Per Amore e per Vendetta

di Nike90Wyatt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo
 

Parigi, 2015

Wang Fu era seduto inginocchiato di fronte ad un piccolo tavolino, in una stanza del suo piccolo centro massaggi; era un uomo di statura modesta, aveva pochi capelli brizzolati e un piccolo pizzetto sul mento. I suoi occhi a mandorla castani rispecchiavano il suo animo afflitto dalle sofferenze patite nell'ultimo anno.
La stanza era inebriata da un intenso odore di incenso. Fu sospirava mentre osservava il mobile posto antistante a lui: un enorme grammofono, dall'aspetto molto antico, vi era posto sopra. La tromba, di colore argento, era poggiata su una base nera: la particolarità dello strumento era rappresentata da una piccola tastiera i cui pulsanti erano intagliati in ottone.
Fu sorseggiò con cautela dalla tazza contenente del tè caldo. Si alzò e si diresse verso il mobile illuminato da un piccolo raggio di sole proveniente dalla finestra. Premette in sequenza i tasti facendo scattare un meccanismo che aprì un piccolo cassetto in un angolo basso del grammofono. Estrasse una piccola scatola esagonale di colore viola decorata con simboli dorati; sulla superficie erano incisi dei simboli asiatici.
Fu indugiò osservando un punto vuoto della parete bianca di fronte a lui, tenendo stretta nella mano sinistra la scatola. Il suo stato di semi-trance fu interrotto dal campanello del suo centro massaggi; pensò che doveva trattarsi della signora Dupain-Cheng con la quale aveva un appuntamento quella mattina. Infilò la scatola nella tasca dei suoi pantaloncini marroni in stile bermuda e spalancò la finestra, consentendo all'aria primaverile di pervadere la stanza.
Fu aprì la porta del suo studio. Di fronte si ritrovò una donna dai lunghi capelli corvini raccolti in una treccia che le arrivava all'altezza del seno; gli occhi color grigio avevano una forma allungata, tipica delle popolazioni cinesi. La donna indossava un tradizionale abito femminile cinese, il qipao, di colore bianco con diverse fantasie floreali rosate: nonostante fosse un capo semplice, le conferiva una certa eleganza, risaltandone la minuta figura femminile.
«Buongiorno Sabine. È sempre un piacere per me accoglierla nel mio centro.» la salutò il Fu.
«Buongiorno Wang.» La signora Dupain-Cheng chinò il capo a mo' di saluto. «Se non le dispiace, oggi non sarò la sola ad usufruire dei suoi servigi.»
Fu spostò lo sguardo oltre la spalla di Sabine, incuriosito dalle sue parole: una ragazza a piccoli e timidi passi avanzò all'interno dello studio. Anch'ella aveva i capelli corvini raccolti in una piccola treccia laterale ed indossava un abito molto simile a quello di Sabine, ma più adatto ad una ragazzina adolescente. Ciò che colpì di più Fu furono due enormi occhi azzurri che lo fissavano con un'espressione intimorita ma, allo stesso tempo, carica di rispetto. Non erano necessarie chissà quali doti deduttive per capire che quella ragazza era la figlia di Sabine.
«Wang, sono lieta di presentarle mia figlia Marinette. Marinette, lui è Wang Fu; ti aiuterà a trovare un po' di relax in questi giorni per te stressanti. È un vero mago dei massaggi» disse Sabine.
«È un vero piacere conoscerti, Marinette!» esclamò Fu. «Tua madre mi parla spesso di te.»
Marinette abbozzò un timido sorriso rivolto a Fu e chinò il capo imitando il gesto della madre di poco prima. «Buongiorno Maestro Fu.»
«Maestro?» Fu accarezzò il suo buffo pizzetto. «Solo una donna, tanto tempo fa, usava questo appellativo per me.»
Si voltò in direzione di Marinette, che nel frattempo aveva sbarrato gli occhi convinta di aver appena fatto una delle sue solite gaffe; prima che potesse abbozzare qualche scusa, Fu la bloccò: «Scusatemi, mi ero un attimo perso nei miei ricordi; chiamami pure maestro Fu, Marinette.» Invitò le sue ospiti ad accomodarsi poggiando a terra due cuscini verdi ed offrì loro una tazza di tè.
Grazie all'aiuto della madre ed al modo molto pacato di porsi di Fu, Marinette riuscì a tranquillizzarsi e a rompere il ghiaccio prendendo confidenza con la sua nuova conoscenza. Man mano che la conosceva meglio l'interesse di Fu nei suoi confronti cresceva sempre di più. Non era difficile apprezzare una ragazza come Marinette: Sabine era orgogliosa del fatto che, in pochi minuti, la figlia riuscisse a conquistare le simpatie di chiunque con i suoi modi di fare e con il suo altruismo nonostante la goffaggine. Anche in questa occasione, aveva guadagnato le attenzioni di Fu, sebbene entrambe si domandassero il perché l'uomo guardasse con insistenza la sua tasca sinistra dopo aver scambiato parole con Marinette.
Al termine della seduta di massaggi, che Marinette trovò rigenerativa, Fu si rivolse alle due con un'espressione seria. Sabine lo conosceva da anni ed avrebbe giurato di non aver mai visto l'uomo assumere una tale espressione. Fu raccontò loro che a breve avrebbe dovuto trasferirsi a Londra per motivi personali e, dunque, la sua attività sarebbe stata chiusa. Con rammarico, Sabine gli augurò il meglio offrendosi anche di aiutarlo qualora ne avesse avuto bisogno.
«La ringrazio di cuore Sabine. Spero di rivederla al più presto» disse lui.
Fu salutò le due, strizzando l'occhio a Marinette nel momento in cui le strinse la mano. La ragazza non fece molto caso a quel gesto strano, troppo presa dal modo in cui Fu aveva pronunciato quelle parole: una dota innata di Marinette era l'empatia nei confronti delle persone e, dunque, capire quanto una determinata situazione portasse ambasce e sofferenza.

Una volta andate via, Fu aveva cambiato espressione rispetto a quella di qualche ora prima: i suoi piccoli occhi brillavano di una luce nuova, come se l'incontro di quella mattina lo avesse risvegliato da un lungo sonno. Senza dubbio questo effetto era dovuto alla conoscenza della giovane ragazza dai capelli corvini e occhi azzurri come l'oceano: occhi che, Fu ne era certo, nascondevano un animo puro, onesto, battagliero e sensibile, qualità che aveva visto solo in una persona tempo prima, la stessa che usava l'appellativo di "maestro" usato anche da Marinette in quella che Fu non riteneva una semplice coincidenza. Era, piuttosto, un segno, una conferma che la piccola Dupain-Cheng fosse la persona giusta per il compito che lui aveva svolto per quindici anni e che avrebbe dovuto abbandonare a causa delle sue condizioni di salute precarie, delle quali aveva taciuto poco prima.
Con l'entusiasmo di un bambino quando scarta i regali di Natale, si diresse verso la sua camera da letto: una stanza piccola, contenente un piccolo letto a singola piazza, sufficiente per l'uomo, un armadio a singola anta ed un comodino color ebano, sul quale spiccavano due foto, circondate da una cornice in argento che stonava con quell'ambiente umile. Fu ne raccolse una: ritraeva tre persone dall'aspetto giovanile mentre sorridevano ai piedi della Tour Eiffel; al centro, tra due ragazzi, vi era una donna, fisico slanciato, bionda, con due splendidi occhi color smeraldo. Le lacrime gli offuscarono la vista, mentre osservava la foto. Infilò la mano nella tasca ed estrasse la scatolina, sollevandola quasi volesse mostrarla alla donna in foto. «L'ho trovata! Sono certo che lei è quella giusta. Lei onorerà la tua memoria, mia cara.»
Uscì di fretta dal centro massaggi, convinto del suo pensiero: Marinette era la persona giusta!

Tornata a casa, Marinette corse subito nella sua camera. Tutto, in quella stanza, rispecchiava l'animo di Marinette: le pareti dipinte in rosa pallido, il divanetto dello stesso colore, il manichino sul quale era solita provare i capi d'abbigliamento che lei stessa disegnava e confezionava.
Quella mattinata era stata molto fruttuosa per lei: di solito, il sabato mattina, si incontrava con le sue amiche al Trocadero, ma, quel giorno, aveva convinto la madre a portarla con sé nel centro massaggi, poiché lo stress della scuola, i litigi con la sua eterna rivale Chloè e gli impegni nella pasticceria del padre le stavano portando via energie preziose e, dunque, era necessario un modo per rilassarsi. Per occupare il resto della giornata, Marinette decise di dedicarsi al suo hobby preferito: disegnare abiti ed accessori; in quel momento, tra l'altro, si sentiva ispirata. Preparò tutto il materiale che le serviva ma, poco prima di iniziare, fu interrotta dalla madre che bussò alla botola della sua stanza. «Marinette, un ragazzo ha consegnato in pasticceria una pacchettino per te.» Porse alla figlia un piccolo pacco avvolto in una simpatica carta regalo rossa con decorazioni nere.
«Per me?» chiese stupita Marinette. «Natale è passato da un pezzo.»
«Non è che hai un ammiratore segreto?».
Marinette arrossì. «Mamma!»
«Preparati che a breve è pronto il pranzo.» Sabine tagliò corto e lasciò la camera.
Una volta che la botola fu richiusa, Marinette scartò con avidità il pacchetto, curiosa di conoscerne il contenuto. Il suo entusiasmo si spense quando vide una scatola viola chiusa, senza alcuna serratura o bottone che ne favorisse l'apertura.
«È uno scherzo?» sbottò Marinette, dopo aver provato ad aprirla più volte ed in diversi modi, alcuni alquanto singolari come farla schiantare sul muro.
Dopo tanti tentativi falliti, perpetuati fino a sera, Marinette decise di arrendersi: la ragazza aveva provato anche a decifrare la scritta incisa sulla superficie della scatola ma, sebbene quei caratteri fossero molto simili a quelli dell'alfabeto cinese, non trovò corrispondenze né su Internet né sui libri vecchi appartenenti alla madre. Stanca e demoralizzata, lasciò la scatolina sulla scrivania ed andò a sciacquarsi il volto sul piccolo lavabo munito di specchio della sua camera. Quando guardò nello specchio la scatolina, capì perché non riusciva a decifrare quei simboli: erano caratteri cinesi scritti alla rovescia e, quindi, leggibili solo tramite uno specchio. Con rinnovato entusiasmo, Marinette prese dalla sua borsetta dei trucchi uno specchietto e trascrisse la frase nel verso giusto su un foglietto. Non conoscendo bene il cinese, fatta eccezione per qualche termine insegnatole dalla madre, si aiutò con Internet per tradurre quella scritta.
«Che il potere mi illumini la via, affinché possa servire la luce combattendo le tenebre. Dammi il potere.» lesse ad alta voce. «Che diavolo sign...» La scatola si aprì, sprigionando un'intensa luce rossa che costrinse Marinette a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, si ritrovò davanti un piccolo essere rosso con due lunghe antenne sul capo che svolazzava, osservandola con due occhi blu cobalto mentre le porgeva due orecchini argentati.

«Salve portatrice del Miraculous. Il mio nome è Tikki.»


 

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New York, 2019

«Adrien, perché sei così nervoso?»
«Non sono nervoso. Ho solo la mente leggermente confusa.»
Adrien Agreste, un top model, la punta di diamante della casa di moda omonima, si trovava nel suo lussuosissimo superattico del 432 Park Avenue; era un alto ragazzo biondo, robusto e muscoloso con brillanti occhi verdi ed espressione fredda e distaccata. Al suo fianco, il suo inseparabile amico Plagg Dominus, un uomo sulla quarantina, capelli scuri come l'ebano, occhi verdi e barba incolta. I due erano intenti a preparare i bagagli dato che, a breve, sarebbero partiti per Parigi dove Adrien avrebbe completato il suo ultimo anno di liceo: non era stato facile per lui convincere suo padre, il famoso stilista Gabriel Agreste, ma alla fine, dopo svariati tentativi e promesse di prendere parte a tournee mondiali per la casa di moda, aveva ottenuto quello che voleva.
Dal canto suo, Gabriel era rimasto piuttosto sorpreso dalla richiesta del figlio ed era restio a farlo trasferire a Parigi, la città dove la madre del ragazzo, Emilie Agreste aveva perso la vita in seguito ad un tentativo di rapina.
Plagg era preoccupato per l'amico: avevano passato anni a pianificare il loro ritorno a Parigi e, in tutto questo tempo, Adrien era sempre stato molto determinato, curando ogni minimo dettaglio. Ma ora che la partenza era imminente, negli occhi del ragazzo si leggeva del turbamento.
«Sei sicuro di star bene?»
«Si, Plagg.» rispose secco Adrien. «Te l'ho detto: ho solo la mente colma di pensieri. Ma non ho nessun ripensamento. In questi anni abbiamo lavorato senza sosta ed ora sento che siamo vicini alla meta.»
«E tuo padre?»
«Per me può continuare a stare rinchiuso in quella villa. Non mi interessa.» Adrien aprì un piccolo trolley nero nel quale spiccava un abito in pelle nero sul quale erano poggiate due lunghe custodie. Volse lo sguardo verso l'enorme finestra dalla quale si poteva scorgere l'intera città: chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro e richiuse il suo bagaglio. «È il momento di raccogliere quello che abbiamo seminato in questi 4 anni, Plagg.» Allungò la mano verso l'amico, mantenendo sempre l'espressione seria.
Nonostante Plagg lo conoscesse meglio di sé stesso, avendolo visto nascere e crescere, rimase stupito da quello sguardo così deciso. Non era la prima volta che capitava: quel bambino così solare e pronto a regalare un sorriso a chiunque incontrasse, era scomparso nel momento in cui la bella Emilie Agreste era stata uccisa. Sempre glaciale nello sguardo, mai un sorriso, fatta eccezione per quelle poche volte in cui si trovavano soli e Plagg litigava al telefono con i fornitori del suo amato Camembert.
Anche Gabriel era diventato un altro uomo: rimasto a Parigi dopo l'omicidio della moglie, si era rintanato nella sua villa, uscendone di rado e solo per recarsi sulla tomba dell'amata Emilie; aveva, inoltre, imposto ad Adrien di restare a New York affinché potesse stare lontano da quella città che aveva strappato via una persona da loro amata e lo aveva affidato alla custodia di Plagg. Lui era un carissimo amico di Emilie; fin da subito sviluppò un legame indissolubile con quel bambino dagli occhi verde smeraldo: ne conosceva tutti i segreti, le paure, le passioni. Ed era stato l'unico cui potersi aggrappare nel momento di maggiore sofferenza, una spalla su cui piangere e un solido terreno su cui risorgere. In pochissimo tempo, Adrien acquisì una maturità di gran lunga superiore a tutti i suoi coetanei; ragionava come un adulto nel corpo di un ragazzo di soli 19 anni.
Plagg guardò l'amico e, sorridente in volto ma con sguardo carico di determinazione, gli strinse la mano.
In accordo con lui, Adrien aveva deciso di intraprendere un percorso che lo avrebbe riportato a Parigi, così da poter vendicarsi di coloro che sospettava avessero avuto un ruolo nella morte della madre: era stato lo stesso Plagg a rivelargli i suoi sospetti a riguardo, ritenendo che la versione ufficiale della rapina fosse solo una copertura per una vera e propria esecuzione.
Sfruttando le sue ampie conoscenze in ambito informatico e meccanico, Plagg aiutò Adrien a raccogliere informazioni su diverse personalità importanti di Parigi e a preparare un adeguato equipaggiamento da utilizzare sul campo.
«Hai organizzato la mia copertura?» chiese Adrien.
«È tutto pronto, amico. C'è solo una variabile che non abbiamo ancora considerato.»
«Ti riferisci a quella specie di fenomeno da baraccone in rosso che gira per Parigi giocando a fare la supereroina? Com'è che si chiama, LadyCimice?»
«Ladybug. I parigini la adorano. Collabora molto spesso con la polizia.»
«La cosa non mi interessa.» Adrien mal sopportava le imprese dell'eroina di Parigi, giudicandole solo un modo per mettersi in mostra e prendersi le acclamazioni delle folle. «Continui pure a salvare i gattini sugli alberi.»
«E se dovesse cercare di fermarti?»
«In quel caso maledirà il giorno in cui ha deciso di indossare quel ridicolo costume da insetto.»

Il giorno della partenza Adrien e Plagg si recarono all'aeroporto J.F. Kennedy dove si sarebbero imbarcati sul jet privato dell'azienda Agreste.
«Fate attenzione a quei bagagli!» urlò Plagg in direzione degli addetti. Si voltò verso Adrien e preoccupato gli disse: «Spero che non rovinino la mia scorta personale.»
«Tranquillo, sono ben pagati per questo. E poi non hai di che preoccuparti: stiamo andando nel paese del Camembert; potrai mangiare formaggio di prima scelta. Basta che lo tieni lontano da me; non vorrei che risalissero subito a me grazie al tanfo.» Adrien salì la rampa che lo avrebbe condotto all'interno del velivolo.
Plagg tacque, euforico all'idea di poter scatenare tutte le sue fantasie di piatti con protagonista il Camembert. Si accomodò sul posto di fronte ad Adrien, dopo aver chiesto ad un hostess qualcosa da mangiare, possibilmente del formaggio; gettò lo sguardo sul suo amico, notando solo in quel momento la sua espressione rilassata. «È raro vederti così, Adrien. Contento di andare a Parigi?»
«Non ti nascondo che sono felice di vedere per la prima volta la città natale dei miei genitori e soprattutto di andare a trovare finalmente mia madre... Cioè la sua tomba.» disse Adrien con un leggero tono di amarezza.
Intuendo lo stato d'animo dell'amico, Plagg cercò di cambiare argomento spostando la conversazione su un argomento più piacevole: «Dicono che a Parigi ci siano delle ragazze bellissime, da far invidia alle top model con cui lavori di solito.»
Purtroppo per lui, non ottenne l'effetto sperato, poiché Adrien mantenne un'espressione seria. «Non ho tempo per pensare a quello. Andiamo a Parigi per un motivo e devo restare focalizzato su quello. Niente distrazioni.»
Plagg decise di non insistere nella conversazione; di lì a poco, entrambi si rilassarono godendosi il volo.
Per gran parte del viaggio, Adrien osservò una foto che lo ritraeva abbracciato alla madre: era stata scattata ai piedi della Statua della Libertà, poche settimane prima della scomparsa di Emilie. La scrutava in ogni particolare, ma la sua espressione restava impassibile: non una lacrima fu versata, né un cambiamento di umore. Nulla.
Plagg, invece, alternava il sonno con grandi abbuffate di cibo: la quantità di formaggio che riusciva ad ingurgitare era una delle poche cose che stupivano Adrien, sebbene l'unica reazione del biondo fosse una semplice alzata di sopracciglio.
Giunti a Parigi, un folto gruppo di giornalisti e fotografi accolsero i due, euforici per l'arrivo del famoso modello internazionale, Adrien Agreste. Quando le porte all'esterno dell'aeroporto si aprirono, tutti i paparazzi si fiondarono a scattare centinaia di fotografie.
Completamente sordo ai richiami dei vari giornalisti, Adrien si infilò nel suv parcheggiato di fronte all'ingresso del gate, seguito da Plagg, che mandò un bacio con la mano verso una delle giornaliste presenti.
Il suv sfrecciò via a tutta velocità in direzione della più lussuosa abitazione di Parigi: Villa Agreste.



Angolo Autore:
Ehi bella gente.
Avevo in mente già da un po' di tempo questo Miraculous AU ma, per svariati motivi, non ero mai riuscito a pubblicarlo.
Spero di aver attirato la vostra attenzione con questo Prologo, scusate se un po' lungo ma era necessario per descrivere al meglio i personaggi della storia.
Ringrazio tantissimo la mia artista personale MarySam_art, che ha disegnato in modo egregio la copertina della storia ed ha anche fatto una bellissima rappresentazione della scatolina contenente il Miraculous: vi invito, dunque, a passare sulla sua pagina Instagram dove potrete trovare le sue opere https://www.instagram.com/marysam_art/ 
Vi aspetto Venerdì prossimo per la pubblicazione del primo Capitolo.
Alla prossima.
Nike90Wyatt



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***




 
Capitolo 1
 
 

Villa Agreste dall'esterno sembrava un castello per quanto era grande; un muro di 4 metri circondava il giardino esterno della villa, telecamere di sorveglianza sorvegliavano il perimetro, a prova di quanto tenesse alla propria sicurezza e privacy Gabriel Agreste.
Il suv attraversò il cancello posto sul lato sud della villa; davanti al portone di ingresso, una donna dall'aria severa li attendeva. Aveva i capelli neri con una ciocca rossa che le scendeva sulla fronte ed indossava un paio di occhiali da vista che coprivano i suoi occhi azzurri. «Benvenuto signorino Agreste.» Abbozzò un leggero sorriso. «Plagg...»
«Lieto di rivederti, Nathalie.» Adrien salutò la donna con un cenno del capo.
«Vedo che gli anni ti hanno resa più solare e scherzosa di quanto non fossi prima» scherzò Plagg.
Nathalie Sancoeur gli scoccò un'occhiataccia. Era la direttrice dell'azienda che gestiva il marchio Agreste in Europa: prima della nascita di Adrien, i coniugi Agreste si erano trasferiti in America, così Gabriel aveva affidato tale compito alla persona più fidata che conosceva. Negli anni, la donna aveva dimostrato che la fiducia dello stilista era stata ben riposta, consentendo alla casa di moda di occupare un posto di rilievo tra le principali aziende europee. Di tanto in tanto, Nathalie si recava a New York per incontrare la famiglia Agreste e sviluppando un sincero affetto nei confronti del giovane Adrien, una delle poche persone in grado di sciogliere la "lady di ghiaccio", come era stata soprannominata da Plagg. Quando Gabriel si era stabilito di nuovo a Parigi, in seguito della morte di Emilie, Nathalie continuò a svolgere il suo compito con estrema professionalità, occupandosi anche di gestire gli affari internazionali e di svariate necessità dello stesso stilista.
«Venite, ho fatto preparare le vostre camere» disse la donna, con tono serio.
«Simpatica come sempre, eh» sussurrò Plagg, mentre varcavano la soglia di casa.
Adrien represse un sorriso. «Non farti sentire o sarebbe capace di incenerirti con uno sguardo.» Entrato in quella casa, notò subito quanto lo stile di arredamento e i colori dell'ambiente rispecchiassero perfettamente la figura di Gabriel Agreste che lui ricordava: poco mobilio, colori pallidi e spenti e una sensazione di freddezza che dava quasi i brividi.
Sensazione che fu in parte cancellata dal'accoglienza calorosa che i pochi domestici della villa riservarono a lui e al suo amico Plagg: tutti coloro che avevano lavorato per la famiglia Agreste in America fino alla prematura dipartita della signora Emilie si trovavano lì.
L'entusiasmo durò pochi attimi: l'euforia dei domestici e soprattutto di Plagg fu spezzata in un attimo da due parole che tuonarono nell'enorme salone d'ingresso.
«Benvenuto, Adrien.» Sulla cima delle scale, un'imponente figura apparve: fisico snello e slanciato, occhi blu, sguardo glaciale, capelli corti tra il grigio e il biondo e postura eretta. Gabriel Agreste.
Il silenzio che cadde in quel momento nel salone era inquietante; nessuno aveva il coraggio di prendere parola per evitare di ricevere da Gabriel una di quelle occhiate capaci di far nebulizzare all'istante qualunque persona.
Adrien era l'unico che non sembrava per niente intimorito dalla presenza del padre: mantenendo lo sguardo alto, la postura eretta e l'espressione fredda, imitando in tutto e per tutto Gabriel, salì lentamente le scale, avvicinandosi al grande stilista. «Salute padre.» Si fissarono negli occhi; nessuno dei due sembrava avere l'intenzione di abbassare lo sguardo in quella che era una sorta di gara di orgoglio.
Ad interrompere quell'infinito silenzio tombale ci pensò come al solito Plagg, il quale, con la sua consueta dirompenza, affiancò Adrien rivolgendosi al padrone di casa. «Gabriel!» I domestici impallidirono. «Ti trovo bene, sei in gran forma, complimenti.» Aveva una spettacolare faccia di bronzo.
«Plagg...» Gabriel non distolse lo sguardo dagli occhi smeraldini del figlio, gli stessi occhi di Emilie. «Confido che in questi anni tu ti sia preso cura di mio figlio al meglio delle tue possibilità e anche oltre.»
«Sissignore! Lo puoi notare anche da solo: guarda che fusto che è diventato tuo figlio e guarda che eleganza e portamento. Mi sento un po' come Michelangelo e la sua pietà.» Plagg si portò il pollice sul petto con aria fiera, mentre dietro di lui si avvertivano le risatine dei domestici, accompagnate da diversi commenti tra cui: "È sempre il solito".
Ignorando del tutto i commenti di Plagg, Gabriel girò i tacchi, avviandosi verso il suo studio, mentre Nathalie fece segno ai domestici di riprendere le normali attività. Lo stilista si fermò proprio sull'uscio della porta, senza voltarsi. «Mi aspetto il massimo impegno nelle attività scolastiche e in quelle extra. Inutile che ti rammenti anche i tuoi impegni in qualità di modello di punta del marchio Agreste.» 
«Farò il massimo per non deluderti» rispose Adrien, con un tono molto simile a quello del padre.
Gabriel si congedò entrando nel suo studio. Nathalie, nel frattempo, invitò Plagg a raggiungere la camera da letto preparata per lui richiamando l'attenzione di una delle domestiche in modo che potesse accompagnarlo. Plagg fece un piccolo gesto con il capo, che Adrien interpretò come un "ci vediamo dopo" e si avviò.
«Signorino Adrien, la accompagno nella sua camera. Prego mi segua» disse Nathalie con il suo solito tono impostato.
Entrato nella sua nuova camera, Adrien avvertì una forte sensazione di deja-vu: quella stanza era arredata allo stesso modo di quella che aveva a New York. Al piano superiore vi era un'immensa libreria, stracolma di volumi, cofanetti e CD musicali. Al piano inferiore, un enorme letto con coperte in seta, una scrivania sulla quale erano posati tre schermi collegati al computer posto nell'apposito compartimento, un grande divano bianco di fronte ad un tavolino in vetro con dietro un televisore di 50 pollici ed, infine, un tavolino di calcio balilla. In un angolo vi era una postazione con vari attrezzi ginnici tra cui un tappeto per la corsa, due panche orizzontali di cui una dotata di bilanciere, diversi manubri di vario peso ed una parete per il free climbing. Adrien poteva così allenarsi in vista della missione che avrebbe affrontato, sebbene, nel corso degli anni negli States, avesse fatto sfoggio di abilità fuori dal comune, senza il bisogno del minimo allenamento: altissima resistenza aerobica, forza e velocità ben superiori alla media e riflessi felini.
Adrien sentì bussare alla porta: riconobbe subito i modi irruenti del suo amico, e si fiondò ad aprire la porta senza nemmeno chiedere chi fosse. Come previsto, infatti, si ritrovò davanti Plagg, raggiante in volto.
«Fammi indovinare: vuoi propormi di andare a fare scorta di Camembert» disse Adrien con una leggera nota di esasperazione.
«No, mio caro.» Plagg entrò nella stanza baldanzoso. «Fortunatamente la nostra sergente di ferro ha già provveduto a riempire la mia dispensa personale con formaggio di prima scelta.»
«Allora perché tanta felicità?»
«Guarda qui!» Agitò un piccolo volantino.
Adrien lo afferrò al volo. «È la pubblicità di una pasticceria."Pasticceria Dupain-Cheng"
«Non di una pasticceria qualunque. La migliore pasticceria di tutta Parigi. Fanno anche dei lievitati sublimi.»
«Come fai a sapere che è la migliore past...» si bloccò per un attimo, ricordandosi in quel preciso istante le passioni che aveva Plagg in America: «Ah già, non rispondere. Ora ricordo quel dannato programma che seguivi sulle migliori pasticcerie di tutte le principali città europee. D'accordo; in effetti avevo voglia di un buon croissant. Dammi 5 minuti per mettermi qualcosa di più comodo e andiamo.»

 

                                                       ~~~~~~~~~~~~~~~


«Andiamo Marinette, non puoi proprio venire?»
«Mi dispiace Alya, devo sostituire i miei nella pasticceria. Hanno una consegna in periferia e mio padre preferisce che ci sia anche mia madre.»
Marinette si trovava nella sua cameretta, stesa prona sul divanetto, con in mano il tablet: in collegamento con lei, tramite videochiamata, la sua migliore amica Alya, una ragazza dai capelli ed occhi castani, con due enormi occhiali da vista poggiati sul naso. Le due si conoscevano dai tempi del primo anno di liceo e subito avevano stretto una profonda amicizia.
«D'accordo, non insisto. Però non sarà la stessa cosa senza di te» disse Alya, con un velo di tristezza.
«Divertitevi anche per me.»
Chiusa la chiamata, Marinette si alzò dal divano avviandosi verso la simpatica casetta della bambole posta alle spalle del suo letto a soppalco: da essa fece capolino un piccolo esserino rosso, Tikki, colei che era uscita da quella misteriosa scatola consegnata a Marinette quattro anni prima.
«Sono fiera di te, Marinette. Hai rinunciato ad un pomeriggio di divertimento con le tue amiche per aiutare i tuoi in pasticceria.» Tikki afferrò un biscotto che l'amica le aveva porto.
Marinette sorrise. «Non faccio nulla di speciale, credimi.» 
«È dai piccoli gesti che si riconoscono le grandi persone.»
«E questa dove l'hai letta?»
Tikki ridacchiò. «È mia. Se tu non fossi una splendida persona non saresti stata scelta per vestire i panni di Ladybug e quindi brandire i poteri del Miraculous.»
«Ti ringrazio, anche se è ancora un mistero chi mi abbia scelta.»
«Ogni cosa a suo tempo.»
Marinette sventolò una mano. «Dopo quattro anni, mi chiedo quando verrà questo tempo, anche se per te che sei un kwami il tempo è relativo.» Scese le scale che la condussero nel soggiorno dell'appartamento, seguita dalla sua inseparabile amica rossa.
Il loro primo incontro era stato indimenticabile: Marinette aveva scambiato la piccola kwami per uno scarafaggio volante e l'aveva intrappolata in un bicchiere di vetro ignorando che Tikki era in grado di attraversare qualunque superficie solida grazie ai suoi poteri. Solo dopo un paio d'ore, condite da numerose urla di paura della ragazza, Tikki era riuscita a dare una spiegazione dettagliata su di lei, sui suoi poteri e sul compito che spettava a Marinette, sottolineando quanto questo fosse importante affinché il Miraculous non cadesse nelle mani sbagliate e fosse usato per scopi malvagi.
Grazie al potere donatole da Tikki, Marinette poteva trasformarsi in Ladybug, una supereroina dalle abilità sovraumane: nonostante alcuni intoppi iniziali, dovute soprattutto all'inesperienza della ragazza, Ladybug era riuscita a guadagnarsi in poco tempo la fiducia dei cittadini di Parigi, instaurando anche una solida alleanza con le forze dell'ordine. Con l'esperienza, poi, Marinette era anche riuscita a far coesistere senza problemi gli impegni di Ladybug con le quotidiane necessità da adolescente, rischiando sempre meno l'eventualità che la sua identità potesse essere scoperta, sebbene dovesse, ogni tanto, rinunciare a qualche ora per se stessa per salvare Parigi.
Quel giorno, per fortuna, non era stato necessario l'intervento di Ladybug: Marinette, dunque, con tutta serenità, scese nel negozio dei genitori posto proprio al di sotto dell'appartamento, pronta ad aprirlo per il pomeriggio. Entrata nel locale, fu investita da un intenso odore di dolci e pane caldo, preparati dal padre per soddisfare le richieste di eventuali clienti.
Per una buona mezz'ora, Marinette si dedicò alla decorazione di alcune torte, un'attività che spesso svolgeva insieme al padre e che le riusciva egregiamente. Aveva appena finito di disegnare il marchio della pasticceria su un gruppo di macarons, quando vide fermarsi davanti alla pasticceria una lussuosa berlina color argento.
Da essa scese un uomo vestito di una giacca nera e verde e pantaloni scuri, piuttosto distinto ma con un'aria carica di felicità.

«Sicuro di non voler venire anche tu?» Plagg si affacciò da fuori l'automobile al finestrino accanto al posto occupato dall'amico.
«Questo è più il tuo mondo, Plagg» rispose Adrien dietro gli occhiali da sole scuri che indossava. «E poi sono convinto che il gorilla mi seguirebbe fin dentro al negozio mettendo in soggezione i proprietari. Tranquillo, ti aspetterò qui. E non dimenticare il mio croissant.»
«Non preoccuparti Adrien. Farò subito e prenderò... Ma quella è una cheesecake?» urlò, fiondandosi sul vetro della pasticceria con occhi carichi di entusiasmo.
Adrien scosse il capo. «Non cambierà mai.» Osservò l'amico balzare dalla vetrina alla porta d'ingresso del locale.
Marinette lo accolse con un sorriso «Buongiorno. Benvenuto nella pasticceria Dupain-Cheng.»
Plagg avvertì una strana sensazione al petto. «Buongiorno, mademoiselle.»
«Cosa desidera?»
«Quella bellissima cheesecake che avete esposta in vetrina e qualsiasi cosa contenga del formaggio, dolce o salata che sia.» Plagg aveva l'acquolina in bocca e il volto raggiante.
Marinette, non senza qualche difficoltà dovuta alla sua innata sbadataggine, esaudì tutte le richieste del suo cliente, confezionando ben tre pacchi contenenti vari assortimenti di dolci e qualche rustico, compresa la cheesecake.
«Oh, e anche un croissant, altrimenti Mr. Ghiacciolo mi strozza» aggiunse Plagg, gettando un occhio fuori verso la berlina parcheggiata di fronte alla pasticceria.
«Certo, che gusto?»

Plagg ci pensò su qualche secondo, ammettendo di non essere a conoscenza di eventuali preferenze di gusto da parte di Adrien. «Facciamo uno per gusto.» 

Marinette esaudì anche quella richiesta.

Una volta pagato e ritirato gli acquisti, Plagg salutò la ragazza

Marinette lo accompagnò all'uscita e gli tenne la porta aperta. «Torni a trovarci.»
«Lo farò senz'altro.» 
Con non poca fatica, dovuta ai pacchi alquanto ingombranti, Plagg risalì in auto, sfoggiando un'incredibile faccia da schiaffi mentre guardava il suo amico.
«Ce ne hai messo di tempo. Vedo che hai svuotato la pasticceria» osservò Adrien.
«Per stasera dovrebbe bastare.» Plagg si sfregò le mani. «Ci ho messo tanto perché la ragazza pasticciera è tanto bella quanto imbranata; non so quale grazia del cielo le ha consentito di non far spiaccicare a terra la mia bellissima cheesecake.» Guardò i suoi pacchi come se fossero la cosa più bella del mondo. «Ti vedrei bene con lei sai?»
«Cerca di riposare.»Adrien premette un pulsante per alzare il vetro che separava i sedili anteriori da quelli posteriori all'interno dell'auto. «Dobbiamo trovare un modo per eludere la sorveglianza della villa. Stanotte entreremo in azione.»
«Di già?»
«Non siamo qui in vacanza per abbuffarci di formaggio e dolci. Abbiamo una missione da portare a termine, Plagg. O il profumo di questa cheesecake ti ha provocato un'amnesia?»
«No, no. Ma non pensavo che volessi subito entrare in azione il giorno stesso che siamo arrivati. Potresti destare sospetti.»
«Abbiamo già pensato alla mia copertura no? Non dicevi di andare fiero del tuo ultimo prototipo?» 
Plagg alzò il capo. «Modestamente è un gioiello di tecnologia. Tony Stark mi fa un baffo. Ho già avvisato Mary che in serata arriverà un pacco; me lo porterà in camera mia senza che nessuno se ne accorga.»
«Quanto sa?»
«Il minimo indispensabile. Le ho accennato che, di tanto in tanto, consegneranno dei pacchi alla villa in forma anonima e che lei dovrà ritirarli e consegnarli nelle mie mani spacciandoli come consegne speciali di cibo americano che io voglio tenere segrete.»
«Ottimo. Credo che possiamo fidarci di lei.» osservò Adrien. «Qual è il primo obiettivo?»
«Serge Murin.» Plagg cavò dal taschino della sua giacca uno smartphone sul quale apparve una scheda ricca di informazioni, compresa una foto dell'uomo citato: occhi grandi neri al pari dei capelli, viso truce e barba incolta. «È stato coinvolto in una maxi truffa e furto ai danni di centinaia di persone, affittuari di appartamenti gestiti dalla sua compagnia. Non molto tempo fa è stato citato in giudizio, ma è riuscito a cavarsela, anche se molti sospettano che abbia corrotto il giudice che presiedeva il processo.»
Adrien prese lo smartphone. «Credi che ci sarà anche lei?» 
«Alludi a Ladybug?» 

Adrien annuì.

«Considerando che farai un bel casino, credo proprio di sì.»
«Allora è l'occasione ideale per mandarle un messaggio chiaro.» Non aggiunse altro. Si limitò a tenere lo sguardo fisso sulla foto di Murin. Per lui era giunto il momento di agire.

Angolo autore:
Salve gente!
Finalmente abbiamo fatto la conoscenza di Villa Agreste e, soprattutto, di Gabriel.

Probabilmente qualcuno si aspettava già un primo incontro tra i nostri due protagonisti, ma non dovrete aspettare molto, tranquilli.
Rinnovo l'appuntamento per venerdì prossimo nel secondo capitolo dove ci sarà anche un bel po' di azione.
A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***




Capitolo 2
 

La sera, Marinette era solita sedersi sulla sdraio del suo terrazzino: a volte disegnava sul suo taccuino dei capi di abbigliamento, avendo un naturale talento per la moda, altre volte chiudeva gli occhi, lasciandosi cullare dai rumori della strada. Nonostante l'autunno fosse alle porte, la temperatura di sera era piuttosto gradevole, consentendo a Marinette di non perdere tempo a cambiarsi gli abiti.
«Persona singolare quello che è entrato nella pasticceria oggi, vero?» disse Tikki, appoggiata sulla spalla della ragazza.
«Mai visto uno così fissato con il formaggio. Fortuna che i clienti venuti dopo non hanno chiesto dolci di quel tipo. Li avevo finiti.»
Ripensare a quella scena fece scoppiare a ridere le due amiche; risate che furono interrotte dall'insistente suono proveniente da un piccolo dispositivo che Marinette aveva appoggiato sul tavolino accanto alla sdraio. Diversi mesi dopo essere diventata Ladybug, la polizia aveva deciso di inventare un modo per poter contattare la supereroina quando ne avesse avuto bisogno: fu così che le consegnarono un cercapersone particolare che emetteva suoni o vibrazioni di diversa intensità a seconda del livello di emergenza. Il dispositivo funzionava in entrambi i sensi dato che, spesso, Ladybug arrivava prima sul luogo.
In quel momento il suono era molto intenso, segno che l'emergenza era molto grave: Marinette scambiò un segno di intesa con Tikki, la quale si illuminò e fu risucchiata nell'orecchino sinistro indossato dalla ragazza, e sia questo che quello destro divennero rossi a pois neri. In un attimo l'intero corpo di Marinette fu inondato da un bagliore rosso che le trasformò i vestiti in una tuta attillata, quasi una seconda pelle rosso porpora e stivali dello stesso colore con tacco a spillo. Una cintura le cinse i fianchi: reggeva un piccolo yo-yo ed una pochette con fantasia a coccinella.
Delle belle ali luminose sfumate di nero ma trasparenti le spuntarono dalla schiena. Si librò nell'aria sollevandosi di poco da terra. I capelli raccolti in due codini bassi ai lati della testa le si sciolsero ed apparve nella chioma corvina una larga fascia rossa a pois neri. Una maschera della stessa fantasia le copriva il viso all'altezza degli occhi azzurri e brillanti. La trasformazione in Ladybug era compiuta.

Con un balzo, Ladybug si librò in volo sui tetti di Parigi, percorrendo in breve tempo decine di metri. Con il suo auricolare sull'orecchio destro si mise in comunicazione con il commissario Raincomprix in modo da conoscere il luogo dell'emergenza.
Ladybug raggiunse il luogo dello scontro: diverse automobili della polizia erano sul luogo, con agenti intenti a raccogliere indizi e testimonianze, mentre un gruppetto di giornalisti circondò il luogo recintato nella speranza di cogliere qualche informazione.
«Commissario!» Ladybug atterrò in grande stile a pochi passi da Raincomprix. «Cos'è successo?»
«Roba da professionisti, Ladybug.» Il commissario tirò un lungo sospiro. «La vittima è Serge Murin, l'amministratore delegato della Murin Express. Si trovava nel suo appartamento da solo quando qualcuno ha fatto irruzione e lo ha colpito con una freccia alla spalla destra. In seguito c'è stata una colluttazione: Murin ha provato a difendersi ma ha avuto la peggio ed ha riportato numerose ferite da taglio su arti e torace. Al momento si trova in ospedale sotto osservazione. Abbiamo già passato al tappeto l'appartamento, ma non abbiamo trovato nulla.»
«Testimonianze ne abbiamo?» 
«Solo un rumore di vetri che si rompono e urla disumane. Nessuno ha visto nulla. Non deve essere successo più di 10 minuti fa, comunque; riteniamo che chiunque sia il responsabile, debba trovarsi ancora nei paraggi per questo stiamo pattugliando il quartiere.»
«Do un'occhiata dall'alto.» Ladybug spiccò il volo con le sue ali magiche. Purtroppo per lei, non trovò tracce o indizi, nemmeno sui tetti degli edifici vicini.
Si fermò su uno di essi, pensierosa sulla situazione, chiedendosi come avesse potuto essere così veloce la persona che aveva aggredito Murin.
Un rumore simile ad un sibilo fendette l'aria: una freccia nera sfiorò il volto di Ladybug tranciandole una piccola ciocca di capelli prima di conficcarsi nel muro lì accanto. Il cuore le batteva all'impazzata per lo spavento: gli occhi sbarrati, fissi sulla freccia conficcata nel muro, mentre una piccola goccia di sudore le rigò la fronte pallida. Ripresasi da quel momento di shock, la supereroina si girò di scatto: a diversi metri da lei, su un tetto, scorse la sagoma nera di un uomo incappucciato. Reggeva tra le mani un arco. Dietro la sua testa spuntavano delle frecce inserite in una faretra e l'elsa di una spada. Sfilò una freccia dalla faretra e gliela puntò contro tramite il suo arco. 

«Il prossimo tiro farà molto male.» disse con voce dura e metallica, alterata da un modificatore vocale. «Non provare ad intralciarmi, Ladybug.»
Ladybug era paralizzata: di solito non si faceva intimorire da un avversario ma quel tizio era riuscito a terrorizzarla, consapevole del fatto che non si trattava del solito teppista di strada. Rimase ferma, cercando di carpire quanti più indizi possibili da quella misteriosa figura, ma non riuscì a vedere altro che due intense luci verdi sotto quel cappuccio.

L'uomo si voltò e, utilizzando una freccia a rampino, balzò via scomparendo nella notte.

Ladybug tirò un sospiro di sollievo, sentendo ancora il cuore battere come un martello pneumatico per il terrore provato; scese dai tetti e raggiunse il commissario che, nel frattempo, stava dirigendo le operazioni di sgombero. Fu ben accorta a tacere riguardo il suo breve ma intenso incontro con l'arciere in nero, congedandosi in fretta così da non far sospettare nessuno.
Tornata a casa, Marinette rientrò passando dalla botola del suo terrazzino che conduceva nella sua stanza; sciolse la trasformazione e si gettò sul letto, affondando il volto nel cuscino.
«Cosa è successo, Marinette?» chiese Tikki, preoccupata per la sua amica. «Sono riuscita ad avvertire il tuo panico.»
«Non lo so, Tikki», la voce era soffocata dalla posizione del suo volto. «Ero come pietrificata. Non ero così spaventata dalla prima volta che mi trasformai in Ladybug; stavolta, però, non avevo paura di fallire... Avevo paura che quell'uomo mi potesse...»si portò le mani agli occhi, il respiro affannato.
Tikki cercò di tranquillizzare la sua amica, ma anche lei era piuttosto spaventata: il timore che una persona con scopi malvagi potesse essere entrata in possesso del secondo Miraculous la stava consumando da dentro. Pensò bene, però, che quello non era il momento adatto per rivelare a Marinette dell'esistenza di un secondo gioiello magico di cui si erano perse le tracce tempo prima.
Così decise di spronare l'amica ad affrontare le difficoltà come aveva sempre fatto da quando aveva ottenuto i poteri: con coraggio, sangue freddo e lucidità.
Marinette parve tranquillizzarsi alle parole del kwami: prese un respiro profondo. Scese le scale del soppalco del suo letto e sciacquò il viso vicino al piccolo lavandino della sua camera. «Hai ragione, Tikki. Io sono Ladybug. Non posso avere paura del primo tizio che mi spara una freccia a pochi centimetri dal viso. Per ora, comunque, eviterò di parlarne con Raincomprix. Voglio prima saperne di più su quell'arciere.»
Tikki non disse nulla, limitandosi ad annuire; senza ulteriori indugi le due si sistemarono per la notte, nel tentativo di trovare un po' di relax dopo quella stressante serata.

 

                                                   ~~~~~~~~~~~~~~~


L'arciere in nero atterrò in un vicolo nei pressi di villa Agreste, dopo essere balzato da un tetto nei paraggi. Sotto il cappuccio indossava una larga maschera nera che gli copriva tutta la zona superiore al naso: i due occhi erano colorati di verde. Grazie a quel visore ad alta tecnologia, l'incappucciato era in grado di vedere al buio, come se avesse la vista di un felino.
L'arciere scrutò i dintorni, assicurandosi che la zona fosse deserta. Mirò con l'arco verso un punto oltre il muro di cinta della villa: utilizzando una freccia con il rampino, saltò oltre il muro, atterrando con una capriola nell'unica stanza con la finestra spalancata.

«Un'esibizione da brividi.» Plagg era seduto su una sedia accanto alla scrivania.
L'arciere osservò l'uomo spegnere un iPod che riproduceva un motivo di musica classica. Accanto al piano, sul quale era poggiato il lettore musicale, era seduto Adrien intento a suonare lo strumento: Plagg estrasse un piccolo telecomando dalla tasca e premette un tasto, spegnendo un proiettore posto in uno scaffale della libreria al piano rialzato della stanza. La figura di Adrien scomparve.
Plagg sorrise. «Posso dire di essere un genio?» 
L'arciere si tolse il cappuccio ed il visore, rivelando la chioma bionda e gli occhi smeraldini di Adrien Agreste. «Allora?» Si liberò del suo costume nero e lo ripose, insieme ad arco, faretra e katana, all'interno di un piccolo trolley nero.
«La transazione è stata effettuata con successo. 10 milioni di euro tondi. Domani per le famiglie derubate da Murin sarà Natale.» Plagg addentò un pasticcino acquistato quel pomeriggio. «La chiavetta?»
Adrien gli lanciò una piccola chiavetta usb nera tra le mani. «Hai fatto un ottimo lavoro, Plagg. Ha hackerato il computer di Murin in pochi secondi.»
Plagg ridacchiò soddisfatto delle sue creazioni, progettate mesi prima grazie alle sue straordinarie competenze nell'ambito tecnologico.

«È entrato qualcuno mentre ero via?» chiese Adrien.
«Solo Nathalie per avvisarci della cena.» Plagg alzò le spalle. «Ti ha visto impegnato a suonare il piano e mi ha fatto segno che l'avrebbe fatta portare qui. Ci ho pensato io poi a prenderla. Anzi se vuoi favorire, tanto è la solita cena fredda dietetica. Ti ho lasciato un pezzo di cheesecake, per addolcirti un po' il palato. È squisita.»
«Dopo. Ora ho bisogno di una doccia.»
Adrien si avviò verso la sua stanza da bagno, sotto lo sguardo di Plagg, che continuava a gustare le prelibatezze della pasticceria Dupain-Cheng.
«Certo che tuo padre ci tiene tanto alla tua preparazione nel suonare il piano. Nathalie non ha proferito parola.» disse Plagg.
«Vuole che diventi bravo quanto lo era la mamma; ricordi che si sedeva sempre ad ascoltarci quando ci esercitavamo il pomeriggio, interrompendo qualsiasi attività stesse facendo?»
«Sì, Emilie aveva un tocco magico.»
«Non lo ammetterà mai, ma, se è come me, le deve mancare davvero tanto. E queste mie attività gli interessano molto, per questo ero sicuro che fosse la copertura perfetta.»
Dopo una lunga doccia rilassante, Adrien si accomodò sul divano bianco, iniziando a mangiare la cena con estrema tranquillità.

«Come farai con Ladybug?» chiese Plagg. «Non mi sembra il tipo da farsi spaventare per una freccia ed un paio di minacce.»
«Scoprirà che non scherzavo quando le ho detto che il prossimo tiro avrebbe fatto male. Nessuno mi impedirà di ottenere quello che voglio.»
Plagg strinse tra due dita il mento. «Tra qualche giorno il sindaco inaugurerà un monumento in suo onore a Place de la Concorde. Tutti i parigini la adorano e la osannano.»
«Dove vuoi arrivare, Plagg?»
«Ti sto invitando a pensarci bene prima di colpire la supereroina di Parigi.»
Terminata la cena, Adrien spense il computer ed invitò Plagg ad andare a dormire. «Voglio andare a quell'inaugurazione, Plagg.» 

Plagg annuì col capo e si diresse verso la sua stanza.


Angolo autore:
Salve gente!
E così abbiamo avuto il primo incontro/scontro tra i nostri protagonisti; spero sia stato d'impatto.
Sappiate che questo è solo l'inizio. Restate sintonizzati per il prossimo capitolo, ce ne saranno delle belle.
Ringrazio i miei amici DavideFinal e Mary_Sam per la realizzazione dell'immagine di copertina del capitolo.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Quei giorni furono molto intensi per Marinette: non solo doveva prepararsi per l'imminente inizio del suo ultimo anno scolastico ma, nei panni di Ladybug, aveva più volte effettuato ronde in giro per la città nella speranza di incrociare il misterioso arciere o, quantomeno, trovare qualche indizio che potesse condurla da lui. Dopo quella sera, però, dell'incappucciato non vi era nessuna traccia; le ronde, comunque, non erano state sempre tranquille: infatti, Ladybug si era scontrata, in diverse occasioni, con feroci criminali, rischiando anche di essere colpita in modo grave. Grazie alle sua abilità donatole dal potere del Miraculous ed al suo innato intelletto, era riuscita sempre ad uscire incolume dagli scontri.
Poiché le energie scarseggiavano, Marinette decise di non utilizzare il Miraculous per qualche giorno, a meno che non fosse stato necessario: per tal motivo, avvisò il sindaco Andrè Bourgeois e il commissario Raincomprix che non avrebbe preso parte all'inaugurazione del monumento in onore dell'eroina in rosso, preferendo parteciparvi nei suoi panni civili insieme all'amica Alya, fan sfegatata di Ladybug, tanto da averle dedicato un intero blog.

Place de la Concorde era gremita di gente: in prima fila erano ben appostati numerosi giornalisti e fotografi pronti ad immortalare l'evento.
Sul palco, allestito appositamente, accanto al sindaco Bourgeois ed al commissario Raincomprix, una decina di poliziotti, tutti in alta uniforme, erano appostati con in mano fucili con cui sparare in aria al momento della presentazione della scultura, avvolta in un telo giallo.
Tra i presenti vi erano anche alcune personalità di spicco: il famoso cantante rock Jagged Stone, la popstar Clara Nightningale, la chef pluristellata Marlena Cesaire, il produttore musicale Bob Roth insieme a suo figlio Xavier, anche lui cantante pop, e diversi imprenditori, commercianti, alte cariche statali. In prima fila era seduto anche il proprietario della principale emittente televisiva francese, Auguste Fabre, accanto alla famosa giornalista televisiva, Nadja Chamack. Come di consueto in questi importanti eventi, si notava l'assenza del grande stilista Gabriel Agreste, il quale preferiva seguire il tutto dal suo studio nella sua villa.
Nonostante la calca, Marinette ed Alya riuscirono a trovare un posto da cui seguire l'inaugurazione con un'ottima visuale sul palco.
«Guardala come si pavoneggia.» Alya indicò con lo sguardo una ragazza bionda con occhi celesti, seduta sul palco accanto al sindaco. Chloè Bourgeois, la figlia del primo cittadino, nonché compagna di classe di Marinette ed Alya. Al suo fianco, la sua inseparabile amica Sabrina, una ragazza dai capelli rosso mattone ed occhi verdi coperti da un paio di occhiali da vista, figlia del commissario Roger Raincomprix.
Marinette sventolò una mano. «Non pensare a lei, Alya. Tra qualche giorno dovremo tornare ad averci a che fare a scuola; almeno per oggi, cerchiamo di goderci la giornata ignorando la biondina viziata.» 
Durante la cerimonia presero parola il sindaco, il commissario e lo scultore Theo Barbot, autore della statua, la quale venne scoperta in breve tempo, in un tripudio di spari di fucili e lanci di coriandoli. 
Marinette era entusiasta della scultura che la raffigurava nei panni di Ladybug: facendo attenzione a non farsi vedere, aprì la sua pochette rosa da cui sbucò la testolina di Tikki, in modo che anche lei potesse vedere il monumento.
Il loro entusiasmo fu smorzato da una voce maschile proveniente dalle loro spalle: «Che cosa ridicola.»

Adrien scosse la testa, con un sorriso sprezzante dipinto sul volto, poi, rivolto all'inseparabile amico Plagg, senza curarsi di abbassare il tono della sua voce per esprimere quel commento, strizzato nella folla in delirio, che era rapita dal monumento all'eroina di Parigi, sbottò: «È ridicolo! Tutta questa gente riunita, tutto questo putiferio per una ragazzetta che sembra vivere in eterno il carnevale. Non lo sa che questa ridicola festa cade solo in un periodo dell'anno e non per tutti i 365 giorni? Quella statua è solo la manifestazione di questa stupida gente che ama vivere nella banalità, nella superficialità, nella fantasia. Stupida proprio come Ladybug. Lei è solo un'utopia, un personaggio delle fiabe, una bambina che è troppo grande per giocare con le bambole e allora si illude di catturare semplici ladri di polli.»
Abbassò lo sguardo disgustato, passandosi una mano fra i capelli con alterigia. Plagg era scioccato dal comportamento dell'amico: non aveva mai assunto prima di allora un simile atteggiamento e di certo non si aspettava di vederlo dinnanzi a tanta gente.
Alya, che nel frattempo era intenta a riprendere la cerimonia con il suo cellulare, si voltò furiosa dalla parte di Adrien; aveva sentito tutto e con i grandi occhi ricolmi di rabbia lo fulminò, rispondendogli a tono. «Ma come ti permetti di dire certe cose... Come ti permetti di offendere una grande eroina che vive per il bene, la giustizia, che rischia la vita per la serenità e l'incolumità dei parigini?»
Anche Marinette si voltò, un po' imbarazzata dalle urla dell'amica, e tentò di calmarla e di farle abbassare la voce, dato che tutte le persone intorno a loro le guardavano con rimprovero perché volevano seguire la cerimonia senza fastidi.
Alya non sentì la preghiera di Marinette a tacere, intenzionata com'era a difendere il suo idolo. La dolce ragazza dagli occhi azzurri e capelli corvini era doppiamente in ansia dato che il soggetto della discussione era proprio lei. Arresasi all'idea che l'amica non si sarebbe tirata indietro dal difendere l'eroina, nemmeno sotto tortura, si limitò ad ascoltare la risposta di quel bel ragazzo biondo che la osservava con enorme tranquillità e freddezza con uno sguardo glaciale e commiserabile nei loro confronti.
«Quanto sei ingenua: anche tu credi ancora nelle favole.» disse Adrien con un tono di superiorità. «Ladybug non combatte il vero crimine, la vera ingiustizia che toglie le madri ai loro figli, che uccide persone innocenti, che sevizia esseri indifesi.»
Resosi conto del tono che stava assumendo la conversazione e spaventato dall'eventualità che il ragazzo potesse perdere le staffe, Plagg tentò di calmarlo prendendolo per un braccio cercando di scuoterlo e ridimensionarlo.
Adrien lo guardò negli occhi inarcando il sopracciglio: intuendo le intenzioni dell'amico, il biondo girò lo sguardo verso le due ragazze che lo fissavano con un'espressione a metà tra lo sbigottito e il risentito e, abbozzando un sorriso tirato, si rivolse a loro con garbo: «Chiedo scusa, credo di aver esagerato con i toni. Resto comunque della mia idea su questa manifestazione su quel buffo e alquanto inutile personaggio di Ladybug.»
Alle parole "buffo e inutile", Marinette sentì la rabbia ribollirle nel sangue che le salì alle guance arrossendogliele: ripensò a tutte le volte che aveva rischiato la vita, che l'avevano minacciata e anche cercato di ucciderla, a tutti i sacrifici che faceva per essere Ladybug e a tutto quello cui doveva rinunciare della sua vita di giovane donna per dedicarsi alla sua missione. Così, senza pensarci due volte, strinse i pugni, batté i piedi per terra e inveì contro quel presuntuoso, irritante ed arrogante.
«Marinette, calmati.» sussurrò Alya, spaventata dalla reazione innaturale dell'amica.
«Misuri le parole damerino impomatato...» Marinette gli puntò l'indice contro. 

Prima di riuscire ad urlagli contro tutto ciò che le veniva in mente, per umiliarlo ed offenderlo come lui, pur non sapendolo, aveva fatto con lei, una voce strillante si levò dal palco. «Ma quello è Adrien Agreste, il famoso top model!» urlò Chloè, su di giri alla vista del biondo. 

Tutti si voltarono nella direzione indicata con fin troppo entusiasmo e trasporto dalla figlia del sindaco, piuttosto seccato di essere stato interrotto durante il suo discorso: avrebbe perso il filo rimediando una figuraccia non sapendo più continuare e sarebbe dovuto ricorrere ai suoi appunti.
Giornalisti, telecamere, microfoni si fiondarono tutti su Adrien, incuriositi dalla sua presenza all'evento snobbato dal padre; il bodyguard del giovane Agreste si frappose tra la folla e il modello impedendo a quei petulanti giornalisti di avvicinarsi.
Marinette era annichilita con ancora la bocca aperta dalla quale non usciva più un suono, mentre Alya, con espressione furba ed ammiccante gridò, consumando la sua vendetta per quell'irriverente: «Signor Sindaco, questa star internazionale è venuta apposta oggi per omaggiare l'altra nostra celebrità di Parigi! Non è meraviglioso?» Si voltò trionfante verso Adrien che la guardava impotente, irritato e sorpreso da quella mossa.
Illuminata dall'idea dell'amica, Marinette decise di prendersi la sua personale rivincita sul giovane modello; approfittando della confusione, si allontanò raggiungendo un posto nascosto e chiese a Tikki di attivare la trasformazione in Ladybug.
Con un'entrata trionfale, accompagnata dalle urla di gioia della folla, l'eroina in rosso apparve sul palco accanto al sindaco che la salutò con solerzia e gentilezza, seppur sorpreso dalla sua presenza.
«Mi perdoni sindaco Bourgeois.» Ladybug sorrise. «So di averle detto che non sarei intervenuta per la cerimonia, ma proprio all'ultimo ho deciso di non deludere i cittadini di Parigi.»
Il sindaco la ringraziò. Invitò Agreste a salire sul palco accanto a loro. 

Adrien non potette far altro che accettare l'invito anche se controvoglia, mantenendo comunque un'espressione seria e distaccata; Plagg osservava stupito, ma anche divertito, la scena mentre Alya riprendeva tutto con il suo cellulare soddisfatta e curiosa di cosa avrebbe detto quell'insolente, tanto che non si accorse nemmeno dell'assenza dell'amica.
Salito sul palco, Adrien si ritrovò di fronte la mano tesa di Ladybug, che lo guardava con un leggero sorriso malizioso; il biondo, senza mostrare alcun tipo di disagio, strinse la mano dell'eroina posando insieme a lei per i fotografi, estasiati per il materiale che stavano raccogliendo.
Marinette, da dietro la maschera che le copriva il volto, si sentiva scoppiare per la soddisfazione anche se, doveva ammetterlo, non riusciva a non essere rapita dagli occhi verdi del ragazzo. Allontanò subito questo pensiero dalla testa, visto che riteneva quel giovane troppo antipatico, superbo, vanesio e arrogante.

L'intera scena attirò talmente l'attenzione dei presenti che nessuno si accorse di un'assenza importante: Nadja Chamack, infatti, si era dileguata raggiungendo una limousine bianca, parcheggiata ad un paio di isolati dalla piazza. Salita a bordo, del tutto inosservata poiché la strada era del tutto deserta, si accomodò sul divanetto in pelle nera, osservando con discreta apprensione l'uomo seduto di fronte a lei.
«Mi ha sorpreso la tua chiamata.» Si portò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio. «Di cosa si tratta?»
L'uomo non rispose, indicando con un leggero movimento della testa un piccolo televisore che trasmetteva l'evento in piazza. Un ghigno malefico si disegnò poi sul suo volto; benché fosse in ombra, la giornalista riuscì a vedere quell'espressione nitidamente, provocandole un brivido freddo lungo la schiena.
Rivolgendosi a lei, l'uomo disse: «È il momento di agire. Uccideremo Ladybug.»


Angolo autore:
Salve gente!
Con qualche difficoltà sono riuscito a pubblicare in tempo il nuovo capitolo. 
Ho a lungo cercato un modo originale per far conoscere i nostri protagonisti nei loro panni civili e devo ammettere che il risultato finale mi ha soddisfatto parecchio.
Come sempre ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa storia e vi do appuntamento quanto prima per il prossimo capitolo.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 

Tornato a casa, Adrien ignorò i saluti rivolti dai domestici e da Nathalie, stizzito da ciò che era successo durante la cerimonia. Come se non bastasse, anche Plagg ci aveva messo del suo, ridendosela di gusto fin da quando avevano lasciato la piazza.
Alya, tra l'altro, non aveva perso tempo ed aveva subito caricato sul suo blog le riprese fatte, dedicando un intero articolo al video che riprendeva il modello biondo posare insieme a Ladybug, sottolineando quanto lui la ammirasse nonostante si trovasse da poco a Parigi.
Adrien ricorse a tutto il suo autocontrollo per non spaccare in due il cellulare che Plagg gli aveva messo sotto al muso una volta trovato l'articolo su Internet, prendendo lunghi respiri profondi per tranquillizzarsi senza però riuscirci del tutto.
«Hai finito di sghignazzare o ne hai ancora per molto?»
«Ehi, devi ammettere che quella ragazzina con gli occhiali ti ha messo nel sacco.» Plagg  si asciugò con un fazzoletto le lacrime dovute alle risate. «Un bel peperino anche la dolce pasticciera. Devo dire che non mi aspettavo fosse così energica.»
«La pasticciera?» domandò Adrien perplesso.
«Sì, la ragazza con lo sguardo come l'oceano e i capelli corvini. Marinette mi pare l'abbia chiamata la sua amica. È la pasticciera che mi ha venduto le prelibatezze dell'altro giorno. Carina vero?» Plagg continuava a divertirsi, stuzzicando il suo amico, spesso piuttosto restio a parlare di ragazze, visto che, la maggior parte delle volte, queste cadevano ai suoi piedi, affascinate dalla sola vicinanza con un modello internazionale; quella volta, però, non era stato così, tutt'altro.
Adrien decise, comunque, di non rispondere alle provocazioni di Plagg, pur essendo conscio che l'amico non aveva torto nel giudicare quella ragazza.
«Piuttosto...» cambiò discorso, «lunedì inizia la scuola e il pomeriggio, a giorni alterni, avrò lezione di scherma nella palestra. Lo studio e queste attività potranno essere utili come copertura.»
«A proposito, hai deciso come si chiamerà il tuo alter ego mascherato?»
«Non ho tempo per queste sciocchezze, Plagg.» alzò la voce, alterandosi. «Non sono un fenomeno da baraccone come quell'insetto rosso.» Agitò nell'aria le braccia.
Se in un primo momento Plagg fu sorpreso dall'inaspettata reazione di Adrien, dopo capì che lo scherzetto organizzato da quella volpe con gli occhiali e capelli castani lo aveva colpito nell'orgoglio ed ancora non era stato del tutto metabolizzato. Così, lo lasciò solo a sbollire la rabbia.

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«Marinette, sbrigati! Farai tardi il tuo primo giorno di scuola.» Sabine diede la sveglia alla figlia, ritardataria cronica.
«Arrivo, mamma» rispose Marinette con voce assonnata. «Non posso credere che sto iniziando un nuovo anno insieme a quella bambina viziata di Chloè.» Scese le scale dalla sua camera al salone da pranzo col volto imbronciato. «Sembra che darmi fastidio sia il suo sport preferito, come se glielo avesse prescritto il dottore.»
Sabine si avvicinò alla figlia e le accarezzò amorevolmente il capo, scoccandole un bacio sulla fronte. «Marinette, stai per affrontare l'ultimo anno di scuola. Vedrai che Chloè capirà che è giunto il momento di crescere.»
«Speriamo...»
«Ora va, non voglio che tu faccia ritardo.»
Marinette salutò la madre con un caloroso abbraccio, poi decise di passare per la pasticceria in modo da salutare suo padre. Tom Dupain, come ogni mattina, preparò un vasto assortimento di dolci; era un uomo dalla stazza importante, molto robusto, occhi verdi e dotato di immensa bontà d'animo, tanto da ispirare simpatia in chiunque lo incontrasse. Aveva capelli corti castani, due enormi basette che scendevano fin sotto la mascella e, sotto al naso, dei folti baffi che gli conferivano un'aria da gigante buono.
Dopo aver salutato Marinette, abbracciandola con le sue possenti braccia, le consegnò una scatola di macarons di diverso gusto da dividere con i compagni di classe. 

Ringraziato il padre, Marinette raggiunse la scuola Francois-Dupont, posta proprio sul lato opposto della strada rispetto alla pasticceria Dupain-Cheng; davanti all'ingresso l'aspettavano Alya e il gruppetto di amiche della sua classe. Insieme entrarono nell'edificio, salendo le scale che le condusse al primo piano dove raggiunsero l'aula: una volta dentro, le ragazze si sistemarono ognuna al proprio banco.
Prima di prendere posto sulla panca in seconda fila, Marinette e Alya salutarono Nino, un ragazzo moro con spessi occhiali da vista, un paio di cuffie da dj appoggiate sul collo e, sulla testa, un cappellino rosso dal quale non si separava mai: era talmente legato a quel copricapo che un loro compagno di classe, Kim, aveva ipotizzato che fosse nato con quel cappello in testa.
Alya e Nino si scambiarono un casto bacio sulle labbra, sotto lo sguardo intenerito di Marinette: i due erano fidanzati da circa due anni e, senza saperlo, era stata proprio lei a spingerli l'uno nelle braccia dell'altra, quando, nei panni di Ladybug, li aveva chiusi insieme in un ripostiglio affinché fossero al sicuro, durante una crisi.
Mentre Marinette iniziò a distribuire i dolci del padre alla classe, Alya si rivolse al proprio compagno: «Non è ancora arrivata Chloè?»
Nino si portò una mano sotto al mento «No, ma credo che non tarderà ad arrivare. Alix ha detto che l'ha vista davanti all'hotel del padre insieme a Sabrina ed era parecchio su di giri.»

Come previsto dal giovane dj, infatti, una voce familiare echeggiò nel corridoio. In pochi istanti, la biondina fece il suo ingresso teatrale in aula, seguita come sempre dalla fida Sabrina.
«Quanti chili di trucco si è messa oggi?» domandò sottovoce Alya. 

Accorgendosi dell'ilarità, Chloè si fermò accanto alla cattedra e, rivolgendosi alla classe con altezzosità sentenziò: «Voi, cercate di non farmi fare brutta figura oggi con il nuovo arrivato. So che per voi sarà molto difficile.»
Tutti i ragazzi la guardarono perplessi, convinti che fosse il solito delirio di superbia della figlia del sindaco: nessuno, però, riuscì a controbattere poiché, poco dopo, dalla porta entrò un ragazzo biondo, sguardo serio ed impostato con un giubbotto di pelle nero e jeans azzurri.
Marinette ed Alya sobbalzarono alla vista del giovane, riconoscendolo come Adrien Agreste, quel ragazzo arrogante e vanesio che aveva ridicolizzato la figura di Ladybug pochi giorni prima.
Chloè si fiondò accanto a lui in un baleno, ammiccando e toccandosi i capelli biondi legati in una lunga coda. «Io sono Chloè Bourgeois. Sono la figlia di Andrè Bourgeois, sindaco di Parigi, e proprietario del più lussuoso hotel della città.»
Adrien non batté ciglio a quella presentazione, mentre in sottofondo si sentivano commenti ironici sul comportamento di Chloè. 

«Piacere, miss Chloè.» Adrien chinò il capo, poi si girò verso il posto libero accanto a Nino, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Chloè, irata per essere stata trattata con tale sufficienza.
Giunto nei pressi del banco, Adrien guardò per qualche secondo le due ragazze sedute nella fila dietro: riconobbe subito in Alya la ragazza che gli aveva tirato un brutto scherzo il giorno della cerimonia in onore di Ladybug, e in Marinette colei che aveva avuto una furiosa reazione, arrivando anche ad offenderlo. Dopo quel giorno, aveva ammesso a sé stesso che un po' si era meritato quella lezione, più che altro perché non avrebbe dovuto esternare in quel modo il suo pensiero su Ladybug, lasciandosi trascinare dalle sue emozioni. Lo stesso Plagg gli aveva consigliato di scusarsi con la ragazza dagli occhi azzurri, prendendo come scusa l'acquisto di dolci al formaggio.
Mentre Alya fissava il biondo con un ghigno trionfante, Marinette girò la testa di lato imbronciata, facendo intendere di non essere disposta a parlare con quell'arrogante figlio di papà.
Nino, invece, che della situazione aveva capito ben poco non essendo a conoscenza dello scherzetto ai danni del biondo orchestrato dalla sua fidanzata, accolse con grande entusiasmo il nuovo arrivato. «Ehi bro! Io sono Nino Lahiffe. Benvenuto!» Gli porse il pugno. 

Adrien inarcò il sopracciglio, sorpreso da quell'accoglienza calorosa. Ricambiò il saluto e si accomodò accanto al suo nuovo compagno.
«Tieni. Prendi uno di questi.» Nino gli offrì uno dei macarons distribuiti in precedenza da Marinette. «Li fa il padre di Marinette; assaggiane uno, ti aiuteranno ad affrontare meglio la giornata.»
Adrien ringraziò Nino. Gettò una rapida occhiata alle sue spalle in direzione della ragazza dagli occhi azzurri seduta dietro di lui. Quando assaggiò il pasticcino offertogli, capì il perché Plagg tenesse tanto a voler acquistare dolci in quella pasticceria, ritenendo che avesse un sapore sublime.

La giornata scolastica trascorse velocemente; su Parigi si era abbattuto un violento temporale che proseguì anche nel pomeriggio. Marinette si era trattenuta nella biblioteca della scuola per una ricerca personale su usi e costumi dell'epoca vittoriana; uscendo dall'edificio, si accorse di non avere l'ombrello e, a causa della violenza dell'acquazzone, decise di trattenersi sotto l'arcata dell'ingresso, nonostante il tratto da percorrere per tornare a casa fosse breve.
«Guarda, guarda. La piccola pasticciera Dupain-Cheng.» Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare; si girò di scatto ritrovandosi, a pochi passi da lei, un ragazzo bruno, corporatura massiccia ed espressione poco raccomandabile.
«F-Florian, c-che ci fai qui?» balbettò Marinette, spaventata dalla vicinanza con quel tipo. Florian Leplume era conosciuto in tutto l'istituto: di un paio di anni più grande dei ragazzi dell'ultimo anno, avendo perso 2 anni scolastici per la sua condotta, era solito assumere atteggiamenti prepotenti e sgarbati con tutti gli studenti, ritenuti da lui "inferiori", minacciandoli anche nel caso avessero voluto denunciare questi comportamenti al preside. Gli unici studenti cui Leplume non osava avvicinarsi in orari scolastici erano proprio i ragazzi della classe di Marinette per merito di Chloè, la quale, in un raro momento di altruismo, si pose a difesa dei suoi compagni di classe contro Leplume, ostentando la sua parentela con il sindaco.
In quel momento, però, Marinette era sola e Florian aveva colto subito l'occasione per avvicinarsi a quella che riteneva una delle più attraenti ragazze dell'istituto: si avvicinò a piccoli passi verso la corvina, con un ghigno dipinto sul volto, mentre Marinette arretrò fino a ritrovarsi spalle al muro, con gli occhi lucidi e il respiro affannoso. Per un attimo, pensò di ricorrere al potere del Miraculous per liberarsi di quel tipo, che la afferrò per un polso stringendoglielo.
«Cerca di rilassarti ragazzina, vedrai che ti divertirai anche tu.» le disse Florian.
«Lasciami.»La voce di Marinette era ridotta ad un sussurro per la paura.
Proprio quando Tikki era pronta ad intervenire in aiuto dell'amica, ignorando ogni precauzione riguardo il loro segreto, una mano si poggiò sulla spalla di Florian.
«Non mi sembra che le tue attenzioni siano gradite.» 

Florian si voltò, ritrovandosi Adrien Agreste che lo fissava con sguardo glaciale stringendo forte la mano sulla spalla del bullo.
«L-Lasciami damerino.» Florian si piegò su una gamba, straziato dal dolore provocatogli da quella stretta. 

Adrien aumentò ancora di più la presa, spingendo Leplume a lasciare il polso di Marinette. Prima che Florian riuscisse a reagire, Adrien lo tirò per la spalla e, con una rotazione del corpo, lo sbatté a terra, a diversi metri da lui.
Florian, dolorante alla spalla, sollevò lo sguardo da terra incrociando quello fulminante del modello che tuonò: «Se non sparisci nel giro di cinque secondi, ti assicuro che la spalla sarà l'ultimo dei tuoi problemi.»
Leplume accennò una reazione, ma poi decise di rinunciare, capendo di non avere molte speranze in uno scontro fisico col biondo: oltre ad essere diversi centimetri più alto, Adrien era riuscito a metterlo giù utilizzando solo una mano e non sembrava aver fatto chissà quale sforzo. Così, sbuffando e lamentandosi del dolore alla spalla, si dileguò nella pioggia.
Adrien si girò verso Marinette, ancora scioccata per quella disavventura, e, con garbo, le porse la mano. «Ti accompagno a casa, Marinette.»
Non lontano da lì, al di là della strada, un uomo, sotto ad un ombrello nero, li osservava pensieroso, massaggiandosi il pizzetto: Wang Fu.


Angolo Autore:
Salve gente!
Con un po' di ritardo, ecco il nuovo capitolo. 

