Frammenti di una relazione passata

di BabyLolita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per Sempre ***
Capitolo 2: *** Qui, adesso. ***
Capitolo 3: *** Fermata dell'autobus ***
Capitolo 4: *** Attesa ***
Capitolo 5: *** La -prima volta- migliore ***
Capitolo 6: *** Brutti Sogni ***
Capitolo 7: *** Il Primo Segno ***
Capitolo 8: *** La Nostra Canzone ***
Capitolo 9: *** Presente e passato ***
Capitolo 10: *** Un Dolore Atroce ***
Capitolo 11: *** La Prima Risata Sincera ***
Capitolo 12: *** Parole Mai Dette ***
Capitolo 13: *** Sogno Lucido ***



Capitolo 1
*** Per Sempre ***


La pioggia cadeva incessante. Lo ricordo come fosse ieri, ma non resta che un ricordo lontano. Pioveva, faceva freddo, eppure io sentivo un dolce tepore. Nella città senza tempo, dove le luci ti abbagliano, giro scoperta dei miei timori. Le gocce mi bagnano, i capelli si inzuppano, i vestiti gocciolano. Le lacrime si mescolano con l’acqua.
Ma per cosa sto piangendo? Perché lo sto facendo? Non sento dolore. Il dolore è sparito da tempo, ormai. Che siano lacrime di gioia? Ah. Forse è così. Non lo so, non mi era mai successo prima. Però… è bello. Questa sensazione, questa emozione. L’imprudenza di viaggiare da sola nel buio non mi fa paura. Questa città la conosco. Mi appartiene. Questi luoghi sono ormai casa mia.
Chiudo gli occhi e cammino nel buio della mia mente. Non c’è più nulla di doloroso. Solo luce nel buio.
Ah, si, ora lo ricordo quel calore.

   «Si può sapere cosa stai facendo?! Perché non mi hai aspettato dentro?!»

Ahhh… quella voce.
Ora ricordo. Ricordo dove sono. Ricordo perché sono qui. Ricordo chi sono. Mi volto, ed il ricordo si trasforma in realtà. Ha la faccia corrucciata, preoccupata nel vedermi zuppa d’acqua. Si avvicina a me con passo svelto arrabbiato perché, come al solito, ho fatto di testa mia.

   «Ti ammalerai, razza di incosciente.»

Lo guardo mentre mi avvolge con la sua sciarpa e mi mette addosso il suo cappello che mi va grande. Scivola oltre le mie orecchie. Sorrido. Amo quel cappello. Sollevo lo sguardo, incrociando il suo ancora duro. Gli sorrido, perché so che non è arrabbiato davvero. Non ci diciamo niente. Ma, infondo, fra di noi non è mai servito. Ed eccolo lì, finalmente. Quel sorriso, il suo. Quel sorriso che ho visto mutare nel tempo. Quel sorriso che è cambiato per me. Quel sorriso che ha cambiato me.

   «Sono tornata.»

Lui ride, ed è il suono più bello di sempre.

   «E sei bagnata.» Lo squadro, divertita, e lui mi pizzica il fianco. «E sei incorreggibile.»

Gli faccio la linguaccia e lui si avvicina. Io mi allontano.
Non ancora, penso, anche se il mio corpo grida altro.

   «Che c’è?» mi chiede, allarmato.

Adoro vederlo allarmato, mi fa capire quanto tiene a me.

   «Non lo hai ancora detto.»

   «Cosa?»

   «Mmmm…»

Lo osservo, divertita.
Lui alza gli occhi al cielo, rassegnato.

   «Ti amo, scema.»

Ora sono io a scoppiare a ridere. Tutto torna al suo posto con tre semplici parole. La pioggia perde di importanza. Il tempo smette di girare. Si ferma a guardare noi, nell’attimo perfetto. A quel punto, lo lascio avvicinare. Ogni volta è un’avventura diversa. Ogni gesto, anche se uguale, sembra sempre nuovo.
Che sapore ha la felicità? Non saprei dirlo con certezza. Ma, sapete, non molti hanno il lusso di poter dire di averla scoperta e vissuta davvero.

   «Adesso andiamo, ci aspettano. Ma prima a casa, devi cambiarti.»

Ordini. Sempre a darmi ordini. Ma gli ordini dati con affetto, alla fine, sono ordini che ascolto volentieri. Sono sempre stata un po’ pazza, fuori dalle righe, al di là degli schemi. Mi sono sempre sentita inadatta per questo. Pensavo che nessuno mi avrebbe mai accettata per quella che ero. Tutti, in un modo o nell’altro, avevano sempre cercato di cambiarmi. La rassegnazione era parte di ciò che vivevo quotidianamente. Ma poi, quando si è pronti (dicono), le cose cambiano. Arrivano persone che ti cambiano senza farlo davvero. “Ma sei pazza? Io ti amo proprio perché sei così, non cambiare mai”. Essere accettati per quello che si è il regalo più bello di sempre. Il tempo passa, ma ci osserva curioso. Due casi fuori da ogni logica che si incontrano, dandosi fastidio fin dal principio, finendo poi in quello che si doveva essere.
Che gusto ha la felicità? Che domanda sciocca. Da quando la felicità ha un sapore? Beh, forse ha anche quello, fra le tante cose che può offrire. Ha il sapore di un bacio sotto la pioggia, il calore di una sciarpa calda mentre il corpo congela, i brividi di un sorriso che ti scuotono nel profondo. Che colore dai alla felicità? Il colore del mondo che vedo in quello sguardo. Vi siete mai accorti delle sfaccettature che hanno gli occhi? Di come, un semplice colore, possa racchiudere tutti gli altri? Avete mai visto l’arcobaleno nello sguardo di qualcuno mentre vi osserva? Avete mai guardato il cielo, osservandone la vastità, rendendovi conto che non ve ne fregava nulla perché tutto ciò di cui avevate bisogno lo avevate proprio accanto? Il mondo è magico perché è inaspettato. La magia è ovunque, basta sapere dove guardare. Un gesto, un silenzio, un sorriso. Quante parole gettiamo al vento quando basta un semplice sguardo a dire tutto? Quanto tempo perdiamo nel farci domande, quando basterebbe godersi la magia del presente?
Le lancette corrono sull’orologio, ed io cerco di afferrarle. Mi sembra tutto così rapido, così irreale.
Come sono arrivata qui? Mi merito davvero tutto questo?

