Sirens

di Giuppy_Juls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** I ***


I
 
 
 
La brezza leggera che mi scompiglia i capelli, il rumore delle onde che s’infrangono sugli scogli, la sabbia sotto i piedi… ho sempre provato una forte attrazione verso il mare e tutto ciò che lo riguarda.
Inspiro a pieni polmoni e con un lieve e malinconico sorriso e le mani in tasca mi incammino verso il mio posto segreto: oltre un muro di scogli, sulla destra, riparata da diversi alberi, c’è una piccola spiaggetta lunga non più di una decina di metri. Sin da bambina vengo qui dopo la scuola, nel pomeriggio. È l’unico posto dove mi sento me stessa e posso dedicarmi a ciò che mi piace senza avere timore di venire disturbata: disegnare.
Se c’è una cosa che amo tanto quanto il mare, questa è il disegno. È più forte di me, quando ho una matita in mano il mio cuore freme e sento un’irrefrenabile bisogno di disegnare. Nessuno sembra però capire realmente ciò che provo, nonostante nella mia famiglia ci siano diversi “artisti”, per così dire, per loro disegnare e dipingere è un semplice passatempo. Quando in terza media dovetti scegliere la scuola superiore sapevo già dove andare, quale scuola sarebbe stata più adatta a me, se non l’istituto d’arte? Ovviamente i miei si opposero e fui costretta a scegliere il liceo linguistico. “Non sarà così male”, avevo pensato, dopotutto mi piacevano anche le lingue. E invece era andata male, continua ad andare male e nessuno sembra notarlo: mia madre, mio padre, mio fratello, nemmeno la mia migliore amica.
Sospiro e scuoto la testa, non voglio pensare alla scuola, non qui.
Oggi il mare è più agitato del solito e anche l’aria è più fresca.
«Dopotutto siamo a dicembre, sarebbe strano se facesse ancora caldo…» mormoro aprendo lo zaino e tiro fuori il mio sketch book, una matita e una gomma piuttosto rovinata. Con le labbra incurvate inizio a tracciare lievi linee, abbozzando pian piano l’immagine che avevo in mente: un grazioso chalet ricoperto di neve e circondato da abeti e pini altissimi; sullo sfondo, invece, appaiono diverse cime di montagne innevate. Non so come, ho l’impressione di essere stata in un luogo simile, ma forse mi sbaglio, dopotutto mia madre odia il freddo e la neve.
Un luccichio tra gli scogli mi risveglia dai miei pensieri. Poggio il mio materiale sullo zaino e mi avvicino alle rocce, togliendo le scarpe e arrotolando i jeans per evitare di bagnarli: mia madre pensa che io sia al corso di francese in questo momento, non sa che continuo a venire qui e non deve scoprirlo altrimenti posso dire addio alla mia libertà. Ricordo ancora la mia punizione la volta che scoprì di questo posto: avevo dodici anni e ingenuamente avevo saltato il corso pomeridiano, convinta che le insegnanti non l’avrebbero comunicato a mia madre. Non fu così. Tornata a casa mi strillò contro e mi costrinse a rivelare dov’ero stata. Seguirono alcuni schiaffi, altre urla e frasi che una madre non dovrebbe mai dire alla propria figlia, poi mi furono sequestrati lo sketch book e il cellulare. Il primo non lo rividi più.
Rabbrividisco al contatto con l’acqua gelida, ma continuo ad avanzare e mi arrampico sulla roccia cautamente, attenta a non farmi male. Mi allungo su un’altra pietra per raggiungere l’oggetto incastrato tra le pietre e lo infilo nella tasca della felpa. Ho il respiro affannato. Giro la testa per trovare un appoggio sicuro per scendere.
«Bingo!»
Afferro saldamente con le mani il masso sul quale mi trovo e allungo la gamba verso una roccia poco più in basso, a destra, grazie alla quale riesco a scendere senza un graffio, o quasi. Il mio avambraccio e il polpaccio destro hanno, infatti, due lunghi graffi.
«Cazzo», sibilo a denti stretti.
 Prendo lo zaino e cerco dei fazzoletti con cui tamponare il sangue, fortunatamente i tagli non sono profondi. Decido poi di andare in riva al mare per pulire le ferite.
 Il bruciore che provo al contatto delle ferite con l’acqua è quasi piacevole, ma è talmente fredda che il mio corpo è percosso da brividi e inizio a starnutire ripetutamente. Mi avvicino allo zaino per controllare l’orario e proprio in quel momento mi arriva una chiamata da mia madre. Sbuffo sonoramente e rispondo.
«Pronto ma’?»
«Cla, stai rientrando?»
«Ehm… si, si» balbetto leggendo l’orario. Sono le 17:00, il corso è già finito da qualche minuto. «Perché?» chiedo, sospettosa. Non mi chiama quasi mai per sapere se sto rientrando.
«Sto uscendo. Sbrigati a tornare, sto lasciando il cane dentro casa e se rompe qualcosa paghi tu. Inoltre ho messo a lavare della roba, stendila appena rientri»
Alzo gli occhi al cielo. Da quando ha accettato di tenere il cucciolo che mio padre ha regalato a me e mio fratello non smette un attimo di rinfacciarmi ogni danno che fa.
«OK. C’è altro?»
«No. Forse farò tardi, Matteo è da tuo padre oggi quindi sei sola a cena»
Esulto in silenzio, finalmente un po’ di pace. Non che io abbia qualcosa contro mio fratello, per carità, è solo che è uno scemo. Abbiamo appena tre anni di differenza, lui è in seconda liceo, quindi abbiamo anche vari interessi in comune, ma finisce là. La maggior parte del tempo, ovvero quando non stiamo guardando un film, un anime o giocando ai videogiochi, stiamo sempre a litigare.
«OK ma’» dico. La saluto e chiudo la chiamata, poi sistemo le mie cose e mi dirigo verso casa.
 
