Mel

di KitKat00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Time to wake up, Barbie dear, what a beautiful day to be alive! ***
Capitolo 2: *** So good, sweetie! ***
Capitolo 3: *** Rye fields ***



Capitolo 1
*** Time to wake up, Barbie dear, what a beautiful day to be alive! ***


Barbara fu svegliata dal rumore della pioggia che batteva sul davanzale della finestra di camera sua, e non si preoccupò dei panni che aveva lasciato sullo stendino, potevano bagnarsi quanto volevano. Erano le otto di mattina, di domenica mattina, una giornata totalmente inutile per iniziarla così presto. Non era tornata a casa quel fine settimana, nel suo paesino, era rimasta per l'esame del lunedì: matematica generale. Guardò il ragazzo accanto a lei, girato dall'altra parte: dormiva ancora, profondamente. Si alzò per andare in bagno, cercando di fare più rumore possibile perché si svegliasse e se ne andasse. Ma niente, lui continuava a dormire, sereno come un bimbo. Andò in cucina, scaldò il caffè del giorno prima, fino a bruciarlo, aggiunse due cucchiaini di zucchero e lo ingoiò senza respirare, dunque si accese una philip morris blu. Si pentì subito di averla accesa perché già dopo un tiro si accorse che non le andava, e che le faceva male il petto, ma era quasi ipocondriaca, quindi forse era un sintomo psicologico. Fece come per guardare facebook e subito sentì il fruscìo delle lenzuola, una specie di acciottolio poco definito, poi un tonfo, infine dei passi pesanti. 
«Non si scalda il caffè, è cangerogeno...» 
«Boh, io l'ho sempre fatto e non sono mai morta. Vuoi?»
Il ragazzo le si avvicinò, una pacca sul culo, poi si sedette:
«Dai, rifammelo per piacere, è cancerogeno.»
Barbara sbuffò, sussurrò qualcosa come "cheppppppalle", poi si sentì in colpa, dunque si girò verso di lui e fece un mezzo sorriso. Preparò la moka con poca polvere, si mise dietro di lui e gli accarezzò i capelli. Poi prese il telefono e lesse i messaggi della sera prima al suo ex, sempre lui, sempre quello di due anni prima. Nessuna risposta. Ora aveva bisogno di Matteo, quell'amico che aveva da quando era una sfigata brufolosa quattordicenne, e che aveva seguito tutti i suoi sviluppi di merda.
BARBARA: Matte, ho fatto una stronzata. Iera sera ho scritto a Giovanni che mi mancava, di riprovarci, le solite cazzate che gli scrivo quando bevo. Non mi ha nemmeno risposto..
BARBARA: Comunque ci ho scopato con quello di ieri sera. Non hai idea.
MATTEO: Brava.
BARBARA: Sei arrabbiato?
MATTEO: Che mi frega.
BARBARA: Non lo so, ieri sera ti ho visto contrariato quando hai visto che rimaneva da me.
MATTEO: Ero contrariato x aver perso 10 € di merda a poker. 
BARBARA: Sì vabbè, chiamami pure quando ti passa eh.
BARBARA: Sei veramente uno stronzo. Non te ne frega un cazzo di me. 
BARBARA: Pensi solo che sia una troia e mi giudichi sempre, mi sono rotta i coglioni di questa storia.
Lo bloccò, per sottolineare che era arrabbiata, furiosa, delusa dal suo migliore amico, che tanto faceva per lei, che tanto la proteggeva, ma che non le dimostrava mai né affetto né approvazione. Aveva bisogno della parte più superficiale di quel rapporto, la sentimentale Barbara, la romantica, la tragica, la teatrale. Voleva che glielo dicesse che le voleva bene, a parole, a gesti, anche se dentro di lei sapeva già quanto lui fosse dipendente dal loro rapporto. Ci sarebbe sempre stato se lei ne avesse avuto bisogno, perché era come una sorella, ma una sorella che sbagliava sempre, egocentrica, ingombrante, aggressiva. Quanto bene a quel Matteo! Genuino, semplice, intelligente, autodistruttivo, eccessivo, sofferente. Quanto bene le dimostrava nella maniera più chiara e limpida del mondo! E quanto non ne poteva ricevere, perché lui non lo sapeva contraccambiare in maniera così schietta. Quanto senso di colpa per ogni perdita di controllo che la portava ad aggredirlo verbalmente, e così tante di quelle volte...


«Babi»
«Babi!!»
«BARBARA!»
«Mh?»
«Il caffè, cazzo!! Ma non vedi che hai fatto traboccare tutto? Ma a che pensi?»
«Ti va di scoparmi?»
«Ma ho il treno tra un'ora...»
«Prenderai quello dopo, dai, cicci..»

