A ''Day Off'' To Repent

di _Cthylla_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A ''Day Off'' To Repent (A Little) ***
Capitolo 2: *** A ''Day Off'' To Repent (Definitely) ***
Capitolo 3: *** A ''Day Off'' To Repent (More Than Ever) ***
Capitolo 4: *** Another Day (not off) To Repent ***
Capitolo 5: *** Another Day (not off, Jumanji-like) To Repent ***
Capitolo 6: *** Another Day (yeah, another) To Repent ***
Capitolo 7: *** Neverending Days To Repent ***
Capitolo 8: *** The Last Day To Repent (Almost) ***
Capitolo 9: *** The Last Day To Repent (es wurde auch zeit!) ***
Capitolo 10: *** ''Kaon, you wretch!'' ***



Capitolo 1
*** A ''Day Off'' To Repent (A Little) ***


La one shot qui sotto è legata, seppur non in modo strettissimo, alle precedenti storie “Chasing Rainbows (Or Maybe Bears)” e “Where A Butterfly Can Lead You”. Il contesto sarebbe più sul generale/vago ma... solito discorso.
Altra cosa che non serve sapere per comprendere quel che c’è qui sotto: cronologicamente parlando, si colloca un paio di giorni prima rispetto alla fine della mia long del 2013, “The Specter Bros’ ”.
Ringrazio Neferikare per varie cose, principalmente per avermi dato una mano a trovare la variante del nome della ex-proprietaria di Pettinathia xD
Passo e chiudo.
 
 
 
 
 
A "Day Off" To Repent (A Little)











 
 
Nella città-Stato di Pettinathia, bolgia infernale di tossici, spacciatori, produttori di infinite varietà di droghe dall’infinita varietà di effetti e di pazzi da ricovero lasciati rigorosamente a piede libero, il leader della Decepticon Justice Division riteneva che aver trovato quel locale dall’apparenza perfino decente, abbastanza tranquilla e ideale per lui e la sua minuta accompagnatrice, fosse qualcosa di estremamente simile a un miracolo.
 
«Poteva essere peggio».
 
«Mh».
 
Si trovavano in pieno centro, all’ultimo piano di un palazzo che ne contava sei, uno dei più alti in tutto il territorio.
Gli edifici di Pettinathia non erano famosi per la loro altezza, né alla proprietaria attuale né alla precedente era mai importato particolarmente cercare di far costruire una bella skyline; questo complice il fatto che il vero cuore della città-Stato pulsasse sotto la superficie.
Per quel che Tarn era venuto a sapere, il complesso sotterraneo di Pettinathia era una città sotto la città, estesa cento volte tanto, forse anche di più, tanto in larghezza quanto in profondità. Voci non confermate suggerivano che la principale fonte energetica fosse il nucleo stesso del pianeta, la cui potenza era stata imbrigliata in modi sconosciuti.
Solo il cielo sapeva cosa ci fosse di preciso là sotto ma, più probabilmente, anche le divinità di ogni pantheon avevano preferito strapparsi gli occhi dopo aver dato una breve occhiata.
 
Dopo un altro sorso al cubo di energon che stava bevendo, Tarn fece un breve sospiro. «Nickel, non guardarmi in quel modo. So che Pettinathia non ti piace, io per primo non amo troppo l’idea di trovarmi qui, però è diventato un luogo “utile” per più di una ragione».
 
«Non mi piace questo posto, non mi piace che gli altri siano in giro da soli» disse Nickel «E non mi piace aver lasciato la Peaceful Tiranny dove l’abbiamo lasciata. Se ne approfittassero per cercare di entrarvi?»
 
«Se accadesse lo saprei e Stiria avrebbe di che pentirsi. Abbiamo un accordo con lei in quanto padrona di questo posto ed entrambi abbiamo interesse a rispettarlo. Lei a dire il vero ne ha un po’più di noi» le ricordò il Decepticon «La DJD ha tolto dalle scene alcuni Decepticon in grado di distruggere da soli interi battaglioni, non c’è granché da temere da una ragazzina col suo grosso parco giochi. Questo patto dà T-Cogs e un’area sicura a noi, shanix a volontà e la garanzia di essere lasciata in pace a lei: onesto direi. Non temere, so quello che faccio».
 
“Al di là del fatto che non sembrasse particolarmente tesa quando ci ha incontrati, mi dà da pensare già solo il fatto che la paghi per i T-Cogs, Tarn” pensò Nickel, scegliendo per una volta di non esternare le proprie considerazioni.
 
«Ne sono sicura ma spero comunque di non dover tornare qui troppo presto».
 
«Il rifornimento di T-Cogs durerà per un pezzo e, in ogni caso, per un po’ le nostre prossime visite saranno più brevi» la rassicurò lui «Un momento libero una volta ogni tanto migliora la performance del gruppo, troppi momenti liberi rischiano di deconcentrarli e impigrirli. Non è quel che desidero. Mh. Noto che a Vos e Kaon le ore già trascorse potrebbero essere bastate» aggiunse, vedendo i due all’ingresso «E noto anche che Kaon sta ridendo come un pazzo… e quell’imprecazione di Vos mi era sconosciuta… spero per Kaon che non abbia deciso di prendere qualche strana sostanza nonostante gli ordini contrari».
 
«Sempre che non gliel’abbiano fatta assumere di straforo» borbottò Nickel, alzando gli occhi al soffitto «Questo è il centro di Pettinathia, se non avessimo messo i filtri prima di uscire dall’astronave a quest’ora saremmo stati tutti strafatti. L’aria è satura di chissà cosa, come si fa a vivere in un posto del genere non lo so!»
 
«All’estremo confine della città va meglio, non c’è bisogno dei filtri» disse Tarn «Ma di stare in guardia dai pazzi, sì» aggiunse poi, ricordando il tuffo dell’ursanokor in piscina al quale aveva assistito almeno un mese e mezzo prima «Vos, Kaon, già di ritorno?»
 
Vos si limitò ad annuire squadrando Kaon, ancora scosso dalle risate, in un modo tale da far pensare che presto avrebbe assunto la sua forma da fucile d’assalto e avrebbe chiesto a Tarn di uccidere così il compagno di squadra.
 
«Mi sono andato a infilare in un posto assurdo» raccontò il cybertroniano dalle orbite vuote «Un locale ricavato nel seminterrato di una fabbrica attiva prima del cambio di gestione…»
 
Prima del cambio di gestione, ossia prima che Pettinathia iniziasse a chiamarsi con tale nome e prima che Stiria ne prendesse il controllo.
In precedenza era stata la socia della creatrice e reggente di quel posto, tal “Dhambrexia”, la quale disgraziatamente era morta di overdose.
Quella era la versione ufficiale, anche se Tarn aveva qualche dubbio sulla veridicità della questione. Non che lo riguardasse: sapeva certe cose solo perché fare affari con qualcuno senza informarsi neppure un minimo sarebbe stato stupido, e lui non era stupido.
 
 «Non hai idea di quello che ho sentito e non hai idea di quello che ho rimediato!» esclamò Kaon, dando una pacca a un borsone che, quando il gruppo si era diviso, decisamente non aveva.
 
«Mi sembrava di essere stato chiaro a riguardo: non si assumono, non si comprano e non si rubano stock di droghe».
 
«Infatti non è droga, Tarn! Ammira!» dal borsone tirò un bottiglione di vetro «Una delle ultimissime rimanenze della famosissima “colla di valvola” del periodo pre- Stiria!»
 
Nel processore di Tarn e Nickel per un attimo ci fu solo silenzio, mentre osservavano il contenuto bianco-azzurrino un po’ luminescente del bottiglione.
 
«Kaon» disse lentamente Nickel «Tu lo sai che la valvola è… è quella che noi femme abbiamo sotto... oh, che domande, certo che sai cos’è la valvola, e quella roba non può essere stata davvero prodotta anche con i fluidi di… no, aspetta, in effetti qui tutto è possibile, ma se fosse così che schifo! Toglila di torno, in nome di Prion!»
 
«Il suo lavoro però lo fa, i pezzi del tizio che me l’ha data sono rimasti appiccicati al muro che era una meravigl-»
 
Non riuscì a finire la frase: Tarn gli strappò di dosso il bottiglione e il borsone, imbracciò Vos in forma di fucile da assalto e, con un solo colpo, vaporizzò entrambi gli oggetti insieme a tutto il loro contenuto.
Non sapeva se fosse il nome “colla di valvola” fosse da prendere alla lettera e se parte dei suoi componenti venissero davvero da , probabilmente no, ma riteneva il solo fatto di averne avuto il dubbio una valida ragione per averla distrutta.
 
«Adesso capisco il motivo per cui imprecavi, Vos» disse Tarn.
 
«Ma perché? Era roba buona! Poi se proprio non la volevate avremmo potuto vender-»
 
«No. Anche perché chi mai la comprerebbe?»
 
«Devo contraddirti, pare che a quei tempi andasse a ruba» disse Kaon.
 
Incredulo, Tarn poggiò a terra Vos, scosse la testa, si sedette e tornò a bere dal cubo di energon. «In giro c’è molta gente pazza».
 
«E non hai ancora sentito la storia della valvola senziente e parlante diventata così per colpa di un processo chimico andato storto! La valvola si faceva chiamare Paco» disse Kaon «Era quella della defunta Dhambrexia. Si è emancipata dalla proprietaria ed è scappata a Kalis insieme a Tatiana. Tatiana era la pancia senziente e parlante dell’ex marito di Dhambrexia, e a quanto pare Tatiana e Paco hanno anche avuto dei figli a forma di mini valv- ehm, va bene, d’accordo, ho capito» alzò le mani in segno di resa, sperando che Tarn puntasse altrove il suo doppio cannone a fusione «E comunque, che sia vero o no…»
 
«Direi che non lo è, in caso contrario i miei sogni inizieranno a essere infestati dai figli di Paco e Tatiana che vogliono giocare con me» borbottò Nickel.
 
«Che sia vero o no, certe cose ormai non capitano più» concluse Kaon.
 
«E di questo siamo tutti grati» sospirò Tarn, desideroso solo di poter cancellare i ricordi di quella conversazione.
 
«Ad ogni modo, non sono venuto qui perché mi ero annoiato. È difficile annoiarsi da queste parti» aggiunse, in procinto di ricominciare a ridere «… Tatiana e Pa-»
 
«Kaon».
 
«Ehm, sì. Sono concentrato. Allora, ho avuto notizie riguardo il prossimo obiettivo nella Lista: non è poi così lontano da noi, come vedi» porgendo a Tarn un datapad «E la rotta più breve per raggiungere il pianeta su cui si trova passa accanto a-»
 
«Al pianeta dove si trova Lord Megatron in questo momento» completò Tarn «Quello che chiamano "Terra". Lo vedo, Kaon, lo vedo chiaramente. Tu riesci a vedere, Nickel? Posso abbassare il pad se serve».
 
«Vedo perfettamente, ti ringrazio!»
 
«Bene».
 
Tarn pensò che era da molto tempo che la sua strada e quella del transformer di cui conosceva a memoria gli scritti, le imprese e i precetti, e che venerava quasi come una divinità  non si incrociavano.
Principalmente era colpa del fatto che la missione sacra della Decepticon Justice Division portasse la squadra a rimbalzare come una palla da un punto all’altro del cosmo, perché i traditori cercavano sempre di scappare più lontano possibile.
Mai abbastanza, in ogni caso.
 
«Prima di raggiungere la nostra destinazione potremmo chiedere il permesso di fargli visita nella Nemesis per porgere i nostri omaggi, il contrario sarebbe definibile come minimo scortese e la scortesia nei confronti di Lord Megatron sarebbe imperdonabile» continuò il Decepticon «Al termine del momento libero partiremo immediatamente».
 
«Di questo sono felice» disse Nickel.
 
«Sissignore» Kaon si schiarì la voce «Resomi conto della relativa vicinanza della Nemesis mi sono preso la libertà di verificare alcune delle presenze cybertroniane in essa e sul pianeta. Sai che abbiamo libero accesso al database del nostro esercito e, grazie a Soundwave, alla copia di quello avversario. Due nomi e mezzo tra quelli presenti sono nella nostra Lista, li ho colorati in rosso».
 
«Due nomi e mezzo? Ah! Comprendo» disse dopo aver letto il primo «Airachnid è effettivamente nella Lista ma è praticamente in fondo, sai che noi seguiamo un ordine preciso, e… Kaon, potrei considerare l’ “e mezzo” che mi hai detto quasi come un colpo basso. Purtroppo Lord Megatron ha voluto che rimuovessimo Starscream dalla Lista» sospirò «Non so quali siano i motivi che lo spingono a desiderare che la Scintilla di quella ignobile feccia rea di molteplici tradimenti a Lui, alla causa e a qualsiasi cosa, continui a pulsare... ma le sue decisioni sono incontestabili».
 
Lesse l’ultimo nome.
 
«Tecnicamente anche questo nome è posizionato in basso nella nostra Lista» disse, quanto più possibile atono.
 
“Ma da tempo, da quando ho capito chi era il colpevole del rapimento, è molto in alto nella mia”.
 
«Ritiro quanto ho detto in precedenza: il momento libero finisce adesso. Kaon, invia tutto a Helex e Tesarus, così che possano aggiornarsi mentre tornano alla Peaceful Tiranny. Se entro tre minuti non avranno visualizzato il tutto li chiamerò personalmente».
 
Vos, tornato alla propria forma originaria, disse qualche frase nel proprio linguaggio arcaico.
 
«La signorina compiacente che intendeva soddisfarli tutti e due assieme a quest’ora sarà ridotta in condizioni indicibili, stando ai rumori che hai sentito, anche se loro non avessero voluto farlo apposta. Spesso uno solo di loro è già troppo per molte delle femme comuni. Però non posso darti tutti i torti: se vedendo la loro stazza e le loro facce si è offerta lo stesso, forse intendeva proprio morire oggi».
 
Tutti insieme attesero tre minuti.
Nessun segno di vita o visualizzazione da parte di Tesarus e Helex.
 
«Magari la tipa non è morta e si stanno ancora dando da fare» ipotizzò Kaon.
 
«Improbabile».
 
Tarn tentò di comunicare con loro tramite comm-link: chiusi.
 
«Forse la femme in questione è riuscita a drogarli o che di simile e ora sta vendendo le loro parti corporee ai trafficanti di organi. Prima ne ho beccati una decina per strada, uno ha cercato di vendermi delle ottiche color serenity» disse Kaon «“Otticheee! Ottiche, ottiche, ottiche! Tu signore vuoi le ottiche per una bella fanciulla? Ottiche? Ottiche!”. È lì che ho usato un altro bottiglione di colla. Poi c’era anche un altro che vendeva dildi e vibratori di varie dimensioni, sospetto ricavati da cavi veri. Volevo comprartene uno» aggiunse, rivolto a Nickel.
 
«Te l’avrei infilato in un occhio!» fu la risposta del medico di bordo, ormai inquieta. «Se fossimo in qualunque altro posto troverei l’idea ridicola, ma qui…»
 
«Io e Stiria abbiamo un accordo» ribatté Tarn, tentando di videochiamare Helex e Tesarus tramite datapad «La sicurezza della mia squadra doveva essere garantita, meglio per lei che non venga a scoprire il contrario».
 
Squilli a vuoto.
 
«Faccio un ultimo tentativo. Se non rispondono, Vos, tu ci porterai nel posto dove li hai lasciati con quella donna. Sistemata questa faccenda sistemeremo anche il resto con chi di dovere».
 
Altri squilli.
Impegnato ad attendere una risposta, non si rese conto che nel frattempo i file che aveva inviato erano stati visualizzati.
 
«Va bene, andia-»
 
Appena prima di terminare la videochiamata, finalmente qualcuno rispose.
 
Ehilà!
 
Seppur a stento, Tarn riuscì a contenere l’istinto di trasalire. «Chi sei?»
 
Non erano stati Helex o Tesarus a rispondere, bensì una femme a lui sconosciuta dalle ottiche arancioni e dei “capelli” fatti di catene color ruggine, che lo stava salutando tranquillamente con la mano.
 
Forse dovresti dirmelo tu, siùcar, sei tu che hai chiamato. Ehilà tu lì dietro! – esclamò poi la femme, apparentemente rivolta a Vos – Non sai che ti sei perso!
 
«Cioè… la tizia è stata con Helex e Tesarus insieme ed è ancora viva e vitale?!» allibì Kaon, lasciandosi quasi sfuggire un risolino.
 
Tarn lo ignorò. «Io ho contattato i miei uomini. Sono stati visti con te l’ultima volta e ora non rispondono. Cosa gli hai fatto?»
 
Puoi ripetere?
 
«Non sono in vena di giochetti».
 
Cos- non ti sto- eh?
 
Ora Tarn vedeva l’immagine muoversi a scatti. Maledicendo le infrastrutture e il poco campo che doveva esserci nell’area in cui si trovava quella femme, pensò di provare a rendere più chiare le proprie parole facendo scattare verso l’alto la parte di maschera che normalmente gli copriva la bocca.
 
«Le persone che cercavo non rispondono, tu hai il loro datapad. Cos’hai fatto ai miei uomini?»
 
Cos’ho fatto? Ti posso accontentare ma bada che è un racconto un po’lungo! Allora, per prima cosa ho tolto loro l’armatura pelvica usando la bocca, scoprendo che erano belli che pronti alla connessione già solo con questo, poi-
 
«Non è quel che volevo sapere. Ti consiglio di rispondere seriamente alla mia domanda, perché mi stai facendo perdere del tempo prezioso» disse Tarn, abbassando gradualmente la voce «Te lo chiederò per l’ultima volta: cos’hai fatto ai miei uomini?»
 
Nickel, Vos e Kaon non potevano evitare di pensare che non avrebbero voluto trovarsi nei panni di quella femme.
Tarn non stava prendendo bene l’idea di un accordo infranto, della possibile perdita di due membri del gruppo -e uccidere un membro della DJD equivaleva spesso a un posto nella Lista - e della perdita di tempo in sé.
 
Credo che dovrai venire a prenderli, la connessione li ha stremati. Io gliel’avevo detto che se avessimo continuato a oltranza non avrebbero camminato bene per una settimana ma non mi hanno dato retta – la femme fece spallucce – Comunque sia sono soddisfatti e ora sono in ricarica. Vedi?
 
Sullo schermo del datapad comparvero le immagini di Helex e Tesarus, esausti e in ricarica con un sorriso beato nonostante l’inguine leggermente danneggiato e sfrigolante.
 
«COS-» allibì Nickel «Com’è fisicamente possibile questa cosa?!»
 
Se ci incontriamo te lo spiego, donna che non riesco a vedere! Ehi! Puoi girare un po’il datapad? Almeno vedo anche la tua amica… no? Occhei. Come vuoi. Allora, come vedi non c’è nulla di cui preoccuparsi, quindi che cosa mi dici, siùcar?
 
«Ti dico che quello che hai fatto causerà un rallentamento non indifferente ai progetti che avevo fatto, e nei progetti che avevo fatto non intendevo perdere neanche un minuto di tempo».
 
Se l’occasione fosse stata un’altra probabilmente avrebbe agito in modo diverso.
Se non ci fosse stata di mezzo la fretta, forse avrebbe fatto un lungo sospiro e ammonito entrambi i suoi uomini, incredulo all’idea che potessero essere stati ridotti così da una femme durante una connessione; ma c’erano delle persone che voleva incontrare, alcune che sperava di incontrare e certe vecchie questioni da sistemare, e l’idea di dover spostare due mech stremati più grossi di lui, con tutto quel che ne conseguiva in termini pratici, lo stava facendo innervosire.
Inoltre, in quel frangente in cui era già irritato di suo, l’impressione di non essere preso troppo sul serio non migliorava le cose.
 
«Ragione per cui, avendo manifestato il desiderio di incontrarci, non ti dispiacerà venire accontentata».
 
L’aveva detto abbassando gradualmente la voce e rallentando il ritmo delle parole in modo da paralizzarla, ma tutto quel che vide fu il sorriso della femme diventare un po’ più largo.
 
  Immagino che tu prima, vedendo che mi muovevo a scatti, abbia pensato che qui da me non ci fosse molto campo. È stato carino da parte tua scoprirti la bocca, quel che dicevi è diventato molto più chiaro, talmente chiaro di non aver bisogno dell’audio per capirlo, bastava il labiale! Ihihihih!
 
Li aveva giocati.
Anzi, lo aveva giocato.
 
Non so se finirò o meno nella vostra Lista, per quel che si sa non sono il tipo di persona che rientra nei parametri, alla fine io e i tuoi uomini ci siamo solo divertiti. Se però dovessi decidere altrimenti, il nome da scrivere è “Hallow”. Eeeeee comunque, che io finisca o meno nella Lista, tu con quei bei cingoli sei decisamente nella mia! Addio, siùcar.
 
La comunicazione venne terminata così da Hallow, dopo un occhiolino, in un miscuglio tra flirt e un certo grado di menefreghismo che -Tarn non poteva saperlo- l’accompagnava nel novantacinque per cento dei fatti in cui si trovava coinvolta.
 
Il cubo di energon in mano a Tarn si incrinò con un sottile rumore per poi finire ridotto in frammenti che andarono a conficcarsi nelle giunture tra un dito e l’altro.
 
Nickel, Vos e Kaon si scambiarono un’occhiata vagamente allarmata.
 
«Credo sia tempo di andare a recuperare Helex e Tesarus» disse Tarn, dopo qualche secondo, con la massima calma «A quest’ora saranno già rimasti soli. Nonostante l’uso di certe parole non credo che quella donna avesse una gran voglia di incontrarci di persona».
 
«Pensando alle facce dei ragazzi è quasi un pec-argh!» gemette Kaon, interrotto da un calcio di Nickel e una gomitata di Vos arrivati contemporaneamente.
 
Non che avesse reale diritto di lamentarsi: era stato sempre meglio rispetto all’esasperare ulteriormente Tarn come aveva rischiato di fare.
 
«Andiamo».
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Di cosa ci fosse dietro il nome “Stiria”, Tarn si era fatto un’idea già prima di incontrarla.
La parola “Stiria” era, secondo la sua modesta opinione, molto vicino a un sostantivo usato nella città di Praxus: “hastiria”, che null’altro era se non il modo in cui gli abitanti di Praxus chiamavano l’isterìa nel loro dialetto.
 
«BRUTTI MONGOFLETTICI DELLA GRAMMATICA!»
 
Nulla di più appropriato dal momento che gli strilli di Stiria avevano raggiunto un livello di potenza e di acutezza tale da far incrinare più d’una vetrata teoricamente infrangibile del suo palazzo -nonché principale punto d’accesso all’infinito complesso sotterraneo di Pettinathia- e fatto esplodere svariate lampade nel corridoio che stava percorrendo la DJD.
 
«Quella femme non è solo un pugno in un occhio, è anche un inferno per l’udito!» sbottò Nickel.
 
Tarn immaginò che il “pugno in un occhio” fosse riferito ai colori di Stiria: un miscuglio di azzurro, giallo e lilla, con glitter rosa spiaccicati a caso sulle sue ali da seeker che, altrettanto spesso, erano decorate anche con fili di lucine rosa intermittenti. L’insieme era quasi peggio del corno glitterato perennemente impiantato sulla fronte. In teoria era per imitare un animale mitologico non meglio conosciuto a Tarn, in pratica, secondo lui, Stiria lo teneva lì per cercare di infilzare le persone durante i momenti come quello attuale.
 
«Posso provare a fonderla, Tarn?» domandò Helex «Sarebbe per una buona caus…»
 
Si interruppe notando lo sguardo poco incoraggiante.
 
Probabilmente era dovuto al fatto che Tarn, insieme a Vos e Kaon -il cui contributo era quasi inesistente per ragioni di stazza- stava sorreggendo lui e Tesarus insieme per aiutarli a reggersi in piedi e camminare quasi normalmente. Essere un point one percenter e avere un corpo molto più che potenziato era una fortuna, quando c’era da tirar su due mechs più alti e più grossi di lui.
 
Helex riconosceva che fosse abbastanza imbarazzante ma, quando lui e Tess avevano incontrato Hallow, tutto avevano pensato eccetto che li avrebbe ridotti in quel modo.
In buona parte per colpa loro che non erano stati in grado di dire “basta” pur essendo lucidi e avendo la bocca libera, doveva ammetterlo.
 
«“Igloo” si scrive con due “o”, non con la “u” e tantomeno con la “u” accentata! Lo sanno anche le protoforme, porca servicebot!»
 
Tarn si trattenne dallo sbuffare nel sentire, dopo quelle frasi seccate di Stiria, altri strilli che la femme rivolse ai propri sottoposti - evidentemente un po’sgrammaticati.
Anche lui non amava molto gli orrori grammaticali ma gli sembrava incredibile poter fare una tale scenata per un simile motivo, come gli sembrava incredibile che qualcuno con un tale atteggiamento potesse governare senza problemi un posto come Pettinathia.
Probabilmente le droghe che saturavano l’aria aiutavano a tenere bassa la voglia di rivolte.
 
«Miss Stiria, chiediamo perdono per la nostra ignoranza grammaticale ma la preghiamo di ritrovare un po’di calm-»
 
«Non ditemi…»
 
Non mancava molto per arrivare, ormai, e Tarn vide che i danni ai vetri in prossimità di Stiria erano ancora maggiori.
 
«Di stare…»
 
Non seppe dire se il presentimento che ebbe fosse dovuto a qualcosa di più rispetto alla semplice esperienza tra guerra e utilizzo di abilità peculiari, perché le informazioni che aveva raccolto non avevano parlato di capacità potenzialmente pericolose, ma ordinò un “Tutti a terra, staccate gli audio!”.
 
«CALMA!»
 
Nessuno inizialmente capì cos’era successo, avendo obbedito all’ordine, ma quando si rialzarono a riattivarono l'audio sentirono i rumori di molteplici allarmi, videro che i vetri non erano più solo incrinati ma del tutto rotti e che le pareti erano piene di crepe.
 
«Peggio di mia madre» fu tutto quel che bofonchiò Tesarus.
 
Quando arrivarono nella stanza dove si trovava Stiria videro che quei disgraziati dei suoi sottoposti, probabilmente avvezzi a certe cose, si erano gettati a terra come avevano fatto loro riuscendo a rimanere vivi, ma tutt’attorno a loro c’era un disastro di vetri rotti e pezzi di parete crollati a terra; in particolare quella in direzione opposta a Stiria, sulla quale si apriva un grosso squarcio.
 
Quando la giovane seeker notò che erano entrati li indicò, poi indicò i propri galoppini e…
 
«Perché sono circondata da imbecilli che non sanno scrivere? Perchééééé?!»
 
“E”, piagnucolando, andò a spiaccicare la faccia sul petto di Vos, il quale non seppe più che pesci pigliare.
Sensazione comune all’intera squadra, a dire il vero.
 
“Spero che le femme non diventino tutte così a quest’età” pensò Tarn, per più di un motivo.
 
«E comunque voi mech siete degli stronzi!» sbottò poi Stiria, puntando un indice contro il petto di Vos «Questo siete. Una non può neanche essere nervosa per fatti suoi ogni tanto che voi siete lì pronti a farglielo pesare invece di essere di supporto, vi dovreste solo vergognare, se poi a noi femme la giornata prende male non potete venire a darci la colpa!»
 
«Siamo qui per la Peaceful Tiranny» disse Tarn, che non aveva la minima intenzione di sentire ulteriori dettagli dei drammi amorosi altrui, i quali sicuramente erano il vero motivo dietro l’umore a dir poco altalenante di quella femme entrata nell’età adulta non da moltissimo tempo «Dobbiamo partire subito».
 
Stiria strinse le ottiche azzurre in due fessure, probabilmente contrariata perché inascoltata.
 
Per un attimo, Tarn prese in seria considerazione l’idea di paralizzarla prima che ricominciasse a strillare. Non teneva particolarmente a fare la fine della parete.
 
«Parlare con voi tanto sarebbe inutile» disse Stiria, schioccando le dita mentre accendeva una sigaretta di energon «Volete andare? Andate. Tanto i T-Cog li avete avuti e a giudicare da quello che vedo due di voi si sono anche divertiti abbastanza» aggiunse, guardando Helex e Tesarus.
 
«Tre, tre!» la corresse Kaon, salvo zittirsi subito dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte del resto del gruppo.
 
A pochi metri da loro il pavimento si aprì, così come il soffitto a volta, e la Peaceful Tiranny tornò fuori dai meandri del mondo sotterraneo di Pettinathia.
 
«Ci rivediamo un’altra volta, ciao ciao, addio e- perché non avete ancora attivato il bagno di energia per riparare il palazzo, IDIOTI?!» sbraitò Stiria all’indirizzo dei suoi sottoposti.
 
“Se fa sempre così con la gente, mi chiedo come faccia a fare affari” pensò Nickel “A meno che sia solo una giornataccia o deleghi più che può!”
 
Esacerbato quasi quanto Stiria, Tarn decise di non perdere ulteriore tempo e di salire nell’astronave per ripartire assieme al resto della squadra.
Di quella città-Stato di pazzi aveva avuto più che abbastanza e, dopo il decollo della Peaceful Tiranny, si lasciò andare a un breve sospiro di sollievo.
 
«Avrei bisogno di una vacanza… dalla vacanza» fu la prima cosa che disse Nickel.
 
«Possiamo prendere come tale quel che ci aspetta sulla Terra, specie se Lord Megatron ci concederà di fargli visita nella Nemesis» replicò Tarn.
 
«A proposito… Tarn, tu sai che non c’è la certezza di trovare chi cerchi, vero? Al di là di Lord Megatron, al di là dei due nomi e mezzo della Lista».
 
Il Decepticon, forse perché sapeva che Nickel non aveva tutti i torti -di rado li aveva- non le rispose. «Kaon, imposta le coordinate: rotta verso la Nemesis… e voi due…»
 
Tesarus ed Helex si scambiarono un’occhiata vagamente allarmata.
 
«Le mansioni di pulizia ora sono compito vostro e lo saranno da questo momento fino alla morte del bersaglio di cui ci occuperemo dopo essere stati da Lord Megatron e sul pianeta Terra. Chiaro?»
 
«Sissignore» borbottarono i due.
 
Sebbene la distanza non fosse poi così tanta, per loro due sarebbe stato un lungo viaggio.












Nota dell'autrice -parte seconda:

Chiamatela Pink Diamond Stiria, anche lei possiede "a voice that can crack the wall" :'D (semicit. da Steven Universe).
Per la cronaca, Pink non mi è simpatica, ma in certe cose mi ricorda la persona cui Stiria è ispirata :'D

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Capitolo 2
*** A ''Day Off'' To Repent (Definitely) ***


A Day Off To Repent (Definitely)

 
 
 
 
 
 
 




 
 
“Déjà vu: sensazione di aver già vissuto in precedenza una sensazione che si sta attualmente verificando”.
 
Un pensiero che poteva sembrare quello di qualcuno intento a divertirsi con un settimanale di enigmistica e che stesse riempiendo le caselle di un cruciverba, peccato non fosse così.
 
Tarn però l’avrebbe preferito di gran lunga, perché la voglia di strappare via la testa a Kaon e l’assurda sensazione di averla già avuta tra le mani, di aver già visto parte della sua spina ondeggiare e gocciolare fluido vitale, non era piacevole.
 
Per quanto certe volte fossero un po’ -o abbastanza- esasperanti, Tarn non si riteneva tipo da uccidere i propri uomini senza un vero e grave motivo… e, in fondo, la colpa della situazione attuale non era nemmeno direttamente imputabile a Kaon.
 
«Un tizio sconosciuto, strafatto e in tenuta sadomaso, Tarn! Lo hanno messo al posto del cane!» si disperava suddetto mech, con un’espressione sul volto simile a un dipinto terrestre che nessuno di loro conosceva, alias “L’Urlo” di Munch «Hanno preso il cane! Non possiamo lasciarlo in quel posto assurdo!»
 
Sembrava proprio che il destino si fosse messo di impegno per far perdere loro altro tempo prezioso. Erano decollati ormai da venti minuti, tornare indietro avrebbe significato perderne altri venti, poi chissà quanto si sarebbe prolungata la faccenda!
Ma Tarn, che pure rimase in silenzio qualche attimo, sapeva già che avrebbe finito col tornare a Pettinathia. Non tanto per il cane in sé ma perché Stiria gli aveva garantito una cosa per poi fare tutt’altro, permettendosi addirittura di entrare nella Peaceful Tiranny, rapire la loro bestia e osando perfino cercare di sostituirla con un transformer a caso credendoli tanto imbecilli da non accorgersene.
 
“Perché rapire il cane, poi?!” si chiese Tarn “Che l’abbiano pagata per farlo? Se sì, chi? Nessuno oltre a noi sa che quella bestia prima era qualcos’altro” ergo qualcun altro “Tutto ciò non ha alcun senso”.
 
