Indiana Jones e la Forza dei Ricordi

di IndianaJones25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Padre e figlia ***
Capitolo 3: *** Sotto il tempio ***
Capitolo 4: *** Incontri galattici ***
Capitolo 5: *** Riflessioni ***
Capitolo 6: *** Ricordi pirata ***
Capitolo 7: *** La luce delle stelle ***
Capitolo 8: *** Una scia nella notte ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

    Mill Valley, Nord della California, 1975

    Con un gesto seccato, George si alzò dalla poltrona e spense il televisore, che aveva acceso pensando di poter trascorrere un’ora divertente recuperando le repliche che venivano date a notte fonda di quel nuovo telefilm ambientato nello spazio. Invece, ciò che aveva visto in quello scadente show televisivo europeo era tutto fuorché divertente, dato che gli aveva dato la peggior notizia che potesse immaginare.
    Incrociate le mani dietro la schiena, andò verso la vetrata del suo piccolo studio, all’ultimo piano dell’abitazione, e gettò un’occhiata al cortile, avvolto nell’oscurità quasi totale, non fosse stato per il cono di luce proiettata dalla lampada accesa sopra la porta d’ingresso.
    Sospirò, ripensando che era stato proprio guardando in basso, come adesso, che aveva avuto una delle sue intuizioni più geniali. E, modestamente, poteva asserire di averne avute parecchie, di intuizioni geniali.
    Era successo un pomeriggio.
    Sua moglie Marcia era salita in macchina con il loro cane, un imponente alaskan malamute, accomodato sul sedile al proprio fianco. Lui, proprio in quel momento, si era preso una pausa dalla sceneggiatura che stava scrivendo e, appoggiata al tavolo da lavoro la matita, si era alzato ed era venuto alla finestra. Aveva osservato sua moglie fare manovra e allontanarsi a passo d’uomo lungo il vialetto.
    Visti da dietro, lei e il cane, lo avevano come folgorato. Una donna piccola e magra affiancata da un bestione peloso che, con la sua stazza, arrivava quasi a sfiorare il tettuccio. Sembrava davvero che fossero entrambi alla guida del mezzo. Pilota e copilota.
    Quell’idea era rimasta intatta e nessuno gliel’avrebbe più tolta dalla mente. Era perfetta per ciò che intendeva realizzare e l’avrebbe mantenuta, a tutti i costi. Purtroppo, però, avrebbe dovuto scartare l’altra, ossia il velivolo che i due avrebbero dovuto pilotare e che aveva concepito dopo attente riflessioni.
    Un’astronave, certo. Anzi, per come la voleva lui, avrebbe dovuto essere un ufo ma, allo stesso tempo, non essere un ufo. Qualcosa che si richiamasse ai classici film di fantascienza ma, insieme, di mai visto prima al cinema, che sembrasse allo stesso tempo vecchio e moderno, pesante e scattante. Difficile da spiegare non solo a parole, ma anche in altri modi, dato che persino disegnarlo sarebbe stato un problema.
    Tutto per colpa di quella serie tv fantascientifica da due soldi realizzata tra Gran Bretagna e Italia. Era il prodotto più scadente che avesse mai avuto la sfortuna di vedere in vita sua, ma non era quello il problema. Fosse stato solo per quello, si sarebbe ripreso al più presto, da una simile, pessima esperienza. Il problema era semmai un altro, ossia che una delle astronavi apparse nella serie era praticamente identica a quella che avrebbe voluto utilizzare lui per i suoi pilota e copilota. In poche parole, doveva buttare via ciò che aveva già pensato e ricominciare tutto da capo e sforzarsi un’altra volta le meningi per tirarne fuori un’idea semplice ma, al medesimo tempo, unica, che rimanesse impressa per sempre nella mente degli spettatori.
    Si sistemò gli occhiali che gli erano scivolati sul naso e si grattò piano la barba scura, alzando gli occhi al cielo in cui sfolgoravano le ultime stelle, che cominciavano ad abbassarsi verso l’orizzonte in vista di un nuovo giorno ormai prossimo.
    Era tarda notte e non doveva mancare molto tempo all’alba; ma, per quanto si sforzasse, pur non avendo chiuso occhio neppure per un minuto, non riuscì a sbadigliare. Non aveva affatto sonno e provare a convincersi del contrario non sarebbe servito a nulla. Era sempre così: quando un lavoro lo catturava, non riusciva a pensare ad altro e, se non fosse stato per la Coca-Cola e una tavoletta di cioccolato perennemente presenti sulla sua scrivania, si sarebbe scordato persino di mangiare. Però, magari, schiacciare un pisolino non gli avrebbe fatto male e, chissà, in sogno avrebbe potuto ricevere qualche buon consiglio.
    Cominciando a sbottonarsi la camicia di flanella a quadretti rossi, bianchi e blu, voltò le spalle alla finestra e, facendo piano per non disturbare sua moglie che dormiva profondamente, si diresse verso la camera da letto.
    Passando davanti al telefono, però, ebbe un’intuizione. Forse sapeva chi avrebbe potuto aiutarlo. Senza perdere tempo, sollevò la cornetta e, afferrata un’agenda piena di nomi e indirizzi, rintracciò in breve il numero che gli interessava. Lo compose reggendo l’agenda in una mano e tenendo la cornetta in equilibrio tra la spalla e la testa ripiegata.
    Dopo un’attesa che gli parve interminabile, una voce impastata di sonno rispose con una raffica di parolacce a quella chiamata notturna.
    «Sono George» annunciò con la sua voce sottile, non appena la sequela di bestemmie ebbe terminato di risuonargli nelle orecchie.
    «George?!» sbraitò la voce dall’altra parte del filo. «Lo sai che diavolo di ore sono?!»
    L’uomo si grattò la testa.
    «Sì, più o meno lo so…» borbottò. Poi, senza attendere che l’altro replicasse, aggiunse, in tono concitato: «Sono in un mare di guai! Ho urgentissimo bisogno di te!»
    «Guai?» ripeté il suo interlocutore, dal cui tono si intuì come fosse divenuto improvvisamente più attento. «Quali guai?»
    «Non posso dirtelo per telefono, preferisco parlartene di persona.»
    «Mah… d’accordo. Vuoi che ci vediamo domani?»
    George lasciò andare l’agenda con i numeri di telefono e afferrò quella con gli appuntamenti. Sfogliò rapidamente le pagine fittissime di scarabocchi quasi indecifrabili, per poi rispondere: «Domani non posso, ho già un impegno…»
    «Dopodomani, allora?» chiese la voce.
    «Ehm… no. Dopodomani sono occupato…» spiegò George, girando un’altra pagina.
    «Fra tre giorni?»
    George verificò subito. «Temo di non potere, tra tre giorni…»
    L’uomo dall’altro capo del filo cominciava a spazientirsi e non vedeva l’ora di tornarsene a letto.
    «George, che ne dici di dirmi tu quando puoi, così la facciamo finita?»
    George annuì poi, ricordando che l’altro non poteva vederlo, si affrettò a specificare: «Certo, d’accordo, allora fammi controllare…» Sfogliò rapidamente le pagine fitte di appunti, impegni, appuntamenti, promemoria e quant’altro. Il suo tempo libero era praticamente pari a zero. Ma ecco, finalmente, un giorno in cui gli pareva di poter disporre di qualche ora tutta per sé.
    «Tra un mese esatto devo scendere a Los Angeles!» quasi urlò. «Che ne dici? Pensi di potercela fare?»
    «Per fortuna che avevi urgentissimo bisogno di me» commentò sarcasticamente la voce. «Okay, allora ci vediamo tra un mese, a Los Angeles. Dove, di preciso?»
    George inarcò le sopracciglia, pensandoci un momento.
    «Che ne dici del Brown Derby?» domandò.
    «Brown Derby sia» replicò l’uomo, riattaccando subito.
    Rimasto solo con i propri pensieri, George fece un sorrisetto. Forse, in qualche modo, quel suo amico sarebbe riuscito ad aiutarlo. O, almeno, così sperava. Del resto, si disse mentre riagganciava la cornetta e riponeva la sua agenda, la speranza era quella che stava guidando i suoi passi per quello che aveva in mente di realizzare, qualcosa di incredibile che, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, avrebbe lasciato a bocca aperta il mondo intero.
    Sospingendo un’altra volta gli occhiali sul naso, ormai certo di non voler più andare a letto, tornò un’altra volta alla finestra e si perse nella contemplazione degli ultimi astri.
    «In ogni stella c’è una storia» mormorò, proprio mentre una stella cadente attraversava per intero il cielo terso di quella notte che sembrava non avere fine, lasciando dietro di sé una scia luminosa che parve rimanere sospesa nel tempo, prima di scomparire.
    Era una frase che aveva formulato nella mente, senza intenzione di farla uscire dalle proprie labbra, ma la disse quasi a voce alta, come se il pensiero potesse prendere forma; e lui sapeva che ciò era possibile, perché era una storia che sentiva scritta dentro ma che, presto, avrebbe visto realizzata nella realtà. Così come sapeva che in ogni pianeta c'erano personaggi pronti a muoversi ed a compiere avventure straordinarie che nessuno avrebbe mai dimenticato, specialmente se fosse stato lui, con la sua fervida immaginazione, a raccontarle.
    Ma, prima di tutto, per giungere a quell’agognata meta, avrebbe dovuto escogitare trovate davvero geniali, che nessuno potesse replicare battendolo sul tempo.

    Quasi nello stesso momento, a migliaia di chilometri da lì, all’interno di un albergo ai margini delle montagne ricoperte di alberi e celate da una nebbia quasi perenne, un cameriere sbadato, che cominciava a preparare le colazioni per gli ospiti che, tra non molte ore, essendo quasi tutti escursionisti molto mattinieri, avrebbero affollato il salone, inciampò nei propri piedi e rovesciò tutti i piatti che teneva in mano.
    Con un fragore assordante, le stoviglie si infransero sul pavimento di mattonelle di graniglia bianca e rossa, spandendo cocci ovunque; ma, ancora più assordante, fu la strigliata che gli riservò il proprietario della struttura per quella sua goffaggine.
    E il rumore fu tale che, ai piani superiori dell’edificio, in una delle camere affacciata verso i boschi ancora oscuri, anche uno degli ospiti si svegliò di soprassalto, domandandosi che cosa stesse succedendo.
    Giratosi piano nel letto, allungò la mano al comodino ed afferrò il suo orologio da polso, che vi aveva appoggiato la sera precedente; nel buio, con gli occhi ancora un po’ intorpiditi dal sonno, riuscì a mettere a fuoco le lancette fosforescenti, che segnavano le cinque e mezza del mattino. Era ancora abbastanza presto anche se, vista la stagione e la latitudine, sapeva bene che l’alba non avrebbe tardato a fare capolino da dietro le tende che schermavano le finestre.
    Si stiracchiò e guardò verso la figura ancora profondamente addormentata nell’altro letto presente nella stanza. Non c’era alcuna fretta di svegliarla e, considerata la scarpinata che li attendeva, tanto valeva lasciarla riposare ancora qualche minuto.
    Sorrise, accarezzandosi il mento che pungeva sempre più per la barba che, già dal mattino precedente, aveva trascurato di radere, e prestando orecchio al respiro lieve e regolare della giovane ragazza che dormiva serenamente.
    Chissà che cosa stava sognando? E chissà se sarebbe stata felice di essere lì con lui? Quell’esperienza li avrebbe riavvicinati, come sperava, instaurando di nuovo un dialogo, tra loro due, o non sarebbe servita a nulla?
    «Inutile lambiccarsi il cervello, adesso» pensò, scostando le lenzuola ed alzandosi in piedi.
    Si sgranchì la schiena e le gambe intorpidite, poi cominciò a prepararsi, pronto per una nuova avventura.

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Capitolo 2
*** Padre e figlia ***


1 - PADRE E FIGLIA

    Regione di Amazonas, Perù

    In un silenzio quasi assoluto, interrotto solo dai richiami degli uccelli che si celavano tra il fogliame e dal dolce gorgogliare delle acque di un ruscello, le ombre si allungavano come cupi fantasmi tra la fitta vegetazione e la nebbiolina di quella lussureggiante parte della foresta, che si estendeva sul versante scosceso della montagna. Era una zona ancora poco battuta e conosciuta, che riusciva a celare parecchi segreti nonostante la modernità impietosa stesse invadendo sempre di più anche gli ultimi angoli rimasti selvaggi del pianeta.
    Luoghi vergini come quello, in ogni caso, in qualche modo resistevano e, forse, nonostante tutto il cieco e crescente furore distruttivo a cui erano sottoposti di giorno in giorno, sarebbero riusciti a resistere in eterno, perché la natura sarebbe stata sempre capace di dimostrarsi più potente e tenace della sciocca e passeggera vanagloria dell’essere umano e delle sue inutili tecnologie.
       Perché tutte le opere dell’uomo, anche le più ardite e mostruose, in fondo, un giorno sarebbero state nuovamente ricoperte dalla vegetazione, inghiottite dalla foresta e consumate dalla terra o dall’acqua; e questo, a ben rifletterci, era un parere piuttosto confortevole, dato che significava che il mondo, per nulla schiavo dei suoi abitanti più egoisti, sarebbe stato sempre capace di regalare nuovo stupore e nuovi segreti - oltre che vita - anche alle generazioni future, che sarebbero arrivate di lì a dieci, cento, mille o milioni di anni.
       Almeno, questi erano i pensieri positivi e ancora colmi di gioiose illusioni giovanili che attraversavano la mente dell’agile figura che camminava solitaria per quei luoghi, passando di ombra in ombra così rapidamente che, a guardarla, sembrava più che altro una sagoma nera con un cappello a larghe tese calcato in testa. Pensieri profondi che derivavano da uno studio attento della filosofia e dell’antropologia, oltre che dell’archeologia, che era stata la sua prima materia d’interesse sin dall’infanzia.
       Superato con un agile balzo un piccolo corso d’acqua, poco più che un ruscello cosparso di pietrame, che si perdeva con un leggero sciacquio nel folto della boscaglia, la veloce figura raggiunse una radura inondata dalla luce del sole, dove finalmente si fermò, inspirando a grandi boccate l’aria fresca, umida ed un po’ rarefatta dell’alta montagna.
       Da sotto un ampio e floscio cappello di paglia intrecciata, neri, lucidi e spettinati capelli lunghi incorniciavano il viso dolce ma determinato, a cui la natura aveva fatto dono di acuti e brillanti occhi azzurri, di un’adolescente asciutta e minuta, che non poteva ancora avere compiuto i diciotto anni, come si capiva facilmente a giudicare dalla leggera acne giovanile che le spruzzava le guance. La ragazza indossava una camicetta color kaki, legata con un nodo sopra l’ombelico e quasi del tutto sbottonata, e calzava blue-jeans a zampa d’elefante sotto i quali si scorgevano un paio di scarponi consunti, che doveva aver acquistato a una qualche svendita di materiale militare usato. A tracolla portava una borsa in pelle conciata ornata da alcune frange, che rimbalzavano e frusciavano ad ogni suo minimo movimento.
       «Katy!» la chiamò una profonda e severa voce maschile carica di rimprovero, costringendola a voltarsi alle proprie spalle dopo aver sollevato per un momento gli occhi al cielo in maniera contrariata.
       Giubbotto di pelle, frusta alla cintura, immancabile cappello di feltro sulla testa, volto rugoso con le guance incorniciate da un’ombra di barba bianca non rasata, fisico che si portava ancora estremamente bene nonostante non fosse più quello di un giovanotto, dalla boscaglia fuoriuscì a grandi passi Indiana Jones, che puntò dritto contro la ragazzina come un giaguaro sulla preda, scrutandola con aria inflessibile.
       «Katy, ti ho detto e ripetuto mille volte che non devi mai e poi mai allontanarti troppo da me!» tuonò il vecchio archeologo, saettando dagli occhi. «E se ti perdessi? E se cadessi in qualche crepaccio? E se ti imbattessi in una bestia feroce o, peggio, in un dannatissimo serpente…?» A quest’ultima domanda, si guardò attorno con aria inquieta, quasi si aspettasse di vedere uno di quei mostri viscidi e striscianti comparirgli di fronte senza preavviso.
       La giovane sbuffò, sollevando una mano sottile dalle unghie completamente mangiucchiate per scostarsi un ciuffo di capelli parecchio ribelle che le era finito davanti agli occhi.
       «Uffa, Old J! So quello che faccio!»
       «Quante volte devo dirti che voglio essere chiamato “papà”, signorina?» sbottò Jones, appoggiandosi le mani sui fianchi e arrossendo fin quasi alla punta dei capelli incanutiti.
       Odiava quel soprannome che gli era stato affibbiato da quell’adolescente ribelle e insolente ma, per quanti sforzi facesse, non riusciva in nessun modo a toglierle quel brutto vizio. Lei amava prendersi gioco della sua età, lo sapeva fin troppo bene, tanto che scoppiava sempre a ridere senza ritegno quando lui si lamentava di qualche dolore o degli anni che passavano; e, sfrontata com’era, non mancava mai neppure di fargli notare che, con l’ernia che si ritrovava nella schiena ed altre cose simili, non doveva più giocare a fare il ragazzino che andava in esplorazione di luoghi esotici, ma semmai starsene comodamente seduto in poltrona, a leggere il giornale ed a lamentarsi del governo come ogni altro bravo vecchietto. Ma dove diavolo era finito il rispetto dei figli verso i loro genitori?
       Prima che gli venisse in mente un modo efficace per farla stare al proprio posto, però, i suoi occhi notarono la fin troppo audace scollatura di Katy ed ogni altra cosa passò in secondo piano.
       «E, poi, una buona volta, vuoi allacciarti come si deve quella camicia, porca miseria?!» quasi urlò, indicando il punto incriminato.
       «Mica c’è gente a guardarmi le tette, qui attorno!» replicò lei, mordendosi distrattamente l’unghia del pollice.
       «E lascia stare quelle unghie o ti verrà un’infezione!»
       La ragazzina, con aria indifferente alle sue raccomandazioni, sputò la pellicina che si era appena strappata.
       «Old J, sembri la mamma!»
       «Ecco, a proposito, che cosa accidenti pensi che direbbe, tua madre, se tornassi a casa senza di te?» brontolò Jones, ritrovando la calma. «Se ti dico di starmi vicina è perché ho i miei buoni motivi!»
       Katy allargò le labbra in un sorriso che, pur sembrando candidissimo e angelico, non mancò di dimostrare una spietata ironia, decisamente simile a quella che suo padre sfoggiava molto di sovente.
       «Guarda che sono stata io a prometterle che avrei badato a te che avrei fatto in maniera di riportarti a casa tutto intero, Old J.»
       Il coriaceo studioso non rispose, limitandosi a guardare la figlia con un ghigno a metà strada tra il compiaciuto, il rassegnato, il divertito e l’imbronciato, quasi che i suoi sensi si fossero scontrati in un incrocio privo di segnali e non sapessero più a chi dare la precedenza.
       Lui e Marion avevano avuto Katy, la secondogenita, quando erano già un po’ avanti con gli anni, ma questo non toglieva che fossero riusciti a sviluppare con lei - e pure con il terzo ed ultimo figlio nato dal loro matrimonio, Abner - un ottimo rapporto. Non ne avevano discusso, non avevano badato a quello che avrebbe potuto pensare la gente di due persone della loro età con dei figli piccoli, li avevano avuti e basta, Katy pochissimi mesi dopo le loro nozze, Abner un paio di anni più tardi. Avevano semplicemente voluto dei figli, da crescere bene ed insieme, riservando loro amore e intransigenza nella giusta dose, e così era stato.
       Ed il tempo, alla lunga, gli aveva dato ragione.
       Mentre Mutt, il primo dei loro eredi, aveva definitivamente abbandonato la carriera di studente, dopo aver cambiato numerose scuole, per aprire un’officina meccanica a San Francisco, nella quale si dedicava soprattutto alla riparazione di motociclette - e, finalmente, sposatosi e divenuto a sua volta padre, sembrava aver messo la testa a posto - Abner e Katy, dando ascolto ai loro consigli, erano divenuti degli studiosi attenti e diligenti. Abner, timido ed appassionato di letteratura medievale come il nonno paterno e di giornalismo come la madre, era ormai prossimo a completare gli studi liceali con ottimi risultati, mentre Katy, oltremodo vivace e freschissima di diploma, si preparava con entusiasmo ad intraprendere la carriera universitaria per poter diventare archeologa, passione che le era stata trasmessa prima di tutto dal padre e, indirettamente, dal nonno materno.
       E, proprio al padre, la ragazza aveva insistentemente domandato di portarla con sé in qualche spedizione archeologica, perché le mostrasse dal vivo come fosse realmente la vita sul campo di cui aveva tanto sentito parlare, ma della quale, in fondo, non conosceva nulla di concreto. Jones, in un primo momento, era apparso abbastanza titubante al riguardo: quella ragazzina, per quanto diligente, era la copia fatta e finita di sua madre non solo nell’aspetto, ma anche nell’animo, fin troppo simile a quello di un tornado scatenato, il che la rendeva impulsiva oltre ogni limite. E questo, a conti fatti, avrebbe potuto significare una cosa sola: guai. Voleva davvero mettere in serio pericolo sua figlia solo per poterla accontentare?
       Nondimeno, doveva riconoscere che, un giorno o l’altro, oltretutto sempre più vicino, Katy - già di per sé un’adolescente ribelle e spesso irrispettosa - se ne sarebbe andata di casa ed avrebbe cominciato ad agire solo di testa propria, senza che lui o Marion potessero più fare alcunché per poterla controllare.
       Pertanto, dopo averci a lungo riflettuto con la moglie, e dopo essere quasi ammattito per i continui tranelli che Katy gli aveva giocato per convincerlo, aveva deciso che, forse, sarebbe stato molto meglio portarla con sé in quella prima avventura, per insegnarle qualche segreto del mestiere ed evitare che, in futuro, finisse col cacciarsi in brutte situazioni  - o, almeno, che imparasse come fare a venirne fuori senza riportare troppi danni.
       Ecco spiegato, dunque, perché si trovassero proprio lì, in Sud America, nelle foreste che lambivano le montagne dell’interno del Perù; era un luogo che Jones già conosceva bene, avendolo esplorato in passato, ma gli erano giunte certe voci, alle orecchie, e voleva verificarle di persona. E, questa volta, non ci sarebbero stati né Belloq né gli Hovitos a mettergli i bastoni tra le ruote. Almeno sperava.
       «Ci siamo quasi» la informò, lasciando perdere ogni altro discorso inerente la sua andatura troppo sostenuta o il suo modo di vestire. «Quel fiumicello che abbiamo superato poco fa dovrebbe alimentare un laghetto che si trova da queste parti, guarda.»
    Con passo sicuro, senza dubitare neppure per un istante della strada da seguire, come se si fosse trovato a camminare da quelle parti giusto il giorno prima - non per farsene un vanto, ma il suo senso d’orientamento era sempre stato altissimo e non lo aveva mai tradito - la guidò verso le sponde di un piccolo lago limpido e azzurro, circondato, oltre che dalla lussureggiante vegetazione ombrosa, anche da diverse rocce, dall’alto delle quali piovevano della piccole ma incantevoli cascate, il cui gorgogliare delicato giungeva fino alle loro orecchie come una musica soave.
       «Bello» mormorò Katy, incantata da tanto splendore, chinandosi a lambire quelle acque fresche con le dita per poi tamponarsi il petto ed il collo accaldati. «Sembra un paradiso…»
       Jones sorrise soddisfatto, osservando quel luogo entusiasmante con un’espressione quasi vacua.
       «Mi fa piacere che tu lo dica. Sai, quando avevo la tua età, mi fermavo davvero di rado a contemplare la sublime purezza che soltanto la natura sa offrirci e che nessuna delle opere dell’uomo, nemmeno la più ardita e grandiosa, sarà mai in grado di eguagliare, od anche solo di imitare.»
       Katy distolse lo sguardo dalle acque e si concentrò sul padre; era fin troppo abituata - o, per meglio dire, rassegnata - ai suoi soporiferi monologhi da vecchio e cattedratico docente universitario, che spesso si abbandonava ai ricordi di gioventù, ma non le era mai capitato di ascoltare un simile preambolo.
       «Andavo sempre di fretta» continuò Indy, perdendosi nel mare dei suoi pensieri, «con la mente proiettata al domani, lo sguardo rivolto al futuro, oppure al passato, non al qui ed ora.» Fece un sorrisetto amaro. «Ero convinto, come dire, che il meglio dovesse ancora venire, e che il presente, in fondo, non avesse alcun reale significato, se non quello di contenerci in attesa di un maestoso divenire.»
       «E non è forse così?» domandò Katy, incuriosita. «Non sono il passato e l’avvenire ciò che più è importante, Old J?»
       Suo padre scosse il capo, osservando le acque pure del lago e respirando a fondo l’aria frizzante del sottobosco montano.
       «No, non è così» la contraddisse. «Il passato e l’avvenire, Katy, vivono insieme nel presente, ricordalo. Ci vuole tempo, però alla fine lo si impara.»
       «Ma, allora…»
       «Allora mi sbagliavo alla grande» la interruppe suo padre, «perché non riuscivo a discernere la bellezza attorno a me. Oggi, tuttavia, con il cemento che avanza inesorabile, l’inquinamento che minaccia di disintegrare l’atmosfera e le foreste che scompaiono miseramente, mentre l’essere umano nella sua superbia e nella sua ignoranza si arroga il diritto divino a distruggere l’unico pianeta in cui gli sia stata data la possibilità di vivere, amare e svilupparsi, luoghi armoniosi come questi mi risvegliano qualcosa, di dentro, facendomi sentire davvero bene ed in pace, con me stesso e con il creato.» Sorrise di soddisfazione, facendo un gesto con il braccio come a voler abbracciare quell’angolo paradisiaco. «Cosa può esserci di più schietto, genuino e dolce del leggero frusciare delle foglie alla brezza, di un canto di uccelli o di un coro di rane, del tepore della sera, del profumo della nebbia o del calore del sole sulla pelle? Eppure, soltanto adesso che sono diventato vecchio ed il mondo sta poco a poco crollando, mentre i miei giorni si accorciano sempre di più, me ne rendo conto davvero…»
       Anche il viso di Katy fu attraversato da un sorriso, un sorriso così sincero e luminoso che, per un momento, a suo padre parve di vedere un ritratto di gioventù di Marion, quando lo guardava con quegli sguardi innamorati che non avrebbe mai scordato. Fu un’immagine talmente carica di bellissimi ricordi che non pensò neppure per un istante di sgridarla per essersi nuovamente portata il pugno davanti alla bocca ed aver cominciato a mordicchiarsi il pollice.
       «Old J, non sapevo che fossi anche un poeta» lo canzonò bonariamente. «Hai mai pensato di scrivere le tue memorie? Scommetto che scalerebbero le classifiche internazionali dei libri più letti!»
       «Andiamo, ragazzina» sbottò Jones, cercando di non mostrarsi troppo divertito, facendo un cenno secco della mano e voltando immediatamente le spalle al piccolo lago. «Questo vecchio poeta ora ti farà vedere qualcosa che nemmeno ti immagini.»
       Incuriosita al punto che smise di mordersi le unghie, Katy lo seguì per alcuni metri, fino a quello che pareva un declivio ricoperto di erba, alberi e radici contorte su ogni punto, tranne nel mezzo, dove sembrava essere stato eretto un portale, di certo opera della mano dell’uomo, ostruito da un’incredibile ed immensa sfera di pietra perfettamente lavorata, schizzata di muschio e di licheni. La ragazza, vinta dalla meraviglia, si arrampicò con la destrezza di una scimmietta fino a posare la mano sulla sfera, saggiandone con stupore l’impareggiabile levigatezza.
       «Non ci credo!» esclamò, con tale entusiasmo da far levare in volo con strida acute e indignate un nutrito gruppo di ara variopinti che, fino a quel momento, era rimasto posato tranquillo sopra i rami di un colossale albero del kapok lì nei pressi.
       Tutta la sua grande passione per l’archeologia, in quel preciso istante, esplose violentissima, prendendo il sopravvento su tutto il resto, mentre con le dita rovinate tastava quella palla di roccia come se fosse in venerazione. E non era forse proprio così? Ritrovarsi di fronte ad uno dei più inesplicabili misteri americani non era certo cosa da poco!
       «Questa è una di quelle strane sfere che sono state rinvenute soprattutto in Costa Rica!» continuò a dire, parlando con una veemenza tale che, pur essendo ancora un po’ lontani, i vecchi e malconci timpani di suo padre vibrarono paurosamente. «Sono un vero e proprio enigma per la scienza, nessuno sa a che cosa servissero o chi le abbia realizzate davvero! Ma, di così grandi, non se n’erano mai viste!»
       Indy la raggiunse, ansando leggermente per l’arrampicata, e appoggiò a sua volta una mano sulla pietra, facendo un ghigno beffardo mentre ricordi lontani tornavano ad affiorargli nella mente, facendosi più vividi di secondo in secondo.
       «Io una mezza idea su come le utilizzassero ce l’avrei, dato che, a momenti, ci sono quasi rimasto sotto» constatò, senza curarsi di tenere nascosta la propria ironia.
       Katy si volse di scatto a guardarlo dritto in faccia, incredula.
    «Tu… tu sei già stato qui?» domandò con stupore.
       L’archeologo annuì piano. «Ci sono stato, sì. Grossomodo una quarantina d’anni fa, proprio in questo periodo.»
       La ragazza tornò a fissare per un momento la sfera di pietra, sempre più stupita. Era di fronte a una scoperta senza precedenti e suo padre le stava dicendo di averla effettuata tantissimi anni prima, senza che nessuno ne sapesse nulla. Sapeva che suo padre, come archeologo, era sempre stato abbastanza fuori dal comune, ma non sempre aveva prestato fede a ciò che raccontava, perché in certe occasioni credeva che lui si stesse inventando tutto soltanto per farla divertire o prenderla un po’ in giro. Ma, quella che aveva sotto le mani, non era un’invenzione né, tantomeno, una presa in giro…
    Vinta dalla curiosità, si mise a sedere sul tappeto erboso e, dopo essersi coricata di schiena, si sbottonò ancora un po’ la camicia per fare sì che i raggi del sole che filtravano attraverso le fronde intricate degli alberi lambissero la sua pelle già parecchio abbronzata. Fece sì che anche il suo volto fosse in piena luce, dato che sperava sempre che, in questo modo, l’acne che la infastidiva sopra ogni cosa sarebbe scomparsa.
       «Mi interessa, Old J» ammise, portandosi il dito alla bocca. Del resto, per quanto a volte le trovasse sinceramente esagerate e un po’ troppo gonfiate, le piaceva sempre ascoltare le passate avventure di suo padre: erano sempre storie molto divertenti, come quelle che si sarebbero potute trovare in un romanzo o in un film d’avventura. Anzi, per quanto avesse voglia di andare al cinema a vedere Lo squalo, il nuovo film di Steven Spielberg - era stato annunciato per la fine del mese, quindi mancava sempre meno tempo - era sicura che, quella di Old J sarebbe stata una vicenda ancora più entusiasmante. Tenendo gli occhi socchiusi per contrastare i raggi del sole che la colpivano in pieno, sollevò lo sguardo verso di lui e aggiunse: «Racconta.»
       Jones fece un sorrisetto, quindi le si accoccolò a fianco - una pausa non gli avrebbe certo fatto male, dato che cominciava a sentire le sue vecchie e mal lubrificate ossa emettere lugubri gemiti e scricchiolii di sofferenza - e, raccolta un po’ di sabbia dal terreno appena accanto alla grande pietra, se la fece scorrere tra le dita con aria meditabonda, ravvivando i ricordi lontani ma sempre vividi della sua gioventù.
       «Ero riuscito ad acquisire, comprandolo da un anziano antiquario, un pezzo di mappa che, stando alle interpretazioni mie e di un vecchio amico, avrebbe potuto condurre al tempio in cui la popolazione dei Chachapoyan aveva nascosto un prezioso idolo d’oro, un oggetto che, secondo le leggende tramandate da quell’antico popolo ormai scomparso, sarebbe piovuto dalle nubi.»
       «Piovuto dalle nubi?» ripeté Katy, con tono ironico, dandosi un morso così forte al pollice che se lo fece sanguinare.
       Sbuffando, suo padre allungò una mano e la costrinse a toglierselo di bocca.
       «Guarda che cos’hai combinato, sciocchina» la rimproverò. «Un giorno o l’altro dovranno tagliarti via le mani, vedrai.»
       «Ma finiscila, Old J, per un graffietto!» sbottò di rimando lei.
       Jones tolse dalla borsa che portava a tracolla un kit del pronto soccorso e glielo consegnò, guardandola con somma attenzione affinché si medicasse al meglio la ferita. Nel frattempo, riprese il suo discorso.
       «Io e il mio amico, che si chiamava Marcus, ci demmo da fare e, ben presto, scoprimmo che due tizi peruviani, due soci, Satipo e Barranca, parevano essere in possesso dell’altra metà della mappa. Sapevo bene di non potermi fidare di quei due, tizi loschi che avevano la fama di essere dei ladroni, se non di peggio, ma decisi che, per una volta, il gioco avrebbe potuto valere la candela.» Fece una brevissima pausa per schiarirsi la gola. «Non avevo tempo da perdere, anche perché avevo sentito che due miei rivali, Forrestal e Belloq, erano a loro volta - in maniera separata - sulle tracce dell’idolo d’oro, e già da almeno un anno. Se Forrestal lo avesse trovato prima di me, tutto il merito sarebbe andato all’Università di Princeton, e noi del Marshall College saremmo rimasti con un pugno di mosche; tra di noi, era in atto una vera e propria corsa ai reperti archeologici che durava ormai da una decina d’anni, se non di più.»
       «Non mi sembra il corretto approccio accademico, questo» commentò sarcasticamente Katy, finendo di avvolgere il taglio con un cerotto. «L’archeologia non è una gara…» Resistette alla tentazione di ficcarsi un altro dito in bocca e, riconsegnata la scatolina al padre, afferrò una ciocca di capelli e cominciò a studiarsi le doppie punte.
       Indy scrollò le spalle, riponendo il kit nella sua borsa.
       «Non lo è più oggi, magari, ma una volta si ragionava in maniera un po’ differente. In effetti, i tempi sono cambiati parecchio, da allora, sembra proprio che l’ultima guerra sia stata lo spartiacque tra due mondi completamente differenti, quasi privi di contatti tra di loro… In ogni caso, per tornare a noi, non era certo Forrestal a destare le nostre preoccupazioni.» Si interruppe, mentre il sangue gli ribolliva nelle vene al solo ricordo del dannato francese che, per un grossolano errore di valutazione di cui si era amaramente pentito, una volta aveva chiamato “amico”. «Perché, se a rinvenirlo per primo fosse stato Belloq, sarebbero stati guai seri, dato che quell’avido mercenario non aveva alcun interesse per la ricerca storica e si limitava a raccattare il maggior numero possibile di oggetti preziosi, senza farsi alcuno scrupolo nel ricorrere anche al più sporco dei mezzi per riuscirci, per poi rivenderli al miglior offerente. Così, in fretta e furia, giunsi in Perù e contattai Satipo e Barranca, trovandoli in una bettola impegnati in una rissa che stavano miseramente perdendo.»
       Katy, che aveva cominciato a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli nerissimi, visto che le sue unghie malmesse e troppo corte non le avevano consentito di strapparsi le numerose doppie punte che aveva individuato, non riuscì a trattenere una risatina.
       «Certo che avevi proprio dei begli amici, da giovane.»
       Jones scrollò le spalle. «Altri tempi, davvero. Tutto era più difficile e bisognava spesso ricorrere a mezzi oggi poco ortodossi e convenzionali per riuscire a venir fuori da situazioni davvero complesse e insormontabili…»
    «Old J, a sentirti parlare, sembra che tu abbia trascorso la giovinezza nel Paleolitico superiore!» lo prese in giro sua figlia, continuando ad accarezzarsi i capelli. «Di un po’, andavi anche a caccia di mammut, a quei tempi? E usavi la lancia con la punta di selce o preferivi fare tutto a mani nude, come un vero e rude uomo delle caverne?»
    Indy le indirizzò uno sguardo divertito. Possibile che Katy fosse sempre tanto irriverente? Eppure, non riusciva affatto ad arrabbiarsi con lei, quando faceva così, e, anzi, si sentiva vincere da un moto d’affetto ancora più grande, quando lei lo derideva, perché era anche quello un modo, per quanto strano, di dimostrare quanto gli volesse bene. Non poteva non sentirsi profondamente felice di avere avuto quella bambina - per lui sarebbe rimasta per sempre la sua bambina, anche quando si sarebbe sposata o avesse avuto a sua volta dei figli - e bastava una sua semplice parola per farlo sentire un genitore del tutto appagato. La sua famiglia, ormai, era davvero tutto per lui, era quanto di più importante ci fosse, anche più delle grandi scoperte che, per tutta la vita, lo avevano attirato nei luoghi più lontani e irraggiungibili… ed era certo che, riguardo a ciò, niente e nessuno avrebbe più potuto fargli cambiare idea.