 
 
Sento i mugolii del cane mentre giro la chiave del portone di casa. Sorrido. Forse lei è veramente l’unica a cui importa qualcosa di me.
«Ciao bella!» esclamo afferrandola al volo e portandomela al petto.
La sua lingua umida mi lecca le guance, salate per l’acqua di mare. Le accarezzo il lungo pelo bianco e miele, soffermandomi sulla schiena dove le piace particolarmente.
«Dai, su. Lo vuoi un biscottino?»
Le faccio cenno di seguirmi in cucina. Prendo un piccolo osso blu dalla scatola e glielo mostro.
«Pimpa, zampa» le ordino con voce ferma. Lei obbedisce, scodinzolante. Le porgo il biscotto e le faccio un carezza, seguita da alcuni complimenti, per poi dirigermi in camera mia.
Afferro il pigiama leopardato, un paio di slip, le ciabatte e mi avvio in bagno, afferrando di passaggio il kit di primo soccorso. Appena entro nella stanza rabbrividisco.
«Ma chi è che lascia sempre ‘sta finestra aperta?» sibilo a denti stretti per il freddo.
Oltre a scendere la temperatura, si è alzato un forte vento gelido. Accendo la stufa e mi spoglio, osservando la mia figura allo specchio. Con disgusto osservo le cosce leggermente più grosse rispetto alle altre ragazze, il seno troppo piccolo e le spalle larghe. Nonostante io abbia superato la fase di odiare il mio corpo, non posso fare a meno di notare le mie imperfezioni. Lo sguardo scende verso il polpaccio, attraversato da una linea rossa lunga qualche centimetro, e risale verso l’avambraccio, il cui taglio è decisamente più piccolo. Sospiro e inizio a medicare le ferite.
«Argh, che male, merda»
Il bruciore adesso è più forte che mai, sento gli occhi inumidirsi e pizzicare. Mi mordo il labbro inferiore e continuo a tamponare il cotone imbevuto di acqua ossigenata sul polpaccio, rabbiosa.
Dopo aver fatto un bel bagno caldo, facendo attenzione a non bagnare i tagli, vado in camera mia, mi butto sul letto a peso morto e chiudo gli occhi. Mi rilasso giusto cinque minuti… penso, mentre il sonno già mi inghiotte.
 
 
Vengo svegliata dal rumore della porta d’ingresso che viene chiusa. Sobbalzo. Dev’essere mia madre. Afferro il telefono e controllo l’ora: le 21:13. Cazzo, mi sono addormentata, altro che cinque minuti… Poi un pensiero balena nella mia mente. La lavatrice.
«Merda» stavolta impreco sottovoce, alzandomi di scatto e procurandomi così un giramento mal di testa che mi fa perdere l’equilibrio e cadere a terra.
«Claudia? Ma che fai?»
La faccia perplessa di mio fratello fa capolino dall’oscurità del corridoio. Poi scoppia a ridere. Riconosco che la situazione è alquanto comica: sono supina con una gamba distesa a terra, l’altra per aria e una ciabatta mi è finita in testa.
« Che ci fai a casa? Non dovresti essere con papà?» domando allungando il braccio per fargli capire di tirarmi su.
Lui annuisce e si avvicina, ancora sghignazzando.
«Si, ma ho dimenticato il cellulare in camera e sono passato a prenderlo» dice poi, ed esce dalla stanza. Lo seguo con le sopracciglia inarcate e le braccia incrociate.
«Dov’è mamma?» mi chiede poi, dirigendosi in cucina per sgraffignare un biscotto.
«Non ne ho idea», scuoto la testa, «e non m’importa», concludo fredda, gli occhi ridotti a due fessure.
Lui fa spallucce, si rimette il giubbotto e mi fa un cenno di saluto.
«Ciao», rispondo prima di chiudere la porta. Tiro un sospiro di sollievo e vado a prendere la roba da stendere, devo fare tutto molto in fretta, prima che torni e abbia da lamentarsi.
 
 
«Finalmente ho finito» esulto infilandomi tra le coperte, « Ho steso la roba, dato da mangiare al cane e cenato…» mormoro grattando il mento con l’indice.
Prendo il mano il cellulare, abbandonato sotto il cuscino dal mio ritorno, ed entro nell’applicazione per leggere fumetti online. Domani la scuola è chiusa per l’immacolata, quindi posso restare sveglia fino a tardi, penso iniziando a scorrere tra i preferiti per trovare i nuovi aggiornamenti.
Intorno alle 23:15 sono talmente stanca che decido di andare a dormire, mettendo da parte il cellulare. Premo l’interruttore proprio a sinistra del letto e vengo avvolta dall’oscurità. Sto per addormentarmi quando mi ricordo di aver lasciato l’oggetto raccolto in spiaggia nella tasca della felpa. Sbuffo sonoramente, meglio andare a prenderlo ora e buttarlo subito, se è il caso.
Accendo la luce e subito vengo accecata, così richiudo gli occhi con forza e li riapro poco dopo. Mi infilo le ciabatte e vado a prendere la felpa, rimasta sul divano. Fortunatamente il cane non l’ha presa. La porto in camera e frugo nelle tasche mentre canticchio.
«Vediamo un po’… ah, ma è un ciondolo?»
È una piccola sfera, sembrerebbe essere nera ma non ne sono sicura, forse è blu scura. È  traforata e alle estremità c’è una sorta di fiorellino, forse in argento. Che carina, penso. Mi slaccio la collana e metto la perla nera al posto del ciondolo a forma di cuore. Spengo nuovamente la luce e mi addormento, più facilmente del solito.
 