 

La macchina è calda, i sedili riscaldati. Mette in moto, e tutto riprende a scorrere. Le luci, le auto, i clacson, il caos. Ho sempre bramato il caos, il caos è casa mia. Le persone gridano, imprecano, impazziscono ed io rido. Rido perché, nella disperazione generale, io riesco a ridere di felicità pura. Non ho bisogno di altro. Il cielo non è più un limite, sono ormai ben più su di lì. Nelle profondità della mia oscurità, sono stata trovata. Nella parte più buia della mia anima, qualcuno è arrivato a fare chiarezza. Le immagini scorrono, ma io sono ferma nella mia bolla. In questa bolla che è stata creata non so quando, ma che mi culla ogni volta, trovo conforto.

Casa è fredda, ma anche qui, non sento freddo. I ricordi riemergono ancora. Diventano elementi preziosi. Fotografo ogni cosa, non sapendo mai quando arriverà la parola “fine”. Il pessimismo mi prende, spesso quando non dovrebbe. La paura mi mangia, spesso quando la felicità arriva a traboccare dal vaso.

   «Posso chiederti perché fotografi sempre tutto?»

   «Perché sono pazza.»

Come esprimere la verità? Come dire che non voglio perdere nulla, sapendo che la mia mente cancella rapidamente?

   «Cambiati pazza, ci aspettano.»

Apro il borsone e tiro fuori un cambio. Jeans neri, maglia con i teschi, anfibi ai piedi. Lego i capelli ormai arricciati e tolgo le lenti mettendo gli occhiali. Lui osserva ogni mio movimento, come se stesse guardando un film. Allora rallento. Mi piace la sensazione di essere osservata da lui.

   «Faremo tardi.»

   «Possono aspettare. Io ho aspettato una settimana, loro possono attendere qualche minuto.»

Lui scoppia a ridere, ancora.

   «Pensi di essere l’unica ad aver aspettato?»

Si alza, avvicinandosi a me. Lo fermo.

   «Beh… tu sei sempre cooooooosì impegnato.»

   «Eppure riesci sempre a venire a rompermi le scatole.»

   «Solo perché so di poterlo fare. E perché tu me lo lasci fare. Se non lo facessi, saresti triste.»

   «Già. Terribilmente triste.»

La sua sincerità mi trapassa. Non mi aspettavo quella risposta. Rimango stordita qualche secondo, e lui ne approfitta.
Ahhh... gli effetti a sorpresa. Mi coglie sempre alla sprovvista, fa parte del pacchetto “stare con uno così”. Come può qualcosa essere così in perfetto equilibrio? Com’è possibile che riesca sempre a fare qualcosa che non mi aspetto?
Domande. Alla fine, mi pongo sempre delle domande.

   «Ti ho preso una cosa.»

Si allontana da me, controvoglia, ed estrae dalla tasca del cappotto una scatoletta.

   «Che c’è? Vuoi chiedermi di sposarti, per caso?»

Il suo sguardo si fa serio. Per un attimo, mi paralizzo. Restiamo fermi ed in silenzio. Il tempo, ancora una volta, si mette in attesa. Le gocce di pioggia battono incessanti sul vetro della finestra. Deglutisco a fatica, in trepidante attesa.
Cosa mi aspetto? Cosa risponderò? Oh, andiamo, nemmeno sai cosa c’è in quella scatoletta. Ma se fosse… a chi importa? Lo sai benissimo che ti andrebbe bene. Sai benissimo che hai già accettato tutto di lui, come lui ha accettato tutto di te.

Apre la scatola. Una collana con un brillante fiocco di neve compare sopra una stoffa di velluto nero. Il cuore si ferma, un po’ deluso ed un po’ emozionato.

   «Per la mia regina dagli occhi di ghiaccio.»

   «Che si è sciolta per te.»

   «Rischi del mestiere. Avresti dovuto saperlo, quando ti sei avvicinata a me.»

   «Come tu avresti dovuto sapere cosa ti sarebbe successo avvicinandoti a me.»

Ci sfidiamo con lo sguardo. Due teste dure che si fanno la guerra ogni giorno, solo per la gioia di far pace subito dopo. Estrae la collana dalla scatola e si avvicina a me. Me l’avvolge al collo. Sento le sue mani calde sfiorarmi, mentre la collanina fredda accarezza il mio collo. Mi avvicino allo specchio e mi osservo, lui compare accanto a me, appoggiandosi con il mento alla mia spalla. Vorrei scattare una foto ma decido che, almeno per questa volta, sono certa che la mia memoria non cancellerà quest’immagine così perfetta. Mi appoggio a lui.

   «È bellissima.»

   «L’ho vista e ti ho pensata. A nessun’altra sarebbe stata così bene come sta a te.»

Il mio cuore perde un battito, di nuovo.

Da quando ho iniziato a sentirmi così? Da quando il mio fiato si taglia? Da quando sento le farfalle nello stomaco? Da quando tremo al solo pensiero della sua presenza?

Lo osservo e per l’ennesima volta mi perdo nei suoi occhi.

   «Hai un mondo dentro.» Gli ripeto per l’ennesima volta.

Quelle parole ci legano da molto prima. Quelle parole, gli hanno fatto capire che io lo capivo.

   «Già, e sei l’unica che riesce a vederlo.»

   «Solo perché me lo permetti.»

   «No. Solo tu ne sei in grado.» Mi afferra la mano, le dita si intrecciano. «Tu mi vedi per quello che sono, e nessun’altra ci era mai riuscita prima. Ti amo per questo, non sai quanto. Sono il tuo guerriero, e ti proteggerò sempre.»

   «Ed io sarò sempre qui per darti forza. Qualunque cosa accada.»

   «Per sempre?»

   «Per sempre.»

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Capitolo 2
*** Qui, adesso. ***


Estate. Un periodo dell’anno che tutti amano. Il caldo, le giornate che si allungano, i momenti passati con gli amici, il mare… chi non ama l’estate? Non è mai stata la mia stagione, in realtà. Sono più una persona da freddo. Ho sempre amato l’inverno. La neve, la punta del naso congelata, la cioccolata calda con la panna… ho sempre amato l’inverno, fino a quando non ho conosciuto te, che mi hai insegnato ad amare anche l’estate. Quando mi hai portata con te alla tua casa al mare non riuscivo a credere a cosa stesse succedendo davvero. Nessuno mi aveva mai portata al mare. Ricordo la mattina prima della partenza. Ti sento alzare dal letto, con passo lento, per non svegliarmi. Ma come faccio a non svegliarmi quando sento l’amore della mia vita allontanarsi da me? Resto comunque in silenzio. So bene che riuscirai a sorprendermi anche questa volta. I minuti passano e, per quanto brevi possano essere, senza di te mi sembrano interminabili.

Dove sei? Cosa stai facendo?

