli altri due. L’arte era un qualcosa che lo toccava fin nel profondo, e non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Quando si sente prendere la mano, però, il suo corpo si irrigidisce, e si trova accanto Feliciano, che gli sorride. Gli era mancato quel genere di contatto.
« Tutto bene? » gli chiede allora, e l’altro uomo annuisce.
« Sì. Ammiravo la migliore opera d’arte che si trova qui. »
« Sì, hai ragione, questa scultura è fatta in manie- »
« Ludwig, stavo parlando di te. » una simile realizzazione lo fa arrossire, e anche Feliciano, che si appoggia alla sua spalla, nascondendogli il volto.
« Beh, grazie, anche se non credo di poter essere paragonato nemmeno a uno dei lavori d’arte che si trovano qui. » Feliciano annuisce piano, ma non replica, e tornano entrambi a guardare ciò che hanno di fronte. Di certo la comunicazione tra di loro non si era mai affievolita, ma finalmente il silenzio aveva smesso di essere pesante.
Con calma tocca la sua mano con la propria, intrecciando le loro dita.
« Siete qui. » mormora allora Kiku, facendosi vicino. Feliciano non abbandona la sua posizione e nemmeno lui tenta di sciogliere il loro contatto. « Pensavo vi foste persi. »
« No, ci siamo trovati. » mormora Feliciano, continuando a rimanere appoggiato a lui.
« State osservando un ottimo lavoro. » dice quindi Kiku, guardando anche lui la scultura davanti a loro. « Avete buon occhio. »
« Ludwig era qui prima di me. » replica lui. « Dovresti complimentarti con lui. »
Ludwig incrocia gli occhi con quelli di Kiku, che sorride debolmente, e lui ricambia. « Vogliamo proseguire? » dice, quindi, più a Feliciano che a se stesso e l’altro annuisce, non lasciando però più andare la sua mano.
Una volta fuori dalla mostra l’aria calda del pomeriggio li investe appieno, e Kiku si offre di portarli in un locale, in attesa del tramonto. Feliciano non si fa pregare, e di conseguenza nemmeno lui. Sistematosi sui tavoli e prese le loro ordinazioni continuano il loro commentario su quella esposizione, fornendo critiche che Kiku si premura di raccogliere.
« Comunque non mi è stata fornita alcuna risposta. » dice quindi l’uomo, guardando Feliciano. Questi non appare troppo sorpreso di quelle parole, ma si stiracchia e prende un sorso del suo aperitivo.
« Ci sto ancora pensando. »
« Solitamente, conoscendo la vostra indole, non avresti atteso un giorno per accettare una simile proposta. »
« Questa volta sì. » replica secco Feliciano.
« Sono consapevole di risultare fastidioso, ma il cliente sta facendo pressioni a me finché la risposta si riveli positiva. » Feliciano sospira, appare scocciato, e lui appoggia una mano sopra la sua. Simile gesto invece di tranquillizzarlo sembra invece irrigidire ulteriormente Feliciano.
« Ho preso l’impegno di fornire una risposta, e non ho mai mancato alla mia parola. » dice Feliciano, sfilando la propria mano da sotto la sua. « Ma devo riflettere seriamente sulla cosa. » simile risposta sembra soddisfare Kiku, che assume una postura leggermente più rilassata.
« Riferirò questo nella speranza di non venire quotidianamente invaso dalla messaggistica. »
« Ti sta dando un tale tormento? »
« Vuole a tutti i costi un restauratore bravo, e a quanto pare tu l’hai convinto. » Feliciano schiocca le labbra, sembra pensare a qualcosa, ma poi il suo sguardo si posa su di lui. « Scusa Ludwig, dovremmo decisamente cambiare argomento, sarà una noia. »
« No, affatto, sono un completo estraneo ma simile argomento mi interessa. » Kiku sorride debolmente.
« Per fortuna non dovete avere a che fare con un simile ambiente, alle lunghe diventa piuttosto stressante. » Ludwig vorrebbe fare ulteriori domande, ma viene fermato da Feliciano.
« Grazie per il pomeriggio e per la visita anticipata alla mostra, Kiku, ma io e Ludwig dobbiamo proprio andare. » l’altro uomo inarca un sopracciglio, per niente convinto da simile uscita, ma sembra voler lasciar andare la faccenda.
« D’accordo, non voglio che la nostra amicizia si deteriori a causa di un cliente troppo insistente. » Feliciano sorride, questa volta con più sollievo, e si salutano. Con calma si mettono ad attendere l’autobus, e l’altro uomo pare chiudersi in un lungo silenzio meditativo.
Lui fa lo stesso. Aveva tante domande sulla questione, ma non riusciva a formularle e nemmeno ad esprimerle. Non riusciva spiegarsi il perché Feliciano sembrasse restio ad accettare una mansione che, a quanto aveva inteso, gli competeva e lo entusiasmava.
Durante il tragitto Feliciano quindi riprende a parlargli, distraendolo dalla questione, e l’atmosfera tra di loro torna come lo era prima. Si sfiorano le mani durante la strada verso casa, e l’altro apre pure galantemente la porta, inchinandosi al suo passaggio. Lui ne ride, lo fa anche Feliciano, e attraversano insieme la soglia del condominio, adesso mano nella mano.
« E comunque io avevo ragione a dire che accostare due quadri di quel genere è una follia. » brontola quindi Feliciano, mentre fanno le scale. « Insomma, non ci sta, per niente. »
« Ti do ragione. » replica lui, ottenendo in risposta un sorriso. Una volta sul pianerottolo Ludwig apre la porta di casa, e Feliciano ci si fionda dentro senza alcun problema. Dentro c’era il silenzio. Gilbert gli aveva scritto che sarebbe uscito, ma non aveva specificato quando sarebbe tornato.
Feliciano quindi aggira il divano, sedendosi sopra e guardandolo, nel tentativo di fargli fare la stessa cosa. Lui, con calma, prima prende dell’acqua fresca dal frigorifero e riempie i due bicchieri, e solo dopo si accompagna all’altro. Feliciano lo prende grato, e si appoggia sul suo fianco. Il momento in cui si erano quasi baciati in quel luogo gli appariva così lontano, e invece era passato solo un mese. Erano cambiate tante cose da allora.
Era certo che sarebbero nuovamente cambiate quando Gilbert sarebbe tornato a casa, ma ora aveva Feliciano con sé, e probabilmente il suo appartamento non sarebbe stato più così silenzioso. Un po’ gliene era grato.
In fondo alla sua mente fluttuava ancora la questione di quel pomeriggio. Feliciano respirava tranquillo al suo fianco, e forse quello era il momento giusto per capirne di più.
« Credo dovresti accettare il lavoro. »
« Cosa? »
« Il lavoro di cui parlava Kiku. Credo dovresti almeno provare. » il corpo di Feliciano si fa improvvisamente rigido, e l’uomo si mette improvvisamente seduto dritto accanto a lui. Con calma volta in viso nella sua direzione, e la sua espressione gli appare nuovamente tesa. Non era affatto un buon segno per lui.
Non sa cosa aggiungere. D’improvviso la sua mente non riesce a trovare qualcosa da dire che spezzi la tensione, e non lo fa nemmeno Feliciano, facendo cadere di nuovo un lungo silenzio che sembrava pesare come un macigno.
