La coincidenza che aspettavo

di Yma_world
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una giornata di pioggia ***
Capitolo 2: *** Miracolo ***
Capitolo 3: *** Una piccola vendetta ***
Capitolo 4: *** Ritorno ***
Capitolo 5: *** One day ***
Capitolo 6: *** Seattle ***
Capitolo 7: *** Stupido sogno ***
Capitolo 8: *** Giusta ***
Capitolo 9: *** Destino ***
Capitolo 10: *** Fermo immagine ***
Capitolo 11: *** La coincidenza che aspettavo ***



Capitolo 1
*** Una giornata di pioggia ***


Ciao! Sono Yma, sono nuova su EFP così come nella scrittura. Questa è la mia prima Fanfiction! Fatemi sapere cosa ne pensate, e sentitevi liberi di darmi tutti i consigli che volete. Scusatemi per gli eventuali errori presenti nella storia e buona lettura! :)

(P.O.V. Callie)
Era una giornata fredda qui a Seattle, la sua classica pioggia continuava a cadere interrottamente già da un bel pò, le gocce ormai depositate sui vetri decoravano il panorama che riusciva a intravedere seduta dietro al bancone della cucina, mentre gustava il suo caffè. Oggi per l'ennesima volta avrebbe dovuto prendere la coincidenza per raggiungere il nuovo ospedale dove in quel periodo stava prestando servizio dopo il litigio con il Dott. Webber, lasciando così il Seattle Grace Hospital. Anche oggi avrebbe dovuto prendere il treno visto che aver prestato la sua auto alla piccola Grey è significato la distruzione di quest'ultima. Mark le ripetette più volte di esserne mortificato ma Callie ci tenne molto a chiarire:
"Mark non preoccuparti, l'importante è che Lexie stia bene".
Callie approfittò dell'improssiva cessazione di pioggia per poter finalmente uscire di casa, afferò il suo cappotto e si diresse verso la porta.

Grazie a queste passeggiate mattutine verso la stazione, riscoprì quanto in realtà il freddo di Seattle fosse penetrante, portò le sue mani nelle tasche del suo cappotto dopo aver sistemato per bene la sua sciarpa intorno al suo collo. La città era ricoperta da una leggera nebbia che comunque non raggiungeva il suolo e il cielo era ancora ricoperto da quelle nuvole che fino a poco tempo fà avevano liberato pioggia, la quale aveva lasciato segni della sua venuta ben evidenti: le pozzanghere e le piccole gocce che cadevano dalle foglie degli alberi ne erano la dimostrazione, inoltre il suo profumo inondava già le strade.

Arrivò in stazione in anticipo, decise di attendere la sua coincidenza seduta su di una panchina. Si trattava in realtà di una stazione molto piccola, due erano i soli e unici binari. La coincidenza che avrebbe dovuto prendere Callie era sempre programmata sul primo binario, così si diresse sulla banchina corrispondente sedendosi su di una panchina.
A quell'ora del mattino (e forse anche per i soli e unici due binari) l'affluenza delle persone era davvero minima, quindi per Callie fu facile scrutare le persone lì presenti una per una nell'attesa del suo treno; in realtà questa nuova realtà la affascinava, vedendo le persone correre con le valigie o scendere spaesate e emozionate dai propri treni, si domandava chissà quale storia nascondessero, chissà quali viaggi abbiano intrapeso.
L'orologio scorreva lentamente, Callie si preparava a quella che per lei sarebbe stata un'altra giornata abitudinaria, non sapeva che quel giorno qualcosa, dello schema mentale routinario che era solito percorrere, sarebbe cambiato.

Nell'attesa la pioggia tornò a ricadere sul suolo, fortunatamente dei tetti coprivano le due banchine, quindi poteva restare tranquilla al posto che fino ad adesso aveva occupato, sistemandosi la sciarpa più stretta per l'improvviso gelo che si stava innalzando. Questa volta la pioggia terminò velocemente, doveva essere stata una nuvola di passaggio pensò e, mentre era intenta a osservare le gocce residue di quella breve pioggia cadere dal tetto alla banchina, qualcuno intento a correre attirò la sua attenzione. 
Quando alzò lo sguardo sulla persona che aveva attirato la sua attenzione correndo sulla banchina del secondo binario proprio di fronte al suo, vide una donna di altezza media e carnagione chiara, con dei capelli biondi che cadevano ondulati e bagnati sulle spalle, chiusa in un cappotto scuro anch'esso umido per la pioggia, quando infine il suo sguardo si posò sugli occhi della sconosciuta, incontrò i due occhi celesti, a suo dire, più profondi che avesse mai visto. Un improvviso brivido attraversò il suo corpo, sarà forse il freddo? Pensò.

La sconosciuta ormai seduta caso vuole su di una panchina posta di fronte a quella di Callie, era intenta a strizzare i capelli zuppi d'acqua in una maniera che per Callie parve buffa e che infatti le scaturì un sorriso. La bionda improvvisamente alzò lo sguardo notando la risata di Callie. Quando evidentemente si rese conto che il suo modo goffo di strizzare i capelli avesse scaturito quel sorriso, sorrise di rimando, poi l'altoparlante segnalò l'arrivo del treno sul secondo binario, così si alzò. I loro sguardi tornarono ad incontrarsi più e più volte finché la visuale non fu spezzata dal treno ormai giunto in stazione. Quando il treno partì e finalmente la banchina del secondo binario tornò visibile, Callie rimase un po' delusa quando la bionda sconosciuta non fu più lì.
I suoi pensieri furono interrotti dal quasi immediato segnale acustico che annunciò l'arrivo del suo treno; giunto in stazione ci salì e si recò verso una nuova e abitudinaria giornata di lavoro.

 

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Capitolo 2
*** Miracolo ***


(P.O.V. Arizona)

Il sole iniziò a penetrare dalla finestra annunciando quelle che Arizona pensò fossero le prime luci del giorno ma quando si girò per guardare la sveglia, si rese conto di essere già in ritardo. Era stata a Seattle per questioni lavorative tutto il giorno precedente, così decise di prendersi una stanza, stamattina però doveva tornare a casa, al suo lavoro e, nonostante le coperte di quel hotel si fossero rivelate maledettamente comode ed accoglienti, non poteva perdere il treno.

Così corse in bagno per una doccia veloce, si vestì, prese il suo cappotto nero, il suo bagaglio a mano e uscì dalla stanza.

Non era mai stata a Seattle nel corso della sua vita se non per queste questioni lavorative, non era a conoscenza del suo tempo imprevedibile e per lo più piovoso, infatti quando la pioggia iniziò a cadere rimase incredula di come il sole appena un attimo fa annunciato fosse sparito nel nulla tra le nubi ora improvvisamente formatesi. 

Avrebbe voluto chiamare un taxi a questo punto ma la stazione in realtà era davvero vicina così come l'ora della partenza, non poteva rischiare di perdere il treno nell'attesa che un taxi giungesse. Così pur non avendo un ombrello, sospirò emanando un leggero vapore dato dal contrasto del respiro con il freddo dell'aria e iniziò a correre verso la stazione.