E si mise in ginocchio. E la pioggia si fece temporale, e venne la nebbia con il vento e la grandine, e fu una delle domeniche più soporifere della storia dell'universo. 

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Capitolo 2
*** So good, sweetie! ***


DANIELE: xché non mi hai + risposto? passi a casa mia oggi?



Gloria staccò le labbra rosso fuoco dalla cannuccia del suo caffè americano, alzò il sopracciglio, il display le illuminò gli occhi già scintillanti del suo ombretto blu oceano. Bloccò il contatto, abbassò gli occhi sul tavolo del locale e riprese a leggere il suo libro e a gustare il suo ottimo beverone. Annotava sulle pagine immacolate del suo taccuino nuovo le parole più strane e interessanti che estrapolava da quella lettura leggera e romantica... forse troppo. Storia banale e adolescenziale, ma scritta in maniera degna: Gloria approvava.
Con un gesto volutamente provocante raccolse i lunghi capelli castano chiaro e li sistemò in una coda alta. Guardò l'orologio e decise che era ora di tornare a casa, cenare, prepararsi, uscire di nuovo per qualche pub. Si alzò lentamente, prese il cappotto bianco, lo indossò cingendosi la vita con una cinghia sottile nera, si guardò intorno e notò, forse con piacere, lo sguardo di un ragazzo biondiccio, carino, forse uno sportivo.
Un sorrisetto da parte di lei, uno da parte di lui, un passo in avanti - sempre da parte di lui - , un'uscita rapida (ma con falcata elegante) da parte di lei.
Salì in macchina, la polo di sua madre, si diresse verso casa. Alla radio passava "Ma che freddo fa", decise di non cambiare perché la voce della cantante, che lei non conosceva, aveva qualcosa di particolarmente sensuale. Picchiettò le dita sul volante, poi le venne voglia di andare al Mc, almeno non avrebbe dovuto lavare quei maledettissimi piatti prima di farsi la doccia.




Parcheggiò in malo modo, entrò nel locale, ordinò il solito Big Mac con patatine e coca. Si sedette, pronta per addentare il suo panino, e... Un ragazzo, un ragazzetto, media statura, corporatura forse un po' esile ma non troppo, capelli bruni, baffi e barba lasciati naturali, maglione a righe gialle e blu. Se ne stava lì, perso, in mezzo ai ragazzi che erano seduti al tavolo con lui, a mangiare le sue patatine, col telefono in mano, sembrava che stesse aspettando un messaggio importante. Poi ne scrisse lui uno in tutta velocità, posò il telefono sul tavolo senza usare eccessiva forza, dunque iniziò a fissare il vuoto.

Gloria, che voleva fare la scrittrice, aveva sicuramente un gran dono e una grande passione nell'osservare le persone, le anime, le menti, i pensieri, le sensazioni, gli sguardi, l'abbigliamento. Fantasticava. Estrasse il taccuino dal suo zainetto minuscolo, la penna: annotò quel personaggio, forse perché adatto ad essere inserito in uno dei suoi racconti. Ma forse esagerò nell'alzare troppo lo sguardo mentre scriveva, inconsciamente s'intende. Il ragazzo la notò, fece finta di niente per i primi trenta, quaranta, cinquanta secondi. Gloria non poteva notarne il disagio, né i tentativi di abbassare lo sguardo come per nascondersi dall'atteggiamento "ingombrante" di quella bella ragazza. Era troppo impegnata a scrivere per poterlo vedere, proprio lei, sempre così attenta ai dettagli.
≪Che stracazzo guardi, stronza? Che cazzo vuoi da me? Che cosa cazzo volete tutti da me, pezzi di merda? Che hai nel cervello? Perché cazzo mi fissi e continui a scrivere in quel quadernino di merda? Cosa ti ho fatto? Che cazzo ti ho fatto, io?≫

...

≪Matte! Che cazzo ti prende, sei rincoglionito?≫
≪Sì, Matte, che cazzo di figure di merda ci fai fare?≫
Uno dei ragazzi calmò Matteo, facendolo sedere di nuovo e chiedendogli cosa fosse successo e se volesse un bicchiere d'acqua. Un altro si avvicinò al tavolo di Gloria, forse sconvolta, forse no, di sicuro non troppo.
≪Ehi, davvero, scusalo, ha un esame domani, è tanto stanco, non ha dormito...≫
Con un sorriso a trentadue denti, smagliante, con un'aria composta in maniera inquietante, la ragazza rispose: ≪Tranquillo, sono grande e vaccinata, posso reggere sceneggiate di questo tipo. Forse dovreste portarlo fuori a prendere un po' d'aria...≫

Il ragazzo sorrise, tornò al suo tavolo, si alzarono tutti, Matteo compreso, si recarono verso l'uscita; Matteo, dopo un bicchiere d'acqua e un ritorno di lucidità mentale, guardò la ragazza e sbiascicò un imbarazzatissimo e rossissimo scusami.
≪Non fa niente, Matteo≫, un sorriso a mo' di saluto e finalmente addentò il suo panino: era ancora caldo.

