When you are the toxic one

di Kagedumb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II. ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Titolo: “When you are the toxic one”
Fandom: Final Fantasy XV / Noctis x Prompto
Personaggi: Noctis, Prompto, Altri
Genere: Drammatico, Romantico, Angst
Avvertimenti: Tematiche delicate
Rating: Giallo
Introduzione: Non puoi sempre incolpare il tuo partner. Devi cambiare. [archiviato in Fighting, based on a True Story]





 
    PROLOGO



Ho usato molti eufemismi per spiegare perché io e Noctis, che ci siamo conosciuti durante l'adolescenza, abbiamo rotto a circa tre mesi dall'inizio della nostra relazione.
"Non eravamo pronti", "Non eravamo più in sintonia", "Uno amava più dell'altro"; non sono poemetti che suonano nuovi, eh?

Tutto ciò è vero su molti livelli, eppure c'è un'informazione di vitale importanza che quasi sempre ometto quando racconto la storia di come, e perché, dopo settimane passate con me che prendevo a testate il muro pur di trovare una soluzione, non ci siamo più ritrovati.
E non credo che questa storia avrà un lieto fine.

Per non parlare, poi, di tutte le cose terribili che gli ho fatto per farlo allontanare da me (e no, non parlo solo dei videogiochi terribili a cui lo forzavo a giocare)... Ci potrei scrivere un libro, ma non ora, no. Però gli ho fatto delle cose davvero brutte, questo sì, e prenderne coscienza e consapevolezza era il primo passo per non sprofondare a due metri dal baratro.

La notte in cui finì la nostra relazione, ero un disastro. Ero appena uscito da lavoro, ero stanco, e Noctis mi aveva mandato uno o due vocali di tre minuti ciascuno, in cui mi dava tutti i motivi per cui mi stava abbandonando a me stesso. Non ricordo se mi abbia detto esplicitamente "Sei ingestibile", ma sicuramente lo intendeva. Poco prima lo avevo messo in imbarazzo con un suo amico, senza nemmeno volerlo, e lui era esploso in una furia cieca. Principesco, eh? Proprio da un tipo come Noctis, insomma.
Lo raggiunsi a casa, non mi stava bene che ne parlassimo al telefono; di certo non dopo anni ed anni di amicizia ed una relazione messa in piedi con una certa profondità. La mia uscita fu poi sprezzante, presi le mie cose, ma non divenne un'uscita lacrimosa finché non corsi per le scale del suo condominio. Non gli avrei fatto provare quel senso di colpa che da settimane attanagliava anche me.

Eravamo entrambi responsabili dell'esplosione di cose: lui era instacabilmente stoico nell'esprimere le sue emozioni. Spesso, durante le discussioni, faceva pensieri ed osservazioni ribelli al mio ego che risultavano poi, per me, dolorose e insensibili... Ma non nego che però, quando qualche volta si parlava del nostro futuro, se mai ne avessimo avuto uno, Noctis fosse carico di desiderio. Non me lo sono dimenticato.



Ad essere onesti, tuttavia, sono stato io ad accendermi una sigaretta e lanciarla sprezzante nella pozza di gasolio che sembrava circondarlo da un po'. S'era fatto un bagno nella benzina, a dirla tutta, secondo il mio estro da fun-loving, happy-go-lucky joker.

In genere sono una persona paziente e amorevole nella maggior parte dei rapporti umani. Mi interessa l'effetto che ho sugli altri, sono attento alle esigenze del mio partner, il più delle volte... Almeno quando non sono impegnato con il mio disprezzo e il sangue che mi ribolle nelle vene, e che continuamente oscilla da 0 a 60 gradi.

Quando la mia propensione ad esprimere dolore e frustrazione attraverso pianti, pugnalate al cuore e capricci si è fatta più pesante, mi ha chiaramente detto "Sei troppo impegnativo per me". Un altro eufemismo. L'intensità va bene, l'impegno pure, ma il comportamento sregolato, emotivamente offensivo, no. Quello, no.

A volte ci rifiutiamo di comprendere che potremmo essere noi il problema. Detestiamo guardarci allo specchio.
A volte, dirci che ci comportiamo in "modo inammisibile", può persino prestarsi ad un sollievo comico.
Ma c'è una linea sottile tra animare le cose ed allungare la tua relazione oltre le sue capacità.