Gli occhi di Feliciano si muovevano in brevi scatti, fissi nei suoi, e dal suo sguardo sembrava come se stesse guardando uno sconosciuto che gli ha appena detto qualcosa di sgradevole.

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Capitolo 11
*** Litigio d'appartamento ***



Feliciano non apre bocca, e sembra non voler dire niente.
« So che- »
« No, non lo sai. » il suo tono è gelido, ed è la prima volta che lo percepisce in quella maniera. « Non capisco perché ne stai parlando. »
Nemmeno lui sa il perché. In realtà non ha tutta la situazione chiara davanti a sé, e forse Feliciano ha i suoi motivi per non voler accettare quel lavoro, e lui in effetti non è nessuno per metterci bocca in qualche modo.
« Penso che se Kiku stia insistendo sulla questione, questa sia importante. » Feliciano assottiglia gli occhi, ma non replica. « Certo non so il motivo per cui sei così mal disposto, ma credo che servirebbe almeno una spiegazione. »
L’uomo accanto a lui sospira, gli appare improvvisamente più stanco o almeno più abbattuto.
« Vuoi sapere perché? » il suo tono è piatto, improvvisamente tranquillo. Non sembra nemmeno voler attendere una sua risposta. « Ho davanti probabilmente l’occasione più grande della mia vita. E non dovrei tergiversarci sopra, eppure lo sto facendo. »
« Cosa intendi? »
« Mi hanno offerto la restaurazione degli affreschi di palazzo Borromeo. » lui non capisce, e si trova a guardarlo confuso.
« Dovresti accettare una simile possibilità, non fartela sfuggire. » l’uomo di fronte a lui sembra improvvisamente farsi di cristallo. Feliciano trema, stringe le mani nei pugni e si alza in piedi. I suoi occhi si riempiono di lacrime, anche se cerca di scacciarle con una certa foga. Non capisce perché sia così, non trova una spiegazione.
« É la tua ultima parola? » gli chiede, la voce tremante. Lui non sa cosa dire, non sa quale sia la risposta migliore da dare in una simile situazione.
«Credo che sia la cosa migliore per la tua carriera. » replica, e a quelle parole le lacrime prendono a scorrere sulle guance dell’altro uomo. Si sente improvvisamente in colpa, perché ha causato quelle lacrime anche se non ne conosce la ragione. Si tende verso Feliciano, ma questo indietreggia di un passo, togliendosi dalla sua vicinanza. Ludwig lo osserva asciugarsi le lacrime, e desidera toccarlo, per quanto sa che Feliciano non glielo permetterebbe.
« Quindi ti va bene che io vada a Milano. » qualcosa in lui si ferma.
« Cosa intendi? »
« Il mio lavoro, Ludwig. É a Milano. Dovrei iniziarlo a settembre. » qualcosa in lui vacilla. Rimaneva convinto del fatto che Feliciano doveva accettare l’opportunità, fare un passo avanti nella sua carriera, ma l’improvvisa distanza che si sarebbe creata tra di loro sarebbe stata come una voragine. Non sapeva a quale lato di sé dare ragione, quello razionale o quello innamorato. Si percepisce a boccheggiare, non trovando niente da dire, e Feliciano assottiglia il proprio sguardo, voltandogli le spalle e andandosene.
Lui rimane seduto lì, a fissare il vuoto.
Non aveva idea di quale fosse la cosa più giusta da fare. Non poteva avere entrambe le cose, ma non voleva nemmeno che tutto finisse in quella maniera. Non aveva idea se doveva incoraggiare Feliciano o chiedergli di rimanere. Rimanere, poi.
Certo avevano una relazione, ma non aveva un ego talmente smisurato da chiedere all’altro di lasciar perdere una tale opportunità per lui. No, non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo anche se lo avesse desiderato con tutto se stesso.

« É da un po’ di giorni che non vedo Feliciano. » dice Gilbert durante la cena. Lui lo guarda di traverso, ma non riesce ad ottenere alcun effetto sul fratello. « Avete litigato? » lui rimane silente in cerca delle parole giuste.
« Più o meno. »
« Certo che se litigate già adesso la vedo dura per il futuro. » lui lancia un’altra occhiata al fratello, ma nuovamente niente sembra fare alcun effetto su di lui. « Gli hai almeno chiesto scusa? »
« Non credo di aver detto qualcosa che necessita di scuse. »
« Io non ci credo che la tua relazione sia durata quattro anni. » replica Gilbert. « Bisogna sempre chiedere scusa, sono le basi! »
« Gilbert, tu a livello di relazioni sei peggio di me, non voglio le tue lezioni a riguardo. » l’altro si acciglia, guardandolo.
« Non c’è alcun bisogno di essere così cattivo, West. » lui sospira, tentando di sciogliere la tensione che albergava nel suo corpo.
« Scusami, sono un po’ nervoso. »
« No, ora sono profondamente offeso e l’unico modo per farti perdonare è cedermi la tua fetta di dolce la prossima volta che ne mangiamo uno. » Ludwig sorride, contento che almeno il fratello non l’avesse presa troppo a cuore. « Comunque credo che tu e Feliciano dovreste parlarne, è un peccato che lasciate naufragare una rapporto così. Rimanete almeno amici, così io avrò una possibilità con lui. O con il fratello, mi va bene uguale. » lui gli scocca un’occhiata confusa e divertita insieme, ma Gilbert poi ride per celebrarsi e lascia cadere completamente la cosa.
Di certo avrebbe dovuto parlarne con Feliciano, ma questi sembrava non volerlo vedere. Non gli dava torto, era stato lui stesso a sacrificare il loro eventuale rapporto in favore del lavoro. Aveva tutta la ragione di essere arrabbiato con lui, ma più passavano le ore e più trovava soffocante il silenzio che percepiva dall’altro. Desiderava tornare a parlare con lui, a trascorrere il tempo insieme, a passare le giornate a fare niente come prima. Non sapeva se poteva ancora chiedergli una cosa simile oppure se Feliciano considerasse il loro rapporto come completamente chiuso.
« Non credo vorrà vedermi più. » dice all’improvviso, cogliendo l’attenzione di Gilbert. L’uomo lo guarda, abbassando anche la testa per guardarlo meglio.
« Ora non esagerare West. »
« Sono serio. » Gilbert rimane in silenzio, e anche lui non sa cosa aggiungere.
« Io scherzavo, prima, non ci proverei mai con lui. » Ludwig si percepisce a sorridere in maniera amara. « La situazione è davvero così grave o sei nuovamente tu che ti stai facendo condizionare dalla situazione? »
« Non lo so. » ammette. Gilbert gli appoggia una mano sulla spalla.
« Prima finiamo di cenare e poi ne parliamo. » gli dice, finendo in fretta il proprio piatto e lavando tutto alla velocità della luce. Gilbert sapeva essere un fratello maturo e premuroso, quando ne aveva voglia. Ludwig si fa spingere fino al divano, si fa mettere in mano un cuscino e guarda il fratello sedersi accanto, in attesa.
« Non so da dove iniziare. »
« Partiamo dal fatto che Feliciano è arrabbiato con te, e per me ha pure ragione ad esserlo. » lui inarca un sopracciglio, chiedendosi da quale parte stia Gilbert, ma lascia perdere.