    «Fai meno la spiritosa» la redarguì con un sorrisetto, senza riuscire nemmeno per sbaglio a sembrare indispettito. «Comunque, a suon di calci e cazzotti tirai quei due fuori dai guai e feci loro la mia proposta: andare insieme nella foresta, fino al punto che conoscevo io, e da lì proseguire basandoci sulla loro parte di mappa.»
       «A calci e cazzotti si risolve sempre tutto» ammise la figlia, ammiccando e iniziando a tormentarsi con un certo nervosismo le guance imporporate. «C’era una dannatissima stupida, a scuola, che mi prendeva in giro per i brufoli, come se soltanto lei fosse quella bella! Che poi bella è proprio una parola grossa! Sembrava una di quelle orripilanti bambole di plastica con cui giocano le smorfiose marmocchie come lei! Be’, a un certo punto non ci ho più visto e le ho insegnato io a smetterla e a rispettarmi! Dopo l’ora di ginnastica l’ho aspettata nella doccia e, appena ha cominciato a lavarsi, le ho mollato un pugno sul naso così forte che l’ho ribaltata e, quando è stata giù a terra, le ho assestato un paio di pedate nella…»
       «Non voglio sentire altro!» sbraitò Jones, obbligando un’altra volta a fuggire in volo con strida sdegnate i poveri ara che erano appena tornati a posarsi sul loro albero. «Non so chi accidenti ti abbia insegnato certe cose, ma…»
       «Come chi?!» rise Katy, tornando a portarsi i capelli di fronte agli occhi per cercare di individuare le doppie punte con il rischio di diventare strabica. «Ma se tu e la mamma non parlate d’altro di quando prendevate a calci in culo i tedeschi e i russi!»
       «Erano…» cominciò a dire Indy.
       «Sì, altri tempi, me lo dici sempre!» lo prevenne la figlia, prendendo mentalmente nota dei problemi della sua acconciatura per quando fossero tornati in albergo, dove aveva lasciato le forbici per poterla sistemare. «E cosa mi dicevi, di quei vecchi tempi andati, Old J?»
       Jones la scrutò per un istante, come sempre senza capire se lei si stesse divertendo a prenderlo in giro o meno, quindi ricominciò a parlare della sua lontana avventura in Perù.
       «Dopo averci riflettuto per un po’ - non brillavano certo per intelligenza, qui due - Barranca e Satipo accettarono e, così, partimmo insieme verso questa regione. Fu un viaggio pieno zeppo di pericoli e, ad un certo punto, accadde esattamente quello che mi aspettavo: la prima volta che tirai fuori la mia parte di mappa, Barranca tentò di togliermi di mezzo, liquidandomi con un colpo di pistola nella schiena.» Indy portò una mano alla sua vecchia e fedele frusta e l’accarezzò adagio, rivivendo il momento in cui l’aveva fatta saettare con uno schiocco sonoro, strappando la rivoltella dalla mano del predone e costringendolo a darsi alla fuga nella giungla, da dove non era uscito vivo, essendosi imbattuto in Belloq e negli Hovitos. «Gli andò male.»
       «E poi?» lo incitò Katy, che non vedeva l’ora di saperne di più. «Che cosa accadde, dopo?»
       «Rimasti soli, io e Satipo giungemmo qui, esattamente dove ci troviamo noi due adesso. Questo, una volta, era l’ingresso del tempio dei Chachapoyan.»
       «Una volta?» domandò la ragazza, senza capire esattamente il significato di quelle parole. «In che senso, una volta?» Suo padre si stava forse prendendo gioco delle sue competenze o, più semplicemente, si stava rimbambendo per via della sua età? «Un ingresso rimane un ingresso per sempre, Old J.»
       Jones ammiccò. «Hai ragione, certo… Ora ti spiego. Appena fummo dentro, ci accorgemmo che il posto era stato riempito di trappole e di trabocchetti veramente ben congegnati, ancora perfettamente funzionanti nonostante fossero stati costruiti centinaia di anni prima.»
       «Trabocchetti…» sbottò Katy, con tono sarcastico. Incapace di resistere oltre, prese a mordersi il mignolo della mano sinistra. «Ora, secondo me, esageri… queste cose non si vedono neppure nei film, al massimo solo nei fumetti di Barks! Hai letto Zio Paperone e le sette città di Cibola? È una delle mie preferite… ma quelle cose accadono solo nei fumetti, appunto!»
       «No, non leggo i fumetti, perché ho cose più edificanti a cui dedicarmi, io» grugnì suo padre. «E te ne potrei raccontare di belle, riguardo a Cibola…»
    «Ora, però, cerca di non divagare troppo, se no rischiamo di rimanere qui fino a domani!» replicò la ragazza, continuando a rodersi l’unghia. «E, comunque, continuo a sostenere che ti stai inventando un po’ troppe panzane… Non ho più cinque anni, Old J!»
    «Non mi sto inventando assolutamente nulla!» la corresse suo padre, un po’ offeso per la sua mancanza di fede nei suoi confronti. «C’erano davvero trabocchetti mortali, lì dentro. Anzi, come mi resi conto molto presto, di uno di questi congegni era rimasto vittima il povero vecchio Forrestal, ormai ridotto a una mummia polverosa, con delle lance che lo attraversavano da parte a parte e…»
       «E insomma, basta!» lo interruppe la figlia, disgustata. «Non vuoi ascoltarmi quando ti racconto che cosa ho fatto a quella cretina di Elaine nella doccia… e neppure alle sue stupidissime amiche… però tu i discorsi schifosi mica me li risparmi!»
       «Mettere al tappeto una ragazzina indifesa, tra l’altro cogliendola di sorpresa nel momento peggiore…»
       «Era nuda sotto la doccia e stanca per la ginnastica, e allora?» si impuntò Katy, quasi rabbiosa. «Lo ero anche io! Inoltre, lei faceva parte della squadra delle cheerleader e se ne vantava sempre, quindi qualche muscoletto poteva pure averlo, nascosto da qualche parte! E le sue amichette mi sono saltate addosso tutte insieme per vendicarla, dopo. In otto contro una!»
       «Ah» borbottò Indy. «Questo non lo sapevo e non è affatto giusto.» Preoccupato, guardò la pancia ed il petto della figlia, in cerca di eventuali ematomi. «Ti hanno fatto molto male? Perché non me ne hai parlato prima?»
       «Mi hanno tirato i capelli, quelle stupide! Per poco me li rovinavano! Ma le ho conciate per bene! Dopo quella volta, mi sono state tutte alla larga, schifose!»
       Jones avvertì una nota di dolore nella voce della figlia.
       Sapeva fin troppo bene che Katy era molto irruenta e che, per questo motivo, faticava a farsi degli amici, specialmente tra le sue coetanee, che spesso la deridevano per via dell’età dei suoi genitori, che in genere era quella dei loro nonni. Per questo motivo, quando rientrava da scuola, era spesso musona e si sfogava prendendosela con il fratello, con il quale faceva a botte anche troppo di sovente. Per quel che ne sapeva, sua figlia non era stata affatto dispiaciuta di conseguire il diploma e dire per sempre addio al liceo.
       Ogni tanto, poi, usciva con dei ragazzi, dei mezzi teppistelli che lei, scalmanata com’era, pur essendo così minuta riusciva perfettamente a tenere in riga, apparendo di fatto come il loro leader; oppure - appena ne aveva occasione - saltava su un aereo e volava in California, da suo fratello Mutt, che era l’unico con cui riuscisse a mantenere costantemente un buon rapporto.
    In genere, però, era sempre da sola e questa cosa rattristava tanto lui quanto Marion che, però, non sapevano come fare per rimediarvi, anche perché lei, con loro due, si apriva decisamente poco. Certo, la giovane voleva bene ai suoi genitori esattamente come loro ne volevano a lei ma, parecchie volte, sembrava quasi sentirsi in soggezione, vicino a loro, e preferiva allontanarsene.
    Era un vero e proprio lupo solitario, quella ragazzina, e lo era diventata ancora di più ultimamente: sebbene fosse stata contenta di non dover più fare ritorno in quell’istituto che, col tempo, aveva finito con l’odiare, da quando la scuola era terminata Katy si era fatta ancora più cupa del solito, tanto che trascorreva intere giornate chiusa in camera sua, sdraiata sul letto ad ascoltare a ripetizione un rimbombante e rumoroso LP dei The Runaways. Sembrava quasi che soffrisse per qualcosa, qualcosa di cui, però, non aveva voluto parlare con nessuno, tantomeno con i genitori, che si erano inutilmente lambiccati il cervello nel tentativo di capire che cosa potesse aver reso così cupa quella che, fino a pochi mesi prima, era stata una ragazzina a tratti scontrosa e lunatica ma, perlomeno, parecchio solare.
       Alla fine, non sapendo più che pesci pigliare per tirarla fuori dalla sua stanza, nonché stanco di sentirle uscire di bocca ormai soltanto quel mantra, ossia la richiesta di farle vivere un’avventura delle sue, suo padre aveva accettato di portarla lì, tra le foreste del Perù, speranzoso di migliorare il loro rapporto, un tempo molto spontaneo ma divenuto così complicato negli ultimi anni; adesso, tuttavia, Indy cominciava a credere di essersi sbagliato: forse, sarebbe stato meglio rimanersene a casa ad affrontare i problemi adolescenziali di Katy insieme a Marion, piuttosto che gettarsi subito in mezzo a luoghi impervi e selvaggi. Certo, condurla in quei luoghi l’aveva effettivamente aiutata a ritrovare la capacità di comunicare con lui, ma non si sarebbe mai aspettato di dover ascoltare alcune delle cose che lei gli stava dicendo, in particolare quelle riguardo il suo legame molto più difficile di quanto avesse potuto immaginare con le compagne di scuola.
    Indy sospirò. Alle volte, temeva di essere troppo vecchio per poter fare da padre a Katy. Ciò nonostante, non credeva di avere nulla di cui rimproverarsi: aveva rimediato agli errori che aveva commesso con Junior - nei cui confronti, lo sapeva bene, e ciò ogni tanto gli procurava ancora molto dolore, si era comportato esattamente come il vecchio Senior aveva fatto con lui - e aveva cercato di non ripeterli più né con Katy né con Abner. Certo, qualche volta, non resistendo a quell’irrefrenabile richiamo, partiva ancora per l’avventura, pronto a gettarsi in folli e scalmanate imprese, però poi tornava sempre da loro e dalla moglie, perché erano loro soltanto, adesso, il suo destino, ciò che maggiormente gli donava la voglia di continuare a vivere.
    No, non credeva di aver sbagliato con qualcosa, con la figlia. Se tra di loro faticavano a parlare, doveva essere per qualche altro motivo, presumibilmente legato all’età complessa che Katy stava attraversando. E, dunque, stava a lui di dimostrarsi capace di svestire i panni del vecchio autoritario per riuscire a entrare nella mente di questa giovane e turbolenta adolescente. Non sarebbe stato semplice e, quasi con certezza, non ci sarebbe mai neppure riuscito del tutto, ma avrebbe dovuto perlomeno provarci.
    Probabilmente, questo non era né il luogo né il momento più adatto ad affrontare lo spinoso argomento ma, visto che era stato tirato in ballo, forse era il caso di parlarne subito, anche perché, visti gli atteggiamenti della figlia, non sapeva quando gli si sarebbe presentata una nuova occasione per farlo.
       «Katy, lo so che essere offesi non è bello e che la voglia di menare le mani contro chi ci manca di rispetto è sempre tanta» cominciò a dire Jones, «però dovresti anche imparare ad accettare gli altri come sono ed a farti scivolare addosso gli insulti…»
       La figlia lo guardò con tanto d’occhi.
       «Old J, mi hai insegnato tu la lotta libera!»
       «Già» borbottò Jones, quasi a disagio, «e tu ci hai messo del tuo facendoti dare pure lezioni di arti marziali da Shorty. Ma…»
       «Ma cosa?» lo rimbrottò lei, passando dall’unghia del mignolo a quella dell’anulare che, adesso che aveva finito di masticare l’altra, le sembrava alquanto asimmetrica. «Se uno impara a guidare è perché vuole andare in macchina, no? Mica per lasciarla parcheggiata in garage.»
       «Che razza di paragone sarebbe?»
       «Sarebbe che non ho certo imparato a fare a botte per poi starmene buona e in silenzio davanti a tutto e a tutti!» mugugnò lei.
       Jones scosse il capo. Sua figlia era una furia scatenata e, prima o dopo, con questa sua condotta, sarebbe finita nei guai, ne era sicuro. Era una questione genetica, visto che aveva nelle vene il sangue turbolento che le avevano trasmesso lui e Marion, e da questo punto di vista non ci si poteva proprio fare nulla. Perlomeno, poteva ancora dirsi fortunato che lei, come invece avevano fatto troppi suoi giovani compagni di scuola, non si fosse fatta trascinare nel tunnel della droga. Ne aveva visti parecchi, anche a Bedford, fare quella gran brutta fine, ridotti a morti viventi in attesa soltanto di morire in maniera definitiva.
       «Katy…» sospirò. «Non puoi semplicemente startene lontana da quelle ragazze e rimanere con le tue amiche?»
    La figlia distolse lo sguardo dal suo, concentrandolo sulle punte delle proprie scarpe che, all’improvviso, le sembrarono parecchio interessanti.
    «Certo…» rispose, a mezza voce. «Certo che posso…»
    «Qualcosa non va?» domandò Indy, guardingo.
    «Nulla» si affrettò a dire lei, scuotendo la testa. Ancora una volta, dopo aver concesso loro solo una brevissima tregua, cominciò a mordersi le unghie delle mani.
    Jones si sentiva un po’ inquieto. In tutti gli anni del liceo, Katy non aveva mai invitato a casa neppure un’amica, per studiare insieme, fare una festa o trascorrere in qualche maniera il tempo insieme. Non vi aveva mai fatto caso più di tanto ma, ripensandoci adesso, quel comportamento cominciava a sembrargli un po’ troppo strano. Era come se sua figlia preferisse soltanto la compagnia maschile e aborrisse quella femminile.
    «Katy» disse, cercando di assumere un tono fermo e autorevolmente paterno. «Io lo so che tu hai quei tuoi amici, tutti maschi, con cui ti vedi ogni tanto. Dei poco di buono, a mio avviso…»
    «Sono tutti bravissimi!» li difese Katy, alzando di nuovo gli occhi, stavolta accesi di una luce risoluta, in quelli del padre. «E, soprattutto, hanno bene chiaro in mente chi è che comanda: io!» Fece un sorrisetto da monella e continuò a fissare il padre quasi a volerlo sfidare a contraddirla.
    «Non dico di no» si arrese Jones, grattandosi il mento. «Quello che voglio dire, semmai, è che una ragazza della tua età dovrebbe passare un po’ più di tempo con delle coetanee…» Si interruppe, masticando per un attimo i pensieri, prima di specificare perché non ci fosse alcun tipo di dubbio in proposito: «Coetanee femmine.»
    La ragazza si sentì avvampare e, ancora una volta, si affrettò a guardare altrove, quasi temesse che, attraverso gli occhi, suo padre potesse leggerle nella mente, scoprendo ciò che si portava dentro da tanto tempo senza riuscire a dirlo a nessuno.
    Non aveva nessun’amica, ecco tutto, questa era la verità, la verità che non avrebbe mai confessato ad anima viva, men che meno a Old J. Era una cosa che la faceva sentire male e strana, ma proprio per questo riteneva di non poterne parlare con altre persone, perché nessuno avrebbe capito il suo subbuglio interiore.
    Aveva cercato di farsene, all’inizio, il primo anno di liceo, ed in qualche modo c’era anche riuscita. Ma, poi, quella cretina di Elaine - la classica bellona per cui tutti i ragazzi sembravano sbavare senza ritegno, che faceva capriole oscene nella squadra delle ragazze pompon e che, per questo motivo, si considerava quasi una specie di divinità - aveva di punto in bianco deciso che lei doveva essere isolata e derisa da tutte, per qualsiasi motivo; ed il suo verbo era diventato velocemente legge. A quel punto, l’unico modo per farsi valere lei lo aveva trovato nel risultare manesca e cattiva verso chiunque le mancasse di rispetto.
    O, meglio, non proprio verso chiunque. Con Lorene era differente, tutto.
    Lorene faceva parte della cricca di Elaine, questo sì, ma era buona, di una pasta completamente differente; perché lei, a rischio di farsi a sua volta isolare dalle altre, aveva sempre preso le sue difese e le si era dimostrata amica fin dall’inizio, continuando ad esserlo per tutti gli anni della scuola, senza curarsi delle frecciate pungenti che, per questo motivo, le arrivavano da parte di Elaine. Lorene le voleva bene davvero e glielo aveva dimostrato ogni giorno, confortandola, dimostrandole un affetto incondizionato e abbracciandola quando la vedeva più triste del solito.
    Solo che in quegli abbracci, dati ovviamente soltanto per ribadirle il suo amore fraterno, Katy aveva sentito qualcosa di diverso, qualcosa che non era neppure riuscita a capire e a spiegarsi, qualcosa che le sfuggiva… era sicura che fosse solamente amicizia, quella che provava per Lorene, perché in fondo non poteva esserci null’altro tra due ragazze, ma…
    «Lei è speciale» si ripeté per la milionesima volta, mordendosi piano le labbra, mentre l’immagine della giovane amica tornava a fare capolino nella sua mente. «Lei è la mia Lorene, ecco tutto… non avrò mai più un’amica come lei.»
    Però, ormai, la scuola era finita e Lorene, che era stata costretta a trasferirsi a vivere lontana subito dopo il diploma per poter frequentare l’università, le mancava da matti. Le mancavano le sue parole, i suoi sguardi, il suo profumo… le mancava poterle stare accanto e non sentirsi più vulnerabile… E non era soltanto quello, perché c’era dell’altro, qualcosa che, ancora, la lasciava scombussolata di dentro, mozzandole il respiro in gola e togliendole la possibilità di capire che cosa fosse giusto e che cosa non lo fosse, sempre che una tale distinzione, poi, esistette per davvero, in un caso come il loro.
    Chiuse un momento gli occhi, rivivendo il momento in cui si erano salutate, nella calda mattina di primavera in cui avevano ritirato i loro diplomi, sancendo in tal modo la fine di quel lungo e difficile percorso iniziato cinque anni addietro.
    «Katy» aveva mormorato Lorene, la voce rotta, stringendola in uno dei suoi caldi abbracci, quegli abbracci che erano sempre stati capaci di regalarle sollievo e un calore che non aveva nulla a che fare con il clima. «Mi mancherai tantissimo. Ci terremo in contatto, non è vero?»
    La giovane non era riuscita a rispondere, soffocata dalle lacrime che le rigavano il volto, mentre si aggrappava a lei quasi non volesse più lasciarla andare.
    «Tesoro, non piangere» le aveva sussurrato l’amica, asciugandole gli occhi con delicatezza e, intanto, senza riuscire a trattenere le lacrime che a sua volta aveva cominciato a riversare.
    Subito dopo, era successa una cosa che Katy non si sarebbe mai aspettata, neppure nel più intimo e segreto dei suoi sogni: Lorene l’aveva guardata per un istante negli occhi umidi con uno sguardo indecifrabile e, poi, l’aveva baciata. Non un bacio d’addio sulle guance, ma sulla bocca, un bacio pieno di passione e di sensualità.
    Katy, confusa e vinta da mille emozioni differenti, aveva dapprima accolto quel bacio, come se fosse stato la cosa più naturale del mondo; poi, in un impeto di lucidità, aveva cercato di resistervi, credendo che fosse quanto di più sbagliato potesse esserci. Infine, però, vi si era arresa, abbandonandosi completamente, con tutta se stessa, alle intense emozioni e sensazioni che le stava donando e dimenticando tutto il resto in quel dolcissimo oblio, lasciando che le loro labbra si unissero e che le loro lingue si intrecciassero.
    Era stato breve, della durata di un lampo, eppure così inteso che pareva essere durato per un’eternità intera.
    E, in conclusione, era semplicemente rimasta lì, imbambolata, a guardare Lorene staccarsi da lei, rivolgerle un ultimo languido sguardo - insieme triste per la loro separazione e felice per quello che finalmente era accaduto - e, poi, allontanarsi; era rimasta ferma sul piazzale della scuola inondato della luce del sole, ancora piangendo e chiedendosi che cosa fosse successo, che cosa fosse stato quel brivido che aveva sentito, rodendosi di dentro per cercare di capire che cosa davvero Lorene provasse per lei e lei per Lorene… e, dopo un mese da quel giorno, ancora si leccava le labbra cercando di sentirvi il sapore che vi aveva lasciato lei e ponendosi quelle stesse domande a cui non era più riuscita a dare una risposta soddisfacente, quelle domande che l’avevano portata a isolarsi da tutto e da tutti, perlomeno fino a quando Old J non le aveva proposto quel viaggio inaspettato, a cui lei si era affidata con la speranza che potesse aiutarla a superare quella specie di trauma, o qualsiasi cosa fosse, dato che non riusciva ancora a spiegarselo…
    Solo di una cosa era certa: suo padre, di tutta quella storia, non avrebbe mai dovuto sapere niente di niente, perché vi avrebbe capito ancora meno di lei e, forse, ne sarebbe anche stato spaventato.
       «E dai, Old J, finisci di raccontarmi del tempio!» esclamò quindi, per riportare la conversazione lontana da quel campo decisamente minato. Come segno di buona volontà, si tolse platealmente il dito di bocca e si infilò entrambe le mani sotto il sedere.
       In quanto a Indy, pensò di accontentarla. Quello era un discorso su cui sarebbero dovuti tornare di nuovo, chiaro, soprattutto appena lei si fosse iscritta all’università, ma non gli pareva una questione che si potesse affrontare nel folto di una foresta umida, sdraiati all’ingresso di un antico tempio mezzo crollato.
       «Okay, ti dicevo di Forrestal che finì nella trappola, giusto?»
       «Giusto» confermò Katy, cercando di non pensare all’immagine stomachevole dell’archeologo trafitto dalle lance.
       «Be’, mi dispiacque per lui, perché era un vecchio concorrente, rognoso ma onesto» riprese a raccontare Jones, scrollando le spalle. «Ma, come dicevano i latini, mors tua vita mea. In ogni caso, io non mi faccio mettere nel sacco tanto facilmente, così riuscii a fare sì che io e Satipo potessimo superare indenni ogni pericolo, fino a quando giungemmo davanti all’idolo.» Il suo tono divenne sognante, mentre riviveva la medesima e intensa emozione provata allora, quando aveva visto quello sfolgorante bagliore dorato emergere nel buio e nello squallore dell’antico tempio in rovina. «Una statua d’oro massiccio, per la verità non proprio bella, perfettamente fusa ed incisa, raffigurante una donna nell’atto di partorire. Sapevo, grazie a certi miei studi, che non poteva essere rimossa dal suo piedistallo, perché la variazione di peso avrebbe fatto scattare l’ennesima trappola mortale; per questo motivo, allora, la sostituii velocemente con un sacchetto di sabbia… ma non sono mai stato un granché, con le misure, ed evidentemente anche quella volta sbagliai qualche calcolo, visto che tutto cominciò a crollarmi addosso.»
       Katy, questa volta, scoppiò a ridere con tale gusto che contagiò persino suo padre.
       «Per fortuna che tu non ti fai mettere facilmente nel sacco!» commentò, con il petto che si alzava e si abbassava velocissimo nel tentativo di riprendere fiato.
       «Spiritosa» mugugnò Jones, smettendo di ridere e riprendendo a giocherellare con la sabbia, senza badare a Katy che, già liberata una mano, aveva ricominciato a lisciarsi i capelli. «In ogni caso, dopo aver detto addio al buon Satipo - che provò furbescamente a fregarmi l’idolo, ma che fece la medesima fine che era toccata a Forrestal - mi diedi alla fuga. Ero quasi giunto all’uscita, quando il ripetersi di uno strano rumore, che avevo già sentito qualche istante prima, attrasse la mia attenzione. Questo simpatico sassolino», a questo punto l’archeologo batté amichevolmente una pacca sulla superficie della sfera levigata, «era stato sistemato in maniera da sigillare per sempre l’ingresso del tempio ed impedire a chi avesse provato a rubare l’idolo di uscirne. Sfortunatamente, mi trovai esattamente sulla sua traiettoria, così dovetti darmi ad una folle corsa per evitare che mi travolgesse. Alla fine, però, me la cavai, e rotolai fuori dal tempio con l’idolo d’oro al sicuro tra le mie mani.»
       «Bene!» approvò Katy, con un sorrisone. «Un ottimo successo, per l’esimio professor Jones!»
       L’archeologo ghignò. «Più o meno, diciamo… Appena fuori, in effetti, mi trovai circondato dagli Hovitos, con a capo quel mercenario maledetto di Belloq. Quel cane rognoso di un francese aveva imparato la loro lingua - cosa che io, invece, non avevo avuto tempo di fare - e li aveva convinti che io fossi un ladro sacrilego o chissà che altro. Fatto sta che, dopo avermi sottratto l’idolo d’oro, me li sguinzagliò tutti addosso.»
       «Ecco, vedi che, allora, è utile saper menare le mani?» commentò la figlia. «Altro che farsi scivolare tutto addosso!»
       «Neppure se fossi stato un campione mondiale di pugilato avrei potuto ottenere qualcosa, contro quei cannibali affamati!» ghignò Jones, rivivendo con un brivido la sua corsa disperata attraverso la foresta, con le lance, le frecce e i dardi avvelenati che gli fischiavano tutto attorno. «Non mi restò altro da fare che darmela a gambe. Per mia fortuna, prevedendo che qualcosa del genere sarebbe potuto accadere, avevo preparato un piano di emergenza in caso di una fuga precipitosa, concordandolo con un mio vecchio amico pilota che mi attendeva con il suo aereo poco lontano.»
       «E, così, te ne tornasti a casa a mani vuote?» domandò Katy, amareggiata. Suo padre le sparava sempre grosse, di certo gonfiando la realtà dei fatti, ma quella era la prima volta che ammetteva una sconfitta tanto cocente. Forse stava invecchiando davvero? Mentre pensava a questo, liberò anche l’altra mano e ricominciò il suo logorante lavorio sulle unghie.
       «Ragazza mia, una delle cose che, più di qualunque altra, dovrai imparare bene, per non incappare in cocenti delusioni, è che nel nostro mestiere il fallimento, la frustrazione e la sconfitta sono sempre dietro l’angolo» le ricordò suo padre, dopo aver tratto un lungo sospiro. «Inoltre, togliti dalla testa l’idea di grandi avventure in luoghi esotici o altre cose così... Ma, soprattutto, togliti quel dito di bocca o giuro che ti mangio le mani!»
       La mano di Katy, con le dita ancora umide di saliva, tornò a infilarsi di scatto sotto il suo fondoschiena, mentre l’altra continuò a viaggiare tra i suoi capelli, cercando di lisciarli sempre di più.
       «Non lo faccio apposta, papà! Mi viene così, senza pensarci…»
      Ad Indy non sfuggì il fatto che lei, per una volta, non lo avesse chiamato in quella maniera ridicola. Evidentemente, stava cercando di evitare di farlo arrabbiare.
       «Be’, allora cerca di pensarci un po’ di più! Quando ero in guerra, nel 1916, ho visto un mio commilitone fare esattamente quello che continui a fare tu, solo che quella piccola ed apparentemente invisibile feritina si è infettata ed è morto per il tetano tra atroci…»
       «Cosa mi dicevi, delle avventure in luoghi esotici?» domandò ad alta voce Katy, interrompendolo. Sapeva fin troppo bene quanto suo padre fosse pedante, quando cominciava a parlare di guerra, e non aveva affatto voglia di starlo a sentire rimembrare la sua vita al fronte tra assalti e trincee, specialmente adesso che le stava raccontando dell’idolo d’oro, del tempio e - almeno sperava - del motivo per cui si trovavano lì.
       Interdetto, Jones dimenticò la prima guerra mondiale e recuperò il filo dei propri pensieri.
       «Dicevo che un archeologo passa la maggior parte del proprio tempo ad ingobbirsi sopra testi noiosissimi oppure a farsi venire il mal di schiena nel rimuovere con una cazzuola strati di terriccio da una trincea di scavo, per poi trovarsi davanti a niente altro che pochi cocci irriconoscibili. Recuperi incredibili e degni di stare in un romanzo accadono forse una, massimo due volte in tutta la carriera, a volte nemmeno quelle.» In effetti, lui in situazioni rocambolesche si era ritrovato un po’ più di un paio di volte soltanto, ma questa considerazione la preferì tenere per sé, pur sapendo di aver raccontato le proprie avventure così tante volte, ogni volta che ne aveva avuto occasione, che Katy non ci sarebbe di certo cascata.
       La figlia guardò per un momento le foglie degli alberi inondate di luce e tinte di nero dalle ombre, riflettendo su quelle parole, prima di fare la constatazione che suo padre non avrebbe mai voluto sentire.
       «A me sembrava che ti fosse capitato un po’ più di un paio di volte, Old J.»
       «Sì, qualche volta mi è successo» minimizzò lui, grattandosi il mento. «Ma ti assicuro che non è stato nulla di che…»
       «Quando diventerò archeologa, vivrò avventure ancora più emozionanti delle tue, ne sono sicurissima.»
       «Per il momento, però, limitati ad osservare me e a studiare sui libri. Vedrai quante cose che ne ricaverai…»
       A Katy, studiare piaceva parecchio, per fortuna, forse proprio a causa della sua mancanza di grandi amicizie, il che l’aveva costretta a trovare un ripiego con cui trascorrere il proprio tempo; oppure, non era nemmeno da escludere che fossero stati proprio la sua diligenza negli studi e la sua collezione di bei voti ad attirarle le antipatie di molte compagne di classe, chi poteva dirlo.
       Visto che non aveva voglia di pensarci proprio adesso, domandò: «Non hai più ritrovato l’idolo?»
       Jones sospirò. «Appena tornato a casa, dissi a Marcus che credevo di sapere dove quel francese scabbioso avrebbe potuto venderlo senza che nessuno facesse troppe domande. Ero pronto ad andare laggiù, per intercettarlo, ma problemi ben più gravi mi si pararono di fronte, quella volta, e fui costretto a rimandare.»
       «Che tipo di problemi?» ridacchiò Katy.
       Suo padre sollevò un sopracciglio.
       «Cosa c’è di tanto comico, adesso?» chiese.
       «Be’, hai appena finito di raccontarmi che ti sei salvato per miracolo da un attacco dei cannibali, e ora mi stai parlando di altri guai!» La ragazza sfilò il cappello ed affondò le dita nei capelli fino a lambire la cute: a furia di continuare a tormentarseli aveva cominciato a sentire del prurito, ma non sarebbe di certo bastato questo a fermare quella sua mania di non riuscire mai a tenere a posto le mani.
       «Finiscila di toccarti, una volta per tutte!» grugnì il vecchio, quasi esasperato, nell’osservare quella nuova manovra. «Possibile che quelle brutte manacce non riescano a starsene un po’ ferme?»
       «Ehi, Old J, le mie sono manine bellissime…»
       Indy sorrise. «Certo… ma tu smettila di infilarle dappertutto, che ne dici?»
       La giovane, sbuffando, si portò entrambe le mani sull’ombelico ed intrecciò le dita.
       «Va bene, così?» chiese, piuttosto contrariata.
       Suo padre la osservò compiaciuto, pur domandandosi mentalmente per quanto tempo la figlia se ne sarebbe stata davvero ferma, prima di voltarsi a guardare un galletto di roccia rosso e nero, che svolazzò lì nei pressi per alcuni istanti, prima di scomparire nuovamente in mezzo alla vegetazione perennemente avvolta dalla nebbiolina.
       Katy rimase un minuto in attesa, poi lo incitò a continuare.
       «E, allora, questi problemi?»
       «Te ne parlerò in un’altra occasione. Però, quei problemi mi portarono a dover contattare di nuovo una ragazza bellissima e straordinaria che non avevo più visto da circa dieci anni…» Si interruppe per darle un affettuoso colpetto sulla guancia. «La tua mamma.»
       Katy sorrise ancora. «Una volta la mamma mi ha raccontato che, in occasione di un vostro incontro, dopo anni che non vi vedevate, ti tirò un pugno sul mento.»
       Jones si portò istintivamente una mano al punto in questione, massaggiandoselo come se gli stesse dolendo ancora dopo tutti quegli anni, e quella conferma bastò più di mille parole, tanto che la giovane rise un’altra volta.
       «C’è poco da ridere» brontolò Jones, a disagio. «Se avesse colpito te, a quel modo…»
       «Allora, continuiamo a tornare sulla stessa questione!» cinguettò Katy, allegramente. «Se ha funzionato con voi, perché non dovrebbe essere lo stesso per me?»
       «Che intendi dire, scusa?»
       «Be’, se lei ti ha tirato un pugno e, poi, vi siete sposati, allora perché non dovrei andare anche io in giro a prendere a calci e pugni le mie compagne di scuola? Magari, tra un morso e una sberla sui denti, finirei coll’innamorarmi ed il fidanzarmi anche io…» La ragazzina assunse un’aria falsamente sognante. «Che ne dici…?»
       «Tra di noi le cose non erano così facili e… e poi, se la mettiamo così, dovresti andare a picchiare qualcuno nella doccia dei ragazzi, non in quella delle ragazze…»
       Visto che Katy, fattasi paonazza, non replicò a quell’ultima affermazione, l’archeologo lasciò perdere e riprese: «Ad ogni modo, dopo aver risolto quei nostri problemini, io e tua madre decidemmo di prenderci una vacanza insieme. E quale vacanza migliore se non andare a recuperare l’idolo?»
       «E tu la chiami vacanza?» rise nuovamente Katy.
       Per un fugace momento, immaginò sua madre desiderosa di potersi abbandonare al sole sopra una sdraio a bordo di una piscina ma venire costretta dal vecchio - perché Indiana Jones, nei suoi pensieri, era sempre il coriaceo e rugoso uomo dai capelli bianchi di oggi, con tutti i suoi acciacchi e i suoi malumori, persino quando provava a figurarselo più giovane - a dirigersi verso le più strambe mete per compiere chissà quali azioni pazzesche.
       «Perché no?» replicò lui, di rimando. «Una vacanza è un modo per divertirsi, no?»
       «Se lo dici tu…» Le dita di Katy si sciolsero e la sua mano sinistra corse nuovamente verso le labbra, ma fu intercettata da quella di suo padre, che la strinse nella sua.
       «Ad ogni modo, Marrakech fu solo la prima di una lunga serie di tappe… ma, alla fine, ci riuscimmo per davvero. Dovemmo spaccare un bel po’ di teste, rompere ossa e farci largo tra poco di buono pronti a tutto, certo…» Jones si pentì immediatamente di aver detto quelle parole.
       «E poi hai il coraggio di fare la morale a me perché ho dato una ginocchiata dove dico io a quelle brutte p…»
       «Non essere volgare, Katy!» la rimproverò suo padre.
       «Brutte persone, non volevo dire altro!»
       «Certo, come no… fingerò di crederci» brontolò il vecchio. «In ogni caso, in meno di una settimana io, Marion e Marcus - era venuto anche lui con noi, in quell’occasione - facemmo ritorno al Marshall College con l’idolo, per riporlo in una teca, dove si trova tuttora. Te lo ricordi, vero?»
       Katy, che prima di cadere nella sorta di depressione dell’ultimo periodo aveva trascorso buona parte delle sue giornate ad aggirarsi tra i corridoi e le collezioni del museo universitario che suo padre aveva contribuito ad arricchire, capì immediatamente a quale statua stesse facendo riferimento il vecchio. All’idea di trovarsi praticamente nei pressi del luogo da cui proveniva, un brivido eccitato le corse lungo la schiena.
       Ma, se da una quarantina d’anni a quella parte l’idolo dei Chachapoyan era stato messo al sicuro ed il tempio era andato praticamente distrutto per via della goffaggine del suo maldestro genitore, non riusciva proprio a comprendere il motivo della loro presenza da quelle parti. Sebbene le fosse piaciuto arrampicarsi lungo quella mulattiera, farsi largo tra gli alberi e spesso aggrapparsi ai tronchi più robusti per evitare di rotolare lungo pendii troppo scoscesi, sperò che Old J non l’avesse costretta a quella scarpinata soltanto per raccontarle una vecchia storia di cui avrebbero potuto comodamente parlare stando seduti a tavola, davanti a una delle pietanze che sua madre era tanto brava a cucinare.
       «E ora?» chiese dunque, incuriosita, certa che ci fosse senza dubbio qualcosa di più. «Perché siamo qui?»
       «Ora siamo qui» grugnì Jones, lasciando andare la sua piccola mano e rialzandosi con una certa fatica, «perché c’è ancora del lavoro da fare.»
       Attese che anche la figlia si fosse rialzata - con molta più agilità di lui, a dire il vero - e si avviò verso il lato opposto del tumulo, afferrandosi alle radici sporgenti per farsi strada; e Katy, dopo aver recuperato il cappello ed essersi rapidamente riabbottonata la camicia - ma lasciandola comunque sufficientemente aperta da sapere che, appena se ne fosse reso conto, suo padre le avrebbe rivolto l’ennesima severa occhiataccia di rimprovero - lo seguì per vedere dove fosse diretto.

