Laytontober 2019

di JoSeBach
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01: Enigma ***
Capitolo 2: *** 02: L'ora del té ***
Capitolo 3: *** 03: Cappello ***
Capitolo 4: *** 04: Tempo ***
Capitolo 5: *** 05: Nave ***
Capitolo 6: *** 06: Malvagio ***
Capitolo 7: *** 08: Maschera ***
Capitolo 8: *** 09: Scoperte ***
Capitolo 9: *** 10: Animale ***
Capitolo 10: *** 11: Combattimento ***
Capitolo 11: *** 12: Archeologia ***
Capitolo 12: *** 13: Perdita ***
Capitolo 13: *** 14: Famiglia ***
Capitolo 14: *** 15: Foto ***
Capitolo 15: *** 16: Incontro ***
Capitolo 16: *** 17: Meccanica ***
Capitolo 17: *** 18: Alternative Universe (Twisted Fates, di Notllorstel su Tumblr) ***
Capitolo 18: *** 20: Crossover ***
Capitolo 19: *** 21: Ragazze ***
Capitolo 20: *** 22: Confronto ***
Capitolo 21: *** 23: Brano ***
Capitolo 22: *** 24: Bloccato ***
Capitolo 23: *** 25: Minigame ***
Capitolo 24: *** 27: Modo (Twisted Fates, di Notllorstel su Tumblr) ***
Capitolo 25: *** 29: Proteggere ***



Capitolo 1
*** 01: Enigma ***


Non ho inventato io l'indovinello

***ARTHUR LAYTON POV***
Sai, non ti ho mai detto come hai preso inizialmente il grande cambiamento dai Bronev ai Layton. Probabilmente non te lo ricorderai, perché avevi solo 4 anni.

Non hai la memoria corta? Davvero? Allora ti ricorderai benissimo di quando siamo andati a pesca con zio Doug?
Come no? È stato solo 25 anni fa! Se non ricordi questo, figura- Non darmi del vecchio, ho ancora molti anni davanti! E poi lasciami raccontare la storia, no? Sono sicuro che ti sorprenderà.

Comunque, dicevo; eri molto chiuso, ricordo che, quando siamo arrivati a prenderti non volevi lasciare tuo fratello, un bravo ragazzo. Anche in macchina, quando provavamo ad attaccar bottone, ma era inutile, ti sforzavi a tenere tutto per te. Ma a quanto pare c'era una cosa a cui non hai potuto resistere. E indovina di cosa si trattava.

No no, sei fuori strada. Per rinfrescarti la memoria provo a ripetertela.

"Tra gli scogli son marine,
in cima ai monti sono alpine.
Ce n’è una che è polare
ma la vedi anche dal mare.
Con le nubi ce ne andiamo,
indovina un po’, chi siamo?"


Avevi risposto allo stesso modo, istantaneamente. Ci eravamo commossi tantissimo, Hershel, perché nonostante tu ti fossi sentito così lontano e solo, ci hai dato l'emozione più grande. Le tue prime parole per noi erano le stelle.

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Capitolo 2
*** 02: L'ora del té ***


Marina Wordsworth POV
Le imminenti ore tra formule, scarabocchi ed errori sono la causa della mia ulteriore permanenza sotto quelle calde coperte per dieci minuti (credo), oltre che della perdita del bus.

Dopo aver perso la speranza di utilizzare un mezzo più agevole, ho camminato per tutto il miglio che mi separa dalla casa di Triton. Non capisco ancora perché abbia scelto di aiutarmi. Certo, niente toglie che la prof Oswalds sia una vecchia arpia fissata con le verifiche, ma niente l'ha obbligato a offrirsi, anzi niente gli impediva di ignorare le mie richieste di aiuto.

Eppure, eccomi qui, davanti casa sua, l'appartamento 2. Guardo l'orologio: le nove e quarantasette, la lancetta mi va di traverso. Più in ritardo di così... Quasi non ho il coraggio di bussare, ma non posso dargli buca quando sta sacrificando un fine settimana per me. Inspiro, imponendo la calma, e busso tre volte.

Un leggero "Arrivo" penetra la porta. Già, è proprio lui, ma non sembra innervosito...
La maniglia ruota, rivelando un ragazzo dai capelli indipendenti e dalla vestaglia blu larga con il muso di un orsacchiotto sulla maglia, sicuramente non adatta agli occhi di un estraneo. Mi cascano le braccia e la mascella.

"Scusa, ma sai, mi sono svegliato tardi, eheh." E no, quelle parole non le ho dette io. Nonostante ciò, non sembra in imbarazzo.
Un singhiozzo piacevole si accende alla buffa coincidenza e alla mia stupida preoccupazione, evolvendosi in una risata libera. Lui segue poco dopo.

"Pensa, stavo per dirti la stessa cosa! Ahahah!"

Dopo la chiacchierata onomatopeica, mi ritrovo a tavola, volendo fargli compagnia durante la colazione; la fragrante acqua dorata e i biscotti croccanti agli occhi stimolano il mio appetito che gorgoglia, essendosi prima dimenticato del digiuno.
Un piattino decorato da colori tenui poggia la tazza di fronte a me, mentre si avvicina il piatto coi biscotti. Luke mi guarda confuso alla mia titubanza.

"Forza, mangia. In fondo, un cervello ragiona meglio a stomaco pieno." mi dice, seguito da un elegante sorso.

Avvolgo barbaramente la tazza, anche se ancora bollente, soffio un pochino alla cima e attingo dall'aura fonte.
Sarò anche ignorante di tè, ma non ci vuole un genio per capire che questa bontà è gustosa.

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Capitolo 3
*** 03: Cappello ***


Il signor Albatross guarda pensoso la vetrina, vedendo rispecchiata l'immagine del figlio con indosso quel berretto verde kaki, quale miglior regalo per i suoi 13 anni. Mette le mani in tasca, contando prestando le banconote. Anche se non molto stabile economicamente, vuole il meglio per il suo bambino, a costo di dover lavorare anche nei fine settimana gli straordinari. L'immagine del figlio contento gli confida un sorriso. Entra nel negozio, i tavoli, appendini e muri agghindati di copricapi di tutti i generi, colori, tessuti, forme. Forse è questa l'abitazione del Cappellaio Matto, i clienti persi in un mondo immaginario come Alice.
L'addetto sembra occupato, probabilmente consultato da un cliente.
Eccola infatti una donna giovane, sulla trentina, vestita con un camice bianco, sul bancone uno scatolone sproporzionatamente altro, nero.

Che diamine di cappello si è comprata, questa?!

"Grazie infinite per non aver rifiutato una richiesta così stramba."
"Tranquilla, anzi è stato divertente. E comunque la tua fantasia è invidiabile, davvero. Sarà un regalo perfetto. Buona fortuna!"
"Grazie ancora, buona giornata!"

E la porta si chiude. Ora l'addetto è disponibile.

"Buongiorno, cosa posso fare per lei?"
"Oh - sussulta, imbarazzato - s-salve. Ho visto un berretto in vetrina e vorrei vederlo meglio. Posso?"
"Certamente, prego."

L'esperto gli mostra il cappello, uguale a quello della vetrina, dell'immaginazione.

"Si tratta di una coppola in velluto, molto morbida."

Gli consegna il copricapo. Le mani ruvide delicatamente accarezzano il tessuto morbido al tatto e nel colore. Anche la misura è perfetta.

"È quello che desiderava, signore?"

"È perfetto." sorride.

...

Gaspard rientra, la casa agghindata con palloncini, candeline e una torta. Julien deve essere andata a prendere Klaus da scuola, tutto pronto per il ritorno del giovane studente.
Ma non ci vuole molto per sentire le voci estasiate e contente.
Vede gli occhi del figlio brillare come le stelle più luminose, il suo sorriso tutto un bagliore alla vista del pacco rosso.

"Buon compleanno, figliolo."

---

Claire sa come rendere un regalo già originale unico. Al rientro riapre il baule di pece, estraendo il cilindro, la forma perfetta per il volto di lui. Lo capovolge, rivelando il suo segreto: un ricamo sul fondo dorato con un chiaro "Sì".

Immagina già la scena, a cena, fuori o a casa, non importa, lui finalmente le prende la mano per chiedergliela per sempre. Lei si limita a dirgli che lui ha già la risposta, "ma la devi trovare."

Con sguardo pensoso la troverà per logica, fortuna o per l'indizio. In tal caso gli direbbe:"La risposta è sulla tua testa.", ma la visione si ferma lì, impossibile da ipotizzare il seguito.

Fortunatamente manca poco più di una settimana dalla giornata in cui la sorpresa è destinata. Sa solo che non vede l'ora di consegnare quel cappello per la cattedra.
Per il loro futuro.

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Capitolo 4
*** 04: Tempo ***


Ed Ora Io Domando Tempo Al Tempo (Ed Egli Mi Risponde- Non Ne Ho!) - BMS (Darwin)

Claire Folley POV

È tutto così sbagliato.
Dicono che il tempo rimargina tutte le ferite, ma qui è proprio il tempo il problema. Vero, non ho le cicatrici che ha subito il mio cadavere 10 anni fa. Vero, lui mi sta dando "un'altra possibilità"... Così almeno dice Dimitri. Quel folle vuole costruire la macchina da solo, disperato, gli anni segnano crudelmente il suo volto. Non l'ho mai visto con quelle occhiaie neanche ai tempi degli esami di laboratorio, non ha più la lucidità di un tempo.
Un tempo che per me sono passati pochi attimi, per loro sono innumerevoli notti insonni, giornate strazianti, ricordi che hanno il tempo di riaffiorare e sale sulle ferite.

Nonostante abbia provato a rassicurare Dimitri (e forse anche me stessa), sento anch'io questo pizzicore: il corpo in qualche modo sa che, come è tornato al mondo, qualcosa non va e fa di tutto per tenermi al corrente della notizia non nuova: non sono rari infatti episodi di narcolessia o semplice stanchezza istantanea, dolore generale. Dimitri ha purtroppo assistito a diversi di questi eventi, sempre più frequenti, motivo per cui non si è mai fermato a... aspetta, a fare cosa? Se è la costruzione della macchina, l'ultima volta che l'ho visto metter mano sulla cianografia è stato ormai mesi fa, ora gestisce solo la burocrazia di questo teatro, teatro in cui non tutti conoscono il loro ruolo e la loro parte.

Ho tentato a fargli tornare il senno, a ricordargli del lavoro che ci attende per la mia salvezza, della loro salvezza, ma non mi ha ascoltata, anzi, mi ha gettata fuori dalla Pagoda. "Non vedi che sto lavorando?! Un giorno mi ringrazierai per questo!". Sta delirando.
Sono passati tre giorni da allora. E in queste poche ore, ho rivisto Hershel (ancora con quel cappello...) e un bimbo al suo fianco, mai visto prima.

Comunque, fortunatamente Allen non ne è a conoscenza ma, insieme ai mancamenti, ho delle visioni...
ricordi che non mi appartengono, che non ho mai visto e che probabilmente nessuno ha ancora visto oggi.

Inizialmente ho fatto fatica a crederci, ma come è possibile che sapevo che Hershel sarebbe passato per quella strada, verso Chinatown?
Potrebbe essere purissima coincidenza, se non fosse che sapevo già che il faro sarebbe risorto e avrebbe distrutto vite. I miracoli non accadono mai due volte.

Sorvolo l'atrio del teatro, altri immagini sulle mie palpebre: Hawks che sbalza dalla vettura che precipita e Clive a terra dopo essere stato colpito da una lamiera.


Scendo dall'aeroplano, salutando per l'ultima volta Paul, grandissimo e strettissimo amico. Forzo facilmente la manovella della porta. Seguo ogni gradino il più velocemente possibile, il fiato già in ritardo. Intravedo la sala di comando, i due bambini impauriti, Hershel sconvolto dopo il discorso di Clive appena concluso. La porta si apre rumorosamente, attirando l'attenzione sulla fonte dei passi.
"Celeste!"
"Venite con me, so come fermarlo."
È ora di mettere fine a questo errore.

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Capitolo 5
*** 05: Nave ***


Le grida si scagliavano taglienti contro la tensione generale, generata dal panico totale e dalle urla impaurite di chi ha a rischio la vita. Le onde pronunciarono un'altra scossa, ribadendo l'incubo della gente come attuale. I passi si allontanavano rumorosi, ignoti tra loro, pelle contro pelle per salvarsela. Ma un quindicenne assisteva una donna incinta, di cui conosceva il nome, Kamilla, due sconosciuti con la dopamina in circolo, il sudore freddo.

"Forza, spingi!". Il dolore della generatrice si trasmetteva anche solo con le vibrazioni e i tremori.

Luke, quando salpò su quella nave diretta a Londra 3 giorni prima, di certo non si aspettava una catastrofe, come tutto l'equipaggio del resto. Tanto meno Kamilla credeva il parto sarebbe stato prematuro di un mese, eppure il destino gioca brutti scherzi.
La donna era distesa inerme sul divano, i cuscini morbidi inutili nel loro compito. Il ragazzo le dà le indicazioni da seguire, la formalità persa in vapore per il futuro del nuovo. E dopo agonizzanti minuti tra dolori, panni umidi, scialuppe di salvataggio perse e l'omertà (per alcuni sacrificio) per il bene dei molti, ecco il grido stridulo che attendevano: finalmente è nata.
"Ce l'hai fatta, Kamilla!" esclamò Luke, con l'unica cosa che sapeva della donna, il suo nome.
L'acqua versata dal secchio rovesciato e la forza pressante su di loro fece ricordare la situazione in cui si trovavano, la mano di lei a penzoloni dal bordo, lo sguardo spento e quel sorriso di chi usa gli ultimi sforzi si mostrarono.

"Luke, grazie. Ora, mettetevi in salvo..."
"Ma-"
"Fallo per me. Vi rallenterò soltanto, ora va.", suoi occhi lucenti e convinti.

Anche quelli del giovane brillano, ma da un'altra fonte. Infine gli occhi materni lasciarono l'ultimo sguardo al fagotto piangente.

Luke cercò la scialuppa che aveva visto mentre era andato a procacciare dell'acqua, ma era affondata con l'ala est della nave. Disperato si guardò attorno, trovando una ciambella di salvataggio. Non il miglior agio, ma l'istinto lo obbligò a prendere il giubetto galleggiante e la ciambella per il mare aperto. La neonata si era ormai addormentata, ignara del destino della madre, padrona di un relitto, la rovina affondata la sua bara.

Il giorno seguente vennero ritrovati da un peschereccio, una nuova luce ora sugli occhi suoi e della piccola Kat.

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Capitolo 6
*** 06: Malvagio ***


Bill Hawks POV

L'urto dell'improvviso scoppio mi getta contro il muro, i vetri rotti seguono il loro percorso, il dolore familiare, il fischio alle orecchie un deja-vu, il fumo riempie di nuovo i miei polmoni. Insieme agli scoppiettii degli ingranaggi e all'elettrizzante corrente, dei passi rimbombano dalle scale, poi di fronte alla porta, che si spalanca con troppa facilità.
Il collo non obbedisce e le palpebre si ribellano, ma anche un cieco può capire a chi appartengano quei spasmi e pianti, sicuramente non a Folley, visto che è morta e stecchita.