« Ha ricevuto una proposta di lavoro, a Milano, e io gli ho detto che dovrebbe accettarla. »
« Spero tu l’abbia detto prima di sapere dove andasse. »
« Anche. »
« Che cosa significa “anche”, West? » lui fa una pausa, abbassando lo sguardo.
« Che l’ho ripetuto anche una volta saputo il luogo. » Gilbert si batte la fronte con la mano.
« West! » esclama. « Ma cosa ti diceva il cervello! Non bisogna mai, mai, mettere il lavoro davanti alla relazione. Sono le basi. » lui gli lancia un’occhiata confusa.
« Ma è un’ottima esperienza per la sua carriera. »
« Ma fanculo la carriera, West. Voi due avete una relazione da quanto, due settimane? Se hai una reazione significa solo due cose. » Gilbert fa una pausa ad effetto e lui si trova a sporgersi in attesa. « Che sei completamente indifferente al vostro rapporto o sei così fiducioso di esso che pensi possa funzionare anche a distanza. E vi frequentate davvero poco perché la seconda regga, quindi ovviamente lui ha pensato alla prima. »
« Ma non è così. »
« Ah no? Insomma, West, sii realista. Che intenzioni avevi per voi due? » non ha una risposta a tale domanda. Certo Feliciano gli piaceva, e c’era sempre il retrogusto della loro infanzia, ma si conoscevano davvero da così poco da non avere alcuna certezza. Voleva che lui avesse pieno successo e soddisfazione nella sua vita lavorativa, e avrebbe fatto di tutto per aiutarlo in qualche modo, ma che sicurezza aveva nel pensare che un loro rapporto potesse durare, e chiedersi quanto a lungo sarebbe rimasto. Non aveva alcuna risposta da dare alla domanda di Feliciano. Non voleva che se ne andasse lontano ma sapeva che era necessario.
Gilbert lo guarda. « Prima trova una risposta a questa domanda, West. E poi agisci di conseguenza. » lui abbozza un sorriso. « Questo è il massimo dell’aiuto che potrò darti, dato che la settimana prossima torno a casa. »
« Cosa? »
« Non te l’ho detto? »
« Non mi dici mai quando te ne vai, Gilbert. »
« Ora lo sai. » risponde lui, sorridendo alla solita maniera. Non voleva che Gilbert se ne andasse, ma sapeva di non poterlo costringere a rimanere in qualche modo. Sarebbe rimasto nuovamente da solo. « Ma non sentirti triste, perché anche se andrà male il tuo meraviglioso fratello ti farà vivere il miglior oktoberfest dell’ultimo decennio. »
Ludwig si scopre a sorridere, e annuisce.

Alla fine Gilbert era riuscito a convincere la coppia del piano di sopra ad organizzare una serata prima che partisse. Non riusciva a spiegarsi il perché il fratello, nonostante andasse d’accordo con tutt’altra gente, insistesse ad avere la loro compagnia. Le sue beghe con Elizaveta erano al pari di una leggenda, eppure ogni anno Gilbert non rinunciava a farle perdere la pazienza almeno una volta. Quest’anno sperava fosse diverso.
In effetti la donna aveva accettato di organizzare una cena per quattro – “Volevo dire cinque ma i tuoi rapporti sono più tesi dei nervi di quello che sta al piano di sotto West” – e li aveva addirittura invitati in casa propria. Aveva pensato che Gilbert le avesse detto che fosse prossimo alla morte per ricevere un simile trattamento.
Nonostante questo erano arrivati a metà serata relativamente tranquilli e piuttosto sbronzi, sempre lode alla madre di Roderich che mandava loro birra germanica.
« E quindi gli ho detto, suonerò quello che mi pare! » esclama Roderich. Lui non aveva ascoltato la discussione, la sua mente era divagata sul lavoro, ma cercava almeno di fingersi presente.
« Ben detto, io avrei anche lanciato in aria lo spartito per rafforzare il concetto! » esclama Gilbert. Roderich alza il braccio, puntando l’indice nella sua direzione.
« Giusto, la prossima volta farò proprio così. »
« Roderich no. » aggiunge Elizaveta, che si era completamente rilassata sul divano. L’atmosfera era completamente diversa da quando era stato lì con Feliciano. La sua mente tornava sempre all’altro uomo, anche se cercava di non pensarci più del dovuto. C’era un teso silenzio tra di loro, e lui non riusciva a spezzarlo in alcuna maniera. Non si sentiva completamente nel torto, non c’era alcuna malizia o cattiveria nelle sue parole.
« E invece ti dico che questo qui ha delle ottime idee. » aggiunge Roderich. « Inizierò a portarmelo alle prove. »
L’idea di Gilbert nel bel mezzo di un ambiente classico come un concerto era un’immagine paragonabile a quella di un elefante in una cristalleria. Un disastro annunciato.
« Non vedo l’ora! » esclama Gilbert, scattando in piedi e scatenando l’ilarità di Elizaveta.
« Sì, certo, voi due insieme. » aggiunge, tenendosi la pancia mentre cercava di non far traboccare la birra dal proprio bicchiere. « Se proprio devo mandare qualcuno insieme a Roderich probabilmente chiederei a Feliciano. »
Lui si irrigidisce, cercando di non darlo troppo a vedere. « A proposito, Ludwig, come sta? » lui chiude gli occhi, cercando di metabolizzare la domanda. Non ne ha la più pallida idea. Non glielo ha chiesto, e Feliciano sicuramente non glielo avrebbe detto.
« Feliciano sta benissimo! » esclama quindi Gilbert, tornando a sedersi. « Anche se mi ferisce che preferisci lui a me. »
« Chiunque è preferibile a te, Gilbert. » dice la donna.
« Sei cattiva! » esclama l’uomo, portandosi la mano al cuore con fare tragico. Tutti ridono, e Ludwig è grato che l’attenzione sia scivolata via da lui. Non sa nemmeno se può dire di avere ancora una relazione con Feliciano, a questo punto.
La serata termina in maniera calma, e per fortuna l’argomento di Feliciano non viene più ripreso. Ludwig cerca di aiutare Elizaveta a rimettere in ordine, ma lei lo liquida con un gesto, rimandando la cosa al giorno successivo. Gilbert sembra essere meno ubriaco di lui, mentre si percepisce dondolare sulle proprie gambe, confuso dal loro movimento. Sente la donna salutarli entrambi, e una volta fuori dall’appartamento davanti a loro si stagliano le scale. Bere così tanto non gli è sembrata una buona idea.
Gilbert lo precede, mentre lui si siede sugli scalini, massaggiandosi una tempia.
« West? »
« Prendi le chiavi e vai avanti, quando la testa smette di girarmi ti raggiungo. »
« Ok, ti lascio la porta aperta. » la sua mente continua a girare, piena di pensieri e di alcol. Non doveva bere così tanto, ne era consapevole, ma per una volta ne sentiva davvero il bisogno. Non sapeva dire se beveva per pensare a Feliciano o per dimenticarlo, ma era certo che qualsiasi fosse il caso il suo metodo non stava funzionando. Non ha idea di quanto rimanga seduto lì, ma finalmente il cerchio alla testa si allenta, permettendogli di tornare in piedi e a tentare di scendere le scale. Il suo percorso è tortuoso, ma scalino dopo scalino riesce finalmente a portarsi fino al proprio piano.