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Capitolo 3
*** Sotto il tempio ***


2 - SOTTO IL TEMPIO

       Facendosi largo a fatica tra gli alberi contorti e i rampicanti fittissimi che si erano inesorabilmente impossessati di quello che, in passato, era stato il tempio, si portarono sul versante opposto rispetto all’ingresso, dove erano ancora visibili grossi pietroni squadrati e ricoperti in gran parte di erbe e muschio.
       Si trattava decisamente di una costruzione ciclopica, un’opera di raffinata ingegneria antica che l’uomo moderno, abituato a compiere i lavori più pesanti con l’ausilio delle macchine e dell’elettricità, non sarebbe più stato in grado di replicare, nemmeno in un secolo di dure fatiche. Ma gli uomini antichi, privi delle conoscenze e delle comodità del XX secolo, non avevano incontrato alcun tipo di difficoltà nel mettere in pratica ciò che, per loro, era in fondo la normalità.
       «Ci siamo» sbuffò finalmente l’archeologo, fermandosi di nuovo e facendo scorrere lo sguardo lungo quei blocchi di pietra che sembravano essere lo scheletro stesso della terra.
       «Ci siamo?» ripeté Katy, interdetta, guardandosi attorno.
       Erano sul retro del tempio, questo le era chiaro, ma le era altrettanto chiaro che non sarebbero mai potuti penetrarvi da lì, a meno che suo padre non stesse pensando di rimuovere una ad una quelle pesantissime pietre, un lavoro che, di certo, non avrebbero mai potuto compiere in due soltanto, perlomeno senza pensare di restare bloccati in quella foresta per il resto dei loro giorni. «Ci siamo dove, Old J?»
       «Ho compiuto delle ricerche, in questi ultimi anni» mugugnò in risposta Jones, sedendosi con un certo sollievo sopra uno dei pietroni; gli anni passavano e cominciavano a farsi sentire anche per un duro come lui, per quanto fosse brutto ammetterlo, «ed ho scoperto che, l’idolo d’oro, non era l’unico oggetto che i Chachapoyan veneravano come piovuto dalle nubi.»
       «Con tutte le nubi che ci sono da queste parti» commentò ironicamente Katy, volgendo uno sguardo sulla nebbiolina che lambiva i rami bassi e contorti delle piante, ovunque si guardasse, «chissà quanta roba ne è caduta fuori. Anche una pera matura, a questo punto, potrebbe piovere dal cielo…»
       «Sei sempre la solita» la rimproverò dolcemente suo padre, elargendole uno dei suoi sorrisi simili a smorfie. «C’era anche altro, a quel che ne ho saputo. Qualcosa che, stando alle storie, venne sepolto in profondità proprio qui, sotto il luogo in cui, poi, loro costruirono il loro tempio.»
       Alzatosi di nuovo in piedi, l’archeologo esaminò lentamente e con accuratezza le pietre, toccandole adagio ed osservando con una certa concentrazione meditativa il terreno su cui erano poggiate, sotto gli occhi curiosi della figlia che, non capendo bene che cosa stesse cercando, si era rimessa un dito in bocca con aria meditabonda; infine, con sguardo enigmatico, Indy tornò a rivolgerle la sua attenzione.
       «Vedi, il tempio, l’idolo, i trabocchetti mortali e quasi impossibili da superare… non erano altro che trappole… semplici specchietti per le allodole! La statuetta era difesa così bene che, chiunque, capitando davanti, avrebbe creduto che fosse solo quella, l’unico tesoro nascosto da queste parti. Ma non era così, adesso lo so, anche se mi ci sono voluti quasi quarant’anni per rendermene conto. Il vero tesoro era celato in profondità, dove nessuno sarebbe andato a cercarlo, perché nessuno avrebbe mai neppure creduto che potesse esserci.»
       La ragazza si mise a sedere sopra una delle pietre e riprese a giocherellare con le proprie ciocche nere, mentre gli occhi le lampeggiavano per la grande emozione.
       «Un tesoro? Che genere di tesoro, Old J? Oro, gioielli, statue d’argento…?»
       Ma suo padre scosse il capo, tornando a sedersi al suo fianco e fissando lo sguardo lontano, verso un’epoca indefinita, che trascendeva dai confini materiali dello spazio e del tempo per fondersi nel regno dei sogni e dei miracoli.
       «Nulla di tutto questo, Katy» mormorò, sfilandosi per un momento il cappello e lasciando che la poca aria, umida e rarefatta, gli rinfrescasse i capelli quasi completamente bianchi e appiccicati dal sudore. «Vedi, la leggenda narra che, un giorno di tantissimi anni or sono - forse, addirittura di parecchi millenni fa - uno strano uccello dalla scia azzurra e dal gracidio simile al vento uscì dalle nuvole e si posò in questa zona. Nel becco teneva l’idolo d’oro, mentre dalla sua pancia fumante vomitò un uomo d’oro ed un piccolo nano bianco e luccicante, accompagnati da un gigantesco essere coperto da una foltissima pelliccia.»
       Katy ridacchiò. «Di storie simili ce ne sono a bizzeffe nelle antiche mitologie. Ne ho trovate parecchie, nei miei libri!»
       «Questa, però, potrebbe essere vera» obiettò suo padre, gettandole un’occhiata di sbieco.
       «Sì, certo, come no. Hai mai sentito come sarebbe stata fondata Tiahaunaco, in Bolivia?»
       «Ovviamente, ci sono stato parecchie volte per compiervi degli studi e…»
       «E non vorrai farmi credere che ci sia qualcosa di vero, Old J!» sbottò Katy, così catturata da quella dissertazione da aver persino lasciato perdere unghie e capelli. «Una donna discesa dal cielo che, unendosi con un tapiro - no, dico, un tapiro! - avrebbe generato gli esseri umani!» Non riuscendo a resistere oltre, si lasciò andare ad una lunga e argentina risata. «Ma tu riesci a immaginartela, una donna che se ne va a letto con uno di quegli affari grassocci e grugnenti con il nasone?!»
       Indy ammiccò, con un certo divertimento. L’allegria ed il senso dell’umorismo spesso sfacciati e insolenti di sua figlia erano davvero contagiosi ed era spesso difficile riuscire a resistervi. Tuttavia, con uno sforzo, riuscì a mantenere una certa serietà e una sorta di distacco accademico.
       «D’accordo, certe antiche leggende sono talmente assurde e fuori da ogni logica che, a volte, mi viene persino il dubbio che non siano affatto leggende, bensì semplici storielle messe in giro da nostri fantasiosi contemporanei per attirare qualche turista in più o per riempire qualche volume di storie improbabili da vendere ai creduloni» ammise, con la voce colma di sarcasmo.
       Katy fu costretta a ficcarsi un pugno sulle labbra per riuscire a smettere di ridere.
       «Per fortuna che lo dici» esclamò, prima di rimettersi in bocca un dito, questa volta il medio, e riprendere a dedicarsi al suo passatempo preferito, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia del padre, che scosse il capo con rassegnazione.
       «Comunque, lasciami continuare e poi mi dirai se questa leggenda ti pare troppo sciocca o meno» la invitò lui. Ritrovato il filo dei propri pensieri, ricominciò: «I Chachapoyan, atterriti da quella visione, si diedero alla fuga, ma l’uomo d’oro li richiamò indietro con gentilezza. Egli parlava alla perfezione la loro lingua, così gli indiani poterono comprendere tutte le sue parole. L’uomo d’oro disse che lui, il piccolo nano bianco ed il mostro di peli avevano ricevuto due compiti molto importanti, ossia quello di nascondere la suprema potenza dove nessuno avrebbe più potuto trovarla ed utilizzarla per scopi malvagi e quello di preservare la memoria affinché sopravvivesse intatta attraverso il tempo, così che gli errori del passato non si ripetessero mai più; per questo motivo, dunque, erano stati inviati fin lì a bordo del grande uccello dalla scia azzurra, attraverso le immense e fredde distese siderali, rischiarate soltanto dalla flebile luce delle stelle. Avevano condotto altrove la suprema potenza - il grande emanatore di energia, come lo chiamava l’uomo d’oro - celandolo in terre desertiche, al di là del mare, ma i tre viaggiatori avrebbero affidato ai Chachapoyan la memoria da preservare, l’onore più grande, ed avrebbero mostrato loro come fare a nasconderla ed a mantenerla integra. In cambio dei loro preziosi servigi, essi avrebbero ricevuto in dono l’idolo che l’uccello teneva nel becco. Ma non solo: anche il grande uccello, ed i tre viaggiatori celesti, avrebbero soggiornato per sempre in queste terre, tra le foreste e le montagne dei Guerrieri delle Nubi.»
       «È una leggenda come un’altra» concluse Katy, con un’alzata di spalle, togliendosi di bocca il dito ed osservando con un certo distacco il frutto del proprio lavoro. «Ne ho lette tante, di questo genere, come ti ho detto. Uomini o donne discesi dal cielo per creare la razza umana, o per portare la conoscenza, o per qualche altro motivo ancora, e che poi sarebbero stati venerati come dèi… Jennings ci ha spiegato che i popoli antichi creavano miti come questi per poter raccontare le proprie origini e per dare una spiegazione a tutti quei fenomeni della natura altrimenti inesplicabili. La mente degli uomini è sempre stata capace di dare origine alle più ardite fantasie, qualsiasi fosse l’epoca. Alla fine, i miti antichi sono come i fumetti di oggi, per come la vedo io: è come se, tra due o tremila anni, qualcuno rinvenisse qualche libricino di Walt Disney e si convincesse che noi veneravamo un topo con i pantaloncini rossi o un papero vestito da marinaio.»
       Jones fece un mezzo sorriso. «Il tuo professore di filosofia la sa lunga, ne convengo, e anche tu hai le idee parecchie chiare, non posso nasconderlo. Una volta, figliola, ero anche io un empirico razionalista come sei te o come Jennings. Tutto ciò che non poteva essere spiegato non poteva esistere o, se proprio scoprivo che esisteva, doveva per forza avere una spiegazione logica, per quanto essa fosse sfuggente e difficile da trovare. La mia unica fede era riposta in ciò che poteva essere visto con gli occhi e toccato con mano. Nulla per me era inspiegabile, bensì solo inspiegato.»
       Katy alzò un sopracciglio, meravigliata. «Non dirmi che, adesso, hai cambiato idea!» Cambiò tono della voce, assumendone uno decisamente più pomposo, quasi ad imitare un presentatore televisivo: «Il celebre professor Jones, l’irriducibile cercatore dei fatti concreti nonché oppositore delle verità rivelate, si piega di fronte ai misteri divini! Il suo spirito razionale crolla davanti all’inspiegabile! Prossimamente nei migliori cinema!» Si interruppe, con un’altra di quelle sue risate squillanti e così potenti da toglierle il respiro e farle lacrimare gli occhi.
       «Non ho cambiato idea proprio per nulla!» si schermì suo padre, ridacchiando a sua volta. «Eppure, sarei un pessimo bugiardo se negassi di avere visto, nel corso della mia vita, tali e tante cose strane da dovermi almeno in parte ricredere. Per quanto sia difficile ammetterlo, ho finito con il convincermi che il tutto non si limiti al mondo fisico, bensì possa in qualche modo trascendere ed andare oltre, verso una dimensione per noi attualmente incomprensibile.» Indy le puntò addosso un dito ammonitore, calandosi appieno nei panni del docente, quasi a volerle dimostrare che lui non aveva proprio nulla da invidiare al suo professor Jennings. «Ma, bada bene, non sto parlando per forza di una dimensione mistica, giacché, se poniamo il costrutto che una cosa sfugga alla nostra comprensione, ne possiamo semplicemente dedurre che ciò sia legato al fatto che la mente umana, qualche volta, sia incapace di gestire certe incommensurabili misure; è esattamente come quando si tenta di calcolare in termini prettamente matematici la vastità dell’universo, ma si finisce con lo scontrarsi con cifre in pratica inimmaginabili e…»
       La ragazza sbuffò sonoramente, facendo quasi una pernacchia.
       «Old J, per favore, risparmiami almeno le lezioni di matematica… ad ascoltarti pare davvero di essere ancora in aula, per di più con un insegnante che abbia fatto dell’intero scibile la propria materia d’elezione!» esclamò, esasperata. Poi, fatto un altro sorrisetto sarcastico, aggiunse: «Certo che se dovevo arrivare in mezzo alla foresta e sedermi su una pietra squadrata da uomini morti da secoli per scoprire che, in fondo, anche se non va mai in chiesa e quando si arrabbia bestemmia come un turco, mio padre è un uomo religioso e credente…»
       Calcatosi di nuovo in testa il cappello di feltro, Jones balzò in piedi con agilità - anche se dovette sforzarsi con tutto se stesso per ignorare le proprie giunture che cigolarono lugubremente - e rivolse alla figlia uno sguardo carico di una certa solennità.
       «Religioso, mai!» sottolineò, con decisione. «Credente… dipende tutto da quello che intendi con tale definizione. Io, da parte mia, preferisco qualificarmi come curioso di qualsiasi cosa sia relativa la natura e l’essere umano! Il fatto è, Katy, che io non sono certo di nulla, il che mi spinge a una continua ricerca nei riguardi di qualsiasi cosa possa essere studiata, analizzata e approfondita, pur sapendo che, nonostante ciò, non si potrà mai averne una certezza assoluta. E, in fondo, non essere assolutamente certi è una delle cose essenziali della razionalità
[1]
       Detto questo, si diresse a passo rapido, anche se un po’ barcollante, verso un punto che, a prima vista, a Katy, che lo seguì immediatamente, desiderosa di scoprire che cosa avesse in mente, parve non avere in sé nulla di speciale, né distinguersi da ogni altro anfratto lì nei pressi. Tuttavia, Indiana Jones non era uno sprovveduto e sapeva con esattezza che cosa stesse cercando: dopo aver tastato con le mani, rimosse alcune zolle di terra ricoperte di muschio e liberò quello che, a tutti gli effetti, sembrava uno strano cunicolo, un cunicolo che scendeva in profondità sotto le viscere del tempio.
       «Come lo sapevi?» domandò la giovane, estasiata ed incredula di fronte a quella scoperta a cui lei non sarebbe mai riuscita ad arrivare.
       «Katy, Katy… ho una leggerissima esperienza, per queste cose…» minimizzò il vecchio, senza voltarsi.
       Sotto lo sguardo attento della figlia, Indy studiò con accuratezza il passaggio, da cui proveniva un forte odore di muffa e di chiuso. Era piuttosto stretto ma, strisciando e trascinandosi sulle ginocchia - e, nel suo caso, trattenendo anche un po’ la pancia che, a causa di qualche calice di vino della California con cui aveva esagerato ultimamente a tavola, non era più proprio filiforme come in passato - sarebbero riusciti ad attraversarlo entrambi, senza incorrere in alcun tipo di incidente. Certo, appariva tetro e buio e neppure troppo invitante ma, per fortuna, avevano portato con sé delle torce elettriche che avrebbero permesso di illuminare il cammino.
       A questo punto, l’archeologo tornò a volgersi verso la figlia, guardandola con una certa titubanza e domandandosi che cosa avesse intenzione di fare. Non poteva certo dimenticare che, quella che era venuta con lui, era un’adolescente piena di paturnie, non un vecchio avventuriero un po’ folle, pronto a gettarsi nella mischia senza mai porsi troppi problemi riguardo a quello che stava per compiere.
       «Io entro» annunciò, risoluto. «Tu te la senti di seguirmi, o preferisci rimanere qui ad attendere il mio ritorno? Non voglio obbligarti a fare qualcosa contro la tua volontà…»
       Katy ricambiò il suo sguardo, fingendosi offesa da quella domanda. Era giunta fin lì dagli Stati Uniti e certo non voleva proprio arrendersi sul più bello, come se un po’ di polvere o di ragnatele potessero spaventare una come lei!
       Evidentemente, la sua occhiata fu alquanto eloquente, molto più di mille parole, poiché Jones commentò senza perdere tempo: «Come non detto. Io vado per primo, tu stammi dietro e cerca di mettere i piedi dove li metto io. E, se vedi qualcosa di strano o che non ti torna, mi raccomando, avvertimi senza toccarlo! Mi ricordo che una volta, nel 1926, misi una mano dove non dovevo e…» Si interruppe, prima di concludere in maniera spiccia: «Insomma, bisogna che tu faccia la massima attenzione!»
       «Agli ordini, professore!» replicò lei allegramente, tutta eccitata all’idea di star sfidando per la prima volta in vita sua l’ignoto più vero e totale. Era un’esperienza nuova, ma era ciò che sognava fin da quando, ancora bambina, suo padre aveva cominciato a intrattenerla con i racconti delle sue passate avventure, reali o inventate che fossero; e ora, finalmente, era in procinto di prendere parte anche lei a una di quelle grandissime imprese. Il battito del suo cuore accelerò come impazzito al solo contemplare quell’idea.
       Prima di partire, però, Indy scrutò con parecchia disapprovazione la camicia troppo sbottonata di Katy. Generalmente, quando si trattava di altre donne o di altre ragazze, era una vista che apprezzava parecchio e, anzi, si sforzava anche con lo sguardo per scoprire se si riuscisse a scorgere pure una parvenza di capezzoli, nascosti là sotto da qualche parte; era una sua deformazione professionale a cui, anche col passare degli anni e pur essendo felicemente sposato, non era ancora riuscito a rinunciare - e, con mille probabilità, non ci sarebbe mai riuscito, neppure quando avrebbe compiuto cento anni. Ma, in quel caso, si trattava di sua figlia e, anche se al momento non c’era in giro proprio nessuno a gettarle occhiate indiscrete nella scollatura, quella cosa gli sembrava quanto meno intollerabile.
       «E vedi di coprirti come si deve!» abbaiò. «Non mi pare proprio il caso che una ragazza per bene se ne vada in giro conciata in quella maniera!»
       Katy alzò gli occhi al cielo, contrariata da quell’ennesimo rimprovero.
       «Old J, ti ho già detto che qui non c’è nessuno a guardarmi le…»
       «Prima di tutto» la ammonì lui, alzando un dito, «se proprio vuoi dire una parola, devi dire seno, esattamente come fanno tutte le ragazze bene educate, senza bisogno di essere sempre volgare!»
       «Non è una volgarità!» insistette lei. «La mamma dice sempre tette! Che male c’è a chiamare le cose con il loro nome?»
       «In secondo luogo» alzò la voce suo padre, ignorandola e sollevando un secondo dito, «non è perché qualcuno potrebbe guardarti, che lo dico - anche perché, se osassero anche solo pensare di farlo, poi dovrebbero vedersela con me! - bensì per la tua salute! Là sotto farà di sicuro freddissimo e ci sarà un’umidità tremenda, e non voglio certo che ti buschi un accidente. Quindi, abbottonati fino al collo e smettila di disobbedirmi!»
       Con una smorfia, la ragazza fu costretta ad obbedirgli, richiudendo i bottoni della camicia; però, non appena lui si fu voltato, gli indirizzò una linguaccia e si affrettò a slacciarsi di nuovo.
       In quanto all’archeologo, munitosi della torcia elettrica che, fino a quel momento, aveva tenuto nella borsa che portava a tracolla, si cacciò senza più esitare nello stretto pertugio, cominciando ad avanzare lentamente tra le pareti di roccia strettissima, che di sovente lo obbligarono a trattenere il respiro per riuscire a passare. Katy, che a sua volta aveva afferrato la torcia che portava infilata nella cintura dei jeans, lo seguì subito, senza una traccia di esitazione.
    Non appena furono entrati, i mille diversi suoni della foresta cessarono completamente di echeggiare nei loro timpani e a circondarli rimasero soltanto il silenzio ed il buio, rotti soltanto dai rumori che provocavano muovendosi e dai fasci delle loro lampade.
       Indy si trovò spesso costretto ad abbassare il busto e le spalle, altre volte addirittura ad avanzare in ginocchioni, mettendo a durissima prova le sue vecchie e logorate ossa, ma non si fermò mai, neppure quando urtò con un gomito una pietra piuttosto aguzza, provocandosi una fitta che lo fece imprecare sottovoce.
       «Cristo santissimo ed eterno…» brontolò, impossibilitato dal poco spazio persino ad allungare la mano per massaggiarsi la parte dolorante.
       Appena dietro le sua schiena, decisamente più piccola e minuta, Katy avanzava con molta più agilità di lui, costringendosi il più delle volte a soffocare la risata che gli provocavano la vista della goffaggine di suo padre e l’udire i suoi continui mugugni. Forse, in gioventù, era stato veramente un uomo atletico e tonico, come amava spesso ripeterle; ma, adesso che gli anni gli pesavano addosso, sembrava quasi ridicolo vederlo contorcersi a quel modo.
       Eppure, non poteva neppure negare di essere profondamente ammirata per quell’uomo straordinario che non si fermava mai, che andava avanti senza sosta, senza mai esitare, ancora colmo dell’entusiasmo di sempre nel trovarsi di fronte ad una nuova e potenziale scoperta; era come se l’archeologo non fosse mai invecchiato, come se i suoi capelli quasi bianchi fossero rimasti sempre scuri e il suo volto non si fosse ricoperto di rughe. E doveva anche ammettere che emanava un immenso fascino con quel suo coraggio da vendere, e quel fascino si traduceva facilmente in rispetto e, soprattutto, in sicurezza. Katy era certa che, da sola, non avrebbe mai trovato l’audacia necessaria ad affrontare quel buco nero e soffocante che pareva perdersi nel ventre misterioso della terra ma, in compagnia di suo padre, di Indiana Jones, si sarebbe sentita abbastanza sicura per arrivare persino sulla luna.
       Insomma, lui poteva anche essere un vecchio brontolone e lei poteva mostrarsi quanto voleva irrispettosa nei suoi confronti, ma di una cosa era certissima: si sentiva immensamente orgogliosa di essere sua figlia e non avrebbe mai e poi mai desiderato fare cambio con qualcun altro.
       Proseguirono nel buio, a stento rischiarato dalla flebile luce delle torce elettriche, per un tempo che parve interminabile, che di certo non avrebbero saputo quantificare; senza punti di riferimento, là sotto un minuto poteva equivalere a un’ora o anche a molto di più, per quello che ne sapevano.
       La stretta galleria si faceva ora ripida ora piana, compiva svolte complicatissime, si alzava e si abbassava, si allargava per qualche metro e tornava repentinamente a restringersi; e più proseguivano e più Katy si domandava come avessero fatto degli uomini a scendere là sotto prima di loro, in antichità.
       «Secondo me, da queste parti, non è mai passato nemmeno un topo» ansimò, cominciando ad avvertire la mancanza d’ossigeno e parendole che fosse già trascorso un tempo incredibilmente lungo dall’ultima volta che aveva visto il sole.
       Quei dubbi, tuttavia, non sfiorarono neppure per un momento la mente di suo padre, sicuro oltremodo di essere sulla strada giusta. Era come se il vecchio archeologo, con il suo fiuto da segugio per quando si trattava di effettuare nuove e mirabolanti scoperte, se lo sentisse nel cuore che, al termine di quel passaggio, avrebbe trovato tutte le risposte che cercava.
       «Sono sicuro di quello che faccio!» replicò, sbuffando leggermente. «Te l’avevo detto che non sarebbe stata una passeggiata. Se vuoi, puoi sempre tornare indietro e aspettarmi fuori, a crogiolarti al caldo del sole…»
       Katy dimenticò immediatamente la fatica.
       «Allunga un po’ il passo, Old J, che mi stanno venendo i crampi a procedere alla tua velocità da tartaruga artritica! E, se proprio, torna indietro tu, se hai tanta voglia di prendere il sole!»
       L’archeologo ghignò, senza fermarsi. Ormai, sapeva benissimo come conquistare l’attenzione della sua ragazza e a farle passare ogni parvenza di stanchezza o di desiderio di gettare la spugna.
       «Piuttosto che metterci a fare una gara, prova a riflettere su chi potrebbe aver costruito questo passaggio, quando e, soprattutto, perché» la consigliò, sperando di stimolare ulteriormente la sua curiosità.
       Perché, in fondo, il vero ed unico trucco per poter andare sempre avanti era soltanto questo, questo e nessun altro: porsi sempre nuove domande, essere curiosi di tutto, aspirare alla conoscenza, a un sapere sempre più alto e sconfinato, perché, in caso contrario, non si sarebbe mai potuto sperare di ottenere delle risposte.
       Risposte… risposte che, comunque, spesso non si facevano vedere neppure da lontano, limitandosi a instillare nuovi dubbi e ad alimentare nuovi quesiti; ma, in fondo, era proprio questo il segreto della vita, nonché del sapere umano: non trovando le risposte che si stavano cercando, si proseguiva oltre, certi che, prima o poi, qualcosa lo si sarebbe senza dubbio scoperto, di qualsiasi cosa si trattasse. E nuove scoperte, del resto, avrebbero condotto a nuovi quesiti, per i quali la ricerca sarebbe dovuta proseguire, in una spirale infinita che, a un certo punto, sarebbe ritornata su se stessa, come un cerchio, senza mai avere un vero inizio o una vera fine. Tutto quanto era in divenire e anche il desiderio di conoscere doveva sottostare a questo fatto inoppugnabile.
       Indiana Jones aveva trascorso tutta la vita andando alla ricerca di qualcosa; non importava esattamente che cosa, purché fosse da cercare. Molte cose le aveva trovate, altre se l’era viste sfuggire per un soffio, altre ancora era sicuro che non le avrebbe incontrate mai, impossibilitato a dire se esistessero davvero, celate da qualche parte, o fossero il semplice frutto di una fantasia troppo galoppante. Ma, l’importante, in ogni caso, era non arrendersi per nessun motivo, di fronte a nulla, perché lo scopo della vita umana, a conti fatti, era solamente quello di cercare, di lavorare per tentare di accrescere le proprie conoscenze, sfidando anche i propri limiti pur di giungere alla meta - o di non giungervi mai, questo non aveva alcuna importanza. Molto spesso, infatti, non è la destinazione, quella che conta, bensì il viaggio per potervi arrivare, anche se, in certi casi, non è affatto male potersi fermare per contemplare, con una certa soddisfazione personale, il risultato dei propri sforzi e della propria testardaggine.
       Ed ora, arrancando in quella fenditura sempre più calda e soffocante - altro che freddo e umidità: adesso, con indosso il suo pesante giubbotto di pelle ed il cappello di feltro, invidiava profondamente la semplice e leggera camicetta mezza slacciata della ragazza - sperò di star trasmettendo quello stesso amore per il sapere alla figlia; perché, nel profondo del proprio cuore, era certo che Katy, che incarnava il meglio di lui e di Marion, si sarebbe di sicuro fatta valere ed avrebbe potuto prendere benissimo il suo posto quando, per lui, fosse giunto il momento inevitabile di mettersi definitivamente da parte. Aveva altri due figli, d’accordo, ma dentro di sé sentiva che sarebbe stata proprio Katy a seguire le sue tracce, l’erede che avrebbe ripercorso quelle orme che lui aveva già tracciato nella terra; ed ora poteva anche invecchiare senza rimpianti, sicuro che, tutte quelle scoperte che, per un motivo o per l’altro, non era riuscito a portare a termine in vita sua, sarebbero in qualche modo state rilevate e portate avanti dalla ragazza.
       Per il momento, tuttavia, lui era ancora lì, saldo come sempre - magari solo appena un poco dolorante e affannato - e quel passerotto appena uscito dal nido che era Katy ne aveva ancora parecchia di strada, da percorrere, prima di riuscire a volare alto e solitario come quell’aquila che era lui. Ma, da parte sua, le avrebbe insegnato ogni trucco e ogni tecnica per permetterle di raggiungerlo con più fretta e maggiore facilità.
       «Di sicuro erano uomini molto piccoli e amanti dei luoghi inospitali!» borbottò lei, per tutta risposta. «Mi si stanno lacerando le mani, a furia di aggrapparmi!»
       Indy ghignò un’altra volta divertito, nell’udirla lamentarsi a quel modo.
       «Se tu mi dessi retta e ti togliessi quella brutta abitudine di mangiarti sempre le unghie, ora le tue dita funzionerebbero alla perfezione e ti appiglieresti senza problemi come faccio io» commentò, con tono sarcastico.
       «Uff… Old J, sei noioso!» sbuffò Katy. «Almeno, sapresti dirmi dove siamo diretti, di preciso? O credi che dovremo camminare fino al centro della Terra? Lo hai letto il libro di Verne? Alla fine, i protagonisti vengono sputati fuori dal Vesuvio insieme a una colata di lava, ma non ci tengo affatto a provare anche io una simile esperienza!»
    «Era lo Stromboli» la corresse lui, con tono paterno. «Pare che conosca molto meglio io di te, le tue letture preferite.»
    «Di certo le mie letture preferite sono mille volte meglio di quelle di Abner!» ribatté la ragazza, con il tono cinico di chi si appresti a rivelare un segreto scottante. «Perché tu e mamma non lo sapete, ma lui nasconde sotto il letto alcune copie di Penthouse e le tira fuori quando pensa che io non sia nei dintorni a spiarlo per… ma che schifo, non voglio nemmeno dirlo! L’avrò visto fare quelle oscenità mille volte!»
    «Katy!» la richiamò Indy. «Non puoi violare in questo modo l’intimità di una persona, sia anche quella di tuo fratello. Non è giusto!»
    «È colpa mia se abbiamo una sola stanza e lui ci fa delle schifezze?» ribatté lei, aspra.
    «Certo che no, nessuno ti sta dando la colpa» replicò Indy, spingendo con le mani alcuni detriti che si erano accumulati nel passaggio, impedendo di proseguire. Non appena la strada fu di nuovo libera, continuò: «Ma devi capire che Abner è in una fase un po’ difficile della sua vita e che quando un ragazzo raggiunge quell’età comincia ad avere certe pulsioni che…»
    «Per me sono schifezze!» lo interruppe Katy, decisa ad avere l’ultima parola. «E, comunque, dovrebbe avere almeno la decenza di controllare che io stia davvero dormendo, o non lo stia guardando da dietro la porta, prima di farle. Non ti pare?»
       Suo padre, seppure tentato di replicarle ancora - le occasioni di poter parlare con sua figlia, quando erano a casa, erano davvero poche, a causa del suo carattere difficile, e quindi non gli pareva vero di star conversando così a lungo con lei, anche se in un contesto alquanto insolito - non le rispose, perché si trovò ad affrontare un punto particolarmente complicato del cunicolo, che richiese tutta la sua concentrazione per non correre il rischio di rimanere incastrato; inoltre, sentì che molto presto tutte quelle cattiverie sul fratello - presunte o reali che fossero, a lui non importava affatto saperlo, anche perché non poteva dimenticare di essere stato adolescente anche lui - sarebbero passate in secondo piano, o sarebbero state scordate del tutto, perché ben altro si sarebbe presentato alle loro menti, distraendoli da ogni altra cosa.
       Era una sensazione, nonché una certezza, stranissima, d’accordo, ma se la sentiva scorrere nel sangue che pompava sempre più forte, colmo di quella scarica di adrenalina e di eccitamento che lo coglieva sempre in quei momenti, quando l’odore concreto e tangibile della Storia gli si approssimava alle narici, come se col tempo fosse divenuto una sorta di cane da fiuto, per quel tipo di cose.
       Come se la roccia stessa avesse voluto dargli ragione, all’improvviso il pertugio si aprì in una vastissima cavità sotterranea, in parte al buio ed in parte illuminata da alcuni spiragli di luce che piovevano dall’altissima volta che, in certi punti, era aperta, lasciando passare, oltre alla flebile luce del giorno, anche le radici degli alberi e gocce di umidità che zampillavano al suolo creando un rumore costante e ritmato.
       La luce, riflettendosi sopra numerosi quarzi saldamente ancorati alle pareti, donava a quel regno sotterraneo un effetto iridescente, mentre alte colonne di roccia, alternandosi a stalagmiti e stalattiti, rendevano ancora più incredibile quel luogo, che pareva l’abitazione di un misterioso genio delle profondità.
       Era un vero e proprio capolavoro della natura dimenticato da secoli, un santuario dell’armonia dove solamente pochissimi uomini potevano raccontare di essere stati, ma non fu questo ad attrarre gli occhi meravigliati di Jones e di sua figlia; tutta la loro attenzione, infatti, fu subito catapultata verso le pareti rocciose, ricoperte di una fitta e complicata grafia. Una scrittura che Katy non aveva mai veduto prima ma che, invece, l’archeologo riconobbe a prima vista.
       «Quella è la lingua dei Chachapoyan» spiegò a bassa voce, indirizzando il fascio di luce della torcia in quella direzione e facendolo scorrere sulle lunghissime frasi.
       «Quindi è vero che, qui sotto, c’è stata della gente!» esclamò meravigliata la giovane che, come previsto, aveva già scordato Abner e i suoi torbidi adolescenziali. «Avevi ragione, Old J…»
       «Io ho sempre ragione» puntualizzò con una certa ironia suo padre, prima di riprendere a spiegare: «I Chachapoyan, che erano chiamati anche Guerrieri delle Nubi perché abitavano questa parte perennemente nebbiosa della foresta Amazzonica, erano uno dei pochi popoli dell’area a conoscere la scrittura, probabilmente l’unico. Una conoscenza che, però, andò perduta quando furono conquistati e sottomessi dagli Inca, intorno al sedicesimo secolo, non molto prima che gli stessi Inca venissero annientati dallo scontro con i conquistadores spagnoli.»
       Stupita, Katy si avvicinò alla parete e toccò delicatamente con le dita masticate quelle parole incise da uomini vissuti secoli, o forse addirittura millenni, prima.
       «Tu sai leggerla?» domandò, non riuscendo a trattenersi. Era certa che, quella, fosse una domanda abbastanza retorica, perché le pareva chiaro che nessuno, al mondo, fosse capace di decifrare quei graffiti imperscrutabili; ma, ancora una volta, suo padre la stupì.
       «Sì, so leggerla» affermò lui, accostandosi ancora di più alla parete rocciosa. «Ho imparato questa lingua decenni fa e ne ho appreso le tecniche di lettura.» Si voltò di nuovo verso di lei e ammiccò con fare complice. «Se devi fare una cosa, falla sempre bene, ricordatelo.»
       Stupefatta, Katy continuò ad osservare quei segni per lei incomprensibili. Moriva dalla voglia di sapere che cosa raccontassero, che cosa ci fosse scritto e, d’altra parte, suo padre non era affatto da meno. Trovato l’inizio di una frase, Jones cominciò ad articolare lentamente, come se si stesse esercitando in classe, parole in quella lingua morta, che non era più echeggiata in quel luogo da moltissimo tempo.
       Infine, al colmo dello stupore per quello che stava leggendo, cominciò a tradurre.
       «Qui termina il diario dei Whill - non so come rendere questa parola, a dire il vero, credo si riferisca a qualche tipo di divinità di cui si sia perso il ricordo - il diario in cui essi raccolsero il sapere universale e le conoscenze della… della Forza… affinché l’antica coscienza di quello che fu non vada mai perduta…»
       Si fermò, incerto. Quella non poteva essere opera dei Chachapoyan, non era possibile: sembrava quasi che il più erudito dei loro scribi fosse stato chiamato ad incidere quelle parole sotto dettatura di qualcuno. E, naturalmente, con un brivido lungo la schiena, non poté non pensare all’uomo d’oro che era uscito dal ventre del grande uccello disceso dalle nubi.
       «Continua» lo esortò Katy, rapita da quelle parole.
       «Sì…» borbottò l’archeologo, riscuotendosi dalle sue riflessioni. «Dunque…» ritrovato il filo, riprese: «Anticamente, la Forza legava tutte le cose della Galassia, in un equilibrio costante dal quale scaturiva la vita. Ma gli esseri viventi e dotati di intelligenza, nella loro spropositata arroganza, scelsero di piegare la Forza al proprio volere, distruggendo così l’equilibrio e dividendo per sempre il potere della Forza in due parti contrapposte ed in perenne lotta tra loro.» Indy fece una pausa e sorrise, volgendosi verso la figlia: «Se non ci trovassimo a migliaia di chilometri da Efeso, direi che qui ci sia lo zampino di quel vecchio brontolone di Eraclito e della sua teoria del divenire. Comunque sia…» tornò a girarsi verso la parete e ricominciò la sua traduzione: «Soltanto i Whill restarono custodi dell’antica sapienza e dell’equilibrio, ma nella loro natura prevalse la scelta di non schierarsi, rimanendo silenti e distaccati testimoni delle vicende della Galassia
       «Sembra una storia di fantascienza!» esclamò Katy, entusiasta. «Una storia di fantascienza con dentro richiami alla filosofia classica. Altro che i fumetti di Flash Gordon che rubavo di nascosto a Mutt! Jennings non ha mai accennato a qualcosa di simile…»
       Ancora dubbioso su quello che stava leggendo, suo padre le fece l’occhiolino.
       «E il bello deve ancora venire. Dimenticati i giornaletti da due soldi di tuo fratello e senti qua: La lotta tra le due fazioni si fece cruenta e nessun pianeta ne fu risparmiato. Infine, però, il lato chiaro prevalse sul lato oscuro e si pensò, sbagliando, che la pace avrebbe regnato per sempre nella…» Jones si grattò il mento ispido di barba, tentando di trovare un sinonimo per quella parola che non riusciva a comprendere appieno. Infine, per quanto strano gli paresse, si convinse di averne trovato uno sufficientemente appropriato: «…nella Repubblica Galattica. Per oltre mille generazioni essa fu il faro luminoso della Galassia, servita dai fedeli Cavalieri…» si interruppe nuovamente, poiché lì vi era un nome che non comprese. Saltò qualche riga e ricominciò, incespicando nelle parole: «…ma, ancora una volta, il lato oscuro gettò la sua ombra su tutto. Le guerre ricominciarono e…» A questo punto, Indy fu costretto ad interrompersi, perché aveva cominciato a sentirsi crescere dentro uno strano presentimento, qualcosa che gli stava facendo contrarre le viscere, come se stesse vivendo un’emozione fortissima come l’amore.
       La ragazza, persa nella contemplazione di immagini antichissime e fantastiche, sollevò gli occhi su suo padre, per capire come mai non stesse continuando a leggere. Lo vide chiudere gli occhi ed annaspare, come se si stesse sentendo male. Preoccupata, sollevò un braccio e gli posò una mano sulla schiena. A quel contatto, il vecchio archeologo parve riprendersi e le sorrise di nuovo, guardandola con occhi umidi.
       «Scusami» mugugnò. «Ma leggere queste parole mi fa uno strano effetto… come se… come se lo conoscessi già. È come se fosse una storia che ho già vissuto, capisci?»
       Ovviamente, Katy non capiva affatto. Come poteva suo padre affermare una cosa simile? Forse, il poco ossigeno presente in quella cavità sotterranea stava cominciando a dargli alla testa ed a farlo sentire male; vecchio com’era, su certe cose era molto meglio non scherzare.
       «Vuoi che usciamo?» domandò, con una vocina che tradiva panico.
       Jones si rese conto di aver spaventato sua figlia e, in uno slancio d’affetto, la prese tra le braccia e la strinse a sé, dandole conforto e calore.
       «Non è nulla, Katy, nulla» la rassicurò. «Solamente un po’ di stanchezza.»
       Senza smettere di tenersi abbracciati, si voltarono di nuovo verso la parete con i graffiti incisi.
       «Parla di una grande guerra» mormorò Indy, riprendendo a far scorrere gli occhi su quelle parole, «scoppiata contro un malvagio Impero nato dalle ceneri della distrutta Repubblica. Pochi ribelli coraggiosi, capeggiati da una donna forte e piena di iniziativa - una sorta di Cleopatra dello spazio, per intenderci - riuscirono infine a piegare il malvagio Impero e ad annientarlo, dopo che un eroico cavaliere ebbe affrontato in un epico duello il proprio padre corrotto che, in un ultimo impeto di lucidità, comprendendo i propri errori, contribuì alla vittoria finale. Purtroppo, però, il male non cessò di esistere ed altre guerre scoppiarono.» L’archeologo staccò per un momento un braccio dalla figlia, indicando alcune righe quasi completamente cancellate. «Purtroppo, ci deve essere stato un crollo dovuto ad un terremoto o qualcosa del genere e, quindi, le parti successive si sono sgretolate... Sono ormai illeggibili, peccato. Però, più avanti il testo è nuovamente intatto. Vi si dice che, dopo il ritorno dell’equilibrio nella Galassia, la Forza fu nuovamente soddisfatta e poté tornare a permeare tutte le cose come in passato. Vi era solamente un ultimo pericolo: un antico oggetto costruito unendo le conoscenze di coloro che, meglio di tutti, conoscevano la Forza, quell’energia strabiliante e misteriosa, capace di dare la vita ma, anche, di annientare tutte le cose. Questo oggetto - la suprema potenza di cui parlano le leggende, peraltro - sarebbe stato quindi affidato dai messaggeri di quegli strani cosi - esseri, o quel che diamine sono - chiamati Whill all’uomo d’oro ed al piccolo nano bianco che, aiutati dal mostro di peli, lo trasportarono qui, a immensa distanza, in quelle che vengono chiamate Regioni Ignote, per nasconderlo in eterno.»
       La giovane, confortata dall’abbraccio di suo padre e nuovamente coinvolta dal racconto, aveva già dimenticato la paura di poco prima e, mano a mano che lui parlava, spostava gli occhi lungo quelle righe indecifrabili, quasi riuscisse lei stessa a discernerne il significato.
       «Quindi ci siamo ricollegati alle leggende che già conoscevi?» chiese, pena di curiosità. Era la prima volta che si imbatteva in una leggenda tanto lunga e complessa: di solito, le antiche storie apparivano sì interessanti, ma molto più rapide e meno particolareggiate.
       «Sì e…» le parole morirono in bocca ad Indiana Jones.
       Scioltosi rapidamente dall’abbraccio, si avvicinò ulteriormente alla parete, per vedere meglio una specie di graffito che vi era stato inciso in maniera un po’ incerta e che aveva magnetizzato tutta la sua attenzione, facendogli immediatamente scordare ogni altra cosa.
       Alla luce giallognola della sua lampada, non apparve una parola come le altre, bensì un disegno… un disegno raffigurante qualcosa che lui conosceva benissimo, ma che non avrebbe dovuto trovarsi lì, così lontano dal bacino del Mediterraneo e dalla Terra Santa.
       Strabuzzò gli occhi, cercando una spiegazione logica a ciò che aveva di fronte agli occhi e tentando di controllare il tremore che gli aveva colpito le membra, ma non vi riuscì, tanto che dovette stringere il più possibile la presa sulla torcia per non farsela sfuggire, mentre Katy lo fissava profondamente angosciata.
       All’improvviso, ricordi del passato, dell’infanzia, del catechismo e, soprattutto, di parecchi anni più tardi, fecero a pugni per venire a galla tutti insieme nella sua memoria, mentre una citazione biblica gli risuonò chiarissima nella mente, come se avesse finito di leggere da pochi secondi quelle pagine considerate sacre da milioni e milioni di persone nel mondo.
       «E Besaleel fece l’Arca di legno d’acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga e alta un cubito e mezzo. La ricoprì d’oro puro di dentro e di fuori; e le fece intorno una corona d’oro… preparò due stanghe di legno, le ricoprì d’oro e le fece passare negli anelli ai lati dell’Arca… fece inoltre due cherubini d’oro, alle estremità del propiziatorio, con le ali aperte…»
       Per poco Indiana Jones non crollò in ginocchio, mentre tutte le sue più profonde certezze venivano rapidamente a mancare, scomparendo nel turbine dell’incomprensibile che prendeva forma sotto il suo sguardo meravigliato ed incredulo. C’erano state molte cose di cui non si era mai potuto dire sicuro ma, ora come ora, credeva che una tale convinzione potesse tranquillamente estendersi a tutto il mondo o, meglio, all’intero universo.
       Non era possibile… l’Arca dell’Alleanza non poteva essere stata raffigurata lì, a meno che…
    Rammentò la sua potenza scatenata, il modo atroce in cui aveva annientato tutti coloro che avevano osato profanarla con lo sguardo, e ripensò alla sua estrema pericolosità, tramandata dalla Bibbia… possibile che fosse davvero un oggetto proveniente da altri mondi? Ma, allora, in tal caso, anche quello che aveva appena finito di leggere non poteva più essere una semplice leggenda, bensì…
       «Papà, che c’è?»risuonò la voce di Katy, vicina e lontana allo stesso tempo. Era molto preoccupata per lui e lo si capiva più che bene dal fatto che non avesse alcuna voglia di chiamarlo Old J come faceva sempre.
       Confuso, come riprendendosi da un sogno, l’archeologo si voltò a guardarla, scuotendo adagio il capo.
       «Io…» borbottò. «Io non so…»
       Non aveva parole, non sapeva più che cosa rispondere. Era abituato alle stranezze, era stato testimone dei fatti più assurdi, in vita sua, ma questo li batteva decisamente tutti quanti. Era come se qualcuno si fosse divertito a fargli credere per tutta la sua esistenza in qualcosa per poi, da vecchio, condurlo là sotto, dove tutto ciò in cui aveva sempre avuto fiducia era stato cancellato con un semplice graffito inciso sulla parete.
    In un fulmineo ritorno alla capacità di compiere ragionamenti logici, ripensò alle leggende dei Chachapoyan, alle storie tramandate di generazione in generazione, secondo le quali il grande uccello disceso dalle nubi, dopo aver trasportato la suprema potenza, il grande emanatore di energia, lontano da lì - ed ora si rendeva ben conto che, quel viaggio, aveva condotto l’Arca dell’Alleanza oltreoceano, nelle sabbiose terre d’Egitto - sarebbe rimasto custodito per sempre in quelle terre. Possibile che…?
       La confusione scomparve dai suoi occhi, il tremore cessò di colpo e la vitalità tornò a farsi sentire dentro di lui, mentre si guardava attorno con attenzione, cercando qualcosa che potesse indirizzarlo verso la più grande scoperta di tutta la sua carriera. Un pertugio, un passaggio verso un’altra grotta…
       «Seguimi!» ordinò seccamente alla figlia, partendo di corsa verso il capo opposto della grande cavità sotterranea, ad una velocità tale che, nonostante la giovane età, Katy fece quasi fatica a stargli dietro.
       «Old J, che accade? Dove diavolo stiamo andando, ora?» gridò, non capendo se il vecchio avesse improvvisamente perduto la ragione od altro.
       Ma Indiana Jones non perse neppure tempo a risponderle.
    Era proprio come se una potenza antica e misteriosa lo stesse attirando a sé, calamitandolo verso un’altra sala come quella. Una sala alla quale si accedeva attraverso una stretta galleria che, adesso, senza badare agli spigoli nella roccia che lo colpivano lasciandogli lividi un po’ ovunque, cominciò a percorrere in fretta, certo che, al di là, avrebbe trovato qualcosa di meraviglioso, forse la più eccezionale rivelazione di tutta la lunga strada che, nei decenni, lo aveva condotto in quell’entusiasmante viaggio attraverso i più arcani misteri della storia umana e non solo. Aveva già vissuto, in passato, l’esperienza clamorosa di scoprire l’esistenza di altri mondi ed altri uomini, ma mai come adesso si era sentito tanto vicino ad averne la prova, la conferma definitiva, quella che avrebbe cambiato per sempre le conoscenze sull’universo.
       Katy, alle sue spalle, lo implorò di rallentare, di aspettarla, ma lui la ignorò del tutto.
       «Fermati, Old J, non capisco…!» urlò la ragazza, ansimando forte e graffiandosi le mani ed il viso contro la roccia nel vano tentativo di tenere il suo passo.
       Ansante, l’archeologo sbucò dalla galleria ma, prima che avesse fatto in tempo a vedere alcunché, qualcosa di gigantesco, e di estremamente caldo, gli si parò davanti, ghermendolo in una stretta formidabile, mentre l’aria risuonava di versi e latrati incomprensibili che parevano emessi da una bestia mostruosa e sconosciuta.
       Atterrito, Indy tentò di liberarsi da quella presa, mentre alle sue spalle risuonava il grido terrorizzato, impotente e colmo di orrore di sua figlia; ma, per quanti sforzi facesse, quella cosa - qualunque cosa fosse - che lo aveva intrappolato non pareva intenzionata a smettere di tenerlo immobilizzato.
       Tuttavia, c’era qualcosa di strano, perché quella non sembrava la stretta dolorosa di un animale selvaggio, bensì un abbraccio caldo e fraterno, quello di un vecchio amico non più incontrato da tempo immemore eppure mai dimenticato…


   === Nota ===

[1]: Frase del filosofo Bertrand Russell (1872 - 1970)

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Capitolo 4
*** Incontri galattici ***