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Capitolo 3
*** Rye fields ***


«Sei veramente matto»
«Io? Matto? Perché? Perché matto?»
«Ripensavo alla scenata di ieri sera al Mc. No, dico anche a voi, ragazzi, l'ha distrutta!»
«Era pure una gnocca..certo che sei veramente uno scemo, bro» , sottolineò un altro del gruppo mostrando per un attimo i bellissimi occhi verdi sotto gli occhialoni scuri da sole, del tutto inutili in quella giornata triste e nebulosa.
«Quella? Mi è venuto duro appena l'ho vista da lontano.. Tu non sei mio fratello, Matte, non è possibile.»
«Ho capito ragazzi, mi fissava da tre ore, e poi non avevo dormito un cazzo. Comunque le ho chiesto scusa.»
«No bro, la verità è che nessuno di noi c'è più con la testa con questa cazzo di università. Stasera sbornia di birra al pub e chi s'è visto s'è visto. Chi non viene è un tegame!!»
«Di tegame ho visto solo tu' ma', zi'»


«Bella ragazzi, ci si vede dopo, ora vado a studiare» , sbottò Matteo tutto ad un tratto.
«Vai, eccone un altro... ci si vede»
«Ok, Matte, io ora ho lezione. Magari scongela il sugo di mamma se torni prima di me. Ciao, a dopo.»
Matteo salutò suo fratello e fece come per andarsene a passo svelto, poi però si voltò indietro non sapendo neanche lui per quale motivo o alla ricerca di cosa, e lo vide già dall'altra parte della piazza, mentre rideva e gracchiava insopportabilmente con i suoi compagni di corso. Riprese per la sua direzione, il telefono vibrò: «Pronto?» «Matteo! Senti io sono proprio qui, ho appena attraversato il ponte di Mezzo. Tu dove sei? Stai arrivando?» «Sì, sono per il corso, arrivo. Ciao, a tra poco. Sì, due minuti. Ciao» , concluse sinteticamente, mentre prendeva a calci una lattina di 7up troppo accartocciata.

Iniziò a piovigginare, niente di eccessivo; si coprì gli ispidi capelli bruni con il cappuccio della sua felpa grigia, infilò le mani rosse di freddo nelle tasche dei jeans e, passando davanti alla vetrina ben allestita di un tabaccaio, si specchiò per un secondo, notando – senza troppo sorprendersi – un viso funereo, il solito, pensoso e abbacchiato come lui. Sbuffò e riprese dritto per la sua strada, con voglia di bestemmiare e un atteggiamento sprezzante che solo la Moretti semi-calda di uno squallido bar avrebbe potuto scacciare. Così fece, entrò nel primo bar, meno squallido di quello che avrebbe voluto e che si sarebbe aspettato, prese una birra dal frigo, pagò dimenticandosi del resto, la aprì con i denti e la tracannò in due minuti: si sentiva più coraggioso per quel primo incontro con una ragazza che non era sicuro di voler incontrare. La vide da lontano, era così carina che le venne una strana voglia di abbracciarla, una voglia che gli passò non appena notò da lontano l’entusiasmo quasi irritante negli occhi felini di lei. Indossava una specie di pelliccia sintetica color beige e degli stivaletti bianchi che sembrava quasi Penelope Pitstop.

«Matte! Eccoti finalmente, fa un freddo! Entriamo da qualche parte?»
«Sì, certo, volentieri. Conosco un posto niente male da quella parte. Sei bellina, stai bene vestita così» , le offrì il braccio e lei subito lo strinse con entrambe le mani, quasi graffiandolo con quelle unghie lunghe laccate di blu, e camminarono a braccetto fino al locale, caldo e accogliente come l’abbraccio di una madre.