La voglia di alzarmi e venirti a cercare è forte. La tua assenza mi chiama. Poi, finalmente, ti sento. La porta della stanza si apre, la luce entra timidamente illuminando le tenebre. Tengo gli occhi chiusi, voglio che la tua sorpresa riesca. Voglio vedere quel sorriso illuminare il tuo volto. Apri la finestra e tiri su la serranda, e la giornata illumina tutto quanto. Fingo di svegliarmi, mugugnando di disappunto.

   «Amore, svegliati.»

Mi tiro su a fatica, anche se di fatica non ce n’è. Svegliarsi accanto a te non è mai una fatica. Mi siedo e tu mi sorprendi, ancora, come nessuno aveva mai fatto prima. Ti avvicini a me titubante, temendo di aver fatto un gesto fin troppo tenero per quelli che sono i tuoi standard. Mi appoggi sulle gambe un vassoio con sopra la colazione. Un bicchiere di spremuta d’arancia appena fatta, il caffè caldo con un po’ di latte, un croissant all’albicocca, un bicchiere d’acqua e due biscotti. Rimango sbigottita, nessuno aveva mai fatto questo per me. Ti fisso e noto, al di là della tua solita spavalderia, un briciolo di timore. Ti sorrido, anche se vorrei gridare al mondo quanto ti sto amando in questo momento.

   «Grazie, davvero. È meraviglioso.»

Ed eccolo lì, il tuo sorriso spavaldo che nasconde una dolcezza infinita.

Come poteva una vacanza iniziare meglio di così?

 

Finisco la colazione e partiamo. Passano le ore, ed il viaggio si rivela divertente come sempre. Con te, ogni cosa è sempre divertente. Arriviamo al mare e portiamo le valigie in casa. Mi mostri le stanze e, quando mi mostri quella con il letto matrimoniale, mi dici una frase meravigliosa:

   «Sei la prima ragazza che porto qui. Per la prima volta, questa non sarà solo la mia stanza. Ma sarà la nostra.»

Può un cuore esplodere per la stessa persona più volte, a ripetizione, solo per delle frasi? Oh si, con lui succedeva eccome. Sempre.

Ti guardo, con gli occhi lucidi, e sai che sto per frignare dalla gioia come al mio solito. Allora mi abbracci, e tutto si scioglie di nuovo dentro di me.

   «Come quella volta, ricordi?» Lui si discosta, osservandomi. «Quella volta, a casa tua… quando dormii lì per la prima volta. Mi dicesti che ero la prima ragazza alla quale permettevi di dormire lì dopo la tua ex (e chissà quanti anni erano passati da allora).»

Lui mi sorride. Entrambi, in quel momento di tanto tempo prima, avevamo capito che saremo diventati l’uno la persona dell’altra. Ma, quella volta, non era ancora tempo per rendercene conto come ne eravamo coscienti in quella calda giornata estiva.

   «Usciamo, devo presentarti agli altri.»

-Gli altri-. Ovvero i suoi amici del mare. Ero agitata. Il mare, per lui, era il suo territorio di caccia. Ma, quella volta, nessuna caccia valeva più di me. Io valevo più di qualunque altra donna sulla terra. Conoscere i suoi amici è stato straordinario. Per loro ero una specie di miraggio. “Ma che gli hai fatto? Non aveva mai portato nessuna ragazza qui!”. Lì, per l’ennesima volta, mi resi conto di quanto mi amavi. E di quanto io amavo te. Furono i dieci giorni più radiosi di tutta la mia vita. E sai, di quella vacanza rammento una cosa in particolare. Era l’ultima sera. Ero triste, non volevo andarmene. Ma, purtroppo, ogni vacanza ha una fine. Era tardi, mezzanotte passata. Stavamo tornando a casa in bicicletta, ma tu eri un po’ troppo sbronzo e, su quella bicicletta, non sembravi troppo stabile. Ero molto preoccupata, ma tu mi dicevi che non saresti caduto. Ti osservavo cautamente, pronta a gettarmi a terra per prenderti in caso di necessità. Poi mi trafiggesti al cuore, come mai avevi fatto prima.

   «Sei la ragazza perfetta.»

   «E tu sei ubriaco.»

   «No, dico davvero. Sei perfetta. Ti amo da morire. Sposami. Sposiamoci. Qui, adesso.»

Improvvisamente, la mia bicicletta divenne instabile.

   «SEI UBRIACO!! ANDIAMO A CASA, MUOVITI!!!» gridai improvvisamente.

Probabilmente, la mia faccia era più rossa di quella di un pomodoro maturo. Ero così tanto imbarazzata che non sapevo come guardarti, ma te lo posso assicurare, di tutta la felicità che tu, e solo tu, mi hai regalato, quello resta il momento più felice di tutti. Ancora oggi, quando l’estate ritorna, io ripenso a quella sera. Quando del resto del mondo ce ne infischiavamo. Quando il nostro amore era tutto ciò che ci bastava per sopravvivere. Quando io e te eravamo l’unica cosa importante davvero.

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Capitolo 3
*** Fermata dell'autobus ***


Tornare qui è strano.

È strano esserci senza di te. Aspettare l’autobus senza averti salutato sembra non far parte di me. Lo ricordo ancora, sai? Tu che mi accompagni qui. Mi abbracci forte, dicendomi che non vuoi che me ne vada. Mi dici “ti amo” e te lo garantisco. Nessuno mai mi faceva vibrare quanto lo facevi tu quando mi dicevi quelle parole. E poi, di colpo, torno a quella sera. Era freddo, probabilmente novembre. Mi accompagni qui come sempre. Mi abbracci, mi baci di sfuggita e poi ti allontani. Mentre ti guardo allontanare, sussurro quelle parole che non ti ho sentito dire. “Ti amo”. Ricordo la tua schiena diventare più piccola man mano che ti allontani senza voltarti. La mia testa piena di merda, di parole che non riesco a dirti e di paure che mi divorano. Oggi sono di nuovo qui, e della tua schiena non resta che il ricordo. Ma io guardo ancora in quella direzione, e quel “ti amo” lo ripeto ancora sperando che, ovunque tu sia, ti raggiunga. Ti amo ora come allora. Ti amo ora probabilmente più di prima. Ti amo e lo dico al vento, nella speranza che questo mio calore ti raggiunga. Guardo ancora in quella direzione, sperando di vederti voltare anche se, ormai, nemmeno ci sei più.