3 - INCONTRI GALATTICI

       «Chewbacca, lascialo immediatamente andare, stupido ammasso di peli che non sei altro!» risuonò a quel punto una vocetta monotona, che non incuteva nessun timore. «Come puoi credere che sia davvero il signor Han Solo, dopo tutto questo tempo?»
       Con un ultimo grugnito, la cosa che aveva intrappolato Indy si ritrasse, facendo crollare al suolo l’archeologo che respirava a fatica. Sebbene terrorizzata, Katy gli corse a fianco per accertarsi delle sue condizioni.
       «Lo perdoni, signore, ma a volte è un vero primitivo» continuò a dire la vocetta, che pareva quasi essere quella di un servile maggiordomo inglese, per quanto assurdo fosse credere che, là sotto, potesse essercene uno. «Del resto, non è programmato per capire il comportamento umano, come invece sono io.»
       Per sua fortuna, Jones non era ferito, ma semplicemente frastornato. Che diavolo era quella cosa che…?
       Sollevati gli occhi, padre e figlia rimasero paralizzati dallo stupore. Ad osservarli a breve distanza, ben illuminati da quelle che parevano essere a tutti gli effetti lampade artificiali appese alle pareti rocciose, vi erano quello che sembrava essere un robot umanoide dorato ed una creatura gigantesca, alta più di due metri e ricoperta di un foltissimo e morbido pelo marrone.
       Il mostro chinò leggermente di lato la testa ed emise un piccolo e incomprensibile latrato, che tuttavia non aveva nulla di minaccioso. Incomprensibile, perlomeno, per Katy, mentre Indy - per quanto illogico e irragionevole potesse sembrare - capì immediatamente le sue parole, come se parlasse una lingua che gli era notissima.
       «Non volevi spaventarmi, eh?» borbottò, per tutta risposta. «Per poco mi prendeva un infarto… alla mia età certe emozioni non vanno bene…»
       La giovane sgranò i grandi occhi, decisamente più sorpresa che spaventata per quella situazione paradossale e fino a pochi istanti prima del tutto inimmaginabile.
       «Stai… stai veramente parlando con quella… quella cosa?!» borbottò, incredula. Che suo padre fosse un grande conoscitore di lingue, idiomi e dialetti dei più vari generi lo aveva sempre saputo, ma questo gli sembrava veramente troppo: era quasi come guardare San Francesco predicare agli animali. «Tu la capisci?!»
       «E quella cosa capisce te» sottolineò Indy, facendole un segno molto eloquente perché non si sbilanciasse troppo con le offese.
       «Arrgghhh uooo uuuooorrrrrr» replicò il mostro, scuotendo piano la testa.
       «Lo so, lo so, non è colpa tua se sono caduto…» si ritrovò a rispondere ancora l’archeologo, annuendo adagio. «È anche colpa mia, il dottore mi ha detto di prendere alcune pastiglie, ma io non gli ho dato retta e le ho buttate tutte via…»
       D’improvviso, Jones ammutolì: stava sul serio discorrendo dei suoi problemi di salute di uomo che aveva passato da un pezzo la settantina con un mostro che aveva appena tentato di strangolarlo dopo essere sbucato da una galleria nel cuore più tenebroso e lontano della montagna? Forse stava semplicemente facendo un sogno, il sogno più strano ed assurdo che ricordasse di aver mai vissuto, oppure cominciava davvero a soffrire di demenza senile o qualcosa di simile… magari, una nuova visita dal medico non gli avrebbe fatto alcun male e, questa volta, non avrebbe gettato nell’immondizia la scatolina ancora intatta delle compresse…
       Il robot dorato - perché proprio di un robot dorato si trattava - fece un passettino in avanti, provocando dei suoi metallici con le sue giunture che, a quanto pareva, dovevano avere bisogno di un’urgente lubrificata.
       «Salve» disse, cercando di apparire formale, per quanto formale potesse apparire una ferraglia dorata come quella. «Io sono C-3PO, relazioni umane-cyborg. Sono davvero spiacente per quanto accaduto, ma Chewbacca è un tale irruento che…»
       Il robot partì in quarta in una logorroica spiegazione a cui nessuno, dopo avergli prestato attenzione solo per mezzo minuto, badò più di tanto.
       Sebbene ancora frastornata e seduta in terra accanto a suo padre, Katy non riusciva ad avvertire paura, dentro di sé, anche se riconosceva che, in una simile situazione, averne sarebbe stata la scelta più ovvia e più saggia. Ma quelle due… cose (persone le pareva un termine ben poco appropriato per definirle) non incutevano alcun tipo di timore, anzi infondevano quasi una certa sicurezza, nonché un immediato senso di calore, come se si trattasse di due vecchi amici a cui non fosse possibile non volere bene. Con agilità, balzò finalmente in piedi e si mosse verso di loro di un paio di passi.
       «Tu… tu sei un droide?» mormorò, con una vocina piccina piccina, rivolgendosi al robot dorato e luccicante, che stava ancora profondendosi nel suo mare infinito di scuse.
       «Oh» fece l’interpellato, interrompendosi. La guardò per un momento con i suoi occhi simili a fanalini, quindi rispose, ripetendo una seconda volta: «Certo. Salve, io sono C-3PO, relazioni umane-cyborg. Sono un droide protocollare, lieto di conoscerti. E sono davvero dolente per questa accoglienza che…»
       «E… lui…?» chiese ancora la ragazza, gettando una timida occhiata all’imponente figura dell’enorme essere ricoperto di folta pelliccia marrone.
       «Lui è un Wookiee» spiegò Jones con voce roca, rialzandosi a sua volta. «È un abitante del pianeta Kashyyyk. Faceva il contrabbandiere galattico, prima di capitare qui…» Ammutolì di nuovo, disorientato e perplesso.
       Ma come diavolo faceva a saperlo? Chi gli aveva insegnato quelle cose? E come poteva capire il senso di quei latrati grotteschi, che sembravano l’incrocio tra il barrito di un elefante e i versi di un vecchio tricheco affamato? Guardò confuso il droide e la creatura, mentre le sue stesse domande comparivano nella mente di sua figlia, sempre più dubbiosa ed incerta. La situazione stava prendendo una tale piega che anche Katy, proprio come suo padre, cominciava a pensare che potesse averle dato di volta il cervello.
       «Ahhhhhrrrrrrr!» esclamò Chewbacca, che parve nuovamente sul punto di voler abbracciare Indy, che arretrò di un passo, facendo scudo alla ragazza quasi temendo il peggio. Eppure, continuava a non esserci alcuna minaccia nello sguardo del mostro peloso, bensì solamente una dolce tenerezza.
       «Oh, cielo!» esclamò invece C-3PO. «Le possibilità che quaggiù capitasse una persona a noi conosciuta come il signor Han Solo erano una a novecentotredicimilaseicentoquarantasette! Eppure, per quanto ciò sia strano, pare proprio che sia successo! Oh, cielo! Sia lodato il mio creatore!»
       «Ma chi diavolo sarebbe questo Han Solo di cui continuate a parlare…?! È la seconda volta che lo tirate fuori, ma vi assicuro che non lo conosco!» sbottò Indy, saettando lo sguardo dall’uno all’altro. «Io mi chiamo Ind…»
       Ancora una volta, però, le parole gli morirono sulla labbra, perché, d’improvviso, il nome Han Solo non gli parve più così campato in aria e gli sembrò quasi di rammentare qualcosa, qualcosa a cui non aveva più rivolto alcun pensiero da… migliaia di anni?
       «Non è possibile» borbottò, scuotendo la testa per provare a fare ordine nella sua mente. «No. Non è possibile per niente…»
       «Che cosa, papà?» domandò Katy, ansiosa di saperne di più, con la voce che tremava per quell’emozione indefinibile che riesce a mischiare un’eccitata curiosità ad una paura indefinibile. «Che cosa non è possibile? Ma tu, allora, li conosci, questi due?»
       L’archeologo, preda della confusione e di strane sensazioni che si rincorrevano senza sosta nel profondo della sua memoria, aveva abbassato lo sguardo, ma adesso tornò a sollevarlo verso il droide ed il Wookiee. Forse non li conosceva, anzi non poteva affatto conoscerli, dato che non li aveva mai visti prima in vita sua, eppure era come se, quelli, fossero due vecchi amici, due amici che non aveva più rivisto da tantissimo tempo, due vecchi compagni d’avventura che non aveva mai dimenticato, bensì solamente messo da parte in attesa che arrivasse il momento di incontrarli di nuovo. In poche parole, non era mai stato meno sicuro e contemporaneamente tanto certo di qualcosa come in quel momento.
       «Non so» mugugnò, scuotendo la testa e torcendosi le mani nel tentativo di mascherare il proprio nervosismo. «Ma ho come una strana sensazione, come se in qualche modo fossi già stato qui, come se…»
       Nello stesso istante, inaspettato e lucente, qualcosa si materializzò di fronte ai loro occhi, un’apparizione opalescente ed eterea che li fece sobbalzare e indusse Katy a gridare, con spavento: «Un fantasma!»
       Era davvero troppo e, sotto la camicetta sbottonata oltre misura, il suo petto cominciò a sollevarsi e ad abbassarsi velocissimo, in preda ad una folle agitazione che minacciava di farle scoppiare le vene.
       «Una proiezione nella Forza, più precisamente» la corresse il nuovo venuto, un uomo anziano e con la barba, avvolto da una tunica, sul cui viso rifulgeva lo sguardo ironico di un eterno ragazzino. «E tu non devi avere paura di me, Katy Jones, perché non ho cattive intenzioni.»
       «Luke… Luke Skywalker…» balbettò Indy, stravolto. Possibile che non avesse alcun timore, di fronte ad un simile visione? E come diavolo poteva sapere persino il nome di quello spirito?
       «Sì, sono io» replicò il vecchio spettro, incrociando le braccia ed appoggiandosi stancamente e con sollievo ad una parete per potersi riposare. Anche i fantasmi, in fondo, hanno bisogno di concedersi qualche minuto di pausa, di quando in quando. «Era da tanto tempo che speravo di vederti ancora, Han. Tantissimo tempo…»
       Indy, notando la spavento della figlia, l’attirò a sé e la tenne stretta in un abbraccio confortante, per farle capire che sarebbe andato tutto bene e che non c’era proprio nulla di cui avere paura, fintanto che lui era lì insieme a lei. A quel contatto, Katy riuscì a calmarsi, fino a che il suo respiro tornò a farsi nuovamente normale.
    Poi, per quanto la situazione fosse delirante e fosse certo di essere sul punto di perdere per sempre l’uso della ragione, l’archeologo sollevò nuovamente gli occhi verso quei tre individui misteriosi e sbottò: «Insomma, finitela tutti quanti, con questo Han! Io mi chiamo Indiana Jones!»
       «Raaahh» commentò Chewbacca, incuriosito.
       «È vero, è così che sei solito farti chiamare, adesso, ed è in questa maniera che i tuoi attuali contemporanei ti conoscono e si rivolgono a te» rispose Luke, dal fondo della sua antica e sconfinata saggezza, facendo balenare su di lui uno sguardo attento e intenso. «È questo il tuo nome, in questa vita. Ma, in fondo, che cosa cambia? Che cosa vuoi che possa significare, un semplice nome, di fronte agli arcani misteri del tutto, a confronto dei disegni della Forza? Noi veniamo dal tutto, proveniamo da un unico fuoco primordiale che, inizialmente, ci ha plasmati tutti simili e uguali, ma nel momento stesso in cui ne siamo usciti siamo divenuti diversi, differenti da chiunque altro; ciascuno di noi, nato una prima volta, è unico e tale resterà per sempre, oltre le barriere del tempo e dello spazio. I nomi non contano, perché essi, esattamente come i corpi, sono semplici rivestimenti di un uno eterno e immutabile, un uno che, sommandosi a tutti gli altri uni senza mai deperire, forma l’ammasso dell’intero universo infinito. Che tu ti faccia chiamare Han Solo od Indiana Jones, sempre uno rimani.» Un sogghigno ironico balenò sull’antico volto di quell’immagine fosforescente. «In qualsiasi forma io ti possa incontrare, tu sarai sempre lo stesso avventuriero scavezzacollo che si butta a capofitto nelle situazioni più complesse ed incredibili, uscendone vivo per puro miracolo e senza sapere bene neppure tu stesso come abbia fatto per cavartela.» Il ghigno divertito dell’apparizione spettrale, ora, lasciò il posto ad un sorriso sincero e la sua voce si fece più calda, piena di amicizia fraterna mai sopita. «Sarai sempre l’uomo dal cuore d’oro che, pur trincerandosi dietro a un velo di sarcasmo e di apparente egoismo, si sente perennemente in dovere di fare qualcosa per gli altri, specialmente per le persone a cui tiene di più, senza pensare che, questo, potrebbe mettere a repentaglio la sua stessa esistenza.»
       Katy, liberatasi dalla dolce presa del padre, si mosse un po’ in avanti, prima che lui la afferrasse per una spalla, trattenendola ancora. Incredibilmente, superato il primo momento di naturale panico, aveva scoperto che neppure quel fantasma le faceva paura, anzi adesso vi vedeva niente altro che un uomo simpatico e rassicurante, in grado di infondere emozioni positive in chiunque se lo trovasse di fronte.
       Mordendosi le labbra, capì che, adesso, ciò che aveva addosso era soprattutto la curiosità, una curiosità talmente forte da non ricordare di aver mai provata prima qualcosa di simile.
       «Ma…» osò domandare, vincendo la ritrosia che provava, «chi siete voi? Che cosa ci fate qui, sottoterra? E come fate a conoscere mio padre?»
    A lei, tutto quel discorso degli uni che si susseguono o qualcosa di simile, era parsa più che altro una dissertazione filosofica che si sarebbe potuta ascoltare presso una qualche scuola greca del quinto secolo avanti Cristo, oppure nell’aula del professor Jennings, non certo in una grotta sconosciuta nel folto dell’Amazzonia. E, di certo, non le aveva dato alcuna risposta alle mille domande che le stavano vorticando nella mente.
       Luke la guardò e le rivolse un sorriso incantevole, capace di attraversare i millenni per giungere intatto fino al presente, come se ogni singolo confine si fosse annullato nella sua consapevolezza di essere andato ben oltre i limiti della comprensione umana.
       «Noi e tuo padre eravamo compagni di lotta, un tempo» la informò, con una solennità che, però, tradiva anche un certo divertimento misto a rimpianto.
       «Come?» balbettò la ragazza, sempre più disorientata. «Che cosa sta dicendo, Old J? In che senso compagni di lotta…? Intende forse dire che avete fatto le guerre mondiali insieme?»
       Sollevò gli occhi verso il genitore che, però, pareva aver perso la parola.
       Nello sguardo di Indiana Jones, adesso, si leggeva un turbine inafferrabile di strane e contrastanti emozioni ed il suo vecchio volto rugoso e segnato dalle cicatrici, nella penombra, pareva quasi ringiovanito. Era proprio come se lui ricordasse, in maniera inconsapevole, come se non avesse mai scordato nulla…
       «È stato tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana…» proseguì Luke, incrociando le mani dietro la schiena e scostandosi dalla parete per iniziare a passeggiare avanti e indietro. «Abbiamo lottato insieme contro il malvagio Impero Galattico e, devo dirlo, ci siamo fatti valere. Non dimenticherò mai le nostre scorribande tra le stelle e, in fondo, sono sicuro che neppure Han… Indy… le abbia mai dimenticate per davvero.» Il suo sguardo eloquente si volse verso l’archeologo. Gli sorrise e proseguì. «Pensate, nonostante le battaglie continue, c’era persino tempo per provare dei sentimenti. Eravamo entrambi innamorati della stessa ragazza e facevamo di tutto per conquistarne il cuore, ma non abbiamo mai litigato, per questo motivo. Alla fine, però, Leia scelse Han, e in fondo non poteva nemmeno andare diversamente, considerato che, poi, scoprimmo di essere fratello e sorella.»
       Prima che Katy potesse replicare qualcosa, Jones decise di intervenire, prendendo poderosamente in mano la situazione. Lo scherzo gli pareva durato abbastanza, perché doveva trattarsi per forza di uno scherzo, non potevano esserci altre spiegazioni logiche; e, poiché si rifiutava in maniera categorica di credere nell’esistenza dell’illogico, non restavano altre vie che quella.
       «D’accordo, adesso basta con tutte queste frottole!» ruggì, sollevando un dito ammonitore verso il fantasma. «Se dovessi dare retta a voi, io sarei una specie di… di reincarnazione di qualche idiota stellare?»
       «Rahh! Uh uh uh» confermò Chewie, ridendo sotto i baffi.
       Indy gli rivolse un’occhiataccia.
        «Non diciamo stupidate!» continuò. «Non so che cosa stiate facendo, qui sotto, se siate qui per girare un qualche sciocco film sugli extraterrestri o che altro, ma io…!»
       «Papà, a me non sembrano per niente attori» balbettò Katy, continuando ad osservare C-3PO che si muoveva a piccoli scatti, Chewbacca che girava adagio il testone e tratteneva a stento il riso e Luke che sorrideva serafico e distaccato.
       «Ma certo che lo sono!» si impuntò il coriaceo archeologo. «E pure scadenti, per giunta! Ne devono fare, di strada, con gli effetti speciali, per realizzare un prodotto soddisfacente! Sta a vedere…!»
       Detto questo, mosse una paio di passi minacciosi in avanti, sollevò il pugno destro e, senza perdere tempo, lo fece partire con forza verso il volto di Luke, che restò immobile, senza tentare di scansarsi e senza neppure battere ciglio, rimanendo impassibile e sorridente.
       Il gancio, così micidiale che avrebbe abbattuto senza difficoltà anche un uomo molto più possente di Skywalker, non sortì alcun effetto, se non quello di colpire il vuoto e di sbilanciare Indy che, ancora una volta, crollò al suolo.
       Con un «Uooo» rassegnato, dopo aver agitato le braccia in segno di arrendevole condiscendenza, il Wookiee lo afferrò prontamente sotto le ascelle e lo rimise subito in piedi, mentre ancora Jones strabuzzava gli occhi nel tentativo di capire che cosa fosse accaduto di preciso.
       «Han, Han, Han» lo biasimò mestamente Luke, scuotendo il capo alle sue spalle. «Sempre il solito incredulo. Ancora dubiti del fatto che le vie della Forza siano infinite? Ancora credi che non esista un fato superiore a cui non possiamo sottrarci?» L’antico guerriero fece una breve pausa, ricambiando con affetto lo sguardo stizzito che l’archeologo gli aveva rivolto, poi riprese: «Io lo so perfettamente che nessun campo di energia mistica domina il tuo destino, eppure credevo che lo avessi accettato, alla fine. Hai veramente dimenticato tutto? La Forza, i Jedi, il Lato Oscuro… e, soprattutto, Leia… il vostro amore… vostro figlio… e te medesimo… veramente ogni cosa si è cancellata dalla tua mente? Sul serio non è rimasto nulla, di ciò che fu?» Luke si interruppe di nuovo, studiandolo con interesse.
       «Leia…» borbottò Jones, con una strana luce accesa nello sguardo. Dopo un attimo, però, aggiunse: «Ne ho conosciute tante… ma con un nome simile nemmeno una! Di certo, non ci ho fatto un figlio!»
       «E, quindi, hai voluto scordare ogni cosa, tutto ciò che la Forza aveva creato ed unito» continuò lo spirito, senza mostrare alcun tipo di tristezza. «Eppure, è proprio grazie alla Forza che ti è stata data questa nuova possibilità, questa seconda opportunità… ed è grazie alla Forza che sei giunto qui, oggi. Perché, lo sai quanto lo so io, le vie della Forza non hanno mai termine e chiunque, anche il più lontano da essa, è destinato a entrare a far parte del grande mistero. La Forza scorre potente in tutte le cose, ci unisce e ci permea, e…»
       «E basta, con queste teorie da vecchio stregone!» sbraitò Jones, ancora ansante, distogliendo lo sguardo dal suo. Sollevò gli occhi al volto del mostro ricoperto di pelliccia e sbottò, con sarcasmo: «Ma lo senti, Chewie? Cerca ancora di ingannarci con queste sciocchezze, proprio come faceva il vecchio pazzo…» Ammutolì, basito, perché quell’ultima frase gli era uscita da sola, spontaneamente, come se non l’avesse neppure formulata lui stesso, cosa che effettivamente poteva anche corrispondere al vero.
       Luke, invece, sorrise e pure il Wookiee emise un basso ringhio ricolmo di soddisfazione.
       «Lo vedi?» domandò. «È ancora tutto dentro di te, devi solamente farlo riemergere. Noi non possiamo dimenticare, perché siamo destinati a ricordare tutto eternamente… e, forse, c’è qui qualcosa che ti farà rinfrescare la memoria. Credo che nulla, meglio di questo, ti chiarirà chi sei e ti farà rivedere tutto ciò che, ancora, vive racchiuso dentro di te.»
       Detto questo, lo spettro fece un cenno in direzione della vasta sala alle sue spalle, come ad invitare padre e figlia a proseguire nel loro cammino per scoprire che cosa vi si nascondesse.
    Incuriosito, Jones decise di obbedire: che altra diavoleria li aspettava, adesso? Da quel vecchio fantasma saccente, che pareva saperla parecchio lunga su ogni cosa, si sarebbe potuto aspettare proprio di tutto.
       «Stammi vicina» ordinò seccamente a Katy, costringendola a togliersi di bocca il dito che aveva cominciato a masticarsi pensosamente nell’ascoltare il discorso di Luke e tenendola stretta per la mano, quasi temesse che potessero portargliela via.
       Insieme, scortati da un lato da Chewbacca e dall’altro da C-3PO - mentre Luke, dopo un ultimo sorriso, scomparve nel nulla, come se non fosse mai esistito - si avviarono a passo lento dentro la grotta, ansiosi di scoprire che cosa vi celasse.
       L’ampia caverna era illuminata da numerosi fari che pendevano dal soffitto, i quali emettevano un basso ronzio, che si mischiava a quello proveniente da strani pannelli e monitor di vetro accostati alle pareti - alimentati da numerosi cavi intrecciati in maniera disordinata sul terreno - pieni all’inverosimile di lucine e di diagrammi così strambi da sembrare quasi cabalistici, il cui scopo era del tutto fuori dalla portata delle conoscenze di Indy e Katy.
       Ma quello che maggiormente attrasse l’attenzione dei due terrestri non fu tanto l’arredo di quell’inaspettata base sotterranea nel ventre delle Ande peruviane, bensì l’oggetto di immense dimensioni che essa custodiva, un relitto di un’epoca lontanissima eppure ancora perfettamente in grado di calamitare su di sé gli sguardi, per via della sua forma - che pareva quasi quella di un disco volante, anche se diverso da qualsiasi altro velivolo del genere fosse stato rappresentato al cinema - e del suo fascino indescrivibile.
       In verità, a primo impatto, Katy pensò che quella fosse solamente una vecchia ferraglia piena di ruggine e cominciò a credere che suo padre avesse ragione, nel ritenere che si stessero trovando al cospetto della messinscena di un qualche scadente film di serie B; mai, nemmeno se glielo avessero dimostrato sotto il naso, avrebbe potuto credere che della gente avesse attraversato le buie distese siderali a bordo di un affare come quello.
       Non riuscendo a trattenersi, scoppiò in una risata piena di sarcasmo, che le attrasse le attenzioni del droide e del Wookiee che, però, non dissero nulla a riguardo.
       Tuttavia, Indy non parve affatto essere della stessa opinione della figlia.
       Incapace di fare altro, si trovò a sorridere come un bambino di fronte a quell’astronave ineguagliabile ed ardita, quel mezzo dalle proporzioni e dalle forme a prima vista poco attraenti ma in realtà del tutto perfette - esattamente come quelle di una morigerata ragazza tutta acqua e sapone che, sollecitata giusto un poco, si sfili il castigato maglioncino della nonna rivelando una leggera camicetta ed un fisico da mozzare il fiato - quella nave che, proprio come aveva predetto quel sapientino di Skywalker, gli stava risvegliando ricordi lontanissimi, reminescenze di una vita che non aveva mai smesso, neppure per un istante, di scorrere dentro di lui, di battere in ogni pulsazione del suo cuore vecchio ma sempre energico.
       Il furto di coassio, i bonari litigi con Lando Calrissian, il contrabbando di spezia, gli incidenti continui, l’amicizia irrinunciabile con Chewbacca, le fughe dagli spietati ma un po’ tonti cacciatori di taglie di Jabba, la Ribellione, la lotta sempre più serrata contro l’Impero Galattico… e, soprattutto, Leia, la sua principessa, il loro amore proibito in mezzo alle stelle, un sogno coronato dalla nascita di un figlio tanto amato ma, forse, lasciato troppo solo… all’improvviso, quelli non furono più semplici e vuoti nomi privi di significato, bensì  fatti, fatti più concreti e vivi che mai.
       «E noi dovremmo credere alle vostre bugie?» disse intanto Katy, sorridendo con ironia. «Volete veramente prendervi gioco di noi? Si vede benissimo che quella ferraglia non si è mai sollevata da terra e…»
       «Cosa?! Come?!» esclamò suo padre, richiamato repentinamente alla realtà. «Ehi, ehi, signorina, piano con le offese!» Si interruppe un momento, poi riprese, fissandola dritta negli occhi: «Non avrà un bell’aspetto, ma non le manca niente!»
       «Oh, cielo!» commentò nuovamente C-3PO, voltandosi a guardarlo di scatto, mentre anche Chewie grugniva adagio, in attesa dell’ultima e più importante delle conferme.
       «Guarda che, quella, è la nave che ha fatto la Rotta di Kessel in meno di dodici parsec!» continuò imperterrito l’archeologo, sentendosi quasi oltraggiato dalla mancanza di rispetto di sua figlia. «Non hai mai sentito nominare il Millennium Falcon?!»
       Katy lo fissò con tanto d’occhi, mordendosi il labbro inferiore come le capitava spesso quando era nervosa per qualcosa, mentre Chewie, al settimo cielo, sollevò le lunghe braccia pelose in un gesto di trionfo e ruggì tutta la sua estrema felicità, facendo echeggiare dei suoi latrati le pareti della vasta cavità sotterranea.
       «Arrrgghhh! Rraauurrraaa! Wwwuuuooooorrrrrggg! Hhhhaarrrrr!»
       Indy, ormai, non aveva più dubbi.
       Sapeva bene di essere sempre se stesso, il medesimo uomo che era stato fino a quel giorno, ricordava ogni singolo dettaglio del suo passato, dall’infanzia a quello stesso giorno, non aveva dimenticato neppure una virgola delle sue numerose avventure intorno al mondo, e provava ancora i medesimi sentimenti di prima per Marion e per i loro figli, oltre naturalmente che per lo studio della storia e dell’archeologia; questo incontro inaspettato, sotto quel punto di vista, non gli aveva provocato nessun cambiamento a livello psichico, neppure il più minimo. Lui, per quanto lo concerneva, era stato Indiana Jones fino a quel momento e avrebbe continuato ad esserlo fino a quando avesse avuto abbastanza fiato in corpo per continuare a respirare.
       Allo stesso tempo, però, era certo di chiamarsi anche Han Solo e di questo Han Solo, che fino a un istante prima non aveva significato assolutamente nulla per lui, conservava ogni minimo ricordo, compreso il fatto di essere una canaglia stellare della peggior specie. Non che fosse molto diverso da lui, in fondo; cambiavano gli ambiti in cui spostarsi, mutavano magari le condizioni di lavoro e la professione, d’accordo, ma per il resto erano praticamente identici, la copia fatta e finita l’uno dell’altro: donnaioli impenitenti, capaci però di amare con tutto se stessi una donna sola, sempre pronti a mettere da parte il proprio orgoglio ed il proprio sagace sarcasmo per aiutare gli altri, spericolati, coraggiosi fino all’idiozia… non era affatto difficile identificarsi o nell’uno o nell’altro, oppure in tutti e due contemporaneamente. Erano due facce della medesima medaglia. Era come… come se, guardandosi allo specchio, vedesse riflesso quell’altro uomo senza però provare alcun tipo di angoscia, perché era perfettamente normale che il primo fosse l’immagine speculare del secondo e viceversa.
       Ormai consapevole di chi fosse davvero, mosse un passo  deciso in direzione del Millennium Falcon, ansioso di risalire a bordo di quella sua amata nave da cui era stato lontano troppo a lungo, pronto a sedersi nuovamente al posto del pilota, con Chewbacca al suo fianco. Provò quasi un brivido di impazienza, mentre una ridda di pensieri vorticosi gli si affollava nella mente: le stelle lo aspettavano, i viaggi interstellari lo richiamavano a sé, di nuovo, per sempre…
       All’improvviso si fermò.
       Che accidenti stava facendo? Lui non era Han Solo, era Indiana Jones. Non poteva prendere, lasciarsi tutto alle spalle e partire a bordo di un’astronave come se nulla fosse, come se non ci fosse niente altro a tenerlo legato a sé a doppio filo.
    Sul serio era sul punto di commettere - un’altra volta - un simile, madornale, errore? Scavando tra i ricordi di quell’antico contrabbandiere, lo vide profondamente legato alla sua famiglia, ma non al punto da metterla al primo posto. Han Solo aveva sempre preferito viaggi e avventure alla donna che amava ed a loro figlio, al punto di lasciarli soli sempre più a lungo, fino ad andarsene per non fare più ritorno; e, quella donna, l’amatissima Leia, si era gettata a capofitto nella politica per non pensare alle sue continue assenze, mentre quel povero bambino aveva sofferto, invocandolo nel buio delle notti, chiamandolo a sé. Ma lui non c’era, non c’era mai e questa, alla fine, si era rivelata la sua rovina.
       Han era un uomo dal cuore d’oro ma che, pur non in maniera consapevole, aveva compiuto una serie impressionante di errori imperdonabili, in vita sua. E, forse, era esattamente questo il messaggio che, quella misteriosa Forza, voleva comunicargli: agli errori può esserci rimedio, anche a distanza di migliaia di anni, purché non li si commetta nuovamente. Ed il suo errore più grande, adesso, sarebbe stato quello di lasciarsi alle spalle tutto ciò che aveva costruito faticosamente nei lunghi decenni della sua vita, di abbandonare ciò che più amava al mondo per potersi lanciare a capofitto verso la luce delle stelle.
       Turbato, si voltò all’indietro, osservando gli altri tre, che ricambiarono il suo sguardo ma, soprattutto, cercò gli occhi di Katy, quegli occhi così dolci, verdi come il mare, gli stessi occhi di Marion, della sua amata Marion.
       «Che succede, Old J?» gli chiese la ragazza, ancora confusa. «Come fai a sapere che questo affare si chiama… come hai detto che si chiama?»
       «Millennium Falcon» grugnì suo padre, distratto.
       All’improvviso, Indiana Jones ebbe una voglia matta di prendere in braccio la sua bambina, di tenerla stretta a sé e di cullarla come faceva quando era ancora quella frugoletta sorridente che gli zampettava incontro quando lui rientrava dal lavoro; sentì un ardente desiderio di accarezzarle i capelli e di schioccarle un bacio sulle guance, come non faceva più da anni, di stringerla e di sentirla più concreta e presente che mai, rassicurandola che, per lei, per i suoi fratelli e per la mamma, lui ci sarebbe stato sempre e non se ne sarebbe mai andato. Lui non avrebbe ripetuto di nuovo quegli antichi ma sempre dolorosi sbagli…
       Però, prima che Indy o chiunque altro potesse dire o fare alcunché, da un angolo della caverna risuonarono dei rapidi fischi in successione ed un piccolo droide bianco con inserti blu, a forma di cilindro con una testa a cupola, si fece loro incontro, trascinandosi sugli arti meccanici muniti di rotelle.
       «R2» lo salutò C-3PO, «dove ti eri cacciato?» Quindi, voltatosi verso i due terrestri, aggiunse: «Questo è R2-D2, la mia controparte. Vi chiedo scusa per il suo carattere impudente, ma purtroppo è un modello di astrodroide molto obsoleto, che…»
       «Fiii… bibibi… fiiiuu…» lo interruppe con un tono ben poco accomodante il piccolo droide, volgendo verso di lui l’unico occhio blu.
       «Oh, ma come ti permetti, stupido barattolo!» replicò 3PO, offeso.
       Ignorandolo, il droide girò nuovamente l’occhio, mentre Katy lo guardava estasiata.
       «Ma è bellissimo!» esclamò, innamorandosi all’istante del robottino. «Old J, possiamo portarlo a casa?»
       Nonostante tutta la situazione lo avesse gettato in una specie di sconforto interiore, suo padre ghignò, mentre si appoggiava le mani sui fianchi e osservava con curiosità il nuovo venuto.
       «Non è un cucciolo abbandonato, piccola… Però lo hai riconosciuto? È senza dubbio il nano bianco e luccicante di cui parla la leggenda dei Chachapoyan.»
       R2-D2 permise a Katy di stringerlo in un abbraccio, a cui rispose con cinguettii e gorgoglii elettronici molto più docili e affettuosi rispetto a quelli decisamente impudenti che aveva rivolto al droide dorato, dopodiché si scostò un poco e cominciò subito a proiettare delle immagini sotto forma di ologramma bluastro, come se volesse raccontare a Indy ed a sua figlia una storia. E Jones non dubitò neppure per un istante che, a ordinargli di farlo, fosse stato Luke Skywalker.
       In effetti, fu veramente una storia, quella che scoprirono attraverso quella proiezione. Era quasi come guardare un film in tre dimensioni, un film girato nel corso di tantissimi anni.
       Nella proiezione, si videro due strane creature con una lunga cresta che partiva dalla sommità della nuca e ricadeva sul retro della schiena che caricavano a bordo del Millennium Falcon, sotto lo sguardo vigile di Chewbacca, un oggetto che Indy, per quanto non riuscisse a credere ai propri occhi, riconobbe a prima vista: l’Arca dell’Alleanza. Poco discosto, un altro di quegli strani umanoidi con la lunga cresta e la pelle verde, che pareva veramente molto vecchio, al punto che doveva appoggiarsi ad un bastone sormontato da un monile, stava parlando con il fantasma di Luke.
       «Questo è l’ultimo artefatto sopravvissuto in grado di convogliare la Forza e di trasformarla un’energia molto pericolosa, maestro Jedi» spiegò la creatura, rivolgendosi con riverenza allo spettro del guerriero. «Quando fu costruito, nessuno avrebbe potuto immaginare che qualcuno avrebbe pensato di utilizzarlo per scopi malvagi.»
       Indy non ne sapeva bene il motivo, forse era un altro ricordo di Han Solo che affiorava alla sua memoria, ma era più che certo che, quello strano essere, fosse un twi’lek; anzi, senza riuscire a evitare di provare un brivido lungo la schiena, gli tornarono alla mente l’avvenenza straordinaria e la grande capacità amatoria delle femmine di twi’lek, nonché certe sue avventure amorose con una di loro, molto tempo prima di conoscere Leia… cacciò via quei ricordi che gli appartenevano e al medesimo tempo non erano suoi e tornò a concentrarsi sul filmato.
       «L’accumulatore sarebbe stato un’arma molto potente, se fosse caduto nelle mani di Darth Sidious o degli uomini del Primo Ordine» confermò Luke, annuendo gravemente. «Per fortuna, non è mai accaduto. Ora lo nasconderemo in un luogo irraggiungibile, dove la Forza stessa ha meno vigore che altrove, perché laggiù la sua conoscenza non è ancora avvenuta. Speriamo che, questo, riesca ad impedire per sempre che possa arrivare nelle mani sbagliate.»
       Il vecchio parve compiaciuto e soddisfatto, tanto che il suo volto si distese in un’espressione di puro sollievo e di serenità, come se si fosse appena tolto un grosso peso dal cuore.
       «Prendi anche questo» disse, porgendo il bastone che, ad un cenno di Luke, fu preso in consegna da C-3PO. «È sempre stato legato alla storia dell’accumulatore. La affido a te, grande maestro Jedi, perché so che tu potrai custodirla meglio di quanto potrei fare io…»
       A quel punto, Indy riconobbe senza più alcun dubbio quel bastone: era l’Asta di Ra e, quello sulla sua cima, era il medaglione che Abner Ravenwood aveva raccolto nel corso di uno scavo archeologico e di cui lui stesso si era servito per poter localizzare l’ubicazione esatta del Pozzo delle Anime, tanto tempo prima…
       R2 crepitò piano e l’immagine mutò.
       Adesso, si videro Chewbacca e C-3PO che, sempre sotto l’occhio vigile di R2-D2 e della presenza discreta di Luke, scaricavano l’Arca - o quello che era davvero - in una terra fertile che pareva a tutti gli effetti l’antico Egitto e domandavano ai sacerdoti di custodirla per sempre, tenendola nascosta e segreta affinché non fosse mai utilizzata da malintenzionati, dato che la sua potenza avrebbe scosso le fondamenta stesse della Terra, mettendo chiunque in pericolo.
       Poi, circondati da uomini inginocchiati che li adoravano alla stregua di divinità discese dal cielo, i tre viaggiatori stellari risalirono a bordo del Millennium Falcon, diretti oltre l’oceano, nelle terre dei Chachapoyan che, a loro volta, li avevano accolti come esseri divini, ricevendone in cambio l’idolo d’oro della fertilità che era stato trasportato fino a lì da un mondo lontanissimo…
       Ma ecco, dopo parecchio tempo, giunse una notizia inaspettata: durante il regno di uno dei più grandi Faraoni, una popolazione si era sollevata in Egitto e ne era fuggita, trafugando l’Arca che, da tempo immemore, vi era nascosta. Chewbacca e C-3PO, non sapendo che cosa fare, si misero nuovamente in contatto con Luke che, però, consigliò loro di non muovere alcun passo, di lasciare che la Storia di quel pianeta di cui erano ospiti svolgesse il proprio corso senza ulteriori interferenze.
   L’Arca, infine, come previsto dal maestro Jedi, fece ritorno in Egitto, dopo l’ennesima e sanguinosa campagna militare combattuta in suo nome, ma per quanto tempo vi sarebbe rimasta ancora, prima che altri la rubassero per scopi malvagi? Luke, dunque, decise che fosse giunto il momento di intervenire personalmente: dopo aver fatto sgomberare da tutti i suoi abitanti la città di Tanis, dove il pericoloso oggetto era stato nuovamente celato, provocò grazie alla Forza un’enorme tempesta di sabbia, seppellendola completamente, perlomeno fino a quando, tremila anni più tardi, un giovane ed intraprendente archeologo dall’aria decisamente familiare non discese nel Pozzo delle Anime per recuperarla prima che lo facessero i nazisti…
       Con un ultimo gorgoglio, R2-D2 terminò la sua proiezione nel momento esatto in cui si vedevano Indy e il suo fedele compagno Sallah sollevare il coperchio di pietra del contenitore che aveva nascosto l’Arca e Jones sollevò gli occhi, sconvolto.
       Sapeva bene che, in vita sua, aveva avuto l’inattesa fortuna di poter assistere ad eventi oltremodo prodigiosi, ma mai e poi mai avrebbe creduto che l’Arca dell’Alleanza, quella a cui lui ed Abner Ravenwood avevano dato con ostinazione la caccia per tanti anni, potesse provenire da luoghi tanto remoti e incredibili.
       Improvvisamente, gli tornarono alla mente le parole pronunciate da Sallah parecchi anni prima, quando lo aveva aiutato nella ricerca di quell’oggetto, nello stesso momento in cui anche Belloq ed i nazisti, pronti a tutto pur di riuscire nella propria impresa, si stavano dando da fare per ottenere lo stesso risultato: «L’Arca non è un oggetto terrestre.» Il suo vecchio amico aveva parlato mosso più che altro da un timore reverenziale, certo, dalla paura che l’indefinito e l’ignoto sempre eserciteranno sui cuori degli uomini, magari spaventato da un poco di superstizione, e forse non aveva mai avuto la più pallida idea di quanto si fosse decisamente avvicinato alla verità…
       «L’Arca, adesso, è al sicuro» commentò l’archeologo, non sapendo che altro dire. «Si trova nascosta in un luogo da dove nessuno potrà mai più rubarla.»
       «Lo sappiamo» risuonò la voce di Luke, che ricomparve al fianco di Indy. «Ecco perché, infine, è giunto il momento di andarcene da questo pianeta… il momento di tornare tra le stelle. Ed ora tocca a te compiere una scelta, amico mio. Ti abbiamo atteso a lungo, consapevoli che un giorno la Forza ti avrebbe condotto fin qui, e quel giorno è arrivato. È il tuo momento, questo.»
       L’archeologo si volse a guardare il volto, adesso indecifrabile, dell’antico Jedi.
       «Una scelta?» ripeté, stralunato. «Non capisco.»
       «Ahhrrrrr» brontolò Chewie, adagio. «Raahh uuuhh.»
       Jones, quasi spaventato, voltò di scatto la testa verso di lui, incredulo. In quanto a Katy, pur non capendo che cosa accidenti stesse succedendo, si sentì improvvisamente impaurita, tanto che prese di nuovo la mano di suo padre e la strinse con tutte le sue forze.
       «Che cosa stanno dicendo?» chiese, intimorita.
       Indy non rispose subito. Stava cercando di capire anche lui il senso di quelle parole; lo aveva ben compreso, in verità, ma gliene sfuggiva il reale motivo, forse perché ne aveva una paura folle, un tipo di paura mai provata prima in tutta la sua vita.
       «È semplice, amico mio» continuò Luke. «È giunto il momento, per te, di operare questa scelta: vuoi continuare ad essere Indiana Jones, oppure preferisci ritornare Han Solo? Insomma, intendi venire via con noi, oppure sceglierai di rimanere qui?»
       Indy sbiancò. Dentro di lui, una miriade di emozioni contrastanti si accumularono senza sosta, rischiando di togliergli il fiato, facendogli diventare molli le gambe, che tremarono senza ritegno. Esattamente come già accaduto pochi istanti prima, ricordi e sensazioni di entrambe le sue lunghe ed avventurose vite si sommarono gli uni alle altre, apparendo nitidissimi ai suoi occhi. Vite intere, diverse ed uguali, gli scivolarono davanti agli occhi, facendolo sussultare, riempiendolo di sgomento e insieme di folli aspettative che non avrebbe saputo qualificare in una maniera precisa.
       Di nuovo, rivide se stesso come un contrabbandiere stellare, sempre pronto a cacciarsi nei guai, follemente innamorato di una principessa guerriera che gli aveva dato un figlio, quello stesso figlio che, trascurato e abbandonato a se stesso, si era irrimediabilmente volto al male, causando persino la sua morte, oltre che distruzioni terribili in tutta la Galassia; e, poi, vide il se stesso di adesso, l’archeologo un po’ spensierato che, dopo mille tribolazioni, si era unito in matrimonio ad una donna unica ed incredibile, la stessa donna con cui ancora viveva, la madre dei suoi figli che adorava. Veramente avrebbe potuto pensare di abbandonarli, di dire addio alla più grande delle sue gioie, per fare ritorno in quel mondo lontanissimo che, dopotutto, al termine di un’esistenza caotica, gli aveva riservato soltanto dolore e sofferenza?
       Ma poi, davanti ai suoi occhi sempre colmi di curiosità per tutto ciò che avrebbe potuto arricchirlo interiormente, apparvero le meraviglie degli altri pianeti, antichissime civiltà tutta da scoprire stuzzicarono la sua fantasia, contrapponendosi con decisione a questo suo mondo ormai tutto esplorato e che andava pian piano morendo, schiacciato sotto i fumi velenosi del progresso e dell’inquinamento…
       Avvertì una dolce pressione sulla mano ed abbassò gli occhi su Katy, la sua bambina: era così bella e l’amava così tanto, anche se a volte si comportava come una vera peste, anche se spesso tra di loro la comunicazione era estremamente difficile ed anche se insisteva a tenere fin troppo sbottonata quella sua camicetta, lasciando intravedere un po’ troppo di quello che vi era sotto… ebbe nuovamente una gran voglia di prenderla in braccio e, questa volta, lo fece davvero: pur sentendo fitte dolorose nella schiena, prese tra le braccia la figlia e se la strinse contro il petto, trasmettendole tutto il proprio amore. E lei, che normalmente si sarebbe divincolata per una cosa del genere, questa volta ricambiò l’abbraccio, sorpresa, certo, ma anche piena di felicità a sapere che suo padre non sarebbe mai e poi volato via tra le stelle, abbandonandola nella solitudine…
       Perché a lui, in fondo, che cosa importava se nel mondo non c’era più nulla da scoprire? E, soprattutto, che importanza potevano avere l’inquinamento ed il cemento, se per contrastarli aveva la sua famiglia, quell’affetto che aveva cercato per tutta la vita e che, infine, aveva trovato?
       Il mondo stava andando a pezzi, d’accordo, ma si era ancora largamente in tempo per salvarlo, per evitare che tutto peggiorasse, si poteva ancora pienamente credere di poter mettere dei paletti, di porre fine all’inquinamento, di liberare gli oceani dalla spazzatura e di frenare l’avanzata del cemento per far rinascere le foreste vergini e rigogliose; e, in fondo, ci si sarebbe battuti ancora più strenuamente di fronte alla prospettiva di lasciare un ambiente intatto e pulito per le generazioni future, rappresentate da Katy, da Abner, da Mutt, con sua moglie ed il loro piccolo figlio Henry IV, e da tutti quei ragazzi e quelle ragazze che stavano nascendo in quel preciso momento o che ancora dovevano nascere…
       Oltre a questo, avrebbe sempre avuto qualcosa di nuovo da scoprire, da imparare e da riportare alla luce, perché le testimonianze del passaggio dell’essere umano sulla terra erano tali e tante che sarebbe stata pura e semplice presunzione convincersi che tutte le sorprese fossero finite. Doveva esserci ancora tantissimo, nascosto sotto gli strati della terra accumulatisi in migliaia di anni, e l’emozione di una nuova scoperta non se ne sarebbe mai andata…
       No, abbandonare tutto, fuggire e rifugiarsi tra le stelle per sottrarsi alle proprie responsabilità non sarebbe stata una soluzione, bensì una vigliaccheria, una vigliaccheria già commessa in passato ma che non avrebbe ripetuto adesso. Perché lui era Indiana Jones, ormai, e per quanto fosse difficile dire nuovamente addio a quei vecchi compagni appena ritrovati, avrebbe sepolto per sempre Han Solo e tutte le sue grossolane ed imperdonabili colpe, quel passato che non sarebbe più ritornato.
       «Il tempo ritorna» gli era capitato di leggere una volta sopra il portale di un castello medievale da qualche parte nel nord della vecchia Inghilterra, ai margini di un antico affresco ormai quasi del tutto cancellato. Mai, come adesso, quella frase gli era parsa più vera e concreta, quasi una sorta di monito da non scordare. Tuttavia, non le avrebbe dato retta, perché il suo tempo era lì ed ora, non altrove, in altre galassie.
       Sentendosi la schiena sempre più in difficoltà, depose con delicatezza Katy, senza però smettere di tenerle la mano, rivolgendole un sorriso dolcissimo e talmente eloquente che Luke non ebbe neppure bisogno di ascoltare le sue parole per sapere quale sarebbe stata la sua risposta.
       «Hai compiuto la tua scelta, Indy, e da te non mi sarei aspettato nulla di meglio. Hai sempre avuto un cuore puro e, una volta di più, me lo stai dimostrando. Sono fiero di te.»
       «Aaaaahhhrrrrr» ululò Chewbacca, afferrando l’archeologo tra le braccia e stringendolo in un altro dei suoi formidabili abbracci che, questa volta, coinvolsero anche Katy, che si sentì ancora più rassicurata e confortata in quella nuove ed amabile stretta.
       «Biii… ffiiiffiiibiii» pigolò R2-D2 e C-3PO, appoggiando la sua mano dorata sulla testa a cupola del piccolo amico, soggiunse: «Mancherà molto anche a me, signor Han Solo.»
       Liberatosi dalla stretta del vecchio e peloso amico, l’archeologo rivolse un cenno al droide.
       «Indiana Jones» corresse, con fierezza. «Io mi chiamo Indiana Jones. Han Solo, per quanto sia dentro di me, non esiste più.»
       Guardò nuovamente gli antichi amici e, tenendo un braccio sulle spalle della figlia, domandò: «Partirete subito?»
       «Arrrhhh wwwaaahhhh waaahhh waahh rrrrrhh aaaarrrr» spiegò Chewie, in un latrato concitato, agitando le braccia e indicando tutte le attrezzature sparpagliate nella base sotterranea.
       «Capisco» rispose Indy, annuendo. Poi, notando lo sguardo confuso di Katy, tradusse: «Giusto il tempo di raccogliere le ultime cose, poi se ne andranno per sempre dalla Terra. La loro missione, qui, è terminata e, se non se ne sono andati già da tempo, è solamente perché… be’, lo hai capito, perché aspettavano che io capitassi qui.»
       Luke sollevò le mani. «È così. Come già ti ho detto, sapevo perfettamente che la Forza, un giorno o l’altro, ti avrebbe guidato fino a noi.» Tacque un momento, poi riprese: «Lasceremo dietro di noi solamente il diario dei Whill, affinché rimanga impresso per l’eternità nella pietra. Speriamo solo che, così, gli antichi errori non si ripetano mai più e che tutti gli abitanti dell’universo possano vivere eternamente in pace.»
       Jones fece un ghigno amaro, sentendosi quasi divertito dalle pure speranze da adolescente sognatore del vecchio guerriero Jedi, speranze che Skywalker non aveva ancora perduto nonostante gli pesassero addosso decine di migliaia di anni. Se c’era qualcuno in grado di incarnare la figura dell’eroe senza macchia, quello era proprio Luke, questo eterno ragazzino a cui non si poteva non volere bene.
       «Vane illusioni, vecchio mio» replicò, con tono acre. «Il giorno in cui finiranno odio e guerre sarà quello in cui tutte le stelle si spegneranno e la materia tornerà alla sua forma primordiale. Forse soltanto allora ci sarà la pace, in attesa di un nuovo inizio, un nuovo inizio in cui il caos, il bene, il male e tutto il resto torneranno a scontrarsi come sempre, in un conflitto destinato a durare per una seconda eternità.»
       Lo sguardo del Jedi si fece un po’ più triste, poi scrollò le spalle come a dire che, in fondo, nessuno avrebbe mai potuto controllare il destino. Sarebbe stato quel che sarebbe dovuto essere, senza che nemmeno la più potente di tutte le eteree e sfuggenti energie potesse intervenire per modificare quegli eventi.
       Con un ultimo sorriso, Luke Skywalker cominciò a svanire, dicendo: «La Forza sia con voi, Indy e Katy. Sono certo che essa illuminerà sempre il vostro cammino e vi accompagnerà in tutte le vostre decisioni.»
       Padre e figlia restarono in silenzio per qualche istante, osservando il punto in cui lo spirito si era dissolto nell’aria, come se non fosse mai esistito; eppure, le sue ultime parole continuarono a risuonare nelle loro orecchie, echeggiando dalle eterne profondità del tempo, un mantra che non credevano di poter dimenticare tanto alla svelta.
       Infine, sebbene la sua mente fosse così piena di domande che per esternarle tutte le sarebbe probabilmente servita una settimana intera, e anche in quel caso dubitava di poter ricevere risposte soddisfacenti, Katy riuscì a dare voce ad almeno uno dei suoi tanti dubbi.
       «Io, ancora, non ho ben capito che accidenti sia, questa Forza» sbottò, sollevando il pugno davanti alla bocca e mordicchiandosi la punta del pollice già malmesso.
       «Un campo di energia mistico che controllerebbe il destino di ciascuno di noi, a sentire lui, un po’ come il chakra delle culture orientali ed altre balle del genere» replicò suo padre, con la solita ironia che sfoggiava sempre in quei casi. «Tutte balle, nessuna cosa del genere controlla me o te, piccola, stanne certa.»
       Guardarono Chewbacca ed i due droidi che, nel frattempo, con molta lena, avevano già cominciato a darsi da fare per caricare sul Millennium Falcon alcune casse metalliche contenenti il loro equipaggiamento.
       La vecchia astronave sarebbe riuscita a sollevarsi da terra? Katy, dentro di sé, nutriva ben più di qualche dubbio, né le cambiava qualcosa sapere che, quella carcassa rugginosa, avesse percorso la Rotta di chissà che cosa in quattordici parsec o quello che era; eppure, osservando i due droidi e il possente Wookiee così indaffarati, le venne di pensare che, forse, qualcosa di vero poteva esserci.
       Un po’ imbarazzata, sentendosi esattamente come una bambina che non abbia il coraggio di domandare ai genitori di acquistarle il giocattolo bellissimo ma fin troppo costoso esposto dietro una vetrina di Toys “Я” Us, sollevò gli occhi al volto legnoso del padre che, accortosi di quello sguardo, distolse l’attenzione da Chewbacca - che, in quello stesso momento, stava sollevando da solo, senza sforzo apparente, un pesante macchinario di metallo che doveva pesare qualche quintale - e le rivolse un cenno interrogativo per invitarla a parlare.
       «Dici… Old J, dici che sarebbe chiedere troppo…» mormorò, mentre una chiazza purpurea le si allargava sulle guance chiazzate di acne, «…se volessimo fare un giretto sulla loro astronave…?»
       Il coriaceo archeologo allargò la bocca in un ampio ghigno divertito.
       Era da quando erano scesi là sotto e si era trovato di fronte il Millennium Falcon che non aspettava altro che l’occasione per poter domandare qualcosa di simile.
       D’accordo, Han Solo stava lentamente scomparendo di nuovo, dentro di lui, ed Indiana Jones stava ricominciando a prendere il sopravvento su tutto; ed era pure d’accordo che questa fosse l’unica cosa che desiderasse con tutto il cuore. L’antico contrabbandiere galattico probabilmente lo avrebbe sempre accompagnato, ma lo avrebbe fatto silenziosamente, in maniera discreta, come un sogno notturno, mentre l’attuale archeologo terrestre sarebbe rimasto in prima linea.
    Eppure, non poteva neppure negare che, quella di farsi un giro sopra una vera astronave, fosse un’occasione davvero ghiotta, che non si sarebbe presentata mai più. Insomma, era da quando i primi uomini erano giunti sulla Luna, il 20 luglio di sei anni prima, che dentro di sé covava il sogno segreto di poter compiere anche solo un piccolo viaggio nello spazio! Gli sembrava un po’ uno spreco non approfittarne proprio adesso, giusto per fare un giretto veloce e per provare l’iedita emozione di staccarsi da terra e avvicinarsi agli arcani misteri del cosmo…
       «Aspettami qui» le sussurrò col suo vocione cavernoso, dirigendosi con passo deciso verso Chewbacca.
       Katy li osservò confabulare per alcuni istanti, poi il Wookiee emise quello che parve a tutti gli effetti un abbaiamento di apprezzamento, del quale non ebbe neppure bisogno di ascoltare la traduzione, dato che le bastò vedere suo padre tornare verso di lei con il pugno chiuso ed il pollice sollevato in segno di trionfo.