Adrien ha affrontato le conseguenze del suo comportamento alla cerimonia; riuscirà a conquistare il perdono di Marinette dopo averla aiutata? Lo scopriremo presto ;) 
Come sempre, ringrazio tutti voi che state seguendo la storia e vi auguro un buon week-end.
A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

«Stai bene, Marinette?» chiese Adrien, preoccupato per la ragazza, la quale era lì pietrificata a fissare la mano tesa del biondo. Non ricevendo nessuna risposta, Adrien poggiò la mano sul braccio di Marinette, che, risvegliata dallo stato di trance da quel gesto, reagì: senza pensarci, abbracciò Adrien che, seppur sorpreso da quella reazione, ricambiò. Fu in quel preciso istante che il biondo avvertì una sensazione che non provava da anni: l'unica persona a provocargli quell'effetto era stata fino ad allora la madre Emilie.
Rimasero per qualche minuto abbracciati sotto il portico della scuola: Marinette riuscì a tranquillizzarsi tra le braccia di Adrien, il quale restò inebriato da quella bellissima emozione che aveva scaldato il suo cuore gelido.
Si staccarono contemporaneamente, fissandosi negli occhi: verde smeraldo nell'azzurro oceanico.
Resasi conto solo in quel momento del gesto istintivo appena compiuto, Marinette abbassò lo sguardo, mentre le sue guance assunsero un'intensa colorazione cremisi. Dal canto suo, Adrien fu lesto a ricomporsi, riassumendo la sua solita espressione seria: con un rapido movimento della mano, aprì il suo grande ombrello nero e, con un gesto galante degno di un vero gentleman, porse il braccio alla ragazza rinnovando l'invito di accompagnarla a casa, indicando con lo sguardo l'automobile bianca, fermatasi pochi minuti prima davanti all'istituto.
«G-Grazie, m-ma la mia s-scuola, cioè... la mia casa è proprio qui... lì!» balbettò Marinette profondamente imbarazzata. Indicò la pasticceria dei suoi genitori. Adrien si diede mentalmente dello stupido, ricordandosi solo in quel momento di quanto Plagg gli avesse parlato della bella pasticciera, riconoscendola poi, qualche giorno prima, nell'energica corvina dagli occhi azzurri. Senza scomporsi, fece un cenno all'autista e si rivolse a Marinette: «Ho notato che sei senza ombrello. Lascia che ti accompagni fino all'ingresso della pasticceria. Dopo questa piccola disavventura sarei più tranquillo a lasciarti al sicuro e soprattutto all'asciutto.»
Marinette appoggiò il suo braccio su quello di Adrien e, insieme, camminarono sotto la pioggia coperti dall'ombrello nero, raggiungendo, in poco tempo, la pasticceria Dupain-Cheng.
Durante il breve tragitto, Marinette tenne lo sguardo basso, nel tentativo di non incrociare quello di Adrien e soprattutto affinché il biondo non notasse il rossore delle sue guance; Adrien, invece, teneva sempre lo sguardo dritto di fronte a lui, con il suo solito portamento elegante, così com'era stato educato fin da piccolo.
«G-Grazie, A-Adrien...» sussurrò Marinette, tenendo sempre lo sguardo lontano da quelle ipnotiche iridi smeraldine. «Per tutto.»
«Devo scusarmi con te, Marinette. L'altro giorno mi sono comportato da vero cafone con te e con la tua amica Alya.» spiegò Adrien. «La verità è che invidio i cittadini di Parigi. Se si trovano in difficoltà hanno Ladybug, sempre pronta ad intervenire per aiutarli. Mia madre, invece, non è stata così fortunata: 5 anni fa è stata uccisa senza pietà proprio davanti alla nostra villa... Nessuno l'ha aiutata, nessuno ha visto nulla. È morta da sola. E il giorno in cui ho perso lei, ho perso anche mio padre.»
Era la prima volta che Adrien si confidava così con qualcuno: lui stesso se ne stupì, ma poi realizzò che, in qualche modo, Marinette aveva lasciato il segno con quell'abbraccio così spontaneo. Di lei si poteva fidare, ne era certo.
Dopo un attimo di stupore, Marinette gli accarezzò il braccio. Sorrise alzando lo sguardo: non disse nulla, ma a lui fu chiaro che era stato già perdonato.
«Posso offrirti qualcosa?» chiese Marinette. Iniziava a prendere confidenza, anche se le sue guance restavano dello stesso colore della tuta di Ladybug.
«Magari potrei giustificare il mio ritardo con Plagg, portandogli una cheesecake come quella che ha comprato l'altro giorno, quando ti ha praticamente svuotato la pasticceria.»

Marinette ridacchiò. 

Adrien inarcò le labbra in un sorriso: non era quello finto e forzato che regalava alle fotocamere durante i suoi servizi fotografici, stavolta era un sorriso sincero e genuino.
Una chiamata sul suo cellulare distolse la sua attenzione da Marinette: Plagg lo avvertiva di un'importante urgenza e reclamava immantinente la sua presenza a casa.
«Parli del diavolo...» Adrien ripose il cellulare nella sua tasca. «Devo andare ora.» Sospirò. «Ci vediamo domani a scuola, Marinette.»
Si chinò in avanti, scoccando un leggero bacio sulla guancia di Marinette: in quel preciso istante, il volto della corvina assunse tutte le sfumature di rosso possibili.
«A d-d-dom, a dima.... A-a d-domani, A-Adrien, m-ma perché balbetto?» farfugliò Marinette, mentre Adrien era lontano ed era già salito sull'automobile.
Tikki, che aveva assistito a tutta la scena, consolata dall'arrivo provvidenziale di Adrien in un momento di estrema difficoltà, non disse nulla, preferendo lasciare la sua amica con i suoi pensieri, ben consapevole che la freccia di Cupido aveva fatto centro nella bella ragazza.
Solo una volta salito in auto, Adrien si rese conto del gesto che aveva appena compiuto, stupendosi ancora una volta di quanto fosse naturale per lui comportarsi in quel modo con Marinette, nonostante la conoscesse da pochissimo.

Tornato a casa, Adrien incrociò Nathalie nel corridoio, affermando di essersi attardato a conoscere meglio il nuovo istituto. Giunse in camera, dove lo attendeva Plagg con un'espressione imbronciata.
«Si può sapere dove sei stato finora? La scuola è finita un'ora fa.» chiese prorompente.
«Mi sono attardato con Marinette.» Un velo di imbarazzo nella voce. 

Plagg sul momento non fece caso a quello strano tono, preso com'era dalla notizia da dare al biondo. «Accidenti, amico. Ci sono grosse nov... Hai detto Marinette?» La sua espressione cambiò di colpo una volta realizzato il soggetto citato dall'amico. «Hai preso qualche dolce?»
«Plagg!» Adrien si portò una mano al volto con esasperazione, ancora con il pensiero rivolto verso gli occhi azzurri di Marinette.
Plagg alzò le mani. «Ok, ho capito. Niente dolci squisiti per oggi. Ma mi spieghi quella strana luce nei tuoi occhi quando hai pronunciato il nome "Marinette" e quello strano tono di voce che hai usato?» 
Adrien tentò di nascondere l'imbarazzo di quella domanda cambiando argomento: «Quali sono le novità di cui mi vuoi parlare?»
Plagg socchiuse gli occhi, sospettoso. «Tu non me la racconti giusta biondino.» Continuava a scorgere nello sguardo di Adrien un bagliore che non vedeva da tempo. «Avanti dimmi cosa è successo.»
«Un tizio della scuola l'ha aggredita davanti all'ingresso.» spiegò Adrien. «L'ha afferrata per il polso e chissà cosa aveva intenzione di farle. Era terrorizzata, potevo leggere il panico nei suoi occhi.»
Plagg immaginò la scena. «E tu ovviamente sei intervenuto.» Conosceva bene il suo amico: da anni non pensava ad altro che al suo ritorno a Parigi, per onorare e vendicare la morte della madre, ma non si era mai tirato indietro dall'aiutare le persone in difficoltà, dimostrando di avere un animo buono.
«Non potevo starmene lì a far nulla. Avrei avuto il rimorso di non averla aiutata, conscio del fatto che avrei potuto farlo.»
«Quanto dolore ha sentito quel tizio?»
«Meno di quanto meritasse. Se si avvicina di nuovo a Marinette...» Adrien strinse i pugni.
«Se non è stupido, avrà già capito l'antifona. Come sta Marinette?» 
«L'ho riaccompagnata a casa. Le ho chiesto scusa per l'altro giorno e...» si fermò, ripensando a quel momento in cui si era sentito sereno, tranquillo, senza angosce che lo torturavano.
«E...?» sollecitò Plagg, curioso ed impaziente di sapere tutto.
«Le ho raccontato della mamma.» disse tutto d'un fiato Adrien.
«Tutto qua?» 
«Che ti aspettavi?»
«Nulla, nulla.» Plagg gesticolò con la mano e innalzò gli occhi al cielo. «Comunque, ti ho chiamato d'urgenza perché sono riuscito finalmente ad intercettare una telefonata di Lawrence. Ha organizzato per stasera un trasferimento di denaro contante da uno dei suoi depositi. Credi che qualcosa bolla in pentola?»
Adrien riassunse la sua solita espressione fredda, riportando subito la concentrazione sull'obiettivo. «Forse. Qualunque cosa sia, comunque, non è nulla che ci possa interessare. Ciò che è importante è puntare a quei soldi. Prepara l'equipaggiamento per stasera, Plagg. Si va in scena.»

                                                         ~~~~~~~~~~~~~~~


Henry Lawrence gestiva un'importante azienda di trasporti portavalori a Parigi: i suoi servizi erano molto richiesti e poco gli importava se la merce che portava a bordo dei suoi blindati era pulita o meno; per lui contava solo accaparrarsi una percentuale sul valore del trasporto o, in alcuni casi, dei piccoli favori non necessariamente legali.
Quella sera gli era stato commissionato un trasporto di ben 50 milioni di euro in contanti, custoditi in uno dei depositi da lui gestiti: come spesso accadeva per un lavoro importante, lo stesso Lawrence sovraintendeva il compito, partecipando attivamente alla consegna.
Una volta allestito il carico, Lawrence chiuse il portellone posteriore del furgone e salì a bordo insieme ad altri tre uomini della security. Prima che potessero partire, una freccia colpì in pieno la ruota anteriore sinistra, impedendo così al furgone di spostarsi; i tre uomini scesero dal veicolo impugnando i loro mitra ma, scrutando i paraggi oscurati dal buio della sera, non videro nessuno.
Anche Lawrence scese dal furgone. Si inginocchiò ed analizzò la freccia nera conficcatasi nello pneumatico; si rialzò con l'intenzione di ordinare ai suoi uomini di porre subito rimedio a quell'intoppo ma li vide tutti e tre a terra, trafitti anche loro da una freccia nera ciascuno. Spaventato, tentò di raccogliere subito uno dei mitra cosicché potesse difendersi, ma una figura incappucciata nera gli piombò alle spalle, afferrandolo per la nuca e sbattendogli il volto contro un lato del furgone, prima di assestargli una poderosa ginocchiata alla bocca dello stomaco. Lawrence si piegò sulle ginocchia per il dolore, poi alzando lo sguardo vide la sagoma dell'arciere incappucciato, scorgendo anche due intense luci verdi sotto quel cappuccio munito di becco ad uncino. L'incappucciato lo afferrò per il retro del colletto della sua giacca e lo trascinò sul retro del veicolo.
«Aprilo!» L'arciere indicò il portellone del furgone.
Lawrence sorrise sghembo, scuotendo la testa beffardo. «Sei veramente un idiota.» Rise di gusto, nonostante il dolore lancinante ed il sangue che scorreva copioso dal naso che macchiò la sua camicia bianca.
L'arciere sguainò la sua katana e la puntò alla gola di Lawrence e, con tono imperioso, ripeté: «Aprilo!»
Lawrence deglutì, sentendo la lama fredda sfiorargli la pelle del collo; si alzò claudicante e digitò una sequenza di numeri sul tastierino posto sul portellone. La combinazione fece attivare il meccanismo che spalancò le porte automatiche, rivelando una decina di borsoni neri ben sistemati nel vano.
L'arciere spinse a terra l'uomo, salì sul furgone ed aprì i borsoni contenenti numerose mazzette di banconote di piccolo taglio.

Lawrence ricominciò a ridere di gusto, rialzandosi. «Tu...» Sputò a terra. «Tu non hai idea di cosa stai facendo.»
L'arciere si voltò nella sua direzione e scese dal furgone dopo aver rovesciato all'interno del vano l'intero contenuto delle borse. 

«Sai a chi stai rubando quei soldi?»
L'arciere, imperturbabile, afferrò l'asta poggiata accanto alla faretra sulla sua schiena: premendo un bottone, questa si aprì trasformandosi in un arco. Estrasse una freccia con una punta molto più grande del normale e la puntò verso il vano del furgone. «Non li sto rubando.» Scoccò la freccia che esplose al contatto, incendiando il denaro.
Lawrence ebbe pochi secondi per realizzare quel gesto, poiché subito dopo l'arciere lo colpì con un pugno dritto sulla tempia, facendolo svenire.
Soddisfatto del suo lavoro, l'incappucciato mosse due passi per andarsene, poi si fermò di colpo, avvertendo una presenza alle sue spalle. «Ti avevo detto di non metterti sulla mia strada. Credevo che il messaggio fosse chiaro.» Voltandosi, non fu molto sorpreso nel vedere di fronte a lui Ladybug fiera nella sua posizione mentre impugnava il suo yo-yo, pronta ad usarlo per combattere.
«Si, ma io sono lenta a capire.» Ladybug sfoggiò un ghigno sfrontato.
«Allora farò in modo di essere più convincente.» L'arciere sguainò la katana. Rimase in silenzio, immobile, senza staccare lo sguardo dalla ragazza in rosso, la quale, a differenza di alcune sere prima, lo fissava con aria tranquilla e temeraria. Quegli attimi di attesa gli costarono caro, poiché, in breve tempo, una decina di auto della polizia a sirene spiegate lo circondarono; gli agenti, guidati sempre dal commissario Raincomprix, scesero dai veicoli e gli puntarono contro le loro pistole, intimandogli di posare l'arma ed arrendersi.
«Le tue scorribande finiscono qui, gattaccio nero!» esclamò Ladybug. «Togliti quell'orribile cappuccio e quella mascherina, così vediamo che aspetto hai.»
Con irriverente indifferenza, l'arciere ripose la katana nel fodero, continuando a fissare l'eroina; afferrò una piccola granata abbagliante dalla sua cintura e la gettò a terra, stordendo tutti i presenti. 

La più lesta a riprendersi fu Ladybug, che spiccò il volo nel tentativo di raggiungere e catturare l'arciere: purtroppo per lei, questi era svanito senza lasciare alcuna traccia. A nulla valsero i tentativi degli agenti, che pattugliarono l'intero isolato.
Ladybug atterrò sull'asfalto, accanto al commissario, ancora stordito dall'effetto della granata. «Maledetto gattaccio incappucciato!» Strinse i pugni.
«È lui che ha aggredito Murin, vero Ladybug?» chiese Raincomprix.
«Sì, l'avevo già incontrato quella sera stessa, ma ho evitato di parlarne con lei perché volevo raccogliere più informazioni.» Fu ben attenta a non rivelare anche del grande spavento provato quella notte.
«Questa volta sarà difficile nascondere il tutto alla stampa.»

Una squadra di soccorritori si occupò delle vittime dell'arciere. I vigili del fuoco si occuparono del piccolo incendio.
«Non lo faccia, allora.» rispose Ladybug. «Racconteremo tutto a Nadja Chamack. È giusto che i cittadini sappiano che in giro c'è questa minaccia. Gli daremo anche un nome noi, visto che lui non è stato così gentile da dirci il suo.»
«Che nome dovremmo dargli?»
Ladybug sorrise, dimostrando tutta la sua risolutezza, che riuscì a tranquillizzare il commissario, alquanto inquieto per quanto successo. «Che ne dice di "Chat Noir"



Angolo Autore:
Salve bella gente!
Vi avevo promesso tanta azione in questa storia e, in questo capitolo, in cui il nostro incappucciato ha mietuto la seconda vittima, ne avete avuto un piccolo assaggio. 
Ho preferito che fosse la stessa Ladybug a dare il nome all'arciere così da poter descrivere le reazioni di Adrien e Plagg quando lo sapranno. 
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che stanno seguendo questa fanfic e vi do appuntamento a venerdì prossimo con il capitolo 6.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 

Adrien non era riuscito a dormire molto: si era attardato a fissare un punto fisso del muro di camera sua, una volta tornato a casa passando, come qualche sera prima, dalla finestra.
Stavolta era lui ad essere impressionato dall'incontro con Ladybug: la prima volta gli era sembrata una ragazzina fragile e spaventata, alla sua mercé. Quella sera, invece, Ladybug incarnava l'immagine dell'eroina di Parigi così come i suoi numerosissimi fan la dipingevano: spavalda, fiera, sicura di sé. Rifletté a lungo sul da farsi, convinto che Ladybug sarebbe stata una pericolosa spina nel fianco nel perseguimento dei suoi obiettivi.
Aveva reagito anche in maniera piuttosto stizzita quando, sulla via del ritorno, Plagg gli aveva detto, tramite l'auricolare, "Te l'avevo detto io". Da quel momento, non aveva più parlato con l'amico: pigro com'era, si era addormentato prima che il biondo tornasse alla villa e non si sarebbe svegliato prima di mezzogiorno, solo per rimpinzarsi di Camembert e, magari, fare qualche battuta irriverente su quanto avesse ragione riguardo la supereroina.

Anche Marinette aveva dormito ben poco quella notte: era fiera di sé stessa per aver affrontato in quel modo l'arciere, ma non riusciva a capacitarsi del modo in cui era riuscito a sfuggirle.
Nonostante tutto, Tikki l'aveva rincuorata, sicura che la volta successiva sarebbe riuscita a mettere le catene a quel gattaccio; non aveva fatto nessuna domanda riguardo il nome dato a quell'arciere, ben consapevole di essere stata lei stessa a spingere inconsciamente la sua portatrice a pronunciare quell'appellativo.
Le poche ore di sonno, comunque, costarono a Marinette mezz'ora di ritardo a scuola: per sua fortuna, la professoressa Bustier fu indulgente e chiuse un occhio, con la promessa di fare più attenzione in futuro.
Marinette raggiunse il suo posto, tra le risatine dei compagni e i commenti sarcastici di Chloè, incrociando per un attimo lo sguardo di Adrien: il biondo, con la sua solita espressione fredda e seria, fece un leggero cenno col capo a mo' di saluto. Le guance di Marinette si colorarono di un intenso rosso porpora. 

La sua reazione non sfuggì all'occhio attento della compagna di banco, Alya che con sguardo indagatore spinse con l'indice gli occhiali sul naso. «Come mai le tue guance sono più rosse del costume di Ladybug?»
Marinette sgranò i suoi occhi azzurri toccandosi le guance con entrambe le mani e notando quanto fossero accaldate. «N-Non lo s-so. Forse sono un po' influenzata.»
La professoressa, infastidita da quel chiacchiericcio, batté le nocche sulla cattedra nel tentativo di silenziare la classe.
Dopo qualche minuto di silenzio, Alya tornò a guardare la sua amica, stavolta con un leggero ghigno malizioso. «Non è che hai subito il fascino del bel biondo arrogante?» Trattenne una risatina ed indicò con lo sguardo la schiena del modello seduto davanti.
«Cosa?» urlò Marinette, alzandosi di colpo dalla sedia. 

Tutti gli alunni risero, fatta eccezione per Alya, Nino e Adrien, il quale si girò indietro incuriosito.
«Marinette! Se arrivi in ritardo abbi almeno la decenza di non disturbare la lezione!» la rimproverò la Bustier.
Imbarazzata, Marinette si guardò in girò; nel momento in cui si accorse di avere lo sguardo di Adrien piantato su di lei, sprofondò sulla sedia, borbottando delle appena comprensibili scuse alla professoressa, con la testa incassata nelle spalle.
Quando la classe riacquistò la compostezza, Marinette si rivolse ad Alya: «A-Adrien n-non c'entra nulla. Sono solo un po' influenzata per aver preso la pioggia ieri e ho anche dormito poco.»
«Certo, certo.» 
Intuito di non aver per nulla convinto la sua amica, che, quando voleva, sapeva essere più acuta di un detective, Marinette le promise una spiegazione più esaustiva durante l'intervallo.

«Florian ha fatto cosa? Io lo strozzo a quello!» Alya agitò il pugno destro in aria con furore. 

Le due amiche si trovavano nel bagno delle ragazze, in quel momento deserto; Marinette tenne lo sguardo basso, ancora scossa al ricordo della precedente mattina. Nella sua mente trovò anche il tutto alquanto ironico visto che, la sera stessa, aveva affrontato con spavalderia l'arciere incappucciato.
«E dopo cos'è successo? Sei riuscita a fuggire?» domandò Alya con apprensione.
«È arrivato Adrien e... Mi ha difesa: ha preso Florian per la spalla e l'ha sbattuto a terra. Non so cosa sarebbe successo se non fosse arrivato lui...» Marinette aveva un'espressione più rilassata.
Alya sgranò gli occhi e fissò l'amica con la bocca aperta, quasi sconvolta da quella notizia. «Adrien?» chiese con voce squillante. «Adrien Agreste? Quel damerino superbo ed arrogante che ha osato insultare Ladybug?»
«Sì» sospirò Marinette con aria sognante. «Dopo si è offerto di riaccompagnarmi a casa e si è scusato per il suo comportamento dell'altro giorno. Non mi sono mai sentita così Alya; quando ho appoggiato la mia mano sul suo braccio credevo che sarei morta per l'emozione che provavo in quel momento.»
«Quindi avevo ragione!» Alya schioccò la lingua sotto al palato. «Un vero e proprio colpo di fulmine. Hai preso una bella cotta per il giovane modello Agreste; ecco perché sembravi in apnea prima, quando ti ha guardata.» Ridacchiò. 

Marinette non rispose alle parole dell'amica, limitandosi a volgere altrove lo sguardo e dando così conferma che Alya aveva centrato il bersaglio con la precisione di un cecchino.

La campanella sancì la fine delle lezioni; come un fulmine, Alya si precipitò al fianco di Adrien, travolgendo quasi Nino che si trovava proprio accanto a lui. «Ehi, Adrien. Marinette mi ha raccontato di ieri.»
Adrien non batté ciglio, mentre Nino, incuriosito, chiese: «Perché, cos'è successo ieri?»
Ignorando del tutto la domanda del suo ragazzo, Alya proseguì: «Volevo ringraziarti anche io ed offrirti un ramoscello d'ulivo per lo scherzetto dell'altro giorno. Pace?» Gli tese la mano.
«Quale scherzetto dell'altro giorno?» si intromise Nino, cadendo dalle nuvole. 

Adrien aggrottò le sopracciglia, poi, con garbo, strinse la mano di Alya, dichiarando con voce profonda ed impostata: «Pace.»
Alya si girò di scatto verso il fidanzato, scoccò un bacio sulla sua guancia e lo trascinò fuori dall'aula prendendolo per un braccio, mentre salutava con una mano Adrien e Marinette.
«Ma... Mi spieghi di che stavi parlando con Adrien?» insistette Nino infastidito dall'atteggiamento sibillino di Alya.
«Ti spiegherò tutto a casa. Ora zitto e cammina.» sussurrò Alya, una volta fuori dall'aula.
Adrien girò la testa incrociando gli occhi azzurri di Marinette; fece un passo nella sua direzione, con l'intenzione di riprendere il discorso interrotto il giorno prima e sincerarsi anche delle sue condizioni. 

Non fece in tempo, però, a pronunciare una sillaba che Chloè si avvinghiò al suo braccio e, con voce civettuola, disse: «Oh, Adrien caro! Per caso la quattrocchi ti ha dato fastidio?»
Adrien accennò ad una risposta, ma Chloè lo anticipò trascinandolo fuori dall'aula. «Vieni, non restiamo troppo vicini a questa gente o ci influenzeranno negativamente.»
Adrien fu infastidito dal comportamento della bionda ma, per questa volta, decise di assecondarla per non recarle offesa. Una volta usciti dall'istituto, Adrien si congedò con eleganza, mentre Chloè riuscì a strappargli la promessa di recarsi di tanto in tanto all'hotel Bourgeois per farle visita.
Tornato a casa, Adrien trovò nella sua camera Plagg su di giri. «Parlano di te alla TV!»
«Sarà per il mio arrivo a Parigi. Sono pur sempre il figlio di Gabriel Agreste» affermò Adrien con indifferenza.
«Non te modello. Te arciere.»
Adrien scattò come una molla, sedendosi accanto a Plagg sul divano.

Nadja Chamack commentava un'intervista fatta la sera prima a Ladybug insieme al commissario Raincomprix in cui l'eroina annunciava la presenza di questo misterioso arciere che si aggirava per le vie di Parigi seminando caos e terrore.
«Non so quale sia l'obiettivo di questo tipo che si veste con quel cappuccio nero e va in giro emulando un ibrido tra Robin Hood e un samurai...» disse Ladybug con scherno. «Comunque i cittadini possono essere sicuri che io farò tutto quello che mi è possibile per catturare Chat Noir.»
«Stiamo scherzando!?»Plagg si alzò furioso dal divano.
«Sta tranquillo, amico. Quella ragazzina non ha ancora capito con chi ha a che fare. Ma la prossima volta non sarò così gentile.»
«Chat Noir? Sul serio?» 

Adrien aggrottò le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare.
Plagg agitò le braccia nell'aria. «Non aveva nessun nome da darti? Ho passato 6 mesi per confezionare quel bellissimo costume, completo di katana ed arco, opportunamente modificato da me in modo che potesse essere facile da portare in giro, e quella ti paragona ad un banale gatto nero? È un insulto!» 
Adrien sospirò. «Il nome non è importante, Plagg. L'importante è che riusciamo nel nostro intento.»
«Black Panther? Non era meglio? Se proprio dovevamo chiamarti come un felino...»
«Già usato nei fumetti della Marvel.» Adrien si incamminò verso il bagno.
«Arrow?»
«È una serie televisiva della DC. Rassegnati e fatti piacere Chat Noir.»
«E va bene.» Plagg sbuffò. «Ma quando questa storia sarà finita, quella Ladybug mi sentirà.»
«Piuttosto, preparati per stasera.»
«Credi sia prudente agire a poche ore da questo servizio? La gente a cui dai la caccia potrebbe aver già preso delle contromisure.»
Sul volto di Adrien si dipinse un'espressione di sfida. «Meglio, sarà più divertente.»



Angolo autore:
Siamo al preludio alla tempesta. L'arciere, soprannominato Chat Noir per la gioia di Plagg, sta per entrare nuovamente in azione. 
Nel frattempo, anche Alya ha chiarito con il biondo, così da gettare le basi per una bella amicizia del quartetto.
Ringraziandovi, come sempre, per essere arrivati fin qui, vi auguro un buon week-end e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Anche questa volta, Plagg aveva avuto ragione: la villa del prossimo obiettivo era ghermita di uomini della sicurezza, armati e pronti a eliminare qualsiasi minaccia.
David LeMercier era un imprenditore franco-americano, conosciuto nell'industria dei trasporti transoceanici: era un uomo alto, sulla cinquantina, fisico snello e slanciato, capelli scuri. Aveva sempre un aspetto rilassato e sfacciato, come se avesse sempre la situazione sotto controllo. Anni prima, aveva rilevato l'azienda del padre, scomparso durante una spedizione nell'Atlantico; non essendo, però, pratico in campo finanziario, subì un pesante tracollo economico, così, per risollevare le sorti della compagnia, si gettò nel campo dello spaccio di stupefacenti tra il sud America e la Francia, diventando anche uno dei principali fornitori di Parigi.
L'arciere nero, noto ormai come Chat Noir, osservava la villa appostato sul tetto di un palazzo: l'edificio si trovava nella periferia della città ed era circondato da un enorme prato. Su tutto il perimetro vi erano uomini della sicurezza e diversi sensori di movimento pronti a suonare in caso di visite non gradite.
«Penetrare lì dentro non sarà tanto facile, Adrien, anzi Chat Noir.» osservò Plagg tramite l'auricolare. «Ti servirà un diversivo e i dardi tranquillanti che ti ho preparato.»
«So cosa fare.» Chat Noir puntò due frecce in un punto del prato e scoccò. Le due frecce si conficcarono nel terreno ed esplosero, illuminando i dintorni ed attirando l'attenzione degli uomini di guardia, che si precipitarono in massa sul posto.
Sfruttando la piccola finestra di tempo che si era creato, Chat utilizzò la freccia rampino per catapultarsi sul tetto della villa, evitando, così, i sensori.
«Ottimo lavoro, amico. Ora però dovrai pensare a quelli dentro.» disse Plagg, coinvolto nell'operazione come se facesse parte di un film di spionaggio.
Chat fece irruzione nell'edificio, stordendo un paio di uomini grazie ai dardi tranquillanti sparati con la piccola fionda allestita sul suo avambraccio destro: raccolse da terra un walkie talkie perso da una delle guardie messe al tappeto. Dall'altro capo, LeMercier iniziò a chiedere con insistenza: «Armand? Dammi aggiornamenti!»
Chat parlò nel walkie talkie. «Armand non c'è. Ma io sì.»
Furioso, LeMercier ordinò ai suoi sottoposti di attivarsi nella caccia all'incappucciato, tenendosi tre uomini accanto per scrupolo.
Chat, nel frattempo, continuò a stendere avversari sfruttando gli spazi stretti dei corridoi della villa che impedivano agli uomini di LeMercier di aggredirlo in gruppo, nonostante avesse terminato le scorte di dardi tranquillanti. Solo due uomini gli mancavano prima di raggiungere la stanza con all'interno il suo obiettivo: sfruttando la sua agilità, Chat utilizzò il muro come trampolino e si catapultò su uno dei due avversari, colpendolo con un potente calcio; poi, da terra, scoccò una freccia verso l'altro uomo, trafiggendolo all'altezza della clavicola. Facendo leva sulle braccia, tornò in piedi e sferrò tre pugni diretti, prima di estrarre la sua katana e puntarla alla gola dell'avversario. «Te la senti di morire per David LeMercier?»
«N-No.» sibilò l'uomo, con occhi spalancati ricolmi di terrore e la fronte grondante di sudore e sangue.
«E allora levati di mezzo.» Strattonò l'uomo, che si allontanò claudicante.
Chat proseguì attraverso un salone, fino a giungere nella stanza in cui lo aspettava sorridente beffardo, David LeMercier, seduto su una poltrona, con accanto tre uomini in piedi con i fucili puntati.
«Il famoso Chat Noir. Ti stavo aspettando.» disse LeMercier con un ghigno. «Sapevo che non ti saresti fatto attendere a lungo. Sai, io colleziono spade di tutti i tipi; avrò piacere di aggiungere la tua katana alla mia raccolta.»
Per nulla impressionato dalla reazione di LeMercier, Chat puntò la katana dritta di fronte a sé, indicando il suo bersaglio. «Scoprirai presto nuove forme di sofferenza.»
LeMercier schioccò le dita, richiamando l'attenzione dei tre uomini. «Uccidetelo.»
I tre uomini puntarono i fucili su Chat, che, in tutta risposta, lanciò con violenza inaudita la sua katana sulla gamba di uno dei tre, conficcandogliela all'altezza del ginocchio; con l'agilità di un vero gatto, saltò di lato, afferrando il braccio armato di un secondo uomo, puntando e sparando con il mitra di questi alle gambe del terzo che cadde a terra. Chat roteò il corpo, spezzando il braccio al secondo uomo, poi strinse forte la presa intorno al collo, facendolo svenire. Estrasse la sua katana dalla gamba dello sfortunato avversario e colpì sia lui che l'altro con due calci in stile taekwondo, mettendoli KO. Recuperata la posizione eretta, si ritrovò LeMercier in piedi di fronte a lui munito di spada, raccolta dalla sua personale collezione approfittando della confusione.
«Te la cavi gattaccio, te lo concedo.» disse con tono sfacciato. «Vediamo quanto sei bravo con quella lama.»
LeMercier sferrò un attacco dall'alto con la sua pesante spada; Chat riuscì a parare il colpo con la sua katana e, facendo scorrere la sua lama sull'altra, creò una piccola apertura per poter contrattaccare. Girò su sé stesso e lacerò il fianco di LeMercier, stando attento a non provocare ferite mortali; LeMercier si piegò di lato per il dolore, aumentando la stretta sull'elsa della spada e perdendo la sua aria strafottente. Conscio della sua superiorità, Chat gli tenne le spalle in postura eretta, invitando, quasi con scherno, il suo avversario ad attaccare per primo.
La rabbia, unita al dolore per la ferita, causarono la perdita di lucidità in LeMercier che, con un urlo furioso, tentò di sferrare un altro attacco: Chat, questa volta, si limitò a schivare il colpo, piegando il busto di lato. Colpì il suo oppositore con una gomitata in pieno volto, seguita da un potente calcio all'altezza della caviglia sinistra di LeMercier, che sbatté al suolo.
Chat si avvicinò al corpo di LeMercier, tremolante per la sofferenza e per la crescente furia, tenendo la katana sempre puntata verso di lui. «Sei tu che rifornisci di LSD gli spacciatori di Parigi?»
LeMercier ridacchiò, schernendo il suo contendente: cercò di rialzarsi, ma Chat gli bloccò un braccio in una morsa. La stretta fu tale che LeMercier fu costretto a mollare la presa sulla spada, sancendo la sua sconfitta. Con una rotazione del braccio, Chat catapultò di nuovo LeMercier a terra, ponendogli la medesima domanda.
«Preferisco morire piuttosto che concederti una confessione.» disse LeMercier beffardo.
Impassibile come sempre, Chat si chinò sul corpo dell'uomo, premendo forte col ginocchio sulla ferita al fianco, inferta poco prima. LeMercier urlò straziato per la sofferenza e, finalmente, si arrese dimostrando di non essere il duro che credeva. «D'accordo, d'accordo. Sì, rifornisco io i principali spacciatori a Parigi. La roba mi arriva tramite le spedizioni dal Sud America, opportunamente mascherate.»
«Tutto registrato, Chat Noir.» disse Plagg. «E... Inviata alla polizia. Ora vattene da lì.»
Chat colpì in pieno volto LeMercier, mettendolo ko e fuggì dalla villa, riuscendo ad evitare uno scontro con la polizia grazie alla sua freccia rampino.
«Siamo a tre.» disse Chat, una volta lontano da lì, in sella alla sua moto nera.
Plagg sbadigliò. «Torni a casa?» 
«Sì. Va pure a dormire, Plagg.»
 

                                               ~~~~~~~~~~~~~



Nei due mesi successivi, le apparizioni di Chat Noir furono più sporadiche. In tanti avevano adottato adeguate contromisure per evitare le aggressioni e il sindaco Bourgeois aveva istituito uno speciale corpo di agenti in modo che affiancassero Ladybug nelle sue ronde. Purtroppo per loro, l'arciere sceglieva con precisione certosina i suoi bersagli, riuscendo sempre a fuggire prima dell'arrivo della supereroina.
Marinette era molto seccata da questa situazione: era la prima volta nella sua carriera da Ladybug che si ritrovava un nemico così sfuggente e scaltro. Inoltre, il pensiero di deludere i cittadini di Parigi che tanto confidavano in lei le toglieva il sonno la notte.
Per sua fortuna, lei poteva contare sull'incoraggiamento della sua amica Tikki e su quello dell'inconsapevole Alya la quale non perdeva occasione per pubblicare encomi all'eroina sul suo blog.
Le due amiche si trovavano nella cameretta di Marinette ed avevano appena completato una lunga sessione di studio in coppia.
«Secondo te cosa vorrà questo Chat Noir?» chiese Alya, mentre sfogliava un fumetto di supereroi. «Insomma, sono due mesi che irrompe nelle case di gente anche piuttosto facoltosa, fa un po' di casino e scompare nel nulla.»
«Non lo so Alya...» Marinette sospirò. Era impegnata a ritagliare foto da giornali di moda.
«Cos'è quell'aria mogia? Non avrai mica paura di quel tizio vestito di pelle nera vero?» Alya si alzò dal divanetto sul quale era seduta. «Vedrai che Ladybug lo troverà e lo fermerà come ha sempre fatto.»
Marinette alzò la testa. «Lo pensi davvero?» 
«Ma che ti prende?» urlò Alya, che non riusciva a capacitarsi di come Marinette non avesse fiducia nella loro supereroina. Avvicinandosi alla scrivania dov'era seduta la sua amica, vide le riviste e, soprattutto, le foto che Marinette stava ritagliando.
Tutta la stizza di Alya svanì in un istante quando notò il soggetto ritratto: Adrien Agreste. Si sistemò gli occhiali sul naso e sorrise. «Ah ora capisco perché hai la testa tra le nuvole; stai pensando all'amore della tua vita.»
Marinette arrossì, incassando la testa nel collo. Per le sue amiche non era un segreto la sua infatuazione per il modello biondo, ma ogni volta che se ne parlava, lei non poteva fare a meno di imbarazzarsi, visto che, ogni volta che cercava di aprire un dialogo con lui, finiva sempre per balbettare frasi incomprensibili per poi fuggire con la testa bassa, lasciandolo spesso perplesso.
«Non capisco proprio perché ti comporti così, Marinette.» Alya le cinse il collo con un braccio ed appoggiò la testa sulla sua spalla. «Sei bella, sei simpatica, tutti ti adorano... Sei anche l'unica che tiene testa a Chloè in fatto di conquiste. Ti devo forse ricordare tutti i tuoi pretendenti da quando ci conosciamo? Allora: Nino, Nathaniel, Mark...» Si aiutò con le dita a tenere il conto dell'elenco.
«Ok, ok, Alya. Credo che il messaggio sia chiaro.» la bloccò Marinette, sempre più imbarazzata. «Non lo so perché, ma con Adrien è diverso. Lui è un top model Alya, guarda qua le ragazze con cui ha lavorato!» esclamò gettando sotto al naso dell'amica foto ancora non ritagliate che raffiguravano Adrien insieme a famose modelle in numerosi servizi. «Io non sono nessuno in confronto a loro.» 
«Hai mai pensato che forse a lui non interessano questo tipo di ragazze?»
«Il tempo che non passa a scuola o a lezione di scherma, lo trascorre all'hotel Bourgeois da Chloè...»
Alya si portò una mano davanti al volto. «Marinette...»
Non riuscendo a convincere l'amica a prendere coraggio e chiedere ad Adrien di uscire, decise di cambiare argomento, convinta di riuscire ad orchestrare uno dei suoi machiavellici piani per far avvicinare la corvina al biondo, facendosi magari aiutare dal suo fidanzato Nino, con cui il modello aveva stretto una profonda e sincera amicizia. «Cos'è quella busta lì?» chiese, indicando una lettera sistemata con cura sotto al monitor del computer di Marinette.
Marinette continuava a tagliuzzare tutte le immagini di Adrien che trovava sulle riviste, per poi appenderle con delle puntine da disegno sulla bacheca posta sul muro, alle spalle della scrivania. «È il risultato di un concorso a cui ho partecipato a giugno.»
«Un concorso per cosa?»
«Di moda. Il vincitore avrebbe avuto l'occasione di presentare un capo di abbigliamento creato e confezionato appositamente alla sfilata di moda che ci sarà tra due settimane.»
«E perché è sigillata?» Alya prese in mano la busta. «Non vuoi sapere se hai vinto?»
«Sarebbe inutile. So già di non aver vinto.» rispose Marinette. «Partecipavano ragazzi di tutta la Francia, sicuramente gente più brava e preparata di me.»
Alya alzò gli occhi al cielo, stavolta innervosendosi parecchio alla totale mancanza di autostima dell'amica. «Si può sapere che cos'hai oggi?» Agitò nell'aria la busta e la stritolò nella mano. «Hai fatto un'iniezione di sfiducia? Sei più mogia di Nino quando credeva di aver perso il suo cappello e invece la madre glielo aveva semplicemente lavato.»
Marinette non rispose, abbassò solo lo sguardo cercando di concentrarsi ancora di più sulle sue fantasie riguardanti Adrien. Alya non poteva saperlo, ma lei non poteva sopportare il fatto di non essere ancora riuscita a mantenere la promessa fatta ai parigini di fermare Chat Noir e tutto ciò le provocava tanta mancanza di autostima che, inevitabilmente, si riversava nella sua vita quotidiana.
Alya, irritata, strappò con un colpo secco la busta estraendo la lettera destinata alla sua amica; Marinette si voltò di colpo a quel gesto perentorio, ma non disse nulla, pensando che non fosse saggio ostacolare qualsiasi azione stesse facendo quella furia. Aspettò per qualche secondo con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta. 

Alya alzò di scatto lo sguardo, fissando Marinette con la stessa espressione rabbiosa che però lentamente si trasformò in un'espressione di gioia.
«Allora?» chiese impaziente Marinette, curiosa di conoscere il responso.
«Hai vinto.»


Angolo Autore:
Ci voleva un bel focus sulle abilità di Chat: non solo un preciso arciere, ma anche un eccellente spadaccino e combattente corpo a corpo. 
Ho pensato fosse necessario un salto temporale, altrimenti la situazione sarebbe ristagnata. Ora Marinette ha preso totale coscienza della sua infatuazione per Adrien, mentre Alya... Beh è la solita Alya.
Spero, come sempre, che il capitolo vi sia gradito e vi do appuntamento alla prossima settimana con l'ottavo capitolo.
A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 

La mattina, Plagg e Adrien erano soliti fare colazione nell'ampia sala da pranzo della villa; malgrado il modello non apprezzasse la freddezza che pervadeva quella stanza, arredata solo con un lungo tavolo rettangolare in vetro, circondato da una ventina di sedie, era ben felice di condividere quel momento insieme al suo amico. Non l'aveva mai ammesso, ma si divertiva molto a vederlo ingozzarsi delle più disparate pietanze e fare commenti, degni di un giudice culinario, sul sapore di esse.
Dal canto suo, Plagg non perdeva occasione per passare ad Adrien sottobanco dei croissant da consumare di nascosto dal padre o da Nathalie, per via della sua dieta ferrea da top model.
Quella mattina, entrambi rimasero alquanto scioccati nel vedere Gabriel Agreste, seduto a capotavola, consumare con serenità la sua colazione: fin da quando erano arrivati a Parigi, Gabriel non aveva mai fatto loro dono della sua compagnia durante i pasti, dunque, quello era un avvenimento eclatante.
«Buongiorno, Adrien.» salutò con voce impostata. «Plagg...»
Dopo aver scambiato una rapida occhiata interrogativa con l'amico e con la cameriera lì presente, Adrien prese posto ad un paio di sedie di distanza dal padre. Plagg fece lo stesso, accomodandosi di fronte al modello.
«Buongiorno, padre.» rispose Adrien in tono pacato.
«Ehi, Gabriel!» urlò Plagg, senza curarsi di mantenere il tono della voce basso. «Come mai oggi ci rendi degni della tua presenza?»
«Ho deciso di passare un po' di tempo con mio figlio, ora che ho sistemato diverse necessità dell'azienda. Come procedono le tue attività Adrien?» chiese, con il solito tono da corte marziale, mentre sorseggiava del caffè fumante dalla sua tazza.
Adrien non fu per nulla intimidito dal confronto con il padre. «Tutto bene. Inizialmente credevo che avrei trovato difficoltà ad adattarmi al nuovo paese, alle nuove abitudini; ma, con l'aiuto di Plagg, sono riuscito ad ambientarmi rapidamente.»
«E i suoi voti lo dimostrano.» si intromise Plagg. «È il migliore della classe...»
«E per quanto riguarda le tue amicizie?» Gabriel sollevò lo sguardo. «Sono stato informato che frequenti spesso l'hotel Bourgeois.»
Adrien e Plagg aggrottarono le sopracciglia, stupiti ma soprattutto curiosi di sapere dove Gabriel volesse andare a parare.
«Una mia compagna di classe abita lì...» disse Adrien.
Gabriel lo interruppe. «Chloè Bourgeois, la figlia del sindaco.» Guardò di sottecchi il figlio, il quale lo osservava con la solita espressione apatica, ma i suoi occhi esprimevano il suo stupore.
«Non guardarmi come se fossi un alieno, Adrien. In quanto personaggio di fama internazionale, è mio preciso dovere informarmi delle conoscenze di mio figlio, anche lui personalità di spicco nel campo della moda.»
Adrien sospirò: si era illuso che per una volta Gabriel potesse svolgere il ruolo di padre, interessandosi della sua vita lontano dai flash delle fotocamere, ma era stato solo un miraggio.
Il gesto del ragazzo non fu colto da Gabriel, troppo impegnato a discutere riguardo la compagnia della biondina, che lui conosceva bene avendo frequenti rapporti lavorativi con la madre; Plagg, invece, notò subito il turbamento dell'amico, comprendendone anche i motivi. Determinato ad aiutarlo, intervenne: «Comunque sappi che Adrien ha guadagnato numerose simpatie e stretto diverse amicizie a scuola e a scherma. E, fortunatamente, nessuno di loro fa più riferimento al fatto che sia un vip.»

Gabriel, stizzito per essere stato interrotto, osservò Plagg, cercando di far capire che quell'intromissione non era stata gradita. 

Plagg scrollò le spalle, segno che qualsiasi gesto dello stilista non lo turbava affatto.
Grato all'amico per il suo tempestivo contributo, Adrien si rivolse al padre: «Chloè è una ragazzina capricciosa e viziata. Sebbene sia convinto che ci sia del buono in lei, la sua compagnia non mi è benvoluta. Vado a trovarla solo per non essere scortese con lei e con il padre.» Terminò la colazione e si alzò. «Ora, se vuoi scusarmi, vado. Non vorrei fare tardi a scuola.» Si allontanò dalla stanza, scuotendo più volte il capo al pensiero di quanto il padre fosse egoista e calcolatore.
Gabriel osservò il figlio entrare nell'automobile dalla finestra della sala, poi si voltò rivolgendosi a Plagg. «Plagg...» il suo tono si fece più grave. «A New York, Adrien ha sempre ottenuto eccellenti risultati nelle attività fisiche, vero?»
«Direi di sì...» rispose perplesso Plagg. «Ha vinto due tornei di scherma e ha ottenuto anche la cintura nera di taekwondo. Il tutto riuscendo a mantenere una media voti alta a scuola e a presenziare a tutti i servizi fotografici. Devi essere molto orgoglioso di lui.»
Gabriel rimase in silenzio, pensieroso.

Plagg avvertì che quella domanda non era stata posta a caso e comprese che era opportuno cambiare argomento, per evitare che ci potessero essere dei collegamenti tra Adrien e Chat Noir. «Anche tu non scherzi, comunque. Sei molto più robusto rispetto all'ultima volta che ti ho visto. È evidente che entrambi avete trovato nell'attività fisica un modo per lenire il dolore, come io ho fatto con i miei progetti.»
Intuito il soggetto della discussione, Gabriel fulminò con lo sguardo Plagg, stringendo forte i pugni, adirato.
Plagg, però, non mostrò segni di turbamento: si alzò dalla sedia e si avvicinò allo stilista; nonostante non facesse attività fisica e sebbene la sua grande passione fosse abbuffarsi di alimenti ultracalorici, l'uomo aveva un fisico asciutto e slanciato ed era abbastanza alto da poter guardare dritto negli occhi monsieur Agreste.
Giunto ad alcuni centimetri da lui, gli poggiò una mano sulla spalla, mantenendo un'espressione seria ma visibilmente addolorata. «Non pensare di essere l'unico, Gabriel. Manca tanto anche a me.»
Girò i tacchi e lasciò la stanza, sotto lo sguardo accigliato di Gabriel. In quel preciso istante, Nathalie entrò nella sala ed attese qualche secondo, in piedi accanto al tavolo, un cenno di Gabriel, il quale mosse il capo in segno affermativo.

                                                                ~~~~~~~~~~

Alya era su di giri, quasi come se fosse stata lei a vincere il concorso; Marinette, invece, decise di adottare un moderato entusiasmo, contenta ma anche preoccupata al pensiero che una sua creazione sarebbe stata presto oggetto di giudizio da parte di importanti esperti nel campo della moda.
Entrate in classe, trovarono i compagni impegnati nelle solite attività prima di iniziare la giornata scolastica: Max e Kim parlavano di videogiochi con Nino; Rose, Juleka, Alix osservavano i disegni di Nathaniel; Ivan e Mylene ascoltavano la musica dallo stesso iPod; infine, Chloè curava le unghie delle mani con l'aiuto di Sabrina.
Alya si schiarì la voce, attirando l'attenzione dei presenti. «Ragazzi, ho una notizia importante per voi.»
«Alya, non è il caso.» le sussurrò Marinette.
«Lascerete finalmente la scuola tu e la Dupain-Cheng?» fu il commento pungente di Chloè.
Per nulla turbata da quelle parole, Alya proseguì: «Indovinate chi presenterà un capo di abbigliamento all'annuale sfilata per giovani promesse della moda. La nostra Marinette!»
Dall'aula si levò un coro di complimenti, applausi e fischi. Nonostante il leggero imbarazzo, Marinette non si tirò indietro a regalare un sorriso di ringraziamento ai compagni.
«Disegnerai uno degli stracci che indossi di solito?» chiese in tono provocatorio Chloè. Poggiò i suoi strumenti da manicure sul banco e si avvicinò a Marinette, travolgendo Sabrina. «È ridicolo, totalmente ridicolo. Sai che mia madre, la più famosa disegnatrice di abiti del mondo, Audrey Bourgeois, fa parte della giuria?»
Marinette ingoiò tutte le parole che avrebbe voluto dire in quel momento, per rispondere a tono alla sua rivale; Chloè aveva ottenuto l'effetto sperato, ovvero spaventarla.
Una voce maschile attirò la loro attenzione. «Complimenti, Marinette.» Adrien era lì, in piedi accanto alla porta nella sua solita postura eretta e fiera. Si avvicinò a piccoli ed eleganti passi al suo banco, tenendo fisso lo sguardo sulla bella Dupain-Cheng. «Non sapevo che sapessi disegnare capi d'abbigliamento. Sono curioso di vedere qualche tua creazione.» Si accomodò.
Alya colpì con il gomito il fianco di Marinette, che nel frattempo aveva smesso di respirare, incantata dall'apprezzamento del modello fatto nei suoi confronti.
Chloè, intanto, ribolliva di rabbia, furiosa delle attenzioni che Adrien rivolgeva esclusivamente a Marinette; anche Sabrina aveva notato l'interesse del biondo, il quale non si sforzava nemmeno tanto di velarlo, ma non osava proferire parola, spaventata da un'eventuale reazione furiosa di Chloè.

All'intervallo, Adrien chiese a Marinette quale sarebbe stato il tema della sfilata, convinto di poterle dare una mano con la sua esperienza, in qualità di modello.
Vedendo che l'amica non riusciva nemmeno ad abbozzare una risposta, Alya le venne in soccorso. «Abiti moderni, ispirati ad importanti epoche storiche.» Notando il volto stupito di Nino, proseguì: «Ho letto attentamente la lettera che hanno spedito a Marinette. Conosco ogni dettaglio; qualsiasi cosa pur di aiutare la mia amica.» Cinse il collo della corvina con un braccio e ricevendo un ampio sorriso di ringraziamento.
«Ho un'idea!» esclamò Adrien, anche lui impaziente di aiutare Marinette. «Perché domani non andiamo tutti insieme al Louvre? Sono sicuro che lì troveremo un'ottima ispirazione per il tuo disegno, Marinette.»
«Ottima idea, Adrien!» Alya scambiò uno sguardo d'intesa con Nino, che accettò l'invito seppur confuso dalla reazione della sua fidanzata.

                                                                ~~~~~~~~~~

Nadja Chamack terminò la sua giornata lavorativa a tarda sera: era piuttosto seccata dal dover lasciare così tanto tempo sua figlia Manon alle cure di Marinette, ma, da quando Chat Noir aveva fatto la sua comparsa, il suo lavoro era aumentato in modo esponenziale. Decise, quindi, di telefonare a casa Dupain-Cheng, in modo da avvertire del suo arrivo e soprattutto per scusarsi per il ritardo; non fece in tempo a comporre il numero sul suo cellulare, che il suono di un clacson la fece sobbalzare.
Una limousine bianca si fermò proprio di fronte all'ingresso degli studi televisivi; la portiera posteriore si aprì, come se fosse un invito per Nadja ad entrare.
Una volta salita a bordo, il veicolo partì a velocità moderata per le strade di Parigi.
«Non mi aspettavo di trovarti qui. Qualcuno potrebbe aver visto la limousine.» disse Nadja.
«Domani. Al Louvre.» asserì l'uomo seduto sulla poltrona dinnanzi a lei.
«Sicuro di volerlo fare?»Nadja non riuscì a nascondere il suo disagio. L'uomo si limitò ad eseguire un lento gesto affermativo con la testa, provocando, come sempre, brividi gelidi sulla schiena della giornalista.
Nadja si schiarì la voce e distolse lo sguardo da quella sagoma oscurata, guardando fuori dal finestrino e cercando di rallentare i battiti del cuore. «Perché tanto preoccupato da Chat Noir?»
L'uomo la guardò, poi affermò in tono imperioso: «Questa domanda mi sorprende Nadja.» si interruppe. «Rifletti... Serge Murin, Henry Lawrence, David LeMercier; cosa ti dicono questi nomi?»
Nadja sgranò gli occhi e, come se una lampadina si fosse accesa nella sua testa, esclamò: «La Rouge & Noir!»
Comprese le ragioni dell'uomo, sussurrò: «Devo dare l'ordine?»
«È già stato dato.»


Angolo Autore:
Questo è quello che io definisco un capitolo di transizione, ma dal prossimo si ritorna a "menare le mani".
Nel frattempo, il mistero si infittisce: chi sarà questo misterioso uomo che spaventa tanto Nadja? E cos'è la Rouge & Noir? 
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui e vi auguro un felice week-end.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 

«Tikki, non ho nulla da mettermi!» ripeté per l'ennesima volta Marinette, con l'intero busto incassato nel suo armadio alla ricerca del giusto outfit da indossare quel giorno. Il pavimento della sua stanza era coperto da magliette, pantaloni e capi di abbigliamento ed accessori di vario genere.
«Marinette, calmati. È solo un'uscita con amici per visitare il Louvre.» considerò Tikki, poggiata a zampette incrociate sul bordo del letto, intenta a seguire ogni movimento della sua portatrice con non tanto velato divertimento.
«Come fai a definirla "solo un'uscita con amici"?» Marinette fissò con sguardo irritato la kwami. «Ci sarà Adrien!»
«E dov'è il problema? Non era quello che aspettavi da mesi?» 
«Devo essere perfetta. Non posso fargli fare brutta figura. È un modello di fama internazionale, una star. Se inciampassi e trascinassi anche lui a terra e gli sporcassi i suoi vestiti costosissimi? O peggio, si facesse male e stroncassi la sua carriera per sempre? Oh Tikki, non posso farcela.» si portò le mani al volto disperata.
Tikki rise divertita a quella scenetta, anche se cercò di non farsi notare: conosceva bene Marinette e sapeva quanto fosse paranoica in vista di un particolare evento importante, che si trattasse di un compito in classe o di un appuntamento con un ragazzo. «Marinette Dupain-Cheng...» disse in tono scherzoso e plateale. «Supereroina impavida e fiera, terrorizzata dallo stare accanto ad un ragazzo biondo dagli occhi verdi.»
Le parole della piccola kwami fecero sbuffare Marinette, ma perlomeno ebbero l'effetto di tranquillizzarla.
"Alla fine è solo un'uscita tra amici." Dopo un paio di tentativi, optò per una semplice maglia di lana rossa a girocollo, pantaloni rosati e scarpe da ginnastica bianche a strisce rosa; infine, legò i capelli in due codini bassi.
Salutò la madre con un bacio sulla guancia, indossò il suo piumino ed uscì di casa, trovando Alya ad aspettarla.
«Ehi ragazza!»
«Pronta a fare colpo sul bel biondino?»
Marinette spalancò i suoi grandi occhi azzurri. «Alya!»
«E dai, non dirmi che non sfrutterai l'occasione per strappargli un'uscita a due.» Alya sogghignò. «È da quando lo conosci praticamente che gli vai dietro e finalmente hai l'opportunità di passare un po' di tempo con lui. Sfruttalo!»
Marinette annuì, anche se con poca convinzione.
Le due amiche raggiunsero in breve tempo il Louvre; nonostante fossero i primi di Dicembre la giornata era soleggiata e non particolarmente fredda.
Adrien e Nino si trovavano già sul posto e, approfittando dell'attesa, avevano provveduto ad acquistare i biglietti per l'ingresso, in modo da guadagnare tempo.
Come un fulmine, Alya gettò le braccia al collo del suo fidanzato scoccandogli un bacio sulle labbra; seppur sorpreso, Nino ricambiò il gesto con affetto e le offrì il braccio.
«Sono proprio una bella coppia.» considerò Adrien, vedendo la coppietta entrare all'interno.
«Già.» Marinette prese a massaggiarsi il braccio sinistro.
Adrien imitò il suo amico e porse anche lui il braccio, abbozzando uno dei suoi rari sorrisi, che ormai erano quasi un'esclusiva di Marinette.
La ragazza scosse la testa, sforzandosi di sembrare il più naturale possibile ed accettò volentieri l'invito.
Man mano che passava del tempo con Adrien, Marinette riusciva a sciogliere sempre più il suo imbarazzo, arrivando anche a parlare senza balbettare.
Notando la confidenza assunta dall'amica in compagnia del modello, la volpe castana di nome Alya ideò un piccolo stratagemma per lasciarli soli. Si voltò verso il suo ragazzo e disse: «Nino, andiamo a vedere la Gioconda.»
«Ma c'è troppa gente. Ci metteremo tutta la gior...» non riuscì a terminare la frase che la fidanzata lo tirò via per un braccio.
«Ci vediamo più tardi, ragazzi!» esclamò Alya, salutando con la mano Marinette e Adrien, i quali la guardavano perplessi.
Entrambi intuirono che quella di Alya era solo una scusa, ma nessuno dei due proferì parola: Marinette si ripromise di fare una bella strigliata alla sua amica a fine giornata, mentre Adrien era tutt'altro che seccato al pensiero di restare un po' di tempo solo con la bella corvina.
Da quel giorno di pioggia in cui lui si era confidato con lei, aveva avuto pochissime occasioni per parlarle: spesso era Chloè ad interromperli, altre volte, invece, era la stessa Marinette a non riuscire a conversare, farfugliando frasi poco comprensibili.
Visitarono insieme diverse sale del museo, ma nessuna di esse colpì Marinette, che, fino ad allora, aveva scarabocchiato un paio di bozzetti, senza però convincerla.
Scoraggiata e stanca si accomodò su una panca in legno, in una sala ricca di dipinti.
«Non avvilirti, Marinette.» Adrien si sedette affianco a lei. «Abbiamo ancora un po' di sale da visitare. Sono sicuro che riusciremo a trovare l'idea giusta per il tuo abito.»
«Posso suggerirvi la sala della Rivoluzione Francese?»
I ragazzi si voltarono.
Alla loro sinistra, videro un uomo elegante, capelli brizzolati; sul volto aveva una vistosa cicatrice sul lato destro, che partiva dal lobo dell'orecchio fino alla curva del mento. Fissava i due ragazzi con i suoi brillanti occhi castani, sorridendo nel vederli perplessi.
Si avvicinò alla panca, dove erano seduti i giovani. «Perdonatemi, non era mia intenzione spaventarvi. Sono Norvich Nursef, il direttore del museo del Louvre. Non capita spesso di vedere giovani della vostra età così interessati alla storia. La sala che vi ho proposto è una delle più visitate.»
Adrien squadrò l'uomo da capo a piedi: aveva un portamento distinto ed anche il suo modo di parlare e di porsi era attinente al suo ruolo. Tuttavia qualcosa non convinceva il biondo modello, probabilmente proprio quello sfregio così evidente lo turbava.
I suoi pensieri si dissolsero in un istante quando, abbassando lo sguardo, trovò gli splendidi occhi azzurri di Marinette, la quale, sorridendo, gli disse: «Mi sembra una buona idea. Andiamo?»
Questa volta fu lei a porgergli la mano a mo' di invito: Adrien, senza nemmeno pensarci come se fosse istintivo, le regalò un gioioso sorriso, spontaneo, come quel giorno di pioggia.
Il suggerimento di Nursef si rivelò provvidenziale: i quadri, le sculture e tutti gli oggetti conservati nelle teche illuminarono la mente di Marinette che iniziò a disegnare con straordinaria concentrazione.
Adrien fissò la ragazza con ammirazione, apprezzandone la dedizione, il talento e la cura dei dettagli: il suo entusiasmo si spense di colpo quando una forte sensazione di disagio lo pervase. Scrutò l'ambiente circostante notando diversi uomini, sparsi per la sala, che era certo di aver visto già in precedenza, quella stessa mattina, nel museo.
Negli anni in cui si era addestrato in America, aveva frequentato quartieri notoriamente poco raccomandabili, sviluppando un invidiabile istinto nell'individuare persone con cattive intenzioni. Inoltre, le parole del direttore risuonavano nella sua testa in quel preciso istante: aveva affermato che quella sala era una di quelle più frequentate, ma in quel momento, era semivuota. Il suo primo pensiero fu Marinette: lui era un potenziale bersaglio di malviventi, essendo un personaggio famoso, ed avrebbe saputo cavarsela in una situazione critica, avendo alle spalle anche la consapevolezza di poter resistere ad un eventuale attacco, ma lei no. Lei andava protetta ad ogni costo.
Compose un messaggio indirizzato a Nino, pregandolo di recarsi in quella sala, limitandosi a scrivere una motivazione approssimata; iniziò, poi, a girare intorno, camminando lentamente e fermandosi, di tanto in tanto, accanto alle opere esposte. Il suo obiettivo era quello di comprendere se i suoi sospetti erano fondati e che lui stesso era il bersaglio.
Sospetti che si rivelarono presto veri: gli uomini, infatti, seguivano ogni suo movimento senza esporsi in maniera eclatante. Fu chiaro ad Adrien che la presenza di Marinette poteva rappresentare uno scomodo imprevisto per loro e che, con ogni probabilità, avrebbero preferito che lui fosse da solo per agire.
Con cautela, attraversò un piccolo atrio, allontanandosi dalla sua compagna, nella speranza che Nino ed Alya la raggiungessero in tempo, e si ritrovò in un corridoio, la cui estremità di fronte a lui era bloccata da due uomini. La sua espressione rimase invariata quando, voltandosi, vide che anche l'altra estremità del corridoio era bloccata da altri due uomini.
Uno di loro attirò l'attenzione del biondo schiarendosi la voce ed aprì il suo cappotto, mostrando la fondina con una pistola inserita. Adrien non accennò a nessuna reazione, anche perché fu colpito immediatamente alle spalle, cadendo a terra privo di sensi.

Marinette era entusiasta del risultato; il suo disegno raffigurava un abito maschile, blu scuro, con una camicia bianca ed un papillon rosso, richiamando i colori della bandiera francese.
Era stata talmente presa dalla sua creazione da non accorgersi nemmeno dell'assenza di Adrien. Si guardò, dunque, in giro ma nella sala non vi era più anima viva.
«Oh no, Tikki!» Si portò le mani alla testa. «Sicuramente si sarà annoiato ed è andato via.»
«Marinette, Adrien non mi sembra il tipo da lasciare qualcuno da solo senza nemmeno avvertire.» disse Tikki per tranquillizzare l'amica.
«Sono un disastro!» sbottò ancora Marinette, come se Tikki avesse parlato al vuoto. «Non so da quanto aspetto un momento per stare un po' sola con lui, senza interruzioni dell'oca bionda, e quando finalmente succede che faccio? Lo ignoro del tutto. Accidenti a me.»
«Perché, invece di autocommiserarti, non vai a cercarlo? Magari si è solo allontanato momentaneamente.» 
Marinette annuì, non del tutto tranquillizzata, ed iniziò la ricerca attraverso quei corridoi stranamente vuoti: Tikki approfittò dell'assenza di persone per volare accanto alla ragazza, pronta comunque a nascondersi in caso di incontri. La giovane Dupain-Cheng vagò per qualche minuto, senza trovare traccia del modello, quando Tikki la chiamò a gran voce, invitandola a guardare alla finestra. «Marinette! Sbrigati, vieni a vedere!»
Marinette guardò attraverso il vetro e vide degli uomini con passamontagna caricare il corpo di Adrien, privo di sensi, su un furgone.
«Dobbiamo fare qualcosa!» 

Tikki, comprese le intenzioni dell'amica, si illuminò e fu risucchiata nell'orecchino sinistro della ragazza che si trasformò così in Ladybug.
Grazie alle sue ali, l'eroina spiccò il volo, ed iniziò a perlustrare le strade nei dintorni, una volta uscita dal museo.
In poco tempo, individuò il furgone che a tutta velocità percorse le strade principali della città, tentando di giungere quanto prima a destinazione: Ladybug ponderò che non era saggio attaccare subito il veicolo durante il tragitto, per non mettere a repentaglio l'incolumità di Adrien; si limitò, quindi, a seguirlo prudentemente, in attesa del momento giusto per intervenire.
L'inseguimento durò diversi minuti: il furgone si fermò in una zona appartata, nella periferia di Parigi.
Una volta parcheggiato, dal mezzo scesero cinque uomini di cui due trascinarono Adrien all'interno del capannone lì presente: Ladybug attese che entrassero tutti, poi si intrufolò  trovando un punto da cui osservare le azioni dei rapitori.
«Fate piano. Il principino non dovrà avere nemmeno un graffio.» disse uno degli uomini, con ogni probabilità il capo del gruppo dato che gli altri seguivano i suoi ordini. Adrien fu legato ai polsi con un laccio stretto, mentre i piedi furono legati alla sedia su cui era stato accomodato.
«Svegliati principino!» ordinò il capo, colpendo Adrien con due schiaffi sul volto. Il modello riprese lentamente conoscenza e rivolse subito lo sguardo sui cinque tizi di fronte a lui, senza mostrare, però, il benché minimo timore. Ritenne opportuno non azzardare una reazione violenta, sebbene fosse conscio di essere in grado di spezzare il laccio che lo costringeva ai polsi, liberandosi, e di avere la meglio sui suoi assalitori; per mantenere segrete le sue straordinarie abilità, decise di non agire.
Ladybug, appollaiata su una trave, progettò un piano d'attacco per stendere i rapitori evitando qualsiasi rischio per Adrien: infilò la mano nella sua pochette e ne estrasse due shuriken rossi a pois neri. Tenendoli tra l'indice e il medio della mano destra, prese bene la mira e li lanciò con violenza verso i due uomini più distanti da lei che, colpiti entrambi all'altezza della spalla, caddero a terra, svenuti.
Gli altri membri del gruppo non ebbero nemmeno il tempo di assumere una posizione di allerta, che Ladybug piombò su di loro, utilizzando il suo yo-yo come rampino appeso ad una trave: tenendo le gambe larghe, assestò due calci diretti sul volto di due rapitori, atterrando, poi, con una capriola.
L'ultimo uomo rimasto in piedi, il capo del gruppo, estrasse la sua pistola, con l'intenzione di puntarla contro Adrien, ma, ancora una volta, Ladybug fu più lesta e legò la mano armata dell'uomo con il suo yo-yo; tirò a sé il filo, trascinando con sé anche l'uomo e, tenendo il braccio teso, lo colpì dritto in volto, mettendolo al tappeto e completando così il suo salvataggio.
Adrien osservò ogni singolo movimento della supereroina: la sua agilità, la sua praticità, la precisione dei suoi movimenti. Doveva ammettere a sé stesso di aver apprezzato tantissimo quello spettacolo, giungendo addirittura alla conclusione che tutte le manifestazioni d'affetto che i parigini le rivolgevano erano pienamente giustificate.
Ladybug si avvicinò alla sedia, cercando di mantenere la compostezza e la fierezza degna del ruolo che svolgeva: in quel momento quel ragazzo era una persona da salvare e non il modello oggetto dei suoi pensieri e lei era Ladybug, l'eroina di Parigi, e non Marinette.
Girò intorno alla sedia, ritrovandosi alle spalle di Adrien; poi, afferrò i polsi del ragazzo e, con un colpo secco, tirò via il laccio, spezzandolo.
Una volta liberate anche le gambe, lo aiutò a rialzarsi, sebbene Adrien non avesse eccessivi problemi nel farlo.
«Stai bene?» chiese Ladybug.
«Sì, grazie.» Adrien si massaggiò i polsi, indolenziti dalla stretta. «Come sapevi che ero qui?»
Ladybug scrollò le spalle. «Pura fortuna. Ero in perlustrazione al Louvre e ho visto questi uomini che ti caricavano sul furgone, per poi partire a tutta velocità. Ho atteso il momento giusto per attaccarli in modo da non farti rischiare di essere ferito.»
Ladybug chiamò, tramite il suo auricolare, il commissario Raincomprix, in modo che mandasse una pattuglia per catturare e, in seguito, interrogare i rapitori. Notò il volto incuriosito di Adrien nel momento in cui si chinò per raccogliere gli shuriken lanciati in precedenza, così decise di fornirgli una spiegazione: «Sono magici. Se colpiscono una persona, la farà addormentare di colpo.» schioccò le dita per enfatizzare le ultime parole. «Ti riporto al Louvre.» Si avvicinò ad Adrien e gli porse la mano, gesto che lui era solito compiere con la sua controparte civile.
Adrien accettò l'invito, ancora impressionato dalla risolutezza della ragazza, la quale lo tirò a sé cingendogli la vita, per poi spiccare il volo in direzione del Louvre.


Angolo Autore:
Salve gente!
Come promesso, ecco pubblicato il nono capitolo, eccezionalmente di Venerdì. Non nascondo che sia uno dei miei preferiti, poiché mette in risalto le abilità di Ladybug, oltre a puntare il focus sulla nostra coppietta.

Detto ciò, vi do appuntamento a Venerdì per il capitolo 10, prima di una piccola pausa dalle pubblicazioni.
Alla prossima.
Nike90Wyatt 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 

La notizia del rapimento di Adrien Agreste si diffuse in poco tempo a macchia d'olio, nonostante fosse passata circa un'ora dalla sua scomparsa.
La piazza antistante al Louvre era gremita di giornalisti, fotografi e curiosi. Di fronte all'ingresso, gli agenti di polizia agevolarono l'uscita dei visitatori del museo, mentre, poco lontano da lì, il commissario Raincomprix, scomodatosi di persona data l'importanza del caso, rassicurava Plagg e Nathalie, giunti sul posto appena ricevuta la chiamata; accanto a loro, Nino ed Alya seguivano la vicenda con apprensione, preoccupati anche per la scomparsa di Marinette, ritenendo che potesse essere stata coinvolta nella faccenda, essendo in compagnia di Adrien.
Un urlo di ammirazione si levò dalla folla, quando Ladybug comparve nei cieli, abbracciata al giovane Agreste; la supereroina atterrò a pochi passi da Nathalie e Plagg, il quale si gettò subito tra le braccia dell'amico, sollevato dalla risoluzione positiva della situazione.
«Stai bene, fratello?» chiese sussurrando al suo orecchio. Adrien, colta la preoccupazione dell'uomo, mosse il capo in gesto affermativo e batté più volte la sua mano sulla schiena del suo amico, come a volerlo rassicurare.
Una volta sciolto l'abbraccio, Plagg rivolse lo sguardo verso Ladybug, volenteroso di ringraziarla, ma lei eseguì un piccolo gesto con la mano a mo' di saluto e si congedò, sfuggendo alla calca, preoccupata di tornare a vestire i suoi panni civili in modo da tranquillizzare i suoi amici.
Adrien si avvicinò ad Alya e Nino e, notando subito l'assenza della loro amica, chiese deciso: «Dov'è Marinette?»
Alya e Nino si guardarono negli occhi, poi la ragazza scosse la testa facendo intendere di non avere notizie a riguardo. Prima che Adrien potesse ribattere a quel gesto, invitando i presenti a cercarla, intervenne Nathalie. «Signorino Adrien, dobbiamo andare.»
«Non ora, Nathalie.» sbottò stizzito Adrien, con in mente un unico pensiero: trovare Marinette. 

Anche Plagg volle appoggiare il suo amico, ma Nathalie, incurante delle sue preghiere, si rivolse  al modello con un tono più severo: «Signorino Adrien! Suo padre la sta aspettando con impazienza.»
«Non. Ora!» ringhiò Adrien con occhi pieni di rabbia. «Non mi muovo da qui finché non troviamo Marinette. Andiamo a cercarla, Plagg.» ordinò perentorio, mentre Plagg cercava di tranquillizzarlo: poche volte lo aveva visto così furente ed ogni volta era finita sempre molto male.
La situazione sembrò degenerare ma, fortunatamente, un agente di polizia, incaricato di ispezionare le sale, uscì dal museo affiancato dalla bella corvina dagli occhi azzurri.
La prima a reagire fu Alya. Corse tra le braccia dell'amica stringendola con tanto affetto. «Dov'eri finita?» non riuscì a nascondere le lacrime; anche Nino le raggiunse cingendo entrambe con le sue braccia.
«Sono rimasta chiusa in un bagno.» disse Marinette con la voce ovattata dalla stretta calorosa dei suoi amici. «Ho gridato aiuto, ma nessuno mi ha sentita. Cos'è successo?»
«Nulla, ora è tutto finito.» affermò Nino, voltando lo sguardo in direzione di Adrien, rimasto quasi paralizzato alla vista di Marinette.
Il biondo tirò un lungo sospiro di sollievo, muovendo un passo verso gli amici, ma la mano di Plagg, poggiata sulla sua spalla lo fermò. «Per ora meglio andare, Adrien. Non è saggio far aspettare tanto tuo padre.»
Adrien lo guardò con occhi caritatevoli. «Ma...»
«Sta bene Adrien, tranquillo. Tornato a casa puoi sempre chiamarla.»
Adrien decise di ascoltare l'amico ed insieme entrarono nella lussuosa berlina lì parcheggiata, dopo aver salutato il commissario ed averlo ringraziato per aver tenuto lontani i giornalisti; Nathalie, invece, ignorò tutti e, stizzita, si accomodò sul sedile anteriore dell'auto.
Nel tragitto che li separava da villa Agreste, Adrien e Plagg non proferirono parola, sordi anche ai rimproveri di Nathalie per non aver rispettato le disposizioni di monsieur Agreste.
Come prevedibile, Gabriel attendeva il ritorno del figlio in piedi sulla cima delle scale dell'atrio d'ingresso. Vedendolo lì, Plagg istintivamente sussurrò all'amico: «Non vorrei essere nei tuoi panni.»
Adrien osservò il padre con espressione distaccata: il rapimento per lui non era stata un'esperienza piacevole, ma ciò che più lo aveva tenuto in ambasce erano le condizioni di Marinette.
Una volta sicuro della sua incolumità, tutto il resto gli era scivolato addosso, quindi non era preoccupato di subire uno scatto d'ira.
«Finalmente...» mormorò in tono autoritario Gabriel. «Perché tutto questo tempo?»
«Scusa, papà. La prossima volta chiederò ai rapitori di lasciarmi andare prima.» Adrien inarcò il sopracciglio come se volesse far notare la stupidità di quella domanda, mentre Plagg tossì rumorosamente distogliendo lo sguardo.
«Non osare avere questo atteggiamento con me, Adrien!» Gabriel alzò il tono della voce andando in escandescenza. «Ti avevo avvertito di quanto pericolosa potesse essere Parigi. D'ora in avanti uscirai sempre con la guardia del corpo e non ammetto repliche. Bada bene...» puntò il dito contro il figlio a mo' di minaccia. «Al prossimo sgarro prendi il primo volo per l'America e qui non torni più. Sono stato chiaro?»
Adrien annuì col capo con indifferenza; Plagg lo colpì alla schiena, facendogli intendere che non avrebbe dovuto tirare troppo la corda. Così, seguendo il silenzioso suggerimento dell'amico, Adrien rispose: «Cristallino.»
Gabriel, ancora alquanto irritato, si rivolse a Plagg: «Che non capiti mai più. Cerca di tenerlo a bada.»
Per una volta, Plagg ponderò bene di tenere un atteggiamento serio. «Lo terrò a bada, Gabriel.»
«Non deludermi.» Gabriel girò i tacchi e si rintanò nel suo studio.
«Suggerisco di andare in camera e di restarci, signorino Adrien.» intervenne Nathalie, prima di congedarsi anche lei.
Entrato nella sua stanza, seguito da Plagg, Adrien si spogliò della felpa che indossava e della canottiera; raggiunse l'angolo palestra ed iniziò a sollevare il bilanciere sulla panca, in modo da rilasciare tutta l'adrenalina che aveva in corpo.
Plagg osservava il suo amico ripetere fino allo sfinimento quell'esercizio, in assoluto mutismo, riflettendo su quale sarebbe stata la mossa successiva: la mattina prima, Gabriel aveva fatto tante, troppe domande sospettose e, quel giorno, Adrien era stato vittima di un rapimento. Non escluse del tutto l'idea che potesse essere stato proprio lo stilista ad organizzare il tutto, ottenendo poi la giustificazione per tenerlo ancora di più sotto controllo; poi, fu più propenso a sospettare di qualcuno presente in quell'elenco di nomi, l'obiettivo di Chat Noir. Adrien e l'arciere erano apparsi lo stesso giorno a Parigi e la descrizione fisica coincideva: era necessario trovare un modo per sviare i sospetti, cosicché il suo amico non corresse più rischi di questo tipo.
Solo quando era completamente distrutto, Adrien interruppe il suo allenamento, lasciando andare le braccia penzoloni steso sulla panca, con i capelli biondi grondanti di sudore così come il suo torace.
Respirava affannosamente ma parve svuotato di tutta quella rabbia, frustrazione, tensione accumulata quel giorno.
Plagg gli si avvicinò e gli porse la sua borraccia contenente l'integratore di sali minerali che era solito consumare dopo un'intensa sessione. «Va meglio?» si accomodò sul divano bianco.
Adrien bevve a piccoli sorsi la borraccia mentre riacquistava un respiro più regolare e i battiti del suo cuore rallentavano. «Plagg... Se le fosse successo qualcosa...»
«Non te lo saresti mai perdonato, lo so. Tieni molto a lei, vero?»
Adrien girò la testa per guardare il suo amico: non aveva il solito sguardo freddo, ma occhi ricolmi di sorpresa.
«Ho visto come la guardi, Adrien.» proseguì Plagg, con un tono da vero fratello maggiore. «Ho visto come s'illuminano i tuoi occhi quando parli di lei.»
Il modello si portò un braccio alla fronte, fissando il soffitto con sguardo assente. «Più di quanto voglia. Non so perché, ma il solo stare vicino a lei mi fa stare sereno, in pace. Non mi sentivo così da quando...» si interruppe; il solo ripensare a quei momenti felici che viveva con la madre gli provocò una stretta al cuore, così decise di troncare lì quella conversazione. Si alzò dalla panca e si diresse verso il bagno per una doccia rigenerativa.
Plagg, nel frattempo, chiuse gli occhi gettando la testa all'indietro, poggiandola sullo schienale: sul volto aveva dipinta un'espressione gioiosa e non il solito ghigno malizioso che assumeva ogni volta che si toccava l'argomento "ragazze".
Aveva intuito che Adrien, dopo quattro anni passati in quasi totale solitudine, concentrato del tutto sul suo addestramento psicofisico, sentiva il bisogno di un particolare tipo di affetto e che, esperto com'era nel saper leggere le persone, aveva trovato in Marinette ciò che cercava. Doveva solo capirlo.
Rallegrato da quei pensieri, ritornò sul delicato tema dell'identità segreta di Chat Noir: ritenne opportuno posticipare la discussione con Adrien al giorno successivo, prendendosi la notte per riflettere.
Uscendo dalla doccia, Adrien rilassò i suoi muscoli e proseguì la conversazione con l'amico: «Pensi davvero che dovrei chiamarla per sapere come sta?»
Plagg rise; raccolse il cellulare gettato sul divano e lo lanciò al modello che lo afferrò al volo. «Non fare troppo tardi con la tua Lady Marion. Domani andiamo a fare una passeggiata. Dobbiamo discutere di un fatto importante.» ammiccò e batté la mano sulla spalla di Adrien, congedandosi prima che il biondo riuscisse a controbattere.