Arrivata alla banchina ormai esausta e a pochi minuti dall'arrivo del treno, prese posto sulla prima panchina che riuscì a visualizzare.

Sedutasi sulla panchina iniziò a percepire l'umidità che si stava formando sul suo corpo dopo l'impatto con la pioggia, così afferrò i capelli tra le sue mani cercando goffamente di strizzarli un po'. Alzando lo sguardo notò una figura sulla banchina opposta alla sua che la osservava divertita.

Mettendo a fuoco quella figura si rese conto di non aver mai visto prima qualcosa di simile: una donna di carnagione più scura, forse una latina, bruna, con occhi color cioccolato e labbra carnose, i capelli ondulati che le cadevano sulle spalle contornavano quella che le sembrava essere un miracolo.

Persa in quella vista, tornando nuovamente a quel sorriso e ricordandosi cosa stesse facendo, pensò che forse il suo tentativo di strizzare i capelli lo avesse scaturito alla bella sconosciuta, così le ricambio il sorriso. Quella momentanea intesa fu spezzata dal segnale acustico che annunciava l'arrivo del suo treno, così si alzò in piedi pronta a partire. 

Nell'attesa il suo sguardo cadde inevitabilmente su quello della sconosciuta e fu felice quando si rese conto che anche la bruna lo stesse facendo. Nuovamente quel momento fu interrotto dal treno giunto ormai sui binari dinanzi a lei, un po' rimase delusa da quella improvvisa interruzione di visuale, salì sul treno con il sorriso e contemporaneamente con l'amaro della consapevolezza che probabilmente non l'avrebbe più rivista.

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Capitolo 3
*** Una piccola vendetta ***


(P.O.V. Callie)

Il nuovo ospedale in cui si stava ritrovando a lavorare non dava tutte le soddisfazioni che indubbiamente il Seattle Grace Hospital le donava ma quella giornata, che già si preannunciò positiva per quella spensierata intesa con la sconosciuta in stazione, si mostrò ancora piena di sorprese. Infatti fu richiamata al pronto soccorso per un incidente stradale e quando aprì le tendine del box dove il paziente era steso e si rese conto di chi fosse, per prima cosa un senso di preoccupazione attraversò la sua mente:

"Capo cosa ci fa qui? Ha avuto un incidente stradale?"

"Torres grazie a dio, è una slogatura non è niente, ho una riunione con il consiglio"

Resasi conto della situazione non grave del paziente, un sorriso soddisfatto si formò sul suo viso. Si trattava del dott. Webber, si era slogato una caviglia e necessitava di alcuni punti ma nulla di così preoccupante, così approfittò della situazione per una piccola vendetta personale. L'ospedale in cui ora stava lavorando era anch'esso un ospedale universitario, uno scarso programma universitario, così richiamando uno specializzando alle prime armi iniziò a parlare:

"Oh, non lo so signore la lacerazione è piuttosto profonda, ci vorranno senz'altro i punti. E la caviglia oh dio, potrebbe essere necessario l'intervento"

"E' una slogatura Torres, lasci stare" ribatté Webber.

"Voi due vi conoscete?" Intervenne lo specializzando.

"Io e il dott. Webber ci conosciamo da tanto, abbiamo lavorato insieme per quanto? 5 o 6 anni? Si. Senta mi dispiace dirlo ma la lacerazione va richiusa e dato che questo è un ospedale universitario e il dott. Mckee è al suo primo giorno, devo lasciare che si occupi di lei."

Poi si rivolse allo specializzando: "Sa come fare una sutura, vero?"

"Si eccome" rispose il ragazzo,

"Bene" enfatizzò Callie, poi si rivolse nuovamente al dott. Webber:

"Piacere di averla rivista"

E andò via.

Corse nella call room più vicina e si precipitò a chiamare Mark al cellulare:

"Non puoi capire cosa è appena successo, oggi è una giornata fantastica!"

"Hey frena, frena, non mi piace tutto questo entusiasmo, non puoi essere entusiasta del nuovo lavoro, muovi il culo e torna qui" rispose Mark

"Non pregherò mai il capo" Chiarì Callie poi continuò "Non è per il lavoro, è per quello che è appena successo a lavoro e per stamattina"

"Cosa è successo?

"Il dottor Webber è qui, ha avuto un incidente nulla di grave, ma aveva una lacerazione così l'ho fatta suturare ad uno specializzando"

"Grande Torres, ora così non ti riprenderà mai"

"Hey, quell'uomo non mi merita, sono una Dea dell'ortopedia e questo è il prezzo che deve pagare per non avermi assunta come strutturata"

"Va bene Torres, hai ragione" rispose Mark, poi continuò "e cosa è successo stamattina?"

Alla domanda appena ricevuta, Callie sorrise per il ricordo appena apparso nella sua testa, poi raccontò a Mark di questa ragazza un po' goffa ma altrettanto bella da toglierle il fiato, di come avesse sentito che tra di loro ci fosse un'intesa naturale e di come probabilmente non l'avrebbe più rivista.

"Non disperare, l'auto ancora non è pronta, dovrai prendere il treno comunque per tutta la prossima settimana, magari la incontrerai" Rispose Mark divertito.

"Non me lo ricordare" Enfatizzò Callie al pensiero di non poter guidare la sua auto per ancora una lunga settimana ma il pensiero che avrebbe potuto così rivedere la bionda sconosciuta, spazzò via il suo cattivo umore.

 

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Capitolo 4
*** Ritorno ***


(P.O.V. Arizona)

Passarono due giorni da quell'inaspettato e strano incontro fatto solo di sguardi, Arizona continuò indisturbata la sua vita, si recò al lavoro come aveva sempre fatto ogni giorno. L'immagine della bella latina sconosciuta però era ancora chiara nella sua mente, spostò addirittura l'appuntamento serale che avrebbe dovuto avere quello stesso giorno, pensò che se fosse uscita con il suo appuntamento non avrebbe fatto altro che immaginare la sua bella latina bruna per tutta la durata della serata.

Dopo aver appena terminato l'ennesimo consulto in terapia, voleva solo raggiungere la caffetteria e bersi un meritato caffè, quando un'infermiera infranse i suoi piani:

"Dottoressa Robbins!" si affrettò ad urlare la giovane infermiera mentre cercava di raggiungerla.

Arizona si fermò e si voltò nell'attesa di ricevere le nuove parole che l'infermiere le avrebbe rivolto:

"Dottoressa Robbins, mi scusi ma il capo la sta cercando"

"Va bene, grazie mille Lauren" Disse Arizona rivolgendole un sorriso, poi si congedò.

Così si recò verso l'ufficio del suo superiore, ogni volta prima di entrare in quella stanza doveva respirare profondamente almeno un paio di volte per poter mantenere la calma, aveva da sempre un problema con l'autorità, soprattutto quando era incazzata con essa infatti in quei casi si ritrovava addirittura a piangere; il fatto è che le ricordava il suo rapporto con il padre, colonnello dei Marines sempre stato autoritario con lei.

Bussò alla porta.

"Avanti" una voce risuonò dall'interno.