"Eppure due anni fa mi hai rivista. E ti ho salvato la vita."

Eccola rivelarsi, il tempo sospeso e immobile quanto i miei muscoli e la mia mente per qualche secondo. Si rialza dalla ferraglia, lentamente si avvicina, il sangue visibile come non mai sulle braccia e ovunque, proliferando copiosamente a ogni passo dai tagli e le scottature, il volto scuro, pallido, gli occhi si sforzano a rimanere spalancati e immobili, il petto statico. I movimenti sono meccanici, quasi involontari, eppure il corpo non opporrebbe resistenza se non fosse per i muscoli fossili.

Lei è la morta, ma sono io quello immobile.

"Salvato la vita?! Se non fosse stato per te, quel Layton-"
"Non sarebbe mai venuto a soccorrerti, già. Ma non sarebbe stato giusto."
"Cosa, lasciarmi morire?"
"Esatto." mi sorride.
"Ma non era quello che volevate tu e Clive?!"
Il suo sguardo è lunatico, pensieri e parole contrastanti nella sua mente. Infine si limita a ridere, aggravando le ferite attorno al collo, i bordi della bocca quasi strappati. Mi viene un brutto presentimento.
Non voglio sapere la sua risposta, ma non la avverto.
"Vedi, Bill, la morte non è abbastanza - gli occhi freddi, fissi, morti - devi sapere cosa vuol dire perdere tutto. Vedi - la voce crudele - sapevo che sarebbe successo questo."
"Di cosa stai parlando?"
"Come di cosa? Del vostro presente: sapevo che saresti stato processato, condannato e tormentato dai sensi di colpa. Ma a cosa sono dovuti? Dalla reclusione, pena o arresa?"
Non rispondo, invece deglutisco.
"Non fissarmi con quegli occhi disgustati, guarda invece te stesso. Guarda come da uomo sei passato da vivente morto. Davvero i soldi e il controllo valgono più di quelle vite? E non sto parlando solo di noi dieci, ma anche delle altre migliaia morte per colpa di Clive, di Dimitri e tua."
"Ma io-"
"Non ne sapevi nulla? Beh, potevi fare un po' di attenzione prima di rischiare tutto. Però, ho dimenticato di un'altra vittima. - acqua mista a sangue inumidisce gli zigomi, ora una furia - Hershel."
Ora sì sento il terrore a ogni centimetro più corto, la mia pace violata. Faccio il finto tonto.
"Non so di che parli."
"Mh -i suoi pugni stretti- non mi aspetto tu me ne parli, ma lo immagini."

E l'ambiente si contorce, contro la mia volontà, Dimitri scomparso, il fumo crea la notte, le scintille le stelle a cielo aperto. Sentiamo in lontananza dei gemiti, troppo buio per comprendere le dinamiche, troppo lontani per sentire i dettagli. Troppo coscienti per ignorare.
"Sappi una cosa:" Si avvicina all'orecchio prima di sparire. Ma non arriva alcun suono.

---

Il sudore arrotola sulla fronte rugosa, le dita tremolanti, il corpo accaldato e congelato. Lacrime miste a sudore inumidiscono le guance, le mani tentano di placare il cuore e calmare il diaframma, respiri profondi rinfrescano le vie.
Con fatica afferro le lenti spesse e le appoggio al ponte del naso. La stanza è buia, ma non come prima, la presenza della luna visibile dalla finestra a sbarre. In corridoio avverto alcuni passare, i secondini. Le sbarre mi confinano in questo inferno con pena ergastolo, per la mia vita terrena.
Guardo il muro freddo al mio fianco, quattro linee che verranno tagliate nella prossima alba.
La galera ha lo scopo di educare. Eppure, pare che io non abbia ancora imparato.

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Capitolo 7
*** 08: Maschera ***


Quello sguardo lo pietrificava. Si sentiva osservato nonostante quel volto fosse esente di occhi, ma ogni volta che sbirciava in quell'oscurità, cercando di ritrovare la sua vita, era sommerso dal timore di non vedere la luce. Quello stesso timore che, a ogni notte insonne, gli aveva scurito il contorno degli occhi come il buio in cui errava, impallidito la pelle come la luce che cercava, destabilizzato le mani come il vento alle sue vesti in quei brevi ma lunghi secondi. Si risvegliò ancora dopo l'ennesima morte, rivisti i ricordi non riconosciuti.

Tutto gli faceva credere che quella maschera era maledetta. "Non fosse stato per te, non sarei qui." diceva nelle notti, cercando sicurezza in una certezza agghiacciante.
Se non fosse stata per lei non sarebbe stato lì, a vagare senza la propria identità. A errare per la verità.

Nonostante la pioggia torrenziale e le intimazioni della signora Grace, dopo aver aspettato che si coricasse, Moses lasciò il letto e con molta attenzione raggiunse la porta sul retro, ruotò la maniglia e si dileguò nel velo pluviale.

Incurante di prendere un ombrello, il suo pigiama era inzuppato come i vestiti in quel pomeriggio, la stoffa aggrappata alla pelle, le mani avvolte all'artefatto impermeabile e freddo. Il bordo dei pantaloni e i piedi scalzi affondavano nel fango, poi nei sassi, fatica e dolore non percepiti nella concentrazione a quel volto che non apparteneva a nessuno.

Al culmine della tempesta, ecco il fiume che gli salvò la vita, che gli diede un'altra possibilità.
Nelle mani stropicciate, ecco la maschera che gli tormentò le notti e i giorni, che lo ancorava al passato.

Prima di gettarla, ricontrollò che non ci fosse un qualche indizio, un nome, un ricordo. Ma nulla.
"Aspetta -Il pugno si contrasse- Magari qualcuno mi sta cer-"
L'altra mano accarezza la prima e la sciolse dalla vana speranza di un ritrovamento.
"Presto sarà tutto finito." Si disse Moses.

Sente che la superficie metallica vuole acqua, gli diede le lacrime del cielo, poi l'ultimo saluto: uno sguardo sprezzante, difficile da dimenticare.

Il tonfo e la corrente catturarono la sua mente, la sagoma deforme i suoi occhi, trascinati con lei fino a che non potesse più vederla.

Sospirò rumorosamente, provando pena per quell'artefatto, porta chiusa per il suo passato, un passato senza identità.
Si liberò del peso di quegli anni cedendolo al fiume, dove apparteneva, dove tutto è iniziato.

...

"Insomma, Moses, almeno, se devi passeggiare sotto la pioggia, fallo con un ombrello! E con degli abiti adatti: guarda cos'hai combinato?!" La signora Grace era disgustata dal caos che dominava sul pavimento pieno di impronte da un Moses tremante e in cerca di conforto dalla febbre e dai starnuti. Mentre si lamentava e sgridava quello che considerava quasi un figlio, il ragazzo, allora venticinquenne, allora membro della famiglia Smith, sorrideva alla scomparsa di quel volto vuoto e tenebroso.

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Capitolo 8
*** 09: Scoperte ***


Paul Perfetti POV

I colpi di scena lì spuntarono come l'erbaccia: l'amore di Claire per Layton, nonostante si siano conosciuti per soli tre anni, mentre io sono il suo miglior amico dall'infanzia, la ricerca di laurea su una macchina del tempo, anche al tempo a mio avviso folle, e la sua morte. Ma se questo mi uccise una volta, ciò che mi fece sperimentare di nuovo la sensazione di vuoto esistenziale e odio nei confronti del mondo era il comportamento di Layton: ogni volta che iniziavo a parlare di Claire, trovava sempre una scusa valida per cambiare o chiudere l'argomento, o più convenientemente interrompere la conversazione, fino a non riconoscermi più. Accetto tutto, so che lui non mi va a genio e viceversa, ma come può l'uomo di cui Claire apparentemente si fidava di più dimenticarla? È insensato, ingiusto e disgustoso, non è tanto meglio di quei matti scienziati che avevano usato quell'angelo di donna come cavia. Ma ti pare che sia il modo di agire corretto, Allen e Layton? Entrambi si sono presi gioco di lei, la pagheranno.

Le sorprese qui pizzicano come il peperoncino: l'amore non corrisposto di Dimitri per Claire, nonostante avessero dodici anni di differenza, mentre io ero di un paio di anni più vecchio, il piano folle della macchina del tempo, il mio pensiero sempre scettico, e... l'arrivo di Celeste...? Lei sostiene che Claire avesse una sorella molto giovane, ma forse troppo assomigliante a lei, i lineamenti identici a quelli suoi post-puberali, la voce chiara, l'animo forte e coraggioso nonostante le avversità... Ho finto di darle corda, ma devo ammettere che non me la racconta giusta.
Ora non c'è tempo per pensare: gli scagnozzi di Allen sono alle calcagna. Posso fuggire con lei, sperando che Layton mi faccia guadagnare tempo.

"Celeste, io mi occuperò di te. Layton, tu pensa ai ragazzi!"

E prima che i marmocchi potessero rispondere, ci siamo dileguati, non reagendo alle porte spalancatesi alle nostre spalle visto che non è problema nostro. Fortunatamente sento una zuffa, ma breve, non abbastanza per poter riposarmi un attimo. Il respiro si dimezza di nuovo, il cuore s'affretta a uccidermi. Riusciamo a malapena a raggiungere il tunnel sotterraneo e mi accascio a terra, il corpo esausto ma teso, le mani al petto, l'aria inesistente, la bocca con residui di catarro e sangue. Maledico il mio vizio del fumo, ma d'altronde non avevo altri modi per sfogare la mia rabbia. La BPCO è solo un effetto collaterale molto snervante.
L'eco ci indica che nessuno è nei paraggi, che siamo al sicuro. Ci appoggiamo entrambi alla parete umida e spargo i residui sulla manica, troppo nera per mostrare macchie, ma il sangue non è mai invisibile, terrore e preoccupazione negli occhi di lei, poi avversione, cinque dita in aria e lo schianto.
Quelle lacrime non mi sono nuove, ne avrò viste a migliaia quando era bambina e veniva presa in giro per il suo viso tondo e gli occhiali enormi.
Non c'è dubbio.
"Claire..."
I singhiozzi si fanno rumorosi, non li nasconde.
"Ma cosa diamine è successo a tutti voi!?" E ci avvolgiamo in un abbraccio umido.

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Capitolo 9
*** 10: Animale ***


Jean Descole POV

L'isola è deserta, solo una abitazione sulla terra ferma, il mondo precedente sott'acqua. La camera ha le finestre spalancate, i colpi di tosse espliciti, i tremori estremi. Entro nella stanza, la ragazza avvolta nelle coperte cercando conforto, ritrovato poi alla vista dei cani.

Fortunatamente i randagi già dalla prima volta che glieli ho mostrati le danno particolare felicità, così suo padre mi ha permesso di tenerli. Devo ammettere che li adoro, ma non ho mai avuto animali domestici visto che mia moglie era allergica al loro pelo.

Comunque li abbiamo chiamati Sam, Luna, Josh, un'altra Sam (ma femmina) e Spencer. Al canile mi era stato detto che venivano utilizzati in combattimenti clandestini, picchiati e abusati. Da quel momento è stato molto difficile per me e per loro instaurare un rapporto di fiducia, infatti non sono mancati gli abbaii, graffi e i morsi. Fortunatamente, riesco a rapportarmi facilmente con loro grazie a dei dispositivi che li rendono praticamente sordi, potendo quindi agevolare il problema del rumore molesto. Ho preferito evitare di compromettere l'apparato uditivo, potendo rischiare di traumatizzarli, visto che già un loro orecchio era danneggiato, probabilmente sequestrato come trofeo. E poi, pensandoci, Oswald mi ha anche detto che possono proteggere Melina, dandole più sicurezza. Non so da cosa dovrebbero proteggerla, visto che la morte raggiunge tutti prima o poi, ma si sa, quando un padre ha una figlia in pericolo, utilizza ogni precauzione disponibile.

Ad ogni modo, eccoli che "assaltano" la ragazza, lei ridente, sollevata dal dolore e dalla paura della morte incombente. La tubercolosi non è uno scherzo, specialmente se diagnosticata in ritardo. Ritorno nel mio laboratorio, ovvero una stanza molto ordinata negli oggetti, confusionaria e incomprensibile nei concetti. Strappo un fogliettino dal pannello di sughero, un mio appunto su uno dei lasciti da trovare, il più importante perché potrebbe compromettere la resurrezione di Ambrosia e la distruzione dell'eredità: Misthallery e il giardino dorato, fonte di ogni cura per ogni malattia, profetica e sede della vera vita eterna.

Il mio piano si basa sulla buona riuscita di quel maledetto ritrovamento. Altrimenti sarò rovinato.

Spencer si avvicina. Devo ammettere che a prima vista sembrava il più pericoloso dei cinque, ma l'idea dei muscoli è data dalle cicatrici che gli dà una fisionomia muscolosa. Si tratta del più sensibile di tutti e probabilmente è l'unico che mi può capire fino in fondo se non sono di buon umore. Si struscia sulla mia gamba in cerca di attenzioni, o di mie distrazioni. Gli accarezzo il pelo, sempre attento a non grattargli le cicatrici e beccarmi un bel morso in faccia. Gli sorrido, ringraziando per questa piccola richiesta che per lui è grande quanto il mondo, concedendomi una pausa da questo fardello di cui mi sono caricato.

"Ho una grandissima responsabilità. - lui continua a sorridere, le parole insignificanti - Purtroppo domani devo andarmene."
Indicandogli la porta da cui era entrato esce, la sua fedeltà invidiabile. Almeno lui non sa esattamente cosa sta succedendo.

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Capitolo 10
*** 11: Combattimento ***


Hershel Layton POV

Non sono sicuro di essere la persona giusta nel luogo giusto. Clark e gli altri studenti, ignari della mia storia con la scherma, si limitano a esultare, consci delle mie capacità, ignoranti dei miei timori.
E se fallissi, e se lo disonorassi?
Ma non posso tirarmi indietro proprio ora. Brando la sciabola con la destra. L'insegnante di ginnastica, il cui nome non ho ancora imparato a ricordare, mi risveglia scuotendomi la spalla. "Forza, sii pronto." Salgo sulla pedana, sotto le aspettative di tutti. Aspettative che chiedono una vittoria per Londra.

Sospiro, dominando i muscoli tesi, tranne il cuore, che sussulta a ogni applauso, fischio e sguardo. Il mio avversario indossa la maschera, anonimo, il suo nome confuso col mio sul tabellone che fatico a leggere. Lui in posizione, il piede destro di fronte l'altro. Io eseguo.

Silenzio. "En garde! Prêts? Allez!"

Altro silenzio, trafitto dall'effimera collisione delle lame. Lo colpirò alla spalla scoperta-
Quell'affondo nemico mirato verso la spalla colpisce a tutta potenza il metacarpo esterno destro. Un dolore lancinante ne risulta, mi inginocchio, la ferita ancora pulsante.