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Capitolo 4
*** Attesa ***


Il treno è il ritardo. Che aspettarsi, infondo, da questi dannati trabiccoli? Sbuffo, arrabbiata. Ho aspettato così tanto per rivederti, ed ora il fatto di dover rimandare ancora il nostro incontro per degli stupidi ritardi mi irrita alquanto. Il telefono vibra, ed io sorrido. So bene che sei tu. Lo afferro, mi chiedi dove sono. È strano. Infondo, il nostro rapporto ancora non si è definito. Abbiamo iniziato tutto per gioco, doveva rimanere solo un gioco. Entrambi eravamo re e regina di quel gioco. Nessuno dei due si innamorava mai. Eravamo le due marionette perfette per questo pericoloso gioco basato sul sesso. Ormai erano passati diversi mesi. Ma, in quei mesi, questo gioco aveva preso una via che non mi aspettavo. Mentre mi avvicino a te, mi chiedo cosa rappresenti per me. Perché sorrido quando mi scrivi, perché rido quando mi chiami all’improvviso per parlarmi di niente, o perché spesso mi ritrovo persa ad osservare il telefono, sperando di vederlo illuminare con sopra il tuo nome. Già, il tuo nome su quel minuscolo display. Sono sempre stata solita cambiare i nomi delle persone quando i rapporti cambiavano. Quando mi avvicinavo a qualcuno. Un cuore, un nomignolo, una faccina simpatica. Ma tu eri rimasto tu. Nome e cognome. Un’altra anomalia nel mio sistema. Ma, infondo, eri sempre stato un’anomalia. L’anomalia perfetta, quella che credevo sarebbe stata funzionale ed incrollabile per il mio gioco. Per cui non necessitava di un cambio di nome. Un cambio di nome avrebbe significato un cambiamento in me. E, benché in parte lo notassi, non ero pronta ad accettarlo. Io non perdevo mai, perché avrei dovuto perdere proprio ora?

 

Il treno rallenta, finalmente sono arrivata. Ripongo il libro nello zaino e, pressata dalla folla, scendo lentamente fino ad infilarmi in mezzo al flusso delle persone che, di punto in bianco, aumentano il passo affrettandosi. Il mio telefono vibra ancora, questa volta mi stai chiamando.

   «Dove sei?»

   «Sono scesa ora. Mi aspetti al solito parcheggio?»

   «No, sono entrato.»

Oh… davvero? Strano… non lo avevi mai fatto prima.

In quel momento, accadde. Per la prima volta, il mio cuore perse il primo battito.

Davvero? Dai, su, non diciamolo nemmeno per scherzo.

   «Ok, ottimo, dove mi stai aspettando?»

   «Sotto l’orologio.»

   «Arrivo.»

Rimaniamo al telefono mentre mi muovo goffamente fra la gente indaffarata e piena di valigie. Esco dalla stazione e scendo la lunga scalinata. Il freddo mi congela la faccia, ma non mi dispiace. Alzo lo sguardo.

Grandioso. Qui abbiamo due orologi.

   «Senti, ma quale orologio? Ne vedo due.»

   «Ma si, quello sulla sinistra! Vicino a dove ti aspetto di solito.»

Mi volto e lo vedo. Mi dirigo in quella direzione. Cammino, cammino e cammino, ma ancora non ti vedo.

   «Non ti vedo.»

   «Vieni più vicina.»

Sbuffo, ancora. Comincio ad essere seriamente seccata. E poi, ti vedo. Eccoti lì. Non appena mi vedi allontani il telefono dall’orecchio e spalanchi le braccia, come a chiedermi di correre da te. E quella fu un’altra delle tante prime volte con te. Mai, prima di allora, avevo provato il desiderio di correre fra le braccia di qualcuno. Trattenni il desiderio, in primo luogo perché non volevo darti quella soddisfazione. Ma, soprattutto, perché il mio cuore cessò di battere per quello che fu più di un lungo secondo. Ti vidi sorridere. Quel sorriso che mi facevi sempre. Quel sorriso che, quella volta, non era più lui. Quel sorriso che prima era quello del rimorchiatore seriale quale eri, ma che in quel momento era un sorriso sincero. Un sorriso che era mutato proprio davanti ai miei occhi. Il sorriso di chi urlava silenziosamente: “finalmente sei qui”. In quel momento capii. Capii che non serviva nessun treno in ritardo, capii che non serviva nessun cambio di nome sulla rubrica del telefono, capii che non importava la distanza che ci separava. Per tutto quel tempo, ero io che stavo aspettando te. Per tutta la mia vita, non ho fatto altro che vivere nel vuoto affinché tu mi trovassi. Avevo perso al mio stesso gioco. Per l’ennesima prima volta, tu mi facevi scoprire qualcosa di nuovo di me.

Arrivata da te mi stringesti forte, ed io sentii finalmente tutti i pezzi del puzzle della mia anima tornare al loro posto. Dopo tutto quel tempo, ero finalmente a casa.

   «Ti stavo aspettando!»

No. Fidati. Sono io che ho aspettato te per tutto questo tempo.

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Capitolo 5
*** La -prima volta- migliore ***


Ci sediamo al tavolo di quel ristorante al quale ti ho chiesto di portarmi. Non pensavo che mi ci avresti portata davvero. Nessuno ascoltava mai quello che dicevo. Nessuno mi prestava mai davvero attenzione.

Nessuno mi ascoltava come facevi tu.

Nessuno udiva le urla nascoste nel mio silenzio come riuscivi a fare tu.

Mentre ci accomodiamo tu mi osservi. Sono un po’ agitata, al di fuori del mio habitat naturale. Nessuno mi aveva mai portata al ristorante in modo così serio. Nessuno mi aveva mai trattata in quel modo. Un’altra delle nostre prime volte, ricordi? Ma, sai, non è quella la “prima volta” più importante che ricordo di quella serata.

Il cameriere di avvicina e prende l’ordine. Io gioco con il lembo della mia felpa nera. Tu mi scruti, mi chiedi cosa c’è che non va ed io resto in silenzio. Sento i miei sentimenti traboccare, mi spaventano, non voglio parlartene ora.

Come dirti che mi sto innamorando di te?

Cambio argomento, mentendo. Infondo, sono sempre stata un’ottima bugiarda. Ma non con te. Con te, tutte le mie maschere non funzionavano. Tu riuscivi a vedere oltre ogni mia finzione. Oltre ogni mia più grandiosa recitazione.
Allunghi la mano sul tavolo, venendomi incontro. Timidamente, avvicino la mia. Le nostre dita si intrecciano, e lo sento di nuovo. Il fuoco che emerge, le scosse non appena ci sfioriamo, la sensazione che nessun’altra mano completerà mai più lo spazio fra le mie dita perché, ormai, ti appartiene. E poi, eccola qui che arriva, la prima volta più bella di quei primi mesi di frequentazione. La prima volta che mi ha terrorizzato più di tutte.

   «Piccola, io ti amo, questo devi capirlo.»

Ti sembra questo il modo di dirmelo la prima volta?! Così, di punto in bianco, al ristorante?!

Le mie paure emergono.

Come fai ad esprimerlo così facilmente? Perché io non riesco a dirtelo anche se mi sento esplodere per via di questo sentimento?