"Ok Arizona ce la puoi fare" si disse, afferrò la maniglia ed aprì la porta.

"Mi cercava capo? C'è qualche documento che non le ho consegnato?" Disse pensando all'ultimo viaggio di lavoro che proprio non voleva andare via dalla sua testa.

"No tutto perfetto Robbins, accomodati pure" disse l'uomo e Arizona dopo un ulteriore ispirazione così fece. Poi l'uomo continuò:

"Tranquilla, volevo solo congratularmi per il lavoro svolto e dirti che a Seattle farebbe piacere riaverti lì per una nuova consulenza"

Arizona rimase senza fiato, non per le congratulazioni del suo superiore e l'apprezzamento da parte di Seattle, o meglio non principalmente per quello (perché comunque doveva ammettere che fu bello lavorare con loro), magari in un'altra situazione la scoccerebbe l'idea di dover viaggiare nuovamente in treno, ma rimase senza fiato perché quel ritorno in treno, in quella città così umida e piovosa, poteva significare incontrare nuovamente la sua latina sconosciuta, forse un'utopia ma pur sempre una possibilità.

"Mi farebbe piacere ritornarci" si affrettò a dire.

"Perfetto allora li chiamo e organizzo un nuovo incontro, vuoi sempre pernottare per una notte?" Disse l'uomo.

"Certo" rispose Arizona.

'Porterò sicuramente l'ombrello questa volta' pensò sorridendo.

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Capitolo 5
*** One day ***


(P.O.V. Callie)

Erano tre giorni ormai che Callie si recava a lavoro con la speranza di incontrare la misteriosa bionda in stazione, restando puntualmente delusa tutte le mattine, aveva addirittura chiesto un cambio turno ad un collega pur di poter prendere il treno la mattina. Infondo cosa poteva aspettarsi, magari era lì solo di passaggio, o magari prese quel treno sporadicamente non come mezzo fisso, ben presto si rese conto di essere una stupida nello sperare di rincontrare una persona che neanche aveva mai conosciuto, che neanche sapesse se vivesse lì o sull'altro emisfero della terra.

Ormai si rassegnò all'idea che non l'avrebbe più rivista, le giornate tornarono ad essere abitudinarie e inoltre continuava a recarsi in un luogo di lavoro che non la soddisfaceva.

Quella mattina si svegliò per l'ennesima volta alle 6 del mattino, erano ormai quattro le mattine consecutive che si svegliava a quell'ora per andare a lavorare. Quella mattina proprio però non riusciva a reggerla, aveva perso l'entusiasmo avuto nelle mattine precedenti per un eventuale incontro in stazione, così si trascinò via le coperte con forza per recarsi in bagno con ancora gli occhi socchiusi per il sonno mancato.

Si preparò la solita tazza di caffè mentre continuava a vestirsi con non troppa voglia. Rivolse il suo sguardo alla finestra e si rese conto che Seattle preannunciava un'altra giornata di pioggia, così prima di uscire recuperò il suo ombrello, il cappotto con la sciarpa, e si trascinò verso la porta.

Uscendo da casa e alzando gli occhi al cielo, si rese conto che la pioggia stava iniziando a cadere, così aprì il suo triste ombrello nero e si incamminò verso la stazione ferroviaria.

A pochi metri dalla stazione una macchina decise di rendere quella giornata, già abbastanza anonima, ancora più triste: infatti quando Callie giunse all'incrocio, una macchina le sfrecciò di fianco catapultandole tutta l'acqua presente nella pozzanghera posta al lato della strada. Così Callie si ritrovò zuppa d'acqua a pochi passi dalla stazione, dicesi fortuna pensò.

Arrivata al solito binario assegnato alla sua coincidenza e visualizzata la prima panchina libera, si affrettò a posarci su le sue cose ormai umide mentre cercava di chiudere il triste ombrello che sembrava essersi rotto dopo l'impatto con l'auto.

Sedutasi sulla panchina, sfregò le mani sulle maniche del suo cappotto cercando così con questo gesto di riscaldarsi dal freddo che i suoi vestiti ormai umidi le stavano donando. Continuò a borbottare maledicendo l'auto che l'aveva ridotta in quello stato.

Una risata attirò la sua attenzione. Alzò lo sguardo e non poteva credere a suoi occhi: due occhi blu le stavano sorridendo. Lei era lì, la sua bella e bionda sconosciuta era lì, questa volta completamente asciutta e in tiro, se mai fosse possibile era ancora più bella.

Callie benedì quelle quattro mattinate consecutive adesso che sapeva che avrebbero portato a questo, così si ritrovò nuovamente a sorridere ad una perfetta sconosciuta.

Si ritrovarono nuovamente a fissarsi senza dire o fare altro, entrambe volevano solo saziarsi dello sguardo dell'altra. La bionda spostò lo sguardo sugli abiti bagnati della latina. Quando Callie se ne rese conto, afferrò l'ombrello ormai rotto tra le mani e fece spallucce, quasi a voler indicare che purtroppo non era bastato a farla restare asciutta.

La bionda sembrò comprendere e infatti sorridendo afferrò il suo colorato ombrello tra le mani facendolo oscillare in aria, a voler indicare che questa volta si era munita di ombrello.

Callie sorrise alla scena. Poi notò che tra le mani la bionda aveva un libro del quale ne manteneva il segno di lettura con un dito. Pensò che probabilmente lo stava leggendo nell'attesa del treno, pensò che questa volta fosse arrivata molto in anticipo rispetto alla volta precedente. Continuarono a scambiarsi sguardi distrattamente mentre Callie cercò di concentrasi sul titolo del libro: "One day". Poi nuovamente il segnale acustico spezzò quel momento magico fatto di sguardi che avrebbero voluto dire di più.

La bionda si alzò preparandosi all'arrivo del treno e prima che questo potesse nuovamente interrompere la loro visuale, fissò Callie negli occhi e con una mano le fece un cenno di saluto.

Callie ricambiò il timido saluto seguito da un sorriso, finché il treno fermatosi al secondo binario non le separò nuovamente.

Callie maledì il mondo per questa piccola tortura che le aveva procurato: l'insaziabile voglia di rivedere una sconosciuta con la quale non ha neanche mai parlato.

Prese il cellulare e digitò il numero di Mark che risposte quasi tempestivamente:

"Torres, cosa succede?"

"Ho incontrato di nuovo la mia dolce tortura" disse con un sorriso amaro sulle labbra.

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Capitolo 6
*** Seattle ***


(P.O.V. Arizona)

Arizona aveva passato l'intera giornata a Seattle con il sorriso sulla faccia, come in realtà era già solita fare sfrecciando sulle sue scarpe a rotelle, ma quel giorno il pensiero della partenza che sarebbe avvenuta il giorno successivo la faceva sorridere ancora di più. Non perché Seattle non le piacesse, anzi tutt'altro, iniziò ad apprezzarla davvero: le persone erano cordiali, gli spazi puliti e grandi, si trattava di una città portuale quindi era un continuo via vai di persone e ad Arizona piaceva questa doppia sensazione che la città le donava, di caos e tranquillità, ne apprezzò addirittura la pioggia nonostante non si fosse ancora abituata all'umidità che le sembrava penetrare nelle ossa. C'erano diverse motivazioni che le stavano facendo apprezzare quella città, tra le tante c'era il fatto che lì probabilmente ci abitasse il motivo per il quale stava sorridendo al pensiero della sua partenza l'indomani: la sua bella e sconosciuta latina.