Marinette si distese sul suo letto, dopo una giornata stressante; sciolse i suoi codini lasciando cadere i capelli corvini sulle spalle ed appoggiò la testa sul cuscino senza chiudere gli occhi.
Al suo ritorno a casa era stata coccolata per tutto il resto della giornata dai suoi genitori, cancellando tutta la tensione accumulata a causa dell'apprensione nel ricevere la notizia della scomparsa dell'adorata figlia. Grata per l'immenso affetto che le donavano ogni giorno, la ragazza passò più tempo possibile accanto a loro, dilettandosi in numerosi giochi di famiglia o preparazioni di fantasiosi dolci.
«Mi dispiace averli fatti preoccupare così tanto oggi.» disse a Tikki, accoccolata nella sua graziosa cuccetta.
«Tranquilla, Marinette. Hai agito bene. Dovevi mantenere segreta la tua identità e hai pensato ad un piano perfetto. Ammetto che è stato divertente rompere quella serratura.» Tikki rise.
«Io però mi sono divertita meno a restare chiusa in quel bagno.» Marinette ripensò a quel momento. «Per fortuna quell'agente è venuto in tempo, altrimenti credo che avrei scoperto di essere claustrofobica. Pensi che Adrien stia bene?»
Tikki alzò le spalle con incertezza. «Perché non lo chiami così da accertartene?»
«Scherzi?» esclamò Marinette con occhi sbarrati. «E se stesse già dormendo e io lo svegliassi? Che figura ci farei?»
«Allora chiamalo domani mattina.»
«E se lo disturbassi? E se non avesse voglia di sentirmi dopo che l'ho completamente ignorato oggi quando...»
«Marinette!» gridò Tikki per interrompere quell'infinito sproloquio senza senso. «Smettila con queste tue paranoie.» disse in tono di rimprovero. «Tu sei fantastica, nessuno rifiuterebbe la tua compagnia, men che meno un ragazzo come Adrien.»
«Ma hai visto come è andato via, senza degnarmi di uno sguardo?»
La loro discussione fu interrotta dall'improvviso trillo del cellulare di Marinette, poggiato nello scaffale posto alle spalle del suo letto, accanto alla casetta della bambole dove riposava Tikki; perplessa e sorpresa data l'ora, Marinette lo raccolse e, vedendo il nome comparso sullo schermo, lanciò un urlo acuto seguito da un balzo sul letto, facendo volare il dispositivo. I riflessi pronti di Tikki impedirono una rovinosa caduta al cellulare.
«È, è, è A-Adrien.» balbettò Marinette, con l'indice tremolante puntato verso lo schermo.
Tikki le porse il dispositivo. «Beh, rispondi, no?»
Vedendo, però, Marinette pietrificata come una statua di sale, aggrottò le sopracciglia e, con un gesto di sfida, premette sul display il tasto per accettare la chiamata.
Marinette impallidì all'istante sentendo quasi il cuore fermarsi.
«Rispondi e cerca di essere naturale!» sussurrò con espressione severa Tikki, indicando lo smartphone.
Con la mano tremolante, la ragazza afferrò il telefono e si schiarì la voce. «P-Pr-Pronto?»
«Marinette!» esclamò Adrien, dall'altro capo del telefono. «Scusa se ti chiamo a quest'ora.»
«Ehi Adrien. Qual buon vento?» Tikki si schiaffeggiò la fronte alle parole dell'amica; anche Marinette si accorse subito di ciò che aveva detto e cercò di rimediare: «C-Cioè volevo dire: dimmi pure, Adrino... Adrien!»

«Ho chiamato per sapere come stavi dopo la giornata di oggi.» disse Adrien. «Perdonami se sono andato via oggi, senza salutarti. Purtroppo mio padre non ha gradito ciò che è successo.»
«Sono io a dovermi scusare con te, Adrien.» Marinette si sorprese di sé stessa per essere riuscita a pronunciare un'intera frase di senso compiuto senza balbettare.
«Per cosa?» 
«Sono stata una pessima compagnia per te; ho disegnato per tutto il tempo e non ho minimamente...»
«Marinette, era per quello che eravamo lì.» la interruppe, non riuscendo ad accettare gli autorimproveri di Marinette. «Anzi, avrei voluto tanto vedere la tua opera. Posso invitarti da me lunedì pomeriggio dopo la scuola?»
Marinette sentì di colpo un intenso calore al volto, mentre le guance le si imporporarono. «Mi ha invitata da lui!» sussurrò a Tikki, coprendo con la mano il microfono del cellulare; la coccinella iniziò a gesticolare, facendo segno di accettare l'invito.
«Accetto!» urlò Marinette, con un tono talmente alto che Adrien dovette allontanare di alcuni centimetri dal suo orecchio il cellulare.
«Perfetto.» asserì il biondo, mentre, senza che lui se ne accorgesse, un ampio sorriso gioioso e spensierato si dipinse sul suo volto. «Ti accompagnerò io direttamente alla fine delle lezioni.»
«Ci sarò.» rispose Marinette, ormai andata quasi in trance con le parole che le uscivano dalla bocca istintivamente.
«Ci conto. Buonanotte, Marinette.»
«Buonanotte, Adrien.» Marinette chiuse la chiamata e si stese sul letto che, in quel momento, le sembrava una nuvola. «Andrò a casa sua... Passerò del tempo con lui.»
«Non amo molto la frase "Te l'avevo detto" ma... Te l'avevo detto!» commentò Tikki. «Ricordati di fare tutto il resoconto ad Alya, domani.» Si sistemò nel suo posticino per la notte.
Marinette, cullata da quel dolcissimo pensiero che la proiettò quasi in paradiso, si addormentò in poco tempo.

«Se papà scopre che mi hai portato agli Champs-Élysées di Domenica, con tutta questa gente, il giorno dopo essere stato rapito, come minimo ti impicca sulla Tour.»
«Per questo ho chiesto io stesso a Nathalie di portarci dietro altri due bodyguard insieme al gorilla.» Plagg camminava di fianco all'amico nella zona pedonale della famosa meta turistica parigina.
Aveva considerato che fosse il luogo ideale per poter parlare: in mezzo a quella confusione, nessuno avrebbe potuto ascoltare i loro discorsi, facilitati anche dal lavoro delle guardie del corpo, i quali tenevano ben lontani i turisti e i curiosi, mantenendo, anche loro, una discreta distanza dai due.
«Allora, perché questa sceneggiata, Plagg?» chiese spazientito Adrien.
Plagg cambiò di colpo espressione. «Dobbiamo trovare un nuovo rifugio, Adrien. La villa non è più un luogo sicuro.»
Adrien, a differenza di ciò che pensava Plagg, non si scompose. «Lo so. Le precauzioni che abbiamo adottato finora non sono sufficienti. La conversazione con mio padre dell'altro giorno ha insospettito anche me.»
«E il fatto che ti abbiano rapito significa che c'è qualcuno che ti accomuna a Chat. Con ogni probabilità qualcuno della Rouge & Noir.»
L'espressione di Adrien divenne più cupa ed accigliata. «Non possiamo permetterci questo rischio, soprattutto perché potrebbero colpire persone a me vicine.» Subito il suo pensiero si proiettò a quanto successo il giorno prima ed alla persona che gli era accanto in quel momento.
«Ho un'idea, Plagg!» esclamò con rinnovato entusiasmo anche se, come al solito, contenuto.
«Tra due settimane c'è la sfilata per il concorso "Nuove leve".»
Plagg lo guardò incuriosito, non avendo ancora chiaro dove l'amico volesse arrivare.
«Il capo della giuria sarà Audrey Bourgeois.» proseguì Adrien. «È l'occasione perfetta non credi?»
Plagg continuò ad fissarlo con espressione pensierosa ed interrogativa. «Audrey Bourgeois è nel nostro elenco, ma non vedo come questo possa...» si bloccò e, di colpo, il suo viso si illuminò nel momento in cui tutti i pezzi nella sua testa composero il quadro completo del piano di Adrien. «Posso dire che sei un genio?»
«Pensi di farcela?» gli chiese Adrien.
«In settimana arriverà il mio nuovo prototipo; me lo farò spedire al nuovo rifugio, quando lo troverò. Sono certo che ci sarà utile.»
Adrien annuì, pur non sapendo di cosa si trattasse: aveva piena fiducia nell'amico.
Plagg riprese: «Dobbiamo conoscere meticolosamente ogni singolo centimetro del posto, per sfruttare qualsiasi posizione di vantaggio.»
«Nei prossimi giorni allestiranno il palco per la sfilata. Farò dei sopralluoghi notturni per studiare il territorio. Dubito siano installati gli stessi allarmi e ci sia la stessa sicurezza che trovo di solito.» concluse Adrien.
«Affinché il piano abbia successo, dovrai trovarti al centro dell'attenzione e il centro dell'attenzione è il palco.» Plagg enfatizzò le sue parole gesticolando con moderazione.
«So già come fare.» ghignò Adrien, con una strana luce negli occhi. Si voltò verso Plagg ed esclamò: «Marinette!»


Angolo Autore:
Salve bella gente!
Dunque, in questo capitolo, abbiamo scoperto che Adrien tiene alla nostra Marinette più di quanto voglia ammettere e Plagg cerca di spingerlo sempre più tra le braccia della bella corvina.
Quale sarà il piano che la coinvolge?
Vi lascio con questo quesito, dandovi un bel po' di tempo per rifletterci su dato che sospenderò le pubblicazioni per almeno 2 settimane.
Ringraziandovi per essere arrivati fin qui, auguro a tutti buone vacanze estive.
A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 

Alya era elettrizzata quella mattina; nonostante la aspettasse una pesante giornata scolastica, la notizia che la sua migliore amica era stata invitata nientepopodimeno che da Adrien Agreste, la mandava in estasi.
Erano circa le 7:30, quando piombò all'ingresso della pasticceria Dupain-Cheng, pronta a regalare all'amica consigli su abbigliamento e trucco da sfoggiare quel giorno.
Sabine la accolse con affetto, riferendole che Marinette era ancora tra le braccia di Morfeo.
«Ci penso io a tirarla fuori da quel letto, Sabine.» affermò con decisione Alya. Salì le scale ed aprì la botola della stanza della corvina; accortasi della sua presenza, Tikki si nascose, dopo aver provato più volte, anche se invano, a svegliare l'amica.
In silenzio, Alya salì le scale del soppalco con un ghigno sagace dipinto sul volto. Sfilò il cuscino a forma di gatto bianco, poggiato sulla spalliera del letto e lo sollevò in aria. Con un colpo secco, colpì Marinette in pieno volto. «Sveglia rubacuori! Oggi è il gran giorno!»
Ancora assonnata, spaventata ed irritata, Marinette uggiolò con tono esasperato: «Alya... Che ci fai qui? Che ore sono?»
«Alzati, forza!» ordinò perentoria Alya. «Ho poco tempo per farti vestire e truccarti al meglio.»
«Ma perché?»
«Come sarebbe "perché"?» Alya gesticolò in modo teatrale. «Vuoi fare tardi proprio oggi che il tuo principe azzurro dagli occhi verdi ti condurrà nel suo castello? Adesso scendi subito da questo letto e vai a prepararti; io nel frattempo cerco un bell'outfit e preparo la borsa del trucco.»
Marinette decise di non tirare troppo la corda e di obbedire agli ordini tassativi dell'amica: quando Alya era così determinata era opportuno non contraddirla o poteva diventare più pericolosa di uno dei criminali che solitamente affrontava Ladybug.
Alya analizzò l'armadio dell'amica. «Dobbiamo rinnovare il tuo armadio in vista della sfilata.» 
Dopo aver esaminato con cura i vari abbinamenti, scelse un dolcevita scuro, dei jeans chiari ed un paio di sneakers color argento. Dato che Marinette non amava truccarsi, preferendo lasciare il viso pulito, Alya optò per un make-up leggero. Le legò i capelli in una coda di cavallo alta lasciandole due ciocche che le accarezzavano i lati del viso.
L'aspetto più appariscente della giovane Dupain-Cheng non passò inosservato tra i compagni di scuola: era una delle ragazze più belle dell'istituto, attirando spesso anche molte invidie da parte della fazione femminile, anche se lei non era il tipo da ostentare sicumera, come, invece, era solita fare Chloè.
I numerosi commenti di ammirazione seguitarono anche all'ingresso in aula di Marinette ed Alya; con i suoi soliti modi plateali, Kim fece intendere di gradire il look sfoggiato dalla corvina.
«Placa i tuoi bollenti spiriti, scimmione.» commentò Alix.
Alya, raggiante in volto e fiera della sua opera, si rivolse a Marinette: «Visto che successo?»
«Non mi piace stare al centro dell'attenzione; mi mette a disagio.» mormorò, imbarazzata, Marinette.
«Abituati.» Alya salutò il suo fidanzato Nino. «Quando diventerai la signora Agreste...» ghignò sottovoce facendo arrossire l'amica. «Sarai spesso sotto la luce dei riflettori, specialmente se gli abiti che indosserà porteranno la tua firma.»
Nino si intromise nella conversazione, certo che il soggetto fosse il suo compagno di banco: «Ieri mi ha detto a telefono che sarà presente alla sfilata. Sicuramente la sua presenza, insieme a quella di Audrey Bourgeois, porterà molta più visibilità all'evento.»
«In pratica è il primo passo per la tua carriera di stilista mondiale.» proseguì Alya.
Seppur leggermente intimidita dal giudizio della madre di Chloè, Marinette era grata del sostegno e della fiducia che i suoi amici riponevano in lei: spesso viveva delle pesanti insicurezze e lo trovava anche ironico visto che, nei panni Ladybug, era l'esatto opposto, sempre fiera e sicura di sé. «Spero che ad Adrien piaccia.» Aprì il suo quaderno dove aveva disegnato l'abito della sfilata.
«Lo saprai presto.» Alya la colpì sul gomito per attirare la sua attenzione. «Lupus in fabula.»
Proprio in quell'istante, Adrien entrò in aula: il suo volto aveva la solita espressione fredda, ma il suo sguardo sembrava più disteso e sereno. L'unica ad accorgersene fu Marinette la quale, nel tempo, aveva imparato a leggere scrupolosamente dietro le poche espressioni che Adrien mostrava; sapeva quando era spazientito, sapeva quando era sereno e sapeva quando era malinconico, tutte impressioni confermate in seguito da Nino, al quale il modello era solito raccontare gli episodi significativi che gli accadevano.
Quel giorno, nemmeno i capricci di Chloè, furente al pensiero che il "suo" Adrien avesse invitato la Dupain-Cheng a casa sua, privilegio finora mai toccato a lei, erano riusciti a spegnere quell'evidente entusiasmo nel biondo.
«Non mi piace che la pasticceria pasticciona passi così tanto tempo vicino al mio Adrien.» sibilò a Sabrina. Poi, con sguardo sinistro, cantilenò: «Questa sfilata sarà il tuo peggior incubo, Marinette Dupain-Cheng.»

Adrien attese impaziente il suono della campanella che sanciva la fine delle lezioni; quella mattina era riuscito a sopravvivere ai commenti maliziosi di Plagg, inerenti, per la maggiore, alle ore che il giovane Agreste avrebbe passato insieme alla bella pasticciera. E quando Adrien aveva spiegato che lo faceva solo per perseguire il loro piano alla sfilata, Plagg gli aveva risposto beffardo: «Ti ricordo che l'avevi già invitata a casa quando abbiamo parlato del nostro piano.»
Colpito ed affondato.
Adrien non poté ribattere alla considerazione dell'amico e si era limitato ad eseguire un grugnito di frustrazione.
Per sua fortuna, Plagg era impegnato nella ricerca di un rifugio sicuro, da utilizzare come base per le loro avventure notturne.
Come un vero cavaliere di altri tempi, dai modi cordiali e gentili, Adrien condusse Marinette nell'enorme villa; nonostante lo stupore dovuto alla vastità dei saloni, la ragazza riuscì ad avvertire la freddezza del posto e la tristezza di cui erano permeate quelle mura. La stessa accoglienza che le fu rivolta rispecchiava villa Agreste: Nathalie la salutò con sufficienza, senza curarsi di nascondere sguardi inquisitori; i domestici che la incrociarono si limitarono ad indifferenti cenni con la testa; il gorilla, infine, non proferì parola.
L'espressione di Marinette si fece cupa e carica di compassione: il pensiero che Adrien dovesse vivere in quel luogo la rattristava e comprese il motivo per cui lui difficilmente esternava le proprie emozioni.
Giunti nella camera del modello, l'atmosfera cambiò: una stanza ricca di libri, cofanetti, videogiochi e di tutto l'occorrente per soddisfare le passioni di un ragazzo della sua età.
«Ho visto stadi di calcio più piccoli della tua stanza.» disse Marinette. «Credo sia almeno dieci volte la mia casa.»
Adrien ridacchiò, stupendosi ancora una volta di quanto riuscisse ad essere spensierato al suo fianco.
La fece accomodare su una sedia accanto alla scrivania, su cui erano posati i tre monitor del computer: sugli schermi era raffigurata una splendida fotografia, Adrien insieme alla madre sorridenti, felici e radiosi.
«È lei vero?» Marinette indicò con la testa la foto.
«Mia madre. Emilie.»
«Era molto bella. Hai il suo stesso sguardo e sorriso.» considerò la ragazza, arrossendo subito dopo, accortasi di ciò che aveva appena detto.
Adrien si sedette accanto a lei. «Mi manca molto. Avevo promesso che sarei andato da lei, nel luogo dove è sepolta, ma...» prese un lungo respiro. «Non ho ancora trovato il coraggio. Temo che sia perché, se la andassi a trovare, sarebbe come accettare il fatto che sia morta e non so se sono pronto a lasciarla andare.»
Marinette poggiò la sua mano su quella di Adrien, il quale, cercando un sostegno su cui poggiarsi e trovandolo nella ragazza seduta accanto a lui, gliela afferrò stringendola teneramente.
«Sono sicura che lei è sempre al tuo fianco. Qui dentro.» gli toccò il petto, all'altezza del cuore.
Grato del supporto che gli stava donando in quel momento difficile, Adrien sorrise e prendendo un bel respiro liberatorio. «Cambiamo argomento. Posso vedere la tua creazione?»
Marinette estrasse dalla sua cartella il quaderno, aprendolo alla pagina del disegno. «Ho preso ispirazione dalla bandiera francese per i colori. E lo stile dell'abito ricorda quello dell'epoca della Rivoluzione, anche se ha un taglio moderno.»
«Devo chiederti una cosa, Marinette.» Adrien analizzò ogni dettaglio di quel disegno. «Vorrei essere il tuo modello alla sfilata se per te va bene.»
«I-Il mio m-modello?» Marinette non riusciva a credere alle sue orecchie: la persona che da mesi occupava stabilmente i suoi pensieri le stava chiedendo di indossare la sua creazione e di sfilare con essa. «Dici sul serio?»
«È un abito magnifico! Erano anni che non vedevo una creazione simile; la cura dei dettagli, i colori... È tutto perfetto.»
Marinette sentì il volto farsi rovente a tutti quei complimenti ed abbassò il capo, mormorando qualcosa di simile ad un ringraziamento. «S-Sicuro che tuo padre sarà d'accordo a farti...»
«Non pensiamo a mio padre.» insistette Adrien. «Sono abbastanza autonomo da poter decidere da solo le persone che desidero aiutare. E in questo modo, potrò farglielo capire.»
«Se ti fa piacere...» sussurrò Marinette. «Accetto volentieri.»
Felice come un bambino, senza nemmeno curarsi di non darlo a vedere, Adrien si alzò dalla sedia. «Credo sia opportuno che tu mi prenda le misure. Corro a prendere un metro nello studio di mio padre.»
Marinette approfittò di quel momento di solitudine per rilassare il suo corpo: stava vivendo emozioni fortissime e il suo cuore aumentava i battiti ad ogni parola pronunciata da Adrien.
Aprì la sua pochette e scambiò un veloce sguardo con Tikki, la quale, oltre ad essere soddisfatta per la sua cara amica, avvertiva un grande calore al petto in vicinanza del biondo, una sensazione a lei familiare ma di cui non ne aveva memoria da tempo.
Non ci volle molto perché Adrien facesse ritorno alla sua camera: fino a quel momento, non aveva mai smesso di sorridere e, di certo, non si trattava del suo piano in vista della sfilata, ma aveva a che fare con la ragazza dagli splendidi occhi azzurri. Forse per orgoglio, forse per paura di affezionarsi di nuovo così tanto ad una persona, Adrien si ostinava a rifiutare questo pensiero, cercando di focalizzare la sua attenzione sulla sua missione e solo su quella.
Come una vera professionista, aiutata anche dagli utili consigli del modello, Marinette appuntò tutto ciò che le serviva per confezionare l'abito su misura.
«Pensi di farcela per il giorno della sfilata?» chiese Adrien.
«Sono piuttosto veloce a cucire. Solo che...» si interruppe come se fosse smarrita.
«Cosa?»
«Credo che dovremmo provarlo più volte.» buttò tutto d'un fiato, sottraendosi alla vista del biondo. «È un problema per te?»
«Affatto.» dichiarò fiero Adrien. «Però sarebbe meglio vederci qui; sai, dopo l'avventura di sabato, mio padre mi ha messo alle calcagna il gorilla ventiquattro ore su ventiquattro. E non desidero creare disagi a te o alla tua famiglia; so già che vi metterebbe in soggezione.»
«Non vorrei approfittare troppo della tua ospitalità.»
Adrien scosse la testa. «Tranquilla, a me fa piacere la tua compagnia. Desidero che il tuo abito sia perfetto.»

Nei giorni che seguirono, in tanti ebbero diverse faccende da adempiere: Marinette si recava spesso a villa Agreste dopo la scuola, fatta eccezione per i pomeriggi di lezione di scherma, in modo da lavorare insieme ad Adrien sul completo; lo stesso Adrien, nei panni del suo alter ego arciere, ispezionò di notte il luogo della sfilata, segnando tutti i punti di interesse; Plagg valutò vari siti dove poter stabilire un agevole rifugio per lui e Chat Noir, prediligendo posti vicini alla villa, muniti di garage al coperto per la sua auto e la moto di Adrien; Alya si organizzò con il gruppo di amiche per sostenere Marinette alla sfilata, preparando anche la sua videocamera per riprendere eventuali momenti clou; Nino era riuscito ad ottenere il compito di gestire la musica da trasmettere durante il defilé; Chloè pensò ad un qualunque modo per rovinare la festa alla sua acerrima rivale, più agguerrita che mai dopo aver saputo che Marinette andava spesso a trovare Adrien a casa sua, su suo invito e che addirittura avrebbe indossato l'abito da lei disegnato alla sfilata; infine, Gabriel si mostrò sorprendentemente interessato a questo evento ed in particolare alla giovane Dupain-Cheng, incuriosito dal sostegno così deciso del figlio nei suoi confronti, decidendo di prendere parte anche lui alla sfilata.


Angolo Autore:

I'M BACK!!!
Finalmente riprendiamo la storia e ritroviamo i nostri protagonisti dove li avevamo lasciati.
Ricapitolando: la situazione si sta smuovendo. La nostra Chloè sta tramando qualcosa, Alya è quasi più contenta lei di Marinette di questa sfilata e quei due, beh... Lascio a voi le conclusioni. 
Preparatevi ad un'elettrizzante defilé. 
Alla prossima.

Nike90Wyatt

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 

Gabriel si occupò personalmente di contattare gli organizzatori, i quali, venuti a conoscenza della presenza del grande stilista, gli avevano subito riservato un posto d'onore in prima fila, accanto a Audrey Bourgeois, oltre a renderlo partecipe della giuria che avrebbe sancito il vincitore.
Per sua decisione, Adrien avrebbe raggiunto il luogo insieme al gorilla e Plagg, mentre lui sarebbe giunto lì insieme a Nathalie. Di conseguenza, Adrien decise di accompagnare Marinette e la sua famiglia, sfruttando lo spazio offerto dall'enorme suv.
Marinette era tesa come una corda di violino: aveva già il timore di ricevere un giudizio negativo da parte della madre di Chloè, conosciuta come la spietata stroncatrice di carriere, e la notizia che anche Gabriel Agreste avrebbe fatto parte della giuria era stato il colpo di grazia.
Per sua fortuna, aveva una schiera di persone pronta a sostenerla e ad incoraggiarla, in primis i suoi genitori, seguiti da Alya, Nino, le sue compagne, Adrien e Plagg.
Il clima disteso che si venne a creare nel veicolo, soprattutto per merito di Tom e Plagg, ebbe l'effetto di rasserenare anche Adrien che, dopo tanto tempo, si sentì come parte di una vera famiglia, assaporando quel calore affettivo di cui non negava di invidiare a Marinette.
Giunti sul posto, Plagg accompagnò i due ragazzi nei camerini, mentre i coniugi Dupain-Cheng presero posto accanto ad Alya e al gruppetto di amiche.
Marinette e Adrien avevano concordato insieme, sotto consenso degli organizzatori, che avrebbero sfilato insieme in modo da far risaltare l'abito del ragazzo con una perfetta scenografia.
Plagg entrò insieme all'amico, ritenendo che fosse il luogo adatto per parlare lontano da orecchie indiscrete. «Nervoso?» 

Adrien fissava il suo volto nello specchio. Non diede risposta.

«Cosa ti ha detto Gabriel, stamattina?» incalzò Plagg.
«Di non illudermi di avere favoritismi solo perché sono suo figlio.» rispose Adrien con il volto corrucciato. «Comunque, non è questo che mi preoccupa.»
«Marinette?» Plagg intuì la preoccupazione di Adrien. «Fidati di me. Non correrà nessun rischio.»
«Rimarrà comunque delusa...»Adrien si passò una mano nella chioma bionda per sistemarla a dovere.
Plagg gli si avvicinò sorridente e sistemò al meglio il papillon rosso al collo dell'amico. «Questo abito è veramente sensazionale.» batté la mano sul braccio di Adrien. «Ha un grande talento quella ragazza. Cerca di non rovinare troppo la sua opera.» Si avviò verso la porta salutando Adrien con un cenno delle dita accanto alla tempia. «Ci si vede dall'altra parte.»
Adrien prese due lunghi respiri, diede un'ultima occhiata allo specchio e sussurrò ad occhi chiusi: «Perdonami Marinette.»
Uscendo dal camerino, si ritrovò Chloè ad aspettarlo, con il suo solito atteggiamento da civettuola. «Oh Adrien caro.» sbatté le palpebre. «Sei stupendo! Sapevo che alla fine avresti deciso di non indossare la mostruosità della Dupain-Cheng.»
«Come sarebbe "mostruosità"?» domandò Adrien, infastidito dal commento pungente della biondina.
«Ma hai visto come si veste?» commentò Chloè. «Non penserai che una plebea come lei possa solo immaginare un vestito così.» sfiorò con le dita la stoffa dell'abito, apprezzandone il taglio e la cura dei dettagli.
Adrien provò a ribattere, non gradendo la superbia e prepotenza ostentata dalla figlia del sindaco, ma una voce alle sue spalle lo precedette: «Mi dispiace deluderti Chloè, ma è quello il mio vestito.»
Entrambi si voltarono e videro Marinette, braccia incrociate, espressione audace e sfrontata.
Adrien era ben addestrato a controllare le sue emozioni, a mantenere sempre il sangue freddo e ad avere piena padronanza del suo corpo; però, la visione di Marinette, in quel preciso istante, ebbe l'effetto di distruggere tutte le sue difese: il suo cuore infranse ogni record di battiti, la salivazione si azzerò e assunse uno sguardo da pesce lesso.
Seguendo i consigli di Alya, Marinette sfoggiava un look in perfetta armonia con l'abito di Adrien: camicetta bianca, gilet rosso e gonna blu scuro, stivaletti con tacco anch'essi blu scuro.
Il viso era leggermente truccato e i capelli erano sciolti, fatta eccezione per una piccola ciocca, legata dietro la nuca in una treccia.
Adrien aveva sempre ritenuto Marinette una bella ragazza, ma, in quel momento, era addirittura stupenda.
Il farfuglio di Chloè lo risvegliò dall'effetto del tornado di nome Marinette. Si schiarì la voce. «È così Chloè. Questo meraviglioso abito è opera di Marinette e, tra un po', sfileremo insieme lì fuori.» indicò il tendaggio che divideva i camerini dalla passerella.
Chloè batté i piedi a terra e, furibonda, ritornò in platea. «È ridicolo! Assolutamente ridicolo!»
«Non cambierà mai.» dissero all'unisono Marinette e Adrien. Si guardarono negli occhi, imbarazzati, e sorrisero.
«Adrien, prendi questo.» Marinette gli porse un braccialetto rosso con alcune pietre verdi smeraldo intagliate. «Ti porterà fortuna durante la sfilata, l'ho fatto apposta per te.»
Adrien osservò per qualche secondo il regalo e lo indossò. «Grazie. Sarà il mio Lucky Charm.» ammiccò, imitando per una volta l'atteggiamento di Plagg.

Man mano che le varie creazioni venivano presentate, l'attesa di vedere l'opera di Marinette cresceva per Tom, Sabine, Alya e tutto il gruppetto di amiche.
Nel frattempo, madame Bourgeois non risparmiò i suoi velenosi commenti sui capi in competizione, umiliando i giovani concorrenti; Gabriel, invece, rimaneva impassibile, quasi immobile, senza esternare nessun tipo di apprezzamento o disgusto.
L'unico momento che attirò la sua attenzione fu l'annuncio della concorrente Marinette Dupain-Cheng, sapendo che la sua creazione sarebbe stata indossata dal figlio.
I due ragazzi fecero la loro comparsa sulla passerella mentre un coro si levò dalla platea, proveniente dal gruppetto di amiche, capeggiate da uno scatenato Tom.
Avanzarono insieme a braccetto fino a metà pedana, poi, dopo aver eseguito un galante baciamano, Adrien avanzò da solo fino al bordo, sfoggiando la sua esperienza nel far risaltare un abito, sotto scroscianti applausi dal pubblico.
«Marinette non ci crederà mai quando le farò vedere questo video.» Alya riprendeva il tutto come una reporter professionista.
Adrien si stava esibendo nella sua ultima posa prima di tornare indietro, quando le luci proiettate dai riflettori si fecero più intense, tanto da accecare i presenti. Da quel violento bagliore bianco, apparve una striscia oscura che si muoveva a velocità fulminea: una freccia nera si conficcò dritta sullo schienale della poltrona dove sedeva Audrey Bourgeois, ferendola di striscio ad un braccio, mentre urla di panico si scatenarono nella sala.
Adrien, accigliando lo sguardo, fu il più lesto di tutti e si precipitò ad abbracciare un'attonita Marinette. «Mettiti al sicuro!»
La aiutò a scendere dalla passerella per poi fiondarsi sul lato opposto in modo da raggiungere il padre, il quale non nascose la propria sorpresa ma non sembrava affatto spaventato.
Una seconda freccia fu scoccata, stavolta direzionata proprio contro Gabriel, ma Adrien lo spinse di lato, facendogli schivare il dardo nero.
Nell'impatto col pavimento, dovuto alla prepotenza della spinta di Adrien, Gabriel perse i sensi, così il ragazzo esortò Nathalie e il gorilla a soccorrerlo, mentre la sala si svuotava sempre di più, al grido di "Chat Noir è qui!".
Accertatosi che il padre ricevesse l'assistenza necessaria, Adrien si defilò, sfruttando la confusione della folla e raggiunse la zona dei camerini, in quel momento deserta. Dopo una rapida occhiata ai dintorni, entrò nel camerino che aveva precedente utilizzato per cambiarsi, ritrovandosi Chat Noir di fronte a lui, armato di balestra.
«Ottimo lavoro con quell'affare.» affermò Adrien con decisione, indicando la balestra. «Le due frecce hanno centrato in pieno i bersagli prestabiliti.»
L'arciere si svestì del costume, rivelandosi essere Plagg, il sostituto ideale per far cadere tutti i sospetti su Adrien, il quale, imitando il suo amico, si svestì dell'abito della sfilata per indossare il suo costume da arciere.
«Ero certo che una balestra con la mira automatica sarebbe tornata utile.» commentò Plagg, in un attimo di lusinga per il suo ego. «Piaciuto il gioco di luci?»
«Incantevole.» mormorò Adrien, completata la trasformazione in Chat Noir. «Ora se vuoi scusarmi... Ho un'arpia griffata da inseguire.»
Si catapultò fuori dal camerino, sfruttando il buio provocato da un corto circuito prodotto da un congegno di Plagg, e salì sulla sua moto nera, parcheggiata sul retro dell'edificio e ben nascosta da un telone scuro.

Marinette lasciò la sala accompagnata dai suoi genitori; certa che ormai fossero al sicuro, aveva adesso il problema di trovare un modo per allontanarsi senza destare sospetti, cosicché potesse lasciar spazio a Ladybug per dare il via alla caccia a Chat Noir.
Optò, dunque, per un appuntamento con Alya al Trocadero; la storia era verosimile dato che le due amiche si incontravano spesso lì quando non c'era scuola. Una volta salutati i genitori, per rendere la scusa più concreta, chiamò Alya, fissando un incontro per un'ora dopo.
Libera di agire, trovò un luogo appartato nei paraggi: Tikki uscì dalla sua pochette, pronta all'azione.
Marinette scambiò un cenno d'intesa con la piccola kwami. «Abbiamo meno di un'ora per catturare un gattino smarrito.»
In pochi attimi, Ladybug volò nei cieli di Parigi, scrutando le strade nei dintorni alla ricerca di Chat Noir; essendo passato molto tempo dall'agguato alla sfilata, pensò che si dovesse trovare ancora in zona.

Non le servì molto tempo per trovare ciò che cercava: su una delle principali arterie di Parigi, un uomo incappucciato, in sella ad una moto nera, si trovava alle calcagna di una lussuosa automobile.
Ladybug riconobbe subito la vettura, una volta vicina: era l'auto con cui ogni giorno Chloè si recava a scuola.
Ricordando quanto successo prima alla sfilata, intuì che il bersaglio era Audrey Bourgeois.
Chat Noir scorse la presenza della supercoccinella, utilizzando uno degli specchietti retrovisori. Non risparmiò un'esclamazione di stizza, comprendendo che avrebbe dovuto abbandonare le sue intenzioni di colpire madame Bourgeois e tentare di fuggire al più presto.
Come prevedibile, però, la determinazione di Ladybug era irriducibile.
Sfruttando la potenza del motore del suo mezzo e la sua abilità nel destreggiarsi nel traffico, Chat azzerò il vantaggio che aveva Ladybug nel volare, protraendo l'inseguimento per diversi minuti.
Man mano che si allontanava dal centro della città, per Chat diventava sempre più difficile distanziare la sua inseguitrice che, anzi, guadagnava sempre più terreno. La corsa terminò in una zona periferica, nei pressi di un centro di smaltimento rifiuti, quel giorno deserto.
Ladybug, conquistata una posizione ottimale, utilizzò il suo yo-yo per bloccare i giri della ruota posteriore della moto: la brusca frenata sbalzò Chat dal mezzo, facendolo impattare sull'asfalto.
«La corsa finisce qui, gattaccio.» affermò con sfrontatezza Ladybug.
Chat, con l'utilizzo delle braccia, si rialzò da terra, emettendo un ringhio di rabbia; imbracciò con furia il suo arco e scagliò due frecce, mirando alla supereroina.
Ladybug, quasi con scherno, fece roteare il suo yo-yo e respinse i due dardi neri. «Tutto qui?»
Chat assunse una posizione dritta, mostrandosi impassibile a quelle parole; estrasse un'altra freccia dalla sua faretra e la scoccò.
Mantenendo la stessa espressione, Ladybug mosse lo yo-yo come in precedenza, in modo da respingere la freccia; stavolta, però, il dardo esplose al contatto con il filo dell'arma rossa, catapultando Ladybug a terra.
L'espressione della ragazza cambiò, divenendo seria. "Forse non è stato saggio provocarlo; può nascondere parecchie sorprese." Si rialzò in piedi.
Ladybug lanciò due shuriken magici che Chat schivò con destrezza. I due contendenti si avvicinarono sempre più, trasformando quel combattimento in un duello corpo a corpo. Ladybug sfruttò la sua agilità superiore per sferrare una scarica di pugni, che Chat schivò con destrezza, senza, però, riuscire a contrattaccare per la velocità fulminea dell'eroina coccinella.
Chat cercò di crearsi un'apertura, parando uno di quei pugni; non aveva considerato che, oltre ad essere veloce, Ladybug era anche straordinariamente forte. Quel colpo sferrato gli causò un indolenzimento al braccio e creò una finestra di attacco per Ladybug la quale colpì il suo avversario con tre poderosi ganci al torace.
Chat vacillò, avvertendo difficoltà a restare in piedi data la violenza di quei colpi; Ladybug evitò un disperato tentativo di contrattacco dell'incappucciato, balzando alle sue spalle.
Lanciò il suo yo-yo ed intrappolò le braccia di Chat, sicura di aver ottenuto la vittoria. Con tutta la forza che aveva in corpo, Chat tentò di resistere alla stretta, tirando il cavo che lo teneva legato mentre Ladybug lo strattonava.
Anche stavolta, l'eroina fece sfoggio della sua forza superiore facendo arretrare, seppur lentamente, l'avversario.
Chat, intuita l'impossibilità di poter vincere quella contesa, lasciò la presa e sfruttò la potenza dello strattone per sferrare un calcio in pieno viso ai danni di Ladybug, sorpresa da quell'inaspettata contromossa.
Cadde a terra inginocchiata, toccandosi il labbro superiore dove avvertiva un forte bruciore: guardò il suo dito e notò un rivolo di sangue, quindi rialzò lo sguardo, inferocita da quella reazione.
Determinata a porre fine a quello scontro, si sollevò sulle ginocchia e riprese a far roteare il suo yo-yo, fissando il suo oppositore.
Dal canto suo, Chat, in difficoltà per i colpi subiti, sguainò la katana. Ladybug lanciò la sua arma verso il volto di Chat, il quale, però, parò il colpo afferrando l'oggetto coccinellato poi, con una rotazione completa del corpo, scagliò una gomitata sul volto dell'eroina che barcollò all'indietro. Convinto di essere riuscito ad avere la meglio, sollevò la sua katana e tentò un colpo dall'alto ma fu sorpreso dall'improvvisa reazione di Ladybug che bloccò la lama con una mano e centrò in pieno la gola dell'avversario con l'altra mano; Chat arrancò, il suo respiro fu bloccato per qualche secondo e la vista gli si appannò.
Ladybug lo disarmò in un attimo e lo gettò a terra con un calcio al volto.
Con un ghigno vittorioso dipinto sul volto, si avvicinò lentamente al viso di Chat, poggiandogli la mano sul visore che copriva metà volto dello sconfitto. «Vediamo chi sei.»


Angolo Autore:

Salve gente!
Ho optato per una doppia pubblicazione questa settimana in modo da recuperare i giorni di assenza. 
Dalla settimana prossima, le pubblicazioni torneranno normali.
Dunque, piaciuta la sfilata? Direi che è stata parecchio movimentata, sotto ogni punto di vista.
Abbiamo anche visto la nostra Ladybug fare sfoggio delle sue abilità e, stavolta, a pagarne le conseguenze è stato il nostro Chat. Che dite, uscirà completamente sconfitto da questo scontro?
Come sempre vi ringrazio per essere giunti fin qui e vi aspetto al prossimo capitolo.

A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Chat era immobile, ancora cosciente, ma incapace di reagire: Ladybug lo aveva sopraffatto con una forza straripante. La sua immagine era lontana anni luce da quella ragazzina spaventata incontrata mesi prima, quando era bastato tirarle una freccia a pochi centimetri dal viso per terrorizzarla.

Chat chiuse gli occhi, pronto ad affrontare le conseguenze delle sue azioni, pronto a guardare Ladybug negli occhi, con il volto scoperto, senza la maschera.

La supereroina non riuscì però a strappare quel visore, poiché due dardi volarono proprio nella sua direzione: fu l'istinto a guidarla in una magistrale schivata, evitando entrambe le frecce.

Guardò nella direzione da cui intuì fossero state sparate, vedendo un uomo vestito in nero, un abbigliamento molto simile a quello di un soldato, con la testa coperta da un passamontagna, mentre imbracciava una balestra.

Ladybug riassunse la sua posa da combattimento, preparandosi ad un altro scontro.

Il misterioso uomo puntò la sua balestra, deciso a sparare un'altra freccia. Chat colse al volo l'occasione: estrasse dalla sua cintura due granate, una fumogena ed una abbagliante e le lanciò entrambe ai piedi di Ladybug, costruendosi un'opportunità per fuggire.

«Sbrigati!» esclamò l'uomo in nero, rivolto a Chat che, claudicante, si alzò in piedi e corse nel modo più veloce possibile verso l'automobile alle spalle di quel tizio.

Prima di entrare nel mezzo, imbracciò il suo arco e scoccò una freccia che si conficcò sul tappo del serbatoio della sua moto, che esplose pochi secondi dopo.

L'auto sfrecciò via a tutta velocità, mentre la coltre di fumo provocata dalla granata si diradò lentamente; Ladybug, furente, strinse i pugni, non riuscendo a capacitarsi di come l'arciere le fosse sfuggito un'altra volta.

«Hai anche gli alleati, gattaccio.» ringhiò a denti stretti. Rimase lì per qualche minuto a rimuginare, con la rabbia che a poco a poco l'abbandonava. Ricordandosi del suo appuntamento con Alya, per mantenere la sua copertura, spiccò il volo, dirigendosi verso il Trocadero.

Adrien si liberò di cappuccio e maschera, tenendo gli occhi fissi su di essa mentre, al suo fianco, Plagg era al volante dell'automobile usata per la fuga; il suo intervento era stato tempestivo, senza di lui la missione sarebbe terminata anzitempo.

«Fortuna che ho dotato il tuo costume di un gps.» disse, concentrato alla guida. «Sono arrivato giusto in tempo. Non capisco perché tu non voglia usare la balestra automatica, ma direi che, in questo caso, la tua scelta è stata provvidenziale.»

«Ho commesso un errore, Plagg.» Adrien sospirò. «L'ho sottovalutata. Non credevo fosse così forte. Mi ha distrutto.»

«Andremo al nuovo covo. Ti curerò e ripulirò; poi dobbiamo letteralmente volare a casa o sarà stato tutto inutile.»

Ferito nel corpo ma soprattutto nell'orgoglio, Adrien annuì.

La scelta di Plagg del nuovo rifugio era stata lunga e meticolosa: l'edificio era composto da tre piani e dotato di un ampio garage in cui potevano essere parcheggiati almeno quattro veicoli.

Al primo piano, accanto all'ingresso con un grande bancone, vi erano diversi laboratori, adibiti alla realizzazione di importanti progetti in ambito scientifico ed industriale; il secondo piano, invece, era destinato agli uffici, anche se un'intera ala era sigillata, adattata come covo segreto per Chat Noir.

All'ultimo piano, vi era l'appartamento in cui Plagg aveva deciso di trasferirsi in modo da avere molta più libertà di movimento senza destare sospetti tra i domestici e Nathalie.

Per l'allestimento dell'intero edificio, comprese le zone segrete, si era affidato ad una ditta belga: l'attività era stata ben remunerata, ma i risultati erano stati più che soddisfacenti. Quegli uomini avevano lavorato bene ed in fretta e, soprattutto, non facevano domande, proprio quello che serviva.

Per Plagg era un'ottima copertura: in America, le sue competenze gli avevano consentito di diventare capo di un'azienda spesso coinvolta nel dipartimento scientifico dell'esercito americano, oltre a contribuire in modo decisivo ad importanti progetti per la salvaguardia dell'ambiente.

Appoggiato alla spalla del suo amico, Adrien, zoppicando, si avvicinò al tavolo posto al centro della stanza segreta: intorno vi erano numerosi schermi e computer ed un'intera sezione dedicata all'armamentario, dotato di tecnologie straordinariamente avanzate.

«Stenditi.» Plagg estrasse da un armadietto un kit medico. Adrien, liberatosi del suo costume, obbedì senza fiatare, limitandosi a sporadici versi di dolore.

Il suo torace presentava diverse cicatrici oltre a tre vistosi lividi, proprio nelle zone in cui era stato colpito duramente da Ladybug; anche il labbro superiore non era in buone condizioni, grondando un rivolo di sangue.

Plagg ripulì le ferite, utilizzando un importante bendaggio per l'area toracica e riuscendo anche a coprire, per quanto possibile, il taglio alla bocca.

«Sto aspettando che tu me lo dica, Plagg.» disse Adrien, mentre l'amico ultimava le operazioni di bendaggio.

«Cosa?» chiese Plagg perplesso.

«Il tuo "Te l'avevo detto".» Adrien gesticolò con le dita, enfatizzando la citazione. «Mi avevi avvertito di non sottovalutare Ladybug; di stare più concentrato in un eventuale scontro con lei, soprattutto dopo averla vista in azione.»

Plagg ridacchiò e scosse la testa. «Non credo sia il caso di rinfacciarti quanto tu sia stato idiota a farti prendere letteralmente a calci nel sedere da una ragazzina vestita come una coccinella. Comprendo benissimo il motivo per cui non eri concentrato come fai sempre quando indossi quel cappuccio.»

Adrien assunse un'aria di stupore mista ad una interrogativa. «Illuminami.»

«In primis, inconsciamente tu non vuoi farle del male. Ti ha salvato la vita e, per quanto tu non voglia ammetterlo, le sei grato per questo.» Adrien abbassò lo sguardo: Plagg aveva centrato perfettamente il punto. «E poi sono convinto che oggi, nella tua testa, non esista altro che un'altra ragazza dai capelli scuri e occhi azzurri. Una capace di sciogliere il cuore di Mr. Ghiacciolo.»

«Le ho rovinato uno dei giorni più importanti della sua vita e non le ho nemmeno chiesto come stesse dopo quello che è successo.» commentò Adrien con tono di stizza.

«Puoi sempre chiamarla per farlo.» rispose Plagg.

«Accidenti, Plagg! Non doveva succedere!» Adrien batté il pugno sul tavolo, provocando un piccolo solco della forma della sua mano.

«Ehi! L'ho appena comprato.»

Sordo alle parole dell'uomo, Adrien proseguì: «Dovevo gestirla meglio. Triplicherò gli allenamenti e farò in modo che Marinette abbia un'altra occasione. Glielo devo.»

«Sì, sì, certo. Ora però torniamo a casa e concludiamo la messa in scena con Gabriel. Si sarà persuaso che tu e Chat Noir non siete la stessa persona. E se qualcuno ti chiedesse di quel taglio, che ancora un po' si nota...»

«Dirò che me lo sono provocato quando mi sono gettato per salvare papà.» concluse Adrien.

«Bravo ragazzo.» assentì Plagg soddisfatto. «E, Adrien?» 

«Sì?»

«Te l'avevo detto.»

Marinette giunse al Trocadero in perfetto orario per il suo appuntamento con Alya; poco prima, era passata da casa, senza farsi notare dai genitori, per un rapido cambio d'abito, optando per un outfit più comodo per un'uscita con le amiche.

Ad aspettarla, oltre ovviamente ad Alya, vi erano anche Alix, Juleka, Rose e Mylene, le sue più care amiche, nonché ottime compagne di classe: nonostante il grande spavento per quanto successo, avevano tutte un'espressione serena, anche se velata da un'ombra di delusione per la loro amica.

Rose fu la prima ad introdurre il discorso. «Mi dispiace per la sfilata, Marinette. Il tuo abito era veramente magnifico.»

«E il nostro bel modello biondo sembrava perfettamente a suo agio accanto a te sulla passerella.» intervenne Alya, con il suo classico ghigno.

A dispetto di quanto si potesse pensare, Marinette non arrossì sentendo quella considerazione, limitandosi a sorridere assumendo un'espressione sognante.

«È stato meraviglioso sfilare al suo fianco.» affermò, senza mai perdere il sorriso. «Sono riuscita anche a regalargli il braccialetto che avevo confezionato appositamente per lui.»

«Ho notato che lo indossava durante la sfilata.» considerò Mylene. «Quelle pietre color smeraldo si intonano perfettamente con i suoi occhi.»

«Meno male che ha apprezzato. Ci hai portato in giro per tutta Parigi alla ricerca della giusta sfumatura di verde.» Alix gesticolò con le mani.

Trascorsero l'intero pomeriggio a discutere, toccando qualsiasi argomento concernente la sfilata: Alya mostrò alle amiche tutti i video che aveva registrato, promettendo a Marinette di passarle tutto il materiale.

Il tono della conversazione si fece più acceso quando il soggetto in questione divenne Chloè.

«Avresti dovuto vedere la faccia che aveva quando ti ha vista uscire sulla passerella accanto ad Adrien.» disse Alya, rivolta a Marinette.

Alix indicò un frame in cui Chloè sbuffava. «Per un attimo ho pensato che potesse implodere.» 

«Mi è bastato vedere la sua reazione quando ha scoperto che l'abito da lei elogiato era proprio il mio.» Marinette ridacchiò.

Juleka si portò una mano al mento. «Dovremmo aspettarci dei tiri mancini da parte sua nei prossimi giorni?» 

«Lo affronteremo insieme come sempre.» ribatté Alya, prima di esibirsi in un caloroso abbraccio di gruppo.

Marinette tornò a casa quando il sole era già tramontato e il freddo pungente della sera era sceso su Parigi. Le strade della città erano molto affollate, illuminate da migliaia di luci colorate ed addobbi natalizi.

La ragazza adorava quel periodo dell'anno: avvertiva la felicità delle persone ed amava confezionare quantità industriali di dolci da dare in omaggio ai clienti della pasticceria; non le importava quanta fatica le costasse, a lei bastava ricevere un sorriso di ringraziamento.

Al suo rientro, si scusò per l'ora e per essersi trattenuta così tanto con le amiche.

Il lungo cappotto bianco che indossava le copriva gli abiti, in modo che né Tom né Sabine si accorgessero del cambio di vestito, di cui loro erano all'oscuro.

Giunse nella sua camera e, dopo aver infilato il pigiama, tornò in sala da pranzo, cenando insieme ai genitori.

Non avendo avuto ancora occasione di parlare della sfilata, i coniugi Dupain-Cheng sfruttarono quel momento per riempire di complimenti la giovane per il vestito confezionato per Adrien, per il completo che indossava lei, per il modo in cui aveva affrontato la passerella, con grazia, eleganza e charm.

Tutto ciò che era accaduto dopo era come se fosse stato dimenticato e, in fondo, Marinette era contenta di questo: Chat Noir era un affare di cui doveva occuparsi Ladybug e, se le sue azioni avevano avuto così poco impatto sulle persone a lei care, tanto meglio.

Nonostante la giornata pesante e stancante, la ragazza decise di intrattenersi ancora per qualche ora a discutere con Tikki riguardo un possibile piano d'azione, da attuare alla prossima apparizione dell'arciere.

«Mi sembra che te la sei cavata benissimo oggi.» considerò la piccola kwami.

«Quel tipo ha parecchi assi nella manica.» Marinette si sedette sulla sedia accanto alla scrivania; con aria pensierosa, ispezionò su Internet i numerosi articoli riguardanti l'incappucciato, soffermandosi sul suo modus operandi, pur conoscendolo già alla perfezione. «Quanti gadget nasconde in quel costume?»

Tikki strinse le spalle. «Non saprei, ma comunque è il primo individuo in grado di tenerti testa in uno scontro fisico, capace addirittura di farti sanguinare.»

«È ben addestrato, questo è certo.»

«E ha almeno un alleato, qualcuno che gli guarda le spalle.»

Marinette si alzò dalla sedia, iniziando a passeggiare nervosamente in tondo. «Quello che più mi innervosisce è il non sapere quale sia il suo obiettivo.»

Tikki si posò sulla spalla destra della ragazza, con espressione accigliata. «Sappiamo che colpisce le persone di alto ceto sociale. Gente facoltosa, con un ricco conto in banca.»

«Sì, ma finora tutti i suoi bersagli si sono rivelati avere degli scheletri nell'armadio.» considerò Marinette. «Cosa potrebbe mai volere da Audrey Bourgeois?»

«Forse anche lei ha preso parte ad affari poco puliti.» rispose Tikki, perplessa.

Marinette scosse la testa, non convinta da quella considerazione. «Che motivo avrebbe? È una delle più grandi disegnatrici di abiti di moda. È sposata con il sindaco di Parigi, nonché proprietario del più lussuoso hotel della città.» Interruppe quell'infinita camminata, sedendosi pigramente sul divanetto. «No. C'è qualcos'altro sotto; me lo sento.»

«Mi fido del tuo istinto, Marinette.» affermò Tikki, guadagnandosi una tenera carezza sul capo.

«Prima scopriamo cosa vuole quel gattaccio nero, prima riusciremo a fermarlo, Tikki.»

Angolo Autore:

Bentornati ragazzi!

Dunque, ho un paio di cose da dirvi dopo questo capitolo.

Innanzitutto, mi scuso se è stato un po' sottotono rispetto ai precedenti; purtroppo l'ho scritto in un periodo un po' buio e mi rendo conto che non sia uscito un granché. Ma, comunque, tutto questo è solo il preludio alla tempesta che sta per abbattersi. Anzi, forse il termine più adatto sarebbe uragano!

Detto ciò, vi informo che i prossimi due capitoli, il 14 e il 15, saranno molto più lunghi di questo, direi all'incirca il doppio, poiché ci sono tante cose da raccontare e ho preferito racchiuderle in 2 capitoli anziché 4 affinché la narrazione fosse quanto più gradevole possibile. E, comunque, li considero un po' il giro di boa della storia, dopo il quale il tutto si farà sempre più... Beh lo scoprirete.

Come sempre, vi ringrazio infinitamente per essere arrivati sin qui, per seguire questa storia e, soprattutto, per i commenti che mi inviate.

Vi aspetto venerdì prossimo per (concedetemi di fare un po' come Astruc in questo caso) IL capitolo.

Alla prossima.

Nike90Wyatt

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Come prevedibile, Nadja Chamack dedicò numerosi servizi del suo programma televisivo agli avvenimenti della sfilata.
Era la prima volta che Chat Noir faceva la sua apparizione di giorno e durante un evento pubblico; aveva scatenato il panico tra i presenti e seminato il caos per le strade di Parigi in un rocambolesco inseguimento in cui era coinvolta anche Ladybug.
Se prima era considerato un folle munito di arco e frecce che amava spaventare i ricchi e facoltosi uomini d'affari francesi, adesso era diventato un vero e proprio pericolo pubblico ed era in cima alle priorità della polizia parigina. Per di più, aveva colpito Audrey Bourgeois, dunque il sindaco aumentò la pressione sull'incaricato delle indagini, il commissario Raincomprix, assumendo atteggiamenti severi ed imperiosi.
Oltretutto, il fatto che Gabriel Agreste fosse presente all'evento, attirò molta più attenzione; lo stilista era stato anche lui preso di mira dall'arciere e ciò scatenò l'opinione pubblica, chiedendosi se lui e madame Bourgeois non avessero degli oscuri segreti legati ad atti criminosi, come i precedenti bersagli.
In risposta a queste insistenti insinuazioni, Audrey esortò il marito ad organizzare un party all'hotel Bourgeois la sera della Vigilia di Natale, invitando le più abbienti e famose personalità a livello nazionale.
Sorprendentemente, Gabriel confermò la sua partecipazione alla festa, evitando, però, di insistere col figlio su una sua partecipazione.
Lo stilista era solitamente restio a mostrare la sua gratitudine: un tratto del carattere che aveva da sempre, spesso oggetto di rimprovero da parte di Emilie. Per tal motivo, il suo ringraziamento al figlio per averlo salvato da quella freccia fu una riduzione della rigidità riguardo le sue uscite con gli amici, Plagg compreso; Adrien approfittò, dunque, di quell'insolita concessione per recarsi spesso al nuovo covo e sottoporsi a dure sedute di allenamento, sotto la supervisione di Plagg, che, invece, studiava nuovi gadget per migliorare l'equipaggiamento di Chat Noir.
Nel frattempo, il modello pensò ad un modo per far guadagnare a Marinette una seconda occasione per fare sfoggio delle sue abilità di stilista amatoriale: presentarle il padre era fuori discussione, non solo perché c'era il rischio che la trattasse con sgarbo ed arroganza recandole offesa, ma anche per evitare che facesse domande personali come aveva fatto in passato quando l'argomento era Chloè.
A punzecchiarlo sulle questioni sentimentali ci pensava già Plagg, e bastava.
Un'idea fattibile sarebbe potuta essere invitarla al successivo servizio fotografico ed introdurla agli esperti del settore, ma il problema era il medesimo: ottenere il permesso di Gabriel.

Per l'ultimo giorno di scuola pre-vacanze natalizie, Marinette aveva preparato un piccolo dolce per ognuno dei suoi compagni di classe: conoscendoli da tanti anni, era a conoscenza dei loro gusti preferiti e, dunque, non le risultò difficile accontentare i loro palati.
L'unico di cui ignorava i gusti in ambito dolciario era proprio Adrien, per il quale ritenne che un classico dolce al cioccolato fosse sufficiente affinché il suo pensiero fosse gradito; oltre a questo, per diversi pomeriggi, si impegnò in un certosino lavoro di cucito, sfruttando la sua innata abilità, confezionando un regalo più personale da consegnare al bel biondo.
Con l'aiuto della madre, Sabine, Marinette chiuse ogni singolo dolce in un piccolo pacchettino, dotato di un fiocco personalizzato, etichettato con il nome del destinatario.
Salutato il padre, uscì dalla pasticceria incrociando Alya davanti all'ingresso dell'istituto scolastico; senza perder tempo, aprì la scatola contenente i regali ed estrasse un piccolo pacchettino con un fiocchetto arancione sul quale era scritto il nome della ragazza castana.
«Bignè con crema all'arancia, il tuo preferito.» le porse il pacchettino.
Con enorme entusiasmo, Alya raccolse il regalo e lo scartò avidamente, assaporando con gusto quel dolce dal sapore sublime. «Tu mi vizi, amica mia.»
Le due amiche raggiunsero la classe, convinte di non trovarvi nessuno dato che era ancora presto; sorprendentemente, Chloè e Sabrina erano già arrivate.
La biondina, seduta a gambe accavallate sul suo banco, guardò le due entrare in aula, esibendosi in un ghigno trionfale nel momento in cui incrociò lo sguardo di Marinette.
Con totale nonchalance, la corvina si avvicinò al banco della figlia del sindaco ed estrasse altri due pacchettini. «Questi sono per voi: macaron con crema al cioccolato fondente per Chloè e pasta choux con confettura al lampone per Sabrina.»
Chloè guardò il regalo di Marinette ostentando indifferenza, costringendo la ragazza a poggiarlo sul banco accanto a lei; Sabrina, invece, accettò con piacere il pensiero della compagna, grata per aver ricevuto, per una volta, un po' di attenzione.
Tornando al suo posto, Marinette guardò Alya intenta ad aprire una busta rossa, notando che la stessa era poggiata su ciascun banco della classe, fatta eccezione per il suo.
Incuriosita, rivolse all'amica uno sguardo interrogativo.
«È un invito ad una festa nell'attico dell'hotel Bourgeois. Alla Vigilia di Natale.» disse Alya, mentre la classe, man mano, si affollava.
Marinette si apprestò a consegnare i doni ai suoi compagni, tutti entusiasti per la meticolosità con la quale la ragazza era riuscita a soddisfare i loro gusti.
Alya, nel frattempo, osservò che lo stesso invito era stato rivolto a tutti gli altri componenti della classe.
«Un gesto piuttosto insolito, conoscendo Chloè.» constatò sottovoce, una volta che Marinette si era accomodata accanto a lei. «In 5 anni che la conosco, non ricordo un invito del genere.»
«Invece è tutto nella norma.» rispose Marinette.
Alya inarcò il sopracciglio destro.
Marinette sorrise rassegnata. «Sono l'unica a non aver ricevuto l'invito.»
Alya, accortasi solo in quel momento dell'assenza della busta sul banco dell'amica, sgranò gli occhi e si alzò furiosa, intenzionata ad inveire tutto ciò che le sarebbe venuto in mente contro la biondina.
Di riflesso, anche Marinette si alzò nel tentativo di bloccare l'amica. In quell'istante, giunsero in aula anche Nino e Adrien.
«Che succede, Alya?» chiese Nino, notando l'espressione indemoniata della sua ragazza.
Anche Adrien si mostrò interessato alla questione e, indicando con il capo il banco di Chloè, domandò: «Che ha combinato stavolta?»
Alya indicò, con impeto, la busta, ancora chiusa, poggiata sul banco del biondo. «L'hanno ricevuto tutti, tranne Marinette.»
Mentre Nino riuscì a stento a placare la furia della fidanzata, assistito dai forzuti Ivan e Kim, Adrien aprì con tranquillità la busta, leggendone il contenuto. Alzò lo sguardo, in direzione di Chloè la quale, con la solita aria civettuola, ammiccò teatralmente; Adrien scosse la testa, piuttosto seccato dall'atteggiamento della biondina.

Alla fine delle lezioni, il gruppetto di amiche fu informato dello "scherzetto" di Chloè, ma Marinette le rassicurò, affermando che per lei non c'era nessun problema e che ormai era abituata a subire le prepotenze della biondina.
All'uscita da scuola, Marinette ed Alya furono affiancate da Nino e Adrien.
«Se non vai tu, non andremo nemmeno io e Nino.» affermò la castana, ancora non del tutto tranquillizzata.
«Credimi, Alya. Non è necessario. Divertitevi anche per me.»
Adrien rimase in rigoroso silenzio, intenzionato a non intervenire nella discussione.
Ad aspettarlo, proprio davanti all'ingresso scolastico, c'era Plagg, appoggiato alla sua bellissima automobile sportiva.
L'uomo, con un sorriso smagliante, salutò i quattro ragazzi i quali ricambiarono allegramente, ad eccezione di Adrien.
«Monsieur Dominus, ho un regalo per lei in pasticceria.» disse Marinette.
Gli occhi di Plagg si illuminarono. «Chiamami pure Plagg. Quel "monsieur" mi fa sentire vecchio.»
Adrien alzò gli occhi al cielo, reprimendo un sorriso, mentre gli altri ragazzi scoppiarono a ridere.
Marinette invitò tutti a seguirla in pasticceria, in modo da poter consegnare il regalo a Plagg; il gruppo si diresse verso il negozio di proprietà dei Dupain-Cheng, ma una voce squillante, fin troppo familiare, li bloccò: «Adrien!»
I quattro ragazzi emisero un esasperato sospiro, intanto che Plagg già pregustava un pranzo coi fiocchi quel giorno: approfittando dell'inaspettato invito, avrebbe sicuramente fatto scorta di dolciumi.
Camminando a passo svelto, Chloè raggiunse il modello, cingendogli il collo con le braccia, tra i mormorii di stizza di Marinette.
«Oh, Adrien caro. Ho bisogno di parlarti della festa.» esordì Chloè, interessata alla risposta dell'unica persona di cui le importava la presenza al party della Vigilia.
Adrien fu tentato di scrollarsela subito di dosso, ma optò per un comportamento più garbato e consono alla sua persona. «Va pure, Plagg. Aspetterò qui alla macchina.»
I ragazzi, seguiti da Plagg, entrarono nella pasticceria, avvertendo il brusco cambio di temperatura.
Con l'immensa affabilità che li distingueva, i coniugi Dupain-Cheng accolsero il gruppetto: Tom riconobbe subito l'uomo che accompagnava i giovani. «Plagg, che piacere!»
«Buongiorno Tom. Sabine.» Plagg abbozzò un inchino a mo' di saluto.
«Immagino che Marinette ti abbia invitato per il regalo. Vado subito a prenderlo.» Sabine scomparve nel retro del negozio.
Plagg annuì, notando lo sguardo interrogativo di Marinette, sorpresa da tutta quella confidenza. «Non dirlo a nessuno, ma vengo spesso qui a comprare dolci. Tuo padre è un mago.»
Il commento di Plagg fece imbarazzare Tom e ridacchiare i ragazzi che, finalmente, sembrarono rilassarsi dopo una giornata trascorsa in compagnia delle subdole macchinazioni di Chloè.
«Di quale festa parlava la vostra amica?» chiese Plagg.
«Per la Vigilia ha invitato tutti noi della classe nel suo superattico, all'hotel Bourgeois.» spiegò Nino.
«Peccato che abbia del tutto ignorato Marinette.» si intromise Alya, ancora indignata.
Plagg inclinò la testa di lato, guardando Marinette con aria perplessa; poi, allungò lo sguardo al di là della strada, dove il suo amico parlottava con la figlia del sindaco. «Capisco. Beh, credo che resterà molto delusa dal conoscere la risposta di Adrien.»
Accorgendosi di non essere stato del tutto chiaro, proseguì: «Da quando sua madre è scomparsa, Adrien non festeggia più il Natale. Lo considera un giorno come tanti altri. Il padre avrebbe voluto che andasse con lui a quel party di Audrey Bourgeois, ma Adrien si è rifiutato categoricamente. E non credo che Chloè ottenga più successo. Non lo ammetterà mai, ma credo che sia uno dei giorni in cui soffre di più la mancanza di Emilie.»
Sabine, nel frattempo rientrata nel locale con una confezione rossa tra le mani, prese parola: «Perché tu e Adrien non venite qui da noi alla Vigilia?»
«È un'ottima idea!» esclamarono all'unisono Tom e Alya, la quale non perse occasione per colpire il gomito di Marinette.
«Non saprei.» Plagg portò una mano sotto al mento. «Potrei provare a convincerlo.»
Sabine consegnò all'uomo il regalo. «Avremmo grande piacere ad avervi come ospiti per Natale.» indicò il pacco. «È un'idea di Marinette: una rivisitazione della cheese-cake che compri di solito.»
«Lo dicevo io che sei un angelo.» disse Plagg, rivolto alla ragazza che arrossì imbarazzata. «Proverò a convincere Mr. Ghiacciolo e, se dovesse rifiutare, lo trascinerò con la forza qui.»
Salutò tutti, augurando buon Natale ad Alya e Nino, ed uscì dal locale, raggiungendo, sull'altro lato della strada Adrien, ancora alle prese con una complicata discussione.
«Non insistere, Chloè. Non sono interessato a partecipare al tuo party.»
«Ma... Adrien! Non puoi mancare; sei l'ospite d'onore.» Chloè batté i piedi per terra.
Adrien vide l'amico giungere al suo fianco e tirò un sospiro di sollievo: aveva l'occasione per troncare lì quella conversazione. «Mi spiace, Chloè.»
Le accarezzò il braccio, cercando di essere quanto più gentile possibile.
Con un cenno degli occhi, esortò Plagg ad entrare nell'automobile, non prima di aver regalato a Chloè un ultimo sorriso di circostanza; in un attimo la duetto di Plagg sfrecciò via a tutta velocità, mentre Chloè gettò uno sguardo accusatorio verso la pasticceria Dupain-Cheng, certa che, dietro il rifiuto di Adrien, ci fosse Marinette.
Adrien, quasi più stanco di un calciatore al termine di una partita, si rilassò sul sedile in pelle dell'automobile. «Grazie per avermi salvato. Quella ragazza è peggio di una piovra quando ci si mette.»
«Non invitare Marinette a quel party è davvero un gesto di una bassezza sconvolgente. Non me l'aspettavo da una Bourgeois.»
«Ho evitato di rinfacciarglielo; era già troppo delusa dal mio rifiuto. Allora, questo regalo?»
«Una creazione culinaria dell'angelo dagli occhi azzurri.» Plagg sogghignò. «A proposito, il 24 andiamo a cena da loro; non ammetto repliche.»
Adrien scosse la testa. «Plagg, sai bene che io...»
«Non festeggi il Natale.» completò Plagg. «Ma questo è un invito ad una normale cena, fatto da persone cui tengo molto, quindi non azzardarti a rifiutare!» il tono della sua voce si fece imperioso. «Avevi detto che dovevi riscattare in qualche modo lo sgarro fatto a Marinette, giusto? Quale occasione migliore se non trascorrere un po' di tempo con lei, standole vicino dopo quello che ha subito?»
Adrien prese un profondo respiro, rimanendo in silenzio per qualche minuto: riflettendoci su, l'amico non aveva tutti i torti e, comunque, la compagnia di Marinette era un toccasana per lui.
«D'accordo.» esclamò. «Accompagnami nella miglior gioielleria di Parigi.»

Adrien prese l'elegante scatolina della gioielleria, di forma cubica e color verde mare dal cassetto della sua scrivania e la infilò nella tasca dei suoi pantaloni.
Si diresse verso lo specchio per darsi un'ultima sistemata ed occhiata: come sempre, era impeccabile.
Plagg aveva voluto ed ottenuto che, per quella sera, indossassero entrambi un abito, giacca e pantaloni nero, disegnato da Gabriel, con un dolcevita dello stesso colore e all'occhiello della giacca un garofano rosso. Come tradizione, per Natale, era necessario avere qualcosa di rosso.
Lo stesso Plagg bussò alla porta per esortarlo a far presto ed essere puntuale alla cena di Natale, offerta dai Dupain-Cheng.
Anche l'uomo stava proprio bene con quel completo; tra le mani aveva una magnifica confezione natalizia di vischio fresco da regalare ai loro gentili ospiti.
Appena arrivati alla casa della famiglia prediletta da Plagg, furono accolti da Tom e Sabine nel modo più caloroso ed affettuoso che si potesse desiderare.
Plagg era estasiato, quasi in trance, dal profumo stuzzicante di cui era inebriata tutta la sala da pranzo, addobbata con un grande e luminoso albero e tanti festoni sparsi per la stanza, una dolce musica natalizia di sottofondo ed una lunga tavola apparecchiata con cura ed eleganza.
Adrien provò una sensazione nuova o, perlomeno, che non ricordava di aver mai provato così forte: si sentì a casa, in famiglia, a suo agio, felice che fosse Natale.
Marinette, intanto, era dinnanzi allo specchio tremante per l'emozione ed incerta sul suo look. Aveva iniziato a provare abiti dalla mattina dopo colazione; Tikki era sfinita, non ne poteva più di cercare di tranquillizzarla e di dirle che anche con uno straccio rosso sarebbe stata bellissima comunque.
Anche Alya le aveva detto lo stesso per tutto il giorno a telefono.
In quel momento, indossava delle ballerine rosse ai piedi, un leggins nero e un caldo maglione di lana rosso, fatto a maglia da lei stessa ed osservava sconsolata gli abiti uno sopra all'altro sul letto, quelli sulla sedia e quelli ancora nell'armadio.
Non si era neanche truccata e, all'improvviso, udì la madre che la chiamava perché erano arrivati gli ospiti; Marinette era nel panico.
Sabine entrò nella camera della ragazza e, con tono di rimprovero, disse: «Marinette! Sbrigati a scendere in sala. Non far aspettare i nostri ospiti.»
Marinette non ebbe neanche il tempo di ribattere, che la madre la trascinò giù per le scale.
Tikki, che si era nascosta per non farsi scoprire, tirò un sospiro di sollievo e sorrise compiaciuta.
Sull'ultimo gradino delle scale, vi era Adrien: sollevò il capo quando sentì scendere le due donne e sorrise alla ragazza, che aveva il volto avvampato per la vergogna e l'emozione.
La madre la precedette nello scendere le scale e si fiondò in cucina per gli ultimi ritocchi.
Marinette si fermò a guardare Adrien incantata, ipnotizzata dalla sua bellezza, così mise un piede in fallo e scivolò fra le braccia del ragazzo, rapido ad afferrarla. «Ti sei fatta male?»
Marinette scosse la testa, sorridendo imbarazzata. «Colpa di questi tacchi, non ci cammino bene. Non li porto mai quindi non ci sono abituata.»
Divertito, Adrien le guardò i piedi e le scarpe che indossava e si voltò verso la giovane stupito.
Marinette sgranò gli occhi quando vide ai suoi piedi le ballerine e farfugliò qualcosa di incomprensibile, che né Adrien né lei stessa capirono.
«Sei bellissima.» disse Adrien con sincerità. «Hai molta grazia e charme. La tua semplicità esalta queste caratteristiche. L'hai ampiamente dimostrato anche alla sfilata dell'altro giorno e lo confermi stasera. Ti assicuro che staresti bene anche con un sacco di juta.»
L'imbarazzo di Marinette svanì nel momento in cui lui le prese la mano e la strinse teneramente nella sua e si avviarono nella sala da pranzo, dove, di lì a poco, dopo che la ragazza ebbe salutato Plagg, si sedettero a cenare.
La mezzanotte arrivò in un lampo tra risate, discorsi leggeri ma interessanti, i racconti di Plagg sui suoi interessi, sugli anni vissuti a New York, la passione di Adrien per la scherma, sul suo lavoro come modello, non mancando anche accenni al padre.
Tom, spinto da Plagg, narrò l'inizio e l'evolversi della storia d'amore con la moglie ed entrambi si divertirono a raccontare piccoli aneddoti di quando Marinette era neonata e di quanto avesse riempito la loro vita di gioia.
Dal canto suo, la ragazza confessò tutto il suo entusiasmo nel pensare al suo futuro da stilista di moda, ricevendo anche tantissimi apprezzamenti da Plagg per il vestito creato per la sfilata ed indossato da Adrien.
Giunse il momento dello scambio dei doni, seduti su dei cuscini intorno all'albero di Natale, com'era tradizione di casa Dupain-Cheng.
I genitori di Marinette avevano donato a Plagg una copia di un diario di ricette del padre di Tom e l'uomo apprezzò oltremodo questo dono. La corvina, invece, gli aveva creato a maglia dei buffi guanti di lana che Plagg adorò immediatamente.
Per Adrien, i coniugi Dupain-Cheng avevano pensato ad un bell'orologio giovanile; Marinette, invece, gli aveva confezionato un'adorabile sciarpa in seta, dello stesso colore dei suoi occhi, verde smeraldo.
Il giovane Agreste apprezzò il dono, confessando che anche la madre ne possedeva una identica e che, dopo la sua morte, avrebbe voluto tenerla come suo ricordo, ma suo padre aveva fatto sparire tutte le sue cose.
Nonostante ci fosse un gradevole tepore nella stanza, Adrien indossò subito la sciarpa di Marinette e le porse il suo regalo: la ragazza quando vide cosa conteneva la scatolina, portole da Adrien, restò in apnea e senza parole.
Era un medaglione in stile antico ma molto elegante e prezioso, tempestato di acquemarine. Adrien l'aiutò ad indossarlo e le fece vedere come si apriva. «Puoi metterci una foto, un piccolo tesoro, quello che desideri. È come un piccolo scrigno dei segreti del tuo cuore. Mia madre ne indossava sempre uno simile; all'interno portava una mia foto e una ciocca dei miei capelli.» si fermò per un istante e i suoi occhi si velarono di tristezza. «Quando la trovarono senza vita su quel marciapiede, non aveva più il medaglione: i segni che aveva sul collo facevano intuire che le era stato violentemente strappato.»
Delle lacrime attraversarono gli occhi di Adrien; per qualche istante fu lontano con i pensieri, ma Marinette, commossa dal racconto, gli accarezzò una mano e gli si avvicinò al viso, baciandolo sulla guancia.
Adrien fu come risvegliato da un sogno e le sorrise.
Nel frattempo, i genitori della ragazza scartarono i loro regali: Adrien aveva donato loro un abbonamento all'Operà di cui erano appassionati mentre Plagg aveva regalato loro un drone di sua progettazione da utilizzare come antifurto nel negozio.
Marinette, ancora seduta accanto ad Adrien sotto l'albero, aveva un ultimo regalo da scartare, quello di Plagg: era un delizioso cofanetto rosso a pois neri dove avrebbe potuto riporre i suoi accessori, fermacapelli e gioielli vari. All'interno vi era anche una piccola coccinella come portafortuna.
«Ho pensato di prenderti questa fantasia perché è grazie ad una coccinella che è iniziata la nostra amicizia, soprattutto fra te e Adrien.» disse Plagg, vedendo la ragazza osservare il suo dono. «Anche se l'inizio è stato un po' turbolento.»
Marinette sorrise imbarazzata mentre Adrien scambiò uno sguardo complice al quale Plagg strizzò l'occhio divertito.
«Adrien si è fatto tardi, dovremmo rientrare.» affermò Plagg con un tono dispiaciuto. Fece per lasciare soli i ragazzi, poi tornò con fare malizioso. «Io vado a prendere i soprabiti ed avvertire Sabine e Tom; voi aspettatemi all'ingresso sull'uscio della porta.»
Marinette e Adrien annuirono col capo, perplessi, ma seguirono il suggerimento di Plagg.
«Grazie Marinette per la bella serata.» disse Adrien. «Per la prima volta, dopo tanto tempo, ho avuto piacere di festeggiare il Natale.»
I primi ad arrivare accanto all'ingresso furono i coniugi Dupain-Cheng, i quali salutarono affettuosamente Adrien, dicendosi onorati che il ragazzo avesse accettato il loro invito. In tutta risposta, il giovane Agreste ribadì anche a loro quanto fosse stato felice di quella serata.
Quando Plagg arrivò con i soprabiti, urlò trionfante ai ragazzi: «Ma siete sotto il vischio che ho portato per augurio e che ho fatto sistemare a Tom appena arrivati! Dovete baciarvi, è tradizione!»
I due giovani avvamparono in volto dopo averlo alzato e visto il vischio che pendeva sulle loro teste.
Si incrociarono con lo sguardo per un istante, poi guardarono i tre di fronte a loro, che sorridevano compiaciuti aspettando che si baciassero.
«Non siate timidi!» li incoraggiò ancora una volta Plagg, con sguardo e sorriso malizioso. «Porta incredibilmente bene baciarsi la notte di Natale sotto il vischio fresco. Avanti, non fatevi pregare!»
Adrien si portò una mano dietro alla nuca, imbarazzato, abbozzando un sorriso e guardò di sottecchi Marinette, il cui bel volto era di mille colori e il resto del corpo pietrificato. Avrebbe voluto fuggire per la vergogna, ma, allo stesso tempo, restare lì e vivere quel momento all'infinito.
Alla fine, Adrien le si avvicinò, chiuse gli occhi e la baciò anche se per un brevissimo istante. Così, istintivamente, fece Marinette, che fu risvegliata ed aprì gli occhi, dopo quel breve momento, solo dagli applausi di Plagg, il quale costrinse i signori Dupain-Cheng ad imitarlo.
Fiero e soddisfatto, Plagg porse il soprabito ad Adrien, prima di salutarsi tutti allegramente, augurandosi ancora un buon Natale.
Marinette e Adrien, non si guardarono più e si salutarono, molto imbarazzati ma anche emozionati dal bacio, solo con una fugace stretta di mano.
Nell'automobile che li riconduceva a villa Agreste, Plagg e Adrien non si scambiarono una parola; il giovane era scombussolato, confuso, prigioniero felice di un vortice di sensazioni piacevoli e forti e dall'immagine che gli si riproponeva sempre dinnanzi di lui e Marinette insieme e sul finale romantico di quella serata.
I suoi pensieri furono interrotti da Plagg che, con apprensione, attirò la sua attenzione: «Cosa succede?»
Di fronte all'hotel Bourgeois, una schiera di volanti della polizia recintavano il perimetro della struttura, mentre gli agenti cercavano di tener lontani i curiosi, dichiarando uno stato di massima allerta.