Una volta messo piede sulla superficie liscia, però, sente dei passi venire nell’altra direzione. Il suo cuore spera si tratti di Francis, o di Antonio che in realtà non se n’era mai andato, in una simile situazione avrebbe persino preferito avere a che fare con un Romolo tornato tra i viventi. Invece si sbagliava, e si trova davanti entrambi i fratelli. Non riesce ad alzare lo sguardo, tiene una mano sul muro per non cadere, ma non riesce ad accennare nemmeno un saluto.
« Se ora sviene io non lo porto dentro. » dice uno, è la voce di Lovino. Lui alza lo sguardo, notando che Gilbert gli ha lasciato la porta aperta. Non sono molti passi, eppure nota anche un paio di scarpe farsi più vicine.
« Ludwig, tutto bene? » era Feliciano, ovviamente era lui. « Sei ubriaco? »
« Un po’. » ammette, sentendo le sue mani sul viso. Feliciano gli prende il volto, costringendolo a guardarlo negli occhi.
« Gilbert dov’è? »
« Dentro. » Feliciano sospira, togliendo le mani, e lui non fa in tempo ad afferrarle per tenerle vicine a sé. Ora che lo ha così vicino, ammette pienamente a se stesso che Feliciano gli manca. Non l’ha visto per diversi giorni e abitava a un passo di distanza, l’idea di saperlo lontano migliaia di kilometri non era per niente sopportabile. Avrebbe dovuto dirglielo, ma la sua bocca sembrava impastata.
« Entra in casa Lovino, cinque minuti e ti raggiungo. » l’altro uomo emette un verso di fastidio, ma non replica e Ludwig sente una porta chiudersi. Feliciano è ancora davanti a lui, lo prende per i fianchi e lo guida gentilmente dentro casa. Lui si lascia condurre improvvisamente docile.
Gilbert era crollato sul divano. Dovrebbe portargli una coperta, ma non riesce ad esprimere la sua intenzione. Sente nuovamente le mani di Feliciano su di sé, si sente spingere gentilmente verso la camera da letto. Si gira febbrilmente in direzione del fratello, ma non riesce a parlare.
« Porterò una coperta a Gilbert, dopo. » dice allora Feliciano, che sembrava aver intuito la sua apprensione. « Ma ora bisogna pensare a te, Ludwig. » si trova a dargli ragione, e si fa sistemare sul letto. Il viso di Feliciano è nella penombra, non riesce a vederlo, ma allunga ugualmente una mano per cercare di toccarlo. Stranamente riesce nel suo intento. La pelle del suo viso è più fresca della propria. La mano di Feliciano è sulla sua.
« Ludwig? »
Vorrebbe dirgli di rimanere. Dirgli che vorrebbe che lui rimanesse, che non se ne andasse, che la loro relazione aveva molto più valore del lavoro, ma ogni suono nella sua gola rimane incastrato, e non riesce ad uscire. Si butta all’indietro, frustrato, e si sente la morbidezza del letto sotto di sé. Il sonno lo afferra subito dopo.

« Sei sicuro di aver preso tutto? »
« Sì, West, l’ho fatto. » lui alza gli occhi al cielo, sicuro che una volta tornato a casa avrebbe trovato qualcosa che apparteneva a Gilbert che avrebbe dovuto mettere in valigia quando sarebbe tornato in ottobre.
Alla fine era arrivato il giorno della partenza di Gilbert. Per quanto ne sapeva aveva speso l’ultima sera da Francis, collegati con Antonio, come ormai erano soliti fare da tre anni. La mattina poi era andato a trovare i due fratelli della porta accanto, e nonostante le reticenze di Lovino nel vederlo lì, era rimasto dentro piuttosto a lungo.
Quando era tornato dentro aveva un’aria piuttosto seria, ma non gli aveva riferito niente di particolare, e insieme avevano preso la via dell’aeroporto. Era un miracolo che, per una volta, Gilbert fosse riuscito a prenotare un volo in un orario che non li avrebbe costretti a dormire sulle panchine di Fiumicino.
« Non dovresti essere così ansioso, abbraccerò i nostri cani anche per conto tuo. » lui si scopre a sorridere, dando una pacca sulla spalla del fratello.
« Ci conto. » Gilbert allora lo abbraccia, stringendolo forte a sé.
« Ho fatto il possibile per te, West. Ora tocca a te. »
« Cosa intendi dire? » il fratello non gli risponde, prendendo invece la via del gate, salutandolo. Lui rimane lì fermo, e solo dopo essersi assicurato che il fratello ha passato i controlli senza alcun intoppo prende la via di casa. Ora che anche Gilbert era partito, il silenzio sarebbe stato molto più pressante.
Con calma riprende la strada di casa, anche se controvoglia. Gli sembra improvvisamente vuota e per niente accogliente. Una volta dentro fa le scale a fatica, come se ai suoi piedi ci fossero macigni. Davanti alla porta rimane immobile per qualche momento, prima di prendere le chiavi. Ogni volta che il fratello ripartiva si sentiva invaso di nostalgia.
« Ludwig? »
Si volta di scatto, trovando Feliciano davanti a sé.
« Ciao. »
« Ciao. » nuovamente il silenzio, non crede di riuscire a sopportarlo a lungo. « Possiamo parlare? » con un cenno lui lo spinge a proseguire, ma Feliciano abbassa lo sguardo. « Preferirei farlo in un luogo più tranquillo. »
Lui annuisce, aprendo quindi la porta di casa ed entrando. Aveva una vaga idea di cosa Feliciano volesse dirgli, e più i secondi passavano più lo temeva. Era deteriorante. Una volta chiusa la porta dietro di sé era come se un macigno si fosse piazzato tra le sue costole. Feliciano non si siede sul divano come fa suo solito, ma rimane accanto alla porta, come se fosse pronto a fuggire alla prima occasione. Lui sente la gola secca, deglutisce a fatica, e rimane in attesa. Non voleva essere lui quello che poneva fine a tutto.
Osserva Feliciano tergiversare, spostare il suo corpo da una gamba all’altra, probabilmente in cerca delle parole più giuste. Non sembrava averne.
« Non voglio prendere il tuo tempo più di quanto io non abbia già fatto. » gli dice, e lui annuisce, guardandolo negli occhi. « Io ho accettato il lavoro a Milano. »
Ogni parola che dice si conficca nella sua mente, ogni lettera è come un ago che gli procura dolore. « Capisco. » in realtà non lo capiva, ma non trovava niente di giusto da dirgli. Non c’era niente che poteva dirgli, ora che la decisione era stata presa. Non poteva fare più niente.
« Mi prenderà probabilmente fino a dicembre. » aggiunge quindi Feliciano. « Non so cosa farò dopo, ma non credo tornerò qui a Roma. »
Avrebbe voluto dirgli di non aggiungere altro, ma voleva comunque che Feliciano gli parlasse di nuovo, anche solo per ferirlo. « In realtà non so nemmeno perché ti sto dicendo questo. Forse ti renderà felice. »
Non lo rendeva felice, nemmeno un po’. Voleva stringerlo a sé e non lasciarlo partire, e il non poterlo fare lo faceva in tanti piccoli pezzi. Feliciano stava disegnando con la sua stessa mano una voragine insormontabile tra di loro, e lui non stava facendo niente per fermarlo.
