Non chiedermi come sto

di lady_bella
(/viewuser.php?uid=57640)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Disclaimer: questa storia non ha alcuna finalità di lucro, è solo un passatempo nell'attesa di vedere una seconda stagione della serie. I personaggi sono di proprietà dei relativi autori: se fosse stato per me la storia tra Imma e Calogiuri sarebbe andata diversamente!



Capitolo Primo

 

Un bussare improvviso alla porta interruppe il lavoro del sostituto procuratore Tataranni. Era un caldo pomeriggio di fine estate a Matera e la dottoressa era immersa fino al collo nelle scartoffie di routine.

« Avanti! ».

Il maresciallo Calogiuri fece per entrare nell’ufficio della Tataranni con una espressione indecifrabile. Imma prese un respiro improvviso nel vederselo la così inaspettatamente: da quando era successo ciò che era successo tra di loro si erano per la maggior parte evitati, in pubblico mantenevano una facciata di calma professionalità, ma a conti fatti quasi non lavoravano più assieme e non si erano mai trovati da soli nella stessa stanza.

« Dottoressa », iniziò lui guardando un punto poco sopra la sua spalla, «c’è qualcosa che… ». Tentennò. Non sapeva più come parlare con lei, quello che prima era qualcosa di naturale e quasi vitale, adesso era strano in un modo indefinibile.

Imma poggiò la penna che ancora teneva in mano sopra un fascicolo aperto sul caos che chiamava scrivania.

- ti prego - pensò fra se e se, - fa’ che non voglia parlare di quel giorno che noi… io non posso, non posso affrontare quella conversazione-.

Si alzò lentamente dalla sedia, ma non si mosse da dietro la sua scrivania quasi come se quel pezzo di mobilio fosse necessario per ricordare a se stessa che tra di loro la distanza era necessaria per la sopravvivenza di entrambi.

« Calogiuri… », il suo tono era un misto di interrogativi, curiosità e anche un pizzico di supplica.

« Abbiamo un caso Dottoressa », esordì infine il maresciallo riuscendo per un attimo ad incrociare il suo sguardo.

« Di che si tratta». Imma era piuttosto sorpresa che fosse venuto a darle questa notizia, nell’ultimo periodo era Matarazzo che lavorava con lei.   

Calogiuri si avvicinò lentamente alla scrivania, il passo sicuro e fermo, così diverso dal timido appuntato che era arrivato da Grottaminarda ormai più di due anni prima. Gli occhi, pensò Imma, quelli erano gli stessi nonostante tutto, limpidi, schietti e così intensi quando guardavano il mondo.

- O quando guardano te-, si fece sentire la sua coscienza con la voce di Diana.

« È stata denunciata la scomparsa di una ragazza… di diciassette anni. La ragazza in questione è Beatrice Vega la… »

« L’amica di Valentina », rispose lei senza fiato, barcollando pericolosamente come se qualcuno le avesse dato un colpo nello stomaco.

Il maresciallo girò rapidamente attorno a quella scrivania ingombra e fece per avvicinarsi alla donna, ma Imma indietreggiò sperando di fermare ogni altro progresso di Calogiuri. Peccato che nella fretta di allontanarsi e nello stato leggermente sconvolto in cui versava e complici anche gli immancabili tacchi dall’altezza improbabile, finì per scivolare. Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto che sapeva sarebbe arrivato inevitabile: invece, due braccia forti le cinsero la vita impedendole di rovinare a terra di malagrazia. Si ritrovò suo malgrado schiacciata contro il petto di Calogiuri, stretta in quella presa che era assieme salvifica e mortale.

La mente di entrambi tornò a quel giorno di pochi mesi prima, le sensazioni che avevano provato allora non erano poi così dissimili da ciò che entrambi avvertivano in quel contatto inatteso.

« Stai bene? », le chiese lui tenendosela ancora stretta finché poteva, assaporando il brivido che lo trafiggeva sentendo il suo corpo così vicino al suo e guardando il sole del pomeriggio che carezzava i suoi ricci accentuandone le mille sfumature.

Imma annuì, aprendo gli occhi e fissando il suo sguardo in quelli blu di Calogiuri: erano così vicini, lei sentiva il suo respiro caldo sulla guancia come una carezza proibita. Ma tutta quella situazione era proibita, lei non poteva cedere a quei desideri che stavano emergendo in lei inattesi e non richiesti. Era una donna sposata per l’amor del cielo e non era mica una ragazzina che perdeva la testa alla prima cotta.

- Ma tu, mia cara Tataranni, una ragazzina non lo sei mai stata! -, le ricordò la sua coscienza in versione Diana.

Si allontanò da lui di qualche passo, dandogli le spalle e avviandosi a recuperare il necessario per uscire di li e mettersi al lavoro.

« Quindi », iniziò con un tono più basso del solito, « chi ha denunciato la scomparsa? ».

Calogiuri la guardò intensamente prima di prendere un respiro e esordire: «È stata la nonna. Lei e la nipote si incontrano di solito tutti i giorni alla stessa ora dopo scuola. La nonna era una pianista e adesso insegna alla nipote pianoforte. Sta di fatto che, non vedendola arrivare, ha provato a cercarla al cellulare, che risulta spento, e a casa ma senza risultato. Non è nemmeno andata a scuola oggi ».

« E i genitori? ».

« Il padre è fuori per lavoro e la madre la stiamo provando a rintracciare ».

« Andiamo a parlare con la signora e vediamo che ci dice, con molta probabilità si è solo allarmata per niente. La ragazza sarà andata da qualche parte a combinare chissà che cosa e ovviamente mica ha avvertito!  ».

Si incamminarono per i corridoi della procura, Imma con il suo passo marziale che ormai tutti associavano a lei e Calogiuri che la seguiva poco distante. Imma realizzò improvvisamente che era la prima volta che si ritrovavano a lavorare assieme dopo quel momento di follia estiva nel suo ufficio: non le passò nemmeno per la mente di chiedere se ci fosse un altro carabiniere disponibile, quasi come se, inconsciamente, stesse aspettando con trepidazione l’inevitabile momento in cui si sarebbero dovuti trovare di nuovo fianco a fianco su un caso.

Da quel pomeriggio, non solo non avevano più lavorato assieme, ma non si erano nemmeno quasi rivolti la parola. Effettivamente, rifletté la dottoressa, quella era stata la conversazione più lunga che avevano avuto negli ultimi mesi.

- Conversazione che è finita giusto giusto con me avvinghiata a lui-

- E che doveva fare il povero ragazzo, lasciarti rompere la testa sul pavimento? E poi come lo spiegavi a Pietro? -, la Diana interiore considerò piccata.

Pietro…perché doveva pensare a suo marito nei momenti più improbabili della giornata? La verità era che il suo matrimonio era in un punto che nemmeno lei riusciva a definire, era come sospeso sull’orlo di un precipizio fatto di omissione e finzione di una realtà idilliaca che Imma, in cuor suo, non sentiva più da un pezzo.   

Il bacio con Calogiuri era stato come un’epifania, una nota di colore in un’esistenza che nemmeno lei aveva capito di aver vissuto fino a quel momento in bianco e nero. Aveva sentito qualcosa dentro di sé che nemmeno lei sapeva descrivere, era come un’esplosione di calore sulla sua pelle che le faceva quasi male per l’intensità. Niente di paragonabile a ciò che aveva vissuto con Pietro.

Non si era permessa di indugiare su quel ricordo durante il giorno, si era sepolta nel lavoro come aveva sempre fatto fin da piccola quando affrontare le sue emozioni le faceva troppa paura. Ed era andato tutto bene fino a quell’involontario abbraccio di poco prima. Ci era voluto ogni grammo di forza di volontà per non baciarlo li e subito, provare un’altra volta la sensazione delle loro labbra unite in un bacio che sapeva di disperazione e promesse.