Marinette, appena andati via gli ospiti, baciò i suoi genitori, augurando loro la buonanotte, e risalì nella sua camera, sentendosi volare su una nuvola.
«Tikki, ti devo raccontare tutto!» esordì con aria sognante.
La piccola coccinella, però, fu sorda alle parole dell'amica, completamente assorta nel seguire al computer un servizio in diretta di Nadja Chamack.
«Un tizio mascherato ha preso in ostaggio gli ospiti dell'hotel Bourgeois, aiutato da falsi membri dello staff dell'albergo, rivelatosi lavorare per lui.» raccontava la reporter. «In esclusiva abbiamo un filmato che è stato trasmesso dall'interno della struttura.»
Le immagini mostravano Gabriel Agreste in una stanza, i ragazzi della scuola Françoise Dupont in un'altra, vari ospiti importanti del party natalizio nel salone ristorante, tutti legati e rinchiusi. Infine, i tre membri della famiglia Bourgeois, legati l'uno all'altro con una corda: Audrey accarezzava il capo di Chloè in lacrime, mentre André reggeva in mano un foglio, leggendone, con voce strozzata dalla paura, il contenuto: «Cittadini di Parigi. Il mio nome è Papillon. Ladybug, ti invito a recarti qui all'hotel Bourgeois, cosicché tu possa trarre in salvo questi ostaggi. Moriranno 2 persone per ogni mezz'ora di ritardo.»



Angolo Autore:
Credo che in tanti vorrebbero un Plagg nella loro vita.
Ora che i nostri due protagonisti si sono avvicinati così tanto, come si evolveranno le cose tra loro? Nemmeno le macchinazioni di Chloè sono riuscite ad allontanarli.
E come gestirà Marinette la situazione all'hotel Bourgeois? La questione sembra molto seria.
Quanti quesiti. Ne sapremo di più nel prossimo capitolo, una sorta di seconda parte di questo.
Come sempre, vi ringrazio per essere arrivati fin qui, soprattutto dopo questo capitolo così lungo, e vi do appuntamento a venerdì prossimo.
A presto.
Nike90Wyatt

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

 
La situazione all’hotel Bourgeois era critica.
Il clima festoso era stato bruscamente spezzato e, in tutta Parigi, si respirava un’aria di ansia, apprensione, terrore.
Facendo affidamento a tutta la forza di volontà che possedeva, il commissario Raincomprix gestiva le operazioni dall’esterno dell’albergo, tenendosi in continuo contatto con il ministro degli interni francese. Il compito più difficile per lui, però, era tenere a freno le sue emozioni, le sue paure legate alla sfera personale: lì dentro, insieme a tanti altri ostaggi, c’era anche sua figlia, Sabrina, la migliore amica della figlia del sindaco e, quindi, sicuramente a stretto contatto con quel folle che teneva sotto scacco le forze dell’ordine.
Mai, prima d’ora, Raincomprix aveva affrontato una situazione simile; di tanto in tanto, scrutava il cielo e i tetti degli edifici, nella speranza di scorgere la sagoma di Ladybug, colei che avrebbe alzato le probabilità di successo nel contrastare Papillon. Fino ad allora, le speranze erano state vane.
«Aggiornami sulla situazione.» chiese all’agente seduto in uno dei furgoni delle forze speciali, accorse in pochi minuti, una volta compresa la gravità della crisi.
L’agente analizzò al computer i dati mandati dagli operatori che erano addentrati nella struttura, stabilendo quali fossero le zone prese d’assedio. «Abbiamo fatto evacuare l’hotel. Gli ostaggi si trovano agli ultimi due piani: la sala del ristorante ed il superattico, dimora della famiglia Bourgeois.»
«Possibilità di fare irruzione?»
L’agente scosse la testa. «I punti di accesso sono protetti da dispositivi a fotocellula: se dovessero attivarsi, innescherebbero degli esplosivi posti sulle condutture del gas. Gli ultimi piani collasserebbero.»
Il commissario sospirò sconsolato. «La prima mezz’ora è quasi passata...»
«Signore...» proferì l’agente, richiamando l’attenzione di Raincomprix. «C’è altro.» tornò a guardare lo schermo, i suoi occhi preannunciavano pessime notizie. «Gli esplosivi sono dotati anche di un congegno per la detonazione a distanza.»
«Questo significa che...»
«Qualcuno, lì dentro, può far esplodere quelle bombe in qualsiasi momento.»
 
Adrien e Plagg si erano fiondati al loro covo, ben consapevoli che, tra gli ostaggi, ci sarebbe potuto essere anche Gabriel.
Il ragazzo provò più volte a contattarlo tramite cellulare, ma non ottenne alcun risultato.
«Nulla. Non risponde.»
Solo dopo entrambi lo videro nel video mandato in onda ed ebbero la conferma che anche lui era ostaggio.
Plagg seguì con attenzione la diretta condotta da Nadja Chamack, dopo aver registrato la trasmissione del messaggio di Papillon.
Anche Adrien l’aveva visto e riconobbe subito il luogo dov’era stato filmato. «Sono nella camera di Chloè. Riconosco il suo televisore ed il suo peluche a forma di orso poggiato accanto sullo sfondo.»
«È una trappola per Ladybug, ne sono certo.» commentò Plagg.
«Cos’hai scoperto dalle trasmissioni della polizia?»
«Non possono intervenire. Gli ultimi piani sono imbottiti di esplosivi; un’irruzione farebbe saltare tutto in aria.»
Adrien iniziò a passeggiare nervosamente alle spalle di Plagg, ben attento, invece, a seguire lo svolgersi dei fatti e ad ottenere, tramite i suoi avanzatissimi congegni, informazioni utili: poco dopo essere giunti al covo, aveva programmato uno dei suoi droni da ricognizione cosicché potesse fornirgli una visuale completa sulla struttura e su eventuali falle nel crudele sistema di sicurezza di Papillon.
«Trovato nulla?» chiese Adrien.
«Forse.» sospirò Plagg. «Il condotto dell’ascensore.» indicò con la mano lo schermo del computer, che mostrava nel dettaglio lo scheletro del palazzo, evidenziando in giallo i due condotti degli ascensori. «È l’unico punto di accesso in cui non ci sono sensori o fotocellule.»
«Le porte sono sigillate e l’elettricità è stata staccata. Com’è possibile accedervi?»
«Non avrai intenzione di andare lì, spero.» esclamò Plagg, preoccupato. «Non ti sei ancora perfettamente ristabilito dopo lo scontro con Ladybug.»
Adrien si fermò a fissare l’amico, i suoi occhi erano carichi di determinazione. «C’è mio padre lì dentro, Plagg. Non posso starmene qui a non far nulla.»
«Non puoi sapere a cosa vai incontro.»
«Se non volevi che andassi, allora perché stai raccogliendo tutti quei dati?»
Plagg abbassò il capo. Aveva paura che potesse accadere qualcosa al suo amico, non essendo in piena forma e con la mente offuscata dalla preoccupazione per il padre. «Speravo di poter passare, in qualche modo, queste informazioni a Ladybug. Non voglio che metti a rischio la tua vita in questo modo, Adrien. Stavolta non è il classico riccone da minacciare con la katana. Questo Papillon ha preparato tutto nei minimi dettagli.»
Adrien si avvicinò a Plagg e gli poggiò una mano sulla spalla, quasi a rassicurarlo, ben consapevole che anche lui stesso aveva paura. «Comprendo la tua preoccupazione, Plagg.»
Plagg scosse il capo. «Ladybug non può farcela da sola. Per quanto possa essere forte, ha bisogno di te.» Porse ad Adrien due congegni: un paio di occhiali con la montatura nera, completi di elastico per farli aderire alla testa, e lenti rosse ed una piccola batteria luminosa. «Questi dalli a Ladybug.» indicò gli occhiali. «Hanno le stesse funzioni del tuo visore; le consentiranno una perfetta visione al buio e la possibilità di evitare le fotocellule ad innesco. Questa, invece...» indicò la batteria. «Inseriscila nel pannello che troverai accanto alle porte dell’ascensore, al piano dove vuoi entrare. Daranno una piccola scossa elettrica sufficiente per l’apertura delle porte. Una volta aperte, si richiuderanno solo al successivo riavvio del sistema elettrico.»
Adrien raccolse i due oggetti e sorrise. «Tornerò sano e salvo. E rispedirò Papillon dall’inferno da cui proviene. Te lo prometto, fratello.»
Plagg si alzò in piedi e lo abbracciò calorosamente. Il ragazzo ricambiò affettuosamente il gesto.
Sciolto l’abbraccio, i due annuirono col capo contemporaneamente, prima che Adrien aprisse la teca dov’era conservato il suo costume.
 
Marinette, sconvolta per quanto visto sullo schermo del suo computer, iniziò a farsi mentalmente miliardi di domande.
Chi era questo tizio di nome Papillon?
Cosa voleva da lei?
Perché aveva preso in ostaggio così tante persone, pur di incontrarla?
Anche Tikki era piuttosto spaventata, ma cercò di mantenere il sangue freddo: la situazione era drammatica e Marinette aveva bisogno di essere totalmente lucida e di ponderare con la massima precisione qualunque mossa. Durante la trasformazione, le due erano connesse magicamente, per cui qualsiasi sensazione o emozione provata da una avrebbe influenzato anche l’altra.
Il tempo scorreva inesorabile e la minaccia di Papillon di uccidere due ostaggi ogni mezz’ora incombeva impietosa.
Perciò, senza ulteriori indugi, Marinette si trasformò in Ladybug e, volando più velocemente possibile, giunse sul tetto del palazzo posto proprio di fronte all’hotel Bourgeois.
La visione che le si parò davanti era inquietante: uno degli edifici solitamente più luminosi di Parigi, tanto da far concorrenza alla Tour Eiffel, era completamente spento, buio, illuminato solo dalle luci lampeggianti delle volanti e dalla luna nel cielo.
Cercò di scrutare attraverso i vetri, ma le fu impossibile notare anche il minimo indizio; la sua intenzione era di attaccare di sorpresa i rapitori, evitando, dunque, di attirare l’attenzione atterrando accanto alla polizia. Ma senza conoscere l’ubicazione esatta degli ostaggi, era un’ipotesi da scartare.
Doveva pensare in fretta.
Presa da migliaia di riflessioni, tutte da escludere, non si accorse di un’ombra che le si avvicinò alle spalle.
«Ladybug!»
Lei si voltò di scatto, impugnando fortemente il suo yo-yo.
A pochi metri da lei, Chat Noir mosse piccoli passi nella sua direzione: fu sorpresa dal notare che non impugnava nessun arma, né sembrava aver intenzione di combattere.
«Che ci fai qui?» ringhiò la supercoccinella.
Chat non rispose.
Indicò con la testa l’hotel, rivolgendo nuovamente lo sguardo verso di lei.
Ladybug non abbandonò la sua posa da combattimento, ma era confusa: non riusciva a trovare un nesso tra ciò che stava succedendo e l’arciere che aveva al suo fianco.
Stanco di quel silenzio, Chat dichiarò: «La prima mezz’ora è quasi scaduta, Ladybug. Dobbiamo agire.»
«Dobbiamo?» chiese lei, con un velo d’ironia.
Chat le si fece ancora più vicino, guardandola dall’alto in basso visti i diversi centimetri d’altezza che li dividevano. «Non potrai farcela da sola questa volta. Per quanto la cosa non mi aggradi per nulla, dobbiamo collaborare se non vuoi qualche cadavere sulla coscienza.»
Ladybug deglutì, ma tentò di dimostrarsi spavalda. «Detto da te, è alquanto ironico.»
«Stiamo perdendo tempo prezioso!» sbottò Chat. «Ragiona... In due avremmo molte più possibilità di successo; in più, tu non hai la benché minima idea di quello che troverai lì dentro.»
Aveva ragione. «Tu sì?»
Chat annuì. «Ho eseguito una scansione termica dell’edificio: le finestre e le porte di accesso ai piani sono protette da fotocellule e sensori che, appena scattano, faranno saltare in aria gli ultimi due piani, dove sono rinchiusi gli ostaggi.» Ladybug impallidì, mentre Chat proseguì la spiegazione: «L’unico punto di accesso è il condotto dell’ascensore. Da lì, si può raggiungere la sala ristorante e l’attico dei Bourgeois, dove credo si trovi Papillon.»
«Perché lo pensi?»
«È da lì che è stato trasmesso il messaggio: la camera di Chloè Bourgeois, la figlia del sindaco.»
Ladybug chiuse gli occhi, ricordandosi solo in quel momento che, con tutta probabilità, tra gli ostaggi vi erano anche i suoi compagni di classe.
«Come hai intenzione di agire?» chiese lei.
«Tu occupati degli ostaggi nel ristorante e degli scagnozzi. Io mi occuperò della famiglia Bourgeois e terrò occupato Papillon fino al tuo arrivo.»
Ladybug assentì, accettando, così, la collaborazione con l’arciere.
«Prendi questi.» disse Chat, porgendole gli occhiali. «Ti consentiranno di vedere al buio.»
Ladybug ridacchiò. «Sei pieno di sorprese.»
«Un’ultima cosa.» disse lui, dimostrandosi preoccupato. «Uno di loro ha un detonatore per far saltare tutto in aria. Dovremo agire con prudenza.»
Più determinata che mai, Ladybug impugnò nuovamente il suo yo-yo e cinse i fianchi di Chat.
«Tieniti forte!» esclamò, prima di balzare dal tetto e volare verso l’edificio.
 
I due ragazzi atterrarono su un balcone del quartultimo piano dell’hotel: avevano aggirato la struttura in volo e scelto quel piano per evitare di attirare l’attenzione, sia della polizia sia dei sequestratori. Chat Noir aprì le porte del balcone utilizzando un chiavistello universale e fece lo stesso con la porta d’ingresso della lussuosa camera.
Usciti nel corridoio, entrambi impugnarono le loro armi: Ladybug stringeva il suo yo-yo, camminando con la schiena leggermente incurvata in avanti; Chat, invece, teneva il suo arco puntato dinnanzi a lui, tenendo una posizione eretta. Erano consapevoli che i sequestratori occupavano gli ultimi due piani, ma la parola d’ordine era “prudenza”.
Giunti accanto all’ascensore, Chat diverse il pannello per la prenotazione della cabina e strappò via due fili elettrici, sostituendovi il piccolo congegno di Plagg: come previsto, le porte si aprirono rivelando ai due il lunghissimo condotto in cui scorreva l’ascensore.
Ladybug mosse un passo in avanti, pronta a ripetere lo stesso gesto di poco prima, ma Chat la fermò poggiandole una mano sulla spalla. «Tocca a me stavolta.»
L’arciere si sporse leggermente attraverso l’apertura e mirò con l’arco verso l’alto, scoccando una freccia alla quale era legata una spessa corda; agganciò, dunque, l’altra estremità al pavimento, accanto ai piedi di Ladybug e legò due ganci alla corda. «Utilizza questa corda per far fuggire gli ostaggi. Se ho fatto bene i conti, tu puoi trasportare in volo due persone, più altre due legate a questi ganci. È il modo più rapido.»
Ladybug annuì col capo, ammirata dalla risolutezza del suo momentaneo alleato. Doveva ammettere a sé stessa che averlo dalla sua parte in quella situazione era stata una vera fortuna.
Chat agganciò la sua cintura alla corda e cinse la vita di Ladybug con un braccio; con l’altra mano attivò il meccanismo per risalire, giungendo al piano del ristorante.
Dopo aver riutilizzato lo stesso congegno per aprire la porta dell’ascensore, Chat lasciò Ladybug sul tappeto rosso che copriva l’intero pavimento del piano.
«Fa quello che ti riesce meglio, coccinella.» sussurrò lui per incoraggiarla. «Salva quelle persone!»
Girò le spalle per raggiungere l’ultimo piano ma Ladybug lo fermò. «Chat!»
Lui si voltò, mentre lei gli regalò uno dei suoi sorrisi ricchi di solarità. «Buona fortuna, gattaccio.»
«Anche a te.»
 
Ladybug attraversò il corridoio che conduceva alla sala ristorante: la sua tensione era alle stelle, ma aveva il dovere di restare concentrata. Ne andava della vita degli ostaggi, tra cui vi erano persone estremamente care a lei.
Il buio pesto rendeva l’ambiente tetro e spaventoso; per sua fortuna, il suo visore donatole da Chat Noir le garantiva una perfetta visione chiara del luogo, consentendole di studiare anche un piano d’attacco.
Il primo obiettivo era localizzare gli ostaggi: se fossero stati divisi, mantenere basso il rischio per loro sarebbe risultato molto complicato.
Avrebbe potuto sfruttare il vantaggio del volo, per scrutare meglio la stanza, ma il suo istinto le suggerì, invece, di agire dal basso.
Rotolò, dunque, sotto il primo tavolo che si ritrovò di fronte, evitando di essere notata da due uomini che ispezionavano il corridoio che conduceva alle toilette, dove suppose ci fossero parte degli ostaggi, vista la stretta sorveglianza.
Alzò lentamente la tovaglia, cercando di cogliere quanti più dettagli possibile: oltre ai due già visti, altri due uomini giravano in tondo nella stanza, vestiti da camerieri o come inservienti dell’hotel.
Fu abbastanza sicura di aver visto anche due donne ben armate.
Tutti erano ben attenti a tenersi lontano dalle finestre e dal terrazzo esterno, sui cui infissi erano posti i sensori e le fotocellule di cui Chat le aveva raccontato. Se fossero stati spenti, si sarebbero mimetizzati alla perfezione con gli addobbi natalizi o, perlomeno, con i pochi rimasti.
Ladybug strisciò velocemente sul tappeto della stanza: essendo rosso, si mimetizzava discretamente e risultava invisibile ad un occhio distratto. Raggiunse, così, un’ottima posizione in un angolo della stanza sotto ad un divanetto in pelle, marroncino chiaro.
Da lì, riuscì finalmente a vedere il primo gruppetto di ostaggi: riconobbe alcuni di loro, essendo personalità importanti, ma non vide nessuno dei suoi compagni, sperando con tutto il cuore che fossero rinchiusi nei bagni, come sospettava.
La soluzione migliore che le venne in mente in quel momento fu utilizzare i suoi shuriken come arma in sostituzione dello yo-yo: con essi avrebbe potuto mandare istantaneamente ko chiunque.
Prima di poter muovere un passo, la voce di uno dei sequestratori attirò l’attenzione dei compari. «Il capo ha detto ucciderne due. La prima mezz’ora è andata.»
«Chi uccidiamo?» chiese con tono sadico una delle due donne, mentre passeggiava intorno al tavolo al quale erano appoggiati i poveri ostaggi.
«Prendi uno di loro e uno dei ragazzini dal bagno.» disse l’uomo, indicando prima il tavolo e poi la porta della toilette.
Per Ladybug il tempo di pensare era finito: doveva agire!
Silenziosamente, ma con una certa rapidità, colse di sorpresa alle spalle i due sequestratori più vicini, pugnalandoli entrambi alla schiena con gli shuriken magici, quanto bastava affinché cadessero a terra storditi; scivolò immediatamente sotto ad un tavolo, mentre il rumore provocato dalla caduta dei due catturò l’interesse degli altri.
«Che succede?» urlò la stessa donna.
Ladybug osservò i movimenti dei suoi avversari, aiutandosi anche con l’udito. Attese il momento in cui si trovarono in due molto vicini tra loro e li assalì fisicamente, colpendoli contemporaneamente con un calcio ed un pugno ben assestati.
Prima che gli altri due riuscissero a reagire, lanciò i due shuriken, atterrandoli entrambi con precisione millimetrica.
Certa della sua superiorità, poteva dedicarsi a quelli che aveva colpito in precedenza, una donna dai capelli corti scuri ed un uomo dal viso truce e capelli castani lunghi legati in un codino.
«Ladybug...» disse la donna a denti stretti. «Era da tempo che aspettavo questo momento.»
«Mi sento lusingata.» rispose con spavalderia la supereroina. «Farò in modo che te lo ricorderai per sempre, allora.»
L’uomo tentò di approfittare di quella piccola distrazione per avvicinarsi agli ostaggi, ma Ladybug fu lesta a lanciare con ferocia il suo yo-yo, che lo colpì in testa, stordendolo.
La donna provò a puntare il mitra contro Ladybug, ma lei riuscì a disarmarla colpendole l’arma con un calcio in rotazione; ormai lo scontro era senza armi e Ladybug aveva un vantaggio enorme nei confronti dei due avversari che, consci delle possibili conseguenze, si arresero.
«Scelta saggia.» disse Ladybug, mettendo al tappeto anche gli ultimi avversari.
I presenti tirarono tutti un sospiro di sollievo, eternamente grati alla loro salvatrice, la quale si affrettò a liberare i restanti ostaggi dai bagni.
Nella speranza che Chat riuscisse a gestire la situazione al piano superiore, almeno fino al suo arrivo, aprì le porte della toilette.
Riconobbe i suoi compagni di classe, provati, impauriti ed alcuni tremanti, ma finalmente sollevati per essere scampati ad un enorme pericolo.
Alya fu la più lesta e si fiondò ad abbracciare l’eroina in rosso, senza nascondere le lacrime che avevano consumato il suo mascara. «Grazie, Ladybug. Sapevo che non ci avresti abbandonati.»
Ladybug sorrise ed accarezzò teneramente la schiena della sua migliore amica. «Ho bisogno che mi ascoltiate tutti.» sciolse l’abbraccio ed usò un tono perentorio. «Porte e finestre sono inutilizzabili a questo piano. Alcuni di voi useranno la corda nel condotto dell’ascensore per arrivare ad un piano sicuro da cui fuggire. I meno agili verranno con me.»
Guidò il gruppo all’ascensore e gestì le operazioni di aggancio alla corda per la fuga.
Senza farsi sentire da nessuno, alzò gli occhi verso l’alto e sussurrò: «Spero che tu sappia ciò che fai, Chat.»
 
Chat Noir attraversò con cautela le porte dell’ascensore, camminando silenziosamente nel lungo corridoio posto al centro del lussuoso appartamento della famiglia Bourgeois. Ricordava perfettamente ogni singolo metro quadro di quel posto: sulla destra vi era un enorme salone, dotato di un grande tavolo, un bancone da bar ed un piccolo ascensore privato che conduceva sul tetto dell’albergo, nella zona piscina; a sinistra, invece, vi erano le camere dei coniugi e quella di Chloè, divisa in due stanze comunicanti, una quasi interamente dedicata al reparto armadio, l’altra all’area svago per la ragazza, dove Chat era convinto di trovare i tre componenti della famiglia.
Procedette all’interno della stanza, tenendo sempre l’arco puntato e voltandosi saltuariamente in modo da non farsi sorprendere alle spalle.
La prima cosa che scorse fu la telecamera utilizzata per la trasmissione del video e, accanto ad essa, ai piedi di uno dei divanetti, vide finalmente i Bourgeois, legati insieme con una corda all’altezza della vita.
Il silenzio dell’ambiente era interrotto dagli sporadici singhiozzi di Chloè; dietro alla maschera, Adrien provò tanta tenerezza per la sua compagna di classe. Nonostante i suoi comportamenti infantili, era convinto che valesse molto più di quanto mostrasse agli altri e, in fondo, teneva a lei.
Abbassò lentamente l’arco ed utilizzò la punta della freccia per tranciare la corda.
Risvegliati, solo in quel momento, dal loro stato di semi trance, i Bourgeois guardarono nella sua direzione.
Andrè ebbe un sussulto quando capì chi era. «Tu sei... Chat Noir!»
«Dov’è lui?» domandò Chat, imperturbabile.
«Non lo vediamo da quando abbiamo registrato il video.» intervenne Audrey. «Sei qui per finire il suo lavoro?» chiese, continuando a stringere forte a sé la figlia.
Chat raccolse un cellulare da terra, riconoscendo il dispositivo di Chloè, ed accese la torcia. «Seguitemi. Vi faccio uscire da qui.»
Non avendo molte opzioni, Andrè fece un cenno con la testa alla moglie e si accodarono all’arciere, il quale li condusse al condotto dell’ascensore.
«Legatevi a questi ganci.» disse Chat indicando la corda. «Scendete di tre piani fino a che non trovate un’altra porta aperta. Ladybug vi aiuterà.»
«C’è anche lei?» domandò Andrè.
Chat annuì col capo.
Audrey e Chloè furono le prime a calarsi, mentre Andrè si fermò accanto a Chat. «Non so perché lo stai facendo ma... Grazie. Se hai intenzione di affrontarlo fa...» si interruppe, fissando un punto oltre la spalla dell’arciere.
Compreso il soggetto che aveva attirato l’attenzione del sindaco, Chat asserì: «Penso io a lui. Lei si sbrighi.»
Attese che anche l’ultimo ostaggio fosse al sicuro, poi si voltò lentamente, puntando l’arco di fronte a sé.
All’estremità opposta del corridoio, vide il grande orchestratore di quel caos: un uomo alto e robusto, il cui volto era coperto da una maschera integrale grigia che avvolgeva tutta la testa come un passamontagna, lasciando scoperti solo occhi e bocca. Indossava una giacca ampia, ricca di borchie, di colore viola scuro, tenuta chiusa da una vistosa cintura nera sulla cui fibbia era inciso il disegno di una farfalla.
Sulla schiena campeggiava una spada, mentre, in mano, impugnava una pistola di grosso calibro.
Senza pensarci due volte, Chat scoccò la freccia, ma Papillon la schivò con facilità, spostandosi di lato.
«Speravo in qualcosa di meglio.» commentò sarcastico l’uomo. La sua voce era grave e dura, modificata artificialmente.
Chat estrasse un’altra freccia dalla sua faretra e la puntò nuovamente verso il suo avversario. «Per te è finita, Papillon! Gli ostaggi sono già liberi.»
Papillon rise con superbia. «Ho raggiunto il mio obiettivo: te e Ladybug sotto lo stesso tetto, così da eliminarvi in un solo colpo.»
«Ti sopravvaluti.»
«Sapevo che saresti venuto anche tu. Ingegnoso quel congegno per le porte dell’ascensore.» commentò Papillon, sorprendendo Chat. «Ho seguito ogni vostro movimento. Oggi, Parigi conoscerà il significato della frase “La caduta degli eroi”
«Sembri molto sicuro di te.» considerò Chat, avvicinandosi sempre di più, a piccoli passi, all’uomo, che non sembrò interessarsene.
«Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura.»
«L’arte della guerra.»
Papillon ripose la pistola nella fondina, senza abbandonare il suo ghigno malefico. «Sei acculturato. Ma non ti servirà a molto!»
Estrasse con estrema velocità la spada ed aggredì Chat con un affondo.
L’arciere, sorpreso da quella repentina offesa, agì d’istinto e parò il colpo con il suo arco: la forza, però, fu tale che l’oggetto si spaccò in due e lui cadde a terra all’indietro.
Per sua sfortuna, anche questa volta Plagg aveva avuto ragione: era ancora indebolito dallo scontro avuto con Ladybug pochi giorni prima e prolungare eccessivamente il duello con quell’uomo, che sembrava molto ben addestrato, lo avrebbe condotto sicuramente ad una rovinosa sconfitta.
Doveva concludere in fretta.
Si rialzò di scatto, accortosi che Papillon stava già sferrando un secondo attacco, e sguainò la sua katana, con la quale riuscì a parare il colpo.
Le lame entrarono in contatto e i due contendenti si affrontarono in una prova di forza, spingendo la loro arma contro l’altra.
Lo scontro fu vinto da Chat che provò a sfruttare la sua grande agilità sferrando un preciso colpo di gomito sulla spalla di Papillon, il quale arretrò di un paio di metri.
Utilizzando il muro come trampolino, Chat si lanciò in aria e sferrò due calci al volo sul petto e sul volto del nemico.
Incurante della piega che stava prendendo quella contesa, Papillon iniziò a ridere. «Pensavo fossi più forte, Chat Noir. Che delusione.»
“Sta cercando di innervosirmi.” pensò Chat, puntando la sua katana in posizione da combattimento.
Papillon roteò la sua spada e tentò un altro affondo.
Chat parò anche questo, preparandosi a contrattaccare, ma fu colpito alla tempia da una gomitata fulminea seguita da un montante alla bocca dello stomaco. Arrancò all’indietro, ma Papillon lo afferrò per il collo e gli tirò una poderosa testata, che lo fece crollare al suolo.
«Hai interferito con i miei affari troppo a lungo.» affermò Papillon, calpestandogli il polso destro per disarmarlo, prima di colpirlo con un calcio allo stomaco. «La Rouge & Noir vi vuole morti!» un altro colpo. «Ma prima di ucciderti, voglio vederti in faccia.»
Si chinò per togliere il cappuccio; Chat, con l’ultimo briciolo di energia rimasto, gli afferrò il polso e, con un potente movimento addominale, riuscì a sferrargli un calcio alla testa, seguito da un gancio sul mento.
Vedendo l’arciere rialzarsi, seppur a fatica, ed intuita la sua irriducibilità, Papillon perse, per la prima volta, il suo atteggiamento spavaldo, infuriandosi.
«Non mi lascerò battere da un pagliaccio come te.» disse Chat a denti stretti.
Papillon infilò la mano nella giacca, tirandone fuori un cilindro con un pulsante rosso all’estremità.
Premendo il bottone con sadismo, dichiarò: «Hai perso!»
 
 
Angolo Autore:
E finalmente siamo giunti al giro di boa della storia. Da qui in poi, non ci sarà un attimo di tregua per voi e per i nostri protagonisti.
Nel frattempo abbiamo fatto la conoscenza dello spietato Papillon, abbiamo visto quanto Plagg tenga davvero ad Adrien, non che ci fosse bisogno di una conferma, e, per la prima volta, Ladybug e Chat Noir hanno collaborato per affrontare il nemico comune. Ora bisogna scoprire cosa accadrà.
Ringraziandovi per essere arrivati fin qui, vi do appuntamento a venerdì prossimo.
A presto.
Nike90Wyatt

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Il congegno innescò una reazione a catena: ogni ordigno esplose, provocando un boato udibile a kilometri di distanza.
L’esplosione fece collassare parte del terrazzo e dell’ultimo piano, mentre i piani inferiori furono avvolti in un furioso incendio che minacciò di propagarsi anche nel resto della struttura.
Giornalisti e curiosi impallidirono di fronte a quello spettacolo, alcuni enfatizzando il loro spavento con urla e pianti.
Gli stessi agenti di polizia e forze speciali restarono allibiti: in particolare, Raincomprix sentì le gambe cedergli al pensiero che l’amata figlia si trovasse all’interno di quell’inferno. Aveva da poco rassicurato la moglie, dicendole di avere la situazione sotto controllo, ma nemmeno lui credeva alle sue stesse parole.
Cercando di rimanere quanto più lucido possibile, ordinò l’immediato intervento dei vigili del fuoco e diede il via libera, sotto il consenso del ministro degli interni, per un’irruzione nell’albergo, nella speranza di salvare quante più persone possibile.
 
Chat si risvegliò schiacciato da piccoli detriti e dal divano rosso della camera di Chloè: il suo costume era in parte lacerato e completamente bagnato dall’acqua della piscina del terrazzo, riversatasi nell’appartamento a seguito del collasso del soffitto.
Non appena aveva visto quel cilindro nella mano di Papillon, aveva subito intuito che si trattasse del dispositivo ad innesco; era stato rapido e soprattutto fortunato a balzare in un angolo della stanza, uno dei meno esposti all’esplosione.
Lo strato protettivo del costume aveva fatto il resto, difendendolo dal violento impatto.
Si rialzò da terra, scrollandosi di dossi i detriti: iniziò a tossire fortemente a causa del fumo e si appoggiò a uno dei pochi muri rimasti in piedi, a causa di un fastidioso capogiro.
Il suo visore, rotto durante l’esplosione, non poteva più garantirgli una visione chiara del luogo, e quindi dovette fare affidamento sulla sua vista, continuando ad indossarlo unicamente per celare il suo volto.
«Adrien! Adrien mi ricevi?» strillò una voce nell’auricolare. «Adrien!»
Ci volle qualche secondo al ragazzo per realizzare la fonte di quel richiamo. «Plagg?»
L’uomo tirò un sospiro di sollievo. «Grazie al cielo stai bene. Dimmi la tua posizione.»
Tra un colpo di tosse e l’altro, Chat rispose: «Sono ancora nell’attico. Ho perso i sensi e mi sono risvegliato solo ora.»
«L’angolo a ovest dell’hotel è deserto. Mi troverai lì ad aspettarti. Esci da quell’inferno.»
«C’è un problema, Plagg.» asserì Chat, finalmente ripresosi dallo stordimento, nonostante le fitte che avvertiva al torace. «Nello scontro, l’arco si è rotto. Non posso usare il rampino.»
«Ho con me la balestra.» replicò Plagg. «Ci penso io. Tu fatti trovare pronto.»
Chat chiuse la conversazione e scrutò l’ambiente, alla ricerca di un modo per uscire da quel cerchio di fiamme.
Di Papillon, ovviamente, nessuna traccia. Non era chiaro come ci fosse riuscito, ma era fuggito.
L’incappucciato saltò su alcuni mobili rovesciati, raggiungendo il condotto dell’ascensore, forse l’unico posto non infestato dal fuoco.
Utilizzando la corda che lui stesso aveva fissato, si calò, raggiungendo il piano dove, poco prima, si era introdotto con Ladybug.
La scena che gli si parò davanti era straziante: gran parte degli ostaggi erano feriti, la loro pelle annerita, alcuni in lacrime e nessuno aveva il coraggio di scendere per le scale, spaventati all’idea di un eventuale crollo.
Si sorprese, poi, nel vedere una ragazza che li confortava e li aiutava a trovare la giusta audacia per alzarsi ed affrontare le loro paure, sostenendoli fisicamente fino alle uscite di sicurezza. Riconobbe immediatamente la chioma bionda della giovane: Chloè.
Oltre ad essere profondamente orgoglioso delle gesta della sua compagna, Chat fu anche sollevato nel vedere anche suo padre, Gabriel, abbandonare la stanza. Zoppicava e sanguinava da un braccio, ma era vivo. Solo quello contava.
Mentre raggiungeva il lato della struttura indicatogli da Plagg, un urlo straziante attirò la sua attenzione: «Aiutatemi!»
Era una voce femminile, proveniente dal corridoio in cui un muro tramezzo era crollato.
Anche Chloè udì quel richiamo, riconoscendo la voce della madre, ma Chat la bloccò con un gesto della mano. «Penso io a lei. Tu va! Mettiti in salvo.»
«Aiutala, ti prego!» esclamò la ragazza, la voce ancora strozzata dal pianto.
«Te lo prometto. Ora va!»
Facendo affidamento sulla sua abilità nel parkour, Chat si fece strada attraverso il mobilio, le pareti in frantumi e le fiamme.
Raggiunse Audrey, che tentava di liberare il marito da un enorme pilastro, che gli schiacciava gli arti inferiori.
Chat poggiò una mano sulla spalla della donna, invitandola ad allontanarsi da lì. «Penso io a sollevarlo. Lei si tenga pronta a trascinarlo.»
Per la prima volta Audrey non ribatté, ma mostrò, invece, profonda gratitudine con lo sguardo nei confronti dell’incappucciato.
Chat sollevò il pilastro di alcuni centimetri, urlando per lo sforzo.
Lo spazio fu sufficiente affinché Audrey trascinasse Andrè, liberandolo da quella morsa.
Nel frattempo, dalle finestre, tutte completamente frantumate, iniziarono ad arrivare diversi getti d’acqua, mentre dalle scale si udivano le voci degli agenti di polizia, alle prese con le operazioni di soccorso.
«Stanno arrivando a prendervi.» disse Chat, rivolto ai coniugi Bourgeois.
Andrè, afflitto da dolori lancinanti alle gambe, indicò vagamente con il dito un punto alle spalle di Chat. «L-Lady... Ladybug.»
Chat si voltò di scatto, socchiudendo gli occhi a causa della ridotta visuale: non lontano da lui vi era un cumulo di macerie, in un punto dove il soffitto era crollato. Tra i detriti bianchi e neri, riconobbe una mano guantata di rosso.
Come un fulmine, si precipitò a rimuovere ogni singolo frammento, liberando Ladybug. Il volto era coperto dai capelli sfumati di bianco a causa della polvere, così come il suo costume rosso.
Chat portò due dita al collo della ragazza: il battito era debole, ma era viva.
Tirò un sospiro di sollievo, prima di sollevarla da terra con un braccio sotto le gambe e l’altro sotto al busto.
Lasciarla ai soccorritori era fuori discussione per quanto gli riguardava: c’era il rischio che potessero scoprire la sua identità e, nonostante gli screzi avuti con lei, non se la sentiva di permetterlo.
«Plagg!» chiamò all’auricolare.
Non ottenne alcuna risposta dall’altro capo, ma, sulla strada in un vicolo ben appartato, vide chiaramente una luce proveniente da un laser verde intermittente.
Capendo che si trattava del suo amico si avvicinò al bordo del finestrone, sperando che la sua sagoma nera fosse visibile.
Udì un sibilo fortissimo: una freccia, a cui era fissata una spessa corda, si conficcò nel cornicione proprio sotto la finestra.
Chat si inginocchiò, poggiando delicatamente sul pavimento Ladybug; estrasse due frecce dalla sua faretra, testandone la resistenza, e si caricò sulle spalle la ragazza, incrociando le braccia di lei al suo collo e le gambe intorno alla vita.
Con le mani libere, poté scendere in strada, tenendosi saldamente alle due frecce mentre scorrevano sul cavo.
Plagg sgranò gli occhi nel vedere il suo amico con in spalla Ladybug. «È...»
«È solo svenuta.» precisò Chat.
L’uomo tirò un sospiro di sollievo: per evitare problemi aveva indossato nuovamente il suo completo militare, compreso il passamontagna nero.
Chat aprì la portiera posteriore dell’auto di Plagg, una berlina a cinque porte, e distese la ragazza sui sedili posteriori.
«Devo chiederti di prenderti cura di lei. Qualcuno potrebbe scoprire la sua identità.»
Plagg assentì. «Andiamo.»
 
Adrien si lasciò andare sul sedile anteriore dell’auto: si era appena liberato del cappuccio e del suo visore, che teneva stretto nella mano destra, fissandolo senza proferire parola. Era scheggiato sul lato superiore ed era privo della lente sinistra, molto probabilmente caduta sul pavimento dell’attico.
Il ragazzo aveva un’espressione amareggiata, ricca di sconforto, oltre che stressata: «La Rouge & Noir vi vuole morti!» aveva esclamato Papillon.
Quelle parole continuavano a rimbombargli nella testa, cercando di comprenderne tutti i significati. Papillon, dunque, lavorava per loro o con loro: poteva essere coinvolto nella morte di Emilie, poteva anche essere stato proprio l’esecutore.
Ora i bersagli erano Chat Noir e Ladybug. Ne avrebbe parlato con Plagg, ma non in quel momento: doveva prima occuparsi di mettere al sicuro Ladybug e poi precipitarsi all’ospedale per informarsi sulle condizioni del padre, anche lui coinvolto nel piano folle di quel pazzo.
Giunti al covo, Plagg si caricò sulle braccia Ladybug, adagiandola sul tavolo al centro della stanza.
Adrien, invece, ingerì due pillole di antidolorifico, in modo da placare le lancinanti fitte al torace. Quindi, si liberò del costume. «Mi spiace averlo ridotto così.»
Plagg strinse le spalle, mentre preparava il kit medico. «Mi ci vorrà un po’ per rimetterlo a nuovo.»
«Tranquillo. Non ho intenzione di saltare da un tetto a un altro per un bel po’.» sibilò Adrien, indossando nuovamente l’abito scuro. «Devo andare in ospedale!»
«E lei?» chiese Plagg indicando la ragazza.
«È in buone mani. Io devo pensare a papà.»
Prima che Plagg potesse ribattere, il giovane Agreste scomparve dietro il muro scorrevole.
Indossò il suo lungo soprabito e salì in auto, incurante del fastidioso capogiro che ancora lo stordiva.
 
L’ospedale Saint Louis era nel caos più totale: praticamente tutte le persone coinvolte nell’assedio all’hotel Bourgeois erano state trasportate lì per ricevere le cure adeguate.
Nel tragitto in automobile, Adrien aveva telefonato a Nathalie, in modo da conoscere la struttura dov’era stato condotto il padre, seppur avesse già pensato ad una probabile destinazione.
Si stupì nel sentire la donna parlare con il solito tono freddo e pacato: non una nota di inquietudine fu avvertita dalla sua voce.
Il ragazzo ne fu comunque sollevato: se Nathalie non mostrava segni di preoccupazione, allora il padre stava sicuramente bene.
L’automobile nera attraversò il cancello d’ingresso dell’ospedale, superando il gruppo di giornalisti e fotografi appostati lì, alla ricerca di notizie.
«Maledetti sciacalli.» commentò Adrien, fermando l’auto davanti una scalinata secondaria, dove lo attendeva un membro della security della famiglia Agreste. Uno sguardo all’orologio regalatogli dai Dupain-Cheng lo informò sull’orario: 1:46.
Fu accompagnato ad un ascensore che lo condusse all’ultimo piano dell’edificio.
Il corridoio era ben sorvegliato da alcuni uomini, gli stessi che lo piantonavano nelle sporadiche uscite dopo il rapimento.
Sul fondo, scorse la familiare sagoma di Nathalie, impegnata a parlottare con un uomo alto ed occhialuto, con indosso un camice bianco.
«Signorino Agreste.» annunciò la donna. «Le presento il dottor Muriad; si sta occupando di suo padre.»
Adrien allungò la mano che l’uomo strinse con vigore. «Come sta?»
«Gli esami strumentali escludono commozioni e lesioni interne.» rispose Muriad. «Ha solo un taglio sul braccio destro provocato da una scheggia e ha subito una contusione alla gamba sinistra. Nessuna frattura comunque.»
«È possibile farlo rientrare a casa già stanotte?» intervenne Nathalie, con il solito tono di superiorità, per nulla apprezzato da Adrien.
Il dottore sospirò con rassegnazione, conoscendo già i modi non propriamente cordiali degli Agreste. «Ogni tentativo di trattenerlo sarebbe inutile. Faccio preparare i documenti di dimissione.»
Con un cenno della testa salutò la donna ed il ragazzo, richiamando a sé un’infermiera affinché preparasse le carte per dimettere monsieur Agreste.
«Eri con lui?» chiese Adrien.
Nathalie scosse il capo. «Non ha voluto che lo accompagnassi al party. A capodanno ci sarà la sfilata per la collezione primavera-estate e sa bene quanto suo padre sia maniacale nella cura dei dettagli. Perciò, sono rimasta nel suo studio a ripassare tutta la scaletta.»
«Alla Vigilia di Natale? Da sola?» l’espressione di Adrien si fece sempre più perplessa.
«Ogni anno è così, signorino Adrien. Da quando...» preferì non proseguire, conscia che il ragazzo avesse capito perfettamente cosa intendesse.
Adrien abbassò lo sguardo, riflettendo su quanto fossero simili lui e Gabriel; sperò con tutto il cuore che, un giorno, sarebbe tornato ad essere la persona della quale la madre Emilie si era innamorata e che, forse, lui non aveva mai conosciuto.
Si voltò e bussò alla porta della camera.
 
Gabriel era seduto a metà letto, intento ad abbottonarsi la sua camicia blu scuro. Nonostante tutto ciò che era successo, continuava a mostrare un portamento elegante ed altero.
Quando la porta si aprì, lo stilista si girò e cambiò radicalmente espressione nel vedere il figlio entrare: si alzò pigramente e si avvicinò al giovane tenendosi su un bastone che lo aiutava a camminare in modo più spedito.
«Adrien...» disse prima di cingerlo con un braccio, gesto che il ragazzo ricambiò con profondo affetto. «È una fortuna che tu abbia deciso di non venire.»
«Come stai, papà?»
Gabriel sfilò gli occhiali che indossava ed iniziò a massaggiare con due dita la parte superiore del naso. «Stanco. Ma mi ritengo fortunato; altri stanno peggio di me.» allungò lo sguardo verso Nathalie, la quale fece un cenno d’assenso.
 
«Questa Adrien me la paga.» ringhiò Plagg.
Era alquanto imbarazzato nel dover spogliare Ladybug del suo costume affinché potesse prendersi cura di lei e fasciarle le eventuali ferite.
Tramite i suoi strumenti, prototipi che in passato aveva progettato per alcune importanti cliniche private, aveva analizzato il corpo di Ladybug, ma una strana interferenza ne bloccava il funzionamento.
Inoltre, gli fu impossibile trovare un qualsiasi punto da cui aprire il costume rosso, come se questo fosse parte integrante della pelle della ragazza.
«Anche la maschera non viene via!» sbottò dopo aver pizzicato il volto di Ladybug. «Come posso fare?»
Si portò una mano al mento, pensieroso, mentre osservava il corpo disteso sul tavolo: sui lobi della giovane scorse due orecchini rossi a pois neri. «È una follia... Ma devo provarle tutte.»
Delicatamente sfilò i due orecchini.
Il corpo di Ladybug si illuminò di una luce bianca e rossa, mentre dai gioielli si materializzò un piccolo essere rosso fluttuante con antenne, che si poggiò sul tavolo, privo di sensi.
Quando la luce svanì, Plagg guardò attentamente la ragazza, con la bocca semiaperta ed espressione assente.
Riconobbe quel profilo delicato, i capelli corvini, i vestiti che quella stessa sera aveva visto indossare da una persona che lui conosceva bene, molto bene: Marinette Dupain-Cheng.
 
 
Angolo Autore:
BOOOOOM!
Vi aspettavate questa prima rivelazione? Eh sì, per Plagg non c’era altro modo che scoprire chi in realtà fosse Ladybug affinché potesse aiutarla. Abbiamo potuto apprezzare anche il rapporto difficile tra Adrien e il padre, ma sappiamo tutti che si vogliono tanto bene, solo che fanno fatica ad esternarlo. Con orgoglio, vi dico che ho adorato descrivere la scena di Chloè, perché in fondo io così la vedo: una ragazza viziata e capricciosa, che però tira fuori gli artigli quando è necessario. E lei non si tira certo indietro dal farlo.
Vi anticipo che, ben presto, verranno fuori tante informazioni legate al passato (anche se non vi dico di chi). 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi do appuntamento a Venerdì prossimo con il nuovo capitolo.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

New York, 2015
Plagg rientrò dal lavoro poco prima dell’ora di pranzo. Erano già diversi mesi che aveva quest’abitudine e tentava di ridurre sempre più il suo carico di lavoro, delegando a persone fidate compiti importanti.
Il suo obiettivo era uno ed uno soltanto: stare vicino ad Adrien.
L’aveva promesso ad Emilie quando era in vita e, adesso che lei non c’era più, non sarebbe mai venuto meno a quella promessa. A qualunque costo.
Entrando nell’appartamento, fu accolto dalla signora Katy, la governante assunta poco dopo il definitivo trasferimento di Gabriel a Parigi, insieme all’intero staff di domestici: era una donna dall’aria affabile e benevola, molto discreta e gran lavoratrice, sempre pronta a soddisfare qualunque richiesta.
«Mr. Dominus, il pranzo sarà pronto tra mezz’ora.» disse la signora.
«È ancora a lezione?» chiese Plagg, indicando con lo sguardo il piano superiore.
«Sì, signore. Credo termineranno a breve.»
Plagg la ringraziò, rivolgendole un sorriso di circostanza e chinando leggermente il capo.
Salì, quindi, le scale che conducevano al piano superiore diretto alla camera del suo amico.
Poco prima di raggiungerla, la porta della stanza si aprì: sull’uscio comparve una donna di mezz’età, capelli di lunghezza media biondi, con occhiali da vista poggiati sul naso.
«Arrivederci, Adrien» disse, richiudendo la porta alle sue spalle, mentre assumeva un’evidente aria amareggiata.
Incrociò Plagg nel corridoio. «Oh, salve Mr. Dominus. Non l’avevo notata.»
«Mrs. Bowers.» la salutò Plagg con un mezzo sorriso. «Com’è andata la lezione oggi?»
«Come sempre... Condotta e rendimento sono impeccabili; e dimostra, ogni giorno, di avere un acume fuori dal comune.»
«Ma...?» incalzò Plagg, prevedendo un seguito a quel discorso.
«È come fare lezione ad un robot! Mentre spiego annuisce soltanto. Quando lo interrogo risponde in modo secco ed apatico.»
Plagg sospirò mestamente, appoggiando la schiena al muro, con le braccia incrociate.
La Bowers proseguì: «So che la sua perdita è stata molto dolorosa e che sarà impossibile colmare quel vuoto, ma è passato  quasi un anno, Mr Dominus.»
Plagg annuì. «Già.»
«È il momento che lui vada avanti. E lo stesso vale per lei.» indicò col dito l’uomo.
«Non farò come suo padre.» replicò Plagg. «Starò sempre al suo fianco.»
Rincuorata da quelle parole, la Bowers si congedò, salutando Plagg con una stretta di mano.
 
Plagg si fermò davanti alla porta della stanza di Adrien.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Lasciarlo in quello stato avrebbe significato privarlo della felicità che Emilie desiderava per lui.
Ma raccontargli la verità dove lo avrebbe condotto?
Avvolto da questi dubbi, bussò alla porta; ottenne il permesso di entrare da una voce pigra ed abulica.
Adrien sedeva sulla poltrona beige accanto alla finestra, dalla quale era possibile scorgere le immense arterie della Grande Mela: il ragazzo aveva uno sguardo assente, in esatta corrispondenza con la descrizione della sua istruttrice privata.
Data l’importanza del personaggio in questione, Emilie Agreste, moglie del grande stilista internazionale, Gabriel Agreste, la notizia del suo omicidio aveva fatto il giro del mondo: il nome della famiglia era sulla bocca di tutti.
Plagg aveva concordato con Gabriel di assumere una persona che si occupasse dell’istruzione di Adrien, dato che il ragazzo non aveva la minima intenzione di frequentare la scuola, sapendo che il motivo della sua sofferenza sarebbe stato spesso oggetto di discussione tra gli studenti. Inoltre, i professori, che già avevano sempre un occhio di riguardo per lui, lo avrebbero trattato con compassione: l’ultima cosa di cui lui aveva bisogno.
«Adrien, a breve è pronto il pranzo.» esordì Plagg, sedendosi su una sedia davanti all’amico.
Non ottenendo alcuna reazione, proseguì: «La signora Katy vuole una recensione degna di Gordon Ramsey sul pranzo. Tieni  pronte le tue papille gustative.»
Nessuna risposta.
Plagg si guardò intorno, notando sulla scrivania il libro di matematica, la materia preferita di Adrien ed iniziò a sfogliarlo. «Lo sai che lo studio di funzione mi è fondamentale per la creazione degli algoritmi? La Bowers mi ha detto che...»
«Io sono un robot.» mormorò Adrien, con tono gracchiante.
Plagg lo fissò con stupore ed un pizzico di divertimento. «Hai un ottimo udito.»
«Plagg...» sussurrò Adrien. «Perché?»
Plagg scosse la testa. «Adrien, dobbiamo cercare di andare avanti. Lei non vorrebbe vederti così.»
Sul volto di Adrien iniziarono a scendere delle lacrime. «Non ci riesco.» la voce si fece sempre più strozzata dal pianto. «Perché anche papà mi ha abbandonato?»
Sfruttando le ruote della sedia, Plagg si avvicinò al ragazzo e gli strinse una mano sulla spalla. Non riusciva più a vederlo in quello stato: sapeva benissimo che raccontargli quello che sapeva avrebbe, probabilmente, cambiato tutto.
Ma doveva farlo.
«Adrien, devo dirti una cosa riguardo Emilie. È giusto che tu lo sappia.» disse, ottenendo, finalmente, una piccola reazione da parte del ragazzo. «Circa sedici anni fa, ho avuto un incidente e ho perso la memoria. Ricordavo solo il mio nome: Plagg.»
Adrien si sfregò le guance bagnate dalle lacrime, assumendo un’aria sorpresa. «Non me l’avevi mai detto.»
Plagg si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, con le mani infilate nelle tasche dei suoi pantaloni scuri. «Non avresti mai dovuto saperlo, infatti.»
«Perché?» urlò il ragazzo.
«Perché fu Emilie a deciderlo.»
Adrien osservava l’amico con aria confusa, la bocca semiaperta e le mani tremolanti.
Plagg si voltò nella sua direzione e proseguì: «Lei e Gabriel furono le prime persone che vidi quando mi risvegliai. Mi dissero che il mio nome completo era Plagg Dominus, ma non hanno mai fornito dettagli sul mio incidente. “È per la tua sicurezza” mi ripeteva sempre Emilie.» si interruppe per un attimo, assumendo un’espressione seria e severa. In tanti anni, Adrien avrebbe giurato di non averlo mai visto  così. «Col tempo, ho iniziato a rivivere nei sogni alcuni flash: il Tibet, un tempio, l’università di Parigi, un buffo uomo dai marcati tratti orientali... Tutte informazioni che Emilie mi pregò di tenere nascoste.»
«Ma perché? Non riesco a capire.» intervenne Adrien, sempre più interessato a quel racconto.
«Prima che tu nascessi, Emilie era una studiosa di antiche civiltà e spesso organizzava spedizioni di gruppo per trovare reliquie di cui ne studiava la storia. Le spedizioni erano finanziate da un gruppo di filantropi: non rivelavano mai i loro veri nomi. Si nascondevano sempre dietro uno pseudonimo: la Rouge & Noir.»
Adrien era sconvolto: dal racconto dell’uomo, sembrava si stesse parlando di una persona sconosciuta e non della madre. Per un attimo pensò anche che quel racconto era una frottola inventata di sana pianta solo per distrarlo, ma gli sembrò impossibile che la persona che considerava praticamente un fratello gli mentisse in quel modo riguardo la madre.
Il racconto di Plagg, intanto, continuava: «Penso che nei miei ricordi siano contenute informazioni. Informazioni vitali che questi tizi volevano a tutti i costi. Ed Emilie questo lo sapeva. Per questo ha pensato di trasferirsi qui in America prima della tua nascita. Per proteggere me e tutta la famiglia. Te compreso.»
«Cosa può esserci di così importante nei tuoi ricordi?»
Plagg strinse le spalle. «Non lo so. So solo che Emilie era terrorizzata da quelle persone. E temo che loro possano...»
Adrien sobbalzò e si alzò furiosamente dalla sedia, afferrando Plagg per il colletto della camicia.
«Pensi che loro abbiano ucciso la mamma?» urlò a squarciagola. «Rispondi!»
Plagg poggiò le mani su quelle del ragazzo e, con calma olimpica, disse: «Lasciami, Adrien.»
Come risvegliato da un lungo sonno, Adrien restò per qualche secondo imbambolato, e poi lasciò la presa. «Scusami.»
Plagg si sistemò il colletto. «Negli ultimi mesi ho condotto ricerche estenuanti al computer, giorno e notte. E, alla fine, li ho trovati. Tutti i nomi che hanno collaborato con il gruppo Rouge & Noir. E sono tutte persone che conducono affari non propriamente legali. Quindi la risposta è sì, Adrien. Penso che loro siano coinvolti nell’omicidio di tua madre.»
Adrien strinse gli occhi e sul volto si disegnò una smorfia di dolore misto a rabbia. «Perché me lo dici solo ora?»
«Per lo stesso motivo per cui prima mi hai preso per il collo. La tua reazione.»
«Come avrei dovuto reagire?» ringhiò il ragazzo a voce alta. «Mi hanno portato via mia madre!» gettò a terra qualsiasi oggetto presente sulla scrivania, dai libri ai monitor del pc, mentre le guance furono nuovamente rigate dalle lacrime.
«Speravo di raccontarti tutto quando saresti stato pronto.» ribadì Plagg. «E che riuscissi a superare il dolore. Ma non ce la facevo più a vederti in quello stato.»
Adrien si appoggiò con le mani sulla scrivania, le braccia tese e la testa bassa, incassata nelle spalle. Si udivano chiaramente i suoi singhiozzi: non aveva mai pianto in quel modo, nemmeno appena ricevuta la notizia della morte di Emilie.
Plagg lasciò che l’amico si sfogasse, che tirasse fuori tutto quello che aveva dentro.
Quando, finalmente, parve calmarsi, Adrien rialzò la testa: il suo sguardo era completamente cambiato, non più sofferente ma freddo e carico di rabbia. «Plagg... Quei nomi, li hai ancora?»
Plagg assentì.
Adrien scagliò un pugno sulla scrivania, scavando un piccolo solco. «Voglio trovarli tutti. Scoprire chi di loro ha ucciso mia madre e, soprattutto, perché. Mi aiuterai?»
«Sempre!»
 
Parigi, 2019
Plagg si accomodò sulla sedia accanto al tavolo dove giacevano Marinette e quella piccola creatura rossa; in mano, stringeva una tazza ricolma di caffè nero fumante, appena preparato per affrontare un’eventuale notte insonne.
Aveva dovuto mettere immediatamente da parte il suo stupore nel conoscere la vera identità di Ladybug, per prestarle il soccorso necessario.
Fortunatamente, gli strumenti non avevano rilevato problemi gravi: la ragazza aveva riportato solo leggeri traumi contusivi al torace e diversi graffi e cicatrici sugli arti. Nulla che non potesse essere facilmente curato.
Plagg ritenne che fossero stati i suoi poteri a proteggerla da quel crollo che, con ogni probabilità, avrebbe ucciso chiunque altro.
Per un attimo, l’uomo sorrise con sollievo al pensiero che quel corso di pronto soccorso, frequentato insieme ad Adrien, gli stava tornando utile. Forse anche più del dovuto.
Nella sua mente, però, era sempre più opprimente un’intensa sensazione di angoscia e tormento: era come se la storia si stesse ripetendo.
Anni prima, la passione di Emilie per le antiche reliquie le era costata cara, e, a pagarne il prezzo, furono  tutti i componenti della famiglia. Adrien non era stato più lo stesso, passando da quel ragazzo pieno di gioia e solarità, ad un apatico manichino privo di emozioni fino ad arrivare al freddo e spietato arciere incappucciato, cui anche lo stesso Plagg aveva contribuito nel forgiare.
Quella notte, a pagarne le spese era stata Marinette, un’altra persona alla quale entrambi tenevano tantissimo.
Sia lei che Chat Noir erano stati marchiati come bersagli da Papillon, un terrorista legato a quel gruppo di persone responsabili di tante sofferenze.
Era necessario mettere fino a tutto questo, ma bisognava agire con cautela, saggezza e criterio.
Per quanto forti e coraggiosi, Adrien e Marinette erano solo dei ragazzi e la lucida e feroce follia di Papillon li aveva demoliti.
Toccava, dunque, a Plagg prendere in mano la situazione: aveva promesso che sarebbe stato sempre vicino al suo amico, in qualunque circostanza ed in qualsiasi caso lo avrebbe protetto e sostenuto.
Ed avrebbe fatto lo stesso con Marinette.
Le sue riflessioni furono troncate improvvisamente da una voce squillante, molto vicina al suo orecchio: «Che hai fatto a Marinette?»
Plagg sobbalzò, rovesciando parte del caffè sul pavimento per lo spavento. «Ma cosa...?»
Voltò lo sguardo e vide il piccolo essere rosso svolazzargli a pochi centimetri dal viso, con un’espressione arcigna e battagliera. «Dimmi cosa le hai fatto. Ora!»
«Wow, puoi anche parlare?» esclamò Plagg sorpreso ma anche leggermente intimorito da quell’atteggiamento minaccioso. In fondo, non sapeva quali abilità magiche possedesse quella creatura, ma di sicuro era potente.
Poggiò placidamente la tazza sulla scrivania e spiegò: «Le ho somministrato un siero cicatrizzante di mia creazione. Le consentirà di guarire le ferite tre volte più velocemente del normale. Dormirà per diverse ore. Era molto provata.»
«Starà bene?»
«Certo! Ho piena fiducia nelle mie creazioni.» ribadì Plagg, nella sua solita ostentazione di vanagloria personale. «Tu chi sei? O, meglio, cosa sei?»
«Il mio nome è Tikki. Sono il kwami del Miraculous di Ladybug.»
Plagg restò confuso, al che Tikki commentò: «Non mi aspetto che tu capisca. E, onestamente non mi importa. Mi interessa solo che Marinette stia bene.»
Plagg rifletté su quelle parole: kwami, Miraculous, erano termini che lui trovava dannatamente familiari. Decise comunque di sorvolare ritenendo opportuno anteporre altre priorità.
«Sei tu che dai i poteri a Marinette?»
Tikki annuì. «Tu, invece, sei l’alleato di Chat Noir, quello che l’ha aiutato il giorno della sfilata.»
«Devo dire che la ragazza picchia duro.» scherzò l’uomo. «Suppongo che tu sappia chi sono io e, di conseguenza, sappia chi si cela sotto al cappuccio.»
«Adrien Agreste.» rispose Tikki, riuscendo finalmente a rilassare il volto. «Qual è il vostro obiettivo? Perché lo fate?»
Plagg la fissò intensamente. «Vogliamo giustizia. Per lei.» indicò una foto, ritraente Adrien accanto ad Emilie.
«Ci sono altri modi per ottenere giustizia.» considerò la kwami, osservando il volto della donna.
«Non con quella gente. Ho partecipato attivamente all’addestramento di Adrien: gli ho insegnato come comportarsi in determinate situazioni; altre istruzioni, invece, le ha apprese da solo. Ma su una cosa sono sempre stato intransigente: non dovrà mai uccidere nessuno.»
Tikki svolazzò accanto a Marinette. «Lei non sarà comunque mai d’accordo sul vostro modo d’agire.»
Plagg strinse le spalle. «Sapevamo a cosa andavamo incontro quando siamo arrivati qui. Anche se...» ridacchiò per qualche istante. «Non mi aspettavo certo che la sua più grande rivale fosse anche l’unica ragazza capace di tenerlo sveglio la notte.»
Anche Tikki iniziò a sogghignare. «Vale lo stesso per me. Pensa che ha la stanza tappezzata di sue fotografie.» allargò le zampette per enfatizzare la frase. Poi, tornò seria, introducendo un argomento molto delicato: «Cosa faremo ora? Questo Papillon non è un nemico da sottovalutare e, anche facendo fronte comune, siamo usciti sconfitti.»
«Per il momento, manteniamo un profilo basso.» affermò Plagg. «Convincila a non trasformarsi per un po’ di tempo. Almeno fino a quando non sarà perfettamente ristabilita. Io farò lo stesso con Adrien.»
«Glielo dirai?» chiese Tikki, indicando con lo sguardo Marinette. «Di lei, intendo.»
Plagg scosse il capo. «Non è prudente che sappiano una dell’altro. E, inoltre, non abbiamo nemmeno il diritto di scegliere al posto loro.»
Tikki concordò che fosse la soluzione giusta. «Mi aiuterai a riaccompagnarla a casa? Non vorrei che i genitori non la trovassero a letto.»
«Dovrò rispolverare le mie doti da scalatore di edifici, se mai le ho avute. Sperando che non mi arrestino per violazione di domicilio.»
 
 
Angolo Autore:
Salve bellissimi!
A questo punto della storia, era necessario un bel flashback che chiarisse le origini del nostro arciere, il percorso che ha dovuto affrontare per diventare ciò che è. Come ho detto in un commento, Plagg è fondamentale per lui, un vero fratello maggiore. E adesso, tocca a lui gestire la situazione. Magari con l’aiuto di Tikki. Mi spiace un po’ aver lasciato da parte i nostri protagonisti, ma tranquilli che dal prossimo torneranno sulle scene. Sento già le vostre urla da qui.
Io ora vi saluto, vi ringrazio come sempre per essere arrivati fin qui e vi do appuntamento a Venerdì.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

 
Adrien rientrò nella sua stanza, stanco e demoralizzato.
Si era assicurato delle condizioni del padre, accompagnandolo fino in camera ed aiutandolo anche a svestirsi ed indossare il pigiama. Era, probabilmente, il momento in cui si trovavano più vicini come padre e figlio, dopo tanti anni vissuti separati.
Adrien decise di non accendere nemmeno la luce, lasciando che la luna illuminasse la sua stanza.
Diede uno sguardo al cellulare, notando la notifica di un messaggio: Plagg lo rassicurava, in modo breve e conciso, di avere la situazione sotto controllo.
Sollevato dal pensiero di poter fare affidamento sulla risolutezza dell’amico, si stese sul letto senza nemmeno spogliarsi del suo abito.
Teneva lo sguardo fisso sul soffitto bianco ma la sua mente era ben lontana.
Al suo arrivo a Parigi, aveva in mente un solo obiettivo ed avrebbe fatto qualunque cosa pur di perseguirlo. Aveva pianificato con Plagg ogni minimo dettaglio ed erano stati anche lungimiranti nel prevedere contromisure ad eventuali intoppi.
Ma non era pronto ad affrontare un nemico ben più potente di un qualsiasi criminale, della Rouge & Noir o di Papillon: il senso di colpa. Quella sensazione di aver fallito e, soprattutto, di aver messo più volte in pericolo le persone a cui teneva.
Non era riuscito ad evitare che Papillon azionasse i detonatori delle bombe e, come risultato, aveva ottenuto che il padre rimanesse ferito e chissà cosa era accaduto ai suoi compagni di classe. Avrebbe voluto informarsi sulle loro condizioni e magari anche su quelle dei genitori di Chloè, che lui stesso aveva aiutato, per poi lasciarli nelle mani delle forze dell’ordine.
La sua mente continuò a vagare, fino a giungere alla persona per cui provava un affetto che si spingeva ben al di là della semplice amicizia: lui ormai ne era consapevole e ne era spaventato.
Nel ripensare a quel fugace bacio che aveva scambiato con Marinette, fu attraversato da un lampo gioioso, una sensazione per lui rara prima di conoscere la bella Dupain-Cheng, contemporaneamente meravigliosa e soave.
Ma non poteva coinvolgerla, non poteva metterla in pericolo ora che aveva la certezza di avere un mirino laser puntato fisso su di lui; già due volte aveva corso pericoli a causa sua e, quella sera, se fosse stata invitata anche lei a quella festa, avrebbe potuto restare ferita o peggio.
Decise, dunque, di intraprendere l’unica strada che avrebbe garantito la sua incolumità, nonostante le sofferenze che avrebbe patito in seguito: allontanarla da lui.
 
Marinette si risvegliò nel suo letto in tarda mattinata.
Era confusa ed accaldata, ma avvertì immediatamente una forte sensazione fredda sulla fronte: toccandosi in quel punto, le sue dita accarezzarono un panno bagnato, adagiato sulla testa.
Girò leggermente la testa alla sua destra e vide la botola della sua camera spalancata, udendo morbidi passi provenire dalle scale: dall’apertura fece capolino Sabine,  la quale reggeva tra le mani una bacinella colma d’acqua.
Sul volto della donna si disegnò un gioioso sorriso nel vedere la figlia sveglia. «Marinette! Tesoro, come ti senti?»
«Stanca.» mormorò tra le coperte Marinette, con il volto evidentemente rosso. «Assetata e confusa.»
«Ci credo. Stamattina ho notato che non eri ancora sveglia e sono venuta a portarti la colazione. Ma ti ho vista molto rossa in viso e, toccandoti, eri rovente. Hai preso una bella influenza credo.»
«Influenza?» mugugnò la ragazza.
Sabine sorrise teneramente e salì le scale del soppalco del letto. Poggiò la bacinella sulla mensola alle spalle del cuscino di Marinette e, dopo averla bagnata e strizzata a dovere, adagiò il panno sulla fronte della corvina, accarezzandole la guancia. «Ora riposati. E mangia qualcosa. Alle tue spalle ho poggiato un paio di croissant di tuo padre. Più tardi, se ti sentirai meglio, scenderai giù da noi.»
«Grazie, mamma.»
Una volta che Sabine richiuse la botola, Marinette chiamò a bassa voce Tikki, la quale uscì dalla casetta delle bambole.
«Cos’è successo?» chiese la ragazza.
«Non ricordi nulla della scorsa notte?»
Marinette sbuffò. «L’ultima cosa che ricordo è quell’enorme boato ed il frastuono dei vetri che si rompevano.» si portò un braccio sugli occhi. «Ricordo anche il sindaco Bourgeois urlare. Ma nient’altro.»
In quel momento, realizzò ciò che era successo e pensò subito agli ostaggi.
«Tikki!» esclamò, alzandosi a metà letto ed anticipando l’amica pronta a spiegarle i fatti. «Gli ostaggi! Papillon! Devo sapere come stanno.»
A fatica, Tikki tentò di fermarla. «Marinette, calmati!» gesticolò anche con le zampette per placare l’agitazione della ragazza. «La Chamack ha detto che non ci sono vittime, nel suo programma mattutino. Solo feriti e tanto spavento.»
Marinette tirò un sospiro di sollievo e parve, finalmente, calmarsi. Si guardò, poi, intorno con aria perplessa. «E io come ci sono arrivata qui?»
«Se mi lasci il tempo di spiegare...» sbottò Tikki incrociando le braccia.
Marinette portò le mani in avanti a mo’ di scuse e lasciò che la kwami le raccontasse: «Il sindaco Bourgeois stava per essere travolto dal soffitto che crollava, ma tu ti sei gettata e l’hai spinto di lato.»
«Finendo per essere schiacciata al posto suo. Ma come sono arrivata nella mia stanza?» intervenne Marinette con impazienza ricevendo uno sguardo fulminante ed ammonitore da Tikki. Abbassò, quindi, la testa, ridacchiando e mormorò: «Scusa. Prosegui pure.»
«Chat ti ha salvata e ti ha portata via di lì.»
«Chat? Chat Noir?»
Tikki annuì. «Ho cercato di restare quanto più cosciente possibile in modo da mantenere attiva la trasformazione e sono riuscita a sentire tutto. Lui e il suo compare ti hanno condotta nel loro rifugio. Poi Chat è andato via, mentre il suo amico ha provveduto a curarti.»
Marinette alzò una manica della sua maglia e vide le fasciature. «Ma... Io pensavo che non fosse possibile rimuovere il costume durante la trasformazione.»
«Infatti è così.» ribatté Tikki. «È stato costretto a sfilarti gli orecchini. A quel punto, ho perso i sensi anch’io.» abbassò il capo. «Perdonami, non resistevo più.»
«Quindi ora quel tale sa la mia identità.» considerò Marinette con aria preoccupata.
«Se non fosse stato per lui e per Chat, a quest’ora tutta Parigi conoscerebbe la tua identità. Direi che un po’ di fiducia la meritano, non credi?»
«Non lo so, Tikki.» uggiolò Marinette.
«Fidati di me, allora.»
La ragazza annuì, seppur non del tutto convinta.
Tikki aggiunse: «Dovresti riposare ora. Il siero che ti ha iniettato quell’uomo era molto forte e il tuo organismo ha bisogno di metabolizzarlo.»
Marinette mangiò uno dei croissant e, in breve tempo, cadde nuovamente in un sonno profondo.
 
Dopo un’intera giornata di riposo, il giorno successivo, Marinette era quasi completamente ristabilita. Il siero aveva svolto perfettamente il suo compito ed ogni sintomo di febbre era scomparso.
Le restavano sporadiche fitte al petto e dei pizzicori sulle cicatrici su braccia e gambe, oltre ad una frequente sensazione di fame: un effetto collaterale della cura.
La ragazza aveva più volte ripreso l’argomento “identità segreta” con Tikki, la quale continuò a rassicurarla sulla fiducia che riponeva nell’uomo che l’aveva curata: aveva saggiamente taciuto su chi fosse in realtà quell’individuo, glissando sulle domande postole dalla sua portatrice.
Alla fine, Marinette decise di non insistere sulla discussione: se Tikki era certa di poter confidare della parola di quell’uomo, allora poteva farlo anche lei.
Inoltre, era opportuno non aggiungere altri problemi a quelli già esistenti.
Aveva parlato a lungo a telefono con Alya, la quale le raccontò nel dettaglio tutto ciò che era accaduto: «”Nino stava per mettere un lento... Avresti dovuto vedere l’intesa che avevano Kim e Alix; se non fossero impegnati in quelle stupide scommesse ad ogni ora, si accorgerebbero di essere fatti l’una per l’altro. Comunque, ad un certo punto, è andata via la luce: pensavamo fosse una trovata di Chloè per farsi vedere col nuovo abito disegnato dalla madre, di cui si stava vantando per l’intera serata, ma, dalla porta, sono entrati un uomo ed una donna armati e ci hanno trascinato tutti al piano di sotto e chiusi nel bagno. Non so dirti quanto tempo siamo rimasti lì dentro. Ladybug ci ha salvati e ci ha fatto calare per il condotto dell’ascensore. Mentre ci raggruppavamo, c’è stato un boato e tutto intorno ha iniziato a tremare, come se l’intero edificio stesse crollando. Ricordo le urla, il fuoco ed il fumo che ci impediva di respirare. Mi sembra di essere stata lì dentro per ore e ore; prima che arrivassero i soccorsi ci ha aiutati Chloè. Ha aiutato tutti; non so come abbia fatto a mantenere il sangue freddo, ma è stata davvero eroica, devo ammetterlo.”»
Era la prima volta che Marinette sentiva Alya parlare con quel tono: affranto, addolorato e crucciato. L’aveva sempre vista come una ragazza spavalda e risoluta, sicura di sé; talvolta anche piuttosto incosciente, quando si gettava a capofitto nel pericolo pur di ottenere qualche scoop relativo alla supereroina di Parigi, ponendo piena fiducia nel fatto che avrebbe risolto la situazione facilmente.
Quella sera, però, Ladybug non era riuscita a bloccare la follia di quel tizio: solo un pizzico di buona sorte ed il provvidenziale aiuto di Chat Noir avevano impedito che ci fossero morti.
Alya ed altri compagni di classe erano usciti incolumi dall’hotel, riportando solo piccoli graffi e tanto spavento. I meno fortunati, invece, avevano leggere ustioni ed infezioni alle vie respiratorie. Per tal motivo, si trovavano ancora in ospedale sotto osservazione e Marinette, in accordo con l’amica, era determinata a far loro visita.
 