« Spero… » si ferma, un lungo sospiro esce dai suoi polmoni. « Spero tu riesca ad esserne soddisfatto. »
« Non credo lo sarò. » Feliciano fa una pausa, passandosi una mano sul viso. « Io ero disposto a rinunciare a questa opportunità, ma ti ringrazio per avermi dato una spinta nella giusta direzione. »
« Non devi ringraziare me. » Feliciano emette una lieve risata, con un tono più amaro del solito.
« Perché? Io ero disposto a rinunciare per stare con te. Io volevo stare con te, anche se significava perdere l’occasione di una vita. »
Una simile dichiarazione lo colpisce, lasciandolo senza fiato. « Feliciano, ascolta- »
« No, ti ho già ascoltato Ludwig. » lo ferma l’altro, avvicinandosi. « Avrei preferito che la mia partenza fosse più felice, ma credo dovrò accontentarmi di questo. »
A grandi passi Feliciano sia avvicina, prendendogli il viso e alzandosi in punta di piedi. Il bacio che si scambiano è sinceramente disperato. Lui lo prende per i fianchi, stringendolo a sé nella speranza di non farlo più andare via. Lo sa che non può. Può solo baciare le labbra di Feliciano, in un ultimo bacio disperato, salato e amaro.
Feliciano allora si stacca, lo guarda negli occhi. Sembra essere in attesa di qualcosa, ma lui non sa cosa dire e probabilmente l’altro non sa cosa vuole ricevere. Gli si avvicina di nuovo, tenendogli in viso e appoggiando la propria fronte contro la sua. Ludwig percepisce il suo profumo, accarezza piano la curva dei suoi fianchi, cerca di imprimere nella sua mente ogni dettaglio dell’altro. Non sa se ne avrà ancora l’occasione.
Lentamente Feliciano si stacca, e lui lo lascia andare. Non si dicono più niente, e lui lo osserva aprire la porta e andarsene. Non può fare niente per fermare lui o le proprie lacrime.
Era una relazione da considerare finita.
Ne era consapevole.
Forse un giorno, in futuro, ci avrebbe ripensato e alla sua mente sarebbero riaffiorati i ricordi felici del tempo passato insieme. Lo avrebbe ricordato come un amore estivo, una figura che lentamente sarebbe stata sbiadita e idealizzata. Un giorno non avrebbe avuto desiderio di piangere nel pensarci, nel reprimere il desiderio di correre da Feliciano e gettarsi alle sue ginocchia, chiedendogli di non partire.
Ma lui lo sapeva. Non era nessuno, non poteva di certo pretendere chissà che cosa. Feliciano era una persona libera, da lui e da chiunque altro. Rinchiuderlo in una gabbia, anche se d’amore, non gli avrebbe fatto bene.
Anche se lui lo amava, o forse non aveva mai smesso di amarlo da quel pomeriggio assolato di vent’anni prima. Non lo sapeva, l’unica certezza che aveva era che Feliciano non era più con lui e non ci poteva fare più niente. Le loro strade sembravano essere destinate a essere separate, non importava quanto tentasse di riunirle.
Con una certa stanchezza si passa una mano sul viso, cercando di asciugare le ultime lacrime che solcavano il suo viso. Lui amava Feliciano, ma ormai sembrava essere troppo tardi per dirglielo.

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Capitolo 12
*** Bacio d’addio che somiglia al saluto ***



Non si erano più parlati dopo quel giorno. In realtà Ludwig non aveva nemmeno idea se Feliciano abitasse ancora nella casa accanto oppure fosse già partito. C’era un silenzio assordante anche dall’altro lato del muro, e lui cercava di non pensarci in alcuna maniera, di divagare, aveva persino ripreso a leggere da capo il thriller che aveva iniziato all’inizio di quell’estate, mettendolo quindi da parte perché persino quello lo faceva pensare a Feliciano.
Le sue giornate sembravano improvvisamente vuote, ma non si dava troppa pena. Gli era una sensazione familiare. Doveva solo trovare il modo di riempire il suo tempo in attesa che il suo dolore sparisse.
Il sabato mattina, però, sente suonare alla porta. Con calma va fino ad essa, aprendola e trovando davanti Lovino. Era una visita insolita. L’uomo di fronte a lui aveva le braccia incrociate e l’espressione corrucciata.
« Beh, perché non gli stai correndo dietro? »
« Prego? »
« A Feliciano. » dice, acuendo la sua perplessità. « Perché non stai andando a fermarlo? »
« Continuo a non capire, Lovino. »
« Parte oggi. É già andato alla stazione, ma dovresti essere in grado di raggiungerlo. »
« Io non sapevo nemmeno che partisse oggi. Io e lui ci siamo lasciati. » simile frase pare infastidire ancora di più l’altro uomo, che batte un piede per terra.
« “Lasciati” un par di palle! » esclama. « Feliciano ha aspettato fino all’ultimo che tu venissi a dirgli di non partire! » lui inarca un sopracciglio, confuso.
« Cosa? »
« Non fare il finto tonto. Sono io che me lo sono sorbito quando piangeva di notte, a causa tua ovviamente. »
« Se è così perché dovrei andare- »
« Tu non mi piaci. » lo interrompe Lovino. Vorrebbe replicare di ricambiare il suo sentimento, ma l’altro non vuole lasciargli alcuno spazio per replicare. « Te lo dico così non ti fai strane idee. Ma rendi Feliciano contento. Io non l’ho mai visto felice, lui non è mai stato davvero felice con me. Ma con te è diverso. Non sono un esperto dell’amore, ma lo vedo quanto lui sia innamorato di te. Ed è pure strano se penso che vi conoscete da così poco tempo. »
Si acciglia, continuando a guardare Lovino davanti a sé. « Quindi tu ora vai a prenderlo, gli dici qualche cavolata melensa da film e lo riporti qui. »
« Non posso. Sono io che gli ho detto di partire. »
« Appunto per questo, idiota. Motivo in più per andare a prenderlo. Altrimenti te ne pentirai. » c’era un lieve fuoco dentro di lui che stava crescendo.
« Quando è il suo treno? » chiede, tremando con improvvisa anticipazione.
« É quello delle una e trentadue. Va direttamente a Milano. Non puoi sbagliarti. »
« Grazie Lovino. » l’altro uomo rotea gli occhi, scostandosi dalla porta.
« Basta che non fai tardi. » replica, e sparisce dalla sua vista. Lui si infila le scarpe in fretta, quasi incespicando sui piedi, e si getta fuori dall’appartamento, pensando alla via più veloce per arrivare alla stazione. Probabilmente ad usare i mezzi non avrebbe fatto in tempo, ed è con una certa urgenza che chiama un taxi, attendendolo con parecchia tensione in corpo. Il suo tragitto fino alla stazione dura un’infinità, ma una volta arrivati paga il tassista con una certa urgenza e si getta all’interno, in cerca del tabellone di orari.
Una volta trovato cerca febbrilmente il treno, e il suo sangue si gela. Non c’era nessun treno che corrispondere alla descrizione di Lovino a quell’orario. Cerca di calmarsi, pensando alla conversazione che aveva avuto. Forse ricordava male, eppure no, i suoi ricordi erano ancora più vivi con l’adrenalina in corpo. Forse Lovino si era sbagliato, oppure il treno di Feliciano era già partito e lui era arrivato tardi. Un simile pensiero lo faceva sentire peggio, tanto che controlla nuovamente il tabellone in cerca del treno, sperando di esserselo fatto sfuggire nella foga. Non si era sbagliato, non c’era. Si dà dell’idiota per non aver nemmeno chiesto il numero, e di certo non poteva chiamare Lovino. Si sentiva sconfitto.