«Pronto per anatomia?»
«Non credo che lo darò, Silvia. Non sono pronto.»
«Ma che dici, dai, ti passo io gli appunti. So che hai saltato un bel po’ di lezioni, ma vedrai che ce la farai a rimetterti in pari. Ma, a proposito, perché tutte queste assenze? Non te lo consiglio, sai? Seguire è importante, con gli appunti che prendi hai bisogno della metà del tempo per studiare, te lo dico io, e poi..»
«Silvia, io.. sono stato male.»
«Male? Effettivamente, con questo tempo.. dovresti coprirti di più, sai? Sempre con queste felpe ti viene uno di quei raffreddori che ti durano un mese. »
«Silvia…»
«La prossima volta chiamami, io sono un’esperta di malattie e cose del genere. In questa borsetta ho un kit di pronto soccorso praticamente»
«Ragazzi, volete ordinare?» , la cameriera interruppe la conversazione. «Un tè al limone!»
«Un campari soda, per favore» , la cameriera si allontanò.
«Il campari è analcolico, vero? »
«No, ma non è forte. Solo un po’ alcolico. Mi piace molto.»
«Capito. Aperitivo, quindi. Sei un figo, lo sai? Strano, a dire il vero. Però sei buffo, ecco. »
«Non so se sia un complimento, ma nel dubbio ti ringrazio. Anche tu sei buffa. Questo lo dico come complimento »
«Come sei dolce, grazie. E sei anche molto carino oggi, lo sai?»
Arrivò da bere, Silvia versò l’acqua calda nella tazza con la bustina del tè, poi accavallò di nuovo le gambe. Matteo buttò giù un sorso di campari e le sorrise.
«Dico davvero. Ti sei sistemato la barba vero? Hai un viso così pulito..»
«Silvia..»
«Così pulito e al tempo stesso così serio. L’ho notato subito, sai? Per questo ho scelto riabilitazione psichiatrica: perché sono brava a capire le persone in un tempo brevissimo, in più sono incredibilmente empatica..» «Silvia, io… ti va di fare un giro? Di andare da qualche parte e di tornare stasera? Che ne so, andiamo a pranzo fuori, mangiamo bene e passeggiamo per qualche città qui vicino. A Livorno, per esempio.»
«Ma che sei matto? Oggi pomeriggio abbiamo lezione, Matteo. Un’altra volta magari, che dici? E poi a Livorno, ma dai. La odio, Livorno.. cosa ci sarà mai a Livorno d’inverno?»
«No, nulla, ne ho detta una così.. » , e subito dopo sussurrò: «Barbara: Livorno è la sua città preferita..» «Che? Hai detto qualcosa?»
«No, niente. Dicevo che poteva essere un’occasione da prendere al volo. Non ci andremo mai se ci mettiamo d’accordo prima. Prendiamo il treno, non costa niente il biglietto, te lo pago io, ti porto a pranzo fuori, vediamo se c’è qualche locale aperto sulla Terrazza, poi giriamo un po’. Abbiamo solo due ore di lezione oggi pomeriggio, ci facciamo passare gli appunti. Davvero, che dici? »
«Matte, è un’idea stupida. Pranziamo qui da qualche parte, andiamo a lezione e poi, se ti va, facciamo qualcosa insieme dopo.»
«Ma tu non hai per niente voglia di levarti dai coglioni? Ma davvero sono strano solo io? Mica ti ho chiesto di scappare per sempre, di lasciare tutto e di andare a vivere sotto un ponte: ti ho chiesto di fare un giro prendendo un treno per dieci minuti e poi di tornare indietro. Cosa potrà mai succedere? Cosa potrà mai succederti? Silvia, non vuoi che ci togliamo di dosso tutto questo cazzo di imbarazzo di merda? Vuoi conoscermi davvero? Vuoi? Io sì.»
«Adesso calmati, Matteo. Non verrò a Livorno oggi. Voglio conoscerti, ma voglio comportarmi in maniera normale, e voglio che lo faccia anche tu. Voglio che tu oggi venga a lezione, che ti sieda accanto a me e che prenda appunti. Davvero Matteo, dammi retta. »
La ragazza sorseggiò finalmente il suo tè, amaro e intenso al punto giusto. Buttò giù il sorso rumorosamente, poi distolse lo sguardo.

«Sai cosa, Silvia? Ci vado da solo.»
Ingoio tutto d’un fiato il suo campari, lasciò dieci euro sul tavolo e uscì dal locale, non curandosi della ragazza.

Iniziò a correre verso la stazione, come un matto, senza guardare i semafori, senza preoccuparsi della gente che, non volendo, lo ostacolava perché stava in mezzo al corso con ventimila valigie. D’altra parte era la via principale che portava alla stazione.

Entrò, senza fare il biglietto guardò il tabellone. Due minuti, binario quattro. Fece il sottopassaggio, uscì, il treno era già arrivato, salì, sedendosi in modo scomposto e appiccicandosi al finestrino. Un secondo dopo tirò fuori il telefono dalla tasca dei jeans, facendo cadere chiavi, tabacco e altre cento cose: le avrebbe raccolte dopo.
«Pronto? Barbara?»
«Matte? Oddio, Matte, scusami per la scenata di ieri mattina. Scusami, ti ho sbloccato comunque. »
«Ba’, non me ne frega un cazzo. Che stai facendo, hai da fare?»
«Sto studiando, ma se vuoi ci vediamo, va bene?»
Matteo sorrise. Poi sogghignò. Poi non si trattenne più e rise a squarciagola, di gusto.
«Oh?! Ma sei matto?»
«Sì, Ba’, ti giuro che oggi sono matto quanto te. »

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