Iniziava ad apprezzare anche l'ospedale dove sempre più spesso stava prestando le sue consulenze, si trattava di uno spazio enorme e ben attrezzato, con ottimi programmi di insegnamento e laboratori di ricerca avanzati, pensò che dovesse essere stimolante lavorare lì, inoltre i "colleghi" sembravano essere tutti cordiali, altri forse fin troppo:

"Hey bellezza sei nuova qui? Non mi sembra di averti mai visto" le disse un uomo poggiandosi sul bancone dove lei stessa stava scrivendo.

"Si, cioè no, sono qui solo di passaggio per una consulenza pediatrica" rispose la bionda.

"Ah sei la famosa chirurga che sta facendo impazzire tutta la pediatria per le sue consulenze magiche"

Arizona gli sorrise in segno di approvazione. Poi l'uomo continuò:

"Comunque io sono Mark Sloan, chirurgia plastica"

"Arizona Robbins, piacere" rispose educatamente

"Visto che sei nuova in città, che ne dici se andassimo a bere qualcosa così magari te la mostro un po'?"

Arizona lo guardò mentre la scrutava dalla testa ai piedi, era evidente che puntasse ad altro così cercò di rifiutare garbatamente:

"Ti ringrazio ma domani dovrei ripartire, voglio solo tornarmene a letto"

"Donna difficile" Ammiccò Mark.

"No, lesbica" ribatté Arizona senza pensarci, poi le scappò un sorriso "è stato un piacere conoscerti" disse mentre si allontana da quella buffa scena per raggiungere il suo hotel.

Arizona si svegliò in perfetto orario grazie alla sveglia che aveva impostato per le 6. Questa volta voleva raggiungere la stazione in anticipo se mai avesse incontrato la sua bella sconosciuta. Si alzò entusiasta e con velocità si lavò, si vestì ed uscì per correre in stazione questa volta munita di ombrello.

Arrivò sulla panchina del secondo binario forse troppo in anticipo. Si sedette sulla stessa panchina della volta precedente e alzò lo sguardo verso la panchina, ora vuota, che aveva ospitato quel suo misterioso miracolo. Pensò che l'attesa potesse essere abbastanza lunga e l'ansia che magari non l'avrebbe incontrata iniziò a farsi sentire, così pensò di tirare fuori il libro che in quelle settimane stava leggendo, per distrarsi: "One day".

La sua lettura fu interrotta dal suono duro di un ombrello che era stato chiuso con forza. Sorrise quando alzando lo sguardo notò che quel trambusto proveniva dalla sua adorata latina.

Aveva posato le sue cose che sembravano bagnate, così come i suoi vestiti, sulla panchina mentre cercava di chiudere l'ombrello. Dopo aver portato a termine quella missione si sedette sulla panchina cercando di riscaldarsi con le mani, borbottando qualcosa di incomprensibile. Arizona non riuscì a trattenere una risata di fronte a quella piccola scenetta che le si era proposta.

La sua risata attirò l'attenzione della bruna su di lei e, quando i loro occhi si incontrarono, un brivido attraverso la schiena di Arizona. Può davvero farle questo effetto una perfetta sconosciuta? Pensò.

Dopo essersi fissate per un attimo che sembrava eterno, lo sguardo di Arizona si posò nuovamente sugli abiti bagnati della donna, soffermandosi sulle gambe perfettamente toniche. Dovette scuotere mentalmente la sua testa per scacciare i pensieri che stavano per nascere.

La latina accortasi forse del suo sguardo, afferrò il suo ombrello ormai rotto e fece spallucce come a voler far capire ad Arizona che purtroppo l'ombrello non aveva portato a termine il suo lavoro.

Arizona sorrise e in risposta afferrò il suo ombrello mostrandole che questa volta era venuta equipaggiata.

I loro sguardi tornarono a cercarsi distrattamente fin quando il segnale acustico non segnalò la fine di quel silenzioso incontro. Arizona si alzò pronta a salire sul suo treno ma prima che esso potesse interrompere i loro sguardi, la salutò timidamente con un cenno della mano e un sorriso che la bruna ben prestò ricambiò.

Salita sul treno non pensava ad altro che non fosse chiedere al proprio capo di poter fare un nuovo consulto a Seattle.

 

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Capitolo 7
*** Stupido sogno ***


(P.O.V. Callie)

"Ho incontrato di nuovo la mia dolce tortura" disse con un sorriso amaro sulle labbra.

"Come scusa?" Ribatté Mark

Callie sbuffò: "Mark la donna bionda della stazione, ci siamo incontrate di nuovo"

"Ah" enfatizzò Mark "Non parlarmi di biondine proprio ieri una mi ha sbattuto un grande palo in fronte"

Callie roteò gli occhi pur sapendo che l'amico non l'avrebbe potuta vedere. 

"Mark ora proprio non mi importa dei tuoi falliti tentativi di approccio"

"Come osi, Mark Sloan non fallisce mai"

"E allora cosa?" Ribatté divertita Callie.

"Era una lesbica"

Callie rise all'affermazione "Avrei voluto vedere la tua faccia" disse.

"Se magari avessi chiesto al capo di tornare l'avresti potuta vedere" Infierì Mark.

"Non è questo il momento, torniamo alla mia bella sconosciuta. Come devo fare Mark? So che sembra stupido ma sembra che mi sia fatta scappare per la seconda volta la mia anima gemella. Non posso credere di aver sprecato due occasioni è che è così bella e non riesco a fare altro se non guardarla"

"Oh, oh! Frena Torres non la conosci neanche, magari è una stronza psicopatica, o peggio neanche lesbica"

"Lo so" Disse Callie amareggiata.

Mark sentì il tono dell'amica così cercò di aiutarla:

"Allora dimmi tutti i movimenti che ha fatto, così capiamo se anche lei è pazza di te"

Così Callie raccontò nel dettaglio entrambi gli incontri all'amico.

"Quante probabilità ho di incontrarla di nuovo?" Chiese disperata all'amico.

"Sarò sincero non lo so Torres, ma se mai dovesse accadere giuro che se non vai a parlarle vengo lì e ti butto sotto un treno"

Callie sorrise alla scena creatasi nella sua mente.

"Forse è destino?" Disse Callie speranzosa, quasi a volersi convincere che l'avrebbe incontrata nuovamente.

"Forse è destino" Affermò Mark.