Ed io ho fatto esattamente quello che non dovevo fare: sfiancarlo. Come lui sfiancherebbe un Garula se fossimo a Duscae, con fendenti nei fianchi e pugni sul muso.

Ma oggi voglio raccontarvi come è iniziata, perché. Non voglio parlarvi solo della rottura. C'è del comico.
In passato non mi sarei mai visto con Noctis (ed infatti, quasi tre mesi penso siano stati l'emblema della giusta durata, prima di farci ancora più male di quanto non ce ne fossimo già fatti), e sembra quasi surreale, adesso, pensare "Stavamo insieme".

Ma sì, io e Noctis stavamo insieme.
Ed è stato bellissimo. Meraviglioso.

Con lui sono diventato curioso dei miei paesaggi interiori ed ho scoperto che sono bellissimi: devo solo imparare a decorarli meglio.

A te,
my hero, Noct.
Ti amo.

 







 

 
 
 
 
 

 ANGOLO AUTORE!

Avevo bisogno di scrivere, sono passati troppi anni dall'ultima volta che ho iniziato una storia... e indovinate un po'?
Questa nuova FF è palesemente ispirata ad una storia vera, la mia. La mia storia completamente fottuta e sminchiata che ho contribuito a distruggere in mille pezzi. Capirete tutto nei prossimi capitoli.
Vi ringrazio di essere arrivati fin qui, saluto calorosamente chi mi segue da Instagram e altri vari social. Vi voglio bene.

-Leon.

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Capitolo 2
*** I. ***


I. - Ma è il mio migliore amico!


Credo fosse da poco cominciata l'estate, quando tutto questo ebbe inizio.
Ci conoscemmo che mi frequentavo da un bel po' di tempo con un suo caro amico, e così un giorno me lo ritrovai al bar, seduto comodamente ad un tavolino a sorseggiare caffè. All'epoca, ancora poteva permettersi di berlo senza troppe conseguenze, erano anni spensierati.
Ci presentammo, avevo forse quindici anni. Quando il suo sguardo incrociò il mio capii immediatamente che qualcosa da lì a poco mi avrebbe scosso nell'anima.

C'era una sinergia, una connessione profonda e particolare di cui non conoscevo la fonte, ma la sentivo, e tutta si catalizzava su Noct.




Per la prima settimana dopo quell'incontro non ci parlammo più, finché non presi coraggio e riuscii a scrivergli un messaggio sui social. Sinceramente non ricordo nemmeno cosa gli avessi scritto, probabilmente non era importante. Alla fine, volevo solo rompere il ghiaccio... e qualche giorno più tardi ci trovammo allo stesso bar, di mattina, per un altro caffè. Mi raccontò delle sue passioni più grandi, e tra le tante spiccava la musica. Me lo immaginavo già, in una rock band. Il pensiero mi fa ancora ridere, soprattutto considerando che ora so che genere predilige (e fidatevi, non è per niente rock).
Mi raccontò dell'inadeguatezza sociale che provava, il suo "sentirsi un alieno". Era da un po' che non trovava stimolante uscire con qualcuno, si stava spegnendo, non gli interessava nemmeno conoscere una ragazza con cui trascorrere il weekend. Mi feci completamente intenerire dal suo modo di esporre il disagio, che pensai di volerlo accanto a me, nella vita, per dargli un po' di forza, per incoraggiarlo. Volevo si aprisse, e si aprì. A me, solo a me.

E così partimmo per questo lungo viaggio. Sarà durato quasi sei anni. Sempre assieme.



Ci sono stati momenti dove non ci siamo parlati per molte settimane, a volte qualche mese. Erano lunghi break che lui prendeva per ristabilire un equilibrio, mentale ed emotivo, e la maggior parte delle volte, in quello stesso periodo, io ricominciavo a frequentare qualcuno di diverso.
E ci perdevamo. Per un po'.
Ma quando tornavamo eravamo sempre noi. Noctis e Prompto.

Ci raccontavamo tutto, nei dettagli. Spesso facevamo notte al cellulare, e ci raccontavamo anche le preoccupazioni, l'ansia, l'insonnia, la frustrazione. Abbiamo sempre saputo tutto, tutto dell'altro. E ci andava benissimo così.
Una fratellanza, non di sangue, ma pura. Purissima. Che un rapporto così sincero non lo aveva mai visto nessuno.