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Capitolo 5
*** Riflessioni ***


4 - RIFLESSIONI
   
       Fu necessaria almeno un’ora abbondante perché ogni singolo macchinario fosse accuratamente smontato, la grotta completamente svuotata e tutto il carico immagazzinato con attenzione a bordo delle capienti stive del Millennium Falcon.
       Tanto Katy quanto Indy offrirono a più riprese il proprio aiuto - anche perché, tutto sommato, questo avrebbe significato poter dare un’occhiata più da vicino all’astronave e ai suoi misteriosi recessi - ma i tre viaggiatori dello spazio lo rifiutarono categoricamente, asserendo che erano loro ospiti e che non dovevano in alcuna maniera faticare per loro, soprattutto considerato che Indy avesse messo a serio repentaglio la propria vita per poter salvare l’Arca, quell’arma pericolosissima che loro stessi avevano condotto sul pianeta. Il fatto che fossero trascorsi quasi quarant’anni, da quei giorni, non parve interessargli minimamente, come se per loro mezz’ora o quattro decenni avessero la medesima valenza.
       Così, costretti loro malgrado a fare da semplici spettatori, Katy e Indy si misero a sedere sopra una sporgenza nella roccia ed ebbero abbastanza tempo a loro disposizione per discutere riguardo alcune delle cose che li lasciavano perplessi. Ce n’erano parecchie, a dire la verità, ma la giovane puntò per prima cosa su ciò che l’aveva sconvolta più di ogni altra cosa.
       «Ma, quindi, quando moriamo ci reincarniamo?» chiese, a bassa voce. Quell’idea, da un lato confortante, la spaventava parecchio ed avrebbe preferito non parlarne, eppure al medesimo tempo si sentiva così attratta da essa che non fu in grado di sottrarsi dal porre una simile domanda.
       Jones non rispose subito, pensando a tutti gli amici che aveva perduto nel corso degli anni, amici che, molto spesso, gli mancavano fino allo sfinimento; sarebbe stato confortevole, certo, credere che non se ne fossero andati per sempre, ma che vivessero ancora dentro altre persone, lì sulla Terra o in chissà quale altro punto dell’universo sconfinato, in epoche passate, presenti o remotissime nel futuro. Ma poteva sul serio accettare una simile possibilità?
       D’altra parte, anche se a tratti si facevano sempre più confusi e remoti, i pensieri e i ricordi di Han Solo erano prepotentemente riemersi dentro di lui, non poteva affatto negarlo; questo, quindi, doveva per forza voler dire qualcosa. Tuttavia, per un razionalista come lui, che anche di fronte ad evidenti miracoli aveva sempre cercato un’altra spiegazione, non era semplice accogliere un concetto del genere, neppure adesso che le prove a suo carico sembravano quantomeno inconfutabili.
       Per quello che lo riguardava, e nessuno gli avrebbe mai fatto cambiare idea in proposito, l’essere umano era semplicemente una perfetta macchina biologica, differente dagli altri animali solo per la grandissima capacità di concepire pensieri profondi e articolati, ma nulla di più; e, come qualsiasi altra macchina, quando sopraggiungeva un guasto irreparabile o, più semplicemente, finiva la benzina, doveva essere messo da parte e rottamato. Eppure… eppure doveva riconoscere che, quella che dentro quella macchina di carne vivesse qualcosa di staccato da essa, un’anima o in qualsiasi altro modo la si volesse chiamare, era una possibilità che, per quanto remota, non poteva più continuare ad ignorare come se niente fosse.
       «Non lo so, Katy, davvero non lo» si trovò ad ammettere, scuotendo la testa e carezzandosi piano il mento coperto di barba ispida. «Secondo certe religioni orientali, come ad esempio nell’Induismo, la reincarnazione è un dato di fatto inoppugnabile. Un corpo fisico muore e la sua anima immateriale passa in un altro, come un filo che vada sempre avanti a tessere una trama complicata, fino a raggiungere la perfezione… l’anima è praticamente la forza pulsante e immortale che, svestitasi di abiti vecchi e laceri, indossi qualcosa di nuovo e pulito, sempre più elegante con il passare del tempo. Ho trascorso vario tempo, in India, e laggiù mi sono reso conto che questa viene considerata la pura e semplice realtà, senza porsi troppi problemi in merito. Ma quello è davvero un mondo differente ed a tratti incomprensibile, persino oggi, persino per chi pensa di avere sempre la verità a portata di mano…»
       Katy rifletté su quelle parole, giocherellando con le sue scurissime ciocche.
       «Però» obiettò, «nelle altre religioni non è così. Vuoi forse dirmi che le religioni dell’Oriente sono più vere, rispetto alle altre?»
       Jones riordinò un momento le idee, prima di risponderle.
       «Non è un’esclusiva delle religioni orientali, però» puntualizzò, continuando a stuzzicarsi il mento. «Come dovrebbe averti bene insegnato il professor Jennings, infatti, anche diversi pensatori antichi, come il filosofo greco Platone - che, in fondo, potremmo persino considerare il padre fondatore del nostro modello di pensiero occidentale, insieme poi agli usi ed ai costumi di Roma, soprattutto a causa della mole di suoi scritti che sono giunti fino a noi - erano certi che l’anima si reincarnasse in un altro corpo, dopo la morte dell’individuo fisico. Socrate, il maestro di Platone, a dire il vero la pensava in maniera differente, ma ora non è affatto il caso di mettersi a dissertare della differenza di vedute dei filosofi ateniesi di due millenni e mezzo fa. Prima di Platone, uno dei primi a parlare di rinascita delle anime, comunque, fu Pitagora, il quale arrivò persino a descrivere con puntiglio le sue vite precedenti; e, certi autori antichi, furono davvero convinti di aver individuato le sue successive rinascite, dopo la sua uccisione da parte dei cittadini di Crotone.»
       La ragazza annuì con aria leggermente disgustata, tenendo le mani aperte di fronte al viso e osservandosi le unghie.
       «Jennings ci ha fatto una verifica a sorpresa sulla metempsicosi, gli ultimi giorni, poco prima degli esami» ricordò, parlando con tono aspro. «Dato che ero l’unica ad aver preso un bel voto, quella deficiente di Elaine ha cominciato a prendermi in giro. È stata quella volta che l’ho aspettata nella doccia e le ho insegnato a non rompermi i…»
       «Ehi!» la interruppe suo padre. «Piano con le parole!» Prima che lei potesse ribattere, ricominciò: «Comunque, persino i cristiani, in un primo momento, accettarono come vera e inoppugnabile la trasmigrazione delle anime, in base ad alcuni passaggi contenuti nei Vangeli, nonché proprio grazie a Platone che, nei primi tempi, per via della sua dottrina delle idee e per quello che scrisse nel Timeo, venne quasi considerato un precursore del Cristianesimo, cosa che, naturalmente, è del tutto ridicola, col senno di poi.»
       «Mutt, quando sono andata a trovarlo in California, mi ha fatto conoscere alcuni hippie» intervenne Katy, continuando ad osservarsi le unghie tutte rovinate.
       Jones sbiancò a quella notizia.
       «Cosa?!» sbottò. «Quando?!»
       Esaminò attentamente la figlia, provando il terrore che qualcuno di quei degenerati le avesse fatto ingurgitare qualcuna di quelle schifezze sintetiche senza cui non riuscivano ad arrivare a fine giornata. Possibile che Junior fosse stato tanto sconsiderato e incosciente da trascinare sua sorella al cospetto di gente del genere? Appena gli fosse capitato di incontrarlo, gliene avrebbe dette quattro…
       «L’ultima volta che sono stata da lui, appena finita la scuola» continuò invece Katy, candidamente, ricominciando a mangiucchiarsi le dita. «E, ora che mi ricordo, ce n’era uno che biascicava a proposito della vita eterna…»
       «Non devi dare retta a personaggi simili!» proruppe suo padre, indignato al solo pensiero. «Hai visto il modo in cui vanno in giro conciati…?»
       «A dire il vero, in casa, girano tutti nudi…»
       «Che?!» Per poco, ad Indy non venne un infarto. «Tu sei stata a casa… tu hai visto…?»
       «Erano tre ragazzi e due ragazze» rispose lei, con un’alzata di spalle.
       Jones aveva quasi paura a domandarlo. «E… che cosa… ti hanno… fatto?!» Dentro di sé, cominciò a provare un vero e proprio istinto omicida nei confronti di quella gentaglia.
       «Cosa vuoi che mi abbiano fatto, Old J?» ribatté Katy, con una risatina. «Io ho solo accompagnato Mutt, che voleva farsi pagare, dato che gli aveva aggiustato la macchina da più di un mese ma loro non avevano ancora tirato fuori nemmeno un soldo.» Rise ancora più forte. «Ma erano tutti talmente fatti, quando siamo arrivati, che non si sono nemmeno accorti di noi. Allora, Mutt ha guardato in giro, ha trovato in un cassetto i soldi che cercava e siamo venuti via. Anzi, nel vederli in quelle condizioni, mi ha messo una mano sugli occhi e mi ha detto di scendere da basso e aspettarlo in strada…»
       «E bravo, Junior, ogni tanto ne combini una giusta pure tu…» pensò Indy, con un sospiro di sollievo.
       Ma non aveva ancora finito di formulare quel pensiero che Katy soggiunse: «Però, io mica sono scesa! Ho aspettato che fosse andato nell’altra stanza a cercare i soldi e sono rientrata!»
       «Hai fatto malissimo!» ruggì Jones.
       «Ma c’erano quei ragazzi nudi e io…» Katy si morse le labbra, arrossendo fino alla punta delle orecchie a quel ricordo e non sentendosi sicura di poterne parlare liberamente di fronte a quel vecchio scorbutico del suo genitore.
       «E tu…?» la incalzò suo padre, temendo la risposta.
       «Be’, non mi era mai capitato di vederne uno tutto nudo, no?» squillò la ragazza. «Cioè, in realtà ho visto Abner, un sacco di volte, e pure quando fa le sue schifezze con i giornaletti… ma lui è mio fratello e mica conta… allora, per vedere meglio, mi sono seduta sul divano, accanto a uno di loro, che si è svegliato…»
        Indy avrebbe voluto mettersi a piangere. Non era possibile che la sua bambina avesse…
       «In realtà, non era proprio sveglio» si corresse lei, cambiando il dito che stava masticando. «Era mezzo andato, tutto in tilt. E si è messo a blaterare ad alta voce sulla vita eterna… chi lo sa, forse sarebbe stato persino un discorso interessante, da ascoltare. Solo che, intanto, Mutt è ritornato, mi ha trovata ancora lì, mi ha presa per un braccio e mi ha trascinata via, dicendomi che non dovevo avvicinarmi a certa gente…!»
       Jones si appuntò mentalmente di dire a Marion che, da quel momento in avanti, i viaggi per Katy in California sarebbero stati vietati.
       «Queste cose avrei preferito non saperle!» grugnì, schifato. «Si può sapere perché diavolo hai tirato fuori questa storia, poi?»
       Katy, che intanto aveva cominciato a far riposare le dita indolenzite tornando ad affondarsele tra i capelli, scrollò le spalle.
       «Be’, Old J, stavamo parlando di vita dopo la morte, no? E, allora, mi è venuto in mente quello che…»
       «Dimenticati una volta per sempre quei cretini!» sbottò suo padre. «Togliti dalla mente loro e i loro deliri New Age! Io sto parlando di cose serie, non di visioni indotte dalla droga che si bevono a colazione! E, se tuo fratello ci prova ancora, a portarti in posti del genere, giuro che lo diseredo!»
       La giovane comprese di aver toccato l’argomento sbagliato.
       Evidentemente, c’erano cose di cui poteva parlare liberamente con il vecchio ed altre no: lui poteva in qualche modo tollerare che lei avesse messo fuori combattimento una decina di compagne di classe, sotto la doccia, e che in quel momento nessuna di loro - lei compresa - indossasse nulla, ma solo perché erano tutte ragazze; oppure poteva ascoltarla raccontare di aver spiato Abner mentre faceva certe cose, perché in fondo quello era suo fratello e non ne sarebbe derivato nulla di male. Guai se, però, scopriva che c’erano anche degli altri ragazzi, coinvolti nelle sue faccende, specialmente figli dei fiori che lui considerava alla stregua di criminali pericolosi.
       Ma, da questo punto di vista, avrebbe potuto rassicurarlo senza problemi: a lei gli hippie non piacevano, non piacevano proprio per nulla, li trovava sporchi, brutti e puzzolenti, oltre che stupidi e privi di intelligenza.
       «Guarda che, a me, quegli hippie nudi e strafatti di chissà cosa, facevano vomitare!» esclamò, sperando che bastasse a fare pace. «Ero solo curiosa ma, per il resto, non mi avvicinerei a loro nemmeno con i guanti!»
       Suo padre, in parte sollevato, le diede una pacca dietro la nuca.
       «Mi fa piacere sentirlo, bella» le rispose, con la sua solita voce roca. «Quella è gente strana. Oddio, non tutti, eh… ne ho conosciuti anche alcuni abbastanza messi bene, ma la maggior parte… gente che passa il tempo a farsi di droga dalla mattina alla sera. Purtroppo, la droga sta distruggendo la gioventù… in questo secolo abbiamo avuto tanti mali, ma il vero cancro del Ventesimo secolo è proprio la droga e, per come la vedo io, lo sarà sempre di più… dai retta a me, stanne fuori…»
       Anche su questo punto, Katy poté rassicurare suo padre. Per lei, infatti, l’evasione non era data da un’iniezione di qualche strana sostanza, bensì dal poter ammirare un tramonto, o dal visitare una città, dal viaggiare, dal conoscere luoghi nuovi, dal vivere sulla propria pelle l’emozione della scoperta o, ancora, dalla lettura di un buon libro o dalla possibilità di pensare e riflettere. Cercare rifugio in qualcosa che avrebbe inevitabilmente condotto a una morte più rapida e inutile, come se quello fosse l’unico sistema per sentirsi diversi ed in pace, non faceva certo per lei.
       «Tranquillo, Old J» disse, dunque. «Io voglio studiare per diventare un’archeologa, proprio come te. Non mi importa di ridurmi ad essere uno scheletro schifoso, col rischio di perdere tutti i capelli…!» Quel semplice pensiero la fece tremare dalla paura. Tutto, ma non i capelli!
       «Me l’hai detto adesso ma giurami che non te lo dimenticherai mai!» la pregò Indy, in tono quasi supplichevole. «I libri, la musica, l’arte in genere, un buon film, la curiosità, la conoscenza e il sapersi stupire o emozionare, quelle sono le vere e uniche sostanze stupefacenti. Il resto è puro veleno!»
       «Te lo giuro!» promise Katy, sollevandosi per depositargli un leggero bacio sulla guancia crespa di barba e sentendosi felicissima nel vederlo sorridere.
       A dire il vero, c’era persino una terza cosa su cui avrebbe potuto rassicurare suo padre, rifletté, mentre tornava a infilarsi un’unghia tra i denti.
       Aveva avvertito chiaramente il suo tono spaventato quando lei gli aveva detto di essersi seduta accanto a quel ragazzo nudo, quasi avesse avuto paura di quello che sarebbe potuto accadere, come se, vinta dalla troppa curiosità, si fosse potuta lasciar andare a chissà che cosa.
       Ma, dentro di sé, Katy era sicura che non sarebbe accaduto proprio nulla, in un frangente simile, perché trovava molto più belle ed affascinanti le ragazze, piuttosto che i maschi; anzi, le trovava tanto attraenti che, a scuola, aspettava sempre molto volentieri l’ora di ginnastica per via delle docce in comune nello spogliatoio femminile. E doveva anche ammettere che, quando aveva picchiato quelle sceme, non si era sentita soddisfatta solo per i pugni e i calci che gli aveva dato, ma anche per come si agitavano i loro corpi, per come si muovevano, per come erano apparsi morbidi sotto le sue mani… Per quanto le odiasse, non poteva certo nascondere che fosse stato divertente poterle toccare un po’ più del solito.
       Quest’ultima considerazione, tuttavia, preferì tenerla per sé, perché era certa che lui non l’avrebbe compresa, dato che lei per prima, ancora, non riusciva a capire che cosa significasse per davvero.
       Suo padre, l’uomo che lei più ammirava ed adorava al mondo, era un uomo moderno ma, sotto certi aspetti, era veramente arretrato, pertanto non poteva pretendere che capisse un suo stato d’animo, quando neppure lei, pur avendoci riflettuto a lungo, riusciva a spiegarselo per bene.
       Quindi, decise di lasciar perdere e di tornare sull’argomento della reincarnazione, che avevano bruscamente interrotto.
       «Allora, se per i mistici orientali, per quelli cristiani e pure per Platone la reincarnazione esiste, dobbiamo crederci per forza?»
       Jones osservò la figlia che si maciullava le piccola dita che, altrimenti, sarebbero apparse molto graziose, resistendo alla tentazione di chiederle di smetterla, conscio che avrebbe soltanto sprecato il fiato.
       «In teoria, sì» rispose, invece. «Se vogliamo dar loro credito, dobbiamo accettarla come vera.» Tacque un momento, per togliersi il cappello e rigirarselo tra le mani con aria pensosa. «Ma io non sono né un mistico né un filosofo, né tantomeno un credente. Sono un archeologo. Io bado alla concretezza dei fatti, alle fonti, a tutto ciò che può essere visto, toccato e dimostrato. Non prendo nulla per vero soltanto perché qualcuno dice che debba essere per forza così, trincerandosi dietro ipse dixit, misteri della fede o altre cose del genere. Per me, mezze verità o quelli che potrebbero essere considerati indizi, ma che non sono per nulla dimostrabili e verificabili, non hanno alcun tipo di valore accademico.»
       «In pratica, Old J, non ci credi!» riassunse brevemente Katy.
       Il vecchio ammiccò leggermente.
       «Credo che il tuo professor Jennings avrebbe dovuto insistere un po’ di più su questo punto, che è uno dei capisaldi del pensiero del nostro secolo» continuò. «Tutto ciò che esula dalla nostra realtà quotidiana, per come la vedo io - e non solo io, a dirla tutta - è semplicemente un abbaglio, una pura illusione, uno specchietto per le allodole, una specie di contentino da dare a tutti coloro che, ancora, hanno paura del buio e si perdono nel sonno della ragione, popolato di creature mostruose e di paure impalpabili… Ma ricordati, Katy, che il buio è soltanto l’assenza di luce e che basta allungare una mano e premere un piccolo interruttore, un gesto semplice e banale, perché tutto si chiarisca.»
       «Vuoi dire che, quelli che vanno a messa o ad altre cose del genere, sono tutti dei cretini totali come le mie compagne di classe?»
       Indy scosse il capo, con un ghigno divertito per il modo spicciolo in cui la figlia risolveva tutte le questioni. Nelle sue parole, gli sembrava veramente di rimembrare il se stesso di tanti anni prima, quello che non si era fatto ancora contagiare dalla logorrea accademica, quello che preferiva agire alla spicciolata, tenendo la bocca chiusa.
       «No, no, Katy» la rimproverò con dolcezza. «Non ci sei. Non puoi definire “cretino” qualcuno solo perché vede il mondo in maniera differente da come lo vedi tu. È arroganza bella e buona, capisci? Bisogna imparare ad avere rispetto di tutto e di tutti, per quanto le opinioni degli altri, a volte, ci paiano davvero sciocche. È da qui, infatti, che nasce il confronto ed è da qui che la scienza ha la possibilità di progredire. Lo so che, spesso e volentieri, ci capita di sentire discorsi talmente stupidi che ci verrebbe voglia di prendere a calci nel sedere chi li emette, ma questa non è quasi mai la soluzione corretta, per quanto io stesso debba riconoscere che sia parecchio efficace e rapida.»
       Pensosa, la ragazza si tolse di bocca le dita e le osservò per qualche istante, prima di passare all’altro suo passatempo preferito, il controllo delle doppie punte. Mentre si teneva una ciocca di capelli di fronte agli occhi incrociati, provò a rispondere.
       «Ma, allora, se da una parte c’è chi ci crede e dall’altra chi non lo fa, dov’è la verità? Insomma, possibile che nessuno sia ancora riuscito a dare una risposta definitiva a tutto questo? Voglio dire, se sono migliaia di anni che c’è gente che se ne sta occupando qualcosa si dovrebbe pur sapere…»
       Jones osservò la sua figlia adorata quasi con una certa invidia per la sua sete di sapere tutto subito, un tratto tipico dell’adolescenza che lui aveva ormai dimenticato.
       «La verità…» ribatté, in tono quasi trasognato. «La verità non ce l’ha nessuno in tasca. La verità è un concetto estraneo al nostro discorso. Solo qualche filosofo con la testa tra le nuvole - o quegli hippie decerebrati che si imbottiscono il cervello di metedrina dalla mattina alla sera - potrebbe credere di conoscere la verità.»
       Katy era una ragazza molto intelligente, su questo non c’erano dubbi, ma quel discorso la stava mandando un po’ in crisi. Più che altro, non riusciva a capire che cosa intendesse dire suo padre di preciso.
       «Insomma, ma tu che cosa pensi, Old J? Ci credi o no, in queste cose?»
        «Io no, Katy» rispose l’archeologo. «Ma altre persone sì. In fondo, è quello che citavo prima, quello che potremmo definire il mistero della fede, no? Un dogma inconoscibile, un mistero in cui l’uomo crede da sempre e che, per questo motivo, è ancora pienamente radicato nelle coscienze, anche adesso che Dio ci sta dando l’innegabile prova della sua inesistenza, come dimostrano benissimo tutte le guerre o le stragi che lui, essere onnipotente e supremo, non ha saputo fermare, oppure come sta ben scritto nel pianeta che muore a poco a poco sotto la spinta dell’inquinamento e del cemento, senza che nessuna divinità superiore metta le mani avanti per impedirlo…»
       «E se la prova che non ci sia nulla di divino è tanto lampante, perché diamine ci credono?» domandò la giovane. «Vedi che sono tutti deficienti?»
       «Non dire così, Katy! Semplicemente, qualche cattolico potrebbe replicare che Dio ha dato all’uomo il libero arbitrio» spiegò suo padre, dandole una pacca sulla gamba. Fece una breve pausa, andando con la memoria ai tempi della seconda guerra mondiale, e aggiunse: «Anche se questo, a dire il vero, non mi ha mai spiegato dove stia la libertà di scegliere di chi viene ucciso spietatamente senza neppure potersi difendere.»
       Il vecchio archeologo fece un ghigno amaro, nel ripensare ai troppi fatti tremendi di cui era stato testimone nel corso di una vita lunghissima e zeppa di avvenimenti drammatici, ma poi sorrise incoraggiante: «Però, non voglio essere io a dirti in che cosa credere o meno, sarebbe ingiusto e persino arrogante da parte mia. Perché io sono un uomo e, come tale, sono sottoposto all’errore, di continuo: forse, nel professarmi ateo, mi sto semplicemente sbagliando, chi potrebbe dirlo.»
       «Io credo che il mondo sia abitato da un sacco di cretini, ecco che cosa credo!» ribatté Katy con molta decisione, riprendendo a logorarsi le unghie con i denti. «Cretini e deficienti, come le mie compagne di classe! Ma so io come fare a sistemarla, certa gente! Un bel calcio assestato dove dico io e vedrai come impareranno a distinguere il vero dal falso e…»
       «Katy…» la richiamò suo padre, parlando con voce dolce. «Hai studiato filosofia ed antropologia, a scuola, ma pare che Jennings non ti abbia poi dato chissà quali lezioni. Se vuoi diventare una brava archeologa e girare il mondo per conoscere altri popoli ed altre culture, devi per prima cosa apprendere il rispetto. Dimentica pregiudizi e sentenze troppo frettolose ed impara a capire chi hai di fronte. Solo così potrai fare bene il tuo lavoro ed aprire del tutto la mente.»
       «Ma negare ciò che non si vede non vuol già dire avere la mente aperta?» domandò la ragazza. «Insomma, penso di avere la mente più aperta io, che credo solo in ciò che posso prendere a calci, piuttosto che una qualche vecchia bigotta baciapile che pensa di avere la verità in tasca solo perché qualche altro ipocrita l’ha istruita in tal senso!»
       «In parte è così, d’accordo, ma negare tutto a priori non significa essere aperti, anzi direi piuttosto che voglia dire essere abbastanza ottusi» replicò Indy, con convinzione. Osservò per qualche istante C-3PO e R2-D2 battibeccare sul modo migliore per portare a bordo un apparecchio molto sofisticato e dall’aria particolarmente delicata, quindi riprese il discorso: «Essere di mente aperta vuol dire, semmai, essere disposti ad accordare fiducia a tutto, anche se entro un certo limite. Persino alla scienza, perché la scienza, per quanto sia importante, non è capace di dirci tutto e, spesso e volentieri, è costretta a riconoscere i propri errori e i propri limiti, magari ritornando anche sui suoi passi.»
       «Quindi uno può credere nella reincarnazione finché qualcuno non gli dimostra il contrario?» chiese Katy.
       «Più o meno» ammise suo padre, tormentandosi la barba. «Ma non è proprio così. Nessuno mi ha dimostrato matematicamente che la vita oltre la morte non esista, ma io continuo a negarla con fermezza. Oppure c’è chi è portato a non crederci, ma al medesimo tempo, come dire, ci spera, perché pensa che una vita eterna sia meglio di un nulla interminabile; e questo, poi, porta a chiedersi che cosa sia il nulla, come venga recepito, sempre che sia recepibile davvero... Alla fine, di fronte al divino ed al trascendente, sta a ciascuno di noi crederci ed accettarlo come vero, in maniera assoluta, senza porsi interrogativi in merito, oppure rifiutarlo in toto o ancora, come ti ho detto, sperarci e tormentarsi la mente a furia di pensarci. La vita oltre la morte non può essere spiegata e analizzata, quindi che ci sia o non ci sia dipende esclusivamente da quello che vogliamo credere dentro di noi.» Fece una breve pausa, continuando ad accarezzarsi il mento, prima di andare avanti. «Io, personalmente, credo ciecamente alla scienza e la scienza mi dà risposte più che logiche al riguardo, senza bisogno di andare a scomodare divinità, angeli e quant’altro di quelle cose lì; eppure, è anche appurato che non sia in grado di dirmi se esista un’anima che, dopo la morte del corpo, finisca da un’altra parte. Nessuno sa con esattezza che cosa accada a quel punto, questo lo devo ammettere e sarebbe stupido e presuntuoso affermare il contrario.»
       La ragazza rifletté un istante, lisciandosi i capelli con le dita.
       Soltanto un’oretta prima, quando ancora non erano discesi nelle profondità del tempio, suo padre le aveva confessato che, adesso, credeva che potesse esistere qualcosa di trascendentale; ora, però, messo di fronte all’evidenza, la sua mente scettica sembrava essere tornata a prendere completamente il sopravvento sulla sua capacità di raziocinio, togliendogli la possibilità di credere che non tutto si limitasse al mondo fisico, anche se poteva accettare che non ogni cosa fosse razionalmente spiegabile.
       Evidentemente, per un uomo cresciuto e invecchiato nel più completo disincanto, certe cose continuavano ad essere fuori portata, per quanto si sforzasse di accettarle e comprenderle. Anche quando sembrava avere fatto un passo in tale direzione - e chi avrebbe potuto dire se fosse un passo in avanti oppure indietro? - la sua mente lo bloccava e lo riportava alla griglia di partenza, lungo la quale si sentiva molto più a suo agio.
       «Non capisco, Old J. Mi stai mettendo più confusione che altro.»
       «Perché?» borbottò Jones, che credeva di aver parlato chiaramente.
       Katy scrollò le spalle, quasi non sapendo da dove cominciare a spiegarsi.
       «Be’, ecco…» disse, dandosi un leggero morso al labbro. «Tu mi dici che a certe cose non ci credi per nulla, però subito dopo mi dici anche che bisogna rispettarle, anche perché non sono state spiegate e quindi…»
       L’archeologo, a quel punto, comprese ciò che la figlia voleva dire.
       «Ho capito» ammise. «Pensi che io mi stia rimbambendo e mi contraddica da solo?»
       Katy trattenne a stento una risata.
       «Old J, quelle pillole che ti ha dato il dottore… alla tua età…»
       «Alla mia età, niente!» grugnì suo padre. Non era arrabbiato con lei, anzi era parecchio divertito. «Ho ancora le idee abbastanza chiare, in testa. Solo che, così a parole, non è facile da far capire quello che penso…»
       La ragazza mosse piano il piede calzato nel pesante scarpone sulla superficie coperta di una sabbia sottilissima. «Non puoi provare a fare uno schema?»
       «Come a scuola…» pensò il vecchio docente, prima di chinarsi e di cominciare a tracciare dei segni con le dita.
       «Okay, guarda qui. Scommetto che Jennings non ti ha mai insegnato nulla del genere!»
       Katy sollevò un sopracciglio. «Old J, non è che per caso sei geloso di lui?»
       «Uhmm…» brontolò Indy, concentrato.
       A dire il vero, era gelosissimo di quell’affascinante trentenne vestito sempre in maniera elegante e dall’aspetto di un poeta maledetto, con i capelli castani lunghi e ondulati che arrivavano a lambirgli le spalle, baffetti sottili e lo sguardo languido. Non tanto per gli insegnamenti che aveva dato a Katy, bensì perché lo considerava un belloccio che attirava tutte le donne nella sua rete: persino Marion aveva sempre insistito per incontrarsi lei stessa con lui, nei giorni dei colloqui. Ma non lo avrebbe ammesso mai, specialmente non davanti a sua figlia.
       «Ecco qui» disse, rimettendosi dritto con un grugnito e con la schiena che scricchiolava sinistramente.
       Katy osservò con curiosità il piccolo disegno tracciato da suo padre: era un cerchio approssimativo, con tre croci, una all’interno del cerchio stesso, una sulla sua circonferenza, l’ultima all’esterno.
       «Quello è il mondo» spiegò Jones, indicando il cerchio. «E la croce al suo interno indica coloro che credono solamente in ciò che possono vedere e toccare in esso, quelli che potremmo definire atei. So che molti si offendono, di fronte a una tale definizione, ma in poche parole sono quello che sono. Ci sei?»
       «Ci sono» rispose la ragazza che, fin qui, aveva già capito tutto.
       «Bene» riprese Indy. «La croce all’esterno del cerchio, invece, indica coloro che credono che possa esserci qualcosa di trascendente, di divino, diciamo. Sia gli uni che gli altri non si pongono domande di sorta. I primi sono convinti che sia reale solamente ciò che hanno costantemente sotto il naso e che può essere scientificamente provato. I secondi, invece, danno per scontato che il mondo sia come una sorta di passaggio obbligato prima di andare nell’oltremondo, nell’aldilà o come diavolo vorresti chiamarlo. Questa gente, ultimamente, è un po’ in declino, perlomeno in Occidente, dove c’è il Cristianesimo, mentre ce ne sono parecchi del genere tra i fedeli di altre religioni. Ma anche in America, tra predicatori, santoni, visionari e membri di sette quasi ermetiche, ne abbiamo persino troppi, a mio avviso.»
       «E quelli chi sono, Old J?» domandò Katy, indicando la terza croce, disegnata a metà strada tra le altre due.
       «Quelli sono quella gran massa di persone che, pur credendo o nella scienza o in Dio, o meglio in entrambe le cose insieme, non danno nulla per scontato e riescono a coniugare la propria fede religiosa con le conoscenze scientifiche. Oggi come oggi, la maggior parte degli esseri umani si schiera su quella linea.»
       «E lì ci sei anche tu?» chiese ancora la figlia.
       «Sì e no» fu la sibillina risposta di suo padre.
       «Old J, spiegati… per favore…»
       «Io sono tra queste persone per il semplice fatto che mi sono reso conto che ci sono cose, nel mondo e oltre, a cui la scienza non ha saputo dare una risposta e che, forse, non potranno mai essere spiegate. Ma non sono lì in quanto fedele di una religione, o di credente nell’anima od in altre cose simili. Mi trovo tra quelle persone perché, mio malgrado, ho visto certe cose che…» Si interruppe un momento per deglutire, quindi ricominciò: «Insomma, sono ateo ma non al punto di chiudermi totalmente all’idea che possa esserci qualcosa di trascendente o inspiegabile, e non sono aperto di mente fino a vedermi il cervello cadere in terra[1]. Mi sono spiegato?»
       Questa volta, suo padre aveva parlato un po’ più semplicemente ed aveva schiarito le idee della figlia. Mordicchiandosi l’anulare destro, ripensò ad una conversazione simile che aveva avuto con sua madre.
       «La mamma, una volta, mi ha detto di essere agnostica» disse.
       Jones annuì. «Lo so e, questo, ti dimostra ancora una volta quanto lei sia migliore di me, sotto ogni aspetto» ammise, compiaciuto di aver sposato una donna tanto straordinaria. «Essere agnostica è una dimostrazione di quanto mi sia intellettualmente superiore. Sai quell’apertura mentale di cui abbiamo parlato? Ecco, lei ne ha una che io non sono mai riuscito a raggiungere, mi piaccia o no doverlo dire.»
       «In che senso, Old J?»
       «Nel senso che credere in qualcosa che non si vede per partito preso è un conto e negare totalmente l’esistenza di qualcosa che trascenda da questo mondo è praticamente lo stesso. Sono due forme di arroganza che vanno di pari passo, lo so.» Indy scrollò le spalle. «Persino prendere in considerazione l’idea che possa esserci qualcosa che vada un pochino oltre le spiegazioni più logiche, come faccio io, non è poi questa gran cosa. Ma riuscire a pensare che ci siano cose su cui, al momento, non dobbiamo interessarci, su cui non si possa ragionare, per il naturale motivo che la nostra mente non può giungere a concepire una conclusione su ciò che le sfugge… be’, vuol dire essere migliori di parecchi di noi. A volte la invidio, ma non potrò mai scendere dalle mie posizioni, perché… be’, perché è così, ecco. Sarà per via del mio modo di vivere, non so… una volta, un celebre filosofo ha detto che molti credono per superstizione, molti non credono per libertinaggio e pochi, infine, stanno tra questi due estremi e aspettano[2]. Evidentemente, mi considererebbe un libertino e, detta tra noi, non penso di aver mai fatto molto per non esserlo.»
       Quel discorso stava cominciando a farsi fin troppo complesso per Katy, adesso, ed il diagramma tracciato da suo padre, che fino ad istante prima le aveva fatto capire molte cose, cominciava a farsi troppo nebuloso. Avevano iniziato a discutere di reincarnazione ma, adesso, l’intera conversazione stava cominciando a prendere una piega decisamente troppo intellettuale. Forse, avrebbe fatto meglio a riportarla sui binari iniziali.
       «Ma, Old J» disse, indicando i due droidi ed il Wookiee ancora indaffarati, «al di là di tutto quello che possiamo dire e pensare, loro dicono che tu eri quell’Han Solo… e, poi, lo hai visto anche tu il fantasma di quel Luke Skywalker…»
       Indy le diede un colpetto affettuoso dietro la nuca, accarezzando i suoi lunghi capelli nerissimi che scivolavano fuori dal cappello di paglia come una fluente cascata lucente. Per lui, non c’erano doppie punte che tenessero: la sua bambina era magnifica e se ne sentiva ogni giorno più orgoglioso.
       «Come ho cercato di farti capire, non possiamo spiegare tutto, Katy, specialmente quando si parla di vita e di morte. E ci sono cose che si apprendono un poco alla volta, solamente con l’età. Forse, tu ancora non hai raggiunto il momento più adatto per interessarti a certi discorsi…»
       Su questo punto, lei concordava perfettamente con suo padre.
       Anzi, a dire il vero, nella sua ottica da diciassettenne innamorata della vita e convinta di poter fare tutto, c’era soltanto una cosa, dinnanzi a sé, ossia l’eternità, l’immortalità; e tutto il resto, in fondo, non la riguardava, non la sfiorava neppure di striscio. La morte non era qualcosa che le appartenesse e, proprio per questo, pensò che fosse venuto il mento di smetterla con quei macabri discorsi che le provocavano solamente la pelle d’oca.
       Fece un cenno verso Chewbacca che, in quel momento, con sbuffi nervosi, stava ascoltando alcune lamentazioni di C-3PO.
       «Stupido ammasso di peli!» stava dicendo il droide. «Attento, quando ti muovi, o mi farai saltare i circuiti! Povero me, che cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?»
       «Secondo te, com’è possibile che sia così vecchio?» domandò, curiosa di sapere se suo padre, che pareva sempre preparato su tutto, avesse una risposta anche per quello. «Da quelle proiezioni che abbiamo visto prima, lui era vivo migliaia di anni or sono. Ora, capisco i droidi, che sono di metallo e ingranaggi, ma lui…» Perché, se da una parte Katy poteva accettare la propria personale immortalità di adolescente, non poteva certo spiegarsi come fosse possibile che quello strano essere peloso avesse attraversato indenne così tanti secoli.
       Indy indossò nuovamente il cappello ed appoggiò la testa ai pugni chiusi, con i gomiti sulle gambe. Osservò la figura slanciata di quello che era stato l’amico più fidato di Han Solo - memorie sempre più nebulose e distanti, ormai simili ai frammenti di sogni che restano ancora impigliati negli occhi la mattina appena svegli, prima di essere definitivamente cancellati da altri pensieri - e provò a ragionare sulla domanda affatto stupida di sua figlia.
       «Non sono un vero e proprio esperto di fisica» confessò, «ma qualcosina, al riguardo, ho capito pure io. Ho avuto l’immensa fortuna di conoscere il grande Albert Einstein, prima che tu nascessi, ed abbiamo avuto una lunga e fruttuosa chiacchierata.»
       «Non me l’hai mai detto, Old J!» esclamò Katy, stupita. «Ma quante ne hai fatte?»
       «Be’, qualcuna…» rispose Jones che, ne era certo, avrebbe avuto bisogno di un’intera enciclopedia per poter raccogliere tutte le sue memorie. «Era un noiosissimo ricevimento istituzionale, ci stavamo addormentando tutti e due sopra un divano… ma, quando mi si è accasciato addosso, siamo scoppiati a ridere ed abbiamo cominciato a parlare delle nostre professioni.»
       Anche la ragazza ridacchiò.
       «Pure a me è successa una cosa simile, una volta» ricordò con un sorrisetto, attorcigliandosi una ciocca attorno alla mano. «A scuola…»
       «Non ti sarai mica addormentata sul banco, spero!» sbottò Jones, indignandosi al solo pensiero. Lui, in gioventù, non era mai stato uno studente diligente - perlomeno, non credeva di potersi definire tale, considerate le numerose volte che, trovando troppo monotona la lezione del suo insegnante alle scuole elementari, era fuggito dalla finestra dell’aula per evadere da quel tedio - però, almeno, non era mai cascato dal sonno sul suo tavolo da lavoro.
       «No, non sul banco.» continuò Katy. «In aula magna. A una conferenza a cui ci hanno portato, un incontro con il governatore dello stato, un vecchio bavoso che non faceva che ripetere paroloni e paroloni di cui non capivo nemmeno in significato preciso. La poltroncina era comoda… e…»
       «E?» indagò suo padre.
       «Mi sono rovesciata addosso a Jimmy Stevens! Dormivo e nel sonno gli sono finita addosso!» scoppiò a ridere ancora più forte Katy. «Mi sono svegliata all’improvviso e, per la sorpresa, gli ho piantato per sbaglio un pugno nelle palle…»
       «Katy!» ruggì Indy. «Ti ho detto mille volte che non devi…»
       «Le cose vanno chiamate col loro nome!» ribadì lei, come faceva sempre quando suo padre la rimproverava per il linguaggio.
       «Sono d’accordo» replicò suo padre, sollevando un dito. «Ma c’è nome e nome e…»
       «Comunque» continuò Katy, a voce altissima, «il pugno che gli ho mollato è stato così forte che ha urlato come un pazzo, il governatore si è interrotto e tutti si sono voltati a guardarci!» Il solo pensiero di quella scena la fece ridere nuovamente. «Quella megera della Campbell è schizzata in piedi, ci ha presi per le braccia e ci ha portati nel suo ufficio! E, più tardi, è arrivato il preside…»
       «Che cosa?!» sbraitò Jones, alzando la testa di scatto e fissandola con occhi infuocati. «E com’è che, queste cose, le vengo a sapere solo adesso?»
       «Be’, mica potevo dirtele, no? Il preside era su tutte le furie e ha scritto una lettera da consegnare a te e alla mamma, ma io l’ho buttata nel cesso e ho tirato l’acqua…»
       L’archeologo era quasi esasperato. «E perché diavolo me le dici adesso?»
       «Old J, ormai mi sono diplomata ed in quella scuola non dovrò più rimetterci piede, no?»
       Indy si calmò. Effettivamente, Katy aveva ragione e non c’era più motivo di preoccuparsi o di prendersela per quei fatti ormai passati.
       «Posso almeno sapere che cosa c’era scritto, in quella lettera?» domandò, ritrovando il suo solito tono basso e profondo.
       Katy alzò le spalle, grattandosi dietro un orecchio e rigirando uno dei piccoli orecchini d’argento che portava ai lobi.
       «C’erano scritte delle stronzate…»
       Questa volta, Jones fu ad un passo dal perdere veramente il controllo.
       «Insomma, Katy!» ruggì, sbattendosi un pugno sul ginocchio così forte da farsi male. «Non so chi ti abbia insegnato questo turpiloquio, ma io pretendo che…»
       «Ma se tu e la mamma, quando ve la prendete per qualcosa, parlate peggio di due scaricatori di porto!» squillò la giovane, innocentemente. «Chi vuoi che mi abbia insegnato a parlare così…?»
       «Lascia perdere» grugnì suo padre, massaggiandosi adagio il ginocchio indolenzito. «In ogni caso, tu non devi ripetere queste cose!»
       «Ma, Old J, sei tu che mi dici sempre cose del tipo “guarda e impara” oppure “osserva qui, figliola, e prendi esempio”! Allora, deciditi!»
       Katy si era profusa in una tale imitazione della sua voce profonda che, ascoltandola, il vecchio archeologo non riuscì a trattenere una sonora risata. Scosse il capo con divertimento, prima di domandare: «Allora, quella lettera…?»
       «Nulla» tagliò corto Katy. «Quei due imbecilli della Campbell e del preside si erano convinti che, io e Jimmy, approfittando del buio, stessimo facendo cose brutte!»
       Jones sollevò un sopracciglio. «Che tipo di cose?» investigò.
       Katy avvampò. «Quelle cose… lì… e, comunque, non era vero niente! Io mi ero solo addormentata perché quel lumacone del governatore era peggio di un sonnifero!»
       Indy la guardò con un sorrisetto malizioso. Lui e Marion si erano conosciuti quando lei aveva la stessa età che aveva adesso Katy, ma la sua futura consorte non si era certo fatta troppi problemi a scatenarsi praticamente da subito in ciò che, invece, la loro bambina chiamava ancora “quelle cose lì”. Si domandò se i tempi fossero cambiati o, più semplicemente, fossero stati loro un po’ troppo precoci.
       Obbligò la ragazza a togliersi di bocca il dito a cui aveva appena ricominciato a torturare l’unghia e, sorridendo, disse: «Lo so bene che non potresti mai fare quelle cose lì con Jimmy. L’ho visto, qualche volta, e ti assicuro che ti meriti di molto, molto meglio.»
       Quel discorso imbarazzò ancora di più Katy, che preferì tornare a ciò di cui suo padre stava parlando.
       «Che cosa mi dicevi, di Einstein?» chiese in fretta.
        «Ah, sì» replicò lui, perdendosi nell’oceano dei suoi ricordi. «Un uomo veramente alla mano, un genio assoluto, non mi sono mai più trovato al cospetto di un personaggio simile… sono quelle occasioni che capitano una volta sola e che bisogna prendere al volo, tant’è che ho praticamente lasciato che parlasse solo lui, anche perché ascoltarlo era un vero piacere…»
       «Tu che rinunci a uno dei tuoi monologhi, Old J» rise la ragazza, ricominciando ad accarezzarsi i capelli.
       Jones scrollò le spalle. «Io non faccio monologhi» borbottò. «Comunque, in soldoni, per non fartela pesante, anche perché non credo di essere il più adatto a ripetere le sue teorie - che, per quello che ne so, non sono solamente teorie - ciò che mi ha spiegato - e che, devo ammetterlo, per un archeologo come me è stato alquanto sconvolgente - è che tutto quanto esista nell’universo è relativo al punto di vista dell’osservatore e delle condizioni in cui ci si trova in quel momento. La luce, il moto, persino il tempo…»
       «Il tempo?» ripeté Katy, sbalordita. «Ma il tempo non dovrebbe essere uguale per tutti?»
       Suo padre annuì adagio, ripensando all’incontro che aveva avuto con il celebre scienziato, nel 1952, durante un convegno inerente le ultime scoperte in campo scientifico organizzato al Barnett College di New York, dove lui stesso aveva insegnato fino a pochi anni prima.
       «Il tempo scorre in una sola direzione, in avanti, su questo non ci sono dubbi. Non è possibile viaggiare avanti e indietro attraverso di esso, perlomeno non allo stato attuale delle conoscenze.»
       Gettò un’occhiata di sottecchi al Millennium Falcon e gli venne voglia di correggersi: non era possibile viaggiare nel tempo allo stato attuale delle conoscenze terrestri, certo, ma chi avrebbe potuto sostenere che, altrove nell’universo, qualcuno non avesse già scoperto e messo in atto quel segreto per il momento inarrivabile? Per un istante, gli tornò alla mente lo spazio tra gli spazi di cui, tanto tempo prima, gli aveva parlato il suo vecchio amico Harold Oxley, un concetto molto simile a quello di iperspazio di cui Einstein stesso si era occupato.
       In effetti, con la sua risposta a Katy, stava proprio andare a parare in una direzione simile, verso quella possibilità remota ma forse non così assurda.
       «Ma, se ci allontaniamo dal centro della Terra e dall’attrazione gravitazionale, allora tutto cambia, persino il modo in cui muta la velocità del tempo» riprese a spiegare. «Secondo questa teoria, potremmo mettere in pratica uno di quelli che Einstein chiamava esperimenti concettuali, ossia dimostrabili solo nella mente, in mancanza di tecnologie adatte: se ci fossero due fratelli gemelli, ed uno di essi compisse un viaggio nello spazio alla velocità della luce, mentre l’altro rimanesse ad attenderlo sulla Terra, ebbene… quando il fratello viaggiatore facesse ritorno, apparirebbe praticamente identico al momento della partenza, perché per lui sarebbero trascorse soltanto poche ore, mentre l’altro gemello rimasto ad aspettarlo sarebbe sensibilmente invecchiato, perché per lui, invece, sarebbero passati mesi o addirittura anni.»
       Quella teoria era affascinante, Katy doveva convenirne, ma non era affatto semplice da afferrare, così su due piedi. Per fortuna, era dotata di un’intelligenza analitica che le avrebbe permesso di comprendere ed interiorizzare in poco tempo anche quelle nuove conoscenze.
       «Quindi…» ricapitolò, per fare ordine nella propria mente, mentre avvolgeva e svolgeva rapidamente una ciocca nerissima attorno al dito martoriato, «se Chewbacca viaggiasse spesso a bordo di quell’astronave a velocità della luce od anche di più, potrebbe invecchiare in maniera differente rispetto a noi che restiamo sempre qui?»
       «L’idea è proprio quella» borbottò Jones, a sua volta un po’ confuso. «Anche se, a dire il vero, secondo le concezioni odierne è impossibile viaggiare a velocità luce, almeno per un corpo fisico: soltanto la luce, i fotoni, per quello che ne sappiamo, ci possono riuscire, ed è appunto per questo che si parla di velocità della luce; per la luce, da quel che ne so, il tempo non esiste affatto ed è per questo motivo che essa può giungere a noi del tutto intatta, pur essendo stata emessa migliaia o milioni di anni fa, come accade ogni notte, quando alziamo gli occhi ad un cielo stellato.»
       «Ah…» sbottò la ragazza. «Quindi, fammi capire, Old J: le stelle non sono, come dire, in diretta?»
       «No, anzi, sono in una differita pazzesca» rispose Indy. «Come un film del passato trasmesso con parecchi anni di distanza dal momento in cui fu girato.» Tacque un istante, massaggiandosi lentamente il mento punteggiato di barba bianca con aria assorta. «Ma il fatto è che… che io non ci ho mai capito molto, con queste cose. La gravità, la curvatura dello spazio-tempo, i buchi neri… questi concetti non fanno per me. Purtroppo, le mie conoscenze di fisica non sono mai andate molto oltre il calcolo del raggio di un’esplosione, quando ne provocavo una, o la portata di tiro del cannone di un carro armato…» con un leggero ghigno, ripensò a certi avvenimenti di cui era stato suo malgrado protagonista, in passato, «…e devo ammettere che, anche in quei casi, non sono mai stato proprio un asso, al riguardo.»
       Katy sospirò profondamente, guardando senza più vederlo C-3PO che, in un delirio di onnipotenza, dava ordini a Chewbacca, senza che il Wookiee paresse prestargli troppa attenzione.
       Sebbene un po’ alla lontana, suo padre aveva tirato in ballo un’idea che l’aveva affascinata fin da quando era piccolissima, un sogno che non aveva mai scordato e che aveva continuato a coltivare in segreto dentro di sé, ossia la possibilità di viaggiare nel tempo, non tanto per vedere come sarebbe stato il futuro, bensì per poter assistere in diretta ai grandi eventi del passato; però, senza volerlo, il vecchio le aveva persino dato conferma della loro totale impossibilità
       Ciò nonostante, sognare non costava nulla e non si sarebbe mai arresa, da quel punto di vista.
       «Pensi che, un giorno, sarà possibile muoversi a piacere avanti e indietro nel tempo?» domandò, curiosa di sapere quale fosse l’opinione in merito dell’archeologo.
       Lui scrollò le spalle. «Non saprei…» grugnì.
       Indy era perfettamente a conoscenza del fatto che, una sua vecchia amica, la dottoressa Sophia Hapgood, che insieme a lui aveva scoperto Atlantide e Cibola, stava da lunghi anni lavorando a progetti che prevedevano proprio di raggiungere un risultato simile, grazie all’applicazione di un minerale rarissimo, di una piccola parte del quale lei era riuscita ad impadronirsi; tuttavia, l’ultima volta che si erano parlati, un paio d’anni prima, lei gli aveva confessato di essere ancora in alto mare, con le sue sperimentazioni, sebbene si sentisse sicura di ciò che stava facendo e fosse intenzionata ad andare avanti con le sue ricerche fino a quando le fosse rimasto un po’ di fiato in corpo.
       Sfortunatamente per Katy, Jones le aveva giurato solennemente di non rivelare a nessuno di quei suoi lavori, che se usati in maniera scorretta avrebbero potuto rivelarsi di una portata sconvolgente e devastante; specialmente, non avrebbe dovuto parlarne ad una ragazzina di diciassette anni che, colta dall’entusiasmo, e fin troppo chiacchierona com’era, avrebbe potuto farsi poi scappare quel segreto con chissà chi.
       «Neppure una piccola ipotesi al riguardo?» insistette lei. «La sai sempre lunga su tutto, Old J, non dirmi che, su un argomento del genere, non ti sei fatto neppure una mezza idea! Insomma, la possibilità di cambiare epoca e vedere direttamente dal vivo la nascita, lo sviluppo e la morte di tutte quelle civiltà di cui ti occupi, di cui spesso rinvieni soltanto pochissime tracce sbiadite nel terreno, ti avrà pur solleticato la fantasia, di quando in quando. Non dirmi che non ci hai pensato nemmeno una volta, perché non ci crederei mai!»
       Jones guardò gli occhi chiari e luminosi di sua figlia, resi ancora più espressivi dal leggero sorriso che le faceva arricciare le labbra un poco screpolate e che spiccavano nettamente in mezzo al suo visino dolce e solo lievemente spruzzato da quell’acne che, invece, lei riteneva così irritante e fastidiosa.
       Trovava sempre stupefacente constatare come paresse proprio che Katy sembrasse semplicemente Marion ringiovanita di qualche anno, con il suo stesso aspetto e con il suo medesimo carattere. Da genitore, non avrebbe mai potuto ammetterlo ad alta voce ma, tra i suoi figli, Katy era senza dubbio la sua preferita; e, proprio per questo, tenerle nascosto quello che sapeva gli pareva un vero delitto.
       Ma aveva anche dato la propria parola ed intendeva rispettarla; non poteva tradire la fiducia che Sophia aveva riposto in lui, nemmeno con sua figlia; per cui, semplicemente per accontentarla, si limitò a profetizzare, con un sorrisetto: «Sono certo che tu sarai la prima viaggiatrice del tempo.»
       Katy ammiccò, portandosi un dito alla bocca e mordendosi un’unghia senza neppure accorgersene.
       «Ne sarei felicissima, Old J» rispose. «E, ovviamente, tu verrai con me, vero?»
    Il sorriso di Indy si accentuò, diventando molto più sincero e spontaneo. Non poteva fare a meno di volere un bene dell’anima alla sua piccolina e sentirla dire di essere felice era sufficiente a scaldargli fin del profondo il suo vecchio cuore.
       «Certamente, Katy, ci andremo insieme.»
       La ragazza avrebbe tanto desiderato che quelle parole, che era più che consapevole che suo padre avesse pronunciato giusto per dirle qualcosa su quell’argomento di cui, evidentemente, non sapeva davvero nulla, potessero avverarsi sul serio, nella sua vita.
       Ma quando mai? Eppure, non avrebbe mai gettato la spugna, soprattutto non dopo essersi trovata sul punto di realizzare anche quest’altro sogno incredibile: stare per compiere un viaggio a bordo di una vera astronave proveniente da un’altra galassia.