Il tempo si ferma, insieme allo sfidante. L'arbitro mi raggiunge, volendo togliermi il guanto, ma io lo fermo.
"Devo continuare la partita." Chiedo a un mio compagno un altro guanto, ma per la sinistra. La sciabola la brando con l'altra mano, come facevo a volte negli allenamenti. "Andiamo avanti. Sto bene."

Con titubanza l'avversario e l'arbitro tornano al loro posto.
Si ricomincia.
"En garde! Prêts? Allez!"

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Capitolo 11
*** 12: Archeologia ***


Angela Ledore POV

Mio fratello è morto per l'archeologia, una spedizione che doveva rivelarsi decisiva ma ha solo segnato il suo destino.
Randall è... scomparso per l'archeologia, una spedizione che doveva provare il suo coraggio ma ha esibito la sua stupidità.
Hershel se n'è andato per l'archeologia, studi che dovrebbero in qualche modo onorare l'amico ma lo porteranno solo alla morte certa.
E infine Erik si sta ossessionando all'archeologia, al ritrovamento di Randall. Non capisco più se le sue sono intenzioni di fedeltà o di effetto collaterale. Non capisco più chi è la causa di cosa.

Entro nel suo studio senza bussare. Allo girare della maniglia, sobbalza dalla sedia in cui è rimasto nelle ultime ore. Un oggetto alle sue mani riflette la luce per la sua superficie metallica, non per le mie lacrime di dieci anni fa.
I miei occhi morti quanto i suoi, quelli di Erik terrorizzati alla loro vista.
"Dove l'hai trovata." La voce fredda gela le sue parole in gola.
"Angela, ti poss-"
"HAI TROVATO RANDALL!?" Mi scoppiano le lacrime. Le mani combattono la superficie della scrivania, l'acqua la macchia. Solo ora noto lo scalpello, la carta vetrata e il resto.
"Angela, è un falso."
"..." Le mie speranze morte.
"Se Randall lo vedrà, magari tornerà."
Lo sapevo, l'archeologia non porta mai a nulla. Rido istericamente, ogni scusa inutile, la mia rabbia inconsolabile. "Ma tu pensi anche che cercherà un'altra maschera, davvero?! -pugni sul legno- Se ne ha già una, perché ne dovrebbe cercare altre?! -occhi sul metallo- Non tornerà: è già morto." Le ultime parole solo bisbigliate, le lacrime implacabili. Esco immediatamente dalla stanza e mi chiudo nella mia, la realtà incomprensibile.
L'archeologia appartiene ai morti e attira le vane speranze. La curiosità uccise il topo. L'ambizione uccise l'archeologo.

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Capitolo 12
*** 13: Perdita ***


Jean Descole POV
 
Sono contento di aver potuto rivedere Hershel, anche se non è proprio il momento migliore. Anzi, mi spaventa sapere che lui possa essere coinvolto in questo affare molto pericoloso. Non voglio che gli venga fatto altro male, né alla sua famiglia, tanto meno a nessuno.
A ogni modo, il suo aiuto è stato prezioso, avessi saputo prima che avrebbe fatto il lavoro al posto mio, non lo avrei ostacolato e mi sarei sbarazzato di Jakes, che non ha fatto altro che rallentare il piano. Ora il Giardino è stato risvegliato, il lascito rivelato, ma forse sarò costretto a passare al piano B, non che ne veda l'ora, però non ho altra scelta.

Raggiungo l'isola di Ambrosia con estrema fretta. Misthallery mi ha rubato molto tempo prezioso per me, per Melina. Atterro con l'elicottero, lo sguardo di Oswald, inginocchiato sulla sabbia, mi rivela la verità che ho temuto di più: lei è morta. So che i suoi occhi mi tormenteranno fino all'ultima immagine che vedrò in questo mondo, come i volti di Violet e Samantha terrorizzate dagli intrusi. Sento quasi che Desmond, o meglio il suo zombi, si stia risvegliando e rinfacciando tutte le mie colpe. Solo che non sa in cosa consista il piano B.
I suoi pugni racchiudono la sabbia, le unghie ne raccolgono parecchia, un sisma interiore terrificante.
"Tu... Tu avevi promesso di salvarla."
"Infatt-"
"INFATTI È MORTA! NON RESPIRA PIÙ! NON LE HAI DATO ALCUNA CURA! LA MIA BAMB..." le lacrime gli tolgono le parole di bocca nel momento in cui niente può esprimere il suo dolore. So cosa si prova a perdere le persone più importanti, ma in un certo senso l'ho anche dimenticato, per il bene della mia sanità mentale, già alterata da questa disgustosa situazione.
Gli sorrido, mostrandogli ottimismo: imparando dai miei errori, ho sviluppato la mia lungimiranza. Se ci avessi pensato prima... Ma basta con i rimpianti.
"Vedi, Whistler, in realtà lei non è morta."
Mi lancia uno sguardo offeso, come dopo una bestemmia. "Ma cosa stai dicendo?! È ancora lì che giace-" Sorgono altri singhiozzi.
"Sì, il suo corpo è morto. Ma che mi dici dei suoi ricordi?"
Lo sguardo muta, confuso, il concetto incomprensibile."I-i ricordi?"
"Esatto. -sorrido- Anche se fossi arrivato un mese fa, non potevamo essere sicuri che sarebbe riuscita a raggiungere il giardino in tempo. In più, essendo cagionevole di salute, qualcuno potrebbe facilmente dedurre che non ce l'avrebbe fatta a sopravvivere a lungo fuori da casa sua, l'avrebbe affaticata troppo. Per prevenire a ciò, ho archiviato i suoi ricordi in una macchina in laboratorio."
Il discorso non pare convincerlo. "E... anche se fosse? Ciò non toglie che è morta la mia bambina." I suoi occhi sono spenti, come i loro, le fiamme in casa non sufficienti per illuminarli.
"Ma non capisci?! Se prendi qualcuno e installi i suoi ricordi, lei tornerà a vivere! Certo, sarà nel corpo di un'estranea, ma almeno non avrà più problemi di salute!" Ora sì che tornano a brillare di vita. Bastavano queste parole magiche, dopotutto. Se bastasse questo, allora i miei occhi potranno rimanere per sempre in quelle fosse pece della maschera.
"D-Davvero? È possibile una cosa del genere?!"
"Certo." Ovvio, se no come farò a risvegliare Ambrosia? Meglio non pensarci e sperare che il piano funzioni. "Se non sbaglio lei ha un'amica, come si chiama..."
"Parli forse di Janice?"
"Giusto, Janice... Quatlane, dico bene?"
"Sì! La contatto subito!"
"Emh, aspetta-" ma lui è già tornato in casa. È incredibile come un padre farebbe di tutto per proteggere sua figlia.

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Capitolo 13
*** 14: Famiglia ***


Alfendi Layton POV

"Nell'orfanotrofio ero sempre nella stanza più buia, nell'angolo più oscuro e nascosto: portavo vergogna al nome della direttrice che gestiva i bambini, proprio perché ero ingestibile. In realtà non hanno mai capito che, a differenza dei miei ingenui colleghi, non volevo capitare nella prima famiglia e servirla solo perché si sono scomodati nel alzare il cu-"

"Linguaggio, Alfendi." Il signor Layton stava passando per il corridoio con Kat alle sue braccia dormiente, ma appena sentita la parolaccia non può non intervenire. Qualcun altro avrebbe lasciato perdere.

"Emh... fondo schiena per prendermi. Nonostante tutta la vergogna nel mio nome, pareva che ci fosse una taglia sulla mia testa intestata a chi sarebbe riuscito a educarmi. Tra i pretendenti, quelli che difficilmente dimenticherò sono i Robinson, l'ottava famiglia a tentare di tenere a bada una belva quali Alfendi, che mi hanno tenuto in custodia per due settimane."

"Solo?! -la nonna è inorridita- Non possono certo prendere un bambino e lasciarlo come se nulla fosse, anche se è una peste!" Scuote la testa in disapprovazione. Il nonno tace e ascolta.

"Il signor Robinson era un ricco che buttava soldi per farsi un nome più grande. La signora Robinson non era tanto diversa, non aveva paura di comprare qualcosa con troppe cifre ed era molto servile, anche se non mi considerava. Gli altri figli, che dovevo anche chiamare fratelli, erano delle mezze seghe-"

"Alfendi." Stavolta è il nonno, il tono quasi confondibile con quello del signor Layton. Tale padre, tale figlio.

"Scusa. -le rughe sulla fronte si stirano- Però, potevano anche essere più simpatici, eh?! Non volevano giocare, parlavano di str- cavolate ed erano sempre chiusi. Insomma, volevano aiutarmi e invece stavo peggio dell'orfanotrofio. Eppure, nei giornali si parlava di questa famiglia che aveva adottato una bestia vestita da bambino, oltre ai vari progetti um-umanitari.
"Mi stavo stufando, oltre che annoiando: potevo uscire di casa solo nelle cerimonie o in quei party senza senso dove tutti i ricchi vanno nelle domeniche, per essere mostrato come trofeo. Ero stufo, e volevo andarmene con un numero più grande degli altri semplici scherzi. Mi ero svegliato all'una, mentre tutti ronfavano pesantemente nel lusso. Ero andato nei loro bagni, dove c'era una enorme Jacuzzi, avevo aperto il rubinetto al massimo, shampoo e sapone, tutta quella roba che erano nei flaconi vicini e la collezione di paperelle e aspettai che la casa si allagasse. Dovevate vedere le facce di quelli là quando si sono svegliati e hanno visto la casa stranamente più pulita! Ahahahah!" Rido ancora a crepapelle al solo pensiero. La nonna condivide i singhiozzi, mentre il nonno ha un volto severo.

Merda, non doveva andare così, su, fatti un paio di risate!

Ho quasi paura a chiedergli perché della sua reazione, ma mi precede. "Alfendi, posso capire che fossero delle persone irresponsabili, ingenue e avide di attenzioni, oltre che irrispettose nei tuoi confronti. Però non è un buon motivo per fare questo gesto, oltre che inutile, visto che sei stato riportato in orfanotrofio." I miei occhi cadono sul pavimento in vergogna. Una mano si poggia sulla mia spalla e lui mi sorride. "Il mondo è un luogo dove tutti possono essere tutti: anche poveri analfabeti possono essere molto saggi e ricchi acculturati delle capre ad alta moda. Alcuni non imparano con nulla e rimangono nel loro mondo immaginario e per questo tu non devi cercare di raddrizzarli, almeno non con questi metodi, perché faresti meglio a ignorarli. Quello che voglio dirti è che se qualcuno non ti va a genio, parlagli e spiegagli come ti senti e come ti vorresti sentire."
"E sappi, Al, -il sorriso della nonna si allarga- che qui puoi parlare liberamente con noi. Anche perché abbiamo solo una doccia!" Le risate vibrano il mio stomaco, in preda al panico. Di nuovo, anche la nonna ride e il nonno si limita a sorridere.
Questa famiglia è davvero stramba, tanto quanto me. E questo mi piace.

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Capitolo 14
*** 15: Foto ***


Luke Triton POV

"Luke, e questa da dove salta fuori?" Flora, mentre cerchiamo le chiavi della Laytonmobile, sventola un foglio rigido che ha trovato dietro a uno dei tanti libri che creano la muraglia sotto la finestra.
Si tratta di una fotografia seppia, leggermente rovinata. Nella foto ci sono io, Arianna e Tony, il Professore e Loosha davanti al lago della famiglia Barde. Pensare che siano rimasti orfani quei due mi rattrista, ma fortunatamente li abbiamo lasciati con una città che si è dimostrata caritatevole e disponibile a loro.
"È stata scattata tre anni fa, a Misthallery, dove ho vissuto fino a quando il professore non ha risolto il nostro primo mistero."
"Il primo? Cos'era successo?"
Spiego a Flora la vicenda, sorprendendomi di non avergliela già raccontata mesi fa, quando è appena arrivata da Saint Mystère. Le racconto la storia con molta foga ed entusiasmo: voglio dire, è un fatto che mi ha toccato da molto vicino, essendone il diretto interessato e il vero mittente di quella lettera.
"Alla fine il giardino è stato trovato, salvando la vita ad Arianna, -indico la bambina della foto- che era affetta da una grave malattia che i medici ritenevano incurabile. Purtroppo Loosha -indico quella che per molti era un lamantino- ci ha lasciati, era troppo esausta dagli sforzi per distruggere la diga."
Flora tace e riflette sulla storia. "Però c'è una domanda che mi preme: chi ha scattato la fotografia?"
"Oh, è stata Emmy, la vecchia assistente del Professore." Mi stropiccio le mani, preparandomi ai ricordi più tristi, non nel loro contenuto, ma nella loro rarità. "Di lei te ne parlerò un'altra volta. Ora cerchiamo le chiavi."
Lei annuisce titubante.

...

"Sicuro di non voler venire con me, Luke?"
"Tranquillo, papà. Vorrei aiutare mamma a sistemare la cucina. Parti pure."
Papà mi sorride e chiude la porta dietro di sé. Oggi tre anni fa i problemi a Misthallery si sono conclusi, con il ripristino dell'ordine, la candidatura di Greppe a sindaco e l'arresto di Jakes (così impara, quel mascalzone!), oltre che la ricostruzione degli edifici danneggiati dallo spettro e dall'acqua. E dopo tre anni, ho l'opportunità di rivedere Arianna e Tony. Chissà quanto saranno cambiati.

...

"Uffa, ma ero davvero così basso?"
"Non disperarti, Tony. Guarda ora quanto sei cresciuto, anche se non abbastanza!" Arianna scompiglia i capelli di suo fratello, ridendo al ricordo.
"Beh -intervengo io- almeno sei più alto di me. Comunque come ve la passate a Misthallery ora?"
"Molto bene! -Arianna sorride, illuminata- Sono tutti così gentili e da un anno ho ricominciato a studiare."
"Solo da un anno? Credevo che gli effetti benefici del giardino fossero immediati."
"No, ma fortunatamente sono stati miracolosi e ora posso uscire di casa liberamente. Ieri c'è stata la cerimonia in ricordo di Loosha-"
"E ha suonato con l'ocarina quella canzone che le piaceva tanto! Sei stata bravissima!"
"Oh grazie -lei arrossisce, non abituata ai complimenti- spero solo che le sia piaciuto."
Torniamo tutti pensierosi al ricordo, mentre vedo che mamma dà qualche dritta a Flora su come preparare del tè. Torno a porgere l'attenzione ai miei amici, davvero irriconoscibili rispetto a pochi anni fa, specialmente perché ora sono molto più felici. L'ultima volta che ho visto ridere Arianna sarà stato quando ci siamo conosciuti per la prima volta, non ricordo quale fosse il motivo di quella festa, ma era estremamente inutile, almeno per noi. E fortunatamente i suoi occhi splendono di nuovo come le stelle che avevamo osservato quella sera.

Le chiacchiere velocizzano il tempo, l'effetto potenziato dalla presenza di tè, enigmi e risate.
Il cielo si fa più buio, l'orologio rintocca otto volte.