«Risolveremo la questione. Mettimi in contatto con Stiria e imposta la rotta per tornare a Pettinathia».
 
Il tecnico obbedì immediatamente. «Se scopro che Stiria gli ha fatto qualcosa!...»
 
«Dunque non ritieni più che quel luogo sia tanto divertente?»
 
Kaon tacque ma la risposta era ovvia: no, non c’era più nulla da ridere.
 
In quel momento la voce di Stiria, che in condizioni normali -alias quando non strillava- suonava più bassa e “adulta” di quanto effettivamente fosse la proprietaria, si fece sentire nell’astronave.
 
Ma che volete ancora, porca Solus?!
 
«Delicatissima» commentò Tarn «Davvero ci chiedi cosa vogliamo? Dovresti saperlo benissimo. Hai infranto il nostro accordo entrando nella nostra astronave e rapendo la nostra bestia. Quale credi sarà il tuo destino adesso?»
 
Prima di tutto non vi dovete assolutamente permettere di rivolgervi a me in questo modo perché altrimenti la prossima volta che vedo la vostra nave da lontano la faccio scoppiare con voi dentro, e questo sia chiaro.
 
«Sono parole grosse per una ragazzina col suo piccolo parco giochi».
 
Ma al di là di questo, non potete venire a rompere le scatole a me per un errore VOSTRO!
 
Su uno degli schermi accanto agli altoparlanti si aprì una leggerissima crepa.
 
«Errore nostro un corno, sei tu che hai rapito il mio cane!» sbottò Kaon.
 
«Io non credo che tu voglia che la nostra conversazione prosegua su questa via, Stiria» disse Tarn, abbassando la voce di qualche semitono. Dall’altra parte si sentì provenire il rumore di statiche dovuto a un microfono un po’danneggiato «Sappi che stiamo tornando indietro a riprendere quel che ci è stato sottratto».
 
Buona fortuna, ma non venire a chiedermi dov’è. È scappato via dalla nave poco prima che io la mandassi al piano di sotto e vi è venuto dietro, ho anche dei filmati che lo provano, ma che fine abbia fatto dopo non lo so e non sono cazzi miei. Se volevate che stesse nell’astronave avreste dovuto legarlo meglio!
 
«Hai messo al suo posto uno sconosciuto in tenuta sadomaso col guinzaglio borchiato!» insistette Kaon, con voce quasi stridula.
 
Primo: non è uno sconosciuto, si chiama Sylves Mariner. Ha un collare con la targhetta, non sai nemmeno leggere?! Secondo: tecnicamente né io né chiunque dei miei siamo entrati nella… non ricordo quel nome brutto che ha la vostra astronave… comunque, non ci siamo mai entrati, quando siete tornati qui senza la vostra bestia abbiamo semplicemente transfasato dentro un sostituto!
 
“Dunque possiedono anche la tecnologia per alterare di fase persone e oggetti” pensò il leader della DJD “È più di quanto mi aspettassi. Credevo di aver raccolto informazioni a sufficienza ma sbagliavo di grosso, e non mi piacciono certe sorprese”.
 
Vi ho risarciti anche se non ero per niente obbligata, che volete di più?!
 
Tarn stava per rispondere a tono ma, prima di poter mettere in fila anche solo due parole, una serie di grida femminili e di urla inconsulte maschili attirò la sua attenzione.
 
Nickel piombò nella stanza, cercando di staccarsi di dosso lo sconosciuto drogato in tenuta sadomaso -pardon, Sylves Mariner- a suon di colpi dati con un secchio di lamiera vuoto più grosso di lei. «MOLLAMI BRUTTO FATTONE!... io non so neanche cosa sia questo “Final Fantasy”!»
 
«Final Fantasy ti odia!» urlò il tizio, sputacchiando in ogni dove «Non ti parlerà mai! Non lo capisci e non lo capirai, non ti meriteresti neanche di guardarlo di sfuggita! Non l’hai vissuto come doveva essere vissuto, non puoi capire ciò che sta pensando lui di te in questo momento! Non puoi trattarlo come un mech… non puoi… capisci che lo metti in ridicolo?! Tu non colpirai mai il suo cuore… ti guarderà sempre dall’alto in basso, riderà di te e ti prenderà anche in giro! Questo ti direbbe Final Fantasy se potesse parlare ma non può farlo, io sono il suo portavoc-»
 
I deliri del “sottomesso” vennero interrotti, con buona pace di tutti, da un colpo del doppio cannone a fusione di Tarn. «Credo di aver appena ucciso il mech che hai mandato qui».
 
Credo che allora adesso se ne stia finalmente in pace. Era sepolto qui sotto da quando c’era ancora Dhambrexia!
 
Aveva sfruttato la situazione per fare un po’di pulizia in casa.
Più si andava in là, più Tarn aveva voglia di sbattere la testa contro il muro o sbattervi quella di Stiria.
 
«Dato che hai sfruttato la situazione per liberarti di questo impiccio il minimo che tu possa fare è mettere a disposizione i tuoi agenti» affermò il Decepticon «E aiutarci nella ricerca».
 
Non vi ho detto io di ucciderlo, quindi direi di no.
 
«L’arroganza è un tratto tipico della gioventù, specie della gioventù fortunata. Esserne consapevole è la ragione per cui riesco a comprendere e lasciar passare alcune cose» disse Tarn «Questo però non significa che io sia la persona giusta con cui tirare la corda, e credo che tu lo sappia. La cosa più vantaggiosa per tutti quanti è cercare di trovare la nostra bestia, o quel che ne resta, nel minor lasso di tempo possibile, così che il mio gruppo debba trattenersi poco e tu debba godere per poco della nostra presenza».
 
Al discorso di Tarn seguì una pausa di silenzio completo abbastanza tesa.
 
Va bene  disse Stiria – Ma ficcatevi in testa che probabilmente qualcuno se l’è già mangiato, il vostro cane…
 
«Non dirlo neanche per scherzo!» sbraitò Kaon.
 
Tra quanto arrivate?
 
«Meno di venti minuti» disse Nickel «E comunque sappi che la tua città e tutti i suoi abitanti fanno schifo!»
 
Dovresti farlo notare al tuo comandante, non a me… sempre che riesca a sentire quel che gli dici da laggiù.
 
«Senti un-»
 
Stiria chiuse la comunicazione.
Non sentì mai la sequela di insulti di Nickel: un peccato, perché avrebbe potuto impararne svariati che non conosceva.
 
Dopo sedici minuti precisi, la Peaceful Tiranny si immerse nuovamente nel densissimo smog che colorava i cieli di Pettinathia di un mix di grigio sporco e blu.
 
«Tu e Tesarus siete momentaneamente inabili, Helex» “E devo ricordarmi di chiedere loro come sia potuto accadere, una volta ripartiti” aggiunse mentalmente Tarn «Ma vi renderete utili da qui. Voi farete in modo che la Peaceful Tiranny resti stabile in aria. Mi rifiuto di vederla di nuovo inghiottita nei sotterranei di Pettinathia e non vorrei che tentassero di infilare qui dentro qualche altra sorpresa».
 
«Sissignore» risposero i due Decepticon.
 
«Vos, Nickel, Kaon, noi scenderemo tutti quanti a terra. Se finiremo a doverci dividere, Nickel, tu sarai con Vos e io con Kaon. Non vorrei trovarmi a distruggere altri bottiglioni di colla».
 
«La colla è l’ultimo dei miei pensieri, Tarn, te lo assicuro. Spero che non se lo siano mangiato per davvero…» borbottò il mech, visibilmente preoccupato per la sorte del cane di bordo «E spero per lei che ci fornisca un numero di persone decente. Quella piccola strega!»
 
Nickel, intenta a guardare fuori -precisamente il palazzo di Stiria, diventato ben visibile man mano che l’astronave si abbassava- fece un cenno al resto del gruppo. «Un numero di persone “decente” io lo vedo, purché non sia per tentare di attaccarci».
 
«Se non è stupida non lo farà» replicò Tarn, dando a sua volta un’occhiata all’esterno.
 
Vari plotoni di quelli che sembravano soldati dai volti celati con maschere lisce e bianche stavano marciando sotto lo sguardo severo di Stiria, che li osservava dall’alto circondata da un drappello di agenti. Nulla che Tarn non avesse visto e stravisto, maschere a parte, ma in quel momento ebbe quasi l’impressione di avere davanti qualcosa di serio -e non perché lì in basso c’erano parecchie persone.
 
“Ora non fatico più a immaginarla mentre ordina l’epurazione di un quartiere”.
 
Tra le informazioni che aveva raccolto c’era anche quella. Se una parte di Pettinathia diventava troppo problematica perfino per gli standard di quel luogo di completa follia, Stiria non si faceva problemi a ordinare di svuotarlo da tutti i suoi abitanti.
 
Pettinathia e la sua giovane padrona erano un posto davvero strano, un incomprensibile miscuglio tra due cose apparentemente inconciliabili quali lo stato brado e il pugno duro; come facesse a restare in piedi era un mistero ma, quale che fosse la tecnica, funzionava perfettamente.
 
Vide l’immagine della loro bestia perduta comparire su un maxi schermo.
 
«Posso prenderla come una conferma del fatto che non vogliano attaccarci» concluse il Decepticon «Andiamo».











Ed ecco che, come accade spesso, anche questa one shot si è allungata :'D il prossimo capitolo comunque sarà l'ultimo, non preoccupatevi.
Ringrazio di nuovo Neferikare per varie cose, stavolta in particolare per aver riesumato chat antiche che hanno permesso di rendere certi deliri qui presenti ancor più deliranti, in quanto tratti da una storia vera :'D

Nel capitolo precedente l'ho dimenticato, ma qui sotto vi lascio un mio disegno di Stiria.





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Capitolo 3
*** A ''Day Off'' To Repent (More Than Ever) ***


A "Day Off" To Repent (More Than Ever)
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
«Finn… non è che potresti ricordarmi perché siamo qui, per favore?»
 
Ember non era particolarmente felice di trovarsi a Pettinathia. Nessuna persona ragionevole sarebbe stata felice di trovarsi in quel posto, specie vicino al centro, dove era necessario utilizzare dei filtri per non farsi intossicare dai gas e vapori presenti nell’aria; infatti lei, cui la ragionevolezza sicuramente non mancava, camminava in quel vicolo scuro stando ben stretta al braccio destro di suo fratello.
Aveva la sensazione che un solo passo sbagliato avrebbe potuto farla finire nel bel mezzo di un disastro e, considerando il luogo in cui si trovava, non aveva neanche tutti i torti.
 
«Siamo qui perché questo è un pomeriggio di shopping e a Pettinathia esistono cose che non esistono» rispose il mech, col sorriso più tranquillo del creato «E poi al momento mamma vive qua».
 
«Ai confini estremi della città però c’è un po’meno caos… quando non sono lei e i suoi coinquilini a crearlo».
 
La giovane seeker dalle ottiche aranciate, terribilmente somigliante a sua madre Hallow nella struttura fisica e nella colorazione -che differiva da quella materna solo negli inserti, arancio e rosa pastello nel suo caso, e nelle ali rivolte verso il basso- aveva trovato abbastanza preoccupante la situazione che aveva visto almeno un mese e mezzo prima.
 
Se Hallow da sola tendeva già a far danni, come nell’occasione in cui aveva distrutto buona parte dell’abitazione del padre di Finn per andare a fargli un saluto, la coppia di coinquilini che viveva con lei a quei tempi aveva peggiorato la situazione. Quando lei e Finn erano andati a trovarla avevano sentito parlare di guerriglia, orsi e cucine andate a fuoco, tutto ciò avvenuto solo il giorno precedente alla visita.
 
“Ed è meglio non ricordare il momento in cui il coinquilino di mia madre ha messo una mano sulla mia spalla e se l’è trovata staccata dal braccio” pensò Ember, con un leggero brivido.
 
Aveva capito che quel tizio era poco raccomandabile, avendo avuto una vita abbastanza dura Ember ne aveva visti e conosciuti vari simili lui, però una cosa del genere -e il successivo “Tanto si riattacca!”- da parte di sua madre le era sembrata, come dire, un po’… eccessiva.
 
«Il coinquilino» la corresse Finn «Nostra madre e lui facevano casino ma Spectra era molto dolce».
 
“Nostra madre”: Finn considerava Ember sua sorella a tutti gli effetti, e viceversa, anche se di fatto avevano in comune solo un genitore.
Se Ember aveva preso moltissimo da Hallow nell’aspetto fisico, Finn era invece più somigliante al padre nel volto dalle ottiche smeraldine e nella forma dell’elmo rosso sfumato di nero. Il contributo materno era comunque visibile nella corazza prevalentemente nera -con inserti verdi e rossi, abbinamento che pochi potevano permettersi- e nel fatto che fosse un volatore anch’egli.
 
«Vero» convenne Ember «Mi era venuta quasi voglia di portarla via, ci credi?»
 
Il seeker annuì. «Ci credo ecc-»
 
«EHILAAAAAAAAAAà!»
 
Ember si strinse di più al fratello nel vedere qualcosa di indefinito precipitare davanti a loro dopo aver urlato, salvo collegare in un secondo momento l’ “ehilà” al “qualcosa” che non poteva essere altri se non Hallow.
 
«Sono arrivata! In ritardo di qualche minuto…»
 
«Mezz’ora!» la corresse Finn.
 
«Ma sono arrivata comunque, quindi possiamo cominciare il giro!»
 
Fu solo in quel momento che Ember notò un particolare fondamentale. «Ehm... hai adottato un animale domestico?»
 
«Ah già è vero! Ember, ti presento il tuo nuovo cane: si chiama Strufolo!» esclamò la femme, sollevando la bestia come se fosse stata un qualche trofeo.
 
«Il mio?...»
 
La giovane seeker non era troppo sicura che fosse una buona idea prendere in mano quella bestia dagli occhi rossi, l’aria poco raccomandabile e, a giudicare da come si agitava e ringhiava, zero voglia di trovarsi lì.
 
«L’ho trovato in giro tutto solo, col guinzaglio penzoloni e in procinto di essere mangiato da una quarantina di tossici. Non so di chi sia, sul suo collare c’era scritto solo il suo nome, se “The Pet” si può definire un nome» dicitura al posto della quale ora campeggiava uno “Strufolo” scritto col pennarello indelebile «I suoi ex padroni non avevano fantasia».
 
«Non sembra molto contento» disse Finn, alludendo ai ringhi.
 
Hallow fece voltare “Strufolo” verso di sé. «O beh, allora ti riporto da quelli che volevano mangiarti. Sono un po’tantini anche per te».
 
Qualcosa nel sorriso quasi onnipresente della donna dovette far intuire al cane che non scherzava affatto, perché iniziò a guaire, si liberò dalla presa di Hallow e si appiccicò a Ember.
 
«Come ti dicevo, Ember, ecco il tuo nuovo cane!»
 
«Io… grazie» disse la giovane, stringendo il guinzaglio.
 
Non sapeva perché ma guardando quella bestia, che a dir le verità le lasciava più di un dubbio su quale fosse la sua vera razza, si sentiva prudere la nuca. Una sensazione sgradevole quanto l’inizio di un brutto presentimento.
 
La famigliola di seekers, più il nuovo animale domestico, uscì fuori dal vicolo.
 
«Ehi!» esclamò Finn, venendo trascinato via da una folla urlante e spaventata che fino a poco prima non c’era «Che succede?»
 
«Finn!...» esclamò Ember «Finn, cos-»
 
Non riuscì a finire la frase, perché la madre trascinò lei e le bestia nuovamente dentro il vicolo.
 
«Mi sa che dobbiamo rimandare il pomeriggio di shopping e cercare di spostarci altrove» disse Hallow «Ho visto dei soldati di Stiria in lontananza e ora li sento anche in aria» aggiunse, facendo appiattire Ember contro il muro «Non vorrei che abbia deciso di sgombrare questa parte di Pettinathia proprio oggi».
 
«“Sgombrare”?» ripeté Ember.
 
«Dai suoi abitanti, nighean ùr. Pettinathia è un casino ma, se in certi posti il casino diventa troppo anche per i gusti di Stiria, non ci mette molto a sterminare tutti» spiegò la femme «Non credevo che fosse il caso di questo settore però» alzò lo sguardo e diede un’occhiata al tetto del palazzo accanto al quale si trovavano «Prendi Strufolo, voliamo lassù adesso».
 
Ember obbedì, pensando che Hallow dovesse aver calcolato il momento giusto per farlo senza essere viste, e infatti così fu.
 
«Qui sei all’ombra e coperta da questa tettoia, è mezza scassata ma è meglio di niente. Se resti qui dovresti essere a posto, non conto di stare via tanto» disse Hallow «Vado a cercare di capire che succede, a cercare una strada un po’più sicura e magari anche a vedere che fine ha fatto tuo fratello. Da tempo non c’è più ragione di preoccuparsi davvero per lui… però certe cose possono essere sempre poco carine» aggiunse.
 
Ember si rannicchiò sotto la tettoia. «Va bene, però cercate di tornare presto sul serio, sì? N-non mi sento molto tranquilla quassù».
 
«Contaci» sul volto di Hallow comparve un’espressione vagamente dispiaciuta «Quando ci vediamo capita sempre qualcosa. È anche per questo che ultimamente sto cercando casa altrove».
 
«Credo che sia una buona idea».
 
Rimasta sola assieme a Strufolo, Ember non poté fare a meno di pensare a come quella sensazione provata prima si fosse rivelata esatta.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Nickel riteneva che quella di Tarn di dividersi in coppie in caso di necessità fosse stata una buona idea. Benché non si reputasse totalmente indifesa -possedeva anche un registratore nel quale Tarn aveva inciso un messaggio vocale paralizzante- quella era Pettinathia, e lei trovava confortante la vista di Vos sui bassi tetti di quella via.
 
Così come i soldati di Stiria cercavano il cane, o quel che ne restava, sia a terra che in aria, loro stavano facendo una cosa analoga in strada e sui tetti. Quando prima aveva comunicato con Kaon aveva anche saputo che lui e Tarn avevano avuto un’idea analoga.
 
I palazzi erano uno vicino all’altro, dunque per Vos fare un saltello per procedere avanti era uno scherzetto, cosa che invece per lei sarebbe stata un po’ più difficoltosa, sia per la statura, sia perché non amava eccessivamente l’altezza. Non soffriva di vertigini né aveva altri disturbi ma, potendo, Nickel preferiva restare con le ruote ben piantate a terra; probabilmente era un riflesso del suo carattere, anch’esso poco tendente a “voli” di qualunque genere, specie pindarici.
 
Sbuffò quando vide arrivare un fiume in piena di gente urlante. I soldati di Stiria avrebbero dovuto essere d’aiuto, ma di fatto fino a quel momento stavano risultando più d’impiccio che altro: vedendone arrivare tanti la gente del posto, quella che riusciva a reggersi in piedi, pensava a uno sterminio di massa e iniziava sempre a fuggire gridando. Un male, perché il caos non era positivo in una missione di ricerca.
 
“In compenso sembra che stiano riuscendo a direzionare altrove la gente” pensò, guardando i soldati coprirsi dietro scudi bianchi come le loro maschere e cercare di disperdere il flusso di tossici.
 
Decise di sedersi qualche attimo su quel che restava di una panchina per dare più comodamente un’occhiata al suo datapad. Avevano già battuto buona parte dell’area loro assegnata senza ottenere risultati, cosa di cui non poteva dirsi sorpresa. Probabilmente l’animale era stato mangiato davvero, purtroppo per Kaon.
 
“Se ne farà una ragione, prima o poi” concluse, rimesso il pad al proprio posto “Ora riprend-”
 
Non riuscì a completare il pensiero, perché si sentì afferrare da qualcuno che poi schizzò subito in volo verso l’alto.
 
«Ma sei una bambola bellissima! Chi è che ti ha lasciata in giro?... sul serio, giocattoli ne ho tanti ma una fatta così bene non l’avevo mai vista».
 
Quando Nickel iniziò a riprendersi dallo stupore vide che a rapirla era stato un seeker dall’elmo rosso sfumato di nero e le ottiche verdi, a lei totalmente sconosciuto.
 
«Lasciami subito! Non sono una bambola! Non sono una cazzo di bambola! Mettimi giù!»
 
Il mech rise. «Una bambola che dice le parolacce! Bellissimo! Mia madre e mia sorella ti adoreranno… quando le ritroverò. Sicuramente stanno e staranno benissimo ma devo ancora capire cosa combinino quei soldati lì sotto. Il fatto che non mi stiano inseguendo però può significare solo che non mi hanno visto o che non hanno in programma uno sterminio» disse tra sé e sé.
 
«Stermineranno te se non mi lasci immediatamenteeEEEH!» gridò Nickel, precipitando dopo essere stata lasciata cadere.
 
Salvo essere riacchiappata tre secondi dopo.
 
«Non ti avrei mai lasciata cadere giù davvero» disse lo sconosciuto «Come non ti avrei lasciata in mezzo al casino che c’è laggiù, poteva capitarti di tutto. Sapevo che qui a Pettinathia esistono cose che non esistono, però una bambola con un’IA adattiva così sviluppata mi ha sorpreso».
 
«Te lo ripeto di nuovo: non sono una bambola, sono una minicon!» insistette Nickel, cercando di far penetrare il concetto in quella testa dura. Sempre che non fosse entrato da un pezzo e lui stesse solo fingendo il contrario «Una minicon della colonia di Prion, e del “casino” di cui parli non ho paura, quindi riportami immediatamente dov’ero!»
 
Avrebbe voluto utilizzare il registratore datole da Tarn, ma non sarebbe stato conveniente paralizzare il tizio, non ora che erano in volo.
Tentò di utilizzare il comm-link: niente. Sentiva solo una serie di statiche.
Era sola con un tossico di Pettinathia che l’aveva appena rapita.
 
«Non ho idea di cosa sia un minicon, è il nome del tuo tipo di bambole? Mi piace. Per caso ti hanno dato anche un nome proprio? Io mi chiamo Finn. Tu?»
 
«Chi se ne importa! Io voglio tornare a terra, non voglio avere niente a che fare con un tossico di questa fogna di città! Riportami! A! Terra!»
 
«Io non vivo qui, sono solo in visita, e per il resto l’unica droga per me è il Tyger. Hanno di tutto là dentro. Tralasciando il fatto che questa città sia un Tyger a cielo aperto per drogati e gente in cerca di ottiche e chissà che altro… sei mai stata in un Tyger? Eh, Chiseneimporta? Ci sei mai stata?»
 
Si stavano allontanando dal centro a gran velocità, e quel seeker malnato non accennava ancora a scendere.
 
«Tu non mi hai appena chiamata “Chiseneimporta”. Mi rifiuto di crederlo» borbottò Nickel, visibilmente esasperata «Fammi capire, sei un cretino o ti stai divertendo a prendermi in giro?!»
 
«Può darsi!»
 
«Può darsi cosa?!»
 
«Decidi tu, per me fa lo stesso» sorrise il mech.
 
«Tu sei la persona più esasperante che conosca, e io ho a che fare con persone che tornano da ognuna delle loro uscite con cadaveri maciullati e fluido craniale in bocca!» sbottò il minicon.
 
«Ah, ma allora sei proprio una bambola di Pettinathia. Eppure avevo capito che non abitassi qui».
 
«Se non torniamo a terra subito faccio schiantare entrambi, sei avvisato!» lo minacciò Nickel, cercando di tirare fuori il registratore…
 
Che le cadde di mano.
Ovviamente.
 
«Attenta!» esclamò Finn, riuscendo a recuperare l’oggetto «Sarebbe stato un peccato perderlo anche se è vecchiotto. Collezioni ciarpame anche tu? O faccio meglio a non ascoltare quel che c’è registrato sopra?»
 
«Perché mi hai presa? Che vuoi da me, si può sapere?!... che giornata!» sbuffò «Prima Helex e Tess si fanno distruggere l’inguine da quella donna, non ho idea di come, poi perdiamo il cane, ora questo!»
 
«Per caso il cane aveva un collare con scritto “The Pet”?» le chiese Finn, dopo un attimo di riflessione.
 
«C-cos… sì!» allibì Nickel, incredula che quel tipo potesse avere qualche informazione utile «Esatto! È quella la ragione per cui siamo tornati qui, stiamo cercando lui! Dove l’hai visto? Chi lo ha?!»
 
«Se non l’ha portato via la folla com’è successo a me, dovrebbero averlo ancora mia sorella e mia madre. Non preoccuparti, sta bene, anche se ora si chiama “Strufolo”!»
 
«Chi dà un nome del genere a un cane?!»
 
“E poi cos’è uno strufolo?!” si chiese Nickel.
 
«Beh, mia madre. È…»
 
Il seeker non finì la frase, fermandosi a mezz’aria.
 
«Senti, se devi farti prendere un collasso perlomeno cerca di atterrare, prima!» sbottò Nickel «Cosa mi stai indicand…»
 
Era l’insegna a led di un negozio di Tyger.
Il Tyger più grosso che Nickel avesse mai visto.
 
«Andiamo lì dentro subito!» esclamò il seeker, atterrando in fretta e furia davanti all’ingresso «Hanno praticamente aperto un Tyger nel Tyger, che bella cosa!»
 
Mentre entravano nel grosso complesso -che notarono essere pieno di guardie e dunque, forse, uno dei posti vagamente meno rischiosi in città- Nickel fece un sospiro nervoso. «Posso capire il fatto che mi hai presa per allontanarmi da quello che credevi fosse un pericolo, per quanto mi sembri tuttora assurdo, ma perché vuoi portarmi con te a fare shopping?!»
 
«…e poi questo, questo, oh quest’altro non ce l’ho proprio, poi questo, quello, e anche questo!» disse Finn, riempiendo man mano un carrello con oggetti strani, inutili e dall’uso misterioso senza dare mostra di ascoltarla minimamente.
 
«Ehi! Ascoltami due secondi!» esclamò la minicon, puntando l’indice in faccia a Finn «Portami da tua madre e tua sorella se mai, così mi riprendo il cane e la facciamo finit-»
 
Il suo dito indice venne inglobato da un tentacolo di gomma rosso.

Il solo desiderio di Nickel in quel momento fu infilarlo su per il canale di espulsione di quello scriteriato.

 
«E comunque non hai tutti i torti, fammele chiamare, va’» disse il seeker attivando il comm-link «Ehilà Ember! Tutto ok?»
 
“Perché il mio comm-link non funziona e il suo sì?!” si domandò Nickel.
 
Sto bene. Io e Strufolo siamo su un tetto, mamma ci ha fatti salire quassù, ha detto che sarebbe andata a cercare di capire cosa succede ma non è ancora tornata e il numero di soldati a terra e in aria sta aumentando!
 
«La buona notizia è che probabilmente Stiria non li ha mandati lì a massacrare la gente, nessuno mi ha rotto le scatole quando mi sono alzato in volo, quindi credo che tu possa stare tranquilla. Hallow tornerà presto di sicuro».
 
“Ha detto ‘Hallow’? Dunque quella femme è sua madre?! Questo in effetti spiega tante cose” pensò la minicon, con una smorfia.
 
Lo spero. Non mi piace stare da sola, non qui. E sì che dovrei essere abituata a certi postacci! Tu dove sei?
 
«Abbastanza lontano dal centro ormai. Ho soccorso una bambola che-»
 
«Per l’ultima volta, io non sono una bambola, quello che avete è il nostro cane e se i soldati di quel pugno in un occhio di una seeker sono in giro è perché stanno cercando lui! Ecco!» sbottò Nickel, sperando che la sorella di Finn l’avesse sentita «Quindi ora lascia la bestia sul tetto, vai dove ti pare e tu» indicò Finn «Riportami subito dove mi hai trovata!»
 
Il mech scoppiò a ridere. «Certo che potevi dirlo prima. Tutto questo caos dunque è per Strufolo? Com’è che Stiria si è scomodata tanto?»
 
«Quando la Decepticon Justice Division chiede qualcosa di solito viene accontentata» ribatté Nickel.
 
«Aaah, ecco. O beh, se le cose stanno così allora è tutto a posto, Ember, molla Strufolo e raggiungici qui al Tyger».
 
Nickel avrebbe avuto tante cose da dire sul fatto che il figlio fosse peggio della madre, ma tutto quel che le sarebbe venuto fuori dalla bocca in quel momento sarebbe stato uno “Io non”.
 
Credo proprio che lo far- oh cazz- –
 
«Ember? Ember, che succede?!»
 
Servì qualche secondo perché dall’altra parte giungesse risposta.
 
Un tizio è saltato sul tetto, sto cercando di nascondermi e di chiamare Hallow ma non so- Strufolo, ferm-
 
ECCOLO! ECCOLO! Ma da dove sei sbucato?! Non scappare mai più!... TARN! Ho trovato il cane!
 
Per una volta dal viso di Finn scomparve il sorriso. «La buona notizia è che i tuoi amici hanno trovato il vostro cane, la cattiva è che dobbiamo salutarci» diede a Nickel due belle manciate di shanix, le mise sulla testa un fiore finto preso dallo scaffale accanto e fece il baciamano alla mano con l’indice “tentacolato” «Fai shopping anche per me. Addio, 
Chiseneimporta
 
«Non puoi mollarmi qui! EHI! Riportami dove… niente, è andato» allibì Nickel «Io non… io… che senso ha tutto questo?!» sbottò, cercando inutilmente di togliersi il tentacolo dal dito.
 
 
 
 
 
 
.: Circa un minuto prima, palazzo di Stiria :.
 
 
 
 
 
«Solo perché abbiamo degli amici in comune non vuol dire che tu possa spuntare all’improvviso quando ti pare! E te l’avevo già detto una volta! Porca Solus!»
 
Hallow, comparsa dietro Stiria quasi di botto e per nulla interessata al fatto che alcuni dei sottoposti di quest’ultima fossero finiti KO a causa del suo strillo spaventato, si limitò a sorridere come suo solito.
 
«Forse in quel momento stavo ascoltando la musica e non ti ho sentita. Volendo informazioni ho pensato di chiederle direttamente alla fonte, per cui… io e i miei figli abbiamo deciso di fare un giro in centro in un giorno di massacro?»
 
«No. La voglia ora ce l’ho, ma no» rispose Stiria con uno sbuffo «È tutta colpa di quei brutti idioti cretini mongoflettici possano finire tutti morti male a botte di antimateria della DJD. Hanno perso il cane e vengono a rompere la valvola a me!»
 
«Considerando che ai due più grossi ci ho già pensato io poteva andarti peggio, tre dei quattro che rimangono sono piccoli e una non ha nemmeno il cavo».
 
«Non in quel senso! E non gliela darei nemmeno con la valvola di un’altra! Ma poi fosse bello, quel cane» mostrò ad Hallow l’immagine della bestia «Sembra quasi la alt mode animale rovinata di un transformer lobotomizzato! A guardar bene potrebbe anche esserlo davvero. “Domesticazione”… potrebbe diventare un altro business» disse tra sé e sé la giovanissima seeker.
 
A tutte le unità: il cane è stato trovato, ripeto, il cane è stato trovato. Missione conclusa – fu la trasmissione che giunse nel palazzo di Stiria – Rientrare immediatamente alla base.
 
Stiria applaudì perfino. «Oh, perfetto, almeno si tolgono dalle scatole! E puoi toglierti di torno anche tu, Hal-»
 
Si interruppe.
Accanto a lei non c’era più nessuno.
 
«Vabbè» concluse Stiria, con un’alzata di spalle.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Esci fuori… ti ho vista lì dietro!»
 
La vita di Ember non era stata sempre rosa e fiori, in verità c’era stato più di un momento un po’ “rischioso”, ma quello era indubbiamente tra i peggiori.
Era sola, era a Pettinathia e Strufolo era l’animale domestico perduto della Decepticon Justice Division: avrebbe voluto soltanto che si trattasse di un incubo.
Se solo lei e Finn fossero stati informati della cosa un minuto prima, se solo Hallow fosse stata lì… ma non era andata così.
 
“Dovrei cercare di volare via, ma se mi sparasse? La distanza è molto ravvicinata e questa è gente abituata a colpire anche bersagli in volo”.
 
Tutto vero, però doveva tentare lo stesso. Magari poteva cercare di raggiungere il limitare del tetto, scendere, allontanarsi un po’ e poi volare via, riducendo le possibilità di essere avvistata e/o colpita.
 
Iniziò a muoversi rapidamente, ma…
 
«Ehi!»
 
Un mech non particolarmente robusto, con due antenne tesla sulle spalle e le ottiche nere -“O sono del tutto assenti?!”- riuscì comunque a coglierla di sorpresa.
 
«Allora il mio cane era con te. Di un po’, dove l’hai trovato?»
 