 
«Vieni» sussurra una voce suadente nel mio orecchio.
Un brivido mi percorre la spina dorsale. Ho gli occhi chiusi e sento il suo respiro nel mio orecchio. Mi giro di scatto, gli occhi adesso spalancati, ma non c’è nessuno. Sono nella spiaggetta, il mare è insolitamente troppo calmo. Mi guardo intorno aguzzando la vista alla ricerca di una figura, poi la vedo: in acqua, accanto agli scogli, sta una bellissima sirena.
«Vieni da me» ripete.
Nonostante siamo lontane sento perfettamente la sua voce. Avanzo lentamente, affascinata dalla sua figura più nitida che mai. I capelli rossicci e bagnati le si sono appiccicati ai lati del viso, ma lei sembra non darci peso. Con un colpo di pinna avanza di un paio di metri e mi tende la mano. Il suo sorriso, contornato da due adorabili fossette, è molto dolce e gli occhi gentili sembrano essere in grado di guardare la mia anima.
Continuo a camminare, non mi curo di togliere le scarpe quando incontro l’acqua. Voglio solo raggiungerla. Ora l’acqua mi arriva alla vita e tra noi due ci sono pochi metri di distanza. Lei inizia a intonare una melodia. Non ne capisco le parole, ma il mio cuore piange straziato e con lui anch’io. Sono percossa dai singhiozzi, le lacrime di mescolano con l’acqua quando questa arriva all’altezza del mio mento.
Lei smette di cantare, mi guarda fisso negli occhi e con un balzo s’immerge e io subito sono inghiottita da onde improvvise e gigantesche.
 








NdA:
Questa è la mia prima storia dopo un bel pezzo, sento di non riuscire più ascrivere faclmente come prima, ma ci provo ugualmente. 
Spero che a qualcuno la storia effettivamente piaccia e mi farebbe piacere ricevere qualche recensione, positiva, negativa o neutra! 
Non so quanto questa storia abbia senso, ma l'ispirazione è nata così... un po' per caso, e ho detto " perché non farci una storiella?"
In ogni modo... cercherò di aggiornare appena possibile. Detto questo, alla prossima! xxxx

P.S. probabilmente il rating salirà nei prossimi capitoli.

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Capitolo 2
*** II ***


 
II
 
 


 
Mi risveglio nel bel mezzo della notte, il cuore batte all’impazzata nel petto e il mio respiro è irregolare e affannato. Mi passo una mano in faccia e la trovo bagnata di lacrime.
Cerco di ricompormi e allungo un braccio alla ricerca della bottiglia d’acqua. Non la trovo. Sbuffo e prendo invece il cellulare. Sono a malapena le 3:26, ma sento di non riuscire più a chiudere occhio a causa del sogno. Non che mi abbia scossa particolarmente, ma era tutto così reale, soprattutto il canto di quella misteriosa sirena ha suscitato in me una sensazione che penso di non aver mai provato fin’ora. Per quanto meraviglioso era altrettanto straziante.
Mi rigiro alla ricerca di una posizione più confortevole, poiché la spalla destra inizia a dolere, e, inaspettatamente, mi riaddormento.
 