Accompagnata dal padre di Alya, Otis Cesaire, le ragazze giunsero al Saint Louis a metà mattinata, attraversando una Parigi spenta e cupa, priva di quell’aria festiva che caratterizzava sempre quei giorni dell’anno.
Anche in quel momento, gli ingressi erano assediati dai giornalisti, alla ricerca di notizie sulle condizioni del sindaco Bourgeois.
Con qualche fatica e l’aiuto degli agenti appostati lì su ordine del commissario, Marinette ed Alya riuscirono ad entrare nell’edificio.
Max, Nino ed Ivan condividevano la stessa stanza, mentre, in una camera posta sul lato opposto del corridoio, riposavano Rose e Mylene. Fortunatamente le loro condizioni miglioravano velocemente e, in un paio di giorni, sarebbero stati tutti dimessi.
I ragazzi approfittarono di quella piccola rimpatriata, alla quale si aggiunse anche Juleka, per raccontare a Marinette dettagli della festa, tralasciando racconti su ciò che era successo dopo.
La stessa Marinette si lasciò andare a piccoli accenni sulla cena della Vigilia, evitando, però, di far riferimento a quel piccolo bacio scambiato con Adrien, pur arrossendo al solo pensiero.
«Juleka, è ancora valido l’invito per Capodanno sulla barca di tua madre?» chiese Alya.
La ragazza bruna annuì sorridendo. «Certo, e siete tutti invitati. Mia madre ritiene che noi per primi non dobbiamo farci piegare da questi brutti avvenimenti. È rimasta molto delusa dall’annullamento della giornata della musica, quindi è ben felice di festeggiare con tutti noi.»
«I miei genitori possono pensare alla cena.» intervenne Marinette, con entusiasmo.
«E visto che ci sarà anche il fratello di Juleka, avremo anche dell’ottima musica.» commentò Rose.
«Inviteremo proprio tutti?» domandò Max, spingendo con l’indice i suoi occhiali sul naso.
Le ragazze si scambiarono una rapida occhiata di consenso ed Alya prese parola: «Direi che Chloè si sia guadagnata pienamente un invito ufficiale. E per quanto riguarda Adrien...» aggiunse, ghignando. «Ci penserà Marinette ad invitarlo.»
Marinette sgranò gli occhi ma non riuscì a ribattere dato l’entusiasmo che si scatenò a breve in quella stanza d’ospedale, riscaldando quell’ambiente freddo e malinconico.
 
Marinette seguì Alya e Juleka nell’atrio al piano terra dell’ospedale, in attesa che il signor Cesaire tornasse per riaccompagnarle a casa.
Nelle due ore trascorse insieme, il gruppo di ragazzi aveva parlato a lungo del piccolo party organizzato sul Liberty, la barca di proprietà di Anarka Couffaine, madre di Juleka.
 Le tre ragazze videro passare numerosi familiari e conoscenti delle vittime dell’esplosione: tra loro riconobbero anche una loro compagna di classe, che si apprestava a lasciare l’edificio.
«Sabrina!» strillò Marinette, attirando le attenzioni della rossa, la quale si voltò di scatto.
«Oh, siete voi...»
Aveva il viso pallido e provato per quanto accaduto, ma, fortunatamente, non aveva subito conseguenze fisiche.
«Come stai?» chiese Marinette, affiancata dalle sue amiche.
Sabrina mosse il capo a destra e sinistra. «Io bene. Ma...» si interruppe, mordendosi il labbro. «Sono preoccupata per Chloè. Da quando suo padre è stato condotto qui, non ha più lasciato l’ospedale. Quando non piange, fissa un punto vuoto dalla finestra e non proferisce parola se non per salutare me o la madre.»
«Suo padre come sta?» domandò Alya.
«Dovrà affrontare un intervento per la ricostruzione dei legamenti delle ginocchia. Ha rischiato di rimanere paralizzato. Se non fosse stato per Chat Noir...»
«Chat Noir?» chiesero in coro le tre ragazze.
Sabrina annuì col capo. «Madame Audrey mi ha detto che è stato lui a liberarlo sollevando la colonna che lo aveva intrappolato. Poi ha tirato fuori dalle macerie Ladybug che, poco prima, si era immolata per salvare il sindaco.»
Vedendo i volti stupiti delle sue compagne, Sabrina commentò: «Anche mio padre ha avuto la stessa reazione. Credo abbia rivalutato quel tizio.»
Marinette si lasciò andare ad un gioioso sorriso, avendo avuto, ormai, la conferma che la fiducia di Tikki era ben riposta.
«Chloè è ancora sopra?» chiese, poi, indicando col dito i piani superiori.
«Hai intenzione di andarla a trovare?» ribatté Sabrina, non nascondendo un moderato entusiasmo. Al cenno affermativo della corvina, la rossa le si gettò al collo, come a volerla ringraziare del suo interessamento.
«Aspettatemi qui.» disse Marinette rivolta ad Alya e Juleka. «Non ci metterò molto, promesso.»
«Non cambierà mai la nostra Marinette.» sussurrò Alya, vedendo l’amica entrare  nell’ascensore. «Sempre pronta ad aiutare tutti.»
«Per questo è la migliore.» considerò Juleka, scambiando un sorriso con la castana.
 
Chloè passeggiava nervosamente nel corridoio deserto, gettando, di tanto in tanto, un occhio alla stanza dove riposava il padre.
Audrey aveva richiesto ed ottenuto che un intero reparto fosse riservato alle cure del marito; l’ingresso era sorvegliato da tre agenti della scorta personale del sindaco, organizzata dal commissario in seguito all’attacco all’hotel.
La situazione era esattamente come l’aveva descritta Sabrina: Chloè, infatti, alternava momenti di pianto convulso ad attimi di quasi totale assenza. Gli avvenimenti della notte di Natale le sembravano un incubo.
Si sedette pigramente su uno dei sediolini del corridoio e guardò verso la porta vetrata che separava un reparto dall’altro, vedendola aprirsi improvvisamente.
La biondina balzò immediatamente in piedi quando vide una sagoma familiare palesarsi sull’uscio.
Gli occhi quasi le uscirono dalle orbite per lo stupore. «Dupain-Cheng?!»
Marinette si avvicinò a piccoli e timidi passi, sfoggiando un leggero sorriso, spontaneo e per nulla ipocrita.
«Cosa ci fai qui?» sbottò Chloè.
Inizialmente, Marinette non rispose, limitandosi ad osservare attentamente la sua compagna di classe: indossava ancora il vestito della festa, uno splendido abito lungo nero monospalla, con, in vita, una cintura tempestata di brillanti. I lunghi capelli biondi ed ondulati erano sciolti; solo una piccola ciocca anteriore era tenuta ferma da una spilla a forma di ape. Ciò che più colpì la ragazza corvina fu il volto: era visibilmente provato ed avvilito, gli occhi arrossati e gonfi a causa dei numerosi pianti, con due vistose occhiaie, dovute probabilmente alla mancanza di sonno. Era sicuramente ben lontana dalla consueta perfezione cui tutti erano abituati, ma, nonostante ciò, Chloè manifestava una straordinaria eleganza e raffinatezza, qualità indubbiamente innate.
«Volevo vedere come stavi.» esordì Marinette con sincerità. «Sabrina mi ha raccontato quello che è successo e la situazione di tuo padre.»
Chloè rilassò l’espressione in viso, salvo poi voltare il capo dall’altra parte, ostentando distacco. «Sì, beh... Ora che mi hai vista, puoi pure andare.» dichiarò gesticolando platealmente con la mano, come se volesse scacciare la giovane Dupain-Cheng.
Marinette, però, non si mosse di un millimetro.
Notando la fermezza della ragazza, Chloè sbuffò: conosceva bene la determinazione e la testardaggine di Marinette, tratti che, senz’altro, possedevano entrambe.
«Che bel vestito.» disse Marinette. «Stai magnificamente.»
«Che scoperta...» ribatté Chloè in modo burbero. «È una creazione di mia madre ed è ovvio che su di me sia la perfezione.» allargò le braccia per enfatizzare le sue parole.
Il sorriso di Marinette si fece ancora più ampio e gioioso, provocando delle perplessità nella biondina.
Il primo obiettivo era stato conseguito: la sola presenza di Marinette era riuscita a scuotere Chloè.
Era il momento di farla reagire, proprio come aveva fatto quella sera: Chloè era stata la vera eroina, non Ladybug.
Marinette appoggiò delicatamente una mano sul braccio di Chloè, leggermente annerito in un punto da un livido. «Dovresti andare a casa a riposare.»
Ancora una volta sul volto di Chloè si disegnò lo stupore.
«Sono certa che anche lui vorrebbe questo.» proseguì la corvina, indicando con lo sguardo il letto di Andrè.
«Ho avuto paura di perderli.» mormorò Chloè, abbassando la testa. Gli occhi le divennero lucidi.
Marinette scosse il capo. «Non pensare a questo. Sono vivi. Conta questo. E tanti altri lo sono, per merito tuo.»
Chloè non ebbe il tempo di replicare, poiché Marinette l’abbracciò di colpo: un gesto che le venne direttamente dal cuore.
La biondina ebbe inizialmente l’istinto di strattonarla via, ma non lo fece. Avvertì la sincerità e l’affettuosità di Marinette, così alzò timidamente le braccia, tenute fino ad allora penzoloni lungo i fianchi, e strinse a sé la corvina.
Marinette, felice di aver risollevato il morale ad una persona con la quale aveva sempre avuto discussioni e litigi, e lieta di essere riuscita ad ottenere la sua fiducia, le sussurrò: «Grazie.»
«Se lo racconti a qualcuno, ti strozzo Marinette Dupain-Cheng. E comunque negherei tutto.» commentò Chloè, sfoggiando, comunque, un volto sereno e compiaciuto.
«Lo so.»
 
 
Angolo Autore:
Spero di non avervi fatto commuovere troppo. Anche perché ora non è il momento di fermarsi, c’è tanto da scoprire, tanto su cui indagare. Come spesso ripeto, reputo Chloè uno dei personaggi col maggior potenziale di crescita, sotto il punto di vista caratteriale. Nella storia ho cercato di descrivere il suo processo di maturazione (ricordo che ha quasi 18 anni) e di metterlo in risalto quando necessario. Non vi nascondo che, anche se un po’ scontato, è uno dei miei personaggi preferiti e desidero che anche nella serie, in cui questa maturazione ancora non si è vista se non a sprazzi, ci possa essere un momento così tra lei e Marinette.
Per quanto riguarda Adrien, non potevate certo aspettarvi che rendessi le cose così facili. Ma quali conseguenze porterà questa sua decisione? Vi anticipo che non dovrete aspettare molto per saperlo.
Ringrazio tutti voi che siete arrivati fin qui e vi do appuntamento a Venerdì prossimo.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

 
Adrien e Plagg erano seduti ad un tavolo al Cafè D’Argent.
Non avevano avuto modo di parlare in tranquillità prima di quel giorno, scambiandosi solo brevi dialoghi di cortesia: il primo tentò di allacciare un buon rapporto col padre, standogli vicino nel momento di difficoltà; il secondo, invece, su richiesta dello stesso Gabriel, assisté Nathalie nell’organizzazione della sfilata di Capodanno, progettando un efficiente sistema di sicurezza, in modo da rassicurare gli invitati.
Approfittarono, dunque, di qualche ora di riposo per pranzare nel bistrot: il luogo non era particolarmente affollato, ma il vociare garantiva ugualmente un certo grado di privacy.
Plagg aveva raccontato all’amico di come aveva assistito Ladybug, come l’aveva curata e del consiglio di non farsi vedere in giro, fin quando non si sarebbe ripresa completamente e le acque non si sarebbero calmate.
«Spero sia più ubbidiente di te e che segua il mio consiglio.» aveva scherzato l’uomo.
Alla domanda riguardo la sua identità segreta, aveva mantenuto un riservato silenzio e, dunque, Adrien decise di non insistere: sapeva che Plagg detestava mentirgli e, quindi, comprese che quel silenzio celava una necessaria cautela.
Adrien, invece, tentò di descrivere ogni singolo dettaglio che ricordasse di quella sera, soffermandosi sulle conseguenze che aveva avuto sulla sua psiche l’incontro con Papillon. «Ogni volta che chiudo gli occhi, vedo quella maschera grigia, quegli occhi iniettati di sangue e il suo ghigno mentre preme quel bottone e fa esplodere le bombe.»
«Riusciremo a sconfiggerlo, fidati di me. Per il momento, do anche a te lo stesso consiglio: profilo basso.»
Adrien strinse con rabbia la forchetta che impugnava nella mano destra. «Sai perché mi ha battuto, Plagg?» il suo sguardo era fulminante.
«Perché eri fuori forma, come ti avevo anche ampiamente avvisato?» ribatté Plagg, con una punta di ironia.
«Perché ero distratto!» strillò Adrien, battendo il pugno sul tavolo.
Alcuni commensali si voltarono nella loro direzione e Plagg rivolse loro un sorriso di scuse miste ad imbarazzo.
Il biondo, intanto, proseguì, stavolta con un tono di voce più basso ma ugualmente furioso: «Non posso combattere se nella testa ho in mente altre persone. Ricordi cosa è successo il giorno della sfilata?»
«Ladybug ti ha fatto pelo e contropelo.»
«Esatto! Perché ero distratto!»
Plagg inarcò un sopracciglio e si sporse in direzione dell’amico. «Non mi piace la piega che sta prendendo questa conversazione.»
«Devo allontanare Marinette da me.»
Plagg roteò gli occhi verso l’alto. «Ecco la sciocchezza del giorno.»
«Sono serio, Plagg. Stando vicino a me corre troppi rischi. Se penso a lei non sono concentrato. E se non sono concentrato non otterremo mai quello che vogliamo.»
«Dunque, fammi capire bene...» commentò Plagg, per una volta concentrato unicamente su Adrien, nonostante l’invitante fetta di Angus irlandese che aveva sotto al naso. «Tu vorresti allontanare una ragazza dal cuore d’oro, che potrebbe farti diventare molto più forte e giusto di quanto sia ora, che ti tiene sveglio la notte, per una sciocca supposizione?»
«È la realtà dei fatti, Plagg, non una semplice supposizione.»
«Ti rendi conto dell’idiozia delle tue parole? Marinette è la prima persona in cinque anni in grado di farti sorridere e scaldare il cuore, proprio come...»
«Non dirlo, Plagg!» lo interruppe bruscamente Adrien, alzando l’indice davanti al suo volto.
Plagg scosse il capo. «Credevo di averti insegnato bene in questi anni. Evidentemente mi sbagliavo.»
Si alzò dal suo posto, poggiando due banconote da 100 euro sul tavolo.
Sistemandosi la giacca ed infilando il cappotto, disse: «Mi è passata la fame.»
Voltò le spalle, pronto ad andarsene; si fermò per un istante e si rivolse nuovamente al giovane. «Sai cosa penso? Penso che Papillon ti abbia sconfitto, ma non fisicamente.» si portò un dito alla tempia. «Qui dentro. Ti è entrato nel cervello e ti sta logorando da dentro. Prega di non doverti pentire della tua decisione.»
Salutò cortesemente il maitre ed indirizzò un piccolo gesto verso Adrien, lasciando, poi, il locale.
 
Uscito dal bistrot, Plagg fu investito dal freddo pungente di dicembre, anche se non lo avvertì del tutto, per via della collera.
Si incamminò a passo svelto, senza avere una meta ben precisa; doveva solo sbollire la rabbia.
Giunto sul Pont des Artes, una ventata gelida lo travolse, costringendolo ad alzare il colletto del cappotto e ad infilare le mani nelle tasche da cui estrasse i guanti ricevuti in dono a Natale da Marinette. Sorrise al pensiero che aveva avuto per lui la ragazza e, finalmente, riuscì a rilassarsi.
Ritenne molto ironico che Adrien volesse allontanarsi da lei per proteggerla da eventuali pericoli, ignaro del fatto che lei stessa lo aveva preso letteralmente a calci pochi giorni prima.
Inoltre, lo stesso Adrien era stato tratto in salvo da Ladybug, il giorno in cui fu vittima del rapimento al Louvre.
«Sei proprio un idiota, Adrien.» mormorò, scuotendo il capo, continuando la sua lunga passeggiata.
Ripensando alla notte di Natale, una strana sensazione lo pervase: era convinto che qualcosa non tornasse, un particolare, un dettaglio impercettibile ma enormemente utile. Ma più ci ripensava, più esso gli sfuggiva.
Il suo cellulare squillò all’improvviso. Sullo schermo apparve la scritta “Numero sconosciuto”.
Plagg sbuffò, pensando che fosse uno dei suoi fornitori di componenti utili ai suoi progetti, ma rispose ugualmente. «Pronto?»
Dall’altro capo, una voce femminile esordì: «Il signor Plagg Dominus?»
«Sì, sono io. Con chi ho il piacere di parlare?»
«Ho urgenza di parlarle. È questione di vita o di morte!» il suo tono rappresentava alla perfezione il significato delle sue parole. «Incontriamoci a Rue Edouard Colonne 7, tra un’ora.»
Plagg inarcò il sopracciglio, il suo volto divenne corrucciato. «Si calmi, mademoiselle. Deve ancora dirmi chi è lei, cosa vuole da me e come ha avuto il mio numero.»
«Non le basta sapere che c’è in gioco la sorte dell’intera città?» ribadì lei.
«No.»
«Allora proverò ad essere più convincente.» disse lei, assumendo un tono di sfida. «So chi si nasconde dietro le maschere di Ladybug e Chat Noir.»
Plagg arrestò il passo, restando per qualche secondo senza parole. Quindi ribatté con un sorriso beffardo: «Certo, poi mi dirà che sa anche chi è Papillon.»
«Speravo potessimo scoprirlo insieme. La prego signor Dominus, deve credermi!»
Plagg scosse il capo. «Mi spiace, mademoiselle. Non ho intenzione di assecon...»
«Marinette Dupain-Cheng e Adrien Agreste!»
Plagg divenne una statua di sale.
 
«Dunque... Potrei dire così: “Ehi Adrien. Conosci Juleka? Quella ragazza con i capelli lunghi neri, con una ciocca viola che scende sulla fronte? Che domande, certo che la conosci, visto che siamo nella stessa classe. Ecco, lei e sua madre hanno organizzato una festa sulla loro barca per l’ultimo dell’anno. Mi chiedevo se tu... Cioè, non solo io, ma anche gli altri; non perché io non ti pensi più degli altri, ma intendevo la festa! Pensavo alla festa...”»
Marinette aprì la sua pochette, cercando l’approvazione di Tikki, la quale, sconsolata, negò col capo.
La ragazza sbuffò. «Quanto è difficile.»
Per tutto il tragitto che separava la pasticceria da Villa Agreste, aveva provato e riprovato il discorso da fare ad Adrien, per invitarlo al party sul Liberty; ogni volta, però, finiva per incartarsi con le parole o per sviare il discorso in argomenti che c’entravano ben poco.
Pertanto, Tikki le suggerì di farsi guidare dal suo istinto, ma Marinette non sembrò molto convinta.
Cercò ugualmente di tranquillizzarsi, prendendo lunghi respiri, nella speranza di non arrecare disturbo, essendo da poco passata l’ora di pranzo.
Giunta davanti all’enorme cancello della villa, premette il bottone del citofono, posizionandosi perfettamente di fronte alla videocamera: dopo diversi minuti di attesa, che le parvero ore, una voce femminile la invitò ad entrare.
Nell’atrio, Nathalie accolse la ragazza. «Buongiorno, mademoiselle Dupain-Cheng. Prego, mi segua.»
Senza fiatare, Marinette seguì la donna, intimorita dal solito tono imperioso che le era stato rivolto. Fu sorpresa del fatto che la stesse accompagnando sul lato della villa opposto alla camera di Adrien.
Sull’uscio della porta che conduceva ad uno dei saloni per gli ospiti, Nathalie allungò il braccio, esortando la ragazza ad entrare.
Marinette la ringraziò timidamente, poi si guardò intorno, meravigliata dalla maestosità di quella stanza, ricca di quadri d’autore, tappeti pregiati ed alcune sculture sparse sui lati.
Accanto ad un lussuoso caminetto acceso, vi erano due grandi divani bianco perla, posti perpendicolarmente ad una poltrona dello stesso stile e colore.
Marinette, quando riconobbe la persona che sedeva lì, sgranò gli occhi, il suo corpo si pietrificò ed iniziò a sudare freddo.
Gabriel Agreste sorseggiava seraficamente il suo caffè nero bollente. Alzò lo sguardo e sorrise, vedendo la ragazza in piedi di fronte a lui. «Marinette Dupain-Cheng. Finalmente ci incontriamo. Accomodati.» indicò con la mano il divanetto alla sua sinistra.
A piccoli passi, Marinette si avvicinò al sofà, impaurita dal confronto con il grande stilista, pur essendo una sua grandissima ammiratrice.
«B-Buongiorno, m-monsieur Agreste.» balbettò, con la testa incassata nelle spalle.
«Suppongo sia qui per mio figlio Adrien.»
Marinette annuì col capo.
«È momentaneamente fuori, a pranzo con Plagg.» lanciò uno sguardo all’orologio a pendolo, accanto al camino: le 15:45. «Dovrebbe tornare a breve. Posso offrirti qualcosa da bere, nel frattempo?»
«N-No, grazie signore.»
Marinette fu colpita dall’atteggiamento affabile e cordiale che aveva Gabriel nei suoi confronti, ben lontano dalla descrizione di Adrien o dall’opinione popolare.
Dal canto suo, Gabriel era particolarmente interessato a conoscere meglio quella ragazza: era sua intenzione scoprire il motivo delle tante attenzioni che il figlio le rivolgeva, non solo per il suo talento nella moda.
Mentre Marinette sfregava nervosamente le mani sulle gambe, Gabriel esordì: «Ho apprezzato molto l’abito che indossava Adrien alla sfilata del concorso per nuove leve. L’hai disegnato tu, vero?»
Marinette assentì. «L’ho anche confezionato.»
Sul volto di Gabriel si disegnò un lieve stupore. «Davvero?» si portò, dunque, una mano sotto al mento. «Interessante.»
«Adrien si è offerto di aiutarmi.» proseguì Marinette. «Non solo mi ha agevolato nel trovare l’idea giusta, il giorno in cui siamo stati al Louvre; mi ha anche sostenuta ed offerto consigli per presentare al meglio la mia opera.»
«Notevole.» asserì Gabriel, con crescente interesse nei confronti della corvina. «Visto il risultato finale, le azioni di mio figlio sono pienamente giustificate.» si interruppe per poggiare la tazza sul tavolino di fianco a lui. «Sarei interessato a vedere altre tue creazioni, Marinette.»
«Sul serio?» chiese la ragazza incredula.
Gabriel si esibì in un leggero cenno affermativo. «Certamente. Quell’abito ha destato interesse anche in Audrey Bourgeois, e non è una cosa da poco. Ritengo che tu abbia talento, Marinette. E mio figlio è stato il primo a notarlo.»
L’incredulità di Marinette si trasformò presto in entusiasmo. Uno dei più importanti stilisti al mondo le aveva proposto di osservare personalmente i suoi disegni, le sue idee. «Grazie monsieur Agreste. Significa davvero molto per me.»
«È molto probabile che avresti vinto il concorso. Se non fosse arrivato quel Chat Noir.» il tono della sua voce si fece più grave, fatto che non sfuggì a Marinette. «Cosa ne pensi di lui?» chiese a bruciapelo lo stilista.
Marinette ponderò attentamente la risposta da dare. «È un uomo pericoloso, signore.» cercò di dimostrarsi quanto più distaccata possibile. «Le sue azioni spesso causano dolore e sofferenza. Spero che non sbuchino fuori degli emulatori.»
«Sai che era presente all’hotel Bourgeois, l’altra notte?»
«Davvero?» esclamò lei, ostentando sbalordimento.
Gabriel la fissò di sottecchi. «I giornalisti non ne hanno parlato per cautela, limitandosi a riportare le dichiarazioni di Audrey in merito, ma pare che sia in combutta con quel Papillon. E probabilmente hanno fatto fuori Ladybug quella notte. Per questo non si vede più in giro.»
Marinette ricominciò a sudare freddo ed avvertì il suo cuore aumentare vertiginosamente i battiti. «C-Come fa a sapere queste cose?»
Gabriel si strinse nelle spalle, con indifferenza. «Gli uomini della sicurezza mi hanno informato. Sembra che sul caso stiano lavorando i servizi segreti, in quanto sia in pericolo la sicurezza nazionale. Non ti nascondo che la notizia ha scioccato anche me.»
Marinette non sapeva che dire: sapeva perfettamente che tutto ciò era una menzogna. Ladybug era lei e, seppur malconcia, era viva e vegeta. E poi Chat Noir l’aveva aiutata a salvare gli ostaggi, aveva liberato Andrè Bourgeois e le aveva salvato la vita.
Era improbabile, anzi, impossibile che facesse il doppio gioco; aveva avuto l’occasione di farla fuori e non avrebbe nemmeno dovuto sforzarsi tanto per farlo.
Queste riflessioni la condussero a farsi diverse domande: chi stava mentendo, Gabriel o coloro che gli avevano fornito queste notizie? Erano tutte congetture nate dalle dichiarazioni sibilline di madame Bourgeois? E perché Gabriel stava raccontando tutte questo proprio a lei?
Si trovava in grande difficoltà, non sapendo cosa rispondere per non destare sospetti.
La fortuna, però, girò dalla sua parte: sulla soglia della porta, infatti, si palesò una familiare figura, che, provvidenzialmente, interruppe quell’imbarazzante silenzio.
«Marinette?»
Gabriel e Marinette si voltarono, ritrovandosi Adrien che li osservava con espressione sorpresa ma, allo stesso tempo calma ed impostata.
Marinette balzò in piedi come una molla, mentre Gabriel rivolse un freddo saluto al figlio.
«Cosa ci fai qui?» chiese il ragazzo.
Lei farfugliò un paio di parole incomprensibili, poi, finalmente, riuscì a dire: «Sono qui per invitarti alla festa sul Liberty, la barca della madre di Juleka, per festeggiare insieme il Capodanno.»
Adrien sospirò, scuotendo la testa. «Mi spiace, Marinette. Non ci sarò. Il 31 c’è la presentazione della nuova collezione di mio padre.»
Gabriel inarcò un sopracciglio, fissando intensamente il figlio, ma senza proferire parola.
«Spero vi divertiate.» proseguì Adrien, parlando con eccessiva freddezza, atteggiamento che stupì anche il padre.
Marinette assunse un’espressione di sconforto e delusione, ma si ripromise di mantenere la testa alta.
Sorrise, dunque, con poca convinzione, e disse: «Beh, sarà per la prossima volta allora.» si avviò verso l’uscita. «Vi auguro buon anno monsieur Agreste. A presto, Adrien. Salutami Plagg.»
Lasciò la villa talmente velocemente che nessuno dei due Agreste fu in grado di ribattere.
Una smorfia di stizza ricoprì il viso di Adrien.
Gabriel si schiarì la voce e si rivolse a lui: «Come mai questa decisione, Adrien?»
Il ragazzo non rispose.
«Sai bene che alla sfilata del 31 non è necessaria la tua presenza. Ciò mi porta a pensare che sia successo qualcosa tra te e quella ragazza.»
«Nulla di preoccupante, papà. Desidero solo passare più tempo al tuo fianco ed addentrarmi nel lavoro.»
«Mi fa piacere.» affermò Gabriel alzandosi. Si fermò al fianco del figlio e disse: «Non apprezzo, comunque, che tu non le abbia detto la verità e di conseguenza abbia mentito a me. So che c’è qualcosa tra di voi. È evidente. Preferirei che tu mi dicessi a chiare lettere che non vuoi parlarmene.»
Lasciò in fretta il salone, mentre, alle sue spalle, Adrien sbuffò spazientito. In poche ore era riuscito a far arrabbiare Plagg, tanto da fargli passare la fame, soffrire Marinette ed infastidire il padre.
«Ben fatto, Adrien.» mormorò a bassa voce.
 
Plagg si fermò di fronte all’ingresso di un locale, un centro massaggi secondo quanto indicato dall’insegna, scritta per metà in francese e metà in cinese. Si chiese se non avesse sbagliato indirizzo, ma il numero civico corrispondeva.
Poco prima, era passato dal suo ufficio, raccogliendo due polsini dotati di taser e una pistola: voleva andare in fondo a quella storia, ma doveva essere pronto a qualsiasi evenienza.
Avendo partecipato attivamente all’addestramento di Adrien, sapeva perfettamente come comportarsi: sempre all’erta, freddo e risoluto.
Nonostante il cartello sulla porta indicasse “chiuso”, Plagg la aprì ed entrò.
Si ritrovò in un piccolo atrio, dotato solo di una rampa di scale che conduceva al piano superiore. Le sue narici avvertirono un odore di incenso, anche se non particolarmente intenso.
Tenendo sempre le mani in tasca, la postura dritta ed espressione seria, salì le scale, giungendo in uno stretto corridoio che conduceva a tre porte di cui una era aperta; decise, dunque, di entrare proprio nella stanza aperta, considerandolo un invito.
Gli fu chiaro che quello fosse il principale locale del centro massaggi: due tappetini stesi al centro della stanza, una bacchetta di incenso spenta da poco in un piatto poggiato su un mobile e un piccolo separé con fantasie orientali disegnate. Proprio da lì, comparve una ragazza sulla trentina, vispi occhi castani, al pari dei capelli, lunghi ed ondulati.
La sua espressione era tutt’altro che minacciosa, tuttavia, Plagg si mantenne sulla difensiva.
«Dunque...» esordì l’uomo. «Posso sapere cosa vuole da me?»
La ragazza invitò Plagg ad accomodarsi su uno dei cuscini poggiati sul pavimento, ma egli rifiutò, esortandola a rispondere.
«Voglio aiutare Marinette e Adrien.» disse lei.
«E perché lo dice a me?»
«La gente è convinta che Ladybug sia morta nel crollo dopo le dichiarazioni di Audrey Bourgeois, ma io ho visto Marinette in piena forma e so per certo che sia stato lei ad aiutarla.» indicò con l’indice Plagg. «E poi, lei è il miglior amico di Adrien, nonché capo di una delle più importanti aziende di prototipi all’avanguardia: gli stessi usati da Chat Noir.»
Plagg iniziò a passeggiare lentamente per la stanza senza mai staccare lo sguardo dalla ragazza. «Ipotizziamo che ciò che mi ha detto corrisponda alla verità, e non sto dicendo che lo sia... Non crede che il fatto che lei conosca la loro identità e sia riuscita a contattare me rappresenti una falla nella sicurezza? Una falla che va tappata a qualunque costo.»
«Non sono una minaccia per voi. Voglio la stessa cosa che vuole lei.»
«Mi illumini: cos’è che vorrei?»
«Sconfiggere Papillon!» esclamò lei con esasperazione. «Salvare Parigi e i due ragazzi.»
Plagg arrestò il passo ed iniziò ad osservare quella ragazza attentamente, studiandone le espressioni e i movimenti: raramente incrociava lo sguardo con lui, le mani erano tremolanti e si massaggiava spesso il braccio. Era nervosa.
Di certo era nuova a situazioni del genere e, quindi, Plagg l’aveva in pugno.
Il silenzio dell’uomo spinse lei ad insistere: «Le assicuro che può fidarsi di me.»
Plagg schioccò la lingua sotto al palato. «Fidarmi di una persona di cui non conosco nemmeno il nome?»
«Angelina Santiago.»
Plagg aggrottò le sopracciglia. Di nuovo quella sensazione: quel nome era dannatamente familiare. «Come ha avuto il mio numero?»
«Ho fatto ricerche; ci ho messo parecchio tempo e non ero nemmeno sicura di esserci riuscita.»
«Non basta.» ribadì Plagg.
«So che è difficile fidarsi di una persona appena conosciuta ma mi dia l’opportunità di farle cambiare idea.»
Incuriosito, Plagg le fece segno di proseguire.
«Conosco un segreto che riguarda lei, Marinette, Adrien ed Emilie Agreste.»
Plagg sussultò. «Emilie Agreste?»
Angelina annuì. «Il segreto dei Miraculous.»
Lo stupore di Plagg aumentò. Si agghiacciò per lo sgomento. «Come conosce quel nome? Miraculous...»
«Per merito mio.» annunciò una voce alla sue spalle.
Voltandosi, Plagg vide un uomo di bassa statura dai tratti orientali che gli sorrideva.
«Salve Plagg. Il mio nome è Wang Fu.»
 
 
Angolo Autore:
Salve gente!
Ritengo questo uno dei capitoli più importanti nello svolgimento della trama. Per questo desidero apporre alcuni commenti a riguardo, o meglio delle piccole precisazioni.
Il Cafè D’Argent esiste davvero a Parigi. Ho deciso di inserirlo come citazione ad un libro che amo tantissimo, la cui trama è ambientata proprio nella capitale francese. La strada in cui ho localizzato il centro massaggi, l’ho scelta arbitrariamente su Google Maps, facendo attenzione che non si trovasse eccessivamente lontana dalla Senna. Il personaggio di Angelina è forse uno di quelli che ha subito più cambiamenti prima di essere inserito. Essendo un OC, desideravo che fosse quanto più preciso possibile. In tal senso ringrazio DipyDirectioner per aver fugato i miei dubbi circa la natura del personaggio e Sirio_05 per avermi suggerito nome e descrizione fisica.
Tornando alla trama vera e propria, era necessario a questo punto inserire un incontro tra Marinette e Gabriel, per riprendere anche il discorso della sfilata di moda interrotta bruscamente. Nel frattempo che Adrien riflette sulle sue decisioni, Plagg ha incontrato due persone molto interessanti. Siete quasi giunti a scoprire quale mistero si cela dietro la storia dei nostri protagonisti. E sono curioso di conoscere le vostre reazioni. Aspetterò con piacere i vostri commenti. Ringrazio tutti voi lettori e vi do appuntamento a Venerdì prossimo.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Fu entrò lentamente nella stanza, reggendosi al suo bastone, mentre, nell’altra mano, impugnava un piccolo quadretto con una fotografia.
Plagg squadrò l’uomo, cercando di cogliere quanti più dettagli possibile. Giunse, quindi, ad una conclusione: lo conosceva e, se ciò che gli aveva riferito Angelina era vero, era probabilmente una persona molto vicina ad Emilie e a lui, prima che perdesse la memoria.
«Comprendo perfettamente i tuoi sospetti, Plagg.» esordì Fu, sedendosi su un cuscino a gambe incrociate.
Angelina lo imitò. «Ti assicuro  che noi non rappresentiamo un pericolo per te e per i due ragazzi.»
Plagg rifiutò l’invito ad accomodarsi al loro fianco, poggiando semplicemente le spalle al muro con le mani incrociate all’altezza del bacino.
Fu incalzò: «Quella che sto per raccontarti è una storia al limite dell’inverosimile, alla quale chiunque stenterebbe a crederci.» si interruppe, sorridendo placidamente mentre guardava Plagg. «Chiunque tranne te. Sono certo che tu avrai una visione completa dei fatti.»
«Ha la mia attenzione.» ribatté Plagg.
Fu allungò un braccio, consegnando a Plagg la foto. «Immagino tu riconosca la donna al centro.»
Plagg assentì. «Emilie.»
«Gli uomini al suo fianco sono Noel Norren e Nicolas Santiago.» intervenne Angelina. «Mio fratello.»
«Dovrei conoscerli?» chiese Plagg.
«Credo di sì. Ma non lo ricordi.» rispose Fu. «Prima di raccontarti tutto ho bisogno di farti una domanda: cosa sai dei Miraculous?»
Plagg fece spallucce. «So che danno il potere a Ladybug, tramite una piccola creatura rossa; un kwami di nome Tikki. E so che sono i suoi orecchini. Non so altro.»
Fu si massaggiò il suo pizzetto brizzolato. «In principio i Miraculous erano due: gli orecchini della coccinella, quelli che hai visto indosso a Ladybug, e l’anello del gatto nero.»
«Il gatto nero?» esclamò Plagg, sconvolto da quella sorprendente coincidenza. «E dove si trova adesso il secondo Miraculous?»
«Distrutto.» replicò Angelina.
Fu proseguì il racconto: «Tanti anni fa, ero un professore universitario di civiltà orientali. Questi tre ragazzi erano i migliori del corso, tant’è che li nominai miei assistenti. Durante i suoi studi, Emilie si imbatté nella leggenda dei Miraculous, gioielli magici in grado di donare incredibili abilità. Spinti dalla loro curiosità, vollero organizzare una spedizione...»
«In Tibet.» intervenne Plagg.
Fu sorrise. «Vedo che hai qualche reminescenza. Secondo la leggenda le reliquie erano custodite in un tempio nascosto tra le catene montuose dell’Himalaya. Visti i costi elevati, Emilie si rivolse al marito Gabriel, il quale suggerì di farsi finanziare da un noto gruppo di filantropi francesi. La Rouge & Noir.»
«Gabriel conosce la Rouge & Noir?» domandò con stupore Plagg.
«Ne faceva parte.» sospirò Fu, sconvolgendo maggiormente Plagg. «Grazie alla sua intercessione, ottennero un lauto finanziamento, con la promessa di consegnare loro metà del tesoro. Con riluttanza fui costretto ad accettare, benché Emilie mi avesse pregato di non farlo, convinta che un potere tanto grande avrebbe dovuto essere celato. I tre ragazzi partirono per la spedizione e dopo appena due settimane ebbero successo, tornando a  Parigi con due pergamene e due scatole d’oro, sulle quali era inciso il simbolo della coccinella e quello del gatto nero. Fu un colpo di fortuna: Emilie consegnò loro le due scatole vuote, nascondendo i gioielli ed affermando di non aver trovato altro. Solo io, Nicolas e Noel eravamo a conoscenza della verità.»
«E ci credettero?»
«Apparentemente sì. Non potevamo sapere, però, che qualcuno facesse il doppio gioco: Noel, infatti, si intrufolò nello studio di Emilie e rubò l’anello, ma intercettò Nicolas che tentò di fermarlo con la forza. Nella colluttazione, l’anello entrò in contatto con una piccola scintilla elettrica, provocata dalla lampadina di un lume caduto a terra. Si generò un’esplosione che travolse entrambi. Emilie entrò nella stanza, attirata da quel boato, e vide un piccolo essere nero con occhi verdi accanto ai due corpi.»
«Il kwami del gatto nero, suppongo.» considerò Plagg.
«Precisamente. Emilie sentì nitidamente il kwami esclamare: “Non perderò i miei poteri! Donerò le mie energie residue alla fonte di vita più pura!”»
«La fonte di vita più pura...» mormorò Plagg.
Fu annuì. «Il bambino che Emilie portava in grembo: Adrien. Era incinta di due mesi, ma nessuno di noi avrebbe mai immaginato che fosse lui il destinatario di quei poteri.»
«Dunque, è questo il motivo per cui Adrien è più forte di un normale ragazzo della sua età.» commentò Plagg.
Fu confermò. «Anche se non forte quanto un vero portatore. Emilie fu investita da un bagliore verde e svenne. Si risvegliò in ospedale, dove fui costretto a raccontare la verità a Gabriel. Fortunatamente, anche lui convenne che era saggio nascondere gli orecchini, anche se dubito che chiunque ne fosse entrato in possesso ne avrebbe sfruttato il potere.»
Plagg inarcò un sopracciglio, incuriosito, così Fu spiegò: «C’era un rituale per attivare il potere e solo Emilie riuscì a comprenderlo. Mi affidò gli orecchini e li sigillò in una scatola impossibile da aprire, sulla quale incise la frase del rituale leggibile solo tramite uno specchio. “Affidala solo a chi riterrai degno di tale potere. Una persona pura.” mi raccomandò.»
Plagg sorrise compiaciuto. «Marinette.»
«La conobbi quattro anni fa. Mi bastò guardarla negli occhi per capire che era la persona giusta, la persona degna. Il tempo mi ha dato ragione.»
«Avrei scelto ugualmente.» affermò Plagg. «E gli altri due ragazzi?»
Fu rivolse lo sguardo verso Angelina, invitandola con un cenno del capo a raccontare.
La ragazza si alzò, leggermente tremolante, e si avvicinò a Plagg, perplesso da quel comportamento. «Noel e Nicolas sono stati dichiarati morti. Ma...» si interruppe e prese un profondo respiro. «Il kwami nero, dopo aver donato parte del suo potere al bambino, si impossessò del corpo di Nicolas, probabilmente privo di vita. Questo provocò una mutazione del fisico di Nicolas: divenne più robusto e slanciato e i suoi occhi da castani divennero verdi.» osservò la foto tra le mani di Plagg. «Non cambiò radicalmente, ma quanto basta affinché Emilie e Gabriel gli trovassero una nuova identità... Per proteggerlo da chiunque avesse mandato Noel a rubare l’anello.»
«Capisco. E ora dove si trova suo fratello?»
Angelina si pietrificò ed abbassò lo sguardo: chiuse gli occhi, nella speranza di trovare il coraggio di parlare, mentre una lacrima le rigò la guancia.
Plagg tentò di dire che non importava se non voleva rispondere, ma lei lo anticipò: «È qui, davanti a me.»
Dopo un secondo di smarrimento, Plagg iniziò a ridere di gusto. «Ok, questo è stato divertente...» poi, tornò serio. «Credete che mi beva questa storiella? Ci avevo creduto all’inizio, sapete? Eravate stati molto convincenti, ma avete dovuto esagerare.»
Fu si alzò di colpo in piedi e batté il suo bastone a terra con furia. «Sai come si chiamava il kwami nero? Plagg.»
«Fantastico. Ho lo stesso nome di una creatura magica millenaria. Ciò non significa che io sia lui.»
Angelina provò a spiegarsi: «Ragiona, Plagg... Il giorno in cui ti sei risvegliato dal coma era il 30 gennaio 2000. Sei stato privo di conoscenza per sedici giorni a detta dei medici.»
«Come sapete queste cose?»
Ignorando quella domanda, Fu asserì: «Sedici giorni prima. Esattamente il giorno in cui è stata registrata la morte di Nicolas Santiago.»
Plagg scosse il capo. «È assurdo. Tutta questa storia...» sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.
«Emilie ha tenuto segreto il tutto per proteggerti. E sapendo del legame con Adrien, ha scelto di affidartelo.» disse Fu.
«Mi impediva sempre di parlare dei flash che avevo...» sospirò Plagg, convincendosi a poco a poco della realtà dei fatti. «Dunque, anche Gabriel sa...»
Fu annuì. «Non ebbe nessuna esitazione quando Emilie gli chiese di aiutarla a trovarti una nuova identità. Fu lui a suggerire di farti entrare in famiglia.»
Angelina strinse teneramente la mano di Plagg, che non si ritrasse, sebbene ancora scioccato. «Non pretendo che tu accetti tutto subito; questa verità potrebbe sconvolgerti la vita, ma spero che riuscirai a fidarti di noi ed accettare di lavorare insieme.»
«Perché solo ora?» chiese Plagg. Angelina e Fu si scambiarono una rapida occhiata, al che Plagg intuì. «Papillon...»
Angelina si schiarì la voce, ovattata per l’emozione. «Potrebbe essere coinvolto nell’omicidio della signora Agreste.»
«E potrebbe anche essere il mandante di Noel.» aggiunse Plagg. «Anche Papillon fa parte della Rouge & Noir.»
Fu si avvicinò a lui ed allungò la mano. «Che ne dici, Plagg?»
«D’accordo. Lavoriamo insieme.» rispose l’uomo, stringendo la mano dell’anziano. «Ma si fa a modo mio.»
 
Marinette tornò a casa triste e priva di entusiasmo: il suo stato d’animo non passò inosservato ai genitori, ma lei decise di glissare alle loro domande, preferendo tenere per sé la delusione che provava.
Avrebbe sorvolato, seppur con una punta di sconforto, ad un eventuale rifiuto al suo invito, data la motivazione più che valida; non riusciva, però, a spiegarsi l’atteggiamento di Adrien nei suoi confronti. Le aveva risposto con freddezza e sufficienza, come se non gradisse la sua presenza.
Si gettò sul suo divanetto, affondando la testa nel cuscino ed emettendo un verso lamentoso.
«Non fare così, Marinette.» commentò Tikki.
«Perché si è comportato in quel modo?» mormorò Marinette, con la voce smorzata dalla sua posizione.
«Magari era una giornata storta oppure era a disagio per la presenza del padre.»
Marinette sbuffò, ripetendo il verso precedente. «Ci tenevo che ci fosse anche lui; avremmo ballato insieme e magari...» seguì un altro sbuffo. «Mi è sembrato di rivedere l’Adrien che incontrai all’inaugurazione della statua per Ladybug.»
«Non crucciarti. Avrai altre occasioni per stare con lui.»
Il trillo del cellulare attirò l’attenzione della ragazza corvina: era Alya.
«Ehi Marinette! Ho succulente novità da raccontarti.» il tono della voce esprimeva grande fervore.
Marinette, al contrario, parlava mogiamente. «Ciao, Alya. Anch’io ho qualcosa da dirti.»
«Cos’è quel tono triste? Non dirmi che non verrà al party.»
Marinette sospirò. «Deve presenziare alla sfilata di presentazione della collezione del padre.»
«Oh.» la notizia smorzò la felicità di Alya.
«Tu, invece, che notizie mi dai?»
«Ecco... Anche Chloè non ci sarà.» Alya si interruppe, non del tutto convinta di voler continuare. Poi parlò: «Per lo stesso motivo di Adrien.»
Sul volto di Marinette si disegnò lo sconforto: benché avesse apprezzato quel momento di sincero affetto avuto con Chloè, non poteva fare a meno di vederla come una rivale nella conquista del bel biondo. D’altronde, la biondina non aveva mai nascosto le sue mire.
Dopo Natale era convinta che le cose potessero solo migliorare, ma quel pomeriggio le sue certezze erano crollate come un castello di carte.
«Marinette? Sei ancora lì?» disse Alya, preoccupata dal silenzio dell’amica.
«Sì, Alya.»
«Non abbatterti, ragazza! Ci divertiremo lo stesso, vedrai. Anzi sarà mio personale dovere che tu viva serenamente quella festa.»
Marinette finalmente sorrise. «Sei la migliore amica del mondo.»
 
Tikki osservò con interesse la sua amica chiacchierare al telefono: Alya era riuscita a risollevarle il morale, sebbene il peso dei pensieri riguardanti Adrien gravava ancora sulla corvina.
Si stava rendendo conto che ciò che provava Marinette nei confronti di Adrien non era una banale cotta da liceale, ma un sentimento ben più forte. Un sentimento che poteva rappresentare un’arma a doppio taglio, qualora le maschere fossero cadute; la priorità, adesso, era Papillon e Marinette aveva bisogno di mantenere la mente lucida, così come Adrien.
Certa che del biondo se ne sarebbe occupato egregiamente Plagg, Tikki si incaricò di badare a Marinette, anche meglio di quanto avesse fatto fino a quel momento, se possibile.
Chiusa la telefonata con Alya, Marinette corrucciò la fronte, ripensando al dialogo avuto con Gabriel Agreste, in particolare, a ciò che le aveva detto su Ladybug.
«Secondo te, perché monsieur Agreste mi ha detto quelle cose su Ladybug e Chat Noir? Perché proprio a me?»
Tikki allargò le braccia. «Non lo so. Tu che impressione hai avuto?»
«Mi fissava di continuo... Sembrava molto interessato alla mia reazione.»
«Devi fare attenzione, Marinette. Sappiamo poco di quell’uomo e di certo non è l’ultimo degli stupidi.»
«Pensi sospetti qualcosa di me?» il tono di Marinette si fece preoccupato.
«Penso che, d’ora in avanti, dobbiamo procedere con molta cautela. Almeno finché non risolviamo la questione Papillon. Per questo, ascolterai il consiglio del partner di Chat Noir e non ti trasformerai per un bel po’.»
«Ma i parigini devono sapere...»
Tikki la interruppe con un cenno della zampetta ed un’espressione severa. «È per la tua sicurezza, Marinette. Sei ancora molto debole e non sappiamo assolutamente nulla riguardo questo Papillon. Fa come ti dico.»
Rare volte Marinette aveva visto la piccola coccinella così angustiata ed allarmata; ma, in fondo, non avevano mai affrontato una minaccia così temibile.
«D’accordo. Farò come dici.» sospirò la ragazza.
 
Adrien sistemò con cura il papillon, fissando la sua immagine riflessa nello specchio: indossava un elegante smoking scuro, cucito su misura, e portava i capelli  completamente tirati indietro con il gel.
Non era per nulla entusiasta di dover partecipare a quella noiosa sfilata, alla quale non era nemmeno necessario che vi prendesse parte, ma, ormai, aveva deciso che le uniche interazioni che avrebbe avuto con i suoi compagni sarebbero state a scuola.
Nei giorni successivi all’attacco all’hotel Bourgeois, aveva fatto solo un paio di telefonate di cortesia a Nino, giusto per informarsi circa le condizioni dei suoi colleghi scolastici.
Era una decisione difficile, molto difficile per lui: vedere l’espressione delusa sul volto di Marinette gli aveva provocato una stretta al cuore.
Convivere con il suo dolore per la lontananza dai suoi amici e, specialmente, da colei che gli dava sempre una sensazione di serenità e felicità, era il prezzo da pagare per loro sicurezza. E lui era disposto a farlo.
Prima di raggiungere il padre, che lo attendeva nell’atrio della villa, aprì un cassetto della sua scrivania, estraendone il braccialetto regalatogli da Marinette il giorno della sfilata.
Lo indossò al polso; era pur sempre il suo Lucky Charm.
Infilò, dunque, il suo elegante soprabito ed indossò al collo la sciarpa di seta: un altro regalo di Marinette.
Quell’accessorio, così ben curato nei dettagli, attirò l’attenzione di Gabriel, memore del fatto che anche la moglie ne aveva una simile.
«Non l’avevo mai vista.» disse, accarezzandone la superficie. «Dove l’hai comprata?»
«È un regalo.» rispose Adrien, ostentando indifferenza.
«Posso sapere di chi?»
Adrien esitò per qualche secondo: quella risposta avrebbe potuto scatenare una miriade di altre domande; e non era certo di poterle affrontare.
Alla fine, disse: «Marinette. Me l’ha regalata a Natale.»
Un’espressione compiaciuta si dipinse sul volto di Gabriel. «Interessante.»
 
 
Angolo Autore:
Se avvertite un leggero mal di testa dopo questo capitolo, non temete. Credo sia del tutto normale. Finalmente abbiamo saputo l’origine delle abilità di Adrien, il segreto che si celava dietro la perdita di memoria di Plagg e, soprattutto, quello che Emilie ha fatto per proteggere le persone a lei care. La fiducia che ha riposto in Fu ha donato a Parigi una degna portatrice del Miraculous e il destino ha voluto che la sua vita si intrecciasse con colui che è stato protetto ed accudito dal potere dell’altro Miraculous, andato purtroppo distrutto. In compenso, ha guadagnato l’affetto di una persona fantastica quale è Plagg.
Usciti da questo tunnel ricco di ricordi, rivelazioni e forti emozioni, si ritorna alla realtà. Marinette e Adrien sono prossimi a partecipare a due party diametralmente opposti. Accadrà di tutto e di più, credetemi.
Sfrutto questo spazio per una piccola comunicazione: la settimana prossima, eccezionalmente, saranno pubblicati 2 capitoli della storia. I giorni prefissati sono Martedì e Sabato, mentre Giovedì ci sarà una piccola sorpresa per voi fan di Miraculous.
In chiusura, dedico un affettuoso saluto al mio amico Nicolas.
Detto questo, vi aspetto al prossimo capitolo.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

La duetto di Plagg raggiunse Rue La Boétie all’indirizzo indicatogli il giorno prima da Angelina.
Aveva deciso di fidarsi, ma non prima di essersi accertato che la loro storia fosse plausibile.
Le sue ricerche non avevano risposto a tutti i quesiti; anzi, se possibile, essi si erano quadruplicati. Ma i pezzi del puzzle iniziarono ad unirsi, incastrandosi alla perfezione, ed era convinto che la verità fosse vicina.
La ragazza lo attendeva ai piedi di un palazzo condominiale; aveva un’espressione tra l’imbronciato ed il seccato, ma fu sollevata dal vedere l’uomo scendere dall’auto.
Plagg le aprì galantemente la portiera, mentre lei camminava con difficoltà sulle eleganti scarpe col tacco che calzava.
«Sono un tipo da jeans e scarpe da tennis!» sbottò, gettandosi sul sedile del passeggero.
Plagg non riuscì a trattenere una risatina. Guardò di sottecchi la ragazza mentre avviava il motore e replicò: «Direi che presentandoti all’evento mondano dell’anno in jeans e scarpe da tennis, ti saresti guadagnata un calcio nel sedere da ogni invitato. Come minimo. Poi magari Gabriel avrebbe indetto un’esecuzione pubblica.»
La conversazione cambiò repentinamente argomento, dopo uno scambio di battute tra i due.
«Hai fatto ricerche su quello che ti abbiamo raccontato io e il signor Fu?» domandò lei.
«Non lascio nulla al caso.» fu la risposta secca di Plagg.
«Ebbene? Non credo che tu mi avresti invitata se non avessi ottenuto la tua fiducia.»
Plagg mosse il capo di lato. «La vostra storia ha del fondamento. Anche se...» sospirò profondamente. «Non è facile da accettare per me.»
«Anche io rimasi sconvolta quando Fu me l’ha detto.»
«Da quanto lo sai?»
«Da settembre. Da quando Fu è tornato da Londra.» Plagg aggrottò le sopracciglia, dunque Angelina spiegò: «Quattro anni fa, Fu si ammalò e l’intervento cui si doveva sottoporre era molto rischioso. C’erano poche probabilità di sopravvivere. Dunque, doveva trovare un nuovo custode del Miraculous.»
«Trovandolo in Marinette.» aggiunse Plagg.
«Fu è convinto che sia stata Emilie a mandarla da lui...»
Quella considerazione fece sorridere Plagg. «Avrebbe adorato Marinette. Ne sono certo.»
Angelina annuì. «Quando è tornato a Parigi, Fu mi ha contattato e mi ha detto tutto. Si è deciso dopo la prima apparizione di Chat Noir.»
Plagg decise di aggiornarla su ciò che aveva scoperto. «Le mie indagini sulla Rouge & Noir si limitavano a circa due anni prima della morte di Emilie. Non pensavo ci fossero altri coinvolti oltre a quell’elenco.»
«Come l’hai ottenuto? L’elenco intendo.»
«La Rouge & Noir finanziò un progetto per la rigenerazione cellulare... Qualcosa di grosso. Con i loro metodi riuscivano sempre ad eludere eventuali controlli sui grossi movimenti di denaro, ma avevano una falla e non l’hanno mai scoperto: Henry Lawrence.»
«Il tizio che Chat Noir attaccò mesi fa?»
«Sì. Aveva la brutta abitudine di segnare i veri nominativi dei suoi “clienti”. Un modo per ricattarli qualora ne avesse avuto bisogno.»
«Furbo.» commentò Angelina. «Cos’altro hai scoperto?»
«Ho scavato a fondo negli archivi di tutti quei nomi. E ho trovato altri nomi... Nomi in comune.» Plagg lanciò una rapida occhiata alla ragazza.
«Oltre a Gabriel, chi altro hai trovato?»
«Auguste Fabre, il proprietario dell’emittente televisiva; Bob Roth, il produttore musicale; Armand D’Argencourt, il maestro di scherma; Andrè Bourgeois...»
Angelina sgranò gli occhi. «Anche il sindaco?»
«Inizialmente sapevamo solo della moglie, la quale mosse ingenti somme di denaro per neutralizzare la concorrenza alla sua casata di moda. Evidentemente, tutti hanno bisogno di una spinta economica, prima o poi.»
«Pensi ne facciano ancora parte?»
Plagg sbuffò. «È un’ipotesi da non scartare. Non possiamo permetterci il lusso di escludere qualche pista. Ognuno di loro potrebbe aver avuto un ruolo nella morte di Emilie.»
«È questo il vostro obiettivo?» chiese Angelina con voce tremolante. «La vendetta?»
Plagg scosse la testa. «Vogliamo giustizia. Trovare il suo assassino è il minimo...»
Angelina era inquieta; non era abituata a tutto ciò. Ma cercò, comunque, di darsi coraggio. «Direi che le vittime dell’attentato di Papillon potremmo escluderle.»
«Chi può dirlo?» ribatté Plagg con un sorriso di sfida. «Papillon potrebbe essere solo un aguzzino assoldato appositamente... Per farci vedere quello che volevano che vedessimo.»
«Ma il sindaco...»
«Ladybug è dura da far fuori, se quello è il loro obiettivo. Papillon potrebbe anche essere uno specchietto per le allodole. Dobbiamo stare attenti ed essere cauti. A partire da stasera.»
«Non so se ne sarò in grado.» mormorò Angelina.
Plagg spostò la mano destra dal volante su quella della ragazza. «Lo faremo insieme.»
Seguirono minuti di silenzio, in cui l’unico suono era quello prodotto dal motore dell’automobile, che percorreva le strade di Parigi per raggiungere il Grand Palais, uno dei luoghi più interessanti di Parigi: quella sera, il padiglione in pietra, ferro e vetro avrebbe ospitato la sfilata di presentazione della nuova collezione col marchio Agreste.
«Spero di aver indovinato le tue misure.» considerò Plagg, riferendosi allo stupendo abito che aveva fatto recapitare a casa di Angelina: un vestito lungo con le spalline, di uno splendido verde brillante, colore molto apprezzato dallo stesso Plagg. Anche lui, infatti, sotto la giacca nera, indossava una camicia ed una cravatta della stessa tonalità, simile a quella dei suoi occhi.
Angelina annuì e gli sorrise.
 
La berlina con a bordo Adrien e Gabriel si fermò davanti all’ingresso del padiglione; un lungo tappeto rosso era stato steso, ai lati del quale vi erano transenne in ferro.
Diversi agenti della sicurezza e di polizia sorvegliavano il perimetro, facendo affidamento sul sistema centralizzato progettato da Plagg. La minaccia di un nuovo attacco preoccupava non poco le autorità, ma Gabriel non avrebbe mai rinunciato a quell’evento.
Mentre lo stilista si fermò, concedendo qualche scatto ai fotografi, Adrien raggiunse la grande sala principale, allestita per l’evento: sul lato destro vi era la passerella sulla quale, a breve, avrebbero sfilato modelli e modelle; sulla sinistra, era allestita un’orchestra che accompagnava la serata con una gradevole musica classica, sulle cui note, diverse coppie ballavano al centro della sala, sotto l’enorme cupola di vetro.
In mezzo alle decine di invitati, Adrien scorse il suo migliore amico, Plagg. Gli si avvicinò, a passo svelto, e si sorprese nel vedergli accanto una ragazza, vestita elegantemente, che discuteva con lui con non poca confidenza.
Adrien gli rivolse un cenno con la mano nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono. «Plagg, mio padre mi aveva avvisato che saresti venuto.»
Non nascose il suo entusiasmo nel vederlo, dopo giorni in cui non si erano rivolti nemmeno una parola.
«Buonasera, Adrien.» disse Plagg, chinando il capo, con un leggerissimo ghigno sul viso. «Ti presento la mia nuova segretaria, Angelina.»
Sul volto di Adrien si dipinse tanta confusione e stupore. Non fece in tempo a replicare, che una voce squillante, alle sue spalle, pronunciò il suo nome: «Adrien!»
Riconosciuta la proprietaria di quella voce, Adrien roteò gli occhi al cielo, mentre Plagg se la rideva di gusto. «È tutta tua, amico.»
Non appena il ragazzo si voltò, fu cinto al collo da due braccia. «Oh Adrien, caro! Non mi aspettavo di trovarti qui stasera.»
«Ciao, Chloè...» mormorò Adrien.
La ragazza afferrò la mano del modello e lo trascinò al centro della sala, invitandolo di fatto a ballare. Quella sera, indossava un abito corto rosso monospalla ed aveva i capelli legati in alto in uno chignon.
In quel preciso istante, l’orchestra suonò un valzer viennese.
Da perfetto cavaliere, Adrien allungò galantemente la mano verso la sua dama, la quale la afferrò sfoggiando un sorriso smagliante.
Dunque, lui le appoggiò l’altra mano sul fianco mentre lei appoggiò la sua mano libera sulla spalla di lui.
Con grazia ed eleganza i due iniziarono a danzare.
Adrien manteneva sempre la sua espressione fredda e distaccata, che non sfuggì all’occhio di Chloè. La biondina abbandonò la sua solita aria da prepotente civettuola e gli regalò un sorriso spontaneo ed affettuoso. «Qualcosa mi dice che questo è l’ultimo posto dove vorresti stare.» indicò con lo sguardo il braccialetto al polso del ragazzo.
«Mio padre ha voluto che venissi e a me sta bene così.» replicò Adrien imperturbabile.
Chloè scosse la testa, facendo intendere che non se la sarebbe bevuta. «Perché non sei sul Liberty con lei?»
Adrien inarcò un sopracciglio e spostò lo sguardo.
«Sei ancora in tempo per andare.» insistette lei.
«Da quando sei così interessata al fatto che io corra tra le braccia di Marinette?»
«Sono bella non stupida. So riconoscere una sconfitta e, per quanto sia strano che lo dica io, Dupain-Cheng ha un cuore grande. Ma questo, l’avevi già capito da solo. Perciò, va da lei e dille ciò che provi, Agreste!»
Adrien abbassò lo sguardo e, dopo essersi schiarito la voce, disse: «Non è così semplice, Chloè.»
Il ragazzo non aggiunse altro; terminato il valzer si inchinò dinnanzi alla sua dama, salutandola con un galante baciamano e si congedò.
Chloè sbuffò della cocciutaggine del compagno; poi, si ricompose rapidamente ed iniziò a posare teatralmente per i fotografi.
Plagg ed Angelina avevano assistito all’intera scena, divertendosi anche a commentare le pose assunte da Chloè.
«Non male come primo approccio.» commentò lei. «Pensavo che Adrien mi avrebbe subissato di domande.»
«A parte il fatto che l’avrebbe fatto se non fosse arrivata Chloè...» considerò Plagg. «Adrien era solo il test d’ammissione. Il vero esame inizia ora.» indicò col capo l’uomo che, a piccoli passi, si avvicinava a loro: Gabriel Agreste.
Angelina sentì i battiti del cuore rimbombarle nelle orecchie.
Plagg le sussurrò: «Sta calma e mantieni i nervi saldi.»
«Sono una tirocinante in chirurgia, non un agente segreto.» sbottò lei a bassa voce.
Con fare elegante e, allo stesso tempo, altero, lo stilista si rivolse ai due: «Buonasera, Plagg. Non pensavo portassi anche un’ospite.»
Plagg sorrise serafico. «Salve a te, Gabriel. Ti presento Angelina, la mia nuova segretaria.»
«È un onore conoscerla, signor Agreste.» si introdusse Angelina.
«Ha anche un cognome, miss Angelina?»
«Bianchi!» replicò prontamente la ragazza. «Angelina Bianchi.»
«È di origine italiana.» incalzò Plagg. «È a Parigi da 10 anni e si è laureata alla Sorbona.»
Gabriel annuì col capo, pur mantenendo la sua aria impostata. «Lieto di averla conosciuta, miss Bianchi. Spero vi godiate la festa.» si chinò per un baciamano e, quindi, si congedò, raggiungendo Nathalie.
Angelina sospirò rumorosamente, mentre Plagg ridacchiò compiaciuto.
«Bianchi?» le domandò.
«È il cognome della mia migliore amica Mersedes. È il primo che mi è venuto in mente. Non potevo certo dirgli che mi chiamo come l’amico di sua moglie, che poi saresti tu.»
«Ottimo lavoro, sorellina.» commentò Plagg, ammiccando.
 
Adrien aveva raggiunto i suoi colleghi, cambiando l’abito che indossava: appena saputo della sua presenza, Gabriel aveva immediatamente dato disposizione che lui indossasse il capo di punta della collezione, un completo da sera azzurro.
Con riluttanza, il ragazzo aveva accettato.
Era seduto su una poltrona beige, lontano dagli altri modelli, che, invece, non risparmiavano commenti d’apprezzamento sulla bella mademoiselle Bourgeois.
«Altre idee geniali, Adrien?» borbottò a bassa voce, non accorgendosi che una persona accanto a lui lo aveva sentito.
Quando una mano si poggiò sulla sua spalla, lui balzò di scatto in piedi.
«Perdi colpi amico.» sentenziò Plagg.
«Ah sei tu...»
«Chi ti aspettavi che fossi? La tua bella Lady Marion?»
«Ce l’hai ancora con me...» disse mestamente Adrien.
Plagg strinse la mano sulla spalla del ragazzo. «Ti stai rendendo conto da solo della tua idiozia. E, anche se non condivido la tua scelta, sarò comunque al tuo fianco. Sempre. Ora più che mai.»
«Cosa sta succedendo, Plagg? La comparsa di quella ragazza non è casuale, vero?»
Plagg si accomodò sulla poltrona accanto ad Adrien, che lo imitò. «Devo raccontarti tante novità. Ma non stasera. Per ora ho bisogno che tu sia tranquillo e sereno e che faccia solo una cosa.»
«Cosa devo fare?»
«Tieni d’occhio tuo padre.»
 
Marinette si era isolata dal resto del gruppo, che ballava e si divertiva sul lato opposto della barca, nonostante l’aria pungente. Per l’occasione, aveva deciso di indossare abiti semplici, lasciando il volto pulito, senza trucco, dato che non era in vena di pensarci.
Raggiunse la prua, addobbata a modo per la festa, e scansò un paio di scatole piene di fuochi d’artificio, da sparare all’arrivo della mezzanotte. Si appoggiò alla balaustra e guardò tristemente la Senna scorrere sotto il battello.
In una piccola increspatura dell’acqua del fiume, le parve di scorgere il volto di Adrien, sorridente e felice, che la guardava teneramente con i suoi grandi occhi verdi, come la sera della Vigilia di Natale.
Una lacrima le bagnò la guancia e cadde lì, nel punto dell’acqua dove vi era, nella sua immaginazione, il volto del bel modello, che svanì.
Le vennero in mente le parole del biondo, quando lo aveva invitato alla festa sul Liberty. La tenerezza del suo sguardo era svanita. Il suo volto era cupo e preoccupato ed il tono della sua voce era gelido e distaccato.
Per un secondo, quell’atteggiamento le aveva ricordato Chat Noir e, all’idea, era inorridita, sebbene l’arciere si fosse guadagnato una punta di stima con le sue recenti azioni.
Ricordò le parole di Adrien, il suo secco rifiuto. “Mi spiace, Marinette. Non potrò esserci... Spero vi divertiate.” che, tradotto nell’immaginario di Marinette, era: “Non ti illudere che, per un bacio sotto il vischio e una bella e piacevole serata, saresti diventata l’unico pensiero, l’unico amore, la compagna di una vita.”
La dolce ragazza continuò a tormentarsi, dicendosi che Adrien aveva già dimenticato quello che, invece, lei avrebbe custodito nel suo cuore e nella sua mente per sempre.
Forse l’unico momento tra loro.
Ormai era convinta che, quella sera, Chloè avrebbe approfittato dell’occasione ed avrebbe sferrato l’attacco decisivo nella conquista del giovane Agreste. Magari avrebbero annunciato anche il loro fidanzamento a fine serata.
Scosse la testa e si voltò, dando le spalle alla Senna, quasi come se quel gesto potesse far allontanare, anche se per poco, il ricordo di Adrien.
Poco lontano da lì, scorse la sagoma di un ragazzo alto ed elegante, con un cappello che gli copriva tutta la testa. Era di spalle e lei, sorridente e felice, gli corse incontro, sicura dell’identità del giovane.
Gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla per farlo voltare. «Alla fine, ce l’hai fatta a venire!» esclamò raggiante.
Il giovane si voltò sorridendo ma con un’espressione perplessa. «Non potevo mancare a questa festa e ora so anche il motivo: avrei conosciuto la più bella ragazza su questo battello.» si tolse il cappello, scoprendo una chioma scura dai riflessi azzurri, stesso colore dei suoi occhi. Tese la mano in direzione della corvina e si presentò: «Sono Luka, il fratello di Juleka.»
Marinette avvampò all’istante; nello sguardo le si leggeva la grande delusione, ma anche un certo imbarazzo per la madornale svista.
«S-Scusami, ti avevo scambiato per un’altra persona. Sono desolata.» rispose, stringendo tentennante la mano del ragazzo.
Luka le sorrise, per niente infastidito. «Non preoccuparti. Sono cose che possono capitare. Chiunque tu aspettassi, non solo si è perso una bella festa, ma soprattutto è un grande idiota per non essere qui con te. Il tuo nome, angelica fanciulla?»
Marinette stranamente sorrise: di solito la infastidivano quelli troppo prodighi di complimenti, ma Luka aveva una certa grazia e gentilezza. Le sue parole sembravano sincere e spontanee.
«Marinette, il mio nome è Marinette.»
«Felice di conoscerti, Marinette. L’anno finisce ed inizia molto bene per me.»
 
 
Angolo Autore:
Salve gente!
Abbiamo conosciuto finalmente Luka e subito è rimasto affascinato dalla nostra Marinette. Immaginatevi come potrà reagire Adrien a questa nuova conoscenza. Resterà indifferente o brontolerà?
Nel frattempo, Plagg ha introdotto Angelina nel suo mondo; la loro collaborazione è fondamentale per le sorti dei due ragazzi nella lotta contro Papillon.
Dedico questo capitolo a due mie amiche citate all'interno dei dialoghi.
Vi rinnovo l’appuntamento per il prossimo capitolo che verrà pubblicato Sabato e vi ringrazio per tutti i vostri commenti.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Era il 7 gennaio. Tutti ritornavano alle vecchie abitudini, compresi i ragazzi del liceo François-Dupont, pronti a riprendere le lezioni.
Per alcuni, il ritorno a scuola era stato traumatico. Altri, invece, lo consideravano quasi un sollievo, un palliativo per uscire dal tunnel di emozioni negative provate nel post attentato.
Su tutti, Chloè stupì per il suo atteggiamento composto e sereno, ben lontano da quello cui erano abituati i suoi compagni: era molto più affabile, sorridente e solare, sebbene non rinunciasse del tutto alla cura delle apparenze.
Dopo l’intervento, il padre aveva ottenuto il permesso di tornare a casa, nel loro appartamento non lontano dall’hotel distrutto; il peggio per lei era passato.
Marinette, invece, continuava ad essere assorta nei suoi pensieri, riguardanti il giovane Agreste: quel giorno, non fu l’unica ad accorgersi dell’atteggiamento freddo e distaccato del biondo.
Si era seduto al suo banco senza dar confidenza a nessuno, se non per un saluto di cortesia rivolto a Nino.
Quest’ultimo aveva riferito ad Alya e alla corvina, che il modello non si faceva sentire da giorni, come confermato anche da tutti gli altri compagni di classe.
Per tutta la giornata scolastica, Adrien mantenne un’espressione sempre cupa e triste, tanto da far pensare agli altri che fosse malato.
Dal canto suo, Marinette cercò di comportarsi il più spontaneamente possibile, con naturalezza come se, alla Vigilia di Natale, non fosse accaduto nulla.
All’uscita da scuola, Adrien si appoggiò ad un muretto laterale, davanti all’ingresso, in attesa dell’automobile con il bodyguard che lo avrebbe riaccompagnato a casa.
Vide Marinette uscire al fianco di Alya, sorridente e solare.
Pensò che Plagg avesse ragione, che la sua iniziale decisione di allontanarla era stato un madornale errore. Qualcosa si era rotto tra loro due. Più precisamente, lui l’aveva rotto.
All’improvviso, Marinette agitò una mano allegramente, in segno di saluto, nella sua direzione.
Per un brevissimo istante, Adrien pensò che stesse salutando lui, ma una voce maschile, giovane e squillante, proprio alle sue spalle, gridò: «Ciao, Marinette!»
Adrien si voltò di scatto e vide un ragazzo sorridente, aitante e sicuro di sé che agitava anche lui una mano in aria: aveva un look simile ad una rockstar, vestito interamente in pelle, con capelli tinti di un acceso azzurro.
Il ragazzo lo superò, andando incontro a Marinette ed Alya, alle quali si unirono anche Nino e Juleka.
Adrien era scosso da un turbinio di emozioni: stupore, curiosità, rimpianto, tristezza ma, soprattutto, gelosia nel vedere Marinette discorrere così amichevolmente con quel ragazzo.
Il clacson della sua automobile attirò la sua attenzione.
Mestamente e senza distogliere lo sguardo dall’allegro gruppetto, montò sulla berlina, che partì immediatamente.
“Plagg aveva ragione.” pensò. “Sono un grande idiota.”
 
Adrien fu l’argomento di discussione di quel pomeriggio tra Marinette ed Alya.
La giovane Dupain-Cheng macinò kilometri camminando in tondo nella sua stanza, mentre l’amica, esausta dall’infinito sproloquio, era stesa sul divanetto con un’espressione sconfortata.
«Quindi, che hai intenzione di fare con lui?» chiese infine la castana.
Marinette allargò le braccia con il volto corrucciato dalla rabbia. «Da oggi è un compagno di classe e basta! È quello che vuole lui ed è quello che voglio anch’io.»
«E Luka?»
Quella domanda, posta a bruciapelo, spiazzò Marinette che si fermò a riflettere: aveva incontrato Luka quella sera sul Liberty ed anche il giorno prima, per l’Epifania, lo aveva incrociato al Trocadero, insieme alla sorella. Non negava che il look da hard rock, essendo lui fan sfegatato di Jagged Stone, aveva un certo fascino, anche se era ben lontano dalla perfezione del volto di Adrien.
«Luka è molto gentile e cordiale.» rispose. «È stato molto carino con me le volte che ci siamo visti, anche oggi a scuola. Ma...»
«Non è Adrien.» concluse Alya.
«Credo di aver varcato da tempo i confini della semplice cotta adolescenziale con lui, Alya. Questo, però, non significa che lui possa trattarmi in quel modo. Perciò ho intenzione di agire di conseguenza. Andrò avanti per la mia strada con dignità e fingerò indifferenza.»
 
La lezione di scherma di quel pomeriggio capitò nel momento più sbagliato per Adrien.
Assorto nei suoi pensieri ed inglobato da una rabbia nei suoi stessi confronti, si limitava ad eseguire meccanicamente le mosse spiegate da monsieur D’Argencourt.
Durante la consueta pausa, il maestro di spada si schiarì la voce per attirare l’attenzione dei suoi allievi. «Vi presento la nostra nuova collega: il Dragone dell’Est!»
Versi di stupore si innalzarono dal gruppo di schermidori, mentre una minuta ragazza, con il volto coperto dalla maschera da schermidore e con la divisa interamente colorata di rosso fuoco, avanzò dalle spalle del maestro.
Ad uno ad uno, gli allievi si presentarono alla giovane, conosciuta per le sue straordinarie doti nella scherma, tanto da divenire una semi-leggenda nel suo paese d’origine, il Giappone.
Solo Adrien non era per nulla impressionato dalla new entry, standosene seduto in disparte su una panchina ai lati della palestra.
«Non c’è niente di meglio che una bella sfida per presentarsi.» esordì D’Argencourt. «Mademoiselle le propongo un incontro con il miglior allievo del corso, Adrien Agreste.»
Adrien sbuffò. Non era in vena per sostenere un incontro, tuttavia obbedì senza fiatare.
Infilò la maschera di protezione e mise la spada in posizione. Dragone lo imitò.
D’Argencourt diede il via all’incontro.
Adrien provò a chiudere subito la contesa, cercando più volte l’affondo, ma veniva puntualmente bloccato da Dragone, che inizialmente si tenne sulla difensiva.
Annebbiato dalla sua crescente rabbia, Adrien azzardò una stoccata laterale, in modo da crearsi un’apertura per l’affondo decisivo, ma Dragone fu lesta a schivare di lato e, con una rotazione della spada, colpì in pieno petto Agreste, sancendo la fine dell’incontro.
«Eccellente, mademoiselle!» esclamò il maestro.
Mentre il gruppetto di allievi applaudiva per quell’esibizione, Dragone si sfilò la maschera protettiva: la ragazza aveva all’incirca 19 anni, capelli corti a caschetto color liquirizia, viso tondo ed occhi dal taglio orientale castani.
Si avvicinò ad Adrien, rimasto pietrificato per la sconfitta inattesa, ed allungò una mano sportivamente, mantenendo un’espressine seria. «Il mio nome è Katami Tsurugi. Lieta di aver combattuto con uno spadaccino tanto abile.»
Adrien si liberò della maschera e la gettò a terra insieme alla spada. Ignorò del tutto la ragazza e si avviò verso gli spogliatoi.
«Agreste!» strillò D’Argencourt. «Stringi la mano in segno di sportività! Agreste!»
Nessuna risposta.
Adrien, senza nemmeno cambiarsi, raccolse dall’armadietto il suo borsone e lasciò la palestra, avviandosi verso casa, nella speranza che la rabbia che scorreva nelle vene si sarebbe attenuata.
Con ancora indosso la divisa da scherma, rientrò alla villa, ignaro di ciò che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco.
Gabriel apparve sulla cima delle scale. Il suo volto era distorto da una smorfia di profondo disappunto. «Adrien! Ti avevo avvertito che non avrei gradito altri sgarri da parte tua. Ho appena parlato con monsieur D’Argencourt.» mostrò il telefono nella mano. «Ti ha espulso dal corso di scherma.»
L’espressione indifferente di Adrien fece infuriare ancora di più Gabriel. «Non scomodarti ad andare a scuola domani. La settimana prossima torni a New York.»
Adrien lasciò cadere le braccia lungo i fianchi; sul suo volto si disegnò lo sconforto.
Tutto era finito in quel momento.
 