«Io…» si fece coraggio quanto bastava per rispondere, pur continuando a indietreggiare «Stava per essere mangiato da un gruppo di persone, e-»
 
«Aspetta, ma tu sei lei! Nera lo sei, le ottiche arancio le hai e hai anche le catenelle sulla testa, sì, sei proprio lei. Ah!» applaudì. Ora che aveva recuperato la sua bestia e teneva stretto in mano il suo guinzaglio era tornato di ottimo umore «Avevo sperato di incontrarti, dovevo assolutamente chiederti due cose: la prima è il tuo contatto privato, la seconda come hai fatto a ridurre in quel modo Helex e Tess insieme, non avevo mai visto una cosa del genere!» rise «Se poi volessi mostrarmelo…»
 
«Non ho idea di cosa tu stia parlando, mi stai scambiando per qualcun’altra» ed Ember aveva anche un’idea piuttosto precisa di chi potesse essere «Sono contenta per te e il tuo animale, ora se vuoi scusarmi…»
 
«Via datapad avevi tutto un altro atteggiamento, sai?»
 
L’indietreggiare di Ember finì quando sentì le proprie ali andare a sbattere contro qualcuno.
 
«Ha un altro atteggiamento perché non è lei, Kaon» disse Tarn «Anche se la somiglianza è impressionante, te lo conce-»
 
Solo i riflessi ottimamente allenati permisero a Tarn di intercettare con entrambe le mani la cisterna vuota, sradicata dal tetto di un palazzo vicino, che gli arrivò addosso con la forza di un proiettile.
La potenza del lancio fu tale da farlo finire oltre il limitare del tetto, al quale riuscì comunque a restare attaccato con una mano, mentre Kaon ed Ember guardavano la scena con aria confusa o basita.
 
«Ember! Vai!» esclamò Hallow scagliandosi addosso a Kaon, il quale cadde a terra «E non voltarti».
 
Per vari motivi la giovane femme e sua madre non si conoscevano da moltissimo tempo, ma c’era una cosa che Ember aveva imparato subito: se Hallow diceva di scappare, era il caso di darle retta più alla svelta possibile.
Anche se significava sentirsi un po’in colpa.
Anche se, pur conoscendo sua madre come un tipo che sapeva cavarsela, un minimo di dubbio restava sempre.
Decollò più in fretta di quanto avesse mai fatto in vita sua e, obbedendo alla sua creatrice, non si voltò indietro.
 
«Immagino che tu non sia qui per una conness- ah!» esclamò il Decepticon privo di ottiche, evitando per un soffio di trovarsi la spada di Hallow infilata nel cranio «Direi di no».
 
Detto ciò, rassicurato anche nel vedere Tarn avvicinarsi rapidamente, colpì la femme una potente scarica elettrica.
 
«Peccato che debba finire così… proprio un peccato» disse poi, aumentando ulteriormente il voltaggio e riconoscendo subito il familiare rumore di un T-Cog andato in pezzi «Tarn! Che ne facciamo?»
 
«Non ci sono molti dubbi su questo punto, ormai» fu la risposta del Decepticon.
 
Fu allora che Hallow scattò e, col suo solito sorriso e una mano di Kaon tenuta ben stretta, estrasse la spada dal terreno conficcandola dritta nell’addome metallico del comandante della DJD, che si trovò infilzato e vittima di una scarica elettrica che per chiunque altro sarebbe stata devastante.
 
«Cos- NO!» gridò Kaon, interrompendo subito l’azione «Tarn! N-non volevo, giuro!»
 
L’azione aveva colto di sorpresa entrambi i Decepticon, Kaon in particolare che tutto si sarebbe aspettato meno che di essere utilizzato per folgorare il proprio capo, e Hallow ne approfittò per cercare di andarsene, abbandonando la spada dove l’aveva infilata.

I danni subiti tuttavia l’avevano rallentata.

 
«Tu non vai da nessuna parte» disse Tarn, che si era già ripreso dalla scarica, in un ringhio cupo.
 
L'avevano rallentata troppo.

Il colpo del doppio cannone a fusione di Tarn raggiunse la schiena di Hallow e la trapassò, lasciando nel busto della femme un foro grande quasi quanto il busto stesso; dopo ciò, la seeker cadde come corpo morto cade.
 
Per qualche istante né i due mech né la bestia emisero alcun suono.
 
Kaon fu il primo a spezzare il silenzio. «Non volevo colpire te, non ho fatto apposta, lo giuro, credevo che lei stessa non potesse muoversi mentre una scarica del genere la-»
 
Tarn lo interruppe con un cenno. «Se quella femme non aveva preso il Nuke» alias un composto molto raro in grado di potenziare le prestazioni come nient’altro «Doveva comunque aver messo le mani su qualcosa di molto simile. Tu però non potevi prevederlo» continuò il Decepticon, sfilando la spada di Hallow dall’addome con un gesto secco e porgendola a Kaon «Come non potevo farlo io stesso».
 
«Hai bisogno di cure, quella ferita è profonda, dobbiamo tornare alla Peaceful Tiranny e… Tarn? Mi stai ascoltando?»
 
Tarn, tenendo una mano premuta sulla ferita che perdeva energon, si avvicinò al cadavere di Hallow e lo sollevò con un singolo braccio. «Qui sotto ho visto un inceneritore».
 
Tutti e tre -cane incluso- scesero dal tetto e raggiunsero uno degli inceneritori che a Pettinathia, spesso, sostituivano i cassonetti.
 
«Getta dentro la spada» disse Tarn.
 
Kaon,  eseguì l’ordine appena il suo capo ebbe posto nell’inceneritore anche i resti di Hallow. «Fatto. È finita? Possiamo veramente dire che la nostra permanenza a Pettinathia è finita?»
 
«Decisamente, Kaon».
 
«Devo dire a Helex e Tess di portare qui l’astronave? Meno ti muovi meglio è».
 
Tarn annuì. «Sì, e comunica a Vos e Nickel le coordinate».
 
Kaon obbedì, parlando prima con Tesarus e Helex, poi con Vos.
 
La faccia che fece dopo aver parlato con quest’ultimo fece venire a Tarn il prurito sulla nuca che, lui non poteva saperlo, era venuto a Ember in precedenza.
 
«Kaon».
 
«Mmmh?»
 
«Non ci sono altri problemi, vero? Vos e Nickel sono a posto, giusto?»
 
«Ecco» esitò Kaon «In verità… da quello che dice Vos, pare che Nickel sia dispersa da un po’…»
 
Lunga pausa di silenzio da parte di Tarn.
 
A poca distanza, un mech sconosciuto urlò un bestemmione perfetto per esprimere lo stato d’animo di entrambi i Decepticon in quel momento.
 
«Kaon».
 
«Sì?»
 
«Se ora confessi di star scherzando sono disposto a perdonarti. Basta che tu dica “No, Nickel non è dispersa, non abbiamo ritrovato un componente del gruppo e perso un altro”. Sono disposto a lasciar correre» fece un sospiro e si passò una mano sul volto coperto «Davvero, lo giuro su “Towards Peace”».
 
Lui in quanto fervente Decepticon non aveva altre fedi, se mai combatteva quelle altrui, ma in quel momento ebbe il sospetto di essere morto e di trovarsi in quello coloro che credevano nell’Afterspark, Primus, Mortilus e tutto il resto chiamavano “Inferno”.
Pettinathia in fin dei conti sarebbe stata benissimo in quella parte.
 
«Purtroppo non sto scherzando, ma pensiamo a una cosa per volta» Kaon indicò la Peaceful Tiranny, ora visibile in lontananza «La ritroveremo, ritroveremo tutti, sono sicuro!»
 
“Non ne usciremo mai” pensò Tarn “Se anche ritroveremo Nickel in futuro sarà solo questione di tempo prima che un altro di noi sparisca. Probabilmente sparirò io. Non ce ne andremo mai da Pettinathia”.
 
Proprio in quel momento Kaon ricevette un altro contatto.
 
Kaon! Kaon, qui Nickel, mi ricevi?
 
«Nickel!» esclamò il mech «Dove sei?! Vos ci aveva appena comunicato di averti persa da un pezzo!»
 
Sono in un Tyger, ti sto inviando le coordinate. Vi avrei contattati prima ma il mio comm-link non funzionava, ho qualche sospetto che non fosse casuale...
 
«In un Tyger?» ripeté Tarn, esterrefatto «Non ho capito bene: sei sparita nel mezzo di una missione di ricerca per andare a fare shopping?!»
 
Mi hanno rapita. Mi ci hanno portata. Ho un tentacolo di gomma incastrato su un indice.
 
Tarn iniziò a sospettare che, se per loro il tutto era stato esasperante, a Nickel non dovesse essere andata molto meglio.
Nonostante il Tyger.
Le spiegazioni sarebbero state dovute, una volta recuperata.
 
Venitemi a prendere. Venitemi a prendere, andiamo via da questa città di pazzi, andiamo via subito!
 
«Arriviamo» concluse Tarn.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Quello dei due fratelli seeker, Finn ed Ember, da incontro che doveva essere rischiò di trasformarsi in uno scontro a mezz’aria a causa di velocità e disattenzione.
 
«Che- Ember!» esclamò il mech, stringendo la sorella tra le braccia abbastanza robuste per essere quelle di un seeker «Ember, stai bene? Sei ferita? Cos’è successo?!»
 
«I-io sto bene. Sto bene» riuscì a dire la giovane, ancora spaventata «Ma nostra madre… Hallow mi ha detto di scappare, mi ha detto di volare via e non guardare indietro, io-»
 
«Se ha detto così hai fatto bene a darle ascolto. Non ha parlato in questo modo senza ragione» la rassicurò Finn.
 
Tentò di contattare Hallow tramite comm-link: nulla.
A dirla tutta il comm-link non era solo chiuso, risultava proprio inesistente.
 
«Non risponde?» si allarmò Ember.
 
Sapeva che restando lì non avrebbe potuto fare molto per aiutarla, sapeva che avrebbe finito solo con l’essere d’intralcio o a fare la brutta fine che Hallow aveva voluto evitarle, ma quella preoccupazione mista a senso di colpa era un sentimento piuttosto comprensibile e “umano”.
 
Finn scosse il capo. «No. Possiamo far passare del tempo e andare a dare un’occhiata in seguito, ritengo che sia la cosa migliore. In ogni caso non credo ci sia di che preoccuparsi, rispunterà sicuramente fuori tra un po’ col suo “Ehilà!”. Tranquilla».
 
«Sei sicuro di quello che dici?»
 
Finnan annuì. «Assolutamente».
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Quando Nickel venne recuperata da Vos -anch’egli assegnato alle pulizie come Helex e Tesarus, per aver perso la compagna di squadra- e riportata nella Peaceful Tiranny, le facce del resto della Decepticon Justice Division divennero da assoluto primo piano.
 
«Nickel… tu sei proprio sicura di essere stata rapita?» domandò Helex.
 
Questo perché il loro medico di bordo, con un’espressione esasperata come non l’avevano mai vista, si trovava seduta in un carrello pieno di roba alla quale molti di loro non avrebbero saputo dare un uso, aveva effettivamente un indice incastrato in un tentacolo di gomma e aveva un fiore finto sulla testa.
Sembrava che avesse seguito il consiglio di Finn di “fare shopping anche per lui”, con gli shanix che Finn stesso le aveva lasciato; un giusto risarcimento, dopotutto.
 
«Guardami in faccia. Guardami» disse la minicon, indicandosi il volto con il tentacolo «Ho conosciuto qualcuno che è più esasperante di tutti voi messi insieme, e credetemi se vi dico che non pensavo fosse possibile! In nome di Prion, il figlio è più fuori di testa della madre!»
 
«Non ti seguo» disse Tarn.
 
Stavano lasciando Pettinathia.
Stavano decollando.
Finalmente.
 
«A rapirmi è stato il figlio di quella che ha ridotto così voi due» indicò Helex e Tesarus «Il figlio di quella Hallow, o come si chiamava. Non chiedetemi perché l’abbia fatto o che senso abbia tutto questo perché non ne ho la minima idea e, come vi accennavo prima, inizio a sospettare che c’entrasse lui coi malfunzionamenti del mio comm-link. Non so come» aggiunse «E in tutto ciò si è preso anche il mio registratore, Tarn, quello che tu mi avevi… oh» si stupì, trovandolo in uno scomparto «Quand’è che l’ha rimesso a posto?!»
 
«Quindi di figli senza madre ne sono rimasti due» commentò Kaon.
 
«L’avete uccisa?» si stupì Nickel, notando solo in quel momento un particolare fondamentale «Tarn! Hai una ferita e non mi dici nulla?! Sarebbe stata la prima cosa da dirmi, altro che chiedere di me! Andiamo immediatamente in infermeria, e niente storie!»
 
Tesarus, che stava guardando l’esterno della nave, parve notare qualcosa fuori posto. «Kaon, sei sicuro?»
 
«Di cosa?»
 
«Di aver ucciso quella femme. Sei sicuro?»
 
«L’ho uccisa io stesso e in seguito l’abbiamo gettata in un inceneritore» disse Tarn «Perché lo domandi?»
 
«Perché è in piedi sulla prua dell’astronave e ci sta salutando».
 
L’intera squadra corse verso il vetro, e quel che tutti videro non lasciava margine di errore: Hallow, con la sua corazza nera e color ruggine, con le sue catenelle come “capelli” e il suo largo sorriso vagamente inquietante, li stava salutando con la mano sillabando un “Ehilà!”.
 
«L’avevamo uccisa! L’avevamo ammazzata, dico sul serio, aveva preso una scarica elettrica, il T-Cog si era rotto, aveva un buco sul petto grosso come la mia testa, l’abbiamo gettata davvero in un inceneritore!» disse Kaon, concitato e leggermente stridulo «Diglielo, Tarn! Diglielo!»
 
«Lo avevamo fatto, senza alcun dubbio».
 
A un certo punto, quando fu certa di essere stata vista da tutti, la videro fare un salto all’indietro piuttosto teatrale e sparire così, precipitando nel vuoto.
 
Ciò causò l’ennesima pausa di silenzio in quella giornata assurda.
 
«La prossima volta» esordì Tarn «Pagheremo via telematica, caricheremo i T-Cogs senza atterrare neanche per un minuto e andremo via da Pettinathia immediatamente».
 
Il resto della squadra rispose con un brusio di assenso.
 
«E ora, con buona pace di tutti, rotta verso il pianeta Terra!» ordinò poi.
 
«E tu rotta verso l’infermeria!» gli ricordò Nickel.
 
Tarn obbedì.
Non aveva idea di cosa l’avrebbe atteso sulla Terra, non aveva idea se sarebbe riuscito o meno a far visita a Lord Megatron, a sistemare quella vecchia questione e a riportare a casa -a casa, nella sua astronave- chi desiderava riportare a casa, ma una cosa era certa: qualunque cosa, qualunque, sarebbe stata meglio di quel giorno libero di cui pentirsi.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
Eeee anche questa mini long è finita! :D
Vorrei dire qualcosa di più, ma Hallow non mi permette di tradurre le sue parole strane neanche stavolta.
Così come non mi permette di dire nulla di più su certi fatti di cui avete appena letto :’D
Una cosa però posso e devo dirla: (Eve) Hallow(s) e Finn(an) sono interamente miei, mentre Ember è un’OC creata da vermissen_stern, qui declinata in forma robotica :)
 
Ringrazio tutti coloro che hanno letto fin qui e vi lascio un disegno della famigliola (Finn, Hallow, Ember) ;)





 

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Capitolo 4
*** Another Day (not off) To Repent ***


Lo scriveranno sulla mia tomba: doveva essere una oneshot, e invece.
Oppure, doveva essere un solo capitolo bonus... e invece :'D more to coming. 





Another Day (not off) To Repent
 
 

 
 
 


 
 
 
 
Quello di “periodo sfortunato” era concetto abbastanza familiare per Tarn.
 
Quando aveva un altro nome, un altro volto e un’altra identità, aveva dovuto fare i conti proprio con “periodi sfortunati” che l’avevano portato a diventare ciò che era in quel momento: questo pensò.
 
Ricordò come in passato ne avesse sofferto e come invece, nel presente, tendesse a considerarli ostacoli che l’avevano portato a essere la possibile miglior versione di se stesso, un se stesso forte, deciso, potente, rispettato.
 
Un se stesso liberato di un corpo incapace di sostenere tutto il suo vero potenziale, perché prima, quando si faceva ancora chiamare Glitch, l’utilizzo delle sue abilità - ai tempi
ancora poco sviluppate - gli causava conseguenze a livello fisico;
Liberato da pensieri e regole morali che gli avevano impedito di raggiungere il proprio massimo, un livello che non sarebbe neanche stato in grado di immaginare quando era ancora un povero stupido monocolo dalla testa arancione che non aveva imboccato la strada giusta per lui, alias quella della filosofia Decepticon e del suo ruolo di cacciatore, punitore, esecutore;
Liberato dall’idea di doversi nascondere proprio a causa di quell’abilità dapprima solo un po’pericolosa, poi diventata devastante e mortale, con la quale era nato e per la quale ormai era conosciuto e temuto da chiunque avesse sentito nominare la DJD, cosa che solitamente gli andava benissimo. Era passato dall’avere paura al fare paura.
 
Naturalmente ne valeva la pena, non poteva essere altrimenti.
 
Essere quel che era adesso non era forse qualcosa per cui valeva la pena trovarsi, a volte, a guardare stranito il proprio riflesso visto di sfuggita prima di ricordarsi che quello lì, con quel corpo viola e quei cingoli, era lui stesso?
 
Non era qualcosa per cui valeva la pena passare alcune notti insonni perché tormentato da pensieri e dubbi sulla propria missione sacra, alias cose che non avrebbe dovuto avere e delle quali, una volta passate, si vergognava perché sintomo di debolezza?
 
Non era qualcosa per cui valeva la pena avere dubbi sull’essere una bestia che si fingeva persona o il contrario?
 
O, ancora, trovarsi sotto attacco quando diceva a qualcuno di voler fare una chiacchierata, senza necessariamente avere brutte intenzioni?
 
Resosi conto che i suoi pensieri avevano divagato fin troppo, Tarn fece un lievissimo sbuffo e tornò a occuparsi di questioni più pratiche, alias quelle che l’avevano indotto a concludere di trovarsi in un periodo sfortunato.
 
«Non si può proprio riparare? Quel componente va necessariamente sostituito?» domandò a Kaon «Non ne abbiamo uno di riserva?»
 
«Purtroppo era già quello di riserva che avevamo nella nave» lo informò il tecnico «Quindi le risposte alle tue domande sono rispettivamente no, no e no. Se non altro ora è chiaro il motivo per cui non riuscivamo a utilizzare il modulo per l’iperspazio e, a quattro giorni dalla partenza da Pettinathia, siamo ancora a sud della costellazione dello Scorpionokor. Di questo passo verremo lasciati a piedi arriveremo sul pianeta Terra all’incircaaaa… l’anno del mai».
 
Se Tarn fosse stato un mech credente e leggermente meno di classe, avrebbe demolito l’astronave a suon di imprecazioni e bestemmie; tuttavia molte cose si potevano dire di lui, eccetto che gli mancasse lo stile.
Ragion per cui rimase qualche attimo in silenzio ragionando sul da farsi.
 
«Quanta autonomia ci resta?»
 
«Potremmo andare avanti altri quattro giorni, forse meno. Ignoro a che ritmo. Più il componente si deteriora peggio è, credo che tu lo immaginassi già» disse Kaon.
 
In quel momento sopraggiunse Nickel. «Allora? Si può fare qualcosa per quel componente?»
 
Tarn scosse la testa. «Abbiamo quattro giorni di autonomia, forse, certo non di più».
 
«Cosa vi avevo detto prima di partire da Messatine? Cosa vi avevo detto?» li rimproverò, battagliera, la minicon «Controllare tutto accuratamente e portare via più di una riserva di ogni parte vitale dell’astronave! Ma voi no! “Non è necessario, non essere paranoica”, dicevate, e guardate che in che situazione siamo adesso! Per avere quel pezzo ci toccherà tornare a Pettinathia!»
 
«Giammai!» la interruppe Tarn «Non c’è bisogno. Troveremo un pianeta abitato,  una colonia o un avamposto militare di chicchessia e provvederemo a cercare lì il componente che serve. Oppure possiamo tornare a nord».
 
«Sarebbe una buona idea se non fosse che a nord c’erano solo piccole colonie minerarie e fabbriche, non credo proprio che potremmo trovare ciò che serve a un incrociatore come il nostro» disse Kaon.
 
«E qui a sud finora non abbiamo visto alcun pianeta abitato o abitabile, grande o minuscolo che fosse, neppure dove secondo le mappe avremmo dovuto trovarne» gli ricordò Nickel «Abbiamo trovato solo stelle, una dopo l’altra».
 
Quel particolare in effetti gli aveva dato di che pensare per qualche attimo, prima di concludere semplicemente che le mappe dovessero essere sbagliate. I pianeti non potevano certo scomparire senza lasciare traccia, anche quando venivano distrutti dai Decepticon ne restava sempre il “corpo” morto o dei detriti: nessun detrito significava nessun pianeta, era la conclusione più logica.
 
«Quindi che si fa, Tarn?» domandò Kaon, in attesa di istruzioni «Non vedo molte alternative a Pettinathia».
 
Tarn ricordò cos’aveva pensato quattro giorni prima: “Non ce ne andremo mai da Pettinathia”.
Cominciava a temere che quella frase fosse stata un incrocio tra una profezia e un anatema.
 
Il resto della squadra entrò nella sala, ma lui fece a stento caso al fatto che Nickel e Kaon li stessero ragguagliando sugli ultimi avvenimenti, preso dalla ricerca di una qualsiasi opzione che non comprendesse tornare in quella città-Stato maledetta che gli causava perfino flashback non voluti, come Kaon che parlava della colla di valvola, di Nickel col tentacolo sul dito, delle crepe sui muri causati dagli strilli di Stiria, del murale che aveva visto poco lontano dall’ingresso del palazzo una volta entrato, di Sylves Mariner da lui sollevato dalle proprie miserie, di…
Un momento.
 
“Murale?”
 
Diede tutta la sua attenzione a quella particolare memoria.
Ricordò di aver posato gli occhi solo per qualche attimo su quel disegno abbastanza grossolano, evidentemente la sua attenzione era stata catturata da altro, ma cercando di focalizzarsi sui particolari del murale avrebbe potuto giurare che fossero presenti Stiria, altre due persone e la costellazione Scorpionokor in cui si trovavano.
Pettinathia era nella parte nord e Tarn non aveva visto altri che Stiria al potere, ma magari a sud…
 
«Kaon, mettimi in contatto con Pettinathia. Ci sono delle informazioni che voglio ottenere».
 
Vos, decisamente poco entusiasta, domandò a Tarn se sarebbero tornati lì.
 
«È precisamente quel che sto cercando di evitare» replicò il Decepticon «Ho ricordato un particolare che potrebbe esserci utile, però necessito di una conferma».
 
Poco dopo riuscirono ad avere il desiderato contatto con Stiria, anche se lei per un minuto intero parve non accorgersene affatto.
Sembrava intenta a discutere con, o di, qualcuno “imbecille” che le aveva fatto… non riuscirono a capire cosa, parlava troppo alla svelta e il fatto che ogni tanto battesse anche i piedi per l’irritazione non aiutava.
 
«Se fosse stata mia figlia le avrei tirato quattro ceffoni» commentò Nickel.
 
Non ci saresti riuscita nemmeno se io fossi stata tua figlia per davvero, perché sei una nana e alla mia faccia non ci arrivi neanche saltando – si fece sentire Stiria, mostrando di essere consapevole di averli in attesa.
 
«Il fatto che io sia della taglia di un cubo di energon non significa che non potrei rimetterti in riga, sei solo una ragazzina e mi basterebbero dieci minuti, se non meno!» ribatté Nickel.
 
Seh, credici. Che volete dalla mia viiiiiitaaaa?... ah, ma siete a sud?
 
«Passare di qui avrebbe dovuto essere la via più breve. Un pezzo della nostra nave necessita di essere sostituito e non è qualcosa che si possa reperire facilmente» disse Tarn «Quel che voglio sapere è se vicino a noi c’è una città o un qualunque posto in cui possano occuparsi di un’astronave come la nostra».
 
Perché lo chiedi a me?
 
«Credo che tu conosca qualcuno con un minimo di autorità da queste parti. Le persone raffigurate insieme a te in quel murale presente nel tuo palazzo, per esempio».
 
Mmmh…
 
A nessuno della DJD piacque granché il tono di Stiria, anche a coloro che di solito facevano meno caso a simili particolari. Helex e Tesarus poi, nonostante le riparazioni, erano ancora piuttosto indolenziti in zona inguine.
 
Se continuate lungo la rotta che state seguendo al momento, tra un’ora e mezza dovreste vedere sui radar un pianeta molto piccolo attorno al quale orbitano tre satelliti ancora più piccoli. È un pianetucolo tutto blu, un po’per le coltivazioni e un po’per l’acqua – disse Stiria – Lì c’è un paesino abbastanza particolare che va da un promontorio affacciato su un lago fino alla costa. Può essere che lì che troviate quel che vi serve, oltre ai cybertroniani mannari.
 
«A quelli ho smesso di crederci quando ero una protoforma» borbottò Tesarus.
 
Mi raccomando, prima o dopo essere stati lì andate a fare visita alle mie sorelle maggiori, vivono in un palazzo a qualche chilometro di distanza da lì. Adorano ricevere ospiti imprevisti quando è ora di cena ed è giorno di enerpizza!
 
«Un’enerpizza giusto mi andrebbe» sospirò Kaon, con aria sognante «Da quant’è che non ne mangiamo una?»
 
“Il fatto che ci abbia detto di andare dalle sue sorelle maggiori è un ottimo motivo per non avvicinarsi a quel palazzo” concluse Tarn. «Niente enerpizza, siamo in missione».
 
Eeee se dopo l’atterraggio vedrete dei grossi volatili tecnorganici nutrirsi delle coltivazioni, fatene fuori più che potete, le mie sorelle non riescono a liberarsene. Anche gli abitanti del paesino, se ne faceste fuori qualcuno fareste loro solo un favore.
 
“Evitare di avvicinarsi al palazzo, di toccare i volatili e, ove possibile, di uccidere gli abitanti del paesino in questione” segnò mentalmente il comandante della DJD, determinato a fare tutto il contrario di quel che Stiria gli stava dicendo.
 
«Caccia ai volatili? In un altro momento mi ci sarei messo volentieri» disse Helex, col pensiero rivolto al proprio pube indolenzito.
 
«C’è altro?» lo ignorò Tarn, ripromettendosi di dare a tutti direttive precise appena terminata la comunicazione.
 
No, sono solo sorpresa che la vostra astronave sia arrivata fin là. La parte sud di questa costellazione è impregnata dalla magia a livelli tali da cambiare le leggi di matematica e fisica per far sì che quindici più diciotto faccia trentasei e vincere una partita a carte – disse Stiria – Macchine e/o tecnorganici possono reagire male o in modo strano quando vengono in contatto con la magia, ma lo saprai meglio di me, ormai hai una certa età. Ciao ciao!
 
«“Ciao ciao” un cazzo» sbottò Nickel, purtroppo un attimo dopo che Stiria aveva chiuso la comunicazione.
 
«Immagino che dovrei ammonirti per il linguaggio troppo scurrile ma per stavolta ti considererò portavoce dei pensieri di tutti quanti» concesse Tarn «Incluso il sottoscritto».
 
«Dunque andremo veramente in quel posto?» domandò Tesarus.
 
Non sembrava entusiasta all’idea. Nessuno di loro lo era.
 
«Io detesto la magia» aggiunse il colosso.
 
«E io ti comprendo. Credo che i tuoi sentimenti verso la magia siano condivisi da tutti noi, nonché da ogni Decepticon degno di tale nome. La magia è qualcosa che tende a essere dannosa per macchine e tecnorganici, come ha detto bene quella giovane quanto delicatissima femme» disse Tarn, con una certa dose di sarcasmo «La natura della nostra razza e della nostra tecnologia è conosciuta per essere in netta contrapposizione con quella di magia e incantesimi, salvo eccezioni più o meno rilevanti che hanno comunque pagato prezzi altissimi per riuscire a imbrigliare anche solo una briciola di un “qualcosa” per loro contro natura. Ciò è quel che si sa finora. Per non parlare del fatto che la magia, specie a livelli alti come quelli di cui Stiria ha parlato, è qualcosa che perlopiù si rivela incontrollabile da chiunque. Lord Megatron stesso non ha mai ritenuto opportuno cercare di immischiarsi con simili forze, auspicando invece di eradicarle dal cosmo in favore della scienza e discipline più “misurabili”».
 
Nessuno dei membri della Decepticon Justice Division avrebbe avuto bisogno di quella lezioncina ma, allo stesso modo, nessuno si sentì di dirglielo.
 
Vos, che si faceva sentire di rado ma quando lo faceva non diceva cose stupide, pose un quesito.
 
«Le opzioni sono due, Vos: o le sorelle di Stiria hanno trovato un modo a noi sconosciuto per proteggersi, riuscendo così a stabilirsi qui permanentemente senza riportare danni, o…»
 
Nel ricordare il murale che aveva visto nacque un sospetto poco gradevole.
 
«O una delle due è la fonte di ciò che permea lo Scorpionokor del sud» concluse «Ma io, in virtù di quanto ho detto prima e delle informazioni che possediamo sulla magia, rifiuto di crederlo».
 
Passarono la successiva ora e mezza a decidere chi sarebbe sceso dalla nave -tutti, tranne il cane- cosa si sarebbero portati dietro, come muoversi all’interno del paesino in questione e imparare le direttive di Tarn: “no palazzo, no volatili, no uccidere abitanti eccetto in caso di emergenza”.
 
Tesarus sentendo ciò sbuffò più volte, immaginando che sarebbe stato tutto molto noioso, prendendosi di conseguenza ben due ammonimenti.
 
Al termine di quel lasso di tempo, Kaon indicò un pianeta minuscolo segnalato dai radar. «Ci siamo».
 
Visualizzato su schermo risultava effettivamente essere un piccolo pianeta blu con tre satelliti a ruotargli attorno. Giunti nell’orbita, grazie a telescopi vari, riuscirono anche ad avvistare facilmente quello che sicuramente era il palazzo delle sorelle di Stiria: un ammasso di roccia nera le cui torri rilucevano di un vago chiarore vedastro, incastonato tra campi sterminati di coltivazioni color blu cobalto. A qualche chilometro di distanza, come aveva detto Stiria, riuscirono a trovare anche il lago, il promontorio e il paesello.
 
«Visto da qui tutto sommato non sembra nulla di che» osservò Helex «Può darsi che quella ci abbia presi in giro».
 
«Meglio non essere precipitosi nel giudicare» disse Tarn.
 
Decisero di atterrare poco lontani dalla riva del lago, su un campo di quello che una volta scesi si rivelò essere un insieme di piante dal fusto molto sottile, flessibile, con una struttura terribilmente somigliante a quella del cereale che sul pianeta Terra sarebbe stato chiamato “grano”, solo in versione blu.
Non che loro, di questa somiglianza, potessero sapere qualcosa.
 
Tesarus sfiorò le spighe con una delle sue mani gigantesche. «Qualcuno capisce che roba sia?»
 
Vos, dall’alto del suo essere stato uno scienziato prima di unirsi al gruppo, disse che secondo lui era “un miscuglio tra tecnorganica e magia”.
Un aborto, così lo definì.
 
«Ehi! Quelli devono essere i volatili. Sono alti quanto me» osservò Kaon, indicando un gruppo di uccelli che si stava avvicinando a gran velocità «Qualcuno di voi ha mai visto roba del genere?»
 
«Su Prion c’era qualcosa del genere. Si chiamavano “henn”» disse Nickel «Erano proprio in quel modo, con quel cumulo di piume di vetro sulla testa che sembravano quasi una capigliatura e facevano delle uova commestibili, ma non erano assolutamente così grandi, erano più piccole di me e… non sputavano fuoco!» esclamò, vedendo che le henn avevano iniziato e sputare larghe fiammate dai loro becchi.
 
Helex si sfregò le mani. «Facciamole fuori tutte!»   
 
«Ho dato ordini diversi» gli ricordò Tarn «Raggiungiamo il paesino, piuttosto».
 
«Ho capito: se sono coinvolti Stiria e i suoi parenti non c’è possibilità che si tratti di un posto decente!» si innervosì Nickel.
 
L’intero gruppo corse via in direzione del paese, inseguito da quelle bestiacce sputafuoco che riuscirono perfino a colpire Kaon di striscio un paio di volte.
In teoria avrebbe dovuto essere più veloce nella corsa di quanto fossero Helex e Tesarus, in pratica non lo era perché l’idea delle henn giganti sputafuoco lo faceva ridere, nonostante la situazione, e lo rallentava di molto.
 