Abbasso lo sguardo, bofonchio qualcosa che non ricordo e poi parliamo di altro. Le nostre dita ancora sigillate fra loro.

Mi ami? Tu ami… me? Come puoi amare… me?

Le mie insicurezze emergono.

Mi hai detto la cosa più bella del mondo. Mi hai dimostrato che posso amarti liberamente. Hai colto la mia paura senza che te ne parlassi e l’hai colmata dicendomi di amarmi.
Quella sera non sono riuscita a fare altrettanto. Quella sera, e le volte successivi in cui mi dicevi “ti amo”, io non riuscivo a risponderti allo stesso modo. Le mie parole si bloccavano in gola. Benché ti amassi profondamente, non riuscivo a dirtelo. Le mie parole morivano ancora prima di uscire. Quell’amore mi terrorizzava a punto di essere spaventata anche solo all’idea di esprimerlo. E così, all’inizio, i tuoi “ti amo” restavano in sospeso. Ma infondo, lo sapevi, vero? Che anche io ti amavo, ma ero solo troppo spaventata per ammetterlo a me stessa. Hai avuto pazienza con me, davvero tanta. Immagino non sia stato facile dire quelle due meravigliose parole e non udirle in risposta. Ma non hai mai ceduto. Hai continuato a starmi accanto, ad amarmi giorno dopo giorno, fino a quella sera. Quella sera quando eravamo a casa mia, seduti sul letto matrimoniale. Parlavamo, ridevamo e scherzavamo. Eravamo noi, semplicemente noi, come sempre. Poi, iniziammo un discorso serio che non rammento. Ma ricordo cosa accadde dopo. Ricordo che quella serietà mi dimostro che noi eravamo tutto. Risa, pianti, litigi, gesti d’amore, dispetti, fiducia, rispetto, amore. Già. Noi eravamo amore. Ed è stato in quel momento che ho scardinato la porta della mia paura e te l’ho detto.

   «… perché io ti amo, e quindi… »

Non ricordo cosa ci stessimo dicendo prima, o come continuai la frase. Ma ricordo il tuo viso. Non ti guardai subito dritto negli occhi ma vidi che, mentre dicevo quelle parole, il tuo corpo si era come paralizzato. La tua espressione bloccata sulla sorpresa.

Non te lo aspettavi, eh? Nemmeno io credevo che sarei mai riuscita a dirtelo.

Quando finalmente incrociai i tuoi occhi scuri sentii il calore invadermi, di nuovo.

   «Lo hai detto, finalmente.»

   «Beh, non che ce ne fosse bisogno. Infondo è palese che… ti amo.»

Le corde vocali mi bruciavano ancora un po’ mentre lo dicevo. Ma era un dolore che, mano a mano che lo ripetevo, diventava un calore rassicurante.

Si, ti amo. Scusa se ti ho messo tanto. Grazie per aver aspettato. Giuro che, da oggi in poi, non smetterò mai di dirtelo. Giuro che, da ora in poi, non avrò più paura di amarti. Ti amo, e voglio che il mondo intero lo sappia. Non che del mondo mi importi, ma se considero che ora tu sei il mio mondo allora sì, ha importanza che il mondo sappia che ti amo.

Quanto ti amo.

E che lo farò un po’ per sempre.

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Capitolo 6
*** Brutti Sogni ***


Mi sveglio nel cuore della notte. Il mio battito è accelerato, ho fatto un brutto sogno. Mi sento scossa. Non realizzo subito di non essere a casa mia. Mi alzo di scatto, sono spaesata. Poi ti sento accanto a me. Mi ritrovo, immediatamente. Il tuo respiro è calmo, e mi basta sentire quello per rilassarmi. Piano piano il sogno mi torna in mente. Te ne eri andato, lasciandomi da sola. Mi stropiccio gli occhi umidi.

Tranquilla, è qui accanto a te.

Inizio a fare dei respiri profondi, godendomi l’oscurità ed il silenzio scandito dal tuo respiro. La stanza è completamente buia. Fa freddo, ma non troppo. Rimango seduta un po’ ad osservarti nell’oscurità. Mi diverto ad immaginare come sei posizionato. Vorrei toccarti, ma non voglio svegliarti. Dopo un po’ inizi ad agitarti. Ti muovi, sento che mi cerchi goffamente con la mano. Ti allunghi nella mia direzione ed io mi distendo. La tua mano accarezza la mia spalla gentilmente poi, improvvisamente, mi tiri a te. Mi trovo appiccicata al tuo petto. Sei senza maglietta, il tuo calore mi avvolge completamente.

   «Sei sveglio?»

Non mi rispondi e, ormai, ho imparato a riconoscere il tuo respiro mentre dormi. Mi stringi più forte, come se mi stessi sentendo.

   «Non andartene.»

Ti sento dire. Ma so che stai dormendo. La tua presa si fa ancora più forte. A mia volta mi aggrappo a te, ti accarezzo i capelli e, subito, il tuo corpo si distende.

   «Non vado da nessuna parte, te lo prometto.»

Mi riaddormento così, fra mille pensieri ed il desiderio di sentirmi stringere così ogni notte.

Al mattino dopo mi sveglio prima di te. Vado in cucina e ti preparo il pranzo. Improvvisamente, ti sento svegliare e chiamarmi.

   «Sono qui!» ti rispondo prontamente.

Ti catapulti da me e mi fissi. Hai lo sguardo imbronciato.

   «Ti sei alzato dalla parte sbagliata del letto?»

   «No. Ho solo fatto un sogno del cazzo.»

   «Ovvero?»

Ho passato una buona mezzora a chiederti cos’avessi sognato ma tu, dannata testa dura, proprio non volevi dirmelo. Alla fine, però, hai ceduto.

   «Ho sognato che mi tradivi. Mi sono svegliato e non c’eri. Non farlo mai più.»

Ti fisso imbambolata, sorpresa che anche tu avessi fatto un sogno simile al mio, la stessa identica notte. Mi avvicino a te e ti stringo forte.

   «Scemo, ti amo, non potrei mai tradire l’amore della mia vita.»

   «Sarà meglio, o dovrò ammazzare chi si azzarderà anche solo a sfiorarti.»

Le tue braccia mi avvolgono, le tue parole mi cullano. Mi sorprendo ogni volta di quanto tu possa amarmi. Stare con te è davvero una magia continua. Ogni singola cosa, anche la più piccola, diventa spaventosamente grande e meravigliosa con te. Chiudo gli occhi ed assaporo il tuo affetto, saziandomene.

Non preoccuparti. Qualunque cosa accada, sono certa che ti amerò per sempre.