Una sola regola: la tranquillità.
In poche parole, Noctis era per il novanta per cento del tempo, tipo "Non voglio rogne". E come dargli torto? I problemi mi inseguivano e, ovunque apparissi, o si pronunciasse il mio nome, ci sarebbe stato qualcosa di cui preoccuparsi.

E proprio quando infragevo la prima, sola ed unica regola... era lì, che si alzavano i muri.
Noctis iniziava a dare i numeri. La mancanza di rispetto che provava, (Principe!), la tempesta a scuotergli l'animo, ulteriori paure... E scappava. La via facile, no?
Allontanarsi dal problema per non pensarci, per non affrontarlo.
Furbo.
"Ho bisogno di stare da solo", diceva.

Poi un giorno, puf.
Era di nuovo Noctis.
Era di nuovo "Ehi, come va?", "ti va se ci vediamo?".


Cosa potevo rispondergli se non che fosse tutto okay? Alla fine, la mia vita procedeva normalmente, nonostante tutto, e mi stavo addirittura iniziando ad abituare alla sua assenza, nonostante la delusione e il periodo sofferto iniziale, (vorrei fosse la stessa cosa anche adesso, ma è un po' più complicato).






Una sera, neanche troppi mesi fa, tanto della fiducia e della stima reciproca, mi confessò che nelle sue fantasie malinconiche, (dato il suo sentirsi incompreso e solo), io ero la persona che nella notte gli avrebbe accarezzato la testa e gli avrebbe sussurrato che andasse tutto bene. Ed alla fine lo ho fatto, peccato solo che lui oggi non voglia più ricordarsene.

Non mentirò, mi sentii importante. Finalmente importante per qualcuno. Soprattutto perché in quello stesso periodo ero con una persona che di affetto me ne voleva meno di zero.
Capii, dunque, che Noctis volesse trasmettermi qualcosa, e quella prima confessione fu una piccola scintilla di un fuoco che si sarebbe acceso solo più tardi.






Prima di quest'anno non ci eravamo mai baciati.
Ci eravamo visti nudi, forse, ci eravamo scambiati i vestiti, ma non ricordo una volta che negli anni ci fosse mai stato un contatto più intimo e malizioso.
O forse sì.

Eravamo in macchina e mi stava accompagnando dal tipo con cui ero impegnato all'epoca. Non lo so perché, non ci fu nulla, ma ci guardammo per un istante allo stop di un semaforo; per pura casualità, davvero.
Eppure, solo Dio sà cosa ci saremmo fatti in quel momento se non ci fosse stato l'imbarazzo e il common sense a ricordarci "Ma è il mio migliore amico!"

Già, il mio migliore amico.



Chissà come io abbia resistito negli anni a vederlo ogni volta con una persona diversa. Se ci penso ora, mi ribolle il sangue e mi si manifesta quell'ossessività da controllo che sottolinea, ancora una volta, la mia insicurezza cronica e la mia sfiducia nel genere umano (oltre che la mia autostima inesistente, ovviamente).
Ma non voglio soffermarmi.


Passavamo le giornate a scherzare, fare una passeggiata, mangiare qualcosa al MC's, giocare ai videogiochi: tutto nella norma, semplicemente come due comuni amici. Stavo spesso, spessissimo a casa sua, vuoi per un motivo, vuoi per un altro. A volte semplicemente non voleva uscire, ma gli andava di vedermi. Era tutto particolare nel suo genere.
Eppure mai pensammo che saremmo potuti finire in questa situazione.

Per me era un'utopia pensare di innamorarmi del mio migliore amico (un tempo, addirittura, dicevo fosse da scemi, disadattati sociali, che avrebbero ripiegato sull'amico pur di non stare da soli)... ma, successe.



E successe una notte di giugno, quando stette male con la pancia.
Ero da lui. Corsi, preoccupato. Addirittura lo convinsi a farsi accompagnare in ospedale. Ho un ricordo molto, molto nitido.

Gli facevo compagnia sul suo letto, parlavamo. Dall'altro lato, avevo qualcuno ad aspettarmi a casa per trattarmi male e sfogare su di me le sue frustrazioni, ed il pensiero mi metteva anche un po' di angoscia; ma Noct era Noct, e non lo avrei mai lasciato lì per tornare dove sarei moralmente dovuto essere.
Continuavo a pensare "Dovrei tornare? Ma no, sta male, poverino, non mi va di lasciarlo da solo". E dunque, rimasi. Tutta la notte.
"Alla fine è il mio migliore amico, sto solo facendo il mio dovere."