- Smettila Imma, smettila! Non ha senso desiderare qualcosa che non puoi avere! -

- Ma tu lo puoi avere! Guardalo, ti sta sempre attorno anche se tu non te ne rendi conto, lui vuole te… aspetta solo che tu gli faccia un gesto! -

- Eh allora facciamo che ho delle responsabilità e non posso fare come mi pare e piace! Lui è così giovane, non si rende conto di quello in cui si sta invischiando. Io non Voglio che sprechi la sua vito appresso a me che c’ho un sacco di casini e… Ma mi sono impazzita veramente mo, mi metto a fare discorsi con la mia coscienza quando c’è del lavoro da fare!-.

Il pensiero dell’amica di Valentina la riportò velocemente con i piedi per terra: per un attimo aveva tenuto che la ragazza fosse morta e le era preso un colpo. L’unica cosa che poteva fare in quel momento era svolgere il suo lavoro al meglio delle proprie capacità.

- E affrontare un viaggio in macchina tu e Calogiuri da soli! -, ridacchiò la sua Diana-coscienza.

Sospirò: sarebbe stato un lungo pomeriggio.

 

 

- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >


A/N: 
Cari lettori,
se siete arrivati  a leggere la nota dell'autore vuol dire che questo primo capitolo è abbastanza decente per spingervi a leggerlo fino alla fine.
Questo è il mio primo lavoro serio che ho tutta l'intenzione di sviluppare e, si spera, concludere. Mi sono seriamente innamorata del personaggio di Imma Tataranni, forse perché per alcuni aspetti mi somiglia, forse perché vedo i suoi difetti e li sento anche un po' miei.
Ho in mente buona parte della trama principale, sono solo un po' incerta sulle dinamiche del caso che coinvolgerà la nostra Imma e il nostro tanto amato Maresciallo: spero che venga fuori una storia credibile.
Cercherò di aggiornare, almeno per i primi tempi, una volta alla settimana perché così non dovrei avere problemi a rispettare le scadenze. Per quanto adorerei passare l'intera giornata a scrivere, la vita reale non è d'accordo con me e mi impone di adempiere ad altre incombenze meno divertenti!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Disclaimer: per quanto mi renderebbe immensamente felice dirvi che sono un membro del team di sceneggiatori della seconda serie di Imma Tataranni, la realtà sta un po' diversamente. Non ho alcun diritto su questi personaggi, li prendo in prestito per il mio divertimento (e quello di chi legge)

A/N: Wow, grazie mille a tutti quelli che hanno impiegato un po' del loro tempo per lasciarmi una recensione, mi rende veramente felice e mi dà la carica per continuare a scrivere! Sto aggiornando prima del previsto perché mi aspetta una brutta settimana :(
Questo capitolo vuole essere una sintesi di quello che è successo fino a questo punto tra i nostri due personaggi, volevo esplorare i pensieri di Calogiuri durante i mesi trascorsi al fianco di Imma e provare a spiegare dal suo punto di vista quando ha iniziato a vederla con uno sguardo "meo professionale".
Fatta questa doverosa premessa, ecco il capitolo!
Buona lettura 

- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >

 

 

Capitolo Secondo

 

Calogiuri guidava in silenzio, concentrato sulla strada davanti a sé e completamente assorto nei suoi pensieri. Non riusciva a smettere di pensare alla donna seduta vicino a lui su quell’auto di servizio: lei era entrata nel suo mondo come fa la primavera, dirompente e improvvisa, senza nessuna avvisaglia: un momento prima è tutto tranquillo e silenzioso, l’attimo dopo un’esplosione di colori, suoni e profumi cancella la monotonia dell’inverno.

La prima volta che avevano lavorato assieme, lui era rimasto esterrefatto da lei, dalla sua personalità esplosiva, dalla determinazione incrollabile: era così diversa dalle donne che aveva frequentato a vario titolo per tutta la sua vita. Si perché Calogiuri si era accorto subito che la dottoressa Tataranni, prima di essere lo sceriffo di Matera, era una donna. E si era anche reso conto che la maggior parte del tempo la gente se ne dimenticava, preferendo vedere solo la rigida corazza di funzionario integerrimo con cui si mostrava al mondo.

Nonostante il fatto che fin da piccolo avesse l’attitudine a capire le cose prima degli altri e leggere le situazioni con una profondità fuori dal comune, aveva un carattere timido e riservato, frutto di una inclinazione naturale e di una educazione vecchio stile. Proprio per questo all’inizio si sentiva così in soggezione ogni volta che era nella stessa stanza con Imma, a momenti le avrebbe chiesto il permesso anche di esistere.

Aveva certamente sentito le voci che giravano in Procura sul suo conto, tutti parlavano del carattere impossibile del sostituto procuratore, della sua tendenza a strepitare prima e solo poi fare domande. Aveva però capito presto che il temperamento esplosivo era causato dalla sua scarsa attitudine a soffrire gli sciocchi e lo spreco di tempo, e Calogiuri aveva appurato che di gente con scarso desiderio di fare il proprio lavoro ce ne era da vendere. E di Calogiuri tutto si sarebbe potuto dire, ma la sua etica del lavoro era universalmente riconosciuta.

Era questa, secondo lui, la ragione per cui si erano subito trovati in sintonia: entrambi stacanovisti, entrambi decisi ad andare oltre la superficie su strade generalmente poco battute. Caso dopo caso, il loro affiatamento professionale cresceva: si capivano a forza di sguardi e di silenzi, ma avevano anche imparato quando era importante invece esprimere con parole, spesso scomode, i loro pensieri. Lei era il suo supereroe personale, un modello a cui ispirarsi e da cui imparare.

Non avrebbe saputo dire quando l’ammirazione professionale si era trasformata in qualcosa di diverso e più profondo: come in tutte le cose importanti della vita un inizio netto, uno spartiacque non esiste. Probabilmente aveva iniziato a vederla con occhi diversi dal caso dell’architetto Bruno, avevano vissuto un momento veramente terribile con la morte di Andrea Saponaro. L’impatto mediatico era stato notevole, tutti ad inveire contro il magistrato che aveva spinto un giovane al suicidio con i suoi metodi intimidatori.

La conferenza stampa le aveva dato il colpo decisivo, era corsa via dall’ufficio di Vitali e Calogiuri non aveva resistito all’impulso di seguirla, al diavolo le chiacchiere dei benpensanti. Era stata la prima volta da quando si conoscevano che l’aveva vista perdere il controllo: li, appoggiata alla finestra, il respiro corto e affannoso di chi cerca di mantenere insieme gli ultimi residui di compostezza non volendo cedere sotto il peso delle emozioni, non era più il supereroe che si era dipinto nella sua mente ancora da ragazzo, ma era esattamente come tutto il resto del mondo, piena di forza e carattere, ma anche di paure e fragilità.

Con una fitta al petto aveva realizzato di essere attratto da lei con una intensità che lo fece tremare: erano stati i suoi occhi probabilmente a scuoterlo fin dentro l’anima, occhi così intensi, pieni di determinazione e senso di colpa in misura non dissimile. Avrebbe voluto provare a mostrarle che la capiva, che anche lui si sentiva così, ma anni e anni di ferrea educazione gli avevano imposto un rigido codice di comportamento che lui non era ancora pronto ad infrangere.

Da quel giorno il loro rapporto era cambiato, non avrebbe saputo dargli un nome ma in fondo non sentiva alcuna necessità di apporre una etichetta a quello che avevano loro due: le definizioni erano solo un modo che il genere umano aveva per dare ordine alle cose, ma i sentimenti hanno ben poco di ordinato, o di classificabile a priori. Le emozioni sono mutevoli, imprevedibili e delicate, bisogna esercitare la cautela e la cura che adopera l’artigiano quando da un pezzo di materiale informe ricava un oggetto unico.