Quando Callie tornò a casa dopo una giornata di lavoro abbastanza pensante, si precipitò sul suo portatile per ricercare il titolo di quel libro che non aveva riconosciuto "One day". Lo trovò rapidamente, si trattava di un libro sentimentale abbastanza leggero, parlava di due ragazzi che si incontrano dopo la loro seduta di laurea e trascorrono assieme tutta la notte, pur senza arrivare al contatto fisico. Il mattino seguente, però, le loro strade si dividono. Lei, lavoratrice ambiziosa, sogna di rendere il mondo un posto migliore; lui, ricco e affascinante, è interessato unicamente al divertimento. Nonostante ciò, per molti anni successivi, le loro vite sono destinate a incrociarsi ogni 15 luglio.

Trovò buffo il fatto che stesse leggendo un libro che parlasse di incontri dettati dal destino. "Destino" pensò, davvero stava affidando tutto al destino? Si disse che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Uscì nuovamente per dirigersi in quella libreria vicino casa che fino a quel momento non aveva molto frequentato visto che ormai era facile recuperare libri online, ma necessitava di quel libro il prima possibile, si prospettava una lunga notte.

Arrivò alla stazione con la speranza nel cuore il cui battito aumentava ad ogni passo. Sperava così tanto di rivederla, pensò che le diverse delusioni avute in passato prima con George e poi con Erica le avessero insegnato di non volersi immergere più in una persona in quel modo ma fu più forte di lei, sentì che era diversa, doveva essere diversa, con nessuno aveva mai avuto quell'intesa così naturale, mai si era persa in due occhi azzurri sconosciuti; anche gli occhi di Erica erano azzurri ma non erano come quegli occhi. Anche Seattle si presentò soleggiata, Callie lo accolse come un segno, oggi era il giorno giusto, sapeva che lei sarebbe stata lì, doveva essere lì.

Quando arrivò in stazione e si ritrovò a scegliere le scale per raggiungere il giusto binario, si fermò indecisa se proseguire verso il binario 1 o il binario 2.

Le sudavano le mani, per la prima volta la mattina a Seattle non sembrava così fredda. Decise di seguire il suo istinto, aveva bisogno che lei fosse lì, così si strinse nei pugni e si diresse verso le scale del secondo binario. Il battito cardiaco aumentò visibilmente, poteva giurare di sentire il cuore nelle orecchie, questo finché la banchina non fu visibile. Si guardò intorno ed eccolo lì, un battito si perse in un attimo che sembrò eterno quando il suo sguardo la trovò lì sulla panchina.

Per la prima volta se la ritrovò così vicina, la bocca iniziò a seccarsi, le mani continuavano a sudare, mentre il brivido che adesso le attraversava il corpo, non sapeva più dire se fosse dovuto al freddo o a quella visione.

I suoi capelli biondi sembravano brillare sotto quei sottili raggi di sole di quel giorno. Callie sembrò paralizzata e a corto di parole finché finalmente la bionda rivolse il suo sguardo verso la sua posizione. Quando i loro occhi si incontrarono un altro battito morì silenziosamente.

La bionda si alzò e si avviarono una verso l'altra quasi come se fossero due magneti che una volta vicini son destinati ad unirsi.

Si fermarono a pochi passi l'una dall'altra, riuscivano a sentire l'una il respiro dell'altra. Sorrisero.

"Finalmente mi hai raggiunta" interruppe la bionda il loro silenzioso discorso.

"Lo avrei voluto fare prima" Sorrise Callie.

"Perché non lo hai fatto allora?" domandò la sconosciuta.

"Perché tra pochi minuti prenderai quel treno e ti perderò un'altra volta" disse Callie con rammarico.

"Qualsiasi cosa accada domani... viviamo oggi" Replicò la bionda che ora aveva spostato il suo sguardo sulle labbra di Callie.

Un altro battito di Callie si perse lungo il suo percorso, si chiese se questo avesse avuto delle conseguenze sul suo cuore.

Notò lo sguardo della sconosciuta sulle sue labbra, inconsciamente si avvicinarono fino a sfiorarsi, finché Callie non si espose e-

Un tonfo la svegliò, era appena caduta dal letto. Portandosi una mano alla testa dolorante per la caduta, si rese conto che fu tutto un sogno. Nulla fu reale. Si alzò e si mise a sedere, le gambe non sembravano reggerla ancora tremanti per il tumulto interiore che quel sogno le aveva provocato.

Notò poi il libro aperto sul letto, l'occhio cadde su una frase che quella notte l'aveva sconvolta: "Qualsiasi cosa accada domani... viviamo oggi", ecco da dove proveniva, realizzò di essersi addormentata leggendo. Era solo tutto un sogno, ripeté, solo uno stupido sogno.

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Capitolo 8
*** Giusta ***


(P.O.V. Arizona)

"Allora aumentate gli elettroliti e rifate le analisi, chiamatemi quando saranno pronti i risultati" disse Arizona all'infermiera.

"Certo dottoressa" rispose quest'ultima.

Passarono altri due giorni da quando tornò da Seattle. Il suo lavoro continuava a gonfie vele, restò in contatto con il primario di Seattle per eventuali consulti. Il suo capo si complimentò per il suo operato a Seattle. Tutto sembrava andare bene, se solo non avesse quella continua sensazione di vuoto che non riusciva a colmare con nessuno, o meglio con nessuna. Gli unici attimi in cui quella sensazione sparì fu quando incontrò la sconosciuta bruna la prima e la seconda volta. Non riusciva davvero a spiegare queste strane sensazioni che quella sconosciuta le scaturiva, una persona che neanche conosceva poteva davvero farla sentire giusta? Si giusta, quello sguardo la faceva sentire giusta, che si trovasse al posto giusto, che stesse facendo la cosa giusta. Come poteva solo uno sguardo scaturire ciò e tutte le donne con cui era stata fino a quel momento no? Solo una persona fu capace di scaturirle certe sensazioni, il suo primo amore Joanne e il fatto che una sconosciuta potesse farla sentire come quello che credeva fosse l'amore della sua vita, quasi la spaventava.

Sorrise amareggiata a questo pensiero quando realizzò che probabilmente quella sensazione comunque non l'avrebbe più riprovata, l'aveva incontrata una volta, una seconda volta, non pensava sarebbe stata fortunata una terza volta. Avrebbe voluto non aver sprecato quelle due giornate a guardarla ma a parlarle, di lei non sapeva nulla eppure aveva quella sensazione di volerne sapere tutto.

Persa nei suoi pensieri una mano posata sulla sua spalla la fece ritornare alla realtà.

"Dottoressa Robbins? Mi ha sentita?" Chiese preoccupata l'infermiera Lauren.

"Si, scusami Lauren dimmi" disse.

La donna la scrutò "Le volevo solo dire se dovessimo continuare con gli elettroliti per la piccola Jessica"

"Si continuiamo finché non arrivano i risultati delle analisi" disse Arizona ancora confusa dai suoi pensieri.

"Va tutto bene? Vuole un caffè?" disse la donna ad Arizona.

Arizona si fermò ad osservare per la prima volta la giovane infermiera, che sembrava così disponibile con lei, forse fin troppo. Corpo snello e slanciato, naso fine, un caschetto biondo che contornava degli occhi verdi smeraldo. Pensò che fosse carina, pensò che da quando la sconosciuta era entrata nella sua vita non guardava più davvero una donna, non in quel modo. Pensò che aveva bisogno di scacciare almeno per una sera la sconosciuta che stava invadendo la sua testa. Così rispose:

"In realtà ne avrei proprio bisogno, e dammi del tu" enfatizzò Arizona.