Ero steso, perpendicolare a lui, con il capo appoggiato leggermente sulla sua spalla.
Parlavamo, o forse guardavamo un video sul portatile. Onestamente, non ricordo.
Però mi ricordo che rise. Nonostante i dolori lancinanti, la stanchezza, la sofferenza, rise. E ridemmo.

Ci fu uno scambio di sguardi. Mi iniziò a baciare il collo.




La mia mano destra scivolò nelle mie mutande,
e rovinai tutto.
Compreso il sonno.

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Capitolo 3
*** II. ***


II. - Era la mia via di fuga.

 
Quella sera cambiò tutte le carte in tavola. Se fino a quel momento, io e Noctis avevamo passato i pomeriggi insieme solo a giocare ai videogames e a mangiare schifezze, ci ritrovammo improvvisamente a rivedere le nostre abitudini comuni e a capire, (o meglio, accettare), che qualcosa stesse cambiando.
Andavo da lui, come al solito, ma tra una partita e l'altra c'era qualche bacio. In segreto. Succedeva solo nella sua stanza.
E guai se quell'informazione fosse accidentalmente trapelata fuori da quelle mura.
Ci sarebbero state non poche conseguenze, ed io onestamente non avrei volute scontarle.
(E nemmeno Noct).

In quel periodo infatti, ero impegnatissimo (per modo di dire), con un'altra persona, e non è che questa mi trattasse proprio bene... ma nonostante tutto, non avevo mai il coraggio di finirla, di dire "basta". Forse, perché ero letteralmente intrappolato nell'abitudine, o forse per la paura di rimanere da solo dopo tutto quel tempo. Non ne sono sicuro.
Il punto è che Noctis era la mia via di fuga.
Tutto quello che non ricevevo dall'altro, me lo dava Noctis: le risate, l'affetto, il tempo da condividere, le attenzioni.

Ricercavo freneticamente la relazione romantica in cui avevo fallito per circa due anni della mia vita fino a quel momento.
E se a crearmi un falso senso di attaccamento fosse stato il sesso,  facendolo troppo presto e senza pensarci due volte,  andava bene così; e dunque, quel tipo di sesso, ha prodotto in me una cacofonia di false speranze iniziali. One-night stands divertenti, emotivamente fortissime (perché erano tutte con Noctis), ma che hanno fatto nascere in me delle domande a cui non volevo rispondere, e una paura cresente, angosciante, di rimanere solo per sempre.




La mia trasformazione è iniziata quando ho lasciato andare quella relazione tossica ed emotivamente instabile di cui mi portavo gli strascichi da due anni. Mi liberai del terribile senso di oppressione, mi sentii rinato, libero di spiccare il volo, di fare quello che volevo... e quello che volevo, era Noctis. Le porte del divertimento si spalancarono ed iniziai a lasciarmi andare, diventando quasi imprudente nella mia liberazione. Stavo reclamando un senso della mia mascolinità e indipendenza proprio nel mio vagabondaggio sessuale, e mentre Noctis mi rimproverava dicendomi "Non è che ci stai pensando, a noi?", "La prendi seriamente?", "Se ci inizi a pensare, non facciamolo più", iniziai anche a mettere su una corazza.
E mentre sempre più spesso ero da lui, sempre più spesso ero anche da altri.

Solo quando ho iniziato a rendermi conto che il mio comportamento stesse diventando sempre più disparato dai miei presunti valori e intenzioni, ho scoperto una verità: ero caduto nella trappola. Dicevo che volessi un partner romantico a lungo termine, qualcuno a cui potevo esporre il mio io crudo, qualcuno che potesse capire ed essere con me in un'autentica vulnerabilità... Eppure mi stavo presentando in certe situazioni, mentendo palesemente, dicendo che in realtà non cercavo nient'altro che "divertimento".
E lo dissi anche a Noctis. "Va bene così, io non ci penso mai."

"Oh sì, è davvero divertente farsi possedere, devo dire.
Certo che vengo a casa tua solo per quello, scherzi? Mica ci piango la notte e ci penso per più della metà del mio tempo.
Io sono tranquillissimo, in questo momento non cerco niente e non mi aspetto niente."
(Sono sarcastico).