La cosa che lo lasciava stupito non poco era che vedeva le stesse emozioni che provava lui riflesse negli occhi di Imma; perché se le sue espressioni erano generalmente calme e controllate, gli occhi non potevano nascondere totalmente ciò che pensava. Se avesse avuto dubbi, la loro piccola avventura a Roma era stata la conferma di mesi di trepidazione. Lei si era comportata in un modo strano, insolito, il loro tempo assieme era intriso di significati celati dietro chiacchiere apparentemente casuali. Adesso iniziava a capire che era gelosa, ma non di quella gelosia fatta di scenate, grida e porte sbattute, era un sentimento più sottile, l’intreccio di nostalgia per ciò che non era in diritto di avere e rabbia verso se stessa perché desiderava che le circostanze fossero nettamente diverse.

Quanto avrebbe voluto, fuori da quell’albergo nella città eterna, stringersela contro e dimostrarle con i fatti tutto quello che sentiva per lei. Ma non era riuscito a trovare il coraggio di dare seguito al suo istinto e forse non lo avrebbe trovato mai: la rispettava troppo per fare qualche cosa che potesse farla soffrire in qualche maniera.

E invece il coraggio per fare una mossa lo aveva finalmente trovato, seduti sulle scomode sedie nei corridoi della Procura di Matera, quelle che, ironia della sorte, erano il luogo di attesa per indiziati e imputati in attesa di conoscere cosa ne sarebbe stato di loro. Lei stava piangendo, avevano appena scoperto cosa era successo veramente al povero Stacchio. Lui le aveva sfiorato la mano in un gesto di silenzioso conforto, ma poi, preso da un impulso più forte di ogni autoimposto vincolo, aveva portato la mano sul suo viso carezzandoglielo con la più assoluta delicatezza, fino a tracciare con un dito il profilo delle labbra. Lei si era voltata con un’aria sorpresa, le labbra dischiuse in un muto verso di stupore; e il maresciallo l’avrebbe baciata li ed allora tanto era bella con le tracce di lacrime sulle guance e ancora poggiate sulle ciglia. Ma un rumore di passi li riscosse da quel momento e a lui non restò altro che alzarsi e incamminarsi lontano da lei il più possibile.

Si era imposto fermamente di non fare più alcun gesto che potesse tradire i sentimenti che ribollivano dentro di lui da così tanto tempo che quasi si era dimenticato come era la sua vita prima di lei: davvero, lo aveva giurato a se stesso, in fondo lo sapeva che qualsiasi cosa avessero non era destinata a diventare reale e tangibile, se lo era ripetuto così tante volte nelle notti solitarie in cui la mente ripercorreva la giornata rivivendo i suoi gesti, i suoi sguardi, quello che diceva e quello che lasciava intendere nei lunghi silenzi.

E poi era scoppiato: le parole sembravano fuoriuscire inarrestabili tali e quali all’impeto di un fiume che si è stancato di starsene rinchiuso dietro una diga. Quello che era successo dopo era un ricordo così struggente che provava una fitta al petto tutte le volte che vi indugiava: lei lo aveva baciato a stampo in una sorta di ringraziamento per le sue parole e lui, di tutta risposta, aveva ricambiato il gesto baciandola con una intensità tale che per un attimo esistevano solo loro e il mondo fuori da quell’ufficio deserto poteva anche bruciare. Il mondo, però, aveva decisamente altri piani e il loro attimo di follia era stato bruscamente interrotto dal telefono di lei che squillava.

- Sei pericoloso! -, era stata l’ultima frase reale che si erano scambiati, dopodiché tra di loro c’erano state solo conversazioni su vuote formalità. Non era tanto lui ad essere pericoloso, ma erano loro, insieme, a fare un mix imprevedibile e mortale, di questo ne era piuttosto certo. Così come era certo che quell’attimo di follia rubato non fosse solo frutto di un errore, una reazione di istinto ad una situazione inaspettata, di cui pentirsi poco dopo.

Dopo quel pomeriggio Ippazio era certo come non mai di volerla, bramava di sentire ancora le sue labbra morbide, di toccare la sua pelle, di respirare il profumo dei suoi capelli che era così inebriante. Nonostante ciò era convinto che al punto in cui erano, dovesse essere Imma a mostrare un’apertura nei suoi confronti: l’ultima cosa che desiderava era spingerla a fare qualcosa che l’avrebbe portata a sentirsi in colpa e soffrire, era lei in quel rapporto che rischiava di farsi più male poiché aveva molto di più da perdere, anche se era certo che Imma la pensasse nell’esatto opposto.

Il maresciallo però era conscio che certe volte bisogna dare un piccolo aiuto alle emozioni perché vengano fuori: non si sarebbe sicuramente arreso senza combattere, ma le avrebbe fatto, come si suol dire, una corte spietata.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


Disclaimer: non è cambiato niente rispetto ai capitoli precedenti: tutti i personaggi appartengono ai rispettivi autori.


Capitolo Terzo
 

«Diana! Mi serve tutto quello che puoi trovare sulla famiglia Vega, entro ieri grazie!», fece Imma entrando nel suo ufficio a passo marziale e richiudendosi la porta alle spalle con impeto. Erano passati due giorni da quando la nonna di Bea li aveva avvertiti dell’assenza della nipote, avevano cercato di capire che fine avesse potuto fare la ragazza guardando tra le sue cose per trovare un qualche indizio. Stavano brancolando nel buio, non sapevano neppure se si fosse allontanata volontariamente da casa oppure vi era stata costretta. In più, i genitori, avvertiti della misteriosa sparizione della figlia, avevano sentenziato di non poter tornare dal loro viaggio di lavoro prima di una settimana, sostenendo che non avrebbe fatto una grande differenza e comunque c’era lì la nonna se avessero avuto bisogno di qualcosa. Questo comportamento mandava Imma su tutte le furie: non poteva far altro che indagare al meglio delle sue capacità e pregare di non ritrovare il corpo della ragazza in fondo ad un burrone, o in una grotta oppure in un altro posto dimenticato da Dio.

Si lasciò sprofondare sulla sedia dietro la sua scrivania, abbandonando esausta la testa sullo schienale e chiudendo gli occhi. Era così stanca, non si era fermata un attimo in quei pochi giorni e quando tornava a casa il clima non era certamente sereno e rilassato. Aveva discusso aspramente con Valentina non appena aveva provato a farle delle domande sulla sua amica, sua suocera non perdeva occasione per rimproverare il suo atteggiamento nei confronti della figlia, sottolineando che così facendo anche Valentina sarebbe scappata di casa come Bea. E Pietro era un capitolo che in quello stato psicofisico esausto, non voleva nemmeno considerare.

D’improvviso un profumo inconsueto per l’ufficio attirò la sua attenzione: si riscosse bruscamente da quel momento di cedimento e aprì di scatto gli occhi posando lo sguardo sulla scrivania. Sui fascicoli era poggiata un’unica rosa rossa, accuratamente privata delle spine, alla quale era legato un foglio di carta arrotolato.

Il respiro le si bloccò in gola dalla sorpresa e avvertì una stretta allo stomaco di anticipazione: pregava solo di non rimanere delusa come l’ultima volta che aveva ricevuto dei fiori. Slegò il biglietto con impazienza e lo lesse.

 

    Una volta ti ho detto di essere un uomo di poche parole ed è vero: e quelle che io posso tirare fuori sono poca cosa. Per questo voglio prendere in prestito quelle che altri hanno scritto meglio perché tu meriti le strofe più belle fino all’ultimo apostrofo.

 

E a volte penso che tu

Abbia un'anima

Più grande della Terra

Così contieni anche me

E tutte le cose

Così sfuggente, libera

Sai come stringermi senza incatenare

Non sei mai stata mia

Eppure ti ritrovo in me

Come un ricordo senza origine

Cosa vuoi da me?