Angelina sedeva comodamente nel suo nuovo ufficio, opportunamente allestito da Plagg per lei.
Alle spalle della scrivania, la finestra affacciava sul grande viale lungo la Senna. Ai lati della stanza vi erano due grandi librerie, ricolme di volumi di vario genere, prevalentemente di ambito medico. Solo un breve corridoio la separava dall’ufficio di Plagg, dal quale si poteva accedere al rifugio segreto di Chat Noir.
Il personale di Plagg cambiava di frequente, viste le sue necessità di segretezza nei progetti, quindi nessuno si era fatto domande su quel volto nuovo.
In quel silenzioso studio, si ritrovò a pensare agli ultimi mesi.
Da poco laureata in medicina, era alla ricerca di un corso da tirocinante che la inserisse nel mondo del lavoro; il suo sogno era poter salvare vite umane.
Tutto si interruppe quando, sulla sua strada, incrociò Wang Fu, un uomo che le rivelò la natura misteriosa della morte del fratello, dalla quale lei non era mai riuscita a riprendersi.
Aveva solo 13 anni quando le fu strappata la persona alla quale era più legata e nessuno era stato in grado di rivelarle il perché. Non aveva nemmeno potuto salutarlo per l’ultima volta, non essendo stato trovato il cadavere, e i genitori avevano seppellito una bara vuota.
Ora sapeva, ma aveva ponderato di tenere per sé quella verità. Suo padre e sua madre lo avrebbero saputo quando quella storia si sarebbe conclusa.
Sulla scrivania aveva una foto di lei con il fratello e, accanto, un’altra scattata pochi giorni  prima a Capodanno accanto a Plagg.
Faticava ancora tanto a riconoscerlo come suo fratello, ma, nel tempo passato accanto a lui, stava iniziando a tracciarne i tratti distintivi della sua personalità, trovando tantissimi punti in comune con Nicolas: entrambi avevano un’immensa bontà d’animo ed altruismo, anche se Plagg spesso la mascherava con irriverenti battute.
Il coraggio e la risolutezza, invece, erano propri dell’uomo, probabilmente forgiati durante l’addestramento condotto al fianco di Adrien, di cui le aveva fornito ogni dettaglio, sottolineando quanto per lui fosse importante che il ragazzo non divenisse un assassino ma un uomo giusto.
Di Plagg ne apprezzava lo spirito battagliero e perennemente solare; si era divertita particolarmente quando gli aveva spiegato l’origine del nome “Chat Noir”, affermando che, inconsciamente, era stata la kwami della coccinella a suggerirlo alla sua portatrice, essendo il nome legato all’anello del gatto nero.
Ciò che davvero non riusciva a spiegarsi era la sua capacità di ingurgitare tonnellate di cibo.
Ma, probabilmente, il kwami del gatto nero doveva essere un vero ingordo.
 
Adrien si catapultò nell’ufficio di Plagg talmente velocemente da non dare il tempo alla centralinista all’ingresso di annunciare il suo arrivo.
Aveva bisogno di parlare, di sfogarsi. E l’unico che avrebbe potuto ascoltarlo era Plagg, nella speranza che sarebbe riuscito a perdonargli l’ennesima idiozia commessa. Iniziavano ad essere troppe.
Entrò nello studio senza nemmeno bussare, ma le parole gli morirono in gola quando vide Plagg tenere una mano verso di lui con l’indice alzato verso l’alto. Il gesto era chiaro: “Attendi lì.”
L’uomo era al telefono e ad Adrien servì poco tempo per capire con chi. «Tranquillo, gli parlo io... Sì, lo farò. Ma dammi almeno la possibilità di sistemare le cose. Almeno questo glielo devi.»
Chiuse la chiamata ed alzò lo sguardo verso il ragazzo, immobile, in piedi, di fronte a lui.
«Sai tutto, vero?» chiese Adrien.
Plagg continuava a fissarlo senza muovere un muscolo. Il volto era freddo, serio ed impassibile.
Non rispose.
Adrien incalzò: «Avevi ragione tu, Plagg. Avevi ragione su tutto. Ho perso quello che poteva nascere con Marinette. Ho perso la mia abilità nel combattimento. Ed ora sto per perdere anche la possibilità di fare giustizia per mia madre.» la sua voce si incrinò.
Plagg si alzò in piedi e circumnavigò la scrivania, ritrovandosi faccia a faccia col ragazzo.
Lo fissò per qualche istante, poi alzò una mano e gli sferrò uno schiaffo in pieno volto.
Se in un primo momento Adrien fu sorpreso, dopo ritenne che era pienamente meritato.
«Fa conto che te l’abbia dato Emilie.» sibilò Plagg. Raramente lo si vedeva così infuriato. «Non stai onorando la sua memoria. Non stai mantenendo fede alla promessa che hai fatto in suo nome. Non sei nemmeno andato a trovarla.»
Adrien abbassò il capo. «Hai ragione.»
Plagg si accigliò ulteriormente. Ritrasse leggermente il busto all’indietro e tentò di colpire il volto del ragazzo con un pugno.
Stavolta Adrien schivò il colpo, chinando la testa di lato; afferrò il braccio di Plagg e, con una rotazione del corpo, glielo bloccò dietro la schiena, premendogli il tronco sulla scrivania.
«Cosa volevi dimostrare?» urlò il giovane, allentando lievemente la stretta fino a scioglierla del tutto.
Plagg si ricompose seraficamente. «Volevo farti vedere quanto sono bravo a scegliere scrivanie resistenti. E, soprattutto, dimostrarti che non hai perso la tua abilità nel combattere; l’hai solo chiusa in un angolo della tua testa, perché sei un grandissimo presuntuoso e spocchioso.» ottenne la piena attenzione di Adrien. «Non sai accettare le sconfitte. Eri abituato ad affrontare sempre gente più debole di te. Ora, invece, prima Ladybug, poi Papillon, ti hanno messo al tappeto. E tu cosa hai fatto? Invece di rialzarti ed affrontare le difficoltà di petto, hai preferito fuggire e, nella fuga, ti sei perso un raggio di felicità. Sai a chi mi riferisco...»
Adrien si lasciò cadere sulla sedia, in assoluto silenzio. Quella verità faceva male, ma era per il suo bene che l’amico gliela stava riversando addosso.
Plagg, con fare paterno, quello che sarebbe dovuto toccare a Gabriel, gli appoggiò una mano sulla spalla. «Sono più di due settimane che non vuoi nemmeno entrare lì.» indicò con la testa la parete scorrevole che conduceva al loro covo segreto. «Come pensi di trovare e punire l’assassino di tua madre standotene seduto a non far nulla? A piagnucolare come un bambino al quale hanno rotto il giocattolo?» si interruppe e premette un tasto sulla tastiera del computer. Inserì un codice e sorrise nel vedere ciò che apparve sullo schermo. «Il giocattolo rotto si può sempre riparare.» girò il monitor mostrandolo ad Adrien. L’immagine raffigurava il progetto, nei minimi dettagli, di un nuovo arco composito, molto più resistente e maneggevole rispetto al precedente.
Adrien chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Quando li riaprì, aveva di nuovo la determinazione e la risolutezza di quando arrivò a Parigi. Balzò in piedi ed a Plagg non servirono parole per capire le sue intenzioni; inserì un nuovo codice nel computer e la parete scorrevole si aprì.
Entrambi si avvicinarono alla teca dov’era esposto il nuovo costume di Chat Noir.
«Lo stavo progettando da tempo» asserì Plagg. «La disavventura subita dall’altro ne ha accelerato la realizzazione.»
Il cappuccio aveva sempre la punta a becco d’aquila ma all’interno aveva un ulteriore rivestimento per proteggere la testa.
Sul busto vi erano delle placche in rilievo, seguendo la forma dei muscoli, e, sul petto, vi era disegnata una zampa felina di un grigio scuro, ma abbastanza chiaro da risaltare sul nero.
Sui polsi vi erano due fionde: una per i dardi e l’altra per il rampino cosicché Adrien non dipendesse più dall’arco per spostarsi. L’intero costume era realizzato in fibra di titanio per offrire una discreta protezione da lame e proiettili, senza ostacolare la mobilità.
Plagg estrasse da un cassetto una valigetta e la aprì, agitando nell’aria il contenuto: il nuovo visore. Lo porse ad Adrien e gli appoggiò nuovamente una mano sulla spalla. «Scusa per lo schiaffo.»
Adrien scosse la testa. «È servito allo scopo. E poi, me lo meritavo.» strinse il visore nella mano. «Voglio sapere tutto, Plagg.»
L’uomo annuì con convinzione.
«Ma prima, dimmi: chi è il mio prossimo obiettivo?»
Plagg ridacchiò. «Armand D’Argencourt.»
 
 
Angolo Autore:
Salve bella gente!
Come promesso ecco il secondo capitolo di questa settimana. Dalla prossima tornerò alla pubblicazione solita, di venerdì.
Nel frattempo, dopo la comparsa di Luka, non poteva mancare quella di Katami (perdonatemi se uso il nome del doppiaggio italiano, ma quello originale mi fa alquanto ribrezzo). Nel duello che l’ha vista uscire vincitrice, Adrien ha fatto l’ennesima idiozia e solo Plagg poteva farlo tornare sulla strada giusta. Ora vedremo se la strigliata è servita al nostro “idiota”.
Prima di salutarvi, vi ringrazio infinitamente per i vostri commenti a questa storia e alla one-shot pubblicata a Halloween. Lieto che vi sia piaciuta.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Chat Noir parcheggiò la sua moto nera in un vicolo ad un paio di isolati dall’appartamento di Armand D’Argencourt.
Con il suo rampino raggiunse il tetto di un palazzo, dal quale poteva osservare il suo obiettivo.
Prima di entrare in azione si fermò a riflettere sulla storia raccontatagli da Plagg: l’origine delle sue straordinarie capacità, il legame indissolubile che aveva con l’uomo, l’intrigo in cui fu coinvolta, suo malgrado, la madre. Gli sembrava tutto assurdo. Tuttavia, credette sulla fiducia ad ogni singola parola.
Sentiva più vicina la meta, ora che aveva il quadro completo, sebbene si fossero aggiunte tante variabili. Prima su tutte, il coinvolgimento di suo padre: era stato lui a spingere i tre studenti nelle grinfie della Rouge & Noir. E lui stesso ne faceva parte. Restava da capire quanto fosse ancora coinvolto in essa. Lui, come gli altri nomi balzati fuori dal nulla e dei quali Plagg ne aveva scoperto da poco gli altarini. Uno di essi si trovava in un appartamento al terzo piano dell’edificio di fronte a lui, al di là della strada.
Era ironico pensare che stava per far visita all’uomo che avrebbe potuto rovinare tutto, con solo quella telefonata fatta a Gabriel.
Ritenne opportuno un approccio silenzioso per entrare nell’abitazione: raggiunse una finestra e, con l’utilizzo di un grimaldello, la scassinò, penetrando all’interno del salotto.
Camminò silenziosamente nella stanza, cercando di individuare la posizione del suo bersaglio.
Le mura erano costellate di mensole sulle quali campeggiavano numerosi trofei di competizioni vinte nel corso degli anni. Armand D’Argencourt era stato l’atleta di punta della Francia nelle gare di scherma in giro per il mondo. Al culmine della sua carriera, risultò positivo al test dell’antidoping dopo una vittoria alle Olimpiadi di Atene, nel 2004. Fu, dunque, squalificato e radiato da ogni competizione.
Seguì un periodo di grande depressione economica, che lo spinse a prendere accordi con la malavita, fino ad arrivare a prendere una poltrona al tavolo della Rouge & Noir: le sue immense doti di spadaccino erano utili.
Ciononostante, la sua fibra morale gli impedì di proseguire quell’accordo e finì per allontanarsene nel giro di pochi anni, non prima di aver risollevato i numeri del suo conto in banca ed ottenuto la licenza ad insegnare scherma in uno dei più prestigiosi istituti di Parigi.
Chat Noir proseguì in un piccolo corridoio che lo condusse in un altro salotto, comunicante col primo, e leggermente più ampio.
Fu lì che trovò D’Argencourt, accomodato su un divano in pelle ed intento a riguardarsi le sue vecchie vittorie. Il maestro spense la tv e si alzò in piedi, squadrando l’intruso con i suoi grandi occhi castani. «Chat Noir. Mi chiedevo quand’è che avresti fatto visita a me.» si liberò del maglione di lana che indossava, restando solo con una canottiera bianca sopra a dei pantaloni da tuta neri.
Nella mano sinistra impugnava un fioretto, che lui amava lucidare ogni sera.
«Sai perché sono qui?» domandò Chat.
D’Argencourt rimase impassibile, fiero nella sua posa eretta. «Posso immaginarlo. La Rouge & Noir.» prese una pausa. «Temo che resterai deluso. Sono anni che mi sono allontanato da quel gruppo.»
«Resti comunque uno dei migliori bracci armati di cui si siano serviti. E, conoscendo le tue abilità, potresti conoscere l’identità di Papillon.»
D’Argencourt scosse la testa. «Non ho idea di chi sia.»
«Sembra sincero dal tono.» considerò Plagg all’auricolare.
«Anche se hai lasciato da tempo quel gruppo, hai le tue colpe da pagare.» asserì Chat.
«Lo so. Non ti nascondo che da tempo desideravo affrontarti in un duello. Ho letto e sentito delle tue incursioni. Hai acceso in me lo spirito della competizione.» alzò il fioretto davanti al volto, tipico saluto che eseguono gli schermidori prima di una gara.
Chat estrasse la sua katana ed imitò il suo oppositore.
Aveva deciso di non portare con sé il nuovo arco, ritenendo che gli facilitasse troppo il compito e lui necessitava di difficoltà. Incrociare le lame con un pluricampione di scherma era una sfida ai limiti del possibile, ma lui doveva dimostrare, soprattutto a sé stesso, che era degno della promessa fatta in nome di sua madre. Lui poteva adempiere con successo la missione.
«En garde!» esclamò D’Argencourt, dando il via allo scontro.
Chat riuscì a tenere testa al suo maestro di scherma nelle fasi iniziali.
Studiandone attentamente i movimenti cercò un punto debole da sfruttare, ma D’Argencourt sembrò non averne, cosa che lo costrinse a stare sulla difensiva.
D’Argencourt aveva un movimento di gambe da vero campione e, più volte, mise in seria difficoltà la guardia di Chat, il quale non trovava spazio di attacco.
La situazione era in stallo. Nessuno dei due sembrava poter avere la meglio sull’altro. Chat si impose di agire con freddezza senza cedere ad impulsi e ciò lo mise in una posizione di vantaggio: stando sulla difensiva, non solo avrebbe potuto sfruttare eventuali aperture o errori, ma consumava molte meno energie.
Dall’alto della sua esperienza, D’Argencourt comprese questa situazione e, quindi, azzardò un affondo diretto. Quello che Chat aspettava. Puntando i piedi a terra, Chat spinse la lama dell’avversario verso l’alto, poi, ruotando il corpo di 180 gradi, lo ferì alla gamba con la katana.
D’Argencourt digrignò i denti, senza emettere alcun suono. Aveva un’alta resistenza al dolore. Alcune gocce di sangue caddero sul pavimento bianco.
Per D’Argencourt, la situazione era complicata. Chat Noir gli sembrava quasi un androide: non si lasciava trasportare dalle emozioni, una qualità fondamentale per un atleta di alto livello. Se avesse voluto conquistare una possibilità di vittoria, avrebbe dovuto rischiare il tutto per tutto.
Allargò le braccia e lasciò scoperto l’intero torace. La sua postura suggeriva: “Colpiscimi, sono scoperto.”
Chat riconobbe quel gesto: era una strategia che D’Argencourt utilizzava a lezione per spiegare la psicologia inversa in un duello. Prestare il fianco per poi contrattaccare in modo decisivo.
Adrien veniva puntualmente sconfitto grazie a quella tecnica.
Ma, in quel momento, aveva altre motivanti, molto più solide. Doveva vincere.
Pochi secondi gli furono sufficienti per pensare ad una contromossa. Finse di attaccare con un affondo, la mossa più banale da mettere in atto. D’Argencourt strinse la presa sul fioretto e ruotò il braccio dall’alto verso il basso, ma Chat riassunse immediatamente una posa difensiva, parando il brutale colpo. La forza del contraccolpo, unita allo stupore, fece barcollare D’Argencourt all’indietro, lasciandogli scoperti i punti critici del corpo, stavolta per davvero.
Con un fendente diagonale, Chat lacerò il petto dell’avversario. D’Argencourt emise un gemito di dolore e cadde sulle ginocchia, premendo forte con la mano sulla ferita.
Infine, lasciò cadere la sua arma. «Ben fatto, Chat Noir.» un sorriso apparve sotto i folti baffi alla francese. «Accetto la sconfitta. Fa quello che devi.»
«Wow! Un vero gentleman.» borbottò Plagg.
Chat portò la mano che impugnava la katana sul petto, all’altezza del cuore, in segno di rispetto. «Accetto la tua resa. Sei un uomo d’onore, Armand.»
D’Argencourt fu sorpreso da quella mossa, ma ne fu lo stesso sollevato.
«Fammi un favore.» disse Chat, prima di lasciare l’appartamento. «Non fare parola con nessuno di questo incontro.»
 
«Sicuro della tua decisione, Adrien?» chiese Plagg all’auricolare.
Chat aveva appena lasciato casa D’Argencourt e raggiunto la moto nel vicolo. «Sicurissimo. Lo conosco abbastanza da capire che non apprezzava i metodi della Rouge & Noir. Il suo fanatismo per lo sport è stata la sua condanna. Farà i conti con la sua coscienza, se non l’ha già fatto. Stasera, entrambi abbiamo ottenuto quello che volevamo.» si interruppe per un istante. «Lui ha ottenuto il duello che voleva...»
«E tu sei tornato in pista. E alla grande. Torni qui?»
«No. Ho bisogno di vedere una persona e lo devo fare stasera.»
Plagg attese il nome, senza chiedere nulla.
«Plagg, dimmi l’indirizzo di Wang Fu.»
 
Marinette era nella sua stanza, più precisamente sul terrazzino ad osservare il cielo pieno di stelle. Ve n’era una, la più luminosa, la più grande, la più bella. Per lei rappresentava Adrien. Poi, ve n’era un’altra, più piccola e nascosta, ma altrettanto luminosa. Lei pensò subito a Luka.
Si fermò a ricordare al tempo passato con il giovane amante del rock: era allegro, divertente, gentile. La ricopriva di galanti complimenti, ma, allo stesso tempo, era discreto e per nulla invadente. La faceva stare bene. Quando era con lui, non sentiva quella morsa allo stomaco che sempre l’accompagnava da quando si era innamorata di Adrien. Non pensava minimamente al bel modello quando era con Luka, ma questi non riusciva a farle battere il cuore all’impazzata, a sentire le famose farfalle nello stomaco. Era un amico. Nulla di più che un buon amico.
Sospirò tristemente mentre si stringeva nel suo maglione di lana, avvertendo un gran freddo alle membra.
Rientrò nella stanza e si accomodò accanto alla scrivania, intenta a navigare su Internet. I vari siti di notizie, compreso il blog di Alya, traboccavano di articoli riguardanti la misteriosa scomparsa di Ladybug dopo la notte di Natale. Oltre ad Audrey Bourgeois, anche altri ostaggi avevano testimoniato di essere stati tratti in salvo dalla supereroina, prima di vederla sparire a seguito dell’esplosione.
In tanti portavano avanti l’ipotesi che fosse ferita, al punto da dover stare per un lungo periodo lontano dalle battaglie, supposizione non tanto lontana dalla realtà. Altri, invece, avevano idee più pessimiste ritenendo che la supercoccinella non fosse mai uscita viva dall’hotel Bourgeois.
Marinette sperò con tutto il cuore che i parigini credessero alla prima ipotesi. Anelava di poter tornare a vestire il suo costume rosso, ma Tikki aveva ragione: doveva aspettare il momento giusto.
Con riluttanza, aveva spento il dispositivo con il quale il commissario la contattava.
La madre bussò alla botola. «Marinette, posso entrare?»
Ottenuto il permesso dalla figlia, Sabine entrò nella stanza. Aveva un gioioso sorriso dipinto sul volto. «Ho una notizia per te.» attese che Marinette le desse la più completa attenzione, quindi disse: «Ricordi il signor Fu?» Marinette annuì. «È tornato e ha riaperto il suo centro massaggi. L’ultima volta ne hai tratto grandi benefici, quindi perché non approfittarne?»
«È una splendida notizia, mamma!» dichiarò Marinette.
Prima di congedarsi, Sabine stampò un affettuoso bacio sulla fronte della ragazza, raccomandandosi di non fare tardi.
Una volta richiusa la botola, Tikki uscì dal suo nascondiglio. «Sembri molto entusiasta della notizia, Marinette.»
«Ovvio che lo sia. Ho un felicissimo ricordo legato a quel centro massaggi.»
Tikki assunse un’aria interrogativa.
«Lo stesso giorno in cui sono andata lì, ho conosciuto te.» spiegò Marinette, accarezzando il capo della sua piccola amica. Le sue stesse parole la fecero trasalire di colpo. «Possibile che...» mormorò a bassa voce. «Tikki! È possibile che sia stato quell’uomo, il maestro Fu, a consegnarmi il Miraculous?»
Tikki allargò le braccia, confusa. «Non è da escludere. Ma perché pensi sia stato proprio lui?»
«Un giorno qualsiasi incontro un uomo di origini orientali, si interessa a me in modo piuttosto accanito e il giorno stesso mi viene recapitata una scatolina con incisi simboli cinesi sopra. Non ti sembra un po’ curioso?»
«In effetti... Ma cosa intendi fare? Piombare lì e dire su due piedi: “Salve, maestro Fu. Si ricorda di me? Sono Marinette. È lei che mi ha donato il Miraculous che mi consente di trasformarmi in Ladybug?”»
«Chi ha detto che sarà Marinette a fargli queste domande?» lo sguardo della ragazza si incendiò di determinazione.
«Marinette, non so se...»
Marinette la tranquillizzò: «Sarò discreta. Mi vedrà solo lui, promesso.»
Tikki acconsentì. Si fidava ciecamente dell’istinto dell’amica.
 
Ladybug sfrecciò nei cieli di Parigi, raggiungendo Rue Edouard Colonne in poco tempo.
L’esterno del centro massaggi era esattamente come lo ricordava lei, solo leggermente rovinato dall’incuria.
Non aveva ancora deciso come avrebbe fatto ad entrare, ma si accorse che non era necessario: la finestra del salottino era aperta. Penetrò nel locale, nella speranza di non spaventare l’uomo. La scena che si ritrovò davanti la lasciò attonita: la stanza era messa a soqquadro; Fu steso sul pavimento senza sensi, con lividi e ferite sul volto. E, soprattutto, chino su di lui un uomo incappucciato, Chat Noir.
L’arciere avvertì la sua presenza ma non si voltò. «Non so quanto valga la mia parola per te, ma non sono stato io.»
Ladybug digrignò i denti ed afferrò il suo yo-yo. «Difficile crederti.»
Chat si guardò intorno con circospezione, cercando tracce utili. Non trovò nulla.
«Ho già chiamato i soccorsi.» disse rialzandosi e guardando finalmente Ladybug. «Arriveranno a breve. Dovremmo andar via subito. Non è prudente che ci trovino qui.»
Ladybug esitò: non sapeva se fidarsi o meno delle parole dell’incappucciato. Alla fine, memore delle parole di Tikki, annuì e balzò fuori dalla finestra insieme a lui.
Si fermarono sul terrazzo di un palazzo, dal quale avevano una perfetta visuale: una volante della polizia con tre agenti ed un’ambulanza si fermarono all’ingresso ed entrarono rapidamente nell’edificio.
«Non troveranno nessun indizio.» affermò Chat. «Ho esaminato la scena attentamente.» si voltò e vide Ladybug che lo osservava a braccia incrociate con un leggero ghigno.
«Nuovo costume?» chiese lei.
«L’altro era rovinato dalla nostra ultima avventura.»
«Complimenti al tuo stilista.»
Chat sorrise senza farsi notare. Cominciava ad apprezzare il tono sfacciato col quale Ladybug si rivolgeva a lui.
«Ringraziala da parte mia. Finalmente qualcuno che apprezza il mio stile.» disse Plagg all’auricolare.
Ladybug tornò seria, ripensando a quanto aveva appena visto. «Se non sei stato tu, allora perché eri lì? Problemi alla schiena?»
«Credo per lo stesso motivo tuo.»
Ladybug restò perplessa.
«Il Miraculous.» sentenziò lui.
Lo stupore invase il volto di Ladybug. «Come hai detto?»
«Miraculous. È la fonte del tuo potere, o sbaglio?»
«Come fai a saperlo?»
«So molte cose, Ladybug. Molte più di quanto immagini. E tutte portano da Fu. Per questo ero qui.»
Ladybug continuò ad essere profondamente confusa, oltre che sconvolta. Scosse la testa e disse: «Chi ti ha raccontato queste cose?»
«Una persona che conosce Fu. Sa tutto sui Miraculous.»
Quella rivelazione fermò per qualche istante il cuore di Ladybug, ma Chat la tranquillizzò: «Non è pericolosa, tranquilla. Ma sa molte cose e ciò la rende vulnerabile... Come Fu.»
«Pensi che sia stato aggredito per questo?»
Chat strinse le spalle e si voltò a guardare la barella, sulla quale era stato accomodato Fu. «Non credo. Penso che il motivo fosse un altro.»
«Quale?»
Chat girò il capo verso lei. «Sapere il tuo vero nome.»
 
 
Angolo Autore:
Salve ragazzi!
A questo punto, ci voleva un ritorno all’azione. E quale migliore occasione se non un duello tra l’allievo e il suo maestro? Durante lo scontro, ho voluto citare la mossa che D’Argencourt utilizza anche nella serie, nell’episodio in cui viene akumizzato.
Adrien ha finalmente ritrovato il suo spirito battagliero, la sua determinazione. Allo stesso tempo, anche Marinette torna a rivestire i panni della supereroina di Parigi, ma subito si ritrovano a dover fare i conti con l’ennesimo mistero. Chi avrà aggredito il povero Fu? E quale altri segreti nasconde la Rouge & Noir?
Quesiti che presto troveranno risposta, quando tutti i nodi verranno al pettine.
Come sempre, vi ringrazio per il vostro supporto a questa storia e vi do appuntamento a Venerdì per il capitolo 24.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


 

Capitolo 24

 
Ladybug boccheggiò e dovette appoggiarsi alla ringhiera. Era confusa, sconvolta e, soprattutto, terrorizzata. Se l’ipotesi di Chat fosse stata vera, qualcuno stava attentando alla sua serena, seppur difficile, vita nei panni di Marinette: pensò ai suoi genitori e ai suoi amici. Se qualcuno avesse saputo la sua identità, sarebbero stati tutti facili bersagli pur di arrivare a lei.
Notando il profondo turbamento che la affliggeva, Chat poggiò una mano sulla sua spalla in modo amichevole. «Dubito che Fu abbia detto qualcosa. È capace di tenere un segreto, forse meglio di noi.»
Ladybug si voltò a guardarlo e lui notò le lacrime che scendevano copiose sul suo viso. Istintivamente lei lo abbracciò: odiava farsi vedere così vulnerabile nei panni della supercoccinella ma, forse, in quel momento, era più Marinette che Ladybug.
«Dobbiamo fare qualcosa.» gracchiò Plagg all’auricolare.
Chat sciolse l’abbraccio e tentò di stemperare la tensione. «Credo che dovremmo prolungare la nostra collaborazione, Ladybug.»
Lei sorrise ed annuì. Decise che doveva reagire subito, così riaccese immediatamente l’auricolare che la teneva in contatto con Raincomprix, dopo aver sentito il frastuono di sirene spiegate della polizia.
Come previsto, il dispositivo suonò. Lei accettò la chiamata. «Commissario Raincomprix.»
«Ladybug!» urlò il commissario. «Sia ringraziato il cielo! Pensavo fossi...»
«Mi scuso per l’assenza.» lo interruppe. «Avevo bisogno di ricaricare le pile. Cos’ha per me?»
«Rapina al caveau della Crédit du Nord. Sono attualmente in fuga sulla Rue de Rivoli.»
«Faccia conto che sia già lì, ma ho una richiesta da farle: nessun giornalista deve sapere di me. Almeno non stasera.»
«D’accordo. Grazie, Ladybug.»
La ragazza chiuse la chiamata e si rivolse nuovamente a Chat: «Vieni anche tu?»
Chat scosse il capo. «Non credo che gradirebbero la mia presenza. E comunque non è di mio interesse. Obiettivi diversi, nemico comune, Ladybug.»
«Me lo dirai mai il tuo obiettivo?» chiese lei.
«Il tempo lo dirà. Farò in modo di metterti in contatto con quella persona. Lei ti spiegherà tutto.»
Ladybug aveva un ultimo dubbio da sciogliere. «Prima che vada, devo chiederti una cosa.»
Chat la anticipò. «Non conosco la tua identità. Per quanto possa valere, ho fiducia nelle tue capacità.»
«Credo di dover ricambiare. In fondo, mi hai salvato la vita. E non ti ho nemmeno ringraziato.»
«E non dovrai mai farlo.»
La salutò con un cenno della mano e balzò giù dal palazzo, ancorandosi con il rampino ad un muro, in modo da avere un atterraggio sicuro al suolo.
Ladybug osservò tutta la scena, più serena rispetto a qualche istante prima. Poteva essere certa che, in questa battaglia, non sarebbe stata sola.
 
Chat rientrò al rifugio attraverso l’ascensore nascosto del garage. All’interno, vi trovò Plagg ed Angelina ad aspettarlo. Titubò inizialmente: un conto era sapere che la ragazza conosceva la sua identità, i suoi obiettivi, un conto era vederla con i propri occhi affiancare il suo amico durante una missione notturna.
«Le ho raccontato del tuo incontro con Ladybug.» dichiarò Plagg. «Come dobbiamo comportarci con Fu?»
Adrien si liberò del costume ed indossò la sua felpa nera. «Limitiamoci a tenerlo d’occhio. Non credo proveranno ad aggredirlo nuovamente.»
Plagg assentì. «Chiederò ad un mio collaboratore di osservarlo a distanza.»
«Come avranno fatto a sapere di lui?» chiese Adrien.
Angelina gli mostrò un volantino della riapertura del centro massaggi. Lui fece un gesto di stizza. «Credevo fosse più furbo. Date le circostanze era fuori luogo che riaprisse la sua attività.»
«La cerchia, comunque, non è grande.» intervenne Angelina. «Che io sappia, solo Emilie sapeva che lui custodiva il Miraculous.»
«Sempre se la teoria di Adrien fosse corretta.» considerò Plagg.
Adrien fece spallucce. «È la più plausibile. Lui era il custode del gioiello e l’ha donato a Ladybug. Papillon ha detto che la Rouge & Noir ci vuole morti...»
«Già, ma vuole anche il Miraculous.»
«Angelina, devi raccontare tutto a Ladybug. Tu puoi avvicinarla senza rischiare che scopra di me.» disse Adrien.
La ragazza confermò con il pollice in su.
Adrien proseguì: «Ho provato tanta pena per lei stasera. Era come se il mondo le fosse crollato addosso.»
«Comprensibile.» commentò Plagg. «Anche lei ha una vita privata. Se si sapesse la sua identità, tutte le persone a lei vicine sarebbero in pericolo.»
Adrien comprendeva benissimo la sua posizione, condividendola con lei. «Per un attimo mi ha ricordato...» si interruppe, socchiudendo gli occhi. «Plagg, è possibile che lei sia...» Angelina guardò Plagg, il quale era una sfinge. «Lascia perdere.» concluse il biondo, prima di salutare i due ed avviarsi a casa.
Angelina tirò un sospiro di sollievo. «Ci è andato vicino.»
Plagg sorrise. «Mai sottovalutare la sua intelligenza. Comunque, meglio che non ci sia ancora arrivato. I tempi non sono ancora maturi. E lui deve prima accettare quello che prova per Marinette.»
 
Plagg riuscì a svolgere perfettamente il ruolo di mediatore tra Adrien e Gabriel. Le sue innate doti dialettiche convinsero lo stilista a sospendere la sua decisione sulla partenza del ragazzo, a patto che lui riuscisse a riottenere l’ammissione al corso di scherma.
Con tali premesse, Adrien si recò nella palestra, poco prima dell’inizio della lezione di scherma. Si chiese se monsieur D’Argencourt sarebbe stato in grado di sostenere una lezione, dopo il duello che lo aveva visto sconfitto un paio di sere prima. La risposta la ebbe praticamente subito: D’Argencourt radunò tutti gli studenti del corso al centro della palestra; accanto a lui, vi era Katami nella sua iconica divisa rossa. Il maestro, invece, non indossava la sua divisa ma un semplice maglione di lana e pantaloni di velluto.
«Signori, ho un annuncio da fare.» dichiarò. «Per qualche settimana non potrò eseguire attività fisiche, dunque assisterò alle lezioni solo in maniera teorica. A sostituirmi come sparring partner...» indicò la ragazza alla sua destra. «Ci sarà mademoiselle Tsurugi.»
Katami lo fulminò con lo sguardo, al che D’Argencourt tossì e si corresse: «Ci sarà Dragone dell’Est.»
Adrien osservò la scena perplesso. Evidentemente Katami non apprezzava che la si chiamasse per nome durante la lezione.
Lui, comunque, decise di non approfondire: aveva un altro scopo quel giorno. Mentre gli studenti iniziarono la lezione, secondo le disposizioni di Katami, si avvicinò al maestro. «Monsieur D’Argencourt, sono qui per scusarmi per il mio deplorevole comportamento assunto durante l’ultima lezione.»
D’Argencourt iniziò a scrutarlo attentamente, massaggiandosi uno dei suoi lunghi baffi. Notò il tono e la posa elegante del ragazzo, qualità che aveva sempre apprezzato in lui: non si era presentato lì per piagnucolare e di questo ne fu compiaciuto.
Un’idea gli balenò in testa, quindi disse: «Molto bene, Agreste. Ti propongo una sfida e, a seconda di come ti comporterai, deciderò se riammetterti o meno al corso.»
«Accetto!» replicò Adrien.
Con un cenno del braccio, D’Argencourt fermò le attività e si pose al centro di un cerchio formato dagli studenti, rivolgendosi ad Adrien. «Una rivincita dell’incontro dell’altro giorno: Adrien Agreste contro Dragone dell’Est.»
I presenti si scambiarono occhiate confuse e contemporaneamente sorprese. Katami, invece, inarcò leggermente le labbra verso l’alto.
Dopo aver indossato la sua divisa, Adrien raggiunse la sua avversaria.
Avrebbero combattuto in punta di fioretto, dunque, l’unico bersaglio valido sarebbe stato il torace: il primo ad aggiudicarsi il punto avrebbe vinto.
D’Argencourt diede il via e, dopo lo scambio di convenevoli, fu Katami a sferrare il primo attacco.
Adrien parò tutti i colpi, compresi due affondi violenti. Con un gioco di gambe, spostò la lama dell’avversaria di lato e tentò un fuetto, piegando la lama sino a colpire con la punta la schiena di Katami. Quest’ultima riuscì a schivare il colpo, ma la manovra fu talmente difficile da farle perdere l’equilibrio: con sportività, Adrien la afferrò per la vita con la mano scoperta.
Ma la gara è gara.
Katami approfittò della distrazione dell’avversario per affondare il colpo sul torace, ormai senza difese.
Adrien fu tentato dal reagire, dato che ne sarebbe stato capace ora che aveva ritrovato le sue motivazioni, ma decise di non farlo, subendo la stoccata e regalando, per la seconda volta, la vittoria alla sua avversaria. Stavolta il biondo fu il primo ad allungare la mano in segno di sportività e Katami gliela strinse compiaciuta, perdendosi, per qualche secondo, a fissare gli occhi smeraldini di lui, una volta rimossa la maschera protettiva.
D’Argencourt applaudì con soddisfazione allo spettacolo cui aveva assistito, imitato dagli studenti. «Un’eccellente condotta Agreste; fin troppo direi dato che le è costata la sconfitta. Può tornare a seguire il corso.»
Adrien chinò il capo. «Grazie signore.»
A fine lezione, Katami attese Adrien all’uscita, volenterosa di scambiare qualche parola con lui. «Gran bell’incontro, Adrien. Di gran lunga superiore a quello dell’altro giorno.»
Adrien inarcò il sopracciglio e tentò di studiare la persona che aveva davanti: aveva sempre un tono freddo ed arrogante, quasi di superiorità, ma con lui era più cortese ed affabile. L’unico a cui quel viso impassibile avesse donato qualche sorriso.
«Concordo.» rispose lui.
«Per un attimo ho pensato che mi avresti sconfitto.» riprese Katami. «Se mi avessi lasciata cadere...»
«Diciamo che ho ancora da imparare sull’opportunismo.»
«L’altra volta sembravi distratto da qualcosa.»
«Lo ero. Ma ho imparato a compartimentare i miei pensieri.»
«Se la strada che stai percorrendo è irta di ostacoli, a volte è meglio cambiare rotta. Pensaci su.» lo salutò con un cenno della mano ed ammiccò, gesto che Adrien trovò bizzarro, al pari delle parole appena udite.
«È così palese che ho problemi con una ragazza?» mormorò tra sé e sé.
 
Il cellulare di Marinette trillò proprio nel momento in cui rientrò a casa. Sullo schermo comparve la scritta “Numero sconosciuto”.
Rifletté sul da farsi, assumendo una buffa espressione in viso, poi decise di rispondere. «Pronto?»
«Marinette Dupain-Cheng?» cantilenò una voce femminile.
«Con chi parlo?» domandò Marinette.
«Il mio nome è Angelina Santiago.»
Marinette scosse il capo perplessa. «Non la conosco. Come ha avuto il mio numero?»
«Solitamente si suole dire che “un uccellino mi ha detto di contattarti”.» rise. «In questo caso, però, sarebbe più adatto dire che “un gatto nero mi ha detto di contattarti”. Capisci cosa intendo, vero?»
Lo capiva eccome.
Marinette deglutì. Qualcuno conosceva la sua identità, qualcuno che lei non conosceva. Era amica o nemica?
Decise di mantenersi sul vago. «Deve essere più chiara, signorina Santiago.»
«Ho delle informazioni per te. Riguardano te, Wang Fu ed un’amica di nome Tikki.» Marinette trasalì, mentre Angelina propose: «Per telefono sarebbe difficile spiegarti tutto. Che ne dici di incontrarci al museo delle cere questo pomeriggio?»
“Un luogo pubblico” pensò Marinette: non avrebbe potuto presentarsi come Ladybug, ma, in compenso, sarebbe stato difficile tenderle un agguato.
«Ci sarò.» dichiarò la corvina.
 
Marinette tentò di nascondere il suo nervosismo, mantenendo sempre lo sguardo alto e fermandosi, di tanto in tanto, ad ammirare le opere esposte. La ragazza di nome Angelina Santiago le aveva mandato un messaggio criptico, che lei intuì indicasse il luogo dell’incontro: “La sala dedicata a te”.
Se il suo ragionamento era corretto, doveva raggiungere la sala in cui c’erano tre statue dedicate a Ladybug.
Si accomodò sulla panca posta proprio di fronte all’esposizione delle tre statue che raffiguravano l’eroina in varie pose, in modo piuttosto fedele. Scrutò attentamente la fiumara di gente che si fermava a scattare fotografie, nella speranza di scorgere la persona che la stava tenendo sulle spine.
Teneva ben stretta la sua pochette, al cui interno, Tikki era sull’attenti, pronta ad intervenire in aiuto dell’amica.
Attese circa un quarto d’ora, prima di udire la voce sentita al telefono. «Perdona il ritardo, c’era traffico.»
Marinette osservò attentamente quella figura: capelli ed occhi castani, fisico minuto ed asciutto, espressione serena e solare, per nulla ambigua.
«Comprendo benissimo i tuoi sospetti, Marinette.» disse Angelina a fronte dell’espressione accigliata della corvina. «Anche lui fatica ancora ad abituarsi.»
«Sa chi è?» domandò Marinette.
Angelina annuì. «Dammi pure del tu.»
Marinette si sfregò nervosamente le mani. «Chi sei?»
Angelina sospirò. «Mio fratello trovò i Miraculous anni fa. Un suo collega provò a rubarne uno, ma finì per romperlo e, nell’esplosione che ne conseguì, entrambi morirono.»
Marinette notò che la solarità era scomparsa dal volto di Angelina, ma aveva lo stesso un tono lineare e conciso.
«Fu era il loro professore di antiche civiltà; ha custodito i tuoi orecchini fino a che la salute gliel’ha permesso. Doveva trovare la persona adatta cui affidarli e ha scelto te.»
«Tikki non mi ha mai parlato di un secondo Miraculous.»
Angelina strinse le spalle. «Suppongo l’abbia fatto per non crearti pensieri inutili e dannosi. I kwami sono collegati tra loro. Ne avvertono l’energia.»
«”Sono”? Quindi l’altro kwami è ancora vivo?»
«Più o meno. Ora è un essere umano. E tu l’hai inconsapevolmente incontrato.»
Lo stupore invase l’espressione di Marinette.
«È l’uomo che ti ha curato a Natale. Colui che collabora con Chat Noir.» spiegò Angelina.
«Non so se crederti o no.» mormorò Marinette a testa bassa. «Mi sembra tutto così incredibile.»
Angelina poggiò una mano sulla sua spalla. «Lo so. Ma è vitale che tu ti fidi di noi. Ne va della vostra vita e di quella dei parigini.»
«Alludi a Papillon.»
Angelina annuì. «Lavora per un gruppo segreto chiamato Rouge & Noir. Loro bramano il potere dei Miraculous e tu e Chat siete l’unico ostacolo che li separa dall’obiettivo.»
«Dunque è questo lo scopo di Chat? Fermare questi tizi?»
«Sì. Ma Papillon è molto più pericoloso di quanto pensasse. Dovrete collaborare per sconfiggerlo.»
Marinette iniziò a convincersi. Angelina sembrava sincera e, per quanto incredibile, quella storia poteva essere vera. «Come mi tengo in contatto con lui? Tramite te?»
«Non sarà necessario.» replicò Angelina, infilando una mano nella tasca ed estraendone uno smartphone. «Il suo numero è registrato qui dentro. È una linea crittografata quindi nessuno, a parte voi, saprà cosa vi dite.» si alzò dalla panca, pronta ad andarsene. «Conto su di voi, Marinette. Fu non avrebbe potuto scegliere meglio.»
 
Nadja Chamack rimboccò le coperte della figlia Manon e le diede la buonanotte con un bacio sulla fronte. Spense la luce e lasciò la stanza della bambina, avviandosi verso il salotto.
Mentre camminava nel corridoio, la luce si spense di colpo. Mosse un passo in avanti ma si fermò quando vide una sagoma imponente di fronte a lei.
Quando la luce tornò, le si gelò il sangue nel riconoscere la persona che aveva davanti: Papillon.
Deglutì e balbettò un paio di termini poco comprensibili. Dai suoi occhi color nocciola trasudava immenso terrore.
Alla fine, prese coraggio e mormorò: «T-Ti ha mandato lui?»
Sul volto di Papillon si disegnò un ghigno agghiacciante. «Lui è molto soddisfatto di come si stanno evolvendo le cose. Ormai manca poco.»
«Auguste lo sa?» domandò lei.
«Nulla. Ladybug è tornata in azione. Dovrai fare un servizio su questo.»
Nadja assentì. «A quando il fatto?»
«All’inaugurazione della nuova ala del Louvre. Sarai tu a spingerla a partecipare. Eliminata lei, sarà uno scherzo liberarsi anche dell’altro.»
Papillon colse tutto il turbamento della giornalista. «Qualche ripensamento, Chamack? Tua figlia dorme tranquilla.»
Nadja scosse la testa, mentre una lacrima le rigò il volto.
«Bene.» asserì Papillon. «Sarebbe un peccato spegnere la luce nei suoi occhi. Lui non ammette errori.»
 
 
Angolo Autore:
Quanti misteri circondano i due ragazzi. Chi sarà mai questo “lui” di cui parlano Nadja e Papillon?
Come molti di voi avevano previsto, la collaborazione tra Ladybug e Chat Noir è tornata ad essere più che solida ora che un nemico comune li minaccia. La ragazza non si è mai trovata di fronte ad un tale pericolo, ma, nonostante tutto, lo affronta con coraggio e determinazione. Qualità fondamentali. Mentre Adrien ha riconquistato il posto tra gli studenti di D’Argencourt, evitando così di dover tornare in America, Marinette ha finalmente incontrato Angelina, a viso scoperto.
Nei prossimi capitoli, noterete qualche salto temporale, giusto di qualche settimana, affinché la storia non ristagni.
Prima di passare ai saluti, vi annuncio che la settimana prossima tornerà una doppia pubblicazione: il primo giorno sarà Martedì, mentre l’altro oscillerà tra Venerdì e Sabato, a seconda delle mie possibilità. Vi assicuro che ne varrà la pena. Per citare il nostro amato Winny, sarà come andare sulle montagne russe. E non vedo l’ora di leggere i vostri commenti a riguardo.
Detto questo, vi ringrazio e vi saluto.
Alla prossima.
Nike90Wyatt
 

 
 
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

Adrien rientrò nel covo al tramonto. Aveva da poco salutato Katami, con la quale aveva trascorso un simpatico e piacevole pomeriggio.
Erano ormai diverse settimane che avevano quest’abitudine dopo le consuete lezioni di scherma e l’avvento della primavera aveva favorito le ricorrenze di quelle uscite.
Adrien non disprezzava la compagnia della ragazza nipponica: aveva scoperto che lei apparteneva ad una dinastia di campionesse di scherma, iniziando da sua bisnonna, passando per sua nonna, sua madre, fino ad arrivare a lei. Ora era lei ad avere l’onere di partecipare e, soprattutto, vincere le competizioni mondiali. Per tenere alto il nome della famiglia.
Oltre a ciò, Adrien ammirava il suo sapere essere un’ottima ascoltatrice e gradiva il condividere con lei la passione per quello sport.
Valutando la sua personalità, notò numerose similitudini con sé stesso: entrambi erano poco inclini a socializzare con altri, non prima di averli inquadrati a dovere; erano spesso freddi ed impassibili di fronte alle avversità ed ambedue avevano difficoltà nel rapporto con l’unico genitore rimasto. Mentre per Adrien si trattava del padre, Katami aveva solo la madre.
Durante la loro conoscenza, ad Adrien non sfuggì il crescente interesse che lei mostrava nei suoi confronti e non si disturbava nemmeno a nasconderlo. Era nella sua natura essere chiara e risoluta. Ma per lui esisteva sempre e solo una persona, ben diversa da Katami, sebbene lui avesse compiuto il madornale errore di allontanarla.
Plagg era seduto alla scrivania intento ad esaminare minuziosamente ogni singolo frame del video trasmesso alla Vigilia di Natale; ci lavorava da mesi, essendo convinto di trovare anche un singolo dettaglio che li aiutasse a scovare Papillon. Era strano che non si facesse vivo da allora, dopo aver dichiarato apertamente i suoi obiettivi e nonostante il ritorno sugli schermi di Ladybug.
Angelina, invece, sedeva su una poltroncina, ripassando uno dei libri di medicina.
«Ci sono novità?» esordì Adrien.
Plagg annuì. «Non ci sono più dubbi ormai.» indicò lo schermo. «Le immagini del video sono finte. Fotomontaggi ben fatti. L’unica parte vera è quella che riguarda il sindaco.»
«Quindi chiunque degli invitati può essere Papillon.»
Angelina chiuse il libro e, interessata alla conversazione, si avvicinò a loro. «Sempre se si trovava già dentro.»
«Ho controllato le telecamere di sicurezza nei pressi dell’hotel. In ventiquattro ore il numero di coloro che sono entrati e usciti corrisponde perfettamente a quello dell’ora dell’attacco. Papillon era tra gli invitati.» affermò Plagg.
«Escludendo le donne, gli uomini troppo anziani, i miei compagni e i suoi complici, siamo a nove sospettati.» intervenne Adrien.
«Dieci.» lo corresse Plagg. «Non puoi escludere a priori tuo padre, Adrien.»
Adrien scosse la testa. «Perché dovrebbe farlo, Plagg?»
«Siamo qui per scoprirlo... Ma non commettere l’errore di dare le cose per scontate. Ne va della nostra sopravvivenza.»
Adrien sospirò. Plagg aveva ragione: non poteva escludere suo padre dalla cerchia dei sospettati. Anche se ne ignorava le motivazioni.
Angelina colpì leggermente Plagg con il gomito, notando il turbamento del ragazzo e l’uomo decise di cambiare argomento. «Come vanno le cose a scuola? È un po’ che non me ne parli.»
Adrien mosse il capo a destra e sinistra. «Sono riuscito a riallacciare i rapporti con gli altri. Anche se non del tutto.»
«Marinette?»
Adrien sbuffò pesantemente. «Quel tipo, il fratello di Juleka...»
«Luka?» suggerì Plagg.
«Lui... La va a prendere quasi tutti i giorni con quella sua dannatissima moto. Mi sembra un serpente che si avvinghia alla sua preda.»
Era pesantemente irritato.
«Brutta roba la gelosia.» commentò Angelina, ghignando.
«Non sono geloso!» sbottò Adrien. «È solo che non reputo il “serpente rockettaro” la persona giusta per Marinette.»
Angelina lo fissò poco convinta, mentre Plagg prese da un frigo una porzione di formaggio. «Per questo io preferisco il cibo alle donne. È più facile: “Ciao Camembert, io sono Plagg. Piacere.”» concluse addentando una fetta.
«Come fai a mangiare quel formaggio dal tanfo nauseante?» domandò Angelina disgustata.
«Profana!» esclamò Plagg.
Adrien ridacchiò a quella scenetta. «La pensavi diversamente quando facevi il cascamorto con quell’americana. Come si chiamava? Vanessa?»
«Vanessa King. Ed è riduttivo definire “Quell’americana” la segretaria del dipartimento di giustizia.»
«Una persona importante allora.» considerò Angelina.
«Io frequento solo l’elite mia cara.»
Angelina roteò gli occhi al cielo e si rivolse nuovamente ad Adrien: «E Katami?»
«È una buona amica.» rispose lui.
«Pensi ancora a Marinette.» commentò lei.
«Per favore, non facciamo paragoni!» intervenne Plagg. «Katami non ha nulla a che vedere con Marinette.»
Prima che la conversazione andasse oltre, Adrien aprì la teca col suo costume, pronto ad una serata in missione con Ladybug. I due avevano collaborato spesso nelle ultime settimane e lui aveva iniziato ad usare metodi più ortodossi su imposizione di lei. Purtroppo, le loro ricerche non avevano ancora dato frutti. Nessun indizio sulla Rouge & Noir o su Papillon.
L’auricolare del costume di Chat si illuminò: Ladybug lo stava chiamando.
«Appartamento di Fu.» disse lei. «Ricominciamo da lì.» chiuse subito la chiamata dopo la risposta affermativa di Adrien.
Plagg iniziò a sogghignare, attirando l’attenzione di Angelina e Adrien. «Perché non ci provi con lei? Penso la troveresti molto interessante se la conoscessi meglio. Sicuramente più di Katami.»
 
Chat era scettico all’idea di dover tornare ad indagare nel centro massaggi di Fu. Alla fine, però, Ladybug lo convinse, non volendo lasciare nulla di intentato.
Scrutarono a lungo ogni singolo centimetro del locale ma non trovarono nulla che non avessero già notato prima. L’unico indizio interessante era il grammofono nel quale Fu teneva custodito il Miraculous, ma, essendo ormai vuoto, non avrebbe svelato granché.
Sconsolata, Ladybug si fermò al centro della stanza a riflettere. Pensò che forse dovevano passare a metodi più diretti, gli stessi che utilizzava Chat prima della loro collaborazione.
Iniziò a camminare in tondo, sotto lo sguardo di lui, ma, nel buio, non badò ad uno dei cuscini poggiati a terra, inciampandovi sopra.
Grazie ai suoi riflessi felini, Chat fu lesto ad afferrarla per la vita, evitandole di cadere a terra. La ragazza non fece in tempo a ringraziarlo che, nel riassumere una posizione dritta, si ritrovò il volto di Chat a pochi centimetri dal suo.
Chat indugiò, fissando quegli occhi azzurri, illuminati dalla luce della luna, proveniente dalla finestra aperta: erano così simili a quelli di Marinette. Differivano solo per una leggera sfumatura più scura, vicino al blu. Non gli fu chiaro il motivo, ma, in quell’istante, vide nitidamente la sua compagna di classe tra le sue braccia, non Ladybug. Istintivamente, avvicinò le labbra a quelle della ragazza e la baciò appassionatamente.
Ladybug sussultò e lo spinse lontano, premendo con le mani sul petto di lui. Dopo averlo fulminato con lo sguardo alzò la mano destra e gli sferrò uno schiaffo in pieno volto.
Si girò, dunque, di scatto e si avvicinò alla finestra. «Non azzardarti mai più a farlo!»
Balzò giù e scomparve nella notte.
«Adrien? Cos’è stato?» domandò Plagg all’auricolare. «Pronto?»
Chat rimase lì imbambolato per diversi minuti, ignorando i richiami nel suo orecchio. Spense la trasmissione diretta con Plagg ed uscì dal centro massaggi. Non aveva la minima idea di ciò che era appena successo.
 
Tornato al covo, Adrien si preparò mentalmente alla sfuriata dell’amico, principalmente per averlo ignorato ed interrotto le comunicazioni.
Plagg, infatti, lo attendeva in piedi al centro della stanza, braccia incrociate e volto imbronciato. «Cos’è successo? Bada che non ci muoviamo da qui finché non mi dirai tutto. Cos’era quello schiocco? Cos’è che non dovrai mai più fare?»
«Lasciami respirare, Plagg.»
Plagg afferrò il ragazzo per un braccio. «Eh no, mio caro! Qui dipendiamo tutti da voi, quindi ora mi dici tutto. Tutto!»
Adrien scrollò le spalle e si liberò del cappuccio. Sul volto aveva un evidente segno rosso della forma di una mano. «L’ho baciata.» disse indicando il segno. «E lei mi ha mollato uno schiaffo. Non chiedermi perché l’ho fatto; non lo so nemmeno io.»
Si voltò e vide Plagg che lo fissava con occhi spalancati, le guance gonfie ed una strana espressione sul volto. Improvvisamente le spalle dell’uomo iniziarono a tremare.
Infine cedette e scoppiò a ridere. Talmente tanto da lacrimare.
«Io adoro quella ragazza!» dichiarò tra una risata e l’altra.
Innervosito e, soprattutto, confuso dalla situazione Adrien grugnì e lasciò il covo. Aveva bisogno di un buon sonno per rimettere in ordine i suoi pensieri.
Prima che lasciasse la stanza, sentì Plagg riferirgli: «Meno male che domani non hai scuola o avresti dovuto dare spiegazioni per quel segno.»
 
Si avvicinava la data del diciottesimo compleanno di Marinette. I genitori le avevano proposto vari locali dove festeggiarlo, ad alcuni avevano anche fatto un sopralluogo insieme, ma la giovane era confusa a riguardo.
Aveva volontà di festeggiarlo con tutta la sua famiglia e i suoi amici, ma desiderava anche che fosse un posto semplice, intimo, non troppo sfarzoso. Purtroppo la sua casa era troppo piccola.
Non poteva neanche lontanamente immaginare che, andando quel giorno a scuola, tutti i suoi dubbi sarebbero svaniti e non avrebbe mai potuto pensare chi l’avrebbe aiutata a sciogliere ogni suo tentennamento.
Entrata in classe, si rese conto che mancavano ancora molti suoi compagni, compresa Alya. Salutò quelli che erano già seduti ai loro banchi, comprese Chloè e Sabrina.
La prima, dopo aver ricambiato il saluto dell’antica rivale, si diresse verso di lei, lasciando a Sabrina il compito di riporre ordinatamente l’occorrente che aveva utilizzato fino ad allora per sistemarsi le unghie, tra l’altro già perfette.
Marinette fu colta di sorpresa da questo gesto, non essendo mai accaduto prima d’ora, ma cercò lo stesso di essere gentile e naturale.
«Dupain-Cheng. Tu compi gli anni il 18 vero?» chiese Chloè.
Marinette annuì. «Un giorno prima di te, Chloè.»
«Lo so, lo so.» replicò la biondina col solito tono di superiorità. Poi, la sua voce si addolcì. «Stavo pensando che potremmo fare un'unica festa all’attico che ho in centro, invitando tutta la classe e anche alcuni membri della scuola che conosciamo e frequentiamo.»
Marinette era una statua di sale. Non riusciva a proferire parola. Chloè, la sua eterna nemica che preferiva invitare qualunque sconosciuto pur di non farle prendere parte ad una sua festa, voleva addirittura condividere un compleanno così importante con lei, dividendo metà della scena.
Chloè aspettava impaziente una sua risposta, mantenendo un’espressione serafica. «Trovo sia piuttosto pratico. Tu non preoccuparti di nulla, organizzo tutto io e penserò anche ai nostri abiti.»
Considerò il silenzio di Marinette come un cenno d’adesione e fece per andarsene, ma la corvina la fermò per un braccio. «Sei sicura di quello che stai dicendo?»
Chloè sorrise divertita. «Certo! Vedrai, sarà una festa indimenticabile.» abbassò lo sguardo divenendo più seria. «Vorrei farmi perdonare per tutte le volte che ti ho esclusa dai miei party col chiaro intento di umiliarti. Ti chiedo scusa. Ho capito che nella vita esistono cose molto più importanti che degli sciocchi dispettucci da bambina viziata. Ti aggiornerò sui preparativi e, per il momento, non dire niente a nessuno.» tornò, dunque, al suo banco, riassumendo la sua solita espressione altezzosa e facendo dondolare la sua lunga chioma bionda. Sedendosi, strizzò l’occhio in direzione di Marinette, lasciando basiti Sabrina e tutti i compagni di classe.
Quando arrivò Alya, Marinette era ancora immobile, pietrificata; l’amica chiese spiegazioni ma lei decise di glissare e di fidarsi di Chloè, acconsentendo alla richiesta di tacere per sorprendere tutti alla festa.
Poco prima dell’arrivo della professoressa Bustier, anche Adrien, giunto lì da poco, guardò di sfuggita Marinette, senza farsi notare.
Quel giorno, Luka non passò a prenderla a causa di un impegno, così Marinette si avviò verso casa pensierosa, ancora scossa dagli avvenimenti di quella mattina. Tenendo lo sguardo basso, non guardò cosa vi era dinnanzi a lei e, inevitabilmente, andò a scontrarsi con una persona. I libri che reggeva in mano le caddero a terra; alzò il capo per scusarsi, ma le parole le morirono in gola quando si ritrovò di fronte Adrien.
«Scusami.» mormorò lui, evidentemente imbarazzato, mentre il volto di Marinette arrossì vistosamente.
Non erano stati così vicini dalla notte della Vigilia. Adrien si chinò subito per raccogliere i libri e glieli porse.
«Grazie.» disse lei, abbozzando un sorriso.
Vi fu un lungo scambio di sguardi tra i due senza proferire parola: in esso, per entrambi, si leggeva emozione, malinconia e titubanza. I loro cuori battevano forte, ma nessuno ebbe il coraggio di sciogliere quel ghiaccio, per abbattere quel muro che si era innalzato tra loro.
Marinette abbassò lo sguardo per prima e notò il braccialetto che gli aveva regalato legato al suo polso; un sussulto di gioia si scatenò dentro di lei.
Contemporaneamente, lui vide al collo il medaglione che le aveva regalato a Natale e pensò che, forse, la ragazza  provava ancora un po’ d’affetto nei suoi confronti.
Si salutarono timidamente ed intrapresero strade opposte, entrambi più ottimisti dopo quell’incontro. Il loro rapporto avrebbe potuto riprendere un nuovo percorso, magari tornare ad essere amici o qualcosa in più. Se solo uno dei due avesse avuto il coraggio di fare il primo passo, invece del silenzio.
Tornata a casa, Marinette fu accolta da Sabine, la quale le chiese ironicamente: «Come mai di ritorno così presto? Niente passeggiata rockettara?»
Marinette sorrise imbarazzata. «Aveva un impegno oggi.»
Salì in camera, in attesa del pranzo, e raccontò a Tikki ciò che era successo, emozionatissima e sollevata. «Forse tutto andrà per il meglio. Ormai le mie divergenze con Chloè sono acqua passata e oggi con Adrien...» si interruppe ripensando a quel momento. «Insomma, ho ritrovato nel suo sguardo il ragazzo della Vigilia di Natale e non più la controfigura di Chat Noir alle origini. Sembrava quasi che si fossero scambiati le personalità, ultimamente. Tutto si sta sistemando, Tikki! Sento che alla festa potrò avere una seconda occasione con Adrien.»
Tikki si poggiò sulle sue mani e Marinette le stampò un affettuoso bacio sulla fronte.
«Andrà tutto bene se anche la faccenda di Papillon sarà risolta.» asserì la piccola kwami, riportando la ragazza coi piedi per terra.
Marinette annuì e gettò uno sguardo verso la finestra osservando Parigi. «Papillon avrà quello che si merita.»
 
La settimana successiva, Chloè fece trovare, come di consuetudine, delle eleganti buste nere con il bordino oro sui banchi dei suoi compagni: era l’invito alla sua sfavillante festa. Alya notò subito che sul banco di Marinette mancava la busta e, furiosa, si lanciò contro la biondina con l’intenzione di dirgliene di tutti i colori.
Chloè la bloccò subito con un mano. «Le festeggiate non hanno bisogno dell’invito.» con tutta tranquillità si avvicinò a Marinette, appena giunta in classe, e annunciò: «Gli inviti per la festa sono da parte mia e di Marinette; festeggeremo il nostro diciottesimo compleanno insieme, nel mio attico.»
Tutti i componenti della classe erano annichiliti, con le bocche spalancate per lo stupore. Chloè e Marinette sorrisero guardando le loro reazioni. La corvina si accomodò al suo banco rivolgendo uno sguardo fugace ad Adrien, il quale contraccambiò.
All’uscita, Marinette discuteva amichevolmente con Chloè, con Alya, Nino e Adrien che li fissavano sbigottiti.
Arrivò, come sempre, rumoroso con la sua bella moto e con quel notevole fascino che lo contraddistingueva, Luka; una volta tolto il casco, si spettinò i capelli e rivolse un largo sorriso in direzione della giovane Dupain-Cheng. «Ciao, Marinette!»
Adrien sbuffò contrariato a quella scena, cosa che non sfuggì all’acuta Alya, la quale ghignò maliziosamente.
Mentre Luka si avvicinò alle ragazze, Chloè dava disposizioni su come si sarebbero evoluti i preparativi; in quel momento, Marinette si sentì trasformata nella povera Sabrina, costretta a dire sì a tutto quello che la bionda capricciosa ordinava.
«Mi raccomando, alle 17:00 dalla sarta per provare i nostri abiti. Questo è l’indirizzo.» disse Chloè perentoria, porgendo a Marinette un piccolo biglietto da visita.
Marinette annuì, quindi si voltò e salutò Luka, il quale osservò incuriosito Chloè. Quest’ultima, stranamente, non fece sgradevoli commenti sul look particolare del giovane rockettaro. Tra i due ci fu un lungo sguardo complice. Marinette ne approfittò per presentarli. «Chloè, lui è Luka, il fratello di Juleka. Luka ti presento...»
«Chloè Bourgeois, la figlia del sindaco.» intervenne prontamente Chloè, stringendo la mano al ragazzo. Infilò la mano nella sua borsa e ne estrasse l’invito alla festa, porgendoglielo. «Mi farebbe piacere che intervenissi anche tu.»
«Grazie.» replicò Luka.
Chloè salutò i due, mentre Luka continuava ad osservarla sorridente. Si rivolse, dunque, a Marinette: «Gentile la tua amica.»
«Non è mia amica... O meglio non lo era. In effetti, non so nemmeno come definirla.»
Durante la loro passeggiata in moto, Marinette raccontò come si era evoluto il rapporto tra lei e Chloè, delle innumerevoli litigate fin dal primo giorno in cui si erano conosciute, passando per il loro avvicinamento quel giorno in ospedale, sino ad arrivare a quell’incredibile proposta per il diciottesimo compleanno.
Luka ascoltò con grande interesse il racconto della ragazza. «Che ne dici se ti accompagnassi alla prova degli abiti?» propose, infine.
Marinette assentì. «Promettimi di andar via subito, però. Chloè vuole che nessuno veda i nostri abiti prima del ricevimento.»
«Promesso.»
 
Passarono più di due ore, prima che Marinette e Chloè uscissero dall’atelier. Luka le aspettò seduto sulla sua moto accanto al marciapiede antistante al negozio: indossava due vistose cuffie sulle orecchie ed ascoltava musica a tutto volume, con una gamba penzoloni e l’altra piantata per terra, gli occhi chiusi per concentrarsi maggiormente sulla canzone.
Quando riaprì gli occhi, vide le due ragazze parlare con una signora anziana, capelli bianchi, dall’aspetto e vestiti giovanili. Stringeva affettuosamente a sé Marinette per un braccio e la baciava più volte sulla guancia in modo euforico e felice. Luka decise di raggiungerle.
«Luka!» esclamò Marinette. «Lei è mia nonna, Gina Dupain, la madre di mio padre.»
«Piacere Madame.» disse il ragazzo allungando la mano in direzione della donna, la quale, in tutta risposta, lo tirò a sé e lo strinse in un abbraccio. Pur sorpreso, Luka ricambiò il gesto.
Gina guardò oltre la spalla di lui, vedendo la sua moto parcheggiata sull’altro lato della strada. «Io adoro la tua moto. È praticamente la gemella della mia, quella con cui adesso io e la piccola Marinetta andremo a far compere.»
«Scusami tanto, Luka.» mormorò Marinette, chinando il capo ed avviandosi, poi, insieme alla nonna.
Luka scosse il capo ed osservò divertito l’espressione spaventata di Marinette in sella alla moto di Gina che sfrecciò via a tutta velocità.
Anche Chloè ridacchiò.
Luka si rivolse a lei: «Se vuoi, posso accompagnare te a casa.»
Chloè assunse un’aria contrariata. «Sei pazzo! Salire su quella moto che mi stropiccerebbe il vestito e mi rovinerebbe i capelli? Decisamente no!» accorgendosi di aver esagerato, addolcì il tono della voce. «Scusami. Non volevo essere scortese, è solo che...»
Luka la interruppe, per nulla offeso. «Se non ti va di salire in moto possiamo sempre andare a piedi. Non sarebbe male una bella passeggiata. Che ne dice, miss Chloè?»
Chloè esitò per qualche istante, ma infine decise di accettare. «Avviso il mio autista, allora.»
Durante la passeggiata, i due chiacchierarono a lungo toccando vari argomenti.
«Tu e Marinette state insieme, vero?» chiese Chloè a bruciapelo, senza un motivo ben chiaro.
Luka sospirò. «Mi sarebbe piaciuto molto. In questi mesi, ho tentato di conquistarla, stiamo bene insieme ed abbiamo molti interessi in comune. Sebbene sia sempre garbata ed amichevole, è distante, distratta, ha altro per la testa. Anzi, direi un altro nella testa e nel cuore. Non me ne ha mai parlato apertamente, ma credo di averlo capito fin da subito. Credevo di avere qualche chance ma non è così. È la dura realtà e devo farmene una ragione.» si voltò verso Chloè e sorrise amaramente.
«So cosa provi.» replicò Chloè, ricambiando il sorriso dolcemente. «Io ho vissuto una situazione simile. Mi piaceva un ragazzo: ho provato a conquistarlo, ma lui è innamorato di Marinette. E sai qual è la cosa più assurda? Che lui non sa che il suo amore è corrisposto! Si stanno allontanando per orgoglio come due stupidi. È ridicolo, assolutamente ridicolo!»
Luka iniziò a capire, collegando i racconti di Marinette, le sue mezze parole. «Parli di Adrien Agreste, vero?»
Chloè sgranò gli occhi, stupita. «Come hai fatto a capire?»
«Intuito, semplice intuito. Pensi che conoscendo la loro situazione, potremmo fare qualcosa per aiutarli? Voglio bene a Marinette, desidero vederla felice anche se non con me.» nei suoi occhi si leggeva tristezza.
Intenerita da tanta bontà ed altruismo, Chloè gli coprì una mano con la sua. «Non credo sia una buona idea metterci in mezzo, ma forse alla festa potremmo inventarci qualcosa per dar loro una spintarella, fargli abbassare un po’ le difese.»
Si scambiarono un’ultima occhiata complice e giunsero accanto alla casa della biondina. Entrambi furono soddisfatti di quel bel pomeriggio trascorso insieme.
 
 
Angolo Autore:
Giuro che quando ho scritto questo capitolo, la famosa canzone non era stata ancora resa pubblica, quindi il muro eretto tra i due è tutta farina del mio sacco.
Scherzi a parte, vi confesso che mi sono divertito tantissimo a scrivere la scenetta dello schiaffo con relativa reazione di Plagg. È una delle scene che preferisco di tutta la storia.
Come avrete già intuito, l’evento eccezionale di cui vi ho parlato negli scorsi capitoli era proprio il diciottesimo compleanno di Marinette, al quale si affianca anche quello di Chloè. E ammetto che mi piace molto la coppia biondina-rockettaro, sebbene sono conscio che canonicamente sia difficile se non impossibile che si avveri.
Per il momento vi lascio alle vostre considerazioni, so già che Sabato sarà elettrizzante leggere le reazioni alla sfavillante festa. Saluto i miei cari amici Vanessa e Valerio ai quali dedico questo capitolo.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

Nei giorni successivi, Chloè invitò talmente tante persone alla festa che fu necessario un cambio di location: una sala per cerimonia lussuosissima con annesse delle meravigliose terrazze che donavano un incantevole vista di Parigi. Naturalmente, Marinette non fu entusiasta di questo cambiamento, ma da Chloè doveva aspettarselo. Lei non amava lo sfarzo, ma ora era troppo tardi per tirarsi indietro.
Nell’euforia dell’evento, Chloè, quando un giorno si intrattenne a discorrere con Adrien dopo la scuola, e li raggiunse Katami, invitò ufficialmente anche lei, la quale approfittò subito per costringere il modello ad andare insieme al ricevimento. Adrien fu piuttosto infastidito da questo atteggiamento: non era libero di gestire quest’occasione per riavvicinarsi a Marinette.
La giovane Dupain-Cheng avrebbe fatto sicuramente coppia con il rockettaro, mentre lui con Katami, e non aveva potuto neanche comprarle il regalo che aveva in mente, poiché aveva partecipato a quello collettivo della classe per non sembrare altezzoso e snob nei riguardi dei suoi compagni. Quest’ultimi, nella persona di Alya, avevano deciso di donare alle due festeggiate un regalo identico: due braccialetti con due pendenti di Swarovski. Quello per Chloè era a forma di scarpetta decolté con tacco, quello per Marinette era a forma del più prelibato cioccolatino di tutta la Francia, il suo favorito.
Chloè aveva acconsentito che del catering se ne occupasse interamente Tom, il quale si adoperò per comporre due torte strabilianti per le due festeggiate. Entrambe erano di cinque piani e sulla sommità avevano delle magnifiche sculture di zucchero: un pavone con una coda splendida e colorata su quella di Chloè, un candido cigno su quella di Marinette.
 
Il giorno della festa, Chloè passò con la sua limousine davanti alla pasticceria Dupain-Cheng alle 6:30 del mattino. Lei e Marinette si recarono dal parrucchiere, dai truccatori, dagli estetisti ed infine dalla sarta per essere perfette a mezzogiorno in punto per l’appuntamento con i fotografi. Con loro si sarebbero dirette nelle varie location di Parigi e set fotografici per comporre il magnifico book fotografico dei loro 18 anni.
Alle 20:30 precise, Marinette entrò nella sala dove si sarebbe svolta la festa; il ricevimento sarebbe iniziato dopo mezz’ora e lei era già distrutta. Aveva passato tutta la giornata dietro alle manie di perfezione, eccentricità e megalomania di Chloè. Era assonnata, affamata e le dolevano i piedi, adesso ancora di più stretti nei sandali elegantissimi, tacco 12, color oro che indossava. Nonostante tutto, era stupenda: i capelli raccolti in uno chignon alto, con una cascata di ciocche ondulate che le cadevano morbide ai lati del volto e sulla nuca; il trucco che aveva chiesto ed ottenuto era leggero, un piccolo tocco di rosa sulle guance, e le faceva risaltare i suoi meravigliosi occhi e la bocca perfetta. Il suo vestito era di un ipnotico blu cobalto, senza spalline, con scollo a cuore, che le lasciava scoperta gran parte delle spalle e della schiena, un corpetto stretto che le delineava ancora di più il suo vitino da vespa e si apriva lungo sin giù ai piedi in una cascata morbida e leggera di taffetà, con le più svariate sfumature di azzurro, da quello più carico a quello più chiaro.
Chloè, invece, aveva un trucco più marcato ma elegante, più dark. I capelli sciolti trattenuti solo da un cerchietto di brillanti, tacco 12, vestito corto color oro luccicante con lustrini e paillettes, attaccatura al collo che le lasciava tutta la schiena scoperta: un look abbastanza sensuale ed appariscente, ma assolutamente non volgare.
Erano entrambe bellissime e perfette, emozionate ed euforiche, consapevoli che tutti le avrebbero ammirate e celebrate come meritavano.
I genitori delle ragazze si erano posizionati poco distanti dalla porta d’ingresso della sala per accogliere gli ospiti e ringraziarli di essere intervenuti. Erano anche loro molto eleganti ed emozionati oltre che felici. L’avventura di Natale era riuscita ad addolcire anche il cuore gelido di Audrey Bourgeois che, da allora, si mostrò molto più amabile col marito e con la figlia, tanto da diventare la madre che Chloè aveva sempre desiderato avere.
Le due festeggiate, invece, alle 21:00 esatte, si erano posizionate poco distanti dai loro genitori dinnanzi al lunghissimo tavolo del buffet con sopra ogni tipo di prelibatezze; di lato a questo, su un altro tavolo altrettanto lungo, vi erano diversi tipi di bevande e numerosi bicchieri di cristallo. Accanto ad entrambi i tavoli, una schiera interminabile di camerieri, rigorosamente in divisa bianca e oro, candida e luccicante.
In fondo alla sala, vi era un’orchestra, composta da una decina di elementi, che suonava una musica soft, lenta e romantica come sottofondo per la prima parte della serata. A mezzanotte, avrebbe lasciato spazio alla band del famoso cantante Jagged Stone; anche lui avrebbe preso parte ai festeggiamenti, personalmente invitato ad intervenire dal sindaco.
 