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Capitolo 7
*** Il Primo Segno ***


Apro gli occhi lentamente. Mi sono addormentata, non pensavo che sarei crollata. La stanza è illuminata da una luce molto fioca. Sento la tua voce, stai parlando con il tuo coinquilino. È una discussione parecchio animata, riesco a sentirla chiaramente. Ti stai lamentando con lui del fatto che ti sta sempre fra i piedi. Che dovrebbe lasciarti i tuoi spazi. Non capisco a cosa ti stai riferendo. Non mi sorprendo più di tanto, infondo andiamo a letto assieme da qualche settimana e, questo nostro rapporto, non è che un gioco. Non è affar mio conoscerti davvero. Eppure, quella discussione non riesco a fare a meno di seguirla. Lo stai sgridando in modo serio. D’altra parte, quella resta casa tua. Lui non è che un intruso al quale stai dando ospitalità per qualche tempo. Ascolto le frasi, una per una, ed una mi colpisce particolarmente.

   «Se io voglio passare un po’ di tempo con lei, tu non devi venire ad interromperci. Voglio stare da solo con lei, quindi vattene.»

Restare solo con me? Ma se quello che dovevamo fare lo abbiamo già fatto. Dunque… perché?

Mi sento perplessa, forse anche un po’ spaesata.

Non dovrei sentire questa discussione.

Una parte di me si sente in colpa, sto origliando qualcosa che non dovrei sentire. Eppure, non riesco a farne a meno. Poco dopo, lo sento venire da me. Fingo di dormire. Fingo di non aver sentito nulla, mentre ho ascoltato tutto. Sono agitata, e non so perché. Lui sale sul letto ed io fingo di svegliarmi. Lo chiamo per nome e lui mi affianca, accarezzandomi i capelli e dandomi un bacio sulla fronte.

   «Va tutto bene, torna pure a dormire.»

Oh… strano. Non dovrebbe darmi affetto. Non è previsto nel gioco… Beh, non mi dispiace.

Mi accoccolo fra le sue braccia. Mi piace il suo calore, è confortante.

Non dovrei restare a dormire qui. Sai bene come funziona questo gioco. Conosci le regole. Non dovresti andare oltre.

Lui mi stringe a sé, sento il suo cuore battere e mi sorprendo quando sento che i suoi battiti vanno all’unisono con i miei. Sospiro, il suo profumo è inebriante. Mi piace stare fra le sue braccia. Questo calore è qualcosa di nuovo per me. Non lo avevo mai sentito prima.

Oh, fanculo, cosa vuoi che sia. Infondo, ho già dormito qui altre volte. Non mi cambia niente farlo ancora.

Ci addormentiamo così, l’uno fra le braccia dell’altro, mentre il suo coinquilino lascia la casa.

A pensarci ora, avrei dovuto capirlo in quel momento. Quelle parole che non avrei dovuto sentire erano il primo segnale dell’importanza che mi stavi dando. Dell’importanza della quale, probabilmente, non volevi ancora rendermi partecipe. Ma io l’ho sentito e, ad oggi, mi rendo conto di come quel nostro amore sia iniziato ben prima di quanto credessi. Probabilmente, a modo nostro, ci siamo amati sin da subito. Noi, che all’amore non credevamo più, abbiamo finito per riscoprirlo fra di noi. E sai, di amore io ne avevo vissuto solo uno fino a quel momento. Avevo perso la speranza, la fiducia. Avevo perso ogni cosa, per questo mi limitavo a giocare. Non per ferire, ma perché di amore non riuscivo più a provarne. Fino a quando sei arrivato tu. Il mio gioco perfetto. Ciò che sarebbe dovuto durare senza crollare. Ed invece è evoluto. È diventato amore. Vero. Puro. Profondo. Tu volevi passare del tempo da solo con me. Con me. Ed io non riuscivo a crederci. Perché, ormai, non credevo più a nulla. Eppure, te lo avevo sentito dire. In quelle parole silenziose che non avrei dovuto udire c’era già qualcosa che, timidamente, iniziava a sbocciare.

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Capitolo 8
*** La Nostra Canzone ***


Il traffico scorre rapido, così come i miei pensieri. Persa nella mia mente osservo i colori della città che tutto illumina. Stiamo parlando, in auto, mentre i mesi trascorrono.

   «Cosa ne pensi delle canzoni di coppia?» ti chiedo poi, improvvisamente.

   «In che senso?»

   «Ma si, hai presente quando ti dedicano una canzone? Tipo: -ho sentito questa canzone ed ho pensato a te. A noi-.»

   «Mmmm… vorresti che avessimo una nostra canzone?»

Il mio cuore si ferma, ancora.

Oddio. Si, in effetti è questo che volevo. Ma…

Mi chiedo come fai a comprendermi così profondamente. A non aver bisogno di lasciarmi parlare per riuscire a leggermi dentro. A colmare ogni mio desiderio e paura.
Abbasso lo sguardo, arrossendo. Ricomincio a giocare con il lembo della giacca che mi hai regalato. Quella giacca che mi hai preso perché simile alla tua, così sembravamo uguali davanti agli altri. Una coppia in tutto e per tutto.

Tu sorridi, e non ho bisogno di guardarti per sapere che mi stai facendo uno dei tuoi sorrisi più dolci. Lo sento arrivare quel calore. Ormai, non serve nemmeno più guardarci. Abbiamo imparato a viverci senza osservarci. Alzi il volume della radio. In quel momento, risuona la voce di Marco Mengoni.

   «Mi piace questa canzone.»

L’ascolto attentamente, non avevo mai ascoltato davvero i suoi testi. La canzone è chiara, limpida e pulita. Mi scalda il cuore.

   «Sì, è bella.»

   «Allora sarà la nostra.»

Scoppio a ridere.

   «Non puoi scegliere una canzone così a caso!»

   «Certo che posso. Io posso tutto!»

Ti atteggi, come al tuo solito, ed io rido ancora più di gusto.

   «Ok, ok… quindi, da adesso, abbiamo una canzone tutta nostra?»

   «Esattamente.»

 

Riapro gli occhi. Sono nella nostra camera da letto. O, per lo meno, quella che era la nostra stanza. Ho gli occhi doloranti, le guance umide. Sto stringendo il pupazzo che mi hai vinto quando siamo andati a Gardaland. Nel silenzio della tua assenza, nelle mie orecchie, risuona ancora la nostra melodia.

“Io sono un guerriero
Veglio quando è notte
Ti difenderò da incubi e tristezze
Ti riparerò da inganni e maldicenze
E ti abbraccerò per darti forza sempre.

Ti darò certezze contro le paure
Per vedere il mondo oltre quelle alture
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
Con il mantello asciugherò il tuo pianto

E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai”

Sono passati almeno 4 mesi da quando hai smesso di guardarmi. È passato quello che mi sembra un secolo. Alzo il volume dell’iPod. La nostra canzone mi distrugge i timpani e l’anima.