"Vieni in caffetteria con me? stavo proprio andando a prenderne uno" Lauren le sorrise.

Il suo telefono squillò nella silenziosa call room, Arizona si svegliò riconoscendo la sua suoneria. Non ci mise molto a capire dove si trovasse e cosa avesse appena fatto. Si coprì con il lenzuolo e cercò di alzarsi senza svegliare la donna che era al suo fianco. Raccolse i suoi vestiti mentre finalmente raggiunse il suo cellulare nella tasca dei pantaloni.

"Pronto" disse silenziosamente mentre cercava di rivestirsi.

"Dottoressa Robbins, sono il dottor Webber, può parlare?"

"Certo mi dica" disse Arizona mentre adesso infilava le scarpe.

"Vorrei potesse tornare qui per un consulto, il suo aiuto è stato prezioso e inoltre se deciderà di venire le vorrei proporre una cosa"

Un sorriso attraversò il viso di Arizona, dimenticando per un attimo dove si trovasse e cosa avesse appena fatto.

"Non mi crea nessun problema signore, anzi mi fa solo piacere, mi mandi il caso così ne parlerò con il mio superiore"

"Certamente, spero di vederci presto" disse l'uomo al telefono.

"Lo spero anche io" disse sinceramente Arizona. 

la sconosciuta tornò immediatamente ad occupare la sua mente; entusiasta si preparò ad uscire per raggiungere il suo capo e parlargli del nuovo consulto, così si girò un'ultima volta verso la figura ancora dormiente per recuperare il suo camice, poi afferrò la maniglia per uscire da quella stanza. Pensò che lì in quella stanza era stata la solita Arizona superficiale, così sbagliata, mentre a Seattle, in quella minuscola stazione, si sentiva così giusta. Con questo pensiero aprì la porta ed uscì.

 

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Capitolo 9
*** Destino ***


(P.O.V Callie)

Callie affrontò positivamente i giorni che passavano senza riuscir ad incontrare la sua adorata bionda. Si recò ogni mattina in stazione ad attendere la sua coincidenza con la speranza nel cuore e un libro tra le mani che iniziò ad appassionarla e che ormai stava divorando. Lei aveva bisogno di credere che prima o poi l'avrebbe rivista, nonostante ormai furono passati tre giorni dall'ultimo incontro. Aveva bisogno di credere nel destino.

Quando si alzò quella mattina fu ormai la quarta in attesa della sua sconosciuta, non si scoraggiò, chiese nuovamente dei cambi di turno per poter giungere tutte le mattine lì. Senti che quella doveva essere la mattina giusta e no, non stava sognando.
Fiduciosa prese il suo solito caffè, poi il suo cappotto, la sua sciarpa e l'ormai caro libro ed uscì dall'appartamento.

Meteorologicamente si preannunciava un'altra giornata di pioggia, Callie sperò che non si preannunciasse anche per il suo cuore.

Giunta in stazione si recò come al solito al suo binario, prese posto sulla solita panchina, tirò fuori il suo nuovo e adorato libro e iniziò a leggerlo nell'attesa della sua coincidenza, si disse, quando sapeva benissimo aspettasse qualcos'altro.

Improvvisamente un'inaspettata voce la fece sussultare dalla sua lettura:

"E così leggi One day?"

Quando alzando lo sguardo si rese conto a chi quella voce appartenesse, le mancò il respiro. La sua bionda sconosciuta le aveva parlato, in realtà quasi urlato dalla banchina opposta, per la prima volta. Il suo cuore sembrava accelerato, per un attimo il suo sguardo rimase incantato dai suoi occhi e da quel suo sorriso. La bocca iniziò a seccarsi nel tentativo di trovare le parole che con difficoltà poi uscirono.

"Si, è un bel libro, lo conosci?" rispose Callie fingendo che fosse solo un caso che avesse quel libro.

"È il mio preferito" disse la donna.

Callie la fissò nuovamente e le parole le uscirono così di getto senza pensarci neanche troppo, sentiva di doverlo dire:

"Quindi credi nel destino?" disse infine Callie guardandola negli occhi.

Si ritrovò ad attendere una risposta sentendo man mano il suo battito sempre più forte senza apparente motivo e dopo quello che sembrò un attimo di stupore:

"Certo" rispose la bionda arrossendo e regalandole un enorme sorriso.

Il segnale acustico interruppe quella conversazione per la prima volta non più silenziosa, annunciando come al solito prima il treno della bionda sconosciuta. Così si alzò, raccolse tutte le sue cose e prima che il treno potesse innalzare nuovamente tra di loro un muro, la bionda si rivolse a Callie guardandola negli occhi:

"E tu ci credi nel destino?" disse.

Il treno giunse proprio mentre Callie stava cercando di rispondere, la disperazione comparì sul suo volto, pensò a come questa donna solo con degli sguardi, ed ora con poche parole, le facesse battere il cuore così velocemente, non osava pensare cosa potesse succedere se solo la sfiorasse. Con questo pensiero, fece l'unica cosa che riteneva in quel momento giusta da fare. Corse. Corse le scale del suo binario per raggiungere quelle del secondo binario. Doveva fermarla, doveva sentirla. Corse più veloce che poté. Quando giunse finalmente sulla banchina, il treno era appena partito e con esso le sue speranze, si sgretolarono come sabbia al vento.

"Si" alla fine disse a questo punto al nulla.
Quella era la parola rimasta inesplosa difronte a quella nuova delusione.

"Credo nel destino" avrebbe voluto dire alla sconosciuta che le torturava i pensieri da ormai una settimana.

Un improvviso messaggio spezzò quel momento rimasto sospeso lì su quel binario ormai opposto al suo dopo essere tornata alla banchina di partenza:

-Callie la macchina è pronta, vieni a prenderla quando vuoi-

Un sorriso amaro nacque sul suo viso. Quel messaggio le fece pensare che forse il destino non era così potente. Pensò che l'arrivo di quel messaggio, proprio in quel determinato momento, significasse l'ultima volta che avrebbe preso il treno, così come quella mattina forse significasse l'ultima volta che avrebbe visto la sua donna sconosciuta.

Un senso di fallimento e di nostalgia la accompagnarono per tutta la durata del suo viaggio.

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Capitolo 10
*** Fermo immagine ***


(P.O.V. Arizona)

Il suo capo organizzò subito il viaggio per Seattle e il giorno dopo fu già lì in ospedale. Anche questa consulenza andò bene, riuscirono a rendere migliore un'altra vita, la sua conoscenza e le attrezzature disponibili in questo ospedale sembravano essere il connubio perfetto per poterlo fare. Dovette ammettere che questo ospedale la esaltava molto, sentiva di poter dare libero sfogo alle sue idee, alle sue capacità. 
Questa sensazione la faceva stare così bene, avrebbe voluto restare un altro giorno o più.