"Diamine, si è fatto tardi. È ora di riportarvi a casa." Il professore beve le ultime gocce di tè.
Tony non ne sembra felice, ma Arianna, anche lei triste, ci sorride. "Grazie per l'ospitalità e il disturbo. È stato davvero bello rivedervi. Sapete, si sente la vostra mancanza a Misthallery." Stringe la mano ai presenti, il fratello la segue. Il professore prende la sua giacca e si dirige verso la porta, i due ragazzi al seguito. Io li continuo a salutare fino a che non si allontanano troppo da sparire.
"Quando li rivedremo, papà?"
Per mia sorpresa, non ricevo risposta. Mi volto, i suoi occhi tormentati, le mani legate tra loro di fronte alla bocca.
"Vedi, Luke, c'è una cosa che ti devo dire..."

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Capitolo 15
*** 16: Incontro ***


Hershel Layton POV

Sono passati un paio di giorni dalla rivelazione del gentiluomo mascherato e del suo piano, la fuga e vittoria di Descole e il riconcilio di Randall, Erik e Angela.
Questa sera Emmy e Luke assisteranno allo spettacolo di Rambit, mentre io mi dirigo nella direzione opposta, alla villa dei Ledore, dove sono stato invitato. Passando davanti al museo, mentre imbocco la via mi sento chiamare da dietro: è Alphonse.
"Hey, ho visto il marmocchio al circo prima."
"Luke è molto affezionato agli animali, quindi non c'è da stupirsi."
"Se tu non sei col moccioso, significa che anche tu sei stato chiamato, giusto?" mi chiede sorpreso.
"Sì, ieri sera Erik mi ha invitato a casa sua."
"E tu hai anche accettato? Be', non dovresti sentirti in colpa di voler rifiutare, eh."
"Nient'affatto. -gli rispondo- Però potrei dire lo stesso di te."
Il volto si contrae, segno di essere stato preso alla sprovvista. "Be', semplicemente voglio vedere come sta Bratscot, almeno se è maturato un po'. A proposito, sai per caso dove è finito in questi diciotto anni?"
Gli racconto ciò che il gentiluomo ha dichiarato sul tetto del Reunion Inn. Ancora mi spaventa il pensiero di vederlo su posti alti e pericolosi. E poi... quello che mi ha detto Descole...
"Cosa ti cruccia?"
"Oh, nulla."
"Eddai, lo sai che non mi puoi nascondere nulla." Mi colpisce col gomito, mettendomi in leggero imbarazzo.
"Non importa. -gli sorrido- Piuttosto affrettiamoci, si sta già facendo buio."

...

"Alphonse, Hershel! Com'è bello rivedervi!"
"Già, Angela, specialmente quando non ci sono problemi in mezzo."
Angela e Alphonse ridono all'affermazione di quest'ultimo, una risata che li sgrava dal peso del panico che ci ha oppressi in questi ultimi diciotto anni.
Angela non sembra molto diversa da l'altro ieri, se non che le manca la collana con la moneta. Poggio la mano sulla testa, ricordandomi del cilindro onnipresente, il mio incubo ancora vivo.
"Forza, entrate. Fa molto freddo oggi."
"Già, meglio sbrigarsi." E Alphonse corre dentro, in cerca di un camino, inutilmente. Chiudo la porta dietro di me.

Seduto di fronte al tavolino da tè c'è Randall, ora si aggiunge Alphonse e chiacchierano animatamente, a suoni di aggettivi poco lusinghieri ma scherzosi per loro.
Angela è accanto a me, l'entrata alle nostre spalle.
"Grazie per essere venuto." mi dice senza guardarmi.
"Figurati, è un dovere." rispondo automaticamente, la mano sul bordo del cilindro.
"Non è vero. -gli occhi su di me- Dopo tutto quello che abbiamo fatto-"
"Angela. -le prendo le mani per tranquillizzarla- È successo tanti anni fa, non ha più importanza ora."
"Le tue mani e i tuoi occhi non mi dicono lo stesso."
Veniamo chiamati improvvisamente da una voce di cui non siamo ancora abituati. "Forza, cosa fate ancora lì? -la figura si avvicina ad Angela, le prende le mani- Tesoro, vieni."
Lei annuisce e insieme ci sediamo. Randall si trova sul divano con Angela stretta appresso; io e Alphonse ci posizioniamo sulle poltrone opposte.
Dal corridoio laterale fa il suo ingresso Erik che, a differenza dei giorni scorsi, e apparentemente di questi anni a giudicare dalla reazione di Angela, sorride e la sua felicità pare genuina nella semplicità più elementare, quella che desiderano tutti. La felicità di chi sa che niente potrà più abbatterlo perché ogni problema si è concluso. Con lui c'è anche un vassoio, tazze e teiera leggiadre ed eleganti, il vapore ancora visibile. Non si fa attendere e poggia il tutto sul tavolino, pronto a servire personalmente Randall e poi Angela, andando contro il galateo della priorità della donna.
Randall prende rapidamente la tazza ringraziando Erik ripetutamente e beve, finendo per scottarsi la lingua. I tre ridono per la sua goffaggine, io mi limito a foggiare un sorrido falso.
Idioti, non c'è niente di cui ridere.

Il silenzio giace, interrotto da qualche collisione tra argento, porcellana e frammenti di zolletta. Poi Randall, la lingua non più bollente, inizia a chiederci cos'è successo durante la sua assenza.
"Ecco..." Parte Angela, non sapendo da dove cominciare.
"Non c'è molto da sapere -continuo io- se non che mi sono trasferito poco dopo a Londra, Erik ha continuato a cercarti e ha quindi fondato Montedore. Il resto è storia." Sorseggio il tè estremamente dolce. Le occhiate di Angela mi rabbrividiscono per quella innocenza violata. Certamente non si aspettava che insabbiassi tutto, ma semplicemente non mi piace che gli altri provino pietà o pena nei miei confronti. Quello che è successo ha condizionato la mia vita, il modo di pensare e tutto il mio percorso. Non c'è nulla da dimenticare, perdonare o rimediare ora.
Randall si aspettava invece qualche cosa di interessante e inizia a domandarmi di più sul mio percorso di studi. Gli racconto delle mie avventure universitarie, quando, invece di seguire le lezioni, mi organizzavo spedizioni archeologiche che poi documentavo per il dottor Schrader.
Successivamente si aggiunge Alphonse, raccontandogli come il suo sogno di creare un'impresa alberghiera da zero sia andata a buon fine, seconda solo al Reunion Inn. "C'è però da precisare che per i miei investimenti ho pagato a mie spese. Non sono certo andato come Erik a cercare i tesori dei pirati!" La tensione ancora una volta si smonta con le risate.
"Alphonse... non erano pirati. Si tratta della Civiltà Antica, giusto, Layton?"
Mi limito ad annuire. Questa civiltà non mi piace per niente. E non solo per Akubadain, questo è sicuro.
Erik garantisce a Randall che le pratiche per il divorzio con Angela termineranno a breve, l'ultimo arrivato entusiasta per un futuro ricongiungimento con lei, anche se vedo dubbio e perplessità negli occhi della bionda. Non sembra molto convinta...

Dopo altri discorsi concernenti l'archeologia, l'economia e il confronto tra lo stile di vita urbano e quello agricolo, decido di tagliare la corda, l'orologio e i suoi dieci rintocchi confermano il motivo. Le dita della destra si poggiano sul bordo del cilindro, trovandone supporto. "Purtroppo devo lasciarvi. Ma non senza aver detto un paio di cose."
Gli sguardi persi definiscono la loro ovvia confusione. "Cosa intendi dire, Hershel?" Randall mi domanda.
"In primis, domani rientrerò a Londra con Luke ed Emmy. Non so quando ci rincontreremo, anche se probabilmente non presto."
"Dammene un motivo."
"Essere professore universitario di certo non ti dà mille giornate libere. E poi in questi anni sto risolvendo un caso pericoloso-"
"Ma dai, ma quanto pericolo-"
"Sono quasi morto."
"Aspetta, cosa?!" Tutti si ripetono.
Rimbomba lo stupore. Non avevo intenzione di dirlo. Cercherò di essere più vago possibile ora. "Ora non posso spiegarvi altro per la vostra sicurezza. Quando il caso sarà risolto lo troverete su tutti i giornali, in prima pagina." sorrido, perché sono sicuro che i giornalisti ne parleranno prima o poi. A giudicare dagli sguardi, sembra che il mio ottimismo sia fuori luogo, ma non m'interessa. "La seconda cosa che volevo dire è riguardo la lettera che ti ha scritto Descole, Randall."
Il suo corpo va subito alla difensiva, il ricordo ancora fresco. "Cosa."
"Nella lettera in realtà non ha scritto nulla se non il tuo nome e il tuo luogo-"
"Ma che caspita stai dicendo, Layton!?" Erik non la prende bene. C'era da aspettarselo. "Lo ha manipolato dandogli informazioni false."
"Va bene che sono false, ma così poco verosimili? Chiunque si sarebbe fatto qualche domanda riguardo alla loro autenticità, ma Randall no. Questo perché, mentre leggeva la lettera, i ricordi gli sono riaffiorati poco a poco, dovendo trovare un compenso per quelli scomparsi, inventandosi così la storia del tradimento."
Randall rimane basito, lo stesso Erik, le parole rubate di bocca; Angela è incredula ma ripone fiducia in me, sapendo di non avere un amico vendicativo, mentre Alphonse si sganascia dalle risate.
"Davvero, Hershel? Non l'avrei detto, eppure lo trovo proprio da Randall inventarsi queste storielle. Però -il sorriso non maligno- tutto è bene quel che finisce bene. In fondo, tutta la storia si è conclusa. -si alza anche lui- Ora, se permettete me ne torno a casa."
Entrambi salutiamo il trio inerme, ancora riflettendo sulla lettera. Lancio un ultimo sguardo a Randall, i suoi occhi spalancarsi per la realizzazione. Ce ne andiamo in silenzio.

...

"Dicevi sul serio prima, riguardo alla lettera?"
"Sì, è una tattica che ho riscontrato in alcuni gialli." gli mento. Non ha bisogno di sapere che è stato lo stesso Descole a rivelarmelo.
"Però, ti spieghi meglio riguardo a questo fantomatico caso?"
Il tremore mi segnala il pericolo della risposta sbagliata. "Ve ne parlerò al prossimo incontro."
"Mhm... Ma sicuro che ci sarà?"
Ripenso al vicolo, alle minacce, i colpi e i pugni, le fratture e convulsioni, gli incubi continui di un mese e la riabilitazione, altra paura e altre minacce. Se non stai attento queste saranno le ultime frasi che leggerai, ne diceva una. La risposta è pesante nello stomaco e nella voce. "No."

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Capitolo 16
*** 17: Meccanica ***


Theodore Phibbs POV

"Zio, cos'è questo?"

Mi volto, dei ciuffi rossi mi sbirciano da dietro le lamiere, rivelando poi gli occhi curiosi del piccolino, le pupille scarlatte come le mie, ma dal sangue diverso. In mano, dietro alla schiena, tiene un foglio. Poi lo sfoggia sotto le mie lenti, il progetto del Detragan riappare di fronte a me.
Sorrido ai ricordi della resurrezione di Ambrosia e di Whistler che ha avuto la possibilità di parlare un'ultima volta con sua figlia. Fosse stato permesso anche a me...

"Aspetta... -tolgo i guanti unti, arrotolo le maniche oliate e mi siedo, pulendo le lenti macchiate- Si tratta di un vecchio progetto. Dove l'hai trovato?"
"Si trovava lì." Cioè il cassetto più alto di quel mobile marcito. Come diamine ci è arrivato fin lassù?!
"Cavolo, non credevo fossi cresciuto così tanto!" Gli scompiglio i capelli già disordinati. Non la prende bene.
"Non prendermi in giro! E poi ho preso una sedia." E infatti ce n'è una là a fianco.
Mi illumino all'intelligenza del nipotino. "Allora meriti proprio di sapere di cosa si tratta! Vedi, è un'arma molto potente-"
"Sì, un'arma? Con una tastiera e degli strumenti musicali? E poi da quando in qua fai il musicista? Fino a prova contraria tu ripari auto, mica lavori al conservatorio!"
"Adesso ti spiego. -lui incrocia le braccia- Mi è stato commissionato."
"Da chi?"
"Un grande compositore di musica classica."
"Bene. E che se ne doveva fare di un'arma tanto temibile?"
"Suonare. Ma l'arma si trova al suo interno." Piglio un altro cartellone, dopo averlo scelto tra tanti altri arrotolati. "Ora ti faccio vedere come funziona." Lo stendo sul tavolo, indicando le varie sezioni. I suoi occhi seguono l'indice, incuriosito non tanto dal funzionamento ma dal risultato, le parole tecniche zittite dai suoi sbadigli. No, non è adatto a fare il meccanico. Alleggerisco il discorso. "E qui invece c'è la tastiera con i quattro manuali, ai lati ci sono i vari registri e la cabina dell'aria. E-"
"Al massimo 'sta ferraglia può far male alle orecchie! -si arrabbia facilmente- Pensavo ci fosse qualcosa di interessante."
Sbuffo. "Ma non ho finito. Non hai neanche guardato questa cianografia."
"La ciache?"
"La chia... il progetto. È qui la vera arma. Vedi, ci sono delle trivelle ad alta potenza, le appendici allungabili fino a due chilometri..." I suoi occhi brillano per mera curiosità, non per passione, non come il piccolo Theo. No, decisamente non farà il meccanico.
"Che figata! Ma papà sa di queste cose?"
Voglio prenderlo un po' in giro: mi guardo intorno, nessuno nei paraggi, mi avvicino all'orecchio e bisbiglio:"...No, ma sai mantenere un segreto?"
"Certo, non sono una spia-"
"Bene, allora mi fido. Ebbene, una volta ero un famosissimo criminale, ma non dirlo a nessuno!"
Il piccolo mi lancia occhiate deluse. "Tutto qui, uno scherzo? Andiamo, zio, non sono un bambino, e tu non sei così stupido! E anche se fosse vero papà ti avrebbe già scoperto. Lo sai che collabora con la polizia."
So che sta mentendo, che ora sta sospettando di me, perché gli ho ricordato che tutti potrebbero essere dei potenziali criminali. So che mi sta interrogando velatamente, come un vero investigatore. Sì, renderà grande Scotland Yard.
"A proposito, prima ha detto che andava in centrale. Sai per quale motivo?"

"Non so. So che sta lavorando in un caso importante, ma non so cosa."
Giusto, il caso della Londra distrutta e famiglie rovinate allora come dieci anni prima. Spero solo che Hershel non vada di nuovo sul filo del rasoio.

"E invece questa cos'è?" Agita una maschera bianca, non più pulita per la polvere.
Sì, sarà un grande investigatore.

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Capitolo 17
*** 18: Alternative Universe (Twisted Fates, di Notllorstel su Tumblr) ***


L'AU appartiene a Notllorstel [https://notllorstel.tumblr.com/]. L'OC Kyle Ross invece è mia, modificando leggermente l'AU.