Lo sai che mi sfiorano

I pensieri che hai

Non li afferro mai

Così immensa e piccola

Come uno stagno di pensieri che

Annega dentro un mare senza nome

Così sfuggente, libera

Sai come stringermi senza incatenare

Non sei mai stata mia

Eppure ti ritrovo qui, senza chiamare

Nessuna firma accompagnava il fiore e il biglietto, ma questa volta non vi potevano essere dubbi sul mittente. Gli occhi le si fecero lucidi dall’emozione, inspirò il profumo della rosa e poi se la passò delicatamente sula guancia, immaginando che fossero le sue dita a toccarle il volto: dischiuse le labbra in un sospiro di desiderio, ma anche di tristezza. Si era resa conto di trovarsi sempre più spesso a pensare a Calogiuri, alla sua dichiarazione e al loro bacio, e a constatare con una fitta di senso di colpa che non ne rimpiangeva nemmeno un istante. La colpa, quella si che era un sentimento che ormai albergava in lei dalla festa della Bruna: provava a dirsi che in fondo non era successo niente di irreparabile, era solo stato un momento di debolezza e che il suo matrimonio era solido.

Ma Imma non era mai stata una donna in grado di raccontare stronzate né agli altri né, a maggior ragione, a se stessa: aveva iniziato a rimettere in discussione la sua intera esistenza, si era chiesta se tutti quei sacrifici autoinflitti e quell’aria di rigore di cui si circondava fossero un modo per difendersi dalle cattiverie e dalle maldicenze che l’avevano sempre perseguitata.

Si sentiva lacerata tra ciò che stava succedendo con Calogiuri e il suo dovere nei confronti della famiglia, di Valentina che stava ancora crescendo e aveva il diritto di avere due genitori che vivessero assieme felici, cosa di cui lei non aveva potuto fare esperienza. E anche verso Pietro aveva degli obblighi, era l’uomo con cui aveva scelto di passare il resto della sua vita, giurandolo davanti a Dio e agli uomini: non poteva gettare al vento tutto questo perché si era presa una sbandata per un altro uomo che, ammettiamolo pure, le faceva provare cose mai sentite prima, ma in fin dei conti Imma non è che avesse tutto questo gran termine di paragone. Pietro era stato il primo e l’unico uomo a chiederle di uscire, l’unico ad averla baciata, l’unico con cui aveva fatto l’amore. Forse era normale che prima o poi avrebbe incontrato un altro che le facesse sentire i brividi per tutta la schiena solo se era nella stessa stanza con lei, ma non per questo avrebbe dovuto gettare all’aria un matrimonio.

Lo squillo del telefono interruppe il filo delle sue riflessioni.

«Amò, ma dove stai?», era Pietro che come suo solito si preoccupava per lei non vedendola tornare a casa alle… 21:30! Ad Imma prese quasi un infarto vedendo l’ora, era stata immersa nelle sue fantasticherie per un tempo assurdo.

«Pietro - sospirò - scusa è che… ho perso la cognizione del tempo, mo arrivo».

«Ti aspetto per cenare allora! Valentina è uscita con alcune amiche, sai è un po’ preoccupata per Bea e…», lasciò la frase in sospeso, quasi aspettandosi che la moglie si prodigasse in una sua tipica sfuriata al sentire che la loro figlia era uscita e non le aveva detto nulla. Ma Imma non era molto in sé in quel momento e non replicò.

«Sto arrivando », si limitò a sentenziare in modo laconico.

 

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

 

«Amò, tutto bene? Non hai detto una parola ».

Dopo la telefonata di Pietro era tornata a casa a piedi, sperando che la passeggiata dalla Procura a casa sua le schiarisse un po’ le idee e le togliesse dalla mente il ricordo degli occhi di Calogiuri durante quella dichiarazione che proprio non volevano lasciarla in pace.

Imma sospirò: «Più o meno… è solo il lavoro».

«Sei sicura? È da un po’ che ti vedo più pensierosa del solito».

Una fitta di colpa la fece trasalire: ma che cosa stava combinando? Si chiese, ma nessuna risposta le arrivò dalla sua coscienza che oggi aveva deciso di rimanere silenziosa. Prese un sorso d’acqua, sperando che il groppo in gola che le si era formato venisse lavato via dal liquido fresco.

«Sì, sono solo più oberata di lavoro del solito tutto qui. Credo che per un po’ rimarrò spesso fino a tardi in ufficio, è una situazione piuttosto strana quella di Bea… Vado a dormire va’, che sono a pezzi: è stata una giornata lunga».

Si alzò facendo per dirigersi verso la loro camera da letto e sprofondare sotto le coperte sperando che il sonno non le sfuggisse e soprattutto che i sogni sul bel maresciallo smettessero di perseguitarla, lasciandola al risveglio in fiamme e con un desiderio che le toglieva il fiato.

- Come mi può mancare ciò che non ho mai avuto?-, si trovò a chiedersi mentre si infilava la camicia da notte, rigorosamente animalier. Non si avvide di Pietro che le si avvicinava fin quando non le cinse la vita da dietro, cominciando a lasciarle una scia di baci sul collo. Si irrigidì per un secondo, poi però si lasciò condurre verso il letto coniugale, lasciando che lui prendesse l’iniziativa per quella volta, poiché lei era li fisicamente, ma la sua mente stava immaginando che le mani che le carezzavano il seno facendole sfuggire un sospiro languido e che le percorrevano il corpo con desiderio non fossero quelle del marito, ma di un certo carabiniere dagli occhi così intensi.   

Quale moglie non l’ha mai fatto, di andare a letto con suo marito pensando a un altro, e abbandonandosi alle carezze coniugali immaginarsi le mani del concorrente, godendo il doppio a causa del tradimento impunito, del quale anzi il tradito viene reso artefice, ricambiando gli abbracci con efferata innocenza e crescente trasporto, disprezzandosi solo per un attimo, senza convinzione, per poi assolversi con ancora maggior gusto, al riparo da ogni infezione, contagio, malattia o vendetta? Oddio, forse non proprio tutte tutte l’hanno fatto. Ma quelle, pensò Imma, si sono perse qualcosa.


- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >
 

L'ultimo paragrafo è tratto da «Via del riscatto» - Mariolina Venezia

La canzone usata nel biglietto di Calogiuri è Schegge di Ermal Meta

A/N: Bene, eccoci qui con un nuovo capitolo! Ringrazio tantissimo chi ha lasciato una recensione ai capitoli precedenti, mi rende veramente felice e mi dà tanta carica per scrivere!
Fatemi sapere cosa avete pensato leggendo questo capitolo! Un bacio a tutti e tanti auguri di buone feste!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


Capitolo Quarto

 

Altri tre giorni erano trascorsi dalla scomparsa di Bea e sembrava che la ragazza si fosse volatilizzata nel nulla tanto era impossibile agli inquirenti trovare alcuna informazione utile su come fossero andate le cose. L’ipotesi più probabile al momento era che la ragazza si fosse volontariamente allontanata di casa, ma Imma aveva la fortissima sensazione che la situazione era più complicata di così.

Aveva passato gli ultimi giorni trincerata in ufficio, cercando di gestire il suo carico di lavoro ordinario e quel nuovo caso, anche se di caso poi non è che si potesse parlare effettivamente. L’altra ragione per cui entrava in Procura alle 7:30 per uscirne a tarda sera era che al momento non era desiderosa di avere contatti prolungati  né con sua figlia che dalla sparizione di Bea era diventata sfuggente ed aggressiva, né con suo marito, nei cui confronti era decisamente indignata e sbalordita per il modo passivo ed eccessivamente permissivo con cui stava gestendo la rivolta adolescenziale della loro figlia. Se fosse stato per lui, Valentina le avrebbe avute tutte vinte; lui le avrebbe permesso di uscire e tornare quando le pareva, anche se il giorno dopo doveva andare a scuola, ogni cosa che desiderava gliela comprava senza battere ciglio. Lasciata totalmente nelle mani di Pietro la loro figlia sarebbe diventata una di quelle ragazzine viziate che non hanno idea di che cosa significhi guadagnarsi qualcosa nella vita e che, alla fine, si ritrovano in qualche guaio, come aveva ormai constatato dopo anni di carriera in magistratura.