 
Nel pomeriggio porto a spasso il cane nel parchetto dietro casa e poi faccio un salto in spiaggia. Voglio approfittare di queste poche giornate soleggiate per disegnare all’aperto, quando inizierà a piovere non ne avrò più occasione.
Non appena arrivo alla spiaggia, ricevo un messaggio dalla mia migliore amica in cui mi chiede di andare urgentemente da lei.
«Uff… dopo avermi ignorata per quasi una settimana finalmente si ricorda che esisto» sbuffo alzando gli occhi al cielo.
Nonostante siamo compagne di classe fin dall’asilo, non siamo così intime come si penserebbe, o almeno, non più da quando, in terza liceo, si è trasferita in classe nostra una nuova ragazza che palesemente mi odia. Benché io non sia la persona più socievole e aperta del mondo, ho sempre cercato di essere gentile con tutti quanti, anche con lei, sebbene fin da subito lei si è dimostrata ostile nei miei confronti e, al contrario, era particolarmente interessata a Emma, la mia migliore amica e compagna di banco al tempo, nonché una delle ragazze più popolari della scuola.
Sospirando, imbocco la via di casa di Emma e ripenso all’inferno che ho subito da quando Alessia è entrata a far parte della vita mia e di Emma, senza che nessuno se ne interessasse mai, come se non esistessi.
«Claudia, entra pure»
Il portone viene aperto dal padre di Emma, Luca, che mi sorride sorpreso e io ricambio. Senza che mi venga detto nulla mi dirigo su per le scale, nella camera della mia amica.
«Eccomi, che è succ-» m’interrompo non appena noto che nella stanza non c’è solo lei, ma anche Alessia. Riprendo a parlare, cercando di ignorare la sua presenza.
«Cla, ti devo parlare» dice Emma evitando di guardarmi negli occhi.
«OK» faccio un mezzo sorriso e la esorto ad andare avanti con un cenno, nervosamente.
Lei boccheggia per un istante, volta lo sguardo verso Alessia, come a prendere coraggio, e questa annuisce.
«Sei stata tu a prendere il mio quadernino, quello blu?»
«Ah?» corrugo le sopracciglia, non capisco a che scopo questa domanda.
«Non fare la finta santarellina» interviene Alessia con un tono piuttosto arrogante, «Ti ho vista, sai?» continua poi.
«Continuo a non capire di che cosa stiate parlando» affermo scuotendo la testa.
«Ti rinfresco io la memoria! Guarda e giura che non sei tu!» ribatte e mi mostra delle foto, Emma invece non apre bocca, mi guarda con uno sguardo mai visto prima, sembra sull’orlo del pianto.
Scuoto la testa, «Parlate chiaro senza tutti questi giochetti» sbuffo poi esasperata.
«Guarda le foto» mormora soltanto Emma. Ha uno sguardo spento.
Alzo gli occhi al cielo e le guardo.
«Sì, sono io ed è anche vero che ho il quaderno di cui parlate, ma-»
«Quindi, ammetti di essere stata tu a gettarlo via?» m’interrompe Alessia, la faccia deformata da un sorriso malato, poi si volta verso Emma mettendo su uno dei sorrisi più falsi di sempre.
«Sì. Ma non capisco cos’abbia a che fare con voi. Stiamo parlando del quaderno di Valeria, che c’entrate voi?» sbotto animandomi.
«Non inventare storie, quello era il quaderno della mamma di Emma e tu lo sai benissimo! L’hai gettato via perché eri furiosa del rapporto tra Emma e me e volevi ferirla!»
Boccheggio. Possibile che fosse veramente il suo? Eppure Valeria è mia cugina, non mi mentirebbe mai. O forse si?
«Emma, te lo giuro non lo sapevo, sono stata incastrata!» esclamo avvicinandomi a lei, ma si scosta e noto delle lacrime rigarle le guance.
«Sta’ zitta! Sai quanto quel quaderno fosse importante per me e l’hai buttato via! È l’unico ricordo di mia madre, perché mi hai fatto questo?» strilla lei, il suo sguardo esprime odio, ira, tristezza.
Apro la bocca, ma non mi viene lasciato il tempo di proferire parola.
«Va’ via, non voglio vederti mai più» mi intima senza pensarci due volte.
Gli angoli della bocca di Alessia si muovono impercettibilmente all’insù, mentre conforta con un abbraccio la mia non più migliore amica.
«Benissimo, ma ricordati che sei stata tu a buttare via nel cesso la nostra amicizia per questa stronza, senza avermi dato l’occasione di spiegarti come stanno veramente le cose. Stammi bene»
Decido che è meglio non ribattere, non ne vale la pena.
Non appena metto piede fuori di casa sua inizio a correre. Corro per le strade deserte più veloce che posso e quasi inciampo in una mattonella rialzata. Non mi fermo finché non arrivo alla spiaggetta e solo una volta seduta mi rendo conto di essere scossa dai singhiozzi.
«Perché, che ho fatto di male?» mi chiedo provando a fermare le lacrime. Non bastava emarginarmi, dover subire le sue angherie in silenzio ed essere derisa alle spalle, no. È riuscita a portarmi via anche la mia unica amica e ora sono definitivamente sola, spero sia soddisfatta.
Mi accovaccio e abbraccio le ginocchia, dondolandomi in silenzio cullata solamente dallo sciabordio delle onde e da qualche garrito dei gabbiani passeggeri.
 
 
Alzo lo sguardo dopo quella che sembra un’infinità. Il sole, di un arancione acceso, è in procinto di svanire all’orizzonte e le onde sembrano essersi calmate.
Mi alzo improvvisamente in piedi, attratta da una forza inspiegabile e mi avvicino alla riva del mare. Il mio corpo freme, per quanto l’acqua sia gelata avanzo senza riuscire a fermarmi, i miei arti sembrano non rispondere più ai comandi.
Ben presto l’acqua mi è all’altezza della bocca e tra pochi istanti sarò completamente sommersa. L’impulso che sento non accenna a sparire, è come se il mare mi stesse risucchiando in sé e io, impotente, non posso che venirne inghiottita.
Non riesco più a trattenere il respiro e l’acqua entra prepotente nel mio corpo, sento le forze abbandonarmi velocemente, gli occhi mi si socchiudono e non percepisco più nulla.



NdA:
Ecco il secondo capitolo, abbastanza breve - lo riconosco - ma è una sorta di capitolo di passaggio! 
Be', che dire... man mano che la storia prosegue ho le idee sempre più confuse T.T , ma spero che questa mia confusione non risulti nei testi. 
Qualsiasi recensione è ben accetta <3
Alla prossima xxxx

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Capitolo 3
*** III ***


III
 


 
 