THEODORE GRACE POV
«Sai, volevo da parecchio tempo parlarti del progetto in cui mi sono unita l'anno scorso.»
«Già, immagino sia molto interessante. Però...» Sento gli occhi e le orecchie puntati verso di noi. Parlare di questo in un bar non è molto prudente.
«Cosa?»
«Mi avevi detto che sono informazioni... confidenziali.» Uso un altro termine per attirare meno l'attenzione.
«Lo so, ma non vedevo l'ora di parlatene! Comunque d'accordo, te lo dico più tardi.»

Dopo dieci minuti lasciamo il locale, l'impressione di essere osservato non si leva via. Paranoia? Probabile.

Saliamo in auto senza accendere il motore. Mi spiega l'entità del progetto.
«Una macchina del tempo?» Esiste davvero?
«Già! Sta andando avanti da parecchi anni, ma fra una settimana sarà pronta! Fantastico, vero?»
«Sì... particolare, sì....» Sicuramente la notizia girerà. Ma la Targent la sentirà? Le loro talpe sanno come rendere la vita un campo minato, quindi sì. E si faranno vivi subito? Be', come possono lasciarsi scappare una scoperta così utile? Potrebbero per esempio parlare coi ricercatori suicidi o direttamente coi proprietari delle uova...
«Bill e Dimitri non vedono l'ora di lanciare la prima prova mercoledì. Ma sai cos'è più sorprendente?»
Sorrido con lei, negando, accontentandola. Ho paura.
«Hanno scelto me come soggetto per testarla! Pensa, sarò il primo essere umano a compiere un viaggio spaziotemporale! Non è incredibile?»
Le pupille si dilatano, il sangue gelido solo come anni fa. Lei, di tutte le persone?! La Targent la vorrà a ogni costo. Loro sanno come rendere la vita un inferno. Non hanno alcuna pietà, nel sequestrarla, torturarla o-
«Non mi sembri molto convinto. Cosa ti preoccupa, Theo?»
Sobbalzo leggermente. Di solito non sono così assorto nei miei pensieri se ci sono altri presenti. «Oh- nulla.»
«Il cavaliere ha paura per la sua donzella? Ma che dolce!» Mi stropiccia le guance, i miei muscoli troppo tesi.
Non arrossisco. Non sorrido. «Non dovresti farlo.»
«E perché mai? Perché sono una donna indifesa?—Ride nel silenzio, la mano stringe la spalla—Devi stare tranquillo, sono seguita da scienziati competenti e ci sono tutte le misure di sicurezza. E poi lo sai che sono forte.»
«No, dico sul ser-»
«Hai fiducia in me?» Ora è molto seria, le labbra uniformi sul volto.
È strano vederla cambiare espressione così rapidamente. Non voglio preoccuparla. «Certo. Scusami.»
Ed ecco che torna la luce nei suoi occhi. «È normale preoccuparsi di chi si ama, no?»
Non voglio preoccuparla, sistemerò la faccenda da solo. Le sorrido. «Sì.»

[...]

Mi distendo sul letto, nel mio appartamento ancora per poco. Getto uno sguardo sulla mappa attaccata al muro, le puntine rosse circondano le periferie dove ci sono stati avvistamenti della Targent o casi che la coinvolge.

Alcune puntine blu indicano la probabile presenza del cecchino responsabile del decesso di archeologi, politici o chi probabilmente conosceva anche solo il nome dell'organizzazione. Solo uno spavaldo come Swift può sparare in luoghi così esposti. Eppure credevo avesse imparato... Com'è che nessuno l'ha mai avvistato?

Gli articoli di giornale e i vari fascicoli sparsi sulla scrivania hanno una datazione sempre più recente: l'organizzazione è più attiva che mai. Merda, proprio ora che stavo cercando una vita normale. Va bene, avere come ragazza una fisica che aspira per i viaggi del tempo non è la corretta definizione di normalità, ma almeno non ero più coinvolto con omicidi, rapimenti e archeologia. Fino a ora.

Guardo la sedia, il cappello dimora sul piano soffice. Almeno lui non ha paura di ciò che è e ciò che è stato.
Guardo le mani, il sangue soffoca sulla pelle ruvida. Sangue di innocenti e colpevoli e paterno. Sangue indelebile, petrolio irremovibile. Sia chiaro, non ho più da molto paura di uccidere, non temo più il pericolo, ma ho paura fortemente per Claire, Clark e Paul.

È ora che io agisca. Le tende si muovono dal vento artificiale, attirando la mia attenzione.
Il piumaggio è rosso, indicando che Signora Feathers è tornata dalla battuta di caccia.
Mi rivolgo a lei, gli occhi neri stanchi ma sempre vigili e acuti: ha capito che ho bisogno di lei. Mi alzo, nonostante il corpo provi a impedire l'avanzata, stufo di tutta questa storia; la ferita alla schiena pizzica cercando invano di farmi cambiare idea. Accarezzo le soffici piume scarlatte, sperando di poter cancellare le cicatrici sull'ala sinistra muscolosa. Rapidamente il becco addenta la coscia del colombaccio senza vita nelle sue zanne, alcune sue penne in bocca. La lascio consumare la preda, mentre mi siedo di fronte alla scrivania. Sfoglio altre cartelle sopra gli altri fogli disordinati, le attività della Targent si moltiplicano.

Una morsa prende la mia spalla, la poiana di Harris a riposo per un momento; fissa con attenzione le scritte, come se potesse leggerle, e poi scruta nei miei occhi, come se potesse leggerli, cosa che riesce a fare.

Le indico una zona di Londra, un quartiere nascosto, un edificio anonimo per chiunque ma non per lei. Parte come una freccia fuori dalla finestra.
Io mi affretto a prendere alcuni arnesi che mi potranno aiutare nel compito: cacciaviti, martello, chiodi e chiavi inglesi. Devo sabotare la prova di domani o ne andranno di mezzo tutti.
Corro verso la porta ma un'immagine mi blocca: una Claire estremamente delusa e triste. Poi un'altra lei sanguinante, agonizzante e in cerca di aiuto mi dà motivazione. Lascio l'appartamento, non mi curo di chiuderlo a chiave.
Perdonami, Claire.

[...]

Arrivato al palazzo, la Signora si pulisce l'ala destra, segnalando che la zona è deserta, ma niente vieta un'eventuale presenza umana nelle stanze. Scassino la serratura e accedo all'edificio. Il silenzio mi rassicura che le preoccupazioni erano vane. Raggiungo il terzo piano, la targa "LAB. POLID." mi dà conferma della destinazione. La porta è aperta e la spalanco senza problemi chiedendola dietro a me.

Il laboratorio consiste in una stanza molto spaziosa, permettendo un arredo ricco di ogni attrezzo tecnologico. Vedo diversi armadi e bacheche con camici e attrezzature, oltre che vari tavoli con i progetti arrotolati negli angoli. Sui muri sono appesi parecchi orologi singolari nel loro genere, apparentemente prototipi; alcuni tubi scorrono per il soffitto trasportando la corrente.

Ma ecco il macchinario terminato. Si tratta di una grande cabina di metallo, altri orologi di diversi diametri sulla zona superiore con pipe e un quadrante dalle dimensioni sproporzionate, tre lancette agganciate al centro anch'esse fuori proporzioni, uscendo dal bordo. Attorno ci sono dei pannelli di controllo che registrano i dati dell'esperimento probabilmente.

Non faccio in tempo ad avvicinarmi che la Signora gracchia una volta, e poi ancora: ci sono degli intrusi. Infatti poi seguono diversi passi, lenti ma affrettati e tesi. Mi nascondo nell'armadio con i camici e impongo il silenzio.
Aprono la porta, i piedi vicino a me si fermano. Devono essere in cinque lì. Tre di loro peseranno 90 chili o più. Delle guardie del corpo?
«Come le dicevo e come può vedere, è tutto pronto.»
«Finché non è in funzione, per me tutta quella roba può essere anche solo ferraglia.»
«Ma cosa dice?!— Sì sente offeso—È da anni che mi sto dedicando alla macchina e questo è tutto quello che ha da dirmi?! Sono indignato!»
«Ma non lo sarà più quando la pagheremo, vero?»
«Ovvio.»
Sogghigna in silenzio, pensando alla futilità dell'uomo. «Allora, signor Hawks, deve capire come girano gli affari: io credo solo a ciò che vedo.»
«Ma-»
«QUINDI—si impone prepotentemente, ma con successo—se domani non mi fornisci dati e prove che confermano il funzionamento, per me quel coso è spazzatura e non vale un centesimo, tanto meno le mie attenzioni.»
Non sorgono risposte od obiezioni.
Sorride rumorosamente. «Bene. Allora a domani, Bill.» Quattro paia di piedi fanno dietrofront, poi raggiunto dall'ultimo, pesante per la frustrazione.

Quindi c'è anche una cospirazione. Vendere un progetto collettivo... Io l'avrei chiamato sanguisuga. Mi sento leggermente offeso.
Lascio il nascondiglio e penso al sabotaggio che, fortunatamente, non ha solo la Targent come obiettivo. Non posso permettere che un altro bastardo possa farla franca.
Modifico il meccanismo interno, in modo che non si possa neanche azionare e lascio rapidamente lo stabile, tornando nell'appartamento. Preparo le valigie, pronto per la vicina partenza per distruggere l'organizzazione.

Prima o poi la farò pagare a Kyle Ross per avermi costretto a uccidere mio padre.
Al tempo avevo 6 anni e mi era stato appena insegnato come sparare.
«O te o lui.» Mi ringhiava.
«Sparami, ti prego!» Leon era in lacrime, non so se per il dolore della morte o per lo strazio di quella frase. Forse entrambi.
Alla fine, anch'io vittima di terrore, ho premuto il grilletto. Ed è lì che ho messo fine alle mie paure.
Ed è lì che ho giurato vendetta alla Targent.

Gliela farò pagare per avermi fatto trovare mia madre morta.
«È colpa tua—mi aveva detto—sei troppo in gamba e invece lei ti distraeva. Ora devi fare del tuo meglio.»

E così sia. Morte alla Targent.
Addio, Claire.

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Capitolo 18
*** 20: Crossover ***


Carmine Accidenti = Sebastian Fate
 
Hershel Layton POV
A giudicare dal cielo già scuro, rendendo impossibile correggere le tesi senza una lampada accesa, e dall'agenda aperta sulla pagina di novembre, posso dedurre che sono circa appena le cinque del pomeriggio. Non posso crederci di poter impiegare così tanto per controllare un solo compito. Sarà meglio passare al prossimo foglio...

La collisione tra gocce e vetro e muro mi rilassa, mentre il bussare alla porta mi risveglia dal lavoro.
Chi potrebbe essere? Non ho appuntamenti.
Mi affretto ad aprire, trovando una faccia non nuova, un sorriso nasce spontaneo.
«Sono felice di vederti, Carmine.»
«Idem, professore.—ispeziona la scrivania con un'occhiata discreta—La disturbo per caso?»
«No, non preoccuparti. Anzi, entra, in corridoio fa molto freddo.»
«Ha ragione—entra tremante—mi chiedo chi è il genio che lascia le finestre spalancate, accidenti! Di questo passo rischio anche di prendere un raffreddore.» Rido al gioco di parole involontario, lui arrossisce di imbarazzo alla realizzazione. «Forse Diamine suona meglio, già.»
«A ogni modo,—mi dirigo verso i fornelli—direi che un bel tè non farebbe male.»
«Grazie infinite. Aspetti, che la aiuto.»

In due riusciamo rapidamente a preparare la bevanda, la tavola con tazze e biscotti. Carmine, come me, preferisce berlo al naturale, perciò evito di mettere le zollette sul tavolo.

Dopo un momento di silenzio e di contemplazione alla pioggia, mi faccio coraggio e inizio il discorso. «Allora, com'è successo quell'accidente?»
«Le ho già detto che si dice incidente, prof, e c'era una benedetta strega che mi stava seguendo!»
Rido alla sua enfasi, in fondo credevo anch'io fosse vera inizialmente. Ma la logica regna. «E com'è andata in ospedale?»
«Fortunatamente bene,—si siede lentamente mentre servo il tè—giusto qualche frattura e graffio, ma niente di troppo grave o irreversibile. La riabilitazione è stata breve ma difficoltosa: quel fisioterapista voleva distruggermi le ossa, non ho dubbi.—sorride, ma poi inghiotte il risolino—Ora la metto sul ridere, ma le giuro che è vero.»
«A ogni modo, la ragazza bionda, Espella Cantabella, è al sicuro e il mistero di Labyrinthia è chiuso.»
«L'ho letto sui giornali, c'era anche Phoenix Writh! Deve essere stato stra-interessante!»
«Sì, dai...» Almeno non coinvolgeva nel profondo chi mi è più caro. «Ma se ce l'abbiamo fatta è tutto grazie a te. Quella lettera ci ha portati lì.» Buffo pensare che le lettere che ricevo recentemente, apparentemente innocue, possano portare a delle avventure così singolari. «Comunque, vedo che anche nella sventura hai sempre la fortuna che ti salva. Ma non essere troppo intrepido!» Il tono è dolce e amichevole.
«Lo so, lo so. Mi chiedo ancora perché non mi ha lasciato anni fa. Però sono contento della mia attuale carriera. Il mondo ha tantissime cose da offrire, prof!»
Non posso certo negarlo.
«Fare il detective è molto di più di quello che si trova nei romanzi.»
«Sicuramente in alcune cose i libri sono molto limitati, in altri aspetti apre un mondo tutto da scoprire.—gli sorrido provocandolo—E non solo i libri.»
«Be', quei pochi anni del suo corso mi sono serviti: alcuni assassini hanno una grandiosa fantasia nell'utilizzo degli oggetti e degli ambienti.»
E bello vedere un giovane così appassionato. «Se devo essere onesto con te,—gli sorrido con naturalezza—l'avevo capito quasi da subito che non eri adatto a fare l'archeologo, anzi, che avrebbe soffocato la tua vera passione per l'investigazione.»
Carmine sorride allo stesso modo, lasciando un sospiro di sollievo. «Perdoni questo cambio di programma improvviso.»
«Nient'affatto,—lo rassicuro—La vita può essere davvero imprevedibile e cambiare le idee con una facilità incredibile.» Idee, che pensiero effimero e debole. Davanti al destino, tutto è amorfo.
«Comunque,—mi domanda—cosa le diceva che l'archeologia non faceva per me?»
«Molto semplice:—sorseggio il tè bollente con cura—chiedevi sempre se c'era un cadavere nelle vicinanze di un ritrovamento, cercavi di identificare gli oggetti non per il loro utilizzo quotidiano ma istantaneo, come potrebbe essere un'arma del delitto. Ma non è tutto. Oltre a chiedere le cause del decesso del corpo o dei suoi frammenti, ti vedevo spesso leggere un libro in italiano in treno. Immagino fosse un giallo italiano, corretto?»
«I casi del Commissario De Vincenzi. Credo sia il mio investigatore preferito: italiano, grande conoscitore dell'inglese e affascinato dall'arte e dal mistero della mente umana. Mi assomiglia molto!»
«Non lo metto in dubbio.»