«Vai! Vai! Non cincischiare, per l’amor di Lord Megatron!» sbuffò Helex, vedendolo soffiarsi su un’antenna tesla leggermente bruciacchiata «Devo trascinarti?!»
 
«Le henn sputaf-»
 
«Devo trascinarti» concluse l’altro colosso della DJD, agguantando per un braccio il compagno di squadra e trascinandolo via come se fosse stato una bambola di pezza.
 
In ciò il fuoco di un paio di henn colpì anche lui, però essendo più grosso di Kaon e meno soggetto a danni non ci fece granché caso.
 
L’intero gruppo, con Nickel in testa che essendo piccola e leggera era anche la più svelta, si catapultò fuori dalle spighe di grano blu.
 
«Sbrighiamoci a… ehi, ma non ci inseguono più?» si stupì il medico di bordo, notando che i versi striduli di pochi secondi prima erano diventati quelli di henn al pascolo perfettamente tranquille.
 
Voltandosi trovarono conferma delle sue parole: gli animali avevano perso ogni interesse verso di loro appena erano usciti dal campo ed erano tornati a becchettare le spighe.
 
«Uccelli bipolari» brontolò Tesarus.
 
«O semplicemente non ci volevano in mezzo al proprio cibo» disse Tarn «Andiamo».
 
A precedere di pochi metri la parte del paesello situata sulla costa del lago, videro quella che sembrava la rovina di un arco di pietra abbastanza antico.
 
Quelli del gruppo che si curavano di certi particolari tendevano a preferire edifici e decori in metallo, però trovavano che anche la pietra fosse più che accettabile.
 
«Sembrerebbe quasi fungere da ingresso» commentò Tarn «Forse in tempi meno recenti le costruzioni arrivavano fin qui».
 
Vos fece notare un particolare al quale fino ad allora nessuno aveva dato voce.
 
«Sembra disabitato, è vero, però invito te e tutti quanti a ricordare dove ci troviamo. Direi quindi che sia opportuno utilizzare un briciolo di cautel- Kaon!»
 
Fin troppo curioso, il tecnico si era fatto avanti e si era sporto attraverso l’arco con la parte superiore del corpo… che ai suoi compagni di squadra non risultò più visibile.
 
«Ma che dia… è come se fosse un portale invisibile!» esclamò Helex, cui quella situazione piaceva sempre meno.
 
«Non “come se fosse”, credo che si tratti proprio di quel che dici tu. E io avevo detto di utilizzare cautela!» Tarn, seccato, tirò bruscamente indietro Kaon «Kaon, cosa-»
 
Con un’aria totalmente smarrita sul volto chiaro dalle ottiche vuote, dopo qualche attimo di immobilità Kaon si accasciò a terra e rimettere buona parte dell’energon assunto in precedenza.
 
«Kaon! Che hai?!» si fece avanti Nickel, sollevandogli il volto e dandogli una veloce occhiata. La diagnosi giunse pochi secondi dopo «Un sovraccarico del processore?! Sul serio?!»
 
«Cosa si fa in certi casi?» domandò Tarn, sperando che fosse una condizione risolvibile e, possibilmente, risolvibile in tempi brevi.
 
La minicon diede a Kaon tre potenti sberle in rapida successione. «Questo!»
 
Parve funzionare perché, dopo aver chiuso e aperto la bocca un paio di volte, Kaon parve riprendersi. «Oooh… m-ma che- ahio!»
 
«Almeno impari. Cretino!» lo rimproverò Nickel dopo avergli dato la quarta sberla.
 
Tarn aiutò Kaon a rialzarsi. «Cos’hai visto lì dentro? Nessuno di noi è particolarmente impressionabile».
 
Kaon guardò l’arco, tornò a guardare Tarn e scosse la testa. «Un trip assurdo».





Il murale di cui si parla nel capitolo :)






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Capitolo 5
*** Another Day (not off, Jumanji-like) To Repent ***


Another Day (not off, Jumanji-like) To Repent
 
 
 

 
 
 
 
 
 
«Potresti essere più specifico, Kaon? “Un trip assurdo” non mi è molto di aiuto nel comprendere cosa ci troveremo davanti».
 
Tarn non riusciva a capire né immaginare cosa potesse esserci al di là di quell’arco, ma di una cosa era sicuro: se fossero riusciti ad andarsene dalla costellazione dello Scorpionokor -anzi, quando. Rifiutava l’idea del contrario- avrebbe acconsentito a rimettervi piede solo nel caso in cui Lord Megatron in persona gliel’avesse ordinato direttamente.
 
«Hai ragione, è solo che… è solo che è…» Kaon sembrava incapace di trovare le parole adatte, nonostante si stesse visibilmente impegnando «Dall’altra parte c’è…»
 
Vedendolo preda di tic nervosi che lo spingevano ad aprire e chiudere le mani a ripetizione, oltre a farlo impappinare in ogni tentativo di spiegazione, Tarn iniziò a pensare che per venirne a capo sarebbe stato costretto a dare un’occhiata personalmente.
 
«Dubito che quel che c’è di là sia tanto spaventoso» disse Tesarus rivolto al tecnico «Non è che sei diventato un po’troppo delicatino?»
 
«N-no, non è “spaventoso”, non è come invece sarebbe trovarsi davanti a, che ne so, un Lord Megatron infuriato che trasuda antimateria e vuole farci secchi tutti quanti, è solo che… ve l’ho detto che è un trip assurdo!» tornò a guardare l’arco, con un’espressione tale da far quasi pensare che avesse voglia di infilare nuovamente la testa lì dentro «In un certo senso è anche interessante, ma…»
 
Vos, borbottando qualche improperio riguardo la gente impressionabile nel suo vernacolo arcaico, si fece avanti. In quanto ex scienziato, dunque di mentalità più cinica e razionale di altri, riteneva di poter essere il più adatto a osservare e dare una definizione a quel che c’era oltre l’arco. Dopo aver detto ciò a Tarn, chiese e ottenne il permesso di fare un tentativo, chiedendo di essere tirato indietro dopo cinque secondi esatti.
 
Imitando Kaon, attraversò l’arco con la parte superiore del corpo.
 
«Pronti a tirarlo fuori in quattro, tre-»
 
Tarn non riuscì neanche a finire il conto alla rovescia: Vos tornò fuori da solo e iniziò a sbattere ripetutamente la testa contro l’arco come un invasato.
 
«Ehi! Vacci piano! Se ti spacchi la faccia poi non potrai più infilarla alle altre persone!» lo trattenne Helex «Si può sapere che c’è là dentro?!»
 
«Nulla che abbia un cazzo di senso! NULLA!»
 
«Momento- momento- momento: Vos ha appena parlato in neocybex?!» si stupì Nickel.
 
«Probabilmente il suo processore da scienziato è stato tanto sconvolto da fargli dimenticare di essere un purista del vernacolo arcaico e non conoscere la nuova lingua» le disse Kaon, cercando di reprimere una risata.
 
«Mi sono scocciato» annunciò Tesarus e, prima che chiunque potesse fermarlo, la sua testa scomparve oltre l’arco.
 
Ci fu un attimo di silenzio dovuto all’idea di avere a che fare con un simile bestione -il più grosso all’interno del gruppo dal momento che superava di poco Helex- in versione pazza furiosa.
Tarn da solo avrebbe potuto facilmente occuparsene, era vero, e non essendo da solo avrebbe faticato ancor meno, vero anche quello, però potendo avrebbero tutti evitato volentieri, specie perché Vos si stava ancora agitando urlando che quel che aveva visto “Non aveva senso”.
 
Tesarus tirò fuori la testa.
 
«Concordo con Vos, quel che c’è lì dentro non ha senso, però nessuno ha la faccia da venditore di colla di valvola. Sempre che quelle che ho visto siano facce, non sono sicuro».
 
«Lieto di vedere che il tuo processore è a posto, Tesarus» disse Tarn, completamente onesto.
 
Il Decepticon, dopo aver grattato via un piccolo cumulo di sporcizia dal grosso foro pieno di lame all’altezza del petto, fece spallucce.
A volte avere una mente semplice era una benedizione, sebbene nel suo caso “semplice” non fosse  sinonimo di “stupido”, già solo perché aveva buona memoria e la tendenza a non sottovalutare i suoi avversari in alcun caso.
 
Helex intanto teneva ancora fermo Vos. «Nickel, non puoi prendere a schiaffi anche lui?»
 
«No, il suo è più un caso da miscela calmante» diagnosticò la minicon «O semplice attesa, ma così potrebbe impiegare anche un’ora intera».
 
«Da quando abbiamo la miscela calmante nella Peaceful Tiranny?» domandò Kaon.
 
«Da… mai» sospirò Nickel.
 
«Io però non posso restare qui a tenerlo fermo per un’or- Tess, che fai?» si interruppe Helex, vedendo il compagno di squadra tirare fuori una lunga e robusta catena color ruggine da uno scomparto.
 
«Risolvo il problema» replicò il Decepticon, iniziando a legare Vos come un salame.
 
«Ma quella non è una delle catene che Hallow ha usat…» avviò a dire Helex, salvo decidere di non terminare la frase dopo aver dato un’occhiata a Tarn.
 
Era dell’idea che il suo capo fosse già venuto a conoscenza di troppi dettagli quando aveva trovato lui e Tesarus in ricarica e col bacino mezzo rotto, dunque pensandoci bene si era reso conto di non essere particolarmente desideroso di aggiungere altro; Tarn, dal canto suo, la pensava allo stesso modo sul non voler sapere di più.
 
«Eh! Se ne avete qualcun’altra possiamo usare le catene per legarci uno all’altro quando saremo lì dentro!» esclamò Kaon.
 
«A tal proposito, credo sia tempo che io dia un’occhiata oltre quell’arco» disse Tarn, rassicurato dalla (non) reazione di Tesarus.
 
Nickel gli diede una breve occhiata. «Cerca di non andare fuori di cervello, per favore, altrimenti l’astronave rotta sarà l’ultimo dei nostri problemi».
 
Tarn, sapendo che Nickel aveva ragione, non ribatté.
 
“Togliamoci il pensiero”.
 
Aggrappato saldamente a una colonna, infilò la testa oltre l’arco.
 
Non ci furono accecanti luci bianche nel passaggio, non ci furono attimi di buio né altre cose del genere: un attimo prima era in un luogo rurale ma sensato, mentre quel che aveva davanti ai sensori ottici in quel momento non era sensato agli occhi qualsivoglia legge della fisica, non era sensato agli occhi di niente.
 
Quando aveva un altro nome e un’altra identità, Tarn aveva frequentato la Jhiaxian Academy of Advanced Technology,  un istituto il cui nome derivava da quello di un famoso scienziato e che aveva sfornato buone menti, in certi casi perfino eccellenti.
Era passato del tempo, ma non abbastanza perché Tarn potesse dimenticare le nozioni apprese ed essere graziato dall’ignoranza ora che si trovava di fronte a un cumulo di paradossi caotico e disturbante come mai avrebbe potuto immaginare.
 
Capiva la reazione di Vos, eccome se la capiva.
 
Era come annegare in un incubo -magari derivato da un trip di chissà quali sostanze blasfeme provenienti da quella bolgia che era Pettinathia- di un gruppo di studiosi specializzati in architettura e discipline geometriche, anzi, era come se il cervello di suddetti studiosi avesse fatto indigestione d’informazioni per poi vomitarle tutte quante in una brodaglia di caos primordiale.
Strade, edifici, cielo e terra si intrecciavano tra loro come se qualcuno avesse svuotato centinaia di cybertroniani di tutte le loro componenti interne e ne avesse fatto un gigantesco gomitolo.
Rampe di scale provenienti dal nulla portavano ovunque e in nessun posto,  a volte fondendosi tra di loro in un saliscendi inconcepibile, e gli abitanti -sempre se davvero si trattava di loro- correvano su di esse mutando nell’aspetto gradualmente fino a diventare decorazioni di forma incomprensibile, senza che queste aumentassero di numero né la processione di corridori avesse mai fine; piccole piazze che sembravano cambiare a ogni occhiata in forma e dimensione erano circondate di edifici dalla geometria inspiegabile e contorta; acquedotti aggrovigliati tra di loro trasportavano acqua di lago che non tendeva a scendere, bensì a fluttuare in aria ribollendo fino a unirsi all’acquedotto stesso, pietrificandosi e divenendone parte.
I sensori ottici di Tarn e il suo processore non comprendevano dove tutto avesse inizio e avesse fine, né di quali colori fosse tutta quella follia, così come il Decepticon non comprendeva se ai suoi recettori uditivi stesse giungendo una cacofonia insopportabile o un silenzio come mai ne aveva uditi.
 
Sotto il peso del tutto e del suo contrario, di tutto ciò che non avrebbe potuto e dovuto esistere e invece era lì davanti a lui, il suo processore cedette per qualche attimo.
 
Non vide più nulla se non una miriade di luci, per un tempo indefinibile gli parve quasi di volare tra galassie infinite di infiniti multiversi, poi iniziarono a giungere scene più o meno chiare che avevano come protagonista lui stesso -o forse certe sue versioni alternative.
 
In una si vide annientato, assieme alla sua squadra, da una versione di Lord Megatron diversa nell'aspetto da quella che lui conosceva; in un’altra vide un se stesso vivo e vegeto, nervoso per colpa delle mani di una seeker sconosciuta del colore del fuoco -sentì quel se stesso lì sbottare un “KORNELIA!”- incollate in senso letterale al suo posteriore; in un’altra ancora stava facendo dei movimenti inconsulti, forse una sottospecie di danza, di fronte a un’altra femme sconosciuta, allibita, con l’occhio destro coperto da una benda. A un certo punto sentì quel se stesso chiamarla “Bloody”.
Dell’ultima scena non vide le immagini, sentì solo l’audio, ma sembrava intento a rimproverare l’undicesimo dei propri dodici figli. Tra tutte era l’alternativa più assurda dato che non aveva mai pensato di averne, tantomeno di averne dodici,  né aveva una donna con cui farne.
 
All’improvviso ci fu un forte impatto e tutto finì.
 
Tarn rotolò di lato, aprì lentamente i sensori ottici e comprese tre cose…
 
“La prima è che mi sono ripreso, e questo è un bene. La seconda è che sono precipitato con tutto il corpo all’interno di quest’assurdità” pensò “E la terza è che…”
 
«Ho la nausea. Questo posto mi disturba, mi disturba e mi disturba» affermò Nickel, per poi zittirsi e portarsi una mano davanti alla bocca nel tentativo di non rimettere.
 
«Come siete finiti qui?!»
 
«Quando hai infilato la testa qui dentro abbiamo messo in pratica l’idea di Kaon, quella di legarci uno all’altro con le catene» spiegò Helex a Tarn «Pessima scelta. Caduto tu, siamo caduti tutti! O forse siamo stati risucchiati, la stazza mia e di Tesarus difficilmente avrebbe consentito che “cadessimo” giù» si guardò attorno «Perlomeno gli edifici di Pettinathia avevano un capo e una coda… e ho qualche dubbio sul fatto che qui troveremo il componente che serve».
 
Nickel si guardò attorno. «Io voglio solo uscire da qui, anzi lo pretendo, e subito! Da dov’è che siamo entrati?!»
 
Kaon si guardò attorno a sua volta. «Io non vedo né entrate né uscite. Non vorrei dirvelo ma mi sa che siamo in trappola, anche se- un momento! Vos non è qui! Quando si riprenderà magari troverà il modo di tirarci fuori, se riuscirà a slegarsi!»
 
«Troppi “se” e “magari”» fu l’unico commento di Tesarus.
 
Un rumore distinto rispetto agli altri, per la precisione
rumore di batter d’ali, li spinse tutti a voltarsi verso destra.

Scoprirono che si trattava di una henn come quelle che avevano visto prima, vestita però come un “postino” della cybertron dei tempi che furono, e proprio come uno di essi stava porgendo a Tarn un messaggio ripiegato su se stesso.
 
Kaon avrebbe voluto esclamare “henn postina”, però non riusciva ad andare oltre un “henn post-IHIHIH”.
 
La henn volò via appena Tarn prese il messaggio. Notò che era stato vergato a mano -scelta molto bizzarra e anacronistica secondo lui- su un materiale nero, setoso e flessibile di fibre tecnorganiche. Le frasi impresse su di esso rilucevano dello stesso chiarore verde brillante che illuminava anche il palazzo delle sorelle di Stiria, lasciandogli dunque pochi dubbi sulle mittenti.
 
«“Stranieri, siate i benvenuti a Berg des Sees”» lesse Tarn «“La vostra perspicacia nel non venire a romperci le scatole a casa durante l’ora di cena-”»
 
«L’hanno scritto seriamente?» sbuffò Nickel.
 
Tarn annuì, poi si schiarì la voce. «“La vostra perspicacia nel non venire a romperci le scatole a casa durante l’ora di cena ci ha dissuase dal seguire la nostra idea iniziale, che qui non esponiamo, in favore di un’altra più divertente. Un gioco”».
 
«Quale gioco?!» allibì Helex.
 
«“Entrare a Berg des Sees è semplice, uscire lo è un po’meno. Il paesino è diventato bizzarro da quando il campanile non può più far suonare la propria campana, caduta in fondo al lago e trattenuta in un palazzo subacqueo da creature poco intenzionate a restituirla. Il vostro scopo nel gioco sarà trovare le tre chiavi che servono ad entrare nel palazzo, recuperare la campana e rimetterla al suo posto”».
 
«Io rifiuto di fare da fattorino per delle streghe» dichiarò Tesarus.
 
«“Se riuscirete nell’impresa potrete uscire da Berg des Sees e andare dove vi pare. Nel caso in cui rifiutiate di giocare, cerchiate di distruggere il paese o non riusciate a vincere, diventerete abitanti di Berg des Sees perdendo progressivamente la memoria e le vostre caratteristiche fisiche. Molti ci ringrazierebbero per un simile epilogo ma, visto che a noi dei ‘molti’ non frega una mazza, non è una partita persa in partenza. Questa lettera si trasformerà in una mappa appena finirete di leggere. In bocca al luponoide per la nostra primissima edizione di Shaulmanji!”. Pare che questo gioco sia stato organizzato appositamente per noi, signori» fu il commento atono di Tarn mentre la lettera si ingrandiva e si trasformava in una mappa.
 
Odiava la magia.
Non gli era mai piaciuta neppure quando si chiamava ancora “Damus” o “Glitch” ma adesso che lui e la sua squadra erano in balia dei capricci di una strega e della sua gemella, oltretutto sorelle maggiori della piccola stronza che aveva detto loro di recarsi lì, la odiava con ogni fibra del proprio essere in maniera onesta e profonda.
 
«E questa mappa è vuota per la maggior parte» aggiunse poi «Al momento non saprei neppure dire come arrivare fino al lago, e dire che prima di entrare eravamo praticamente sulla costa!»
 
«Spesso in questo tipo di giochi funziona così, capo, la mappa si rivela un po’per volta» disse Kaon, avvicinandosi per dare un’occhiata «Man mano che uno avanza di livello. Ci sono vari giochi online simili ma solitamente sono meno, eeeh, immersivi».
 
«Sembri più divertito di quanto dovresti, Kaon».
 
«No, no! Assolutamente» negò spudoratamente il tecnico, per poi notare un particolare che lo indusse a distanziare la mappa «Visto, Nickel? Tu hai sempre da ridire sul fatto che i giochi come questo sono per le protoforme, ma avrei voluto vedere se tu al posto mio avresti notato l’indizio!»
 
«Non so di che parli» ribatté Nickel, avvicinatasi a Kaon e Tarn assieme ai due colossi.
 
«Mappare questo disastro sarebbe impossibile» disse Kaon, indicando con un cenno l’ambiente circostante «Quindi è rappresentato come il groviglio che è. Ma nel groviglio sono stati inseriti dei “punti fermi”, probabilmente in modo approssimativo, che secondo me ricordano un po’troppo la costellazione in cui ci troviamo, posizionata al contrario...»
 
«Come nel murale che ho visto a Pettinathia. Forse non hai torto» riconobbe Tarn, costretto ad ammettere a se stesso che lui, in quella situazione, non sapeva come muoversi. Non ritenendo i giochi online un passatempo “serio” non li aveva mai provati.
 
«Io sono dell’idea che dovremmo andare quaggiù» disse Kaon, indicando un punto sulla mappa che ne precedeva altri tre, distanziati tra loro in senso orizzontale «Alias dove ci troviamo noi. Il pianeta su cui siamo atterrati si trova nei dintorni della stella A’ntares e, guarda caso, dopo A’ntares ci sono questi punti» rispettivamente le stelle che per un terrestre si sarebbero chiamate “Graffias”, “Dschubba”, e “Vrischika”  «Che sono tre, come le chiavi che dobbiamo trovare! Sono un cazzo di genio!»
 
«Non montarti la testa, non sappiamo nemmeno se sia l’interpretazione giusta!» lo rimproverò Nickel.
 
«È anche la sola che abbiamo» sospirò Helex.
 
«A me basta uscire di qui, mi sono già stufato» disse Tesarus «Cosa si fa, Tarn?»
 
«Faremo come ha detto Kaon, tra noi è quello che capisce di più certe cose» decise, anche perché come Helex aveva giustamente osservato non avevano altre piste «Stringiamo meglio le catene e viaggiamo in formazione compatta, niente distrazioni. Destinazione “A’ntares”».
 
Fecero come Tarn aveva detto, cercando di orientarsi in quel guazzabuglio di paradossi senza lasciare che lo sguardo vi indugiasse ossessivamente. Tarn e Nickel in particolar non avevano voglia di trovarsi di nuovo ad avere le visioni o la nausea.
 
Nel corso del viaggio notarono che effettivamente, in quel paese, degli abitanti c’erano sul serio.
Alcuni erano proprio quelli che Tarn aveva visto correre e diventare decori, altri sembravano un miscuglio tra robot e creature organiche acquatiche, altri ancora avevano un aspetto quasi normale e, incuranti di tutto, leggevano libri poco euclidei seduti su pavimenti e panchine dallo schema prospettico indefinibile.
A un certo punto ebbero l’impressione di aver incrociato un bug, perché svoltando in un vicolo si erano ritrovati in un incubo frattale nel quale c’erano infinite femme -sempre la stessa- che, trattenute da altre infinite femme, urlavano contro infiniti cybergatti di colore bianco intenti a guardare del cibo con aria confusa.
 
Nickel, nuovamente vittima di un principio di nausea, fu costretta a chiudere gli occhi. Per fortuna Tesarus la stava facendo stare nel grosso foro che aveva sul petto, quindi poteva permetterselo senza rischiare di fare qualche passo falso. La sola cosa buona era che in teoria ormai non mancava molto ad “A’ntares”.
 
«Questo è solo un incubo, sì? Mi risveglierò tranquilla nella mia cuccetta, sì?»
 
«No» disse Tesarus.
 
«Lo so» sospirò Nickel «Lo so».
 
Helex le diede un’occhiata. «Questo posto fa venire qualche giramento di testa, è vero, però nonostante l’assurdità e la sensazione di star salendo e scendendo scale a vuoto poteva essere molto peg-»
 
«NON DIRLO!» gridò Kaon, interrompendolo «Non si dicono mai certe cose in questi giochi! Se lo fai poi succede sempre che-»
 
Un rullo di tamburi ritmico, lungo una manciata di secondi, coprì qualsiasi cosa Kaon avesse cercato di dire; tuttavia, quando la danza svelta e ubriaca di strade, scale, edifici e cielo divenne il moto di una folla spaventata e arrabbiata -arrabbiata proprio con loro, per la precisione- Tarn intuì cos’avrebbe voluto intendere.
 
“Succede sempre che il tutto si complica per colpa di qualche ostacolo improvviso”.
 
Fatta sparire la mappa in uno scomparto, Tarn e il resto del gruppo iniziarono a correre come dei forsennati, saltando da un punto all’altro di quel groviglio peggiore delle budella di Mortilus, gridando imprecazioni e maledizioni -Nickel in particolare- e cercando sia di non perdersi, sia di non intralciare gli altri ai quali erano legati con le catene.
 
«Il ponte!» gridò Tarn indicando un ponte ricurvo a poca distanza da loro «Vedo qualcosa di fermo oltre il ponte!»
 
«Hai ragione!» esclamò Kaon, raggiungendo il suddetto come tutti gli altri e correndo sopra di esso «Cerchiamo di-»
 
Ancora una volta non gli fu concesso finire la frase: una serie di colonne lo colpì con tanta violenza da rompere la catena e farlo precipitare in una spirale di scale che si attorcigliavano tra loro come amanti focosi.
 
«KAON!» urlò Helex «È precipitato!»
 
«Faremo una fine analoga se non ci muoviamo» disse Tarn, duro, sebbene avesse un po’la morte nel cuore -ergo, Scintilla- e stesse maledicendo con ancor più vigore tutta la famiglia di Stiria «Non possiamo fare niente per lui».
 
«I Decepticon non abbandonano i loro compagni…» ribatté Tesarus.
 
«Non dire mai, mai a ME» a lui, che dopo Megatron si riteneva il più Decepticon tra i Decepticon, senza eccezione «Cosa i Decepticon fanno e non fanno. Hai compreso? E ora muoviamoci».
 
Il tono di Tarn fu tale che nessuno proferì altro verbo.
 
A lui per primo non era piaciuto essere stato costretto a una scena simile, ma se la scelta era perdere un membro della squadra o rischiare di perderne di più nel tentativo di salvare qualcuno che era caduto in un groviglio di scale semoventi, o per la troppa lentezza, la scelta diventava difficile quanto ovvia. Essere leader significava anche questo.
 
Il ponte iniziò a rompersi sotto i loro piedi ma ormai erano quasi arrivati e, adesso che erano vicini, poteva vedere un arco simile a quello che avevano attraversato quando erano entrati in quell’inferno.
 
«Saltate… ORA!»









Sì, ho visto Jumanji l'altro ieri.
No, non mi pento di niente.
Nel caso ve lo siate chiesti, sì:  nelle visioni di Tarn vengono citati personaggi non miei (Kornelia e "Bloody") appartenenti rispettivamente a MilesRedwing e Neferikare :D
Volevo dire altro ma non mi ricordo, quindi vi saluto!

_Cthylla_ 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Another Day (yeah, another) To Repent ***


Another Day (yeah, another) To Repent
 
 
 
 
 
 




 
 
 
«Nel corso dei prossimi due o tre milioni di anni, che nessuno di voi osi proporre di andare in cerca di mobilio nuovo per la Peaceful Tiranny. Spero di essermi spiegato».
 
«Sta’ tranquillo, Tarn, non c’è rischio» disse Tesarus.
 
«Che incubo» borbottò Nickel.
 
«Essendo una femme credevo che saresti stata contenta di fare un giro all’Ikea» la prese in giro Helex.
 
«Vaffanculo».
 
«Nickel…» avviò a rimproverarla Tarn, per poi sospirare.
 
Cos’avrebbe dovuto dirle? Lui stesso, ad aver avuto un po’meno autocontrollo, si sarebbe messo a mandare a quel paese tutto e tutti nell’Universo.
 
“Rimpiango di non essere rimasto nel campo” pensò, addentrandosi nell’ennesimo corridoio di scaffali.
 
Dopo essersi salvati da quella follia aggrovigliata priva di senso saltando oltre il portale, si erano ritrovati in un tranquillo campo di grano blu. In mezzo a esso c’era un grande albero tecnorganico che, come avevano scoperto poi, dava frutti di cubi di energon. Né lui né Nickel né Tesarus si sarebbero azzardati ad assaggiarli, tuttavia Helex era affamato, dunque aveva preceduto qualunque loro avvertimento e ne aveva trangugiati quattro uno dopo l’altro.
 
Non c’erano stati effetti negativi, quindi dopo un po’ avevano concluso di potersi riposare e rifocillare un po’ finché ne avessero avuto occasione: evitare di farlo non avrebbe cambiato la loro situazione, sarebbero sempre stati in balia della strega e della sua gemella, balocchi nuovi per la gioia di quelle “bambine” che ormai, essendo più vecchie di Stiria, non erano più protoforme da un pezzo.
 
Era stato solo in seguito che avevano notato i tre archi oltre l’albero, uno per ogni livello da affrontare con lo scopo di recuperare le chiavi per arrivare a quella benedetta campana.
Era una conclusione cui erano riusciti a giungere anche senza l’aiuto di Kaon che -nessuno avrebbe tolto quel pensiero dalla testa di Tarn- era stato tolto dal gioco perché si stava rendendo un po’troppo utile.
 
“Vorrei poterti vendicare adeguatamente, tutti lo vorremmo” pensò Tarn, continuando a lasciar correre le memorie.
 
Ricordò che avevano verificato subito come l’unico arco attivo fosse il primo dei tre partendo da sinistra e, fatto ciò, erano entrati dentro.
Tutto quel che avevano trovato erano state una chiave e una porta in una stanza bianca altrimenti vuota, cosa che aveva fatto loro intuire di dover aprire la porta in questione e affrontare qualunque cosa fosse stata presente al di là di essa.
 
Tutto avrebbero pensato meno che di trovarsi dispersi nel negozio Ikea -azienda colosso dell’arredamento con filiali aperte in ogni pianeta abitato del cosmo o quasi- più grande che avessero mai visto o anche solo immaginato, scoprendo oltretutto che lì dentro non erano da soli.
Loro malgrado, avevano incontrato gli “abitanti” di quell’inferno di arredamenti quando…
 
 
Hiu iu iu iu iu iu
Când vii, bade, pe la noi
Să nu vii fără cimpoi.
Da pe cimpoi, da pe cimpoi
Joacă fetele la noi,
Da numa' așe, da numa' așe!
 
 
Un altro altoparlante.
Uno che non aveva ancora distrutto.
 
«Tarn, NO. No. Evita» disse Nickel «Abbiamo trovato tante uscite ma della chiave o dell’indizio che avrebbe dovuto condurci a essa non c’è traccia, l’entrata non c’è più, e un’altra lotta contro i cybertroniani mannari non ci serve affatto. Ne abbiamo avute già quindici da quando siamo entrati qui dentro! Se rompi o disattivi uno di quegli altoparlanti arrivano a frotte!»
 
 
Hiu iu iu iu iu iu
Când vii, bade, pe la noi
Să nu vii fără cimpoi!”
 
 
Tarn si considerava un ottimo conoscitore e amante della buona musica, in particolar modo quella definibile “classica” era una delizia per i suoi recettori uditivi. Sarebbe stato capace di passare ore e ore ad ascoltarla o, se ne fosse stato in grado, suonarla egli stesso; di conseguenza essere costretto ad ascoltare in loop quell’obbrobrio di note ripetitive e di voci che berciavano in un idioma sconosciuto, perché secondo la sua opinione “Pe Cimpoi” era questo, era una tortura terribile per lui.
 
«Nickel, se fossi costretto ad ascoltare un’altra strofa di questa “canzone” inizierei comunque a distruggere scaffale dopo scaffale fino all’arrivo di quelle bestie, inevitabilmente attratte dal rumore. Quindi, tanto vale!» sentenziò.
 
«Le lotte contro i mannari se non altro movimentano la situazione» disse Tesarus, tutt’altro che preoccupato all’idea di una lotta «Mi sembra di essere tornato ai tempi in cui stavo con la mia ultima fidanzata. Voleva sempre venire all’Ikea».
 
Helex divenne pensieroso. «È quella che hai triturato per poi fare una lampada, una cornice per uno specchio e un sonaglio al vento coi suoi pezzi?»
 
«Le piacevano i complementi d’arredamento» fu la sola risposta di Tesarus, serissimo.
 
«La tua creatività ormai è conosciuta e apprezzata all’interno della squadra» disse Tarn, puntando il doppio cannone a fusione verso l’altoparlante «Cybertroniani mannari siano. Tanto purtroppo quelle bestie si rigenerano, quindi non ne mancheranno per la prossima volta, o quella dopo ancora… da quant’è che siamo qui dentro?»
 
«Il mio orologio interno è sfasato come il tuo» disse Nickel.
 
«Idem» aggiunse Helex, guardando Tarn sparare «Non riesco a capire se siano poche ore o una settimana, se non più».
 
L’altoparlante venne distrutto e Tarn, pur sapendo cosa li aspettava, non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
 
«Ora va meglio».
 
I ruggiti e il fracasso degli scaffali buttati giù dai cybertroniani mannari era già udibile.
 
«Non per molto» borbottò Nickel.
 
«Come ha detto bene Tesarus, movimentano un po’ la situazione» disse Helex «Vuoi che ti metta dove sciolgo la gente? Lì saresti protetta».
 