Imma aveva tutt’altre idee sull’educazione da impartire ad una ragazza: lei si era praticamente cresciuta da sola, con un padre morto quando era ancora piccola e una madre che faceva i salti mortali per darle una prospettiva di vita migliore. Aveva sacrificato moltissimo per arrivare ad avere la carriera che oggi vantava, e non doveva ringraziare nessuno se non se stessa e la sua ostinazione nel voler a tutti i costi riscattarsi dalla povertà e dall’ignoranza da cui proveniva. Di tutto ciò, si rese conto, Pietro non aveva la minima consapevolezza: lui era vissuto nelle comodità una vita intera, non aveva dovuto fare alcuno sforzo per conquistarsi un posto in questo mondo, anzi, si era accontentato del primo lavoro disponibile a Matera, non aspirando a null’altro se non alla tranquillità della vita di provincia. Non avrebbe dovuto stupirla quindi che con Valentina era così accondiscendente, e non avrebbe dovuto sorprenderla nemmeno il fatto che la loro figlia preferisse il padre, gentile e affettuoso, a lei, spesso brusca ed estremamente realista, ai limiti del cinismo.

Si accorse di aver riletto per due volte la stessa pagina e non se ne era neppure resa conto. Chiuse di botto il fascicolo, non aveva la testa per occuparsi di una denuncia per furto di quattro polli fatta da un contadino della zona. Fece giusto in tempo ad alzarsi che la porta dell’ufficio si aprì e Diana comparve sulla soglia. Aveva l’aria dimessa, un po’ sbattuta e Imma sperò che non riattaccasse un’altra volta con la storia del marito, di Cleo, del divorzio.

«Imma, Vitali vuole vederti nel suo ufficio, non mi ha detto perché».

«E lo so io il perché Diana!», replicò col tono di una sull’orlo di una bella incazzatura.

Si avviò a passo di carica verso l’ufficio del Procuratore Capo, pronta per la battaglia che immaginava sarebbe arrivata di li a poco. Era logico che Vitali la chiamasse per il caso di Bea: non avevano nulla in mano ma lei si ostinava comunque a sprecare tempo e risorse per lavorarci, e quelli giudiziari ancor di più, non importava che fosse la figlia del notaio più importante di Matera, quando si trattava di rientrare nelle logiche dell’austerità a cui erano ridotti gli uffici pubblici, Vitali non avrebbe fatto eccezioni nemmeno per Mattarella in persona. Non che Imma badasse all’importanza delle persone che si trovavano a transitare per il suo ufficio, vittime o imputati che fossero: per lei ogni caso era lo stesso e meritava di essere portato avanti con la stessa dedizione.

«Ah, Dottoressa Tataranni, si accomodi prego», l’accolse vitali con quel tono cortese, ai limiti dell’affettato.

«Di che mi voleva parlare».

«Dottoressa Tataranni, lei si rende conto che ad oggi la signorina Beatrice Vega risulta essersi allontanata volontariamente da casa e quindi il caso non compete agli uffici della magistratura?».

«E lei, dottor Vitali, si rende conto che una ragazzina per arrivare a scappare di casa doveva aver avuto un motivo estremamente serio che noi dobbiamo scoprire per ritrovarla? altrimenti questa ipotesi investigativa non regge e dobbiamo indagare ancora!», replicò lei, iniziando ad infervorarsi.

«Dottoressa! Lei è un magistrato», scandì ogni parola con esasperante lentezza, « lei non fa indagini, per quelle ci pensa la polizia!».

«E certo! Aspettiamo pure che la polizia ritrovi questa ragazza fatta a pezzi e gettata da qualche parte perché nessuno si è preso il disturbo di capire fino in fondo le cose come sono andate!». Si alzò con impeto dalla sedia, buttandola quasi all’aria. «Se lei pensa che me ne starò con le mani in mano ad aspettare… lei non ha capito chi è Immacolata Tataranni!». E se ne andò, non lasciando all’uomo alcuna possibilità di ribattere.

Si era rifugiata di corsa nel suo ufficio, intimando a Diana di non essere disturbata per nessuna ragione. Aveva il respiro affannoso, le mani le tremavano dall’agitazione e dalla collera: voleva urlare per rilasciare un po’ della frustrazione che si era accumulata in lei in quei giorni, e il lavoro era solo una minima parte del problema.

Dopo il primo bigliettino di Calogiuri ne erano seguiti altri, sempre poggiati in modo casuale ora tra le pagine di un fascicolo, ora vicino al pranzo che Diana le procurava perché lei non morisse di fame, troppo presa com’era dal lavoro in quei giorni. La sua presenza aleggiava costantemente attorno a lei ad ogni passo, ma del bel maresciallo nessuna traccia per quasi una settimana. E questo non faceva altro che acuire la necessità di averlo vicino, anche solo per un attimo camminando tra i corridoi.

“Pensi al diavolo ed ecco che spuntano le corna!“, si avvide di un altro foglio di carta che non faceva parte della miriade di incartamenti sulla sua scrivania: questa volta era accompagnato da un tulipano giallo. Se, quando si erano conosciuti, qualcuno le avesse detto che Calogiuri aveva un animo incline al romanticismo e che lei sarebbe stata l’oggetto dei suoi affetti, probabilmente avrebbe riso di gusto cestinando tale eventualità come assurda.

Spiegò il foglio con dita trepidanti impaziente di leggere che cosa le aveva dedicato questa volta: ogni traccia di rabbia che aveva provato tornando dall’ufficio di Vitali era sparita di colpo, cancellata da quella piccola attenzione che stava diventando una costante nella sua giornata.

Potrei stare ore e ore qui

Ad accarezzare

La tua bocca ed i tuoi zigomi

Senza mai parlare

Senz'ascoltare altro, nient'altro che

Il tuo respiro crescere

Senza sentire altro che noi

Potrei stare fermo immobile

Solo con te addosso

A guardare le tue palpebre

Chiudersi a ogni passo

E la mia mano lenta che scivola

Sulla tua pelle umida

Senza sentire altro che noi

Nient'altro che noi

Si chiese se lui fosse consapevole dell’effetto che avrebbero avuto su di lei le cose che le aveva scritto: un calore che non aveva nulla a che fare con la temperatura atmosferica, infatti, l’aveva scaldata ovunque, lasciando la bocca secca, la sua pelle fremente e lo stomaco aggrovigliato in un modo che non era affatto spiacevole. Poggiò la testa sulla scrivania in una rara manifestazione di stanchezza che quasi mai si concedeva: non sapeva quanto ancora avrebbe resistito prima di cedere a quel gioco di seduzione che lui aveva iniziato. Si sentiva colpevole nel desiderare le attenzioni di un uomo che non era suo marito, tutte le certezze a cui si teneva aggrappata ostinatamente da tutta la vita si stavano dissolvendo come un castello di sabbia che viene portato via dalle onde. In quella situazione non c’era un manuale o un codice da cui desumere meccanismi e regole, in quella faccenda stava a lei prendere una decisione e fare la sua mossa: sarebbe stato impensabile, oltre che una tortura per tutte le parti in causa, continuare ancora per molto a far finta che niente era cambiato.

Spense la lampada sulla scrivania: per quella sera aveva indugiato in ufficio abbastanza, non poteva più ritardare il suo ritorno a casa. Uscì dall’edificio e venne accolta da un’aria pungente, presagio del clima rigido che ormai era alle porte, e da strade desolate: affrettò il passo come poteva visti i tacchi alti e i muscoli irrigiditi dal freddo, rimproverandosi per non essersi premunita scegliendo un soprabito più pesante quella mattina.