Forse c’era ancora la possibilità, magari Feliciano era sui binari. Con una rinnovata speranza prende la strada verso quelli, trovandoli però sbarrati. C’era bisogno del biglietto per potervi accedere. Forse sarebbe riuscito  a passare per un breve momento, o lo spera, spingendosi verso i binari dedicati ai treni dell’alta velocità.
« Biglietto, per favore. » gli dice il controllore all’ingresso.
« No, mi scusi, un mio amico- »
« Ha il biglietto? »
« No. »
« Allora per favore si sposti e non blocchi la fila. » il tono dell’uomo era definitivo. Non l’avrebbe lasciato passare. Con una certa disperazione si tende in direzione delle banchine, nella speranza di avvistare Feliciano. Non lo vedeva. Forse avrebbe dovuto tentare nuovamente di passare, ma l’occhiata del controllore non sembra una delle più concilianti nei suoi confronti.
Non aveva molte opzioni.
Con un certo sconforto Ludwig si toglie dalla fila, allontanandosi dai binari. Aveva perso la sua occasione. Feliciano sarebbe partito, se già così non era, e lui non l’avrebbe visto più. La rottura in quel caso diventava definitiva. Chiamarlo al telefono quando sarebbe tornato a casa per parlarne di certo non avrebbe avuto lo stesso impatto. Con un certo sconforto si appoggia ad una colonna, guardando il passaggio della gente.
Non aveva idea di cosa fare, la sua mente era improvvisamente vuota e stanca. Aveva tentato, e aveva fallito. Era una magra consolazione, si era lasciato sfuggire l’uomo che amava dalle dita. Non lo avrebbe potuto rivedere mai più probabilmente. Feliciano sarebbe rimasto dove stava, avrebbe fatto faville, forse si sarebbe innamorato di un altro uomo e lui lo avrebbe sicuramente saputo da Lovino, o da Elizaveta, o da Feliciano stesso. Sarebbe stato crudele ma era la giusta punizione per lui, lo sapeva.
Sentiva nuovamente il bisogno di piangere, ma non ci riusciva. Il suo orgoglio teneva a freno ogni sua lacrima, anche se moriva dalla voglia di versarne. Era finita, per sempre, e lui non aveva fatto del suo meglio. La sensazione aveva un sapore particolarmente amaro in bocca.
« Ludwig? » si trova a battere più volte le ciglia, cercando di capire se avesse sentito davvero una persona rivolgersi a lui. Con un vago sconforto si gira nella direzione della voce, trovando Feliciano davanti a sé. Batte ancora un paio di volte gli occhi, confuso.
« Che ci fai qui? »
« Questo dovrei chiedertelo io. » risponde l’altro, abbozzando un sorriso. Feliciano era davvero lì, di fronte a lui. Non sembrava un’allucinazione della sua mente.
« Io- » ancora una volta non sapeva cosa dire. Nella vita vera non venivano mai le parole giuste in momenti come quelli. « Tu non sei partito? »
« Il mio treno è tra almeno cinquanta minuti. » dice Feliciano, tornando serio. « Ho preso l’abitudine di venire qui con largo anticipo perché ho già perso il treno più di una volta a causa dei mezzi pubblici. »
« Capisco. » c’era una fioca speranza che si era accesa dentro di lui. « Io ho bisogno di parlarti. »
« Prima andiamo a sederci da qualche parte. » propone Feliciano, maneggiando la sua valigia. « Non mi va di dare spettacolo. » lui si trova ad annuire, e insieme cercano il luogo migliore dove potersi finalmente parlare. Feliciano non gli aveva più rivolto la parola per tutto il tragitto, mentre la sua mente cercava di mettere in piedi un discorso che potesse risultare almeno convincente. Non ci stava riuscendo.
Una volta al tavolino Feliciano si appoggia allo schienale della sedia, incrociandole braccia al corpo. « Perché sei qui, Ludwig? » gli chiede, scrutandolo. Lui guarda in basso, tergiversando.
« Non sono qui per impedirti di partire. » gli dice. « Tutt’altro. »
« D’accordo, mi fa piacere che tu sia venuto a salutarmi allora. »
« Non si tratta di questo. Mi rendo conto di non essere un ottimo oratore, e non è facile trovare le parole giuste per un simile momento. » Feliciano inarca un sopracciglio, ma non lo interrompe. « Mi rendo conto di non essere stato chiaro l’ultima volta che ci siamo parlati. »
« Sei stato chiarissimo. » replica Feliciano. Il suo sguardo era piuttosto rigido, e quasi gelido.
« No, non è vero. » gli dice allora lui, sostenendo il suo sguardo. Feliciano tiene il suo fisso su di lui, ma dopo qualche momento cede e lo sposta di lato.
« Ludwig, se sei venuto qui per ripetere le stesse parole di ieri, ti prego, torna a casa e dimentichiamo questa faccenda. Io ci sono stato davvero male. » simili parole sono come una stilettata nel petto, ma lui cerca di non soffrire troppo il colpo. I suoi sensi di colpa per ciò che aveva fatto provare a Feliciano non si sarebbero affievoliti tanto presto, o forse non se ne sarebbero mai andati se il loro dialogo fosse proseguito in quella maniera. « Mi rendo conto che non ci conosciamo da molto, e siamo stati insieme per così poco che- » Feliciano si blocca, portandosi una mano alla bocca.
« Continua. »
« Noi due stiamo stati insieme. » dice allora a bassa voce, guardandolo negli occhi. C’è un sincero dolore nella sua espressione. Lui muore dal desiderio di poterlo stringere a sé, tentare di togliere ogni sentimento di infelicità dal cuore dell’altro uomo, ma deve attendere che lui dica tutto ciò che pensava. Voleva capire ciò che provava Feliciano nei suoi confronti, e confermare i suoi stessi sentimenti.
« Sì. » dice, anche lui a bassa voce.
« É la mia relazione più breve, nonostante pensassi che sarebbe durata a lungo. Mi hai reso una persona felice, Ludwig. Per poco tempo, vero, ma non credo potrò mai dimenticarlo. » c’era un sapore amaro in ciò che l’altro diceva. « Non sono nemmeno riuscito ad arrivare al momento in cui ti avrei detto che ti amavo. »
Feliciano arrossisce a simile confessione, e probabilmente lui rispecchia appieno la sua espressione.
« Nemmeno io. » gli dice, ottenendo un sorriso un po’ sarcastico.
« Quel treno è stato perso, a quanto pare. » Feliciano sospira, cercando di ritornare al suo discorso. « Credo dovrei ringraziarti per tutto, Ludwig. I sentimenti che provo per te non credo se ne andranno mai, rimarranno sempre in fondo al mio cuore, insieme a quel bacio che mi hai dato quando eravamo bambini. Sì, non ho mai dimenticato nemmeno quello. »
C’era un’altra aria intorno a Feliciano. L’uomo sembrava aver dismesso il suo atteggiamento spensierato e felice, ammantandosi in uno più malinconico e amaro. Non gli dava torto. Era la prima volta che lo vedeva in quella maniera. Probabilmente quella era un’altra cosa che non avrebbe dimenticato di lui.