Al mio risveglio mi trovo in una camera da letto che non riconosco, decorata con conchiglie, ricci e gusci di paguri. Mi tiro su a sedere, però il movimento improvviso mi causa una tosse talmente forte che mi brucia e graffia la gola.
«Ti sei svegliata? Come stai?» domanda una calda voce femminile alle mie spalle, spaventandomi.
Lei ridacchia e si scusa subito dopo.
«Dove mi trovo?» chiedo con voce rauca, «e cosa mi è successo?»
 Mi poggia un dito sulle labbra e scuote la testa, poi dice «I medici hanno detto che non dovresti sforzarti di parlare troppo, inoltre hai una ferita in fronte, non troppo profonda fortunatamente, ma ti potrebbe aver causato una leggera amnesia. Sei rimasta incosciente per un po’, sai?»
In quel momento sentiamo un rumore dall’altra stanza.
«Dev’essere mia figlia, è stata lei a trovarti. Aspetta un attimo» dice la donna con un sorriso ed esce dalla stanza, lasciandomi sola.
Le sento bisbigliare senza capire però cosa stiano dicendo. M’innalzo leggermente verso l’ampia finestra rettangolare a sinistra del letto, ma è così buio che non si vede niente. Inevitabilmente ripenso a ciò che è successo, ma i miei ricordi sono alquanto confusi, come ricoperti da una patina e si fosse trattato di un sogno.
Il flusso dei miei pensieri è interrotto da una voce squillante che mi chiede come sto. Dev’essere la ragazza che mi ha portata qui. Mi volto per ringraziarla, ma non appena il mio sguardo incontra la sua figura rimango paralizzata, incapace anche solo di dire una parola. Forse sto davvero sognando, altrimenti non mi spiego come sia possibile che questa ragazza sia la copia sputata di quella «sirena». Quando realizzo di averlo detto ad alta voce arrossisco vistosamente. Faccio una risatina nervosa e mi gratto la fronte, involontariamente, ma un dolore lancinante mi mozza il respiro e quasi mi fa gridare.
«O mio Dio, stai bene?» la ragazza si precipita al mio fianco visibilmente preoccupata, poi aggiunge «Oltre alla fronte hai sbattuto forte la testa, dovresti evitare di toccarla»
Annuisco e lentamente il mio volto, contratto in una smorfia di dolore, si rilassa.
«Io… grazie. Tua madre ha detto che sei stata tu a salvarmi»
«Non c’è bisogno di ringraziarmi, ho solo fatto ciò che era giusto fare» dice imbarazzata, «ah, che sbadata!», aggiunge poi, «sono Alice!»
Ricambio il suo sorriso e mi presento a mia volta.
«Ho appena chiamato il medico, sarà qui a breve. Comunque puoi chiamarmi Perla, Claudia» s’intromette la donna entrando nella stanza e sistemandosi accanto a me.
M’incanto a osservarle per alcuni secondi che sembrano non passare mai. Non si direbbe che siano madre e figlia, sembrano più due sorelle: stessa altezza, la folta chioma castano ramata è acconciata in uno chignon disordinato nella madre, mentre nella più giovane i morbidi boccoli ricadono dolcemente sulle spalle e sulla schiena, il taglio e il colore nocciola con pagliuzze verdi degli occhi è pressoché identico, così come le piccole e fini labbra rosate.
Quando mi viene chiesto se ricordo qualcosa rispondo di no.
«Ricordo solamente di essere andata in spiaggia e di aver provato una strana sensazione, come se non avessi il controllo del mio corpo. Ah, per quanto tempo sono rimasta incosciente?» domando preoccupata.
«Stai tranquilla, solo poche ore. Ali, prestale il tuo cellulare in modo che possa contattare sua madre, sarà preoccupata non vedendola tornare»
La figlia annuisce, fruga nelle tasche e mi dà il suo cellulare, un iPhone dallo schermo parzialmente spaccato.
Digito il numero e le invio un messaggio, dicendole che non tornerò a casa e rimarrò da un’amica. Nell’esatto istante in cui invio il messaggio sentiamo bussare alla porta.
«Dev’essere il dottore» mormora Perla e corre ad aprirgli la porta, lasciando sole me e Alice. Allungo la mano per restituirle il cellulare e le nostre dita si sfiorano, procurandomi una scossa che si diffonde in tutto il corpo.
«Scusa» bisbiglio con voce roca e il mio viso s’incendia. Non so neanche perché mi sto scusando, Dio devo sembrarle una scema.
Lei scuote la testa, come se mi avesse letto nel pensiero, e mi si diede accanto. “ Ci siamo già incontrate?” vorrei chiederle, ma sembra una di quelle classiche domande che vengono fatte per rimorchiare le ragazze, quindi decido di rimanere in silenzio a osservare il lampadario e lo scaccia spiriti, con piccole conchiglie e piume azzurre e fucsia, appeso a esso.
«Allora, come sta la paziente?» esclama il dottore entrando nella stanza. Ha un po’ l’aria da scienziato pazzo: i capelli, riccissimi e leggermente brizzolati, sono legati in una coda bassa, la barba è ben curata ma i baffi sono esageratamente lunghi e gli occhi, contornati da piccole rughe, sono di un azzurro cielo chiarissimo.
«Sono il dottor Morgan» mi si presenta, facendo un mezzo inchino. Ricambio il saluto e mi presento a mia volta.
«Il bruciore alla gola sembra essersi alleviato, ma la testa mi fa molto male» gli spiego.
Lui annuisce, pensieroso, e mi chiede se ricordo qualcosa circa l’accaduto. Nego, ma gli dico quelle poche sensazioni che ricordo di aver provato.
«Ecco vedi, il colpo che hai subito ti ha causato una leggera amnesia, a breve dovresti essere in grado di ricordare con esattezza gli eventi. Per il momento riposa e non ti sforzare o potresti peggiorare la situazione» poi si allontana a parlare con Perla, ma sono troppo stanca per notare le strane occhiate che mi lanciano e cado in un sonno profondo.
 