È tutto ciò che di te mi rimane.

Osservo il pupazzo, le lacrime riprendono a scorrere. Lo stringo forte, affondando nel mio stesso dolore.

Dove sei? Perché non sei più accanto a me?

Mi manchi.

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Capitolo 9
*** Presente e passato ***


Ti osservo mentre parli con i miei amici. È la prima volta che ti permetto di entrare nel mio mondo, nella mia compagnia. Sei qui con noi, nel nostro “covo”. È tremendamente imbarazzante vederti qui. Tutti sanno che c’è qualcosa fra noi, e mi sento a disagio. Ciò che mi imbarazza davvero, però, è che ti sei seduto proprio accanto a quello che, per 13 lunghi anni, è stato il mio primo amore. La persona dalla quale stai cercando di strapparmi. Ci vediamo da poco, saranno poco più di due mesi. Abbiamo iniziato a vederci per gioco, eppure ora qualcosa è cambiato. Ma non sono ancora pronta a chiedermi “che cosa”.

Ti osservo parlare con loro, ti atteggi in modo simpatico. Stai piacendo a tutti, ma sapevo che sarebbe stato così. Eppure, sono preoccupata. Agitata. A disagio. Osservo te ed osservo lui. Il mio passato ed il mio presente.

Aspetta, posso reputarti il mio presente? Stiamo solo giocando. Si, però per giocare con te ho smesso di vedermi con lui. E lui lo sa. Sa che mi sono allontanata da lui per te.

Vi osservo mentre interagite, l’uno consapevole del ruolo dell’altro nella mia vita. Sembrate a vostro agio, ma non riesco davvero a capire cosa vi passa per la testa. Ad un certo punto, mi sembra di vedere una sorta di guerra partire. Una guerra che tu sembri ostinato a voler vincere, anche se non so perché. La serata trascorre piacevolmente fra una battuta e l’altra. Ad un certo punto mi sento sopraffatta. Il sonno mi assale. Questa situazione è troppo pesante per me. Tu lo noti e, senza che ti dica nulla, sei tu a chiedermi di tornare a casa. Già, casa. Quella dove “conviviamo” quando vieni a trovarmi. Quella casa non aveva mai avuto quello scopo ma, da quando sei comparso nella mia vita, molte cose hanno iniziato a cambiare senza che me ne rendessi conto. Tutto sembrava sfuggire al mio controllo. Tu stavi stravolgendo ogni cosa.

Mi alzo e mi infilo la giacca. Sono davvero esausta, non pensavo che un semplice confronto fra due ragazzi per me importanti potesse sconvolgermi a tal punto.

Ehi, un secondo, lui non ha ancora tutta quest’importanza.

Usciamo dal nostro covo. Fuori fa freddo, parecchio freddo. È gennaio, il vento freddo mi congela. Mi rannicchio nella mia giacca e tu, subito, mi metti un braccio sulle spalle attirandomi a te.

   «Certo che quello è proprio un coglione. Meno male che non ti vuole, così sei mia.»

Mi volto immediatamente verso di te, che continui a camminare senza fissarmi, ma sorridendo. Ti cammino al fianco. Il tuo calore mi scalda, è confortante, ma io ho paura. Quelle tue paure mi preoccupano, perché il mio cuore ha iniziato a battere all’impazzata non appena le hai pronunciate.

Che diavolo sta succedendo?!

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Capitolo 10
*** Un Dolore Atroce ***


Mi sveglio improvvisamente. Mi fa male il petto, in prossimità del cuore. Sento dolore, tanto dolore. Il fiato mi manca, inizio ad ansimare. È notte fonda, le lacrime solcano il mio viso, la mia mente è incasinata dal vuoto che, di colpo, hai lasciato. La mia compagna di stanza si sveglia, chiama le infermiere. La vista mi si offusca, non capisco come sia potuta finire così. Le tempie mi pulsano. I pensieri si affollano, sovrastandosi, urlandosi l’uno sopra l’altro. Il caos mi dilania. Le infermiere mi afferrano per le braccia. Mi agito, mi dimeno.

Non voglio essere qui. Voglio essere con lui.

Il vuoto mi risucchia, ma anche qui c’è quel dolore così velenoso che ha impregnato il mio sangue, le mie viscere, la mia essenza. Ne vedo un’altra arrivare con una siringa. Inizio ad urlare.

   «Lasciatemi stare! Non ho bisogno di quella merda!»

Ho solo bisogno di lui…

L’ago mi perfora il braccio, è doloroso. Vedo lo stantuffo abbassarsi mentre il liquido mi entra violentemente nel corpo.

Voglio solo tornare da lui…

Continuo ad agitarmi. Adirata, frustrata, triste, distrutta, a pezzi.

Vorrei solo che si trattasse di un incubo.

È l’incubo peggiore di sempre. Vi prego. Svegliatemi.

Il mio corpo comincia a perdere di sensibilità. La mia confusione si placa, lasciandomi assaporare ancora meglio quel dolore che sto cercando di sconfiggere. Osservo la porta di quella stanza che i medici lasciano sempre aperta. La fisso, da giorni, sperando di vederti entrare. Ancora adesso, prima di crollare per via della massiccia dose di tranquillanti che mi hanno iniettato, la guardo.

Ti prego, torna da me…

Immagino la tua figura comparire sulla soglia. Ma non è altro che la mia immaginazione che, per l’ennesima volta, proietta uno scenario che non si realizzerà mai.

Sono sola ormai.

Chiudo gli occhi, con il cuore ancora dolorante. Di un dolore che so non passerà mai. Mi addormento forzata dalle medicine. Osservo la porta, sogno ancora la tua figura comparire su quella soglia.

Non dovevi essere il mio guerriero?

Mi addormento e, nei sogni, ti ritrovo. Come ogni notte, ti ritrovo nell’unico luogo dove mi è permesso ancora starti accanto. Come ogni notte, una parte di me si distrugge. Come ogni notte, chiudo gli occhi sperando di incontrarti anche l’indomani, fuori da ogni sogno, in questa realtà che ormai, di noi, non sa più niente.