« Vorrei dire di non avere rimpianti di alcun tipo, ma ne ho. Ne ho così tanti che continuerò a portarmeli dietro per chissà quanto tempo. Conviverò anche con questo dolore. »
Lo percepiva estremamente sofferente, ma anche terribilmente sincero. Aveva di fronte a sé la parte più spontanea e vera dell’uomo che amava, e si tratteneva dal toccarla, per paura che si infrangesse al minimo soffio di vento. Feliciano, davanti a lui, era certo un uomo vivace e spontaneo, ma era anche pieno di dolore, rimpianti e chissà quante altre cose che ancora non aveva avuto occasione di vedere. Certo era una sensazione che lui ricambiava. Nemmeno lui si era aperto appieno all’altro, e arrivato a quel momento un po’ se ne pentiva. Entrambi erano sinceri in ciò che provavano, ma finalmente lui poteva dire che ciò che provava era vero.
« Sei silenzioso. » dice allora Feliciano, guardandolo.
« Ti sto ascoltando. » Feliciano si stringe su se stesso, inarcando leggermente la schiena.
« Finora ho parlato solo io. Vorrei sapere cosa hai da dire tu su questa faccenda. » si trova a deglutire. Nuovamente, non era riuscito a prendere per sé le parole giuste, ma di certo era arrivato il suo momento per essere sincero. Non era facile. Aveva già ferito Feliciano, e ogni parola che diceva poteva ferirlo ancora di più.
« Sono comunque convinto che tu debba accettare una simile esperienza. » l’espressione di Feliciano si incrina, ma lo vede prendere un lungo respiro, e spera che sia in grado di continuare. « Sono sempre cresciuto nell’idea che tutti noi dobbiamo fare esperienze che ci fanno crescere. » Feliciano sospira, abbassando lo sguardo. « Io ci ho pensato tanto alla tua reazione di quanto hai ricevuto il lavoro. Eri entusiasta. »
« Lo ero. »
« Probabilmente lo sei ancora adesso, anche se per colpa mia non lo stai vivendo appieno. » Feliciano allora si acciglia, alzando lo sguardo. « Io sono un disastro nel capire le emozioni degli altri. Ho sempre avuto pochi amici, e poche relazioni, ma ogni volta che ti avevo accanto i suoi sentimenti erano sempre cristallini, anche se io negavo a me stesso la comprensione. » ora è il suo turno di respirare, cercare altre parole per ciò che voleva dire. « Voglio dire che capisco i tuoi sentimenti per questo lavoro. Tu stai facendo ciò che ami, e ora ti sta portando in un altro luogo, lontano da qui. »
« Per questo non mi stai fermando. »
« Non voglio che tu continui a fraintendermi. Io voglio che tu rimanga qui, con me. Io credo di essere davvero innamorato di te, Feliciano. Ma la tua felicità è anche nel tuo lavoro, e io non voglio essere un ostacolo per esso. Non voglio che tu rimanga qui e un giorno ti penta di non essere andato. »
Finalmente le parole che cercava stavano fluendo, più che dalla sua mente, dal suo cuore. Una volta che aveva iniziato a dirle non era più riuscito a fermarle in alcun modo. « Con le mie parole e azioni non voglio dire che valuto il nostro rapporto, e la nostra relazione, come un qualcosa di inferiore, ma di certo voglio mettere la tua felicità sopra i miei desideri. »
Feliciano, davanti a lui, si era portato una mano sulla bocca. Era rosso in viso, e per un attimo teme che sia la rabbia nei suoi confronti. Le lacrime si affacciano sugli angoli degli occhi, ma Feliciano le scaccia. Lo stava facendo piangere un’altra volta. Il suo senso di colpa si acuisce.
« Davvero? » gli chiede, con voce stridula. Lui annuisce, abbassando lo sguardo.
« E so di non essere nessuno per chiederti una cosa simile, ma… » si ferma, guardando l’uomo che aveva davanti a sé. « Una volta che avrai compiuto ciò che devi fare, e raggiunto la tua felicità, ti prego di tornare qui da me. »
Era una richiesta egoista, lo sapeva. Non era davvero nessuno per poter fare una simile richiesta. Feliciano, invece porta una mano avanti, toccando il suo braccio e cercando la sua mano, che lui si lascia stringere. L’uomo davanti a lui non piangeva più, anche se era ancora rosso in viso.
« Grazie, Ludwig. » gli dice, con voce spezzata. Lui si trova a sorridere debolmente. Era sceso nuovamente il silenzio tra di loro, ma finalmente non era colmo di disagio.
Continua a tenere la mano di Feliciano, sorridendogli, cercando di imprimere nella propria mente ogni dettaglio del viso dell’altro uomo. Ora la consapevolezza di non poterlo più vedere ogni giorno era diventata pesante, ma non si sentiva angosciato da essa. In quel momento non temeva per niente l’eventuale distanza che li avrebbe separati per quel periodo di tempo.
« In realtà non credevo saresti venuto davvero. » mormora allora Feliciano, attirando la sua attenzione.
« Che vuoi dire? » gli chiede, cercando il suo sguardo. L’altro sembra arrossire, e sfugge con gli occhi.
« Gilbert è venuto a parlarmi prima di partire. » lui si trova a inarcare un sopracciglio, confuso. « In realtà ero ancora arrabbiato per tutta la situazione tra di noi, ma lui mi ha detto che anche se sei un pezzo di granito a riguardo dei rapporti, saresti ugualmente venuto a cercarmi. »
Si scopre ad arrossire imbarazzato. « E io, preso dall’ansia, sono venuto a cercare prima te. Non è andata proprio bene. » aggiunge quindi Feliciano, sorridendogli. Lui lo osserva, da una lieve stretta alla sua mano.
« Mi dispiace non essere chiaro nelle mie parole. »
« Ludwig, anche questo fa parte del tuo fascino. » replica Feliciano.
« Preferiresti che io non parlassi? » l’altro scoppia in una breve risata.
« Non ho detto questo. » lui si scopre a lanciargli un’occhiata fintamente infastidita, che pare divertire ancora di più l’altro uomo.
« Cercherò di essere più chiaro d’ora in poi. »
« Quindi mi dirai finalmente che mi ami? » si sente arrossire con una certa violenza, e si percepisce andare a fuoco, sempre sotto le risate di Feliciano, sempre terribilmente divertito da quella situazione. La sua mente continua ad andare in escandescenze, facendogli quasi sentire odore di bruciato, come se un rivolo di fumo uscisse davvero dalla sua mente. A quel punto Feliciano pare sinceramente allarmato dalla sua condizione, tanto che si allunga sul tavolo, toccandogli una guancia e chiamandolo più volte. Lui si focalizza sul suo viso, sulla sua bocca che parlava anche se non gli giungeva il suono, e lentamente si calma. « A saperlo prima, non avrei detto una cosa simile. » mormora Feliciano, passandogli una mano tra i capelli.
« É una cosa privata! » sbotta allora lui, ottenendo un’espressione sorpresa da parte dell’altro uomo.