Il pomeriggio continua lento tra l'aroma dell'Earl Grey, qualche brano di libri ingialliti e ricordo rivissuto.
«Ho rivisto il mio gioiellino dopo l'incidente ed è irriconoscibile, oltre che inguidabile!»
Non posso sopprimere le risate spontanee. Lo lascio sorseggiare il tè, ora tollerabile per la lingua e la gola. «Posso dirle una cosa, prof?»
«Certo.» sono sorpreso dalla domanda diretta.
«Io non vedo lei come archeologo.»
«E come mai? Su quali basi?» Mi sale il panico silenzioso.
Non fa tacere il sorriso. «Sospetto che soffra una qualche forma fobia che le procura un grande disagio in luoghi chiusi, specialmente nelle nostre spedizioni in siti archeologici di grotte o rovine sotterranee. Lì è estremamente prudente ma a tratti incauto, non preoccupandosi di crepacci e burroni, anche se il timore è ben nascosto ma evidente. Invece nelle avventure appena trascorse, da quanto si può evincere dagli articoli di giornali, non aveva alcun tipo di paura. Inoltre, lei collabora con la polizia. Allora,—mani sul tavolo, in piedi dalla sedia come in un tesissimo interrogatorio—ho forse ragione, professore?»
Gli occhi sono fissi su di lui. Poi li distraggo per concentrarsi sul tè, non più bollente ma fonte di calore debole. «Il tuo ragionamento non fa una piega.—gli sorrido—Ora capisco perché la fortuna non ti ha abbandonato: sei estremamente perspicace. Forse un giorno ti racconterò anche questa storia.»

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Capitolo 19
*** 21: Ragazze ***


Al risveglio dal turbolento avvio della macchina, fremeva di curiosità e timore per un imprevisto: si guardava attorno, il luogo sconosciuto, i ricordi nella sua mente fragili come il suo corpo, quasi a brandelli, ma il dolore la mutilava, non troppo forte però da preoccuparsene.
Non sapeva che cosa ci faceva lì, ma al momento stesso sì, anche se nulla le poteva fornire risposte attendibili e abbastanza esaurienti, una logica proibita nel mondo della scienza: l'istinto, il presentimento, il presagio.

Questo di certo non è l'aldilà, o la vita o la morte. Qui attendeva semplicemente, avvolta dall'oscurità e da nessuno.
Spesso la domanda del nome del luogo in cui si trovava ricorreva, ma la mente le diceva che doveva mantenere il silenzio, che la risposta si sarebbe rivelata da sola, prima o poi, nella forma più pura.

Non sapeva quanto era passato dal suo arrivo, il tempo fin troppo flessibile in questa dimensione per poter essere misurato.
Poi vide una ragazzina in lontananza, forse alla ricerca di compagnia o soluzioni come lei. Pareva stesse camminando da parecchio, eppure non dava cenni di stanchezza e fatica. Al contrario, i capelli biondi cenere erano ancora ordinati alla perfezione, in parte legati da uno chignon e il resto cascanti; i suoi occhi erano come un faro in quell'immensità, estremamente distinguibili e chiari, il ciondolo sulla fronte la seguiva nella processione, allo stesso modo casto e luminoso.
Dalla lunga veste rosa singolare nel suo genere e dall'accessorio sulla fronte si poteva dire che non apparteneva al suo stesso tempo o al suo stesso spazio.
Incredibile come possano essere così versatili...

Ora quei fari azzurri erano puntati verso di lei. Non sapeva se doveva sentirsi al sicuro, a disagio o preoccupata. È vero, almeno non era sola in questa oscurità, ma significava che qualcun altro stava viaggiando nel tempo? O che ha viaggiato? Una ragazzina, poi?! E cosa diamine avevano quegli occhi!

«C-ciao.» agitò in aria la mano con fare ambiguo, non sapendo come approcciarsi, aspettandosi un ricambio di saluto, rivelatosi inesistente.
Infatti la ragazzina non diede cenno di risposta, la pelle omogenea sulla fronte perfetta e le labbra distese.
«Emh... Io sono Claire Folley.» estese completamente la mano verso di lei, ma ancora nulla.
Non pareva neanche respirasse. Anzi, nessuna delle due respirava. "Ma in fondo a cosa servono poi i polmoni qui quando lo spazio e il tempo sono quasi infiniti?" pensava erroneamente Claire.
Provò con un approccio diverso, presentandosi e sperando un ricambio. «Sono Claire Folley...—schiarisce la gola per rompere la tensione, stropicciando la manica larga—Posso farti qualche domanda?»
«Non ho tempo.»
«Comprensibile, qui in fondo non esiste, dopotutto ci troviamo in una dimensione collegata con il mondo tetradimensionale da un sottile filo dettato da-»
«Non ho tempo per questi discorsi. È l'ora del giudizio.»
«Di cosa- Ei! Ma dove vai?!» mentre si allontanava e Claire si avvicinava, la figura iniziò a dissolversi come vapore, i contorni informi e gassosi. E scomparve, lasciando dietro nulla. «Sparita?» si guardò le mani e sì, erano sempre più trasparenti, l'ambiente si animava con voci, rumori di motori dalla struttura semplice, interferenze e frequenze radio delle vetture. Il panico era implacabile e sì guardò attorno freneticamente.
Poi il sole diede forma al parco in cui si ritrovò solo ora, accecandola per un istante e lasciando il suo stampo. E riconobbe il luogo: Londra, a tratti inconfondibile, di fronte alla fontana. Sbirciò da un giornale la data, poi un altro per confermare i suoi fremiti di gioia come fondati. E lo erano.
«Allora ha funzionato!» pensò erroneamente Claire.

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Capitolo 20
*** 22: Confronto ***


Hershel Layton POV
I primi raggi solari filtrano nelle palpebre semi aperte. Gli occhi vedono l'apparizione celestiale che va avanti da quasi un mese: io disteso su un letto matrimoniale in una camera che dovrebbe essere nostra da dieci anni, ma mia da poche settimane, le foto incorniciate illustrano il giorno che ho sognato e apparentemente vissuto, un bacio al centro del muro. Ora si presentano davanti al mio campo visivo delle ciocche rosse, gli occhi neri lucenti brillano di vita, le labbra sillabano il primo saluto della giornata, dettato dalla voce troppo familiare che la mia mente la rifiuta. «Buongiorno, amore.»
Ancora fremo a ogni risveglio, ma nascondo bene il mio disagio, il cappello assente da tempo procura più sconforto. «Buongiorno, tesoro.» e le bacio la fronte. Lei sorride, nella mia mente solo il volto che era disteso sulla barella, il corpo a cui apparteneva nudo e coperto solo da un lenzuolo puro e da pelle carbonizzata, l'anello mancante, ancora riposto nella scatola di velluto rosso. Forse si trattava dello scrigno di Pandora?
Eppure ora loro dimorano al loro posto, congiunti insieme dalle dita intrecciate.
Lei si distende ancora, avendo fatto le ore piccole, a giudicare dai libri sparsi sulla scrivania. Io mi alzo, lasciando scappare uno sbadiglio, la mano placa la maleducazione. Affondo i piedi nelle calde pantofole, la brezza dell'inverno ha contagiato il pavimento. Esco dalla stanza, lei già addormentata. Scendo le scale, passi minuti ma pesanti vibrano il pavimento. Già, Hersh e Theo.
I due bimbi piccini sono già a tavola, in attesa di uno dei loro genitori per preparare la colazione. «Ciao, papà!» Esclamano entrambi.
Ricambio il saluto e preparo delle uova e qualche striscia di bacon. Sento già i bimbi leccarsi i baffi.
Hersh è un bambino sveglio, a volte permaloso ma molto vivace. I suoi occhi cremisi sono interessati e a volte intimidatori.
Theo, al contrario, anche se, essendo il più giovane, sia amante degli scherzi, non ne procura ed è molto obbediente e devoto. Credo che lui sia effettivamente mio figlio.
Mangiano a tratti rapidamente e lentamente il pasto.
«Dov'è mamma?» chiede Hersh.
«Credo stia ancora dormendo.» risponde Theo prima di me.
Si raccontano i sogni avuti durante la notte, facendomi sorridere e pensare quanto siano fortunati i giovani.
«Hersh, cos'hai sognato oggi?»
«Prima dimmi il tuo.» si rifiuta Hersh.
«D'accordo, ma poi mi racconti.—lo provoca sorridente e fiero—Sai, ho visto lo spettro che salvava il villaggio!»
Uno spettro? Perché mi suona così famigliare!?
Poi la figura femminile appare, gli occhiali già indosso. Un brivido corre sulla mia schiena, ma le do il piatto con l'uovo e ci baciamo ancora.

[...]

In queste settimane mi sono abituato- ho cercato di accettare, di credere nel... non so neanche come spiegarmi. Ho... sto provando a digerire tutto, che quello che ho visto (l'esplosione, le ricerche inconcludenti, il vicolo) magari si trattava di un terribile incubo, anche se risvegliarsi accanto a lei, con delle rughe istantanee e improvvise e dimenticare dieci anni della propria vita è un fatto difficile da spiegare. Ma il caos viene ora, col bussare della porta. Come lo so? Lo so e basta.
Ospiti?

Claire non esita ad aprire la porta, rivelando un volto lontano ma familiare, gli occhiali neri dimorano oziosi sul ponte incorniciato da ciocche rosse, dietro di lui una donna bassa, con le gambe troppo magre, dai riccioli d'oro.
Entrambi mi sorridono. «Hershel, come stai?» mi chiede lui, niente indica che pensi a quello che penso io.
Io tremo, indietreggio, ho paura.
Claire interviene, unendosi a loro nel tormentarmi con gli sguardi. «Non spaventatevi, ultimamente si comporta in modo... strano.»
Mi credono pazzo, fuori di testa. Ma non è magari vero?! Non è la prim- basta Basta BASTA! «State indietro!»
Due paia di occhi di cadavere che mi hanno sempre tormentato ora sono qui, insieme. «Hershel,—Randall si avvicina—che diamine—la mano sulla mia spalla—ti-»
«Via! Sparite tutti!» lo spingo via subito.
Non mi sento bene. Non sto bene.
Grido. Salgo le scale. Corro in camera. Sbatto la porta. Chiudo la serratura e sospiro aria, la schiena sull'uscio.

Non può essere vero. Non è possibile.
Sono passati dieci- vent'anni dalla scomparsa di Randall, dall'odio di Angela, nonostante la lettera riconciliatoria. Sono passati tredici (o tre?!) anni dalla dichiarazione di morte in absentia. E Angela-


«Ho paura.» mi dice Theo, rivelando la sua presenza.
«Cosa ci fai qui?»
«Ho paura.»
«Di chi?-»
Precipita ad abbracciarmi. «Di tutti!—Le lacrime zampillano dalle palpebre rumorosi—Anche Hersh!»
Poi bussano alla porta. «Hershel, tesoro, va tutto bene?»
Non rispondo.
Lei si allontana. La sento parlare con gli Ascot:«Davvero, non so cosa gli stia succedendo.» Torna di fronte alla porta, i passi più numerosi.
Ho paura. Ma devo affrontare il problema. «Theo, nasconditi e non uscire allo scoperto per nessun motivo.»
Il piccolo annuisce e svelto raggiunge l'armadio, come avrei fatto io al suo posto.
Claire torna a bussare e nel mentre le apro la porta, anche Randall e Angela in attesa con lei, i loro volti preoccupati. Forse sono davvero impazzito.
«Hershel, possiamo entrare?» chiede Randall.
«Solo Claire.» La lascio accedere nella stanza, ora chiusa a chiave. Solo ora mi rendo conto di quanto sia piccola e come l'aria qui sia irrespirabile.
«Tesoro, mi stai preoccupando molto ultimamente, ti comporti in modo strano, non ti riconosco più...—singhiozzi e lacrime—Dimmi, perché non sei più felice? Siamo marito e moglie, abbiamo due splendidi bambini e fai l'ingegnere e tutto va bene e... e io sono qui e...»
La abbraccio di istinto, le sue lacrime pugnali per me, ora la maglia umida.
Ma subito mi spinge via. «Allora dimmi, sono io il problema?-»
«Claire-»
«Mi odi?»
«Mai!» la mia voce piena di sofferenza, il solo pensiero rapido e dannoso come un proiettile, il dolore nella gola e nel cuore.
«Quindi credi ancora nella mia esistenza? Mi riconosci? Mi accetti? Mi ami?»
Vedo solo un cadavere. «Prima vorrei farti una domanda-»
«E poi mi prometti di restare qui?» È molto ansiosa, gemme di lacrime brillano.
Evado la promessa. Perdonami. «Dov'è il mio cappello?»
«Il cilindro? Cosa dovrebbe c'entrare con questo?»
Un pensiero gira l'ingranaggio, l'ultimo tassello completa il puzzle. Prendo quel bacio dal centro del muro. «Tu me lo desti dieci anni fa prima dell'esperimento.»
«E quindi?»
«Nella foto non ce l'ho addosso.»
Sospira. «E quindi?»
«Come mai non ce l'avevo?»
«Che importanza ha uno stupido cappello?! Non dovresti pensare piuttosto che almeno ci siamo sposati e che siamo insieme e possiamo esserlo per sempre?!»
«Per sempre?»
«Lo sai,—si avvicina, spaventandomi—finché morte non ci separi. O ci riunisca.»
Indietreggio, colpendo i piedi del letto. Mi volto, rivelando la barella e il corpo senza vita di lei. Il sangue mi si ghiaccia nelle vene.
«Ah già, lei. Ma è acqua passata, no? Vedi,—prende la barella, scaraventandola contro la porta aperta al nulla cosmico—possiamo pure sbarazzarcene. Che importa, ormai? Questo mondo è ciò che tu desideri, che noi desideriamo. Ogni nostro desiderio è realtà. Non è fantastico, Hershel?»
Mi tremano le mani. «Ma quella-»
«Era solo una Claire terrena, mortale, effimera, morta. Ma io sono qui, con te. Non ti basta questo?»
Il sudore è freddo. «Claire, mi stai preoccupando.»
«Tu mi preoccupi!—ringhia, le lacrime copiose—Che ti prende? Perché non mi accetti? Mi volevi forse morta-»
«No!»
«E ALLORA PERCHÉ NON VUOI RESTARE QUI?!»
«PERCHÉ QUESTA NON È LA REALTÀ!»

Il silenzio stagna l'ambiente, forse causa principale della disgregazione degli atomi e dello spazio. La luce che filtrava dalle finestre ora è solo pura oscurità, eppure riesco a vedere ciò che mi circonda: Claire è di fronte a me, il resto inesistente. Sembra quasi rassegnata, un sorriso triste sulle labbra. «Hai ragione, questa non è la realtà, ma poteva diventarlo. Anzi, può ancora esserlo.»
Rimango in silenzio per un po'. «Ma non lo è.»
«Ma possia-»
«Claire, la realtà non la si può comandare!»
Un sospiro di rassegnazione viene lanciato dai polmoni tesi per l'aria tesa. «Questo mondo è frutto della tua immaginazione, e come tale può subire ogni cambiamento a tuo piacimento. Anch'io—mi interrompe vedendomi replicare—non esisto. Esisto solo nella tua testa, che può diventare la tua casa, la nostra casa. Ma vedo che tu hai cambiato idea. Sei sicuro di voler lasciare questo luogo?»
Se me ne vado, non tornerò più e non rivedrò Claire, Randall e questa casa. «Sì.» E mi getto dalla sagoma della finestra, la caduta quasi un volo nel vuoto.