=== Nota ===

[1]: Frase attribuita all’illusionista canadese James Randi
[2]: Frase di Blaise Pascal (1623 - 1662)

 

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Capitolo 6
*** Ricordi pirata ***


5 - RICORDI PIRATA

          La conversazione tra padre e figlia si sarebbe certamente protratta ancora a lungo, andando a toccare chissà quali e quanti argomenti, se, ad un certo punto, il latrato di Chewbacca non li avesse raggiunti, distraendoli da ogni altro pensiero.
       «Warhh aarrhhh» disse il Wookiee, agitando le lunghe braccia nella loro direzione ed invitandoli ad avvicinarsi senza timore.
       Katy non ebbe alcun bisogno di aspettare che suo padre le traducesse quei ringhi di solito incomprensibili, perché il messaggio fu chiarissimo: tutto il contenuto della base sotterranea, ormai tornata ad essere niente altro che una cavità incastrata nel sottosuolo e fiocamente illuminata solo dalle luci accese a bordo della nave spaziale, era stato stivato sul Millennium Falcon e, adesso, erano finalmente pronti per partire.
       Mancavano solamente loro due, che non persero certo tempo ad alzarsi in piedi e a dirigersi insieme verso l’imponente - e un po’ scassata - astronave.
       Entrambi furono invasi da un’emozione senza pari, perché un’esperienza simile a quella che sarebbe capitata di lì a breve non l’avevano mai neppure sognata, ne erano certi. Era un po’ come poter dire di essere andati al cinema a vedere un film di fantascienza ed essere entrati nello schermo, tra gli alieni ed i dischi volanti. Un’idea da far aumentare notevolmente i battiti del cuore.
    E lo stesso discorso valeva tanto per Katy che, dopotutto, era alla sua prima uscita sul campo, quanto per Indy che, al contrario, poteva vantare un curriculum niente male, in fatto di vicende straordinarie; ma neppure un avventuriero scavezzacollo come lui avrebbe potuto raccontare di aver mai vissuto prima qualcosa di anche solo lontanamente simile a ciò che stava per accadere.
       «Ho il cuore a mille, Old J» confessò la ragazza, mentre l’astronave si faceva sempre più vicina.
       «Allora siamo in due» si aggiunse l’archeologo.
       A dire il vero, a quanto pareva, per Indiana Jones quella non era affatto una cosa nuova, dato che in un’altra vita salire e scendere dal Millennium Falcon per gettarsi tra le stelle era stata praticamente la quotidianità, per lui; ma, ormai, i ricordi di Han Solo erano tornati ad essere fievoli lampi incomprensibili e, ne era certo, molto presto di essi non sarebbe rimasto proprio più nulla, se non qualche rimembranza negli atteggiamenti e nella strafottenza che lo contraddistinguevano. E non avrebbe affatto saputo dire se fosse per la trepidazione della novità o per la commozione del ripetere un gesto antico e abituale che le membra gli tremavano tanto forte, al punto che dovette stringersi le mani per poterle in qualche maniera controllare.
       «Mi sembra di essere tornato bambino, quando con il mio cane Indiana andavo ad esplorare Princeton e, in ogni angolo, riuscivo a vedere qualcosa di straordinario» ammise, con tono cupo e basso, continuando a torcersi le dita delle mani quasi con nervosismo. «Era tutto straordinario e… e adesso è proprio come allora.»
       Anche Katy, dal canto suo, si sentì scuotere tutta man mano che i loro passi li portavano verso Chewbacca e la nave spaziale, sempre più vicini e imponenti; dire di avere il cuore a mille le sembrava quasi un eufemismo: se lo sentiva battere impazzito in gola, semmai, e non si sarebbe affatto stupita di vederselo schizzare fuori dal petto.
    Del resto, quel suo stato d’animo era decisamente comprensibile.
       Lei, che fino ad un mese prima era stata niente altro che una brillante studentessa che soffriva per il conflitto continuo con le proprie compagne di scuola - e che, ancora, non era riuscita a superare quello adolescenziale con il proprio corpo, come dimostrò il pollice che si portò alle labbra per cominciare un’altra volta a mangiucchiarsi l’unghia - ora stava per vivere qualcosa che le avrebbe cambiato l’esistenza fin nel più profondo del suo animo, aprendole una percezione maggiore sull’intero universo.
    Sembrava che, tutto ciò che aveva vissuto fino a quel giorno, fosse ormai lontanissimo: la scuola, i litigi con Elaine, il conforto che le dava Lorene… ecco, forse solo Lorene avrebbe continuato ad occupare per sempre un posto importante nel suo cuore, qualsiasi cosa fosse successa, ovunque fosse andata.
    Ma era proprio come se ci fossero due Katy: quella del passato, sempre pronta ad alzare le mani per far valere i propri diritti e che, dopo, trovava consolazione nel dolce abbraccio della sua più cara amica, quella stessa amica che, baciandola, l’aveva gettata in una confusione da cui non era ancora riuscita ad emergere; e quella del presente, che si stava rendendo davvero conto di quanto il mondo, e l’universo con esso, fosse più grande di lei, pieno di misteri ancora tutti da scoprire. E, allora, chissà come sarebbe stata la Katy del futuro?
       «Ma, secondo te, stiamo sognando?» domandò a suo padre, quasi incredula. «O è tutto vero?»
       «Tu che ne dici?» chiese invece lui, cercando di restare impassibile ma non riuscendo a trattenere un sorrisetto.
       «Be’, io…» Per una volta, anche una chiacchierona come lei doveva ammettete di essere rimasta senza parole.
       Era giunta lì in Perù sicura che, grazie a suo padre, avrebbe vissuto una grande ed indimenticabile avventura, ma doveva ammettere che, questa, batteva proprio tutte le fantasie che aveva costruito a riguardo. Passare da una scoperta archeologica a vivere in prima persona quella che sarebbe potuta sembrare la scena tratta da un film di fantascienza non poteva certo essere considerata la stessa cosa, e la fece impressionare a tal punto che, senza volerlo, si morse così forte il dito che ancora teneva in bocca da farselo sanguinare.
       Senza badarci, succhiò adagio la ferita e se la tamponò contro la camicetta, mentre seguiva a piccoli passi Old J che, adesso, si dirigeva come ipnotizzato verso la rampa d’accesso del Millennium Falcon, ai cui piedi lo attendeva il Wookiee. C-3PO ed R2-D2 erano già saliti a bordo, in attesa del decollo.
       «Raahhh» commentò Chewie, adagio.
       Indy non rispose, sollevando con ammirazione lo sguardo verso l’ingresso della nave spaziale. Lo stomaco sembrò fargli una capriola nel ventre mentre si fermava, incapace di continuare. In qualche modo, era come se stesse tornando a casa, una casa da cui era mancato per anni… anzi, per interi millenni. Cos’avrebbe trovato, dentro? Tutto sarebbe rimasto come lui l’aveva lasciato o non avrebbe riconosciuto più nulla?
       Un tocco delicato sulla mano lo fece voltare. Katy era dietro di lui e lo guardava con un sorriso incoraggiante, quasi che si fossero invertiti i loro ruoli: adesso, era lui il bambino da spingere verso qualcosa di nuovo e lei la mamma pronta a stargli vicino per rassicurarlo.
       Insieme, tenendosi per mano, risalirono piano, quasi con solennità, la rampa metallica, che risuonò sotto i loro piedi, provocando un’eco che rimbombò per tutta la volta della caverna ormai spoglia ed immersa nell’oscurità che, dopo la loro partenza, vi avrebbe regnato incontrastata per sempre, insieme al silenzio più assoluto. Quando anche Chewbacca entrò nella nave, il rumore dei suoi passi pesanti si fece udire ancora più forte.
       Seppure quella fosse la prima volta in cui saliva a bordo del Millennium Falcon, perlomeno in questa vita, Indiana Jones sapeva esattamente dove dirigersi. Con calma e lentezza, volgendo lo sguardo in ogni direzione, quasi cercasse di riappropriarsi metro dopo metro di ogni singolo dettaglio, guidò la figlia lungo i corridoi ricurvi della nave, ridestando dentro di sé ricordi antichissimi.
    All’interno faceva molto freddo, una cosa del tutto comprensibile, dato che la nave era ferma in quell’umida e gelida grotta da chissà quanto tempo, forse da secoli, se non addirittura da millenni interi; eppure, padre e figlia non badarono minimamente al clima, venendo immediatamente rapiti dalla contemplazione di tutte le meraviglie che li circondavano da ogni parte.
       Tra pannelli di controllo, porte automatiche, lucette di tutti i colori, tubi di vario tipo e dimensioni, vani nascosti di cui conosceva alla perfezione l’ubicazione e scalette che scendevano verso il basso o salivano verso l’alto, ad Indy parve di rivivere momenti lontanissimi ma mai veramente dimenticati, come ricordi soltanto assopiti ma sempre pronti a rispondere all’appello: il contrabbando della migliore spezia della Galassia, le fughe precipitose dai caccia stellari dell’Impero, le lotte per la Ribellione… e, poi, i bonari punzecchiamenti con Lando… la complicità inossidabile con Chewie… le schermaglie amorose e colme di passione con Leia…
       Erano tutti nomi e reminescenze che appartenevano a quell’Han Solo che lui non aveva mai conosciuto e che, però, viveva ancora dentro di lui, parte della sua stessa anima, in maniera inscindibile dalla sua volontà. Ricordi che si risvegliavano per una luce inaspettata, prima di tornare ad addormentarsi nuovamente, in attesa di essere richiamati ancora una volta in superficie.
       «Questo posto è fantastico» mormorò Katy, incantata, facendo scorrere lo sguardo in ogni punto che le fosse possibile raggiungere. «Ma è tutto vero?» domandò di nuovo, incapace di trattenersi. «O è solo un sogno?»
       Per la seconda volta, Indy non seppe esattamente che cosa dire.
       Lui, che aveva sempre un’irriverente battuta pronta, lui che fin troppo spesso si lanciava in lunghissimi e soporiferi monologhi dimenticando di non essere seduto alla cattedra della sua aula universitaria, lui che aveva sempre a portata di mano una spiegazione logica per tutto, adesso non sapeva che cosa dire, mentre procedeva adagio nelle viscere di quella nave spaziale, stringendo nella sua grossa e callosa mano quella piccola e sudata della figlia.
       Abbassò gli occhi su di lei ed incontrò il suo sguardo luminoso.
       «Tu che ne dici?» si limitò a chiederle, esattamente come aveva fatto pochi minuti prima. «Rispondimi, dai. Almeno, provaci…»
       Questa volta, Katy non sembrò più avere alcun tipo di dubbio.
       «Io… io penso che sia tutto reale» esclamò, vivacemente, allungando una mano per toccare una leva accanto ad un monitor su cui lampeggiavano delle scritte in una lingua sconosciuta, che aveva attratto la sua attenzione.
       «Rahhh!» si agitò subito Chewie, per fermarla.
       «Quello è per aprire i portelli delle stive e liberare il carico in caso d’emergenza» spiegò Indy, con un ghigno. «È meglio non toccarlo o bisognerà ricominciare da capo a riportare tutto a bordo. Che cosa mi dicevi?»
    «Dicevo che è tutto reale» riprese Katy, allontanando la mano dalla cloche per poi poggiare le dita sul freddo metallo che rivestiva le pareti. Aveva il fiato corto: e chi non lo avrebbe avuto, in una situazione come quella? «I sogni non sono mai così reali, giusto? E non si condividono, questo è certo.»
       Suo padre annuì, fermandosi davanti ad una cabina la cui porta sembrava non essere stata toccata da lungo tempo. La sua espressione si fece all’improvviso più seria, quasi triste, mentre alle loro spalle, udirono Chewie emettere un lieve sospiro colmo di malinconica rassegnazione.
       «Qui dormiv…» Jones, la voce bassa e rauca, si corresse in tempo prima di dire “dormivo io”. «Qui dormiva Han Solo. Questa era la cabina personale del capitano del Millennium Falcon, tanto tempo fa.»
       Quell’affermazione così sicura non sfuggì a Katy.
       «Come puoi esserne così certo?» gli domandò in tono aspro, come se fosse seccata per qualcosa. «Non ci sono targhette o segni distintivi! E non venirmi a raccontare che è per via delle tue capacità di archeologo, come quando hai trovato in un lampo il passaggio per scendere nel tempio! Questa volta non attacca, Old J!»
       Il vecchio fece un leggero sorriso, sfiorando delicatamente la porta idraulica della cabina.
       «No, certo che no. È una cosa che so e basta…»
       Entrambi si voltarono all’indietro, per chiedere una conferma - od una smentita - all’unico che avrebbe potuto darla. Ed il Wookiee, intuendo il motivo dei loro sguardi interrogativi, annuì piano, prima di aggiungere: «Graahh… fffuuu… wuu.»
       «Be’, amico mio, lasciare un posto a fare la polvere per così tanto tempo non è un bene» replicò Indy, parlando con una delicatezza che non gli era affatto consona. «Bisogna riuscire a superare tutto e ad andare avanti, lo sai bene.»
       Detto questo, allungò la mano libera - con l’altra, continuava a stringere quella piccola e delicata della figlia - per premere il pulsante che apriva la porta della cabina. Con un cigolio sinistro, l’uscio automatico si spostò di lato, facendo giungere alle loro narici un odore di muffa e di stantio.
       «Che cos’ha detto?» domandò Katy, incuriosita.
       «Mi ha spiegato che, dopo la morte di Han Solo, la sua sposa fu l’ultima ad entrare qui dentro, qualche tempo più tardi. Dopo che lei ne fu uscita ed ebbe richiuso la porta, lui non se la sentì più di riaprirla. In pratica, da quel giorno, nessuno ha mai più messo piede qui dentro.»
       «E non pensi che dovremmo rispettare anche noi quella decisione, Old J?»
       Indy sospirò profondamente, gettando un’occhiata oltre la soglia avvolto dall’oscurità.
       Da archeologo quale era, non si era mai fatto alcun tipo di scrupolo nel violare antiche tombe che, in teoria, avrebbero dovuto custodire in pace i loro occupanti per tutta l’eternità. Ben più di una volta, inoltre, si era visto svanire sotto gli occhi i miseri resti di uomini e donne che credevano di poter riposare per sempre senza più essere disturbati da nessuno, nelle loro dimore di eternità.
       Questa volta, tuttavia, a spingerlo non era per nulla la sua curiosità accademica, bensì il desiderio di entrare in quella stanza che, tanto tempo addietro, aveva chiamato sua. Non seppe come spiegare questa stranissima sensazione alla figlia, perché Han Solo continuava a riemergere, dentro di lui, e vedeva come proprie e conosciute cose che, invece, gli erano del tutto estranee e non gli appartenevano.
       Sentendo di dover compiere quel primo passo da solo, si liberò con gentilezza dalla presa di Katy e varcò l’ingresso della cabina in cui Han Solo aveva dormito e, soprattutto, amato un considerevole numero di donne provenienti dai più lontani pianeti. Con qualche sfarfallio per non essere più stata utilizzata per tanto tempo, una luce automatica si accese al suo passaggio, illuminando la piccola e quasi disadorna stanza.
       Una sedia di metallo, proprio come il tavolino su cui erano appoggiati una sorta di computer - non avrebbe altrimenti saputo come definire quell’aggeggio piatto con uno schermo nero che, Indy lo sapeva benissimo, aveva raccolto le memorie del capitano - una medaglia dorata ed altri piccoli oggetti che non riuscì a riconoscere, un armadio a muro pieno di vecchi abiti ammuffiti, una brandina su cui erano ripiegati una camicia bianca ed un gilet nero ed una seconda porta che conduceva al piccolo bagno personale - poco più grande di un semplice vano doccia - era tutto ciò che costituiva l’arredamento della cabina.
       Eppure, la vista di quei poveri oggetti risvegliò qualcosa di ancora più intenso dentro l’archeologo, dandogli l’impressione di aver ricevuto un fortissimo colpo al cuore. Per un momento, sentendosi avvolgere da un’ondata di panico, ebbe il timore di essere in preda ad un infarto, perché il respiro nel petto gli si fece affannoso ed un dolore improvviso lo costrinse ad annaspare e ad afferrarsi allo stipite della porta per evitare di crollare al suolo.
       Poi, però, tutto si calmò e, all’improvviso, non fu più se stesso, non fu più il vecchio brontolone, rugoso e pieno di acciacchi con il cappello in testa che ancora cercava di prendersi gioco della vita lanciandosi in imprese al limite del possibile, bensì un uomo alto ed atletico, sui trentacinque anni, di bell’aspetto e dal fascino indiscutibile, un uomo che non aveva mai ricevuto ordini da nessuno e che sapeva sempre il fatto suo.
       Quasi incredulo, si riscoprì ad essere una canaglia galattica che niente e nessuno avrebbe mai saputo controllare; niente e nessuno, all’infuori di quella donna straordinaria che rispondeva al nome di Leia Organa.
       «Mi fai impazzire, principessa» mormorò con dolcezza, rivolto alla giovane donna profondamente addormentata nel suo letto, con una mano sotto il cuscino.
       Finì di abbottonarsi la camicia e lanciò un ultimo e lungo sguardo lascivo a quel suo corpo di velluto, celato appena dalla stoffa del lenzuolo, da cui si era appena distaccato con fatica e che avrebbe tanto desiderato stringere a sé per tutta la notte. Purtroppo, non ce n’era il tempo, faccende più incombenti lo chiamavano urgentemente in plancia; però, finché avesse potuto permetterlo, avrebbe lasciato che almeno Leia si riposasse. Dopo tutto quello che lei aveva fatto e passato per lui, nei giorni precedenti, la principessa aveva decisamente diritto a qualche ora di sonno.
       Dentro di sé, tuttavia, coltivava una speranza sempre più profonda, anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di ammetterla ad alta voce: che la guerra finisse al più presto e che loro due potessero godersi insieme tutto il tempo che desideravano, in pace, senza più neppure una preoccupazione per la testa, magari riuscendo persino a diventare una famiglia. Scuotendo il capo con un grugnito, cacciò via quei pensieri, rimandandoli a quando fosse stato il momento più adatto, sempre ammesso che un momento del genere potesse mai arrivare. Con quel dannato Impero che non voleva arrendersi ed era più che intenzionato a distruggerli tutti, fino all’ultimo, non era affatto sicuro che quell’interminabile guerra civile potesse concludersi favorevolmente, almeno per loro. Però, Leia era decisa ad andare fino in fondo, a combattere fino all’ultimo respiro, e lui non l’avrebbe abbandonata. Sarebbe rimasto con lei fino alla fine, ad ogni costo, andasse come andasse.
       Raccolti gli stivali che, nella concitazione amorosa di prima, erano finiti uno sotto la sedia e l’altro avvolto nella giacca grigia con ricamati i gradi militari che aveva praticamente strappato di dosso alla giovane, sussurrò un: «Sogni d’oro» ed uscì in fretta dalla cabina, chiudendosi la porta alle spalle.
       Si chinò per infilare rapidamente le scarpe, quindi si raddrizzò e partì di corsa verso la cabina di pilotaggio, da dove provenivano i latrati sempre più forti e nervosi di Chewie.
       «Arrivo, arrivo!» sbraitò, gettandosi a sedere al suo posto. «Allora, com’è la situazione?»
       «Graahhh… wuowuowuo!» ruggì in tutta risposta il suo copilota, colpendo con forti manate i braccioli della sua poltrona.
       «Ehi, non ti scaldare!» brontolò Han, mantenendo il suo solito tono sfacciatamente calmo, prendendo i comandi e controllando un paio di monitor. «Ce ne siamo lasciati indietro di ben peggiori, no?»
       Da dietro l’ampio seggiolone del Wookiee, C-3PO - che, come al solito, era stato quasi invisibile agli occhi del contrabbandiere - disse, con la sua monotona vocetta: «Chiedo scusa, signore, ma se posso dare la mia opinione, le probabilità di sfuggire indenni all’intera flotta imperiale sono di una a settecentotre…»
       «Chiudi il becco, professore!» urlò Han, senza guardarlo. «Se avessimo voluto la tua opinione l’avremmo chiesta!»
       «Ma, signore…»
       Han lo ignorò completamente, continuando imperterrito a digitare dei rapidi comandi sul computer di bordo.
       «Stai pronto, Chewie, sto facendo i calcoli per il salto a velocità luce!»
       «Raahhh» rispose il Wookiee, in tono affermativo, allungando una zampa pelosa sulla leva del comando.
       «Signore, se mi permette di dire…»
       «Non permetto!» gridò il comandante, puntando un dito ammonitore contro il droide dorato, prima di ritornare con solerzia ad occuparsi dei suoi calcoli un po’ troppo approssimativi. «Okay, Chewie, ora!»
       Senza farsi pregare, desiderando di essere già il più possibile lontano da lì, il Wookiee abbassò la leva dell’iperspazio.
       Il giorno prima, erano sfuggiti quasi per miracolo ad alcuni sicari inviati contro di loro da uno degli Hutt di Tatooine, intenzionato a vendicare la morte del suo parente Jabba, ucciso quando, meno di una settimana prima, Luke, Chewie, Leia e Lando avevano salvato Han, intrappolato nel carbonio; nello scontro, la nave aveva subito qualche danno, ma ne erano praticamente usciti illesi, solo per trovarsi, però, con adesso l’intera flotta imperiale schierata di fronte. Se avessero voluto avere qualche possibilità di giungere vivi su Sullust, dove si radunavano le forze ribelli in attesa di sferrare l’attacco alla seconda Morte Nera, nei pressi della luna boscosa di Endor, avrebbero dovuto togliersi dalla testa di compiere qualsiasi atto di eroismo e darsi il più presto possibile alla fuga. Il che, era esattamente quello che avevano intenzione di fare.
       Il Millennium Falcon, sollecitato a balzare nell’iperspazio, beccheggiò e tremò, emettendo sbuffi e suoni veramente lamentevoli. Oltre a quello, tuttavia, non accadde assolutamente nulla, mentre i primi colpi di avvertimento sparati dai caccia nemici cominciavano ad esplodere tutto attorno a loro.
       Interdetto, Han digitò un altro comando rapido e ripeté: «Dai, ora!»
       Pur senza troppa convinzione, Chewbacca abbassò nuovamente la leva ma, anche questa volta, non accadde assolutamente nulla, perlomeno finché tutte le luci a bordo si spensero ed un allarme assordante cominciò a risuonare.
       «Ghghghgrrr!» sbraitò Chewie, portandosi le mani alla testa con aria afflitta e agitandosi tutto.
       «Ho un gran brutto presentimento…» sbottò Han, dando un pugno nervoso alla plancia di comando e prendendo i comandi manuali per potersi almeno lanciare in qualche manovra elusiva con cui sottrarsi al fuoco nemico.
       «Mi perdoni, signore, ma come cercavo di dirle prima, i colpi che abbiamo subito ieri hanno danneggiato l’iperguida e…»
       «Siamo nei guai!» grugnì Solo, senza più neppure ricordare quante volte avesse ripetuto quella frase in vita sua. In quell’esatto momento, un’esplosione scosse per intero la nave, facendola sbandare.
       «Chewie, massima potenza al deflettore posteriore ed arma i cannoni ventrali!» ordinò Han, saltando via dal suo posto. Spinse di lato il povero C-3PO - che, con un «Oh, povero me!» si ribaltò addosso al Wookiee, che a sua volta se ne sbarazzò con una manata - e corse a perdifiato verso la propria cabina, facendovi irruzione come una furia scatenata.
       Trovò Leia seduta sul letto, ancora intorpidita dal sonno e stordita dal fragore delle esplosioni, mentre si guardava attorno alla ricerca dei suoi abiti. Nuda e con i lunghi capelli sciolti che le ricadevano sul seno era una visione veramente meravigliosa ed Han sarebbe rimasto volentieri per ore ed ore a contemplarla con la mascella che precipitava sempre più verso il pavimento, ma un nuovo colpo di laser lo riscosse, riportandolo alla realtà.
       «Mi dispiace turbare il vostro sonno, ma abbiamo dei problemini, vostra grazia!» la informò, recuperando lui stesso la sua giacca ed i suoi pantaloni e lanciandoglieli perché lei potesse indossarli in fretta.
       Nonostante la situazione tragica, Leia non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito.
       «Quando mai non ce ne sono, a bordo di questa vecchia ferraglia?» mormorò, scuotendo piano la testa e fingendosi rassegnata, mentre lo guardava con i suoi grandi occhi castani.
       «Ehi!» sbottò Han, cercando di apparire offeso. «Questa nave mi ha…»
       «Sì, sì!» tagliò corto la principessa, finendo di abbottonarsi la giacca e chinandosi per allacciarsi le scarpe. «Allora, che cosa c’è che non va, questa volta?»
       Il volto del contrabbandiere si rabbuiò un poco. «Gli imperiali ci sono addosso e l’iperguida…»
       Leia alzò gli occhi al cielo. «Tanto per cambiare!»
       «Se solo il ragazzino fosse qui!» si lamentò Solo, riferendosi a Luke. «Lui, come al solito, combinerebbe solo guai e non ci servirebbe quasi a nulla, ma il suo droide riparatutto ci farebbe parecchio comodo, in un momento come questo!»
       Insieme, sorreggendosi a vicenda quando qualche nuova esplosione faceva sbandare il Falcon, raggiunsero di corsa il vano dei motori. Senza troppe cerimonie, Solo scansò di lato C-3PO, che nel frattempo si era diretto a sua volta in quella direzione, e si buttò a capofitto tra cavi e ingranaggi, cercando di capire quale fosse il problema. Mantenendosi aggrappato alla scaletta di servizio, non ci mise molto a scoprire che, i colpi subiti il giorno prima, avevano finito con l’allentare uno dei tubi di alimentazione che, ora, fumava pericolosamente e perdeva liquido.
       «Passami il nastro adesivo, Leia!» gridò, riaffiorando con il busto ad altezza del pavimento e indicando la cassetta degli attrezzi.
       «Hai davvero intenzione di aggiustare un affare che dovrebbe farci fare il salto a velocità luce con del nastro adesivo?!» sbottò lei, sperando di aver capito male.
       «Signore, le possibilità di tenuta del nastro adesivo, se sottoposte ad una tale sollecitazione, sono di una a sette milioni…!» cominciò a dire 3PO, prima che un’altra deflagrazione subita dalla nave lo mandasse a gambe all’aria.
       «Sarebbe una soluzione provvisoria…!» biascicò Han, reggendosi a stento ed allungandosi per afferrare la scatolina che, nel frattempo, la donna gli stava porgendo. «Tanto la nave reggerà!» Sollevò gli occhi alla struttura del Millennium Falcon. «Sentito, bellezza?» domandò, con voce bassa. «Reggerai…»
       Leia non ebbe l’ardire di replicare nulla, anche perché, in quel preciso momento, i caccia imperiali cominciarono ad aumentare il fuoco e ad aggiustare il tiro, bersagliandoli a mitraglia.
       Nell’oscurità sempre più fitta - dato che anche le poche luci d’emergenza ancora accese cominciavano ad affievolirsi - si udirono risuonare i latrati disperati di Chewie, che continuava a compiere piroette per provare a fuggire o almeno a sottrarsi ai colpi incrociati dei nemici, e i lamenti di C-3PO: «Oh, cielo, mi chiedo proprio che cos’abbia fatto di male nella vita per meritarmi questo! Siamo fatti per soffrire, noi…»
       Ignorando tutto e cercando di mantenersi calmo, Han srotolò un pezzo di nastro e cominciò ad avvolgerlo attorno al tubo che perdeva.
       «Old J…»
       Le sue dita, lavorando febbrilmente, riuscirono nuovamente ad isolare la perdita. Subito dopo, afferrò un fascio di cavi che parevano messi male e, senza pensare troppo a quello che stava facendo, avvolse pure quelli con il nastro, senza sapere bene nemmeno lui che cosa stesse combinando di preciso.
       Evidentemente, comunque, qualche risultato lo ottenne, dato che le luci d’emergenza si spensero e quelle normali tornarono ad accendersi, anche se l’allarme non accennò a smettere di risuonare cupamente per tutta la nave.
       «Accidenti, papà!»
       «Ci siamo!» urlò il contrabbandiere.
       «Se nei sei convinto tu…» gli rispose con ironia Leia, aggrappandosi ad un supporto per non venire gettata in terra dall’ennesimo colpo di laser.
       Un secondo allarme, ancora più malaugurante del primo, cominciò ad echeggiare per tutta l’astronave, rompendo i timpani a tutti gli occupanti: lo scudo deflettore, sottoposto a fin troppe sollecitazioni, stava cedendo e non sarebbe riuscito a resistere ad una nuova raffica.
       Han, per tutta risposta, mollò un pugno ad un pannello che appariva deformato, rimettendolo sommariamente a posto. Era un abile meccanico, d’accordo, ma in quel momento aveva davvero terminato le risorse.
       «Forza, bellezza!» si ritrovò a pregare mentalmente, mentre con la mano sfiorava la superficie della sua adorata nave, che non lo aveva mai tradito fino a quel giorno. «Fammi portare in salvo la principessa, facci scappare via da questo inferno! Non vedi com’è giovane e bella? Non si merita certo di saltare per aria qui dentro!»
       Come se avesse prestato fede alle sue preghiere, l’allarme dell’iperguida si spense e, in quel preciso momento, il Millennium Falcon compì il balzo nell’iperspazio, sottraendosi alla caccia della flotta imperiale e lasciando dietro di sé solamente una scia luminosa, che scomparve come se non fosse mai esistita sotto gli occhi degli inseguitori.
       «Old J, che accidenti ti prende?! Mi senti o no?!»