«Grazie ma, no, grazie» rispose la minicon «Non ricordo quando ti ho aiutato a pulire l’ultima volta, quindi sei sicuramente sporco da fare schifo».
 
«Beh, sì, abbastanza» riconobbe il colosso, riuscendo appena in tempo a cogliere il movimento di un gruppo di cybertroniani mannari che stava piombando su di loro con un ululato.
 
Sentendo Tarn cominciare a sparare e le lame di Tesarus muoversi a tutta velocità, Nickel decise saggiamente di allontanarsi un po’ e lasciare che si divertissero, o sfogassero la propria frustrazione. Il risultato non cambiava: gli strani abitanti di quell’Ikea infinito dall’orrenda colonna sonora finivano sempre male.
 
Riuscì a notare che a Tarn era caduta la chiave con cui erano entrati e, velocemente, andò a raccoglierla prima di acquattarsi tra i detriti di uno scaffale già crollato.
 
“Non che serva a qualcosa” pensò.
 
Da lì poteva osservare bene i cybertroniani mannari. Anche prima di finire con quei disgraziati di Tarn, Vos, Helex, Tesarus e Kaon -le mancavano le sue battute cretine. Chi l’avrebbe mai detto?- lei era stata un medico con una carriera ben avviata nella colonia di Prion, dunque le era capitato di vedere più di un caso clinico a dir poco bizzarro, ma non dei cybertroniani o minicon ridotti in quel modo: erano bestie ferali ma erano diverse dai mostri come gli Sparkeater, così com’erano ben diversi da transformers che, come il “cane” di bordo, avevano subito la domesticazione.
Guardando quei mostri massicci, oltre ad avere l’impressione di trovarsi di fronte una fusione tra cybertroniano e luponoide, Nickel provava anche una sensazione di “disturbo” simile a quella avvertita nel paesino.
 
“Magia. Ecco cos’è che mi disturba” pensò, facendo una smorfia “Odio da morire tutto ques…”
 
Un’occhiata a Helex interruppe i suoi pensieri, per una ragione molto semplice: non ricordava che sulla corazza del colosso fossero presenti escrescenze di alcun tipo, oltre a quelle che sembravano quasi delle squame.
Guardò Tesarus.
 
“Quegli spuntoni sulla schiena non li ricordavo” pensò “E se non li ricordavo è perché non li aveva affatto!”
 
Guardò Tarn, intento a strappare la testa di un cybertroniano mannaro che stava quasi per morderlo, e vide che almeno lui sembrava a posto. A un rapido esame sembrava esserlo anche lei stessa, però il problema restava: dovevano sbrigarsi a trovare le chiavi, a trovare la maledetta campana e poi… sperare in bene.
 
“Nessuno garantisce che la strega manterrà la parola” pensò amaramente “Se non per quel che le pare: aveva detto che il nostro aspetto fisico sarebbe cambiato col tempo, e infatti sta già succedendo! Se solo avessimo trovato almeno la prima chiave, invece che solo questa… chiave…”
 
I cybertroniani mannari, seppur si rigenerassero, erano per la maggior parte scappati via; ragion per cui Nickel si sentì abbastanza tranquilla all’idea di uscire fuori dal suo nascondiglio, dirigersi verso un’uscita a poche decine di metri da loro e verificare l’orrido sospetto che le era sovvenuto.
Arrivò alla porta, le sue ottiche azzurre e il suo corpicino vennero illuminate dal neon rosso della scritta “Exit”, così come la chiave che sollevò e cercò di infilare nella serratura.
 
L’ ultimo colpo del cannone di Tarn raggiunse il solo cybertroniano mannaro rimasto, e il silenzio che venne subito dopo permise a lui e gli altri di sentire distintamente la pesantissima bestemmia urlata a gran voce da Nickel.
 
«Nickel, cos… come hai fatto ad aprire quella porta?!» si stupì Tarn, avvicinandosi insieme agli altri quasi di corsa «Hai trovato la chiave? Era veramente sotto quel cumulo di detriti?!»
 
“E se è così, perché sembra furiosa?” si chiese il Decepticon.
 
Poi guardò meglio la chiave che Nickel, dopo averla sfilata dalla toppa, teneva in mano.
Per qualche istante il suo cervello rifiutò di processare quel che stava vedendo.
 
«Non era sotto il cumulo di detriti. L’abbiamo sempre avuta con noi per tutto il tempo» disse Nickel «Quando abbiamo attraversato l’arco eravamo già all’interno del “livello” che dovevamo affrontare. Il nostro errore, quando abbiamo trovato la chiave e la porta in quella stanza vuota, è stato pensare che di chiavi dovesse essercene un’altra e che fosse qui dentro!»
 
«Come potevamo pensare diversamente?! Non c’erano indizi in quella stanza lì!» esclamò Helex, allibito quanto nervoso.
 
«Appunto, Helex,  non c’erano indizi sul fatto che dovessimo proprio entrare qui, l’abbiamo dato per scontato. Sbagliando!»
 
«Come ragionano quella strega e sua sorella?!»
 
«Come le bastarde che sono» sentenziò Tesarus, chiaro e conciso «Forse Kaon ci sarebbe arrivato. Per questo l’hanno tolto di mezzo».
 
Solo allora si resero conto che Tarn non aveva più detto una parola.
 
La sua espressione -il poco che se ne vedeva, dato che la maschera lasciava visibili solo gli occhi- era tale che Nickel, Tesarus ed Helex decisero di allontanarsi rapidamente uscendo dall’Ikea e tornando… nella stanza vuota. Ovvio: in quel luogo in cui spazio e tempo non avevano senso, ci stava che ogni uscita portasse lì, esattamente dov’erano entrati.
La porta rimase comunque aperta.
 
«Mi state dicendo che abbiamo girato a vuoto? Che abbiamo passato non so quanto tempo a vagare in un Ikea infestato dai cybertroniani mannari, con quell’oscenità musicale come sottofondo costante, senza che ce ne fosse reale bisogno?»
 
«Vorrei che ci fosse un altro modo per dirlo ma, sì, è così» trovò il coraggio di dire Nickel.
 
Altra pausa di silenzio, a seguito della quale Tarn si limitò a raggiungerli fuori dall’Ikea, chiudendosi la porta alle spalle.
 
«Usciamo».
 
Benché il suo istinto stesse suggerendo tutt’altro -alias restare dentro un altro po’per spaccare tutto sia col cannone, sia urlando come un ossesso- mai e poi mai avrebbe dato alle sorelle di Stiria la soddisfazione di vederlo perdere il controllo a tal punto, in uno sfogo d’ira del tutto fine a se stesso.
 
L’intera squadra attraversò l’arco, ed ecco che tornarono nel tranquillo campo di grano blu.
 
Helex indicò un punto distante da loro, oltre l’albero con i cubi di energon. «Mi pare di vedere qualcosa lì».
 
Aveva ragione: al di là di una foschia alla quale prima non avevano fatto caso, adesso si intravedevano le vaghe sagome scure di quelli che sembravano essere due edifici. Provarono ad avvicinarsi ma non ottennero risultati, perché per quanti passi facessero nessuna delle due sagome diventava più grande e distinguibile.
 
«Valeva la pena provarci» disse Tarn «Sempre meglio che affrontare altri due livelli per poi scoprire che non era necessario».
 
Nel tornare indietro, preceduti da Tesarus e Helex, lui e Nickel si scambiarono un’occhiata. Anche Tarn aveva notato i cambiamenti alle armature dei due colossi e la cosa non lo lasciava indifferente, inducendolo a chiedersi se davvero sarebbero riusciti a uscire da quella situazione e, se sì, in quali condizioni.
 
Era da tanto che non si sentiva così inerme, indifeso e debole come una piccola e stupida astronave in balia della peggior tempesta solare che si fosse mai vista o della forza attrattiva di un buco nero.
Ebbe quasi l’impressione di essere tornato indietro nel tempo, al punto di guardarsi le mani per verificare di averle ancora e di non avere le “pinze” che gli avevano installato forzatamente quando aveva un altro nome.
 
«COS-»
 
Per qualche attimo, al posto delle sue mani viola vide veramente delle “pinze” color arancio.
 
«Cos’hai?» gli domandò Nickel, allarmata.
 
«Io…»
 
Tornò a guardarsi le mani. Erano viola e perfettamente normali.
 
«Nulla» disse, cercando di mostrare tranquillità nonostante quell’allucinazione -se lo era davvero stata: al momento era a posto ma forse, un attimo prima, non lo era!- lo avesse scosso abbastanza «Ho già detto che odio la magia?»
 
«Un numero impressionante di volte… ma non sarà mai troppo» disse Nickel «Dritti al secondo livello?»
 
«Cinque minuti per rifocillarci e poi sì, dritti al secondo livello».
 
“Sperando che non contenga altri inghippi che dovremo intuire pur non essendo esperti di giochi”.
 
La mancanza di Kaon in quel frangente si faceva sentire forte, talmente forte che Tarn -la cui abilità particolare faceva sì che avesse un rapporto peculiare con le frequenze- aveva quasi l’impressione di star captando in lontananza la sua risata, dovuta a un “Kaon, vieni a giocare con noi? Per sempre?” detto da due voci femminili identiche.
 
“Se anche fosse vivo non si metterebbe certo a giocare e cercare di fare amicizia con le sorelle di Stiria” concluse una volta giunto fino all’albero.
 
Imitando Tesarus e Helex, dopo aver colto un paio di cubi di energon si sedette a terra, arrivando a poggiare la schiena contro il tronco della pianta.
I rumori della fauna minuscola e innocua presente tra la vegetazione, la brezza leggera che muoveva le spighe blu facendole sembrare delicate onde marine -oltre ai mari d’olio c’erano anche quelli d’acqua, lui ne aveva visti vari- e il tepore che avvertiva sul metallo generato dai raggi dell’astro più vicino sarebbero stati perfino fonte di un sentimento di “pace” per lui, se la situazione fosse stata diversa.
 
“Chi ce l’ha fatto fare di venire qui?” pensò bevendo rapidamente entrambi i cubi, salvo rispondersi poco dopo “Stiria, ecco chi. Meriterebbe di finire nella Lista per questo, lei e tutta la sua famiglia. Se penso che magari a quest’ora saremmo quasi arrivati sulla Terra o che avrei potuto già essere davanti a Lord Megatron nella Nemesis, se penso che forse sulla Terra in questo momento c’è-”
 
Si alzò in piedi prima ancora di terminare il pensiero. «Pronti?»
 
«Sissignore» risposero in coro gli altri, alzandosi in piedi a loro volta.
 
«Rivuoi la chiave?» domandò Nickel a Tarn.
 
«Sì. Farò in modo di non perderla per strada stavolta».
 
Presa la chiave e senza rimuginare troppo, la DJD -la parte che ne era rimasta- raggiunse l’arco del secondo livello e lo attraversò.
 
 
Novantanove scimmie
Saltavano sul letto
Una cadde in terra e si ruppe il cervelletto!
 
Novantotto scimmie
Saltavano sul letto
Una cadde in terra e si ruppe il cervelletto!
 
Novantasette scimmie
Saltavano sul letto
Una cadde in terra e si ruppe il cervelletto!
 
 
Tesarus, che complice il fatto di avere una “X” a coprire buona parte del volto risultava spesso essere abbastanza inespressivo, ebbe un solo commento da fare.
 
«Perché?»
 
«Mi stupisce che tu ti faccia ancora domande» fu la risposta di Tarn.
 
In quel livello si riuscivano a vedere sia la chiave, sia l’uscita: quest’ultima era dalla parte opposta rispetto a dov’erano sbucati loro, e aveva la classica forma di arco semidiroccato.
Quanto alla chiave…
 
 
“Novantasette scimmie
Saltavano sul letto
Una cadde in terra e si ruppe il cervelletto!
 
 
La chiave era in alto, sospesa in una teca di forma rotonda; sotto di essa c’erano enormi cuccette volanti a diversi livelli che si muovevano in cerchio, sopra le quali novantanove cyberscimmie elettriche -novantacinque. Novantaquattro…-  per ognuna saltavano come forsennate, e alla fine di ogni strofa ce n’era una che cadeva nel lago di magma posto sotto di loro.
Sembrava quasi che stessero adorando la chiave con quello strano rituale, come se fosse stata un artefatto di qualche divinità.
 
«Solo a me le cyberscimmie, avendo quell’antenna tesla sulla testa, ricordano Kaon?» domandò Nickel.
 
No, naturalmente non era stata la sola cui l’avevano ricordato, anche gli altri avevano avuto lo stesso pensiero. Tuttavia quel che premeva loro maggiormente in quel momento era capire come arrivare alla chiave e poi dall’altra parte.
 
«L’unico modo di muoversi senza finire nella lava è farlo saltando da una cuccetta all’altra, sperando che le scimmie non reagiscano troppo male. Sono abbastanza vicine perché possano farcela anche quelli più piccoli o più pesanti di noi, così mi pare» osservò Tarn «Un momento… Nickel, il tuo jet pack funziona?»
 
La minicon scosse la testa. «Ovvio che no. Però alla chiave posso pensare io lo stesso, cercherò di salire velocemente a prenderla. Voi magari potreste cercare di coprirmi in caso di necessità».
 
«Sicura? So che senza jet pack tu non ami molto l’altezza».
 
«Al momento non importa cosa io ami o non ami, Tarn, l’importante è uscire da questa situazione al più presto».
 
Gli altri non poterono far altro che concordare con lei, ragion per cui passarono all’azione e saltarono tutti insieme sulla prima cuccetta che capitò loro davanti.
 
 
“Ottantasei scimmie
Saltavano sul letto
Una cadde in terra e si ruppe il cervelletto!
 
 
Gli animali non ebbero reazione alcuna, limitandosi a continuare i loro salti sfrenati.
 
“Dubito che questa calma durerà molto” pensò Tarn.
 
«Ti lancio più in alto che posso» disse a Nickel «Così ti sarà più facile raggiungere la teca».
 
La minicon annuì e, quando venne lanciata, finì tra le gambe di una scimmia. Tarn aveva calcolato bene la velocità di rotazione delle cuccette, quindi fin lì era stato facile.
 
Dopo aver dato una breve occhiata ai suoi compagni e al suo comandante, che stavano provando a raggiungere l’uscita -Helex e Tesarus con la loro poca agilità e il loro peso erano più “in” pericolo che “un” pericolo, in quella situazione- iniziò a salire, saltando da una cuccetta all’altra.
Com’era accaduto prima e stava accadendo diversi livelli più in basso, le scimmie parvero non vederla mentre si avvicinava sempre di più alla teca.
 
“Questo stage sembra perfino facile” osò pensare Nickel “Nonostante la lava. In realtà lo sarebbe stato anche l’altro, cybertroniani mannari o meno, non era qualcosa che non potessimo affrontare facilmente. Il peggiore era il paesino da nausea. Forse sono bastarde ma non hanno fantasia, o forse dall’alto della loro magia ci stanno sottovalutando”.
 
All’ultima opzione, alias che le sorelle di Stiria stessero lasciando il meglio per la fine, preferì non pensare affatto.
 
Non impiegò molto a raggiungere la teca, mancava solo un ultimo salto. Abbassando lo sguardo notò che Tarn e gli altri erano arrivati a oltre metà strada.
 
“Forse faccio meglio ad aspettare ancora” pensò Nickel “Finora non ci hanno notati ed è probabile che sarà così fino a quando la chiave resterà dov’è. Aspetterò che siano quasi arrivati, poi prenderò la chiave e mi butterò giù”.
 
Un rullo di tamburi ritmico e prolungato, lo stesso che avevano sentito prima che il paesino “impazzisse” e si portasse via Kaon, risuonò nell’ambiente con un fastidioso doppio eco.
Le cyberscimmie elettriche si fermarono. Pur non essendo esperti di giochi tutti quanti riuscirono a capire che non era un buon segno e stava per succedere il finimondo, ragion per cui Tarn, Helex e Tesarus accelerarono ulteriormente il passo.
 
«Come non detto, niente “aspettare”» concluse la minicon, saltando verso la teca, rompendola con un pugno e afferrando la chiave.
 
Le scimmie emisero tutte quante un orrendo urlo stridulo e infuriato e, accortesi degli intrusi, si scagliarono tutte quante su di loro con cattiveria inaudita, snudando fauci e artigli affilati come le lame nel buco di Tesarus.
 
«Non prendetevela con me brutte bestiacce, prendetevela con la strega che vi ha messe qui!» sbottò Nickel, cercando di sgusciare tra le scimmie che le furono addosso dopo aver messo la chiave in uno scomparto.
 
Evitò per poco una serie di scariche elettriche, a ulteriore prova del fatto che l’antenna tesla presente sulle scimmie fosse lì per un motivo preciso, e si lanciò giù dalla cuccetta, atterrando rovinosamente diversi livelli più sotto su un’altra semivuota.
 
Le scimmie che l’avevano occupata e altre, tante altre, erano addosso a Helex, che cercava di strapparsele di dosso usando tutte e quattro le braccia -le due grosse e le due sottili che aveva vicino allo scioglitutto sul petto- e ringhiava di dolore a ogni scarica elettrica ricevuta. Quelle bestie non si stavano risparmiando e, alla fine, a Nickel parve di sentire il rumore del T-Cog del colosso che andava in pezzi.
 
«Helex!» gridò, vedendolo traballare e cadere giù dalla cuccetta.
 
Sarebbe finito nella lava -ironico contrappasso- se Tarn non si fosse accorto dell’accaduto e non fosse riuscito a raggiungerlo con uno scatto, afferrandogli un polso quasi per miracolo. Per non cadere a sua volta nella lava era costretto ad aggrapparsi al bordo della cuccetta, senza dunque potersi liberare delle scimmie che stavano attaccando anche lui.
 
«Toglietevi di dosso» sibilò, paralizzando le scimmie e facendole cadere nella lava. Fatto ciò, riuscì a issare Helex sopra la cuccetta.
 
«Grazie» fu la prima cosa che disse il Decepticon, schiacciando tra le mani le teste di due scimmie.
 
«Ringraziami cercando di non cadere giù un’altra volta, non intendo perdere un altro membro della squadra» ribatté Tarn, uccidendo con una cannonata due gruppi di scimmie che stavano per assaltare Tesarus.
 
Nell’avvicinarsi ulteriormente all’uscita cercò Nickel con lo sguardo e la trovò diversi livelli più in alto, appena prima che tre scimmie la assalissero alle spalle. Le uccise tutte con un colpo del doppio cannone a fusione e poi vide Nickel che, zoppicando, si preparava a saltare giù verso Tesarus.
 
«Tesarus, Nickel a ore nove!» esclamò.
 
Il colosso si liberò della mezza scimmia che aveva parzialmente triturato e stese le braccia giusto in tempo per accogliere la piccola compagna di squadra.
 
«Hai una gamba malandata» disse, raggiungendo l’arco per primo.
 
«Davvero? Non mi ero accorta» ribatté lei, ironica.
 
Helex, barcollando leggermente, raggiunse l’arco a sua volta. «Andiamo via…»
 
«Tu stai messo peggio di lei» osservò Tesarus.
 
«Il mio T-Cog è andato» replicò Helex.
 
«Te ne trapianteremo uno una volta tornati nella Peaceful Tiranny, non devi preoccuparti di questo» disse Tarn, lanciando una scimmia contro l’ultimo gruppo che cercava di impedire loro di uscire.
 
«Sempre se riusc-»
 
«Niente dubbi, vi proibisco di averne» lo interruppe Tarn «Fuori di qui!»
 
Non se lo fecero ripetere due volte, si lanciarono oltre l’arco trovandosi così a rotolare nel campo di grano blu.
 
«Niente più scimmie. Niente più scimmie» ripeté Nickel, stringendo la chiave «Io da oggi in poi odierò le cyberscimmie, elettriche o meno, quasi quanto odio gli organici».
 
«Siamo in due» concordò Helex.
 
«Tre» aggiunse Tesarus «A me non piacevano neanche prima. Mi ricordano la penultima fidanzata che ho avuto».
 
«Era così brutta?» domandò Helex.
 
«No, voleva sempre andare allo zoo. Le piacevano le cyberscimmie e gli alloygator, quindi alla fine l’ho lanciata nel loro lago… poi mi sono accorto che avevo ancora in mano la sua borsetta, quindi ho lanciato agli alloygator anche quella. Odiavo quella borsetta».
 
«Io mi stupisco del fatto che tu abbia avuto delle fidanzate» disse Nickel, fin troppo onesta come suo solito.
 
Tesarus fece spallucce. «Qualche disgraziato o disgraziata si trova sempre. Forse riusciresti a trovarne uno anche tu».
 
«Senti un po’-»
 
«Nickel, riparati la gamba e poi provvedi a valutare quanto riposo può servirci prima di affrontare il prossimo livello» disse Tarn «Sperando che sia il meno possibile».
 
«Tarn… non so come dirtelo ma…»
 
«Cominciano a spuntarmi delle piume sulle braccia. Sì. Lo so».
 
Avrebbe dovuto immaginarlo, se era successo a Tesarus e Helex era inevitabile che prima o poi anche lui iniziasse a cambiare.
 
Helex indicò un punto oltre l’albero. «Sbaglio o le sagome di edifici al di là della foschia si sono fatte più definite?»
 
Non sbagliava. Se prima non era possibile farlo, attualmente erano perfettamente distinguibili un edificio rurale in pietra e metallo -sembrava una casa, alla DJD parve perfino di distinguere un orticello- e un altro, tutto in pietra, sul quale svettava un campanile.
 
«Il nostro obiettivo si avvicina» disse Tarn «Dobbiamo resistere fino ad allora ma ce la faremo. Ce la faremo».
 
 

 
 
 
 
 
Credits:
 
La canzone “Pe Cimpoi” è di Sandru Ciorba, la trovate su YT;
Sempre su YT, parlando di Ikea, trovate una serie chiamata “Confinement”. Non ricordo come si chiami l’autore ma ve la consiglio;
Le scimmie vengono dall’ultimo Jumanji uscito nelle sale, anche se lì erano un po’meno elettriche, mentre “99 scimmie” viene da “Le follie dell’Imperatore”;
Nel prossimo capitolo dovrebbe concludersi tutto.
Grazie a quelli che stanno leggendo il delirio qui presente e alla prossima,
 
_Cthylla_

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Capitolo 7
*** Neverending Days To Repent ***


Neverending Days To Repent
 
 




 
 
 
 
 
 
 
Il calmo specchio d’acqua che accolse i quattro poveri disgraziati -alias Tarn, Nickel, Helex e Tesarus- riuscì inizialmente a sorprenderli quasi in positivo. Era un miglioramento rispetto agli scaffali infiniti e polverosi dell’Ikea e, sicuramente, era un miglioramento anche rispetto ai salti frenetici e fatali delle cyberscimmie elettriche che avevano affrontato nel livello precedente.
 
«Non durerà molto» fu il commento di Nickel.
 
«Cerchiamo di essere sollevati del fatto che non sia iniziato subito con qualche follia come il livello di prima» replicò Tarn.
 
Se il lago non fosse stato infinito come invece era, il Decepticon avrebbe avuto quasi l’impressione di essere uscito dal gioco della strega e di essere tornato fuori dall’arco diroccato principale. Era un altro luogo idillico che, come il campo di grano blu col singolo albero al centro, come la casa che erano riusciti a intravedere oltre la foschia, come Berg Des Sees stesso prima di attraversare l’arco e finire in quell’incubo distorto, in un’altra situazione avrebbe trasmesso tutto tranne inquietudine.
 
Cercare di conoscere il nemico per poterlo battere era qualcosa che tendeva a fare sempre da che era diventato un Decepticon. Lord Megatron stesso nelle sue sacre scritture sottolineava l’importanza di quell’azione, di conseguenza non era strano che almeno a livello inconscio, anche in tutto quel delirio, Tarn avesse tentato di capire chi si trovava di fronte.
“Di fronte” in senso figurato, ovviamente.
Il paesino era un caso particolare, paradossale e inquietante allo stesso tempo, ma l’assurdità presente nei vari livelli gli sembrava qualcosa messo lì apposta per far dare di matto lui e gli altri, l’espressione vagamente bambinesca di un potere caotico che era al di là di ogni possibile misura, mentre nei luoghi più pacifici era riuscito a percepire qualcosa di molto più personale. A voler azzardare qualche ipotesi, pensò mentre sfiorava l’acqua resa blu-verdino dal riflesso del cielo, forse era un tentativo della strega  di ricreare luoghi in cui si era sentita serena e sicura, e che ormai per una ragione o l’altra non c’erano più, luoghi in cui gli estranei non erano ben accetti.
 
Se Stiria aveva un parco giochi tossico aperto a ogni tipo di visitatori e accadimento, le sue sorelle maggiori avevano una casa di bambole nella quale tutto doveva restare esattamente com’era, eccetto quel che a loro andava bene fosse caotico, come il paesello. Era sicuro che la strega avrebbe potuto riportarlo alla normalità se solo avesse voluto e che la campana rubata c’entrasse poco, o proprio nulla.
 
«Tarn!»
 
Tesarus stava indicando qualcosa al largo e, quando lui alzò gli occhi, vide quella che sembrava in tutto e per tutto una barca di media grandezza con un ampio ponte e una cabina di pilotaggio. Era un’ imbarcazione come quelle di certe specie organiche, del tipo che non volavano ed erano usate solo per viaggiare sull’acqua, ed era fatta di un materiale anch’esso fastidiosamente organico conosciuto col nome di “legno”.
Per quel che riusciva a ricordare, solitamente quei mezzi di locomozione primitivi sfruttavano l’olio di gomito, il vento -tramite vele- o la potenza di un motore per muoversi. Nel loro caso sembrava essere valida l’ultima opzione.
 
«Immagino dovremo salirci su e cercare di farla muovere» disse Tarn, saltando sopra l’imbarcazione senza usare la scaletta.
 
«Hai idea di come funzioni? È roba troppo primitiva, io non credo di capirci qualcosa» ammise Helex, raggiungendolo assieme a Tesarus «Non so neppure come si accende».
 
«Non serve. Ci stiamo già allontanando dalla riva» fece notare Nickel, cupa «Il motore si è acceso da solo appena ho messo piede qui».
 
«Abbiamo un minimo di controllo su questa nave? Quello somiglia a un timone» disse Tesarus, indicando… il timone, appunto.
 
«Lo è» confermò Tarn, avvicinandosi al timone e tentando una virata a sinistra.
 
La manovra ebbe successo, ragion per cui il gruppo concluse di avere almeno il “minimo” di controllo auspicato da Tesarus. Avrebbero preferito altro, come per esempio non trovarsi lì e basta, ma era sempre meglio di niente.
 
«La parte buona è che non dobbiamo perdere tempo a capire dove dobbiamo andare, perché la barca va da sé. La parte cattiva invece è che... beh, per l’appunto la barca va da sé e vattelappesca dove ci porterà» sbuffò Nickel, stringendosi nelle piccole spalle «Se non altro abbiamo potuto riparare un po’di danni prima di entrare qui».
 
Helex poggiò una delle sue mani immense sulla schiena della minicon. «Usciremo da questa cosa».
 
«Con quante code, considerando che ne ho già una?»
 
«Ti sei accorta allora. Almeno è prensile?» le domandò Tesarus.
 
«Mi è spuntata una coda e secondo te me ne sto a pensare se sia prensile o meno?!» sbottò lei.
 
«In questa situazione non puoi fare altro» le fece notare il Decepticon «È prensile o no?»
 
Nickel provò a muovere la sua nuova coda sottile da cyber scimmia, riuscendo ad avvolgerla attorno al polso destro. «Pare di sì».
 
Il viaggio procedette liscio per… una decina di minuti? Qualche ora? Nessuno di loro avrebbe saputo dirlo, anche in quel momento il loro orologio interno era del tutto sfasato.
 
Tarn dopo un po’ decise di lasciare il timone a Nickel, avvicinandosi alla prua per cercare di scorgere qualcosa a distanza. Avrebbe potuto farlo fare proprio a Nickel, che con la sua nuova appendice avrebbe avuto ancor meno difficoltà di lui a mantenere l’equilibrio sulla prua beccheggiante, però lui era più alto.
 
«Intravedo qualcosa» disse, socchiudendo i sensori ottici «Sembra una striscia di terra ma è ancora lontana e…»
 
Il rullo ritmico dei tamburi, ormai diventato familiare, lo interruppe.
 
«Ed è finita la pace» concluse «Prepariamoci a-»
 
«Tarn! Tornado a ore una» lo avvisò Tesarus.
 
«Due tornado a ore undici!» esclamò Helex.
 
«E ora ce ne sono quattro anche davanti a noi» aggiunse Nickel «E… ragazzi, non so se avete notato ma…»
 
Sollevò le braccia: su entrambe ora era installata una motosega, discorso che valeva anche per tutti gli altri.
 
«Cos…» Helex si guardò «Che me ne faccio di queste contro dei tornado?!»
 
«Che te ne fai di qualunque cosa, contro dei tornado?!» ribatté Nickel.
 
«Non contente di aver abusato del mio tempo, della mia pazienza e dei miei nervi, si sono permesse di sostituire il mio doppio cannone a fusione con una motosega».
 
Per qualche secondo, dopo aver sentito Tarn parlare così, nessuno proferì parola.
Il cannone a fusione non era solo un’arma, era un simbolo, un omaggio a quello di Lord Megatron con tutto il significato che c’era dietro -“la mia arma è il mio fardello”- e alla filosofia Decepticon stessa; rimuoverlo senza permesso forse era stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso già ricolmo per tutto ciò che avevano passato fino a quel momento.
 
I tornado si fecero un po’più vicini, e fu allora che Nickel notò un particolare. «C’è qualcosa in quei tornado!»
 
«Hai ragione! Sembrano…» Helex, dando un’ulteriore occhiata, allibì «Ma è possibile?»
 
«Mi stupisco del tuo stupore» disse Tesarus «Sharknoidi che vivono nei tornado. Non peggio delle cyberscimmie».
 
Precisamente: all’interno dei tornado c’erano degli sharknoidi vivi e in salute che aprivano e chiudevano le fauci a ripetizione nel farsi trasportare da quel vento furioso.
 
«Il fatto che siano dei tornado con degli sharknoidi dentro ne fa degli sharknado, secondo te?» tornò a domandare Helex.
 
«Chi se ne importa di come si chiamano, pensiamo a come fare per evitarli o per combatterli piuttosto, ce ne sono sette in arrivo!» esclamò Nickel, muovendo nervosamente la sua nuova coda e agguantando il timone.
 
Il rumore di due motoseghe messe in moto fecero sì che tutti smettessero di guardare i tornado e si concentrassero sul ponte, o meglio, su Tarn che aveva fatto svariati passi indietro come a voler prendere la rincorsa.
 
«Vogliono giocare?» disse il Decepticon, con i sensori ottici puntati sugli sharknado in arrivo a ore dodici «Sia! Giochiamo!»
 
Prima che chiunque potesse dire qualsiasi cosa, il comandante della Decepticon Justice Division corse lungo il ponte, fece uno dei salti più lunghi della propria esistenza e venne risucchiato dentro uno dei tre sharknado… il che era precisamente quel che voleva.
 
«Credo si sia rotto le scatole» commentò Helex.
 
Aveva ragione: Tarn si era rotto le scatole e il livello di voglia di sangue, pardon, energon, era arrivato ai livelli dei tempi in cui prendeva ancora il nucleon per potenziare le prestazioni.
Per fortuna Nickel era riuscita da qualche tempo a fargli accantonare almeno la dipendenza da quella roba, con un po’di fatica -com’era ovvio- ma non perché avesse dovuto insistere troppo. Aveva immaginato che Tarn avesse trovato qualche buon motivo per voler rimanere un po’più lucido.
 
«Magari ce ne lascerà qualcuno» disse Tesarus.
 
«Ce ne sono quanti volete per ora! Voi due proteggete la barca! Arrivano!» esclamò Nickel, rivolta a Helex e Tesarus cercando di virare per non andare a finire dritta in mezzo a uno sharknado, mentre una pioggia di bestie vive -portata dallo sharknado a ore undici- si abbatteva su di loro.
 
Ormai l’imbarcazione era in balia di onde piuttosto alte, e Nickel riuscì ad abbassarsi e alzare il braccio motosega-munito appena in tempo per sventrare uno sharknoide che altrimenti le avrebbe staccato la testa di netto.
 
 
“Shark!
  Shark!”
 
 
In quel disastro generale, con Helex e Tesarus che comunque sembravano aver iniziato a divertirsi un po’più del dovuto nel fare a pezzi gli sharknoidi -non che ci fosse di che stupirsi, visti i tipi- Nickel riuscì comunque a trasalire sentendo l’inizio di una canzone venire pompato fuori da casse audio della cui presenza non si era nemmeno accorta.
 