La sua mente vagava senza seguire un filo logico, senza soffermarsi su un pensiero in particolare come succede spesso quando camminiamo per strade percorse centinaia e centinaia di volte, avendo ormai acquisito una sicurezza tale da riuscire a percorrere quei metri anche bendati. Persa com’era nel rincorrere i fili randagi della sua memoria, Imma non si rese conto che una figura l’aveva seguita fin dall’uscita dalla Procura e stava accorciando sempre più la distanza che li separava.

D’improvviso si sentì afferrare con forza da dietro: fece per urlare ma prontamente una mano le coprì la bocca e l’aggressore la spinse bruscamente verso uno spazio vuoto tra due edifici. Il sangue le si gelò nelle vene e il terrore l’avvinse completamente quando avvertì la pressione di una lama sul collo, abbastanza forte da spaventarla, ma non sufficiente da ferirla, almeno sempre che lei non avesse fatto mosse stupide. E, solo per quella volta, decise che non avrebbe fatto niente di azzardato.

Un alito caldo le solleticò l’orecchio, facendola rabbrividire di terrore: «Signora procuratrice, se sapete quello che è meglio per voi, vi conviene farvi gli affari vostri. Voi a Bea non la dovete cercare, avete capito?». E ribadì il concetto per buona misura premendole con un po’ più di pressione il coltello contro la pelle. «Altrimenti chissà che cosa può succedere. E voi non volete che succede niente a voi o ala vostra figlia, vero dottorè?».

Imma annuì, spaventata come mai era stata in tutta la sua vita: nonostante di minacce ne avesse ricevute, ma mai erano arrivati ad aggredirla fisicamente. L’uomo la lasciò andare di botto e iniziò a correre via, e per poco lei non cadde lunga distesa sull’asfalto. Prese un respiro, e poi un altro per cercare di riacquistare un po’ di controllo sulle proprie emozioni nonostante il forte desiderio di abbandonarsi alle lacrime che erano in attesa negli occhi, pronte per lasciare segni sulle sue guance.

D’istinto afferrò la borsa che chissà per quale miracolo era ancora nella sua mano e non dispersa per strada, e afferrò il telefono, componendo il primo numero che la sua mente in stato di shock era in grado di ricordare.

- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - >

A/N
Ciao a tutti! Dopo le abbuffate festive ecco a voi un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Ringrazio chi ha aggiuto questa stoiria tra le preferite e le seguite e ringrazio anche motlissimo tutti quelli che non mancano di lasciare un commento alla fine della lettura: le recensioni sono la linfa vitale di chi scrive perché aiutano a capire se la direzione presa è quella giusta o se è il caso di correggere il tiro.
Vi ho lasciato con un po' di suspense: chi chiamerà Imma? Cosa succederà con il "caso" che sta seguendo? Non vi resta che aspettare il nuovo capitolo!

Credit: la canzone usata da Calogiuri nel biglietto è "nient'altro che noi" degli 883
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


Capitolo Quinto

 

Un rombo sordo squarciò il silenzio che avvolgeva le strade di Matera e un fascio di luce abbagliò per un istante gli occhi del Sostituto Procuratore Tataranni: una moto si fermò a pochi passi da lei e ne scese un uomo che si avvicinò rapidamente, tenendo un casco in mano e porgendoglielo. Lui fece per dirle qualcosa, ma Imma, intuendo le sue intenzioni, lo precedette perentoria: «Portami via da qua Calogiuri», e gli prese bruscamente il casco dalle mani.

Il maresciallo annuì, ma un’ombra di confusione ed incertezza gli passò negli occhi mentre osservava i gesti di Imma che erano, se possibile, ancor più impazienti del solito: si muoveva con una rigidità inusuale, sembrava come qualcuno che, sotto l’influsso di forti emozioni, cerca con tutte le proprie energie di tenerle sotto controllo, sapendo che se anche un solo frammento scivolasse al di là delle pareti accuratamente erette intorno alla propria anima, si sarebbe spalancato un baratro dal quale sarebbe stato impossibile riemergere in un unico pezzo.

 

Listen while you read

https://open.spotify.com/track/05G23JkXHRv3NJ9hENaafi?si=yT0sMuejRkCD0ejxyU5YfQ

 

 

Il maresciallo condusse entrambi via da quel luogo, lontano dalle stradine poco illuminate del centro della città guidando verso gli spazi aperti della periferia: lei avvolse le braccia attorno al busto di lui, traendo forza e rassicurazione da quella vicinanza e sentendo a poco a poco l’adrenalina scemare dal suo sistema, sostituita dalla paura che non aveva avvertito in precedenza, accompagnata da un inizio di nausea. La consapevolezza di cosa le fosse successo nell’ultima mezz’ora stava prepotentemente prendendo piede nella sua mente, assieme a tutte le implicazioni sottostanti, non solo per il caso. Alle minacce era abituata, erano rischi preventivamente calcolati quando aveva deciso di intraprendere questa professione; fino ad allora, però, erano state solo buste anonime recapitate in ufficio con biglietti dalla credibilità abbastanza discutibile, nessuno aveva mai dato seguito a ciò che minacciava fino a quella sera.

Le girava la testa: per un attimo la vista le si offuscò e lo stomaco le balzò in gola, accompagnato dal cuore che aveva preso a battere ad una velocità forsennata: «Ferma la moto Calogiù!», gli gridò disperata.

Lui non fece nemmeno in tempo ad accostarsi che Imma balzò a terra, cercando nel contempo di liberarsi dal casco e di prendere aria, perché improvvisamente le pareva di avere il petto e la gola in fiamme e nemmeno tutta l’aria del mondo l’avrebbe potuta salvare da quella sensazione di stare per annegare da un momento all’altro, benché non vi fosse acqua attorno a lei.

Calogiuri le si avvicinò e la prese tra le braccia, tenendola stretta contro di lui nonostante i tentativi ripetuti di liberarsi da quella presa che sembrò per un attimo aggravare lo stato di agitazione in cui si trovava: a poco a poco, però, quella morsa di ferro che erano diventate le braccia del maresciallo parve tranquillizzarla, il corpo si abbandonò docile contro il petto di lui, lasciando che questi si facesse carico di tutto il suo peso.

«Dottoressa, che cosa è successo?», le chiese quando avvertì che si era ormai calmata abbastanza e lasciò a malincuore che si allontanasse dalle sue braccia.

Imma si voltò fuggendo quello sguardo blu che chiedeva una spiegazione, appoggiandosi contro il muretto che delimitava il confine della strada oltre il quale vi era soltanto una fitta oscurità. Lo spavento di poco prima era quasi sparito, sostituito però da un altro genere di tremore che le scuoteva il corpo, questa volta decisamente non sgradito.

«Un uomo mi ha seguita uscendo dalla Procura… mi ha detto di smettere di indagare su Bea…», si trovò a sussurrare nel silenzio della notte. «Sto bene», aggiunse vedendo lo sguardo di Calogiuri colmarsi di preoccupazione.

Lui prese a osservarla, cercando segni esteriori dell’aggressione: notò solo in quel momento un’ombra scura sul collo. Le si avvicinò per osservare meglio quel dettaglio, sollevandole delicatamente il mento e per poco non gli sfuggì un’imprecazione.

«Ma voi siete ferita!», Esclamò, seguendo con gli occhi le tracce di sangue sul collo di lei che avevano finito per macchiarle la camicetta.

«Sarà stato il coltello…», si strinse nelle spalle come a voler sottolineare che lo considerava un dettaglio di secondaria importanza.