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Capitolo 7
*** La luce delle stelle ***


6 - LA LUCE DELLE STELLE

       «Papà, maledizione!» gridò ancora Katy, esasperata, dandogli una manata nei reni per richiamarlo alla realtà. «Ti si è incriccato anche il cervello, oltre alle ossa?»
       Come riemergendo da un sogno, finalmente Indiana Jones si rese conto di non essere a bordo del Millennium Falcon in avaria e incalzato dalla flotta dell’Impero Galattico, in compagnia di Leia. Strabuzzò gli occhi e rabbrividì, sentendosi la schiena coperta di sudore freddo: come un sonnambulo che si risvegli all’improvviso dentro ad un incubo, si guardò attorno adagio, osservando i pallidi rimasugli di quelle strane e sfuggevoli visioni oniriche, che per qualche minuto avevano preso del tutto il sopravvento sulla sua volontà, sovrastarlo ancora da ogni lato per qualche secondo, per poi scomparire nelle luce fiocca della veglia. Dolorini e fastidi di vario genere, indiscussi protagonisti della sua età, tornarono a farsi largo tra le sue ossa, ricordandogli che gli anni trascorsi nella Galassia erano solo un sogno, molto, molto lontano.
       Mentre lui cominciava ad orientarsi di nuovo nel presente e provava a spiegarsi che cosa fosse successo - quella visione che aveva avuto… sembrava così reale, come se l’avesse vissuta davvero… - sua figlia perse la pazienza e gli piantò un altro pugno all’altezza della cintola.
       «E dai, Old J, che cosa diavolo ti succede?» strillò, con la voce che cominciava a tradire un certo panico.
       «Wuuff raaahh» si aggiunse Chewbacca, che non riusciva a comprendere come mai Indy si fosse impietrito sulla porta della cabina.
       Ormai tornato del tutto nel presente, l’archeologo fece un brusco movimento e si volse all’indietro con un sorriso.
       «Scusatemi» disse, in tono rassicurante. «Alla mia età può succedere di…»
       «Alla tua età faresti meglio a startene a casa in poltrona, con la poltrona sulle gambe e un buon libro in mano, te lo dico sempre!» commentò Katy, sarcastica. Dall’espressione del suo viso, si capì benissimo che si sentiva sollevata per il fatto che non fosse accaduto nulla di grave.
       Di primo acchito, suo padre avrebbe voluto raccontarle ciò che gli era accaduto, varcando la soglia di quella cabina, renderla partecipe di quanto aveva visto e sentito, ma qualcosa, dentro di lui, gli suggerì di tenersi almeno quello per sé. È bello condividere tutto con chi si ama, specialmente con i propri figli, ma qualche volta è altrettanto piacevole poter mantenere qualche segreto per sé, qualcosa di intimo e di personale da non rivelare proprio a nessuno; e, quella, sarebbe stata proprio una delle cose che non avrebbe mai raccontato, un mistero intimo e personale che avrebbe tenuto celato nel proprio cuore.
       «Questa era la cabina di Han Solo» disse, voltandosi per gettare un ultimo sguardo alla piccola stanza che odorava di muffa e di antichi ricordi. Con suo sbigottimento, in mezzo a quell’odore di vecchiume gli sembrò persino, anche se soltanto per un brevissimo istante, di sentire un profumo, decisamente più dolce e fresco, inconfondibile: il profumo che aveva emanato la principessa Leia, la donna che lui - o, meglio, Han Solo - aveva amato con tutto se stesso.
       Katy, grattandosi dietro un orecchio, si convinse che suo padre avesse perduto definitivamente l’uso della memoria, perlomeno quella a breve termine; appena tornati a casa, ne avrebbe parlato seriamente con mamma e gli avrebbero consigliato di farsi visitare da uno specialista, che avrebbe senza dubbio saputo quale pillola somministrargli per potergli riattivare al meglio le facoltà mnemoniche. E, volente o nolente, questa volta avrebbe dovuto obbedire e guai a lui se avesse insistito ancora una volta a buttare il flacone delle compresse nel sacco dell’immondizia.
       «Lo so, Old J» rispose, con dolce indulgenza. «È per questo che volevamo entrarci… ricordi?»
       Indy si girò di nuovo verso di lei e la squadrò con aria truce, assumendo un’espressione offesa che, agli occhi della figlia, sembrò decisamente comica, tanto che Katy dovette sforzarsi parecchio per non scoppiare a ridere.
       «Signorina mia, non sono ancora rimbambito» esclamò. «Stavo solo dicendo che, qui dentro, il capitano dormì, studiò le strategie di attacco e di difesa, amò…»
       «Amò?» ripeté Katy, sorpresa. «Una storia d’amore?» La cosa, in qualche modo, l’appassionava. Tuttavia, le sorse anche un dubbio. «E tu come lo sai?» domandò, sollevando un sopracciglio con scetticismo, mentre le sovvenivano le parole pronunciate dallo spirito del Jedi. «È forse quella faccenda di cui parlava Luke Skywalker? Della donna di cui Han era innamorato e con la quale ebbe un figlio…?»
       Indy scrollò le spalle senza rispondere e la ragazza, desiderosa di saperne a tutti i costi di più, si voltò di scatto verso Chewbacca.
       «È vero?» chiese conferma, con gli occhi che quasi le brillavano, mentre si portava un dito alle labbra. «Qui sopra c’è stata anche una storia d’amore?»
       Il Wookiee agitò le braccia.
       «Ruuffhh… Ahhr… Ruh… Waarrghhh…» latrò adagio.
       Katy, che ovviamente non aveva capito nulla, fu costretta a volgersi ancora verso suo padre.
       «Che cos’ha detto?» chiese.
       «Ha detto» rispose Jones, allungando la mano per afferrare la sua e costringerla a togliersi il dito dalla bocca, «che su Kashyyyk, il suo pianeta natale, è considerato immorale mangiarsi le unghie in pubblico.» Indy abbassò la voce. «Per loro è un atto… come posso spiegarmi… intimo, capisci? Da fare solo in privato.»
       «Oh!» sbottò Katy, spalancando gli occhi. Si affrettò ad abbassare le mani ed a stringersele dietro la schiena. Sollevò gli occhi verso il Wookiee e, arrossendo, sussurrò: «Scusami, Chewie.»
       «Graahhh!» replicò lui, incerto, lanciando uno sguardo di sottecchi a Indy: in verità, non aveva detto alcunché riguardo a nessuna strana ed inesistente usanza degli abitanti del suo lontano pianeta.
       Ma l’archeologo gli fece un cenno veloce con la testa e si affrettò a dire: «In ogni caso, credo che sia giusto non toccare nulla, qui dentro. Tutto è rimasto come Han Solo lo ha lasciato l’ultima volta e non mi pare una cosa carina essere noi a toccare le sue cose.»
       «Ma… pensavo che volessi…!» cominciò a dire Katy, ma suo padre le appoggiò una mano sulla spalla e la costrinse ad indietreggiare, allontanandola dalla porta della cabina, che si richiuse con un colpo secco dietro di loro.
       «Andiamo» grugnì Jones, sforzandosi di non gettare un’ultima occhiata malinconica a quella porta di metallo - che insieme sembrava l’ingresso di un mondo di sogni e la lastra tombale di un sepolcro - e provando a cancellare dalla propria memoria l’immagine di Leia che gli era balenata di fronte nella visione. Nel proprio cuore, per pochi istanti, aveva avvertito i sentimenti che Han Solo sentiva per lei e li aveva riconosciuti subito perché erano gli stessi, tali e quali, che lui sentiva ogni giorno per Marion.
       Sorrise a quel pensiero, mentre si avviava alle spalle di Chewie e di Katy.
       Attraversarono la plancia, ascoltando il rumore dei propri passi senza mai fermarsi e si diressero lungo il corridoio che conduceva alla cabina di pilotaggio.
       Katy, meravigliata, non sapeva più dove posare gli occhi, attratta da tutti i pannelli, dalle console, dalle luci di mille colori che si accendevano a intermittenza, persino dai cavi e dai tubi che si intrecciavano sul soffitto formando un reticolo senza fine. Era persino meglio e più stupefacente di quando, l’estate dell’anno prima, erano andati in gita a Disneyland!
       Anche Indy si guardava attorno di continuo, studiando ogni dettaglio, sebbene, nel suo caso, fosse quasi più un rivivere ciò che già conosceva piuttosto che una nuova scoperta. Eppure, ogni singolo passo era un vero e proprio tuffo al cuore.
       «È incredibile…» mormorò la giovane, facendo scorrere le dita sul metallo che rivestiva le pareti. «Incredibile…»
       «E aspetta di vederlo all’opera» soggiunse suo padre.
       A causa della forte emozione che stava provando, Katy aveva cominciato a sudare abbondantemente, tanto che aveva il petto che luccicava; questa volta, avvertì davvero tutto il freddo che regnava a bordo del Falcon e, alla fine, si decise ad abbottonarsi la camicia.
       «Era anche ora» commentò suo padre, notando la manovra.
       La ragazza sollevò gli occhi alla schiena di Chewbacca, che li precedeva col suo passo ondeggiante.
       «Non è che avessi paura che lui mi guardasse le tette» lo informò, con distacco. «Avevo solo un pochino freddo.»
       «Dovevi coprirti prima» insistette Indy. «Te ne vai in giro mezza nuda… vedrai che, domani, avrai il raffreddore!»
       Katy sbuffò. «Mezza nuda… Old J, come sei esagerato! Allora, che cosa diresti, se vedessi quegli hippie che…»
       «Non ricominciamo a parlare di quei degenerati!» la interruppe suo padre, seccato.
       La ragazza fece una piccola risata, scostandosi una ciocca che le era finita davanti ai capelli.
       «Oppure a scuola…»
       «Cosa c’entra la scuola, adesso?» la inquisì l’archeologo.
       «Dopo l’ora di ginnastica, negli spogliatoi e nelle docce, giravamo tutte nude e…»
       «Ma che c’entra questo!» brontolò Jones, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. «È chiaro che, dopo aver sudato e faticato, ci si debba cambiare. Ragazze con ragazze e ragazzi con ragazzi, senza problemi. Non c’è mica promiscuità, in quel caso! Invece, se tu te ne vai in giro in quella maniera, chiunque potrebbe vederti!»
       Katy avrebbe voluto replicargli che a lei non era mai importato molto che qualcuno la vedesse senza nulla addosso.
    In effetti, l’unica volta che si fosse sentita in imbarazzo, in una situazione simile, era stato quando si era ritrovata a fare la doccia accanto a Lorene, che aveva insistito per aiutarla a lavarsi, trasformando però quell’atto quotidiano in una serie di lievi carezze che, da parte sua, seppure parecchio confusa e turbata, lei aveva finito per apprezzare; però, poi, vista l’ambigua situazione creatasi, aveva accolto quasi con sollievo l’arrivo delle altre ragazze, che le aveva costrette ad interrompersi. Lorene le voleva bene, ma certe volte aveva uno strano modo, per dimostrarlo, e lei si sentiva stranissima, in quelle occasioni…
    Invece, trattenendosi, dato che la reazione di suo padre sarebbe potuta essere imprevedibile, si limitò a dire: «Mi sono sbottonata la camicia solo dopo aver cominciato ad arrampicarci su per la foresta! Fino a prova contraria, gli unici che mi abbiano visto le tette sono stati dei pappagalli, degli alberi, un Wookiee, un fantasma, due droidi ed un vecchio brontolone.»
       Jones quasi inciampò e dovette togliersi in fretta le mani dalle tasche per non perdere l’equilibrio.
       «Un vecchio brontolone?!» esclamò, al colmo dello stupore. «Quale vecchio, scusa?!»
       La figlia dovette cacciarsi un pugno sulla bocca per soffocare una risata intrattenibile.
       «Old J…» singhiozzò per il troppo ridere, scuotendo la testa.
       «Io non ricordo di aver incontrato nessun vecchio!»
       «Se lo dici tu, papà…»
       Intanto, con il suo passo lungo, Chewbacca era già giunto all’entrata della cabina di pilotaggio, dove trovarono ad attenderli C-3PO e R2-D2 che, a quanto pareva, tanto per cambiare, stavano litigando.
       «Fiuuu… fififififi…» stava dicendo il piccolo droide.
       «Smettila di metterti sempre in mezzo!» ribatté 3PO. «Se avessero voluto il nostro aiuto, lo avrebbero chiesto!»
       «Grahhh?» domandò Chewie.
       Il droide dorato si volse di scatto verso di lui.
       «R2 si è messo in testa che, a causa della lunga permanenza in questa base, alcuni circuiti della nave potrebbero essersi danneggiati e che sarebbe quindi meglio fare un controllo completo, prima della partenza. Ovviamente, è una sciocchezza, qui gli unici circuiti ad essere fusi sono i suoi.»
       «Duuhh!! Fiuu!» ribatté R2-D2.
       C-3PO si volse in fretta verso di lui.
       «Non rivolgerti a me con quel tono impertinente. E smettila di pensare! Tu sei programmato per obbedire e io…»
       «Zzzhh… fiii… bibibi!»
       «Come ti permetti di chiamarmi così, stupido barattolo?! Modera il linguaggio!»
       Indy e Katy, divertiti, assistettero a quella scenetta cercando di non scoppiare a ridere, mentre il Wookiee, fin troppo abituato ai continui battibecchi dei due droidi, scostò in malo modo C-3PO e fece cenno ai due umani di seguirlo all’interno della cabina.
    Prima di avviarsi, però, fece un cenno al piccolo droide bianco e blu.
    «Graahhh» lo rassicurò: amava come un figlio il Millennium Falcon e aveva provveduto giorno per giorno alla sua costante manutenzione.
       Entrare lì dentro fu un altro balzo nel tempo, per Indiana Jones. Ancora una volta, i flebili ricordi di Han Solo riemersero di prepotenza, proiettandolo in altri mondi ed altre ere. Questa volta, tuttavia, riuscì a controllarli, evitando che prendessero di nuovo il sopravvento sulla sua coscienza. Adesso era un po’ come avere una doppia dose di memoria a cui attingere di continuo, una sensazione stranissima ma che, ormai, gli stava diventando familiare e che aveva smesso di turbarlo.
       Osservò Chewbacca sedersi sulla sua ampia poltrona di destra e, a lui, venne quasi naturale di fare altrettanto in quella di sinistra. All’ultimo momento, tuttavia, si fermò e si volse verso Katy.
       «Vieni» la invitò, con un gesto della mano. «Prendi posto qui.»
       «Davvero posso?» mormorò la giovane, rimanendo di stucco. Una dopo l’altra, stava vivendo esperienze che non si sarebbe mai neppure potuta immagine fino a poche ora prima.
       «Perché non dovresti?» borbottò suo padre, accennando un sorriso.
       Anche Chewie parve d’accordo, perché le indicò il sedile e grugnì qualcosa per lei indecifrabile ma dal tono decisamente bonario ed accomodante.
       «Be’, se me lo dite voi…» balbettò Katy, facendosi avanti e sedendosi, mentre suo padre prendeva posto nella poltroncina più piccola alle sue spalle.
       Il Wookiee fece un ampio sorriso, quindi cominciò immediatamente a schiacciare una sequenza di tasti che, con un tremito che si propagò all’intera struttura metallica, attivarono i motori del Millennium Falcon. Sia Indy sia Katy si sentirono scuotere da un’emozione indefinibile nel momento in cui, sotto i loro piedi, il pavimento cominciò a vibrare adagio. Prima che avessero avuto il tempo di dire o fare qualcosa, Chewbacca aveva già impugnato le leve dei comandi e stava dando avvio alle manovre per il decollo.
       Con un rumore che parve quasi un risucchio d’aria, l’astronave si sollevò dal terreno e virò di circa quarantacinque gradi, per potersi posizionare con la prua di fronte ad una galleria parecchio ampia che, fino a quel momento, padre e figlia non avevano notato, essendo celata dalla nave stessa. Quindi, con un’accelerazione che non si sarebbe potuta immaginare nemmeno a bordo di un Concorde, il Falcon imboccò il tunnel, che saliva verso l’alto.
       Katy si sentì il cuore schizzare in gola per la grande velocità - era quasi come essere sopra un ottovolante, solo di un tipo che nessuno avrebbe potuto affermare di aver mai provato - e, subito dopo, scoprì che le mani le stavano sudando abbondantemente, tanto che lasciò delle scie umide e scure sulla tela quando provò ad asciugarsele sui jeans. Del resto, visto quello che stavano vedendo i suoi occhi, emozionarsi era forse la più naturale delle reazioni che si sarebbe potuta aspettare.
       In men che non si dica, il Millennium Falcon fuoriuscì dal traforo scavato nella roccia ed uscì all’aperto. Oltre il parabrezza, il cielo azzurro brillò come un etereo mare dove nuotavano poche e fragili nubi, mentre sotto di loro le foreste delle Ande si allontanavano sempre di più, rimpicciolendo fino a scomparire.
       Molto presto, non fu più possibile distinguere nessun particolare e, quando Katy provò a sollevarsi per vedere meglio, rimase incantata: non c’erano più né la regione di Amazonas né il Perù, là sotto, bensì l’intero continente americano, che appariva spruzzato di verde e di marrone, mentre su entrambi i suoi lati gli oceani parevano tele dipinte di un blu intenso.
       Anche Jones si alzò dal proprio sedile e si avvicinò al cruscotto; posò una mano sulla spalla della figlia e, dopo averle sorriso un istante, ricambiando il suo sguardo meravigliato, contemplò quel panorama indescrivibile. Ormai, sotto di loro, non c’erano più confini, o bandiere, bensì solamente terre che terminavano nell’acqua, prima di cedere il posto ad altra terra e ad altra acqua. Visto da lassù, sempre più piccolo e distante, come una sfera di vetro iridescente circondato dal vuoto cosmico, il pianeta appariva caldo e avvolgente, regno di pace e di armonia. Eppure, non era così.
       «Guarda che bella la Terra, da quassù, Old J» commentò Katy, con voce sottile.
       «Già» rispose con amarezza l’archeologo, senza smettere di tenerla per la spalla. «Bella ed unica. Eppure gli esseri umani la stanno lentamente distruggendo e, quando proprio non hanno voglia di provare ad annientarla, prendono a farsi la guerra tra di loro, sfasciando tutto…»
       «Eppure noi viviamo lì» riprese Katy. «Non possiamo andare altrove…»
       Indy gettò un’occhiata a Chewbacca, che pilotava con fare rilassato e con aria serena, ed ai due droidi, che avevano finalmente smesso di punzecchiarsi. Loro erano la prova vivente che l’uomo non fosse solo, nell’universo, che ci fossero altri pianeti abitabili e abitati. Ma Katy, in fondo, aveva ragione…
       «No, non possiamo andarcene» ammise, tornando a guardare fuori. «Quella è la nostra casa. È l’unico mondo che ci sia stato concesso di abitare e, quindi, dobbiamo averne il massimo rispetto. Ma l’uomo è un essere stupido, Katy, e forse capirà quanto sia importante il suo pianeta solo quando sarà troppo tardi per rimediare a tutti gli errori.»
       La ragazza fece un sorriso smagliante.
       «Per fortuna, allora, che ci sono anche le donne!»
       Suo padre ridacchiò e tornò a concentrarsi con lo sguardo fuori dal finestrino.
       Ormai, erano nello spazio, il Sole ardeva gigantesco, le stelle parevano puntini luminosi e la Luna si avvicinava, mentre la Terra, lassù, sembrava sempre più piccola, circondata dalla sua fragilissima e sottile atmosfera, sebbene fosse l’unico luogo, ovunque si guardasse, che emanasse quella luce brillante ed inconfondibile, un verdeazzurro che si distingueva nettamente da tutto il resto.
       In quel momento, Jones fu attraversato da un dubbio ma, prima che potesse esternarlo, la ragazza lo precedette.
       «Ma come facciamo a respirare, senza bombole d’ossigeno?» chiese Katy. «E come mai non levitiamo nell’aria come gli astronauti delle missioni Apollo?»
       Indy sorrise, perché quella era la stessa domanda che avrebbe voluto fare lui. Del resto, Katy era sangue del suo sangue: tale il padre e tale la figlia.
       «Tu che ne dici, Chewie?» chiese l’archeologo, rivolgendo uno sguardo al Wookiee. «C’è qualche strano congegno, a bordo?»
       «Graa, wu wu wu, raufh» replicò Chewbacca, con un’alzata di spalle. In pratica, ne sapeva quanto loro: per lui quella era una cosa normalissima e non si era mai neppure posto una domanda, al riguardo.
       Tutti e tre, quindi, si volsero verso C-3PO - il professore di bordo doveva certo saperla parecchio lunga, come al solito - ma sul viso dorato del droide parve quasi evidenziarsi una smorfia di disappunto.
       «Oh, cielo!» esclamò. «Non lo so! È contrario alla mia programmazione conoscere questi dettagli tecnici. Il mio primo incarico era l’etichetta e…»
       «Fiuuui!» lo interruppe R2-D2.
       «Non dire così, non è vero che non servo mai a nulla!» ribatté il droide protocollare, offeso. «Queste sono basse insinuazioni che…»
       Ignorandolo, Indy e Katy tornarono a meravigliarsi di fronte allo spettacolo incredibile che lo spazio aperto offriva loro. Evidentemente, c’erano cose che non potevano essere spiegate e, allora, tanto valeva lasciarle lì, in sospeso nel mare delle domande irrisolte. Inoltre, c’era una tale bellezza, ovunque volgessero gli occhi, che perdere tempo con quelle informazioni non sarebbe servito proprio a nulla, se non a sottrarre qualcosa a quel poema della natura che si offriva ai loro sguardi.
       La vastità indefinita dello spazio si estendeva di fronte a loro offrendo scenari impressionanti, immagini insondabili ed immense che facevano sfigurare non solo l’uomo e le sue creazioni, microscopiche nullità, al riguardo, bensì le divinità stesse, la cui potenza appariva una pallida parodia, nei confronti di quel tutto cosmico.
       A Jones, per quanto non volesse pensarci, risuonarono nella mente le parole pronunciate da Yuri Gagarin, il primo cosmonauta ad aver varcato i confini dell’atmosfera terrestre: «Chi non ha mai incontrato Dio sulla Terra, non lo incontrerà neppure nello spazio.» Del resto, lassù non c’era nulla che non potesse essere ricondotto alle leggi della matematica e della fisica, quello era il vero regno della scienza, dove il sonno della ragione moriva per sempre…
       «Guarda, Old J» lo chiamò Katy, indicando qualcosa con il dito e riscuotendolo dalle sue riflessioni. «Guarda la Luna!»
       Il satellite naturale della Terra, adesso, era vicinissimo ed entrambi poterono capire che cosa dovettero immaginare Armstrong, Aldrin e Collins nell’avvicinarsi per primi a quell’oggetto fluttuante a cui, per secoli, uomini e donne si erano rivolti quasi fosse una dea, dedicandovi preghiere e speranze.
       Strizzando gli occhi, entrambi cercarono di scorgere le prove concrete dell’allunaggio - i moduli, le impronte, la bandiera a stelle e strisce - ma, dall’altezza a cui si trovavano, non poterono vedere altro che crateri, pianure e montagne che non sarebbero mai state abitate da nessuno, almeno non nell’immediato. Ma un giorno, chissà…
       «Sai, si dice che, miliardi di anni or sono, quando il nostro sistema solare si era appena formato, la Terra si scontrò con un altro pianeta» spiegò Indy, mentre continuavano a sorvolare l’astro. «Da quella terribile collisione si sprigionò del materiale, che si conglomerò a formare la Luna.»
       Katy sorrise, giocherellando con le frange della sua borsa.
       «Chissà che botto!» esclamò.
       «Già, deve essere stato bello forte» ammise l’archeologo. Poi, però, si affrettò ad aggiungere, sfregandosi il mento: «Comunque, è solo una vecchia supposizione e, da quel che ne so, parecchi scienziati ormai la rigettano, perché non c’è neppure lo straccio di una prova che sia avvenuta per davvero. Però è bello pensare che, un pezzo del nostro pianeta, sia proiettato così nello spazio, quasi ad attenderci per un futuro arrivo.»
       Non avevano quasi fatto in tempo a finire di parlarne che la Luna, di già, scomparve sotto di loro, mentre proseguivano il loro straordinario viaggio nel cosmo. Chewbacca accelerò un poco l’andatura e si diresse verso un puntino rosso che andò facendosi via via sempre più grande.
       «Marte…» mormorò Jones quasi con venerazione, mentre il pianeta rosso si avvicinava ad una velocità impressionante.
       «È vero che è un pianeta molto simile al nostro?» chiese Katy, eccitata. «Dici che sia abitato?»
       «Uhm…» borbottò suo padre. «Gli scrittori di fantascienza dicono di sì, ma io ho qualche dubbio, in proposito. Comunque, dato che ci stiamo andando, lo scopriremo presto.»
       In silenzio, fissarono il pianeta che aveva acceso le fantasie degli uomini da parecchi secoli. Si parlava di canali, di riflessi, di grandi civiltà… c’era qualcosa di vero o, quella, era l’ennesima illusione? Anche se, ancora, non sarebbero stati capaci di dare una risposta, Katy e suo padre si sentivano scuotere completamente all’idea di essere i primi esseri umani a poter vedere da vicino quel pianeta misterioso: erano partiti per una ricerca archeologica e, infine, si erano trovati ad essere i primi esploratori del cosmo a spingersi oltre la Luna.
       «Ora capisco cosa dovette provare Cristoforo Colombo!» quasi urlò Katy, rimettendosi un’altra volta il dito in bocca. «Lui ha scoperto l’America e noi, invece, saremo gli scopritori di Marte!»
       «Scommetto che Colombo, però, non si mangiava le unghie» grugnì Indy.
       La ragazza non gli badò, continuando a sgranocchiare con lo sguardo perso sull’arido e rosso pianeta che, adesso, era talmente vicino che sarebbe sembrato di poterlo toccare soltanto allungando una mano.
       «Mi ricordo un’intervista a Von Braun» borbottò Jones. «Il giorno dopo che gli uomini a bordo dei suoi razzi arrivarono sulla Luna. Gliela fece un giornalista italiano[1], domandandogli che cosa ci aspettasse per il futuro delle esplorazioni spaziali. Il buon Wernher si è detto convinto che, con i giusti finanziamenti, entro quindici anni riusciremo ad arrivare anche su Marte.» Diede una pacca affettuosa ad uno dei pannelli di controllo del Millennium Falcon. «Chissà che cosa direbbe se sapesse che noi ci siamo arrivati in… quanto? Dieci minuti? Un quarto d’ora al massimo?»
       «Rahh, groagh woohh wuuhh» replicò Chewie, indicando alcuni pulsanti ed una leva di fronte a sé.
       «Incredibile, davvero incredibile» mormorò in risposta Indy.
       Senza distogliere gli occhi dal pianeta rossa, che sembrava averla ipnotizzata, Katy domandò un po’ distrattamente che cosa ci fosse di così incredibile.
       «Mi ha spiegato che, questo, non è niente, in confronto a ciò che può fare questa nave» rispose suo padre. «Praticamente, può compiere viaggi nell’iperspazio.» Si tolse per un momento il cappello e si massaggiò la testa, come a riordinare le idee per costringerle ad accettare quel concetto che esulava da qualsiasi conoscenza degli abitanti della Terra. «Ricordi? Quello di cui parlava anche Einstein…»
       Ma Katy non gli stava prestando alcuna attenzione.
       Il Millennium Falcon si era abbassato notevolmente verso la superficie di Marte e stava sorvolando il pianeta rosso così da vicino da sollevare una nube di sabbia che si spandeva in ogni direzione, come in preda ad una forte tempesta. Eppure, in mezzo a quel turbinio inestricabile, Katy riuscì ugualmente a distinguere pianure, catene montuose, avvallamenti… ma ogni cosa, a prima vista, apparve brulla e desolata, del tutto priva di qualsiasi indicazione che, di lì, fossero passati esseri senzienti, in altre epoche.
       Il pianeta sembrava morto, arido e deserto. Ma ecco che…
       «Laggiù, Old J, laggiù!» gridò, così forte che tanto Indy quanto Chewbacca sussultarono.
       «Cos’hai visto?» chiese l’archeologo, precipitandosi a guardare verso il punto che lei stava indicando.
       Non ci mise molto a comprendere che cosa sua figlia volesse mostrargli. C’erano monti e colline naturali, d’accordo, ma quelle… no, non poteva essere!
       «Sembrerebbero piramidi!» esclamò, stringendo gli occhi per vedere meglio, mentre la sua passione per l’archeologia tornava a vibrargli nelle vene così forte da fargli sentire il rumore dell’adrenalina che gli scorreva a fiumi nell’organismo. «Piramidi costruite dall’uomo o da chissà chi…!»
        «E guarda quella!» strillò Katy, battendo due volte le mani per l’entusiasmo.
       Le piramidi erano gigantesche e sublimi, erette con blocchi di pietra perfettamente squadrata, di una bellezza inaudibile, e Jones dovette compiere un vero e proprio sforzo per riuscire a staccar loro gli occhi di dosso per vedere di che cosa stesse parlando sua figlia. Ma, quando lo fece, per poco ebbe un collasso, perché mai si sarebbe aspettato di vedere qualcosa di simile, mai avrebbe creduto possibile che, qualcosa del genere, potesse esistere al di fuori della Terra.
       «È… è una faccia…» borbottò. «Una faccia scolpita nella roccia… che mi prenda un accidente se quella non è una faccia…!»
       Katy, per l’entusiasmo, aveva cominciato a saltellare sul posto.
       «È come la Sfinge, Old J! Quelle sono le piramidi di Marte e quella è la loro Sfinge! E guarda quelle… quelle statue!»
       Sulla superficie del pianeta, brulla e inospitale, si levava un immenso ed austero viso che pareva essere stato scolpito nella roccia: chiunque l’avesse fatto, non si era limitato a erigere un sacello, ma aveva lavorato direttamente sopra una montagna, trasformandola a proprio piacere per onorare… chi? Un dio? Un grande sovrano? Chi avrebbe potuto dirlo? E, attorno a quella misteriosa raffigurazione, si innalzavano statue colossali che parevano davvero essere lì a difesa di quell’immagine, oppure in adorazione, non sarebbe stato semplice stabilirlo…
       Ad Indy vennero immediatamente alla mente immagini che conosceva più che bene: la Sfinge di Giza, il monte Rushmore, il monumento a Cavallo Pazzo, le linee di Nazca, il Buddha di Leshan… sia che si trattasse di divinità, sia di grandi eroi, gli esseri umani avevano in quel modo spettacolare voluto preservarne la memoria, donandola all’immortalità della pietra, che l’avrebbe conservata per tutta l’eternità. Se era stato fatto sulla Terra, non si poteva non credere che non l’avessero fatto anche i marziani o chi per loro…
       «Portaci giù!» gridò a Chewbacca, indicandogli di atterrare. «Io devo… voglio vedere da vicino…»
       «Sì, sì, anche io!» esclamò Katy. «Presto, presto! E, poi, andremo alla scoperta di tutto il resto, vero Old J?!»
       «Certo, con l’iperspazio potremo scoprire chissà quali e quante civiltà perdute e lontane!» ruggì il vecchio archeologo. «Sulla Terra, ormai, non c’è quasi più nulla da scoprire, ma qui, nello spazio… è un intero universo che ci si apre dinnanzi!»
       «Graahh!» ruggì Chewbacca.
       «Come no?!» urlò Jones, come in preda al delirio. Nei suoi occhi, sembrava essersi accesa una luce di follia. «Io voglio sapere tutto! Potrebbe essere la più grande scoperta archeologica di tutti i tempi! Facci scendere!»
       La ragazza, richiamata alla realtà, si voltò verso suo padre. Non lo aveva mai visto così fuori di sé: tremava tutto ed il suo volto, adesso, faceva paura, perché sembrava quasi quello di un pazzo fanatico. Che cosa stava succedendo?
       «Old J…» mormorò. «Se dice che non può…»
       «Certo che può! Togliti di mezzo, Katy!» sbraitò. Poi, tornò a rivolgersi a Chewbacca. «Avanti, ammasso di peli! Porta già quest’affare!»
       «Graahh!» continuò a rifiutarsi il Wookiee, sollevando una zampa per calmarlo. «Wooff!»
       «Non mi impedirai di portare a termine la scoperta più incredibile della mia vita!» ruggì Jones. Abbassata la mano, estrasse di colpo la rivoltella che teneva nella fondina e la puntò contro l’antico amico. «Avanti! Obbediscimi e non costringermi a farti del male!»
       «Oh, cielo!» gridò C-3PO, alzando le mani e dandosi ad una fuga precipitosa. «Oh, cielo!»
       In quanto a Katy, quella vista le fece una paura terribile.
       «Papà…» mormorò, sul punto di scoppiare in lacrime. «Papà, che stai facendo…?»
       Ma Indiana Jones non le prestò alcuna attenzione. Ormai, la sua mente era tesa solamente verso quelle nuove meraviglie che lo attendevano un centinaio di chilometri più in basso e niente e nessuno sarebbe riuscito a fermarlo, non adesso. Aveva trascorso la vita intera a cercare risposte e, adesso che avrebbe potuto trovare le più sconcertanti delle verità, non si sarebbe tirato indietro. Di fallimenti ne aveva collezionati parecchi e li aveva sempre accettati con stoica rassegnazione, ma questa volta sarebbe andata diversamente.
       Continuò a fronteggiare il Wookiee, che lo fissava con aria serena e non sembrava minimamente impaurito dalla sua pistola.
       «Chewie, non costringermi a farlo…!» mormorò, con la voce che tremava e le dita che sudavano in abbondanza attorno al grilletto. «Ho ucciso gente per molto meno!»
       Non riuscendo più a trattenersi, Katy si sciolse in lacrime. Ormai, non le importava più nulla del viaggio nello spazio, delle costruzioni su Marte o di tutto il resto: voleva solo che suo padre riacquistasse la ragione e tornasse indietro con lei.
       «Papà, smettila!» lo implorò, con la voce rotta per il pianto. «Tu queste cose non le fai! Tu non sei così! Non hai mai messo l’archeologia al primo posto…!»
       Il suono dolce ed amato della voce di sua figlia sembrò calmare Indy, che si volse verso di lei e le sorrise.
       «Ma, Katy, cerca di capirmi…»
       «Cosa c’è da capire?!» gridò lei, arrabbiata. «Che sei pronto a perdere la ragione per degli stupidi sassi?! Che per te contano solo popoli morti secoli fa ed il resto non significa nulla?»
       Sbigottito, Jones tremò vistosamente. La sua mano lasciò andare la rivoltella, che finì in terra con un cupo clangore, mentre i suoi vecchi occhi si riempirono di lacrime, che rigarono le sue guance ispide di barba. Si sentì le gambe cedere ma, prima che potesse cadere, Katy corse a stringerlo in un abbraccio soffocante, avvinghiandosi a lui come se non volesse lasciarlo andare mai più.
       «Perdonami, amore» sussurrò lui, chiudendo gli occhi, mentre la teneva stretta e le accarezzava i lucidi capelli neri. «Perdonami… io… io non so che cosa mi sia preso…»
       Katy non disse nulla, appagata di quel contatto e di quel tono tornato ad essere quello dolce e confortante del suo papà, dell’uomo che per lei rappresentava il vero eroe, colui che era capace di fare tutto, l’uomo che aveva sempre una soluzione per tutto e che non compiva mai scelte cattive o sbagliate.
       Dalla sua poltrona, Chewie fissò padre e figlia tenersi avvinghiati ed emise un basso ruggito di soddisfazione, per nulla irritato da quanto appena accaduto. Per lui, l’incidente era chiuso, era stato solamente un attimo di debolezza da dimenticare per sempre e, adesso, avrebbero potuto viaggiare insieme per tutta la Galassia. Avrebbero visitato luoghi come Kashyyyk, o Tatooine, o Naboo, oppure Ahch-To… ci sarebbero stati moltissimi luoghi remoti da scoprire insieme, come ai vecchi tempi…
       Udendo il leggero ringhio del Wookiee, Indy riaprì gli occhi arrossati dalla commozione e, senza smettere di tenere abbracciata Katy, gli rivolse un lieve sorriso, da cui non riuscì a nascondere un poco d’imbarazzo.
       «Chiedo scusa anche a te, amico mio» borbottò, a bassa voce, provando un po’ di vergogna. «Io mi sono fatto trasportare dagli eventi… Potrai dimenticare e perdonarmi?»
       Il Wookiee sorrise.
       «Grahh wuuf ruhh» rispose, in tono dolce e accomodante, facendo un cenno con la zampa. Poi, con un’altra serie di latrati, soggiunse: «Wuuff rahhh grraarhh rrroooohhrrr?»
       Indy rimase basito di fronte a quelle parole. L’antico amico gli aveva appena confermato che tutto era già scordato e, subito dopo, gli aveva chiesto se lui e Katy fossero ancora intenzionati a tornare a casa o se, al contrario, desiderassero andare con lui, verso pianeti lontani e sconosciuti, tutti da scoprire.
       Indiana Jones vacillò.
       Strinse ancora di più a sé Katy, la sua bambina adorata, il frutto più dolce del suo amore per Marion e pensò a quanto l’amasse, a quanto le amasse entrambe. E ripensò anche a Marion, che era rimasta a casa ad attenderli e aspettava di vederli tornare da un giorno all’altro, sani e salvi. Come avrebbero potuto partire per scoprire l’universo e dimenticarsi di lei?
       Eppure… sollevò gli occhi all’oblò e fissò le stelle che rifulgevano a milioni tutto attorno a loro, invocandolo a sé, chiedendogli di raggiungerle per scoprire i loro segreti più arcani, per svelare la loro antica sapienza. Come avrebbe potuto sottrarsi ad un simile richiamo, proprio lui? Non avrebbe mai più potuto sfuggire a quel segnale, allo splendore della luce delle stelle…
       In quel momento, Indiana Jones, per quanto ancora abbracciato alla figlia adorata, che gli trasmetteva calore e conforto, facendogli comprendere che aveva già tutto ciò che un uomo avrebbe potuto desiderare dalla vita, rischiò di scomparire per sempre, cedendo nuovamente il posto ad Han Solo, che sarebbe riemerso dalle tenebre del tempo, questa volta per tutta l’eternità… L’audace archeologo sarebbe morto ed il contrabbandiere galattico sarebbe rinato dalle sue ceneri…
       Un lampo improvviso e accecante riempì la cabina, facendo trasalire il Wookiee, mentre Indy e Katy, ancora stretti l’uno all’altra, crollavano al suolo senza un gemito, incoscienti.
       «Rahhh» commentò Chewbacca, sorpreso.
       «Ho dovuto farlo, Chewie» ammise lo spirito di Luke, riempiendo con le sue emanazioni azzurrine ed eteree l’intero abitacolo e abbassando le mani. «Per quanto sia doloroso tanto per me quanto per te, credo che questa sia la soluzione migliore.» Osservò i due corpi inanimati distesi a terra e continuò a parlare, con voce un poco triste ma, al contempo, ferma. «Lo so che Han è sempre stato un buono e fedele amico, ed io ne sento la mancanza esattamente come la senti tu. Ma è morto e noi, come chiunque altro, dobbiamo rassegnarci a lasciarlo andare. Ora deve essere Indy a condurre i suoi passi, Indy e nessun altro.»
       Non era stato molto felice di dover intervenire a quel modo, di dover ricorrere alla Forza per poter addormentare profondamente i suoi amici e cancellare i loro ricordi più recenti, ma era certo che, quella, fosse la soluzione migliore che avrebbe potuto trovare. Si girò a guardare il Wookiee.
       «Non c’era altra scelta. Li riporteremo indietro e, quando si risveglieranno, avranno dimenticato tutto di ciò che hanno visto e vissuto in queste ultime ore. Ma, chissà… qualcosa resterà loro: una sensazione, l’idea di aver compiuto il più straordinario dei sogni, un vago ricordo confuso ma bellissimo…» Fece una breve pausa, quindi continuò. «Il loro destino è legato ad una strada diversa dalla nostra, sebbene i nostri passi si siano brevemente incrociati. So che non sarà facile, separarci da loro, ma è la sola cosa che possiamo fare.»
       Tornò a guardare le due sagome strette e addormentate.
       «Inverti la rotta, Chewie. È tempo che Indy e Katy ritornino a casa.» Fece una pausa brevissima, prima di aggiungere: «A velocità luce.»
       Chewbacca fece un profondo sospiro. Aveva appena ritrovato l’amico di una vita intera, l’uomo di cui aveva sentito la mancanza per tantissimo tempo e, adesso, avrebbe dovuto rassegnarsi a dirgli nuovamente addio, questa volta per sempre. Non sarebbe stato facile. Ma non avrebbe mai e poi mai messo in discussione le parole dell’antico maestro Jedi e, quindi, ripresi in mano i comandi, si affrettò a fare come gli era stato ordinato.
       In quanto a Luke Skywalker, sembrava veramente che il suo volto segnato da mille battaglie fosse commosso e, per quanto assurdo fosse credere che un fantasma potesse farlo, sembrava veramente sul punto di piangere. Fissò i volti sereni ed ignari di quei due amici e, soprattutto, si concentrò su quello dell’archeologo.
       «Addio, Han Solo» mormorò. «Aver combattuto con te è stato un onore, e un onore ancora più grande è l’averti saputo mio amico. Non scorderò mai le nostre mille scorribande tra le stelle e, ne sono certo, neppure tu lo farai.»


=== Nota ===

[1]: Questo giornalista era Piero Angela.