 
“Shark!
  Shark!”
 
 
«Come se ci fosse bisogno di ripeterlo!» sbraitò, virando a destra con tutte le proprie forze nel tentativo di evitare un cavallone.
 
Ancora una volta sentì la mancanza di Kaon: magari nel pilotare quella barca se la sarebbe cavata bene come nel pilotare la Peaceful Tiranny.
 
 
“Go, go, go, go, go, go, go
Run away from the sharknado
It's your greatest foe, foe, foe
Don't wanna get eaten by the sharknado
By air, by land, by sea
I see that sharknado coming for me
I can't run, I can't hide
I just don't wanna die
Sharknadooooooo!”
 
 
Evitò per miracolo un pezzo di coda di uno sharknoide che altrimenti le sarebbe caduto addosso, seguito da una pioggia di altri pezzi sempre provenienti dall’alto. Tarn si stava dando da fare, lassù.
 
“Sbaglio o lo sharknado dov’è lui sta diminuendo di intensità?!” notò Nickel “Allora magari la potenza è legata alla quantità di bestie vive che ci sono dentro!”
 
La sua teoria venne confermata quando vide Tarn, che aveva finito di massacrare ogni essere vivente presente, saltare nello sharknado più vicino sfruttando la potenza residua del tornado, che poi scomparve del tutto.
 
 
“SharknadOOOo!
Break and twist and you will shout
Those fish are gonna take you out
It's got teeth, it's got speed
Destruction is all it needs!”
 
 
Sì, riconobbe Tarn sentendo le parole di quella canzone, la distruzione e la violenza senza freni da sfogare tutta su quegli stramaledettissimi sharknoidi negli sharknado era esattamente quello di cui aveva bisogno in quel momento. Sentire le motoseghe affondare in loro, sentire il loro energon caldo sul corpo e sulla faccia, vedere le fauci di quelle bestie disarticolarsi ed essere strappate via: una goduria infinita che non avrebbe potuto generargli sensi di colpa neppure più tardi, neppure per sbaglio.
Non l’avrebbe mai ammesso ma, mentre sbudellava uno sharknoide a mani nude per poi gettarsi nel tornado numero tre, in quel momento stava quasi provando qualcosa di simile al… divertimento.
Forse.
 
 
“No, no, no, no, no, no, no
Run away from the sharknado
Blood is gonna flow, flow, flow
So warn that guy in the sharknado
Sharknadooooooo! (sharknado!)
Sharknadooooooo! (sharknado!)”
 
 
E non era il solo: gli sembrava di star sentendo in lontananza le voci di due femmes che si sbellicavano dalle risate.
Probabilmente il suo processore gli stava giocando un altro brutto tiro, perché difficilmente le sorelle di Stiria si sarebbero divertite vedendoli superare gli ostacoli da loro ideati.
Giusto?

 
«Questa pioggia di pezzi di sharknoidi e il fatto che tu ne stia bollendo uno mi ricorda la mia quartultima fidanzata» disse Tesarus mentre riduceva in poltiglia una delle bestie pressandola nel buco del proprio petto.
 
«Qual era?» gli domandò Helex, tranciando a metà due sharknoidi «Quella che voleva portare la luce nei tuoi occhi spenti?»
 
«No. Quella era Laminga, la tizia che dopo dieci ore mi ha piantato per un mech con gli occhi ancora più spenti ed è sparita, e non era la quartultima, era la octaultima… di dice octaultima?»
 
«No, non si dice!» gridò Tarn dall’interno dello sharknado.
 
Di nuovo, Tarn non poté evitare di pensare a Kaon e al fatto che a lui sarebbe piaciuto friggere quelle bestie mentre ascoltava le storie strampalate di Tesarus e i suoi fidanzamenti disgraziati.
Forse fu proprio perché pensava a Kaon che gli parve di sentirlo chiedere, ridendo, “Ma chi è questa tizia?” a due voci di femmes pressoché identiche che sentendo nominare Laminga avevano detto in coro uno stupito “Ma che cazzo stai a diiiii’?”.
 
«Allora la quartultima qual era?» tornò a chiedere Helex «Tarn! Tutto bene lassù?!... sì, direi che vada tutto bene» concluse, acchiappando al volo una testa di sharknoide.
 
«Era quella fanatica del sushi di energon in chicchi avvolto nell’alluminio e del rame-N» rispose Tess.
 
«Ora ricordo! Il rame-N che mi avevi fatto col suo fluido craniale lo sogno ancora, quella roba era troppo buona. Se usciamo da qui me ne devi fare un altro po’».
 
«Non ho fidanzate al momento» replicò il Decepticon «Nickel. Ti hanno mangiata?»
 
«No e non ti conviene che accada, non avresti più chi ti affila le lame!» esclamò la minicon, le mani salde attorno al timone «Gli sharknado stanno diminuendo d’intensità ormai, continuate a ucciderli tutti!»
 
Helex aprì la camera di scioglimento che aveva sul petto, espellendo il poco che restava dello sharknoide che aveva messo dentro. «Non c’è bisogno di chiederlo».
 
Continuarono così per un pezzo, massacrando tutto quel che si trovavano davanti come nella miglior tradizione, e infine dei sette sharknado che c'erano non restò alcuna traccia se non i pezzi di cadaveri galleggianti degli sharknoidi che li avevano abitati.
 
Nickel, con un sospiro di sollievo, si lasciò scivolare a terra appoggiando la schiena al timone. «Per fortuna è finita…»
 
«Per ora sì» disse Tarn, tornato a bordo «Hai fatto un buon lavoro nel cercare di governare la barca. Quelle onde non lo rendevano facile».
 
«Era la cosa più utile che potessi fare, le motoseghe sulle mie braccia sono più piccole delle vostre. Quindi… hai per caso trovato una chiave nel ventre di qualche squalonoide?»
 
Il Decepticon scosse la testa. «Purtroppo no. Però sono convinto che non manchi molto alla fine del livello, e dopo questo dovremo solo andare a prendere la benedetta campana e riportarla a posto, così da porre fine a questa faccenda».
 
«Sempre che la strega non decida di tenerci qui perché si sta divertendo troppo per lasciarci andare» sbottò Nickel, in un momento di sconforto, battendo il pugno contro il legno «Aveva detto che l’avrebbe fatto se avessimo messo a posto la campana, peccato che poco dopo abbia ucciso Kaon solo perché ha cercato di spiegarci come funziona questo tipo di giochi. Quanto ti sembra affidabile qualcuno che fa così? Ci terranno qui dentro mettendoci davanti un delirio dopo l’altro finché non si stuferanno, sempre che prima non diventiamo delle bestiacce senza memoria come sta già accadendo!»
 
«Nickel-»
 
«Sono diventata una Decepticon e ne sono fiera, così come conosco i rischi che comporta, ma essere Decepticon non può voler dire finire col diventare decorazioni di un paesino caotico… o delle sottospecie di cyberscimmie. Lo sopporteresti, Tarn? Lo sopporteresti davvero?!»
 
«Io credo che tu conosca la risposta» disse Tarn «Ma ne usciremo. Se c’è qualcuno che può riuscirci siamo noi».
 
«E credo che ormai ci siamo» s’intromise Helex.
 
Erano finalmente giunti fino alla striscia di terra che Tarn aveva visto. Ciò che Tarn invece non aveva visto era il ghiaccio di cui era ricoperta, così come non aveva visto le montagne di roccia scurissima che ora non solo apparivano chiare ai suoi sensori ottici e quelli di tutti, ma apparivano anche… immense.
“Nulla di strano” si sarebbe potuto dire, c’erano montagne gigantesche su svariati pianeti nell’Universo, ma quelle avevano un “che” di diverso, distorto e profondamente sbagliato sia nella dimensione, sia nella forma. A guardarle si aveva l’impressione di trovarsi davanti a qualcosa che, com’era per il paesello, non sarebbe potuto e dovuto esistere affatto.
 
Il fatto che la barca avesse imboccato da sola un largo fiume che scorreva tra quei monti non fece altro che acuire quella sensazione, e non solo perché l’acqua scorreva in senso opposto a quello normale. C’era un silenzio assoluto, un buio che non era totale solo grazie alle luci verdastre di cui era provvista la barca, e le pareti di roccia scura risultavano così opprimenti da dare la sensazione che si sarebbero chiuse su di loro da un momento all’altro.
Non aiutava neppure provare a guardare in alto: tutto quel che si riusciva a scorgere era un solo filo di luce continuo, più sottile di un cordoncino di rame.
Se loro si trovavano in fondo alla gola e quella che vedevano era la cima, quanto erano alte quelle montagne?
 
Dopo essersi avvicinata a una parete, l’imbarcazione rallentò e le luci aumentarono di potenza. All’inizio nessuno di loro capì il motivo, finché…
 
«Mi sembra di vedere un… cadavere con un braccio teso? Sbaglio? E ha qualcosa in mano» disse Nickel.
 
«Non sbagli» confermò Helex «E quel che ha in mano, anche se quella non è propriamente una mano, mi sembra una chiave identica alle altre due. Giusto, Tarn?»
 
Tarn non rispose: era troppo impegnato a guardare se stesso.
 
Nonostante l’illuminazione fosse scarsa e verde, guardando il cadavere non c’era possibilità di errore. Nessun altro se n’era reso conto perché nessun altro sapeva, ma quello era lui, o meglio, era Glitch.
Glitch, col suo unico occhio azzurro, col suo corpo color arancio parzialmente devastato dalla ruggine e avvolto da alghe e muffa tecnorganiche; Glitch, con le sue mani che non erano mani ma patetiche pinze che, ricordava, rendevano goffo ogni movimento; Glitch, un passato che si era lasciato alle spalle e ora gli veniva violentemente sbattuto in faccia all’improvviso, nel momento e luogo più inaspettato.
 
«Tarn?» tornò a interpellarlo Helex «Allora?»
 
«…sì. Sì. È la chiave che stavamo cercando» disse Tarn, cercando di riscuotersi «Prendila, così da poter proseguire».
 
Il gigantesco mech tese la mano ma, quando cercò di toccare la chiave, le sue dita riuscirono solo a passare attraverso di essa.
 
Helex fece una smorfia infastidita. «È uno scherzo o cosa? Tess, prova tu!»
 
Tesarus obbedì ma non ottenne nulla, esattamente come non aveva ottenuto nulla l’altro Decepticon. Stesso discorso valse per Nickel che, sollevata da Tesarus, fece un tentativo infruttuoso.
 
“Vogliono che lo faccia io. Stanno cercando di colpire me perché sono il leader della squadra, se cado io cadiamo tutti quanti” comprese Tarn, con lo sguardo puntato nel sensore ottico spento e morto del suo doppio, quel fantasma di tempi ai quali cercava di pensare il meno possibile.
 
Per qualche attimo pensò di dover modificare alcune cose che aveva pensato di aver capito riguardo la strega, il suo stile e la sua natura; poi ricordò una cosa fondamentale, ossia che la strega in questione aveva una sorella da far partecipare alla creazione del gioco.
Se nel paesino c’era una sua “nota” vagamente inquietante, in quel posto la nota era diventata un’intera melodia, composta in parte dal ricordo riaffiorato prepotente nel suo processore dei singhiozzi e delle suppliche notturne a ogni divinità conosciuta perché lo salvasse da ciò che l’avrebbe atteso il giorno dopo: quelle pinze al posto delle mani, quella testa inespressiva al posto della sua, una vita da scarto.
Nessuna supplica era servita ed era anche per quello che ormai, da tanto tempo, non credeva più in alcuna divinità.
 
Allungò la mano appena il resto della squadra lo lasciò passare e, come aveva immaginato, riuscì a stringere la chiave nel proprio pugno.
 
Fu allora che Tarn sentì il cadavere di Glitch, dall’occhio azzurro ora vivo e luminoso, stringere il suo polso con le pinze di entrambe le braccia e attirarlo a sé con un violento strattone.
 
«Puoi cambiare aspetto, ma non puoi nasconderti da quel che siamo!» furono le parole del “redivivo”, sputate nel suo recettore audio col un sussurro gorgogliante di una voce rovinata ma ancora orrendamente uguale alla sua « Deboli. Insicuri. Ossessivi. Dipendenti! Questo siamo! Questo sei! Questo sarai sempre!»
 
La risata malata che seguì fu udibile a tutti, l’eco si propagò per tutta la gola; poi, preda di un miscuglio di sentimenti e sensazioni alle quali non avrebbe voluto né saputo dare una definizione più accurata, Tarn afferrò la testa del suo “fantasma” e la schiacciò brutalmente contro la parete rocciosa, più volte, fino a quando la risata divenne prima un suono inconsulto e stridente, e poi silenzio.
 
Il comandante della Decepticon Justice Division, pochi istanti dopo che l’imbarcazione aveva ripreso il proprio corso, mise al sicuro la chiave e si voltò a guardare ciò che restava della propria squadra.
 
«Morti che parlano. Nulla di nuovo, ne abbiamo già una Lista» fu tutto quel che disse, cercando con successo di mantenere la voce ferma.
 
«Parole sante» annuì Helex.
 
Lui, come Tesarus, non avendo sentito le parole del cadavere non aveva notato nulla di strano, Nickel invece, pur non avendo sentito nulla a sua volta, non aveva impiegato molto a vedere che Tarn non era rimasto indifferente come avrebbe voluto far credere. In ogni caso non avrebbe mai chiesto al Decepticon chi fosse quel tizio e cosa gli avesse detto, anche perché sapeva che lui non gliel’avrebbe confidato.
 
«Pare che ora siamo a posto, abbiamo tutte e tre le chiavi» disse Tarn «Bisogna solo trovare l’uscita da questo livello, o la porta da aprire, e-»
 
Come molte altre volte era accauto nel corso di quella missione, non fece in tempo a finire la frase: la barca prese improvvisamente velocità e andò a schiantarsi contro un ammasso di roccia tagliente, finendo distrutta in mille pezzi. Il motore esplose, tutti e quattro caddero nell’acqua e vennero trascinati via da una corrente di potenza devastante che li mandò a sbattere contro ogni scoglio possibile e immaginabile.
 
Cercarono di aggrapparsi alle rocce o gli uni agli altri, cercarono di lottare, tutto senza risultato. Vennero spinti all’interno di una grotta e, pochi istanti dopo, risucchiati da un vortice ruggente che li trascinò in un mondo fatto di acqua scura, pressione insopportabile e buio.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Nickel?...»
 
«Nickel, svegliati!»
 
Nickel sentiva che qualcuno la stava scuotendo, anzi, shakerando come se fosse stata un mixer per i cocktail di energon. Avrebbe voluto sbraitare contro il cretino in questione, chiunque fosse, però aveva appena iniziato a riprendere conoscenza.
 
«Basta. Tesarus, so che sei più esperto nel distruggere le cose che ad aggiustarle ma anche tu dovresti capire che così facendo rischi di aggravare la situazione!»
 
Lo scuotimento finì e fu appoggiata a terra. Nickel di questo ringraziò il cielo.
 
«Spesso con i pezzi della Peaceful Tiranny funziona» si giustificò il colosso.
 
«Peccato che Nickel non sia un “pezzo”».
 
La minicon schiuse leggermente i sensori ottici. «Tarn…»
 
«Si è ripresa!» esclamò Helex, con un sospiro di sollievo «Per fortuna».
 
Erano tutti e tre chini su di lei, Tarn, Helex e Tesarus. Chiunque altro, o quasi, al posto suo se la sarebbe fatta sotto e avrebbe preferito non risvegliarsi affatto, forse sarebbe svenuto di nuovo o la Scintilla sarebbe collassata da sola per la paura, ma per lei quei tre volti -due volti e una maschera- significavano da tempo protezione, stabilità.
Significavano “famiglia”, a volerla dire tutta, non avendo più nessuno al mondo da quando Prion era stata ingiustamente distrutta.
 
«Tutto ok?» le domandò Tesarus.
 
«Tess…»
 
«Mh?»
 
«Prova a scuotermi in quel modo un’altra volta e ti ficco un cacciavite nelle ottiche che non hai».
 
«Sì, è tutto ok» concluse Helex.
 
«Sei rimasta incosciente per dieci minuti in più rispetto a noi» disse Tarn «Credo. Sai come funziona il tempo in questo posto».
 
«Come “non” funziona, vuoi dire» replicò Nickel, cercando di mettersi almeno a sedere «E a proposito, dove siamo… finiti?...»
 
Lo sguardo azzurro della minicon iniziò a percorrere tutto l’ambiente circostante, e quel che vide non la rassicurò.
 
Si trovavano all’interno di una stanza enorme, disturbante per le sue dimensioni esattamente com’erano state disturbanti le montagne e, di nuovo, con la stessa sensazione di “sbagliato”. L’architettura attorno a loro mostrava il lavoro e la mano di esseri senzienti, archi e ponti erano gli elementi che ricorrevano più spesso, ma con stili e forme diverse da qualunque cosa tutti loro avessero mai conosciuto. Si trovò a chiedersi se anche quello fosse frutto della mente delle sorelle di Stiria o se, piuttosto, avevano inserito scorci di aberrazioni che la strega era riuscita a vedere squarciando il velo della loro realtà in favore di… non avrebbe saputo dire cosa.
In alto riuscì a intravedere delle vetrate, decorate con disegni dal significato oscuro, che “lacrimavano” costantemente gocce d’acqua. Se voleva una prova del fatto che si trovassero in fondo al lago, l’aveva avuta.
 
«Il vortice ci ha portati qui. Quella da cui siamo sbucati fuori è una specie di… fontana? Sì, direi che sia così» disse Tarn, indicando un punto alle spalle di Nickel.
 
Lei si voltò a osservare. «La fontana stessa sembra un lago. Mi sento come se…» esitò «Sento che noi non dovremmo essere qui».
 
Tutti quanti, udite quelle parole, non poterono far altro che concordare.
 
«Questa è una buona ragione per iniziare a muoversi e cercare quello per cui siamo stati trascinati qui» disse Tarn.
 
«Tarn…»
 
«Niente commenti. Non è il momento» la bloccò il Decepticon, immaginando che Nickel volesse riferirsi al cumulo di piume che era spuntato sulla sua testa.  Aveva l’impressione che presto o tardi sarebbe diventato una henn o qualcosa di molto simile ma, se non altro, aveva riavuto indietro il suo doppio cannone a fusione.
 
«Sull’iniziare a muoversi hai ragione ma… hai qualche idea riguardo la direzione?» domandò Helex «Perché io non-»
 
«Mappa» sentirono dire Tesarus.
 
«Non l’abbiamo più, Kaon… no, aspetta, lui l’ha letta ma ero io ad averla!» esclamò Tarn, tirando fuori la mappa dallo scomparto dove l’aveva messa.
 
«Io mi riferivo a quella, ma se l’altra è d’aiuto va bene lo stesso» disse il colosso, indicando una parete.
 
Alzando lo sguardo riuscirono a vedere la mappa del palazzo dove si trovavano, ma non era molto d’aiuto: oltre a essere immensa non c’erano indicazioni su dove potesse trovarsi la campana, c’era solo un punto verde brillante che probabilmente indicava la loro posizione attuale.
In compenso a Tarn, memore di quel che Kaon aveva notato l’altra volta, saltò subito all’ottica un particolare.
 
«La costellazione dello Scorpionokor, di nuovo. A quanto pare alle sorelle di Stiria piace proprio» commentò, una volta notata la presenza delle stelle nella mappa.
 
«Sicuramente non è lì per caso» disse Nickel «Solo… quale dobbiamo raggiungere stavolta? La tua, di mappa, non dice nulla?»
 
Tarn dispiegò la mappa, scoprendo che non era più tale. Al posto delle possibili strade c’era solo un messaggio.
 
 
“Siete arrivati fin qui, niente male.
  Ho, anzi abbiamo, solo complimenti da farvi.
  Avete messo su
  Un bello spettacolo.
  La campana non è distante, ormai.
  Auguri”.
 
 
Nickel fece un’espressione infastidita. «Grazie tante».
 
«Molto utile, anzi, per niente» disse Helex, sarcastico.
 
«Forse c’è un messaggio nascosto in tutto questo» rifletté Nickel «Un indovinello? Un qualche gioco di parole? C’è un teatro qui da qualche parte in cui si potrebbe mettere su il “bello spettacolo”, magari?»
 
«Non vedo cosa c’entrerebbero le stelle» ribatté Tesarus.
 
Tarn lesse e rilesse più volte il messaggio. «Non credo di poter dare torto a chiunque di voi, per quanto mi sforzi non riesco a distinguere particolari enigmi o giochi di parole o indizi in queste frasi. L’ipotesi di Nickel non era sciocca, tuttavia anche Tesarus ha ragione nel far notare che non c’entrerebbe nulla con le stelle dello Scorpionokor. Io però ho l’impressione di avere sotto gli occhi qualcosa che cerca di sfuggirmi».
 
Tutto il gruppo lesse ancora il messaggio, anche con diverse intonazioni, senza cavare un ragno dal buco.
 
«Eppure ci dev’essere qualcosa, soprattutto nel punto dove il messaggio va a capo senza motivo» insistette Tarn, allontanando da sé il foglio «Ci dev’ess…»
 
 
“Siete arrivati fin qui, niente male.
  Ho, anzi abbiamo, solo complimenti da farvi.
  Avete messo su
  Un bello spettacolo.
  La campana non è distante, ormai.
  Auguri”.
 
 
Le maiuscole.
S- H- A- U- L-A: Shaula.
Shaula non era forse una stella dello Scorpionokor?
 
«Era talmente semplice che non ci ho pensato. Le maiuscole formano la parola “Shaula”, è lì che dobbiamo andare» concluse Tarn, indicando la mappa incisa nel muro «A “Shaula”».
 
«Quindi abbiamo una direzione! Ottimo» esultò Helex.
 
 «Nickel, vuoi che ti porti io?» si offrì Tarn «Puoi sederti sulle mie spalle. Ci sono anche i cannoni cui aggrapparsi, se mai fosse necessario».
 
Combattuta tra una risposta negativa dettata dall’orgoglio e la stanchezza dovuta allo svenimento che ancora non le era scivolata via di dosso, oltre alla consapevolezza di avere le gambe molto più corte delle loro, Nickel concluse che fosse meglio accettare.
 
Dopo aver studiato attentamente la mappa si incamminarono verso “Shaula”, sperando di aver interpretato correttamente il messaggio. Ogni stanza e ogni corridoio percorso li faceva sentire sempre più piccoli e insignificanti, però andavano avanti lo stesso, lasciando orme sul tappeto di polveri sottili che ricopriva il pavimento. I cybertroniani erano esseri di incredibile longevità, molto più di quanto potesse vantare la maggioranza delle specie presenti nel cosmo, tuttavia la sensazione di “antico” -un’ antichità decadente e inclassificabile- di quel posto riusciva a farli sentire giovani come protoforme e anche indifese come tali, sebbene non ci fossero minacce visibili in giro.
 
Da un certo momento in poi persero il senso del tempo più di quanto avessero già fatto, il che era tutto dire. Ore? Giorni? Settimane? Mesi? Avevano l’impressione di star camminando da un’infinità di tempo verso “Shaula”, senza sosta alcuna, spinti dal desiderio febbrile di trovare la campana e chiudere quella faccenda.
 
«Tarn» lo richiamò Nickel a un certo punto, rabbrividendo «Non senti anche tu questa corrente di aria ghiacciata?»
 
Proprio il freddo era stato ciò che aveva fatto rabbrividire Nickel, pur essendo abituata alle nevi di Messatine.
 
Tarn, dal canto suo, fece caso a quello strano fenomeno solo allora. «Hai ragione. Se non avessimo visto di tutto e di più, ti direi che è molto strano. Siamo in un palazzo in fondo a un lago, non dovrebbero esserci correnti».
 
Ai recettori uditivi di tutti giunse un suono, anzi, una moltitudine di suoni tutti identici uno all’altro: “Tekeli-li! Tekeli-li!”. Con esso aumentarono anche le correnti fredde, tali che Helex e Tesarus notarono le pareti iniziare a riempirsi di brina.
 
«Problemi in arrivo» affermò Tesarus.
 
Come se fosse stato necessario.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ringrazio con tutto il cuore l’esistenza di Sharknado e dei racconti di Lovecraft.
La canzone presente nel capitolo è “The Ballad of Sharknado”, la trovate su YouTube come… praticamente tutto, cos’è che non si trova sul Tubo, ormai? :’D
Grazie a tutti coloro che stanno resistendo insieme alla DJD. Forse la prossima volta riuscirò a concludere la storia per davvero :’D
 
_Cthylla_

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Capitolo 8
*** The Last Day To Repent (Almost) ***


The Last Day To Repent (Almost)
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Il rumore assurdo era sempre più vicino, i recettori uditivi di tutti quanti potevano udirlo chiaramente.
 
«Problemi in arrivo, sì» disse Tarn, preparandosi a sparare.
 
Né lui né gli altri avevano idea di quale orrore cosmico si sarebbe potuto trattare, nei database di nessuno di loro era classificato un qualcosa che emettesse quel “tekeli- li! Tekeli- li!” e che potesse congelare l’ambiente con la sua sola presenza, ma ben presto le loro domande avrebbero avuto una risposta: stavano arrivando e, a giudicare dai rumori, sembravano tanti.
Tanti.
 
«Formazione compatta e prepariamoci a fare fuoco» ordinò Tarn, schiena a schiena con Helex e Tesarus «Arrivano da dietro di noi!»
 
«Anche dai due corridoi a sinistra» aggiunse Nickel «Mi sembra di sentirli!»
 
«E hai ragione» confermò Tesarus.
 
La brina che ricopriva le pareti divenne una sottile lastra di ghiaccio, e i Decepticon iniziarono a intravedere le ombre confuse e deformi di coloro che a breve li avrebbero attaccati.
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
«ARRIVANO!» urlò Helex, preparandosi a fare fuoco come Tarn aveva ordinato.
 
Quando però le creature svoltarono l’angolo ci fu un attimo in cui si irrigidì perfino, con le ottiche e la bocca semi spalancati.
Non era facile impressionarlo in condizioni normali: era un membro della DJD col comune amore per la violenza, sadico, pressoché cannibale e nel corso della sua vita aveva visto tante cose che avrebbero sconvolto un processore più sensibile del suo, ma quelle creature riuscivano ad andare al di là di… qualunque cosa.
 
«Cosa CAZZO sono?!» gridò Nickel, dando voce al pensiero comune.
 
Mostri enormi -in linea con l’ambiente immenso in cui si trovavano- dall’aspetto grumoso, catramoso, senza una forma indefinita, con globi in continuo movimento che se fossero stati comuni esseri organici si sarebbero potuti definire “occhi” e arti su arti in costante mutamento dal quali colava una sostanza dal colore indefinito che, giunta a terra, sembrava annichilire tutto ciò che toccava.
 
Gli studi di Tarn alla Jhiaxian Academy gli suggerirono qualcosa.
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
«Antimateria» disse Tarn, tirandosi istintivamente indietro.
 
«Cosa?!» esclamò Tesarus, visibilmente incredulo per la prima volta da quand’era iniziata quella faccenda.
 
«Quei cosi hanno-» avviò a dire Helex, venendo però bruscamente interrotto dal suo comandante.
 
«RITIRATA!»
 
Quell’unico grido di Tarn bastò e avanzò per spingere i due colossi a iniziare a correre veloci come mai nella loro esistenza, rischiando di scivolare più volte sul pavimento coperto di brina senza che questo, per fortuna, accadesse mai; Tarn dal canto suo fece lo stesso, gettando continue occhiate dietro di sé e sparando un colpo di cannone a fusione dopo l’altro contro quei mostri.
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
Azione completamente inutile dato che ogni suo colpo veniva assorbito come se non fosse stato sparato affatto o letteralmente annichilito da spruzzi di antimateria sputati fuori dalle infinite bocche che si aprivano e chiudevano di continuo sui corpi di quelle bestie.
 
«No! Non di qua! A destra, a destra!» urlò Nickel, vedendo che nel tentativo di fuggire stavano sbagliando direzione.
 
Benedicendo la presenza della minicon e i suoi nervi saldi, i tre Decepticon svoltarono a destra. La velocità dell’azione tuttavia causò un rovinoso impatto tra Helex e Tesarus, il quale andò a sbattere contro una parte di lastra di ghiaccio tanto dura e tagliente da infilzare profondamente la sua gamba sinistra, facendolo crollare a terra.
 
«Tess!» esclamò Helex «Alzati, forza! Che razza di ghiaccio è questo?!»
 
«Non è normale, niente è normale in questo dannato posto» rispose il Decepticon, digrignando i denti per il dolore.
 
Era riuscito ad alzarsi ma non avrebbe mai potuto correre, ne era consapevole.
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
«Lasciatemi qui» disse.
 
«Cosa?! Non dire idiozie, Tesarus, corri!»
 
«Non posso, Helex. Lasciatemi q-»
 
Si sentì sollevare di peso: Tarn e Helex, dopo essersi scambiati una brevissima occhiata, avevano avuto la stessa idea.
 
«Per Kaon non c’era speranza, qui è diverso» sentenziò Tarn, che ora stava portando Tesarus a spalla insieme a Helex «Come hai detto tu, i Decepticon non abbandonano gli altri Decepticon!»
 
«Vedo le ombre, corriamo via! Dritto davanti a noi!» strillò Nickel, che nel frattempo era salita sulla testa piumata di Tarn.
 
Obbedirono, e il disperato desiderio di sopravvivere anche a quell’incubo fece addirittura sì che portare Tesarus non li rallentasse quanto avrebbe potuto.
 
«Ora a sinistra!» li guidò la minicon «Non manca molto a “Shaula” ormai!»
 
«Se usciamo da questa cosa voglio una vacanza!» esclamò Helex «Una vacanza in un posto assolato!»
 
«Magari con la tizia che ci ha massacrato l’inguine» aggiunse Tesarus.
 
«Sì, cazzo!»
 
Anche in quella situazione, Nickel riuscì a trovare la forza di alzare gli occhi al soffitto e rimproverarli. «Ma vi pare il momento di pensare a-»
 
Gridò.
Il suo braccio sinistro era stato afferrato da una sottile appendice schizzata fuori dal corpo protoplasmatico di uno dei loro inseguitori, e solo grazie alla coda prensile riuscì ad aggrapparsi a uno dei cannoni di Tarn e non essere trascinata subito indietro, destinata a finire divorata dalle molteplici fauci mostruose o direttamente annientata dall’antimateria.
 
Tarn si accorse solo allora di quanto era accaduto, sentendosi tirare indietro. «Nickel!...»
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
La minicon cercò freneticamente di sganciarsi dalla presa, senza ottenere risultati, cercò di tagliare l’appendice con una delle piccole lame che aveva nelle braccia e di nuovo non ottenne nulla. Tutto successe in pochi brevissimi istanti, nessun altro avrebbe avuto tempo e modo di fare alcunché, ma furono abbastanza per farle capire di non avere scelta: stringendo i denti, recise il braccio sinistro all’altezza della spalla con una serie velocissima di disperati e profondi colpi di lama.
 
«Vai, vai, VAI!» urlò a Tarn una volta che si fu liberata, tornando ad aggrapparsi alla sua testa e assistendo al terrificante spettacolo del suo piccolo braccio che veniva risucchiato nel corpo del mostro.
 
Tarn sentì l’energon caldo della minicon colare sulla propria testa,  poi sulla maschera. Non aveva modo di verificare i danni, non aveva neanche il tempo, nessuno di loro lo aveva.
 
«Nickel-»
 
«Era solo un braccio» lo interruppe lei, brusca, con un vago tremolio nella voce solo all’inizio della frase «Poteva essere peggio. Svolta a destra, ci siamo quasi!»
 
Il Decepticon non replicò a parole, ma il modo in cui sollevò la mano sinistra per stringere brevemente e con fermezza una gamba di Nickel, per poi riabbassarla e contrarre il pugno fino a conficcare le dita nel palmo e ferirsi, poteva lasciar intuire quale fosse il suo stato d’animo.
 
La corsa continuò folle più di prima, tanto che Helex iniziò a sentire un vago odore di bruciato all’altezza delle giunture delle gambe. Il suo corpo non era fatto per le corse frenetiche, tantomeno per corse frenetiche fatte portando del peso, ma non si lamentò lo stesso.
 
Fu allora che si accorsero dell’acqua che, se prima lacrimava dalla serie infinita di vetrate, adesso penetrava e gocciolava da crepe che si allargavano ogni istante di più.
 
«Qui crollerà tutto!» esclamò, allarmato.
 
«Basta riuscire ad andarsene prima» replicò Tarn, cercando di mostrarsi fiducioso com’era suo dovere «Nickel! Quanto manca?!»
 