 
Ho sognato nuovamente Alice, con le sembianze di una sirena, ma stavolta io nuotavo con lei e ci tenevamo per mano. Dalla finestra filtra una luce fioca che a malapena illumina la parete alla mia destra con un grande armadio in legno chiaro e lascia nell’oscurità la deliziosa libreria appesa alla parete e la scrivania.
Mi tiro su a sedere e lentamente mi scopro dal piumone turchese e bianco. Un brivido mi percorre la spina dorsale e sento l’impulso di starnutire, ma lo trattengo per non svegliare nessuno. Poggio i piedi freddi sulla moquette e, sostenendomi al muro, mi alzo in piedi forse un po’ troppo bruscamente, poiché una fitta di dolore mi provoca un giramento di testa e quasi perdo l’equilibrio. Riesco a evitare la caduta, infatti, appoggiandomi al comodino.
Tiro un sospiro di sollievo e con passo felpato esco dalla camera, alla ricerca della cucina per versarmi un bicchiere d’acqua. Percorro il corridoio il più silenziosamente possibile e – non so come – trovo la cucina al primo tentativo. Non voglio mettermi a curiosare in giro, ma mi trovo costretta ad aprire qualche anta per cercare un bicchiere.
«Ti serve una mano?» bisbiglia una voce alle mie spalle, facendomi sussultare.
«A-Alice! Ecco, stavo cercando un bicchiere, ho la gola secchissima. Non volevo curiosare in giro» mi giustifico, sento le guance imporporarsi e sono grata che la stanza non sia ancora invasa dalla luce.
Lei mi si avvicina senza dire una parola, si alza in punta ti piedi spingendomi contro il mobile e apre un’anta, tirando fuori un bicchiere con decorazioni floreali che poi mi consegna con un sorriso.
«Ecco a te!»
«Grazie…» sussurro. Se prima la mia faccia era un po’ arrossata, adesso la sento andare letteralmente a fuoco. Non so perché ma stare vicino a lei mi fa uno strano effetto.
Sto per chiederle dove posso trovare l’acqua, ma sembra che mi abbia letto nel pensiero. Ringrazio sommessamente, poi prendo coraggio e le chiedo se ci siamo mai incontrate prima d’ora.
Lei pare pensarci su per un istante, poi scuote la testa.
«Mi ricorderei se avessi incontrato una ragazza così carina» afferma, infine, e quasi la saliva non mi va di traverso. Tossisco. È la prima volta che qualcuno mi definisce carina. Non che io abbia un viso brutto, ma non lo definirei poi così carino: occhi castani, sopracciglia leggermente arcuate, il naso leggermente all’insù, labbra non troppo carnose. Insomma, un viso abbastanza comune, nella norma.
«Eppure dobbiamo esserci già viste in passato, sennò non mi spiego come sia possibile che io ti-» mormoro, tra me e me, ma m’interrompo sentendomi osservata.
«Che tu mi?» domanda Alice, sporgendosi verso di me. I nostri visi distano a malapena una quindicina di centimetri e riesco a percepire il suo respiro tiepido sulla mia pelle.
«C-che io ti a-abbia…» farfuglio con gli occhi sgranati e il respiro affannato, mentre la distanza tra noi si riduce.
«Sì?» mi incita lei, sbattendo le lunghe ciglia marroni.
«So-sognata» confesso infine, lo sguardo basso, e me ne pento subito dopo. Adesso penserà che io sia strana, me lo sento.
Mi mordo le labbra in attesa di una sua risposta che non tarda ad arrivare.
«Davvero? E come sono nei tuoi sogni?»
«Eh?»
Non era proprio ciò che mi aspettavo. Lei fa un cenno come a invitarmi a rispondere alla domanda, ma prima, mi dice, è meglio che io torni a letto per non affaticarmi.
«Be’…» inizio una volta sotto le coperte, «ti ho sognata du-due volte penso. Eravamo insieme, in acqua e tu-» m’interrompo. Dalla porta della camera semi-aperta spunta la faccia di Perla.
«Come va?» mi chiede, la voce ancora arrochita dal sonno. Con i capelli sciolti somiglia ancora di più alla foglia.
«Meglio, grazie. Ti abbiamo svegliata?»
Lei scuote la testa e dice di doversi preparare per andare a lavoro. Annuisco, ma lei è già sparita.
La stanza piomba nel silenzio per un istante, finché Alice non prende parola e mi invita a proseguire. Da una parte speravo se ne fosse già dimenticata.
Istintivamente mi porto una mano al collo per giocherellare con la collana e riprendo a parlare.
«Dicevo… eravamo in acqua, insieme, e tu eri una sirena. Mi guidavi nelle profondità marine tenendomi per mano e là c’era una… città penso? Non saprei, non lo ricordo con chiarezza» ridacchio nervosamente mentre alzo lo sguardo dal ciondolo – che ho appena notato essere nero, come pensavo – verso di lei e la trovo imbambolata a fissarmi – o meglio, a fissare il ciondolo. Con una punta di fastidio mi chiedo se abbia sentito almeno una parola di ciò che ho appena detto.
«Hai proprio un bel ciondolo… io ne porto uno simile, ma di diverso colore. Dove l’hai preso?» domanda sfiorandolo con l’indice, negli occhi uno sguardo strano.
«Io… l’ho trovato» affermo e per non so quale ragione taccio sul luogo in cui l’ho trovato.
 Ora il suo sguardo penetrante è rivolto a me e provo quasi una sensazione di disagio.
«E se ti dicessi che i tuoi non sono solamente dei sogni, mi crederesti?»