I primi invitati ad arrivare furono Alya e Nino, entrambi elegantissimi: lui vestito con uno smoking nero, lucente con camicia bianca e papillon rosso che si intonava con le lunghe lingue di fuoco disegnate sul tubino corto della fidanzata, evidenziate ancor di più dal colore predominante dell’abito bianco splendente che faceva risaltare la pelle ambrata di Alya, che, per l’occasione, aveva indossato tacchi, messo lenti a contatto così da liberare i grandi occhi castani dagli occhiali che indossava sempre e raccolto i lunghi capelli in una coda di cavallo. Aveva un trucco leggero ma luminoso.
Con l’arrivo della coppietta, Marinette iniziò a sentirsi più a suo agio, fino a che non vide entrare Adrien con attaccata stretta al suo braccio una ragazza. Il suo cuore si fermò.
Lui era come sempre perfetto nella sua figura eretta da modello elegante ed ammaliante, vestito di un completo scuro. Salutò cordialmente i genitori delle festeggiate, presentando la sua accompagnatrice. Grazie ai tacchi che indossava, raggiungeva quasi in altezza Adrien; indossava un completo giacca e pantaloni palazzo bianchi, con i capelli tutti tiratissimi in uno chignon raccolto alla sommità della testa. Quell’acconciatura le allungava ancora di più la forma degli occhi, che assumevano un aspetto alquanto sinistro.
Marinette, con fastidio e disagio, ipotizzò che sotto la giacca non portasse alcun indumento, visto che sembrava apparire questo dall’apertura di essa quando si muoveva. “Che sfacciata!” pensò.
Adrien e Katami erano già accanto a Chloè per porgerle i loro auguri. La nipponica fece scivolare il suo sguardo verso Marinette e, sebbene l’avesse vista solo qualche volta di sfuggita a scuola e nessuno le avesse presentate, la guardò con una punta di disprezzo quasi come se fosse un insetto molesto da scacciar via o schiacciare senza pietà.
Accennò un sorriso che sembrava più una smorfia e le porse la mano, mentre Chloè le presentò. «Marinette, lei è Katami Tsurugi. Sostituisce il maestro D’Argencourt nelle sue lezioni di scherma; è una spadaccina magistrale. L’ho invitata io l’altro giorno.»
«Non sono solo la sua compagna di scherma. Io e Adrien abbiamo stretto un fortissimo legame affettivo che va al di là delle mura della palestra.» precisò Katami. Sorrise ad Adrien e strinse il braccio di lui ancor di più vicino a lei con tutte e due le sue braccia.
Adrien fu visibilmente imbarazzato da quell’affermazione e dall’atteggiamento di Katami, soprattutto dopo essersi accorto della delusione dipinta sul volto di Marinette, oltre allo sguardo carico di risentimento verso di lui.
La corvina era un fascio di nervi. Temeva di scoppiare a piangere dinnanzi a loro ma raddrizzò la schiena e sorrise al bel modello, porgendogli la mano in segno di saluto e fingendo naturalezza. «Grazie per essere venuto, Adrien. E grazie anche a te, Katami.»
Adrien le strinse la mano, sostenendo il suo sguardo, e d’istinto affermò: «Sei bellissima, Marinette. Sembri quasi una...»
«Una dea, una meravigliosa dea. Questo sei Marinette, luce dei miei occhi.» dichiarò una voce alle sue spalle: era squillante, allegra ed entusiasta. Echeggiò per tutto il salone. Una voce che Adrien conosceva bene.
Si voltò e vide Luka, il quale si fece largo spostando Adrien di lato spingendolo leggermente con il suo braccio che teneva spalancato come l’altro per andare incontro a Marinette ed abbracciarla forte. La strinse a sé e le stampò due baci sonori su ogni guancia ed iniziò a riempirla di complimenti, ammaliato dalla sua bellezza.
Marinette, felice tra le braccia di Luka, rise divertita quando la fece roteare su sé stessa affinché lui potesse ammirare il suo look, la sua freschezza, l’incanto che era quella sera.
A quella scena, Adrien si allontanò infastidito, scuro in volto. Il suo nervosismo non sfuggì a Katami, Alya e Chloè. Anche Luka, come Adrien, indossava un completo nero con camicia chiara e non sfigurava affatto accanto al modello, dato il suo fisico asciutto e slanciato, nonostante la differenza di muscolatura e la sua eccentricità, che lo rendeva molto affascinante anche agli occhi di Chloè, lusingata dai complimenti che le rivolse nel momento in cui le porse i suoi auguri.
 
Marinette e Luka danzarono spensierati per tutta la serata. Anche Adrien ballò insieme a Katami, non riuscendo, però, a distogliere lo sguardo da Marinette che in alcuni momenti notò le occhiate del modello. Dal canto suo, la ragazza nipponica fu molto contrariata dalla poca attenzione che le prestava Adrien e non si accorse di bere qualche bicchiere di champagne di troppo.
Dopo il taglio della torta, vi fu il cambio di musica e Luka ottenne da Chloè il permesso di suonare con l’orchestra di Jagged Stone, dato che questi non era ancora arrivato.
Luka salì sul palco, prese la sua chitarra e guardò intensamente Marinette e tutti gli invitati che avevano rivolto l’attenzione su di lui. «Questa canzone l’ho scritta per Marinette. Gliela dedico con tutto il mio cuore come mio personale regalo di compleanno. Che tutti i tuoi sogni possano avverarsi Marinette! I love you!» sorrise e le mandò un bacio. Gli invitati applaudirono il rockettaro e la bella Dupain-Cheng, vistosamente arrossita alle parole di Luka. Tutti tranne Adrien, il quale, in quel momento, si trovava proprio accanto a Marinette.
Luka incitò la folla, soprattutto dopo aver visto Adrien vicino a Marinette. «E ora ballate tutti su queste note con chi vi sta accanto.»
Tom mosse un passo verso la figlia, con l’intento di invitarla a ballare, ma Chloè fu lesta e lo precedette chiedendogli di danzare, nella speranza che Adrien si facesse avanti. Il ragazzo accennò un gesto in direzione di Marinette, ma Katami, alquanto su di giri, lo afferrò per un braccio, facendolo voltare, e lo baciò sulle labbra appassionatamente.
Marinette non poté resistere a quella scena e corse in direzione di una delle terrazze, mentre Luka, Chloè ed Alya assistettero alla scena delusi ed impotenti. Il giovane rockettaro terminò la sua canzone e scese come un fulmine dal palco per raggiungerla.
Stizzito, Adrien si liberò dalla stretta di Katami. «Non ci riprovare. Lasciami!» corse anche lui per cercare Marinette. Quando finalmente la trovò, la vide abbracciata stretta a Luka e non ebbe più dubbi sul fatto che i due fossero innamorati e fidanzati. Deluso, triste e in collera con sé stesso, voltò le spalle alla terrazza che ospitava i due giovani e decise di abbandonare la festa.
Mentre si dirigeva verso la porta d’uscita della sala, Katami lo fermò ansimante e pentita. «Adrien! Adrien, ti prego scusami. Ho bevuto troppo champagne. Non volevo metterti in imbarazzo, fermati per favore! Dove stai andando?»
Adrien si fermò e si voltò verso lei, molto nervoso ma fermo e deciso nel concludere, una volta e per sempre, quella storia. «No, Katami. Scusami tu. È tutta colpa mia. Ho voluto tirarti dentro a questa faccenda e ho sbagliato. Ti ho usata per dimenticare Marinette. Tu sei bella, attraente e abbiamo tanto in comune. Ero convinto che tu potessi aiutarmi ma... Non è così. Non meriti tutto questo. Tra noi non potrà nascere qualcosa in più della semplice amicizia, perché io amo Marinette! L’ho detto, finalmente! Avrei dovuto dirlo a lei quando ero ancora in tempo. La amo e questa è una verità che né tu, né nessun altro potrà mai cancellare. Lasciami stare, lasciami andare. Puoi trovare qualcuno migliore di me.»
Katami lo trattenne per un braccio; anche se si sentiva umiliata e offesa da quelle parole non voleva arrendersi all’evidenza. «Non importa ciò che hai detto. Io posso aiutarti! Ormai Marinette è persa. Sta con quel tipo strano dai capelli blu. È evidente che non pensa proprio a te e non tornerà sui suoi passi. Che senso ha che tu continui ad amarla senza speranze per il futuro? Ti farai solo del male, ti procurerai solo sofferenze.»
Adrien sorrise rassegnato e gentilmente si liberò dalla stretta della schermitrice. «La sofferenza è una mia vecchia amica. Ho imparato a convivere con essa da molto tempo, me la caverò. Non insistere, Katami. È finita!»
Le voltò le spalle ed abbandonò la sala. Katami rimase qualche minuto ad osservare il ragazzo andarsene, quindi, decise di andar via. Non aveva più alcun motivo di restare lì.
 
Luka raggiunse Marinette sulla terrazza. Nel momento in cui fu faccia a faccia con lei, si accorse tristemente che stava piangendo. Istintivamente, l’abbracciò teneramente e cercò di rincuorarla. «Marinette, è il tuo diciottesimo compleanno. Non devi piangere o essere triste, devi solo sorridere ed avere pensieri felici. Su, sorridi o penserò che piangi perché non hai apprezzato la mia canzone.» le porse un fazzoletto col quale lei si asciugò le lacrime.
«No, assolutamente! La tua canzone è bellissima. Grazie!» replicò Marinette.
«Allora perché stai piangendo? Forse perché Chloè ha ricevuto più doni e complimenti di te?»
Marinette sorrise. Finalmente non piangeva più; tra le braccia di Luka si sentiva più sollevata e tranquilla. «Questa giornata non è andata proprio come l’avevo sognata.»
«Perché vorresti che al posto mio, ora, su questa terrazza, ci fosse Adrien Agreste, come speravi sul battello la sera di Capodanno quando ci siamo conosciuti?»
Marinette lo guardò spiazzata ed imbarazzata.
Luka proseguì: «Ho capito da molto tempo che con te non avevo molte speranze. Tu non hai altro che il modello in testa e nel cuore. Non preoccuparti, Marinette. Per te ci sarò sempre, avrai sempre una spalla su cui piangere, qualcuno che ti sorregga e ti consoli. Insomma un caro amico. Certo, non nego che mi sarebbe piaciuto che la natura del nostro rapporto andasse ben oltre l’amicizia e ho provato, ho provato tanto a conquistarti, a farti innamorare di me, ma...» si interruppe per un attimo. «Non ci sono riuscito. Bisogna anche saper perdere, anche se so che io e te non ci perderemo mai.»
Marinette strinse a sé Luka, riconoscente per il suo supporto. Se quella sera non ci fosse stato lui accanto a lei, sarebbe davvero andato tutto storto.
«Ora basta pensare a cose tristi» disse lui, sciogliendo l’abbraccio ed afferrandole le mani. «Vedrai che con Adrien, prima o poi, qualcosa andrà per il verso giusto.» le strizzò l’occhio. «Ora sento che è arrivato Jagged. Andiamo a ballare e divertirci senza pensieri. La festa non è ancora finita e tu devi ridere ed essere felice, oggi e sempre! Andiamo, Marinette.»
Lei si lasciò trascinare sulla pista da ballo affollatissima, sulle note di Stone, appena arrivato. Seguendo il consiglio di Luka, svuotò la mente da pensieri negativi e si divertì tantissimo, non accorgendosi minimamente dell’assenza di Adrien e Katami.
Quando tornò a casa erano circa le 6:30 del mattino. 24 ore esatte in piedi. Non ne poteva più. Neanche le ronde nei panni di Ladybug la stancavano così.
Mentre si preparava per andare a dormire, svestendosi del meraviglioso abito da sera ed indossando il pigiama, dopo essersi accuratamente struccata, raccontò a Tikki  tutto ciò che era accaduto alla festa. La kwami era rimasta in disparte durante la giornata, lasciando che la ragazza si godesse una delle giornate più importanti della sua vita.
Accorgendosi dell’inquietudine della giovane, tentò di distrarla, prendendola in giro bonariamente. «Visto che Adrien è impegnato e Luka è solo un grande amico, ti consiglio di spostare la tua attenzione su una terza persona.»
Marinette la guardò confusa. «Una terza persona?»
«Magari potresti prendere in considerazione Chat Noir. È giovane, di bell’aspetto e tu gli piaci sicuramente, visto che ti ha baciata.»
«Ma sei impazzita!» urlò Marinette, incredula e profondamente infastidita. «Prima di tutto, Chat Noir non è nelle mie simpatie, anche se adesso collaboriamo. Poi non so nemmeno che volto abbia! Non se ne parla neanche. Non dire sciocchezze.»
«Va bene, va bene. Non ti arrabbiare, era solo un’idea.» rise di nuovo. «E poi, non devi decidere adesso, sei troppo stanca. È meglio che vai a dormire e che ci pensi a mente fresca domani, anche se è già domani. Dopotutto, domani è un altro giorno.»
«È meglio che riposi un altro po’ anche tu e ti chiarisci le idee “Coccinella O’Hara”.» replicò Marinette, intuito che la sua amica la stava prendendo in giro.
Prima di addormentarsi, Marinette ammise a sé stessa, soddisfatta, che quella giornata si era rivelata comunque indimenticabile. Avrebbe ricordato il suo diciottesimo compleanno, nel bene e nel male, per sempre.
 
 
Angolo Autore:
Salve bella gente!
Ci sarebbero tante cose da dire su questo capitolo così intenso e ricco di sorprese, ma lascerò a voi lettori le considerazioni in merito.
Questo capitolo, insieme all’epilogo, è quello che più mi ha fatto “sudare”. Quante correzioni e revisioni ci sono state al tempo (anche sulla spiaggia, anziché andare a mare scrivevo), affinché tutto fosse perfetto ed incontrasse la mia piena soddisfazione. E non vi nascondo che, con le dovute proporzioni, mi piacerebbe che le relazioni tra i nostri ragazzi andassero proprio così.
Vi consiglio di godervi a pieno questi momenti romantici e divertenti, perché si avvicina un uragano! D’altronde siamo vicini alla fine.
Approfitto dell’occasione per ringraziare tutti coloro che sono arrivati fin qui, per il vostro supporto e i vostri splendidi commenti. Grazie di cuore.
Io ora vi saluto e vi do appuntamento a Venerdì prossimo, sperando che quel capitolo non vi uccida del tutto.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

Nadja Chamack ottenne una lunga intervista, per telefono, con Ladybug, durante il suo talk show serale. L’eroina raccontò del periodo in cui era fuori dai giochi, perché rimasta ferita durante l’attacco all’hotel Bourgeois. Assicurò ai cittadini che lei, insieme ad altri suoi collaboratori, di cui tacque l’identità, stavano indagando riguardo Papillon ed erano preparati ad un eventuale secondo attacco. Volle opportunamente evitare domande riguardo Chat Noir e sui suoi sospetti sulla sua identità e quella di Papillon, limitandosi ad invitare i cittadini ad avere fiducia di lei.
Tramite alcune testimonianze della polizia, era stato accertato che Chat Noir fosse un alleato di Ladybug e non di Papillon, come, invece, sospettavano in molti.
A telecamere spente, Nadja la invitò a prendere parte all’inaugurazione della nuova ala del Louvre, presieduta dal direttore Norvich Nursef, come ospite d’onore. L’insistenza della giornalista costrinse la ragazza ad accettare, seppur con riluttanza.
Chiusa la chiamata con la supereroina, Nadja compose un numero di telefono. «Tutto procede come stabilito. Lei ci sarà.»
«Posiziona le telecamere in modo che tutti possano godere dello spettacolo.» replicò una voce maschile.
«Sarai accontentato.»
Non ci fu risposta. L’uomo chiuse la chiamata, mentre Nadja entrò nel suo camerino, chiudendo a chiave la porta. Fissò la sua immagine riflessa nello specchio: calde e copiose lacrime iniziarono a rigarle il volto. Era consapevole di ciò che stava per accadere e sapeva che lei aveva un ruolo cruciale. Lo faceva solo per sua figlia, Manon. E pregò che, un giorno, lei sarebbe riuscita a perdonarla per aver collaborato nell’uccisione di Ladybug.
 
Marinette guardava insistentemente l’orologio: ancora un’ora all’inizio della cerimonia.
«Ma perché ho accettato?» sbuffò coricandosi sul divanetto della sua camera.
Tikki si adagiò accanto a lei. «Viste tutte le emozioni degli ultimi giorni, questa può essere un’occasione per distrarti un po’.»
«Ho una brutta sensazione, Tikki.»
«È perché non ti piace quell’uomo, il direttore del museo?»
«Probabile.» si portò una mano al mento, pensierosa. «È strano. Appare lui, ci manda in una sala tutt’altro che affollata, come, invece, ci aveva assicurato, e poco dopo Adrien viene rapito.»
«Sono sicura che sarai attenta come sempre.» considerò Tikki.
Marinette continuò a riflettere su quell’uomo. Erano passati diversi mesi da quel giorno, eppure nessuno degli inquirenti era riuscito a dare una motivazione valida al rapimento di Adrien: i rapitori si erano chiusi a riccio ed era stato escluso un tentativo di estorsione.
Il suo istinto le suggeriva di non fidarsi di Nursef perché era convinta che, in un modo o nell’altro, fosse coinvolto.
«Dopo la cerimonia voglio scambiare due parole con lui, Tikki.»
 
Quel giorno, sorprendentemente, Plagg fu l’ultimo a raggiungere il covo, a causa di un importante riunione di lavoro.
Adrien e Angelina si trovavano già lì: la ragazza saltava da una pagina web all’altra, senza avere un preciso obiettivo. Lui, invece, era alle prese con un’intensa sessione di allenamento sulla sbarra posta a mezz’aria.
«Neanche di domenica mi lasciano in pace.» esordì Plagg. Infilò, poi, una mano nel taschino della giacca e ne estrasse una busta. «C’è posta per te, Adrien.»
Il ragazzo interruppe il suo allenamento e, dopo aver asciugato il torace imperlato di sudore, afferrò la busta. Era completamente rossa, sigillata con un timbro di ceralacca bianco raffigurante un dragone. Intuì immediatamente il mittente.
 
“Adrien,
Questi mesi trascorsi insieme a te sono stati i migliori della mia vita. Con te ho provato emozioni che non avevo nemmeno idea che esistessero.
Ma non posso sopportare di vederti abbandonare così alla sofferenza, al dolore. Meriti di meglio.
Ho deciso di tornare in Giappone perché è struggente per me vederti correre dietro ad un amore impossibile. Ed io non sono disposta a fare altrettanto con te.
Spero che un giorno ci rincontreremo e spero che, per allora, tu abbia preso la giusta decisione.
Ti auguro ogni bene.
                                       Katami”
 
«Ci sono problemi?» chiese Angelina vedendo il volto incupito di lui.
Adrien mostrò la lettera che aveva in mano. «È di Katami. È tornata in Giappone.»
«La cosa ti dispiace?» incalzò nuovamente Angelina.
«Era una buona amica. Ma lei sperava diventassimo qualcosa in più.» scosse la testa. «Per questo è andata via.»
«C’est la vie.» commentò Plagg.
Adrien ripose con cura la lettera nella busta e la poggiò in un cassetto.
Raccolse, poi, la sua maglietta e decise che era opportuna una doccia rinvigorente, che Plagg aveva fatto opportunamente installare nel rifugio.
«Che ha?» domandò Angelina.
Plagg si strinse nelle spalle. «I soliti problemi.»
«Marinette?»
Lui annuì. «Mi ha raccontato quello che è successo alla festa. La complicità tra Marinette e Luka, il bacio che gli ha strappato a forza Katami, la delusione sul volto di Marinette quando li ha visti insieme. Credo che sia veramente innamorato di quella ragazza. E credo che abbia iniziato a vedere in lei le qualità che mostra Ladybug. Il fatto che abbia baciato quest’ultima non è un caso.»
«Chissà cosa farà quando scoprirà che sono la stessa persona.»
Plagg ridacchiò. «Forse inconsciamente lui lo sa già. Ma l’informazione deve ancora arrivare a quel suo cervello contorto. A volte è davvero esasperante.»
Angelina si unì alle risate. «Questi ragazzi si complicano troppo la vita.»
 
Adrien uscì dalla doccia più determinato che mai. Aveva gli occhi che sembravano emettere scintille. «Devo dirglielo!»
Plagg ed Angelina si scambiarono uno sguardo confuso.
«Dire cosa a chi?» chiese lei.
«Devo dire a Marinette che la amo! Non m’importa se adesso sta con Luka. Lei deve sapere!»
Plagg lo fermò con veemenza. «Stai di nuovo prendendo decisioni avventate, ragazzo. Riaccendi il cervello. Non puoi andare da lei e vomitarle addosso una tale dichiarazione. Come pensi reagirebbe?»
«Ha ragione, Adrien.» intervenne Angelina.
Adrien sbuffò sconsolato e si lasciò cadere su una sedia. «Cosa dovrei fare allora?»
«Innanzitutto, smettila di essere così impulsivo.» replicò Plagg. «Rifletti prima di agire e gioca bene le tue carte. Vedrai che tutto si sistemerà.» concluse colpendolo con due pacche sulle spalle.
Angelina sorrise ed esclamò: «Concordo.»
«Ora, se non vi dispiace, vorrei seguire l’inaugurazione della nuova ala del Louvre.» disse Plagg, accendendo la tv. Indicò lo schermo e si rivolse ad Adrien ridacchiando: «C’è anche la tua amica dalla cinquina facile.»
Davanti all’ingresso del museo era stato allestito un piccolo palco, dal quale il direttore Nursef avrebbe tenuto un breve discorso. La piazza era gremita di gente, tutti muniti di biglietto per l’ingresso alle nuove sale. Il perimetro, stabilito da alcune transenne, era sorvegliato da diversi agenti di polizia, mentre quattro telecamere, poste ai lati, si occupavano delle riprese.
Ladybug si trovava accanto a Nursef. Appena arrivata aveva stretto la sua mano con palese indifferenza ed aveva continuato a squadrarlo durante le foto di rito. Nessun sorriso fu concesso alla folla da parte sua.
Sperò con tutto il cuore che Nursef non le chiedesse di intervenire nel discorso.
«Quel tipo non mi è mai piaciuto.» commentò Adrien nel momento in cui l’inquadratura si fermò su Nursef.
Plagg mugugnò, trovandosi d’accordo con l’amico.
Alle loro spalle, si udì un forte tonfo. I due si voltarono di scatto e videro Angelina stesa a terra, svenuta. Entrambi balzarono di scatto accanto alla ragazza e provarono a rianimarla: Plagg la colpì al volto con leggeri buffetti, mente Adrien le posizionò sotto al naso una boccetta di sali, recuperata velocemente dalla cassetta del pronto soccorso.
Lentamente, Angelina riprese i sensi ed indicò, tremolante, lo schermo. «Q-Quell’uomo...»
Adrien inarcò un sopracciglio, voltandosi verso la tv. «Norvich Nursef? È il direttore del Louvre.»
Sostenuta da Plagg, la ragazza si rialzò col busto, scuotendo con forza la testa. «No. Quello è Noel Norren!»
Adrien e Plagg spalancarono gli occhi, profondamente stupiti.
«Noel Norren?» questionò Plagg. «Il tizio che voleva rubare l’anello del Gatto Nero? Mi avevate detto che era morto nell’esplosione.»
«È lui, ti dico! Non potrò mai dimenticare quegli occhi e quel volto. Non so come abbia fatto, ma sono certa al 100% che sia lui.»
«Com’è possibile?»
«Chirurgia plastica suppongo. Ma io lo conosco troppo bene per non riconoscerlo. Può ingannare chiunque, non me.»
Adrien si avvicinò al televisore, poggiando entrambe le mani sul tavolo col busto inclinato in avanti, e fissò intensamente l’uomo inquadrato. «Quindi si è salvato.» Angelina annuì. «Ecco spiegato il motivo della cicatrice. Se l’è procurata dopo l’esplosione. Ed ecco perché quel tizio non mi è piaciuto dal primo momento.»
«Pensi abbia a che fare col tuo rapimento di dicembre?» chiese Plagg.
«Ne sono certo.»
«Adrien, se quello è Norren, Ladybug è in pericolo! Vorrà il suo Miraculous.»
Adrien non perse tempo e si fiondò subito verso la teca col suo costume. In pochi istanti, il modello lasciò spazio a Chat Noir.
«Dovrei andare anche io.» considerò Angelina.
In tutta risposta, Plagg le lanciò le chiavi della sua duetto. «Non rigarmela. E fa attenzione.»
La ragazza sorrise mentre lui le ammiccò.
 
Dieci minuti di discorso ininterrotto. Ladybug era già esausta: non vedeva l’ora che quel monologo finisse. Nursef aveva raccontato della storia del Louvre, della sua importanza a Parigi e di quanto fosse fiero della sua carica. Una noia mortale, considerando anche il tono basso e lagnoso della voce dell’uomo. La ragazza si guardò intorno in cerca di una piccola distrazione che le impedisse di crollare per la noia.
Improvvisamente, un botto acuto risuonò nell’aria. Tutti i presenti emisero un verso di stupore.
Ladybug si voltò verso Nursef e lo vide barcollare all’indietro. Una rosa di sangue sbocciò all’altezza del petto, macchiando la camicia bianca.
Ladybug allungò una mano verso di lui, nel tentativo di soccorrerlo. Un secondo botto.
I presenti intuirono la situazione ed urla di panico si innalzarono tra la folla. Gli agenti di polizia persero completamente la gestione dell’ordine.
Il terrore si espanse a macchia d’olio: urla e spintoni invasero la platea. In molti furono schiacciati dalla calca e rimasero gravemente feriti.
Ladybug, dopo il secondo botto, avvertì una fortissima fitta al fianco. Si toccò con la mano e notò che era ricoperta di sangue. Il suo sangue.
Era stata colpita, probabilmente da un cecchino appostato sul tetto di un palazzo nei dintorni.
Arrancò, con la vista leggermente appannata. Vide il fuggifuggi della folla e, accanto a lei, il corpo di Nursef, senza vita.
Provò a librarsi in volo: dopo due tentativi falliti, riuscì a sollevarsi da terra, nonostante il dolore atroce.
Esaminò i dintorni e scrutò l’ambiente. Infine, lo vide: un uomo alto e robusto, con una giacca a borchie viola scuro e una maschera integrale grigia sulla testa. La descrizione combaciava con quella fornitale da Chat Noir: Papillon.
L’uomo si stava allontanando rapidamente dalla zona, imboccando vicoli stretti, mentre imbracciava un pesante fucile a canna lunga, dotato di mirino laser. Probabilmente avrebbe raggiunto presto il suo veicolo per la fuga.
Ladybug si lanciò all’inseguimento.
 
«Plagg cos’è successo?» domandò Chat all’auricolare, a bordo della sua moto.
«Un cecchino! Ha colpito Nursef e Ladybug.»
«Maledizione!» imprecò l’arciere.
Era quasi giunto al Louvre, ma sapeva che non sarebbe stato facile avvicinarsi, vista la mole di persone che si allontanava da lì e le numerose volanti della polizia, accorse sul posto a seguito degli spari.
Svoltò in Rue de Rivoli ed accelerò per superare un paio di vetture. Guardò verso l’alto e vide un puntino rosso saettare verso Quai du Louvre: era claudicante, il volo non era lineare come sempre. Era palesemente ferita in maniera seria.
Giunto all’incrocio con Rue de l’Amiral, vide uno stuolo di persone riversarsi nella place du Louvre, bloccandogli il passaggio e costringendolo a inchiodare. Si guardò intorno in cerca di una soluzione.
Un’idea gli balenò in testa: scese dalla moto e sollevò una delle transenne, poggiandola di lato su un’autovettura parcheggiata. Saltò nuovamente in sella alla sua moto e, dopo un feroce rombo, la impennò ed utilizzò la transenna come trampolino. Strinse con tutta la forza le gambe sul sellino e sparò il rampino, che si ancorò ad un palazzo, sorvolando le teste degli ignari che fuggivano da lì.
Atterrò, finalmente, nello spiazzale e indugiò nel guardare il cadavere di Nursef. «Norren è morto! Stavolta per davvero.»
Ruotò di nuovo il polso ed accelerò: doveva aiutare Ladybug.
 
Ladybug assalì Papillon, piombandogli dall’alto. Rotolarono entrambi sull’asfalto. Il primo a rialzarsi fu proprio il terrorista, il quale estrasse subito una pistola dalla fondina della sua cintura.
Ladybug si rialzò a fatica, tenendosi stretto il fianco ferito. Impugnò il suo yo-yo e lo lanciò verso l’uomo, colpendolo alla mano armata.
Con un urlo di battaglia, Papillon si lanciò con tutta la sua foga verso Ladybug, sferrandole un diretto in pieno volto. Lei lo parò con entrambe le braccia, ma, facendo ciò, lasciò scoperta la sua ferita. Proprio quello che voleva Papillon.
Bloccò in una presa le braccia dell’eroina ed assestò due ginocchiate sul suo fianco ferito. Seguirono strilli di dolore da parte di Ladybug, senza la possibilità di poter rovesciare la situazione. Era troppo debole. Papillon ghignò malefico e la colpì con una poderosa testata che la fece svenire. L’uomo roteò il corpo, tenendo stretta la presa sulle braccia di lei, e la gettò ad un paio di metri di distanza come se fosse un sacco.
Il corpo della ragazza rotolò un paio di volte a terra. In quel momento, la trasformazione terminò e Ladybug tornò ad essere Marinette.
Tikki cadde priva di sensi sul petto della ragazza, mentre una piccola pozza di sangue fluì sotto al fianco ferito.
Papillon rise sprezzante, dando un’occhiata ai dintorni, completamente deserti. «Game over, Ladybug.»
Raccolse da terra la pistola e la puntò al cuore della ragazza.
Si udì un sibilo. Poi, uno sparo echeggiò nell’aria.
 
 
Angolo Autore:
Ok. Avete il diritto di odiarmi dopo un finale così. Ma ormai lo sapete: senza cliffhanger non mi diverto.
Adesso dovete raccogliere tutta la pazienza che avete e aspettare Mercoledì per sapere come andrà a finire. Manca poco ormai e non date nulla per scontato, perché non lo è affatto, nel bene e nel male.
Terrò da parte altri commenti, conservandoli per la prossima pubblicazione.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

Il rombo della moto di Chat si fece sempre più intenso, man mano che si allontanava dal casino di Place du Louvre.
La folla si era riversata completamente verso il lato nord-est rispetto al museo e la polizia stava cercando di riportare l’ordine, in modo da poter esaminare la scena del crimine.
Il lato sud era, quindi, deserto. Proprio dove Chat aveva visto Ladybug volare in picchiata.
Chat sentì urla strazianti provenire da un vicolo ad un centinaio di metri dalla sua posizione. Inchiodò la moto e proseguì di corsa fino a giungere alla fonte di quelle urla.
La scena che si ritrovò davanti lo sconvolse: Papillon in piedi, pistola alla mano puntata verso il corpo disteso di una giovane ragazza sul cui petto era poggiato un esserino rosso con le antenne. Non poté credere ai suoi occhi: Ladybug era in realtà Marinette, la sua Marinette, la ragazza di cui era innamorato.
E Papillon stava per ucciderla.
Anche in quella occasione, la sua parte razionale si spense, lasciando spazio all’istinto puro. Con una velocità sovraumana estrasse una freccia dalla faretra, tese l’arco e scoccò.
La freccia colpì in pieno petto Papillon, trapassandolo da parte a parte. La forza del colpo lo fece barcollare all’indietro e, allargando le braccia, partì un colpo dalla sua pistola; il proiettile rimbalzò sull’asfalto e rotolò lontano da lì.
Il corpo di Papillon si accasciò all’indietro e cadde a terra, morto.
Chat corse subito accanto a Marinette mentre Plagg lo richiamò più volte all’auricolare, spaventato da quello sparo. «Adrien! Stai bene?»
Come risposta ebbe un flebile sussurro: «Marinette.»
Poi lo sconcerto nel ragazzo si trasformò in terrore nel vedere la ferita grondante di sangue. «Plagg!» ringhiò all’auricolare. «Plagg, è ferita! Devo portarla in ospedale.»
«Non essere avventato, Adrien. Cosa direbbero se Chat Noir si recasse in ospedale con una ragazza ferita da un colpo di fucile?»
«Al diavolo! Non lascerò che muoia! Per me possono anche scoprire chi sono, ma almeno lei vivrà.»
«Ho una soluzione migliore.»
Un’automobile si fermò sgommando alle spalle di Chat. Lui si voltò e riconobbe subito la duetto dell’amico. Dal posto di guida scese Angelina. «Carichiamola sull’auto. La porto al covo e la aiuteremo io e Plagg.» disse lei.
Chat respirava affannosamente per lo spavento. «Angelina, non...»
La ragazza poggiò una mano sulla sua spalla. «Fidati di me. Ora sbrigati e aiutami.»
Chat annuì e si caricò il corpo di Marinette sulle braccia, mentre Angelina si occupò di mettere al sicuro Tikki.
Una volta caricata in auto, Angelina mostrò il pollice al suo amico ed effettuò un’inversione a U, sfrecciando via a tutta velocità. «Plagg, il tragitto più breve e veloce per il covo! Sbrigati, fratellone!»
Chat parve calmarsi e si voltò verso il cadavere di Papillon. Era il momento di riaccendere il cervello e fare ciò che andava fatto. La sua missione doveva continuare.
Si chinò, estraendo il suo smartphone, e tolse la maschera all’uomo. Fotografò il suo viso. Poi, privò l’uomo dei guanti ed applicò una pellicola adesiva sui polpastrelli, così da poter prendere le sue impronte digitali. Era necessario conoscere l’identità di quell’uomo: chiunque lo avesse mandato, avrebbe sicuramente insabbiato tutto ed avrebbe fatto sparire il cadavere, pur di coprire le proprie tracce.
Si rialzò e udì lo schiocco di due pistole caricate alle sue spalle. Si voltò e vide due agenti di polizia puntargli contro le loro armi.
«Alza le mani, Chat Noir!» gli intimò uno dei due agenti.
Lui obbedì. Il suo volto era corrucciato, furioso per la situazione. Non era in vena di combattere, aveva altro a cui pensare.
I due agenti mossero piccoli passi nella sua direzione. Uno dei due abbassò leggermente la pistola per afferrare le manette dalla sua cintura. Quel gesto fu fatale per gli agenti.
Chat afferrò il polso di quello più vicino e glielo storse del tutto, mentre colpì con un calcio la pistola dell’altro, sradicandogliela di mano.
Con una gomitata mise ko il primo agente, quindi sguainò la katana e la puntò alla gola dell’altro. «Non provate a seguirmi. Non è aria oggi.»
Spinse con la lama l’agente lontano da sé e si allontanò, salendo in sella alla sua moto.
 
Auguste Fabre si godè fino all’ultimo secondo la diretta della cerimonia. Almeno finché questa non era stata interrotta per via dell’attentato.
Si trovava nello studio di casa sua: una stanza arredata secondo uno stile di altri tempi, con mobilio in legno, numerose librerie e lunghi tappeti di colore scuro. Dietro la scrivania, campeggiava sulla parete un enorme stemma. Aveva la forma di uno scudo e, sulla superficie, erano disegnate due rose incrociate, una rossa ed una nera. Lo stemma originale della Rouge & Noir, di cui lui era il fondatore.
Fabre era un uomo di sessant’anni, capelli scuri corti, stempiati sulla fronte, grandi occhi neri e volto lungo e spigoloso. Fin da giovane aveva sviluppato un malsano fascino per l’occulto, che lo condusse lentamente ad una vera e propria ossessione. Vent’anni prima aveva fondato quel gruppo, concedendo favori ai membri che ne facevano parte in cambio di cospicui finanziamenti per le spedizioni alla ricerca di antichi tesori e reliquie.
Grazie alle ricchezze accumulate nel tempo, riuscì a diventare il proprietario della principale emittente televisiva francese. Aveva un grande potere nelle sue mani: i media erano un mezzo di pressione di gran lunga più efficace del denaro, capace di influenzare l’opinione pubblica con un semplice schiocco delle dita.
Ma non gli bastava. Voleva più potere.
E fu per questo che, quando si imbatté nella storia dei Miraculous, la sua brama lo spinse a concepire un piano per ottenerli.
Convinse uno dei suoi migliori uomini, Noel Norren, a coinvolgere un brillante professore di antiche civiltà. Norren fu anche in grado di entrare nel gruppo che partì per la spedizione in Tibet e, al momento giusto, avrebbe dovuto rubare i gioielli. Ma qualcosa andò storto e Fabre fu costretto ad abbandonare i suoi piani. Almeno finché a Parigi non apparve Ladybug, portatrice del Miraculous che lui riteneva perduto. Da allora, ideò un nuovo machiavellico piano per sottrarre l’oggetto dei suoi desideri.
La follia di Papillon era l’ideale specchietto per le allodole per il suo lavoro nell’ombra. Erano tutti burattini nelle sue mani, compreso Norren, ucciso perché sapeva troppo e mascherando il suo omicidio con un tentativo di uccidere Ladybug. A quello ci avrebbe pensato colui che credeva di manovrare il tutto, ignaro di essere stato manipolato fin dal principio: Gabriel Agreste.
 
Dopo aver sistemato la moto nel garage, Adrien si precipitò nel rifugio.
Si guardò intorno con agitazione. Non vedendo nessuno, si ricordò della camera che Plagg aveva allestito per le emergenze, su suggerimento di Angelina. Un modo per mantenere l’ambiente asettico.
Fissò la porta sconsolato. Per un secondo, ebbe l’impulso di entrare: voleva sapere le condizioni di Marinette. Ritenne, però, opportuno non disturbare Plagg ed Angelina. Sicuramente stavano facendo del loro meglio per salvarla; le conoscenze di Plagg, unite agli studi medici di Angelina si stavano rivelando fondamentali.
L’attesa era snervante ed alimentava la sua collera. Decise, quindi, di sedersi alla scrivania ed effettuare lui stesso le ricerche su quel volto e quelle impronte raccolte dall’uomo ucciso. Solo in quel momento si rese conto di ciò che aveva fatto: aveva ucciso un uomo. Un colpo preciso al petto lo aveva strappato alla vita.
Non aveva mai ucciso prima d’ora ed aveva promesso a Plagg che non l’avrebbe mai fatto. Aveva rotto quella promessa.
Ma per Marinette ne valeva la pena. Avrebbe fatto di tutto per lei.
Scacciò via questi pensieri e si concentrò sulla ricerca. L’uomo si chiamava Ahmed Madjen, algerino di 36 anni. Era un ex militare, facente parte della divisione dei tiratori scelti: un cecchino pressoché infallibile.
“Dunque l’obiettivo era veramente Nursef e non Ladybug.” pensò mentre osservava il fascicolo di Madjer.
Molte cose non gli tornavano. Innanzitutto il fatto che quell’uomo vestisse i panni di Papillon: poteva essere lo stesso di Natale? O la Rouge & Noir aveva diversi mercenari al suo servizio?
Per non parlare di Noel Norren: aveva una nuova identità, ma lo avevano eliminato ugualmente. Probabilmente sapeva troppo. Forse anche il nome di chi manovrava i fili.
Troppi dubbi. Ne avrebbe dovuto discutere con Plagg ed Angelina o, magari, chiedere anche a Fu, tornato a Londra in basso profilo dopo l’aggressione.
L’anziano uomo aveva raccontato di essere stato aggredito da un uomo ed una donna, entrambi col volto coperto da un passamontagna. Solo la donna aveva parlato, con voce metallica ed impostata; lui, invece, si era limitato alle percosse. Gli avevano intimato di rivelargli a chi avesse affidato il Miraculous, ma Fu aveva taciuto tutto il tempo e nemmeno le minacce erano servite a fargli aprire la bocca.
La porta della camera si aprì, finalmente.
Adrien balzò in piedi e si fiondò accanto a Plagg ed Angelina, appena usciti. Lo sguardo del ragazzo parlò per lui.
Plagg gli sorrise ed annuì.
Marinette era salva.
 
Adrien rimase seduto per diverse ore in quella camera, di fianco al letto dove giaceva Marinette. Indossava una felpa grigia con il cappuccio ed, in mano, aveva il suo visore pronto ad indossarlo qualora la ragazza si fosse svegliata. Avrebbe voluto dirle tutto, non avere più segreti con lei, ma doveva tacere. Almeno fin quando la Rouge & Noir non sarebbe stata sterminata.
Marinette dormiva seraficamente, sotto l’effetto dell’anestetico.
Angelina era stata magistrale: aveva poca esperienza sul campo, avendo assistito a pochi interventi cui aveva preso anche parte. Aveva il timore di sbagliare e causare gravi conseguenze per Marinette, ma Plagg l’aveva aiutata e, soprattutto, sostenuta per il tutto il tempo. Così era riuscita ad estrarre il proiettile, ad arginare l’emorragia e ricucire la ferita.
In quel momento di crisi, Angelina l’aveva sentito più vicino che mai, anche più di quando la sua identità era Nicolas Santiago. Aveva ritrovato suo fratello, ma avrebbe tenuto per sé quella bellissima sensazione. Almeno per ora.
Adrien continuò per tutto il tempo ad accarezzare la mano di Marinette. Il silenzio di quella stanza era intervallato dai bip del monitor cardiaco.
La mano della ragazza sussultò ed Adrien infilò rapidamente il cappuccio della felpa ed il visore, attivando, poi, il modificatore vocale, attaccato alla sua cintura.
Marinette spalancò i suoi bellissimi occhi azzurri e girò subito il capo verso il ragazzo. «C-Chat...»
«Sta calma.» le disse lui accarezzandole il capo.
«Dove mi trovo?» chiese lei in un sussurro.
«Sei nel mio rifugio. Angelina ti ha operato e rimosso il proiettile. Il potere del Miraculous ti ha protetto da conseguenze più gravi. Ora hai bisogno di riposo.»
«Cosa... Cosa è successo?»
«Quanto ricordi?»
Lei mosse la testa a destra e sinistra. «Ricordo di aver combattuto con quel tipo. Aveva una maschera grigia... Corrispondeva alla descrizione che mi hai fatto di Papillon. Mi ricordo di un dolore atroce al fianco, poi il buio.» alzò una mano e vide che non era guantata. Non aveva più il costume. Spalancò gli occhi e fissò Chat, con un’espressione terrorizzata.
Chat le afferrò teneramente la mano. «La tua trasformazione era già terminata quando sono arrivato lì. Nessun altro ti ha vista.»
«Dov’è Tikki?» chiese lei rassegnata.
«È nell’altra stanza con Angelina ed il mio partner. Aveva bisogno di recuperare le energie e le abbiamo portato dei biscotti, su sua richiesta.»
Marinette rilassò il volto, ma assunse un’aria triste. «Immagino tu sappia chi sono io. Il mio vero nome.»
«Marinette Dupain-Cheng.» rispose Chat, sorridendo. «Studentessa del liceo François-Dupont e figlia dei proprietari della miglior pasticceria di Parigi.»
«Sei ben informato, vedo.» sorrise anche lei. «Sei deluso?»
«Da cosa?» domandò lui confuso.
«Dallo scoprire che l’impavida eroina di Parigi è in realtà una semplice liceale, molto goffa e pasticciona. Tutt’altro che infallibile.»
Chat scosse il capo. «Solo una persona straordinaria poteva essere degna di indossare quegli orecchini.»
Vedendo l’espressione ancora turbata della ragazza, Chat incalzò: «A cosa pensi?»
«Papillon conosce la mia identità.» replicò lei.
Chat sospirò e si alzò dalla sedia dando le spalle al lettino. «Non è più un problema. È morto.»
Marinette sussultò.
«Gli ho piantato una freccia in petto prima che potesse spararti.» spiegò Chat. «Era la prima volta che uccidevo qualcuno. Ma lo rifarei per salvarti.» la sua voce si incrinò leggermente.
Marinette chiuse gli occhi e si portò un braccio alla fronte scuotendo la testa. «Non so se valgo tutto questo, Chat.»
«Infatti.» si voltò per guardarla. «Vali molto di più.»
Mentre si avviava verso la porta aggiunse: «Riposati. Appena calato il buio ti riporterò a casa così i tuoi genitori non sospetteranno nulla.»
«Chat!» esclamò lei richiamando la sua attenzione.
Chat si voltò e annuì.
«Nadja Chamack.» dichiarò Marinette. «È lei che ha insistito affinché andassi alla cerimonia. Fatti dire tutto quello che sa. Tu solo puoi farlo.» infine sorrise. «Grazie. Per tutto.»
 
Gabriel entrò nel suo studio, camminando con aria impassibile.
La stanza era spoglia ed incolore: pochi manichini sparsi in giro, un paio di quadri d’autore fissati sulle pareti ed una scrivania in legno pregiato, posta sul lato opposto rispetto alla finestra. Su di essa, erano poggiati diversi quaderni ricchi di bozzetti ed un computer di ultima generazione.
Alle spalle, torreggiava un enorme dipinto, raffigurante un ritratto in stile mosaico di Emilie Agreste: i colori dominanti delle decorazioni erano l’oro come i suoi fluenti capelli e il verde come i suoi occhi.
Gabriel si fermò proprio dinnanzi al ritratto della defunta moglie, sfiorandone la superficie con i polpastrelli della mano. Le sue dita si fermarono in un punto preciso ed esercitarono una lieve pressione sul piano. Quel gesto fece scattare un meccanismo e il dipinto scorse di lato, rivelando una stanza segreta celata dietro di esso.
Lo stilista entrò a piccoli passi, richiudendo la parete scorrevole alle sue spalle, premendo un pulsante posto sul muro accanto.
La stanza, illuminata da potenti luci al neon bianche, era leggermente più piccola rispetto allo studio adiacente: al centro campeggiava un bancone in acciaio, sul quale risaltavano numerosi contenitori di fialette, contenenti liquido rossastro. Accanto ad essi, una grande valigia nera.
Ai lati, vi erano due teche in vetro, contenenti armi di vario genere, da fuoco e non; infine, sul fondo, un enorme finestrone di forma circolare donava una visuale perfetta sull’hotel Bourgeois, in ristrutturazione in seguito all’esplosione e al conseguente incendio.
Sul volto di Gabriel si disegnò un ghigno malefico, mentre apriva la valigia: ne estrasse una maschera grigia, la maschera di Papillon. All’interno della valigia vi era il resto del costume, lacerato in alcuni punti, dopo essere stato coinvolto nell’esplosione di Natale.
La parete scorrevole si aprì nuovamente. Sull’uscio comparve la sagoma di Nathalie.
«Ebbene?» chiese Gabriel.
Lei scosse il capo, mantenendo il silenzio.
Furioso, Gabriel colpì il bancone con un pugno. «Mediocre!»
Nathalie continuò a rimanere impassibile postura eretta e fiera e le mani incrociate dietro la schiena.
«Voglio sapere cos’è successo.» grugnì Gabriel.
«Madjen ha ucciso Nursef e ha colpito Ladybug al fianco.»
«Non lo pago per uccidere persone a caso!» sferrò un altro pugno sul bancone. «Doveva uccidere solo Ladybug.» sospirò, cercando di calmarsi; quindi aggiunse: «Dov’è ora Madjer?»
Nathalie scosse nuovamente il capo. «È morto. Hanno trovato il cadavere in un vicolo a pochi isolati dal Louvre.»
Gabriel trasalì. «Morto?»
Lei annuì. «Trafitto al petto da una freccia nera.»
«Chat Noir...» mormorò lui, portandosi una mano al mento. «E Ladybug?»
«Sembra sparita. Accanto al cadavere di Madjer hanno trovato tracce di sangue che non appartenevano a lui; probabilmente lei lo ha affrontato dopo l’agguato al Louvre.»
«E poi è intervenuto Chat Noir. Interessante.» si interruppe per riflettere.
«A cosa pensi?» chiese Nathalie.
«Chat Noir non ha mai ucciso nessuno finora. Perché farlo con Madjer?»
«Lo avrà ucciso per sbaglio.»
«Impossibile. Chat è un arciere formidabile; se la freccia era nel petto di Madjer, quello era il suo bersaglio.»
«Una vendetta personale?» considerò lei. «L’ha pur sempre visto nei panni di Papillon.»
«Io credo l’abbia fatto per salvare Ladybug. Credo che conosca la sua identità e che sia una persona alla quale lui tiene molto. Ho studiato bene Chat. Non avrebbe mai ucciso se non costretto dagli eventi. E questo ci darà sicuramente un vantaggio.»
«Come intendi agire?»
Gabriel strinse i pugni, riassumendo lo stesso ghigno malefico di pochi minuti prima. «Ladybug sarà comunque fuorigioco, quindi procediamo come prestabilito. La gente crederà che Papillon sia morto e si sentirà al sicuro. E, a quel punto, colpiremo.» si voltò verso Nathalie. «Dì agli uomini di tenersi pronti. Io chiamerò Nadja; ci vuole un servizio con i controfiocchi.»
«E Chat Noir?»
«Non mi preoccupa. L’ho già battuto una volta e, da domani, sarò più forte che mai grazie a questi.» indicò le fialette sul bancone.
Lo sguardo di Gabriel si fece molto più intenso e fulminante. «Domani, l’intera città brucerà.»
 
 
 
Angolo Autore:
Salve bella gente!
Quante rivelazioni in questo capitolo! Spero che abbiate retto l’urto. Ormai tutti i nodi stanno venendo al pettine ed ognuno dei personaggi sarà coinvolto in verità sconvolgenti che lasceranno spazio ad azioni sciagurate ed altre ben congeniate.
Quando ho iniziato a scrivere questa storia ero ben convinto a mantenere lo stessa struttura di base della serie e quindi che Papillon fosse in realtà Gabriel, ma ho cercato comunque di fare in modo che non fosse così scontato. Anche la decisione che fosse Adrien il primo a scoprire dell’identità segreta di Marinette era stata presa fin dal principio.
Io ora vi lascio alle vostre riflessioni (e credo ce ne saranno diverse) e vi do appuntamento per il prossimo Sabato. Come sempre, vi ringrazio di cuore per essere arrivati fin qui.
A presto.
Nike90Wyatt
 
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

Adrien lasciò la camera, consentendo a Marinette di riposare: calata la notte, l’avrebbe ricondotta a casa, magari con l’aiuto di Plagg, per evitarle un viaggio in moto che, nelle sue condizioni, non era il massimo della comodità.
Il ragazzo si accomodò su una sedia, lasciandosi andare sullo schienale. Finalmente aveva l’occasione di rilassarsi dopo il turbine di emozioni che l’aveva travolto quel giorno.
Poco distante da lui, Plagg, Angelina e Tikki esaminavano le informazioni raccolte sull’uomo responsabile dell’attentato.
Plagg fu il primo ad avvicinarsi all’amico. «Come sta?»
Adrien poggiò sul tavolo il visore ed il modificatore vocale. «Stanca e confusa. Ma è viva, questo conta.» si rivolse, dunque, ad Angelina: «Grazie per quello che hai fatto per lei. Anzi, grazie a tutti voi.»
«Sei tu che l’hai portata in salvo.» intervenne Tikki, profondamente grata ai tre per aver salvato e protetto Marinette. «Sei arrivato appena in tempo per fermare quell’uomo.»
Adrien annuì mestamente e sussurrò: «L’ho ucciso. Ho infranto la promessa che ti avevo fatto, Plagg.» i suoi occhi divennero lucidi.
Plagg scosse il capo. «Hai fatto quello che ritenevi giusto. Se tu non l’avessi fatto, ora Marinette non sarebbe tra noi. Non angustiarti, Adrien!» gli poggiò una mano sulla spalla, stringendogliela. «Questo non è il momento per i rimorsi. Non ora che siamo vicini alla meta.»
«Hai ragione.» replicò Adrien in un sussurro.
«Riposati ora.» disse Plagg. «Tra non molto dovrai vestire di nuovo il costume.»
Adrien accolse il consiglio dell’amico ed iniziò a massaggiarsi le tempie con le dita, rilassando le membra.
«Come ti senti, ora che sai la verità?» gli chiese Angelina.
«Non lo so. Mi sento come se l’avessi sempre saputo. E adesso, non riesco a immaginare nessun’altra degna di vestire i panni di Ladybug.»
«Fu mi ha detto che lei gli ricordava Emilie, non fisicamente, ma nella purezza dello sguardo. Per questo l’ha scelta.»
«Si può dire che avesse pienamente ragione.» considerò Plagg.
Un sorriso spontaneo si disegnò sul volto di Adrien. Si voltò verso il tavolo dov’era poggiata una foto di lui con la madre. La afferrò e disse: «Grazie, mamma.»
 
Adrien rivestì i panni di Chat Noir quando l’orologio segnava le 22:00.
Tikki lo aveva rassicurato che i genitori di Marinette sarebbero stati impegnati per l’intera giornata in pasticceria e difficilmente sarebbero saliti in camera sua. Aveva libertà di agire.
Angelina somministrò un anestetico alla ragazza, caricandola poi nella berlina di Plagg.
Chat sedeva sul sedile anteriore, accanto a quello di guida, gettando, di tanto in tanto, un occhio ai sedili posteriori dov’era stata adagiata Marinette. Tikki vegliava su di lei.
«Plagg, dobbiamo interrogare Nadja Chamack.» dichiarò Chat.
Plagg assunse un’espressione perplessa. «Perché proprio lei?»
«Marinette è convinta che sia coinvolta nell’attentato di oggi. È stata lei a spingere Ladybug a partecipare alla cerimonia.»
«Fidatevi del suo istinto.» intervenne Tikki. «È molto raro che sbagli.»
«Come intendi agire?» domandò Plagg, convinto dalle parole della kwami.
«Andremo da lei appena accompagnata Marinette. Se sa qualcosa, dovrà dircela.»
«Sicuro di farcela? Non è stata certo una giornata leggera per te.»
Chat strinse i pugni, più determinato che mai. «Mettiamo fine a questa storia, Plagg!»
Giunti nei pressi della pasticceria Dupain-Cheng, Chat si caricò il corpo di Marinette sulle spalle e sparò il rampino, che si agganciò alla ringhiera del terrazzino.
Seguito da Tikki, raggiunse la botola che conduceva all’interno della camera. La kwami la attraversò magicamente e la aprì dall’interno consentendo all’arciere di entrare nella camera.
Chat adagiò Marinette sul letto e la coprì con un lenzuolo. «Qui ci sono le istruzioni per le medicine, Tikki.» disse porgendole un piccolo pacchetto sigillato contenente due scatoline di due diversi medicinali. «Domani convincila a non muoversi dal letto.»
Tikki si strinse nelle spalle. «Sarà difficile. È molto testarda.»
Chat sorrise. «Lo so. Tienila al sicuro.»
Tikki annuì.
Chat accarezzò delicatamente il volto di Marinette e le scoccò un tenero bacio sulla guancia. «Buonanotte M’Lady.»
Balzò fuori dalla botola e la richiuse alle sue spalle, atterrando, poi, sull’asfalto.
«Andiamo, Plagg! Devo far cantare una giornalista.»
 
Nadja Chamack spense la tv alla quale trasmettevano l’ennesimo servizio registrato su quanto accaduto al Louvre. Lei si era limitata ad esprimere una breve opinione, intervenendo telefonicamente ad una trasmissione pomeridiana. Quel giorno non era previsto che lavorasse e non aveva la minima intenzione di farsi vedere in giro. Non con quello che era successo, di cui lei ne era indirettamente responsabile.
Già era stato molto difficile tranquillizzare Manon, affermando che Ladybug avrebbe risolto la situazione come sempre. Adesso nemmeno lei sapeva cosa sarebbe successo. Di sicuro l’uomo che aveva orchestrato il tutto e che voleva la supereroina morta era furioso per quel fallimento. Era spaventata all’idea che potesse scatenare la propria collera su di lei.
L’unico pensiero che riusciva a rasserenarla era il suo ruolo nella vicenda: lei lo aveva svolto alla perfezione. Ladybug era alla cerimonia ed era un bersaglio ampiamente alla portata. Il resto non dipendeva da lei.
Sospirò e bevve l’ultimo sorso della sua camomilla. Indossò, dunque, la sua vestaglia e si preparò per andare a letto. Il giorno successivo sarebbe stato sicuramente molto pesante.
In quel momento, la luce si spense.
Nadja sussultò, convinta di sapere chi si sarebbe trovato alle sue spalle. «Ho fatto tutto quello che mi avevi chiesto. Ladybug era lì. Se il tuo uomo l’ha mancata, non è mia responsabilità.»
Provò ad assumere un atteggiamento sprezzante. Voleva dimostrare, forse più a sé stessa, che non aveva paura.
Si voltò e si ritrovò la lama di una katana a pochi centimetri dalla sua gola. Guardò oltre e scorse una figura incappucciata e due intensi bagliori verdi all’altezza degli occhi.
Non era la persona che credeva.
«Aspettavi qualcun altro, Nadja?»
La donna sgranò gli occhi e deglutì. «C-Chat Noir! C-Cosa fai qui?»
«Voglio una risposta alla mia domanda. Chi aspettavi? Papillon?»
«Papillon è morto. Lo hai ucciso tu se non sbaglio.»
Chat strinse la presa sulla katana e la avvicinò ancora di più alla gola della giornalista.
Lei poté avvertire il freddo della lama a contatto con la pelle.
«Dimmi chi c’è dietro a tutto questo.» disse lui. «Bada che non accetterò risposte vaghe o prese in giro.»
Nadja, infine, sospirò e si arrese di fronte alle minacce di Chat. «D-D’accordo ti dirò tutto. Ma ti prego, non fare del male a mia figlia.»
Chat abbassò la lama e moderò il tono. «Non ne ho l’intenzione. Ti ascolto.»
«Circa sette anni fa avevo tanti debiti, senza un marito ed una figlia in arrivo. Ero sola. All’epoca ero una semplice reporter per una piccola emittente, non guadagnavo abbastanza.» la voce le si incrinò e calde lacrime le bagnarono le guance. «Auguste Fabre si offrì di aiutarmi: pagò tutti i miei debiti e mi promise anche un lavoro. Diceva che ero in gamba. In poco tempo, la mia carriera si impennò vertiginosamente, fino ad arrivare dove sono adesso. In cambio, dovevo solo ospitare le persone che diceva lui e fare pressioni sul pubblico elogiando i politici suggeriti da lui. Non ho mai voluto farmi domande a riguardo; l’unico mio pensiero è sempre stato e sempre sarà Manon.»
«Queste persone... Erano della Rouge & Noir?»
Nadja annuì. «Fabre ne è il fondatore. Io non ne ho mai fatto parte, ma conoscevo i nomi dei membri.»
«E per quanto riguarda Ladybug?» chiese Chat.
Nadja si strinse nelle spalle. «Ho sempre avuto carta bianca sui servizi che la riguardavano. Fabre mi diceva di dare alla gente quello che voleva sentirsi dire.»
«Continua la storia.»
«Tre anni fa è venuta una donna da me. Mi disse che avrei dovuto partecipare ad un importante progetto che riguardava l’intera città e che il mio ruolo nella televisione era decisivo nella riuscita.»
«Chi era questa donna?»
«Nathalie Sancoeur, l’amministratore delegato della casa di moda Agreste.»
Chat fu scosso da quella rivelazione ma si impose di rimanere impassibile. «In cosa consiste questo progetto?»
«Far fuori Ladybug.» rispose Nadja, singhiozzando. «Hanno minacciato di far del male a Manon se mi fossi rifiutata.»
«”Hanno”?»
Nadja si asciugò le lacrime con un fazzoletto e si schiarì la voce. «Gabriel Agreste. È lui il direttore d’orchestra di tutto.»
Chat si pietrificò. Sapeva che il padre fosse coinvolto, ma mai avrebbe pensato che partisse tutto da lui. Prese un respiro profondo e domandò: «Fabre lo sa?»
Nadja scosse la testa. «No. A lui interessa solo la televisione. Per Gabriel è una sorta di vendetta personale. E tu gli hai messo parecchio i bastoni tra le ruote. Organizzò il rapimento di suo figlio Adrien perché pensava che ci fosse lui sotto al cappuccio. Quando sei apparso alla sfilata delle giovani promesse, si è persuaso che il figlio non avesse nulla a che fare con te. L’attentato di Natale era una prova di forza, un messaggio da inviare a te, Ladybug e a tutta Parigi. L’esplosione non era prevista, ma lui ha detto che era un rischio calcolato. E, se fosse riuscito a togliervi di mezzo già allora, tanto meglio.»
«Tutto per uccidere Ladybug...» commentò Chat.
«Sono quattro anni che si prepara. Ora so che ha qualcosa con cui è sicuro di averla vinta.»
«Cosa? Un’arma?»
«Non lo so... Ma io ho paura. Ti prego, non voglio che Manon sia in pericolo.» gli afferrò il braccio con entrambe le mani, supplicandolo di aiutarla, di proteggere la figlia.
Chat non si ritrasse e le poggiò una mano sulla spalla. «Hai fatto la scelta giusta stasera. Lo fermerò, te lo prometto.»
 
Plagg attendeva nell’automobile seduto al posto di guida. Aveva ascoltato tutta la confessione di Nadja ed era rimasto basito, sebbene avesse nutrito, in passato, sospetti su un coinvolgimento di Gabriel. Ma non avrebbe mai immaginato che fosse lui a muovere i fili.
La portiera dell’auto si aprì e Chat si sedette accanto a lui.
Plagg avviò il motore e partì. «Mi dispiace, Adrien.» scosse la testa. «Non credevo che tuo padre potesse arrivare a tanto.»
Adrien emise un verso di stizza. Era furioso e, soprattutto, deluso. «Vuole uccidere Ladybug. Vuole il Miraculous. Quello che la mamma voleva proteggere.» strinse i pugni, ringhiando: «Lo fermerò, a qualunque costo.»
«Vuoi fermarti da me, stanotte? Immagino sia difficile per te dormire alla villa, a pochi passi da lui.»
«No. Se lui è veramente l’artefice di questo machiavellico piano, potrebbe insospettirsi. Devo comportarmi normalmente. Domani scenderò a fare colazione come tutti i giorni, andrò a scuola e tornerò a casa per pranzo. E se dovessi incontrarlo, dovrò sorridere all’uomo che vuole uccidere la ragazza che amo.»
Plagg assentì con soddisfazione: nonostante le rivelazioni scioccanti di quel giorno, Adrien stava dimostrando un’invidiabile maturità e sangue freddo. Erano necessari: arrivati a quel punto, non erano più concessi errori. C’era troppo in ballo. «Quando hai intenzione di affrontarlo? E soprattutto in quali panni?»
«Domani stesso Chat Noir gli farà visita. Nasconderò il costume nella mia camera: quando calerà il buio, mi introdurrò nel suo studio e lo catturerò. Poi toccherà a Nathalie. Farò sputare loro tutta la verità.»
«Verrò anch’io, allora.»
«No, Plagg. Apprezzo il tuo aiuto, ma stavolta devo affrontare da solo mio padre.»
Con riluttanza, Plagg accettò la sua decisione. Scalò la marcia ed imboccò un lungo viale: Villa Agreste si scorgeva sul fondo. «Metterò sotto controllo il telefono di Nadja. Più prove abbiamo, meglio è.»
Adrien quasi non ascoltò quelle parole. Era troppo preso da ciò che avrebbe dovuto fare. Gabriel era suo padre e l’aveva sempre rispettato, sebbene non condividesse gran parte delle scelte della sua vita. Anche quando Emilie era ancora viva, non era molto presente, completamente assorto nel suo lavoro, ma, comunque, gentile ed affabile, nonostante la severità e l’eccessiva ambizione che lo caratterizzavano. La morte della moglie lo aveva trasformato ed ora era un criminale a tutti gli effetti. Ed andava fermato.
 
Le ore scolastiche sembrarono interminabili quel giorno.
Adrien era presente fisicamente, ma la sua mente vagava altrove: il primo pensiero fu rivolto a Marinette e fu lieto che lei avesse seguito il suo suggerimento e fosse rimasta a casa.
Per il resto della giornata, rifletté sul modo in cui avrebbe affrontato il padre. Lo aveva evitato in tutti i modi possibili: si era svegliato molto prima del solito orario per consumare la colazione da solo e, a pranzo, aveva riferito a Nathalie di avere compiti in arretrato da recuperare, nella speranza che se la sarebbe bevuta. Anche se, arrivati a quel punto, non contava più di tanto.
La vera maschera era quella che aveva indossato quel giorno a scuola, comportandosi normalmente con i compagni ed ostentando ignoranza riguardo l’assenza di Marinette. Era diventato fin troppo bravo a mentire.
Attese in solitudine, nella sua stanza, il calar della notte. Conosceva le abitudini del padre e sapeva che passava l’intera giornata all’interno del suo studio, e lì lo avrebbe trovato.
Giunta l’ora prestabilita, Adrien sollevò il materasso del suo letto e raccolse la sacca nera che vi aveva nascosto. La aprì e ne estrasse il suo costume, diventando di nuovo Chat Noir.
Aprì la porta della sua camera con discrezione, gettando una rapida occhiata nei corridoi per assicurarsi che fossero deserti. Scivolò attraverso l’atrio principale, rasentando il muro, e raggiunse l’ala della villa dove si trovava lo studio di Gabriel. Sapeva che l’intera villa pullulava di telecamere, ma conosceva bene gli angoli morti e li sfruttò tutti, giungendo al suo obiettivo, dinnanzi alla porta dello studio. Lentamente, abbassò la maniglia e sgattaiolò all’interno.
Gabriel si trovava in piedi, girato di spalle, intento ad osservare il dipinto della moglie.
Chat estrasse una freccia e puntò l’arco, pur avendo le mani che gli tremavano. Lo stilista udì quel leggerissimo tintinnio provocato dalla corda dell’arco a contatto con la freccia e ghignò. «Mi chiedevo quando mi avresti concesso l’onore di una tua visita. Non potevi scegliere serata migliore.»
«Gabriel Agreste. I tuoi crimini finiscono qui.» disse Chat, pur avvertendo la sua voce farsi roca.
Gabriel si voltò senza abbandonare il suo ghigno beffardo. «I miei crimini?» allargò le braccia. «E quali sarebbero?»
Chat guardò il padre come se lo vedesse per la prima volta. «Sei stato tu a mandare quell’uomo all’hotel Bourgeois la notte di Natale. Tu hai mandato il cecchino al Louvre ieri. Per uccidere Ladybug!»
«Dunque avevo ragione. Ci tieni a lei.»
Chat digrignò i denti e mosse brevi passi verso lo stilista, tenendo l’arco puntato. Dentro di sé, si agitavano sentimenti contrastanti. «Sei membro della Rouge & Noir.»
Gabriel strinse le spalle. «Se vuoi ottenere risultati, devi essere disposto a tutto.»
«E non contano le persone che fai soffrire nel perseguirli?» si accorse di aver urlato eccessivamente e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Sacrifici necessari se vuoi mandare un messaggio forte. E stasera, tutta Parigi lo conoscerà.»
«Non credo proprio.»
Chat mirò alla spalla di Gabriel, il colpo che utilizzava sempre per mettere ko un avversario, ma le lacrime gli offuscarono la vista, bagnando leggermente le lenti del visore; scoccò la freccia, ma Gabriel la afferrò a pochi centimetri dal suo corpo.
L’uomo rise con presunzione. «Eppure ti avevo avvertito, ma sei duro di comprendonio. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura.”»
Chat restò sconcertato. «Pap... Pa-Papillon.»
Gabriel roteò lentamente la freccia nella mano e, sfruttando l’indecisione dell’incappucciato, la lanciò improvvisamente nella sua direzione.
Con un riflesso felino, Chat si parò con l’arco, non accorgendosi, però, che Gabriel aveva accorciato le distanze e lo assalì balzandogli contro a piedi uniti.
Il colpo spinse Chat a terra; rotolando sul pavimento, si rialzò repentinamente, gettò l’arco di lato ed ingaggiò uno scontro fisico con lo stilista. Provò a colpirlo al volto con un calcio rotante, ma Gabriel si abbassò e schivò il colpo. Con il piede di appoggio, Chat saltò e sferrò un secondo calcio che, stavolta, andò a segno, colpendo lo stilista in pieno viso.
Gabriel arretrò di un paio di passi. Sentendosi pizzicare al labbro, si toccò con un dito in quel punto. Osservò il polpastrello e notò una goccia di sangue. Rise sghembo.
Si tolse gli occhiali, gettandoli di lato, e disse: «Le cose si fanno interessanti.»
Gabriel assestò due pugni ed un calcio, ma Chat riuscì a pararli entrambi; roteò il busto e colpì l’uomo con una ginocchiata alla bocca dello stomaco.
«Fa vedere di cosa sei capace.» lo provocò Gabriel, tenendosi momentaneamente il punto colpito con una mano, senza mai perdere quel suo sorriso sarcastico.
Voleva innervosire il suo avversario ma, fino a quel momento, i suoi tentativi erano stati vani. Chat riprese le ostilità, sferrando un colpo laterale col braccio. Stavolta, Gabriel riuscì a pararlo ma la violenza fu tale da farlo vacillare. Con rabbia, provò un contrattacco tirando un diretto in pieno viso di Chat, che, però, gli afferrò la mano e gliela bloccò.
Restarono per qualche secondo fermi in quella posizione, in una sorta di gara di forza.
«Non ti stai impegnando abbastanza.» ribadì Gabriel.
Chat restò impassibile. Gli era superiore e ne era conscio. Spostò leggermente il pugno di Gabriel, quindi strinse la presa, lo sollevò al di sopra della sua testa e lo proiettò a terra gettandosi all’indietro.
Gabriel impattò violentemente al suolo con la schiena, emettendo un verso di dolore, mentre Chat estrasse la sua katana e gli intimò: «Arrenditi!»
Gabriel, in un primo momento, digrignò i denti, consapevole che, forse, aveva sottovalutato il suo avversario. Lo fissò e riprese a ridere arrogante. «Hai perso.»
Con il volto rigato dalle lacrime, Chat si liberò di cappuccio e visore, mostrando il suo volto. Il volto di Adrien. «Sì, ho perso contro mio padre.»
Gabriel sussultò. «Adrien...»
Un intenso rumore metallico echeggiò nella stanza. Adrien barcollò per qualche istante. Gabriel spostò lo sguardo oltre la sua sagoma e vide Nathalie, la quale impugnava una mazza ferrata.
 Il giovane cadde a terra, privo di sensi.
 
 
 
Angolo Autore:
Anche questa volta, Plagg aveva ragione e sarebbe stato meglio che avesse accompagnato Adrien in questa missione tanto dura. Se pensavano che Gabriel si sarebbe arreso tanto facilmente, si sbagliavano di grosso. E non è nemmeno questa la parte più difficile: per forza di cose, adesso, occorrerà un confronto faccia a faccia tra padre e figlio, ma stavolta senza maschere. Reputo questa fase molto delicata e per questo motivo ho scelto di puntare tutto su Adrien in questo capitolo, così da far venir fuori tutte le sue insicurezze, tutti i suoi dubbi, ma contemporaneamente anche la sua straordinaria forza d’animo nel voler perseguire il suo obiettivo in nome della madre, pur sapendo che il suo principale nemico è proprio suo padre.
In passato qualcuno nei commenti aveva ipotizzato che fosse Emilie dall’alto ad aver guidato Marinette prima da Fu per il Miraculous e poi dal figlio Adrien. Diciamo che la realtà è molto vicina a questa ipotesi.
Per la prossima pubblicazione dovrete aspettare fino a Mercoledì (sono buono e non vi terrò molto sulle spine). Sto cercando di accelerare un po’, in modo da rientrare perfettamente nei tempi. E la suspense toccherà livelli altissimi.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


 

Capitolo 30

Adrien si risvegliò a seguito di un getto d’acqua sul volto. Scosse la testa per liberare gli occhi dall’acqua e provò a guardarsi intorno, sebbene avesse la vista appannata ed un fortissimo mal di testa.
Era stato legato per i polsi a due catene appese al soffitto, lasciato in piedi e privato della parte superiore del costume, restando a torso nudo. La stanza dove si trovava era buia, illuminata alle sue spalle da una finestra, che dall’ombra lui ritenne essere di forma circolare. Di fronte a sé vi era un bancone su cui erano poggiate delle fialette e, sui lati, alcune teche, zeppe di armi.
L’uomo che lo aveva inzuppato era il gorilla, colui che aveva il ruolo di sua guardia del corpo, un uomo dall’aspetto gorillesco, molto robusto, capelli medi brizzolati.
Adrien non ebbe dubbi: era nel covo di Papillon, suo padre.
La parete all’opposto si aprì e Gabriel Agreste fece il suo ingresso nella stanza, accendendo le potenti luci al neon. Adrien strinse gli occhi, accecato dal bagliore, mentre Gabriel mandò via, con un cenno, il gorilla.
Abituatosi alla luce, Adrien sollevò lo sguardo e vide suo padre. Gli occhi si riempirono di rabbia.
«Eri riuscito a convincermi che non fossi tu, quando vidi te e l’arciere alla sfilata.» esordì Gabriel. «Ora però ho il quadro completo. Era Plagg, vero?»
Adrien non rispose.
«Tua madre gli voleva bene e ho sempre rispettato la sua scelta. Sareste dovuti restare a New York.»
«Perché lo fai?» domandò Adrien a denti stretti.
«Non lo immagini? Tua madre è stata uccisa a sangue freddo e Parigi merita di soffrire almeno quanto ho sofferto io. Privarli di ciò che più adorano sarà il primo passo. Ho trascorso 4 anni ad allenarmi e a sfruttare tutto ciò che potevo per arrivare a questo momento e finalmente ho ottenuto quello che mi serviva.» indicò le fialette sul bancone. «Loro si sentono al sicuro con Ladybug. Ma se gliela strappassi, cosa farebbero? Andrebbero nel panico ed è in quel momento che li colpirò. Senza contare che Ladybug rappresenta un insulto alla memoria di Emilie: Fu le aveva promesso di custodire il Miraculous e lui, invece, l’ha dato via ad una ragazzina appena un anno dopo la morte di tua madre.»
«L’ha fatto perché ha trovato una persona degna di custodire quegli orecchini.» replicò Adrien.
Gabriel lo fisso intensamente negli occhi. Poi annuì. «Ci tieni a lei... Hai ucciso per lei. È Marinette Dupain-Cheng, non è vero?»
Il silenzio di Adrien confermò la sua tesi. «Avevo già dei sospetti su di lei, ma è brava a nascondere la verità dietro quel viso angelico. Sta tranquillo, non saprà mai che la persona che l’ha tradita sei proprio tu.»
«Sta alla larga da lei!» ringhiò Adrien.
Gabriel scosse la testa. «Per quanto possa valere, mi dispiacerà ucciderla. Sarebbe diventata un’ottima stilista.»
Adrien urlò di rabbia, strattonando le catene che lo tenevano legato, senza però ottenere nulla.
L’espressione di Gabriel rimase impassibile. «Patetico. Quando tornerai a New York la dimenticherai.»
«Non tornerò mai a New York! Non prima di aver fermato la tua follia!»
«Sei ancora giovane. Ma un giorno capirai. E comunque, hai già fallito due volte contro di me. Hai quasi mandato tutto all’aria quando hai incendiato il denaro che doveva trasferire Lawrence. Per fortuna la nostra ricerca su questo siero era già a buon punto.» raccolse una delle fialette e ne bevve il contenuto. Le vene del suo corpo si ingrossarono, diventando molto più spesse. Lui emise grugniti cavernosi ed iniziò a tossire. Dopo qualche secondo, la situazione tornò alla normalità. «Mi sento un leone! Con questo, nessuno potrà fermarmi!»
Salutò con un cenno Adrien e lasciò la stanza, mentre il ragazzo continuava a gridare: «Sei un folle! Papà fermati, fermati!» pianse di rabbia, dolore e disperazione.
Gabriel incrociò Nathalie nel suo studio. «Riferisci agli uomini che il momento è giunto.»
Nathalie assentì mentre lui vestì nuovamente i panni di Papillon.
Al segnale della donna, attraverso il suo cellulare, un boato dal suono metallico echeggiò nell’aria e, in un attimo, l’intera Parigi cadde al buio. I primi disagi furono avvertiti dagli automobilisti che, senza le indicazioni dei semafori, non ebbero modo di prevenire incidenti ai numerosi incroci della città.
Il covo di Plagg restò al buio per qualche istante, fin quando non si attivò il generatore di emergenza.
«Cos’è stato?» domandò Angelina.
Plagg digitò rapidamente dei tasti al pc, scoprendo la natura del black-out. «Corto circuito totale alla centrale elettrica. Tutta Parigi è al buio.»
Il volto di lei si incupì. «Pensi sia stato Gabriel?»
«Le centrali elettriche hanno un articolato sistema di sicurezza per prevenire un black-out totale. Sicuramente è stato provocato.»
Plagg compose velocemente un numero telefonico sul suo cellulare satellitare.
Una voce femminile rispose all’altro capo. «Dominus. Perché questa chiamata?»
«Ho bisogno di una scansione a infrarossi su Parigi. Ricordi che mi devi un favore?»
«Con piacere, Dominus. Ma ho qualcos’altro da chiederti.»
«Ti ascolto.»
«Voglio la Rouge & Noir. So che tu e il tuo amico incappucciato ve ne state occupando. Voglio il loro capo.»
«Forse quello che ti ho chiesto è parte del problema. Accetto, comunque.»
«Molto bene. Attendo aggiornamenti.»
La chiamata si interruppe. Sullo schermo di Plagg apparve ciò che lui aveva chiesto. L’immagine scattata dal satellite confermò i suoi sospetti. «Una granata EMP ha fritto i circuiti.»
«Cosa facciamo?» chiese Angelina.
Lui ponderò con cura il da farsi. «Adrien non ha ancora chiamato. E ora questo. Non è andata come pensavamo.» si interruppe scuotendo il capo. «Devo andare a Villa Agreste!» esclamò, raccogliendo la sua balestra.
«Io cosa faccio?»
Plagg le lanciò il cellulare usato poco prima. «Resta qui e rispondi se dovessero chiamarti. Potrebbe essere l’unico aiuto che avremo. Ci terremo in contatto con questo.» indicò dei microfoni ad altissima tecnologia: un nuovo sistema di comunicazione inventato da lui che impedisse le intercettazioni.
«Buona fortuna, fratellone!» esclamò lei.
 