È stato un viaggio fluido, dinamico e pieno di spirito di innamoramento di ciò che sono nel profondo del mio nucleo.
Peccato che per un primo momento non fosse ricambiato. La paura era davvero troppa.



"Non è la prima volta che parliamo e mi mandi frecciatine riguardo quello che facciamo."
"I-io... Cioè, è solo che..."
"Che c'è? Ci pensi?"
"Sì! No, cioè, no! No che non ci penso! Per me va benissimo così! Credo sia divertente fare queste cose e contemporaneamente essere liberi!"

Un mulo parlante sarebbe stato più credibile di me, sicuramente.






Ci siamo conosciuti negli anni migliori, io ero ancora al liceo. Tutti quegli anni fa, e qualche frammento casuale di saggezza prescientifica, ci ha impedito di diventare amanti, nonostante ognuno di noi avesse fasi di desiderio romantico reciproco. Se uno di noi avesse agito su quei desideri, non c'è dubbio che la nostra amicizia non sarebbe durata come invece è stato.
Se fossimo usciti allora, oggi sarebbe un ricordo debole e distante, un rapido "Mi ricordo quando" seguito da una risata o una leggera rabbia, come per tutte le altre persone che ho avuto nella mia vita. Sono grato che i tempi sfavorevoli e l'insicurezza giovanile abbiano funzionato contro una cotta adolescenziale impulsiva e lo abbiano reso, invece un pilastro della mia vita. L'amore sconfinato e il sostegno che trasudava quando eravamo al liceo, divenne il modello per quello che cercavo in un compagno di vita. 

Noctis fu il primo ad amarmi nel bene e nel male. Fu il primo a vedere ogni parte disgraziata, brutta ed egoista di me e non lasciarmi le spalle scoperte.
La nostra amicizia ha attraversato circa sei anni e, anche se alla fine i nostri percorsi sono divergenti, i ricordi di lui sono sempre stati il ​​mio conforto nel tempo. Mi scaldano con la loro prova che la fiducia e l'affetto autentico possono esistere anche nel mio cuore, spesso vacillante e instabile.



Ma lui non sembrava della stessa idea. Noctis era libero, perché essere un principe gli stava stretto. "Abbassa il volume", "Non tornare tardi", "Dove vai?", "Con chi esci?" erano per lui gabbie, oppressioni, ostacoli e modificazioni della sua spensieratezza. Se persino ai suoi avrebbe risposto male, figuriamoci come avrebbe gestito il suo bisogno di libertà in una relazione amorosa. Nah, ho sbagliato io.

Da adolescenti, abbiamo riso in modo incontrollabile. Ci sono state ore di battute senza sosta, dibattiti sugli argomenti più banali, un senso esteriore di avventura. Era troppo vicino per essere platonico ma troppo sacro per ritenere romantico. Anche adesso, faccio fatica a descrivere cosa significasse per me quando avevo diciassette o diciotto anni.
Il suo vasto cuore e la sua anima eclissavano ogni parte della mia esistenza egocentrica. Non era per niente come me, tutto l'opposto, ma la mia amicizia con lui mi ha aiutato a ritagliare le parti belle della mia identità. È diventato un pezzo essenziale del mio essere, e ovviamente ci è voluta la rottura definitiva, per farmelo capire.





Questo dolore mi inganna.
Mi attira nella sua oscurità. Cerco di conquistare il mondo e superare in astuzia la sua trappola, ma mi raggiunge, mi trasforma in un bambino debole e indifeso che non può fare altro che rannicchiarsi sotto le coperte e piangere. Mi ricordo il "vecchio me". Credevo di essere migliorato.
Almeno un po'.






Quella sera d'estate, quando aveva quel suo mal di pancia incontrollabile, le cose cambiarono di netto. Io, cambiai di netto.
E lui si rifiutava di pensarci.
E per quanto si pavoneggiasse di avermi visto così, di volermi possedere nei miei orgasmi e nel mio "star bene", non voleva tutto il resto; non voleva le responsabilità, le preoccupazioni da dividere in due, la moltiplicazione delle ansie.

L'ennesimo grido di libertà: "Non so cosa voglio."
Mi crollò il mondo addosso.

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