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Capitolo 8
*** Una scia nella notte ***


7 - UNA SCIA NELLA NOTTE

       Un improvviso frastuono di piatti rovesciati che si infrangevano sul pavimento ridestò di colpo Katy, profondamente addormentata ed immersa in uno stranissimo sogno dai contorni nebulosi fino ad un attimo prima.
       Ancora intorpidita, la mente pullulante di immagini oniriche che si confondevano sempre di più mentre fuggivano via veloci come polvere nel vento e con il viso affondato nel cuscino imbottito di piume d’oca, aprì gli occhi e li sbatté alcune volte, cercando di capire che cosa stesse accadendo; dal piano di sotto, giungevano i rimproveri in spagnolo che il proprietario del piccolo albergo stava rivolgendo ad un suo qualche sbadato dipendente.
       Confusa, si rizzò di scatto a sedere e si guardò attorno.
       Era distesa nel suo letto, nella camera senza pretese che lei e suo padre avevano affittato in quell’albergo di seconda categoria, l’unico della cittadina che sorgeva ai margini della foresta. Era ancora buio, segno che la notte non era ancora passata e che l’alba non era ancora sopraggiunta, seppure non dovesse poi essere troppo lontana, almeno a giudicare dai rumori che provenivano dalle cucine, dove il personale era già all’opera per preparare le colazioni per gli ospiti, quasi tutti escursionisti abituati ad alzarsi di buon mattino.
    Si voltò e, nell’altro letto, notò la figura distesa di suo padre, che dormiva ancora placidamente.
       Tutto normale, ma… c’era qualcosa che non andava…
       Era più che sicura che dovessero essere lì eppure, allo stesso tempo, le pareva strano che ci fossero, come se le mancasse all’appello qualcosa, qualcosa di fondamentale ed allo stesso tempo di indefinibile. Non aveva mai avuto una sensazione del genere e, questo, le creava una confusione ancora più forte.
       Si scostò i capelli dagli occhi, provando a riordinare le idee.
       Doveva aver fatto un sogno veramente bizzarro per trovarsi in quelle condizioni mentali, ma non riusciva a rammentarlo, se non attraverso piccoli e sfuggevoli lampi. Oltretutto, aveva come il presentimento che le stesse sfuggendo qualcosa, come se i ricordi del giorno precedente si fossero intrecciati tutti insieme fino a fondersi in un buco nero da cui non volevano in nessun modo riemergere. Stranissimo.
       Strofinandosi con i polpastrelli il volto ancora impastato di sonno, tentò di rimettere insieme gli avvenimenti del giorno prima.
       Lei e Old J si erano alzati presto, la mattina, avevano fatto una rapida colazione e, poi, erano usciti a piedi ed avevano cominciato ad inerpicarsi lungo la montagna. Non avevano seguito i normali percorsi utilizzati dagli escursionisti, bensì avevano quasi subito deviato verso una zona molto più impervia, dove la foresta sembrava crescere intatta e rigogliosa, come se mai nessun uomo l’avesse toccata. Lei non aveva capito il motivo di quel cambio di direzione, ma suo padre le aveva assicurato che fosse la pista giusta e si era fidata ciecamente, come sempre.
       Si grattò il lobo dell’orecchio destro, che le faceva prurito, cercando di pensare al resto.
       Verso mezzogiorno avevano fatto una pausa, sedendosi sopra un masso per mangiare della carne e delle lenticchie in scatola che si erano portati dietro… ma era vero o quel pasto era stato consumato solamente in sogno? E tutto quel fatico tragitto nella foresta lo avevano percorso davvero o era tutto frutto della sua immaginazione? C’era un modo, per scoprirlo.
       Scostate le lenzuola, Katy scivolò in silenzio giù dal letto e, con il passo felpato dei suoi piedi nudi, si avvicinò alla sedia su cui erano ammonticchiati alla ben’e meglio i suoi abiti. Appesa allo schienale, vi era la sua borsa di cuoio ornata da frange. L’aprì e trovò immediatamente quello che stava cercando: le scatolette di carne e di lenticchie ormai vuote che erano servite per il loro pranzo e che suo padre, da quell’ambientalista convinto quale era divenuto negli ultimi anni, le aveva categoricamente vietato di abbandonare nella foresta, dicendole di portarle con sé per poi gettarle nell’immondizia una volta tornati indietro. Quindi, erano davvero andati su per la montagna, su questo non potevano esserci più dubbi, ma poi?
       A quel punto, i suoi pensieri si facevano confusi e cominciavano a lasciarle addosso parecchi dilemmi, una serie di vuoti in cui comparivano e sparivano numerose e strani immagini che non riusciva ad afferrare né a mettere in un ordine preciso, come se fosse in preda ad un’amnesia. Un’amnesia stranissima, di cui si rendeva pienamente conto, seppure apparisse molto difficile riuscire a vincerla.
       Con fare assente, massaggiandosi adagio le braccia infreddolite, si diresse verso la finestra della camera. Scostate le tende, aprì i vetri e, pur indossando solamente l’ampia canottiera che teneva sempre per dormire, uscì sul piccolo balconcino.
       L’aria della tarda notte, soffiando dalle montagne vicine, era fredda e la fece rabbrividire, provocandole la pelle d’oca sulla pelle delle braccia e della gambe nude, ma non vi badò; dopo essersi sistemata meglio una spallina della maglietta che le era scivolata giù dalla spalla sinistra, si appoggiò alla balaustra in ferro battuto, che si affacciava direttamente sulla strada sterrata, al di là della quale, per miglia e miglia, si stendeva la foresta nebbiosa che ricopriva i monti, adesso ridotti a nulla più che a un’ombra inscindibile a causa dell’oscurità.
       Sollevò una mano alla bocca e, mordendosi adagio il pollice, provò a tornare di nuovo agli avvenimenti del giorno prima, concentrandosi con attenzione.
       Era sicura che, dopo aver mangiato, avessero ripreso il cammino. Lei andava avanti veloce mentre Old J, con il fiatone, le urlava di rallentare e di aspettarlo, perché non era quello il modo migliore per affrontare il ripido versante di un’altura. Fece un sorrisetto: piuttosto che ammettere di essere vecchio e di cominciare a far fatica, nel buttarsi a capofitto in imprese del genere, suo padre preferiva inventarsi qualsiasi tipo di scusa per addossare la colpa agli altri.
       Poi… poi tutto si faceva più incerto e la nitidezza della sua memoria sfumava vistosamente, riducendosi quasi a delle semplici sensazioni o poco più.
       Ricordava un lago… un piccolo lago con delle cascatelle. Non riusciva a vederlo davanti ai propri occhi, adesso, però le era rimasta impressa l’idea che fosse un luogo veramente incantevole. Doveva averlo definito un paradiso. Certo, ora le sovvenne quasi con sicurezza che, fermi sulle sue sponde, lei e suo padre dovevano aver parlato di inquinamento, di passato e di presente e di altre cose del genere… forse, per qualche ragione che ora non comprendeva bene, lei lo aveva persino preso in giro, dandogli del poeta!
       Katy giocherellò distrattamente con la spallina della canottiera troppo larga, che le era scivolata un’altra volta lungo la spalla, facendo nel contempo volare lo sguardo tra le tenebre che celavano la foresta immersa nel silenzio più assoluto, non fosse stato per il lieve frusciare delle fronde che, ogni tanto, le giungeva alle orecchie.
       Le tornò in mente il tempio, adesso. Un antico tempio riguardo a cui suo padre le aveva raccontato una storia risalente a tanti anni prima, una storia che le era sembrata veramente molto avvincente e piena di colpi di scena, sebbene adesso gliene sfuggissero i dettagli precisi. Solo che, da quel momento in avanti, la sua mente si ottenebrava completamente, tingendosi del medesimo colore della notte tutto attorno a lei. Oltre quel punto, non le era possibile andare, neppure sforzandosi con tutta se stessa.
       La ragazza ricominciò a mordicchiarsi l’unghia, senza capire.
    Non aveva mai perso il controllo della situazione, non le era mai mancato all’appello neppure un minuto della sua vita e, oltretutto, poteva persino vantare una memoria straordinaria e prodigiosa, che le permetteva di rammentare molto bene anche avvenimenti risalenti a tanti anni prima, di cui, invece, altri non ricordavano più nulla. Per esempio, aveva mantenuto una perfetta conoscenza del momento in cui, per gioco, lei e suo fratello distrussero una preziosa Venere preistorica custodita nello studio di Old J; un episodio di quando erano piccoli, di cui lei ricordava i dettagli ma di cui, invece, la madre e Abner non sembravano aver serbato alcuna reminescenza. Soltanto il vecchio si ricordava qualcosa, visto che a quel reperto era sempre stato molto affezionato, ma non avrebbe saputo ripetere in che occasione precisa fosse accaduto quell’incidente.
       E, quindi, com’era possibile che, adesso, le mancasse all’appello persino un giorno intero, peraltro appena trascorso? Non aveva alcun senso!
       Però, c’era qualcos’altro, qualcosa di cui era sicurissima, per quanto fosse strano.
       Negli ultimi tempi, non aveva mai parlato molto con i genitori. Un po’ era stato perché le erano apparsi troppo vecchi, rispetto a lei, ed un po’ perché aveva creduto che non potessero comprendere ciò che le passava per la mente, dato che neppure lei riusciva a spiegarselo bene.
       Molte cose l’avevano turbata, ultimamente, ma una più di tutte, ed era quella che mai e poi mai avrebbe pensato di poter raccontare loro: ciò che aveva sentito verso Lorene, quello strano brivido che la scuoteva tutta ogni volta che i loro occhi si incrociavano o che le loro mani si sfioravano, quella dolcezza che soltanto lei sapeva trasmetterle con poche e semplici parole… né avrebbe saputo dire che cosa fosse veramente quel dolore che si sentiva montare dentro ogni volta che ripensava al fatto che la scuola fosse finita e le loro strade si fossero separate, forse per sempre…  Era solo il rimpianto di un’amicizia perduta, la sua, o c’era dell’altro? Ma che cos’era, quell’altro?
    Forse era qualcosa a cui non doveva più dare peso, di cui doveva dimenticarsi… Lorene, con i suoi strani modi di fare, l’aveva semplicemente gettata in uno strano stato d’animo da cui, adesso, avrebbe fatto molto meglio ad uscire senza più rifletterci…
       Erano cose che non riusciva a capire neppure lei, si disse intrecciandosi una ciocca di capelli attorno al dito, figurarsi, quindi, se avrebbe potuto provare a confidarle ai due vecchi.
    Di sicuro, non sarebbe mai stato il caso di chiedere loro qualche consiglio; anzi, dentro di sé, aveva pensato che avrebbero potuto giudicarla come una pazza, se gliene avesse solo fatto cenno, e per questo motivo negli ultimi tempi aveva limitato parecchio la comunicazione con loro, tenendosi tutto dentro ed eludendo le loro continue domande sul perché fosse così silenziosa e se andasse tutto bene.
       Adesso, tuttavia, era convinta che, il giorno precedente, lei e Old J avessero parlato davvero, parlato tantissimo, come mai avevano fatto fino a quel momento.
    Di che cosa avessero veramente parlato, in effetti, non riusciva proprio a ricordarselo, ma adesso sapeva che non sarebbe servito a molto saperlo, perché aveva come la sensazione che ogni singolo paletto, tra di loro, fosse ormai definitivamente caduto e che, da quel momento in avanti, si sarebbero potuti dire qualsiasi cosa senza alcun timore.
    Era certa che avrebbe anche potuto entrare come un treno nella stanza, svegliare suo padre e confessargli di quel bacio proibito che le aveva dato la ragazza, quel bacio che sarebbe stato ragionevole credere potesse schifarla ed a cui lei, al contrario, si era abbandonata completamente e a cui pensava di continuo da almeno un mese, senza che lui se la prendesse. Anzi, probabilmente, le avrebbe persino fatto una carezza sulla testa, ringraziandola per avergli finalmente aperto il suo cuore e le avrebbe chiarito, con poche e semplici parole, qualcosa che, ancora, lei da sola non riusciva a comprendere.
       Katy fece un sorrisetto. Non si era mai sentita così libera e leggera in vita sua.
       Come invocato da quei pensieri, Indiana Jones uscì dalla portafinestra e la raggiunse. Si era messo indosso pantaloni e camicia e reggeva in mano il suo giubbotto di pelle, che le fece scivolare piano sulle spalle.
       «Fa freddo» le sussurrò.
       La ragazza si strinse nella giacca e rabbrividì di nuovo mentre la sua pelle cominciava a scaldarsi.
       «Grazie, papà» mormorò.
       Indy si appoggiò alla ringhiera, al suo fianco, e la guardò dritta negli occhi.
       «Secondo te cos’è successo?» chiese.
       Lei non fu affatto sorpresa di scoprire che nemmeno suo padre avesse dimenticato tutto e che si fosse reso conto della perdita di quel giorno, all’appello delle loro menti.
       «Di solito sei tu che hai una spiegazione per tutto, Old J» rispose, ammiccando delicatamente.
       Il vecchio fece un ghigno.
       «Non questa volta» ammise. «Questa volta sono senza parole e, forse, è meglio così.»
       «Non vuoi provare a ricordare come abbiamo fatto a tornare qui in albergo senza neppure rendercene conto?»
       «Tornare?» ripeté lui. Poi sorrise. «Secondo me, non ce ne siamo mai neppure andati…»
       Katy strabuzzò gli occhi.
       «Che intendi dire?» chiese, sconcertata.
       «Hai sentito quel cameriere che ha rotto i piatti e che il direttore ha sgridato?» domandò Indy.
       «Pensavo dormissi, Old J!»
       «Invece ero sveglio…» borbottò Jones. Si infilò una mano in tasca e ne tolse il suo orologio da polso, che cominciò a rigirarsi tra le mani. «…e la stessa identica cosa… l’avevo sentito ieri mattina. O, meglio, questa mattina.»
       Anche se il giubbotto l’aveva riscaldata, la ragazza si sentì gelare. Non poteva credere a quello che stava ascoltando, non era possibile…
       «Dai un’occhiata qui» le propose suo padre, porgendole il suo orologio.
       Con la mano che tremava per l’emozione, Katy lo afferrò per il cinturino e lo controllò. Il quadrante, dalle lancette fosforescenti, segnava le cinque e quaranta del mattino e, fin qui, non c’erano problemi; solo che la piccola casella laterale che indicava il giorno doveva essere rimasto indietro, dato che segnava ancora il 12 giugno, non il 13. Insomma, indicava il giorno prima.
       «Deve essere rotto» tagliò corto lei, restituendoglielo.
       Jones si prese tutto il tempo per legarselo al polso, prima di rispondere.
       «No, ho controllato. Funziona alla perfezione, come sempre.» Fece un cenno in direzione delle montagne. «È proprio il 12 giugno e noi, in quella foresta, dovremmo andarci oggi.»
       «Non è possibile!» urlò la ragazza. «Nella mia borsa… le scatolette vuote… e, poi… sono più che sicura di non aver sognato!»
       «Non hai sognato, perché anche io sono certo di essere partito insieme a te tra i boschi. E quelle scatolette erano con noi. Hanno fatto e vissuto tutto quello che abbiamo fatto e vissuto noi… di qualsiasi cosa si tratti» rispose suo padre, con tono rassicurante. «Il mio orologio, invece, non lo avevo portato, era rimasto in albergo… per questo, per lui, il tempo è rimasto immutato.»
       All’improvviso, Katy ebbe voglia di stringersi a suo padre. Non era spaventata per quello che era successo, solo un po’ frastornata e, del resto, chi non lo sarebbe stato? Vivere un giorno intero che, però, non era ancora arrivato… non era neppure possibile spiegarselo nei pensieri, figurarsi a parole.
       «Di che cosa abbiamo parlato, ieri?» gli chiese, mentre lui, quasi avesse captato il suo desiderio, la prendeva tra le braccia e la cullava dolcemente. «Tu te lo ricordi?»
       Suo malgrado, Indy fu costretto a scuotere la testa.
       «Purtroppo, non mi ricordo. Ma so che abbiamo parlato» rispose, con tono roco. «Abbiamo parlato tanto. E so anche che, d’ora in poi, parleremo sempre e di tutto, vero?»
       «Vero» ammise lei.
       «Una cosa, però, penso di ricordarmela» borbottò Jones, chiudendo gli occhi per sforzare la memoria.
       Katy sollevò lo sguardo a cercare il suo, senza smettere di tenerlo abbracciato.
       «Che cosa, papà?» quasi lo implorò.
       «Non so perché, non so quando, non so come… ma mi pare di averti promesso che tu saresti stata la prima viaggiatrice del tempo» rispose lui, riaprendo gli occhi per guardarla. Le sorrise. «Come vedi, io mantengo sempre le mie promesse.»
       Anche Katy fece un sorriso, un sorriso dolcissimo che parve scalfire l’oscurità circostante e che scaldò il cuore di suo padre.
       Forse non avrebbero mai saputo spiegare che cosa fosse accaduto, forse non avrebbero mai recuperato alcun pensiero di quel giorno che doveva ancora venire ma, in ogni caso, avrebbero fatto tesoro di quel loro totale riavvicinamento e non si sarebbero mai lasciati.
       Specialmente per Indy, quella fu una certezza assoluta: abbandonare i propri figli sarebbe stato un errore imperdonabile, che lui aveva commesso una volta, prima di tornare indietro e rimediare, e che non avrebbe ripetuto mai più, neppure se posto di fronte alla più grande scoperta della sua esistenza, neppure se gli fosse stato proposto di compiere un viaggio nello spazio per scoprire antiche civiltà extraterrestri…
       «Che idea assurda!» pensò, trattenendo a stento una risata.
       Ciò nonostante, aveva come l’impressione che, lassù da qualche parte, qualcuno che conosceva bene avesse davvero commesso un errore simile per un motivo identico, tanto tempo prima, e che adesso, attraverso di lui, stesse facendo ammenda.
    «Suvvia, ridicolo…» si disse. Oppure no?
       Senza smettere di tenersi abbracciati, sorridenti e più felici che mai per essere insieme, padre e figlia si sentirono attratti da una forza misteriosa, che li costrinse a staccare gli occhi dalla foresta buia ed a sollevarli al cielo infinito e ancora stellato nonostante l’imminenza del giorno.
       Là, sopra di loro, brillava una stella, che sembrava molto più luminosa delle altre… sì, perché, mentre tutte le altre andavano impallidendo a vista d’occhio mano a mano che, a oriente, il cielo si tingeva di violetto per l’alba imminente, quella sembrava riuscire a vincere anche il chiarore del sole levante.
    Le montagne all’orizzonte già si indoravano, gli alberi sembravano risvegliarsi mentre gli ultimi uccelli notturni lanciavano bassi richiami, rientrando nei loro nidi; ma quella stella rimaneva lì, come sospesa al di fuori del tempo, non sottoposta alle leggi del mondo, di questo mondo.
       La guardarono in silenzio, contemplandone il mistero, cercando di scalfirne i segreti… e, all’improvviso, quella stella sfrecciò via, verso una galassia lontana lontana, lasciando dietro di sé soltanto una lunga scia azzurra e colma di ricordi, che per parecchi secondi tinse il cielo e si rifletté nei loro occhi stupefatti.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


    EPILOGO

    LOS ANGELES, UN MESE DOPO

    «Lo sai, non mi dispiacerebbe affatto venire a vivere qui, dopo che avrò finito gli studi» commentò Katy con tono sognatore, guardando con una certa ammirazione i grandi palazzi e i viali di palme scorrere fuori dal finestrino.
    Per quanto amasse visitare luoghi selvaggi o siti archeologici, e per quanto le piacesse vivere nella casa dei suoi genitori in Connecticut, non poteva certo negare di disdegnare la modernità; e la città che le sorgeva attorno, con il suo connubio di casette circondate da piccoli giardini e grattacieli che svettavano sull’orizzonte, sotto il cielo perennemente terso della California, era quanto di più moderno potesse domandare.
    Al suo fianco, alla guida della Jeep Wagoneer verde oliva con le fiancate rivestite di legno che recavano impresso in lettere azzurre e bianche il nome, l’indirizzo e il numero di telefono della sua officina meccanica, suo fratello Mutt grugnì qualcosa di incomprensibile, mentre svoltava in una strada secondaria, dove il traffico era decisamente meno intenso.
    Capelli lunghi e spettinati che gli arrivavano fin quasi alle spalle, barba incolta e arruffata che gli incorniciava il volto, occhiali da sole Ray-Ban dalla montatura dorata, immancabile giubbotto di pelle nonostante la temperatura dell’abitacolo sfiorasse i quaranta gradi, pancia che, crescendo in abbondanza giorno dopo giorno a causa della troppa birra, cominciava a mettere in difficoltà le sue t-shirt dai colori sgargianti, Mutt rivolse un cenno alla sorella e sorrise.
    «Io mi trovo meglio a San Francisco» ammise. «L’aria è più profumata, la gente non ha tutta la fretta di quelli che abitano qui e, soprattutto, ci sono meno macchine e più motociclette. Ma non potevo non farti conoscere questo mio amico…»
    «Ma questo regista, che cosa vuole esattamente da te?» chiese Katy, distogliendo lo sguardo dal finestrino e girandosi a guardare il fratello.
    Mutt alzò le spalle. «Boh. Non ho capito. Gli ho fornito supporto tecnico per un suo film, un paio d’anni fa. Era un film interamente incentrato sulle automobili e io, come meccanico, mi sono occupato di modificarne alcune. Poi, un mesetto fa, mi ha telefonato per dirmi che era nei guai e mi ha chiesto di incontrarci oggi. Ci siamo dati appuntamento in un bar.»
    «In un bar…» ripeté Katy, un po’ delusa da quella notizia. Si infilò una mano sotto la maglietta e fece schioccare l’elastico del suo costume da bagno azzurro. «Pensavo ti avesse dato appuntamento nella sua villa di Beverly Hills… mi ero già preparata a farmi un tuffo in piscina insieme a qualche attore o attrice famosi!»
    Suo fratello ridacchiò, ripartendo dopo una breve sosta a un semaforo e tamburellando sul volante con le dita perennemente macchiate di nero olio di motore che denotavano alla perfezione la sua professione.
    «Scordati cose del genere, da parte di quel misantropo triste di George. È un tipo eccentrico e, soprattutto, odia con tutto il cuore Hollywood, le case di produzione, lo star system… credo che sia venuto qui a Los Angeles solo perché gli toccava discutere di affari con qualche pezzo grosso, ma sono pronto a scommettere che, appena avrà finito, tornerà alla chetichella nel suo buco in mezzo al nulla nel nord della California. Lui è fatto così.»
    Katy tornò a guardare fuori dal finestrino. D’accordo, non sarebbe entrata in una di quelle ville lussuose, le cui architetture di stile spagnolo dell’epoca coloniale si sposavano alla perfezione con arredamenti ultramoderni, al cui interno - almeno, così si raccontava - ricchi annoiati e divi del cinema trascorrevano le loro giornate tra bagordi e riti orgiastici di vario tipo, capaci di far impallidire persino i banchetti degli antichi patrizi romani, ma almeno avrebbe presto conosciuto un vero regista. E non uno di quegli improvvisati registi da due soldi che proiettavano i loro filmini dalle immagini sfocate e traballanti al cineforum del liceo, ma un vero regista con la R maiuscola, perlomeno a sentire Mutt.
    Era andata in vacanza per qualche giorno a San Francisco, ospite del fratello e della sua famiglia, e la sera prima lui le aveva domandato di accompagnarla fino a Los Angeles per quell’incontro. Ovviamente, eccitata alla sola idea di una simile occasione, non aveva pensato di dire di no neppure per un brevissimo istante.
    «Ecco, ci siamo» annunciò Mutt, accennando con la testa al locale più strano che Katy avesse mai visto in vita sua: era un edificio letteralmente a forma di cappello, dipinto in marrone, sul cui ingresso capeggiava la scritta The Brown Derby. A lato dell’edificio-cappello si allungava una veranda protetta da tendoni bianchi e rossi, che terminava contro il muro bianco che delimitava il parcheggio.
    Lasciata l’automobile, fratello e sorella si diressero a piedi verso l’entrata del ristorante, boccheggiando a causa del calore quasi irresistibile che si irradiava dall’asfalto. Fortunatamente, all’interno trovarono attivo il condizionatore d’aria.
    Dopo essersi avvicinati al bancone per ordinare due caffè e due fette di torta californiana alla frutta, si guardarono attorno in cerca del loro uomo.
    «Ah, ecco George» annunciò Mutt, facendo un cenno verso un tavolino a cui era seduto un tizio solitario.
    Katy seguì il suo sguardo e rimase decisamente perplessa.
    Si era immaginata, a sentire i racconti di suo fratello, di doversi preparare a incontrare un tipo stravagante e originale, ma lei con tale definizione intendeva tutt’altra cosa, non certo questo. Si era aspettata il classico divo californiano, abbronzato, muscoloso e con l’impeccabile completo all’ultima moda, oppure un tizio vestito in maniera bizzarra e dallo sguardo da fanatico. Quello, invece, sembrava quasi una specie di contadino, oppure il garzone di un supermercato, al massimo uno studente universitario male in arnese e fuori corso, ma certo non un famoso regista.
    Nonostante fosse sulla trentina, dimostrava molti meno anni di quanti ne avesse davvero, quasi fosse un coetaneo della ragazza o solo di poco più grande di lei: piccolo e mingherlino, piuttosto pallido, il suo sguardo trasognato sembrava quasi depresso dietro le lenti dei grandi occhiali dalla montatura di plastica nera; ed a quell’aria da cane bastonato si sommava una timidezza senza pari, che cercava di tenere inutilmente celata dietro la barba e i folti e spettinati capelli scuri, ma che traspariva anche così, da lontano, senza neppure la necessità di conoscerlo: lo si capiva perfettamente da come se ne stava un po’ ingobbito sulla sedia e da come le sue mani si tormentassero di continuo l’una con l’altra, con nervosismo.
    «Sarebbe quello, il regista?» commentò Katy, sarcastica, strofinandosi un dito sulle labbra. «Sei sicuro che faccia film? Semmai, mi sembra uno di quei nerd che passano le giornate a leggere fumetti, anziché studiare per provare a prendere la laurea…»
    A valutare dall’abbigliamento, composto di una semplicissima camicia di flanella a righine di vario colore intrecciate a formare quadretti di diverse dimensioni, che doveva aver comprato per pochi spiccioli, blue-jeans un po’ scoloriti e scarpe marroni decisamente sciupate, la sua prima impressione di essere alle prese con uno studente squattrinato parve confermata. Ma suo fratello le toccò una spalla e le rivolse uno sguardo ammonitore.
    «Va bene, a prima vista avrà un aspetto un po’ insignificante, non dico di no, ma non fermarti alle apparenze» le consigliò, con una saggezza che riusciva a dimostrare davvero di rado ma che pure possedeva. «A vederlo così non si direbbe mai, ma ha una mente vulcanica e, per di più, è reduce dal grandissimo successo di un film che ha vinto il Golden Globe, ricevuto diverse nomination all’Oscar e incassato più denaro di quanto lui stesso, forse, non si sia ancora reso conto.»
    «Ah» sbottò Katy, ancora un po’ scettica, prendendo il vassoio con le torte e i bicchieri di cartone pieni di caffè che la sorridente ragazza dietro il banco le stava porgendo.
    Seguì il fratello, che si diresse con decisione verso il tavolino a cui sedeva il regista.
    «George, eccomi qui!» salutò il ragazzo.
    L’altro si alzò per salutarlo e stringergli la mano, mentre Katy posava il vassoio sopra il tavolo.
    «Questa è mia sorella Katy» fece le presentazioni Mutt. «Katy, lui è George.»
    «Molto lieto» disse il regista con voce sottile, prendendo per un momento la mano della giovane nella sua, che non era di molto più grossa rispetto a quella della ragazza. «Ma sediamoci, bando ai convenevoli.»
    Si accomodarono e i due fratelli attaccarono subito la loro torta, mentre l’altro sorseggiava una Coca-Cola con aria meditabonda e riflessiva, quasi preoccupata. Un hamburger sbocconcellato per metà si stava velocemente raffreddando nel piatto che aveva di fronte. Dopo un momento, George abbassò la bottiglietta di vetro.
    «Ti sono veramente grato per aver accettato di venire a incontrarmi qui» disse, grattandosi piano la barba. «Sai, anche se non mi piace troppo venire da queste parti, ultimamente mi tocca: il lavoro è il lavoro! Tra tutti gli impegni che ho e la realizzazione di questo nuovo film, che mi sta assorbendo del tutto… il tempo per starmene a casa in santa pace, ormai, è ridotto a zero.» Scrollò le spalle. «Ma a me piace così.»
    Mutt ingoiò un boccone di torta.
    «In che modo potrei esserti d’aiuto…?» domandò, pulendosi la bocca con il dorso della mano. «Mi hai parlato di un problema praticamente insormontabile…»
    George si sistemò meglio gli occhiali, che gli erano scivolati sul naso.
    «È per via di una delle mie idee riguardo il film» rivelò, appoggiando la testa a una mano e mettendo il gomito sul tavolo. «Come saprai, sono anni ed anni che ho in mente questo progetto e, anche se quei maledetti della Fox mi stanno creando un sacco di grattacapi, cercando in ogni modo di mettermi i bastoni tra le ruote, penso che ormai ci siamo.»
    «È un progetto interessante?» chiese Katy, sorseggiando il caffè nero e bollente.
    «Credo che non ci sia mai stato un progetto più interessante e ambizioso, prima d’ora» rivelò il regista, senza nessuna falsa modestia. «Sono pronto a sconvolgere e a sovvertire tutte le regole del cinema. Sarà un film che cambierà per sempre il modo non solo di fare fantascienza - dato che, per come lo voglio fare, sarà tutto fuorché fantascienza - ma la cinematografia in generale.» Il suo tono risultò talmente convincente che nessuno osò controbattere o domandargli se, per caso, non stesse correndo un po’ troppo.
    Quella considerazione sulla fantascienza, invece, risvegliò qualcosa di indefinito, nella mente della ragazza. Immagini sfigurate e sfuggenti cominciarono a vorticarle nella mente, senza che, però, riuscisse a metterle bene a fuoco.
    «George doveva girare un film sul Vietnam, all’inizio» spiegò Mutt.
    «Già, un adattamento del romanzo Cuore di tenebra, ambientato però in Vietnam, durante la guerra» soggiunse il regista, annuendo in maniera distratta. «Un periodo che tuo fratello conosce molto bene, avendo combattuto.»
    Mutt arrossì fino alla radice dei capelli.
    «Ehm… sì, sì, certo…» tagliò corto, guardando da un’altra parte, sentendosi a disagio.
    Senza fare caso a lui, George continuò
: «Solo che, alla fine, dopo un tiramolla che sembrava non avere mai termine, quel film è andato al mio amico Coppola. Così, a me non è rimasto altro da fare che buttarmi su questa sceneggiatura a cui sto dietro da anni.» Sollevò la testa e intrecciò le dita, mentre una luce quasi folle gli si accendeva negli occhi. «Ora, me lo giro io, il mio film sul Vietnam… Ho già tutto in mente… sarà la storia di un ragazzo e di una ragazza, in un universo molto lontano dal nostro… ci sarà una ribellione contro un malvagio impero, nel mezzo della quale si svilupperà anche un intreccio amoroso, con eroi degni di un poema epico, cattivi violentissimi e alieni da mondi molto lontani… nessuno ha mai visto nulla del genere, ma io sono pronto a realizzarlo. Finalmente, darò anche al cinema il ruolo che gli spetta davvero, al pari della letteratura, del teatro e della musica! Tutti dovranno riconoscerlo come la nuova arte, l’arte del futuro! E lo farò a modo mio: divertendo. È venuto il momento di smettere di suddividere il cinema tra film che piacciono solo al pubblico e vengono snobbati dalla critica e pellicole intellettualoidi che nessuno guarda e tantomeno capisce.»
    Fratello e sorella si scambiarono uno sguardo abbastanza dubbioso.
    «Non pensi di stare un po’ esagerando, George?» domandò Mutt, che non riuscì più a trattenersi dal fare una simile domanda.
    Ma il regista scosse il capo, convintissimo.
    «Per niente. Quello che ho in mente non sarà un semplice film. Sarà allo stesso tempo una denuncia sociale e…» fece scivolare rapidamente il pollice sulle altre dita, quasi a voler afferrare un concetto che svolazzava a mezz’aria davanti a lui, «…e qualcosa di grande, di molto più grande, che unirà le generazioni. Ne sono certo! Posso ammettere di aver preso un abbaglio con THX 1138: il pubblico non era pronto, vedere un mito platonico trasformarsi in una distopia futuristica forse era troppo, anche se solo perché i tempi non erano ancora abbastanza maturi. Ma, in questo caso, ho ragione, lo sento!»
    Mutt lo considerò con un po’ di scetticismo, chiedendosi se il suo amico non avesse cominciato a esagerare con la Coca-Cola: ogni volta che lo incontrava ne stava bevendo una e, tutto quello zucchero, alla pari dell’alcol, poteva in qualche maniera avergli dato alla testa. Sempre che solo di zucchero si trattasse, poi. Gettò un’occhiata contrariata alla bottiglietta, chiedendosi quali strani ingredienti fossero contenuti in quell’intruglio dolciastro e dal colore nero, con tutte quelle bollicine; per fortuna, lui beveva solamente sana, vecchia e buona birra, che non tradiva mai. Tornò a guardare l’amico e si disse convinto che, conoscendolo bene, tutto l’entusiasmo che dimostrava adesso, di lì a qualche tempo si sarebbe smorzato completamente, tramutandosi quasi senza rendersene neppure conto in un nero pessimismo.
    «Mi hai parlato del tuo progetto altre volte, sì, e sono sicuro che sia molto interessante» replicò, cercando senza riuscirci di apparire convincente. Era il momento di deviare il discorso. «Però, non riesco proprio a capire che cosa c’entri io… ti ho aiutato con American Graffiti, d’accordo, ma di mezzi spaziali e altre cose del genere non me ne intendo molto…»
    George sollevò su di lui uno sguardo tristissimo, che pareva quasi implorare pietà.
    «Sono nei guai!» confessò, scuotendo piano la testa. «Vedi, nel film comparirà un’astronave diversa da qualsiasi altra mai vista prima, qualcosa a cui il pubblico possa rimanere sinceramente affezionato da qui a cento anni. Avevo già in mente la sua forma ma, in una nuova serie televisiva, Spazio: 1999, ne è stata inserita una praticamente identica! Mi tocca rifare tutto da capo!»
    «Mi dispiace davvero molto. Ma, come ti ho detto, io…» cominciò Mutt.
    «È vero, di astronavi non ne sai niente, ma di automobili sei un grande esperto» gli ricordò George, facendogli un cenno con la mano.
    Mutt sogghignò «Stavamo parlando di ufo o di auto, George?» chiese, facendo l’occhiolino a Katy, che li stava ascoltando con grande interesse, mangiando in silenzio la sua torta.
    «In pratica, di entrambe le cose» replicò il regista, convintissimo. «Perché a me serve un… un ufo che non sia un ufo. Un normalissimo disco volante che, però, non sia affatto un disco volante! Una nave spaziale con una propria personalità, capisci? Un’auto sportiva dello spazio, insomma, ma non quel tipo di auto che qualche figlio di papà utilizzerebbe per rimorchiare ragazze il sabato sera; voglio un’auto priva di qualsiasi eleganza, invece, costruita da un folle amante della velocità pensando soltanto a quella ed a niente altro, come se fosse stata assemblata con i pezzi di altre astronavi rottamate. Mi segui?»
    Mutt non rispose subito, lisciandosi la barba.
    «Ho capito cosa intendi… cioè, a dire il vero, non ci ho capito un accidente, George.»
    L’altro fece un cenno verso il panino abbandonato che gli giaceva davanti.
    «Vedi questo hamburger?» chiese.
    Il suo amico inarcò le sopracciglia, senza rispondere.
    «Be’» continuò George, «io qui, più o meno, ci vedo già il mio ufo. Grossomodo questa potrebbe essere la via, ma… mi manca qualcosa. Qualcosa che non riesco ad afferrare.» Si passò una mano sul viso, facendo un’espressione davvero compassionevole, e sospirò. «Ci sono quasi, ma è anche come se fossi ancora anni luce lontano. Questa cosa è davvero deprimente.»
    «Un panino imbottito?» pensò Mutt, guardando con sconcerto prima l’hamburger e poi il viso del regista. Cercò di essere comprensivo, ma più di un: «Scusami, George, ma non ti seguo proprio…» non riuscì a dire.
    Katy aveva seguito in silenzio quello scambio di battute, assaporando boccone dopo boccone la sua fetta di torta californiana, che era il suo dolce preferito; ne andava matta e, quando l’aveva nel piatto, non riusciva a pensare ad altro.
    Adesso, tuttavia, doveva ammettere che la torta non fosse al primo posto, nei suoi pensieri, perché la richiesta un po’ assurda che il regista aveva appena fatto a suo fratello le stava risvegliando dentro qualcosa di molto più concreto delle immagini fumose di prima. Era come se, dalle confuse nebbie dei suoi ricordi onirici, stesse emergendo una forma sempre più concreta.
    Appoggiata la forchetta nel piatto ormai vuoto, ritenne che fosse arrivato il suo momento di dire qualcosa.
    «È più o meno un mese che, quando vado a dormire, mi capita di fare un sogno ricorrente, sempre lo stesso» disse, vergognandosi un poco e giocherellando con una ciocca di capelli, mentre gli sguardi dei due uomini le si puntavano addosso. «Ho cominciato da quando sono tornata dal Perù, ci sono stata con papà a giugno, per fare insieme un’escursione nella giungla alla volta di un tempio abbandonato.»
    «Ho conosciuto tuo padre, me l’ha presentato Mutt, una volta» ricordò George, con la mente già lanciata in chissà quali progetti futuri. «Un grand’uomo, straordinario… credo che, anche su di lui, ci si potrebbe benissimo fare un film e…»
    «Un film sul matusa?!» sbottò Mutt, quasi strozzandosi nel tentativo di soffocare una risata. «Scusami, ma credo che sia meglio che tu continui a concentrarti sulle tue astronavi e lasci perdere il resto!» Poi, rivoltosi alla sorella, aggiunse: «E tu, Katy, non importunare George con i tuoi sogni, visto che ha già tanto a cui pensare. Sai, non credo proprio che gli interessi ciò che un’adolescente vede la notte…»
    La ragazza lo fissò offesa ma, prima che avesse avuto il tempo di replicare qualcosa di pungente - e lei possedeva tutto un suo personale e peperino repertorio per rispondere per le rime a chiunque - fu il regista stesso ad assumere le sue difese.
    «Non mi opportuna affatto. Anzi, tutto ciò che riguarda i sogni mi incuriosisce» affermò, guardandosi le dita delle mani. «Del resto, il mio lavoro consiste proprio nel prendere il sogno di una persona e trasformarlo in qualcosa di concreto, fruibile a chiunque.» Fece una pausa per togliersi gli occhiali e controllare controluce che non fossero sporchi, quindi soggiunse, mentre li puliva sommariamente con un lembo della camicia: «Nei sogni ci sono effetti speciali che nessuno ha mai potuto replicare… finora, almeno. Un paio di mesi fa, ho fondato apposta la Industrial Light & Magic: voglio che i miei film siano unici, sotto ogni punto di vista, a partire da quello visivo. Voglio che ciò che mi vedo dentro diventi tangibile e reale, per tutti. Tutte le persone, attraverso il mio lavoro e quello dei miei collaboratori, vedranno il mondo con occhi nuovi e impareranno che, col cinema, tutto è possibile. E, un giorno, grazie alla tecnologia sempre più raffinata - e che noi, alla ILM, contribuiremo a migliorare sempre di più con tutto il nostro impegno - qualsiasi bambino potrà, pur con pochi mezzi a disposizione, realizzare il proprio film personale!» Inforcati di nuovo gli occhiali, alzò lo sguardo e rivolse un cenno e un sorriso incoraggiante a Katy. «Scusami, quando si tratta del mio lavoro mi faccio sempre prendere dall’entusiasmo e parlo troppo. Continua pure.»
    La ragazza fece la linguaccia al fratello poi, continuando a giocherellare con la sua ciocca di capelli, cominciò a spiegare.
    «Bene, faccio questo sogno da almeno un mese, come ho detto. Io e papà siamo in una grotta e stiamo leggendo qualcosa su una parete. All’improvviso ci voltiamo e vediamo, in fondo al tunnel, un’astronave. Solo che, prima che possiamo avvicinarci, l’astronave si accende e risale la galleria. Io, allora, corro e corro per poterla seguire, ma non posso fare altro che guardarla mentre sfreccia fuori dalla terra e si innalza nel cielo.»
    Lei e George si fissarono in silenzio, contemplandosi a vicenda. Lo sguardo del regista si fece talmente intenso che Katy ebbe la sensazione che stesse tentando di guardarle direttamente nella mente. Mutt sbuffò.
    Da ragazzo, quando aveva appena conosciuto quel giramondo di suo padre, gli era capitata proprio un’esperienza simile, quindi non era mai stato troppo scettico riguardo all’idea della possibile esistenza di uomini dello spazio - o esseri ultradimensionali che fossero - che vivessero in altri pianeti. Però, non capiva proprio il motivo per cui, in una conversazione tecnica inerente la realizzazione di un film, si dovesse dare spazio ai sogni di una ragazzina di nemmeno diciotto anni, con gli ormoni impazziti e tutto il resto, che potevano significare qualsiasi cosa.
    «Probabilmente hai un qualche tipo di problema non risolto, ma ti assicuro che non c’è affatto bisogno che tu vada dallo strizzacervelli per sistemarlo» tagliò corto, finendo di bere il suo caffè. «Mi ricordo che anche a me, quando ero più giovane e avevo grossomodo la tua età, succedeva qualcosa di simile: facevo spesso un sogno ricorrente, in cui c’era una bellissima donna bionda che…» Si interruppe e sorrise beffardamente sotto la barba. «…ma certi particolari è meglio che li tenga per me.»
    Ignorandolo completamente, George si protese sul tavolo, verso Katy. La sua mano si allungò fino a posarsi sopra quella della ragazza, stringendola piano.
    «E l’astronave… sapresti descrivermela?» domandò, speranzoso.
    Lei si strinse nelle spalle.
    «Be’, me la vedo davanti agli occhi tutte le sere, no? Però… non è facile. Anche se a me sembra davvero un ufo che non è un ufo, come dicevi tu. E, in qualche modo, c’è anche un hamburger, lì dentro.»
    Il regista si leccò le labbra e i suoi occhi sembrarono emanare un luccichio languido mentre fissavano intensamente quelli di Katy, quasi sperasse sul serio di penetrarle nel cervello per potersi servire da solo e a proprio piacere di tutte quelle immagini oniriche che avrebbero fatto al caso suo.
    In quanto alla ragazza, abbassato per un momento lo sguardo al tavolo, fece un sorrisetto.
    «Ecco!» esclamò, afferrando il suo piatto vuoto e sollevandolo. «Questo potrebbe essere un ufo, no?»
    George annuì e anche Mutt, suo malgrado, fece lo stesso.
    «Il classico disco volante dei film di fantascienza, specialmente degli anni cinquanta» commentò il regista. «Aggiungici soltanto una cupola nel mezzo e il gioco è fatto.»
    «Ma io non ci aggiungo una cupola» replicò Katy, posando il piatto. «Piuttosto, ci aggiungo un secondo disco volante.»
    Senza chiedere il permesso, prese il piatto di Mutt, divorò in due bocconi i resti della sua torta e, tenendolo al rovescio, lo posò sopra il primo. Poi, non ancora contenta, afferrò la bottiglietta di Coca-Cola vuota che George aveva appena finito di bere e la sdraiò sulla destra della sua creazione, un po’ spostata in avanti rispetto al centro. «E questa è la cabina di pilotaggio, esterna, protesa verso lo spazio.» Soddisfatta, alzò gli occhi verso i due uomini, sorridendo con aria vittoriosa. «Ecco, più o meno, questa è la mia astronave.»
    Suo fratello fece una faccia stranita, non vedendo proprio nulla di speciale in quella creazione artistica di dubbio gusto; si grattò la testa e parve domandarsi se, per caso, sua sorella non si stesse prendendo un po’ troppo gioco della loro pazienza. Ma il regista, al contrario, parve estasiato, perché la contemplò come se si fosse trovato in presenza del più bello e prezioso tra tutti i tesori. I suoi occhi corsero dai piatti di Katy al suo hamburger ormai rassegnato a non essere mangiato da nessuno, quindi salirono fino a fissarsi in quelli della ragazza.
    Dopo un momento di completo silenzio, finalmente si riscosse.
    «Tu sei un genio!» esclamò a pieni polmoni, balzando in piedi e facendo volgere verso di loro gli altri clienti del locale. Con le mani che tremavano come se fosse in preda a un qualche strano attacco, tolse un taccuino e una matita dalla tasca posteriori dei jeans e prese in maniera rapidissima degli appunti, creando uno schizzo di quell’astronave che lo aveva stregato. Ammaliato. Nel giro di pochi istanti, aveva trovato esattamente quello che stava cercando.
    George Lucas non era mai stato un uomo che si lasciasse andare a troppe effusioni o che dimostrasse in presenza di qualcuno i propri sentimenti; aveva sempre preferito cercare di apparire impassibile, tenendo per sé le proprie emozioni. Ma, questa volta, non fu in grado di trattenersi.
    Fatto il giro del tavolo, mise le mani sulle spalle di Katy, si chinò su di lei e le stampò un bacio sulle labbra. Poi, non contento, soggiunse: «Ed è un genio anche tuo fratello ad averti portata qui!» precipitandosi a cercare di baciare anche lui.
    «George, per carità, ho una reputazione da rispettare!» schiamazzò Mutt, schiacciandosi sulla sedia per cercare di sottrarsi alla bocca dell’amico, mentre Katy, divenuta rossa come un sole al tramonto, rideva della grossa.
    «Io… io devo andare… correre dai miei ragazzi, alla ILM… subito…» balbettò il regista, in preda a una sorta di delirio. «Vi devo… tutto… e non me ne dimenticherò…né di voi… né di vostro padre che ti ha portata in Perù per farti fare quel sogno…»
    Tastandosi febbrilmente le tasche dei jeans, trovò il portafogli, ne estrasse a casaccio una banconota da cinquanta dollari che lasciò cadere sul tavolo per saldare il conto e, con la testa già completamente partita verso quell’universo lontanissimo a bordo di quell’ufo che non era un ufo, di cui già riusciva a contemplare ogni singolo particolare, schizzò via, come se avesse avuto le ali ai piedi.
    Mutt lo guardò allontanarsi, scuotendo adagio la testa.
    «Poveretto» commentò a bassa voce, dopo che lo ebbe visto uscire dal locale e sfrecciare di corsa lungo il marciapiede.
    Katy, che stava pian piano cominciando a riacquistare il suo colorito normale, sollevò un sopracciglio.
    «Perché poveretto?» domandò.
    Suo fratello ghignò con ironia, profondendosi in un’espressione che ricordava molto da vicino quella che il loro vecchio genitore riservava sempre a persone e situazioni di cui voleva prendersi gioco.
    «Sta buttando ogni sua risorsa in questo film di alieni e astronavi» replicò, con tono denso di sarcasmo. «Ma il cinema è già fin troppo saturo di roba del genere. Se avesse continuato a fare film sulla vita americana avrebbe di certo avuto successo, ma così… sarà la sua rovina. Nel giro di un mese soltanto, tutti si saranno dimenticati di lui e del suo film. Parola mia.»
    «Secondo me ti sbagli» replicò Katy, giochicchiando con il laccetto del suo costume da bagno, legato attorno al collo. «Sento, semmai, che farà un successo epocale.»
    «Mai contraddire una donna» si arrese Mutt, spingendo indietro la sedia per alzarsi. «Andiamo?»
    «Andiamo» rispose Katy, alzandosi a sua volta e gettando un’ultima e fuggevole occhiata al suo approssimativo ma efficace modello di ufo che non era un ufo. «Mi porti a Venice Beach? Non voglio essermi messa il costume per nulla…»
    Suo fratello fece un cenno affermativo con gli occhi e, insieme, si avviarono fuori dal bar, verso la soleggiata giornata californiana. Però, per un breve istante, entrambi si chiesero se, da qualche altra parte, magari in una galassia lontana, lontana, sotto uno o più soli sconosciuti, non stesse veramente sfrecciando un ufo che non era un ufo.

 [scritto: febbraio - maggio 2019]

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