E ora vedo una luce: debole, sensibile, ma c'è. Vedo sagome di mobili e di persone, i limiti finiti della stanza e il letto su cui sono disteso. Odo le macchine, le gocce che cadono per concentrazione, i respiri e le conversazioni lontane dei viventi. Sento il calore delle coperte e del sangue, il prurito procurato dalle garze e il dolore generale sul corpo, i muscoli troppo tesi per dare sollievo, la testa scombussolata richiama attenzione, gli occhi addolorati dalla vita di cui sono stati privati.

Sento il calore di altre mani, alcune rugose, altre giovani ma stanche, le vibrazioni della corsa in corridoio scorrono sul materasso.
Ora sono di nuovo tra i vivi, senza di lei.

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Capitolo 21
*** 23: Brano ***


Janice Quatlane POV
«No, no e no!» L'uomo colpisce con sberle e pugni la tastiera, l'organo stonato rilascia il suo grido straziato diffuso dall'eco, sostituendo i suoi lamenti e le annotazioni già spiegate precedentemente.
Mi spaventa la reazione improvvisa di Oswald, le grida sempre più atroci, anche se si tratta dell'ennesima prova dell'introduzione dell'opera, il problema insormontabile si trova già alle prime battute. Nelle ultime cinque ore non si è comportato diversamente a sentire la mia voce, non compatibile con le sue aspettative. Gli attori non sanno se aver odio per il musicista, troppo pignolo, o per me, non adatta. Io so solo che mi vergogno da morire.
«Da capo!» ripete ancora, nessuno è più pronto, la mia gola brucia dalle vibrazioni eccessive, gli angoli delle labbra strappati dall'estensione prolungata.
Risuonano le note che dovrebbero portare ordine, anche se loro stesse sono dominate dal caos, un sali e scendi difficile da digerire. Solo ora Whistler si rende conto che la stanchezza generale è indomabile, complice l'assenza di pause tra le prove ininterrotte. Solo ora noto il suo sudore, complice la foga o la follia. Rilascia i tasti, questi lo ringraziano con del meritato silenzio.
«D'accordo, per oggi direi che può bastare. Potete andare.»
Tutti emanano un sospiro di sollievo e vanno in fretta verso l'uscita. Seguo gli altri attori finché non sento chiamare il mio nome. Ancora. Attendo che il palco si svuoti completamente, Whistler vicino all'organo colossale a fissare le lampadine accese. La prima si spegne ora. «Senti Janice, la tua voce non è quella che ti ho chiesto.»
«Il fatto è-»
«Ti ho detto di imitare il più possibile Melina, ma non ci stai neanche provando.»
Mi sento offesa, ma soprattutto ferita. Ho provato centinaia di volte ad avvicinarmi al suo tono, ma mi è impossibile. «Le posso garantire che ho provato, signor Whistler, è solo che non rende bene. Non riesco a modularla e potrebbe rovinare-»
«Melina non ha mai rovinato nulla, capito?!—mi aggredisce—E tanto per ricordarti, è un'opera in sua memoria.»
«Lo so-»
«Se domani passeremo un'altra giornata fermandoci sulle prime battute e basta, sarò costretto a trovare un'altra cantante.»
La saliva acida viene deglutita, ma alcuni residui feriscono la gola, soffocandomi. Lascio la stanza correndo, il saluto a bassa voce sperduto nell'eco. Le lacrime ostruiscono completamente le vie respiratorie. Melina, ho fallito.


[...]


Mi alzo dal tappeto d'erba che mi ha ospitato, ma non pare sia stato disturbato dalla mia presenza.
Il promontorio su cui mi trovo non sembra aver fine, come il mare infinito e il cielo che si confonde con l'acqua.
Mi guardo attorno, l'essenza di ombre mi indica la desolazione.
Ora vedo... vedo...
Nonostante il sole fermo sullo zenit, vedo, sento che sta arrivando qualcuno. Mi è impossibile determinarne la sagoma, ma la voce basta e avanza: un tono delicato, angelico ma deciso, troppo debole contro la morte e la malattia. Eppure...
Apre bocca, però non la ascolto. La abbraccio più forte che posso.


-----


Melina Whistler POV
Nonostante siano passati mesi ormai dal mio primo risveglio, non sono ancora abituata al mondo che mi circonda: solo la luce del sole mi acceca, potermi ancora alzare in piedi mi dà le vertigini. Mi sono assicurata di coprire tutti gli specchi e le superfici riflettenti: anche se si è offerta di darmi il suo corpo, non posso non essere disgustata di me stessa e di mio padre. A ogni modo reprimo questi pensieri distraenti che possono far saltare la mia copertura. Mi vesto con l'abito che indosserebbe Janice e sistemo i capelli rossastri in una coda e la appoggio sulla spalla. Prima di uscire chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo e libero la superficie verticale dal drappo che la celava. Mi vengono i brividi a incrociare quegli occhi sotto il mio comando. Mi sento un mostro, sono un mostro.
«Janice—mi dico, sperando che lei mi senta nel subconscio—dammi ancora un po' di tempo e vi libererò.» Mi sorrido, una lacrima spontanea.
È da stupidi temere la morte, specialmente quando si vivrà sempre nei ricordi altrui.
Lascio la stanza, pronta per l'ennesima prova dell'opera. Il concerto sarà domani, insieme al resto. Al piano diabolico e folle che mio padre sta seguendo per colpa mia.


[...]


Le mani mi sudano, forse come mai prima d'ora, neanche quando ero malata il mio cuore era così veloce. È vero, si tratta di semplice ansia ed è assolutamente normale, ma in questo momento non mi aiuta, anzi. Devo dare il meglio di me.
Indosso l'abito bianco leggero, ora nessun problema esiste.
Ora sono la regina di Ambrosia, amante della musica che muore prematuramente per una misteriosa malattia... Forse lo sono davvero.
I sipari sono ancora chiusi, ma sento gli occhi puntati sul palco. Cosa spera di trovare la gente, qui? Ritrovare se stessi o è un semplice momento di sfogo, per sconnettersi dai propri problemi?
Papà si avvicina a me, una mano rassicurante sulla mia spalla, il sorriso finto. «Buona fortuna, Janice.»
Rispondo al nome conferitomi immediatamente per non creare sospetti. «Grazie, signor Whistler.»
La bimba, dietro le sue gambe, ne cerca rifugio. I nostri sguardi si incrociano. Non conosco i suoi occhi, ma conosco la mia aura, e sono certa di sentirla.

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Capitolo 22
*** 24: Bloccato ***


Alfendi Layton POV


Un botto rimbomba dal terrazzo, la pistola nella mia mano stabile ma gelida. L'altra mano corre verso il foro tremante, ricavandone solo sangue e aria al tatto.
Keelan non sembra cedere, il suo essere ferito una semplice recita. La sua arma è stabile ed è ancora fumante. Mi ha fregato, il bastardo mi ha fregato.

Il mio corpo si irrigidisce e si accascia al suolo, acquisendo la sua temperatura e scaldandola col liquido cremisi. Le palpebre vengono trascinate giù dalla gravità, la luce non più benvenuta nella visione.

Un altro botto. Un corpo cade a terra in seguito, presumibilmente senza vita. Per breve tempo sembra che qualcuno stia trafficando con degli arnesi. Seguono delle vibrazioni turbolente, sempre più vicine, più forti, più spedite. Una porta viene spalancata. I piedi coi tacchi si avvicinano intimoriti. «Che cosa ti ha fatto...»
Lei mi abbraccia, la morsa stretta, soffocante. Ma dopotutto sono bloccato nel mio stesso corpo: vorrei rassicurarla e dirle che è tutto finito, ma non riesco. E ora non riesco a sentire più nulla.

Mi guardo attorno, muovendomi con difficoltà nell'oscurità, forse per precauzione, forse per confusione. Non vi è anima viva, escludendo la mia. O includendola?

Decido di sedermi a terra (se mai esiste davvero un sotto) e attendo, non essendoci tanto altro da fare. Tengo sempre un occhio in giro, inutilmente.

Dopo solo dio sa quanto sento una voce. Non presto attenzione al tono, ma alle sue parole. «Sono Alfendi Layton. Sono un detective e sono l'assassino di Keelan Makepeace.»

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Capitolo 23
*** 25: Minigame ***


La sera non era più giovane, tanto che il sole era già andato a dormire qualche ora in anticipo, proiettando l'oscurità del lato ignoto. Le case, prima lumi del cielo urbano, si spensero mano a mano, fino a mimetizzarsi nel buio. Solo le strade erano rimaste accese come costellazioni per i viandanti smarriti. Ma una piccola finestra si distingueva ancora nel panorama, segno che i suoi occupanti non si erano arresi ancora al sonno, nonostante la loro giovane età; infatti la finestra subito adiacente era illuminata da una candela, ma il professore stava dormendo, la testa sommersa dai libri sulla scrivania, avendo tentato di nuovo di opporsi alla stanchezza, fallendo miseramente.
La stanza accanto non era ancora sotto l'incantesimo del sonno, un fruscio di pagine continuavano a essere voltate, lette e commentate.
«Ma davvero ti premiano con del cibo se restituisci le cose che hanno perso?» diceva la piccolina. Il fratello poteva vedere i suoi occhi luccicare dalla sorpresa e contentezza.
«Non cibo qualsiasi, ma la frutta, che fa bene.» La piccolina incrocia le braccia imbronciata; il povero fratello non sapeva se per la frutta o per il dubbio. «... ok, magari qualcuno ti può dare una crostata, se sei fortunata, ma di solito non ti danno più di un semplice grazie.»
«È cos'è? Qualcosa che si mangia?» Lo credeva davvero, o forse lo sperava soltanto, ma gli occhi brillavano ugualmente; ad Al dispiaceva sapere che il mondo non fosse come lo vedeva Kat, per lei ma anche per se stesso. «Chissà...» Le sorride, stuzzicandola, affidandosi al destino.
«Al? Possiamo leggerne un'altra?»
«Certo.»
«Grazie! Aspetta che prendo il carillon!» la piccola sfrecciò verso la scatola dorata, girando la manovella, il pettine collideva col cilindro dalle forme imperfette, che a prima vista direbbero che è un lavoro degno di un imbecille, forse. Ma erano nella posizione giusta al momento giusto e si facevano sentire, formando una melodia meravigliosa.
 
Sì, Alfendi era indubbiamente affascinato dal destino o forse dalla causalità; in realtà al tempo non ne conosceva la differenza. Guardava incuriosito il regalo fatto da Theodore Phibbs, per loro zio Des. In realtà non era ancora venuto a conoscenza del rapporto tra suo padre e quel meccanico, o del mistero dietro al doppio nome, ma l'importante è che faccia dei bei regali, no?
 
La piccola prese in mano il libro e con noncuranza andò verso il capitolo successivo. Al le accompagnò la mano per sfogliare le pagine con delicatezza.
 
«Attenta, ti ricordo che questo libro è vecchio e zio Luke si arrabbia se lo trova rovinato!»
«Scusa.» rispose con lo sguardo basso.
Si sentì un po' in colpa, ma doveva in qualche modo farle tornare il senno, no? Doveva iniziare a prendersi cura non solo dei regali ma degli oggetti in sé. «Allora vediamo un po'... Secondo te di cosa parla questa storia?»
«Un problema in un bar, giusto?»
«Direi di sì.» Un'occhiata al titolo bastava per estinguere tutti i dubbi, ma l'immagine lo incuriosiva, la ragazzina di fronte alla finestra familiare.
 
Il ricciolo sulla fronte, l'abito color crema e gli occhi li riconobbe un po' a fatica: era molto cambiata da come l'aveva vista l'ultima volta con il cappotto scuro stretto che la copriva fino al mento, celando la giacchetta bianca e la maglia color pesca, i cappelli raccolti in uno scignon, pronta a prendere la nave che l'avrebbe portata dove voleva: a casa sua, in Francia. Il Professore, al suo diciottesimo compleanno, ovvero l'anno prima, le aveva chiesto il suo desiderio più grande: era molto devoto a lei e voleva la sua felicità; e questo è ciò che chiese. Infatti, a vedere la nave pronta a salpare i suoi occhi si erano illuminati di gioia, i cappelli sciolti, accarezzati dalla brezza invernale, alcune gocce d'acqua rimpiangevano la partenza, il padre la abbracciò, fiero di lei. E partì. Non aspettò molto per inviare una lettera con le sue notizie: infatti—
 
«Al, leggiamo o no?»
Si risvegliò dai suoi pensieri, accontentando la sorella leggendo di equivoci, pioggia, funghi e latte.
 
Gli occhi della piccolina erano ora oscurati dalle palpebre. Provava a chiedere al fratello di continuare con l'ultimo racconto, ma finì nell'addormentarsi.
«Buonanotte, Kat.» le baciò la fronte.
 
Spense la luce e si diresse nella sua stanza, leggendo rapidamente la storia dell'oggetto smarrito. Era palese che il colpevole fosse il felino e il caso non era così interessante, non per questo Alfendi era un grande appassionato di omicidi.

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Capitolo 24
*** 27: Modo (Twisted Fates, di Notllorstel su Tumblr) ***


Diario del Professor Hershel Layton - Misthallery: giorno 1

Ora mi ritrovo in una stanza dell'hotel North Ely, a Misthallery. Eh sì, per aiutare la Scotland Yard e per seguire il mio dovere di cittadino e yada yada yada questo e altro.

Comunque, ora spiego perché mi trovo qui: a quanto pare una lettera è stata inviata alla centrale di polizia. E non una lettera qualsiasi…
La busta non presenta tracce o segni particolari, se non che è completamente battuta a macchina. Poco male, forse il mittente Clark Triton ha una grafia indecifrabile come la mia.
Neanche la carta ha nulla di speciale: un foglio bianco dove vi sono impresse poche informazioni, ma una storia che va oltre l'immaginazione. In soldoni, pare che uno spettro stia terrorizzando la cittadina e demolisca strade e quartieri durante la notte. E, evidentemente, la Yard che non crede "a queste bravate" doveva lasciare un caso così bizzarro a un uomo bizzarro. Ottima scelta.
Allora, d'accordo, insegnerò anche filosofia al liceo, ma non significa che creda a fate e gnomi!
Ciò che però mi ha indicato di continuare la ricerca è il secondo messaggio nascosto nella lettera, composto dall'iniziale di ogni riga. "Ciaiuti". Troppo elaborato per essere uno scherzo...
Giunti in poche ore a Misthallery, abbiamo troviamo parte delle abitazioni rase al suolo, i pianti e le grida riempivano ancora le altezze vuote. Nell'aria solo la frase «Lo spettro! Ci vuole tutti morti!» Ero già a conoscenza dei loro costumi superstiziosi, ma non credevo ci potessero credere così tanto.
Ho indagato un po' chiedendo informazioni ai civili e indovina? Mi dicono che si sente il suono di un flauto quando lo spettro si dissolve nella nebbia! Sarà solo una coincidenza? Probabilmente no, visto che è come si addice allo spettro della leggenda.
Comunque siamo riusciti a visitare Clark e apparentemente non sapeva nulla della lettera che abbiamo ricevuto... peculiare, un furto di identità? Forse sto solo speculando troppo, però la faccenda si fa interessante.
Essendo arrivati tardi qui a Misthallery, abbiamo deciso —io ed Emmy— che domani mattina andremo a consultarci con l'ispettore della cittadina, un tal Levin Jakes, conosciuto anche come "Veggente": pare sia un abile investigatore che riesce a chiudere i casi molto rapidamente. Particolare l'alto tasso di suicidi e incidenti in questo paesino, però...
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Theodore Bronev POV

La nebbia getta un velo di cordoglio sui presenti e futuri ruderi, il cielo bigio e l'umidità rendono l'ambiente più stagnante.
Oggi non sarà una notte di esplorazione: mi trovo nell'ufficio di Levin Jakes, un bastardo non diverso da quel Hawks, entrambi sanguisughe e corrotti. Direi che è un motivo abbastanza valido per giustiziarlo. Se le cerca.