«Ora dovremmo… ci siamo! Ci siamo, siamo a “Shaula”!» esclamò Nickel, mentre sbucavano in una stanza enorme e allagata che al centro recava un grosso forziere «La campana è sicuramente lì dentro, ci siamo, Tarn, ci siamo!»
 
«E quei cosi ci sono ancora alle calcagna, sbrighiamoci!» aggiunse Helex, per poi dare un’occhiata al soffitto «Qui le crepe sono peggio che nei corridoi, Tarn-»
 
Non fu necessario che Helex aggiungesse altro: Tarn mise giù Tesarus e, più velocemente che poteva, raggiunse il forziere. Notò subito che recava tre serrature, ma dopo aver tirato fuori le chiavi dallo scomparto ove le aveva riposte vide che era facile stabilire quali servivano, ciò grazie alla forma diversa di ognuna.
 
Nickel, ancora aggrappata alla sua testa, infilò la chiave nella prima serratura e la fece scattare. «Presto! Tu hai due braccia, apri le altre due insieme!»
 
Lo avrebbe fatto anche se Nickel non gliel’avesse detto, ma l’accenno al braccio perso fu quasi una stilettata.
Obbedì, le serrature scattarono entrambe e, finalmente, poté mettere le mani sulla tanto agognata campana: non aveva nulla di particolare, era grossa, liscia e nera.
 
«L’abbiamo presa!» esultò Nickel «L’abbiamo-»
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
L’esultanza durò poco, perché i mostri entrarono anch’essi nella stanza con tanta veemenza da distruggere l’ingresso, colando antimateria come dalle ferite infette di un essere organico avrebbe potuto colare del pus.
 
«Dov’è l’uscita?!» urlò Tesarus «Hai la campana, dov’è l’uscita?!»
 
Non c’era.
Niente arco semi diroccato a offrire loro la salvezza, non stavolta.
 
«Perché non c’è? Perché non compare?!»
 
Nickel aveva ragione, pensò Tarn, in quel momento di sconforto mentre erano tutti sulla barca l’aveva detta giusta: anche se avevano preso la campana, le sorelle di Stiria non avevano intenzione di lasciarli andare e non l’avevano mai avuta. Le loro erano state tutte fatiche inutili, erano servite solo a divertire due sorelle annoiate.
Non sarebbero mai dovuti atterrare sul loro piccolo pianeta, non avrebbero mai dovuto ascoltare Stiria, non avrebbero mai dovuto esporsi a un simile pericolo. Anzi: lui in quanto comandante non avrebbe mai dovuto esporre la sua squadra e se stesso a un simile pericolo. Essendo il leader, la responsabilità delle decisioni, delle conseguenze e della salute del gruppo era sua soltanto.
 
«Io…»
 
 
Tekeli- li! Tekeli- li!
Tekeli- li! Tekeli- li!
 
 
«Ho condannato a morte tutti noi».
 
“E questo perché sei uno dei peggiori fallimenti dell’Universo e lo sarai sempre, anche con tutte le tue abilità, col tuo essere point one percenter, con tutta la tua forza e tutti gli upgrade che hai fatto. Non si sfugge alla propria natura. Eri uno scarto anche quando ti chiamavi Damus”.
 
Quelle parole impietose risuonarono nel suo processore con una voce che era un miscuglio tra la sua e una molto più femminile, che aveva già udito ridere e parlare in precedenza, in quelle che aveva creduto fossero una sorta di allucinazioni uditive. Tarn però era troppo impegnato a pensare alla morte imminente e al suo fallimento per curarsi veramente di un simile particolare.
 
Fu allora, proprio quando le creature stavano per divorarli, che le pareti si ruppero definitivamente e la stanza venne riempita di acqua. Nessuno vide più niente, nessuno riuscì ad afferrare l’altro, proprio com’era accaduto quando erano stati risucchiati dal vortice.
 
Tutto quel che Tarn riuscì a fare fu tenere stretta la campana e, di nuovo, venire inghiottito dal buio.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Colpi ritmici in testa la cui forza aumentava gradualmente.
Un peso sul petto.
Altri colpi ritmici in testa, raddoppiati.
 
Mugugnando parole incomprensibili, Tarn socchiuse leggermente i sensori ottici.
 
“Sono morto e questo è l’Afterspark al quale io, in realtà, non credo” fu il suo primo pensiero compiuto.
 
Non si sentiva stanco, solo intontito.
Non aveva ancora avviato bene il processore, si disse, quando le sue ottiche ora semiaperte incontrarono lo sguardo seccato di due henn giganti, una seduta sul suo petto, l’altra che incombeva su di lui e continuava a riempirgli la testa di beccate.
 
“Un momento: henn?!”
 
Si rizzò bruscamente a sedere causando così l’irritazione dei volatili, i quali comunque si limitarono a protestare con versi striduli e batter d’ali invece di sputare fiamme come avrebbero potuto.
 
All’inizio realizzò di trovarsi nel giardino della casa che prima di allora aveva solo intravisto, quella munita di orto; poi realizzò di essere circondato di henn munite di caschi e pettorine -alcune li avevano blu, altri gialli- che lo stavano guardando male per aver interrotto la loro partita di…
 
“Henn giganti sputafuoco che giocano a Cube” alias la variante cybertroniana di quello che i terrestri avrebbero chiamato rugby “Dopo tutto quello che ho visto, mi sembra perfettamente sensato”.
 
Solo allora notò altre due cose fondamentali: la prima era che la campana nera era ancora stretta tra le sue mani, la seconda…
 
«Testa pesante» borbottò Tesarus, mettendosi lentamente a sedere.
 
«Sono tutto pesante» mugugnò Helex, sdraiandosi in posizione supina.
 
Qualche metro più lontano, anche Nickel aprì le ottiche. «D-dove… ma siamo vivi?»
 
Sì, lo erano: l’avevano scampata, erano lì tutti quanti, vivi e vegeti. Tarn vide che Tesarus era ancora ferito, il T-Cog di Helex era ancora rotto e Nickel -povera Nickel!- era priva di un braccio, ma ce l’avevano fatta.
 
In principio non comprese cosa fosse lo strano rumore che stava sentendo né da dove provenisse, poi, con suo sommo stupore, capì che quel suono era una risata baritonale, di cuore -ergo Scintilla- e che la fonte di tale suono era lui stesso.
Era una vita che non rideva così, anzi, probabilmente non l’aveva mai fatto prima di allora, non in quel modo, non “perché sì”, senza neanche sforzarsi di capire cosa lo stesse spingendo a ridere, ridere e ridere ancora. Forse era dovuto all’essere impazzito definitivamente, forse era per l’assurdità della situazione, forse era perché tutti l’avevano scampata e ne era felice: quale che fosse la ragione, non gli importava alcunché.
 
«Ehi!»
 
Quella voce.
 
«Ragazzi!»
 
Una voce maschile che in altri contesti avrebbe trovato un po’più divertita del dovuto.
Una voce molto familiare.
Tarn e il resto del gruppo si voltarono quasi contemporaneamente verso la porta d’ingresso di quella casa di campagna, dalla quale si era affacciato un Kaon vivo, tranquillo e in salute che li stava salutando con un sorriso che, in qualche modo, riusciva ad arrivare fino alle sue ottiche vuote.
 
«Muovetevi a entrare, ci sono i muffin!»








Kaon vive, vive! :'D
Ho voluto dividere il capitolo per ragioni di lunghezza ma stavolta posso annunciare con assoluta certezza che il prossimo, che verrà pubblicato di pomeriggio o sera, sarà l'ultimo.
Per davvero.
Alla prossima!

_Cthylla_

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Capitolo 9
*** The Last Day To Repent (es wurde auch zeit!) ***


The Last Day To Repent (es wurde auch zeit!)










Increduli, barcollanti, sollevati, i quattro poveri disgraziati che tanto avevano patito si alzarono e raggiunsero il loro compagno di squadra quasi di corsa -eccetto Tess, che per forza di cose non poteva che andare piano.
Non riuscivano a credere alle loro ottiche, com’era possibile che fosse lì? C’era davvero o era uno scherzo crudele delle sorelle di Stiria?

«Tu… sei vivo per davvero?» chiese Nickel a Kaon, tastando e pizzicando ogni punto cui riuscisse ad arrivare «O siamo morti tutti invece?»

«Nah! Siamo tutti vivi e- aspetta che ti è successo al braccio?!» si stupì il transformer «E, Tess… la gamba…»

Tarn si fece avanti, allargando le braccia. «Vieni qui, Kaon».

Altrove, in un’altra realtà, quel gesto poi divenuto un abbraccio avrebbe preceduto un brutale omicidio. Kaon, reo di aver mostrato compassione -leggasi, reo di aver avuto una reazione un po’troppo “umana” davanti a un Tarn completamente impazzito- si sarebbe trovato senza testa, e Nickel sarebbe stata la sola ad avere il coraggio di dire a Tarn “Cos’hai fatto?!”.

Ma quello era “altrove”, appunto: nella realtà presente ci fu solo una “riunione di famiglia” e, in fin dei conti, era giusto così.

«M-ma voi avevate pensato davvero che fossi morto?» domandò loro Kaon, con l’espressione di chi si sentiva in colpa, una volta che il breve abbraccio ebbe termine.

«Ovvio, sei caduto giù dal ponte e sei finito in mezzo a scale che si muovevano!» rispose Helex «Cos’avremmo dovuto pensare?!»

«Sì, beh, in effetti avete ragione. In verità però non sono morto, sono stato tolto di torno perché mi intendo un po’troppo di questi giochi qui. Credo. Penso» aggiunse velocemente il tecnico «È solo un’ipotesi, non è che abbia avuto modo di chiederlo a Eribe e Vliegen».

«Eribe e Vliegen» ripeté Tarn.

«Le sorelle di Stiria, si chiamano così! Eribe è la strega».

«E tu questo, di preciso, come sei venuto a saperlo?»

Dopo una minuscola esitazione Kaon aprì la bocca per rispondere, ma…

«KAON! I muffin di alluminio non si guarniscono di energon da soli!»

La voce di una femme avanti con l’età, ma alta ed energica come quella di un caporale maggiore, indusse Kaon a rientrare rapidamente in casa dopo un altrettanto rapido “arrivo subito”.

Tarn e gli altri si scambiarono un’occhiata, poi decisero di entrare in casa a loro volta.

Lo stile degli interni rispecchiava quello dell’esterno, una dimora di campagna semplice, un po’rustica ma perfettamente pulita, senza particolari fronzoli e con un delizioso odore di cibo proveniente dalla cucina.

Nel processore di Nickel tornarono a galla alcuni ricordi d’infanzia, memorie di quando era ancora una protoforma e i suoi genitori la portavano a far visita alle sue nonne.
Ricordò i momenti in cui lei e il suo stuolo di cugini avevano giocato ad acchiapparella o a carte; ricordò le volte in cui si erano arrampicati su alberi tecnorganici non troppo dissimili da quello singolo al centro del campo di grano blu; ricordò i pasti in famiglia, con lunghe tavolate piene di cibo e di gente allegra, tutte cose che erano proseguite anche quando era diventata adulta.
Ricordò la festa che le avevano fatto una volta terminati gli studi da medico e il raduno che c'era stato in un'altra occasione, ossia quando aveva presentato alla propria famiglia il suo fidanzato. Si chiamava Bustin ed era stato un colpo di fulmine reciproco. Ne era stata innamorata al punto che, fosse stato per lei e fosse stata meno razionale, l’avrebbe preso come compagno di vita e avrebbe generato dei figli con lui già dopo due mesi di conoscenza.

Il ritorno alla realtà fu brutale: nulla di tutto quel che aveva ricordato c’era più, Prion era stata distrutta e lei, Tarn, Kaon e gli altri erano ancora in balia di una strega.

«Tu per sveltirti avresti dovuto lavorare al Poggio come ho fatto io da giovane! Lì non c’era tempo nemmeno per dire “a”, dovevi essere rapido, rapido!»

In un altro momento Tarn, Nickel, Helex e Tesarus si sarebbero fatti parecchie domande sul perché stessero guardando un Kaon intento a guarnire i muffin di alluminio. Ormai però avevano capito che non valeva la pena farsene e limitarsi a pensare che forse Kaon si meritava proprio di essere “schiavizzato” da quell’attempata femme -l’alt mode sembrava essere un’automobile- color rame e verde militare scuro.

“Mi sembra un po’troppo vecchia per essere una delle sorelle di Stiria. Sarà un’abitante del paesino, una di quelli messi meglio” pensò Nickel.

«Ma io non ho mai cucinato in vita mia, gliel’ho già detto! Noi della DJD siamo esecutori, mica cuochi» sbuffò Kaon, aggiungendo col movimento delle labbra un “È un NPC, lascia fare!” appena la femme si fu voltata.

“Peccato che io non sappia cosa sia un ‘NPC’. Probabilmente è un altro elemento del gioco” pensò Tarn, cui il concetto di personaggio non giocabile era estraneo “Immagino di dover stare a vedere cosa succede”.

«Oh. Vedo che avete ritrovato la campana» disse la femme.

Quelle parole fecero sì che ottenesse tutta l’attenzione del gruppo.

«Dopo aver mangiato i muffin dovete andare là» indicò l’edificio non troppo distante dal punto in cui si trovavano al momento, quello col campanile «Davanti al campanile c’è un percorso fatto da tredici sassi. Tredici sassi, tredici passi, poi potrete mettere a posto la campana».

«Tarn, questa cosa dei tredici passi non mi piace» disse Helex.

“Nemmeno a me, però non abbiamo scelta… e comunque manca poco. Tredici passi sono una bazzecola, di qualunque cosa si tratti” concluse Tarn.

«Cosa vogliono fare ancora quelle due stronze? Non gli è bastato il resto?!» sbottò Nickel.

«Dopo aver mangiato i muffin dovete andare là» ripeté la femme attempata «Davanti al campanile c’è un percorso fatto da tredici sassi. Tredici sassi, tredici passi, poi potrete mettere a posto la campana».

«Lo hai già detto prima» borbottò Tesarus, mangiando cinque muffin che Kaon gli aveva porto.

Con suo sommo stupore, quando li ebbe inghiottiti la ferita alla gamba scomparve.

«Oggetti guaritori. Nei giochi online prima o poi spuntano sempre» spiegò Kaon.

Il colosso si affrettò a svuotare il vassoio con una manata, poi aprì la bocca di Helex e lanciò dentro quattro muffin. Tentò di fare la stessa cosa con Nickel -per la quale ne aveva conservati dieci- ma la minicon lo bloccò sibilando un “Provaci e ti stacco le dita a morsi, sono in grado di mangiare da sola!”.

«Davanti al campanile c’è un percorso fatto da tredici sassi. Tredici sassi, tredici passi, poi potrete mettere a posto la campana» ripeté per la terza volta la femme attempata.

«Sì, abbiamo capito, ce l’hai già detto!» esclamò Helex, un po’esasperato.

Più si andava avanti, più Tarn sentiva la voglia di uscire al più presto da quella casa. Per un attimo gli era perfino sembrato di veder glitchare, nel senso grafico del termine, il volto della femme.

Lui come Nickel aveva creduto che fosse una abitante di quel bizzarro mondo, ma iniziava a pensare che invece fosse qualcosa di diverso. L’atteggiamento, la voce, i dettagli di quella femme e di quella casa erano troppo curati per non essere ispirati a qualcosa di reale, ma forse non erano reali. Forse erano solo l’eco di ricordi passati.

La sua attenzione venne attirata da una mensola ricolma di piccoli datapad che mostravano fotografie statiche in bianco e nero. Alcune raffiguravano un luogo somigliante -somigliante. Non uguale- a Berg Des Sees visto da fuori, ma più… vivo.
Tutto il resto delle fotografie invece raffiguravano delle persone.

“Senza le facce” notò Tarn “Tutte le persone in queste fotografie hanno uno spazio bianco al posto del volto, eccetto…”

Solo una fotografia faceva eccezione: quella di tre femmes, due delle quali erano giovani e una era bambina. Le due più grandi non erano minimamente familiari al Decepticon ma, avendola vista più d’una volta, riuscì a riconoscere la più piccola.

“Stiria. È lei” allungò una mano a sfiorare la fotografia “E allora le altre due-”

Appena le dita sfiorarono la fotografia le sue ottiche furono invase dall’immagine di un’esplosione terribile di fuoco verde e di transformers disciolti e carbonizzati in pochi attimi, i suoi recettori audio vennero invasi dalle grida, il suo processore da una paura e un dolore profondo che non gli appartenevano.


Per primo venne il fuoco. Il sangue per secondo”.


Ritrasse le dita.
Era ancora nella casa della femme attempata, il resto del gruppo era con lui ed era tutto normale.
Per quanto “normali” potessero essere le cose lì dentro, s’intende.

«Abbiamo una campana da rimettere a posto, signori, quindi se siete pronti direi di andare e… mi fa piacere vedere che lesioni e braccia ora sono a posto» disse Tarn, vedendo guarite ferite e mutilazioni altrui.

«È l’unica cosa buona che abbia fatto la magia in tutto questo» replicò Nickel, muovendo le dita del nuovo braccio ricresciuto grazie ai muffin «Andiamo».

Senza perdere altro tempo, la DJD quasi al completo uscì dalla casa della femme attempata e corse in direzione del campanile.
Avere gli occhi puntati sull’obiettivo non impedì loro di scorgere all’arrivo i tredici sassi di cui avevano sentito parlare, l’ultimo ostacolo prima della loro teorica liberazione.

«Ed eccoci qua» disse Helex.

«Sì. Ci siamo» annuì Tarn «Qualunque cosa ci attenda, non sarà peggio di quel che c’è già stato».

Kaon indicò un tempietto posto appena prima del percorso di sassi. «Qui intanto c’è un indizio».

Non era nascosto e l’avrebbero notato anche senza l’aiuto di Kaon, però tutti quanti furono più che felici di riaverlo lì a cogliere gli indizi per primo… o di riaverlo lì e basta.

All’interno dell’edicola non c’erano oggetti, c’era solo una filastrocca incisa nella pietra. Tarn pensò che, a livello di struttura, sembrasse quasi una cantilena per bambini vagamente inquietante.
Peccato che i primi due versi ricalcassero perfettamente quel che si era trovato nel processore toccando la foto di Stiria con le sue sorelle.


“Per primo venne il fuoco,
Il sangue per secondo,
Terza la tempesta
Che al quattro annegò il mondo.
Il cinque è per la rabbia,
Al sei l’odio abissale,
Settima la paura,
Ottavo il più gran male.
Al nove la tristezza,
Al dieci il dolore.
All’undici la morte,
Poi il dodici, l’amore.
Tredici passi per la libertà,
Chi è entrato qui, come ne uscirà?”


«Come ho detto, non è peggio di quel che abbiamo già visto» tornò a ripetere Tarn «Tredici passi. E poi basta».

I sassi infilati nell’erba bluastra erano abbastanza larghi da permettere ai membri del gruppo di stare uno di fianco all’altro e fare il primo passo tutti insieme. Scelsero proprio quell’opzione, accordando tacitamente di affrontare uniti quell’ultimo ostacolo.

«E poi basta» ripeté Nickel facendo eco a Tarn mentre, contemporaneamente agli altri, muoveva il primo passo.

E venne l’inferno.

Improvvisamente i suoi compagni di squadra non c’erano più, era sola.
Sola in un luogo completamente in fiamme, un luogo che era familiare, un luogo che era…

«Prion» mormorò.

Le ottiche azzurre sgranate di Nickel riflettevano le fiamme intente a divorare ogni edificio, ogni strada, ogni dettaglio della sua piccola colonia, del suo mondo, della sua vita.

Avevano iniziato a divorare anche lei, sentiva l’odore della gomma bruciata e il dolore causato dalle gocce del suo stesso metallo fuso che le cadevano addosso ma in quel momento non le importava. Aveva perso il contatto con la realtà, le sembrava di essere veramente tornata a quel giorno, il giorno maledetto in cui aveva perso tutto. I suoi sensi le urlavano questo e riviverlo era più doloroso delle fiamme che la stavano consumando.

«Per primo venne il fuoco…»

Ricordò.
Era ancora intrappolata nel gioco della strega, aveva iniziato i suoi tredici passi e quello era solo il primo: non era a Prion, niente di tutto quel che vedeva era reale… in teoria. Chi le garantiva che il potere di Eribe, fino a quel momento mostratosi sconfinato, non l’avesse riportata indietro nel tempo e nello spazio? Nessuno. Forse era tutta un’illusione ma forse non lo era affatto e, se anche lo fosse stata, poteva farle del male. Gliene stava già facendo e di sicuro lo stava facendo anche a Tarn, a Kaon e agli altri, ognuno intrappolato nei propri momenti peggiori.

Fece un altro passo.


“Per primo venne il fuoco, il sangue per secondo.”


Il suo corpo, se mai era stato ferito e semi disciolto dalle fiamme, era tornato sano.
Quel che non era sano per nulla invece erano tutti i minicon davanti a lei, riversi nelle strade devastate ad agonizzare nelle pozze del loro stesso energon.

«N-no…»

Li conosceva. Era in grado di attribuire il nome giusto a ognuno di quei volti contorti dal dolore, le cui bocche spalancate tentavano di produrre grida d’aiuto risultanti mute, i cui occhi fissavano solo e soltanto lei supplicandola di aiutarli, di curarli. Non era forse un medico?

«Non posso, lo vorrei tanto» strinse la testa tra le piccole mani, tanto forte da conficcare le dita nel metallo, e si morse il labbro inferiore fino a far fuoriuscire dell’energon «Non sapete quanto avrei voluto… quanto vorrei, ma… non posso. Non posso».

Un altro passo.


“Terza la tempesta…”


Alzò le ottiche e le vide. Le immense astronavi della Black Block Consortia volavano pigramente sul cielo di Prion, lasciando cadere una pioggia di nuove bombe incendiarie per spazzare via i resti di quella che era stata una colonia pacifica.


“…Che al quattro annegò il mondo”.


La pioggia di bombe divenne tanto fitta che Nickel venne accecata dal bagliore prodotto, sentendosi annegare nel calore, nel fumo, nell’urlo collettivo che non c’era mai stato nella realtà ma risuonava crudele e prepotente nel suo processore.

Tremando, fece un altro passo.


“Il cinque è per la rabbia”.


Il bagliore sparì, Nickel trovò davanti ai sensori ottici nient’altro che detriti di quella che era stata la sua casa, e fu allora che giunse la rabbia. Le era familiare, era la stessa che provava ogni volta che pensava all’accaduto, a quanto fosse stato ingiusto.
I minicon di Prion non avevano mai fatto del male a nessuno, erano del tutto autosufficienti e avevano sempre vissuto per conto proprio senza prendere mai parte alla guerra civile. Nickel provava rabbia per l’ingiustizia, rabbia per tutte quelle morti, rabbia verso i Decepticon per aver dato inizio la rivolta che aveva portato alla guerra, rabbia verso gli Autobots che si erano opposti, rabbia perché il tutto era durato tanto a lungo da attirare l’attenzione di alcune tra le più alte autorità galattiche organiche, cosa che poi aveva generato il sentimento anti-mecha e tutto quel che ne era conseguito.
E provava rabbia verso se stessa, soprattutto, per essere sopravvissuta e poterlo raccontare.
C’erano stati minicon meritevoli di vivere quanto e più di lei: loro erano morti tutti, lei no.

«Non merito il diritto e la possibilità di arrabbiarmi» disse Nickel, amara, mentre faceva il sesto passo.


“Al sei l’odio abissale”.


Non meritava il diritto e la possibilità di arrabbiarsi, diceva, ma quello di odiare sì, e fu proprio l’odio a invaderla.
Anche quello era già successo, ed era stata la molla che l’aveva spinta a unirsi alla Decepticon Justice Division. L’avevano trovata illesa, sepolta in una profonda cantina che per chissà quale miracolo era scampata alle bombe, le avevano detto chi erano e cosa facevano e le avevano chiesto cosa sapesse fare. Tarn le aveva offerto una causa in cui credere e una casa in cui vivere, e lei aveva accettato. Odiava gli organici quanto e più di tutto il resto della DJD: le loro motivazioni erano “di dottrina”, la sua era personale… e, come loro, odiava anche i traditori.

«I traditori… come me!» sputò fuori, col volto bagnato di lacrime.

Essere sopravissuta al resto della sua razza era stato un tradimento. Si sentiva una traditrice pensando a cos’era successo, per quanto irrazionale potesse essere.

Odiandosi quanto odiava la Black Block Consortia se non di più, mosse il suo settimo passo.


“Settima è la paura”.


Si ritrovò in una cantina, anzi, “la” cantina, quella che aveva trovato per pura fortuna in un edificio abbandonato poco all’esterno della frazione dove viveva e nella quale si era rifugiata appena aveva visto le navi della Black Block Consortia far cadere le prime bombe.
Nickel nel presente era una persona tra le più coraggiose che potessero esistere, ma non era sempre stata così. C’era stato un tempo in cui era stata più giovane e più codarda, in cui aveva visto la sua colonia essere attaccata e tutto quello che aveva fatto era stato cercare un riparo, preda del panico più assoluto, senza pensare a nessun altro. Non agli amici, non ai parenti che aveva creduto di amare tanto, neppure al fidanzato con cui avrebbe voluto generare dei figli. Era uscita dalla colonia proprio per cercarlo, era scomparso qualche ora prima del disastro e lei si era preoccupata… prima delle bombe. Dopo quelle, si era solo nascosta da buona vigliacca sperando che non la colpissero e senza rendersi conto che invece sarebbe stato meno doloroso morire in quel momento.

“E ho paura anche adesso, pensando a cosa potrei incontrare dopo” pensò.

Poi si disse che non poteva permetterselo: doveva muoversi, per il bene della squadra, per il proprio, per dimostrare a se stessa di essere cambiata davvero da allora.


“Ottavo il più gran male”.


Prima di potersi chiedere quale potesse essere il più gran male, lo vide materializzato davanti ai propri occhi nella forma di molti dei minicon che aveva conosciuto. La guardavano con aria accusatoria e le urlavano contro quel che già sapeva: avrebbe dovuto togliersi la vita a sua volta, se fosse stata una persona più “degna” avrebbe già provveduto da tempo, era la giusta punizione per essersi nascosta e basta. Iniziò a sentire dolore alla Scintilla e si chiese se quella fosse la sensazione provata da coloro che venivano uccisi dalla voce di Tarn. Anche a lei sembrava di starsi spegnendo poco a poco.

«Tarn…»

Tarn. Vos. Helex. Tesarus. Kaon.
Loro sapevano com’era andata ma non l’avevano mai accusata di alcunché. Cos’avrebbe potuto fare contro delle astronavi munite di bombe, oltre a nascondersi e sperare di restare in vita? Se anche fosse corsa dai suoi amici e familiari non li avrebbe salvati, così le aveva detto Tarn. Lei sarebbe morta e loro non avrebbero incontrato un componente tanto valido per la squadra. Era sicura che non l’avesse detto solo per rincuorarla, Tarn chiamava “valido” solo chi e cosa riteneva davvero tale, e i suoi standard erano molto alti.

Pensando a lui e al resto della DJD fece un altro passo, sotto gli sguardi accusatori dei fantasmi del suo passato.


“Al nove la tristezza”.


I suoi sensori ottici si riempirono di lacrime più di quanto avessero fatto fino a quel momento. Stava piangendo tanto da non riuscire a vedere nulla, tanto che iniziò perfino a farle male. Avrebbe voluto solo strapparsi via le ottiche, sarebbe stato più sopportabile. Riteneva di aver già pianto abbastanza per una vita intera, lo aveva fatto tutto il tempo che era stata in quella cantina e particolarmente nel momento in cui aveva iniziato a pensare che, se anche avesse voluto raggiungere gli altri, sarebbe stato troppo tardi.
Andò avanti, come cercava di fare metaforicamente già da tempo.


“Al dieci il dolore”.


Il dolore che aveva avvertito alla Scintilla tornò, stavolta più forte di prima. Per un attimo la fece perfino crollare sulle ginocchia, convinta che fosse arrivato il suo momento, poi però ricordò una cosa: lei viveva già nel dolore. Il dolore fisico non era nulla rispetto a quello che aveva provato, che provava tuttora pensando a Prion.
Fare l’undicesimo passo fu quasi facile.


“All’undici la morte…”


Nella casa di quella femme attempata, aveva pensato alla propria famiglia e al suo fidanzato Bustin, mentre poco prima aveva pensato al fatto che sarebbe stato meno doloroso morire quel giorno di quanto lo fosse stato continuare a vivere oltre: davanti a sé aveva il perfetto connubio di quelle due cose.

I suoi familiari e Bustin erano involucri senza vita, ma con le ottiche chiuse sembrava quasi che stessero dormendo serenamente, che stessero vivendo in un delicato ed eterno sogno nell’Afterspark, lontani da ingiustizia, violenza, brutture. C’era un posto vuoto tra sua madre e Bustin, perfetto per essere occupato da lei. Sembrava quasi un invito a stendersi lì e addormentarsi, lasciare che la propria Scintilla si spegnesse e raggiungerli.
C’erano stati dei momenti in cui aveva effettivamente pensato di porre rimedio all’errore compiuto dalla sorte il giorno del genocidio e terminarsi con le proprie mani, salvo evitare di farlo ogni volta, consapevole di non meritare tutta quella pace.

«Non la merito nemmeno adesso. Non posso raggiungervi, come non vi ho raggiunti allora» disse, facendo un passo in avanti.

Sentì un movimento dietro di sé.

«Nicky. Sei ancora bellissima, lo sai?»

Nickel si irrigidì, il volto nuovamente rigato di lacrime.
Non era possibile.

«Non mi guardi nemmeno? Non mi vuoi vedere, Nickel?»

La minicon si voltò di scatto, le sue gambe si mossero da sole, ed ecco che si ritrovò stretta in un abbraccio dolorosamente familiare.

«Bustin!...» esclamò, affondando il volto piangente nel petto bianco del suo fidanzato.

«Irruenta come tuo solito. Mi hai fatto cadere in più occasioni nel saltarmi addosso così tutte le volte in cui stavamo lontani per più di mezza giornata, te lo ricordi?»

Ricordava eccome, ricordava tutto, e proprio per quella ragione non riusciva a pensare lucidamente. Non le importava più della strega, del gioco, non le importava di nulla: i passi precedenti erano stati uno più duro dell’altro, la gioia di rivedere Bustin era troppo grande… e l’influenza del potere della strega sul suo processore, soprattutto quella, lo era altrettanto.
Si beò del calore del suo abbraccio, si inebriò dell’odore del lucidante che Bustin aveva sempre usato per la sua armatura, si lasciò cullare da quelle braccia nere che l’avevano stretta tante volte.

«Ti sono mancat- ahio! Sì, sei proprio la solita» rise Bustin, ricevuto un pugno contro la spalla turchese.

«Ero uscita dalla colonia per cercarti, dov’eri finito?!»

Lui fece spallucce. «Ormai quello non conta più granché. Conta più dove mi trovo ora, direi!»

Giusta osservazione. «Dove ci troviamo precisamente? Per quanto ne so io siamo nella trappola di una strega… già: come posso sapere che sei reale?!»

«Mi era sembrato che fossi molto convinta del mio essere reale quando mi hai abbracciato, Nicky. Mi sento abbastanza solido, non so tu!»

«Bustin, sei reale o non lo sei?! Come… come stanno le cose? Sei veramente vivo? È davvero possibile che tu lo sia?!»

Il minicon sorrise. «Il confine tra quello che reale e quello che non lo è, qui, è molto sottile. Inesistente direi. Non valgono le regole che conosci tu, dovresti averlo visto bene».

Nickel riconobbe che non aveva torto. «Dunque quali regole valgono?»

«Valgono la volontà della strega, quella di sua sorella e anche la tua».

«La mia?»

Bustin annuì. «Io sono morto, la tua famiglia anche e se tu andassi avanti non ci sarebbe possibilità di rimediare, ma non dev’essere così per forza» tese una mano verso di lei «Prendi la mia mano e scegli: puoi restare a Berg Des Sees insieme a me e alla tua famiglia, se vuoi, o puoi tornare indietro nel tempo e cercare di far evacuare Prion prima del disastro. Per Eribe e Vliegen una cosa vale l’altra».

«Loro… lei… potrebbe davvero?!...»

Per un attimo Nickel osò perfino sognarlo, immaginare come sarebbe stata la sua vita se avesse preso la mano di Bustin e avesse scelto una delle alternative che le aveva proposto. Il dolore e i sensi di colpa che aveva provato, l’odio e la rabbia verso se stessa, tutto cancellato con un colpo di spugna. Avrebbe potuto riavere tutto quel che aveva perso, le sarebbe bastato dire di sì.

«Bustin, io…»

Un momento.
Il resto della DJD, i suoi compagni, la sua famiglia, erano anch’essi tutti in gioco. Se lei avesse accettato, che fine avrebbero fatto?