Ormai si era fatta tarda sera, dopo il consulto stava firmando le ultime cartelle, poi si recò dal dottor Webber per ringraziarlo e salutarlo.
Quando arrivò alla soglia della porta bussò.

"Avanti" disse l'uomo.

'Respira' si disse Arizona ed entrò.

"Signore credo di aver finito la volevo ringraziare e dirle quanto è stato un piacere lavorare con e per lei"

"Il piacere è nostro dottoressa Robbins, le sue capacità sono evidenti e a proposito di questo le vorrei parlare di una cosa"

"Dica pure signore" disse Arizona cercando di nascondere il fatto che stesse ancora cercando di calmare la sua ansia.

"Chiuda la porta e si accomodi pure" disse l'uomo e Arizona così fece.

Quando quella mattina si svegliò, si sentì nuova, diversa, giusta. Amava questo effetto che Seattle le dava, amava l'effetto che la sconosciuta le aveva fatto conoscere. Così inevitabilmente il primo pensiero fu lei, d'altronde avrebbe dovuto prendere il treno quella mattina e non poteva negare di avere la speranza di incontrarla ancora. 
Voleva vederla, almeno un'altra volta. Dopo gli eventi del giorno precedente, forse quello sarebbe stato l'ultimo viaggio in treno per Seattle. Voleva vederla ancora un'altra volta, ringraziarla per averla fatta sentire così giusta e, se non l'avesse più rivista, voleva fissare per un'ultima volta l'immagine di quel miracolo.

Questa volta non si vestì velocemente, voleva fissare tutto di quel giorno, notare e imprimere ogni particolare. Decise di prendersi un caffè e inalarne il profumo, così che ogni volta che lo risentisse magari si sarebbe ricordata di questa giornata.

Doveva incontrarla, aveva bisogno di incontrarla. Era tutto nelle mani del destino e lei lo fece fare.

Uscì di casa inalando l'odore di pioggia della notte passata che ancora ricopriva la città, lasciò che il freddo le si scalfisse sul volto. Arrivò in stazione con la speranza nel cuore, salì le scale per il suo binario lentamente. La sicurezza che l'avrebbe incontrata, che possedeva fino ad un attimo fa, iniziò a fare spazio all'ansia.

Quando salì l'ultimo scalino e diresse lo sguardo lentamente verso la panchina posta dall'altra parte dei binari, si sentì più leggera, il cuore iniziò a battere all'impazzata, l'ansia si affievolì. Era lì.

Lentamente si diresse verso la sua solita panchina non staccando mai lo sguardo dalla sconosciuta latina. 
Non la notò, era intenta a leggere un libro. 
Quando finalmente raggiunse la panchina e si sedette, si sforzò a leggere il titolo del libro tra le mani caramello della donna: "One day".
Un sorriso le apparve sul viso. Davvero stava leggendo il suo libro preferito? Come faceva a saperlo? Fu una coincidenza? Poi si ricordò che l'ultima volta che i loro occhi si incrociarono, questo era il libro che stava leggendo. 
Lo ha visto tra le sue mani e ha voluto leggerlo? Se è così perché mai? Il cuore le salì in gola.

Si soffermò a guardare la bruna che presa dal libro ancora non l'aveva notata. Continuava a scrutarla, ancora e ancora. Decise che quel gioco di sguardi non le bastava più, voleva di più. Così schiarì la voce, inspirò e aprì la bocca per parlare:

"E così leggi One day?" urlò leggermente per farsi sentire.

La bruna finalmente alzò lo sguardo per incontrare il suo, si rese conto di trattenere il respiro. Quella donna sarebbe stata la sua morte.

"Si, è un bel libro, lo conosci?" disse la latina con un tono pacato.

Arizona si maledì e si benedì contemporaneamente per averle parlato. Quella voce pacata, bassa e sensuale uscì da quelle carnose labbra e si rese conto che quella melodia non sarebbe più uscita dalla sua testa.

"È il mio preferito" disse poi Arizona.

La sconosciuta la fissò nuovamente con le labbra socchiuse quasi come se volesse sputare fuori quello che stesse pensando.

"Quindi credi nel destino?" disse infine la bruna tenendo lo sguardo fisso su Arizona.

Questa frase la stupì. Sapeva che fu detta in riferimento al libro centro del discorso fino ad un attimo prima, ma quella sua espressione, sembrava volesse dire che in realtà significasse molto di più. Come se avesse a che fare con loro due.

"Certo" rispose Arizona arrossendo e regalandole un enorme sorriso.

Il segnale acustico interruppe quella conversazione per la prima volta non più silenziosa, annunciando come al solito quel maledetto treno che ogni volta le separava. Così Arizona si alzò per l'ennesima volta, raccolse tutte le sue cose con calma, sapeva che questo forse sarebbe stato l'ultimo viaggio per Seattle, voleva continuare a fissare l'intera mattinata. Prima che il treno potesse innalzare nuovamente tra di loro un muro, Arizona rivolse il suo sguardo alla sua sconosciuta guardandola negli occhi, chiuse per un attimo i suoi quasi a volerla fotografare. Non voleva dirle addio, qualsiasi cosa fosse successa, voleva lasciare tutto nelle mani del destino e voleva che lo facesse anche lei.

"E tu ci credi nel destino?" così disse.

Il treno giunse tra di loro prima che la bruna potesse risponderle, rimase così in un dolce limbo. Forse l'aveva vista per l'ultima volta, forse l'aveva persa per sempre, forse l'avrebbe rimpianta per tutta la vita. Eppure si disse che quella volta poteva bastare, pensò meglio essere felici per un attimo che infelici per una vita. Si, perché quegli incontri l'avevano fatta sentire così giusta e se avesse dovuto scegliere tra una vita in cui non fossero mai avvenuti e un'altra dove ci fossero stati anche se così brevi, pensò che sicuramente avrebbe preferito ripete quegli incontri ancora e ancora, anche se, arrivati al giorno dell'addio, il suo cuore si sarebbe spezzato ogni volta.

Aveva chiesto al destino di poterla incontrare ancora una volta e l'aveva accontentata.

Passò una settimana da quell'ultimo incontro. 
Recandosi a lavoro oggi era più spensierata che mai, si disse che avrebbe dato il meglio di sé stessa, non poteva buttare via più nessuna occasione. Così parcheggiò nel suo posto auto, uscì dalla macchina e fece entrare nei polmoni la nuova aria che la circondava. Entrò in ospedale recandosi immediatamente agli spogliatoi, indossò il suo nuovo camice che fece ricamare con degli animaletti per i piccoli umani e poi si recò verso l'ufficio del suo capo, pronta ad iniziare questo nuovo giorno, questa nuova vita.

Quando si ritrovò per l'ennesima volta alla soglia di quella porta, quella volta le sembrò differente; si sentì al posto giusto, non ebbe più così paura.
Così bussò.

"Avanti" disse l'uomo dal suo ufficio.

Arizona aprì la porta e trovò il suo capo intento a parlare con una donna in piedi nel centro della stanza.

"Scusate torno più tardi" disse.