«Sembra un taglio superficiale, ma deve essere pulito e disinfettato. Aspetta qua che ho del disinfettante sulla moto per ogni evenienza». Si affrettò a recuperare tutto il necessario e le sue mani si mossero con abilità e fermezza pulendo il taglio, ringraziando la sua buona stella che prima di arruolarsi aveva fatto un corso da infermiere e ormai non andava da nessuna parte senza un kit di prima necessità.

Imma chiuse gli occhi che le si stavano riempiendo di lacrime, in parte perché qualunque cosa le stesse applicando Calogiuri sul taglio, bruciava mortalmente, un po’ perché tutta quella vicinanza fisica, aggiunta agli avvenimenti di quella sera che l’avevano scossa non poco, le stava giocando brutti scherzi. Si rese conto che il maresciallo le stava dicendo qualcosa, ma il cervello non ne voleva sapere di dare un senso alle parole, le pareva di non essere in grado di formulare più un pensiero razionale.

«Imma», pronunciò con tono più deciso Calogiuri, scostandole una ciocca di capelli dal viso, lasciando che le dita indugiassero sullo zigomo di lei.

Sentì la pelle bruciare là dove lui le stava carezzando la guancia: qualunque cosa avesse voluto dire venne spazzata via da quella sensazione che le faceva attorcigliare lo stomaco dall’ansia e dalla trepidazione. Anche il buon senso sembrava essere evaporato in quella serata quando Imma gli gettò le braccia al collo, stringendosi al corpo di lui e le loro labbra si unirono in un bacio in cui lasciarono fluire tutti i sentimenti imbottigliati in quei mesi. E il mondo sembrò fermarsi e girare vorticosamente nello stesso momento.

Si staccarono solo quando non era loro possibile ignorare il bisogno di ossigeno e rimasero stretti l’uno all’altra, fronte contro fronte, i respiri che si mescolavano insieme nell’aria frizzante, volendo prolungare il più possibile l’euforia che avevano provato fino ad un attimo prima.

«Sei sicura?»

Lei rise senza allegria: «Mi chiedi se sono pronta a distruggere una condotta di vita quasi trentennale per…», e agitò la mano tra di loro in un gesto vago come se nemmeno lei riuscisse esattamente a trovare una definizione per la loro situazione, «è un po’ tardi dopo tutto no? Ci ho provato a fare finta di niente, ma non smetto di pensarti… non che tu mi abbia reso la cosa facile con i fiori e i bigliettini e il resto».

Calogiuri la guardò con un sorriso timido, portandosi una mano dietro la testa in un gesto di imbarazzo: «Mi ha colto in flagranza dottoressa! Mi dichiaro colpevole…», e la baciò ancora e ancora, volendo cancellare coi baci la lontananza degli ultimi mesi e la paura che lei aveva vissuto quella sera.

 

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

 

Cercò di chiudere la porta il più silenziosamente possibile per non svegliare gli abitanti addormentati della casa. Mise il soprabito all’attaccapanni decidendo di coprirlo con un altro cappotto dopo aver notato lo stato pietoso in cui era ridotto, sgualcito e strappato sul collo: avrebbe dovuto disfarsene alla prima occasione perché non aveva una buona scusa per spiegare la fine ingloriosa capitata a quel capo.

Si sentiva euforica e non poteva smettere di rivivere gli eventi di quell’ultima ora più e più volte nella sua mente, i baci, le carezze e le parole scambiate nel bel mezzo di una strada deserta: si era finalmente arresa ai sentimenti che si agitavano dentro di lei ormai da troppo tempo, buttando al vento ogni cautela e volendo vivere quelle sensazioni con pienezza e abbandono, mettendo da parte ogni pensiero sul futuro al futuro e sulle responsabilità.

Per una volta nella vita stava scegliendo se stessa, assecondando quell’ardore che le scaldava l’anima e le faceva fremere tutto il corpo, quel desiderio che non credeva nemmeno esistente nella sua anima. Voleva, anche solo per un istante, sentire di essere il centro dei pensieri di qualcuno, sentirsi voluta e desiderata come Imma e non come un ideale o un simulacro disegnato per soddisfare una fantasia. Certe volte, con Pietro si sentiva proprio così: un modello di femminilità che lui si era dipinto, in cui a stento lei si riconosceva.

Esitò sulla soglia della camera che condivideva con il marito, osservando la sua figura giacere a letto profondamente addormentata. Un pizzico di colpa ruppe l’idillio di quella serata appena trascorsa con Calogiuri, riportandola crudelmente alla realtà: si stava incamminando su un sentiero irto di pericoli, in gioco c’era molto di più che le loro carriere o il rischio di un trasferimento, se fossero stati scoperti a pagare il prezzo più alto sarebbero stati Pietro e più di ogni altro, Valentina.

Si sdraiò a letto, pregando che suo marito non si destasse dal sonno e chiuse gli occhi avvertendo la colpa depositarsi come un macigno in fondo allo stomaco e sapendo che quello era solo l’inizio: voleva bene a Pietro, ne era sicura, gli era veramente grata, ma non poteva continuare a fingere di provare solo un affetto platonico nei confronti di Calogiuri. Non aveva mai mentito a se stessa, perché avrebbe dovuto iniziare a farlo ora?

 

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

 

«Dottor Vitali, è permesso?».

«Ah, Dottoressa Tataranni prego. A che devo il piacere?», le aveva risposto affrettandosi a riporre nel cassetto della scrivania la sua amata statuina di Pulcinella per preservarla dall’uragano che era in procinto di entrare nel suo ufficio.

Imma, dopo una notte praticamente insonne, era arrivata in Procura di buon mattino, decisa più che mai a proseguire le indagini su Bea e non liquidarle come un allontanamento volontario di una ragazzina problematica.

«Dottore, ieri sera mentre tornavo a casa dall’ufficio, sono stata fermata, diciamo così, da un tizio: facendola breve mi ha suggerito di lasciar perdere Bea altrimenti per me non si mette bene. Se prima non c’era un caso, adesso per me il caso c’è eccome, Dottor Vitali. Altrimenti perché prendersi il disturbo di minacciarmi?».

Vitali la guardò con tanto d’occhi, Imma non sapeva se per le minacce o per il fatto che ne parlasse con una certa noncuranza: aveva già avuto modo di notare nei mesi in cui aveva lavorato per lui che il Procuratore Capo si lasciava allarmare facilmente ogniqualvolta venivano fatte delle intimidazioni ai suoi magistrati.

«Questa volta io le affido veramente una scorta dottoressa, e non voglio sentire ragioni! Mi sembra chiaro a questo punto che qualsiasi sia la ragione per cui Beatrice Vico si è allontanata da casa, c’è qualcosa sotto che non vogliono fari scoprire!».

«Ahh ancora con ’sta storia che è scappata di casa! No, c’è molto di più e io voglio andare fino in fondo! E chi se ne frega delle minacce!», lo disse con una unica emissione di fiato, ribadendo il concetto con un colpo sulla scrivania del povero Vitali, mandando all’aria alcuni fascicoli. “Meno male che Pulcinella è al sicuro nel cassetto“, si ritrovò a pensare sollevato.

«Dottoressa, almeno eviti di andarsene in giro da sola, si faccia accompagnare nei suoi spostamenti, questo me lo può concedere. Anzi, chiamo subito…», tentennò un attimo, cercando di individuare una persona che potesse tenere testa alla Tataranni, «il maresciallo Calogiuri! Lo assegnerò esclusivamente al suo servizio, almeno fino a quando sarà necessario».

Imma annuì, cercando di tenere a bada un sorriso che minacciava di affiorarle alle labbra: tenendo da parte le loro vicende personali, lei e Calogiuri sul lavoro erano un duo imbattibile e, se proprio doveva avere qualcuno a seguirla passo passo, non vi erano dubbi che preferiva che fosse proprio lui.

«D’accordo. Se non c’è altro io torno a lavorare che c’ho un sacco da fare», non aspettò nemmeno la risposta del Procuratore Capo: si affrettò ad uscire con l’immancabile passo marziale che riecheggiava nei corridoi della Procura.