Sabine entrò nella camera della figlia, reggendo in mano una torcia accesa ed una spenta. «Tesoro, ti ho portato questa nel caso ne avessi bisogno.»
Marinette era stesa sul divanetto, utilizzando la torcia del cellulare per illuminare la stanza. «Grazie mamma. Poggiala lì.» indicò la scrivania.
Sabine si avvicinò a lei e le accarezzò una guancia. «Come ti senti?»
«Molto meglio. Credo che domani sarò già in grado di andare a scuola.»
Sabine sorrise. «Ottimo. Riposati allora.»
Una volta che la donna ebbe lasciato la stanza, Tikki sbucò dal cuscino dietro al quale si era nascosta. «Angelina ha fatto davvero un ottimo lavoro. Ti vedo già molto ripresa.»
Marinette annuì col capo. «Anche il siero che mi ha dato il partner di Chat fa il suo. Mi sento molto meglio.»
Il trillo del cercapersone la fece sobbalzare: era quello donatole dal commissario Raincomprix. La luce emessa dal piccolo led era rossa, la vibrazione ed il suono erano all’intensità massima. Significava solo una cosa: allerta assoluta.
Marinette guardò Tikki, la quale, immediatamente scosse la testa. «No, Marinette!»
«Tikki, ti prego. Non possiamo abbandonare i cittadini di Parigi.»
«Chiama Chat Noir e lascia che se ne occupi lui. Tu devi ancora riprenderti.»
«Lui ha già detto che non si interessa di ordine pubblico. Questo black-out può aver causato danni enormi e messo in pericolo tante persone. Non possiamo far finta di niente.»
«Ne va della tua salute.»
Marinette strinse i pugni. «Sono pronta a rischiare. Il potere del Miraculous unito all’antidolorifico farà in modo che sia come sempre. Non sentirò nulla.»
Tikki roteò gli occhi al cielo. Conosceva bene la testardaggine della sua amica, ma stavolta stava mettendo troppo in gioco. Alla fine, però, si arrese alle sue suppliche. «Promettimi che non farai mosse avventate. Anzi, giuramelo.»
Marinette si portò una mano al cuore ed alzò l’altra all’altezza della spalla. «Lo giuro.»
 
Adrien cercò di scacciare tutta la rabbia, di svuotare la mente. Aveva bisogno di essere lucido e freddo, se voleva avere una possibilità di sconfiggere il padre, ora che si era anche potenziato.
Respirò profondamente e si concentrò.
Un’idea gli balenò in testa: alzò lo sguardo e strinse la presa sulle catene. Si sollevò da terra ed inarcò il corpo, incrociando le gambe in alto. Lentamente, iniziò a scalare le catene con la sola forza delle braccia. Quando ritenne di aver raggiunto un’altezza sufficiente si lasciò cadere. Lo strattone fu tale da sradicare le catene dal gancio sul soffitto. Grazie alla sua agilità, Adrien atterrò sui piedi piegandosi sulle ginocchia.
Non avendo ancora i polsi liberi, raccolse le catene e si avvicinò alla parete scorrevole. Tastò il muro che aveva visto precedentemente premere dal padre e trovò un bottone. Premendolo, la parete si aprì.
Procedette con cautela e i sensi ben all’erta attraverso lo studio, illuminato solo dalle luci di emergenza rosse. Avvicinandosi alla porta, udì un pesante tonfo; la porta si aprì e vide una balestra puntata contro di lui. Rilassò il volto quando riconobbe l’uomo che la reggeva.
«È sempre un piacere vederti, Plagg.»
«Il piacere è reciproco, fratello.» indicò le catene con la testa. «Non è andata come pensavi.»
«L’ha aiutato Nathalie. L’hai vista?»
Plagg scosse la testa. «C’era solo lui.» si spostò di lato, mostrando il corpo del gorilla a terra, trafitto da un dardo tranquillante.
Adrien si chinò sul corpo del gorilla, perquisendone le tasche. Trovò, infine, le chiavi per aprire le catene.
«Cos’è successo?» chiese Plagg.
Adrien sospirò, mentre entrambi si avviarono verso la camera del ragazzo. «Lo sta facendo per la mamma. La sua morte l’ha condotto alla follia. Vuole uccidere Ladybug e vuole vedere Parigi bruciare. Ha bevuto una sostanza che lo ha sicuramente potenziato.»
«Credo che sia lui il responsabile di questo casino.»
«Il black-out?»
Plagg confermò col capo. «Ha usato una granata EMP sulla centrale elettrica. Ci vorrà un po’ prima di rimettere le cose a posto. Ho chiesto ai miei dipendenti di portare i generatori del mio laboratorio alla polizia.»
Adrien entrò nella sua camera ed infilò una camicia scura. «Hai un altro costume? Suppongo che mio padre abbia tolto di mezzo quello che avevo.»
Plagg annuì. «Glielo metterò sul conto.»
Adrien aprì un cassetto e ne estrasse un braccialetto, quello regalatogli da Marinette, il suo Lucky Charm.
 
Mentre i poliziotti si occuparono di disporre i generatori dell’azienda di Plagg in punti strategici, Ladybug pensò all’ondata criminale esplosa in seguito al black-out, oltre ad aiutare i cittadini in difficoltà. La polizia non era in grado di coprire l’intera superficie della città, oltre all’evidente difficoltà negli spostamenti a causa degli enormi ingorghi per le strade.
Ladybug atterrò accanto al commissario Raincomprix che l’aveva chiamata poco prima attraverso la radio di cui l’aveva equipaggiata per le comunicazioni. Iniziava ad avere il fiato corto, le sue energie si stavano lentamente esaurendo e la ferita le dava, di tanto in tanto, una fitta.
«Abbiamo una segnalazione, Ladybug.» le disse il commissario. «Notre Dame. Sembra che un pazzo abbia acceso delle fiaccole e minacci di bruciare Parigi.»
«Mi occuperò di questo squilibrato.»
Spiccò il volo e si diresse verso la monumentale cattedrale. Già da lontano scorse le fiaccole accese disposte a cerchio nello spiazzale davanti alla facciata. Al centro del cerchio, vi era un uomo voltato di spalle; indossava una maschera integrale ed un abbigliamento che la ragazza trovò tremendamente familiare.
Ladybug sbatté fortemente le ali e planò a terra. «Devo chiederle di seguirmi.»
L’uomo non si voltò. Alzò una mano in alto; stringeva una croce. «Tenete la croce in alto, cosicché io possa vederla anche attraverso le fiamme.»
«Giovanna D’Arco.» replicò Ladybug.
«È magnifico il fuoco: illumina, riscalda e purifica. Proprio quello che accadrà a questa città. Il fuoco la purificherà.»
Ladybug strinse lo yo-yo nella mano, alquanto perplessa di fronte a quello squilibrato. «La prego, mi segua e potrò aiutarla.»
L’uomo rise. «Io non ho bisogno del tuo aiuto, Ladybug. Io ho bisogno che tu muoia.»
Si voltò e Ladybug saltò alcuni battiti del cuore: quell’uomo era vestito come Papillon.
«Se te lo stessi chiedendo, non sono un emulatore. Sono il Papillon originale.»
Ladybug corrucciò il volto ed iniziò a far roteare lo yo-yo; lo lanciò violentemente verso il volto di Papillon, ma lui lo afferrò e lo bloccò. Tirò a sé l’eroina e la colpì con una ginocchiata al fianco ferito. Lei vacillò, prima di essere afferrata per la gola, mentre, con l’altra mano, Papillon le premeva la ferita. «So tutto di te, Ladybug. Le tue passioni, le tue paure, le tue debolezze.» si interruppe, aumentando la stretta alla gola e sollevandola da terra. «Anche la tua identità, Marinette Dupain-Cheng.»
Ladybug sentì l’ossigeno venirle meno, la vista le si offuscò e lacrime di dolore le bagnarono le guance.
Un urlo di dolore risuonò nella piazza e Papillon lasciò la presa. Ladybug cadde carponi a terra; tossendo, iniziò a massaggiarsi il collo. Riacquistata la normale respirazione alzò lo sguardo e vide Papillon estrarre una freccia dal suo fianco. Girò la testa e scorse Chat Noir, a diversi metri da lei, con l’arco teso verso Papillon.
«Come sei arrivato qui?» ringhiò Papillon.
Chat Noir estrasse un’altra freccia. «Ho i miei metodi.»
«Vattene o sarà peggio per te.»
In tutta risposta Chat tirò la freccia. Stavolta Papillon la afferrò a mezz’aria. «Non hai ancora imparato nulla.»
Chat sorrise beffardo. «Potrei stupirti.»
Papillon abbassò gli occhi e vide una lucina rossa sulla punta della freccia, che esplose poco dopo, catapultandolo lontano da lì.
Chat si avvicinò lestamente a Ladybug, ancora dolorante. La ferita si era riaperta.
«Ti avevo detto di restare a casa.» le disse.
Lei alzò le spalle e si asciugò le lacrime. «Sono lenta a capire. Ricordi?»
Chat indugiò a guardare i suoi splendidi occhi azzurri. Poi, scosse la testa: non era il momento di distrarsi. La aiutò a rialzarsi ed entrambi assunsero una posa da combattimento.
Papillon camminava lentamente nella loro direzione, impugnando una delle fiaccole: il suo costume era quasi completamente ridotto in brandelli dall’esplosione, la maschera impolverata e un rivolo di sangue scorreva dal suo fianco. Lui parve non importarsene.
«Affrontarlo direttamente ci condurrà a sconfitta certa.» asserì Chat.
«Ad ogni modo, lo faremo insieme.» ribatté Ladybug.
Papillon ringhiò con uno sguardo iniettato di sangue: «Ora scoprirete quanto può essere pericoloso un uomo disperato.»
Lanciò la fiaccola come un giavellotto. Ladybug la respinse utilizzando lo yo-yo come scudo ma Papillon si accanì su di lei provando a sferrarle un colpo a piedi uniti. Chat le si parò davanti ed insieme rotolarono per terra.
Ladybug, nella caduta, batté la testa e perse i sensi. Chat esitò, cingendole la testa con le mani.
Quell’attimo di incertezza gli costò caro: Papillon afferrò con entrambe le mani un’altra fiaccola e con essa colpì Chat che fu sbalzato via. Le scintille provocate dall’impatto provocarono un corto circuito al visore e dovette liberarsene. Furioso, impugnò con foga il suo arco e si rialzò, assistendo ad una scena sconvolgente: Papillon puntava una pistola dritta al centro della fronte di Ladybug.
L’uomo si tolse la maschera e dichiarò: «Oggi, per te, Emilie.»
«Getta quella pistola, papà!»
Gabriel si voltò. Suo figlio Adrien, privo di maschera e cappuccio, gli puntava contro l’arco.
«Ti ho detto di gettarla, o giuro che scoccherò la freccia.» insistette Adrien.
«Uccideresti tuo padre?»
«Per salvare la ragazza che amo... Sì! L’hai detto tu stesso: ho già ucciso per lei. Lo rifarei.»
Gabriel ridacchiò amaramente. «Cosa ne sai tu dell’amore. Sei solo un ragazzino che gioca a fare il giustiziere con arco e frecce.»
«Non conoscevo l’amore. Finché non ho conosciuto Marinette. È la cosa migliore che potesse capitarmi nella vita e tu non me la porterai via!»
«E non pensi a tua madre? Io lo faccio per lei. Per il grande amore che provo per lei.» per la prima volta Gabriel Agreste pianse.
Adrien scosse la testa ed inclinò l’arco in avanti. «Tu non lo fai per amore, ma per vendetta. Ma ti ascolti? Sei pronto a togliere la vita in nome della mamma. La sua morte ti ha condotto alla follia. Ti sei mai chiesto cosa avrebbe pensato vedendoti in questo stato?»
Gabriel sembrò scosso dalle parole del figlio: la risposta era no, non ci aveva mai pensato. Ma voleva concludere ciò che aveva iniziato. Puntò di nuovo la pistola su Ladybug, pronto a premere il grilletto.
Adrien era allibito. Non poteva permettere che suo padre uccidesse Marinette; non l’avrebbe privato anche della seconda persona in grado di scaldargli il cuore, dopo sua madre.
Scoccò la freccia.
 
 
 
Angolo Autore:
Giuro che è l’ultima volta che vi tengo così col fiato sospeso alla fine di un capitolo. So che mi odiate già abbastanza per questo ;)
Siamo quasi al capolinea di questa storia, ma ancora abbiamo delle faccende in sospeso da risolvere. Per questo, vi annuncio che i prossimi due capitoli saranno leggermente più lunghi del previsto, specialmente l’Epilogo.
Nell’attesa di leggere i vostri commenti, vi do appuntamento eccezionalmente per Domenica per la successiva parte.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

La freccia centrò in pieno la mano armata di Gabriel, trapassandola da parte a parte. L’uomo lasciò cadere la pistola a terra, con un urlo straziante. Adrien scoccò rapidamente un’altra freccia, infilzando la pistola, bloccandone la sicura e rendendola inutilizzabile.
Corse, poi, verso il padre e scivolò sull’asfalto colpendolo all’altezza delle caviglie. Con un colpo di reni si rialzò immediatamente e sguainò la katana, puntandola contro il padre. «Hai perso, papà.»
Gabriel si sollevò da terra, rimanendo in ginocchio, mentre si teneva stretta la mano infilzata. Sul volto aveva un’espressione rassegnata, ormai conscio che il figlio lo aveva battuto. Ma, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì svuotato di tutta quella rabbia e meschinità che lo avevano guidato in quegli anni. Abbassò il capo e sorrise. «La tua tenacia è ammirevole, figliolo. Non credevo potessi avere una tale forza d’animo.»
Il tono di Adrien si addolcì. «Anch’io lo faccio per la mamma. Voglio giustizia per lei; trovare chi l’ha uccisa. Per questo davo la caccia ai membri della Rouge & Noir. Tutti loro pagheranno. L’ho giurato: onorerò la sua memoria.»
Alle parole del figlio, Gabriel avvertì un nodo alla gola, mentre calde lacrime iniziarono a scendergli sulle guance. «Sei un bravo ragazzo Adrien. Diventerai un uomo giusto.» alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi, gli stessi occhi di Emilie. «Tua madre sarebbe fiera di te. E lo sono anch’io.» riassunse una posizione eretta in piedi, claudicante e, con un verso di sofferenza, liberò la mano dalla freccia. Guardò di nuovo il figlio. «Pagherò per i miei errori, per i miei crimini, per il male che ho fatto. Spero che, un giorno, tu possa perdonarmi.»
Adrien rilassò i muscoli del volto, accennando un lieve sorriso. Abbassò la katana ed appoggiò una mano sulla spalla del padre. «L’ho già fatto.»
Il suono di decine di sirene echeggiò seguito dal rumore di forti sgommate: berline e fuoristrada neri apparvero in lontananza. Da essi sbucarono diversi uomini in completi scuri insieme ad agenti pesantemente equipaggiati. Adrien intuì subito chi erano: servizi segreti.
«Dovresti andare.» disse Gabriel. Indicò con la testa Ladybug. «Non lasciartela sfuggire.»
Adrien indossò nuovamente il cappuccio e sollevò la ragazza. Scambiò un cenno d’intesa con il padre e si avviò.
Gabriel lo fermò. «Adrien!» il ragazzo si voltò. «Le fialette. Distruggile tutte. Sono nel mio covo.»
Adrien scosse la testa. «Quando sono fuggito, non c’erano più.»
«Allora le ha prese lei.»
«Nathalie?»
Gabriel annuì. «Fermala Adrien! Solo tu puoi farlo.»
Con un’espressione carica di determinazione, Adrien fece intendere di aver recepito il messaggio.
Prima, però, doveva mettere al sicuro Marinette. Caricò il suo corpo sulla schiena e si assicurò che non potesse cadere durante la corsa in moto. Montò in sella e guardò un’ultima volta verso la piazza: vide Gabriel ammanettato e scortato da quegli uomini. Sospirò ma fu sollevato: per una volta, il padre aveva fatto la scelta giusta.
 
Marinette riacquistò conoscenza all’interno del rifugio di Chat Noir, nella camera dove, il giorno prima, era stata operata. Sbatté velocemente le palpebre, in modo da diradare la vista annebbiata. Era certa di essere stata nuovamente sedata e che le era stato somministrato il siero cicatrizzante di Natale. Girò la testa alla sua sinistra e vide Angelina concentrata a fasciare la ferita.
Questa si accorse che era rinvenuta e le sorrise. «Ben svegliata.»
Marinette ricambiò il sorriso, accorgendosi anche di Tikki, accoccolata sulle sue gambe, che le chiese: «Come stai, Marinette?»
Marinette iniziò a massaggiarsi un punto sulla nuca, emettendo piccoli versi di dolore. «Mi fa male qui.»
«Sei sbattuta sull’asfalto su quel punto e hai perso i sensi.» disse Angelina, continuando a trafficare con la fasciatura.
«Sei una gran testarda!» esclamò Tikki in tono di rimprovero.
Marinette la guardò con espressione mortificata, ma Angelina intervenne in sua difesa: «Non essere troppo severa con lei.» terminò le operazioni di bendaggio e ricoprì il punto con la maglietta del pigiama che indossava Marinette. «Finito. Ho rimesso a posto i punti che erano saltati. Il siero cicatrizzante farà il resto. Stavolta, però, dovrai stare davvero a riposo.»
Marinette annuì. «Scusatemi. Sono stata troppo avventata.» guardò oltre la spalla di Angelina e scorse Chat, appoggiato con la schiena al muro, a braccia incrociate.
Angelina si rialzò e, dopo aver accarezzato la guancia di Marinette strizzando l’occhio, scambiò un cenno d’intesa con Tikki. «Vi lasciamo soli.»
Chat spostò il sediolino dov’era seduta Angelina e si accomodò a metà letto.
«Cos’è successo?» chiese Marinette.
Chat le afferrò affettuosamente la mano. «L’ho fermato. I servizi segreti sono giunti sul posto e l’hanno arrestato.»
«Dunque è finita?»
Lui scosse la testa. Marinette sollevò il busto e si sedette anche lei a metà letto. Chat provò a fermarla ma lei disse: «Sto bene, tranquillo. Angelina è una vera maga.»
La ragazza appoggiò la testa sulla spalla di Chat. Lui sussultò, inebriato dal suo profumo, il cuore iniziò a battergli dieci volte più veloce del normale. «Papillon era Gabriel Agreste.» dichiarò, infine.
Marinette alzò di scatto la testa, ma, dalla sua espressione, non parve molto sorpresa. «Adrien è al sicuro?»
«Lo è. Non credo gli avrebbe fatto del male. Voleva vendicare l’omicidio della moglie uccidendo te, distruggendo il Miraculous e mettendo la città a ferro e fuoco. Quella di stasera era solo la punta dell’iceberg del suo folle piano. Ha bevuto un siero per diventare più forte, un progetto per cui ha sfruttato i finanziamenti della Rouge & Noir.» fece una pausa. «Il siero restante è sparito. L’ha preso Nathalie Sancoeur. E tocca a me fermarla.»
Marinette si intristì. Non aveva la possibilità di aiutarlo in quell’ultima impresa. «Pensi di farcela?»
Chat sospirò. «Se ha bevuto il siero, non credo di avere molte chance. Ma devo comunque provarci.»
Ammirata dal suo coraggio, Marinette gli strinse la mano e lo baciò sulla guancia. «Così, sono certa che ci riuscirai.» ammiccò. «Capisci cosa intendo, vero?»
Chat si fermò a fissarla con stupore, perdendosi nell’azzurro dei suoi occhi. Come, ormai, accadeva sempre al fianco della bella Dupain-Cheng, il giovane perse la connessione con il cervello e agì d’istinto: si chinò e la baciò sulle labbra.
Lei rimase inizialmente confusa e sorpresa, poi sorrise e lo colpì con un buffetto sul viso. «Ringrazia che sono debole e senza poteri. Altrimenti ti avrei concesso il bis della cinquina che ti ho rifilato tempo fa.»
 
Adrien lasciò la camera, consentendo a Marinette di riposare e cercando di placare il turbinio di emozioni che lo travolgeva. Doveva ritrovare la giusta concentrazione per affrontare quell’ultima sfida.
Si rivolse a Plagg: «Hai chiamato tu i servizi segreti?»
L’uomo alzò le spalle. «Se non l’avessi fatto, sarebbero arrivati comunque. Vogliono la Rouge & Noir. Tutti i membri. Ho appena parlato con colei che gestisce l’operazione: ha detto che in tutta Parigi c’erano degli ordigni pronti ad esplodere. Li hanno disinnescati tutti. Il piano di tuo padre è fallito, per fortuna.»
«Al momento, Nathalie è la nostra priorità.» ribadì Adrien.
«Lo so.» affermò Plagg. «Mi chiameranno appena l’avranno localizzata. Ho pattuito che fossi tu ad affrontarla. Te la senti?»
Adrien guardò Plagg, quindi si rivolse a Tikki: «Mi fido dell’istinto di Marinette. Ha detto che posso farcela.»
Tikki sorrise compiaciuta.
Il cellulare di Plagg trillò. Nathalie era stata rintracciata. «Interverranno ad un tuo segnale, Adrien.»
Il ragazzo alzò il pollice verso l’alto con il volto carico di audacia. «Mettiamo fine a questa storia.»
 
Adrien attraversò il dedalo di strade parigine.
L’intervento dei tecnici aveva ripristinato parte delle centraline elettriche ed alcuni quartieri erano nuovamente illuminati. Non potendo più contare sulla visione notturna del suo visore, indossando solo il suo cappuccio, Adrien era più che felice che il luogo da raggiungere fosse situato in uno di questi quartieri.
La villetta dove si era nascosta Nathalie si trovava a sud di Parigi: la donna la utilizzava come abitazione nelle rare occasioni in cui era libera dal lavoro. Era lì che si riuniva con Auguste Fabre; entrambi avevano manovrato le mosse di Gabriel, guidandolo nella realizzazione del suo piano, suggerendogli le mosse da mettere in atto. Certo, si sarebbero aspettati un risultato più soddisfacente di quello ottenuto, ma la variabile determinante era stata la presenza di Chat Noir. Ed ora, Nathalie conosceva la sua vera identità, il suo modo di agire, le sue debolezze, e ne avrebbe approfittato.
Sapeva che, ormai, i servizi segreti erano a conoscenza della sua implicazione nella storia e che erano sulle sue tracce, sapeva che Gabriel, una volta catturato, avrebbe confessato riguardo la natura del siero e sapeva che Adrien sarebbe arrivato da lei prima di chiunque altro. Eliminare lui significava neutralizzare l’ultimo baluardo difensivo che la separava dall’oggetto delle sue brame: il Miraculous.
Si trovava nel salotto dove si incontrava con Fabre, quando sentì il rombo della moto di Chat Noir: due poltrone nere poste una di fronte all’altra, un tavolino in legno e pareti spoglie eccetto una. Un’abitazione tutt’altro che accogliente.
Adrien penetrò nella casa con l’arco puntato, attraversò l’anticamera e raggiunse il salotto.
Nathalie gli dava le spalle fissando l’unico quadro appeso in quella stanza, raffigurante una rosa nera: aveva la sua solita postura dritta e le mani incrociate dietro la schiena. Solo il vestiario era diverso: indossava una divisa militare nera e stivali beige. «Ti stavo aspettando, Adrien.»
Adrien notò subito le fialette vuote sul tavolino. «Le hai bevute?»
«Mio padre è sempre stato un uomo severo con me: a 18 anni mi ha costretta ad arruolarmi nell’esercito. Quando è morto, l’ultima parola che mi ha sussurrato è stata “Disappunto”
«Fermati finché sei in tempo.» disse il ragazzo.
Lei girò la testa di 90 gradi. «Sono già troppo avanti per tornare indietro, Adrien. Grazie a quelle, togliere di mezzo Fabre sarà uno scherzo. Con Gabriel fuorigioco ho già la casa di moda in pugno. E quando toglierò di mezzo quella ragazzina ed entrerò in possesso del Miraculous, otterrò il pieno potere! Nulla mi potrà fermare. Mio padre sarà finalmente fiero di me.»
Adrien scoccò una freccia ma Nathalie chinò il busto e la schivò. Ora era certo che non sarebbe stata una passeggiata affrontarla.
Lei proseguì: «L’unica cosa che mi dispiacerà sarà uccidere te, Adrien. Sei l’unica persona a cui mi sia mai affezionata. Morirai dove è iniziato tutto.»
«Di che parli?»
Nathalie infilò la mano in una tasca; alzò il pugno e si voltò, mostrando al ragazzo ciò che impugnava.
Adrien restò scioccato, pietrificato quando vide l’oggetto: il medaglione di sua madre, quello che le era stato strappato la notte in cui fu uccisa.
«Tu... L’hai uccisa tu.»
 
«Come mai sei qui a quest’ora, Emilie?»
Nathalie accolse la signora Agreste nella sua abitazione. Erano all’incirca le 22:00, e, dato l’orario, la donna si stupì non poco di quella visita inaspettata.
Giunte nel salotto, Emilie le mostrò un cellulare. I suoi occhi erano colmi di collera. «L’hai dimenticato nello studio di Gabriel. Ha squillato per diversi minuti e ho risposto pensando che fosse importante.» lo gettò a terra con foga e tornò a guardare la donna dinnanzi a lei. «Riesci a immaginare la mia sorpresa nel sentire la voce di Noel Norren all’apparecchio?»
Nathalie non batté ciglio.
«Da quanto sai che è vivo? Perché sei in contatto con lui?» insistette Emilie.
«Da un po’. Non so come abbia fatto a salvarsi da quell’esplosione. Mi ha chiesto di aiutarlo a nascondersi, così ho fatto quello che ritenevo giusto: trovargli una nuova identità. Ora si fa chiamare Norvich Nursef.»
Emilie le afferrò il braccio con una smorfia di disgusto dipinta sul volto. «Quindi sapevi tutto? Sei anche tu della Rouge & Noir?»
Nathalie si liberò con strafottenza della presa ed alzò le spalle. «Non proprio. Auguste apprezza le attenzioni che gli concedo ed il fatto di non appartenere ufficialmente al gruppo, mi lascia una certa libertà.»
«Nathalie, ti rendi conto di quello che dici? Quelli sono dei criminali!»
«Sono utili per ottenere quello che voglio.»
«E cos’è che vorresti?»
«Il potere, Emilie. Auguste Fabre è accecato dalla sua ossessione per quei ninnoli, ma, per una volta, aveva trovato qualcosa di interessante.»
«I Miraculous.»
Nathalie annuì. «È stato un peccato che siano stati distrutti. Ma ciò non cambia i miei piani. Sono un tipo paziente; posso aspettare un’altra occasione, il momento giusto.»
«Norren è un criminale e tu l’hai aiutato a nascondersi...»
«Norren lavora per me. Ha sempre lavorato per me e per Auguste.»
Quella rivelazione lasciò Emilie senza parole. Credeva di conoscere la persona che aveva di fronte: una donna molto efficiente ed ubbidiente, dai modi molto freddi ma, comunque, risoluti. Una risorsa fondamentale per il marito. Non credeva che nascondesse una tale avidità di potere. Mosse un passo verso di lei, ma Nathalie la bloccò con la mano, estraendo con l’altra una sei colpi dal fodero della sua giacca.
«Che intendi fare?» chiese Emilie, arretrando ed alzando le mani. Una nota di paura incrinò la sua voce, guardando gli occhi che la fissavano freddi, vitrei, demoniaci come quelli di un serpente.
Impassibile, come sempre, Nathalie rispose: «Non posso permettere che qualcuno sappia di me e Norren.»
Puntò la pistola e sparò: un colpo preciso al cuore.
Lo sguardo di Emilie divenne vacuo, ogni briciolo di vitalità scomparve dai suoi occhi, mentre il corpo si accasciò sul pavimento, privo di vita.
Con una terrificante imperturbabilità, Nathalie si chinò sul cadavere e strappò dal collo della donna il medaglione, osservandolo tra le sue mani come se fosse un trofeo di caccia.
 
Adrien stringeva con foga l’arco nella sua mano, il corpo tremolante e la salivazione del tutto assente. Una delle persone a lui più vicine era responsabile dell’omicidio della madre e lo stava raccontando come se nulla fosse.
«Norren ha gettato il cadavere davanti alla villa, simulando una rapina. È sempre stato un ottimo alleato. Anche quando mi ha accompagnato da quell’insulso professore per fargli sputare il nome della persona cui aveva affidato il Miraculous. Ma, ultimamente, stava diventando un problema. Un problema che andava eliminato.»
Il ragazzo si impose di non lasciarsi trascinare dalla furia, di rimanere lucido; si era preparato per quattro lunghi anni per quel momento. Il momento in cui avrebbe guardato dritto negli occhi l’omicida della madre. Non poté comunque nascondere il disprezzo per la donna che aveva davanti.
Nathalie ripose il medaglione nella tasca, aprì la fondina sulla sua cintura e ne tirò fuori una sei colpi, la stessa arma con cui aveva freddato Emilie. «Non fare quella faccia, Adrien. Dovresti essere contento: stai per raggiungerla.»
«Pagherai per quello che hai fatto, Nathalie.» replicò lui, la voce impostata e fredda. Doveva ricorrere a tutto il suo autocontrollo se voleva avere una possibilità di vittoria.
Nathalie ridacchiò in modo agghiacciante. «E chi può fermarmi? Tu?» indicò il ragazzo. «In due, a stento siete riusciti a fermare Gabriel. Come pensi di poter affrontare me, da solo?»
«E chi ha detto che sono solo?»
Dal cappuccio del ragazzo sbucò Tikki, con il suo cipiglio ardito, più determinata che mai. Svolazzò accanto al volto di Adrien e scambiò con lui un segno d’intesa.
«Dunque è quel coso che da il potere al Miraculous.» commentò Nathalie. Poi ghignò nuovamente. «Non pensare che quel mostriciattolo possa cambiare le cose, Adrien.»
Senza il minimo accenno di agitazione, Adrien sollevò il braccio destro: al polso aveva il braccialetto regalatogli da Marinette, il suo Lucky Charm. Accanto alle pietre smeraldine, erano legati i due orecchini della Coccinella che, poco prima, Marinette stessa gli aveva consegnato, affinché avesse un’arma in più per fronteggiare la donna potenziata dal siero.
Tikki si illuminò e fu assorbita all’interno degli orecchini: un intenso bagliore bianco e rosso ricoprì l’intero corpo di Adrien, costringendo Nathalie a coprirsi gli occhi con un braccio.
Sul volto di Adrien comparve una mascherina rossa a pois neri; il suo costume non cambiò, eccetto che nel colore, divenuto bordeaux, mentre la zampa felina, che aveva disegnata sul petto, si colorò di nero.
Una volta scomparso il bagliore, Nathalie fissò Adrien e, con solito tono metallico che non tradiva la minima traccia di emozione, disse: «Questa pagliacciata dovrebbe spaventarmi?»
Puntò la pistola, pronta a sparare, ma Adrien lanciò un dardo con la sua fionda centrando in pieno la canna dell’arma, bloccandone il meccanismo.
Nathalie premette un paio di volte il grilletto: accortasi dell’impossibilità di sparare, gettò la pistola di lato e si preparò allo scontro fisico, mentre Adrien fece lo stesso con l’arco. Lei si lanciò in avanti e sferrò una serie di montanti laterali; Adrien schivò i primi due muovendo semplicemente il capo di lato. Parò il terzo e spinse di lato la donna, la quale dovette utilizzare le mani per evitare l’impatto violento col muro.
Nathalie si voltò di scattò e avviò una nuova offensiva, con due ganci al torace. Adrien li respinse entrambi e contrattaccò con un calcio allo stomaco.
Nathalie barcollò all’indietro e non ebbe nemmeno il tempo di reagire poiché Adrien le bloccò la testa, afferrandole la nuca; il ragazzo la colpì con ripetute ginocchiate al costato, prima di tirarle una gomitata sulla tempia e proiettarla a terra con una rotazione del busto.
Rantolante e claudicante, Nathalie si appoggiò sul pavimento con le mani, perdendo, per la prima volta, la sua aria imperterrita. Guardò in direzione di lui, sconcertata da tanta forza e destrezza.
Adrien stava riuscendo perfettamente a non farsi trascinare dalle emozioni, conducendo egregiamente quello scontro, senza dare segni di stanchezza: le abilità donatogli dal Miraculous, la risolutezza e la razionalità di Tikki unite al suo addestramento psicofisico avevano dato vita ad un guerriero formidabile.
Sembrava non avere alcuna debolezza.
Nathalie si risollevò da terra, con una smorfia di dolore misto a frustrazione dipinta sul viso. Tentò un disperato attacco con un calcio sul fianco, ma Adrien bloccò la sua gamba, la afferrò per la gola con l’altra mano e la colpì con una poderosa testata, che le spaccò il setto nasale.
Tenendo ancora stretta la gamba della donna col braccio, la sgambettò, proiettandola nuovamente a terra stesa supina. Inarcò leggermente il busto e sferrò un ultimo pugno: la violenza fu tale da incrinarle una costola.
Adrien riassunse una posizione eretta e guardò l’ex assistente del padre dall’alto in basso: lo scontro era finito e lui aveva vinto.
«Congratulazioni, Adrien.» borbottò lei, sbeffeggiando il ragazzo. «Ora finisci il lavoro e uccidimi, così vendicherai tua madre.»
Adrien chiuse gli occhi e la trasformazione terminò; Tikki si poggiò sulla sua spalla.
Il giovane scosse il capo e disse: «Non sono come te, Nathalie. Pagherai il male che hai fatto marcendo in una cella per il resto della tua vita, con la consapevolezza di essere arrivata vicina al tuo obiettivo, ma di aver fallito miseramente per mano mia.»
Premette un tasto sul suo avambraccio; quindi, si chinò sul corpo di lei e strappò dalla tasca il medaglione di Emilie.
Uomini dei servizi segreti fecero irruzione nell’appartamento e presero in custodia Nathalie, ammanettandole mani e piedi.
Adrien indugiò per qualche istante, poi lasciò l’edificio.
Strinse forte nella mano il medaglione della madre e sussurrò: «Per te, mamma.»
 
 
Angolo Autore:
Che il cerchio si chiuda!
Ebbene, con questo capitolo si chiude finalmente l’arco narrativo della crociata di Adrien a Parigi. Finalmente ha ottenuto giustizia per sua madre Emilie, catturando la persona responsabile del suo omicidio.
Ma, andiamo con ordine. Dato che questo è il penultimo capitolo e non voglio tediarvi troppo dividerò le mie considerazioni finali sulla storia tra questo e il prossimo, in modo che lo spazio autore non diventi un papiro (già l’Epilogo è parecchio lungo).
Gabriel è uno dei personaggi più emblematici della storia: fino all’ultimo era convinto di perseguire il suo scopo, terribile, ma è bastato un confronto, un vero confronto, con suo figlio Adrien per liberare la sua mente dalla meschinità e dalla follia che in parte gli era stata inculcata da Nathalie e Fabre. Magari potrà sembrare un cambio eccessivamente repentino, ma sono convinto che anche nella serie sarà il figlio Adrien a liberare la sua anima. O almeno lo spero.
Non potevano mancare, ovviamente, momenti MariChat nella storia e spero di aver fatto felici parecchi di voi con essi, anche se ho cercato di lasciare spazio un po’ a tutte le ship.
Non so in quanti di voi se lo aspettassero, ma vado particolarmente fiero della mia scelta di far usare anche ad Adrien il Miraculous, la prova che Marinette e Tikki avevano ormai piena fiducia dell’arciere. Ma questo punto verrà messo maggiormente in risalto nell’Epilogo.
Infine, la scelta di far cadere su Nathalie tutta la colpa mi è sembrata la migliore, una volta trovata la giusta motivazione che la spingesse ad agire così. Avevo bisogno di un personaggio vicino alla famiglia ma che tutti conoscessero e che, quindi, non fosse creato dal nulla, per rendere la risoluzione meno scontata.
Ora vi lascio e vi aspetto Venerdì 20 con l’Epilogo. Grazie a tutti voi per assecondare la mia follia nel creare queste storie.
Alla prossima.
Nike90Wyatt
 

 
 

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Capitolo 33
*** Epilogo ***


Epilogo

Nei giorni successivi, quasi tutte le attività furono sospese a Parigi. I tutori dell’ordine, aiutati da gruppi di volontari organizzati dal sindaco Bourgeois, si occuparono di ristabilire l’armonia per le strade della città.
Fortunatamente, il peggio era passato e la situazione stava lentamente tornando alla normalità.
Nel frattempo, i servizi segreti francesi, belgi ed americani collaborarono per smantellare completamente il gruppo noto come Rouge & Noir, arrestandone i membri che avevano contribuito in attività illecite volte alla progettazione di attentati, riciclaggio, contrabbando e corruzione di alte cariche politiche. Ormai libero della follia che aveva guidato le sue azioni, Gabriel Agreste decise di collaborare con la giustizia, confessando ogni singolo dettaglio del suo piano, del suo ruolo nella Rouge & Noir e, soprattutto, di chi ne gestiva le azioni fin dal principio, il fondatore di quel gruppo: Auguste Fabre. Per proteggere suo figlio e le persone a lui vicine, tacque riguardo la vera identità degli eroi mascherati di Parigi.
 
Sollevata dalla risoluzione positiva della vicenda, Marinette si poté godere quei giorni di assoluto riposo. Ben lieta che le lezioni erano state momentaneamente sospese, ne approfittò per ristabilirsi completamente, grazie agli efficienti rimedi offerti dai suoi alleati.
Angelina si era occupata di riaccompagnarla a casa e le aveva restituito gli orecchini, una volta certe che il lavoro era stato compiuto. Marinette ricorse al potere del Miraculous per rientrare nella sua camera senza essere scoperta dai suoi genitori; utilizzandolo per un brevissimo istante, non avvertì conseguenze fastidiose.
In quel periodo di relax forzato, si dedicò a piccoli progetti di cucito, alla creazione di nuovi bozzetti e ad approfondire lo studio di alcune materie scolastiche in vista dell’imminente esame per il diploma.
Quando le cellule telefoniche furono ripristinate del tutto, scambiò diverse telefonate con le sue amiche e con Luka, per assicurarsi delle loro condizioni in seguito al black-out: fortunatamente, nessuno dei suoi compagni aveva avuto problemi gravi, solo piccoli disagi, dovuti all’impossibilità di comunicare via telefono o tramite Internet.
Si trovava nella sua stanza quando seguì lo speciale in tv condotto da Nadja Chamack, il primo servizio trasmesso dopo la crisi che riportasse gli avvenimenti accaduti. Marinette fu stupita dal vedere la giornalista, convinta che anche lei fosse coinvolta. Pensò, dunque, che Chat Noir e il suo team fossero giunti alla conclusione che la donna fosse solo una delle tante vittime degli eventi.
Ovviamente la priorità fu data al resoconto della sera del black-out: venne rivelato che era stato provocato da Papillon, che aveva affrontato Ladybug e Chat Noir nella piazza di fronte Notre-Dame e ne era uscito sconfitto. In seguito, i servizi segreti lo avevano arrestato ed interrogato, tenendo riservati i suoi futuri piani nonché le sue motivazioni. Si sapeva solo la sua identità: Gabriel Agreste.
«Per fortuna, si è risolto tutto per il meglio.» commentò Tikki.
«Tutto merito di Chat Noir.» replicò Marinette. «Non credevo si rivelasse il miglior alleato che potessi mai desiderare. È stato straordinario.»
Tikki sorrise, concordando con la sua amica. Inizialmente credeva che Chat Noir fosse una minaccia per Marinette, visto il modo in cui si erano scontrati i due. Ma, dopo Natale, aveva scoperto chi si celava sotto quel cappuccio ed aveva compreso il motivo della sua crociata. Nonostante i suoi obiettivi, aveva comunque salvato e protetto la ragazza, fino a scoprire che era la persona della quale era innamorato. Infine, aveva guadagnato così tanta fiducia da parte di Marinette, da spingerla ad affidargli il Miraculous, certa che lui ne avrebbe fatto un uso eccellente. E così era stato.
C’era solo un’ultima faccenda da sbrigare, ma, stavolta, non si trattava di intrighi, giustizieri o folli accecati dalla vendetta, bensì di qualcosa di più importante. Qualcosa che Tikki desiderava con tutto il cuore: la felicità di Marinette.
Così, incalzò, ghignando: «Forse dovresti ripensare al mio suggerimento di considerarlo più di un semplice alleato.»
Marinette assunse un’aria confusa. «Un amico? Credo di reputarlo già in tal modo.»
Tikki scosse il capo. «Di più.»
Marinette, intuite le intenzioni della kwami, sussultò emettendo un lieve verso acuto. «Sei impazzita? Ne abbiamo già parlato. Ok, ammetto di essere stata precipitosa a giudicarlo e, alla fine, si è dimostrato essere una persona fantastica...»
«Anche con Adrien fosti precipitosa a giudicarlo. Ricordi che non volevi neppure rivolgergli la parola? Almeno fino a che non ti ha salvata dalle grinfie di Florian Leplume.» insistette Tikki, facendo ben attenzione a sottolineare la parola “salvata”.
Marinette sbuffò e si imbronciò. «Sì beh... Adrien è un’altra storia.»
«Ne sei sicura?»
«Assolutamente. Chat è solo un buon amico; so che potrò sempre contare su di lui come alleato ed ora mi fido ciecamente di lui.»
Tikki si strinse nelle spalle. «Se lo dici tu. Lui però non sembra volerti essere solo amico, visto il modo in cui ti bacia.»
Marinette avvampò di colpo in viso. «È... È solo grande a-affetto.»
Tikki ridacchiò. «Certo. Perché tu baci sulle labbra qualunque persona per cui provi affetto. La prossima volta saluta Nino in questo modo.»
Marinette incassò la testa nelle spalle, non potendo ribattere a quella considerazione. Cercò, dunque, di concentrarsi nuovamente sulla trasmissione, ignara che Tikki stava tentando di spingerla verso la persona che amava.
Nadja Chamack aveva appena terminato il servizio dedicato a Papillon, spostando l’attenzione su una notizia altrettanto importante e sconvolgente. «Dopo 5 anni dalla sua morte, Emilie Agreste ha finalmente ottenuto giustizia.» Marinette e Tikki rivolsero piena attenzione al discorso della giornalista. «Nathalie Sancoeur è stata arrestata per l’omicidio della donna ed è anche accusata di essere la mandante dell’attentato al museo del Louvre, in cui ha perso la vita il direttore Norvich Nursef. Gli inquirenti non hanno chiarito il movente, ma filtra che possa trattarsi di un insabbiamento di informazioni, in quanto sembra che la defunta Madame Agreste fosse venuta a conoscenza di attività illegali in cui era coinvolta Madame Sancoeur. Nella cattura della donna, di cui se ne sono occupati i servizi segreti francesi, ha collaborato anche l’arciere incappucciato noto come Chat Noir. Nathalie Sancoeur sarà processata entro la fine della settimana e si aspetta che sia condannata al massimo della pena.»
Tikki si lasciò andare ad un lungo sospiro. Marinette, invece, era pietrificata, con la bocca semiaperta, sconvolta da quella rivelazione. Mai avrebbe pensato che l’omicida di Emilie Agreste fosse una persona tanto vicina alla famiglia, tanto vicina ad Adrien.
«Perdonami se non ti ho detto nulla Marinette.» asserì Tikki. «Chat mi ha chiesto riservo su ordine dei servizi segreti.»
Marinette guardò l’amica e scosse il capo. Si girò, poi, verso la sua scrivania ed afferrò una delle cornici poggiate lì: la foto ritraeva lei, i suoi genitori, Plagg e Adrien, tutti vicini accanto all’albero di Natale. L’avevano scattata la sera della Vigilia, una delle migliori serate della sua vita. Sfiorò con i polpastrelli la superficie della foto, accarezzando il volto di Adrien, sorridente e felice. «Mi auguro che tu stia bene, Adrien.»
 
La berlina di Plagg si fermò davanti all’ingresso del cimitero di Père Lachaise. Angelina sedeva sui sedili posteriori, mentre Adrien si trovava accanto a Plagg, sul sedile anteriore del passeggero.
Il ragazzo stringeva tra le mani il medaglione della madre, tenendo fissi gli occhi su esso. Da quando l’aveva recuperato, non se n’era separato mai. Accortosi di essere giunti a destinazione, alzò la testa e si voltò di lato, guardando fuori dal finestrino: un lungo viale alberato si distendeva all’interno del cimitero. Sul fondo, era stata eretta una piccola cappella, secondo le disposizioni di Gabriel Agreste. Lì era sepolta l’amata Emilie.
Plagg notò l’esitazione del giovane e, con fare fraterno, gli strinse una mano sulla spalla. «Vuoi che venga con te?»
Adrien scosse la testa. «Devo farlo io. Da solo. Ho atteso fin troppo.» Aumentò la stretta sul medaglione e scese dall’automobile, avviandosi, quindi, attraverso il viale.
Plagg ed Angelina scesero anche loro dall’auto, poggiandosi su di essa, mentre osservavano la lunga camminata del biondo con aria serena ma malinconica.
«Non riesco a credere che sia tutto finito.» esordì Angelina.
«Già. Finalmente Emilie potrà riposare in pace. Le è stata resa giustizia.» replicò Plagg.
«Mi dispiace solo essermi persa l’arresto di Auguste Fabre. Avrei voluto vedere la sconfitta nei suoi occhi.»
Plagg dovette reprimere una risata. «Quando Vanessa gli ha sbattuto sotto al muso le decine di prove che lo inchiodavano, che io ho scaricato dal suo computer e da quello di Nathalie, pensavo stesse per implodere. O scoppiare a piangere.»
«Devo dire che l’aiuto della tua vecchia fiamma è stato provvidenziale.» disse lei con una leggera espressione maliziosa.
Plagg non perse la sua spavalderia, nonostante il commento pungente. «Te l’ho detto. Frequento solo l’elite.»
Angelina decise di glissare. «Da quanto sei in contatto con lei?»
«Da quando tu e Fu mi avete raccontato tutto. La faccenda era troppo grande perché se ne occupassero due ragazzi di 19 e 18 anni, per quanto forti, audaci ed intelligenti. Serviva una mano esperta. Anche se...» fece una breve pausa. «A quanto pare, loro se ne stavano già occupando da tempo e l’attentato di Natale li ha spinti a collaborare con i servizi segreti francesi. In segreto, li ho aiutati a raccogliere prove, documenti, transazioni bancarie, siti di depositi di armi, scoprendo che i membri più importanti della Rouge & Noir avevano sedi nascoste in Belgio. Mi dovevano un favore e, per questo, ho avuto subito quello che avevo chiesto la notte del black-out. Anche se, in fondo, la storia era tutta collegata.»
«Ecco il motivo del coinvolgimento dei belgi nella faccenda.»
«Già. Fabre aveva creato una rete internazionale e aveva in pugno tantissimi esponenti dell’economia mondiale e politici con alte cariche statali; fin dentro la Casa Bianca.»
«Tutto per la sua ossessione.» commento lei.
Plagg alzò le spalle. «Anche Gabriel si stava rovinando per la sua ossessione, per la sua follia. Nathalie ha semplicemente plasmato a suo piacimento questa debolezza, spingendolo a diventare un terrorista a tutti gli effetti.»
«Come mai né i coniugi Bourgeois né Nadja Chamack sono stati arrestati? In fondo, anche loro erano coinvolti, loro malgrado, con la Rouge & Noir.»
Plagg ridacchiò. «Ho cancellato ogni loro riferimento nelle prove che ho raccolto. È stato Adrien a chiedermelo. Non voleva che Chloè e Manon vivessero senza i loro genitori. E io credo sia giusto così: hanno sbagliato ma hanno già fatto i conti con la loro coscienza.»
«Sarai molto fiero di lui.»
Plagg annuì. «Per un attimo ho pensato di aver sbagliato tutto con lui. Anzi, l’ho pensato tante volte, come quando decise di allontanare Marinette, rinunciando alla sua felicità. Ma il modo in cui ha affrontato suo padre e l’assassina di sua madre... Credo che nessun altro ne sarebbe stato capace.»
«Cosa accadrà adesso?»
«Dovrà tornare per qualche giorno a New York. Questioni burocratiche legate all’azienda del padre. Tornerà per gli esami.»
«E dopo?» insistette Angelina.
Plagg sorrise. «Il dopo dipenderà da lui. Ma qualunque cosa scelga, io lo sosterrò. Sempre.»
Con la voce lievemente alterata da un gemito, Angelina dichiarò: «Il vostro è un rapporto bellissimo. Sembrate due veri fratelli.»
Sul volto di Plagg si disegnò un sorriso sagace. Infilò una mano nel taschino interno della sua giacca, estraendone un documento piegato, e lo porse alla ragazza. «Me l’hanno consegnato oggi. Adrien non è più il mio unico fratello.»
Angelina aprì il documento e lesse ciò che vi era scritto: era un atto dell’anagrafe in cui l’uomo cambiava ufficialmente il suo nome in Plagg Nicolas Santiago.
«Diciamo che ora sono io a dovere un favore a Vanessa. Sei ufficialmente mia sorella.»
Dagli occhi di Angelina caddero lacrime di gioia. Si voltò e gettò le braccia al collo di Plagg, il quale ricambiò l’abbraccio.
 
Adrien si trovò solo dinnanzi alla tomba di sua madre per la prima volta dopo che l’avevano sepolta.
Ricordò il giorno in cui il suo amico Plagg gli diede la notizia dell’omicidio di Emilie: si trovava nella sua stanza, a New York, ed aveva appena terminato la sua sessione di studio. Fuori pioveva, faceva freddo, era buio, tutto nero, come la sua anima. La sua mente era svuotata, le sue labbra senza parole, le sue orecchie senza suono alcuno. Come se non fosse fisicamente presente lì, come se stesse guardando sé stesso dall’esterno, come se fosse solo uno spettatore di quella scena in cui vi era una sua controfigura come protagonista.
Guardò la lapide di sua madre, tutta in marmo bianco splendente, come la sua anima. Il suo bel volto sorridente della foto risaltava su quella lastra fredda. Sotto di essa il suo nome inciso a caratteri chiari e neri ed una frase voluta da Gabriel: “Il sole non brillerà mai della luce che hai acceso nei nostri cuori, nel breve tempo che la tua vita ha dato un senso alla nostra. Insostituibile moglie e madre.”
Adrien sosteneva in pieno quelle parole. Pensò a quanto suo padre avesse amato sua madre e a quanto l’amasse ancora visto ciò che era arrivato a fare per vendicare la sua morte. Finalmente Emilie aveva avuto giustizia. La sua assassina era stata catturata ed avrebbe pagato per le sue colpe. Il medaglione che apparteneva ad Emilie, che Adrien stringeva nella sua mano, poteva tornare a lei, alla sua unica proprietaria.
Sistemò accuratamente i fiori, che aveva portato, in un vaso in modo armonioso: dei garofani rossi, i suoi preferiti. Poi, trovò un posto per riporre il ciondolo.
Lente e calde lacrime gli rigarono il bel volto. Gli mancava la sua mamma. Ora, però, non vi era più rabbia nel suo cuore, solo tanto amore.
Di colpo, avvertì una presenza al suo fianco. Si voltò e vide Marinette, in piedi accanto a lui. Gli sorrise dolcemente, reggendo tra le mani un fascio di fiori bianchi, dei gladioli.
Adrien si asciugò repentinamente le lacrime con un gesto della mano e ricambiò il sorriso alla giovane. Era sorpreso ed incuriosito di vederla lì, ma, allo stesso tempo, felice.
«Ero venuta a trovarti a casa, insieme a Nino ed Alya.» spiegò lei con calma, avendo intuito i pensieri del ragazzo. «Ci hanno detto che eri qui. Volevamo sapere come stavi dopo tutto quello che è successo. Mi dispiace tanto per tuo padre. Ma sono felice che tua madre abbia avuto giustizia.» Si chinò per sistemare i fiori che aveva portato nel vaso insieme a quelli di Adrien. Si fece il segno della croce dinnanzi alla foto di Emilie e recitò ad occhi chiusi una veloce ma sentita preghiera. Si voltò nuovamente verso Adrien, il quale la osservava colmo di gratitudine e riconoscenza. «Alla fine la battaglia di Ladybug e Chat Noir è diventata un po’ la battaglia di tutti noi che ne siamo rimasti coinvolti, nostro malgrado. Finalmente è finita.» Lo abbracciò istintivamente per un breve istante.
Quando si staccarono, Adrien aprì la bocca per parlare ma una voce alle loro spalle lo interruppe. Entrambi volsero lo sguardo all’ingresso della cappella e videro la sagoma di Luka.
«Credo che non ci siamo mai presentati per bene.» esordì il giovane rockettaro. «Io sono Luka, il fratello di Juleka.» Guardò Adrien dritto negli occhi ed allungò una mano verso lui.
Con quel gesto, Adrien non trovò in sé stesso l’antipatia di sempre che provava per il suo “rivale”, ma solo rispetto per la sua partecipazione a quel momento difficile che stava vivendo. «Adrien Agreste.», gli strinse la mano, grato e sorridente.
Luka contraccambiò il sorriso senza dire nulla. Insieme a Marinette lo salutarono e lasciarono la cappella.
Vedendoli allontanarsi insieme, Adrien ricadde nello sconforto. Una flebile speranza si accese nel suo cuore quando la giovane si voltò un’ultima volta per sorridergli, avvertendo di nuovo quella forte sensazione avuta durante quell’abbraccio che gli aveva regalato. Baciò la foto della madre e raggiunse Plagg e Angelina.
Quest’ultima disse: «Abbiamo visto Marinette insieme a un ragazzo, poco fa.»
Adrien annuì serenamente. «Era Luka. Sono venuti a vedere come stavo.»
Dopo l’incontro con la giovane Dupain-Cheng, dopo ciò le aveva detto, era più convinto che mai a partecipare alla cerimonia per la consegna dei diplomi. Non era più preoccupato dei commenti e dei pensieri che i suoi compagni potevano avere su suo padre, sui suoi crimini come Papillon e su di lui. Non lo spaventavano più i sentimenti di compassione, di rifiuto e di collera nei suoi confronti, né gli importava di poter essere additato come figlio di un criminale e non più il “delfino” del potente e maestoso stilista parigino.
 
Tornata a casa, Marinette si confrontò con Tikki su ciò che era successo al cimitero. Era felice di aver vissuto quel breve momento insieme ad Adrien, ma non nascose le sue perplessità dopo aver visto Angelina discorrere tanto familiarmente con Plagg. «Mi è sembrata strana tutta quella confidenza.»
Tikki si strinse nelle spalle. «Non ci trovo nulla di strano nell’amicizia tra i due.» Era ben consapevole dei pensieri della ragazza.
Marinette iniziò a ridere divertita.
«Come mai tanto divertimento?» chiese Tikki perplessa.
«Mi prenderai per pazza. Per un attimo, ho pensato che Plagg potesse essere il partner di Chat Noir e che lui fosse proprio Adrien.» Tikki non replicò. «Ma è solo frutto della mia fervida immaginazione. D’altronde, sono famosa per i miei viaggi mentali, no?» Un pizzico di rassegnazione si disegnò sul suo volto. «Credo derivi dal mio desiderio che Adrien provi per me ciò che Chat ha dimostrato di sentire nei miei confronti. Se fossero la stessa persona, sarebbe tutto più semplice. Significherebbe che Adrien ricambia i miei sentimenti. Ma è solo un sogno.»
La sala cerimonie della scuola era sempre stata motivo di vanto per il preside Damocles. Ad inaugurarla era stato il sindaco Bourgeois in persona. Naturalmente, solo perché quella scuola era frequentata da sua figlia.
Era disposta come un teatro: un piccolo palco e delle poltrone eleganti, una di fianco all’altra, di fronte ad esso. I professori erano tutti schierati accanto al preside, il quale reggeva un microfono in una mano e nell’altra una cartelletta con su scritti i nomi degli studenti che ritiravano il diploma. Vi erano anche studenti che si erano distinti nelle attività extrascolastiche.
Adrien fu premiato per i suoi meriti sportivi nella scherma; Marinette per gli abiti che aveva disegnato e confezionato come costumista per le recite scolastiche delle classi di alunni più piccoli; Alya aveva ricevuto un premio speciale come fotografa, regista e sceneggiatrice di tali recite; Nino per le musiche; infine, Chloè per essere stata nominata, per l’ennesima volta, reginetta della scuola.
Dopo la consegna dei diplomi e dei premi speciali, tutti i partecipanti si erano trasferiti nella palestra, ordinata ed addobbata a festa per l’occasione. Un piccolo rinfresco al quale parteciparono anche genitori, amici e parenti.
Per Adrien vi era Plagg a fare le veci dei suoi genitori, come amico e fratello maggiore. Marinette aveva i coniugi Dupain-Cheng e sua nonna Gina. Per Alya erano intervenuti i suoi genitori, le sue tre sorelle, i nonni, cugini e zii. Vi era anche Luka, con la madre Anarka, per la sorella Juleka. Anche i coniugi Bourgeois erano presenti per Chloè. Il preside era in visibilio per la partecipazione del sindaco e di sua moglie.
Tutti con Adrien si erano comportati normalmente, come se lui non avesse nulla a che fare con Papillon, come se non si trattasse di suo padre.
Mentre Plagg parlava gioiosamente con Tom e Sabine, e Gina discorreva entusiasta con Luka, il biondo modello notò che Marinette si era allontanata dal gruppo pensierosa, avvicinandosi, tristemente, ad una finestra della palestra, sul lato opposto del rinfresco. Decise di raggiungerla. Da quando aveva scoperto che dietro la maschera di Ladybug vi era la ragazza che amava, non aveva avuto mai occasione di parlarle da solo. Ora che aveva preso piena coscienza dei suoi sentimenti per lei, doveva compiere il passo successivo.
La sorprese alle spalle. «Ciao, Marinette.»
Lei si voltò di scatto, leggermente spaventata essendo stata distolta dai suoi pensieri all’improvviso. «Ciao, Adrien. Perdonami ero sovrappensiero.», gli sorrise. Era contenta di vederlo sereno, con un viso limpido e non imbronciato ed ombroso come i mesi precedenti. Sembrava essere tornato il ragazzo che aveva trascorso con lei la Vigilia di Natale; quella notte era sempre nei suoi pensieri.
«Come mai sei qui da sola con quell’espressione triste sul volto? Non hai apprezzato la cerimonia?» chiese lui.
Marinette, ascoltando le sue parole, constatò che la cerimonia era proprio l’ultimo dei suoi pensieri. «Non si tratta della cerimonia. Pensavo che ora che la scuola è finita sarà tutto più difficile. Non siamo più adolescenti spensierati, ma adulti. Inizieranno le responsabilità, la vita vera e perderemo la leggerezza di questi anni.»
Adrien rise mentalmente, pensando che proprio lei, da ben quattro anni, portava sulle spalle la responsabilità di proteggere l’intera città di Parigi.
«Mi dispiace che sia finito questo percorso.» stava proseguendo lei. «Quest’ultimo anno, poi, è stato davvero indimenticabile.»
Il ragazzo sospirò facendo correre i ricordi. «Concordo con te.» Sorrise e cercò di risollevarle il morale riportandola al loro primo incontro. «Ricordi quando ci siamo visti la prima volta? Per poco non mi lanciavi il cellulare di Alya in bocca per evitare che parlassi male di Ladybug.»
Marinette ridacchiò. «Tu eri davvero insopportabile, antipatico ed altezzoso. Non ti avrei lanciato il cellulare di Alya, ti avrei volentieri ucciso quel giorno.»
«Me lo sarei meritato, in effetti. Per fortuna, dopo, siamo diventati amici.» Tornò serio e, guardandola intensamente, rivelò: «Se non fosse stato per la tua vicinanza, non so come avrei fatto in tutti questi mesi.»
Marinette era al settimo cielo e sperava in uno slancio maggiore da parte di lui, che però abbassò lo sguardo e, assumendo un’espressione cupa, proseguì: «È stato grazie a tutti voi, tu, Alya, Nino, persino Chloè e tutti gli altri compagni, questo gruppo fantastico, che ho superato molti miei limiti e spazzato via dalla mia vita molti fantasmi. Ora sono pronto a vivere davvero! Sono pronto a cercare un po’ di felicità. Basta sofferenze e rinunce! Ho chiuso i conti con il mio passato per sempre.»
Marinette lo osservava rapita, felice di quelle affermazioni.
Adrien prese tra le sue le mani della corvina dolcemente. «Vorrei chiederti scusa se da Natale in poi sono stato...» fece una pausa e prese un lungo respiro. «Insopportabile, come quando mi hai conosciuto alla cerimonia di Ladybug. Io non sono così, è solo che...» un’altra pausa. «Pensavo a mia madre. Ho cercato di scusarmi anche con gli altri. Volevo solo recuperare il rapporto con mio padre. Poi, è stato quel che è stato. Ma, nella tragedia, nell’orrore di sapere ciò che era diventato per vendicare la mamma, ho scoperto tutto il suo disperato amore per lei e per me. E, senza dire granché, ci siamo finalmente avvicinati e ritrovati, come padre e figlio.»
Una lacrima scese sul viso di Marinette. Provò ancora più amore e tenerezza per Adrien, il suo Adrien. Finalmente lo aveva ritrovato.
Il ragazzo parlava a cuore aperto. «Credevo di perdere per sempre anche mio padre quando è stato arrestato e, invece, ho scoperto davvero l’uomo che si celava dietro quella maschera, e non intendo quella di Papillon, ma quella di Gabriel Agreste. Ora è solo mio padre, con tutte le sue colpe da pagare, ma, finalmente, ha dimostrato tutto il bene che prova per me.»
Marinette non riuscì a trattenere il suo pianto. Emozionata e compenetrata nelle confidenze di Adrien.
D’un tratto udirono una risata squillante molto familiare non lontano da loro. Adrien si voltò subito, mentre lei cercò di ricomporsi, asciugandosi le lacrime.
Videro Chloè che flirtava vistosamente con Luka. Adrien rimase alquanto perplesso e, curioso, si girò verso Marinette. «Ma non ti da fastidio che Chloè e il tuo fidanzato siano così complici?»
La ragazza rise divertita mentre osservava Chloè e Luka. Riportò lo sguardo su Adrien e disse: «Luka non è il mio fidanzato. Lui è stato, è e sarà sempre il mio migliore amico. Non di più.» Fu, dunque, il suo turno di essere sottile ed avida di risposte. «Piuttosto, darà fastidio a te non essere più nelle mire di Chloè. Ma, forse, a te basta la tua fidanzata nipponica. Non mi sembra di averla vista alla cerimonia.» Lo guardò di sottecchi, attendendo trepidante la sua risposta.
«Katami non è mai stata la mia fidanzata, né lo sarà mai. È tornata in Giappone. Né lei, né Chloè sono mai state nei miei pensieri se non come semplici amiche.»
Marinette si sentiva volare a due metri dal pavimento a quelle parole. Il suo cuore quasi minacciava di uscire dal petto per quanto batteva forte.
Adrien si avvicinò di più a lei, intento a dire altro, ma Luka li interruppe teatralmente, come solo lui sapeva fare senza rendersi mai antipatico o invadente. «Amore mio, devo ringraziare anche te! L’ho già fatto con Chloè per avermi presentato Jagged Stone. Ma è solo per merito tuo, perché conoscendoti mi hai ispirato quella canzone che ti ho dedicato alla festa, che Jaggy mi porterà con sé nella sua tournée in America. Parto domani!» Era elettrizzato ed adrenalinico. Abbracciò forte Marinette, scoccandole due baci su ogni guancia, senza prestare alcuna attenzione ad Adrien, spettatore attonito ed immobile di quella scena. «Ti invierò ogni giorno mie notizie e spero che tu farai altrettanto così non ci mancheremo troppo.» Decise di cambiare discorso. «Sai, anche Chloè partirà con i suoi genitori per un safari in Africa per poi fare una crociera sul Nilo. È così felice di passare del tempo con loro. Gliel’ho letto negli occhi. Tu hai già deciso per le vacanze?»
 Marinette scosse la testa. Sorrise all’amico con una punta di tristezza per la sua partenza. Luka la faceva sempre divertire e la confortava tantissimo, ma era lo stesso felice per la sua occasione. «Sono tanto contenta e orgogliosa di te Luka! Mi mancherai... Tanto.»
Il giovane rockettaro si spense un po’ dell’entusiasmo che aveva prima. «Anche tu mi mancherai, Marinette.» Finalmente guardò Adrien, accorgendosi della sua presenza. Gli batté sonoramente una pacca sulla spalla e sorrise con sincerità. «Auguro anche a te ogni bene, Agreste. Che i tuoi sogni possano avverarsi e che tu faccia le scelte giuste... Le scelte migliori!» Si voltò verso Marinette con uno sguardo intenso su queste ultime parole. Poi, guardò di nuovo Adrien e gli strizzò l’occhio, sorridendo malizioso. Abbracciò nuovamente Marinette e, dopo aver dato un’occhiata al suo orologio, si congedò. Il mattino successivo sarebbe dovuto partire molto presto.
 Adrien osservò i due salutarsi. Allungando lo sguardo verso la sala, vide Angelina accanto a Plagg a ai genitori di Marinette. Afferrò, dunque, la mano della corvina. Era giunto il momento di condurla lentamente verso la verità. «Vieni, voglio presentarti una persona.»
Anche lei si accorse di Angelina. Era nervosa, imbarazzata e confusa, ma pensò che, se Adrien voleva presentarla alla giovane ragazza, non poteva essere lui Chat Noir, né Plagg il suo aiutante.
«Oh, Marinette!» esclamò Plagg. «Finalmente ho l’occasione di presentarti mia sorella, Angelina Santiago.»
Ciò che Marinette pensava fu supportato ancora di più dall’affermazione dell’uomo. Allungò una mano e la strinse alla giovane. «Piacere Mademoiselle Santiago. Il mio nome è Marinette.»
«Io so tutto di te, Marinette.» replicò Angelina. «Adrien e Plagg non parlano altro che di te.»
Marinette arrossì leggermente, mentre Plagg e Adrien scambiarono un’occhiata complice. «Spero parlino bene.»
«Oh sì. A casa nostra sei più famosa tu di Ladybug.» Angelina le strizzò l’occhio.
«Come mai avete cognomi diversi?» chiese Sabine a Plagg.
«Dominus è un nome di facciata per la mia azienda. In realtà mi chiamo Plagg Nicolas Santiago.»
La discussione proseguì per il resto della serata. Marinette e Adrien non ebbero più occasione di parlare da soli. Terminata la cerimonia, ognuno tornò alla propria dimora.
La corvina, tornata nella sua camera, raccontò a Tikki quanto accaduto. Anche questa volta, come alla festa dei 18 anni, la piccola kwami aveva deciso di restare a casa, lasciando che la sua amica si godesse a pieno la serata.
Marinette era invasa da sentimenti contrastanti: era triste per la partenza di Luka e la fine della scuola, di una fase della sua vita. Tuttavia si ritenne più che soddisfatta dell’atmosfera serena e complice tra lei e il bel modello di quella sera, quasi come quella della famosa Vigilia di Natale. Eppure si chiese se l’avrebbe rivisto ancora o si sarebbero persi per sempre ora che le lezioni erano terminate.
Mentre si tormentava in queste congetture, come spesso accadeva specialmente se l’oggetto in discussione era Adrien, udì un sibilo sul terrazzino. Repentinamente aprì la botola che la conduceva lì, seguita da Tikki.
«Guarda, Marinette!» esclamò la piccola coccinella, indicando un punto accanto alla sedia a sdraio. Sul pavimento, vi era conficcata una freccia nera. Ad essa, era attaccata una busta da lettere bianca, con una scritta sul retro: Per Marinette.
Marinette si guardò intorno, su per i tetti, intuendo il mittente di quel messaggio. Non vide nessuno. Aprì, quindi, la busta estraendone un biglietto:
“Alle 23:00. Sul piano più alto della Tour Eiffel.
Ti aspetto stasera.
È urgente!
                                                                Chat Noir.”
«Ci andrai?» chiese Tikki.
Marinette non esitò nemmeno un istante. «Sì!»
 
Adrien rientrò nel covo, attendendo con trepidazione che giungesse l’ora prestabilita per il suo appuntamento con Marinette. Era euforico al pensiero di poter finalmente essere libero di rivelare alla ragazza tutto. Raccontò tutto ciò che era successo durante la cerimonia a Plagg ed Angelina. Entrambi erano fortemente partecipi al suo entusiasmo ed erano anche completamente favorevoli al programma stabilito da Adrien. Le avrebbe dichiarato il suo amore e le avrebbe rivelato la sua identità. Si sarebbero ritrovati per la prima volta l’uno di fronte all’altra senza maschere. Un caloroso abbraccio tra i fratelli Santiago ed Adrien anticipò l’ultima avventura di Chat Noir.
 
Marinette, trasformata in Ladybug, giunse sul punto più alto della Tour Eiffel. Giunta sul ballatoio dell’ultimo piano, riprese i suoi panni civili. Aveva i capelli sciolti, leggermente scompigliati dal venticello che tirava quella sera d’estate, curiosamente fresca e gradevole, nonostante fosse Luglio inoltrato. Indossava dei jeans e una t-shirt molto sportiva e, come di consueto, non era truccata. Era semplicemente Marinette, la bella ragazza acqua e sapone di sempre.
Si affacciò alla ringhiera e osservò Parigi illuminata. Quel giorno era stato ricco di emozioni per lei ed era certa che, con quell’appuntamento, non sarebbero finite lì. Doveva ammettere a sé stessa di essere molto nervosa ed emozionata per quell’incontro.
Negli ultimi tempi, Chat Noir era molto cambiato. Era diventato affascinante, galante e romantico, oltre ad essere oltremodo coraggioso. E non aveva mai nascosto il suo interesse per lei. Si sentiva lusingata dalle sue attenzioni e non poteva negare di aver sentito qualcosa dentro di sé quando l’aveva baciata l’ultima volta. Ma nella sua testa esisteva solo Adrien. Ed era proprio per quel motivo che non riusciva a non pensare che i due fossero la stessa persona. Una sensazione insistente che, per quanto la ragione volesse smontare, le tornava sempre più forte a farla confondere, a dubitare che potesse essere solo un suo desiderio inconscio. Il suo intuito non aveva mai sbagliato. Così, decise che avrebbe chiesto a Chat Noir di rivelarle la sua identità. Doveva fugare definitivamente ogni suo dubbio.
Con un balzo felino e silenzioso, Chat giunse alle sue spalle. Lei si voltò avvertendo la sua presenza e gli rivolse un sorriso, uno di quelli che gli facevano sempre scaldare il cuore.
«Grazie per aver accettato il mio invito ed essere venuta. Era molto importante per me, vederti stasera stessa!»
«Lo è altrettanto per me.» replicò Marinette, con grande sorpresa di Adrien. «Desidero essere schietta ed onesta!» esclamò senza che lui potesse cominciare a parlare. «Ti ho detestato dal primo giorno in cui ti ho conosciuto, quando mi hai minacciato con quella freccia. Non sei mai stato nelle mie simpatie.» si interruppe per un secondo. «Ma poi mi hai aiutata a salvare tutte quelle persone a Natale. Hai salvato anche me e la mia identità segreta. Mi hai sostenuta quando ne ho avuto bisogno. E hai anche ucciso quell’uomo per salvarmi la vita. Nessuno ha mai fatto così tanto per me. Ho iniziato ad apprezzarti a poco a poco e a cambiare totalmente idea su di te, sino ad ammirarti. E... Devo essere onesta anche con me stessa: non mi sei indifferente come ragazzo.» Adrien l’ascoltava divertito, lusingato e, soprattutto emozionato. Voleva anche lui dirle ciò che provava, ma lasciò che continuasse. «Ma io amo un’altra persona. È buffo perché anche con lui è andata come con te. Inizialmente l’ho odiato, mi era antipaticissimo. Poi, però, mi ha salvata dall’aggressione di un bullo a scuola, mi ha accompagnata a casa facendomi riparare sotto al suo ombrello per non bagnarmi sotto la pioggia. Alla fine, siamo diventati amici e ho trascorso con lui la più bella Vigilia di Natale della mia vita.»
Marinette parlava con occhi sognanti ed Adrien si rese conto che era lui la persona di cui stava parlando. La ragazza lo amava, come lui amava lei. Nonostante gli stesse per scoppiare il cuore dalla felicità di quella rivelazione, al culmine della gioia, lasciò ancora una volta che lei continuasse il suo discorso.
«Lo amo a tal punto da aver pensato, da desiderare che tu e lui foste la stessa persona. Sì! Che ci fosse Adrien Agreste sotto quel cappuccio! Così io non sarei immersa in questi dubbi, così sarebbe tutto più semplice...»
Questa volta Adrien la bloccò, poggiandole le mani sulle spalle dolcemente e tenero. «Marinette calmati. Ho capito. Vuoi che ti riveli la mia identità per fugare i tuoi dubbi.»
Lei annuì, un po’ ansiosa. «Non mi sono mai sbagliata su una mia sensazione. Se davvero tu fossi Adrien vorrebbe dire che un po’ a me ci tieni, che non ti sono indifferente e che... Ti avrei rivelato i miei sentimenti e che...»
Adrien la zittì ancora una volta ed alzò il suo braccio destro. Al polso aveva legato il suo Lucky Charm. Il regalo dal quale non si era mai separato da quel giorno in cui Marinette glielo aveva donato poco prima della sfilata. Si liberò dunque del suo cappuccio liberando la sua chioma bionda. «Il tuo istinto non ha mai sbagliato, Marinette. Ti  amo! Sono follemente innamorato di te!» urlò a squarciagola.
Marinette rise e contemporaneamente pianse. Era paralizzata da quella visione, da quella scoperta. «Anche io ti amo, Adrien.»
Lui l’abbracciò e la baciò.
Ormai più nulla, più niente poteva dividerli.
Felici, stretti l’uno all’altra si voltarono a guardare la bella Parigi illuminata. Quel magnifico panorama che era stato galeotto nel far cadere maschere e dubbi e che sanciva l’inizio dello stupendo percorso che i due giovani innamorati avrebbero intrapreso insieme da quel giorno in poi, per non separarsi mai più.
 
 
 
 
Angolo Autore:
Bella gente, siamo giunti alla fine del percorso.
Devo dire che mi sento pienamente soddisfatto del risultato che è venuto fuori da questa storia. Ho cercato di chiudere tutte le storie, principali e secondarie, lasciando però alla vostra fantasia quello che potrebbe venire dopo. D’altronde i nostri giovani hanno appena finito la scuola; saranno pronti ad affrontare ciò che viene dopo?
Rileggendo adesso la storia nella sua interezza sono ben consapevole dei tantissimi difetti che presenta, ma comunque il fatto di essere riuscito a dare vita ad un mio pensiero, anche alle sensazioni che mi suscita il seguire la serie, mi rende molto felice.
Devo ringraziare in primis mia sorella per il costante aiuto che mi ha fornito durante la revisione dei capitoli, correggendo anche dove necessario. Poi devo ringraziare i miei amici che mi hanno concesso anche l’opportunità di creare dei personaggi a loro dedicati all’interno della storia.
Infine ringrazio tutti voi che avete seguito questa storia fino alla fine. So che a volte sono stato un po’ cattivello sui finali di alcuni capitoli ed ammetto che in molte occasioni mi sono divertito a leggere i vostri commenti. Faccio anche i miei personali complimenti a coloro che sono riusciti in tante occasioni ad anticipare quello che sarebbe accaduto: alcuni avevano fatto collegamenti tra il maestro Fu ed Emilie, altri avevano indovinato che sarebbe stato Adrien il primo a scoprire della vera identità di Marinette ed altri ancora avevano correttamente ipotizzato che Gabriel Agreste fosse in realtà Papillon.
Per chiudere definitivamente questo spazio autore, vi annuncio che sono a lavoro su due strade parallele: ho gettato le basi per un eventuale sequel, sul quale però desidero lavorarci con cura per non gettare alle ortiche quanto di buono è stato fatto; e ho anche in mente una storia di tutt’altro tema, stavolta non un AU, ma IC e sarà una bella sfida per me visto che non mi sono mai addentrato in una long che fosse all’interno della storia originale.
Detto questo vi saluto, vi aspetto numerosi a seguire il contest Natalizio sul profilo Miraculous_Contest e ci risentiamo alla prossima.
Peace & Love.
Nike90Wyatt
 
 
 

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