Nel frattempo iniziò a scrutare la donna posta di spalle, le sembrò di conoscerla.

"No dottoressa Robbins, entri, visto che ci troviamo qui le voglio presentare una nuova sua collega"

Quando la donna si girò verso la sua posizione, il suo cuore si fermò all'istante e il suo respiro pure.

 

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Capitolo 11
*** La coincidenza che aspettavo ***


(P.O.V. Callie)

Passarono sette giorni da quell'ultimo incontro. Mentre viaggiava verso quell'appuntamento così importante, si fermò a pensare a tutta quella che era stata la settimana precedente:

Quando Callie si rese conto di essersi fatta scappare anche quell'ultima occasione, tornò a casa amareggiata. Era stata baciata dalla fortuna fin troppe volte, sapeva che probabilmente quella sarebbe stava l'ultima volta che l'avrebbe vista, anche se in cuor suo esisteva ancora una piccola speranza.
Presa dall'amarezza e dal fallimento, i tre giorni subito successivi a quell'ultimo incontro si recò a lavoro in auto, visto che ormai era tornata come nuova. Si ritrovò così a vivere una routine che, anche se più comoda, non le apparteneva. 
L'attesa di quella coincidenza aveva dato un senso a quella sua vita così abitudinaria e ora senza quella, sentiva solo un gran vuoto dentro. 
Quando arrivò il quarto giorno, il libro che in quei giorni l'aveva presa così tanto e che aveva terminato la sera precedente, la ispirò: e se oggi si sarebbe ripresentata e si facesse perdere l'occasione di poterla avere o comunque di dirle addio? Dopo tutto nelle precedenti occasioni la sconosciuta si presentò in quella stazione sempre con un intervallo di quattro giorni.
Così decise di prendere per l'ultima volta quella coincidenza con la paura di spezzarsi nuovamente il cuore.

Quando il suo treno giunse e la bionda non si presentò, Callie si sentì completamente spezzata. Aveva riposto speranza in una cosa mai iniziata, in una cosa che non poteva essere. Così inevitabilmente si fece male un'altra volta.

Delusa da quel mancato incontro, si rese conto che ormai non aveva più motivo di lavorare in quell'ospedale, ancora si chiedeva perchè stesse continuando a farlo. Lei voleva lavorare al Seattle Grace Hospital, il suo ospedale. Cosa la ostacolava? L’orgoglio verso il suo capo?
Basta, decise che non si sarebbe fatta scappare più nessuna occasione dopo essersi fatta scappare forse la donna della sua vita. Così decise che sarebbe andata a parlare con il dottor Webber per riottenere il lavoro.

E così dopo sette giorni stava proprio andando lì, al Seattle Grace Hospital, al suo ospedale.

Arrivata al parcheggio posò l'auto al suo vecchio posto auto ancora vuoto. Quando si ritrovò avanti alle porte dell'ospedale, ispirò l'aria che la circondava, si sentì a casa.

Entrata nell'ospedale Mark le venne incontro:

"Allora Torres, sei pronta? Devi dare il meglio di te li dentro. Sarà meglio per te che torni da me con il titolo di strutturato ortopedico del Seattle Grace" disse Mark cercando da un lato di spronarla ma dall'altro sembrava facesse sul serio.

"Si Mark, lo sai sono la Dea dell'ortopedia" disse Callie più per convincere se stessa che l'amico.

Superato l'amico si recò nell'ufficio del suo vecchio capo. L'ansia iniziò a salire. Alzò la mano e chiuse il pugno per poter bussare. Esitò due volte prima di bussare effettivamente.

"Avanti" disse l'uomo nella stanza.

"Salve dottor Webber" trovò l'uomo girato di spalle.

"Dottoressa Torres" disse Webber restando fermo nella sua posizione.

"Senta capo, sono venuta a parlarle per dirle che le cose che ho detto le ho dette per un motivo. Non erano per istigarlo, per avarizia o per vanto. Io merito davvero di essere uno strutturato e merito di lavorare qui con lei, voglio lavorare qui con lei." disse tutto di un fiato quando ormai si avvicinò alla scrivania restando però in piedi.

La sedia del dottor Webber iniziò a girare, così il suo sguardo fu finalmente rivolto a Callie.

"Torres domani chiedi all'ufficio assunzioni un nuovo cartellino. Dì loro che sei il nuovo strutturato di ortopedia" disse l'uomo.

Il volto di Callie passò dalla confusione, allo stupore, dallo stupore alla felicità.
Stava per parlare quando qualcuno bussò alla porta.

"Avanti" disse l'uomo mentre guardava Callie con approvazione, per confermarle tutto quello che aveva appena detto.

La porta si aprì e una voce ruppe il silenzio.

"Scusate torno più tardi" disse la voce alle sue spalle.

Un brivido le attraversò la schiena. Dove aveva già sentito quella voce?

"No dottoressa Robbins, entri visto che ci troviamo qui le voglio presentare una nuova sua collega"

Callie così si girò per fronteggiare la persona che il suo capo le stava indicando.

"Dottoressa Torres lei è la dottoressa Robbins, il nuovo primario di pediatria"

Quando i loro sguardi si incontrarono, il suo cuore si fermò e il suo respiro anche.
Non poteva credere ai suoi occhi. Le labbra le si seccarono, le gambe sembravano reggerla con difficoltà. 
Lei era lì. La sua dolce tortura era lì in piedi a pochi metri da lei, con un camice ricamato, i suoi capelli ondulati biondi e il suo sorriso mozzafiato.

Dopo un attimo di esitazione che sembrò eterno, la bionda sconosciuta fece un passo.

"Piacere Arizona Robbins" disse tendendo una mano.

Calli le fissò la mano, sapeva di doverla stringere, le tornarono alla mente tutte le sensazioni che quella donna le aveva donato solo con degli sguardi e qualche parola, così temeva cosa fosse successo se le avesse stretto quella mano. Poi alzò lo sguardo nuovamente negli occhi della donna, 'Arizona' pensò, finalmente aveva un nome, e la forza che le mancava la trovò proprio lì, in quegli occhi blu.

"Callie, Calliope Torres" disse.

"Calliope" disse Arizona quasi in adorazione di quel nome.

Il modo in cui lo disse fece deglutire Callie.

Poi le loro mani finalmente si intrecciano in una semplice stretta di mano ma che per entrambe fu abbastanza per definire le mani dell'altra casa. 
Si sentirono entrambe così giuste e rabbrividirono al tatto, quasi come se quel contatto avesse sprigionato l'elettricità che da sempre viaggiava tra quelle due banchine di quella piccola stazione.

Callie per un attimo dimenticò dove si trovasse, cosa stesse facendo, voleva godersi quel momento che aveva aspettato per così tanto tempo, pensò che per una volta la vita stesse girando nel modo giusto, che per una volta il destino avesse fatto il suo dovere.

Pensò "questa è la coincidenza che aspettavo".



(e la storia nella mia testa finisce qui. Allora che ne pensi? Fammi sapere se vorresti un epilogo. Spero ti sia piaciuta e grazie a te che l'hai letta fino alla fine)

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