«Dottoressa…»

«Calogiuri!», esclamò Imma chiudendosi la porta alle spalle: era abbastanza frequente che lui l’attendesse in ufficio quando avevano delle indagini in corso, e nell’ultimo periodo, complice un allontanamento reciproco, si era trovata a sentire la mancanza di quella routine che avevano costruito.

«Come stai?», le sussurrò guardandola intensamente: gli leggeva negli occhi un desiderio di annullare quella poca distanza che ancora li divideva e tenerla stretta, come aveva fatto la sera precedente, incurante del fatto che si trovavano a lavoro, ed Imma era abbastanza sicura che lei stessa aveva il medesimo desiderio scritto su tutto il viso.

Si costrinse a resistere a quell’impulso e a sedersi dietro la scrivania come a voler sottolineare un punto molto importante nel loro rapporto: lì, tra quei corridoi, nel tempio della giustizia come avrebbe detto Vitali, loro erano il Maresciallo Calogiuri e il Sostituto Procuratore Tataranni, avevano un ruolo e dovevano attenersi strettamente a quel copione se volevano portare avanti un altro tipo di rapporto fuori da quelle sale.

Calogiuri sembrò interpretare il gesto esattamente per quello che era e le fece un cenno di assenso col capo, prendendo il suo solito posto davanti a lei: «Ho pensato una cosa dottoressa», fece lui, «il computer di Bea… è troppo pulito».

«In che senso Calogiuri».

«Che non c’è niente, nemmeno sui profili social… ci sono solo cose senza importanza, qualche condivisione di video musicali, dei link a pagine di serie tv. Insomma è un profilo pulito, pochissime foto sue, nessuna foto con gli amici».

«E questo in che modo è strano?», gli disse lei incuriosita.

«Ha pur sempre diciassette anni, a quell’età si condivide tutto sui social, soprattutto le foto, e lei non lo faceva, oppure…».

«Oppure usava un altro computer e un altro profilo!», finì Imma, completando come sempre il ragionamento di Calogiuri.

«Bella intuizione!», gli sorrise orgogliosa: era proprio diventato un bravo investigatore, se pensava da dove era partito non poteva evitare di provare uno slancio di compiacimento per essere stata in parte anche lei artefice di questo cambiamento.

«E adesso?»

«Adesso Calogiù dobbiamo cercare il profilo vero di Bea e forse anche un secondo computer. Fai una cosa, fatti dare una mano dal nucleo informatico, con gli smanettoni forse riuscite a trovare qualcosa. Anzi, prima andiamo a farci due chiacchiere un’altra volta con la nonna e a dare un’altra occhiata in casa: in fondo Bea passava più tempo lì che a casa sua, forse ci è sfuggito qualcosa».

Calogiuri la seguì fuori, ma Imma si bloccò improvvisamente con la mano sulla maniglia della porta e lui quasi le finì addosso. «Ah, ti do una notizia sensazionale, - ironizzò, - mi dovrai accompagnare in giro per un po’, Vitali mi ha proposto un’altra volta la scorta ma abbiamo negoziato che avrò sempre qualcuno intorno quando esco dalla Procura. Ti toccherà starmi dietro più del solito Calogiù!».

Lei lo guardava in tralice, col corpo solo per metà rivolto nella sua direzione: Calogiuri le sorrise divertito con l’aria di chi avesse ricevuto un regalo gradito il giorno di Natale e pronunciò uno dei suoi proverbiali “va bene“ che sembravano racchiudere il mondo in tre sillabe. Imma prese un respiro prima di fare qualcosa di cui si sarebbe pentita visto il luogo in cui si trovavano e proseguì nel suo intento originario di andare dalla nonna di Bea.

 

Listen:

https://open.spotify.com/track/0d8ecVQ21crDPnkOmstmig?si=v3jaxYsfQ22ZnWIlD42Jfw

 

Una consapevolezza affiorò prepotentemente nei suoi pensieri, dandole una prospettiva più realistica sulla loro situazione: sarebbe stato difficile mantenere una facciata professionale, la smania reciproca di sentire costantemente l’altro vicino, di toccarsi per rassicurare entrambi che su quella barca stavano salpando insieme, era così forte e straziante che l’autocontrollo proverbiale di Imma vacillava sotto i colpi di quei sentimenti. Iniziò a sorgere in lei il dubbio di aver agito in modo sconsiderato, forse spinta anche dalle forti emozioni vissute la sera precedente e si chiese se non fosse nell’interesse di entrambi chiudere quella parentesi, liquidando tutto come un cedimento momentaneo: in fondo non era successo nulla di irreparabile tra di loro, ci sarebbe voluto del tempo ma sarebbero riusciti a recuperare il rapporto che avevano prima, prima della dichiarazione, prima anche di Roma.

- Ah, Imma, stai vivendo una passione che fino ad ora hai solo letto nelle pagine dei romanzi, un sentimento che molte donne sognano, a cui rinunciano in favore di una tiepida normalità, ma vuoi veramente buttare via  tutto questo? - La Diana-interiore era nuovamente salita sullo scanno della sua coscienza, elargendo consigli con quell’aria sognante da eroina tragica che tirava fuori ogni volta che c’era il profumo di storia d’amore tormentata.

- Diana, la vita non è un romanzo di Jane Austen, dove l’amore sfida le difficoltà e i pregiudizi della società e ne esce trionfante.

- E che soluzione proporresti, sentiamo? Vuoi vivere di sogni da qui alla pensione? E a Calogiuri che dirai? “non sei tu, sono io“ e tanti cari saluti?

- Diana! Ma perché non te ne vai a fare un bel giro?

Lei rise: - Cara Imma, io esisto nella tua mente, non posso andare da nessuna parte, ti toccherà sopportarmi per molto tempo!

Sospirò rassegnata: forse era il caso di trovarsi un buon analista. E subito l’immagine del sogno di qualche mese fa le tornò prepotentemente alla mente: ci mancava anche Vitali in versione Freud e poi avrebbe potuto far concorrenza a Pirandello.

 

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

 

Freddo. Sentiva solo il gelo attorno a sé e i suoi occhi non riuscivano a distinguere alcunché. buio, freddo e dolore erano le uniche cose che le facevano capire che era ancora viva, perché quando muori non senti niente, almeno non senti dolore.

Cercò di tirarsi su dal pavimento su cui giaceva, tentando di assumere una posizione semi-seduta, ma la testa pulsava così forte che non riuscì a fermare i conati che scossero il suo corpo. No, sicuramente non era morta.

Tese le orecchie, cercando di cogliere anche il più piccolo suono, un indizio su dove si trovava, ma un desolante silenzio si prese gioco dei suoi tentativi.

Strinse le braccia attorno a sé per infondersi un po’ di coraggio, di conforto: si impose di non farsi sopraffare dal terrore, doveva essere forte, doveva combattere perché c’era in gioco molto di più della sua stessa vita.

 

 

 

- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - > - > - > - > - > - >- > - > - > - >

 

A/N

Eccoci alla fine di questo quinto capitolo, spero vi sia piaciuto!

Ho deciso di includere i link alla musica che ha ispirato alcune delle parti che ho scritto, fatemi sapere se va bene questo tipo di link oppure preferite collegamenti a YouTube.

Sto cercando di scrivere capitoli più lunghi perciò non so se aggiornerò venerdì oppure direttamente lunedì prossimo, perdonatemi.

Aspetto i vostri commenti, positivi o negativi va bene tutto: per me è molto importante conoscere la vostra opinione ed anche eventuali aspetti di criticità che state riscontrando nella storia. Ogni commento è un tassello in più perché il mio stile migliori e cresca!

 

Vi faccio i più gioiosi auguri per una buona fine e un felice inizio d’anno!

A presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3875562