«La DJD…»

«Prego?»

«Loro che fine faranno? Mi hanno accolta, mi hanno aiutata a risollevarmi, sono diventati la mia famiglia, se ora dicessi di sì cosa ne sarebbe di loro?»

«Parli delle stesse persone che tornano da ogni missione con pezzi di cadaveri addosso e fluido craniale in bocca, citando il libro di Megatron come se fosse un testo sacro? Non è il gruppo più savio del cosmo» Bustin rise «Non so, immagino che anche loro al momento stiano facendo le proprie scelte. Non sei la sola con un passato e/o che ha perso di vista delle persone importanti, in un tempo remoto o abbastanza recente che sia. Non pensare a loro, Nicky, pensa a te. Pensa a noi, a come potrebbe essere se ora prendessi la mia mano. Non lasciarmi qui, Nickel» la pregò «Non lasciarci qui, non sei costretta a farlo».

Silenzio.
Dopo aver abbassato brevemente lo sguardo, Nickel tornò a sollevarlo, puntandolo dritto in quello di Bustin.

«No. Io non posso» disse, con voce spezzata dalla disperazione e dal rimorso «Vorrei quel che mi hai offerto più di ogni altra cosa, però se c’è una cosa che so è che certi miracoli hanno sempre un prezzo. Non posso cambiare quello che è successo e rischiare di mettere in mezzo chi non c’entra nulla e mi ha aiutata» alias la DJD «Non sono ancora una persona orribile fino a questo punto. Mi dispiace, non hai idea di quanto, ma la mia risposta è no. Cercherò di andare avanti, Bustin, come ho sempre fatto da dopo il disastro fino a qui. Addio».

E finalmente fece l’ultimo passo.

«Ah!...» esclamò, evitando miracolosamente di perdere l’equilibrio.

Era arrivata al campanile, ce l’aveva fatta.

«Nickel!»

Sollevò lo sguardo e vide che Helex e Tesarus erano già lì.

«Ragazzi…»

Vide anche che sembravano piuttosto scossi.
Helex e Tesarus. Scossi!
Non che la stupisse: se avevano passato qualcosa di analogo a quel che aveva passato lei, era più che normale. Probabilmente lei aveva l’aria più sconvolta della loro, avendo il processore che ancora si ostinava a pensare a “come sarebbe potuto essere se…”.
Contava sul fatto che le passasse ma probabilmente ne avrebbe avuto per qualche giorno, e anche quello era più che normale.

Pochi secondi dopo anche Kaon li raggiunse. Nessuno di loro l’aveva mai visto tanto cupo, nemmeno in situazioni in cui aveva rischiato la morte.

«Non una parola» disse, in un mormorio assente.

Comprendendo fin troppo bene il suo stato d’animo, loro lo accontentarono.

Passò del tempo. Tarn mancava all’appello e Nickel, come tutti gli altri, iniziava a preoccuparsi.

«Spunterà tra poco» disse Kaon «Non è tipo da farsi piegare da alcunché, se ne siamo venuti fuori noi…»

«Di questo non dubito» concordò Helex «Ma non vorrei che quelle due maledette abbiano studiato qualcosa di particolarmente duro o abbiano deciso di ucciderlo e basta. Anche perché ad avere la campana è lui, senza quella siamo fregati».

La tensione salì ancora ma, prima che qualcun altro esponesse la sua preoccupazione in merito, anche Tarn completò il suo percorso.

La maschera che indossava era efficace nel nascondere quel che provava, ma secondo Nickel non erano incoraggianti né il suo totale silenzio, né il fatto che anche gli occhi fossero coperti. Era una copertura di vetro rosso traslucido che a una breve occhiata dava l’idea di star vedendo i suoi sensori ottici senza filtri, e infatti era molto probabile che al resto del gruppo fosse sfuggito, ma non a lei.

Senza dire loro alcunché e senza rivolgere loro neanche un’occhiata, tanto da far venire il dubbio che non li stesse vedendo affatto, Tarn aprì la porta del campanile, trovandosi davanti un gancio al quale infilò la campana senza pensarci due volte.

Il gancio salì verso l’alto e, poco dopo, il suono cristallino della campana nera riempì l’aria per tre volte.

Il paesaggio attorno a loro cambiò e, trovandosi di fronte l’arco diroccato e il paesino disabitato, capirono di essere finalmente, veramente fuori da Berg Des Sees. Anche i loro corpi erano tornati normali, privi di piume, squame e code.
Era finita.

Rimasero immobili per qualche attimo, come temendo che un singolo movimento avrebbe potuto spezzare quella loro libertà ritrovata e far scoprire loro che era tutta un’illusione, l’ennesimo tranello. Come dar loro torto, dopo quello che avevano passato?

A rompere la tensione assoluta di quell’atmosfera fu Vos, tra imprecazioni in vernacolare e rumori di catene dovuti al fatto che stesse cercando di divincolarsi e liberarsi da solo, ovviamente senza successo.

«Cos- sì, sì, ora ti liberiamo, hai ragione» esclamò Kaon, avvinandosi rapidamente a lui per sciogliere i molteplici nodi di quelle catene color ruggine «Ecco. Ehm, perché mi guardi così? Ossia, male?» bisbigliò ai suoi recettori audio.

Il biasimo nelle ottiche rosse di Vos era enorme, tuttavia non disse una parola al compagno di squadra limitandosi, una volta liberato, a sgranchirsi le giunture e massaggiare gli arti rimasti immobili per… già, per quanto?

«Purtroppo siamo stati costretti a legarti, Vos» disse Tarn, la cui pochissima voglia di parlare era percepibile, ma era conscio di avere doveri di leader da compiere «Il tuo processore non ha retto alla vista di quel che c’era oltre l’arco» fece una pausa «Sei stato fortunato».

Il solo fatto di aver detto una cosa del genere lasciava intendere molto bene come lui, ma anche gli altri, fossero usciti da quell’esperienza.

Vos, resosi conto di ciò, disse che non avrebbe mai pensato di doversi ritenere fortunato ad aver passato quindici giorni incatenato -dunque impossibilitato a muoversi- e a essere nutrito da henn mandate lì apposta. Aveva creduto davvero che loro quattro se la stessero passando meglio di lui oltre quell’arco, per folle che fosse.

«Intendi dire noi cinque» lo corresse Helex, un po’perplesso «Eravamo in cinque di là».

«Quindici giorni» ripeté lentamente Nickel, portandosi una mano al volto «Abbiamo perso quindici giorni…»

Era un’infinità di tempo durante la quale poteva essere successo di tutto e di più su quel pianeta abitato da organici chiamato “Terra”, quella che sarebbe dovuta essere ed era tuttora la loro destinazione finale, e in tutto ciò non avevano neppure ottenuto il componente per cui avevano avuto la pessima idea di dare retta a Stiria e atterrare su quel pianeta.
Era stata una decisione avventata ma non avrebbero mai creduto che quella mezza costellazione vuota e quel pianetucolo sperduto potessero essere dimora di qualcuno con un tale livello di potere. Prima di allora non avrebbero mai creduto che una cosa del genere potesse anche solo esistere.

«Come ci muoviamo ora?» domandò Tesarus «Tarn?»

Tarn, con lo sguardo rivolto in direzione del palazzo delle sorelle di Stiria -non visibile da lì- e tanto immobile da far sorgere il dubbio che si stesse forzando a rimanere fermo, parve non averlo sentito affatto.

Nessuno di loro insistette, decidendo di concedergli qualche attimo. Immaginavano cosa gli stesse passando per il processore il quel momento, quanto dovesse essere grande la voglia di marciare verso il palazzo di Eribe e Vliegen e distruggerlo, catturare le proprietarie e ucciderle dopo lunghe, orrende torture. Peccato che non potessero fare nulla del genere, non quella volta, per ragioni ovvie.

«Torniamo alla Peaceful Tiranny. Abbiamo perso tempo a sufficienza».

Se non altro dicendo così diede dimostrazione di aver sentito la domanda.

Niente e nessuno diede loro problemi di sorta nel tornare fino all’astronave, anche le henn che li avevano attaccati poco dopo il loro arrivo si comportarono come se non li vedessero affatto. Probabilmente ormai li consideravano di casa, il che non era consolante.

«Riusciremo davvero ad andarcene? La nave si era danneggiata in poco tempo per il solo fatto di aver viaggiato in questa parte dello Scorpionokor» ricordò a tutti Helex «E ora sono quindici giorni che è ferm…»

La Peaceful Tiranny non era mai stata né così sana né così splendente. Sembrava nuova, fresca di fabbrica in ogni sua minima parte, lucida come uno specchio.

«Avevano detto che se avessimo vinto saremmo stati liberi di andarcene dove volevamo. Ci hanno dato modo di farlo» commentò Kaon.

«Non le ringrazierò per questo» replicò, duro, Tesarus.

Aprirono il portello e, appena lo fecero, il cane uscì fuori correndo per raggiungere Kaon. Il mech sorrise, un sorriso molto più mesto dei soliti, chinandosi per salutarlo.

«Ciao, bello».

«Sembra in forma» osservò Helex «Considerando che è stato chiuso qui per quindici giorni senza nessuno a nutrirlo».

Kaon fece spallucce. «Beh… se è stato nutrito Vos!...»

L’ex scienziato lo fissò nuovamente con biasimo, però nessuno parve farci caso.

Una volta entrati nell’astronave e chiuso il portello non ci fu neanche bisogno che Tarn desse ordini precisi, tutti quanti corsero ai propri posti per dare inizio alla manovra di decollo, che avvenne in fretta e senza alcun problema, segno che le riparazioni non erano state solo cosmetiche: la Peaceful Tiranny era tornata a posto anche nel componente che si era rotto.

«Considerando la posizione in cui siamo, facciamo prima a proseguire lungo la rotta stabilita che a cambiarla» disse Kaon «Non servirà molto per uscire fuori da questa parte della costellazione. Tarn?»

«Mi basta raggiungere il pianeta Terra senza altri problemi».

Non ci fu bisogno di dire altro e, vedendo che il gruppo era tornato alle proprie mansioni e nessuno sembrava avere la minima voglia di discutere, Tarn si ritirò nei propri quartieri. Nickel però non aveva la minima intenzione di lasciarlo andare via in quel modo: secondo la sua modesta opinione non era un buon segno, nulla di ciò che aveva visto da dopo i tredici passi lo era stato.

Passato un breve momento di esitazione decise di raggiungerlo, stupendosi nel trovare la porta principale socchiusa, come se fosse stata un invito a entrare.
Capì che era proprio così nel momento in cui vide Tarn seduto a un lato del tavolo, con un cubo di energon di buona qualità davanti sé -non extra forte, per fortuna- e un cubo posto all’altro lato del tavolo, con tanto di cannuccia, ad aspettarla.

«Mi aspettavi».

«Ho visto come mi guardavi, Nickel».

La minicon si avvicinò al tavolo, si sedette, prese il cubo di energon e bevve. Per un po’nessuno dei due proferì parola.

«Io mi chiedo quanto fossero reali le cose che ho visto» disse piano lei «E le persone».

Tarn rimase in silenzio, fissando il proprio cubo di energon con aria all’apparenza assente.

«Non voglio chiederti cos’hai visto, solo… ho visto persone morte da molto tempo. Ho preso la decisione di lasciarle indietro» proseguì Nickel «Ma non posso fare a meno di chiedermi se le ho lasciate lì veramente o se nulla di quel che ho visto era reale e, di conseguenza, non ho lasciato lì nessuno a… non so, presumo a morire di nuovo».

«Ho dei motivi per credere che la strega non possa riportare in vita i morti, non sul serio» rispose Tarn, pensando alle vecchie fotografie di persone prive di volto «Forse quel che hai visto tu non era reale. Invece portare lì dentro una persona viva prelevandola da un qualunque altro punto dell’Universo dev’essere una bazzecola per lei».

«Se quel che ho visto io non era reale, non lo era neppure quel che hai visto tu» “Forse. Mi auguro” aggiunse mentalmente Nickel «Neanche tu hai lasciato indietro qualcuno. Nel tuo caso potremmo anche avere modo di verificare presto, immagino?...»

Se anche Tarn avesse voluto risponderle, non ne avrebbe avuto il tempo: Kaon lo contattò tramite comm-link per una chiamata in arrivo da Pettinathia.

«Fammi capire, dopo quel che ha fatto si azzarda anche a chiamare?!» sbottò Nickel, ora preda di un’incazzatura da manuale, mentre lei e Tarn si dirigevano verso la sala comandi «Quella piccola stronza! Se la rivedo le salto addosso, le cavo i sensori ottici e glieli ficco su per il canale di espulsione, poi prendo quelle stramaledette lucine rosa che ha attorno alle ali e gliele faccio mangiare! Dopo averle buttato giù i denti!»

Sentimenti condivisi da tutti, però la chiamata venne accettata ugualmente.

L’avete poi trovato quel componente?

«STRONZA!» gridò Nickel.

Oh. Questo sì che ferisce i miei sentimenti.

«Spero che tu sia consapevole di meritare un posto nella Lista. Anzi, in altre circostanze saresti già un lontano ricordo» disse Tarn freddamente.

Hai preso tu la decisione di atterrare lì, non è un mio problema, e comunque avete avuto quel che volevate – replicò Stiria.

«Non che avessimo alternative rispetto a quello o tornare in quella tua fogna di città» ribatté Nickel.

Sareste potuti tornare un po’più a nord, fuori dall’influenza della magia, e ordinare il componente che vi serviva tramite il sito internet di Pettinathia – ribatté la giovanissima seeker – Pagando qualche shanix in più avreste anche avuto la consegna in un giorno, avreste installato il componente, avreste cambiato rotta e a quest’ora sareste arrivati ovunque volevate andare, senza andare dalle mie sorelle e senza perdere quindici giorni di tempo. Non era difficile. In futuro magari tenetelo a mente, sì?

I membri della DJD si guardarono.
La quantità di bestemmie e insulti rivolti a se stessi, alla vita, a Stiria, all’Universo e tutto quanto furono tanti e tali da rischiare di far collassare la Peaceful Tiranny su se stessa creando un buoco nero -metaforicamente.

«E, di grazia» le luci dell’astronave, alle parole di Tarn, iniziarono a tremolare «Perché non hai proposto questo quindici giorni fa?»

Il più giovane di voi ha come minimo il doppio della mia età. Se avevate bisogno di me per pensare a una soluzione così ovvia, finire da Bibi e Vlì era quello che meritavate! Ciao cia-

«“Ciao ciao” un cazzo!» la interruppe bruscamente Tarn, chiudendo la chiamata.

Dopo pochi secondi di silenzio, il resto dei presenti iniziò ad applaudire vigorosamente.

«Ammonimento! Ammonimento a me stesso!» sentenziò Tarn «Apprezzo il vostro sostegno ma non c’è di che applaudire. Lo faremo una volta giunti a destinazione. Rotta verso il pianeta Terra… e cerchiamo di non finire in casa di altri parenti di Stiria, questa volta!»












È finita,  per davvero.
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere fino a qui e ringrazio l’ autore di “Tredici passi alla porta del diavolo” per aver scritto il libro in questione, dal quale deriva la filastrocca che avete trovato :D
Oltre a questo, per chi se lo fosse chiesto, il (sotto)titolo di questo capitolo proviene dall'ultimo film di Sharknado. Quella strana frase in tedesco, in lingua italiana si traduce con qualcosa tipo "Era ora" (appropriato direi).




Una menzione speciale stavolta va a MilesRedwing, che ringrazio per il suo costante sostegno :)

Arrivederci,

_Cthylla_

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Capitolo 10
*** ''Kaon, you wretch!'' ***


“Kaon, you wretch!”
 
 
 
 



 
 
 
 
 
C’erano momenti in cui Nickel non si sentiva tanto parte di una squadra di esecutori Decepticon, quanto piuttosto la madre un gruppo di protoforme la cui altezza era cresciuta, ma non la capacità di tenere in ordine se stessi e i propri oggetti.
 
Vos faceva eccezione, essere stato uno scienziato aveva fatto sì che mantenesse un metodo tutto personale ma ordinato di disporre e gestire le proprie cose, però il resto della DJD meritava solo rimproveri: Helex e Tesarus erano un completo disastro ed era meglio non ricordare cos’aveva trovato l’ultima volta che aveva messo piede dove si ricaricavano, Kaon era tanto preciso nel gestire la Lista quanto terribilmente distratto per tutto il resto e Tarn, secondo lei, era il più “strano” di tutti. Nei suoi quartieri non esistevano vie di mezzo, c’erano parti ordinate con cura maniacale e altre parti, perlopiù seminascoste, in cui regnava un caos completo. Faceva il paio con la maniera in cui gestiva se stesso, mantenendosi sempre più che funzionale e, allo stesso tempo, tendendo a ignorare graffi, tagli e quant’altro. Bastava pensare alla sua maschera costantemente rovinata o al volto ancora in parte sfigurato da una cicatrice -dovuta a una lotta- che sembrava non aver intenzione di farsi togliere.
 
«Possibile mai… guarda un po’ che mi tocca fare, stare dietro a quelle grosse macchine assassine per certe cose, ma dico io!» borbottò Nickel.
 
Dopo averlo cercato per un paio di giorni senza risultati, Kaon le aveva chiesto se lei avrebbe potuto aiutarlo nella ricerca del suo datapad personale. Stando a quanto le aveva detto, l’ultima volta che ricordava di averlo avuto in mano era stata quando lei aveva esaminato tutti in infermeria uno dopo l’altro, ma pur avendo dato un’occhiata in giro non era riuscito a trovarlo.
 
 «Lasciano le loro cose in disordine, poi non riescono a trovarle e allora “Niiiickeeeel, sai dov’è la smerigliatrice? Niiiiiickel, sai dov’è il mio panno blu, quello morbido con cui lucido la scioglitutto? Niiiiiickel, dov’è il mio datapad?”. E poi, anche quando rispondo “prova a guardare nel tal posto”, non riescono mai a trovare quel che cercano nonostante lo abbiano davanti alle ottiche!... proprio come in questo caso!» sbuffò la minicon, notando il datapad perduto di Kaon su un ripiano abbastanza in alto. Si sentiva giustificata per non averlo notato: come avrebbe potuto pensare che lassù si nascondesse un pad che lei non ci aveva messo?
 
Non aveva il jet pack sulle spalle né aveva voglia di indossarlo, avendo concluso di poter raggiungere il ripiano con un saltello, e così fece; la presa sul datapad tuttavia si rivelò poco salda, ragion per cui il dispositivo le scivolò tra le dita e cadde a terra.
 
“Spero di non averlo rotto” pensò Nickel, un po’dispiaciuta “Forse avrei dovuto davvero usare il jet pack… oh, per fortuna non sembra avere danni, si è solo sbloccato”.
 
Dopo un sospiro di sollievo poggiò un dito sul pulsante per bloccare lo schermo, salvo cambiare idea una volta che i suoi sensori ottici si posarono per puro caso sull’anteprima di uno dei messaggi che Kaon aveva ricevuto da un mittente non registrato tra i contatti. C’erano parecchie foto e qualche video, ricevuti tutti nell’arco di tempo in cui lui aveva perso il datapad.
 
Dopo un breve momento d’immobilità in cui rifletté se fosse più grave la violazione della privacy del tecnico o quel che stava vedendo nell’anteprima -o pensava di star vedendo: essendo un’anteprima in piccolo c’era ancora un vago margine di dubbio- decise che della privacy di Kaon non le importava alcunché.
 
 
 

 
 
:: Circa venti minuti dopo ::
 
 
 

 
 
«Ehi Nickel» esordì Kaon, entrando con tranquillità in infermeria «In merito a quel che ti ho chiesto prima, hai poi trovato il mio-»
 
«Zitto».
 
Inizialmente Kaon non capì nemmeno cosa Nickel gli stesse mostrando, né perché fosse così palesemente infuriata, poi i suoi sensori ottici assenti si soffermarono sul datapad.
 
«Allora era qui davvero!» sorrise «Sono contento che tu…»
 
Il sorriso scomparve appena il suo sguardo finì sullo schermo e sulla fotografia mostrata.
 
«Spiega» gli intimò  Nickel «E vedi di farlo alla svelta, e soprattutto in modo efficace, perché al momento ho solo voglia di legarti lì» indicò il “lettino” da medico «E prenderti a frustate con… non so nemmeno io con cosa, ma qualcosa lo trovo senz’altro!»
 
«Alcuni dei porno della collezione di Tesarus iniziano più o meno così» disse Kaon, il cui processore era troppo impegnato a pensare “Oh cazzo-” per avere controllo sulla lingua.
 
«KAON-»
 
«Non so nulla di quella foto, ok?! Non sapevo di averla! Non so dove sia stata scattata» farfugliò il Decepticon, con visioni fin troppo chiare e tremende sia di punizioni che non teneva proprio a ricevere, sia della propria testa staccata dal collo «Non so chi sia quel tizio nudo intento a bere energon extra forte accanto a una henn sputafuoco e NON so chi siano quelle due femmes gemelle intente a bere a loro volta, ma di sicuro NON sono Eribe e Vliegen, assolutamente no, eh!»
 
«Io non ho parole!» esclamò la minicon, ritraendo la mano col datapad quando Kaon tentò di prenderlo «T u sei sempre stato fuori dal gioco dal momento in cui sei stato buttato giù dal ponte, vero?! Sei stato per tutto il tempo insieme a quella strega bastarda e alla sua gemella che è ancora più bastarda di lei! Disgraziato! Non ho parole!»
 
«E-ehm, allora visto che “non hai parole” puoi essere così gentile da non parlare a Tarn o a chiunque altro di questo piccolo particolare? Per favore. Ti prego- ti prego» la implorò Kaon, arrivando perfino a inginocchiarsi «In fin dei conti non avevo scelta, ero solo un povero infelice in balia di una strega, proprio come voi!»
 
«Ah sì guarda, proprio un povero infelice, dev’essere stato terribile essere costretto a festeggiare e bere mentre noi eravamo dispersi in un IKEA infestato dai cybertroniani mannari!» gridò Nickel, più infuriata di prima.
 
Kaon le fece cenno di abbassare la voce. «Non vorrei finire offline oggi, ecco-»
 
«Non è di Tarn che devi avere paura, non riuscirebbe a metterti le mani addosso, io arriverei prima! Magari ci guardavi anche, mentre eri insieme a loro, vero?! Ci hai guardati nell’IKEA, ci hai guardati mentre tribolavamo con le scimmie elettriche che in effetti ti somigliavano un po’troppo-»
 
«Eribe ha preso ispirazione dal mio aspetto, sì, ma io non approv-»
 
«…e ci hai guardati anche mentre affrontavamo gli skarknado, vero?!»
 
«Lì ve la siete spassata, dai, avete fatto un massacro!»
 
«Gli altri! IO NO!» sbraitò la minicon, del tutto fuor dai gangheri.
 
«Va bene, va bene, capisco che tu sia un po’arrabbiata col sottoscritto» disse Kaon, alzando le mani in segno di resa «Però sappi che io in realtà non mi sono divertito neanche un momento!»
 
Sentito ciò, Nickel fece scorrere i video nella galleria, ne scelse uno e premette play.
 
Sullo schermo del datapad comparvero Eribe intenta a far fluttuare in aria uno strumento musicale somigliante a quello che certi organici avrebbero chiamato tromba, Vliegen accanto allo sportello di un forno semiaperto e Kaon con due grossi coperchi di metallo tenuti uno per mano.
 
 
E uno! E due! E un, due, tre!
 
 
La tromba iniziò a suonare da sola, e in seguito Kaon e Vliegen si unirono sbattendo a tempo i coperchi di metallo e lo sportello del forno.
Delle luci da discoteca e il suono di un sintetizzatore resero la scena ancor più assurda una manciata di secondi dopo.
 
Se Kaon fosse stato organico avrebbe iniziato a sudare freddo . «Questa… potrebbe essere stata un’eccezione, magari, te lo concedo, ma-»
 
«Un’eccezione, eh? Allora che mi dici di questa foto di te che giochi a carte contro la henn vestita da postina?!»
 
«Ah, qui è quando stavo imparando a giocare a valtti» alias un gioco terribilmente simile alla “briscola” cui giocavano certe specie organiche «Non hai idea delle batoste che quella henn mi ha dato durante le varie partit-ehm, volevo dire, sono stato costretto, sai bene anche tu che oppormi era impossibile, sono treme-»
 
«Vuoi dire “tremende”? Immagino che lo pensassi anche qui» fece partire un altro video «Mentre tu e il cane volavate in groppa alle henn giganti! Ti rendi conto?! Ti hanno perfino lasciato uscire dal palazzo!»
 
«Ero impotente, non avrei potuto scappare e aiutare nessuno in alcun caso quindi, anche se avrebbero potuto, non avevano motivo di tenermi imprigionato o legato da qualche parte» cercò di spiegarle il mech.
 
 «E a proposito di “legato”, hai anche lasciato Vos incatenato per quindici giorni! Ora ho capito perché ti guardava male, e io che credevo fosse stata solo una mia impressione! Ecco perché ha detto che eravamo in quattro dentro a Berg des Sees e non in cinque!»
 
«Non avevo il permesso di slegarlo, però avrei voluto, credimi» disse Kaon, con l’aria di chi si sentiva un po’in colpa, grattandosi la nuca metallica «Non so come abbia fatto Vos a capire che ero fuori, di sicuro non mi ha visto. Ho pensato che potesse avermi sentito le volte in cui sono andato dal cane, in fin dei conti la Peaceful Tiranny non era troppo lontana dall’arco e tutt’attorno c’è solo silenzio, però non aveva prove fisiche della cosa, per cui non ha dett-»
 
«Sta di fatto che tu sei stato a lì a bere, a divertiti, a guardare vecchie serie televisive, a strafogarti di enerpizza…»
 
«Nickel-»
 
«… e a scoparti la cazzo di strega insieme alla sua cazzo di gemella!» strillò Nickel, la voce più alta di un’ottava rispetto al solito.
 
«Che?! No, questo non l’ho fatto!» negò con fermezza il Decepticon «Non ho portato nella cuccetta né una né l’altra, te lo posso giurare su Towards Peace».
 
«I giuramenti su Towards Peace valgono solo se sei Tarn, e tu non sei Tarn, tu sei solo un cretino! Come puoi pretendere che ti creda?! Qui avevi il cavo al vento!» ribatté Nickel, sbattendogli in faccia la prima fotografia «E anche in altri video e in altre fotografie! Mi prendi per scema?!»
 
«Nickel, se fosse per me io starei col cavo al vento anche qui! Mi aiuta a stare concentrato» si giustificò il mech «Se avessi potuto farlo anche qui magari non avrei nemmeno perso il datapad. È che una sera in cui ero piuttosto ubriaco mi sono tolto la protezione inguinale, le gemelle hanno detto che non avevano problemi a riguardo e quindi da lì in poi- ehi!» esclamò, bloccando la mano destra di Nickel appena prima che raggiungesse la sua faccia.
 
«E in tutto questo io, Tarn, Helex e Tesarus passavamo l’inferno!»
 
«Non fare così! Non potevo oppormi!»
 
«Non potevi opporti, è vero, infatti il problema è che tu te la sei goduta! DISGRAZIATO!»
 
Kaon ormai conosceva Nickel abbastanza bene da sapere che aveva un certo caratterino, tuttavia nella situazione attuale gli sembrava un po’diversa dal solito. Era normale che fosse arrabbiata dopo aver trovato quelle foto e quei video, però in condizioni normali non era così, come definirla? “Isterica”? Forse non era proprio quello ma poco ci mancava.
 
«Hai dei motivi validi per essere infuriata ma ricorda che i tredici passi non li hanno risparmiati nemmeno a me» disse Kaon, bloccando anche l’altra mano di Nickel «E non so cosa pensi tu ma io, considerando quel che ho visto, sono piuttosto convinto che siano stati il peggio di tutto! Avrei preferito mille volte non subire quelli ed essere stato con voi per tutto il tempo, inclusa la parte nel palazzo sott’acqua… cheee io non ho visto perché da dopo gli sharknado ero stato spedito a fare e guarnire muffin, ma questo è un dettaglio».
 
Nickel cercò senza particolare successo di liberare i polsi dalla presa di Kaon. «Non mi parlare dei tredici passi, non me ne parlare affatto! Ormai sono passati quattro giorni, pensavo che mi sarebbe passata, pensavo-»
 
«Perché, tu credi che il resto di noi stia meglio? Non abbiamo parlato della cosa tra noi ma ora che lo stiamo facendo lo dico: a me non è ancora passata» affermò Kaon «E secondo me nemmeno agli altri. Tesarus parla ancor meno del solito e non si lamenta perché si annoia, ho trovato più volte Helex che si aggirava nei paraggi della cucina all’ora in cui teoricamente dovremmo andare in ricarica perché ha difficoltà a prendere sonno, e Tarn… non so, avendo sempre la maschera non si capisce molto, a lui magari è passata, ma d’altra parte se è il leader c’è più di un motivo».
 
Nickel avrebbe avuto diversi dubbi da esprimere riguardo come stesse Tarn, in verità era piuttosto convinta che non gli sarebbe passata per davvero fino a quando avesse verificato se nei tredici passi aveva lasciato o meno indietro qualcuno -e la minicon sperava di no-  ma, per rispetto verso di lui, li tenne per sé.  
 
«Sì, su questo hai ragione».
 
Vedendola meno desiderosa di staccargli il naso a suon di schiaffi, Kaon la lasciò andare. «Non voglio chiederti cos’hai visto né ho voglia di parlare di cos’ho visto io» disse «Ma sono convinto che a breve tornerà tutto normal- ahio!» esclamò, massaggiandosi la nuca appena colpita.
 
«Questo te lo meritavi in ogni caso per aver quasi fatto amicizia col nemico!» dichiarò Nickel.
 
«E… intendi dirlo a Tarn?»
 
La minicon sbuffò. «No. Al momento ho bisogno di un aiutante per pulire a fondo l’infermeria, lucidare i miei attrezzi e disporli in ordine di grandezza e frequenza d’uso. Oh, e i miei turni di pulizia te li cederei volentieri. Sono sicura che non vedi l’ora di metterti al lavoro, giusto?»
 
«Almeno i turni di pulizia potrei evitar… d’accordo, va bene, come non detto» sospirò Kaon, conscio di essersela cavata con poco.
 
«Ecco, bravo».
 
Ci fu una breve pausa di silenzio durante la quale a Nickel venne in mente più d’una domanda. Era restia a farle, avrebbe significato mostrare interesse verso persone che avevano fatto passare l’inferno a tutto il gruppo ma alla fine, come suo solito, non poté evitare di dire quel che le passava per la testa.
 
«Come hai fatto ad andare d’accordo con quelle due?! Se somigliano a Stiria-»
 
«Pfff! No. Nessuna delle due le somiglia granché, Eribe ancor meno di Vliegen, che delle due gemelle è la più stronza e non ha problemi a riconoscerlo. Voglio dire, riesci a immaginare Stiria che gioca a carte con le henn a Pettinathia?»
 
«Direi di no».
 
«EH! A proposito di Pettinathia, dato che ormai sei venuta a conoscenza del resto tutto posso dirti quel ho saputo dalle sorelle di Stiria!» esclamò Kaon, tornato a sorridere come suo solito al pensiero «Ricordi quando ci siamo stati e ho raccontato a te e Tarn di Dhambrexia? La ex proprietaria di Pettinathia, quella morta di overdose, quella della colla di valvola e di Paco e Ta-»
 
«Mi ricordo, mi ricordo, basta così, non aggiungere altro!» lo interruppe Nickel «Cos’hai saputo?»
 
«Dhambrexia non si è sempre chiamata così. Prima si chiamava Laminga» le rivelò Kaon, cercando di restare serio «Ti dice nulla questo nome? L’hai sentito di recente!»
 
«Effettivamente mi suona familiare ma non saprei-»
 
«Laminga e Tesarus».
 
Nickel sgranò gli occhi. «Tesarus ha nominato quella tizia durante la battaglia con gli sharknado, ora ricordo! Quindi lui sarebbe stato con…»
 
Kaon annuì. «Dhambrexia, sì! E non ne ha la minima idea!»
 
Nickel si coprì il volto con le mani. «Siete uno più disgraziato dell’altro, ragion per cui» mise in mano a Kaon un panno e del lucidante «Inizia a rimediare! Al lavoro!»
 
 
 
 
 
 
 
Un po’per raggiungere una cifra tonda, un  po’per rispondere a certe domande che potevano nascere nel precedente capitolo, ho scritto questo bonus. Spero lo abbiate gradito :)
 
Alla prossima,
 
_Cthylla_
In allegato eccovi la fotografia che Nickel ha mostrato per prima xD

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