I piedi lenti dell'obeso si fanno sentire anche a cinquanta metri di distanza, i corridoi esenti da passi estranei. Le chiavi strangolate e scombussolate sbloccano la porta che si apre con notevoli lamenti, proprio come il pavimento in legno, sotto pressione. L'uomo non si disturba ad accende l'interruttore: le lampadine sono da tempo fulminate per la sua pigrizia, una candela può bastare. Si siede sbuffando sulla poltrona, il fondo schiena le fa gridare pietà, lui sordo dei suoi tormenti. Inizia a rovistare le scartoffie sparse senza criterio sul tavolo, fascicoli accomunati dalla scritta rossa "caso chiuso". Sì, chiuso con un incidente o un suicidio, intanto che differenza fa? Solo in alcuni c'è il nome di un innocente chiamato come colpevole, giusto per estinguere i sospetti.
Sono fascicoli magri, striminziti, le foto inconcludenti, le prove raccolte povere, le deduzioni uno spreco, un rifiuto nel posto sbagliato. «Un modo, devo trovare un modo... 'sto cazzo di spettro...» farnetica la bestia, le unghie nei fogli, quasi per raccogliere delle parole, una scusa che casualmente abbia un senso, un verdetto a suo vantaggio.

No, lui non è il "Veggente", ma è un uomo mortale, corrotto, non molto lontano dalla Targent, non molto lontano da quel Hawks; tutti della stessa razza: bastardi. Curiosamente devono avere un soprannome che dia credito alla loro acuta vista e intelligenza. Ridicolo.
È un uomo che non merita pietà, un ladro, un pagliaccio che rende questo mondo già folle un circo.

Lui continua inutilmente con le scartoffie e non nota la mia presenza, essendomi perfettamente criptizzato nell'oscurità dell'armadio, i respiri muti, il cappio stretto nella mia mano sinistra, pronto per l'azione. Il silenzio delle ali mi dice che non corro pericolo, che posso agire in qualunque momento. Raggiungo con leggerezza le sue spalle, mi affretto ad afferrare il pugnale, la lama raggiunge la gola prima che possa reagire. «Non muoverti.»

Si accorge dell'agguato, le sue ascelle sollevate a fatica, il freddo testimoniato dalle tende danzanti. «C-chi sei?» mi chiede, la bocca spalancata senza parole, la voce tremante. Debole.

«Sono lo spettro.» con serietà gli rispondo scherzosamente. Sì, lui esiste, io esisto.

Le spalle si sollevano, quasi pronte a ridere, qualche risatina gli sfugge. Che incontinenza sconcertante. Poi realizza chi è dalla parte del manico. «Cosa vuoi da me?! T-ti posso dare quello che vuoi! Posso pagarti qualunque cifra!»

Un uomo delirato, ecco cosa sei tu. «Mi darai qualunque cosa voglia?»

«S-sì.»

«A qualunque prezzo?»

«Ho detto di sì! Ora vuoi dirmi che cazzo vuoi?!» trema ancora di più e suda freddo: è impaziente. Non fa altro che continuare a fissare sotto il tavolo, dove ha piazzato da diversi anni un pulsante d'emergenza: al suo avvio, si presenteranno quindici pattuglie pronte ad abbattere l'intruso. Come se non mi fossi già accorto della minaccia.

«Lei deve solo fare ciò che le ordino.—attendo qualche istante—Stia fermo e non osi voltarsi.» Allontano lentamente la lama, lui fremente di paura e determinazione.

Appena sente di avere il via libera, si getta sotto la scrivania per raggiungere la sua salvezza. E ce la fa, ma gli rimane solo l'incredulità e il poco ossigeno nei polmoni.

Lo tiro verso di me, il cappio avvolto completamente alla gola. La mano destra tiene la bestia impazzita e il piede preme sulla sua schiena per domarlo. Non ci vuole molto per farlo svenire. Ora posso lavorare agevolmente senza intralci.
Distendo la bestia sulla scrivania, lego il cappio sulla trave che sovrasta la poltrona regia, pestando per breve tempo il cuscino della sedia. Infine lascio che la gravità faccia il resto: l'uomo si risveglia quando è tutto allestito, spes ultima dea, si dimena, facendo cadere la sedia, segnando il suo destino. Si contorce, agita le gambe tremano terribilmente, cianosi sul volto, come una cimice intrappolata sotto un bicchiere. Mi sorprende che la trave riesca a reggere tutto quel peso. L'ansia gli ruba l'aria, quel poco che c'era in quei sacchi. Il cervello muore, come se non fosse già morto prima.

Lascio un messaggio sulla macchina da scrivere, che venga pure interpretata come lettera d'addio, non m'interessa.
"nome della vittima: levin jakes
causa del decesso: strangolamento
movente: suicidio
CASO CHIUSO"

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Capitolo 25
*** 29: Proteggere ***


Roland Layton POV

Hershel è un bimbo molto introverso e rigido, sembra quasi un automa. Con molta probabilità la nostra presenza lo inquieta ma, d'altronde, essendo stato adottato da solo due settimane senza il fratello, è più che normale che sia confuso e spaventato da degli sconosciuti come noi, nonostante le nostre cure e gentilezze. Sarebbe curioso capire che cosa passi per la testa di quel bambino. È giovane, non stupido, specialmente un bimbo tanto perspicace quanto lui.
Eppure non ci ha ancora chiesto nulla sui suoi genitori o suo fratello.
Anzi, non ci parla proprio: solo a volte abbiamo la fortuna di poter sentire la sua voce, di solito in soluzione di un enigma, impulsivamente. E in quelle rare occasioni, accorgendosi del fatto, raccoglie le mani sulle labbra, fermando lo scorrere delle parole, i suoi pensieri di nuovo irraggiungibili. «Ha solo nostalgia di casa.» mi disse Lucille.
Nonostante il suo silenzio, sembra irrequieto anche, o specialmente, dopo il crepuscolo: al calar del sole, inizia a irrigidirsi ancora di più, i muscoli ossidati, quasi a nascondere i respiri e il sospiro di vita; non è raro infatti ritrovarlo alle due di mattina sepolto dalle coperte o sotto lo stesso letto, quasi per nascondersi da qualcosa o da qualcuno. L'altro ieri si era rinchiuso nell'armadio. Non voleva più uscire. «Avrà nostalgia di casa.» mi ha detto Lucille.
E questa sera non pare essere diversa dalle altre, dominata dall'imbarazzante silenzio del piccolino, gli occhi fissi ma tremanti sul piatto, che paiono attraversare la porcellana, i piedi a ciondoloni. Sembra quasi che stia leggendo qualcosa nella minestra appena servita, come quando si legge il futuro dal fondo del caffè. Il suo sguardo non promette bene, ma l'esperienza mi ha insegnato che non devo interferire: ieri ha frainteso il mio abbraccio come una presa maligna, scappando gridando nella sua stanza in lacrime.
Anche Lucille è preoccupata, il piccolino turbato la sconvolge. La rassicuro con una mano sulla spalla, ricordandole che domani andremo dal pediatra. Non provo a nascondere il discorso, sapendo che Hershel è perso nella sua visione, dissociato.
Ci sediamo a tavola. Mangia controvoglia la minestra, i cucchiai trascinati sul fondo l'unica nostra compagnia. È inutile provare a iniziare un discorso con lui, parla sempre meno con noi. Infine lo portiamo a letto, lui stringe le coperte come fossero la cosa a lui più vicina, uno scudo dai mostri. Gli baciamo la fronte e lo lasciamo dormire, la candela sul comodino ancora accesa.
Raggiungiamo la nostra stanza, il mio tesoro segnato dalla preoccupazione. Non l'avevo vista così tanto tormentata da quella volta che ha lavorato con me in quel delitto, dove devo ammettere che il cadavere faceva una certa impressione. Qui però non si tratta di un omicidio, eppure i suoi occhi non trovano pace. «Che sia davvero solo nostalgia di casa?»
«Non lo so.» La abbraccio, la presa forte ma rassicurante.
Vi si aggrappa come edera e io la accontento.
Solo ora sento il peso gravoso nelle mie spalle, quello che la luce del giorno e gli impegni effimeri celano per il mio bene. Anche le palpebre si fanno più pesanti, ma quelli di lei sono più stanchi. «Stanotte ci penso io a calmarlo, d'accordo?»
Lei china la testa, coricandosi, esausta. I suoi capelli, a tratti bruni e candidi, per l'effetto della luce e dell'età, incorniciano il cuscino fresco, confortante e confortevole. «Sì, grazie. Sai, sono giorni che di notte non fa altro che piangere. È inconsolabile e sembra sentirsi solo. Forse avremo dovuto prenderli entrambi...»
Sbuffo, rilasciando il mio senso di colpa e rassegnazione. «Ne abbiamo già parlato, tesoro, e lo sai che non potevamo e non possiamo permettercelo, e d'altronde hai visto che Theo è apposto. In caso in futuro li faremo incontrare. Potremo contattare i Phibbs. Che ne dici?»
Il suo sorriso stanco mi basta. «Buonanotte, amore.»
Dopo qualche minuto mi addormento anch'io, sulle mie palpebre sono impresse le sue forme illuminate dalla luna.
L'immagine sparisce. Viene rimpiazzata da un'altra, familiare. Mi trovo in una casa abbandonata, una delle stanze carbonizzata. Giusto, il caso dell'incendio in cucina che uccise due coniugi e della cui figlia non vi era traccia, ora ricordo. I miei passi silenziosi rivelavano la fonte di quei gemiti: la cantina. Velocemente raggiungo l'angolo in cui si era nascosta e la rassicuro. La bimba non è più turbata, ma continuo a sentire questi lamenti.
Mi sveglio dal ricordo. Il pianto è perenne. Di istinto mi lancio verso la cameretta di Hershel. Di lui non c'è traccia, il letto spoglio della coperta. I passi lenti raggiungono il pian terreno, i lamenti più udibili e forti. È in cantina.
Allo sbirciare della porta, però, si spalanca il silenzio. Nella quiete si può quasi sentire il piccolo cuore spaventato, i respiri ritirati, i tremori quasi impercettibili. Ma ci sono, lo so. Non è la prima volta che ne sento, provenienti da bimbi di famiglie disagiate, da situazioni discutibili, orrende, improbabili. Traumatizzati.
Hershel è uno di loro? Dio, come può meritarlo? Come può qualunque bambino su questo mondo diventare figlio della violenza? Cosa hanno fatto?
Sono di fronte alle ante dell'armadio, nell'angolo della stoffa verde, il bordo del lenzuolo soffocato quanto la creatura spaventata lo strattona, cercando sollievo. A volte dondola col vento, a volte trema dal freddo o per il conforto che può donare.
«Hershel—bisbiglio—puoi uscire. Nessuno vuole farti del male.»
Ora il drappo è strattonato, rapito dall'interno. L'ambiente è più scuro, puro, immobile.
Sbircio dal sottile spiraglio tra le ante, la luce extraterrestre la lampada naturale. Mi si rivelano degli occhi spalancati, le palpebre ritirate, le pupille dilatate, pronte a focalizzare sul predatore; non pare abbassare la guardia, provando a rimanere immobile, pretendendo di essere una statua, una fotografia, un'immaginazione. Sì, quegli occhi non mi sono nuovi. Purtroppo. Sono gli stessi di quella bimba, di quel ricordo. Quanti ne avrò visti nella mia vita, trascorrendo le giornate di lavoro in quartieri disagiati e poco raccomandabili, lontani dall'essere vivibili, anche se molto vissuti? E quelli delle giovani vittime?
Ma non credevo che quegli stessi occhi sarebbero apparsi anche in casa mia.
Hershel non pare essersi mosso dalla sua posizione iniziale. Accarezzo il legno, lui sussulta, quasi risvegliandosi. «Nessuno ti farà del male.—lo rassicuro, il suo sguardo incrocia il mio, entrambi sotto i raggi lunari—Ti proteggeremo.» mi è impossibile non sorridere, una lacrima spontanea bagna la guancia. Quante ne avrà passate?
Se inizialmente le sue labbra si aderivano in una linea, ora a momenti si slegano, ancora mute.
Non ho paura di aspettare, e certamente neanche Lucille. «Vuoi un abbraccio?»
L'umidità sugli occhi dovrebbe bastare come risposta, ma timidamente scuote la testa, annuendo. Poi subito spalanca le ante, cercando di stringere quanto più poteva il mio robusto petto. Gli ricambio l'abbraccio gradualmente, quasi spaventato di poterlo distruggere con la mia forza. Gli massaggio la schiena, accarezzo i capelli, le lacrime implacabili, il tremore un sisma, i gemiti un'eruzione.
Il tempo si sospende per diversi minuti. L'abbraccio si slega, alcune lacrime ancora intrappolate negli occhi ma facilmente rimovibili. Nella quiete notturna lo accompagno in camera.
Il piccolo raggiunge il letto, esausto. In breve gli sistemo il lenzuolo, ora libero di volare per il vento. Hershel si getta a capofitto nel morbido e fresco materasso, estendendosi e posizionandosi per trovare la posizione più confortevole, per poi pietrificarsi: pare essersi appena ricordato della mia presenza.
«M-mi per-doni per prima, signor Layton.»
«Non devi scusarti.— la voce calma, come quella del cantastorie—Vuoi che ti legga una storia per dormire?»
«No.»
Ritiro la mano vuota dagli scaffali coi libri dalle copertine colorate. «Sei stanco.»
Gli scappa un piccolo sbadiglio, il rimanente lo mastica.
È incredibile come un bimbo possa essere così misterioso. «Allora sogni d'oro.»
Il bacio della buonanotte sembra rassicurato. Raggiungo la porta, pronto a girare l'angolo.
«Aspetta...»
Mi volto verso la debole voce.
Sembra dormire, ma le palpebre non sono completamente tirate. «Devo dirti una cosa...»
«Certo, dimmi pure.» Non capisco perché le mani mi iniziano a sudare, so solo che non saranno buone notizie.
«Avete preso il bambino sbagliato.»

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