« Anche baciarmi sul pianerottolo di casa lo è, ma con quello non ti sei fatto molti problemi. » la sua mente riprende a vorticare con sempre più furia, ma questa volta Feliciano gli prende il viso tra le mani, fermando qualsiasi suo tentativo di auto-combustione. « D’accordo, va bene, non scherzerò su questi argomenti. » borbotta, mentre lui riprendeva a respirare in maniera più tranquilla. Certo, aveva ammesso a se stesso di amare Feliciano, mai simile concessione fu facile per lui, ma dirlo ad alta voce all’uomo che aveva di fronte improvvisamente sembrava così intimo e speciale da non riuscire a spiccicare parola.
Forse avrebbe dovuto dirglielo, ma qualcosa in gola glielo impediva. No, non aveva alcuna fretta. Avrebbe certamente avuto altre occasioni, migliori di quella, per dirglielo. Non serviva che glielo dicesse in maniera affrettata, nel mezzo di una stazione, senza alcuna atmosfera. Feliciano meritava di meglio, questo lo sapeva.
L’uomo davanti a lui toglie finalmente le mani dal suo viso, e torna a sedersi in maniera più tranquilla. Ha un’aria completamente diversa. Più dolce e affettuosa, più morbida.
Con calma entrambi guardano l’ora, non era nemmeno uscito il binario del treno di Feliciano. Questo sorride, riprendendogli la mano, e anche lui cerca di godersi appieno quel momento.
« Mi mancherai. » dice allora Feliciano. « Ti chiamerò ogni giorno e andrò in paranoia se non mi risponderai per almeno due ore ai miei messaggi. » lui si trova a sorridere, ma vedendo l’espressione seria dell’uomo desiste dal fare una battuta.
« Cercherò di fare del mio meglio. » risponde.
« Avrei preferito un “certo che sarò attaccato sempre al telefono aspettando i tuoi messaggi, Feliciano” ma non riusciresti a mentire nemmeno per farmi contento. » lui arrossisce, imbarazzato. « É un complimento. » gli sussurra quindi l’altro uomo.
« Mi mancherà passare il tempo con te. » gli dice, ottenendo una reazione sorpresa. « La casa sarà molto vuota ora che non ci sei più. »
« Puoi sempre chiedere a Lovino di venire per ravvivare l’ambiente. Pure lui sarà parecchio depresso. »
« Sarà anche arrabbiato a morte con me, dato che mi ha chiesto di riportarti indietro. » Feliciano alza leggermente le spalle, simulando indifferenza.
« Sarà parecchio arrabbiato. Se vuoi un consiglio, procurati dei pomodori da dargli prima che inizi a sbraitarti contro. » lui inarca un sopracciglio, confuso. « É una tecnica brevettata da Antonio, ma posso assicurarti che funziona a meraviglia. »
Lui ha tante domande a riguardo, ma non ne fa nessuna. In quel momento c’erano lui e Feliciano, e lì voleva rimanere. Ormai lo considerava una tale parte della sua quotidianità che non sapeva immaginare come sarebbe stato trascorrere una giornata senza di lui. Certo il pensiero che sarebbe tornato era confortante, ma non sarebbe bastato per levigare la sua sensazione di solitudine.
« Oh, hanno messo il binario. » dice allora Feliciano, guardando in direzione del tabellone. Lui fa lo stesso, percependo il loro tempo arrivare fino alle ultime gocce. Si alzano entrambi, e lui prende la valigia di Feliciano, ottenendo commenti sulla sua galanteria ai quali risponde con un imbarazzato rossore di guance. Con calma si avvicinano al posto di blocco che faceva accedere ai binari. Ludwig sapeva di non poter seguire Feliciano fino a lì, e che quindi quello era il loro ultimo saluto. Vede l’uomo accanto a lui armeggiare con il telefono, probabilmente in cerca del biglietto, e pensa già a ciò che vuole dirgli prima di vederlo partire.
Feliciano sembra trovare ciò che cerca, e finalmente si volta nella sua direzione.
« Credo sia ora di andare. » mormora, e lui annuisce. Feliciano allunga la sua mano verso la valigia, e torna a guardarlo. Per una volta anche lui sembra a corto di parole. Si guardano a lungo, e lui stenta a lasciarlo andare. In preda all’impulso, allora, lo stringe a sé. Feliciano emette un verso di sorpresa, ma ricambia il suo abbraccio. Lui gli bacia i capelli, e poi passa alla fronte. Feliciano sembra apprezzare, e gli sorride. Si danno un veloce bacio sulle labbra, e poi lui da una veloce occhiata per vedere se qualcuno li avesse notati. Non era il caso, tutti erano troppo presi da se stessi per vederli. Feliciano gli bacia la guancia, allora, e lui lo stringe in un ulteriore abbraccio.
Questo dura più a lungo, e Ludwig non vuole lasciarlo, cercando di imprimersi nella mente la forza del suo corpo, l’odore della sua pelle, il suo respiro contro la propria pelle. Non voleva tralasciare alcun dettaglio. Sente la mano di Feliciano nuovamente tra i capelli, e si rilassa al suo tocco.
« Ti prego, non esagerare con il lavoro mentre non ci sono. » mormora Feliciano, e lui annuisce.
« Non innamorarti di qualche quadro mentre sei lontano. » Feliciano sorride, divertito, e gli prende il viso tra le mani, facendosi più vicino.
« Ti amo da quando ho undici anni, Ludwig, non smetterò certo adesso. » simili parole lo fanno arrossire, ma non può fare niente a riguardo, perché Feliciano gli da un altro veloce bacio, e gli rivolge un ultimo saluto, afferrando la propria valigia e sfuggendogli di mano. Quando si volta nella sua direzione per salutarlo ancora, prima di farsi controllare il biglietto, Ludwig nota le sue guance arrossate, e lo saluta un’ultima volta con la mano, guardandolo sparire dietro il muro di plastica e strisce.
Feliciano non era più visibile, ma lui rimane ugualmente a guardare nella direzione in cui era scomparso. Si sentiva triste, ma dentro di sé non lo era più di quanto avesse voluto. Feliciano gli aveva promesso che sarebbe tornato, e lui gli credeva.
Sorride leggermente, e guarda in direzione del tabellone che segnava le partenze. Attende fino a quando il treno di Feliciano non scompare dalla lista, e solo allora decide di tornare a casa. Lo attendeva il silenzio e la solitudine, ma nel suo cuore sapeva che non sarebbe stata definitiva.
Feliciano sarebbe tornato, ne era sicuro. E lui lo avrebbe atteso, per quella volta e molte ancora.





Ed eccoci qui, al termine di questa trimestrale avventura.
Non avevo pianificato questo capitolo il 24, ma ecco a voi questo ultimo regalo di Natale.
Ci ho impiegato un mese per scrivere questa storia, tre a pubblicarla. A conti fatti, credo sia una sorta di pietra miliare del mio percorso e ogni volta che ci penso, provo tanto affetto a riguardo. Spero che la narrazione abbia coinvolto, e che il finale asiatico sia soddisfacente. L'ho volutamente lasciato aperto, cercando di darci un realismo speranzoso sul come andrà il rapporto tra loro due. Le speculazioni al lettore, io vi ho portati fino a qui.
Voglio ringraziare DrFox, AngelDeath e mughetto nella neve per aver recensito questa storia, e mughetto nella neve, __Dreamer97Lady Itasil e Roberta 0401 per averla inserite nelle preferite/seguite.
Dulcis in fundo, è stato un piacere passare di qui.

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