NdA:
Wow, sono riuscita effettivamente a pubblicarlo in tempi "accettabili", contro ogni mia aspettativa. 
Il capitolo è già più lunghetto dei precedenti e penso che non l'avanzare del tempo i prossimi saranno all'incirca come questo, se non più lunghi, ma chissà ._.
Be', che dire, GRAZIE di cuore a chi ha messo tra i seguiti/preferiti la storia, a chi ha recensito precedentemente e a chi invece legge in silenzio, mi spingete a continuare a scrivere e a non abbandonare tutto nuovamente.
Alla prossima! 
Bacioni <3

 

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 

 

Alice

 

 

«E se ti dicessi che i tuoi non sono solamente dei sogni, mi crederesti?»
Mi maledico immediatamente per non essere riuscita a trattenermi. Morgan e mia madre ieri mi hanno chiaramente detto che sarebbe stato meglio aspettare qualche tempo prima di rivelarle tutto, perché oltre alla leggera amnesia potrebbe aver riportato altri danni e dovremmo evitare di farle provare emozioni troppo forti, ma mi sono lasciata trasportare dal momento e sto rischiando di rovinare tutto. Non ho idea di come fare, vorrei poter tornare indietro a pochi istanti fa. Mi mordo forte il labbro inferiore e un sapore di ferro mi invade la bocca. Claudia mi fissa perplessa, le sopracciglia aggrottate, le labbra si muovono impercettibilmente come se dovesse parlare, ma non lo fa. Ha un'espressione talmente buffa che mi scappa un risolino e, imbarazzata, cerco di mascherarlo con un colpo di tosse.
«Che intendi dire? “Non sono solamente dei sogni”, e allora cosa sono?»
Trasalisco. E mo' che faccio?
«N-niente! Scherzavo» dico nervosamente, torturandomi il polpastrello dell'indice destro con le unghie. Provo a cambiare discorso, le chiedo cosa le piacerebbe per colazione e mi preparo a fuggire dalla porta non appena mi risponderà.
«Finirai per farti male così» mormora a testa bassa, allungando le mani verso le mie e chiudendole nelle sue.
«Ti prego, dimmi che intendevi dire Ali» continua poi, tornando a guardarmi negli occhi.
Deglutisco, come posso resisterle se mi guarda così? Scuoto la testa. No, non posso ancora dirle niente altrimenti mia madre mi ucciderà.
«Ti prego, ti prego, ti prego»
La sua presa sulle mie mani si fa più salda. Sospiro. Non ho altra scelta se non dirle tutto.
«È complicato, Claudia. Io... no, tu... be'... ieri, quando... quando sei finita in acqua, ecco, ricordi cos'hai provato?»
Lei sembra pensarci un momento, socchiudendo gli occhi come per rievocare quella sensazione.
«Non saprei... era come se non fossi in me, capisci? Ma allo stesso tempo lo ero. Ero cosciente di ciò che facevo, in parte sentivo di dovermi opporre, ma allo stesso tempo non volevo e non potevo. Continuavo ad avanzare senza riuscire a fermarmi, come se il mare mi stesse risucchiando» racconta con un filo di voce e la testa bassa.
«Claudia... quello che tu hai sentito, era una sorta di richiamo, OK?» cazzo, non ho idea di come spiegarglielo.
«Richiamo? Cio-cioè?»
«Il mare ti stava richiamando a sé. Claudia, tu hai sangue ibrido che scorre nelle tue vene» La voce di mia madre, proveniente dalle mie spalle, mi provoca un brivido lungo la spina dorsale. Come paralizzata, non ho il coraggio di voltarmi a guardarla, sono sicura che è furiosa – e quando mia madre è furiosa è davvero spaventosa. Deglutisco sentendo i suoi passi farsi più vicini, ma quando mi è accanto non mi degna di uno sguardo.
«Claudia, so che è difficile da accettare – ed è per questo che io e il dottor Morgan avremmo preferito aspettare per dirtelo – ma il ciondolo che porti ne è la prova. Guarda» dice, sbottonando di un bottone la camicetta azzurrognola e tirando fuori un ciondolo pressoché identico a quello di Claudia – nonché al mio – se non per il diverso colore. Mentre quello di Claudia è nero pece, il suo è rosaceo. Claudia è come ipnotizzata alla vista del suo ciondolo e non spiccica parola. Mia madre mi fa cenno, con uno sguardo decisamente poco rassicurante, di mostrarle il mio, rosa arancio.
«Ecco, vedi, questo ciondolo che tu porti è la prova del tuo legame con il mare. Ciò che hai visto nei tuoi sogni, non era che un messaggio del mare. Il tuo incontro con Alice non era un semplice caso, ma destino»
«Io non capisco... Perla, cosa...»
«Claudia, noi siamo veramente delle sirene e anche tu, in parte» spiego, decidendo di intromettermi nella conversazione. Dopotutto è per causa mia che ora siamo costrette a rivelare tutto.
«In parte? Non è possibile... i miei genitori... che cosa-»
«Ciò che sto cercando di dirti – anzi, che stiamo cercando di dirti – è che tua madre non-»
«No basta! Sta' zitta! Non è vero, non è possibile!» mi grida contro, gli occhi sono lucidi e le gote arrossate. Si porta le mani alle orecchie, come a tapparle per non sentire più. Apro la bocca per provare a spiegarle, ma mia madre scuote la testa e mi fa capire che è meglio lasciarla sola, così, a testa bassa, esco dalla stanza e chiudo la porta.