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Capitolo 11
*** La Prima Risata Sincera ***


Ti osservo mentre varchi la porta di casa mia. Mi sorridi ed io ti guardo in modo curioso.
Non dovresti essere qui.
Andiamo a letto da un mese, il nostro rapporto è solo questo. Un gioco di sesso.
E allora perché sei qui?
   «Senti, non è che posso farmi una doccia?»
Mi chiedi poi, come se fosse la cosa più normale del mondo. Mi innervosisci. Mi hai sempre fatto innervosire. Sin dalla prima volta che ti ho visto, mi sei stato letteralmente sul culo. Poi, tra una cosa e l’altra, abbiamo imparato ad andare d’accordo. Ed ora, andiamo pure a letto assieme.
Come diavolo è potuta evolvere la situazione in questo modo?!
   «Hemm… sì, certo. Seguimi.»
Ti accompagno in bagno, seccata dal fatto che tu ti prenda tutta questa confidenza. Arrabbiata con me perché te la sto dando. Ti do alcuni asciugamani e ti lascio solo. Sento l’acqua della doccia aprirsi. Afferro il cellulare e scrivo al gruppo delle mie amiche.
  • Quell’idiota è qui. È comparso ora. E si sta facendo una doccia a casa mia. Ma vi sembra normale?! –
  • Come sarebbe a dire che si sta facendo una doccia da te? –
  • Ma che ne so! È arrivato qui e mi ha chiesto se potesse farsi una doccia! Che gli dicevo? –
L’acqua si interrompe. Resto in silenzio, aspettando la tua prossima mossa. Ad un certo punto, sento il phon accendersi. Phon che non ti avevo dato e che, quindi, hai trovato per conto tuo aprendo gli armadietti a caso. Il mio nervoso sale a livelli esponenziali.
  • No ragazze, si è preso il phon. Non glielo avevo dato! Vuol dire che si è messo ad aprire i vari armadi! ORA MI SENTE.”
Mi lancio in bagno. Apro la porta e lui si volta verso di me. È completamente nudo. Mi copro gli occhi con le mani, imbarazzatissima.
   «Che c’è?»
   «N-niente…» Farfuglio. «Solo, fai piano. Mamma dorme nella stanza accanto.»
Esco dal bagno alla velocità della luce, imbarazzata come non mai, con la faccia viola. Mi siedo sul divano ed impreco, per motivazioni che nemmeno ricordo. Poco dopo il phon si spegne. Mi piazzo in fondo al corridoio, aspettando di vederlo uscire. Quando compare, si è rivestito. Io ho le braccia conserte. Sono seccata dai suoi modi di fare. Lui si ferma, osserva la mia faccia corrucciata. Poi sorride e si avvicina a me. Io continuo a fare la dura. Appena arriva davanti a me si abbassa, caricandomi sulle spalle. La sua mossa mi sorprende e, per una ragione che non comprendo, scoppio a ridere.
   «Ma che fai?! Mettimi giù!»
Lui ubbidisce, mi sdraia sul pavimento e si mette sopra di me. Io continuo a ridere. Della rabbia, non c’è più alcuna traccia.
   «Ma ti sembra il caso?!» Gli chiedo, infilandogli le mani fra i lunghi capelli ancora umidi.
Lui mi sorride e poi mi bacia. È un bacio dolce che poi, inevitabilmente, si evolve. Ci guardiamo.
   «Non qui.» Gli dico.
Lui annuisce. Ci mettiamo le giacche, mi prende per mano ed usciamo di casa per dirigerci in quello che era il nostro piccolo covo.
 
L’indomani rientro a casa, ancora un po’ frastornata. Incontro mia mamma che sta cucinando.
   «Ieri eri con lui?»
Il sangue mi si gela nelle vene.
Merda, si è svegliata.
   «Si, immagino ti abbia svegliata con il phon. Mi ha chiesto di farsi una doccia… è un presuntuoso del cavolo.»
   «Immagino… ti ho sentita ridere.»
   «Ah, si? Beh, io rido sempre.»
   «No. Non sto dicendo questo. Ti sento ridere da anni, ma ho sempre saputo che le tue erano risate finte. Ieri ti ho sentita ridere per davvero per la prima volta in vita mia.»
La guardo, sconcertata.
Cosa?

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Capitolo 12
*** Parole Mai Dette ***


15/06/2019

Ormai sono passati diversi mesi da quando da “perfetti insieme” siamo diventati “perfetti sconosciuti”. Ci sono così tante cose che avrei voluto dirti, così tante attenzioni che avrei voluto darti. Ma sai, ormai so bene che “noi” non siamo altro che il frutto di un ricordo passato. Il mio ricordo migliore. Tu sei la persona migliore che potesse capitarmi. Spesso riprendo in mano la nostra chat, per rileggere quei “ti amo” che mi dicevi con così tanta passione. E lo sentivo sai? Il tuo amore, persino dallo schermo. E poi riprendo quelle frasi che scrivevo, quando assieme a te vivevo ogni giorno, riempiendo le note del telefono con parole che avrei voluto dirti ma che non ho mai avuto il coraggio di comunicarti. Ma, sai, penso che qualcosa di così bello non debba restare sepolto, non trovi? Per cui trascriverò tutto anche qui, perché l’amore ti rende luminoso, anche quando se ne va ti lascia sempre qualcosa di meraviglioso. E della nostra relazione di meraviglioso mi sei rimasto tu, anche se non ci sei più, sei rimasto dentro di me. E ci sarai per sempre.
 
Quindi eccole qui, alcune di quelle parole mai dette che, in realtà, avrei dovuto dirti senza timore:
“Stavo pensando al fatto che ti amo, realizzando quanto questo sia fantastico. Ci sono sempre così tante cose che vorrei dirti, ma il tempo sembra non bastare mai. Eppure, nonostante questo, un pensiero fisso balena sempre nella mia mente. Sono così felice quando sono con te che non mi sembra vero, e ti ringrazio davvero molto per avermi fatto capire di poter amare ancora, e di avermi insegnato ad amare te.”
 
“Vorrei essere in grado di farti essere me per un giorno, solo per farti capire quello che riesco a diventare quando tu sei accanto a me.”
 
“All’amore non puoi dare una spiegazione ma, per me, la spiegazione sei tu.”
“Per calcolare l’intensità di quello che provo per te bisognerebbe inventare una nuova unità di misura.”
 

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Capitolo 13
*** Sogno Lucido ***


Un libro intero.
GRATIS in versione ebook.

Vi piacciono le mie storie? Beh, ho scritto un'intero libro che tratta di una storia d'amore <3

Lo potete trovare qui: https://www.amazon.it/Sogno-Lucido-Romanzo-rosa-damore-ebook/dp/B08QC81SW4/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=1608293839&sr=8-1

C'è anche la versione cartacea, se preferite ^_^

Come già detto, l'ebook è GRATIS fino al 21!!

Se vi va di leggerlo e lasciarmi una recensione lo apprezzerei moltissimo <3

Grazie a tutti!!!!
Sì, scrivo usando uno pseudonimo ("Luna Jadeheart" non è il mio vero nome! Ma potete trovare quel nome su IG, se volete seguirmi anche sui social ^_^)

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