 


«Si può sapere che ti è saltato in mente, Alice?»
Ecco qua, lo sapevo che non avrebbe perso un attimo per farmi la ramanzina. Resto in silenzio, preferisco che finisca di parlare prima di risponderle.
«Allora? Che diavolo pensavi di fare? Non hai sentito cosa abbiamo detto ieri io e-»
«Ugh, si mamma. So benissimo cos'avete detto ieri, non l'ho fatto di proposito, OK? Mi sono lasciata trasportare dal momento, ho pensato che forse... forse...» non so neanch'io cos'ho pensato, ma non posso certo dirglielo. Come se mi avesse letto nel pensiero mi lancia uno sguardo assassino.
«Il punto è che non avresti dovuto fare di testa tua, va bene? E poi ormai il danno è fatto, per cui non appena si sarà calmata riprova a parlarci, ma poco per volta, mh? Ora devo scappare o farò tardi, ci vediamo stasera»
La saluto distrattamente, sto pensando a come spiegare le cose a Claudia senza scioccarla quando sento un tonfo provenire dalla mia stanza.
«Claudia!» esclamo aprendo la porta, preoccupata che possa essersi fatta male, ma la scena che mi trovo davanti è alquanto divertente. Impigliata tra le lenzuola è rotolata giù, avvolgendosi tra le coperte come un salame. Cerco di trattenere le risa, ma mi riesce difficile se mi guarda in quel modo, con la faccia paonazza, le guance gonfie come quelle di un criceto e gli occhi sgranati sormontati dalle sopracciglia incurvate all'insù.
«Che hai da ridere?» strilla, la faccia sempre più rossa.
«S-scusa, ora ti aiuto» ridacchio, srotolandola da quell'intreccio di lenzuola, e le porgo la mano per aiutarla ad alzarsi. Girando la faccia, accetta. Probabilmente si sente in imbarazzo per la reazione che ha avuto poco prima, quindi per evitare di dire qualcosa di sbagliato, faccio per andar via ma ecco che la sua mano mi arpiona il braccio. Sorrido.
«Non andare... mi dispiace per prima» sussurra così piano che quasi faccio fatica a sentirla, tuttavia faccio finta di non aver sentito e le chiedo di ripetere più forte.
«Ho detto che mi dispiace» dice più forte, ma non sono ancora soddisfatta.
«Mmm, mi pare che tu abbia detto anche qualcos'altro prima... cos'era?» mi gratto il mento e la osservo con la cosa dell'occhio. Le guance le si fanno purpuree mentre mi domanda di restare con lei, come se stesse commettendo un crimine. È così carina che provo l'impulso di abbracciarla, tuttavia non vorrei spaventarla perciò scaccio quel pensiero e rispondo affermativamente alla sua domanda. Ci sediamo sul letto fianco a fianco senza fiatare per lunghi istanti, finché non la sento sospirare rumorosamente e invitarmi a continuare il discorso di prima.
«Va bene, però prometti che mi farai finire tutto prima di fare domande o di dire qualsiasi cosa»
Annuisce e inizio il racconto.
«È abbastanza complicato e non so bene come spiegarti tutto, ma ci proverò. Vedi, ci sono diversi tipi di sirene... io e mia madre siamo delle sirene, OK? Normalmente non dovremmo essere in grado di uscire dall'acqua, ma grazie a questi ciondoli possiamo farlo. Mentre fino al secolo scorso c'erano ancora delle comunità che si rifiutavano di vivere sulla terraferma, adesso quasi nessuno decide di rimanere in acqua, sia perché i mari diventano sempre più sporchi e inquinati, sia a causa delle nuove tecnologie. Comunque, questi ciondoli ci permettono di assumere forma umana sulla terraferma, anche se entriamo a contatto con l'acqua, finché non lo togliamo non ci trasformeremo. Come hai notato sono di diverso colore, ma ciascuna famiglia ha la propria sfumatura e ci viene dato alla nascita. Le sirene come me e mia madre sono solamente femmine, però ci sono anche i tritoni. Sia le sirene che i tritoni “puri” nascono dall'unione di due esemplari “puri”, ma possono anche accoppiarsi con gli esseri umani, a patto che mantengano segreta la loro vera natura, o sarebbe un bel problema. E qui entri in gioco tu. Tu sei un ibrido, sei una mezza sirena»





NdA:
Oddio, non credevo di riuscire a pubblicarlo, ma eccolo qui! Ho avuto dei grossissimi problemi questa settimana: avveo perso ciò che avevo scritto a causa del computer che mi ha abbandonata, ma sono riuscita in qualche modo ad arrangiarmi.
Be', primo capitolo dal punto di vista di Alice, ma non sarà sicuramente l'ultimo! Finalmente Claudia sta pian piano - ma anche no - scoprendo la verità sul suo conto e su Alice e sua madre e ne rimane alquanto scioccata per ora. Spero di pubblicare il prossimo il prima possibile, perché durante il periodo natalizio e fino a metà gennaio non ne avrò occasione!
Alla prossima <3

P.S. è in corso anche la stesura di una nuova storia :p

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